ANNO LXI - N. 2 APRILE-GIUGNO 2009 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Getano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Maurizio Fiorilli - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Maria Vittoria Lumetti - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. SEGRETERIA DI REDAZIONE: Carla Censi e Antonella Quirini HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Alejandra Boto Alvarez, Claudia Ascione, Marialaura Borrillo, Laura Casella, Sara D�Amario, Fabrizio Fedeli, Wally Ferrante, Paola M.R. Ferro, Beatrice Gaia Fiduccia, Flaminia Giovagnoli, Maria Maddalena Giungato, Roberto Palasciano, Francesca Quadri, Diana Ranucci, Marina Russo, Francesco Sclafani, Marco Stigliano Messuti, Maria Laura Tripodi, Wanda Vaccaro Giancotti. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 carla.censi@avvocaturastato.it - tel. 066829561 antonella.quirini@avvocaturastato.it - tel. 066829205 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................� 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. � 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 60L 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Maria Vittoria Lumetti e Alfonso Mezzotero, Il patrocinio erariale autorizzato: � organico, esclusivo e non presuppone alcuna istanza dell�ente all�Avvocatura dello Stato. Il caso delle Autorit� portuali in alcune recenti contrastanti decisioni del giudice amministrativo (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sent. 25 marzo 2009 n. 190, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter, sent. 6 maggio 2009 n. 4640) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Sclafani, Osservatorio di giurisprudenza sul contenzioso relativo ai provvedimenti dell�Autorit� per l�eneriga elettrica e il gas - Anno 2008. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Roberto Palasciano e Marialaura Borrillo, La violazione dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali da parte delle leggi statali e regionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.- Le decisioni Flaminia Giovagnoli, Il diritto comunitario non impone alcun limite temporale per il riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva (Corte di Giustizia CE, sent. 12 febbraio 2008 nella causa C-2/06 . . . . . Sara D�Amario, La nozione di �deposito temporaneo� e la possibilit� di commistione di rifiuti riconducibili a codici diversi (Corte di Giustizia CE, sent. 11 dicembre 2008 nella causa C-387/07) . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Discrezionalit� dello Stato e tuela della salute: la riserva della propriet� ai farmacisti (Corte di Giustizia CE, sent. 19 maggio 2009 nella causa C-531/06) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. - I giudizi in corso Giuseppe Albenzio, Giustizia e affari interni, cause riunite C-175-176- 177-178-179/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-229/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Albenzio, Unione doganale, causa C-230/08 . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Relazioni esterne, causa C-303/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Cittadinanza europea, causa C-310/08 . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Politica sociale, causa C-471/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Libert� di stabilimento, causa C-565/08 . . . . . . . . . . . . pag. 1 �� 78 �� 85 �� 114 �� 129 �� 140 �� 156 �� 159 �� 169 �� 174 �� 180 �� 185 �� 192 CONTENZIOSO NAZIONALE Claudia Ascione, Telecomunicazioni e riparto delle competenza tra Stato e Regioni: percorsi argomentativi? (Corte cost., sent. 30 gennaio 2009 n. 25). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo D�Ascia, Questioni di cittadinanza per i discendenti delle donne italiane sposate con cittadini stranieri prima dell�entrata in vigore della Costituzione. Una �lettura costituzionale� delle Sezioni Unite che evoca la tecnica manipolativa della Corte Costituzionale (Cass., Sezioni Unite, sent. 25 febbraio 2009 n. 4466) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Glauco Nori, Le nuove inammissibilit�:�L�omissione dei fatti non rilevanti� (Cass., Sez. Tributaria, ord. 11 dicembre 2008 n. 29159) . . . . . . . Lorenzo D�Ascia, Privatizazione ed esenzione fiscale: il caso TAV s.p.a. (Cass., Sez. Tributaria, sent. 16 gennaio 2009 n. 938) . . . . . . . . . . . . . . . Alfonso Mezzotero, La denuncia di inizio attivit� nella legge 80/205 secondo l�ultima giurisprudenza. Natura giuridica dell�istituto, autotutela della P.A. e tutela giurisprudenziale del terzo controinteressato (CdS, Sezione IV, sent. 25 novembre 2008 n. 5811) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maria Maddalena Giungato, Conciliazione avvenuta, diritto negato? (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, sent. 19 maggio 2008 n. 522) . . . . . . Maria Laura Tripodi, Impugnabilit� delle segnalazioni dell�autorit� garante della concorrenza e del mercato (TAR Lazio, Roma, Sez. I, sent. 3 febbraio 2009 n. 1027) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Varone, Provvedimento di revoca per interesse pubblico ed indennizzo (TAR Lazio, Roma, Sez. III, sent. 9 marzo 2009 n. 2372) . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Diana Ranucci, Delibazione in Italia di sentenze di Corti statunitensi nei confronti della Repubblica dell�Iran - AL 40704/08 . . . . . . . . . . . . . . . . Beatrice Gaia Fiduccia, Procedura selettiva interna per saltum dall�area B, pos. economiche B1, B2, B3, all�area C, pos. C1 - AL 4312/08 . . . . . Francesca Quadri, Schema di D.M. da adottare ai sensi dell�art. 2, co. 6, della L. 180/08 per la formazione delle commissioni dei concorsi universitari - AL 5347/09. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Albenzio, Interpretazione dell�art. 68, co. 2, del D.lgs. 546/92 in tema di riscossione di tributi - AL 23083/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 207 �� 221 �� 236 �� 241 �� 251 �� 280 �� 289 �� 300 �� 305 �� 309 �� 313 �� 316 Gianni De Bellis, Accertamenti medico-fiscali nei confronti di dipendenti assenti per malattia: relativi oneri - AL 46696/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco Stigliano Messuti, Verbale di conciliazione Co.re.com, ex art. 22, co. 24, lettera b), L. 481/1995 - AL 1299/09 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonio Palatiello, Trattamento di missione del personale dello Stato, pernottamento e rientro in sede - AL 26180/08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabrizio Fedeli, Mondiali di nuoto �Roma 2009�. Obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione - AL 7447/09 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RECENSIONI Wanda Vaccaro Giancotti, Il patrimonio culturale nella legislazione costituzionale e ordinaria. Analisi, proposte e prospettive di riforma, G. Giappichelli Editore, Torino, 2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Alejandra Boto Alvarez, La distribuzione territoriale del potere finanziario in Spagna: problemi attuali e disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Laura Casella, La perequazione urbanistica: nuovi scenari della pianificazione territoriale italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paola M.R. Ferro, La tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo: inutile sovrastrttura o elemento cardine di un diritto processuale comune europeo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maria Vittoria Lumetti, Brevi note sul principio di precauzione nei sitemi di common law e di civil law . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 318 �� 320 �� 323 �� 324 �� 333 �� 335 �� 345 �� 376 �� 414 T E M I I S T I T U Z I O N A L I Il patrocinio erariale autorizzato: � organico, esclusivo e non presuppone alcuna istanza dell�ente all�Avvocatura dello Stato Il caso delle Autorit� portuali in alcune recenti contrastanti decisioni del giudice amministrativo (Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Reggio Calabria, decisione 25 marzo 2009 n. 190; Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. III-ter, decisione 6 maggio 2009 n. 4640) di Alfonso Mezzotero e Maria Vittoria Lumetti* L�evidente contrasto tra le soluzioni accolte nelle sentenze in epigrafe in ordine ai caratteri e presupposti del c.d. patrocinio autorizzato ex art. 43, comma 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 dell�Avvocatura dello Stato impongono alcune riflessioni di portata generale, inerenti la complessa tematica delle modalit� di esercizio dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato. Il differente titolo del patrocinio erariale, necessario o autorizzato, la risalente disciplina dell�ordinamento dell�Avvocatura e la difficolt� di inquadramento di taluni enti in categorie idonee a connotarne l�esatta natura, talora genera incertezze in giurisprudenza e vistosi fraintendimenti circa le modalit� di funzionamento del patrocinio erariale, di cui la recente decisione n. 4640/2009 del T.A.R. del Lazio costituisce clamoroso (e pericoloso) esempio, che finisce per innestare un elemento (l�istanza di assistenza dell�Ente all�Avvocatura) totalmente eccentrico e non contemplato dall�art. 43, R.d. n. 1611/1933 a fini della deroga al patrocinio (organico ed esclusivo) dell�Avvocatura a favore di (*) Avvocati dello Stato. 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 enti pubblici diversi dallo Stato. In questo quadro si colloca la questione, correttamente risolta in senso negativo nella decisione n. 190/2009 del Tribunale amministrativo regionale calabrese, della difesa congiunta, ossia la possibilit� dell�ente pubblico, che si avvale del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ope legis autorizzato, di nominare, ai fini di un affiancamento ad essa, un legale del libero foro. L�esito di tale indagine consentir� di verificare che sussiste il difetto di ius postulandi in capo al legale del libero foro, del pari incaricato dall�amministrazione evocata in giudizio, di svolgere la propria difesa in affiancamento a quella per legge assicurata dall�Avvocatura dello Stato. Si tratta, invero, di una soluzione lineare e rispettosa della specificit� del ruolo giustiziale dell�attivit� defensionale dell�Avvocatura dello Stato. Una rigorosa interpretazione delle norme (in particolare, l�art. 43, commi 3 e 4, R.d. n. 1611/1933) porta, infatti, ad affermare il principio di organicit� ed esclusivit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, insuscettibile, anche per ragioni ontologiche, di qualsiasi coesistenza con il patrocinio privato. Corollario del principio di organicit� ed esclusivit� del patrocinio autorizzato � la sostanziale scomparsa del c.d. patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello Stato e, soprattutto, l�esclusione della necessit� di qualsiasi preventiva richiesta di assistenza da parte dell�ente (erroneamente ritenuta dal T.A.R. del Lazio nella decisione in commento quale elemento qualificante le forme di patrocinio erariale diverse da quella obbligatoria), considerata l�organicit� (ed esclusivit�) del patrocinio autorizzato ex art. 43, R.d. n. 1611/1933. ** *** ** SOMMARIO: 1.- Organicit�, esclusivit� e mandato ex lege quali tratti caratteristici dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato. 2.- Il patrocinio autorizzato ex art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. 3.- Prime conclusioni: l�obbligatoriet� del patrocinio autorizzato esclude la necessit� di qualsiasi formale deliberazione e richiesta dell�ente, operando l�autorizzazione ex se, mentre � l�eventuale ricorso a liberi professionisti a richiedere un�apposita delibera. 4.- Ipotesi controverse in ordine alla natura del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. 4.1.- Le istituzioni scolastiche. 4.2.- Le Universit� statali. 5.- La difesa dell�ANAS S.p.A. 6.- Il patrocinio delle agenzie fiscali: � autorizzato, ma non facoltativo. 7.- Il patrocinio dell�A.G.E.A. 8.- Il patrocinio dell�E.N.E.A., del C.N.R., dell�Agenzia Spaziale Italiana e dell�Istituto Nazionale di Astrofisica: le norme estensive dello jus postulandi riferiscono l�autorizzazione alla sola Avvocatura Generale dello Stato. 9.- Il patrocinio erariale delle Regioni. 9.1.- Il patrocinio delle regioni ordinarie: la bipartizione delle forme di jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato nelle convergenti interpretazioni della Suprema Corte e del Consiglio di Stato. 9.2.- Il patrocinio delle regioni a statuto speciale. 10.- Il patrocinio delle Autorit� Portuali: analisi delle contrapposte soluzioni fornite dalle due decisioni in commento. 11.- Seconde e definitive conclusioni: il patrocinio erariale autorizzato � organico, esclusivo e non presuppone alcuna istanza dell�ente all�Avvocatura dello Stato e, dunque, � automatico. TEMI ISTITUZIONALI 3 1. Organicit�, esclusivit� e mandato ex lege quali tratti caratteristici dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato A titolo di inquadramento sistematico, si rende opportuno svolgere una breve premessa di carattere generale sulla natura dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato, che consentir�, per un verso, di apprezzare la correttezza della soluzione accolta dal Tribunale regionale calabrese nella decisione n. 190/2009 e, per altro verso, la non condivisibilit� della speculare ed opposta decisione n. 4640/2009 del Tribunale regionale per il Lazio (1). ComՏ noto, i principi sulla rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni dello Stato sono contenuti nel T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611 (c.d. testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull�ordinamento dell�Avvocatura dello Stato). In particolare, ai sensi dell�art. 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, la rappresentanza, il patrocinio e l�assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla difesa erariale, davanti ad ogni giurisdizione e ai collegi arbitrali (2). La disposizione di cui all�art. 1, R.d. cit. si riferisce alle amministrazioni dello Stato in senso (1) Sulla dipendenza (solo funzionale e non gerarchica) dal Presidente del Consiglio dei Ministri e sulla natura di organo ausiliare del Governo dell�Avvocatura dello Stato, si veda, di recente, GALLO P., in BATTINI, MATTARELLA, SANDULLI, VESPERINI, Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, Utet, 2007, 698 ss. Sulla funzione e sul ruolo dell�Avvocatura dello Stato (in ordine cronologico), v. SCAVONETTI, Avvocatura dello Stato, Nuovo Digesto italiano, Torino, 1937, vol. II, 69 ss.; BELLI, Avvocatura dello Stato, in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1959, 670 ss.; AZZARITI, CHIAROTTI, OLMI, Atti congr. Avvocatura Stato, Roma, 1976; CARBONE, Avvocatura dello Stato, in Appendice al Novissimo Digesto italiano, 1980, 622 ss.; SANTORO, L�Avvocatura dello Stato dopo la l. 3 aprile 1979 n. 103, in Trib. amm. reg., 1981, 3177; Ferri P.G., Avvocatura dello Stato, Ordinamento, in Enc. giur. Treccani, 1987, Roma; MANZARI, L�Avvocatura dello Stato nell�ordinamento vigente, in Digesto discipline pubbl., 1987, II, 92 ss.; ITRI, Avvocatura dello Stato, Diritto processuale, in Enc. Giur. Treccani, vol. IV, Roma, 1988, 1 ss.; CARAMAZZA - DI MARTINO, Avvocatura dello Stato e giustizia amministrativa, in Rass. Avv. St., 1989, II; PAVONE, Lo Stato in giudizio. Enti pubblici ed Avvocatura dello Stato, Milano, 2002, ove in Appendice bibliografica, 425 ss., ulteriori riferimenti a lavori monografici; SCINO, Avvocatura dello Stato, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di Cassese, Milano, 2006, 622 ss.. Di recente, per una rassegna generale delle diverse forme di patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, si veda GIOVAGNOLI, Il patrocinio dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, in CARINGELLA, DE NICTOLIS, GIOVAGNOLI, POLI, Manuale di giustizia amministrativa, 2008, Roma, tomo I, 387 ss.; 1. Per una ricostruzione storica delle origini della difesa dello Stato nelle periodo pre e post-unitario e sulla istituzione dell�Avvocatura erariale, si v. FIENGO, I caratteri originari della difesa dello Stato in giudizio, in Rass. Avv. St., 2006, III, 29 ss.. (2) La giurisprudenza, da tempo, ritiene che il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato si estenda non solo alle amministrazioni del c.d. potere esecutivo, ma anche a �tutti i poteri dello Stato, in quanto esplichino un�attivit� sostanzialmente amministrativa e siano soggetti di una procedura giudiziaria�, come nel caso della Camera dei Deputati (Cass. civ., sez. un., 16 marzo 1981, n. 1667 e n. 1668, in Foro it., 1981, I, 1939), e del Senato della Repubblica �per i contratti da essi stipulati�; in dottrina, in tal senso, BELLI, op. cit., 671. La giurisprudenza ritiene, inoltre, che la necessit� del patrocinio e della rappresentanza delle amministrazioni dello Stato da parte dell�Avvocatura dello Stato risulta pacificamente applicabile anche agli organi delegati dell�Amministrazione centrale dello Stato ed alle gestioni com- 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 proprio, ossia agli uffici o complessi di uffici facenti parte della struttura organica dell�Ente-Stato; per tale ragione, si esclude che la suddetta disposizione possa trovare applicazione nel caso di organi di altri enti che esercitino funzioni statali, come avviene per il Sindaco che agisce in veste di ufficiale di governo, con la conseguenza che deve ritenersi rituale la notifica di un ricorso presso la casa comunale, anzich� presso l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato competente (3). missariali la cui azione rientra nell�ambito di un munus statale, che, in quanto tale, implica necessariamente il patrocinio ex lege dell�Avvocatura dello Stato: si veda, in proposito, Cass. civ., sez. I, 12 dicembre 2003, n. 19025, in Riv. arbitrato, 2005, 1, 76, con nota di GRASSO G.., Istituzione del procedimento arbitrale, carenza di potestas iudicandi e fase rescissoria del giudizio di impugnazione per nullit�, ove il principio � stato affermato con riferimento al Sindaco ed al presidente della Giunta regionale quale commissario di Governo ai sensi della l. 14 maggio 1981 n. 219, che ha convertito, con modificazioni, il d.l. 19 marzo 1981 n. 75, in materia di interventi di ricostruzione seguiti al terremoto del 1980 nell�area campana; in applicazione del principio dell�obbligatoriet� del patrocinio erariale, la Corte ha affermato, nella fattispecie, che per le citazioni in giudizio di detto commissario ovvero per gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi agli arbitri nei confronti di esso � applicabile l�art. 11, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 - sostituito dall�art. 1, l. 25 marzo 1958 n. 260 - in tema di notifica presso l�Avvocatura dello Stato; nello stesso, pi� di recente, con riferimento al Commissario delegato per l�emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria, istituito ai sensi dell�art. 5, comma 4, l. n. 225/1992, cfr.: T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 15 dicembre 2004, n. 2411; id., 1 marzo 2006, n. 236; Trib. Milano, sez. X, 14 maggio 2007, n. 5833 (inedita), con la quale � stata dichiarata la nullit� dell�atto di citazione, sottoscritto da un avvocato del libero foro nell�interesse dell�Ufficio del Commissario delegato per l�emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria, in quanto privo dello jus postulandi; nello stesso solco, da ultimo, con approfondita motivazione, Trib. Catanzaro, sez. II, 1 febbraio 2008, n. 72, in Rass. avv. St., 2007, IV, 58 ss. e in www.altalex.it, con nota di CICIRELLO, Sull�ufficio del commissario delegato per l�emergenza ambientale. (3) In tal senso, con diffusa motivazione, Cons. St., sez. V, 13 agosto 2007, n. 4448, in www.lexitalia. it, n. 7-8/2007, ove il Collegio, a sostegno della conclusione, rileva che, quando il Sindaco agisce quale ufficiale di governo, l�ordinamento disciplina un fenomeno di imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto dell�organo del Comune, nel senso che il Sindaco non diventa un �organo� di un�Amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell�ente locale, senza che il suo status sia modificato; inoltre, l�esigenza che la notifica del ricorso giurisdizionale abbia luogo nei confronti del Sindaco, presso la sede comunale, � coerente con le caratteristiche del procedimento amministrativo che si conclude con l�atto sindacale, che � istruito, redatto ed emesso dagli uffici dell�Amministrazione comunale, alla quale compete anche di valutare, secondo le normali regole, il comportamento da tenere nel caso di impugnazione dell'atto in sede giurisdizionale; i medesimi argomenti erano stati, in precedenza, svolti da T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-ter, 17 novembre 2006, n. 12691, ivi, n. 10/2006, ove il Collegio ha affermato che �in veste di ufficiale di Governo, il Sindaco, pur svolgendo funzioni che superano l�interesse locale, mantiene la sua qualit� di organo dell�amministrazione comunale e ne impegna la responsabilit� (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 ottobre 1986 n. 568 e T.A.R. Sicilia - Palermo, 10 ottobre 1984 n. 2271)�; nello stesso senso, T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 13 gennaio 2006, n. 35, ivi, n. 1/2006; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 13 giugno 2005, n. 7804 e T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 12 giugno 2003, n. 304, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. VI, 12 novembre 2003, n. 7266, in Vita notar., 2003, 1350; T.A.R. Liguria, sez. II, 5 novembre 2005, n. 1077, in www.lexitalia.it., n. 11/2002; contra, T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 7 luglio 2005, n. 1127, ivi, 7- 8/2005, che, a sostegno dell�opposta conclusione, osserva che il potere di ordinanza attribuito al Sindaco quale ufficiale del Governo costituisce manifestazione di prerogative statali, delle quali il Sindaco � partecipe quale ufficiale di Governo, con la conseguenza che per la responsabilit� dei danni derivanti dall�esercizio o dal mancato esercizio del detto potere da parte del Sindaco, anche con riguardo ad organi TEMI ISTITUZIONALI 5 Si tratta di quello che, comunemente, viene definito �patrocinio obbligatorio�, nel senso che le Amministrazioni dello Stato devono ricorrere necessariamente alla difesa in giudizio dell�Avvocatura dello Stato, pena la nullit� radicale degli atti compiuti (4). Ed, infatti, nessuna Amministrazione dello Stato pu� richiedere l�assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali, inteso il parere dell�Avvocato generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio dei Ministri (art. 5, R.d. cit.) (5). Le speciali disposizioni in materia di rappresentanza obbligatoria dell�Avvocatura dello Stato afferiscono all�ordine pubblico processuale, trattandosi di norme dettate in materia di jus postulandi. Ne segue che la disciplina contemplata dal R.d. n. 1611/1933, in ordine al patrocinio erariale necessario, � imperativa ed inderogabile e la sua violazione comporta non solo la nullit� degli atti compiuti dal libero professionista per difetto di jus postulandi, ma comunali che gli sono di supporto, deve rispondere, pure sotto il profilo della violazione del divieto del neminem laedere lo Stato e non gi� il Comune. L�esercizio di tale potere comporta - secondo il Collegio - l�attrazione funzionale dell�organo dell�Ente locale nell�organizzazione dello Stato, con la conseguenza che il ricorso contro l�ordinanza contingibile ed urgente emessa dal Sindaco va notificato al Sindaco stesso - in veste di ufficiale di Governo - ed all�Amministrazione statale di settore di volta in volta interessata alla cura dell�interesse pubblico in evidenza. (4) GIOVAGNOLI, Il patrocinio dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, cit., 390. Per l�applicazione della �sanzione� della nullit� per difetto di jus postulandi dell�avvocato del libero foro che abbia patrocinato in violazione delle disposizioni di cui al R.d. n. 1611/1933, cfr., ex pluribus, Trib. Catanzaro, sez. II, 1 febbraio 2008, n. 72, cit.; Trib. Milano, sez. X, 14 maggio 2007, n. 5833, cit.; Trib. Agrigento, giud. lav., 24 febbraio 2004, n. 2778 (inedita); T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 13 dicembre 2002, n. 8051, in Lavoro nelle p.a., 2004, 1196. Giova ricordare che la questione della compatibilit� comunitaria del patrocinio ex lege dell�Avvocatura dello Stato � stata risolta in senso affermativo da Cons. St., sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1852, in Rass. avv. St., 2008, IV, 5, con osservazioni di BORGO, Il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato � compatibile con le regole comunitarie sugli appalti, ove il Collegio ha escluso che l�affidamento ex lege all�Avvocatura dello Stato della difesa in giudizio di un soggetto comunque deputato allo svolgimento di attivit� di interesse pubblicistico - quale, nella specie, l�I.P.Z.S. - risulti lesivo del principio di libera circolazione dei servizi nel settore del patrocinio legale. (5) Come nota SCINO, op. cit., 624, non risulta che la speciale procedura contemplata dall�art. 5, R.d. n. 1611/1933 sia mai stata utilizzata, tanto che, in dottrina, si ritiene che la stessa sia ormai, di fatto, venuta meno per desuetudine (BELLI, op. cit., 675); per quanto consta, l�unico precedente giurisprudenziale edito concerne il Consiglio Superiore della Magistratura, in relazione al quale Cass. civ., sez. un., 21 febbraio 1997, n. 1617, in Giust. civ. Mass., 1997, 291, ha osservato che �Il C.S.M. non pu� considerarsi amministrazione dello Stato in senso stretto, poich� costituisce l�organo di autogoverno di un ordine autonomo e indipendente, il quale, storicamente e sul piano positivo, si distingue dalla amministrazione, intesa come struttura che coadiuva le istituzioni politiche nell'esercizio delle attivit� di governo, provvedendo alle attivit� per il conseguimento dei fini pubblici posti dalle stesse istituzioni politiche, e producendo beni e servizi a favore della collettivit�, Ne consegue che il ricorso, da parte di esso, per il suo patrocinio difensivo, al foro libero, non si renda incompatibile con l'ordinario sistema della difesa in giudizio della p.a., affidata, ex art. 5 del r.d. n. 1611 del 1933, all�Avvocatura dello Stato. Il riconoscimento di una tale libera facolt� del Consiglio superiore, esercitabile anche al di fuori delle complesse procedure di deroga espressamente previste dallo stesso art. 5 cit., si rende tanto pi� pregnante allorch� l�oggetto dell�azione in giudizio del CSM sia rappresentato dalla impugnativa di atti posti in essere dal Ministero di grazia e giustizia, organo difeso, per legge, dall�Avvocatura dello Stato giudizio�. 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 anche la responsabilit� erariale dell�ente per le spese legali sostenute (6). La dottrina ha, infatti, evidenziato che lo jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato (non solo quello a regime obbligatorio, ma anche quello autorizzato, come si dir� infra) � organico (derivando direttamente ex lege), obbligatorio (non ammettendo deroghe) ed esclusivo (non potendo esercitarsi congiuntamente con patrocinatore diverso dalla difesa erariale, per come si desume dal combinato di cui all�art. 5, comma 1, e 43, comma 4, R.d. n. 1611/1933). Proprio il carattere di organicit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, che presuppone la costituzione di un rapporto di immedesimazione organica con il soggetto patrocinato, si pone a fondamento del principio per cui l�esercizio dello jus postulandi della difesa erariale deriva direttamente dalla legge e non necessita del conferimento di un mandato ad litem. In tal senso, dispone l�art. 1, comma 2, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, ai sensi della quale �Gli avvocati dello Stato, esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualit��. La speciale norma di cui all�art. 1, comma 2, R.d. n. 1611/33, canonizzando la regola del c.d. mandato ex lege, attribuisce una legitimatio ad processum ad ogni singolo avvocato o procuratore dello Stato, il quale � titolare della relativa capacit� di agire in giudizio in rappresentanza dell�ente patrocinato, senza necessit� di procura, bastando che consti la sua qualit� (7). Tale principio generale rinviene il proprio fondamento, non solo in esigenze meramente organizzative (considerata la difficolt� di reperire il mandato (6) In tal senso, si veda T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 13 dicembre 2002, n. 8051, in www.giustizia- amministrativa.it, ove il Collegio ha statuito l�inammissibilit� della costituzione in giudizio di un avvocato del libero foro, illegittimamente designato da un dirigente scolastico per lo svolgimento dell�attivit� processuale nell�interesse dell�Istituto, ed ha trasmesso la decisione alla competente Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti �per le valutazioni di competenza in ordine alla eventuale sussistenza di danni erariali derivanti dal conferimento del mandato ad un libero professionista�. (7) Ex pluribus, e senza alcuna pretesa di esaustivit�: Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2007, n. 6166, in Giust. civ. Mass., 2007, fasc. 3; in Foro it. Mass., 2007, 739 e nel Repertorio, 2007, voce Amministrazione Stato (rappresentanza), n. 5; Cass. civ., sez. I, 5 novembre 2004, n. 21236, in Giust. civ. Mass., 2004, fasc. 11; Cass. civ., sez. un., 1 luglio 2004, n. 12087, in Dir. trasporti, 2005, 1027; Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2004, n. 8211, cit.; Cass. civ., sez. un., 7 agosto 2001, n. 10894, in Riv. giur. edil., 2001, I, 1119 e in Giur. it., 2002, 1063, che considera non necessario il mandato neppure nei casi in cui le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti la qualit� di avvocato o procuratore dello Stato; Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2001, n. 3145, in Giust. civ. Mass., 2001, 402; Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2001, n. 1159, in Foro amm., 2001, 342 e in Cons. Stato, 2001, I, 537; Cons. St., sez. IV, 28 dicembre 2000, n. 6997, in Foro amm., 2000, 12; Cons. St., sez. VI, 21 gennaio 2000, n. 306, in Urb. e app., 2000, 266; riguardo alla non necessit� della procura speciale per lo svolgimento dell�attivit� processuale nel giudizio penale da parte degli avvocati e procuratori dello Stato, Cass. pen., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 257, in Rass. avv. Stato, 1998, parte I, sez. VI, 243 e ss.; Cass. pen., sez. V, 7 ottobre 1999, n. 11441, ivi, 2000, parte I, sez. VI, 526 e ss., con nota di DI TARSIA DI BELMONTE, ritenendosi, TEMI ISTITUZIONALI 7 difensivo dalle amministrazioni, ove fosse necessario acquisirlo di volta in volta), ma anche (e soprattutto) nel peculiare rapporto che lega l�Avvocatura dello Stato all�amministrazione patrocinata, che ha carattere organico e meramente interno, tantoch� - secondo ripetuta affermazione giurisprudenziale - � inibito al giudice ogni indagine sull�esistenza o meno dell�incarico defensionale attribuito dalla P.A. all�Avvocatura (ove fosse in ipotesi necessario). Ritiene, infatti, la giurisprudenza che �allorquando l�Avvocatura dello Stato assuma una iniziativa giudiziaria, in ordine alla stessa deve ritenersi che non manchi il consenso dell�Amministrazione interessata sicch� detto consenso comunque si sia formato (in via tacita o informale ovvero mediante espressa determinazione; ed anche allorquando sia relativo ad una ipotesi di litisconsorzio passivo ex art. 107 del d.P.R. n. 616 del 1977) non necessita di essere portato a conoscenza della controparte, perch� le eventuali divergenze tra gli organi pubblici interessati, sull'opportunit� o meno di promuovere un giudizio o di resistere ad una lite da altri proposta, non acquistano rilevanza esterna e sono risolte ai sensi dell'art. 12 della l. n. 103 del 1979 dall'autorit� individuata dalla stessa disposizione (cfr. in tali sensi Cass., Sez. Un., 4 novembre 1996 n. 9523 cit., cui adde, con riferimento a fattispecie di patrocinio facoltativo: Cass., Sez. Un., 23 marzo 1999 n. 182 cit.; Cass., Sez. Un., 3 ottobre 1996 n. 8648 cit.; Casa., Sez. Un., 3 febbraio 1986 n. 652; quanto, in particolare, alla costituzione di parte civile, atto di rilevanza meramente interna, non sindacabile dal giudice, l�autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri ex art. 1, comma 4, l. 3 gennaio 1991, n. 3; contra, si segnala l�isolata Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 1995, n. 6980, in Rass. avv. St., 1995, I, sez. VI, con nota di FERRANTE, Parte civile: procura speciale anche per le amministrazioni statali?, ove la Corte - ponendosi in netto contrasto con il consolidato orientamento della stessa Suprema Corte e del Consiglio di Stato formatosi sul contenuto del potere-dovere dell�Avvocatura dello Stato nella rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni statali - ha dichiarato inammissibile la costituzione di parte civile effettuata dall'Avvocatura dello Stato per conto dell�allora Ministero dei Trasporti poich� non corredata da idonea documentazione attestante la volont� dell�amministrazione di esercitare nel processo penale la pretesa risarcitoria o restitutoria, ritenuta non compresa nella riserva ex lege all�Avvocatura dello Stato della difesa degli organismi statuali. Il principio della non necessit� del mandato ad litem � applicato dalla giurisprudenza anche con riferimento alla difesa di agenti ed impiegati delle Amministrazioni dello Stato o degli altri enti pubblici non statali �nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti o cause di servizio, qualora le amministrazioni o gli enti ne facciano richiesta e l�Avvocato Generale dello Stato ne riconosca l�opportunit��, ai sensi dell�art. 44, R.d. n. 1611/1933; si afferma, infatti, che l�Avvocatura non � tenuta a dimostrare la sussistenza dei presupposti di legittimit� dell�assunzione del patrocinio indicati nell�art. 44 cit. (richiesta dell�amministrazione di appartenenza e successivo parere favorevole dell�Avvocato Generale dello Stato), trattandosi di meri atti interni e derivando il patrocinio della difesa erariale anche in tal caso direttamente dalla legge: cfr., Trib. Torino, 31 agosto 2004, in Foro it., 2004, I, 3210; Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1997, n. 10020, in Foro it., Rep., 1997, voce Amministrazione dello Stato (rappresentanza), n. 7; Trib. Roma, collegio per i reati ministeriali, 9 ottobre 1997, in Rass. avv. Stato, 1997, I, con nota di FIUMARA, Il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) e l�Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (ACISMOM) nel �diritto vivente� in Italia; Cass. civ., sez. lav., 24 giugno 1995, n. 7179, in Giust. civ. Mass., 1995, fasc. 6; Cass. civ., sez. I, 13 novembre 1991, n. 12133, ivi, 1991, fasc. 11; Cass. civ., sez. III, 6 agosto 1987, n. 6759, ivi, 1987, fasc. 8-9. 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Cass., Sez. Un., 15 marzo 1982 n. 1672; Cass. 12 maggio 1981 n. 3141;Cass. 20 marzo 1980 n. 1879 ed, ancora, in epoca pi� recente, Cass. 7 maggio 2003 n. 6940)� (8). N�, in senso contrario, vale il richiamo all�art. 83 e ss. c.p.c., come principi di carattere generalissimo, derogabili solo in presenza di apposite norme. Tali principi, infatti, trovano il loro fondamento in un rapporto strettamente fiduciario intercorrente tra il cliente e il singolo avvocato, che deve essere ben individuato (ed individuabile) proprio grazie ad una espressa, e quindi controllabile, procura. Tale rapporto non � logicamente ipotizzabile riguardo all�attivit� defensionale istituzionalmente demandata all�Avvocatura dello Stato, organo impersonale, caratterizzato dalla fungibilit� degli avvocati e procuratori dello Stato (9), bastando, per l�esercizio delle loro prerogative, che �consti la loro qualit��. Del resto, in considerazione delle peculiarit� sia del soggetto patrocinato (P.A.) sia del patrocinante (Avvocatura dello Stato), il rapporto pubblica amministrazione-difesa erariale � irriducibile a quello di �incarico-mandato� (come accade per il privato e il suo difensore), trascendendo la dimensione �civilistico-processualistica� per collocarsi nell�ambito �pubblicistico-organizzativo�. Ove l�assunzione della difesa da parte dell�Avvocatura dello Stato sia formalmente preceduta da una delibera dell�Amministrazione (il che avviene, generalmente, per prassi, nel caso di enti diversi dallo Stato soggetti al c.d. patrocinio autorizzato), tale delibera costituisce, comunque, un atto meramente (8) Cos�, Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2004, n. 8211, in Giust. civ., 2004, I, 2588; in Rass. avv. St., 2004, 775, con nota di RAGO, Il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato a favore delle Regioni ordinarie; in www.lexitalia.it, n. 6/2004, con nota di MEZZOTERO, Il patrocinio �erariale� delle Regioni a statuto ordinario (nota a Cass. Sez. Unite Civili, sentenza 29 aprile 2004 n. 8211); in www.lexfor.it, con nota di SAN GIORGIO, Rappresentanza e difesa in giudizio delle Regioni tra servizio legale interno e Avvocatura dello Stato. (9) Sul principio di fungibilit� tra avvocati e procuratori dello Stato, cfr., PAVONE, op. cit., 31-32; la competenza riguarda l�ufficio, mentre i singoli avvocati e procuratori possono scambiarsi vicendevolmente, senza necessit� di provare in giudizio l�eventuale sussistenza di una situazione di impedimento; in giurisprudenza, in ordine all�applicazione del principio, cfr.: Cass. pen., sez. V, 27 marzo 1999, n. 11441, cit. Il principio di fungibilit� tra avvocati e procuratori dello Stato dell�Ufficio vale anche con riferimento alla sottoscrizione degli atti defensionali: da ultimo, con riferimento alla certificazione della firma nel sistema di teletrasmissione degli atti da notificare, ai sensi dell�art. 10, comma 2, l. n. 383/2001, Cass. civ., sez. V, 18 giugno 2009, n. 14125, in Ced Cass.; in precedenza Cass. civ., sez. I, 3 giugno 1988, n. 3788, in Giust. civ. Mass., 1988, fasc. 6; tuttavia, da ultimo, � da segnalare che Cass. pen., sez. V, 4 giugno 2008, n. 36641, in Ced Cass. pen., 2008, Rv. 241197, ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione proposto dall�Amministrazione, costituitasi parte civile a mezzo di un procuratore dello Stato, per difetto di jus postulandi. In precedenti occasioni, di contro, la Suprema Corte aveva esclusa l�applicazione agli avvocati e procuratori dello Stato della disciplina generale che richiede l�iscrizione all�albo dei cassazionisti per patrocinare nei giudizi innanzi alle magistrature superiori (cfr., con riferimento alla materia della riparazione per ingiusta detenzione: Cass. pen., sez. IV, 28 settembre 2005, n. 43960, in Ced Cass. pen., 2005, Rv. 232721). TEMI ISTITUZIONALI 9 interno, privo di rilevanza processuale, che non necessita di esteriorizzazione con il conferimento di formale procura, configurandosi un mandato ex lege (10). Del resto, ai sensi dell�art. 12, l. 3 aprile 1979, n. 103, l�avvocato o procuratore dello Stato non � onerato della produzione del provvedimento del competente organo di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio (11). Semmai la violazione da parte dell�Avvocatura delle direttive impartite dall�amministrazione pu� rilevare sul piano disciplinare con riferimento alla condotta dell�avvocato o procuratore dello Stato che vi ha dato causa, senza alcun riflesso sulla conduzione del giudizio (12). Opinando diversamente, si finirebbe col richiedere all�avvocato (o procuratore) dello Stato, peraltro senza alcuna giustificazione legislativa, qualcosa di pi� di quanto si chiede al professionista del libero foro. Quest�ultimo, infatti, giammai � tenuto a dimostrare il contratto di patrocinio che, come la delibera amministrativa di conferimento dell�incarico all�Avvocatura, � atto extraprocessuale ed interno ai rapporti tra difensore ed assistito (13). Ne deriva non solo che l�avvocato (o procuratore) dello Stato non deve esibire o, comunque, dimostrare il contratto di patrocinio (rectius: delibera dell�amministrazione alla lite), al pari del libero professionista, ma, ulteriormente e sulla base dell�art. 1, comma 2, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 non ne- (10) Cfr., inoltre, cfr., Cass. civ., sez. III, 26 luglio 1997, n. 7011, in Giust. civ. Mass., 1997, 1282; Cass. civ., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11296, ivi, 1995, fasc. 10; Cass. civ., sez. I, 4 maggio 1993, n. 5183, ivi, 1993, 810; Cass. civ., sez. I, 28 novembre 1992, n. 12729, ivi, 1992, fasc. 11; Cass. civ., sez. I, 22 marzo 1991, n. 3101, ivi, 1991, fasc. 3; Cass. civ., III, 27 luglio 1990, n. 7568, ivi, 1990, fasc. 7; Cass. civ., sez. un., 13 luglio 1990, n. 7269, 7270, 7278, loc. ult. cit.; Cass. civ., sez. un., 11 aprile 1990, n. 3075 e 3076, ivi, fasc. 4; Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 1990, n. 1308, in Rass. avv. Stato, 1999, 60; Cass. civ., sez. un., 5 giugno 1989, n. 2695, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 6; Cass. civ., sez. un., 24 aprile 1987, n. 3990, ivi, fasc. 4; Cass. civ., sez. un., 21 marzo 1987, n. 2807 e 2813, ivi, fasc. 3; Cass. civ., sez. un., 18 marzo 1987, n. 2712, loc. ult. cit.; Cass. civ., sez. lav., 13 ottobre 1984, n. 5140, ivi, 1984, fasc. 10; Cass. civ., sez. un., 5 luglio 1983, n. 4512, in Rass. avv. Stato, 1983, I, 669; nella giurisprudenza amministrativa, cfr.: Cons. St., sez. IV, 28 dicembre 2000, n. 6997, cit.; Cons. St., sez. VI, 21 gennaio 2000, n. 306, in Cons. Stato, 2000, 43; in Riv. giur. ed., 2000, I, 433, in Urb. e app., 2000, 266 e in Riv. giur. ambiente, 2000, 752; Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509, in Cons. Stato, 1999, I, 1537; Cons. St., sez. VI, 25 marzo 1999, n. 324, ivi, I, 468; Cons. St., sez. IV, 14 gennaio 1997, n. 1, ivi, 1997, I, 12; id., 13 maggio 1996, n. 607, ivi, 1996, I, 765; Cons. St., sez. V, 2 febbraio 1995, n. 182, ivi, 1995, I, 206; Cons. St., sez. VI, 28 dicembre 1993, n. 1032, in Foro amm., 1993, fasc. 11-12; Cons. St., sez. IV, 9 giugno 1993, n. 591, ivi, 1247; Cons. St., sez. VI, 12 ottobre 1982, n. 482, ivi, 1982, I, 1900 e in Cons. Stato, 1982, I, 1259. (11) In tal senso, Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2005, n. 2410, in Giust. civ. Mass., 2005, fasc. 5, 435 (relativa all�ANAS); Cass. civ., sez. I, 5 novembre 2004, n. 21236, ivi, 2004, fasc. 11 (relativa alla rappresentanza e difesa in giudizio della regione Sardegna, contemplata in via obbligatoria dall�art. 55, d.P.R. n. 250 del 1949 e resa facoltativa all�esito della modifica di tale norma da parte dell�art. 73, comma 1, d.P.R. n. 348 del 1979). (12) In tal senso, SCINO, op. cit., 623, che richiama in proposito Cass. n. 241/1971, in Giur. it., 1971, I, 1, 982. (13) Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1979, n. 5620, in Giust. civ. Mass., 1979, fasc. 10; Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1981, n. 579, ivi, 1981, fasc. 1. 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cessita neppure della procura per esercitare il suo mandato, derivando questo direttamente dalla legge (14). La regola del c.d. mandato ex lege ed il carattere di esclusivit� del patrocinio erariale trovano applicazione anche quando l�Avvocatura difende le amministrazioni pubbliche non statali che siano state autorizzate per legge o con atto amministrativo, ad avvalersi del suo patrocinio (artt. 43-45, R.d. cit.) (15). (14) In questi termini, tra le altre, v. Cons. St., sez. VI, 20 giugno 2003, n. 3693, in Foro amm. CdS, 2003, 1976 (m) e per esteso in www.giustizia-amministrativa.it, ove il Collegio afferma: �(�) secondo il consolidato orientamento di questo Consesso, da cui non c'� ragione di discostarsi nel caso di specie, la norma desumibile dal combinato disposto degli artt.1, co. 2, 43 e 45, r.d. n.1611/1933, in virt� della quale gli Avvocati dello Stato, sia che rappresentino lo Stato (art.1) sia che rappresentino un altro ente pubblico ammesso per legge al patrocinio dell'Avvocatura erariale (artt.43 e 45), non hanno bisogno di mandato, bastando che consti detta loro qualit�, va intesa nel senso che non si richiede un atto di conferimento del mandato (procura) e neppure una deliberazione formale di autorizzazione a stare in giudizio (C. Stato, IV, 4 ottobre 1999, n. 1509; C. Stato, IV, 14 gennaio 1997, n. 1; C. Stato, IV, 13 maggio 1996, n. 607; C. Stato, V, 2 febbraio 1995, n. 182; C. Stato, IV, 9 giugno 1993, n. 591; C. Stato, IV, 7 settembre 1988, n. 733, C. Stato, VI, 19 dicembre 1986, n. 938)�. (15) Principio costantemente affermato dalla giurisprudenza: con riferimento al patrocinio in favore delle regioni a statuto ordinario, si v.: Cass. civ., sez. un., 13 marzo 2009, n. 6065, in www.lexitalia.it., n. 4/2009, con nota di MUTARELLI, Mandato ad litem e ius postulandi dell�Avvocatura dello Stato (note a margine di Cass., Sez. Unite, 13 marzo 2009, n. 6065); Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5122, in Foro amm. CdS, 2008, 10, 2730; Cons. St., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4281, in www.giustizia-amministrativa.it; Cass. civ., sez. un., 12 marzo 2008, n. 6524, in Dir. e giur. agr., 2008, 10, 610; Cass. sez. un., 29 settembre 2004, n. 8211, cit.; Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2001, n. 1159, in Foro amm., 2001, 342; Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509, in Foro amm., 1999, 2044 e in Cons. Stato, 1999, I, 1537; Cons. St., sez. V, 2 gennaio 1997, n. 25, in Foro amm., 1997, 134 e in Cons. Stato, 1997, I, 44; Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523, in Rass. avv. St., 1996, 302; Cass. civ., sez. I, 7 marzo 1991, n. 2410, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 3; con riferimento alla difesa dell�ANAS S.p.A. e del soppresso Ente nazionale per le strade: Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25268, in Giust. civ. Mass., 2008, 10, 1489; id., 3 luglio 2008, 18226, in Guida al diritto, 2008, fasc. 43, 50; Corte conti, sez. II, 17 aprile 2008, n. 131, in Riv. corte conti, 2008, 2, 150; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 14 aprile 2008, n. 3115, in www.giustamm.it; Cass. civ., sez. I, 14 settembre 2006, n. 19786, in Giust. civ. Mass., 2006, 9; Cass. civ., sez. un., 7 agosto 2001, n. 10894, cit.; Cass. civ., sez. un., 21 luglio 1999, n. 484, in Rass. avv. St., 2000, I, 401 e Giust. civ., 2000, 1, 95, con nota di BONAMORE Danni da occupazione acquisitiva; con riferimento alle Universit� degli studi statali: Cass. civ., sez. lav., 29 luglio 2008, n. 20582, in Giust. civ. Mass., 2008, fasc. 7-8, 1223; Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2007, n. 332, in Foro amm. CdS, 2007, 1, 204 (m) e per esteso in www.giustizia-amministrativa.it; Cass. civ., sez. un. 13 giugno 2006, n. 13659, in Dir. proc. amm., 2006, 4, 1007; Cass. civ., sez. un., 10 maggio 2006, n. 10700, in Corriere del merito, 2006, 11, 1291; Cass. civ., sez. lav., 3 settembre 2003, n. 12831, in Giust. civ. Mass., 2003, fasc. 9 e in Foro amm. CdS, 2003, 2516; con riferimento all�Aima, ora Agea: Cass. civ., sez. I, 5 settembre 2003, n. 12942, in Foro amm. CdS, 2003, 2517 e Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2003, n. 4564, in Giust. civ. Mass., 2003, 629; con specifico riguardo alla neo istituita Agea: Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2005, n. 22021, ivi, 2005, fasc. 11; con riferimento agli enti di riforma fondiaria: Cass. civ., sez. un., 13 luglio 1990, n. 7278, in Foro it., Rep., 1990, voce Amministrazione dello Stato (rappresentanza), n. 36; Cass. civ., sez. un., 16 ottobre 1989, n. 4145, ivi, 1989, voce cit., n. 2; con riferimento all�Ente Poste Italiane: Cass. civ., sez. un., 28 luglio 1998, n. 8594, in Foro it., 1998, I, 3164; Cass. civ., sez. lav., 14 aprile 1998, n. 3759, ivi, 1998, I, 1823, con nota di CAPONI, Privatizzazione dell�ente pubblico e cessazione del patrocinio dell�avvocatura dello Stato; Cass. civ., sez. un., 5 settembre 1997, n. 8587, in Giust. civ. Mass., 1997, 1627; con riferimento agli enti lirici: Cass. civ., sez. un., 5 agosto 1989, n. 2695, ibid., n. 4; con riferimento ad un ente autonomo del teatro: Cass. civ., sez. un., 18 marzo 1987, n. 2712, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 3. TEMI ISTITUZIONALI 11 Infatti, il comma 4 dell�art. 43, R.d. n. 1611/1933 dispone che �Qualora sia intervenuta l�autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano, in casi speciali, non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�. Inoltre, l�art. 45, R.d. n. 1611/1933 richiama espressamente l�art. 1, comma 2, dello stesso R.d.; sicch�, gli enti cui la legge accorda la facolt� di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato - ivi comprese le Regioni a statuto ordinario e gli enti che, pur avendo la forma della societ� per azioni, sono sorti dalla privatizzazione di un ente pubblico e di questo abbiano conservato le finalit� e la soggezione al pubblico controllo - non hanno alcun obbligo di conferire un mandato scritto all�avvocato o procuratore dello Stato cui � affidata la loro rappresentanza, derivando il relativo jus postulandi direttamente dalla legge (16). (16) Cfr., in aggiunta alle decisioni citate nella precedente nt.: Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25268, in Giust. civ. Mass., 2008, 10, 1489 (relativa all�ANAS S.p.A.), ove la Corte cos� motiva sul punto: �Quanto alla mancanza di procura, gi� si � ricordato che, in base alla normativa vigente, l�ente pu� avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (come stabilito per l'ANAS, per il quale anzi il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato era obbligatorio ex lege: cfr. D.L.C.P.S. 17 aprile 1948, n. 547, art. 51, ratificato e modificato con L. 2 gennaio 1952, n. 41, e successive modificazioni). Orbene, anche in regime cosiddetto "facoltativo" di assistenza legale e di patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato non � necessario, in ordine al singoli giudizi, uno specifico mandato all'Avvocatura medesima, n� quest'ultima deve produrre il provvedimento del competente organo dell'ente recante l'autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in causa. Ci� si evince dal R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43, comma 1, e art. 45, e successive modificazioni. Quest'ultima norma, in particolare, stabilisce che per il patrocinio cosiddetto facoltativo si applica il secondo comma dell'art. 1, citato R.D., alla stregua del quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualit� (cfr. Cass., 26 luglio 1997, n. 7011; Cass., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523; Cass., 6 luglio 1991, n. 7515). Il R.D. n. 1611 del 1933, art. 45, prevede, infatti, che per l'esercizio delle funzioni di cui al precedente art. 43, (oltre che all'art. 44) si applica il precedente art. 1, comma 2, secondo cui gli Avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni (innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede) senza bisogno di mandato, anche ove sia richiesto il mandato speciale, essendo sufficiente che consti della loro qualit�. Pertanto anche nel caso di patrocinio facoltativo ex art. 43 cit., quale quello dell'ente controricorrente, l�Avvocatura di Stato non ha necessit� di mandato (in disparte la questione - che peraltro la difesa della ricorrente non pone - della configurabilit� di tale patrocinio come esclusivo, o meno, e quindi della legittimit�, o meno, della norma regolamentare che lo qualifica in realt� come alternativo al patrocinio dell'Ufficio legale interno). Questa Corte (Cass. 22 febbraio 1990 n. 1308), del resto, ha gi� affermato che anche nella difesa degli enti semplicemente autorizzati e non obbligati ad avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, non � richiesto alcun atto di procura per l'esercizio dello "ius postulandi" da parte degli avvocati dello Stato (e quindi, peraltro, la deliberazione dell'ente di conferimento dell�incarico all'avvocatura ha natura di atto interno che non deve essere esternato e non ha alcuna incidenza sul processo). Ci� perch� - aveva gi� precisato Cass. 12 maggio 1981 n. 3141 - lo stesso "ius postulandi" degli Avvocati dello stato, anche ove si tratti di rappresentanza e difesa in giudizio di un ente pubblico ammesso facoltativamente ad avvalersi del loro patrocinio, deriva direttamente dalla legge e non richiede quindi il conferimento di un mandato alla lite (Cass. 14 aprile 1998 n. 3759). Non occorre, dunque, conclude la decisione delle se- 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 L�esclusione della necessit� del mandato ad litem anche nei casi di patrocinio autorizzato (degli enti pubblici non statali) rinviene la sua ratio nella sussistenza, a monte, di atto generale (legge, regolamento, decreto del capo dello Stato o deliberazione del consiglio regionale) di conferimento dello jus postulandi all�Avvocatura dello Stato, pubblicato nei modi di legge (17). In questo ambito, per completezza, si rende opportuno indagare in quali limiti l�esercizio del potere dell�Avvocatura dello Stato di delegare la difesa, secondo i meccanismi contemplati dal R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 ed in altre sparse norme speciali (18), influisca sull�integrale applicabilit� del regime processuale da tale R.d., specie in ordine alla questione della notifica degli atti processuali (successivi a quello introduttivo del giudizio di primo grado). In primo luogo, si osserva che il regime processuale contemplato dal R.d. zioni unite di questa Corte (Cass. s.u., 4 novembre 1996 n. 9523), investitura particolare per i singoli giudizi, essendo invece necessari, proprio per l'esclusione di una tale rappresentanza e l'affidamento di essa a privati professionisti, provvedimenti talvolta soggetti al visto degli organi di vigilanza�. (17) Secondo parte della giurisprudenza il discrimine tra organismi pubblici, il cui patrocinio dev�essere assunto obbligatoriamente dalla difesa erariale, ed enti che sono solo facoltizzati (rectius: autorizzati) ad avvalersi della stessa potrebbe rinvenirsi nel possesso o meno della personalit� giuridica, �poich� il possesso della personalit� giuridica determina l�imputazione all�ente medesimo, e non allo Stato, dei rapporti giuridici instaurati, con conseguente estraniazione rispetto al plesso organizzativo appartenente a quest'ultimo. Viceversa, l'assenza di personalit� giuridica comporta l�assorbimento dell�organismo nella persona giuridica Stato, e quindi nell'ambito di quelle "Amministrazioni dello Stato" soggette all�applicazione del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 (cfr. TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 26 luglio 2005 n. 3419)�: in questi termini, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 13 febbraio 2007, n. 53, in Foro amm. TAR, 2007, 2, 733 (m.) e per esteso in www.giustizia-amministrativa.it, ove, in applicazione di tale criterio, � stato dichiarato inammissibile un ricorso notificato alla Camera arbitrale per i contratti pubblici presso l�Autorit� per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture al domicilio reale e non presso il domicilio legale dell�Avvocatura di Stato, dato che la Camera citata fa parte dell�Autorit� di vigilanza, ai sensi degli artt. 241 e 242, d.lgs. n. 163 del 2006, ente che non � distinto dallo Stato, ma organismo dello stesso, sia pure connotato da indipendenza funzionale, di giudizio e di valutazione e da autonomia organizzativa, con la conseguenza che la rappresentanza e la difesa spettano all�Avvocatura dello Stato. Sempre alla stregua di tale criterio, si ritiene che il patrocinio delle autorit� indipendenti prive di personalit� giuridica distinta dallo Stato competa, in carenza di espressa previsione derogatoria, alla difesa erariale: da ultimo, il principio � stato affermato con riferimento all�Autorit� per l�enerigia eletrica e il gas da TAR Lombardia, Milano sez. III, 10 aprile 2009, n. 3239, in Diritto e pratica amministrativa, 2009, n.7-8, 27 e ss. con nota di GIULIANO, Autorit� per l�energia: nel giudizio non � super partes, ove, per l�effetto, il collegio ha ritenuto che alla sudetta autorit� trovi applicazione il R.d. n. 1611/1933, con conseguente onere in capo al ricorrente di notificare l�atto introduttivo del giudizio, ai sensi dell�art. 11, R.d. cit., non presso l�Autorit�, ma presso la sede dell�Avvocatura dello Stato; in precedenza, si v., inoltre, T.A.R. Liguria, sez. I, 27 gennaio 2005, n. 113, in Foro amm. TAR, 2005, 1, 56, con riferimento al Comitato per la vigilanza sull�uso delle risorse idriche, organismo interministeriale istituito presso il Ministero dell�Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare; Cons. St., sez. VI, 25 novembre 1994, n. 1716, in Giust. civ., 1995, I, 619, con riferimento all�Autorit� Garante per la Concorrenza ed il Mercato; nonch� Cons. St., sez. VI, 7 settembre 2004, n. 5810, in Foro it., 2005, III, 485, che utilizza i medesimi argomenti con riferimento ad una Universit� di studi statale). (18) Per una rassegna delle quali, si v., amplius, PAVONE, op. cit., 144 ss.; nonch�, GALLO P.., op. cit., 702; MEZZOTERO, Della notificazione della sentenza di primo grado all�amministrazione statale rappresentata in giudizio da propri dipendenti ex art. 417 bis c.p.c., in Giust. civ., 2005, I, 1, 235; SCINO, op. cit., 626-627. TEMI ISTITUZIONALI 13 30 ottobre 1933, n. 1611 non trova deroga nel caso in cui l�Avvocatura dello Stato, per le cause in cui si svolgano fuori dalla sua sede, abbia delegato la (sola) rappresentanza in giudizio a funzionari dell�amministrazione difesa ovvero �in casi eccezionali anche procuratori legali, esercenti nel circondario dove si svolge il giudizio� (art. 2, R.d. cit.). Al riguardo, infatti, la giurisprudenza ha osservato che la delega delle cc.dd. funzioni procuratorie non incide sul patrocinio e sull�assistenza in giudizio dell'Avvocatura dello Stato, sicch� questa conserva quei compiti anche laddove abbia esercitato questa facolt� (19). Nonostante la delega, l�Avvocatura dello Stato conserva la rappresentanza in giudizio dell�Amministrazione con il connesso potere di sottoscrivere gli atti, di partecipare direttamente alle udienze, di affiancare il procuratore delegato, di sostituirsi a lui e di sostituirlo, di revocarlo. Tale rappresentanza � rigorosamente limitata alle funzioni procuratorie da esplicarsi nella sede dove si svolge il giudizio, nonch� subordinata alla pendenza dello stesso giudizio o della sua fase che si svolge nella stessa sede. La delega in questione, inoltre, non � efficace in relazione alle attivit� processuali successive alle pronunce delle sentenze inerenti allo stesso giudizio. Diversamente, vera e propria portata derogatoria della difesa dell�Avvocatura dello Stato � quella contemplata, con previsione di portata generale dall�art. 3, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, che contiene una disposizione di carattere di massima, applicabile ai giudizi innanzi al tribunale e al giudice di pace quale che sia il tipo di causa: �innanzi ai tribunali ordinari ed ai giudici di pace le Amministrazioni dello Stato possono, intesa l�Avvocatura dello Stato, essere rappresentate dai propri funzionari che siano per tali riconosciuti�. Per l�attivazione del meccanismo previsto da tale disposizione occorre, in ogni caso, un preventivo �accordo� (�intesa l�Avvocatura dello Stato�, afferma testualmente il citato art. 3), in mancanza del quale non pu� esservi delega delle funzioni di rappresentanza a funzionario. Risulta necessario precisare che la trattazione del giudizio da parte del funzionario delegato ai sensi dell�art. 3, R.d. n. 1611 del 1933 dev�essere nettamente distinta dalla facolt�, attribuita all�Avvocatura dello Stato, di delegare a funzionari dell�amministrazione interessata la rappresentanza nei giudizi che (19) Cass. civ., sez. un., 2 maggio 1996, n. 4000, in Giust. civ., 1996, I, 1537, ove si afferma che la notifica, ai fini del decorso dei termini per la sua impugnazione, della sentenza pronunciata in un giudizio nel quale sia parte una amministrazione dello Stato e nel quale l�Avvocatura dello Stato abbia delegato per la rappresentanza della Amministrazione un avvocato esercente nel circondario dove si � svolto il giudizio, come consentitole dall�art. 2, comma 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, deve essere effettuata all�Avvocatura dello Stato presso i suoi uffici, secondo il regime dettato dall�art. 11 dello stesso R.d. n. 1611 del 1933; pertanto la notifica effettuata al procuratore legale delegato � radicalmente nulla, con la conseguente inidoneit� di tale notifica a far decorrere il termine breve per l�impugnazione della sentenza e impugnabilit� della stessa sentenza entro il termine lungo di cui all�art. 327 c.p.c.. 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 si svolgono fuori dalla propria sede, ai sensi del citato art. 2 (20). Invero, la delega ex art. 2, R.d. n. 1611 del 1933, a differenza del citato art. 3, concerne solamente le cc.dd. funzioni procuratorie (costituzione in giudizio, presenza alle udienze, adempimenti di cancelleria, ritiro del fascicolo di parte, estrazione di copie, richiesta di notificazione di atti processuali), mentre l�attivit� defensionale vera e propria (redazione degli atti del giudizio e, in generale, conduzione tecnica della lite) rimane affidata all�Ufficio dell�Avvocatura dello Stato competente per territorio. Non solo; la decisione sulla delega ex art. 2 cit. non � il risultato di un�intesa intercorrente tra Avvocatura e Amministrazione interessata, ma � rimessa, esclusivamente, all�apprezzamento della difesa erariale, che rimane, pur sempre, esclusiva titolare del patrocinio: le funzioni procuratorie di cui sopra vengono delegate ad un soggetto esterno all�Avvocatura (funzionario o libero professionista) per ragioni, essenzialmente, di comodit�, trovandosi il giudice adito al di fuori della sede dell�Avvocatura stessa. Ma la distinzione ontologica tra le due tipologie di deleghe assume rilievo anche dal punto di vista processuale: infatti, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza, nell�ipotesi in cui l�amministrazione statale sia personalmente costituita in giudizio (c.d. autodifesa, di cui all�art. 3, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611), il funzionario delegato, in deroga alle disposizioni sulla domiciliazione legale presso l�Avvocatura dello Stato, assume la qualit� di destinatario degli atti del processo per conto della parte rappresentata, essendo l�unico legittimato a ricevere le comunicazioni e notificazioni, non solo della sentenza che definisce il giudizio, ma dello stesso atto di impugnazione (21). Diversamente, la delega delle funzioni procuratorie ex art. 2, R.d. n. 1611/1933 non comporta al deroga all�art. 11, dello stesso R.d. in ordine all�obbligatoriet� della notifica degli atti processuali (ed in ispecie della sentenza e dell�eventuale atto di impugnazione) presso l�Avvocatura dello Stato, come affermato dalla Suprema Corte. In questo contesto, problemi interpretativi sono sorti in merito alle con- (20) V. sul punto, per approfondimenti, MEZZOTERO - ZUCCARO, La notificazione della sentenza di primo grado all�amministrazione statale costituita personalmente ex art. 417 bis c.p.c.: la Cassazione non persuade, in Rass. avv. St., 2008, 1, 208 ss. (21) In tal senso, ex pluribus, Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2007, n. 14279, in Giust. civ. Mass., 2007, 6, in tema di sanzioni amministrative ex lege n. 689/1981; Corte conti reg. Sicilia, sez. giurisd., 10 novembre 2005, n. 227, in Riv. corte conti, 2005, 6, 278; Cass. civ., sez. I, 5 gennaio 2000, n. 53, in Giust. civ. Mass., 2000, 21; Cass. civ., sez. un., 24 agosto 1999, n. 599, ivi, 1999, 1831 e Cass. civ., sez. I, 21 maggio 1999, n. 4949, in Giust. civ. Rep., voce Sanzioni amministrative, 156, entrambe sulla notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine breve di impugnazione; Cass. civ., sez. I, 10 novembre 1994, n. 9385, in Giust. civ. Mass., 1994, 11; Cass. civ., sez. lav., 10 luglio 1991, n. 7608, in Giust. civ., 1992, I, 103 e Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 1991, n. 7506, ivi, 3149, tutte relative alla notificazione dell�atto di impugnazione. Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali si rinvia a PAVONE, op. cit., 160, in part. nt. 20. TEMI ISTITUZIONALI 15 seguenze, sul piano del luogo della notifica degli atti processuali, correlati alla scelta dell�Avvocatura dello Stato di ricorrere al meccanismo dell�autodifesa di cui all�art. 417- bis c.p.c., che consente alle amministrazioni pubbliche (non solo a quelle statali) di prescindere dalla difesa tecnica, potendo farsi rappresentare direttamente da propri dipendenti, salva la facolt� dell�Avvocatura dello Stato (riguardo, chiaramente, alle amministrazioni statali) di assumere la trattazione della causa �ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici�. La norma - introdotta dall�art. 42, comma 1, d.lgs. n. 80 del 1998, e successivamente modificata dall�art. 19, comma 17, d.lgs. n. 387 del 1998 - non fa altro che riproporre, riguardo alle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 5 dell�art. 413 c.p.c., e limitatamente al primo grado di giudizio, il meccanismo di cui all�art. 3 t.u. n. 1611 del 1933. L�orientamento della Suprema Corte sul tema, espresso per la prima volta nel 2008 e ribadito nel 2009, � decisamente nel senso dell�idoneit� della notifica della sentenza, effettuata direttamente al dipendente dell�amministrazione che sta personalmente in giudizio, a determinare il decorso del termine breve per la proposizione dell�appello ai sensi degli artt. 325 e 326 c.p.c.(22). 2. Il patrocinio autorizzato ex art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 Unitamente al patrocinio �obbligatorio� (art. 1, R.d. n. 1611/1933) nell�interesse delle Amministrazioni dello Stato, l�art. 43, R.d. n. 1611/1933 contempla, come detto, un�ulteriore forma di patrocinio erariale: quello �autorizzato�(23), che deriva da un provvedimento estensivo (22) Per approfondimenti, si rinvia a MEZZOTERO - ZUCCARO, op. cit., ove si svolgono osservazioni critiche alla sentenza 22 febbraio 2008, n. 4690 (in Rass. avv. St., 2008, 1, 238), con la quale la Suprema Corte, intervenendo per la prima volta sulla questione, � approdata alla discutibile soluzione interpretativa indicata sopra nel testo. In particolare, la pronuncia, confermata da Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2009, n. 2528, in www.altalex.it, stabilisce che in tema di notificazione della decisione di primo grado in cui sia stata parte un'Amministrazione dello Stato, laddove l'Amministrazione si sia difesa attraverso proprio personale, la deroga all�art. 11, comma 1, R.d. n. 1611 del 1933 sull�obbligatoria notifica degli atti introduttivi di giudizio contro le amministrazioni erariali all�Avvocatura dello Stato, comporta, allorquando l'Autorit� convenuta in giudizio sia rimasta contumace ovvero si sia costituita personalmente (o tramite funzionario delegato), anche quella al comma 2 del suddetto art. 11, che prevede la notificazione degli altri atti giudiziari e delle sentenze sempre presso la stessa Avvocatura. Ne consegue che la notificazione della sentenza che chiude il giudizio di primo grado, ai fini del decorso del termine breve per l�impugnazione, deve essere effettuata alla stessa Autorit� che si sia costituita mediante un proprio funzionario e non presso l�ufficio dell�Avvocatura distrettuale dello Stato, territorialmente competente, trovando applicazione i principi generali di cui agli artt. 292 e 285 cod. proc. civ., i quali disciplinano anche le controversie in cui sia parte un'amministrazione dello Stato, in caso di inapplicabilit� del predetto art. 11. (23) Sul patrocinio autorizzato, si veda, in particolare, MAZZELLA, Il patrocinio autorizzato dell�Avvocatura dello Stato, in Rass. avv. St., 1999, II, 98-99; in argomento, inoltre, GALLO P., op. cit., 715 ss.; PAVONE, op. cit., 237 ss.; SCINO, op. cit., 624-625; GIOVAGNOLI, op. cit., 396-397. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 (normativo o amministrativo) dei compiti defensionali e di consulenza (24) dell�Avvocatura dello Stato, in favore di amministrazioni diverse da quelle statali (25), condizione imprescindibile per l�assunzione del patrocinio da parte dell�Avvocatura (26), che non pu� contenere altro che l�estensione dei compiti ontologicamente dovuti per le Amministrazioni statali anche ad enti pubblici non statali (27 ). La ratio dell�estensione del patrocinio erariale ad enti diversi dallo Stato si rinviene nello stretto collegamento e interdipendenza tra i fini dello Stato e quelli degli enti a patrocinio autorizzato, nonch� in esigenze di contenimento della spesa pubblica, che l�assunzione della difesa da parte dell�Avvocatura dello Stato garantisce rispetto al patrocinio degli avvocati del libero foro. Quando interviene il provvedimento autorizzatorio, la rappresentanza e la difesa sono assunte dall�Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva e, fatta salva l�ipotesi di un conflitto interessi con lo Stato o le Regioni (art. 43, comma 3, R.d. n. 1611/1933) (28), si applicano le stesse regole del patrocinio obbligatorio. E� da segnalare che, anche dal punto di vista terminologico, a seguito della modifica dell�art. 43, R.d. cit. ad opera dell�art. 11, l. n. 103/1979, � venuta meno la tradizionale distinzione tra patrocinio facoltativo ed obbligatorio (24) Ai sensi dell�art. 47, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, l�Avvocatura dello Stato fornisce i pareri che le siano richiesti dagli enti dei quali assume la rappresentanza e difesa, a norma del titolo III dello stesso R.d. (25) L�appartenenza dell�ente alla categoria di quelli ammessi al patrocinio autorizzato va accertata sulla base dello specifico provvedimento (normativo o amministrativo) autorizzatorio dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato e prescinde dalla veste formale dell�ente. Tra i moltissimi enti ammessi al patrocinio (autorizzato) dell�Avvocatura dello Stato possono ricordarsi: l�ANAS S.p.A., l�Unire, l�Istituto Postelegrafonici, il Coni, l�Agea, l�Aran; la Cri; l�Enac; l�Ice; l�Istat; l�Ipsz; l�Enav; la Consob; l�Eti; la Fintecna; il Registro italiano dighe, gli Enti lirici, le Istituzioni concertistiche e le Fondazioni lirico-sinfoniche, gli Enti parchi nazionali, l�Istituto Nazionale di Astrofisica, il Cnr, l�Agenzia Spaziale Italiana, la Nato, le Agenzie fiscali; la Stazione Sperimentale per i combustibili, la Stazione Sperimentale del vetro. Per ulteriori riferimenti, si rinvia a PAVONE, op. cit., 397 ss., ove una tabella degli enti ammessi al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, nonch� a www.avvocaturastato.it. L�autorizzazione � intervenuta anche per le Autorit� indipendenti, la cui funzione di regolazione espletata in posizione di neutralit� non � stata ritenuta incompatibile con l�assunzione del patrocinio da parte dell�Avvocatura dello Stato: cfr., in proposito, Cons. St., sez. VI, 25 novembre 1994, n. 1716, cit. (26) Quanto alle conseguenze della mancanza dell�autorizzazione ex art. 43, R.d. n. 1611/1933 sugli atti processuali compiuti dall�Avvocatura dello Stato, T.A.R. Molise, 21 marzo 1978, n. 31, in Foro amm., 1978, I, 1334, ha osservato che �il ricorso proposto da un ente pubblico col patrocinio dell�avvocatura erariale, senza che sussista la autorizzazione ad avvalersi di tale patrocinio, esplicitamente richiesta per le amministrazioni pubbliche non statali dall'art. 43 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, deve ritenersi inficiato non gi� da vera e propria nullit�, bens� da semplice irregolarit�, la quale � eliminata dalla successiva costituzione in giudizio, a mezzo di avvocato o di procuratore del libero foro, del soggetto irregolarmente difeso�. (27) In questo senso si esprime la Circolare dell�Avvocatura Generale dello Stato, n. 46/2002 prot. n. 17465 del 26 settembre 2002, oggetto: Patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, in Rass. avv. St., 2004, 773 ss. (28) Cfr., Cass. civ., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11296, in Giust. civ. Mass., 1995, fasc. 10. TEMI ISTITUZIONALI 17 che in precedenza veniva utilizzata, essendo, invece, pi� corretto, parlare di patrocinio �autorizzato�(29). Infatti, la novella del 1979, introducendo i commi 3 e 4 dell�art. 43, R.d. n. 1611/1933, ha inteso affermare il principio per cui qualora sia intervenuta l�autorizzazione, l�assistenza e la rappresentanza in giudizio si atteggia in termini di organicit� ed esclusivit�; infatti, la possibilit� di non avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato � stata limitata a �casi speciali�, per i quali all�amministrazione possa apparire necessario affidarsi al patrocinio di un libero professionista (art. 43, comma 4) e previa apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza ovvero ai �casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni�(30). In sostanza, quando il patrocinio � autorizzato, da un lato, all�Avvocatura dello Stato non � consentito rifiutarlo, dall�altro, all�Amministrazione non � consentito non richiederlo (31). Detto altrimenti, il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato � la regola (o almeno dovrebbe essere tale, anche se la prassi registra un incremento dei casi di affidamento a liberi professionisti della difesa da parte di enti pubblici non statali); mentre, il ricorso ad avvocati del libero foro rappresenta l�eccezione, connotata da particolari presupposti affinch� possa inverarsi( 32). E� quest�ultimo l�aspetto che merita di essere particolarmente focalizzato, onde saggiare la tenuta dell�impostazione accolta dal T.A.R. Lazio nella decisione n. 4640/2009, che finisce - con una sorta di interpretatio abrogans dell�intero art. 43, R.d. n. 1611/1933 - per ricostruire il meccanismo di operativit� del patrocinio autorizzato in termini di mera facoltativit�, dipendente da una scelta discrezionale dell�ente, ossia da una �sua previa istanza rivolta all�Avvocatura perch� assuma la rappresentanza e la difesa in giudizio�. (29) In tal senso, BELLI, op. cit., 677; per una puntuale illustrazione delle ragioni che depongono nel senso della scomparsa del c.d. patrocinio facoltativo, si rinvia a PAVONE, op. cit., 249 ss. (30) L�ipotesi di conflitto di interessi, preclusiva del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, si verifica solo quando Stato e regione (o ente regionale) partecipino entrambi allo stesso giudizio: in tal senso, Cass. civ., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11296, in Giust. civ. Mass., 1995, fasc. 10. 31 (31) L�espressione, particolarmente calzante, � di MAZZELLA, op. cit., 99, che richiama, in proposito, il tradizionale orientamento della Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 24 febbraio 1975, n. 700; id., 5 luglio 1983, n. 4512, in Rass. avv. St., 1983, I, 699). (32) In tal senso, puntualmente, Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509, cit., osserva: �A norma del combinato disposto degli artt. 1, secondo comma 43 e 45 del r.d. 1611/1933, gli avvocati dello Stato, sia che rappresentino lo Stato, sia che rappresentino un ente pubblico ammesso al patrocinio, non hanno bisogno di mandato per svolgere la loro funzione in sede giudiziaria, essendo sufficiente che consti la loro qualit�; pertanto, non occorrono n� un atto di conferimento del mandato, n� una deliberazione di autorizzazione a stare in giudizio�; in quella stessa circostanza il Collegio ha, inoltre, precisato che: �Per le Amministrazioni statali e per gli enti pubblici ammessi al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, alla medesima Avvocatura spetta ope legis la rappresentanza e difesa in giudizio, senza che occorra un atto deliberativo diretto a tali fini, mentre la delibera di siffatto patrocinio � richiesta - ai sensi dell�art. 43, comma 4, del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 - nel diverso caso in cui l�Amministrazione intenda affidare la propria difesa a liberi professionisti� (il principio � stato affermato con riferimento al patrocinio della Regione Calabria). 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 3. Prime conclusioni: l�obbligatoriet� del patrocinio autorizzato esclude la necessit� di qualsiasi formale deliberazione e richiesta dell�ente, operando l�autorizzazione ex se, mentre � l�eventuale ricorso a liberi professionisti a richiedere un�apposita delibera Il quadro normativo sopra tratteggiato consente di pervenire alle seguenti, ben definite conclusioni, da cui risulta distonica la decisione n. 4640/2009 del Tribunale regionale del Lazio e, diversamente, puntualmente colte dal Tribunale regionale calabrese: 1) l�Avvocatura dello Stato � sempre esonerata dal mandato ad litem (33) quando rappresenta e difende in giudizio le Amministrazioni dello Stato e tutti gli enti pubblici, statali e regionali, dei quali abbia conseguito il patrocinio (autorizzato) in via organica ed esclusiva, non risultando neppure necessaria la produzione della delibera amministrativa dell�Ente di autorizzazione a resistere o ad agire in giudizio, che � presupposta dalla sussistenza - a monte - del provvedimento autorizzatorio ed estensivo del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ex art. 43, comma 1, R.d. n. 1611/1933; 2) fermo restando che la rappresentanza e l�assistenza sono oggi, nei sensi sopra chiariti, pur sempre organiche ed esclusive (art. 43, comma 3, R.d. cit.), essendo venuto meno il patrocinio c.d. facoltativo per gli enti autorizzati, e che - coerentemente - gli avvocati e i procuratori dello Stato non hanno, nell�uno e nell�altro caso, bisogno di mandato, il differente titolo del patrocinio erariale, necessario od eventuale (rectius: autorizzato), ai sensi, rispettivamente, degli artt. 1 e 43, R.d. n. 1611/1933, incide, dunque, solo in ordine a profili di ordine processuale, come l�operativit� o meno del c.d. foro erariale ex artt. 6, R.d. 1611/1933 e 25 c.p.c. (escluso nei casi di enti a patrocinio autorizzato) (34) e l�obbligatoriet� della notifica degli atti processuali (33) Peraltro, la questione di legittimit� costituzionale della regola del mandato ex lege � stata ritenuta manifestamente infondata, in relazione all�art. 97 Cost., da Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 1990, n. 1308, in Rass. avv. St., 1990, I, 60, ove la Suprema Corte ha cos� motivato sul punto: �Non si vede come il mantenimento dei rapporti tra Amministrazione rappresentata ed Avvocatura dello Stato nell�ambito dell�ordinamento amministrativo, e l�esclusione di ogni riflesso degli stessi sulla regolarit� del processo, possa incidere negativamente sul buon andamento e sulla imparzialit� dell�Amministrazione pubblica ovvero sull�ordinamento interno degli uffici. Al contrario, l�art. 12 della legge n. 103-79, nell�attribuire espressamente all�Amministrazione interessata il potere decisionale in ordine all'iniziativa giudiziaria e nell�individuare in modo rigido l�organo competente ad assumere la decisione nel caso di contrasto con l'Avvocatura dello Stato (il Ministro, per le amministrazioni statali), sembra porsi nel pieno rispetto dei precetti costituzionali invocati dai ricorrenti�. (34) Cfr., Cass. civ., sez. lav., 29 luglio 2008, n. 20582 e Cass. civ., sez. un., 10 maggio 2006, n. 10700, citt., che escludono l�applicazione della regola del foro erariale riguardo ai giudizi di cui siano parti Universit� degli Studi statali; nello stesso senso, con riguardo all�Agenzia del Demanio, Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 2006, n. 23005, in Giust. civ. Mass., 2006, 10; con riguardo all�ANAS, Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2001, n. 10690, ivi, 2001, 1538; con riguardo all�Ente di sviluppo agricolo per la regione Sicilia, Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2001, n. 5424, ivi, 2001, 770; con riguardo alle Ferrovie dello Stato, TEMI ISTITUZIONALI 19 presso la sede dell�Avvocatura, ex artt. 11, R.d. n. 1611/1933 cit. e 144 c.p.c.(35), valendo le norme ordinarie di procedura, sicch� l�atto introduttivo del lite dovr� essere notificato presso la sede dell�Ente convenuto. Infatti, la notifica effettuata all�Avvocatura precluderebbe all�Ente la possibilit� di valutare tempestivamente la specialit� del caso, ai fini dell�affidamento del patrocinio a difensore del libero foro (36); Cass. civ., sez. I, 28 giugno 1997, n. 5787, ivi, 1997, 1077; con riferimento all�Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, Cass. civ., sez. I, 25 agosto 1997, n. 7956, in Foro it., 1997, I, 3167; con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523, cit. Per ulteriori pi� risalenti riferimenti giurisprudenziali, sul punto, si v. PAVONE, op. cit., 268. In generale sull�ambito di applicazione del c.d. foro erariale e sulle sue deroghe, si veda IANNI, in MEZZOTERO - BIESUZ, Codice delle esecuzioni forzate nei confronti della P.A., Roma, Neldiritto editore, 2009, 293 ss. (35) Sul principio per cui l�obbligo della notifica degli atti introduttivi dei giudizi presso l�Avvocatura dello Stato, previsto ai sensi dell�art. 1, l. n. 260/1958 soltanto per le Amministrazioni dello Stato, e non per soggetti giuridici diversi, anche se � data loro la possibilit� di avvalersi dell�Avvocatura per la consulenza e per la difesa in giudizio, cfr., in aggiunta alle decisioni citate nella nota precedente, Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3353, in Guida al diritto, 2009, fasc. 17, 54, relativa all�ANAS; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-quater, 27 ottobre 2008, n. 9172, in www.giustizia-amministrativa.it., relativa all�Istat; Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2005, n. 4909, in www.lexitalia.it, n. 10/2005, relativa ad una Universit� statale; Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2004, n. 8211, cit., relativa alla Regione Calabria; Cons. St., sez. VI, 23 ottobre 2001, n. 5567, in www.giustizia-amministrativa.it, relativa all�Agensud; Cons. St., sez. IV, 12 aprile 2001, n. 2275, in Foro amm., 2001, 836, relativa all�ANAS; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, 4 settembre 2000, n. 415, in www.giustizia-amministrativa.it, relativa all�ANAS; Cass. civ., sez. III, 2 settembre 1998, n. 8722, in I contratti, 1999, 29, con nota di MUCIO, relativa alla Regione Calabria; Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523, in Foro it., 1997, I, 3343, con nota di IMPAGNATIELLO relativa alla Regione Lazio; Cass. civ., sez. un., 3 ottobre 1996, n. 8648, ivi, relativa alla Regione Puglia; Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1996, n. 2169, in Giust. civ. Mass., 1996, 366, relativa all�Istituto Postelegrafonici; Cass. civ., sez. I, 25 novembre 1995, n. 12215, ivi, 1995, fasc. 11, relativa ad una Usl della regione siciliana; Cass. civ., sez. un., 11 aprile 1995, n. 4149, ivi, 805, relativa alla Gestione ex Enpas dell�Inpdap; Cass. civ., sez. III, 29 maggio 1992, n. 6487, ivi, 1992, fasc., relativa alla Regione Sardegna, per la quale l�art. 73, d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, recante norme di attuazione dello Statuto speciale della Sardegna, ha modificato l�art. 55, d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 stabilendo che l�amministrazione della regione ha la semplice facolt�, e quindi non pi� l�obbligo, di avvalersi dell�assistenza legale dell'avvocatura dello Stato. (36) In questo senso, Cass. civ., sez. I, 25 agosto 1997, n. 7956 e Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523, citt.; particolarmente illuminante, in proposito, � quanto osservato da Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2005, n. 4909, cit., secondo cui: �Ritiene in generale il Collegio che si debba operare una distinzione fondamentale sul patrocinio, rappresentanza e domiciliazione ex lege dell�Avvocatura dello Stato (prevista dalle norme fondamentali dell�Avvocatura erariale e in particolare dagli artt.1 e 11 del R.D. n. 1611/33), e la rappresentanza e difesa della medesima Avvocatura nei confronti di Amministrazioni ed Enti pubblici per i quali la legge espressamente prevede l��avvalimento�. Nella prima ipotesi l�Avvocatura dello Stato ex lege, istituzionalmente ed in via esclusiva, provvede al patrocinio ed alla difesa delle Amministrazioni dello Stato a cui � concessa, pure ex lege, la - consequenziale diretta ed esclusiva - domiciliazione delle medesime Amministrazioni presso gli uffici dell�Avvocatura erariale; nella seconda ipotesi la facolt� pure prevista per legge da parte di Amministrazioni pubbliche �non statali� di potersi avvalere del patrocinio e della difesa dell�Avvocatura erariale comporta anche la domiciliazione delle Amministrazioni abilitate presso l�Avvocatura, ma come �conseguenza ulteriore e diversa� della facoltizzazione di avvalersi della rappresentanza dell�organo difensivo dello Stato. Secondo il Collegio si deve quindi considerare, per ci� che concerne la domiciliazione ex lege, una distinzione tra le due forme di difesa e rappresentanza, in quanto il domicilio ex lege che comporta 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 3) l�autorizzazione, conferita ad enti pubblici diversi dallo Stato, ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato determina la costituzione ope legis di un mandato di rappresentanza e difesa in giudizio avente caratteri di organicit� ed esclusivit�, il quale, fuori dei casi di conflitto d�interessi tra l�ente e lo Stato o le regioni, pu� eccezionalmente essere interrotto solo allorch� la determinazione di non avvalersi del patrocinio dell�avvocatura risulti da una delibera motivata dell�ente sottoposta agli organi di vigilanza: in tal senso depone l�inequivoca formulazione del comma 4 dell�art. 43, R.d. n. 1611/1933 (37). l�indubbio �singolare privilegio� della domiciliazione ex art. 184 c.p.c., � strettamente connesso alla speciale, eccezionale rappresentanza e difesa che l�Avvocatura compie nei confronti delle sole Amministrazioni statali, la cui esclusiva peculiarit� non pu� essere trasfusa sic et simpliciter nell�ipotesi in cui le (altre) Amministrazioni pubbliche possano solo eventualmente �avvalersi� del patrocinio dell'Avvocatura. Del resto anche nei negozi di rappresentanza e difesa di diritto comune � a cui comunque ci si deve riferire per l�applicazione interpretativa di istituti di carattere generale -, l�elezione di domicilio � un negozio particolare e diverso che si aggiunge a quello del mandato professionale ma che non � strettamente connesso e consequenziale. Ne deriva ad avviso del Collegio che l�eccezionale domiciliazione ex lege prevista dal combinato disposto dell�art. 11 T.U. n.286/1933 e dell�art. 144 c.p.c., pu� essere istituzionalmente concepita solo nei confronti delle �Amministrazioni dello Stato�, cio� nelle ipotesi in cui ex lege debba essere convenuta in giudizio un�Amministrazione dello Stato in �senso proprio�, e non nei casi in cui pubbliche amministrazioni siano, anche ex lege, abilitate a potersi avvalere del patrocinio e della difesa dell�Avvocatura. Tale convincimento, oltre che sul piano sistematico, trova conforto anche nella considerazione della necessaria �conoscibilit� generale ex ante del domicilio legale presso l�Avvocatura, conoscibilit� concepibile solo ed esclusivamente per le Amministrazioni dello Stato, per quelle Amministrazioni cio� per cui la legge stessa prevede in via generale l�esclusivo patrocinio dell�Avvocatura erariale, ma tale norma di generale privilegio non � collegabile all�ipotesi in cui pubbliche amministrazioni si possano solo �avvalere� di tale patrocinio di per s� non necessariamente conoscibile da parte di terzi e la cui artificiosa estensione renderebbe difficilmente plausibile l�allargamento di un privilegio concepibile, ripetesi, solo per le Amministrazioni dello Stato in senso tecnico; d�altronde tale prospettata distinzione trova la sua logica corrispondenza nell�altrettanto nota distinzione tra rappresentanza e difesa �attiva� e quella �passiva�; cio� tra l�esercizio del patrocinio in veste di attore o di convenuto, per cui, nell�ambito del patrocinio �facoltativo� ex lege la conseguente domiciliazione pu� essere giustificata (quale conseguenza �fisiologica� della rappresentanza facoltizzata dalla legge), solo nella prima ipotesi (in cui si porta a conoscenza del convenuto l�effetto domiciliatorio), ma non nella seconda in cui l�attore non pu� considerarsi (ex lege) edotto dell�avvenuto �avvalimento� da parte dell�Amministrazione (non statale) e del relativo domicilio (diverso da quello della sede legale dell�Amministrazione). E ancora, sempre nell�ottica della conoscibilit� esterna da parte di terzi della sussistenza del domicilio ex lege, va ulteriormente rilevato come nell�ambito della rappresentanza istituzionale essa sia ex ante prevista in via generale dalla legge (come considerato quale conseguenza �naturale� della rappresentanza), mentre tale consequenzialit� non � opponibile ai terzi nell�ipotesi della difesa �facoltizzata� che, pur prevista per legge, deve essere in concreto supportata da un apposito provvedimento volitivo (anche di carattere generale) dell�Amministrazione che intenda per l�appunto avvalersi del patrocinio erariale, e non si pu� certo pretendere che l�interessato debba svolgere (ai fini dell�individuazione del domicilio) un�apposita preventiva indagine sull�esercizio di tale facolt� (�). Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte, ritiene la Sezione di dover confermare la conclusione a cui � pervenuto il Tribunale con la richiamata impugnata sentenza, circa la validit� della notifica �diretta� dell�originario ricorso nei confronti dell�Universit� Italiana per stranieri presso il suo �naturale� domicilio legale�. (37) In questi termini, Cass. civ., sez. un., 5 luglio 1983, n. 4512, in Rass. avv. St., 1983, I, 699. TEMI ISTITUZIONALI 21 Una ortodossa interpretazione del sistema di funzionamento del patrocinio autorizzato conduce a ritenere che, per un verso, atteggiandosi il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ex art. 43, R.d. n. 1611/1933 in termini di organicit� ed esclusivit�, non occorre alcuna espressa deliberazione (o �previa istanza�, come si esprime il T.A.R. Lazio nella decisione n. 4640/2009) dell�ente di avvalersi di tale patrocinio; l�iniziativa giudiziaria dell�Avvocatura dello Stato richiede il consenso dell�Amministrazione rappresentata, come chiaramente si desume dall�art. 12, l. 3 aprile 1979, n. 103, secondo cui �le divergenze che insorgono tra il competente ufficio dell�Avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa la instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal ministro competente con determinazione non delegabile� (analogamente dispone il comma 2 dello stesso art. 12 per le divergenze che insorgono tra l�Avvocatura dello Stato e le amministrazioni non statali) (38). Quando, perci�, l�Avvocatura dello Stato assume un�iniziativa giudiziaria, in ordine alla stessa vi � il consenso della Amministrazione interessata (che ha impedito l�insorgere di una �divergenza�) ovvero, se �divergenza� vi � stata, essa � stata risolta nel senso dell�iniziativa con la �determinazione� prevista dal comma 1 dell�art. 12. In ogni caso, il consenso dell�Amministrazione interessata, comunque esso si sia realizzato (in via tacita ed informale ovvero mediante espressa determinazione), costituisce - come affermato costantemente dalla giurisprudenza richiamata - un atto che non ha alcuna incidenza sul processo, posto che la legge non richiede l'esistenza di un atto di procura per l�esercizio dello jus postulandi da parte degli avvocati e procuratori dello Stato. Principio, questo, che trova applicazione - come illustrato - anche per gli enti semplicemente autorizzati (e non obbligati) ad avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, la cui deliberazione di avvalersi di tale facolt�, e di conferimento dell�incarico, ha natura di atto meramente interno e non abbisogna di esteriorizzazione in formale procura. Per altro verso, � la sussistenza del caso speciale, che giustifica e legittima Nello stesso senso, quanto all�eccezionalit� dei casi in cui pu� essere escluso il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 43, comma 4, R.d. n. 1611/1933 ed ai presupposti per il ricorso a liberi professionisti, cfr.: Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2001, n. 1086, in Giust. civ. Mass., 2001, 152; Cass. civ., sez. lav., 27 novembre 1999, n. 13292, in Foro it., 2000, I, 3219; Cass. civ., sez. lav., 18 agosto 1997, n. 7649, in Giust. civ. Mass., 1997, 1435. Cass. civ., sez. I, 4 maggio 1993, n. 5183, ivi, 1993, 810; Cass. civ., sez. un., 24 febbraio 1975, n. 700, in Rass. avv. St., 1975, I, 696. (38) In proposito, come precisato da Cass. civ., sez. un., 6 luglio 2006, n. 15342, in www.lexitalia.it, n. 9/2006, l�art. 12, comma 1, l. n. 103/1979 attribuisce al Ministro il Ministro del potere di comporre le divergenze tra Avvocatura dello Stato e amministrazioni circa la instaurazione di un giudizio o la resistenza del medesimo, mentre rientrano nell�ambito delle competenze dirigenziali i (soli) poteri sostanziali di gestione delle liti, in considerazione dell�espressa salvezza dell�art. 12, comma 1, l. cit. dall�art. 16, lett. f), d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 il ricorso da parte dell�ente al patrocinio di un professionista del libero foro, ad imporre l�adozione di una motivata delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, per un controllo di legittimit� (39). Ai fini del perfezionamento della fattispecie derogatoria del patrocinio erariale, contemplata dal comma 4 dell�art. 43, n. 1611/1933, devono, quindi, concorrere due precise condizioni: 1) che l�ente abbia ritenuto, mediante specifica deliberazione motivata, di non avvalersi nel caso concreto dell�organo di difesa erariale previsto in via generale dalla legge; 2) che la deliberazione sia stata sottoposta agli organo che esercitano la vigilanza sull�ente. Da ci� deriva che il mancato verificarsi anche di una sola delle condizioni richieste dall�art. 43, comma 4, R.d. n. 1611/1933 comporta - come lucidamente espresso dal Tribunale regionale calabrese nella decisione n. 190/2009 - la inefficacia giuridica del conferimento del mandato al difensore privato, il quale rimane sfornito dello jus postulandi in nome e per conto dell�ente pubblico (40). La delibera di affidamento dell�incarico defensionale ad avvocato del libero foro (da distinguere dalla procura ad litem, che va, comunque, conferito al libero professionista, la quale rimane soggetta ai normali controlli previsti dal codice di rito civile) (41) quando l�ente, in casi speciali, decida di avvalersi del patrocinio di un libero professionista deve puntualmente e congruamente motivare in ordine alla specialit� del caso che giustifica il ricorso a professionista esterno, in modo tale da consentire il controllo di legittimit� da parte dell�organo di vigilanza, diretto ad accertare se la determinazione amministrativa, estrinsecatasi nell�atto, abbia rispettato i limiti, le modalit� procedimentali e le forme previste dalla legge, sicch� la sottoposizione dell�atto al controllo di legittimit�, pur non influendo sulla perfezione e sulla validit� dell'atto, costituisce un requisito per la sua effi- (39) Cass. civ., sez. I, 4 maggio 1993, n. 5183, in Giust. civ. Mass., 1983, 810; Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1987, n. 1057, ivi, 1987, fasc. 2; Cass. civ., sez. un., 5 luglio 1983, n. 4512, cit.; per ulteriori pi� risalenti precedenti, si rinvia a PAVONE, op. cit., 252 ss., il quale rileva che la delibera di affidamento del patrocinio ad avvocati del libero foro pu� essere adottata dall�ente anche per una serie o categoria di affari (ad esempio, cause in materia espropriativa), argomentando in tal senso dal raffronto tra l�art. 11, l. n. 103/1979 e l�art. 5, comma 2, R.d. n. 1611/1933, ove si specifica che l�incarico a liberi professionisti dev�essere dato nei �singoli� casi, e dunque di volta in volta, mentre una tale limitazione non si rinviene nell�art. 11, cit. (40) In tal senso, espressamente, Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1987, n. 1057, cit.; alla conclusione dell�inammissibilit� dell�attivit� defensionale (nella specie, consistente nella proposizione di un ricorso per cassazione) da parte di un avvocato del libero foro, in forza di una delibera dell�ente che non contenga l�espressa e motivata volont� di non avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, era in precedenza pervenuta Cass. civ., sez. un., 5 luglio 1983, n. 4512, cit. (41) Cfr., in proposito, Cass. civ., sez. I, 28 novembre 1992, n. 12729, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 11; Cass. civ., sez. un., 16 ottobre 1989, n. 4145, cit.; id., 29 agosto 1989, n. 3817, ivi, 1989, fasc. 8-9. TEMI ISTITUZIONALI 23 cacia, nel senso che ne condiziona la operativit� e la sua esecuzione; sicch�, in mancanza di tale controllo, non pu� operare la deroga al patrocinio erariale ex art. 43, comma 4, R.d. n. 1611/1933, pur sussistendo, in ipotesi, la specialit� del caso (42). Di certo, non pu� ritenersi congrua motivazione in ordine alla sussistenza della specialit� del caso la considerazione relativa all��entit� del valore della causa�, tale da �giustificare il ricorso ad azioni difensive di carattere eccezionale�, addotta dall�Autorit� portuale di Gioia Tauro a sostegno del mandato conferito all�avvocato del libero foro nel giudizio svoltosi innanzi al Tribunale regionale calabrese e definitosi con la sentenza n. 190/2009, qui in commento. Se bastasse una tale motivazione - in disparte ad ogni osservazione circa il deprecabile giudizio di valore sulle garanzie che la difesa dell�Avvocatura dello Stato � in grado di offrire - verrebbe di fatto ad essere capovolto il principio che impone di ritenere il ricorso a liberi professionisti l�eccezione e la difesa dell�Avvocatura la regola, con intuibili aggravi di costi per l�ente correlati allo svolgimento dell�attivit� defensionale da parte di un libero professionista e con il rischio della possibile dichiarazione di nullit� dell�attivit� processuale svolta del difensore privato per inesistenza dello jus postulandi (come puntualmente avvenuto nel caso scrutinato dal Tribunale amministrativo regionale calabrese). Le norme sul patrocinio esclusivo non possono essere interpretate in maniera elastica e poco rigorosa (ad esempio, ammettendo l�affiancamento all�Avvocatura di professionisti del libero foro; ricorso sporadico al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato da parte di Regioni a Statuto ordinario che abbiano scelto di avvalersi in via esclusiva del patrocinio della stessa ex art. 10, l. 3 aprile 1979, n. 103, ovvero di enti che fruiscano del patrocinio autorizzato). Non pu� che condividersi l�opinione di chi ritiene che il principio di esclusivit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato a favore di tutte le Amministrazioni pubbliche da essa difese ha costantemente garantito, conformemente alla funzione giustiziale propria della difesa erariale, sia il rispetto del principio di economicit� dell�azione amministrativa (considerata la tendenziale gratuit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato), sia, soprattutto, la certezza del diritto processuale per coloro che agiscono in giudizio contro gli enti pubblici, sia ancora l�uniformit� di indirizzo interpretativo per tutte le amministrazioni difese, con conseguente garanzia per i diritti dei cittadini (c.d. funzione nomofilattica dell�Avvocatura dello Stato) (43). (42) Il principio � applicato da Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1057, cit. (43) In questo senso, a proposito del patrocinio delle Universit� statali, ma con riferimento, pi� in generale, al patrocinio autorizzato di tutti gli enti pubblici non statali ex art. 43, R.d. n. 1611/1933, RAGO, Universit� degli studi: giudice amministrativo e ordinario concordano sul patrocinio esclusivo ed obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato, in Rass. avv. St., 2004, III, 769 ss., in part. 771. 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 4. Ipotesi controverse in ordine alla natura del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato Non � sempre agevole stabilire quale natura abbia il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, specie in ragione del carattere polimorfico delle pubbliche amministrazioni e della spiccata autonomia riconosciuta a molti enti pubblici, che in molti casi comportano difficolt� per l�interprete e l�operatore in ordine alla individuazione degli esatti connotati dello jus postulandi erariale, mettendone in crisi addirittura la stessa permanenza (44). In questo contesto, meritano, in particolare, di essere segnalate le seguenti fattispecie, che pi� delle altre, hanno creato dispute in giurisprudenza. 4.1. Le istituzioni scolastiche L�organizzazione del sistema scolastico e delle istituzioni scolastiche � stata, come � noto, riformata ad opera dell�art. 21, l. 15 marzo 1997, n. 59 e delle sue fonti delegate (45). In particolare, la riforma ha provveduto: � alla riduzione del numero delle istituzioni scolastiche (d.P.R. 18 giugno 1998, n. 233); e, con decorrenza dal 1 settembre 2000: � alla attribuzione di personalit� giuridica a ciascuna delle istituzioni scolastiche; � all�ampliamento dell�autonomia amministrativa di queste, rispetto ai limiti originariamente segnati dall�art. 26 del T.U. n. 297 del 1994, sia sotto il profilo didattico, che sotto quello organizzativo e finanziario (d.P.R. 8 marzo 1999, n. 275); � all�attribuzione della qualifica dirigenziale ai capi d�istituto in servizio (d.Lgs. 6 marzo 1998, n. 59, refluito nel d.Lgs. n. 165/2001, con gli artt. 25- bis e 25-ter). Dal contesto normativo richiamato risulta che le istituzioni scolastiche autonome seguitano a svolgere, pur dopo la riforma, funzioni e finalit� di com- (44) Sul dibattito intorno al regime, ai fini dello jus postulandi, di taluni enti o amministrazioni a causa della difficolt� di individuazione della loro esatta natura v. CRESTA, Patrocinio delle c.d. autonomie funzionali da parte dell�avvocatura dello stato tra incertezze classificatorie, inadeguatezze normative, contrasti giurisprudenziali e massime erronee, in Foro it., 2003, III, 255; CAPONI, Privatizzazione dell�ente pubblico e cessazione del patrocinio dell�avvocatura dello stato, in Foro it., 1998, I, 1827; PEYRON, Il rapporto di lavoro del personale dell�ente ferrovie dello stato secondo la l. n. 210/85 e ALBENZIO, La natura del nuovo ente ferrovie dello stato - La competenza per le controversie di lavoro e il patrocinio dell�avvocatura dello stato, in Foro it., 1986, V, 157; RANDAZZO, Sulla estensibilit� agli enti territoriali minori del patrocinio legale dell�avvocatura dello stato, in Nuova rass., 1984, 1165. (45) Per approfondimenti, si rinvia a ZERMAN, Il nuovo ordinamento giuridico della scuola, Rimini, Maggioli, 2001, 103 ss. TEMI ISTITUZIONALI 25 petenza dello Stato (come attestato dall�art. 1, comma 3, lett. q) l. n. 59 del 1997 che conferma la permanenza in capo allo Stato delle attribuzioni in materia di ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell�istruzione scolastica e stato giuridico del personale), continuando ad operare come organi di questo, anche se, attraverso l�attribuzione di personalit� giuridica, le stesse divengono autonomo centro di imputazione giuridica (46). L�art. 21, l. 15 marzo 1997, n. 59 prevede, dunque, il riconoscimento di una autonoma personalit� giuridica alle istituzioni scolastiche statali. In precedenza queste ultime avevano natura di organi propri dello Stato, seppur dotate di autonomia amministrativa, ad esse riconosciuta dai c.d. decreti delegati, di cui alla legge delega n. 47/1973 e d.P.R. n. 416/1974. Tuttavia, la loro trasformazione in persone giuridiche, non ha in alcun modo comportato la conseguenza che le stesse potessero ricorrere, per il patrocinio legale, a liberi professionisti. Rimane fermo il principio che le Istituzioni in parola usufruiscono del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, da esercitare con le proprie processuali proprie delle Amministrazioni dello Stato ai sensi dell�art. 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, rimanendo esse compenetrate nell�amministrazione dello Stato, nella quale sono incardinate. Nonostante la diatriba sull�esatta individuazione della loro natura (enti autonomi, enti strumentali, organi statali o enti-organo), in giurisprudenza e in dottrina � prevalso l�orientamento favorevole a considerarle organi statali difesi obbligatoriamente dall�Avvocatura dello Stato (47). (46) Per una articolata e compiuta ricostruzione della tematica v. PAOLUCCI, Ma chi difende le istituzioni scolastiche?, sul sito http://www.andis.it e sul sito http://www.temispa.com; il dibattito �, altres�, illustrato da GALLO P., op. cit., 713; Pavone, op. cit., 331 ss.; SIMONI, La legittimazione sostanziale e processuale delle istituzioni scolastiche nelle controversie di lavoro, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 5, 2002, 798 ss.; ZERMAN, Sulla natura giuridica dell�ente scuola in relazione al patrocinio dell�avvocatura dello Stato, in Rass. avv. St., 2000, II, 32; un accenno alla tematica dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato in favore delle istituzioni scolastiche � contenuto in GIOVAGNOLI, op. cit., 391. (47) Cfr., in tal senso, in dottrina, tutti gli Autori citati nella nota precedente; in giurisprudenza, v., da ultimo, Cass. civ., sez. lav., 29 luglio 2008, n. 20582, in Giust. civ. Mass., 2008, 7-8, 1223, ove si afferma chiaramente: �Per istituti e scuole di ogni ordine e grado, per i quali, in quanto organi dello Stato, era pacificamente operante il patrocinio obbligatorio R.D. n. 1611 del 1933, ex art. 1, con pienezza di effetti sul piano processuale, il d.P.R. n. 352 del 2001, dopo che con la l. 59 del 1997, art. 21, alle istituzioni scolastiche � stata attribuita l'autonomia e la personalit� giuridica, ha infatti disposto che l'Avvocatura "continua" ad assumere il patrocinio. E l'espressione "continua" usata dalla norma rende chiara la volont� del legislatore di disporre la protrazione del patrocinio obbligatorio come in precedenza operante (v., in tal senso, Cass. n. 12977/04). Per universit� ed istituzioni scolastiche vige quindi una disciplina differenziata quanto al patrocinio dell'Avvocatura, che appare tuttavia giustificata dalla diversa consistenza delle rispettive autonomie�; nonch�, Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2008, n. 3535, in http://www2.indire.it/formazionedir/contenuti/database/lista_documenti.php?mode=3, che cassa con rinvio la sentenza della Corte d�appello che non ha tenuto conto che l�attribuzione della personalit� giuridica agli Istituti tecnici industriali Statali comporta pur sempre l�applicabilit�, in tema di rappresentanza 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Ne consegue che, anche dopo l�estensione della personalit� giuridica, per effetto della l. delega n. 59 del 1997 e dei successivi provvedimenti di attuazione, il personale docente si trova in rapporto organico con l�amministrazione della pubblica istruzione dello Stato e non con i singoli istituti, che sono dotati di mera autonomia amministrativa (48). Dal riconoscimento della natura di organi dello Stato alle Istituzioni scolastiche deriva, ovviamente, il patrocinio ex lege dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, senza necessit� di alcun mandato ad litem, secondo i principi generali contemplati dalla speciale normativa recata dal T.U. del 1933, con la conseguenza dell�applicabilit� delle norme relative al foro dello Stato, dell�obbligo di notifica degli atti introduttivi presso processuale, del disposto dell�art. 11, R.d. n. 1611/1933, concernente la rappresentanza necessaria dell�avvocatura erariale. Nell�occasione, la Suprema Corte ha precisato che la Corte territoriale ha errato il giudice quando ha affermato che la citazione fosse nulla, atteso il difetto di ogni collegamento tra lo stesso I.T.I.S. e l�Avvocatura, in quanto eseguita non presso la sede dell�I.T.I.S., ma presso l�Avvocatura Distrettuale dello Stato; in precedenza, nello stesso senso, Cass. civ., sez. III, ord. 13 luglio 2004, n. 12977, in Giust. civ. Mass., 2004, 1998, secondo cui �le Istituzioni scolastiche statali alle quali � stata attribuita l�autonomia e la personalit� giuridica a norma dell'art. 21 della legge n. 59 del 1997 sono compenetrate nell�amministrazione dello Stato, nella quale sono incardinate. Tale natura, unitamente alla espressa previsione della conferma all'Avvocatura dello Stato del patrocinio per legge delle dette istituzioni scolastiche statali, determina l'applicazione della disciplina speciale circa la chiamata in giudizio delle amministrazioni dello Stato (artt. 1 e 11 r.d. n. 1611 del 1933) e quindi la persistente operativit� del foro erariale�; ed ancora, in tal senso, T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 13 dicembre 2002, n. 8051, cit. Nella giurisprudenza di merito, si veda Trib. Ravenna, sent. n. 258/2007, Trib. Parma, sent. N. 350/2005; Trib. Monza, sent. n. 1770/2006 e, da ultimo, Trib. Parma, 13 maggio 2008, n. 751, tutte reperibili in www2.indire.it/formazionedir/contenuti/database/lista_documenti.php?mode=3; Trib. Agrigento, giud. lav., 24 febbraio 2004, n. 2778, Giud. Redavid (inedita), ove si afferma il principio della obbligatoriet� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore delle istituzioni scolastiche, statuendo l�inammissibilit� della costituzione in giudizio di un avvocato del libero foro, illegittimamente designato da un dirigente scolastico per lo svolgimento dell�attivit� processuale nell�interesse dell�Istituto. (48) Pertanto, essendo riferibili direttamente al Ministero della Pubblica Istruzione (ora Ministero dell�Istruzione, Universit� e Ricerca) e non ai singoli istituti gli atti, anche illeciti, posti in essere dal menzionato personale, sussiste la legittimazione passiva del ministero nelle controversie relative agli illeciti ascrivibili a culpa in vigilando del personale docente, mentre difetta la legittimazione passiva dell�istituto: in tal senso, Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2005, n. 9752, in Mass. Giur. it., 2005; id., 7 novembre 2000, n. 14484, in Foro it., 2001, I, 3288; da ultimo, Cass. civ., sez. lav., 28 luglio 2008, n. 20521, in Giust. civ. Mass., 2008, 7-8, 1214, secondo cui: �Il rapporto di lavoro del personale docente, dopo l'attribuzione di personalit� giuridica alle singole istituzioni scolastiche statali e pur in presenza del trasferimento ad esse di funzioni gi� di competenza dell'amministrazione centrale e periferica (art. 14 D.P.R. n. 275/1999), sorge non con il singolo istituto, ma con il Ministero dell'Istruzione, cui l'art. 15 del citato D.P.R., riserva infatti le funzioni di reclutamento del personale: ne deriva che la controversia nella quale si discuta di un diritto afferente al rapporto di lavoro (nel caso il diritto al congedo parentale) non pu� che svolgersi nei confronti del Ministero, soggetto che ha la qualit� di datore di lavoro, e non nei confronti dell'istituto scolastico che pertanto � privo di legittimazione passiva�. In capo agli istituti viene, dunque, a mancare la legittimazione ad causam, dal lato passivo, che costituisce un presupposto processuale, ossia una condizione affinch� il processo possa giungere ad una decisione di merito nei suoi confronti, la correlazione tra colui nei cui confronti � chiesta la tutela e la affermata titolarit�, in capo a costui, del dovere (asseritamente violato), in relazione al diritto per cui si agisce. TEMI ISTITUZIONALI 27 l�Avvocatura dello Stato (49), etc. Ed infatti, quello in favore delle istituzioni scolastiche (di ogni ordine e grado) � un patrocinio c.d. obbligatorio, a carattere istituzionale e sistematico, e deriva dalla stessa natura di organo dell�amministrazione statale che le istituzioni scolastiche rivestono. Sicch�, trovando applicazione rispetto ad esse l�art. 1 T.U. n. 1611/33, che prevede lo jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato per le amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, da un lato l�Avvocatura dello Stato non pu� rifiutare il suo patrocinio, dall�altro gli istituti scolastici non possono avvalersi di altre forme di patrocinio (ad esempio, ricorrendo ad avvocati del libero foro)(50). (49) Ex multis, v. T.A.R. Basilicata, 23 maggio 2003, n. 474, in Foro amm. TAR, 2003, 1779 (m) e per esteso in www.giustizia-amministrativa.it, ove si precisa che, in base all�art. 11, comma 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, il ricorso proposto nei confronti di un�amministrazione statale che non sia stato notificato alla medesima amministrazione presso l�Avvocatura dello Stato � inammissibile, salvo il caso in cui l�amministrazione stessa non si costituisca in giudizio sanando il difetto di notifica ai sensi della Tale principio - osserva il Collegio - si applica anche quando l�amministrazione evocata in giudizio sia un�istituzione scolastica autonoma, posto che l�art. 14, comma 7-bis, d.P.R. n. 275/1999 applica a tali enti il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato (nel caso di specie, il principio in questione � stato applicato al ricorso soggetto al rito speciale in materia di accesso agli atti amministrativi previsto dall�art. 25, l. n. 241/1990). (50) Cfr., T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 13 dicembre 2002, n. 8051, cit., ove - con riferimento ad un Istituto scolastico - si osserva che la violazione della normativa che stabilisce l�obbligatoriet� e l�esclusivit� dell�attivit� defensionale dell�Avvocatura di Stato, comporta la dichiarazione di inammissibilit� dei ricorsi per difetto dello jus postulandi da parte del legale del libero foro illegittimamente nominato; nello stesso senso, da ultimo, T.A.R. Umbria, sez. I, 16 giugno 2009, n. 288, in www.giustizia-amministrativa.it., ove il Collegio, pronunciandosi in ordine ad un ricorso avente ad oggetto gli atti del procedimento di accorpamento degli istituti d'istruzione, ha stabilito che la procura alle liti conferita dalle istituzioni scolastiche ad avvocati del libero foro, con riferimento all'impugnativa di atti adottati dagli enti locali, � nulla con conseguente inammissibilit� dei ricorsi proposti, poich� contrastante con la norma imperativa contenuta nell�art. 14, comma 7-bis, d.P.R. n 275/1999 (norma imperativa), che conferma il patrocinio obbligatorio delle istituzioni scolastiche da parte dell�Avvocatura dello Stato, con conseguente carenza di jus postulandi da parte di avvocati del libero foro. Il principio dell�obbligatoriet� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato vale anche per i giudizi in cui il dirigente scolastico sia stato (erroneamente) convenuto in proprio quale capo dell�Istituto: v., sul punto, Cass. civ., sez. lav., 17 marzo 2009, n. 6460, in www.jurisdata.it, secondo cui: �nell�ambito del procedimento di repressione della condotta antisindacale, va esclusa la legittimazione processuale passiva del dirigente scolastico, sia perch� non pu� essere convenuto in proprio quale autore della condotta, sia perch� privo di potere di stare in giudizio, riservato all'amministrazione ed ai dirigenti di uffici dirigenziali generali. Poich� l'art. 28 dello Statuto dei lavoratori riserva la legittimazione passiva in ordine a tali controversie al datore di lavoro e poich� nell'ambito dell'organizzazione pubblica tale qualit� spetta all'amministrazione, il soggetto destinatario della norma non pu� che essere, con riferimento al pubblico impiego privatizzato, l�amministrazione intesa impersonalmente e non il singolo dirigente o funzionario autore della condotta contestata. Ai fini della determinazione della legittimazione passiva in giudizio, � irrilevante l'attribuzione alle istituzioni scolastiche di personalit� giuridica cos� come l'attribuzione della qualifica dirigenziale ai capi di istituto. Dal confronto fra l'art. 25 del d.lgs. 165 del 2001, che disciplina le competenze dei dirigenti scolastici, e l'art. 16 del medesimo d.lgs., che disciplina le competenze dei dirigenti preposti agli Uffici di livello dirigenziale generale dello Stato, emerge la diversa estensione dei poteri attribuiti ai primi ed ai secondi nonch� l'attribuzione solo ai secondi del potere di promuovere e resistere alle liti e del potere di conciliare e transigere. Ne deriva che non pu� ravvisarsi in capo al dirigente scolastico la legittimazione processuale�. 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Peraltro, sul piano strettamente normativo, il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore delle istituzioni scolastiche risulta confermato dall�art. 1-bis, lett. b), d.P.R. 4 agosto 2001, n. 352 (Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche), che, introducendo il comma 7-bis all�art. 14, d.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 ha disposto nel senso che �L�Avvocatura dello Stato continua ad assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi davanti le autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali e le giurisdizioni amministrative e speciali di tutte le istituzioni scolastiche cui � stata attribuita l�autonomia e la personalit� giuridica a norma dell�art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59�. Tale disposizione conferma, infatti, espressamente il permanere del patrocinio della difesa erariale (da esercitarsi secondo le regole sue proprie) a favore delle istituzioni scolastiche cui � stata attribuita autonomia e personalit� giuridica ai sensi dell�art. 21, l. n. 59/1997, superando le incertezze che la mancanza di un�espressa disposizione aveva generato (51). Da tale premessa consegue che la costituzione in giudizio operata per il Ministero dell�istruzione, dell� Universit� e della Ricerca deve ritenersi effettuata anche per l�istituzione scolastica eventualmente convenuta la quale, in ragione della materia del contendere deve ritenersi mero organo dell�amministrazione statale (52). (51) Della funzione risolutiva delle incertezze manifestatesi prima dell�introduzione del comma 7-bis citato d� atto espressamente Trib. Pisa, giud. lav., 21 marzo 2002, n. 202, in www2.indire.it/formazionedir/ contenuti/database/open_doc., osservando che: �(�) discende che, pur nel novellato quadro offerto dal D. Lgs. n. 165/01 (ex n. 29/93), tuttora datore di lavoro del personale scolastico sia lo Stato, nella sua personificazione del Ministero della Pubblica Istruzione, il quale �, quindi, legittimato passivo sia sostanziale che processuale. Le iniziali incertezze sul punto sono state definitivamente fugate anche per effetto del DPR. n. 352/01 che, dettando un comma 7-bis di modifica dell'art. 14, DPR. n. 275/99 (avente ad oggetto l'autonomia scolastica), ha stabilito, con norma procedimentale ma di sicuro effetto interpretativo, che: "L'Avvocatura dello Stato continua ad assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi davanti le autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali e le giurisdizioni amministrative e speciali di tutte le istituzioni scolastiche cui � stata attribuita l'autonomia e la personalit� giuridica a norma dell'art. 21, L. n. 59/97�. (52) In tal senso, v. Cass. civ., sez. I, ord. 13 maggio 2005, n. 10111, in Foro it. Mass., 2005, 1363, secondo cui: �Allorquando l�avvocatura dello stato si costituisca in giudizio per un�amministrazione statale, erroneamente individuata nell�atto introduttivo del giudizio, deve escludersi che la costituzione della difesa erariale dia luogo ad un intervento in giudizio, in quanto tale inidoneo a determinare la devoluzione della controversia al giudice del foro erariale (nella specie, in un giudizio per risarcimento dei danni riportati da un minore all�interno di un istituto scolastico, introdotto nei confronti di alcuni insegnanti e dell�istituto scolastico, il giudice del merito aveva ritenuto che la costituzione dell�avvocatura dello stato per il convenuto istituto scolastico e per il ministero dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca, avesse dato luogo ad un intervento volontario in giudizio ed aveva quindi rigettato l�eccezione di incompetenza sollevata dall�avvocatura in relazione al foro erariale; la suprema corte, ad�ta con regolamento necessario di competenza, ha invece qualificato tale atto come costituzione in giudizio anche del ministro, al quale deve per legge riconoscersi la legittimazione passiva, e ha quindi dichiarato la competenza per territorio del giudice individuato con il criterio di cui all�art. 25 c.p.c.)�. TEMI ISTITUZIONALI 29 Peraltro, nel senso della obbligatoriet� del patrocinio erariale (con applicazione delle regole sue proprie) in favore delle istituzioni scolastiche milita la riflessione della giurisprudenza che, argomentando della natura degli istituti scolastici come enti-organo statali, ha dedotto che gli stessi non possono mai essere rappresentati da un libero professionista e che non pu� sorgere contrasto giudiziale tra tali enti e lo Stato (53). Il principio � stato applicato anche nelle ipotesi in cui � stata riconosciuta spettante all�Istituzione scolastica e non al Ministero della Pubblica Istruzione la legittimazione passiva (54). 4.2. Le Universit� statali Particolarmente accesso in giurisprudenza � il dibattito intorno alla natura giuridica delle Universit� statali, su cui, gi� prima dell�entrata in vigore della l. 2 maggio 1989, n. 168 (che, all�art. 6, ha riconosciuto autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria, contabile e di autorganizzazione agli atenei statali), si erano registrate posizioni piuttosto contrastanti. La tesi prevalente, ante riforma, riconosceva alle Universit� statali natura di organo dello Stato, avuto riguardo alla loro attivit� istituzionale; dal che la giurisprudenza maggioritaria faceva conseguire l�applicazione dello statuto processuale proprio delle amministrazioni dello Stato, ed in particolare: l�obbligatoriet� della notificazione degli atti introduttivi dei giudizi presso la sede della competente Avvocatura dello Stato (55); la regola del (53) In proposito, v. T.A.R. Umbria, sez. I, 16 giugno 2009, n. 288, cit., secondo cui: �Quanto alle istituzioni scolastiche, � dubbio che esse, in quanto articolazioni periferiche (sia pure dotate di personalit� giuridica) dell'Amministrazione scolastica statale, abbiano titolo ad impugnare gli atti di quest�ultima amministrazione. In ogni caso, i ricorsi proposti da dette istituzioni sono inammissibili per difetto d�interesse (o se si vuole per insussistenza di atti suscettibili d�impugnazione autonoma), nella parte in cui investono gli atti dell�amministrazione statale. Questi ultimi infatti sono privi di contenuto provvedimentale e si connotano come meri atti d'impulso procedimentale (note di convocazione dei Presidenti dei Distretti Scolastici e dei Dirigenti Scolastici) ovvero come atti meramente esecutivi (Decreto di attuazione del piano regionale e correlate note d'accompagnamento ed attribuzione dei nuovi codici meccanografici)�. (54) Cfr., T.A.R. Toscana, sez. II, 28 marzo 2007, n. 537, in www.giustizia-amministrativa.it, ove il Collegio ha affermato che, in relazione d.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, spetta all�istituzione scolastica e non al Ministero della Pubblica Istruzione la legittimazione passiva in relazione ad un ricorso avverso gli atti di una gara per l�affidamento della concessione del servizio di bar interno all�edificio scolastico (trattativa privata). Atteso che le istituzioni scolastiche statali sono obbligatoriamente difese in giudizio dall�Avvocatura dello Stato, conclude il Collegio che il ricorso introduttivo del giudizio e gli atti processuali devono essere notificati presso la sede dell�Avvocatura territorialmente competente. (55) In tal senso, in dottrina, VINGIANI - SANTORO, L�ordinamento universitario, appendice, Bari, 1999, 379 (v., ora, ultima ed. 2008), secondo cui, anche dopo l�entrata in vigore della l. n. 168/1989, �l�autonomia delle Universit� sussiste nei limiti delle leggi dello Stato� e dalla citata legge n. 168/1989 non sembra possa desumersi un�abrogazione implicita di quanto statuito dal R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; ZINGALI, Le Universit� statali sono organi dell�amministrazione dello Stato, in Giur. it., 1952, I, 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 c.d. foro erariale (56). Per quanto a seguito dell�entrata in vigore della l. n. 168/1989 non sia pi� consentito sostenere che le Universit� possano essere qualificate come organi dello Stato, la giurisprudenza prevalente ha continuato affermare l�opposta tesi, sostenendo che gli atenei statali - dotati di personalit� giuridica pubblica - si atteggiano come organi dello Stato (rectius: enti organo statali), in quanto perseguono finalit� proprie di questo (nel campo dell�istruzione universitaria) e non anche fini propri, continuando ad applicare alle stesse lo statuto processuale tipico delle amministrazioni dello Stato, compendiato nel R.d. n. 1611/1933 (57). In questo senso, si � continuato ad affermare che uno dei principi informatori del patrocinio erariale degli atenei statali � quello della esclusivit� ed organicit� dello stesso ai sensi dell�art. 1, R.d. n. 1611/1933 e dell�art. 56, R.d. 31 agosto 1933, n. 1592 (c.d. testo unico sulla istruzione universitaria), tuttora in vigore, cui si correla l�applicazione del regime processuale delle amministrazioni statali, e quindi la regola del c.d. foro erariale (art. 6, R.d. n. 2, 164; in giurisprudenza, ex pluribus, Cass. civ., sez. I, 10 settembre 1997, n. 8877, in Giust. civ. Mass., 1997, 1673, ove, sulla premessa che le Universit� statali costituiscono organi dello Stato dotati di personalit� giuridica, la cui rappresentanza e difesa in giudizio spetta, pertanto, ope legis, all�Avvocatura dello Stato, si � affermata la nullit� della notificazione di un atto di citazione compiuta presso la sede dell�Universit�, e non dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 1, l. 25 marzo 1958, n. 260, sostitutivo dell�art. 11, comma 1, R.d. n. 1611/1933; nello stesso senso, ante riforma del 1989, Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 1981, n. 256, in Giust. civ. Mass., 1981, fasc. 1; Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 1992, n. 751, in Giust. civ., 1993, I, 824; Cons. giust. amm. sic., 28 gennaio 1989, n. 19, in Cons. Stato, 1989, I, 78; in argomento, BUSICO, Rappresentanza e difesa in giudizio delle Universit� nelle controversie del personale tecnico-amministrativo, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2006; SMIROLDO, La domiciliazione degli Atenei ai fini delle notificazioni di atti e provvedimenti giudiziali, ivi, n. 6/2006; PAVONE, op. cit., 320-321, ove ulteriori riferimenti a precedenti giurisprudenziali pi� risalenti; GIOVAGNOLI, op. cit., 392, nonch� RAGO, Universit� degli studi: giudice amministrativo e ordinario concordano sul patrocinio esclusivo ed obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato, cit., ove � riportata una rassegna di alcune decisioni della Suprema Corte in materia di patrocinio delle Universit� statali. (56) In tal senso, Cass. civ., sez. I, 2 marzo 1994, n. 2061, in Ced Cass., rv. 485541, relativa all�Universit� degli Studi della Calabria, ove la Suprema Corte osserva: �Le universit� statali, al pari degli altri istituti statali d�istruzione superiore, costituiscono organi dello Stato muniti di personalit� giuridica, essendo inseriti nell�organizzazione statale; ne consegue che le cause in cui sia convenuta una universit� statale rientrano nella competenza del giudice del luogo ove ha sede l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie�. (57) Nel senso della natura di organi dello Stato delle Universit�, munite di personalit� giuridica ed inserite nell�organizzazione statale, cfr., successivamente alla riforma del 1989, nella giurisprudenza della Suprema Corte: Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2001, n. 1086, in Ced Cass., rv. 543478; Cass. civ., sez. lav., 27 novembre 1999, n. 13292, in Giust. civ. Mass., 1999, 2376 e in Foro it., 2000, I, 3219; Cass. civ., sez. lav., 3 novembre 1999, n. 12241, in Ced Cass., rv. 530359; Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 1996, n. 147, in Foro it., 1996, I, 1286; in Giur. it., 1996, I, 1, 561; in Nuova giur. civ. commentata, 1996, I, 555, con nota di TURRONI; nella giurisprudenza amministrativa: T.A.R. Basilicata, 2 giugno 2000, n. 321, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 27 gennaio 1999, n. 207, in I T.A.R., 1999, I, 1078; Corte conti, sez. contr., 23 marzo 1998, n. 38, in Cons. Stato, 1993, II, 1575; Cons. St., sez. VI, 1 marzo 1996, n. 281, in Giur. it., 1996, III, 1, 321; id., 10 gennaio 1996, n. 101, in Studium juris, 1996, 629; id., 22 novembre 1993, n. 908, in Cons. Stato, 1993, I, 1513. TEMI ISTITUZIONALI 31 1611/1933) e quella dell�obbligatoriet� della notifica degli atti introduttivi dei giudizi presso la sede della competente Avvocatura dello Stato (art. 11, R.d. n. 1611/1933) (58). In definitiva - secondo questo indirizzo - il riconoscimento dell�autonomia universitaria a seguito degli artt. 6 e ss., l. 9 maggio 1989, n. 168 (istitutiva del Ministero dell�universit� e della ricerca scientifica e tecnologica) non ha fatto venire meno la regola, gi� stabilita dall�art. 56, R.d. n. 1592/1933, della domiciliazione legale delle universit� presso l�Avvocatura dello Stato; conseguentemente deve considerarsi inammissibile, in tali ipotesi, il ricorso giurisdizionale notificato direttamente all�Universit� anzich� presso la competente Avvocatura dello Stato (59). La riconosciuta autonomia universitaria non ha in alcun modo toccato n� la natura pubblica delle Universit�, n� la regola del patrocinio dell�Avvocatura erariale e la sottoposizione delle stesse allo statuto processuale tipico delle amministrazioni statali (domiciliazione ex lege presso l�Avvocatura dello Stato, obbligo di notifica degli atti processuali, regola del c.d. foro erariale). Nonostante la configurazione delle Universit� come enti pubblici dotati di autonomia, il legislatore non ha disposto il venir meno della regola del patrocinio legale obbligatorio dell�Avvocatura erariale, sicch� la regola non pu� essere considerata tacitamente abrogata. Siffatta scelta legislativa trova la sua giustificazione nella perdurante natura pubblica delle Universit� e nel carattere di enti pubblici non economici delle stesse. Il contrasto in ordine alla natura giuridica delle Universit� statali e sul correlato regime processuale alle stesse applicabili � stato, di recente, risolto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (60), nel senso che alle Universit�, (58) Pi� di recente, Cons. St., sez. VI, 7 settembre 2004, n. 5810, in www.lexitalia.it., n. 9/2004, nel solco del tradizionale orientamento richiamato nel testo, ha affermato che �Le Universit� degli studi rientrano nel novero degli enti pubblici che fruiscono del patrocinio legale dell�Avvocatura dello Stato, con conseguente domiciliazione legale presso la stessa, in relazione ai ricorsi giurisdizionali proposti contro le Universit� medesime ex artt. 56 r.d. 31 agosto 1933 n. 1592 (testo unico sull�istruzione superiore) e 43 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (testo unico sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato); tale regola trova applicazione anche dopo la riforma universitaria in senso autonomistico di cui alla l. 9 maggio 1989, n. 168. E� pertanto inammissibile un ricorso giurisdizionale proposto contro una Universit� degli studi che sia stato notificato direttamente presso la sede dell�Universit�, piuttosto che presso la sede dell�Avvocatura distrettuale dello Stato, che ne � domiciliataria ex lege�. (59) Cfr., inoltre, Cons. St., sez. VI, 16 febbraio 2002, n. 958, in Foro it., 2003, IV, 255 e in Giur. it., 2002, 2183. (60) Ci si riferisce alla nota decisione di Cass. civ., sez. un., 10 maggio 2006, n. 10700, in Lavoro nella giur., 2006, 41, con nota di MISCIONE, Il patrocinio legale delle universit� statali. Le ricadute sul tema della rappresentanza e difesa in giudizio delle Universit� dei principi affermati dalla sentenza sono analizzate da BUSICO, op. cit. e da SMIROLDO, op. cit., cui, in particolare, si rinvia per la disamina dell�autonomia normativa degli Atenei in tema di rappresentanza e difesa in giudizio. Invero, il carattere autorizzato del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato nell�interesse delle Universit� statali era stato gi� sostenuto da Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 2005, n. 28487, in Giust. civ. Mass., 2005, fasc. 12, con argomenti poi mutuati e sviluppati dalle Sezioni Unite nella decisione del 2006; successivamente, conformi, Cass. civ., sez. lav., 29 luglio 2008, n. 20582 e Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2006, n. 13659, 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dopo la riforma introdotta dalla l. 9 maggio 1989, n. 168, non pu� essere riconosciuta la qualit� di organi dello Stato, ma quella di enti pubblici autonomi. Tale nuova qualificazione, secondo l�impostazione accolta dalle Sezioni Unite, deriva non tanto dalla soggettivit� giuridica delle Universit�, gi� riconosciuta dall�art. 1, R.d. n. 1592 del 1933 (che, invero, attribuiva personalit� giuridica agli Atenei), quanto dalla rafforzata autonomia delle Universit� attuata con l�entrata in vigore della l. n. 168 del 1989, che ha specificato le forme di manifestazione dell�autonomia universitaria. Le Universit�, infatti, oltre a quella didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, godono ora della autonomia normativa (statutaria e regolamentare), �potest�, quest�ultima, idonea a caratterizzare le Universit� come ente pubblico autonomo, e non pi� come organo dello Stato�. Ne consegue che, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell�Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio disciplinato dagli art. da 1 a 11, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, bens�, in virt� dell�art. 56 R.d. 31 agosto 1933, n. 1592 (ai sensi del quale: �Le Universit� e gli Istituti superiori possono essere rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti l�autorit� giudiziaria, i collegi arbitrali e le giurisdizioni amministrative speciali, semprech� non trattisi di contestazioni contro lo Stato�), non abrogato dalla l. n. 168 del 1989, il patrocinio autorizzato disciplinato dagli artt. 43, R.d. n. 1611 del 1933 (come modificato dall�art. 11, l. 3 aprile 1979, n. 103) e 45, R.d. cit., con gli effetti previsti per tale forma di patrocinio, sopra illustrati: esclusione della necessit� del mandato e, facolt� di non avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, con apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza (dell�Ateneo) (61). citt., secondo cui alle Universit�, dopo la riforma introdotta dalla legge 9 maggio 1989, n 168, non pu� essere riconosciuta la qualit� di organi dello Stato, ma quella di ente pubblico autonomo, con la conseguenza che, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell�Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio disciplinato dagli artt da 1 a 11, R.d. 30 ottobre 1933 n. 1592, bens�, in virt� dell�art. 56, R.d. 31 agosto 1933 n. 1592, non abrogato dalla l. n. 168 del 1989, il patrocinio autorizzato disciplinato dagli artt. 43, R.d. n. 1611 del 1933, e 45 R.d. citato, con i limitati effetti previsti per tale forma di rappresentanza: esclusione della necessit� del mandato e facolt�, salvi i casi di conflitto, di non avvalersi dell�Avvocatura dello Stato con apposita e motivata valutazione. Per ulteriori riferimenti, cfr., nt. 15. (61) Negli ultimi anni nella prassi si va registrando l�illegittima tendenza da parte di alcune Universit�, sull�assunto erroneo della riconosciuta autonomia statutaria, di inserire nei propri statuti alcune clausole ove si prevede la possibile di avvalersi, in aggiunta o in alternativa al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, anche di legali del proprio Ufficio legale interno o di avvocati del libero foro; il che comporta il rischio di possibili declaratorie di nullit� per difetto di jus postulandi delle attivit� processuali compiute in violazione delle regole sul patrocinio obbligatorio ed esclusivo dell�Avvocatura dello Stato (al riguardo, RAGO, op. ult. cit., 771, riporta due esempi emblematici: l�art. 53 dello statuto dell�Universit� G. D�annunzio di Chieti, che dispone che il Consiglio di amministrazione pu� deliberare l�affidamento ad un difensore libero professionista della rappresentanza e difesa in giudizio dell�Universit�; l�art. 2, punto 6, dello statuto dell�Universit� La Sapienza di Roma, ove � prevista la possibilit� di stabilire, in base a valutazioni discrezionali di opportunit� e convenienza, se avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ovvero di professionisti del libero foro). TEMI ISTITUZIONALI 33 Nonostante l�arresto della Sezioni Unite, la successiva giurisprudenza amministrativa non sembra compatta nel recepire il principio della natura autorizzata del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato nell�interesse delle Universit� statali. Infatti, mentre si registrano diverse decisioni in linea con la tesi sostenuta dalle Sezioni Unite (62), non mancano decisioni che continuano a sostenere l�inammissibilit� dei ricorsi notificati presso la sede dell�Universit�, anzich� presso la sede della competente Avvocatura dello Stato, la quale, avendo il patrocinio legale dell�Universit�, � anche domiciliataria ex lege per le relative notificazioni (63). In tal senso, si � affermato che �nonostante le universit� degli studi siano enti pubblici dotati di autonomia, non � venuta meno la regola del patrocinio obbligatorio dell�avvocatura erariale, trovando tale scelta legislativa giustificazione nella loro perdurante natura pubblica e nel loro carattere di enti pubblici non economici�(64). 5. La difesa dell�ANAS S.p.A. Differente si configura la natura giuridica dell� ANAS S.p.A., ma non ai fini del patrocinio. ComՏ noto, la trasformazione del cessato Ente Nazionale per le Strade in S.p.A. a partecipazione pubblica, per effetto della l. 8 agosto 2002, n. 178, di conversione in legge con modifiche del d.l. 8 luglio 2002, n. 138 (in Gazz. Uff., serie generale, 10 agosto 2002, n. 187), nulla ha innovato in ordine alle modalit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore della neo-costituita S.p.A. (65). Infatti, l�art. 7, comma 11, l. n. 178 del 2002 ha conservato il patrocinio (62) Cfr., Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2007, n. 332, cit.; T.A.R. Toscana, sez. I, 13 giugno 2007, n. 875, in Giur. merito, 2007, 10, 2743; Cons. St., sez. VI, 3 agosto 2007, n. 4316, in Ragiusan, 2008, 289-290, 357; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 30 gennaio 2008, n. 728; in Foro amm. TAR, 2008, 1, 164; id., 8 luglio 2008, n. 6458, ivi, 7-8, 2069. Prima dell�arresto delle Sezioni Unite, nel senso del carattere di patrocinio autorizzato della rappresentanza da parte dell�Avvocatura dello Stato delle Universit� statali, Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2005, n. 4909, cit., pubblicata anche in Dir. e giust. - D&G, 2005, 4178; id., 11 marzo 2004, n. 1252, in Foro it., 2005, III, 485; T.A.R. Umbria, 30 dicembre 2003, n. 1072, in Foro amm. TAR, 2003, 3536 e in Foro it., 2005, III, 486. (63) In tal senso, Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2006, n. 6016, in www.lexitalia.it, n. 10/2006 (decisa in una camera di consiglio successiva al deposito della citata sentenza n. 10700/2006 delle Sezioni Unite). (64) In questi termini, Cons. St., sez. VI, 3 ottobre 2007, n. 5108, in www.giustizia-amministrativa. it. (65) In ordine alla natura della vecchia Azienda Autonoma, antecedente alla sua trasformazione in Ente per effetto del d.lgs. 26 febbraio 1994, n. 143, ritenuta organo dello Stato e soggetta al regime processuale proprio delle amministrazioni dello Stato, cfr., in dottrina, DE SANTIS, nota a Trib. Roma, 13 maggio 1997, in Foro it., 1997, I, 3421; in giurisprudenza, sull�inoperavitit� della regola del foro erariale a seguito della trasformazione dell�Anas in ente pubblico economico, cfr., Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2008, n. 857, in Giust. civ. Mass., 2008, 1, 48; Trib. Cagliari, 25 settembre 1998, in Riv. giur. sarda, 1999, 835, con nota di ZUDDAS. 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, prevedendo appunto che �L�ANAS S.p.A. pu� avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull�ordinamento dell�Avvocatura dello Stato, di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni�. Tale disposizione, dunque, contrariamente a quanto in passato era avvenuto per altri enti pubblici trasformati in societ� per azioni, come ad esempio, le Ferrovie dello Stato e, sia pur con qualche temperamento, le Poste Italiane (66), ha mantenuto il patrocinio erariale (ossia dell�Avvocatura dello Stato) per la neo-costituita ANAS S.p.A. In particolare, l�espresso richiamo contenuto nell�art. 7, comma 11, l. n. 178 del 2002 all�art. 43, R.d. n. 1611/33 conferma il precedente regime di patrocinio c.d. autorizzato gi� contemplato con riferimento al soppresso Ente Nazionale per le Strade dall�art. 2, comma 4, d.lgs. n. 143 del 1994. L�estensione (rectius: la conservazione) del patrocinio erariale in favore della neo-costituita S.p.A. sottende, evidentemente, la considerazione da parte del legislatore che tale societ�, pur assumendo forma privatistica di S.p.A., non � da considerarsi estranea ad un�ampia nozione di pubblica amministrazione, in ragione dei compiti svolti e delle risorse finanziarie cui attinge i suoi mezzi di finanziamento (67). Quello in questione costituisce, dunque, un tipico esempio di patrocinio (66) E� noto che l�Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazione � stata trasformata in ente pubblico economico ai sensi dell�art. 1, comma 1, d.l. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito in l. 29 gennaio 1994, n. 71, e successivamente trasformata in societ� per azioni, secondo la previsione di cui allo stesso art. 1, comma 2, cit. con deliberazione CIPE 18 dicembre 1997. Ai sensi dell�art. 10, comma 2, d.l. n. 487/1993, l�ente pubblico economico Poste Italiane poteva avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. Discendeva de plano dalla citata disposizione che �il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore dell�Ente Poste Italiane ha carattere facoltativo in quanto ad esso l�ente pu� ricorrere, ma pu� anche avvalersi del patrocinio di un proprio ufficio legale appositamente costituto, secondo quanto previsto dall�art. 23 d.m. 16 gennaio 1995, che prevedeva, altres�, che ricorrendo particolari condizioni si potesse verificare una terza ipotesi: quella dell�affidamento del patrocinio a professionisti esterni� (Cass. civ., sez. lav., 9 luglio 1999, n. 7222, in Giust. civ. Mass., 1999, 1607). Ne conseguiva, ulteriormente, l�inapplicabilit� dell�art. 11, R.d. n. 1611 del 1933, che prevede la domiciliazione necessaria presso l�Avvocatura solo per le Amministrazioni dello Stato a patrocinio c.d. necessario o obbligatorio della medesima, mentre analoga disciplina delle notificazioni non vale per le ipotesi di patrocino facoltativo ai sensi dell�art. 43, R.d. cit. (67) V. sul punto SESSA, Il riconoscimento del patrocinio dell�Avvocatura di Stato quale indice di una concezione sostanzialistica di ente pubblico, in Foro amm. CdS, 2009, 1, 76, che deduce, dal riconoscimento della possibilit� di ricorrere al patrocinio dell�Avvocatura statale la conferma di una concezione sostanzialistica di ente pubblico. Tale concezione si riscontrerebbe in tutti quei casi in cui non � stata realizzata una privatizzazione vera e propria, bens� semplicemente una c.d. privatizzazione formale, caratterizzata dal fatto che la trasformazione dell'ente in persona giuridica privata non � stata accompagnata dall'effettivo passaggio di propriet� delle partecipazioni azionarie o del controllo da un soggetto pubblico ai soggetti privati. In questi casi la sostanza giuridica dell'ente per molti aspetti non sarebbe mutata. Viene riconfermato il pi� generale principio affermato dalla Corte costituzionale con la ricordata TEMI ISTITUZIONALI 35 autorizzato dell�Avvocatura dello Stato, generalmente previsto - come detto - in favore di enti diversi da quelli statali propriamente detti (o, eccezionalmente, di enti trasformati in S.p.A.: si veda, per un altro caso oltre a quello dell�ANAS S.p.A., l�art. 8, comma 10, l. n. 176/2002 relativamente al patrocinio del CONI, pure trasformato in societ� a partecipazione pubblica). Come osservato, la condizione necessaria per l�esercizio di tale patrocinio � l�esistenza di un provvedimento di autorizzazione, che, a mente di quanto disposto dall�art. 43 cit., pu� essere costituito da una �disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto�. Nel caso dell�ANAS S.p.A., tale provvedimento autorizzativo � contenuto nella stessa l. n. 178 del 2002, che, come detto, all�art. 7, comma 11, prevede che l�ANAS S.p.A. possa avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato (68). Ovviamente, attesa la natura giuridica dell�ANAS S.p.A., non trova applicazione l�art. 144 c.p.c., concernente le notificazioni alle amministrazioni dello Stato, n� alcuna altra disposizione che, nei confronti di una pubblica amministrazione, preveda la possibilit� che il privato indirizzi l�impugnazione ad un organo che, pur non avendone la rappresentanza, ne costituisca comunque un�articolazione organica con rilevanza esterna. Infatti, avendo l�ANAS S.p.A. sede legale in Roma (cfr. art. 3 dello Statuto della Societ� approvato dall�Assemblea straordinaria degli azionisti del 28 giugno 2007), le notifiche degli atti andranno ivi eseguite al legale amministratore della societ�, il quale � l�unico organo legittimato a proporre impugnazioni degli atti, a costituirsi in giudizio e contro dedurre, a conferire mandato ad litem (comunque, non necessario, per quanto illustrato, per l�Avvocatura dello Stato)(69). Peraltro, gi� all�epoca in cui l�ANAS non era ancora una societ� per azioni, ma ente pubblico economico, la giurisprudenza amministrativa aveva chiarito che i compartimenti ANAS non sono organi periferici dell�ente, bens� meri uffici privi di rappresentanza esterna e di autonomia di indirizzo, atteso sentenza 28 dicembre 1993, n. 466 secondo la quale, in difetto di una privatizzazione sostanziale, il regime giuridico delle societ� per azioni derivanti dalla trasformazione di enti pubblici economici non � diverso da quello cui era assoggettato il medesimo soggetto prima di mutare veste giuridica. La natura giuridica viene definita dagli interessi perseguiti condiziona il regime applicabile a prescindere dalla veste formale dell'ente. Tale opinione della Corte di Cassazione trova peraltro un autorevole avallo anche negli indirizzi della normazione comunitaria che si sono dimostrati favorevoli all�adozione di un approccio �sostanzialistico� volto a sottolineare non tanto la forma con cui si presenta l�ente, quanto la natura di quest'ultimo che risulta individuabile attraverso la ricognizione degli elementi che caratterizzano l�ente medesimo. (68) Cfr., sulla natura del patrocinio dell�ANAS S.p.A. e sulla applicazione delle regole proprie del patrocinio autorizzato, i precedenti citati nelle note 15 e 16. (69) T.A.R. Toscana, sez. II, 19 settembre 2008, n. 2052; T.A.R. Basilicata, sez. I, 28 settembre 2007, n. 621; id., 28 settembre 2007, n. 620; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 4 marzo 2006, n. 145; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29 dicembre 2005, n. 20706, tutte per esteso in www.giustiziaamministrativa. it. 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 che lo Statuto dell�Ente indica quali organi solo il Consiglio, l�amministratore ed il Collegio dei revisori e contempla l�articolazione in uffici periferici di natura interna in quanto costituiti secondo le modalit� del regolamento di attuazione (70). Nel caso dell�ANAS la possibilit� di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, infatti, costituisce una conseguenza diretta del fatto di considerare irrilevante il mutamento della forma giuridica di un ente qualora questo sia disgiunto da modifiche sostanziali afferenti alle sue funzioni, agli interessi da esso perseguiti, all�attribuzione di potest� pubbliche. Ci� a riprova della progressiva attenuazione della dicotomia tra ente pubblico ed ente privato che, a partire dagli anni �80, si � venuta a creare nel nostro ordinamento, con la conseguenza che molti enti pubblici trasformati in forme organizzative tipiche del diritto privato e, soprattutto, in societ� per azioni possono considerarsi rimaste in mano pubblica (71). In linea con la natura sostanzialmente pubblicistica di tali societ�, l�applicazione del regime di patrocinio autorizzato da parte dell�Avvocatura dello Stato evidenziano il favor del legislatore per gli enti trasformati solo formalmente in societ�, con la conseguenza che non � necessario, in ordine ai singoli giudizi, uno specifico mandato all'Avvocatura medesima, n� quest�ultima deve produrre il provvedimento del competente organo dell�ente recante l�autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in causa (72). 6. Il patrocinio delle agenzie fiscali: � autorizzato, ma non facoltativo Per effetto della riforma nell�organizzazione dei ministeri recata dal d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 il legislatore delegato � incisivamente intervenuto sul (70) Si vedano, in merito, Cons. St., sez. IV, 12 aprile 2001, n. 2275, in Foro amm., 2001, 836; id., 3 settembre 2001, n. 4627, in Giur. bollettino legisl. tecnica, 2001, 1158. (71) SESSA, Il riconoscimento del patrocinio dell'Avvocatura di Stato quale, cit., 74. L�A. sottolinea che il frequente impiego dello strumento delle societ� per azioni per il perseguimento di finalit� di interesse pubblico ha trovato fondamento innanzitutto nell'affermarsi della deconcentrazione, che comporta l�affidamento del compito di soddisfare la cura di alcuni bisogni pubblici a enti diversi da quelli territoriali ma sempre di natura pubblica, pur senza specificare se tale debba essere anche la forma da essi adottata. Ne � derivata una sorta di �osmosi� tra ambito pubblico e privato che � stata accompagnata da una crescente consapevolezza dell'indifferenza del profilo soggettivo in relazione alla normativa applicabile, sintomo del fatto che spesso risulta considerata pi� rilevante la natura dell'attivit� che non quella del soggetto che la svolge. (72) Cass. civ., sez. III, 26 luglio 1997, n. 7011, cit., secondo cui �la rappresentanza e difesa in giudizio dell�Anas, quale amministrazione statale ad ordinamento autonomo (art. 1 l. 7 febbraio 1961 n. 59), spetta all�avvocatura dello stato, a norma dell�art. 1 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, senza bisogno di mandato, neppur quando le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, come nel caso di ricorso per cassazione, e senza necessit� che la proposizione di tale ricorso formi oggetto di una specifica deliberazione, n� che l�atto che lo contiene rechi l�indicazione nominativa dell�avvocato dello stato da cui � stato redatto, essendo sufficiente che il ricorso risulti sottoscritto da uno di tali avvocati, stante la loro fungibilit� nell�esercizio delle funzioni di rappresentanza processuale�. TEMI ISTITUZIONALI 37 piano dell�organizzazione ministeriale, dettando norme sulla razionalizzazione, il riordino, la soppressione e la fusione dei ministeri, l�istituzione di agenzie, il riordino dell�amministrazione periferica dello Stato. Tanto in coerenza con la scelta di fondo, delineata nella l. n. 59/1997 e nel d.lgs. n. 112/1998, di ridimensionare l�intervento statale distribuendo compiti e funzioni tra i vari livelli di governo, attuata mediante la drastica riduzione del numero dei ministeri, di cui � stata ridisegnata la struttura organizzativa, in ossequio ai principi di semplificazione e di snellimento strutturale. In questo quadro s�innesta l�istituzione delle agenzie, che costituiscono strutture che svolgono attivit� a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in precedenza esercitate dai ministeri e da enti pubblici, la cui previsione manifesta l�intento del legislatore di rafforzare il �ruolo di governo� dei ministeri, svuotato da compiti di amministrazione attiva. In particolare, le agenzie godono di autonomia nei limiti stabiliti dalla legge (dispongono di autonomia di bilancio, della possibilit� di emanare norme concernenti la propria organizzazione ed il proprio funzionamento, nonch� di deliberare e di proporre all�approvazione del ministro competente, di concerto con quello dell�Economia e delle Finanze, regolamenti interni di contabilit� ispirati, ove richiesto dalla specifica attivit� dell�agenzia, a principi civilistici anche in deroga alle disposizioni sulla contabilit� pubblica), sono sottoposte al controllo della Corte dei Conti ed ai poteri di indirizzo e di vigilanza del ministro (al quale, tra l�altro, compete approvare i programmi di attivit� delle agenzie, approvare i bilanci e rendiconti, emanare direttive con l�indicazione degli obiettivi da raggiungere, effettuare ispezioni, ecc.), devono essere organizzate in modo da rispondere alle esigenze di speditezza ed efficacia dell�azione amministrativa e si giovano di un finanziamento annuale a carico dello stato di previsione del ministero. In particolare, l�art. 57, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 ha istituito quattro Agenzie Fiscali (del Demanio, delle Entrate, del Territorio e delle Dogane), attivate a decorrere dall�1 gennaio 2001, in forza del D.M. Ministero delle Finanze 28 dicembre 2000, n. 1390 (in Gazz. Uff., 12 gennaio 2001, n. 9), di cui occorre indagare la controversa natura giuridica, al fine di verificare quale carattere abbia il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato previsto dalla legge (73). (73) In dottrina, in generale, CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2008, 215; CERULLI IRELLI Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2008, 101; AA.VV., Diritto amministrativo, a cura di Scoca F., Torino, Giappichelli, 2008, 88 ss.; per approfondimenti, PAJNO, La riforma del Governo, Bologna, 2000; MULEO, L�attivazione delle Agenzie fiscali, in Rass. trib., 2001, 2, 337 ss.; PALATIELLO A., Le agenzie fiscali: natura e patrocinio, in Rass. avv. St., 2007, 4, 1 ss., ove un�ampia rassegna giurisprudenziale; PAVONE, op. cit., 334-335; GIOVAGNOLI, op. cit., 393; sulla questione dell�applicabilit� ai pagamenti delle Agenzie fiscali del c.d. spatium adimplendi previsto dall�art. 14, d.l. n. 669/1996, v. CORSINI, VENTURINI, MEZZOTERO, in MEZZOTERO - BIESUZ, Codice delle esecuzioni forzate nei confronti della P.A., cit., 205 ss. 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Alle agenzie fiscali sono state attribuite una serie di funzioni che esercitano in via esclusiva (e dettagliatamente indicate negli artt. 62, 63, 64, 65 del d.lgs. cit.), nonch� riconosciuta piena personalit� giuridica di diritto pubblico con autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria (art. 61, d.lgs. n. 300/1999), del tutto distinta da quella del Ministero dell�Economia e delle Finanze (pure di nuova costituzione), subentrato al cessato Ministero delle Finanze, eliminandosi ogni rapporto organico tra le agenzie fiscali e lo Stato. Risulta evidente, dunque, come finalit� precipua della istituzione delle agenzie sia quella di svolgere le competenze tecniche in precedenza attribuite ai ministeri. Tanto indipendentemente da ogni eventuale questione in ordine alla loro natura giuridica, in parte assimilabile a quella delle aziende autonome, considerata la spiccata autonomia delle agenzie e lo svolgimento di attivit� di carattere tecnico-operativo, che consentono siffatta assimilazione. Sul tema della natura giuridica delle agenzie fiscali �, di recente, intervenuta la Suprema Corte, negandone la natura di organi dello Stato, poich� una tale configurazione presuppone che l�attivit� dell�ente sia direttamente imputata allo Stato in forza di sicure indicazioni normative, nel caso di specie del tutto mancanti. Inoltre, la Corte di Cassazione (74) ha chiarito che il meccanismo legislativo, attraverso il quale l�agenzia esercita funzioni originariamente statali, comporta, oltre al conferimento dell�esercizio di funzioni di primario interesse statale, una successione in una serie di rapporti giuridici, dei quali l�amministrazione finanziaria non era parte. L�esclusione del rapporto organico tra il Ministero dell�Economia e delle Finanze e le agenzie fiscali � stata ripetutamente affermata anche dalla Suprema Corte (specie in ambito tributario, nel quale maggiormente si � posto il problema), che ha pure qualificato in termini di vera e propria successione a titolo particolare tra enti ex art. 111 c.p.c. la vicenda processuale conseguente al trasferimento di funzioni operato con le sopra citate disposizioni del d.lgs. n. 300/1999, ossia il subentrare dell�agenzia nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all�adempimento dell�obbligazione tributaria (75). Ovviamente, tale fenomeno successorio dell�Agenzia al cessato Ministero delle Finanze deve formare oggetto di un�apposita eccezione di parte, ai fini della declaratoria del difetto di legittimazione passiva ad causam del Ministero, non potendo essere consentito al giudice del grado superiore rilevarlo d�ufficio, ove sul punto si sia formato un giudicato (76). (74) Cass. civ., sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3116, in Foro it., 2006, I, 1033 e in Bollettino trib., 2006, 866, relativa all�Agenzia delle Entrate. (75) In tal senso, Cass. civ., sez. trib., 26 novembre 2007, n. 24547, in Giust. civ. Mass., 2007, fasc. 11; id. 30 dicembre 2004, n. 24245, ivi, 2005, fasc. 1; id., 1 ottobre 2004, n. 19698, ivi, 2004, fasc. 10; id., 12 agosto 2004, n. 15643, ivi, fasc. 7-8; Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2003, n. 6774, in Giust. civ., 2004, I, 768; id. 29 aprile 2003, n. 6633, in Foro it., 2003, I, 1696 e Dir. e giust., D&G, 2003, fasc. 22, 30. (76) Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2009, n. 10284, in Guida al diritto, 2009, fasc. 22, 42 ss., con nota di COREA, La destinazione del denaro a finalit� specifiche blocca l�azione esecutiva intrapresa dal terzo. TEMI ISTITUZIONALI 39 Peraltro, il problema della natura giuridica � positivamente risolto con riferimento all�Agenzia del Demanio, espressamente qualificata come �ente pubblico economico� dall�art. 61, comma 1, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, nella formulazione risultante dall�art. 1, d.lgs. 2 luglio 2003, n. 173 (in Gazz. Uff., 14 luglio 2003, n. 161, recante Riorganizzazione del Ministero dell�Economia e delle Finanze e delle agenzie fiscali, a norma dell�art. 1, l. 6 luglio 2002, n. 137) e la cui natura di organo dello Stato � stata, di recente, esclusa dalla Suprema Corte (77). Nella suindicata direzione interpretativa si colloca pure la giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare l�inammissibilit� di un ricorso proposto nei confronti dell�Agenzia delle Entrate notificato al Ministero delle Finanze, atteso che le Agenzie fiscali, a seguito della riforma operata dal d.lgs. n. 300/1999, hanno personalit� giuridica di diritto pubblico ed autonomia regolamentare, amministrativa, contabile, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria (art. 61, d.lgs. cit.), e come tali non si limitano a gestire i rapporti, poteri e competenze di natura tributaria, prima esercitati dal Ministero delle Finanze e dai suoi uffici, ma hanno assunto la piena titolarit� degli stessi. Le norme istitutive delle Agenzie Fiscali rispondono all�esigenza di operare una netta distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo (riservate alle strutture ministeriali dello stato persona) e funzioni di amministrazione e gestione dell�attivit� tributaria (affidate ad autonome Agenzie Fiscali), perseguita utilizzando lo strumento tecnico della personalit� giuridica attribuita alle agenzie Fiscali e recidendo ogni rapporto organico tra queste e lo Stato (78). L�inesistenza di un rapporto organico tra l�Agenzia delle Entrate ed il Ministero delle Finanze � altres�, confermata dall�art. 72, d.lgs. n. 300/1999, ai sensi del quale �le Agenzie Fiscali possono avvalersi del patrocinio dell�Av- (77) Cfr., Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 2006, n. 23005, cit., ove la Corte ha cos� motivato sul punto: �L�Agenzia del demanio, come le altre agenzie fiscali istituite dal d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (capo secondo del titolo quinto) e divenute operative a partire dal 1^ gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), � un ente dotato di personalit� giuridica di diritto pubblico (art. 61, d.lgs. cit.) distinto dallo Stato; n� pu� essere configurata quale organo dello Stato dotato di personalit� giuridica, presupponendo tale configurazione che l'attivit� dell�ente sia direttamente imputata allo Stato medesimo, in base a sicure indicazioni normative (cfr. Cass. Sez. Un. n. 3116 e 3118 del 2006, in motivaz., riferite all�Agenzia delle entrate) qui, invece, del tutto mancanti. Non facendo parte l�Agenzia dell�amministrazione dello Stato, il suo patrocinio da parte dell'Avvocatura erariale ha, coerentemente, carattere facoltativo (il d.lgs. n. 300 del 1999, art. 72 prevede che "le agenzie fiscali possono avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 43 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni") e, quindi, non comporta alcuna deroga alle ordinarie regole di determinazione della competenza territoriale, non essendo richiamato, nella disciplina del patrocino facoltativo contenuta nel R.D. n. 1611 del 1933, artt. 43, 44 e 45, l'art. 6 del medesimo R.D. (cfr., da ult., Cass. Sez. Un. 10700/2006)�. In applicazione di tale principio, nella fattispecie, la Suprema Corte ha, quindi, statuito che correttamente l�attore aveva ad�to il Giudice di pace di Roma, ove ha sede l�Agenzia convenuta, in applicazione dell�art. 19 c.p.c.). (78) Cfr., ad esempio, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 28 ottobre 2005, n. 17844, in www.lexitalia. it., n. 11/2005. 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 vocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43 del testo unico approvato con R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive modificazioni�. Laddove - come detto - il patrocinio in giudizio delle amministrazioni dello Stato ad opera dell�Avvocatura dello Stato �, invece, regolato dagli artt. 1 e 11, R.d. n. 1611/1933 (79). Tuttavia, non appare condivisibile la qualificazione di tale patrocinio come meramente facoltativo, compiuta dalla Suprema Corte in alcune recenti decisioni (80); invero, come ben evidenziato in dottrina (81), il testuale richiamo contenuto nell�art. 72, d.lgs. n. 300/1999 all�art. 43, R.d. n. 1611/1933 consente di qualificare il patrocinio (autorizzato) dell�Avvocatura dello Stato nell�interesse delle Agenzie fiscali come �organico ed esclusivo�, sicch� non serve l�affidamento caso per caso del singolo incarico, risultando, altres�, vietato l�affidamento del patrocinio a professionisti esterni, perch� in violazione della regola dell�esclusivit�, sancita dall�art. 43, T.U. cit.. Tesi questa che trova, del resto, testuale conforto nella stessa lettera del pi� volte citato comma 3 dell�art. 43 cit., secondo cui �Qualora sia intervenuta l�autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dall�Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni�. Nel caso di specie, l�estensione (rectius: l�autorizzazione) del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore delle Agenzie fiscali � espressamente contenuta nel citato art. 72, d.lgs. n. 300/1999, in forza del quale sono state stipulati appositi protocolli d�intesa tra l�Avvocatura dello Stato e le agenzie fiscali per disciplinare le modalit� di svolgimento dello jus postulandi dell�Avvocatura (82). Valgono, pertanto, per il patrocinio delle Agenzie fiscali le regole proprie del patrocinio autorizzato, sopra illustrate (83). L�esclusiva titolarit� della legittimazione processuale delle agenzie fiscali (79) Per approfondimenti sul patrocinio dell�Avvocatura dello Stato nell�interesse delle agenzie fiscali si rinvia alle osservazioni di PALATIELLO A., op. cit., 3. (80) Ci si riferisce a Cass. civ., sez. trib., 26 novembre 2007, n. 24547, in Giust. civ. Mass., 2007, fasc. 11 e in Rass. avv. St., 2007, 4, 35; id., 8 febbraio 2008, n. 3058, in Giust. civ. Mass., 2008, 2, 192; in Dir. e prat. soc., 2008, 8, 86 e in Rass. avv. St., 2007, 4, 36. (81) PALATIELLO A., op. cit., 3 ed, in generale, con riferimento agli enti pubblici diversi dallo Stato ammessi ad avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, previa autorizzazione con �disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto�, ai sensi dell�art. 43, R.d. n. 1611/1933, GIOVAGNOLI, op. cit., 397-398; MAZZELLA, Il patrocinio autorizzato dell�Avvocatura dello Stato, op. cit., 98-99. (82) Il testo del protocollo d�intesa tra l�Avvocatura dello Stato del Demanio � edito in Rass. avv. St., 2006, 2, 301; quello tra l�Avvocatura dello Stato e l�Agenzia delle Entrate � edito in Rass. avv. St., 2007, 4, 11. (83) Sul regime delle notifiche degli atti processuali direttamente presso la sede legale dell�Agenzia, anzich� presso l�Avvocatura, cfr., Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2007, n. 15617, in Giust. civ. Mass., 2007, fasc. 9; sull�inapplicabilit� del foro erariale, Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 2006, n. 23005, cit. TEMI ISTITUZIONALI 41 per le controversie concernenti i rapporti giuridici riferibili alle stesse �, poi, sancita dall�art. 68, d.lgs. n. 300/1999, il quale, prevedendo che il Direttore rappresenta l�Agenzia e la dirige esclude che l�ente possa esser rappresentato dal Ministro. Tuttavia, la tesi che esclude la natura di organi dello Stato delle Agenzie fiscali non si presenta univocamente affermata in sede pretoria, registrandosi, a dire il vero, un contrasto di opinioni sul tema tra la giurisprudenza della Suprema Corte e la Corte Costituzionale (84), la quale nella sentenza 11 febbraio 2005, n. 72 (85), ove la Consulta ha rigettato la preliminare eccezione di inammissibilit� del conflitto di attribuzione, dedotta dall�Avvocatura dello Stato sul rilievo che l�Agenzia fiscale (nella specie l�Agenzia delle Entrate), non fosse organo dello Stato, i cui atti non potrebbero essere oggetto di conflitto costituzionale di attribuzione, osservando che: �Questa Corte ha gi� ritenuto ammissibile il conflitto costituzionale di attribuzione in relazione ad atti dell�Agenzia delle entrate, sul presupposto della sostanziale riconducibilit� di tale ente, ai fini del conflitto, nellՈmbito dell�amministrazione dello Stato (sentenza n. 288 del 2004, riguardante, appunto, un conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Siciliana in relazione ad atti emessi dall�indicata Agenzia). Tale conclusione deve essere qui ribadita. Il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell�organizzazione del Governo, a norma dell�art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) affida, infatti, all�Agenzia delle entrate la �gestione� dell�esercizio delle tipiche funzioni statali concernenti �le entrate tributarie erariali� prima attribuite al Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze ed agli uffici connessi e, in particolare, assegna a tale ente la cura del fondamentale interesse statale al perseguimento del �massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali� (artt. 57, comma 1, primo periodo; 61, comma 3; 62, commi 1 e 2). Ai soli fini del conflitto costituzionale di attribuzione tra Regione e Stato, la riconducibilit� alla sfera di competenza statale di tali essenziali funzioni - �affidate� all�Agenzia delle entrate nellՈmbito del peculiare modulo organizzatorio disegnato per le agenzie fiscali (84) Per approfondimenti, si rinvia a PALATIELLO A., op. cit., 3. Dalla controversa questione della natura di organi dello Stato delle agenzie fiscali dipende anche la soluzione dell�ulteriore questione relativa all�applicabilit� in loro favore della speciale procedura di pagamento in conto sospeso, in assenza di disponibilit� finanziarie sul pertinente capitolo, di cui all�art. 14, d.l. n. 669/1996, prevista espressamente per le (sole) amministrazioni dello Stato. Tale procedura, infatti, non dovrebbe ritenersi suscettibile di applicazione alle Agenzie fiscali, in quanto, come chiarito dalla citata giurisprudenza della Suprema Corte, le stesse non possono qualificarsi quali organi dello stato, ma quali soggetti pubblici autonomi e separati dallo Stato. VՏ, tuttavia, da segnalare che, in ordine a tale ultima questione, di contrario avviso si � espressa recentemente l�Avvocatura Generale dello Stato con parere (inedito) del 5 marzo 2008 prot. n. 30262/2008 (Richiesta di parere in ordine alla possibilit� di utilizzo del pagamento in conto sospeso ex art. 14 del D.L. n. 669/1996 per l�esecuzione di sentenze di Commissioni Tributarie prive della formula esecutiva). (85) In Foro it., 2005, I, 965. 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dal decreto legislativo n. 300 del 1999, con disciplina derogatoria rispetto a quella dettata per le agenzie non fiscali (art. 10 del decreto) - esige di imputare al sistema ordinamentale statale gli atti emessi nell�esercizio delle medesime funzioni� (86). Queste affermazioni sono state riprese e ribadite dalla Corte Costituzionale nella sentenza 1 febbraio 2006, n. 31 (87) ove il Giudice delle leggi, con riferimento questa volta all�Agenzia del Demanio, ha osservato quanto segue: �Il presente conflitto di attribuzione ha per oggetto un atto dell�Agenzia del demanio, la quale - definita �ente pubblico economico� dall�art. 61, comma 1, decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell�organizzazione del Governo, a norma dell�art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), come modificato dall�art. 1 del decreto legislativo 3 luglio 2003 n. 173 (Riorganizzazione del Ministero dell�economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, a norma dell�articolo 1 della legge 6 luglio 2002 n. 137) - esercita tuttora le funzioni che erano proprie della Direzione generale del demanio e delle direzioni compartimentali. Con riferimento a queste funzioni, tipiche dell�amministrazione pubblica statale, si deve ritenere che gli atti posti in essere dalla suddetta Agenzia siano riferibili allo Stato, inteso, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non come persona giuridica, bens� come sistema ordinamentale (sentenza n. 72 del 2005) complesso e articolato, costituito da organi, con o senza personalit� giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalit� in vista dell�esercizio, in forme diverse, di tipiche funzioni statali. Il termine Stato deve ritenersi impiegato dall�art. 134 Cost. in un duplice significato: pi� ristretto quando viene in considerazione come persona giuridica, che esercita le supreme potest�, prima fra tutte quella legislativa; pi� ampio, quando, nella prospettiva dei rapporti con il sistema regionale, si pone come conglomerato di enti, legati tra loro da precisi vincoli funzionali e di indirizzo, destinati ad esprimere, nel confronto dialettico con il sistema regionale, le esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati dall�art. 5 Cost. Questa Corte ha precisato che la propriet� e disponibilit� dei beni demaniali spettano - sino all�attuazione dell�ultimo comma dell�art. 119 Cost. - allo Stato �e per esso all�Agenzia del demanio� (sentenza n. 427 del 2004). Nei rapporti con il sistema ordinamentale regionale, l�Agenzia del demanio � pertanto parte integrante del sistema ordinamentale statale. L�uno e l�altro insieme formano il sistema ordinamentale della Repubblica. Al suo interno possono verificarsi conflitti tra organi e soggetti, statali e regionali, agenti rispettivamente per fini uni- (86) Successivamente, nello stesso senso, sempre in ordine all�Agenzia delle Entrate, si v. Corte cost. 19 ottobre 2006, n. 334, in Giur. cost., 2006, 5. (87) In Giur. cost., 2006, 1. TEMI ISTITUZIONALI 43 tari o autonomistici, che attingono il livello costituzionale se gli atti o i comportamenti che li originano sono idonei a ledere, per invasione o menomazione, la sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita del sistema statale o di quello regionale, anche se non provengono da organi dello Stato o della Regione intesi in senso stretto come persone giuridiche. � compito della giurisdizione di costituzionalit� mantenere un costante equilibrio dinamico tra i due sistemi, perch� le linee di ripartizione tracciate dalla Costituzione siano rispettate nel tempo, pur nel mutamento degli strumenti organizzativi che lo Stato e le Regioni sceglieranno via via di adottare per conseguire i propri fini nel modo ritenuto pi� adatto, secondo i diversi indirizzi politici e amministrativi�. 7. Il patrocinio dell�A.G.E.A. La cessata Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (Aima), sebbene dotata di personalit� giuridica (v. art. 2, l. 13 maggio 1966, n. 303), � stata inclusa dalla giurisprudenza tra le amministrazioni dello Stato organizzate ad ordinamento autonomo, avuto riguardo ai suoi compiti coincidenti con quelli propri dello Stato in materia di adempimento degli obblighi comunitari nel mercato agricolo (88). Se ne faceva conseguire che la rappresentanza in giudizio dell�Aima per mezzo dell�Avvocatura dello Stato � obbligatoria e non eventuale e si applica all�Aima il foro erariale previsto dall�art. 25 c.p.c. (89). Diversamente, il patrocinio dell�Avvocatura ha natura non pi� obbligatoria, ma autorizzata con riferimento all�Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), istituita con il d.lgs. 27 maggio 1999, n. 165, che ha soppresso l�A.I.M.A. ed istituita in sua vece appunto l�Agenzia per le erogazioni in agricoltura, ente di diritto pubblico, che - previo commissariamento dell�A.I.M.A. - � subentrato in tutti i rapporti attivi dell�ente soppresso a decorrere dal 16 ottobre 2000. In tal caso, il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore del nuovo ente � stato concesso con l�art. 2, comma 4, d.lgs. n. 165/1999, in forza del quale �L�Agenzia pu� avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43, T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611�, sicch� segue le regole proprie del patrocinio autorizzato, quanto all�inapplicabilit� della regola del foro ed al regime delle notifiche degli atti introduttivi, da effettuare presso (88) In dottrina, per i profili attinenti al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, PAVONE, op. cit., 338; GIOVAGNOLI, op. cit., 391-392; in giurisprudenza, la tesi della natura di organo statale dell�Aima � stata costantemente affermata: ex pluribus, Cass. civ., sez. III, 3 novembre 2000, n. 14375, in Giust. civ. Mass., 2000, 2249; Cons. St., sez. VI, 14 maggio 1999, n. 640, in Cons. Stato, 1999, I, 921; Cass. civ., sez. I, 18 novembre 1994, n. 9789, in Rass. avv. St., 1994, I, 483. (89) In tal senso, chiaramente, Cass. civ., sez. I, 30 ottobre 1984, n. 5544, in Rass. avv. St., 1984, I, 953 e in Foro it., 1985, I, 790. 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 la sede dell�ente (90). Anche in tal caso l�introduzione della norma autorizzatoria del patrocinio dell�Avvocatura, secondo la logica cui s�ispira il comma 1 dell�art. 43, R.d. n. 1611/1993, costituisce condizione indispensabile per l�estensione al nuovo ente dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato, non potendosi convenire con chi (91) ha definito le norme autorizzative del patrocinio dell�Avvocatura, ai sensi dell�art. 43, R.d. cit., in favore degli enti sovvenzionati (ed a quelli ad essi equiparati) come �meramente dichiarative�, dovendosi al contrario riconoscere a siffatte previsioni normative carattere costitutivo dello jus postulandi del difensore erariale. 8. Il patrocinio dell�E.N.E.A., del C.N.R., dell�Agenzia Spaziale Italiana e dell�Istituto Nazionale di Astrofisica: le norme estensive dello jus postulandi riferiscono l�autorizzazione alla sola Avvocatura Generale dello Stato Parimenti autorizzato � il patrocinio che l�Avvocatura presta nell�interesse dell�Ente per le nuove tecnologie, l�energia e l�ambiente (Enea), ente pubblico che opera nei settori dell'energia, dell�ambiente e delle nuove tecnologie a sup- (90) In proposito, Cass. civ., sez. I, 28 settembre 2005, n. 18959, in Giust. civ. Mass., 2005, fasc. 6, che spiega nei seguenti termini le ricadute in ordine al modalit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato conseguenti alla previsione di cui all�art. 2, comma 4, d.lgs. n. 165/1999: �il decreto legislativo 27 maggio 1999, n.165, entrato in vigore il 15 giugno 1999 (art.15), ha disposto, all'art.1, primo comma, la soppressione e la messa in liquidazione dell'Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo (A.I.M.A.), di cui alla legge 14 agosto 1982, n.610 e successive modificazioni, nonch�, all'art.2, primo comma, l'istituzione dell'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Ag.e.a.), con facolt� per quest'ultima ("L�Agenzia pu�...") di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art.43 del regio decreto 30 ottobre 1933, n.1611 e successive modificazioni (art.2, quarto comma, del citato decreto legislativo). Ne consegue che, mentre l�A.I.M.A., pur se dotata di personalit� giuridica, doveva essere inclusa fra le Amministrazioni dello Stato organizzate ad ordinamento autonomo, in considerazione dei suoi compiti coincidenti con quelli propri dello Stato medesimo in materia di adempimento degli obblighi comunitari nel mercato agricolo, onde, in favore di detta Azienda, anche per effetto dell'espressa previsione contenuta nell'art.12 della richiamata legge n.610 del 1982, il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato risultava "obbligatorio" (Cass. 3 novembre 2000, n.14375), l'istituzione dell'Ag.e.a. ha fatto s�, con l'inapplicabilit� a tale Ente della norma relativa al patrocinio anzidetto e con l'introduzione, al riguardo, del regime meramente "facoltativo" sopra accennato, che, in relazione al luogo della notificazione ed alla persona alla quale l'atto processuale � consegnato, la notifica dell'atto stesso � da reputare inesistente allorch� questo venga consegnato in luogo o a persona che non siano in alcun modo o per nessuna via riferibili o collegabili al soggetto passivo della notificazione anzidetta, come appunto nell'ipotesi, analoga a quella di specie e gi� esaminata da questa Corte (Cass.10 agosto 2000, n.10571, nonch�, da ultimo, Cass. 29 settembre 2004, n.19522), in cui la notificazione ad un determinato Ente (nel caso affrontato dalla prima delle due richiamate pronunce, la S.p.A. Ferrovie dello Stato) venga eseguita, anzich� presso la sua sede legale, presso l'Avvocatura dello Stato, senza che sia dato di ravvisare alcun collegamento tra destinatario dell�atto e notifica non avendone la medesima Avvocatura mai assunto la difesa�; negli stessi termini, Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2006, n. 863, ivi, 2006, 1, 49. (91) In tal senso, BELLI, Avvocatura dello Stato, cit., 670 e ss., in part. pag. 676; SCOCA S., Avvocatura dello Stato, in Novissimo Digesto italiano, Utet, 1958, I, 1685 e ss., in part. 1688. TEMI ISTITUZIONALI 45 porto delle politiche di competitivit� e di sviluppo sostenibile del Paese, che si avvale del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato (non previsto dal precedente d.lgs. 30 gennaio 1999, n. 36, ora abrogato), ai sensi dell�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. Con il d.lgs. 3 settembre 2003, n. 257, recante un nuovo riordino dell�Enea, emanato in attuazione della delega conferita al Governo dall�art. 1, l. 6 luglio 2002, n. 137, che ha sostituito il precedente d.lgs. n. 36/1999, riconosce all�Ente personalit� giuridica di diritto pubblico, nonch� autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa, patrimoniale e contabile. L�Enea � dotato di un ordinamento autonomo adottato, in conformit� alle disposizioni dello stesso decreto legislativo, sulla base degli indirizzi definiti dal Ministro delle Attivit� produttive, d�intesa con i ministri dell�Istruzione, dell�ambiente e degli Affari esteri, limitatamente alle attivit� internazionali (92). L�autorizzazione al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato � recata dall�art. 22, comma 4, d.lgs. n. 257/2003, ove, con formulazione poco felice, poich� riferisce l�autorizzazione all�esercizio dello jus postulandi alla sola Avvocatura Generale e non gi�, come avrebbe dovuto, all�Avvocatura dello Stato tout court, si dispone che: �L�ENEA (�) si avvale del patrocinio dell�Avvocatura generale dello Stato, ai sensi dell'articolo 43 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611�. Invero, la limitazione del patrocinio erariale (autorizzato) in favore di enti pubblici diversi dallo Stato alla sola Avvocatura Generale dello Stato non costituisce un caso isolato ed una svista episodica da parte del legislatore. Ulteriori esempi possono citarsi in tal senso. In particolare, si osserva che con i decreti legislativi 4 giugno 2003, n. 127, n. 128 (in Gazz. Uff., 6 giugno 2003, n. 129) e n. 138 (in Gazz. Uff., 19 giugno 2003, n. 140) sono state dettate norme per il riordino, rispettivamente, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell�Agenzia Spaziale Italiana, e dell�Istituto Nazionale di Astrofisica, enti tutti gi� ammessi al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. Infatti, riguardo al Consiglio Nazionale delle Ricerche, ente avente personalit� giuridica di diritto pubblico ai sensi dell�art. 1, d.lgs. 30 gennaio 1999, n. 19, il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato era stato confermato con il d.p.c.m. 21 maggio 1999 (in Gazz. Uff., 22 giugno 1999, n. 144); riguardo all�Agenzia Spaziale Italiana, qualificato ente pubblico non economico dalla (92) Il riordino dell�organizzazione e del funzionamento dell�Enea � basato, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 257/2003 trasmessa alle Camere, su criteri di semplificazione, efficienza ed economicit�, e si collega alla pi� generale riforma di alcuni enti sottoposti alla vigilanza del Ministero dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca (CNR, ASI e INAF) varata dal Governo nel 2003, su cui v. infra in questo paragrafo. 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 giurisprudenza della Suprema Corte (93), il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato era stato previsto dall�art. 14, l. 30 maggio 1988, n. 186, istitutiva dell�A. S.I. e non � venuto meno a seguito della riforma di tale ente contemplata dal d.lgs. 30 gennaio 1999, n. 27 e dal successivo d.p.c.m. 1 settembre 1999 (in Gazz. Uff., 20 ottobre 1999, n. 247); infine, l�Istituto Nazionale di Astrofisica, ente che ha assorbito gli Osservatori astronomici e di astrofisica, istituito con il d.lgs. 23 luglio 1999, n. 296, era gi� ammesso al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato con il d.p.c.m. 29 agosto 2001 (in Gazz. Uff., n. 272 del 22 novembre 2001). Orbene, i citati decreti legislativi n. 127, n. 128 e n. 138 del 4 giugno 2003 prevedono per il C.N.R. (art. 15, comma 7, d.lgs. n. 127/2003) per l�A.S.I. (art. 13, comma 7, d.lgs. n. 128/2003) e per l�I.N.A.F. (art. 14, comma 7, d.lgs. n. 138/2003) che tali enti si avvalgono del patrocinio dell�Avvocatura Generale dello Stato, difformemente da quanto contemplato dalle previgenti disposizioni, che attribuivano tout court il patrocinio all�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (si vedano i citati d.p.c.m. 21 maggio 1999, 1 settembre 1999 e 29 settembre 2001). Ove si muovere da una prospettiva che muove da una interpretazione strettamente letterale delle norme citate, la limitazione alla sola Avvocatura Generale dello Stato ivi contenuta del patrocinio degli enti, potrebbe creare non pochi inconvenienti nei giudizi che rientrano nella competenza territoriale delle Avvocature Distrettuali, la cui attivit� defensionale verrebbe ad esporsi al fondato rilievo dei difensori di controparte del difetto di jus postulandi, in forza del richiamo alle sopra riferite disposizioni che limitano il patrocinio degli enti in questione alla sola Avvocatura Generale dello Stato. Il che, in definitiva, potrebbe condurre alla declaratoria della inammissibilit� dell�attivit� processuale compiuta dagli Uffici Distrettuali dell�Avvocatura dello Stato nei giudizi in cui siano parti il C.N.R., l�A.S.I. e l�I.N.A.F. Le disposizioni in esame, inoltre, nel conferire il patrocinio alla sola Avvocatura Generale dello Stato sembrano porsi in contrasto con la ripartizione della competenza a livello territoriale tra l�Avvocatura Generale e le Avvocature Distrettuali delineata dai commi 1 e 2 dell�art. 9, l. 3 aprile 1979, n. 103, fondata - quanto all�attivit� processuale - sul criterio della localizzazione del giudice competente. Onde sgombrare il campo da equivoci, sarebbe opportuno emanare norme correttive delle disposizioni in esame, nel senso della previsione del patrocinio del C.N.R., dell�A.S.I. e dell�I.N.A.F. all�Avvocatura dello Stato, senza ulteriori specificazioni, cos� come �, ad esempio, avvenuto di recente in relazione all�E.R.S.U. (Ente per il diritto allo studio universitario di Messina), all�Au- (93) Si veda, Cass. civ., sez. un., 19 gennaio 2001, n. 11, in Foro it., 2001, I, 1172. TEMI ISTITUZIONALI 47 torit� d�ambito ottimale della Sardegna, il cui patrocinio, per entrambi gli enti, � stato affidato all�Avvocatura dello Stato con d.p.c.m. 7 settembre 2005 (in Gazz. Uff., 21 ottobre 2005, n. 246); al P.A.M. (Programma Alimentare Mondiale ONU/FAO), il cui patrocinio � stato affidato all�Avvocatura dello Stato con d.p.c.m. 25 giugno 2004 (in Gazz. Uff., 14 settembre 2004, n. 216), all�A.I.P.O. (Agenzia per il fiume Po), il cui patrocinio � stato affidato all�Avvocatura dello Stato con d.p.c.m. 18 aprile 2003 (in Gazz. Uff., 23 giugno 2003, n. 143), all�U.N.I.R.E. (Unione nazionale incremento razze equine), il cui patrocinio � stato affidato all�Avvocatura dello Stato con d.p.c.m. 18 aprile 2003 (in Gazz. Uff., 18 giugno 2003, n. 139), all�ISPRA (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale), il cui patrocinio � stato affidato all�Avvocatura dello Stato dall�art. 28, comma 6-bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (in Suppl. ordinario n. 152 alla Gazz. Uff., 25 giugno 2008, n. 147) (94), inserito, in sede di conversione, dall�art. 1, comma 1, l. 6 agosto 2008, n. 133. Il patrocinio, invece, dell�Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell�Autonomia Scolastica istituita con la Legge Finanziaria 2007 n. 296/2006 e che subentra all�Indire e agli Irre regionali, ha sede a Firenze ed � pertanto difesa dall�Avvocatura dello Stato di Firenze (95). Gli esempi potrebbero continuare. Tale formulazione per cos� dire �neutra� consentirebbe il riespandersi (94) E� da notare che, ai sensi dell�art. 28, comma 2, d.l. n. 112/2008, l�Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) svolge le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie strumentali e di personale, dell�Agenzia per la protezione dell�Ambiente e per i servizi tecnici di cui all�art. 38, d.lgs. n. 300/1999, in relazione alla quale, il successivo art. 39, nel definire le funzioni svolte dalla suddetta Agenzia, nulla prevedeva in ordine al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. Inoltre, alcuna disposizione concernente il patrocinio dell�Agenzia per la protezione dell�ambiente e per i servizi tecnici era contenuta nel d.P.R. 8 agosto 2002, n. 207 (in Gazz. Uff., 21 settembre 2002, n. 222), regolamento recante l�approvazione dello statuto dell�agenzia in questione, emanato ai sensi dell�art. 17, comma 2, l. n. 400/1988. Sicch�, in mancanza di una norma autorizzativa, analoga a quella prevista per le agenzie fiscali dall�art. 72, d.lgs. n. 300/1999, non era consentito ritenere che all�Avvocatura dello Stato potesse spettare il patrocinio della soppressa Agenzia per la protezione dell�ambiente e dei servizi tecnici. Il che strideva con l�ampia gamma di funzioni, prima di spettanza del Ministero dell�Ambiente, attribuite all�agenzia dagli artt. 38 e 39 (punto sub. a e b), d.lgs. n. 300/1999, per come specificate dal regolamento n. 207/2002 di approvazione dello statuto (art. 2), tra cui spiccavano le attivit� tecnico scientifiche di interesse nazionale per la protezione dell�ambiente, per la tutela della risorse idriche e per la difesa del suolo. La questione � stata superata per effetto dell�art. 28, comma 6-bis, d.l. n. 112/2008, che ha previsto il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato per il neo-istituito Istituto Superiore per la ricerca ambientale, che svolge le funzione della cessata Agenzia per la protezione dell�ambiente e per i servizi tecnici. (95) L'Ente � stato fondato nel 1925 e divenne, con il Ministro Bottai, Museo nazionale della scuola italiana nel 1939. Negli anni '50 l'Istituto assunse il nome di Centro didattico di studi e di innovazione e, successivamente, di Biblioteca di documentazione pedagogica, per divenire poi Indire - Istituto Nazionale di Documentazione per l'Innovazione e la Ricerca Educativa, denominazione con la quale � stata varata la sua riforma nel 2001 da parte del Governo. A Gennaio 2007, con l�entrata in vigore della Finanziaria (Legge n. 296/2006), come gi� detto, Indire � divenuto Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell�Autonomia Scolastica. L�Ente ha mantenuto sempre la stessa sede: dal 1925 si trova nel centro di Firenze, nel quartiere di Santa Croce, all'interno di Palazzo Gerini (v. il sito www.indire.it). 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 anche in relazione a tali enti del criterio territoriale di riparto delle competenze tra l�Avvocatura Generale dello Stato e le Avvocature Distrettuali fondato sulla localizzazione del giudice innanzi al quale pende il giudizio, in armonia con quanto previsto dal citato art. 9, l. n. 103/1979. 9. Il patrocinio erariale delle Regioni In aggiunta al patrocinio obbligatorio delle amministrazioni dello Stato (art. 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611) ed al patrocinio autorizzato degli enti diversi dallo Stato (art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611), l�ordinamento contempla anche il c.d. patrocinio speciale delle regioni a statuto ordinario e di quelle a statuto speciale (96). 9.1. Il patrocinio delle regioni ordinarie: la bipartizione delle forme di jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato nelle convergenti interpretazioni della Suprema Corte e del Consiglio di Stato Per le regioni a statuto ordinario, in via generale, l�art. 107, comma 3, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 prevede che esse possano �avvalersi del patrocinio legale e della consulenza dell�Avvocatura dello Stato�, eccezion fatta per i giudizi in cui sono parti l�amministrazione dello Stato e le regioni e delle ipotesi di litisconsorzio attivo. Per il litisconsorzio passivo, � possibile che l�Avvocatura dello Stato assume congiuntamente la difesa della regione e dell�amministrazione dello Stato, qualora non sia conflitto d�interesse tra i due enti (art. 107, ult. comma, d.P.R. n. 616/1977). Si tratta di quella tipologia di patrocinio erariale della regione che viene, comunemente, definita come facoltativa, in quanto demandata alla discrezionalit� dell�ente regionale, secondo le prescrizioni dei relativi statuti, da esercitarsi con riferimento ad una singola lite o ad una categoria di (96) Sul patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore delle regioni, per approfondimenti, si v.: ALBENZIO, Il patrocinio delle regioni da parte dell�avvocatura dello stato: nuove forme e strutture, in Foro it., 1989, III, 308; BIORCI, Il punto delle sezioni unite sulle modalit� di esercizio del patrocinio erariale in favore delle regioni a statuto ordinario, in Giur. it., 2005, 1234; CARBONE, Avvocatura dello Stato ed art. 10 della l. 3 aprile 1979 n. 103, in Giust. civ., 1983, I, 590; IMPAGNATIELLO, Avvocatura dello stato e patrocinio delle regioni a statuto ordinario, in Foro it., 1997, I, 3344; MANZARI, op. cit., 100; MEZZOTERO, Il patrocinio �erariale� delle Regioni a statuto ordinario (nota a Cass. Sez. Unite Civili, sentenza 29 aprile 2004 n. 8211), in www.lexitalia.it, n. 6/2004; MUTARELLI, Patrocinio �facoltativo � delle regioni a statuto ordinario da parte dell�avvocatura dello stato e mandato ad litem, in Giur. it., 1998, 667; ID., Mandato ad litem e ius postulandi dell�Avvocatura dello Stato (note a margine di Cass., Sez. Unite, 13 marzo 2009, n. 6065), in www.lexitalia.it, n. 4/2009; PAVONE, op. cit., 277 ss.; SCINO, op. cit., 625-626; SEGRETO, Il patrocinio delle regioni a statuto ordinario da parte dell�avvocatura dello stato, in Arch. civ., 1997, 137; RAGO, Relazione sul patrocinio delle amministrazioni pubbliche, in Rass. avv. St., 2003, 4, 1; TROIANO, Avvocatura dello stato e patrocinio delle regioni a statuto ordinario, in Foro it., 1996, I, 270. TEMI ISTITUZIONALI 49 giudizi (97). Successivamente, il legislatore, introdusse una disciplina organica e completa del patrocinio regionale, prevedendo, con l�art. 10, l. 3 aprile 1979, n. 103, la possibilit� per le regioni a statuto ordinario di avvalersi di una forma di patrocinio istituzionale o sistematico da parte dell�Avvocatura dello Stato, con salvezza, in ogni caso, della facolt� delle regioni, che pur abbiano optato per un tale tipo di patrocinio erariale, di farsi assistere �in particolari casi e con provvedimento motivato�da avvocati del libero foro (art. 10, comma 5, l. n. 103/1979). Il ricorso da parte delle regioni ordinarie al patrocinio istituzionale o sistematico dell�Avvocatura dello Stato presuppone un�espressa manifestazione di volont� in tal senso, ovviamente revocabile (98), da adottarsi con deliberazione del Consiglio Regionale e da pubblicarsi per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nel Bollettino Ufficiale della Regione (art. 10, comma 1, l. n. 103/1979). L�adozione di siffatta delibera comporta l�equiparazione della regione alle amministrazioni dello Stato riguardo al regime processuale applicabile, rendendosi automaticamente applicabili le norme che regolano lo jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato di cui al R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611: operer�, pertanto, la regola del c.d. foro erariale e quella che impone la notifica degli atti introduttivi dei giudizi presso la sede della competente Avvocatura dello Stato, come espressamente disposto dal comma 2 dell�art. 10, l. n. 103/1979, che richiama gli artt. 25 e 144 c.p.c.(99). In mancanza di apposita delibera del Consiglio regionale, emessa ai sensi dell�art. 10, l. n. 103/1979, diretta all�assegnazione del patrocinio della regione all�Avvocatura dello Stato in via istituzionale e sistematica, operer�, comunque, il regime generale del ministero facoltativo dell�Avvocatura dello Stato, di cui al citato art. 107, d.P.R. n. 616/1977, non essendo stata abrogata tale disposizione dalla successiva disciplina recata dalla legge del 1979. Si tratta, infatti, di norme che devono ritenersi coesistenti, in quanto �aventi diversi raggi d�azione�(100); infatti, l�art. 107, comma 3, d.P.R. 24 luglio 1977, n. (97) In tal senso, condivisibilmente, PAVONE, op. cit., 298; sui presupposti per l�esercizio della facolt� della regione di ricorrere al patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello Stato, cfr., ITRI, op. cit., 5; CAPACCIOLI-SATTA, Commento al decreto 616, vol. II, Milano, 1980, 1855. (98) Sul punto, ALBENZIO, op. cit., 308 ss. (99) Cfr., con riferimento alla regione Abruzzo, Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2005, n. 13893, in Foro it., 2006, IV, 1154; con riferimento alla regione Molise, T.A.R. Molise, 16 gennaio 2003, n. 13, in Foro amm. TAR, 2003, 225 (m) e per esteso in www.giustizia-amministrativa.it; si vedano, inoltre, Cons. St., sez. IV, 13 ottobre 2003, n. 6189, in Foro amm. CdS, 2003, 2936; id., 5 aprile 2003, n. 1814, ivi, 1273; id., 2 marzo 2001, n. 1159, ivi, 2001, 342; per ulteriori riferimenti a precedenti pi� risalenti, v. PAVONE, op. cit., 292. (100) L�osservazione � di SCINO, op. cit., 626, che richiama, in proposito, Cass. civ., sez. un., 15 marzo 1982, n. 1672, in Giust. civ., 1983, I, 582; ad identica conclusione sulla possibile coesistenza dei due regimi di patrocinio (facoltativo ed istituzionale), perviene PAVONE, op. cit., 298 e ss., in part. 300, nt. 6, ove ulteriori riferimenti giurisprudenziali in tal senso; nonch� MANZARI, op. cit., 94. 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 616, sull�ordinamento regionale e l�organizzazione della pubblica amministrazione, che include le regioni a statuto ordinario fra gli enti dei quali l�avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e difesa in giudizio, secondo il regime previsto per le amministrazioni non statali (artt. 43, 45 e 47, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611), non � stato abrogato (tacitamente) dall�art. 10, l. 3 aprile 1979, n. 103, recante modifiche dell�ordinamento dell�Avvocatura dello Stato, atteso che tale ultima norma, nel prevedere che le funzioni dell�Avvocatura medesima nei riguardi dell�amministrazione statale sono estese alle regioni a statuto ordinario, ove decidano di avvalersene con apposita delibera (� il caso, ad esempio, della Regione Molise), contempla la possibilit� per dette regioni di conseguire l�applicazione dell�intero regime processuale speciale regolante l�assistenza legale ed il patrocinio delle amministrazioni dello stato, ma non esclude, in difetto di quella delibera, la persistenza dello jus postulandi dell�Avvocatura secondo il regime richiamato dal suddetto art. 107. Comunque sia, dunque, le regioni che non adottino la delibera di cui all�art. 10 e che, di conseguenza, preferiscano non avvalersi del regime istituzionale, possono ricorrere al c.d. patrocinio facoltativo di cui all�art. 107, d.P.R. n. 616/1977. Tale norma ha incluso, infatti, le Regioni tra gli enti dei quali l�Avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa secondo il regime di cui al titolo III del t.u. cit., il cui art. 45 espressamente richiama l�art. 1, comma 2. La Suprema Corte (101) - con la quale concorda espressamente il Consiglio di Stato (102) - ha, infatti, rilevato che le due norme disciplinanti il ricorso al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato da parte delle Regioni a statuto or- (101) Cass. civ., sez. un., 13 febbraio 2009, n. 6065; Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2007, n. 6166; Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2004, n. 8211, citt.; in tutte questioni la Suprema Corte, nel ribadire la non necessit� dell�esibizione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante dell�ente ad agire o resistere in giudizio ed il rilascio di un mandato ad litem in favore dell�Avvocatura dello Stato, il cui patrocinio (facoltativo) trova fondamento espresso l�espresso nell�art. 107, d.P.R. n. 616/1977, da ritenersi pienamente in vigore, ha osservato che la costituzione con legge regionale di un servizio legale interno, cui venga istituzionalmente demandato il patrocinio e l�assistenza in giudizio della Regione (nella specie: art. 3, l. reg. 17 aprile 1984, n. 24, successivamente abrogata dalla l. reg. 13 maggio 1996, n. 7, che all�art. 10, comma 1, ha istituito l�Avvocatura regionale calabrese), non comporta - nel silenzio della legge - la rinunzia della Regione stessa di avvalersi del patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello stato, n� configura una abrogazione tacita dell�art. 107, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. (102) Cons. St., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4281, cit., ove il Collegio, a proposito della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 29 aprile 2004, n. 8211, osserva: �Quest�ultima sentenza, che si condivide, � riassuntiva dei diversi orientamenti presenti sulla questione, precisando che attualmente sussistono tre distinte forme di patrocinio dell'Avvocatura dello Stato: quello "obbligatorio" proprio dello Stato, di cui si sono avvalse in tempi passati anche le Regioni a statuto speciale a seguito di specifiche norme; quello "facoltativo", introdotto dall'art. 107 d.P.R. n. 616/1977, che si � limitato ad includere le Regioni a statuto ordinario fra gli enti dei quali l'Avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa secondo il regime di cui agli artt. 43, 45 e 47 del T.U. n. 1611 del 1933; quello, infine, "sistematico", regolato dall�art. 10 l. 103/1979 che consegue anche esso ad una libera scelta della Regione, che - una volta operata e fino a quando la relativa deliberazione del consiglio regionale non venga revocata - investe tendenzialmente tutta l'assistenza legale di cui la Regione possa avere bisogno, determinando anche effetti processuali nei riguardi dei terzi�. TEMI ISTITUZIONALI 51 dinario, cio� l�art. 107, d.P.R. n. 616/1977 (che consente alle Regioni il ricorso, facoltativo, al patrocinio e alla consulenza dell�Avvocatura) e l�art. 10, l. n. 103/1979 (che estende in maniera sistematica alla Regione - che, tramite deliberazione del Consiglio Regionale, decida di avvalersene - le funzioni che l�Avvocatura dello Stato svolge nei riguardi delle amministrazioni statali), non si trovano rispettivamente in una situazione di norma abrogata e norma abrogante. Ci� in quanto la normativa successiva, ossia la l. n. 103/1979, non ha espressamente abrogato l�art. 107, d.P.R. n. 616/1977, n� ha disciplinato ex novo e in maniera completa l�intera materia del patrocinio delle Regioni, tanto da poterne inferire un�abrogazione tacita di detto articolo. La legge 103 ha semplicemente aggiunto alla mera facolt� di ricorrere, caso per caso, al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ex art. 107, la possibilit�, sulla base di una libera scelta della Regione, di avvalersi di tale patrocinio in maniera sistematica, secondo lo statuto tipico delle amministrazioni statali. Al riguardo, � stato anche evidenziato (103) che la persistenza della facolt� delle regioni di avvalersi del patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello Stato pur dopo l�entrata in vigore della l. n. 103 del 1979 trova, altres�, fondamento nella considerazione che l�efficacia abrogativa della precedente normativa non pu� sostenersi neanche sulla base di una (presunta) collocazione dell�ente regionale nell�assetto organizzativo dell�amministrazione statale, n� sulla base di un (ipotetico) ruolo dell�Avvocatura dello Stato di obbligatoria assistenza legale allo Stato nella sua unit�. La Costituzione, infatti, ha posto sempre la Regione - anche prima della riforma dell�art. 117 ad opera dell�art. 3, l. 18 ottobre 2001, n. 3 - in una posizione di �separatismo duale� rispetto allo Stato ed alle sue prerogative. In nessun caso (sia che si tratti di patrocinio facoltativo ex art. 107, d.P.R. n. 616/1977, sia che si tratti di patrocinio istituzionale ex art. 10, l. n. 103/1979), comunque, sussiste la necessit� della deliberazione di conferimento del mandato all�Avvocatura dello Stato e di qualsiasi preventiva richiesta di assistenza da parte dell�ente, come invece erroneamente ritenuto dal T.A.R. del Lazio nella decisione in commento (104). Giammai la legge regionale pu� prevedere, in tema di rappresentanza e difesa in giudizio delle regioni da parte (103) Cons. St., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4281, cit. (104) Cfr., nella giurisprudenza della Suprema Corte, tra le pi� recenti, Cass. civ., sez. un., 13 marzo 2009, n. 6065; Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2007, n. 6166 e Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2004, n. 8211, citt. Il principio � assolutamente consolidato anche nella giurisprudenza amministrativa: cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4821, cit.; in precedenza, si v.: Cons. St., sez. VI, 8 ottobre 1984, n. 685, in Riv. giur. ed., 1985, I, 356 (patrocinio della regione Lombardia); Cons. St., sez. IV, 8 ottobre 1985, n. 414, in Giur. it., 1986, III, 1, 266, che ha ritenuto ammissibile l�appello proposto dall�Avvocatura generale dello Stato nell�interesse di una regione a statuto ordinario, in mancanza di mandato ad litem, derivando il suo jus postulandi dall�art. 107, d.P.R. n. 616/1977; Cons. St., sez. IV, 9 giugno 1993, n. 591, in Foro amm., 1993, 1247 (patrocinio della regione Lombardia); Cons. St., sez. V, 2 febbraio 1995, n. 182, in Foro amm., 1995, 344 e in Cons. Stato, 1995, I, 206 (patrocinio della regione Lazio); Cons. 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dell�Avvocatura dello Stato (nemmeno nelle regioni a statuto speciale), la necessit� del mandato specifico all�Avvocatura stessa, avendo lo Stato legislazione esclusiva in materia di giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale e giustizia amministrativa (art. 117, lett. c, Cost.), con la sola possibilit� di attribuire condizioni particolari di autonomia limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace. Nessuna differenza sussiste, infatti, tra le ipotesi di patrocinio �facoltativo� e patrocinio �sistematico� quanto alla non necessit� del mandato all�Avvocatura medesima, stante il rinvio dell�art. 45 del t.u. n. 1611 del 1933 alla norma (di portata generale) di cui all�art. 1, comma 2, dello stesso testo unico. Ecco perch�, pur nel caso di patrocinio �facoltativo�, l�Avvocatura dello Stato non � onerata della produzione della delibera del competente organo regionale volta ad autorizzare il legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio, n� dell�esibizione di un mandato ad litem. La necessit� della produzione del provvedimento di autorizzazione si configura solo allorquando vi sia da parte della Regione conferimento del mandato ad avvocati del libero foro (105). La posizione assunta al riguardo dalla giurisprudenza � assolutamente inequivocabile: �non solo non � richiesto il rilascio del mandato all�Avvocato dello St., sez. IV, 13 maggio 1996, n. 607, in Foro amm., 1996, 1480 e in Cons. Stato, 1996, I, 765 (patrocinio della regione Lazio); id., 10 giugno 1996, n. 793, in Foro amm., 1996, 1950 e in Cons. Stato, 1996, I, 999 (patrocinio della regione Sardegna); Cons. St., sez. V, 2 gennaio 1997, n. 25, in Cons. Stato, 1997, I, 44 e in Foro amm., 1997, 134 (patrocinio regione Abruzzo); Cons. St., sez. IV, 24 marzo 1998, n. 494, in Cons. Stato, 1998, I, 366 e in Giur. it., 1998, 1728 (patrocinio della regione Puglia); id., 4 ottobre 1999, n. 1509, in Foro amm., 1999, 2044 e in Cons. Stato, 1999, I, 1537 (patrocinio regione Calabria); id., 2 marzo 2001, n. 1159, cit. (patrocinio della regione Lazio), ove si osserva: �Quando una regione a statuto ordinario decide di avvalersi del patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 107, comma 3, del d.p.r. 24 luglio 1977 n.616, affidando a quest�ultima la propria difesa in un singolo giudizio, si rendono automaticamente applicabili le norme che regolano lo jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato di cui al r.d. 30 ottobre 1933, n.1611, ad eccezione di quelle riferibili esclusivamente alla difesa delle Amministrazioni dello Stato (come, per esempio, l�art.6 sul c.d. foro erariale) e salve le espresse eccezioni di legge (comՏ il caso degli artt.25 e 144 c.p.c., applicabili anche alle regioni a statuto ordinario che abbiano affidato la propria difesa giudiziale in modo esclusivo e sistematico all�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art.10 della legge 3 aprile 1979, n.103). Ai sensi del comma 2 dell�art.1 del predetto r.d. n.1611 del 1933 gli avvocati dello Stato non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti la loro qualit��.. Del resto, la differenza tra il patrocinio sistematico dell�Avvocatura dello Stato in favore delle regioni a statuto ordinario (art.1 della legge n. 103/1979) e quello facoltativo (ex art. 107, comma 3, del d.p.r. n. 616/1977) non (pu� implicare e non) implica (per la stessa ratio di semplificazione e di organizzazione che permea il citato d.p.r. n. 616/1977) alcuna differenza circa l�ambito delle funzioni dell�Avvocatura dello Stato e le relative modalit� di svolgimento, ma attiene esclusivamente ad una modalit� organizzativa propria dell�ente regionale, di scegliere le modalit� difensive che meglio ritiene utili ai suoi interessi�. (105) Cons. St., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4281, cit., che richiama, sul punto, Cass. civ., sez. un., 13 marzo 1999, n. 182, in Giust. civ., 1999, I, 3337 e 4 novembre 1996, n. 9523, in Foro it., 1997, I, 3343, con nota di IMPAGNATIELLO, cit. e in Giur. it., 1998, 667, con nota di MUTARELLI, cit. TEMI ISTITUZIONALI 53 Stato, essendo sufficiente soltanto che risulti la sua qualit�, ma (�) non � necessario che nei singoli giudizi, le Regioni o gli enti suddetti producano (�) il provvedimento del competente organo recante l�autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio; ed invero la stessa assunzione di iniziativa giudiziaria da parte della Avvocatura dello Stato comporta la presunzione juris et de jure di esistenza di un valido consenso e di piena validit� dell'atto processuale compiuto, lasciando nell�ambito del rapporto interno le questioni provenienti dalla inosservanza di regole di formazione del consenso stesso�(106). Tale orientamento giurisprudenziale � stato, di recente, riconfermato dalle Sezioni Unite (107) escludendo che, nell�esercizio dello jus postulandi in favore delle Regioni a statuto ordinario, l�Avvocatura dello Stato necessiti di specifico mandato, ancorch� agisca nell�ambito del c.d. patrocinio facoltativo di cui all�art. 107, d.P.R. n. 616/1977, n� pu� ritenersi onerata della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio, non potendosi ritenere abrogato, n� espressamente n� tacitamente, l�art. 107, d.P.R. n. 616/1977. Del resto, come gi� chiarito dalla Suprema Corte (108), il regime del patrocinio facoltativo ex art. 107, d.P.R. n. 616/1977 non pu� dirsi cessato neppure quando la regione abbia istituito un servizio legale interno (c.d. Avvocatura regionale), la cui istituzione non comporta una tacita abrogazione di una norma di carattere generale e soprattutto di natura statale, quale quella di cui al citato art. 107; infatti, dalla ratio e dalle finalit� sottese alla norma regionale istitutiva del servizio legale dell�ente non si pu� evincere una volont� di definitiva rinuncia da parte della Regione al patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello Stato, n� tantomeno trarsi la conclusione della l�istituzionalizzazione del patrocinio dell�Avvocatura Regionale, come dimostra la recente vicenda che ha interessato la Regione Lombardia (109). Risulta, quindi, definitivamente superato quell�indirizzo giurispruden- (106) Cfr., in questi termini, Cass. civ., sez. I, 5 settembre 2003, n. 12942 cui adde Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2003, n. 4564, cit.; nello stesso senso, v., pure: Cass. civ., sez. I, 14 marzo 2001, n. 3677, in Giust. civ. Mass., 2001, 477, relativa al patrocinio della regione Sardegna; Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523, cit., relativa al patrocinio della regione Lazio; Cass. civ., sez. un., 3 ottobre 1996, n. 8648, cit., relativa al patrocinio della regione Puglia; Cass. civ., sez. un., 2 marzo 1987, n. 2184, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 3 e Cass. civ., sez. un., 2 luglio 1980, n. 4171, in Giust. civ., 1981, I, 337; in Foro it., 1981, I, 2805 e in Giur. it., 1981, I, 1, 1094, entrambe relative al patrocinio della regione Sardegna. Di recente, nella stessa direzione, Cass. civ., sez. un., 13 marzo 2009, n. 6065, relativa al patrocinio della regione Calabria; Cons. St., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4821, relativa al patrocinio della regione Lazio; Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2007, n. 6166 e Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2004, n. 8211, citt., entrambe relative al patrocinio della regione Calabria. (107) Cass. civ., sez. un., 13 marzo 2009, n. 6065, su cui si v. il commento adesivo di MUTARELLI, Mandato ad litem e jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato, www.lexitalia.it, n. 3/2009. (108) Cfr., nt. precedente, nonch�, funditus, Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2004, n. 8211, cit. (109) Con specifico riferimento alla legittimit� di un patrocinio per cos� dire istituzionale dell�Avvocatura regionale nell�interesse di enti ed organi della Regione, merita di essere segnalato che 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 ziale, risalente ad una decisione della Suprema Corte del 1994, secondo cui la costituzione da parte della regione di un proprio servizio legale interno renderebbe necessario il rilascio di apposito mandato ad litem all�Avvocatura dello Stato, qualora la regione non avesse optato per il patrocinio istituzionale ex art. 10, l. n. 103/1979 (110), decisamente abbandonato dalla successiva giurisprudenza amministrativa (111), poi seguita dalla Suprema Corte nei citati arresti del 2004, 2007 e 2009. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, ord. 7 febbraio 2008, n. 27 (in www.giustamm.it) ha sollevato questione di costituzionalit�, con riferimento agli artt. 117, commi 2 e 3, e 24, commi 1 e 2, Cost., dell�art. 1, comma 2, lett. b), l. reg. Lombardia 27 dicembre 2006, n. 30 (Disposizioni legislative per l�attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell�articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 - Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilit� della Regione), nella parte in cui dispone che gli enti pubblici indicati dalla Giunta regionale si avvalgono, di norma, del patrocinio dell�Avvocatura regionale per la difesa di atti o attivit� connessi ad atti di indirizzo e di programmazione regionale; che la rappresentanza in giudizio � disposta conformemente agli ordinamenti dei singoli enti; che i rapporti tra i soggetti individuati e l�amministrazione regionale sono regolati da apposite convenzioni; e infine che la rappresentanza rimane esclusa nei casi di conflitto di interessi e per atti e attivit� inerenti all�organizzazione degli enti. La Corte cost., con ord. 13 febbraio 2009, n. 43 (in www.lexitalia.it., n. 2/2009), ha disposto la restituzione degli atti al giudice remittente, constatato che, successivamente alla proposizione della questione, � entrata in vigore la l. reg. Lombardia 23 dicembre 2008, n. 33, la quale, all�art. 10, contiene una disposizione che, sostituendo quella censurata, esplicitamente abroga l�obbligo, per gli enti pubblici operanti nell�ambito della Regione Lombardia, di far ricorso agli avvocati della Regione e stabilisce, a loro carico, un mero onere di comunicazione dell�esistenza della vertenza alla Giunta della Regione. (110) In tal senso, Cass. civ., sez. un., 13 aprile 1994, n. 3465, in Giust. civ., 1995, I, 791, con nota di TROIANO, Avvocatura dello Stato e patrocinio delle Regioni a statuto ordinario, con la quale era stato dichiarato inammissibile per carenza di mandato il ricorso per cassazione proposto dall�Avvocatura dello Stato nell�interesse della Regione Calabria che, con l. reg. 17 aprile 1984, n. 24 (art. 3) aveva costituito proprio servizio legale interno, istituzionalmente demandato al patrocinio e all�assistenza in giudizio; nello stesso senso, quanto alla necessit� del mandato ad litem, nel caso in cui la regione avesse istituito un servizio legale con legge regionale, Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523, su cui si v. il commento di MUTARELLI, Patrocinio �facoltativo� delle regioni a statuto ordinario, cit., 667 ss., ove la Corte, con riferimento alla regione Lazio, ha osservato che sia nel caso del patrocinio facoltativo, sia nel regime sistematico non � necessario, per i singoli giudizi, uno specifico mandato all�Avvocatura stessa; essendo, invece, necessario uno specifico provvedimento (talvolta soggetto al visto degli organi di vigilanza), nel caso in cui la regione voglia escludere tale rappresentanza, per affidarla a privati professionisti. Da ci� consegue che l�Avvocatura dello Stato, ove agisca in giudizio per una regione, non avendo necessit� di apposito mandato, non � neanche onerata dalla produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio. La diversa soluzione - come precisa la Corte in tale decisione - s�impone per quelle regioni che, come la Calabria, abbiano istituito un servizio legale interno con legge regionale. Del superamento definitivo di tale orientamento si d� atto, di recente, da parte di Cons. St., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4281, cit. (111) In particolare, significativa risulta, proprio con riferimento alla tematica del patrocinio della regione Calabria, che aveva istituito con legge un servizio legale interno, Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509, cit., nella quale testualmente si afferma: �A norma del combinato disposto degli artt.1, secondo comma 43 e 45 del r.d. 1611/1933, gli avvocati dello Stato, sia che rappresentino lo Stato, sia che rappresentino un ente pubblico ammesso al patrocinio, non hanno bisogno di mandato per svolgere la loro funzione in sede giudiziaria, essendo sufficiente che consti la loro qualit�; pertanto, non occorrono n� un atto di conferimento del mandato, n� una deliberazione di autorizzazione a stare in giudizio. In quella stessa circostanza il Collegio ha, inoltre, precisato che: �Per le Amministrazioni statali e per TEMI ISTITUZIONALI 55 I principi illustrati portano ad escludere che si possa apportare modifiche, attraverso interventi legislativi regionali, ad una normativa, quale quella dell�esercizio dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato, che, anche per le sue rilevanti ricadute di natura processuale, � di competenza esclusiva dello Stato, come � attestato dal vigente testo dell�art. 117 Cost., che devolve, appunto, alla legislazione esclusiva dello Stato anche la materia riguardante l�ordinamento e l�organizzazione amministrativa dello Stato (comma 2, lett. f) e quella attinente alle norme processuali (comma 2, lett. i). In definitiva, il quadro normativo sopra tratteggiato, come delineato dagli univoci ed orami convergenti orientamenti della giurisprudenza ordinaria ed amministrativa, consente di sostenere che le forme di patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore delle regioni a statuto ordinario possono essere distinte secondo la seguente bipartizione tipologica: 1.- patrocinio sistematico, sulla base di una delibera del Consiglio Regionale, contemplata dall�art. 10, l. n. 103/1979, su proposta della Giunta Regionale; a tale atto deliberativo andr� poi assicurata adeguata pubblicit�, in ragione delle rilevanti conseguenze erga omnes, mediante pubblicazione sia sul B.U.R. di riferimento sia sulla G.U. della Repubblica Italiana (112). L�adozione della deliberazione in questione, che attiene all�intera assistenza legale della Regione, comporta l�applicazione del disposizioni di cui al titolo I del t.u. n. 1611/33, il cui art. 1, comma 2, prevede che: �Gli avvocati dello Stato, esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualit��; 2.- patrocinio facoltativo, ex art. 107, d.P.R. n. 616/1977, che in sostanza ha incluso le Regioni tra gli enti dei quali l�Avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa secondo il regime di cui al titolo III del t.u. cit., il cui art. 45 espressamente richiama l�art. 1, comma 2. 9.2. Il patrocinio delle regioni a statuto speciale Per le Regioni a statuto speciale sono state emanate apposite norme, che hanno attribuito lo jus postulandi all�Avvocatura dello Stato, rendendolo obbligli enti pubblici ammessi al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, alla medesima Avvocatura spetta ope legis la rappresentanza e difesa in giudizio, senza che occorra un atto deliberativo diretto a tali fini, mentre la delibera di siffatto patrocinio � richiesta � ai sensi dell�art. 41, comma 4�, del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 � nel diverso caso in cui l�Amministrazione intenda affidare la propria difesa a liberi professionisti�. (112) Allo stato, l�unica regione che si avvale del patrocinio istituzionale dell�Avvocatura dello Stato � la regione Molise, il cui Consiglio regionale, su proposta della G.R. Molise del 16 ottobre 1996, ha deliberato di avvalersi delle predetta facolt�, giusta delibera C.R. n. 368 del 17 novembre 1998, pubblicata sul B.U.R.M. n. 24 del 16 dicembre 1998 e sulla Gazz. Uff. della Repubblica. 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 gatorio: v. l�art. 1, d.l. 2 marzo 1948, n. 142 per la Sicilia; l�art. 55, d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 per la Sardegna; l�art. 1, d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 78 per il Friuli Venezia-Giulia; l�art. 59, l. 16 maggio 1978, n. 196, per la Valle d�Aosta. La fonte del patrocinio obbligatorio ed esclusivo dell�Avvocatura dello Stato a favore delle Regioni a statuto speciale (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna, Valle d�Aosta) (113) � costituita dalle varie disposizioni contenute nei singoli statuti, approvati, comՏ noto, con legge costituzionale, nonch� nelle diverse disposizioni di attuazione. In questi casi, il patrocinio viene esercitato con le modalit� previste dall�art. 1, R.d. n. 1611/1933 (114) (salvo che per la regione Sardegna e per quella Friuli Venezia Giulia, i cui rispettivi statuti sono stati modificati, degradando il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato da obbligatorio a facoltativo). E, dunque, la sussistenza del patrocinio obbligatorio per le Regioni a statuto speciale comporta la applicabilit� degli stessi principi del patrocinio delle Amministrazioni statali (oltrech� la non necessit� del mandato, l�obbligo della notifica degli atti giudiziari presso la competente Avvocatura dello Stato e l�applicazione del foro dello Stato) (115). (113) Per la regione autonoma della Valle d�Aosta, l�art. 59, l. 16 maggio 1978, n. 196, ha esteso le funzioni dell�Avvocatura dello stato nei riguardi dell�amministrazione statale all�amministrazione regionale della Valle d�Aosta (comma 1), con espressa previsione dell�applicabilit�, nei suoi confronti, delle disposizioni del testo unico e del regolamento, approvati, rispettivamente, con i regi decreti 30 ottobre 1933 n. 1611 e n. 1612, e successive modificazioni, nonch� degli art. 25 e 144 c.p.c. (comma 2), ha altres� previsto (comma 3) che le disposizioni dei commi precedenti non si applicano nei giudizi in cui sono parte l�amministrazione dello Stato e l�amministrazione regionale, eccettuato il caso di litisconsorzio attivo. In giurisprudenza, con riferimento al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato della regione Valle d�Aosta, v. Cons. St., sez. VI, 24 gennaio 1989, n. 28, in Cons. Stato, 1989, I, 57, che affermato l�applicabilit�, nei confronti della regione Valle d�Aosta, delle disposizioni contenute nel t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611, e, in particolare, nella specie, dell�art. 1, comma 2, che esclude la necessit� del mandato per gli avvocati e procuratori dello Stato, bastando che consti la loro qualit�. (114) In dottrina, amplius, v. PAVONE, op. cit., 282; nonch�, IMPAGNATIELLO, op. cit., 3347. (115) In proposito, con riferimento alla regione siciliana, cfr., di recente, Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2006, n. 13197, in Giust. civ. Mass., 2006, 1089 ha osservato che �nelle ipotesi di patrocinio ex lege dell�avvocatura dello stato, inclusa quella di patrocinio in favore dell�amministrazione regionale siciliana ai sensi dell�art. 1 d.leg. 2 marzo 1948 n. 142, il destinatario della notifica va individuato nella predetta avvocatura, ai sensi dell�art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, senza che possa opporsi una distinzione tra i vari atti e senza che rilevi l�eventuale contumacia in giudizio dell�amministrazione� (in applicazione di tale principio, nella specie, la Suprema Corte ha dichiarato nulla la notifica, eseguita direttamente all�amministrazione regionale siciliana, dell�atto di impugnazione di lodo arbitrale e conseguentemente ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d�appello, che non aveva rilevato la nullit� e non aveva provveduto ai sensi dell�art. 291 c.p.c.); in precedenza, nello stesso senso, Cons. St., sez. IV, 14 febbraio 2000, n. 762, in Foro amm., 2000, 386, che, con riferimento al patrocinio della regione Valle d�Aosta, ha affermato che l�art. 59, l. 16 maggio 1978, n. 196, che ha esteso le funzioni dell�Avvocatura dello Stato all�amministrazione regionale della Valle d�Aosta, prevede espressamente l�applicabilit� delle disposizioni dei regi decreti 30 ottobre 1933, n. 1611-1612, nonch� degli artt. 25 e 144 c.p.c. e, dunque, anche della disposizione sul foro speciale di cui all�art. 11, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. Pertanto le citazioni, i ricorsi e qualsiasi atto di opposizione giudiziale devono essere notificati all�amministrazione regionale presso gli uffici dell�Avvocatura nel cui distretto ha sede l�autorit� giudiziaria TEMI ISTITUZIONALI 57 Del resto, la giurisprudenza ha in pi� occasioni precisato che, in materia di esercizio dello jus postulandi, non si riscontrano differenze tra regioni a statuto ordinario e regioni e province a statuto speciale (116). La Corte costituzionale � stata investita della questione di legittimit� costituzionale di alcune delle disposizioni che attribuiscono all�Avvocatura dello Stato il patrocinio obbligatorio delle Regioni a statuto speciale � stata esaminata con riferimento alla Regione Sicilia (117 ) e alla Regione Sardegna (118) tuttavia, le questioni di costituzionalit� sono state ritenute infondate, essendo stato correttamente ritenuto dalla Corte Costituzionale che non vi � alcuna lidinanzi alla quale � portata la causa; Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 1995, n. 2080, in Mass. Foro it., 1995, secondo cui: �anche nelle ipotesi in cui la regione per quanto concerne l�attivit� amministrativa, non abbia una propria soggettivit� unitaria, facendo essa capo ai singoli assessori, cui nell�ambito delle rispettive funzioni (come la Sicilia) ed � attribuita una propria competenza con rilevanza esterna, talch� ciascun assessore � legittimato a stare in giudizio per il ramo di attivit� amministrativa che a lui fa capo, pur essendo impropria la costituzione in giudizio dell�ente regionale con indicazione tra parentesi degli assessorati competenti, tale impropriet� non determina difetto di legittimazione della regione, in quanto la costituzione � avvenuta a mezzo dell�Avvocatura Generale dello Stato, esprimendo questa una funzione di patrocinio potenzialmente riferibile a ciascuna delle articolazioni amministrative regionali�; Trib. sup. acque, 14 giugno 1985, n. 32, in Rass. avv. St., 1985, I, 496, secondo cui la rappresentanza e la difesa in giudizio, da parte dell�Avvocatura dello stato, di un ente pubblico autorizzato ad avvalersi di tale patrocinio (nel caso di specie, la regione siciliana) non richiede che l�atto dell�ente sull�affidamento dell�incarico si esteriorizzi in un formale mandato. (116) In tal senso, Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9523, cit.; nonch�, Cons. St., sez. VI, 23 marzo 1982, n. 128, in Cons. Stato, 1982, I, 352, secondo cui: �l�art. 59 l. 16 maggio 1978, n. 196 estende all�amministrazione regionale della Valle d�Aosta le funzioni dell�avvocatura dello stato nei riguardi dell�amministrazione statale e dispone che alla suddetta amministrazione regionale si applicano le disposizioni del t. u. 30 ottobre 1933, n. 1611 e del regolamento approvato con r.d. 30 ottobre 1933, n. 1612; pertanto, nel caso in cui la giunta regionale della Valle d�Aosta abbia deliberato di proporre appello contro una decisione del giudice di primo grado, avvalendosi a tal fine del patrocinio dell�avvocatura dello stato, � infondata l�eccezione di inammissibilit� dell�appello per difetto di mandato e di apposito atto deliberativo�. (117) Corte cost., 27 luglio 1989, n. 455, in Cons. Stato, 1989, II, 1064 e in Giust. civ., 1989, I, 2242, ove la Consulta ha affermato che l�art. 1, d.l. 2 marzo 1948, n. 142, non � in contrasto con gli art. 3 cost. e 43 statuto speciale reg. sic., nel prevedere come obbligatorio per la regione siciliana il patrocinio dell�avvocatura dello stato e non gi� come facoltativo come stabilisce, per le regioni a statuto ordinario l�art. 107, comma 3, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, poich� la diversit� delle situazioni delle regioni a statuto ordinario e di quelle a statuto speciale pu� giustificare una diversa disciplina della materia, mentre, d�altra parte, la norma sul patrocinio obbligatorio delle regioni a statuto speciale � stata emanata con l�adesione delle regioni interessate e con l�adesione delle regioni stesse pu� essere modificata con conseguente trasformazione del patrocinio da obbligatorio in facoltativo. L�art. 1, d.l. 2 marzo 1948, n. 142 non �, inoltre, in contrasto con l�art. 116 Cost. e 1 e 14, lett. p) statuto speciale reg. sic., in quanto non lede la competenza regionale in materia di ordinamento degli uffici essendo stato, il detto articolo, emanato con il consenso maturato nella commissione paritetica e riguardando la materia, in esso trattata, la rappresentanza processuale e non gi� l�organizzazione degli uffici. (118) La rappresentanza e difesa in giudizio della regione Sardegna da parte dell�Avvocatura dello Stato, originariamente contemplata come in via obbligatoria dall�art. 55, d.P.R. n. 250 del 1949, � stata resa facoltativa all�esito della modifica di tale norma da parte dell�art. 73, comma 1, d.P.R. n. 348 del 1979; anche a tale regione si applica il principio, gi� enunciato con riferimento a regioni a statuto ordinario, secondo cui la costituzione di un servizio legale interno, cui venga istituzionalmente demandato il patrocinio e l�assistenza in giudizio non comporta, nel silenzio della legge (l�art. 11, l. reg. Sardegna 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 mitazione o lesione della autonomia regionale. I medesimi principi valgono per la Provincia Autonoma di Trento. Le norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige, approvate con d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, al Titolo IV (artt. 39, 40 e 41) dettano disposizioni sulle funzioni dell'Avvocatura dello Stato nei riguardi della Regione e delle Province. Dopo l'estensione, ex art. 39, delle funzioni dell�Avvocatura dello Stato nei riguardi dell�amministrazione statale all�amministrazione regionale del Trentino Alto Adige (salva l�ipotesi di conflitto di cui al comma 3), l�art. 40 e l�art. 41, comma 1, attribuiscono all�Avvocatura dello Stato �la rappresentanza e difesa delle Province di Trento e Bolzano e degli altri enti pubblici locali per quanto attiene relative alle controversie relative alle funzioni ad essi delegate ...�, per le materie di cui agli artt. 16 e 18, comma 1, dello Statuto. Il comma 2 dell�art. 41 amplia le suddette previsioni, disponendo che l�Avvocatura dello Stato pu� assumere, se �richiesta�, la rappresentanza e la difesa delle Province anche nelle ipotesi prima non contemplate: tanto senza imporre, nel contempo, procedimenti e formalit� particolari (119). n. 32 del 1988 ripartisce infatti fra il coordinatore del servizio legislativo e la giunta le decisioni circa l�affidamento della difesa in giudizio ad un legale interno od esterno, ma non esclude la possibilit� di optare per il patrocinio dell�avvocatura dello stato, ed anzi fa al 1� comma salva la relativa facolt�, a tale stregua evidenziando la volont� del legislatore regionale di non apportare deroga al regime generale), la rinunzia dell�ente ad avvalersi del patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello Stato, cui � applicabile, come illustrato, l�art. 1, comma 2, R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (richiamato dal successivo art. 45) secondo cui non � richiesto, per lo jus postulandi dell�avvocato dello stato, il rilascio del mandato; nonch� dall�art. 12 l. n. 103 del 1979, in base al quale l�avvocato dello stato non � onerato della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio (cfr., con specifico riferimento alla regione Sardegna, Cass. civ., sez. I, 5 novembre 2004, n. 21236, in Foro it. Rep., 2004, voce Sardegna [6040], n. 12; Cons. St., sez. VI, 10 giugno 1996, n. 793, cit.; Trib. Cagliari, 24 febbraio 1998, in Riv. giur. sarda, 2001, 446, con nota di PISU: �L�avvocatura dello stato, ove si costituisca in giudizio per la regione autonoma della Sardegna, non abbisogna di apposito mandato, n� ha l�onere di produrre il provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione ad agire o resistere in giudizio, in quanto l�organicit� ed esclusivit� del patrocinio, ancorch� facoltativo, riducono ad un rilievo meramente interno dell�ente la deliberazione di avvalersene che si limita a dare attuazione ad una autorizzazione ex lege�. Il principio per cui la normativa regionale che ha istituito per la regione Sardegna un servizio legislativo per la cura, tra gli altri, anche degli affari legali, non ha operato deroga alcuna alla disciplina nazionale relativa al patrocinio facoltativo dell�avvocatura dello stato � stato, successivamente, affermato da Trib. Cagliari, 9 marzo 2000, in Riv. giur. sarda, 2001, 445, con nota di PISU; in precedenza, si v. Cass. civ., sez. un., 2 marzo 1987, n. 2184, cit., secondo cui: �Il patrocinio e la rappresentanza in giudizio della regione autonoma della Sardegna, anche al fine della proposizione del regolamento di giurisdizione, e con la sola eccezione delle controversie fra la regione stessa e lo stato, spetta all�avvocatura dello stato, senza necessit� di mandato alla lite (art. 55, d.p.r. 19 maggio 1949, n. 250, recante norme di attuazione dello statuto regionale)�. (119) In proposito, si v. T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, 6 luglio 1999, n. 223, in Foro amm., 2000, 1413, ove il Collegio ha affermato il principio che, ai sensi degli artt. 39-41, st. T.A.A. (d.P.R. 1 febbraio 1973 n. 49), la provincia di Trento gode del regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio ex lege da parte dell�Avvocatura dello Stato, di talch� questa non ha necessit� di apposito mandato n� � onerata della produzione in giudizio dello stesso. Nel caso di specie, la parte ricorrente TEMI ISTITUZIONALI 59 10. Il patrocinio delle Autorit� Portuali: analisi delle contrapposte soluzioni fornite dalle due decisioni in commento Entrambe le decisioni in commento intervengono sulla magmatica materia del patrocinio autorizzato degli enti pubblici diversi dallo Stato, che l�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, alle condizioni ivi previste, affida all�Avvocatura dello Stato. Sorprendente � l�esito (diametralmente opposto) cui i due giudici amministrativi di primo grado sono pervenuti. In particolare, il Tribunale regionale calabrese affronta il problema della difesa congiunta, ossia della possibilit� dell�ente pubblico, che si avvale del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ope legis autorizzato, di nominare, ai fini di un affiancamento ad essa, un legale del libero foro. Il tema, che il Collegio � stato chiamato ad affrontare a fronte di un�apposito rilievo svolto all�udienza di discussione dall�Avvocatura dello Stato, consisteva nel verificare se sussiste il difetto di jus postulandi in capo al difensore del libero foro, del pari incaricato dall�amministrazione evocata in giudizio, di svolgere la propria difesa in affiancamento a quella per legge assicurata dall�Avvocatura dello Stato. L�ente interessato � l�Autorit� Portuale, che si � costituita in giudizio con aveva eccepito il difetto di costituzione della Provincia Autonoma di Trento per la mancanza della procura speciale alla lite che il Presidente della Giunta provinciale - quale legale rappresentante dell�Ente - avrebbe dovuto rilasciare all�Avvocatura dello Stato. Il T.A.R. ha osservato che, per assolvere il contenuto di quanto prescritto dal comma 2 dell�art. 41, d.P.R. n. 49/1973, deve ritenersi sufficiente la delibera della Giunta provinciale, con la quale l�Organo competente a decidere (sulla instaurazione dei e sulla resistenza nei giudizi, ex art. 54 St.) si era determinato per resistere al ricorso in esame affidando la rappresentanza e la difesa della Provincia Autonoma di Trento all�Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trento. Il Collegio ha, nel prosieguo della motivazione, compiuto le seguenti significative precisazioni in ordine alla conformit� con il principio dell�autonomia della Provincia di Trento del patrocinio obbligatorio ex lege in favore dell�Avvocatura dello Stato, osservando quanto segue: �la tesi relativa al difetto di mandato, prospettata dal ricorrente, non merita condivisione in quanto la Provincia di Trento, per esplicita previsione di legge, gode del regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio valevole ex lege per le Amministrazioni dello Stato. Pertanto l�Avvocatura dello Stato ove agisca in giudizio a difesa della Provincia Autonoma di Trento, perch� da questa "richiesta", non ha necessit� di apposito mandato e, di conseguenza, non pu� essere onerata della sua produzione. Non par dubbio che il ricorso portato all�attenzione di questo tribunale faccia riferimento alle ipotesi di cui all�art. 43 R.D. n. 1611/1933 e all'art. 10 legge n. 103/1979: nella specie, dunque, non viene posta in discussione l'autonomia della Provincia da un lato perch� � essa stessa che ha richiesto il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, dall'altro perch� le situazioni giuridiche dibattute in causa giammai possono determinare un conflitto negativo Stato � Provincia Autonoma, poich� la tutela dei beni storico-artistici-ambientali � perseguita da entrambi i soggetti ordinamentali (n�, invero, nella vicenda per cui � causa siffatto conflitto appare ipotizzabile ). Non solo. A ben vedere in tutte le materie ove non vige il regime di patrocinio obbligatorio, come nella fattispecie portata all'attenzione di questo Tribunale, l�Autonomia della Provincia non solo non � lesa, ma anzi ne esce rafforzata. Ci� in quanto viene lasciata la pi� ampia facolt� di scelta dell�Ente, il quale esercita il proprio diritto alla difesa e rappresentanza in giudizio operando, volta per volta, una opzione selettiva tra l'Ufficio legale interno, gli Avvocati del libero foro e l'Avvocatura dello Stato�. 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 due distinti controricorsi ed il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato e di altro professionista del libero foro. Nel corso della discussione orale, l�Avvocatura dello Stato ha eccepito che la propria difesa non pu� essere affiancata a quella di altro avvocato (privato), essendo ope legis attribuita alla difesa erariale in via organica ed esclusiva dall�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 e del d.P.C.M. 25 giugno 2004, formulando eccezione relativa al difetto di valido jus postulandi dell�avvocato del libero foro, incaricato dall�Autorit� Portuale di affiancare l�Avvocatura dello Stato nella difesa dell�ente nel giudizio in questione. Giova precisare che l�autorizzazione, di cui al comma 1 dell�art. 43, R.d. cit., ad assumere la difesa e la rappresentanza dell�Autorit� Portuale di Gioia Tauro nei giudizi anche amministrativi, � stata adottata con il citato d.P.C.M. 25 giugno 2004 (in Gazz. Uff., 10 agosto 2004, n. 186), il cui art. 1, comma 1, secondo una formulazione tipica dei provvedimenti autorizzativi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 43 cit., dispone: �L�Avvocatura dello Stato � autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'Autorit� portuale di Gioia Tauro nei giudizi attivi e passivi avanti le autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali�. L�Autorit� Portuale in generale ha personalit� giuridica di diritto pubblico ed � dotata di autonomia finanziaria e di bilancio nei limiti previsti dalla stessa legge (120). Non vՏ dubbio che, nel caso di specie, l�Ente resistente goda del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, debitamente autorizzato, essendo intervenuto il provvedimento autorizzativo del patrocinio, ex art. 43, R.d. n. 1611/1933 (121). Da queste premesse, il Tribunale regionale calabrese trae le ovvie e pie- (120) L�Autorit� Portuale � un ente istituito nel nostro ordinamento con l. 28 gennaio 1994, n. 84. Tale legge, all�art. 6, stabilisce che nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste e Venezia viene istituita l�Autorit� Portuale con i seguenti compiti: indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attivit� commerciali e industriali esercitate nei porti, con poteri di regolamentazione e di ordinanza anche in riferimento alla sicurezza rispetto ai rischi di incidenti connessi a tale attivit�. La gestione patrimoniale e finanziaria � disciplinata da un regolamento di contabilit� approvato dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti di concerto con il Ministero dell�Economia. Il rendiconto finanziario � soggetto al controllo della Corte dei Conti. (121) Come viene precisato dall�Avvocatura Generale dello Stato, nel parere reso alla Direzione Generale dei Porti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con nota prot. n. 42394 del 7 febbraio 2009 (Cs. 34516/Sez. VII, avv. Sica), approvato dal Comitato Consultivo, attualmente, solo le Autorit� Portuali di Agusta e Salerno non sono oggetto di uno specifico d.p.c.m. autorizzativo del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato; per tutte le altre, essendo intervenuto il provvedimento autorizzativo, trova applicazione il regime di organicit� ed esclusivit� del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43, comma 3, R.d. n. 1611/1933, con la conseguenza che �il mandato difensivo affidato a libero professionista, in assenza del motivato conflitto sul conflitto di interessi si appalesa illegittimo e viziato per essere contra legem; che gli atti eventualmente posti in essere in adempimento del mandato si espon- TEMI ISTITUZIONALI 61 namente legittime conseguenze in ordine alla nullit� per difetto di jus postulandi dell�attivit� processuale svolta dal difensore privato dell�Autorit�, il cui patrocinio non � suscettibile di affiancarsi a quello organico ed esclusivo che compete all�Avvocatura dello Stato. Del resto, con riferimento all�Autorit� Portuale di Palermo (ammessa al patrocinio dell�Avvocatura con d.P.C.M. 4 dicembre 1997, in Gazz. Uff., 7 gennaio 1998, n. 7), si era gi� espresso in tal senso T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 2 agosto 2007, n. 1879 (122), ove si era affermato che �l�Autorit� Portuale, come istituita con la l. 28 gennaio 1994 n. 84, ha autonoma personalit� giuridica di diritto pubblico ed � dotata altres� di autonomia di bilancio e finanziaria. Ci� comporta che, venendo meno la possibilit� di riconoscere all'Autorit� Portuale la qualit� di organo dello Stato, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza, non opera in specie il patrocinio obbligatorio disciplinato dagli artt. da 1 a 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, bens� il patrocinio autorizzato disciplinato dai successivi artt. 43 r.d. n. 1611/1933 cit. (come modificato dall'art. 11 L. 3 aprile 1979 n. 103) e 45 r.d. cit.. Con le connesse implicazioni sia in ordine alla domiciliazione dell'Ente, sia alla non necessariet� del mandato nel caso in cui a patrocinare (facoltativamente) quest'ultimo sia l'Avvocatura erariale in virt� di precedente atto generale (�)�. In particolare, il Collegio calabrese osserva che: �La giurisprudenza ha chiarito che la natura autorizzata del patrocinio non ne muta il carattere obbligatorio salvo che per i casi di comprovata specialit� (cd obbligatoriet� attenuata) sicch�, qualora questi ultimi ricorrano, � possibile per l�Ente rinunciare al patrocinio dell�Avvocatura ed alla nomina di un legale del libero Foro, previa apposita motivata deliberazione sottoposta all�organo di vigilanza�. E conclude specificando che, nel caso de quo, la mancata deliberazione, l�inesistenza della motivazione, o la mancata sottoposizione della deliberazione dismissiva all�organo di vigilanza, integrano una violazione dell�art. 43 cit., norma che disciplina direttamente i requisiti per la valida deroga al patrocinio obbligatorio ed indirettamente i presupposti per la valida nomina di un professionista del libero foro. Ne consegue l�invalidit� del mandato ed il conseguente difetto di jus postulandi del difensore privato (123). Il Tribunale specifica, inoltre, che dall�esame del mandato conferito dall�Autorit� Portuale all�avvocato del libero foro emerge che la stessa, sulla base della considerazione che �l�entit� del valore della causa� fosse tale da �giustificare il ricorso ad azioni difensive di carattere eccezionale�, ha ritegono a rilievo di nullit� per carenza di valida rappresentanza processuale (carenza di jus postulandi); che gli oneri eventualmente sostenuti dall�Autorit� Portuale in dipendenza dell�esecuzione del mandato difensivo da parte del libero professionista costituiscono danno erariale�. (122) In Foro amm. TAR, 2007, 7-8, 2008 (m) e per esteso in www.giustizia-amministrativa.it. (123) Cfr., per tutte, Cass. civ., sez. un., 5 luglio 1983, n. 4512, cit., con rinvio per ulteriori riferimenti alla trattazione, con corredo giurisprudenziale, sopra svolta. 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 nuto opportuna la nomina di un legale del libero foro in affiancamento alla difesa dell�Avvocatura dello Stato. In disparte alla sufficienza di una tale motivazione a ritenere sussistente la specialit� del caso che giustifica la deroga al patrocinio organico ed esclusivo dell�Avvocatura dello Stato (su cui si � soffermati nel par. 3), non vՏ dubbio che, applicando alla fattispecie concreta l�art. 43 cit. ed i principi elaborati dalla giurisprudenza, il mandato conferito al professionista del libero foro senza un�adeguata motivazione e, soprattutto senza la successiva sottoposizione della deliberazione all�organo di vigilanza (nella specie, individuabile nel Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, giusto il disposto dell�art. 12, l. 28 gennaio 1994 n. 84) � da considerarsi nullo: il procedimento derogatorio del patrocinio erariale �, infatti, da considerarsi viziato, non ricorrendo gli illustrati presupposti richiesti a tal fine dall�art. 43, comma 4, R.d. n. 1611/1933. In merito al requisito dell�esclusivit� della difesa erariale il T.A.R. precisa, opportunamente, che: �L�avvocatura ritiene in proposito che l�enunciazione normativa del carattere �esclusivo� della propria difesa non rimanga priva di effetti sulla sorti della procura ad litem, la quale, conferendo ulteriore incarico difensivo a professionista del libero Foro in funzione di �affiancamento�, tale esclusivit� violi. Segnatamente le conseguenze invalidanti sarebbero da qualificare in termini di nullit� con conseguente difetto di ius postulandi, similmente a quanto affermato dalla giurisprudenza in relazione all�ipotesi della non motivata o irregolare, �nuda� rinuncia al patrocinio obbligatorio. La formula letterale del comma terzo e la sua interpretazione sistematica, secondo la sentenza, non lasciano spazio a soluzioni diverse, in quanto non si ravvisano altre opzioni semantiche degne di rilievo: assunzione della difesa �in via esclusiva� non pu� che significare esclusione di ipotesi di assunzione, congiunta a professionisti del libero Foro. In sostanza e schematicamente la norma prevede due sole possibilit�: 1) avvalersi della esclusiva difesa fornita ope legis dall�avvocatura dello Stato; in tal caso, alla luce di una nutrita giurisprudenza, non occorre mandato, n� deliberazione; 2) non avvalersi della difesa dell�avvocatura; in questo secondo caso occorre una motivata deliberazione dell�ente in ordine alla specialit� del caso e la conseguente sottoposizione della delibera all�organo di vigilanza�. Tertium non datur, conclude logicamente il T.A.R. In definitiva, in forza dell�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, un ente pubblico, che si avvale del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ope legis autorizzato, non pu� nominare, ai fini di un affiancamento ad essa, un legale del libero foro, sicch� �(�) il mandato conferito dall�Autorit� Portuale di Gioia Tauro, senza una previa, motivata rinuncia alla difesa, assicurata dall�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 43 del R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 TEMI ISTITUZIONALI 63 e del d.P.C.M. del 25 giugno 2004, � affetto da nullit� che conseguentemente priva il difensore del libero Foro dello ius postulandi�. Essendosi, comunque, nell�occasione costituita l�Autorit� Portuale (anche) a mezzo dell�Avvocatura dello Stato la rilevata nullit� del mandato illegittimamente conferito ad avvocato del libero non ha inciso sulla regolare costituzione in giudizio dell�Ente intimato. Su posizione antitetiche si pone, invece, la decisione n. 4640/2009 del T.A.R. del Lazio, che risolve in maniera diametralmente opposta il problema della difesa congiunta, senza alcun particolare approfondimento e quasi cancellando con un colpo di spugna gli univoci orientamenti giurisprudenziali in materia di patrocinio autorizzato ex art. 43, R.d. n. 1611/1933, che ci si dato carico di indagare nel presente lavoro. Nel caso di specie l�Autorit� portuale di Civitavecchia (ammessa al patrocinio autorizzato dell�Avvocatura dello Stato giusto d.P.M.C. 4 dicembre 1997, cit.) si � costituita in giudizio rappresentata sia dall�Avvocatura Generale dello Stato che da legali del libero foro. Il Collegio, pur premettendo correttamente che il comma 3 dell�art. 43, R.d. n. 1611/1933 dispone che la rappresentanza e la difesa in giudizio � assunta dall�Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni e che qualora l�Autorit� intenda avvalersi della difesa del professionista di libero foro deve adottare, ai sensi del successivo comma 4 dello stesso art. 43, un�apposita e motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza, tuttavia ritiene che l�autorizzazione accordata ai sensi del comma 1 dell�art. 43 e, con riferimento all�Autorit� portuale di Civitavecchia, del d.P.C.M. 4 dicembre 1997, non operi ex se ma richieda necessariamente una previa istanza dell�Autorit� rivolta all�Avvocatura di Stato affinch� assuma la rappresentanza e la difesa in giudizio. Sicch�, �in mancanza di tale istanza, che costituisce l�elemento che distingue il patrocinio autorizzato da quello obbligatorio, l�Avvocatura non potr� difendere in giudizio l�Autorit�, e ci� a maggior ragione nel caso in cui, come nella specie, la predetta Autorit� non solo non ha chiesto il patrocinio all�Avvocatura dello Stato ma ha ritenuto preferibile dare mandato ad avvocati del libero foro�. N�, al contrario, rileva - secondo il Collegio - la circostanza che non sia stata adottata �un�apposita e motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�, cos� come richiesto dal comma 4 dell�art. 43, R.d. n. 1611/1933, poich� tale circostanza pu� solo assumere valenza ad altri fini (quali?), ma non rende �automatico il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato che tale non ��. Corollario di tale premessa � che �l�Avvocatura di Stato, che si � costituita per difendere sia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che l�Autorit� portuale di Civitavecchia, resta in giudizio per il solo Ministero�. 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 E� evidente che il T.A.R. non interpreta in maniera corretta il dato normativo, che viene addirittura stravolto, secondo la singolare tesi del Collegio, il quale finisce, da un lato, per dequotare i presupposti ex lege contemplati per l�operativit� della deroga al patrocinio autorizzato (ossia la delibera motiva dell�ente, da sottoporre agli organi di vigilanza, che dia conto della specialit� del caso che giustifica l�affidamento del patrocinio ad avvocato del libero foro, in luogo di quello, organico ed esclusivo, dell�Avvocatura dello Stato) e, dall�altro, innesta nella fattispecie derogatoria di cui al comma 4 dell�art. 43, R.d. n. 1611/1933 un elemento ad essa assolutamente estraneo, ossia l�istanza dell�ente all�Avvocatura dello Stato affinch� assume il patrocinio, la cui necessit� � ritenuta addirittura costituire elemento discretivo il patrocinio autorizzato da quello obbligatorio. Invero, come illustrato, il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato autorizzato ope legis � organico, esclusivo ed anche automatico, giacch� l�istanza (o, meglio detto, deliberazione) dell�ente di agire o resistere in giudizio costituisce atto interno, non suscettibile di alcun sindacato giurisdizionale. Inoltre, vՏ da chiedersi a quali �altri fini� - come cripticamente ritiene il Collegio - serva la delibera motivata di cui al citato comma 4, sen non a quello precipuo ed espressamente previsto dalla norma di escludere il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, in favore di quello privato. Anche questa affermazione si pone in totale distonia con l�ultratrentennale interpretazione pretoria e dottrinale dei meccanismi di operativit� del patrocinio autorizzato ex art. 43, R.d. n. 1611/1933. Come gi� sottolineato, l�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (in via generale) e la successiva norma (di fonte legislativa, regolamentare o amministrativa che sia) di carattere autorizzativo, che completa il meccanismo dell�affidamento della difesa dell�ente all�Avvocatura dello Stato, in via organica ed esclusiva, contengono, al contempo: 1.- una disposizione che autorizza l�ente ad avvalersi, senza impegno di risorse economiche, di una difesa qualificata; 2.- una disposizione che limita la capacit� negoziale dell�ente, interdicendogli il conferimento di mandati ad litem aggiuntivi rispetto a quello, ope legis, assicurato dall�Avvocatura dello Stato, fatto salvo il ricorso dei presupposti per poter derogare a tale patrocinio, contemplati specificamente dall�art. 43, R.d. n. 1611/1933. Da queste univoche direttrici si discosta l�interpretazione contra legem (avuto riguardo sia al suo tenore letterale che alla sua portata sistematica) fornita dalla creativa decisione n. 4640/2009 del T.A.R. Lazio, pericoloso precedente di �erosione giudiziaria� dello jus postulandi dell�Avvocatura dello Stato, gi� per altre ragioni eroso. TEMI ISTITUZIONALI 65 11. Seconde e definitive conclusioni: il patrocinio erariale autorizzato � organico, esclusivo e non presuppone alcuna istanza dell�ente all�Avvocatura dello Stato e, dunque, � automatico Non � un caso che le conclusioni definitive del presente commento coincidano con il suo titolo. Ora che siamo giunti alla fine di questa breve disamina un dato emerge in maniera incontrovertibile: l�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933 n.1611 pi� volte citato, � norma, anche lessicalmente, molto chiara e, come tale, non � suscettibile di essere interpretata in maniera differente da quella letterale, pena la forzatura del significato proprio delle parole ivi contenute. Insomma, stiamo parlando di una norma che, una volta tanto, � norma chiara che non d� adito ad equivoci semantici o interpretazioni forzate o ad altre ambiguit�, cos� come giustamente osserva il Tribunale regionale calabrese nella decisione n. 190/2009 in commento, �non ravvisandosi altre opzioni semantiche degne di rilievo, assunzione della difesa �in via esclusiva� non pu� che significare esclusione di ipotesi di assunzione, congiunta a professionisti del libero Foro�. Logico corollario � che assunzione della difesa �in via esclusiva� non pu� che significare esclusione di ipotesi di assunzione, congiunta a professionisti del libero foro: un ente pubblico, che si avvale del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ope legis autorizzato, non pu� nominare, ai fini di un affiancamento ad essa, un legale del libero foro. Tertium non datur. E questo perch� il patrocinio erariale autorizzato � organico, esclusivo ed anche automatico: l�autorizzazione opera ex se e non necessita di una previa istanza all�Avvocatura dello Stato. Il discrimen tra patrocinio obbligatorio ed autorizzato non � l�istanza all�Avvocatura dello Stato, ma l�adozione di una delibera di conferimento del patrocinio all�avvocato di libero foro, che presenti requisiti sostanziali (congruit� della motivazione in ordine alla specialit� del caso) e di efficacia (sottoposizione agli organi di vigilanza), espressamente richiesti dall�art. 43, comma 4, R.d. n. 1611/1933. In mancanza di questa il patrocinio dell� Avvocatura scatta automaticamente. La prova della vigenza del principio di organicit� ed esclusivit� del patrocinio autorizzato � la scomparsa del c.d. patrocinio facoltativo dell�Avvocatura dello Stato e, soprattutto, l�esclusione della necessit� di qualsiasi preventiva richiesta di assistenza da parte dell�ente, come invece ritenuto erroneamente dal T.A.R. del Lazio. L�Avvocatura dello Stato, infatti, � essa stessa organo dell�amministrazione, che agisce unicamente nei limiti e con le modalit� prefissati dalla legge e, con riguardo, alle modalit� di svolgimento dello jus postulandi alcuna distinzione sussiste tra amministrazioni statali ed enti pubblici non statali, cos� come tra regioni ordinarie e speciali (salva l�applicazione delle regole sull�obbligatoriet� della notifica processuali presso la sede dell�Avvocatura ed il foro erariale). Rendere necessaria una esplicita pro- 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cura ad litem e una istanza di assunzione del patrocinio quando un ente pubblico non statale o la Regione si avvale del patrocinio erariale autorizzato (il primo) e facoltativo (la seconda), significa parificare l�Avvocatura ai professionisti del libero foro, cos� ammettendo, in assenza di una esplicita previsione di legge, che la difesa erariale sarebbe tenuta ad esercitare lo jus postulandi con modalit� diverse da quelle previste dalle leggi che le sono proprie. La stessa assunzione di iniziativa giudiziaria da parte della Avvocatura dello Stato comporta la presunzione juris et de jure di esistenza di un valido consenso e di piena validit� dell�atto processuale compiuto, secondo la consolidatissima giurisprudenza della Suprema Corte. Se poi il T.A.R. Lazio, nel riferirsi all�istanza voleva intendere una mera nota di trasmissione dell�atto introduttivo del giudizio all�Avvocatura dello Stato affinch� assuma la difesa, che alla stessa compete ope legis (ma in questo senso, come pare evidente dal complesso della motivazione, non pu� intendersi il riferimento all�istanza da parte del Collegio), allora si pu� convenire con quanto statuito nella decisione n. 4640/2009, posto, non operando per gli enti a patrocinio autorizzato il principio della domiciliazione ex lege presso la sede dell�Avvocatura dello Stato prevista dal combinato disposto dell'art. 11, R.d. n. 1611 del 1933 e dell�art. 144 c.p.c. (concepita istituzionalmente - come detto - te concepita solo nei confronti delle amministrazioni dello Stato in senso proprio, e non nei casi in cui pubbliche amministrazioni siano, anche ex lege, abilitate a potersi avvalere del patrocinio e della difesa dell�Avvocatura) (124). Come ben evidenziato dal Tribunale amministrativo regionale calabrese, l�art. 43, R.d. n. 1611/1933 prevede due sole possibilit�: 1) avvalersi della esclusiva difesa fornita ope legis dall�Avvocatura dello Stato, senza che sia necessario mandato, n� deliberazione (o istanza che dir si voglia) dell�ente; 2) non avvalersi della difesa dell�Avvocatura dello Stato; in questo secondo caso occorre una motivata deliberazione dell�ente in ordine alla specialit� del caso e la conseguente sottoposizione della delibera all�organo di vigilanza. Come accennato, non � dato comprendere quali siano i fini o meglio gli �altri fini� cui si riferisce il T.A.R. Lazio, laddove precisa che la circostanza che non sia stata adottata �un�apposita e motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�, cos� come richiesto dal comma 4, R.d. n. 1611 del 1933, pu� �tale circostanza assumere valenza ad altri fini ma non certamente a rendere automatico il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato che tale non ��. (124) Cfr., in aggiunta ai plurimi precedenti citati al riguardo, proprio T.A.R. Lazio, sez. III, 27 ottobre 2008, n. 9172, in Foro amm. TAR, 2008, 10, 2786 (m) e per esteso in www.giustizia-amministrativa. it. TEMI ISTITUZIONALI 67 O l�ente emette la delibera oppure scatta ex lege automaticamente il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. Infatti, delle due l�una: o viene emessa la delibera e il legale � l�avvocato del libero foro designato senza possibilit� di difesa congiunta da parte dell�Avvocatura, il cui patrocinio viene derogato, oppure non viene emessa la delibera, e allora il patrocinio appartiene all�Avvocatura ex lege (ove sussista, ovviamente, un provvedimento generale autorizzativo in tal senso). Corretta appare, dunque, la conclusione della sentenza del T.A.R. Calabria: �Il mandato conferito dall�Autorit� Portuale di Gioia Tauro, senza una previa, motivata rinuncia alla difesa, assicurata dall�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 43 del R.d. 30 ottobre 1933 n.1611 e del d.P.C.M. del 25 giugno 2004, � affetto da nullit� che conseguentemente priva il difensore del libero Foro dello jus postulandi�. A parte qualche sporadica pronuncia, la materia non ha generato confusioni concettuali, convergendo le interpretazioni dei due supremi consessi giurisdizionali: �l�art. 43, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 e la norma successiva di carattere autorizzativo, che completa il meccanismo dell�avvalimento in via organica ed esclusiva, contengono al contempo, una facolt� aggiuntiva che consente all�ente di avvalersi, senza impegno di risorse economiche, di una difesa qualificata, ed una limitazione pubblicista della capacit� negoziale che invece interdice, all�ente stesso, il conferimento di mandati ad litem aggiuntivi rispetto a quello, ope legis, assicurato dall�Avvocatura dello Stato�. L�evoluzione del concetto stesso di amministrazione, in senso comunitariamente orientato, la trasformazione degli enti pubblici in S.p.A., la privatizzazione dell�impresa pubblica, il processo legislativo che conduce ad uno �Stato minimo�, in cui solo i gangli vitali permangono concentrati nel nucleo centrale non intacca i principi che sorreggono il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, che rimane sempre un caposaldo del sistema a garanzia di quel rigore di uniformit� di linee difensive, che solo una difesa specializzata, istituzionale e con funzionale giustiziale � in grado di offrire. E questo � dimostrato da tutti quegli enti pubblici o addirittura S.p.A. (come l�ANAS, ad esempio), che continuano ad avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato (125). L�evoluzione legislativa, dal 1875 ad oggi ha, infatti, portato ad attribuire funzioni �esterne� all�Avvocatura dello Stato, come il patrocinio innanzi alla Corte costituzionale o al di fuori dello stesso ordinamento statale, in sede comunitaria e internazionale, a riprova di quello ha detto la Cassazione non molto (125 ) In dottrina si � anche affermato che �la considerazione di maggior interesse che si pu� ritrarre dal quadro normativo e giurisprudenziale concerne la possibilit� di giustificare agevolmente il riconoscimento del patrocinio dell'Avvocatura di Stato non solo a societ� per azioni derivate dalla trasformazione di enti pubblici economici che, come l' Anas, sono espressamente menzionate da una norma di legge, ma anche alle altre che versino nella medesima situazione di diritto pur in assenza di previsioni normative esplicite in tal senso�: SESSA, op. cit., 78. 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 tempo fa �l�Avvocatura dello Stato difende gli interessi unitari della collettivit� nazionale�(126). Tribunale amministrativo Regionale per la Calabria, Reggio Calabria, decisione 25 marzo 2009 n. 190 - Pres. Vitellio - Est. Veltri - Zen Marine S.r.l. e altro (avv. G. Saccomanno) c. Autorit� Portuale di Gioia Tauro (Avvocatura distrettuale dello Stato di Reggio Calabria e avv. O. Morcavallo). (... Omissis) FATTO 1. E� utile ricostruire analiticamente la vicenda, non solo in chiave cronologica, ma anche sotto il profilo soggettivo, essendo il ricorso proposto congiuntamente da due societ� di capitali - riconducibili, per affermazione delle ricorrenti, ad un medesimo gruppo imprenditoriale � entrambe interessate da mutamenti della ragione sociale e parimenti concessionarie di aree demaniali in ambito portuale. Risulta, in particolare, dagli atti processuali che, con atto di sottomissione n. 6/2000 del 2.8.2000 la CA.I.N. Sud s.r.l veniva autorizzata ad occupare, anticipatamente rispetto al formale rilascio della concessione, ex art. 35 reg. es. cod. nav., un�area portuale di mq. 27.500. Su tale area la societ� occupante realizzava delle opere strumentali alla propria attivit� di impresa. In data 27 ottobre 2005 veniva rilasciata alla stessa, nonch� sottoscritta dalle parti, concessione n. 10/2005 per la durata di 25 anni, finalizzata all�esercizio della manutenzione e della riparazione di navi oltre che alla costruzione di unit� da diporto. In data 24.9.2003 (mentre, cio�, la predetta societ� stava gi� costruendo le opere sulle aree, consegnate in forza dell�atto di sottomissione) la CA.I.N. Yachting s.r.l (soggetto formalmente diverso anche se riconducibile per affermazione dei ricorrenti al medesimo gruppo imprenditoriale) avanzava una diversa richiesta di assegnazione provvisoria di altra area, genericamente individuata a mezzo del solo riferimento al foglio di mappa n. 13, estesa per circa 25000 mq e, ci� anche al fine di avere accesso alle agevolazioni previste dalla legge 488 secondo le modalit� previste dal decreto 3.2.2003 del Ministro delle Attivit� Produttive e dai successivi decreti di proroga . L�Autorit� portuale, con proprio provvedimento del 25.9.2003, assegnava provvisoriamente le aree richieste, contestualmente precisando che il provvedimento era da ritenersi valido ai soli fini dell�eventuale accesso alle agevolazioni finanziarie di cui alla l. 488 cit. Con DM 132528 del 16.7.2004 il Ministero AP concedeva alla CA.I.N Yachting s.r.l le agevolazioni richieste assegnando un contributo di �. 4.722.321 finalizzato alla realizzazione di un programma di investimenti sull�area portuale gi� assegnata. In data 17.9.2004 la CA.I.N. Yachting s.r.l avanzava domanda di concessione venticinquennale di un�area di complessivi mq 30.000 (dunque pi� ampia di quella provvisoriamente assegnata) allo scopo di realizzare un cantiere per la realizzazione e la riparazione di yacht nonch� per la realizzazione di una darsena, con servizio di varo ed alaggio mediante il posizionamento (126 ) L�espressione � contenuta in Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 1999, n. 550, in Giust. civ. Mass., 1999, 130. TEMI ISTITUZIONALI 69 di un sistema sincrolift. Il successivo 18.10.2004 veniva approvato, in sede di conferenza di servizi, il progetto posto a base dell�istanza di concessione, con individuazione della relativa area di interesse, nei pressi del molo sud del porto. Dopo la predetta approvazione intervenivano, evidentemente, alcuni mutamenti � in ordine ai quali non vՏ traccia documentale agli atti del processo - che inducevano ad optare per un�area diversa da quella esaminata in conferenza di servizi (molo sud), individuata, nella specie, nei pressi della banchina di ponente, ossia in un sito adiacente a quello ove gi� operava la CA.I.N. Sud s.r.l. L�Autorit� Portuale, con propria comunicazione del 25.1.2005, valutata la sussistenza dei presupposti per la concessione dell�area richiesta ed individuata l�area da concedere in quella adiacente all�esistente cantiere della CA.I.N. Sud s.r.l, riscontrava la relativa istanza della CA.I.N. Yachting s.r.l del 17.9.2004 a mezzo di proposta di �accordo sostitutivo di concessione�, ex art. 18 legge 28/01/1994 n. 84. In siffatto accordo - che nella previsione della legge (o almeno del richiamo in esso contenuto alla legge) avrebbe dovuto avere natura sostitutiva della concessione - veniva pattuita la riconsegna delle aree precedentemente assegnate, l�immediata immissione dell�istante nel possesso della nuove aree oggetto di concessione e dedotti altres� i seguenti specifici impegni: -Per la concessionaria: �assolvere gli impegni che saranno perfezionati con le OOSS per il riassorbimento delle unit� lavorative in CIGS quali ex dipendenti della fallita Isotta Fraschini sulla base del piano operativo aziendale che verr� all�uopo definito.� -Per il concedente: �l�impegno ad eseguire a proprio carico le opere di accosto per l�alaggio ed il varo delle unit� navali prodotte dal cantiere conformemente alle esigenze di operativit� portuale, ferma restando la facolt� del richiedente di eseguire, previa autorizzazione, a propria cura e spese opere provvisorie per l�alaggio ed il varo delle unit� in attesa del perfezionamento degli interventi relativi alla realizzazione delle strutture di accosto da parte dell�autorit� portuale.� -Per entrambi: �l�impegno al perfezionamento della concessione a mezzo di atto di concessione definitiva� cui veniva anche demandata la fissazione della durata del rapporto. In data 18.3.2005 la CA.I.N. Yachting s.r.l , dichiarando espressamente di agire in applicazione dell�accordo sostitutivo, rinunciava all�istanza di concessione del 17.9.2004 e ne avanzava un�altra di durata trentennale per un�area di 30.000 mq., adiacente a quella gi� occupata dalla CA.I.N. Sud s.r.l. nei pressi della banchina di ponente, allo scopo di realizzare �un cantiere per la costruzione e la riparazione di yacht e la realizzazione di una darsena con servizio di varo ed alaggio, mediante il posizionamento di un sistema di sincrolift�. Il Comitato portuale, sulla base degli elementi istruttori gi� medio tempore acquisiti, deliberava, nella seduta del 5/12/2005, di accogliere l�istanza della CA.I.N. Yachting s.r.l (nel frattempo divenuta, per mutamento della relativa ragione sociale, Zen Yacht srl) concedendo alla stessa un�area di 30.500 mq nei pressi della banchina di ponente, per la durata di 20 anni. Il 20 dicembre 2005 veniva stipulata la concessione n. 14/2005 con la quale si autorizzava la costruzione delle seguenti opere � un cantiere per la costruzione e la riparazione di yacht, che si compone di un edificio in c.a.p. di forma irregolare, costituito da un capannone per la costruzione di scafi e allestimento yacht e da un corpo ufficio tecnico e servizi nonch� da un edificio rettangolare, autonomo rispetto al primo, da adibire ad uffici amministrativi e ad alloggio custode ed area asservita pavimentata, recintata con muro in cls sormontato da pannelli in orsogril�. Nessun cenno veniva fatto a darsene od opere di accosto, salvo che nelle premesse 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dell�atto citato, ove era riportato un espresso riferimento all�accordo sostitutivo ed allo specifico impegno assunto dall�amministrazione in ordine alle opere di accosto. Seguiva una serie di richieste e solleciti da parte della societ� concessionaria aventi ad oggetto la mancata realizzazione da parte dell�Amministrazione concedente di un opera che veniva definita come �darsena� per la quale, la stessa, asseriva esistesse un impegno obbligatorio assunto, in sede di accordo sostitutivo, dall�Amministrazione. Veniva altres� stimolato in funzione mediativa l�intervento del Prefetto stante il connesso problema legato all�assorbimento da parte delle aziende ricorrenti del personale in GIGS della fallita �Isotta Fraschini�. La Zen Yacht srl , da ultimo con una serie di lettere inoltrate tra il maggio ed il settembre 2008, diffidava l�Autorit� Portuale all�adempimento dell�obbligazione sorgente dall�accordo sostitutivo, in relazione alla darsena per l�alaggio ed il varo delle unit� navali prodotte dal cantiere. La perentoria richiesta veniva esaminata dal Comitato portuale nella seduta del 28 ottobre 2008 che concludeva per il rigetto, deliberando a maggioranza dei componenti. 2. Il predetto provvedimento � oggetto di impugnazione da parte di entrambe le societ�. 2.1. Con il primo motivo di censura le ricorrenti assumono che il diniego opposto con i provvedimenti impugnati in ordine alla realizzazione e consegna della darsena, � stato deliberato in esito ad un procedimento al quale esse non hanno potuto partecipare per la mancata comunicazione di avvio dello stesso, in violazione dell�art. 7 della legge 241/1990. 2.2. Con il secondo motivo rilevano il difetto di motivazione per palese mancanza di indicazione delle ragioni di fatto e giuridiche che hanno imposto l�emissione del provvedimento di rigetto e, comunque, per evidente carenza di indicazione, nel contesto motivazionale dell�atto, del sopravvenuto interesse pubblico che avrebbe indotto l�amministrazione a recedere dall�accordo. Le ricorrenti deducono, in particolare, che il provvedimento di diniego � stato deliberato 3 anni dopo la concessione del suolo e la realizzazione dei manufatti - edificati in virt� della concessione rilasciata definitivamente nel 2005 - nonch� a seguito di un accordo sostitutivo di provvedimento che, per converso, prevedeva un formale impegno da parte dell�amministrazione. Nonostante lo stringente vincolo motivazionale asseritamente derivante da tali circostanze le ricorrenti evidenziavano come non siano rintracciabili o intelligibili le ragioni di fatto e di diritto che abbiano potuto indurre l�amministrazione a deliberare in modo cos� gravemente lesivo. 2.3. Le ricorrenti, inoltre, ritengono violata l�obbligazione assunta dall�amministrazione in ordine alla costruzione della �darsena� ed in conseguenza pretendono il risarcimento del danno subito, nella specie quantificato in �. 53.842.000,00, sull�assunto di aver eretto le strutture ed iniziato la produzione nell�aspettativa - giuridicamente fondata dalle previsioni contenute nell�accordo sostitutivo - di avere, in tempi rapidi, un opera che avrebbe potuto agevolare le operazioni di alaggio e varo. 2.4. In ogni caso sostengono che, anche a voler considerare il comportamento dell�amministrazione come esente da profili di illiceit�, esso vada comunque inteso quale volont� di operare un recesso dall�accordo sostitutivo per superiori motivi di interesse pubblico, con il conseguente sorgere di un�obbligazione di indennizzo, ex art. 11 legge 241/90. 3. Si � costituita in giudizio l�Autorit� Portuale con due distinti controricorsi ed il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato e di altro professionista del libero Foro, l�avv. Oreste Morcavallo, deducendo A) quanto all�atto difensivo dell�Avvocatura dello Stato - la nullit� del ricorso per assoluta indeterminatezza dell�oggetto della domande e delle censure articolate; l�infondatezza della censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento TEMI ISTITUZIONALI 71 trattandosi, nella specie, di un parere deliberato a seguito di istanza della ricorrente; l�inammissibilit� della richiesta risarcitoria per mancata impugnazione della concessione, postuma rispetto all�accordo sostitutivo; l�insussistenza di un inadempimento imputabile all�amministrazione in ordine ai contenuti dell�accordo essendosi, nello stesso, subordinata la realizzazione delle opere alla condizione di conformit� delle stesse all�operativit� portuale, rivelatasi a posteriori tecnicamente non sussistente; ed infine l�infondatezza nell�an e nel quantum della pretesa risarcitoria. B) quanto all�atto difensivo prodotto dall�avv. Morcavallo - l�inammissibilit� del ricorso in ragione della sua genericit�; l�inammissibilit�, sotto altro profilo, stante la mancata impugnazione della concessione demaniale quale atto gi� immediatamente lesivo dell�interesse posto a base del ricorso; l�infondatezza del primo motivo di censura avente ad oggetto la mancata comunicazione di avvio ex art. 7 legge 241/90, trattandosi di un procedimento ad istanza di parte, come tale non soggetto alla necessaria comunicazione di avvio, in ogni caso superata, ai sensi dell�art. 21 octies, dall�evidente impossibilit� di soluzioni alternative; l�infondatezza del secondo motivo di ricorso in punto di carenza di motivazione, per contro emergente con carattere di esaustivit� della verbalizzazione degli interventi succedutisi durante la seduta del Comitato Portuale; in ordine all�azione risarcitoria, la mancanza dei presupposti necessari al sorgere della responsabilit� dell�amministrazione avuto riguardo alle esigenze portuali gi� cautelativamente segnalate in sede di accordo sostitutivo. 4. Nella camera di consiglio del 14 gennaio 2009 il Collegio ha respinto la richiesta di misure cautelari, fissando a breve l�udienza per la discussione nel merito. 5. Le parti hanno ulteriormente chiarito e precisato le rispettive argomentazioni in vista dell�udienza di discussione: i ricorrenti, focalizzando la causa petendi sulla sussistenza di un sostanziale recesso da parte dell�amministrazione fondante un obbligo di indennizzo ex lege; l�amministrazione, producendo una perizia giurata in ordine ai profili tecnici della controversia. 6. All�udienza dell�11 marzo 2009, l�Avvocatura dello Stato, affermata la natura inderogabilmente esclusiva della propria difesa, ha altres� formulato a verbale, eccezione relativa al difetto di valido ius postulandi dell�avvocato del libero Foro, incaricato dall�Autorit� Portuale di affiancare la prima nella difesa dell�ente. DIRITTO 1.Occorre, per evidenti motivi di ordine processuale, vagliare anzitutto l�eccezione avente ad oggetto il difetto di ius postulandi in capo al legale del libero Foro, del pari incaricato dall�amministrazione resistente di svolgere la propria difesa in affiancamento a quella ope legis assicurata, in via organica ed esclusiva, dall�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43 del RD 30 ottobre 1933 n.1611 e del dPCM del 25 giugno 2004. L�art. 43 del RD cit. - sul punto modificato dall'articolo 1, comma 1, della legge 16 novembre 1939, n. 1889 - dispone che �l'Avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorit� giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento �..�..Qualora sia intervenuta l'autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni.� 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 La norma aggiunge, al suo comma 4, che �salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano, in casi speciali, non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�. Giova precisare che l�autorizzazione, di cui al comma 1 dell�art. 43, ad assumere la difesa e la rappresentanza dell�Autorit� Portuale di Gioia Tauro nei giudizi anche amministrativi, � stata adottata con dPCM del 25 giugno 2004; dunque non vՏ dubbio che, nel caso di specie, l�Ente resistente goda del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, debitamente autorizzato. La giurisprudenza ha chiarito che la natura autorizzata del patrocinio non ne muta il carattere obbligatorio salvo che per i casi di comprovata specialit� (cd obbligatoriet� attenuata) sicch�, qualora questi ultimi ricorrano, � possibile per l�Ente rinunciare al patrocinio dell�Avvocatura ed alla nomina di un legale del libero Foro, previa apposita motivata deliberazione sottoposta all�organo di vigilanza. In siffatta ipotesi, la mancata deliberazione, l�inesistenza della motivazione, o la mancata sottoposizione della deliberazione dismissiva all�organo di vigilanza, integrano una violazione dell�art. 43 cit. - che disciplina direttamente i requisiti per la valida deroga al patrocinio obbligatorio ed indirettamente i presupposti per la valida nomina di un professionista del libero Foro - determinando l�invalidit� del mandato ed il conseguente difetto di ius postulandi del difensore (Cfr. Cass.Civ. Sez. Un., 5 luglio 1983, n. 4512). Dall�esame del mandato conferito dall�Autorit� Portuale all�avv. Oreste Morcavallo emerge che la stessa, sulla base della considerazione che �l�entit� del valore della causa� fosse tale da �giustificare il ricorso ad azioni difensive di carattere eccezionale�, ha ritenuto opportuna la nomina di un legale del libero Foro in affiancamento alla difesa - non ripudiata ma, anzi, contestualmente confermata - dell�Avvocatura dello Stato. Applicando alla fattispecie concreta, posta a base della formulata eccezione, l�art. 43 cit. ed i principi elaborati dalla giurisprudenza, non vՏ dubbio che il mandato conferito nel caso di specie al professionista del libero Foro senza un�adeguata motivazione e, soprattutto senza la successiva sottoposizione della deliberazione all�organo di vigilanza (nella specie, individuabile nel Ministero dei Trasporti e della Navigazione giusto il disposto dell�art. 12 della legge 28 gennaio 1994 n. 84) dovrebbe considerarsi nullo. La questione portata all�attenzione del collegio dall�Avvocatura � tuttavia sensibilmente diversa. A ben vedere, infatti, non vՏ nel caso di specie, una rinuncia al patrocinio ope legis autorizzato, ma pi� semplicemente la nomina di un difensore ulteriore rispetto all�Avvocatura dello Stato, il cui ruolo non viene ripudiato ma, nelle intenzioni dell�ente, potenziato a mezzo di un affiancamento. Mancando un�espressa rinuncia al patrocinio dell�Avvocatura ed anzi, in presenza di un�espressa conferma dello stesso, il richiamo, in chiave invalidante, dei requisiti e delle condizioni di cui all�art. 43, quarto comma, non � invero del tutto pertinente, cos� come non sono pertinenti i principi richiamati, n� gli effetti che da questi ultimi la giurisprudenza ritiene discendano. Ci� nondimeno si pone una questione rilevante in ordine al requisito dell�esclusivit� della difesa erariale, pur enunciato dalla norma citata al comma terzo, che invero conduce, sul versante degli effetti, a conclusioni non dissimili. L�avvocatura ritiene in proposito che l�enunciazione normativa del carattere �esclusivo� della propria difesa non rimanga priva di effetti sulla sorti della procura ad litem, la quale, confe- TEMI ISTITUZIONALI 73 rendo ulteriore incarico difensivo a professionista del libero Foro in funzione di �affiancamento�, tale esclusivit� violi. Segnatamente le conseguenze invalidanti sarebbero da qualificare in termini di nullit� con conseguente difetto di ius postulandi, similmente a quanto affermato dalla giurisprudenza in relazione all�ipotesi della non motivata o irregolare, �nuda� rinuncia al patrocinio obbligatorio. In effetti, la formula letterale del comma terzo e la sua interpretazione sistematica, non lasciano spazio a soluzioni diverse. La norma citata prescrive che �qualora sia intervenuta l'autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni�. Non ravvisandosi altre opzioni semantiche degne di rilievo, assunzione della difesa �in via esclusiva� non pu� che significare esclusione di ipotesi di assunzione, congiunta a professionisti del libero Foro. In sostanza e schematicamente la norma prevede due sole possibilit�: 1) avvalersi della esclusiva difesa fornita ope legis dall�avvocatura dello Stato; in tal caso, alla luce di una nutrita giurisprudenza, non occorre mandato, n� deliberazione; 2) non avvalersi della difesa dell�avvocatura; in questo secondo caso occorre una motivata deliberazione dell�ente in ordine alla specialit� del caso e la conseguente sottoposizione della delibera all�organo di vigilanza. Tertium non datur. L�art. 43 del RD 30 ottobre 1933 n.1611 e la norma successiva di carattere autorizzativo che completa il meccanismo dell�avvalimento in via organica ed esclusiva, contengono, dunque, al contempo, una facolt� aggiuntiva che consente all�ente di avvalersi, senza impegno di risorse economiche, di una difesa qualificata, ed una limitazione pubblicista della capacit� negoziale che invece interdice, all�ente stesso, il conferimento di mandati ad litem aggiuntivi rispetto a quello, ope legis, assicurato dall�Avvocatura dello Stato. L�assunto ermeneutico � del resto in linea con quanto previsto dal medesimo RD 30 ottobre 1933 n.1611 nei confronti delle Amministrazioni statali soggetti al patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato: per queste ultime, non solo la difesa predetta � considerata irrinunciabile (a differenza del patrocinio facoltativo o �autorizzato� che invece contempla la possibilit� di rinuncia) ma � altres� prescritto che �nessuna Amministrazione dello Stato� possa �richiedere l�assistenza di avvocati del libero foro�, salvo ipotesi assolutamente eccezionali da verificare e validare con complesse procedure (Cfr. art. 5 RD cit.). In conclusione, tornando ai fatti di causa, il mandato conferito dall�Autorit� Portuale di Gioia Tauro, senza una previa, motivata rinuncia alla difesa, assicurata dall�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 43 del RD 30 ottobre 1933 n.1611 e del dPCM del 25 giugno 2004, � affetto da nullit� che conseguentemente priva il difensore del libero Foro dello ius postulandi. Ci� chiarito in ordine all�eccezione posta dall�Avvocatura, occorre in ogni caso dare atto che la rilevata nullit� del mandato e del conseguente esercizio dell�attivit� difensiva non incide sulla regolare costituzione dell�Autorit� Portuale, ritualmente avvenuta a mezzo dell�Avvocatura dello Stato. Pu� dunque passarsi all�esame del ricorso. 2. Il ricorso proposto dalla Zen Marine s.r.l (gi� CA.I.N. Sud s.r.l) � inammissibile. Trattasi di soggetto giuridico diverso dalla Zen Yacht srl (gi� CA.I.N. Yachting s.r.l ) che sebbene presentato, in sede introduttiva, quale partner commerciale di quest�ultima ed 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 anch�esso concessionario di area demaniale in ambito portuale in zona adiacente a quella della Zen Yacht s.r.l., non � destinatario neanche indiretto degli effetti del provvedimento impugnato - che hanno riguardo alla sola Zen Yacht srl - ed � inoltre estraneo ai rapporti negoziali ed alle connesse obbligazioni per le quali � causa. Del resto, non pu� di certo essere considerata sufficiente a radicare la legittimazione a ricorrere, l�appartenenza delle quote sociali al medesimo gruppo imprenditoriale titolare della Zen Yacht s.r.l.. Trattasi di un interesse di fatto che potrebbe al pi� giustificare un intervento adesivo, ma certo non un autonomo ricorso. Difetta dunque in radice il presupposto processuale per la proposizione del ricorso: la sussistenza di una posizione giuridicamente rilevate che si pretenda lesa dall�autorit� amministrativa. 3. Pu� invece essere esaminato il ricorso proposto dalla Zen Yacht s.r.l. 3.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell�art. 7 legge 241/90 per avere l�amministrazione omesso la comunicazione di avvio del procedimento. La censura � infondata L'art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, concernente l'obbligo di inviare la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, presuppone che l'interessato ignori l'esistenza del procedimento stesso: nel caso di specie, il ricorrente non solo ha stimolato e diffidato l�amministrazione a determinarsi sulla questione per la quale � poi intervenuto l�impugnato diniego, ma conosceva ampiamente i termini ed i contenuti del procedimento avendo partecipato a numerosi incontri a ci� dedicati, prospettando in quelle occasioni le proprie posizioni. Inoltre, nessun dubbio poteva sorgere sull�autorit� responsabile del procedimento essendo, la stessa, direttamente individuata dalla legge. (... Omissis...) Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione terza ter, decisione 6 maggio 2009 n. 4640 - Pres. Riggio, Est. Gi. Ferrari - Transfrigoroute Italia Assotir, Consorzio Autotrasportatori di Civitavecchia (avv.ti G. Gruner, S. Di Cunzolo) c/ Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Avvocatura Generale dello Stato), Autorit� Portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta (Avvocatura Generale dello Stato e avv.ti D. Vaiano, R. Izzo, M. Pozzi). (... Omissis) FATTO 1. Con ricorso notificato in data 28 novembre 2008 e depositato il successivo 9 dicembre 2008 la Transfrigoroute Italia Assotir ed il Consorzio Autotrasportatori di Civitavecchia impugnano il decreto n. 245 del 20 settembre 2008, adottato dal Presidente dell�Autorit� Portuale, con il quale � stato nominato il sig. Franco Bufalieri membro del Comitato Portuale dell�Autorit� Portuale, in qualit� di rappresentante degli autotrasportatori operanti nell�ambito portuale, ai sensi dell�art. 9, secondo comma, L. n. 84 del 1994, nonch� il precedente atto di designazione risultante dal verbale del Comitato Centrale n. 5CC/08 del 29 maggio 2008, e ne chiedono l�annullamento. Espongono, in fatto, che in data 30 settembre 2008 si � tenuta la prima riunione del Comitato Portuale nella composizione risultante a seguito dell�ultima procedura di rinnovo dei suoi TEMI ISTITUZIONALI 75 membri. In tale occasione sono venuti a sapere che il sig. Franco Bufalieri era stato nominato membro del Comitato Portuale in qualit� di rappresentante degli autotrasportatori operanti nell�ambito portuale, ai sensi dell�art. 9, secondo comma, L. n. 84 del 1994. 2. Avverso i predetti provvedimenti i ricorrenti sono insorti deducendo: Eccesso di potere per difetto di istruttoria � Violazione art. 3 L. n. 241 del 1990 � Violazione art. 9, primo comma, lett. i), n. 6) e secondo comma, L. n. 84 del 1994. Dal verbale del Comitato Centrale non � dato evincere l�iter che ha dato luogo alla scelta del sig. Bufalieri quale soggetto ritenuto maggiormente rappresentativo della categoria degli autotrasportatori operanti nell�ambito portuale di competenza dell�Autorit� Portuale di riferimento. Aggiungasi che illegittimamente la richiesta di designazione � stata fatta dal Presidente dell�Autorit� Portuale al Comitato Centrale in data 13 maggio 2008, ancorch� il mandato del precedente rappresentante scadesse il successivo 4 giugno, mentre il Comitato Centrale ha deliberato la designazione in data 29 maggio 2008. Ci� in palese violazione dell�art. 9, secondo comma, L. n. 84 del 1994, secondo cui la designazione del rappresentante degli autotrasportatori operanti in ambito portuale, effettuata dal Comitato Centrale, deve pervenire al Presidente dell�Autorit� Portuale entro due mesi dalla richiesta, che deve essere avanzata dallo stesso Presidente dell�Autorit� Portuale al Comitato Centrale entro il termine di due mesi prima della scadenza del mandato, e ci� al fine di fornire un congruo lasso di tempo al Comitato (pari, complessivamente, a quattro mesi) per svolgere in maniera accurata la richiesta istruttoria, prodromica all�atto di designazione. L�illegittimit� della designazione rende dunque illegittimo anche il successivo atto di nomina. Quest�ultimo � comunque illegittimo anche per vizi propri, essendo carente di una bench� minima motivazione in ordine ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell�Autorit� amministrativa in relazione alle risultanze dell�istruttoria. 3. Si � costituito in giudizio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha sostenuto l'infondatezza, nel merito, del ricorso. 4. Si � costituita in giudizio l�Autorit� Portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, che ha sostenuto l'infondatezza, nel merito, del ricorso. 5. Il Comitato centrale per l�Albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l�autotrasporto di cose per conto di terzi, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non si � costituito in giudizio. 6. Il sig. Franco Bufalieri non si � costituito in giudizio. 7. La CNA-FITA (Unione Nazionale Imprese di Trasporto) non si � costituita in giudizio. 8. Con memorie depositate alla vigilia dell�udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive. 9. Con ordinanza n. 38 del 9 gennaio 2009 � stata respinta l�istanza cautelare di sospensiva, stante l�interesse pubblico a non paralizzare l�attivit� del nuovo organo dell�Autorit� Portuale. 10. All�udienza del 30 aprile 2009 la causa � stata trattenuta per la decisione. DIRITTO 1. Prima di passare all�esame del merito della causa occorre dare atto che l�Autorit� portuale di Civitavecchia si � costituita in giudizio rappresentata sia dall�Avvocatura generale dello Stato che da legali del libero foro. Ai sensi del D.P.C.M. 4 dicembre 1997, l�Avvocatura dello Stato � autorizzata, ex art. 43, terzo comma, R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, ad assumere la rappresentanza e la difesa delle 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Autorit� portuali nei giudizi attivi e passivi avanti le autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. Il cit. terzo comma dell�art. 43 dispone che la rappresentanza e la difesa in giudizio � assunta dall�Avvocatura di Stato in via organica ed esclusiva eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni. Qualora l�Autorit� intenda avvalersi del libero foro e non dell�Avvocatura di Stato deve adottare, ai sensi del successivo quarto comma dello stesso art. 43, un�apposita e motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza. Ritiene peraltro il Collegio che l�autorizzazione accordata ai sensi del primo comma dell�art. 43 e, con riferimento all�Autorit� portuale di Civitavecchia, del D.P.C.M. 4 dicembre 1997, non opera ex se ma richiede necessariamente una previa istanza dell�Autorit� rivolta all�Avvocatura di Stato perch� assuma la rappresentanza e la difesa in giudizio. In mancanza di tale istanza � che costituisce l�elemento che distingue il patrocinio autorizzato da quello obbligatorio � l�Avvocatura non potr� difendere in giudizio l�Autorit�, e ci� a maggior ragione nel caso in cui, come nella specie, la predetta Autorit� non solo non ha chiesto il patrocinio all�Avvocatura dello Stato ma ha ritenuto preferibile dare mandato ad avvocati del libero foro. N� rileva, al contrario, la circostanza che non sia stata adottata �un�apposita e motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�, cos� come richiesto dal quarto comma dell�art. 43 R.D. n. 1611 del 1933, potendo tale circostanza assumere valenza ad altri fini ma non certamente a rendere automatico il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato che tale non �. Logico corollario di tale premessa � che l�Avvocatura di Stato, che si � costituita per difendere sia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che l�Autorit� portuale di Civitavecchia, resta in giudizio per il solo Ministero. 2. Pu� ora passarsi all�esame del merito. Come esposto in narrativa, � impugnata la designazione, effettuata dal Comitato centrale dell�albo degli autotrasportatori in data 29 maggio 2008, del sig. Franco Bufalieri quale rappresentante della categoria degli autotrasportatori nel Comitato portuale di Civitavecchia e la conseguente nomina, disposta il 10 settembre 2008, da parte della relativa Autorit� portuale. Con un unico, articolato motivo i ricorrenti affermano che tale designazione � illegittima sia per mancata osservanza dei termini previsti dall�art. 9, secondo comma, L. 28 gennaio 1994 n. 84 sia perch� del tutto immotivata, non essendo in alcun modo possibile evincere le ragioni che hanno indotto il Comitato centrale a designare il sig. Bufalieri. Tale designazione non sarebbe stata preceduta neanche da un�approfondita istruttoria, essendosi il Presidente del predetto Comitato limitato ad indicare il nome del controinteressato senza esplicitare le ragioni sottese alla sua proposta, che l�organo collegiale ha poi ratificato senza alcuna discussione o richiesta di chiarimento. Come si � detto, con una prima censura i ricorrenti affermano che la designazione � avvenuta senza rispettare i termini previsti dal secondo comma dell�art. 9 L. n. 84 del 1994. Detta norma prevede che la designazione del rappresentante della categoria degli autotrasportatori operanti nell�ambito portuale deve pervenire al Presidente dell�Autorit� portuale � che proceder� poi alla relativa nomina � entro due mesi dalla richiesta, avanzata dallo stesso due mesi prima della scadenza del mandato dei componenti. Decorso inutilmente il termine per l'invio della designazione, il Comitato portuale � validamente costituito nella composizione risultante dai membri di diritto e dai membri di nomina del Presidente gi� designati e nominati. I membri nominati e designati nel corso del quadriennio restano in carica fino al compimento del quadriennio stesso. Nel caso in esame il Presidente dell�Autorit� portuale ha avanzato la richiesta di designazione TEMI ISTITUZIONALI 77 il 13 maggio 2008, nonostante che il mandato del rappresentante della categoria in questione fosse in scadenza il successivo 4 giugno (quindi un mese prima della scadenza in luogo dei due mesi normativamente prescritti) ed il Comitato centrale dell�albo degli autotrasportatori ha proceduto alla designazione il 29 maggio 2008 (quindi sedici giorni dopo la richiesta in luogo dei due mesi prescritti). Detta censura non � suscettibile di positiva valutazione, perch� i termini in questione non hanno natura perentoria, e ci� in quanto alcuna conseguenza, in ordine alla perdita del relativo potere, � prevista per l�ipotesi di omesso rispetto del cit. art. 9, secondo comma, L. n. 84 del 1994, che anzi dispone l�operativit� dell�organo, nelle more del perfezionamento della procedura, nella composizione risultante dai membri di diritto e dai membri di nomina del Presidente gi� designati e nominati. 3. E� invece fondata la censura di difetto di motivazione e di istruttoria in ordine alla scelta del controinteressato sig. Franco Bufalieri quale rappresentante della categoria degli autotrasportatori nel Comitato portuale di Civitavecchia. Ritiene infatti il Collegio di non poter seguire la tesi difensiva dell�Autorit� portuale, che fonda la legittimit� degli impugnati provvedimenti di designazione e di nomina sull�assunto che il rappresentante della categoria degli autotrasportatori in seno al Comitato centrale dell�albo degli autotrasportatori, che ha proceduto alla designazione, � gi� scelto secondo i criteri della maggiore rappresentativit�, con la conseguenza che il soggetto individuato non pu� che essere espressione di tale maggiore rappresentativit�. Ci�, sempre ad avviso dell�Autorit� portuale, renderebbe inapplicabile, nel caso in esame, i principi, richiamati da parte ricorrente, in ordine alla necessit� di far precedere la scelta da una congrua ed approfondita istruttoria e di esternare diffusamente le ragioni che, a conclusione della stessa, hanno portato alla scelta del soggetto designato. Ricorda infatti il Collegio che la designazione del rappresentante della categoria degli autotrasportatori nel Comitato portuale di Civitavecchia � fatta non dal solo rappresentante della categoria degli autotrasportatori in seno al Comitato centrale dell�albo degli autotrasportatori ma dall�intero Comitato. Logico corollario di tale premessa � la necessit� che siano motivate sia l�indicazione del nominativo fatta dal Presidente dell�organo collegiale, sia l�accordo che si forma su tale nominativo, e ci� in applicazione del principio generale secondo cui, salvo che la legge non disponga diversamente, il Presidente di un organo collegiale non � in posizione di primazia rispetto agli altri componenti l�organo. Data la premessa, la conseguenza � che sul nome proposto dal Presidente del Comitato centrale si sarebbe dovuta intavolare una discussione tra tutti i membri del Comitato stesso per poi motivatamente pervenire alla scelta di quel soggetto o, al contrario, di altro candidato. 4. La fondatezza delle censure rivolte avverso la designazione del sig. Bufalieri comporta l�accoglimento della censura di illegittimit� derivata proposta avverso il successivo atto di nomina dello stesso controinteressato da parte del Presidente dell�Autorit� portuale. 5. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere accolto. Quanto alle spese di giudizio, pu� disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio � Sezione III Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l�effetto, annulla gli atti impugnati. 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Osservatorio di giurisprudenza sul contenzioso relativo ai provvedimenti dell�autorit� per l�energia elettrica e il gas Anno 2008 a cura di Francesco Sclafani* Premessa Nel 2008, il Tar Lombardia ha depositato 102 decisioni di cui 98 sentenze, 7 ordinanze cautelari, 1 ordinanza istruttoria, che dispone una consulenza tecnica d�ufficio e 4 decreti presidenziali. Il Consiglio di Stato ha pubblicato 47 decisioni di cui 37 sentenze e 10 ordinanze cautelari. Gli esiti del contenzioso sono riassunti nelle seguenti tabelle. Tabella 1: esiti del contenzioso 2008 Tabella 2: effetti del contenzioso 2008 sui provvedimenti dell�Autorit� (2) (*) Avvocato dello Stato, responsabile Direzione legislativo e legale dell�Autorit� per l�energia elettrica e il gas. Rigetto Accoglimento Accoglimento parziale Istruttoria Decisioni Tar Lombardia - di merito 74 11 17 0 - cautelari 5 2 0 1 Decisioni Consiglio di Stato - su appello dell�Autorit� 7 21 0 0 - su appello di controparte 17 (1) 2 0 0 Tar Lombardia Confermate Annullate Annullate in parte Deliberazioni 27 7 5 Note delle Direzioni 9 0 0 Consiglio di Stato Confermate Annullate Annullate in parte Deliberazioni 8 6 0 Note delle Direzioni 1 0 0 TEMI ISTITUZIONALI 79 Per la prima volta il Tar, con l�ordinanza istruttoria n. 267/08, ha nominato un consulente tecnico d�ufficio affidandogli il compito di valutare se e in che modo possa ritenersi che una acciaieria �utilizzi� il servizio di trasporto nazionale, ci� al fine di decidere se tale impresa debba essere assoggettata all�applicazione della corrispondente tariffa. Infine, si segnala l�ordinanza n. 177/08 con cui il Tar ha rimesso alla Corte di Giustizia CE una questione interpretativa sull�articolo 23 della direttiva 2003/55/CE in merito al potere dell�Autorit� di definire prezzi di riferimento delle forniture di gas naturale ai clienti domestici dopo il l� luglio 2007. Per quanto riguarda le tematiche affrontate, anche il 2008 � stato dominato dalla questione dei poteri dell�Autorit� e del rispetto del principio di legalit�. La regolazione proconcorrenziale Il sindacato giurisdizionale sulla legittimit� dell�intervento dell�Autorit� nei settori liberalizzati ha riguardato sia il mercato elettrico che quello del gas, con esiti favorevoli all�Autorit� in entrambi i settori. Il Tar ha mutato il proprio indirizzo in materia di disciplina delle condizioni economiche di fornitura del gas naturale (deliberazione n. 79/07), facendo propria l�affermazione del Consiglio di Stato nella sent. n. 4896/07 sulla deliberazione n. 248/04, secondo cui: �Una normativa di liberalizzazione non �, infatti, incompatibile con quella previgente di carattere generale che miri a salvaguardare la concorrenza e gli interessi dell�utenza� (Tar Lombardia, 15 aprile 2008, n. 1873/08, 1874/08, 1875/08, 1876/08, 1877/08, 1878/08, 1879/08, 1880/08, 1881/08, 1882/08). Tuttavia, con ordinanza 3 giugno 2008, n. 177/08 il medesimo giudice ha rimesso dinanzi alla Corte di Giustizia CE la seguente questione pregiudiziale (ex art. 234 Trattato CE): se l�articolo 23 della direttiva 2003/55/CE, che disciplina l�apertura del mercato del gas, debba essere interpretato nel senso che osti ai principi comunitari una norma nazionale che, dopo il 1� luglio 2007, mantenga ancora all�Autorit� di regolazione nazionale il potere di definire prezzi di riferimento delle forniture di gas naturale ai clienti domestici. � stato, inoltre, riconosciuto dal Consiglio di Stato il potere dell�Autorit� di intervenire sulla disciplina del provvedimento Cip 6/92 in materia di �iniziative prescelte� (deliberazione n. 249/06), con il conseguente annullamento delle precedenti sentenze sfavorevoli del Tar. In particolare il Consiglio di (1) Include anche 10 ordinanze di rigetto rese dal Consiglio di Stato sugli appelli cautelari proposti dalle imprese. (2) Nel 2008 sono stati impugnati 63 provvedimenti dell�Autorit�, di cui 55 deliberazioni e 8 note delle direzioni. � aumentato il numero delle decisioni rese dal Tar Lombardia rispetto all�anno precedente (del 54.5%) e permane il dato rilevante dei ricorsi estinti per rinuncia, pari all�8.8% dei ricorsi decisi nel 2008. Il Tar Lombardia ha accolto le istanze cautelari solo in due occasioni. 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Stato ha ritenuto che �l�aggiornamento del prezzo del gas non solo rientra tra i poteri attribuiti dall�Autorit�, ma costituisce un atto dovuto� (Consiglio di Stato, 1279/08, 1291/08, 1278/08, 1275/08, 1288/08, 1286/08, 1283/08, 1292/08, 1290/08, 1277/08, 1287/08, 1281/08, 1276/08, 1280/08, 1289/08, 1293/08, 1284/08, 1282/08, 1285/08). � stata ritenuta legittima, nelle sue linee essenziali, la regolazione in materia di separazione amministrativa e contabile tra le imprese verticalmente integrate (c.d. unbundling, deliberazione n. 11/07). Sul punto il Tar Lombardia ha definito l�intervento regolatorio calibrato e proporzionato, ritenendo che l�intero impianto di regolazione posto in essere dall�Autorit� si basi �sull�imposizione di regole mirate a favorire e non a reprimere l�utile di impresa della singola societ� di rete appartenente a gruppi verticalmente integrati, proprio perch� il comportamento societario principalmente temuto (che la separazione funzionale intende reprimere) � quello che penalizza la redditivit� dell�esercente, costringendo quest�ultimo ad una �disciplina� di gruppo con privilegi di accessi alle infrastrutture per le sole imprese amiche e con sussidi incrociati che depauperano il suo fatturato� (Tar Lombardia, 21 febbraio 2008, n. 381/08, 382/03, 383/08, 384/08, 385/08, 386/08, 387/08, 388/08, 389/08, 390/08, 391/08, 392/08, 393/08, 394/08, 395/08, 396/08, 397/08, 398/08, 399/08, 400/08, 401/08, 402/08). I giudici di primo grado hanno ritenuto illegittime solo le norme relative all�applicazione dell�unbundling all�attivit� di misura e alla partecipazione dei dirigenti all�interno del gestore indipendente (su quest�ultimo punto per� il Consiglio di Stato ha accolto, nel febbraio 2009, l�appello dell�Autorit�). La regolazione delle infrastrutture La regolazione del servizio di dispacciamento, al fine di assicurare la sicurezza del sistema elettrico, � una prerogativa propria dell�Autorit�, nell�esercizio dei poteri ad essa conferiti dalla legge. Secondo il Tar ҏ del tutto evidente che fra i servizi presi in considerazione dalle predette norme (art.2, comma 12, della legge n. 481/95 e art.3, comma 3, del d.lgs. n. 79/99) vi � anche il servizio di dispacciamento volto a garantire la sicurezza del sistema, e che pertanto in tale materia l�Autorit� pu� intervenire emanando apposite direttive e prescrizioni dirette ad assicurare specifici livelli di qualit� delle prestazioni rese nell�ambito di tale servizio� (Tar Lombardia, 10 dicembre 2008, n. 5770/08, 5769/08, 5771/08, 5768/08, 5767/08, 5756/08, 5766/08). Con tali sentenze, il Tar Lombardia ha riconosciuto la legittimit� delle c.d. unit� essenziali, in quanto strumento di garanzia per un efficace espletamento del servizio di dispacciamento, poich� �soprattutto in caso di rischio di gravi squilibri nel sistema, gli operatori potrebbero abusare della propria posizione e spingere il costo delle risorse essenziali per la sicurezza a costi TEMI ISTITUZIONALI 81 anormalmente elevati, cos� determinando condizioni di criticit� idonee a compromettere le stesse esigenze di sicurezza�. Il Consiglio di Stato, invece, pur avendo espressamente riconosciuto all�Autorit� il potere di regolazione delle unit� di pompaggio (ex articolo 3, comma 2, del d.lgs. n. 79/99 e articolo 1, comma 3, lettera a) della legge n. 239/2004), ha ritenuto che l�esercizio di tale potere debba rispettare i limiti indicati dalla legge n. 290/2003 (Consiglio di Stato, 25 gennaio 2008, n. 200/08). Per quanto riguarda l�accesso alle infrastrutture del gas, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l�articolo 24 del d.lgs. n. 164/00 non regolamenti in via esclusiva e compiuta i casi di legittimo rifiuto all�accesso essendo applicabili gli ordinari principi in materia di contratti e, in particolare, di autotutela creditoria. Secondo i giudici di secondo grado, l�articolo 24 del d.lgs. n. 164/00 disciplina le fattispecie di rifiuto di accesso solo sotto il versante �pubblicistico�. Pertanto, laddove il richiedente si sia reso moroso in precedenza, la societ� di trasporto �legittimamente pu� rifiutarsi di eseguire (nuovamente) la propria prestazione nei confronti del medesimo cliente sino a che l�inadempimento pregresso non sia sanato� (Consiglio di Stato, 3 dicembre 2008, n. 5936/08). I poteri tariffari Nel 2008 sono state definite alcune importanti controversie in materia tariffaria. Con sentenza n. 49/08, il Tar ha riconosciuto il potere dell�Autorit� di subordinare il riconoscimento delle condizioni tariffarie favorevoli ex art. 11, comma 11, legge n. 80/05 al rilascio, da parte dell�impresa interessata, di una garanzia fideiussoria, nelle more del procedimento avviato dalla Commissione Europea per verificarne la compatibilit� con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato (deliberazione n. 145/07). L�Autorit�, nell�esercizio dei poteri regolatori attribuitegli dalla legge, �pu� discrezionalmente decidere, a garanzia del recupero degli ingenti importi che l�anticipazione delle agevolazioni tariffarie impone a carico del sistema energetico e quindi dei consumatori, di subordinare l�applicazione dell�agevolazione stessa al rilascio di idonea garanzia, secondo lo schema della fideiussione o secondo altri modelli di garanzia conosciuti dalla prassi commerciale� (Tar Lombardia, 16 gennaio 2008, n. 49/08). In materia di corrispettivi aggiuntivi per prestazioni gi� remunerate dalla tariffa di distribuzione, il Tar ha ritenuto che estrapolare talune prestazioni gi� remunerate dalla tariffa, affinch� siano oggetto di autonomo corrispettivo, integri un comportamento contrario alla legge, cio� all�art.2, comma 12, lettera e) della legge n. 481/95, che demanda all�Autorit� la fissazione del tetto massimo della tariffa applicabile. Pertanto, �la clausola in contrasto con il sistema tariffario delineato dall�Autorit� deve essere qualificata come nulla ex art. 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 1418 del codice civile, in quanto viola la norma imperativa che impone il rispetto dello stesso e, quindi, delle indicazioni dell�Autorit�, cui � demandato di individuare in concreto i parametri di riferimento della tariffa conforme a legge� (Tar Lombardia 13 febbraio 2008, n. 323/08). Inoltre il Tar ha affermato che in materia tariffaria non sono configurabili diritti soggettivi ed in particolare che non � possibile configurare alcun diritto alla rideterminazione del vincolo sui ricavi di distribuzione (VRD) delle imprese di distribuzione per effetto delle sentenze passate in giudicato sul c.d. caso �CONSIAG�: �Non pu� ritenersi, che a seguito dei giudicati amministrativi pi� volte citati (quelli del caso CONSIAG) l�AEEG avesse un dovere di rideterminazione tariffaria a carattere �vincolato�, s� da imporre la configurazione in capo all�esercente di un vero e proprio �diritto soggettivo� alla rideterminazione.� (Tar Lombardia 7 maggio 2008, n. 1326/08). Infine, il Tar ha ritenuto legittima anche la deliberazione n. 203/06, che ha eliminato le fasce orarie dal corrispettivo TRAS della tariffa elettrica (Tar Lombardia 18 aprile 2008, n. 219/08). La regolazione della qualit� dei servizi Il Consiglio di Stato ha affrontato anche il tema dei limiti di intervento del regolatore sull�autonomia contrattuale ed ha giudicato illegittima l�estensione a soggetti diversi dai consumatori del diritto di recesso dal contratto di fornitura (ai sensi dell�articolo 11, commi 3 e 4, della deliberazione, n. 105/06). Il giudice di secondo grado ha ritenuto che l�eterointegrazione del contratto, per effetto dell�art. 1339 del codice civile, opera solo per effetto di una disposizione legislativa e non di un atto amministrativo (Consiglio di Stato, 11 novembre 2008, n. 566/08). Tale pronuncia si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di eterointegrazione del contratto ex articolo 1339 c.c. (Cassazione, sezione I, 29 settembre 2004, n. 19531). Sul risparmio energetico, il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo per difetto di motivazione il rigetto di alcuni progetti di efficienza energetica in quanto, a fronte delle precise argomentazioni e allegazioni presentate dalle societ� nei relativi progetti, �l�Autorit� avrebbe dovuto, nel rigettare il programma di misurazione, confutarle specificamente e analiticamente, anzich� limitarsi apoditticamente ad affermare che la societ� non aveva spiegato le ragioni su cui si fonda la scelta del rendimento convenzionale� (Consiglio di Stato, 5 dicembre 2008, n. 6029/08, n. 6030/08 e 6031/08). Il potere sanzionatorio Il Tar ha affermato l�applicabilit� dell�articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 ai procedimenti sanzionatori dell�Autorit�, ritenendo che, ai fini TEMI ISTITUZIONALI 83 della tempestiva contestazione dell�illecito, debba tenersi conto di un ragionevole spatium deliberandi. Secondo il giudice, il termine di novanta giorni entro cui l�Autorit� deve provvedere alla notifica della contestazione, ai sensi dell�articolo 14 della legge n. 689/811, � collegato dalla legge non alla data di commissione della violazione, ma al tempo di accertamento dell�infrazione: �Come data di tale accertamento deve essere intesa non la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialit�, ma l�acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita, a sua volta implicante il riscontro, pure allo scopo di una corretta formulazione, della sussistenza e della consistenza dell�infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non commutabilit� del periodo ragionevolmente occorso, ai fini dell�acquisizione e della delibazione degli elementi necessari per una matura e legittima formulazione della contestazione� (Tar Lombardia, 29 dicembre 2008, n. 6181/08). Inoltre il Tar ha ribadito il proprio orientamento sull�applicabilit� della legge n. 689/81 ai procedimenti sanzionatori dell�Autorit�, con particolare riguardo all�articolo 1, enunciante il principio di legalit�. Nel caso di specie, secondo il giudice, il provvedimento sanzionatorio (deliberazione n. 66/07) sarebbe stato adottato in violazione di tale principio, poich� la contestazione mossa all�impresa non avrebbe alcun fondamento normativo n� nella deliberazione n. 55/00, n� nella deliberazione n. 200/99: �non appare possibile colmare tale vuoto normativo attraverso un�interpretazione delle vigenti disposizioni per inferirne una fattispecie sanzionatoria in contrasto con il principio di legalit�� (Tar Lombardia 13 febbraio 2008, n. 321/08). In tema di pagamento in misura ridotta della sanzione (oblazione), il Tar ha negato la possibilit�, per il soggetto che ha oblato, di ricorrere in sede giurisdizionale per contestare la propria responsabilit�, sottolineando che �per effetto del pagamento, seppure in forma ridotta, della sanzione, viene in parte salvaguardata la finalit� di prevenzione propria della norma sanzionatoria e di conseguenza garantita l�effettivit� dell�applicazione delle prescrizioni che si assumono violate� (Tar Lombardia, 13 febbraio 2008, n. 320/08). L�attivit� ispettiva Nel 2008, il giudice amministrativo ha giudicato pi� volte la legittimit� delle attivit� ispettive dell�Autorit�. Il Tar Lombardia ha escluso che ai procedimenti di ispezione sia applicabile il d.p.r. 244/2001 (Regolamento recante disciplina delle procedure istruttorie dell�Autorit�), perch� le ispezioni sono soggette alla speciale disciplina procedimentale della deliberazione n. 215/04 (Tar Lombardia 5 febbraio 2008, n. 265/08). Inoltre, � stato affermato che le imprese sottoposte ad ispezione non pos- 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 sono opporre, a propria discolpa, alcuna situazione di buona fede tutelabile per il solo fatto di non essere mai state destinatarie, in passato, di altre verifiche ispettive dell�Autorit�. Peraltro, siccome la legge non prevede un termine entro il quale le verifiche debbano essere effettuate, la semplice accettazione da parte dell�Autorit� delle autocertificazioni dell�impresa, nelle more delle attivit� di verifica e controllo dell�esattezza delle stesse, �non pu� aver ragionevolmente indotto nella ricorrente la buona fede tutelata dall�art. 97 Cost.� (Tar Lombardia 10 settembre 2008, n. 4029/08). Infine, il fatto che un impianto rientri nelle c.d. iniziative prescelte previste dal provvedimento CIP 6/92 non preclude l�applicazione della deliberazione n. 42/02 sul riconoscimento della cogenerazione, n� garantisce di per s� il rimborso integrale degli oneri sostenuti per l�acquisto dei certificati verdi. Tale rimborso integrale, afferma il Tar, �finirebbe per contraddire la stessa ratio del provvedimento CIP 6/92, posto che sarebbero posti a carico dell�intero sistema elettrico i costi derivanti dalle inefficienze degli impianti ammessi ai benefici del CIP 6, benefici che dovrebbero invece premiare le imprese meglio organizzate ed efficienti quanto al risparmio energetico ed all�utilizzo di fonti energetiche non tradizionali� (Tar Lombardia 5 febbraio 2008, n. 265/08, n. 264/08, 263/08). L�organizzazione dell�Autorit� Il Tar ha ribadito che l�assenza di uno dei membri del collegio non determina l�illegittimit� delle deliberazioni dell�Autorit� in quanto nessuna norma di legge prevede che il collegio debba deliberare con la totalit� dei suoi membri. L�Autorit�, inoltre, non � un collegio perfetto, in quanto la sua composizione non � strutturata in funzione della rappresentanza di esperienze o conoscenze diverse, ma in ragione della posizione di indipendenza dei suoi membri. Infine, la mancanza di membri supplenti conferma che non � necessaria una partecipazione totalitaria dei suoi membri (Tar Lombardia 23 ottobre 2008, n. 5197/08). I L C O N T E N Z I O S O C O M U N I TAT I O E D I N T E R N A Z I O N A L E La violazione dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali da parte delle leggi statali e regionali di Roberto Palasciano* e Marialaura Borrillo** PREMESSAMETODOLOGICA - Come � noto, il novellato art. 117, 1� comma, Cost., quale risultante dalla riforma del titolo V ad opera della legge costituzionale n. 3/2001, nello stabilire in termini generali che �la potest� legislativa � esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonch� dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali�, ha imposto una rimeditazione dei rapporti tra l�ordinamento interno e quello internazionale, da un lato, e comunitario, dall�altro, prospettando problematiche solo in parte coincidenti. Riservando alla seconda parte della presente riflessione l�approfondimento dei profili di rilievo squisitamente comunitario della tematica � attesa la specificit� che li contraddistingue � per quanto concerne le conseguenze di diritto internazionale �puro� portate dalla novella, si osserva che essa ha profondamente modificato l�assetto dei rapporti tra l�ordinamento interno e l�ordinamento internazionale soprattutto sul piano del sistema delle fonti del diritto. Per una migliore comprensione degli effetti prodotti in parte qua dalla riforma appare tuttavia necessario, per esigenze di coerenza e chiarezza logico- giuridica, tratteggiare un quadro dei rapporti tra l�ordinamento interno e (*) Procuratore dello Stato, autore della parte A. (**) Dottore in giurisprudenza, ha svolto la pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato, autrice della parte B. 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 l�ordinamento internazionale come si profilavano antecedentemente alla stessa, avendo particolare riguardo agli strumenti di recepimento del secondo nel primo, per verificare quindi in quali termini possa essere apprezzato il nuovo ruolo degli obblighi internazionali nell�ordinamento costituzionale, non senza prospettare alcuni spunti di riflessione critica dallo stesso sollevati. ** *** ** PARTE A: 1. Gli strumenti di penetrazione del diritto internazionale nell�ordinamento interno: l�art. 10 Cost.; -2. (segue): il ruolo dei trattati internazionali; -3. Il novellato art. 117, 1� co., Cost.; -4. Alcuni profili problematici: l�ambito di applicazione dell�art. 117, 1� comma, Cost.; -5. (segue): la mancata esecuzione dei trattati internazionali. 1. Gli strumenti di penetrazione del diritto internazionale nell�ordinamento interno: l�art. 10 Cost. L�unica disposizione della Carta Costituzionale che si occupa in maniera esplicita della problematica generale afferente ai rapporti tra il diritto internazionale ed il diritto interno, e pi� precisamente degli strumenti e meccanismi di recepimento del primo nel secondo, � l�art. 10, 1� comma, il quale testualmente recita �L�ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute� (1). Come � noto, la disposizione costituisce il risultato di un lungo ed intenso dibattito in seno all�Assemblea Costituente (2), nel quale � stata privilegiata la formulazione poi definitivamente approvata nel dichiarato intento di istituire per la prima volta nel nostro ordinamento un meccanismo di adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale in base al quale, ferma restando la separazione sul piano logico e giuridico tra i due ordinamenti � posto che incontrovertibilmente la Costituzione repubblicana ha accolto una concezione �dualistica� dei relativi rapporti (3) � le norme del diritto internazionale penetrano nell�ordinamento interno, e ne divengono parte integrante, senza necessit� di alcun atto normativo di recepimento, ma proprio in virt� della sola (1) Sulla natura di norma sulla produzione giuridica di cui all�art. 10, 1� comma, Cost., si veda , SICO, Adattamento del diritto interno al diritto internazionale generale, in Enc. dir., Aggiornamento II, Milano, 1998, 38. (2) Si vedano, in particolare, i resoconti della seduta del 11 dicembre 1946 della Prima Sottocommissione, della seduta del 24 gennaio 1947 della Commissione per la Costituzione e della seduta del 24 marzo 1947 dell�Assemblea Plenaria. (3) Sul punto cfr. SICO, op. cit., 32, ove si evidenzia che �il termine �adattamento� � evidentemente associato ad una scelta dualistica nella problematica dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale, in quanto esso presuppon[e] la separazione dei due ordinamenti�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 generale disposizione della Costituzione sopra menzionata (4). Sul punto, appare peraltro doverosa una precisazione terminologica in ordine al significato dei termini �adattamento� e/o �recepimento� utilizzati con riferimento all�art. 10 Cost. � evidente, infatti, che con tali locuzioni possono essere astrattamente intesi due fenomeni radicalmente distinti: da un lato quello, che si potrebbe definire adattamento in senso forte, per cui le norme di diritto internazionale divengono per il tramite dell�art. 10 Cost. norme interne dell�ordinamento italiano, con rango a tutti gli effetti costituzionale; dall�altro quello, che si potrebbe definire adattamento in senso debole, per cui le stesse rimangono norme estranee all�ordinamento interno ed assurgono soltanto a parametri di legittimit� costituzionale delle disposizioni di diritto interno, integrando il parametro rappresentato dall�art. 10 Cost. Pur consentendo la terminologia utilizzata dal Legislatore costituente entrambe le scelte ermeneutiche, con riferimento alla materia de qua da sempre si � ritenuto � anche in virt� della tradizionale tendenza (cui gi� si � fatto cenno) a tenere distinti i due ordinamenti � che fosse possibile soltanto un adattamento in senso debole, nel senso appena chiarito e che innanzi si avr� cura di precisare ulteriormente. Nulla peraltro vieterebbe, una volta superate le ritrosie ad ammettere l�esistenza di un unico ordinamento giuridico sovranazionale, di accogliere anche la diversa ipotesi interpretativa. Ci� posto, il Legislatore costituente ha chiaramente inteso circoscrivere l�ambito applicativo del richiamato meccanismo di recepimento automatico, posto che l�art. 10 cit. non si riferisce indistintamente a tutte le disposizioni del diritto internazionale, indipendente dalla fonte di produzione, ma limita la propria sfera operativa alle sole �norme del diritto internazionale generalmente riconosciute�. Con tale espressione, frutto anch�essa di un acceso dibattito in seno all�Assemblea Costituente, si � inteso fare riferimento (ed attribuire quindi un ruolo, per cos� dire, �privilegiato�) alle sole consuetudini internazionali, con esclusione delle norme di carattere pattizio-convenzionale derivanti dalla stipulazione di trattati internazionali, per le quali si � invece ritenuto opportuno ricorrere ad altri sistemi di recepimento (5), secondo una interpretazione da (4) L�attuale formulazione della disposizione, la quale riproduce sostanzialmente l�art. 4 della Costituzione tedesca di Weimar, � frutto in particolare dell�emendamento presentato dall�on. Perassi, teso ad �istituire quello che si pu� chiamare un dispositivo di adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale generale� (v. seduta del 24 gennaio 1947 della Commissione per la Costituzione). Sulla tematica si veda MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 1992, 103. (5) Si veda, in particolare, quanto affermato nella seduta del 24 gennaio 1947 della Commissione per la Costituzione dall�on. Perassi, risultato poi decisivo ai fini dell�approvazione dell�articolo, secondo cui con l�espressione de qua �si intende alludere esclusivamente alle norme del diritto internazionale generale, non alle norme che siano poste da accordi internazionali bilaterali o collettivi. L�adattamento del diritto interno italiano a norme derivanti da trattati bilaterali o collettivi non � regolato da questo articolo; sar� attuato secondo altri procedimenti�. 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 sempre condivisa in modo pressoch� unanime dalla giurisprudenza costituzionale e dalla dottrina (6). L�ingresso automatico (nel senso in precedenza chiarito) nel nostro ordinamento delle norme internazionali consuetudinarie per effetto dell�art. 10 Cost. incide peraltro in modo diretto sul rango che le stesse vengono ad assumere nel sistema interno delle fonti del diritto. Tali norme infatti, secondo l�interpretazione che come detto � risultata prevalente, vengono a costituire delle vere e proprie �norme interposte� (7) che, attraverso il parametro costituzionale dell�art. 10, 1� comma, cit., consentono di vagliare la legittimit� costituzionale delle disposizioni di rango primario potenzialmente confliggenti; con la conseguenza che un eventuale contrasto di una norma interna con una consuetudine internazionale generalmente riconosciuta importa l�espunzione della prima dall�ordinamento giuridico interno attraverso la relativa declaratoria di incostituzionalit� (8). Questioni di maggiore complessit� si prospettano invece nell�eventualit� di un contrasto tra le norme di adattamento al diritto internazionale generale �prodotte� ai sensi dell�art. 10 Cost. ed altre norme interne di rango costituzionale. Al riguardo, la Corte Costituzionale (9) ha distinto nettamente l�ipotesi che a venire in rilievo sia una norma di diritto internazionale consuetudinario venuta ad esistenza anteriormente all�entrata in vigore della Costituzione repubblicana da quella in cui la norma internazionale sia creata successivamente. Nel primo caso, infatti, la norma di diritto internazionale � comunque destinata a prevalere per il suo carattere di specialit�, posto che l�art. 10, 1� comma, Cost., oltre a creare un meccanismo di adattamento automatico nel senso in precedenza riferito, esprime ancor prima un giudizio di conformit� dell�ordinamento interno nel suo complesso al diritto internazionale generale, venendo cos� a determinare una vera e propria presunzione assoluta di conformit� del secondo al primo. Nel secondo caso, invece, la Consulta ha correttamente evidenziato che la norma di diritto internazionale generale � comunque destinata a rispettare i principi fondamentali dell�ordinamento co- (6) Sul punto la giurisprudenza costituzionale � da sempre pacifica: si vedano, solo tra le pi� recenti, Corte Cost., sentenza 13 luglio 2007, n. 284, in Giur. costit., 2007, 4 e Corte Cost., sentenze 24 ottobre 2007, n 348 e n. 349 (tali ultime pronunce, sulle quali lungamente si torner�, sono pubblicate anche su questa Rassegna, 2007, 3, 32 ss.). In dottrina si rinvia a SICO, op. cit., 35 ss. per una pi� analitica disamina delle posizioni dottrinarie minoritarie emerse con riferimento all�interpretazione dell�ambito di applicazione dell�art. 10 Cost. (7) In generale, sul concetto di �norma interposta�, si rinvia alla fondamentale teoria di LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della �manifesta infondatezza�, Milano, 1957, 30. (8) Sul tema cfr. SICO, op. cit., 38 s. e MARTINES, op. cit., 103. (9) Corte Cost., sentenza 18 giugno 1979, n. 48 in Giur. costit., 1979, I, 373. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 stituzionale interno, dovendo diversamente ritenersi essa stessa illegittima (10). Resta comunque fermo il rango costituzionale (rectius, �paracostituzionale�) delle norme di diritto internazionale consuetudinario recepite attraverso l�art. 10, 1� comma, Cost. 2. (segue): il ruolo dei trattati internazionali Come � noto, tuttavia, le disposizioni del diritto internazionale (lato sensu intese) non si esauriscono certamente nelle sole norme di diritto consuetudinario, posto che vi sono ricomprese (ed hanno assunto anzi un ruolo progressivamente sempre pi� rilevante, sia sul piano quantitativo che qualitativo) le disposizioni del diritto internazionale convenzionale derivanti dalla stipulazione di trattati internazionali, siano essi bilaterali o plurilaterali. Come gi� accennato, con riferimento a tale diversa tipologia di norme, il Legislatore costituente ha inteso non prevedere un meccanismo di recepimento automatico, preferendo affidare il relativo recepimento a strumenti di adattamento diversi. � rimasta infatti del tutto isolata l�impostazione dottrinaria tendente a far rientrare nel sistema di adattamento automatico di cui all�art. 10, 1� comma, Cost. anche le norme di derivazione pattizia muovendo dall�assunto per cui l�ordinamento italiano si confermerebbe in virt� dello stesso art. 10 anche alla norma di diritto internazionale generale pacta sunt servanda (11). In tale quadro, si � da subito ritenuto che al fine di consentire l�ingresso nell�ordinamento interno delle norme di diritto internazionale pattizio fosse (10) Occorre comunque prendere atto che parte della dottrina ha criticato la menzionata distinzione, ritenendo che il carattere rigido della Costituzione imponga il rispetto del limite dei principi fondamentali dell�ordinamento anche alle consuetudini internazionali previgenti: sul punto cfr., tra gli altri, CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1995, 185; BARILE, Costituzione e diritto internazionale. Alcune considerazioni generali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1986, 955; MARTINES, op. cit., 103. (11) Tale impostazione � stata sostenuta da QUADRI, Diritto internazionale pubblico, Napoli, 1969, 64 ss., traendone la conseguenza che l�ordinamento italiano, per il tramite dell�art. 10 Cost., si adattasse a tutti i trattati internazionali dei quali l�Italia fosse parte contraente; e, negata la necessit� di un atto normativo specificamente mirante a produrre l�effetto dell�adeguamento, ricostruiva la pratica dell�emanazione di ordini di esecuzione, costantemente seguita dagli organi costituzionali interni, come tendente a soddisfare una semplice condicio iuris, collegata all�esigenza di assicurare la pubblicit� della norma di adeguamento, alla cui verificazione fosse sottoposta la produzione del predetto effetto. Come detto, tale opinione � rimasta sostanzialmente isolata in dottrina e priva di seguito in giurisprudenza: in particolare Corte Cost., sentenza 6 giugno 1989, n. 323, in Giur. costit., 1989, I, 1771, ha rigettato apertis verbis la teoria del Quadri sul presupposto che la norma pacta sunt servanda � norma di carattere strumentale, non suscettibile di applicazione nell�ordinamento interno, affermando il principio per cui �l�adattamento alle norme internazionali pattizie avviene per ogni trattato con un atto ad hoc consistente nell�ordine di esecuzione adottato di regola con legge ordinaria. Ne consegue che i trattati internazionali vengono ad assumere nell�ordinamento la medesima posizione dell�atto che ha dato loro esecuzione. Quando l�esecuzione � avvenuta mediante legge ordinaria essi acquistano pertanto la forza e il rango di legge ordinaria che pu� essere abrogata o modificata da una legge ordinaria successiva�. 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 necessario uno specifico atto normativo di recepimento. Due, al riguardo, sono gli strumenti tradizionalmente elaborati all�uopo: la legge di esecuzione, consistente in un atto di rango primario interamente riproduttivo delle norme del trattato da recepire; e l�ordine di esecuzione (pi� frequentemente utilizzato), contenuto in un testo di legge di rango primario e consistente nella formula �piena ed intera esecuzione � data al trattato ��, di cui � annesso il testo integrale (12). Pur nella evidente diversit� tra i due sistemi di recepimento � nel primo caso, infatti, � il Legislatore statale a porre direttamente le norme esecutive del trattato, mentre nel secondo il Legislatore si limita ad operare un rinvio �dall�esterno� al trattato medesimo, al quale dunque l�interprete dovr� fare riferimento per determinare il contenuto delle norme interne esecutive dello stesso � l�elemento comune era costituito dal fatto che il rango della norma di recepimento del trattato, sul piano della gerarchia delle fonti, veniva determinato da quello dello strumento di recepimento (la legge o l�ordine di esecuzione) e pertanto era di carattere primario, con tutte le relative conseguenze. Ne discendeva, in particolare, che gli eventuali contrasti tra le norme del trattato internazionale (rectius, le norme interne di esecuzione dello stesso) ed altre disposizioni interne di pari rango primario, trovavano la loro soluzione in base ai generali criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, in primis quello cronologico e di specialit�, con radicale esclusione quindi di una �aprioristica� prevalenza delle norme di derivazione internazionale su quelle di origine interna (13). Ne derivava una situazione origine di discussioni sotto pi� profili, sia per la potenziale violazione dell�obbligo per lo Stato italiano � esso s� di diritto internazionale consuetudinario � di dare esecuzione agli impegni assunti a livello internazionale (sul punto si torner� pi� avanti), sia per il sempre pi� rilevante ruolo assunto dalle convenzioni internazionali (soprattutto per l�affermazione di principi universali di tutela dei diritti umani e di protezione delle libert� fondamentali), il quale male sembrava sposarsi con il pur condiviso riconoscimento del rango di legge ordinaria sul piano interno, con conseguente possibilit� di abrogazione o deroga da parte di qualsiasi atto pariordinato (14). (12) Sul punto si vedano MARTINES, op. cit., 104 e AMATO e BARBERA, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1997, 202. (13) In tali termini, ex plurimis, Corte Cost., sentenza 22 dicembre 1980, n. 188, in Giur. costit., 1980, I, 1612; Corte Cost., sentenza 5 luglio 1990, n. 315, in Cons. Stato, 1990, II, 1032; Corte Cost., sentenza 22 ottobre 1999, n. 388, in Giur. costit., 1999, 2991. (14) Sul punto cfr., tra gli altri, SICO, op. cit., 35 ss. e MARTINES, op. cit., 104. Nella giurisprudenza costituzionale la questione � stata ripresa da ultimo da Corte Cost., sentenze 24 ottobre 2007, n 348 e n. 349, citt. In particolare, la sent. 348/07 condensa i menzionati dubbi interpretativi evidenziando la persistenza di �notevoli margini di incertezza, dovuti alla difficile individuazione del rango delle norme CEDU, che da una parte si muovevano nell�ambito della tutela dei diritti fondamentali delle persone, e quindi integravano l�attuazione di valori e principi fondamentali protetti dalla stessa Costituzione italiana, ma dall�altra mantenevano la veste formale di semplici fonti di grado primario� (par. 4.2.). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 Del resto, la Consulta ha altres� respinto la possibilit� di attribuire una efficacia �privilegiata� alle disposizioni di derivazione internazionale pattizia ricorrendo ad un meccanismo di disapplicazione analogo a quello elaborato con riferimento al diritto comunitario in applicazione dell�art. 11 Cost., evidenziando la assoluta peculiarit� di quest�ultimo, in quanto idoneo a dare vita ad un nuovo ordinamento sopranazionale in grado di produrre norme direttamente applicabili negli Stati membri, a differenza degli altri trattati internazionali, inidonei a costituire un simile ordinamento ed impositivi soltanto di obblighi a carico degli Stati contraenti (15). L�unica eccezione rimaneva pertanto rappresentata dall�ipotesi, in verit� di non frequente verificazione nell�esperienza pratica, che il trattato non facesse che recepire consuetudini internazionali generalmente riconosciute, nel quale caso �prevaleva� comunque il veicolo di recepimento automatico di cui all�art. 10, 1� comma, Cost. (16): ipotesi tuttavia tanto pi� circoscritte tenuto conto che la Corte Costituzionale, consapevole del rischio che in tale modo la portata del meccanismo automatico de quo avrebbe potuto essere ampliata oltremodo, ha reiteratamente sottolineato l�esigenza di un rigoroso accertamento dell�identit� del contenuto della disposizione convenzionale di volta in volta presa in considerazione con quello della consuetudine corrispondente (17). Non pu� quindi sorprendere che da pi� parti venisse avvertita la necessit� (15) Si vedano al riguardo Corte Cost., sentenze 24 ottobre 2007, n 348 e n. 349, citt., entrambe pronunciate in relazione alle norme della Convenzione Europea per i Diritti dell�Uomo, le quali hanno escluso la possibilit� di ricorrere all�art. 11 Cost., affermando che �con l�adesione ai Trattati comunitari, l�Italia � entrata a far parte di un �ordinamento� pi� ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranit�, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell�intangibilit� dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. La Convenzione EDU, invece, non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa � configurabile come un trattato internazionale multilaterale � da cui derivano �obblighi� per gli Stati Contraenti, ma non l�incorporazione dell�ordinamento giuridico italiano in un sistema pi� vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorit� interne degli Stati membri�, e concludendo che �la distinzione tra le norme CEDU e le norme comunitarie deve essere ribadita nel presente procedimento nei termini stabiliti dalla pregressa giurisprudenza di questa Corte, nel senso che le prime, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le libert� fondamentali delle persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell�ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto� (cos� sent. n. 348/2007 par. 3.3.). (16) Sul punto si veda SICO, op. cit., 36. (17) In tali termini si veda, per tutte, Corte Cost., sentenza 15 luglio 1992, n. 329, in Giur. costit., 1992, 2683. Cos� ragionando, a titolo esemplificativo, la Consulta con sentenza 29 gennaio 1996, n. 15, in Giur. costit., 1996, 140, ha espressamente negato che disposizioni di un importante trattato collettivo quale il Patto sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1996 fossero entrate nel nostro ordinamento per il tramite dell�art. 10, 1� comma, Cost. Negli stessi termini, pi� recentemente, le pi� volte citate Corte Cost., sentenze 24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349 hanno escluso la possibilit� di invocare l�art. 10 cit. con riferimento alle disposizioni della CEDU, ribadendo quanto gi� stabilito da Corte Cost., sentenza 22 dicembre 1980, n. 188, cit. 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 di una riforma idonea a soddisfare l�accresciuta sensibilit� nei confronti dell�importanza delle disposizioni recate nei molteplici trattati internazionali sottoscritti dall�Italia. 3. Il novellato art. 117, 1� comma, Cost. Nel quadro sin qui descritto � intervenuta la riforma del Titolo V della Costituzione, operata con legge costituzionale n. 3/2001. In particolare, ai fini che interessano nella presente sede, all�art. 117, 1� comma, Cost., nel testo novellato, � stata introdotta la significativa affermazione di principio per cui �la potest� legislativa � esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonch� dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali�. Tale disposizione, per esplicito riconoscimento della stessa Consulta, ha colmato una lacuna esistente nel nostro ordinamento (18), che come detto fino ad allora aveva riconosciuto rango primario nella gerarchia delle fonti alle disposizioni di esecuzione di convenzioni internazionali. La norma, invero, lungi dal costituire una mera petizione di principio a carattere programmatico, condiziona apertis verbis il legittimo esercizio della potest� legislativa (statale cos� come regionale) al rispetto degli obblighi assunti dall�Italia sul piano internazionale, quali sono quelli derivanti dalla stipulazione di trattati e convenzioni (19). In tale nuovo contesto normativo, le norme dei trattati internazionali (rectius, le disposizioni interne di esecuzione degli stessi (20) ) non mantengono pi� il rango di mera legge ordinaria potenzialmente modificabile da atti pa- (18) Cos� espressamente Corte Cost., sentenza 24 ottobre 2007, n. 349, cit., par. 6.2. In dottrina negli stessi termini si � espresso SALERNO, Il neo-dualismo della Corte Costituzionale nei rapporti tra diritto internazionale e diritto interno, in Riv. dir. internaz., 2006, 340. (19) Al riguardo, si veda la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante �Disposizioni per l�adeguamento dell�ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3�, che all�art. 1, 1� comma, chiarisce che �costituiscono vincoli alla potest� legislativa dello Stato e delle Regioni, ai sensi dell�art. 117, primo comma, della Costituzione, quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute di cui all�art. 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione di sovranit� di cui all�art. 11 della Costituzione, dall�ordinamento comunitario e dai trattati internazionali�. (20) Infatti il novellato art. 117, 1� comma, Cost. non elimina la necessit� di un apposito atto di esecuzione che consenta l�ingresso delle disposizioni internazionali convenzionali nell�ordinamento interno: sul punto si veda per tutte la ricca e completa analisi di BIANCHI e D�ANGELO, L�efficacia dei trattati internazionali alla luce del nuovo testo dell�art. 117, primo comma, Cost.: note a margine delle sentenze nn. 348/07 e 349/07 della Corte costituzionale, in questa Rassegna, 2007, 3, 89 ss. In dottrina si sono invece espressi per l�automaticit� del recepimento, sulla scorta di un meccanismo analogo a quello previsto dall�art. 10, 1� comma, Cost., D�ATENA, La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l�Unione europea, in Rass. parl., 2002, 924; SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, in Dir. pubbl. comp. ed europeo, 2002, 1355; GHERA, I vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali nei confronti della potest� legislativa dello Stato e delle Regioni, in CARNEVALE e MODUGNO, Trasformazioni della funzione IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 riordinati successivi (come si riteneva pacificamente potesse avvenire in base alla normativa previgente), inidonee quindi ad essere assunte come parametri in un giudizio di legittimit� costituzionale, ma acquistano per cos� dire un ruolo �rinforzato� in quanto divengono suscettibili di costituire a tutti gli effetti norme interposte in un giudizio di legittimit� costituzionale che assume quale proprio parametro l�art. 117, 1� comma, Cost. Ci� comporta che un eventuale contrasto tra una norma interna e una disposizione di esecuzione di una convenzione internazionale non pu� essere pi� risolto in base ai comuni criteri di risoluzione dei conflitti tra fonti equiordinate, ma da luogo ad incostituzionalit� della prima per violazione dell�art. 117, 1� comma, cit. Tale conclusione, peraltro, non deve portare a ritenere che le disposizioni (di esecuzione) dei trattati internazionali vengano ipso iure ad assumere il rango di fonti costituzionali. Esse infatti mantengono il loro rango di fonti primarie � ancorch�, come detto, suscettibili di costituire �norme interposte� idonee ad integrare il parametro costituzionale citato � ed � quindi necessario che le stesse siano conformi a Costituzione, pena l�inidoneit� ad integrare il parametro e la necessaria espunzione dall�ordinamento giuridico mediante declaratoria di illegittimit� costituzionale; ci� anche al fine di evitare il paradosso per cui una norma legislativa venga dichiarata incostituzionale in base ad altra norma sub-costituzionale a sua volta in contrasto con la Costituzione (21). Peraltro, la Consulta ha altres� precisato che, posto che per le tradizionali ragioni gi� in precedenza esposte le disposizioni di esecuzione di trattati internazionali non possono essere assimilate alle norme comunitarie, il relativo scrutinio di legittimit� costituzionale non pu� essere limitato alla sola potenziale lesione dei principi e diritti fondamentali della Costituzione, ma deve estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le norme interposte e le disposizioni costituzionali. Di tali principi la Corte Costituzionale ha fatto piena applicazione in due recenti pronunce nelle quali ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale delle legislativa, Milano, 2003, 69. Contra, tuttavia, nel senso propugnato dalla stessa Consulta nelle pi� volte citate sentenze n. 348/07 e n. 349/07, CONFORTI, Sulle recenti modifiche della Costituzione italiana in tema di rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, in Foro it., 2002, 229; DI PAOLO, Esame dei vincoli alla potest� legislativa dello Stato e delle Regioni nella legge 5 giugno 2003, n. 131, in Regioni e comunit� locali, 2005, III, 13; GERBASI, I vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali nel nuovo Titolo V: difficolt� interpretative tra continuit� e discontinuit� rispetto al precedente assetto, in GAMBINO, Il nuovo ordinamento regionale, Milano, 2003; TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, 2005, 692. (21) Sul punto si veda anche NORI, L�art. 117, comma 1, Cost. e le norme CEDU secondo la Corte Costituzionale, in questa Rassegna, 2007, 3, 29 s., il quale prospetta la problematica che potrebbe verificarsi nell�ipotesi in cui, a seguito di declaratoria di illegittimit� costituzionale di una norma interna nella parte in cui da esecuzione a disposizioni di una convenzione internazionale in contrasto con i principi della Costituzione, lo Stato italiano potrebbe essere ritenuto �inadempiente sul piano internazionale per aver dato esecuzione al Trattato con una norma inadeguata�. 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 norme interne che stabilivano i criteri di calcolo dell�indennizzo spettante al proprietario dell�immobile in caso, rispettivamente, di espropriazione e di occupazione acquisitiva in termini sensibilmente differenti dal valore venale del bene, ritenendole in contrasto con le disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo (CEDU), utilizzate come �norme interposte� integrative del parametro di cui all�art. 117, 1� comma, Cost. (22). 4. Alcuni profili problematici: l�ambito di applicazione dell�art. 117, 1� comma, Cost. Le menzionate pronunce della Corte Costituzionale, se pure hanno chiarito il ruolo nel novellato art. 117, 1� comma, Cost. nell�ambito del sistema delle fonti normative del nostro ordinamento, non hanno tuttavia (affrontato ed) eliminato ogni potenziale dubbio interpretativo inerente alla citata disposizione. In particolare, rimane da comprendere l�effettivo ambito applicativo della norma nella parte in cui si riferisce genericamente e senza distinzione alcuna agli �obblighi internazionali�. Occorre infatti interrogarsi se la genericit� dell�espressione utilizzata dal Legislatore costituzionale sia da considerarsi il risultato di una valutazione ponderata, tendente cio� ad assumere qualsivoglia impegno internazionale, tout court considerato, come potenziale parametro per la verifica di legittimit� costituzionale delle norme interne, o se invece esprima l�intendimento di lasciare agli operatori la risoluzione della questione sul piano interpretativo. Nella perdurante incertezza esistente sul punto, in mancanza di specifiche posizioni assunte ancora dalla giurisprudenza costituzionale, si ritiene possibile allo stato prospettare i seguenti spunti di riflessione critica. Sotto un primo profilo, pur nella genericit� del tenore della disposizione, (22) Si tratta delle pi� volte citate Corte Cost., sentenze 24 ottobre 2007, n 348 e n. 349. In particolare, nelle menzionate pronunce la Consulta, dopo avere ricordato gli insuccessi dei tentativi di attribuire un carattere sovraordinato alle norme CEDU � sulla base di argomentazioni analoghe a quelle in precedenza svolte nel testo � ha ravvisato comunque una peculiarit� nelle stesse rispetto ad altre disposizioni di attuazione di trattati internazionali, ossia �la caratteristica � di avere previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell�uomo, cui � affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa � Tra gli obblighi internazionali assunti dall�Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi � quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. Non si pu� parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con ci� a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia� (sent. n. 348/07 par. 4.6.). Sul punto si vedano anche i recenti contributi di ALBENZIO, La Corte europea dei diritti dell�uomo. Considerazioni generali sulla sua attivit�, sulla esecuzione delle sentenze nei confronti dello Stato italiano, sul patrocinio in giudizio, in questa Rassegna, 2007, 3, 19 ss., e GUAZZAROTTI e COSSIRI, L�efficacia in Italia delle sentenze della Corte europea dei diritti dell�uomo secondo la prassi pi� recente, in questa Rassegna, 2007, 2, 15 ss. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 appare ragionevole escludere dalla sfera applicativa dell�art. 117, 1� comma, Cost. i cd. trattati in forma semplificata conclusi dal Governo senza previa autorizzazione parlamentare. Ed invero, dall�esame dei lavori parlamentari emerge chiaramente che il testo originario dell�art. 1, 1� comma, della legge n. 131/2003 (recante �Disposizioni per l�adeguamento dell�ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3�) si riferiva peculiarmente ai �trattati internazionali ratificati a seguito di legge di autorizzazione�. Del resto, sarebbe palesemente contraddittorio ritenere che un trattato stipulato dal Governo senza la previa autorizzazione dell�organo legislativo possa essere idoneo a condizionare l�esercizio della potest� legislativa, con ci� determinandosi un evidente ed inaccettabile sovvertimento delle funzioni dei poteri dello Stato. Anche la lettura dell�art. 117, 1� comma, Cost. in combinato disposto con l�art. 80 Cost. conferma una simile interpretazione: se � vero infatti, come � vero, che l�art. 80 Cost. postula la necessit� del previo assenso parlamentare per la conclusione di accordi internazionali che comportino la modificazione di leggi, a fortori una siffatta autorizzazione deve ritenersi necessaria con riferimento a trattati che vengano a vincolare la successiva produzione normativa (23). Sotto un secondo profilo, � stata prospettata la possibilit� di ritenere che l�art. 117, 1� comma, Cost. si riferisca esclusivamente ai trattati plurilaterali �generali� o �strutturati�, recanti cio� una normativa di sistema (quale ad esempio � certamente la Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo, come detto gi� passata sotto il vaglio della Consulta), e non anche i trattati bilaterali aventi carattere contingente e speciale, i quali per la estrema variet� ed eterogeneit� del contenuto mal si presterebbero a costituire norme integrative del parametro in un eventuale giudizio di legittimit� costituzionale (24). (23) Tale impostazione � sostenuta, tra gli altri, da BIANCHI e D�ANGELO, op. cit., 89 ss.; BARTOLOMEI, La garanzia costituzionale dei trattati alla luce della legge 5 giugno 2003, n. 131 contenente disposizioni per l�adeguamento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2003, 853; D�ATENA, op. cit., 924; CAVALERI, Articolo 1, in CAVALERI e LAMARQUE, L�attuazione del nuovo titolo V. Commento alla legge �La Loggia�, Torino, 2003, 6; TREVES, op. cit., 692; CARETTI, Stato, Regioni, enti locali tra innovazione e continuit�, Torino, 2003, 63; GHERA, op. cit., 58. Contra, DE BERNARDIN, Gli obblighi internazionali come vincolo al legislatore: la �lezione� francese, in Dir. pubbl. comp. ed europeo, IV, 2039. (24) Sul punto si veda NORI, op. cit., 30 ss., il quale in particolare osserva che �prima di tutto andr� verificato che da questi trattati derivino per lo Stato italiano effettivamente degli obblighi, intesi come doveri di comportamento, determinati e senza condizioni, nei confronti dell�altro Stato contraente. Si dovr�, poi, accertare se la norma interna abbia come risultato effettivo la violazione dell�obbligo internazionale. Andrebbero poi esclusi quegli obblighi di carattere speciale, assunti per le esigenze episodiche alle quali il trattato vuole far fronte, come andrebbero esclusi quegli obblighi per la violazione dei quali il trattato stesso ha previsto una sanzione apposita. Prevedendo quest�ultima, si deve presumere che gli Stati contraenti abbiano inteso rinunciare alla persistenza nel tempo della norma interna di esecuzione. Dovr�, naturalmente, tenersi anche conto del carattere speciale che assume la norma di esecuzione del trattato, come tale non interessata da norme generali interne successive. Non � prevedibile, infatti, che possa essere varata una norma interna, anche essa speciale, rivolta a neutralizzare proprio 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 In realt�, anche ad ammettere che il tenore dell�art. 117, 1� comma, Cost. non consenta una simile interpretazione restrittiva, si pu� ritenere che proprio il carattere di elevata specialit� e contingenza, sul piano contenutistico, di simili trattati internazionali, basti a scongiurare il rischio di contrasti, in punto di legittimit� costituzionale, con norme interne aventi carattere generale o riferibili a diverse fattispecie. 5. (segue): la mancata esecuzione dei trattati internazionali Come detto, il novellato art. 117 Cost. ha risolto il tradizionale problema del rango nel sistema delle fonti interne delle disposizioni di esecuzione di obblighi internazionalmente assunti. La stessa norma non sembra tuttavia avere prospettato la diversa problematica afferente alle conseguenze derivanti dall�eventuale mancata esecuzione nell�ordinamento interno di trattati sottoscritti sul piano internazionale: in tal caso, difettando infatti una norma di esecuzione dei trattati stessi (e quindi la necessaria norma interposta, alla luce di quanto in precedenza chiarito), l�art. 117, 1� comma, Cost. non pu� chiaramente operare, posto che anche una eventuale pronuncia additiva della Corte Costituzionale presuppone la precisa individuazione di un parametro, nel caso di specie assente o incompleto. In realt�, si tratta di problematica non diversa da quella che gi� poteva prospettarsi prima della riforma dell�art. 117 Cost., sulla base del generale disposto dell�art. 10 Cost.: se � vero infatti che la consuetudine internazionale pacta sunt servanda, per il carattere evidentemente strumentale e non sostantivo, � sempre stata ritenuta inidonea a consentire l�ingresso nell�ordinamento interno delle norme internazionali pattizie, si poteva comunque porre il problema se la mancata esecuzione di un obbligo internazionalmente assunto configurasse violazione della menzionata norma consuetudinaria, essa s� recepita dall�art. 10 Cost. La questione, che sembrerebbe avere carattere puramente teorico � e che forse proprio per tale ragione non sembra avere trovato effettive soluzioni in dottrina � potrebbe rivestire in realt� rilevanti risvolti pratici, soprattutto nel caso si ritenesse di ammettere la esperibilit� da parte di soggetti potenzialmente lesi dalla mancata esecuzione di obblighi internazionali (da individuarsi ovviamente nel caso concreto) di un rimedio di ordine risarcitorio a fronte l�obbligo assunto nei confronti di quel certo Stato, parte di un trattato bilaterale. La questione di legittimit� costituzionale, ai sensi dell�art. 117, primo comma, Cost., potr� sorgere per contrasto con trattati internazionali, in quanto tali particolarmente strutturati, e per quegli obblighi assunti con trattati bilaterali che, in via diretta o indiretta, possano essere in relazione con i primi�. Su tali basi l�A. conclude che �data la gran quantit� di vincoli internazionali di varia natura, che vanno sempre aumentando, la individuazione delle norme interposte, nella applicazione dell�art. 117, primo comma, andr� effettuata caso per caso e con prudenza particolare se non ci si vuole impigliare in una rete dalla quale sarebbe poi difficile districarsi�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 della inadempienza dello Stato italiano agli obblighi internazionali, alla stessa stregua di quanto gi� avviene con riferimento alle direttive comunitarie ed in deroga quindi al tradizionale carattere dell�assoluta libert� e discrezionalit� dell�esercizio del potere legislativo. In realt�, una simile possibilit� sembrerebbe allo stato da escludere. In primo luogo, l�assoluta peculiarit� dell�ordinamento comunitario (cui pure in precedenza si � fatto riferimento) sconsiglia di potere applicare sic et simpliciter le conclusioni ivi raggiunte con riferimento a diversi obblighi internazionali. In secondo luogo, il tenore sostanzialmente �neutro� tanto dell�art. 10 quanto dell�art. 117 Cost. � che non stabiliscono alcun obbligo specifico a carico dello Stato italiano � inducono a ritenere che il Legislatore costituzionale abbia inteso individuare un limite negativo all�esercizio della potest� legislativa piuttosto che un vincolo positivo nel medesimo. Da ultimo, la situazione in commento non sembra differire sul piano logico da quella in cui il Legislatore interno dia esecuzione con norme illegittime ad un trattato internazionale, con conseguente declaratoria di incostituzionalit� (25): la proponibilit� di domande risarcitorie derivanti dalla declaratoria di illegittimit� costituzionale di una norma � per inadempimento da parte del Legislatore agli obblighi costituzionali � � infatti istituto, de iure condito, estraneo all�ordinamento giuridico interno, e che non sembra potersi introdurre sulla base di una semplice riflessione ermeneutica. ** *** ** PARTE B: 1. Introduzione; -2. Il dialogo tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia delle Comunit� Europee: dal criterio cronologico alla disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario; -3. La questione di costituzionalit� in via incidentale proposta ai sensi del nuovo art. 117, 1� comma, Cost.; -4. La questione di costituzionalit� in via principale proposta ai sensi del nuovo art. 117, 1� comma, Cost.; -5. Incidenza del 1� comma, art. 117 Cost. sui poteri di remissione alle Camere del Presidente della Repubblica. 1. Introduzione La c.d. costituzionalizzazione del vincolo comunitario, introdotta dall�art. 117, 1� comma, Cost., cos� come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, ha formato oggetto di diverse letture. (25) Sul punto si veda anche la nota 21. 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Secondo una prima interpretazione, il primo comma dell�art. 117 Cost., a norma del quale �la potest� legislativa � esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonch� dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali�, rappresenterebbe uno strumento di parificazione, almeno in via di principio, della potest� legislativa statale e regionale rispetto ai limiti dallo stesso menzionati. La norma che qui interessa attuerebbe, assieme agli artt. 114, 1� comma, e 127 Cost., un�equiparazione delle posizioni complessivamente intese dello Stato e delle Regioni nel nuovo sistema repubblicano a vocazione federalista. Da un�altra lettura, pi� attenta a valorizzare il dato letterale (�ordinamento comunitario�), � emerso, invece, che il I co. dell�art. 117, �affiancando l�art. 11, ne precisa, limitatamente all�ordinamento comunitario, le conseguenze normative� (26). Se da una parte si sono avute interpretazioni che riconoscono effetti concreti all�espresso richiamo ai �vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario�, dall�altra non sono mancate voci che hanno affermato la mera ridondanza, se non l�inutilit�, di quanto previsto dal I co. dell�art. 117 Cost.. La previsione introdotta dalla legge cost. n. 3 del 2001 non farebbe altro che esplicitare quanto era gi� stato ricavato in via interpretativa dall�art. 11 Cost. (27). L�attuale formulazione del primo comma dell�art. 117 Cost. impone la rimeditazione di questioni gi� ampiamente discusse in passato, ma che ora sembrano essere tornate alla ribalta. Si tratta, in particolare, di vedere se l�espresso richiamo ai �vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario� determini ripercussioni sui controlli di legittimit� costituzionale delle leggi. (26) F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale e comunitario, in Dir. Pubbl. comp. ed europeo, 2002, 1355 ss.; nello stesso senso anche L. SICO, Senso e portata dell�art. 11 della Costituzione nell�attuale contesto normativo e nelle proposte di riforma costituzionale, in Dir. Pubbl. comp. ed europeo, 2003, 1511 ss. (27) C. PINELLI, I limiti generali alla potest� legislativa statale e regionale e i rapporti con l�odinamento comunitario, in Foro It., 2001, V, 194 ss.; M. MAZZOTTI, G. M. SALERNO, Manuale di diritto costituzionale, Milano, 2002, 139, 520; F. PALERMO, Nuove occasioni (mancate) per una clausola europea nella Costituzione italiana. Alcune osservazioni critiche, in Diritto Pubblico comp. ed europeo, 2003, 1539 ss.; R. ROMBOLi, Premessa a Le modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in Foro It., 2001, V, 186; S. PANNUNZIO, Audizione dinanzi alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, v. Resoconto sommario del 20 novembre 2001 (��il riferimento ai �vincoli� contenuto nel primo comma non modifica la situazione esistente per quanto riguarda tali problemi. � chiaro che vi � un obbligo dello Stato e delle Regioni di rispettare i trattati, ma da ci� non ne deriva necessariamente una invalidit� delle loro leggi nel caso di inadempienza�); Suprema Corte di Cassazione, sez. tributaria, sentenza 10 dicembre 2002, n. 17564: �ɏ possibile ipotizzare che il legislatore costituzionale del 2001 (�) abbia inteso, con l�introduzione dell�art. 117, co. I (�) rendere esplicita, enunciandola espressamente, una soltanto delle molteplici regole disciplinanti i rapporti stessi, gi� implicitamente contenuta nell�art. 11 secondo periodo Cost.: quella, cio�, del dovere del legislatore statale e regionale di rispettare, nell�esercizio dell�attivit� legislativa, quale massima espressione della rappresentanza generale, i �vincoli� progressivamente emersi e continuamente emergenti nel processo di costruzione dell�ordinamento giuridico comunitaro�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 A tal fine si proceder� ad analizzare, separatamente, il giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale, quello in via principale, nonch� i poteri di remissione alle Camere del Presidente della Repubblica. Tuttavia, prima di addentrarsi nell�analisi di simili problematiche, � d�obbligo ripercorrere, seppur sinteticamente, le tappe fondamentali di quel faticoso dialogo tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia delle Comunit� Europee che ha portato, per la soluzione delle antinomie delle norme interne con il diritto comunitario direttamente applicabile, all�adozione dello strumento della disapplicazione della norma interna. 2. Il dialogo tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia delle Comunit� Europee: dal criterio cronologico alla disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario Per la Corte Costituzionale la prima occasione per pronunciarsi sulle antinomie tra le norme nazionali e quelle comunitarie arriva con la sentenza n. 14/64. In quell�occasione la Corte, premessa l�interpretazione dell�art. 11 Cost., conclude nel senso che le ipotesi di conflitto tra due norme, di cui una interna e una comunitaria, vanno risolte secondo �i principi della successioni delle leggi nel tempo�. In particolare la Corte precisa che il significato da attribuire all�art. 11 Cost. � quello per cui in presenza di �certi presupposti, � possibile stipulare trattati con cui si assumano limitazioni della sovranit� ed � consentito darvi esecuzione con legge ordinaria�, con la conseguenza che il medesimo articolo non ha �conferito alla legge ordinaria, che rende esecutivo il trattato, un'efficacia superiore a quella propria di tale fonte di diritto�, motivo per cui ogni ipotesi di conflitto tra una norma interna e una comunitaria si risolve ricorrendo al criterio cronologico. L�inadeguatezza di tale soluzione � immediatamente percepibile (28). La stessa, infatti, apre la strada alla possibilit� di derogare sistematicamente alle norme comunitarie mediante la mera emanazione di norme interne successive. Proprio partendo da simile considerazione, la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, con la sentenza Costa, ha prontamente bocciato la soluzione del ricorso al criterio cronologico. Il Giudice comunitario chiaramente afferma che �l�integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie, e (28) Simile soluzione contrasta con la posizione che la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee aveva gi� chiaramente adottato con la sentenza Van Gend en Loos del 5 febbraio 1963, dove il Giudice comunitario parla di rapporto tra ordinamenti. Con la sentenza n. 14/64, la Corte Costituzionale, applicando il criterio cronologico per risolvere i contrasti tra norme interne e norme comunitarie, si serve di uno strumento - l�abrogazione - tipicamente 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 pi� in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l�impossibilit� per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocit�, un provvedimento unilaterale ulteriore il quale pertanto non potr� essere opponibile all�ordine comune�. Sostiene ancora la Corte di Giustizia che �il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunit�� (Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, sentenza 25 luglio 1964, causa Costa c. Enel 6/64). La Corte Costituzionale, recepita la posizione assunta dalla Corte europea, abbandona il criterio cronologico e lo sostituisce con quello dell�incostituzionalit�. Stando alla nuova soluzione prospettata, la norma interna incompatibile con quella comunitaria deve essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale per contrasto con l�art. 11 Cost. La Corte Costituzionale, dunque, mostrando di voler preservare il suo ruolo di �giudice delle leggi�, afferma che �non sembra possibile configurare la possibilit� della disapplicazione come effetto di una scelta tra norma comunitaria e norma interna, consentita di volta in volta al giudice italiano sulla base di una valutazione della rispettiva resistenza. In tale ipotesi, dovrebbe riconoscersi al giudice italiano non gi� la facolt� di scegliere tra pi� norme applicabili, bens� quella di individuare la sola norma validamente applicabile, impiegato per regolare i rapporti tra norme dello stesso ordinamento, cos� mostrandosi distante dalla posizione del Giudice comunitario. D�altra parte, che l�abrogazione sia un meccanismo applicabile solo in relazione a norme dello stesso ordinamento, e non gi� nei rapporti tra norme di ordinamenti diversi, � confermato dalla stessa dottrina dominante. �Propriamente si parla di abrogazione con riferimento all�effetto che un atto legislativo produce rispetto ad un atto legislativo preesistente, ponendo fine alla sua efficacia. Ricondotta alla sua fonte � il potere dell�organo legislativo � l�abrogazione perde ogni carattere particolare, poich� si presenta come ogni specifica ed individuata manifestazione concreta di quel potere, la quale d� luogo ad un (nuovo) atto legislativo. Il concetto di abrogazione, dunque, presenta all�analisi i seguenti elementi: a) l�esistenza di un potere giuridico permanente e potenzialmente inesauribile; b) l�esercizio concreto e individuato di tale potere, da cui deriva un determinato atto giuridico; c) il rinnovato esercizio, sempre concreto e individuato, del potere medesimo, da cui derivi un ulteriore atto, idoneo a far cessare (ex nunc) l�efficacia giuridica del precedente. Il risultato della relazione tra b) e c), sul presupposto di a) � precisamente ci� che si designa col termine abrogazione.� E ancora �la potest� legislativa, a cui � legata la funzione legislativa, � costitutiva dell�ordinamento legislativo, e quindi, con riguardo allo svolgimento di esso, modificativa e integrativa . Ogni atto, dunque, o provvedimento legislativo, in quanto emanazione e concreta realizzazione di quella potest�, o esplicazione specifica della correlativa funzione (da parte degli organi competenti) ha la stessa (unica e identica) capacit� di costituire e innovare l�ordinamento legislativo� S. PUGLIATTi, Enciclopedia del diritto, voce Abrogazione, lett. a) Teoria generale e abrogazione degli atti normativi. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 ci� che equivarrebbe ad ammettere il suo potere di accertare e dichiarare una incompetenza assoluta del nostro legislatore, sia pur limitatamente a determinate materie, potere che nel vigente ordinamento sicuramente non gli � attribuito. Ne consegue che� il giudice � tenuto a sollevare la questione della loro legittimit� costituzionale� (29). Da tale argomento la Corte ricava la rilevanza della questione di legittimit�, per concludere che �solo a seguito della dichiarazione di incostituzionalit�� potr� il giudice disapplicare la disposizione regolamentare interna� (Corte costituzionale, sentenza n. 232 del 1975). Anche questa volta il monito della Corte di Giustizia non tarda ad arrivare. Nella sentenza Simmenthal si legge che �il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell�ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l�obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all�occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale� (Corte di Giustizia delle Comunit� Europee, sentenza 9 marzo 1978, Simmenthal, causa 106/77). Vista la disapprovazione del Giudice comunitario, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170 del 1984 (c.d. sentenza La Pergola), abbandona la via della questione incidentale di costituzionalit�, per inaugurare la soluzione della disapplicazione da parte dei giudici nazionali della norma interna confliggente con quella comunitaria direttamente applicabile. Con la richiamata sentenza la Corte Costituzionale, partendo dall�accoglimento del principio per cui i due ordinamenti � quello nazionale e quello comunitario � sono distinti e al tempo stesso coordinati (visione c.d. dualista (30) ), testualmente afferma che �l�accoglimento di tale principio� presup- (29) Ancora una volta la Corte Costituzionale, per risolvere le antinomie tra norme interne e norme comunitarie, ricorre ad uno strumento � la questione di legittimit� costituzionale � espressamente prevista per regolare i contrasti tra norme dello stesso ordinamento (precisamente tra norme di rango costituzionale e norme introdotte da leggi, sia statali che regionali, o atti aventi forza di legge). La Corte Costituzionale, in definitiva, ancora una volta imposta i rapporti tra le norme comunitarie e quelle interne in termini di rapporto tra norme e non gi� in termini di rapporto tra ordinamenti. (30) La visione c.d. dualista, di cui alla sentenza n. 170 del 1984 della Corte Costituzionale, si contrappone alla visione c.d. monista della Corte di Giustizia delle Comunit� Europee. Il Giudice comunitario, con la sentenza Simmenthal, riconosce la prevalenza automatica delle norme comunitarie sul diritto interno incompatibile, senza alcun bisogno di un atto recettivo e nemmeno di una abrogazione o di annullamento delle norme nazionali contrastanti: in un ordinamento comunitario veramente integrato non possono essere ammesse delle �barriere nazionali� all�applicazione uniforme ed immediata della normativa comunitaria. Dunque, mentre la Corte Costituzionale in base alla propria concezione di fondo c.d. dualista - di cui alla sentenza n. 170/84 - vede l�ordinamento comunitario e quello statale come �sistemi giuridici distinti, ancorch� coordinati secondo ripartizioni di competenza�, la Corte comunitaria, con la sentenza Simmenthal, abbracciando la c.d. visione monista, vede i due ordinamenti uniti e gerarchicamente ordinati. 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 pone che la fonte comunitaria appartenga ad altro ordinamento, diverso da quello statale. Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell�art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: se cos� �, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento�. Quando la Corte Costituzionale parla di �schemi per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento�, il riferimento � anche al controllo di legittimit� costituzionale delle leggi, ossia allo strumento di risoluzione degli specifici contrasti con le norme di rango costituzionale, tantՏ che proprio in quell�occasione la Corte Costituzionale sostituisce l�impiego del giudizio di legittimit� in via incidentale con lo strumento della disapplicazione della norma interna confliggente con quella comunitaria (direttamente applicabile), mostrando cos� di impostare la questione in termini di rapporto tra ordinamenti e non pi� come rapporto tra norme. 3. La questione di costituzionalit� in via incidentale proposta ai sensi del nuovo art. 117, 1� comma, Cost. Gli interrogativi posti dall�espresso richiamo ai �vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario� sono molteplici. Il primo e pi� immediato riguarda la possibilit� di sollevare una questione di legittimit� costituzionale in via incidentale in relazione ad una legge o ad un atto avente forza di legge dello Stato o della Regione per violazione del I comma dell�art. 117 Cost.. Come visto, gi� prima della riforma del titolo V della Costituzione, si erano sottoposte al vaglio incidentale di costituzionalit� le norme nazionali contrastanti con il diritto comunitario, ponendo quale parametro l�art. 11 della Cost. (Corte Costituzionale, sentenza n. 232/75). Con la costituzionalizzazione dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario - non pi� ricavati, quindi, indirettamente dall�art.11 Cost. - ci si potrebbe domandare se il criterio della disapplicazione sia ancora valido, ovvero se l�introduzione del nuovo parametro costituzionale comporti l�obbligo di sollevare la questione di costituzionalit� per tutte le norme nazionali confliggenti con il diritto comunitario. L�art. 117, I co., Cost., richiamando i vincoli comunitari, ha introdotto un espresso parametro costituzionale cui � possibile fare riferimento per sollevare la questione di legittimit� costituzionale di una norma interna contrastante con il diritto comunitario. Orbene, proprio l�espresso richiamo ai vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario, potrebbe far venir meno il presupposto dell�estraneit� delle norme comunitarie al sistema delle fonti interne, su cui si era basata la pi� re- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 cente giurisprudenza della Corte Costituzionale. In altre parole, cos� ragionando, si potrebbe dire che � venuto a mancare quel motivo che in passato ha indotto il Giudice costituzionale, con la sentenza La Pergola, ad abbandonare la via della questione incidentale di costituzionalit�, per inaugurare quella della disapplicazione. L�art. 117 Cost., comՏ noto, fissa gli ambiti in cui legifera lo Stato nonch� quelli in cui legifera la Regione. Si tratta di una norma che per�, ancor prima di delineare i due ambiti di potest�, si preoccupa di indicare i parametri che, tanto lo Stato quanto la Regione, sono chiamati a rispettare nell�esercizio della loro funzione legislativa. Cos� al suo I comma, l�art. 117 Cost. menziona accanto alla Costituzione, i �vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario� (oltre che quelli derivanti dagli obblighi internazionali). Insomma il legislatore, con la riforma del titolo V della Costituzione, sarebbe intervenuto anche sul sistema delle fonti introducendo, nelle posizioni apicali di detto sistema, anche i vincoli comunitari, con la conseguenza che i rapporti tra norma interna e norma comunitaria si delineerebbero come rapporti tra due norme dello stesso ordinamento e non pi� come rapporti tra ordinamenti. Se cos� fosse si avrebbe anche l�ulteriore conseguenza per cui nessun ostacolo si frapporrebbe alla possibilit� di ricorrere ad un intervento in via incidentale della Corte Costituzionale per risolvere l�eventuale contrasto tra norme comunitarie e norme nazionali. La collocazione delle norme comunitarie nel sistema interno delle fonti, infatti, non permetterebbe pi� di affermare - cos� come fatto dal Giudice delle leggi con la sentenza La Pergola - che le norme comunitarie �non possono� essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento�, essendo le prime estranee al sistema interno delle fonti. Il giudice nazionale che, dunque, si trovi dinanzi ad un conflitto di una norma nazionale con una comunitaria, ben potrebbe sollevare una questione di legittimit� costituzionale in via incidentale facendo valere dinanzi alla Corte Costituzionale la violazione, da parte della norma nazionale, dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario. Questa soluzione, tuttavia, si presta a delle critiche. Innanzitutto va osservato che l�introduzione delle norme comunitarie nel sistema delle fonti nazionale non pu� essere il frutto di una scelta operata, per cos� dire, unilateralmente dal legislatore nazionale. � infatti innegabile che a livello comunitario, cos� come chiaramente mostrato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata, continui a parlarsi ancora in termini di rapporto tra due ordinamenti (quello comunitario e quello nazionale). In secondo luogo, qualora si ammettesse la lettura appena prospettata, si porrebbe il problema di fissare le competenze della Corte Costituzionale e 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 della Corte di Giustizia con riguardo alla soluzione del contrasto tra le due norme. Potrebbe, in altri termini, dubitarsi che debba essere la Corte Costituzionale a dirimere il conflitto dal momento che esiste pur sempre a livello comunitario un �guardiano� delle norme comunitarie, la Corte di Giustizia. Se la lettura appena prospettata appare poco convincente per le su esposte ragioni, non pu� tuttavia tacersene un�altra che, seppur attraverso un percorso differente, condurrebbe comunque alla possibilit� di sollevare, nel caso di contrasto tra norma comunitaria e norma interna, una questione di legittimit� costituzionale, senza contraddire l�esistenza di due ordinamenti distinti, ripetutamente affermata dalla Corte di Giustizia. Il legislatore costituzionale intervenendo sull�art. 117, I co. Cost., lungi dal voler intervenire sul sistema interno delle fonti, parrebbe aver voluto semplicemente introdurre un mezzo per garantire, concretamente, il coordinamento tra l�ordinamento nazionale e quello comunitario. Ci� parrebbe confermato dal fatto che il richiamo ai vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario � stato introdotto nella norma di apertura di un articolo che, nel suo prosieguo, fissa gli ambiti in cui sono chiamati a legiferare i due soggetti che nel nostro ordinamento sono titolari della potest� normativa: lo Stato e le Regioni (31). In questo caso, per�, la questione non sarebbe sollevata per contrasto della norma nazionale con quella comunitaria, come accadrebbe se si ammettesse che le norme comunitarie sono entrate a far parte a pieno titolo del sistema interno delle fonti, ma la questione di legittimit� costituzionale in via incidentale sarebbe sollevata per contrasto con il primo comma dell�art. 117 Cost. Aderendo a questa seconda lettura, si verrebbe a creare una situazione per cui il parametro costituzionale di riferimento sarebbe l�art. 117, I co. Cost. integrato con la norma comunitaria, la quale, quindi, verrebbe ad assumere il ruolo di norma c.d. interposta. In altre parole, la difformit� immediatamente rilevabile sarebbe quella tra norma nazionale e norma comunitaria ma, al tempo stesso, la prima determinerebbe anche una violazione dell�art. 117, I co. Cost. (a norma del quale lo Stato e le Regioni, nell�esercizio del potere legislativo, sono tenute ad osservare, tra gli altri, anche i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario). Cos� ragionando, quindi, il richiamo espresso ai vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario verrebbe ad assumere un rilievo meramente interno volto a garantire la conformit� del nostro ordinamento con quello comunitario, con la conseguenza che potrebbe continuarsi a parlare - cos� come ormai fanno tanto la Corte di Giustizia quanto la Corte Costituzionale (solo a partire dalla (31) Nel successivo � 4 si chiarir� che l�articolazione Stato-regioni � un�articolazione meramente interna e che, in quanto tale, non assume alcun rilievo al cospetto della Comunit� europea. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 sentenza La Pergola) - di rapporto tra ordinamenti e non gi� di rapporto tra norme. Occorre ora verificare se, una volta sollevata la questione in via incidentale, sussistono tutte le premesse perch� la Corte Costituzionale possa pronunciarsi. Al fine di rimettere la questione di costituzionalit�, il giudice a quo dovr�, come noto, vagliare da un lato la non manifesta infondatezza della questione e, dall�altro, la sua rilevanza ai fini della soluzione del caso concretamente sottoposto al giudizio. Con riferimento alla fondatezza, � proprio il richiamo ai vincoli comunitari operato dal nuovo art. 117 Cost. a garantire un giudizio positivo. La rilevanza della questione, invece, potrebbe essere esclusa richiamando la ben nota sentenza Simmenthal della Corte di Giustizia. Con questa sentenza, la Corte comunitaria ha affermato che il giudice nazionale ha l�obbligo di garantire la piena efficacia delle norme comunitarie, �disapplicando all�occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale�. Va da s� che il rimedio della disapplicazione continua ad essere valido innanzitutto per la posizione espressa dalla Corte di Giustizia. La possibilit�, dunque, di ricorrere ancora oggi alla disapplicazione porterebbe con s� l�irrilevanza della questione, che verrebbe disinnescata di effetti concreti prima ancora di arrivare all�esame della Corte Costituzionale. Ciononostante, potrebbe ancora rinvenirsi un interesse a sollevare la questione di legittimit� costituzionale di una norma nazionale confliggente con i vincoli comunitari, e la rilevanza potrebbe essere ricercata altrove. Una volta disapplicata la norma interna confliggente con quella comunitaria, il giudice ben potrebbe adire la Corte Costituzionale, ma solo per motivi di non conformit� del diritto interno all�ordinamento costituzionale e non per motivi di non conformit� all�ordinamento comunitario. Come gi� osservato, con la costituzionalizzazione del vincolo comunitario di cui all�art. 117, I co. Cost., l�ipotesi di conflitto tra una norma interna e una comunitaria ben potrebbe essere vista come una violazione da parte della norma interna della previsione di cui al I comma dell�art. 117 Cost., rispetto al quale la norma comunitaria verrebbe ad assumere il ruolo di norma c.d. interposta. In altri termini, ammettendo che la norma comunitaria integra il parametro di costituzionalit� di cui all�art. 117, I co., il contrasto tra la norma interna e quella comunitaria verrebbe ricondotto nell�alveo del conflitto tra norme di rango costituzionale e norme di rango inferiore. D�altro canto, la possibilit� di sollevare, dopo la disapplicazione, la questione di legittimit� dinanzi alla Corte Costituzionale non � preclusa dal giudice comunitario il quale, con la sentenza Simmenthal, ha precisato che non � 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 ammesso il ricorso a strumenti quali la �rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale� prima della disapplicazione della norma interna contrastante, nulla dicendo per il caso contrario. In altre parole la Corte di Giustizia ha fissato una successione temporale ben precisa tra disapplicazione e proponibilit� della questione incidentale di legittimit� costituzionale, stabilendo la priorit� della disapplicazione. Oltretutto la sussistenza dell�interesse a sottoporre al vaglio costituzionale una norma nazionale che contrasti con i vincoli comunitari, anche dopo che questa sia stata disapplicata, potrebbe essere ulteriormente confermata da una precedente giurisprudenza inaugurata dalla Corte di Giustizia e in seguito accolta dalla Corte Costituzionale. Il Giudice comunitario, infatti, ha precisato che la non applicazione della norma interna confliggente non fa venir meno l�esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilit� o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie (32). Altrimenti detto, mentre la disapplicazione della norma interna confliggente con quella comunitaria continuerebbe a rappresentare la soluzione immediata al contrasto tra le due norme, l�eventuale dichiarazione di illegittimit� costituzionale da parte della Corte Costituzionale, determinando l�eliminazione della norma nazionale dall�ordinamento interno, rappresenterebbe, dal canto suo, il �definitivo� adeguamento dell�ordinamento interno con quello comunitario. Seguendo questa via sarebbero soddisfatte anche le esigenze avvertite ai diversi livelli. Da una parte, infatti, si continuerebbe a garantire quella solerte attuazione del diritto comunitario da sempre richiesta dalla Comunit� europea; dall�altra, ammettendo la possibilit� di instaurare un giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale, resterebbe salvo in capo alla Corte Costituzionale quel ruolo di giudice delle leggi, cui la stessa � ancora fortemente legata. 4. La questione di costituzionalit� in via principale proposta ai sensi del nuovo art. 117, 1� comma, Cost. Il secondo interrogativo posto dall�espresso richiamo ai �vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario� riguarda la possibilit� di instaurare un giudizio in via principale innanzi alla Corte Costituzionale volto a dichiarare l�illegittimit� costituzionale di una legge regionale o di una legge statale per violazione dell�art. 117, 1� comma Cost.. (32) Nel successivo � 4 si chiarir� che l�articolazione Stato-regioni � un�articolazione meramente interna e che, in quanto tale, non assume alcun rilievo al cospetto della Comunit� europea. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 Il legislatore, intervenendo con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ha modificato, tra gli altri, anche l�art. 127 della Costituzione, introducendo un rinnovato meccanismo per la soluzione dei conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni. L�attuale testo dell�art. 127 Cost. espressamente prevede che �il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, pu� promuovere la questione di legittimit� costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione� (art. 127, 1� comma, Cost.). Ma prevede anche che �la Regione, quando ritenga che una legge o atto avente forza di legge dello Stato o di un�altra Regione leda la sua sfera di competenza, pu� promuovere la questione di legittimit� costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell�atto avente valore di legge� (art. 127, co. II, Cost.) (33). La riforma del titolo V della Costituzione, intervenendo anche sull�art. 127 Cost, ha quindi adeguato il sistema di controllo operato in via principale dalla Corte Costituzionale alla nuova dignit� riconosciuta alle autonomie territoriali. Il nuovo art. 127 Cost., infatti, non solo prevede la possibilit� di promuovere una questione di legittimit� costituzionale sia di una legge regionale che di una legge statale, ma in entrambi i casi prevede che l�intervento della Corte Costituzionale pu� aversi solo dopo che l�atto legislativo sia entrato in vigore (33) Il precedente testo dell�art. 127 Cost., con riguardo alla legge regionale, prevedeva innanzitutto un controllo preventivo da parte del Governo. Ogni legge approvata dal Consiglio regionale doveva, infatti, essere comunicata al Commissario che, salvo il caso di opposizione da parte del Governo, doveva vistarla entro 30 giorni dalla comunicazione. La legge regionale veniva promulgata entro 10 giorni dall�apposizione del visto ed entrava in vigore decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione. Il Governo, quando riteneva che una legge approvata dal Consiglio regionale eccedeva la competenza della Regione, la rinviava al Consiglio regionale. Se quest�ultimo la riapprovava (a maggioranza assoluta dei suoi componenti), il Governo poteva promuovere la questione di legittimit� davanti alla Corte ancor prima che la stessa entrasse in vigore. Nel suo previgente testo, l�art. 127 Cost. si occupava solo del caso in cui fosse stata la Regione, con una sua legge, ad invadere le sfere di competenza dello Stato, nulla prevedendo per il caso contrario (legge statale che invade le sfere di competenza di una Regione), il quale era regolato dall�art. 2 della legge cost. n. 1/1948. Per il caso in cui fosse stato lo Stato a violare le sfere di competenza della Regione, la legge costituzionale n. 1/1948 metteva a disposizione della Regione uno strumento che, soprattutto per quel che riguardava il momento dell�intervento del giudice costituzionale, era del tutto diverso da quello messo a disposizione dello Stato dall�art. 127 Cost. L�art. 2 della legge costituzionale n. 1/1948 prevedeva, infatti, che una Regione, previa deliberazione della Giunta regionale, poteva promuovere l�azione di legittimit� costituzionale contro une legge o atto avente forza di legge dello Stato lesivo della sua sfera di competenza, entro 30 giorni dalla pubblicazione della legge o dell�atto avente forza di legge. A determinare un�ulteriore differenziazione tra i due meccanismi di accesso alla Corte Costituzionale hanno poi contribuito in modo determinante anche la dottrina e la giurisprudenza, riconoscendo solo in capo allo Stato la possibilit� di adire la Corte Costituzionale, non solo quando la legge regionale invadeva la sua sfera di competenza, ma anche quando la stessa presentava altri vizi di legittimit� non riconducibili alla specifica ipotesi di incompetenza. 108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 (entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge regionale; entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge o dell�atto avente forza di legge dello Stato), salvaguardando in tal modo l�autonomia dell�ente territoriale. Tuttavia, nonostante la riforma, ancora oggi il giudizio in via principale dinanzi alla Corte Costituzionale si differenzia a seconda che lo stesso sia promosso dallo Stato o da una Regione. La differenza risiede nei vizi denunciabili da parte dello Stato o della Regione. L�attuale testo dell�art. 127 Cost. prevede che lo Stato e le Regioni possono adire la Corte Costituzionale per far valere una lesione della loro sfera di competenza da parte, rispettivamente, di una Regione o dello Stato (o di altra Regione). Nonostante la chiarezza del testo normativo, pu� ancora affermarsi, cos� come accadeva in passato (v. nota 8), che il Governo pu� impugnare una legge regionale non solo quando questa violi una norma sulla competenza, ma anche quando violi una diversa norma costituzionale. Simile conclusione � stata di recente confermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 406/05. Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha proposto questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge Regione Abruzzo n. 14/04 facendo valere due motivi: la violazione dell�art. 117 I co. della Cost., in relazione al contrasto con la direttiva comunitaria n. 2000/75/CE del 20 novembre 2000; nonch� la violazione dell�art. 117 II co., lettere q) ed s) della Cost., per contrasto con la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di �profilassi internazionale� e di �tutela dell�ambiente e dell�ecosistema�. La Corte ha risolto la questione nel senso della dichiarazione di illegittimit� costituzionale delle disposizioni impugnate per violazione del primo comma dell�art. 117 della Cost., ritenendo invece assorbiti gli altri profili di censura. Dunque la Corte Costituzionale, con la sentenza appena menzionata, ammette che lo Stato pu� impugnare una legge regionale, entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, per far valere non solo la lesione della sua sfera di competenza, ma anche la violazione di altre norme costituzionali e, in particolare, la violazione dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario di cui al I co. dell�art. 117 Cost. Il motivo per cui, ancora oggi, solo lo Stato pu� impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale una legge regionale per far valere, oltre che la violazione della sua sfera di competenza, anche altri vizi di legittimit� � ben comprensibile ove si consideri che, in coerenza con la forma di stato prevista dalla nostra Carta Costituzionale, titolare del potere di revisione costituzionale � solo lo Stato e non anche le Regioni. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 Tuttavia qualche dubbio potrebbe sorgere ove si consideri che l�art. 117 Cost., ancor prima di stabilire in che ambiti legifera lo Stato piuttosto che la Regione, si preoccupa di fissare una regola generale che vale tanto per l�uno quanto per l�altra: l�obbligo di osservanza dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario. Insomma, trattandosi di una prescrizione rivolta ad entrambi i soggetti, si potrebbe pensare che ognuno dei due livelli (statale e regionale) possa del tutto legittimamente denunciare dinanzi al giudice delle leggi una violazione dei vincoli comunitari da parte dell�altro. Simile conclusione, se ad un primo impatto pu� sembrare corretta, presta tuttavia il fianco, oltre che all�obiezione di cui gi� si � detto per cui titolare del potere di revisione costituzionale � solo lo Stato, anche ad un�ulteriore obiezione incentrata sull�esame dei rapporti tra Comunit� e Stato membro, visti nel loro complesso. L�impugnazione di una legge regionale da parte dello Stato per violazione �dei vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario� � giustificata dal fatto che � solo lo Stato ad essere responsabile al cospetto della Comunit� Europea per l�ipotesi di inadempimento degli obblighi comunitari. La presenza di articolazioni regionali all�interno della Repubblica italiana, sebbene titolari di funzioni legislative, non ha alcun rilievo agli occhi della Comunit� Europea: per la Comunit� esiste solo l�Italia, quale Stato membro. Ci� � confermato anche dal rapporto intercorrente tra l�art. 11 Cost. e il 1� comma dell�art. 117 Cost.. Prima della novella dell�art. 117 Cost., infatti, l�art. 11 Cost. era l�unica disposizione dalla quale poter ricavare l�obbligo di adeguarsi al diritto comunitario. Con la costituzionalizzazione dei vincoli comunitari si pu� affermare che l�art. 117 sostituisce l�art. 11 Cost., con la conseguenza che, quel generale obbligo gravante sullo Stato, unitariamente inteso, di garantire l�adeguamento dell�ordinamento nazionale con quello comunitario, un tempo ricavato dall�art. 11 Cost., oggi trova la sua fonte nell�art. 117, I co. Cost.. Tale ultima norma, infatti, richiamando espressamente i vincoli comunitari ancor prima di fissare gli ambiti in cui legifera lo Stato o la Regione, introduce un mezzo per garantire, concretamente, il coordinamento tra l�ordinamento nazionale e quello comunitario. D�altro canto � noto che un ordinamento � l�insieme di leggi rivolte ad una determinata collettivit�, ma � altrettanto noto che nel nostro ordinamento la potest� legislativa � riconosciuta tanto allo Stato quanto alle Regioni, con la conseguente nascita innanzitutto di un ordinamento nazionale composto dalle leggi e dagli atti aventi forza di legge dello Stato che si rivolge all�intero territorio nazionale; ma anche di tanti ordinamenti regionali quante sono le Regioni presenti nel nostro territorio, che si compongono di tutte quelle leggi 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 approvate dai singoli Consigli Regionali e la cui efficacia � limitata al solo territorio regionale. Tale distinzione tra ordinamento statale e ordinamento regionale � un�articolazione meramente interna del nostro ordinamento che non assume alcun rilievo a livello comunitario, tantՏ che solo lo Stato nella sua unitariet� � chiamato a rispondere, al cospetto della Comunit� Europea, del mancato adeguamento dell�ordinamento interno a quello comunitario. Nel caso di inadempimento al predetto obbligo, infatti, � lo Stato ad essere soggetto, da parte della Comunit� Europea, alla procedura di infrazione ex art. 226 CE, sia che l�inadempimento derivi da un comportamento dello Stato che da un comportamento delle Regioni, fatta salva la possibilit� per lo Stato, in questo secondo caso, di rivalersi nei confronti della Regione medesima (34). Per quanto fin qui osservato pu� concludersi nel senso dell�esclusione di ogni possibilit� per la Regione di adire la Corte Costituzionale per denunciare, con un procedimento in via principale, la violazione dei vincoli comunitari da parte del legislatore statale. Che vantaggio otterrebbe, infatti, quest�ultima dalla denuncia dinanzi alla Corte Costituzionale della violazione dei vincoli comunitari da parte del legislatore nazionale? Non di certo lo farebbe per evitare di incorrere in una responsabilit� al cospetto della Comunit� Europea dal momento che a garantire l�adeguamento dell�ordinamento interno con quello comunitario � chiamato solo lo Stato. Sempre con riguardo al giudizio in via principale promosso dallo Stato (34) La legge 25 febbraio 2008, n. 34 (Legge comunitaria 2007), all�art. 6 introduce modifiche alla legge n. 11/05 (�Norme generali sulla partecipazione dell�Italia al processo normativo dell�Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari�). L�art. 6 della legge comunitaria 2007 aggiunge, alla legge 11/05, l�art. 16-bis (�Diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di Regioni o altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario�). Prevede, in particolare, il comma 4 del nuovo art. 16-bis che �lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia delle Comunit� europee ai sensi dell�art. 228, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunit� europea�. Gli obblighi di cui al comma 1 sono quelli gravanti sulle Regioni, Province Autonome di Trento e di Bolzano, enti territoriali, sugli altri enti pubblici e sui soggetti equiparati e consistono nell�adozione di �ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa comunitaria�. Fino all�introduzione della richiamata novella legislativa, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano erano responsabili verso lo Stato solo nel caso di mancata attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali ratificati e non anche nel caso di violazione degli obblighi derivati dalla normativa comunitaria. La legge 5 giugno 2003, n.131 (c.d. legge La Loggia) all�art. 6 dispone, infatti, che �le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, provvedono direttamente all�attuazione e all�esecuzione degli accordi internazionali ratificati�. In caso di inadempienza la stessa norma, affermato il principio di responsabilit� delle Regioni verso lo Stato, prevede un potere sostitutivo del Consiglio dei ministri. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 contro una legge regionale, un�ultima osservazione � d�obbligo. Come visto l�art. 127 Cost., cos� come modificato, prevede che lo Stato pu� promuovere la questione di legittimit� costituzionale entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge regionale, e quindi solo una volta che questa abbia iniziato a produrre i suoi effetti. Simile previsione potrebbe far pensare che le argomentazioni in precedenza offerte dalla Corte Costituzionale a sostegno di ricorsi promossi in via principale dal Governo, non sono pi� spendibili oggi che il giudizio interviene solo una volta che la legge regionale � gi� produttiva dei suoi effetti. In precedenza la Corte Costituzionale, adita in via principale per accertare l�illegittimit� di una legge regionale anche per contrasto con norme comunitarie, oltre che per lesione delle competenze statali, si pronunciava nel modo che segue: �la legge regionale impugnata non � ancora entrata in vigore, e correttamente il Presidente del Consiglio ha adito la Corte nella fase conclusiva dell�iter di formazione dell�atto normativo al fine di impedire, in radice, il rischio di inottemperanza agli obblighi comunitari� (Corte Cost., sentenza n. 384 del 1994) (35). Essendo ora venuta meno la possibilit� per il Governo di adire la Corte Costituzionale quando la legge regionale � ancora in corso di formazione, l�argomentazione proposta dal giudice delle leggi parrebbe perdere di importanza. In realt� cos� non �. Come si � visto, la scelta di eliminare il controllo preventivo da parte del Governo sull�esercizio della funzione legislativa da parte delle Regioni � stata dettata dalla volont� di dare una nuova dignit� alle Regioni. N� poteva essere diversamente. In un contesto in cui gli ambiti di competenza legislativa della Regione sono stati notevolmente ampliati, sarebbe risultato in contrasto con lo spirito della riforma ammettere ancora un controllo preventivo da parte del Governo. Ma la contestuale scelta di ancorare a un limite temporale ben preciso - 60 giorni dalla pubblicazione della legge - la possibilit� di adire la Corte Costituzionale � stata a sua volta dettata dalla necessit� di garantire la certezza e chiarezza normativa. In altre parole si vuole evitare che una legge sia impugnata in via principale e del caso dichiarata costituzionalmente illegittima dopo che, ormai da tempo, produce i suoi effetti generando aspettative e affidamenti del tutto legittimi in capo ai suoi destinatari. Se questa � la ratio della norma allora potrebbe ben dirsi che anche il giudizio in via principale avente ad oggetto una legge regionale che si presume essere lesiva dei vincoli comunitari �, ancora oggi, giustificato dalla necessit� di voler evitare, sen non proprio in radice, quanto meno prima che i suoi effetti (35) Tali argomenti saranno ripresi dalla Corte Costituzionale nella successiva sentenza n. 94/95. 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 siano irreversibili, di lasciare in vita una legge la cui applicazione espone lo Stato al rischio di una procedura di infrazione. 5. Incidenza del 1� comma, art. 117 Cost. sui poteri di remissione alle Camere del Presidente della Repubblica. L�espresso richiamo ai vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario presente nella nostra Carta Fondamentale assume rilievo non solo con riguardo al giudizio di legittimit� costituzionale, ma anche in relazione ad un diverso ambito. Il riferimento � al potere di rinvio alle Camere, riconosciuto al Presidente della Repubblica dal 1� comma dell�art. 74 Cost.. A norma del menzionato articolo �il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, pu� con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione�. Con il rinvio della legge alle Camere, il Capo dello Stato esercita sulla stessa un controllo che pu� essere di legittimit� costituzionale formale o sostanziale. Tralasciando ogni altra considerazione e, in particolare, quella relativa alla differenza tra il potere di rinvio del Capo dello Stato e le funzioni della Corte Costituzionale quando opera come giudice delle leggi, l�art. 74 Cost., considerato in relazione al I comma dell�art. 117 Cost., offre lo spunto per un nuovo interrogativo. In sede di promulgazione di una legge statale, il Presidente della Repubblica pu�, in base a quanto previsto dall�art. 74 Cost., rimandare la legge alle Camere e chiedere una nuova deliberazione per essere la legge in contrasto con i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario? Prima della riforma del Titolo V della Costituzione tale ipotesi era sicuramente da escludersi. Allora, infatti, come gi� visto, la Corte Costituzionale sosteneva la totale estraneit� della fonte comunitaria dall�ordinamento interno, e tanto bastava ad escludere anche la possibilit� per il Presidente della Repubblica di rinviare una legge alle Camere perch� in contrasto con le norme comunitarie. Il Presidente della Repubblica, infatti, nel suo ruolo di garante della Costituzione poteva e pu� rinviare le leggi alle Camere solo ove accerti un contrasto tra la legge e le norme contenute nella Costituzione, oppure rinvenga nella disciplina legislativa contenuti che possono turbare l�equilibrato funzionamento dei meccanismi previsti dalla Costituzione. Oggi che, invece, l�obbligo per il legislatore di rispettare i vincoli derivanti dall�ordinamento comunitario � espressamente previsto dalla Costituzione, ci sono tutti i presupposti perch� il Capo dello Stato possa rinviare il testo della legge alle Camere in quanto contrastante con i suddetti vincoli. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 Certo � che il Parlamento pu� riapprovare nuovamente la legge che, a quel punto, dovr� essere promulgata dal Presidente della Repubblica, ma � altrettanto vero che il rinvio della legge e, quindi, il suo nuovo esame da parte delle Camere, pu� risultare un valido strumento per eliminare, ab origine, un�ipotesi di contrasto tra legge statale e norme comunitarie. 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE Il diritto comunitario non impone alcun limite temporale per il riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva (Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza del 12 febbraio 2008 nella causa C-2/06) La sentenza pronunciata il 12 febbraio 2008 dalla Corte di Giustizia delle Comunit� Europee in Grande Sezione, sul rinvio pregiudiziale promosso dal Finanzgericht Hamburg ai sensi dell�articolo 234 TCE, riguarda l�obbligo per un organo amministrativo di riesaminare una decisione amministrativa definitiva, per tener conto dell�interpretazione della disposizione pertinente accolta nel frattempo dalla Corte, e gli effetti di tale sopravvenuta decisione della Corte sulla sentenza definitiva nazionale, alla luce dei principi di effettiva tutela giurisdizionale, di leale collaborazione e di autonomia procedurale degli Stati membri. Fatto Una preliminare ricostruzione dei fatti relativi al contenzioso in oggetto appare necessaria per un intelligente sviluppo delle questioni di diritto sollevate in sede comunitaria. Negli anni 1990-1992 la societ� Willy Kempter KG (1), che esportava bovini in diversi paesi arabi e nell�ex Jugoslavia, dopo averne fatto richiesta, otteneva le restituzioni ovverosia rimborsi all�esportazione dall�Hauptzollamt (Ufficio della dogana centrale tedesca). Nel corso di un�indagine, la Betriebspr�fungsstelle Zoll (Servizio di controllo delle dogane) dell�Oberfinanzdi- (1) Conformemente al regolamento della Commissione 27 novembre 1987 n. 3665, articoli 4 e 5, recante le modalit� comuni di applicazione del regime delle esportazione per i prodotti agricoli. L�articolo 4 disponeva che �Fatto salvo il disposto degli articoli 5 e 16, il pagamento della restituzione � subordinato alla presentazione della prova che i prodotti per i quali � stata accettata la dichiarazione di esportazione hanno, nel termine massimo di 60 giorni da tale accettazione, lasciato come tale il territorio doganale della Comunit��. L�articolo 5 inoltre recitava che �Il versamento della restituzione, sia essa differenziata o meno, � subordinato, oltre alla condizione che il prodotto abbia lasciato il territorio doganale della Comunit�, alla condizione che esso � salvo deperimento durante il trasporto per un caso di forza maggiore � sia stato importato in un paese terzo ed eventualmente in un paese terzo determinato, entro 12 mesi dalla data di accettazione della dichiarazione d�esportazione: a) allorch� sussistano seri dubbi circa la destinazione effettiva del prodotto (�)�. rektion di Friburgo (Direzione regionale delle finanze) accertava per� che, prima della loro importazione nei detti paesi terzi, alcuni animali erano morti o erano stati abbattuti d�urgenza durante il trasporto o nel periodo di quarantena nei paesi di destinazione. In ragione di ci�, l�Hauptzollamt pretendeva dalla Willy Kempter KG il rimborso delle restituzioni all�esportazione con decisione resa nel 10 agosto 1995. La Willy Kempter KG proponeva ricorso contro tale decisione, senza invocare alcuna violazione del diritto comunitario. Il Finanzgericht Hamburg (Tribunale competente in materia di tributi in Germania) respingeva il ricorso proposto dalla Kempter (2) con sentenza del 16 giugno 1999. Anche il Bundesfinanzhof, con ordinanza dell�11 maggio 2000, rigettava l�appello della ricorrente. La decisione dell�Hauptzollamt diveniva definitiva il 10 agosto 1995. Nel frattempo il Bundesfinanzhof in una causa diversa del 21 marzo 2002, pronunciava una sentenza in cui applicava l�interpretazione utilizzata dalla Corte nella causa Emsland-St�rke (3). In data 16 settembre 2002 la Willy Kempter KG, affermando di esserne venuta a conoscenza solo in data 1� luglio 2002, chiedeva all�Hauptzollamt il riesame e la rettifica della decisione in oggetto in base all�art. 51, n. 1 del Verwaltungsverfahrensgesetz (VVfG) (4). L�Hauptzollamt respingeva nuovamente la richiesta della Kempter con decisione del 5 novembre 2002. Infine la Kempter adiva il Finanzgericht Hamburg sostenendo la sussistenza delle fattispecie richieste per il riesame della decisione amministrativa definitiva, cos� come enunciate dalla Corte in altre due sentenze analoghe e nella sentenza K�hne & Heitz (5) chiedendo pertanto che la decisione di recupero dello Hauptzollamt del 10 agosto 1995 fosse ritirata. Il Finanzgericht Hamburg, accogliendo le doglianze della societ� Willy Kempter KG, constatava l�illegittimit� della suddetta decisione e, previa sospensione del procedimento, sottoponeva alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali: 1. �Se il riesame e la rettifica di una decisione amministrativa definitiva, per tener conto dell�interpretazione del diritto comunitario pertinente data nel frattempo dalla Corte di (2) La ricorrente non aveva fornito la prova che gli animali fossero stati importati in un paese terzo entro dodici mesi dall�accettazione della dichiarazione d�esportazione, come richiesto dall�articolo 5, n. 1, lettera a) del regolamento n. 3665/87 per il versamento delle restituzioni. (3) Nella causa Emsland-St�rke C-110/99 del 14 dicembre 2000 l�Hauptzollamt respingeva il ricorso affermando che la modifica della giurisprudenza intervenuta non comportava un cambiamento della situazione giuridica che, di per s�, giustificasse la riapertura del procedimento ai sensi dell�articolo 51, n. 1 del VwVfG. Cos� statuiva anche in un altro caso in data 25 marzo 2003. (4) L�articolo 51 del VwVfG, riguardante la riapertura di procedimenti chiusi con un atto amministrativo divenuto definitivo, stabilisce nel n. 1 che l�autorit� deve decidere, su istanza dell�interessato, circa l�annullamento o la modifica di un atto amministrativo inoppugnabile se: dopo l�adozione dell�atto, gli elementi di fatto o di diritto sui quali si basa l�atto sono mutati a favore dell�interessato e vi sono nuovi elementi di prova che avrebbero creato i presupposti di una decisione pi� favorevole all�interessato nonch� se vi sono motivi di riaprire il caso ai sensi dell�art. 580 del codice di procedura civile (Zivilprozessordnung). (5) Sentenza K�hne & Heitz C-453/00 del 13 gennaio 2004. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 giustizia, presuppongano che l�interessato abbia impugnato tale decisione dinanzi al giudice nazionale invocando il diritto comunitario�. 2. �Se, oltre alle condizioni stabilite nella sentenza [K�hne & Heitz, citata], la possibilit� di domandare il riesame e la rettifica di una decisione amministrativa definitiva contrastante con il diritto comunitario sia limitata nel tempo per motivi superiori di diritto comunitario�. Il nesso tra la sentenza Kempter e la sentenza K�hne & Heitz La sentenza in oggetto, in un rapporto di continuit� cronologica e interpretativa con la sentenza K�hne & Heitz, sviluppa l�attuale dibattito sul tema dei rapporti tra il diritto nazionale e il diritto comunitario, alla luce dell�articolo 10 del TCE (6). La famosa sentenza K�hne & Heitz, chiamata a sostegno delle proprie ragioni dalla societ� Willy Kempter KG ed adoperata anche dalla Grande Sezione per la risoluzione del caso in oggetto, � di fondamentale importanza per comprendere il ragionamento del giudice comunitario. La Corte, premesso che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito carattere definitivo, afferma che, in ragione di quattro circostanze particolari, un organo amministrativo nazionale possa esservi in ogni caso tenuto, al fine di tener conto dell�interpretazione della disposizione pertinente di diritto comunitario nel frattempo accolta dalla stessa. La prima conditio, come si legge nella sentenza del 2004, richiede che l�organo disponga del potere di ritornare su tale decisione (7) secondo il diritto nazionale, mentre la seconda postula che si tratti di una decisione definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale d�ultima istanza. Le ultime due riguardano l�una la circostanza che la sentenza emanata in precedenza sia fondata su una errata interpretazione del diritto comunitario alla luce di una sopravvenuta giurisprudenza della Corte, senza che sia stato chiesto un rinvio pregiudiziale ai sensi dell�articolo 234, comma 3 TCE e, l�altra che l�interessato si sia rivolto all�organo amministrativo non appena sia venuto a conoscenza della giurisprudenza successiva. Il Finanzgericht Hamburg, ritenendo soddisfatte le prime due delle quattro condizioni citate (8), concentra la propria attenzione sull�esame della terza e (6) L�articolo 10 dispone che �Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunit�. Essi facilitano quest�ultima nell�adempimento dei propri compiti. Essi si astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del presente trattato�. (7) Si veda sentenza in oggetto, punto 36 nonch� la sentenza K�hne & Heitz, punto 24. (8) Si precisa che l�Hauptzollamt poteva ritirare la decisione resa nel 10 agosto 1995 ai sensi del diritto interno, (si veda l�articolo 48, n. 1 del VwVfG) e che tale decisione era divenuta definitiva in virt� dell�ordinanza 11 maggio 2000 del Bundesfinanzhof . IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 della quarta affermando da un lato che non � necessario che l�interessato abbia invocato il diritto comunitario (9) nell�impugnativa dell�atto amministrativo - dato che � possibile che sfugga anche al giudice nazionale l�importanza di una questione interpretativa di diritto comunitario - e dall�altro che la societ�, come singolo leso dalla incompatibilit� della decisione amministrativa con il diritto comunitario, deve aver chiesto immediatamente o senza ritardo colposo all�amministrazione di riesaminare tale decisione non appena abbia avuto conoscenza effettiva della giurisprudenza pertinente della Corte (10) . La soluzione delle questioni pregiudiziali La Corte nella risoluzione della prima questione pregiudiziale deve chiarire se, ai fini dell�ammissibilit� di riesame e rettifica della decisione definitiva in sede comunitaria, esiste ed � configurabile un onere in virt� del quale il ricorrente deve aver necessariamente invocato il diritto comunitario nell�ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno (11). Il giudice, colta l�occasione di affermare che �spetta a tutte le autorit� degli Stati membri garantire il rispetto delle norme di diritto comunitario nell�ambito delle loro competenze�, afferma inoltre che �il sistema introdotto dall�articolo 234 TCE per assicurare l�unit� dell�interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti� (12) . Il rinvio pregiudiziale diventa quindi lo strumento e il fine perch� avvenga un dialogo tra giudici, la cui proposizione si basa interamente sulla valutazione della pertinenza e della necessit� del detto rinvio compiuta dal giudice nazionale (13), dovendosi perci� escludere qualsiasi onere di tal genere in capo al ricorrente. La seconda questione riguarda l�esistenza nel diritto comunitario di un limite temporale che il ricorrente deve rispettare per la proposizione di una domanda diretta al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva. Le premesse logiche da cui parte la Corte sono di due ordini: la prima � (9) Nel caso di specie infatti la Willy Kempter KG n� in primo grado (davanti al Finanzgericht Hamburg) n� in secondo (davanti al Bundesfinanzhof) aveva invocato un�interpretazione erronea del diritto comunitario. (10) Bench� introdotta ventuno mesi dopo la pronuncia della sentenza Emsland-St�rke, � opportuno precisare che la domanda di riesame presentata dalla societ� dinanzi all� Hauptzollamt non era tardiva, in considerazione del fatto che essa � stata depositata solo il 16 dicembre 2002, entro un termine ragionevole e inferiore a tre mesi a decorrere dal momento in cui la Willy Kempter KG ha sostenuto di essere venuta a conoscenza della sentenza con cui il Bundesfinanzhof ha applicato la sentenza Emsland- St�rke. (11) La Willy Kempter KG e la Commissione delle Comunit� europee ritengono che non sussista tale onere per il ricorrente ai sensi dell�articolo 234, terzo comma TCE. (12) Sentenza Da Costa cause riunite C-28/62-30/62 del 27 marzo 1963, pagg. 59 e 76. Sentenza Germania/Commissione C-8/88 del 12 giugno 1990, punto 13. Sentenza K�hne & Heitz, punto 2 (13) Sentenza Salonia C-126/80 del 16 giugno 1981, punto 7. 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 che nel diritto comunitario non cՏ alcuna disposizione relativa a termini di prescrizione o decadenza della domanda di riesame e la seconda � che occorre far riferimento alle disposizioni nazionali in materia di prescrizione, senza dimenticare che � proprio il principio dell�autonomia procedurale degli Stati membri ad ostare alla fissazione di un termine a livello comunitario. In ragione di quanto statuito la Grande Sezione (14) propone, per motivi di certezza del diritto, di completare la quarta condizione contenuta nella sentenza K�hne & Heitz, chiarendone la portata e affermando che questa �non pu� essere interpretata come un obbligo di presentare la domanda di riesame di cui trattasi entro un certo e preciso lasso di tempo� e che, �spetta all�ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalit� procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purch� tali modalit�, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) n�, dall�altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti conferiti dall�ordinamento giuridico comunitario (principio di effettivit�)�(15) . Da ci� discende che il diritto comunitario non impone alcun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva, riservando agli Stati membri la facolt� di fissare termini di ricorso ragionevoli, conformemente ai principi comunitari di effettivit�, di equivalenza, nell�interesse della certezza del diritto e dell�esercizio dei diritti attribuiti dall�ordinamento giuridico comunitario. Conclusioni La sentenza C-2/06 affronta ed arricchisce la dibattuta e vexata quaestio relativa all�applicazione del principio di leale collaborazione ex articolo 10 TCE nei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto nazionale e nello specifico tra la sopravvenuta interpretazione della Corte di Giustizia (favorevole alla ricorrente) e il giudicato interno amministrativo (che la veda soccombente). In tale sede la Corte, rivendicata l�importanza dell�attivit� interpretativa nell�esercizio della propria competenza ex articolo 234 TCE (16) e affermato il valore dichiarativo delle sentenze pregiudiziali rese (i cui effetti risalgono alla data di entrata in vigore della norma interpretata) esamina la questione del difficile contemperamento di due diverse esigenze: l�applica- (14) Nella sentenza K�hne & Heitz la Corte non afferma che la domanda di riesame deve necessariamente essere presentata non appena il richiedente abbia avuto conoscenza della giurisprudenza della Corte pertinente. (15) Sentenza Unibet C-432/05 del 13 marzo 2007, punto 43. Sentenza van der Weerd cause riunite C-222/05 e C-225/05 del 7 giugno 2007, punto 28. (16) Si vedano i punti 35, 36 e 37 della sentenza in oggetto. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 zione della norma di diritto comunitario da parte dell�organo amministrativo anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima del momento in cui � sopravvenuta la sentenza della Corte e il rispetto del principio generale riconosciuto nel diritto comunitario della certezza del diritto. La Corte sviluppa e sublima alcune statuizioni precedentemente rese nella causa K�hne & Heitz offrendo due nuovi principi in materia di procedimento interno di riesame di una decisione amministrativa definitiva pronunciata da un giudice di ultima istanza. La Grande Sezione stabilisce che, qualora la decisione amministrativa risulti basata su un�interpretazione erronea del diritto comunitario - alla luce di una giurisprudenza successiva della Corte - il diritto comunitario non richiede n� che il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario nell�ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno n� che tale richiesta debba avvenire entro un preciso limite temporale previsto dal diritto comunitario. Quanto alla prima statuizione viene ancora una volta ribadito il fondamentale ruolo affidato al dialogo tra il giudice nazionale e il giudice comunitario per l�interpretazione corretta e unitaria del diritto, con l�esclusione di un onere di tal genere in capo alla parte legittimata al riesame. Relativamente alla seconda ampi margini sono affidati alla discrezionalit� degli Stati membri della Comunit� (e ai relativi diritti interni) cui spetta richiedere, se del caso, che la domanda di riesame e di rettifica di una decisione amministrativa divenuta definitiva e contraria al diritto comunitario interpretato successivamente dalla Corte, venga presentata all�amministrazione competente entro un termine ragionevole, senza che ci� renda impossibile o eccessivamente oneroso l�esercizio dei diritti per il singolo. Dott.ssa Flaminia Giovagnoli* Sentenza della Corte (Grande Sezione) 12 febbraio 2008 nella causa C-2/06 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Hamburg (Germania) - Willy Kempter KG/Hauptzollamt Hamurg-Jonas. (Avvocato dello Stato P. Gentili - AL 12888/06). �Esportazione di bovini � Restituzioni all�esportazione � Decisione amministrativa definitiva � Interpretazione di una sentenza della Corte � Effetti di una sentenza pronunciata in via pregiudiziale dalla Corte successivamente a tale decisione � Riesame e rettifica � Limiti temporali � Certezza del diritto � Principio di cooperazione � Art. 10 CE� (... Omissis) 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione del principio di coo- (* ) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 perazione risultante dall�art. 10 CE, letto alla luce della sentenza 13 gennaio 2004, causa C 453/00, K�hne & Heitz (Racc. pag. I 837). 2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia tra la Willy Kempter KG (in prosieguo: la �Kempter�) e lo Hauptzollamt Hamburg-Jonas (dogana centrale, in prosieguo: lo �Hauptzollamt�) a proposito dell�applicazione degli artt. 48 e 51 della legge sul procedimento amministrativo (Verwaltungsverfahrensgesetz) del 25 maggio 1976 (BGBl. 1976 I, pag. 1253; in prosieguo: il �VwVfG�). Contesto normativo La normativa comunitaria 3 L�art. 4, n. 1, del regolamento (CEE) della Commissione 27 novembre 1987, n. 3665, recante modalit� comuni di applicazione del regime delle restituzioni all�esportazione per i prodotti agricoli (GU L 351, pag. 1), � cos� redatto: �Fatto salvo il disposto degli articoli 5 e 16, il pagamento della restituzione � subordinato alla presentazione della prova che i prodotti per i quali � stata accettata la dichiarazione di esportazione hanno, nel termine massimo di 60 giorni da tale accettazione, lasciato come tale il territorio doganale della Comunit��. 4 L�art. 5, n. 1, del regolamento n. 3665/87 cos� dispone: �Il versamento della restituzione, sia essa differenziata o meno, � subordinato, oltre alla condizione che il prodotto abbia lasciato il territorio doganale della Comunit�, alla condizione che esso � salvo deperimento durante il trasporto per un caso di forza maggiore � sia stato importato in un paese terzo ed eventualmente in un paese terzo determinato, entro 12 mesi dalla data di accettazione della dichiarazione d�esportazione: a) allorch� sussistano seri dubbi circa la destinazione effettiva del prodotto (�) (�)�. La normativa nazionale 5 L�art. 48, n. 1, prima frase, del VwVfG prevede che un atto amministrativo illegittimo, anche dopo esser divenuto inoppugnabile, possa essere ritirato in tutto o in parte con effetto per il futuro o con effetto retroattivo. 6 L�art. 51 del VwVfG riguarda la riapertura di procedimenti chiusi con un atto amministrativo divenuto definitivo. Il suo n. 1 prevede che l�autorit� deve decidere, su istanza dell�interessato, circa l�annullamento o la modifica di un atto amministrativo inoppugnabile se: � dopo l�adozione dell�atto, gli elementi di fatto o di diritto sui quali si basa l�atto sono mutati a favore dell�interessato; � vi sono nuovi elementi di prova che avrebbero creato i presupposti di una decisione pi� favorevole all�interessato, e � vi sono motivi di riaprire il caso ai sensi dell�art. 580 del codice di procedura civile (Zivilprozessordnung). 7 Il n. 3 di tale articolo precisa che siffatta domanda deve essere presentata entro un termine di tre mesi a decorrere dal giorno in cui l�interessato � venuto a conoscenza delle circostanze che consentono la riapertura del procedimento. Fatti all�origine della controversia principale e questioni pregiudiziali 8 Dall�ordinanza di rinvio emerge che durante gli anni 1990-1992, la Kempter ha esportato bovini in diversi paesi arabi e nell�ex Jugoslavia. A tale titolo, conformemente al regolamento n. 3665/87, in vigore all�epoca, essa ha chiesto e ottenuto restituzioni all�esportazione dallo Hauptzollamt. 9 Nel corso di un�indagine, la Betriebspr�fungsstelle Zoll (servizio di controllo delle do- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 gane) dell�Oberfinanzdirektion (direzione regionale delle finanze) di Friburgo ha accertato che, prima della loro importazione nei detti paesi terzi, alcuni animali erano morti o erano stati abbattuti d�urgenza durante il trasporto o nel periodo di quarantena nei paesi di destinazione. 10 Con decisione 10 agosto 1995, lo Hauptzollamt ha pertanto preteso dalla Kempter il rimborso delle restituzioni all�esportazione che le erano state corrisposte. 11 La Kempter ha proposto un ricorso contro tale decisione, senza invocare, tuttavia, violazioni del diritto comunitario. Con sentenza 16 giugno 1999, il Finanzgericht Hamburg ha respinto tale ricorso in quanto la ricorrente non aveva fornito la prova che gli animali fossero stati importati in un paese terzo entro dodici mesi dall�accettazione della dichiarazione d�esportazione, come richiesto dall�art. 5, n. 1, lett. a), del regolamento n. 3665/87, per il versamento delle restituzioni. Con ordinanza 11 maggio 2000, il Bundesfinanzhof ha respinto in ultima istanza l�appello proposto contro tale sentenza dalla Kempter. 12 La decisione di recupero dello Hauptzollamt 10 agosto 1995 � quindi divenuta definitiva. 13 Con la sua sentenza 14 dicembre 2000, causa C 110/99, Emsland-St�rke (Racc. pag. I 11569, punto 48), la Corte ha affermato che la condizione secondo cui le merci devono essere state importate in un paese terzo affinch� vengano concesse le restituzioni all�esportazione previste da un regolamento comunitario pu� essere opposta al beneficiario delle restituzioni solamente prima della concessione delle stesse. 14 In una causa diversa, del 21 marzo 2002, il Bundesfinanzhof ha pronunciato una sentenza con la quale ha applicato siffatta interpretazione della Corte. La Kempter fa valere di essere venuta a conoscenza di quest�ultima sentenza il 1� luglio 2002. 15 Avvalendosi di tale sentenza del Bundesfinanzhof, il 16 settembre 2002, vale a dire circa ventuno mesi dopo la pronuncia della sentenza Emsland-St�rke, citata, la Kempter ha chiesto allo Hauptzollamt, in base all�art. 51, n. 1, del VwVfG, il riesame e la rettifica della decisione di recupero di cui trattasi. 16 Con decisione 5 novembre 2002, lo Hauptzollamt ha respinto la richiesta della Kempter, sottolineando che la modifica della giurisprudenza intervenuta nella fattispecie non comportava un cambiamento della situazione giuridica che, di per s�, giustificasse la riapertura del procedimento ai sensi dell�art. 51, n. 1, primo trattino, del VwVfG. Un ricorso amministrativo contro tale decisione � stato parimenti respinto il 25 marzo 2003. 17 La Kempter ha dunque adito nuovamente il Finanzgericht Hamburg, sostenendo in particolare che, nella fattispecie, le condizioni che consentono il riesame di una decisione amministrativa definitiva, enunciate dalla Corte nella sentenza K�hne & Heitz, citata, erano soddisfatte e che, pertanto, la decisione di recupero dello Hauptzollamt 10 agosto 1995 doveva essere ritirata. 18 Nella sua ordinanza di rinvio il Finanzgericht Hamburg constata innanzi tutto che, alla luce della sentenza Emsland-St�rke, citata, nonch� della sentenza del Bundesfinanzhof 21 marzo 2002, la decisione di recupero dello Hauptzollamt 10 agosto 1995 � illegittima. Esso si chiede poi se, per tale motivo, lo Hauptzollamt sia tenuto a riesaminare tale decisione, che, nel frattempo, � divenuta definitiva, anche se la ricorrente non aveva invocato, n� dinanzi al Finanzgericht Hamburg n� dinanzi al Bundesfinanzhof, un�interpretazione erronea del diritto comunitario, vale a dire dell�art. 5, n. 1, del regolamento n. 3665/87. 19 Il giudice del rinvio ricorda che, nella sua sentenza K�hne & Heitz, citata, la Corte ha affermato che: �Il principio di cooperazione derivante dall�art. 10 CE impone ad un organo amministrativo, 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 investito di una richiesta in tal senso, di riesaminare una decisione amministrativa definitiva per tener conto dell�interpretazione della disposizione pertinente nel frattempo accolta dalla Corte qualora � disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; � la decisione in questione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; � tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un�interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle condizioni previste all�art. 234, [terzo comma], CE, e � l�interessato si sia rivolto all�organo amministrativo immediatamente dopo essere stato informato della detta giurisprudenza�. 20 Quanto alle prime due condizioni elencate al punto precedente, il Finanzgericht Hamburg ritiene che esse siano soddisfatte nella fattispecie, tenuto conto del fatto che, da una parte, lo Hauptzollamt dispone, in virt� dell�art. 48, n. 1, prima frase, del VwVfG, del potere di ritirare la sua decisione di recupero 10 agosto 1995 e che, dall�altra, questa decisione � effettivamente divenuta definitiva in virt� dell�ordinanza 11 maggio 2000 del Bundesfinanzhof che ha statuito in ultima istanza. 21 Quanto alla terza condizione menzionata nella sentenza K�hne & Heitz, citata, il Finanzgericht Hamburg si chiede se essa debba essere interpretata nel senso che, da una parte, l�interessato debba aver impugnato l�atto amministrativo in sede giurisdizionale basandosi sul diritto comunitario e, dall�altra, il giudice nazionale debba aver respinto il ricorso senza adire la Corte in via pregiudiziale. In tal caso, questa condizione non potrebbe essere considerata soddisfatta nella fattispecie e, di conseguenza, il ricorso della ricorrente nella causa principale dovrebbe essere respinto, dato che la Kempter non ha invocato un�interpretazione erronea del diritto comunitario n� dinanzi al Finanzgericht Hamburg n� dinanzi al Bundesfinanzhof. 22 Il Finanzgericht Hamburg ritiene di poter tuttavia dedurre dalla sentenza K�hne & Heitz, citata, che nemmeno nella causa che ha dato luogo a tale sentenza la ricorrente aveva chiesto che venisse sottoposta alla Corte una questione pregiudiziale. 23 Nell�ambito della motivazione della sua decisione di rinvio, il Finanzgericht Hamburg suggerisce peraltro che, quando agli stessi giudici nazionali sia sfuggita l�importanza di una questione di interpretazione del diritto comunitario, ci� non dovrebbe essere fatto pesare sul singolo leso. 24 Per quanto riguarda la quarta condizione a cui si riferisce la sentenza K�hne & Heitz, citata, il Finanzgericht Hamburg ritiene che essa venga soddisfatta qualora il singolo leso dalla decisione amministrativa incompatibile con il diritto comunitario chieda �immediatamente � o �senza ritardo colposo� all�amministrazione di riesaminare tale decisione, non appena abbia avuto �conoscenza effettiva� della giurisprudenza pertinente della Corte. 25 Nelle circostanze della causa principale, bench� sia stata introdotta ventuno mesi dopo la pronuncia della sentenza Emsland-St�rke, citata, la domanda di riesame presentata dalla Kempter dinanzi allo Hauptzollamt non potrebbe essere considerata tardiva, in considerazione del fatto che essa � stata depositata solo il 16 dicembre 2002, vale a dire entro un termine inferiore a tre mesi a decorrere dal momento in cui la Kempter ha sostenuto di essere venuta a conoscenza della sentenza con cui il Bundesfinanzhof ha applicato la detta sentenza Emsland- St�rke, citata. 26 Dato che l�amministrazione deve applicare l�interpretazione di una disposizione di IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 diritto comunitario, fornita dalla Corte in una sentenza pronunciata in via pregiudiziale, ai rapporti giuridici sorti prima di tale sentenza, il giudice del rinvio si chiede se la possibilit� di chiedere il riesame e la rettifica di una decisione amministrativa avente carattere definitivo e che viola il diritto comunitario possa essere illimitata nel tempo o se, invece, essa debba essere corredata da un limite temporale giustificato da ragioni di certezza del diritto. 27 In tali condizioni, il Finanzgericht Hamburg ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali: �1) Se il riesame e la rettifica di una decisione amministrativa definitiva, per tener conto dell�interpretazione del diritto comunitario pertinente data nel frattempo dalla Corte di giustizia, presuppongano che l�interessato abbia impugnato tale decisione dinanzi al giudice nazionale invocando il diritto comunitario. 2) Se, oltre alle condizioni stabilite nella sentenza [K�hne & Heitz, citata], la possibilit� di domandare il riesame e la rettifica di una decisione amministrativa definitiva contrastante con il diritto comunitario sia limitata nel tempo per motivi superiori di diritto comunitario�. Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 28 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la sentenza K�hne & Heitz, citata, imponga il riesame e la rettifica di una decisione amministrativa divenuta definitiva in virt� di una sentenza di un giudice di ultima istanza, solo se il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario nell�ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno che esso ha proposto nei confronti di tale decisione. Osservazioni presentate alla Corte 29 La Kempter, il governo finlandese e la Commissione delle Comunit� europee ritengono che occorra risolvere in senso negativo la prima questione. 30 Innanzi tutto, la Kempter rileva che dall�art. 234, terzo comma, CE non emerge che le parti nella controversia principale debbano avere invocato dinanzi al giudice nazionale un�interpretazione erronea del diritto comunitario, affinch� questo sia tenuto ad effettuare un rinvio pregiudiziale. La Commissione aggiunge che una tale condizione non emerge nemmeno dalla motivazione n� dal dispositivo della sentenza K�hne & Heitz, citata. 31 La Kempter e la Commissione osservano, poi, che l�obbligo di rinvio pregiudiziale incombente ai giudici nazionali che statuiscono in ultima istanza, conformemente all�art. 234, terzo comma, CE, non pu� nemmeno dipendere dalla circostanza che le parti chiedano un tale rinvio ai detti giudici. 32 Infine, il governo finlandese considera che, da un lato, la necessit� che le parti nella causa principale abbiano invocato dinanzi al giudice nazionale un�erronea interpretazione del diritto comunitario potrebbe rendere in pratica impossibile l�esercizio dei diritti conferiti dall�ordinamento giuridico comunitario ed essere dunque in contrasto con il principio di effettivit�. Dall�altro lato, non dovrebbe essere fatta pesare sul cittadino leso la circostanza che ad un giudice nazionale sia sfuggita l�importanza di una questione di diritto comunitario. 33 Il governo ceco, da parte sua, sostiene che il riesame e la rettifica di una decisione definitiva dell�amministrazione possono essere subordinati al fatto che l�interessato abbia impugnato tale decisione dinanzi ai giudici nazionali invocando il diritto comunitario solo nel caso in cui questi stessi giudici non abbiano, in virt� del diritto nazionale, n� la facolt� n� l�obbligo di applicare d�ufficio il diritto comunitario e che tale circostanza non costituisca un ostacolo al rispetto dei principi di equivalenza e di effettivit�. Soluzione della Corte 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 34 Per risolvere la prima questione occorre innanzi tutto ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, spetta a tutte le autorit� degli Stati membri garantire il rispetto delle norme di diritto comunitario nell�ambito delle loro competenze (v. sentenze 12 giugno 1990, causa C 8/88, Germania/Commissione, Racc. pag. I 2321, punto 13, e K�hne & Heitz, citata, punto 20). 35 Occorre anche ricordare che l�interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla Corte nell�esercizio della competenza attribuitale dall�art. 234 CE chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore (v., in particolare, sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana, Racc. pag. 1205, punto 16; 10 febbraio 2000, causa C 50/96, Deutsche Telekom, Racc. pag. I 743, punto 43, e K�hne & Heitz, citata, punto 21). In altri termini, una sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bens� puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono alla data di entrata in vigore della norma interpretata (v., in tal senso, sentenza 19 ottobre 1995, causa C 137/94, Richardson, Racc. pag. I 3407, punto 33). 36 Ne consegue che, in una causa come quella principale, una norma di diritto comunitario cos� interpretata dev�essere applicata da un organo amministrativo nell�ambito delle sue competenze anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima del momento in cui � sopravvenuta la sentenza in cui la Corte si pronuncia sulla richiesta di interpretazione (sentenza K�hne & Heitz, citata, punto 22, e, in tal senso, sentenze 3 ottobre 2002, causa C 347/00, Barreira P�rez, Racc. pag. I 8191, punto 44; 17 febbraio 2005, cause riunite C 453/02 e C 462/02, Linneweber e Akritidis, Racc. pag. I 1131, punto 41, e 6 marzo 2007, causa C 292/04, Meilicke e a., Racc. pag. I-1835, punto 34). 37 Tuttavia, come ha ricordato la Corte, questa giurisprudenza deve essere letta alla luce del principio della certezza del diritto, che figura tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario. A tal riguardo occorre constatare che il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o, come nella causa principale, in seguito all�esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ci� deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo (sentenza K�hne & Heitz, citata, punto 24). 38 La Corte ha tuttavia affermato che, in circostanze particolari, un organo amministrativo nazionale pu� essere tenuto, in applicazione del principio di cooperazione derivante dall�art. 10 CE, a riesaminare una decisione amministrativa divenuta definitiva in seguito all�esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni, al fine di tener conto dell�interpretazione della disposizione pertinente di diritto comunitario nel frattempo accolta dalla Corte (v., in tal senso, sentenze K�hne & Heitz, citata, punto 27, e 19 settembre 2006, cause riunite C 392/04 e C 422/04, i-21 Germany e Arcor, Racc. pag. I 8559, punto 52). 39 Come ricorda il giudice del rinvio, alla luce dei punti 26 e 28 della citata sentenza K�hne & Heitz, tra le condizioni che possono fondare un tale obbligo di riesame la Corte ha preso in considerazione, in particolare, il fatto che la sentenza del giudice di ultima istanza, in virt� della quale la decisione amministrativa contestata � divenuta definitiva, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima risultasse fondata su un�interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse stata adita in via pregiudiziale alle condizioni previste all�art. 234, terzo comma, CE. 40 Orbene, la presente questione pregiudiziale � diretta unicamente a chiarire se una tale IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 condizione sia soddisfatta solo se il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario nell�ambito del suo ricorso giurisdizionale proposto contro la decisione amministrativa di cui trattasi. 41 A tal riguardo occorre sottolineare che il sistema introdotto dall�art. 234 CE per assicurare l�unit� dell�interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti (v., in tal senso, sentenze 27 marzo 1963, cause riunite 28/62-30/62, Da Costa e a., Racc. pag. 59, in particolare pag. 76; 1� marzo 1973, causa 62/72, Bollmann, Racc. pag. 269, punto 4, e 10 luglio 1997, causa C 261/95, Palmisani, Racc. pag. I 4025, punto 31). 42 Infatti, come precisa l�avvocato generale ai paragrafi 100-104 delle sue conclusioni, il rinvio pregiudiziale si basa su un dialogo tra giudici, la cui proposizione si basa interamente sulla valutazione della pertinenza e della necessit� del detto rinvio compiuta dal giudice nazionale (v., in tal senso, sentenza 16 giugno 1981, causa 126/80, Salonia, Racc. pag. 1563, punto 7). 43 Del resto, come rilevato dalla Commissione e dall�avvocato generale ai paragrafi 93- 95 delle sue conclusioni, la formulazione stessa della sentenza K�hne & Heitz, citata, non indica affatto che il ricorrente sia tenuto a sollevare, nell�ambito del suo ricorso giurisdizionale di diritto interno, la questione di diritto comunitario successivamente oggetto della sentenza pregiudiziale della Corte. 44 Non si pu� dunque dedurre dalla sentenza K�hne & Heitz, citata, che, ai fini della terza condizione in essa delineata, le parti debbano aver sollevato dinanzi al giudice nazionale la questione di diritto comunitario di cui trattasi. Infatti, affinch� tale condizione sia soddisfatta, basterebbe o che detta questione di diritto comunitario, la cui interpretazione si � rivelata erronea alla luce di una sentenza successiva della Corte, sia stata esaminata dal giudice nazionale che statuisce in ultima istanza, oppure che essa avesse potuto essere sollevata d�ufficio da quest�ultimo. 45 A tal riguardo occorre ricordare che, sebbene il diritto comunitario non imponga ai giudici nazionali di sollevare d�ufficio un motivo vertente sulla violazione di disposizioni comunitarie se l�esame di tale motivo li obbligherebbe ad esorbitare dai limiti della controversia come � stata circoscritta dalle parti, tali giudici sono tenuti a sollevare d�ufficio i motivi di diritto relativi ad una norma comunitaria vincolante quando, in virt� del diritto nazionale, essi hanno l�obbligo o la facolt� di farlo con riferimento ad una norma interna di natura vincolante (v., in tal senso, sentenze 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, van Schijndel e van Veen, Racc. pag. I 4705, punti 13, 14 e 22, e 24 ottobre 1996, causa C 72/95, Kraaijeveld e a., Racc. pag. I 5403, punti 57, 58 e 60). 46 Di conseguenza, occorre risolvere la prima questione proposta nel senso che, nell�ambito di un procedimento dinanzi ad un organo amministrativo diretto al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva in virt� di una sentenza pronunciata da un giudice di ultima istanza, la quale, alla luce di una giurisprudenza successiva della Corte, risulta basata su un�interpretazione erronea del diritto comunitario, tale diritto non richiede che il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario nell�ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno da esso proposto contro tale decisione. Sulla seconda questione 47 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se il diritto comunitario imponga un limite temporale per proporre una domanda diretta al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva. 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Osservazioni presentate alla Corte 48 La Kempter sottolinea, innanzi tutto, che il diritto comunitario non contiene alcuna disposizione specifica relativa al termine di decadenza o di prescrizione di una domanda di riesame. Essa aggiunge poi che, conformemente alla sentenza K�hne & Heitz, citata, l�interessato pu� far valere il suo diritto al riesame della decisione amministrativa divenuta definitiva solo se una disposizione nazionale lo consente. Per decidere se tale diritto sia limitato nel tempo oppure no, occorrerebbe dunque prendere in considerazione le disposizioni nazionali in materia di prescrizione. 49 La Kempter fa inoltre valere che, nel caso in cui venissero applicate, per analogia, disposizioni comunitarie disciplinanti i termini di decadenza o di prescrizione, la sua domanda non dovrebbe essere tuttavia considerata tardiva, tenuto conto del fatto che essa era stata depositata meno di tre mesi dopo le conclusioni dell�avvocato generale nella causa che ha dato luogo alla sentenza Emsland-St�rke, citata, vale a dire nel momento a partire dal quale avrebbe potuto essere prevista una modifica della giurisprudenza consolidata dei giudici tedeschi. 50 Quanto alla quarta condizione delineata dalla Corte nella sentenza K�hne & Heitz, citata, i governi ceco e finlandese condividono l�opinione espressa dal giudice del rinvio secondo cui il termine cos� creato dalla Corte per chiedere la revisione di una decisione amministrativa divenuta definitiva dovrebbe essere vincolato all�effettiva conoscenza della sua giurisprudenza da parte dell�interessato. 51 Inoltre essi ritengono che il diritto comunitario non osti a che il diritto di chiedere il riesame di una decisione amministrativa illegittima sia limitato nel tempo. Le norme di procedura nazionali potrebbero dunque validamente prevedere che tale tipo di domanda debba essere presentato entro termini specifici, purch� siano rispettati i principi di equivalenza e di effettivit�. 52 Ad avviso della Commissione, la seconda questione pregiudiziale riguarda solo l�intervallo tra la pronuncia della sentenza della Corte da cui deriva l�illegittimit� della decisione amministrativa e la domanda di riesame e di rettifica della detta decisione presentata dalla Kempter. 53 Peraltro, la Commissione osserva che il principio dell�autonomia procedurale degli Stati membri osta alla fissazione di un termine a livello comunitario. Essa propone, per motivi di certezza del diritto, di completare la quarta condizione tratta dalla sentenza K�hne & Heitz, citata, prevedendo che questa richiede che l�interessato si sia rivolto all�organo amministrativo immediatamente dopo essere venuto a conoscenza della sentenza pregiudiziale della Corte da cui deriva l�illegittimit� della decisione amministrativa divenuta definitiva, entro un lasso di tempo, a decorrere dalla pronuncia della detta sentenza, che appaia ragionevole con riferimento ai principi del diritto nazionale e conforme ai principi di equivalenza e di effettivit�. Soluzione della Corte 54 Per quanto riguarda la questione dei limiti temporali per la presentazione di una domanda di riesame, occorre innanzi tutto ricordare che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza K�hne & Heitz, citata, l�impresa ricorrente aveva chiesto il riesame e la rettifica della decisione amministrativa entro un termine inferiore ai tre mesi dal momento in cui essa era venuta a conoscenza della sentenza Voogd Vleesimport en-export (sentenza 5 ottobre 1994, causa C- 151/93, Racc. pag. I 4915), da cui derivava l�illegittimit� della decisione amministrativa. 55 � vero che la Corte, nella sua valutazione delle circostanze di fatto della causa che ha dato luogo alla sentenza K�hne & Heitz, citata, aveva affermato che la durata del periodo entro cui era stata introdotta la domanda di riesame doveva essere presa in considerazione e IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 giustificava, unitamente alle altre condizioni indicate dal giudice del rinvio, il riesame della decisione amministrativa contestata. Tuttavia, la Corte non aveva richiesto che una domanda di riesame fosse necessariamente presentata non appena il richiedente fosse venuto a conoscenza della giurisprudenza della Corte su cui la domanda si fondava. 56 Orbene, � giocoforza constatare che, come rileva l�avvocato generale ai paragrafi 132 e 134 delle sue conclusioni, il diritto comunitario non impone alcun termine preciso per la presentazione di una domanda di riesame. Di conseguenza, la quarta condizione menzionata dalla Corte nella sua sentenza K�hne & Heitz, citata, non pu� essere interpretata come un obbligo di presentare la domanda di riesame di cui trattasi entro un certo e preciso lasso di tempo dopo che il richiedente sia venuto a conoscenza della giurisprudenza della Corte su cui la domanda stessa si fondava. 57 Occorre tuttavia precisare che, secondo una costante giurisprudenza, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all�ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalit� procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purch� tali modalit�, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) n�, dall�altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti conferiti dall�ordinamento giuridico comunitario (principio di effettivit�) (v., in particolare, sentenze 13 marzo 2007, causa C 432/05, Unibet, Racc. pag. I-2271, punto 43, nonch� 7 giugno 2007, cause riunite da C 222/05 a C 225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I-4233, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata). 58 La Corte ha cos� riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell�interesse della certezza del diritto (v., in tal senso, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe-Zentralfinanzamt e Rewe-Zentral, Racc. pag. 1989, punto 5, nonch� causa 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punti 17 e 18; Denkavit italiana, citata, punto 23; 25 luglio 1991, causa C 208/90, Emmott, Racc. pag. I 4269, punto 16; Palmisani, citata, punto 28; 17 luglio 1997, causa C 90/94, Haahr Petroleum, Racc. pag. I 4085, punto 48, e 24 settembre 2002, causa C 255/00, Grundig Italiana, Racc. pag. I 8003, punto 34). Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio dei diritti attribuiti dall�ordinamento giuridico comunitario (sentenza Grundig Italiana, citata, punto 34). 59 Da questa giurisprudenza costante deriva che gli Stati membri possono richiedere, in nome del principio della certezza del diritto, che una domanda di riesame e di rettifica di una decisione amministrativa divenuta definitiva e contraria al diritto comunitario cos� come interpretato successivamente dalla Corte venga presentata all�amministrazione competente entro un termine ragionevole. 60 Occorre, di conseguenza, risolvere la seconda questione proposta nel senso che il diritto comunitario non impone alcun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva. Gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di fissare termini di ricorso ragionevoli, conformemente ai principi comunitari di effettivit� e di equivalenza. Sulle spese 61 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a ri- 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 fusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) Nell�ambito di un procedimento dinanzi ad un organo amministrativo diretto al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva in virt� di una sentenza pronunciata da un giudice di ultima istanza, la quale, alla luce di una giurisprudenza successiva della Corte, risulta basata su un�interpretazione erronea del diritto comunitario, tale diritto non richiede che il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario nell�ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno da esso proposto contro tale decisione. 2) Il diritto comunitario non impone alcun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva. Gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di fissare termini di ricorso ragionevoli, conformemente ai principi comunitari di effettivit� e di equivalenza. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 La nozione di �deposito temporaneo� e la possibilit� di commistione di rifiuti riconducibili a codici diversi (Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Seconda Sezione, sentenza dell�11 dicembre 2008 nella causa C-387/07) Il deposito temporaneo rappresenta un concetto innovativo che nell�ordinamento italiano � stato introdotto con l�emanazione del d.lgs. n. 22/1997. Successivamente ripreso dal d.lgs. 152/2006, questa attivit�, in linea con la normativa comunitaria, costituisce una deroga rispetto al sistema ordinario di gestione di rifiuti. Lo scopo del deposito temporaneo consiste nell�agevolare l�attivit� delle piccole imprese, caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti. Queste, infatti, senza la costruzione giuridica in esame, sarebbero costrette a ricorrere a operazioni di smaltimento eccessivamente onerose e, dunque, sproporzionate rispetto al loro regime produttivo. Tuttavia, a causa della non chiara formulazione legislativa, la nozione di deposito temporaneo ha suscitato alcune perplessit� in ordine alla possibilit� per il produttore di raggruppare diversi tipi di imballaggio senza dover effettuare una separazione degli stessi, gi� nella fase preliminare alle operazioni di gestione dei rifiuti. La Corte di giustizia Europea, con la sentenza pronunciata l�11 dicembre 2008, ha recentemente fornito una risposta chiara sull�argomento affermando che il produttore di rifiuti, durante il deposito temporaneo, pu� ammassare insieme materiali di scarto appartenenti a codici di identificazione diversi. La Corte, ha altres� asserito che il codice 15 01 06, con il quale vengono individuati gli �imballaggi in materiali misti�(1) , pu� essere utilizzato per definire rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale tra loro raggruppati. La domanda di pronuncia giudiziale, a seguito della quale sono stati affermati i suddetti principi, � stata proposta dal Tribunale di Ancona nell�ambito di un ricorso presentato dalla M. s.r.l. e dal sig. D.A, rispettivamente trasportatore dei rifiuti e conducente di un autotreno, contro un�ordinanza-ingiunzione emessa dalla Provincia di Macerata, in merito alla causa C-387/07 relativa ai rifiuti ed alla nozione di �deposito temporaneo�. In particolare, la vicenda trae origine da un controllo effettuato nel 2005 (1) Si veda in proposito l�elenco dei rifiuti allegato alla decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/Ce, istituito conformemente agli artt. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442 e 1, n. 4, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/Cee. 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dalla Polizia provinciale di Macerata durante il quale l�autorit� competente accertava il trasporto di diverse tipologie di imballaggi come sacchi di nylon, cassette in polistirolo, palletts ed imballaggi di cartone. Tale carico veniva accompagnato da un formulario di identificazione dei rifiuti che indicava il codice 15 01 06 corrispondente, secondo l�elenco dei rifiuti allegato alla decisione 2000/532/Ce e ripreso dalla normativa nazionale, agli �imballaggi in materiali misti�. Ebbene, ritenendo che tale codice non potesse essere attribuito ai rifiuti trasportati, trattandosi di imballaggi di diverso materiale tra loro ammassati, gli agenti riscontravano una violazione dell�allora vigente D. Lgs. n. 22/97. Le ragioni addotte a sostegno della tesi asserita dalla Provincia di Macerata vertono sulla considerazione che, all�interno di un deposito temporaneo, non possa consentirsi la commistione di rifiuti riconducibili a codici diversi dell�elenco allegato alla decisione 2000/532/Ce. Infatti, bench� il deposito temporaneo preceda l�effettiva gestione dei rifiuti e non necessiti, dunque, di una autorizzazione, esso deve, tuttavia, essere regolamentato dagli Stati membri in modo da raggiungere gli obiettivi di protezione della salute dell�uomo e dell�ambiente, cui tutela � espressamente prevista dall�art. 4 della direttiva 75/442/Cee. Alla luce di quanto osservato, ammettere che il produttore possa miscelare, senza autorizzazione, rifiuti riconducibili a codici diversi potrebbe ostacolare le operazioni di recupero e contrastare, in tal modo, tanto con gli obiettivi fissati dalla suddetta direttiva, quanto con le finalit� della codificazione allegata alla decisione comunitaria (2). Tale assunto non � stato condiviso dalla Corte di Giustizia la quale, chiamata a pronunciarsi sulla questione relativa alla possibilit�, per il produttore di rifiuti, di collocare tutti insieme nel proprio deposito temporaneo imballaggi diversi tra loro in termini di materiale e codici, ha sottolineato che il deposito temporaneo � soltanto menzionato negli allegati II A e II B della direttiva comunitaria i quali elencano, rispettivamente, le operazioni di smaltimento e le operazioni di recupero. A tal proposito, � opportuno rilevare che proprio detti allegati escludono espressamente il raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, dall�elenco delle operazioni che la direttiva in esame qualifica come operazioni di smaltimento o di recupero. Non pu� dubitarsi, infatti, che il deposito temporaneo, qualora avvenga nel rispetto delle condizioni dettate dalla legge, attenga ad una fase precedente la gestione dei materiali di scarto. Deve osservarsi, altres�, che la decisione 2000/532/Ce alla quale � allegato (2) Si veda, in particolare, sentenza 5 ottobre 1999, cause riunite C-175/98 e C-177/98, Lirussi e Bizzaro, Racc. pag. I-6881, punto 54. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 l�elenco dei rifiuti utilizzato per la classificazione degli stessi, non prescrive alcuna misura relativa all�individuazione dei materiali di scarto depositati temporaneamente, prima della raccolta, nel luogo di produzione. Sulla scorta di tale percorso argomentativo, ne deriva che la normativa comunitaria non osta alla commistione, da parte del produttore, di rifiuti riconducibili a codici diversi. Ci� posto, sebbene la direttiva 75/442 non imponga agli Stati membri di adottare misure specifiche, non pu� dimenticarsi che la politica comunitaria, in materia ambientale, � permeata dal principio di precauzione (3) il quale impone un approccio cautelativo a tutte le attivit� che possono potenzialmente nuocere alla salute dell�uomo e dell�ambiente. Pertanto, proprio in attuazione a detto principio e all�art. 4 della suddetta direttiva, gli Stati membri sono, tuttavia, tenuti ad obbligare il produttore alla cernita e al deposito separato dei rifiuti al momento del loro deposito temporaneo, qualora ritengano tali misure necessarie per raggiungere gli obiettivi di protezione della salute dell�uomo e dell�ambiente, �pur lasciando loro un potere discrezionale nella valutazione della necessit� di tali misure (4). Orbene, tenuto conto di tali considerazioni, la Corte ha risolto la prima questione affermando che tanto la direttiva 75/442 quanto la decisione 2000/532 non ostano alla commistione, da parte del produttore di rifiuti, di materiali di scarto riconducibili a codici diversi dell�elenco allegato alla suddetta decisione al momento del loro deposito temporaneo e prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. Gli Stati membri, tuttavia, sono tenuti ad adottare misure che obbligano il produttore di rifiuti alla cernita e al deposito separato degli stessi al momento del loro deposito temporaneo, utilizzando a tal fine i codici di detto elenco, qualora ritengano che siffatte misure siano necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati dall�art. 4, primo comma, della direttiva. La nozione di deposito temporaneo,come gi� osservato, � stata recepita dal legislatore italiano nel D. Lgs. n. 22/1997 e, successivamente nel D. Lgs. n. 152/2006. (3) Il principio di precauzione � stato introdotto dall�articolo 15 della Dichiarazione di Rio ratificata a seguito della Conferenza sull'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992. Il suddetto articolo afferma quanto segue: �Ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l�assenza di certezze scientifiche non deve essere usata come ragione per impedire che si adottino misure di prevenzione della degradazione ambientale�. Successivamente introdotto nel Trattato di Maastricht, e pi� recentemente nel Trattato di Amsterdam, il principio di precauzione mira ad assicurare che la politica della Comunit� Europea, in materia ambientale, adotti provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni potenziali rischi per l�ambiente e per la salute degli esseri umani. (4) Cfr. sentenza del 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia, Racc. pag. I 7773, punto 67; sentenza del 18 novembre 2004, causa C- 420/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I 11175, punto 21 e sentenza del 26 aprile 2007, causa C-135/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I 3475, punto 37. 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 In tale contesto normativo il deposto temporaneo � definito come �raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti�, ed � assoggettato ad una serie di condizioni specifiche che sono indicate nella norma. Si tratta delle condizioni oggi previste dalla lettera m) articolo 183, comma 1, D. Lgs. 152/2006. Ebbene, in presenza di dette condizioni, gli articoli 208 comma 17 e 210 comma 5 D.Lgs. 152/2006 rendono il deposito temporaneo esente dal regime autorizzato. Al riguardo, deve osservarsi che, se da un lato la disciplina giuridica di settore regola i regimi di autorizzazione all�esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero, sotto diverso profilo stabilisce che le disposizioni medesime non si applicano al depositi temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni successivamente dettate in modo specifico e dettagliato. La figura in esame, pertanto, deve senza dubbio collocarsi come eccezione specifica rispetto alle operazioni di gestione in senso stretto individuabili nella raccolta, nel trasporto, nello smaltimento e nel recupero dei materiali di scarto. In merito alla seconda questione, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di chiarire se il codice 15 01 06 possa essere utilizzato per identificare i rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale ammassati tra loro, oppure se tale codice identifichi solo gli imballaggi multimateriali, intesi come imballaggi costituiti da componenti autonome di diverso materiale. Al fine di fornire una compiuta risposta alla questione proposta occorre, anzitutto, rilevare che la decisione 2000/532/Ce designa unicamente una nomenclatura dei rifiuti prodotti, e non si cura di definire le nozioni corrispondenti ai vari codici dell�elenco dei rifiuti ad essa allegato. Diversamente, la decisione della Commissione Europea 2005/270 fornisce una serie di definizioni, tra cui quella di �imballaggio composto�, corrispondente al codice 15 01 05, e descritto nei termini di un �imballaggio costituito da materiali diversi che non � possibile separare manualmente, ognuno dei quali non superi una determinata percentuale del peso dell�imballaggio �. Al riguardo, deve osservarsi che la nozione di imballaggio composto, fornita dalla suddetta decisione, corrisponde a quello che il giudice del rinvio qualifica come imballaggi �multimateriali�. Inoltre, non pu� non rilevarsi che nell�elenco allegato alla decisione 2000/532 gli imballaggi composti corrispondono a un codice diverso da quello attribuito agli imballaggi in materiali misti. Da tali considerazioni, la Corte ha dedotto che la nozione di imballaggi in materiali misti non ricomprende in s� gli imballaggi �multimateriali�, ma si riferisce a imballaggi di diverso materiale, tra loro ammassati. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 Pertanto, tenuto conto che la normativa italiana riprende l�elenco dei rifiuti allegato alla decisione 2000/532, la Corte di Giustizia ha risolto la seconda questione proposta dal giudice del rinvio affermando che il codice 15 01 06 pu� essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da diverse tipologie di imballaggi raggruppati tra loro. A ben vedere, nonostante la normativa consenta di miscelare tra di loro i rifiuti di imballaggi non pericolosi e la sentenza abbia legittimato l�assegnazione di un unico codice ai rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale, occorre non sottovalutare la destinazione verso il recupero della maggior parte dei rifiuti costituiti da materiale da imballaggio. Tenuto conto di ci�, infatti, la selezione preliminare dei rifiuti, pur rappresentando un�operazione spesso complicata e impegnativa, potrebbe agevolare il recupero e il riciclo dei materiali di scarto, contribuendo a ridurre la quantit� da avviare in discarica, e limitando, in tal modo, i costi da sostenere per le operazioni di smaltimento. Dott.ssa Sara D�Amario* Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 11 dicembre 2008 nella causa C-387/07 - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Anconca - MI.VER Srl, Daniele Antonelli /Provincia di Macerta. (Avvocato dello Stato G. Fiengo - AL 39993/07). �Rifiuti � Nozione di �deposito temporaneo� � Direttiva 75/442/CEE � Decisione 2000/532/CE � Possibilit� di commistione di rifiuti riconducibili a diversi codici � Nozione di �imballaggi in materiali misti�� (...Omissis) 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1882 (GU L 284, pag. 1; in prosieguo: la �direttiva 75/442�), nonch� della decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE, che sostituisce la decisione 94/3/CE, che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all�articolo 1, lettera a), della direttiva del Consiglio 75/442/CEE relativa ai rifiuti e la decisione del Consiglio 94/904/CE, che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 4, della direttiva del Consiglio 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 226, pag. 3). 2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di un ricorso promosso dalla MI.VER Srl (in prosieguo: la �MI.VER�) e dal sig. Antonelli avverso un�ordinanza ingiunzione emessa dalla Provincia di Macerata a seguito di un processo verbale redatto il 18 novembre 2005, che accerta una violazione dell�art. 15 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, relativo (*) Dottore in giurisprudenza, ha svolto la pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 all�attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997), come modificato dal decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (GURI n. 261 dell�8 novembre 1997; in prosieguo: il �decreto legislativo n. 22/97�). Contesto normativo La normativa comunitaria 3 L�art. 1 della direttiva 75/442 enuncia quanto segue: �Ai sensi della presente direttiva, si intende per: a) �rifiuto�: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell�allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l�obbligo di disfarsi. La Commissione, conformemente alla procedura di cui all�articolo 18, preparer�, entro il 1� aprile 1993, un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all�allegato I. Questo elenco sar� oggetto di un riesame periodico e, se necessario, sar� riveduto secondo la stessa procedura; b) �produttore�: la persona la cui attivit� ha prodotto rifiuti (�produttore iniziale�) e/o la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti; c) �detentore�: il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene; d) �gestione�: la raccolta, il trasporto, il ricupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonch� il controllo delle discariche dopo la loro chiusura; e) �smaltimento�: tutte le operazioni previste nell�allegato II A; f) �ricupero�: tutte le operazioni previste nell�allegato II B; g) �raccolta�: l�operazione di raccolta, di cernita e/o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto�. 4 L�art. 4 di tale direttiva cos� dispone: �Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell�uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all�ambiente, ed in particolare: � senza creare rischi per l�acqua, l�aria, il suolo e per la fauna e la flora, � senza causare inconvenienti da rumori od odori, � senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse. Gli Stati membri adottano, inoltre, le misure necessarie per vietare l�abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti�. 5 L�allegato II A della direttiva 75/442 elenca le operazioni di smaltimento e, tra queste, il deposito effettuato prima delle altre operazioni di smaltimento, �escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti�. Nell�ambito di questa stessa esclusione figura anche, all�allegato II B della suddetta direttiva che riepiloga le operazioni di recupero, il deposito di rifiuti effettuato prima di altre operazioni di recupero. 6 Con decisione 2000/532 la Commissione ha adottato un elenco dei rifiuti istituito conformemente agli artt. 1, lett. a), della direttiva 75/442 e 1, n. 4, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, sui rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20). In tale elenco, allegato alla predetta decisione, i rifiuti sono classificati per sezioni alle quali corrisponde un codice. La sezione �imballaggi in materiali misti� corrisponde al codice 15 01 06. Detto elenco comprende anche una sezione �imballaggi composti�, corrispondente al codice 15 01 05. 7 Un imballaggio composto � definito dall�art. 2, n. 1, lett. a), della decisione della Commissione 22 marzo 2005, 2005/270/CE, che stabilisce le tabelle relative al sistema di basi dati IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 ai sensi della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (GU L 86, pag. 6), come �l�imballaggio costituito da materiali diversi che non � possibile separare manualmente, ognuno dei quali non superi una determinata percentuale del peso dell�imballaggio�. La normativa nazionale 8 La normativa comunitaria sui rifiuti � stata recepita nell�ordinamento giuridico italiano dal decreto legislativo n. 22/97. L�art. 6, primo comma, lett. a), di tale decreto riprende la definizione di rifiuto contenuta nella direttiva 75/442, rinviando all�allegato A di detto decreto che, nella sua versione originale, comprendeva un �Catalogo Europeo dei Rifiuti�, il quale � stato sostituito da un elenco dei rifiuti che, al pari di quello istituito con decisione 2000/532, classifica i rifiuti per sezioni alle quali corrisponde un codice. La sezione �imballaggi in materiali misti� corrisponde, come nella decisione 2000/532, al codice 15 01 06. 9 L�art. 6, primo comma, lett. m), del decreto legislativo n. 22/97 definisce il deposito temporaneo come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. Esso determina le condizioni del deposito temporaneo, in particolare la sua durata massima prima del recupero o dello smaltimento, e dispone, segnatamente, che tale deposito deve essere effettuato per tipi omogenei e nel rispetto delle relative norme tecniche. Gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97 elencano, rispettivamente, le operazioni di smaltimento e le operazioni di recupero, che comprendono il deposito effettuato prima di tali operazioni, con la stessa esclusione di quella prevista nella direttiva 75/442 riguardante il deposito temporaneo. 10 L�art. 15 del decreto legislativo n. 22/97 prevede che il trasporto di rifiuti effettuato da enti o imprese debba essere accompagnato da un formulario di identificazione dal quale devono risultare, in particolare, il nome e l�indirizzo del produttore o del detentore, l�origine, la tipologia e la quantit� del rifiuto, l�impianto di destinazione, la data e il percorso dell�istradamento, nonch� il nome e l�indirizzo del destinatario. Il modello di formulario di identificazione contiene una sezione volta, in particolare, alla descrizione dei rifiuti e all�indicazione del loro codice europeo. In base all�art. 20 del decreto legislativo n. 22/97, le province hanno competenza in materia di controllo dell�applicazione della normativa pertinente. L�art. 52 del medesimo decreto prevede sanzioni amministrative, in particolare in caso di violazione delle disposizioni di cui all�art. 15 del decreto in parola. Causa principale e questioni pregiudiziali 11 In occasione di un controllo effettuato il 17 novembre 2005, la Polizia provinciale di Macerata ha accertato che un autotreno, condotto dal sig. Antonelli, trasportava rifiuti costituiti da diverse tipologie di imballaggi, come sacchi di nylon, cassette in polistirolo, palletts e imballaggi di cartone. Tale carico era accompagnato da un formulario di identificazione dei rifiuti che indicava il codice 15 01 06 corrispondente agli �imballaggi in materiali misti�. Ritenendo che tale codice non potesse essere attribuito ai rifiuti trasportati, trattandosi di imballaggi di diverso materiale tra loro ammassati, gli agenti accertatori hanno redatto dei processi verbali in cui riscontravano una violazione dell�art. 15 del decreto legislativo n. 22/97, da un lato, nei confronti del produttore dei rifiuti, e, dall�altro, nei confronti del sig. Antonelli e della MI.VER, rispettivamente conducente dell�autotreno e trasportatore dei rifiuti. All�esito del procedimento amministrativo, la Provincia di Macerata ha emesso un�ordinanza-ingiunzione nei confronti del sig. Antonelli e della MI.VER, ordinando loro di pagare in solido la somma complessiva di EUR 540. Il 4 dicembre 2006 il sig. Antonelli e la MI.VER hanno presentato un ricorso avverso tale ordinanza-ingiunzione dinanzi al Tribunale di Ancona. 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 12 Dinanzi a detto giudice, i ricorrenti nella causa principale hanno sostenuto che il codice indicato nel formulario di identificazione era corretto e, in via subordinata, che la responsabilit� dell�eventuale errore era imputabile soltanto al produttore dei rifiuti. Quanto alla Provincia di Macerata, essa ha affermato che, all�interno di un deposito temporaneo, non � consentita la commistione di rifiuti riconducibili a diversi codici. Sarebbe configurabile, altrimenti, un�attivit� di gestione, soggetta ad autorizzazione. Essa ha inoltre fatto valere che, supponendo che tale commistione di rifiuti sia ammessa, il codice 15 01 06, corrispondente agli �imballaggi in materiali misti�, si applica esclusivamente agli imballaggi �multimateriali� e non ai rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale, tra loro raggruppati. 13 Interrogandosi sulla questione se il produttore di rifiuti d�imballaggio abbia l�obbligo di separarli per categorie, utilizzando i rispettivi codici dell�elenco allegato alla decisione 2000/532, prima di consegnarli al loro trasportatore o al loro destinatario, il Tribunale di Ancona ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: �1) Se il concetto di �deposito temporaneo� previsto nella direttiva 75/442 (...) sia tale da consentire, al produttore, la commistione o la miscelazione di rifiuti riconducibili a diversi codici nell�ambito del Catalogo Europeo dei Rifiuti cos� come previsto dalla decisione 2000/532 (...). 2) In caso affermativo, se il codice (...) 15 01 06 �imballaggi in materiali misti� possa essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale tra loro ammassati o se tale codice identifichi esclusivamente gli imballaggi multimateriali ovvero costituiti da componenti autonome di diverso materiale�. Sulle questioni pregiudiziali Sulla ricevibilit� 14 Nelle sue osservazioni scritte la Commissione s�interroga sulla pertinenza delle questioni poste per risolvere la controversia principale, poich� esse riguardano gli obblighi del produttore di rifiuti, mentre, da una parte, l�art. 15 del decreto legislativo n. 22/97, la cui violazione costituisce l�infrazione contestata nella causa principale, tratta del trasporto dei rifiuti e, dall�altra, secondo l�ordinanza di rinvio, soltanto il sig. Antonelli e la MI.VER, e non il produttore dei rifiuti di cui trattasi, hanno impugnato l�ordinanza-ingiunzione relativa a questa infrazione. 15 Giova ricordare a tal riguardo che la presunzione di rilevanza inerente alle questioni poste in via pregiudiziale dai giudici nazionali pu� essere esclusa soltanto in casi eccezionali, in particolare qualora risulti manifestamente che l�interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario richiesta in tali questioni non abbia alcun nesso con l�effettivit� o l�oggetto della causa principale (v., in particolare, sentenze 15 dicembre 1995, causa C 415/93, Bosman, Racc. pag. I 4921, punto 61, nonch� 7 giugno 2007, cause riunite da C 222/05 a C 225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I 4233, punto 22). 16 Nella specie, bench� l�ordinanza di rinvio non indichi le conseguenze giuridiche che possono essere tratte per la risoluzione della controversia principale dalle soluzioni apportate alle questioni poste, da predetta ordinanza nonch� dalle osservazioni scritte e orali della Provincia di Macerata emerge che quest�ultima ha inflitto una sanzione amministrativa tanto al produttore quanto al trasportatore dei rifiuti di cui trattasi, ritenendo che essi fossero corresponsabili dell�infrazione addebitata, il che � contestato dal sig. Antonelli e dalla MI.VER. Di conseguenza, non sembra che l�interpretazione del diritto comunitario richiesta non abbia alcun nesso con l�effettivit� di tale causa, il che � stato peraltro ammesso dalla Commissione all�udienza. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 137 17 Ci� premesso, le due questioni poste dal Tribunale di Ancona sono ricevibili. Nel merito Sulla prima questione 18 Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 75/442 e la decisione 2000/532 debbano essere interpretate nel senso che il produttore di rifiuti pu� miscelare rifiuti riconducibili a codici diversi dell�elenco allegato a detta decisione al momento del loro deposito temporaneo, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti ovvero, al contrario, nel senso che, gi� in questa fase, egli deve farne una cernita e depositarli separatamente utilizzando a tal fine detti codici. 19 La Provincia di Macerata e il governo italiano ritengono che la nozione di deposito temporaneo implichi che, per poterli depositare temporaneamente, il produttore di rifiuti debba raggrupparli per categorie, seguendo i codici dell�elenco allegato alla decisione 2000/532. 20 Essi osservano, in sostanza, che dalla giurisprudenza della Corte (sentenza 5 ottobre 1999, cause riunite C 175/98 e C 177/98, Lirussi e Bizzaro, Racc. pag. I 6881, punto 54) si evince che il deposito temporaneo, bench� preceda l�effettiva gestione dei rifiuti e non necessiti dunque di un�autorizzazione, deve essere regolamentato dagli Stati membri in modo da raggiungere gli obiettivi di cui alla direttiva 75/442 riguardanti la protezione della salute umana e dell�ambiente. Orbene, ammettere che il produttore di rifiuti possa miscelare senza autorizzazione rifiuti riconducibili a diversi codici potrebbe presentare dei pericoli e sarebbe un freno al loro recupero concreto e completo, il che sarebbe contrario tanto agli obiettivi fissati dalla suddetta direttiva quanto alle finalit� della codificazione stabilita dalla decisione 2000/532. 21 A tale proposito, va rilevato che il deposito temporaneo � menzionato soltanto negli allegati II A e II B della predetta direttiva, che elencano rispettivamente le operazioni di smaltimento e le operazioni di recupero dei rifiuti. Da tali allegati, rispettivamente ai punti D 15 e R 13, si ricava che il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, � escluso dall�elenco delle operazioni qualificate dalla direttiva 75/442 come operazioni di smaltimento o operazioni di recupero. Come ricordato dalla Corte al punto 45 della citata sentenza Lirussi e Bizzaro, esso deve essere definito come l�operazione preliminare ad un�operazione di gestione dei rifiuti, ai sensi dell�art. 1, lett. d), della direttiva in parola. 22 La decisione 2000/532, con cui � stato adottato l�elenco dei rifiuti istituito conformemente agli artt. 1, lett. a), della direttiva 75/442 e 1, n. 4, della direttiva 91/689, non prescrive d�altronde alcuna misura relativa al deposito temporaneo dei rifiuti, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. 23 Di conseguenza, va constatato che n� la direttiva 75/442 n� la decisione 2000/532 impongono agli Stati membri di adottare misure che obbligano il produttore di rifiuti alla cernita e al deposito separato dei rifiuti, utilizzando a tal fine i codici dell�elenco allegato a detta decisione, al momento del loro deposito temporaneo, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. 24 Tuttavia, nella citata sentenza Lirussi e Bizzaro, la Corte ha statuito che le autorit� nazionali competenti sono tenute, per quanto riguarda le operazioni di deposito temporaneo, a vegliare al rispetto degli obblighi derivanti dall�art. 4 della direttiva 75/442, il quale prevede, al suo primo comma, che gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza mettere in pericolo la salute dell�uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all�ambiente. Come statuito dalla Corte al punto 53 della summenzionata sentenza, nei limiti in cui i rifiuti, anche temporanea- 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 mente depositati, possono provocare rilevanti danni all�ambiente, si deve considerare, infatti, che le disposizioni di cui all�art. 4 della direttiva 75/442, che mirano ad attuare il principio di precauzione, siano anche applicabili all�operazione di deposito temporaneo. 25 Tuttavia, come gi� rilevato pi� volte dalla Corte, l�art. 4, primo comma, della direttiva 75/442 non precisa il contenuto concreto delle misure che devono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza mettere in pericolo la salute dell�uomo e senza recare pregiudizio all�ambiente, bens� vincola gli Stati membri in ordine agli obiettivi da raggiungere, pur lasciando loro un potere discrezionale nella valutazione della necessit� di tali misure (v., in particolare, sentenze 9 novembre 1999, causa C 365/97, Commissione/Italia, Racc. pag. I 7773, punto 67; 18 novembre 2004, causa C 420/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I 11175, punto 21, e 26 aprile 2007, causa C 135/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I 3475, punto 37). 26 Ne discende che, sebbene la direttiva 75/442 non imponga agli Stati membri di adottare misure specifiche che obblighino il produttore di rifiuti alla cernita e al deposito separato dei rifiuti, utilizzando a tal fine i codici dell�elenco allegato alla decisione 2000/532, al momento del loro deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, gli Stati membri sono tenuti ad adottare siffatte misure qualora ritengano che esse siano necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati dall�art. 4, primo comma, della citata direttiva. 27 Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima questione va risolta nel senso che la direttiva 75/442 e la decisione 2000/532 non ostano alla commistione, da parte del produttore di rifiuti, di rifiuti riconducibili a codici diversi dell�elenco allegato alla suddetta decisione al momento del loro deposito temporaneo, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure che obbligano il produttore di rifiuti alla cernita e al deposito separato dei rifiuti al momento del loro deposito temporaneo, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, utilizzando a tal fine i codici di detto elenco, qualora ritengano che siffatte misure siano necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati dall�art. 4, primo comma, della suddetta direttiva. Sulla seconda questione 28 Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede se, in caso di risposta affermativa alla prima questione, il codice 15 01 06 dell�elenco allegato alla decisione 2000/532, corrispondente agli �imballaggi in materiali misti�, possa essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale, tra loro ammassati, ovvero se esso identifichi esclusivamente gli imballaggi �multimateriali�. 29 Come rilevato al punto 22 della presente sentenza, la decisione 2000/532 non contiene alcuna prescrizione relativa al deposito temporaneo dei rifiuti, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. Essa ha semplicemente lo scopo di istituire una nomenclatura dei rifiuti, conformemente agli artt. 1, lett. a), della direttiva 75/442 e 1, n. 4, della direttiva 91/689, e non crea alcun obbligo. 30 Nondimeno, essendo tale nomenclatura ripresa nella normativa italiana, occorre risolvere la seconda questione e interpretare a tal fine la nozione di �imballaggi in materiali misti�, corrispondente al codice 15 01 06 dell�elenco allegato a detta decisione, al fine di assicurare un�interpretazione uniforme della suddetta nozione, per il caso in cui il giudice del rinvio giudichi che essa trova applicazione nella causa principale, tenuto conto, in particolare, della soluzione data alla prima questione (v., in tal senso, segnatamente, sentenza 14 dicembre 2006, causa C 217/05, Confederaci�n Espa�ola de Empresarios de Estaciones de Servicio, Racc. pag. I 11987, punto 20 e giurisprudenza ivi citata). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 139 31 A tal riguardo va osservato che, istituendo solamente una nomenclatura dei rifiuti, la decisione 2000/532 non definisce le nozioni corrispondenti ai vari codici dell�elenco dei rifiuti ad essa allegato. Per contro, la decisione 2005/270 fornisce una serie di definizioni, tra cui quella di �imballaggio composto� che � pertinente nella misura in cui la decisione 2000/532 cita il codice 15 01 05 corrispondente a questo tipo di imballaggio. Un imballaggio composto � dunque definito dall�art. 2, n. 1, lett. a), della decisione 2005/270 come �l�imballaggio costituito da materiali diversi che non � possibile separare manualmente, ognuno dei quali non superi una determinata percentuale del peso dell�imballaggio�. 32 Poich� siffatta definizione di imballaggio composto corrisponde a quello che il giudice del rinvio qualifica come imballaggi �multimateriali� e poich� nell�elenco allegato alla decisione 2000/532 sono stati attribuiti codici diversi a questo tipo di imballaggi e agli imballaggi in materiali misti, se ne deduce che la nozione di imballaggi in materiali misti non comprende gli imballaggi �multimateriali�, ma si applica ai rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale, tra loro raggruppati. 33 Conseguentemente, occorre risolvere la seconda questione dichiarando che, poich� la normativa nazionale riprende l�elenco dei rifiuti allegato alla decisione 2000/532, il codice 15 01 06, corrispondente agli �imballaggi in materiali misti�, pu� essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale, tra loro raggruppati. Sulle spese 34 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: 1) La direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1882, e la decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE, che sostituisce la decisione 94/3/CE, che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all�articolo 1, lettera a), della direttiva del Consiglio 75/442/CEE relativa ai rifiuti e la decisione del Consiglio 94/904/CE, che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 4, della direttiva del Consiglio 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi, non ostano alla commistione, da parte del produttore di rifiuti, di rifiuti riconducibili a codici diversi dell�elenco allegato alla decisione 2000/532 al momento del loro deposito temporaneo, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure che obbligano il produttore di rifiuti alla cernita e al deposito separato dei rifiuti al momento del loro deposito temporaneo, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, utilizzando a tal fine i codici di detto elenco, qualora ritengano che siffatte misure siano necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati dall�art. 4, primo comma, della direttiva 75/442, quale modificata dal regolamento n. 1882/2003. 2) Poich� la normativa nazionale riprende l�elenco dei rifiuti allegato alla decisione 2000/532, il codice 15 01 06, corrispondente agli �imballaggi in materiali misti�, pu� essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale, tra loro raggruppati. 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Discrezionalit� dello Stato e tutela della salute pubblica: la riserva della propriet� ai farmacisti (Corte Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza del 19 maggio 2009 nella causa C-531/06) Con sentenza del 19 maggio 2009, la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee ha definito, respingendolo, il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione delle Comunit� europee, volto a sostenere che l�Italia avrebbe violato i principi di libert� di stabilimento e libera circolazione dei capitali, mantenendo in vigore una legislazione che riserva il diritto di gestire una farmacia al dettaglio privata alle sole persone fisiche laureate in farmacia ed alle societ� di gestione composte esclusivamente da soci farmacisti, nonch� disposizioni legislative che sanciscono l�impossibilit� per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle societ� di gestione delle farmacie comunali. La pronuncia sembra prospettare scenari interessanti, per via delle implicazioni insite nell�inquadramento della materia operato dalla Corte, la quale ha espressamente ricondotto le farmacie nell�ambito dei servizi sanitari, il cui livello e la cui organizzazione sono riservati alla competenza degli Stati membri, con salvezza dei soli limiti imposti dal diritto comunitario e segnatamente, per quanto qui interessa, dalle libert� di circolazione. Il rispetto di tali limiti �, in linea generale, assicurato dalla funzionalit� delle restrizioni imposte dal legislatore nazionale ad un interesse pubblico, oltre che dalla loro idoneit� al raggiungimento dello scopo perseguito, ed al fatto che esse non vadano oltre quanto necessario alla realizzazione di detto scopo. Nel caso di specie la Corte - ritenuto che la limitazione dell�accesso alla gestione di farmacie ad una determinata categoria di soggetti integra una restrizione alle libert� di cui agli art. 43 e 56 CE - ha comunque considerato che la restrizione sia giustificata, sia sotto il profilo della funzionalit� ad un interesse pubblico, sia in quanto misura ad esso idonea, non sostituibile con altre meno restrittive. In particolare, l�interesse pubblico giustificativo della restrizione alle libert� di circolazione viene individuato dalla Corte - considerata la particolarit� che i farmaci presentano rispetto ad altre categorie di merci, per via dei loro effetti terapeutici potenzialmente rischiosi per la salute pubblica - nell�esigenza di assicurare alla popolazione un rifornimento di farmaci sicuro e di qualit�. La discrezionalit� spettante allo Stato membro nell�esercizio delle proprie competenze in materia di servizi sanitari ed, in particolare, nell�individuazione IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 141 del livello di tutela della salute pubblica che esso intende garantire ai propri cittadini pu�, ad avviso della Corte, comprendere la restrizione del diritto di accedere alla gestione di una farmacia, sia essa comunale o privata, solo a chi sia farmacista, qualora lo Stato membro ritenga che il farmacista - in ragione della competenza e della formazione tecnico-professionali che ne temperano le finalit� lucrative - possa, meglio di altri, assicurare il conseguimento dello scopo. L�Italia va, dunque, esente da censure per aver mantenuto in vigore la normativa oggetto della procedura d�infrazione. Avv. Marina Russo* Sentenza della Corte (Grande Sezione) 19 maggio 2009 nella causa C-531/06 - Ricorso per inadempimento della Commissione delle Comunit� europee/ Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato G. Fiengo - AL 6524/07). �Inadempimento di uno Stato � Libert� di stabilimento � Libera circolazione dei capitali � Artt. 43 CE e 56 CE � Sanit� pubblica � Farmacie � Disposizioni che riservano ai soli farmacisti il diritto di gestire una farmacia � Giustificazione � Rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� � Indipendenza professionale dei farmacisti � Imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici � Farmacie comunali� (...Omissis) 1 Con il suo ricorso la Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che, avendo mantenuto in vigore: � una legislazione che riserva il diritto di gestire una farmacia al dettaglio privata alle sole persone fisiche laureate in farmacia e alle societ� di gestione composte esclusivamente da soci farmacisti, e � disposizioni legislative che sanciscono l�impossibilit�, per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici (in prosieguo: le �imprese di distribuzione�), di acquisire partecipazioni nelle societ� di gestione di farmacie comunali, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 56 CE. 2 Con ordinanza del presidente della Corte 22 giugno 2007, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica d�Austria sono stati autorizzati ad intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Repubblica italiana. Contesto normativo La normativa comunitaria 3 Il ventiseiesimo �considerando� della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU L 255, pag. 22), enuncia quanto segue: (*) Avvocato dello Stato. 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 �La presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attivit� nel campo della farmacia e all�esercizio di tale attivit�. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della dispensa dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. La presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle societ� l�esercizio di talune attivit� di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni�. 4 Tale �considerando� riprende, in sostanza, il secondo �considerando� della direttiva del Consiglio 16 settembre 1985, 85/432/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti talune attivit� nel settore farmaceutico (GU L 253, pag. 34), e il decimo �considerando� della direttiva del Consiglio 16 settembre 1985, 85/433/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli in farmacia e comportante misure destinate ad agevolare l�esercizio effettivo del diritto di stabilimento per talune attivit� nel settore farmaceutico (GU L 253, pag. 37), direttive che sono state abrogate con effetto a decorrere dal 20 ottobre 2007 e sostituite dalla direttiva 2005/36. La normativa nazionale 5 La normativa nazionale prevede due regimi di gestione delle farmacie, uno riguardante le farmacie private, l�altro le farmacie comunali. Il regime delle farmacie private 6 L�art. 4 della legge 8 novembre 1991, n. 362, contenente norme di riordino del settore farmaceutico (in prosieguo: la �legge n. 362/1991�), prevede, per il conseguimento della titolarit� di una farmacia, una procedura di concorso organizzata dalle regioni e dalle province, riservata ai cittadini degli Stati membri in possesso dei diritti civili e politici e iscritti all�albo professionale dei farmacisti. 7 Ai sensi dell�art. 7 della legge n. 362/1991: �1. La titolarit� dell�esercizio della farmacia privata � riservata a persone fisiche, in conformit� alle disposizioni vigenti, a societ� di persone ed a societ� cooperative a responsabilit� limitata. 2. Le societ� di cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. Sono soci della societ� farmacisti iscritti all�albo in possesso del requisito dell�idoneit� previsto dall�articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475 [recante norme concernenti il servizio farmaceutico (in prosieguo: la �legge n. 475/1968�)], e successive modificazioni. 3. La direzione della farmacia gestita dalla societ� � affidata ad uno dei soci che ne � responsabile. (�) 5. Ciascuna delle societ� di cui al comma 1 pu� essere titolare dell�esercizio di una sola farmacia e ottenere la relativa autorizzazione purch� la farmacia sia ubicata nella provincia ove ha sede legale la societ�. 6. Ciascun farmacista pu� partecipare ad una sola societ� di cui al comma 1. 7. La gestione delle farmacie private � riservata ai farmacisti iscritti all�albo della provincia in cui ha sede la farmacia. (�) 9. A seguito di acquisizione a titolo di successione di una partecipazione in una societ� di cui al comma 1, qualora vengano meno i requisiti di cui al secondo periodo del comma 2, l�avente causa deve cedere la partecipazione nel termine di tre anni dalla acquisizione. Nel caso in cui l�avente causa sia il coniuge ovvero l�erede in linea retta entro il secondo grado, IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 143 il suddetto termine � differito al compimento del trentesimo anno di et� dell�avente causa, ovvero, se successivo, al termine di dieci anni dalla data di acquisizione della partecipazione. Il predetto termine di dieci anni � applicabile esclusivamente nel caso in cui l�avente causa, entro un anno dalla data di acquisizione della partecipazione, si iscriva ad una facolt� di farmacia in qualit� di studente presso un�universit� statale o abilitata a rilasciare titoli aventi valore legale. (�). 10. Il comma 9 si applica anche nel caso di esercizio della farmacia privata da parte degli aventi causa ai sensi del dodicesimo comma dell�articolo 12 della legge [n. 475/1968] e successive modificazioni. (�)�. 8 Ai sensi di quest�ultima disposizione, in caso di decesso del titolare, gli eredi possono, entro un anno, trasferire i diritti di esercizio della farmacia ad un farmacista iscritto al consiglio dell�ordine dei farmacisti che abbia gi� la qualit� di titolare di una farmacia o che sia considerato idoneo a seguito di precedente concorso. Durante questo periodo gli eredi hanno il diritto di continuare provvisoriamente l�esercizio della farmacia sotto la responsabilit� di un direttore. 9 L�art. 8 della legge n. 362/1991 stabilisce quanto segue: �1. La partecipazione alle societ� di cui all�articolo 7 (...) � incompatibile: a) con qualsiasi altra attivit� esplicata nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco; (�)�. 10 L�art. 12, ottavo comma, della legge n. 475/1968 cos� dispone: �Il trasferimento di farmacia pu� aver luogo a favore di [un] farmacista, iscritto all�albo professionale, che abbia conseguito l�idoneit� o che abbia almeno due anni di pratica professionale, certificata dall�autorit� sanitaria competente�. Il regime delle farmacie comunali 11 Nell�ambito del regime applicabile alle farmacie comunali, titolare della farmacia � il comune (in prosieguo: la �farmacia comunale�). Per la gestione di tali farmacie i comuni possono costituire, ai sensi dell�art. 116 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, societ� per azioni i cui soci non sono necessariamente farmacisti. 12 Al riguardo, l�art. 116, n. 1, di detto decreto prevede: �Gli enti locali possono, per l�esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio nonch� per la realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, che non rientrino, ai sensi della vigente legislazione statale e regionale, nelle competenze istituzionali di altri enti, costituire apposite societ� per azioni senza il vincolo della propriet� pubblica maggioritaria anche in deroga a disposizioni di legge specifiche. Gli enti interessati provvedono alla scelta dei soci privati e all�eventuale collocazione dei titoli azionari sul mercato con procedure di evidenza pubblica. L�atto costitutivo delle societ� deve prevedere l�obbligo dell�ente pubblico di nominare uno o pi� amministratori e sindaci. (�)�. 13 Con sentenza 24 luglio 2003 la Corte costituzionale ha esteso a queste societ� il divieto di esercitare congiuntamente l�attivit� di distribuzione, previsto all�art. 8 della legge n. 362/1991, applicabile fino ad allora soltanto alle societ� di gestione di farmacie private. 14 L�esercizio congiunto delle attivit� di distribuzione all�ingrosso di medicinali e di vendita di medicinali al dettaglio � stato altres� dichiarato incompatibile dall�art. 100, secondo comma, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, di attuazione della direttiva 2001/83/CE (e suc- 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cessive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonch� della direttiva 2003/94/CE (Supplemento ordinario alla GURI n. 142 del 21 giugno 2006). Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 15 La normativa nazionale in materia di farmacie � stata modificata dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonch� interventi in materia di entrate e di contrasto all�evasione fiscale, detto �decreto Bersani�. 16 In particolare, l�art. 5 del decreto Bersani ha soppresso i commi dal quinto al settimo dell�art. 7 della legge n. 362/1991, nonch� il secondo comma dell�art. 100 del decreto 24 aprile 2006, n. 219, e ha modificato l�art. 8, n. 1, lett. a), di detta legge, sopprimendo la parola �distribuzione�. Il procedimento precontenzioso 17 Considerando il regime italiano di gestione delle farmacie incompatibile con gli artt. 43 CE e 56 CE, la Commissione avviava il procedimento per inadempimento previsto all�art. 226, primo comma, CE. In conformit� a tale disposizione e dopo aver inviato, il 21 marzo 2005, una lettera di diffida alla Repubblica italiana invitandola a presentare le proprie osservazioni, la Commissione, il 13 dicembre 2005, emetteva un parere motivato con il quale invitava tale Stato membro ad adottare le misure necessarie a conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato CE nel termine di due mesi a decorrere dal ricevimento di tale parere. Non essendo soddisfatta della risposta delle autorit� italiane a detto parere motivato, la Commissione decideva di proporre il ricorso in esame. Sulla ricevibilit� 18 La Repubblica italiana ha sollevato tre eccezioni di irricevibilit� avverso il ricorso della Commissione. 19 In primo luogo, il fatto che la titolarit� delle farmacie sia riservata alle sole persone fisiche laureate in farmacia (in prosieguo: i �farmacisti�) e alle societ� di gestione composte esclusivamente da soci farmacisti sarebbe previsto non soltanto nell�ordinamento giuridico italiano, ma anche nella maggior parte degli Stati membri. Pertanto, sarebbe necessario che la Commissione definisca in modo univoco la propria posizione rispetto a tutti gli ordinamenti giuridici di questi ultimi, evitando di fare distinzioni tra Stati membri o tra ordinamenti giuridici. 20 In secondo luogo, la Commissione invocherebbe, in via principale, una violazione degli artt. 43 CE e 56 CE, ma non terrebbe conto delle direttive attuative della libert� di stabilimento. Queste ultime conterrebbero disposizioni esplicite che manterrebbero ferme le condizioni di accesso al settore farmaceutico, non ancora armonizzate, enunciando che la disciplina in parola rientra nella competenza degli Stati membri. Pertanto, spetterebbe alla Commissione specificare in maniera puntuale e concreta la violazione del diritto comunitario contestata, poich�, nel disciplinare il ruolo dei farmacisti, la Repubblica italiana avrebbe applicato correttamente tali direttive e la riserva di competenza nazionale in esse contenuta. 21 In terzo luogo, la modifica introdotta dal decreto Bersani sopprimerebbe il divieto, per le imprese di distribuzione, di acquisire partecipazioni nelle societ� di gestione di farmacie. Ci� nonostante la Commissione riterrebbe che un siffatto divieto possa ancora essere applicato dai giudici italiani. L�inadempimento contestato non sarebbe quindi concreto ed attuale, ma conseguirebbe a decisioni future e ipotetiche di tali giudici. 22 Tale argomento deve essere respinto. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 145 23 Con riferimento alla prima eccezione di irricevibilit�, si deve ricordare che la Commissione, nell�ambito del compimento della missione ad essa affidata dall�art. 211 CE, deve vigilare sull�applicazione delle disposizioni del Trattato e verificare se gli Stati membri abbiano agito in conformit� a tali disposizioni. Qualora ritenga che uno Stato membro non le abbia rispettate, ad essa spetta valutare l�opportunit� di agire contro tale Stato, determinare le disposizioni che esso ha violato e scegliere il momento in cui inizier� il procedimento per inadempimento nei suoi confronti, mentre le considerazioni sulle quali si fonda tale decisione non possono avere alcuna incidenza sulla ricevibilit� del suo ricorso (v. sentenze 18 giugno 1998, causa C 35/96, Commissione/Italia, Racc. pag. I 3851, punto 27, e 8 dicembre 2005, causa C 33/04, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I 10629, punto 66). 24 Tenuto conto di tale margine di discrezionalit�, la Commissione � libera di avviare un procedimento per inadempimento contro alcuni soltanto degli Stati membri che si trovino in una situazione analoga dal punto di vista del rispetto del diritto comunitario. Essa pu� quindi, in particolare, decidere di avviare procedimenti per inadempimento nei confronti di altri Stati membri in un momento successivo, una volta acquisita conoscenza della soluzione cui hanno condotto le prime procedure. 25 Riguardo alla seconda e alla terza eccezione di irricevibilit�, sollevate dalla Repubblica italiana, si deve constatare, da un lato, che la Commissione, sia nel suo ricorso sia nella sua replica, ha espresso in modo sufficientemente preciso la natura dell�inadempimento contestato. Dall�altro, la questione se il comportamento dello Stato membro debba essere valutato alla luce degli artt. 43 CE e 56 CE o delle direttive di attuazione di tali articoli � relativa al merito della causa. Lo stesso vale riguardo alla questione se l�inadempimento contestato esistesse nel momento pertinente per la sua valutazione. 26 Il ricorso proposto dalla Commissione dev�essere pertanto dichiarato ricevibile. Nel merito Sul primo motivo Argomenti delle parti 27 La Commissione sostiene che, nel prevedere una disposizione che impedisce alle persone fisiche non laureate in farmacia e alle persone giuridiche che non siano composte esclusivamente da soci farmacisti di gestire una farmacia (in prosieguo: la �disposizione di esclusione dei non farmacisti�), la disciplina nazionale viola gli artt. 43 CE e 56 CE. 28 Questa disposizione costituirebbe una restrizione ai sensi di detti articoli che potrebbe essere giustificata soltanto da motivi imperativi di interesse pubblico e, in particolare, dall�obiettivo di tutela della sanit� pubblica. 29 Tuttavia, in primo luogo, la disposizione di esclusione dei non farmacisti non sarebbe idonea a garantire la realizzazione di un tale obiettivo in quanto fondata sull�errata presunzione secondo la quale un farmacista che gestisce una farmacia sarebbe meno incline, rispetto ad un non farmacista, a privilegiare il proprio interesse personale a spese dell�interesse pubblico. 30 In secondo luogo, detta disciplina esorbiterebbe da quanto necessario al raggiungimento dell�obiettivo di tutela della sanit� pubblica, in quanto quest�ultimo potrebbe essere raggiunto con altre misure meno restrittive delle libert� sancite dagli artt. 43 CE e 56 CE, quali l�obbligo di presenza di un farmacista nella farmacia, l�obbligo di stipulare un�assicurazione o un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci. 31 La Repubblica italiana, sostenuta dalla Repubblica ellenica, dal Regno di Spagna, dalla Repubblica francese, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Repubblica d�Austria, afferma che la normativa nazionale in materia di gestione di farmacie non viola gli artt. 43 CE e 56 CE. 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 32 Occorrerebbe anzitutto rilevare che il diritto comunitario riserva agli Stati membri la competenza a disciplinare il settore delle farmacie, ad esclusione delle questioni relative al mutuo riconoscimento dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli. 33 Inoltre, le restrizioni che discendono da tale disciplina nazionale sarebbero giustificate dall�interesse generale di tutela della sanit� pubblica. Tale disciplina si applicherebbe senza discriminazioni e garantirebbe la preminenza dell�interesse al rifornimento regolare di medicinali alla popolazione rispetto a considerazioni di carattere economico. Infatti, soltanto qualora i titolari delle farmacie, che esercitano un�influenza sulla loro gestione, dispongano di conoscenze e di un�esperienza specifica completa, la gestione anteporrebbe sistematicamente l�interesse alla tutela della salute agli obiettivi economici. 34 Infine, tali Stati membri rilevano che altre misure meno vincolanti non raggiungono gli obiettivi di interesse generale con la stessa efficacia propria della normativa nazionale. Giudizio della Corte � Osservazioni preliminari 35 In primo luogo, sia dalla giurisprudenza della Corte sia dall�art. 152, n. 5, CE e dal ventiseiesimo �considerando� della direttiva 2005/36 emerge che il diritto comunitario non restringe la competenza degli Stati membri ad impostare i loro sistemi di previdenza sociale e ad adottare, in particolare, norme miranti a organizzare servizi sanitari quali le farmacie. Tuttavia, nell�esercizio di tale competenza gli Stati membri devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni del Trattato relative alle libert� di circolazione, compresa la libert� di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. Dette disposizioni comportano il divieto per gli Stati membri di introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni all�esercizio di queste libert� nell�ambito delle cure sanitarie (v., in tal senso, sentenze 16 maggio 2006, causa C 372/04, Watts, Racc. pag. I 4325, punti 92 e 146, nonch� 10 marzo 2009, causa C 169/07, Hartlauer, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 29). 36 In sede di valutazione del rispetto di tale obbligo, occorre tenere conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano il primo posto tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato e che spetta agli Stati membri decidere il livello al quale intendono garantire la tutela della sanit� pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Poich� tale livello pu� variare da uno Stato membro all�altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalit� (v., in tal senso, sentenze 11 dicembre 2003, causa C 322/01, Deutscher Apothekerverband, Racc. pag. I 14887, punto 103; 11 settembre 2008, causa C 141/07, Commissione/ Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 51, e Hartlauer, cit., punto 30). 37 In secondo luogo, si deve constatare che n� la direttiva 2005/36 n� nessun�altra misura di attuazione delle libert� di circolazione garantite dal Trattato prevedono condizioni di accesso alle attivit� del settore farmaceutico che precisino l�ambito delle persone titolari del diritto di gestire una farmacia. Di conseguenza, la normativa nazionale dev�essere esaminata con riguardo alle sole disposizioni del Trattato. 38 In terzo luogo, si deve rilevare che il regime applicabile alle persone che si occupano della distribuzione dei medicinali al dettaglio varia da uno Stato membro all�altro. Mentre in alcuni Stati membri soltanto i farmacisti indipendenti possono essere titolari di farmacie e gestirle, altri Stati membri accettano che persone che non possiedono la qualit� di farmacisti indipendenti siano proprietari di una farmacia, pur affidando la gestione di quest�ultima a farmacisti stipendiati. 39 Poich� la Commissione addebita alla Repubblica italiana di avere contenstualmente IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 147 violato gli artt. 43 CE e 56 CE, si deve esaminare, in quarto luogo, se la normativa nazionale interessata debba essere valutata con riferimento alle disposizioni relative alla libert� di stabilimento o a quelle relative alla libera circolazione dei capitali. 40 Al riguardo si deve ricordare che, qualora la normativa esaminata riguardi una partecipazione che conferisce al suo detentore una sicura influenza sulle decisioni della societ� interessata e gli consente di indirizzarne le attivit�, trovano applicazione le disposizioni relative alla libert� di stabilimento (sentenze 13 aprile 2000, causa C 251/98, Baars, Racc. pag. I 2787, punti 21 e 22, nonch� 21 novembre 2002, causa C 436/00, X e Y, Racc. pag. I 10829, punti 37 e 66-68). Tuttavia, se tale normativa non � destinata ad essere applicata soltanto alle partecipazioni che permettono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una societ� e di indirizzarne le attivit�, essa dev�essere esaminata alla luce sia dell�art. 43 CE sia dell�art. 56 CE (v., in tal senso, sentenze 12 dicembre 2006, causa C 446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I 11753, punti 36 e 38, nonch� 24 maggio 2007, causa C 157/05, Holb�ck, Racc. pag. I 4051, punti 23 e 25). 41 Nel caso in esame si deve rilevare che la Commissione considera, nel suo ricorso, due fattispecie diverse che possono rientrare nell�ambito di applicazione della normativa nazionale di cui trattasi. Da un lato, la Commissione considera la situazione in cui tale normativa impedisce ai non farmacisti di detenere, in societ� di gestione di farmacie, partecipazioni rilevanti che conferiscano loro una sicura influenza sulle decisioni di queste ultime. Dall�altro, gli addebiti della Commissione riguardano la situazione in cui tale normativa impedisce ad investitori di altri Stati membri che non siano farmacisti di acquisire, in tali societ�, partecipazioni di minore rilevanza che non attribuiscono una tale influenza. 42 La normativa nazionale dev�essere pertanto esaminata alla luce sia dell�art. 43 CE sia dell�art. 56 CE. � Sull�esistenza di restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali 43 Con riferimento all�art. 43 CE, risulta da una costante giurisprudenza che tale disposizione osta a qualsiasi provvedimento nazionale che, anche se si applica senza discriminazioni in base alla cittadinanza, possa ostacolare o scoraggiare l�esercizio, da parte dei cittadini comunitari, della libert� di stabilimento garantita dal Trattato (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C 19/92, Kraus, Racc. pag. I 1663, punto 32, e 14 ottobre 2004, causa C 299/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I 9761, punto 15). 44 Costituisce in particolare una restrizione ai sensi dell�art. 43 CE una normativa che subordina lo stabilimento, nello Stato membro ospitante, di un operatore economico di un altro Stato membro al rilascio di un�autorizzazione preventiva e che riserva l�esercizio di un�attivit� autonoma a taluni operatori economici che rispondono a esigenze predeterminate al cui rispetto � subordinato il rilascio di questa autorizzazione. Una siffatta normativa scoraggia, se non addirittura ostacola, operatori economici di altri Stati membri nell�esercizio, nello Stato membro ospitante, delle loro attivit� tramite un istituto di cura stabile (v., in tal senso, sentenza Hartlauer, cit., punti 34, 35 e 38). 45 La norma di esclusione dei non farmacisti costituisce una siffatta restrizione poich� riserva la gestione delle farmacie ai soli farmacisti, impedendo agli altri operatori economici di accedere a questa attivit� autonoma nello Stato membro interessato. 46 Riguardo all�art. 56 CE, si deve ricordare che devono essere qualificate come restrizioni, ai sensi del n. 1 di tale articolo, misure nazionali idonee a impedire o a limitare l�acquisizione di partecipazioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Stati membri dall�investire nel capitale di queste ultime (v. sentenze 23 ottobre 2007, causa C 112/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I 8995, punto 19, e 6 dicembre 2007, cause riunite C 463/04 e C 464/04, Federconsumatori e a., Racc. pag. I 10419, punto 21). 47 Nel caso di specie la normativa nazionale prevede che i soci di societ� di gestione di farmacie possano essere soltanto farmacisti. Tale normativa impedisce pertanto agli investitori di altri Stati membri che non sono farmacisti di acquisire partecipazioni in questo tipo di societ�. 48 Di conseguenza questa normativa introduce restrizioni ai sensi degli artt. 43 CE e 56, n. 1, CE. � Sulla giustificazione delle restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali 49 Le restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla nazionalit�, possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento di tale scopo (v. sentenze 25 gennaio 2007, causa C 370/05, Festersen, Racc. pag. I 1129, punto 26, e Hartlauer, cit., punto 44). 50 Nella fattispecie si deve constatare, in primo luogo, che la normativa nazionale si applica senza discriminazioni basate sulla nazionalit�. 51 In secondo luogo, la tutela della sanit� pubblica figura tra i motivi imperativi di interesse pubblico che possono giustificare restrizioni alle libert� di circolazione garantite dal Trattato quali la libert� di stabilimento (v., in particolare, sentenza Hartlauer, cit., punto 46) e la libera circolazione dei capitali. 52 Pi� precisamente, restrizioni a dette libert� di circolazione possono essere giustificate dallo scopo di garantire un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� (v., in tal senso, citate sentenze Deutscher Apothekerverband, punto 106, e 11 settembre 2008, Commissione/Germania, punto 47). 53 Si deve esaminare, in terzo luogo, se la disposizione di esclusione dei non farmacisti sia adeguata ad assicurare tale scopo. 54 Al riguardo occorre che, qualora sussistano incertezze circa l�esistenza o l�entit� dei rischi per la salute delle persone, lo Stato membro possa adottare misure di tutela senza dover aspettare che la concretezza di tali rischi sia pienamente dimostrata. Inoltre lo Stato membro pu� adottare misure che riducano, per quanto possibile, il rischio per la sanit� pubblica (v., in tal senso, sentenza 5 giugno 2007, causa C 170/04, Rosengren e a., Racc. pag. I 4071, punto 49), compreso, pi� precisamente, il rischio per il rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit�. 55 In tale contesto si deve sottolineare il carattere molto particolare dei medicinali, che si distinguono sostanzialmente dalle altre merci per i loro effetti terapeutici (v., in tal senso, sentenza 21 marzo 1991, causa C 369/88, Delattre, Racc. pag. I 1487, punto 54). 56 In ragione di tali effetti terapeutici, i medicinali possono nuocere gravemente alla salute se assunti senza necessit� o in modo sbagliato, senza che il paziente possa esserne consapevole al momento della loro somministrazione. 57 Un consumo eccessivo o un uso sbagliato di medicinali comporta inoltre uno spreco di risorse finanziarie, tanto pi� grave se si considera che il settore farmaceutico genera costi considerevoli e deve rispondere a bisogni crescenti, mentre le risorse finanziarie che possono essere destinate alla sanit�, qualunque sia il modo di finanziamento utilizzato, non sono illimitate IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 149 (v., per analogia, riguardo alle cure ospedaliere, sentenze 13 maggio 2003, causa C 385/99, M�ller-Faur� e van Riet, Racc. pag. I 4509, punto 80, nonch� Watts, cit., punto 109). Al riguardo si deve rilevare che esiste un nesso diretto tra tali risorse finanziarie e gli utili di operatori economici attivi nel settore farmaceutico poich� la prescrizione di medicinali � presa in carico, nella maggior parte degli Stati membri, dagli organismi di assicurazione malattia interessati. 58 Con riguardo a tali rischi per la sanit� pubblica e per l�equilibrio finanziario dei sistemi di sicurezza sociale, gli Stati membri possono sottoporre le persone che si occupano della distribuzione dei medicinali al dettaglio a condizioni severe, con riferimento in particolare alle modalit� di commercializzazione di questi ultimi e alla finalit� di lucro. In particolare, essi possono riservare la vendita di medicinali al dettaglio, in linea di principio, ai soli farmacisti, in considerazione delle garanzie che questi ultimi devono offrire e delle informazioni che essi devono essere in grado di dare al consumatore (v., in tal senso, sentenza Delattre, cit., punto 56). 59 Al riguardo, e tenuto conto della facolt� riconosciuta agli Stati membri di decidere il grado di tutela della sanit� pubblica, si deve ammettere che questi ultimi possano esigere che i medicinali vengano distribuiti da farmacisti che godano di un�effettiva indipendenza professionale. Essi possono altres� adottare misure idonee ad eliminare o ridurre il rischio che tale indipendenza sia compromessa, dal momento che ci� potrebbe pregiudicare il livello di sicurezza e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione. 60 In tale contesto si devono distinguere tre categorie di potenziali gestori di farmacia, vale a dire la categoria delle persone fisiche che rivestono la qualit� di farmacisti, quella delle persone operanti nel settore dei prodotti farmaceutici quali produttori o grossisti, e quella delle persone che non hanno la qualit� di farmacisti n� svolgono un�attivit� in detto settore. 61 Riguardo al gestore che possiede la qualit� di farmacista, non si pu� negare che esso persegua, come altre persone, una finalit� di lucro. Tuttavia, in quanto farmacista di professione, si ritiene che quest�ultimo gestisca la farmacia in base non ad un obiettivo meramente economico, ma altres� in un�ottica professionale. Il suo interesse privato, connesso alla finalit� di lucro, viene quindi temperato dalla sua formazione, dalla sua esperienza professionale e dalla responsabilit� ad esso incombente, considerato che un�eventuale violazione delle disposizioni normative o deontologiche comprometterebbe non soltanto il valore del suo investimento, ma altres� la propria vita professionale. 62 A differenza dei farmacisti, i non farmacisti non hanno, per definizione, una formazione, un�esperienza e una responsabilit� equivalenti a quelle dei farmacisti. Pertanto si deve constatare che essi non forniscono le stesse garanzie fornite dai farmacisti. 63 Di conseguenza uno Stato membro pu� ritenere, nell�ambito del suo margine di discrezionalit� richiamato al punto 36 della presente sentenza, che la gestione di una farmacia da parte di un non farmacista, a differenza della gestione affidata ad un farmacista, possa rappresentare un rischio per la sanit� pubblica, in particolare per la sicurezza e la qualit� della distribuzione dei medicinali al dettaglio, poich� la finalit� di lucro, nell�ambito di una siffatta gestione, non incontra elementi temperanti quali quelli, ricordati al punto 61 della presente sentenza, che caratterizzano l�attivit� dei farmacisti (v., per analogia, riguardo alla prestazione di servizi di assistenza sociale, sentenza 17 giugno 1997, causa C 70/95, Sodemare e a., Racc. pag. I 3395, punto 32). 64 Uno Stato membro pu� pertanto, in particolare, nell�ambito di detto margine di discrezionalit�, valutare se un tale rischio esista con riferimento ai produttori e ai commercianti al- 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 l�ingrosso di prodotti farmaceutici, per il motivo che questi ultimi potrebbero pregiudicare l�indipendenza dei farmacisti stipendiati incitandoli a promuovere i medicinali da essi stessi prodotti o commercializzati. Del pari, uno Stato membro pu� valutare il rischio che i gestori non farmacisti compromettano l�indipendenza dei farmacisti stipendiati, incitandoli a smerciare medicinali il cui stoccaggio non sia pi� redditizio, o procedano a riduzioni di spese di funzionamento che possono incidere sulle modalit� di distribuzione al dettaglio dei medicinali. 65 In subordine, la Commissione sostiene che, nel caso di specie, la disposizione di esclusione dei non farmacisti non pu� essere giustificata dall�interesse pubblico, per l�incoerenza del modo in cui tale obiettivo � perseguito. 66 Al riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che una normativa nazionale � idonea a garantire la realizzazione dell�obiettivo addotto solo se risponde realmente all�intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico (v. sentenze 6 marzo 2007, cause riunite C 338/04, C 359/04 e C 360/04, Placanica e a., Racc. pag. I 1891, punti 53 e 58; 17 luglio 2008, causa C 500/06, Corporaci�n Dermoest�tica, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 39 e 40, nonch� Hartlauer, cit., punto 55). 67 In questo contesto si deve rilevare che la normativa nazionale non esclude in modo assoluto la gestione di farmacie da parte di soggetti non farmacisti. 68 Infatti l�art. 7, nn. 9 e 10, della legge n. 362/1991 prevede, eccezionalmente, che gli eredi di un farmacista che non possiedono essi stessi la qualit� di farmacisti possano gestire la farmacia ereditata per un periodo di uno, tre o dieci anni secondo la situazione personale degli eredi. 69 Tuttavia la Commissione non ha dimostrato che tale eccezione renderebbe la normativa nazionale incoerente. 70 Anzitutto, quest�ultima si rivela giustificata riguardo alla tutela dei diritti e degli interessi patrimoniali legittimi dei familiari del farmacista deceduto. Al riguardo si deve constatare che gli Stati membri possono considerare che gli interessi degli eredi di un farmacista non siano tali da rimettere in discussione le esigenze e le garanzie derivanti dai loro rispettivi ordinamenti giuridici, cui i gestori che hanno la qualit� di farmacisti devono rispondere. In tale contesto si deve soprattutto prendere in considerazione la circostanza che la farmacia ereditata deve essere gestita, per tutto il periodo transitorio, sotto la responsabilit� di un farmacista laureato. Pertanto, gli eredi non possono, in tale concreto contesto, essere assimilati ad altri gestori che non possiedono la qualit� di farmacisti. 71 Si deve inoltre rilevare che detta eccezione ha soltanto effetti temporanei. Infatti gli eredi devono effettuare, di regola, il trasferimento dei diritti di gestione della farmacia ad un farmacista nel termine di un solo anno. Soltanto nel caso di una partecipazione ad una societ� di gestione di una farmacia costituita da farmacisti gli aventi diritto dispongono di un termine pi� lungo per la sua cessione, poich� quest�ultimo � di tre anni a decorrere dall�acquisto di tale partecipazione. 72 Tali eccezioni sono quindi volte a consentire agli aventi diritto di cedere la farmacia ad un farmacista entro un termine che non risulta irragionevole. 73 Infine, anche se l�art. 7, nn. 9 e 10, della legge n. 362/1991 consente ad alcuni eredi un termine di dieci anni per la cessione della farmacia, termine che potrebbe rivelarsi irragionevole, si deve rilevare che, tenuto conto del suo campo di applicazione particolarmente ristretto, limitato al caso in cui l�avente causa sia il coniuge ovvero l�erede in linea retta entro il secondo grado del farmacista deceduto e al fatto che tale avente causa deve iscriversi, entro un anno IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 151 dalla data di acquisizione della farmacia, ad una facolt� di farmacia in qualit� di studente, tale disposizione non potrebbe essere sufficiente a concludere che la normativa nazionale in parola � incoerente. 74 La Commissione non ha neppure dimostrato che la normativa nazionale � incoerente nel consentire a taluni non farmacisti di gestire farmacie comunali, dal momento che prevede la possibilit� per i comuni di costituire, per la gestione di queste farmacie, societ� per azioni i cui soci non sono necessariamente farmacisti. 75 Anzitutto, non vi sono elementi agli atti che permettano di affermare che i comuni, che beneficiano dello statuts di detentori di prerogative di potere pubblico, rischiano di lasciarsi guidare da uno scopo commerciale particolare e di gestire farmacie comunali a scapito delle esigenze della sanit� pubblica. 76 Inoltre la Commissione non ha contestato gli elementi, sottoposti alla Corte dalla Repubblica italiana, volti a dimostrare che i comuni hanno estesi poteri di controllo sulle societ� incaricate della gestione delle farmacie comunali e che tali poteri permettono loro di salvaguardare il perseguimento dell�interesse pubblico. 77 Secondo queste indicazioni, il comune interessato resta titolare di tali farmacie, definisce le modalit� concrete della gestione in esse del servizio farmaceutico e bandisce una gara di appalto per scegliere il socio della societ� incaricata della gestione della farmacia, fermo restando che le disposizioni dirette ad assicurare il rispetto di tali modalit� sono inserite sia nel bando di gara di appalto, sia negli strumenti contrattuali che disciplinano i rapporti giuridici tra il comune e la societ� interessata. 78 Risulta inoltre dalle indicazioni non contestate della Repubblica italiana che il comune conserva la competenza a designare uno o pi� amministratori e revisori contabili della societ� incaricata della gestione della farmacia comunale e partecipa cos� all�elaborazione delle decisioni e al controllo interno delle attivit� di quest�ultima. Le persone in tal modo designate hanno il potere di controllare che detta farmacia comunale persegua sistematicamente l�interesse pubblico e di evitare che l�indipendenza professionale dei farmacisti stipendiati venga compromessa. 79 Infine, secondo queste stesse indicazioni, il comune interessato non rimane privato della possibilit� di modificare o sciogliere il rapporto giuridico con la societ� incaricata della gestione della farmacia comunale al fine di realizzare una politica commerciale che ottimizzi il perseguimento dell�interesse pubblico. 80 Di conseguenza, in assenza di elementi di prova sufficienti da parte della Commissione, la normativa nazionale riguardante le farmacie comunali non pu� essere considerata incoerente. 81 Tenuto conto di quanto precede, si deve constatare che la normativa oggetto dell�inadempimento contestato � atta a garantire la realizzazione dell�obiettivo volto ad assicurare un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit� e, pertanto, la tutela della sanit� pubblica. 82 In quarto luogo, si deve esaminare se le restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali vadano oltre quanto necessario al fine di raggiungere detto obiettivo, vale a dire se non esistano misure meno restrittive delle libert� garantite dagli artt. 43 CE e 56 CE che consentano di raggiungerlo in modo altrettanto efficace. 83 Al riguardo la Commissione sostiene che detto obiettivo potrebbe essere raggiunto da misure meno restrittive, quali l�obbligo di presenza di un farmacista nella farmacia, l�obbligo di stipulare un�assicurazione o un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci. 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 84 Tuttavia, tenuto conto del margine di discrezionalit� lasciato agli Stati membri, ricordato al punto 36 della presente sentenza, uno Stato membro pu� ritenere sussistente il rischio che le disposizioni normative dirette a garantire l�indipendenza professionale dei farmacisti non vengano in realt� osservate, tenuto conto che l�interesse di un non farmacista alla realizzazione di utili non sarebbe temperato come quello dei farmacisti indipendenti e che la subordinazione dei farmacisti, quali dipendenti stipendiati, ad un gestore potrebbe rendere difficile per essi opporsi alle istruzioni fornite da quest�ultimo. 85 Orbene, la Commissione non ha presentato, al di fuori di considerazioni generali, alcun elemento atto a dimostrare quale sia il sistema concreto idoneo a garantire, con la stessa efficacia della disposizione preventiva di esclusione dei non farmacisti, che dette disposizioni normative vengano effettivamente osservate nonostante le considerazioni enunciate al punto precedente della presente sentenza. 86 Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, i rischi per l�indipendenza della professione di farmacista non possono neppure essere esclusi, con la stessa efficacia, attraverso l�imposizione dell�obbligo di stipulare un�assicurazione, quale l�assicurazione della responsabilit� civile per fatto altrui. Infatti, anche se tale misura potrebbe permettere al paziente di ottenere un risarcimento finanziario per il danno da esso eventualmente sub�to, essa interviene a posteriori e sarebbe meno efficace rispetto a detta disposizione nel senso che non impedirebbe in alcun modo al gestore interessato di esercitare un�influenza sui farmacisti stipendiati. 87 Pertanto, non � accertato che una misura meno restrittiva delle libert� garantite dagli artt. 43 CE e 56 CE, diversa dalla disposizione di esclusione dei non farmacisti, permetterebbe di garantire, in modo altrettanto efficace, il livello di sicurezza e di qualit� di rifornimento di medicinali alla popolazione che risulta dall�applicazione di tale disposizione. 88 Di conseguenza, la normativa nazionale risulta idonea a garantire la realizzazione dell�obiettivo da essa perseguito e non va oltre quanto necessario per raggiungerlo. Pertanto si deve ammettere che le restrizioni derivanti da tale normativa possono essere giustificate da questo obiettivo. 89 Tale conclusione non � rimessa in discussione dalla sentenza 21 aprile 2005, causa C 140/03, Commissione/Grecia (Racc. pag. I 3177), richiamata dalla Commissione, nella quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica ellenica non ha adempiuto agli obblighi ad essa incombenti, ai sensi degli artt. 43 CE e 48 CE, adottando e mantenendo in vigore disposizioni nazionali che subordinano la possibilit� per una persona giuridica di aprire un negozio di ottica, in particolare, alla condizione che l�autorizzazione ad aprire e gestire il negozio di ottica sia rilasciata a nome di un ottico autorizzato, persona fisica, e che la persona titolare dell�autorizzazione a gestire il negozio partecipi per almeno il 50% al capitale sociale, nonch� ai profitti e alle perdite. 90 Tenuto conto del carattere particolare dei prodotti medicinali nonch� del loro mercato, e allo stato attuale del diritto comunitario, le considerazioni della Corte nella citata sentenza Commissione/Grecia non sono trasponibili nel settore della distribuzione di medicinali al dettaglio. Infatti, a differenza dei prodotti ottici, i medicinali prescritti o utilizzati per ragioni terapeutiche possono, malgrado tutto, rivelarsi gravemente nocivi per la salute se assunti senza necessit� o in modo sbagliato, senza che il paziente possa esserne consapevole al momento della loro somministrazione. Inoltre, una vendita di medicinali che non sia giustificata dal punto di vista medico comporta uno spreco di risorse pubbliche finanziarie non comparabile a quello risultante da vendite ingiustificate di prodotti ottici. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 153 91 Alla luce di quanto precede, il primo motivo del ricorso deve essere respinto in quanto infondato. Sul secondo motivo Argomenti delle parti 92 Con il secondo motivo la Commissione sostiene che il regime delle farmacie comunali viola gli artt. 43 CE e 56 CE. � vero che, da un lato, tale regime consentirebbe a soggetti non farmacisti di gestire, a talune condizioni, farmacie comunali, dal momento che prevede la possibilit� di costituire, per la loro gestione, societ� per azioni i cui soci non sono necessariamente farmacisti. Tuttavia, dall�altro, la normativa nazionale impedirebbe alle imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni in queste societ�, laddove una siffatta restrizione non pu� in alcun modo essere giustificata dagli obiettivi connessi alla tutela della sanit� pubblica. 93 Infatti, in primo luogo, una normativa del genere non sarebbe adeguata al raggiungimento di tali obiettivi. Da un lato, essa si fonderebbe su un�errata presunzione secondo la quale un�impresa di distribuzione sarebbe maggiormente indotta, nella gestione di una farmacia comunale, a privilegiare il proprio interesse personale a scapito dell�interesse pubblico rispetto a persone non operanti nel settore della distribuzione farmaceutica. 94 Dall�altro lato, detta normativa sarebbe incoerente, in quanto ammette deroghe di considerevole portata. In particolare, una persona potrebbe associarsi ad un�impresa di distribuzione e, ci� nonostante, gestire una farmacia comunale, a condizione che non occupi in quest�impresa una posizione cui siano connessi poteri di decisione e controllo. 95 In secondo luogo, il divieto per le imprese di distribuzione di acquisire una partecipazione nelle farmacie comunali non sarebbe necessario, poich� l�obiettivo invocato potrebbe essere raggiunto con altre misure meno restrittive, quali l�obbligo di presenza di un farmacista nella farmacia, l�obbligo di stipulare un�assicurazione o la realizzazione di un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci. 96 La Repubblica italiana controbatte rilevando che il secondo motivo sarebbe privo di fondamento, in quanto il decreto Bersani avrebbe soppresso il divieto per le imprese di distribuzione di acquisire partecipazioni nelle farmacie comunali. 97 In ogni caso, un siffatto divieto non violerebbe l�art. 43 CE, in quanto potrebbe essere giustificato dall�interesse pubblico di tutela della sanit� pubblica. Tale divieto si applicherebbe indiscriminatamente e sarebbe diretto, infatti, ad impedire alle imprese di distribuzione di promuovere, tramite le farmacie comunali, i medicinali da esse commercializzati. Orbene, altre misure meno vincolanti non raggiungerebbero questo obiettivo di interesse pubblico con la stessa efficacia. Giudizio della Corte 98 Riguardo, anzitutto, all�argomento della Repubblica italiana relativo all�adozione del decreto Bersani, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l�esistenza di un inadempimento dev�essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che i mutamenti intervenuti in seguito non possono essere presi in considerazione dalla Corte (v., in particolare, sentenze 30 gennaio 2002, causa C 103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I 1147, punto 23, e 17 gennaio 2008, causa C 152/05, Commissione/Germania, Racc. pag. I 39, punto 15). 99 Nel caso di specie � pacifico che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato, la normativa nazionale non consentiva alle imprese di distribuzione di acquisire una partecipazione nelle societ� di gestione delle farmacie comunali, in quanto il decreto Ber- 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 sani � stato adottato solo dopo tale data. 100 Si deve inoltre constatare che la normativa nazionale, considerata la giurisprudenza citata ai punti 43 e 46 della presente sentenza, comporta restrizioni ai sensi degli artt. 43 CE e 56 CE. Infatti essa impedisce a taluni operatori economici, ossia quelli che esercitano un�attivit� di distribuzione di prodotti farmaceutici, di svolgere contemporaneamente un�attivit� nell�ambito di farmacie comunali. Del pari, una tale normativa impedisce ad investitori provenienti da Stati membri diversi dalla Repubblica italiana, costituiti da imprese di distribuzione, di acquisire partecipazioni in determinate societ�, vale a dire quelle cui � stata affidata la gestione di farmacie comunali. 101 Con riferimento all�eventuale giustificazione di tali restrizioni, si deve anzitutto rilevare che la normativa nazionale si applica senza discriminazioni relative alla nazionalit� e che essa persegue l�obiettivo di assicurare un rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualit�. 102 Inoltre questa normativa � idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo. In primo luogo, come risulta dai punti 62-64 della presente sentenza, uno Stato membro pu� considerare che le imprese di distribuzione sono in grado di esercitare una certa pressione sui farmacisti stipendiati allo scopo di privilegiare l�interesse consistente nella realizzazione di utili. 103 In secondo luogo, tenuto conto delle considerazioni enunciate in questi stessi punti della presente sentenza, lo Stato membro interessato pu� ritenere, nell�ambito del suo margine di discrezionalit�, che i poteri di controllo dei comuni sulle societ� cui � affidata la gestione delle farmacie comunali non siano adeguati ad evitare l�influenza delle imprese di distribuzione sui farmacisti stipendiati. 104 In terzo luogo, si deve rilevare che la Commissione non ha fornito elementi concreti e precisi in base ai quali la Corte potrebbe concludere che la normativa indicata nel secondo motivo � incoerente rispetto ad altre disposizioni nazionali, come quella che consente ad una persona di associarsi ad un�impresa di distribuzione nonch� ad una societ� cui � affidata la gestione di una farmacia comunale, a condizione che essa non occupi nella prima impresa una posizione cui siano connessi poteri di decisione e di controllo. 105 Infine, riguardo al carattere necessario della normativa nazionale, si deve constatare che, come enunciato ai punti 84-86 della presente sentenza, uno Stato membro pu� considerare esistente il rischio che disposizioni normative dirette a garantire l�indipendenza professionale dei farmacisti possano, nella pratica, essere violate o eluse. Del pari, i rischi per la sicurezza e la qualit� del rifornimento di medicinali alla popolazione non possono essere esclusi, con la stessa efficacia, attraverso l�imposizione dell�obbligo di stipulare un�assicurazione, in quanto un siffatto strumento non impedirebbe necessariamente al gestore interessato di esercitare un�influenza sui farmacisti stipendiati. 106 Di conseguenza, anche il secondo motivo del ricorso dev�essere respinto in quanto infondato. 107 Poich� nessuno dei motivi dedotti dalla Commissione a sostegno del ricorso risulta fondato, il ricorso dev�essere interamente respinto. Sulle spese 108 Ai sensi dell�art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente � condannata alle spese se ne � stata fatta domanda. Nella presente causa la Repubblica italiana ha chiesto alla Corte che il ricorso della Commissione sia dichiarato irricevibile o infondato �con consequenziali statuizioni�. Tale conclusione non pu� essere considerata una domanda di condanna alle spese della ricorrente (v., in tal senso, sentenza 31 marzo 1992, causa C 255/90 P, IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 155 Burban/Parlamento, Racc. pag. I 2253, punto 26). Di conseguenza si deve decidere che la Commissione e la Repubblica italiana sopportino le proprie spese. 109 Ai sensi dell�art. 69, n. 4, di questo stesso regolamento, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica d�Austria sopportano, quali intervenienti, le proprie spese. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce: 1) Il ricorso � respinto. 2) La Commissione delle Comunit� europee, la Repubblica italiana, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica d�Austria sopportano le proprie spese. 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Cause riunite C-175/08, C-176/08, C-177/08, C-178/08, C-179/08 - Materia trattata: giustiza e affari interni - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgerichts (Germania) il 29 aprile 2008 - Aydin Salahadin Abdulla - Kamil Hasan - Khoshnaw Abdullah - Ahmed Adem e Hamrin Mosa Rashi - Dier Jamal/Repubblica federale di Germania. (Avvocato dello Stato G. Albenzio - AL 27547/08). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se l'art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE debba essere interpretato nel senso che � a prescindere dall'art. 1, lett. C), n. 5, secondo periodo, della Convenzione sullo statuto dei rifugiati 28 luglio 1951 (Convenzione di Ginevra) � lo status di rifugiato si estingua gi� nel momento in cui venga meno il fondato timore del rifugiato stesso di essere perseguitato, ai sensi dell'art. 2, lett. c), della direttiva, in base al quale il riconoscimento sia stato concesso e non sussistano altri motivi di timore di persecuzione ai sensi dello stesso art. 2, lett. c). 2) In caso di soluzione negativa al quesito sub 1): se la cessazione dello status di rifugiato ai sensi dell'art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva, presupponga inoltre che nello Stato di cui il rifugiato � cittadino, a) sussista un soggetto che offra protezione ai sensi dell'art. 7, n. 1, della direttiva e, in tal caso, se sia al riguardo sufficiente che l'offerta di protezione sia resa possibile solo con l'ausilio di truppe multinazionali, b) il rifugiato non sia esposto a danno grave ai sensi dell'art. 15 della direttiva, in base al quale possa beneficiare della protezione sussidiaria ai sensi del successivo art. 18, e/o c) le condizioni di sicurezza siano stabili e le condizioni di vita generali garantiscano i requisiti minimi di sussistenza. 3) Se, nella fattispecie in cui le precedenti circostanze, in base alle quali sia stato riconosciuto all'interessato lo status di rifugiato,siano venute meno, nuove differenti circostanze che integrino una situazione di persecuzione a) debbano essere valutate sulla base del criterio di probabilit�,applicabile ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato ovvero se nei confronti dell'interessato debba essere applicato un criterio differente, b) debbano essere valutate in considerazione delle agevolazioni probatorie previste dall'art. 4, n. 4. I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 157 L�INTERVENTO ORALE DEL GOVERNO ITALIANO Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, solo alcune osservazioni in aggiunta all�intervento scritto* Il problema della revoca della qualifica di rifugiato si inserisce, a nostro avviso, nell�ambito della politica generale sulla immigrazione e va affrontato in un�ottica non meramente codicistica o formale bens� con un approccio di natura sostanziale; intendiamo dire che se l�attuale situazione socio-politica delle Nazioni firmatarie della Convenzione di Ginevra e, in particolare, degli Stati membri dell�Unione richiede massima attenzione e severit� nella concessione dello status di rifugiato, la stessa attenzione e severit� deve essere posta nella verifica della permanenza delle condizioni che legittimano quello status e nell�adozione dei provvedimenti di revoca. Per ci� che concerne lo Stato italiano, come abbiamo detto nelle nostre osservazioni scritte, l�attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio � stata effettuata con il decreto legislativo 19/11/2007, n. 251, ed il contributo che intendiamo apportare nel presente giudizio � sulla base della nostra legislazione che ha operato con il giusto equilibrio fra i contrapposti interessi dello Stato �ricevente� e del soggetto�rifugiato�. L�art. 11 della Direttiva trova il suo corrispondente nell�art. 9 del decreto legislativo, ove si specifica che: �il cambiamento delle circostanze deve avere una natura non temporanea e tale da eliminare il fondato timore di persecuzioni e non devono sussistere gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno nel Paese di origine� (comma 2) e che la cessazione della qualifica di rifugiato deve essere dichiarata �sulla base di una valutazione individuale della situazione personale dello straniero� (comma 3). A nostro avviso, la ratio immanente all�art. 11 della Direttiva � efficacemente espressa con il richiamo della legge italiana alla �natura non temporanea� del cambiamento ed alla necessit� di tener conto di eventuali �gravi motivi umanitari� ostativi alla cessazione dello status soddisfa pienamente gli interessi in gioco e fornisce adeguata risposta ai quesiti del Giudice remittente. La �natura non temporanea� del cambiamento significa che la situazione del Paese di origine deve essere valutata con attenzione alle caratteristiche del cambiamento intervenuto, sia riguardo alla struttura delle nuove istituzioni che hanno assunto il potere soppiantando le vecchie sia riguardo alla loro forza di governo sul territorio; questa forza ben pu� essere assicurata da truppe multinazionali o, comunque, straniere che appoggiano l�azione del nuovo governo cos� come da forze militari e di polizia interne; non spetta all�amministrazione del Paese che ha accolto il rifugiato eseguire altre indagini: invero, costituirebbe una grave interferenza negli affari interni di quel Paese sottoporre a va- (*) V. Rassegna n. 3/08, 123-131. 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 lutazioni e giudizi le ragioni della sua forza sul territorio. La stabilit� dei cambiamenti va, in conclusione, valutata in termini oggettivi e, soprattutto, temporali, nel senso che un nuovo assetto dello Stato potr� considerarsi �non temporaneo� dopo che sia trascorso un ragionevole lasso di tempo dalla sua costituzione, indipendentemente dai mezzi che lo sostengono. Il cambiamento intervenuto nel Paese di origine deve, poi, essere tale da �eliminare il fondato timore di persecuzioni�, nel senso che il nuovo assetto politico deve garantire la fine di quella situazione di violenza/persecuzione che ha giustificato la concessione dello status di rifugiato; questa valutazione dovr� essere fatta sulla base dei programmi politici del nuovo governo e della loro concreta attuazione. Questo elemento pu� essere identificato con la cessazione delle cause in base alle quali fu concesso lo status e delle quali parla l�art. 11, par. 1, punto e), e par. 2 della Direttiva e, come, � chiaro, non pu� costituire la sola motivazione della revoca, dovendosi considerare sia la �non temporaneit�� del cambiamento sia l�assenza di altri motivi umanitari. Secondo il Governo italiano e la legislazione nazionale, infatti, �non devono sussistere gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno nel Paese di origine�, cio� non devono ricorrere altre ragioni, diverse da quelle poste a base della prima concessione dello status di rifugiato che potrebbero giustificarlo nuovamente; questa valutazione va fatta secondo le regole sostanziali e procedurali previste in generale per la concessione di quello status ma tenendo conto della situazione dell�interessato che � gi� nello Stato che lo ha accolto la prima volta e pu� avere difficolt� a procurarsi le prove delle nuove cause di persecuzione; ad ogni modo, non dovr� pretendersi la presentazione formale di una nuova domanda. Le legge italiana, poi, richiede una �valutazione individuale della situazione personale dello straniero� e ci� vuol dire che lo status di rifugiato non pu� essere dichiarato cessato pur essendo venute meno le ragioni della originaria concessione e non sussistendone di nuove, qualora ci� comporti un pregiudizio per le sue condizioni familiari (ad esempio, in seguito a ricongiungimenti familiari gi� intervenuti o alla costituzione di un nucleo familiare stabile) o economiche (ad esempio, perch� titolare di rapporti di lavoro e fonti di reddito stabili che verrebbero meno nel Paese di accoglienza e potrebbero essere ricostituite nel Paese di origine). Quest�ultimo aspetto merita una particolare attenzione nella sua interpretazione, nel senso che l�interessato che si trovi nelle condizioni di mutare il titolo del suo soggiorno nel Paese, da temporaneo a stabile, cio� dallo status di rifugiato a quello di immigrato con regolare permesso di soggiorno e lavoro, dovr� attivarsi in tal senso secondo le normative nazionali per regolarizzare la sua posizione e non accontentarsi della proroga del suo status di rifugiato che IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 159 deve necessariamente conservare la sua natura precaria, in vista di altre soluzioni stabili, cio� il ritorno in Patria o la regolarizzazione della immigrazione. Fin qui siamo perfettamente d�accordo con le risposte ai quesiti che suggerisce la Commissione, sia pure con differenti sfumature di elaborazione degli elementi esaminati e con la precisazione che, come appena detto, lo status di rifugiato deve conservare la sua funzione di garantire protezione immediata allo straniero ma non deve essere alternativo alla regolarizzazione stabile della immigrazione secondo la disciplina dello Stato. Non siamo completamente d�accordo con la Commissione sulla risposta suggerita per il terzo ed ultimo quesito, perch� l�onere della prova nella procedura di dichiarazione della cessazione dello status di rifugiato non pu� essere sempre a carico dell�Autorit� competente; come abbiamo test� visto, la qualifica di rifugiato non pu� cessare se vi sono altre ragioni che la giustificano, diverse dal semplice cambiamento della situazione nel Paese di origine: fondato timore di persecuzioni, gravi motivi umanitari, situazione personale. La prova di queste ragioni ostative alla cessazione deve essere fornita dall�interessato, secondo le regole procedurali previste per la concessione dello status e non si pu� addossare a carico del Paese ospitante l�onere della prova, una volta che le Autorit� di questo Paese abbiano adempiuto al loro onere probatorio per la dimostrazione del venir meno delle cause che avevano giustificato la prima concessione dello status, cause alle quali va, in conclusione, limitato l�onere probatorio dell�amministrazione. Anche la valutazione di queste nuove circostanze che giustificano il mantenimento dello status di rifugiato deve essere operata con gli stessi criteri che regolano la prima concessione, proprio perch� si tratta di nuove cause che prendono il posto di quelle originarie per il mantenimento della qualifica. Riteniamo, in conclusione, che il giusto bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti nella materia possa essere raggiunto con l�applicazione delle disposizioni della Direttiva CE, interpretate alla luce della Convenzione di Ginevra e dei deliberati dell�Alto Commissario ONU per i rifugiati, secondo quanto abbiamo fin qui esposto prendendo lo spunto dalla legislazione italiana, attuativa di quella disciplina nella forma e nello spirito. Lussemburgo, 2 giugno 2009 Avv. Giuseppe Albenzio Causa C-229/08 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Frankfurt am Main (Germania) il 28 maggio 2008 - Colin Wolf/Stadt Frankfurt am Main. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 31235/08 - Discriminazione in base all�et� dei vigili del fuoco). 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se, per colmare i margini di valutazione discrezionale di cui all�art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78/CE, il legislatore nazionale possieda in generale un ampio margine di valutazione discrezionale, o se questo margine sia limitato a quanto necessario, almeno quando si tratti della determinazione dell�et� massima per l�assunzione riguardo ad un tempo minimo di servizio prima del pensionamento, conformemente all�art. 6, n. 1, secondo comma, lett. c), della direttiva 2000/78/CE. 2) Se la necessit� di cui all�art. 6, n. 1, secondo comma, lett. c), della direttiva 2000/78/CE, rappresenti la ragionevolezza del mezzo indicato nell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE, limitando cos� l�ambito di applicazione di questa disciplina generale. 3) a) Se costituisca una finalit� legittima ai sensi dell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE, il fatto che un datore di lavoro, fissando un limite massimo all�et� di assunzione, persegua il proprio interesse ad un servizio attivo pi� lungo possibile per i funzionari da assumere. b) Se l�attuazione di tale finalit� sia ingiustificata gi� qualora comporti che i funzionari prestano servizio pi� a lungo di quanto necessario per ottenere la pensione minima garantita dalla legge in caso di pensionamento anticipato, decorsi 5 anni di servizio. c) Se l�attuazione di tale finalit� sia ingiustificata solo qualora comporti che i funzionari prestano servizio pi� a lungo di quanto necessario per maturare la pensione minima garantita dalla legge, in caso di pensionamento anticipato � attualmente 19,51 anni. 4) a) Se costituisca una finalit� legittima ai sensi dell�art. 6 n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE, il fatto di ridurre al massimo il numero complessivo di funzionari da assumere, prevedendo che l�et� massima di assunzione sia la pi� bassa possibile al fine di diminuire, per quanto possibile, il numero delle prestazioni individuali come la previdenza in caso di infortuni o malattia (sovvenzioni, anche per i familiari). b) Quale significato rivesta il fatto che con l�aumento dell�et�, le prestazioni previdenziali in materia di infortuni o le sovvenzioni in casi di malattie (anche per i familiari) siano maggiori rispetto a quelle dei funzionari pi� giovani, con la conseguenza che, in caso di assunzione di funzionari pi� anziani, possono aumentare le relative spese complessive. c) A tale riguardo, se siano necessarie previsioni o statistiche accertate o se siano sufficienti ipotesi probabili. 5) a) Se costituisca una finalit� legittima ai sensi dell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE il fatto che un datore di lavoro intenda applicare una determinata et� massima di assunzione al fine di garantire �una configurazione equilibrata dell�et� nelle diverse carriere�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 161 b) Quali requisiti debbano essere eventualmente considerati sufficienti per ritenere che una determinata configurazione dell�et� soddisfi i presupposti di una giustificazione (carattere ragionevole e necessario, necessit�). 6) Se costituisca una considerazione legittima ai sensi dell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE, il fatto che, riguardo all�et� massima di assunzione, il datore di lavoro faccia valere che, fino al raggiungimento di tale et�, � generalmente possibile realizzare le condizioni obiettive per l�assunzione nel servizio di medio livello dei vigili del fuoco mediante un�istruzione e una corrispondente formazione professionale. 7) In base a quali criteri si debba valutare la ragionevolezza o la necessit� di un periodo minimo di servizio prima del pensionamento. a) Se la necessit� di un periodo minimo di servizio possa essere giustificata esclusivamente come compenso per l�acquisto di una qualificazione presso il datore di lavoro, interamente finanziata da quest�ultimo, (abilitazione alla carriera nel servizio di medio livello nei vigili del fuoco) al fine di garantire un periodo di servizio appropriato a tale qualificazione, in modo tale che i costi di formazione del funzionario siano cos� progressivamente rimborsati. b) Quale sia la durata massima della fase del periodo di servizio successivo al periodo di formazione. Se possa superare 5 anni, e se s�, a quali condizioni. c) Se la ragionevolezza o la necessit� di un periodo minimo di servizio possa essere giustificata, indipendentemente dalla soluzione fornita alla questione 7, lett. a), sulla base della considerazione che, per i funzionari la cui pensione � finanziata esclusivamente dal datore di lavoro, deve essere sufficiente il periodo di servizio attivo che presumibilmente intercorre tra l�assunzione e la probabile data del pensionamento al fine di maturare una pensione minima garantita dalla legge, attualmente al termine di un periodo di servizio di 19,51 anni. d) Se, al contrario, il rifiuto di un�assunzione sia giustificato, ai sensi dell�art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78/CE, solo qualora la persona sia assunta ad un�et� tale per cui, considerata la data probabile del pensionamento, ci sarebbe la possibilit� di doverle versare la pensione minima, sebbene non ancora maturata. 8) a) Se per la valutazione del pensionamento, conformemente all�art. 6, n. 1, secondo comma, lett. c) della direttiva 2000/78/CE, sia necessario applicare il limite di et� stabilito dalla legge per il pensionamento con la collegata riscossione di una pensione, o se sia necessario basarsi sull�et� media statistica del pensionamento di un determinato gruppo di lavoratori o di funzionari. b) In che misura si debba eventualmente considerare che per taluni funzionari il normale pensionamento pu� essere rimandato di uno o due anni. Se tale circostanza determini un conseguente aumento dell�et� massima di assunzione. 9) Se si possa computare, in sede di calcolo del periodo minimo di servizio ai sensi dell�art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78/CE, la formazione da assolvere inizialmente nel rapporto di pubblico impiego. Se, a tale riguardo, il 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 periodo di formazione debba essere considerato integralmente come periodo di servizio a fini previdenziali o se detto periodo di formazione debba essere escluso dal calcolo del periodo per il quale un datore di lavoro pu� esigere una durata minima di servizio, ai sensi dell�art. 6, n. 1, secondo comma, lett. c), della direttiva 2000/78/CE. 10) Se le disposizioni dell�art. 15, n. 1, frase 2, e n. 3, della legge generale sulla parit� di trattamento siano compatibili con l�art. 17 della direttiva 2000/78/CE. IL FATTO Le questioni pregiudiziali sono state sollevate nel corso di una controversia nella quale, � stata respinta la domanda del ricorrente di assunzione con contratto di formazione per tecnico di medio livello nei vigili del fuoco per superamento dell�et� massima di trent�anni. Il ricorrente chiede alla convenuta il risarcimento del danno ritenendo che il rifiuto costituisca una discriminazione diretta fondata sull�et� mentre la convenuta considera legittimo detto rifiuto in quanto oggettivamente e ragionevolmente giustificato da una finalit� legittima. LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO La direttiva 2000/78/CE ha voluto creare un quadro generale per garantire la parit� di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro per fornire una protezione efficace contro eventuali discriminazioni dirette ed indirette fondate su uno dei motivi di cui all�articolo 1 (religione, convinzioni personali, handicap, et� o tendenze sessuali). L�articolo 3, definendo il campo di applicazione della direttiva, stabilisce che la stessa si applica �a tutte le persone� per quanto attiene � a) alle condizioni di accesso all�occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attivit� e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonch� alla promozione; b) all�accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali� (evidenza nostra). L�art. 4 tuttavia, alla luce del ventitreesimo considerando della direttiva, precisa che gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata alla religione, alle convinzioni personali, a un handicap, all�et� o alle tendenze sessuali non costituisca discriminazione �laddove, per la natura di un�attivit� lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e deter- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 163 minante per lo svolgimento dell�attivit� lavorativa, purch� la finalit� sia legittima e il requisito proporzionato� (evidenza nostra). Per quanto concerne in particolare l�et�, il venticinquesimo considerando della direttiva 2000/78/CE stabilisce inoltre che il divieto di discriminazione basata sull�et� costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversit� nell�occupazione. Tuttavia, in talune circostanze, delle disparit� di trattamento in funzione dell�et� possono essere giustificate da obiettivi legittimi di politica dell�occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. A precisazione di tale principio, l�art. 6 n. 1 della direttiva afferma che possano ritenersi disparit� di trattamento giustificate da una finalit� legittima: a) la definizione di condizioni speciali di accesso all�occupazione per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico; b) la fissazione di condizioni minime di et� e di esperienza professionale per l�accesso all�occupazione e c) la fissazione di un�et� massima per l�assunzione basata sulle condizioni di formazione richieste o la necessit� di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento. Per quanto riguarda poi determinate professioni come, nel caso di specie, quella dei vigili del fuoco, il diciottesimo e il diciannovesimo considerando stabiliscono, rispettivamente, che �la presente direttiva non pu� avere l�effetto di costringere le forze armate nonch� i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedano i requisiti necessari per svolgere l�insieme delle funzioni che possono essere chiamate ad esercitare, in considerazione dell�obiettivo legittimo di salvaguardare il carattere operativo di siffatti servizi� e �per salvaguardare la capacit� delle proprie forze armate, gli Stati membri possono decidere di escluderle in tutto o in parte dalle disposizioni della presente direttiva relative all�handicap o all�et�. Gli Stati membri che operano tale scelta devono definire il campo d�applicazione della deroga in questione� (evidenza nostra). Vi � quindi una particolare attenzione, anche nella direttiva 2000/78/CE, per tali categorie di lavoratori che prestano un servizio rilevante per l�interesse pubblico che richiede la sussistenza di requisiti e di qualit� personali anche correlati all�et�. Ci� premesso, il Giudice remittente chiede nella sostanza alla Corte di precisare se l�articolo 6, n. 1, della direttiva permetta agli Stati membri di mantenere una legislazione che, pur prevedendo astrattamente delle disparit� di trattamento, non costituisca discriminazione in ragione dell�et� perch� mezzo proporzionato al conseguimento di finalit� legittime, specificando in cosa consistano dette finalit� legittime. In proposito, l�art. 3, comma 4 del decreto legislativo del 9 luglio 2003, 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 n. 216, di attuazione nell�ordinamento italiano della direttiva 2000/78/CE, fa salve le disposizioni che prevedono la possibilit� di trattamenti differenziati in merito agli adolescenti, ai giovani, ai lavoratori anziani e ai lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto e dalle legittime finalit� di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale. Come si � detto, il riferimento alle finalit� di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, a giustificazione della disparit� di trattamento in ragione dell�et�, � rinvenibile non solo nell�art. 6 n. 1 della direttiva ma anche nel �considerando� 25, che riconosce espressamente che, in talune circostanze, delle disparit� di trattamento in funzione dell�et� possano essere giustificate. Peraltro, l�elenco esemplificativo contenuto nelle richiamate lettere a), b), e c) dell�art. 6 n. 1 individua fattispecie derogatorie abbastanza generiche (et� minima, et� massima, condizioni particolari di accesso per i giovani), il che fa ritenere che la specificit� delle disposizioni nazionali che prevedano giustificate disparit� di trattamento fondate sull�et�, richiesta dal considerando 25, sia da interpretarsi in modo comunque elastico e tale da non imporre agli Stati membri una dettagliata giustificazione del diverso trattamento in funzione dell�et�. Si veda in proposito la sentenza della Corte di giustizia del 16 ottobre 2007, causa C-411/05, Palacios de la Villa, punto 56 che ha chiaramente affermato che �non si pu� infatti dedurre dall�art. 6, n. 1 della direttiva 2000/78 che la mancanza di precisione della normativa nazionale in esame relativamente allo scopo perseguito avrebbe la conseguenza di escludere automaticamente che essa possa essere giustificata ai sensi della disposizione menzionata�. In particolare, l�art. 3, comma 3 del citato D.Lgs. n. 216/2003 stabilisce che non costituisce atto di discriminazione la valutazione di determinate caratteristiche ove esse assumano rilevanza ai fini dell�idoneit� allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare. Del resto, anche la Corte costituzionale italiana, nel dichiarare non fondata una questione di legittimit� costituzionale sollevata in relazione all�esclusione di un lavoratore da un concorso per conducente di linea per superamento del limite di et� di trent�anni, ha affermato che il limite di et� massimo per l�immissione in servizio rappresenta il risultato di una valutazione discrezionale circa le esigenze dell�azienda e le capacit� attitudinali di cui i lavoratori devono essere in possesso in relazione anche alla potenziale durata della vita lavorativa nelle aziende di trasporto su strada, tenuto conto inoltre dei profili di sicurezza dei trasportati e della circolazione, in presenza della gravosit� del servizio e del logorio nella guida degli automezzi di linea (Corte cost., 22 maggio 2000, n. 160). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 165 Analoga considerazione pu� essere fatta per i vigili del fuoco che, svolgendo un servizio particolarmente delicato volto ad assicurare la sicurezza delle persone, debbono possedere specifici requisiti fisico-attitudinali. Pertanto, deve ritenersi che la finalit� legittima a giustificazione del diverso trattamento nell�accesso al lavoro derivante dal limite massimo di et� per determinate categorie di lavoratori non sia rinvenibile soltanto, come ritenuto dal giudice remittente, nell�esigenza di assicurare un periodo minimo di vita lavorativa che compensi l�acquisizione del diritto alla pensione. N� tanto meno tale finalit� � ravvisabile nell�intento del datore di lavoro di limitare il pi� possibile le prestazioni previdenziali per infortunio e malattia, che sono senz�altro maggiori in caso di assunzione di lavoratori pi� anziani, in quanto, come correttamente osservato dal Giudice remittente, la giurisprudenza della Corte di giustizia � costante nell�affermare che considerazioni in materia di bilancio non costituiscono una finalit� legittima idonea a giustificare una discriminazione diretta. Il Governo italiano ritiene invece che la fissazione di un limite massimo di et� per l�assunzione integri un mezzo appropriato e necessario per il conseguimento di una finalit� legittima di politica del lavoro quando, per le peculiarit� dell�attivit� lavorativa, sia necessaria la sussistenza di determinati requisiti e capacit� personali indispensabili per un corretto e sicuro svolgimento dell�attivit� medesima. Va inoltre osservato che il divieto di discriminazione in genere per uno dei motivi di cui all�art. 1 della direttiva 2000/78/CE appare pi� rigoroso rispetto al divieto di discriminazione in ragione dell�et�, per il quale la direttiva prevede espresse deroghe. In particolare, l�articolo 2, nel definire la nozione di discriminazione in genere, dispone che sussiste discriminazione a meno che �tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalit� legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari�. Invece l�articolo 6, n. 1, recante giustificazione delle disparit� di trattamento collegate all�et�, dispone che �gli Stati membri possono prevedere che le disparit� di trattamento in ragione dell�et� non costituiscono discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell�ambito del diritto nazionale, da una finalit� legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalit� siano appropriati e necessari� (evidenza nostra). A prescindere da differenze che potremmo anche considerare marginali (quali la presenza del termine �ragionevolmente� o il riferimento all��ambito del diritto nazionale� contenuti nell�articolo 6 e non presenti nell�articolo 2), quella che appare essere una differenza sostanziale � il riferimento agli obiet- 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 tivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale. Infatti, mentre tali obiettivi non sarebbero sufficienti a giustificare norme che prevedano disparit� di trattamento con riferimento alle convinzioni personali, alle tendenze sessuali o alla presenza di handicap, nel caso di disparit� di trattamento fondate sull�et� sono ritenute legittime norme nazionali che trovino la loro giustificazione nella necessit� di raggiungere obiettivi di politica e mercato del lavoro, quali ad esempio favorire l�inserimento dei giovani lavoratori o consentire ai lavoratori che abbiano raggiunto una determinata et� di avere trattamenti preferenziali al fine di raggiungere il limite minimo di contribuzione e conseguire, quindi, il diritto alla pensione. Pertanto le deroghe previste dall�articolo 6 appaiono pi� ampie di quelle disciplinate dall�articolo 2. Elementi a sostegno di tale conclusione possono trovarsi sia nel considerando 25, sia nella ratio delle deroghe enunciate. Se, infatti, potrebbe essere giustificato prevedere condizioni contrattuali pi� favorevoli per i giovani al fine di incentivarne l�ingresso nel mondo del lavoro e dunque per perseguire determinati obiettivi occupazionali, le stesse condizioni apparirebbero contrarie al pi� elementare principio di eguaglianza qualora fossero previste in considerazione di differenze religiose o sessuali. Il citato art. 6 appare quindi ispirato ad una logica di contemperamento tra il generale divieto di discriminazione e la concreta ed effettiva necessit� di una gestione flessibile del mercato del lavoro a livello nazionale. Lo stesso Legislatore comunitario, nel riconoscere agli Stati membri una pi� ampia discrezionalit� in materia di politica sociale e del lavoro, non ha inteso riconoscere al fattore et� la stessa resistenza assegnata agli altri motivi discriminatori in sede di contemperamento con altri principi. In proposito, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha gi� pi� volte chiarito che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta non soltanto di uno scopo determinato fra altri in materia di politica sociale e di occupazione ma altres� delle misure atte a realizzare detto obiettivo (Sentenza del 22 novembre 2005, causa C-144/04, Mangold, punti 62 e 63; sentenza Palacios de la Villa citata, punto 68). La Corte ha quindi ritenuto che spetta alle autorit� competenti degli Stati membri trovare un giusto equilibrio tra i differenti interessi in gioco, sempre che vengano rispettati i criteri di proporzionalit�. Peraltro, come acutamente osservato dall�Avvocato Generale J�n Maz�k nelle conclusioni presentate il 23 settembre 2008 nella causa C-388/07, punti 74, 75 e 76, un approccio particolarmente sfumato alle disparit� di trattamento in ragione dell�et� rispecchia la reale differenza tra l�et� e gli altri motivi di discriminazione menzionati dall�art. 2 della direttiva. L�et�, per sua natura, non � un indice di discriminazione, almeno non alla stessa stregua, per esempio, della razza o del sesso. Al contrario, le disparit� fondate sull�et�, i limiti di et� e le misure legate all�et� sono molto diffuse IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 167 nell�ordinamento giuridico e in particolare nella legislazione sociale e del lavoro. Pertanto, l�art. 6, n. 1 della direttiva, nel prevedere specifici criteri di giustificazione, intende tener conto del fatto che, nel caso della discriminazione fondata sull�et�, � molto pi� difficile stabilire la linea di confine tra finalit� legittime o meno e determinare con certezza dove finiscano le disparit� giustificate e dove inizino quelle non giustificate. Tale disposizione mira quindi a consentire agli Stati membri di mantenere pratiche di occupazione basate sull�et� e di fissare o mantenere, con una certa discrezionalit�, limiti di et�, purch� tali misure siano giustificate da una finalit� legittima di politica sociale o di mercato del lavoro. Alla luce di tali principi vanno quindi risolti i vari quesiti posti dal Giudice remittente. ** ** ** Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere i quesiti sollevati nel modo seguente. 1) Per colmare i margini di valutazione discrezionale di cui all�art. 6 n. 1 della direttiva 2000/78/CE, il legislatore nazionale possiede in generale un ampio margine di valutazione discrezionale, almeno quando si tratti della determinazione dell�et� massima per l�assunzione riguardo ad un tempo minimo di servizio prima del pensionamento, conformemente all�art. 6, n. 1, secondo comma, lett. c), della direttiva 2000/78/CE. 2) La necessit� di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento di cui all�art. 6, n. 1, secondo comma, lett. c), della direttiva 2000/78/CE, pu� rappresentare la ragionevolezza del mezzo indicato nell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva ma non si esaurisce in esso. 3) a) Costituisce una finalit� legittima ai sensi dell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE, il fatto che un datore di lavoro, fissando un limite massimo all�et� di assunzione, persegua il proprio interesse ad un servizio attivo pi� lungo possibile per i funzionari da assumere. b) L�attuazione di tale finalit� non � ingiustificata qualora comporti che i funzionari prestino servizio pi� a lungo di quanto necessario per ottenere la pensione minima garantita dalla legge in caso di pensionamento anticipato, decorsi 5 anni di servizio. c) L�attuazione di tale finalit� non � ingiustificata qualora comporti che i funzionari prestino servizio pi� a lungo di quanto necessario per maturare la pensione minima garantita dalla legge, in caso di pensionamento anticipato, attualmente 19,51 anni. 4) a) Non costituisce una finalit� legittima ai sensi dell�art. 6 n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE, il fatto di ridurre al massimo il numero complessivo di funzionari da assumere, prevedendo che l�et� massima di assunzione sia la pi� bassa possibile al fine di diminuire, per quanto possibile, 168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 il numero delle prestazioni individuali come la previdenza in caso di infortuni o malattia (sovvenzioni, anche per i familiari). b) Non riveste un significato rilevante, al fine di giustificare il limite massimo di et� nell�assunzione, il fatto che, con l�aumento dell�et�, le prestazioni previdenziali in materia di infortuni o le sovvenzioni in casi di malattie (anche per i familiari) siano maggiori rispetto a quelle dei funzionari pi� giovani, con la conseguenza che, in caso di assunzione di funzionari pi� anziani, possono aumentare le relative spese complessive. c) Atteso il contenuto della risposta fornita al quesito n. 4 lettera b) non � necessario rispondere al quesito n. 4 lettera c) in merito al fatto se siano, a tale riguardo, necessarie previsioni o statistiche accertate o se siano sufficienti ipotesi probabili. 5) a) Costituisce una finalit� legittima ai sensi dell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE il fatto che un datore di lavoro intenda applicare una determinata et� massima di assunzione al fine di garantire �una configurazione equilibrata dell�et� nelle diverse carriere�. b) Una determinata configurazione dell�et� soddisfa i presupposti di una giustificazione quando abbia carattere ragionevole e necessario. 6) Costituisce una considerazione legittima ai sensi dell�art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78/CE, il fatto che, riguardo all�et� massima di assunzione, il datore di lavoro faccia valere che, fino al raggiungimento di tale et�, � generalmente possibile realizzare le condizioni obiettive per l�assunzione nel servizio di medio livello dei vigili del fuoco mediante un�istruzione e una corrispondente formazione professionale. 7) La ragionevolezza o la necessit� di un periodo minimo di servizio prima del pensionamento devono essere valutate in base ai seguenti criteri: a) La necessit� di un periodo minimo di servizio pu� essere giustificata anche come compenso per l�acquisto di una qualificazione presso il datore di lavoro, interamente finanziata da quest�ultimo, (abilitazione alla carriera nel servizio di medio livello nei vigili del fuoco) al fine di garantire un periodo di servizio appropriato a tale qualificazione, in modo tale che i costi di formazione del funzionario siano cos� progressivamente rimborsati. b) Rientra nella discrezionalit� degli Stati membri stabilire se la durata massima della fase del periodo di servizio successivo al periodo di formazione possa superare 5 anni. c) La ragionevolezza o la necessit� di un periodo minimo di servizio pu� essere giustificata, indipendentemente dalla soluzione fornita alla questione 7, lett. a), non solo sulla base della considerazione che, per i funzionari la cui pensione � finanziata esclusivamente dal datore di lavoro, deve essere sufficiente il periodo di servizio attivo che presumibilmente intercorre tra l�assunzione e la probabile data del pensionamento al fine di maturare una pensione minima garantita dalla legge, attualmente al termine di un periodo di servizio di 19,51 anni. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 169 d) Il rifiuto di un�assunzione � giustificato, ai sensi dell�art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78/CE, non solo qualora la persona sia assunta ad un�et� tale per cui, considerata la data probabile del pensionamento, ci sarebbe la possibilit� di doverle versare la pensione minima, sebbene non ancora maturata. 8) a) Per la valutazione del pensionamento, conformemente all�art. 6, n. 1, secondo comma, lett. c) della direttiva 2000/78/CE, � necessario basarsi sull�et� media statistica del pensionamento di un determinato gruppo di lavoratori o di funzionari. b) La circostanza che per taluni funzionari il normale pensionamento pu� essere rimandato di uno o due anni non determina un conseguente aumento dell�et� massima di assunzione. 9) Pu� essere computata, in sede di calcolo del periodo minimo di servizio ai sensi dell�art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78/CE, la formazione da assolvere inizialmente nel rapporto di pubblico impiego. 10) Le disposizioni dell�art. 15, n. 1, frase 2, e n. 3, della legge generale sulla parit� di trattamento sono compatibili con l�art. 17 della direttiva 2000/78/CE in quanto il risarcimento del danno non pu� prescindere dall�accertamento di una responsabilit� del datore di lavoro. Roma, 30 settembre 2008 Avv. Wally Ferrante Causa C-230/08 - Materia trattata: unione doganale - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'�stre Landsret (Danimarca) il 28 maggio 2008 - Dansk Transport og Logistik/Skatteministerie. (Avvocato dello Stato G. Albenzio - AL 33957/08). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se la formulazione �sono sequestrate e contemporaneamente o successivamente confiscate� di cui all'art. 233, lett. d), del codice doganale, debba essere interpretata nel senso che nella disposizione rientrano situazioni in cui le merci trattenute ai sensi dell'art. 83, n. 1, primo comma, della legge doganale all'atto dell'importazione illegale, vengono contemporaneamente o successivamente distrutte o rese inutilizzabili dalle autorit� doganali, senza che tali merci siano uscite dal possesso delle dette autorit�. 2) Se la direttiva sulla circolazione debba essere interpretata nel senso che merci illegalmente importate, che vengono trattenute all'atto della loro importazione e contemporaneamente o successivamente distrutte o rese inutilizzabili dalle autorit� doganali, debbano considerarsi merci �in regime di sospensione dei diritti di accisa� con la conseguenza che il diritto di accisa non sorge o si estingue [v. artt. 5, n. 2,primo comma, e 6, n. 1, lett. c), della 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 direttiva sulla circolazione, in combinato disposto con gli artt. 84, n. 1, lett. a) e 6 del codice doganale e infine art. 876 bis delle disposizioni di applicazione]. Se, ai fini della soluzione, sia rilevante che l'obbligazione doganale sorta all'atto di tale importazione illegale si estingua a norma dell'art. 233, lett. d) del codice doganale. 3)Se la sesta direttiva IVA (4) debba essere interpretata nelsenso che merci illegalmente importate, che vengono trattenuteall'atto della loro importazione e contemporaneamenteo successivamente distrutte o rese inutilizzabili dalle autorit� doganali debbano considerarsi merci �in regime di depositodoganale � con la conseguenza che l'obbligazione IVA non sorge o si estingue [v. artt. 7, n. 3, 10, n. 3 e 16, n. 1, B,lett. c) e 876 bis delle disposizioni di applicazione]. Se, ai fini della soluzione, sia rilevante che l'obbligazione doganale sorta all'atto di una siffatta importazione illegale, si estingua,a norma dell'art. 233, lett. d), del codice doganale. 4) Se il codice doganale, le disposizioni di applicazione e la sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che le autorit� doganali di uno Stato membro, in cui viene accertata l'importazione illegale di merci con trasporto TIR, sia competente a riscuotere i dazi, le accise e l'IVA relative a detto trasporto, qualora le autorit� di un altro Stato membro, dove � avvenuta l'importazione illegale nella Comunit� non abbiano constatato irregolarit� e non abbiano di conseguenza riscosso i dazi, le accise e l�IVA (v. artt. 215 e 217 del codice doganale, 454, nn. 2 e 3 delle disposizioni di applicazione all�epoca vigenti, e art. 7 della sesta direttiva IVA). L�INTERVENTO ORALE DEL GOVERNO ITALIANO Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, Il Governo italiano non ha potuto partecipare alla fase scritta del procedimento e, pertanto solo nella presente discussione orale pu� rappresentare alla Corte la propria posizione sui quesiti posti dall'Autorit� giudiziaria remittente; questa posizione non pu� non tener conto di quanto deciso da codesta Corte di Giustizia nella recente sentenza 2 aprile 2009, in causa C-459/07, con riferimento al caso simile a quello in discussione, e nella sentenza 14 novembre 2002, in causa C-112/01. In quest'ultima decisione codesta Corte ha statuito che l�art. 233 del codice doganale risponde all�esigenza di tutelare le risorse proprie della Comunit�, obiettivo questo che non pu� essere compromesso con l�istituzione di nuove cause di estinzione dell�obbligazione doganale (punto 31); con la decisione del 2 aprile 2009, in applicazione di questo principio, � stato stabilito che gli art. 202 e 233, primo comma, lett.d), Reg. 2913/92 "devono essere interpretati nel senso che, per determinare l'estinzione dell'obbligazione doganale, il sequestro di merci introdotte irregolarmente nel territorio doganale IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 171 della Comunit� europea deve intervenire prima che le merci in questione superino il primo ufficio doganale situato all'interno di tale territorio", proprio perch� una causa di estinzione dell�obbligazione doganale deve essere interpretata restrittivamente (punto 30 della sentenza). La risposta al primo quesito posto dall'Autorit� remittente, quindi, deve essere data in tal senso, limitando l'estinzione dell'obbligazione doganale solo ai due trasporti per i quali la verifica da parte della Dogana danese � intervenuta al momento della prima introduzione della merce nel territorio della Comunit�, cos� da rispettare anche la ratio dell'art. 233 CDC che � quella di evitare l�imposizione di un dazio nel caso in cui la merce, seppure introdotta in modo irregolare nel territorio comunitario, non abbia potuto essere commercializzata e non abbia pertanto costituito una minaccia, in termini di concorrenza, per le merci comunitarie. Anche la risposta al secondo quesito deve tener conto degli stessi principi, nel senso che l'accisa non pu� essere pretesa nel caso in cui la merce irregolarmente introdotta non abbia avuto alcuna possibilit� di essere commercializzata e, quindi, gli interessi dell'Unione non siano stati in alcun modo esposti a rischio, cosa che avviene soltanto se la merce viene sequestrata al momento del passaggio della frontiera comunitaria e non oltre il primo ufficio doganale ove la stessa avrebbe potuto essere presentata. Pertanto, sul punto, ci associamo pienamente alle conclusioni formulate dalla Commissione nel suo intervento scritto, nel senso che l'art. 5, par. 1, della direttiva sulle accise (direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, n. 92/12/CEE), e l'art. 867-bis delle Disposizioni di applicazione del Codice doganale Comunitario devono essere interpretati nel senso che il sequestro della merce intervenuto al momento della introduzione nel territorio doganale comunitario impedisce la nascita dell'obbligo di pagamento qualora la merce sia confiscata e distrutta senza essere mai uscita dal possesso della Dogana e, quindi, non sia mai entrata nel circuito commerciale, mentre l'accisa � dovuta nel caso in cui la merce, una volta entrata nel territorio dell'Unione illegalmente, deve considerarsi potenzialmente idonea ad essere commercializzata in evasione di imposta e, quindi, deve scontare l'accisa anche se, successivamente sequestrata, confiscata e distrutta. La correttezza di questa conclusione � conforme al principio dettato dalla giurisprudenza di codesta Corte secondo la quale la circostanza che le merci siano occultate in nascondigli nel veicolo in cui sono trasportate non ha l'effetto di sottrarle all'obbligo di presentarle in dogana al primo ufficio doganale competente (si veda la sentenza 4 marzo 2004, in cause riunite C-238/02 e C-246/02); principio dal quale si deve trarre la conseguenza che il superamento di quel primo ufficio, senza la necessit� di attendere che la merce arrivi al luogo di destinazione, fa presumere una potenziale immissione in commercio, con la nascita dei conseguenti obblighi tributari connessi a questa potenziale commercializzazione. 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Si osserva, ancora, che il collegamento con l'art. 867-bis delle Disposizioni di attuazione al Codice doganale, come sottolineato dalla Commissione, conferma l'esattezza delle conclusioni formulate sul punto per quanto concerne il profilo inerente il pagamento delle accise sul tabacco; avendo la Commissione sviluppato esaurientemente il problema, anche in riferimento all'art. 86, punto e), del nuovo Codice Doganale del 2008, non star� qui a ripetere quelle argomentazioni. Guardando il caso in discussione, quindi, l'accisa potr� essere richiesta per le merci occultate nel camion che � stato sorpreso alla frontiera danese proveniente dalla Germania e non per le merci sequestrate in occasione degli altri trasporti intercettati al momento del primo ingresso nella Comunit� attraverso la frontiera danese. Quanto all'assoggettabilit� all'IVA delle merci sequestrate, in relazione alla disciplina di cui agli art. 7, par. 3, 10, par. 3, e 16, par. 1, punto B, lett. c), della sesta direttiva, in relazione anche in questo caso all'art. 867-bis Disposizioni di attuazione, ci associamo alle conclusioni della Commissione, perch� l'imposta � direttamente conseguente alla commercializzazione della merce e questa non si pu� ritenere avvenuta se il sequestro � intervenuto immediatamente al momento dell'introduzione nel territorio doganale comunitario, impedendo cos� la commercializzazione. Alle deduzioni della Commissione vogliamo aggiungere il richiamo alla sentenza 19 marzo 2009, in causa C-275/07, dalla quale si evince il principio che una disposizione che ha per oggetto il pagamento di un'imposta o di un interesse non pu� essere utilizzata per uno scopo diverso, quale quello sanzionatorio, per giustificare la richiesta di pagamento in mancanza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti da quella disposizione. Nell'ipotesi, invece, di un sequestro effettuato mentre la merce gi� circolava, sia pure illegalmente e sia pure occultata, nel territorio dell'Unione, l'imposta deve essere pagata perch� i suoi presupposti di fatto e di diritto devono intendersi verificati e non si pu� ritenere che la merce sia stata assoggettata, per la circostanza di essere stata sequestrata, ad un regime di sospensione di imposta fittizio, dato che � solo al momento del primo ingresso nel territorio comunitario che un regime doganale di favore deve essere richiesto dall'operatore in deroga all'obbligo generale di pagamento delle imposte connesse all'importazione. Anche in questo caso, facendo nostre le argomentazioni della Commissione, ci limitiamo a sottolineare che un regime di favore, quale quello della sospensione di imposta, che si pone in deroga alla regola generale della nascita delle obbligazioni di imposta al momento in cui si verificano i presupposti della commercializzazione (anche solo ipotetica) della merce, deve essere interpretato restrittivamente, come pi� volte sancito da codesta Corte di Giustizia (si veda, fra le tante, la sentenza 20 novembre 2008, in causa C-38/07 P, punto 60). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 173 La risposta al quarto ed ultimo quesito, poggia sull'esame congiunto delle disposizioni degli art. 215 e 217 del Codice Doganale Comunitario e dell'art. 454 delle sue disposizioni di attuazione, nonch� dell'art. 37 della convenzione TIR, al cui fondamento si riscontra la medesima ratio. In particolare, nelle dette norme si rinvengono due criteri per l'individuazione del locus ove l'autorit� risulta competente per la riscossione dei dazi: uno principale e, un altro, in supplenza del primo; si stabilisce, come � noto, che l'obbligazione doganale sorge nel luogo ove si verificano i fatti generatori la stessa; in via suppletiva, e qualora non si riesca a individuare il predetto luogo, interviene in ausilio il criterio che fa affidamento sull'emersione dell'illiceit� perpetrata, vale a dire il luogo in cui l'autorit� constata la situazione che determina il nascere dell'obbligazione daziaria. La competenza, in via generale, a riscuotere l'importo dell'obbligazione doganale in capo allo Stato membro nel cui territorio � stata commessa la prima infrazione o irregolarit� qualificabile come sottrazione al controllo doganale, � stata sancita da numerose pronunzie di codesta Corte, fra le quali ricordiamo quella 3 aprile 2008, in causa C-230/06, cos� che non rester� che applicare il medesimo principio anche nel caso in esame, fermi restando i presupposti per l'esigibilit� dei tributi individuati in occasione delle risposte suggerite per gli altri quesiti. Intendiamo precisare, su quest'ultimo aspetto, che il criterio della competenza territoriale test� esaminato non pu� interferire sui principi della esigibilit� delle varie imposte conseguenti alla importazione che sopra abbiamo esaminato e che il principio della "proporzionalit�" richiamato dalla Commissione nel suo intervento scritto non pu� essere invocato per rendere inoperanti i presupposti dell'obbligazione di pagamento del dazio, delle accise e dell'Iva che si devono intendere essersi realizzati in conseguenza della irregolare introduzione della merce nel territorio doganale comunitario senza che tale introduzione sia stata immediatamente impedita dal sequestro delle merci (come avvenuto per i trasporti transitati dalla Germania). Su questo punto dissentiamo, quindi, dalla Commissione perch� un problema formale (la competenza) non deve interferire su quello sostanziale (la sussistenza dei presupporti per la debenza del tributo). Alla luce di quanto dedotto, chiediamo alla Corte di dare risposta ai quesiti posti in questi termini: Quesito 1: Nell'espressione "sono sequestrate e contemporaneamente o successivamente confiscate" di cui all'art. 233, lett. d) del Codice Doganale Comunitario, non possono considerarsi comprese fattispecie nelle quali le merci siano trattenute ai sensi dell'art. 83, n. 1 della legge danese, dalle autorit� doganali e poi distrutte, senza mai uscire dal loro possesso, dopo essere entrate illegittimamente nel territorio doganale comunitario dalla frontiera di altro Stato 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 membro senza che quest'ultimo abbia provveduto a controlli; Quesito 2: le merci trattenute ai sensi dell'art. 83, n. 1 della legge danese dalle autorit� doganali e successivamente distrutte, senza mai uscire dal loro possesso, devono considerarsi in regime di deposito doganale e dunque in regime di sospensione dei diritti accisa, solo quando siano sequestrate al momento del loro primo ingresso nel territorio doganale comunitario; Quesito 3: le merci trattenute ai sensi dell'art. 83, n. 1 della legge danese dalle autorit� doganali e successivamente distrutte, senza mai uscire dal loro possesso, devono considerarsi in regime di deposito doganale e, se il singolo Stato membro abbia adottato appropriate misure esentive al riguardo, le dette merci si considerano non oggetto di applicazione IVA, solo quando siano sequestrate al momento del loro primo ingresso nel territorio doganale comunitario; Quesito 4: l'autorit� doganale dello Stato membro ove viene accertata l'irregolarit� doganale pu� procedere alla riscossione dei dazi solo qualora non si riesca a stabilire il luogo, se diverso da quello di constatazione, ove si � verificata la situazione che ha fatto sorgere l'obbligazione doganale, in particolare, il luogo ove la merce illegittimamente introdotta per la prima volta nel territorio doganale comunitario avrebbe dovuto essere dichiarata in Dogana, ancorch� sia stata occultata ed abbia proseguito il transito verso altra frontiera interna dell'Unione. Lussemburgo, 13 maggio 2009 Avv. Giuseppe Albenzio Causa C-303/08 - Materia trattata: relazioni esterne - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsericht (Germania) l�8 luglio 2008 - Metin Bozkurt/Land Baden-Wurttemberg. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 35673/08). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 1) Se il diritto al lavoro ed al soggiorno acquisito, in quanto familiare, dal coniuge di un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro, conformemente all�art. 7, prima frase, secondo trattino, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE/Turchia (decisione 1/80) continui a sussistere anche in seguito allo scioglimento del matrimonio. In caso di soluzione positiva della prima questione: 2) Se si faccia valere abusivamente il diritto di soggiorno derivante dall�ex moglie, basato sull�art. 7, prima frase, secondo trattino, della decisione IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 175 n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE/Turchia (la decisione 1/80), qualora il cittadino turco abbia stuprato e ferito quest�ultima dopo l�acquisizione della situazione giuridica in parola e sia stato condannato per tale fatto ad una pena detentiva di due anni. IL FATTO Il rinvio pregiudiziale trae origine da una causa relativa all�impugnazione, da parte del cittadino turco Metin Bozkurt, dell�espulsione dalla Germania, irrogata nei suoi confronti il 26 luglio 2005 dal Land Baden-Wurttemberg. Il remittente ha evidenziato che il Bozkurt, nato nel 1959 ed entrato in Germania nel 1992 richiedendo asilo, aveva sposato nel 1993 una cittadina turca, lavoratrice stabile in Germania e in forza di ci�, egli aveva ottenuto nello stesso 1993 un permesso di soggiorno di durata determinata, poi modificato in permesso di durata indeterminata. Egli si era successivamente separato nel 2000 dalla moglie (naturalizzatasi gi� nel 1999) ed il matrimonio si era sciolto definitivamente nel 2003. Il Bozkurt era stato inoltre condannato per lesioni a pene detentive nel 1996 e nel 2000, e nel 2002 aveva commesso violenza sessuale e lesioni in danno della moglie ormai separata, fatto per il quale era stato condannato nel 2004 alla pena di due anni, condizionalmente sospesa. Al rilascio era seguito, nel 2005, il provvedimento di espulsione. Ci� premesso, il remittente rileva che il Bozkurt ha fatto valere la posizione giuridica di cui all�art. 7, prima frase, secondo trattino, della decisione 1/80, essendo egli divenuto, grazie al matrimonio, �familiare� di una lavoratrice turca in Germania inserita nel regolare mercato del lavoro, ed avendo convissuto con lei per oltre 5 anni. La titolarit� di tale diritto all�accesso al lavoro e al soggiorno � stata, invece, contestata dall�autorit� amministrativa che aveva disposto l�espulsione, sia perch� il ricorrente era uscito dal mercato del lavoro, sia perch� in ogni caso non poteva far valere quella posizione, avendo gravemente attentato all�incolumit� fisica della moglie, ovvero del soggetto cui egli doveva la titolarit� della posizione stessa. Ad avviso del remittente, il Bozkurt ha in effetti acquisito il diritto di soggiorno di cui al citato art. 7 e pertanto egli poteva essere allontanato - secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia � solo in due ipotesi: pericolo reale e grave per l�ordine pubblico, la sicurezza o la sanit� pubbliche ai sensi dell�art. 14 della decisione n. 1/80 e uscita spontanea dalla Germania per un periodo significativo e senza motivi legittimi, ipotesi entrambe insussistenti nel caso di specie. Tuttavia, ad avviso del remittente, pu� legittimamente dubitarsi del fatto che il Bozkurt, dopo il divorzio dalla moglie, sia ancora un �familiare�, ai 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 sensi e per gli effetti di cui all�art. 7. Infatti, prima della direttiva 2004/38/CE � non applicabile alla fattispecie in esame perch� in vigore dal 2006 � non esisteva una regolamentazione comunitaria del diritto al soggiorno del coniuge divorziato da un cittadino comunitario. Inoltre, il remittente ha osservato che, anche a voler ritenere che il Bozkurt fosse ancora un �familiare� al momento dell�espulsione, il far valere tale situazione giuridica poteva essere ricondotto ad un abuso del diritto per indegnit� nei confronti della dante causa e, pur ammettendo che la giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di abuso del diritto poteva indurre a conclusioni contrarie, il Collegio remittente ha sollecitato una pronuncia della Corte su tale specifica ipotesi. LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO Con riferimento al primo quesito, occorre preliminarmente ricordare che, nel 1963, � stato firmato ad Ankara un Accordo di associazione tra la CEE e la Turchia allo scopo di promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche. Per realizzare tali obiettivi, l�Accordo di associazione ha previsto la creazione di un�unione doganale e le Parti hanno convenuto di realizzare gradualmente la libera circolazione dei lavoratori nei loro rispettivi territori. Con tale Accordo � stato, inoltre, istituito il Consiglio di associazione che ha adottato la decisione di associazione n. 1/80, con la quale � stato introdotto un sistema graduale di integrazione dei cittadini turchi nel mercato del lavoro degli Stati membri ospitanti. L�articolo 6 della decisione n. 1/80 disciplina i diritti dei lavoratori turchi gi� regolarmente inseriti nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante mentre l�art. 7 prevede il diritto, per i familiari di un lavoratore turco gi� inserito nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante che siano stati autorizzati a raggiungerlo, di esercitarvi un�attivit� lavorativa autonoma dopo avervi risieduto regolarmente per un certo periodo di tempo. In particolare, per quanto qui interessa, l�articolo 7, primo comma, secondo trattino della decisione dispone che �i familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro ... beneficiano del libero accesso a qualsiasi attivit� dipendente di loro scelta se vi risiedono regolarmente da almeno cinque anni�. Come gi� accennato, i titolari di siffatta situazione giuridica possono essere allontanati da uno degli Stati membri solo in caso di concreto e grave pericolo per l�ordine pubblico, la sicurezza o la sanit� pubbliche, o di prolungato e ingiustificato allontanamento spontaneo dal territorio dello Stato membro ospitante (cfr., tra le altre decisioni richiamate dallo stesso remittente, la sentenza della Corte di Giustizia 18 luglio 2007, nella causa C-325/05, Derin). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 177 Si � visto anche che il remittente, nel rilevare l�insussistenza di tali situazioni legittimanti l�allontanamento del Bozkurt, ha piuttosto focalizzato l�attenzione sulla effettiva persistenza della qualifica di �familiare� anche dopo il divorzio. In particolare, ha osservato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di figli del lavoratore turco - che restano titolari della posizione giuridica e del conseguente diritto al soggiorno anche dopo il compimento della maggiore et� e la fine della convivenza con il genitore - non sarebbe automaticamente applicabile alla ben diversa situazione del divorziato, nella quale il legame coniugale � venuto meno. Al riguardo, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia appena richiamata, il sopravvenire di circostanze quali la maggiore et� o l�indipendenza economica e abitativa non fa venir meno il diritto acquisito ai sensi dell�art. 7 della decisione: �Infatti, il diritto dei familiari di un lavoratore turco di accedere, dopo un certo periodo di tempo, ad un lavoro nello Stato membro ospitante � volto proprio a consolidare la loro posizione in tale Stato offrendo loro la possibilit� di diventare autonomi� (cfr. sentenza Derin citata, punto 50). La stessa pronuncia ha pi� in generale chiarito � con riferimento ai familiari beneficiari del diritto al libero accesso ad un�attivit� lavorativa nello Stato membro ospitante, acquisito dopo cinque anni di regolare convivenza ai sensi dell�art. 7, primo comma secondo trattino � che �non soltanto l�effetto diretto che vi si ricollega ha come conseguenza che gli interessati traggono un diritto individuale in materia di occupazione direttamente dalla decisione n. 1/80, ma, inoltre, l�effetto utile di tale diritto implica necessariamente l�esistenza di un diritto correlativo di soggiorno indipendente dal mantenimento delle condizioni di accesso a tali diritti� (evidenza nostra, cfr. sentenza Derin, punto 52; in senso analogo, anche le sentenze 11 novembre 2004, causa C-467/02, Centinkaya, punto 31 e 7 luglio 2005, causa C-373/03, Aydinli, punto 25). Ad avviso del governo italiano, tali consolidati principi impediscono di distinguere, nell�ambito dei �familiari� presi in considerazione dall�art. 7, tra figli che divengono maggiorenni e coniuge che divorzia. In entrambi i casi, infatti, � da ritenere che il diritto all�accesso al lavoro (ed al conseguente soggiorno), pur venuto ad esistenza grazie al ricongiungimento e alla convivenza nei termini prescritti dalla decisione 1/80, si consolidi e si renda autonomo in capo al soggetto titolare del diritto stesso. In tal senso, oltre a considerazioni fondate sulla stessa ragione giustificativa della decisione 1/80, sembra potersi richiamare il sopravvenuto art. 13 della direttiva 2004/38/CE, secondo cui, ricorrendo determinate condizioni, il divorzio non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari (e quindi anche del coniuge, espressamente definito come �familiare� dall�art. 2 della direttiva) non aventi la cittadinanza di uno degli Stati membri. Tra le condizioni legittimanti il mantenimento, rileva tra l�altro (art. 13, 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 comma 2 lett. a) il fatto che il matrimonio sia durato almeno 3 anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell�inizio del procedimento giudiziario di divorzio, requisito sussistente nel caso di specie. Tuttavia, ai sensi dell�art. 13, comma 2 ultima parte, l�acquisizione del diritto di soggiorno permanente delle persone interessate rimane subordinato ai seguenti presupposti: a) esercitare un�attivit� lavorativa o autonoma; b) disporre di risorse sufficienti al fine di non diventare un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante; c) disporre di un�assicurazione malattia; d) far parte del nucleo familiare di una persona che soddisfi le suddette condizioni. Quindi se � vero che dal divorzio non discende automaticamente la perdita del diritto di soggiorno, � altrettanto vero che l�acquisizione del diritto di soggiorno permanente resta subordinato alla presenza dei richiamati requisiti, che il ricorrente sicuramente non possiede, risultando dall�ordinanza di rimessione che lo stesso � disoccupato e riceve prestazioni per assicurare il suo sostentamento ed � stato ospitato per oltre 5 anni in un ricovero municipale per senza tetto, sebbene dal 2005 abiti in un appartamento affittato da suo fratello. In proposito, va ricordato che, ai sensi dell�art. 59 del Protocollo addizionale del 23 novembre 1970 �nei settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non pu� beneficiare di un trattamento pi� favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virt� del trattato che istituisce la Comunit��. Alla luce di tale principio, va affermato che il cittadino turco familiare di lavoratore, non pu� fruire, in base all�Accordo tra la CEE e la Turchia, di maggiori garanzie rispetto a quelle che assistono i cittadini comunitari nei loro reciproci rapporti in ordine al mantenimento del diritto di soggiorno in caso di divorzio. Alla luce di quanto sopra, si ritiene che al primo quesito debba essere data risposta positiva, sempre che, dagli accertamenti del giudice nazionale, risulti che il coniuge divorziato sia in possesso dei requisiti per ottenere il dritto di soggiorno permanente. ** ** ** Con riferimento al secondo quesito, deve osservarsi che � come correttamente evidenziato dal Collegio remittente, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia � l�abuso del diritto pu� configurarsi, nella materia in esame, con riferimento al soggetto che si avvale di una situazione giuridica ottenuta col raggiro o con indicazioni erronee (ad es. un matrimonio di comodo), ipotesi nella specie insussistente. Per altro verso, il remittente ha posto in rilievo il fatto che � in caso di risposta positiva alla questione sub 1), e dunque configurando in via ormai autonoma il diritto del divorziato � il comportamento riprovevole di quest�ultimo non dovrebbe essere valutato diversamente se posto in essere verso l�avente diritto principale (nella specie, la ex coniuge di Bozkurt), rispetto ad un�ana- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 179 loga condotta ai danni di un terzo; e ci� sia per le finalit� pubbliche perseguite dall�espulsione, sia perch� i pericoli per l�ordine pubblico non possono dirsi accresciuti per il solo fatto che la condotta riprovevole si diriga nell�una o nell�altra direzione. Nonostante tali premesse, il remittente ha comunque ritenuto di investire la Corte di Giustizia per la specifica ipotesi in cui il soggetto debba ritenersi indegno di far valere la situazione giuridica acquisita grazie al matrimonio con �l�avente diritto principale�, avendo commesso un grave reato nei confronti di quest�ultimo, il che potrebbe integrare una violazione dell�ordine pubblico. Ritiene in proposito il Governo italiano che lo stesso giudice remittente, pur avendo affermato che non ricorrerebbero i presupposti di grave pericolo per l�ordine pubblico di cui all�art. 14 della decisione n. 1/80, tuttavia sembra incline a ritenere che il reato commesso nei confronti della ex moglie possa essere sintomatico di un pericolo di reiterazione, anche alla luce delle precedenti condanne riportate dal ricorrente sempre per reati contro la persona, e quindi tale da compromettere la sicurezza e l�ordine pubblico. In proposito, si ritiene che competa comunque al giudice nazionale accertare, caso per caso, alla luce dell�intero contesto che caratterizza la singola vicenda, se i reati commessi ed in particolare quelli commessi nei confronti di chi abbia reso il ricorrente beneficiario del diritto di soggiorno, costituendo un abuso del diritto tale da violare l�ordine pubblico, integrino gli estremi previsti dall�art. 14 della decisione n. 1/80. ** ** ** Il Governo Italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso che il diritto al lavoro ed al soggiorno acquisito, in quanto familiare, dal coniuge di un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro, conformemente all�art. 7, prima frase, secondo trattino, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE/Turchia continui a sussistere anche in seguito allo scioglimento del matrimonio, ricorrendo le condizioni per ottenere il permesso di soggiorno permanente. Il Governo Italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito nel senso che compete al giudice nazionale accertare, nel caso concreto, se integri gli estremi previsti dall�art. 14 della decisione n. 1/80 e violi l�ordine pubblico l�avvalersi abusivamente del diritto di soggiorno derivante dall�ex moglie da parte del cittadino turco che abbia stuprato o ferito quest�ultima e sia stato condannato per tale fatto ad una pena detentiva di due anni. Roma, 31 ottobre 2008 Avv. Wally Ferrante 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Causa C-310/08 - Materia trattata: cittadinanza europea - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (Civil Division) (England and Wales) (Regno Unito) l�11 luglio 2008 - London Borough of Harrow/Nimco Hassan Ibrahim e Secretary of State for the Home Department. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 36095/08). LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI Nel caso in cui i) il coniuge, non avente la cittadinanza UE, e i figli, cittadini UE, abbiano accompagnato un cittadino UE che sia giunto nel Regno Unito ii) il cittadino UE abbia lavorato nel Regno Unito iii) il cittadino UE abbia poi smesso di lavorare e abbia successivamente lasciato il Regno Unito iv) il cittadino UE, il coniuge non avente la cittadinanza UE e i figli non siano economicamente autosufficienti e dipendano dall'assistenza sociale nel Regno Unito v) i figli abbiano incominciato a frequentare la scuola elementare nel Regno Unito poco dopo esservi giunti, nel periodo in cui il cittadino UE lavorava: 1) Se il coniuge e i figli godano del diritto di soggiorno nel Regno Unito solo qualora posseggano i requisiti di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CEE oppure 2) i) Se essi godano del diritto di soggiorno in forza dell'art. 12 del regolamento (CEE) 15 ottobre 1968, n. 1612, come interpretato dalla Corte di giustizia, senza dover necessariamente possedere i requisiti di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CEE e ii) se, in tal caso, occorra che essi dispongano di risorse sufficienti, in modo da non divenire un onere per il sistema assistenziale dello Stato membro ospitante per il periodo in cui intendono soggiornarvi, e che posseggano una copertura assicurativa sanitaria completa nello Stato membro ospitante; 3) in caso di risposta affermativa alla questione sub 1), se la situazione sia diversa qualora, come nel caso di specie, i figli abbiano incominciato a frequentare la scuola elementare e il lavoratore cittadino UE abbia smesso di lavorare prima della data entro la quale la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CEE doveva essere trasposta dagli Stati membri. IL FATTO La Corte d�Appello inglese ha sollevato le questioni pregiudiziali riportate, nell�ambito di un giudizio nel quale una donna, cittadina somala, afferma il suo diritto di soggiornare insieme con i figli minori (tutti cittadini comunitari) in Gran Bretagna, poich� il marito separato, cittadino danese, aveva la- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 181 vorato nel Regno Unito prima di abbandonare il lavoro, recarsi in un paese non UE e tornare in Inghilterra, permanendo al suo ritorno in uno stato di disoccupazione volontaria. Nella situazione oggetto della causa, tutti i componenti della famiglia sono privi di autonome fonti di sostentamento e dipendono totalmente dall�assistenza sociale inglese e due dei quattro figli della coppia, tutti minori, frequentano dalla data del loro arrivo in Inghilterra, la scuola dell�obbligo. Le autorit� amministrative inglesi hanno negato il diritto della donna di ottenere un alloggio pubblico in quanto, secondo la loro prospettazione, costei non avrebbe un autonomo diritto di soggiornare nel Regno Unito. Al contrario, la donna afferma la sussistenza di tale diritto in quanto madre affidataria dei minori che frequentano la scuola dell�obbligo in Inghilterra. LA NORMATIVA COMUNITARIA Con la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (da ora la direttiva), il legislatore comunitario ha inteso superare la frammentazione delle disposizioni in materia di diritto di libera circolazione e soggiorno allo scopo di facilitare l�esercizio di tali diritti, da riconoscere non solo ad ogni cittadino dell�Unione ma anche ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. A tal fine � stato parzialmente abrogato e modificato il regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit� (da ora regolamento) che costituiva la principale fonte normativa comunitaria in materia. L�articolo 12 del regolamento dispone: �I figli del cittadino di uno Stato membro, che sia o sia stato occupato sul territorio di un altro Stato membro, sono ammessi a frequentare corsi d�insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono. Gli Stati membri incoraggiano le iniziative intese a permettere a questi giovani di frequentare i predetti corsi nelle migliori condizioni�. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO Primo e secondo quesito Con il primo e con il secondo quesito, che prospettano due soluzioni alternative alla medesima domanda, la Corte d�appello inglese chiede nella so- 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 stanza se, nella fattispecie, debba applicarsi il regolamento 2004/38/CEE ovvero l�art. 12 del regolamento CEE n. 1612/1968, come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria. La Corte di Giustizia, chiamata pi� volte a interpretare tale ultima disposizione, ne ha fornito un�interpretazione estensiva, affermando che la norma � dettata anche in favore degli ex lavoratori migranti, non essendo necessario accertare che il lavoratore migrante, nel momento in cui il figlio voglia avvalersi di tale disposizione si trovi ancora nel paese ospitante o vi svolga attivit� di lavoro dipendente (cfr. per tutte sentenza 15 marzo 1989, cause riunite 389/87 e 390/87, Echternach). La Corte di Giustizia ha inoltre affermato il diritto del genitore affidatario di godere del diritto di soggiorno nel caso in cui i figli, sulla base dell�autonomo diritto a proseguire gli studi, possano permanere nel paese ospitante anche in assenza del lavoratore comunitario da cui originariamente derivava il diritto di soggiorno (sentenza 17 settembre 2002, causa C-413/99 Baumbast). I giudici remittenti dubitano che tali principi possano applicarsi al caso di specie, in quanto, nelle questioni affrontate, la Corte di Giustizia avrebbe valutato casi in cui i minori ed il genitore affidatario godevano della autosufficienza economica e (seppure non totalmente) della necessaria copertura sanitaria, requisiti mancanti nel caso di specie. Inoltre, ad avviso dei remittenti la direttiva pur non avendo abrogato il citato articolo 12 del regolamento, sarebbe applicabile in luogo di tale disposizione, proprio per aver creato un autonomo e completo sistema normativo in materia, incompatibile con l�interpretazione fornita nei casi citati dalla Corte di Giustizia, poich�, nella nuova disciplina, sarebbero comunque richiesti ulteriori requisiti quali quello della autosufficienza economica oppure dello status di lavoratore migrante in capo al lavoratore comunitario cui la famiglia appartenga. Tale interpretazione trarrebbe spunto dall�articolo 12, punto 3, della direttiva che, disciplinando le ipotesi di decesso o partenza del lavoratore migrante dispone che: �La partenza del cittadino dell�Unione dallo Stato membro ospitante o il suo decesso non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l�effettivo affidamento, indipendentemente dalla sua cittadinanza, se essi risiedono nello Stato membro ospitante e sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, finch� non terminano gli studi stessi�. Secondo i giudici remittenti, tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso di negare il diritto di soggiorno ai familiari di un ex lavoratore migrante, che abbia smesso di lavorare prima di lasciare lo Stato membro ospitante. Secondo il Governo italiano, dovrebbe invece applicarsi, nella fattispecie, l�art. 12 del regolamento cos� come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 183 Infatti, l�articolo 38 della direttiva ha abrogato i soli articoli 10 e 11 del regolamento e proprio tale abrogazione esplicita fa ritenere che il legislatore comunitario abbia voluto mantenere in vigore l�articolo 12, del regolamento. Non pu� condividersi, inoltre, l�affermazione dei giudici remittenti secondo i quali vi sarebbe un intrinseco collegamento tra l�articolo 12 del regolamento e l�abrogato articolo 10 (che conferiva ai figli minori di 21 anni il diritto di �stabilirsi� nello stato membro ospitante mentre l�articolo 12 si limiterebbe esclusivamente ad attribuire loro il diritto di accedere all�istruzione). Si ritiene invece che le diverse disposizioni del regolamento (artt. 10 e 12), avessero una loro autonomia e dunque per l�applicazione dell�art. 12 del regolamento (principio affermato nella piena vigenza dello stesso) �non � necessario che continuino a sussistere le condizioni di cui all�articolo 10 (del regolamento). Tale norma definisce la cerchia di soggetti che pu� risiedere in qualit� di familiare presso il lavoratore subordinato nel paese ospitante. Essa esige, in particolare, che il lavoratore garantisca il sostentamento alle persone interessate. Tuttavia, i diritti di cui all�articolo 12 del regolamento si collegano soltanto al fatto che tale situazione sia sussistita nel passato. Nel presente ne prescindono. E� sufficiente pertanto che il figlio abbia vissuto in uno Stato membro con i genitori, o con uno dei genitori, nel periodo durante il quale quanto meno uno dei genitori vi risiedesse come lavoratore subordinato� (evidenza nostra, cfr. conclusioni dell�Avvocato Generale Kokott del 25 maggio 2004, nella causa C-302/02, punto 58, nonch� sentenza 4 maggio 1995, causa C-7/94, Gaal; sentenza 21 giugno 1988, causa 197/86, Brown) . L�accertamento in fatto deve essere compiuto dai giudici remittenti, giungendo alla conclusione che se anche in un momento passato il requisito della presenza nello Stato ospitante di uno dei genitori con la qualifica di lavoratore migrante sia stato presente, il figlio avr� acquisito un proprio autonomo diritto di soggiorno fino al compimento del ciclo di studi, diritto da estendere al genitore affidatario, come pi� volte affermato dalla Corte di Giustizia, che ha nelle diverse decisioni sempre affermato la necessit� di prescindere, in tali casi, da ogni accertamento sulla autosufficienza economica dei figli e del genitore affidatario (cfr. sentenza Baumbast, cit.). Tale conclusione pare suffragata sia dall�esplicita non abrogazione dell�articolo 12 del regolamento (come interpretato dalla Corte di Giustizia, interpretazione nota al legislatore comunitario al momento dell�adozione della direttiva), sia dalla lettura dei �considerando� della direttiva che se affermano, come sottolineato dai giudici remittenti, che i familiari non devono divenire un eccessivo onere per il sistema sociale del paese ospitante, precisano che: �Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di ordine pubblico, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell�Unione europea (n.d.r. quali i figli minori nella fattispecie riportata) che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Stato membro ospitante, in particolare qualora vi siano nati e vi abbiano soggiornato per tutta la vita� (evidenza nostra, cfr. considerando n. 24). Ulteriore indice a favore di tale interpretazione pu� trarsi dall�articolo 14 n. 2 della direttiva, nella parte in cui precisa che i cittadini dell�Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno finch� soddisfano le condizioni previste dalla direttiva, con esplicito richiamo all�articolo 12 della stessa relativo alla conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell�Unione. Tale articolo, come detto, (e a prescindere dalla sua applicazione nel caso concreto) prevede il diritto dei figli del lavoratore che abbia lasciato lo Stato membro ospitante e del loro genitore affidatario di permanere in tale Stato fino al completamento degli studi, senza chiedere che sia soddisfatto il requisito della autosufficienza economica. Pertanto, alla luce di quanto esposto, si ritiene che nella fattispecie in esame, il coniuge extracomunitario e i figli minori comunitari dell�ex lavoratore comunitario godano del diritto di soggiorno in forza dell�art. 12 del regolamento, come interpretato dalla Corte di giustizia senza dover necessariamente possedere i requisiti di cui alla direttiva e cio�: a) esercitare un�attivit� lavorativa; b) disporre per s� e per i familiari di risorse sufficienti affinch� non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante; c) disporre di un�assicurazione malattia; d) far parte del nucleo familiare di una persona che soddisfa tali condizioni. Terzo quesito Alla luce della risposta negativa fornita al primo quesito e alla risposta positiva fornita al secondo quesito, non � necessario rispondere al terzo quesito che presuppone una risposta affermativa al primo quesito. ** ** ** Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo e il secondo quesito nel senso che il coniuge extracomunitario separato che non sia economicamente autosufficiente e i figli minori comunitari - frequentanti la scuola elementare - dell�ex lavoratore comunitario, allontanatosi dal Paese ospitante e poi rientratovi, godano del diritto di soggiorno in forza dell�art. 12 del regolamento n. 1612/1968, come interpretato dalla Corte di giustizia, senza dover necessariamente possedere i requisiti di cui alla direttiva n. 2004/38/CE. Alla luce della risposta fornita ai primi due quesiti, non � necessario rispondere al terzo quesito. Roma, 14 novembre 2008 Avv. Wally Ferrante IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 185 Causa C-471/08 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Helsingin K�r�j�oikeus (Finlandia) il 4 novembre 2008 - Sanna Maria Parviainen/Finnair Oyj. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 1825/09 - Tutela maternit� hostess Finlandia). LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE Se l�art. 11, punto 1, della direttiva sulla protezione della gravidanza debba essere interpretato nel senso che, in base alla direttiva stessa, una lavoratrice che, a causa della gravidanza, � stata adibita a mansioni a cui corrisponde una retribuzione inferiore, deve ricevere una retribuzione della stessa entit� di quella che percepiva in media prima del suo trasferimento. Se a tal fine sia rilevante il tipo d�indennit� che veniva corrisposta alla lavoratrice in aggiunta alla retribuzione base e quale ne fosse il fondamento. IL FATTO La ricorrente, dipendente di una compagnia aerea finlandese, ricopre le funzioni di responsabile di cabina e, per effetto del suo stato di gravidanza, � stata adibita ad un lavoro a terra. In base al suo contratto di lavoro, oltre alla retribuzione base, la stessa percepisce diverse integrazioni per l�esercizio di una funzione direttiva nonch� in ragione degli orari, del numero di voli, del tipo di voli (interno, di lunga durata, con cambio di fuso orario ecc). Da quando � stata destinata al lavoro a terra, la retribuzione mensile complessiva della ricorrente � diminuita di � 834,56. La stessa lamenta un trattamento discriminatorio a causa del suo stato di gravidanza e chiede che le venga corrisposta la stessa retribuzione complessiva che percepiva per l�attivit� in volo. Il giudice remittente ha quindi chiesto alla Corte di giustizia di stabilire se, conformemente alla direttiva 92/85/CEE, concernente l�attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (di seguito, direttiva sulla protezione della gravidanza) la ricorrente, la quale a causa della gravidanza � stata adibita ad altre mansioni, dovesse percepire una retribuzione dello stesso importo di quella percepita in precedenza. LA NORMATIVA COMUNITARIA RILEVANTE Va ricordato che l�art. 137, comma 1, lettera i) del Trattato prevede il sostegno della Comunit� all�azione degli Stati membri nel settore della parit� tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunit� sul mercato del lavoro 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 ed il trattamento sul lavoro. Pi� in dettaglio, l�art. 141 del Trattato dispone l�adozione di misure che assicurino l�applicazione del principio delle pari opportunit� e della parit� di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parit� delle retribuzioni. La Commissione, nel suo programma di azione per l�applicazione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata il 9 dicembre 1989 dal Consiglio europeo di Strasburgo, ha fissato tra gli obiettivi quello dell�adozione da parte del Consiglio di una direttiva riguardante la protezione sul lavoro della donna gestante. E� stata quindi adottata la direttiva 92/85/CEE che, al suo ottavo considerando, prevede che le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento debbano essere considerate sotto molti punti di vista come un �gruppo esposto a rischi specifici� ai sensi della direttiva 89/391/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, con conseguente necessit� di adottare nei loro confronti misure volte alla protezione della loro sicurezza e salute. In particolare, per quanto qui interessa, al tredicesimo considerando, la direttiva ritiene opportuno prevedere disposizioni affinch� le lavoratrici gestanti, puepere o in periodo di allattamento non siano tenute a prestare lavoro di notte, qualora ci� sia necessario sotto l�aspetto della loro sicurezza o salute. Inoltre, al nono considerando, la predetta direttiva prevede che detta protezione delle lavoratrici in gravidanza non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne. Al riguardo, il sedicesimo considerando della direttiva precisa che le misure di organizzazione del lavoro a scopo di protezione della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non avrebbero un effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un indennit� adeguata. La parit� fra uomini e donne costituisce peraltro un principio fondamentale del diritto comunitario, sancito dagli articoli 2 e 3, comma 2 del Trattato, che si propone appunto di eliminare le disuguaglianze. Gli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea vietano anch�essi qualsiasi discriminazione fondata sul sesso e sanciscono il diritto alla parit� di trattamento fra uomini e donne in tutti i campi, ed anche in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Viene inoltre in considerazione la direttiva 76/207/CEE, relativa all�attuazione del principio della parit� di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l�accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro che, sia all�art. 2, n. 1, sia all�art. 5 n. 1, precisa IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 187 che il principio di parit� di trattamento implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia. In base al terzo considerando della predetta direttiva 76/207/CEE, la parit� di trattamento tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile costituisce uno degli obiettivi della Comunit� in quanto si tratta in particolare di promuovere la parificazione nel progresso delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera. Va ricordato che la predetta direttiva � stata abrogata, con decorrenza 15 agosto 2009, dalla direttiva 5 luglio 2006 n. 2006/54/CEE (art.34), riguardante l�attuazione del principio delle pari opportunit� e della parit� di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, che, al suo ventiquattresimo considerando, ricorda che la Corte di giustizia ha costantemente riconosciuto la legittimit�, per quanto riguarda il principio di parit� di trattamento, della protezione della condizione biologica della donna durante la gravidanza e la maternit� nonch� dell�introduzione di misure di protezione della maternit� come strumento per garantire una sostanziale parit�. LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO Al fine di rispondere al quesito posto dal giudice remittente, non si pu� prescindere dalla disamina congiunta di due sottesi profili di legittimit� della questione rappresentata: da un lato, la protezione sul lavoro della donna gestante, anche e soprattutto in relazione al suo diritto alla salute e, dall�altro, la conservazione del trattamento economico nel rapporto di lavoro. A norma dell� art. 5, paragrafi 1e 2 della direttiva 92/85/CEE �1. Fatto salvo l�art. 6 della direttiva 89/39l/CEE qualora i risultati della valutazione ai sensi dell�art. 4, paragrafo 1 rivelino un rischio per la sicurezza o la salute di una lavoratrice di cui all�art.2, nonch� ripercussioni sulla gravidanza o l�allattamento, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinch� l�esposizione di detta lavoratrice al rischio sia evitata modificando temporaneamente le sue condizioni di lavoro e/o il suo orario di lavoro. 2. Se la modifica delle condizioni di lavoro e/o dell�orario di lavoro non � tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non pu� essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinch� la lavoratrice in questione sia assegnata ad altre mansioni� (evidenza nostra). Se non si pu� confutare la legittimit� di siffatto mutamento di mansione, in ipotesi anche inferiori, alla luce del principio fondamentale del diritto alla salute della lavoratrice e della prevenzione di rischi nel portare avanti la gravidanza, occorre esaminare se � legittimo ridurre il trattamento economico della ricorrente in ragione della diversit� delle mansioni. 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Ai sensi dell�art. 11 della direttiva n. 92/85/CEE: �per garantire alle lavoratrici di cui all�art.2, l�esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo: 1) nei casi contemplati ai numeri 5, 6 e 7, alle lavoratrici di cui all�art. 2 devono essere garantiti, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, i diritti connessi con il contratto di lavoro compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un�indennit� adeguata; (evidenza nostra). 2) nel caso contemplato all�art. 8 devono essere garantiti: a) i diritti connessi con il contratto di lavoro delle lavoratrici di cui all�art. 2, diversi da quelli specificati nella lettera b) del presente punto; b) il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un�indennit� adeguata alle lavoratrici di cui all�art.2; 3) l�indennit� di cui al punto 2), lett. b) � ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attivit� per motivi connessi allo stato di salute entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali; 4) gli Stati membri hanno la facolt� di subordinare il diritto alla retribuzione o all�indennit� di cui al punto 1) e al punto 2) lett. b) al fatto che la lavoratrice, interessata soddisfi le condizioni previste dalle legislazioni nazionali per usufruire del diritto a tali vantaggi (...)�. Pertanto, con riferimento al paragrafo 1 del predetto articolo, che qui interessa in modo specifico, qualora una lavoratrice gestante (art. 2) venga adibita a mansioni diverse (art. 5) per evitare il rischio di esposizione agli agenti e alle condizioni che mettano in pericolo la sua sicurezza e la sua salute (art. 6), come il lavoro notturno (art. 7), la direttiva garantisce il mantenimento di una retribuzione o di una indennit� adeguata. In proposito, mentre la Corte di giustizia si � gi� espressa sulla nozione di retribuzione o indennit� adeguata con riferimento all�art. 11, paragrafi 2 e 3 spettante durante il congedo per maternit� (art. 8) e, quindi nel caso di totale assenza dal lavoro, stabilendo che in tale periodo non deve essere necessariamente corrisposta la retribuzione integrale - bench� debba comunque essere corrisposta una prestazione che non sia cos� esigua da vanificare lo scopo del congedo di maternit� � (Corte di giustizia, sentenza del 13.2.1996, causa C- 342/93, Gillespie, punti 20 e 25), non risulta che la Corte si sia ancora pronunciata sulla nozione di retribuzione o indennit� adeguata con riferimento all�art. 11, paragrafo 1 e cio� quando la lavoratrice non sia assente dal lavoro ma venga adibita a mansioni diverse a tutela del suo stato di gestante. Al riguardo, mentre l�art. 11, paragrafo 3 fornisce un�indicazione precisa per stabilire il criterio di adeguatezza dell�indennit� in caso di congedo per maternit�, precisando che la stessa deve assicurare �redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attivit� per motivi connessi allo stato di salute�, equiparando quindi l�as- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 189 senza per maternit� all�assenza per malattia, nulla dice per determinare l�adeguatezza della retribuzione in caso di destinazione a mansioni diverse della lavoratrice gestante. In proposito, va osservato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le esigenze di buon funzionamento dell�impresa o il danno economico subito dal datore di lavoro, che non pu� adibire la donna in stato interessante a tutte le mansioni collegate con il suo posto, non possono giustificare trattamenti discriminatori fondati sul sesso (Corte di giustizia, sentenza del 27 febbraio 2003, causa C-320/01, Busch, punto 44; sentenza 8 novembre 1990, causa C177/88, Dekker, punto12; sentenza 3 febbraio 2000, causa C-207/98, Mahlburg, punto 29; sentenza del 4 ottobre 2001, causa C-109/00, Tele Danmark, punto 28). Da quanto sopra, si evince chiaramente che l�intento perseguito dal legislatore comunitario � quello di apprestare una tutela concreta e reale alla maternit�, evitando che le misure poste a garanzia della salute psico-fisica della donna possano integrare comunque una discriminazione diretta o indiretta a causa della gravidanza. Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternit� costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso (sentenza 8.11.1990, causa C-179/88, Hertz, punto 13). Per questo nella citata sentenza Gillespie (causa C-342/93), invocata dalla parte ricorrente nella causa principale, la Corte ha ritenuto che la nozione di retribuzione comprende tutti i vantaggi pagati direttamente o indirettamente dal datore di lavoro in ragione dell�impiego (punto 12) e che pertanto l�importo delle prestazioni corrisposte durante il congedo per maternit� deve ricomprendere gli aumenti di stipendio decisi in tale periodo per gli altri lavoratori con effetto retroattivo (punto 22). Quanto alla sentenza della Corte di giustizia del 27.10.1998, causa C- 411/96, Boyle, invocata dalla convenuta nella causa principale, si rileva che, in quel caso, la Corte si era occupata della legittimit� di una clausola contrattuale, applicata da un ente inglese, in base alla quale la retribuzione percepita durante il congedo di maternit� avrebbe dovuto essere rimborsata al datore di lavoro qualora la lavoratrice non avesse ripreso l�attivit� lavorativa dopo il parto almeno per un mese. In realt�, nessuna delle due suddette sentenze, richiamate rispettivamente dalla parte ricorrente e dalla parte convenuta nella causa principale, riguardano la nozione di retribuzione della donna in gravidanza adibita a mansioni diverse. Il caso affrontato nella citata sentenza Bush (causa C-320/01), offre invece interessanti spunti per rispondere al quesito posto alla Corte dal giudice remittente. 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 In detta sentenza, la Corte ha affermato la contrariet� ai principi del diritto comunitario del diniego opposto dal datore di lavoro di interrompere il congedo parentale gi� concesso ad una lavoratrice che aveva chiesto di rientrare al lavoro anticipatamente senza comunicare il suo nuovo stato di gravidanza, che avrebbe comportato il divieto per la stessa di svolgere determinate mansioni in ragione del suo stato. In proposito, la Corte ha osservato che �la circostanza che la Sig.ra Busch, chiedendo il proprio reintegro, abbia nutrito l�intento di percepire il sussidio di maternit�, pi� elevato del sussidio per congedo parentale, nonch� l�integrazione del sussidio di maternit� corrisposto dal datore di lavoro, non pu� giustificare, in diritto, una discriminazione fondata sul sesso� (punto 46). Infatti, la Corte ha considerato irrilevanti a tal fine le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per il datore di lavoro dall�obbligo di reintegrare nel suo posto di lavoro una donna in stato interessante che, durante la gravidanza, non potrebbe svolgere tutte le mansioni collegate al suo posto (punto 44). Da quanto sopra, dovrebbe potersi dedursi che la lavoratrice gestante, adibita ad altre mansioni a tutela della sua salute, non dovrebbe subire, per ci� solo, pregiudizi economici di alcun tipo. In relazione all�ordinamento italiano, si fa presente che il decreto legislativo n. 151 del 26.3.2001, recante il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternit� e della paternit�, contiene, all�art. 3, una norma di carattere generale sul divieto di discriminazione. Essa sancisce in particolare, al comma 1, il divieto di �qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l�accesso al lavoro indipendentemente dalle modalit� di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attivit�, a tutti i livelli della gerarchia professionale, attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza ��. Il successivo comma 3 del medesimo art 3, sancisce poi il divieto di �qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda la retribuzione, la classificazione professionale, l�attribuzione di qualifiche e mansioni e la progressione nella carriera ��. Si tenga presente, altres�, che con riferimento alla materia del trattamento economico, l�articolo 7, comma 5, del citato decreto legislativo n. 151 del 2001 prevede, a tutela della donna durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di et� del figlio, che �la lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonch� la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all�art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori� (evidenza nostra). In proposito, l�art. 2103 del codice civile italiano, modificato dall�art. 13 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), stabilisce che �il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali � stato assunto, o a IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 191 quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione (...)� (evidenza nostra). L�articolo appena esaminato, dunque, contiene il principio generale della irriducibilit� della retribuzione, secondo cui il mutamento delle mansioni del lavoratore non deve comportare una diminuzione del livello retributivo. In particolare, fanno parte della retribuzione irriducibile tutte quelle erogazioni che vengono corrisposte per le specifiche capacit� del lavoratore (ad esempio le conoscenze tecniche), in quanto le stesse permangono anche nell�ipotesi di un mutamento dei compiti e delle attivit� lavorative. Inoltre, sono viziati da nullit� assoluta i patti con cui le parti del rapporto di lavoro intendano derogare a questo principio di irriducibilit� della retribuzione: l�art. 2113 del codice civile stabilisce, infatti, che �Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all�art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide�. Ci� detto in linea generale, il citato art. 7, comma 5 del decreto legislativo n. 151 del 2001 consente una sottoutilizzazione del patrimonio professionale della lavoratrice in gravidanza e fino a sette mesi di et� del figlio, solo in quanto ci� sia preordinato alla tutela del diritto alla salute della madre e del figlio, tutela garantita dall�art. 32 della Costituzione italiana. Ciononostante, come prescritto espressamente dalla predetta legge, il demansionamento temporaneo non pu� comportare in alcun caso una diminuzione della retribuzione, n� una variazione della qualifica originale. Con riferimento alla seconda parte del quesito posto alla Corte, si ritiene, tuttavia, che possa essere rilevante il tipo di indennit� che veniva corrisposta alla lavoratrice in aggiunta alla retribuzione base e quale ne fosse il fondamento. La convenuta ha opposto in particolare che le integrazioni salariali percepite dalla lavoratrice prima della destinazione al lavoro a terra dipendevano dal numero e dal tipo di voli (interni, internazionali o intercontinentali) e che la diminuzione della retribuzione complessiva era anche conseguente all�impossibilit� di applicare indennit� giornaliere in esenzione di imposta, previste solo per l�attivit� in volo in base al diritto tributario. Con riferimento alle indennit� aggiuntive rispetto alla retribuzione base, occorrer� quindi distinguere tra quelle corrisposte in considerazione delle qualit� professionali intrinseche della lavoratrice, che non dovrebbero poter essere soppresse o diminuite da parte del datore di lavoro nell�ipotesi di esercizio dello ius variandi a tutela della salute della lavoratrice, e quelle erogate in ragione di particolari modalit� della prestazione lavorativa, che essendo corrisposte soltanto per compensare particolari disagi o difficolt� della lavoratrice, potrebbero essere soppresse allorch� vengano meno le specifiche situazioni che le hanno generate. 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 In proposito, si ritiene che spetti comunque al giudice nazionale valutare, in relazione al caso concreto, l�incidenza del tipo e del fondamento delle indennit� aggiuntive sull�obbligo del datore di lavoro di assicurare alla lavoratrice gestante la medesima retribuzione anche nel caso di espletamento di mansioni diverse a tutela della sua salute. ** ** ** Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito affermando che l�art. 11, punto 1, della direttiva sulla protezione della gravidanza debba essere interpretato nel senso che, in base alla direttiva stessa, una lavoratrice che, a causa della gravidanza, � stata adibita a mansioni a cui corrisponde una retribuzione inferiore, deve ricevere una retribuzione della stessa entit� di quella che percepiva in media prima del suo trasferimento. A tal fine pu� essere, tuttavia, rilevante il tipo e il fondamento dell�indennit� che veniva corrisposta alla lavoratrice in aggiunta alla retribuzione base e spetta al giudice nazionale valutare le conseguenze di detta rilevanza. Roma, 28 febbraio 2009 Avv. Wally Ferrante Causa C-565/08 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Ricorso presentato il 19 dicembre 2008 - Commissione delle Comunit� europee/Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 3557/09). LE CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE - Constatare che, prevedendo delle disposizioni che impongono agli avvocati l'obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 43 e 49 CE; - Condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese del giudizio. I MOTIVI E I PRINCIPALI ARGOMENTI La fissazione di tariffe massime obbligatorie per le attivit� giudiziali e stragiudiziali degli avvocati costituisce una restrizione alla libert� di stabilimento ai sensi dell'articolo 43 CE, nonch� una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell'articolo 49 CE. Infatti, un tariffario massimo obbligatorio che deve essere applicato indipendentemente dalla qualit� dell'opera svolta, dal lavoro necessario a svolgerlo, e dai costi sopportati per effettuarlo, pu� rendere il mercato italiano dei servizi legali non attraente per i professionisti esteri. Gli avvocati stabiliti in altri Stati membri sono dunque disincentivati a stabilirsi in IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 193 Italia ovvero a prestarvi temporaneamente i propri servizi. In primo luogo, perch� il doversi adattare ad un nuovo sistemadi tarifficazione (peraltro molto complesso) comporta costi aggiuntivi che possono ostacolare l'esercizio delle libert� fondamentali riconosciute dal trattato. In secondo luogo, il limite massimo del tariffario rappresenta un ulteriore freno alla libera circolazione dei servizi legali nel mercato interno poich� impedisce che la qualit� delle attivit� svolte da avvocati stabiliti in Stati membri diversi dall'Italia sia correttamente remunerata e quindi dissuadendo taluni avvocati, i quali chiedono onorari pi� elevati di quelli stabiliti dalla regolamentazione italiana in funzione delle caratteristiche del mercato italiano, dal prestare temporaneamente i propri servizi in Italia, ovvero dallo stabilirsi in tale Stato. Infine, la rigidit� del sistema di tarifficazione italiano impedisce all'avvocato (incluso quello stabilito all'estero) di fare offerte ad hoc in situazioni e/o a clienti particolari. Ad esempio, offrire un pacchetto di determinati servizi legali ad un prezzo fisso. Ovvero offrire un insieme di servizi legali prestati in diversi Stati membri ad una tariffa comune. La legislazione italiana pu� dunque comportare una perdita di competitivit� da parte di avvocati stabiliti all'estero perch� priva gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione sul mercato legale italiano. Inoltre, la misura controversa non appare n� idonea al raggiungimento degli scopi di interesse generale indicati dalle autorit� italiane, n� la meno restrittiva a tal fine. In particolare, essa non appare idonea al fine di garantire l'accesso alla giustizia ai meno abbienti, ovvero a garantire la tutela dei destinatari dei servizi legali o ancora ad assicurare il buon funzionamento della giustizia. N� appare essa proporzionata visto che esistono altre misure che appaiono sensibilmente meno restrittive nei confronti degli avvocati stabiliti all'estero, e parimenti (o maggiormente) idonee a conseguire gli scopi di tutela invocati dalle autorit� italiane. Infine, le autorit� italiane non hanno spiegato se e quali misure alternative, e di carattere meno restrittivo nei confronti degli avvocati stabiliti in altri Stati membri, siano state esaminate, n� hanno illustrato le ragioni per cui gli interessi generali perseguiti non sarebbero gi� tutelati dalle disposizioni che regolano la professione forense negli altri Stati membri della Comunit�. IL CONTRORICORSO DEL GOVERNO ITALIANO Con ricorso proposto ai sensi dell�art. 226 CE, notificato il 12 gennaio 2009, la Commissione delle Comunit� Europee ha adito la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee allo scopo di far constatare che, prevedendo delle disposizioni che impongono agli avvocati l�obbligo di rispettare le tariffe massime, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi imposti dagli articoli 43 e 49 del trattato CE. 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Precisamente, nelle conclusioni del proprio ricorso, �la Commissione rileva l�incompatibilit� con gli articoli 43 e 49 del trattato CE delle norme nazionali che fissano delle tariffe massime inderogabili per le attivit� degli avvocati ed in particolare delle seguenti disposizioni: gli articoli 57 e 58 del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, come successivamente modificato, l�articolo 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, l�articolo 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31 e le pertinenti disposizioni del decreto ministeriale 24 novembre 1990, n. 392, del decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585 e del decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 e del decreto legge del 4 luglio 2006, n. 223 convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248� (di seguito �le disposizioni controverse�). La legislazione italiana Il regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 disciplina la professione di avvocato e, all�art. 57, dispone che: �I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennit� dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione ed al Tribunale supremo militare. Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia�. Ai sensi dell�art. 58 del citato regio decreto legge: �I criteri di cui al precedente articolo sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell�autorit� chiamata a conoscerne e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi. Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo. Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell�entit� dell�affare�. A norma dell�art. 60 del predetto regio decreto legge: �La liquidazione degli onorari � fatta dall�autorit� giudiziaria in base ai criteri stabiliti a termini dell�art. 57, tenuto conto della gravit� e del numero delle questioni trattate. Per le cause di valore indeterminato o relative a materie non suscettibili di valutazione pecuniaria si ha riguardo alla natura e all�importanza della contestazione. Per determinare il valore della controversia si ha riguardo a ci� che ha formato oggetto di vera contestazione. L�autorit� giudiziaria deve contenere la liquidazione entro i limiti del massimo e del minimo fissati a termini dell�art. 58. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 195 Tuttavia nei casi di eccezionale importanza, in relazione alla specialit� delle controversie, quando il pregio intrinseco dell�opera lo giustifichi, il giudice pu� oltrepassare il limite massimo; � parimenti in sua facolt�, quando la causa risulti di facile trattazione, di attribuire l�onorario in misura inferiore al minimo. In questi casi la decisione del giudice deve essere motivata. Le stesse norme si applicano nei giudizi arbitrali� (evidenza nostra). L�art. 61 del citato regio decreto legge prevede che : �L�onorario dell�avvocato nei confronti del proprio cliente , in materia sia giudiziale sia stragiudiziale, � determinato, salvo patto speciale, in base ai criteri di cui all�art. 57, tenuto conto della gravit� e del numero delle questioni trattate. Tale onorario, in relazione alla specialit� della controversia o al pregio o al risultato dell�opera prestata, pu� essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese. Fermo il disposto degli artt. 4 e 7 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1531, sul procedimento d�ingiunzione gli avvocati possono chiedere il decreto di ingiunzione in confronto dei propri clienti anche all�autorit� giudiziaria della circoscrizione per la quale � costituito l�albo in cui sono iscritti, osservate le norme relative alla competenza per valore. Le convenzioni in contrario devono risultare da atto scritto� (evidenza nostra). L�articolo 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, dispone: �Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione contraria � nulla�. L�articolo 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31 sulla libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri della Comunit� europea prevede che: �Per le attivit� professionali svolte sono dovute agli avvocati indicati all�articolo 1 i diritti e le indennit� nella misura stabilita in materia giudiziale e stragiudiziale a norma del vigente ordinamento professionale�. I diritti e gli onorari di avvocato sono stati successivamente disciplinati da vari decreti ministeriali, di cui gli ultimi tre sono il D. M. 24 novembre 1990, n. 392, il D.M. 5 ottobre 1994 e il D.M. 8 aprile 2004, n. 127, a norma del quale le tariffe forensi si dividono in tre parti: il capitolo I relativo alle prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa e tributaria; il capitolo II relativo alle prestazioni giudiziali in materia penale e il capitolo III relativo alle prestazioni stragiudiziali. I diritti sono stabiliti in modo fisso secondo fasce relative all�importo della controversia e gli onorari sono stabiliti tra un minimo ed un massimo relativi al valore della controversia stabilito per fasce e ad una serie di altri fattori, come si vedr�. 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 In proposito, non corrisponde al vero quanto affermato dalla Commissione, al punto 14 del proprio ricorso, secondo la quale �il passaggio da una fascia alla successiva comporta l�aumento progressivo dei diritti e onorari minimi, indipendentemente dalla complessit� e difficolt� effettive della controversia�. Infatti, in base ai commi 1, 2 e 3 dell�art. 5 del Capitolo I della tariffa in materia civile, amministrativa e tributaria: �1. Nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente deve essere tenuto conto della natura e del valore della controversia, dell�importanza e del numero delle questioni trattate, del grado dell�autorit� adita, con speciale riguardo all�attivit� svolta dall�avvocato davanti al giudice. 2. Nelle cause di particolare importanza per le questioni giuridiche trattate, la liquidazione degli onorari a carico del soccombente pu� arrivare fino al doppio dei massimi stabiliti. 3. Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, oltre che dei criteri di cui ai commi precedenti, pu� essere tenuto conto dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti, nonch� dell�urgenza richiesta per il compimento di singole attivit� e nelle cause di straordinaria importanza, la liquidazione pu� arrivare fino al quadruplo dei massimi stabiliti, previo parere del Consiglio dell�ordine.� (evidenza nostra). Analogamente, e con specifico riferimento alla materia trattata, in base ai commi 1 e 2 dell�art. 1 del Capitolo II della tariffa in materia penale: �1. Per la determinazione dell�onorario di cui alla tabella deve tenersi conto della natura, complessit� e gravit� della causa, delle contestazioni e delle imputazioni, del numero e dell�importanza delle questioni trattate e della loro rilevanza patrimoniale; della durata del procedimento e del processo; del pregio dell�opera prestata; del numero degli avvocati che hanno condiviso il lavoro e la responsabilit� della difesa; dell�esito ottenuto, anche avuto riguardo alle conseguenze civili; delle condizioni finanziarie del cliente. 2. Per le cause che richiedono un particolare impegno, per la complessit� dei fatti o per le questioni giuridiche trattate, gli onorari possono essere elevati fino al quadruplo dei massimi stabiliti.� (evidenza nostra). Anche in base ai commi 2, 3 e 4 dell�art. 1 del Capitolo III della tariffa in materia stragiudiziale gli onorari non sono parametrati esclusivamente al valore dell�affare: �2. Nella determinazione degli onorari fra il minimo e il massimo stabiliti, si deve tener conto del valore e della natura della pratica, del numero e dell�importanza delle questioni trattate, del pregio dell�opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente e dell�eventuale urgenza della prestazione. 3. Nelle pratiche di particolare importanza, complessit� e difficolt�, il massimo dell�onorario .pu� essere aumentato fino al doppio . Per quelle di straordinaria IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 197 importanza fino al quadruplo, previo parere del Consiglio dell�Ordine. 4. In materia di lavoro, di previdenza e di assistenza obbligatoria gli onorari sono ridotti alla met�.� (evidenza nostra) Nel corso della procedura di infrazione, le Autorit� italiane hanno comunicato alla Commissione (all.ti 5 e 6 di quest�ultima) l�adozione di una norma, l�art. 2 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. decreto Bersani), recante �Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali�, che ha, tra l�altro, abolito il principio dell�inderogabilit� dei minimi tariffari e dell�obbligatoriet� di tariffe fisse. Ai sensi dei commi 1 e 2 di tale disposizione: "1. In conformit� al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libert� di circolazione delle persone e dei servizi, nonch� al fine di assicurare agli utenti un�effettiva facolt� di scelta nell�esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attivit� libero professionali e intellettuali: a) l�obbligatoriet� di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicit� informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonch� il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicit� del messaggio il cui rispetto � verificato dall�ordine; c) il divieto di fornire all�utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di societ� di persone o di associazioni tra professionisti, fermo restando che l�oggetto sociale relativo all�attivit� libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non pu� partecipare a pi� di una societ� e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o pi� soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilit�. 2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l�esercizio delle professioni reso nell�ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, nonch� le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale� (evidenza nostra). Last but not least, l�art. 2233 del codice civile, che, significativamente, la Commissione nemmeno menziona tra la normativa italiana rilevante, dispone, nell�ambito della disciplina delle professioni intellettuali, che: � Il compenso, se non � convenuto dalle parti e non pu� essere determinato secondo le tariffe o gli usi, � determinato dal giudice, sentito il parere dell�associazione professionale a cui il professionista appartiene. 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all�importanza dell�opera e al decoro della professione. Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali� (evidenza nostra). Il terzo comma del predetto articolo � stato cos� sostituito dal citato articolo 2, comma 2 bis del decreto Bersani. Il precedente terzo comma disponeva invece: �Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullit� e dei danni�. E� stato quindi cos� definitivamente espunto dall�ordinamento italiano il divieto del c.d. patto di quota lite ovvero dell�accordo tra cliente ed avvocato che preveda un compenso determinato in relazione all�esito della controversia, coerentemente con l�abrogazione �del divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti� (art. 2, comma 1, lettera a) del decreto Bersani. Tale innovazione legislativa, unita all�abrogazione di tariffe fisse e minime inderogabili, non fa che rafforzare il principio gi� contenuto nel citato articolo 2233 c.c. in base al quale il principale criterio di determinazione del compenso nei contratti d�opera professionale, � l�accordo tra avvocato e cliente mentre l�applicazione delle tariffe costituisce solo un criterio sussidiario utilizzabile in assenza di un compenso liberamente determinato dalle parti (�se non � convenuto dalle parti�) nell�esplicazione della loro autonomia contrattuale. I principali addebiti mossi dalla Commissione alle disposizioni controverse dovevano pertanto ritenersi ampiamente superati dalla richiamata modifica legislativa, che � andata ben oltre quanto pochi mesi dopo affermato dalla stessa Corte di Giustizia nella sentenza del 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e Macrino che, come � noto, ha dichiarato la piena compatibilit� con le regole della concorrenza e, segnatamente con gli articoli 10, 81 e 82 del trattato CE, l�adozione da parte della Repubblica italiana di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense quale il Consiglio nazionale forense, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui in linea di principio non sia possibile derogare (punto 54). Nella predetta sentenza, la Corte ha affermato inoltre che, sebbene una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense costituisca una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall�art. 49 CE, spetta la giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalit� di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 199 della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi (punti 65-70). Sorprendentemente, invece, la Commissione non solo non ha ritenuto superate le contestazioni originariamente rivolte con la lettera di costituzione in mora del 13 luglio 2005 e con la lettera di costituzione in mora complementare del 23 dicembre 2005, vertenti in larga misura sulla dedotta incompatibilit� delle previsioni relative all�inderogabilit� delle tariffe fisse e minime, come si � visto ormai abrogate, ma, ritenendo anche le tariffe massime restrittive della libera circolazione dei servizi (e successivamente anche del diritto di stabilimento), si � addentrata nella valutazione circa la giustificabilit� in astratto delle stesse in ragione di motivi imperativi di interesse pubblico nonch� circa l�idoneit� e proporzionalit� di tali misure con l�obiettivo perseguito, giungendo ad una conclusione negativa, bench� tale valutazione possa essere molto pi� efficacemente e concretamente effettuata, caso per caso, dal giudice nazionale in relazione alle specifiche circostanze della fattispecie. Appare evidente che il ricorso per inadempimento si mostra ormai svuotato degli argomenti principali che sorreggevano le iniziali lettere di costituzione in mora e talvolta ripetitivo, in mancanza di altre valide ragioni, di contestazioni ormai non pi� pertinenti, come il richiamo, al punto 16 del ricorso, alla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione italiana in ordine al divieto di derogare alla tariffa professionale e alla nullit� di ogni accordo contrario, formatasi esclusivamente in relazione a minimi tariffari. Il diritto comunitario rilevante La Commissione ritiene la normativa italiana controversa incompatibile con gli articoli 43 e 49 del trattato CE. Come � noto, l�art. 43 CE vieta ogni restrizione alla libert� di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio dell�Unione in relazione all�accesso alle attivit� non salariate e al loro esercizio nonch� alla costituzione e alla gestione di imprese. Come chiarito dalla Corte di giustizia, la nozione di stabilimento � una nozione molto ampia che implica la possibilit� per un cittadino comunitario di partecipare, in maniera stabile e continuativa alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio, favorendo cos� l�interpenetrazione economica e sociale nell�ambito della Comunit� nel settore delle attivit� indipendenti (sentenza del 12 dicembre 1996, causa C-3/95, Reiseb�ro Broede, punto 20). L�art. 49 CE invece vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all�interno della Comunit�. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha in proposito precisato che tale disposizione prevede che il prestatore di un servizio eserciti in un altro 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Stato membro la propria attivit� a titolo temporaneo, fermo restando che il carattere temporaneo di una prestazione non esclude la possibilit� per detto prestatore di dotarsi di una determinata infrastruttura, quale un ufficio o uno studio, se essa � necessaria al compimento della prestazione di cui trattasi (sentenza del 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, punti 26 e 27). Le due predette norme del trattato CE sono state specificate, in relazione alla professione forense da due direttive: la direttiva 98/5/CE volta a facilitare l�esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui � stata acquistata la qualifica, recepita nell�ordinamento italiano dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 e la direttiva 77/249/CEE intesa a facilitare l�esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, recepita nell�ordinamento italiano dalla legge 9 febbraio 1982, n. 115. Il secondo considerando della direttiva 98/5/CE precisa che la stessa �ha lo scopo di garantire l�integrazione dell�avvocato nella professione dello Stato membro ospitante e non mira n� a modificare le regole professionali in esso vigenti, n� a sottrarre l�avvocato all�applicazione delle stesse�; il settimo considerando chiarisce inoltre che la direttiva �si astiene dal disciplinare situazioni giuridiche puramente interne e lascia impregiudicate le norme nazionali dell�ordinamento professionale, salvo laddove ci� risulti indispensabile per consentire di conseguire pienamente i suoi scopi� (evidenza nostra). A norma dell�art. 6 della predetta direttiva, �Indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui � soggetto nel proprio Stato membro di origine, l�avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine � soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attivit� che esercita sul territorio di detto Stato�. Data l�onnicomprensivit� delle espressioni utilizzate, non si pu� condividere il rilievo della Commissione, al punto 27 del ricorso, secondo il quale detta direttiva non si occuperebbe delle tariffe forensi. Non essendo detta materia espressamente esclusa da nessun considerando e da nessuna norma della direttiva, deve invece ritenersi che la stessa rientri a pieno titolo nell�ambito delle �regole professionali e deontologiche� e delle �norme nazionali dell�ordinamento professionale� dello Stato ospitante che la direttiva estende espressamente agli avvocati provenienti da altri Stati membri. Non si comprende quindi come la normativa italiana controversa possa essere considerata in contrasto con l�art. 43, di cui la direttiva 98/5/CE costituisce una specificazione in relazione alla professione di avvocato, quando � la direttiva medesima a ritenere applicabili tutte le regole dell�ordinamento professionale vigenti nello Stato ospitante �indipendentemente� da quelle dello Stato di origine. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 201 Quanto alla direttiva 77/249/CEE, l�art. 4 distingue tra attivit� giudiziali (paragrafi 1, 2 e 3) e stragiudiziali (paragrafo 4) e dispone, quanto alle prime che: �1. le attivit� relative alla rappresentanza e alla difesa di un cliente in giudizio o dinanzi alle autorit� pubbliche sono esercitate in ogni Stato membro ospitante alle condizioni previste per gli avvocati stabiliti in questo Stato, ad esclusione di ogni condizione di residenza o d�iscrizione ad un�organizzazione professionale nello stesso Stato. 2. Nell�esercizio delle predette attivit�, l�avvocato rispetta le regole professionali dello Stato membro ospitante, fatti salvi gli obblighi cui � soggetto nello Stato membro di provenienza� (evidenza nostra). Al riguardo, come correttamente sottolineato dall�Avvocato generale Mischo nella causa C- 289/02, Amok (conclusioni del 18 settembre 2003, punto 42), �se il legislatore comunitario ha escluso due condizioni [la residenza e l�iscrizione all�albo] che sarebbero tali da equiparare la libera prestazione dei servizi ad uno stabilimento, evidentemente ha ritenuto che tutte le altre condizioni e norme vigenti nel paese ospitante si potessero applicare� (evidenza nostra). Quanto alle attivit� stragiudiziali, l�art. 4, paragrafo 4, prevede che �l�avvocato resta sottoposto alle condizioni e alle regole professionali dello Stato membro di provenienza fatto salvo il rispetto delle norme, qualunque sia la loro fonte, che disciplinano la professione nello Stato membro ospitante, in particolare di quelle riguardanti l�incompatibilit� fra l�esercizio delle attivit� di avvocato e quello di altre attivit� in detto Stato,il segreto professionale, il carattere riservato dei rapporti tra colleghi, il divieto per uno stesso avvocato di assistere parti che abbiano interessi contrapposti e la pubblicit�. Tali norme possono essere applicate soltanto se esse possono essere osservate da un avvocato non stabilito nello Stato membro ospitante e nella misura in cui la loro osservanza sia giustificata oggettivamente per garantire in tale Stato il corretto esercizio delle attivit� di avvocato, la dignit� della professione e il rispetto delle incompatibilit�� (evidenza nostra). E� dunque lo stesso legislatore comunitario a prevedere la coesistenza di due normative differenti, quella dello Stato di provenienza e quella dello Stato ospitante, da coordinare in base ai criteri indicati, senza che questa �doppia imposizione di regole nella materia� possa di per s� costituire un motivo a supporto del carattere restrittivo della normativa controversa, come apoditticamente sostenuto dalla Commissione al punto 4.1.3 del parere motivato. Non vi � infatti niente di strano, n� pu� ritenersi che ci� possa comportare una particolare difficolt� di accesso al mercato italiano per un avvocato di un altro Stato membro il fatto che questi debba determinare il proprio onorario con altri metodi (rispetto a quello ad esempio fondato sul tempo dedicato 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 allo studio della pratica) ed abbandonare il proprio sistema di fatturazione laddove questo non comporti � come non comporta � una riduzione del suo profitto. Gli onorari a tempo sono peraltro espressamente previsti quale metodo alternativo di calcolo dell�onorario dal punto 10 del Capitolo III della tariffa in materia stragiudiziale ove � disposto che �ai sensi e per gli effetti dell�art. 2233 c.c. le parti possono convenire un compenso sostitutivo di quello previsto nella tariffa medesima, commisurato alla durata della prestazione e delle attivit� accessorie e comunque non inferiore a � 65,00 all�ora. Qualora tra la prestazione resa e il compenso orario convenuto appaia, per le particolari circostanze del caso, l�urgenza, il valore e la natura della pratica, l�importanza della prestazione, una manifesta sproporzione, il compenso convenuto pu� essere congruamente aumentato previo parere del Consiglio dell�Ordine.� (evidenza nostra). Sull�assenza del carattere restrittivo della normativa controversa Nel citare la sentenza Cipolla, ai punti 45 e 46, la Commissione sembra non avvedersi che tutti i principi ivi richiamati si riferiscono esclusivamente all�inderogabilit� delle tariffe minime. Non pu� infatti ritenersi che la possibilit� per gli avvocati comunitari di fornire una concorrenza pi� efficace chiedendo onorari inferiori a quelli tariffari ovvero la maggiore scelta dei destinatari dei servizi in Italia che potrebbero ricorre ad avvocati comunitari che offrano prestazioni a prezzi pi� bassi siano considerazioni trasponibili alla fissazione di massimi tariffari. Come si � dimostrato nell�illustrare la normativa italiana, una volta abolita l�inderogabilit� delle tariffe fisse e di quelle minime, non pu� dirsi che esista nell�ordinamento italiano un principio di inderogabilit� delle tariffe massime. Dal principio generale di cui all�art. 2233 c.c. discende la piena autonomia contrattuale delle parti del contratto di prestazione d�opera professionale di determinare liberamente l�importo del compenso, solo in mancanza del quale � applicabile la tariffa professionale. Anche l�art. 61 del regio decreto legge n. 1578/1933 fa espressamente salvo il diverso accordo delle parti, in assenza del quale l�onorario � determinato sulla base dei criteri contenuti nella tariffa, tenuto conto della gravit� e del numero delle questioni trattate. Quanto all�art. 24 della legge 794/1942, in base al quale �Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione contraria � nulla� (evidenza nostra), si osserva che, a seguito dell�abolizione dell�albo dei procuratori legali, per effetto della legge 24 febbraio 1997, n. 27, e del conseguente venir meno, anche ai fini della tariffa professionale, della distinzione tra diritti procuratori e onorari di avvocato, la prima parte della IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 203 norma � venuta meno. La seconda parte della norma, relativa all�inderogabilit� del minimi tariffari, � stata inoltre abrogata dal pi� volte citato art. 2 del decreto Bersani. Anche le norme del D.M. 8 aprile 2004, n. 127 confermano l�inesistenza di un limite massimo di tariffa insuperabile in senso assoluto. Ai sensi dell�art. 4 del Capitolo I, della tariffa: 1.�Gli onorari minimi ed i diritti stabiliti per le prestazioni dell�avvocato sono inderogabili. 2. Qualora fra le prestazioni dell�avvocato e l�onorario previsto dalle tabelle appaia, per particolari circostanze del caso, una manifesta sproporzione, possono essere superati i massimi indicati nelle tabelle, anche oltre il raddoppio previsto dal secondo comma del successivo art. 5, [riportato al punto 12 del presente atto] ovvero diminuiti i minimi indicati nelle tabelle, purch� la parte che vi abbia interesse esibisca il parere del competente Consiglio dell�Ordine� (evidenza nostra). Analogamente, ai sensi dell�art. 1, comma 3 del Capitolo II della tariffa: �Fermo restando quanto previsto nei commi precedenti [riportati al punto 13 del presente atto] , qualora tra la prestazione dell�avvocato e l�onorario previsto appaia per particolari circostanze del caso � quali ad esempio il numero dei documenti da esaminare, l�emissione di ordinanze di applicazione di misure cautelari, la durata della fase procedimentale e dibattimentale, l�entit� economica o l�importanza degli interessi coinvolti, la costituzione di parte civile, il risultato ottenuto, la continuit� dell�impegno necessario, la frequenza e l�entit� dell�assistenza da prestare, il disagio dipendente dalla necessit� di frequenti trasferimenti fuori sede o di incombenti da compiere anche in ore diverse da quelle abituali etc � una manifesta sproporzione, i massimi di cui al numero che precede possono essere superati e determinati, anche in via preventiva, di volta in volta, dal competente Consiglio dell�ordine� (evidenza nostra). Infine, a norma dell�art. 9 del Capitolo III della tariffa: �Qualora tra la prestazione e l�onorario previsto dalla tabella appaia, per particolari circostanze del caso, una manifesta sproporzione, possono su conforme parere del competente Consiglio dell�ordine, essere superati i massimi anche oltre l�aumento previsto dal terzo comma dell�art. 1 [riportato al punto 14 del presente atto] , ovvero diminuiti i minimi stabiliti dalla tabella medesima per la prestazione effettuata; all�infuori di questa ipotesi, l�onorario minimo non � derogabile� (evidenza nostra) Dal complesso di norme richiamate, deve quindi dedursi che non esiste nell�ordinamento italiano un principio di inderogabilit� dei massimi di tariffa e che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione al punto 49 del ricorso, il tariffario massimo non � obbligatorio, n� � applicato indipendentemente dalla qualit� dell�opera svolta, dal lavoro necessario a svolgerlo e dai 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 costi sopportati per effettuarlo. Circa l�art. 13 della legge n. 31/1982, che estende agli avvocati comunitari i diritti, gli onorari e le indennit� nella misura prevista per gli avvocati italiani, va osservato che i maggiori costi che affronta un avvocato di un altro Stato membro sono espressamente presi in considerazione dalle tariffe professionali, come si vedr� subito. In proposito, la Commissione ritiene che l�effetto restrittivo delle disposizioni controverse deriverebbe dai costi aggiuntivi per gli avvocati comunitari, dalla riduzione dei margini di profitti e dalla asserita perdita di competitivit�. I tre aspetti sono tra loro strettamente collegati e sono frutto di un evidente equivoco, come le Autorit� italiane hanno cercato di evidenziare anche nella fase precontenziosa, attinente alla confusione tra le spese generali stabilite forfetariamente nella misura del 12,5 % degli onorari e dei diritti (e non del 15% come erroneamente indicato dalla Commissione al punto 59 del ricorso) e le spese vive sempre integralmente rimborsabili. Il rimborso delle spese generali previsto dall�art. 14 del Capitolo I, dall�art. 8 del Capitolo II e dall�art. 12 del Capitolo III corrisponde all�esigenza di compensare forfetariamente le spese di studio non attribuibili singolarmente a ciascun cliente ma comunque sostenute dall�avvocato per la locazione dell�immobile, le spese di segreteria, le spese di aggiornamento professionale ecc. I costi asseritamente maggiori sostenuti da un avvocato comunitario per il viaggio, il pernottamento e le ore perse durante il viaggio sono prese in considerazione dalla tariffa professionale e sono sempre integralmente rimborsate, ove documentate, in aggiunta rispetto ai diritti, agli onorari e alle spese generali. Ai sensi dell�art. 1 del Capitolo I della tariffa, �Per le prestazioni giudiziali in materia civile e nelle materie equiparate, oltre al rimborso delle spese giustificate, sono dovuti all�avvocato gli onorari ed i diritti indicati nelle allegate tabelle A e B� (evidenza nostra). A norma dell�art. 4 del capitolo II della tariffa, �per gli affari e le cause fuori domicilio professionale l�avvocato avr� diritto all�indennit� di trasferta e al rimborso delle spese cos� come previsto nella tariffa stragiudiziale nei confronti del cliente e, nell�ipotesi di costituzione di parte civile, anche nei confronti del soccombente� (evidenza nostra). A norma dell�art. 8 del Capitolo III della tariffa, �all�avvocato che, per l�esecuzione dell�incarico ricevuto, debba trasferirsi fuori dal proprio domicilio professionale, sono dovute le spese di viaggio e di soggiorno � pernottamento in albergo 4 stelle e vitto � rimborsate nel loro ammontare documentato, con una maggiorazione del 10% a titolo d rimborso delle spese accessorie; in caso di utilizzo di autoveicolo proprio, � dovuta un�indennit� chilometrica pari ad un quinto del costo del carburante a litro, oltre alle spese documentate per pedaggio autostradale e parcheggio. Sono in ogni caso do- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 205 vuti gli onorari relativi alla prestazione effettuata e un�indennit� di trasferta da un minimo di � 10,00 a un massimo di � 30,00 per ogni ora o frazione di ora, con un massimo di otto ore giornaliere� (evidenza nostra). Da quanto sopra, si evince chiaramente che le preoccupazioni prospettate dalla Commissione in ordine ad una riduzione dei margini di profitto per effetto dei costi aggiuntivi sostenuti dagli avocati comunitari non hanno ragione di essere in quanto la tariffa forense prevede dettagliatamente il rimborso integrale di tutte le spese vive documentate ed attribuisce altres� un�indennit� di trasferta per le ore lavorative perse durante il trasferimento. Ci� � assicurato, in piena attuazione del principio di non discriminazione sia agli avvocati italiani che debbano spostarsi sul territorio nazionale, sia agli avvocati comunitari che debbano spostarsi da altri Stati membri. A norma dell�art. 50, paragrafo 3 CE infatti il prestatore trasfrontaliero pu� esercitare la sua attivit� nel paese destinatario �alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini�. La lamentata perdita di competitivit� degli avvocati comunitari pertanto non solo non � stata in alcun modo provata dalla Commissione ma � smentita per tabulas dalle disposizioni richiamate. Deve perci� concludersi che le disposizioni controverse non introducono alcuna restrizione n� al diritto di stabilimento, n� al diritto di libera prestazione dei servizi. Peraltro, La Corte di Giustizia, con la sentenza del 11 dicembre 2003, causa C-289/02, Amok ha chiaramente escluso che violasse l�art. 49 CE la normativa tedesca in base alla quale la parte vittoriosa in una controversia ha diritto di vedersi rimborsare le spese legali dalla parte soccombente, nei limiti in cui tali spese siano state necessarie a promuovere la causa o a difendersi adeguatamente in giudizio. In particolare, nella fattispecie, una societ� austriaca, vittoriosa in una controversia svoltasi in Germania contro una societ� tedesca, si � vista negare le spese calcolate in base alla tariffa forense austriaca, considerevolmente superiori a quelle risultanti dall�applicazione della tariffa tedesca. La Corte ha stabilito che gli art. 49 e 50 CE nonch� la direttiva 77/249/CEE non ostano alla regola giurisprudenziale di uno Stato membro che limita sino alla concorrenza delle spese che avrebbero occasionato la rappresentanza da parte di un avvocato stabilito in tale Stato il rimborso, che deve effettuare la parte soccombente, delle prestazioni di servizi fornite da un avvocato stabilito in un altro Stato membro (punto 31). Va inoltre sottolineato che, in quel caso, la Commissione aveva concluso conformemente, come si evince dal punto 24 della sentenza: �Anche la Commissione ritiene che il diritto comunitario non osti alla normativa di cui trattasi. A suo parere la soluzione di tale parte della questione risulta chiaramente dalla direttiva senza che occorra invocare le disposizioni del Trattato. Infatti 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 l�art. 4 n. 1 della direttiva indicherebbe espressamente che le attivit� transfrontaliere di un avvocato relative alla rappresentanza di un cliente sono esercitate in ogni Stato ospitante alle condizioni previste per gli avvocati stabiliti in questo Stato. Ci� riguarderebbe anche norme come quelle relative al rimborso delle spese legali� (evidenza nostra). Alla luce di quanto sopra, nel ribadire che, nell�ordinamento italiano i massimi tariffari non possono considerarsi inderogabili, il Governo italiano conclude nel senso che le disposizioni controverse non integrano misure restrittive della libert� di stabilimento e della libert� di prestazione dei servizi. Si riserva alla controreplica, ove la Commissione dovesse insistere nella propria posizione, la contestazione, in subordine, circa l�impossibilit� di giustificare la misura alla luce degli obiettivi di garantire l�accesso alla giustizia in Italia, la tutela dei destinatari e la buona amministrazione della giustizia. Roma, 23 febbraio 2009 Avv. Wally Ferrante I L C O N T E N Z I O S O N A Z I O N A L E Telecomunicazioni e riparto delle competenze tra Stato e Regioni: percorsi argomentativi (Corte costituzionale, sentenza 30 gennaio 2009 n. 25 ) SOMMARIO: 1.- Il caso in esame. 2.- Il contesto di riferimento: il titolo V della Costituzione. 3.- Il nuovo bilanciamento della Corte: concorrenza, territorio e telecomunicazioni. 4.- Conclusioni. 1. La Corte Costituzionale torna ad occuparsi del settore delle comunicazioni elettroniche e, nello specifico, del riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni. Nel farlo ribadisce la posizione gi� assunta in alcune precedenti pronunce in cui aveva riconosciuto in questo settore la potest� legislativa esclusiva in capo al primo. Il caso in oggetto, tuttavia, introduce un elemento di novit� rispetto alle suddette pronunce. L�ascrivibilit� di un intervento normativo all�area del �governo del territorio� non � di per s� sufficiente ad attribuire aprioristicamente la competenza in capo alle Regioni. Qualora nella norma si riscontrino elementi ostativi ad un corretto e funzionale esercizio della concorrenza nei liberi mercati � esigenza questa che riceve tutela primaria � la competenza esclusiva resta in capo allo Stato. La Corte ridisegna i confini del riparto delle competenze tra Stato e Regioni e conferma che solo un�analisi puntuale delle fattispecie pu� contribuire legittimamente ad ascrivere l�intervento legislativo in capo all�uno o alle altre. Nel ricorso si eccepisce l�illegittimit� dell�art. 8 della legge Regione Veneto 30 novembre 2007 n. 32, con riferimento all�art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. La disposizione contestata prevede, al primo comma, che i Comuni debbano individuare �gli ambiti territoriali nei quali � ammessa la localizzazione dei centri di telefonia fissa�, nonch� definire �la disciplina urbanistica cui in ogni caso � subordinato il loro insediamento�. Il secondo comma dell�articolo dispone che la predetta disciplina urbanistica debba essere stabilita �sulla 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 base dei criteri definiti dalla Giunta regionale entro 90 giorni dall�entrata in vigore della presente legge�. Il terzo comma, infine, stabilisce che nelle more dell�individuazione degli ambiti territoriali e, comunque, non oltre il 1� gennaio 2010, non � consentita l�apertura di nuovi centri di telefonia in sede fissa. La Corte si pronuncia sulla fondatezza della questione di legittimit� costituzionale e, in particolare, focalizza il proprio intervento su tre punti, corrispondenti alle eccezioni dal ricorrente. Questo lamenta, in primis, la violazione da parte della norma regionale dell�art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione dal momento che si invaderebbe, nell�ambito del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di �tutela della concorrenza�. Le motivazioni a sostegno del ricorso spiegano che con la norma si introdurrebbe nel sistema �un elemento di rigidit� che si traduce in una programmazione quantitativa dell�offerta e nell�imposizione di limiti quantitativi all�apertura di nuove strutture commerciali nella regione�. L�articolo, infatti, prevede la necessit� di pianificare il numero degli esercizi commerciali e individuare le aree che possono essere destinate all�apertura dei nuovi phone center. Tale impostazione si porrebbe in contrasto con la salvaguardia della concorrenza e con l�ingresso di nuovi operatori sul mercato, dal momento che con legge regionale si stabilirebbero limiti a tale accesso ponendo barriere e ostacoli di tipo normativo e amministrativo. Il secondo punto di doglianza si collega alla violazione dell�art. 41 della Costituzione. Il ricorrente sostiene che la contingentazione del mercato e l�introduzione di limiti all�apertura di nuovi phone center pregiudicherebbe la libert� dell�iniziativa economica privata. La Regione, in merito, risponde argomentando sulla base di una diversa allocazione delle competenze tra ambito esclusivo e concorrente. Nello specifico, ci si troverebbe nella sfera di competenza concorrente del cd. �governo del territorio�. La ratio della norma regionale avrebbe, dunque, natura protezionistica tutelando i cittadini e i loro interessi in termini di qualit� dei servizi resi e organizzazione funzionale degli stessi; ci�, peraltro, sia riguardo agli interessi generali della comunit� locale sia dei consumatori. Di questi ultimi in particolare si tutelerebbe il diritto ad usufruire di livelli qualitativamente elevati di servizi caratterizzati, ad esempio, da un�adeguata disponibilit� di parcheggi e dalla compatibilit� con lo sviluppo della viabilit� urbana. Il terzo e ultimo punto di interesse nella sentenza riguarda la possibile violazione da parte dell�art. 8 della legge regionale n. 32/07 dell�art. 3 del decreto legge n. 259 del 1� agosto 2003 (cd. Codice delle comunicazioni). Secondo la ricorrente, la norma regionale, introducendo un sistema di limiti quantitativi per gli esercizi operanti nel settore, contrasterebbe con la previsione di un regime libero nella fornitura dei servizi. La Corte � ribadendo una posizione gi� consolidata nella propria giurisprudenza e aderendo anche a IL CONTENZIOSO NAZIONALE 209 quanto disposto con l�art. 1 del codice delle comunicazioni � equipara l�attivit� svolta dai centri di telefonia alla fornitura di servizi di comunicazione elettronica. Estende, inoltre, la competenza esclusiva statale oltre che alla definizione delle tecnologie spendibili anche alle infrastrutture relative alle reti e ai servizi pubblici e privati che operano nel settore. La Corte, dunque, riconosce l�inderogabilit� del diritto all�uso dei mezzi di comunicazione la cui fornitura, appunto perch� di interesse generale, deve essere libera al pari del diritto di iniziativa economica. Tali principi, concludono i giudici della Consulta, sono espressione della competenza esclusiva dello Stato. La Corte conclude dichiarando incostituzionale la norma regionale impugnata dal momento che determina un�ingiustificata compressione dell�assetto concorrenziale del mercato della comunicazione e invade, di conseguenza, una competenza legislativa esclusiva dello Stato. 2. Il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni � stato l�elemento di maggiore novit� introdotto dalla legge 18 ottobre 2001, n. 3 che ha riformato il Titolo V della Costituzione. La riforma del Titolo V si accompagna alla generale riorganizzazione dell�apparato amministrativo italiano in termini di decentramento e federalismo a costituzione invariata, iniziata negli anni Novanta del secolo scorso con le leggi Bassanini. La scelta si fondava su un nuovo ideale di organizzazione statale. Un ideale che, da un lato, abbandonava l�accentramento dei poteri in capo ai poteri centrali e, dall�altro, valorizzava le competenze e le conoscenze dei poteri locali rispetto alle esigenze della comunit� stanziata nel territorio di riferimento. L�impianto dell�articolo suddivide in grandi macro aree le competenze legislative di Stato e Regioni. L�originario criterio residuale di attribuzione delle competenze alle Regioni viene esteso a tutte le materie che non siano espressamente attribuite alla competenza esclusiva allo Stato o concorrente tra Stato e Regioni. Il risultato che ne consegue � quello di individuare livelli di governo distinti tra loro e istituzionalmente autonomi. Si fanno salvi i limiti racchiusi nella Costituzione e i poteri di intervento dello Stato nei gravi casi di inerzia degli organi degli enti territoriali (art. 120 cost.). L�introduzione di questa disposizione nel disegno di riforma testimonia, per un verso, come fosse sentita l�esigenza di dotare le amministrazioni di strumenti che assicurassero il decentramento delle funzioni rispetto all�apparato centrale. Per altro verso, fa salva la principale funzione garantistica dello Stato anche in regime di delega di alcune competenze agli enti locali. La novella dell�art. 117 contenuta nella legge di riforma costituzionale ha comportato una duplice tendenza. Da un lato ha circoscritto il potere dello Stato entro gli ambiti definiti dal comma 2. Dall�altro, ha favorito l�ampliamento dell�ambito di legittimazione delle Regioni in funzione di una legislazione talvolta concorrente, tal�altra esclusiva. Evidentemente, un cambiamento 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cos� significativo ha ingenerato un ampio contenzioso. Il dibattito dottrinario (1) e, soprattutto, le pronunce della giurisprudenza (2) sono estremamente vasti. La Corte Costituzionale in particolare � stata interpellata pi� volte in materia per verificare la legittimit� degli interventi del legislatore e la loro rispondenza alle norme generali e astratte. 3. Veniamo alla sentenza in esame. Questa conferma l�orientamento assunto dalla Corte Costituzionale nella giurisprudenza precedente. Investita delle controversie sul riparto di competenze contenute nell�art. 117 della Costituzione, soprattutto nella materia del �governo del territorio�, la Corte ne ha fornito una definizione molto ampia: �tutto ci� che attiene all�uso del territorio e alla localizzazione di impianti e attivit�� (3). Le questioni che atten- (1) R. CARANTA, La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la difficile applicazione del titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2004, n. IV, pp. 990 e ss.; L.A. MAZZAROLLI, Il concetto di materia nell�art. 117 del titolo V della Costituzione in Le Regioni, 2007, pp. 273; A. D�ATEMA, La difficile transizione. In tema di attuazione della riforma del titolo V, in Le Regioni, 2002, n. II, pp. 108 e ss; R. BIN, I criteri di individuazione delle materie, in Le Regioni, 2006, pp. 893; G. FALCON, Modello e transizione nel nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 2001, n. VI, pp. 1252; F.S. MARINI, La Corte Costituzionale nel labirinto delle materie trasversali: dalla sentenza n. 282 alla n. 402, in Giur. Cost. 2002; A. CONCARO, Leale collaborazione e intese tra Stato e Regioni: alcune riflessioni alla luce della recente giurisprudenza costituzionale, in L�incerto federalismo, Milano 2005; R. BIN, Materie e interessi: tecniche di individuazione delle competenze dopo la riforma del titolo V, atti convegno di Siena, novembre 2005; S. CASSESE, L�amministrazione nel nuovo titolo V della Costituzione, in Giornale di diritto amministrativo, 2001, pp. 1193; F. PIZZETTI, La riforma del titolo V tra resistenza al cambiamento e incompiutezza delle scelte, in Le istituzioni del federalismo, fasc. 3/4 2003 disponibile in www.astrid-online.it; P. CAVALERI, A. RUGGERI, G. D�AURIA, Le modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in Foro it., 200, V, pp. 185; A. PAJNO, L�attuazione del federalismo amministrativo, in Regioni, 2001, pp. 667. (2) In www.giurcost.org: sentenze Corte Costituzionale 23 luglio 2002, n. 376; 26 luglio 2002, n. 407; 18 ottobre 2002, n. 422; 9 dicembre 2002, n. 524; ordinanza 23 luglio 2002, n. 383; sentenza del amerlen6 con il commento di QUIRINO CAMERLENGO in Riv. Giur. Edilizia 2004, III, pagg. 793 in cui si analizza un particolare aspetto del nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni: il momento dell�allocazione delle funzioni amministrative, esaltato dalla Corte come naturale conseguenza della consacrazione dei princ�pi di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza prima, e della sottrazione delle attribuzioni amministrative ai livelli di governo centrali a vantaggio delle istituzioni pi� vicine alle realt� locali poi. Alla luce dei suddetti principi e in combinato disposto con quello di buon andamento, legalit� e leale collaborazione, anche nelle materie di potest� legislativa concorrente le funzioni di amministrazione attiva possono essere conferite ad autorit� statali, per la tutela di esigenze di carattere unitario insuscettibili di frazionamento o localizzazione territoriale, come si vedr�, accade proprio in materia di tutela della concorrenza. (3) Sentenza Corte Costituzionale 7 ottobre 2003, n. 307 con il commento di MARCELLOADRIANO MAZZOL, Ambiente, salute, urbanistica e poi l�elettrosmog: quale potest� legislativa tra Stato e Regioni dopo il nuovo Titolo V della Costituzione?, in Riv. Giur. Ambiente, 2004, II, pagg. 269 secondo cui la problematica del riparto di competenze tra Stato e Regioni viene affrontata dalla Corte con una forte rivalutazione del ruolo della legge quadro, ritenendo che con essa si possa effettuare il corretto bilanciamento dei delicati interessi contrapposti (tutela della salute e governo del territorio), anche raggiunto mediante il richiamo al preminente interesse nazionale alla definizione di quei criteri unitari e normative omogenee che devono essere presenti nelle c.d. leggi quadro. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 211 gono al governo del territorio � che, � bene ricordare, costituisce materia a legislazione concorrente � scaturiscono dall�analisi delle realt� pi� vicine alle comunit� stanziate nei territori di competenza e riescono meglio a interpretarne le esigenze conoscendone peculiarit� e sfaccettature. In tale ampia definizione sono ricondotte la disciplina dell�edilizia e dell�urbanistica, la normativa in tema di condono edilizio nonch� alcuni profili che riguardano la bonifica. Ma l�aspetto pi� rilevante, ai fini del contesto analizzato, � quello relativo alla localizzazione di attivit� e impianti. Si tratta, soprattutto, di infrastrutture per le telecomunicazioni. Il punto di partenza riguarda la compatibilit� della suddetta definizione con un nuovo elemento: la tutela della concorrenza nei siti dove si dovranno allocare le attivit� e gli impianti. L�intenzione del legislatore del 2001 � stata quello di unificare in capo allo Stato gli strumenti di politica economica che interessano lo sviluppo dell�intero Paese. Si tratta di strumenti che esprimono un carattere unitario e sono finalizzati ad equilibrare il volume delle risorse finanziarie inserite nel circuito economico. L�intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: � mantenuta in capo allo Stato la facolt� di adottare sia specifiche misure di rilevante entit�, sia regimi di aiuto ammessi dall�ordinamento comunitario, purch� siano idonei ad incidere sull�equilibrio economico generale. La funzione di tutela della concorrenza, proprio perch� ha ad oggetto la disciplina dei mercati di riferimento delle attivit� economiche, non � una materia ad estensione certa, ma presenta i tratti di una funzione esercitabile sui pi� diversi oggetti ed �, pertanto, configurabile come trasversale. Tale accezione ha due conseguenze. Anzitutto, influisce su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni. Inoltre, elimina i limiti all�accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacit� imprenditoriale, non potendosi tradurre in una semplice avocazione di competenze, atteggiamento palesemente sanzionabile per illegittimit� costituzionale (4). La stessa Corte in pi� occasioni ha ribadito che �si tratta di una competenza trasversale, che coinvolge pi� am- (4) Sentenza Corte Costituzionale 14 dicembre 2007, n. 430 con il commento di LUISA CASSETTI in federalismi.it secondo cui l�evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di tutela della concorrenza, che trova il punto di svolta nell�adesione ad una concezione dinamica della stessa, arriva al �risultato finale della de-materializzazione della competenza statale a tutela della concorrenza (qualificabile appunto in termini di obiettivo e non di materia in senso stretto)� senza per� dimenticare che �nella logica del regionalismo riformato nel 2001 quel processo deve convivere con meccanismi di compensazione fondati sulla cooperazione tra diversi livelli che compongono la Repubblica, meccanismi che sono ben distanti dalla logica, ampiamente sperimentata sotto la vigenza del vecchio Titolo V, della prevalenza gerarchica dello Stato�. La Corte nella sentenza n. 430 conferma che �l�espressione �tutela della concorrenza�, utilizzata dal legislatore costituzionale all�art. 117, secondo comma, lettera e), coerentemente con quella operante nel sistema giuridico comunitario, comprende, tra l�altro, interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali: le misure legislative di tutela in senso 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 biti materiali, si caratterizza per la natura funzionale (individuando, pi� che degli oggetti, delle finalit� in vista delle quali la potest� legislativa statale deve essere esercitata) e vale a legittimare l�intervento del legislatore statale anche su materia, sotto altri profili, di competenza regionale, purch� tale intervento sia operante nei limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalit�� (5). La sentenza trova un nuovo equilibrio tra i due ambiti: governo del territorio e tutela della concorrenza. In essa si compongono due fronti. Anzitutto, proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull�assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalit� di controllo, eventualmente anche di sanzione; le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l�apertura, eliminando barriere all�entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacit� imprenditoriale e della competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalit� di esercizio delle attivit� economiche. In tale maniera, vengono perseguite finalit� di ampliamento dell�area di libera scelta sia dei cittadini, sia delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi. Si tratta, in altri termini, dell�aspetto pi� precisamente di promozione della concorrenza, che � una delle leve della politica economica del Paese�. La tutela della concorrenza non � una materia di estensione certa, ma presenta i tratti di una funzione esercitabile sui pi� diversi oggetti ed � configurabile come trasversale influendo necessariamente anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni. Il riconoscimento della riserva allo Stato della predetta competenza trasversale non deve andare oltre la tutela della concorrenza e deve essere armonica rispetto all�ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione. Occorrer� verificare se �le norme adottate dallo Stato siano essenzialmente finalizzate a garantire la concorrenza fra i diversi soggetti del mercato, allo scopo di accertarne la coerenza rispetto all�obiettivo di assicurare un mercato aperto e in libera concorrenza. Una volta che tale scrutinio abbia esito positivo, l�attribuzione delle misure alla competenza legislativa esclusiva dello Stato comporter� sia l�inderogabilit� delle disposizioni nelle quali si esprime, sia che queste legittimamente potranno incidere, nei limiti della loro specificit� e dei contenuti normativi che di esse sono proprie, sulla totalit� degli ambiti materiali entro i quali si applicano�. (5) In www.giurcost.org: sentenze Corte Costituzionale del 13 gennaio 2004 n. 14 e del 27 luglio 2004 n. 272. Con riferimento alla caratteristica di trasversalit� della materia della concorrenza vedasi LINDACERASO, La recente giurisprudenza della Corte Costituzionale sulla tutela della concorrenza (art. 117, comma 2, lett. E), in Giur. Cost. 2005, IV, pagg. 3448. Si parte dal cambiamento di definizione delle materie che ante riforma era essenzialmente oggettivo, mentre nel nuovo elenco costituzionale, per consentire un certo margine di flessibilit� all'interno di un sistema di ripartizione delle competenze tendenzialmente rigido (dual), si affiancano altre tipologie di materie, quali le materie trasversali c.d. di scopo, tra le quali � certamente riconducibile la tutela della concorrenza. La Corte (sentenza n. 272 del 2004) afferma espressamente che la tutela della concorrenza non pu� essere inclusa tra le materie in senso tecnico ma costituisce, al contrario - come accade per la determinazione dei livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e la tutela dell'ambiente - una materia trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali. Infatti la materia �tutela della concorrenza� si intreccia inestricabilmente con una pluralit� di interessi connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese, alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni. Primo passo sar� dunque definire l�ambito di applicazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza, avendo come corollario la necessit� di interventi legislativi statali limitati a quelli teleologicamente preordinati alla concorrenzialit� dei mercati. La Corte sposa un�interpretazione estensiva della tutela della concorrenza, consentendo interventi dello Stato, non solo �a garanzia e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche finalizzati ad instaurare assetti concorrenziali, nonch� volti a ridurre squilibri e favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato, dilatando in tal modo il suo ambito materiale di applicazione�. L�interpretazione evolutiva-dinamica che emerge sembra co- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 213 l�esigenza di tutelare l�autonomia delle Regioni e la loro capacit� di valorizzazione del territorio e delle attivit� che su di esso possono insistere (6). Si tutela, poi, la concorrenza, evitando che i limiti organizzativi e allocativi previsti dalla legge regionale falsino le condizioni necessarie a garantire la libera accessibilit� al mercato. Dall�altro. La concorrenza, per sua natura, non pu� tollerare differenziazioni territoriali che finirebbero per limitare, o addirittura neutralizzare, gli effetti garantistici delle norme (7). Come si pu� conciliare, allora, questo principio consolidato nella giurisprudenza e nelle norme con le nuove esigenze che emergono dal governo del territorio soprattutto in ambito di telecomunicazioni? Una prima risposta pu� essere fornita ricordando che l�art. 117, comma 3, attribuisce alle Regioni la competenza concorrente sull�ordinastituire un�ulteriore dimostrazione della preoccupazione della Corte di voler individuare, contro le clausole generali di chiusura del sistema, elementi di flessibilit� in grado di poter legittimare una deroga alla normale ripartizione di competenze, in quei contesti in cui la molteplicit� degli interessi in gioco richiedono un congruo soddisfacimento a livello centrale. Un�interpretazione statica avrebbe implicato la svalutazione di esigenze unitarie a favore delle autonomie. Ma nello stesso tempo l�esigenza di tutela della unit� economica-sociale del Paese e, conseguentemente, dei diritti civili e sociali delle persone, viene a collocarsi su un piano prioritario rispetto a quello delle autonomie. La posizione della Corte cerca dunque un�importante mediazione tra la conferma del ruolo garantista della centralit� delle decisioni in capo allo Stato e il margine di autonomia che si deve riconoscere alle Regioni in ottica funzionale al perseguimento degli interessi di riferimento. (6) Interessante ricostruzione in senso evoluzionista del concetto di governo del territorio � effettuata da SANDRO AMOROSI, Il Governo del territorio tra Stato, Regioni ed Enti locali, in Edilizia 2003, III, pagg. 77 secondo cui a cambiare � il concetto stesso di urbanistica. Si assiste ad un ampliamento spaziale - da urbano a onniterritoriale - che comporta una complessit� molto maggiore di contenuti precettivi, data la variet� degli oggetti, dei settori e degli ambiti da disciplinare. L'urbanistica inizialmente considerata esclusivamente come scienza e tecnica prima, e disciplina giuridica del territorio dopo, ha profondi mutamenti dovendo regolare integralmente il territorio e scegliendo ed ordinando i pi� eterogenei interessi, fermi restando alcuni presupposti di valore, quali per esempio la tutela del paesaggio. Tuttavia si avr� come la trasformazione/organizzazione del territorio, in funzione di obiettivi diversi: realizzare le condizioni infrastrutturali per lo sviluppo economico (produttivo ed occupazionale) di aree vaste; la riqualificazione complessiva di spazi urbani; la localizzazione e concentrazione di attivit� trainanti per la rivitalizzazione di aree degradate; lo sviluppo della rete delle comunicazioni, ecc. Il nuovo assetto del governo del territorio sar� dunque quello di uno sviluppo e valorizzazione anche civile e sociale degli spazi. Il governo del territorio deve essere considerato come qualcosa di ulteriore ed in parte diverso rispetto anche alle pi� aggiornate definizioni dell�urbanistica come regolazione degli usi del territorio e delle sue risorse. La riforma del 2001 avrebbe contribuito ad ampliare i confini del concetto di governo del territorio potendo ricomprendere quei tipi di piani e programmi che finora non era stato possibile ricondurre all'urbanistica, sia per le barriere distintive poste dalla giurisprudenza, sia per il tramonto irreversibile delle concezioni �panurbanistiche�. (7) In www.giustcost.org: sentenza Corte Costituzionale 21 dicembre 2007, n. 443. La Corte ribadendo che la tutela della concorrenza non pu� tollerare differenziazioni territoriali, che finirebbero per limitare, o addirittura neutralizzare, gli effetti delle norme di garanzia, prospetta come possibile soluzione per l�illegittima invasione della sfera di competenza legislativa costituzionalmente garantita alle Regioni, frutto di eventuale dilatazione oltre misura dell�interpretazione delle materie trasversali: una rigorosa verifica della effettiva funzionalit� delle norme statali alla tutela della concorrenza. 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 mento delle comunicazioni elettroniche (8). Spetta allo Stato la potest� di dettare i principi fondamentali in materia e al legislatore regionale il compito di normare i dettagli della disciplina. Senza sovvertire il formale riparto di competenze, la Corte gi� nella sentenza n. 336 del 2005 (9) aveva introdotto il principio di unitariet� della rete di telecomunicazioni, derivandolo dall�ordinamento comunitario. Il principio � fondamentale per legittimare l�intervento di dettaglio dello Stato anche al di l� del limite del dettare i principi generali della materia. Questa posizione, apparentemente pregiudizievole per l�autonomia delle Regioni, in realt� era volta ad evitare (8) Sentenza Corte Costituzionale 15 ottobre 2003, n. 324 con commento di TOMMASO F. GIUPPONI, Potest� regolamentare regionale, riserva di legge e principio di legalit� dopo la riforma del Titolo V della Costituzione: Repetita... consolidant, in Forum di quaderni costituzionali. L�autore sottolinea come la Corte confermi la bont� di quella giurisprudenza volta a ricostruire il sistema delle competenze delineato dalla riforma costituzionale del 2001 in maniera pi� flessibile. Il carattere trasversale di alcuni ambiti servirebbe a ricondurre alla competenza dello Stato il perseguimento di quelle esigenze di unitariet� e di disciplina uniforme che nel passato erano collegate alla tutela dell�interesse nazionale. Si ribadirebbe cos� che il ruolo dello Stato � quello di portatore di esigenze di unit� e omogeneit� che risultano indispensabili in ogni ordinamento fortemente decentrato. Accanto a questo ruolo dello Stato che deve tener conto anche della mutevolezza delle realt� di riferimento (l�ordinamento delle comunicazioni ne � un esempio significativo), si deve riconoscere anche alla Corte un ruolo: quello di tutore e insieme di arbitro di questi forti dinamismi. Fermo restando, secondo l�autore e la consolidata giurisprudenza della Corte la necessariet� della flessibilizzazione dei rapporti tra Stato e Regioni, nel caso specifico della competenza nell�ordinamento delle comunicazioni �il riconoscimento di una competenza legislativa regionale in caso di mancanza di esigenze di tutela unitaria su tutto il territorio nazionale comporta due ordini di conseguenze: da un lato un'interpretazione della potest� legislativa regionale di tipo essenzialmente riduzionista, nel senso che sembra potersi riconoscere solo al di fuori di (non ben precisate) esigenze di tutela unitaria; dall'altro l'eventualit� di un'ulteriore limitazione degli spazi di competenza legislativa regionale, pur riconosciuti espressamente del dettato costituzionale, attraverso la diretta assegnazione di funzioni di regolazione ad Autorit� amministrative indipendenti da parte di disposizioni statali o comunitarie�. Si riconoscerebbe comunque la necessit� di un riparto funzionale tra la legislazione statale e quella regionale tra piani di intervento generale (competenza statale) e di intervento specifico e calato nella realt� locale con ogni sua peculiariet� (competenza regionale). (9) Sentenza Corte Costituzionale 27 luglio 2005, n. 336 con il commento di ALESSANDRA BATTAGLIA in Giornale di Diritto amministrativo 2006, II, pp. 161. Nel commento si evidenziano due aspetti innovativi: l�unitariet� della rete e l�influenza del diritto comunitario nel nostro ordinamento. Per quanto riguarda il primo aspetto, la rete � considerata come un unico bene giuridico presente sul territorio nazionale disciplinato dal legislatore statale. Partendo dalla caratteristica dell�unitariet� della rete si pu� funzionalmente regolare il mercato nelle comunicazioni elettroniche. La principale conseguenza sar� il riconoscere in capo al legislatore statale �il compito di definire i principi fondamentali in materia e stabilire la procedura autorizzatoria per l�installazione dei singoli impianti che compongono la rete, anche quando questi principi fondamentali vengono formulati in modo dettagliato�. Quella che sembrerebbe una prevaricazione della competenza riconosciuta alle Regioni in tema di ordinamento delle comunicazioni, in realt� � la conseguenza dell�adattamento al secondo elemento di novit� della pronuncia: l�ingerenza dell�ordinamento comunitario in quello interno. I principi di derivazione comunitaria assumono un importante ruolo nelle scelte attributive delle competenze allo Stato piuttosto che alle Regioni, riconducendo ad unit� le regole di accesso e partecipazione, nella fattispecie, alla rete di comunicazioni e garantendo procedure imparziali e maggiormente garantistiche. Il diritto comunitario arriva cos� a influenzare la ripartizione delle competenze costituzionalmente indicate tra Stato e Regioni, oltre che a limitare o ampliare il potere del legislatore nazionale nel dettare i principi fondamentali nelle materie concorrenti. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 215 il frazionamento della rete e delle regole di accesso alle comunicazioni elettroniche. Accesso che, aggiungeva la Corte, deve essere tutelato sia nelle modalit� di partecipazione (tutela della concorrenza per i soggetti interessati) sia nelle modalit� di fruizione per i cittadini (art. 3 del Codice delle comunicazioni elettroniche). Gli interventi di �governo del territorio�, anche se in presenza di normative poste dal legislatore statale per esempio in tema di protezione dall�inquinamento elettromagnetico o in presenza degli stessi articoli del codice delle comunicazioni, restano comunque appannaggio delle Regioni con la conseguente legittimit� delle norme da queste poste in essere. Tuttavia, il legittimo esercizio di questa potest� legislativa deve essere subordinato alla condizione che �i criteri localizzativi e gli standards urbanistici non siano tali da impedire o ostacolare in modo ingiustificato l�insediamento degli impianti stessi o ostacolino l�unicit� del procedimento e le collegate esigenze di semplificazione e tempestivit� dei procedimenti� (10). Richiamando le conclusioni della precedente pronuncia del 2005 e introducendo il tema della necessariet� della tutela della concorrenza, la Corte trova il punto di equilibrio. La disposizione censurata comporta un�ingiustificata compressione dell�assetto concorrenziale del mercato della comunicazione invadendo una competenza, quella della tutela della concorrenza, che spetta in via esclusiva allo Stato (11). Secondo la Corte Costituzionale la legge regionale impugnata determina (10) Sentenza Corte Costituzionale del 7 ottobre 2003, n. 307 con il commento di QUIRINO CAMERLENGO, Il nuovo assetto costituzionale delle funzioni legislative tra equilibri intangibili e legalit� sostanziale, in Forum di Quaderni Costituzionali. Il caso di specie � incentrato sulla verifica della legittimit� dell�operato di quelle Regioni che si riconoscevano una competenza legislativa nel variare le soglie di protezione dall�elettromagnetismo rispetto ai criteri stabiliti invece a livello statale. La posizione delle Regioni trovava una base giustificatrice nella tutela degli interessi ed esigenze dell�ambito territoriale di riferimento rientrando nella macro aerea del governo del territorio. La Regione sarebbe stata cos� titolata a perseguire obiettivi di tutela dell�ambiente nei settori in cui annovera la titolarit� di poteri legislativi concorrenti o residuali. La soluzione cui giunge la Corte � quella di escludere la legittimit� di simili deroghe, bench� ispirate dalla volont� di rendere ancor pi� restrittive le misure di protezione adottate a livello statale. �La fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso pi� restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l�impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al Paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell�energia e di ordinamento della comunicazione � di tipo concorrente, vincolata ai princ�pi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato�. Questo l�elemento di novit�: una nuova accezione dei margini del potere riconosciuto nel governo del territorio con la piena legittimit� nell�individuazione dei siti allocativi dei centri di telefonia, lo studio di fattibilit� degli stessi insediamenti rispetto ai vincoli paesaggistici piuttosto che urbanistici, l�implementazione delle reti di comunicazioni. Tutto questo purch� non si pregiudichi l�interesse generale alla tutela dell�ambiente, alla tutela della salute la velocit� ed efficienza del procedimento. (11) Sentenza Corte Costituzionale del 14 gennaio 2008, n. 1 con commento di SANDRO MANCA, Concessioni idroelettriche e tuela della concorrenza nella sentenza della Corte Costituzionale 14 gennaio 2008, n. 1 in www.federalismi.it. Il caso di specie affrontato nella sentenza riguarda il rapporto tra Stato e Regioni sotto il profilo della competenza a legiferare sulla proroga di una concessione eludendo le regole delle gare in regime di concorrenza. L�autore evidenzia l�importanza della pronuncia con cui 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 la creazione di barriere d�ingresso agli operatori economici e altera la concorrenza tra soggetti imprenditoriali adducendo motivazioni di carattere strutturale e di viabilit� annoverate nella macro area dell�urbanistica. Il governo del territorio e le potest� legislative ad esso collegate, per quanto ormai pi� volte confermata come competenza delle Regioni, deve trovare un suo limite nella necessit� di tutelare la concorrenza come obiettivo primario di allineamento dell�ordinamento interno alle disposizioni comunitarie. Deve inoltre assecondare la creazione di un sistema economico libero ed equo nelle possibilit� di ingresso e partecipazione. La ripartizione delle competenze derivante dall�art. 117 della Costituzione, anche alla luce delle interpretazioni che fornisce la Corte, pu� essere assimilata al movimento di una fisarmonica. Il testo dell�articolo 11 elenca delle competenze riconosciute in capo allo Stato e alle Regioni, sia in termini di esclusivit� che di concorrenzialit� e di residualit�. Tuttavia, in alcuni ambiti, il carattere trasversale di talune materie amplia il raggio di azione dei suddetti agenti, avocando le competenze riconosciute all�altro. Questa flessibilit�, lungi dall�essere un elemento di disturbo al corollario della certezza della tutela delle situazioni giuridiche soggettive, permette nei casi puntuali di soddisfare meglio le esigenze dei cittadini e di mantenere uno stato di diritto maggiormente in linea con i dettati comunitari e con i principi generali del nostro ordinamento. La competenza delle Regioni in materia di ordinamento delle comunicazioni dovr� essere verificata in relazione alle eventuali eccezioni di legittimit� costituzionale sollevate, non potr� escludersi quando attiene la disciplina afferente alla localizzazione, l�attribuzione dei siti di trasmissione o ancora quelle esigenze unitarie alla cui tutela non sono preordinate le competenze legislative dello Stato (12). Qualora, invece, le disposizioni regionali si muovano in direzioni lesive di diritti e limitanti la tutela di posizioni giuridicamente rilevanti attribuite allo Stato, allora il ridimensionamento della competenza sar� fisiologico al ripristino dell�equilibrio istituzionale tra i soggetti legiferan la Corte avrebbe introdotto ulteriori ed importanti �tessere all�articolato mosaico� gi� delineato, in occasione di precedenti giudizi, con riferimento alla tutela della concorrenza. Sono due le principali novit�. La prima � quella di annoverare, ai fini della tutela della concorrenza e del riconoscimento della competenza legislativa dello Stato, tra i caratteri della misura adottata quelli dell�imprescindibilit�, necessariet� e idoneit� rispetto ai canoni interpretativi di matrice comunitaria. La seconda � l�aver evidenziato da parte della Corte costituzionale che le Regioni possono adottare misure idonee a produrre effetti procompetitivi, purch� essi �siano marginali o indiretti, e non siano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che, disciplinando il mercato, tutelano e promuovono la concorrenza�. Si aggiungerebbe dunque un nuovo elemento alla delimitazione del confine tra le competenze statali e regionali in materia di concorrenza. Resta la competenza dello Stato nell�indicazione delle macro tendenze per assicurare il rispetto di equit� e liberalit� del mercato, ma si aprono anche nuovi spiragli per le Regioni purch� non si pongano in contrasto con le suddette indicazioni (12) CARLUCCIO, FINOCCHI Competenza regionale e ordinamento della comunicazioni in base al nuovo art. 117 della Costituzione, in Giornale di dir. Amm., 2004, I, pp. 80. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 217 Un ripristino dell�equilibrio che si pu� registrare in entrambe le direzioni e che ancora una volta testimonia il ruolo fondamentale della Corte Costituzionale come interprete del diritto, ago della bilancia nel rapporto tra i soggetti detentori del potere legislativo e trait d�union tra le norme generali contenute nella Carta fondamentale e la loro concretizzazione puntuale applicata ai singoli settori riassunti nell�art. 117. 4. La sentenza in generale offre, pi� che spunti di originalit� interpretativa, una conferma a quanto gi� deciso in altre pronunce: rientra nella competenza delle Regioni l�ambito delle telecomunicazioni come sottocategoria della macro area del governo del territorio; rientra nella competenza esclusiva dello Stato come unico interlocutore nel recepimento di quanto previsto a livello comunitario, la tutela della concorrenza. Gli interventi della Corte stanno contribuendo a tracciare (13) una linea di confine piuttosto precisa nella separazione delle competenze tra Stato e Regioni. Si cerca cos� di limitare a priori l�insorgere di questioni di legittimit� costituzionali che possano ostacolare o rallentare i processi di riforma legislativi prima, sociali ed economici poi. L�elemento di interesse non sta dunque nell�impostazione logica della sentenza, quanto piuttosto nel tema affrontato: le telecomunicazioni e il mercato. Si tratta di un profilo ricco di spunti interpretativi dal momento che riporta l�attenzione sulla necessit� di garantire un margine di tutela sempre maggiore alla concorrenza e di assicurare un mercato paritario nelle possibilit� di accesso e partecipazione. Potrebbero in futuro sorgere nuovi problemi di interpretazione legati per lo pi� alla necessit� di ridisegnare l�ampiezza dei limiti della competenze regionali piuttosto che statali, sollecitazioni che il nostro ordinamento costantemente riceve soprattutto dall�ambito comunitario. Dott.ssa Claudia Ascione* Corte costituzionale, sentenza 30 gennaio 2009 n. 25 - Pres. Flick, Red. De Siervo - Giudizio di legittimit� costituzionale dell�articolo 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell�attivit� dei centri di telefonia in sede fissa -phone center) - Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. dello Stato M. Fiorilli - AL 2882/08) c/ Regione Veneto (Avv.ti E. Zanon e A. Manzi). (...Omissis...) (13) Sono molti gli interventi posti in essere come � facilmente desumibile dal report contenuto nelle relazioni annuali dei Presidenti della Corte Costituzionale, in www.giurcost.org disponibili dal 1999 al 2008 (*) Esperto di area amministrativa - Regione Lazio. 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Considerato in diritto 1. � Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell'attivit� dei centri di telefonia in sede fissa � phone center), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 41 della Costituzione. Il ricorrente lamenta, innanzitutto, la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la censurata disposizione, prevedendo la necessit� della pianificazione del numero degli esercizi commerciali e della individuazione delle aree che possono essere destinate all�apertura di nuovi phone center, invaderebbe la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di �tutela della concorrenza�, introducendo nel sistema �un elemento di rigidit� che si traduce in una programmazione quantitativa dell�offerta e nella imposizione di limiti quantitativi all�apertura di nuove strutture commerciali nella regione�. Il ricorrente denuncia, altres�, la violazione dell�art. 41 Cost., giacch�, contingentando il mercato e limitando l�apertura di nuovi phone center, la denunciata disposizione inciderebbe negativamente sulla libert� di iniziativa economica privata. La difesa della resistente contesta la suesposta questione, sostenendo che l�impugnato art. 8 sarebbe espressione del legittimo esercizio della potest� legislativa regionale concorrente in materia di �governo del territorio�, in quanto ispirata dall�esigenza di assicurare un adeguato livello di servizi per i consumatori, con particolare riferimento alla disponibilit� di aree per parcheggi ed alla compatibilit� con la viabilit� urbana. 2. � Questa Corte, con la recente sentenza n. 350 del 2008, ha riconosciuto che l�attivit� svolta dai centri di telefonia in sede fissa � qualificabile, alla luce del decreto legislativo 1� agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), come fornitura al pubblico di servizi di comunicazione elettronica (si vedano in particolare l�art. 25 e l�Allegato n. 9 del decreto legislativo n. 259 del 2003). Con la succitata sentenza, questa Corte ha precisato che la competenza statale in tema di comunicazioni elettroniche non riguarda solo �la definizione delle tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono la rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica� (come asserisce la difesa regionale nel presente giudizio), ma l�intera serie delle infrastrutture relative alle reti ed i relativi servizi pubblici e privati che operano nel settore. Pi� in generale, questa Corte ha affermato che �le disposizioni del suddetto Codice intervengono in molteplici ambiti materiali, diversamente tra loro caratterizzati in relazione al riparto di competenza legislativa fra Stato e Regioni: sono, infatti, rinvenibili in questo settore titoli di competenza esclusiva statale (�ordinamento civile�, �coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell�amministrazione statale, regionale e locale�, �tutela della concorrenza�), e titoli di competenza legislativa ripartita (�tutela della salute�, �ordinamento della comunicazione�, �governo del territorio�). Vengono, infine in rilievo anche materie di competenza legislativa residuale delle Regioni, quali, in particolare, l��industria� ed il �commercio�) � (cos� le sentenze n. 350 del 2008 e n. 336 del 2005). Inoltre, fin dalla sentenza n. 336 del 2005 questa Corte ha riconosciuto che il Codice delle comunicazioni elettroniche, al fine di adeguarsi alla normativa comunitaria, ha inteso perseguire �un vasto processo di liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell�informazione (�) secondo le linee di un ampio disegno europeo tendente ad investire l�intera area dei servizi pubblici�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 219 Fra i principi fondamentali espressamente enunciati dall�art. 3 del Codice, in questa sede assumono particolare rilevanza quello secondo il quale sono garantiti �i diritti inderogabili di libert� delle persone nell�uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonch� il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche�, e quello secondo cui �la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che � di preminente interesse generale, � libera�. Ed � rilevante che, proprio a proposito di questi principi, la citata sentenza n. 350 del 2008 sottolinei come sia �evidente che disposizioni del genere sono espressione della competenza esclusiva dello Stato in tema di �tutela della concorrenza� e di �ordinamento civile�, prima ancora di costituire principi fondamentali in tema di �ordinamento della comunicazione��. Coerentemente con questo assetto, l�art. 25 del Codice prevede che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica debbano semplicemente ottenere una autorizzazione generale da parte del Ministero delle comunicazioni, secondo il modello della denuncia di inizio attivit�. L�impresa pertanto � abilitata ad iniziare immediatamente la propria attivit�, salva la possibilit� per il Ministero, che verifica l�esistenza dei presupposti e requisiti richiesti, di vietare motivatamente la prosecuzione dell�attivit� entro il termine perentorio di sessanta giorni. Senza dubbio il legislatore, sia statale che regionale, � legittimato a porre limiti alle attivit� in oggetto: il terzo comma dello stesso art. 3 del Codice contempla �limitazioni derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell�ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione�. Appare, inoltre, evidente che possono essere fissati anche ulteriori limiti come quelli � tra gli altri � connessi al regime giuridico dei beni ovvero a normative attinenti al governo del territorio. Trattasi, infatti, di limiti diversi da quelli espressi dalla specifica legislazione sulle comunicazioni elettroniche e dei quali lo stesso legislatore statale tiene conto richiedendo, ai fini dello svolgimento dell�attivit�, il necessario �rispetto delle condizioni che possono essere imposte alle imprese in virt� di altre normative non di settore� (cos� il succitato Allegato n. 9). 3. � La questione � fondata. Il censurato art. 8 reca esclusivamente disposizioni di tipo urbanistico in relazione ai centri di telefonia in sede fissa. Questa Corte ha riconosciuto la legittimit� di discipline regionali adottate nell�esercizio della potest� legislativa concorrente in materia di �governo del territorio�, pur in presenza di normative poste dal legislatore statale in tema di protezione dall�inquinamento elettromagnetico e nello stesso Codice delle comunicazioni elettroniche (per tutte si vedano le sentenze n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003). Il legittimo esercizio della potest� legislativa regionale in questi ambiti � stato, peraltro, subordinato alla condizione che �i criteri localizzativi e gli standard urbanistici non siano tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli impianti medesimi� (cos� la sentenza n. 307 del 2003) o che l�esercizio del potere urbanistico non contraddica �l'unicit� del procedimento autorizzativo e le collegate esigenze di semplificazione e di tempestivit� dei procedimenti� (cos� la sentenza n. 350 del 2008). Inoltre, l�art. 4, comma 1, lettera c), del Codice delle comunicazioni elettroniche dispone che �la disciplina delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica� debba salvaguardare il diritto di �libert� di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettivit�, trasparenza, non discriminazione e proporzionalit��. La censurata disposizione, nel circoscrivere la localizzazione dei soli centri di telefonia 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 fissa ad ambiti territoriali preventivamente individuati e, soprattutto, nel subordinare l�apertura dei nuovi esercizi alla previa adozione di una specifica normativa urbanistica, risulta quindi eccessiva. In particolare, la previsione della necessit� che tale specifica disciplina sia compatibile con le altre funzioni urbane e con la viabilit� di accesso, nonch� la richiesta di disponibilit� di parcheggi appaiono pi� consone a grandi esercizi commerciali che comportino un rilevante afflusso di veicoli e persone, piuttosto che ai centri di telefonia fissa, di norma di dimensioni ridotti e con un accesso di persone limitato. � evidente che tale disciplina urbanistica, non giustificata in relazione alla natura e alle caratteristiche dell�attivit� in questione, influenza direttamente l�accesso degli operatori economici ad un determinato mercato e pone barriere all�ingresso tali da alterare la concorrenza tra soggetti imprenditoriali. L�impugnato art. 8 determina, dunque, un�ingiustificata compressione dell�assetto concorrenziale del mercato della comunicazione come disciplinato dal legislatore statale, invadendo una competenza spettante a quest�ultimo, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (v., tra le altre, le sentenze n. 63, n. 51 e n. 1 del 2008; n. 431, n. 430 e n. 401 del 2007; n. 80 del 2006; n. 272 e n. 14 del 2004). N� pu� negarsi che subordinare �in ogni caso� l�insediamento dei centri di telefonia in sede fissa alle speciali scelte urbanistiche di cui al censurato art. 8 comporti una palese contraddizione con le esigenze di semplificazione rese evidenti dalla disciplina del procedimento dettata dall�art. 25 del predetto Codice. Questo contrasto � reso tanto pi� evidente dalla prescrizione, al terzo comma dell�art. 8, che, in attesa delle speciali nuove disposizioni urbanistiche dei Comuni, si abbia un periodo di sospensione nell�apertura di nuovi centri di telefonia (seppure non oltre la fine del 2009). Deve pertanto essere dichiarata la illegittimit� costituzionale dell�art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. 4. � Resta assorbita la residua censura. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell'attivit� dei centri di telefonia in sede fissa � phone center). Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 221 Questioni di cittadinanza per i discendenti delle donne italiane, sposate con stranieri prima dell�entrata in vigore della Costituzione Una �lettura costituzionale� delle Sezioni Unite che evoca la tecnica manipolativa della Corte Costituzionale (Cassazione, Sezioni Unite, 25 febbraio 2009 n. 4466) Le Sezioni Unite affrontano l�ultima questione ancora irrisolta in Cassazione, sulle conseguenze della incostituzionalit� sopravvenuta della legge 555/1912 (art. 2 e 10) dichiarata con le sentenze n. 87/1975 e 30/1983 della Corte Costituzionale. Il tema � quello del riconoscimento della cittadinanza italiana richiesto dai figli e dai discendenti di donna italiana che, per aver sposato un cittadino straniero prima della entrata in vigore della Costituzione, abbia perso la cittadinanza italiana in forza della legge 555/1912. Le Sezioni Unite ricordano che, a partire dal 1� gennaio 1948, la madre riacquista sicuramente la cittadinanza italiana, e che tale effetto (automatico, non avendo il riacquisto della cittadinanza regolato dall�art. 219, legge 151/1975, portata costitutiva) determina l�acquisto della cittadinanza anche per i figli nati prima del 1� gennaio 1948 e i loro discendenti. Finora la Cassazione aveva riconosciuto tale riacquisto (rectius: acquisto originario) solo ai figli nati dopo il 1� gennaio 1948 (Cass., SS.UU., n. 3331/2004); per i nati prima del 1� gennaio 1948, si poneva il problema di stabilire se l�incostituzionalit� sopravvenuta comportasse o meno il riconoscimento di una cittadinanza italiana jure sanguinis (ossia per nascita), ancorch� la disciplina precostituzionale fosse all�epoca pienamente vigente e, per il periodo anteriore all�entrata in vigore della Costituzione, non fosse dunque stata travolta dalle sentenze della Corte Costituzionale. Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite affermano che continuare a negare ai figli (e ai loro discendenti) l�acquisto della cittadinanza italiana, anche dopo la sopraggiunta incostituzionalit� dell�evento che l�aveva impedito, determinerebbe un inammissibile �perdurare delle conseguenze di una normativa discriminatoria e violativa di diritti fondamentali della donna, in assenza di un evento esterno che abbia resto definitivo il rapporto regolato dalle norme incostituzionali�. La sentenza, se finisce per porre rimedio a una situazione di iniquit� e discriminazione per le donne determinatasi per effetto di norme (nella specie, l�art. 10, legge 555/1912) incostituzionali, non pare invero del tutto convincente nel percorso argomentativo seguito, nel quale non sembra scrutinato il 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 profilo del dato normativo oggi vigente, ossia: a) l�art. 219, legge 151/1975, che regola quello che comunque si configura come un �riacquisto� della cittadinanza da parte della donna coniugatasi a cittadino straniero prima della Costituzione; b) il fatto che l�acquisto della cittadinanza per nascita, sia nella previgente disciplina che in quella dettata ormai dalla legge 91/1992, richiede oltre al rapporto di filiazione da cittadino italiano, il possesso di tale cittadinanza da parte del genitore al momento della nascita; c) il fatto che nei casi di acquisto o riacquisto della cittadinanza da parte del genitore in epoca successiva alla nascita, solo i figli minori conviventi acquistano automaticamente la cittadinanza del genitore. La Cassazione propone una �lettura costituzionale� del quadro normativo, che per�, disattendendo le precise disposizioni normative vigenti, finisce per dar vita piuttosto a qualcosa di equiparabile a una sentenza manipolativa della Corte Costituzionale, sconfinando cio� in un giudizio di incostituzionalit� di queste norme per non prevedere un disciplina diversa e derogatoria nel peculiare caso di riacquisto conseguente a una perdita della cittadinanza a causa di una norma incostituzionale. Sull�acquisto della cittadinanza iure sanguinis, le Sezioni Unite affermano che essa deriva dal rapporto di filiazione, a prescindere dalla titolarit� della cittadinanza in capo al genitore al momento della nascita. Se cos� fosse, per�, non si comprenderebbe come mai il legislatore, sia nel 1912 (art. 12, legge 555/1912) che nel 1992 (art. 14, legge 91/1992), abbia limitato ai soli figli minori conviventi l�acquisto della cittadinanza in presenza di genitore che abbia acquistato o riacquistato la cittadinanza in un momento successivo alla loro nascita. Le Sezioni Unite obiettano che una trasmissione della cittadinanza ai figli condizionata dallo stato di cittadino del genitore al momento della nascita presupporrebbe un inaccettabile concetto di razza. In realt�, le norme sull�acquisto della cittadinanza in forza del rapporto di filiazione non evocano in alcun modo un fenomeno derivativo di trasmissione (respinto con chiarezza da Corte Cost., n. 30/1983): l�acquisto per filiazione � originario, e subordinato alla esistenza di alcuni requisiti previsti dalla legge, ossia: a) la cittadinanza italiana posseduta da uno dei genitori al momento della nascita (art. 1, comma 1, lettera a, legge 91/1992) o dell�adozione (art. 3, legge 91/1992: in tal caso il figlio deve essere minore); b) la cittadinanza italiana acquistata (o riacquistata) da uno dei genitori in un momento successivo alla nascita, a condizione che il figlio sia minore convivente (art. 14). Le Sezioni Unite sembrano invece affermare, anche se per risolvere questo caso particolarissimo, che il rapporto di filiazione da cittadino italiano at- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 223 tribuisce in ogni caso, senza limiti, la cittadinanza italiana al figlio, cos� non considerando l�art. 2, commi 2-3, l�art. 4, l�art. 9, comma 1, lettere a) e b), e l�art. 14, legge 91/1992. Le Sezioni Unite affermano che la donna riacquista la cittadinanza dal 1� gennaio 1948, con effetto ex tunc, senza bisogno di una dichiarazione di volont� n� di formalit� particolari, che hanno funzione solo ricognitiva: ma cos� disattende apertamente la chiarissima previsione dell�art. 15, legge 91/1992, secondo cui l�acquisto o il riacquisto della cittadinanza ha effetto ex nunc, �dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le condizioni e le formalit� prescritte�. E per le donne sposatesi con cittadino straniero prima del 1948 � fuor di dubbio che si tratti di �riacquisto�: la normativa precostituzionale � stata infatti rimossa dall�ordinamento solo a partire dal 1� gennaio 1948: dunque la cittadinanza � stata persa, e poi riacquistata. Altra aporia della motivazione della sentenza � quella che investe il ruolo residuo dell�art. 219, legge 151/1975. Tale disposizione, introdotta subito dopo la nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 87/1975, stabilisce quanto segue: �La donna che, per effetto di matrimonio con straniero o di mutamento di cittadinanza da parte del marito, ha perduto la cittadinanza italiana prima dell�entrata in vigore della presente legge, la riacquista con dichiarazione resa all�autorit� competente a norma dell�art. 36 delle disposizioni di attuazione del codice civile�. La norma, che regola la procedura da seguire per il riacquisto della cittadinanza da parte della donna coniugatasi con cittadino straniero, viene qui interpretata dalle Sezioni Unite nel senso di attribuire al riconoscimento conseguente alla dichiarazione resa ai sensi dell�art. 219 una portata non costitutiva, ma meramente dichiarativa. Il riacquisto, afferma la Cassazione, � realizzato automaticamente con l�entrata in vigore della Costituzione ed incontra come unico ostacolo l�eventuale rinuncia alla cittadinanza da parte dell�avente diritto. Con riferimento ai figli e ai discendenti della donna, la Suprema Corte ha poi precisato che possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana, a prescindere dal fatto che la madre (o ascendente) abbia reso tale dichiarazione, e persino dalla sua stessa esistenza in vita, configurando come unica ragione ostativa al riconoscimento della cittadinanza l�esistenza di eventuali rinunce alla stessa da parte degli aventi diritto. Le cose si complicano quando da queste conclusioni (si ripete, da un punto di vista dell�equit� sostanziale, assolutamente apprezzabili) la Cassazione traccia l�iter procedimentale che figli e discendenti dovrebbero percorrere per ottenere il riconoscimento della cittadinanza. La Cassazione richiama un proprio precedente in tema di apolidi, nel 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 quale si affermava il principio del c.d. doppio binario (civile e amministrativo) per la tutela del diritto al riconoscimento dello stato di apolide (Cass., SS.UU. 28873/2008), e attribuisce - anche nella ipotesi qui considerata - ai figli e ai discendenti la possibilit� di accedere, sia in sede amministrativa che giurisdizionale, al riconoscimento della cittadinanza (recuperata automaticamente per effetto della incostituzionalit� sopravvenuta dell�art. 10, legge 555/1912). Per farlo, per�, la Suprema Corte deve affrontare il problema della attuale operativit� dell�art. 219, legge 151/1975, come anche dell�art. 15, legge 91/1992, secondo cui �l�acquisto o il riacquisto della cittadinanza ha effetto [...] dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le condizioni e le formalit� richieste�. Le Sezioni Unite operano un distinguo tra �binario� giurisdizionale e �binario� amministrativo. Secondo la Cassazione, il riconoscimento della cittadinanza in sede giurisdizionale non incontrerebbe limiti particolari: � sufficiente dimostrare di essere nato da cittadina italiana che abbia perso la cittadinanza per effetto dell�art. 10, legge 555/1912, e che il Ministero non eccepisca e documenti l�esistenza di una rinuncia alla cittadinanza da parte degli aventi diritto. Le formalit� previste dal legislatore (tra cui la dichiarazione di cui all�art. 219) non sarebbero quindi necessarie per il riconoscimento giurisdizionale. Al contrario, la richiesta in via amministrativa incontrerebbe i vincoli procedimentali che, a legislazione vigente, sono rappresentati in primis dalla necessit� della dichiarazione della donna (ascendente) ai sensi dell�art. 219, legge 151/1975. Qualora dunque la donna sia deceduta, o comunque non abbia presentato tale dichiarazione, sembrerebbe preclusa all�Amministrazione la possibilit� di riconoscere la cittadinanza ai figli o discendenti, pur in presenza dei presupposti per il riconoscimento stesso, e dell�assenza di rinunce da parte degli aventi diritto. In tal senso sembrano potersi interpretare il seguente passaggio della sentenza in commento: �E� in rapporto all�esercizio della facolt� di rinuncia alla cittadinanza e all�applicazione dei principi di buona amministrazione di cui all�art. 97 Cost., che si � prevista la dichiarazione di cui alla L. n. 151 del 1975, art. 219, per il riacquisto della cittadinanza: trattasi di un documento necessario al fine del riconoscimento in sede amministrativa dello stato di cittadino della donna e dei suoi discendenti, comprovante la mancanza d�una rinuncia alla cittadinanza e con effetti non costituitivi. La dichiarazione che precede � indispensabile con le altre formalit� richieste perch� una volta resa all�autorit� competente, il Ministero dell�interno sia tenuto, con proprio decreto, alla ricognizione dello stato gi� recuperato per legge. Tale documento, ai sensi dell�art. 219 della legge di riforma del diritto di famiglia, non ha per� rilievo decisivo per la IL CONTENZIOSO NAZIONALE 225 tutela giurisdizionale dello stato di cittadino, che si recupera automaticamente per la inapplicabilit� sopravvenuta della legge dichiarata costituzionalmente illegittima, che fa cessare gli effetti di essa perduranti nel tempo, anche in costanza del rapporto di coniugio della donna a base della perdita, che a decorrere dal 1948 non pu� dar luogo alla privazione dello stato�. Esaminate queste argomentazioni, sembrerebbe doversi giungere alla conclusione che, in assenza della dichiarazione della donna resa ai sensi e con le modalit� di cui all�art. 219, legge 151/1975, al discendente sia preclusa la via amministrativa, ma possa adire solo (e direttamente) l�autorit� giudiziaria per ottenere il riconoscimento di una cittadinanza che in realt� ha gi� recuperato ope legis. In assenza della dichiarazione della donna, non vi sarebbe allora un �doppio binario�, dovendo il figlio o discendente ricorrere esclusivamente dinanzi all�autorit� giudiziaria: conclusione, questa, che lascia perplessi in quanto inevitabilmente generatrice di nuovo contenzioso. Avv. Lorenzo D�Ascia* Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 25 febbraio 2009 n. 4466 - Primo Pres. Carbone, Rel. Forte - E. M. (Avv. E. Dapei) c/Ministero dell�Interno (Avv. dello Stato M. Fiorilli - AL 30474/03). (... Omissis) Svolgimento del processo M. E., nata il 4 settembre 1962 al Cairo da E. E., che non aveva la cittadinanza italiana quale figlio di A. C., che l�aveva perduta per effetto di matrimonio con un cittadino egiziano, dato che tale perdita e mancato acquisto di stato erano dipesi dall�applicazione di norme della legge 13 giugno 1912, n. 555, dichiarate illegittime nel 1975 e nel 1983 dalla Corte costituzionale, perch� discriminatorie della posizione della donna rispetto a quella dell�uomo (artt. 3 e 29 della Cost.), con citazione del 27 agosto 2003, chiedeva al Tribunale di Roma in contraddittorio con il Ministero dell�Interno di dichiararla cittadina italiana iure sanguinis, per trasmissione dello stato dai suoi ascendenti. Il Ministero dell�Interno si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda, respinta nel 2004 dall�adito Tribunale, per mancanza della dichiarazione della Costanzo di voler riacquistare la cittadinanza perduta, ai sensi dell�art. 219 della legge 19 maggio 1975, n. 151; avverso tale pronuncia l�attrice proponeva gravame, respinto dalla sentenza di cui in epigrafe della Corte d�appello di Roma, la quale, riteneva inidonea la esibita dichiarazione della Costanzo sul riacquisto della cittadinanza. Per la cassazione di tale sentenza la Elia ha proposto ricorso di quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell�art. 378 c.p.c. e notificato a mezzo posta il 15 - 16 dicembre 2006 al (*) Avvocato dello Stato. 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Ministero dell�Interno e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e i due intimati non si sono difesi. La prima sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 2563 del 4 febbraio 2008, ha rilevato che si ripropone la questione degli effetti retroattivi della incostituzionalit� di norme precostituzionali, che, in relazione alla previgente legge n. 555 del 1912, � stata oggetto di contrasto tra pi� sentenze di questa Corte, risolto delle Sezioni unite nel senso che la incostituzionalit� sopravvenuta di tali norme, non retroagisce oltre il 1� gennaio 1948 n� opera per i rapporti esauriti, tra cui sՏ compreso quello di perdita dello stato per la donna a causa di matrimonio con cittadino straniero, anteriore a detta data. Si � negata la riespansibilit� dei rapporti di cittadinanza estinti per effetto del matrimonio della donna con lo straniero, che aveva prodotto tale effetto irretrattabile, in ragione di una norma ratione temporis legittima; la prima sezione civile, pur ritenendo corretta la premessa dei principi enunciati dalle Sezioni Unite sulla retroattivit� delle sentenze della Corte Costituzionale dichiarative dell�illegittimit� di leggi vigenti prima dell�entrata in vigore della carta fondamentale e sulla loro incostituzionalit� c.d. sopravvenuta, non ne ha condiviso il corollario, per cui dovrebbero ritenersi �esauriti� i rapporti di cittadinanza estinti o mai nati anteriormente al 1� gennaio 1948, da ritenere insuscettibili di ripristino dopo la rimozione della norma che aveva prodotto tali conseguenze. Errata sarebbe, ad avviso della sezione semplice, la considerazione come conclusi o esauriti dei rapporti di cittadinanza perduti o non acquistati prima del 1948 per la pregressa disciplina ritenuta incostituzionale, desumendo tale esaurimento dalle norme dichiarate illegittime, in quanti i fatti preclusivi alla estensione retroattiva della illegittimit� costituzionale possono ricavarsi solo da norme diverse da quelle valutate dal giudice della legge, essendo costituiti dagli effetti del giudicato, dal decorso dei termini di decadenza o dei tempi di prescrizione o da atti concludenti in tal senso, di natura processuale o sostanziale. Pertanto i rapporti di perduta o mancata cittadinanza ex lege n. 555 del 1912, �non esauriti� al 1� gennaio 1948, in assenza di eventi esterni che li abbiano definiti in precedenza, rendendoli non pi� giustiziabili ovvero insuscettibili di tutela giurisdizionale, non possono ritenersi esauriti. La perdita per la donna della cittadinanza a causa del �fatto� matrimonio con lo straniero, di cui all�art. 10, terzo comma, della legge n. 555 del 1912, dichiarato incostituzionale almeno a decorrere dal 1� gennaio 1948, non costituirebbe un effetto che necessariamente deve permanere oltre tale data, potendo considerarsi rimossa dalla stessa data per incostituzionalit� sopravvenuta, qualora manchino fatti o eventi preclusivi a tale efficacia retroattiva assoluta della pronuncia di incostituzionalit�. Dato il virtuale contrasto di tale soluzione con quella enunciata da precedenti pronunce della Corte di legittimit� risolutive dei predetti contrasti, il Primo Presidente ha assegnato la decisione alle sezioni unite, ai sensi dell�art. 374 c.p.c.. Motivi della decisione 1.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione o falsa applicazione dell�art. 219 della legge 19 maggio 1975, n. 151 e insufficiente o omessa motivazione su punti decisivi, relativi all�esistenza dei presupposti di fatto per applicare tale norma. Erroneamente la Corte Territoriale ha negato il riacquisto della cittadinanza per la ricorrente, per mancanza della dichiarazione della sua ascendente di voler recuperare la cittadinanza italiana, regolata dall�art. 219 della legge n. 151 del 1975, pur essendo in atti tale documento, IL CONTENZIOSO NAZIONALE 227 che esprime la volont� di A. C. di voler ritornare ad essere cittadina italiana, regolarmente manifestata alle autorit� consolari italiane in Egitto, risiedendo la donna in quel paese. La Corte di merito afferma apoditticamente che l�atto della Costanzo non costituisce �idonea documentazione al riguardo... per cui la cittadinanza non � mai stata dalla medesima riacquistata e quindi non pu� essere trasmessa ai figli e ai loro eredi�; infatti la dichiarazione resa all�autorit� consolare in presenza di due testi dalla Costanzo, di voler riacquistare la cittadinanza, � idonea al riacquisto dello stato e la sentenza di merito ha chiari vizi di motivazione su tale punto decisivo della sentenza. 1.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di principi di diritto e insufficiente o omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, dato che, anche a ritenere il documento di cui al primo motivo di ricorso inidoneo allo scopo, la Corte Territoriale ha errato nel negare che le pronunce di illegittimit� costituzionale abbiano effetti retroattivi inapplicabili al rapporto di perduta cittadinanza per cui � causa, considerando quest�ultimo �esaurito�, pur essendo lo stato un rapporto imprescrittibile. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso si solleva il dubbio sulla legittimit� costituzionale dell�art. 219 della legge n. 151 del 1975, la cui applicabilit� � stata confermata dall�art. 17 della legge sulla cittadinanza 5 febbraio 1992, n. 91. La condizione imposta da tali norme, per la quale, in assenza della dichiarazione da essa prevista, il riacquisto della cittadinanza sarebbe negato, � incostituzionale, perch� in contrasto con gli artt. 3 e 10 della Cost., con la convenzione di New York del 18 dicembre 1979, ratificata dalla legge n. 132 del 14 marzo 1985, e con i principi di non discriminazione tra uomo e donna di cui alla Costituzione europea. La perdita automatica della cittadinanza per la sola donna coniugata con straniero e non per l�uomo � discriminatoria e la pretesa di ulteriori oneri a carico della stessa vittima dell�ingiustizia, per recuperate lo stato di cui illegittimamente � stata privata, � incostituzionale, in quanto l�uomo conserva la sua cittadinanza in ogni caso e, per i discendenti delle donne decedute tra il 1948 e il 1975, il riacquisto della cittadinanza non potrebbe esservi. Si chiede quindi di ritenere automatico il riacquisto della cittadinanza, cos� come lo era stata la perdita per effetto della legge incostituzionale. 1.4. Infine il quarto motivo di ricorso chiede la riforma della decisione della Corte Territoriale anche per lo ius superveniens di cui al D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, il c.d. �Codice della pari opportunit� tra uomo e donna� e a norma dell�art. 5 della legge 28 novembre 2005, n. 246. 2. Il secondo motivo di ricorso, che censura la sentenza di merito per aver negato l�automaticit� del riacquisto della cittadinanza degli ascendenti della ricorrente e l�acquisto dello stato di cittadina per quest�ultima, per effetto delle sentenze della Corte costituzionale 16 aprile 1975 n. 87 e 9 febbraio 1983 n. 30, indipendentemente dalla dichiarazione della ascendente di lei, di cui all�art. 219 della Legge n. 151 del 1975, � logicamente preliminare all�esame degli altri motivi di ricorso. La pronuncia del 1975 ha dichiarato illegittimo l�art. 10, comma 3, della legge 13 giugno 1912, n. 555, per la parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza per la donna senza la volont� di questa, in caso di matrimonio con cittadino straniero; la sentenza n. 30 del 1983 del giudice delle leggi ha rilevato la incostituzionalit� degli artt. 1, n.ri 1 e 2, e 2, comma 2, della stessa legge per la parte in cui il primo non prevedeva l�acquisto della cittadinanza per i figli di madre cittadina e l�altro sanciva in ogni caso la prevalenza della cittadinanza del padre nella trasmissione dello stato di cittadino ai figli. La controversia riguarda una discendente di soggetti che, anteriormente al 1948, hanno subito 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 gli effetti delle norme dichiarate incostituzionali: la nonna della ricorrente, Angelina Costanzo, aveva perduto la cittadinanza italiana senza avervi rinunciato, per essersi �maritata� (cos� la parola usata nella legge n. 555 del 1912) con un egiziano e il figlio della coppia, nato nel 1942, aveva dovuto acquisire lo stato di cittadino del padre, come imposto dalla legge discriminatoria della condizione femminile, e non aveva potuto trasmettere la cittadinanza italiana alla figlia che ne chiede il riconoscimento in questa sede. A differenza dei precedenti che hanno dato luogo al contrasto, nei quali agivano in giudizio soggetti sui quali avevano inciso direttamente le leggi dichiarate incostituzionali, cio� donne che avevano perduto la cittadinanza per il matrimonio con lo straniero o persone che non la avevano acquistata per essere figli di madri nella condizione indicata e di padre straniero, nel caso, la istante � solo discendente di soggetti che hanno subito le conseguenze della disciplina discriminatoria. Il riconoscimento giudiziale della cittadinanza spetterebbe di diritto alla ricorrente, per essere state dichiarate incostituzionali le norme sopra citate, dovendo ritenersi riacquisito o non perduto lo stato di cittadini italiani dal padre e dalla nonna, quanto meno a decorrere dal 1� gennaio 1948, essendo incompatibili con il principio di non discriminazione tra i sessi gli effetti, perduranti nel tempo, della normativa incostituzionale non pi� applicabile quanto meno dalla data che precede. 2.1. La Corte Costituzionale nel 1975, dichiarando la illegittimit� costituzionale dell�art. 10, comma terzo, della legge n. 555 del 1912, �nella parte in cui prevede la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volont� della donna�, ha ritenuto tale disciplina discriminatoria della uguaglianza tra uomo e donna e violativa non solo dell�art. 3 Cost., ma anche del principio di uguaglianza dei coniugi e dell�unit� familiare di cui all�art. 29 della Cost., potendo indurre la donna, per non perdere il proprio stato di cittadina, �a non compiere l�atto giuridico del matrimonio o a sciogliere questo una volta compiuto� (cos� testualmente la citata sentenza n. 87 del 1975), prevedendo la stessa norma, sul punto non dichiarata illegittima, il riacquisto della cittadinanza per il successivo scioglimento del vincolo coniugale, la cui permanenza era il presupposto giuridico del perdurare della perdita dello stato di cittadina, anche nel precedente regime. Ad analoga ratio decidendi si ispira la pronuncia n. 30 del 1983, che ritiene discriminante la disciplina della legge n. 555 del 1912, in ordine al mancato acquisto della cittadinanza, perch� �tratta in modo diverso i figli legittimi di padre italiano e madre straniera rispetto ai figli legittimi di padre straniero e madre italiana�, come afferma la sentenza indicata, consentendo solo ai primi di acquisire lo stato di cittadino. Nella stessa linea e con riferimento sempre agli artt. 3, comma primo, e 29, comma secondo, della Cost., si � infine dichiarato illegittimo, con la sentenza della C. Cost. 26 febbraio 1987 n. 81, l�art. 18 delle disposizioni preliminari al codice civile che, nel caso di diversa nazionalit� dei coniugi e di mancanza di una legge nazionale comune ad entrambi, imponeva l�applicazione della legge nazionale del marito al tempo del matrimonio; la decisione assume rilievo in questa sede, perch� la denegata posizione preminente del marito per individuare la legge applicabile ai due coniugi, importa che la trasmissione alla moglie della cittadinanza imposta dalla legge nazionale di lui per effetto del matrimonio al tempo in cui fu contratto possa permanere, senza essere considerata discriminatoria e violativa del diritto alla eguaglianza giuridica e morale dei coniugi. 2.2. Questa Corte, con sentenza 23 febbraio 1978 n. 903, ha negato che la pronuncia d�illegittimit� costituzionale di norme anteriori all�entrata in vigore della Costituzione possa avere effetti prima del 1� gennaio 1948, data di vigenza della carta fondamentale, rilevando che �la IL CONTENZIOSO NAZIONALE 229 perdita della cittadinanza italiana, a causa dell�acquisto della cittadinanza straniera per effetto del matrimonio della donna contratto con cittadino di altro paese, � effetto istantaneo di tale atto, costituente fatto generatore dell�evento, sul quale non pu� produrre effetti la pronuncia di illegittimit� dell�art. 10, 3� comma, della l. 13 giugno 1912, n. 555, di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975�. La sentenza enuncia principi gi� all�epoca consolidati sulla c.d. incostituzionalit� sopravvenuta delle norme precostituzionali dichiarate illegittime (cfr. infra n. 2.3.), ma ad essi non aderiscono due successive pronunce di questa Corte. La Cass. 10 luglio 1996 n. 6297, sul presupposto che la stessa rilevanza della questione di legittimit� costituzionale nel sistema di giudizio incidentale nel quale essa � decisa, comporta la cessazione di efficacia erga omnes delle leggi precostituzionali in quanto applicabili ai rapporti non esauriti, ritiene che causa del mancato acquisto della cittadinanza per l�attore, nato anteriormente al 1 gennaio 1948 e figlio di padre argentino e di madre che aveva perduto la cittadinanza per il matrimonio, non sia la nascita ma il rapporto di filiazione con uno dei genitori cittadino inciso ingiustamente dalla norma illegittima e riconosce all�istante la cittadinanza. Nella stessa linea si muove Cass. 18 novembre 1996 n. 10086, relativa a un matrimonio del 1950 di una italiana con uno svizzero, e all�acquisto dello stato di cittadino del figlio; a seguito di queste due pronunce sorge il contrasto tra decisioni delle sezioni semplici, cui viene data una prima soluzione, da questa Corte a sezioni unite con la sentenza 27 novembre 1998 n. 12061, che aderisce a quanto enunciato nel 1978, con la precisazione che la regola dell�incostituzionalit� sopravvenuta impone che la perdita della cittadinanza per effetto del matrimonio della donna con uno straniero prima dell�entrata in vigore della carta costituzionale, evento ormai definitivo, permanga pure dopo l�entrata in vigore della Costituzione, salvo la facolt� per la donna di riacquistare il suo stato con gli strumenti previsti dalla legge ordinaria, cio� con la dichiarazione di cui all�art. 219 della legge n. 151 del 1975. In rapporto a una cittadina italiana nata in Libia, che aveva perso la cittadinanza per un matrimonio del 1944 con un tunisino, la Cass. 22 novembre 2000 n. 15062, discostandosi dai principi enunciati nel 1998 ed aderendo alla tesi della c.d. incostituzionalit� sopravvenuta, ha affermato che, a decorrere dal 1� gennaio 1948, il mancato esaurimento del rapporto di perdita della cittadinanza imposta dalla norma illegittima, ne comporta il recupero. Si � rilevata il permanere degli effetti della perdita e del mancato acquisto dello stato contrastanti con principi e norme costituzionali dopo il 1� gennaio 1948, riconoscendosi la cittadinanza italiana ai tre figli della donna, non cittadini solo per essere nati dopo che la madre aveva perduto lo stato di cittadina per la norma divenuta illegittima. A causa del rinato contrasto degli orientamenti di questa Corte sulla perdita e sul mancato acquisto della cittadinanza, derivati tutti dalla previgente disciplina delle norme dichiarate illegittime della legge n. 555 del 1912, questa Corte a sezioni unite, con la sentenza 19 febbraio 2004 n. 3331, ha di nuovo confermato la irretrattabilit� della perdita dello stato di cittadina per la donna che abbia contratto matrimonio con uno straniero prima dell�entrata in vigore della Costituzione, essendo tale effetto sorto da un evento intervenuto in via definitiva e ormai esaurito, prima che il parametro costituzionale di riferimento che lo rendeva illegittimo fosse giuridicamente esistente e potendo comunque la donna riacquisire il suo stato con la dichiarazione, in tal caso avente effetti costitutivi, di cui all�art. 219 della legge n. 151 del 1975. 2.3. Ad eccezione delle due sentenze del 1996, tutte le altre riaffermano il principio per il quale �la dichiarazione di illegittimit� costituzionale di una norma di legge � un accertamento con efficacia erga omnes, per cui, in conseguenza di esso, la norma di legge dichiarata costi- 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 tuzionalmente illegittima � espunta dal vigente sistema legislativo ex tunc, dal momento in cui � entrata in vigore, se si tratta di norma successiva alla Costituzione, ovvero dal momento di entrata in vigore di quest�ultima, se si tratta di norma anteriore ad essa� (tra altre, con le pronunce citate, cfr. Cass. 4 giugno 1969 n. 1959, 4 febbraio 1975 n. 419 e 12 gennaio 1980 n. 260 e, nello stesso senso, C. Cost. 27 aprile 1967 n. 58). Salvo il caso in cui la stessa sentenza della Corte costituzionale regoli in maniera diversa la propria retroattivit�, la questione degli effetti retroattivi delle declaratorie d�illegittimit� di leggi precostituzionali viene di solito risolta con i principi sopra enunciati della c.d. incostituzionalit� sopravvenuta, affermandosi che, solo a decorrere dalla entrata in vigore della Costituzione (1� gennaio 1948) e non prima di tale data, possa avere rilievo il contrasto con le norme della legge fondamentale del diritto interno, mancando il parametro costituzionale di riferimento, non esistente n� vigente. Pure di incostituzionalit� sopravvenuta di norme giuridiche esattamente si parla con riferimento a norme dichiarate incostituzionali per il loro contrasto con precetti nascenti da modifiche alla Costituzione successive alla entrata in vigore delle norme ordinarie dichiarate illegittime: ci� � accaduto con l� art. 5 bis della legge n. 359 del 1992, , in rapporto all�art. 117 Cost., sostituito dalla legge 18 ottobre 2001, n. 3, e alle pronunce della C. Cost. 24 ottobre 2007 n. 348 e 349. In rapporto a tale questione Cass. 14 dicembre 2007 n. 26275 rileva correttamente che il carattere incidentale del giudizio di legittimit� costituzionale impone che la norma che ne � oggetto regoli il rapporto controverso e che quindi questo sia ancora pendente perch�, per la sua regolamentazione, possa in riferimento ad esso cessare l�efficacia della legge di cui sՏ dichiarata l�incostituzionalit�, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza del giudice delle leggi (art. 136 Cost.). Per effetto dell�accoglimento dalla questione incidentale di illegittimit� costituzionale, si rende inapplicabile la norma illegittima ai rapporti e ai casi ai quali essa sarebbe stata applicata, in mancanza della pronuncia del giudice delle leggi, che incide su tali situazioni solo se ed in quanto esse non siano ormai definite, consolidate e concluse, per effetto di altre norme (art. 30, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87,). Si era gi� autorevolmente affermato in dottrina che i limiti della retroattivit� delle sentenze dichiarative dell�incostituzionalit� del giudice della legge, assoluta ed erga omnes, corrispondono comunque a quelli della rilevanza della questione prospettata al giudice delle leggi, che ne afferma l�ammissibilit� solo quando il rapporto cui la norma della cui costituzionalit� si dubita sia ancora giustiziabile, cio� assoggettabile a un giudizio che lo regoli in base alla disciplina in contrasto con la carta fondamentale e suscettibile di modifiche, e non quindi allorch� esso sia ormai esaurito e concluso, per effetto di norme diverse che lo abbiano ormai chiuso in via definitiva (Cass. 18 luglio 2006 n. 16450). Se l�esaurimento di un rapporto si rileva da norme sostanziali o processuali diverse da quelle oggetto del giudizio di costituzionalit�, la sua pendenza, necessaria per la rilevanza della questione, non pu� che desumersi dalla norma della cui costituzionalit� si dubita, da rendere inefficace in relazione a situazioni che non debbano ritenersi gi� definite o ormai consolidate (cos�, Cass. 14 gennaio 2008 n. 599, la cit. n. 26275/2007, 28 luglio 2005 n. 15809). Per le leggi precostituzionali, si afferma che i rapporti regolati da una normativa, sorti nella fase in cui questa non poteva valutarsi su parametri di costituzionalit� inesistenti, di regola non possono neppure essere incisi dalla sopravvenuta illegittimit� della legge, salvo diversa indicazione della sentenza del giudice delle leggi. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 231 Quest�ultima pronuncia non pu� modificare i rapporti regolati dalla norma illegittima, salvo che questi non siano suscettibili di produrre, nella sfera giuridica di chi ne � titolare, ancora conseguenze per effetto della legge incostituzionale. Nel caso di specie, la sentenza n. 87 del 1975 e la n. 30 del 1983 della Corte costituzionale chiariscono che, in ordine al matrimonio con lo straniero, la perdita della cittadinanza della moglie veniva meno con lo scioglimento del matrimonio e che il mancato acquisto dello stato derivava non dalla mera nascita da donna privata della cittadinanza, senza la sua volont�, ma dalla �filiazione� da questa, mostrando, con tale lettura delle norme incostituzionali della legge del 1912, che erano il coniugio con lo straniero e la filiazione da questo le cause permanenti della perdita e del mancato acquisto dello stato e non i fatti da cui i rapporti sorgevano, pur non avendo il marito rilievo preminente in essi (C. Cost. n. 71/1987). 3. La cittadinanza � una condizione personale che rende una persona membro del popolo di un certo paese e da essa sorgono diritti e doveri non solo nei confronti dello Stato ma anche nei rapporti del cittadino con la societ� e le altre persone che ad essa appartengono (art. 4 Cost., 1� e 2� comma, Cost). Per la normativa ordinaria, alla cittadinanza ha diritto il figlio di padre o madre cittadini o di genitori ignoti, se nasce sul territorio nazionale (art. 1 L. 5 febbraio 1992, n. 91), con riferimento ai concetti di ius sanguinis e ius soli; la Costituzione vieta che lo stato possa perdersi per motivi politici (art. 22 Cost.) e la legge ordinaria precisa che ad esso pu� rinunciare solo chi ne � titolare (art. 11 L. n. 92 del 1991). La struttura normativa dell�istituto evidenzia che ogni persona ha un diritto soggettivo alla condizione personale costituita dallo stato di cittadino e in tal senso sono pure le convenzioni internazionali rilevanti in questa sede ai sensi dell�art. 117 Cost. (dall�art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell�uomo del 1948 al Trattato di Lisbona approvato dal Parlamento europeo il 16 gennaio 2008). La legge n. 92 del 1991 sulla cittadinanza riafferma l�esistenza di tale diritto che pu� essere solo riconosciuto dalle autorit� amministrative competenti (Ministero dell�Interno: artt. 7 e 8), prevedendo eccezionalmente atti concessori di esso da parte del Presidente della Repubblica, con una discrezionalit� politica limitata, in rapporto alle circostanze speciali indicate dalla legge, per le quali la cittadinanza viene concessa (art. 9). Lo stato di cittadino � permanente ed ha effetti perduranti nel tempo che si manifestano nell�esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si � rilevato, pu� perdersi solo per rinuncia, cos� come anche nella legislazione previgente ( art. 8, n. 2 L. n. 555 del 1912). Per la Convenzione sull�eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata in Italia dalla legge 14 marzo 1985, n. 132, richiamata in ricorso, alle donne spettano �diritti uguali a quelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione della cittadinanza�. Nella Legge del 1912, come interpretata dalla Corte Costituzionale nelle due richiamate sentenze, il rapporto di coniugio della donna �maritata� con straniero e quello di �filiazione� solo da padre cittadino comportavano rispettivamente la perdita o l�acquisto della cittadinanza, non spettante al figlio di donna che l�aveva perduta per matrimonio. Nessun riferimento esclusivo alla nascita e al mero ius sanguinis giustificava o giustifica l�acquisto dello stato di cittadino, che sorge dalla filiazione, oggi anche adottiva, essendo dubitabile e superato il collegamento al mero fatto del nascere da un soggetto con una specifica cittadinanza dell�acquisto di questa, con una visione che pericolosamente si accosta al concetto di �razza�, incompatibile con la civilt� prima ancora che con l�art. 3 Costituzione. 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 La cittadinanza, come esattamente si afferma dalla migliore dottrina, assume il suo senso e significato non solo nella disciplina dei rapporti verticali del suo titolare con lo Stato che esercita poteri sovrani nei suoi confronti, ma anche in quelli orizzontali con gli altri appartenenti alla societ� cui egli partecipa con lui titolari del medesimo stato (art. 4 Cost.). Attraverso il rapporto di filiazione che collega una persona alla formazione sociale intermedia costituita dalla famiglia �societ� naturale� (artt. 2 e 29 della Cost.), la persona entra in rapporto con l�intera societ� e ha diritto al riconoscimento dello stato di cittadino e dei diritti e doveri conseguenti. Perci� correttamente si afferma che lo stato di cittadino, effetto della condizione di figlio, come questa, costituisce una qualit� essenziale della persona, con caratteri d�assolutezza, originariet�, indisponibilit� ed imprescrittibilit�, che lo rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non definibile come esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da sentenza passata in giudicato. Tale ricostruzione del concetto di cittadinanza emerge dalle stesse sentenze sulla legge precostituzionale che la regolava della Corte Costituzionale, che ritengono la perdita e il mancato acquisto dello stato imposte dalla normativa illegittima, effetto di un matrimonio, sempre che questo permanga efficace e non sia stato sciolto, e dell�essere figlio di madre che la perdita dello stato abbia subito contro la sua volont�, senza rinunciarvi. Si afferma nelle sentenze delle S.U. del 1998 e del 2004, che il fatto causativo della privazione della cittadinanza per la donna sarebbe il solo evento del matrimonio contratto prima dell�entrata in vigore della costituzione, cui l�art. 10 collegava la perdita della cittadinanza, qualificandosi tale effetto come conseguenza esaurita del matrimonio stesso, senza darsi rilievo alle indicate ragioni delle decisioni dichiarative della illegittimit� della normativa, rilevata anche in base al perdurare del vincolo matrimoniale fino al suo scioglimento e alla filiazione della persona anche da madre cittadina. La stessa ordinanza interlocutoria della prima sezione civile esattamente afferma che lo stato di cittadino, se perduto, � comunque recuperabile, come accadeva anche nel vigore dell�art. 10 della l. n. 555 del 1912 sul punto non illegittimo, con lo scioglimento del vincolo e quindi che la perdita della cittadinanza costituisce un rapporto perdurante nel tempo, su cui incide lo stato di coniuge e non solo il fatto matrimonio e quello di figlio di donna e non di uomo cittadino, che, anche nella presente fattispecie, hanno inciso sulla cittadinanza degli ascendenti della ricorrente, in contrasto con i principi fondamentali e costituzionali di non discriminazione della donna e a causa di una diversit� di trattamento fondata sulla distinzione sessuale e violativa del principio di tutela dell�unit� familiare e di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. In assenza di eventi o situazioni, regolate da norme diverse dalla legge n. 555 del 1912, come ad es. una sentenza passata in giudicato che abbia reso definitiva ed esaurita la perdita o il mancato acquisto della cittadinanza, il permanere di tali effetti comporta il perdurare delle conseguenze di una normativa discriminatoria e violativa di diritti fondamentali della donna, pure in assenza di un evento esterno che abbia reso definitivo il rapporto regolato dalle norme incostituzionali. Il carattere assoluto della tutela del diritto fondamentale a non essere discriminati per ragioni di sesso leso dalla normativa del 1912, potrebbe far riconoscere una retroattivit� oltre la data di entrata in vigore della Costituzione e un�incidenza nel tempo analoga a quella riconosciuta nello spazio da questa Corte (S.U. ord. 29 maggio 2008 n. 14201 e sent. 11 marzo 2004 n. 5044), essendo in gioco diritti inviolabili della donna ad essere trattata non diversamente dal- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 233 l�uomo, che la Carta all�art. 2 �riconosce� e non attribuisce, anche in riferimento al ruolo dei coniugi nella famiglia (C. Cost. n. 81/87). Il mancato riferimento a tale pi� estesa retroattivit� dalle citate sentenze della Corte Costituzionale del 1975 e del 1983, il cui contenuto indica la loro efficacia retroattiva solo per i rapporti non esauriti sui quali le norme incostituzionali ancora incidano, non consente di superare nel caso i principi enunciati dell�incostituzionalit� sopravvenuta e il limite della retroattivit� non oltre il 1 gennaio 1948 della rilevata illegittimit� delle norme precostituzionali. 3.1. I due precedenti del 1998 e del 2004 di questa Corte a sezioni unite collegano il recupero della cittadinanza alla dichiarazione prevista dall�art. 219 della legge n. 251 del 1975, ritenendo la prima che il riferimento nella sentenza n. 87 del 1975 alla perdita della cittadinanza contro la volont� della donna, naturalmente escluda un riacquisto dello stato senza la volont� della stessa e affermandosi, nella seconda pronuncia, che tale atto avrebbe natura costitutiva almeno con riferimento alla cittadinanza perduta prima dell�entrata in vigore della L. n. 151 del 1975. La norma, confermata dall�art. 17 della L. n. 92 del 1991, prevede che �la donna che, per effetto di matrimonio con lo straniero ... ha perduto la cittadinanza italiana prima dell�entrata in vigore della presente legge, la riacquista con dichiarazione resa all�autorit� competente�, cio� all�ufficiale di stato civile della citt� dove la dichiarante risiede o intende stabilire la sua residenza o, in caso di residenza all�estero, alle autorit� diplomatiche o consolari (cfr. artt. 7 e 23 della L. n. 92 del 1991 e art. 1 del D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362, norme che hanno sostituito l�art. 36 disp. att. del c.c.). In rapporto alla facolt� degli aventi diritto al recupero o all�acquisto della cittadinanza di rinunciare allo stato di cittadino, prevista, nella previgente legge n. 555 del 1912 (art. 8) e nella attuale normativa (art. 11 della l. n. 92 del 1991), l� art. 219 della L. n. 151 del 1975 impone la dichiarazione, che, dalla stessa norma si prevede sia �resa� all�autorit� amministrativa con effetti ricognitivi del riacquisto della cittadinanza perduta prima dell�entrata in vigore della legge del 1975 e anteriormente al 1948. L�affermazione della norma che il riacquisto si ha �con� la dichiarazione e non �per effetto� di questa, in nessun caso consente di qualificare tale atto come costitutivo, anche se le autorit� amministrative sono tenute a �riconoscere�, con decreto ministeriale, il diritto al recupero della cittadinanza perduta a decorrere dal giorno successivo a quello in cui sono state adempiute tutte le formalit� richieste (art. 15 legge n. 92 del 1991). Deve ritenersi che, come previsto per lo stato di apolide, anche per lo stato di cittadino, la ricognizione amministrativa e il Decreto del Ministro dell�interno che ad essa consegue (artt. 7 e 8 L. n. 92 del 1991), riguardando un diritto soggettivo, sono atti vincolati che non possono che fondarsi sui documenti prodotti da chi li richiede, in applicazione dei principi d�imparzialit� e trasparenza dell�azione amministrativa (art. 97 Cost.). L�accertamento giudiziale dello stato di cittadino invece non � vincolato ai medesimi limiti dell�azione della P.A. e, nel caso di perdita della cittadinanza per il matrimonio di donna con straniero anteriore al 1975, pu� avvenire senza tale atto, sempre che non sia provata dal Ministero la rinuncia dell�interessata allo stato stesso intervenuta nelle more (sul doppio binario, amministrativo e giurisdizionale, per il riconoscimento dello stato di apolidia, cfr. S.U. 9 dicembre 2008 n. 28873). Tale lettura costituzionale dell�art. 219 della legge n. 151 del 1975, assorbe ogni censura proposta nel primo motivo di ricorso e rende irrilevante la questione di legittimit� costituzionale sollevata nel terzo motivo d�impugnazione. 3.2. La situazione a base delle domande oggetto di questo giudizio, cio� il diritto allo stato di 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cittadina della ricorrente, perch� illegittimamente mai acquisito dal padre figlio di donna che lo ha perduto ingiustamente, � conseguenza �automatica� della applicazione di una legge incostituzionale a decorrere dal 1� gennaio 1948. Sul piano logico prima che su quello giuridico, ai sensi dell�art. 136 della Cost. e dell�art. 30 della L. 11 marzo 1953, n. 87, la cessazione degli effetti della legge illegittima perch� discriminatoria, non pu� non incidere immediatamente e in via �automatica� sulle situazioni pendenti o ancora giustiziabili, come il diritto alla cittadinanza, potendo in ogni tempo, dalla data in cui la legge � divenuta inapplicabile, essere riconosciuto l�imprescrittibile diritto alla mancata perdita o all�acquisto dello stato di cittadino degli ascendenti della ricorrente e quindi il diritto di questa alla dichiarazione del proprio stato, come figlia di padre cittadino per la filiazione da donna che, dal 1� gennaio 1948, deve ritenersi cittadina italiana. Gli effetti prodotti da una legge ingiusta e discriminante nei rapporti di filiazione e coniugio e sullo stato di cittadinanza, che perdurino nel tempo, non possono che venire meno, anche in caso di morte di taluno degli ascendenti, con la cessazione di efficacia di tale legge, che decorre, dal 1� gennaio 1948, data dalla quale la cittadinanza deve ritenersi automaticamente recuperata per coloro che l�hanno perduta o non l�hanno acquistata a causa di una norma ingiusta, ove non vi sia stata una espressa rinuncia allo stato degli aventi diritto. Le norme precostituzionali riconosciute illegittime per effetto di sentenze del giudice della legge, sono inapplicabili e non hanno pi� effetto dal 1� gennaio 1948 sui rapporti su cui ancora incidono, se permanga, la discriminazione delle persone per il loro sesso o la preminenza del marito nei rapporti familiari, sempre che vi sia una persona sulla quale determinano ancora conseguenze ingiuste, ma giustiziabili, cio� tutelabili in sede giurisdizionale. Di certo non pu� costituire criterio ermeneutico in senso opposto degli effetti delle sentenza d�incostituzionalit� delle leggi, la diffidenza della prassi amministrativa verso una eccessiva espansione della retroattivit�, che potrebbe dar luogo ad una moltiplicazione di richieste di cittadinanza dai discendenti dei cittadini italiani emigrati in altri Stati, quale � l�attrice-ricorrente nella fattispecie (cfr. la circolare del Ministero dell�interno 11 novembre 1992, n. K.60.1, che in tali sensi interpreta la legge n. 91 del 1992, richiamando il parere della 1^ sezione del Consiglio di Stato del 15 gennaio 1983, che nega che le sentenze della Corte costituzionale possano retroagire oltre il 1� gennaio 1948). In realt�, anche a non tenere conto della diversit�, rispetto all�epoca della citata circolare ministeriale, dell�attuale condizione della societ�, in cui esistono forti flussi immigratori, oggi appare palese il favore del nostro legislatore per il recupero della cittadinanza dei discendenti degli emigrati all�estero, cui si tende a riconoscere il diritto di voto (la tendenza normativa emerge ad es. dalla legge 8 marzo 2006, n. 124, dal D.M. 5 aprile 2002 e dall�art. 18 della legge n. 91 del 1992), dovendosi negare ogni rilievo alla nuova normativa sulle pari opportunit� di cui al quarto motivo, assorbito per l�accoglimento della impugnazione. 5. In conclusione, il ricorso della Elia � fondato, indipendentemente dalla dichiarazione della sua ascendente A. C. di voler riacquistare la cittadinanza, dovendo ritenersi tale effetto prodotto, a decorrere dal 1� gennaio 1948, dalla sentenza della Corte Cost. n. 87 del 1975, con analoghe conseguenze, dalla stessa data, per il padre della ricorrente, figlio di madre cittadina avente diritto allo stato per effetto della filiazione indicato, in ragione della sentenza del giudice delle leggi n. 30 del 1983 e della fine della preminenza del marito nella vita della famiglia e delle norme che la regolano. Tale riconoscimento non pu� negarsi neppure in caso di morte degli ascendenti della ricorrente, salvo che vi sia stata, da costoro, rinuncia alla cittadinanza sempre consentita dalle leggi IL CONTENZIOSO NAZIONALE 235 succedutesi nel tempo (artt. 8 L. n. 555 del 1912 e 11 L. n. 92 del 1991), rinuncia di cui deve dare la prova in questa sede chi si oppone alla ricognizione del diritto. � in rapporto all�esercizio della facolt� di rinuncia alla cittadinanza e all�applicazione dei principi di buona amministrazione di cui all�art. 97 Cost., che si � prevista la dichiarazione di cui all�art. 219 della L. n. 151 del 1975 per il riacquisto della cittadinanza: trattasi di un documento necessario al fine del riconoscimento in sede amministrativa dello stato di cittadino della donna e dei suoi discendenti, comprovante la mancanza di una rinuncia alla cittadinanza e con effetti non costitutivi. La dichiarazione � necessaria con altre formalit�, perch� resa all�autorit� competente, vincola il Ministero dell�Interno alla ricognizione con decreto dello stato gi� recuperato per legge. Lo stesso documento non ha invece il medesimo rilievo decisivo per la tutela giurisdizionale dello stato di cittadino, recuperato automaticamente per la inapplicabilit� sopravvenuta della legge dichiarata costituzionalmente illegittima, che fa cessare gli effetti di essa perduranti nel tempo, anche in costanza del rapporto di coniugio della donna a base della perdita, che, a decorrere dal 1948 non pu� dar luogo alla privazione dello stato. Deve quindi enunciarsi il seguente principio di diritto �La titolarit� della cittadinanza italiana va riconosciuta in sede giudiziaria, indipendentemente dalla dichiarazione resa dall�interessata ai sensi dell�art. 219 della legge n. 151 del 1975, alla donna che l�ha perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al 1� gennaio 1948, in quanto la perdita senza la volont� della titolare della cittadinanza � effetto perdurante, dopo la data indicata, della norma incostituzionale, effetto che contrasta con il principio della parit� dei sessi e della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost.). Per lo stesso principio, riacquista la cittadinanza italiana dal 1 gennaio 1948, anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della L. n. 255 del 1912, determinando il rapporto di filiazione, dopo l�entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione a lui dello stato di cittadino, che gli sarebbe spettato di diritto senza la legge discriminatoria; da quest�ultimo quindi lo stato, per il rapporto di paternit�, deve trasmettersi alla figlia, ricorrente in questa sede e alla quale deve riconoscersi�. Ai sensi dell�art. 384 c.p.c., questa Corte, accolto il ricorso, deve quindi cassare la sentenza impugnata che ha applicato principi diversi e accogliere la domanda della Elia, non essendo provati dal Ministero fatti ostativi alla ricognizione richiesta e dovendosi ritenere acquisito automaticamente dalla ricorrente, alla data della nascita (settembre 1962), lo stato di cittadina per le ragioni richiamate. Al riconoscimento devono seguire le formalit� di legge da disporsi in via accessoria; le incertezze giurisprudenziali nella materia giustificano la totale compensazione delle spese dell�intero giudizio tra le parti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell�art. 348 c.p.c.,: a) accoglie la domanda di E. M. (...Omissis) 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Le nuove inammissibilit�: �l�omissione di fatti non rilevanti� (Corte di cassazione, Sezione Tributaria, ordinanza 11 dicembre 2008 n. 29159) L�ordinanza sarebbe motivo di allarme se dovesse costituire un primo caso di applicazione di un principio di diritto. Nel giudizio si discuteva di un�imposta, liquidata ai sensi dell�art. 81 DPR n. 917/1986 (oggi art. 67), su di una plusvalenza che l�Ufficio aveva accertato a seguito della cessione di un terreno, ritenuto suscettibile di utilizzazione edificatoria. Non erano sorte questioni n� sulla competenza dell�Ufficio accertatore n� di natura processuale, in particolare su preclusioni, maturate tra il primo ed il secondo grado. La indicazione dell�ufficio che aveva proceduto all�accertamento era, pertanto, irrilevante, come lo era il richiamo al giudizio di primo grado, sullo svolgimento e sul rapporto del quale con quello di secondo grado non erano insorte contestazioni. L�art. 366 c.p.c., primo comma, n. 3) richiede la esposizione sommaria dei fatti della causa. Sommario, secondo il vocabolario Zanichelli, � ci� che ҏ esposto per sommi capi, schematico, fatto alla svelta, superficiale, approssimativo�. Come �fatti di causa� si ritiene che non si possano intendere che quelli sui quali si fondano le contestazioni tra le parti. �L�esposizione sommaria dei fatti di causa� dovrebbe consistere, pertanto, nel richiamo dei fatti essenziali ai fini della decisione, nemmeno di tutti quelli comunque rilevanti. Comprendervi anche le vicende del procedimento, estranee alle questioni sulle quali la Corte di cassazione � chiamata a pronunciarsi, significherebbe attribuire al legislatore la volont� di appesantire la struttura degli atti senza nessuna utilit� pratica, dando al ricorso anche la funzione di cronaca di quanto � successo tra le parti, pur se di nessun rilievo per la soluzione della controversia. Si andrebbe cos� contro l�orientamento, ormai consolidato, di snellire i procedimenti per rendere pi� rapida la giustizia; non solo, ma la norma perderebbe di ragionevolezza. Nel ricorso erano stati indicati gli estremi dell�accertamento impugnato. Nei motivi erano state riportate solo le argomentazioni utili a sostenere il ricorso, indispensabili per la decisione nei limiti delle contestazioni. Secondo la CTR �il terreno, che sia considerato edificabile o non edificabile/ agricolo, � sicuramente un bene immobile non assoggettabile a tassazione dei �redditi diversi� nel caso di realizzo di maggior valore da alienazione a titolo oneroso rispetto al valore di acquisizione a titolo gratuito�. Nel ricorso questa parte della motivazione era stata riportata tra virgolette, rilevando che era in contrasto con l�art. 81, lett. b) DPR n.917/1986 che dichiara tassabili in ogni caso (il corsivo era nel ricorso) le plusvalenze realizzate, anche se l�acquisto � avvenuto per successione e donazione, nel qual caso � solo la prima parte della lett. b) IL CONTENZIOSO NAZIONALE 237 che diventa inapplicabile. Il quesito era stato redatto in corrispondenza. Un altro motivo era fondato sempre sull�art. 81, ma sotto un profilo diverso. Secondo la Commissione Tributaria Regionale �in ogni caso il terreno, come ampiamente provato, al momento della cessione (febbraio 1994) non beneficiava degli strumenti urbanistici che potevano permettere l�utilizzo ai fini edificatori dell�area stessa. Il testo del citato articolo 81 espressamente dispone che gli strumenti urbanistici debbono essere vigenti� (la trascrizione nel ricorso era testuale). A smentita della tesi seguita nella sentenza era stato richiamato il d.l. 30 settembre 2006, convertito con modificazioni nella legge 27 dicembre 2006 n. 296, che all�art. 36 secondo comma, ha previsto che anche ai fini dell�applicazione del D.P.R. n. 917/1986 �un�area � da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base alla strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall�approvazione della regione e dall�adozione di strumenti attuativi del medesimo�. Ed era anche stata richiamata una delle sentenze della stessa Corte di cassazione che aveva dichiarato la natura interpretativa della norma e quindi la sua efficacia retroattiva. I fatti rilevanti non erano contestati. C�era stata una vendita di un bene acquistato dal venditore a titolo gratuito. L�area, che ne costituiva l�oggetto, era edificabile in base ad un piano regolatore, deliberato dal Comune, ma non ancora approvato dalla regione. Il ricorso, dunque, dava per presupposti quegli stessi fatti sui quali era fondata la sentenza impugnata, riportati nella parte della motivazione, trascritta testualmente. Le questioni, di diritto, erano due (c�era anche un altro motivo, ma proposto solo per far rilevare che nel giudizio di secondo grado era indicato come parte anche il marito della contribuente, che era del tutto estraneo alla controversia): se l�imposta fosse dovuta anche in caso di acquisto da parte dell�alienante a titolo gratuito; se, per essere considerata edificabile, la utilizzazione edificatoria dell�area dovesse essere prevista da un piano urbanistico non solo deliberato dal comune, ma anche approvato dalla regione. I fatti, vale la pena di ripeterlo, si trovavano tutti enunciati nella sentenza impugnata nelle parti della motivazione che erano state riportate letteralmente nel ricorso. Quello che dal ricorso non si ricavava � stato gi� indicato: la sede dell�Ufficio che aveva fatto l�accertamento; in quale comune si trovasse l�immobile; quale fosse la sede della Commissione Provinciale che aveva pronunciato la sentenza di primo grado e quale soluzione avesse adottato. Che la sentenza fosse della CTR di Torino era riportato nella sentenza insieme ai dati identificativi, n� poteva essere diversamente, essendo la sentenza impugnata. L�esposizione dei fatti della causa era, dunque, completa e non soltanto sommaria. La Corte era in condizione di decidere senza dover andare ad esaminare gli atti di causa per desumere fatti ulteriori. Nella sentenza non � detto quale rilievo avrebbe potuto avere sulla decisione ci� che � indicato come 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 mancante. Che l�ufficio impositore fosse competente in materia di imposte dirette risultava dal fatto che l�accertamento era intervenuto in base all�art .81 D.P.R. n. 917/1986. Richiedendo l�indicazione della sede dell�Ufficio a pena di inammissibilit� del ricorso, la Corte avrebbe dovuto precisare la ragione della rilevanza ai fini della decisione. Gli elementi di fatto, di cui � stata dedotta la mancanza, erano estranei alle questioni sollevate nel ricorso. Se la controparte avesse voluto farli valere, sarebbe stato suo onere dedurli per sostenere, eventualmente attraverso un ricorso incidentale condizionato, l�incompetenza territoriale dell�ufficio accertatore. Mancata la contestazione, quegli elementi restavano del tutto irrilevanti. Circa il contenuto dell�atto impositivo � stato posto in evidenza che nel ricorso si trovava solo �un fuggevole accenno� cos� rilevando, sembrerebbe, una causa ulteriore di inammissibilit�. All�inizio del ricorso era dedotto che �il 19 dicembre 2000 alla sig.ra P.R. � stato notificato un avviso di accertamento per l�anno 1994 ai sensi dell�art. 81, lett. b) D.P.R. n.8917/1985�. Mancavano gli importi dell�imposta liquidata e delle sanzioni perch� anche essi non erano stati in contestazione. Era solo contestato che si fossero realizzate le condizioni per la tassazione della plusvalenza. Era questo un fuggevole accenno? Se per fuggevole si � voluto intendere sintetico, si pu� essere d�accordo. Qualche perplessit� sorge se si � voluto dire che era insufficiente. La manchevolezza decisiva sembra sia stata vista nel fatto che �non viene nemmeno precisato quali siano stati i motivi del ricorso introduttivo n� quale esito abbia avuto la domanda in primo grado e quale parte abbia impugnato e per quali ragioni�. Con il ricorso - � stato gi� ricordato - non erano state proposte questioni n� di nullit� della sentenza n�, comunque, di ordine processuale, ma solo di diritto ai sensi dell�art. 360, primo comma, n.3). Quale rilievo avrebbero avuto le indicazioni di fatto, di cui si � lamentata la mancanza? Erano questi i fatti di causa, vale a dire quelli la cui conoscenza era necessaria per decidere? Sarebbe stato utile che la Corte avesse precisato quali difficolt� gli potevano creare le omissioni imputate alla ricorrente. Non facendolo, in pratica � caduta in una omissione forse di maggiore peso di quella imputata alla ricorrente. Con il ricorso, vale la pena di ricordarlo, si era lamentato che dalla Commissione Tributaria Regionale fosse stata esclusa l�applicabilit� dell�art. 81, primo comma, lett. b) del D.P.R. n. 917/1986 ritenendo che non ne ricorressero i presupposti di fatto, quando i presupposti effettivamente richiesti erano stati riconosciuti come esistenti dalla stessa Commissione nelle parti della decisione che per questo erano state trascritte. E� difficile individuare le difficolt� che la Corte poteva incontrare per la mancata esposizione dei fatti di cui ha lamentato la mancanza, una volta che i fatti sui quali il ricorso si fondava erano quelli e solo quelli presi in considerazione dalla Commissione, la cui sentenza veniva impugnata. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 239 Se fossero stati indicati l�ufficio, i motivi del ricorso in primo grado, chi fosse il soccombente e per quali ragioni avesse impugnato la sentenza, le questioni sollevate col ricorso sarebbero rimaste le stesse e la Corte avrebbe dovuto risolverle sempre allo stesso modo perch� gli si chiedeva solo di verificare la correttezza in diritto della decisione impugnata, senza nessuna connessione con quella di primo grado, dichiarando quali fossero le condizioni per l�applicazione dell�art. 81 e se fossero sufficienti i presupposti di applicabilit� dati per esistenti nella stessa sentenza di secondo grado. In pratica, il ricorso sarebbe stato pi� lungo senza nessuna utilit� processuale. Ricevuta la relazione per l�udienza, queste osservazioni erano state fatte alla Corte quanto meno per avere indicazioni utili per il futuro. Quello che interessava era sapere se l�autosufficienza del ricorso comporti che vi si debbano richiamare tutte le fasi del procedimento, nelle varie articolazioni, anche se non necessarie per la decisione. L�aspettativa � andata delusa perch� nell�ordinanza � stata trascritta la relazione senza nemmeno una smentita sommaria delle osservazioni. In mancanza di un chiarimento sulla rilevanza dei fatti, indicati come omessi, non si pu� che concludere che per la Corte di cassazione quelli richiesti dall�art. 366 c.p.c. sono tutti i fatti che si sono verificati nel corso del giudizio, non solo quelli necessari per la decisione. In questo caso diventa difficile capire come si debba intendere la loro esposizione sommaria, se debbono essere riportati tutti, anche quelli non rilevanti. La Corte costituzionale ha confermato pi� di una volta che le formalit� processuali, che possono essere richieste a pena di inammissibilit�, sono quelle che garantiscono il contraddittorio e per questo ha ritenuto costituzionalmente illegittime, perch� irragionevoli, le formalit� che non svolgono nessuna funzione di tutela di interessi processuali o sostanziali (naturalmente delle parti). Nel caso in esame questi interessi erano ampiamente tutelati perch� la controparte � stata in condizione di difendersi nel merito. Le forme non possono ritenersi giustificate quando sono richieste dal giudice, al di fuori degli interessi del contraddittorio, senza nemmeno indicarne la utilit� ai fini della decisione. Sarebbe veramente preoccupante che basti enunciare che certi fatti sono stati omessi per dichiarare il ricorso inammissibile, trascurando la rilevanza che avrebbero avuto ai fini della decisione e, prima ancora, del contraddittorio. Non sarebbe questo un risultato conforme all�obiettivo dello snellimento del processo per far riguadagnare rapidit� alla giustizia, perseguito anche attraverso le modifiche dell�art. 111 Cost.. Quello che � richiesto � che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti e che quindi chi ha l�iniziativa processuale esponga tutte le sue argomentazioni di fatto e di diritto che consentano alla controparte di difendersi. Tutto quello che non � necessario, appesantendo inutilmente gli atti, sarebbe di pregiudizio per il 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 giusto processo, richiesto dal primo comma dell�art. 111 Cost. Alla Corte non � sicuramente sfuggito che, dopo le modifiche al codice di procedura civile, apportate col d.lgs. n. 40/2006, i ricorsi sono pi� lunghi, talvolta di tre volte, rispetto a quelli precedenti. A seguito di questa ordinanza � prevedibile che si allungheranno ulteriormente senza utilit� processuale. La Corte di cassazione � stata una delle prime Corti europee ad attuare l�applicazione diretta della Convenzione europea dei diritti dell�uomo del 4 novembre 1950. Una volta che il criterio, applicato nell�ordinanza, fosse applicato come principio generale, dovrebbe domandarsi se un processo, cos� concepito, possa ritenersi giusto anche ai sensi dell�art. 6 della Convenzione. Avv. Glauco Nori* Corte di cassazione, Sezione Tributaria, ordinanza 11 dicembre 2008, n. 29159 - Pres. Lupi, Cons. rel. Zanichelli - Agenzia delle entrate (Avv. dello Stato M. Stigliano Messuti - AL 24962/07) c. R.P. (Avv.ti F. Pietrosanti e F. Drago) (Sent. CTR Piemonte n. 54/5/05 dep. 22 giugno 2006 - Inammissiblit� del ricorso). (... omissis) Svolgimento del processo L�Amministrazione ricorre per Cassazione nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale in epigrafe che, confermando la decisione di primo grado, ha accolto il ricorso dei contribuenti avverso un avviso di accertamento per IRPEF anno 1994. Resiste la sola R.P. con controricorso. La causa � stata assegnata alla Camera di consiglio, essendosi ravvisati i presupposti di cui all�art. 375 c.p.c.. Motivi della decisione Deve essere preliminarmente rilevata l�inammissibilit� del ricorso. L�art. 366 c.p.c. prescrive che il ricorso debba contenere, tra l'altro �l�esposizione sommaria dei fatti della causa� mentre nella fattispecie non solo del contenuto dell�atto impositivo viene fatto un fuggevole accenno unicamente nell�ambito del secondo motivo, senza peraltro specificare neppure l�ufficio impositore, ma non viene nemmeno precisato quali siano stati i motivi del ricorso introduttivo n� quale esito abbia avuto la domanda in primo grado e quale parte abbia impugnato e per quali ragioni�. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente Amministrazione alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori di legge e spese generali. (*) Vice Avvocato generale dello Stato, Presidente del comitato scientifico della Rassegna. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 241 Privatizzazione ed esenzione fiscale: il caso TAV S.p.A. (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza 16 gennaio 2009 n. 938) La V sezione della Cassazione afferma che TAV S.p.A. non pu� beneficiare dell�eccezionale regime di esenzione previsto dalle norme tributarie in tema di imposte di registro, ipotecaria e catastale per gli atti in cui parte sia lo Stato (o comunque siano conclusi nell�interesse dello Stato). Nella specie, la controversia investiva la applicabilit� di tali imposte agli acquisti immobiliari effettuati da TAV s.p.a. (sub specie di cessione volontaria di area) per la realizzazione dell�infrastruttura ferroviaria. Le norme tributarie di cui si discute sono: - l�art. 57, comma 8, del D.P.R. aprile 1986, n. 131 (testo unico imposta di registro), che dispone: �... l�imposta non � dovuta se espropriante o acquirente � lo Stato�; - gli artt. 1 e 10 del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n 347 (testo unico imposta ipotecaria e catastale), che dispongono rispettivamente: �... non sono soggette all�imposta le formalit� eseguite nell�interesse dello Stato ...� e che �... non sono soggette ad imposta le volture eseguite nell�interesse dello Stato�; - l�art. 22, tabella del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642 (disciplina dell�imposta di bollo), secondo cui sono esenti dall�imposta di bollo �atti e documenti relativi alla procedura di espropriazione per causa di pubblica utilit� promossa dalle amministrazioni dello Stato�. Deduceva la difesa di TAV s.p.a. che i suoi acquisti immobiliari fossero esenti dall�imposta di registro, ipotecaria e catastale, trattandosi di soggetto sostanzialmente statale, che agisce anche per perseguire un interesse pubblico dello Stato, ossia la realizzazione della nuova rete ferroviaria dell�Alta Velocit�. La V sezione, nel respingere il ricorso di TAV s.p.a., precisa che le norme tributarie in esame, in quanto eccezionali, sono di stretta applicazione, e possono riguardare solo gli atti posti in essere dallo Stato-persona. Nell�esaminare il fenomeno delle privatizzazioni dal punto di vista tributario, la Cassazione dichiara poi di aderire alla tesi secondo cui i soggetti privati che svolgano attivit� pubblicistiche possono essere equiparati a una pubblica amministrazione nei soli limitati ambiti ritagliati dalle norme speciali che regolano tali attivit�. Osserva in particolare la Suprema Corte che �il regime pubblicistico degli organismi di diritto pubblico aventi la natura di soggetti privati � tipico�, dal che si deduce che �della loro attivit� � sottoposta a regime pubblicistico (regime della contrattazione di evidenza pubblica, regime dell�accesso ai documenti, regime della giurisdizione amministrativa, controllo della Corte dei 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 conti) solo quella parte per la quale tale regime sia previsto da una norma giuridica, mentre per la restante parte prevalgono, come per tutti i soggetti privati, le norme generali, ivi comprese le norme tributarie�. Non era quindi pertinente, per risolvere la controversia, il precedente costituito da SS.UU. n. 15660/2005 (che ha affermato la giurisdizione amministrativa per le controversie aventi ad oggetto gli atti di TAV s.p.a. in quanto privato che svolge attivit� amministrativa oggettiva), attenendo al solo profilo della giurisdizione amministrativa degli atti provenienti da soggetti equiparati alla pubblica amministrazione (va peraltro sottolineato che le Sezioni Unite affermavano genericamente l�equiparazione di TAV s.p.a. a una pubblica amministrazione, senza precisame la qualificazione come soggetto appartenente all�apparato statale, requisito questo invece richiesto dalle norme tributarie in esame). Avv. Lorenzo D�Ascia* Corte di cassazione, Sezione tributaria, sentenza 16 gennaio 2009 n. 938 - Pres. Papa, Rel. Meloncelli - TAV spa (avv. F. Tesauro) c. Agenzia delle entrate (avv. dello Stato L. D�Ascia - AL 30516/07) - Sentenza CTR Torino n. 32/4/06. (...Omissis) Svolgimento del processo 1.1. Il 25 luglio 2007 � notificato all�Agenzia un ricorso della Societ� per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha accolto l�appello dell�Ufficio di Novara dell�Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Novara n. 11/01/2006, che, dopo averli riuniti, ha accolto gli 81 ricorsi proposti contro altrettanti avvisi di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale e di bollo su atti pubblici di acquisto, da parte della Societ�, di terreni sottoposti ad espropriazione per pubblica utilit� e ceduti volontariamente dai proprietari. 1.2. Il 28 settembre 2007 � notificato alla Societ� il controricorso dell�Agenzia. 2. I fatti di causa sono i seguenti: a) la Societ� acquista, con 81 rogiti, dei terreni sottoposti a procedimento di espropriazione per pubblica utilit� per la costruzione della rete ferroviaria alta velocit� /alta capacit� e ceduti volontariamente dai loro proprietari; b) la Societ� presenta un interpello ex art. 11 L. 27 luglio 2000, n. 212, che viene formulato nel senso della sottoposizione degli atti alle imposte di registro, catastali, ipotecarie e di bollo; c) i rogiti sono registrati dalla Societ� in esenzione da tali imposte; d) il 10 marzo 2005 il Consiglio di Stato emette, su richiesta dell�Ufficio di Novara dell�Agenzia, il parere n. 1846, con cui si ritiene che la Societ� non abbia titolo per l�esenzione, perch� non � partecipata direttamente dallo Stato; e) l�Ufficio di Novara dell�Agenzia, ritenendo dovute le imposte, adotta 81 avvisi di liquidazione; (*) Avvocato dello Stato. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 243 f) i ricorsi della Societ�, previamente riuniti, sono accolti dalla CTP; g) l�appello dell�Ufficio �, invece, accolto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per Cassazione. 3. La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per Cassazione, � cos� motivata: a) la Societ� � una societ� di scopo, costituita dalla Rete ferroviaria italiana spa (RFI) per la progettazione e per la costruzione delle linee ferroviarie veloci; b) la RFI �, a sua volta, una societ� per azioni (spa) che � stata costituita a seguito di un processo di privatizzazione dell�amministrazione pubblica iniziato con la trasformazione dell'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato in ente pubblico economico, il quale � stato, poi, trasformato nelle Ferrovie dello Stato spa; questa e partecipata al 100% dal Ministero delle finanze e, a sua volta, ha una partecipazione totalitaria nell�RFI, che gestisce la rete ferroviaria, e nella Trenitalia spa, che svolge l�attivit� di trasporto; la RFI ha costituito, poi, la TAV spa, cui � stata affidata la progettazione, la costruzione e la gestione delle linee ferroviarie veloci; c) le norme di esenzione tributaria, contenute nell�art. 57, comma 8, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e nell� art. 22 Tabella All. B D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 e nell� art. 1, comma 2, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, sono anteriori alla trasformazione delle Ferrovie dello Stato nella struttura descritta sub b) e miravano ad evitare che lo Stato, che attraverso un suo organo - l�Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato - gestiva un�impresa, corrispondesse a se stesso delle imposte derivanti dalla propria attivit�; d) tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che l�esenzione si applica solo agli interventi espropriativi compiuti direttamente dallo Stato: 1) perch� le norme di esenzione sono eccezionali; 2) perch� � irrilevante la riferibilit� del capitale sociale allo Stato attraverso la catena del controllo societario realizzato con partecipazioni sociali totalitarie discendenti; 3) perch� l�esenzione tributaria di societ� a partecipazione pubblica realizzerebbe una disuguaglianza rispetto alle societ� private; 4) perch� l�esenzione tributaria di societ� a partecipazione pubblica realizzerebbe una distorsione del mercato e configurerebbe un aiuto di Stato contrario al diritto UE; e) �, pertanto, erronea la sentenza di primo grado, che basa l�esenzione sull'incompletezza della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato e sulla riferibilit� del capitale sociale della TAV allo Stato. 4. Il ricorso per Cassazione della Societ� � sostenuto con tre motivi d�impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali. 5. L�intimata Agenzia resiste con controricorso e conclude per l�inammissibilit� o per il rigetto del ricorso. Con vittoria di spese. Motivi della decisione 6.1. La controricorrente Agenzia solleva l�eccezione d�inammissibilit� del ricorso della Societ� per contrariet� agli art. 366 e 366 bis c.p.c.. 6.2. L�Agenzia sostiene, al riguardo, che i tre motivi d�impugnazione non sarebbero articolati in maniera separata, ma sarebbero tutti inseriti in unico elenco all'inizio del ricorso, per essere poi sviluppati unitariamente nei sette paragrafi in cui � diviso il ricorso. Pi� specificamente, il primo motivo di ricorso sarebbe sostenuto con una serie di argomentazioni che occuperebbero i sette paragrafi in cui � ripartito l�atto d�impugnazione, ma che riguarderebbero anche il secondo e il terzo motivo, e si concluderebbe, poi, con la formulazione di due quesiti di diritto; per il secondo e il terzo motivo non sarebbe formulato alcun quesito di diritto; inoltre, per il terzo motivo non sarebbero indicati in maniera specifica i fatti decisivi a proposito 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dei quali la CTR sarebbe incorsa nell�omissione di motivazione. 6.3.1. La verifica dell�ipotesi d�inammissibilit� prospettata dall�Agenzia resistente esige che si analizzi la struttura del ricorso della Societ�. Dopo la descrizione dei fatti di causa, la Societ� inizia la parte in �Diritto� del suo ricorso, enunciando i tre vizi che essa intravede nella sentenza d�appello, distinguendoli con le lettere maiuscole e cos� esprimendosi (pagina 7, righe 10 - 22, del ricorso): �A) Violazione e falsa applicazione, in relazione all�art. 360 c.p.c., comma 2, n. 3, dell�art. 14 delle preleggi; dell�art. 57, comma 8, e dell�art. 1 della Tariffa, parte prima, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (T.U. registro); degli artt. 1, comma 2, e 10 del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, (T.U. imposte ipotecaria e catastale); dell�art. 22, tabella allegato b), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, ; B) Violazione e falsa applicazione, in relazione all�art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, delle norme in materia di esproprio e di delega del potere espropriativo (art. 3 e art. 6, comma 8 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) e delle norme concernenti la realizzazione della infrastruttura ferroviaria denominata �Sistema alta velocit�/alta capacit��; C) omesso esame di fatti decisivi ed omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Omissione di pronuncia (violazione dell�art. 112 c.p.c. in relazione all�art. 360 c.p.c., n. 3)��. Seguono sette paragrafi, ciascuno dei quali � fornito di un proprio titolo e che complessivamente si estendono dalla pagina 7 alla pagina 43 del ricorso. La Societ� vi illustra le ragioni, articolate e complesse, che stanno alla base dei due quesiti di diritto con i quali si conclude, a pagina 43, la motivazione del ricorso: 1) �... se il regime delle imposte di registro, ipotecarie, catastali e di bollo, previsto per le espropriazioni statali, nell�art. 57, co. 8, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 1, comma 2, e art. 10, nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, art. 22, tabella allegato b), e nell�art. 1 della tariffa, parte prima, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, trovi applicazione anche agli atti di acquisto stipulati da societ� direttamente o indirettamente in mano pubblica, come TAV S.p.A., operante come concessionaria dello Stato, delegata per l�esercizio di poteri di esproprio�; 2) �... se il regime delle imposte di registro, ipotecarie, catastali e di bollo, previsto per gli atti posti in essere �a favore� o �nell�interesse� dello Stato, nell�art. 1 della tariffa, prima parte, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (imposta di registro), nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 1, comma 2, e art. 10... si applichino ai trasferimenti di immobili occorrenti per la realizzazione della rete ferroviaria dell'Alta Velocit� /alta Capacit�, in considerazione della qualificazione oggettivamente statale dell�intervento, trattandosi di atti posti in essere a favore e nell�interesse dello Stato�. 6.3.2. Ne risulta che effettivamente il terzo motivo non solo � privo del quesito motivazionale conclusivo, omologo del quesito di diritto per la denuncia di vizi diversi da quelli di motivazione, ed �, quindi, inammissibile (Corte di cassazione, Sezioni unite, 1 ottobre 2007, n. 20603, seguito, tra le altre, anche da questa Sezione nella sentenza 29 febbraio 2008. n. 5471), ma � anche privo di quelle autonome motivazioni che si richiederebbero a dimostrazione delle tre distinte censure di omesso esame di fatti decisivi, di omessa motivazione e di omessa pronuncia. Le ragioni d�inammissibilit� sono, dunque, due per la denuncia dei vizi motivazionali di omesso esame di fatti decisivi e di omessa motivazione, mentre la denuncia di omessa pronuncia � inammissibile per mancanza di motivazione, oltre che, a maggior ragione, per mancanza di autosufficienza. Pi� delicato � l�esame dell�ammissibilit� dei motivi di ricorso consistenti nella denuncia di IL CONTENZIOSO NAZIONALE 245 illegittimit� sostanziali ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Essi sono due e sono distintamente rubricati in immediata sequenza all'inizio della parte in diritto del ricorso (pagina 7) e sono argomentati in modo unitario nella lunga, corposa e articolata motivazione che si estende dalla rubrica dei motivi d�impugnazione fino, appunto, alla formulazione dei quesiti di diritto (pagine 7 - 43 del ricorso). Ad un primo sommario esame non incorre, pertanto, in inammissibilit� la Societ� ricorrente per il fatto di aver adottato una confezione testuale del suo atto d�impugnazione che, avendo proposto due motivi di censura, non abbia seguito per ciascuno di essi la sequenza pi� comune, che � quella della rubrica, della motivazione e del quesito di diritto. Tuttavia, la natura delle questioni di diritto proposte con le due censure e la struttura delle argomentazioni addotte a loro sostegno sono tali da rendere necessario che le si esaminino preliminarmente proprio al fine di decidere sull�ammissibilit� dei motivi d�impugnazione. 7. La ricorrente Societ� espone il seguente, articolato, ragionamento: a) dopo aver affermato che la RFI spa sarebbe una societ� pubblica che opererebbe come concessionaria per la costruzione della rete ferroviaria nazionale denominata �Sistema alta velocit�/ alta capacit�� (sistema AV/AC), avvalendosi dei poteri che le sarebbero stati conferiti, con delega, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si sostiene che ai suoi atti si applicherebbero le medesime norme che sarebbero previste per gli atti posti in essere direttamente da organi dello Stato e che sarebbero le seguenti due norme di esenzione, di cui si denuncia l�errata interpretazione e la falsa applicazione da parte della CTR: 1) la prima norma si trarrebbe: 1.1) Dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 8, secondo il quale �Negli atti di espropriazione per pubblica utilit� o di trasferimento coattivo della propriet� o di diritti reali di godimento l�imposta [di registro] � dovuta solo dall�ente espropriante o dall�acquirente senza diritto di rivalsa, anche in deroga alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 8; l�imposta non � dovuta se espropriante o acquirente � lo Stato�; 1.2) dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, art. 22, Tabella allegata, che tra gli �Atti, documenti e registri esenti dall�imposta di bollo in modo assoluto� inserisce gli �Atti e documenti relativi alla procedura di espropriazione per causa di pubblica utilit� promossa dalle amministrazioni dello Stato e da enti pubblici, compresi quelli occorrenti per la valutazione o per il pagamento dell�indennit� di espropriazione�; 2) la seconda norma di esenzione si trarrebbe: 2.1) dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 1, comma 6 della Tariffa, Parte 1^, secondo cui sono �Atti soggetti a registrazione in termine fisso... gli atti traslativi a titolo oneroso della propriet� di beni immobili... Se il trasferimento avviene a favore dello Stato ovvero a favore di enti pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi ovvero a favore di comunit� montane..�; 2.2) dal D.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 1, comma 2, secondo il quale �Non sono soggette all�imposta ipotecaria le formalit� eseguite nell'interesse dello Stato...�; 2.3) dal D.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10, comma 3, per il quale �Non sono soggette ad imposta catastale le volture eseguite nell�interesse dello Stato...�. b) si denunciano, poi, i vizi della sentenza impugnata, che consisterebbero nell�errata qualificazione della TAV spa e degli atti sottoposti a registrazione e nell�omessa considerazione della finalit� pubblica degli atti registrati accompagnata dall'omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., sulle esenzioni per i trasferimenti previsti per i trasferimenti �a favore� o �nell�interesse� dello Stato; c) in particolare, poi, la Societ� si sofferma a tentare di dimostrare che la sentenza impugnata sarebbe da censurare sia nella parte in cui definirebbe la TAV spa sia nella parte relativa agli atti tassati, che non sarebbero atti di diritto privato, compiuti da una qualsiasi societ� privata 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 per scopi privati, ma atti compiuti nell'ambito di una procedura di esproprio, in forza di poteri delegati, per finalit� pubbliche, da una societ� controllata e finanziata dallo Stato, come si dedurrebbe dall'ordinanza delle Sezioni unite civili di questa Corte 27 luglio 2005, n. 15660; d) si sostiene, poi, che la qualificazione sostanzialmente pubblica della TAV spa, affermata nella menzionata ordinanza, sarebbe rilevante anche per individuare il regime fiscale degli atti di esproprio e dei negozi di cessione volontaria adottati per realizzare le opere ferroviarie; e) si ritiene, inoltre, che le conclusioni cos� raggiunte siano confermate dall'analisi dei profili economico - sostanziali, dai quali deriverebbe la natura di impresa pubblica della TAV spa, operante quale concessionaria del �Gestore dell�infrastruttura ferroviaria nazionale� con la titolarit� di particolari poteri e funzioni di interesse pubblico; in sostanza, si afferma conclusivamente che, �attraverso la catena... di controllo totalitario, seppur non direttamente, ma indirettamente e sicuramente dai punto di vista sostanziale, TAV S.p.A., per il suo speciale regime, i suoi specifici compiti, la sua particolare posizione e le sue peculiari potest�, deve comunque considerarsi impresa pubblica facente parte dell'organizzazione statale�; f) ne deriverebbe che agli atti della TAV spa dovrebbero applicarsi, anzitutto, quelle disposizioni normative di esenzione che si riferiscono ad atti delle amministrazioni dello Stato o di enti pubblici, come sono quelle adottate in materia espropriativa e in materia di imposta di bollo, che sono state qui poc�anzi riprodotte sub a)1) (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 8, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, art. 22 della Tabella allegata); a maggior ragione dovrebbero, poi, trovare applicazione le norme tratte dalle disposizioni normative che prevedono l�esenzione tributaria per gli atti adottati �a favore� o �nell�interesse� dello Stato, come sono quelle che sono state poc�anzi riprodotte sub a)2) (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 1, comma 6 della Tariffa, Parte 1^,; D.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 1, comma 2 e D.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10, comma 3, rispettivamente in tema di imposta di registro, d�imposta ipotecaria e d�imposta catastale); si afferma, poi, testualmente che �Se anche, in ipotesi, si ritenessero non applicabili le norme di esenzione riguardanti gli atti imputabili allo Stato, sarebbe poi innegabile che gli atti sono stati compiuti a favore e nell�interesse dello Stato� (pagina 35, righe 10.12, del ricorso); g) si argomenta, da ultimo, al fine di dimostrare la tesi della compatibilit� del regime invocato con la normativa comunitaria; h) sulla base delle ragioni appena sintetizzate e a loro conclusione, si formulano i due quesiti di diritto, il cui � testo � stato integralmente riprodotto nel par. 6.3.1. 8.1. Se ora, si raffrontano i due quesiti di diritto con le due censure preannunciate nelle rubriche iniziali del ricorso, si constata agevolmente che nessuno dei quesiti ipotizza una norma relativa al secondo motivo d�impugnazione, che attiene alla disciplina dell�espropriazione. Ne deriva, dunque, rinammissibilit� anche del motivo rubricato dalla Societ� sub B) e qui riprodotto nel par. 6.3.1. 8.2.1 due quesiti di diritto sono formulati, invece, a conclusione delle argomentazioni addotte a sostegno del primo motivo d'impugnazione, che �, pertanto, dei tre addotti, l�unico che, con riguardo all�art. 366 bis c.p.c. risulta ammissibile almeno sotto il profilo della corrispondenza con un motivo d'impugnazione. 8. In relazione ad essi, tuttavia, � stata sollevata dalla resistente Agenzia l�eccezione d�inammissibilit�, basata sulla constatazione che in corrispondenza ad un solo motivo d'impugnazione sarebbero stati formulati pi� quesiti di diritto. 8.1. L�eccezione � infondata. Infatti, � ben vero che il primo motivo d�impugnazione � formulato come denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nei confronti di una serie relativamente numerosa di disposizioni normative, IL CONTENZIOSO NAZIONALE 247 ma � anche vero che solo attraverso le diffuse e varie argomentazioni addotte a sostegno dell�illegittimit�, inizialmente prospettata unitariamente e in modo generico, la Societ� ricorrente � giunta conclusivamente a specificare che l�illegittimit� ipotizzata potrebbe presentarsi sotto la forma di due diversi contrasti rispetto a due distinte norme, presenti e vigenti nell�ordinamento giuridico italiano, ricavabili dalle disposizioni normative inizialmente solo elencate. Se ne trae conferma dall�esame della struttura dei due quesiti. Essi, infatti, sono formulati con riferimento a due norme diverse che si differenziano per il loro oggetto. Infatti, il primo quesito invoca l�applicazione di una norma che assuma come oggetto gli atti di acquisto di un soggetto privato rientrante nell�organizzazione dello Stato, mentre il secondo quesito invoca l�applicazione di una norma che assuma come oggetto gli atti di acquisto di un soggetto privato operante in favore o nell'interesse dello Stato. I quesiti sono logicamente inscindibili. Invero, dato il caso di specie ultima oggetto della controversia, costituito da un atto di acquisto di beni immobili relativi al procedimento di espropriazione compiuto da un soggetto privato - una s.p.a. - direttamente o indirettamente in mano pubblica ed operante come concessionaria dello Stato, si chiede, in primo luogo, se esso sia un oggetto di specie appartenente a quel genere di una norma di esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria, catastale e di bollo, vigente nell�ordinamento giuridico italiano, costituito dall�oggetto �atto di acquisto dello Stato�, o, in secondo luogo e in alternativa, se esso appartenga al genere di una norma di esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria, catastale e di bollo, vigente nell�ordinamento giuridico italiano, costituito dall�oggetto �atto di acquisto di soggetto diverso dallo Stato in favore o nell�interesse dello Stato�. I due quesiti sono formulati separatamente dalla Societ� ricorrente, ma essi sono logicamente connessi in maniera tale che l�eventuale accoglimento del primo comporterebbe l�assorbimento del secondo, come ha messo in rilievo la Societ� nel suo ricorso, prima argomentando a fortiori e poi esplicitando il condizionamento del secondo quesito al rigetto del primo (v. retro par. 7.f). In altri termini, considerato che, nonostante l�incipit della censura lasci intendere che si sta prospettando un solo motivo d�impugnazione (il motivo A) alla pagina 7 del ricorso della Societ�), la motivazione (pagine 7 - 43 del ricorso) ha condotto alla dimostrazione della tesi che le illegittimit� potrebbero esse due, tra loro diverse, e alternative, per la diversit� dell�oggetto della norma utilizzabile per la sussunzione del caso controverso. Di qui la corretta formulazione di due quesiti di diritto, corrispondenti alle due diverse ipotesi di violazione o falsa applicazione di legge. 9. Dei due quesiti di diritto considerati ammissibili dev�essere, dunque, esaminata la (in)fondatezza nel merito. 10. I due quesiti sono infondati per le ragioni qui di seguito esposte. 10.1. La Societ� ricorrente sostiene la tesi secondo la quale il caso di specie ultima sottoposto all�esame della Corte sarebbe un caso tipico di attivit� amministrativa oggettiva, cio� di attivit� che, anche se realizzata da un soggetto privato, sarebbe volta alla cura di interessi pubblici. In quanto attivit� amministrativa oggettiva, essa si manifesterebbe in atti che, dal punto di vista tributario, dovrebbero considerarsi o atti dello Stato (tesi a sostegno del primo quesito di diritto) od essere equiparati ad atti dello Stato (tesi a sostegno del secondo, e condizionato, quesito di diritto). In ogni caso e, a maggior ragione nel primo caso, essi sarebbero, quindi, esenti dalle imposte indirette di registro, ipotecarie, catastali e di bollo, perch� dalle disposizioni normative invocate dalla ricorrente si ricaverebbero le seguenti norme di esenzione tributaria: 1) la prima norma si trarrebbe dalle seguenti disposizioni normative: 1.1) dal D.P.R. 26 aprile 1986, 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 n. 131, art. 57, comma 8, secondo il quale �Negli atti di espropriazione per pubblica utilit� o di trasferimento coattivo della propriet� o di diritti reali di godimento l'imposta di registro � dovuta solo dall'ente espropriante o dall'acquirente senza diritto di rivalsa, anche in deroga alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 8; l�imposta non � dovuta se espropriante o acquirente � lo Stato�; 1.2) dall�art. 22 della Tabella allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, che, tra gli �Atti, documenti e registri esenti dall�imposta di bollo in modo assoluto�, inserisce gli �Atti e documenti relativi alla procedura di espropriazione per causa di pubblica utilit� promossa dalle amministrazioni dello Stato e da enti pubblici, compresi quelli occorrenti per la valutazione o per il pagamento dell�indennit� di espropriazione�; 2) la seconda norma di esenzione si trarrebbe dalle seguenti disposizioni normative: 2.1) dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 1, comma 6, Tariffa, Parte I, secondo cui sono �Atti soggetti a registrazione in termine fisso... gli atti traslativi a titolo oneroso della propriet� di beni immobili... Se il trasferimento avviene a favore dello Stato ovvero a favore di enti pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi ovvero a favore di comunit� montane..�; 2.2) dal D.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 1, comma 2, secondo il quale �Non sono soggette all�imposta ipotecaria le formalit� eseguite nell�interesse dello Stato...�; 2.3) dal D.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10, comma 3, per il quale �Non sono soggette ad imposta catastale le volture eseguite nell'interesse dello Stato...�. 10.2. La tesi, sia nella sua formulazione principale sia nella sua formulazione condizionata, non merita di essere condivisa per svariate ragioni. 10.2.1. Anzitutto, � constatazione ampiamente diffusa che quella manifestazione della privatizzazione, che consiste nell�affidamento del compito di svolgere attivit� sostanzialmente amministrativa a soggetti formalmente privati, si � realizzata, nella normazione dell�ordinamento giuridico italiano, in forma cos� disordinata e caotica che, per un verso, gli interpreti sono costretti a prender atto dell�esistenza di un quadro disarmonico e, per altro verso, viene loro impedito addirittura di individuare, in chiave sistematica, una disciplina generale per i fenomeni di privatizzazione, che restano per il momento allo stato poliedrico di �privatizzazioni�. La corrispondente difficolt� di risolvere la specifica questione relativa alla presente causa consiste nello stabilire il regime della privatizzazione proprio della Societ�. Al riguardo, essa, nella sua difesa, ha fatto richiamo esplicito e deciso all'ordinanza delle Sezioni unite di questa Corte 27 luglio 2005, n. 15660, le quali, nel risolvere una questione di giurisdizione, hanno registrato l�evoluzione normativa verso la privatizzazione, anche nel comparto ferroviario, e hanno segnalato che �autorevole dottrina ha osservato che l'attivit� di privati volta al soddisfacimento di interessi pubblici pu� nondimeno essere qualificata come oggettivamente amministrativa se svolta sulla base di un titolo giuridico, anche solo finanziario come per le societ� in mano pubblica, che a tanto abiliti il privato�. Tuttavia, il ragionamento delle Sezioni unite � mirato sull��insopprimibile esigenza di apprestare strumenti adeguati ad assicurare, in attuazione del precetto contenuto nell�art. 111 Cost., comma 2, una ragionevole durata del processo� e sulla necessit� di superare il �precedente e macchinoso sistema della duplice tutela giurisdizionale (dinanzi al giudice amministrativo e poi dinanzi al giudice ordinario)�, cosicch� ricadono sotto la giurisdizione amministrativa gli atti del soggetto privato che svolga attivit� amministrativa oggettiva. Se, poi, si tiene conto che le Sezioni unite hanno avuto cura di precisare che l�interpretazione della normativa statale deve ispirarsi all�orientamento della normativa comunitaria sull�organismo di diritto pubblico e sull�attrazione della sua azione sotto le regole pubblicistiche, anche quando esso abbia formalmente la natura di soggetto privato, resta impregiudicata la sottoposizione alle norme tributarie dei singoli atti del soggetto privato - pubblico. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 249 Non a caso, proprio in questa prospettiva, lasciata aperta dalla pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte sul regime tributario degli atti dei soggetti privati svolgenti attivit� amministrativa oggetti va, la constatazione dell�impossibilit� di parlare unitariamente di privatizzazione, ha suggerito ad una parte particolarmente attenta della dottrina di far corrispondere, al nuovo criterio di delineazione della linea di confine privato - pubblico nell�organizzazione amministrativa, una separazione tra le specie di attivit� che sono svolte dai soggetti privati che svolgono anche attivit� amministrativa oggettiva, suggerendone la sottoposizione a regimi differenziati. Se si seguisse questa tesi, che, allo stato attuale delle conoscenze del fenomeno della privatizzazione, si presenta come la pi� affidabile, e se si tiene presente che il regime pubblicistico degli organismi di diritto pubblico aventi la natura di soggetti privati � tipico, se ne deduce che della loro attivit� � sottoposta a regime pubblicistico (regime della contrattazione di evidenza pubblica, regime dell'accesso ai documenti, regime della giurisdizione amministrativa, controllo della Corte dei conti) solo quella parte per la quale tale regime sia previsto da una norma giuridica, mentre per la restante parte prevalgono, come per tutti i soggetti privati, le norme generali, ivi comprese le norme tributarie. 10.2.2. Con specifico riguardo, poi, alle disposizioni normative tributarie applicabili al caso di specie, si pu� osservare che gli atti sottoposti a registrazione non sono atti autoritativi di espropriazione, ma atti di acquisto della propriet� per cessione volontaria di soggetti altrimenti espropriandi. In quanto tali, gli atti non rientrano nella previsione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 8. Ancora, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 8, esenta dall�imposta di registro soltanto, tra gli esproprianti o gli acquirenti senza diritto di rivalsa, lo Stato. Se ne escludono gli altri enti pubblici e, a maggior ragione, i soggetti privati, anche se svolgenti attivit� amministrativa oggettiva. Quanto alle norme di esenzione che fanno riferimento ad operazioni eseguite �nell�interesse dello Stato� (D.Lgs 31 ottobre 1990, n. 347, art. 1, comma 2; D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10, comma 3), la loro natura di norme eccezionali vincola a darne un'interpretazione restrittiva, cos� da ridurne anche soggettivamente l�ambito dei destinatati al solo Stato - persona. Analogamente ci si deve orientare nell'interpretazione di quelle disposizioni normative che assumono come destinatali anche altri soggetti diversi dallo Stato: nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, art. 22 Tabella, Allegato B, tra gli �Atti, documenti e registri esenti dall�imposta di bollo in modo assoluto�, figurano gli �Atti e documenti relativi alla procedura di espropriazione per causa di pubblica utilit� promossa dalle amministrazioni dello Stato e da enti pubblici...�, ma non da societ� da essi direttamente o indirettamente partecipate; il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 1, comma 6, Parte I della Tariffa, con riguardo al trasferimento �a favore dello Stato ovvero a favore di enti pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi ovvero a favore di comunit� montane�; il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, art. 4 Tabella, Allegato B, che si riferisce ad atti e documenti �richiesti nell�interesse dello Stato dai pubblici uffici�; l�art. 16 della stessa Tabella, che equipara atti e documenti �posti in essere da amministrazioni dello Stato, regioni, comuni, loro consorzi e associazioni, nonch� comunit� montane�. Se ne deduce che il legislatore, quando intende esentare qualche specie di soggetto dalle imposte indirette di cui si sta discutendo, specifica sempre i destinatari del beneficio e, quando non intende limitarsi allo Stato, non trascura di farne l�elencazione. 10.2.3. Infine, si pu� osservare che esattamente la CTR si � posta il problema dell�interpretazione evolutiva della normativa tributaria sollevato dalla successiva normazione sulla privatizzazione. L�effetto indeterminatamente espansivo, che si desse alle norme di esenzione 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 tributaria dalle imposte di registro e delle altre similari, attraverso un�interpretazione estensiva delle norme di eccezione, considerando compreso fin dall'inizio nella parola �Stato� qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che svolgesse attivit� amministrativa oggettiv� (lo Stato come coincidente con l�amministrazione pubblica allargata), dimostrerebbe che si tratterebbe di un'innovazione cos� radicale da farla rientrare nell�attivit� d�indirizzo politico, che � sottratta al potere del giudice e che spetta, invece, solo al legislatore. Se si tiene conto che le norme di esenzione tributarie, rilevanti per la risoluzione della presente controversia, furono adottate in un periodo in cui non si era ancora entrati in un�ottica di diffusa privatizzazione, � ragionevole pensare che, parlando solo di �Stato� come soggetto esente, il legislatore dell�epoca, abbia voluto riferirsi solo allo Stato - persona. Quando successivamente, soprattutto a partire dagli anni '90, il legislatore si � orientato verso l�adozione di una serie di interventi di privatizzazione, se avesse voluto estendere il regime di esenzione tributaria ai nuovi soggetti, lo avrebbe certamente detto in maniera esplicita. Infatti, se � vero che le tecniche di analisi dell�impatto normativo della normazione nuova su quella preesistente sono state disciplinate solo di recente (per l'AIR, analisi dell'impatto della regolamentazione, per la VIR, verifica dell�impatto della regolamentazione, v. il D.P.C.M. 11 settembre 2008, n. 170; per l�ATN, analisi tecnico - normativa, v. la Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 10 settembre 2008), si presuppone sempre, a fini interpretativi e inevitabilmente per finzione, che il legislatore storico abbia piena consapevolezza, non solo della sua nuova produzione normativa, ma anche della sua capacit� d'incidere sulla normazione preesistente. Poich� a proposito delle imposte indirette che riguardano la presente causa, si deve, invece, registrare che il legislatore della privatizzazione non ha ritoccato le esenzioni tributarie a favore dei soggetti privati - pubblici - e non lo ha fatto n� in generale n� specificamente per i soggetti operanti nel comparto ferroviario -, il giudice resta vincolato alle norme tributarie, cos� com'esse risultano dall'interpretazione fondata sulle ragioni che si sono poc�anzi esposte. 10.3. Vige, dunque, il seguente principio di diritto: �nelle disposizioni normative contenute nelle leggi d�imposta in tema di imposta di registro, di imposta catastale, di imposta ipotecaria e di imposta di bollo, le quali prevedono l�esenzione dello Stato od usano, sempre a fini di esenzione, l�espressione a favore dello Stato o nell'interesse dello Stato, la parola Stato deve intendersi riferita allo Stato-persona�. 11. Le considerazioni precedenti comportano il rigetto del ricorso. 12. La natura delle questioni giuridiche, processuali e sostanziali, sollevate dalle parti fanno propendere per la compensazione tra le parti delle spese processuali relative al giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali relative al giudizio di cassazione. Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2008. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 251 La denuncia di inizio attivit� nella legge 80/05 secondo l�ultima giurisprudenza Natura giuridica dell�istituto, autotutela della P.A. e tutela giurisdizionale del terzo controinteressato* (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 25 novembre 2008 n. 5811) SOMMARIO: 1.- I fatti. 2. - La vigente disciplina positiva della d.i.a. 3.- La d.i.a. � istituto di liberalizzazione o semplificazione? 4.- La natura giuridica negli orientamenti della giurisprudenza. 5.- La tutela del terzo. La quarta sezione del Consiglio di Stato affronta la dibattuta questione della natura giuridica da ascrivere alla dichiarazione di inizio attivit� di cui all�art. 19, legge n. 241/1990 ed, in particolare, alla species della d.i.a. edilizia, soffermandosi, altres�, sui corollari applicativi discendenti dalla qualificazione dell�istituto, concernenti i poteri spettanti alla P.A. avverso la dichiarazione medesima e la tutela da accordare ai terzi che si ritengano lesi dal silenzio prestato dall�Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a. Le conclusioni cui perviene la quarta sezione, sia pur relative ad una fattispecie di d.i.a. edilizia, confermative della natura provvedimentale della d.i.a. gi� affermata dalla sesta sezione del Consiglio di Stato, sono trasponibili al modello procedimentale della d.i.a. disciplinato in via generale dall�art. 19, legge n. 241/1990. La questione dei rimedi processuali attivabili dai terzi che subiscono gli effetti della d.i.a. sembra, quindi, aver ricevuto definitiva sistemazione nel senso della riconduzione della tutela del terzo al �sicuro� schema dell�azione di impugnazione ordinaria da esperire avverso il titolo autorizzatorio, che si forma implicitamente con il decorso del termine di legge. 1. I fatti Il Consiglio Comunale di San Michele al Tagliamento provvedeva a ridelimitare, all�interno del Piano Particolareggiato della Zona di Ricomposizione di Bibione, il comparto costituito da tre terreni, il primo appartenente (*) Successivamente alla pubblicazione del commento che segue si segnala che Cons. St., sezione sesta, 9 febbraio 2009, n. 717, in www.giustamm.it., con note di commento di GISONDI E VETR�, ha innovitamente ammesso l'esperibilit� dell'azione di accertamento autonomo da parte del terzo che si ritenga leso dall'attivit� oggetto di d.i.a., per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l�attivit� sulla base di una semplice denuncia di inizio di attivit�. Emanata la sentenza di accertamento, graver� sull�Amministrazione l�obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti. Tale ultimo arresto sar� successivamente commentato in un prossimo numero di questa Rassegna 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 alla L.M. S.a.s., i restanti del Condominio S. L�amministrazione provvedeva alla suddivisione in due porzioni, di cui la prima costituita dal solo mappale di propriet� della predetta societ�, la seconda, invece, costituita dai restanti mappali, con ci� individuando due distinti ambiti ed attribuendo solo al primo la potenzialit� edificatoria spettante in precedenza al comparto ai sensi della variante parziale al piano medesimo approvata con deliberazione dello stesso Consiglio. Il Condominio proponeva ricorso giurisdizionale avverso la deliberazione comunale, tuttavia respinto dal T.A.R. per il Veneto. In particolare, il giudice di prime cure dichiarava l�inammissibilit� delle censure volte all�affermazione dell�illegittimit� degli atti impugnati per sottrazione al Condominio di capacit� edificatoria, sul rilievo che il ricorrente avrebbe dovuto avversare la delibera con cui sono stati fissati i prodromi della successiva azione comunale effettivamente impugnata. Con la stessa sentenza, il Collegio accoglieva il ricorso proposto dalla L.M. S.a.s., previa riunione con il primo ricorso proposto; detta societ� otteneva cos� l�annullamento del titolo edilizio rilasciato al Condominio dal Comune di S. Michele al Tagliamento a seguito di denuncia inizio lavori. In particolare, il giudice rilevava il mancato accertamento della sussistenza del titolo ad edificare, atteso che il Comune non aveva prestato �la bench� minima attenzione alle misure dei confini indicati nella d.i.a.�, per effetto delle quali il Condominio S. si sarebbe trovato a fruire di un�area di propriet� dei terzi, ovvero della L.M. S.a.s. Il Condominio appellava la decisione di primo grado, cui seguiva la proposizione di appello incidentale da parte del Comune di S. Michele al Tagliamento, che impugnava la sentenza nella parte in cui annullava il titolo edilizio rilasciato al Condominio a seguito della denuncia inizio lavori. La quarta sezione del Consiglio di Stato, decidendo il giudizio di gravame, previa declaratoria dell�irricevibilit� dell�appello incidentale (improprio) proposto dal Comune, in quanto notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla data di notificazione della sentenza di primo grado, accoglie parzialmente l�appello principale, quanto all�impugnazione del capo di sentenza che aveva in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto l�originario ricorso, riguardo al solo petitum di annullamento, respingendo l�appello proposto dal Condominio in relazione all�accoglimento del secondo ricorso avente ad oggetto l�annullamento del titolo edilizio rilasciato a seguito d.i.a. E� questa la parte della decisione che verr� esaminata nel presente lavoro offrendo la stessa spunti di riflessione in ordine al noto dibattito giurisprudenziale che investe la natura giuridica della d.i.a. e gli strumenti di tutela del terzo controinteressato. 2. La vigente disciplina positivia della d.i.a. La denuncia di inizio attivit� (d.i.a.) (1) � disciplinata all�art. 19, legge n. 241 del 1990, la cui versione originaria � stata completamente riformulata IL CONTENZIOSO NAZIONALE 253 dall�art. 3, d.l. n. 35 del 2005, convertito con legge n. 80 del 2005, che ha notevolmente innovato l�istituto. La nuova norma stabilisce che gli atti di autorizzazione licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta, il cui rilascio sia subordinato esclusivamente all�accertamento dei requisiti e dei presupposti di legge o di atti amministrativi generali e non siano previsti limiti o contingenti complessivi ovvero l�impiego di strumenti di programmazione settoriale per il relativo rilascio, possano essere sostituiti da una dichiarazione del privato contenente le certificazioni e le attestazioni richieste dalla legge. Tale dichiarazione deve essere comunicata alla P.A. e decorsi trenta giorni dalla comunicazione medesima, il privato pu� dare inizio all�attivit� oggetto della dichiarazione. Il privato � inoltre tenuto a dare comunicazione alla P.A. dell�inizio dell�attivit�. Alla P.A. � consentito, nel termine di trenta giorni decorrenti da tale ultima comunicazione, di vietare la prosecuzione dell�attivit� e ordinarne la rimozione degli effetti, qualora accerti la mancanza dei presupposti fissati dalla legge per il ricorso alla d.i.a. Volendo schematizzare le novit� introdotte in materia, pu� osservarsi che la novella del 2005: a) ha recepito, analogamente a quanto � avvenuto per altri istituti con la legge n. 15 del 2005, l�orientamento giurisprudenziale relativo all�ammissibilit� del potere di intervento in autotutela della P.A. e, in particolare, del potere di revoca e annullamento di cui agli art. 21 quinquies e nonies; b) ha ampliato, secondo una tesi sostenuta in dottrina, il campo di applicazione dell�istituto; la d.i.a. trova applicazione anche laddove il rilascio delle autorizzazioni dipenda da valutazioni tecnico-discrezionali, considerato che il nuovo art. 19, legge n. 241 del 1990, non richiede pi� che l�accertamento (1) Le trattazioni dell�istituto sono molteplici: ex pluribus, ci si limita a rinviare, per un�analisi successiva alla l. n. 80 del 2005, a ACQUARONE, La dichiarazione di inizio attivit� (d.i.a.), in CERULLI IRELLI (a cura di), La disciplina generale dell�azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, Napoli, 2006, 285 ss.; FORLENZA, Troppe esclusioni per la d.i.a. a tutto campo, in Guida al dir., 2005, n. 13; FRANCAVILLA, La d.i.a. alla ricerca di un�identit� tra novit� normative e tutela del terzo, in Corriere del merito, 2008, 113, cui, in particolare, si rimanda per la ricostruzione delle diverse tesi in ordine alla natura giuridica della d.i.a., alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali; GIOVAGNOLI, Dia e silenzio dopo la l. n. 80 del 2005, in Urb. e app., 2005, 1001; GIULIETTI, Articolo 19. Dichiarazione di inizio di attivit�, in PAOLANTONIO - POLICE - ZITO (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi nn. 15/2005 e 80/2005, Torino, 2005, 377 ss.; MARZARO GAMBA, La denuncia di inizio di attivit� edilizia, Padova, 2005; MORBIDELLI, In tema di d.i.a. vecchia e nuova (spunti tratti da Cons. Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916), in www.giustamm.it; PROIETTI, La denuncia di inizio attivit� alla luce del nuovo art. 19 della legge 241/1990, in Urb. e app., 2005, 873 ss.; SCIULLO, Modelli ricostruttivi di Dia e tutela del controinteressato, in Giorn. dir. amm., 2007, 975; TRAVI, La Dia e la tutela del terzo fra pronunce del G.A. e riforme legislative, ivi, 2005, 1328; VACCA, La natura giuridica della d.i.a., con particolare riguardo alla disciplina introdotta dall�art. 3 comma 1, d.l. 14 marzo 2005 n. 35 convertito con modificazioni nella l. 14 maggio 2005, n. 80, in Foro amm. TAR, 2006, 3, 870. 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dei presupposti dell�autorizzazione avvenga senza �prove a ci� destinate che comportino valutazioni tecnico discrezionali� e che il comma 3 dello stesso art. 19 prevede il potere di revoca ai sensi dell�art. 21 quinquies, che mal si concilia con l�assunto secondo cui la nuova d.i.a. si applichi ai soli provvedimenti vincolati, giacch� l�esercizio del potere di revoca presuppone l�esistenza di margini di discrezionalit� in capo all�amministrazione. Nell�ambito applicativo della d.i.a. rientrano anche le concessioni non costitutive e le domande per l�iscrizione in albi o ruoli richieste per l�esercizio di attivit� imprenditoriale, commerciale o artigianale; c) ha previsto, al comma 5, la giurisdizione esclusiva del G.A. sulle controversie in materia di d.i.a., cos� eliminandosi ogni incertezza in ordine ai criteri di riparto in un settore in cui vengono in rilievo quasi esclusivamente provvedimenti vincolati (ad esempio, controversie relative all�iscrizione ad albi professionali) (2); d) ha ridefinito i termini per lo svolgimento dell�attivit� e per l�esercizio dei poteri di controllo dell�amministrazione. Come, peraltro, chiaramente affermato nella sentenza in commento, la nuova norma prevede, infatti, che l�attivit� liberalizzata possa avere inizio non immediatamente dopo la presentazione della dichiarazione, dovendo decorrere dalla stessa un termine di trenta giorni, decorso il quale il privato pu� esercitare l�attivit� dichiarata, contestualmente comunicando all�amministrazione l�intervenuta intrapresa dell�attivit� (cd. doppia comunicazione del privato). Da tale seconda comunicazione decorre un successivo secondo termine di trenta giorni, durante il quale la P.A., accertata la carenza dei presupposti e requisiti per l�esercizio dell�attivit�, pu� adottare e comunicare all�interessato il provvedimento inibitorio dell�ulteriore prosecuzione dell�attivit�, unitamente all�ordine di rimozione dei relativi effetti, ove possibile. �, quindi, previsto un primo spazio temporale di trenta giorni dalla presentazione della denuncia, durante il quale il privato non pu� iniziare a svolgere l�attivit� e, correlativamente, la P.A. non pu� adottare provvedimenti di intervento. Tale termine �, dunque, dedicato (2) In ordine all�ambito della giurisdizione esclusiva in materia di d.i.a., Cons. St., sez. VI, 8 febbraio, 2008, n. 429, in Urb. e app., 2008, 5, 605, ha osservato che l�art. 19, ult. co., l. n. 241/1990 devolve alla giurisdizione esclusiva amministrativa tutte le controversie aventi ad oggetto i presupposti della d.i.a. ed i provvedimenti inibitori dell�attivit� iniziata sulla base di essa; in forza di tale premessa, il Collegio ha ritenuto che rientri nella giurisdizione esclusiva del G.A. una controversia riguardante un provvedimento d�annullamento degli effetti di una d.i.a., essendo tale controversia attinente alle condizioni legittimanti l�intervento edilizio ed alla correttezza del divieto opposto dall�amministrazione alla sua realizzazione (anche nelle parti relative alla cognizione di diritti soggettivi); la giurisprudenza ritiene che rientrino nell�ambito della giurisdizione esclusiva in materia di d.i.a. anche le domande di annullamento della sanzione pecuniaria (in tal senso, Tar Lazio, Latina, 11 maggio 2006, n. 320, in Foro amm. Tar, 2006, 5, 1774), nonch� le controversie aventi ad oggetto l�inerzia tenuta dall�amministrazione sulla d.i.a. (Tar Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005, n. 1369, in www.giustizia-amministrativa.it; contra, per l�affermazione della giurisdizione del G.O., Tar Lombardia, Milano, sez. II, 6 luglio 2005, n. 3230, ivi). IL CONTENZIOSO NAZIONALE 255 all�espletamento di una prima verifica, di natura essenzialmente documentale, che l�amministrazione � tenuta a compiere ai fini dell�eventuale esercizio del successivo potere di intervento. Nel successivo termine di trenta giorni, decorrenti dalla ricezione della comunicazione di effettivo inizio dell�attivit�, l�amministrazione pu� effettuare un esame pi� approfondito, tanto che � previsto che detto termine pu� essere sospeso qualora l�amministrazione ritenga di richiedere valutazioni tecniche ad organi o enti preposti; la sospensione non pu� in ogni caso superare i trenta giorni, decorsi i quali la P.A. � tenuta comunque a procedere come se la valutazione fosse stata rilasciata. Come ritenuto dalla giurisprudenza, il termine per l�esercizio del potere di controllo (sub specie, di inibizione dell�attivit�) � da ritenersi perentorio, essendo conseguente al suo spirare il venir meno del potere di contestare al denunziante i presupposti e i requisiti di legge (3). In particolare, si ritiene che l�effetto giuridico dello spirare del termine previsto dalla legge dalla presentazione della comunicazione � costituito dal consolidarsi della posizione dell�interessato e, nello stesso tempo, dalla consumazione del potere inibitorio da parte dell�Amministrazione procedente (4), pur residuando in capo all�amministrazione un particolare potere di autotutela (5). In sostanziale sintonia con tale impostazione, osserva in proposito la quarta sezione nella decisione in commento che, con lo spirare del termine di legge, �il titolo si consolida�, restando, tuttavia, �salvo, naturalmente, l�intervento successivo di interdizione dell�attivit�, che pu� intervenire in tutti i casi di accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti, al cui possesso l�ordinamento di settore subordini l�espletamento dell�attivit� medesima�(6). (3) In tal senso, Tar Campania, Napoli, sez. IV, 27 marzo 2006, n. 3200, in Foro amm. Tar, 2006, 3, 1070; Tar Campania, Napoli, sez. II, 27 giugno 2005, n. 8707, in D&G - Dir. e giust., 2005, 30, 103, con nota di PROIETTI, Dia, il termine per lo stop � perentorio - Poi l�ente pu� solo applicare sanzioni; Tar Piemonte 16 gennaio 2002, n. 70, in www.giustizia-amministrativa.it. (4 Tar Toscana, sez. II, 14 dicembre 2007, n. 4841, in www.giustizia-amministrativa.it.; Tar Lazio, Roma, sez. II, 21 gennaio 2004, n. 593, in Foro amm. Tar, 2004, 152. (5) In tal senso, ex pluribus, Tar Basilicata, 12 luglio 2007, n. 502, in www.giustizia-amministrativa. it; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 2 ottobre 2007, n. 2253, in Corriere del merito, 2008, 1, 113; Tar Emilia Romagna, Parma, 19 febbraio 2008, n. 102, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Sicilia, Catania, sez. I, 9 gennaio 2008, n. 74, in Foro amm. Tar, 2008, 1, 251; Tar Campania, Napoli, sez. II, 7 marzo 2008, n. 1167, in www.neldiritto.it.; Tar Liguria, sez. I, 19 marzo 2008, n. 418, in www.giustizia-amministrativa.it.; Tar Umbria, sez. I, 29 agosto 2008, n. 549, in www.lexitalia.it, ove, in particolare, si precisa che la formazione del titolo edilizio conseguente alla d.i.a. comporta che gli eventuali provvedimenti repressivi possono essere adottati dall�Amministrazione, a pena di illegittimit�, solo a seguito di apposito procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d�ufficio dell�atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine, ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies, l. n. 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all�interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni da quest�ultimo eventualmente presentate nell�ambito della partecipazione al procedimento. (6) Secondo Tar Lazio, Roma, sez. II-ter, 7 aprile 2008, n. 2903, in www.giustamm.it, l�istituto della D.I.A. pu� configurarsi solo quando l�interessato sia in possesso di tutti i requisiti soggettivi ed 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Il provvedimento nel quale si pu� sostanziare il potere di controllo pu� avere due contenuti: un contenuto inibitorio, consistente nell�ordine al privato di cessare l�attivit� intrapresa e di rimuoverne, ove possibile, gli effetti; ovvero un contenuto conformativo, consistente nell�ordinare al privato, in caso di rilevate difformit� sanabili, di adeguare l�attivit� stessa a determinate prescrizioni impartite caso per caso. Alla luce delle considerazioni che precedono, la P.A., a seguito della presentazione della d.i.a., dispone di tre differenti poteri. Per trenta giorni, a decorrere dal ricevimento della comunicazione di avvio dell�attivit� di cui al comma 2, art. 19, legge n. 241 del 1990, l�amministrazione dispone di un potere inibitorio. In tale lasso di tempo all�amministrazione compete un potere di verifica della sussistenza dei requisiti e presupposti normativi per l�esercizio dell�attivit� oggetto di denuncia: l�esito negativo comporta l�emanazione di motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell�attivit� e di rimozione dei suoi effetti o la fissazione di un termine entro il quale il privato possa conformare l�attivit� ed i suoi effetti alla normativa vigente. La quarta sezione nella decisione in commento osserva che il provvedimento con il quale l�Amministrazione inibisce la prosecuzione dell�attivit� si estrinseca in �un atto che ha natura di accertamento dei motivi giuridico-fattuali ostativi allo svolgimento dell�attivit� e dunque del tutto analogo ad un provvedimento di diniego di un atto autorizzatorio dell�attivit� medesima, s� che deve ritenersi in tal caso applicabile il disposto dell�art. 10-bis della legge n. 241/90 e che invece, verificandosi in tale ipotesi una sorta di inversione procedimentale, non necessita di previa comunicazione dell�avvio del procedimento� (7). Venuto meno il potere inibitorio, residua il generale potere repressivo degli abusi, contemplato dall�art. 21, comma 2 bis, legge n. 241 del 1990; con specifico riferimento alla materia edilizia, si pensi ai poteri repressivi degli abusi edilizi che competono all�amministrazione, ai sensi dell�art. 23, d.P.R. n. 380 del 2001 (8). oggettivi previsti per l�espletamento dell�attivit�, in quanto questi si atteggiano come elementi costitutivi della fattispecie di cui la parte deduce il perfezionamento, con la conseguenza che, qualora la dichiarazione dell�interessato non sia completa e veridica in ordine al possesso dei requisiti necessari per intraprendere l�attivit�, � da escludere che il titolo si sia formato ed abbia acquistato efficacia. In tal caso, pertanto, non � necessario attivare alcun procedimento di autotutela, non essendosi formato alcun provvedimento tacito di assenso n�, comunque, la d.i.a. ha mai assunto efficacia per il decorso del termine previsto dall�art. 19, l. n. 241/1990. (7) Contra, nel senso dell�inapplicabilit� alla d.i.a. (edilizia) dell�istituto del cd. preavviso di rigetto ex art. 10 bis, l. n. 241/1990, Cons. St., sez. IV, 10 luglio 2007, n. 4828, in Diritto e pratica amministrativa, 2007, 10, 44, con nota di PAQUINO, Dia senza preavviso di rigetto; per approfondimenti, sul punto, si rinvia a GAROFOLI - FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2008, 518 s., ove sono compiutamente esposti i due indirizzi giurisprudenziali formatisi in proposito. (8) Riguardo alla d.i.a. in materia edilizia la giurisprudenza, con una serie di argomentazioni ri- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 257 Oltre a questo potere, l�amministrazione dispone del generale potere di autotutela, previsto dall�art. 19, comma 3, legge n. 241 del 1990, che richiama gli artt. 21 quinquies e nonies. 3. La d.i.a. � istituto di liberalizzazione o semplificazione? Per una prima impostazione, la d.i.a. rappresenta uno strumento, non gi� di semplice semplificazione procedimentale (9), quanto di autentica liberalizzazione di determinate attivit� private, il cui esercizio � riconosciuto senza che sia richiesto un vaglio preventivo della P.A. (10). Alla logica della semplificazione procedimentale risponde, infatti, il diverso istituto, regolamentato dalla norma immediatamente successiva, del silenzio-assenso, che lungi dal liberalizzare talune attivit�, facoltizzandone l�esercizio senza un preventivo vaglio da parte della P.A., � semplicemente volto, sull�assunto della necessit� del vaglio preventivo necessario perch� una certa attivit� possa essere esercitata, a semplificare le modalit� di esternazione del suddetto vaglio. Quando un�attivit� soggiace a silenzio-assenso, invero, la stessa non pu� dirsi liberalizzata, essendo solo regolamentato un meccanismo procedimentale pi� semplificato di formazione del provvedimento (pure necessario) di esternazione dell�assenso dell�amministrazione. La d.i.a. �, invece, secondo una certa impostazione, strumento di autentica liberalizzazione essendo storicamente nata per sottrarre certe attivit� al vaglio chiamate dalla sentenza in commento, ha precisato che l�istituto, che costituisce species del procedimento semplificato ed accelerato introdotto dall�art. 19, l. n. 241/1990, risulta regolato non solo dalla disciplina di settore (artt. 22 e ss., d.P.R. n. 380 del 2001), ma anche dalle previsioni generali dell�art. 19, l. n. 241 del 1990, il che comporta, tra l�altro, il riconoscimento in capo all�amministrazione dei poteri di autotutela previsti dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies: in tal senso, Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 2 ottobre 2007, n. 2253, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Piemonte, sez. II, 19 aprile 2006, n. 1885, in Foro amm. Tar, 2006, 3, 865, con nota di VACCA, cit. In dottrina, per approfondimenti sulla d.i.a. edilizia alla luce della disciplina dettata dal T.U. dell�edilizia, si rinvia a CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, profili sostanziali e processuali, Milano, 2008, 1525 ss. (9) Come osserva PORTALURI, Note sulla semplificazione per silentium (con qualche complicazione), in www.giustizia-amministrativa.it, tra gli istituti di semplificazione dell�azione amministrativa disciplinati in modo organico dal Capo IV della legge n. 241/1990 alcuni - come la conferenza di servizi, gli accordi tra pubbliche amministrazioni, l�acquisizione di pareri e valutazioni tecniche - risultano finalizzati a rendere possibile la cd. semplificazione organizzativa, ossia ad abbattere principalmente i costi amministrativi; altri - come il silenzio-assenso e la d.i.a. - paiono diretti ad assicurare la �semplificazione di garanzia�, ossia ad abbattere i �compliance cost che gravano sul privato�, i quali, secondo la definizione fornitane da BOSCOLO, Silenzio assenso in tema di pubblici esercizi, in Giorn. dir. amm., 1999, 430 ss., �sono i costi che i privati debbono sopportare per conformarsi ad uno scenario normativo eccessivamente complesso e per rapportarsi con una amministrazione, scarsamente efficiente, mentre i costi amministrativi sono quelli sostenuti dalle pubbliche amministrazioni per garantire l�espletamento delle pubbliche funzioni�. (10) In tal senso, CERULLI IRELLI - LUCIANI, La semplificazione dell�attivit� amministrativa, in Dir. amm., 2000, 617, spec. 638; CORSO, Manuale di diritto amministrativo, III ed., 2007, Torino, 215, che assimila la d.i.a. al silenzio assenso, ritenendo entrambi istituti di liberalizzazione delle attivit� private. 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 preventivo dell�amministrazione. Il meccanismo della d.i.a., difatti, consente al privato di intraprendere l�esercizio di alcune attivit� sulla base di un atto che lo stesso privato confeziona e presenta all�amministrazione, senza attendere un pronunciamento costitutivo da parte dell�amministrazione. Alla stessa � solo riconosciuto l�esercizio, entro un termine perentorio, di un potere inibitorio dell�attivit� gi� iniziata, non anche la titolarit� del potere di esprimere un assenso preventivo all�esercizio di quell�attivit�. Questa sarebbe, quindi, la distinzione concettualmente fondamentale tra la d.i.a. ed il silenzio assenso: l�una � espressione di una tendenza del legislatore a liberalizzare certe attivit�, l�altro, invece, di un�esigenza di semplificare il procedimento da osservare affinch� la pubblica amministrazione possa esternare la sua determinazione, ritenuta, tuttavia, ancora necessaria perch� il privato possa esercitare una data attivit� (11). Muovendo da tale prospettiva, la d.i.a. sarebbe, quindi, strutturalmente diversa dall�assenso tacito, sebbene regolata dalla stessa legge e in norme che si susseguono. La d.i.a. avrebbe natura non gi� di domanda, ma di semplice adempimento ossia di �informativa, cui � subordinato l�esercizio del diritto�. Con la d.i.a. si adempie all�onere di avvisare l�amministrazione che regola lo svolgimento della attivit� rilevanti nel mercato che sta per iniziare una nuova attivit� e che l�attivit� stessa � iniziata: nulla di pi�. Nella d.i.a. il controllo di legalit� si effettua su un�attivit� gi� intrapresa a fronte di un avviso inoltrato all�amministrazione e non presuppone alcun preventivo provvedimento formale: la potest� autorizzatoria o concessoria diviene potest� inibitoria da esercitare, a seconda dei casi, con l�ordine di porre termine all�attivit� o di conformarla, se possibile, entro un termine, alla normativa vigente. Tuttavia, secondo un differente orientamento giurisprudenziale, inaugurato da Cons. St., sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550 (12), successivamente ribadito da Cons. St., sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828 (13), ed accolto anche dalla giurisprudenza di primo grado (14), la d.i.a. e la relativa disciplina, lungi dal rispondere ad un�esigenza di autentica liberalizzazione di talune attivit�, � istituto di mera semplificazione, non idoneo in quanto tale ad escludere che per le attivit� sottoposte al relativo regime sia comunque necessario un atto di assenso dell�amministrazione, ancorch� espresso per silentium. (11) Sulla distinzione tra d.i.a. e silenzio assenso, quanto al diverso ambito applicativo dei due istituti, si rinvia a GAROFOLI - FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 500. (12) Tra le altre, in Giorn. dir. amm., 2007, 975 e in Diritto e pratica amministrativa, 2007, 5, 32 ss., con nota di GIANNUZZI, D.i.a., ammissibile il ricorso diretto. (13) Tra le altre, in Foro amm. CdS, 2007, 9, 2448; Foro it., 2008, 3, 146; Riv. giur. edilizia, 2007, 6, 1570. (14) Si vedano, Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 2 ottobre 2007, n. 2253; Tar Sicilia, Catania, sez. I, 9 gennaio 2008, n. 74; Tar Emilia Romagna, Parma, 19 febbraio 2008, n. 102; Tar Campania, Napoli, sez. II, 7 marzo 2008, n. 1167; Tar Liguria, sez. I, 19 marzo 2008, n. 418; Tar Umbria, sez. I, 29 agosto 2008, n. 549, tutte citt. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 259 4. La natura giuridica alla luce degli orientamenti della giurisprudenza La questione maggiormente dibattuta in giurisprudenza, sulla quale � intervenuta la quarta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza in commento, attiene alla natura giuridica della d.i.a., cui � particolarmente correlato il complesso problema delle forme di tutela sperimentabili dal terzo. Alle origini di tale dibattito si pone la netta contrapposizione tra la posizione del titolare del diritto (da intendere in senso atecnico) ad esercitare appieno le facolt� conseguenti all�inoltro della �informativa� e quella dell�Amministrazione e degli altri soggetti che ne sopportano gli effetti a limitarne le manifestazioni, onde potere esercitare appieno altrettanti diritti e facolt� loro proprie. Per le amministrazioni la facolt� di programmare le attivit� economiche in funzione della concorrenza o l�uso del territorio in ragione dell�ottimale utilizzo delle risorse, per i privati comunque coinvolti dall�attivit�, di esercitare allo stesso modo gli altrettanti e analoghi diritti di cui sono titolari. Di siffatti diritti e facolt�, il legislatore si � premurato di garantire l�amministrazione, attribuendole - come detto - il potere di inibire l�attivit� o di intervenire con l�autotutela; non ha, invece, espressamente garantito i privati. Per questa ragione il dibattito dottrinale e giurisprudenziale si �, in particolare, incentrato sulla tutela del terzo controinteressato, sia amministrativa che giurisdizionale di fronte all�esercizio di un�attivit� che egli assume pregiudizievole ai suoi diritti. Al fronteggiarsi dell�autorit� della P.A. con la libert� del singolo si sostituisce, quindi, lo scontro delle opposte libert�, nel quale l�Amministrazione interviene esercitando poteri inibitori e/o di regolazione e non pi� poteri di autorizzazione o di concessione. Il lungo dibattito sviluppatosi sul tema impone di schematizzare le diverse posizioni, dando contezza sinteticamente degli argomenti svolti a rispettivo sostegno e delle correlative critiche. Due sono le note tesi che si contendono il campo. Secondo una prima impostazione (15), la d.i.a. costituirebbe una fattispecie a formazione successiva, configurabile come un atto amministrativo tacito destinato a formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per effetto del decorso del termine assegnato all�amministrazione per esercitare il potere inibitorio. A sostegno si � valorizzato il dato letterale dell�art. 19 (prima della sua riscrittura da parte della legge n. 80 del 2005) nella parte in (15) Tar Piemonte, sez. I, 5 settembre 2006, n. 2762, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Abruzzo, Pescara, 1 settembre 2005, n. 494, in Giur. it., 2005, 2405; Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916, in Corriere giur., 2005, 1672 e in Riv. giur. edilizia, 2005, 6, 1953, con nota di MARTINEZ, La natura negoziale della d.i.a. nuoce alla tutela del terzo?; Cons. St., sez. VI, 20 ottobre 2004, n. 6910, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Veneto, sez. II, 10 settembre 2003, n. 4722 e Id. 20 giugno 2003, n. 3405, in www.lexitalia.it; Cons. St., sez. VI, 10 giugno 2003, n. 3265, in Riv. giur. edilizia, 2004, I, 248; Tar Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001, n. 397, in Urb. e app., 2001, 1110. 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cui afferma che �l�atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio attivit��: tale espressione � intesa nel senso che la dichiarazione del privato � equiparata ad un atto amministrativo di consenso ed � fonte della legittimazione del soggetto a svolgere l�attivit�. Si � anche rimarcata l�introduzione da parte della legge n. 80 del 2005 del potere di intervenire in autotutela consente di qualificare la d.i.a. come atto amministrativo di primo grado sul quale sono destinati ad incidere i provvedimenti di revoca e annullamento, quali atti di secondo grado. In particolare, la previsione dell�adottabilit� di provvedimenti di secondo grado sottende la qualificazione della d.i.a. (o meglio, degli effetti della d.i.a.) in termini di atto abilitativo tacito; da ci� consegue che, qualora la P.A. non eserciti, nel termine di decadenza previsto dalla legge, i propri poteri inibitori in merito all�attivit� oggetto della d.i.a., si forma un atto di assenso implicito, oggetto di possibile caducazione in via di autotutela da parte della stessa amministrazione ovvero dal G.A. adito dal terzo. Tali conclusioni troverebbero conferma nel nuovo disposto dell�art. 21, comma 2 bis, legge n. 241 del 1990, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 80 del 2005, che, riferendosi espressamente alle attivit� iniziate dal privato ai sensi dell�art. 19, assimila gli effetti della d.i.a. alla fattispecie del silenzio assenso ex art. 20, accomunando le due ipotesi nella categoria degli atti di assenso. Diverse le obiezioni formulate al riguardo. Si � in primo luogo osservato che, se � vero certo che l�art. 19, comma 3, legge n. 241 del 1990, rinvia agli att. 21 quinques e nonies, � vero anche che lo stesso legislatore del 2005, dopo l�art. 19, continua a disciplinare, al successivo art. 20, il silenzio-assenso, che, dunque, mantiene una sua caratterizzazione autonoma rispetto al primo istituto. Si � anche osservato che se la d.i.a. fosse davvero un atto destinato ad avviare un procedimento destinato a concludersi con provvedimento di accoglimento per silentium, tra d.i.a. e silenzio assenso sarebbe arduo cogliere una sostanziale differenza (16). Di contro, si rileva, le due norme presentano una diversa funzione, in quanto l�art. 20, a differenza dell�art. 19, non incide in senso abrogativo sul regime autorizzatorio, ma costituisce una mera semplificazione procedimentale, prevedendo - per effetto dell�inerzia dell�amministrazione - una modalit� di conseguimento dell�autorizzazione equipollente, per natura ed effetti, ad un provvedimento esplicito di accoglimento. In quest�ottica si sottolinea, inoltre, che mentre nell�art. 20 il legislatore compie un�espressa equiparazione del silenzio al provvedimento di accoglimento della domanda, ci� non accade nell�art. 19; sicch�, mentre a fondamento del valore provvedimentale del silenzio assenso si pone una domanda dell�interessato, a fondamento della d.i.a. vi � una mera dichiarazione o denuncia attestante l�esistenza delle condizioni richieste dalla (16) In tal senso, PAOLANTONIO, op. cit., 486. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 261 legge per l�esercizio dell�attivit�. Il tempo che intercorre dalla presentazione della dichiarazione di cui all�art. 19 o dalla proposizione della domanda di cui all�art. 20 avrebbe, dunque, una funzione diversa: di accertamento della legalit� dell�attivit� nel primo caso, compiuto il quale l�attivit� del denunciante inizia senza ostacoli; di ponderazione degli interessi in gioco nel secondo. Secondo altra tesi (17), la d.i.a. � un atto formalmente e soggettivamente privato, cui la legge ricollega direttamente l�effetto di abilitare l�istante all�esercizio dell�attivit�. Si � anche osservato che la legge n. 80 del 2005, nel riconoscere espressamente alla P.A. il potere di autotutela, recepisce l�orientamento giurisprudenziale che ammetteva la sussistenza in capo alla P.A. di un potere residuale di autotutela, da intendere tuttavia quale potere sui generis, caratterizzato dal fatto di non implicare un�attivit� di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo. Si osserva, in particolare, che il riferimento agli artt. 21 quinquies e 21 nonies, legge n. 241 del 1990, contenuto nell�art. 19, consente di esercitare un potere che tecnicamente non � di secondo grado, in quanto non interviene su una precedente manifestazione di volont� dell�amministrazione, ma che con l�autotutela classica condivide esclusivamente i presupposti ed il procedimento. In questo senso si ritiene che il richiamo agli artt. 21 quinquies e 21 nonies va inteso come riferito alla possibilit� di adottare non gi� atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell�attivit� e di rimozione dei suoi effetti nell�osservanza dei presupposti so- (17) Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453, in Giust. civ., 2003, I, 1385 e in Urb. e app., 2003, 837 ss., con nota di MANDARANO, Denuncia di inizio di attivit� e sindacato del giudice amministrativo; Cons. St., sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5323, in Foro amm. CdS, 2004, 2143, con nota di CREPALDI, La denuncia di inizio di attivit�: natura giuridica e tutela del terzo; Tar Campania, Napoli, sez. II, 27 giugno 2005, n. 8707, cit.; Cons. St., sez. V, 19 giugno 2006, n. 3586, in www.lexitalia.it; Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916, cit.; Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948, in Foro amm. CdS, 2007, 2, 545; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 3 aprile 2007, n. 1652, in www.giustizia-amministrativa.it.; in dottrina, CORSO, Manuale di diritto amministrativo, IV ed., Torino, 2008, 256. (18) Tar Campania, Napoli, sez. III, 27 gennaio 2006, n. 1131, in www.giustizia-amministrativa.it.; Tar Campania, Napoli, sez. II, 29 marzo 2007, n. 2902, in www.lexitalia.it, ove il Collegio osserva che l�ordine inibitorio dei lavori emesso dal Comune a seguito di denuncia di inizio attivit� non attiva un procedimento di secondo grado diretto ad annullare o rimuovere un precedente atto di assenso tacito, ma, in esito al doveroso preliminare controllo circa la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge - e fermo restando il successivo e distinto potere sanzionatorio - impedisce in via preventiva l�inizio di attivit� antigiuridiche; in coerenza con tale premessa, si � escluso che l�ordine inibitorio dei lavori a seguito di d.i.a. debba essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento all�autore della d.i.a. stessa, sia perch� trattasi di procedura iniziata su impulso di parte, sia perch� la stessa � informata ad esigenze di semplificazione e celerit�; gi�, in tal senso, Cons. St., sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5323, cit.; Tar Lazio, Roma, sez. II, 2 settembre 2005, n. 6534, in Foro amm. Tar, 2005, 9, 2814; contra, per la qualificazione di tale potere come autotutela in senso proprio, che comporta l�avvio di un procedimento di secondo grado da comunicare all�interessato e nel quale svolgere una puntuale confutazione delle ragioni da quest�ultimo eventualmente presentate nell�ambito della partecipazione al procedimento, si vedano, in particolare, Tar Umbria, sez. I, 29 agosto 2008, n. 549; Tar Sicilia, Catania, sez. I, 9 gennaio 2008, n. 74, citt. 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 stanziali e procedimentali previsti da tali norme (18). Peraltro, a sostegno della impropriet� del richiamo agli artt. 21 quinquies e 21 nonies si adduce che il potere di revoca, previsto dalla prima delle norme in esame, fondato su una valutazione dell�interesse pubblico (originario o sopravvenuto) ed avente ad oggetto i soli atti discrezionali, non sarebbe configurabile in relazione alla d.i.a. in cui il titolo ampliativo concerne attivit� vincolate o, semmai, caratterizzate da discrezionalit� tecnica. Quando sembrava che la giurisprudenza del Supremo Consesso di giustizia amministrava si fosse assestata sulla qualificazione in termini privatistici della d.i.a., con due decisioni del 2007 (19), le cui conclusioni risultano condivise dalla quarta sezione con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato mostra di avere decisamente mutato indirizzo. In particolare, Cons. St., sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550, muovendo dall�assunto secondo cui la d.i.a. � istituto di mera semplificazione, non idoneo in quanto tale ad escludere che per le attivit� sottoposte al relativo regime sia comunque necessario un atto di assenso dell�amministrazione, ancorch� espresso per silentium, conclude che, con il decorso del termine previsto dal citato art. 19, si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, impugnabile dal terzo entro l�ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall�avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all�intervento oggetto di d.i.a. Ad avviso della sesta sezione, quindi, il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell�amministrazione, ma direttamente l�assentibilit� o meno dell�intervento. Tale mutamento d�indirizzo in ordine alla natura giuridica della d.i.a. ha trovato successivamente conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato; infatti, Cons. St., sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828, intervenendo in ordine alla questione relativa all�applicabilit� dell�art. 10 bis, legge n. 241 del 1990, alla diffida a non iniziare i lavori adottata a seguito di d.i.a., ribadisce la tesi della natura di autorizzazione implicita della d.i.a., affermando che la d.i.a. non � uno strumento di liberalizzazione dell�attivit�, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dell�autorizzazione implicita di natura provvedimentale (favorevole) a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia. La giurisprudenza di primo grado si � subito allineata alla svolta dell�aprile del 2007, aderendo alla tesi che qualifica la d.i.a. quale autorizzazione implicita proprio richiamando a sostegno la decisione n. 1550 del 2007 della (19) Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550 e sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828, citt. (20) In tal senso, si segnalano Tar Basilicata, 12 luglio 2007, n. 502; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 2 ottobre 2007, n. 2253; Tar Sicilia, Catania, sez. I, 9 gennaio 2008, n. 74; Tar Emilia Ro- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 263 sesta sezione del Consiglio di Stato (20). La ricostruzione in termini pubblicistici della d.i.a. � stata confermata nella sentenza in commento (21), ove la quarta sezione, con riferimento alla d.i.a. in materia edilizia, ma con argomentazioni espressamente estese al modulo generale di d.i.a., come disciplinato dall�art. 19, legge n. 241/1990 (22), definisce la d.i.a. quale �istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine di legge, provoca la formazione di un �titolo�, che rende lecito l�esercizio dell�attivit� e cio� di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza�. In particolare, il Collegio qualifica l�istituto de quo come �fattispecie provvedimentale a formazione implicita�, alla cui formazione concorre una doppia comunicazione da parte del privato: �la prima consiste in una dichiarazione dell�interessato, �corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste�. Con la seconda, invece, il soggetto comunica che ad una certa data (non anteriore ai trenta giorni dalla presentazione della anzidetta dichiarazione) inizier� una certa attivit� (di solito produttiva) e, se entro un termine stabilito decorrente da tale comunicazione (trenta giorni, il cui computo inizia dal momento in cui la stessa sia stata ricevuta al protocollo generale dell�ente) l�Amministrazione non ne inibisce la prosecuzione, il titolo si consolida, salvo, naturalmente, l�intervento successivo di interdizione dell'attivit�, che pu� intervenire in tutti i casi di accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti, al cui possesso l�ordinamento di settore subordini l�espletamento dell�attivit� medesima�. La pronuncia reca una puntualizzazione ulteriore che suona come esplicita replica all�obiezione, alla quale si � in precedenza accennato, usualmente mossa dai sostenitori della natura privata della d.i.a. alla tesi �pubblicistica�, secondo cui la collocazione della dichiarazione nel contesto degli strumenti di semplificazione procedimentale finisce per fare della d.i.a. una sorta di doppione dell�istituto del silenzio-assenso di cui al successivo art. 20, legge n. 241/1990. In proposito, la quarta sezione, recidendo ogni dubbio, osserva che �l�atto di comunicazione dell�avvio dell�attivit�, a differenza di quanto accade nel caso del c.d. silenzio-assenso, disciplinato dall�art. 20 (�) non � una domanda, ma una informativa, cui � subordinato l�esercizio del diritto�, che esita in un provvedimento abilitativo tacito, come tale suscettibile tanto di autotutela magna, Parma, sez. I, 19 febbraio 2008, n. 102; Tar Campania, Napoli, sez. II, 7 marzo 2008, n. 1167; Tar Liguria, sez. I, 19 marzo 2008, n. 418; Tar Umbria, sez. I, 29 agosto 2008, n. 549, tutte citt. (21) In senso, sostanzialmente, analogo si era gi� espressa con riferimento ad identica fattispecie Cons. St., sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1409, in www.giustizia-amministrativa.it, ove il Collegio aveva qualificato la d.i.a. come fattispecie provvedimentale a formazione implicita, in cui l�atto del privato, comunque assimilabile ad una istanza autorizzatoria, provoca, con il decorso del termine di legge, la formazione di un �titolo�, che rende lecito l�esercizio dell�attivit� e cio� di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza. (22) La frantumazione dell�istituto della d.i.a. in una pluralit� di istituti diversi, ciascuno dei quali assoggettato ad un regime pi� o meno peculiare, era stata gi� affermata da Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916, cit. 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 decisoria della P.A. quanto di impugnazione da parte dei soggetti terzi, il quale �si forma con l�esperimento di un ben delineato modulo procedimentale, all�interno del quale la d.i.a. costituisce pur sempre una autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell�intervento, sulla quale la pubblica amministrazione svolge una attivit� eventuale di controllo, al tempo stesso prodromica e funzionale al formarsi, a seguito del mero decorso di detto periodo di tempo (e non, dunque, dell�effettivo svolgimento della attivit� medesima), del titolo necessario per il lecito dispiegarsi della attivit� del privato� (23). Dall�operato inquadramento in chiave pubblicistica della dichiarazione di inizio attivit� (configurata come �fattispecie provvedimentale a formazione implicita�) la sezione trae i relativi corollari procedimentali e processuali, precisando che, anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge - di cui all�art. 19, comma 3, legge n. 241/1990 - l�Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, n� nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, n� nel senso di poteri espressione dell�esercizio di una attivit� di secondo grado in senso proprio. In relazione ai primi, la sezione osserva che �l�odierna previsione espressa del potere dell�Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela (v. il comma 3 del nuovo art. 19) presuppone un provvedimento, o comunque un titolo, su cui intervenire�; in ordine ai secondi, il riferimento non pu� che essere compiuto all�art. 21, legge n. 241/1990, ai sensi del quale le sanzioni gi� previste per le attivit� svolte senza la prescritta autorizzazione sono applicate quando un�attivit�, pur dopo la comunicazione all�amministrazione, viene iniziata in mancanza dei requisiti richiesti o comunque in contrasto con le disposizioni di legge (comma 2) e al comma 2-bis dello stesso art. 21, che configura l�inizio della attivit� �ai sensi degli articoli 19 e 20� non preclusivo dell�esercizio delle �attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attivit� soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti�. Ci� rilevato, il Collegio evidenzia il fondamento costituzionale dell�esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi, integrando �una delle imprescindibili modalit� di cura dell�interesse pubblico affidato all�una od all�altra branca dell�Amministrazione�, come tale espressione del principio di buon andamento di cui all�art. 97 Cost. (23) Tali argomentazioni sembrano rievocare quella tesi dottrinale che ascrive l�effetto lato sensu abilitativo scaturente dal decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione ad un fenomeno caratterizzato da una duplice valenza giuridica, ossia della coesistenza di un fatto legittimante l�esercizio dell�attivit� (la dichiarazione) e del contestuale avvio di un procedimento amministrativo di verifica; si avrebbe, dunque, la combinazione tra un atto del privato cui accede un atto di assenso implicito dell�amministrazione: in tal senso, CHITI, Atti di consenso, in Scritti in onore di Feliciano Benvenuti, II, Modena, 1996, 522. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 265 5. La tutela del terzo Alla questione della natura giuridica dell�istituto � strettamente connesso il tema delle forme e modalit� di tutela dei terzi pregiudicati dall�effetto abilitativo derivante dal perfezionamento della fattispecie di cui all�art. 19, legge n. 241 del 1990. Invero, se per il denunciante non si pongono particolari questioni sul versante dei rimedi di tutela esperibili, potendo lo stesso insorgere avverso il provvedimento inibitorio e/o repressivo dell�amministrazione, molto complesso si presenta il dibattito in ordine alla tutela sperimentabile dal terzo per opporsi allo svolgimento dell�attivit�, sul quale interviene la quarta sezione con la sentenza in commento. Come detto, gli esiti di tale dibattito e l�individuazione dei rimedi esperibili da parte del terzo sono strettamente subordinati alla soluzione alla quale s�intenda aderire in ordine alla natura giuridica della d.i.a. L�adesione alla tesi che qualifica la d.i.a. come atto amministrativo abilitativo tacito comporta che il terzo pu� proporre ricorso giurisdizionale, nell�ordinario termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del perfezionamento della denuncia o dall�avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all�intervento, avverso tale provvedimento, seppure tacito, innanzi al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva (art. 19, comma 5, legge n. 241 del 1990), chiedendone l�annullamento. Sar� ammissibile allora il ricorso proposto direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito della d.i.a., per effetto del decorso del termine di trenta giorni entro cui l�amministrazione pu� impedire gli effetti della d.i.a., il quale avr� ad oggetto non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela della P.A., ma direttamente l�assentibilit� o meno dell�intervento oggetto di d.i.a. Il terzo potr�, a seconda dei casi, o dedurre che l�intervento non � affatto consentito e contemplato dalla normativa di settore ovvero (come pi� frequentemente pu� verificarsi in materia edilizia) che l�attivit� in questione non � assentibile mediante denuncia di inizio attivit�, ma necessita di un provvedimento abilitativo espresso che consegua alla presentazione di un�istanza dell�interessato. Tale soluzione, consequenziale all�accoglimento della ricostruzione in termini attizi della d.i.a., nel senso sopra esplicitato, � accolta dalla quarta sezione nella sentenza in commento, ove il Collegio ritiene che il rimedio esperibile dal terzo non sia quello dell�azione di accertamento dell�illegittimit� del silenzio serbato dall�amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., ex art. 21 bis, legge T.A.R., ma quello impugnatorio, con cui avversare il titolo che, �formatosi e consolidatosi (�) si configura in definitiva come (24) Alle stesse conclusioni erano, in precedenza, pervenute Cons. St., sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550; Cons. St., sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 2 ottobre 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 fattispecie provvedimentale a formazione implicita� (24). In effetti, se la d.i.a. ha sostanzialmente valore di provvedimento, dev�essere ammessa la figura del controinteressato titolare di un legittimo interesse al suo annullamento ottenibile con il tipico rimedio impugnatorio. Ben pi� complessa � l�individuazione degli strumenti processuali di tutela del terzo se si muove dall�opposta tesi che qualifica la d.i.a. come atto soggettivamente ed oggettivamente privato, essendo intuibili le difficolt� per il terzo di tentare di bloccare un�attivit� privata non legittimata da un atto amministrativo e, comunque, non soggetta a poteri amministrativi. Muovendo da questa diversa prospettiva, ed escluso quindi che il privato possa intentare l�ordinaria tutela di impugnazione mancando il provvedimento che costituisce oggetto della domanda di annullamento, la giurisprudenza ha indicato tre distinti percorsi di tutela, dai quali espressamente dimostra di rifuggire la quarta sezione nella decisione in commento. Secondo una prima impostazione, il terzo � legittimato ad esperire un�azione di accertamento dell�insussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla legge per la legittima intrapresa dei lavori o dell�attivit�. Il rimedio andrebbe sperimentato nel rispetto del termine decadenziale di sessanta giorni dalla conoscenza dell�illegittimit� del comportamento silente tenuto dall�amministrazione, conoscenza verosimilmente destinata ad intervenire, salvo prova contraria, con l�intrapresa dei lavori o dell�attivit� (25 ). Da un lato, non si ritiene applicabile un diverso termine di natura prescrizionale, in quanto l�azione, ancorch� di accertamento, non � diretta alla tutela di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo. Dall�altro lato, si precisa che sarebbe irragionevole far decorrere il termine decadenziale dalla formazione del comportamento silente, non essendo il terzo parte necessaria della fattispecie; ben pu� accadere, pertanto, che lo stesso venga a conoscenza del silenzio serbato dall�amministrazione tardivamente rispetto ad un termine cos� prefigurato. Una volta emessa l�invocata sentenza di accertamento, graverebbe 2007, n. 2253; Tar Sicilia, Catania, sez. I, 9 gennaio 2008, n. 74; Tar Emilia Romagna, Parma, sez. I, 19 febbraio 2008, n. 102; Tar Campania, Napoli, sez. II, 7 marzo 2008, n. 1167; Tar Liguria, sez. I, 19 marzo 2008, n. 418; Tar Umbria, sez. I, 29 agosto 2008, n. 549, tutte citt.; nonch�, con particolare riferimento alla D.I.A. edilizia, Tar Veneto, sez. II, 20 giugno 2003, n. 3405 e Id. 10 settembre 2003, n. 4722, citt., ove si svolgono considerazioni di tenore analogo a quelle sviluppate dalla quarta sezione con la sentenza in commento; Tar Campania, Napoli, sez. II, 9 aprile 2004, in www.lexitalia.it; Tar Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001, n. 397, cit. (25) La tesi � accolta, con approfondita motivazione, da Tar Liguria, sez. I, 23 gennaio 2003, n. 113, in Foro amm. Tar, 2003, 1, 61, con nota di DEL GIUDICE, La tutela del terzo in ipotesi di DIA in materia edilizia: una proposta ricostruttiva e in Urb. e app., 2003, 581, con nota di TRAVI, Ancora sulla denuncia di inizio di attivit� e la tutela dei terzi; nello stesso senso, Tar Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005, n. 1367, in Giur. it., 2005, 1540; Tar Abruzzo, Pescara, 23 gennaio 2003, n. 197, in Riv. giur. edilizia, 2003, 2, 575, con nota di BERRA, Qualche luce sulla tutela del terzo nei confronti della DIA? e in Urb. e app., 2003, 837, con nota di MANDARANO, cit. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 267 sull�amministrazione l�obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato sulla base di presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti o meglio in assenza dei presupposti richiesti dalla legge per il relativo esercizio (assenza attestata dalla sentenza del G.A.). La tesi ripropone tutti i noti dubbi in ordine all�ammissibilit� di un�azione di mero accertamento innanzi al G.A. (26). Secondo una diversa impostazione (27), il terzo, decorso il termine per l�esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta, sarebbe legittimato a richiedere all�amministrazione di porre in essere i provvedimenti di autotutela previsti, attivando, in caso di inerzia, il rimedio di cui all�art. 21 bis, legge T.A.R. in tema di silenzio-rifiuto. Il privato, terzo interessato a che non prosegua l�attivit� iniziata sulla base della denuncia, dovrebbe quindi - non potendo proporre un ricorso di mero accertamento - precostituirsi qualcosa da impugnare davanti al G.A., stimolando l�esercizio (da parte della P.A. che ha gi� consumato il potere di inibitorio, essendo decorsi i 30 giorni di cui al citato art. 19) del potere di autotutela. Decorsi i termini per l�esercizio del potere di autotutela (e quindi oggi decorso il termine legale di 90 giorni di cui all�art. 2, legge n. 241 del 1990), il privato dovrebbe impugnare innanzi al G.A. il silenzio-inadempimento, proponendo un ricorso ai sensi dell�art. 2, legge n. 241 del 1990 e, sul versante processuale, dell�art. 21 bis, legge n. 1034 del 1971 (28). Secondo una terza tesi (29), il terzo, alla scadenza del termine per l�eser- (26) Per approfondimenti sul tema si rinvia a FERRERO - RISSO, Il silenzio inadempimento, il silenzio assenso e la dichiarazione di inizio di attivit� dopo la legge n. 80 del 2005, in Foro amm. CdS, 2005, 12, 3765, che concludono per l�inammissibilit� dell�azione di mero accertamento; in generale, sulla tutela di accertamento innanzi al G.A., si vedano, per tutti, CLARICH, Tipicit� delle azioni e azioni di adempimento nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2005, 3, 557; GAROFOLI, La giustizia amministrativa: la strada gi� percorsa e gli ulteriori traguardi da raggiungere, in www.giustamm.it. (27) Seguita, in particolare, da Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453, cit.; in senso sostanzialmente analogo, Tar Lombardia, Milano, sez. II, 17 ottobre 2005, in Foro amm. Tar, 2005, 10, 3072; Tar Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005, n. 1367, cit.; Tar Lombardia, Brescia, 2 aprile 2004, n. 380, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., 23 luglio 2004, n. 1321, ivi; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 7 ottobre 2003, n. 4504, in Foro amm. Tar, 2003, 2849; Tar Lombardia, Brescia, 25 febbraio 2003, n. 284, ivi, 2003, 428 ; Tar Campania, Napoli, sez. I, 6 dicembre 2001, n. 5272, in www.lexitalia.it. (28) In tal senso, anche, Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916, cit., ove il Collegio, a sostegno della esperibilit� della tutela ex art. 21 bis, l. Tar al fine di sollecitare l�esercizio del potere di autotutela dell�Amministrazione in materia di d.i.a., esclude che possa invocarsi l�orientamento diretto ad escludere che un provvedimento sfavorevole non impugnato nei termini possa essere ridiscusso mediante la sollecitazione dell�esercizio del potere di autotutela. L�esigenza a che non sia eluso il termine decadenziale di impugnazione, che si pone a fondamento di siffatto orientamento, non vale - secondo il Collegio - quando l�istanza volta a sollecitare il potere di autotutela sia stata proposta da un soggetto mai posto in condizioni di impugnare un provvedimento, come � nel caso del terzo a fronte della d.i.a. Manca, in tale ipotesi, proprio il provvedimento impugnabile, essendo la d.i.a., nella prospettiva ora in esame, un atto del privato. (29) Sostenuta, in particolare, da Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948, cit. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cizio del potere inibitorio, dovrebbe stimolare non gi� il potere di autotutela, ma il generale potere sanzionatorio previsto in caso di abusi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-inadempimento. In quest�ottica, ai fini della individuazione delle modalit� di contestazione della realizzabilit� dell�intervento da parte del terzo, non rileva che l�intervento medesimo sia escluso in radice dalla normativa urbanistica o che lo stesso non possa essere ritualmente avviato tramite d.i.a.: in entrambi i casi occorre che il terzo stimoli il potere repressivo dell�amministrazione, diverse potendo essere soltanto le conseguenze che derivano dall�accoglimento del motivo di illegittimit� dedotto dal terzo. Il discrimen tra quest�ultima tesi e quella precedente attiene alle condizioni di esercizio dei due diversi poteri che il privato � chiamato a stimolare; il potere di autotutela, come, peraltro, emerge dalla stessa lettera dell�art. 21 nonies, legge n. 241 del 1990, e a maggior ragione dell�art. 21 quinquies, ha natura squisitamente discrezionale, dovendo l�amministrazione, prima di intervenire con il provvedimento di secondo grado, valutare gli interessi in conflitto (quelli del denunciante, quelli del terzo istante, il decorso del tempo e l�eventuale legittimo affidamento che la d.i.a., consolidata a seguito dell�inerzia della P.A., abbia eventualmente ingenerato) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non pu� coincidere con la mera legalit� violata; di contro, il potere repressivo ha natura vincolata, essendo nel suo esercizio l�amministrazione chiamata a verificare la sussistenza o meno dei presupposti richiesti dalla legge per l�attivit� posta in essere dal privato. Avv. Alfonso Mezzotero* Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 25 novembre 2008 n. 5811 - Pres. Cossu, Est. Cacace - Condominio C. S. A (Avv.ti Bruttomesso, Zambelli e Verino) c. Comune di San Michele al Tagliamento (Avv.ti Borella e Lorenzoni) e La M. s.a.s. di M.D. & C. (Avv.ti Munari e Costa). Riforma in parte T.A.R. Veneto, sezione seconda, sent. n. 3187 del 2007. (...Omissis) FATTO E DIRITTO 1. � Con deliberazione n. 92 in data 28 settembre 2004 il Consiglio Comunale di San Michele al Tagliamento provvedeva a ridelimitare, all�interno del Piano Particolareggiato della Zona di Ricomposizione di Bibione, il comparto costituito dai terreni identificati nei mappali al foglio 49 nn. 431, 147, 430 e 506 (di cui il primo di propriet� della societ� odierna controinteressata e gli altri di propriet� dei Condom�nii �Smeralda A� e �Smeralda B�), dividendolo in due porzioni, di cui la prima costituita dal solo mappale 431 di propriet� della societ� con- (*) Avvocato dello Stato. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 269 trointeressata, la seconda dai restanti mappali, con ci� individuando due distinti ambiti ed attribuendo solo al primo la potenzialit� edificatoria spettante in precedenza al comparto ai sensi della variante parziale al piano medesimo approvata con deliberazione dello stesso Consiglio n. 274 in data 22 dicembre 1993. Con la sentenza indicata in epigrafe, il primo Giudice ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto il ricorso (R.G. n. 3400/2004) proposto, tra gli altri, dall�odierno appellante principale, per l�annullamento sia della citata deliberazione che della successiva comunicazione fattane dal Comune all�Amministratore dei condom�nii, nonch� per il conseguente risarcimento dei danni da detti atti derivanti. Il Collegio di prime cure, in particolare: - dichiarava l�inammissibilit� delle cens�re volte all�affermazione dell�illegittimit� degli atti impugnati per sottrazione ai Condominii di capacit� edificatoria (come pure delle doglianze attinenti la mancata partecipazione al procedimento), sul rilievo che �i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare la delibera n. 274/93, con cui sono stati scolpiti i prodromi della successiva azione comunale oggi impugnata� (ҏ con tale delibera infatti�, prosegue il T.A.R., �che non viene disposto lo scorporo attuando un trasferimento all�intero comparto, come sostengono gli istanti, ma solo, come detto, avuto riguardo ai lotti di pertinenza, sicch� era evidente fin da allora che avendo i Condomini gi� sfruttato, anche in eccesso, la loro capacit� edificatoria, non avrebbero potuto godere di quote aggiuntive di volumetria, che invece veniva garantita alla sola proprietaria del lotto inedificato e al solo ed esclusivo fine di salvarne la edificabilit��: pag. 15 sent.); - respingeva, in quanto infondati, i residui motivi, rilevando, quanto alla dedotta illegittimit� della contestata ridefinizione per intervenuta scadenza del Piano attuativo nel quale � inserito il comparto de quo, che �lo stesso � stato recepito nel PRG approvato nel 1985� (ibidem) e, quanto alla dedotta esistenza di una servit� parziale di inedificabilit� sul mappale n. 431 in favore degli altri citati mappali del foglio n. 49 (che, pure, secondo l�assunto dei ricorrenti, valeva a viziare gli atti impugnati), che �relativamente all�esistenza della servit� la sentenza allegata dalla controinteressata ha respinto la domanda confessoria, escludendone dunque la sussistenza� (pagg. 15 � 16 sent.). 2. � Con la stessa sentenza � stato altres� deciso, previa riunione con il primo, accogliendolo, il ricorso (R.G. n. 863/2005) proposto dall�odierna controinteressata per l�annullamento del titolo edilizio rilasciato all�odierno appellante principale dal Comune di S. Michele al Tagliamento a seguito di denuncia inizio lavori n. 45.146 del 3.11.2004. Il Collegio di primo grado ha infatti ritenuto fondata la doglianza di mancato accertamento della sussistenza del titolo ad edificare, formulata dalla ricorrente con riguardo al fatto che il Comune non aveva prestato �la bench� minima attenzione alle misure dei confini indicati nella D.I.A.�, per effetto delle quali �il Condominio Smeralda A si � trovato � a fruire di un�area di propriet� dei terzi, nella fattispecie la ricorrente� (pag. 16 ric. orig.). 3. � Con il ricorso in epigrafe specificato il Condominio �Casa Smeralda A� (d�ora innanzi indicato come �Condominio�) ha impugnato la sentenza in parola, in relazione ad entrambi i capi di decisione. Con apposito ricorso incidentale il Comune di S. Michele al Tagliamento ha parimenti aggredito la sentenza gi� gravata dal Condominio, nella parte in cui ha annullato il titolo edilizio rilasciato al Condominio stesso a s�guito della denuncia inizio lavori in data 3 novembre 2004, relativa alla installazione di nuove strutture per la copertura di posti auto, sistemazione dell�area esterna, realizzazione di un tratto di recinzione e rifacimento della fognatura. 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Quanto, invece alla reiezione, operata con la stessa sentenza, dell�impugnazione proposta dal Condominio avverso la deliberazione consiliare n. 92 in data 28 settembre 2004, il Comune ne chiede la conferma. 4. - Si � costituita in giudizio, per resistere ad entrambi i ricorsi, la privata controinteressata, in primo grado resistente nel ricorso n. 3400/2004 ed attrice nel ricorso n. 863/2005. Le parti hanno poi affidato al deposito di memorie l�illustrazione delle rispettive tesi. La causa � stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica dell�11 novembre 2008. 5. � Devesi preliminarmente rilevare l�irricevibilit� del ricorso incidentale proposto dal Comune avverso la statuizione della sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso n. 863/2005 (avente ad oggetto, come sՏ visto, il titolo edilizio rilasciato al Condominio odierno appellante principale a s�guito della denuncia inizio lavori in data 3 novembre 2004, relativa alla installazione di nuove strutture per la copertura di posti auto, sistemazione dell�area esterna, realizzazione di un tratto di recinzione e rifacimento della fognatura), alla stregua del condivisibile orientamento pretorio, che sottopone il ricorso incidentale agli stessi t�rmini dell�appello principale (t�rmini nella specie spirati alla data di notifica dello stesso), ove l�impugnativa, qualificabile come appello incidentale improprio, sia rivolta avverso la sentenza da soggetto soccombente (al pari di quello proponente l�appello principale) nel giudizio di primo grado, che dunque fa valere un autonomo (se pure coincidente con quello dell�appellante principale) interesse a proporre gravame avverso la sentenza stessa e propone una domanda, riferita allo stesso capo della sentenza medesima impugnato principaliter, che la parte avrebbe potuto utilmente proporre anche mediante appello principale (C. Stato, IV: 15 maggio 2002, n. 2597; 6 maggio 2003, n. 2364; 15 novembre 2004, n. 7449; 10 giugno 2005, n. 3068; 26 maggio 2006, n. 3193; da ultimo, 31 maggio 2007, n. 2806 e 19 maggio 2008, n. 2299). Nella specie detto appello �, come sՏ detto, irricevibile, in quanto proposto oltre il t�rmine di sessanta giorni dalla data di notifica della sentenza di primo grado (31 ottobre 2007), che, com'� noto, � idonea a far decorrere il t�rmine breve di impugnazione nei confronti sia del notificando che del notificante. Per il resto, laddove invece l�appello incidentale proposto dal Comune resiste all�impugnazione principale chiedendo la conferma della sentenza gravata quanto alla statuizione di inammissibilit� e reiezione del ricorso di primo grado n. 3400/2004, non pu� ritenersi preclusa la qualificazione dello stesso come memoria prodotta dal Comune a sostegno delle proprie difese. 6. � Nel m�rito, l�appello principale del Condominio � fondato, nei t�rmini che s�guono, laddove impugna la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto il ricorso (R.G. n. 3400/04) rivolto avverso la deliberazione del Consiglio Comunale di San Michele al Tagliamento n. 92 in data 28 settembre 2004. 6.1 - Difformi da quelle raggiunte dal T.A.R. sono invero anzitutto le convinzioni maturate dal Collegio in ordine al rapporto esistente tra la deliberazione dello stesso Consiglio n. 274/93 (rimasta inoppugnata) e la delibera, oggetto del giudizio, n. 92/2004, rapporto, che, come gi� accennato, ha determinato la declaratoria di inammissibilit� pronunciata dal T.A.R. in ordine a buona parte delle cens�re avanzate con il ricorso originario. E� sicuramente vero che, come affermato dal Giudice di primo grado, con la prima �sono stati scolpiti i prodromi della successiva azione comunale� (pag. 15 sent.). Con essa, invero, rileva il Collegio, il Comune ha provveduto alla ridefinizione dell��Area Progetto n. 4� prevista dal �Piano Particolareggiato di Ricomposizione di Bibione�, per �ricomprendervi�, come espressamente sottolineano le considerazioni generali premesse alle controdeduzioni alle osservazioni alla relativa variante approvata con detta deliberazione del IL CONTENZIOSO NAZIONALE 271 1993, �per altro senza aumento di volumetria tutte le aree occorrenti alla realizzazione dell�impianto termale talasso-terapico� (la cui realizzazione rappresenta la finalit� precipua della variante medesima) ed escluderne le aree gi� �prevalentemente edificate� (cos� le considerazioni medesime). Tra le aree cos� escluse rientrano appunto i lotti, di cui qui si tratta (foglio 49 � mappali nn. 431, 147, 430 e 506, di cui il primo di propriet� della societ� odierna controinteressata e gli altri di propriet� dei Condom�nii �Smeralda A� e �Smeralda B�), i quali, con detta deliberazione, risultano dunque classificati, pur sempre all�interno del Piano Particolareggiato, come �unica U.M.I.� e sottratti �all�area Progetto n. 4 nella quale erano precedentemente inseriti� (cos� le premesse della deliberazione n. 18/2004 in primo grado impugnata). La possibilit� edificatoria attribuita all�unit� minima di intervento cos� individuata dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 274/93 (all�uopo scomputata da quella attribuita alla nuova �area Progetto 4� alla luce del criterio fondamentale, posto a base della variante con la stessa approvata, di �conservazione dei disposti della precedente normativa di P.P. riguardo alla volumetria massima insediabile ��) veniva quantificata in mc. 7.000= e qualificata come �eccedenza volumetrica�; ci� perch�, come risulta dalla necessaria ricostruzione dell�intera vicenda condotta alla stregua degli atti tutti di causa, gli edificii �Smeraldo� avevano sviluppato �una volumetria edificata � maggiore a quella massima ammessa per la superficie fondiaria di pertinenza� per mc. 3.200= (ch�erano appunto quelli, il cui scomputo dall�area Progetto n. 4 era previsto dalla deliberazione di Giunta Municipale di adozione della variante, poi approvata con la deliberazione consiliare n. 274/93, al fine di garantire comunque il rispetto della complessiva volumetria prevista dal Piano Particolareggiato anteriormente alla variante) e che vengono poi incrementati, in sede di approvazione, di mc. 3.800=, pur mantenendone l�ormai del tutto inesatta qualificazione di �eccedenza�, al fine espresso di �restituire� (o, meglio, conservare) al lotto inedificato ricompreso nella nuova U.M.I (il mappale n. 431, cio� quello di propriet� dell�odierna controinteressata) �la propria capacit� edificatoria�, o, come testualmente si legge nella proposta (poi accolta dal Consiglio Comunale con la ridetta deliberazione n. 274/93) di parziale accoglimento dell�osservazione in tal senso presentata dalla societ� allora proprietaria di detta area, di �lasciare all�area di propriet� della ditta Mc Bells S.r.l., sotto il profilo urbanistico, la volumetria originaria�. Orbene, se � vero che con la veduta deliberazione n. 274/93 veniva assegnata al nuovo comparto di cui si tratta (identificato nella Tav. 6 alla stessa allegata come Unit� Minima di Intervento), costituito da tutti i lotti sopra individuati, una capacit� edificatoria di mc. 3.800= (e non certo di mc. 7.000, come sembrano equivocare tanto le parti quanto il T.A.R. - a ci� peraltro indotti dalla infelice formulazione della deliberazione stessa � allorch� non tengono conto del fatto che la volumetria detratta dalla nuova area di Progetto n. 4 corrispondeva, per mc. 3.200=, ad edificazioni gi� realizzate, che, se pure attuate anteriormente all�approvazione del Piano Particolareggiato, rientrano certamente nella volumetria complessiva dallo stesso prevista) e se � altrettanto vero che detta capacit� veniva dall�Amministrazione cos� quantificata per lasciare, come sՏ visto, �all�area di propriet� della ditta � la volumetria originaria�, ci� non significa, ad avviso del collegio, che la sua mancata impugnazione ad opera del Condominio proprietario di alcune delle aree inserite in detta U.M.I. (mancata impugnazione, che vale certamente a considerare come non pi� suscettibili di esame, riconsiderazione od opposizione in sede giudiziale le relative statuizioni), nella misura in cui rende definitiva la lesione indubbiamente con la stessa prodottasi in capo al Condominio odierno appellante, renda, cos� come ritenuto dal T.A.R. qualificandola di fatto come meramente esecutiva della prima, non 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 suscettibile di impugnazione la deliberazione n. 92/2004 oggetto del presente giudizio. Ci� perch�, semplicemente, la prima delle citate deliberazioni non esaurisce l�arco delle lesioni apportate nella sfera giuridica del Condominio dal complessivo, combinato, disposto delle due deliberazioni in considerazione. Ferme, invero, le conclusioni di cui sopra in ordine al contenuto (come sՏ detto non certo limpido nella sua formulazione letterale) della deliberazione consiliare del 1993, occorre considerare che mentre tale deliberazione attribuisce la residua capacit� edificatoria delle aree di cui si tratta (pur con la significativa specificazione che il computo della stessa deriva dalla ravvisata necessit� di conservazione della capacit� stessa in precedenza riferibile al solo lotto inedificato e cio� al mappale n. 431) pur sempre alla Unit� Minima di Intervento (chՏ appunto �unica�) composta da tutti i mappali confluenti nella stessa a s�guito della effettuata esclusione dei medesimi dalla nuova area di Progetto n. 4, � con la seconda deliberazione (quella del 2004, contro la quale l�odierna appellante principale ha diretto il ricorso in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto dal T.A.R.) che si realizza la modifica del comparto, di cui si tratta, ridelimitandolo in due distinti ambiti di intervento ed attribuendo la volumetria prima riferibile all�intera unit� di intervento al solo mappale n. 431 (di propriet� della odierna controinteressata), che svilupper� appunto �la volumetria prevista ed ottenuta dalla sommatoria dei terreni di propriet�, con l�applicazione dell�indice fondiario previsto dal P.P. pari a 3 mc/mq.� (punto 2) del dispositivo della deliberazione n. 92/2004) e cio� proprio all�incirca i 3.800 mc., di cui sopra sՏ detto. Ordunque, tanto certamente comporta, per il Condominio appellante principale, una lesione del tutto autonoma e distinta da quella pur derivantegli dalla ormai consolidata deliberazione del 1993, giacch� � la deliberazione del 2004, come veniva dedotto con il ricorso originario, che viene ad �alterare il principio della unitariet� dei beni (e dei soggetti) che fanno parte � del comparto�: pag. 6) ed � con essa, come ulteriormente precisato in appello, �che � stata portata a compimento l�operazione di scissione e ridelimitazione del comparto, con successiva creazione di due distinte unit� di intervento�, laddove �in epoca anteriore all�adozione e approvazione della delibera n. 92/�04, i mappali nn. 147, 430, 506 e 431, tutti ricompresi nel medesimo fg. N. 49, costituivano un aggregato di aree che dava vita ad un complesso edilizio di carattere unitario�, al quale soltanto �ci si poteva e doveva riferire, pena la violazione della funzione e della disciplina che la legge prevede per i comparti� (pag. 9). Ed invero, rileva il Collegio, prima delle scelte effettuate dall�Amministrazione con la contestata deliberazione consiliare del 2004, i fondi del ricorrente erano ricompresi, insieme con quelli di propriet� della controinteressata, in un unico comparto, nella cui logica, se � vero che le costruzioni, sulla base della disciplina del 1993 di individuazione del comparto stesso, dovevano necessariamente trovare collocazione entro una zona di concentrazione volumetrica dislocata su fondi di propriet� di soggetti diversi dal ricorrente, ci� non escludeva peraltro una possibile redistribuzione concordata dei diritti edificat�rii (attribuiti dal piano sempre e comunque al comparto in quanto tale, nella misura in cui pure la deliberazione del 1993 ne aveva comunque stabilito l�unit�) e, comunque, ai fini della realizzazione di ogni iniziativa edificatoria nellՈmbito del comparto stesso, la necessit� di collaborazione fra i privati e fra questi e l�Amministrazione, in un contesto, reso inevitabile dalla stessa logica del comparto, di necessaria consensualit�. Con la scissione del comparto, operata con la deliberazione del 2004, viene invece chiaramente meno il dinamismo, incentrato su una scelta volontaria e concordata di tutti i proprietarii delle aree in esso incluse, in cui si sostanzia la vicenda di attuazione del comparto, che comporta, IL CONTENZIOSO NAZIONALE 273 come sՏ detto, sulla base di scelte volontarie (e potestative) di ciascun proprietario, il consenso di tutti i soggetti coinvolti. Quanto detto rende meglio percepibile la lesione determinata dalla deliberazione oggetto del giudizio in capo all�odierno appellante principale, che vede con essa sfumare il maggior vantaggio derivantegli dalla necessit� della sua adesione alla vicenda di attuazione dell�unitario comparto, rispetto a quello, cui pu� aspirare rimanendo estraneo, in forza appunto dell�effettuata scissione del comparto, all�iniziativa riguardante un ambito, sulle scelte riguardanti il quale non � pi� in grado di influire. In definitiva sul punto, nessun ostacolo sembra frapporsi, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., alla ammissibilit� del ricorso di primo grado, le cui doglianze sono poi state dal ricorrente riprodotte in appello. 6.2 - Fondati ed assorbenti si rivelano i motivi attinenti alle violazioni procedimentali denunciate con il terzo motivo del gravame introduttivo. Occorre in proposito ricordare che, come esattamente rilevato dal Giudice di primo grado, il Piano Particolareggiato in questione ҏ stato recepito nel PRG approvato nel 1985� (pag. 15 sent.). Come risulta infatti dagli atti di causa, le norme di attuazione dello strumento urbanistico attuativo di cui si tratta sono state assunte �come parti integranti il presente P.R.G.� (art. 1.3 delle Norme di Attuazione delle Varianti Generali al P.R.G. entrate in vigore il 15 aprile 1985). Orbene, poich� l�inquadramento dei lotti in questione (esclusi dal perimetro della nuova area Progetto n. 4) come Unit� Minima di Intervento, operato con la non pi� contestabile deliberazione del consiglio comunale n. 274/1993, � stato effettuato mediante �integrazione e/o sostituzione delle norme tecniche di attuazione del Piano Particolareggiato� (v. punto 1. delle �Norme Tecniche di Attuazione� � All. 7 alla deliberazione medesima) e poich� dette norme sono sussunte, come sՏ visto, quali NN.TT.A. del P.R.G. (in forza del rinvio dinamico contenuto nel veduto art. 1.3 delle NN.TT.A. del P.R.G. del 1985), non vՏ dubbio, a parere del collegio, che la ridelimitazione compiuta con la controversa deliberazione consiliare n. 92/2004 venga ad incidere sulle previsioni delle NN.TT.A. del P.R.G. e dunque costituisca variante al P.R.G. medesimo. Nell�esercizio, dunque, del potere/dovere del Giudice di qualificare giuridicamente l�azione ed i provvedimenti oggetto della stessa e di attribuire, anche in difformit� rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti, il corretto nomen iuris al rapporto dedotto in giudizio ed ai suoi elementi costitutivi, la variazione dellՈmbito territoriale del comparto di cui si tratta, sebbene ricondotta dal Comune nell�atto deliberativo in esame alla previsione dell�art. 18 della Legge regionale n. 61/1985 (il che rende irrilevante la pur fondata questione, dedotta dal ricorrente, della comunque indubbia intervenuta scadenza, alla data di approvazione della variazione stessa, del Programma Particolareggiato, nel quale lՈmbito medesimo si inserisce, atteso che, sulla base di detta previsione, la delimitazione dellՈmbito territoriale del comparto pu� essere deliberata o variata �anche separatamente� dal piano urbanistico attuativo o dal Programma pluriennale di attuazione), va piuttosto annoverata fra le �varianti parziali�, di cui all�art. 50 della stessa legge regionale, chՏ proprio la norma, di cui l�appellante, se pure senza qualificare esattamente la concreta natura dell�impugnato atto di variazione dellՈmbito, denuncia la violazione, per l�indubbia omissione, nel concreto procedimento nella fattispecie posto in essere dal Comune, delle garanzie procedurali dalla stessa stabilite; omissione in ogni caso sussistente, che rientri la variante de qua tra quelle di cui al comma 2, o tra quelle di cui ai commi 4 e 9 dello stesso articolo. 7. � L�appello principale, in definitiva, �, quanto all�impugnazione del capo di sentenza che ha 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto l�originario ricorso n. 3400/04, da accogliere, con conseguente accoglimento del ricorso stesso, in riforma della sentenza impugnata. Ci�, si badi, in relazione al solo petitum di annullamento fatto valere con detto ricorso, dovendosi invece respingere la domanda di risarcimento danni, con lo stesso avanzata e riproposta in appello, non avendo il ricorrente offerto prova alcuna n� dell�intervenuta attuazione dell�intervento avverso, n� dei danni subiti in conseguenza della sola deliberazione di ridelimitazione qui annullata e devolvendo peraltro al Giudice, e per esso al C.T.U., anche qui del tutto inammissibilmente, oneri probatorii incombenti esclusivamente sul ricorrente stesso. 8. � Quanto ritenuto dal primo Giudice va invece confermato e l�appello principale va pertanto per tal verso respinto, in relazione all�accoglimento del ricorso di primo grado n. 863/2005, proposto dall�odierna controinteressata per l�annullamento del titolo edilizio rilasciato all�odierno appellante principale dal Comune di S. Michele al Tagliamento a seguito di denuncia inizio lavori n. 45.146 del 3.11.2004. 8.1 � Sotto il profilo, invero, della ammissibilit� del sindacato giurisdizionale sulla legittimit� della D.I.A., ad avviso del Collegio questa si traduce, in virt� di una preventiva valutazione legale tipica, nell'autorizzazione implicita all'effettuazione dell'attivit� edilizia, con la conseguenza che i terzi possono agire innanzi al Giudice amministrativo, per chiederne l�annullamento, avverso il titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine, entro cui l'Amministrazione pu� impedire gli effetti della d.i.a." per chiederne l'annullamento (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 5.4.2007, n. 1550 e sez. V, 20.1.2003, n. 172). Un orientamento diverso non �, ritiene la Sezione, praticabile. Occorre preliminarmente, in proposito, rilevare che, in relazione all�istituto in parola, previsto in via generale dall�art. 19 della legge n. 241/1990 (che ad ogni modo fa salve le discipline di settore: cfr. il comma 4), il moltiplicarsi della normativa in materia ha portato ad una vera e propria frantumazione dell'istituto in parola in una pluralit� di istituti diversi, ciascuno dei quali assoggettato ad un regime pi� o meno peculiare (v., sul punto, Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916). Sulla base dell'interpretazione tradizionale, che della denuncia d'inizio attivit� hanno dato sia ampi settori della giurisprudenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453), sia parte della dottrina, va escluso che dalla D.I.A. possa nascere un atto amministrativo, perch� si tratterebbe di atto soggettivamente e oggettivamente privato, che ha soltanto il valore di una comunicazione fatta dal privato alla Pubblica Amministrazione circa la propria intenzione di realizzare un'attivit� direttamente conformata dalla legge e non necessita di titoli provvedimentali (sulla natura di mera informativa della D.I.A. v. anche Cass. civ., Sez. I, 24 luglio 2003, n. 11478); s� che, si conclude sulla base di tali premesse, la domanda di annullamento della D.I.A. � inammissibile, in quanto la D.I.A. � e rimane un mero atto di iniziativa privata, per ci� solo non impugnabile davanti al Giudice Amministrativo. Da una tale ricostruzione dell'istituto sorgono tuttavia rilevanti problemi sostanziali e processuali. Si � posto in particolare l�articolato problema dell'esatta natura giuridica del silenzio eventualmente mantenuto dall'amministrazione nei venti giorni successivi alla presentazione di una denuncia di inizio attivit� (nello specifico modulo delineato in materia edilizia dalla legge n. 662/1996), dei rimedii giurisdizionali di cui il terzo dispone per opporsi all'esecuzione dei lavori intrapresi in base alla semplice denuncia del loro inizio da parte dell'interessato (in particolare nel caso che l'Amministrazione non adotti un formale provvedimento inibitorio nel termine dei venti giorni prescritti dalla norma, prima che l'attivit� denunciata possa essere intrapresa dall'interessato) e, dunque, se il comportamento silente in questione sia giuridicamente IL CONTENZIOSO NAZIONALE 275 qualificabile come "inadempimento" e come tale sia quindi giustiziabile (solo) secondo il rito speciale di cui all'art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971 (tesi appunto sostenuta qui dall�appellante principale). Alla risoluzione del problema concorrono, sottolinea il Collegio, una serie di elementi logiconormativi. Occorre premettere che l'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e successive modificazioni (sostituendo il testo dell'art. 4 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito nella legge 4 dicembre 1993, n. 493) ha introdotto nel nostro ordinamento la facolt� di eseguire taluni specifici interventi edilizi previa mera Denuncia di Inizio di Attivit�, ai sensi e per gli effetti dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537), per cui in tali casi l'atto di consenso dell�Amministrazione si intende sostituito dalla D.I.A. (c.d. "deregulation"). Il comma undicesimo dell'art. 4 della citata legge 4 dicembre 1993 n. 493 e ss. mm. statuiva, in particolare, che: "Nei casi di cui al comma 7�, venti giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, l'interessato deve presentare la denuncia di inizio dell'attivit�, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato, nonch� dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformit� delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati ed ai regolamenti edilizi vigenti ...". Disponeva, poi, il comma quindicesimo del medesimo art. 4 che: "Nei casi di cui al comma 7�, il Sindaco, ove entro il termine indicato al comma 11�, sia riscontrata l'assenza di una o pi� delle condizioni stabilite, notifica agli interessati l'ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni e, nei casi di false attestazioni dei professionisti abilitati, ne d� contestuale notizia all'autorit� giudiziaria ed al consiglio dell'ordine di appartenenza". Insomma, alla stregua di dette norme, spettava all'Autorit� Comunale, nel termine di venti giorni dalla presentazione della denuncia (periodo che doveva essere lasciato libero prima di iniziare i lavori), verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti della procedura ed il rispetto delle prescrizioni di legge; qualora venisse riscontrata l'assenza di una o pi� delle condizioni stabilite, spettava al dirigente del competente ufficio comunale (in virt� dello spostamento di competenze gestorie operato dall'art. 45 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80) ordinare agli interessati, con provvedimento motivato da notificarsi entro il termine anzidetto, di non effettuare le previste trasformazioni. A disciplinare siffatta D.I.A. � poi sopravvenuto il T.U. in materia edilizia 6 giugno 2001, n. 380. Esso, nell�abrogare il ridetto art. 4 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito nella legge 4 dicembre 1993, n. 493 (art. 136, comma 1, lett. g)), ha modificato il veduto assetto normativo. In particolare, l'art 23 (R) [ la cui rubrica reca: - (L comma 3 e 4 - R comma 1, 2, 5, 6 e 7) (Disciplina della denuncia di inizio attivit�) - (legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 2, comma 10, che sostituisce l'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241; decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, art. 4, commi 8-bis, 9, 10, 11, 14, e 15, come modificato dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669) ] prescrive che: - comma 1: "il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attivit�, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia ..."; - comma 5: �la sussistenza del titolo � provata con la copia della denuncia di inizio attivit� da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di quanto presentato a corredo del 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 progetto, l'attestazione del professionista abilitato, nonch� gli atti di assenso eventualmente necessari�; - comma 6: "il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o pi� delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento ... ". Il T.U. per l'edilizia ha, quindi, espressamente collocato allo scadere del trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine dopo il quale l'interessato pu� iniziare i lavori ed il termine ultimo entro il quale la P.A. pu� inibire l'inizio delle opere; in altre parole, ha unificato i due termini in questione, ampliando quello relativo all'inizio dei lavori e dimezzando quello relativo all'adozione di eventuali misure inibitorie preventive (Cons. St., V, 29 gennaio 2004, n. 308). Ci� premesso, va poi ricordato che la D.I.A. edilizia costituisce species (la cui disciplina prevale sui quella generale) di un particolare tipo di procedimento semplificato ed accelerato, introdotto, come sՏ gi� detto, in via generale dall'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante, appunto, la c.d. denuncia di inizio di attivit�, il cui aspetto contenutistico e sostanziale va oggi valutato alla luce delle modificazioni apportate all�istituto dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. Si tratta invero di un istituto del tutto peculiare (che consente oggi al privato l�esercizio di una certa attivit� comunque rilevante per l�ordinamento, gi� subordinato a qualsivoglia forma di autorizzazione - il cui rilascio dipendesse esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti fissati dalla legge o da atto amministrativo generale - a prescindere dalla emanazione di un espresso provvedimento amministrativo), comunque assimilabile ad una istanza autorizzat�ria, che, con il decorso del t�rmine di legge, provoca la formazione di un �titolo�, che rende lecito l�esercizio dell�attivit� e cio� di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza. Si prevede a tal fine una doppia comunicazione da parte del privato. La prima consiste in una dichiarazione dell�interessato, �corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste�. Con la seconda, il soggetto comunica che ad una certa data (non anteriore ai trenta giorni dalla presentazione della anzidetta dichiarazione) inizier� una certa attivit� (di solito produttiva) e, se entro un termine stabilito decorrente da tale comunicazione (trenta giorni, il cui computo inizia dal momento in cui la stessa sia stata ricevuta al protocollo generale dell�ente) l'Amministrazione non ne inibisce la prosecuzione (con un atto che ha natura di accertamento dei motivi giuridico-fattuali ostativi allo svolgimento dell�attivit� e dunque del tutto analogo ad un provvedimento di diniego di un atto autorizzat�rio dell�attivit� medesima, s� che deve ritenersi in tal caso applicabile il disposto dell�art. 10-bis della legge n. 241/90 e che invece, verificandosi in tale ipotesi una sorta di inversione procedimentale, non necessita di previa comunicazione dell�avvio del procedimento: Consiglio Stato, sez. VI, 23 dicembre 2005, n. 7359), il titolo si consolida, salvo, naturalmente, l'intervento successivo di interdizione dell'attivit�, che pu� intervenire in tutti i casi di accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti, al cui possesso l�ordinamento di settore subordini l�espletamento dell�attivit� medesima (Cons. St., IV, 26 luglio 2004, n. 5323). L�atto di comunicazione dell�avvio dell'attivit�, a differenza di quanto accade nel caso del c.d. silenzio - assenso, disciplinato dall'articolo 20 della stessa legge n. 241-1990, non � una domanda, ma una informativa, cui � subordinato l'esercizio del diritto. E il provvedimento, rispetto al quale l'amministrazione potr� esercitare poteri di autotutela IL CONTENZIOSO NAZIONALE 277 (non solo vincolati a carattere repressivo, ma anche discrezionali di secondo grado, come oggi espressamente previsto dal secondo periodo del comma 3 del nuovo art. 19), si forma con l�esperimento di un ben delineato m�dulo procedimentale, all�interno del quale la D.I.A. costituisce pur sempre una autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell�intervento, sulla quale la pubblica amministrazione svolge una attivit� eventuale di controllo, al tempo stesso prodromica e funzionale al formarsi, a s�guito del mero decorso di detto periodo di tempo (e non, dunque, dell�effettivo svolgimento della attivit� medesima), del titolo necessario per il lecito dispiegarsi della attivit� del privato. Quanto al decorso del termine di trenta giorni, sembra ormai chiaro: - che il consolidamento del titolo non possa comportare la possibilit� che l'attivit� del privato, ancorch� del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e dunque possa andare esente dalle sanzioni previste dall�ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalit� esecutive fissate nei titoli abilitativi; - che il titolo stesso, in tal caso, possa esser fatto oggetto, alle condizioni previste in via generale dall�ordinamento, di interventi di annullamento d�ufficio o r�voca da parte dell�Amministrazione. In proposito, sembra decisivo: - il fatto che l'art. 21 della legge n. 241 del 1990 stabilisce che le sanzioni gi� previste per le attivit� svolte senza la prescritta autorizzazione siano applicate quando una attivit�, pur dopo la comunicazione all'amministrazione, venga iniziata in mancanza dei requisiti richiesti o comunque in contrasto con le disposizioni di legge (comma 2) e che lo stesso art. 21, al comma 2-bis, configura l�inizio della attivit� �ai sensi degli articoli 19 e 20� non preclusivo dell�esercizio delle �attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attivit� soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti�; - che la veduta odierna previsione espressa del potere dell�Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela (v. il comma 3 del nuovo art. 19) presuppone un provvedimento, o comunque un titolo, su cui intervenire; - che, con specifico riferimento alla D.I.A. edilizia, il comma 2-bis dell�art. 38 del D.P.R. n. 380/01 prevede la possibilit� di �accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo�, detta ipotesi equiparando ai casi di �permesso annullato�; - che l�esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi rappresenta, in via generale, una delle imprescindibili modalit� di cura dell�interesse pubblico affidato all�una od all�altra branca dell�Amministrazione ed � espressione del principio di buon andamento di cui all�art. 97 Cost.; - che, nella specifica materia dell�attivit� urbanistico-edilizia, un potere specifico di vigilanza (esercitabile, per la sua stessa natura, anche mediante provvedimenti innominati), v�lto ad �assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalit� esecutive fissate nei titoli abilitativi�, � affidato dalla legge al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale (art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001). Pertanto, anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i proprii poteri di autotutela, n� nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatorii, n� nel senso di poteri espressione dell�esercizio di una attivit� di secondo grado (estrinsecantisi nell�annullamento d�ufficio e nella r�voca, a proposito dei quali va peraltro rilevato che, nell'ipotesi in cui la legittimit� dell'opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, il po- 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 tere di autotutela, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori ex art. 23, comma 6, del D.P.R. n. 380/01, deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attivit� amministrativa); mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio prestato dall�Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., si graveranno legittimamente non avverso il silenzio stesso, ma, nelle forme dell�ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo, che, formatosi e consolidatosi nei modi di cui sopra, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita. N� alla opposta tesi, di cui si fa in questa sede portatore l�appellante principale, pu� aderirsi nemmeno in relazione al periodo, che viene appunto qui in considerazione in relazione alla data di formazione del titolo oggetto del giudizio, anteriore alle modifiche apportate all�istituto dalla legge n. 80/2005, atteso che la veduta introduzione, ad opera di detta legge, di poteri di autotutela in capo all�amministrazione, pur certamente significativa ai fini della ricostruzione dell�istituto come sopra operata, non sembra tuttavia decisiva, ed autonomamente rilevante, ai fini della stessa e della risultante qualificazione dell�istituto stesso; la quale, legata, come sՏ visto a ben pi� ampi e diversificati presupposti e riscontri di carattere logico e normativo, non pu� che essere riferita anche ai provvedimenti formatisi anteriormente alla novellazione della legge n. 241/1990 operata dal legislatore del 2005, rilevando in particolare, per quanto specificamente attiene alla D.I.A. edilizia, l'art. 38, comma 2 bis e dall'art. 39, comma 5 bis, del D.P.R. n. 380/2001, in forza dei quali risultano estese agli interventi realizzati con D.I.A. sia la disciplina degli interventi eseguiti in base a permesso annullato (il che presuppone evidentemente che la D.I.A. costituisca un titolo suscettibile di annullamento), sia la possibilit� di annullamento straordinario da parte della Regione. 8.2 - Superato lo scoglio della questione di ammissibilit� dell�impugnazione della D.I.A., quanto al m�rito della questione, che si pone a proposito della D.I.A. oggetto del presente giudizio, il T.A.R. ha concluso per la sua illegittimit�, ritenendo che il Comune abbia omesso di verificare la sussistenza, nel caso concreto, dei presupposti necessarii per assentire (tacitamente) l�intervento richiesto ed in particolare del titolo di propriet� di una fascia di terreno, secondo la ricorrente originaria di sua propriet�. La statuizione del giudice di primo grado resiste al proposto appello e dev�essere, come gi� detto, confermata. L'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, attualmente riprodotto dall'art. 11 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (t.u. edilizia), prevede che la concessione edilizia, oggi permesso di costruire, sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": in proposito, costante giurisprudenza (v., per tutte, Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2001 n. 1507) afferma allora che, in sede di rilascio, il Comune � tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi. E se � vero, come qui sostiene l�appellante principale, che il potere/dovere cos� delineato in capo all�Amministrazione pu� limitarsi alla verifica dell�esistenza del possesso dell�area (e cio� del concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si concreta in un�attivit� corrispondente all�esercizio della propriet� o di altro diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che va superato ed approfondito allorch�, come appunto avviene nel caso di specie e come ampiamente documentato in atti dall�originaria ricorrente, problematiche di asserita, indebita, appropriazione IL CONTENZIOSO NAZIONALE 279 del fondo altrui insorsero gi� all�atto dell�edificazione dei condom�nii, cui ineriscono le opere, di cui alla D.I.A. in argomento. Una tale verifica, imposta dai pi� volte citati artt. 4 della legge n. 10/1977 ed 11 del d.P.R. n. 380/2001 (che, nel richiedere la sussistenza di un titolo legittimante, non possono che riferirsi alla concreta estensione del diritto vantato e fatto valere avanti all�Amministrazione, senza che per questo debba ritenersi devoluto alla stessa il definitivo accertamento di eventualmente confliggenti posizioni di diritto soggettivo, demandato alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti chՏ la giurisdizione ordinaria), � nell�istruttoria all�esame del tutto mancata, s� che della stessa deve farsi c�rico l�Amministrazione stessa nella riedizione dell�attivit� amministrativa imposta dall�effetto conformativo scaturente dalla presente decisione. 8.3 � L�appello principale va dunque in tale parte respinto, con conseguente conferma dell�impugnata decisione quanto alla statuizione di accoglimento del ricorso di primo grado n. 863/2005. 9. � In definitiva, l�appello principale va accolto in parte, nei termini di cui sopra, con conseguente accoglimento, in riforma della sentenza impugnata, dell�originario ricorso n. 3400/04 quanto al solo petitum di annullamento e conferma dell�impugnata decisione quanto alla statuizione di accoglimento del ricorso di primo grado n. 863/2005. L�appello incidentale del comune va invece dichiarato irricevibile. Le spese del doppio grado, in ragione della reciproca parziale soccombenza, possono essere integralmente compensate fra le parti. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe: - accoglie in parte l�appello principale, nei sensi e limiti di cui in motivazione e, per l�effetto, conferma la sentenza impugnata quanto alla statuizione di accoglimento del ricorso di primo grado n. 863/2005, mentre, in riforma della sentenza stessa, accoglie l�originario ricorso n. 3400/04 quanto al solo petitum di annullamento; - dichiara irricevibile l�appello incidentale. Spese del doppio grado compensate. 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Conciliazione avvenuta, diritto negato? (Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Catanzaro, Sezione Seconda, sentenza 19 maggio 2008 n. 522) Con la sentenza che si annota il TAR Calabria � Sez. Catanzaro ha rigettato, ritenendolo inammissibile, il ricorso con cui un dirigente medico, dipendente di un�Azienda Ospedaliera, aveva richiesto al Tribunale Amministrativo Regionale che la precitata Azienda ottemperasse agli obblighi assunti con verbale di conciliazione, redatto ex art. 66 del d.lgs. n. 165 del 2001. In particolare, sebbene nella suindicata sede conciliativa si fosse convenuto che, entro una determinata data, il dirigente medico sarebbe stato trasferito presso un�individuata divisione del P.O. di appartenenza, tuttavia, lo stesso era stato trasferito in un�unit� operativa diversa da quella concordata. A fronte di ci�, l�istante proponeva ricorso al giudice dell�esecuzione presso il Tribunale ordinario territorialmente competente, per la determinazione delle modalit� di esecuzione del titolo cos� formatosi. Il giudice dell�esecuzione, adito in sede civile, sospendeva l�esecuzione intrapresa, rilevando: �vi sono seri dubbi sul fatto che l�obbligo azionato sia suscettibile di esecuzione forzata, e non si risolva invece in un facere infungibile, attuabile necessariamente con la collaborazione del datore di lavoro�. A seguito di tale arresto, il lavoratore si rivolgeva al giudice amministrativo che, con la statuizione in rassegna, dichiarava il ricorso per l�ottemperanza inammissibile, sul presupposto che il verbale di conciliazione, ex art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, non � assimilabile al giudicato. Rapporti tra conciliazione e ottemperanza L�incipit argomentativo della sentenza � rappresentato dalla preliminare e, in definitiva, assorbente, considerazione che �Il verbale di conciliazione non ha natura di sentenza n� pi� in generale di provvedimento giurisdizionale, in quanto la Commissione di conciliazione non esercita funzioni giudiziarie ma amministrative� (si veda, tra gli altri, Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 2007 n. 5480; cfr. GIUSEPPE FINOCCHIARIO: �L�efficacia esecutiva del verbale di conciliazione giurisdizionale: ieri, oggi, domani�, in Giust. Civ., 2003, Vol. I, pagg. 1459 ss.). Tra l�altro, precisa il T.A.R. adito, �II presupposto indefettibile ai fini dell'ammissibilit� del giudizio di ottemperanza � costituito dal giudicato, inteso come �l�accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato�; e, pertanto, � inammissibile il ricorso per l�ottemperanza di un verbale di conciliazione, in materia di pubblico impiego, in quanto esso non ha natura di IL CONTENZIOSO NAZIONALE 281 sentenza n� di provvedimento giurisdizionale, atteso che la Commissione di conciliazione non esercita funzioni giudiziarie ma amministrative�. In verit� sarebbe bastata siffatta considerazione per far concludere icasticamente per l�inammissibilit� del ricorso proposto. Invece, la Corte Calabrese � quasi a voler compensare, quantomeno, con una particolare ricchezza argomentativa il sostanziale diniego di giustizia � avverte l�esigenza di illustrare con un�ampia ricostruzione dogmatica, i singoli istituti coinvolti nella vicenda contenziosa e, in primis, l�impossibilit� di equiparare alle sentenze �i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva�. Allo stato dell�arte � pacifico - osserva il T.A.R. catanzarese - che il privato non pu� ricorrere al giudice amministrativo in sede di ottemperanza per ottenere l�esecuzione del contenuto del verbale di conciliazione, tuttavia, occorre verificare se - come prospettato dal ricorrente - tale limitazione integri, o meno, un�ipotesi di incostituzionalit� dell�art. 37 della legge n. 1034 del 1971, per violazione degli articoli 3, 4, 24 e 111 della Costituzione. Siffatta violazione � esclusa - si legge nella sentenza che si annota - dalla mancanza, nel dettato costituzionale, di un principio che obblighi ad estendere il sistema dell�ottemperanza anche a titoli esecutivi diversi dalle sentenze passate in giudicato. La limitazione censurata dall�istante � il risultato, quindi, di una precisa scelta discrezionale del legislatore. N� tantomeno il principio di eguaglianza sancito dell�art. 3 Costituzione pu� ritenersi violato dall�articolo 40 del decreto legislativo n. 5 del 2003, che non prevede la possibilit� di eseguire in forma specifica anche gli obblighi di fare infungibili. In sintesi: escludere la possibilit� di ricorrere al giudice dell�ottemperanza, per ottenere l�adempimento in forma specifica dell�obbligo di fare infungibile posto in un verbale di conciliazione, non si pone in contrasto con gli evocati parametri costituzionali. Sul punto la Corte Costituzionale (12 luglio 2002 n. 336) ha, infatti, statuito: �Non � fondata, nei sensi di cui in motivazione, la q.l.c. dell�art. 612 c.p.c., sollevata, in riferimento agli art. 3, 10, 24, 111 e 113 Cost., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non prevede l�esecuzione degli obblighi di fare e non fare sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale sotto il controllo del giudice dell�esecuzione, in quanto - premesso che la conciliazione giudiziale � un istituto preordinato alla definizione delle liti, che eventuali ragioni ostative all'esecuzione degli obblighi di cui all'art. 612 c.p.c. devono essere valutate non �ex post�, e cio� nel procedimento di esecuzione, bens�, se esse preesistono, in sede di formazione dell�accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza pu� concludersi solo se la natura della causa lo consente, mentre eventuali ragioni di ineseguibilit� sopravvenute alla conciliazione giudiziale o preesistenti, nel caso di conciliazione conclusesi al di fuori del controllo del giudice, possono essere oggetto di opposizione - l�art. 612 c.p.c. pu� essere letto nel senso che esso 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 consenta il procedimento di esecuzione disciplinato dalle disposizioni che lo seguono anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale di conciliazione; una diversa interpretazione negherebbe il valore di accelerazione della definizione della controversia, che costituisce la principale caratteristica della conciliazione e comporterebbe un irragionevole seppur parziale sacrificio del diritto di difesa, nonch� una protrazione altrettanto irragionevole dei tempi del processo.� Ci� non significa - si premura di precisare il g.a. - che il ricorrente risulti privo di qualunque forma di tutela, poich� il sistema vigente contempla �un modello di tutela giudiziale alternativo a quello in natura: in particolare, il ricorrente, oltre a potere chiedere il risarcimento dei danni subiti in presenza di un fatto riconducibile al paradigma dell�art. 2043 c.c., pu� giovarsi di mezzi cosiddetti di coazione indiretta all�adempimento� (in argomento v. ANTONIO CORSARO: �Giudizio di ottemperanza ed effettivit� della tutela� - nota al Consiglio R.G. Sicilia, 2 marzo 2007 n. 163, in Foro Amm., 2007, Vol. VI, fasc., III, pag. 1053). L�aver ottenuto un titolo esecutivo con obbligo, nella specie, dell�amministrazione di disporre il trasferimento del dipendente nella specifica Unit� Operativa concordata in sede di conciliazione consentirebbe al ricorrente �di offrire la propria prestazione lavorativa esclusivamente con quelle modalit� oggetto di accordo e con conservazione del diritto alla retribuzione anche nel caso in cui il datore si ostini a non ottemperare spontaneamente agli obblighi assunti in sede di conciliazione� (cfr. Cass. Sez. Lav. 17 giugno 2004 n. 11364; v. anche, ARISTIDE POLICE: �Inottemperanza della pubblica amministrazione ai provvedimenti del giudice ordinario ed esecuzione in forma specifica, in Dir. Proc. amm., 2003 n. 3 Settembre � rassegna, recensioni, notizie�). Quale giudice, (rectius) quale tutela? Invero la raffinata pronuncia calabrese, nonostante le accattivanti affermazioni di principio sembra, di fatto, lasciare a bocca asciutta il lavoratore, che ha - invano - richiesto l�esecuzione - coattiva - da parte del proprio datore di lavoro (pubblico) degli obblighi dal medesimo assunti in sede conciliativa. Se sotto il profilo dogmatico � assolutamente ineccepibile il richiamo all�assenza di un giudicato per sostenere, in limine, l�inammissibilit� del ricorso, nondimeno, sotto il profilo sostanziale, lascia a dir poco perplessi la circostanza che, ove in sede conciliativa il lavoratore trovi un accordo - come, peraltro, nell�interesse delle parti e dell�intera macchina giudiziaria sarebbe auspicabile - il lavoratore rischia di avventurarsi in una terra di nessuno, in cui la violazione - unilaterale - degli obblighi di natura non pecuniaria assunti da parte datoriale non � sanzionata, quantomeno efficacemente. Il risarcimento per equivalente pu�, infatti, rappresentare un�alternativa efficace all�esecu- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 283 zione coattiva in molte circostanze, ma non in tutte, come per altro insegna l�incessante ricorso alla tutela �residuale�, assicurata in sede civile dal procedimento ex art. 700 c.p.c.. Nello stesso tempo appare fortemente penalizzante per il ricorrente e contraddittorio per il sistema porre, da un lato, come condizione di procedibilit�, il tentativo di conciliazione ex art. 66 del d.lgs. n.165 del 2001, e poi, dall�altro, non prevedere strumenti processuali che consentano di tesaurizzare il risultato ottenuto in sede conciliativa (che in una logica, quantomai attuale, di ottimizzazione delle risorse dovrebbe rappresentare uno strumento di risoluzione delle controversie sempre pi� auspicabile). Non solo: � lecito chiedersi quale - miglior ? - sorte sarebbe toccata al ricorrente, ove lo stesso avesse ottenuto il diritto al trasferimento in altra U.O. all�esito di una sentenza avente efficacia di giudicato e non gi� di un verbale di conciliazione (cfr. FELICE ANCORA, �Arbitrato e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo�, Milano, Giuffr� 1993, pag. 165). In tal caso - secondo la giurisprudenza amministrativa richiamata in sentenza - il g.a. dell�ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali precise e determinate ed alla natura di diritto soggettivo delle posizioni azionate, ben avrebbe potuto svolgere un'attivit� esecutiva delle sentenze del giudice del lavoro, che impongono alla p.a. prestazioni infungibili, limitandosi a dare attuazione alla sentenza civile, senza integrarla o modificarla e senza pericolo di un recupero del sindacato sul rapporto di pubblico impiego (v. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 4 ottobre 2004, n. 751; cos� anche Tar Marche, 19 settembre 2003 n. 997; cfr. MARCO ANTONIOLI �Arbitrato e giurisdizione amministrativa dopo la legge n. 205 del 2000� in Dir. Proc. amm., Milano, Giuffr� 2001). L�esperienza concreta non mancher� di testare sul campo la capacit� di tali principi di trovare corrispondenza in risposte soddisfacenti. Non a caso la stessa giurisprudenza (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 4 ottobre 2004, cit.) che, in linea di principio, sembrerebbe aver superato ogni incertezza interpretativa, in un obiter dicta si cura di precisare che i suesposti principi sono declinati �a prescindere dalla questione - che qui non mette conto approfondire - se la natura pubblica del datore di lavoro escluda la sussistenza di obblighi infungibili e se ancora il giudice civile dell�esecuzione possa designare (art. 612 c.p.c.) un ufficiale giudiziario (od un commissario ad acta), che disponga con effetti costitutivi, ad esempio, la reintegrazione di un dipendente pubblico nel posto di lavoro, il giudice amministrativo dell�ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali precise e determinate ed alla natura di diritto soggettivo delle posizioni azionate, pu� sempre svolgere un�attivit� esecutiva, sia pure senza integrare il dictum della sentenza civile�. Sarebbe auspicabile, in realt�, che siffatte questioni che rappresentano, ad oggi, i maggiori elementi di criticit� del sistema siano - anche de iure condendo - nel quadro dei delicati equilibri tra i diversi poteri dello stato, oggetto di una rinnovata attenzione (cfr. ALFREDO CARACCIOLO LA GROTTERIA: �Profili dell�arbitrato nel 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 diritto amministrativo� in Dir. Proc. amm., Anno 2002, Vol., 25, fasc., 3 pag. 721). Senza un giudizio di esecuzione efficace, la conciliazione e in taluni casi, anche il giudizio di cognizione rischiano di rivelarsi un inutile dispendio di costi ed energie processuali, che aggravano la macchina amministrativa, prima, e quella giudiziaria, poi, senza risolvere i problemi del cittadino. Avv. Maria Maddalena Giungato* Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Catanzaro, Sezione II, sentenza 19 maggio 2008 n. 522 - Pres. Romano, Rel. Lopilato - C.P. (Avv. V. Ferrari) c. Azienda Ospedaliera Cosenza (Avv. P. Siciliano). (...Omissis) Fatto 1.� Con ricorso regolarmente notificato e depositato il dott. Claudio Picarelli, dirigente medico dipendente dell�Azienda ospedaliera di Cosenza, ha chiesto che Azienda Ospedaliera di Cosenza ottemperi al verbale di conciliazione del 5 marzo 2007 (rep. n. 570/06), redatto dinanzi al Collegio di conciliazione costituitosi ex art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull�ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), presso la Direzione provinciale del lavoro di Cosenza. 2.� Il ricorrente, attualmente in servizio presso la U.O.C. di Chirurgia di Urgenza e pronto soccorso, premette che lo stesso aveva promosso davanti al Collegio di conciliazione delle controversie di lavoro con le pubbliche amministrazioni territorialmente competente, il tentativo di conciliazione in merito alla controversia di lavoro con la quale chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali ed esistenziali, conseguenti a �trattamento vessatorio, persecutorio e mobbizzante� posto in essere dal Direttore della citata U.O.C. In sede conciliativa si concordava che entro e non oltre il 9 marzo 2007 il ricorrente sarebbe stato trasferito, eventualmente anche in soprannumero, presso la Chirurgia generale �Falcone�. Sennonch�, alla data del 9 marzo 2007 nessun trasferimento era stato disposto. Soltanto con deliberazione del 16 aprile 2007, adottata dal Direttore generale, � stato disposto il trasferimento ma non nella sede concordata ma all�U.O. di chirurgia d�urgenza e pronto soccorso. A fronte della comunicazione con cui si deduceva la nullit� del predetto atto ex art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, in quanto elusiva del contenuto del verbale di conciliazione, il Direttore generale faceva presente di avere disposto non un trasferimento ma una assegnazione con carattere temporaneo per esigenze di servizio e �per evitare al (�) dirigente medico ulteriori situazioni di contrasto con il direttore dell�U.O. di Chirurgia vascolare�. Il ricorrente lamenta che con tale trasferimento si otteneva lo scopo di liberarsi del ricorrente stesso �mobizzato proprio allo scopo di allontanarlo, mentre quest�ultimo non otteneva alcuna soddisfazione al diritto derivante dalla conciliazione della controversia�, nonostante il posto presso il quale doveva essere trasferito risultava disponibile come attestato dalla comunicazione del 30 ottobre 2007 della direzione generale. (*) Avvocato del Foro di Cosenza. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 285 A seguito delle vicende esposte, il ricorrente proponeva ricorso ex art. 612 c.p.c. al giudice dell�esecuzione presso il Tribunale di Cosenza per la determinazione delle modalit� di esecuzione del titolo formato alla luce di quanto previsto dall�art. 66 del d.lgs. n. 165 del 2001. Il giudice adito sospendeva l�esecuzione intrapresa affermando quanto segue: �vi sono seri dubbi sul fatto che l�obbligo azionato sia suscettibile di esecuzione forzata, e non si risolva invece in un facere infungibile, attuabile necessariamente con la collaborazione del datore di lavoro�. 3.� Esposto ci�, il ricorrente ha proposto ricorso a questo Tribunale in sede di ottemperanza, sottolineando come il verbale di conciliazione ex art. 66 del d.lgs. n. 165 del 2001 rappresenti un titolo esecutivo equiparabile ad un giudicato sostanziale. Si osserva, infatti, che se il giudice ordinario dell�esecuzione non pu� condannare ad un facere infungibile, l�unica possibilit�, per evitare un �diniego di giustizia� per il lavoratore, � quella di consentire il ricorso al giudice amministrativo in sede di ottemperanza dotato di poteri sostitutivi. Il ricorrente deduce, inoltre, che qualora si dovesse ritenere che l�art. 37 della legge n. 1034 del 1971, nella parte in cui richiede, quale presupposto per l�instaurazione del giudizio di ottemperanza, il passaggio in giudicato di una sentenza, non sia applicabile alla fattispecie in esame tale norma dovrebbe ritenersi in contrasto con gli artt. 3, 4, 24 e 11 della Costituzione, per i motivi indicati nella parte motiva, con conseguente richiesta di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Diritto 1.� Con il ricorso indicato in epigrafe si agisce per ottenere la condanna dell�Azienda Ospedaliera di Cosenza ad ottemperare a quanto contenuto nel verbale di conciliazione del 5 marzo 2007 (rep. n. 570/06), redatto dinanzi al Collegio di conciliazione costituitosi ex art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull�ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), presso la Direzione provinciale del lavoro di Cosenza. 2.� Il ricorso � inammissibile. Ai sensi dell�art. 27, primo comma, n. 4, del r.d. n. 1054 del 1924 e dell�art. 37 della legge n. 1071 del 1934 presupposto indefettibile ai fini dell�ammissibilit� del giudizio di ottemperanza � costituito dal giudicato. Come � noto, per cosa giudicata (sostanziale) si intende �l�accertamento contenuto nella sentenza passato in giudicato� (art. 2909 c.c.) e cio� nella sentenza che ha raggiunto quella stabilit� derivante dall�assenza di ulteriori mezzi di impugnazione (cosiddetta cosa giudicata formale). Il verbale di conciliazione non ha natura di sentenza n� pi� in generale di provvedimento giurisdizionale, in quanto la Commissione di conciliazione non esercita funzioni giudiziarie ma amministrative (si veda, tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5480). N� ad una diversa conclusione si pu� pervenire, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, facendo leva sul fatto che il citato art. 66 assegna al verbale valore di titolo esecutivo e che l�art. 474, secondo comma, n. 1., c.p.c. equipara alle sentenze �i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva�. Tale equiparazione, avendo valenza soltanto formale limitata all�ambito del giudizio di esecuzione in cui la stessa � posta, consente, infatti, all�interessato unicamente di potere ricorrere al giudice ordinario dell�esecuzione nei modi e nei limiti contemplati nel libro terzo del codice di procedura civile. Dal contenuto delle norme sopra richiamate non � possibile, pertanto, desumere una assimi- 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 lazione di natura sostanziale con la sentenza ai fini dell�esperibilit� del giudizio di ottemperanza. 3.� Chiarito che il sistema legislativo vigente non consente al privato di ricorrere al giudice amministrativo in sede di ottemperanza per ottenere l�esecuzione del contenuto dei verbali di conciliazione, occorre esaminare i motivi di ricorso con cui il ricorrente deduce, in via subordinata, la incostituzionalit� dell�art. 37 della legge n. 1034 del 1971 per violazione degli artt. 3, 4, 24 e 111 della Costituzione. La questione, ancorch� rilevante, � manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate. 3.1.� In via preliminare, appare, opportuno � ai fini dell�esatta individuazione della portata del dubbio di costituzionalit� prospettato � delineare l�attuale sistema legislativo di tutela in forma specifica dei diritti lesi e dei modelli definiti di �coazione all�adempimento�, in particolare, degli obblighi di fare. Su un piano di carattere generale, esistono diversi modelli adottati in ambito europeo. Il sistema tedesco assegna preminenza alle forme di adempimento in natura, con conseguente previsione di rimedi processuali che consentono sempre al creditore di ottenere un tutela in forma specifica. Diversamente, il modello francese, in ossequio alla propria tradizione �libertaria�, si ispira al principio della incoercibilit� degli obblighi di fare. Il nostro legislatore ha optato per un sistema in un certo senso mediano rispetto a quelli esposti, prevedendo forme di esecuzione forzata in forma specifica che, per�, incontrando diversi limiti, non consentono sempre al creditore una libera scelta in ordine alle modalit� di tutela delle proprie posizioni giuridiche lese. Limitando l�analisi a quanto interessa in questa sede, deve rilevarsi che, sul piano sostanziale, l�art. 2931 c.c. prevede che �se non � adempiuto un obbligo di fare, l�avente diritto pu� ottenere che esso sia eseguito a spese dell�obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile�. Sul piano processuale, l�art. 612 c.p.c. stabilisce che �chi intende ottenere l�esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare, o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione che siano determinate le modalit� dell'esecuzione�. La giurisprudenza interpreta costantemente le riportate disposizioni nel senso che, pur essendo ammissibile una sentenza del giudice civile che condanni ex art. 2931 c.c. il debitore all�adempimento in forma specifica di un obbligo di fare infungibile, lo stesso, salvo le peculiarit� della singola fattispecie, non � comunque suscettibile di essere eseguito coattivamente nelle forme contemplate dall�art. 612 c.c. (v., ex multis, Cass., sez. II, 24 agosto 1994, n. 7.500; Tribunale Parma, 12 luglio 2005; Tribunale Roma, 12 settembre 2002). Lo stesso orientamento riconosce, per�, che se la condanna ad una fare infungibile � contenuta in una sentenza del giudice ordinario passata in giudicato, il creditore, pur non potendo rivolgersi al giudice ordinario ex art. 612 c.p.c., potrebbe ottenere una tutela specifica promuovendo il giudizio di ottemperanza avanti al giudice amministrativo (tra gli altri, Tar Calabria, Reggio Calabria, 4 ottobre 2004, n. 751; Tar Marche, 19 settembre 2003, n. 997). Questa possibilit� di tutela ulteriore non �, per�, consentita � in presenza di un dato normativo inequivoco � quando si tratta di dare esecuzione ad obblighi di fare infungibili contenuti non in una sentenza del giudice ordinario passata in giudicato ma in un diverso titolo esecutivo. 3.2.� Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre valutare se tale restrizione nell�accesso al giudizio di ottemperanza, riferita, nella specie, all�esecuzione coattiva dei verbali di concilia- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 287 zione, sia, come ritiene il ricorrente, in contrasto con la Costituzione. 3.3.� In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le censure fondate sull�assunta violazione degli artt. 4 e 111 Cost. perch� non motivate. In ogni caso, anche alla luce di quanto si dir� tra breve, l�evocazione di tali parametri costituzionali risulta inconferente. 3.4.� Chiarito ci�, deve rilevarsi come il ricorrente assuma, innanzitutto, il contrasto della disposizione in esame con gli artt. 3 e 24 Cost.. In particolare, viene addotta l�irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore di non consentire il ricorso al giudizio di ottemperanza anche per l�esecuzione dei verbali di conciliazione, in quanto ci� si risolverebbe in un �diniego di giustizia, a disposto di un corpus normativo che spinge, invece, verso lo snellimento del contenzioso basato sull�immediata soddisfazione delle pretese avanzate dalle parti per mezzo di reciproche concessioni che, evidentemente, realizzano una giustizia sostanziale cui tutti gli ordinamenti moderni si aspirano�. In particolare, secondo il ricorrente, non potendo il giudice ordinario dell�esecuzione condannare ad un facere infungibile l�Azienda ospedaliera si verrebbe a creare un vulnus ai �diritti� del ricorrente derivanti dal verbale di conciliazione. Si deduce, inoltre, sotto altro profilo, che �non si comprendere perch� (�) si debba valutare il verbale di conciliazione (�) in due modi differenti a seconda che serva a recuperare denaro o meno�. 3.4.1.� Le esposte argomentazioni non possono essere condivise. La Corte costituzionale ha chiaramente affermato, sia pure con riferimento ad una fattispecie diversa da quella in esame, che la limitazione della tutela innanzi al giudice dell�ottemperanza alle sole sentenze passate in giudicato costituisce il risultato di una scelta discrezionale del legislatore. Non �, infatti, ricavabile dal dettato costituzionale un principio che obblighi ad estendere il sistema dell�ottemperanza anche a titoli esecutivi diversi dalle sentenze passate in giudicato. Il giudice delle leggi ha, inoltre, chiarito che tale scelta non risulta irragionevole in quanto la procedura di ottemperanza � consentendo �la possibilit� di esercizio di poteri sostitutivi rispetto all�amministrazione inadempiente e di inserimento nello svolgimento concreto dell�azione amministrativa mediante un commissario ad acta o, a seconda della fattispecie, direttamente da parte del giudice� � implica una �giurisdizione estesa al merito� (Corte cost., sentenza n. 406 del 1998 e ordinanze n. 44 del 2006 e n. 112 del 2005). In questa prospettiva, dunque, la particolare incisivit� e pregnanza del mezzo di tutela previsto giustifica la scelta di porre �come presupposto della speciale azione, l�esistenza di una cosa giudicata� (Corte cost. n. 406 del 1998) e conseguentemente giustifica l�esclusione della possibilit� di chiedere al giudice amministrativo l�ottemperanza, tra l�altro, degli obblighi contemplati dai verbali di conciliazione. Per quanto attiene, poi, alla lamentata irragionevolezza derivante dalla diversit� di trattamento giuridico riservato agli obblighi pecuniari contenuti nei suddetti verbali rispetto agli obblighi di fare infungibile, deve rilevarsi (a prescindere dai profili relativi alla individuazione della norma effettivamente rilevante nel presente giudizio) come, da un lato, anche per i primi non sia possibile il ricorso al giudizio di ottemperanza per le ragioni indicate; dall�altro, come la circostanza che tale obblighi siano suscettibili di esecuzione �specifica� deriva dalla loro particolare natura che giustifica una ragionevole diversit� di regime giuridico. N� potrebbe ritenersi che la norma in esame si ponga in contrasto con il solo articolo 24 della Costituzione. E� s� vero che la Corte costituzionale, in particolare con la sentenza n. 419 del 1995, ha affermato che il principio di effettivit� della tutela giurisdizione impone che l�amministrazione, a 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 fronte di una �pronuncia giurisdizionale�, ha l�obbligo di dare attuazione a quel �risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice� e che �una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (�) altro non sarebbe che un�inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione �. Ma ci� ha affermato, da un lato, con riferimento alle decisioni adottate da un giudice, dall�altro e soprattutto, facendo salvi �i casi di impossibilit� dell�esecuzione in forma specifica�. Il principio generale posto nella citata sentenza affermato non �, pertanto, applicabile alla fattispecie in esame, atteso che, si ribadisce, la decisione � assunta da una Commissione che non esercita funzioni giurisdizionali in relazione ad ipotesi di �impossibilit� dell�esecuzione in forma specifica� per la natura infungibile dell�obbligo da eseguire. 3.5.� Si assume, inoltre, la violazione del principio di eguaglianza di cui all�art. 3 della Costituzione, atteso che per i verbali di conciliazione redatti in ambito societario ex art. 40 del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonch� in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366) sarebbe possibile l�esecuzione in forma specifica. 3.5.1.� Anche sotto tale profilo l�eccezione di incostituzionalit� � manifestamente infondata. Non pu�, infatti, ritenersi violato il principio di eguaglianza di cui all�art. 3 della Costituzione, atteso che, da un lato, le situazioni poste a confronto � verbali di conciliazioni ex art. 40 del d.lgs. n. 5 del 2003 e verbali di conciliazione in esame � sono diverse in relazione agli interessi implicati; dall�altro, il citato art. 40, a prescindere da ogni altro profilo, non prevede espressamente la possibilit� di eseguire in forma specifica anche gli obblighi di fare infungibili. 3.6.� Alla luce delle considerazioni sin qui svolte deve ritenersi, pertanto, che escludere la possibilit� di ricorrere al giudice dell�ottemperanza per ottenere l�adempimento in forma specifica dell�obbligo di fare infungibile posto in un verbale di conciliazione non si pone in contrasto con gli evocati parametri costituzionali. 3.7.� Appare opportuno, infine, sottolineare che quanto sin qui si � detto non significa che il ricorrente risulti privo di qualunque forma di tutela, il che avrebbe s� determinato un contrasto inevitabile con la Costituzione. Il nostro sistema legislativo, infatti, come gi� sottolineato, contempla un modello di tutela giudiziale alternativo a quello in natura: in particolare, il ricorrente, oltre a potere chiedere il risarcimento dei danni subiti in presenza di un fatto riconducibile al paradigma dell�art. 2043 c.c., pu� giovarsi di mezzi cosiddetti di coazione indiretta all�adempimento. L�avere ottenuto un titolo esecutivo con obbligo dell�amministrazione di disporre il trasferimento concordato in sede di conciliazione � a prescindere dalla possibilit� di �scomporre� tale obbligo per valutare la eventuale sussistenza di �parti� suscettibili di coercizione all�adempimento stesso � consente al lavoratore di offrire la propria prestazione lavorativa esclusivamente con quelle modalit� oggetto di accordo e con conservazione del diritto alla retribuzione anche nel caso in cui il datore di lavoro si ostini a non ottemperare spontaneamente agli obblighi assunti in sede di conciliazione (cfr., Cass., sez. lav., 17 giugno 2004, n. 11364). 4.� Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio. Per questi motivi Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Catanzaro, sezione Seconda, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso indicato in epigrafe. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 289 Impugnabilit� delle segnalazioni dell�Autorit� Garante della concorrenza e del mercato (Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima, sentenza 3 febbraio 2009 n. 1027) SOMMARIO: 1.- I poteri consultivi e conoscitivi dell�Autorit� garante della concorrenza e del meracato. 2.- Il caso dei bollini prodotti dall�Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. 3.- La pronuncia del T.A.R. Lazio e la nututa delle segnalazioni dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato. 4 Conclusioni. Con la sentenza n. 1027 del 3 febbraio 2009 la Sezione I del T.A.R. Lazio (1), chiamata a decidere un ricorso avverso una segnalazione dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato (di seguito, anche, Autorit� antitrust o AGCM), si pronuncia in modo definitivo in merito alla natura del potere attribuito alla Autorit� medesima dall�art. 21 della legge n. 287/1990. Difatti, in conformit� a quanto sancito in una precedente pronuncia (2), e a conferma dell�orientamento dottrinario, oramai, consolidato sul tema, il giudice di prime cure, dichiarando l�inammissibilit� del ricorso per carenza di interesse ad agire, ha concluso nel senso della non autoritativit� delle suddette segnalazioni, in quanto inidonee a ledere la posizione sostanziale dei soggetti destinatari. Il potere di segnalazione viene definito come espressione di una �facolt�� concessa all�Autorit� garante al fine di rappresentare le dinamiche concorrenziali pi� adeguate ai soggetti preposti alla regolamentazione del sistema economico (per l�appunto Parlamento e Governo). 1. I poteri consultivi e conoscitivi dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato Nel nostro ordinamento l�Autorit� garante della concorrenza e del mercato esercita una funzione �quasi judicial� (3) di custode della concorrenza, (1) Ai sensi dell�art. 33 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, per i ricorsi avverso i provvedimenti adottati dall�Autorit� garante della concorrenza e del mercato sulla base delle disposizioni dei titoli I, II, III e IV della stessa legge � competente il T.A.R. del Lazio in sede di giurisdizione esclusiva; mentre per le azioni di nullit� e di risarcimento del danno si ricorre, in unico grado, alla Corte d�Appello competente per territorio (2) Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I, 16 settembre 1996, n. 1548, in Trib. Amm. Reg, 1996, I, 3617. (3) Cos� la definisce E. FRENI, �I nuovi poteri dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato�, in Obbligazioni e Contratti, 2007, 4, p. 343. 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 tanto nei confronti delle imprese, quanto dei soggetti preposti alla regolamentazione del mercato. Questo ruolo non lo svolge, per�, dettando una disciplina cui adeguarsi ma intervenendo ex post a correzione dei comportamenti contrari alle regole concorrenziali e del buon mercato. Nello specifico, i poteri di cui l�Autorit� dispone sono riconducibli, da un lato, all�attivit� di enforcement, direttamente volta alla repressione e sanzione delle condotte anticoncorrenziali, dall�altro a quella di �competition advocacy� espressamente prevista dalla normativa antitrust agli artt. 12, 21 e 22 della legge n. 287/1990. Come evidenziato anche dalla pi� attenta dottrina l�advocacy � una funzione di grande utilit� in un ordinamento, come il nostro, caratterizzato da una tradizione interventista di regolazione e di direzione del mercato e delle imprese (4); essa si sostanzia in una serie di strumenti a prima vista poco incisivi ma che, in un�ottica di lungo periodo, contribuiscono a creare e rafforzare la cultura della concorrenza, favorendo l�eliminazione di disposizioni normative con effetti distorsivi e prevenendo l�introduzione di ulteriori previsioni non conformi ai principi di un�economia di mercato aperta al principio della concorrenza di valenza comunitaria (5). Ci si riferisce, in particolare, al potere di segnalazione al Parlamento e al Governo dei casi nei quali gli effetti distorsivi della concorrenza dipendono da disposizioni di legge o di regolamento o da provvedimenti amministrativi generali (art. 21, legge n. 287/1990), al potere consultivo in ordine ad iniziative legislative o regolamentari (art. 22, legge n. 287/1990) e alle indagini conoscitive di natura generale nei settori economici in cui vi siano fattori che, ad avviso dell�Autorit�, potrebbero rappresentare degli ostacoli al funzionamento dell�assetto concorrenziale (art. 12, legge n. 287/1990). L�attribuzione di tali poteri, se da un punto di vista funzionale si giustifica per l�elevato tecnicismo delle materie di intervento, da un punto di vista organizzativo, data l�indipendenza dell�Autorit� dal Parlamento e dal Governo, costituisce una delle forme di collegamento e dialogo con i poteri politici. Occorre, peraltro, sottolineare la rilevanza politica che le segnalazioni ed i pareri assumono nell�ambito dei meccanismi decisionali dei poteri pubblici. L�Autorit�, difatti, nell�esercitare tali prerogative non si limita ad un ruolo negativo di censura generica di provvedimenti normativi ed amministrativi le- (4) Cfr. M. CLARICH, �L�attivit� di segnalazione e consultiva dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato: un presidio contro le degenerazioni del processo politico-parlamentare�, in Dir. Amm., 1997, p. 85 e ss. (5) E� soprattutto nell�esercizio di questi poteri che l�Autorit�, avvalendosi ex art. 1, comma 4, L. n. 287/1990 dei principi affermati a livello comunitario dalla Corte di Giustizia, ha consentito la trasposizione nell�ordinamento italiano di concetti e nozioni che superano la disciplina civilistica nazionale (basti pensare alla nozione di impresa o a quella di controllo considerate rilevanti ai fini antitrust). IL CONTENZIOSO NAZIONALE 291 sivi della concorrenza, ma svolge una funzione propositiva (come nel caso in esame), indicando le modifiche normative da apportare o i comportamenti che le imprese dovrebbero seguire; se a tali �autorevoli indicazioni� in alcuni casi non vi � stato alcun seguito, in molte altre occasioni il Parlamento, le Amministrazioni, le imprese e, perfino, i giudici hanno fatto propri i suggerimenti dell�Autorit� (6). In tal senso si potrebbe affermare che l�Autorit� antitrust sia il vero soggetto istituzionale chiamato ad esercitare la cura e la rappresentanza dell�interesse pubblico della concorrenza; e del resto, grazie al regime di pubblicazione previsto dalla legge, le segnalazioni ed i pareri, una volta pubblicati (anche sul sito dell�Autorit�, oltre che, ai sensi dell�art. 26 della legge istitutiva, sul Bollettino dell�AGCM), finiscono per rivolgersi non solo a coloro che ne sono i destinatari formali bens� a tutti gli operatori economici e ai soggetti istituzionali. A questo punto � opportuno precisare che, sebbene parte della dottrina abbia parlato di un �nuovo potere normativo delle autorit� indipendenti� (7), ai suddetti atti non pu� in alcun modo attribuirsi efficacia vincolante. L�attivit� di segnalazione e quella consultiva, si qualificano come funzioni pubbliche di supporto e indagine ausiliarie rispetto all�azione politica e, in quanto tali, non sono in alcun modo riconducibili ad attivit� amministrativa di tipo autoritativo idonea ad incidere sulle posizioni giuridiche dei soggetti verso cui � diretta. Ciononostante, per il fatto che alle segnalazioni ed ai pareri seguissero, comunque, mutamenti del piano normativo o, addirittura, cambiamenti nelle politiche di mercato da parte delle imprese, si � cominciata a registrare una tendenza volta a promuovere il sindacato giurisdizionale anche su tali atti. Il problema si pone, soprattutto, alla luce dell�ampia dizione dell�art. 33 della Legge n. 287/90 che considera impugnabili innanzi al T.A.R. del Lazio, (6) Nella relazione al d.d.l. di conversione del d.l. n. 223/2006 sono numerosi i richiami alle segnalazioni e alle indagini conoscitive dell�Autorit� antitrust con riferimento a tariffe professionali, distribuzione commerciale, attivit� di pianificazione, vendita dei farmaci, taxi, assicurazioni, servizi bancari e funzionamento delle camere di commercio. Altro caso significativo � quello della partecipazione in forma associata alle gare pubbliche: l�autorit� aveva segnalato (AS/251, in Bollettino, n. 5/2003) che i raggruppamenti temporanei potevano avere effetti restrittivi quando si associassero imprese che gi� singolarmente avessero i requisiti per partecipare alla procedura. Questa indicazione � stata poi generalmente tradotta dalle Amministrazioni aggiudicatrici in clausole che regolano il ricorso ai raggruppamenti. Da ultimo, con riferimento all�influenza esercitata sull�attivit� giudiziaria, si vedano Cons. Stato, Sez VI, 23 settembre 2008, n. 4586 in materia di tariffe dei servizi di vigilanza privata; T.A.R. Lazio, Sez. II-ter, 26 novembre 2004, n. 14127, in tema di rivendite di giornali; e T.A.R. Lazio, Sez Iter, 21 giugno 2001, n. 5542 su i requisiti di accesso alle gare pubbliche di appalto, in www.giustizia � amministrativa.it. (7) Vedi quanto riportato da I. MELIS, �Decisioni dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato sulle privative del trasporto pubblico. Efficacia nei confronti della pubblica amministrazione�, in Nuova Rassegna, 2000, n. 8, p. 879. 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 oltre ai provvedimenti di cui al titolo I (norme sulle intese, sull�abuso di posizione dominante e sulle operazioni di concertazione), anche i provvedimenti di cui al titolo III (disciplinante i poteri conoscitivi e consultivi dell�Autorit�) (8). Resta inteso che detta norma deve essere interpretata ai sensi dei principi generali in materia di giurisdizione amministrativa, si che la relativa tutela � azionabile solo avverso provvedimenti amministrativi autoritativi che arrechino un pregiudizio concreto, diretto ed attuale alle posizioni giuridiche soggettive dei soggetti cui sono rivolti. Il problema �, quindi, tutto nella qualificazione giuridica e nelle potenzialit� lesive delle segnalazioni adottate a norma dell�art. 21, Legge antitrust. 2. Il caso dei bollini farmaceutici prodotti dall�Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Per ragioni di completezza � utile procedere ad un�esposizione dei fatti posti al vaglio del giudice amministrativo nella pronuncia n. 1027/2009. L�Autorit� Antitrust (con nota del 16 novembre 2004) inviava al Ministero dell�Economia e delle Finanze, al Ministero della Salute e, per conoscenza, all�Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (di seguito IPZS), una segnalazione ex art. 21, Legge n. 287/1990 (9), in merito alle modalit� adottate dall�IPZS per l�individuazione dei fornitori di �carta speciale� con cui vengono realizzati i bollini farmaceutici autoadesivi da apporre sulle confezioni dei medicinali erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale, ed i criteri per la scelta delle imprese fiduciarie ex D.M. del 2 agosto 2001 (10). Sebbene a norma degli artt. 4 e 5 del citato D.M. vi fossero chiare ed ovvie ragioni di sicurezza che giustificavano l�intervento in via esclusiva dell�IPZS (sia nella fase di fornitura della carta speciale, che in quelle successive di fabbricazione e stampa del bollino), il fatto che l�Istituto medesimo procedesse ad affidamenti diretti e non predisponesse alcuna gara per la scelta delle imprese deputate allo specifico servizio costituiva una palese violazione delle disposizioni a tutela della concorrenza e di quelle dettate in materia di appalti di pubbliche forniture (11). (8) Testualmente �I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati sulla base delle disposizioni di cui ai Titolo dal I al IV della presente legge rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo� (9) Cfr. AS/285, 11 novembre 2004, in Bollettino n. 46/2004. (10) Cfr. Art. 5, comma 1, D.M. 2 agosto 2001, a tenore del quale �Nel quadro dei principi di sicurezza enunciati in premessa , le aziende farmaceutiche si approvvigionano del bollino di cui al presente decreto presso l�Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, il quale assicura modalit� di forniture adeguate alle esigenze produttive delle aziende stesse. A tale scopo l�Istituto si avvale anche, sotto la sua responsabilit�, di un adeguato numero di aziende fiduciarie, secondo necessit�.�. (11) Cfr. D.Lgs. 24 luglio 1992, n. 358 �Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 293 Contro l�espressa inapplicabilit� del D.Lgs. n. 358/1992 alle forniture la cui esecuzione richiede misure speciali di sicurezza, l�Autorit� garante ribadiva come, secondo un orientamento comunitario, ai fini di tale limitazione, fosse necessaria la sussistenza, oltre che delle ragioni di sicurezza, di un concreto interesse pubblico alla non applicabilit� delle procedure ad evidenza pubblica e, al contempo, la proprorzionalit� di tale deroga (12). Nel caso di specie il mancato ricorso a procedimenti di gara avrebbe determinato la cristallizzazione delle forniture in capo sempre alle stesse imprese; a ci� si aggiunga che, oltre all�esclusione di imprese terze, il mancato espletamento di procedura ad evidenza pubblica pregiudicava lo stesso IPZS, poich� un confronto concorrenziale ripetuto con una certa frequenza avrebbe consentito alla stazione appaltante di beneficiare dei vantaggi tecnologici sviluppati nel tempo (13). Secondo l�Autorit� era, pertanto, opportuno che l�ente appaltante procedesse periodicamente ad una nuova selezione delle aziende fiduciarie nonch� di quelle fornitrici della carta speciale e dell�apparecchio che realizza i bollini per individuare quelle che garantissero il servizio migliore, ed esercitando i propri poteri di segnalazione, auspicava una modifica in senso preconcorrenziale della prassi instaurata dall�IPZS. A questo punto l�IPZS, con ricorso n. 777/2005, impugnava innanzi al T.A.R. la su esposta segnalazione eccependone l�infondatezza e l�illegittimit� per eccesso di potere. Il ricorrente lamentava, nello specifico, i vizi di manifesta contraddittoriet� e illogicit�, difetto di istruttoria e sviamento, difetto di motivazione, carenza di presupposti ed erronea rappresentazione dei fatti. L�Autorit� antitrust, oltre a contro dedurre in merito alla legittimit� e correttezza delle determinazioni rese con il potere conferitole dall�art. 21, l. n. 287/1990, eccepiva, in via preliminare, l�inammissibilit� del ricorso: l�atto del quale si contestava la legittimit� non era in alcun modo riconducibile ad un�attivit� amministrativa in senso stretto, non presentando il carattere dell�autoritativit� e, quindi, dell�idoneit� ad incidere direttamente sulla sfera giuridica de destinatari, configurandosi piuttosto come il risultato di una mera attivit� di informazione e sostegno della classe politica. (12) Cfr. Corte Giust. europea, 5 dicembre 1989, in causa 3-88, Commissione c. Repubblica Italiana, in Raccolta, 1989, p. 4035, in cui si afferma il principio secondo cui non basta che uno Stato membro invochi ragioni di sicurezza per giustificare la non applicabilit� delle norme sugli appalti, occorrendo procedere sia ad una concreta analisi di adeguatezza circa lo non applicabilit� della citata disciplina rispetto ad uno scopo precisamente individuato, sia a valutare la proporzionalit� dello strumento diretto a realizzare siffatto interesse pubblico, nel senso di accertare se tale limitazione rappresenti l�unico mezzo concretamente utilizzabile. (13) Elemento di particolare rilievo rispetto a servizi, come quello dell�erogazione dei bollini farmaceutici, ove l�esigenza di combattere tecniche di contraffazione sempre nuove richiede un continuo aggiornamento tecnologico degli strumenti di controllo. 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 3. La pronuncia del T.A.R. Lazio e la natura delle segnalazioni dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato Il T.A.R. del Lazio, chiamato a decidere sulla vicenda, si pronuncia sulla natura degli atti previsti dall�art. 21 e 22, legge n. 287/1990, tematica che, in precedenza, era gi� stata affrontata in occasione di un ricorso avverso il diniego opposto dall�Autorit� ad una richiesta di accesso agli atti di un�indagine conoscitiva condotta nel settore degli ordini e dei collegi professionali e delle relative professioni (14). In quella sede il giudice amministrativo aveva escluso che il diritto di ac cesso potesse esercitarsi nel corso di un�attivit� necessariamente preparatoria e preliminare rispetto a quella di segnalazione e consultiva che poco ha del procedimento amministrativo. I poteri riconosciuti dagli art. 21 e 22 sono, infatti, espressione di � [..] un�attivit� pubblica di informazione e sostegno ausiliaria rispetto a quella svolta da parlamento e governo, con riguardo alla quale non possono trovare evidentemente applicazione le regole generali della Legge n. 241/1990�. In tal senso, l�esercizio di queste funzioni non necessit� della formazione, dell�acquisizione o dell�utilizzo di documenti amministrativi, e netta � la distinzione con l�attivit� istruttoria, tipicamente provvedimentale, volta ad accertare violazioni consistenti in comportamenti anticoncorrenziali, individuati nelle singole fattispecie di intese, abusi di posizione dominante e concentrazioni vietate ai sensi della Legge n. 287/1990. Il T.A.R., riprendendo alcune osservazioni avanzate dalla stessa Autorit� a conferma della natura non procedimentale di detta attivit�, evidenzia, innanzitutto, il fatto che la stessa pubblicit� dell�avvio dell�indagine conoscitiva, ai sensi dell�art. 13, comma 1, del regolamento in materia di procedura (D.P.R. 461/1991), � rimessa ad una valutazione discrezionale dell�Autorit�, mentre la legge sul procedimento amministrativo, all�art. 7, stabilisce che tale comunicazione debba avvenire sempre a pena di illegittimit� (ad eccezione di alcuni casi particolari espressamente previsti); e, in secondo luogo, va evidenziato (14) Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I, 16 settembre 1996, n. 1548, in Trib. Amm. Reg., 1996, I, 3617. Nel caso di specie l�Autorit�, a seguito di un�indagine conoscitiva, avviata ex art. 12, comma 2, l. n. 287/1990, segnalava (ai sensi dell�art. 21, l. cit.) l�incoerenza con i principi del corretto funzionamento del mercato di alcune disposizioni contenute nella Legge 11 ottobre 1995, n. 423, recante �norme in materia di sopratasse e di pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte� (Bollettino, n. 44/95), nonch� (ex art. 22, l. cit.) la situazione discorsiva della concorrenza prodotta da alcune disposizioni contenute nel disegno di legge di conversione del d.l. 29 aprile 1995 n. 312, recante �differimento di taluni termini ed altre disposizioni in materia tributaria� (Bollettino, n. 24/95). IL CONTENZIOSO NAZIONALE 295 come i poteri istruttori previsti dagli artt. 4, 5 e 6 del citato regolamento e di cui l�Auorit� si avvale risultano del tutto affievoliti e privi di ogni contenuto obbligatorio (15). Alla luce di queste considerazioni pu�, forse, apparire scontata la conclusione a cui perviene il T.A.R. Lazio nella sentenza n. 1027/2009, in commento, con cui dichiara la non ammissibilit� del ricorso proposto dall�Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato avverso la segnalazione dell�Autorit� garante, ma ci� che pi� rileva di tale pronuncia sono i nuovi profili addotti dal giudice per qualificare la natura delle funzioni di advocacy esercitate dall�Antitrust. E�indiscutibile, a parere dei giudici, che tali prerogative siano state affidate al fine di �effettuare una valutazione di proporzionalit� tra la restrizione della concorrenza implicita nelle prescrizioni soggette a scrutinio e il fondamento generale di razionalit� collettiva (in altri termini l�interesse pubblico) che esse intendono perseguire.� L�Autorit� antitrust, infatti, come gi� accennato, svolge una funzione tecnica connessa all�analisi del mercato e all�individuazione delle soluzioni pi� favorevoli allo sviluppo della concorrenza e, per gli effetti, una funzione di riequilibrio. Del resto il legislatore, istituendo un�autorit� �garante della concorrenza�, ha inteso attribuire alla stessa un peculiare ruolo che le consentisse di intervenire in posizione di ovvia neutralit� (16) finanche nella fase della formazione delle norme giuridiche, per rappresentare adeguatamente al titolare della relativa attribuzione le dinamiche pro-competitive da attuare nel settore di volta in volta considerato. Partendo da questa impostazione i giudici arrivano, cos�, alla conclusione che, nel caso di specie, non era stata assunta alcuna determinazione avente portata autoritativa qualificandosi la segnalazione de qua come �un atto emanato nel contesto del rapporto di collaborazione tra soggetti pubblici divisato dal menzionato art. 21 (come attestato dal fatto che nella sua parte finale l�Autorit� non prescrive alcunch�, ma �confida� che le sue considerazioni �possano trovare adeguato seguito�) con la conseguenza che non si ravvisa in capo all�Istituto ricorrente una situazione giuridica sostanziale lesa dal potere amministrativo, e come tale idonea a sostenere il suo interesse ad agire in giudizio�. E� possibile, quindi, concludere nel senso che le segnalazioni non costituiscono altro che un �monito autorevole� con cui L�Autorit� garante delle (15) In tal senso nessuna sanzione pu� essere applicata nei confronti delle imprese che omettano di fornire le informazioni o forniscono informazioni non veritiere, ed alle richieste di informazioni e documentazioni sono opponibili esigenze di segreto aziendale o industriale, talch� l�esercizio di tali poteri viene, in buona sostanza, ad essere rimesso alla mera collaborazione dei soggetti interessati. (16) Cfr. in generale sul tema P. LAZZARA, �Autorit� indipendenti e discrezionalit��, CEDAM, 2001; M. CLARICH, �Autorit� indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello�, Bologna, 2005; M. DE BENEDETTO, �Le Autorit� indipendenti fra regole, discrezionalit� e controllo giurisdizionale�, in Foro Amm.- Tar, 2002, p. 3858 e ss.; id. �Intorno alla pretesa terzeit� delle Autorit� indipendenti�, in Giorn. dir. ammm., 2002, vol. 11, p. 1185; id., �L�Autorit� garante della concorrenza e del mercato. Organizzazione, poteri e funzioni�, Il Mulino, 2000. 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 concorrenza e del mercato pone gli interessati sull�avviso che, portando avanti determinati comportamenti, verranno assoggettati ad un procedimento istruttorio volto all�accertamento delle eventuali violazioni della normativa antitrust e all�applicazione delle relative sanzioni. Si tratta di un intervento, per cos� dire, di �moral suasion� cio� di induzione delle imprese a comportamenti conformi alla normativa antitrust senza ricorrere all�esercizio dei poteri formali a carattere sanzionatorio ad autoritativo attribuiti dalla legge n. 287/1990 (17). 4. Conclusioni Alla luce della ricostruzione proposta � facile comprendere il motivo per il quale le segnalazioni ed i pareri resi dall�Autorit� garante non siano soggetti ad impugnazione in via giurisdizionale: in quanto atti privi di efficacia vincolante, la parte istante, non avrebbe alcun interesse personale, concreto e attuale al loro annullamento (18). Ci� non significa affatto che segnalazioni e pareri non abbiano rilevanza alcuna. Si �, infatti, evidenziato come le funzioni conoscitive siano in grado di fornire ai soggetti istituzionali e agli operatori economici argomenti dotati di elevato tecnicismo ma, soprattutto, siano in grado di trasmettere una peculiare legittimazione � fondata sull�indipendenza e sulla competenza del giudizio � agli atti che in qualche modo ne incorporano le ragioni. Inoltre, la valenza dell�attivit� consultiva e di quella di segnalazione � ulteriormente accresciuta dal ruolo attribuito all�AGCM anche con riferimento all�ordinamento comunitario. Infatti, anche ai sensi di quanto previsto dall�art. 1 della stessa legge istitutiva (19) l�Autorit� antitrust non � solo deputata al rispetto delle regole concorrenziali ma ha, anche, l�importantissima funzione di garante della conformit� dell�ordinamento italiano al diritto comunitario in attuazione dell�art. 3A del Trattato di Maastricht che obbliga gli Stati membri a perseguire una politica economica condotta conformemente al principio di un�economia di mercato aperta ed in libera concorrenza. (17) Questa tecnica di orientamento dei comportamenti degli operatori economici � stata sperimentata soprattutto nell�ambito dell�ordinamento bancario nel quale l�organo di vigilanza (Banca d�Italia), specie in passato, privilegiava un approccio informale alla regolazione utilizzando solo in casi estremi gli ampi poteri di intervento conferiti dalla legge bancaria del 1936. (18) Sui caratteri dell�interesse a ricorrere nel processo amministrativo cfr, tra le tante, T.A.R. Napoli, VI, 14 febbraio 2005 n. 1046 in Foro amm. � Tar, 2005, 476; T.A.R. Piemonte, II, 4 ottobre 2003 n. 1220, in op.ult.cit., 2003, 2841; TA.R. Veneto, Sez. I, 5 febbraio 2003, n. 1082, in Foro amm. � Tar, 2003, p. 465 (19) Che, in particolare, al comma 4 stabilisce che �L�interpretazione delle norme contenute nel presente Titolo � effettuata in base ai principi dell�ordinamento delle Comunit� europee in materia di disciplina della concorrenza�. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 297 In tal senso le segnalazioni ed i pareri resi costituiscono una forma di coordinamento volto ad una uniforme interpretazione delle regole concorrenziali, condotta nel rispetto dei principi sanciti a livello comunitario. A dimostrazione di tale efficacia si registra la tendenza all�aumento dell�attivit� di segnalazione e consultiva: dai tre casi del 1992 si � arrivati ai 54 del solo 2008 (20), cifra, quest�ultima, con buone probabilit� destinata ad esser presto superata. Dott.ssa Maria Laura Tripodi* Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Prima, sentenza 3 febbraio 2008 n. 1027 - Pres. Giovannini, Rel. di Nezza - Ipzs s.p.a. (Avv.ti F. Tedeschini e P.S. Pugliano) c. Autorit� garante della concorrenza e del mercato (Avv. dello Stato D. Del Gaizo - AL 5027/05). (...omissis) FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso ritualmente instaurato l�Istituto poligrafico e zecca dello Stato, premettendo di essere responsabile del ciclo produttivo dei bollini farmaceutici, aventi natura di carte-valori, ha impugnato la segnalazione del 16 novembre 2004, con cui l�Autorit� garante della concorrenza e del mercato ha rilevato l�incompatibilit�, con la vigente normativa dettata in materia di appalti pubblici, dell�affidamento diretto della fornitura della carta speciale destinata alla realizzazione degli anzidetti bollini. A sostegno del gravame l�Istituto ricorrente ha dedotto i vizi di violazione e falsa applicazione dell�art. 4 d.lgs. n. 358 del 1992 e di eccesso di potere sotto molteplici profili (carenza dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicit� manifesta, contraddittoriet� e sviamento). Segnatamente, l�Autorit� non avrebbe tenuto conto della complessa disciplina concernente i bollini dei medicinali (e pi� in generale la fabbricazione delle carte-valori), incentrata sulla riserva legale istituita in favore dell�Ipzs per la produzione di detti bollini, al fine di contrastare le possibili frodi in danno del Servizio sanitario nazionale. In questa ottica, non sarebbe dubbia l�applicabilit� a tali forniture del menzionato art. 4, lett. c (recante l�esclusione dall�ambito precettivo delle norme di evidenza pubblica delle �forniture dichiarate segrete o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti o quando lo esiga la protezione degli interessi essenziali della sicurezza dello Stato�), presentandosi pertanto la censurata segnalazione affetta da contraddittoriet� intrinseca (essendo state in premessa enunciate le speciali misure di sicurezza previste per la peculiare attivit� in considerazione), da difetto di motivazione e di istruttoria (anche in ragione del mancato esame delle controdeduzioni rassegnate nel corso del procedimento) e da sviamento (alla luce della nota del Ministero della (20) Cfr. www.agcm.it . (*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 salute in data 4 dicembre 2003, con la quale veniva riconosciuta la perdurante sussistenza di �motivi di sicurezza� per l�attivit� in disamina). Si � costituita in giudizio la parte intimata, che ha eccepito l�inammissibilit� del ricorso e ne ha dedotto l�infondatezza nel merito, formulando le rispettive conclusioni. Successivamente, depositata dalla ricorrente una memoria difensiva, all�udienza del 14 gennaio 2009 la causa � stata trattenuta in decisione. 2. Il ricorso � inammissibile, risultando l�atto impugnato assunto nell�esercizio del �potere di segnalazione al Parlamento ed al Governo� attribuito all�Autorit� garante dall�art. 21 l. 10 ottobre 1990, n. 287 (collocato nel Titolo III della legge, sui �poteri conoscitivi e consultivi dell�Autorit��). A tenore di questa disposizione, l�Autorit� stessa: a) pu� individuare (�allo scopo di contribuire ad una pi� completa tutela della concorrenza e del mercato�) �i casi di particolare rilevanza nei quali norme di legge o di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale determinano distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale� (comma 1), segnalando le situazioni distorsive (se �derivanti da provvedimenti legislativi�, al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonch� �negli altri casi� al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri competenti e agli enti locali e territoriali interessati; comma 2); b) pu� inoltre (�ove ne ravvisi l�opportunit��) esprimere un �parere circa le iniziative necessarie per rimuovere o prevenire le distorsioni�, con la connessa facolt� di �pubblicare le segnalazioni ed i pareri nei modi pi� congrui in relazione alla natura e all�importanza delle situazioni distorsive� (comma 3). � stato giustamente osservato in dottrina come all�Autorit� sia stato affidato - in questi casi - il compito di riesaminare l�equilibrio tra la distorsione della concorrenza realizzata e l�interesse perseguito da una norma o da un atto amministrativo generale, dovendo essa effettuare una valutazione di proporzionalit� tra la restrizione della concorrenza implicita nelle prescrizioni soggette a scrutinio e il fondamento generale di razionalit� collettiva (in altri termini, l�interesse pubblico) che esse intendono perseguire. Si tratta cio� di una facolt� che sembra assolvere a una duplice funzione, tecnica (all�Autorit� � commessa l�analisi del mercato con l�individuazione delle soluzioni pi� favorevoli allo sviluppo della concorrenza) e di riequilibrio (�consistente nel dare voce ad un interesse, quello della concorrenza, che altrimenti non avrebbe riconoscimento, cos� contrastando gli interessi specifici che nei singoli casi invocano l�adozione di norme restrittive�). Questa peculiare attribuzione vale a definire in modo originale - almeno per il nostro sistema - il ruolo di �garante della concorrenza� assegnato dalla legge all�Autorit� antitrust, consentendole di intervenire (in posizione di ovvia neutralit�) finanche nella fase della formazione delle norme giuridiche, affinch� al titolare della relativa attribuzione (legislatore o autorit� governativa che sia) vengano adeguatamente rappresentate le dinamiche pro-competitive del settore sul quale si intende intervenire (e senza che ci� costituisca un vulnus alla natura tecnica dell�Autorit�, alla luce del fondamento comunitario del suo compito precipuo di tutelare e promuovere la concorrenza; attenta dottrina ricorda in proposito come l�art. 3A del Trattato di Maastricht obblighi gli Stati membri a perseguire una politica economica condotta conformemente �al principio di un�economia di mercato aperta e in libera concorrenza�). Quanto innanzi osservato consente allora di escludere che nel caso di specie sia stata assunta una determinazione avente portata autoritativa, consistendo piuttosto in un atto emanato nel contesto del rapporto di collaborazione tra soggetti pubblici divisato dal menzionato art. 21 (come attestato tanto dalla circostanza che la segnalazione � indirizzata al Ministro della salute, IL CONTENZIOSO NAZIONALE 299 quanto dal fatto che nella sua parte finale l�Autorit� non prescrive alcunch�, ma �confida� che le sue considerazioni �possano trovare adeguato seguito�), con la conseguenza che non si ravvisa in capo all�Istituto ricorrente una posizione giuridica sostanziale lesa dal potere amministrativo, e come tale idonea a sostenere il suo interesse ad agire in giudizio. 3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Sembra peraltro equo disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, definitivamente pronunciando, dichiara il ricorso inammissibile. Cos� deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 gennaio 2009. 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Provvedimento di revoca per interesse pubblico ed indennizzo (Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, Sezione Terza, sentenza 9 marzo 2009 n. 2372) La sentenza 9 marzo 2009 n. 2372 del Tar Lazio si segnala per aver affrontato una serie di tematiche attinenti all�esercizio dei poteri di autotutela da parte della stazione appaltante in sede di procedura ad evidenza pubblica ed e segnatamente in materia di revoca dell�aggiudicazione per sopravvenuta carenza di risorse finanziarie. Pur non introducendo elementi di discontinuit� rispetto agli indirizzi giurisprudenziali prevalenti la pronuncia si segnala per aver affermato che la partecipazione del privato alla fase procedimentale diretta all�emanazione del provvedimento di autotutela risulterebbe superflua nelle ipotesi in cui il provvedimento di secondo grado trova al sua giustificazione nella mancanza di risorse finanziarie, legittimando cos� una sanatoria del vizio ai sensi dell�art. 21 octies comma 2 della legge 241/1990. Trattasi di valutazione che, come richiesto dalla richiamata norma, deve avvenire in ogni caso in concreto, non risultando ammissibile una analisi �tipologia� della causa della revoca, tale da escludere a priori al necessit� della garanzia delle regole partecipative, anche se la specifica causale sembra assumere, a giudizio del Tar, un ruolo non certo secondario. Per quanto attiene alle conseguenze patrimoniali il TAR si pone sulla scia della giurisprudenza prevalente, che tende a valutare il complessivo comportamento dell�amministrazione sul piano della responsabilit� precontrattuale, tramite una analisi in concreto della fattispecie e con valutazione in termini di colpevolezza del contegno attivo o omissivo dell�amministrazione, il quale ultimo si pone quale spartiacque fra l�ipotesi indennitaria ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990 e quella risarcitoria. Proprio in termini di indennizzo la sentenza mostra profili di interesse aderendo alle condivisibili tesi che ritengono la richiesta indennitaria diversa da quella risarcitoria e richiedono pertanto la proposizione di una autonoma specifica domanda (eventualmente subordinata) da proporre anche tramite motivi aggiunti. L�indirizzo trova la sua evidente ratio nella diversit� dei presupposti della fattispecie rispetto a quella risarcitoria, richiedendo solo quest�ultima l�esistenza di un fatto qualificabile come illecito (oltre alla colpevolezza dell�agente). Non condivisibile � invece la sentenza l� dove afferma che �dalla previsione dell�art. 21 quinquies, per cui l�indennit� � dovuta quando la revoca incida su rapporti negoziali, si deve ritenere che questa non sia dovuta quando il provvedimento di revoca si verifichi prima della stipula del contratto�. Trat- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 301 tasi di interpretazione che pare porsi in netto contrasto con il 1� comma dell'art. 21 quinquies L. n. 241/1990, il quale prevede in linea generale che �se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l�obbligo di provvedere al loro indennizzo�. In detto quadro la specifica disposizione di cui al 2� comma della norma citata (introdotto dall�art. 12, D.L. 25 giugno 2008, n. 112), l� dove dispone che �ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l�indennizzo liquidato dall�amministrazione agli interessati � parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell�eventuale conoscenza o conoscibilit� da parte dei contraenti della contrariet� dell�atto amministrativo oggetto di revoca all�interesse pubblico, sia dell�eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all�erronea valutazione della compatibilit� di tale atto con l�interesse pubblico�, pur non scevro di difficolt� interpretative, � evidentemente diretto a disciplinare le modalit� di quantificazione dell�indennizzo in ipotesi di incisione della revoca su atti negoziali, ma non gi� ad escludere l�obbligo di corrispondere l�indennizzo nelle restanti fattispecie. Avv. Stefano Varone* Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III, sentenza 9 marzo 2009 n. 2372 - Pres. Amoroso, Est. Altavista - S. S. s.r.l. (Avv.ti A. ed E. Romano) c. Anas s.p.a. (Avv. dello Stato S. Varone - AL 47027/2006) - (respinge). (�Omissis) FATTO A seguito della gara indetta con bando del 24-5-2005, per l�affidamento dei lavori di manutenzione ordinaria di sostituzione e ripristino delle barriere metalliche di sicurezza dell�autostrada Salerno-Reggio Calabria, risultava aggiudicataria la societ� Sicurvie Service s.r.l.., aggiudicazione disposta con provvedimento del 30-8-2005. Successivamente, prima della stipula del contratto, con provvedimento del 26-7-2006, � stato disposto l�annullamento in sede di autotutela dell�intera di procedura di gara, non sussistendo le risorse finanziarie per far fronte agli impegni conseguenti all�affidamento. Avverso tale provvedimento � stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialit� della azione amministrativa; violazione dell�art 7 della legge n� 241 del 7-8-1990; vizio del procedimento; violazione e falsa applicazione del principio del contrarius actus, eccesso di potere per incompetenza; violazione e falsa applicazione degli artt 3 e 97 della Costituzione e degli artt1 e segg della legge n� 241 del 7-8-1990; carenza assoluta dei presupposti; vizio del procedimento; carenza di istruttoria; difetto dell�interesse pubblico specifico all�annullamento; ec- (*) Avvocato dello Stato. 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cesso di potere, sviamento. Si � costituita l�Anas, a mezzo dell�Avvocatura dello Stato, contestando la fondatezza del ricorso. Alla camera di consiglio del 13-12-2006, � stata respinta l�istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, non sussistendo il fumus boni iuris in ordine all�accoglimento del ricorso. All�udienza pubblica del 21-1-2008 il ricorso � stato trattenuto in decisione. DIRITTO Con il primo motivo di ricorso si sostiene la illegittimit� per la mancata comunicazione di avvio del procedimento. Tale censura non pu� essere accolta. Infatti, ai sensi dell�art 21-octies della legge n� 241 del 7-8-1990, introdotto dalla legge n� 15 del 2005, non � annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non � comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato . Quest�ultima parte della norma si applica anche alla attivit� discrezionale della Amministrazione, quando il contenuto del provvedimento a seguito dell�intervento partecipato del privato non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato (Consiglio di Stato Sez. VI, Sent. n. 1588 del 14-04-2008). Nel caso di specie, risulta dai provvedimenti impugnati e dalla difesa dell�Anas che la revoca � stata basata sulla mancanza di risorse finanziarie; rispetto a tale motivazione, che riguarda la possibilit� per la stazione appaltante di poter assumere gli impegni contrattuali, qualsiasi partecipazione del privato sarebbe stata ininfluente. La valutazione in ordine alla adeguatezza delle risorse finanziarie, propria della stazione appaltante, non avrebbe potuto essere diversa in relazione alle argomentazione eventualmente proposta dalla impresa in sede di partecipazione. Pertanto, si deve ritenere raggiunta la prova, ai sensi dell�art 21 octies comma 2, che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato. Con il secondo motivo di ricorso si sostiene la incompetenza dell�organo che ha adottato il provvedimento impugnato, in quanto sarebbe stato emanato da organo diverso da quello che ha emesso il provvedimento revocato. Il provvedimento impugnato � effettivamente, come sostenuto dal ricorrente, un annullamento in autotutela dell�intera procedura di gara e non solo dell�aggiudicazione. Il bando di gara � sottoscritto dal Responsabile del procedimento; la revoca della gara � stata, invece disposta dal Capo compartimento dell�ufficio Anas per la Salerno Reggio Calabria. Il capo compartimento � il dirigente preposto all�ufficio, pertanto, si deve ritenere rientrante nella sua competenza la revoca degli atti di gara. Tale censura � dunque infondata Ulteriore censura viene proposta avverso la motivazione della revoca per la carenza di risorse finanziarie. L�art 21 quinquies della legge n� 241 del 1990, introdotto dalla legge n� 15 del 2005, prevede che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento am- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 303 ministrativo ad efficacia durevole possa essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneit� del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l�indennizzo liquidato dall�amministrazione agli interessati � parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell�eventuale conoscenza o conoscibilit� da parte dei contraenti della contrariet� dell�atto amministrativo oggetto di revoca all�interesse pubblico, sia dell�eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all�erronea valutazione della compatibilit� di tale atto con l�interesse pubblico . Per valutare la legittimit� del provvedimento di revoca, si deve esaminare se l�Amministrazione abbia correttamente operato una valutazione delle circostanze sopravvenute e dell�interesse pubblico. Nel caso di specie, risulta dagli atti di causa che dopo l�aggiudicazione, in data 30-8-2005, l�Anas � stata interessata da una forte riduzione dei trasferimenti finanziari da parte dello Stato, in particolare con la legge finanziaria per il 2006. Con nota del 4-1-2006 il capo compartimento Anas disponeva la sospensione della stipulazione di tutti i contratti in corso. Successivamente, la Direzione generale dell�Anas rideterminava il bilancio 2006, riducendo le risorse destinate all�Ufficio per l�Autostrada Salerno Reggio Calabria. Pertanto veniva adottato il provvedimento impugnato. Tale valutazione dei nuovi presupposti di fatto e dell�interesse pubblico a non vincolare l�amministrazione con impegni di spesa non coperti, in un momento di forte riduzione delle risorse finanziarie, non pu� ritenersi illegittima. Di tali elementi, posti a base del provvedimento impugnato, � stato poi dato espressamente conto nella motivazione. N� si pu� ragionevolmente sostenere come afferma la difesa ricorrente che la gara era gi� finanziata con il bilancio dell�Anas per il 2005. Infatti in primo luogo, come d� atto lo stesso ricorrente, nel bando di gara si fa solo riferimento al bilancio ordinario Anas. Inoltre prevedibilmente il contratto sarebbe stato stipulato o quanto meno finanziato nel 2006. Comunque se anche la stazione appaltante avesse erroneamente indetto la gara in assenza di copertura finanziaria o avesse esaurito in altro modo i fondi, risponde sicuramente ad una migliore valutazione dell�interesse pubblico revocare la gara piuttosto che assumere impegni non coperti, esponendo l�amministrazione ad ulteriori spese . Sotto tali profili il ricorso � infondato e quindi deve essere respinto. Ne deriva il rigetto della domanda di risarcimento danni per il mancato utile derivante dalla stipulazione del contratto. Peraltro, si deve valutare se sussistano profili di responsabilit� precontrattuale dell�Amministrazione. Come riconosciuto anche dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (a. plen., 05 settembre 2005 , n. 6), nel caso di pur legittima revoca di una procedura di gara pu� residuare una responsabilit� a titolo precontrattuale nel caso in cui via stata una violazione degli obblighi di buona fede prima della stipulazione del contratto ovvero se il comportamento tenuto dall'amministrazione risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 c.c., e che tale comportamento abbia ingenerato un danno del quale appunto viene chiesto il ristoro. La domanda � infondata. La responsabilit� precontrattuale, indipendentemente dalla tesi accolta in ordine alla natura contrattuale o extracontrattuale, � dolosa o colposa. 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Nel caso di specie non si pu� ravvisare la colpa della Amministrazione. In primo luogo il mutamento di fatto � dovuto ad una diminuzione delle risorse finanziarie per l�Anas a seguito della legge finanziaria per il 2006. Appena avuta notizia dell�approvazione di tale legge, il capo compartimento dell�Anas di Cosenza ha disposto la sospensione della stipula dei contratti nel gennaio 2007. E quando � stata determinata dalla direzione generale dell�Anas la distribuzione delle risorse finanziarie per il 2007 � stata disposta la revoca della gara. Pertanto, la societ� ricorrente non ha potuto nutrire alcun affidamento. In ogni caso, il danno per la responsabilit� precontrattuale sarebbe limitato al cd. interesse negativo: spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e non della partecipazione alla gara che hanno subito che gli altri partecipanti e perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali, nel periodo tra l�aggiudicazione e la revoca, mentre non � risarcibile il mancato utile relativo alla specifica gara d'appalto revocata, spettando questa solo nel caso di revoca illegittima (Consiglio Stato , sez. IV, 07 luglio 2008 , n. 3380). Nel caso di specie non � stata data alcuna prova di tali specifiche voci di danno. Neppure, la societ� ricorrente, ha diritto all�indennit� ex art 21 quinquies della legge n� 241 del 7- 8-1990, in primo luogo tale indennit� non � stata espressamente richiesta e la giurisprudenza si � gi� pronunciata nel senso che si tratti di domanda nuova rispetto a quelle di annullamento e di risarcimento ( cfr. T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 05 luglio 2007, n. 2278 che ha affermato che tale domanda deve essere introdotta con motivi aggiunti); inoltre dalla previsione dell�art 21 quinquies, per cui l�indennit� � dovuta quando la revoca incida su rapporti negoziali, si deve ritenere che questa non sia dovuta quando il provvedimento di revoca si verifichi prima della stipula del contratto. Il ricorso � quindi infondato e deve essere respinto sia in relazione alla domanda di annullamento che a quelle di risarcimento danni. In considerazione della complessit� delle questioni trattate sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III, respinge il ricorso in epigrafe. P A R E R I D E L C O M I TAT O C O N S U LT I V O A.G.S. - Parere del 16 gennaio 2009 prot. n. 14803 - Delibazione in Italia di sentenze di Corti statunitensi avanzate nei confronti della Repubblica dell�Iran. (Avv. Diana Ranucci - AL 40704/08). �(...) codesta Amministrazione chiede il parere della Scrivente in ordine alla richiesta di delibazione formulata al giudice italiano, da parte di cittadini americani, di sentenze emesse dalla Corte Distrettuale della Columbia - USA, rispettivamente negli anni 2002, 2003, 2005 e 2006, nei confronti della Repubblica Islamica dell�Iran, quale parte soccombente. Codesto MAE premette di avere gi� provveduto, per via diplomatica, alla notifica dei singoli atti di citazione alla convenuta Repubblica iraniana; tuttavia, anche in considerazione di analogo precedente ove, a seguito di delibazione di sentenze di identico contenuto, i ricorrenti hanno poi agito in via esecutiva pignorando i conti correnti italiani della Repubblica iraniana, chiede il parere della Scrivente in ordine alle nuove domande in oggetto. In particolare codesta amministrazione chiede di sapere se, nel caso specifico, sussista la competenza del giudice italiano a ricevere domande (quali quelle in esame) dirette all'accertamento dei requisiti necessari per il riconoscimento, ex artt. 64 ss. legge n. 218/95, di sentenze straniere. 1) A parere di questa Avvocatura, il quesito attinente alla ammissibilit� della richiesta delibazione non pu� che ricevere risposta affermativa, nel rilievo che l�art. 67 L. 218/1995 espressamente dispone che: �In caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera o del provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse pu� chiedere alla corte d�appello del luogo di attuazione l�accertamento dei requisiti del riconoscimento�. Dalla lettura dell�atto di citazione, si evince che le parti agiscono in quanto non avendo la convenuta dato esecuzione alle sentenze, nonostante 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 la notifica avvenuta attraverso la Confederazione Svizzera in qualit� di agente diplomatico degli Stati Uniti, intendono iniziare l�esecuzione forzata su beni di propriet� del debitore identificabili in generale nel territorio italiano, per cui sussiste il presupposto della �mancata ottemperanza� richiesto dall�art. 67. Tale giudizio peraltro � ammissibile avanti al giudice italiano, pur quando all'attualit� manchino in Italia beni da sottoporre all�esecuzione, atteso che la natura ed i limiti dello stesso postulano che il thema decidendum sottoposto alla corte d�appello sia limitato ad accertare unicamente la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento automatico, di cui all�art. 64 della legge 218/95, rimanendo estranea all�oggetto del giudizio, anche in via di mero accertamento incidentale, ogni questione relativa alla titolarit� dei beni che l�attore intenda sottoporre ad esecuzione (Cass. Civ. Sez. Unite, sent. n. 22663 del 23.10.2006; V.B. c. Ljubljanska Banka D.D.) Anche sotto questo profilo quindi la richiesta americana formulata al giudice italiano appare ammissibile e conforme alle norme di legge, rientrando tale giudizio senza dubbio nella competenza della Corte d�Appello di Roma. 2) Ci� non toglie che spetti poi alla Corte romana valutare nel merito l�effettiva sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento, con accertamento da condurre alla luce dei requisiti fissati dall'art. 64 L.218/1995. Tale norma dispone che � riconosciuta in Italia una sentenza straniera, quando: �a) il giudice che l�ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell�ordinamento italiano; b) l�atto introduttivo del giudizio � stato portato a conoscenza del convenuto in conformit� a quanto previsto dalla legge del luogo dove si � svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si � svolto il processo o la contumacia � stata dichiarata in conformit� a tale legge; d) essa � passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui � stata pronunziata; e) essa non � contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato; f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero; g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico�. L�analisi dei principi contenuti nelle lettere a) e g) induce a ritenere che, nel caso di specie, la possibilit� di ottenere il richiesto riconoscimento dipende dalla qualificazione giuridica che la Corte d�Appello riterr� di attribuire all�atto compiuto in danno dell'Ambasciata Americana, ed in relazione al quale sono intervenute le sentenze del giudice statunitense (delle quali, peraltro, non si ha copia). PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 307 3) Il principio di cui alla lettera a), applicato al caso di specie, richiede che il giudice americano potesse conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale dell�ordinamento italiano, il che significa verificare se il giudice italiano fosse dotato di giurisdizione in ipotesi di azione risarcitoria proposta avverso uno stato estero per danni subiti da cittadini americani a seguito di un attentato terroristico riconducibile a una corrente politica dello stato convenuto. Il quesito non consente risposte univoche, atteso che mutua la propria soluzione dalla effettiva qualificazione giuridica che la Corte riterr� di attribuire all'atto terroristico da cui � scaturita la richiesta risarcitoria. Infatti qualora esso venga letto quale atto politico espressione di sovranit� statale straniera, dovrebbe trovare applicazione il principio di diritto consuetudinario internazionale, secondo cui �par in parem non habet iurisdictionem�, recepito nell�art. 10 della Costituzione, per cui sussiste l'immunit� dalla giurisdizione civile dello Stato estero in presenza di atti iure imperii, cio� espressione della loro sovranit�, nell�ottica di favorire le buone relazioni tra Stati, difendere le reciproche sovranit�, nel rispetto del principio di non ingerenza nei rapporti tra Stati ed al fine di evitare che una autorit� giurisdizionale straniera possa, in qualche misura, influire sulle scelte politiche di un altro Stato (tale principio � stato applicato da Cass. n 530/2000 sul caso Cermis). Peraltro, in questa prospettiva, l�atto neanche sembrerebbe rientrare nelle eccezioni al principio della immunit� dalla giurisdizione, individuate dalla giurisprudenza e dalla dottrina internazionalistica pi� recente, che sono incentrate �nel riconoscimento del primato assoluto dei valori fondamentali di libert� e dignit� della persona umana, tali per cui l�immunit� per gli atti iure imperii non � invocabile in presenza di comportamenti dello Stato straniero di tale gravit� da configurarsi quali crimini contro l�umanit�� (cos� Cass. civ. Sez. Un. n. 14199 del 29.5.2008): pare infatti che la fattispecie in esame (danni conseguenti all�attentato terroristico alla ambasciata USA in Libano compiuto da appartenenti al partito Hezbollah) non sia in s� configurabile come crimine contro l�umanit�. La soluzione � diametralmente opposta per il caso in cui invece l�attentato de quo � le cui conseguenze risarcitorie sono state comunque ritenute �riferibili�, secondo la menzionata sentenza del giudice statunitense, alla Repubblica islamica dell�Iran � vada in effetti qualificato, come pure pu� prospettarsi, come un mero atto terroristico e quindi un crimine comune, come tale non espressione della sovranit� della predetta Repubblica: con l�effetto che, in tale prospettiva verrebbe meno l�immunit� giurisdizionale di tale Stato, con il conseguente riconoscimento in Italia delle sentenze emesse dal giudice statunitense. Si sottolinea ancora come comunque la valutazione del caso concreto sia frutto di un esame che spetta unicamente all�organo giurisdizionale adito, per 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cui non � possibile allo stato formulare un giudizio prognostico certo circa l�esito dei richiesti riconoscimenti. 4) Rimane da analizzare l�aspetto relativo alle conseguenze dell�eventuale riconoscimento delle sentenze americane e del comportamento da adottare nella, presso che certa, successiva fase esecutiva. La consuetudine internazionale sull�immunit� degli Stati dalla giurisdizione cautelare ed esecutiva ha infatti subito un�evoluzione storica distinta da quella sull�immunit� dal processo di cognizione. Come osservato dalla Corte Costituzionale (sent. n.329/1992), per lungo tempo al �carattere c.d. relativo dell�immunit� dalla cognizione si [� opposto], nella pi� diffusa convinzione giuridica degli Stati, il carattere (almeno tendenzialmente) assoluto dell�immunit� dall�esecuzione�, e la ragione di tale diverso assetto � stata individuata nel fatto che l�attuazione di misure cautelari ed esecutive su beni di Stati esteri arreca un pregiudizio maggiore di quello derivante dalla sottoposizione dello Stato al giudizio cognitivo dello Stato del foro. Ancora la Corte Costituzionale (Corte Cost. sent. n. 48 del 12.6.79) ha osservato che �l�Ordinamento italiano si � adeguato, ancor prima dell�entrata in vigore della Costituzione, alla norma di diritto internazionale, generalmente riconosciuta, che ha sancito l�obbligo degli Stati di riconoscere reciprocamente ai propri rappresentanti diplomatici l�immunit� dalla giurisdizione civile, anche per gli atti posti in essere quali privati individui. In proposito la concorde dottrina internazionalistica, numerosi atti di legislazione dei singoli ordinamenti statali, la giurisprudenza consolidata dei giudici interni e soprattutto la consuetudine pi� che secolare degli Stati nelle loro reciproche relazioni, dimostrano, senza possibilit� di dubbio, la nascita di una norma generale avente per oggetto tale immunit�... Invero l�immunit� dalla giurisdizione civile, sia pure con talune eccezioni, � apparsa necessaria proprio per garantire la piena indipendenza nell�espletamento della missione: ne impediatur legatio�. Per tale motivo attualmente, il diritto internazionale (art. 19 lett. c, Convenzione delle Nazioni Unite) impone agli Stati di non sottoporre a misure coercitive i beni di Stati esteri destinati all'esercizio di pubbliche funzioni, ritenendo ammissibile l'esecuzione forzata unicamente se essa viene esperita su beni, o nell'ambito di beni, non destinati ad una pubblica funzione, quali, per esempio, immobili acquistati dallo Stato estero a titolo privato o per investimento. Nel successivo art. 21 sono poi, a titolo meramente esemplificativo considerato che non sempre � facile stabilire se un bene sia destinato o meno ad una pubblica funzione, enumerate specifiche categorie di beni protetti dall'immunit� statale perch�, per loro natura, considerati beni non commerciali: trattasi in particolare dei beni utilizzati dallo Stato nell'esercizio delle sue funzioni PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 309 diplomatiche, consolari o militari, i beni della banca centrale o i beni facenti parte del patrimonio culturale dello Stato. Nella specie, � probabile che gli attori intendano pignorare, come � gi� accaduto in analoga vicenda passata, i conti correnti iraniani accesi in Italia, rispetto ai quali dovrebbe ritenersi applicabile l�art. 21, lett. a, secondo cui i conti bancari usati, o da usare, nello svolgimento delle attivit� delle missioni diplomatiche, sono sottratti alle misure di esecuzione conseguenti ad un giudizio di cognizione; in mancanza di una destinazione specifica del conto, la giurisprudenza � orientata nel senso di ritenere che esso sia inattaccabile in quanto ab origine destinato a finanziare i fini istituzionali dello Stato estero (cos� Cass. Civ. Sez. Unite del 4.5.1989 n. 2085; Cass. Civ. Sez. Unite del 1.7.1997, n. 5888; nella giurisprudenza straniera, Corte Costituzionale Tedesca del 13.12.1977, Corte Suprema austriaca del 3.4.1986). 5) In conclusione, pur ricordandosi che l�esito del giudizio di delibazione non costituisce dato prevedibile con certezza, possono fissarsi i seguenti principi di massima: 1) nulla osta a che gli attori adiscano la Corte d�Appello italiana per il riconoscimento delle sentenze americane; 2) il riconoscimento stesso non appare dato certo, dipendendo lo stesso dalla qualificabilit� dell�atto, non gi� come atto espressione di sovranit� statale della Repubblica Islamica dell�Iran, sebbene come attentato terroristico e quindi come delitto di diritto comune; 3) i conti correnti iraniani accesi in Italia non dovrebbero essere passibili di azioni esecutive. In questa situazione non resta che attendere la decisione della Corte d�Appello di Roma, evidenziandosi che, come praticato in precedenti casi analoghi, codesto MAE potr�, se del caso, intervenire volontariamente, ad adiuvandum della Repubblica iraniana, nella eventuale fase esecutiva (...)�. A.G.S. - Parere del 16 gennaio 2009 prot. n. 14831 - Procedura selettiva interna per il passaggio dall�Area B posizioni economiche B1, B2 e B3 all�Area C, posizione CI, indetto con D.D. 13 luglio 2001. (Avv. Beatrice Gaia Fiduccia - AL 4312/08). �(...) con determinazione direttoriale n. 4109/U.R.U. del 13 luglio 2001, l�Agenzia delle Dogane ha indetto un corso-concorso per il passaggio dall�area B, posizioni economiche B1, B2 e B3, all�area C, posizione economica C1, in attuazione dell�art. 15, comma 1, lett. A), dell�allora vigente CCNL Comparto Ministeri 1998/2001 del 16 febbraio 1999. In conformit� al richiamato contratto collettivo nazionale possono pre- 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 sentare domande di partecipazione al corso-concorso i dipendenti delle posizioni B1, B2 e B3 e, quindi, anche non appartenenti alla posizione economica immediatamente inferiore a quella per la quale si concorre. La procedura selettiva interna si svolge su base regionale con l�intervento di pi� commissioni giudicatrici (presso 14 Direzioni Regionali) e si articola in due fasi, di valutazione titoli e di formazione. Nella prima fase vengono valutati i titoli dei candidati e formata la graduatoria intermedia. Secondo quanto concertato con le organizzazioni Sindacali con accordo del 15 gennaio 2001, poi recepito nel testo integrato del bando del 26 settembre 2001, sono ammessi a partecipare al percorso formativo (II fase), secondo le graduatorie intermedie, dipendenti in numero pari ai posti messi a concorso (per ogni Direzione Regionale), aumentati del 20%. Nella seconda fase � previsto, quindi, il percorso formativo che si conclude con esami e graduatorie finali. I dipendenti utilmente collocati nelle graduatorie sono dichiarati vincitori e accedono all�Area C, posizione economica C1, nei limiti dei posti messi a concorso. Con la nota in epigrafe codesta Agenzia delle Dogane assume che la procedura indetta e sopra descritta mal si concilia con le statuizioni espresse dalla Corte Costituzionale in ordine alle procedure selettive interne cd. per saltum, che ammettano cio� a partecipare anche dipendenti non appartenenti alla posizione economica immediatamente inferiore a quella per la quale si concorre (Corte Costituzionale n. 1/1999 e n. 194/2002). Aggiunge codesta Agenzia che l�ammissione contingentata al percorso formativo (non tutti i dipendenti che hanno presentato domanda, ma tanti quanti i posti messi a concorso aumentati del 20%), come detto concertata in sede sindacale con accordo del 15 gennaio 2001, sarebbe anch�essa viziata di illegittimit� perch� non prevista dal CCNL e lesiva della par condicio dei candidati. Rappresenta ancora codesta Agenzia che, proprio al fine di ovviare alle richiamate illegittimit�, il 1� agosto 2003 � stato siglato un accordo con le organizzazioni sindacali con cui si � prevista l�ammissione al percorso formativo di tutti i candidati appartenenti alle posizioni B3 (al 1� gennaio 2001), quindi anche in soprannumero ed indipendentemente dalla loro collocazione nelle graduatorie intermedie. L�ammissione non contingentata dei dipendenti provenienti dalla posizione economica B3 sarebbe, inoltre, propedeutica alla �preferenza� che, nella individuazione dei vincitori, si intenderebbe accordare agli stessi dipendenti, rispetto a quelli provenienti dalle posizioni B1 e B2, ai fini dell�accesso all�area superiore, indipendentemente dal voto conseguente nell�esame finale del percorso formativo e, quindi, dal posto occupato nelle graduatorie finali. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 311 Il menzionato accordo del 1� agosto 2003 non � mai stato formalmente recepito nel testo del bando; sicch� non tutte le commissioni giudicatrici vi hanno dato corso, proprio perch� estraneo alla lex specialis della procedura concorsuale. Ne � derivata una situazione disomogenea e sperequata, che ha generato ampio contenzioso. Tutto ci� assunto, con la richiamata nota prot. 7931 del 24 gennaio 2008 codesta Agenzia delle Dogane, chiarendo che allo stato sono state approvate solo 7 delle 14 graduatorie regionali dei vincitori, rappresenta l�intendimento di sanare definitivamente le illegittimit� denunciate mediante esercizio del potere di autotutela, ed al predetto fine chiede a questa Avvocatura Generale di esprimere parere sui seguenti quesiti: 1) se sia legittimo modificare ora parzialmente il testo del bando per renderlo conforme ai principi pi� volte sanciti dalla Corte Costituzionale, disponendo che siano ammessi al percorso formativo tutti i dipendenti appartenenti (al 1� gennaio 2001) alla posizione B3 che hanno presentato domanda, cos� formalmente recependo in sede di autotutela quanto gi� siglato in sede sindacale con il menzionato accordo del 1� agosto 2003 (con salvezza delle operazioni concorsuali gi� svolte e senza riaprire i termini di presentazione delle domande di partecipazione); 2) se sia legittimo impartire alle Direzioni Regionali direttive per l�approvazione delle graduatorie dei vincitori (ovvero per la rettifica delle graduatorie gi� approvate) che riconoscano la �preferenza� ai dipendenti gi� inquadrati nella posizione B3. In primo luogo, quanto alla questione del contingentamento del numero dei candidati da ammettere al percorso formativo, si chiarisce che non sembra possa profilarsi l�illegittimit� sul punto prospettata da codesta Agenzia. Rientra, infatti, nel potere organizzativo dell�Amministrazione regolare le procedure secondo principi di economicit� e celerit�, nel rispetto delle norme legislative e regolamentari e delle disposizioni dei contratti collettivi nazionali. L�Amministrazione, perci�, ben pu� articolare le procedure in pi� fasi e contingentare l�ammissione alle varie fasi, quando la totale partecipazione possa riflettersi negativamente sulla operativit� degli uffici (nel senso della legittimit� della predetta clausola con riferimento ad analoga procedura extra-area indetta dall�Agenzia delle Entrate anche T.A.R. Lombardia, sez. IlI, sentenza n. 131/07). Non si paventa l�affermato contrasto con la normativa di rango superiore, perch� il Contratto Collettivo Nazionale allora vigente non prevede, ma neanche esclude, la preventiva selezione mediante valutazione dei titoli. Nella specie, inoltre, l�ammissione al percorso formativo (II fase) avviene sulla base di graduatorie per titoli; talch� non si configura alcuna violazione del principio della par condicio dei candidati. 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Ci� chiarito, con riferimento al primo dei quesiti sottoposti, questa Avvocatura ritiene che l�avanzamento dello stato della procedura selettiva in esame, con la definitivit� - a quanto consta - della met� delle graduatorie approvate su base regionale; la complessa e frazionata situazione determinatasi all�esito della non uniforme condotta da parte delle commissioni esaminatrici, tanto nell�adozione dei criteri di ammissione al corso formativo, quanto nell�applicazione dei criteri preferenziali in favore dei dipendenti provenienti dalla p.e. B3; l�ampio e variegato contenzioso ingeneratosi all�esito ed affrontato dai locali T.A.R. con decisioni per vari profili contrastanti senza, per altro, che ad oggi sia stata resa nel merito alcuna pronuncia da parte del Consiglio di Stato, sono tutte circostanze che sconsigliano qualsiasi intervento in autotutela, segnatamente quello sottoposto ad esame, in quanto suscettibile, inevitabilmente e comunque, di inneseare ulteriore eontenzioso e rispetto al quale, in sintesi, difetta quell�interesse pubblico specifico, pitsupposto necessario per il legittimo esercizio del potere di riesame. Per le operazioni concorsuali ancora in corso di espletamento nelle varie sedi regionali si suggerisce, quindi, di rispettare la �regola del concorso�, dando applicazione esclusivamente a quanto previsto dal bando. Sul punto, le sommarie valutazioni espresse in sede cautelare dal Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza n. 4801/2005, resa con riferimento alla procedura che occupa, secondo cui �il bando non prevedeva l�ammissione automatica dei soggetti della fascia B3 e che lo stesso non pu� essere modificato con atto esterno del medesimo�, trovano conferma nella recentissitna ordinanza n. 69/09 del Consiglio di Stato con cui la stessa sez. IV, decidendo su procedura selettiva indetta dal Ministero dell�Economia e delle Finanze nel 2001, cui del pari seguirono in sede sindacale i medesimi �correttivi� adottati nella procedura che occupa, ha respinto l�istanza di sospensione della sentenza impugnata nell�interesse dell�Amministrazione, considerando in punto di fumus �alquanto dubbia la possibilit� di �salvare� la procedura con una modificazione �implicita� del bando di concorso per la sua �costituzionalizzazione�, mediante la previsione (postuma) di una �preferenza� a favore di taluni candidati.� Al fine comunque di ottenere dal Consiglio di Stato una pronuncia sulla questione - che possa orientare la condotta di codesta Amministrazione - si provveder� a sollecitare una decisione nel merito da parte di quel Giudice, facendo quindi riserva di far conoscere un definitivo parere; e si prega, nel contempo, di far conoscere se e quali tra i provvedimenti di approvazione delle graduatorie definitive, gi� intervenuti, siano stati impugnati dai soggetti interessati. Con riferimento al secondo dei quesiti sottoposti, resta, ovviamente, escluso che possa accordarsi la �preferenza� agli stessi dipendenti provenienti dalla p.e. B3 nella stesura delle graduatorie finali (rectius: nella individuazione PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 313 dei vincitori), preferenza impropriamente intesa nel senso e con l�effetto di lasciare ai dipendenti provenienti dalle p.e. Bl e B2 soli i posti residui. Tale criterio, infatti, che giammai potrebbe essere adottato sulla base di mere direttive da impartirsi alle commissioni giudicatrici, non solo non � previsto dal bando, ma viene inoltre dal CCNL del 1999-2001 limitato alle sole procedure relative ai passaggi infra-area, senza che possa altrimenti ritenersi conferente il richiamo, che codesta Agenzia a tal fine prospetta, al CCNL 2003-2005, siccome fonte diversa e successiva. Per quanto sopra esposto, si suggerisce a codesta Agenzia di assicurarsi della uniformit� di indirizzo da parte delle commissioni giudicatrici nel prosieguo delle operazioni concorsuali ancora in corso (...)�. A.G.S. - Parere del 12 marzo 2009 prot. n. 83046 - Schema di decreto ministeriale da adottare ai sensi dell�art. 2, comma 6, della legge 9 gennaio 2008, n. 180 nella formazione delle commissioni di concorso universitario. (Avv. Francesca Quadri - AL 5347/09). �(...) codesta Amministrazione sottopone alcuni quesiti relativi all�interpretazione dell�art. 1, commi 4 e 5 del D.L. 10.11.2008 n. 180 convertito, con modificazioni, dalla legge 9.1.2009, n. 1 ai fini dell�adozione del decreto ministeriale previsto dal comma 6 del medesimo articolo, concernente le modalit� di svolgimento delle elezioni e del sorteggio per la formazione delle Commissioni per le procedure di valutazione comparativa, rispettivamente, per il reclutamento dei professori universitari di I e II fascia della prima e seconda sessione 2008 e per il reclutamento di ricercatori universitari. Pi� specificamente, i quesiti attengono alle seguenti questioni: a) se il comma 4 dell�art. 1 debba essere interpretato nel senso che il sorteggio vada effettuato nell�ambito di un�unica lista in vista della costituzione delle Commissioni per le procedure di valutazione per il reclutamento di professori di prima e di seconda fascia ovvero di due liste destinate alla formazione delle Commissioni per il reclutamento, rispettivamente, dei professori di I e di II fascia; b) se, nel caso di insufficienza del numero necessario a formare la lista (triplo rispetto a quello dei commissari richiesti) di professori appartenenti al settore per cui sia stata bandita la procedura, sia rimessa agli stessi professori del settore la decisione di integrarsi con i professori del settore ovvero dei settori affini; c) quale sia il numero di preferenze che ciascun elettore deve esprimere; d) se possa applicarsi il disposto dell�art. 3, comma 9, 3� e 4� periodo, del dPR n. 117/2000 per il caso di elezioni suppletive mediante estensione 314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 dell�elettorato attivo ai professori dei settori scientifico-disciplinari affini; e) se risponde all�esigenza prevista dalla legge di assicurare, ove possibile, che almeno due dei commissari sorteggiati appartengano al settore disciplinare oggetto del bando, il meccanismo indicato all�art. 5, comma 1 lett. c) secondo capoverso dello schema di decreto. Sul quesito sub a), si osserva che un�interpretazione letterale del disposto normativo non pu� che far propendere verso la formazione di �una lista� (unica) di commissari, eletti in numero triplo rispetto al numero dei commissari complessivamente necessari nella sessione, su cui sorteggiare i componenti delle commissioni per le procedure di valutazione sia dei professori di I che di II fascia. In questo senso depone anche la circostanza che il legislatore abbia distinto in due diversi commi (4� e 5�) dell�art. 1 le procedure valevoli per la formazione delle commissioni per il reclutamento, rispettivamente, dei professori universitari di I e II fascia (4� comma) e di ricercatori universitari (5� comma), facendo riferimento in ciascun comma alla formazione di �una lista�. Non possono, evidentemente, sottacersi gli inconvenienti evidenziati nella richiesta di parere e nella relazione illustrativa che accompagna lo schema di decreto ministeriale, consistenti nell�insufficienza di un numero di professori pari al triplo del numero dei commissari occorrenti per molti settori tecnicoscientifici. Ci� potrebbe indurre a trovare una soluzione (peraltro neanche esaustiva, a quanto riferito) mediante la formazione di due liste, l�una su cui sorteggiare i commissari per le procedure di valutazione dei professori di I fascia, l�altra su cui sorteggiare i commissari per le procedure di valutazione dei professori di II fascia. Sebbene tale soluzione conduca ad un ridimensionamento (non gi� all�eliminazione) del ricorso ai settori affini, non pu� trascurarsi di considerare che essa comporterebbe una forzatura del significato della norma (�una lista�), specie ove si tenga conto che gli evidenziati inconvenienti sono stati tenuti presenti dal legislatore, che ha indicato la soluzione nel ricorso ai professori del settore (o dei settori) disciplinare affine ed allo svolgimento di elezioni suppletive. Peraltro, il rischio che sia messa in dubbio la legittimit� costituzionale della legge per violazione del principio di specificit� disciplinare da garantire nell�espletamento delle procedure di valutazione comparativa sembrerebbe superabile per il disposto che impone in ogni commissione la presenza di due commissari appartenenti al settore disciplinare oggetto del bando, cui si aggiunge il terzo nominato dalla facolt� che ha richiesto il bando. Le esposte considerazioni inducono ad esprimere parere favorevole all�adozione della prima delle due versioni del comma 1 dell�art. 2 del decreto proposte dalla Commissione. Sul quesito sub b), si ritiene che, nel caso si verifichi la circostanza indicata nell�inciso di cui al quarto capoverso del comma 4 ( settore costituito da un numero di professori ordinari pari o inferiori al necessario), la decisione di PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 315 integrare gli appartenenti al settore per cui � stata bandita la procedura comparativa con i professori dei settori affini non possa essere rimessa agli stessi professori del settore, ma sia da ricollegare, come effetto automatico al verificarsi della circostanza, alla chiara volont� del legislatore. Nel contesto considerato, l�avverbio �eventualmente� non pu� invero riferirsi alla eventualit� di ricorso all�integrazione (effetto � si ripete � automatico) ma all�eventualit� che il settore sia costituito da un numero di professori ordinari pari o inferiore al necessario. Quanto al quesito sub c), si concorda con codesta amministrazione sul fatto che, in mancanza di una espressa diversa previsione, il voto da esprimere da parte di ciascun elettore sia limitato ad uno (quindi con preferenza unica). Tale interpretazione, oltre a poggiare sulla assenza di una diversa volont� del legislatore � che avrebbe dovuto essere necessariamente espressa � a favore dell�espressione di pi� preferenze, � anche in linea con il meccanismo elettorale semplificato della lista unica. In effetti, una pluralit� di preferenze � e dunque di voti- avrebbe potuto trovare ingresso nel caso in cui il legislatore avesse optato per l�elezione di tante liste quante sono le procedure di valutazione, il che non trova riscontro nella scelta legislativa. Anche in ordine al quesito sub d), si suggerisce di evitare il ricorso ad un�interpretazione sull�estensione dell�elettorato attivo che, con lo scopo di venire incontro ad esigenze pratiche connesse all�insufficienza del necessario numero di professori in alcuni settori tecnico-disciplinari, finisce tuttavia con il collidere con il dettato normativo, esponendo l�amministrazione a possibili contenziosi. Se � vero che l�estensione al settore (o ai settori) affine � lo strumento indicato dal legislatore per raggiungere il numero necessario di componenti la lista � e dunque di professori eletti � non vi � ragione di estendere, al pari dell�elettorato passivo, anche l�elettorato attivo ai professori del settore (o dei settori) affine, in carenza di una apposita norma. Vero � che l�art. 1, comma 6, del D.L. n. 180/2008 ammette l�applicazione delle disposizioni di cui al D.P.R. 23 marzo 2000, n. 117, in quanto compatibili con il decreto legge.Ma l�estensione dell�elettorato attivo ai settori affini a quello per cui � stata bandita la procedura sembrerebbe abbisognare di una inequivoca indicazione di rango primario. Ci� � confermato dalla circostanza che l�art. 2, comma 1 lett. b), nn. 1, 2 e 3 della legge 3 luglio 1998 n. 210, recante i criteri direttivi per il regolamento relativo alle procedure per la nomina in ruolo � poi emanato con il D.P.R. 23.3.2000 n. 117 � espressamente prevedeva l�elettorato attivo non solo dei professori appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, ma anche � ove necessario � dei professori appartenenti ai settori affini. Una simile disposizione non si rinviene nei commi 4 e 5 dell�art. 1 del D.L. n. 180/2008 ove, per converso, � espressamente previsto (2� periodo) che l�elettorato attivo sia costituito dai professori ordinari e straordinari appartenenti al 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 settore oggetto del bando. Si suggerisce, pertanto, di modificare il comma 2 dell�art. 3 dello schema di decreto prevedendo che in entrambe le fasi l�elettorato attivo sia costituito esclusivamente da professori appartenenti al settore scientifico-disciplinare per il quale � bandita la procedura. Si potrebbe semmai valutare, ove effettivamente ve ne sia la necessit�, di ammettere una deroga nel solo caso in cui manchino del tutto professori appartenenti al settore oggetto di procedura. Venendo al quesito sub e), si concorda sulla finalit� della previsione di cui al secondo e al terzo periodo della lettera c. Si sottopone tuttavia alle valutazioni di codesta amministrazione l�eventualit� di inserire � per chiarezza � al secondo ed al terzo periodo, dopo le parole �dei successivi due agli altri componenti della lista� le parole �appartenenti sia al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, ove non destinati ad altra commissione del medesimo settore, che a quelli affini�. Ci� al fine di scongiurare la possibilit� che i secondi due numeri d�ordine possano essere attribuiti esclusivamente a professori appartenenti a settori affini, se non nei casi in cui i professori del settore debbano essere �prescelti�- in quanto appartenenti al settore oggetto della procedura - per la composizione di altra commissione della stessa sessione (...)�. A.G.S. - Parere del 26 marzo 2009 prot. n. 99560 - Interpretazione dell�art. 68, comma 2, del D.Lgs. n. 546/92 in tema di riscossione tribut. (Avv. Giuseppe Albenzio - AL 23083/08). �(...) codesta Agenzia ha chiesto il parere della Scrivente in ordine alla interpretazione dell�art. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/92. In particolare si chiede di sapere se tale disposizione si applichi alle sole imposte la cui riscossione in corso di giudizio � disciplinata dal comma 1 (riscossione c.d. �frazionata�), ovvero a qualsiasi tributo, ivi comprese le imposte doganali per le quali la riscossione frazionata non risulta applicabile, in quanto a norma dell�art. 24 par. 1 del Reg.(CE) 23.4.2008 n. 450/2008 �la presentazione di un ricorso non sospende l�applicazione della decisione contestata�. Si chiede infine se il meccanismo di cui all�art. 68 citato si applichi anche alle sanzioni amministrative. L�art. 68 del D.Lgs. n. 546/92, dopo avere previsto al comma 1 la riscossione graduale del tributo in pendenza di giudizio, al comma 2 cos� dispone: �Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d�ufficio PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 317 entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza�. In sostanza il legislatore ha previsto che, una volta intervenuta una pronuncia di merito della Commissione che dichiari non dovuto un tributo, l�Amministrazione debba provvedere d�ufficio alla restituzione delle somme medio tempore incamerate. Ci� premesso, questa Avvocatura ritiene che al quesito formulato debba darsi risposta affermativa, nel senso che il citato comma 2 sia applicabile a tutti i tributi. Ed invero: 1) da un punto di vista strettamente letterale, l�art. 68 � intitolato �pagamento del tributo in pendenza del processo�, formula che non appare ostativa ad attribuire natura di portata generale al principio contenuto nel comma 2; 2) la legge delega, in base alla quale il D.Lgs n. 546/92 � stato emanato, non distingue al riguardo tra tributi esigibili in corso di causa per l�intero ovvero in modo frazionato; in particolare l�art. 30 comma 1 alla lettera l) prevede come criterio unicamente la �previsione dell�esecuzione coattiva delle decisioni anche a carico dell�Amministrazione soccombente�; 3) una diversa lettura della norma sarebbe di difficile giustificazione sotto il profilo del rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza. Non si comprenderebbe infatti per quale motivo un contribuente che usufruisce del meccanismo di riscossione frazionata del tributo, in presenza di una sentenza di merito che ne accerti la non debenza debba vedersi restituito quanto nel frattempo pagato, mentre un altro contribuente il cui tributo � interamente esigibile (oltre a dover eseguire il pagamento dell�intero in pendenza del giudizio), vedrebbe il suo diritto alla restituzione precluso nonostante l�emanazione di una o pi� sentenze favorevoli, e subordinato solo ad un giudicato favorevole, intervenuto magari ad anni di distanza. Tale disparit� di trattamento (come si � detto, non prevista nella legge delega) potrebbe apparire ingiustificata, per cui una lettura costituzionalmente orientata della disposizione dovrebbe portare ad una applicazione generalizzata del comma 2. 4) L�attribuzione di una sorta di immediata esecutivit� alla sentenza del giudice di merito (come emerge dall�art. 68 comma 2), appare pi� coerente con il sistema processuale nel suo complesso. Oltre ad essere la regola nel processo civile (art. 282 c.p.c.), l�immediata esecutivit� della sentenza di merito viene valorizzata anche per gli effetti dal punto di vista cautelare. L�art. 22 del D.Lgs. 472/97 ad esempio, prevede che i provvedimenti cautelari previsti dalla stessa disposizione (a garanzia di sanzioni, tributi ed interessi: cfr. art. 27 comma 5 D.L. n. 185/2008) �perdono altres� efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda. La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell�ipoteca�. 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 Anche la giurisprudenza appare orientata in questo senso; in tema di fermo amministrativo ex art. 69 L. Cont. St. la Suprema Corte ha precisato che tale strumento cautelare �ove sia stato disposto a tutela di un credito tributario, diviene illegittimo a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, annulla l'atto impositivo: tale sentenza, infatti, fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell�atto amministrativo che la legittima�, precisando inoltre: �Dunque la legge vuole che la situazione patrimoniale del contribuente non sia pregiudicata da un atto amministrativo che il giudice competente ha valutato illegittimo; neppure sotto il limitato profilo di un diritto della Amministrazione a trattenere quanto versato, magari spontaneamente, dal contribuente�. (Cass. Sez. Trib. 22.9.2006 n. 20526, che disattende la precedente sentenza n. 4219/2004). N� argomenti a contrario sono desumibili dalle sentenze di merito di varie Commissioni Tributarie trasmesse con la nota 9.2.2009 n. 18557/2009. In tali decisioni infatti ci si limita ad affermare il principio che il meccanismo di riscossione frazionata di cui all�art. 68 comma 1 non � applicabile alle imposte doganali; il che non � per� di ostacolo, per i motivi sopra detti, all�applicabilit� a tali imposte del comma successivo. In conclusione, l�art. 68 comma 2 del D.Lgs. n. 546/92 appare essere un principio di carattere generale, applicabile a tutti i casi di ricorso avverso un atto impositivo, indipendentemente dal fatto che la riscossione del tributo in corso di causa sia frazionata o meno. Tale meccanismo risulta applicabile anche alle sanzioni tributarie in virt� dell�art. 19 comma 1 del D.Lgs. n. 472/1997, in forza del quale �In caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non � prevista riscossione frazionata, si applicano le disposizioni dettate dall'articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario� (...)�. A.G.S. - Parere del 30 marzo 2009 prot. nn. 101656-101674-101688 - Accertamenti medico-fiscali nei confronti dei dipendenti assenti per malattia. Relativi oneri. (Avv. Gianni De Bellis - AL 46696/08) �(...) codesta Agenzia ha chiesto il parere della Scrivente in ordine al soggetto a cui debba far carico l�onere degli accertamenti medico�fiscali eseguiti nei casi di assenza per malattia dei propri dipendenti, anche alla luce della recente sentenza n. 13992/08 della Corte di Cassazione, nella quale � stato precisato che �L�attivit� di controllo medico-legale sulle condizioni di salute dei lavoratori, ai fini di accertare, su richiesta del datore di lavoro, la legittimit� PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 319 dell'assenza dal lavoro, pur rientrando nella competenza funzionale delle USL, in ragione della previsione di cui all'art. 14, comma 2, lett. q), della legge 23 dicembre 1978 n. 833, � assoggettata a compenso; dalla citata norma, infatti, non deriva un principio di gratuit� della prestazione in esame, giacch� con l�istituzione del servizio sanitario nazionale non � stato introdotto alcun principio generale di gratuit� delle prestazioni erogate dal predetto servizio, come pu� desumersi sia dall'art. 69, lettera e), legge n. 833 del 1978, che menziona, tra le entrate del fondo sanitario nazionale, i proventi derivanti da attivit� a pagamento svolta dalle USL e dai presidi nazionali ad esse collegati, sia dal combinato disposto di cui agli artt. 3, comma 2, e 19 della medesima legge, dai quali si evince che la gratuit� � riferita solo a quelle prestazioni che devono essere garantite a tutti i cittadini�. Questa Avvocatura osserva al riguardo che dal punto di vista normativo la materia � disciplinata dal D.P.C.M. 29.11.2001 (recante �Definizione dei livelli essenziali di assistenza�) peraltro successivo ai fatti che hanno dato origine alla citata sentenza n. 13992/08 (risalenti al 1998), per cui tale decisione assume rilievo limitatamente all�affermazione secondo cui dall�art. 14 della legge n. 833/1978 non deriva la gratuit� della prestazione. Il citato D.P.C.M. 29.11.2001 � stato invece oggetto di esame da parte del Consiglio di Stato il quale nella sentenza 14.11.2008 n. 5690 ha affermato: ��Sotto l�aspetto strettamente letterale, che al servizio sanitario nazionale spetti di certificare l�assenza per motivi di salute dei dipendenti pubblici (cfr. Cons. Stato, Ad. Gen. 11 ottobre 1984 n. 27) non implica la necessaria gratuit� delle relative prestazioni, in quanto l�art. 14, comma terzo, lett. q, L. 23 dicembre 1978 n. 833, pur disponendo nel senso della spettanza alle unit� sanitarie locali (ora aziende sanitarie locali) della competenza relativamente �agli accertamenti, alle certificazioni e a ogni altra prestazione medico-legale�, � privo di qualsiasi norma sulla gratuit� ed onerosit� delle relative prestazioni. L�allegato 1 A al DPCM 29 novembre 2001, par. l, lett. G, comprende tra i livelli essenziali di assistenza il �Servizio medico-legale�, tuttavia l�allegato 2 A, lett. e, al decreto citato, esclude dall�ambito dei livelli suindicati le �certificazioni mediche, comprese le prestazioni diagnostiche necessarie per il loro rilascio, non rispondenti a fini di tutela della salute collettiva, anche quando sono richieste da disposizioni di legge� [�] la prestazione richiesta all�azienda sanitaria si risolve in un adempimento procedimentale diretto alla verifica dei presupposti dell�assenza del dipendente dal posto di lavoro al fine dell�applicazione degli istituti retributivi conseguenti alla malattia � dai quali esulano, in larga parte le finalit� assistenziali e quelle consistenti nella salvaguardia della salute collettiva��. La decisione sembra corretta, tenuto conto altres� che oltre alla previsione contenuta nell�Allegato 2A) richiamato dal Consiglio di Stato, al punto 3) dell�All. 1 dello stesso D.P.C.M. si legge: �Non rientrano tra i livelli essenziali 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 di assistenza, come specificato nell'allegato 2A, le certificazioni mediche non rispondenti a fini di tutela della salute collettiva, anche quando richieste da disposizioni di legge. Si fornisce di seguito, per completezza, un elenco di tali prestazioni che, sebbene non ricomprese nei LEA ed erogate con onere a carico dell'interessato, costituiscono compito istituzionale delle strutture erogatrici� e nell�elenco riportato di seguito risultano inseriti gli �Accertamenti medico legali nei confronti di dipendenti pubblici�. Tale essendo la situazione sotto il profilo sia normativo che giurisprudenziale, questa Avvocatura ritiene che gli oneri delle visite fiscali dei dipendenti pubblici assenti per malattia debbano gravare sui soggetti richiedenti e non sulle ASL. Il presente parere, stante la rilevanza della questione per tutto il settore del pubblico impiego (anche sotto il profilo dell�applicazione dell�art. 71 del D.L. n. 112/2008), viene trasmesso alla Presidenza del Consiglio ed al Ministero in indirizzo per le iniziative che riterranno di adottare, considerando che � comunque possibile pervenire ad una modifica del D.P.C.M. 29.11.2001 con la procedura di cui all�art. 6 comma 1 del D.L. n. 347/01 (che prevede l�intesa con la Conferenza Stato � Regioni) (...)�. A.G.S. - Parere del 30 marzo 2009 prot. n. 101695 - Verbale di conciliazione Co.re.com., ex art. 2, comma 24, lett. b) Legge 481/1995. (Avv. Marco Stigliano Messuti - AL 1299/09). �(...) codesta Autorit� (per le garanzie nelle comunicazioni) ha chiesto di conoscere l'avviso dello Scrivente in ordine alle seguenti questioni: 1) Quale sia la natura del verbale di conciliazione ex art. 2, comma 24, lettera b), Legge 481/1995; 2) Se il verbale al fine di essere posto in esecuzione debba essere munito della formula esecutiva; 3) Quale sia, nell�affermativa, il soggetto deputato ad apporre la formula esecutiva. Quanto alla prima questione si osserva quanto segue: L�art. 2 comma 24, Legge 481/1995 cos� dispone: �Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o pi� regolamenti emanati ai sensi dell�articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definiti: b) i criteri, le condizioni, i termini e le modalit� per l�esperimento di procedure di conciliazione o di arbitrato in contraddittorio presso le Autorit� nei casi di controversie insorte tra utenti e soggetti esercenti il servizio, prevedendo altres� i casi in cui tali procedure di conciliazione o di arbitrato possano PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 321 essere rimesse in prima istanza alle commissioni arbitrali e conciliative istituite presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580 . Fino alla scadenza del termine fissato per la presentazione delle istanze di conciliazione o di deferimento agli arbitri, sono sospesi i termini per il ricorso in sede giurisdizionale che, se proposto, � improcedibile. Il verbale di conciliazione o la decisione arbitrale costituiscono titolo esecutivo�. Codesta Autorit� ha definito i presupposti, l�iter e gli effetti della procedura di conciliazione delle controversie tra gli operatori di comunicazioni elettroniche e gli utenti con delibera n. 173/07/CONS. L�art. 12, comma 2 cos� dispone: �Il verbale di conciliazione, sottoscritto, oltre che dalle parti, dal responsabile della procedura designato dal Co.re.com (Commissione Regionale Consumatori) territorialmente competente, o dal suo delegato, che certifica l�autografia delle sottoscrizioni, costituisce titolo esecutivo ai sensi dell�art. 2, comma 24, lettera b), della legge n. 481 del 1995�. In virt� dell�espressa previsione normativa, di cui all�art. 2 comma 24, lettera b) Legge 481/95 il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo ex lege e rientra nel novero dei titoli esecutivi richiamati dall'art. 474, n. 1) cpc ultimo periodo: �gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva�. Il verbale di che trattasi, non ha natura, n� carattere, di provvedimento giurisdizionale, in quanto il Co.re.com non esercita funzioni giudiziarie, ma amministrative, collaborando fattivamente alla ricerca di un esito favorevole della controversia. In tal senso depone anche l�art. 9, commi 3 e 4, del Regolamento che prescrive: comma 3: �Il responsabile del procedimento invita le parti ad esporre le rispettive ragioni, al fine di chiarire i punti di contrasto e di individuare una soluzione reciprocamente accettabile�; comma 4: �In qualsiasi fase della conciliazione, il responsabile del procedimento pu� suggerire alle parti una o pi� soluzioni alternative per la composizione della controversia�. Al riguardo il verbale di conciliazione in oggetto � assimilabile al verbale di conciliazione di cui all�art. 66, 5� comma, D.Lgs 165/2001 (T.U. pubblico impiego) che scaturisce da un procedimento nel quale non � previsto in alcun modo, l�intervento dell'Autorit� giudiziaria, ed a quello previsto dall�art. 12 del Regolamento dell�Autorit� Garante Concorrenza e Mercato del 19/4/2007 n. 173/07/CONS (in GU 25/5/2007 n. 120), sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori della comunicazione ed utenti. Quanto alla seconda questione si osserva: L�art. 475 cpc individua gli atti che per valere come titolo per l�esecuzione forzata debbono essere muniti della formula esecutiva. A parere di questa Avvocatura, sussiste una perfetta simmetria tra gli articoli 474 e 475 del codice di procedura civile. 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 L�art. 475 cpc individua tra i titoli esecutivi menzionati dall�art. 474 cpc tre sole categorie che devono essere munite della formula esecutiva: - Le sentenze e gli altri provvedimenti dell�autorit� giudiziaria (art. 474 n. 1 prima parte cpc); - gli atti ricevuti da notaio - art. 474 n. 3) cpc -; - gli atti ricevuti da altro pubblico ufficiale - art. 474. n. 3) cpc -. Non rientrano pertanto nell�alveo dell�art. 475 cpc, e quindi non richiedono l�apposizione della formula esecutiva, �gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva� di cui all'art. 474, ultimo periodo cpc, che sono, come gi� chiarito al punto 1) proprio i verbali di conciliazione di che trattasi. Questi ultimi, rientrando nella previsione di cui all�art. 474, n. 1) ultimo periodo cpc, sfuggono alla necessit� dell'apposizione della formula esecutiva, alla stregua degli atti, per cos� dire, a formazione amministrativa (da cui si distinguono), quali l�ordinanza/ingiunzione di cui alla legge n. 689/1981; l�ingiunzione fiscale ex R.D. 639/1910, il ruolo per la riscossione delle entrate tributarie. N� la circostanza, che il responsabile della procedura designato dal Co.re.com �certifichi l�autografia delle sottoscrizioni� dei verbali di conciliazione, costituisce elemento sufficiente perch� possano essere fatti rientrare nell�ambito dell'art. 474 n. 3) cpc quali �atti ricevuti da altro pubblico ufficiale� che necessitano per essere posti in esecuzione dell�apposizione della formula esecutiva. Questi ultimi, infatti, costituiscono espressione dell�autonomia privata laddove il pubblico ufficiale interviene solo con un ruolo di certificazione di attivit� posta in essere da privati, laddove invece nel caso del verbale di conciliazione, il funzionario designato co.re.com. interviene, con un ruolo anche propositivo, nell�ambito di un procedimento amministrativo. Tale interpretazione, trova conferma, argomentando per esclusione, dall�esame dell�art. 140, del D.lgs 6/9/2005, n. 206 (codice del consumo), laddove � invece espressamente disciplinato che il processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell'organismo di composizione extragiudiziale adito, costituisce titolo esecutivo solo quando intervenga l�omologazione da parte del Tribunale. In tal caso, ne consegue, che il verbale omologato da un atto dell�autorit� giudiziaria, per essere posto in esecuzione necessiter� della formula esecutiva ex art. 475 cpc. Il parere della Scrivente sul punto, esclude la necessit� di pronunziarsi sulla terza questione. Pertanto, non si condivide l�orientamento espresso dal Presidente del Tribunale di Milano che ha respinto una richiesta, presentata in cancelleria, di apposizione della formula esecutiva sul verbale di conciliazione, perch� la stessa doveva essere apposta dal Co.re.com. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 323 Infatti in virt� delle considerazioni gi� espresse, il verbale di che trattasi, � esente dalla spedizione in forma esecutiva. Sulla questione oggetto del presente parere, � stato sentito il Comitato Consultivo nella seduta del 27 marzo 2009, che si � espresso in conformit� (...)�. A.G.S. - Parere del 30 marzo 2009 prot. nn. 102314-102324-102331- 102341 - Trattamento di missione del personale amministrativo dello Stato. Pernottamento e rientro in sede. (Avv. Antonio Palatiello - AL 26180/08). La Corte d�appello di Perugia chiede di conoscere se, in base agli artt. 4 della legge n. 417/78 e 30 CCNL dei Ministeri, l�autorizzazione al pernottamento in albergo del personale inviato in missione possa essere concesso soltanto se sussistano contemporaneamente i due �requisiti� della durata della missione superiore a 12 ore e della distanza dal luogo di missione percorribile soltanto con un tempo superiore ai 90 minuti, oppure se sia sufficiente uno soltanto dei due presupposti; chiede inoltre di conoscere: a) se il tempo di percorrenza vada valutato con riguardo agli orari del primo mezzo utile, oppure a quelli dell�intera giornata; b) se la missione svolta per pi� giorni consecutivi debba automaticamente considerarsi superiore alle 12 ore, oppure se occorra considerare l�impegno giornaliero, comprensivo del tempo di viaggio. Con note del 25 giugno 2008, n. 773 e del 12 settembre 2008, n. 42972, il Ministero della Giustizia ha evidenziato, anche con richiamo alla conforme opinione del MEF, che entrambi i �requisiti� sopra ricordati sono ancora vigenti, ma per l�autorizzazione al pernottamento � assorbente la durata della missione superiore alle 12 ore; per le missioni consecutive, aggiunge il Ministero della Giustizia, occorre avere riguardo alla durata dell�impegno giornaliero. L�art. 5 dPR 23.8.1988, n. 395, dispone che per incarichi di missione di durata superiore a 12 ore compete fra l�altro il rimborso della spesa per il pernottamento in albergo. La disposizione � ripetuta nell�art. 30, comma 2, CCNL integrativo per i ministeriali del 16 febbraio 1999 (Acc. 16.5.2001). Qui no si fa richiamo all�elemento della distanza o del tempo di percorrenza: che dunque non � richiesto ai fini del diritto al pernottamento: ed � evidente la ratio di tale esclusione, ove si consideri l�impegno psicofisico per un lavoro che si protragga oltre le 12 ore, sostanzialmente incompatibile con ulteriori rinvii del naturale riposo. In ordine agli altri due quesiti proposti dalla Corte d�appello di Perugia si osserva: a) il tempo di percorrenza (che per le missioni continuative di durata in- 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 feriore alle 12 ore indica il discrimine tra il diritto a pernottare in albergo e �l�obbligo di rientro�) va logicamente considerato con riferimento ai mezzi utili ovviamente successivi al termine dell�impegno giornaliero; dall�art. 30, comma 1, lett. g), si desume che il tempo di viaggio (e perci� anche dell�attesa del mezzo pubblico) �pu� essere considerato attivit� lavorativa� e dunque, quando tra i mezzi utilizzabili quello di percorrenza non superiore ai 90 minuti non sia il primo, l�impiegato � tenuto a tornare semprech� l�attesa, cumulata con il servizio reso, non superi le 12 ore. Sul punto, peraltro, la clausola contrattuale appena ricordata prevede un �quadro di razionalizzazione� a cura dell�Amministrazione; b) la missione che si svolga per pi� giorni consecutivi non � automaticamente una missione di durata superiore alle 12 ore, ai fini del rientro e del pernottamento. Restano da esaminare, per completezza, in particolare altre due vicende: la prima riguarda il caso in cui il viaggio di ritorno superi i 90 minuti e la missione non continuativa abbia comportato un�attivit� lavorativa non eccedente l�orario (ordinario e straordinario) abituale. In tale ipotesi l�impiegato non ha diritto al pernottamento in albergo, semprech�, ovviamente, non ricorra il caso di cumulo sopra descritto sub a). L�altra vicenda � quella della missione continuativa, comportante impegno giornaliero non superiore all�orario abituale di lavoro, con il viaggio di ritorno che superi i 90 minuti. In tal caso il dipendente ha diritto al pernottamento in albergo (art. 3 d.P.R. n. 513/78) (...)�. A.G.S. - Parere del 15 aprile 2009 prot. n. 119203 - Mondiali di nuoto �Roma 2009�. Interventi di implementazione dei circoli sportivi privati nel territorio del Comune di Roma. Obbligo di pagamento degli oneri di urbannizzazione. (Avv. Fabrizio Fedeli - AL 7447/09). �(...) codesto Ufficio ha domandato l�avviso della Scrivente in merito alla possibilit� di considerare esonerati dal pagamento del contributo di costruzione, previsto dall�art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, i lavori di implementazione degli impianti, ad opera dei Circoli sportivi privati, in vista del �grande evento� dei Campionati del Mondo di Nuoto di Roma 2009. Secondo codesto Commissario la deroga al pagamento del contributo di costruzione potrebbe rinvenire un fondamento giustificativo nell�art. 17 comma 3 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001: - trattandosi di impianti e di opere �di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti�, in considerazione dell�impegno dei Circoli privati autorizzati a porre a disposizione l�impianto del Comitato organizzatore PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 325 dei Campionati del Mondo di Roma 2009, a non mutare la destinazione d�uso dell�impianto sportivo natatorio e a svolgervi o a farvi svolgere attivit� sportiva agonistica nell�ambito delle discipline regolamentate dalla Federazione Italiana Nuoto per un periodo non inferiore ad anni quindici mediante la stipula di convenzioni con associazioni sportive dilettantistiche affiliate alla F.I.N., con le scuole e le associazioni del territorio; - trattandosi di opere di urbanizzazione secondaria (ai sensi dell�art. 4 della legge 29 settembre 1964 n. 847) eseguite da privati. Inoltre, codesto Commissario delegato prospetta la riconducibilit� della fattispecie all�esonero previsto dall�art. 17 comma 3 lett. d) �per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamit�� sul presupposto che la possibilit� di adottare ordinanze in deroga al diritto vigente, ai sensi dell�art. 5 della L. 24 febbraio 1992 n. 225, � stata estesa, dall�art. 5 bis comma 5 del D.L. 7 settembre 2001 n. 343, anche ai �grandi eventi�. La tematica dell'esenzione dal pagamento dei contributi di concessione per le opere pubbliche o di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), Legge n. 10 del 1977 e, attualmente, dell'art. 17, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001 � stata oggetto di ampio esame da parte della giurisprudenza amministrativa che � pervenuta ad enucleare principi uniformi che non depongono, tuttavia, a sostegno delle tesi prospettate, in via principale e subordinata, da codesto Ufficio. L�esenzione dal pagamento del contributo di concessione di cui all'art. 17, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001 si ha �per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonch� per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici�. Quale indirizzo interpretativo di fondo non si pu� trascurare che la norma, concedendo un beneficio derogatorio al regime generale, deve interpretarsi secondo criteri restrittivi ed in stretta armonia con il suo tenore letterale e la sua ratio (T.A.R. Lombardia Brescia, 17-03-2005, n. 163; T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Ord., 03-10-2005, n. 1533). Ci� premesso, la giurisprudenza amministrativa � univoca nell�affermare che la norma enuncia due requisiti che devono entrambi necessariamente concorrere per fondare lo speciale regime di gratuit� della concessione edilizia (o del permesso a costruire), l�uno di carattere oggettivo e l�altro di carattere soggettivo. Per effetto del primo requisito (oggettivo) si richiede l�ascrivibilit� dell�intervento edilizio interessato dal permesso a costruire alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale, nel senso che deve trattarsi di opere che, quantunque non destinate direttamente a scopi propri della pubblica am- 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 ministrazione, siano comunque idonee a soddisfare i bisogni della collettivit�, anche se realizzate e gestite da privati. Il requisito soggettivo esige, invece, l�esecuzione delle opere da parte di �enti istituzionalmente competenti�, vale a dire da parte di soggetti a cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale (cfr. C.G.A.R.S. 20 luglio 1999 n. 369; Cons. Stato, V, 6 dicembre 1999 n. 2061), ovvero da parte di privati concessionari dell'ente pubblico (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 11 maggio 2007 n. 2327; Cons. di Stato, sez. IV, 12 luglio 2005 n. 3744; Cons. Stato, V, 7 settembre 1995 n. 1280), purch� le opere siano inerenti all'esercizio del rapporto concessorio. L�imposizione degli oneri concessori al soggetto che interviene per l�istituzionale attuazione del pubblico interesse sarebbe altrimenti intimamente contraddittoria, poich� verrebbe a gravare, sia pure indirettamente, sulla stessa comunit� che dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento. La ratio dell�esenzione non viene individuata dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V, 11-01-2006, n. 51; T.A.R. Lombardia Brescia, 17-03-2005, n. 163) in una mera agevolazione finalizzata alla realizzazione di opere edilizie di interesse generale esonerando gli imprenditori dai costi d'impresa, bens� nello scopo di evitare una contribuzione intimamente contraddittoria quale si verificherebbe nel caso in cui il soggetto che interviene per l�istituzionale attuazione del pubblico interesse dovesse corrispondere un contributo che grava, sia pure indirettamente, sulla stessa comunit� che dovrebbe avvantaggiarsi del pagamento (cfr. Cons. giust. amm., 27 dicembre 2006, n. 792; Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2005, n. 3744). In questo senso, la disposizione agevolativa � stata estesa, oltre che agli enti pubblici, anche a quelle figure soggettive che non agiscono per esclusivo scopo lucrativo, ovvero che accompagnano al lucro un collegamento giuridicamente rilevante con l'amministrazione, s� da rafforzare il legame istituzionale con l'azione del soggetto pubblico per la cura degli interessi della collettivit�. Considerato il disposto del Legislatore il quale richiede che le opere - ammesse allo sgravio contributivo - siano realizzate dagli �enti istituzionalmente competenti�, la giurisprudenza ha ritenuto necessario un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell�interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione identificando tale vincolo nella concessione di costruzione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie (Cons. di Stato sez. IV, 10 maggio 2005 n. 2226; Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 1998, n. 617; 7 settembre 1995, n. 1280; 13 dicembre 1993, n. 1280; 20 novembre 1989, n. 752). Deve cio� trattarsi di attivit� compiuta da un concessionario, o pi� in generale da un soggetto che curi istituzionalmente la realizzazione di attivit� d�interesse generale per il perseguimento delle specifiche finalit� cui le opere PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 327 stesse sono destinate (1). La giurisprudenza (Cons. di Stato, sez. V, 11.01.2006 n. 51) ha tratto conferma dell'esattezza di tale soluzione non soltanto dall�endiadi �opere pubbliche o di interesse generale�, che rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma anche dal fatto che, solo nella seconda parte della proposizione normativa, concernente le opere di urbanizzazione, l�art. 17 comma 3 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 reca la specifica indicazione: �eseguite anche da privati�. Emerge quindi caricata di ulteriore valore semantico la locuzione: �enti istituzionalmente competenti� che non pu� riferirsi che ad enti pubblici o a soggetti che agiscono per conto degli stessi. Tale raccordo, peraltro, deve essere idoneo ad assicurare, grazie alla presenza del soggetto pubblico, un contemperamento dell'obiettivo privatistico dell�esecutore dell'opera con il fine pubblicistico realizzato, che � stato ravvisato in modo pressoch� esclusivo, da parte della giurisprudenza, nella figura del concessionario di opera pubblica, il quale, pur mirando al conseguimento di un lucro d�impresa, � parificabile a pieno titolo al soggetto che cura istituzionalmente l�esecuzione di opere di interesse generale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 7 settembre 1995 n. 1280; Cons. di Stato sez. V, 6 ottobre 2003, n. 5323). Ci� premesso, nella fattispecie in esame non � dato apprezzare il requisito soggettivo, poich� i Circoli privati, ad avviso della Scrivente, non rientrano nella definizione di �ente istituzionalmente competente� ai sensi dell�art. 17 comma 3 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001. Se pure, infatti, le opere in questione mirano al conseguimento di finalit� di lato interesse pubblicistico, non di meno esse non sono realizzate da un con- (1) Sotto tale angolazione si � ammesso a fruire del beneficio dell�esenzione il concessionario di opera pubblica ma a condizione che tale speciale modulo organizzatorio sia effettivamente esistente; si � cos� esclusa la ricorrenza di tale figura nel caso di privato che aveva realizzato un fabbricato destinato ad essere locato per ospitare una scuola elementare (cfr. Cons. giust. amm., n. 792 del 2006); ovvero di opera realizzata da un imprenditore per l'esercizio in via immediata e diretta della propria attivit� d'impresa (Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6818; Cons. di Stato sez. V, n. 6618 del 2 dicembre 2002); ovvero in vista di un fine genericamente egoistico (Cons. giust. amm., 12 febbraio 2004, n. 26; 18 aprile 2006, n. 159 che ha negato il beneficio in favore di azienda agrituristica), o limitato ad una cerchia ristretta di persone (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3774 del 2005 cit. che ha negato il beneficio ad una fondazione nel presupposto che si tratti di persona giuridica di diritto privato che tende al soddisfacimento di interessi privatistici e comunque di esigenze di un numero limitato di persone); il beneficio non spetta a soggetti privati per gli immobili ove esercitino un�attivit� di impresa, indipendentemente dalla rilevanza sociale dell�attivit� stessa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 gennaio 1992, n. 46; id, 21 gennaio 1997, n. 69) e dal fatto che l�impresa sia abilitata a svolgere un servizio pubblico (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 17 marzo 2005 n. 163); il carattere pubblico dell'iniziativa, onde conseguire il beneficio di cui all�art. 17 D.P.R. n. 380/2001, non pu� neppure essere desunto dalla qualificazione delle strutture alberghiere quali impianti destinati a finalit� di carattere generale, ai fini del rilascio dei titoli edilizi, argomento che la giurisprudenza ha utilizzato in un ambito diverso da quello relativo all'individuazione delle condizioni soggettive ed oggettive indispensabili per consentire l'esenzione totale dal pagamento dei contributi (cfr. Cons. di Stato sez. IV, 11 maggio 2007, n. 2327). 328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 cessionario di una pubblica amministrazione, poich� il vincolo che intercorre tra i Circoli privati ed il Comune � rappresentato da un �atto d�obbligo�; gli impianti da realizzare, inoltre, sono destinati a rimanere in propriet� e nella piena disponibilit� dei Circoli privati esecutori, ancorch� si tratti di associazioni senza fini di lucro; le opere sono destinate a conservare nel tempo la loro funzione soltanto per i primi quindici anni da quando sono state eseguite e sulla base di �convenzioni�, rivolte alle associazioni sportive dilettantistiche, alle scuole romane ed alle associazioni del territorio, dal contenuto tuttavia non ancora precisato. In definitiva, non sembra alla Scrivente che l�impegno a destinare gli impianti sportivi, per quindici anni, alla fruizione da parte delle associazioni affiliate alla F.I.N., delle scuole e delle associazioni del territorio, secondo modalit� da concordare in convenzione, nonch� la soggezione ad una delibera di Giunta sul regolamento degli impianti sportivi riguardante l�uso, la tariffazione e la gestione delle foresterie e delle strutture ricettive annesse agli impianti medesimi (come previsto dalla Deliberazione del Consiglio comunale n. 85 del 21 maggio 2007), permetta di ravvisare una figura organizzatoria analoga alla concessione di opera pubblica � come richiede la giurisprudenza affinch� si possa beneficiare dell�esonero dal contributo previsto per le opere di interesse generale realizzate dagli �enti istituzionalmente competenti�, poich� gli impegni assunti in sede di �atto d�obbligo� dai Circoli privati sono diretti a bilanciare in funzione corrispettiva i rilevanti benefici che i Circoli gi� ricevono dalle deroghe urbanistiche e dal regime amministrativo agevolato di esecuzione (l�inserimento nel piano delle opere ai sensi dell�art. 1 comma 2 lett. a] dell�O.P.C.M. 29 dicembre 2005 n. 3489 costituisce variante agli strumenti urbanistici oltre che approvazione del vincolo preordinato all�esproprio ed alla dichiarazione di pubblica utilit�, urgenza ed indifferibilit� degli interventi previsti; inoltre, ai sensi dell�art. 1 comma 2 lett. aa] dell�O.P.C.M., l�individuazione, d�intesa con l�assessore all�urbanistica del Comune di Roma, delle aree dove realizzare ulteriori strutture sportive, avviene anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche). A conferma della tesi qui sostenuta � significativo che, in giurisprudenza (2), gli interventi edilizi del privato concessionario di pubblico servizio non sono stati considerati realizzati per conto dell'ente pubblico e, quindi, non hanno potuto costituire il presupposto per beneficiare della gratuit� del titolo abilitativo edilizio. (2) Per il T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 17-03-2005, n. 163, �l�accreditamento, in funzione del quale un soggetto privato � abilitato a svolgere un servizio pubblico ponendo a carico del fondo sanitario regionale, secondo parametri prefissati, gli oneri relativi alle prestazioni sanitarie e socio sanitarie erogate, non integra un'attivit� capace di far acquisire natura di ente pubblico istituzionalmente competente al soggetto accreditato che, realizzando le trasformazioni edilizie per proprie esigenze organizzative, non attua tali opere per conto degli enti istituzionalmente competenti�. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 329 La figura del privato concessionario per la costruzione di un'opera pubblica, � stata ritenuta (dal T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 17-03-2005, n. 163) non assimilabile a quella del privato concessionario di un pubblico servizio, posto che solo nel primo caso l�opera viene realizzata dal privato per conto dell'ente pubblico (ed � destinata generalmente ad essere acquisita dall�amministrazione concedente alla scadenza del rapporto concessorio). Sul punto si pu�, quindi, concludere che, sulla base dell�orientamento emerso nella giurisprudenza, il privato che realizzi per le proprie attivit� un intervento edilizio, al di fuori di un rapporto di concessione con un ente pubblico o analoga figura organizzatoria, anche se destinato a finalit� di interesse generale o allo svolgimento di un pubblico servizio, non pu� avvalersi dell�esenzione dal pagamento del contributo di costruzione spettante, a norma dell�art. 17 comma 3 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, solo in favore degli �enti istituzionalmente competenti�. Non sembra, inoltre, alla Scrivente che nella fattispecie possa trovare applicazione la seconda parte dell'art. 17 comma 3 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, secondo cui la gratuit� del titolo abilitativo edilizio vale nei riguardi delle �opere di urbanizzazione eseguite anche da privati in attuazione di strumenti urbanistici�. Anche su questo punto la giurisprudenza amministrativa � assolutamente costante nell�affermare che, affinch� la costruzione possa fruire del beneficio correlato a tale norma �, invero, necessario che essa sia specificamente indicata come opera di urbanizzazione nello strumento urbanistico medesimo corrispondendo ad una precisa indicazione dello stesso (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 10 giugno 1998, n. 1405; Cons. di Stato, sez. IV, 11 maggio 2007 n. 2327; Cons. di Stato, sez. V, 11 gennaio 2006 n. 51; Cons. di Stato, sez. V, 21 gennaio 1997, n. 69). Sennonch�, sulla scorta della documentazione trasmessa con la nota a margine e salvo pi� approfondita verifica da parte dell�Ufficio di codesto Commissario delegato, non risulta che le opere di cui qui si discute siano state qualificate come opere di urbanizzazione nella pianificazione urbanistica del Comune di Roma (in essa comprendendosi anche il piano delle opere approvato dal Commissario che, ai sensi dell�art. 1 comma 2 lett. a] dell�O.P.C.M. n. 3489 del 29 dicembre 2005, ove occorra, ha valore di variante urbanistica), sicch� l'esenzione dal contributo di concessione non pu� essere riconosciuta non potendosi ritenere sufficiente l�astratta qualificazione degli �impianti sportivi di quartiere� fra le opere di urbanizzazione secondaria compiuta dall�art. 4 della legge 29 settembre 1964 n. 847 allo specifico fine previsto dalla legge medesima che � quello di autorizzare i comuni ed i loro consorzi a contrarre mutui con la Cassa depositi e prestiti, con istituti di credito fondiario ed edilizio, con le sezioni autonome per il finanziamento di opere pubbliche ed impianti di pubblica utilit�, nonch� con gli istituti di assicurazione e di previdenza, per l'attuazione dei piani di zona di cui alla legge 18 aprile 1962, 330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 n. 167 e per la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria indicate dalla legge stessa (in disparte la considerazione che, alludendo a impianti sportivi �di quartiere�, la legge n. 847/1964, sembra far riferimento, pur sempre, ad impianti di propriet� pubblica) . � acquisizione ormai pacifica in giurisprudenza che, affinch� possa trovare applicazione l�esenzione dal contributo di costruzione per le opere eseguite da privati in attuazione di strumenti urbanistici, non � sufficiente la generica sussumibilit� degli interventi nell'ambito delle opere di urbanizzazione. Anche se fosse possibile in linea di principio qualificare le strutture sportive come opere di urbanizzazione secondaria, non si pu� trascurare che non tutte le opere di urbanizzazione sono esenti dal contributo concessorio, a norma dell�art. 17 comma 3 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, ma solo quelle eseguite �in attuazione di strumenti urbanistici�. In questo senso con la gratuit� del titolo abilitativo edilizio si � inteso incentivare solo la dotazione di quelle infrastrutture che danno ordinata e coerente attuazione alle previsioni urbanistiche espressamente previste dal Comune. Pertanto affinch� possa qualificarsi un intervento come �opera di urbanizzazione eseguita in attuazione di strumenti urbanistici� � necessario che, oltre a potersi qualificare come opera di urbanizzazione, essa sia specificamente indicata come tale nello strumento urbanistico. Nel caso di specie gli interventi sono stati individuati nel �piano delle opere� approvato ai sensi dell�art. 1 comma 2 dell�O.P.C.M. del 29 dicembre 2005 n. 3489, per le quali vi � quindi, come sopra osservato, senz'altro la compatibilit� urbanistica potendo tale individuazione avvenire, d�intesa con l�assessore all�urbanistica del Comune di Roma, anche in deroga alla pianificazione comunale; non risulta, tuttavia, che vi siano specifiche prescrizioni degli strumenti urbanistici che prevedano il necessario compimento di tali interventi qualificandoli come opere di urbanizzazione secondaria; se � vero che con la deliberazione del Consiglio comunale n. 85 del 21 maggio 2007 � stato autorizzato l�Assessore all�urbanistica ad esprimere il parere ai fini dell�intesa con il Commissario delegato per la realizzazione di ulteriori strutture sportive di propriet� pubblica e privata funzionali alla realizzazione del grande evento, non di meno l'introduzione di tale possibilit� edificatoria non implicava la previsione, in sede di pianificazione urbanistica, di una specifica e puntuale opera di urbanizzazione, laddove dell�esonero dal contributo pu� beneficiare solo il privato che dia immediata esecuzione ad una previsione di piano relativa ad una specifica opera di urbanizzazione. Rimare da esaminare l�applicabilit� alle opere di implementazione dei Circoli privati della deroga prevista dall�art. 17 comma 3 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001 per gli interventi da realizzare in attuazione delle norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamit�. Occorre richiamare l�orien- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 331 tamento interpretativo di fondo secondo cui l�art. 17 del D.P.R. n. 380/2001, concedendo un beneficio derogatorio al regime generale, deve interpretarsi secondo criteri restrittivi ed in stretta armonia con il suo tenore letterale e la sua ratio. Pertanto, la deroga prevista dall�art. 17 comma 3 lett. d) non pu� essere applicata al di fuori dei presupposti contemplati dalla norma, che fa riferimento agli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamit�. Estendere la gratuit� del titolo abilitativo edilizio agli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito della dichiarazione di �grande evento�, per il solo fatto che le disposizioni contenute nell�articolo 5 della legge 24 febbraio 1992 n. 225 � che consentono l�emanazione di ordinanze in deroga al diritto vigente in caso di calamit� naturali - si applicano (a norma dell�art. 5 del D.L. 7-9-2001 n. 343, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, legge 9 novembre 2001, n. 401) anche con riferimento alla dichiarazione dei �grandi eventi� rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile e diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza, significherebbe aggiungere una fattispecie di esenzione dal pagamento del contributo non prevista dal D.P.R. n. 380/2001. In definitiva, la circostanza che la dichiarazione di grande evento, cos� come lo stato di emergenza dichiarato per una calamit� naturale, consenta l�adozione di ordinanze in deroga al diritto vigente non comporta, quale conseguenza, anche la gratuit� del titolo edilizio prevista dall�art. 17 comma 3 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001 solo nel secondo caso (...)�. R E C E N S I O N I WANDA VACCARO GIANCOTTI, Il Patrimonio culturale nella legislazione costituzionale e ordinaria. Analisi, proposte e prospettive di riforma e Appendice di aggiornamento. (G. Giappichelli Editore, Torino, 2008) L�opera �Il Patrimonio Culturale nella legislazione costituzionale e ordinaria. Analisi, proposte e prospettive di riforma� con la sua Appendice di aggiornamento, � frutto di un�idea che nasce sul finire del 2005. Il primo volume � diviso in due sezioni che commentano il codice dei beni culturali e del paesaggio, in una prospettiva nuova, rispetto alle altre opere che hanno affrontato la materia, sotto il duplice profilo soggettivo della continuit� e oggettivo dei contenuti. Per la prima volta, infatti, un solo autore che da anni opera nell�amministrazione dei beni culturali, puntualmente esamina con annotazioni di giurisprudenza e dottrina il decreto legislativo 42/2004 e i successivi aggiornamenti (SEZ. I), offrendo spunti di riflessioni e proposte di riforma, frutto di approfonditi dibattiti con i tecnici del settore (SEZ. II). Il testo rappresenta la continuit� di pensiero � l�esperienza giuridica dell�autore. In tutta l�opera frequenti sono infatti i riferimenti al volume �Beni e attivit� culturali nell�evoluzione del sistema giuridico:la legge 1089/1939, dottrina, giurisprudenza e legislazione a confronto�, che configura il primo momento di raccolta organica commentata della dottrina, della giurisprudenza e della legislazione sui beni culturali, compresa nel periodo 1939-1998, curato dall�autrice nel 1998. Un vademecum utile anche per la corretta applicazione delle diverse norme del codice rimaste immutate. (*) Direttore amministrativo SSBAR. 334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 2/2009 L�autore, nel secondo volume, attraverso l�appendice di aggiornamento, integra il precedente testo, coordinandolo con le pi� recenti disposizioni. Tre gli ambiti sostanzialmente modificati nel corso dell�anno 2008 che riguardano rispettivamente: l�istituto della vigilanza; le norme concernenti l�alienazione dei beni pubblici e appartenenti a soggetti legalmente riconosciuti; il paesaggio. In ordine al primo aspetto si delinea un diverso regime giuridico che configura la funzione di controllo sui beni culturali, da sempre considerata momento fondamentale della tutela, per alcune categorie non pi� di esclusiva competenza ministeriale. Per quel che concerne il secondo settore, gli effetti conseguenti alle variazioni introdotte comportano che i beni immobili e talune categorie di mobili, che nel testo precedente erano considerati assolutamente inalienabili, sino alla conclusione della procedura di verifica, potrebbero essere alienati, previa semplice autorizzazione, prescindendo dall�applicazione dell�articolo 12. Infine, in merito al terzo aspetto, significativa la nuova definizione di paesaggio che richiama sia una recente pronuncia della Corte Costituzionale (14 novembre 2007, n. 367), sia i principi sanciti nella Convenzione Europea sul paesaggio ratificata nel 2004. Permane, comunque, una contraddizione di fondo tra alcune norme del codice che assimilano il paesaggio ai beni paesaggistici, quali parti tipizzate di territorio e talune disposizioni dello stesso testo che sembrano ricondurre ad una visione panurbanistica del paesaggio. Di rilievo, per quel che concerne la pianificazione paesaggistica, la norma che stabilisce la partecipazione obbligatoria del Ministero per i beni culturali alla elaborazione congiunta, con le regioni, di quelle parti del piano che riguardano beni paesaggistici. Un ruolo di rilievo, nell�ambito delle autorizzazioni relative a tale settore sembra esser riservato alle soprintendenze il cui giudizio diventa vincolante per l�amministrazione regionale titolare del potere autorizzatorio. Nel testo previgente, il parere endoprocedimentale espresso dalle strutture tecniche statali aveva, invece, natura obbligatoria ma non vincolante per l�amministrazione regionale titolare del predetto potere. La molteplicit� delle deroghe previste dal decreto legislativo 63 del marzo 2008, che riducono in molti casi il parere soprintendizio da vincolante a meramente obbligatorio, non consente, tuttavia, una lettura uniforme e coerente del quadro normativo vigente, determinando confusione e possibili interpretazioni diverse per casi analoghi. L�opera, arricchita da un approfondito apparato di indici e tavole di corrispondenza, � uno strumento di facile consultazione, utile sia per gli operatori e studiosi della materia, sia per coloro che intraprendano gli studi umanistici o ne completino il percorso specialistico. D O T T R I N A La distribuzione territoriale del potere finanziario in Spagna: problemi attuali e disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato di Alejandra Boto �lvarez* SOMMARIO: 1.- Premessa: la regolazione costituzionale del potere finanziario in Spagna. 2.- Il sistema tributario delle Comunit� Autonome a regime generale. 3.- I regimi forali: Paese basco e Navarra. 4.- Le particolarit� delle isole Canarie e di Ceuta e Melilla. 5.- L�incidenza della disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato. 6. - Riflessioni finali. Con questo breve scritto cercher� di mettere in evidenza gli aspetti fondamentali del sistema tributario spagnolo, materia ricca di sfumature ed implicazioni. Tra le tante, ho voluto dare risalto, per la sua attualit�, alla polemica sulla modifica del sistema di finanziamento delle Comunit� Autonome, come parte del generalizzato processo di riforma statutaria vissuto negli ultimi tempi in Spagna. Nel pensare agli elementi comuni che potrebbero giustificare una comparazione tra l�ordinamento italiano e quello spagnolo, mi sono soffermata sul fatto evidente della regionalit� di entrambi che mi ha indotto a trattare della questione, pur non approfondendola, della possibile natura di aiuto delle riduzioni tributarie efficaci solo nell�ambito di un territorio. La questione, affrontata recentemente dalla Corte di Giustizia, pone problemi sulla rilevanza della struttura costituzionale (anzi �interna�) degli Stati membri nell�ordinamento comunitario. Mi limito a lasciare queste idee appena accennate, nella speranza di suscitare riflessioni pi� ponderate. (*) Borsista del Programma Nazionale F.P.U. (Ministero di Scienza ed Innovazione-Fondo Sociale Europeo) - Dipartimento di Diritto Pubblico, Universit� di Oviedo. 336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 1. Premessa: la regolazione costituzionale del potere finanziario in Spagna Il potere finanziario, considerato come la manifestazione giuridica del potere politico nell�ambito concreto dell�attivit� erariale, si struttura in Spagna secondo la distribuzione territoriale dei diversi enti pubblici. La Costituzione del 1978, infatti, non assegna il potere finanziario in esclusiva ad una entit� pubblica determinata; tutt�altro, lo attribuisce secondo i diversi domini territoriali dell�organizzazione politica ed amministrativa del paese (1). Lo Stato centrale, in base all�articolo 149.1.l4� della Carta Costituzionale, ha competenza esclusiva in materia di finanza e debito pubblico. La locuzione deve essere colta come attributiva del potere finanziario di cui sia necessario avvalersi per coprire le spese derivanti dall�esercizio delle competenze statali (2), ma anche per disciplinare, in modo generico il nodo delle finanze degli altri enti pubblici (3). Con riguardo alle entrate tributarie, l�articolo 133.1 attribuisce allo Stato, in maniera esclusiva, la potest� primaria di stabilire tributi; cio�, l�anzidetto articolo contiene l�attribuzione costituzionale prioritaria del potere tributario a favore dello Stato (4). Di fronte ad esso, il fondamento del potere finanziario delle Comunit� Autonome e degli Enti locali si rinviene nel riconoscimento della loro autonomia per la gestione dei rispettivi interessi, secondo quanto viene detto nell�articolo 137 della Costituzione. Da una parte, l�autonomia finanziaria delle Comunit� Autonome � prevista espressamente nell�articolo 156.1, da cui deriva il loro potere finanziario necessario allo sviluppo e all�esecuzione delle loro competenze. In materia di red- (1) VՏ anche una distribuzione organica o funzionale all�interno di ogni ente pubblico territoriale, secondo la divisione di poteri propria degli stati di diritto, ma questo profilo interessa meno in quest�occasione. A tale proposito, si veda: VV.AA. (MEN�NDEZ MORENO, A., dir.), Derecho Financiero y Tributario. Parte general. Lecciones de C�tedra, 8� ed., Lex Nova, Valladolid, 2007, pp. 54 e ss., oppure MART�N QUERALT , J.; LOZANO SERRANO, C.; TEJERIZO L�PEZ, J.M. e CASADO OLLERO, G., Curso de Derecho Financiero y Tributario, l9� ed., Tecnos, Madrid, 2008, pp. 216-219. (2) L�articolo 134, nel prospettare il Bilancio Generale di previsione dello Stato, dispone che detto bilancio comprender� la totalit� delle spese e entrate del settore pubblico statale; in altre parole, stabilisce la piena capacit� dello Stato per ordinare giuridicamente tutti i suoi redditi ed esborsi. (3) Circa la portata generale dell�attribuzione costituzionale in materia di finanza e debito pubblico la quale comprende, oltre il fisco dello Stato, la regolazione degli aspetti fondamentali delle �altre finanze pubbliche� v. sentenze della Corte Costituzionale 1/1982, del 28 gennaio 88/1986, dell�1 luglio; 52/1988, del 24 marzo; 64/1990, del 5 aprile o 192/2000, del 13 luglio. Si veda anche FERREIRO LAPATZA, J.J., Curso de Derecho Financiero Espa�ol, vol. I, 24� ed., Marcial Pons, Madrid, 2004, pp. 103 e 104. (4) Tuttavia, questo non vuol dire che il potere tributario dello Stato sia l�unico originario come si sosteneva prima di 1978. Oggi, i poteri finanziari delle Comunit� Autonome e degli Enti locali sono pure originari, non derivati dallo Stato, anche se con limiti diversi e aggiuntivi tratti dalle leggi statali. In tal senso si vedano le considerazioni di MART�N QUERALT et al., op. cit., pp. 224 e 225. DOTTRINA 337 diti pubblici, il potere tributario delle Comunit� Autonome, che viene individuato dagli articoli 133.2 e 157, � sempre subordinato ai principi delle leggi statali, in applicazione della potest� statale originaria per la determinazione dei tributi, sopra riferita. Vale a dire, pertanto, che la Costituzione non definisce direttamente un modello di finanziamento per le Comunit� Autonome chiuso, ma si limita a segnalare i suoi principi fondamentali: autonomia, coordinazione e solidariet�. Nel momento presente, il sistema di finanziamento delle Comunit� Autonome � disciplinato dalla Legge Organica 8/1980, del 22 settembre, di Finanziamento delle Comunit� Autonome, LOFCA (5). Il potere finanziario degli Enti locali viene disciplinato negli articoli 140, 141.1 e 142 (che fanno riferimento, rispettivamente, ai municipi, alle province ed al principio generale di mezzi sufficienti per le finanze locali). Il potere tributario locale � menzionato nell�articolo 133.2, dove si usa la stessa terminologia che per le Comunit� Autonome (6). Eppure, tra loro vՏ una differenza fondamentale vista la mancanza di potest� legislativa degli enti locali (7). Ritornando alle Comunit� Autonome, il dibattito su un�eventuale riforma del loro sistema di finanziamento focalizza l�attenzione politica del momento in materia di riparto del potere finanziario e possibilit� di sviluppo. Tutto � cominciato con l�iniziativa catalana di includere, nel progetto del nuovo Statuto di Autonomia, una concreta e innovativa proposta di finanziamento. Veniva prevista una revisione integrale del sistema vigente, mettendo in discussione i privilegi storici-tradizionali dei territori a regime speciale; stabilendo un nuovo sistema di livellamento territoriale; allargando la propria capacit� normativa in materia tributaria e creando un�organizzazione amministrativa finanziaria pi� decentralizzata. In seguito, anche l�Andalusia ha pensato a riforme finanziarie in occasione della modifica statutaria, sebbene su basi diverse (8); altre Comunit� si sono allineate (9), ed una revisione del sistema attuale di finanziamento delle Comunit� sembra imminente ed inevitabile nonostante manchi ancora il parere (5) Legge che ha subito moltissime modifiche, l�ultima quella operata dalla Legge Organica 7/2001, del 27 dicembre. (6) Le Comunit� Autonome e gli Enti locali potranno stabilire ed esigere tributi in accordo alla Costituzione ed alle leggi. (7) Su questo punto si richiamano le osservazioni della giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale (v., per tutte, sentenze 179/1985, del 19 novembre; 150/1990, del 4 ottobre e 221/1992, dell� 11 novembre). (8) Secondo la posizione andalusa per il riparto dei fondi la popolazione non pu� venire considerata soltanto in termini quantitativi, ma insieme a fattori come la dispersione e l�invecchiamento. (9) La Comunit� delle Baleari condivide, ad esempio, la posizione catalana, certamente perch� � anche potente in prodotto economico proprio. Invece, Comunit� come Aragona, Cantabria, Extremadura o Castilla-La Mancha si allineano con l�Andalusia. 338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 della Corte Costituzionale (10). Per il momento, la crisi economica ha fatto differire le trattative tra Comunit� e Stato, ma l�incertezza devr� essere prossimamente affrontata. Un�occasione che sar�, senza dubbio, storica. Nel frattempo, � opportuno conoscere il sistema in vigore: la LOFCA. Come verr� precisato subito dopo, vi sono, in grandi tratti, due modelli diversi di sistemi tributari autonomistici quello generale e quello nato dal rispetto costituzionale dello status storico dei territori forali, dotati di diritti locali tradizionali (Paese basco e Navarra). Oltre a ci�, tra le Comunit� sottoposte al regime generale sono presenti alcune particolarit� derivate rispettivamente dall�ubicazione geografica (Canarie) e dalla condizione di citt� dotate di Statuti di Autonomia (Ceuta e Melilla). 2. Il sistema tributario delle Comunit� Autonome a regime generale Le Comunit� dette a regime generale sono rette dalla LOFCA e si finanziano sopratutto attraverso trasferimenti del governo centrale, disponendo di capacit� impositive limitate. Ad oggi, secondo l�articolo 4 della LOFCA in base a quanto disposto nell� articolo 157.1 della Costituzione, le entrate delle Comunit� Autonome sono costituite dalle rendite derivanti dal loro patrimonio e da entrate di diritto privato; dalle proprie imposte, tasse, prezzi pubblici e contributi speciali (11); dalle imposte cedute totalmente o parzialmente dallo Stato, ricarichi su imposte statali ed altre partecipazioni nelle entrate statali; ed in fine, dai proventi di operazioni di crediti e delle multe e sanzioni rientranti nell�ambito della loro competenza. L�emissione di debito pubblico � soggetta alle limitazioni stabilite nella LOFCA e nella Legge 18/2001, del 12 dicembre, Generale e di Stabilit� del Bilancio. Inoltre, le Comunit� Autonome possono ricevere contributi da un fondo di compensazione interterritoriale (articolo 16 della LOFCA) e altre assegnazioni a carico del Bilancio generale dello Stato. VՏ anche un fondo di sufficienza, disciplinato dall�articolo 13 della LOFCA (12). (10) I testi gi� approvati come nuovi Statuti di Autonomia catalano e andaluso (Leggi organiche 6/2006, del 19 luglio e 2/2007, del 19 marzo, rispettivamente) sono stati oggetto di ricorso davanti alla Corte Costituzionale; per quanto qui interessano, i nuovi sistemi di finanziamento previsti si possono intendere come imposiziofli unilaterali innovatrici del modello LOFCA, il quale rispondeva ad un patto tra tutte le Comunit� Autonome e lo Stato. La Corte non si � ancora pronunciata. (11) Non sono ammesse tassazioni multiple sui beni collocati ai di fuori del territorio o che ostacolino la libera circolazione delle persone, dei capitali, dei beni e dei servizi. � anzi vietata la doppia imposizione delle medesime basi imponibili (articolo 9 della LOFCA). (12) Sul suo funzionamiento si veda HERRERO ALCALDE, A. e MART�NEZ-V�ZQUEZ, J., La nivelaci�n en el marco de la financiaci�n de las Comunidades Aut�nomas in Papeles de trabajo del Instituto de Estudios Fiscales. Serie economica, n. 13, 2007, pp. 5-57. DOTTRINA 339 La LOFCA, per�, non delinea in modo univoco un sistema di finanziamento, dando spazio ad una pluralit� di sistemi molto differenti gli uni dagli altri. Per questo motivo, la disciplina ha conosciuto un�evoluzione costante e abbastanza complessa (13). In sintesi si pu� dire che i tributi propri delle Cmunit� Autonome non hanno sperimentato cambiamenti troppo rilevanti; i tributi ceduti, invece, si. Originariamente erano di titolarit� nazionale e di rendimento e gestione delle Comunit� Autonome, ma col tempo hanno conosciuto un ampliamento delle competenze che spettano alle Comunit� Autonome ed anche, in alcuni casi, una cessione delle competenze normative da parte dello Stato (14) . Cos�, si pu� parlare di tributi ceduti completamente dal potere centrale, sui quali spetta alla Comunit� Autonoma la capacit� normativa e la totalit� dei gettiti (15) ed imposte del potere centrale cedute parzialmente, dove la normativa attribuisce alle Comunit� alcune competenze normative sulle parti cedute e sulle entrate derivanti (16). 3. I regimi forali: Paese basco e Navarra Al di l� della LOFCA, il richiamo dei diritti storici da parte della Disposizione Aggiuntiva prima della Costituzione spiega il sistema speciale di finanziamento delle Comunit� Autonome della Navarra e del Paese basco. Esse dispongono di un sistema tributario sostanzialmente proprio e differenziato per finanziare le loro spese con un�ampissima autonomia tributaria sul loro territorio. Godono di una forma piena di autonomia fiscale. Alle Comunit� forali, infatti, viene ceduto tutto il potere impositivo: esse disciplinano, riscuotono e gestiscono, per (13) V., ad esempio, gli studi di ZUBIRI ORIA, I. e MONASTERIO ESCUDERO, C., La financiaci�n de las comunidades aut�nomas: balance y propuestas de reforma in Papeles de economia espa�ola, n. 69, 1996, pp. 172-191; GIM�NEZ-REYNA RODRIGUEZ, E., La reforma de la financiaci�n auton�mica in Ibidem, pp. 200-211; FERN�NDEZ AMOR, J.A., La financiaci�n de las comunidades aut�nomas de r�gimen com�n: notas y reflexiones sobre la reforma de la Ley org�nica de financiaci�n de las comunidades aut�nomas y la Ley de cesi�n de tributos del Estado in Autonomies: Revista catalana de derecho p�blico, n. 23, 1998, pp. 321-356; BANDR�S MOLIN�, E., EI nuevo sistema de financiaci�n de las Comunidades Aut�nomas in An�lisis local, a. 40, 2002, pp. 9-14; oppure, RUBIO GUERRERO, J.J., El problema de la financiaci�n de la Espa�a de las autonomias in Libros de economia y empresa, n. I, 2007, pp. 43-47. (14) Sulle linee di riforme future si richiamano le considerazioni di LAGO PE�AS, S., La aut�nomia tributaria de las Comunidades Aut�nomas de r�gimen com�n: perspectivas de futuro in Revista de estudios regionales, n. 78, 2007, pp. 11-28. (15) All�interno di tale categoria bisogna citare l�imposta sul patrimonio, sugli atti di eredit�, sugli atti giuridici, sul gioco d�azzardo, sulla vendita al dettaglio di alcuni idrocarburi, su determinati mezzi di trasporto, sull�elettricit� e sulle successioni e donazioni. (16) Sulle incertezze intorno a questi aspetti si vedano le riflessioni di RUIZ ALMENDRAL, V., Impuestos cedidos y corresponsabilidad fiscal, Tirant lo Blanch, Valencia, 2003, pp. 291 e ss. 340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 mezzo delle province, la totalit� dei tributi. A causa del principio di unit� dell�ordine economico nazionale, sono costrette a versare allo Stato una percentuale delle loro entrate tributarie come contributo a sostegno degli oneri generali di esso; i rapporti finanziari con lo Stato sono regolati mediante il tradizionale sistema forale degli accordi e dei concerti economici (17). Dunque, entrambe le Comunit� fruiscono del noto �sistema della quota�. In poche parole (18), vՏ un procedimento, stabilito da leggi speciali, che serve a calcolare la quantit� che ciascuna di queste Comunit� deve apportare per contribuire in maniera proporzionale al supporto delle spese dello Stato spagnolo. Queste Comunit� Autonome riscuotono direttamente (quasi) tutte le imposte statali, tramite le strutture amministrative delle tre Deputazioni Forali basche e di quella della Provincia Navarra, per poi contribuire con una certa percentuale, concordata con lo Stato (19), alle spese generali dello Stato centrale. La Legge 12/2002, del 23 maggio, ha approvato l�attuale accordo economico con la Comunit� basca. Il sistema per la Navarra � previsto dalla Legge 25/2003, del 15 luglio. Il progetto del nuovo Statuto catalano, per come � stato trasmesso al Parlamento nazionale, prevedeva un sistema ispirato a questi regimi forali (dato che si intende che l�asimmetria fiscale attribuisce alle Comunit� forali maggiori risorse per abitante rispetto alle altre). Il Parlamento spagnolo ha, alla fine, respinto tale sistema. La bocciatura parlamentare ha, peraltro, suscitato un forte dibattito sulla questione di fondo. Questione di piena attualit�, esaminata, da un altro punto di vista, anche in sede comunitaria. Infatti, l�esistenza di enti infrastatali che godono di un regime tributario diverso da quello del resto del territorio nazionale, quando esso implica (oppure rende possibile) una minore pressione tributaria nel detto territorio, � stata recentemente esaminata dalla Corte di Giustizia, poich� si sono sollevati dubbi di compatibilit� col regime comunitario degli aiuti di stato. Ritorneremo infra su questo punto. (17) Secondo quanto viene disposto dagli articoli 41.1 dello Statuto basco (Legge organica 3/1979, del 18 dicembre) e 45.1 della Legge organica 13/1982, del 10 agosto, di reintegrazione e miglioramento del Foro di Navarra (che fa la parte di Statuto navarro). (18) Pi� in esteso si vedano FERREIRO LAPATZA, op. cit., pp. 112 e ss.. e MART�N QUERALT et al., op. cit., pp. 241 e ss. (19) lI sistema di calcolo di questa quota � considerato dalle altre Comunit� come poco trasparente. Questa ambiguit� viene ritenuta un privilegio, in modo che nella Navarra e nel Paese basco �si paga sempre di meno� (ad. es. v. gli interventi degli avvocati di Castilla y Le�n e La Rioja davanti alla Corte di Giustizia Europea nel corso dell�udienza corrispondente ai procedimenti riuniti da C-428/06 a C-434/06: Sentenza della Corte (Terza Sezione) dell�11 settembre 2008, su quali torneremo subito dopo). DOTTRINA 341 4. Le particolarit� delle isole Canarie e di Ceuta e Melilla All�interno del sistema comune di finanziamento delle Comunit� Autonome, l�arcipelago delle Canarie gode di un regime economico e fiscale particolare, giustificato da ragioni storiche (20) e sopratutto geografiche (21). Si tratta di un regime differenziato che favorisce lo sviluppo economico e sociale dell�arcipelago e cerca di compensare gli effetti dell�insularit�. Ad esso fa riferimento la Disposizione Aggiuntiva terza della Costituzione, dove si riconosce l�esistenza di un regime originale e si prevede una consultazione preventiva nel caso di riforme, come � previsto anche nella Disposizione Aggiuntiva quarta della LOFCA e nel testo del rispettivo Statuto di Autonomia (22). Il regime economico e fiscale canario contiene una serie di incentivi per lo sviluppo del settore economico di queste isole, contemplati nella normativa spagnola (23) ed autorizzati dall�UE (24), sebbene quest�ultima abbia posto in questione alcune misure e dato un termine ad altre (25). Ceuta e Melilla, invece, partecipano al modello finanziario degli Enti locali, dato che sono citt�, bench� di fronte ad essi godano di alcuni privilegi in conseguenza dei loro Statuti di Autonomia (26), secondo quanto disposto dalla Disposizione Aggiuntiva quarta della LOFCA (27). (20) Bisogna prendere in considerazione le origini storiche dell�arcipelago, fondato sulla libert� commerciale di importazione ed esportazione; sulla non esistenza di monopoli e sull�applicazione di franchigie doganali e fiscali sul consumo. In questo senso, v. FERREIRO LAPATZA , op. cit., pp. 114 e 115. (21) Si ricorda che l�arcipelago delle Canarie � una regione ultraperiferica ai sensi dell�articolo 299.2 del trattato CE. (22) V. articoli 45 a 63 della Legge organica 10/1982, del 10 agosto. In settembre di 2006 un progetto di riforma � stato presentato davanti al Parlamento statale; � stato respinto e rinviato alla Comunit� per essere discusso nuovamente. (23) V. Leggi 20/1991, del 7 giugno e 19/1994, del 6 luglio, con le modifiche operate dal Regio Decreto-legge 12/2006, del 29 dicembre. (24) Su questo tema si rinvia in generale a PASCUAL GONZ�LES, M.M., Las ayudas de Estado de car�cter fiscal. Su incidencia en el r�gimen econ�mico y fiscal de Canarias in Colecci�n Hacienda Canaria, Gobierno de Canarias, 2003, ove si fa uno studio approfondito in materia di aiuti regionali di natura fiscale e diritto comunitario nell�ottica canaria. (25) Sull�argomento si devono vedere il regolamento (CEE) n. 1911/91 del Consiglio, relativo all�applicazione delle disposizioni del diritto comunitario alle isole Canarie, e la decisione 91/3 14/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1991, che istituisce un programma di soluzioni specifiche per ovviare alla lontananza e all�insularit� delle isole Canarie, dove sono stati definiti gli orientamenti fondamentali degli interventi da attuare per tener conto delle peculiarit� dell�arcipelago e delle situazioni che deve fronteggiare. (26) V. Leggi organiche 1/1995 e 2/1995, entrambe del 13 marzo. (27) Per maggiori informazioni si rinvia a GIM�NEZ-REYNARODRIGUEZ, E.; ZURDO RUIZ-AY�CAR, J., e ZURDO RUIZ-AY�CAR , I., EI r�gimen econ�mico y fiscal especial de Ceuta y Melilla in Papeles de economia espa�oIa, n. 59, 1994, pp. 462-473; CARBONELL PORRAS, E., La naturaleza jur�dica de Ceuta y Melilla y su encuadramiento en la estructura territorial del Estado in Revista Espa�ola de Derecho Administrativo n. 110, 2001, pp. 251-268, MOR�N P�REZ, M.C., El r�gimen fiscal de las ciudades aut�nomas de Ceuta y Melilla: presente y futuro in Cr�nica Tributaria, n. 121, 2006, pp. 59-96, oppure BERRAMDANEOVE, A.,Le statut des enclaves espagnoles de Ceuta et Melilla dans l�Union europ�enne in Revue du droit de l�Union Europ�enne, n. 2, 2008, pp. 237-260, e gli ulteriori riferimenti bibliografici ivi menzionati. 342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 5. L�incidenza della disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato Negli ultimi tempi, la giurisprudenza comunitaria ha preso in esame la compatibilit� fra i regimi tributari differenziati disposti da enti infrastatali e la disciplina sugli aiuti di Stato ai sensi dell�articolo 87, n. 1, CE. Si fa riferimento, in primo luogo, alla sentenza della Corte del 6 settembre 2006, causa C-88/03, Portogallo/Commissione. La suddetta sentenza, relativa a misure fiscali adottate dalla Regione autonoma delle Azzorre, � del massimo interesse per stati membri come l�Italia e la Spagna, entrambi con un forte grado di decentralizzazione territoriale. I principi enunciati dalla Corte in questo caso sono stati recentemente confermati anche rispetto a certi vantaggi fiscali adottati dal Paese basco e applicabili soltanto nel proprio territorio (sentenza della Corte dell�11 settembre 2008, cause da C-428/06 a C-434/06) (28). Nel caso Azzorre si � affrontato il problema della selettivit� regionale degli aiuti (29), arrivando alla conclusione che un provvedimento che concede un beneficio solo in una parte del territorio nazionale non � per questa sola circostanza selettivo. Cos�, un�aliquota fiscale inferiore a quella nazionale e applicabile unicamente alle imprese situate all�interno del territorio regionale stabilita da un�autorit� nell�esercizio di poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale non � contraria al diritto comunitario. La questione fondamentale � nella valutazione dell�autonomia per sapere quando sia �sufficiente�. Secondo la Corte, occorre prendere in esame il contesto giuridico �interno� dello Stato membro per capire se l�ente infrastatale dispone di certi requisiti, individuati nei gi� noti criteri dell�autonomia istituzionale, procedurale nonch� economica e finanziaria (30). Questa dottrina � stata accolta in Spagna con grande attenzione, dato che si presenta l�opportunit� di chiarire qualche aspetto oscuro del nostro complesso sistema tributario, come quello relativo alle competenze delle Comunit� di regime generale sui tributi statali ceduti (31) o quello delle (28) Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Superiore di Giustizia del Paese basco. (29) Sulle note caratteristiche degli aiuti regionali si veda PASCUAL GONZ�LEZ, M.M., Las ayudas de Estado de car�cter regional: especial referencia a las ayudas al funcionamiento de naturaleza fiscal in Revista valenciana de economia y hacienda, n. 1, 2001, pp. 61-82. (30) Affinch� una decisione presa da un�autorit� regionale o locale possa essere considerata come adottata nell�esercizio di poteri sufficientemente autonomi, � innanzi tutto necessario che tale autorit� sia dotata, sul piano costituzionale, di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale. Inoltre, la decisione in questione deve essere stata presa senza possibilit� di un intervento diretto da parte del governo centrale in merito al suo contenuto. Infine, le conseguenze economiche di una riduzione dell�aliquota d �imposta nazionale applicabile alle imprese presenti nella regione non devono essere compensate da sovvenzioni o contributi provenienti da altre regioni o dal governo centrale (citata sentenza Portogallo/Commissione, punto 67). (31) V. CALDER�N CARRERO, J.M. e RUIZALMENDRAL, V., Autonomia financiera de las Comunidades Aut�nomas vs. Derecho Comunitario in Jurisprudencia Tributaria Aranzadi, n. 17, 2006. DOTTRINA 343 particolarit� forali (32). Precisamente su questo ultimo aspetto si � pronunciata ancora la Corte di Giustizia nel settembre del 2008. Con la sentenza, sopra citata, � stato ribadito che per valutare il carattere selettivo di una misura fiscale si deve tenere conto dell�autonomia istituzionale, procedurale ed economica di cui dispone l�autorit� che adotta tale misura. Si conclude che spetta al giudice nazionale verificare se i territori forali dispongano di una siffatta autonomia, il che avrebbe per conseguenza che le norme adottate nei limiti delle competenze conferite agli enti infrastatali in parola dalla Costituzione del 1978 e dalle altre disposizioni del diritto spagnolo non hanno carattere selettivo ai sensi della nozione di aiuto di Stato di cui all�art. 87, n. 1, CE. Questa valutazione deve, per�, seguire i criteri comunitari per tali tre tipi di autonomia secondo quanto disposto nel caso Azzorre (33). Insomma, nelle sentenze riportate, la Corte europea formula un�interpretazione della nozione di selettivit� regionale degli aiuti legata alle condizioni di autonomia della regione (Azzorre e Paese basco, rispettivamente). Si vedr� adesso come, secondo noi, tale costruzione pu� incidere sulla distribuzione domestica dell�autonomia finanziaria negli Stati membri. 6. Riflessioni f�nali Dopo il caso Azzorre, pare che la Corte europea abbia fatto entrare nel contesto comunitario un nuovo elemento a cui attenersi al momento di esaminare se una misura fiscale disposta da un ente infrastatale sia conciliabile con la normativa sugli aiuti di Stato. Questo elemento non � altro che il livello ed il tipo d�autonomia di cui gode l�ente in questione nello stabilire la misura. Da quanto viene detto dalla Corte europea risulta che quanto maggiori sono le condizioni di autonomia dell�ente regionale, tanto pi� bassa sar� la probabilit� che la misura sia considerata contraria all�articolo 87, n. 1, CE. A partire da questa teoria, le decisioni statali in materia di distribuzione territoriale del potere finanziario saranno passibili di subire notevoli influenze. Si pu� osservare, quindi, una manifestazione del crescente influsso dell�integrazione europea sugli Stati membri, anche in materia di distribuzione delle competenze. Infatti, bench� la Corte europea non sia competente a misurare il (32) V. MERINO JARA, I., La TJCE favorable a los regimenes forales in jurisprudencia Tributaria Aranzadi, n. 15, 2006. (33) Si richiamano i comenti spagnoli sulla sentenza di 2008 di ORENA DOMINGUEZ, A., Las normas forales tienen cabida en Europa in Quincena fiscal Aranzadi (An�lisis), n. 18, 2008 e FALC�N Y TELLA, R., Las normas forales y la prohibici�n de ayudas de Estado: inexistencia de selectividad regional in Quincenafiscal Aranzadi (Editorial), n. 20, 2008. 344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 diritto nazionale, l�interpretazione dell�art. 87 impone tuttavia di prenderlo in considerazione nel valutare il carattere selettivo di una misura fiscale. Peraltro, seppure il diritto comunitario, in nessuna delle sue fonti, non si occupa dei criteri costituzionali di riparto di competenze (34), � vero che vi sono inerzie che oltrepassano questi limiti. Ecco, posto che il grado di autonomia finanziaria degli enti infrastatali sar� il decisivo criterio per arrivare alla compatibilit� comunitaria di un certo sistema finanziario decentralizzato, apparir� logica la tentazione di intensificare nel diritto interno la loro autonomia. Dunque, sembra che la disciplina comunitaria possa comportare adattamenti nella struttura costituzionale degli Stati membri. Ad esempio, secondo quanto si conclude di esporre, pu� condizionare fortemente il nucleo interno dei sistemi tributari decentralizzati. (34) V. Sentenza della Corte Costituzionale spagnola 96/2002, del 25 aprile. DOTTRINA 345 La perequazione urbanistica: nuovi scenari della pianificazione territoriale italiana di Laura Casella* SOMMARIO: 1.- Una nuova tecnica pianificatoria � La perequazione generalizzata a priori e la perequazione parziale a posteriori � L�istituto del comparto � La procedura perequativa � La trasferibilit� dei diritti edificatori. 2.- I problemi giuridici della perequazione � La partecipazione del privato nel processo di pianificazione perequativa � Le modalit� di attuazione: a) la perequazione parziale a posteriori, b) la perequazione generale a priori � Il problema del riparto delle competenze alla luce del nuovo titolo V della Costituzione �Due esperienze a confronto. 3.- La posizione della giurisprudenza. 4.- Previsioni a livello regionale �L�esperienza dell�Emilia Romagna � Il caso del Lazio. 5.- Il problema di Roma � La legittimit� del nuovo piano regolatore � La situazione attuale. 1. Una nuova tecnica pianificatoria La perequazione urbanistica � una nuova tecnica pianificatoria che si sta diffondendo moltissimo in Italia a livello regionale. Quando si parla di perequazione urbanistica si fa riferimento a quella tecnica che attribuisce �un valore edificatorio uniforme a tutte le propriet� che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o pi� ambiti del territorio comunale prescindendo dall�effettiva localizzazione della capacit� edificatoria sulle singole propriet� e dall�impostazione di vincoli d�inedificabilit� ai fini della dotazione di spazi da riservare alle opere collettive� (1). � una tecnica profondamente innovativa che si allontana totalmente dal sistema pianificatorio tradizionale che ha le sue basi nella legge n. 1150 del 17 agosto 1942 ad oggi ancora l�unica legge di riferimento in materia urbanistica (2). Le regioni hanno iniziato ad utilizzare questa nuova tecnica perch� gli istituti tradizionali disciplinati dalla legge n.1150/42 non riuscivano pi� a (*) Dottore in giurisprudenza. (1) P. URBANI �Concertazione e perequazione urbanistica� articolo pubblicato su www.pausania.it in occasione della conferenza sulla perequazione urbanistica tenutasi a Lisbona il 17 e 18 giugno 2008. (2) La storia dell�urbanistica italiana � costellata di interventi di modifica. Il primo in ordine temporale, di questi interventi, � costituito dall�emanazione della legge n. 765 del 1967. Subito dopo entr� in vigore, la legge n. 1187/68, che avrebbe dovuto anch�essa preparare il terreno per la riforma. Nel passare degli anni per� non vi � stato un intervento veramente risolutivo, ma un�altra legge temporanea, la 756 del 1973, detta legge tampone, e nel 1975 la n. 696, un ulteriore intervento tampone con il quale il legislatore ha continuato a rimandare il problema della necessit� di riformare integralmente il testo della n. 1150 del 1942. Il 28 gennaio 1977 venne emanata la legge sul regime dei suoli, la n. 10 con la quale venne istituita la concessione onerosa. Inizialmente si ritenne che con questa legge fosse stato 346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 rispondere alle esigenze della collettivit� n� tanto meno a quelle delle amministrazioni pubbliche. Da un lato infatti vi � l�istituto della zonizzazione che crea forti differenziazioni tra i cittadini coinvolti e che viene sempre pi� spesso avvertito come un atto autoritativo della p.a fortemente lesivo degli interessi dei cittadini che non possono fare altro se non subire le scelte del piano regolatore. Dall�altro l�istituto dell�esproprio che, oltre ad essere vissuto come profonda ingiustizia dalla collettivit�, � diventato, soprattutto dopo le ultime due sentenze della corte costituzionale, la n. 348 e la n. 349 del 2007, peraltro recepite nella legge 244 del 24 dicembre 2007, troppo oneroso per le amministrazioni perch� � stato stabilito che l�indennit� da pagare al proprietario del suolo espropriato deve corrispondere al valore venale del terreno determinandone un forte aumento (3). L�esigenza di trovare una pianificazione pi� equa nei confronti dei cittadini ed una procedura pi� economica per i comuni hanno determinato lo svilupparsi di questa nuova tecnica pianificatoria che applica all�urbanistica il principio della giustizia distributiva, principio gi� presente nel nostro ordinamento in molti altri settori (4). Infatti tutti i proprietari coinvolti partecipano alla distribuzione degli oneri e dei valori che derivano dalla pianificazione, senza differenziazioni. Gli interventi verranno realizzati in un secondo momento dai proprietari stessi riuniti in consorzio, che dovranno cedere ai Comuni, gratuitamente o a prezzo agricolo, le aree per i servizi, ricevendo in cambio la possibilit� di utilizzare i loro indici edificatori nella relativa area di concentrazione. Infatti l�edificazione viene concentrata in ambiti ristretti, le c.d. �aree ricettrici�, in cui i vari proprietari vengono resi indifferenti alle scelte del piano e allo stesso tempo le amministrazioni riescono anche a ottenere un patrimonio pubblico di aree ed scorporato lo jus aedificandi dal diritto di propriet�, perch� spettava al comune rilasciare la concessione edilizia e si riteneva che fosse quello il momento in cui veniva istituito il diritto ad edificare. Successivamente per� intervenne la Corte Costituzionale con la sentenza n. 5 del 1980 che stabil� che il diritto ad edificare continuava ad inerire il diritto di propriet� e che la concessione che veniva rilasciata ai sensi dell�art. 4 della legge citata non attribuiva alcun diritto, ma presupponeva facolt� preesistenti svolgendo la stessa funzione della licenza edilizia. Ad oggi la situazione legislativa ancora non � cambiata, sono stati emanati solamente il testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilit�, il d.p.r. 327/01, e il testo unico in materia edilizia, il d.p.r. 380/01 con i quali viene solamente raccolta in un unico contesto l�insieme delle disposizioni legislative esistenti senza apportare ulteriori. (3) La Corte Costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007 ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale dell�art. 5-bis della legge n. 359 del 1992 che individuava il criterio per calcolare l�indennit� da versare ai proprietari delle aree espropriate. Il legislatore ha recepito la pronuncia della Consulta all�art. 2, comma 89 della legge n. 244 del 2007. Questo intervento ha creato notevoli difficolt� ai comuni, perch� non hanno le risorse finanziarie necessarie per sopportare questo aumento di spesa e sono stati costretti a cercare delle soluzioni alternative quale la perequazione urbanistica che gli permette infatti di dotarsi di aree senza ingenti spese, anzi a titolo gratuito. Vedi L.F. GIRARD �Perequazione: principio e strumento della pianificazione sostenibile� da �Urbanistica e perequazione: dai principi all�attuazione� a cura di S. CARBONARA, C.M. TORRE, Milano, 2008, pag. 42. (4) Valga per tutti l�art. 117 della Costituzione che individua tra le materie di competenza esclusiva dello Stato la perequazione delle risorse finanziare. DOTTRINA 347 opere a servizio della collettivit� senza spese (5). Gli obiettivi che vengono raggiunti sono due: da una parte si supera la rigida zonizzazione, in quanto i comparti permettono un�integrazione di funzioni, e dall�altra si superano i vincoli urbanistici localizzativi poich� non gravano pi� sulle singole aree in cui verranno realizzati i servizi pubblici. 1.1. La perequazione generalizzata a priori e la perequazione parziale a posteriori La pianificazione perequativa non si esaurisce in un solo modello, ma ve ne sono diverse tipologie. Gli studiosi hanno individuato due categorie. La perequazione generalizzata a priori e la perequazione parziale a posteriori. La perequazione generalizzata a priori coinvolge l�intero territorio comunale ed � stata usata in pochi casi. Un esempio � quello della Calabria, dove, con la legge regionale n. 19 del 2002, all�art. 54 il legislatore ha affermato che la quantit� di edificazione spettante ai terreni che vengono destinati ad usi urbani deve essere indifferente alle specifiche destinazioni d�uso e deve invece correlarsi allo stato di fatto e di diritto in cui i terreni si trovano al momento della formazione del piano. Deve essere riconosciuta la stessa possibilit� edificatoria ai diversi ambiti che hanno caratteristiche omogenee. Al terzo comma viene specificato anche che ogni altro potere edificatorio previsto dal piano, che eccede la misura della quantit� di edificazione spettante al terreno, deve essere riservato al comune che lo utilizzer� per finalit� di interesse generale. Molto pi� usata � invece la perequazione parziale a posteriori che riprende il principio del comparto urbanistico della legge urbanistica fondamentale. 1.2. L�istituto del comparto Il comparto urbanistico che viene usato nella pianificazione perequativa recupera l�istituto del comparto disciplinato all�art. 23 della legge 1150/42 (6). Il comparto perequativo non ha confini rigidi: i confini infatti possono essere spostati, per esempio per facilitare l�accordo tra i soggetti coinvolti. (5) L. LUSSIGNOLI �Perequazione� tratto da Edilizia, urbanistica del territorio: con banca dati, Torino, 2006 (6) Lo strumento del comparto � stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 1399 del 19 agosto 1917 per garantire la rapida ricostruzione della citt� di Messina in seguito al terribile terremoto del 1908. Nel 1979 viene emanata la legge regionale della Puglia n. 6 in cui l�istituto del comparto viene individuato per ottenere tra i proprietari�la ripartizione percentuale degli utili e degli oneri connessi all�attuazione degli strumenti generali� (art. 15 comma 3 legge n. 6 del 1979). Il legislatore pugliese � riuscito a trasformare questo istituto, nato per superare situazioni di emergenza, in un mezzo perequativo. Vedi A. GATTO �Il comparto urbanistico: da istituto emergenziale a strumento perequativo�. Rivista giuridica dell�edilizia, Milano, 2005, pag. 1659 e ss. 348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 � proprio questa sua flessibilit� che rende possibile la cooperazione tra i privati e lascia la minaccia dell�esproprio come una rara eventualit� (7). Questo tipo di perequazione si applica a determinati ambiti del territorio individuati dall�amministrazione comunale al momento di redigere il piano. I valori oggetto di perequazione sono quelli che il piano attribuisce agli ambiti interessati (8). Lo strumento del comparto grazie al suo utilizzo nella tecnica perequativa � tornato in auge. Infatti pur venendo disciplinato dall�art. 23 della legge 1150/42 non aveva trovato mai larga applicazione nell�ordinamento, forse perch� il legislatore non era riuscito a valorizzare pienamente le sue reali potenzialit�. Nel sistema pianificatorio tradizionale vi sono due tipi di comparto: il comparto di tipo edilizio che delimita aree edificabili ed immobili da trasformare e che coinvolge nella propria realizzazione soltanto i proprietari dei suoli edificabili e per ci� titolari dello jus aedificandi e il comparto di tipo urbanistico che delimita aree edificabili e aree non edificabili e che impegna alla sua formazione non solo i proprietari dei suoli edificabili, ma anche i proprietari privi dello jus aedificandi (9). Il comparto viene utilizzato nella pianificazione perequativa perch� si presta ad una redistribuzione dei diritti edificatori tra tutti i titolari dei lotti compresi nel comparto stesso, indipendentemente dalla destinazione delle correlative aree quali zone di concentrazione volumetrica o quali spazi destinati ad ospitare servizi pubblici. � uno strumento tipicamente consensuale la cui attuazione � legata ad una scelta volontaria dei proprietari, coinvolti con il loro consenso alla ricomposizione dei diritti edificatori ed alla cessione di aree. Nell�ambito della tecnica perequativa questo istituto ha trovato molto spazio proprio perch� la sua finalit� precipua � quella di ridistribuire in maniera equilibrata i vantaggi economici dell�edificabilit� impressa alle aree dotate di eguale potenzialit� edificatoria. Si deve per� sottolineare che l�uso del comparto deve avvenire nella fase preparatoria del procedimento di formazione del piano regolatore generale in maniera tale da garantire la par condicio dei proprietari delle aree coinvolte(10). La realizzazione della perequazione di comparto pu� avvenire solo se il privato d� il suo consenso e dal momento che i singoli proprietari guarderanno ai benefici che ci� potr� portargli, la pubblica amministrazione deve essere capace di allettarli e proporgli situa- (7) E. MICELI, op. cit. pag. 44. (8) P.URBANI �Territorio e poteri emergenti� Torino, 2007, pag. 174-175. (9) Cfr. P. URBANI � S. CIVITARESE �Diritto Urbanistico� Torino, 2000, pag. 199 e ss; N. ASSINI �Pianificazione urbanistica e governo del territorio�, Padova, 2000, pag. 148 e ss. Vedi anche V. MAZZARELLI �Il comparto edificatorio� Enc. Giur. vol. VII; P. STELLA RICHTER �Il comparto edificatorio� Enc. Dir. vol. VII, Milano, 1960, pag. 1027. (10) P. SALVATORE �Piano di lottizzazione, comparti e perequazione urbanistica� Giurisp. Amm. Rassegna di dottrina e giurisprudenza, Roma, 2006, pag. 58. DOTTRINA 349 zioni vantaggiose (11). Queste forme di perequazione appartengono alla categoria della perequazione dei volumi che utilizza esclusivamente strumenti urbanistici e che si distingue dalla categoria della perequazione dei valori che usa invece strumenti di carattere finanziario (12). 1.3. La procedura perequativa Il primo adempimento per poter pianificare secondo criteri perequativi consiste nell�individuare le parti del territorio che saranno oggetto di pianificazione. Questa operazione � fondamentale perch� serve a delimitare l�ambito territoriale entro il quale verr� consentita la traslazione di diritti edificatori assicurando l�equilibrio del piano. La zona cos� individuata se � particolarmente estesa pu� essere suddivisa in pi� parti di minori dimensioni che prendono il nome di comparti urbanistici. Vi sono due tipi di comparti: quelli continui, in cui le aree confinano tutte tra di loro e i diritti edificatori che sorgono al loro interno non possono essere trasferiti, e quelli discontinui in cui le singole aree non solo non confinano tra di loro, ma sono anche disposte molto lontane l�una dall�altra senza soluzione di continuit�. In questa seconda ipotesi i diritti edificatori possono essere trasferiti anche in aree diverse (13). I due tipi di comparto rispondono ad esigenze di pianificazione diverse. Se quello continuo pu� essere usato per risanare un�intera area del territorio comunale, quello discontinuo verr� invece utilizzato per realizzare degli insediamenti in punti diversi della citt� o per realizzare degli obiettivi particolari come per esempio quella di destinare un�area alla realizzazione di un parco (14). In ogni comparto devono essere inserite sia aree di trasformazione che aree standard. Possono venire individuate gi� al momento della perimetrazione del comparto. Le aree di trasformazione urbana individuano le parti del territorio assegnate alla trasformazione edilizia tramite una serie di opere. Nelle aree standard invece verranno individuati standard locali e altri di livello urbano (15). Una volta individuate le aree ed i relativi comparti si deve procedere con l�attribuzione degli indici edificatori (16). Nella pianificazione perequativa l�attribuzione degli indici edificatori � una fase non solo importante, ma anche molto (11) E. BOSCOLO �Una conferma giurisprudenziale (e qualche novit� legislativa) in tema di perequazione urbanistica� Rivista giuridica dell�edilizia, Milano, 2003, pag. 829. (12) S. POMPEI �Piano regolatore perequativo. Aspetti strutturali, strategici e operativi� Milano, 1988. (13) E. MICELI �Perequazione urbanistica. Pubblico e privato per la trasformazione della citt�� Venezia, 2004, pag. 42. (14) S. PERONGINI �Profili giuridici della pianificazione urbanistica perequativa� Milano, 2005, pag.51. (15) S.PERONGINI, ivi, pag. 73. (16) La pianificazione tradizionale utilizza l�indice di fabbricabilit� che esprime il rapporto tra le aree disponibili e il volume edificabile. Si distinguono due tipi di indici: l�indice di fabbricabilit� ter- 350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 delicata, perch� determina, sotto il profilo economico, il livello di rendita che verr� riconosciuto alla propriet� fondiaria e la qualit� di suolo che potr� essere acquisita dall�amministrazione per realizzare opere di interesse collettivo. Le tecniche elaborate dalla dottrina per la sua individuazione sono due e rispondono a due visioni differenti: la prima ritiene doveroso determinare degli indici particolarmente bassi in modo tale da massimizzare le quantit� edificatorie attribuite all�amministrazione (la c.d. perequazione verso il basso); l�altra invece prevede di dover attribuire degli indici edificatori molto alti per dare ai privati una maggiore potenzialit� edificatoria e promuovere la cooperazione tra privati (la c.d. perequazione verso l�alto) (17). In entrambi i casi � in questa fase che si esprime il carattere perequativo di questa nuova pianificazione, perch� viene attribuito lo stesso indice a tutte le aree di zone territoriali omogenee indipendentemente da quella che sar� la loro specifica destinazione e utilizzazione. L�indice territoriale cos� attribuito tratta le aree tutte allo stesso modo: le parti edificabili, le parti che rimarranno inedificate e le parti del territorio che dovranno essere riservate a servizi e che quindi andranno cedute all�amministrazione o destinate a quel tipo di utilizzo (18). Normalmente l�indice perequativo � pi� basso dell�indice tradizionale affinch� l�amministrazione possa disporre dei suoli necessari per realizzare le opere pubbliche. Con la perequazione i proprietari otterranno una diminuzione delle volumetrie realizzabili, ma contemporaneamente non dovranno pi� sottostare alle logiche arbitrarie del piano regolatore. In cambio ottengono una situazione di certezza: i diritti edificatori che gli vengono riconosciuti sono inferiori a quelli che gli verrebbero attribuiti dalla pianificazione tradizionale, ma sono certi. Con la tecnica tradizionale vi � sempre il pericolo di ritrovarsi proprietari di un terreno destinato ad uso pubblico con tutto ci� che questo comporta (19). Con l�utilizzo dell�indice perequativo all�interno dei vari comparti quest�ultimi diventano lo strumento per distribuire equamente svantaggi e vantaggi dello sviluppo urbanistico (20). L�attribuzione degli indici edificatori � una fase molto delicata. In base agli indici applicati si individuano le volumetrie che potranno essere realizzate ritoriale, che individua la quantit� massima di volumi realizzabili in un determinato ambito territoriale, e l�indice di fabbricabilit� fondiario, che individua il volume massimo di edificazione in relazione ad una singola area. Quest�ultimo serve a porre un limite all�autonomia dei privati per garantire uno sviluppo urbano ordinato e salvaguardare l�omogeneit� delle singole zone. Infatti costituisce un limite invalicabile anche quando cՏ un accordo tra proprietari, mentre per quanto riguarda l�indice di fabbricabilit� territoriale i proprietari si possono accordare per effettuare delle cessioni di cubatura dal momento che fa riferimento alla potenzialit� edificatoria di tutte le aree coinvolte. (17) E. MICELLI, op. cit. pag. 37. (18) M.A. QUAGLIA �Pianificazione urbanistica e perequazione�, Torino, 2000, pag. 19. (19) Vedi sull�argomento E. MICELLI, op. cit. pag. 87 e ss. (20) A. GATTO, op. cit., pag. 1659 e ss. DOTTRINA 351 su quei terreni e si potr� prevedere di quali e quanti servizi pubblici l�area avr� bisogno (21). 1.4. La trasferibilit� dei diritti edificatori Dopo che sono stati attribuiti gli indici ed individuati di conseguenza i diritti edificatori si pone il problema della loro trasferibilit�. Il trasferimento dei diritti edificatori � un istituto gi� presente nel nostro ordinamento che prevede la possibilit� di stipulare degli accordi tra proprietari di terreni confinanti per trasferire una quota di cubatura da un fondo all�altro. In realt� questa pratica � stata introdotta solamente a livello regionale, ma � consolidato che si possa utilizzare anche senza un riconoscimento espresso da parte di una fonte normativa (22). L�aspetto che crea maggiori perplessit� � la natura da riconoscere a tale istituto. In dottrina si sono sviluppate due tesi: cՏ chi considera il trasferimento di cubatura un istituto privatistico e chi invece lo ritiene un negozio pubblicistico. Chi fa rientrare la cessione di cubatura tra i negozi di tipo privatistico, la ritiene una vera e propria alienazione di un diritto reale immobiliare attinente ad un�area edificabile (23). Dato per� che nel nostro ordinamento opera il numero chiuso dei diritti reali la dottrina ha finito col ricomprendere la cessione di cubatura tra le fattispecie reali atipiche sorte all�interno dell�autonomia negoziale (24). Nella concezione privatistica viene data molta importanza all�accordo che si instaura tra i soggetti privati coinvolti. Secondo questa impostazione la cessione di cubatura viene qualificata come servitus non aedificandi sulla base di due elementi: innanzitutto lo jus aedificandi viene considerato una facolt� ricompresa nel diritto di propriet� e quindi liberamente disponibile dal proprietario, mentre, per rendere la cessione opponibile a tutti, viene utilizzato lo strumento della trascrizione. Questa tesi � per� fortemente criticata non solo dalla dottrina maggioritaria, ma anche dalla giurisprudenza. La Corte di Cassazione � intervenuta sull�argomento affermando che la qualificazione del trasferimento di cubatura quale servit� � assolutamente inadeguata, perch� manca del (21) S. STANGHELLINI �Obiettivi, modelli e tecniche di perequazione urbanistica� tratto da �Urbanistica e perequazione: dai principi all�attuazione� S. CARBONARA e C.M. TORRE, Milano, 2008, pag. 66. (22) E. FIALE e A. FIALE �Diritto urbanistico� Napoli, 2006, pag. 576. La procedura richiede il consenso di colui che trasferisce la volumetria (il tradens) e una scrittura privata autenticata o un atto d�obbligo in cui sia indicato il consenso della Pubblica Amministrazione. Inoltre il tradens si deve impegnare con il Comune a non edificare totalmente l�area, e la maggiorazione di volume deve essere autorizzata da un provvedimento di concessione edilizia. (23) ANNALISA DI PIAZZA �Il trasferimento di cubatura. Una nuova possibilit� di sfruttamento economico dei beni demaniali dell�ente locale� Articolo tratto da www.lexitalia.it (24) S. G. SALVAROLO �il negozio di cessione di cubatura�, Roma, 1989, pag. 47-48. 352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 requisito dell�inerenza oggettiva e anche perch� la rinuncia allo sfruttamento del proprio fondo presenta una sua utilit� solamente se l�autorit� amministrativa autorizza l�aumento delle possibilit� di sfruttamento edilizio del fondo ricevente (25). Infatti con la cessione di cubatura il proprietario del fondo servente rinuncia all�utilizzo dell�edificabilit� del suo terreno, ma contemporaneamente il proprietario del fondo dominante vuole ottenere un aumento della volumetria, aumento possibile solo in seguito ad un provvedimento dell�amministrazione. Ed � proprio sul provvedimento amministrativo che si incentra invece le teoria pubblicistica, che ritiene cio� la cessione di cubatura un negozio di diritto pubblico. Infatti secondo questa impostazione il provvedimento del Comune � condicio sine qua non per lo spostamento di cubatura da un terreno all�altro (26). Sono due i rapporti giuridici che si instaurano: da una lato vi � l�accordo tra i privati proprietari delle aree di natura privatistica e dall�altro vi � l�accordo tra il privato e la p.a. di natura amministrata. Il collegamento tra i due rapporti giuridici � reciproco, non essendo sufficiente a far sorgere alcun effetto traslativo della cubatura l�instaurazione di uno solo di essi (27). Questa tesi � sostenuta anche dalla giurisprudenza che recentemente ha affermato che il trasferimento di cubatura ҏ un contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il provvedimento amministrativo� (28). Anche la Corte di Cassazione si � pronunciata sull�argomento sottolineando che �il trasferimento di cubatura fra le parti e nei confronti dei terzi � determinato esclusivamente dal provvedimento concessorio� che viene emanato dall�ente pubblico (29). Per quanto riguarda la pubblicit� verso terzi la giurisprudenza ha affermato che �non par dubbio che l�eventuale trasferimento di volumetria da un�area ad altra area contigua influisce sulla disciplina urbanistica ed edilizia della stessa e deve essere inserito dal comune nel certificato di destinazione urbanistica, a tutela dell�affidamento dei terzi, sotto sua diretta responsabilit� (�). Alle esigenze di pubblicit� provvede il certificato di destinazione urbanistica dell�area, che deve indicare �tutte le prescrizioni urbanistiche ed edilizie riguardanti l�area o gli immobili interessati� (art. 8, comma 9, d.l. n. 9/82 conv. dalla l. n. 94/82) e che deve essere allegato a pena di nullit� a tutti gli atti tra vivi, sia in forma pubblica che in (25) Cass. Civ., sez. I, sent. 6807 del 14 dicembre 1988 . (26) F. GAZZONI �Manuale di diritto privato�, 2003, Roma, pag. 269. (27) �Il trasferimento di cubatura� tratto dal testo approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 29 settembre 1999. (28) Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 3637 del 21 marzo 2000. (29) Corte di Cassazione, civile, sez. II, sentenza n. 1352 del 22 febbraio 199. DOTTRINA 353 forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni (art. 18, comma 2, l. n. 47/85)� (30). Nonostante le diverse teorie relative alla sua classificazione giuridica, tutti sono d�accordo nel considerare la volumetria oggetto del trasferimento un bene economicamente valutabile. Viene vista come un valore economico che tende a staccarsi dalla propriet� del suolo per formare oggetto di commercio e di negoziazione autonoma tra privati, sempre per� sotto il controllo pubblico dato il rilevante interesse urbanistico connesso alla distribuzione dei volumi edilizi nello spazio urbano (31). Nella pianificazione perequativa il trasferimento di cubatura viene invece utilizzato in maniera profondamente diversa date le esigenze e soprattutto gli obiettivi che questa nuova tecnica pianificatoria si pone. Innanzitutto cambia l�ambito territoriale coinvolto, infatti si riferisce all�intero territorio e non solo ad una parte di esso. I diritti possono essere trasferiti all�interno di un comparto tra suoli contigui, e in questo caso ci si avvicina molto alla lottizzazione urbanistica; possono essere trasferiti anche tra suoli non contigui, ma comunque collegati (� la tecnica utilizzata per la citt� di Ravenna) ed infine possono essere trasferiti anche tra suoli non contigui e neanche collegati tra di loro (32). L�amministrazione deve dare il consenso al trasferimento dei diritti, ma, essendo quest�ultimo obbligatorio per attuare le previsioni urbanistiche, il parere dell�amministrazione sar� dato in sede di pianificazione in termini generali senza far riferimento al singolo caso. Si devono distinguere le due aree protagoniste del trasferimento: l�area cedente che � quella da cui trasmigrano i diritti edificatori e l�area rice- (30) Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 3637 del 21 marzo 2000. (31) �Il trasferimento di cubatura� tratto dal testo approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 29 settembre 1999. Strettamente legato al problema della natura giuridica di questo istituto � il problema del suo trattamento tributario. Infatti a seconda di come lo si vuole classificare a livello giuridico ricever� un differente trattamento tributario. Chi lo considera un negozio costitutivo di servit� o di altro diritto reale ritiene applicabile l�imposta di registro con le aliquote indicate all�art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131 del 26 aprile 1986. Chi invece fa rientrare la cessione di cubatura tra i negozi ad effetti obbligatori l�assoggetta all�imposta di registro proporzionale con aliquota al 3% in base a quanto dispone l�art. 9 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986. Cfr G. PETRELLI �Cessione di cubatura e trasferimento tributario dei trasferimenti di terreni edificabili� articolo tratto dal sito www.gaetanopetrelli.com (32) Per questa tecnica l�esempio viene dagli Stati Uniti d�America in cui si usa il �Transfert Development Rights�. La differenza risiede nel fatto che questa tecnica � stata creata per salvaguardare l�ambiente e il patrimonio storico americano e non per ottenere delle aree per i servizi pubblici. I diritti edificatori presenti nell�area da tutelare vengono trasferiti su un�altra area, ma rimangono di propriet� privata. Gli Stati Uniti si sono anche preoccupati di istituire una banca dei diritti edificatori per acquisire i diritti edificatori nei momenti di bassa domanda per poi rimetterli sul mercato successivamente. La citt� di Milano probabilmente sar� il primo caso in cui questa tecnica verr� applicata anche in Italia. Si sta pensando anche di istituire una borsa dei diritti edificatori. Sul punto M. DE CARLI �Strumenti per il governo del territorio. Perequazione e borsa dei diritti edificatori�, Milano, 2007. 354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 vente che � quella destinata a permettere non solo l�insediamento delle volumetrie edilizie che derivano dall�esercizio dei diritti edificatori propri dei suoli collocati nelle aree stesse, ma anche di quelli derivanti dal trasferimento. L�area cedente non potr� pi� essere oggetto di edificazione sia perch� ha ceduto i propri diritti edificatori, ma anche perch� � soggetta ad un�altra destinazione funzionale che dipender� dagli obiettivi urbanistici della pianificazione. Il trasferimento pu� essere previsto in termini generali per ogni area e in questo caso si riconosce alla Pubblica Amministrazione un potere discrezionale molto forte in quanto potr� decidere come trasferire i diritti, oppure in sede di pianificazione si pu� precisare quali saranno le aree che dovranno cedere l�esercizio di diritti edificatori e quali saranno le aree che li dovranno ospitare affinch� possano essere esercitati altrove. In quest�ultima ipotesi il momento migliore per l�individuazione delle aree � sicuramente in sede di pianificazione attuativa (33). L�ultima fase della pianificazione perequativa � quella operativa che pone il problema del rapporto che deve intercorrere tra la pianificazione generale e quella attuativa (34). La fase operativa presuppone l�adozione e l�approvazione di piani attuativi. In base alle esperienze regionali si � posto il problema delle caratteristiche che deve avere un piano attuativo di una pianificazione perequativa. La legge regionale della Campania, la n. 16 del 22 dicembre 2004, ha per esempio introdotto un piano urbanistico attuativo che a seconda dei contenuti svolge, tra le altre, la funzione del piano particolareggiato, del piano di lottizzazione o del piano per l�edilizia economica e popolare (art. 26, comma 2, l.r. n. 16/04). Inoltre, il legislatore si � preoccupato all�art. 27 di delineare una specifica procedura di formazione (35). L�ultimo problema da analizzare per quanto riguarda la fase attuativa della pianificazione perequativa riguarda la tipologia degli interventi ammissibili nel periodo di tempo che va dalla delimitazione del comparto urbanistico all�approvazione del piano. In base a quanto dispone il testo unico sull�edilizia i privati possono svolgere tutte le attivit� edilizie che (33) S. PERONGINI, op. cit. pag. 107 e ss. (34) Il problema si era posto anche per la pianificazione tradizionale dal momento che l�art. 13 della legge n. 1150 prevedeva l�emanazione di piani particolareggiati per dare esecuzione al piano regolatore. (35) Molti piani regolatori ispirati a tecniche perequative hanno utilizzato una nomenclatura diversa per i indicare i piani attuativi. Tra i vari termini possiamo ricordare �piano urbanistico attuativo� usato dal piano regolatore del comune di Reggio Emilia (art. 24 delle norme tecniche di attuazione al Prg approvato con delibera n. 1202 del 27 giugno 2001) e �progetto urbano� usato dal nuovo piano regolatore di Roma (art. 15 delle norme tecniche di attuazione del Prg approvato con delibera comunale n. 18 del 12 febbraio 2008). Al di l� della variet� di nomenclatura, dovuta per altro all�assenza di una normativa unica che uniformi anche il linguaggio, va sottolineato che spesso piuttosto che creare nuovi piani, privi oltretutto di fondamenti normativi, sarebbe sufficiente apportare delle modifiche a quelli esistenti aggiungendo degli allegati o delle tavole pi� dettagliate. DOTTRINA 355 sono sottratte ad un provvedimento autorizzativo dell�amministrazione (art. 6 D.P.R. n. 380/01), gli interventi soggetti a permesso di costruire (art. 10 D.P.R. n. 380/01) ed infine gli interventi soggetti a denuncia di inizio attivit� (art. 22 D.P.R. n. 380/01). Sono tutte attivit� che non devono essere autorizzate dalla pubblica amministrazione quindi non possono neanche essere vietate in modo arbitrario (36). Bisogna poi distinguere le situazioni urbane in cui la perequazione interviene. Nel caso in cui si faccia riferimento a delle aree oggettivamente edificabili la situazione non presenta particolari problemi, ma nel caso in cui l�area oggetto di pianificazione perequativa sia gi� edificata sorgono alcune difficolt�. Innanzitutto bisogner� distinguere i vari tipi di intervento. Se si vuole procedere solamente con interventi di recupero la tecnica perequativa non user� gli indici di fabbricabilit� dal momento che le valutazioni verranno basate esclusivamente su criteri di carattere tipologico ed architettonico, che varieranno a seconda degli edifici coinvolti, nel rispetto degli obiettivi fissati dal piano. Se invece si vogliono effettuare delle operazioni di sostituzione urbanistica ricostruendo il tessuto esistente, la procedura sar� pi� complessa dal momento che si dovranno individuare i criteri per distribuire i vantaggi e gli svantaggi causati dalle diverse situazioni (l�utilit� economica dell�intera operazione sar� molto diversa per il proprietario di un terreno edificato, con delle costruzioni che andranno demolite, rispetto al proprietario di un terreno non costruito). Per realizzare questo tipo d�interventi vengono usati gli strumenti introdotti negli anni novanta dal legislatore per le operazioni di riqualificazione urbana tra cui il programma integrato di intervento (art. 16 legge n. 179 del 17 febbraio 1992), il programma di recupero urbano (art. 11 d.l. n. 398 del 5 ottobre 1993) e il programma di riqualificazione urbana (art. 10 legge n. 493 del 4 dicembre 1993). Mediante l�utilizzo di questi istituti si � dato vita ad una serie di progetti realizzati mediante la collaborazione tra pubblico e privato, con l�utilizzo di finanziamenti di reciproca provenienza. Questa attuazione negoziata caratterizza queste nuove tecniche da quelle pi� tipicamente pianificatorie, quali per esempio i piani di recupero o piani particolareggiati (37). (36) S. PERONGINI, op. cit. pag. 154 e ss. (37) M. A. QUAGLIA, op. cit. pag. 82 Cfr M.V. FERRONI �Principio di sussidiariet� e negoziazione urbanistica�, Torino, 2008, pag. 145 e ss; E. Picozza �Diritto dell�economia: disciplina pubblica�in trattato di diritto dell�economia, diretto da E. PICOZZA, E. GABRIELLI, Padova, 2005,pag. 522 e ss. 356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 2. I problemi giuridici della perequazione La perequazione urbanistica, da un punto di vista giuridico, pone molti problemi. In Italia non esiste ancora una legge quadro in materia urbanistica che abbia introdotto questa nuova tecnica pianificatoria quindi si pone il problema di verificare l�ammissibilit� dell�utilizzo di questa tecnica da parte delle Regioni che si discostano totalmente dalle disposizioni contenute nella legge del 1942. Dal momento che il governo del territorio � una materia di competenza concorrente il legislatore regionale dovrebbe attenersi alle norme di principio emanate dal legislatore statale, quale �, in questo caso, la legge n. 1150/42. Soltanto se la perequazione non rientrasse tra le disposizioni di principio, sarebbe invece possibile per le regioni disciplinarla liberamente. Inoltre si pone un ulteriore problema in relazione alla riserva di legge sancita all�art. 42 della Costituzione riguardo il diritto di propriet�. Bisogner� verificare se, con l�attribuzione degli indici edificatori e la previsione della loro libera commerciabilit�, non si incida sul contenuto del diritto di propriet� violando quindi la riserva di legge. E poi, all�indomani della riforma del titolo V della Costituzione con la quale si � affermato, all�art. 114, il principio di equa ordinazione tra i poteri pubblici e, all�art. 117 la piena potest� regolamentare degli enti locali per quanto riguarda l�organizzazione e l�esercizio delle funzioni che gli vengono attribuite, bisogna verificare anche se la perequazione generalizzata sia una materia riservata all�autonomia statuaria dei comuni (e quindi spetterebbe ai singoli piani regolatori disciplinarla) oppure se comunque rientra tra quelle materie che necessitano di un intervento del legislatore (38). 2.1. La partecipazione del privato nel processo di pianificazione perequativa Con la diffusione del metodo perequativo si sono sviluppate molte forme di partecipazione pubblico privato dal momento che la pianificazione perequativa ha bisogno, per la sua attuazione, dell�accordo tra i privati coinvolti e la pubblica amministrazione (39). Lo strumento del consenso permette di evi- (38) P. URBANI �Problemi giuridici della perequazione urbanistica� in Rivista giuridica dell�urbanistica, Ravenna, 2002 pag. 592. (39) All�inizio il privato non aveva un ruolo attivo nell�attivit� di pianificazione urbanistica, ma doveva solamente accettare le scelte effettuate dagli organi competenti. Il legislatore ha iniziato a prendere in considerazione i privati cittadini con la legge sull�espropriazione per pubblica utilit� del 1865 e successivamente anche con la legge fondamentale del 1942: si parlava per� di semplici forme di collaborazione. Successivamente l�urbanistica consensuale si � sviluppata molto e oggi molte leggi regionali dedicano particolare attenzione alle modalit� di partecipazione dei privati alle varie fasi della pianificazione. Una dei primi modelli di urbanistica consensuale � il piano di lottizzazione, introdotto dalla legge DOTTRINA 357 tare i costi e i conflitti derivanti dall�attuazione autoritativa tipica della pianificazione tradizionale (40). Un ruolo determinante lo ha avuto anche l�intron. 765 del 1967; nel 1971 con la legge n. 865, vengono istituiti i piani per gli insediamenti produttivi; la legge n. 457 del 1978 disciplina i piani di recupero finch� nel 1992 viene introdotto un nuovo strumento con la legge n. 179: nasce il programma integrato di intervento finalizzato alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale. Da questo momento vengono istituiti molti altri tipi di programmi, da quello per il recupero urbano (legge n. 493 del 1993), a quello per la riqualificazione urbana (D.M. del 21 dicembre del 1994). Infine nel 1998, con il decreto ministeriale dell�8 ottobre, vengono introdotti i piani di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile, i c.d. PRUSST. Oggi il privato pu� svolgere un ruolo attivo nell�attivit� di pianificazione urbanistica e questo suo ruolo si sta continuando a sviluppare sotto diversi aspetti per andare incontro a diverse esigenze. L�ordinamento tende sempre di pi� a ricercare il consenso dal momento che la funzione amministrativa non � pi� vista come l�attuazione di un potere autoritativo, ma come confronto tra i portatori dei diversi interessi coinvolti; inoltre le varie forme di contrattazione introdotte negli anni hanno dimostrato di semplificare molto l�azione amministrativa e soprattutto di rendere la pianificazione meno onerosa per le amministrazioni pubbliche grazie ai finanziamenti dei privati. Quest�ultimo aspetto � di centrale importanza data la grave crisi in cui si trovano le finanze pubbliche italiane. Tra i vari tipi di accordi esistenti possiamo distinguere due grandi categorie: i c.d. �accordi a valle� e gli �accordi a monte�. Gli accordi �a valle�, quali per esempio le convenzioni attuative e le compensazioni, non creano problemi da un punto di vista giuridico in quanto si limitano a fissare delle regole specifiche sulla base di scelte pianificatorie gi� prese dall�amministrazione. In altri termini possiamo dire che il loro contenuto � gi� predeterminato dal piano regolatore. Gli accordi �a monte� invece, quali per esempio gli accordi premiali o di scambio, sono invece accordi sulle prescrizioni urbanistiche che rientrano in quelli disciplinati dall�art. 11 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 che stabilisce che l�amministrazione procedente pu� concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. Questo articolo ha per la prima volta introdotto, nei casi previsti dalla legge, la previsione di accordi endoprocedimentali o addirittura di accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo. (Prima nel nostro ordinamento l�attivit� della pubblica amministrazione era esclusivamente di tipo autoritativo). Ci� non toglie che l�attivit� della Pubblica Amministrazione � comunque soggetta al principio di legalit� e che l�amministrazione procedente ha comunque il potere di recedere dall�accordo per interesse pubblico. Anche la Corte Costituzionale si era pronunciata sull�argomento, affermando con la sentenza n. 204 del 6 luglio 2004 che la possibilit� riconosciuta alla pubblica amministrazione di svolgere un�attivit� di tipo negoziale presuppone comunque l�esistenza di un potere autoritativo. Quindi anche quando l�amministrazione procede con gli accordi rimane, sullo sfondo della sua azione, l�esercizio di un potere ed � per questo che il contenuto di tali accordi deve essere predeterminato almeno negli aspetti essenziali. Alla luce di queste considerazioni nel nuovo sistema di pianificazione gli accordi sulle prescrizioni, i c.d. accordi a monte, opereranno solo nei casi in cui sia necessario apportare delle modifiche al piano strutturale, dato che gli accordi conclusi per determinare il contenuto del piano attuativo vengono considerati attuativi delle scelte, perch� le regole fissate dal piano strutturale sono considerate dalla dottrina �prescrizioni conformative del territorio�.Sul punto P. URBANI, op. cit. pag. 180 e ss. Vi � anche chi sostiene (A. TRAVI) la tesi contraria in base alla quale gli accordi nella pianificazione urbanistica sono perfettamente validi senza bisogno di una disposizione legislativa che li supporti. Secondo questa teoria l�art. 13 ha solamente lasciato l�amministrazione libera di poter decidere di volta in volta se stipularli o meno. Sul tema B. CAVALLO �Sussidiariet� orizzontale e legge 241/90 sul governo del territorio� Rivista giuridica dell�urbanistica, Firenze, 2006, pag. 403 Da notare per� che l�art. 11 della legge n. 241 non obbliga mai la Pubblica Amministrazione a concludere accordi con i privati: il legislatore li ha previsti solo come possibilit� in pi�, ma dal momento che l�amministrazione deve perseguire sempre l�interesse pubblico gli viene riconosciuta la possibilit� di scegliere la strada migliore. Sarebbe pertanto pi� corretto applicare a questi accordi il principio di legalit� che del resto informa l�intera attivit� amministrativa. (40) A. POLICE �Gli strumenti di perequazione urbanistica: magia evocativa dei nomi, legalit� ed effettivit�� Rivista giuridica dell�edilizia, Milano, 2004, pag. 15. 358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 duzione all�art. 118 della Costituzione, quarto comma, del principio di sussidiariet� orizzontale che ha determinato l�ingresso della �societ� civile� nella gestione degli interessi pubblici sostituendo la tradizionale organizzazione di tipo autoritativo (41). Lo strumento convenzionale, grazie alla perequazione urbanistica, si � aperto alla cura di interessi complementari rispetto alla tutela dell�assetto territoriale. Con la perequazione urbanistica si sta consolidando il passaggio da un�urbanistica per provvedimenti ad un�urbanistica per accordi, che si caratterizza per il superamento dell�ottica che vede nettamente contrapposti il soggetto pubblico e il soggetto privato. Si comincia a parlare di urbanistica consensuale che viene vista come uno strumento necessario per superare la crisi del sistema pianificatorio (42). Il rischio che si deve evitare � quello di sacrificare gli interessi pubblici a favore degli interessi dei privati. Infatti se da una parte la negoziazione pubblico-privato pu� costituire un valido strumento per evitare il fallimento del mercato ed ottenere una pi� efficace allocazione delle, gi� scarse, risorse economiche dall�altra si corre il rischio di avvantaggiare troppo, a scapito della collettivit�, singoli gruppi o singole imprese (43). 2.2. Le modalit� di attuazione a) La perequazione parziale a posteriori Tra le varie modalit� di attuazione della pianificazione perequativa la tecnica che pone meno problemi di legittimit� � quella della perequazione parziale a posteriori dal momento che usa (apportandogli alcune modifiche) l�istituto del comparto gi� disciplinato dalla legge del 1942 all�art. 23. Nella perequazione parziale a posteriori gli indici edificatori vengono attribuiti in base al progetto di sviluppo ipotizzato dall�amministrazione e non si basano esclusivamente sullo stato di fatto e di diritto in cui si trovano i terreni coinvolti, come invece avviene per la perequazione generalizzata a priori (44). La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto pi� volte la validit� di (41) B. CAVALLO �Sussidiariet� orizzontale e l. n. 241/90 nel governo del territorio� Rivista giuridica di urbanistica, Ravenna, 2006 pag. 395. Sull�argomento M.V. FERRONI �Principio di sussidiariet� e negoziazione urbanistica�, Torino, 2008, pag. 128 e ss afferma che l�art. 118 Cost. ha messo in crisi la tradizionale qualificazione del piano regolatore come atto complesso in forza della maggiore autonomia che � stata riconosciuta ai Comuni e le recenti leggi regionali sul governo del territorio hanno rafforzato il ruolo dei Comuni in applicazione del principio di sussidiariet� verticale e orizzontale sostituendo il piano regolatore tradizionale con due nuovi piani: il piano operativo e il piano strutturale. (42) M.V. FERRONI, op. cit. pag. 108 e ss. (43) Sull�argomento P. URBANI, op. cit., pag. 41 in cui l�autore parla espressamente della possibilit� che si inneschi una corsa alla realizzazione dei programmi richiesti dai Comuni con il rischio di una pianificazione che guardi solo agli interessi dei privati perdendo di vista l�interesse pubblico e che potrebbe dare vita a degli agglomerati urbani disordinati e poco funzionali per la collettivit�. (44) E. MICELLI, op. cit., pag. 161. DOTTRINA 359 questa tecnica pianificatoria ritenendola conforme ai principi desumibili dalla legislazione vigente dal momento che consiste nell�esercizio del potere pianificatorio che � attribuito dall�ordinamento alla Pubblica Amministrazione con il fine di conformare i territori (45). Quest�ultima ha un ruolo molto importante perch� deve pianificare il comparto cercando il consenso di tutti i proprietari. L�attuazione del comparto deve determinare una situazione di vantaggio non solo per il comune, che acquisisce le aree gratuitamente, ma anche, e soprattutto, per i privati che devono trarre un vantaggio maggiore dall�adesione al comparto rispetto a quello che guadagnerebbero dal rimanere estranei all�intero procedimento di trasformazione. I proprietari delle aree che vengono trasformate devono necessariamente partecipare al negozio attuativo delle previsioni del piano, perch� con i loro beni creeranno degli spazi che andranno destinati a standard pubblici o ad opere di urbanizzazione. Dovranno assumere degli impegni precisi ed � per questo che devono far parte del rapporto convenzionale. Invece i proprietari di terreni, per i quali il piano non ha previsto la trasformazione urbanistica, avranno solamente il diritto di pretendere di partecipare ai vantaggi economici delle previsioni che non comportano la diretta utilizzazione dei loro beni. Quindi la convenzione urbanistica si pone come momento costitutivo di un diritto di credito che spetta a questi ultimi e che � posto a carico dei soggetti che realmente danno attuazione al piano regolatore perequativo (46). b) La perequazione generale a priori La perequazione generale a priori invece crea maggiori problemi di ammissibilit� dal momento che non vi � nessuna norma dell�ordinamento a cui ricondurla e si rischia di violare il principio di legalit�. L�attivit� della Pubblica Amministrazione � guidata da questo principio cardine in base al quale non pu� essere esercitato alcun potere non espressamente previsto n� pu� essere emanato alcun atto espressione di un potere non previsto (47). La legge sul procedimento amministrativo all�art. 1 afferma chiaramente che l�attivit� amministrativa deve perseguire i fini determinati dalla legge. In base a queste considerazioni dobbiamo verificare l�ammissibilit� della perequazione generalizzata a priori dal momento che prevede l�attribuzione ai terreni di un indice edificatorio convenzionale con una procedura estranea alle previsioni della legge n.1150/42. Inoltre questa operazione non produce auto- (45) P. URBANI �La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali� articolo pubblicato su www.pausania.it. Per le sentenze vedi TAR Emilia Romagna, 22/99, TAR Campania, 670/00. (46) M. A. QUAGLIA, op. cit. pag. 6. (47) E. PICOZZA �Introduzione al diritto amministrativo� Padova, pag. 86-87. 360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 maticamente un effetto perequativo, ma sar� determinante come la Pubblica Amministrazione user� il potere discrezionale di cui gode. Solo se applicher� correttamente il principio di imparzialit� potr� derivarne una pianificazione equa. Un sistema che lascia cos� tanto spazio alla discrezionalit� amministrativa necessita di un intervento del legislatore che fissi i limiti dell�attivit� e i poteri della Pubblica Amministrazione (48). Oltretutto, visto che la perequazione generale a priori incide sul contenuto del diritto di propriet�, non si deve dimenticare che quest�ultimo � coperto da riserva di legge dall�art. 42 della Costituzione. Per cui l�intervento del legislatore � richiesto non solo per definire chiaramente i limiti del potere della Pubblica Amministrazione, ma anche per fissare il contenuto minimo del diritto di propriet� ed evitare che l�attivit� dell�amministrazione, per perseguirne la funzione sociale, arrivi a svuotare il contenuto del diritto stesso (49). Il principio della funzione sociale del diritto di propriet� rappresenta la propriet� come la sintesi di un aspetto privatistico e di uno pubblicistico. Dal momento che la Costituzione traduce in principio giuridico l�uso di un bene economico riconosciuto al proprietario nei limiti della funzione sociale � chiaro che il rapporto tra il singolo e lo Stato abbia �subito� un�evoluzione. L�art. 42 cos� comՏ formulato sancisce inequivocabilmente la compresenza del carattere privato della propriet�, che viene riconosciuta e garantita dalla legge, e della sua funzione sociale, che ha come obiettivo quello di renderla accessibile a tutti. Il problema che si pone con forza e che la perequazione sembra voler risolvere, � quello di bilanciare la necessit� di perseguire l�interesse pubblico con le esigenze del privato (50). L�attivit� della Pubblica Amministrazione in materia di pianificazione va analizzata non solo in riferimento ai limiti che la legge le pone nell�esercitare la funzione pianificatoria, ma anche in rapporto alla propriet� privata dal momento che il legislatore ha definito anche il potere dell�amministrazione di incidere sul contenuto della propriet� privata. Per quanto riguarda il primo aspetto, l�ordinamento ha lasciato alla Pubblica Amministrazione un ampio potere discrezionale che le permette di effettuare delle scelte di carattere strumentale legate all�attuazione delle (48) L. PISCITELLI �Perequazione e integrazione fra le zone� da �L�uso delle aree urbane e la qualit� dell�abitato� Atti del III convegno nazionale A.I.D.U. a cura di E. FERRARI, Milano, 2000, pag. 183. (49) P. URBANI �Il contenuto minimo del diritto di propriet� nella pianificazione urbanistica� articolo pubblicato su www.pausania.it in occasione del XI Convegno nazionale dell�AIDU svoltosi a Verona il 10 e 11 ottobre c.a. (50) F. CALARCO �L�espropriazione della propriet� privata per le opere di pubblica utilit��, Milano, 1998, pag. 15 e ss. Sul punto F. CARINGELLA - G. DE MARZO - R. DE NICTOLIS - L. MARUOTTI �L�espropriazione per pubblica utilit��, Milano, 2007; G. CERISANO �Manuale della nuova espropriazione per pubblica utilit��, Padova, 2004. DOTTRINA 361 previsioni contenute nei piani. Se invece si guarda al rapporto che intercorre tra l�amministrazione e la propriet� privata il discorso si complica perch� assumono rilevanza gli effetti dell�attivit� pianificatoria. Il meccanismo che viene attuato dalla perequazione generale mediante il trasferimento dei diritti edificatori � totalmente estraneo all�oggetto tipico del piano regolatore di definire le caratteristiche funzionali e strutturali dei beni territoriali. Nel momento in cui si stabilisce di attribuire un diritto edificatorio convenzionale per valorizzare l�area nei limiti stabiliti dall�amministrazione si vogliono ridistribuire equamente i valori. La valutazione prevista dalla legge urbanistica � una fase che viene dopo questa redistribuzione (51). 2.3. Il problema del riparto delle competenza tra Stato e Regioni alla luce del nuovo titolo V della Costituzione Il sistema pianificatorio tradizionale non si pu� facilmente adattare al metodo perequativo ed � per questo che � necessario un intervento del legislatore nazionale non solo per introdurre il metodo perequativo a livello nazionale, ma anche per modificare la struttura del piano regolatore. Infatti le moltecipli esperienze regionali hanno dimostrato come sia sicuramente pi� efficiente la divisione del piano in due parti: una strategica, in cui definire la classificazione delle aree e individuare i distretti soggetti ad integrazione, ed una operativa in cui definire l�attuazione della perequazione. Oltretutto le zone individuate dal piano strategico non sono rigide e monofunzionali come quelle tradizionali, ma i loro contenuti vengono individuati solo con il piano operativo. Infatti tra i meriti riconosciuti al metodo perequativo vi � quello di migliorare l�integrazione delle funzioni, superando la rigidit� insita nello zoning (52). Non bisogna dimenticare che il governo del territorio � una materia di competenza concorrente perci� lo Stato ha il dovere di fissare i principi generali altrimenti si lascia la pianificazione in mano alle singole amministrazioni con il rischio di eccessive differenze. La perequazione � una tecnica che prende le distanze dal sistema tradizionale dello zoning, e anche quando viene applicata solamente a determinate aree, la procedura che viene utilizzata, pur riprendendo la disciplina dell�art. 23 della legge urbanistica, � comunque una procedura molto diversa che utilizza delle tecniche precise che non trovano corrispondenza con l�art. 7 della legge del 1942. Per questo ritengo che sia una materia che vada disciplinata da una norma di principio, affinch� le regioni abbiano un chiaro riferimento nel momento in cui si trovano a doverla applicare. (51) L. PISCITELLI, op. cit. pag. 180. (52) L. PISCITELLI, ivi, pag. 185. 362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 2.4. Due esperienze a confronto Esemplari in tal senso l�esperienza di Modena e quella di San Benedetto del Tronto. Il piano regolatore di Modena risale a gennaio del 1991, mentre l�adeguamento alla legge regionale n. 20, del 24 marzo del 2000, � del dicembre del 2003. Anche questo, come la maggior parte degli ultimi piani regolatori, � diviso in due parti: uno strutturale ed uno operativa. All�art. 14 delle norme tecniche viene disciplinato uno strumento di urbanistica negoziata molto particolare: viene prevista la possibilit� per l�amministrazione di stipulare un accordo di pianificazione con i privati che pu� avere ad oggetto una maggiore potenzialit� edificatoria oppure una destinazione d�uso pi� vantaggiosa. In entrambi i casi sar� comunque dovuta una compensazione economica aggiuntiva rispetto al contributo di costruzione commisurata pari alla met� del maggior valore economico generato da queste modifiche. La suddetta somma sar� soggetta ad un vincolo di destinazione, cio� dovr� essere usata per la realizzazione di opere o servizi pubblici. Questo istituto non ha nulla a che fare con la pianificazione urbanistica, e neanche con la perequazione dal momento che i diritti edificatori del proprietario del terreno restano totalmente di propriet� privata. Si tratta pi� che altro di una nuova imposta, istituita al di fuori di una base normativa. L�art. 14 in questione richiama l�art. 18 della legge regionale solamente per quanto riguarda la possibilit� di stipulare un accordo tra privati e amministrazione, ma per il resto � un istituto che non trova nessuna giustificazione nella legge regionale n� tanto meno nelle leggi nazionali (53). Un altro caso particolare riguarda il piano regolatore di San Benedetto del Tronto che all�art. 48 delle norme tecniche ha previsto il rinnovo dei vincoli delle zone per attrezzature comuni (art. 3 lettera �b� D.M. 1444/68). L�articolo stabilisce che anche i privati possono realizzare impianti ed attrezzature ad uso pubblico, inoltre sulle aree destinate alla funzione pubblica possono essere realizzate attivit� commerciali e artigianali fino ad occupare al massimo il 50% della capacit� edificatoria ed infine stabilisce che i privati devono, per poter procedere con i loro interventi, stilare una convenzione il cui contenuto � predeterminato (54). Secondo questa impostazione la capacit� edificatoria privata viene riconosciuta mediante l�accettazione convenzionale dell�obbligazione che trasferisce al comune le aree per standard di scala comunale. Al privato si attribuisce una capacit� edificatoria e parallelamente la (53) B. GRAZIOSI �Figure polimorfe di perequazione urbanistica e principio di legalit�� Rivista giuridica dell�edilizia, Milano, 2007, n. 4/5, pag. 152-153. (54) L�art. 48 delle norme tecniche al sesto comma stabilisce che la convenzione deve prevedere la cessione del 50% della superficie di intervento quale verde di comparto attrezzato, la cessione gratuita dell�uso pubblico del 35% della superficie residua, dopo averla attrezzata come parcheggio e lasciando al privato la propriet� con l�obbligo della manutenzione perpetua e il diritto di prelazione a favore del comune sull�edificato privato in caso di alienazione. DOTTRINA 363 si rende economicamente indifferente per il proprietario prevedendo la possibilit� che il comune possa acquistarla a titolo gratuito. Questa disposizione introduce, anche se in minima parte, il meccanismo perequativo, ma per rendere tutti i proprietari indifferenti alle scelte di pianificazione applica lo strumento all�intero territorio pianificato, intervenendo sul diritto di propriet� fondiaria e violando la riserva di legge dell�art. 42 della Costituzione. Come si pu� vedere sia il piano regolatore di Modena, sia quello di San Benedetto del Tronto cercano di perseguire il fine perequativo senza per� fare riferimento alla perequazione urbanistica. Oltretutto per quanto riguarda San Benedetto del Tronto, non cՏ neanche una legge regionale che disciplini l�istituto. Il problema maggiore riguarda il diritto edificatorio che nelle norme appena esaminate, oltre a nascere come diritto reale di un bene immobile, � tranquillamente trasferibile da un suolo all�altro nel momento in cui viene previsto da una specifica previsione urbanistica. Tutto ci� non pu� essere ammesso senza una previsione legislativa nazionale che lo legittimi dal momento che incide sul contenuto della propriet� fondiaria (55). Dall�analisi di questi due casi risulta chiara l�importanza di una legge nazionale che fissi i concetti fondamentali. Non si pu� lasciare le regioni totalmente libere di scegliere come pianificare il proprio territorio. Rischierebbero di sorgere situazioni profondamente diverse l�una dall�altra che minerebbero l�unit� nazionale. 3. La posizione della giurisprudenza Con il diffondersi della tecnica perequativa tramite le leggi regionali anche i giudici si sono dovuti confrontare con questo nuovo tipo di pianificazione e in svariate sentenze hanno espresso il loro parere. La prima sentenza risale al 14 gennaio del 1999 ed � stata pronunciata dal tribunale amministrativo dell�Emilia Romagna. La questione riguardava una variante per le aree di trasformazione che era stata approvata dalla regione e che prevedeva l�utilizzo di meccanismi perequativi. Il ricorrente riteneva questa variante in contrasto con la legge regionale n. 47 del 7 dicembre 1978 che si riferiva al sistema classico dello zoning. I giudici non si sono limitati ad analizzare la questione sottopostagli, ma hanno portato avanti una riflessione generale sui metodi perequativi. Il tribunale ha affermato che il cuore della perequazione consiste nel gravare �contemporaneamente la propriet� del beneficio dell�edificabilit� e del peso di contribuire all�elevamento generale della qualit� urbana �(56). I lotti a cui si applica il metodo perequativo assumono una capacit� edificatoria e contemporaneamente devono fornire gli spazi necessari per i servizi pubblici. Inoltre i giudici hanno messo in evidenza che con questa (55) B. GRAZIOSI, op. cit. pag. 154 e ss. (56) TAR Emilia Romagna, n. 22 del 14 gennaio 1999. 364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 nuova tecnica non si pu� pi� prendere in considerazione il regime dei singoli lotti, perch� il territorio viene diviso in comparti e i lotti perdono la loro autonomia. Alle aree incluse nello stesso comparto viene poi attribuito un indice territoriale convenzionale per cui non si possono neanche pi� distinguere i lotti edificabili da quelli vincolati. � il comparto ad avere una capacit� volumetrica a cui si associa l�onere di partecipare alla formazione delle aree per le opere e i servizi collettivi (57). In questo modo si rendono i proprietari delle aree comprese nel comparto indifferenti alle scelte di pianificazione. Il tribunale emiliano in questa occasione ha riconosciuto la validit� di questa nuova tecnica di pianificazione che persegue l�uso flessibile del suolo e la riduzione delle disparit� di trattamento presenti nella tecnica tradizionale della zonizzazione (58). Inoltre, i giudici hanno sottolineato che l�applicazione del metodo perequativo rappresenta il �momento applicativo degli sviluppi, culturali e giuridici, pi� recenti della materia urbanistica�(59). Il tribunale emiliano � tornato recentemente a pronunciarsi sulla perequazione con la sentenza n. 1043 del 20 ottobre 2005 in cui torna a spiegare il principio perequativo sottolineando che l�obiettivo primario � di coinvolgere tutte �le propriet� inserite in un determinato ambito di intervento del beneficio dell�edificabilit� e del peso di contribuire all�elevazione della qualit� urbana generale�. I giudici dal momento che il ricorrente riteneva che il principio perequativo non era stato totalmente rispettato, hanno sottolineato che non rientra tra le sue finalit� ridistribuire �la ricchezza fondiaria tra i vari proprietari delle aree comprese nel comparto, con lo scopo di pervenire ad una distribuzione egualitaria dei benefici economici derivanti dalla pianificazione, indipendentemente dalla consistenza e dall�estensione delle aree dei singoli proprietari.� Per applicare il principio perequativo i benefici e gli oneri vengono distribuiti in modo proporzionale all�estensione delle aree e quindi �l�apparente diversit� degli indici di edificabilit� altro non � che la conseguenza della suddivisione della volumetria complessiva suddivisa per l�estensione delle singole propriet�� (60). Un�altra sentenza importante � stata emanata dal Tribunale Amministrativo della Campania nel 2002, con la quale il collegio ha affermato che la perequazione urbanistica ҏ stata ritenuta compatibile con i valori del nostro ordinamento nonch� perseguibile attraverso l�utilizzazione del rapporto convenzionale ed attuabile anche con procedure coercitive a mezzo dello strumento del comparto edificatorio�. I giudici hanno sottolineato che la pianifi- (57) E. BOSCOLO �La perequazione urbanistica: un tentativo di superare l�intrinseca discriminatori et� della zonizzazione tra applicazioni pratiche ed innovazioni legislative regionali in attesa della riforma urbanistica� tratto da �L�uso delle aree urbane e la qualit� dell�abitato� Atti del III convegno nazionale dell�A.I.D.U. novembre 1999, Milano, 2000 pag. 203 e ss. (58) E. MICELLI, op. cit. pag. 56. (59) TAR Emilia Romagna, n. 22 del 14 gennaio 1999. (60) T.A.R. Emilia Romagna, Lombardia, sez. Brescia, n. 1043 del 20 settembre 2005. DOTTRINA 365 cazione urbanistica ormai � sempre pi� spesso finalizzata alla riqualificazione urbana e in quelle poche aree destinate all�espansione urbana trova applicazione il principio perequativo, perch� permette di superare �l�intrinseca discriminatoriet�� della pianificazione tradizionale. Infatti l�uso del comparto perequativo ha assicurato �un costante equilibrio nella trama insediativa tale per cui ogni nuovo insediamento risulta preceduto e compensato dal reperimento di aree da destinare a verde pubblico, attraverso il meccanismo della cessione gratuita su base convenzionale�(61). I giudici campani hanno affermato che lo strumento del comparto perequativo si inserisce perfettamente nel sistema di pianificazione tradizionale dello zoning. Infatti � solamente uno strumento attuativo del piano che si limita ad eliminarne gli effetti sperequativi. Il piano regolatore continua a fissare la natura edificatoria delle varie aree, con la possibilit� di prevedere l�utilizzo del comparto perequativo per determinate zone all�interno del quale si distingueranno sempre le aree edificabili da quelle destinate a servizi. Nel momento in cui verr� data attuazione al comparto la tecnica perequativa, ridistribuendo i diritti edificatori in misura uguale fra tutti i terreni compresi nel comparto, riuscir� ad eliminare le disparit� economiche tipiche della zonizzazione (62). Secondo questa impostazione la perequazione non entra in contrasto con il sistema di pianificazione tradizionale come disciplinato dall�art. 7 della legge urbanistica fondamentale. Anche il Consiglio di Stato si � pronunciato sulla perequazione urbanistica in varie pronunce tra cui la sentenza n. 3198 del 14 marzo 2006. In questa occasione ha sottolineato che mediante questo strumento l�amministrazione �persegue l�obiettivo di neutralizzare, rispetto al regime di suoli aventi la medesima destinazione, l�incidenza della sua pianificazione, in modo da far gravare in pari misura sui diversi proprietari coinvolti le scelte di pianificazione riguardanti la soddisfazione dei bisogni collettivi ed in particolare l�allocazione degli standard� (63). La giurisprudenza amministrativa non ha avuto problemi a riconoscere la validit� di questa nuova tecnica in quei casi in cui, utilizzando lo strumento del comparto, la si � potuta ricollegare all�art. 23 della legge urbanistica fondamentale. In realt� la sentenza che ha aperto le porte della perequazione urbanistica � la n. 179 del 1999 della Corte Costituzionale. In quella occasione i giudici hanno riconosciuto alla Pubblica amministrazione il potere di prevedere delle misure risarcitorie sotto forma di offerta e assegnazione di altre aree idonee alle esigenze del proprietario. La corte ha ammesso anche l�utilizzo di �altri sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su beni determinati.� Con questa (61) T.A.R. Campania, Salerno, n. 670 del 5 luglio 2002. (62) E. BOSCOLO �Una conferma giurisprudenziale (e qualche novit� legislativa) in tema di perequazione urbanistica�, Rivista giuridica dell�edilizia, Milano, 2003, pag. 826 e ss. (63) Cons. Stato, sez. IV, n. 3198 del 2006. 366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 espressione la perequazione � stata individuata come una soluzione concreta per risolvere i problemi legati all�esproprio. Per quanto riguarda invece le ultime due sentenze che hanno avuto oggetto il piano regolatore di Roma, i giudici non si sono soffermati sui problemi di legalit� che ha posto l�utilizzo all�interno del piano della perequazione urbanistica, soffermandosi il Tar Lazio esclusivamente su un vizio di forma. Bisogner� vedere se il consiglio di Stato, quando sar� chiamato a decidere la controversia nel merito analizzer� tale aspetto. Per ora la situazione italiana in merito alla perequazione rimane ferma, in attesa di un intervento riformatore e chiarificatore del legislatore nazionale. Sicuramente tra i tanti problemi sollevati da questa nuova tecnica pianificatoria � emerso i bisogno di recuperare un rapporto di fiducia tra gli enti locali e i cittadini affinch� quest�ultimi possano recuperare quel senso di appartenenza allo Stato che gli italiani sembra stiano perdendo e superare questa situazione di disagio economico-sociale che sta allontanando sempre pi� la collettivit� dalle amministrazioni creando una situazione di malcontento dannosa non solo per i cittadini, ma anche per le amministrazioni stesse che rischiano di perdere di vista il reale obiettivo del loro operato (64). La pianificazione urbanistica � solamente uno dei tanti ambiti di intervento dell�amministrazione e sicuramente non � l�unico da riformare ma sicuramente � un buon punto di partenza dati i molteplici interessi che coinvolge. 4. Previsioni a livello regionale. L�esperienza dell�Emilia Romagna L�Emilia Romagna � stata una delle prime regioni che ha sperimentato la perequazione urbanistica. La legge regionale n. 20 del 24 marzo del 2000 all�art. 7 stabilisce infatti che con la perequazione urbanistica si vuole perseguire l�equa distribuzione tra i proprietari degli immobili interessati dagli interventi, dei diritti edificatori riconosciuti dalla pianificazione urbanistica e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni strutturali. Per raggiungere questi obiettivi il piano strutturale comunale si � dotato della possibilit� di riconoscere la medesima possibilit� edificatoria ai diversi ambiti che presentano caratteristiche omogenee. Poi il piano operativo comunale e il piano urbanistico attuativo dovranno assicurare la ripartizione dei diritti edificatori e dei relativi oneri fra tutti i proprietari degli immobili interessati, indipendentemente dalle destinazioni specifiche assegnate alle singole aree. Il compito di stabilire i criteri ed i metodi per la determinazione del diritto edificatorio spettante a ciascun proprietario, in base allo stato di fatto e di diritto in cui si trovano gli immobili, spetta al regolamento urbanistico edilizio. (64) G.G. MANCA �Il pensiero politico degli ultimi decenni: autori e possibili soluzioni per una giustizia giusta� Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, Firenze, 2008, n. 6, pag. 675. DOTTRINA 367 L�art. 18 afferma che gli enti locali possono concludere accordi con soggetti privati per assumere, nella pianificazione, proposte di progetti e iniziative di rilevante interesse per la comunit� locale, al fine di determinare talune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale e urbanistica, nel rispetto della legislazione e pianificazione sovraordinata vigente e senza pregiudizio dei diritti dei terzi. Al terzo comma del presente articolo si stabilisce che questi accordi costituiranno parte integrante dello strumento di pianificazione. Il legislatore si � anche preoccupato all�ultimo comma di richiamare espressamente l�art. 11 della legge n. 241 per dichiararne l�applicabilit� per tutto quanto non direttamente disciplinato. Questo riferimento fa capire quanto si sia esteso l�ambito di operativit� degli accordi con i privati che vengono utilizzati per raggiungere risultati difficilmente raggiungibili con i tradizionali strumenti autoritativi (65). Anche il Consiglio di Stato � intervenuto sull�argomento affermando che l�accordo ex art. 11 � mira alla prevenzione del contenzioso e realizza una posizione mediana fra posizioni altrimenti inconciliabili, aventi ad oggetto il contenuto del provvedimento� (66). Oltre ad aver introdotto la perequazione urbanistica il legislatore ha anche accolto la tecnica dello sdoppiamento del piano e ha dato molta importanza alla distinzione che opera tra i contenuti strutturali ed i contenuti operativi. In particolare ha separato chiaramente i diritti edificatori, disciplinati all�art. 7, dalla capacit� insediativa, disciplinata all�art. A-12. I vincoli edificatori vengono calcolati secondo le tecniche della perequazione mentre la capacit� insediativa in base a valutazioni di sostenibilit�. � importante che la somma dei diritti edificatori sia minore della capacit� insediativa massima in modo tale che il Comune possa avere un ampio spazio per la negoziazione in sede operativa. Sono molti i comuni emiliani che hanno applicato questa nuova tecnica di pianificazione urbanistica, alcuni di essi sono ricorsi alla perequazione generalizzata, quali per esempio il comune di Casalecchio di Reno che � stato uno dei primi in assoluto. Il suo piano regolatore risale infatti al 1992 e dimostra benissimo la convenienza economica per i privati di queste tecniche. � un piano regolatore suddiviso in tre parti: una parte strutturale che riguarda i caratteri fisici e le prerogative intrinseche del territorio urbano ed extraurbano che hanno rilevanza per la disciplina urbanistica. Consiste sostanzialmente nella descrizione dello stato di fatto e di diritto e nella definizione dei principi che ne discendono. Vi � una parte strategica che riguarda la determinazione di principi e obiettivi con riferimento al lungo periodo ed infine una parte ope- (65) F. GUALANDI �Gli accordi nell�urbanistica negoziale con particolare riferimento all�art. 18 della legge regionale dell�Emilia Romagna n. 20 del 2000� articolo tratto da www.lexitalia.it (66) Cons. Stato, sez. V, n. 5884 del 20 ottobre 2005. In questa pronuncia il Consiglio di Stato distingue tra gli accordi procedimentali e gli accordi sostituivi e individua la funzione dei primi. 368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 rativa che stabilisce i modi nei quali si pu� operare sulle diverse parti del territorio. Nella parte strutturale sono individuate quattro classi di suoli: il territorio urbano consolidato, il territorio urbano marginale, il territorio periurbano e il territorio aperto. Poi viene individuato il comparto perequativo che rappresenta l'insieme territoriale costituito da una o pi� zone di trasformazione urbanistica non necessariamente contigue, nell'ambito del quale si chiude il bilancio dei trasferimenti di diritti edificatori tra zone diverse previsti dal piano operativo. Sempre all�interno della parte strutturale del piano vengono definite le regole perequative che verranno applicate. Per gli interventi di trasformazione urbana sono state stabilite delle regole di perequazione urbanistica che consistono nel riconoscere ai terreni interessati un diritto edificatorio indipendentemente dalle destinazioni d�uso che saranno conferite dalla parte operativa del piano. Gli interventi di conservazione urbana sono invece regolati dalle regole di perequazione tipologica, che si basano sulla classificazione tipologica dei terreni. Per questo tipo di interventi l�indice di edificabilit� si applica solamente in casi particolari. Nella seconda parte del piano regolatore invece, come � stato accennato, vengono individuate le linee guida da seguire con la determinazione sia degli indici strategici (indicazioni di carattere generale cui l�Amministrazione comunale intende informare la propria politica urbanistica) che delle direttive strategiche (disposizioni vincolanti che l�amministrazione comunale d� a se stessa con il preciso intento di tradurle progressivamente in scelte operative). Ovviamente queste ultime diventano vincolanti per i proprietari dei terreni solamente una volta che sono state tradotte in variante operativa. L�ultima parte consiste nella parte operativa che distingue gli ambiti del territorio da conservare e quelli da trasformare, di cui definisce la disciplina urbanistica. Il piano regolatore comprende anche il Regolamento Urbanistico Esecutivo che definisce le procedure necessarie per attuare gli interventi e stabilisce la disciplina urbanistica per gli ambiti di conservazione. Un altro comune dell�Emilia Romagna che ha applicato la perequazione � Ravenna. In questo caso per� parliamo della perequazione parziale, che si caratterizza per il fatto che il meccanismo perequativo � applicato a situazioni particolari, in un ambito territoriale ristretto. Il Piano regolatore di Ravenna ha individuato due progetti: la riqualificazione della Darsena e la realizzazione della cintura verde. Ai terreni della cintura verde � stato attribuito un indice di edificabilit� molto basso e si � stabilito che i diritti edificatori cos� generati dovevano essere trasferiti nella Darsena. I proprietari dei terreni di quest�ultima avrebbero ottenuto una maggiorazione dei loro diritti edificatori se avessero comprato i diritti provenienti dalla cintura verde. Con questo meccanismo � stata instaurata una collaborazione tra il privato della cintura verde che ha ceduto i suoi terreni al Comune, il privato della Darsena che ha acquistato i diritti edificatori della cintura verde e il comune che ottiene gratuitamente i terreni della cintura verde. DOTTRINA 369 Il disegno del piano regolatore � stato realizzato velocemente e ha permesso la realizzazione del primo parco urbano della citt�: il Parco urbano di Teodorico (67). Dalla studio della normativa di altre regioni italiane, risulta che l�Emilia Romagna � sicuramente una delle regioni pi� all�avanguardia, anche se vi sono esperienze altrettanto interessanti. Per esempio, il Trentino Alto Adige, con la legge n. 16 dell�11novembre 2005 ha introdotto la perequazione urbanistica con il dichiarato obiettivo di ripartire equamente i diritti edificatori e gli oneri derivanti dalla pianificazione tra tutti i proprietari delle aree coinvolte (68). Il legislatore ha poi individuato nei piani attuativi e nei programmi integrati d�intervento gli strumenti per attuare la perequazione. Un�altra regione che ha introdotto la perequazione urbanistica � la Campania che l�ha disciplinata con la legge n. 16 del 22 dicembre 2004 con lo scopo di distribuire equamente, tra i proprietari di immobili interessati dalla trasformazione oggetto della pianificazione urbanistica, diritti edificatori e obblighi nei confronti del comune o di altri enti pubblici aventi titolo (69). Si vede subito che il concetto � espresso in modo analogo alla legge dell�Emilia Romagna. (67) S. STANGHELLINI, op. cit. pag. 71-72. (68) Il Trentino Alto Adige con la citata legge n. 16 del 2005 ha modificato la legge provinciale n. 22 del 5 settembre 1991. Questa legge provinciale � molto dettagliata e non si limita alle enunciazioni di principio, ma disciplina la perequazione e la compensazione in modo molto preciso. Vedi S. STANGHELLINI �Prospettive di perequazione urbanistica in Trentino: spunti operativi dall�esperienza nazionale� articolo tratto da Sentieri urbani � lettera periodica della sezione trentino dell�Istituto Nazionale di Urbanistica � n. 6 del 2006. Il Trentino all�epoca dell�entrata in vigore di questa legge viveva una situazione di emergenza abitativa in cui era molto difficile individuare spazi per l�interesse collettivo e i servizi. Con l�introduzione della perequazione non si � voluto solamente trovare uno strumento per individuare nuove aree, ma si � voluto anche cercare di usare il principio della tutela del territorio per riqualificare le aree gi� edificate e predisporre nuove densificazioni qualificate in aree gi� costruite ipotizzando, se necessario, anche demolizioni e ricostruzioni per ridefinire l�assetto urbano. Un altro problema che il legislatore trentino ha sperato di risolvere era il numero eccessivo di residenze turistiche sproporzionato alla popolazione residente. Vedi P. ISCHIA �Perequazione a confronto. La legislazione trentina e i casi italiani� articolo tratto da Sentieri urbani � lettera periodica della Sezione Trentino dell�Istituto nazionale di Urbanistica - n. 6 del 2006. (69) Il legislatore campano � rimasto legato ad un�impostazione abbastanza tradizionale. All�art. 23 disciplina il piano urbanistico comunale definendolo lo strumento urbanistico generale del comune ed individuando tra i suoi obiettivi la tutela dell�ambiente e le trasformazioni urbanistiche ed edilizie dell�intero territorio. All�art. 26 vengono individuati i piani urbanistici attuativi con i quali il comune provvede a dare attuazione alle previsioni del Piano generale o a dare esecuzione agli interventi di urbanizzazione e riqualificazione individuati dagli atti di programmazione. Infine, all�art. 28 viene disciplinato il regolamento urbanistico edilizio comunale che ha il compito di individuare le modalit� esecutive e le tipologie delle trasformazioni, l�attivit� concreta di costruzione, modificazione e conservazione delle strutture edilizie e gli � stato attribuito anche il compito di individuare le modalit� per la definizione dei diritti edificatori dei singoli proprietari, tenendo conto dello stato sia di fatto che di diritto in cui versano i relativi immobili all�atto della formazione del piano urbanistico comunale. 370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 4.1. Il caso del Lazio Il Lazio � una delle poche regioni italiane che ancora non ha introdotto la tecnica della perequazione urbanistica. La legge regionale del Lazio sul governo del territorio � la n. 38 del 22 dicembre 1999. Il legislatore con questa legge ha voluto riorganizzare la disciplina della pianificazione territoriale ed urbanistica, individuare gli obiettivi generali dell�attivit� di governo del territorio ed i soggetti competenti, fissare gli strumenti della pianificazione e il sistema di relazione fra gli stessi assicurando anche delle forme di partecipazione dei soggetti interessati ed infine ha individuato delle modalit� di raccordo tra gli strumenti di pianificazione locale, gli strumenti della pianificazione regionale e quelli della pianificazione generale (art. 1, comma 2, L.R. n. 38/99). Al momento della sua entrata in vigore era una legge all�avanguardia che perseguiva un modello semplificato e flessibile di pianificazione urbanistica. Il territorio viene riconosciuto come un bene giuridico immateriale, viene accettato il principio di sussidiariet� verticale ed inoltre il legislatore fa riferimento anche al principio di sussidiariet� orizzontale che trover� posto nel nostro ordinamento qualche anno dopo con la riforma del titolo V della Costituzione (70). L�art. 1 indica chiaramente che la legge si pone come obiettivo di regolare le utilizzazioni, le trasformazioni e gli assetti del territorio. All�art. 7 viene individuata e disciplinata la pianificazione territoriale regionale, all�art. 18 la pianificazione territoriale provinciale e poi all�art 28 la pianificazione comunale viene divisa nel piano regolatore generale, che si articola in disposizioni articolate e programmatiche, e il piano regolatore operativo comunale che ha il compito di definire la disciplina nel dettaglio. Il legislatore laziale non ha inserito (a differenza del legislatore emiliano) una norma disciplinante la perequazione urbanistica, ma si � limitato a richiamarla all�art. 30 che individua le disposizioni programmatiche che devono essere incluse nel piano regolatore generale. Alla lettera �m� del presente articolo viene specificato che tra i vari compiti delle disposizioni programmatiche vi � quello di individuare le trasformazioni che si debbono attuare previa acquisizione pubblica degli immobili oppure mediante le forme della perequazione. Questo � l�unico riferimento a questa disciplina. La legge n. 38 continua a privilegiare lo strumento espropriativo, senza guardare al successo che la perequazione ha ottenuto in altre regioni. Inoltre, anche se all�art. 1 vengono richiamati il rispetto dei principi di sussidiariet�, il legislatore ha totalmente ignorato la copianificazione predisponendo, per i piani urbanistici un sistema gerarchico. Questa � una legge che si rif� totalmente alla legge del 1942, nonostante siano passati pi� (70) E. PICOZZA �La legge quadro regionale del Lazio in materia urbanistica: profili generali e di comparazione�, Rivista TAR, Roma, 2000, pag. 237-238. DOTTRINA 371 di cinquant�anni dalla sua entrata in vigore e nonostante le vicende dell�urbanistica italiana abbiano abbondantemente dimostrato la sua incapacit� a risolvere i problemi attuali (71). Visto che in materia di pianificazione sono stati fatti molti passi avanti proprio dalle regioni sarebbe auspicabile un intervento di riforma da parte del legislatore laziale affinch� anche il Lazio possa avere una legge all�avanguardia e i comuni possano utilizzare il metodo perequativo con un adeguata base normativa. 5. Il problema di Roma Il Comune di Roma ha adottato nel febbraio del 2008 il nuovo piano regolatore in cui si fa espressamente richiamo alla perequazione urbanistica (72). Il nuovo piano regolatore sembra esposto a profili di illegittimit� per violazione del principio della riserva di legge in quanto alcuni interventi e piani ivi previsti non sembrano trovare alcuna rispondenza nella legge regionale n. 38/99, tuttavia � stata di recente approvata la legge n. 42 del 5 maggio 2009 sul federalismo fiscale che affronta, in attuazione dell�art. 114, terzo comma, della Costituzione, il problema di Roma Capitale. L�importanza che viene riconosciuta alla tecnica perequativa nel nuovo piano � evidente fin dall�art. 1 delle N.t.a. che, al secondo comma, afferma che �il piano regolatore persegue gli obiettivi della riqualificazione e valorizzazione del territorio, secondo i principi della sostenibilit� ambientale e della perequazione urbanistica e nel rispetto dei criteri di economicit�, efficacia, pubblicit� e semplificazione dell�azione amministrativa� (73). Nelle norme tecniche d�attuazione l�intero capo 4� delle Disposizioni generali � intitolato �Criteri e modalit� di perequazione�. Prima di soffermarci sul problema di legittimit� che si pone, non essendoci nessuna norma che introduca l�uso della perequazione, vediamo pi� da vicino come � stata disciplinata dal comune di Roma. All�art. 17 si sottolinea la necessit� di ripartire le previsioni edificatorie tra aree e soggetti secondo principi di equit� e di uniformit� tenendo conto della disciplina urbanistica previgente, dell�edificazione esistente legittima e del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico o generale. Poi vengono individuate le fattispecie di perequazione che dovranno essere applicate me- (71) S. BELLOMIA �Il caso della Regione Lazio� da �Poteri regionali ed urbanistica comunale� Atti del VII convegno A.I.D.U. novembre, Milano, 2005, pag. 167 e ss. (72) Il procedimento di formazione del piano regolatore di Roma � stato molto lungo. � stato adottatonel 2003 con la delibera C.C. n. 33 del 20 marzo, poi � stato controdedotto nel 2006 con la delibera C.C. n. 64 del 22 marzo ed infine � stato approvato nel 2008 con la delibera C.C. n. 22 del 12 febbraio. (73) L. CASINI �Perequazione e compensazioni nel nuovo piano regolatore generale di Roma� in Giorn. dir. amm., Milano, 2009, n. 2, pag. 205. 372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 diante un procedimento consensuale di evidenza pubblica, a carattere concorsuale, nelle forme del programma integrato e rispettando le norme statali in materia di partecipazione al procedimento amministrativo. Sono gli ambiti di compensazione, il contributo straordinario, le compensazioni urbanistiche, gli incentivi per il rinnovo edilizio e la cessione compensativa. I vari interventi che verranno realizzati si distinguono tra previsioni edificatorie esercitabili in situ e previsioni edificatorie da trasferire in altre aree. Inoltre, vi sono le previsioni attribuite ai proprietari e quelle riservate al comune. Al sesto comma del presente articolo viene garantita l�equa ripartizione delle previsioni edificatorie indipendentemente dalle specifiche destinazioni assegnate alle singole aree, inoltre il piano regolatore garantisce anche la ripartizione degli oneri da assumere nei confronti dell�amministrazione in proporzione alle stesse previsioni edificatorie assegnate. L�utilizzo che viene fatto nel nuovo piano delle tecniche perequative pone seri problemi di legittimit� dato che la legge regionale di riferimento � ancora la n. 38 del 1999 che non solo non disciplina il metodo perequativo, ma sembra andare nella direzione opposta rispetto alla strada intrapresa da altre regioni italiane (basta ricordare le esperienze dell�Emilia Romagna o del Veneto) (74). 5.1 La legittimit� del nuovo piano regolatore Il piano regolatore di Roma quindi, introducendo il metodo perequativo, non si allontana solamente dalle prescrizioni della legge del 1942 n. 1150, ma anche dalla legge regionale amministrativa (75). Vi � stata una recente sentenza del Consiglio di Stato, la n. 4833 del 21 agosto 2006, con cui � stata affermata la illegittimit�, in assenza di fonte legislativa, �di una riserva di propriet� fondiaria alla mano pubblica�. Il Consiglio di Stato ha sottolineato che �in assenza di specifica normativa primaria la disposizione (�) si manifesta priva del supporto legislativo necessario per giustificare la (�) compressione del diritto di propriet�, al di fuori delle garanzie previste in proposito dall�art. 42 della Carta Costituzionale� (76). L�unico riferimento normativo esistente per il Lazio � l�istituto del comparto (74) L�ultima legge emanata dalla regione Lazio sulla pianificazione � la legge n. 15 del 21 agosto 2008 che disciplina l�attivit� di vigilanza sull�attivit� urbanistica-edilizia. Il legislatore regionale con questa legge ha voluto assicurare un ordinato sviluppo del territorio e tutelare le risorse ambientali, il paesaggio e il patrimonio culturale del Lazio. In particolare all�art. 7 viene istituita la banca dati dell�abusivismo che dovr� raccogliere tutti i dati e le informazioni concernenti il fenomeno dell�abusivismo edilizio nel territorio regionale. Da questa legge si vede come la Pubblica Amministrazione stia procedendo ad informatizzare diversi settori e quindi si potrebbe sperare anche per la creazione della banca dati sull�edificabilit�. (75) S. BELLOMIA �Prg Roma, grandi innovazioni, ma rischio di bocciatura� Edilizia e territorio, Il sole 24 ore, 2006, n. 40, pag. 18. (76) Cons. Stato, n. 4833 del 21 agosto 2006. DOTTRINA 373 e quindi eventualmente poteva non sollevare grossi dubbi di legittimit� l�utilizzo della perequazione parziale che usa proprio questo strumento pur con le necessarie modifiche. Invece, il nuovo piano regolatore della Capitale prevede l�utilizzo della perequazione generale a priori che non trova alcuna legittimazione. Infatti, il testo unico sugli enti locali, il D.Lgs 267/00, all�art. 3, comma 5, afferma che i comuni sono titolari delle funzioni che gli vengono espressamente attribuite dallo Stato e dalla Regione secondo il principio di sussidiariet�. Inoltre all�art. 5, comma 4, stabilisce che sono le Regioni a fissare i criteri e le procedure per gli atti e gli strumenti della pianificazione territoriale dei comuni. Inoltre la legge n. 616 del 24 luglio 1977, all�art. 79 ha stabilito il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative dello Stato e degli enti pubblici in materia di urbanistica. In base a queste disposizioni sembra difficile ritenere legittimo un piano regolatore che si discosta dalla legge regionale di riferimento. La pianificazione urbanistica e la programmazione del territorio trovano fondamento nella Costituzione italiana che all�art. 41, riconosce che l�iniziativa economica, pubblica e privata � libera ma al terzo comma stabilisce anche che � comunque la legge a determinare i programmi e i controlli opportuni affinch� l�attivit� economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (77). L�art. 42 della Costituzione afferma poi che la propriet� privata � riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Stabilisce poi che � la legge a prevedere i casi in cui la propriet� privata, salvo indennizzo, pu� essere espropriata per motivi di interesse generale. Vi � quindi anche un problema di costituzionalit� nell�utilizzo della tecnica perequativa da parte del comune di Roma. Bisogna per� ricordare che successivamente a diverse pronunce della sovrana Corte Costituzionale e a seguito dell�attribuzione di alcune funzioni alle regioni non si parla pi� di riserva di legge statale, ma di riserva di legge regionale. Sono principalmente due i problemi che si pongono in tema di perequazione. Innanzitutto vi � il problema di individuare la modalit� di attribuzione del diritto di cubatura. Se infatti si ritiene che lo jus aedificandi appartiene al privato non sar� sufficiente una legge regionale, ma servir� necessariamente una legge statale dal momento che si va a incidere sulla propriet� privata. Ad oggi per� l�unico riferimento a livello nazionale � l�art. 23 della legge n. 1150/42 che disciplina l�uso del comparto, ma che non � assolutamente sufficiente per giustificare l�utilizzo della perequazione generalizzata a tutto il territorio e neanche per la perequazione rivolta ad ambiti specifici. Se invece si (77) E. PICOZZA e M. SOLINAS �Urbanistica e disciplina del territorio� pag. 7 e ss, 1987, Milano. 374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 ritiene che bisogna distinguere tra il c.d. effetto conformativo (come era stato definito da M.S. GIANNINI che si ha con il piano regolatore e l�effetto costitutivo che si ha con il permesso di costruire, l�attribuzione dell�indice di trasferibilit� rimane nella sfera del potere comunale. Questa teoria per� dopo le ultime sentenze della Corte Europea dei Diritti dell�Uomo � difficile da sostenere. Anche il Consiglio di Stato infatti � intervenuto sull�argomento riconoscendo che dopo la posizione presa dalla Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, l�effetto conformativo non sarebbe pi� un diritto positivo, ma si dovrebbe tornare alle limitazione ai diritti reali come anche era stato affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 55/68 (78). � quindi necessaria una copertura legislativa a livello statale, che sembra essere stata trovata per Roma dall�ultima legge sul federalismo, la n. 42 del 5 maggio 2009. Infatti il legislatore all�art. 24 ha disciplinato un ordinamento transitorio per Roma Capitale ai sensi dell�art. 114, terzo comma, della Costituzione ed ha attribuito a Roma, oltre a quelle gi� riconosciutegli, altre funzioni amministrative tra cui lo sviluppo urbano e la pianificazione territoriale e l�edilizia pubblica e privata. Ha inoltre previsto la possibilit� per il Comune di disciplinare tali funzioni con regolamento consiliare che pertanto basterebbe a rispettare la riserva di legge. Il nuovo piano regolatore per� comunque non la rispetta, perch� � ormai accettata la tesi che vede nel piano regolatore e nelle norme tecniche d�attuazione degli atti amministrativi generali e non dei regolamenti (79). � necessario quindi innanzitutto che il comune di Roma si doti di un regolamento affinch� possa modificare il piano regolatore per poi recepire tali modifiche nel piano stesso. L�altro problema che si pone riguarda i piani attuativi. Per quanto riguarda il Lazio non potendosi intervenire senza una riserva di legge regionale � necessario intervenire sulla legge regionale n. 38/99. Per la citt� di Roma anche qui il problema di legittimit� sembra essere stato risolto dalla legge n. 42/09. E� comunque necessario un regolamento consiliare altrimenti � illegittimo sia l�art. 15 delle N.t.a. che disciplina i progetti urbani senza alcuna copertura legislativa ed anche l�art. 14 che disciplina i programmi integrati in senso difforme da quanto stabilito dalla legge 179/92. Infatti se quest�ultima li prevede espressamente dietro un�iniziativa di tipo pubblica, il piano regolatore di Roma li attua mediante un�iniziativa di tipo privato. In linea generale anche il regolamento consiliare comunque si deve basare (78) In quell�occasione la Corte Costituzionale aveva riconosciuto l�illegittimit� dell�art. 7 numero 2, 3 e 4 della legge n. 1150/42 e dell�art. 40 della stessa legge dal momento che non prevedevano un indennizzo per l�imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali. (79) E. PICOZZA �Il piano regolatore generale urbanistico� pag. 207 e ss, 1983, Padova. DOTTRINA 375 sui principi di eguaglianza, ragionevolezza, proporzionalit� e trasparenza. Ammesso anche che non ci sia un regolamento che disciplini la perequazione generalizzata (come � invece avvenuto per Parigi con il plafond l�gale de densit�) bisogna comunque verificare: a) che venga assicurata la parit� di trattamento per le zone omogenee, b) che qualora vengano coinvolti solamente alcuni ambiti del territorio ci sia alla base una scelta ragionevole e non discriminatoria, c) che ci sia un�attribuzione proporzionale, d) ed infine che venga rispettato il principio della trasparenza durante l�intera operazione di perequazione affinch� quest�ultima possa essere agevolmente controllata e affinch� possano essere introdotte forme di pubblicit� e partecipazione. Non bisogna assolutamente dimenticare che tutto ci� non riguarda i terreni di propriet� del Comune dal momento che per essi si pone il problema del rispetto delle regole di contabilit� pubblica essendo beni del demanio comunale. Infatti il D.P.R. 296/05 all�art. 2 stabilisce che per le concessioni e locazioni dei beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato � previsto l�esperimento di una procedura ad evidenza pubblica mediante pubblico incanto. In questo modo si garantisce che vengano poste in essere operazioni eque e soprattutto non svantaggiose per i Comuni. 5.2. La situazione attuale Il 19 marzo 2009 il TAR Lazio con sentenza n. 2860 ha annullato il piano regolatore di Roma per un mero vizio di forma dal momento che durante la fase finale dell�approvazione non � stata rispettata la procedura prevista dall�art 66 bis della 38/99. Questa sentenza del TAR Lazio � stata per� ribaltata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 1729 del 2009 che ha affermato che �il vizio procedimentale ravvisato dal primo giudice, e che costituisce motivo unico e assorbente dell�annullamento degli atti impugnati, appare superato dal successivo intervento in sede di approvazione del P.R.G. dello stesso Consiglio Comunale� (80). Sulla base di tale motivazione � stata sospesa l�efficacia della sentenza della TAR. Sicuramente questa pronuncia del Consiglio di Stato riattribuendo piena validit� al piano regolatore di Roma evita una paralisi del sistema, ma allo stesso tempo rende sicuramente pi� complicata all�attuale Giunta comunale l�operazione di modifica del piano che potr� avvenire esclusivamente con gli strumenti ordinari quali una variante o l�emanazione di un nuovo piano. Procedimenti entrambi molto lunghi e complessi. (80) Cons. Stato, sez. IV, Ordinanza del 7 aprile 2009 n. 1729. 376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 La tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo: inutile sovrastruttura o elemento cardine di un diritto processuale comune europeo? di Paola M. R. Ferro* La tutela cautelare ante causam fa il suo ingresso nel processo amministrativo italiano con l�art. 245, co. 3, del Codice dei Contratti Pubblici. L�istituto, comՏ noto, consente la concessione �preventiva� di una misura cautelare che sia stata richiesta dall�istante �in un momento antecedente alla proposizione del ricorso di merito� (1); la concessione di questa forma di tutela avvia un processo a s� stante, non coincidente con l�apertura di una fase incidentale nell�ambito di un processo di merito. La norma espressamente prevede che �in caso di eccezionale gravit� ed urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all�art. 21, co. 9, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il soggetto legittimato al ricorso pu� proporre istanza per l�adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare di cui ai commi 8 e 9 del citato art. 21�. L�istanza cautelare preventiva, pertanto, non viene proposta contestualmente al ricorso introduttivo del giudizio o con atto separato e ad esso successivo e, inoltre, � valutata dal giudice del Tar adito attraverso un esame che � volto alla verifica dell�esistenza o meno dei presupposti posti dall�istante a base della propria richiesta. La Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato ha rilevato, nel parere n. 355/06, come l�introduzione della tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo, limitatamente al settore degli appalti pubblici, si � resa necessaria a causa della procedura di infrazione, ex art. 226 TCE, avviata dalla Commissione europea in seguito al consolidarsi della giurisprudenza comunitaria in merito all�esigenza di introdurre anche in ambito amministrativo questa forma di tutela (2). Il Consiglio di Stato nel medesimo (*) Dottore in giurisprudenza (1) Cos� S. TARULLO La nuova tutela cautelare ante causam introdotta dall�art. 245 del Codice degli appalti, su www.GiustAmm.it (2) La Corte di giustizia delle Comunit� europee ha fornito un fondamentale apporto allo sviluppo della tutela cautelare nei vari ordinamenti degli Stati membri, basti per ci� ricordare le pi� importanti pronunce che hanno perseguito l�obiettivo dell�armonizzazione dei diversi diritti processuali nazionali. Ad aprire la strada verso questa meta � stata la sentenza Factortame del 19 giugno 1990 con la quale i giudici comunitari hanno sancito l�obbligo, in capo ai giudici di ogni Stato membro, di garantire la piena efficacia delle disposizioni del diritto comunitario, disapplicando, quando occorra, tutte le disposizioni DOTTRINA 377 delle legislazioni nazionali che risultino in contrasto con la normativa sovranazionale; tutto questo i giudici nazionali lo possono fare senza che sia necessario che si realizzi la previa rimozione della disposizione interna. La Corte di giustizia in questa occasione richiama l�attenzione sul principio della preminenza del diritto comunitario, in forza del quale le norme di efficacia diretta del diritto comunitario devono esplicare la pienezza dei loro effetti in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validit�. La Corte, inoltre, in questa prima importante sentenza, richiama un altro fondamentale principio, quello di leale collaborazione tra gli Stati membri e le Istituzioni comunitarie, sancito dall�art. 10 TCE, in base al quale � compito dei giudici nazionali garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme del diritto comunitario aventi efficacia diretta. Un altro importante passo in avanti verso una disciplina comunitaria uniforme della tutela cautelare � stato compiuto con la sentenza Zuckerfabrick del 21 febbraio 1991 in cui i giudici della Corte di giustizia si sono trovati ad affrontare un delicato problema: quello dell�obbligo per i giudici degli Stati membri di sollevare la questione pregiudiziale di validit� quando si trovino ad applicare un provvedimento cautelare. In questa pronuncia � stata affermata la competenza dei giudici nazionali, in forza dell�art. 189 TCE, a concedere la misura della sospensione dell�esecuzione di un provvedimento amministrativo nazionale che sia stato adottato alla stregua di un regolamento comunitario e la possibilit� per il ricorrente di chiedere, nell�ambito di un ricorso per annullamento, la misura cautelare della sospensione dell�esecuzione dell�atto impugnato. Si � cos� affermato che il sistema della tutela cautelare impone che, in occasione di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell�art. 234 TCE compiuto dal giudice nazionale, possa essere concessa la sospensione dell�esecuzione di un provvedimento amministrativo nazionale che si basi su un regolamento comunitario di cui sia in contestazione la legittimit�; la sua invalidit�, per�, pu� essere dichiarata solo dalla Corte di giustizia. Ultimo fondamentale principio stabilito con questa sentenza � quello per cui la tutela cautelare che viene assicurata dai giudici nazionali non varia a seconda che essi contestino la compatibilit� delle norme nazionali con il diritto sovranazionale ovvero la validit� delle norme comunitarie di diritto derivato, in quanto la controversia verte sempre e comunque sul diritto comunitario. Con questa pronuncia i giudici sovranazionali hanno voluto stabilire l�esistenza di due strade parallele lungo le quali corrono il sistema giurisdizionale comunitario e quello nazionale, soprattutto quando si tratta di tutelare situazioni giuridiche soggettive di interesse sovranazionale; lo scopo ultimo � quello di creare un comune sistema di tutela che non sia limitato alla sola sospensione dell�atto impugnato. Con la sentenza Atlanta del 9 novembre 1995 la Corte ha affermato la possibilit� di concedere provvedimenti cautelari provvisori, stabilendo altres� che la concessione degli stessi non comporta sull�ordinamento comunitario ripercussioni pi� rilevanti rispetto alla misura della mera sospensione; ad avviso dei giudici del Lussemburgo, l�incidenza che il provvedimento d�urgenza ha sull�ordinamento comunitario deve essere valutata raffrontando e ponderando l�interesse del singolo con quello della Comunit� europea. Dall�analisi di questa sentenza emerge un potere cautelare per i giudici degli Stati membri che si pu� definire �atipico�, un potere che implica la possibilit� di concedere provvedimenti d�urgenza che non abbiano un contenuto determinato a priori. L�evoluzione che si � registrata dalla sentenza Factortame alla sentenza Atlanta � notevole: si sono chiarite le condizioni in forza delle quali i giudici degli Stati membri della Comunit� europea possono adottare misure cautelari quando si trovino ad applicare norme di diritto comunitario; si � registrata la tendenza dei giudici della Corte di giustizia a contenere il principio di autonomia processuale degli Stati. Inoltre, dall�affermazione del principio di effettivit� della tutela giurisdizionale a quella del principio dell�uniformit� nell�applicazione del diritto comunitario, la Corte ha desunto la propria competenza nel delineare i caratteri del futuro diritto processuale comunitario. Con la sentenza Commissione delle Comunit� europee c. Repubblica ellenica del 19 settembre 1996 i giudici del Lussemburgo hanno ribadito la necessit� che gli Stati membri garantiscano la concessione di qualsiasi provvedimento provvisorio atto a dare effettivit� alla tutela giurisdizionale, senza alcuna predeterminazione in ordine al contenuto delle misure cautelari concedibili alla parte ricorrente. Si afferma, inoltre, che l�effettivit� del diritto comunitario � garantita anche dalla possibilit� che l�istanza cautelare sia presentata ante causam, senza la previa instaurazione del giudizio di merito. Con la pronuncia Commissione c. Regno di Spagna del 15 maggio 2003 lo Stato spagnolo � stato condannato dalla Corte di giustizia in quanto inadempiente, essendo venuto meno agli obblighi che su di esso incombevano in forza della direttiva comunitaria 89/665/CEE in materia di coordinamento delle 378 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 parere ha sottolineato come questa nuova forma di tutela pu� rappresentare un valido strumento per tutelare quei concorrenti che sono stati pretermessi dalla procedura di aggiudicazione di un appalto e per diminuire il contenzioso �in quanto costituisce una sorta di filtro, utile a scoraggiare appelli alla giustizia con finalit� meramente dilatoria�. Il cammino che ha condotto all�adozione di questo istituto � stato lungo e travagliato; molte sono state le resistenze, manifestate sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza italiana, nei confronti dell�introduzione, anche nel processo amministrativo, di una forma di tutela cautelare preventiva, scevra della previa proposizione del ricorso principale. Questo atteggiamento, contrario rispetto alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria, si � manifestato con pi� forza dopo l�emanazione della legge di riforma in materia di giustizia amministrativa, la legge 21 luglio 2000, n. 205, che ha introdotto una disciplina della fase cautelare del processo amministrativo, traducendo in diritto positivo i risultati cui la giurisprudenza era giunta, ma che ha anche proposto soluzioni innovative. L�art. 3 della suddetta legge ha sostituito il comma 7 dell�art. 21 della legge T.A.R. ed ha introdotto otto nuovi commi dedicati alla tutela cautelare nel processo amministrativo (3). La ratio di questo interprocedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, il cui scopo � quello di far s� che in tutti gli ordinamenti degli Stati membri dell�Unione ci siano procedure adeguate che consentano, da un lato, l�annullamento di quelle decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici delle gare d�appalto in violazione delle disposizioni comunitarie o di quelle nazionali di recepimento e, dall�altro, il risarcimento del danno prodotto da questa violazione. Con l�ordinanza della Corte di giustizia del 29 aprile 2004 contro l�Italia, i giudici comunitari hanno stabilito che ogni Stato membro � tenuto a conferire agli organi competenti a conoscere dei ricorsi, la facolt� di adottare, al di l� della previa proposizione del ricorso principale, qualsiasi provvedimento provvisorio. La normativa italiana � stata giudicata inadeguata a porre rimedio in maniera soddisfacente alle violazioni commesse dalle societ� vincitrici della gara d�appalto, in quanto impone la previa proposizione di un ricorso di merito quale condizione per poter ottenere la concessione di un provvedimento cautelare. (3) La riforma della giustizia amministrativa � stata notevolmente influenzata dal diritto comunitario e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea con riferimento alla nuova formulazione dei presupposti che devono sussistere per poter ottenere la concessione di una misura cautelare nel giudizio amministrativo. Gli articoli 242 e 243 TCE, le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE hanno imposto ai giudici degli Stati membri di adottare �provvedimenti urgenti e provvisori intesi a riparare la violazione o ad impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, ivi compresi i provvedimenti di sospensione�. Di rilevante importanza le sentenze della Corte di giustizia europea Factortame, Zuckerfabrick, Atlanta che hanno affermato l�assoluta necessit� del rispetto del principio di effettivit� della tutela giurisdizionale; rispetto che deve essere garantito soprattutto mediante una disciplina del potere cautelare che ne assicuri la completezza ed unitariet�. Il periculum in mora, uno dei presupposti per la concessione della misura cautelare insieme al fumus boni iuris e unico presupposto in origine previsto, non consiste pi� nel �danno grave ed irreparabile� che deriva dall�esecuzione dell�atto, ma ricorre alla presenza di �un pregiudizio grave ed irreparabile� derivante dall�esecuzione dell�atto impugnato ma anche dal comportamento inerte tenuto dalla pubblica amministrazione durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul merito; dunque non � pi� necessaria la sussistenza di un danno, basta il mero pregiudizio. La ratio di questa modifica risiede nella volont� di ampliare le ipotesi in cui � possibile concedere una misura cautelare; inoltre, a rilevare non sono solo i pregiudizi che possono comportare DOTTRINA 379 una lesione di tipo patrimoniale, ma anche quelli che colpiscono la dimensione morale del soggetto. Il secondo presupposto per la concessione di una misura cautelare � costituito dal fumus boni iuris, disciplinato dalla nuova formulazione dell�art. 21, co. 8, della legge T.A.R. L�istanza cautelare deve indicare �i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull�esito del ricorso�. La legge di riforma n. 205/2000 ha dato un forte connotato a questo requisito; il cambiamento apportato consiste nell�identificazione del fumus boni iuris non pi� con la �non manifesta infondatezza del ricorso�, ma con la �probabilit� di successo del ricorso�. Questa nuova formulazione ha inciso sulle motivazioni delle ordinanze cautelari che non richiamano semplicemente la sussistenza o meno dei presupposti di legge, ma argomentano sulla fondatezza o meno del ricorso, indicando i profili che possono condurre ad una ragionevole previsione sull�esito della lite. L�articolo introduce, non solo dei motivi di doglianza, ma anche delle ragioni di fatto e di diritto che sono poste a fondamento degli stessi. La legge di riforma n. 205/2000 non ha comportato grandi cambiamenti circa la modalit� di proposizione della domanda cautelare. L�art. 21, co. 8, della legge T.A.R. stabilisce che la legittimazione attiva spetta al ricorrente, � lui che chiede al giudice la concessione della misura cautelare che, a suo avviso, si rivela pi� idonea ad assicurare gli effetti della decisione sul merito. Legittimato a proporre istanza cautelare � anche il contro interessato, qualora ne abbia interesse; l�interesse del contro interessato sussiste certamente quando questi abbia proposto un ricorso incidentale, potendo pertanto essere titolare di un interesse che verrebbe pregiudicato dalla concessione della misura cautelare chiesta dal ricorrente. Le modalit� di proposizione dell�istanza cautelare sono due: la presentazione nell�ambito del ricorso introduttivo oppure con un atto distinto, successivo alla proposizione del ricorso principale. Nel giudizio amministrativo delineato dalla riforma del 2000 non � possibile proporre un ricorso che abbia ad oggetto la richiesta di sospensione dell�atto impugnato senza aver proposto domanda di annullamento dell�atto stesso, evidenziando semplicemente i pregiudizi che deriverebbero al ricorrente dall�esecuzione del provvedimento. Avutasi la notifica dell�istanza cautelare, gli interessati e l�amministrazione possono presentare memorie o istanze, depositandole presso la segreteria del Tar adito, nel termine di dieci giorni dalla notifica stessa. Sulle modalit� di formulazione dell�istanza cautelare, va rilevata la differenza tra l�indicazione del fumus boni iuris e quella del periculum in mora. Solitamente, per il primo presupposto � sufficiente fare rinvio ai motivi di diritto che sono enunciati nel ricorso principale, mentre per il periculum in mora, il ricorrente deve puntualmente indicare quelle che sono le ragioni del pregiudizio grave ed irreparabile temuto, tali da non consentire l�attesa della decisione finale. Il ricorrente, dunque, deve dare dimostrazione al giudice del pregiudizio temuto proprio perch� il giudice non pu� pronunciarsi basandosi esclusivamente sulle ragioni dell�istante. Per quanto riguarda la trattazione della domanda cautelare, gli artt. 36 e ss. del R.D. n. 642/1907 e l�art. 33 della legge T.A.R. prevedono che l�istanza cautelare venga esaminata nella prima camera di consiglio utile dopo il deposito del ricorso. L�art. 21, co. 8, della legge T.A.R. prevede che, durante la camera di consiglio, i difensori possono fare richiesta al giudice di essere ascoltati; se nessun difensore avanza tale richiesta, il giudice decide sull�istanza. Per poter decidere sull�istanza cautelare il giudice conduce un�attivit� istruttoria, usufruendo degli stessi poteri esercitabili in sede di merito; ad identit� di poteri istruttori non corrisponde per� identit� d�ampiezza d�indagine. L�attivit� istruttoria compiuta dal giudice cautelare � necessariamente ridotta rispetto a quella svolta in sede di merito; questa differenza potrebbe essere ricondotta al tipo di giurisdizione che viene esercitata nella fase cautelare: una giurisdizione sommaria, a differenza della cognizione piena che caratterizza la fase del merito. In base al disposto dell�art. 21 della legge T.A.R., l�ordinanza che decide sulla richiesta di concessione di una misura cautelare deve essere motivata. Ai sensi del comma 8 del suddetto articolo, la motivazione deve avere ad oggetto la valutazione compiuta dal giudice sul pregiudizio lamentato dal ricorrente e deve indicare i profili che inducono ad una ragionevole previsione sull�esito del ricorso. Si tratta di una motivazione che ha raggiunto un considerevole livello di approfondimento, a differenza delle decisioni cautelari anteriori alla riforma che presentano delle motivazioni scarne in cui il giudice faceva uso di formule precostituite, di clausole di stile, indicanti la sussistenza o meno dei presupposti necessari per la concessione delle misure cautelari. Se l�istanza cautelare viene accolta, l�art. 21, co. 12, della legge T.A.R., cos� come modificato dall�art. 3 della legge n. 205/2000, stabilisce che l�ordinanza cautelare deve fissare la data di trattazione del ricorso nel merito. Ad avviso della dottrina maggioritaria, la ratio di questa disposizione va individuata nell�esigenza di evitare che la misura cautelare costituisca rimedio ad una tardiva definizione del merito, 380 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 vento legislativo risiede nella volont� di ampliare le ipotesi in cui � possibile concedere una misura cautelare. A rimanere escluso da questa riforma � stato l�istituto della tutela cautelare ante causam perch� il legislatore ha ritenuto che le modifiche introdotte fossero sufficienti a garantire il rispetto del principio dell�effettivit� della tutela giurisdizionale. Anche la Corte Costituzionale, con l�ordinanza n. 179 del 10 maggio 2002, ha ritenuto che l�intervento riformatore realizzatosi con la legge n. 205/2000 ha delineato un sistema di tutela d�urgenza e cautelare completo, autonomo, effettivo, escludendo, pertanto, un�azione eterointegratrice che avesse ad oggetto l�introduzione nel processo amministrativo di istituti processual-civilistici, quali la tutela cautelare ante causam (4). La Corte Costituzionale ha anche stabilito che debba escludersi finendo per reggere a tempo indeterminato, in luogo della decisione di merito ed evitare l�effetto traumatico di un diniego nel merito a fronte di situazioni spesso consolidate sulla base della sola sospensiva. L�art. 21, co. 10, della legge T.A.R., in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 205/2000, prevede la possibilit� che il giudice giunga ad una definizione del giudizio nel merito gi� in sede di decisione della domanda cautelare; questa possibilit� � subordinata all�esistenza di diversi presupposti, sostanziali e processuali, che sono stati individuati dal legislatore nella fissazione della camera di consiglio per la decisione della domanda cautelarezione della motivazione comporta per il ricorrente l�indicazione, in sede di proposizione del ricorso legislatore nella fissazione della camera di consiglio per la decisione della domanda cautelare, nella completezza del contraddittorio, nella completezza dell�istruttoria, nell�audizione delle parti costituite e nella ricorrenza dei presupposti. Ovviamente la possibilit� di una repentina chiusura del processo porta con s� una inevitabile conseguenza, particolarmente rilevante: l�onere in capo alle parti di produrre degli scritti difensivi che siano il pi� possibile completi ed esaustivi. La parte istante dovr� basarsi sui motivi di diritto che reputa fondanti ed assorbenti, cos� come le controparti dovranno costituirsi immediatamente, presentando un controricorso ampio e ben documentato, proponendo tutte le eccezioni che potrebbero portare ad una pronuncia di irricevibilit� o inammissibilit� del ricorso. CՏ da dire, per�, che la scelta della decisione semplificata spetta comunque al giudice cautelare che, in sede di trattazione della domanda cautelare, potrebbe decidere di non definire nel merito il giudizio, pur ricorrendone le condizioni. A disciplinare l�esecuzione delle misure cautelari � l�art. 21, co. 14, della legge T.A.R., cos� come modificato dall�art. 3 della legge n. 205/2000. Se l�amministrazione non ottempera alle misure cautelari concesse dal giudice o lo fa solo parzialmente, la parte interessata pu� chiedere al Tar l�adozione di disposizioni attuative. Il Tar esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato e dispone l�esecuzione dell�ordinanza di concessione della misura cautelare, indicandone le modalit� e il soggetto che � tenuto a provvedere. Ai sensi dell�art. 21, co. 13, della legge T.A.R., cos� come introdotto dall�art. 3 della legge n. 205/2000 le misure cautelari possono essere revocate e modificate; la relativa domanda, come del resto la riproposizione della domanda cautelare respinta, sono ammissibili solo se motivate con riferimento a fatti sopravvenuti, condizione imprescindibile per poter esercitare tale facolt�; il riferimento � a quelle circostanze nuove che non erano venute ad esistenza fino al momento di concessione della misura cautelare. L�art. 28, co. 3, della legge T.A.R., introdotto dall�art. 3, co. 2, della legge n. 205/2000, prevede che le ordinanze dei Tribunali Amministrativi Regionali possono essere impugnate con il mezzo dell�appello. Il ricorso va presentato nel termine di 60 giorni dalla notificazione dell�ordinanza, oppure entro 120 giorni dalla comunicazione del deposito dell�ordinanza nella segreteria del Tar che l�ha emessa. (4) Questo �completo sistema di tutela, anche d�urgenza e cautelare, riguarda tutte le posizioni azionabili davanti al giudice amministrativo, senza distinzione tra interessi legittimi o diritti soggettivi tutelabili; esclude l�applicabilit� degli altri istituti propri del processo civile e, quindi, che si possa rilevare un�esigenza rilevante sul piano costituzionale, di intervento additivo sulle norme relative ai procedimenti d�urgenza della procedura civile�: cos� l�ord. n. 179/2002 della Corte Costituzionale. DOTTRINA 381 �una mancanza di effettivit� della tutela, quando il ricorrente possa avvalersi dei nuovi mezzi rapidissimi di notifica, al di fuori di quelli tradizionali, mediante consegna materiale a mezzo ufficiale giudiziario e suoi aiutanti, anche a mezzo telefax o per via telematica, accompagnati da eventuale riduzione di termini e contestuale decreto di fissazione sia di possibile convocazione delle parti avanti al Presidente, sia della successiva prima camera di consiglio collegiale utile�. Con questa pronuncia i giudici della Consulta hanno ribadito che la precedente sentenza della stessa Corte, la n. 190 del 1985 (5), non ha introdotto nel giudizio amministrativo una procedura autonoma di ricorso per ottenere provvedimenti cautelari ante causam, ma ha semplicemente ampliato quelli che erano i poteri del giudice nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego; a cambiare � stato solo il contenuto del provvedimento cautelare, dalla mera sospensione del provvedimento impugnato si � passati alla possibilit� che il giudice amministrativo conceda alla parte istante ogni tipo di misura cautelare che risulti idonea al fine di assicurare, in via provvisoria, gli effetti della decisione sul merito, dunque non una misura ante causam, ma una tutela cautelare innominata. Autorevole dottrina (6) aveva ritenuto che la tutela cautelare ante causam (5) La sentenza della Corte Costituzionale n. 190 del 1985 analizza sotto due profili la carenza nel processo amministrativo della tutela cautelare, in particolare l�insufficienza della tutela cautelare per l�inapplicabilit� dell�art. 700 c.p.c. alle materie riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo e la limitatezza del potere cautelare in capo al giudice amministrativo, limitatezza che deriva dal dettato dell�art. 21 della legge T.A.R., anteriore alla riforma del 2000, che disciplinava la c.d. �sospensiva� quale unica misura d�urgenza, non consentendo al giudice amministrativo l�adozione di misure �atipiche� come, invece, era concesso al giudice ordinario. La Corte dichiar� l�incostituzionalit� dell�art. 21 della legge T.A.R. per violazione degli articoli 3 e 113 Cost. nella parte in cui non prevedeva che il giudice amministrativo potesse intervenire d�urgenza nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego. Il risultato di questa censura fu l�inserimento, nel testo dell�ultimo comma dell�art. 21 della legge T.A.R., di una disposizione normativa identica a quella dettata dall�art. 700 c.p.c.; in questo modo ebbe valenza costituzionale la tutela cautelare concessa per porre un freno ai pericula in mora che davano vita a pregiudizi irreparabili per il ricorrente. CՏ da dire per�, che la sentenza della Corte aveva un ambito di applicazione limitato alle controversie patrimoniali di pubblico impiego, anche se la dottrina maggioritaria ha riconosciuto alla Corte stessa il merito di aver prescisso da questo limite e di aver affrontato il problema della tutela cautelare nelle sue linee generali. Attraverso l�integrazione dell�art. 21 e la conseguente estensione al giudice amministrativo del potere di concedere, nell�ambito delle controversie di natura patrimoniale in materia di pubblico impiego, provvedimenti d�urgenza capaci di garantire provvisoriamente gli effetti della sentenza di merito, non si � ottenuto lo stesso risultato che sarebbe conseguito all�ampliamento dell�ambito di applicazione dell�art. 700 c.p.c.. Quest�ultimo rappresenta la strada che i giudici della Consulta non hanno ritenuto opportuno perseguire, ma che avrebbe portato all�applicazione diretta dell�art. 700 c.p.c. nel processo amministrativo. Il perch� di questa scelta va forse individuato nella natura stessa dell�art. 700 c.p.c.: si tratta di una norma �terribilmente invadente perch�, per il suo contenuto elastico e la sua illimitata potenzialit�, � idonea ad assorbire e a sostituire di fatto molte misure tipiche�, come del resto ha sostenuto parte della dottrina (il riferimento va a M. CLARICH, I primi effetti delle nuove competenze. Il rito creativo dei T.A.R. fa posto alle ingiunzioni, in www.giust.it e G.D�INNELLA, L�evoluzione della tutela sommaria e cautelare, Giappichelli, 2002). (6) Si veda M.P. CHITI, La tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo: uno sviluppo davvero ineluttabile?, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, fasc. IX. 382 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 avrebbe accentuato fortemente il ruolo del giudice, determinando cos� uno sbilanciamento degli interessi delle parti in causa che avrebbe potuto ripercuotersi sull�assetto finale; tutto ci� sarebbe stato in palese contrasto con la natura meramente preventiva e transitoria della tutela cautelare. La stessa dottrina ritiene, inoltre, che nel processo amministrativo rivesta una particolare valenza �l�esigenza di non alterare irreversibilmente l�assetto degli interessi, attesa la presenza qualificante degli interessi pubblici e l�infungibilit� della discrezionalit� amministrativa�(7) . Questa impostazione � rivelatrice delle difficolt� incontrate dal legislatore italiano nel tentativo di estendere anche nel processo amministrativo l�istituto della tutela cautelare, in generale, e della misura preventiva, in particolare; difficolt� che sono il frutto di una concezione che ha permeato per tanti anni sia la dottrina sia la giurisprudenza amministrativa. La concezione cui faccio riferimento � quella per cui l�interesse pubblico � stato sempre considerato un baluardo da difendere perch� non poteva essere equiparato all�interesse vantato dal privato cittadino e, pertanto, da tutelare allo stesso modo; l�interesse vantato dalla Pubblica Amministrazione ha sempre avuto un quid pluris che ne ha permesso una tutela rafforzata, anche se ci� ha comportato una tutela meno effettiva per il privato. A tutto ci� si deve aggiungere l�ulteriore considerazione per cui il processo amministrativo nasce come processo di tipo impugnatorio in cui il giudice compie un�azione di mero controllo della legittimit� dell�atto impugnato nell�ambito di quelli che sono i motivi prospettati dal ricorrente (8). Questo tipo di attivit�, che il giudice ha fino ad oggi compiuto, non � sfociata in pronunce che hanno statuito tra le parti in modo compiuto, come invece � sempre accaduto ed accade nel processo civile; ci� � dovuto al fatto che il giudice amministrativo, in passato, non si � mai spinto fino all�analisi di ci� che sta alla base dell�atto amministrativo impugnato, vale a dire il rapporto tra il privato cittadino e la Pubblica Amministrazione. Una svolta in tal senso si � avuta con l�affidamento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo della competenza a conoscere, in determinate materie stabilite dal legislatore, degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi. Va rilevato, per�, che il processo amministrativo ha raggiunto ormai un�evoluzione tale per cui il privato cittadino non vedrebbe soddisfatti i propri interessi se il giudice a cui chiede tutela si limitasse ad emettere una pronuncia c.d. demolitoria; in questo modo la necessit� di assicurare una tutela effettiva non potrebbe essere realizzata. Se � vero che il giudice amministrativo nel momento in cui si trova a valutare la legittimit� di un atto della Pubblica Ammi- (7) Si veda sul punto M.P. CHITi, op. cit., pag. 902. (8) Si veda sul punto F. CARINGELLA, Dalla tutela di annullamento alla tutela di accertamento? in Trattato di giustizia amministrativa, F. CARINGELLA, e R. GAROFOLI, vol. II, Le tecniche di tutela nel processo amministrativo, Giuffr�, 2006, pag. 58. DOTTRINA 383 nistrazione giunge fino all�accertamento del rapporto sottostante soltanto per poter rendere la pronuncia di annullamento, rendendo dunque l�accertamento sul rapporto meramente strumentale all�annullamento del provvedimento impugnato, adesso, in un momento in cui il rispetto del principio di effettivit� della tutela giurisdizionale � quanto mai di preminente importanza, l�oggetto del processo amministrativo deve essere individuato nel rapporto che sussiste tra la Pubblica Amministrazione ed il privato cittadino-amministrato, rapporto su cui va ad innestarsi il provvedimento, l�atto emanato dall�amministrazione. Il passo in avanti � costituito dal fatto che l�accertamento di questo rapporto da parte del giudice non � pi� strumentale all�annullamento dell�atto, ma � dotato di una propria autonomia. In questa evoluzione del processo amministrativo l�atto emanato dall�amministrazione cambia ruolo: non � pi� l�oggetto del giudizio, ma il �pretesto� dello stesso. Del resto anche la giurisprudenza ha riconosciuto che il giudice amministrativo pu� indagare non solo sulla legittimit� dell�atto, ma anche sulla fondatezza sostanziale della pretesa vantata dal privato-ricorrente, sul rapporto che sta a fondamento dell�atto. Basti pensare alle ipotesi in cui i giudici non hanno concesso l�annullamento dell�atto amministrativo che presentava una motivazione insufficiente ovvero delle violazioni procedimentali solo formali; in questi casi il giudice amministrativo si � rifiutato di annullare un provvedimento che nella �sostanza� era idoneo a raggiungere lo scopo, considerazione a cui � arrivato dopo un�indagine che non si � di certo limitata all�atto, ma che � giunta fino al rapporto. La giurisprudenza, dunque, non ha rifiutato di compiere un�indagine sulla fondatezza o meno della pretesa per ricavarne argomenti contrari a quelli del ricorrente; cos� si � giunti al riconoscimento di un�indagine sulla fondatezza della pretesa anche per giungere a risultati a favore del ricorrente. Analizzando il cambiamento che il processo amministrativo ha sub�to in questi anni emergono delle considerazioni in termini di tutela. Gli strumenti messi a disposizione dal legislatore per fronteggiare le controversie di competenza del giudice amministrativo sono sufficienti? La tutela che viene garantita nel giudizio amministrativo � realmente effettiva? A questi interrogativi, che riguardano la giurisdizione del nostro Paese, se ne aggiungono altri che riguardano un�altra dimensione, quella sovranazionale, di cui il nostro ordinamento fa parte. Che cosa prevede il legislatore comunitario in materia di tutela? Che cosa chiede l�ordinamento comunitario ai soggetti che ne fanno parte? La mancanza nel giudizio amministrativo italiano della tutela cautelare ante causam, nonostante i cambiamenti apportati dalla legge di riforma n. 205/2000, ha dato vita ad un dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza, volto ad evidenziare come in alcuni casi le esigenze di salvaguardia di posizioni giuridiche soggettive necessitino l�azione di un giudice che sia dotato di 384 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 poteri d�intervento in via d�urgenza che garantiscano una tutela immediata, senza che sia necessario attendere l�instaurazione del rapporto processuale. Il Tar Lombardia, Sez. III, con l�ordinanza presidenziale n. 1 del 15 febbraio 2001, ha sottolineato, sollevando una questione di legittimit� costituzionale, come la legge T.A.R. fosse carente di un rimedio cautelare ante causam e come questa mancanza fosse in contrasto con la normativa comunitaria, in particolare con il dettato della c.d. direttiva ricorsi, la 89/665/CEE. Tutto ci� avrebbe comportato, a breve, l�avvio, da parte della Commissione europea, di una procedura di infrazione, ai sensi dell�art. 226 TCE, nei confronti dello Stato italiano perch�, in mancanza di un intervento legislativo volto a colmare questa lacuna, il nostro Paese sarebbe rimasto al di fuori del sistema di legittimit� comunitaria. La procedura di infrazione nei nostri riguardi non cՏ stata, ma non perch� si sia registrato il tempestivo intervento legislativo tanto agognato, bens� per il fatto che il Tar Brescia, con l�ordinanza presidenziale n. 76 del 26 aprile 2003, ha rimesso la questione ai giudici lussemburghesi, sollevando questione pregiudiziale in merito alla compatibilit� della normativa amministrativa italiana con la disciplina sovranazionale, vista la mancanza nel nostro processo amministrativo di una tutela cautelare ante causam. L�incompatibilit� tra le due normative era evidenziabile, ad avviso del Tar lombardo, nella mancanza, nell�art. 21 della legge T.A.R., della possibilit� di dar vita ad un ricorso accessibile a quanti lamentavano di aver subito un danno, nonch� nell�impossibilit� di ottenere, sollecitamente ed in via d�urgenza, provvedimenti provvisori che fossero in grado di riparare la violazione o di porre un freno ad ulteriori possibili effetti negativi. La risposta della Corte di giustizia alla domanda pregiudiziale del Tar � ben nota; con l�ordinanza del 19 aprile 2004 i giudici comunitari hanno stabilito che ogni Stato membro � tenuto ad attribuire agli organi giurisdizionali competenti la facolt� di concedere ogni tipo di provvedimento provvisorio senza che per ottenere ci� sia necessaria la previa proposizione di un ricorso di merito. La Corte di giustizia si era gi� pronunciata in tal senso in due precedenti occasioni (9) nei confronti di due Stati membri che non avevano introdotto nei loro ordinamenti una disciplina che permettesse la concessione di una misura cautelare libera da previ adempimenti (10); pertanto, questi Stati erano stati ri- (9) Le due precedenti occasioni sono quelle che hanno visto coinvolti lo Stato greco e quello spagnolo, rispettivamente nel 1996 con la causa C-236/95 e nel 2003 con la causa C-214/00. (10) Nella causa contro la Spagna la Corte ha stabilito che �la possibilit� di adottare misure cautelari in relazione alle decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici� subordinata alla previa proposizione di un ricorso avverso la decisione dell�amministrazione aggiudicatrice non verrebbe smentita nemmeno dal fatto che �nell�ambito della sospensione per via giudiziaria, il ricorso pu� essere proposto con semplice atto scritto e che l�atto introduttivo del ricorso pu� essere formulato successivamente alla domanda di provvedimento provvisorio, dal momento che l�obbligo di un previo esperimento di tale formalit� non pu� neanche essere considerato compatibile con i precetti della direttiva 89/665/CEE�. DOTTRINA 385 tenuti inadempienti, per il non corretto recepimento della c.d. direttiva ricorsi. In materia di appalti pubblici due sono le direttive �ricorsi�: la direttiva 89/665/CEE, applicabile agli appalti di lavori e forniture, il cui ambito � stato successivamente esteso agli appalti di servizi con la direttiva 92/50/CEE, e la direttiva 92/13/CEE, applicabile agli appalti dei settori c.d. esclusi. Queste direttive costituiscono gli atti normativi comunitari pi� importanti in questo settore; il loro ambito di applicazione � limitato alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di rilievo sovranazionale, superiori alla soglia appositamente stabilita. Il legislatore comunitario con queste direttive si � prefissato l�obiettivo di aprire i mercati pubblici alla concorrenza, eliminando la barriere poste dagli stessi Stati membri. L�esigenza di creare una disciplina unitaria in materia di appalti pubblici � nata dalla valutazione del risultato del monitoraggio condotto dalla Commissione europea ed avente ad oggetto le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici nei vari Stati membri. Da questa indagine erano emersi numerosi vizi che affliggevano le diverse procedure nazionali, si andava dalla mancata pubblicazione dei bandi di gara, alla riduzione ingiustificata dei termini, passando per la fissazione di clausole che limitavano la partecipazione di alcune imprese a vantaggio di altre. Lo studio condotto dalla Commissione fece emergere anche delle lacune in merito ai mezzi di tutela che potevano essere attivati per garantire le imprese partecipanti alla gara di aggiudicazione che erano state vittime di lesioni. La Commissione, inoltre, temeva il rischio che la carenza dei mezzi di ricorso potesse dissuadere le imprese dal partecipare alle procedure di appalto indette dalle amministrazioni dei vari Stati membri. Emerse, dunque, la necessit� di una disciplina unitaria che facesse fronte alle violazioni della normativa sostanziale dei vari ordinamenti interni. L�obiettivo dell�apertura del mercato degli appalti venne perseguito con l�adozione dell�Atto unico europeo, il cui art. 130F, co. 2, stabiliva proprio la necessit� di aprire i mercati pubblici nazionali. Con questo documento la Comunit� europea si impegnava ad adottare tutte le misure in grado di realizzare la progressiva instaurazione del mercato interno durante un periodo che sarebbe scaduto il 31 dicembre 1992. Il legislatore comunitario, avendo ben a mente questa scadenza, ha predisposto una serie di strumenti giurisdizionali per garantire una corretta aggiudicazione degli appalti, attraverso una procedura priva di vizi; sono nate in questo modo le c.d. �direttive ricorsi�. La Commissione, per�, si rese ben presto conto che l�azione di controllo che voleva perseguire non era realizzabile con lo strumento del procedimento d�infrazione, ai sensi dell�art. 226 TCE (11), in quanto non poteva intervenire (11) La procedura di infrazione, disciplinata dall�art. 226 TCE, si articola in due fasi: una precontenziosa preliminare e la seconda contenziosa vera e propria. La prima di queste due fasi si propone il duplice obiettivo di creare le condizioni per la composizione della controversia per evitare l�intervento 386 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 nella fase di aggiudicazione di un appalto cercando di sanare i vizi della procedura ancora sanabili, perch� l�attuazione della procedura d�infrazione richiedeva un procedimento alquanto elaborato, mentre la procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico era molto snella e veloce. Cos� si decise di creare uno strumento di controllo articolato in due momenti: un primo controllo veniva effettuato dalla Commissione sulle stazioni appaltanti servendosi di una procedura veloce e poco invasiva, il secondo era condotto da coloro che partecipavano alla gara e consisteva nella possibilit� di esperire ricorsi dinanzi ai giudici nazionali. Le difficolt� maggiori si presentarono al momento di concretizzare questo secondo tipo di controllo: la variegata congerie di norme processuali dei vari Stati membri obblig� il legislatore comunitario a dettare una disciplina che contenesse i principi-cardine della procedura di ricorso in modo tale da garantirne un�applicazione che fosse il pi� possibile uniforme. I due pi� importanti aspetti che dovevano essere garantiti dagli Stati nazionali consistevano in un�efficace sistema di tutela cautelare e nella possibilit� di concedere un indennizzo per le lesioni subite dai concorrenti alla gara. La direttiva 89/665/CEE non ha fatto altro che recepire quanto affermato dai giudici della Corte di giustizia in materia di rapporto tra norme processuali e sostanziali; pertanto � stato stabilito che gli Stati nazionali devono garantire misure processuali che diano la possibilit� di proporre ricorsi efficaci avverso le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico. Questi ricorsi, inoltre, devono essere esperibili da chiunque vi abbia interesse, essendo stato o potendo essere danneggiato da un�eventuale violazione. Per garantire l�attuazione di tutto ci�, all�art. 2 della direttiva 89/665/CEE � stata prevista una tutela c.d. �a due livelli� attraverso l�attribuzione di poteri sia alle autorit� giudiziarie che amministrative dei vari Stati nazionali; si � infatti della Corte; il secondo scopo � processuale, in quanto lo svolgimento di questa fase � condizione di ricevibilit� del ricorso alla Corte di giustizia. La fase precontenziosa si caratterizza per l�invio allo Stato membro di un atto non formale, la lettera di messa in mora, con il quale la Commissione contesta allo Stato determinati comportamenti e gli assegna un termine entro cui presentare le proprie osservazioni, solitamente si tratta di un termine di due mesi. Seguono le osservazioni dello Stato, in caso contrario si passa subito alla fase contenziosa. Ricevute le osservazioni, la Commissione emana un parere motivato mediante il quale rende noti gli addebiti che muove allo Stato e lo invita a conformarsi entro un dato termine. Il parere motivato non � un atto obbligatorio, lo Stato non viene obbligato dalla Commissione a conformarvisi, ma se si vuole evitare il ricorso alla Corte occorre aderirvi. La seconda fase, quella contenziosa termina con la pronuncia, da parte della Corte di giustizia, di una sentenza. Ai sensi dell�art. 228, il Trattato prevede che se la Corte accoglie il ricorso presentato dalla Commissione, essa riconosce che lo Stato membro � venuto meno ad un obbligo su di esso incombente in forza del Trattato; quella della Corte � una sentenza di mero accertamento, non di condanna. Pertanto, la Corte con la sentenza non pu� disporre l�annullamento dei provvedimenti nazionali ritenuti e riconosciuti incompatibili. L�art. 228, co. 1, TCE stabilisce per� che lo Stato membro ҏ tenuto a prendere i provvedimenti che l�esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta�. Per un approfondimento sul punto si veda la dettagliata descrizione del ricorso per infrazione fatta da L. DANIELE, Diritto dell�Unione europea. Sistema istituzionale � ordinamento � tutela giurisdizionale � competenze, Giuffr�, 2007, pp. 234 ss. DOTTRINA 387 stabilito che esse possono adottare �con la massima sollecitudine e con procedura d�urgenza� provvedimenti provvisori che mirino a riparare la violazione commessa o siano in grado di ostacolare il prodursi di ulteriori danni, �annullare o far annullare le decisioni illegittime�, prevedere la concessione di un risarcimento per i danni prodotti dalla violazione. La misura cautelare, per�, non � sempre concedibile: la sua concessione deve essere negata qualora, da un esame degli interessi in gioco, emerga che le conseguenze negative derivabili sono maggiori di quelle positive. Da quanto affermato dalla direttiva �ricorsi� e successivamente, per sancirne la sua corretta applicazione, dalla Corte di giustizia, emerge che, quando l�ordinamento di uno Stato membro non prevede, nel settore degli appalti pubblici, un sistema cautelare che garantisca la concessione di misure d�urgenza, indipendentemente dalla proposizione di un�azione di merito, questo � in contrasto con la disciplina comunitaria e, in particolare, con il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale. Il settore dei lavori pubblici nel nostro Paese durante gli anni �80 si trovava in una situazione di crisi; per uscire da questa difficile situazione erano state prospettate due possibili soluzioni, la prima delle quali consisteva nella riorganizzazione dell�amministrazione, la seconda in una sistematizzazione della normativa. La seconda soluzione fu ritenuta da pi� parti la pi� efficace, cos� si provvide all�emanazione della legge n. 109/1994, la c.d. legge �quadro� in materia di lavori pubblici che doveva costituire il primo passo verso la realizzazione dell�obiettivo finale: un codice dei lavori pubblici che fosse in grado di dar vita ad una regolamentazione della materia. Il raggiungimento di questo obiettivo fall�, questa legge � stata pi� volte modificata senza mai giungere all�armonizzazione del settore. A ci� si devono aggiungere le incertezze emerse, intorno agli anni �90, sul piano giurisdizionale in materia di appalti pubblici (12). Risolutiva � stata l�influenza esercitata dall�ordinamento comunitario in (12) Queste incertezze furono dovute alla decisione della Corte di Cassazione (sent. Cass. SS. UU. n. 12221/1990 ) di attribuire al giudice amministrativo la giurisdizione sulle controversie in merito agli atti dei concessionari delle opere pubbliche, in quanto venivano considerati dalla Suprema Corte �organi indiretti della pubblica amministrazione, mentre alla giurisdizione del giudice ordinario venivano attribuite le controversie sugli atti degli altri soggetti privati legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di altra natura. La giurisprudenza amministrativa non riteneva affatto giustificata questa diversificazione tra concessionario ed altre figure organizzatorie, cos�, basandosi sulla normativa sovranazionale e sulle norme interne di recepimento delle stesse, stabil� che in materia di appalti pubblici la giurisdizione era da attribuire unicamente al giudice amministrativo, indipendentemente dal fatto che si trattasse di atti compiuti da soggetti concessionari o meno ( sent. C.d.S., Sez. VI, n. 1478/1998 ). Questa decisione fu di particolare importanza in quanto la Corte di Cassazione riform� il suo precedente orientamento giungendo alla stessa conclusione cui era pervenuta la Sez. VI del C.d.S. Infatti, con sentenza a Sezioni Unite n. 64 del 1999, afferm� che al giudice amministrativo spettava la giurisdizione esclusiva nelle controversie relative agli �atti di tutti i soggetti privati, anche se limitatamente alle controversie relative agli appalti c.d. soprasoglia�. 388 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 materia di appalti e le modifiche apportate alla disciplina nazionale in seguito al recepimento delle diverse direttive che hanno plasmato il nuovo volto del diritto degli appalti comunitari. Le varie modifiche subite dalla legge quadro in materia di lavori pubblici, nonch� i vari interventi del legislatore nazionale finalizzati al recepimento dei principi di provenienza sovranazionale, avevano creato una normativa del settore troppo variegata, a tratti confusa, che richiedeva, pertanto, di essere riorganizzata. In questo scenario si inserirono due importanti direttive comunitarie in materia di appalti pubblici: la prima � la 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che coordina le procedure d�appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali; la seconda � la 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (13). Il nostro Paese ha recepito le direttive nn. 17 e 18 del Parlamento europeo e del Consiglio con il decreto legislativo n. 163/2006, frutto della delega go- Solo successivamente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 191/2006, ha fugato ogni dubbio sul punto chiarendo che la giurisdizione del giudice amministrativo pu� essere esercitata anche in merito ai comportamenti tenuti dalla Pubblica Amministrazione, comportamenti che sono il risultato dell�esercizio del potere pubblico; sono per� esclusi i comportamenti puramente materiali. La Corte Costituzionale con questa pronuncia ha stabilito che �(�) deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione del giudice amministrativo delle controversie relative a �comportamenti� collegati all�esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di �comportamenti� posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto�. (13) Queste direttive sono state emanate nell�ambito della liberalizzazione del settore degli appalti al fine di completare la realizzazione del progetto del mercato interno e per favorire un�effettiva concorrenza a livello sovranazionale. Per poter realizzare questo obiettivo, sono state adottate altre disposizioni volte, in primo luogo, alla creazione di pari condizioni per tutti i partecipanti alle gare per l�aggiudicazione di un appalto pubblico in tutti i Paesi della Comunit� europea, in secondo luogo, all�assicurazione della garanzia di trasparenza per un pieno rispetto dei principi comunitari quali la libert� di circolazione delle merci, di stabilimento e di prestazione di servizi. La direttiva 2004/18/CE riguarda il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e di servizi; la direttiva 2004/17/CE ha lo stesso oggetto della precedente ma con riferimento ai settori esclusi dalla concorrenza, cio� quello dell�acqua, dell�energia, dei trasporti e dei servizi postali, dei c.d. settori speciali. L�obiettivo che si � prefissato il legislatore comunitario � stato quello di realizzare un coordinamento delle procedure d�appalto per �rispondere alle esigenze di semplificazione e modernizzazione formulate sia dagli enti aggiudicatori che dagli operatori economici. Diversi sono i motivi che hanno spinto all�introduzione di norme di coordinamento di questo settore, uno di questi � costituito dal fatto che le autorit� dei vari Stati membri possono agire sugli enti aggiudicatori, influenzandone il comportamento; si va dalla partecipazione delle suddette autorit� al capitale sociale di questi enti, fino all�inserimento di soggetti, rappresentanti di queste autorit�, negli organi amministrativi, direttivi o di vigilanza delle societ� aggiudicatarie. Un altro motivo consiste nel fatto che gli enti aggiudicatori operano in un mercato, caratterizzato dalla concessione, da parte dei vari Stati membri, �di diritti speciali o esclusivi� finalizzati �all�approvvigionamento, alla messa a disposizione o alla gestione di reti che forniscono il servizio in questione�. La direttiva 2004/17/CE stabilisce che per raggiungere l�obiettivo della liberalizzazione del mercato ed un equilibrio nell�applicazione delle disposizioni in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici nei settori dell�acqua, dell�energia, dei trasporti e dei servizi postali, � necessario che gli enti in questione DOTTRINA 389 vernativa conferita dalla legge n. 62/2005, all�art. 25 (14). Al legislatore delegato � stato affidato il compito di compilare �un unico testo normativo recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto� cos� come dettate dalle due direttive comunitarie, �nel rispetto dei principi del Trattato istitutivo dell�Unione europea�(15). Il secondo obiettivo che il legislatore si doveva prefiggere di realizzare consisteva nella �semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie�, per cercare di contenere i tempi e creare strumenti giuridici flessibili (16). Il legislatore pu� conferire all�Autorit� per la vigilanza sui lavori pubblici funzione di vigilanza nel settore degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi (17). L�ultimo compito � consistito nell�adeguamento della normativa nazionale alla sentenza della Corte di giustizia del 7 ottobre 2004, in causa C-247/02 (18). Questi quattro criteri direttivi (19) non sono finalizzati �siano definiti in modo diverso dal riferimento alla loro qualificazione giuridica�. Il legislatore comunitario punta sostanzialmente ad una parit� di trattamento tra gli enti aggiudicatori del settore pubblico e quelli che operano nel settore privato. Inoltre, la partecipazione di un ente pubblico alla procedura di aggiudicazione di un appalto non deve provocare una distorsione della concorrenza nei confronti dei concorrenti privati; tutto questo deve essere garantito dai vari Stati e ad essi, infatti, si rivolge il legislatore comunitario che al considerando n. 55 della direttiva 2004/17/CE stabilisce che �l�aggiudicazione dell�appalto deve essere effettuata applicando criteri obiettivi che garantiscono il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parit� di trattamento e che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza�. I principi espressi in queste due direttive comunitarie in materia di appalti pubblici sono praticamente analoghi; esse sono state recepite dagli Stati nazionali sui quali � gravato l�obbligo di creare gli strumenti idonei alla realizzazione degli obiettivi che il legislatore comunitario ha inteso perseguire con l�emanazione di queste importanti disposizioni. Gli articoli 72 della direttiva 2004/17/CE e 81 della direttiva 2004/18/CE disciplinano i �meccanismi di controllo�, impongono, cio�, agli Stati membri di assicurare l�applicazione di queste direttive attraverso dei meccanismi che siano efficaci, accessibili e trasparenti. (14) Si vedano sul punto L. A. ESPOSITO, Applicazioni del diritto comunitario: codice degli appalti, intervento del 13 aprile 2007 al Convegno dell�Universit� di Salerno, facolt� di giurisprudenza �50 anni di integrazione europea: il diritto comunitario applicato in Italia�, su www.giustizia-amministrativa.it ed E. STANIZZI, Il nuovo codice dei contratti pubblici, su rubrica dell�Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione, su www.anticorruzione.it (15) Il riferimento � all�art. 25, co. 1, lett. a) della legge n. 62/2005 (16) Si veda l�art. 25, co. 1, lett. b) della legge n. 62/2005. (17) Cfr. sul punto l�art. 25, co. 1, lett. c) della legge n. 62/2005. L�Autorit� per la vigilanza sui lavori pubblici � dotata di �indipendenza funzionale e autonomia organizzativa�, ha a sua disposizione �forme e metodi di organizzazione e di analisi dell�impatto della formazione per l�emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione�. Il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, durante l�Adunanza del 6 febbraio 2006, n. Sezione 355/06, avente ad oggetto il parere reso sullo schema di decreto legislativo recante il �Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture�, ai sensi dell�art. 25 della legge n. 62/2005, ha affermato in merito all�Autorit� per la Vigilanza sui lavori pubblici e al ruolo da essa svolto che �(�) lungi dal ritenersi confliggente con il sistema delle autonomie, deve considerarsi il necessario punto di riferimento e di raccordo del sistema stesso�: cos� a pag. 10 del parere n. 355/06. (18) Art. 25, co. 1, lett. d) della legge n. 62/2005. (19) Si veda sul punto P. DE LISE, Presentazione del nuovo codice degli appalti, su www.GiustAmm. it , in Articoli e note, n.1-2006. 390 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 alla semplice raccolta delle norme preesistenti da coordinare con i principi contenuti nelle due direttive, ma alla creazione di una �disciplina unitaria ed omnicomprensiva, comprendente cio� i contratti sopra e sotto soglia di rilevanza comunitaria, i settori ordinari, i settori speciali e le grandi opere�(20). Sono state abolite le disposizioni contenute nella legge Merloni (21) in contrasto con le nuove direttive europee e con i quattro criteri in precedenza esposti; si � avuta solo un�abrogazione formale di questa legge, la gran parte delle sue disposizioni � stata mantenuta (22). Vista la legge delega n. 62/2005 e gli obiettivi da essa fissati in forza del recepimento delle direttive comunitarie 17 e 18 del 2004, il Governo ha deciso di istituire una Commissione che predisponesse un progetto di recepimento delle stesse; questa Commissione � stata presieduta da Pasquale de Lise, Presidente del T.A.R. del Lazio. A questa Commissione si chiedeva il compimento di una razionalizzazione e di una semplificazione della normativa in materia di contratti pubblici. Si trattava indubbiamente di un compito difficile da portare a termine data l�enorme variet� di disposizioni che disciplinavano il settore. Un �corpus di norme organiche sulla regolamentazione del settore� non poteva che estrinsecarsi in un codice dei lavori pubblici (23), peraltro gi� esistente in altri Paesi della Comunit� europea, come la Francia. In realt� l�idea di fondo non � del tutto nuova; infatti, gi� un decennio prima, si era tentata la realizzazione di un�opera organica di questo tipo. Il tentativo per� fall�; dopo l�emanazione della legge quadro n. 109/94 il progetto sostanzialmente si aren�. A convincere il legislatore italiano della bont� di quel progetto e della assoluta necessit� di riportarlo in vita � stato l�intervento del legislatore sovranazionale che ha proceduto alla unificazione delle discipline in materia di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in precedenza regolamentati da diverse direttive che sono state, pertanto, superate. Il progetto della Commissione �de Lise�, conformandosi alla disciplina comunitaria, ha dettato delle disposizioni per i contratti soprasoglia analoghe a quelle comunitarie ed ha esteso una disciplina simile anche per i (20) Il riferimento � a L. A. ESPOSITO, op. cit., su www.giustizia-amministrativa.it (21) La legge Merloni prevedeva la possibilit� di abrogare le norme in essa contenute solo con disposizioni espresse, ma non necessariamente con legge (si tratta della c.d. clausola di resistenza, disciplinata all�art. 1 ); questa regola � stata rispettate perch� l�abrogazione � avvenuta con decreto legislativo, con un atto avente forza di legge. Si veda sul punto L. A. ESPOSITO, op. cit. e P. DE LISE, Presentazione, op. cit. (22) Si veda sul punto P. DE LISE, Presentazione, op. cit. Le novit� rispetto alla legge Merloni sono individuabili nella maggior possibilit� di utilizzare la trattativa privata rispetto al passato, la scelta dei criteri di aggiudicazione di un appalto viene lasciata alla stazione appaltante e non � pi� rimessa alle decisioni del legislatore, � stato creato un sistema di verifica delle offerte anomale pi� conforme al diritto comunitario. L�art. 53 della direttiva 2004/18/CE individua i criteri di aggiudicazione degli appalti in quello dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa e in quello del prezzo pi� basso. Il primo � composto da parametri diversi tra di loro ma tutti collegati all�oggetto dell�appalto; questi sono la qualit�, il prezzo, il pregio tecnico, le caratteristiche ambientali, ecc.. (23) Si veda sul punto P. DE LISE, Presentazione, op. cit. DOTTRINA 391 contratti sottosoglia; non si � voluto adottare per questi ultimi una normativa pi� restrittiva e rigorosa. Questa scelta � stata criticata in quanto si � detto che cos� facendo si � �voluto ampliare la discrezionalit� dell�amministrazione a danno della trasparenza, della concorrenza, dei vincoli posti dalla legge Merloni�( 24). Dal progetto della Commissione �de Lise� � nato il d.lgs. n. 163/2006, denominato �Codice dei Contratti Pubblici�, concernente i contratti pubblici (25) relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e speciali; successivamente � stato integrato dal d.lgs. n. 6/2007, ma in maniera quasi trascurabile (26). Gli articoli che qui ci interessa approfondire sono quelli che vanno dal 244 al 246 che devono essere letti in coordinazione tra di loro. Il primo di essi, l�art. 244, riguarda la giurisdizione, l�art. 245 la tutela e, infine, l�art. 246 contiene le norme processuali ulteriori in materia di controversie su infrastrutture ed insediamenti produttivi (27). (24) Si veda sul punto P. DE LISE,, Presentazione, op. cit. (25) Per un approfondimento sui contratti pubblici si veda E. BRANDOLINI - R. FRANCAVIGLIA, I provvedimenti d�urgenza in sede civile ed in sede amministrativa. Sistematica della cautela atipica, HALLEY editrice, 2008, pp. 231 ss. �I contratti della Pubblica Amministrazione sono atti funzionali ed esplicativi nella funzione pubblica e, come tali, destinati funzionalmente al perseguimento dell�interesse pubblico�; �(�) la realizzazione di qualsiasi negozio da parte della pubblica amministrazione deve essere preceduta da un provvedimento amministrativo attraverso il quale l�amministrazione dichiari, quindi renda evidente, lo scopo da perseguire e le relativa modalit� di realizzazione�; �(�) l�amministrazione deve dar conto sia delle ragioni di interesse pubblico che la inducono ad agire jure privatorum invece che jure privatorum sia dell�effettiva realizzazione di tale interesse mediante il ricorso all�autonomia privata. Ci� perch� qualsiasi azione dell�amministrazione pubblica � comunque finalizzata alla cura di un interesse alieno e, quindi, non libera nei fini. Evidenza pubblica significa appunto rendere palesi i motivi, di interesse pubblico, che hanno indotto l�amministrazione alla formazione di quello determinata volont� e, quindi, ad adottare le consequenziali decisioni. Detta esternazione rende possibile il sindacato sull�esercizio della funzione ed assolve alle esigenze di controllo�. (26) Il Codice � strutturato in cinque parti: la prima predispone le norme relative all�oggetto, ai principi, alle fonti, al riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni, all�Autorit� per la Vigilanza sui contratti pubblici, al responsabile per il procedimento e all�accesso nelle procedure di gara; la seconda ha ad oggetto i contratti di lavori, forniture e servizi nei settori ordinari; la terza i contratti di lavori, forniture e servizi nei settori speciali, come disposto nella direttiva 2004/17/CE. La quarta parte � quella che pi� ci interessa e che svolge un ruolo significativo, in quanto disciplina �gli strumenti stragiudiziali e giudiziali di composizione delle liti in materia di contratti pubblici�; la quinta ed ultima parte, infine, riguarda le disposizioni di coordinamento e transitorie. Si veda sul punto F. MUSURACA, Brevi riflessioni sulla tutela cautelare nel c.d. Codice dei contratti pubblici, su www.filodiritto.com, nonch� M. A. SANDULLI, La nuova tutela giurisdizionale in tema di contratti pubblici (note a margine degli artt. 244-246 del Codice de Lise), su www.federalismi.it n. 21/2006, nonch� su Foro amm. � TAR, 2006, pp. 3375 ss. �La normativa dettata dal Codice costituisce il frutto della ricerca di un�equilibrata composizione tra tutela degli interessi sostanziali sottesi alla contrattazione pubblicistica, rispetto alla disciplina vigente ed esigenza di celerit� nella definizione delle liti�: cos� M. A. SANDULLI, La nuova tutela giurisdizionale, op. cit., pag. 2. (27) L�art. 244 del Codice dei Contratti Pubblici prevede che �sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all�applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale�. Sono devolute alla giurisdizione esclu- 392 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 In materia di giurisdizione, l�aspetto pi� importante che il Codice degli appalti ha introdotto �risiede indubbiamente nella possibilit� di ottenere dal giudice amministrativo una tutela cautelare ante causam, consistente nella possibilit� di sottoporre il petitum cautelare direttamente al competente organo giurisdizionale e di vederlo eventualmente accolto inaudita altera parte�(28). siva del giudice amministrativo anche le controversie sui provvedimenti sanzionatori che sono emessi dall�Autorit�, nonch� quelle relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, alla clausola di revisione del prezzo e �al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica�. L�art. 244 del Codice dei Contratti Pubblici prevede che �sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure. Quando la Pubblica Amministrazione fa precedere la stipulazione di un contratto da una procedura di evidenza pubblica, finalizzata ad esplicitare a tutti quali sono i motivi di interesse pubblico che spingono l�Amministrazione ad adottare determinate decisioni, esercita una funzione pubblica; pertanto, la giurisdizione in materia di contratti preceduti da una procedura ad evidenza pubblica � devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo. Il contenuto dell�art. 244 del Codice dei Contratti Pubblici, riprende il contenuto dell�art. 6 della legge n. 205/2000 che stabilisce la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie in materia di procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi, forniture, procedure nell�esplicazione delle quali si deve tenere conto delle norme comunitarie, di quelle nazionali o regionali e dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla legge statale. L�art. 6 della legge n. 205/2000, a sua volta, non fa altro che riportare il contenuto dell�art. 33, lett. e) del d. lgs. n. 80/1998 che estendeva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche alla fase esecutiva dei contratti pubblici. Questa impostazione venne poi seccamente smentita dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 292/2000 e qualche mese prima la stessa Corte di Cassazione si era premurata di sconfessare quanto previsto dal d. lgs. n. 80/1998. Rimane dunque ferma l�esclusione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di esecuzione di un contratto pubblico: il giudice amministrativo �si deve fermare� alla valutazione della procedura ad esempio nella fase della scelta del contraente, senza poter giungere a sindacare, per fare un altro esempio, il recesso dal contratto stesso. L�art. 244 garantisce anche la possibilit� di adire il giudice amministrativo contro i provvedimenti dell�Autorit� per la Vigilanza sui Lavori Pubblici che hanno contenuto sanzionatorio; il termine per proporre ricorso � di sessanta giorni. L�art. 246 del Codice dei Contratti Pubblici predispone ulteriori norme per disciplinare le controversie in merito ad infrastrutture ed insediamenti produttivi; �questo articolo non contiene modifiche sostanziali rispetto alla normativa di riferimento ( il d. lgs. n. 190/2002 )�. Il co. 3 di questo articolo prevede che il giudice adito, in sede di pronuncia del provvedimento cautelare, deve tener conto delle conseguenze che il provvedimento potrebbe produrre agli altri interessi coinvolti, che pertanto potrebbero essere lesi; il giudice deve, inoltre, tener conto anche del �preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell�opera�. Per poter accogliere o meno una domanda cautelare si tiene conto anche della �irreparabilit� del pregiudizio per il ricorrente�; l�interesse vantato da quest�ultimo va infatti confrontato �con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione della procedura�. Sostanzialmente, il legislatore chiede al giudice adito di tener conto degli interessi contrapposti, lo stesso tipo di comparazione che gli viene chiesta quando deve deliberare in camera di consiglio; va per� sottolineata una differenza rispetto a questa comparazione: il co. 3 dell�art. 246 qualifica l�interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell�opera come �preminente�; dunque, che comparazione si chiede al giudice quando ancor prima di averla effettuata il legislatore �impone� che si tenga conto della �supremazia� di un interesse sugli altri ugualmente in gioco? Sarebbe stato sicuramente pi� corretto non attribuire a priori alcuna qualificazione all�interesse nazionale in gioco, perch� cos� facendo si rischia di far soccombere sempre e comunque l�interesse del ricorrente ancor prima che questi abbia adito il giudice �per avere giustizia�. (28) Cos� A. POLICE, La tutela giurisdizionale, in I contratti con la pubblica amministrazione, Tomo Primo, in Trattato dei contratti, C. FRANCHINI ( a cura di ), UTET, 2007, pag. 784. Si veda sul punto anche S. TARULLO, La nuova tutela cautelare ante causam introdotta dall�art. 245 del Codice DOTTRINA 393 L�art. 245 del Codice degli appalti ha apportato nuovi elementi che hanno segnato una discontinuit� rispetto alla precedente disciplina in materia di tutela cautelare. Il comma 3 del suddetto articolo stabilisce che il soggetto legittimato a proporre l�istanza � il �soggetto legittimato al ricorso�(29); l�istanza deve essere notificata, anche se il legislatore non ha specificato quali debbono essere i destinatari (30), che vengono generalmente individuati nell�amministrazione resistente e in uno dei controinteressati (31), lasciando al giudice adito il compito di disporre l�integrazione del contradditorio, compatibilmente con le esigenze d�urgenza che caratterizzano la fase decisoria di un�istanza cautelare ante causam (32). Questa istanza deve contenere, anche se in modo succinto, i motivi di gravame in modo tale da individuare il thema decidendum. Come prescrive il co. 4 dell�art. 245, l�istanza cautelare ante causam �si propone al Presidente del Tribunale amministrativo regionale competente per il merito�; a provvedere sull�istanza pu� essere lo stesso Presidente oppure il giudice da lui delegato (33). Lo stesso quarto comma prevede che le questioni di compedegli appalti, su www.GiustAmm.it. Il co. 1 del suddetto articolo disciplina la possibilit� di impugnare �gli atti delle procedure di affidamento, nonch� degli incarichi e dei concorsi di progettazione, relativi a lavori, servizi e forniture, nonch� i provvedimenti dell�Autorit�� con due diversi, alternativi, strumenti di tutela: con il ricorso al Tar competente oppure con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; servendosi del primo di questi due strumenti, occorre far riferimento all�art. 23-bis della legge T.A.R. Il co. 2 dell�art. 245 prevede anche il ricorso ai rimedi cautelari disciplinati dagli artt. 21 e 23-bis della legge T.A.R., dall�articolo 3, co. 4, della legge di riforma n. 205/2000, nonch� il ricorso agli strumenti di esecuzione ex artt. 33 e 37 sempre della legge T.A.R. Diversi autorevoli esponenti della dottrina hanno criticato questi primi due commi, ritenendoli meramente ripetitivi e di nessuna utilit�; questa posizione si � basata in particolar modo sul parere reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato che aveva consigliato al legislatore di eliminare questi due commi proprio per il loro carattere meramente ricognitivo. Negli intenti del legislatore non c�era la volont� di ribadire la possibilit� di far ricorso a strumenti gi� conosciuti ed acquisiti, ma la necessit� di chiarire con questo �riepilogo� che la tutela cautelare ante causam � uno dei diversi strumenti di tutela azionabili dal soggetto interessato; si � voluta cos� sottolineare la natura facoltativa di questo rimedio che semplicemente si aggiunge agli altri rimedi gi� disciplinati. (29) Cos� come espressamente prevede il co. 3 dell�art. 245 del Codice degli appalti. Si veda sul punto A. POLICE, op. cit., pag. 787. (30) A tal proposito, parte della dottrina si chiede se basti la consegna all�ufficiale giudiziario oppure se sia necessaria la consegna reale o formale della copia al destinatario: su questo punto M. A. SANDULLI, La nuova tutela giurisdizionale, op. cit., pag. 2 e C. CORAGGIO, La disciplina del contenzioso nel codice degli appalti, in Foro Amministrativo � T.A.R., 2007, fasc. III, pag. 1212 propendono per la seconda considerazione. (31) Parte della dottrina ritiene che sia sufficiente che la notifica avvenga nei confronti di un solo contro interessato: cos� S. TARULLO, op. cit., pag. 10; P. BUONVINO, I nuovi mezzi di tutela cautelare. Relazione svolta al Convegno: �Il Codice dei contratti un anno dopo�, 19 ottobre 2007, per il decennale della rivista �Urbanistica e appalti�, su Accademia Juris � www.ildirittopericoncorsi.it, pag. 11. In senso contrario G. CORSO, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo amministrativo. Profili generali, in Atti del Convegno dell�Accademia Nazionale dei Lincei su �Il giusto processo�, Roma 28-29 marzo 2002 (32) Sul punto S. TARULLO, op. cit., pag. 10. (33) Si veda sul punto A. POLICE, op. cit., pag. 789, secondo il quale questa scelta � stata effettuata �al fine di evitare che ci sia un�opzione, una scelta da parte dell�istante del giudice cui rivolgersi per chiedere la tutela cautelare preventiva�. 394 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 tenza sono rilevabili d�ufficio; il legislatore su questo punto ha recepito il suggerimento contenuto nel parere fornito dal Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo recante il �Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture�, ai sensi dell�art. 25 della legge 62/2005 (34). Il Consiglio di Stato, infatti, ha suggerito l�inserimento della rilevabilit� d�ufficio delle questioni di competenza �al fine di evitare possibili elusioni della normativa in materia di competenza del Tribunale�(35). Passando all�analisi dei presupposti che l�istanza cautelare deve presentare affinch� venga concessa la misura ante causam, l�art. 245 prevede come periculum in mora l� �eccezionale gravit� ed urgenza tale da non consentire la previa notifica del ricorso e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all�art. 21, comma 9�, della legge T.A.R.. Da pi� parti questo presupposto � stato ritenuto �particolarmente qualificato�(36), dovendosi trattare di una situazione straordinaria, di pericolo intenso. E� stato sottolineato, inoltre, come spetti al giudice adito individuare �la linea di confine tra i casi di eccezionale urgenza che legittimano la concessione della tutela ante causam e quelli di estrema urgenza che, pur legittimando la tutela di cui all�art. 21, nono comma, della legge TAR, non legittimerebbero, invece, quella ante causam�(37). Con riferimento all�altro requisito, quello del fumus boni iuris, il legislatore non fa alcun cenno; ci� non significa che questo requisito non venga preso in considerazione dal (34) Il riferimento � al Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza del 6 febbraio 2006, n. Sezione 355/06. Si veda sul punto anche P. BUONVINO, op. cit., pag. 13. (35) Il riferimento � a pag. 71 del parere del C.d.S. n. 355/06. Dal parere del Consiglio di Stato emerge come alla base di questo suggerimento ci sia la giurisprudenza recente che ha tentato di porre un freno al fenomeno delle �migrazioni cautelari� prevedendo che, se prima di poter esaminare la domanda cautelare, viene proposta un�istanza di regolamento di competenza, il giudice deve procedere alla delibazione di questa istanza, e, qualora ne rilevi la non palese infondatezza, deve astenersi dal pronunciare sulla domanda cautelare che sar� trattata e decisa dal giudice che verr� ritenuto competente; in tal senso si � pronunciato il Consiglio di giustizia Amministrativa della Regione Sicilia con l�ordinanza n. 661 del 28 luglio 2004, in www.lexitalia.it, n. 9/2004. Secondo questo orientamento giurisprudenziale, se il regolamento di competenza venisse accolto dopo la concessione della misura cautelare preventiva, si produrrebbe un fatto sopravvenuto capace di legittimare la parte interessata a proporre un�istanza volta alla revoca o alla modifica della misura precedentemente concessa. Non tutta la dottrina concorda con questa scelta: F. SAITTA, Codice dei contratti pubblici e tutela giurisdizionale: prime riflessioni, su www.GiustAmm.it, pag. 3 ritiene che con questo orientamento giurisprudenziale �si sia finito per andare assai oltre e per codificare un principio di dubbia opportunit�, mentre sarebbe stato forse meglio affidarsi al principio dispositivo ed all�equilibrio del singolo magistrato�. (36) Cos� S. TARULLO, op. cit., pag. 11. Nello stesso senso, A. POLICE, op. cit., pag. 78uonvino (37) Cos� P. BUONVINO, op. cit., pag. 9. Si veda in merito al presupposto del periculum in mora anche R. GAROFOLI, Gli strumenti di tutela particolari nelle controversie in materia di contratti pubblici, in Trattato sui contratti pubblici, Tomo VI: Il contenzioso, M. A. SANDULLI � R. DE NICTOLIS � R. GAROFOLI ( diretto da ), Giuffr�, 2008, pag. 4026, il quale ritiene che � (�) il periculum, oltre che essere grave ed irreparabile, possa essere costituito sia dal timore che durante le more del processo sopravvengono fatti lesivi del diritto controverso (c.d. periculum da infruttuosit�), sia dal pregiudizio derivante gi� dal mero perdurare della situazione antigiuridica (c.d. periculum da tardivit� )�. DOTTRINA 395 giudice o che non debba sussistere perch� sia concessa la misura ante causam. L�istante deve comunque indicare, seppur sommariamente, quelli che a suo avviso sono i vizi del provvedimento di cui egli contesta la validit�; pertanto, il giudice adito dovr� sempre valutare la non manifesta infondatezza del ricorso proposto (38). Una misura cautelare ante causam pu� essere concessa soltanto se risulta indispensabile �durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare di cui ai commi 8 e 9 del citato articolo 21�(39); ci� comporta che la misura ante causam viene concessa per evitare che �la situazione di fatto dedotta in giudizio subisca mutamenti tali da rendere inutile la successiva pronuncia incidentale�(40). Il giudizio ante causam � caratterizzato da un contraddittorio eventuale, ci� significa che le parti sono sentite �ove possibile� (41), ma se la dilazione temporale, necessaria per l�integrazione del contraddittorio, dovesse comportare un pregiudizio alla situazione di urgenza che � stata dedotta in giudizio, il Presidente della Sezione, o il giudice da lui delegato, non potranno optare per un contraddittorio eventuale. Questo per� non significa che le parti non saranno mai ascoltate; infatti, se dagli elementi a disposizione del giudice emerge la necessit� di ascoltare le parti, si proceder� alla loro audizione (42). Tenendo conto dell�urgenza del provvedere, il giudice potrebbe usufruire dello stesso meccanismo disciplinato dall�art. 21, co. 9, della legge T.A.R., cio� chiedere chiarimenti direttamente all�Amministrazione interessata utilizzando strumenti informali che gli permettano di ottenere risposte in tempi brevi, quali il telefono, il telefax, la posta elettronica; in questo modo si potrebbe garantire un contraddittorio, seppur minimo, tra ricorrente, amministrazione convenuta e controinteressato. Inoltre, se le parti sono in grado di attivarsi prontamente, subito dopo la notifica del ricorso, possono presentarsi davanti al Presidente per esporre le loro ragioni (43); cos� facendo il giudice eviterebbe di adottare una misura cautelare �affrettata e sostanzialmente frutto di una unilaterale ricostruzione giuridico-fattuale di parte�(44). (38) In tal senso S. TARULLO, op. cit., pag. 12. (39) Cos� come stabilisce il co. 3 dell�art. 245. (40) Si veda sul punto S. TARULLO, op. cit., pag. 14. (41) Cos� come prevede il co. 4 dell�art. 245. Si veda sul punto A.POLICE, op. cit., pp. 789 ss. (42) Gli elementi a disposizione del giudice sulla base dei quali viene valutata la necessit� di procedere o meno al contraddittorio sono: lo stato di avanzamento della procedura, i tempi previsti per la convocazione e l�arrivo delle parti presso l�ufficio giudiziario, la rilevanza degli elementi eventualmente acquisibili dall�amministrazione. Si veda sul punto S. TARULLO, op. cit., pag. 15. L�Autore ritiene che, stando alla statuizione del co. 4 dell�art. 245, �la garanzia del contraddittorio � destinata a cedere il passo alla piena esplicazione del principio di effettivit�/tempestivit� della tutela�; Tarullo prevede, inoltre, che non saranno molto frequenti i casi in cui, visti gli elementi a disposizione del giudice, si proceder� all�audizione delle parti. (43) In tal senso F. MUSURACA, op. cit., pag. 2. Si veda sul punto anche F. SAITTA, op. cit., pag. 2. (44) Cos� P. BUONVINO, op. cit., pag.8. 396 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 L�art. 245 non fa alcun cenno alla necessit�, per il giudice, di motivare il provvedimento che adotta, sia esso di accoglimento o di rigetto dell�istanza cautelare, n� il Consiglio di Stato ha rilevato questa mancanza nel suo parere n. 355/06. Nessuno in dottrina dubita della non necessariet� della motivazione, seppur succinta, data l�urgenza del provvedere e la consistenza ridotta degli elementi presentati dal ricorrente; il giudice deve rendere conto, seppur succintamente, della valutazione compiuta in merito alla sussistenza o meno dei due presupposti (45). Del resto non si potrebbe immaginare un provvedimento di rigetto da parte del giudice cautelare che non sia adeguatamente motivato, soprattutto in considerazione del fatto che il co. 5 dell�art. 245 prevede che il provvedimento negativo non � impugnabile, anche se la domanda � riproponibile dopo l�inizio del giudizio di merito; pertanto, l�istante che si � visto respingere la richiesta di concessione di una misura cautelare, ha il diritto di capire, in vista anche di una eventuale riproposizione della richiesta durante il giudizio di merito, ammesso che la situazione d�urgenza che lo ha spinto a chiedere una misura ante causam sia ancora tutelabile. Un Autore, in particolare, sostiene che la motivazione ha una funzione deflattiva del contenzioso, in quanto la stessa potrebbe �soddisfare l�interessato e indurlo a recedere dall�intento di proporre ricorso�(46). Il legislatore non ha indicato quali potrebbero essere i contenuti di un provvedimento cautelare concesso ante causam; si deve pertanto dedurre che la misura preventiva sia caratterizzata dal requisito dell�atipicit� (47). Il giudice pu� dunque �riempire questo contenitore�, rappresentato dal provvedimento ante causam, del contenuto che pi� si adatta alle richieste avanzate dal ricorrente, agli interessi che vengono in gioco, purch� siano misure �provvisorie�; questo � il requisito che la misura preventiva deve presentare e che permette di distinguerla da quella adottabile nella fase di merito (48). Si deve trattare per� di misure che non compromettano le future decisioni cautelari, cio� la successiva valutazione cautelare che verr� compiuta in causam; il fatto che il giudice, nell�attribuire un contenuto alla misura che intende concedere, debba tener (45) Questa considerazione � facilmente deducibile dal disposto degli artt. 39 del T.U. del C.d.S. e 21 della legge T.A.R. Inoltre, qualora non si volesse far riferimento a questi due articoli, viene comunque in soccorso di questa impostazione l�art. 111, co. 6, della Cost., che stabilisce che �tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati�. Si veda sul punto S. TARULLO, op. cit., pag. 16; E. PICOZZA, Il �giusto� processo amministrativo, in Cons. Stato, 2000, fasc. II, pag. 1075; P. BUONVINO, op. cit., pag. 12 il quale sottolinea come la portata della motivazione deve essere �modulata, rapportandola alla natura delle circostanze dedotte, agli aspetti temporali della vicenda, all�entit� della controversia e a quella del pregiudizio delle parti, correlato, questo, se del caso, alla comparazione degli interessi in gioco o anche all�esigenza, che pu�, talora, presentarsi, di fornire indicazioni all�amministrazione circa i limiti della tutela accordata e/o circa gli adempimenti ad essa, se del caso, richiesti�. (46) Cos� P. BUONVINO, op. cit., pag. 13. (47) Si veda sul punto A. POLICE, op. cit., pag. 785 (48) Si veda sul punto S. TARULLO, op. cit., pag. 17. DOTTRINA 397 conto anche di questo aspetto, non priva il provvedimento preventivo della sua atipicit�: sicuramente la misura che meglio contempera tutte queste esigenze � quella della sospensione, la quale evita che la procedura di aggiudicazione dell�appalto avanzi, provocando pregiudizi all�istante, in attesa del giudizio di merito, nell�ambito del quale ci sono tutte le condizioni per valutare in modo pi� approfondito la questione. Oltre alla sospensione pu� essere concessa una serie di misure che vanno dall�obbligo di comunicazione e di informazione ai partecipanti o all�Autorit� di Vigilanza sui lavori pubblici, all�ordine di restituire la cauzioni, alla richiesta di pareri tecnici che saranno poi valutati dal giudice se sar� fatta richiesta di valutazione della misura in causam (49). Il co. 5 dell�art. 245 stabilisce che il provvedimento di diniego da parte del giudice adito non � impugnabile, lasciando per� all�istante la possibilit� di riproporre la domanda cautelare dopo l�inizio del giudizio di merito ai sensi dell�art. 21, commi 8 e 9, della legge T.A.R., qualora ne ricorrano i presupposti (50). Il provvedimento di accoglimento dell�istanza cautelare � disciplinato dal co. 6 dello stesso articolo; l�efficacia del provvedimento positivo pu� essere subordinata dal giudice alla prestazione di una cauzione per eventuali danni che l�amministrazione resistente e i controinteressati potrebbero subire. Pertanto, solo il provvedimento positivo � subordinato alla concessione di una cauzione. Alcuna dottrina ritiene che il mancato versamento della cauzione comporti la risoluzione della misura gi� concessa (51), ma su questo punto non cՏ completa convergenza (52). Il provvedimento di accoglimento deve essere notificato, ai sensi del co. 6 dell�art. 245, �alle altre parti entro un termine perentorio fissato dal giudice�, termine che comunque non pu� essere superiore a cinque giorni. Il provvedimento di accoglimento inizia a produrre i suoi effetti, cio� il condizionamento dell�operato dell�amministrazione aggiudicatrice, fin dal momento della sua emissione e non da quello della sua notificazione; trascorsi sessanta giorni dalla sua emissione, � destinato ad esaurire i suoi effetti (53). In questo modo conserveranno efficacia soltanto quelle misure che saranno �confermate o concesse ai sensi dell�art. 21, commi 8 e 9�, della legge T.A.R. Trattandosi di un termine perentorio, una notifica che venga effettuata oltre il termine previsto (49) Si veda sul punto S. TARULLO, op. cit., pag. 19 (50) Ad avviso di F. MUSURACA, op. cit., pag. 3 non si comprende il motivo per cui il legislatore abbia disposto in tal senso, non tenendo in considerazione la sentenza della Corte Costituzionale del 23 giugno 1994, n. 253 con la quale � stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l�art. 669-terdecies c.p.c. nella parte in cui non prevedeva il reclamo avverso l�ordinanza di rigetto della domanda cautelare; l�Autrice, inoltre, si sorprende del fatto che neanche la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato abbia rilevato questa incongruenza. (51) Si veda S. TARULLO, op. cit., pag. 21. (52) Cfr. E. FOLLIERI, Il nuovo giudizio cautelare: art. 3 L. 21 luglio 2000 n. 205, in Cons. Stato, 2001, fasc. II, pag. 489. (53) Si veda sul punto P. BUONVINO, op. cit., pag. 23. 398 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 comporta la perdita di efficacia della misura concessa (54). Secondo quanto indicato nella Relazione illustrativa al Codice, in questo lasso di tempo il ricorrente pu� notificare il ricorso di merito, nonch� depositarlo ed, eventualmente, richiedere, ai sensi del co. 9 dell�art. 21 della legge T.A.R., la misura cautelare ordinaria (55). Il provvedimento di accoglimento, secondo quanto statuisce il co. 6, non � appellabile. In dottrina si ritiene che siano da escludere anche le altre forme di impugnazione, diverse dall�appello (56) e che non sia sostenibile la tesi secondo cui, compiendo una lettura restrittiva del comma in questione, si potrebbe comunque ammettere, avverso il provvedimento di accoglimento, l�istituto della revocazione. Qualora si accettasse questa impostazione, si correrebbe il rischio di creare una disparit� di trattamento tra l�istante e le altre parti in causa. Il co. 6 dell�art. 245 stabilisce che la revoca e la modifica del provvedimento con il quale viene concessa la misura cautelare possono essere disposte dal Collegio dopo l�inizio del giudizio di merito; si tratta dell�intervento collegiale quando il provvedimento di accoglimento sta ancora producendo effetti, in quanto non sono ancora decorsi i sessanta giorni che il legislatore ha indicato come termine di efficacia. Il legislatore, per�, non ha specificato nella norma se le istanze di revoca o di modifica possono essere chieste dalle parti o rilevate d�ufficio dal giudice. E� stato sollevato, inoltre, un altro dubbio in merito a questo punto che ha ad oggetto la possibilit� o meno di effettuare il riesame del provvedimento cautelare in relazione all�instaurazione o meno del contraddittorio nella fase cautelare. Autorevole dottrina sul punto ritiene che questa disposizione vada interpretata nel senso che sussiste la possibilit� che il provvedimento cautelare venga modificato o revocato solo quando l�istanza cautelare sia stata rigettata e il ricorrente l�abbia riproposta di fronte al giudice del merito; verificandosi questa circostanza, le altre parti possono chiedere al Collegio giudicante la modifica o la revoca della misura cautelare preventiva, considerando, inoltre, il fatto che la stessa sta esaurendo la sua efficacia, ma risulta comunque produttiva di un potenziale effetto pregiudizievole per le controparti in quanto la sua efficacia non si � del tutto esaurita (57). Gli ultimi due commi dell�art. 245, i commi 7 e 8, hanno ad oggetto, rispettivamente, l�esecuzione della misura cautelare ante causam concessa dal giudice e l�inapplicabilit� al giudizio amministrativo di secondo grado delle disposizioni che il legislatore ha dettato per disciplinare la tutela cautelare preventiva. Con riguardo all�esecuzione della misura concessa, non ci sono novit� di rilievo nella nuova disciplina: si applica, infatti, l�art. 21 della legge T.A.R., (54) Si veda sul punto S. TARULLO, op. cit., pag. 23. (55) Si veda sul punto P. BUONVINO, op. cit., pag. 23. (56) Si veda per tutti S. TARULLO, op. cit., pag. 23. (57) Si veda sul punto P. BUONVINO, op. cit., pp. 19 ss. DOTTRINA 399 quindi l�istituto della c.d. ottemperanza cautelare. In forza di questo rimedio alla inesecuzione o alla parziale esecuzione della misura cautelare disposta dal giudice adito, la parte interessata pu� chiedere al Tar, che ha accolto la sua istanza cautelare, di adottare nei confronti dell�amministrazione inadempiente delle misure attuative. Se ad essere concessa in via preventiva � stata la misura della sospensione, di fatto non si pongono problemi di ottemperanza, salva l�ipotesi in cui il giudice non si sia limitato a disporre la sospensione, ma abbia anche emesso ulteriori disposizioni che hanno ad oggetto l�imposizione di un facere alla amministrazione. In questi casi, di fronte ad un atteggiamento inerte, la parte interessata pu� chiedere che venga nominato un commissario ad acta affinch� si proceda all�esecuzione di quanto disposto dal giudice. Autorevole dottrina ha criticato il pedissequo rinvio, in materia cautelare ante causam, al disposto della legge T.A.R., in quanto ritiene che, considerati i tempi tecnici necessari per attivare la procedura di ottemperanza e per la notificazione dell�atto di diffida e messa in mora, nonch� quelli necessari per l�eventuale nomina del commissario ad acta, l�esigenza di celerit� propria della tutela cautelare preventiva potrebbe risultare pregiudicata (58). Con riferimento al co. 8, l�art. 245 dispone che �le disposizioni del presente articolo non si applicano ai giudizi in grado d�appello, per i quali le istanza cautelari restano disciplinate dagli artt. 21 e 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034�. Nel grado di appello, dunque, le istanze cautelari non godono della possibilit�, per chi ne abbia interesse, di venir proposte in via preventiva (59). Innanzitutto, occorre segnalare un�incongruenza dovuta, sicuramente, ad una svista del legislatore: il comma ottavo fa riferimento all�intero articolo 245 che, per�, comprende una norma, quella disciplinata del co. 1, che si applica, senza alcun dubbio, anche nel secondo grado di giudizio, vale a dire l�impugnabilit� degli atti delle procedure di affidamento, degli incarichi, dei concorsi di progettazione mediante ricorso al Tar oppure attraverso il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. L�impossibilit� di applicare nel giudizio di appello le disposizioni in materia di tutela cautelare ante causam � giustificata proprio dalla natura della misura preventiva che, in quanto dettata da esigenze di celerit�, � proponibile solo nel primo grado di giudizio. Se nel giudizio di secondo grado dovessero sorgere esigenze cautelari, queste potranno essere soddisfatte mediante il ricorso all�art. 23-bis, co. 7, della legge T.A.R. che prevede la possibilit� di proporre appello avverso le pronunce del Tar nelle controversie che hanno ad oggetto le materie di cui all�art. 23-bis, co. 1. (58) Si veda sul punto P. BUONVINO, op. cit., pp. 24 ss. (59) Proprio per il fatto che si tratti di misura che danno vita ad un processo a s� stante e sono indipendenti dal giudizio di merito. Sul punto si vedano S. TARULLO, op. cit., pag. 29 e A. POLICE, op. cit., pp. 796 ss. 400 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 Parte della dottrina (60) ha ritenuto �eccessiva� questa influenza comunitaria in materia di appalti pubblici: l�ordinamento comunitario � stato ritenuto �invasivo� nei confronti degli Stati membri. Ad essere criticata � stata anche la �perentoriet� della pronuncia della Corte di giustizia�, in particolare nell�ordinanza del 29 aprile 2004 che ha visto coinvolto proprio lo Stato italiano che � stato obbligato ad adeguarsi ad introdurre la tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo. Inoltre, l�eccessiva influenza comunitaria � stata ritenuta inopportuna soprattutto alla luce della �debolezza della base normativa�, in quanto in sede comunitaria non vi � una tutela del genere. Questa riflessione critica pecca, per�, di una considerazione di diritto sostanziale che riguarda il valore delle sentenze pregiudiziali, rese in forza dell�art. 234 TCE. E� vero che nell�ordinamento comunitario tra le norme che disciplinano l�oggetto delle misure cautelari e i presupposti per la loro concessione, non � riscontrabile nessuna disposizione che riconosca al richiedente la possibilit� di ottenere la concessione di una misura cautelare anticipatoria. Nel diritto comunitario manca, dunque, una tutela cautelare ante causam e affinch� un�istanza possa ritenersi ricevibile � necessario che presenti un contenuto che rientri nel petitum del ricorso principale. Deve sussistere uno stretto rapporto, potremmo definirlo di identit�, tra l�atto che viene impugnato e quello posto a fondamento dell�istanza cautelare, altrimenti verrebbe meno il rapporto di accessoriet�; da ci� si pu� facilmente desumere che nel diritto comunitario non pu� esserci alcuna istanza cautelare che non sia strettamente connessa al ricorso principale. Stando, dunque, al dettato delle disposizione dei Trattati, dei Regolamenti e dello Statuto della Corte, mancano del tutto i presupposti per ottenere la concessione di una tutela ante causam. Non bisogna per� dimenticare che nell�ordinamento comunitario, al di l� del dato legislativo, ci� che pi� conta � la giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale di prima istanza. La Corte, infatti, da diversi anni ormai, dopo una prima fase in cui ha ribadito pi� volte il principio di autonomia dei diritti processuali interni (61), sta cercando di avviare un processo di armonizzazione delle varie norme processuali degli Stati membri, soprattutto in quei settori del diritto in cui si fa applicazione del diritto comunitario (62). Si � giunti in una fase in cui si ha una sorta di �diritto processuale bifronte�, da (60) Si vedano sul punto M.P. CHITI, La tutela cautelare ante causam, op. cit., pp. 63 ss. e C. Coraggio, La disciplina del contenzioso nel Codice degli appalti, in Foro amministrativo � TAR, 2007, fasc. III, pag. 1210. (61) Si vedano in tal senso le ordinanze del 16 dicembre 1976, Rewe Zentralfinanz, in causa 33/76 e del 7 luglio 1981, Rewe Handelsggesellschaft Nord, in causa 158/80. Con queste pronunce la Corte precisa come il Trattato CEE, al fine di applicare il diritto comunitario, non voleva creare mezzi processuali ulteriori e diversi rispetto a quelli gi� esistenti nelle varie giurisdizioni nazionali. (62) Con le ordinanze del 19 giugno 1990, Factortame, e del 14 dicembre 1995, Peterbroeck si � affermata la necessit� che i sistemi nazionali disapplichino le norme interne che sono di intralcio ad una piena garanzia del diritto comunitario. DOTTRINA 401 un lato ci sono le norme vigenti negli ordinamenti dei vari Stati membri, dall�altro, le disposizioni e i principi che la Corte di giustizia ritiene indispensabili affinch� si possa giungere alla piena vigenza ed efficacia del diritto comunitario; tra queste due realt� si cerca di creare, attraverso gli strumenti messi a disposizione dai Trattati, primo fra tutti il principio di leale collaborazione sancito dall�art. 10 TCE, un�integrazione che sia il pi� possibile armonica ed uniforme. Questo embrione di diritto processuale comunitario uniforme � costituito da istituti, a volte diversi da quelli propri degli ordinamenti interni, che si cerca, in via pretoria, di integrare, in maniera pi� o meno incisiva, con le procedure vigenti negli ambiti nazionali. Tra questi istituti vi � sicuramente quello della tutela cautelare. La Corte di giustizia, in moltissime occasioni, ha ribadito la necessit� che i giudici nazionali applichino questo istituto in un modo che sia il pi� possibile conforme ai parametri dettati dalla giurisprudenza comunitaria (63), soprattutto in quei settori in cui non sono previste delle procedure ad hoc. A tutto ci� si deve aggiungere il fatto che le sentenze pregiudiziali della Corte di giustizia vincolano ovviamente il giudice che ha effettuato il rinvio ai sensi dell�art. 234 TCE, ma non va dimenticato che queste sentenze hanno un valore generale, che va oltre i confini del giudizio nell�ambito del quale il giudice nazionale ha sollevato le questioni pregiudiziali; l�interpretazione contenuta in una sentenza pregiudiziale ha la funzione di �chiarire il significato e la portata della norma quale deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore�(64), ha dunque �valore normativo�. Considerando il fatto che la Corte di giustizia ha pi� volte ribadito l�importanza e la necessit� dell�introduzione dell�istituto della tutela cautelare ante causam in occasione di pronunce pregiudiziali sulle c.d. direttive ricorsi ad opera dei giudici di diversi Stati membri, tra i quali anche quello italiano, non si vede come si possa dire che la tutela cautelare preventiva non abbia una base normativa comunitaria. Inoltre, si deve evidenziare che quelle posizioni in dottrina che vogliono l�istituto della tutela cautelare ante causam come una inutile sovrastruttura, uno strumento che lo Stato italiano ha dovuto introdurre, ma che non aggiunge nulla di pi� alla gi� piena realizzazione del principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, realizzatasi con la legge di riforma n. 205/2000 e con gli stru- (63) Si veda sul punto A. TIZZANO, Diritto comunitario e tutela giurisdizionale nel diritto interno. La tutela risarcitoria degli interessi legittimi, in Attivit� amministrativa e tutela degli interessati. L�influenza del diritto comunitario, in Quaderni del Consiglio di Stato, Torino, 1997, pp. 35 ss. L�insigne giurista ritiene che non si possa ammettere che sia il diritto sovranazionale �ad adeguarsi alla specificit� del nostro sistema. Occorre al contrario reagire alle innovazioni che vengono da quel versante (�) adottando in modo coerente e conseguente le strutture del nostro ordinamento� (pag. 46). (64) Il riferimento � alla sentenza 27 marzo 1980, Denkavit italiana, in causa 61/79. Per un approfondimento sul valore delle sentenze pregiudiziali si veda L. DANIELE, Diritto dell�Unione europea, op. cit., pp. 287 ss. 402 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 menti da essa predisposti, viene smentita da una recente direttiva in materia di ricorsi sugli appalti pubblici e dal processo di armonizzazione dei vari diritti processuali degli Stati membri della Comunit� europea. In data 11 dicembre 2007 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno approvato la direttiva 2007/66/CE che modifica le precedenti direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE. La nuova direttiva ha ad oggetto delle disposizioni volte al miglioramento dell�efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici. La necessit� di emanare questa nuova direttiva nasce dall�affermazione, da parte della giurisprudenza della Corte di giustizia, dell�obbligo per gli Stati membri della Comunit� europea di garantire accessibili ed efficaci mezzi di ricorso per poter impugnare le decisioni adottate dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori �relativamente alla questione se un determinato appalto rientri o meno nel campo di applicazione ratione personae e ratione materiae delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE�. Proprio dalla giurisprudenza comunitaria � emersa la presenza, nonostante il recepimento da parte degli Stati membri di queste due ultime direttive in materia di appalti pubblici, di numerose lacune nei meccanismi di ricorso adottati da diversi Stati. La presenza di tali, gravi carenze, che �non permettono sempre di garantire il rispetto delle disposizioni comunitarie, soprattutto in una fase in cui le violazioni possono essere ancora sanate�(65), ha reso necessario l�ulteriore intervento delle istituzioni comunitarie attraverso l�emanazione della presente direttiva. L�obiettivo consiste, dunque, nel rafforzamento della garanzia dei principi di trasparenza e di non discriminazione, affinch� gli Stati membri possano beneficiare degli effetti positivi introdotti con la modernizzazione e la semplificazione delle norme sull�aggiudicazione degli appalti pubblici. La carenza pi� grave che � stata riscontrata consiste nella mancanza di un termine tra l�aggiudicazione dell�appalto e la stipulazione del contratto, un termine che permetta un ricorso efficace. Infatti � stata evidenziata la tendenza delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori a �rendere irreversibili le conseguenze di una decisione d�aggiudicazione�, procedendo molto rapidamente alla stipulazione del contratto. Questo consolidato atteggiamento ha prodotto seri problemi a coloro che avevano interesse a proporre ricorso giudiziale, costituendo un freno alla realizzazione di �un�effettiva tutela giurisdizionale�. Per porre rimedio a questo problema, la direttiva stabilisce un termine sospensivo minimo, obbligatorio, durante il quale la stipulazione del contratto viene sospesa. La finalit� perseguita dal termine sospensivo minimo � quella di permettere agli offerenti interessati, che non sono stati ancora (65) Si veda il terzo considerando della direttiva 2007/66/CE. DOTTRINA 403 definitivamente esclusi, di valutare la decisione di aggiudicazione dell�appalto per poter decidere in merito ad un eventuale ricorso contro di essa. Per poter presentare all�autorit� giudiziaria un ricorso efficace, gli interessati devono ricevere al momento della notificazione della decisione di aggiudicazione tutte la informazioni che sono loro necessarie a tal fine; lo stesso deve valere per i candidati che si sono visti rigettare la loro domanda da parte dell�amministrazione aggiudicatrice e dagli enti aggiudicatori. Le informazioni devono contenere �una relazione sintetica dei motivi pertinenti�(66), nonch� il �termine effettivo� entro il quale gli interessati possono proporre ricorso. Un altro importante principio-cardine in materia di appalti che viene ribadito dalla direttiva � quello in forza del quale � necessario contrastare le aggiudicazioni di quegli appalti che vengono effettuate attraverso affidamenti diretti illegittimi; per rendere efficace questo contrasto, � necessario prevedere delle sanzioni che siano �effettive, proporzionate e dissuasive�(67). La direttiva prevede che un contratto che risulti da un�aggiudicazione illegittima dovrebbe essere considerato in linea di principio privo di effetti. Questa carenza di effetti deve essere accertata �da un organo di ricorso indipendente o dovrebbe essere il risultato di una decisione di quest�ultimo� (68). Privare un contratto illegittimo, frutto di un�aggiudicazione illegittima, degli effetti giuridici che � destinato a produrre, �, ad avviso del Parlamento europeo e del Consiglio, �il modo pi� sicuro per ripristinare la concorrenza e creare nuove opportunit� commerciali per gli operatori economici che sono stati illegittimamente privati delle possibilit� di competere� (69). Altrettanto privi di effetti devono essere quei contratti che sono conclusi in violazione del termine sospensivo obbligatorio. La nuova direttiva ribadisce un importante principio, gi� contenuto nelle precedenti disposizioni comunitarie in materia di appalti, che ha ad oggetto la legittimazione a proporre ricorso avverso la decisione di aggiudicazione di un appalto: la procedura di ricorso deve essere accessibile �a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto e sia o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione� (70). Un �temperamento� alla rigorosa sanzione della privazione di effetti del contratto illegittimo � previsto dalla direttiva nella misura in cui permette agli Stati membri di �consentire all�organo responsabile delle procedure di ricorso di non rimettere in discussione il contratto o di riconoscere in parte o in toto gli effetti nel tempo quando, nelle circostanze eccezionali della fattispecie, ci� sia reso necessario (66) Il riferimento � al settimo considerando della direttiva. (67) Si veda il tredicesimo considerando della direttiva. (68) Il riferimento � sempre al tredicesimo considerando della direttiva (69) Cos� il quattordicesimo considerando della direttiva. (70) Si veda sul punto il diciassettesimo considerando della direttiva. 404 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 per rispettare alcune esigenze imperative legate ad un interesse generale. In tali casi dovrebbero invece applicarsi sanzioni alternative� (71). La direttiva 2007/66/CE compie un�azione di rafforzamento dei ricorsi nazionali e questo dovrebbe, ad avviso del Parlamento europeo e del Consiglio, �incoraggiare gli interessati ad avvalersi maggiormente delle possibilit� di ricorso con procedura d�urgenza, prima della conclusione del contratto� (72). Anche questa direttiva stabilisce che la Commissione � autorizzata �a chiedere agli Stati membri di fornirle informazioni sul funzionamento delle procedure nazionali di ricorso, adeguate rispetto all�obiettivo perseguito, coinvolgendo il comitato consultivo per gli appalti pubblici nella determinazione della portata e della natura di tali informazioni. Solo la diffusione di tali informazioni pu� infatti permettere di valutare correttamente gli effetti delle modifiche introdotte dalla presente direttiva dopo che sar� trascorso un periodo di tempo significativo dall�attuazione di quest�ultima� (73). Analizzando la direttiva 2007/66/CE, occorre aver presente un dato di fatto: la stessa non � stata ancora recepita dagli Stati membri, il termine ultimo � il 20 dicembre 2009; pertanto, le considerazioni che di seguito svolger� saranno fondate solo sul dato normativo che emerge dalla suddetta direttiva, che rappresenta una novit� importante nel panorama normativo, comunitario e nazionale, in materia di appalti pubblici. Il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno fissato con queste disposizioni dei vincoli normativi per gli Stati membri, ma, al contempo, hanno lasciato gli stessi liberi di adeguarsi o meno ad alcune disposizioni il cui recepimento viene qualificato dalla stessa direttiva come �facoltativo�. Solo dopo il recepimento da parte di tutti gli Stati membri si potranno trarre delle conclusioni, valutando quali saranno stati i destinatari di questa direttiva che avranno approfittato delle importanti opportunit� date dal legislatore sovranazionale. La ratio sottesa all�adozione di questa direttiva � stata gi� evidenziata in precedenza; le carenze riscontrate dal legislatore comunitario, cos� come emerse dalla giurisprudenza della Corte e dalle �incompatibilit�� evidenziate dalla Commissione nei diversi ricorsi per infrazione avviati non solo contro l�Italia, hanno costituito l�incentivo pi� forte nella direzione di questo nuovo testo normativo. L�obiettivo, dunque, � quello di colmare le lacune e per farlo il legislatore comunitario si affida, ancora una volta, ai mezzi di tutela che devono permettere di regolare in maniera ottimale le procedure che sono in contrasto con il diritto comunitario. Per far ci�, per sanare le vio- (71) Si veda il ventiduesimo considerando della direttiva. (72) Si veda a tal proposito il ventottesimo considerando della direttiva. (73) Si veda il trentunesimo considerando della direttiva. Va, inoltre, considerato che l�art. 34 dell�accordo interistituzionale �Legiferare meglio� ( GU C 321 del 31 dicembre 2003, pag. 1 ) stabilisce che gli Stati membri dovrebbero redigere e rendere pubblici, nell�interesse proprio e della Comunit�, delle tavole di concordanza tra la presente direttiva e i provvedimenti di recepimento. DOTTRINA 405 lazioni prima che il contratto, frutto della procedura di aggiudicazione, venga stipulato, � necessario rafforzare e adeguare i mezzi di tutela, fondando l�intervento correttivo sulla valutazione di ci� che non ha funzionato. Partendo dalla considerazione che, il pi� delle volte, l�amministrazione aggiudicatrice o gli enti aggiudicatori cercano di stipulare il prima possibile il contratto per cristallizzare la decisione d�aggiudicazione, a discapito di chi � stato da essa danneggiato, la direttiva ha introdotto una misura obbligatoria che, quindi, gli Stati membri non potranno valutare se recepire o meno, cio� quella del rispetto di un congruo termine sospensivo fra l�aggiudicazione dell�appalto e la stipulazione del contratto. Ad essere facoltativa sar� l�eventuale proroga dello stesso nelle ipotesi in cui il soggetto interessato proporr� un ricorso alla stessa stazione appaltante oppure la richiesta di misure cautelari al giudice. Qualora questo obbligatorio termine sospensivo (74) non dovesse essere rispettato, � prevista, come sanzione, la privazione di effetti del contratto eventualmente stipulato; va comunque sottolineato come l�accertata violazione di determinati precetti del diritto comunitario comporta questa drastica violazione soltanto in alcune ipotesi tipiche, quali la mancata pubblicazione del bando di gara nella Gazzetta ufficiale dell�Unione europea, fatte salve le ipotesi contenute nella direttiva 2004/18/CE in cui questo sia consentito, in caso di violazione delle prescrizioni relative al rispetto del termine dilatorio per la stipulazione del contratto, soltanto se questa violazione ha privato l�offerente, che presenta ricorso, della possibilit� di servirsi di altri mezzi di ricorso prima della stipula del contratto; quest�ultima violazione deve aggiungersi ad un�altra che abbia influito sulle possibilit� concesse all�offerente per ottenere l�appalto; la terza tipica ipotesi in cui si ha la sanzione della privazione degli effetti del contratto � quella di un appalto basato su un accordo quadro o su un sistema dinamico di acquisizione nell�ambito del quale sono state violate le disposizioni che disciplinano i presupposti per poter usufruire di queste diverse modalit� negoziali (75). A proposito del c.d. standstill period, occorre sottolineare come l�art. 11 del Codice dei Contratti Pubblici gi� prevede un termine dilatorio che deve intercorrere tra l�aggiudicazione di una procedura d�appalto e la stipulazione del contratto; questo termine � di trenta giorni (76). Il limite dell�art. 11 del Codice dei Contratti Pubblici consiste nel fatto che non prevede alcuna conseguenza per l�ipotesi del mancato rispetto del suddetto termine (77). (74) Si tratta del c.d. standstill period, cos� definito da M. A. SANDULLI, Contratti pubblici e (in)certezza del diritto fra ordinamento interno e novit� comunitarie, su www.federalismi.it, n. 7/2008, pag. 5. (75) Si veda sul punto M. LIPARI, Annullamento dell�aggiudicazione ed effetti del contratto: la parola al diritto comunitario, su www.federalismi.it, n. 9/2008, pp. 13 ss. (76) A sottolineare questo aspetto sono sia M. A SANDULLI, Contratti pubblici e (in)certezza del diritto, op. cit., pag. 6, che M. LIPARI, op. cit., pag. 8. (77) A rimarcare questa carenza � M. LIPARI, op. cit., pag. 8. 406 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 L�aspetto che pi� ci interessa � quello per cui la direttiva autorizza gli ordinamenti degli Stati membri ad adottare delle disposizioni nazionali di cui il giudice, che � chiamato a pronunciarsi su un�istanza cautelare, deve tener conto per valutare le �probabili conseguenze dei provvedimenti cautelari per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonch� per l�interesse pubblico e decidere di non accordare tali provvedimenti qualora le conseguenze negative possano superare quelle positive�(78). Un altro aspetto interessante in tema di tutela cautelare � riconducibile alla ipotesi in cui, prima della scadenza dell�obbligatorio termine dilatorio, un soggetto interessato proponga un ricorso alla stessa amministrazione ovvero chieda l�adozione di una misura cautelare; in questo contesto sarebbe sicuramente preferibile una proroga automatica del termine per la stipulazione del contratto fin quando l�autorit� non si pronuncer�; cos� facendo il contratto potr� essere stipulato nella certezza che la procedura di aggiudicazione si sia svolta correttamente (79). Alla fine del giudizio cautelare spetterebbe al giudice stabilire se esistono i presupposti �per sospendere gli atti della procedura contestata e la conseguente stipulazione del contratto� (80); se il giudice riterr� che non esistono gli elementi per �sospendere la produzione di effetti contrattuali, la stipulazione del contratto potrebbe seguire il proprio corso, senza il rischio di essere rimessa in discussione� (81). Al di l� delle ipotesi tipiche di privazione di effetti del contratto, che rappresentano le violazioni pi� gravi della normativa comunitaria, nelle ipotesi di violazione di atri requisiti formali sono adottabili rimedi preventivi e correttivi. Questa disposizione lascia agli Stati membri la facolt� di scegliere quali sono i rimedi pi� adatti. Si profila, in questo caso, la possibilit� per il legislatore nazionale di far ulteriormente ricorso allo strumento della tutela cautelare preventiva per impedire la stipulazione del contratto frutto di una procedura di aggiudicazione viziata, ma non cos� gravemente da privare il contratto dei suoi effetti. Se, invece, il legislatore nazionale non dovesse optare per l�adozione di rimedi cautelari preventivi, si profilerebbe la diversa soluzione di adottare strumenti successivi alla stipulazione del contratto, con la conseguenza che non si potrebbe esser certi della possibilit� di eliminare le incongruenze. Se il legislatore dovesse decidere di rafforzare il ricorso con procedura d�urgenza, come del resto auspica il legislatore comunitario al considerando 28 della direttiva, si dovrebbe tener conto dell�interesse dell�amministrazione aggiudicatrice contrapposto rispetto a quello del ricorrente che chiede l�adozione del provvedimento cautelare; pertanto, si dovrebbe prevedere un termine breve entro il quale l�interessato dovrebbe proporre la propria istanza cautelare, auspicabilmente (78) Cos� M. LIPARI, op. cit., pp. 4 ss. (79) Sul punto si veda M. LIPARI, op. cit., pag. 10. (80) Cos� M. LIPARI, op. cit., pag. 11. (81) Cos� M. LIPARI, op. cit., pag. 12. DOTTRINA 407 ante causam, che produrrebbe automaticamente la sospensione degli effetti del contratto fino alla decisione in merito al provvedimento cautelare richiesto; nelle ipotesi di rigetto dell�istanza, al ricorrente non rimarrebbe altro che la richiesta di risarcimento del danno per equivalente (82). Questa nuova direttiva in materia di ricorsi sugli appalti pubblici d� l�opportunit� al legislatore italiano di adeguare la propria disciplina interna in materia di appalti alle nuove norme comunitarie, per uniformarsi effettivamente ai principi sovranazionali. Si spera che il legislatore non si limiti solo al recepimento di quelle disposizioni della direttiva qualificate come �obbligatorie�, ritenendo quelle �facoltative� non necessarie. Un corretto e �fedele� recepimento della direttiva 2007/66/CE eviterebbe l�adozione di decreti correttivi, ci metterebbe al riparo da future procedure di infrazione da parte della Commissione europea, eviterebbe ai giudici della Sezione consultiva del Consiglio di Stato di suggerire modifiche alla disciplina in vigore poi, magari, non accolti e garantirebbe un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco nel delicato ambito degli appalti pubblici, senza alcuna prevaricazione di un interesse sull�altro. Queste aspettative vengono disattese dalla recente approvazione del D.L. n. 185 del 28 novembre 2008 (83) recante �misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione, impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale�; nei prossimi mesi il Parlamento sar� chiamato alla conversione di queste disposizioni. All�art. 20 del suddetto decreto sono state inserite �norme straordinarie per la velocizzazione delle procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale�. In particolare al co. 8 si stabilisce che: �Le misure cautelari e l�annullamento dei provvedimenti impugnati non comportano, in alcun caso, la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto gi� stipulato, e il Giudice che sospende o annulla detti provvedimenti dispone il risarcimento degli eventuali danni solo per equivalente�. Questa disposizione � in contrasto con quanto stabilisce la direttiva 2007/66/CE. Nel momento in cui il legislatore italiano prevede che la concessione di una misura cautelare non pu� comportare �in alcun caso� la sospensione degli effetti del contratto, si � di fronte alla violazione del quarto considerando della direttiva, nonch� dell�art. 1, co. 5, della direttiva 89/665/CEE, cos� come modificata dalla nuova normativa comunitaria. Non viene, dunque, rispettato il termine sospensivo minimo che deve intercorrere tra l�aggiudicazione della gara d�appalto e la stipulazione del contratto; proprio durante questa sospensione deve poter essere concessa �agli offerenti interessati� la possibilit� di adire l�autorit� giudiziaria, chiedendo l�adozione degli strumenti pi� idonei a garantire una tutela effettiva. La previsione di questo termine negli ordinamenti nazionali � �obbligatorio�, come stabilito dalla (82) Si veda sul punto M. LIPARI, op. cit., pp. 27 ss. (83) Pubblicato su G.U. n. 280 del 29 novembre 2008-Suppl. Ordinario n. 263. 408 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 stessa direttiva. Qualora questo termine non verr� rispettato, il contratto, egualmente stipulato, sar� privo di effetti. La privazione di effetti � stata ritenuta dal legislatore sovranazionale �il modo pi� sicuro per ripristinare la concorrenza e creare nuove opportunit� commerciali per gli operatori economici che sono stati illegittimamente privati della possibilit� di competere� (84). E� vero che gli Stati membri hanno un termine per attuare questa direttiva, il 20 dicembre 2009, ma � altres� vero che l�obbligo di attuazione per gli stessi sorge nel momento stesso in cui la direttiva entra in vigore; queste norme sono state emanate l�11 dicembre 2007. Questo comporta che, in pendenza del termine, lo Stato membro non pu� adottare provvedimenti che si pongono in contrasto con la direttiva o che comunque sono tali da compromettere la realizzazione del risultato per cui la direttiva � stata emanata. Si tratta del c.d. obbligo di non aggravamento, il cui necessario rispetto, da parte degli Stati membri, � stato affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza Inter-Environnement Wallonie (85) e, successivamente ribadito, dalla sentenza Mangold (86). L�orientamento della Corte di giustizia � stato condiviso anche dalla Corte Costituzionale italiana nella sentenza del 7 febbraio 2000, n. 41. Le disposizioni dell�art. 20 del D.L. n. 185/2008 costituiscono, quindi, una violazione del diritto comunitario. In una logica di bilanciamento degli interessi, la necessit� di velocizzare le procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale, che costituisce la ratio sottesa all�adozione della suddetta disposizione, non pu� in alcun modo andare a discapito della tutela degli interessi degli altri partecipanti alla gara d�appalto, n� pu� comportare una grave violazione del diritto comunitario che pone lo Stato italiano di fronte ad una futura procedura di infrazione; infatti, l�art. 12-bis della direttiva 2007/66/CE prevede che �entro il 20 dicembre 2012 la Commissione riesamina l�attuazione della presente direttiva e riferisce al Parlamento europeo e al Consiglio in merito alla sua efficacia, in particolare per quanto riguarda le sanzioni alternative e i termini�. Se, dunque, le disposizioni contenute in questo decreto saranno convertite in legge, dovremo attenderci una nuova procedura di infrazione. Al di l� degli scenari che la nuova direttiva europea apre, occorre considerare un altro aspetto. Quando in precedenza si faceva riferimento alla crisi del processo amministrativo esclusivamente come giudizio impugnatorio-cassatorio, non bisogna dimenticare che l�abbandono di questo schema originario ha coinvolto anche la giurisdizione esclusiva, nella quale � ancor pi� evidente come non si sia pi� di fronte ad un contenzioso avente ad oggetto l�impugnazione dell�atto della Pubblica Amministrazione, ma sempre pi� frequentemente dinanzi ad un contenzioso che si rivolge all�accertamento del rapporto (84) Cos� il quattordicesimo considerando della direttiva. (85) Sentenza del 18 dicembre 1997, in causa C-129/96. (86) Sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04. DOTTRINA 409 che sussiste tra la Pubblica Amministrazione e il privato cittadino. Il processo che mira all�accertamento del rapporto � stato quasi una diretta conseguenza dell�introduzione della giurisdizione esclusiva che, basandosi sulla tutela sia degli interessi legittimi che dei diritti soggettivi, ha condotto il giudice amministrativo a concedere una tutela effettiva anche ai diritti soggettivi. Con la legge n. 205/2000 il processo �di accertamento� ha visto ampliata la gamma degli strumenti processuali, tale da garantire al giudice amministrativo l�effettivit� della tutela. Tra gli strumenti di cui la giurisdizione esclusiva si � fornita vi � il c.d. rito accelerato. Questa particolare tutela � stata introdotta dall�art. 4 della suddetta legge che ha introdotto l�art. 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 ed � finalizzata all� accelerazione della definizione delle controversie che sorgono con riferimento a quelle materie che rientrano nell�ambito di applicazione dell�articolo in questione (87); in queste materie la rapida risoluzione delle controversie che dovessero eventualmente sorgere � considerata un�esigenza di particolare interesse pubblico (88). Il legislatore ha dunque ritenuto che esistessero materie c.d. sensibili, che richiedono, pertanto, una disciplina differenziata; basti pensare al d.lgs. n. 190/2002 che prevede le norme per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti (87) Le disposizioni di questo articolo si applicano alle controversie aventi per oggetto �i provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e di attivit� tecnico-amministrative ad esse connesse�; �i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilit�, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti, nonch� quelli relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette opere�; �i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione dei servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti�; �i provvedimenti adottati dalle autorit� amministrative indipendenti�; �i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonch� quelli relativi alla costruzione, modificazione o soppressione di societ� , aziende e istituzioni ai sensi dell�articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142�; �i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400�; nonch� �i provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli organi�. (88) Si veda sul punto la pronuncia del Cons. St., Sez. V, n. 3268 del 21 giugno 2005, in www.giustizia- amministrativa.it. Una materia sensibile � quella prevista dall�art. 1, co. 55, della legge finanziaria per il 2005 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311), che stabilisce che �le controversie aventi ad oggetto le procedure e i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al D.L. 7 febbraio 2002, n.7, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 aprile 2003, n. 55, e le relative questioni risarcitorie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Alle controversie di cui al presente comma si applicano le disposizioni di cui all�art. 23-bis della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034�. Questa disposizione ha quindi ad oggetto tutte le controversie che riguardano le impugnazioni delle autorizzazioni alla realizzazione degli impianti di generazione di energia elettrica e i ricorsi presentati avverso i dinieghi di queste autorizzazioni ovvero quelli avverso il silenzio dell�amministrazione nel provvedere sulle istanze di rilascio di questi titoli, cio� avverso ipotesi di silenzio-inadempimento. Anche la materia della giustizia sportiva � stata ritenuta �speciale�; il d. lgs. n. 220 del 19 agosto 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 280/2003, contiene disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva. Questo rito �speciale� � stato dettato dalla necessit� ed urgenza di provvedere all�adozione di misure idonee al fine di razionalizzare i rapporti tra l�ordinamento sportivo e l�ordinamento giuridico dello Stato. 410 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 produttivi strategici e di interesse nazionale. Il legislatore ha deciso di attribuire alle controversie che dovessero sorgere in queste materie una disciplina particolare, perch�, ad esempio, la realizzazione di opere strategiche e di preminente interesse nazionale pu� subire degli arresti o dei ritardi proprio a causa di possibili controversie che vengono radicate di fronte al giudice amministrativo; si � di fronte ad un particolare interesse pubblico che richiede una tutela diversa, ma non certo meno garantista. L�art. 23-bis della legge T.A.R. continua a trovare espressione anche in materia di infrastrutture e di insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale per tutto ci� che non � espressamente previsto dall�art. 14 del d.lgs. n. 190/2002 (89). Il legislatore ha disciplinato i presupposti necessari per la concessione delle misure cautelari; nella valutazione dell�istanza cautelare il giudice deve tener conto delle probabili conseguenze che la concessione del provvedimento cautelare potrebbe comportare a tutti gli interessi in gioco. Un�attenzione particolare viene rivolta all�interesse nazionale, che anche in questo caso, come in materia di contratti pubblici (90), viene definito �preminente�. Il giudice se accoglie l�istanza del ricorrente e concede il provvedimento cautelare deve fondare la motivazione della sua decisione anche sulla gravit� ed irreparabilit� del pregiudizio che rischia di subire l�impresa del ricorrente; l�interesse del ricorrente deve per� essere comparato con il contrapposto interesse del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure. Stando al dettato della norma, se l�infrastruttura da realizzare � di interesse nazionale, il ricorrente non potr� mai sperare di veder tutelato il proprio interesse attraverso la concessione di una misura cautelare che eviti la manifestazione del pregiudizio temuto, in quanto il legislatore, qualificando l�interesse nazionale come preminente, ha di fatto messo una grossa ipoteca sulla comparazione, o ponderazione, come viene definita dal diritto comunitario, degli interessi in gioco che egli dovr� compiere al momento della valutazione dei presupposti ai fini della concessione o del diniego della misura cautelare. Questa disposizione fa vacillare il principio della parit� delle armi, di cui all�art. 111 Cost, espressione del pi� generale principio di eguaglianza, sancito dall�art. 3 Cost. L�espressa statuizione del suddetto principio, al co. 2 dell�art. 111 Cost. mediante l�espressione �in condizioni di parit��, sta a significare che �nel processo non pu� essere favorita una parte piuttosto che un�altra (di fronte all�esercizio dalla giurisdizione le parti debbono essere poste su un piede di parit�)� (91), �(�) non basta, per avere perfetto rispetto del principio del contraddittorio, che le parti siano sentite, ma � necessario che siano sentite in condizioni paritetiche, cio� che il meccanismo processuale non favorisca in alcun modo (89) Cos� come stabilisce l�art. 14, co. 1, lett. c) del d. lgs. n. 190/2002. (90) Si veda l�art. 246, co. 3, del d. lgs. n. 163/2006. (91) Cos� B. SASSANI, Lezioni di diritto processuale civile, Scriptaweb, 2007, pag. 8 DOTTRINA 411 le ragioni di una parte a scapito dell�altra� (92). Nel caso dell�art. 14 del d.lgs. n. 190/2002, il legislatore ha predisposto un meccanismo processuale che non solo non pone le parti in una condizione paritetica, ma che favorisce proprio le ragioni di una parte sull�altra. L�espressione �preminente interesse nazionale� rende il co. 1 dell�art. 14 del d.lgs. n. 190/2002 di dubbia costituzionalit�. Credo, infatti, che si profili una violazione dell�art. 111, co. 2, della Cost., che, a quanto sembra, nessuno ha sollevato tanto da essere ripresa dal legislatore anche nel Codice dei Contratti Pubblici all�art. 246, co. 3. L� art. 14, co. 2, del d. lgs. n. 190/2002 stabilisce che, in applicazione dell�art. 2, co. 6, delle direttive 89/665/CEE e 92/12/CEE, l�eventuale sospensione o annullamento dell�aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture disposto dal giudice in accoglimento all�istanza cautelare non determina la risoluzione del contratto che sia stato eventualmente stipulato dai soggetti aggiudicatori; in questo caso il risarcimento degli interessi o dei diritti lesi avviene per equivalente, la reintegrazione in forma specifica non � prevista. Questa disposizione trova applicazione soltanto con riferimento alla fase di aggiudicazione di prestazioni che riguardano le infrastrutture, ma non gli insediamenti produttivi (93). In base al disposto del co. 2, �il momento della stipulazione del contratto di appalto consegna all�appaltatore il suggello dell�intangibilit� dell�opera medesima� (94). In dottrina � stato sottolineato come questa previsione avrebbe comportato un aumento delle richieste di tutela cautelare presidenziale ai sensi dell�art. 21, co. 9, della legge T.A.R., al fine di ottenere la misura cautelare prima che si giunga alla stipulazione del contratto (95). Altra dottrina ha sottolineato come con questa disposizione �l�impresa che stipula il contratto di appalto non correr� pi� il rischio che una successiva ordinanza cautelare o una tardiva sentenza di merito possa annullare l�aggiudicazione dell�appalto affidandolo ad un�altra impresa� (96). Credo che si debba rilevare come questa impostazione vada rivista alla luce della nuova direttiva 2007/66/CE. Ritengo che la resistenza manifestata da parte della dottrina italiana e dei giudici amministrativi in merito all�introduzione nel processo amministrativo della tutela cautelare ante causam sia riconducibile a due ordini di ragioni; la prima � legata al rapporto tra interesse pubblico ed interesse privato. Il legislatore italiano continua a considerare l�interesse pubblico �preminente� ri- (92) Cos� B. SASSANI, Lezioni di diritto processuale civile, Scriptaweb, 2007, pag. 8. (93) Si veda sul punto F. VOLPE, Risoluzione delle controversie e norme processuali nella legge obiettivo. Alcune considerazioni sugli artt. 12 e 14 del d. lgs. 20 agosto 2002, n. 190, in www.Giust.it n. 10/2002 (94) Cos� F. BASILE, Brevi note sul decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 � nuove disposizioni processuali in materia di appalti pubblici (semplificazione o caos?), in www.Giust.it, n. 11/2002. (95) Si veda sul punto VOLPE, Risoluzione delle controversie e norme processuali nella legge obiettivo, op. cit. (96) Cos� G. SAPORITO, Le sospensive conquistano stabilit� ed autonomia dalla sentenza di merito, in Giust. Amm., settembre, 2005. 412 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 spetto all�interesse del privato cittadino che si trova a misurarsi con la pubblica amministrazione. Questo comporta un recepimento sicuramente imperfetto dei principi della Corte di giustizia e delle disposizioni del legislatore comunitario, un recepimento che d� vita a delle norme interne che sono il riflesso di questa �preminenza� e che non permettono ai giudici amministrativi italiani una comparazione degli interessi in gioco, nelle controversie sottoposte alla loro valutazione, che sia libera da pregiudizi, da condizionamenti, come del resto ci chiedono di fare il legislatore e il giudice comunitario che affermano l�importanza della ponderazione degli interessi, interessi che, in ambito comunitario, vengono posti su un piano di parit�, in modo tale da permettere al giudice di valutare serenamente quando prevalga l�uno piuttosto che l�altro e di capire quando la misura cautelare pu� essere concessa al privato e quando invece ci� non � possibile, in quanto un eventuale provvedimento di accoglimento dell�istanza cautelare produrrebbe conseguenze negative maggiori di quelle positive. Questo atteggiamento da parte del legislatore italiano si sta manifestando con pi� forza in questi ultimi anni, da quando la tutela cautelare ante causam � stata introdotta nel giudizio amministrativo, in quanto costituisce innegabilmente una strumento di tutela che pone l�interesse del privato sullo stesso piano di quello pubblico; � uno strumento di tutela che garantisce sicuramente una tutela effettiva, cos� come ci viene chiesto dal legislatore e dai giudici comunitari. Che fare dunque? Sarebbe a mio avviso auspicabile che l�istituto della tutela cautelare ante causam venisse introdotto nel processo amministrativo e la sua estensione generalizzata, in modo tale da poterlo considerare uno strumento di tutela azionabile, qualora ne ricorrano i presupposti, in modo uniforme. Sarebbe sicuramente da evitare un�applicazione �settorializzata� perch� questo potrebbe comportare gravi disparit� di tutela e la conseguente violazione del principio di eguaglianza. Credo sia opportuno che il legislatore non si debba lasciar frenare in questo da atteggiamenti �protezionistici�, volti alla tutela di interessi propri di un ordinamento e che la Comunit� europea non pu� o, peggio, non deve sindacare. Credo che sia conveniente �guardare oltre�, rendersi conto che il diritto processuale non � solo quello nazionale, interno, ma anche quello comune europeo. Con questo non si vuole imporre un�identificazione tra le due realt�, ma una loro �compatibilit��, un�armonizzazione che si fondi su �una struttura normativa comune�(97). Per creare questa struttura � necessario che alcuni (97) Si veda sul punto P. BIAVATI, Gli interventi normativi dell�UE in ambito processuale e le prospettive di un diritto processuale comune europeo, in I regolamenti sulla cooperazione giuridica civile. Verifica delle prime esperienze applicative negli Stati membri, CSM Incontro di studio, Roma, 9-12 febbraio 2004. DOTTRINA 413 ambiti siano omogenei, fra cui quello della tutela cautelare. Le tutele delle situazioni giuridiche sostanziali devono essere armonizzate, fatte ovviamente salve le differenze in merito alle modalit� processuali. Il diritto processuale europeo � una realt� in espansione, dai contorni non ancora ben delineati; sar� compito degli Stati membri della Comunit� europea collaborare per delinearli insieme. Spero che lo Stato italiano si renda conto dell�importanza che ha questa futura prospettiva e che l�armonizzazione dei diritti processuali nazionali e la definizione del diritto processuale comune europeo non va vista come un destino ineluttabile, ma come una grande conquista di civilt� giuridica. 414 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 Brevi note sul principio di precauzione nei sistemi di common law e di civil law* di Maria Vittoria Lumetti** SOMMARIO: 1.- Il principio di precauzione nell�ordinamento e nella giurisprudenza internazionale. 2.- Common law e civil law: due diversi sistemi a confronto 3.- La regolazione science - based e polity related. 4.- La relazione tra scienza e diritto negli Stati uniti. 5.- (segue) Principio di precauzione e principio di causalit�: l�esperienza delle Corti americane 6.- Il governo della scienza in europa: la scienza policy - related. 7.- Il principio di precauzione nell�ordinamento e nella giurisprudenza comunitaria. 8.- Il principio di precauzione nei paesi europei. 9.- L�esperienza italiana. 10.- (segue) Il nuovo concetto di rischio: dal rischio concreto al rischio percepito. 1. Il principio di precauzione nell�ordinamento e nella giurisprudenza internazionali Sempre pi� la cultura della scienza fonda quella del diritto e viceversa, e sempre pi� il sodalizio di diritto e scienza produce il sapere sociale sotteso alle dinamiche processuali, sia nei paesi di tradizione giuridica �continentale� sia in quelli di common law. L�obiettivo � quello di ridurre le �distanze culturali� tra il mondo istituzionale e giudiziario e il mondo scientifico (1). La forte istanza di anticipazione della tutela ambientale e della salute trova la sua massima espressione nell�elaborazione del principio di precauzione (2). Nel suo nucleo concettuale il principio si configura come una strategia (*) Testo integrato ed aggiornato della relazione tenuta a Benevento presso Villa dei Papi il 24.2.2007 in occasione del Convegno internazionale su Precautionary Emf Approach: rationale, legislation and implementation 5th ICEMS international workshop - Benevento 22-25 febbraio 2007. (**) Avvocato dello Stato. (1) Rispondere alla domanda se il diritto debba intervenire nell�ambito dell�inquinamento elettromagnetico, significa rispondere prima al quesito se il diritto debba disciplinare ambiti in cui vi sia l�incertezza scientifica, e secondo quali canoni il diritto deve agire in presenza di incertezza scientifiche, cfr. sul punto G.D. COMPORTI, Amministrazioni e giudici sull�onda dell�elettrosmog, in Foro Amm., 2001, IX, 2455 V. lo studio F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell�amministrazione di rischio, Milano, 2005, a proposito del dibattito sulle origini, p. 1 ss., nonch� M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell�ambiente come sistema complesso, adattivo, comune, Torino, 2007 soprattutto, p. 262 ss. (2) Su questi punti fondamentali cfr. C. PIZZI, Oggettivit� e relativismo nella ricostruzione del fatto: riflessioni logico-filosofiche, in La conoscenza del fatto nel processo penale, a cura di G. UBERTIS, Giuffr�, 195, C. PIZZI, Fatti, coerenza, informazione, in Diritto pen. e processo, 1996, 245, M. TARUFFO, Elementi per un�analisi del giudizio di fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, 785, A. GIULIANI, Ordine isonomico ed ordine asimmetrico: �nuova retorica� e teoria del processo, in Soc. dir., 1986, 2, 81, N. DOTTRINA 415 di gestione del rischio nelle ipotesi in cui non si abbia la certezza scientifica ulla portata dei potenziali effetti negativi di una determinata attivit� (3). Al di fuori di questa nozione di base rimane, tuttavia, estremamente problematico identificare le modalit� con cui il principio opera nei vari ordinamenti in cui � stato invocato. Ancor pi� difficile � definirne la precettivit�, nonostante che il �principio di precauzione� sia divenuto in breve tempo un'espressione di uso corrente. Ed � sulla base di tale espressione che, i governi giustificano e legittimano (sul piano internazionale, statale e locale) politiche e decisioni normative in materia di sicurezza ambientale, sanitaria o alimentare. L�espressione �principio di precauzione� � divenuta sinonimo di sicurezza qualunque sia la forma, l�oggetto e l�efficacia degli interventi posti in essere su quella base. Sul piano giuridico, in particolare, il principio di precauzione non gode di una formulazione univoca, ma trova definizioni differenti a seconda dei settori in cui si applica e degli obiettivi volta per volta perseguiti. Principio metagiuridico necessario ai nostri tempi, perch� in grado di conciliare etica e diritto, il principio di precauzione ricava dal suo peculiare statuto BOBBIO, Sul ragionamento dei giuristi, in L�analisi del ragionamento giuridico, a cura di COMANDUCCIGUASTINI, Torino, 1987; A. AARNIO, La teoria dell�argomentazione e oltre. Alcune osservazioni sulla razionalit� della giustificazione giuridica, in L�analisi del ragionamento giuridico. Materiali ad uso degli studenti, a cura di P. COMANDUCCI E R. GUASTINI, GIAPPICHELLI, Torino, 1987, 211; N. MAC CORMICK, La congruenza nella giustificazione giuridica, in L�analisi del ragionamento�cit, 243, G.F. RICCi, Nuovi rilievi sul problema della specificit� della prova giuridica, in Riv. trim.dir. proc.civ., 2000, 1129, J. WROBLEWSKI, Il ragionamento giuridico nell�interpretazione del diritto, in L�analisi�cit., 267, F.M. CATALANO, Prova indiziaria, probabilistic evidence e modelli matematici di valutazione, in Riv. Dir. proc., 1996, 514, V. DENTI, Scientificit� della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir. proc., 1972, 414, L.G. LOMBARDO, Appunti sulle origini e sulle prospettive del libero convincimento, in Dir. e giurisprudenza, 1992, 17. (3) Cfr. L. MARINI, Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitario, Padova, 2004, 10 ss.; G.MANFREDI, Note sull�attuazione del principio di precauzione in diritto pubblico, Riv.dir.pubbl., n. 3 del 2004, 1075 ss.; F. AMENDOLA, Inquinamento elettromagnetico, d.m. 381/98 e art. 674 c.p., in Foro it., 2001, II, 30. Uno studio dettagliato e completo in merito � stato presentato, gi� parecchi anni fa, dalla dottoressa M. TALLACHINI al convegno su �Ambiente e diritto� svoltosi a Firenze nei giorni 11 e 12 giugno 1998, M. TALLACCHINI, Diritto per la natura, in Ambiente e diritto, S. GRASSI, M. CECCHETTI, S. OLSCHKI, Firenze, 73. G. MANFREDI, La legge quadro sull�elettrosmog (comm. a L. 22 febbraio 2001, n. 36), in Urbanistica e app., 2001, 714. U. RUSSO, Inquinamento elettromagnetico e principio di precauzione, in Resp. civ. e prev., 2001, 1267. Cfr. al riguardo il rapporto ministeriale sull�esposizione a radiofrequenze e leucemie infantile, in www.ministerosanit�.it. R. CHIEPPA, L�inquinamento elettromagnetico tra principio di cautela e cautela nell�attuare la legge quadro n. 36/2001, in Urb. e app., 5, 2002. Sul punto si consenta di rinviare anche a M.V.LUMETTI, Il danno da onde elettromagnetiche e da organismi geneticamente modificati (O.M.G.), testo della relazione al Convegno del 19 Giugno 2003 - Roma presso l�Avvocatura Generale dello Stato, in Rass. Avv. Stato, n1/2004 e in www.giustamm.it.; M.V. LUMETTI, Il principio di precauzione nella legislazione, nella giurisprudenza e nelle recenti sentenze della corte costituzionale (Testo della relazione tenuta in occasione del convegno �Diritto ambientale e campi elettromagnetici� svoltosi a Firenze il 21 ottobre 2003 presso la Sala del Gonfalone del Consiglio RegioneToscana), in http://www.giustit.ipzs.it/new_2003/1481%20Doc.htm., e in Rass. Avv. Stato, n.1/2004. 416 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 epistemologico non solo la forte dose di originalit� che arricchisce la complessit� dell�indagine ad esso relativa, ma anche una serie di limiti intrinseci e significativi, probabilmente inevitabili in un principio che svolge funzioni diverse e che si colloca alla linea di confine tra valutazioni scientifiche ed etiche, politiche e normative. Il principio di precauzione richiede sempre un riferimento a dati scientifici attendibili, specie laddove interferisce con i limiti dei valori di campo definiti a livello nazionale. La ricostruzione sistematica del principio, prende in considerazione i tre diversi ambiti in cui si � progressivamente affermato, soprattutto a livello giurisprudenziale: l�ordinamento internazionale, quello comunitario ed infine quello italiano (4). Naturalmente, la materia � in piena evoluzione, se non ancora nella fase iniziale: i risultati sono dunque provvisori e le riflessioni ancora in corso. Fondamentale si profila la differenza tra principio di precauzione e principio di prevenzione. Rispetto al principio di prevenzione quello di precauzione tende ad anticipare ulteriormente le misure cautelative al momento in cui le conoscenze scientifiche non sono ancora certe (5). Il principio di precauzione nasce negli ottanta come principio volto a regolare i rapporti tra Stati in materia di ambiente. La sua prima formulazione pu� essere ricondotta alla Carta mondiale della natura, adottata dall�assemblea generale Onu nel 1982 (6), ma � solo nel quadro della Conferenza di Rio del 1992 su ambiente e sviluppo che il principio ha trovato solenne affermazione (7). (4) F. ACERBONI, Contributo allo studio del principio di precauzione: dall�origine nel diritto internazionale a principio generale dell�ordinamento, in Il diritto della regione -regione veneto, 2000, 246. (5) T. MAROCCO, Il principio di precauzione e la sua applicazione in Italia e negli altri Stati membri della Comunit� europea, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Comunitario 2003, 1233 ss., che osserva come una parte della dottrina il principio di precauzione non costituisca una novit� rispetto al principio di prevenzione citando al riguardo L.KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l�ambiente, Milano, 2002, 82; contra W. DOUMA, The Precautionary Principle in the European Union, in Reciel, 2000, 133. Cfr. anche S.GRASSI E A.GRAGNANI, Appunti per la relazione du il principio di precauzione nella giurisprudenza costituzionale, relazione tenuta al Convegno su Biotecnologie e tutela ambientale, Caserta 6-7- giugno 2002, in www.unina2.it. (6) V. AA.VV. Il principio di precauzione, la gestione a priori del rischio, in Ambiente Risorse Salute, 1999, vol. 70. U. IZZO, Per una semantica della precauzione. Introduzione, in www.ambientediritto. it/dottrina/Dottrina%202004/semantica_precauzione_izzo.htm - 42k -. Cfr. sul punto T. MAROCCO, Il principio di precauzione e la sua applicazione in Italia e negli altri Stati membri della Comunit� europea, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Comunitario 2003, 1234. (7) Nella Dichiarazione di Rio si legge: �In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States accordino to their capability. Where there are threats of serius or irreversibile damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effestive measures to prevent environmental degradation�. Riferimenti al principio di precauzione, come gi� accennato, sono contenuti anche nelle due Convenzioni internazionali concluse nel quadro dei negoziati di Rio: la Convenzione sui Cambiamenti Climatici e quella sulla Biodiversit�. DOTTRINA 417 Da quel momento in poi, diventa il cardine di numerose convenzioni ambientali. Lo troviamo, in particolar modo, in una serie di convenzioni sulla protezione o l�inquinamento delle acque (8) e sul commercio degli organismi geneticamente modificati (9). Negli strumenti convenzionali indicati il principio di precauzione riceve una formulazione negativa, nel senso che �la mancanza di certezze scientifiche non pu� costituire un ostacolo all�azione di salvaguardia dell�ambiente�. Tale enunciazione sembrerebbe configurare una ipotesi di responsabilit� omissiva a carico dello Stato che rimanga inattivo in attesa di una prova definitiva circa la pericolosit� delle attivit� poste in essere nell�ambito del proprio territorio. In realt�, le convenzioni ambientali sono in gran misura prive di efficacia vincolante, costituendo mere dichiarazioni di principi, che rimangono circoscritte nell�ambito del cd. soft law. In questo quadro, al principio di precauzione pu� essere riconosciuto un mero effetto di liceit�, al pari di quello attribuito alle risoluzioni dell�assemblea generale delle Nazioni Unite. L�azione condotta da uno Stato conformemente al principio di precauzione non pu�, dunque, reputarsi illecita, anche laddove contrasti con altre obbligazioni internazionali da quello assunte. E� vero, tuttavia, che il principio di precauzione ormai trascende la mera dimensione convenzionale e che si sta definitivamente affermando come principio generale, o meglio come norma consuetudinaria dell�ordinamento internazionale (10). (8) Si pensi alla Convenzione sulla protezione dell�ambiente marino della zona del mar Baltico (Convenzione di Helsinki modificata nel 1992: Guce, L 073 dei 16103/1994), alla Convenzione sulla cooperazione per la protezione e l'utilizzo sostenibile del Danubio (Convenzione sulla protezione dei Danubio, GUCE L 342, dei 12/1211997), alla Convenzione per la protezione dell�ambiente marino dell�Atlantico nordorientale (Convenzione di Parigi, GUCE L 104 del 03/0411998). E ancora alla Convenzione sulla protezione e l�utilizzazione dei corsi d�acqua transfrontarieli e dei laghi internazionali (GUCE L 186 dei 05108/1995). (9) Il riferimento � al Protocollo di Cartagena (cd. protocollo sulla Biosicurezza) sottoscritto a Montreal il 29 gennaio 2000 ai sensi dell�art. 19, 3 della Convenzione di Rio, che ha disciplinato il trasferimento, la manipolazione e l�utilizzazione sicure degli organismi viventi geneticamente modificati. In particolare, ha sancito che per la parte di OGM destinati ad essere introdotti nell�ambienti, �la mancanza di certezze scientifiche dovute ad insufficienti informazioni e conoscenze scientifiche riguardanti la portata dei potenziali effetti negativi di un organismo vivente modificato sulla conservazione e l�utilizzazione sostenibile della diversit� biologica (�), non dovr� impedire (�) di adottare decisioni adeguate rispetto all�introduzione degli OGM in questione al fine di evitare o limitare gli effetti potenzialmente negativi� (art. 10, 6). (10) Tale assunto si pu� desumere anche dall�affermazione contenuta in sede di accordo sull�applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie �cd. Accordo SPS- o all�accordo sulle barriere tecniche agli scambi-cd. Accordo TBT-, in cui sono ravvisabili meccanismi di deroga che possono ricondursi all�idea dell�approccio precauzionale quale base per le normative tecniche esistenti (in particolare l�art. 5 dell�accordo sps). L�Accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio, inizialmente negoziato nel Tokyo Round del GATT e successivamente rivisitato nell�accordo di Marrakesh del 1994, ha il compito di disciplinare le azioni dei paesi membri in materia di �regolamentazione tecnica, standards e procedure per la certificazione di conformit�� con riferimento a tutti i prodotti sia agricoli che industriali. Bench� una regolamentazione tecnica possa consistere anche in restrizioni dirette delle importazioni, secondo 418 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 In questo quadro si assiste ai primi tentativi di operare un�applicazione sistematica, non pi� limitata al perseguimento di un effetto di liceit�. E� questo il caso di una celebre pronuncia del Tribunale Internazionale del diritto del mare nel cd. caso Mox plant (11), originata da una disputa tra Irlanda e Regno unito sulla costruzione di un impianto di rigenerazione di scorie nucleari esauste presso la localit� inglese di Sellafield, affacciata sul mare d�Irlanda (12). Nel caso in esame il Tribunale ha invocato la necessit� di assumere un atteggiamento prudente e cautelativo per fondare la propria decisione di disporre misure cautelari (13). alcune interpretazioni le azioni che prevedono il divieto integrale di importare un determinato prodotto esulano dai fini dell�accordo TBT e possono comunque essere esaminati o nell�ambito dell�accordo SPS, o nel pi� generale accordo GATT del 1994. Anche in questo caso, l�obiettivo dell�Accordo � quello di fissare criteri per poter distinguere le misure di normazione tecnica effettivamente intese ad incrementare l�efficienza della produzione ed a facilitare gli scambi, da interventi protezionistici camuffati il cui vero scopo � quello di privilegiare la posizione concorrenziale dell�industria interna. Nell�annesso 1 all�accordo TBT si precisa che per regolamentazione tecnica si intende un �documento che prescrive caratteristiche di prodotto o di processo, comprese norme amministrative applicabili, il cui rispetto � obbligatorio�. All�articolo 2.2, l�accordo TBT recita come segue: �Nella valutazione di tali rischi, gli elementi da considerare sono, tra gli altri, l�informazione tecnica e scientifica disponibile, le tecnologie di produzione collegate o le deliberate utilizzazioni finali dei prodotti�. La conformit� al principio di precauzione del disposto in esame risulta con evidenza da due elementi fondamentali. Innanzitutto, dall�assenza di un termine predeterminato entro cui procedere ad una nuova valutazione delle misure adottate. In secondo luogo, dall�indiretta affermazione che tali misure possano essere adottate in assenza di una valutazione fondata sulla certezza scientifica della pericolosit� dei prodotto. Il testo prevede inoltre che �Nei casi in cui le prove scientifiche pertinenti siano insufficienti, un membro potr� provvisoriamente adottare misure sanitarie o fitosanitarie sulla base delle informazioni pertinenti disponibili, comprese quelle provenienti da organizzazioni internazionali competenti nonch� quelle derivanti dalle misure sanitarie o fitosanitarie applicate da altri Stati membri. In tali circostanze, i membri si sforzeranno di ottenere le informazioni ulteriori necessarie per procedere ad una valutazione pi� obiettiva dei rischio ed esamineranno di conseguenza la misura sanitaria e fitosanitaria entro termini ragionevoli�. (11) ITLOS, case n. 10: The Mox Plant Case (Ireland vs. United Kingdom), Provisional Measures, Order of 3/12/12/2001. (12) Il caso originava dalla disputa tra Irlanda e Regno Unito sulla costruzione di un impianto di rigenerazione di scorie nucleari esauste presso la localit� inglese di Sellafield, affacciato sul Mare d'Irlanda. L�Irlanda sosteneva che il Regno Unito, autorizzando la costruzione dell�impianto, avesse violato una serie di obblighi procedurali e sostanziali a protezione dell'ambiente marino introdotti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto dei Mare del 1982 (Convenzione di Montego Bay). L�Irlanda aveva perci� attivato il meccanismo obbligatorio di risoluzione delle controversie previsto dalla Convenzione e, in attesa della costituzione dei Tribunale arbitrale chiamato a decidere nel merito la controversia, aveva sottoposto alla giurisdizione obbligatoria esclusiva del Tribunale ordinario una richiesta per l�adozione di misure cautelari. In particolare, l�Irlanda chiedeva che, nelle more del giudizio, l�autorizzazione alla costruzione dell'impianto fosse sospesa. (13) Sotto il profilo sostanziale veniva contestata la violazione dell'obbligo di adottare tutte le misure necessarie per prevenire, ridurre e controllare l'inquinamento dell'ambiente marino in ogni sua forma ed, in particolare, dell'obbligo di garantire che le attivit� condotte sotto la giurisdizione dello Stato costiero si svolgessero senza causare danni a Stati terzi o all'ambiente (art.192-194). Sotto il profilo procedurale, veniva invece invocato l�obbligo di cooperazione in materia di salvaguardia dell'ambiente marino a carico degli stati affacciato su mari interclusi o semi-interclusi (art.123; art.197) ed infine l'obbligo dello Stato costiero, nella cui giurisdizione sia intrapresa o si intenda intraprendere un'attivit� potenzialmente inquinante, di valutarne le potenziali conseguenze l'ambiente (art.206). DOTTRINA 419 Dalla pronuncia emerge, tuttavia, la resistenza che il principio di precauzione incontra nell�affermarsi integralmente: il Tribunale non ha infatti disposto le misure cautelari richieste dal ricorrente, sottolineando come non fosse stata sufficiente la prova del periculum in mora al fine di giustificare l�adozione di misure �sostanziali� (14). In conclusione, nonostante i promettenti sviluppi, si deve concludere che, ad oggi, nell�ambito dell�ordinamento internazionale, il principio di precauzione assuma prevalentemente un ruolo di criterio guida delle scelte rimesse a ciascuno Stato nella determinazione delle proprie politiche ambientali. Come tale, non � idoneo a produrre effetti vincolanti all�interno degli ordinamenti nazionali o, a maggior ragione, a configurare immediatamente in capo ai singoli posizioni giuridiche invocabili in giudizio. 2. Common law e civil law: due diversi sistemi a confronto Il principio di precauzione � ancora un concetto controverso: si percepisce intuitivamente di che cosa si tratti, ma � ben difficile stabilirne i confini, almeno dal punto di vista giuridico (15). � evidente che quando � in gioco la salute fisica, i parametri del principio di precauzione devono essere molto rigidi. Come gi� accennato, il principio di precauzione investe il problema della regolazione della scienza. Tale problema si sta diffondendo in tutti i paesi insieme ai processi di globalizzazione. Le risposte appaiono profondamente diverse per quanto riguarda il rapporto tra Europa e Stati Uniti. In questo ambito � diverso il sistema di approccio che caratterizza e contrappone gli strumenti internazionali a quelli comunitari, che a sua volta riflette ed amplifica le diverse posizioni assunte in materia di precauzione e di sicurezza alimentare dagli Stati Uniti d�America e dall�Unione europea. Molto probabilmente il diverso sistema giuridico di civil law o common law influenza anche i rapporti tra scienza e diritto. Un esempio della distanza tra Stati Uniti ed Europa nel modo di concepire la regolazione della scienza � rappresentato proprio dal principio di precauzione. Common law e civil law sono due ordini, sistemi e metodi che governano tutto il diritto nel nostro pianeta: il sistema di common law � il frutto di una lenta, radicale profondissima e remotissima evoluzione che fa tesoro di tutte le precedenti esperienze storiche, conservando quanto di positivo (14) Le misure adottate in forza del principio di precauzione risultano solitamente di carattere procedurale, consistenti nell�obbligo per le parti di intraprendere negoziati in attesa della costituzione del Tribunale arbitrale. (15) Per fare un banale esempio, l�assunzione di qualsiasi farmaco implica un bilanciamento fra il rischio che si corre e il beneficio che se ne vuole conseguire. Si valuta sempre, in ogni scelta, la qualit� dell'eventuale rischio che essa implica e se vale la pena rischiare. 420 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 esse hanno apportato fino all�attualit�. Negli Stati Uniti la concezione ancora dominante, sia a livello governativo sia in gran parte nella riflessione teorica e nelle istituzioni universitarie e in generale nei rapporti tra scienza e diritto, � ancora fortemente science based. In Europa, invece, il principio di precauzione � un esempio applicativo di un modo policy-reladet di interpretare il sapere scientifico, in quanto il concetto di norma e quello di sistema normativo risultano centrali nel discorso teorico-giuridico. Nel sistema di civil law i giudici e gli studiosi del diritto e della dogmatica giuridica fanno riferimento alle norme come allo specifico oggetto dell�approccio alle questioni giuridiche. L�ordinamento giuridico � di carattere normativo in quanto � composto dall�insieme di tutte le norme giuridiche valide. Le norme non sono n� vere n� false: appartengono al campo delle espressioni prescrittive (16). Il concetto di norma e quello di sistema normativo risultano, dunque, centrali nel discorso teorico-giuridico del civil law. Gli studiosi adottano asserzioni attinenti a norme giuridiche valide, intese come espressioni prescrittive: tali asserzioni vengono chiamate �asserzioni normative�. Mentre il diritto nei paesi di civil law � elaborato dal legislatore a mezzo di norme generali e astratte, nei paesi di common law, il diritto � di formazione giudiziaria (judge made law), spontanea, consensualistica, di tipo casistica, attinente al singolo caso concreto, equitativa e consuetudinaria (17). Tutto ruota in gran parte attorno ai fatti simili precedenti, all�analogia da fatto a fatto, alla ratio decidendi equamente adattata. L�elemento legislativo � solo uno degli elementi che caratterizza il combinato empirico, non � vincolante e neppure il pi� importante. Sono i giudici e le professioni liberali (avvocati) che in common law creano il diritto (18). Il diritto viene realizzato con regole ricavabili dal criterio (ratio decidendi) adottato per risolvere il singolo caso concreto secondo equit�. Il sistema di common law viene, infatti, supportato da costituzioni di carattere elastico. La mentalit� angloamericana � dunque pragmatica, riluttante verso le sistematiche formali e concettuali, generali e astratte, e pi� attenta al dato concreto della vita quotidiana. Non vale il normativismo aprioristico, predominano le regole di comportamento e convenienza confacente alla dignit� dei rapporti intersoggettivi, privati e pubblici ed emerge la prassi: si tratta di un sistema di vita pratica, di un costume professionale e giudiziario, in evolu- (16) A.AARNIO, La teoria dell�argomentazione e oltre. Alcune osservazioni sulla razionalit� della giustificazione giuridica, in L�analisi del ragionamento giuridico. Materiali ad uso degli studenti, a cura di P. COMANDUCCI E R. GUASTINI, GIAPPICHELLI, TORINO, 1987, 211. (17) P. D�AMICO, Common law, Torino 2005, 230 ss. (18) P. D�AMICO, op.cit., Torino 2005, 197 ss. DOTTRINA 421 zione storica (ortopraxia) (19). 3. La regolazione science�based e polity related Conseguenza di tale diversa impostazione � che negli Stati Uniti la concezione ancora dominante nei rapporti tra scienza e diritto, sia a livello governativo sia in gran parte nella riflessione teorica e nelle istituzioni universitarie, � ancora fortemente science based. In Europa, invece, il principio di precauzione � un esempio applicativo in fieri di un modo policy-related di interpretare il sapere scientifico (20). Caratteristica del sistema americano � l�impostazione positivistica e tecnocratica secondo cui la scienza �speaks truth to the power�: le conoscenze, le pratiche e i prodotti scientifiche si stabilizzano nella vita sociale attraverso complesse attivit� di mediazione e negoziazione. I pareri degli esperti, pur ufficialmente dichiarati neutri, si rivelano, ad una attenta analisi, profondamente legati all�assunzione di particolari premesse e valutazioni, e inscindibili da queste. I giudici hanno deliberatamente rivendicato il proprio spazio di autonomia di fronte alle pretese di oggettivit� della scienza (21). Il sistema giuridico americano, essenzialmente fondato sul diritto giudiziario, prendendo in considerazione tutte le parti in causa nei processi, ha consentito ai giudici di reinterpretare le diverse tesi avanzate dalle parti, anche laddove queste fossero supportate da aspetti scientifici. (19) E� per questo che il filone storico angloamenricano non conosce filosofia teoretica e razionalistica, nelle varie forme di teologia, ideologia, utopia, come si riscontra invece nel filone opposto del razionalismo metodologico della conoscenza umana (ebraismo dogmatico e antidogmatico o veterotestamentario). L�Europa continentale � legata ad una giuridicit� di carattere sistematico, concettuale, aprioristico, vincolante, negazione di ogni diritto spontaneo e consuetudinario, al contrario della common law che rimane empiristica ed equitativa, sul piano sostanziale come nei metodi produttivi e realizzativi, con una vera e propria antitesi tra la centralit� ecclesiastica romana e il nord dell�Europa. Civil law � di matrice giustinianea, common law di origine metodologica romano-classica. E� la civilt� greco-romana che ci fa conoscere le origini e le matrici dei sistemi moderni, sia nell�aspetto dogmatico che in quello antidogmatico. Jus gentium, diritto empirico, equitativo, consuetudinario, internazionale, commerciale, in cui si fondono i caratteri della latinit� con quelli dell�ellenismo (diritto pragmatico dell�et� romanoclassica). Con il crollo dell�impero romano si formano l�assolutismo cesaropapistico e il dogmatismo ecclesiastico che informano tutto il medioevo di una giuridicit� dogmatica, sistematica e teorica, basata sul corpus giustinianeo, sottoposta alla teologia, perfetta antitesi rispetto al diritto romano classico. Quando i normanni occuparono l�Inghilterra con Guglielmo il conquistatore, inizi� un rinnovato liberlismo. Erano i tempi della Magna Charta, punto di partenza di ogni ulteriore e futura costituzione liberale. Si apre l�antitesi tra la centralit� ecclesiastica romana e il nord dell�Europa, in particolare l�Inghilterra. L�Inghilterra � destinata a offrire il proprio modello liberale per il resto dell�Europa. Cfr. sul punto P. D�AMICO, Common law, Torino 2005, 1-5. (20) Www.minerva.unito.it. (21) S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici. La regolazione giuridica della scienza in America, Milano, 2001, 209 ss e 170. 422 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 I meccanismi giudiziari americani rappresentano settori in cui tutti gli interessi hanno la possibilit� di emergere. Un ulteriore elemento che in parte mitiga l�accentuata inclinazione americana verso una regolamentazione science-based � rappresentato dall�atteggiamento di apertura e visibilit� delle procedure di regolamentazione. Tale atteggiamento si realizza principalmente attraverso la pubblicazione dei progetti di regolamenti al fine di rendere possibili i commenti del pubblico. Trasparenza e apertura ai commenti pubblici da un lato, ricostruzione giudiziaria dall�altro, sono le modalit� con cui gli Stati Uniti cercano di mantenere un vitale contatto tra scienza e societ�. La scienza connessa a scelte pubbliche (policy- related science) deve essere concettualmente distinta dalla scienza pura e da quella applicata (22). La scienza pura � prevalentemente guidata dalla curiosit� del ricercatore, la scienza applicata � orientata da un progetto e da un fine pratico. La scienza destinata a scelte pubbliche deve contribuire alla definizione di questioni che, dovendo trovare applicazione sociale, sono legate a valutazioni ampie di carattere politico, anche nei casi in cui sono coinvolti problemi scientifico-tecnici (23). Nel febbraio 2000 la Commissione europea ha prodotto un documento (24) che cerca di chiarire e rendere operativo il principio di precauzione. In tale documento tale principio � un esempio applicativo di un modo policyreladet di interpretare il sapere scientifico. Emerge, dunque, come criterio regolativo del diritto ambientale, e diviene poi principio generale in materia di salute, forendo indicazioni circa il trattamento politico-giuridico dell�incertezza scientifica: gli spazi di incertezza della scienza vengano colmati con misure di tutela dei cittadini (25). L�esigenza che il diritto intervenga con misure di protezione dei cittadini, anche qualora il possibile verificarsi di un danno non sia stato avallato dalla piena certezza scientifica, costituisce il sintomo di un importante cambiamento nell�epistemologia sottesa alla regolazione giuridica della scienza. Si tratta del delicato passaggio da una visione acritica del sapere scientifico, assunto come oggettivo e scevro da incertezze, a una posizione consapevole della non neutralit� delle proposizioni scientifiche (26). (22) U. IZZO, Per una semantica della precauzione. Introduzione, in -. (23) S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici. La regolazione giuridica della scienza in America, Milano, 2001, 209 ss e 170. (24) Commission of the european communities, communication from the commission on the precautionary principle, Brussels 2.2.2000, com(2000)1. (25) S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici�op. cit. Milano, 2001, 129 ss. (26) S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici�op. cit. Milano, 2001, 130 ss. DOTTRINA 423 4. La relazione tra scienza e diritto negli Stati Uniti Se il problema della regolazione della scienza si sta diffondendo in tutti i paesi in virt� dei processi di globalizzazione, le risposte appaiono profondamente diverse in Europa e Stati Uniti. Come gi� detto, l�elemento di diversit� apparentemente pi� evidente ed immediato sembra consistere nel carattere maggiormente science-based dei Paesi di common law, rigorosamente e oggettivamente improntato a fatti e conoscenze scientifiche. Le relazioni tra scienza e diritto negli Stati Uniti rappresentano un fenomeno molto articolato (27). La recente esperienza nordamericana in materia di scientific evidence � per molti versi legata alle peculiarit� del sistema processuale. Tuttavia, essa appare ricca di implicazioni di ordine generale, che possono essere significative anche in altri ordinamenti processuali. L�impiego di prove scientifiche si va ovunque diffondendo con grande rapidit�, creando nuovi e rilevanti problemi. Situazioni che in passato venivano lasciate a valutazioni formulate secondo il senso comune o la comune esperienza, vengono ora progressivamente �coperte da prove scientifiche�. La categoria della prova scientifica si estende ma al contempo si differenzia al proprio interno. Esistono ormai diversi tipi di prove scientifiche, derivanti da diverse tecniche sperimentali e da diverse metodologie di analisi. Nuove scienze, come le scienze sociali, forniscono ulteriori tipi di prove scientifiche. Le diverse prove scientifiche creano differenti problemi di validit�, di controllo e di valutazione. Concetti generali o generici di �scientificit�� sono sempre pi� inadeguati come strumenti per valutare le prove scientifiche. Appare necessario un rigoroso approfondimento dei methods and procedures che presiedono alla formazione di ogni singola prova. La scientificit� della prova non produce di per s� alcuna presunzione di verit� o di certezza, ma l�uso di nozioni e metodi scientifici � spesso utile, talvolta indispensabile, in quanto consente di fondare il giudizio sul fatto su basi meno soggettive ed opinabili. Perch� ci� accada occorre che la scienza che si usa a fini probatori nel processo sia davvero scienza e che i suoi risultati vengano usati correttamente. Non � affatto certo che ogni ordinamento processuale, e il discorso vale anche per quello italiano, sia strutturato per affrontare e risolvere adeguatamente questi problemi. Una maggiore consapevolezza della loro delicatezza (27) M. TARUFFO, Le prove scientifiche nella recente esperienza statunitense, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 1996, 219, e A. DONDI, Paradigmi processuali ed �expert witness testimony� nell�ordinamento statunitense, in riv. Trim. Dir. Proc. Civ 1996, 261. Ma gi� prima il tema della prova scientifica era stato affrontato, nella dottrina processualcivilista, da v. DENTI, Scientificit� della prova e libera valutazione del giudice, in riv. Dir. Proc. 1972, 414. G. CANZIO, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in https://www.giustiziacampania.it/file/1053/file/relazionecanzio17.10.03. doc. 424 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 e difficolt� rappresenta comunque il necessario punto di partenza per opportune riforme. I protocolli procedurali e gli standard delle agenzie federali statunitensi (come, per esempio, il FDA) hanno rappresentato e in parte ancora rappresentano un modello di rigore e seriet�. Ma se la concezione statunitense ancora dominante, sia a livello governativo sia in gran parte della riflessione teorica e delle istituzioni universitarie, dei rapporti tra scienza e diritto � ancora fortemente science-based, le relazioni tra scienza e diritto negli Stati Uniti rappresentano un fenomeno molto pi� articolato. I giudici hanno deliberatamente rivendicato il proprio spazio di autonomia di fronte alle pretese di oggettivit� della scienza. Il sistema giuridico americano, essenzialmente fondato sul diritto giudiziario, tende a dare rilevanza giuridica alle osservazioni di tutte le parti in causa nei processi, compresi gli esperti chiamati a testimoniare. Molta importanza � conferita ai cd. ufficiali rappresentanti degli interessi del pubblico, o portatori di interessi espliciti o impliciti (stakeholders) (28): con il meccanismo del peer review i giudici decostruiscono gli asserti scientifici riconoscendo non solo un ruolo suppletivo della giurisprudenza, ma anche l�autonomia del diritto rispetto alla scienza (29). Ne consegue il riconoscimento del primato del diritto in caso di incertezza scientifica, e il suggello della definitiva collaborazione giuridica tra diritto e scienza. 5. Principio di precauzione e principio di causalit�: L�esperienza delle corti americane L�individuazione della significativit� statistica � fondamentale al fine di dimostrare la veridicit� dell�affermazione in tema di effetti sulla salute nel sistema di common law e in quello di civil law. Gli studi scientifici che hanno concluso per la dannosit� degli effetti a lungo termine dell�esposizione ai campi elettromagnetici sono stati confutati (28) Questa funzione delle Corti � divenuta palese nel caso Daubert v. MERRELL Dow pharmaceuticals, con cui nel 1993 la corte suprema ha deciso che il consolidato criterio della generale accettazione da parte della comunit� scientifica essenzialmente espressa attraverso il peer review, rappresentava solo uno dei possibili elementi al fine di qualificare una tesi come scientifica. I giudici -cos� argomenta la Corte-sono liberi di ammettere a testimoniare come esperto chiunque, pur non godendo del riconoscimento ufficiale della comunit� scientifica, dimostri di sapersi avvalere di conoscenze e metodi scientifici (sostenga, cio�, ipotesi falsificabili e suscettibili di essere testate). La particolare tesi sostenuta in Daubert � stata da pi� parti criticata, in quanto accetta acriticamente il meccanismo del peer review, limitandosi ad aggiungervi il libero convincimento dei giudici. Tuttavia, secondo l�autrice il ruolo rivendicato dalle corti � apprezzabile e mostra come i meccanismi giudiziari americani abbiano un potenziale di autoriflessione e conferiscano a tutti gli interessi la possibilit� di emergere. S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici�op. cit. Milano, 2001, 130 ss. (29) Prima, dal caso Frye del 1923, i giudici dovevano invece attenersi alle conoscenze scientifiche generalmente accettate dalla comunit� scientifica secondo il principio speaks truth to the power. DOTTRINA 425 da altri studi che hanno evidenziato i vizi metodologici dei relativi criteri di indagine utilizzati. Alcuni studiosi, ad esempio, negano la validit� degli studi epidemiologici, per la mancanza di significativit� statistica del campione di popolazione osservato. La giurisprudenza americana (30) cita il caso del �Ddt�, come esempio del valore attribuito dalle Corti alle prove di laboratorio sugli animali per dimostrare gli effetti sull�uomo, Questo spiega la necessit� dei giudici di giustificare il nesso causale sulla base di leggi scientifiche di copertura consolidate, in mancanza delle quali difficilmente poterebbero trovare ingresso specifiche dimostrazioni probatorie elaborate su misura della persona che lamenti la patologia. Negli Stati Uniti, � stato dato ingresso alla prova testimoniale dei medici curanti, i quali, come testimoni diretti delle condizioni di salute della persona, hanno la facolt� di spiegare la storia medica. L�effetto di ammettere la dimostrazione della cd. causalit� specifica o individuale implica che � possibile riconoscere che un dato effetto dannoso possa esistere per una determinata persona anche se risulta improbabile in generale, pur in mancanza di una valida dimostrazione della causalit� generica. A questi fini le Corti americane ricorrono anche ai pareri dei cd. �ecologi clinici�, i quali studiano gli effetti sull�organismo umano delle sostanze chimiche presenti nell�ambiente. L�ordinamento giuridico di civil law, invece, e anche l�ordinamento italiano, non permette il ricorso a tali strumenti probatori (31). Il principale ostacolo all�accoglimento delle azioni risarcitoria o inibitorie proposte a tutela della salute minacciata dalle onde elettromagnetiche in generale �, infatti, costituito dalla difficolt� di dimostrare il nesso causale tra la patologia lamentata e l�azione delle onde. L�incertezza scientifica ha impedito che in sede giudiziaria potesse essere utilizzato il criterio della sussunzione secondo leggi scientifiche (32). Il sud- (30) S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici� op.cit., 209 ss e 170. (31) Si spiega cos�, nel nostro contesto, la funzione dei limiti di esposizione alle onde elettromagnetiche, fissate dalla normativa regolamentare, in termini di copertura scientifica del nesso di casualit� generica rispetto all�evento dannoso. (32) Cfr. U. IZZO, Per una semantica �op. cit., �Nel porre le basi metodologiche della sua analisi dedicata al concetto di rischio, N. LUHMANN, RISK: A Sociological Theory, Berlin, New York, 1991, 16- 17 (Sociologia del rischio, Milano, 1996, 25-26), osserva: �un danno futuro pu� reificarsi, o non, a seconda dei casi. Scrutato dal punto di vista del presente, il futuro appare incerto, sebbene si possa essere consapevoli del fatto che i futuri 'presenti' potranno assumere i contorni che noi desideriamo ovvero disvelarsi in modo piuttosto diverso rispetto alle nostre aspettative. In questo preciso momento noi non possiamo sapere quali fattezze assumer� il futuro. Ma possiamo sapere che in un futuro 'presente' noi stessi ed altri osservatori saremo in grado di conoscere quale sia la situazione, e la valuteremo in modo diverso da come la valutiamo oggi, anche se fra noi potranno emergere valutazioni di tipo diverso. D�altra parte, (�) ci� che pu� accadere nel futuro dipende dalle decisioni che sono prese oggi. Infatti 426 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 detto criterio, gi� utilizzato in sede penale, richiede al giudice di evidenziare la sussumibilit� dell�evento concreto all�interno di un enunciato astratto e generalizzante che ne stabilisca scientificamente la meccanica di derivazione. Occorre che l�accadimento particolare possa essere spiegato sulla base di una legge generale di copertura, che permetta di sussumere in se stessa il rapporto azione-evento concepiti non come fenomeni singolari ed irripetibili, bens� come accadimenti riproducibili in presenza di determinate condizioni (33). Molto pi� che in altre ipotesi (come ad es. nei casi del fumo, delle trasfusioni ecc.), qui non solo esiste la probabilit� che la patologia (cancro, leucemia) sia stata concausata da fattori diversi, ma non vi � alcuna certezza che l�esposizione alle onde elettromagnetiche abbia minimamente contribuito alla realizzazione dell�evento dannoso (34). In conclusione, negli Stati Uniti i giudici hanno temperato il rigore scientifico assunto come base di partenza, rivendicando il proprio spazio di autonomia, a fronte della pretesa di oggettivit� della scienza. Caratteristica strutturale dell�american tort law �, difatti, la funzione di deterrenza (punitive or exemplerary damages). 6. Il governo della scienza in Europa: la scienza policy - related Come prima accennato in Europa il concetto di norma e quello di sistema normativo risultano centrali nel discorso teorico-giuridico. Nel sistema di civil law per i giudici e gli studiosi del diritto le norme costituiscono il punto di partenza dell�approccio alle questioni giuridiche. L�ordinamento giuridico � un ordinamento normativo caratterizzato dall�insieme di tutte le norme giuridiche valide. Le norme non sono n� vere n� possiamo parlare di rischio solo se siamo in grado di identificare una decisione senza la quale il danno non si sarebbe verificato (�) pertanto, il fatto che due contingenze temporali, l�evento ed il danno, siano intimamente correlate come contingenze (e non come fatti!) (�) consente agli osservatori di valutare le cose in modo diverso�. (33) G. FIANDACA e E. MUSCO, Diritto penale, Bologna, 2007, 200 ss. (34) Oltre alla difficolt� di dimostrare la cd. causalit� specifica, e cio� che davvero l�esposizione a quelle onde o a quella sostanza abbia determinato la patologia in un determinato soggetto, si aggiunge che non � dimostrata l�esistenza della causalit� generica. La causalit� generica � da intendersi come attitudine di quel fattore a provocare, a lungo termine, malattie nei soggetti esposti, al pi� potendosi affermare l�aumento della possibilit� statistica ovvero del rischio di contrazione di una data malattia. Un problema di causalit� generica, invece, non sussiste per quelle patologie che risultano associate esclusivamente ad una determinata sostanza tossica: ad es. il cloruro di vinile provoca l�angiosarcoma del fegato, l�amianto provoca il mesotelioma. �Ogni bene protetto ha un suo standard normativo per quanto riguarda il limite che configura l�evento lesivo. Quello che concerne la salute, in quanto colora di illiceit� il comportamento lesivo, � stato collegato agli indici segnalati dalle particolari conoscenze scientifiche le quali di per s� escludono anche che vi siano oscillazioni della misura caso per caso�. Cfr. una delle prime pronunce in materia Cass. 28 marzo 1980, n. 2062, in Giur.it., I, 1, 1871. DOTTRINA 427 false: appartengono al campo delle espressioni prescrittive (35). Il concetto di norma e quello di sistema normativo risultano centrali nel discorso teoricogiuridico del civil law. Negli ultimi anni molte questioni legate alla concezione del sapere scientifico sono state oggetto di attenzione da parte delle istituzioni comunitarie (36). Le emergenze collegate proprio alle inadeguate e inefficienti misure regolative della scienza hanno allarmato i paesi europei. Il fenomeno che l�Europa sta vivendo e a cui si sta cercando di rimediare, � una crisi tra cittadini e istituzioni, a causa della sfiducia nella capacit� delle istituzioni di regolare la scienza e nell�attendibilit� della consulenza scientifica degli esperti che tale regolazione dovrebbero ispirare. Il ripetersi di eventi in cui gli esperti sono apparsi incapaci di dominare situazioni di incertezza scientifica e in cui talora sono emersi errori di valutazione o interessi in contrasto con la sicurezza e la salute dei cittadini, hanno reso cruciale il problema della fiducia della societ� civile nei confronti della scienza, laddove questa sia direttamente coinvolta in decisioni di carattere pubblica. Si rinvengono molte disomogeneit� nella regolazione internazionale della scienza e i processi di globalizzazione impongono l�armonizzazione di standard e procedure, ma una certa tendenza ad elaborare una linea epistemologica europea nella riflessione sulle connessioni tra scienza, diritto e democrazia pu� essere positivamente coltivata. Molti paesi europei nonch� le istituzioni comunitarie stanno elaborando un modello di governo della scienza che incorpora una concezione della scienza delle istituzioni, della societ� e del diritto che ne regola i rapporti. Le decisioni adottate in tema di trasparenza e pubblicit� delle procedure istitutive e decisionali dei comitati che assistono istituzioni europee (in particolare la Commissione europea), il cd. tema della comitology, la valorizzazione della percezione pubblica della scienza, la necessit� di rendere effettivo il diritto dei cittadini all�informazione (right know) e alla partecipazione nei processi decisionali relativi a problemi scientifici, sono aspetti di questo modello. Nell�ottobre del 2000 la commissione europea ha pubblicato il Libro bianco sul sistema di governo europeo (governance) (37). In merito al governo della scienza il documento sottolinea l�importanza del ruolo che il diritto svolge nei confronti della scienza nel quadro dell�Europa comunitaria. (35) A. AARNIO, La teoria dell�argomentazione e oltre. Alcune osservazioni sulla razionalit� della giustificazione giuridica, in L�analisi del ragionamento giuridico. Materiali ad uso degli studenti, a cura di P. COMANDUCCI E R. GUASTINI, GIAPPICHELLI, Torino, 1987, 211. (36) Commission of the european communities, Governance and Expertise, 2000, http://governance. jrc.it, in particolare le nuove linee �guida britanniche: U.K. Office of Scienze and Tecnology, Guidelines 2000, scientific advice and policy Making, July 2000, http://governance.jrc.it7dti/AboutOST.htm. (37) Commissione delle comunit� europee, un libro bianco sul sistema di governo europeo, Bruxelles, 11 ottobre 2000, SEC(2000) 1547/7 def., in http://europa.eu.int./comm/governance/work/it.pdf. 428 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 Il diritto appare particolarmente rilevante perch� l�Unione europea comparativamente ai sistemi politici nazionali, agisce molto pi� in sede di definizione di un quadro normativo che mediante interventi economici. Per quanto riguarda il governo della scienza, il documento sottolinea l�importanza del ruolo che il diritto svolge nei confronti della scienza nel quadro dell�europa comunitaria. Il libro bianco sulla governance ha istituito dodici gruppi di lavoro, due dei quali interessano da vicino l�argomento qui trattato (38). Il principio di precauzione � un esempio applicativo in fieri di un modo policy-related di interpretare il sapere scientifico (39). Per quanto riguarda la determinazione della portata del contributo scientifico nella scienza policy-related, vi � la necessit� di disporre di valutazioni e pareri scientifici che, nel caso di valutazioni di rischio, devono essere allargati a tutti gli esperti del settore. L�esigenza di disporre di expertises pluralistici � ricollegabile all�esienza di rendere il processo decisionale in tema di scienza pi� rispondente ai bisogni della societ�. Inoltre � opportuno ristabilire il collegamento tra discipline diverse che non sempre sono in grado di dialogare tra loro. I sistemi di civil law dovendo fare riferimento a quadri normativi codificati non dispongono dei meccanismi di esplicitazione giudiziale dei conflitti dei paesi di common law. Ne consegue che sono orientati alla ricerca di un consenso preventivo. Tuttavia, questo spesso non � raggiunto, per la difficolt� di dare spazio e talora anche di riconoscere anticipatamente tutti i possibili elementi di conflitto, specialmente rispetto a situazioni cos� nuove come quelle continuamente esplicitate dallo sviluppo scientifico-tecnologico. Anche le forme di legislazione contrattata, in cui i rappresentanti di interessi diversi (come le organizzazioni di tutela dei consumatori) siano ammessi a partecipare, riescono a dare voce solo a settori gi� ben strutturati della societ� civile, ma non raggiungono il pubblico meno interessato al processo normativo. Se, dunque, la revisione nella formazione dei giudizi scientifici destinati (38) Si tratta del gruppo 2, incaricato di formulare proposte nel campo della democratizzazione del sapere scientifico, particolarmente nei settori della salute e della sicurezza e del gruppo 3, responsabile per le iniziative connesse alla partecipazione della societ� civile. Le attivit� del gruppo 2 si collegano a due necessit�, espresse in un passaggio del documento: �da un lato occorre dare a questo sapere una maggiore accessibilit�, che non si limiti a una mera trasparenza tecnica. Dall�altro occorre definire un sistema di parametri scientifici di riferimento, che abbiano un�incidenza e un�autorevolezza sufficienti su scala europea, e che possano essere applicati nei vari contesti nazionali�. Il gruppo 3 � invece impegnato a studiare e realizzare il �diritto partecipativo� dei cittadini, cercando di estendere ad altri settori ci� che la convenzione un/ece, firmata ad Aarhus nel 1998, ha elaborato in tema di accesso del pubblico all�informazione, al processo decisionale e alle vie giudiziarie in materia di ambiente. (39) U. IZZO, op. cit.: �L�intreccio concreto tra valutazione scientifica di un problema, peso che alle zone di incertezza deve essere attribuito, contributo di una molteplicit� di soggetti sul versante sia della scienza sia della valutazione sociale, e infine la traduzione di tutti questi elementi in decisioni e norme giuridico-politiche, � la sfida ma anche il fascino intellettuale nella costruzione di nuovi �ibridi epistemologico-normativi�. DOTTRINA 429 a informare scelte pubbliche pu� offrire al processo decisionale una scienza pi� facilmente fruibile dalla societ�, il passo successivo consiste nel trovare i modi per raggiungere il pubblico e per renderlo parte della formazione del quadro regolativo. 7. Il principio di precauzione nell�ordinamento e nella giurisprudenza comunitaria Il principio di precauzione nel diritto comunitario ha ben altra valenza rispetto a quella meramente programmatica del diritto internazionale in quanto � considerato come uno dei cardini della politica ambientale comune definita dal titolo XIX Trattato CE (nuova numerazione). In particolare, ai sensi dell�art. 174, 2 �la politica della comunit� in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversit� delle situazioni nelle varie regioni della comunit�. Essa � fondata sui principi della precauzione e dell�azione preventiva sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all�ambiente, nonch� sul principio che inquina paga�. In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell�ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura comunitaria di controllo (principio cos� sostituito dall�art. 2 del trattato di Amsterdam, ratificato con l. 16 giugno 1998, n. 209). La Commissione europea ricopre un ruolo di mediatore tra istanze scientifiche, business e pubblico, teso ad invidiare un bilanciamento tra l�esigenza di conoscere gli effetti delle nuove tecnologie prima che queste vengano immesse nel mercato. Il modello proposto � quello della prevenzione e della minimizzazione dei rischi. In ogni caso, la Commissione ha escluso che il principio di precauzione possa esaurire la propria portata nel solo settore ambientale (40). Altre norme del Trattato possono esservi indirettamente ricondotte. Si pensi all�art. 95 Trattato CE, in materia di riavvicinamento delle legislazioni nazionali riguardanti la tutela della salute e del consumatore, o all�art. 152 CE, in tema di tutela alla salute. Il principio di precauzione si configura, in ogni caso, come vero e proprio principio generale dell�ordinamento comunitario, al pari di quello di proporzionalit� e di sussidiariet�, la cui portata esatta potr� essere determinata solo (40) Cfr. La comunicazione della commissione sul principio di precauzione del 2.2.2000 (com/2000/). 430 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 con l�evoluzione del diritto CE, grazie anche al ruolo della Corte di giustizia delle comunit� europee. E� significativo osservare come l�inserimento del principio di precauzione nell�ambito delle finalit� riconosciute alla comunit�, ne determina un profondo mutamento strutturale: da criterio guida nelle scelte politiche, esso viene ora a configurarsi come regola di condotta rivolta alla amministrazione comunitaria. Ex ante, il principio di precauzione guida l�azione degli organi comunitari e contribuisce a definire le procedure e le motivazioni idonee a supportare le scelte dell�amministrazione nell�ambito di fattispecie innovative in cui si contrappongono i diritti di libert� economica e le esigenze di tutela dell�ambiente, della salute, dei consumatori. Ex post, il principio costituisce parametro di legittimit� alla luce del quale la Corte di giustizia delle comunit� europee ha gi� avuto modo di esprimersi. Nelle cause riunite c 157/96 e c 180/96 la Corte ha, infatti, confermato la legittimit� della decisione della commissione di vietare l�esportazione del bestiame dalla Gran Bretagna, per prevenire il rischio di trasmissione del morbo della cd. Mucca pazza (41). Diventa, dunque, di importanza fondamentale individuare i criteri e i limiti entro cui il principio di precauzione pu� essere invocato, stante la sua portata potenzialmente dirompente nell�estendere l�ambito di discrezionalit� delle istituzioni comunitarie (42). Ne consegue che il ricorso alla precauzione si pu� tradurre in una decisione di agire o di non agire. Se si ritiene di agire � necessario soddisfare una serie di condizioni come la proporzionalit�, la non discriminazione, la coerenza, l�esame dei vantaggi e degli oneri, l�esame dell�evoluzione scientifica. A livello comunitario il solo riferimento di carattere giuridico al suddetto principio � contenuto nell�art. 174 (ambiente) del trattato. La commissione ritiene tuttavia, che si tratti di un principio di applicazione pi� generale che deve essere preso in considerazione nell�ambito della gestione del rischio nei settori della salute e della sicurezza dei consumatori. Tale obiettivo deve essere perseguito nell�ambito di tutte le politiche comunitarie, non solo quella ambien- (41) In particolare, la Corte ha affermato che �si deve ammettere, quando sussistono incertezze riguardo all�esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, che le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realt� e la gravit� di tali rischi�. (42) Il parere del comitato economico e sociale sul tema �il ricorso al principio di precauzione� (2000/c268/04) offre spunti molto importanti per individuare con precisione la materia. Il parere sancisce che il principio di precauzione debba essere considerato nell�ambito di una strategia strutturata di analisi dei rischi, comprendente tre elementi: valutazione, gestione e comunicazione del rischio. Per la commissione il principio di precauzione �, dunque, particolarmente importante nella fase di gestione del rischio: se non � possibile, infatti, determinare il rischio con sufficiente certezza, spetta ai responsabili politici giudicare quale sia un livello di rischio accettabile per la societ�. DOTTRINA 431 tale, e da tutte le istituzioni comunitarie e non solo dalla commissione. La commissione, ha infatti sostenuto che tale principio, ben lungi dall�essere astratto e meramente programmatico, si applica �in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull�ambiente e sulla salute degli esseri umani... Possano essere incompatibili con l�elevato livello di protezione prescelto dalla comunit�� ogniqualvolta vi � l�esigenza di �equilibrare la libert� e i diritti degli individui, delle industrie e delle organizzazioni con l�esigenza di ridurre i rischi di effetti negativi per l�ambiente e per la salute degli esseri umani, degli animali e delle piante�. In altre parole, tale criterio viene utilizzato per contemperare le esigenze, del tutto contrapposte, di una tutela pi� efficace dell�ambiente e della salute, senza che ci� si risolva in una ingiustificata restrizione del mercato. Tale conflitto fra i differenti obiettivi della comunit� europea (tutela ambiente, tutela della salute e sviluppo del mercato interno e dell�economia) pu� essere risolto solo dalle istituzioni comunitarie, unici organi competenti a poterlo comporre. Ormai, l�accettabilit� del rischio impone nuovi modelli di orientamento: il pericolo determina paura, ma rischio non significa pericolo, perch� il rischio esiste quando il pericolo pu� essere evitato (43). Il cambiamento della natura dei rischi si ripercuote necessariamente sulla natura dei danni. Infatti, i danni provocati da una catastrofe vanno ormai ben oltre sia all�assicurabilit� ma soprattutto all�indennizzabilit�. I rischi, ormai, non rientrano pi� nell�ambito dell�indennizzabilit�, con ci� rimettendosi in discussione il grande patto sociale del xx secolo, che si fonda sul principio per cui il rischio � accettabile se � indennizzabile. I rischi assumono, dunque, una dimensione di irreversibilit�. Si tratta di verificare che cosa sia il rischio accettabile, ossia quando � possibile assumere un rischio. A tal fine il termine prescelto � ormai quello della precauzione. La precauzione si distingue dalla prevenzione, in quanto per scegliere la prevenzione di fronte ad un rischio, occorre poterlo misurare: la prevenzione � possibile solo quando il rischio � misurabile e controllabile. Nella precauzione il responsabile deve controllare e misurare il rischio e nello stesso tempo deve correre un rischio che non pu� ancora conoscere, ma che potrebbe manifestarsi in futuro in una nuova fase di evoluzione della scienza. (43) La comparsa del concetto di rischio nella cultura occidentale � sintomo di una profonda trasformazione nel rapporto con il pericolo in quanto, di fronte al pericolo e ad alcuni pericoli si pu� decidere, in maniera perfettamente razionale, di affrontarli. Il rischio non va, pertanto, associato alla paura, bens� al coraggio, in virt� del fatto che, mentre nel XIX e nel XX secolo la preoccupazione maggiore era rappresentata dall�incidente, il periodo contemporaneo � segnato da un cambiamento che riguarda la natura dei rischi (si passa dall�incidente alla catastrofe, che pu� essere naturale, climatica, tecnologica). 432 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 La precauzione si configura, dunque, come un elemento essenziale di ogni processo di analisi del rischio e, in quanto elemento di tale processo, ad esso si ricorre in presenza di un rischio sconosciuto di un pericolo potenzialmente significativo, in attesa di ottenere ulteriori risultati dalla ricerca scientifica. La Commissione europea individua nel principio di precauzione tre componenti fondamentali: maggiori sforzi volti ad accrescere le conoscenze, la creazione di strumenti di vigilanza scientifica e tecnica per identificare le nuove conoscenze e comprenderne le implicazioni, l�organizzazione di un ampio dibattito sociale in merito a ci� che � auspicabile e a ci� che � fattibile. L�attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare proprio da una valutazione dei rischi, effettuata da scienziati specializzati indipendenti, mentre la gestione dei rischi � di competenza dei responsabili politici, i quali valutano la necessit� e le modalit� del ricorso al principio di precauzione. La trasparenza della valutazione dei rischi, il fattore di attivazione � costituito dall�incertezza scientifica e non gi� dalla certezza. Dal momento che spesso gli effetti negativi compaiono solo dopo un�esposizione prolungata, i rapporti di causa ed effetto sono difficili da provare. Le misure, peraltro, non devono introdurre discriminazioni nella loro applicazione. Per quanto attiene all�onere della prova, le misure basate sul principio di precauzione devono stabilire la responsabilit� di colui che � tenuto a fornire la prova scientifica necessaria ad una valutazione del rischi completa. La clausola, ad esempio, che prevede l�inversione dell�onere della prova sul produttore, non pu� essere trasformata in un principio generale, a meno che non vi sia un elemento positivo, come nel caso di sostanze ritenute a priori pericolose o che possono essere potenzialmente pericolose ad un certo livello di assorbimento. Il suddetto parere, pertanto, offre una dettagliata disamina circa la genesi ed i presupposti da porre alla base di questo principio che, a quanto pare, � l�unico la cui elaborazione ha prodotto risultati di un certo spessore, tanto da essere recepito a livello normativo. In sintesi, nei due sistemi esaminati, di civil law e common law, risulta differente il percorso seguito per conferire effettivit� e concretezza al principio di precauzione, ma il risultato sembra egualmente raggiunto: i sistemi di tradizione continentale sono fondati sull�elaborazione di quadri normativi codificati ma non dispongono dei meccanismi e dei poteri giudiziari di risoluzione dei conflitti appartenenti ai paesi di common law. Il dato interessante � che in entrambi i casi assistiamo al singolare fenomeno della elaborazione di nuovi �ibridi epistemologico-normativi� (44). (44) U. IZZO, Per una semantica...op.cit. DOTTRINA 433 8. Il principio di precauzione nei Paesi europei Il principio di precauzione ha trovato nei vari stati dell�Unione europea una applicazione diversa. L�ordinamento tedesco � stato il primo che ha introdotto il principio di precauzione (45), gi� a partire dagli anni �60 (46). Il principio non era contenuto nel testo costituzionale ma era previsto dall�art. 20, che faceva carico allo Stato di assumere la responsabilit� di proteggere le basi naturali della vita e degli animali nell�interesse delle generazioni future (47). Con il Vorsorgenprinzip (48) i pubblici poteri erano stati autorizzati a prendere le misure pi� idonee per fronteggiare eventuali rischi qualora le esistenti conoscenze scientifiche non fossero sufficienti a stabilire con certezza l�effettiva esistenza di un rischio. Il Vorsorgenprinzip non � stato utilizzato come principio generale o politico ma di volta in volta � stato incluso nei testi di legge, come in materia di gestione delle acque o di utilizzazione di sostanze chimiche. In tali casi il principio impone una valutazione dei rischi al fine di ridurre il rischio per la salute e per l�ambiente. La particolarit� del principio di precauzione tedesco � quella di non poter essere invocato dai soggetti privati e di non costituire un nuovo strumento di garanzia di diritti individuali (49). L�origine del principio viene fatto risalire proprio all�ordinamento tedesco � occidentale e alla rigorosa normativa ambientale degli anni settanta del XX secolo: molto presto il principio suddetto verr� attratto nell�ordinamento comunitario: se ne rintracciano esempi gi� dai primi ottanta del secolo scorso, seguiti da esplicita menzione in atti, convenzioni e trattati a carattere regionale o diretti alla protezione di c.d. global commons (50). (45) T. MAROCCO, op. cit., 1242 ss., L.MEZZETTI, �Costituzione dell�Ambiente� e protezione della natura nell�ordinamento tedesco, in I diritti della natura. Paradigmi di giuridificazione dell�ambiente nel diritto pubblico comparato, Bologna 1997. (46) Sul piano filosofico l�origine del principio viene fatta risalire alla c.d. euristica della paura nei confronti dell�ignoto formulata da HANS JONAS nella sua opera �Das Prinzip Verantwortung� del 1979, edito in Italia da Enaudi col titolo �Il principio responsabilit��. L�autore elabora l�etica per la civilit� tecnologica e l�etica per il futuro attraverso l�ontologia del �non ancora�, cfr. pag.115 ss. (47) Il testo dell�art. 20 nella lingua originale cos� recita: �Der Staat sc�tzt auch in Verantwortung f�r die k�nftigen Generationen die nat�rlichen Lebensgrundlagen und die Tiere im Rahmen der verfassungsm�.igen Ordnung durch die Gesetzgebung und nach Ma.gabe von gesetz und Recht durch die vollzienhende Gewalt und die Rechtsprechung�. (48 ) Sul Vorsorgenprinzip cfr. K. VON MOLTE, The Vorsorgenprinzip in West German Environmental Policy, in Royal commission on Environmental Pollution, Twelfth Report, 1988, 57. (49) T. MAROCCO, op. cit., 1243 ss. e la bibliografia ivi citata in merito all�applicazione da parte delle Corti tedesche del principio di precauzione. (50) Carta mondiale della natura (1982); Convenzione di Vienna sulla protezione dello strato di 434 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 In Francia il principio di precauzione � apparso per la prima volta nella legge 2 febbraio 1995 n. 95, art. 101 (c.d. Loi Barnier ), relativa alla protezione dell�ambiente (51). In seguito il principio � stato incluso nel Codice dell�ambiente e codificato come uno dei principi cardine per la protezione delle risorse naturali, del paesaggio, delle specie animali e vegetali. La dottrina e la giurisprudenza francesi non hanno specificato se dall�art. 101 scaturisca un�efficacia diretta del principio o sia richiesta la necessaria interposizione di una legge specifica. La giurisprudenza amministrativa ha comunque utilizzato la precauzione non solo come principio per la tutela dell�ambiente, ma lo ha espressamente applicato a fondamento di misure a tutela della salute pubblica (52). Nel 2004 il Guardasigilli, Ministro della Giustizia della Repubblica Francese, ha presentato un progetto di legge costituzionale relativo alla Carta dell�ambiente, divenuto legge nel 2005. Il principio di prevenzione e la protezione dell'ambiente ottengono cos� lo stesso rango dei diritti dell�uomo e del cittadino del 1789 e dei diritti economici e sociali del 1946 (53). L�articolo 1 del progetto inserisce il richiamo ai diritti e ai doveri definiti dalla Carta dell�ambiente nel primo paragrafo del preambolo della Costituzione del 1958. Questa prima modifica del preambolo della legge fondamentale francese consacra la particolare solennit� particolare accordata alla protezione dell�ambiente. L�articolo 2 promulga la Carta dell�ambiente, composta da sette considerazioni che ne esprimono la filosofia e le prospettive in forma di dieci articoli. La Carta consacra un diritto, quello di vivere in un ambiente equilibrato e favorevole alla salute e un dovere, quello di prendere parte alla tutela e al miglioramento dell�ambiente, che pesa su ogni persona. La prevenzione dei pregiudizi ambientali e la riparazione dei danni devono essere assicurati, nelle ozono (1985); Protocollo di Montreal sulle sostanze che danneggiano lo strato di ozono (1987); seconda conferenza sul mare del Nord-Londra (1987; Convenzione di Parigi sulla prevenzione dell�inquinamento marino da fonti terrestri (1989), sino al protocollo sulla biosicurezza di Cartagena (2000). (51) Cfr. sul punto T. MAROCCO, op. cit., 1243 e C.CANS, Grande ed petite hisoire des princ�pes g�n�raux du droit de l�environnement dans la Loi du 5 f�vrier 1995, in Revue Jiuridique de l�Environnement, 1995, 195. (52) In materia di O.G.M. C. MODICADONADALLE ROSE, Gli organismi geneticamente modificati e la responsabilit� dei produttori nel diritto francese, in Resp.civ. e prev., 2001, 6, 1312. (53) Il suddetto progetto mette in pratica l�impegno assunto dal Presidente della Repubblica di proporre ai francesi una Carta dell�ambiente sostenuta a livello costituzionale, con l�intento di inscrivere una ecologia umanista all�interno del patto costituzionale, consacrando un impegno solenne nella continuit� della Dichiarazione dei diritti dell�Uomo e del Cittadino del 1789 e del Preambolo alla Costituzione del 1946. Rifacendosi ai lavori della Commissione presieduta dal Professor Coppens, nonch� sulla consultazione nazionale condotta dal ministro dell�ecologia e dello sviluppo sostenibile, il Governo ha elaborato un testo ambizioso per il suo valore costituzionale come pure per il suo contenuto. DOTTRINA 435 condizioni definite dalla legge. Non solo, ma la Carta enuncia e definisce il principio di precauzione in materia ambientale, disponendo che le politiche pubbliche devono promuovere uno sviluppo sostenibile, assicurando a tale fine l�integrazione tra protezione dell�ambiente e sviluppo economico e sociale. Sono riconosciute il diritto d�accesso alle informazioni relative all�ambiente in possesso ai soggetti pubblici nonch� il diritto di partecipare alle decisioni pubbliche che incidono sull�ambiente, all�interno condizioni di esercizio che la legge deve definire. Infine, si consacra il ruolo dell�educazione e della ricerca nella tutela e nella valorizzazione dell�ambiente. La Carta dell�ambiente � destinata ad ispirare l�azione della Francia a livello europeo e internazionale. Con pronuncia del 3 ottobre 2008 il Consiglio di Stato ha annullato un decreto che si proponeva di diminuire il livello di protezione dei laghi di montagna facendo riferimento alla Carta dell'ambiente e precisando che quest�ultima � giuridicamente vincolante (54). In Spagna l�art. 45 della Costituzione prevede un espresso riferimento alla tutela dell�ambiente e alla protezione di un ambiente adeguato per lo sviluppo della persona, attraverso il principio di prevenzione, al quale ben pu� essere ricollegato anche il principio di precauzione. Il principio infatti � considerato non solo di natura politica ma anche giuridica e, come tale, si ritiene imposto sia ai privati sia all�autorit� pubblica (55). Nelle Costituzioni del Portogallo e della Grecia non vi � alcun richiamo al principio di precauzione bens� solo a quello di prevenzione. (54) All�origine della pronuncia vi � un emendamento del Parlamento che si proponeva di diminuire la tutela dei laghi di montagna pi� grandi di 1.000 ettari. La citt� di Annecy/F si era opposta presentando il ricorso sul quale si � ora pronunciato il Consiglio di Stato, che ha dato un chiaro segnale a sostegno della Carta dell'ambiente e ha sottolineato il suo valore costituzionale. Per l�organizzazione non governativa France Nature Environnement questa delibera ha un�importanza storica: ora pi� che mai il diritto ambientale costituisce uno strumento essenziale nella battaglia contro il degrado del pianeta. http://www.journaldelenvironnement.net/fr/document/detail.asp?id=23850&idThema=7&idSousThema= 42&type=JDE&ctx=291 (fr), http://www.fne.asso.fr/fr/charte-de-lenvironnement--fne-salueun- arret-historique-du-conseil-detat.html?cmp_id=33&news_id=182: �Pour la premi�re fois, le Conseil d�Etat a rendu un arr�t en assembl�e, sa formation la plus solennelle, consacrant la valeur juridique de la Charte de l�environnement. Vendredi 3 octobre, la plus haute juridiction administrative fran�aise a annul� un d�cret pour violation de la Charte de l�environnement. Dor�navant, �tout justifiable pourra invoquer la Charte de l�environnement pour contester une d�cision administrative�, explique Yann Aguila, commissaire du gouvernement au Conseil d�Etat, qui a rendu la d�cision. A l�origine de cet arr�t, un d�cret du 1er ao�t 2006 relatif aux grands lacs de montagne dont la superficie est sup�rieure � 1.000 hectares. Ces lacs sont doublement prot�g�s par la loi Montagne et par la loi Littoral. Un amendement parlementaire a r�duit la protection de ces lacs: la loi Littoral serait applicable uniquement sur un secteur d�fini autour de ce lac. La ville d�Annecy (Haute-Savoie) a fait un recours contre ce d�cret d�application (1), au motif qu�il n�associait pas le public dans la d�finition du p�rim�tre (2). �Une disposition contraire � l�article 7 de la Charte�, rappelle Yann Aquila�. (55) T. MAROCCO, op. cit., 1244 ss. 436 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 Nel Regno Unito, invece, la precauzione non � considerato dalla giurisprudenza un principio normativo bens� di carattere politico. La dottrina ha considerato che una applicazione del suddetto principio da parte delle Corti presupporrebbe una modifica dei rapporti tra potere esecutivo e giurisdizionale (56). Bisogner� dunque attendere il recepimento delle direttive comunitarie che lo prevedono (57). 9. L�esperienza italiana Un primo implicito riconoscimento del principio di precauzione in Italia si pu� rinvenire gi� nel decreto n. 381 del 10 settembre 1998 (c.d. decreto Ronchi) in materia di determinazione dei limiti delle radiofrequenze compatibili con la salute umana. Successivamente sono entrate in vigore altri interventi normativi al riguardo (58). In particolare, l�art. 1, comma 1, lett. B, l. n. 36/2001 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetiche) contiene l�esplicito richiamo al principio di precauzione in merito alla previsione de un giudizio di incertezza sugli effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici. La definizione di un limite precauzionale elimina la necessit� di accertare il fatto incerto della presunta dannosit� delle onde elettromagnetiche (59). Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell�ambiente) recepisce la Direttiva 2003/35/Ce che introduce la disciplina giuridica per la responsabilit� ambien- (56) T. MAROCCO, op. cit., 1244 ss.e la bibliografia ivi citata. (57) Alcuni esempi di un approccio precauzionale applicato alla tutela della salute pubblica possono tuttavia rintracciarsi nell�Inghilterra del XIX secolo, come segnalato dall�European Environment Agency, Late lessons from early warnings the precautionary principle 1896-2000, 2002, 14. Durante l�epidemia di colera scoppiata a Londra nell�estate del 1854 furono chiuse alcune condotte idriche sulla base di una semplice associazione statistica tra casi di colera e consumo di acqua inquinata constatata dal fisico John Snow, nonostante che ancora si ritenesse che il colera si propagasse per contaminazione aerea e il tedesco Koch solo trent�anni dopo scoprisse invece l�agente infettivo del vibrione. (58) Il quadro normativo in Italia posto a regolamentazione degli impianti di radiocomunicazione per telefonia cellulare � riferibile alle seguenti norme: legge del 22 febbraio 2001, n. 36 �legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici�; leggi regionali promulgate a seguito dell�entrata in vigore della norma quadro e, per la regione Lombardia la legge regionale dell�11 maggio 2001, n. 11 �norme sulla protezione ambientale dall�esposizione a campi elettromagnetici indotti da impianti fissi per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione�; l�art. 41 della legge delega 1 agosto 2002, n. 166; decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 �disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del paese�, dichiarato in contrasto con la costituzione dalla consulta con sentenza n. 303 dell�1 ottobre 2003; decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 �codice delle comunicazioni elettroniche�. (59) Cfr. decreto legislativo n. 259/03: l�art. 86, comma terzo, statuisce che le stazioni radio base debbono essere assimilate, a ogni effetto, alle opere di urbanizzazione primaria. Tali impianti possono essere collocati in qualunque parte del territorio comunale indipendentemente dalla zonizzazione e dell�esistenza di �aree� (ove sorgono ospedali, asili, oratori, scuole,�) degne di particolare tutela. DOTTRINA 437 tale fondata sul principio comunitario �chi inquina paga� tesa alla prevenzione ed alla riparazione, a costi ragionevoli, del danno ambientale (60). Si supera cos� la logica del post damnum in precedenza ispiratrice dell�art. 18 legge 349/1986 istitutiva del Ministero dell�ambiente ed ora abrogata e sostituita ad opera del suddetto codice dell�ambiente). La parte sesta del Codice dell'Ambiente � interamente dedicata alla responsabilit� ambientale, alla prevenzione e al risarcimento del danno che recepisce la recente direttiva 2004/35/Ce introducendo il principio di �chi inquina paga�. Il richiamo al principio di precauzione colloca l�Italia in una posizione avanzata nella Comunit� europea (61). (60) L�allegato III alla direttiva 2004/35/Ce prevede un�ampia casistica di attivit� intrinsecamente idonee a cagionare danno ambientale, in ordine alle quali la violazione di legge non costituisce precondizione del danno stesso. Le suddette attivit� devono essere eseguite misure di prevenzione �normali�; accanto ad esse si collocano le misure di prevenzione �particolari� poste in essere e in presenza di altri e diversi elementi destinati a far aumentare il rischio di eventi capaci di rappresentare causa di danno. Cfr. sul punto, per una dettagliata disamina, P. FICCO, Il risarcimento del danno ambientale, in AA.VV, Il risarcimento del danno nel processo, Rimini, 2007, 660 ss. In particolare si prevede: l'introduzione di un meccanismo di richiesta di intervento statale da parte di soggetti (ivi comprese le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell�ambiente) a diverso titolo interessati all'adozione delle misure di prevenzione, di ripristino o di riparazione; la definizione di una disciplina analitica del risarcimento del danno ambientale, che costituisce l�elemento pi� caratterizzante dell'articolato, mediante la definizione di un modello che, in via alternativa alla costituzione di parte civile nel processo penale da parte del Ministro dell'Ambiente, prevede, a seguito di specifica istruttoria, l'emanazione di un'ordinanza- ingiunzione per il risarcimento del danno (E� danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilit� assicurata da quest'ultima); applicazione ai crediti vantati dallo Stato in materia di risarcimento del danno ambientale della disciplina della riscossione mediante ruoli e, soprattutto, previsione di un fondo di rotazione in cui confluiscano le somme riscosse al fine di finanziare interventi di messa in sicurezza, disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale. Cfr. anche T. MAROCCO, Il principio di precauzione e la sua applicazione in Italia e negli altri Stati membri della Comunit� europea, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Comunitario 2003, 1237 ss. L. BUTTI, Il ruolo decisivo degli organismi tecnico-scientifici ufficiali nella applicazione del principio di precauzione in materia ambientale e sanitaria, in www.altalex. Nell�approccio giuridico all�ambiente, il primo profilo problematico che emerge � quello relativo alla definizione stessa di �ambiente�. La prima elaborazione in tal senso tentativo la si deve a Galileo Galilei nel 1673. In Italia la prima legge che contiene un riferimento all�ambiente � il D.P.R. n. 616 del 1977, in cui l�ambiente era un aspetto inserito incidentalmente all�interno dell�urbanistica. Successivamente, nella legge n. 349 del 1986 si costruiva un nuovo soggetto di imputazione di interessi pubblici in materia, il Ministero dell�Ambiente, senza dare una definizione di ambiente, ma citando quali oggetto di tutela, le condizioni ambientali, il patrimonio naturale e le risorse naturali. Con la modifica del Titolo V si riconosce rango primario all�ambiente. Le istanze ambientali diventano parametri per l�attivit� del legislatore e indirizzi per l�azione della P.A. (Legge Costituzionale n. 3 del 2001). (61) Sintomatico � come il principio di precauzione sia stato, gi� da tempo, esteso ed applicato anche ad altri settori, sempre connessi con la tutela salute. L�O.M. 22 novembre 2000 dell�allora Ministero della Sanit� (GU 24 novembre 2000, n. 275, stabilisce, in materia trasfusionale, che �considerata la situazione di potenziale pericolosit� per la salute pubblica determinatasi nei Paesi dell�Unione europea in relazione ai casi di encefalopatia spongiforme bovina, considerato che, ancorch� non sia stata accertata alcuna diretta correlazione fra donazione di sangue ed infezione da agenti infettanti connessi alla nuova variante di malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD), in alcuni paesi dell�unione sono state adottate, in via 438 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 La Corte costituzionale ha valorizzato l�importanza della scienza ed il ruolo degli organi tecnico-scientifici nazionali e internazionali in sede di applicazione del principio di precauzione chiarendo che in materia di tutela della salute �l�elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali� (elaborazione spettante agli �organi tecnico-scientifici�) prevale sulla �pura discrezionalit� politica dello stesso legislatore�(62). La Corte costituzionale ha ulteriormente precisato che l�imposizione di limiti all�esercizio della libert� di iniziativa economica �sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell�interesse dell'ambiente e della salute umana� pu� legittimamente avvenire soltanto sulla base di �indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sopranazionali, a ci� deputati, dato l�essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici� (63). Le indicazioni degli organi tecnico-scientifici ufficiali � ha precisato il Consiglio di Stato (64) possono essere superate soltanto in presenza di ben precisi e circostanziati �elementi nuovi� tali da rendere non pi� accettabili gli orientamenti scientifici precedentemente assunti come base per le decisioni politiche o amministrative (65). 10. Segue: Il nuovo concetto di rischio: dal rischio concreto al rischio percepito Nonostante la contrapposizione tra i due modelli di civil law e common law dell�analisi del principio di precauzione, � possibile individuare l�elaborazione di una governance globale dell�ambiente. prudenziale, iniziative volte ad escludere dalla donazione di sangue o di emocomponenti coloro che negli anni dal 1980 al 1996 hanno soggiornato nel Regno Unito per un periodo superiore a sei mesi� ritenuta l�opportunit� di dichiarare, in via meramente cautelativa ed in attesa delle decisioni che assumeranno in materia gli organi dell�Unione�ordina: coloro che hanno soggiornato nel Regno unito negli anni dal 1980 al 1996.� sono da considerare non idonei alla donazione di sangue o di emocomponenti. Cfr. L. BUTTI, Principio di precauzione, codice dell�ambiente e giurisprudenza delle corti comunitarie e della corte costituzionale, in Rivista giuridica dell�ambiente, ISSN 0394-2287, n� 6, 2006, pp. 809- 828 e in http://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=2217918. (62) Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, la cui rilevanza � fra gli altri sottolineata da G.D.Comporti, Contenuto e limiti del governo amministrativo dell'inquinamento elettromagnetico alla luce del principio di precauzione, in Rivista giuridica dell'ambiente, 2005, f. 2, p. 221. Conferma Corte cost. con sentenza 14 novembre 2003, n. 338. (63) Corte cost., 17 marzo 2006, n. 116. (64) Cons. Stato, 18 gennaio 2006 n. 2001. (65) TAR Veneto, sezione terza, ordinanza 25 ottobre 2006, n. 1963, che ha applicato i principi esposti nella sentenza della Corte Costituzionale. V. F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell�amministrazione di rischio, Milano, 2005, a proposito del dibattito sulle origini, p. 146 ss. DOTTRINA 439 Lo stesso concetto di rischio ha assunto, infatti, dimensioni prima sconosciute. Accanto al rischio reale, si sta delineando il rischio percepito: il significativo progresso delle tecnologie della comunicazione contribuisce a rafforzare la sensibilit� dell�opinione pubblica nei confronti di nuove ipotesi di rischio, ancor prima che la ricerca scientifica sia in grado di fornire spiegazioni definitive e certe sulla effettiva pericolosit� dell�attivit� sotto esame. Tutto ci� si � tradotto in una forte istanza di anticipazione della tutela ambientale e della salute che trova la sua massima espressione nel principio di precauzione. L�approccio precauzionale, come gi� ricordato, � stato introdotto nel nostro ordinamento in seguito al recepimento di alcune direttive comunitarie in tema di tutela ambientale, le quali espressamente si ispiravano al principio di precauzione per definire la portata della disciplina di tutela. Da quel momento sono intervenute talune pronunce che hanno fatto riferimento al principio di precauzione come ad uno dei principi fondamentali dell�ordinamento nazionale, in virt� del quale � possibile valutare la legittimit� dell�azione amministrativa (66), oppure per sindacare l�esistenza dei requisiti necessari all�adozione di una misura cautelare (67). Si segnala la sentenza della Cassazione n. 9893 del 2000 che, sul presupposto della supposta notoriet� delle onde elettromagnetiche (generate nel caso spedigico da un eletrodotto) ha ritenuto ammissibile l�emissione di una pronuncia inibitoria qualora, anche prima che l�opera pubblica sia messa in esercizio, sia possibile accertare che � insito un pericolo, e non gi� un pregiudizio attuale, per la salute umana (68). (66) M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell�ambiente come sistema complesso, adattivo, comune, Torino, 2007 soprattutto pag. 272 ss. (67) Ordinanza Tribunale di Padova 17 novembre 1998, n. 465. Parte della giurisprudenza ritiene che il principio si imponga in forza dei rapporti esistenti tra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale. In realt�, una simile tesi potrebbe trovare accoglimento solo laddove si sostenesse che il principio di precauzione cos� come enunciato, ad esempio, nell�art. 174, si caratterizzi per la sua immediata efficacia negli ordinamenti nazionali. A tal fine � opportuno, come sottolinea la consolidata giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, che la norma sia chiara precisa e suscettibile di configurare immediatamente in capo ai singoli posizioni giuridiche azionabili in giudizio. Innanzitutto, non sembra che un generale approccio precauzionale possa essere affermato sulla base di argomentazioni sistematiche che facciano riferimento all�ordinamento italiano preso nel suo complesso. E�, infatti, evidente, che il principio di precauzione si pone come un�eccezione rispetto alla regola generale che incentra sulla certezza scientifica del danno ogni valutazione circa la lesivit� di una data attivit� economica e, di conseguenza, ogni tutela assicurata dall�ordinamento (tanto in via risarcitoria quanto cautelare). Senza la prova di questi elementi decisivi sembra difficile sostenere che l�introduzione nell�ordinamento di una disciplina ispirata ad un approccio precauzionale possa introdurre in via generale il principio di precauzione. (68) Cass. 27 luglio 2000, n. 9883 in Foro it., 2001, I, 141 e in Corr. Giur., 2001, 200, in Danno e resp., 2001, 38 con nota di G. DE MARZO, Inquinamento elettromagnetico e tutela inibitoria� e in Urb.e app., 2001, 162 con nota di G. MANFREDI, L� �irresistibile� diritto alla salute e la tutela dall�inquinamento elettromagnetico. 440 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N.2/2009 In una situazione di incertezza scientifica, di continue evoluzioni della tecnologia, di rapidi cambiamenti sociali ed economici, il diritto non � facilmente codificabile. E� necessario, allora, anche un continuo aggiornamento e non si pu� pensare di garantirlo solo con lo strumento legislativo, bisogner� ricorrere agli atti secondari, i quali dovranno avere come fonte di legittimazione la legge quadro e altre leggi che eventualmente verranno adottate. Parallelamente all�evoluzione dei paradigmi dell�organizzazione sociale, dalla responsabilit� (stato di diritto) alla solidariet�, fino alla sicurezza, anche le politiche di tutela ambientale si sono sviluppate lungo un percorso che va dal �modello curativo� al modello preventivo fino a quello anticipativo. L�incertezza si distingue in tecnica, metodologica ed epistemologica. E� mutata anche la dimensione del rischio: dal rischio di incidente si � passati al rischio di catastrofe, spesso ambientale e/o sanitaria. Si tratta di limitazioni epistemologiche strutturali e non contingenti, in quanto derivano dai limiti ontologici della conoscenza umana e dalla complessit� ed imprevedibilit� dei fenomeni studiati (risk analysis o risk governance). L�approccio precauzionale � diventato, anche in Italia, negli ultimi quindici anni, il perno di una politica di prevenzione nei confronti dei rischi ambientali. Richiede che siano adottate misure di tutela dell�ambiente anche quando non sussiste interamente l�evidenza di un collegamento causale tra una situazione potenzialmente dannosa e conseguenze lesive dell�ambiente o manchi una conoscenza competa del fenomeno. L�esame di due fondamentali norme della Costituzione italiana (art. 32 e art. 43) ha evidenziato come nel nostro ordinamento il valore salute, inteso in senso ampio, e l�energia, siano importanti per garantire giuste condizioni di vita. Entrambe mirano a questo scopo, ma lo fanno secondo prospettive diverse. La salute � fondamentale nella vita dell�individuo e questa non deve essere solo garantita con la cura, ma anche con la prevenzione. In sede di normativa sanitaria internazionale, comunitaria e nazionale � stato elaborato il principio ALARA (As Law As Reasonably Achievable) (69) con il quale si adotta una �politica atta a minimizzare i rischi conosciuti, mantenendo l�esposizione ai livelli pi� bassi ragionevolmente possibili, tenendo in considerazione i costi, la tecnologia, benefici per la salute pubblica ed altri fattori sociali ed economici� (70). Il documento garantisce la tutela preventiva (precautionary prevention), (69) Il pi� basso rischio ragionevolmente raggiungibile, il c.d. livello di cut off, al fine di evitare l�end of pipe, ossia le misure che intervengono a posteriori. (70) European Environment Agency, Late lessons from early warnings the precautionary principle 1896-2000, 2002, 192 ss. DOTTRINA 441 al fine di anticipare gli impatti imprevisti (surprses) muovendo dagli indizi noti di danni potenziali addivenendo al c.d. prudent avoidance. In materia di campi elettromagnetici si � registrato uno scontro tra la commissione e il Consiglio, da un lato, e il Parlamento europeo e il Governo italiano dall�altro, durante il procedimento di approvazione della raccomandazione 1999/519/CE sulla limitazione dell�esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (71). Il Governo italiano aveva criticato, oltre all�omessa menzione dei principi di precauzione e ALARA, la distinzione proposta tra i limiti di esposizione e livelli di riferimento nonch� la mancata considerazione dei risultati delle pi� recenti ricerche sull�esposizione ai campi elettromagnetici. In particolare si evidenziava l�indimostrata assunto che i meccanismi di interazione tra radiazioni elettromagnetiche e organismi viventi siano rappresentati esclusivamente dall�induzione di correnti elettriche nel corpo umano (basse frequenze) e dal riscaldamento dei tessuti (alte frequenze) (72 ). Nonostante l�inesistenza del pubblic law nei paesi di common law, nonostante che il principio di precauzione abbia trovato nei vari Stati una applicazione diversa, o che non sia in alcuni casi nemmeno previsto a livello legislativo, esso � gi� entrato a far parte del patrimonio giuridico di tutti gli Stati, grazie al diritto internazionale e comunitario. E questo perch� il principio si presta ad essere utilizzato non solo come principio politico e giuridico cui le autorit� pubbliche devono fare ricorso ma anche come strumento a tutela dei privati per la tutela dei propri diritti fondamentali. (71) In quella occasione la Commissione ha respinto gli emendamenti del Parlamento europeo tendenti ad introdurre nelle premesse della raccomandazione un richiamo al principio precauzionale e al principio ALARA. (72) Sul punto L.GIULIANI, Reason for Disagreement Between European Council and Italy Concerning Protection Against health Impacts from EMF, in http://www.land-sbg.gv.at/celltowe. Finito di stampare nel mese di agosto 2009 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma