ANNO LX � N. 1 GENNAIO-MARZO 2008 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi � Giuseppe Guarino Natalino Irti � Eugenio Picozza � Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo � CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Gianni De Bellis � Sergio Fiorentino � Maurizio Fiorilli � Paolo Gentili � Antonio Palatiello � Massimo Santoro � Carlo Sica. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi � Stefano Maria Cerillo � Luigi Gabriele Correnti � Giuseppe Di Gesu � Paolo Grasso � Pierfrancesco La Spina � Marco Meloni � Maria Assunta Mercati � Alfonso Mezzotero � Riccardo Montagnoli � Domenico Mutino Domenico Pardi � Pietro Vitullo. SEGRETERIA DI REDAZIONE: Francesca Pioppi e Antonella Quirini GESTIONE DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Antonella Quirini HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Diego Arocchi � Giuseppe Arpaia � Maila Bevilacqua � Valeria Camilli � Maria Antonia Chieco � Cinzia F. Coduti � Roberto Collacchi � Federico Dinelli � Riccardo Gai � Davide Giovannelli � Gregorio Mattera � Flavia Piqu� � Valeria Santocchi � Susanna Screpanti � Giuseppe Stuppia � Rita Tuccio � Giuseppe Zuccaro. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it � tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it � tel. 066829597 francesca.pioppi@avvocaturastato.it � tel. 066829431 antonella.quirini@avvocaturastato.it � tel. 066829205 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando: codice IBAN: IT 06U 01000 03245 350 0 10 2368 00, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo ABBONAMENTO ANNUO ........................................................................ � 40,00 UN NUMERO ......................................................................................... � 12,00 AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it � Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia � Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Via Roberto Malatesta n. 296 - 00176 Roma INDICE � SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Discorso dell�Avvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara in occasione della Cerimonia di inaugurazione dell�anno giudiziario. Roma, 25 gennaio 2008 . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Indirizzi per la difesa delle amministrazioni statali in tema di invalidit� civile (A.G.S. - Comunicazione di servizio del 23 aprile 2008 prot. 54340, n. 48 � Circolare del 23 aprile 2008 prot. 54346, n. 19; parere del 19 febbraio 2008 n. 23172) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 5 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Oscar Fiumara, Paolo Gentili, Aspetti giuridici del multilinguismo - Intervento dell�Avvocato Generale al convegno tenutosi nella sede della Accademia della Crusca. Firenze, 10 maggio 2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 11 Maurizio Fiorilli, Sentenze rese dalla Corte di giustizia nell�anno 2007, cause che hanno interessato l�Italia. Breve sintesi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 15 1.- Le decisioni Valeria Santocchi, dossier, L�autorizzazione del Prefetto agli Istituti di vigilanza (Corte di Giustizia CE, sent. 13 dicembre 2007 nella causa C-465/05; C.d.S., sez. IV, sent. 5 settembre 2007 n. 4647; circolare del Ministero dell�interno 29 febbraio 2008 nr. 557/PAS/2731/10089.d(1)) . . . � 77 Maria Antonia Chieco, Violazione alla concorrenza - Imputazione responsabilit� in caso di successione di imprese: il caso tabacchi italiani (Corte di Giustizia CE, sent. 11 dicembre 2007 nella causa C-280/06) . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 114 CONTENZIOSO NAZIONALE Valeria Camilli, Rita Tuccio, dossier,Ingresso - soggiorno dello straniero e tutela dell�ordine pubblico: il problema dell�effetto delle precedenti condanne penali (C.d.S., sez. VI, sentt. 8 febbraio 2008 n. 415 e 13 marzo 2008, n. 1031; T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, sent. 6 giugno 2007 n. 505) . . . � 133 Diego Arocchi, Applicabilit� della normativa della Regione Friuli Venezia Giulia in materia di lavori pubblici (Corte Cost., sentt. 23 novembre 2007 n. 401 e 14 dicembre 2007 n. 431). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 159 Giuseppe Stuppia, L�inammissibilit� del regolamento preventivo di giurisdizione nei procedimenti cautelari (Cassaz., SS.UU., ord. 20 giugno 2007 n. 14293) . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 184 Federico Dinelli, Ancora �organi dello Stato con personalit� giuridica�? (Cassaz., SS.UU., sent. 8 febbraio 2008 n. 3004) . . . . . . . . . . . . . . . . .� 188 Alfonso Mezzotero, Giuseppe Zuccaro, La notificazione della sentenza di primo grado all�amministrazione statale costituita personalmente ex art. 417 bis c.p.c.: la Cassazione non persuade (Cassaz., sez. lav., sent. 22 febbraio 2008 n. 4690). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 208 Flavia Piqu�, I reati ambientali: le problematiche emerse di recente in materia di sequestro (Cassaz., sez. I pen., sent. 8 settembre 2006, n. 29855; sez. III pen., sent. 12 giugno 2007 n. 22826). . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 244 Davide Giovannelli, Lex est araneae tela: l�esercizio della giurisdizione U.S.A. e l�accertamento delle violazioni dello ius in bello (Corte d�Assise di Roma, sez. III, sent. 25 ottobre 2007 � 3 gennaio 2008 n. 21). . � 262 Giuseppe Arpaia, Clausola compromissoria nulla per contrasto con norme imperative ed inserzione automatica di clausole (Arbitro Unico, lodo Napoli 24-26 novembre 2007) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 281 Roberto Collacchi, Annotazione dei dati nel casellario imprese: disapplicazione della delibera di esclusione dalla gara di appalto (C.d.S., sez.VI, dec. 27 giugno 2007 n.3704) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 289 Cinzia F. Coduti, La centralit� del rischio nella concessione di servizio pubblico (C.d.S., sez.V, sent. 15 gennaio 2008 n. 36) . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 298 PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� 309 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Maila Bevilacqua, La responsabilit� ambientale da cosa in custodia . . . . . . . . � 347 Riccardo Gai, Alcune riflessioni sulla tutela giurisdizionale nei confronti delle Autorit� amministrative indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 364 Gregorio Mattera, Intermediazione finanziaria e violazione degli obblighi di informazione . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 378 Susanna Screpanti, Il sindacato del Giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche e sui poteri sanzionatori dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 393 INDICI SISTEMATICI. . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 421 TEMI ISTITUZIONALI Discorso dell�Avvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara in occasione della Cerimonia di inaugurazione dell�anno giudiziario �Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente del Senato, Signor Presidente della Camera, Signor Presidente del Consiglio, Signor Presidente della Corte Costituzionale, Autorit�, signore e signori, l�Avvocatura dello Stato ha un ruolo importante nella vita giudiziaria del nostro Paese e questa � l�occasione per rappresentarne in estrema sintesi l�opera svolta e per formulare alcune brevi considerazioni quale contributo per rendere pi� efficiente il sistema giustizia. Sinteticamente ricordo che gli affari nuovi da noi impiantati nel corso dell�anno 2007, raggiungono, in tutta Italia, il numero di 200.000 circa (50.000 circa nella sede centrale romana), con una lieve flessione rispetto ai 215.000 dell�anno precedente (conseguente � invero � solo alla opportuna sottrazione al patrocinio dell�Avvocatura della materia previdenziale e assistenziale): in particolare � e per grandi linee � 100 affari dinanzi ai giudici comunitari (dove la organicit� e l�esclusivit� della difesa dello Stato da parte della sua Avvocatura � la conseguenza logica dell�interconnessione fra la giurisdizione comunitaria e quella nazionale); 800 dinanzi alla Corte costituzionale, 10.000 dinanzi alla Corte di cassazione (con una diminuzione rispetto all�anno precedente, per la definizione di alcune cause seriali, come quelle relative alle penalit� dovute per lo sforamento da parte dei produttori italiani delle c.d. �quote latte� comunitarie), 2.300 dinanzi al Consiglio di Stato, e cos� via. In particolare nella sede romana, quanto alla giurisdizione ordinaria, sono state aperte circa 1000 cause dinanzi ai giudici di pace, 6000 dinanzi ai Tribunali del distretto, altrettante dinanzi alla Corte di appello (in gran parte relative alla legge Pinto); e quanto alla giurisdizione amministrativa gli affari nuovi dinanzi al T.A.R. Lazio sono oltre 8000. La percentuale delle cause vinte � di gran lunga superiore a quella delle cause perdute (pur considerando formalmente perdute quelle in cui la soccombenza � minima, a volte addirittura infinitesimale): oltre il 60% in cassazione, il 73-74% dinanzi ai Tribunali ordinari e amministrativi; percentuale invece fortemente negativa per la Corte d�Appello per la inevitabile notevole incidenza degli RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 affari relativi alla legge Pinto. E la spesa globale per il nostro funzionamento � molto contenuta. Questa mole di contenzioso non esaurisce certo la nostra attivit�. Molto impegnativa � una vasta attivit� consultiva e di supporto alle amministrazioni. � con orgoglio e soddisfazione che ricordo � ad esempio � il ruolo avuto dall�Avvocatura dello Stato, in splendida armonia con la Magistratura, il Ministero dei beni culturali e l�Arma dei carabinieri, nel recupero dai musei statunitensi di preziosissime opere d�arte, ora esposte nel palazzo del Quirinale, recupero culminato nei giorni scorsi con il rientro in Italia del celebre Vaso di Eufronio, che ha fatto la sua prima apparizione ufficiale nel nostro Paese proprio nella sede dell�Avvocatura generale dello Stato. Se questa � in sintesi la nostra attivit�, non pu� non rilevarsi che la nostra funzionalit� si riverbera su quella dell�intero sistema giudiziario. La natura e le funzioni del nostro cliente ci fanno assumere una posizione del tutto particolare nello svolgimento del nostro patrocinio, improntato certo alla piena e corretta difesa dell�Amministrazione, ma anche caratterizzato da una visione unitaria e ponderata degli interessi pubblici che la stessa persegue. E fra questi interessi assume rilievo anche quello funzionale di contribuire ad una resa di giustizia rapida ed efficiente. Per consentirci di dare tale contributo � necessario che dall�esterno ci siano forniti i mezzi per funzionare meglio e dall�interno che siano da noi razionalizzati i mezzi a disposizione. Mi limito a segnalare alcune esigenze e mi permetto di avanzare alcuni suggerimenti: a) L�Avvocatura non chiede aumenti di organico del personale togato n� nuove risorse finanziarie, se non adattamenti modestissimi; ma chiede misure che le consentano di rendere pi� agile il proprio lavoro, come l�autonomia finanziaria (cos� come la chiede la stessa Corte di Cassazione), l�istituzione di un ruolo minimo di dirigenti amministrativi (siamo l�unica amministrazione che ne � priva) e una maggiore attenzione per il personale amministrativo; b) Plaudo all�istituzione, prevista nel disegno di legge all�esame del Parlamento, di un �ufficio del processo� in ciascuna sede giudiziaria; anche noi avremmo bisogno di �assistenti giudiziari� che possano affiancare gli avvocati; c) L�informatica: L�innovazione non si fa contando il numero di personal computer o misurando il traffico internet, ma si fa incidendo sul riordino dei processi, con un coinvolgimento partecipato di tutti gli attori interessati. Cos� l�Avvocatura sta concentrando i propri sforzi soprattutto sul lento e difficile cambiamento culturale imposto dalla velocit� insita nell�evoluzione tecnologica. Lavoriamo per dare alle amministrazioni difese un accesso sicuro ed immediato alle informazioni che le riguardano, sperimentando nuove modalit� operative di scambio informatizzato, con evidente risparmio di tempi e ottimizzazione delle reciproche informazioni. La realizzazione interna del fascicolo elettronico, gi� anticipata da alcune iniziative parziali, � ormai alle porte, e intende costituire un primo concreto passo per realizzare quello scambio elettronico dei fascicoli che il processo telematico � teso a TEMI ISTITUZIONALI realizzare. � per� necessario �viaggiare insieme� con tutti gli attori coinvolti nel dominio �Giustizia� (amministrativa, ordinaria, tributaria) e definire �insieme� dei linguaggi, delle regole e dei percorsi comuni che, con il supporto dell�informatica, possano far raggiungere i risultati tanto sperati. d) Un altro punto ci sembra molto importante. L�approvazione della disposizione sulle azioni collettive o seriali o class actions (art. 2, co. 446, legge 24 dicembre 2007, n. 244) e il recente revirement delle Sezioni Unite civili sulla questione della frazionabilit� del credito (Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23276) segnano due rilevanti passaggi di un processo evolutivo teso al miglioramento della qualit�, dei tempi e dei costi dei giudizi. Quanto alla class action, il nuovo meccanismo processuale si fonda sul- l�esercizio del diritto di richiedere l�estensione del giudizio collettivo da altri introdotto (c.d. opt-in right) avente ad oggetto una questione, di fatto o di diritto, comune alla classe cui si appartiene. Analoghi effetti produce l�innovativo orientamento delle Sezioni Unite civili sul divieto di parcellizzazione abusiva del credito, che determina la concentrazione in un unico processo delle pretese creditorie derivanti dal medesimo rapporto obbligatorio. L�Avvocatura dello Stato potrebbe contribuire in misura sensibile al descritto processo di miglioramento della qualit�, dei tempi e dei costi della giustizia italiana attraverso l�utilizzazione di una class action aggiuntiva a quella ora prevista. Il contenzioso seriale che coinvolge lo Stato e gli altri enti difesi dall�Avvocatura presenta dimensioni quantitative e qualitative considerevoli. Basti pensare alle controversie lavoristiche (ad esempio quelle sul trattamento economico delle festivit� nazionali cadenti di domenica), a quelle tributarie, a quelle in materia di recuperi di restituzioni comunitarie in agricoltura, a quelle per i danni da emoderivati, a quelle relative a procedure concorsuali, ecc., casi tutti che danno luogo ad una mole enorme di cause, di decreti ingiuntivi, per somme talvolta di ammontare irrisorio. Auspico, quindi, che il Legislatore estenda in tempi brevi il nuovo strumento processuale al di l� delle mere questioni consumeristiche, assicurando anche allo Stato convenuto in giudizio la possibilit� di segnalare e far dichiarare l�instaurazione, in ogni stato e grado del giudizio, e segnatamente in grado di legittimit�, della class action (c.d. opt-out right). e) I punti problematici appena toccati portano a considerare alcune delle pi� rilevanti decisioni prese dalla Cassazione nel 2007 in materie di interesse pubblico. � In controtendenza con il ruolo deflativo e vincolante dei precedenti pilota, in particolare delle Sezioni Unite, sembra andare la decisione di rimettere nuovamente in discussione avanti a queste il regime fiscale delle Fondazioni bancarie, pur dopo la sentenza delle Sezioni Unite di fine 2006 e ben 55 sentenze conformi della Sezione tributaria pronunciate dopo di essa. � Altro profilo connesso con la gestione dei contenziosi ripetitivi � quello dell�ultrattivit� del giudicato. In proposito va ricordata la recentissima ordinanza 26996/07 con cui la Sezione tributaria ha rimesso alla Corte di RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 giustizia la questione della compatibilit� dell�estensione dei giudicati tra anni di imposta diversi con il divieto comunitario di abuso del diritto, segnatamente in materia di IVA. � Ancora, ma in modo improprio, con la tematica della deflazione del contenzioso si legano talune sentenze pronunciate a proposito del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e dell�applicazione dell�art. 366 bis c.p.c.. Segnalo, con una certa preoccupazione, l�emergere di una tendenza formalistica che intende l�autosufficienza in senso addirittura grafico, e che mostra quasi di voler assegnare al quesito di diritto un�importanza superiore a quella del motivo di ricorso. � Segnalo ancora, perch� connessa non solo con la tematica della deflazione e del controllo del contenzioso di massa, ma anche con la dolorosa questione dei rifiuti in Campania, l�importante e utile sent. 27187/07, con la quale si � affermato a Sezioni Unite un principio generale di diritto secondo cui tutte le controversie che toccano la gestione del territorio, comprese quelle coinvolgenti i provvedimenti adottati per fronteggiare l�emergenza rifiuti, competono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche se sia fatta valere la lesione del fondamentale diritto alla salute. In tal modo si consente una gestione pi� efficiente e coordinata di contenziosi inevitabilmente massicci e diffusi. f) Infine una parola sulla legge Pinto. Se da un lato possiamo stare relativamente tranquilli sulla non applicabilit� della norma al processo tributario, in armonia con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, da un altro lato preoccupa la generalizzata applicazione al processo dinanzi al giudice amministrativo, dove ora molti giudizi vengano coltivati dopo anni di letargo non per un effettivo interesse alla decisione ma solo per ottenere, magari dopo sentenza sfavorevole, l�indennizzo per la durata; e ancor pi� preoccupa la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla estensione dell�indennizzo a tutta la durata del processo irragionevolmente lungo anzich� alla sola parte eccedente la durata ragionevole come da giurisprudenza nazionale da ultimo confermata dalla Corte di cassazione. Occorre trovare una soluzione. Nella passata legislatura avevamo proposto una via semplificata di risoluzione conciliativa in una fase preliminare a quella contenziosa: forse la strada potrebbe essere ripresa. Concludo. Nel suo discorso alla nazione di fine anno il Signor Presidente della Repubblica ha esortato a guardare con obiettivit� alle grandi risorse dell�Italia, che non � certo in declino ma soffre di difficolt� contingenti in parte comuni ad altri Stati. Da ci� ispirato, ribadisco di aver fiducia nel nostro Istituto e nella Giustizia nel nostro Paese, non per un ingenuo e facile ottimismo, ma per coscienza delle nostre capacit� e orgoglio delle nostre tradizioni. Grazie, signor Presidente della Repubblica, grazie a tutti per avermi ascoltato�. Corte Suprema di Cassazione � Assemblea generale Roma, 25 gennaio 2008 TEMI ISTITUZIONALI Indirizzi per la difesa delle amministrazionistatali in tema di invalidit� civile A.G.S. � Comunicazione di servizio del 23 aprile 2008 prot. 54340, n. 48 � Circolare del 23 aprile 2008 prot. 54346, n. 19. Contenzioso in materia di invalidit� civile. �Con l�allegato parere del Comitato Consultivo del 19 febbraio 2008 n. 23172 P, si � ritenuta non opportuna la costituzione in giudizio nelle cause in materia di invalidit� civile, instaurate dopo il 1 aprile 2007, nelle quali venga ordinata l�integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero dell�economia e delle finanze, come disposto da alcuni giudici, in casi al momento ancora sporadici. Come � noto, a seguito delle varie modifiche che si sono succedute in tema di legittimazione passiva nel contenzioso in materia di invalidit� civile, con il definitivo passaggio delle funzioni dallo Stato all�INPS (art. 130 del decreto legislativo n. 112 del 1998; art. 42 del decreto legge del 30 settembre 2003, n. 269 convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326; articolo 10 del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito in legge 12 dicembre 2005, n. 248; articolo 5 del D.P.C.M. 30 marzo 2007) l�articolo 10, comma 6 del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito in legge 12 dicembre 2005, n. 248, ancora prevede che gli atti introduttivi e le sentenze in materia di invalidit� civile vadano notificate �anche� all�INPS e che questo sia �litisconsorte necessario� mentre lo stesso � ormai l�unico soggetto legittimato passivamente in dette cause, essendo stata definitivamente eliminata non solo l�originaria legittimazione passiva del Ministero dell�interno ma anche la residua legittimazione passiva del Ministero dell�economia e delle finanze. La predetta norma prevede altres� l�obbligo di notifica dei predetti atti presso l�Avvocatura dello Stato nonostante il venir meno di ogni coinvolgimento delle amministrazioni statali e bench� l�INPS non si avvalga del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. In attesa di un auspicabile chiarimento normativo che elimini le richiamate discrasie, si reputa pertanto non necessario lo svolgimento di attivit� processuale, al solo fine di eccepire il difetto di legittimazione passiva, ove l�interpretazione che ritiene di disporre l�integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero dell�economia e delle finanze rimanga minoritaria, atteso il definitivo venir mento della titolarit� del rapporto sostanziale in capo al predetto Ministero. L�Avvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara�. A.G.S. � Parere del 19 febbraio 2008 n. 23172. Contenzioso in materia di invalidit� civile � Nuove problematiche sorte in relazione ai giudizi incardinati in data successiva al 1 aprile 2007 (consultivo 47758/07, avvocato M. Russo). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 �La questione che con la presente nota si intende portare all�attenzione di codesta Amministrazione(*) attiene, ancora una volta, ai giudizi in materia di invalidit� civile. Al riguardo, come noto, negli ultimi anni si sono succedute diverse norme, che hanno inciso sia sull�individuazione dei soggetti legittimati a contraddire nei giudizi in materia di invalidit� civile, sia sul patrocinio dell�Amministrazione statale nei suddetti giudizi. Trattandosi di norme dalla formulazione tutt�altro che chiara e, come tale, potenzialmente fonte di equivoci, relativamente alle stesse si � reso necessario l�intervento interpretativo del Comitato Consultivo dell�Avvocatura Generale dello Stato, e segnatamente: Sull�art. 42 del d.l. 269 del 30 settembre 2003 convertito in legge 326 del 24 novembre 2003 � stato reso il parere n. 45670 del 26 marzo 2004; Sull�art. 10 del d.l. 203 del 30 settembre 2005, convertito in legge 248 del 12 dicembre 2005 � stato reso il parere in data 17 febbraio 2006 n. 20209. Per agevolare la ricostruzione della fattispecie, si sintetizzano brevemente qui di seguito i punti salienti delle norme di cui sopra, nonch� dei pareri resi al riguardo. Con la norma di cui all�art. 42 cit., il Ministero dell�Economia e Finanze � stato definito espressamente �litisconsorte necessario� nei procedimenti giurisdizionali in materia di invalidit� civile (cos� definitivamente superando il diverso orientamento espresso da Cass. 11475/02); la stessa norma ha introdotto un particolare regime per quanto attiene al patrocinio dell�Amministrazione medesima. A tale proposito, nel citato parere 45670 del 26 marzo 2004, si � sostenuto: ��Si viene ora alla questione inerente la difesa dell�Amministrazione, se � cio� � debba provvedervi questa direttamente ovvero l�Avvocatura dello Stato. In proposito si osserva quanto segue. La regola generale in materia di rappresentanza, patrocinio ed assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato � espressa dall�art. 1 del R.D. 1611/33, che le attribuisce all�Avvocatura dello Stato. In via di eccezione rispetto a tale principio, l�art. 3 R.D. cit. consente l�affidamento della difesa a funzionari, intesa l�Avvocatura dello Stato. L�art. 42 I comma del d.l. 269/03 � a quanto pare specificazione ulteriore della possibilit� gi� contemplata dall�art. 3 cit. � attribuisce all�Amministrazione, tra l�altro, la facolt� di essere difesa da propri funzionari. Contempla, inoltre, la possibilit� di affidamento del patrocinio, sulla base di apposite convenzioni, ad avvocati dell�INAIL e dell�INPS. Ci� posto, appare evidente che l�Avvocatura procede alla costituzione in giudizio in ragione della regola generale di cui all�art. 1 R.D. 1611/33. L�eventuale determinazione di affidare il patrocinio a funzionari dell�Amministrazione potr� invece essere adottata sulla base di esplicita indicazione dell�Avvocatura, analogamente a quanto avviene nelle controversie di lavoro, secondo il procedimento delineato dal- l�art. 417 bis c.p.c. Ci� al fine di� consentire all�Avvocatura l�individuazione di eventuali questioni di speciale rilevanza, nuove o comunque atipiche (potenzialmente originabili anche da ulteriori innovazioni normative future), che richiedano l�elaborazione di una difesa ad hoc da parte dell�organo dotato delle necessarie competenze tecniche. Sempre nell�ottica di garantire, nelle controversie del tipo in questione, la continuit� dell�apporto difensivo dell�Avvocatura, si ritiene poi che eventuali convenzioni con sogget (*) Ministero dell�Economia e delle Finanze. TEMI ISTITUZIONALI ti estranei tanto all�Amministrazione quanto all�Avvocatura stessa (avvocati dell�INPS e dell�INAIL) vadano stipulate � previa acquisizione del favorevole avviso dell�Avvocatura Generale dello Stato, su proposta dei singoli Uffici Distrettuali � con esclusivo riferimento a questioni seriali standardizzate, nonch� con l�espressa salvezza del preventivo vaglio dell�Avvocatura in ordine all�opportunit� di sottrarre alla difesa �convenzionata� le medesime questioni rilevanti, nuove o di massima di cui si � detto sopra (e ci� in armonia con quanto disposto dall�art. 5 RD 1611/33). �. In ragione di tutto quanto si � fin qui esposto, spetter� a ciascuna Avvocatura comunicare all�Amministrazione se intenda riservarsi la difesa nelle controversie in materia di invalidit� o se � al contrario � le stesse possano essere direttamente trattate dall�Amministrazione (ferma restando � ovviamente � la riserva dell�Avvocatura Generale per il giudizio di legittimit�). La norma di cui all�art. 10 cit., a sua volta, ha ulteriormente innovato la materia, in particolare prevedendo il subentro dell�INPS nell�esercizio delle funzioni residuate allo stato in materia di invalidit� civile gi� di competenza del Ministero dell�Economia e Finanze. Nel prevedere tale subentro, la norma ha disposto un regime processuale diversificato come segue: Comma IV: �fino alla data stabilita con i decreti di cui al comma II, resta fermo, in materia processuale, quanto stabilito dall�art. 42 comma I del d.l. 30 settembre 2003, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003 n. 326�. Comma V: �per le controversie instaurate nel periodo compreso fra la data di entrata in vigore del presente decreto [4 ottobre 2005] e la data di effettivo esercizio da parte dell�INPS delle funzioni trasferite, la difesa in giudizio del Ministero dell�Economia e Finanze � assunta, ai sensi del predetto art. 42 comma I del citato d.l. 269/03, da propri funzionari ovvero da avvocati dipendenti dell�INPS� Comma VI: a decorrere dalla data di effettivo esercizio da parte dell�INPS delle funzioni trasferite, gli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali in materia di invalidit� civile, cecit� civile, sordomutismo, handicap e disabilit�, nonch� le sentenze ed ogni provvedimento resi in detti giudizi devono essere notificati anche all� INPS. La notifica va effettuata sia presso gli uffici dell�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 11 r.d. 1611/33, sia presso le sedi provinciali dell�INPS. Nei procedimenti giurisdizionali di cui al presente comma, l�INPS � litisconsorte necessario ai sensi dell�art. 102 del c.p.c. e, limitatamente al giudizio di primo grado � difeso da propri dipendenti�. Ebbene, in considerazione di quanto sopra, con il parere del 17 febbraio 2006, il Comitato Consultivo ha chiarito che, mentre nel primo periodo (giudizi iniziati in epoca antecedente all�entrata in vigore del d.l. 203/05), continua ad applicarsi il regime delineato dall�art. 42 d.l. 269/03 (patrocinio affidato all�Avvocatura od ai funzionari a seconda delle intese intercorse con ciascuna Avvocatura Distrettuale), nel successivo periodo (fase transitoria, che comprende i giudizi iniziati a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.l. 203/05 (cio� dal 4 ottobre 2005), e fino all�effettivo esercizio da parte dell�INPS delle funzioni trasferite, il regime delineato � nel senso di un patrocinio affidato in alternativa a funzionari dell�Amministrazione o avvocati dipendenti dell�INPS, con l�esclusione del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, sia per le fasi di merito che in sede di legittimit�. Venendo all�art. 10 comma VI (riferito al periodo decorrente dall�effettivo esercizio delle funzioni da parte dell�INPS), il Comitato Consultivo non ha potuto esimersi dal rilevare che trattasi di norma assolutamente non chiara, e dall�auspicare un (peraltro mai attuato) intervento correttivo del legislatore, ha comunque �identifica[to] in essa una norma tran RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 sitoria, riferibile esclusivamente ai giudizi introdotti dopo il passaggio delle funzioni all�INPS, ma relativi a provvedimenti precedentemente adottati dall�Amministrazione statale, fermo rimanendo tuttavia che �a regime�, per i giudizi concernenti unicamente provvedimenti dell�INPS, sar� questo l�unico legittimato processuale e destinatario delle notifiche�. Con d.p.c.m. 30 marzo 2007, � stata data completa attuazione all�art. 10 d.l. 203/05 convertito in legge 248/05 sicch�, a decorrere dal 1 aprile 2007, l�INPS subentra nell�esercizio delle funzioni residuate allo Stato in materia di invalidit� civile, nonch� al Ministero dell�Economia e Finanze nei rapporti giuridici relativi alle funzioni ad esso trasferite. Contestualmente, si dispone il necessario trasferimento delle risorse finanziarie e del personale gi� in servizio presso le Commissioni mediche di verifica. A questo punto, pu� dirsi definitivamente completato il passaggio delle funzioni dallo Stato all�INPS, senza che al primo residui pi� competenza alcuna. Ed infatti, esso non svolge pi� alcun tipo di attivit� in materia: non provvede all�erogazione dei benefici che, del resto, gi� da lungo tempo gravano su apposito fondo istituito presso l�INPS a mente dell�art. dall�art. 130 D.Lgs. 112/98; non svolge pi� ruolo alcuno in materia di accertamento del requisito sanitario: infatti, con legge 295/90 (art. 1) la verifica della sussistenza dell�invalidit� ai fini dei benefici di legge, veniva affidata a commissioni istituite presso le USL (oggi ASL) i cui verbali di visita erano poi inviati alle Commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e le invalidit� civili (dette ora �Commissioni mediche di verifica�, a mente dell�art. 2 bis II comma legge 157/1997), le quali svolgevano essenzialmente funzioni di supervisione sull�operato delle Commissioni ASL. I verbali negativi potevano formare oggetto di ricorso al Ministero del Tesoro, che decideva, sentita la Commissione Medica Superiore, con provvedimento impugnabile innanzi al giudice ordinario. Tuttavia, mentre le funzioni delle Commissioni mediche di verifica (che erano articolazioni del Ministero dell�Economia e Finanze) sono ormai transitate all�INPS con il relativo personale, il ricorso alla Commissione Medica Superiore (anch�essa incardinata presso detto Ministero) � stato abrogato dal comma III dell�art. 42 d.l. 269/03 convertito in legge 326/03, entrato in vigore il 1 gennaio 2005. Di qui, l�assoluta estraneit� del Ministero al procedimento di accertamento del requisito sanitario in sede amministrativa. Si evidenzia, da ultimo, che l�art. 5 del d.p.c.m. 30 marzo 2007 chiarisce con disposizione transitoria che l�INPS �subentra al Ministero dell�Economia e Finanze [anche] nelle controversie instaurate a decorrere dalla data del 1 aprile 2007, ancorch� riferite a rapporti sorti anteriormente alla medesima data� (e, quindi, anche nei rapporti nei quali le Commissioni citate, secondo la disciplina previgente, potrebbero aver preso parte all�accertamento). Nonostante tutta la normativa sin qui richiamata sia da intendere nel senso dell�individuazione nell�INPS del solo possibile interlocutore nei procedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di invalidit� civile, nonch� dell�esclusione di qualsivoglia coinvolgimento dell�Amministrazione statale nei medesimi, tuttavia l�art. 10 comma IV cit. desta non poche perplessit� nel momento in cui dispone: �a decorrere dalla data di effettivo esercizio da parte dell�INPS delle funzioni trasferite, gli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali in materia di invalidit� civile, �, nonch� le sentenze ed ogni provvedimento resi in detti giudizi devono essere notificati anche all�Inps� (ci� che lascerebbe intendere la necessit� di una notifica anche ad altri soggetti); soggiunge poi la norma :�La notifica va effettuata sia presso gli uffici dell�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 11 r.d. 1611/33, sia presso le sedi provinciali dell�INPS� (� difficile comprendere perch� si debba effettuare una notifica TEMI ISTITUZIONALI all�INPS presso l�Avvocatura dello Stato, ma di fatto � ci� che accade nella prassi:la norma � stata intesa pressoch� dalla totalit� degli avvocati del libero foro e dagli Ufficiali giudiziari proprio in questo senso); �Nei procedimenti giurisdizionali di cui al presente comma, l�INPS � litisconsorte necessario ai sensi dell�art. 102 del c.p.c�� (ancor pi� singolare � che si parli di litisconsorzio in un giudizio nel quale non sembra esservi spazio per altre parti in causa, salvo il ricorrente e l�INPS!) Ebbene, finora, l�Avvocatura Generale dello Stato si � limitata a comunicare all�INPS ed al Ministero dell�Economia e Finanze, con note a firma del Segretario Generale, che degli atti notificati all�INPS presso l�Avvocatura Generale dello Stato non sarebbe stata trasmessa copia, stante l�obbligo di notifica anche presso la sede provinciale dell�INPS. Nessuna attivit� processuale, poi, � mai stata svolta dall�Avvocatura nei giudizi introdotti dopo il 1 aprile 2007. Tuttavia, � recentemente emerso che alcuni giudici del Tribunale Lavoro di Roma e di Tivoli danno dell�art. 10 VI comma un�interpretazione diversa. Essi, infatti, dispongono l�integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero dell�Economia e Finanze, in quanto �litisconsorte necessario�. Al momento, gli atti notificati presso la Scrivente sono un numero esiguo, ma sembra ugualmente opportuno esaminare la problematica che essi introducono, per l�eventualit� in cui la prassi dovesse nel prossimo futuro generalizzarsi, con il conseguente concreto rischio di sentenze che pongano a carico del Ministero dell�Economia e Finanze, individualmente od in solido con l�INPS, l�onere delle spese processuali o addirittura del pagamento del beneficio con conseguente esposizione ad azioni esecutive. L�interpretazione fondante la chiamata in causa del Ministero, peraltro, sembra � come detto � frutto di un equivoco, comprensibile in quanto generato dall�infelice formulazione della norma, tuttavia non corrispondente a quello che pare costituirne il fine ultimo, e cio� il passaggio di ogni competenza all�INPS e l�estromissione del Ministero. Non sembra in alcun modo giustificabile dal punto di vista processuale, del resto, la partecipazione al giudizio di un soggetto del tutto estraneo al rapporto sostanziale per cui � causa, a meno di non voler teorizzare una figura processuale del tutto nuova per il nostro ordinamento. In considerazione di quanto esposto, si ritiene opportuno procedere come segue. All�Amministrazione in indirizzo si chiede innanzi tutto di volersi attivare nelle opportune sedi per cercare di ottenere una modifica dell�art. 10 comma VI cit., nel senso di eliminare tutte le espressioni ivi utilizzate che costituiscono � come sopra esposto � fonte di equivoci, e segnatamente: 1. la previsione dell�obbligo di notifica di degli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali in materia di invalidit� civile, delle sentenze e di ogni provvedimento resi in detti giudizi anche all� INPS� (ci� che lascerebbe intendere la necessit� di una notifica anche ad altri soggetti): sarebbe, in definitiva, corretto espungere dal testo la parola �anche�; 2. la previsione di un obbligo di notifica sia presso gli uffici dell�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 11 r.d. 1611/33, sia presso le sedi provinciali dell�INPS: come detto, la notifica presso l�Avvocatura dello Stato non ha senso n� come notifica all�INPS (che non � patrocinato dall�Avvocatura), n� come notifica all�Amministrazione, che non pu� ragionevolmente considerarsi parte in causa; 3. la qualificazione dell�INPS quale �litisconsorte necessario� (che lascerebbe intendere la necessaria partecipazione al giudizio anche di altri soggetti diversi da ricorrente ed INPS, quando invece � quest�ultimo il solo soggetto ad esser parte del rapporto sostanziale). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Nelle more dell�auspicato intervento legislativo a modifica dell�art. 10 cit., che ci si augura avvenga il pi� celermente possibile in quanto rappresenterebbe il mezzo migliore per porre fine a tutte le problematiche rappresentate, la Scrivente (cui si ritiene spetti ora nuovamente il patrocinio di codesto Ministero, essendo evidentemente cessata l�applicabilit� delle norme transitorie di cui ai commi IV e V dell�art. 10 stesso, che diversamente regolamentavano tale profilo) non reputa opportuno � almeno al momento � procedere alla costituzione nei giudizi ove il Ministero sia chiamato in causa. Va premesso che una costituzione in giudizio potrebbe avvenire al solo, limitato fine di eccepire il difetto di legittimazione passiva dell�Amministrazione statale, non essendo possibile lo svolgimento di ulteriori difese in mancanza di titolarit� del rapporto sostanziale e, pertanto, di qualsivoglia interesse dell�Amministrazione nella causa. Tale considerazione, unitamente ai non indifferenti problemi e costi organizzativi impliciti nello svolgimento della descritta attivit� processuale (specie ove il contenzioso coinvolgente il Ministero dovesse tornare ai livelli numerici del passato) induce a non ritenere opportuno attivarsi per partecipare, costituendosi, ai giudizi in questione rispetto ai quali, si ribadisce, l�Amministrazione statale appare sostanzialmente estranea. Quanto sopra, salva restando ogni valutazione della Scrivente in ordine ad eventuali iniziative (anche processuali in cause-pilota) presso i competenti organi giurisdizionali volta a favorire la formazione di un uniforme e corretto orientamento giurisprudenziale in materia. Peraltro � poich�, come sopra accennato, rimane allo stato aperta la possibilit� che vengano rese pronunzie di condanna in danno del Ministero dell�Economia e Finanze, che pongano a carico del medesimo (individualmente od in solido con l�INPS), l�onere delle spese processuali o addirittura del pagamento del beneficio, con conseguente esposizione dell�Amministrazione statale ad azioni esecutive � si ritiene quanto mai opportuno che l�Amministrazione in indirizzo si attivi prontamente presso l�INPS, onde conseguire con il medesimo un�intesa volta a garantire quanto segue: � nella denegata ipotesi di sentenze di condanna, che pongano a carico del solo Ministero o del medesimo in solido con l�INPS l�onere delle spese legali o del beneficio assistenziale, l�INPS si impegni a provvedere comunque al pagamento di dette somme tenendone indenne il Ministero; � in caso di azioni esecutive intraprese e portate a termine in danno del Ministero dell�Economia e Finanze sulla base delle sentenze di cui al precedente punto, l�INPS si impegni a ripianare, in via amministrativa, l�esborso sostenuto dal Ministero dell�Economia per effetto della procedura di esecuzione forzata. A tal proposito si rammenta che gi� nella vigenza del sistema precedente a quello introdotto con l�art. 10 cit. (sistema che vedeva parte in causa sia il Ministero che l�INPS) quest�ultimo in via di prassi provvedeva, sulla base di intese intercorse con l�Amministrazione dell�Economia, al pagamento delle spese di lite in caso di condanna solidale del Ministero e dell�INPS. La Scrivente, nel rimanere in attesa di un sollecito cenno di riscontro, � a disposizione per qualsivoglia chiarimento (�)�. I L CONTENZIOSO COMUNIT ARIO ED INTERNAZIONALE Aspetti giuridici del multilinguismo di Oscar Fiumara e Paolo Gentili(*) Il tema del multilinguismo non appare subito nel diritto comunitario � oggi dovremmo meglio dire diritto europeo � nella sua configurazione attuale. In una fase iniziale, appunto quella strettamente �comunitaria� del diritto europeo, il tema viene posto come tema del regime linguistico delle neonate istituzioni europee; cio�, a prima vista, come un tema interno o organizzativo, non come un tema di principio. Ma anche in questa fase � gi� significativo come l�art. 290 del Trattato CE (uso, naturalmente, la numerazione attuale) lo affronti: l�art. 290 attribuisce al Consiglio la competenza a deliberare sul regime linguistico delle istituzioni, e prevede che tale competenza sia esercitata all�unanimit�. Quindi la materia linguistica, anche in questa proiezione meramente interna, venne da subito considerata come riserva propria degli Stati membri (dei quali il Consiglio � l�espressione istituzionale), e sottratta sia alla Comunit� come tale (di cui la Commissione � l�espressione istituzionale), sia alle mutevoli maggioranze che possono formarsi in seno al Consiglio, e che talvolta hanno segnato nella storia della costruzione comunitaria la prevalenza di �assi� e di interessi di taluni Stati rispetto all�insieme della Comunit� stessa. In sostanza, l�art. 290 diceva (e dice, poich� anche il Trattato di Lisbona lo ha lasciato immutato) che il regime linguistico non � un fatto puramente tecnico, (per questo � sottratto alla Commissione), e che non � un fatto pura (*) Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato nel convegno organizzato dall�Accademia della Crusca �Per il multilinguismo nell�Unione europea � La parit� delle lingue nell�Unione europea�. Convegno tenutosi a Firenze il 10 maggio 2008 nella sede della Accademia. Testo redatto in collaborazione con l�Avvocato dello Stato Paolo Gentili. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 mente politico (per questo, nell�ambito del Consiglio, lo ha sottratto al gioco delle maggioranze). Gi� in questa disciplina della materia, si vede quindi che tutto ci� che, in ambito comunitario, tocca le lingue, viene considerato come attinente ai fondamenti della costruzione comunitaria stessa, cio� come un qualcosa che riguarda in modo immediato la ragione d�essere e gli scopi essenziali della costruzione comunitaria, per cui va regolato attraverso competenze e procedimenti di pregnante garanzia. In breve, gi� l�art. 290 CE dichiara che in materia linguistica non sono ammessi interventi di cui non siano certi la legittimazione democratica e la approfondita ponderazione. Ed � significativo che questa configurazione della materia linguistica come materia attinente ad interessi fondamentali della Comunit� venga posta innanzitutto in una norma, come l�art. 290 CE, che apparentemente, come dicevo, si occupa di un problema meramente organizzativo interno della Comunit�, cio� della lingua di funzionamento delle Istituzioni comunitarie: in tal modo l�art. 290 viene a dire non solo che la lingua non � mai un mero fatto organizzativo ed � sempre un fatto di importanza giuridica fondamentale nella costruzione comunitaria. Molto di pi�, viene a dire che la garanzia fondamentale della lingua opera nell�ordinamento comunitario innanzitutto con riferimento alle espressioni giuridiche della Comunit�. Dalle istituzioni comunitarie promana infatti il diritto comunitario, e tale diritto, dichiara, l�art. 290, deve esprimersi in tutte le lingue comunitarie. Del resto, � noto che il diritto � sempre, in origine, un fatto linguistico: la norma ha sempre la forma di una proposizione linguistica (soprattutto, ma non solo, nel diritto scritto; ci� rimane vero, mutatis mutandis, anche nel diritto fondato sul precedente giurisprudenziale): il potere giuridico �, quindi, innanzitutto potere linguistico. Ne discende che in una Comunit�, anzi, ormai, un un�Unione, fondata sull�eguaglianza degli Stati e dei loro cittadini, tutte le lingue debbono possedere la medesima dignit� giuridica: il diritto europeo � destinato, per sua natura, a manifestarsi in tutte le lingue europee. Il giorno in cui talune lingue soltanto acquisissero il ruolo di lingue specifiche dell�espressione giuridica europea, il diritto cos� espresso non sarebbe pi� autenticamente europeo. Se queste premesse sono vere, bisogna allora esaminare lo sviluppo del tema successivamente alla posizione dell�art. 290 CE. Il primo sviluppo fu proprio il regolamento 1/58 che oggi celebriamo. E fu uno sviluppo coerente perch� quel regolamento stabil� che tutte le lingue degli Stati membri sono non solo le lingue ufficiali, ma anche le lingue di lavoro della Comunit�, cio� le lingue dell�attuazione pratica del diritto europeo, che dunque neppure a livello pratico conosce lingue privilegiate. Decisivo fu poi l�impulso dato dal Trattato di Amsterdam, che introdusse nell�art. 6 del Trattato dell�Unione il paragrafo 3, secondo il quale l�Unione rispetta l�identit� nazionale dei suoi Stati membri. E l�espressione ineliminabile dell�identit� nazionale �, ovviamente, la lingua. Il Trattato di Amsterdam introdusse poi nell�art. 21 del trattato CE il paragrafo 3, in base al quale ogni cittadino dell�Unione pu� scrivere alle CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Istituzioni nella propria lingua e ha diritto di ottenere una risposta nella stessa lingua. Questa innovazione � importantissima dal punto di vista sistematico perch� si collega immediatamente con la grande innovazione del Trattato di Amsterdam, che � l�introduzione, con il nuovo articolo 17 del Trattato CE, della cittadinanza dell�Unione. Il diritto alla propria lingua nei rapporti giuridici con le Istituzioni comunitarie � quindi uno dei contenuti fondamentali e inalienabili della cittadinanza comunitaria. Privato di questo contenuto, il principio della cittadinanza comunitaria rischierebbe di scadere a proclamazione retorica. L�art. 21 n. 3 e l�art. 17 del Trattato CE modificati dal Trattato di Amsterdam completano quindi quel processo di affermazione del multilinguismo fin dall�inizio intuito dall�originaria (e non a caso mai mutata) formulazione dell�art. 290 CE: il multilinguismo come valore fondante dell�Unione, e quindi non solo come fatto organizzativo ma, ben di pi�, come garanzia giuridica fondamentale dei cittadini europei. Corona questo sviluppo il recente Trattato di Lisbona, che modifica l�art. 2 del Trattato dell�Unione introducendo il principio secondo cui l�Unione rispetta la diversi� linguistica. In tal modo viene data definitiva rilevanza giuridica al principio del multilinguismo, che negli stessi termini era stato fino ad ora affermato soltanto dall�art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, il cui valore giuridico, come si sa, non pu� giungere fino a modificare i trattati fondamentali. Insomma, il multilinguismo � sempre, in tutte le sue manifestazioni, un valore giuridico, non soltanto un valore culturale. La vicenda normativa che ho riassunto esclude che si possano stabilire due piani: quello delle linque europee intese come fatto di espressione culturale (che sono ovviamente tutte, poich� ogni paese europeo � portatore di una cultura secolare), e quello delle lingue europee da intedere come fatto di espressione giuridica (che potrebbero anche non essere tutte le lingue europee). No: l�espressione giuridica europea � necessariamente multilingue al pari dell�espressione culturale. Se vogliamo, rappresenta la cultura europea che si fa diritto. In questa prospettiva, il Trattato di Lisbona avrebbe forse potuto fare ancora di pi�, cio� confermare l�art. 81 della seconda parte della Costituzione europea, che costituzionalizzava direttamente il principio del- l�art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, contente il divieto di discriminazione in base alla lingua. Il Trattato di Lisbona si � limitato a riformulare l�art.6 del Trattato dell�Unione, includendo in esso un rinvio espresso alla Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea, quindi anche all�art. 21, e la previsione che quest�utlima ha lo stesso valore giuridico dei Trattati. Un percorso un po� pi� lungo per affermare comunque un principio irrinunciabile: la lingua nazionale fa parte del patrimonio giuridico inalienabile di ciascun cittadino europeo allo stesso modo nei suoi rapporti con gli altri cittadini e con le Istituzioni comunitarie. Ogni restrizione in proposito sarebbe discriminatoria. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 A conclusione non pu� farsi a meno di citare il contributo della giurisprudenza comunitaria. La Corte di giustizia a Grande sezione nella recente sentenza dell�11 dicembre 2007 (causa C-161/06) ha statuito che nessun obbligo giuridico di fonte comunitaria pu� esser imposto a cittadini comunitari se il testo normativo da cui l�obbligo discende non � tradotto e pubblicato ufficialmente nella lingua nazionale del cittadino interessato; e ha anche, preliminarmente, statuito che rientra nella sua competenza valutare le implicazioni che sui diritti dell�interessato pu� avere la mancata pubblicazione del testo normativo nella lingua nazionale, anche se tale mancata pubblicazione sia imputabile non alla comunit� bens� allo Stato membro di cui il cittadino fa parte. In tal modo si � ribadito che il diritto comunitario si deve necessariamente esprimere in tutte le lingue dell�Unione; e, ci�, vorrei aggiungere, deve valere non solo per l�espressione strettamente normativa di tale diritto, bens� anche per le sue espressioni giurisdizionali e amministrative. La dottrina della divisione dei poteri infatti insegna che i poteri sono tre, ma il diritto � uno, e identica dev�essere la sua espressione. Ma si � anche stabilito, e questo � forse il contributo pi� innovativo e rilevante ai nostri fini, che il diritto individuale al multilinguismo nei rapporti giuridici comunitari ha un proprio giudice naturale appunto nel giudice comunitario: il rapporto giuridico concernente il multilinguismo, insomma, non � mai un rapporto puramente interno, sottratto al sindacato della Corte. Ci� completa il percorso che ho tracciato: infatti nessuna garanzia � veramente tale fino a che non trova il proprio giudice. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Sentenze rese dalla Corte di giustizia nell�anno2007, cause che hanno interessato l�Italia(*) Sintesi a cura di Maurizio Fiorilli(**) AIUTI DI STATO � Obbligo di recupero (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 6 dicembre 2007. Causa C-280/05) Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo preso, entro i termini prescritti, i provvedimenti necessari per sopprimere e recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati illegittimi e incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione 30 marzo 2004, 2004/800/CE, relativa al regime di aiuto di Stato concernente disposizioni urgenti in materia di occupazione cui l�Italia ha dato esecuzione (GU L 352, pag. 10), o comunque avendo omesso di informare la Commissione in merito ai provvedimenti adottati, � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 2-4 della decisione nonch� dal Trattato CE. �(Omissis) 18 Occorre anzitutto ricordare che, per giurisprudenza consolidata, la soppressione di un aiuto illegittimo mediante recupero � la logica conseguenza dell�accertamento della sua illegittimit� e che tale conseguenza non pu� dipendere dalla forma in cui l�aiuto � stato concesso (v., in particolare, sentenze 1 aprile 2004, causa C-99/02, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3353, punto 15, nonch� 1 giugno 2006, causa C-207/05, Commissione/Italia, non pubblicata nella Raccolta, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). 19 Secondo una giurisprudenza altrettanto consolidata, se la decisione della Commissione che dispone la soppressione di un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune non � stata impugnata con un ricorso diretto o se un ricorso siffatto � stato respinto, il solo argomento di difesa che uno Stato membro pu� opporre al ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione sulla base dell�art. 88, n. 2, CE � quello relativo all�impossibilit� assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione che ingiunge il recupero (v., in particolare, sentenze 1 aprile 2004, Commissione/Italia, cit., punto 16, nonch� 1� giugno 2006, Commissione/Italia, cit., punto 45 e giurisprudenza ivi citata). (*) Non si riassumono le sentenze gi� pubblicate e commentate dalla �Rassegna Avvocatura dello Stato� nel corso del 2007. (**) Avvocato dello Stato, Capo di Gabinetto del Ministro per le politiche europee. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 20 La Corte ha statuito che uno Stato membro, il quale in occasione dell�esecuzione di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato incontri difficolt� impreviste e imprevedibili o si renda conto di conseguenze non considerate dalla Commissione, deve sottoporre tali problemi alla valutazione di quest�ultima, proponendo appropriate modifiche della decisione stessa. In tal caso lo Stato membro e la Commissione devono � in forza del principio che impone agli Stati membri e alle istituzioni comunitarie doveri reciproci di leale collaborazione, al quale � ispirato in particolare l�art. 10 CE � collaborare in buona fede per superare le difficolt� nel pieno rispetto delle disposizioni del Trattato, soprattutto di quelle relative agli aiuti (v., segnatamente, sentenze 4 aprile 1995, causa C-348/93, Commissione/ Italia, Racc. pag. I-673, punto 17; 1� aprile 2004, Commissione/Italia, cit., punto 17, e 1� giugno 2006, Commissione/Italia, cit., punto 47). 21 A questo proposito, occorre ricordare, in primo luogo, che un ricorso di annullamento proposto contro una decisione che ingiunge il recupero di un aiuto non ha effetto sospensivo, e che, nel caso di specie, come indicato al punto 5 della presente sentenza, nessuna delle parti ricorrenti dinanzi al Tribunale ha chiesto la sospensione dell�esecuzione della decisione. Ad ogni modo, tali ricorsi sono stati respinti dal Tribunale. 22 In secondo luogo, occorre constatare come, nei suoi contatti con la Commissione, nonch� nell�ambito del procedimento dinanzi alla Corte, la Repubblica italiana non abbia invocato un�impossibilit� assoluta di dare esecuzione alla decisione. 25 Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata, la condizione attinente all�impossibilit� assoluta di esecuzione non � soddisfatta qualora lo Stato membro convenuto si limiti a comunicare alla Commissione le difficolt� giuridiche, politiche o pratiche che l�attuazione della decisione presenta, senza intraprendere alcuna iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l�aiuto e senza proporre alla Commissione modalit� alternative di messa in atto della decisione idonee a permettere il superamento di tali difficolt� (v., segnatamente, sentenze 29 gennaio 1998, causa C-280/95, Commissione/Italia, Racc. pag. I-259, punto 14; 1� aprile 2004, Commissio-ne/Italia, cit., punto 18, e 1� giugno 2006, Commissione/Italia, cit., punto 48). 26 Tale situazione sussiste nel caso di specie. Risulta infatti che la Repubblica italiana non ha effettuato alcun tentativo per recuperare gli aiuti in questione, neppure presso l�impresa Brandt Italia SpA. Pertanto, la Repubblica italiana non ha dimostrato l�impossibilit� assoluta di dare esecuzione alla decisione. 27 Quanto all�argomento della Repubblica italiana secondo cui, qualora occorresse procedere al recupero, presso le imprese beneficiarie, degli aiuti versati a motivo del vantaggio concorrenziale da esse ottenuto, tale recupero non avrebbe pi� alcuna utilit� sotto il profilo concorrenziale, proprio per il fatto che il regime di aiuti riguardava precisamente imprese in stato di fallimento o di cessazione dell�attivit�, occorre considerarlo privo di qualsiasi fondamento, atteso che la ricorrente non invoca difficolt� di esecuzione, bens� contesta la legittimit� dell�ingiunzione di recupero. Orbene, risulta dalla giurisprudenza citata al punto 18 della presente sentenza che l�illegittimit� di una decisione siffatta non pu� essere addotta a propria difesa da uno Stato membro nell�ambito di un ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione a norma dell�art. 88, n. 2, CE. 28 La Repubblica italiana sostiene inoltre che, tenuto conto dello stato di cessazione dell�attivit� delle imprese beneficiarie, il recupero degli aiuti sarebbe senza alcun rapporto con l�obiettivo perseguito. A questo proposito, il fatto che imprese beneficiarie siano in difficolt� o in stato di fallimento non incide sull�obbligo di recupero dell�aiuto, stante l�obbligo dello Stato membro, a seconda dei casi, di provocare la liquidazione della societ� (v., in CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE particolare, sentenze 15 gennaio 1986, causa 52/84, Commissione/Belgio, Racc. pag. 89, punto 14, e 8 maggio 2003, cause riunite C-328/99 e C-399/00, Italia e SIM 2 Multimedia/Commissione, Racc. pag. I-4035, punto 69), di far iscrivere il proprio credito nel passivo dell�impresa (v., in particolare, sentenze 21 marzo 1990, causa C-142/87, Belgio/Commissione, detta �Tubemeuse�, Racc. pag. I-959, punti 61-64, e Italia e SIM 2 Multimedia/Commissione, cit., punto 85) o di adottare qualsiasi altra misura che consenta la restituzione dell�aiuto�. ** *** ** AMBIENTE � Informazione alla Commissione � Rifiuti � Piani di gestione (Sentenza della Corte (Ottava Sezione) 14 giugno 2007. Causa C-82/06) La Commissione delle Comunit� europee chiede che la Corte voglia dichiarare che, non avendo elaborato n� comunicatole: � il piano di gestione dei rifiuti per la Provincia di Rimini, conformemente all�art. 7, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata con direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la �direttiva 75/442�); � i piani di gestione dei rifiuti comprendenti i luoghi o impianti adatti per lo smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi per la Regione Lazio, conformemente all�art. 7, n. 1, quarto trattino, della direttiva 75/442, e � i piani di gestione dei rifiuti per le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Puglia, nonch� per la Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige e la Provincia di Rimini, conformemente all�art. 6 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20), la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza delle dette direttive. �(Omissis) 21 Per quanto riguarda la Regione Friuli-Venezia Giulia, la Repubblica italiana sostiene di essersi conformata alla normativa comunitaria, anche se l�adozione del piano di gestione dei rifiuti pericolosi � avvenuta dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato. A giustificazione del ritardo deduce la complessit� tecnica dell�elaborazione di un piano di gestione dei rifiuti. 22 Secondo la Commissione, le circostanze invocate dalla Repubblica italiana vanno disattese poich� l�obbligo di elaborare un piano di gestione dei rifiuti pericolosi esiste fin dall�entrata in vigore della direttiva 91/689 e la detta Regione si sarebbe preoccupata del suo adempimento solo dopo l�inizio del presente procedimento. Il piano comunicato dalle autorit� italiane, inoltre, sarebbe di fatto solo una proposta di piano che, contrariamente a quanto richiesto dall�art. 6 della direttiva 91/689, si limiterebbe a enunciare i criteri che consentono di determinare i luoghi o impianti adatti per lo smaltimento dei rifiuti e non di designarli in modo preciso. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 23 Nella controreplica, la Repubblica italiana considera che il fatto di indicare criteri specifici per la determinazione dei luoghi di smaltimento dei rifiuti � una tecnica di pianificazione che conduce ad un risultato identico a quello richiesto dalla direttiva, evitando l�aggravio del compito delle autorit� preposte all�elaborazione dei piani di gestione dei rifiuti. 24 Per quanto riguarda la Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige, il detto Stato membro sostiene che una proposta di piano di gestione dei rifiuti � stata adottata dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato. La Commissione replica che si tratta solo di una proposta di piano non ancora approvata dalla competente autorit�. 25 Si deve ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, l�esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non pu� tenere conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenze 14 luglio 2005, causa C-433/03, Commissione/Germania, Racc. pag. I-6985, punto 32 e 16 novembre 2006, causa C-357/05, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-118, punto 6). Nella specie, basta constatare che i piani di gestione dei rifiuti di cui la Repubblica italiana fa menzione nel controricorso sono stati adottati solo dopo la scadenza del termine di due mesi fissato nel parere motivato, circostanza che il detto Stato membro non contesta. 26 Inoltre, risulta altres� da costante giurisprudenza che uno Stato membro non pu� eccepire disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per giustificare il mancato rispetto degli obblighi e dei termini prescritti da una direttiva (v., tra l�altro, sentenze 13 dicembre 1991, causa C-33/90, Commissione/Italia, Racc. pag. I-5987, punto 24; 21 gennaio 1999, causa C-347/97, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-309, punto 15, e 25 settembre 2003, causa C-74/02, Commissione/Germania, Racc. pag. I-9877, punto 18). Di conseguenza, l�argomento dedotto dalla Repubblica italiana circa la complessit� tecnica dell�elaborazione di un piano di gestione dei rifiuti va disatteso. 27 Del resto, se � vero che, secondo l�art. 249, terzo trattino, CE, una direttiva vincola lo Stato membro cui � rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi, dalla giurisprudenza della Corte risulta, tuttavia, che l�obbligo di elaborare piani di gestione dei rifiuti rappresenta un obbligo di risultato che non pu� essere adempiuto a mezzo di misure preparatorie o dirette all�elaborazione di piani ovvero alla predisposizione di un quadro regolamentare idoneo a realizzare tale obiettivo (sentenze 2 maggio 2002, causa C-292/99, Commissione/ Francia, Racc. pag. I-4097, punto 39 e 14 aprile 2005, causa C-163/03, Commissione/ Grecia, non pubblicata nella Raccolta, punto 74). Nella specie, come giustamente sostenuto dalla Commissione, la tecnica utilizzata dalle autorit� della Regione Friuli-Venezia Giulia non permette, contrariamente a quanto prescritto dalla direttiva 91/689, di individuare i luoghi o impianti adatti per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi. Infatti, una mera enumerazione dei criteri di determinazione di tali luoghi costituisce solo una cornice regolamentare che, in quanto tale, non garantisce che il risultato richiesto venga raggiunto. L�argomento della Repubblica italiana va pertanto disatteso. 29 Per quanto riguarda la Provincia di Rimini, la Repubblica italiana sostiene che il procedimento di adozione di un nuovo piano di gestione dei rifiuti per tale Provincia � in corso. Ci� nondimeno, le principali disposizioni del nuovo piano provinciale gi� sarebbero contenute in un piano adottato nel corso del 1996 che resta applicabile. 30 La Commissione ritiene che le disposizioni attualmente in vigore in questa Provincia non possano essere considerate un piano di gestione dei rifiuti ai sensi delle diret CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE tive 75/442 e 91/689 in quanto l�adozione del piano del 1996 � anteriore alla normativa italiana che traspone tali direttive. 31 Nella controreplica la Repubblica italiana considera che l�affermazione della Commissione secondo la quale il piano elaborato in attuazione della direttiva 75/442 non sarebbe idoneo a risolvere i problemi relativi alla gestione dei rifiuti pericolosi oggetto della direttiva 91/689 � una petizione di principio. 32 Per quanto riguarda la Regione Puglia, il detto Stato membro sostiene che � gi� stato dato inizio ai passi necessari per l�elaborazione di un piano di gestione dei rifiuti. Poich� una parte delle disposizioni di tale piano � gi� in vigore sotto altre forme, la censura della Commissione dovrebbe tutt�al pi� limitarsi alla �incompletezza� delle disposizioni in vigore in tale Regione. 33 Per la Commissione, l�adozione di tali disposizioni non soddisfa in pieno le esigenze di pianificazione previste dall�art. 6 della direttiva 91/689. 34 Occorre ricordare che la trasposizione nel diritto interno di una direttiva non esige necessariamente una riproduzione formale e letterale del suo contenuto in una disposizione di legge espressa e specifica e pu� essere sufficiente, a seconda del suo contenuto, in un contesto giuridico generale, ma solo a condizione che quest�ultimo garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva in maniera sufficientemente chiara e precisa (v., tra l�altro, sentenze 7 ottobre 2004, causa C-103/02, Commissione/Italia, Racc. pag. I-9127, punto 33; 20 ottobre 2005, causa C-6/04, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-9017, punti 21 e 24, nonch� Commissione/Lussemburgo, cit., punto 34). 35 Tuttavia, dal momento che la Commissione ha fornito sufficienti elementi da cui risulta la persistenza dell�inadempimento, spetta allo Stato membro interessato contestare in modo approfondito e particolareggiato i dati prodotti e le conseguenze che ne derivano (v. sentenze 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia, detta �San Rocco�, Racc. pag. I-7773, punti 84-87; 12 luglio 2005, causa C-304/02, Commissione/Francia, Racc. pag. I-6263, punto 56, e 18 luglio 2006, causa C-119/04, Commissione/Italia, Racc. pag. I-6885, punto 41). 36 Nella specie, la Repubblica italiana non ha dimostrato l�esistenza di un contesto giuridico generale tale da rendere inutile la trasposizione delle direttive 75/442 e 91/689. Quindi, la circostanza che tale Stato membro abbia dato inizio ad un procedimento di trasposizione di tali direttive � tale da rendere inoperante la sua argomentazione intesa a sostenere che la normativa nazionale esistente gi� soddisfa le esigenze delle medesime direttive. 37 Del resto, la Repubblica italiana stessa riconosce l�incompletezza delle disposizioni adottate dalla Provincia di Rimini e dalla Regione Puglia. Orbene, secondo giurisprudenza costante, ciascuno degli Stati membri destinatari di una direttiva ha l�obbligo di adottare, nell�ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari per garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue (v., tra altre, sentenze 5 dicembre 2002, causa C-324/01, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-11197, punto 18; 24 giugno 2003, causa C-72/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-6597, punto 18, e 28 aprile 2005, causa C-410/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3507, punto 39). 38 Si deve a questo proposito ricordare che l�inadempimento di uno Stato membro sussiste finch� esso non si � conformato del tutto alla direttiva, anche se la legislazione nazionale gi� consente, in gran parte, il conseguimento delle finalit� della detta direttiva (sentenza 18 marzo 1980, causa 92/79, Commissione/Italia, Racc. pag. 1115, punto 6). Azioni materiali parziali o normative regolamentari frammentarie non possono soddisfare l�obbligo, incombente ad uno Stato membro, di elaborare un programma globale per raggiungere taluni obiettivi (sen RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 tenze 28 maggio 1998, causa C-298/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-3301, punto 16, e 4 luglio 2000, causa C-387/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-5047, punto 75). 41 La Repubblica italiana sostiene che la Regione Lazio ha adottato tre piani differenti, e cio� un piano di gestione dei rifiuti, un piano degli interventi di emergenza e un piano di individuazione dei siti ritenuti idonei ad ospitare impianti di termovalorizzazione al fine di conformarsi agli obblighi derivanti dalla direttiva 75/442. 42 La Commissione ritiene che questi tre documenti non consentano di individuare i luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, in particolare per quanto riguarda rifiuti pericolosi. Inoltre, il piano di gestione dei luoghi considerati adatti per ospitare impianti di termovalorizzazione si applicherebbe soltanto ad una categoria di impianti di riutilizzo di rifiuti urbani. 43 Dall�argomentazione svolta dalla Commissione risulta che i piani in vigore nella Regione Lazio non hanno un grado di precisione sufficiente per assicurare la piena efficacia della direttiva (v., in tal senso, sentenza 1� aprile 2004, cause riunite C-53/02 e C-217/02, Commune de Braine-le-Ch�teau e a., Racc. pag. I-3251, punti 31 e 32). Tale argomentazione non � stata contestata nella controreplica dalla Repubblica italiana. 44 Ci� considerato, si deve constatare che la Repubblica italiana non ha elaborato i piani di gestione dei rifiuti ai sensi della direttiva 75/442 per quanto riguarda la Regione Lazio�. � Veicoli fuori uso (Sentenza della Corte (Quinta Sezione) 24 maggio 2007. Causa C394/ 05) La Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, il quale traspone in diritto nazionale le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 18 settembre 2000, 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso (GU L 269, pag. 34) in maniera non conforme a quest�ultima, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell�art. 2, punti 2 e 5, dell�art. 3, n. 5, del combinato disposto del- l�art. 4, n. 2, lett. a), con l�allegato II, dell�art. 5, nn. 1-4, dell�art. 6, nn. 3, lett. a), e 4, dell�art. 7, nn. 1 e 2, dell�art. 8, nn. 3 e 4, dell�art. 10, n. 3, nonch� dell�art. 12, n. 2, della direttiva 2000/53. �(Omissis) 20 Per quanto riguarda, in primo luogo, l�art. 3, n. 5, della direttiva 2000/53, la Commissione censura la Repubblica italiana per non aver essa previsto, per quanto riguarda i veicoli a motore a tre ruote, disposizioni volte ad assicurare che gli operatori economici istituiscano sistemi di raccolta di tutti i veicoli fuori uso e, nella misura in cui ci� sia tecnicamente fattibile, delle parti usate allo stato di rifiuto, asportate al momento della riparazione di veicoli, e ad assicurare un�adeguata presenza di centri di raccolta sul territorio nazionale. Tali obblighi, previsti all�art. 5, n. 1, della direttiva 2000/53, si applicano ai veicoli a tre ruote in forza dell�art. 3, n. 5, della medesima. 21 In secondo luogo, l�art. 5, n. 1, della direttiva 2000/53 non sarebbe stato trasposto correttamente, in quanto la Repubblica italiana, con l�art. 5, n. 3, del decreto legislativo CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE n. 209/2003, che traspone tale disposizione, non ha istituito sistemi di raccolta, non appena ci� sia tecnicamente fattibile, delle parti usate allo stato di rifiuto e asportate al momento della riparazione dei veicoli. 22 Per quanto riguarda, in terzo luogo, l�art. 7, n. 2, della direttiva 2000/53, la Commissione ha precisato, nel suo atto di rinunzia parziale agli atti, che essa manteneva in essere solo la censura con cui contestava alla Repubblica italiana di non avere fornito informazioni alla Commissione e agli altri Stati membri sulle ragioni che hanno portato tale Stato ad avvalersi della possibilit� prevista all�art. 7, n. 2, lett. a), secondo comma, della detta direttiva. 23 In quarto luogo, per quanto riguarda la trasposizione dell�art. 8, nn. 3 e 4, della direttiva 2000/53 mediante l�art. 10, nn. 1 e 2, del decreto legislativo n. 209/2003, la Commissione censura la Repubblica italiana per aver essa omesso di specificare che le informazioni da fornire da parte dei produttori di veicoli e componenti devono corrispondere a quanto richiesto dagli impianti di trattamento. Inoltre, l�art. 10, n. 2, del decreto legislativo n. 209/2003 si riferirebbe erroneamente ai �centri di raccolta � anzich� agli �impianti di trattamento autorizzati�. 24 La fondatezza di tali censure sollevate dalla Commissione � stata riconosciuta dal governo italiano in fase di procedimento precontenzioso e non � stata contestata dinanzi alla Corte. Il governo italiano ha tuttavia osservato che il ricorso della Commissione � divenuto privo di oggetto in seguito alle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 149/2006. 25 A tal proposito, risulta da una giurisprudenza costante che l�esistenza di un inadempimento dev�essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non pu� tener conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenze 24 ottobre 2002, causa C455/ 00, Commissione/Italia, Racc. pag. I-9231, punto 21; 2 ottobre 2003, causa C-348/02, Commissione/Italia, Racc. pag. I-11653, punto 7, e 26 gennaio 2006, causa C-514/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-963, punto 44)�. � Politica comunitaria in materia di acque (Sentenza della Corte (Ottava Sezione) 18 dicembre 2007. Causa C-85/07) �(Omissis) 13 Alla data di scadenza del termine fissato nel parere motivato, data alla quale deve essere valutata l�esistenza di un inadempimento (v., in tal senso, sentenze 14 settembre 2004, causa C-168/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-8227, punto 24, e 27 ottobre 2005, causa C-23/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-9535, punto 9), la relazione sintetica richiesta in forza dell�art. 15, n. 2, della direttiva non era stata presentata e le analisi nonch� l�esame di cui all�art. 5, n. 1, della direttiva 2000/60/CE � che istituisce un quadro per l�azione comunitaria in materia di acque � non erano stati effettuati per quanto riguarda il distretto idrografico pilota del Serchio e una parte dei distretti idrografici delle Alpi orientali, dell�Appennino settentrionale, centrale e meridionale. 14 Occorre aggiungere che, anche se la Repubblica italiana ha effettivamente comunicato alla Commissione quasi tutti i dati richiesti relativi ai bacini idrografici nazionali, come essa sostiene, tale affermazione non pu� essere intesa nel senso che detto Stato membro contesta l�obbligo di informazione di cui agli artt. 5 e 15 della direttiva sui vari bacini idrogra RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 fici regionali e la mancanza di tali informazioni. Inoltre, il fatto che la maggior parte dei vari bacini regionali sia di scarsa importanza, tenuto conto della loro portata e delle dimensioni dei bacini, � irrilevante quanto all�esistenza dell�inadempimento addebitato�. � Inquinamento atmosferico (Sentenza della Corte (Sesta Sezione) 19 aprile 2007. Causa C-313/06) La Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo messo in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/26/CE, che modifica la direttiva 97/68/CE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da adottare contro l�emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante prodotti dai motori a combustione interna destinati all�installazione su macchine mobili non stradali (GU L 146, pag. 1, e � rettifiche � GU L 225, pag. 3), o, in ogni caso, non avendole comunicato tali disposizioni, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell�art. 3, n. 1, di tale direttiva. �(Omissis) 2 Ai sensi di tale articolo, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrativi necessari per conformarsi alla direttiva 2004/26 entro il 20 maggio 2005, e ne informano immediatamente la Commissione. 5 Nel suo controricorso, la Repubblica italiana sostiene che la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 1997, 97/68/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da adottare contro l�emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante prodotti dai motori a combustione interna destinati all�installazione su macchine mobili non stradali (GU 1998, L. 59, pag. 1), modificata dalla direttiva 2004/26, � stata recepita da un decreto ministeriale 20 dicembre 1999 (in prosieguo: il �decreto ministeriale del 1999�). Essa dichiara l�intenzione di accertare se la direttiva 2004/26 possa essere considerata recepita anticipatamente da tale decreto, o se sia necessario un nuovo decreto al fine di armonizzare l�ordinamento giuridico italiano con le disposizioni di quest�ultima direttiva. La Repubblica italiana annuncia che tale esame del decreto ministeriale del 1999 � in corso di ultimazione e che in tempi brevi sar� adottato un �decreto che formalizzi l�esito della verifica�. Essa confida che la Commissione vorr� allora rinunciare al suo ricorso per inadenpimento. 6 Secondo una costante giurisprudenza, l�esistenza di un inadempimento dev�essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e non possono essere prese in considerazione dalla Corte modifiche successivamente intervenute (v., in particolare, sentenze 14 settembre 2004, causa C-168/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-8227, punto 24, e 12 gennaio 2006, causa C-118/05, Commissione/Portogallo, non pubblicata nella Raccolta, punto 7). 7 Nel caso di specie, la Repubblica italiana si � limitata, nel suo controricorso, ad annunciare l�adozione di un nuovo decreto che esponga l�esito dell�esame del decreto mini CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE steriale del 1999 per quanto riguarda le disposizioni della direttiva 2004/26. Tale Stato membro riconosce quindi la necessit� di un nuovo decreto per garantire la completa trasposizione di detta direttiva, la quale non poteva dunque considerarsi realizzata sulla sola base del decreto ministeriale del 1999. Ne deriva che la Repubblica italiana non ha contestato in maniera assoluta l�addebito secondo cui tutte le misure necessarie per garantire la trasposizione della direttiva 2004/26 nell�ordinamento giuridico italiano non erano state adottate entro la scadenza del termine previsto nel parere motivato�. � Valutazione dell�impatto ambientale (Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 5 luglio 2007. Causa C-255/05) Viene meno agli obblighi ad esso derivanti dagli artt. 2, n. 1, e 4, n. 1, della direttiva 85/337, concernente la valutazione dell�impatto ambientale di determinati progetti pubblici o privati, come modificata dalla direttiva 97/11, uno Stato membro che � in applicazione di una normativa nazionale che consente che i progetti di impianti di recupero di rifiuti pericolosi e i progetti di impianti di recupero di rifiuti non pericolosi con capacit� superiore a 100 tonnellate al giorno, rientranti nell�allegato I della stessa direttiva, siano sottratti alla procedura di valutazione di impatto ambientale prevista ai detti artt. 2, n. 1, e 4, n. 1, se sono oggetto di una procedura semplificata ai sensi dell�art. 11 della direttiva 75/442, relativa ai rifiuti � non sottopone alla procedura di valutazione di impatto ambientale prevista dagli artt. 5-10 della direttiva 85/337, prima della concessione dell�autorizzazione alla costruzione, un progetto relativo ad un impianto di incenerimento di rifiuti che rientra nella categoria degli impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi mediante incenerimento o trattamento chimico con capacit� superiore a 100 tonnellate al giorno, prevista all�allegato I, punto 10, della direttiva 85/337. ** *** ** APPALTI PUBBLICI � Appalti di lavori (Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 4 ottobre 2007. Causa C-217/06) La Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che, avendo il Comune di Stintino attribuito direttamente alla Maresar Soc. cons. a r.l. (in prosieguo: la �Maresar�), mediante la convenzione 2 ottobre 1991, n. 7 (in prosieguo: la �convenzione�), e mediante gli atti aggiuntivi alla medesima connessi, l�appalto di lavori pubblici avente ad oggetto la realizzazione delle opere menzionate nella deliberazione del Consiglio comunale di Stintino 14 dicembre 1989, n. 48, e segnatamente la �progettazione esecutiva e costruzione delle opere per l�adeguamento tecnologico e strutturale, riordino e completamento delle reti idriche e fognanti, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 della rete viaria, delle strutture ed attrezzature di servizio dell�abitato, dei nuclei di insediamento turistico esterni e del territorio del Comune di Stintino, compreso il risanamento ed il disinquinamento della costa e dei centri turistici dello stesso�, senza ricorrere alle procedure di aggiudicazione previste dalla direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, 71/305/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (GU L 185, pag. 5) e, in particolare, senza pubblicare alcun bando di gara nella Gazzetta ufficiale delle Comunit� europee, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della citata direttiva, e in particolare degli artt. 3 e 12 della medesima. La convenzione, conclusa tra il Comune di Stintino e la Maresar senza pubblicit� n� procedura di messa in concorrenza, � stata seguita, nel periodo 1992-2001, dalla stipula, intervenuta tra le stesse parti, di undici atti aggiuntivi che affidano alla Maresar la realizzazione di opere determinate rientranti nella convenzione, nonch� quella di tutte le attivit� tecnico-amministrative necessarie fino al collaudo dei lavori. Il corrispettivo di ciascuno di tali interventi � fissato nei detti atti. �(Omissis) 19 Nella fattispecie, tenuto conto degli elementi addotti dal governo italiano, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, l�esecuzione della convenzione irregolare proseguiva soltanto per la realizzazione definitiva di un�opera, il bacino di regolazione idraulica, previsto dall�atto aggiuntivo n. 10. Altre opere erano terminate. Peraltro, la Commissione non dimostra che le affermazioni del governo italiano secondo cui il Comune di Stintino aveva ritirato alla Maresar l�esecuzione delle altre prestazioni ad essa affidate dalla convenzione controversa sarebbero erronee. 20 Il governo italiano non contesta pi� che il Comune di Stintino sia venuto meno agli obblighi ad esso incombenti, approvando la convenzione senza procedura di messa in concorrenza. Esso sostiene tuttavia, in primo luogo, che il ricorso � privo di oggetto in quanto l�appalto controverso aveva, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, esaurito quasi tutti i suoi effetti. A tale data, tenendo conto della fine della realizzazione del bacino di regolazione idraulica, i lavori di cui trattasi sarebbero stati compiuti per l�82%. Pertanto, non sarebbe pi� stato materialmente possibile conformarsi al parere motivato. 21 Tuttavia, sebbene sia vero che, in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, la Corte abbia giudicato che un ricorso per inadempimento � irricevibile se, alla data di scadenza del termine fissato nel parere motivato, il contratto di cui trattasi aveva gi� esaurito tutti i suoi effetti (v., in tal senso, sentenze 31 marzo 1992, causa C-362/90, Commissione/Italia, Racc. pag. I-2353, punti 11 e 13, nonch� 2 giugno 2005, causa C-394/02, Commissione/ Grecia, Racc. pag. I-4713, punto 18), nella fattispecie la Corte non pu� che constatare che la convenzione era, a tale data, in corso di esecuzione, in quanto i lavori non erano del tutto compiuti. L�appalto non aveva, pertanto, esaurito tutti i suoi effetti. 22 In secondo luogo, per dimostrare che non era stato legittimamente possibile conformarsi al parere motivato, le autorit� italiane sostengono che esse non avevano potuto risolvere l�atto aggiuntivo riguardante la realizzazione del bacino di regolazione, tenuto conto del legittimo affidamento che era potuto sorgere in capo alla Maresar, a causa della durata del rapporto contrattuale protrattosi per pi� di dieci anni prima dell�avvio della fase precontenziosa del procedimento. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 Tuttavia, il comportamento di un�autorit� nazionale incaricata di applicare il diritto comunitario, che sia in contrasto con quest�ultimo, non pu� giustificare l�esistenza, in capo ad un operatore economico, di un legittimo affidamento sul fatto di poter beneficiare di un trattamento in contrasto con il diritto comunitario (v. sentenze 26 aprile 1988, causa C316/ 86, Kr�cken, Racc. pag. 2213, punto 24, e 1� aprile 1993, cause riunite da C-31/91 a C44/ 91, Lageder e a., Racc. pag. I-1761, punto 38). 24 La circostanza che la convenzione controversa sia stata firmata pi� di dieci anni fa � priva di rilievo per quanto concerne l�irregolarit� rispetto al diritto comunitario e, di conseguenza, l�impossibilit� che essa faccia sorgere un legittimo affidamento in capo alla Maresar (v., in tal senso, sentenza 24 settembre 1998, causa C-35/97, Commissione/Francia, Racc. pag. I-5325, punto 45)�. � Soggetti ammessi ad accedere alla procedura di ricorso (Ordinanza della Corte (Sesta Sezione) 4 ottobre 2007. Causa C-492/06) La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione del- l�art. 1 della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all�applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE (GU L 209, pag. 1). Tale domanda � stata proposta nell�ambito di una controversia pendente tra il Consorzio Elisoccorso San Raffaele e la Elilombarda Srl, capofila di un�associazione temporanea in via di costituzione, e riguardante un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico. In data 30 novembre 2004 l�Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca� Granda di Milano faceva pubblicare, in quanto autorit� aggiudicatrice, un bando di gara avente ad oggetto, segnatamente, un servizio di elisoccorso per un importo di EUR 25 900 000. Venivano depositate due offerte. La prima, da parte della Elilombarda in qualit� di capofila di un�associazione temporanea in via di costituzione tra la detta impresa e la Helitalia SpA, mentre la seconda veniva depositata dal Consorzio, composto dalla Elilario Italia SpA e dalla Air Viaggi San Raffaele Srl. Il 28 aprile 2005 l�autorit� aggiudicatrice attribuiva l�appalto al Consorzio, al quale veniva notificata la decisione con nota 10 maggio 2005. La Elilombarda proponeva dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (in prosieguo: il �TAR Lombardia�), in nome proprio e a titolo individuale, un ricorso rivolto, tra l�altro, contro tale decisione. Nell�ambito di tale procedimento, il Consorzio sollevava un�eccezione d�inammissibilit� sostenendo che il ricorso era stato proposto non dall�associazione temporanea in via di costituzione stessa, la quale, a suo parere, sarebbe stata l�unica legittimata ad agire in giudizio per la tutela del proprio interesse a vedersi aggiudicare l�appalto, bens� da uno solo degli operatori economici componenti tale associazione. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 �(Omissis) 19 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede se l�art. 1 della direttiva 89/665 debba essere interpretato nel senso che osta a che, secondo il diritto nazionale, il ricorso contro una decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico possa essere proposto a titolo individuale da uno solo dei membri di un�associazione temporanea priva di personalit� giuridica, la quale abbia partecipato in quanto tale alla procedura di aggiudicazione dell�appalto suddetto e non se lo sia visto attribuire. 20 A tale riguardo occorre ricordare che, ai sensi dell�art. 1, n. 3, della citata direttiva, gli Stati membri sono tenuti a garantire che le procedure di ricorso da questa previste siano accessibili �per lo meno� a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto pubblico e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che hanno recepito tale diritto. 21 Ne deriva che la direttiva 89/665 stabilisce solamente i requisiti minimi che le procedure d�impugnazione previste dagli ordinamenti giuridici nazionali devono rispettare per garantire l�osservanza delle disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici (v. sentenza 19 giugno 2003, causa C-315/01, GAT, Racc. pag. I-6351, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). 22 Nella sentenza Espace Trianon e Sofibail, la Corte ha interpretato l�art. 1 della direttiva 89/665 in una situazione in cui l�ordinamento giuridico interno esigeva che un ricorso di annullamento contro una decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico venisse proposto da tutti i membri componenti un�associazione temporanea offerente. 23 Riferendosi ad una situazione quale quella contemplata dalle questioni pregiudiziali che le erano state sottoposte, la Corte ha rilevato, ai punti 19-21 di tale sentenza, che: � un�associazione temporanea poteva essere considerata come un soggetto avente interesse a ottenere l�aggiudicazione di un appalto pubblico ai sensi dell�art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, dal momento che, avendo presentato un�offerta per l�appalto pubblico in questione, essa aveva dimostrato il proprio interesse ad ottenerlo; � nella causa principale nulla impediva che i membri dell�associazione temporanea proponessero tutti insieme, in quanto associati o in nome proprio, un ricorso di annullamento contro le decisioni controverse. 24 La Corte � pertanto pervenuta alla conclusione, al punto 22 della citata sentenza, che la disposizione procedurale nazionale in questione non limitava l�accessibilit� ad un ricorso in modo contrario all�art. 1, n. 3, della direttiva 89/665. 25 Di conseguenza, essa ha statuito che l�art. 1 di tale direttiva non osta a che, secondo il diritto nazionale di uno Stato membro, il ricorso contro una decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico possa essere proposto unicamente dalla totalit� dei membri di un�associazione temporanea priva di personalit� giuridica, la quale abbia partecipato in quanto tale alla procedura di aggiudicazione dell�appalto suddetto e non se lo sia visto attribuire. 26 Cos� facendo la Corte ha solamente stabilito, con riferimento alle circostanze proprie della causa principale, una soglia minima di accesso ai ricorsi in materia di appalti garantita dalla direttiva 89/665. 27 Essa non ha assolutamente escluso che, secondo il diritto nazionale, il ricorso contro una decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico possa essere proposto a titolo individuale da uno soltanto dei membri di un�associazione temporanea priva di personalit� giuridica la quale abbia partecipato in quanto tale alla procedura di aggiudicazione dell�appalto suddetto e non se lo sia visto attribuire�. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE � Appalto di servizi (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 29 novembre 2007. Causa C-119/06) La Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di constatare che, poich� la Regione Toscana e le Aziende sanitarie della medesima regione: � hanno, innanzitutto, concluso con la Confederazione delle Misericordie d�Italia, l�Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (comitato regionale toscano) e la Croce Rossa Italiana (sezione toscana) l�accordo quadro regionale per lo svolgimento di attivit� di trasporto sanitario dell�11 ottobre 1999; � hanno poi prolungato detto accordo quadro attraverso il protocollo d�intesa del 28 marzo 2003 e, infine, � hanno concluso, il 26 aprile 2004, sulla base della delibera regionale n. 379 del 19 aprile 2004, un nuovo accordo quadro regionale che, continuando le relazioni con le associazioni summenzionate, affida loro la gestione dei servizi in questione per il periodo compreso tra il 1� gennaio 2004 e il 31 dicembre 2008 (in prosieguo: l��accordo quadro del 2004�), la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), come modificata dall�Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l�Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33), e, in particolare, dei suoi artt. 11, 15 e 17. La Commissione sostiene del pari che, se il valore dei servizi attribuiti attraverso gli atti sopra indicati che figurano nell�allegato I B della direttiva 92/50 dovesse risultare superiore a quello dei servizi che figurano nell�allegato I A della medesima direttiva, la conclusione da parte degli enti sopra citati degli atti in discorso sarebbe in ogni caso contraria all�art. 3, n. 2, della direttiva 92/50, e altres� all�articolo 49 CE, relativo alla libera prestazione di servizi. �(Omissis) 34 Si pone preliminarmente la questione di stabilire se tale accordo quadro presenti le caratteristiche di un appalto pubblico ai sensi dell�art. 1, lett. a), della direttiva 92/50, cio� se esso sia un contratto a titolo oneroso, stipulato in forma scritta tra un prestatore di servizi e un�amministrazione aggiudicatrice. 35 Non � contestata la forma scritta dell�accordo quadro del 2004 e neppure il fatto che la Regione Toscana e le Aziende costituiscano amministrazioni aggiudicatrici. 36 Anzitutto, la Repubblica italiana contesta che detto accordo quadro costituisca un appalto pubblico di servizi ai sensi dell�art. 1, lett. a), della direttiva rilevante, in quanto le associazioni interessate non sono operatori commerciali ma svolgono la loro attivit� al di fuori del mercato e dell�ambito della concorrenza. Tale argomento � basato sul fatto che RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 dette associazioni non perseguono fini di lucro e che esse riuniscono persone motivate da considerazioni di solidariet� sociale. 37 Senza negare l�importanza sociale delle attivit� di volontariato, si deve necessariamente constatare che tale argomento non pu� essere accolto. Infatti, l�assenza di fini di lucro non esclude che siffatte associazioni esercitino un�attivit� economica e costituiscano imprese ai sensi delle disposizioni del Trattato relative alla concorrenza (v., in questo senso, sentenze 16 novembre 1995, causa C-244/94, F�d�ration fran�aise des soci�t�s d�assurance e a., Racc. pag. I-4013, punto 21; 12 settembre 2000, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e a., Racc. pag. I-6451, punto 117, nonch� 16 marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband e a., Racc. pag. I-2493, punto 49). 40 La circostanza che, a seguito del fatto che i loro collaboratori agiscono a titolo volontario, tali associazioni possano presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli di altri offerenti non impedisce loro di partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici previste dalla direttiva 92/50 (v., in tal senso, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE, Racc. pag. I-11037, punti 32 e 38). 41 Ne deriva che l�accordo quadro del 2004 non � escluso dalla nozione di �appalti pubblici di servizi� ai sensi dell�art. 1, lett. a), della direttiva 92/50, per il fatto che le associazioni interessate non perseguono fini di lucro. 42 La Repubblica italiana afferma poi che l�accordo quadro del 2004 fornisce soltanto lo schema generale delle prestazioni e dei rimborsi che sono concretamente previsti da numerosi contratti specifici. Secondo tale Stato membro, nessuna operazione di trasporto sanitario e nessun rimborso verrebbero effettuati in esecuzione dell�accordo quadro del 2004 di per s�. Tale argomentazione equivale, in sostanza, ad asserire che l�accordo quadro in esame non costituisce un contratto ai sensi del menzionato art. 1, lett. a). 43 Al riguardo, occorre ricordare che, per definire l�ambito di applicazione delle direttive in materia di appalti pubblici, la Corte ha sancito un�interpretazione estensiva della nozione di appalto pubblico che include gli accordi quadro. Secondo la Corte, un accordo quadro deve essere considerato �appalto pubblico� ai sensi della direttiva di cui trattasi, nei limiti in cui conferisce unit� ai vari appalti specifici da esso regolati (v., in tal senso, sentenza 4 maggio 1995, causa C-79/94, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-1071, punto 15). 44 Come risulta da quest�ultima sentenza, tale interpretazione estensiva della nozione di appalto pubblico, che include gli accordi quadro, si impone per evitare che gli operatori eludano gli obblighi fissati dalle direttive in materia di appalti pubblici. Essa �, peraltro, confermata, per quanto riguarda gli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dalle disposizioni della direttiva 2004/18. Gli artt. 1, n. 5, e 32 di tale direttiva contengono disposizioni specifiche riguardanti gli accordi quadro che sono basate sul principio che questi ultimi rientrano nell�ambito di applicazione della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici. 45 Ne deriva che l�accordo quadro del 2004 dev�essere considerato un contratto ai sensi dell�art. 1, lett. a), della direttiva 9. 47 Il carattere oneroso di un contratto si riferisce alla controprestazione erogata dall�autorit� pubblica interessata a motivo dell�esecuzione delle prestazioni dei servizi che costituiscono oggetto del contratto e delle quali tale autorit� sar� la beneficiaria (v., in tal senso, con riferimento alla direttiva 93/37, sentenza 12 luglio 2001, causa C-399/98, Ordine degli Architetti e a., Racc. pag. I-5409, punto 77). 48 Nella fattispecie, se � vero che il lavoro delle persone che effettuano i trasporti sanitari in parola non � retribuito, risulta nondimeno dagli elementi sottoposti alla Corte che i pagamenti previsti dalle pubbliche autorit� interessate superano il semplice rimborso delle CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE spese sostenute per fornire i servizi di trasporto sanitario controversi. Tali importi vengono fissati preventivamente e forfettariamente, sulla base di tabelle allegate all�accordo quadro del 2004. Il sistema descritto in tali tabelle prevede il pagamento di una somma fissa per la messa a disposizione (detta �stand-by�) di un autoveicolo destinato agli interventi, di somme calcolate in funzione dei tempi di sosta segnalati nel corso delle attivit� di trasporto, di una somma fissa per i trasporti che non superano i 25 km e di importi addizionali per ogni chilometro supplementare. 53 Ai sensi del suo art. 7, n. 1, la direttiva 92/50 si applica soltanto agli appalti pubblici di servizi il cui valore stimato al netto dell�IVA � uguale o superiore a taluni importi precisati da tale disposizione. 54 I termini dell�accordo quadro del 2004 non consentono di conoscere il valore, neppure stimato, di quest�ultimo. Tale accordo quadro fornisce soltanto una tariffa di prezzi unitari a partire dalla quale non � possibile fissare il valore dell�appalto controverso. 58 La Commissione non ha prodotto alcuna prova relativa al valore degli appalti specifici conclusi in forza dell�accordo quadro del 2004. 59 In tale contesto, non � dimostrato che la soglia d�applicazione della direttiva 92/50 sia stata nella fattispecie raggiunta. 61 In subordine, la Commissione chiede alla Corte di constatare che la conclusione del- l�accordo quadro del 2004 sarebbe in contrasto con l�art. 49 CE, se il valore dei servizi attribuiti mediante tale accordo quadro e figuranti nell�allegato I B della direttiva 92/50 dovesse rivelarsi superiore a quello dei servizi figuranti nell�allegato I A di tale direttiva. 62 Orbene, come � stato osservato al punto 58 della presente sentenza, la Commissione non ha fornito alcun elemento di prova quanto al valore dell�appalto controverso. � pertanto impossibile determinare il valore relativo dei servizi controversi che rientrano nell�allegato I A o nell�allegato I B della direttiva 92/50. 63 Supponendo che tali servizi rientrino, per la parte preponderante del loro valore, nel- l�allegato I B della direttiva 92/50, si dovrebbe tuttavia ricordare che, qualora un appalto relativo a servizi rientranti nell�ambito di tale allegato presenti un interesse transfrontaliero certo, l�affidamento, in mancanza di qualsiasi trasparenza, di tale appalto ad un�impresa con sede nello Stato membro dell�amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparit� di trattamento a danno delle imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate a tale appalto (v. sentenza 13 novembre 2007, causa C-507/03, Commissione/Irlanda, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 30 e giurisprudenza citata). 64 Salvo che non sia giustificata da circostanze obiettive, siffatta disparit� di trattamento, che, escludendo tutte le imprese aventi sede in un altro Stato membro, opererebbe principalmente a danno di queste ultime, costituirebbe una discriminazione indiretta in base alla nazionalit�, vietata ai sensi dell�art. 49 CE (v., in tal senso, sentenza 13 novembre 2007, Commissione/Irlanda, cit., punto 31 e giurisprudenza citata). 65 In tale contesto, spetterebbe alla Commissione dimostrare che, ancorch� l�appalto in esame sia riconducibile ai servizi che rientrano nell�allegato I B della direttiva 92/50, detto appalto presentava, per un�impresa con sede in uno Stato membro diverso da quello cui appartiene l�amministrazione aggiudicatrice interessata, un interesse certo e che tale impresa, non avendo avuto accesso ad informazioni adeguate prima dell�aggiudicazione del- l�appalto, non ha potuto essere in grado di manifestare il suo interesse per quest�ultimo (v. sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 32). 66 Nella fattispecie, tali elementi non sono stati forniti dalla Commissione. Infatti, la semplice indicazione, da parte di quest�ultima, dell�esistenza di un reclamo che le � stato rivol RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 to in relazione all�appalto in esame non � sufficiente a dimostrare che detto appalto presentasse un interesse transfrontaliero certo e, di conseguenza, a costatare l�esistenza di un adempimento (v., in tal senso, sentenza 13 novembre 2007 Commissione/Irlanda, cit., punto 34)�. ** *** ** APPELLO � Atti delle istituzioni � Legittimazione (Sentenza della Corte (Quinta Sezione) 22 marzo 2007. Causa C-15/06 P) Con la sua impugnazione, la Regione Siciliana chiede l�annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunit� europee 18 ottobre 2005, causa T-60/03, Regione Siciliana/Commissione (Racc. pag. II-4139), con cui quest�ultimo ha respinto il ricorso diretto all�annullamento della decisione della Commissione 11 dicembre 2002, C(2002) 4905, relativa alla soppressione del contributo concesso alla Repubblica italiana con decisione della Commissione 17 dicembre 1987, C(87) 2090 026, concernente la concessione del contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale in favore di un investimento per infrastrutture, di importo uguale o superiore a 15 milioni di [euro] in Italia (regione: Sicilia), e al recupero dell�anticipo versato dalla Commissione a titolo di tale contributo. In base all�art. 230, quarto comma, CE, un ente regionale o locale, qualora goda della personalit� giuridica ai sensi del diritto nazionale, pu� proporre un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente e individualmente. La condizione secondo cui una persona fisica o giuridica dev�essere direttamente interessata dalla decisione che costituisce oggetto del ricorso richiede che il provvedimento comunitario contestato produca direttamente effetti sulla situazione giuridica del singolo e non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari del provvedimento incaricati della sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa comunitaria senza intervento di altre norme intermedie. Orbene, la designazione di un ente regionale o locale come autorit� responsabile della realizzazione di un progetto del Fondo europeo di sviluppo regionale non implica che tale ente sia esso stesso titolare del diritto alcontributo finanziario controverso. � parimenti privo di pertinenza il fatto che, nell�allegato della decisione di concessione del detto contributo, il detto ente regionale sia menzionato come autorit� responsabile della domanda di contributo finanziario. Infatti, la posizione di �autorit� responsabile della domanda� a cui fa riferimento l�allegato della decisione di concessione non comporta come conseguenza che tale autorit� si trovi in un rapporto diretto con il contributo comunitario, che � come precisa del resto la stessa decisione � � stato richiesto dal governo di uno Stato membro ed � stato concesso a quest�ultimo. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE I singoli devono poter beneficiare di una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti loro riconosciuti dall�ordinamento giuridico comunitario. La tutela giurisdizionale delle persone fisiche o giuridiche che non possono impugnare direttamente, a causa dei requisiti di ricevibilit� di cui all�art. 230, quarto comma, CE, gli atti comunitari deve essere garantita efficacemente mediante rimedi giurisdizionali dinanzi ai giudici nazionali. Questi, in conformit� al principio di leale collaborazione sancito dall�art. 10 CE, sono tenuti, per quanto possibile, ad interpretare e applicare le norme procedurali nazionali che disciplinano l�esercizio delle azioni in maniera da consentire alle dette persone di contestare in sede giudiziale la legittimit� di ogni decisione o di qualsiasi altro provvedimento nazionale relativo all�applicazione nei loro confronti di un atto comunitario, eccependone l�invalidit� e inducendo cos� i giudici a interpellare a tale proposito la Corte mediante questioni pregiudiziali. � Ricevibilit� � Esecuzione della cosa giudicata (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 29 novembre 2007. Causa C417/ 06 P) Con la sua impugnazione, la Repubblica italiana chiede l�annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunit� europee 13 luglio 2006, causa T-225/04, Italia/Commissione (non pubblicata nella Raccolta; in prosieguo: la �sentenza impugnata�), mediante la quale il Tribunale ha respinto il ricorso diretto all�annullamento della decisione della Commissione 26 novembre 2003, C(2003) 3971 def., che stabilisce una ripartizione indicativa fra gli Stati membri degli stanziamenti d�impegno nel quadro delle iniziative comunitarie per il periodo 1994-1999 (in prosieguo: la �decisione controversa�), nonch� di tutti gli atti connessi e presupposti. Per realizzare il rafforzamento della sua coesione economica e sociale e, segnatamente, ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo di quelle meno favorite, la Comunit� europea pu� agire, in particolare, attraverso fondi a finalit� strutturale. Per raggiungere questi scopi e disciplinare i compiti dei fondi, il Consiglio dell�Unione europea ha adottato il regolamento (CEE) 24 giugno 1988, n. 2052, relativo alle missioni dei Fondi a finalit� strutturali, alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti (GU L 185, pag. 9), modificato, in particolare, mediante regolamento (CEE) del Consiglio 20 luglio 1993, n. 2081 (GU L 193, pag. 5; in prosieguo: il �regolamento n. 2052/88�), e il regolamento (CEE) 19 dicembre 1988, n. 4253, recante disposizioni di applicazione del regolamento n. 2052/88 per quanto riguarda il coordinamento tra gli interventi dei vari Fondi strutturali, da un lato, e tra tali interventi e quelli della Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti, dall�altro (GUL 374, pag. 1), modi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 ficato, in particolare, mediante regolamento (CEE) del Consiglio 20 luglio 1993, n. 2082 (GU L 193, pag. 20). La Repubblica italiana ha presentato due capi di conclusioni, uno diretto all�annullamento della decisione controversa, l�altro diretto all�annullamento di tutti gli atti connessi e presupposti. Il Tribunale ha dichiarato il secondo irricevibile, per mancanza di un grado di precisione sufficiente con riferimento all�oggetto della domanda. Il primo capo della domanda, quanto a esso, era basato su tre motivi: difetto di fondamento normativo, violazione di norme procedurali e difetto di motivazione. Quanto al difetto di fondamento normativo, il Tribunale ha giudicato che l�art. 12, nn. 4 e 5, del regolamento n. 2052/88 costituiva un fondamento normativo atto a consentire alla Commissione di modificare le ripartizioni indicative gi� disposte in conformit� al testo stesso di tali ripartizioni, al dovere fondamentale di buona gestione finanziaria per l�esecuzione del bilancio comunitario e all�assenza, in capo allo Stato membro, di un diritto a percepire fondi comunitari. Esso ha anche considerato che la Commissione aveva, nel contesto dell�esecuzione della citata sentenza Italia/Commissione, il diritto di modificare tali ripartizioni indicative, essendo soltanto tenuta nella fattispecie a rispettare le forme sostanziali violate, cio� ad autenticare la sua decisione, fatto salvo il suo potere di riesaminare ed eventualmente modificare le ripartizioni indicative. Il primo motivo di ricorso � stato pertanto respinto. Per quanto riguarda la violazione delle norme procedurali, la Repubblica italiana ha fatto valere che la Commissione non avrebbe ottemperato all�obbligo di trasparenza stabilito dall�art. 12, n. 4, del regolamento n. 2052/88. Al riguardo, il Tribunale ha giudicato che, anche ipotizzando che fosse stato necessario chiedere il parere del comitato di gestione per le iniziative comunitarie preliminarmente all�adozione della decisione 16 dicembre 1998, in seguito annullata, non incombeva alla Commissione l�onere di chiedere nuovamente tale parere prima di adottare la decisione controversa, poich� l�annullamento � intervenuto soltanto a causa di un difetto di autenticazione e non per motivi di merito. Per di pi�, le modifiche introdotte non presentavano un carattere sostanziale che avrebbe giustificato la reiterazione degli atti procedimentali compiuti in precedenza, in quanto l�importo totale degli stanziamenti assegnati ai programmi italiani non era stato modificato. Il Tribunale ha giudicato inoltre che la consultazione del CSRR doveva essere considerata equivalente alla precedente consultazione ai fini del deferimento obbligatorio al comitato di gestione per le iniziative comunitarie e del rispetto dell�obbligo di trasparenza. Anche il secondo motivo di ricorso � stato pertanto respinto. Infine, l�obbligo di motivazione � stato considerato rispettato da parte della Commissione, in quanto il Tribunale ha osservato che i �considerando� 8-10 della decisione controversa costituivano un�esposizione chiara e sufficientemente precisa delle principali fasi seguite dalla Commissione nell�adozione della sua decisione. L�istituzione comunitaria non pu�, infatti, essere considerata obbligata a menzionare nella sua decisione tutti i punti di CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE fatto e di diritto sollevati nel corso del procedimento amministrativo. Il terzo motivo di ricorso � stato pertanto respinto cos� come, di conseguenza, il ricorso nel suo insieme; la Repubblica italiana � stata condannata alle spese. �(Omissis) 25 Occorre ricordare che dagli artt. 225 CE, 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e 112, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte risulta che un�impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l�annullamento, nonch� gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda (sentenze 4 luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I-5291, punto 34, nonch� 8 gennaio 2002, causa C-248/99 P, Francia/Monsanto e Commissione, Racc. pag. I-1, punto 68). 26 Pertanto, non integra gli obblighi di motivazione derivanti da tali disposizioni l�impugnazione che si limiti a ripetere o a riprodurre letteralmente i motivi e gli argomenti gi� presentati dinanzi al Tribunale, inclusi quelli basati su circostanze in fatto espressamente dichiarate infondate da tale giudice. Infatti, un�impugnazione di tal genere costituisce in realt� una domanda diretta ad ottenere un semplice riesame del ricorso presentato dinanzi al Tribunale, il che esula dalla competenza della Corte (v. sentenze Bergaderm e Goupil/Commissione, cit., punto 35, e 19 gennaio 2006, causa C-240/03 P, Comunit� montana della Valnerina/Commissione, Racc. pag.I-731, punto 106)�. ** *** ** ATTI DELLE ISTITUZIONI � Decisione � Effetto diretto orizzontale (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 7 giugno 2007. Causa C-80/06) La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione, sul- l�invocabilit� e sulla validit� degli artt. 2 e 3 nonch� degli allegati II e III della decisione della Commissione 25 gennaio 1999, 1999/93/CE, relativa alla procedura per l�attestazione di conformit� dei prodotti da costruzione a norma dell�articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 89/106/CEE del Consiglio, riguardo a porte, finestre, imposte, persiane, portoni e relativi accessori (GU L 29, pag. 51). Tale domanda � stata proposta nell�ambito di una controversia tra la societ� Carp Snc di L. Moleri e V. Corsi (in prosieguo: la �Carp�) e la Ecorad Srl (in prosieguo: la �Ecorad�), controversia vertente sull�esecuzione di un contratto di vendita di porte munite di maniglioni detti �antipanico�. La Ecorad ordinava alla Carp, nel corso del mese di aprile 2005, la fornitura e la posa di tre porte esterne munite di maniglioni antipanico. A seguito dell�installazione della prima di queste, la Ecorad riteneva, nel maggio 2005, che il prodotto installato non fosse conforme alla normativa comunitaria, dato che la Carp non disponeva di un certificato di conformit� rila RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 sciato da un organismo di certificazione riconosciuto di cui alla decisione 1999/93 (o �sistema di certificazione n. 1�). Di conseguenza, la Ecorad rifiutava di adempiere i propri obblighi contrattuali. La Carp adiva quindi il Tribunale ordinario di Novara al fine di ottenere il risarcimento del danno subito. Nell�ambito di tale controversia, la Ecorad si basa sulla non conformit� della cosa venduta alla normativa comunitaria e fa valere, al riguardo, l�inosservanza da parte della Carp delle disposizioni della decisione 1999/93. Nella sua ordinanza di rinvio, il Tribunale ordinario di Novara ritiene che la controversia richieda l�interpretazione della decisione 1999/93 e si pone la questione della validit� di quest�ultima, qualora essa sia direttamente applicabile. �(Omissis) 18 L�esame delle questioni prima e terza, rispettivamente relative all�interpretazione e alla validit� della decisione 1999/93, presuppone che sia stata preliminarmente risolta in senso affermativo la seconda questione con cui il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se tale decisione produca effetti giuridicamente vincolanti. Si deve tuttavia verificare innanzi tutto se tale decisione possa essere fatta valere in una controversia tra singoli. 20 A questo proposito, e senza che sia necessario esaminare preliminarmente la validit� della decisione 1999/93, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, una direttiva non pu� di per s� stessa creare obblighi a carico di un singolo e non pu� quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti. Ne consegue che anche una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva volta a conferire diritti o ad imporre obblighi ai privati non pu� trovare applicazione in quanto tale nell�ambito di una controversia che veda contrapposti esclusivamente dei singoli (sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 48; 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I-3325, punto 20; 7 marzo 1996, causa C-192/94, El Corte Ingl�s, Racc. pag. I-1281, punti 16 e 17; 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells, Racc. pag. I-723, punto 56, e 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I-8835, punti 108 e 109). 21 La decisione 1999/93 � stata adottata sulla base dell�art. 13, n. 4, della direttiva 89/106 ed � rivolta agli Stati membri. Essa costituisce un atto di portata generale che precisa i tipi di procedure di attestazione di conformit� rispettivamente applicabili a porte, finestre, imposte, persiane, portoni e relativi accessori e conferisce mandato al CEN/Cenelec di specificarne il contenuto nelle norme armonizzate pertinenti che saranno poi destinate ad essere trasposte dagli organismi di normalizzazione di ciascuno Stato membro. A norma del- l�art. 249 CE, la decisione 1999/93 � quindi unicamente vincolante per gli Stati membri, che, ai sensi dell�art. 4, ne sono i soli destinatari. Di conseguenza, le considerazioni alla base della giurisprudenza ricordata al punto precedente riguardo alle direttive sono applicabili, mutatis mutandis, per quanto riguarda la possibilit� di far valere la detta decisione contro un singolo. 22 Occorre pertanto risolvere la seconda questione del giudice del rinvio nel senso che un singolo non pu� far valere, nell�ambito di una controversia per responsabilit� contrattuale che lo vede opposto ad un altro singolo, la violazione da parte di quest�ultimo degli artt. 2 e 3 nonch� degli allegati II e III della decisione 1999/93�. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE � Interpretazione (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 12 ottobre 2007. Causa C-173/06) Secondo una costante giurisprudenza, ai fini dell�interpretazione di una norma di diritto comunitario si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenze 17 novembre 1983, causa 292/82, Merck, Racc. pag. 3781, punto 12, nonch� 8 settembre 2005, cause riunite C-544/03 e C-545/03, Mobistar e Belgacom Mobile, Racc. pag. I 7723, punto 39), cos� come dell�insieme delle disposizioni del diritto comunitario (sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a., Racc. pag. 3415, punto 20). Inoltre, il primato degli accordi internazionali conclusi dalla Comunit� sui testi di diritto comunitario derivato impone di interpretare questi ultimi, per quanto possibile, in conformit� a tali accordi. ** *** ** COOPERAZIONE DI POLIZIA E GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE � Decisione quadro 2001/220/GAI � Nozione di �vittima � (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 28 giugno 2007. Causa C-467/05 ) La decisione quadro 2001/220, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, dev�essere interpretata nel senso che, nell�ambito di un procedimento penale e, pi� specificamente, di un procedimento di esecuzione successivo ad una sentenza definitiva di condanna, la nozione di vittima ai sensi della decisione quadro non include le persone giuridiche che hanno subito un pregiudizio causato direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro. Infatti, interpretare la decisione quadro nel senso che essa riguardi anche le persone giuridiche che asseriscono aver subito un pregiudizio causato direttamente da una violazione del diritto penale sarebbe contrario al dettato stesso dell�art. 1, lett. a), della decisione quadro, che riguarda unicamente le persone fisiche che hanno subito un pregiudizio causato direttamente da comportamenti contrari alla legge penale di uno Stato membro. Inoltre, non vi � alcun�altra disposizione della decisione quadro contenente un�indicazione secondo cui il legislatore dell�Unione europea avrebbe inteso estendere la nozione di vittima alle persone giuridiche ai fini dell�applicazione della decisione quadro in parola. Ben al contrario, diverse disposizioni di quest�ultima, tra cui in particolare gli artt. 2, nn. 1 e 2, e 8, n. 1, confermano che lo scopo del legislatore � stato quello di prendere in considerazione unicamente le persone fisiche vittime di un pregiudizio causato da una violazione del diritto penale. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 La direttiva 2004/80, relativa all�indennizzo delle vittime di reato, non � tale da inficiare siffatta interpretazione. Infatti, anche supponendo che le disposizioni di una direttiva adottata sul fondamento del Trattato CE possano in qualche modo incidere sull�interpretazione delle disposizioni di una decisione quadro fondata sul Trattato UE e che la nozione di vittima ai sensi della direttiva possa essere interpretata nel senso che essa riguarda le persone giuridiche, la direttiva e la decisione quadro non si trovano comunque in un rapporto tale da imporre un�interpretazione uniforme della nozione di cui trattasi. � Indennizzo alle vittime (Sentenza della Corte (Quinta Sezione) 29 novembre 2007. Causa C112/ 07 ) Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che, non avendo adottando le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/80/CE, relativa all�indennizzo delle vittime di reato (GU L GU L 261, pag. pag. 15; in prosieguo: la �direttiva�), o comunque non avendole comunicato tali disposizioni, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di detta direttiva. Ai sensi dell�art. 18, n. 1, della direttiva, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva entro il 1� gennaio 2006, fatta eccezione per l�art. 12, n. 2, di quest�ultima per il quale tale data era fissata al 1� luglio 2005, e dovevano informarne immediatamente la Commissione. Nel suo controricorso, la Repubblica italiana non contesta la fondatezza del ricorso proposto dalla Commissione. Essa osserva tuttavia che determinate leggi gi� vigenti nell�ordinamento giuridico italiano prevedono l�indennizzo delle vittime di atti di terrorismo e della criminalit� organizzata nonch� delle vittime di richieste estorsive e di usura. Peraltro, tale Stato membro fa valere che l�iter legislativo diretto ad assicurare il recepimento integrale della direttiva nel suo ordinamento giuridico � in via di conclusione. A tale proposito occorre rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, l�esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non pu� tenere conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenze 30 maggio 2002, causa C-323/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4711, punto 8, e 27 ottobre 2005, causa C-23/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-9535, punto 9). Nel caso di specie, � pacifico che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, tutti i provvedimenti necessari per procedere all�attuazione della direttiva nell�ordinamento giuridico nazionale non erano stati adottati dalla Repubblica italiana. ** *** ** CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE DOGANA � Perfezionamento attivo (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 18 ottobre 2007. Causa C-173/06) (idem Ordinanza della Corte (Sezione settima) 7 dicembre 2007. Causa C-505/06) La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l�interpretazione degli artt. 216 e 220 del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700 (GU L 311, pag. 17; in prosieguo: il �codice doganale�). Tale domanda � stata proposta nell�ambito di un ricorso di annullamento presentato dall�Agrover Srl (in prosieguo: l��Agrover�) avverso l�avviso di recupero di dazi doganali emesso dall�Agenzia Dogane Circoscrizione Doganale di Genova. L�Agrover � una societ� con sede in Italia che dispone di un�autorizzazione di perfezionamento attivo per risone. Nel corso del dicembre 2000, detta societ� ha esportato in Ungheria, con tre operazioni, riso lavorato di origine comunitaria ed importato poi, nel febbraio 2001, quantit� equivalenti di riso semigreggio dalla Thailandia, in esenzione daziaria. Il 26 gennaio 2004, le autorit� italiane, basandosi sull�art. 216 del codice doganale, hanno rilevato che tali operazioni non potevano beneficiare del regime di perfezionamento attivo. Dette autorit� hanno infatti considerato che l�esenzione dai dazi avrebbe potuto essere concessa unicamente qualora le importazioni compensatrici avessero riguardato merci importate da un paese che avesse concluso un accordo preferenziale con la Comunit�; ma tale non � il caso del Regno di Thailandia. Le autorit� di cui trattasi hanno pertanto predisposto il recupero dei dazi relativi all�importazione di riso (EUR 73 767,88). L�Agrover ha impugnato questa decisione dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Genova. Con decisione 2 luglio 2004, quest�ultima ha respinto il ricorso dell�Agrover, che ha interposto appello avverso detta sentenza dinanzi al giudice del rinvio. L�accordo europeo che istituisce un�associazione tra le Comunit� europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Ungheria, dal- l�altra, firmato a Bruxelles il 16 dicembre 1991, � stato approvato a nome delle Comunit� europee con decisione del Consiglio e della Commissione 13 dicembre 1993, 93/742/Euratom, CECA, CE (GU L 347, pag. 1). Il protocollo n. 4 a tale accordo, relativo alla definizione della nozione di �prodotti originari� e ai metodi di cooperazione amministrativa, cos� come modificato dalla decisione del Consiglio di associazione tra le Comunit� europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Ungheria, dall�altra, 28 dicembre 1996, n. 3 (GU 1997, L 92, pag. 1; in prosieguo: il �protocollo n. 4�), all�art. 15, intitolato �Divieto di restituzione dei dazi doganali o di esenzione da tali dazi�, contiene le disposizioni seguenti: RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 �1. a) I materiali non originari utilizzati nella fabbricazione di prodotti originari della Comunit�, dell�Ungheria o di uno degli altri paesi di cui all�articolo 4, per i quali viene rilasciata o compilata una prova dell�origine conformemente alle disposizioni del titolo V non sono soggetti, nella Comunit� o in Ungheria, ad alcun tipo di restituzione dei dazi doganali o di esenzione da tali dazi. (�) 2. Il divieto di cui al paragrafo 1 si applica a tutti gli accordi relativi a rimborsi, sgravi o mancati pagamenti, parziali o totali, di dazi doganali o tasse di effetto equivalente applicabili nella Comunit� o in Ungheria ai materiali utilizzati nella fabbricazione e ai prodotti di cui al paragrafo 1, lettera b), qualora tali rimborsi, sgravi o mancati pagamenti si applichino, di diritto o di fatto, quando i prodotti ottenuti da detti materiali sono esportati, ma non quando sono destinati al consumo interno. 3. L�esportatore di prodotti coperto da una prova dell�origine deve essere pronto a presentare in qualsiasi momento, su richiesta dell�autorit� doganale, tutti i documenti atti a comprovare che non � stata ottenuta alcuna restituzione per quanto riguarda i materiali non originari utilizzati nella fabbricazione dei prodotti in questione e che tutti i dazi doganali o le tasse di effetto equivalente applicabili a tali materiali sono stati effettivamente pagati�. L�art. 114, n. 1, del codice doganale stabilisce in particolare che il regime di perfezionamento attivo consente di sottoporre a lavorazione sul territorio doganale della Comunit�, per far subire loro una o pi� operazioni di perfezionamento, merci non comunitarie destinate ad essere riesportate fuori del territorio doganale in parola sotto forma di prodotti compensatori, senza essere soggette ai dazi all�importazione n� a misure di politica commerciale. Detta forma del regime di perfezionamento attivo � definita �sistema della sospensione� [art. 114, n. 2, lett. a), del codice doganale]. Dall�art. 114, n. 2, lett. c) e d), del medesimo codice risulta che sono prodotti compensatori tutti i prodotti risultanti da operazioni di perfezionamento, quali la lavorazione o la trasformazione di merci. L�art. 115, n. 1, lett. a), del codice doganale consente altres� che i prodotti compensatori siano ottenuti da �merci equivalenti�, definite all�art. 114, n. 2, lett. e), del codice in questione come �le merci comunitarie utilizzate al posto delle merci d�importazione per la fabbricazione dei prodotti compensatori�, purch� tali merci siano equivalenti alle merci d�importazione sotto il profilo tecnico e commerciale. Si tratta del sistema denominato �della compensazione per equivalenza�. L�art. 115, n. 1, lett. b), del codice doganale stabilisce inoltre che i prodotti compensatori ottenuti da merci equivalenti possono essere esportati fuori della Comunit� prima che vengano importate le merci di origine terza (sistema denominato dell��esportazione anticipata� o �EX/IM�). Secondo l�art. 115, n. 3, del codice doganale, il ricorso alla compensazione per equivalenza comporta la modificazione della posizione doganale: �Le merci d�importazione si trovano nella posizione doganale delle merci equivalenti e queste ultime nella posizione doganale delle merci d�importazione �. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Secondo l�art. 216 del codice doganale: �1. Nella misura in cui gli accordi conclusi tra la Comunit� e taluni paesi terzi prevedono la concessione all�importazione in questi ultimi di un trattamento tariffario preferenziale per le merci originarie della Comunit� ai sensi di tali accordi, con la riserva che, quando esse siano state ottenute in regime di perfezionamento attivo, le merci non comunitarie incorporate in dette merci siano soggette al pagamento dei relativi dazi all�importazione, la convalida dei documenti necessari per ottenere, nei paesi terzi, tale trattamento tariffario preferenziale fa nascere un�obbligazione doganale all�importazione. 2. Il momento in cui nasce tale obbligazione doganale � il momento in cui l�autorit� doganale accetta la dichiarazione di esportazione delle merci in questione. 3. Il debitore � il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta � parimenti debitrice la persona per conto della quale � fatta la dichiarazione. 4. L�importo dei dazi all�importazione corrispondente all�obbligazione doganale � stabilito allo stesso modo come se si trattasse di un�obbligazione doganale risultante dall�accettazione, alla medesima data, della dichiarazione di immissione in libera pratica delle merci in questione per porre fine al regime di perfezionamento attivo�. L�art. 220, n. 2, del codice doganale cos� dispone: �Eccetto i casi di cui all�articolo 217, paragrafo 1, secondo e terzo comma, non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando: (�) b) l�importo dei dazi legalmente dovuto non � stato contabilizzato per un errore dell�autorit� doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana; (�)�. �(Omissis) 17 Va preliminarmente osservato che, secondo costante giurisprudenza della Corte, ai fini dell�interpretazione di una norma di diritto comunitario si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenze 17 novembre 1983, causa 292/82, Merck, Racc. pag. 3781, punto 12, nonch� 8 settembre 2005, cause riunite C-544/03 e C-545/03, Mobistar e Belgacom Mobile, Racc. pag. I-7723, punto 39), cos� come dell�insieme delle disposizioni del diritto comunitario (sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a., Racc. pag. 3415, punto 20). Inoltre, il primato degli accordi internazionali conclusi dalla Comunit� sui testi di diritto comunitario derivato impone di interpretare questi ultimi, per quanto possibile, in conformit� a tali accordi (sentenza 12 gennaio 2006, causa C-311/04, Algemene Scheeps Agentuur Dordrecht, Racc. pag. I-609, punto 25 e giurisprudenza ivi citata). 18 Per quanto riguarda la finalit� dell�art. 216 del codice doganale, risulta che tale disposizione � diretta a garantire l�osservanza degli obblighi internazionali della Comunit� derivanti da taluni accordi preferenziali [v., a tale riguardo, il settimo �considerando� del regolamento (CEE) del Consiglio 13 luglio 1987, n. 2144, relativo all�obbligazione doganale (GU L 201, pag. 15), relativo alle disposizioni dell�art. 9, n. 1, del detto regolamento, che RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 sono in seguito state riprodotte all�art. 216 del codice doganale]. In forza di clausole dette di �non ristorno�, infatti, gli accordi in parola possono stabilire che, ove si tratti di prodotti compensatori ottenuti nella Comunit� in regime di perfezionamento attivo, l�applicazione del trattamento tariffario preferenziale che da essi deriva � subordinata al pagamento dei dazi all�importazione relativi alle merci terze contenute o utilizzate nei prodotti compensatori. 19 Quindi, una clausola di non ristorno, quale quella prevista dall�art. 15 del protocollo n. 4, ha la conseguenza di privare il titolare di un�autorizzazione di perfezionamento attivo del beneficio della sospensione dei dazi all�importazione di una merce di origine terza utilizzata ai fini del perfezionamento, allorch� il prodotto compensatore � esportato nel paese partner. Conformemente alla finalit� di integrazione economica bilaterale che si propone un accordo preferenziale quale l�accordo europeo che istituisce un�associazione tra le Comunit� europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Ungheria, dall�altra, tali clausole di non ristorno favoriscono l�impiego di merci originarie del territorio doganale delle parti dell�accordo assoggettando al pagamento di dazi all�importazione le merci terze utilizzate nelle operazioni di perfezionamento attivo. In tal modo esse impediscono il cumulo di vantaggi doganali che potrebbe risultare dall�applicazione in concomitanza del regime di perfezionamento attivo e della tariffa preferenziale. 20 Tali elementi dimostrano che, fra lo scopo di promozione delle esportazioni delle imprese comunitarie cui mira il regime doganale di perfezionamento attivo (v., in questo senso, sentenze 29 giugno 1995, causa C-437/93, Temic Telefunken, Racc. pag. I-1687, punto 18, e 13 marzo 1997, causa C-103/96, Eridania Beghin-Say, Racc. pag. I-1453, punto 26) e quello d�integrazione economica inerente agli accordi preferenziali, il legislatore, adottando l�art. 216 del codice doganale, ha ritenuto di dare la priorit� a quest�ultimo. 21 Certo, ai sensi dell�art. 216 del codice doganale sono espressamente gravate di dazi doganali solamente le merci terze �incorporate� in prodotti compensatori originari. Tuttavia, tenuto conto della finalit� e dell�economia generale della disposizione in esame, occorre considerare che essa si presta altres� ad essere applicata in caso di esportazione anticipata dei prodotti compensatori. 24 Va rilevato che le modalit� di attuazione dell�art. 115, n. 3, del codice doganale in caso di ricorso all�esportazione anticipata sono precisate nell�art. 572 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d�applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 (GU L 253, pag. 1), cos� come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 21 dicembre 1993, n. 3665 (GU L 335, pag. 1), secondo cui il cambiamento di posizione doganale avviene �per i prodotti compensatori esportati, al momento dell�accettazione della dichiarazione di esportazione, semprech� le merci d�importazione siano vincolate al regime� di perfezionamento attivo, e, �per le merci d�importazione e le merci equivalenti, al momento dello svincolo delle merci d�importazione che hanno formato oggetto di una dichiarazione di vincolo al [detto] regime�. In caso di operazione di tipo EX/IM, l�art. 577 di tale regolamento prevede inoltre che il regime � appurato �quando la dichiarazione di cui sono oggetto le merci non comunitarie sia stata accettata dall�autorit� doganale�. 25 Conformemente a tali disposizioni, in caso di operazioni di tipo EX/IM, quindi, solo al momento in cui le merci di origine terza sono state importate le autorit� doganali sono in grado di verificare che siano soddisfatti tutti i requisiti per il regime di perfezionamento attivo e che l�art. 216 del codice doganale non osti alla sospensione dei dazi all�importazione. 30 Secondo l�art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale, le autorit� competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all�importazione solo qualora ricorrano CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE tre condizioni cumulative. Occorre, anzitutto, che i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorit� competenti stesse, inoltre, che l�errore commesso da queste ultime sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede e, infine, che quest�ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana (v., per analogia, sentenze 12 luglio 1989, causa 161/88, Binder, Racc. pag. 2415, punti 15 e 16; 14 maggio 1996, cause riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a., Racc. pag. I-2465, punto 83; ordinanze 9 dicembre 1999, causa C-299/98 P, CPL Imperial 2 e Unifrigo/Commissione, Racc. pag. I-8683, punto 22, e 11 ottobre 2001, causa C-30/00, William Hinton & Sons, Racc. pag. I-7511, punti 68, 69, 71 e 72). Allorch� detti requisiti sono soddisfatti, il debitore ha diritto a che non si proceda al recupero (sentenza 27 giugno 1991, causa C-348/89, Mecanarte, Racc. pag. I-3277, punto 12). 31 Per quanto riguarda il primo dei requisiti menzionati, occorre ricordare che l�art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale ha l�obiettivo di tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza dell�insieme degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi doganali. Il legittimo affidamento del debitore merita la tutela prevista in tale articolo solo se sono state le autorit� competenti �medesime� a porre in essere i presupposti sui quali riposa il legittimo affidamento del debitore. Cos�, solo gli errori imputabili ad un comportamento attivo delle autorit� competenti danno diritto al non recupero dei dazi doganali (v., per analogia, sentenza Mecanarte, cit., punti 19 e 23). 32 Quanto al secondo dei requisiti in parola, la rilevabilit� di un errore commesso dalle autorit� doganali competenti deve essere valutata tenendo conto della natura dell�errore, del- l�esperienza professionale degli operatori interessati e della diligenza di cui questi ultimi hanno dato prova. La natura dell�errore � correlata alla complessit� ovvero alla sufficiente semplicit� della normativa di cui trattasi e al lasso di tempo durante il quale le autorit� hanno perseverato nel loro errore (sentenza 3 marzo 2005, causa C-499/03 P, Biegi Nahrungsmittel e Commonfood/Commissione, Racc. pag. I-1751, punti 47 e 48 e giurisprudenza ivi citata). 33 Per quanto riguarda il terzo requisito, il dichiarante deve fornire alle competenti autorit� doganali tutte le informazioni necessarie previste dalle norme comunitarie e da quelle nazionali che, se del caso, le integrano o le recepiscono tenuto conto del trattamento doganale richiesto per la merce considerata (sentenza Faroe Seafood e a., cit., punto 108). 34 Conformemente alla ripartizione dei compiti stabilita dall�art. 234 CE, in forza della quale il ruolo della Corte si limita a fornire al giudice a quo gli elementi di interpretazione necessari alla soluzione della causa di cui � investito, spetta a quest�ultimo applicare queste norme e valutare, in funzione dell�insieme degli elementi concreti della controversia ad esso sottoposta, e in particolare delle prove fornite a tal fine dal ricorrente nella causa principale, se sia soddisfatto ognuno dei requisisti necessari per avere diritto a che non si proceda al recupero dei dazi all�importazione, ai sensi dell�art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale. 35 (�) quando, nell�appuramento di un�operazione di perfezionamento attivo (sistema della sospensione) con compensazione per equivalenza ed esportazione anticipata, le autorit� competenti non hanno sollevato obiezioni, in base all�art. 216 del codice doganale, all�esenzione dai dazi all�importazione di merce di origine terza, esse devono rinunciare alla contabilizzazione a posteriori di tali dazi all�importazione, ai sensi dell�art. 220, n. 2, lett. b), del detto codice, allorch� tre requisiti cumulativi sono presenti. In primo luogo, occorre che i dazi in questione non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorit� competenti medesime, inoltre, che l�errore di cui trattasi sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede e, infine, che quest�ultimo abbia RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana. Spetta al giudice del rinvio valutare se ci� si verifichi nella fattispecie della causa principale in funzione dell�insieme degli elementi concreti della controversia ad esso sottoposta, e in particolare delle prove fornite a tal fine dal ricorrente nella causa principale�. ** *** ** ETICHETTATURA � Mangimi composti (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 8 novembre 2007. Causa C-421/06) La domanda di pronuncia pregiudiziale verte essenzialmente sulle conseguenze che occorre trarre dalla sentenza 6 dicembre 2005, cause riunite C-453/03, C-11/04, C-12/04 e C-194/04, ABNA e a. (Racc. pag. I-10423), con la quale la Corte ha risposto, in particolare, a talune questioni poste dal giudice del rinvio in una fase precedente della causa principale. Tale domanda � stata proposta nel quadro dell�esame di un ricorso proposto dalla Fratelli Martini & C. SpA, nonch� dalla Cargill Srl, produttrici di mangimi composti, mirante all�annullamento della normativa adottata al fine di recepire nell�ordinamento nazionale talune disposizioni controverse della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, 2002/2/CE, che modifica la direttiva 79/373/CEE del Consiglio relativa alla circolazione dei mangimi composti per animali e che abroga la direttiva 91/357/CEE della Commissione (GU L 63, pag. 23). Con le sue questioni quarta e quinta, il Consiglio di Stato chiede se il regolamento n. 183/2005, letto in combinato disposto con gli artt. 8 e 16 del regolamento n. 178/2002, debba essere interpretato nel senso che esso vieta ai produttori di mangimi di apporre sui loro prodotti etichette che possano indurre i consumatori in errore e se si debba ritenere ingannevole per il consumatore l�etichetta di mangimi quando le percentuali degli ingredienti elencati sull�etichetta possono essere indicati intenzionalmente dai produttori con scarti del 15%, per ogni ingrediente presente nella composizione del prodotto. Le ricorrenti nella causa principale ritengono che l�obbligo di etichettatura previsto dalla direttiva 2002/2 sia contrario, nel contempo, agli artt. 8 e 16 del regolamento n. 178/2002 e al sistema di tolleranza generalmente applicato nell�ordinamento giuridico italiano, il quale richiede la buona fede del produttore. Pertanto, il rischio di violazione di norme penali non sarebbe escluso. Esse rilevano inoltre che, in seguito alla citata sentenza ABNA e a., con la quale � stato dichiarato invalido l�obbligo di comunicare la composizione esatta dei mangimi composti, l�obbligo relativo all�indicazione delle percentuali in peso delle materie prime presenti nella composizione dei detti mangimi sarebbe totalmente privo di motivazione e, di conseguenza, dovrebbe essere dichiarato parimenti invalido. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE �(Omissis) 29 Nella citata sentenza ABNA e a., la Corte ha dichiarato che l�esame delle questioni ad essa sottoposte non aveva evidenziato alcun elemento atto ad inficiare la validit� del- l�art. 1, punto 4, della direttiva 2002/2 in relazione al fondamento normativo in base al quale tale direttiva era stata adottata, al principio della parit� di trattamento e al divieto di discriminazione, nonch� al principio di proporzionalit�. 30 Per quanto concerne il principio di proporzionalit�, la Corte ha anzitutto ricordato (punto 69 della motivazione) l�ampio potere discrezionale che occorre riconoscere al legislatore comunitario in un settore come quello del caso di specie, che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale, e nel quale esso � chiamato ad effettuare valutazioni complesse. 31 Nel punto 76 della detta sentenza, la Corte ha giudicato che l�obbligo di indicare le percentuali degli ingredienti di un alimento costituisce una misura idonea a contribuire all�obiettivo di protezione della salute animale ed umana. 32 Interrogata sulla validit�, nel contempo, dell�art. 1, punto 1, lett. b), della direttiva 2002/2 e dell�art. 1, punto 4, della stessa direttiva, la Corte, nella medesima sentenza, ha dichiarato che solo la prima di tali disposizioni, che impone ai produttori di mangimi composti di fornire, dietro richiesta del cliente, la composizione esatta di un alimento, � invalida in relazione al principio di proporzionalit�, in quanto lede gravemente gli interessi economici dei produttori, senza poter essere giustificata dall�obiettivo di protezione della salute perseguito, ed eccede manifestamente la misura necessaria per conseguire quest�obiettivo. 33 Viceversa, quanto all�obbligo di cui all�art. 1, punto 4, della direttiva 2002/2, la Corte ha illustrato, nel punto 83 della citata sentenza ABNA e a., che, come risulta dalle spiegazioni fornite e dagli esempi presentati alla Corte, l�indicazione, sull�etichetta, delle percentuali all�interno di forchette di valori dovrebbe normalmente consentire l�identificazione di un alimento che si sospetta contaminato, al fine di valutare la sua pericolosit� in funzione del peso indicato e di disporre eventualmente il suo ritiro provvisorio in attesa dei risultati delle analisi di laboratorio o per consentire la rintracciabilit� del prodotto da parte delle autorit� pubbliche interessate. � proprio in ragione dell�esistenza di quest�obbligo che la Corte ha giudicato, nel detto punto 83, che l�obbligo previsto dall�art. 1, punto 1, lett. b), della direttiva 2002/2, eccedeva manifestamente la misura necessaria per conseguire l�obiettivo di protezione della salute perseguito. 34 Pertanto, da questa sentenza risulta che la Corte ha giudicato che il legislatore comunitario non aveva violato il principio di proporzionalit� imponendo, con l�art. 1, punto 4, della direttiva 2002/2, per motivi di sanit� pubblica, l�obbligo di indicare, sull�etichetta dei mangimi composti, le percentuali in peso delle materie prime presenti nella composizione del mangime con un margine di tolleranza del �15% del valore dichiarato per quanto riguarda le dette percentuali. 36 Poich� gli obblighi previsti dall�art. 1, punto 1, lett. b), della direttiva 2002/2, da un lato, e dall�art. 1, punto 4, della medesima direttiva, dall�altro, sono distinti e possono essere osservati indipendentemente l�uno dall�altro, nessun motivo di coerenza imponeva di dichiarare invalido il detto art. 1, punto 4, in conseguenza dell�invalidit� del citato art. 1, punto 1, lett. b). 37 Quanto all�asserita incoerenza tra l�art. 1, punto 4, della direttiva 2002/2 ed il regolamento n. 183/2005, letto in combinato disposto con gli artt. 8 e 16 del regolamento n. 178/2002, occorre rilevare preliminarmente che il regolamento n. 183/2005 non contiene nessuna disposizione relativa all�etichettatura dei mangimi. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 38 Gli artt. 8 e 16 del regolamento n. 178/2002 hanno come scopo la tutela del consumatore. Il detto art. 8 � una disposizione di carattere generale la quale mira a prevenire qualsiasi comportamento che possa indurre in errore il consumatore, mentre il detto art. 16, riguardante specificamente i prodotti offerti in vendita, prevede, in particolare, che l�etichetta e la presentazione dei mangimi non debbono indurre in errore il consumatore 40 Inoltre, l�art. 16 del detto regolamento pone il principio appena illustrato �fatte salve disposizioni pi� specifiche della legislazione alimentare�. Quest�articolo deve essere letto pertanto tenendo in considerazione l�art. 1, punto 4, della direttiva 2002/2, la cui validit� � stata confermata dalla Corte. Di conseguenza, il margine di tolleranza previsto dal detto art. 1, punto 4, deve essere considerato tale da non indurre in errore il consumatore ai sensi del citato art. 16. 41 Ad ogni modo, poich� � una direttiva comunitaria a prevedere l�esistenza del margine di tolleranza del � 15% del valore dichiarato sull�etichetta per quanto riguarda le percentuali in peso delle materie prime presenti nella composizione di un mangime composto, non risulta possibile ritenere che il produttore o il venditore di un mangime etichettato in tal modo intendano indurre in errore un acquirente potenziale quanto alla composizione del detto mangime. Infatti, questi operatori economici si limiterebbero a far uso del margine di tolleranza loro concesso dal legislatore comunitario. 43 Per quanto riguarda l�asserita contraddizione tra le disposizioni della direttiva 2002/2 e talune norme dell�ordinamento nazionale, che autorizzano scostamenti solo fortuiti relativamente alle indicazioni sull�etichetta, occorre ricordare che risulta da una giurisprudenza costante che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell�ambito di propria competenza, le norme di diritto comunitario ha l�obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all�occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punto 24, e 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 61). 44 Una direttiva non pu� certamente creare di per s� obblighi a carico di un soggetto e non pu� quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I-8835, punto 108, nonch� 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I-3565, punto 73). Nel caso di specie, tuttavia, dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che la direttiva 2002/2 impone obblighi meno vincolanti di quelli previsti dall�ordinamento nazionale. 45 Dall�insieme delle considerazioni sin qui svolte risulta che l�art. 1, punto 4, della direttiva 2002/2, il quale prevede l�obbligo di indicare, sull�etichetta dei mangimi composti, le percentuali in peso delle materie prime presenti nella composizione del mangime, con un margine di tolleranza pari al � 15% del valore dichiarato per quanto concerne le dette percentuali, deve essere interpretato nel senso che esso non � in contrasto con gli artt. 8 e 16 del regolamento n. 178/2002, i quali hanno lo scopo, in particolare, di prevenire il rischio che l�etichetta e la presentazione dei mangimi inducano in errore il consumatore. 46 Con la sua prima questione, il Consiglio di Stato chiede lumi alla Corte sugli obblighi delle istituzioni alla luce dell�art. 233 CE in conseguenza della citata sentenza ABNA e a.. 52 Secondo costante giurisprudenza, quando la Corte accerta, nell�ambito di un procedimento ai sensi dell�art. 234 CE, l�invalidit� di un atto emanato dalle autorit� comunitarie, la sua decisione produce la conseguenza giuridica di imporre alle istituzioni competenti della Comunit� europea l�obbligo di adottare i provvedimenti necessari per porre rimedio CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE all�illegittimit� accertata (v., in particolare, sentenze 19 ottobre 1977, cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel e Str�h, Racc. pag. 1753, punto 13, e 29 giugno 1988, causa 300/86, Van Landschoot, Racc. pag. 3443, punto 22). In tal caso, spetta alle dette istituzioni adottare i provvedimenti necessari all�esecuzione della sentenza pregiudiziale al pari di quanto sono tenute a fare, ai sensi dell�art. 233 CE, nel caso di una sentenza che annulli un atto o dichiari illegittima l�inerzia di un�istituzione comunitaria. Dalla menzionata giurisprudenza emerge infatti che, quando una sentenza pregiudiziale accerti l�illegittimit� di un atto comunitario, l�obbligo sancito dall�art. 233 CE si applica per analogia. 63 Alla luce di tutto quanto sin qui esposto, occorre rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che, dal momento che l�art. 1, punto 1, lett. b), della direttiva 2002/2 prevedeva un obbligo autonomo privo di nessi con gli obblighi previsti dalle altre disposizioni della medesima direttiva, la dichiarazione d�invalidit� della detta disposizione, pronunciata dalla Corte mediante la citata sentenza ABNA e a., non ha provocato nessuna lacuna del diritto n� un�incoerenza che impongano alle istituzioni comunitarie di adottare modifiche di sostanza della direttiva 2002/2�. In ogni caso, l�invalidit� di una disposizione comunitaria deriva direttamente dalla sentenza della Corte che la accerta e spetta tanto alle autorit� quanto ai giudici degli Stati membri trarne le conseguenze nel loro ordinamento giuridico nazionale. ** *** ** GIURISDIZIONE � Diritti della difesa (Sentenza della Corte (Ottava Sezione) 14 giugno 2007. Causa C-82/06) La Repubblica italiana rimprovera alla Commissione di aver contestato nella replica, cio� dopo la produzione dei piani di gestione richiesti, la validit� sostanziale di quesiti. I diritti della difesa non sarebbero stati pertanto pienamente rispettati, poich� tali documenti non sono stati contestati nel corso della fase precontenziosa del procedimento. Di conseguenza, tali documenti dovrebbero costituire oggetto di un nuovo e distinto procedimento d�infrazione. A questo proposito, va ricordato che una parte non pu�, nel corso del procedimento, modificare l�oggetto della controversia e che la fondatezza del ricorso deve essere valutata soltanto rispetto alle conclusioni contenute nel- l�atto introduttivo (v., in tal senso, sentenze 6 aprile 2000, causa C-256/98, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2487, punto 31, e 4 maggio 2006, causa C-508/03, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-3969, punto 61). Orbene, la Corte ha gi� affermato a tal proposito che se il procedimento precontenzioso ha raggiunto l�obiettivo di proteggere i diritti dello Stato membro di cui trattasi, quest�ultimo, se nel corso della fase precontenziosa del procedimento non ha indicato alla Commissione che la direttiva di cui trattasi doveva considerarsi gi� trasposta nel diritto interno in vigore, non pu� contestare alla Commissione di aver esteso o modificato l�oggetto del ricorso come delimitato dal detto procedimento precontenzioso. Secondo la RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Corte, la Commissione pu�, dopo aver contestato ad uno Stato membro l�assenza di qualsiasi trasposizione di una direttiva, precisare, nella replica, che la trasposizione che lo Stato membro interessato ha fatto valere per la prima volta nel controricorso � comunque inesatta o incompleta con riferimento a determinate disposizioni della stessa direttiva. Un tale addebito �, infatti, necessariamente compreso in quello attinente all�assenza di qualsiasi trasposizione (sentenza 30 novembre 2006, causa C-32/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-11323, punto 56). ** *** ** IMPOSTE E TASSE � Imposte dirette. � Fondi strutturali. � Calcolo del reddito imponibile (Sentenza della Corte (Quarta Sezione) 25 ottobre 2007. Causa C-427/05) La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione del- l�art. 21, n. 3, secondo comma, del regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1988, n. 4253, recante disposizioni di applicazione del regolamento (CEE) n. 2052/88 per quanto riguarda il coordinamento tra gli interventi dei vari Fondi strutturali, da un lato, e tra tali interventi e quelli della Banca europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti, dal- l�altro (GU L 374, pag. 1), come modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 20 luglio 1993, n. 2082 (GU L 193, pag. 20; in prosieguo: il �regolamento n. 4253/88�). Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia fra l�Agenzia delle entrate � Ufficio di Genova 1 (in prosieguo: l��Agenzia�) e la societ� Porto Antico di Genova SpA (in prosieguo: la �Porto Antico�), in seguito al rigetto della domanda presentata da quest�ultima al fine di ottenere il rimborso delle somme da essa versate, per l�anno 2000, a titolo di imposta sul reddito delle persone giuridiche e di imposta regionale sulle attivit� produttive. Dall�ordinanza di rinvio emerge che, per quanto concerne l�imposta sul reddito delle persone giuridiche e l�imposta regionale sulle attivit� produttive, la Porto Antico, conformemente all�art. 55, n. 3, lett. b), del DPR n. 917/86, ha incluso nella sua dichiarazione dei redditi, relativa all�anno 2000, i contributi corrisposti dai Fondi strutturali comunitari e dalla Regione Liguria nell�ambito del periodo di programmazione 1994-1999. Il 22 aprile 2002, ritenendo di essere incorsa in errore includendo i detti contributi nel calcolo del suo reddito imponibile relativo all�anno 2000, la Porto Antico ha proposto un reclamo dinanzi all�Agenzia, chiedendo il rimborso delle somme che la societ� stessa, a suo avviso, aveva indebitamente versato. In tale reclamo essa sosteneva che l�art. 55, n. 3, lett. b), del DPR CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE n. 917/86 era in contrasto con il disposto dell�art. 21, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 4253/88. �(Omissis) 9 Con la prima questione il giudice a quo chiede in sostanza se l�art. 21, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 4253/88 debba essere interpretato nel senso che osta ad una disciplina tributaria nazionale, quale l�art. 55, n. 3, lett. b), del DPR n. 917/86, che include i contributi versati dai Fondi strutturali comunitari nella determinazione del reddito imponibile. 10 In via preliminare occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, anche se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (sentenze 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 16, e 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 19). In particolare, la normativa nazionale non deve ostacolare il funzionamento del meccanismo istituito con il regolamento n. 4253/88 (v., in tal senso, sentenza 10 marzo 1981, cause riunite 36/80 e 71/80, Irish Creamery Milk Suppliers Association e a., Racc. pag. 735, punto 15). 11 A questo proposito, l�art. 21, n. 3, secondo comma, del detto regolamento dispone che �i pagamenti ai beneficiari finali devono essere effettuati senza alcuna detrazione o trattenuta che possa ridurre l�importo dell�aiuto finanziario al quale essi hanno diritto�. 12 Dalla formulazione letterale di tale disposizione emerge inequivocabilmente che essa non consente alcun prelievo sui contributi versati ai beneficiari dei Fondi strutturali. Occorre constatare che questa stessa formulazione non esclude che il reddito di cui fanno parte tali contributi in base al DPR n. 917/86 possa essere assoggettato ad imposizione. 15 Nel caso di specie, come � stato rilevato dall�avvocato generale al paragrafo 28 delle sue conclusioni, l�importo dei contributi comunitari ricevuto dalla Porto Antico costituisce un elemento dell�attivo di tale societ� che, cumulato eventualmente con altri redditi, viene considerato nel calcolo della base imponibile dell�imposta sul reddito, con il conseguente assoggettamento di tale importo al regime impositivo generale istituito dal detto DPR, allo stesso titolo di tutti gli altri redditi della Porto Antico. 16 Orbene, � giocoforza constatare che l�imposizione prevista dal DPR n. 917/86 � indipendente dall�esistenza dell�importo dei contributi comunitari versato alla Porto Antico. Detta imposizione non corrisponde ad un prelievo specificamente connesso al contributo finanziario di cui ha beneficiato tale societ�, ma si applica indistintamente a tutti i redditi di quest�ultima. 17 Di conseguenza, non si pu� sostenere che il prelievo fiscale di cui trattasi nella causa principale, quale previsto dal detto DPR, costituisca una detrazione o una trattenuta ai sensi dell�art. 21, n. 3, secondo comma, del regolamento n. 4253/88, che riduca le somme versate dai Fondi strutturali comunitari e che abbia un rapporto diretto e intrinseco con le stesse, quand�anche sia possibile, come fa valere la Porto Antico, determinare precisamente l�importo dell�imposta nazionale gravante su tali somme. 18 Pertanto, le detrazioni o le trattenute da cui consegue la riduzione dell�importo dei contributi comunitari riscosso dal beneficiario, che non hanno un nesso diretto e intrinseco con questi ultimi, come quelle risultanti da un prelievo fiscale quale previsto dal DPR n. 917/86, non impediscono l�applicazione effettiva del meccanismo istituito dal regolamento n. 4253/88, e, quindi, quest�ultimo non osta all�applicazione di siffatte detrazioni o trattenute. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 19 Peraltro, va aggiunto che, contrariamente a quanto sostiene la Porto Antico, le differenze esistenti fra i beneficiari dei Fondi strutturali, a causa dell�imposizione sull�importo degli aiuti comunitari secondo aliquote diverse negli Stati membri, non possono essere considerate tali da violare il principio della parit� di trattamento, il quale esige che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa, salvo che ci� non risulti obiettivamente giustificato (v., in particolare, sentenze 12 luglio 2001, causa C-189/01, Jippes e a., Racc. pag. I-5689, punto 129, e 12 settembre 2006, causa C-479/04, Laserdisken, Racc. pag. I-8089, punto 68). 20 Infatti, perch� ci� avvenga, sarebbe necessario che la situazione dei beneficiari dei contributi comunitari sia analoga. Orbene, ci� non pu� avvenire quando questi ultimi riscuotono tali aiuti in un contesto socioeconomico proprio di ciascuno Stato membro e quando, in mancanza di armonizzazione comunitaria in materia di determinazione del reddito imponibile, disparit� oggettive fra le normative degli Stati membri sussistono ancora in materia, causando cos� inevitabilmente siffatte differenze fra i detti beneficiari�. � Imposta sul valore aggiunto � Locazione di beni immobili (Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 25 ottobre 2007. Causa C-174/06) La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l�interpretazione del- l�art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari � Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la �sesta direttiva�). Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia fra il Ministero delle Finanze � Ufficio IVA di Milano (in prosieguo: l��Ufficio�) e la societ� a responsabilit� limitata CO.GE.P., esercente attivit� di preparazione e miscelazione di derivati del petrolio (in prosieguo: la �CO.GE.P.�), in ordine alla regolarit� fiscale di fatture relative all�imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l��IVA�), emesse nei suoi confronti dal Consorzio Autonomo del Porto di Genova (in prosieguo: il �consorzio�) per la concessione di zone del demanio marittimo destinate allo stoccaggio, alla lavorazione ed alla movimentazione di oli minerali. Avendo qualificato la concessione di zone del demanio marittimo come operazioni non soggette ad IVA, il consorzio emetteva fatture alla CO.GE.P. senza applicazione dell�IVA. L�amministrazione tributaria, invece, notificava alla detta societ� alcuni avvisi di rettifica delle dichiarazioni IVA relativamente agli anni dal 1991 al 1993. Con ricorso proposto il 30 maggio 1996 presso la Commissione tributaria di primo grado di Milano, la CO.GE.P. impugnava tali avvisi di rettifica, contestando l�assoggettamento all�IVA dei servizi resi dal consorzio, segnatamente in quanto sarebbero mancate le condizioni per l�applicazione dell�IVA. �(Omissis) 24 In via preliminare va osservato che dalla decisione di rinvio risulta che il consorzio � un ente pubblico a carattere economico il quale opera, rispetto alla gestione dei beni del CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE demanio che gli sono affidati, non in nome e per conto dello Stato, che rimane titolare della propriet�, ma in nome proprio, in quanto amministra tali beni, in particolare adottando decisioni autonome. 25 Per quanto concerne il consorzio, non sono quindi soddisfatti i requisiti cumulativi necessari affinch� possa operare la regola dell�esenzione di cui all�art. 4, n. 5, primo comma, della sesta direttiva, vale a dire l�esercizio di attivit� da parte di un ente pubblico e l�esercizio di attivit� in veste di pubblica autorit� (v., in questo senso, sentenza 14 dicembre 2000, causa C-446/98, Fazenda P�blica, Racc. pag. I-11435, punto 15). 26 Per quanto riguarda la questione se il rapporto giuridico in discussione nella causa principale rientri nella nozione di �locazione di beni immobili� ai sensi dell�art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva, in primo luogo occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, le esenzioni previste dall�art. 13 della direttiva in parola costituiscono nozioni autonome di diritto comunitario e devono pertanto ricevere una definizione comunitaria (v. sentenze 12 giugno 2003, causa C-275/01, Sinclair Collis, Racc. pag. I-5965, punto 22; 18 novembre 2004, causa C-284/03, Temco Europe, Racc. pag. I-11237, punto 16, e 3 marzo 2005, causa C-428/02, Fonden Marselisborg Lystb�dehavn, Racc. pag. I-1527, punto 27). 27 In secondo luogo, i termini con i quali sono state designate le esenzioni di cui all�art. 13 della sesta direttiva devono essere interpretati restrittivamente, dato che tali esenzioni costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l�IVA � riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (v., in particolare, sentenze 12 settembre 2000, causa C-358/97, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-6301, punto 52; 18 gennaio 2001, causa C-150/99, Stockholm Lind�park, Racc. pag. I-493, punto 25, e Sinclair Collis, cit., punto 23). 28 Detta regola d�interpretazione restrittiva non significa tuttavia che i termini utilizzati per specificare le esenzioni debbano essere interpretati in un modo che priverebbe tali esenzioni dei loro effetti (v. sentenza Temco Europe, cit., punto 17). 29 In terzo luogo, occorre constatare che l�art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva non definisce la nozione di �locazione� e nemmeno rinvia alle definizioni adottate a tal riguardo dalle normative degli Stati membri (v. sentenza 4 ottobre 2001, causa C-326/99, �Goed Wonen�, Racc. pag. I-6831, punto 44). 30 La disposizione di cui trattasi deve quindi essere interpretata alla luce del contesto nel quale si inserisce, nonch� della finalit� e della struttura della sesta direttiva, tenendo conto particolarmente della ratio legis dell�esenzione che essa prevede (v., in questo senso, sentenze citate �Goed Wonen�, punto 50, e Fonden Marselisborg Lystb�dehavn, punto 28). 31 Nella sua giurisprudenza, la Corte ha precisato che la locazione di beni immobili ai sensi dell�art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva, consiste, in sostanza, nel conferimento da parte del locatore al locatario, per una durata convenuta e dietro corrispettivo, del diritto di occupare un immobile come se quest�ultimo ne fosse il proprietario e di escludere qualsiasi altra persona dal godimento di un tale diritto (v., in questo senso, sentenze �Goed Wonen�, cit., punto 55; 9 ottobre 2001, causa C-409/98, Mirror Group, Racc. pag. I-7175, punto 31; 8 maggio 2003, causa C-269/00, Seeling, Racc. p. I-4101, punto 49, e Temco Europe, cit., punto 19). 32 Nella causa principale, � in discussione un rapporto giuridico nell�ambito del quale ad una societ� � concesso il diritto di occupare ed utilizzare, in modo anche esclusivo, zone del demanio marittimo, specificamente un deposito costiero destinato allo stoccaggio, alla RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 lavorazione ed alla movimentazione di oli minerali, per una durata limitata e a fronte di un corrispettivo il cui importo � notevolmente inferiore al valore del bene. 33 Considerato il suo contenuto, tale rapporto � assimilabile ad un atto contrattuale che rientra nell�ambito delle attivit� di natura industriale e commerciale del consorzio. 34 Occorre infatti rilevare che la caratteristica fondamentale del rapporto in parola, in comune con la locazione di un bene immobile, consiste nel mettere a disposizione una superficie, specificamente una parte del demanio marittimo, dietro corrispettivo, garantendo all�altra parte contrattuale il diritto di occuparlo e di utilizzarlo e di escludere le altre persone dal godimento di un tale diritto. 35 Di conseguenza, il rispetto del principio di neutralit� dell�IVA nonch� il criterio vincolante dell�applicazione coerente delle disposizioni della sesta direttiva, segnatamente quelle relative alle esenzioni, inducono ad assimilare un rapporto quale quello di cui trattasi nella causa principale alla locazione di beni immobili ai sensi dell�art. 13, parte B, lett. b), della direttiva in parola. 36 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla questione sottoposta dichiarando che l�art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva dev�essere interpretato nel senso che un rapporto giuridico quale quello in discussione nella causa principale, nell�ambito del quale ad un soggetto � concesso il diritto di occupare e di usare, in modo anche esclusivo, un bene pubblico, specificamente zone del demanio marittimo, per una durata limitata e dietro corrispettivo, rientra nella nozione di �locazione di beni immobili� ai sensi di detto articolo�. � Tassazione dei prodotti energetici e della elettricit� (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 5 luglio 2007. Cause C-145/06 e C146/ 06) La direttiva del Consiglio 2003/96, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell�elettricit�, deve essere interpretata nel senso che non osta ad una normativa nazionale che prevede la riscossione di un�imposta di consumo gravante sugli oli lubrificanti quando sono destinati, messi in vendita o impiegati per usi diversi da quello di carburante per motori o combustibile per riscaldamento. Anche se, infatti, gli oli lubrificanti utilizzati per fini diversi dall�uso come carburante per motori o come combustibile per riscaldamento rientrano nella definizione della nozione di �prodotti energetici� ai sensi dell�art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 2003/96, essi sono esplicitamente esclusi dall�ambito di applicazione di tale direttiva in forza del n. 4, lett. b), primo trattino, del detto articolo e, pertanto, non rientrano nel regime dell�accisa armonizzata. Occorre quindi considerare che i detti oli lubrificanti costituiscono prodotti diversi da quelli oggetto dell�art. 3, n. 1, primo trattino, della direttiva 92/12, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, di modo che, in conformit� al n. 3, primo comma, di tale articolo, gli Stati membri conservano la facolt� di introdurre o mantenere imposte che colpiscono tali prodotti, a condizione tuttavia che dette imposte non diano luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalit� connesse al passaggio di una frontiera. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE � Tributo ambientale (Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 21 giugno 2007. Causa C173/ 05) Con il suo ricorso la Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenuto in vigore il �tributo ambientale� sui gasdotti previsto dall�art. 6 della legge regionale siciliana 26 marzo 2002, n. 2, recante disposizioni programmatiche e finanziarie per l�anno 2002 (GURS n. 14 del 27 marzo 2002, parte I, pag. 1; in prosieguo: la �legge siciliana�), � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 23 CE, 25 CE, 26 CE e 133 CE nonch� degli artt. 4 e 9 dell�Accordo di cooperazione tra la Comunit� economica europea e la Repubblica democratica e popolare di Algeria, firmato ad Algeri il 26 aprile 1976 ed approvato a nome della Comunit� con regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2210 (GU L 263, pag. 1). �(Omissis) 42 (�) quanto all�argomento del governo italiano secondo cui il ricorso della Commissione sarebbe privo di fondamento in quanto il tributo controverso sarebbe stato istituito unicamente allo scopo di salvaguardare l�ambiente, tenuto conto, segnatamente, degli obblighi inerenti al principio di precauzione, � sufficiente ricordare che le tasse di effetto equivalente sono vietate a prescindere da qualsiasi considerazione circa lo scopo per il quale sono state istituite, come pure circa la destinazione dei proventi che ne derivano (v. sentenza 9 settembre 2004, causa C-72/03, Carbonati Apuani, Racc. pag. I-8027, punto 31). 43 Per quanto concerne gli artt. 26 CE e 4 dell�accordo di cooperazione, � utile ricordare che codeste disposizioni non forniscono, di per s�, alcun criterio giuridico sufficientemente preciso per consentire di valutare il tributo istituito in forza della legge siciliana�. ** *** ** INADEMPIMENTO DELLO STATO � Mancato recepimento � Termine di riferimento (Sentenza della Corte (Ottava Sezione) 8 novembre 2007. Causa C40/ 07) Risulta che, alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, data alla quale dev�essere valutata l�esistenza di un inadempimento (v., in particolare, sentenze 14 settembre 2004, causa C-168/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-8227, punto 24, e 27 ottobre 2005, causa C-23/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-9535, punto 9), le misure necessarie per garantire la trasposizione della direttiva nell�ordinamento giuridico interno non erano state adottate. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Peraltro, l�argomento addotto dalla Repubblica italiana, attinente alla complessit� della materia in esame ed alla necessit� di riformare il diritto interno, non pu� essere accolto. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, uno Stato membro non pu� invocare norme, prassi o situazioni del suo ordinamento giuridico interno per giustificare l�inosservanza degli obblighi e dei termini derivanti da una direttiva (v. sentenze 4 luglio 2000, causa C-387/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-5047, punto 70, e 25 aprile 2002, cause riunite C-418/00 e C-419/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I-3969, punto 59). Inoltre, non si pu� ritenere che la complessit� di una normativa comunitaria, alla cui elaborazione uno Stato membro ha partecipato, costituisca una difficolt� anormale ed imprevedibile tale da risultare insormontabile per l�amministrazione dello Stato medesimo, malgrado ogni diligenza che si possa impiegare (sentenza 5 febbraio 1987, causa 145/85, Denkavit Belgi� NV/Belgio, Racc. pag. 565, punto 13) e, pertanto, tale complessit� non pu� essere fatta valere da uno Stato membro per differire la trasposizione di una direttiva oltre i termini previsti. � Difficolt� insorte nel procedimento di recepimento (Sentenza della Corte (Settima Sezione ) 8 marzo 2007. Causa C-160/06) Nel controricorso, il governo italiano non contesta la mancata attuazione della direttiva 2003/51 (relativa all�ammodernamento delle norme comunitarie in materia di contabilit� contenute nella quarta direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE). Esso fa presente che il processo di attuazione si � rivelato di notevole complessit�, poich� la normativa necessaria a tale attuazione � destinata a produrre i suoi effetti nei confronti degli operatori di svariati settori economici. Esso sostiene tuttavia che un decreto legislativo, in corso di elaborazione, dovrebbe essere adottato a breve termine. Secondo una costante giurisprudenza, l�esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (v., in particolare, sentenze 4 luglio 2002, causa C-173/01, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-6129, punto 7, e 13 marzo 2003, causa C-333/01, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-2623, punto 8). Per quanto riguarda gli argomenti invocati dal governo italiano, relativi alla complessit� della materia di cui trattasi, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, le difficolt� di applicazione emerse in sede di attuazione di un atto comunitario non possono consentire ad uno Stato membro di dispensarsi unilateralmente dall�osservanza dei propri obblighi (v., in particolare, sentenza 9 marzo 2004, causa C-314/03, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-2257, punto 5). ** *** ** CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE LIBERT� FONDAMENTALI � Libera circolazione di capitali (Sentenza della Corte (Prima Sezione) 6 dicembre 2007. Cause C-463/04 e C-464/04) Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull�interpretazione del- l�art. 56 CE. Tali domande sono state presentate nell�ambito di controversie fra varie associazioni di tutela dei consumatori e di piccoli azionisti nonch� azionisti individuali, vale a dire, rispettivamente, la Federconsumatori, l�Adiconsum, l�ADOC ed il sig. Zucca (causa C-463/04), nonch� l�Associazione Azionariato Diffuso dell�AEM SpA, la sig.ra Sanchirico, i sigg. Cuccia, Fragapane, Puggioni e Sartorio (causa C-464/04), da una parte, e il Comune di Milano, dall�altra, riguardo all�articolo 2449 c.civ. in virt� del quale lo statuto di una societ� per azioni pu� conferire allo Stato o ad un ente pubblico che hanno partecipazioni in tale societ� il diritto di nominare direttamente uno o pi� membri del consiglio di amministrazione di quest�ultima. �(Omissis) 18 Le questioni del giudice del rinvio, che devono essere esaminate congiuntamente, sono in sostanza dirette a chiarire se l�art. 56 CE vada interpretato nel senso che osta ad una disposizione nazionale, quale l�art. 2449 del codice civile, in virt� della quale lo statuto di una societ� per azioni pu� conferire allo Stato o ad un ente pubblico che hanno partecipazioni nel capitale di tale societ� la facolt� di nominare direttamente uno o pi� membri del consiglio di amministrazione, la quale, di per s� o, come nelle cause principali, unitamente ad una disposizione, quale l�art. 4 della legge n. 474/1994, che conferisce allo Stato o all�ente pubblico in parola il diritto di partecipare all�elezione mediante voto di lista degli amministratori non direttamente nominati da esso stesso, � tale da consentire a detto Stato o a detto ente di disporre di un potere di controllo sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta societ�. 19 Secondo una costante giurisprudenza, l�art. 56, n. 1, CE vieta in maniera generale le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri (v., segnatamente, sentenze 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9141, punto 18 e giurisprudenza ivi citata, nonch� 23 ottobre 2007, causa C-112/05, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 17). 20 In assenza di definizione, nell�ambito del Trattato CE, della nozione di �movimenti di capitali� ai sensi dell�art. 56, n. 1, CE, la Corte ha in precedenza riconosciuto un valore indicativo alla nomenclatura allegata alla direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l�attuazione dell�art. 67 del Trattato [articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam] (GU L 178, pag. 5). Costituiscono quindi movimenti di capitali ai sensi del- l�art. 56, n. 1, CE, in particolare, gli investimenti diretti, vale a dire, come emerge da tale nomenclatura e dalle relative note esplicative, gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati dalle persone fisiche o giuridiche aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra il finanziatore e l�impresa cui tali fondi sono destinati per l�esercizio di un�attivi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 t� economica. Con riferimento a partecipazioni in imprese nuove o esistenti, come confermano tali note esplicative, l�obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli presuppone che le azioni detenute dall�azionista conferiscano a quest�ultimo, a norma delle disposizioni di legge nazionali sulle societ� per azioni o altrimenti, la possibilit� di partecipare effettivamente alla gestione di tale societ� o al suo controllo (v. sentenza Commissione/Germania, cit., punto 18 e giurisprudenza ivi citata). 21 Con riferimento a tale forma di investimenti, la Corte ha precisato che devono essere qualificate come �restrizioni� ai sensi dell�art. 56, n. 1, CE misure nazionali idonee a impedire o a limitare l�acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall�investire nel capitale di queste ultime (v. sentenza Commissione/Germania, cit., punto 19 e giurisprudenza ivi citata). 22 � giocoforza constatare che una disposizione nazionale quale l�art. 2449 del codice civile costituisce una tale restrizione. 23 Detto articolo, infatti, consente agli azionisti pubblici di beneficiare della possibilit� di partecipare all�attivit� del consiglio di amministrazione di una societ� per azioni con maggiore rilievo rispetto a quanto sarebbe loro normalmente concesso dalla loro qualit� di azionisti (v., per analogia, sentenza Commissione/Germania, cit., punto 62). 26 Per quanto riguarda il caso dell�AEM, non � pertinente la circostanza che il diritto di nominare direttamente amministratori in applicazione della detta disposizione sia stato riservato al Comune di Milano solamente in proporzione alla sua partecipazione nel capitale di tale societ� e nel limite di un quarto dei membri del consiglio d�amministrazione di quest�ultima. 27 Infatti, come correttamente rilevato dal giudice a quo, il diritto di nomina diretta di cui trattasi si aggiunge al diritto del Comune di Milano, in forza dell�art. 4 della legge n. 474/1994, di partecipare normalmente all�elezione mediante voto di lista degli amministratori non direttamente nominati da quest�ultimo, di modo che esso pu� disporre della maggioranza assoluta in detto consiglio, e ci� anche nel caso, come considerato nelle ordinanze di rinvio, in cui esso detenga solo una maggioranza relativa del capitale, vale a dire una partecipazione pari al 33,4% in quest�ultimo. 29 Fornendo agli azionisti pubblici uno strumento che permette loro di limitare la possibilit� degli altri azionisti di partecipare alla societ� con l�obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con quest�ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo, una normativa nazionale quale quella di cui trattasi nelle cause principali � idonea a dissuadere gli investitori diretti di altri Stati membri dall�investire nel capitale della societ� (v., in questo senso, sentenza Commissione/Germania, cit., punto 66). 30 L�esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali non pu� essere rimessa in discussione dagli argomenti del Comune di Milano e del governo italiano secondo i quali, da un lato, l�art. 2449 del codice civile rientra nell�ambito del quadro normativo societario di diritto comune e, dall�altro, il diritto del Comune in parola di nominare direttamente amministratori gli sarebbe stato attribuito volontariamente dall�assemblea dei soci dell�AEM e in forza della normale applicazione di tale diritto societario comune. 31 In primo luogo, infatti, si deve constatare che l�art. 2449 del codice civile consente allo statuto di una societ� per azioni di conferire la facolt� di nominare direttamente uno o pi� amministratori solamente allo Stato o ad enti pubblici che hanno partecipazioni in una tale societ�. Tenuto conto che, come rilevato al punto 17 della presente sentenza, il giudice a quo si basa sul presupposto secondo cui la regola stabilita dall�art. 2449 del codice civile CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE deroga al diritto societario comune, non occorre esaminare il caso in cui quest�ultimo offrirebbe una possibilit� di nomina identica a qualunque azionista, segnatamente agli azionisti privati. 32 La sola circostanza che il legislatore nazionale inserisca una misura diretta specificamente a conferire poteri speciali allo Stato o ad un ente pubblico che hanno partecipazioni in una societ� per azioni nelle disposizioni del codice civile che disciplinano tali societ� non pu� sottrarre detta misura all�ambito di applicazione dell�art. 56 CE. 33 In secondo luogo, anche se il diritto di nomina non � attribuito direttamente allo Stato o all�ente pubblico dall�art. 2449 del codice civile, ma, in applicazione di tale articolo, � necessaria una decisione dell�assemblea generale degli azionisti della societ� interessata, conformemente al meccanismo previsto dalla legge per la formazione della volont� dei soci, ci� non di meno siffatta circostanza non priva la disciplina di cui � causa del suo carattere restrittivo. 34 Infatti, indipendentemente dalla questione se l�azionista pubblico disponga di per s� della maggioranza necessaria per fare inserire nello statuto della societ� interessata il suo diritto di nomina diretta di amministratori di quest�ultima, o se, come sembra verificarsi nelle cause principali, pu� conseguire tale modifica solo con il concorso di altri azionisti, occorre constatare che � solo in forza della disciplina di cui trattasi nelle cause principali, la quale deroga al diritto societario comune, che l�azionista pubblico, a differenza di un�azionista privato, pu� ottenere che gli sia concesso il diritto di partecipare all�attivit� del consiglio d�amministrazione con maggiore rilievo rispetto a quanto gli sarebbe normalmente concesso dalla sua qualit� di azionista. 35 Anche se un tale diritto di nomina, una volta inserito nello statuto, non � immutabile, dato che, in via di principio, pu� essere oggetto di modifica in occasione di un�ulteriore revisione dello statuto medesimo, esso tuttavia gode di una protezione relativamente intensa. L�azionista pubblico, infatti, pu� trarre profitto dalla garanzia di continuit� di cui beneficia lo statuto di una societ� per azioni, in quanto per la modifica di quest�ultimo � di norma necessaria una maggioranza qualificata degli azionisti. Cos�, anche quando l�azionista pubblico non dispone pi� successivamente, da solo o con il concorso di altri azionisti, della maggioranza necessaria per ottenere l�attribuzione di un diritto di nomina diretta degli amministratori, segnatamente perch�, nel frattempo, ha ridotto la sua partecipazione al capitale della societ� interessata, esso pu� tuttavia continuare a godere di un tale diritto. 36 Un investitore potr� avere la certezza di riuscire ad abrogare il diritto di nomina diretta degli amministratori di una societ� per azioni solamente qualora l�investimento effettuato sia di una rilevanza tale da assicurargli la maggioranza necessaria per modificare lo statuto di detta societ�, il che pu� richiedere un investimento ben al di l� di quello che, in assenza dell�inserimento del diritto di nomina di cui trattasi nello statuto, gli consentirebbe di partecipare alla societ� interessata con l�obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con quest�ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo. 39 Tuttavia, la libera circolazione dei capitali pu� essere limitata da provvedimenti nazionali che si giustifichino per le ragioni di cui all�art. 58 CE o per motivi imperativi di interesse generale, purch� non esistano misure comunitarie di armonizzazione che indichino i provvedimenti necessari a garantire la tutela di tali interessi (v. sentenza Commissione/Germania, cit., punto 72 e giurisprudenza citata). 40 In mancanza di tale armonizzazione comunitaria, spetta in linea di principio agli Stati membri decidere il livello al quale intendono garantire la tutela di tali legittimi interes RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 si, nonch� il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Essi non possono tuttavia farlo se non nei limiti indicati dal Trattato e, in particolare, nel rispetto del principio di proporzionalit�, che richiede che le misure adottate siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (sentenza Commissione/Germania, cit., punto 73 e giurisprudenza ivi citata)�. � Libert� di prestazione dei servizi � Libert� di stabilimento (Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 13 dicembre 2007. Causa C465/ 05 ) Con il suo ricorso la Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi degli art. 43 CE e 49 CE avendo disposto che: � l�attivit� di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana; � l�attivit� di vigilanza privata possa essere esercitata solamente dopo il rilascio di un�autorizzazione del Prefetto; � la suddetta autorizzazione abbia una validit� territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell�importanza delle imprese di vigilanza gi� operanti nel medesimo territorio; � le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attivit�; � il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attivit� di vigilanza; � le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate; � le imprese di vigilanza privata debbano versare una cauzione presso la locale Cassa depositi e prestiti; � i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell�ambito di un determinato margine d�oscillazione. �(Omissis) 16 In via preliminare, occorre ricordare che, se � pur vero che, in un settore non assoggettato ad un�armonizzazione completa a livello comunitario, come accade nel caso dei servizi di vigilanza privata, come del resto ammesso sia dalla Repubblica italiana sia dalla Commissione in udienza, gli Stati membri restano, in linea di principio, competenti a definire le condizioni di esercizio delle attivit� nel detto settore, ci� non toglie che essi devono esercitare i loro poteri nel settore medesimo nel rispetto delle libert� fondamentali garantite dal Trattato CE (v., in particolare, sentenze 26 gennaio 2006, causa C-514/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-963, punto 23, e 14 dicembre 2006). 17 A tale riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte, gli artt. 43 CE e 49 CE impongono l�abolizione delle restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Devono essere considerate come tali tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l�esercizio di tali libert� (v. sentenze 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I-2941, punto 31, e 26 ottobre 2006, causa C-65/05, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-10341, punto 48). 18 La Corte ha anche dichiarato che i provvedimenti nazionali restrittivi dell�esercizio delle libert� fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni per poter risultare giustificati: applicarsi in modo non discriminatorio, rispondere a motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (v. sentenze 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-5123, punto 57 e giurisprudenza ivi citata, nonch� Commissione/Grecia, cit., punto 49). Sulla prima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell�obbligo di prestare giuramento 20 La Commissione fa valere che l�obbligo per le guardie particolari di prestare giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana, di cui all�art. 250 del regolamento di esecuzione, indirettamente basato sulla cittadinanza, costituirebbe, per gli operatori di altri Stati membri attivi nell�ambito della vigilanza privata, un ostacolo ingiustificato tanto all�esercizio del diritto di stabilimento quanto alla libera prestazione dei servizi. 21 Peraltro, secondo la Commissione, l�obbligo in parola non pu� essere considerato giustificato e proporzionato rispetto allo scopo perseguito, ossia, assicurare una migliore tutela dell�ordine pubblico. 22 La Repubblica italiana afferma che le attivit� di cui � causa, considerate dal Testo Unico, implicherebbero l�esercizio di pubblici poteri ai sensi degli artt. 45 CE e 55 CE e, di conseguenza, non rientrerebbero nel campo di applicazione delle disposizioni dei capi 2 e 3, titolo III, parte terza, del Trattato. 23 La Repubblica italiana sostiene, quindi, che le imprese attive nel settore della vigilanza privata partecipano, in numerosi casi, in modo diretto e specifico all�esercizio di pubblici poteri. 36 Secondo l�art. 134 del Testo Unico, i soggetti operanti nell�ambito della vigilanza privata si occupano, in linea di principio, di attivit� di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari, di investigazioni o ricerche per conto di privati. 37 Anche se le imprese di vigilanza privata possono, come confermato dalla Repubblica italiana all�udienza, in determinate circostanze e in via eccezionale, prestare assistenza agli agenti di pubblica sicurezza, ad esempio nel settore dei trasporti di valori o partecipando alla sorveglianza di taluni luoghi pubblici, detto Stato membro non ha dimostrato che in tali circostanze si tratti di esercizio di pubblici poteri. 38 La Corte, del resto, ha gi� dichiarato che il mero contributo al mantenimento della pubblica sicurezza, che chiunque pu� essere chiamato a offrire, non costituisce un tale esercizio (v. sentenza 29 ottobre 1998, Commissione/Spagna, cit., punto 37). 39 Peraltro, l�art. 134 del Testo Unico pone un limite severo all�esercizio delle attivit� di sorveglianza, e cio� che queste ultime non possono mai comportare l�esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libert� individuale. Le imprese di vigilanza privata non hanno dunque alcun potere coercitivo. 41 Inoltre, per quanto riguarda l�argomento relativo al valore probatorio dei verbali redatti dalle guardie particolari giurate, si deve rilevare che, come riconosciuto, del resto, dalla Repubblica italiana stessa, tali verbali non fanno pienamente fede, diversamente da quelli redatti nell�esercizio di pubbliche funzioni, segnatamente dagli agenti della polizia giudiziaria. 42 Infine, relativamente all�argomento attinente alla possibilit�, per le guardie particolari giurate, di procedere ad arresti in flagranza di reato, esso era stato gi� avanzato dalla RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Repubblica italiana nella causa all�origine della citata sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia. In tale occasione, la Corte, al punto 21 della sentenza pronunciata in detta causa, ha dichiarato che nella fattispecie in esame le guardie non avevano un potere maggiore di qualsiasi altro individuo. Questa conclusione va confermata nell�ambito del presente ricorso. 43 Da quanto precede risulta che in Italia, allo stato della normativa vigente, le imprese di vigilanza privata non partecipano in maniera diretta e specifica all�esercizio di pubblici poteri, in quanto le attivit� di vigilanza privata che esse svolgono non possono essere equiparate ai compiti attribuiti alla competenza dei servizi di pubblica sicurezza. 44 Pertanto, le deroghe di cui agli artt 45 CE e 55 CE non sono applicabili nel caso di specie. 45 Per quanto concerne, poi, specificamente i requisiti di cui all�art. 250 del regolamento di esecuzione, dalla normativa italiana risulta che, per fornire servizi di vigilanza privata, le imprese possono impiegare unicamente guardie che abbiano prestato giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, dinanzi al Prefetto, in italiano. 46 A tale proposito, bench� tale norma si applichi in modo identico sia agli operatori stabiliti in Italia sia a quelli provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attivit� nel territorio italiano, essa ci� non di meno costituisce per qualsiasi operatore non stabilito in Italia un ostacolo all�esercizio della sua attivit� in questo Stato membro che pregiudica il suo accesso al mercato. 47 Infatti, rispetto agli operatori provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attivit� in Italia, quelli insediati in una provincia italiana possono disporre con maggiore facilit� di personale che accetti di prestare il giuramento richiesto dalla normativa italiana. � quindi palese che siffatta promessa solenne di fedelt� alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, data la sua portata simbolica, sar� pronunciata pi� agevolmente da cittadini di tale Stato membro o da soggetti gi� stabiliti in detto Stato. Di conseguenza, gli operatori stranieri sono posti in una situazione svantaggiosa rispetto agli operatori italiani insediati in Italia. 50 Orbene, non si pu� ritenere che le imprese di vigilanza privata stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potrebbero realizzare, esercitando il loro diritto alla libert� di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi e assumendo personale che non ha prestato giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, una minaccia effettiva e grave ad un interesse fondamentale della collettivit�. Sulla seconda censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�obbligo di detenere una licenza con validit� territoriale 58 Secondo una giurisprudenza costante, una normativa nazionale che subordina l�esercizio di talune prestazioni di servizi sul territorio nazionale, da parte di un�impresa avente sede in un altro Stato membro, al rilascio di un�autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dell�art. 49 CE (v., in particolare, sentenze 9 agosto 1994, causa C-43/93, Vander Elst, Racc. pag. I-3803, punto 15; Commissione/Belgio, cit., punto 35; 7 ottobre 2004, causa C-189/03, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9289, punto 17, e 18 luglio 2007, causa C-134/05, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23). 59 Inoltre, la limitazione dell�ambito di applicazione territoriale dell�autorizzazione che obbliga il prestatore, ai sensi dell�art. 136 del Testo Unico, a chiedere un�autorizzazione in ognuna delle province ove intende esercitare la sua attivit�, tenendo presente la suddivisione dell�Italia in 103 province, rende ancora pi� complicato l�esercizio della libera pre CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE stazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza 21 marzo 2002, causa C-298/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3129, punto 64). 60 Pertanto, una normativa quale quella in discussione nella presente causa � contraria, in via di principio, all�art. 49 CE e, di conseguenza, vietata da tale articolo, salvo essa sia giustificata da motivi imperativi d�interesse generale e a condizione, peraltro, di essere proporzionata rispetto allo scopo perseguito (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 24). 61 Occorre in primo luogo rilevare che il requisito di un�autorizzazione amministrativa o di una licenza preventive per l�esercizio di un�attivit� di vigilanza privata appare in s� idoneo a rispondere all�esigenza di tutela dell�ordine pubblico, tenuto conto della natura specifica dell�attivit� di cui trattasi. 62 Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, una restrizione pu� essere giustificata solo qualora l�interesse generale dedotto non sia gi� tutelato dalle norme cui il prestatore � assoggettato nello Stato membro in cui � stabilito (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 43). 63 Non si pu� dunque considerare necessaria per raggiungere lo scopo perseguito una misura adottata da uno Stato membro la quale, in sostanza, si sovrappone ai controlli gi� effettuati nello Stato membro in cui il prestatore � stabilito. 64 Nel caso di specie, la normativa italiana, non prevedendo che, ai fini del rilascio di una licenza, si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore di servizi transfrontaliero � gi� assoggettato nello Stato membro nel quale � stabilito, eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito dal legislatore nazionale, che � quello di garantire uno stretto controllo sulle attivit� di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 38; 29 aprile 2004, causa C-171/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-5645, punto 60; Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 18, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit. supra, punto 25). 65 Quanto all�argomento della Repubblica italiana secondo cui vigerebbe una prassi amministrativa applicando la quale, al momento della decisione circa le richieste di autorizzazione, l�autorit� competente terrebbe conto degli obblighi posti dallo Stato membro di origine, si deve rilevare che non � stata fornita prova di tale prassi. In ogni caso, per giurisprudenza costante, semplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dall�amministrazione e prive di adeguata pubblicit�, non possono essere considerate valido adempimento degli obblighi del Trattato (v., in particolare, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19). Sulla terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialit� della licenza e della rilevanza, ai fini del rilascio di tale licenza, del numero e del- l�importanza delle imprese gi� operanti nel medesimo territorio 68 Come osservato al punto 59 della presente sentenza, dall�art. 136 del Testo Unico risulta che il fatto di disporre di una licenza consente di esercitare l�attivit� di vigilanza privata solo nel territorio per il quale essa � stata rilasciata. 69 Spetta peraltro al Prefetto valutare l�opportunit� di rilasciare le licenze in considerazione del numero e dell�importanza delle imprese gi� attive nel territorio interessato. 75 Per quanto riguarda i motivi di ordine pubblico fatti valere dalla Repubblica italiana per giustificare siffatta restrizione, e alla luce della giurisprudenza costante della Corte quale ricordata al punto 49 della presente sentenza, anche ammettendo che il rischio di infiltrazioni di dette organizzazioni possa essere ritenuto esistente, la Repubblica italiana non asserisce n� dimostra che il sistema delle licenze territoriali sarebbe l�unico idoneo ad eliminare tale rischio ed a garantire il mantenimento dell�ordine pubblico. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 76 La Repubblica italiana non ha dimostrato che, al fine di non pregiudicare l�attuazione di un efficace controllo dell�attivit� di vigilanza privata, sia necessario rilasciare un�autorizzazione per ogni ambito territoriale provinciale in cui un�impresa di un altro Stato membro intende svolgere l�attivit� di cui trattasi a titolo della libert� di stabilimento o della libera prestazione dei servizi; va tenuto presente al riguardo che l�attivit� in parola, di per s�, non � tale da creare turbative per l�ordine pubblico. 77 A questo proposito, misure meno restrittive di quelle adottate dalla Repubblica italiana, ad esempio l�introduzione di controlli amministrativi regolari, potrebbero, in aggiunta al requisito di un�autorizzazione preventiva non limitata territorialmente, assicurare un risultato analogo e garantire il controllo dell�attivit� di vigilanza privata, in quanto l�autorizzazione in questione potrebbe essere del resto sospesa o revocata in caso di inadempienza degli obblighi incombenti alle imprese di vigilanza privata o di turbative all�ordine pubblico. 78 Infine, non pu� essere accolto nemmeno l�argomento secondo cui sarebbe necessario non consentire ad un numero eccessivo di imprese straniere di stabilirsi per esercitare attivit� di vigilanza privata o di offrire i loro servizi sul mercato italiano della vigilanza privata affinch� dette imprese non si sostituiscano all�autorit� di pubblica sicurezza, segnatamente in mancanza di identit� fra l�attivit� di cui � causa e quella rientrante nell�esercizio di pubblici poteri, come esposto al punto 40 della presente sentenza Sulla quarta censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�obbligo di avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l�attivit� di vigilanza privata 84 Occorre, innanzi tutto, ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la condizione in base alla quale un�impresa di sorveglianza deve avere la sua sede di attivit� nello Stato membro in cui � fornito il servizio � direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri (v., in particolare, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 27, nonch� 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 85 � pacifico che la prassi di cui trattasi nella fattispecie costituisce un ostacolo, in via di principio vietato, alla libera prestazione dei servizi garantita dall�art. 49 CE, come del resto ammesso dalla la Repubblica italiana. 87 Il controllo dell�attivit� di vigilanza privata, infatti, non � assolutamente condizionato dall�esistenza di una sede operativa in ogni provincia di detto Stato nell�ambito della quale le imprese intendono esercitare la loro attivit� a titolo della libera prestazione dei servizi. Un regime di autorizzazioni e gli obblighi che ne discendono, purch�, come osservato al punto 62 della presente sentenza, le condizioni da rispettare per ottenere tale autorizzazione non si sovrappongano alle condizioni equivalenti gi� soddisfatte dal prestatore di servizi transfrontaliero nello Stato membro di stabilimento, sono sotto quest�aspetto sufficienti per conseguire lo scopo di controllo dell�attivit� di vigilanza privata (v., in tal senso, sentenza 11 marzo 2004, causa C-496/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2351, punto 71). Sulla quinta censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�esigenza di autorizzazione del personale delle imprese di vigilanza privata 90 In applicazione dell�art. 138 del Testo Unico, l�esercizio dell�attivit� di guardia particolare giurata � soggetto ad un certo numero di requisiti. Peraltro, la nomina delle guardie giurate dev�essere approvata dal Prefetto. 93 La Corte ha gi� dichiarato che il requisito secondo il quale gli appartenenti al personale di un�impresa di vigilanza privata devono ottenere una nuova autorizzazione specifica nello Stato membro ospitante costituisce una restrizione non giustificata alla libera pre CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE stazione dei servizi di tali imprese ai sensi dell�art. 49 CE, in quanto non tiene conto dei controlli e delle verifiche gi� effettuati nello Stato membro di origine (citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 66; Commissione/Paesi Bassi, punto 30, e 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, punto 55). Sulla sesta censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della fissazione di requisiti relativi al numero dei dipendenti 100 � pacifico che, in applicazione dell�art. 257 del regolamento di esecuzione, qualsiasi variazione o modifica nel funzionamento dell�impresa, segnatamente una modifica del numero delle guardie impiegate, deve essere comunicata al Prefetto e da questo autorizzata. L�autorizzazione prefettizia necessaria per l�esercizio dell�attivit� di vigilanza privata viene quindi concessa tenuto conto, in particolare, dell�organico del personale dipendente. 101 Una tale condizione pu� indirettamente indurre a vietare un aumento o una diminuzione del numero di persone assunte dalle imprese di vigilanza privata. 102 Detta circostanza � tale da incidere sull�accesso degli operatori stranieri al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata. Tenuto conto, infatti, delle limitazioni cos� imposte al potere di organizzazione e direzione dell�operatore economico e delle relative conseguenze in termini di costi, le imprese straniere di vigilanza privata possono essere dissuase dal costituire stabilimenti secondari o filiali in Italia o dall�offrire i loro servizi sul mercato italiano. Sulla settima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell�obbligo di versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti 106 Ai sensi dell�art. 137 del Testo Unico, le imprese di vigilanza privata sono tenute a versare una cauzione, nella misura da stabilirsi dal Prefetto, presso la sezione della Tesoreria provinciale dello Stato, a favore della Cassa depositi e prestiti, in ciascuna provincia in cui sono autorizzate ad esercitare la loro attivit�. Detta cauzione � diretta a garantire il pagamento di eventuali sanzioni amministrative in caso di inosservanza delle condizioni che disciplinano il rilascio della licenza. 109 La Corte ha gi� dichiarato, in materia di vigilanza privata, che l�obbligo di provvedere ad un deposito cauzionale presso una cassa depositi e prestiti pu� ostacolare o scoraggiare l�esercizio della libert� di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE, nella misura in cui essa rende la fornitura di prestazioni di servizi o la costituzione di una filiale o di uno stabilimento secondario pi� onerosa per le imprese di vigilanza privata stabilite in altri Stati membri rispetto a quelle stabilite nello Stato membro di destinazione (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 41). Sull�ottava censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�imposizione di un controllo amministrativo dei prezzi 116 In base all�art. 257 del regolamento di esecuzione, il Prefetto � incaricato di approvare le tariffe applicate dalle imprese a ogni prestazione di sicurezza privata. Qualsiasi modifica di tali tariffe deve essere autorizzata alle stesse condizioni. 117 Peraltro, dalla circolare del Ministero dell�Interno dell�8 novembre 1999, n. 559/C. 4770.10089. D, risulta che i Prefetti fissano una tariffa legale per ciascun tipo di servizio, nonch� un�oscillazione percentuale della citata tariffa all�interno della quale ogni impresa � libera di scegliere la propria tariffa per ciascun servizio. 118 I Prefetti devono verificare che le tariffe proposte rientrino nell�ambito della citata fascia di oscillazione prima di approvarle. Nel caso in cui quest�ultima non sia osservata, i titolari delle imprese devono giustificare la fissazione di tariffe non conformi, spettando ai RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Prefetti accertare se le imprese possano operare su tale base. Se detta ultima condizione non pu� essere dimostrata in maniera inequivocabile, le tariffe non vengono approvate e, di conseguenza, la licenza non pu� essere rilasciata. 122 Secondo una costante giurisprudenza, l�art. 49 CE osta all�applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l�effetto di rendere la prestazione di servizi tra gli Stati membri pi� difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. citata sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, punto 70). 123 Per quanto riguarda le tariffe minime obbligatorie, la Corte ha gi� dichiarato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall�art. 49 CE (sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I-11421, punto 70, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 71). 124 Nella controversia in esame, la circolare n. 559/C. 4770.10089. D, menzionata al punto 117 della presente sentenza, riconosce ai Prefetti un potere decisionale relativo alla fissazione di una tariffa di riferimento e all�approvazione delle tariffe proposte dagli operatori, con conseguente diniego dell�autorizzazione qualora le dette tariffe non siano state approvate. 125 La restrizione cos� apportata alla libera fissazione delle tariffe � idonea a restringere l�accesso al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata di operatori, stabiliti in altri Stati membri, che intendano offrire i loro servizi nello Stato in questione. Tale limitazione, infatti, ha, da un lato, l�effetto di privare gli operatori in parola della possibilit� di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza pi� efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente in Italia e ai quali, pertanto, risulta pi� facile che agli operatori economici stabiliti all�estero fidelizzare la clientela (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 72 e giurisprudenza ivi citata). Dall�altro, questa stessa limitazione � idonea ad impedire ad operatori stabiliti in altri Stati membri di inserire nelle tariffe delle loro prestazioni taluni costi che non devono sopportare gli operatori stabiliti in Italia. 126 Infine, il margine d�oscillazione concesso agli operatori non � tale da compensare gli effetti della limitazione cos� apportata alla libera fissazione delle tariffe�. (Sentenza della Corte (Grande Sezione ) 6 marzo 2007. Cause riunite C338/ 04, C-359/04, C-360/04 ) (conforme Ordinanza della Corte (Sesta Sezione) 6 marzo 2007. Cause C-395/05, C-397/05, C-466/05) Una normativa nazionale che vieta l�esercizio di attivit� di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libert� di stabilimento nonch� alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE. L�obiettivo mirante a lottare contro la criminalit� assoggettando ad un controllo coloro che operano attivamente in tale settore e canalizzando le attivit� dei giochi di azzardo nei circuiti cos� controllati pu� giustificare tali CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ostacoli dato che un sistema di concessioni pu� costituire, al riguardo, un meccanismo efficace. Tuttavia, spetta ai giudici nazionali verificare se, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d�azzardo, la detta normativa nazionale risponda realmente a tale obiettivo. Analogamente, spetta ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni siano atte a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, non vadano oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo e siano applicate in modo non discriminatorio. Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che esclude dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di societ� di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati. Infatti, indipendentemente dalla questione se l�esclusione delle societ� di capitali quotate nei mercati regolamentati si applichi, in effetti, allo stesso modo agli operatori stabiliti nello Stato membro interessato ed a quelli provenienti da altri Stati membri, tale esclusione totale va oltre quanto � necessario per raggiungere l�obiettivo mirante ad evitare che soggetti che operano attivamente nel settore dei giochi d�azzardo siano implicati in attivit� criminali o fraudolente. Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che impone una sanzione penale a determinati soggetti per aver esercitato un�attivit� organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell�autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorch� questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro. Anche se, in via di principio, la legislazione penale � riservata alla competenza degli Stati membri, tuttavia il diritto comunitario pone limiti a tale competenza, non potendo, infatti, una tale legislazione limitare le libert� fondamentali garantite dal diritto comunitario. Inoltre uno Stato membro non pu� applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una formalit� amministrativa allorch� l�adempimento di tale formalit� viene rifiutato o � reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto comunitario. � Recupero crediti in via stragiudiziale (Sentenza della Corte (Prima Sezione) 18 luglio 2007. Causa C-134/05) Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunit� europee ha chiesto alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo sottoposto l�esercizio dell�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale ad una serie di condizioni, � venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 49 CE. A sostegno del suo ricorso, la Commissione fa valere otto censure relative alle condizioni e agli obblighi previsti dalla normativa in vigore in Italia per l�esercizio dell�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale in RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 tale Stato membro. Tali censure si riferiscono, rispettivamente, a quanto segue: � incompatibilit� con l�art. 49 CE della condizione relativa al rilascio di un�autorizzazione da parte del questore; � incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione territoriale dell�autorizzazione; � incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE dell�obbligo di disporre di locali nel territorio oggetto dell�autorizzazione; � incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE dell�obbligo di conferimento di un mandato ad un rappresentante autorizzato per l�esercizio dell�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale in una provincia per la quale l�operatore non dispone di autorizzazione; � incompatibilit� con l�art. 49 CE dell�obbligo di affissione, nei locali, delle prestazioni che possono essere effettuate per i clienti; � incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE della facolt�, spettante al questore, d�imporre prescrizioni aggiuntive dirette a garantire il rispetto della sicurezza pubblica nell�interesse generale; � incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione della libert� di fissare le tariffe; e � incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE del divieto di esercitare allo stesso tempo le attivit� oggetto della legge sulle attivit� bancarie e creditizie. �(Omissis) Sulla prima censura, relativa all�incompatibilit� con l�art. 49 CE della condizione relativa al rilascio di una licenza da parte del questore 23 Occorre innanzi tutto constatare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, una normativa nazionale che subordina l�esercizio di prestazioni di servizi sul territorio nazionale da parte di un�impresa avente sede in un altro Stato membro al rilascio di un�autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dell�art. 49 CE (v., in particolare, sentenze 7 ottobre 2004, causa C-189/03, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9289, punto 17, e 21 settembre 2006, causa C-168/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9041, punto 40). 25 Giova ricordare che la Corte ha statuito che, escludendo che si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore di servizi transfrontaliero � gi� assoggettato nello Stato membro nel quale � stabilito, una normativa nazionale eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che � quello di garantire uno stretto controllo sulle attivit� di cui trattasi (sentenze 29 aprile 2004, causa C-171/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-5645, punto 60, e Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 18). 26 Va osservato che, in udienza, la Repubblica italiana ha illustrato con precisione la prassi seguita nei casi di rilascio dell�autorizzazione ai sensi dell�art. 115 del testo unico. Tale prassi si limita in realt� a chiedere all�interessato di presentare, tramite un modulo disponibile su Internet, una semplice dichiarazione di �buona condotta� ai sensi dell�art. 11 del testo 29 Orbene, la richiesta di una dichiarazione di �buona condotta� ai sensi dell�art. 11 del testo unico � di gran lunga meno impegnativa di quella di fornire determinati documenti all�autorit� competente. Dal momento che � onere del prestatore dei servizi dichiarare di non trovarsi in una delle posizioni descritte nell�articolo in parola, senza che si distingua fra la posizione di soggetti stabiliti in Italia e quella di soggetti stabiliti in altri Stati membri, non si pu� sostenere che la procedura di cui trattasi non tenga conto dell�adempimento, da parte di tali prestatori, di obblighi previsti dalla normativa del loro Stato d�origine. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 30 Di conseguenza, non si pu� ritenere che la prassi italiana ecceda quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che � quello di garantire uno stretto controllo sulle attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale. Tale prassi, pertanto, � conforme al principio di proporzionalit�. 31 Da quanto precede risulta che la condizione relativa al previo rilascio di un�autorizzazione, imposta per l�esercizio dell�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale, quale prevista dalla normativa italiana e realizzata nella prassi, � giustificata in virt� di motivi connessi all�interesse generale. Sulla sesta censura, relativa all�incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE della facolt� spettante al questore d�imporre prescrizioni aggiuntive dirette a garantire il rispetto della sicurezza pubblica nell�interesse generale 35 � indubbio, come affermato dalla Repubblica italiana, che l�autorit� nazionale di pubblica sicurezza deve poter godere di un certo potere discrezionale per valutare le situazioni caso per caso e che pu� essere obbligata ad imporre prescrizioni ai titolari di autorizzazioni di polizia senza che dette prescrizioni possano essere stabilite anticipatamente. 36 Come risulta dal dettato stesso dell�art. 9 del testo unico, esso prevede che chiunque abbia ottenuto un�autorizzazione di polizia deve osservare le prescrizioni che l�autorit� di pubblica sicurezza ritenga di imporgli nel pubblico interesse. 37 Bench� tale disposizione non precisi le condizioni alle quali un individuo pu� essere soggetto nell�esercizio di un�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale in Italia, la Commissione non ha dimostrato l�esistenza di una situazione d�incertezza del diritto tale da pregiudicare l�accesso al mercato italiano dei servizi di recupero crediti in via stragiudiziale. 38 La Commissione, infatti, non ha presentato alcun esempio di esercizio della detta discrezionalit� sulla cui base si possa sostenere che sarebbero ostacolati lo stabilimento in Italia di imprese che vi intendano svolgere attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale e lo svolgimento di siffatte attivit� in Italia da parte di un�impresa stabilita in un altro Stato membro. 39 Orbene, l�esistenza di un ostacolo alle libert� di circolazione e di stabilimento non pu� essere dedotta dalla sola circostanza che un�autorit� nazionale dispone del potere d�integrare il quadro normativo che, in un dato momento, disciplina un�attivit� economica assoggettando ulteriormente detta attivit� a condizioni aggiuntive. Sulla terza censura (in parte) e sulla quinta censura, relative all�incompatibilit� con l�art. 49 CE degli obblighi di disporre di locali nel territorio oggetto dell�autorizzazione e di affiggervi le prestazioni che possono essere effettuate per i clienti 43 Occorre innanzi tutto ricordare che, secondo giurisprudenza costante, la condizione in base alla quale il prestatore di servizi deve avere la sua sede di attivit� nello Stato membro ove il servizio � fornito � direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri (sentenza 14 dicembre 2006, causa C-257/05, Commissione/Austria, non pubblicata nella Raccolta, punto 21 e giurisprudenza ivi citata). Del resto, la Repubblica italiana non nega che l�obbligo di disporre di un locale nel territorio oggetto dell�autorizzazione costituisca un ostacolo, in via di principio vietato, alla libera prestazione dei servizi garantita dall�art. 49 CE. 45 Secondo giurisprudenza costante della Corte, infatti, misure restrittive della libera prestazione dei servizi possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale solamente ove dette misure risultino necessarie ai fini della tutela degli interessi perseguiti e in quanto tali obiettivi non possano essere conseguiti con provvedimenti meno restrittivi (v., in questo senso, sentenza 14 dicembre 2006, Commissione/Austria, cit., punto 23 e giurisprudenza ivi citata). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 46 Orbene, il controllo sulle attivit� delle agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale e sui loro documenti relativi alle operazioni effettuate in Italia non � per nulla condizionato dall�esistenza di un locale di cui dette agenzie dovrebbero disporre in tale Stato membro. Allo stesso modo, le prestazioni effettuate dalle agenzie in questione possono essere portate a conoscenza dei clienti con modalit� meno gravose dell�affissione in locali realizzati, fra l�altro, a tal fine, quali la pubblicazione in un giornale locale o una pubblicit� adeguata. 47 Occorre quindi constatare che, avendo previsto l�obbligo per i soggetti che intendono esercitare attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale di disporre di locali nel territorio oggetto dell�autorizzazione e di affiggere nei locali in parola le prestazioni che possono essere effettuate per i clienti, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall�art. 49 CE. Sulla seconda e sulla quarta censura, relative all�incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione territoriale dell�autorizzazione ad esercitare l�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale e dell�obbligo di conferire un mandato ad un rappresentante autorizzato per l�esercizio di tale attivit� in una provincia per la quale l�operatore non dispone di autorizzazione, nonch� sulla terza censura, nella parte relativa all�incompatibilit� con l�art. 43 CE dell�obbligo di disporre di un locale in ogni provincia 56 Ai sensi della normativa in esame, un�agenzia pu� esercitare attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale solamente nella provincia per la quale sia stata ad essa rilasciata un�autorizzazione, salvo conferire un mandato ad un rappresentante autorizzato per l�esercizio di tali attivit� in un�altra provincia. Inoltre, un�agenzia pu� ottenere un�autorizzazione per l�esercizio di dette attivit� in altre province solamente qualora disponga di un locale in ognuna di esse. 57 Bench� tali norme si applichino in maniera identica agli operatori stabiliti in una provincia italiana ed interessati ad estendere le loro attivit� in altre province e agli operatori provenienti da altri Stati membri che intendono esercitare le loro attivit� in pi� province italiane, esse costituiscono nondimeno, per gli operatori non stabiliti in Italia, un serio ostacolo all�esercizio delle loro attivit� in tale Stato membro, pregiudicandone l�accesso al mercato. 58 Poich�, infatti, le disposizioni di cui trattasi impongono ad un operatore proveniente da un altro Stato membro e che intenda esercitare le sue attivit� in pi� province italiane, di non limitarsi ad un solo stabilimento nel territorio italiano, ma di disporre di locali in ognuna di tali province, salvo conferire un mandato ad un rappresentante autorizzato, dette disposizioni lo collocano in una situazione svantaggiosa rispetto agli operatori italiani attivi in Italia che hanno gi� un locale in almeno una delle province in questione e per i quali, di regola, risulta pi� facile che per gli operatori stranieri stabilire contatti con operatori autorizzati ad esercitare in altre province al fine di conferire loro, eventualmente, un mandato con rappresentanza (v., in questo senso, sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punti 12 e 13). 59 Per quanto riguarda, inoltre, i motivi avanzati dalla Repubblica italiana per giustificare siffatto ostacolo alle libert� garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE, � giocoforza innanzi tutto constatare che n� la limitazione territoriale dell�autorizzazione, n� l�obbligo di disporre di un locale nella provincia per la quale l�autorizzazione � stata concessa possono essere immediatamente qualificati inidonei a conseguire lo scopo loro attribuito di realizzare un controllo efficace sulle attivit� in oggetto. 60 Tuttavia, come rilevato dalla Commissione, le disposizioni in parola eccedono quanto necessario per raggiungere tale scopo, poich� esso pu� essere conseguito attraverso misure meno restrittive. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 (�) il sistema italiano prevede la concessione di un�autorizzazione territoriale in base ad una dichiarazione di �buona condotta� ai sensi dell�art. 11 del testo unico. Se tale dichiarazione � stata verificata dall�autorit� competente della provincia in cui � stata presentata e detta autorit� ha rilasciato un�autorizzazione all�interessato, non � necessario sottoporre la medesima dichiarazione ad altre autorit� provinciali. 62 Un�autorizzazione rilasciata dal questore di una provincia, infatti, dovrebbe essere sufficiente per poter svolgere attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale sulla totalit� del territorio italiano, salvo che la dichiarazione su cui � basata l�autorizzazione divenga inesatta, circostanza che il titolare della stessa � tenuto a dichiarare. 63 Con riferimento alla posizione della Repubblica italiana, la quale fa valere che il riconoscimento, da parte delle autorit� competenti di una provincia, di un�autorizzazione rilasciata in un�altra provincia contrasterebbe con la circostanza che la concessione di siffatta autorizzazione dipende, per di pi�, dalla valutazione delle condizioni economiche locali ad opera del questore di ogni provincia, � sufficiente ricordare che, conformemente a una giurisprudenza costante qualsiasi regime di autorizzazione preventiva dev�essere fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo agli interessati (sentenze 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-4581, punto 69 e giurisprudenza ivi citata, e 16 maggio 2006, C-372/04, Watts, Racc. pag. I-4325, punto 116). Poich� la valutazione in parola � priva di criteri oggettivi e noti in anticipo alle imprese interessate, tale argomentazione non pu� giustificare il mancato riconoscimento, da parte del questore di una provincia, dell�autorizzazione rilasciata dal questore di un�altra provincia. 64 Occorre pertanto constatare che, avendo obbligato un�agenzia di recupero crediti in via stragiudiziale, che disponga di un�autorizzazione per l�esercizio di detta attivit� rilasciata dal questore di una provincia, a chiederne una nuova in ognuna delle altre province ove essa intenda svolgere le sue attivit�, salvo conferire mandato ad un rappresentante autorizzato in tale altra provincia, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 49 CE. 65 Per quanto riguarda l�obbligo per le agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale di disporre di un locale in ognuna delle province ove esse intendano svolgere le loro attivit�, � sufficiente ricordare che, come rilevato al punto 46 della presente sentenza, il controllo sulle attivit� delle agenzie di cui trattasi e sui loro documenti relativi alle attivit� effettuate non � per nulla condizionato dall�esistenza di un locale di cui dette agenzie debbano disporre in tale provincia. Sulla settima censura, relativa all�incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione della libert� di fissare le tariffe Argomenti delle parti 70 Per quanto riguarda l�art. 49 CE, secondo una costante giurisprudenza, esso osta all�applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l�effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri pi� difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. sentenza 8 settembre 2005, cause riunite C-544/03 e C-545/03, Mobistar e Belgacom Mobile, Racc. pag. I-7723, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). 71 Cos�, per quanto riguarda le tariffe minime obbligatorie, la Corte ha gi� dichiarato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall�art. 49 CE (sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I-11421, punto 70). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 72 Un divieto di tale natura, infatti, priva gli operatori economici stabiliti in un altro Stato membro della possibilit� di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza pi� efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente nello Stato membro interessato e ai quali, pertanto, risulta pi� facile che agli operatori economici stabiliti all�estero fidelizzare la clientela (v., in questo senso, sentenza Cipolla e a., cit., punto 59, e, per analogia, sentenza CaixaBank France, cit., punto 13). 73 Allo stesso modo, un divieto siffatto limita la scelta dei destinatari dei servizi in questione nello Stato membro interessato, poich� questi ultimi non possono ricorrere ai servizi di operatori economici stranieri che potrebbero offrire, in tale Stato membro, le loro prestazioni ad un prezzo inferiore rispetto a quello risultante dalle tariffe in parola (v., in questo senso, sentenza Cipolla e a., cit., punto 60). 74 Occorre tuttavia rilevare che, nella citata sentenza Cipolla e a., il divieto, qualificato come ostacolo all�art. 49 CE, discendeva da una disciplina in vigore che vietava in maniera categorica ed assoluta di derogare convenzionalmente ad una tariffa imposta, mentre nella causa in esame si tratta di una mera indicazione contenuta in una circolare, diretta ai questori e qualificata dalla Repubblica italiana come �raccomandazione�, che si limita a chiedere di stabilire taluni �parametri obiettivi ed omogenei�. 75 Va inoltre constatato, come osservato dalla Commissione stessa nel suo ricorso, che le autorit� italiane non hanno fornito precisazioni quanto alle misure adottate sulla base di tale indicazione della circolare, che risale al 1996. L�esistenza stessa di tariffari destinati alle agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale non appare quindi certa. 77 Quanto precede vale anche rispetto alla censura di cui trattasi, in quanto relativa all�incompatibilit� con l�art. 43 CE della limitazione della libert� di fissare le tariffe. Sull�ottava censura, relativa all�incompatibilit� con gli artt. 43 CE e 49 CE del divieto di esercitare allo stesso tempo le attivit� oggetto della legge sulle attivit� bancarie e creditizie 83 Occorre constatare, da un lato, che la circolare concerne le competenze delle agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale relativamente alle operazioni finanziarie disciplinate dalla legge sulle attivit� bancarie e creditizie, e non il divieto per gli operatori bancari di esercitare attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale in Italia. 84 Dall�altro, si deve rilevare, come affermato dalla Repubblica italiana, che dal testo della circolare, cos� come riportato al punto 11 della presente sentenza, risulta che questo si limita a confermare che l�autorizzazione riguardante l�esercizio dell�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale non comporta automaticamente l�autorizzazione a svolgere le attivit� disciplinate dalla legge sulle attivit� bancarie e creditizie. 85 Poich� non risulta che la circolare sia fonte di incertezze del diritto per quanto riguarda l�esercizio dell�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale rispetto a quello delle attivit� oggetto della legge sulle attivit� bancarie e creditizie, non vi � ostacolo alla libert� garantita dall�art. 49 CE con riferimento agli operatori stranieri per quanto concerne l�esercizio dell�attivit� di recupero crediti in via stragiudiziale in Italia�. ** *** ** REGOLAMENTAZIONE TECNICA � Obbligo di comunicare i progetti di regolamentazioni tecniche (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 8 novembre 2007. Causa C-20/05) CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 3 CE, 23 CE-27 CE, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d�informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della societ� dell�informazione (GU L 204, pag. 37), come modificata con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998 (GU L 217, pag. 18), della direttiva del Consiglio 19 novembre 1992, 92/100/CEE, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di propriet� intellettuale (GU L 346, pag. 61), nonch� della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull�armonizzazione di taluni aspetti del diritto d�autore e dei diritti connessi nella societ� dell�informazione (GU L 167, pag. 10). La domanda � stata presentata nell�ambito di un procedimento penale promosso in Italia a carico del sig. Schwibbert per detenzione di compact disc (in prosieguo: i �CD�) che non recavano il contrassegno dell�ente nazionale incaricato della riscossione dei diritti d�autore. Gli artt. 8 e 9 della direttiva 98/34 impongono agli Stati membri, da un lato, di comunicare alla Commissione delle Comunit� europee i progetti di regole tecniche che rientrano nell�ambito di applicazione della direttiva in parola, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale o europea, nel qual caso � sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa, e, dall�altro, di rinviare di vari mesi l�adozione di tali progetti al fine di consentire alla Commissione di verificare se sono compatibili con il diritto comunitario, segnatamente con la libera circolazione delle merci, o di proporre, nel settore di cui trattasi, una direttiva, un regolamento o una decisione. La direttiva 92/100 ha per oggetto l�armonizzazione della protezione giuridica delle opere protette dal diritto d�autore e delle realizzazioni protette dai diritti connessi. Essa � diretta a garantire agli autori e artisti interpreti o esecutori un reddito adeguato. A tal fine, la direttiva 92/100 stabilisce che gli Stati membri prevedono il diritto di autorizzare o proibire il noleggio ed il prestito di originali, di copie di opere protette dal diritto d�autore e di altre realizzazioni indicate all�art. 2, n. 1, della direttiva in parola. Nell�ambito del capo II della direttiva 92/100, relativo ai diritti connessi al diritto di autore, l�art. 9 stabilisce che gli Stati membri prevedono un diritto esclusivo di messa a disposizione del pubblico, per la vendita o altro, delle realizzazioni elencate al detto articolo. Ai sensi della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di diritto d�autore (GURI 16 luglio 1941, n. 166), l�obbligo di apposizione del contrassegno su qualunque supporto contenente opere protette � uno strumento di autenticazione e di garanzia che permette di distinguere il prodotto legittimo da quello pirata. La Societ� Italiana Autori ed Editori, ente pubblico ad hoc, svolge funzioni di protezione, intermediazione e certificazione. Il contrassegno cos� previsto dalla legge reca le iniziali �SIAE�. La legge 27 marzo 1987, n. 121 (GURI 28 marzo 1987, n. 73), ha este RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 so l�obbligo di apposizione del contrassegno �SIAE� ad altri supporti contenenti opere dell�ingegno. Nell�ambito del recepimento della direttiva 92/100, il legislatore italiano ha inserito nella legge del 1941 una disposizione, l�art. 171 ter, n. 1, lett. c), che commina sanzioni penali specifiche per chi vende o noleggia videocassette, musicassette od altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, non contrassegnati dalla societ� italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.) ai sensi della presente legge e del regolamento di esecuzione. �(Omissis) 31 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se gli artt. 1, 8, 10 e 11 della direttiva 98/34 ostino a disposizioni nazionali come quelle della causa principale, laddove esse prevedano, in occasione della riproduzione di opere dell�ingegno, l�apposizione sul supporto in cui queste ultime sono contenute della sigla della Societ� Italiana degli Autori ed Editori. 33 In primo luogo, si deve verificare se l�obbligo di apporre detta sigla possa essere qualificato come �regola tecnica� ai sensi dell�art. 1 della direttiva 98/34. In caso di soluzione affermativa, andr� accertato se il progetto di regola tecnica sia stato notificato alla Commissione dalle autorit� italiane, dato che in mancanza di tale notifica esso sarebbe inopponibile al sig. Schwibbert (v., in particolare, sentenze 30 aprile 1996, causa C-194/94, CIA Security International, Racc. pag. I-2201, punti 48 e 54; 16 giugno 1998, causa C-226/97, Lemmens, Racc. pag. I-3711, punto 33, nonch� 6 giugno 2002, causa C-159/00, Sapod Audic, Racc. pag. I-5031, punto 49). 34 Dall�art. 1, punto 11, della direttiva 98/34 discende che la nozione di �regola tecnica � � scomponibile in tre categorie, vale a dire, in primo luogo, la �specificazione tecnica� ai sensi dell�art. 1, punto 3, della detta direttiva, in secondo luogo, �altri requisiti � come definiti all�art. 1, punto 4, della direttiva in parola e, in terzo luogo, il divieto di fabbricazione, importazione, commercializzazione o utilizzo di un prodotto di cui all�art. 1, punto 11, della medesima direttiva (v., in particolare, sentenza 21 aprile 2005, causa C-267/03, Lindberg, Racc. pag. I-3247, punto 54). 35 Come gi� affermato dalla Corte, la nozione di �specificazione tecnica� presuppone che la misura nazionale si riferisca necessariamente al prodotto o al suo imballaggio in quanto tali, e che definisca quindi una delle caratteristiche richieste di un prodotto (v., in tal senso, sentenze 8 marzo 2001, causa C-278/99, Van der Burg, Racc. pag. I-2015, punto 20; 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Sat�lite Digital, Racc. pag. I-607, punto 45, nonch� Sapod Audic, punto 30, e Lindberg, punto 57, gi� citate). 36 Nel caso di specie, � giocoforza constatare che l�apposizione del contrassegno �SIAE�, diretta ad informare i consumatori e le autorit� nazionali che le copie sono legali, si effettua sul supporto stesso che contiene l�opera dell�ingegno, quindi sul prodotto stesso. Non � pertanto esatto sostenere, come asserito dalla Societ� Italiana degli Autori ed Editori e dal governo italiano, che tale contrassegno riguarderebbe solamente l�opera dell�ingegno. 37 Orbene, tale contrassegno costituisce una �specificazione tecnica� ai sensi del- l�art. 1, punto 3, della direttiva 98/34, poich� rientra nelle prescrizioni applicabili ai prodotti considerati per quanto riguarda la marcatura e l�etichettatura. Pertanto, dal momento che l�osservanza di detta specificazione � obbligatoria de iure per la commercializzazione dei CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE prodotti di cui trattasi, la specificazione in parola costituisce una �regola tecnica� ai sensi dell�art. 1, punto 11, primo comma, della direttiva in questione (v., in questo senso, sentenza 20 marzo 1997, causa C-13/96, Bic Benelux, Racc. pag. I-1753, punto 23). 38 Conformemente all�art. 8 della direttiva 98/34, �gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica�. Se tale obbligo non � stato rispettato, la regola tecnica non pu� essere opposta ai singoli, come ricordato al punto 33 della presente sentenza. Va dunque verificato se, nel caso di specie, lo Stato membro abbia rispettato gli obblighi che discendono dall�art. 8 della direttiva 98/34. In caso negativo, la regola tecnica in discussione sarebbe inopponibile al sig. Schwibbert. 40 Nel caso in esame, dal fascicolo presentato alla Corte sembra evincersi che, per quanto riguarda i supporti oggetto della causa principale, vale a dire i CD contenenti opere d�arte figurativa, l�obbligo di apposizione del contrassegno �SIAE� � stato reso ad essi applicabile nel 1994 in forza del decreto legislativo n. 685. In tale contesto, l�obbligo di cui trattasi avrebbe dovuto essere comunicato alla Commissione dalla Repubblica italiana, dal momento che esso � stato stabilito successivamente all�istituzione, ad opera della direttiva 83/189, della procedura d�informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche. Tuttavia, come ricordato al punto 23 della presente sentenza, spetta al giudice del rinvio accertare se l�obbligo di cui trattasi sia stato effettivamente introdotto nel diritto italiano in tale momento. 41 In quanto l�obbligo di apposizione del contrassegno distintivo �SIAE� sia stato esteso ai prodotti, come quelli che costituiscono oggetto della causa principale, successivamente all�entrata in vigore della direttiva 83/189, si deve ricordare che, per giurisprudenza costante, la finalit� perseguita con l�art. 8, n. 1, primo comma, seconda frase, della direttiva 98/34 � quella di consentire alla Commissione di disporre di informazioni quanto pi� possibile complete su tutto il progetto di regola tecnica quanto al suo contenuto, alla sua portata e al suo contesto generale onde consentirle di esercitare, nel modo pi� efficace possibile, i poteri che le sono conferiti dalla direttiva (v., in particolare, le sentenze CIA Security International, cit., punto 50; 16 settembre 1997, causa C-279/94, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4743, punto 40, e 7 maggio 1998, causa C-145/97, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-2643, punto 12). 42 Analogamente, conformemente al n. 1, terzo comma, del menzionato art. 8, gli �Stati membri procedono ad una nuova comunicazione (�) qualora essi apportino al progetto di regola tecnica modifiche importanti che ne alterino il campo di applicazione (�)�. Orbene, l�inclusione di nuovi supporti, quali i CD, nell�ambito dell�obbligo di apposizione del contrassegno �SIAE� dev�essere considerata come una modifica di tal genere (v., in questo senso, sentenze 1� giugno 1994, causa C-317/92, Commissione/ Germania, Racc. pag. I-2039, punto 25, e Lindberg, cit., punti 84 e 85). 44 Orbene, conformemente alla giurisprudenza della Corte, l�inadempimento dell�obbligo di comunicazione costituisce un vizio procedurale nell�adozione delle regole tecniche di cui � causa e comporta l�inapplicabilit� delle regole tecniche considerate, di modo che esse non possono essere opposte ai privati (v., in particolare, le citate sentenze CIA Security International, punto 54, e Lemmens, punto 33). I privati possono avvalersene dinanzi al giudice nazionale, cui compete la disapplicazione di una regola tecnica nazionale che non sia stata notificata conformemente alla direttiva 98/34 (v., in particolare, le citate sentenze CIA Security International, punto 55, e Sapod Audic, punto 50)�. ** *** ** RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 RINVIO PREGIUDIZIALE � Irricevibilit� (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 28 giugno 2007. Causa C-467/05) Il fatto che una decisione di rinvio riguardante l�interpretazione di una decisione quadro adottata ai sensi del titolo VI del Trattato CE non richiami l�art. 35 UE, ma si riferisca invece all�art. 234 CE, non pu�, da solo, determinare l�irricevibilit� della domanda di pronuncia pregiudiziale. Ci� a maggior ragione in quanto il Trattato UE non stabilisce, n� espressamente n� implicitamente, in quale forma il giudice nazionale debba presentare la domanda di decisione pregiudiziale. In forza dell�art. 46, lett. b), UE, il regime previsto all�art. 234 CE � destinato ad applicarsi all�art. 35 UE, fatte salve le condizioni previste da tale disposizione. Analogamente all�art. 234 CE, l�art. 35 UE subordina l�audizione della Corte in via pregiudiziale alla condizione che il giudice nazionale reputi necessaria una decisione su tale punto per emanare la sua sentenza, di modo che la giurisprudenza della Corte relativa alla ricevibilit� delle questioni pregiudiziali proposte ai sensi dell�art. 234 CE �, in linea di principio, trasponibile alle domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte in forza dell�art. 35 UE. Ne consegue che la presunzione di pertinenza che inerisce alle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali pu� essere esclusa solo in casi eccezionali, qualora risulti manifestamente che la sollecitata interpretazione delle disposizioni del diritto dell�Unione considerate in tali questioni non abbia alcun rapporto con la realt� o con l�oggetto della causa principale o qualora il problema sia di natura ipotetica o la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per risolvere utilmente le questioni che le vengono sottoposte. Fatte salve tali ipotesi, la Corte, in via di principio, � tenuta a statuire sulle questioni pregiudiziali vertenti sull�interpretazione degli atti previsti all�art. 35, n. 1, UE. Le norme di procedura si applicano, come si ritiene in generale, a tutte le controversie pendenti all�atto della loro entrata in vigore, a differenza delle norme sostanziali, che, secondo la comune interpretazione, non riguardano situazioni maturate anteriormente alla loro entrata in vigore. Orbene, la questione della competenza giurisdizionale ai fini della decisione sulla restituzione alla parte lesa dei beni sequestrati nell�ambito del procedimento penale rientra nella materia delle norme di procedura, cosicch� non vi � alcun ostacolo relativo all�applicazione della legge nel tempo che osti alla presa in considerazione, nell�ambito di una controversia in merito a tale questione, delle disposizioni pertinenti della decisione quadro 2001/220, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, al fine di interpretare la normativa nazionale in conformit� a quest�ultima. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE � Informazioni (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 8 novembre 2007. Causa C-20/05) Va rammentato che le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio pregiudiziale devono non solo consentire alla Corte di fornire risposte utili, ma altres� dare ai governi degli Stati membri nonch� alle altre parti interessate la possibilit� di presentare osservazioni ai sensi dell�art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia (ordinanza 2 marzo 1999, causa C-422/98, Colonia Versicherung e a., Racc. pag. I-1279, punto 5). Compete alla Corte vigilare affinch� tale possibilit� sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della disposizione citata, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (sentenza 1� aprile 1982, cause riunite 141/81-143/81, Holdijk e a., Racc. pag. 1299, punto 6; ordinanza 13 marzo 1996, causa C-326/95, Banco de Fomento e Exterior, Racc. pag. I-1385, punto 7, nonch� sentenza 13 aprile 2000, causa C-176/96, Lehtonen e Castors Braine, Racc. pag. I-2681, punto 23). Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, � indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sulle ragioni della scelta delle norme comunitarie di cui chiede l�interpretazione e sul rapporto che egli ritiene esista fra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia (v., in particolare, ordinanza 28 giugno 2000, causa C-116/00, Laguillaumie, Racc. pag. I-4979, punto 16, nonch� sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I-11421, punto 38). Il giudice del rinvio, su richiesta della Corte, deve fornire chiarimenti relativamente ai fatti oggetto della causa principale cos� come in merito al contesto giuridico nazionale e comunitario. (Sentenza della Corte (Settima Sezione) 18 novembre 2007. Causa C-12/07) �(Omissis) 16 Occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, l�esigenza di giungere ad un�interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest�ultimo definisca l�ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., in particolare, sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I-393, punto 6; ordinanze 7 aprile 1995, causa C-167/94, Grau Gomis e a., Racc. pag. I-1023, punto 8; e 28 giugno 2000, causa C-116/00, Laguillaumie, Racc. pag. I-4979, punto 15). 17 Occorre inoltre che il giudice nazionale indichi le ragioni precise che lo hanno indotto a interrogarsi sull�interpretazione di determinate disposizioni comunitarie e a ritenere necessario sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte. Quest�ultima ha dichiarato che � indispensabile che il giudice nazionale fornisca spiegazioni, se pur minime, sui motivi della scelta delle disposizioni comunitarie di cui chiede l�interpretazione e sul nesso intercorrente tra le disposizioni medesime e la normativa nazionale applicabile alla controversia (v. citate ordinanze Grau Gomis e a., punto 9, e Laguillaumie, punto 16). 18 Va sottolineato che le informazioni fornite a tal fine dalle decisioni di rinvio non servono solo a consentire alla Corte di risolvere in modo utile le questioni, ma anche a dare RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate la possibilit� di presentare osservazioni ai sensi dell�art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia. Incombe, infatti, alla Corte vigilare sulla salvaguardia di tale possibilit�, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v. sentenza 1� aprile 1982, cause da 141/81 a 143/81, Holdijk e a., Racc. pag. 1299, punto 6, e citate ordinanze Grau Gomis e a., punto 10, nonch� Laguillaumie, punto 14). 19 Nel caso di specie si deve necessariamente constatare che la decisione di rinvio non risponde a tali criteri. 20 In primo luogo, il giudice del rinvio non ha sufficientemente definito il contesto di fatto in cui si inserisce la domanda di pronuncia pregiudiziale. Detto giudice si � limitato a distinguere la controversia nella causa principale dalla causa C-467/06, senza fornire elementi specifici sui fatti che sono alla base di tale controversia. 21 Inoltre, bench� l�esistenza stessa di tale controversia sia stata contestata dinanzi ad esso, il giudice del rinvio non ha esposto con chiarezza l�oggetto di detta controversia. Infatti, per quanto riguarda la domanda di provvedimenti d�urgenza, la decisione di rinvio non consente di ravvisare quali sono i provvedimenti provvisori richiesti dalle parti della causa principale. Quanto al merito, nessun elemento contenuto in detta decisione dimostra che la normativa nazionale in esame sia fonte di un danno effettivo o prevedibile causato alle ricorrenti nella causa principale. 22 In secondo luogo, il giudice del rinvio si � limitato a commentare talune modifiche apportate alla normativa nazionale senza che emerga dalla decisione di rinvio il contesto normativo in cui tali modifiche si collocano. In particolare, non sono descritti n� lo statuto n� il regime finanziario dell�ANAS n� i rapporti che la legano ai concessionari che gestiscono le autostrade. Pertanto, � difficile comprendere i presupposti normativi e statutari nel- l�ambito dei quali l�ANAS esercita la sua attivit� e i rapporti che la legano allo Stato italiano, da un lato, e ai concessionari, dall�altro. 23 In terzo luogo, tale giudice non fornisce alcuna precisazione sui motivi che l�hanno indotto a scegliere le disposizioni comunitarie di cui chiede l�interpretazione n� sul nesso intercorrente tra tali disposizioni e la normativa nazionale richiamata nella controversia dinanzi ad esso pendente. In particolare, non spiega i motivi per i quali l�interpretazione degli artt. 43 CE, 49 CE, 81 CE, 82 CE, 86 CE e 87 CE, nonch� del diritto di propriet� e delle direttive comunitarie riguardanti gli appalti pubblici, gli sembra necessaria per la soluzione della controversia nella causa principale. 24 Infine, in quarto luogo, detto giudice formula due questioni pregiudiziali facendo un mero rinvio alle questioni sollevate nell�ambito di un�altra domanda di pronuncia pregiudiziale, registrata con il numero di ruolo C-467/06 e riguardante altre parti. Tuttavia, tali questioni non sono necessariamente note alle parti della controversia nella causa principale. Pertanto, il fatto di rinviare alle questioni pregiudiziali sottoposte nella causa C-467/06 non pu� garantire alle parti la possibilit� di presentare osservazioni, conformemente all�art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia (v., in tal senso, ordinanza 2 marzo 1999, causa C-422/98, Colonia Versicherung e a., Racc. pag. I-1279, punto 8)�. � Sentenza di invalidit� di atto comunitario. Effetti. (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 8 novembre 2007. Causa C421/ 06) CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE �(Omissis) 52 Secondo costante giurisprudenza, quando la Corte accerta, nell�ambito di un procedimento ai sensi dell�art. 234 CE, l�invalidit� di un atto emanato dalle autorit� comunitarie, la sua decisione produce la conseguenza giuridica di imporre alle istituzioni competenti della Comunit� europea l�obbligo di adottare i provvedimenti necessari per porre rimedio all�illegittimit� accertata (v., in particolare, sentenze 19 ottobre 1977, cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel e Str�h, Racc. pag. 1753, punto 13, e 29 giugno 1988, causa 300/86, Van Landschoot, Racc. pag. 3443, punto 22). In tal caso, spetta alle dette istituzioni adottare i provvedimenti necessari all�esecuzione della sentenza pregiudiziale al pari di quanto sono tenute a fare, ai sensi dell�art. 233 CE, nel caso di una sentenza che annulli un atto o dichiari illegittima l�inerzia di un�istituzione comunitaria. Dalla menzionata giurisprudenza emerge infatti che, quando una sentenza pregiudiziale accerti l�illegittimit� di un atto comunitario, l�obbligo sancito dall�art. 233 CE si applica per analogia. 53 Quanto alle autorit� nazionali, per giurisprudenza parimenti consolidata spetta in primo luogo a queste trarre le conseguenze, nel loro ordinamento giuridico, di una declaratoria di illegittimit� intervenuta nel contesto dell�art. 234 CE (sentenze 30 ottobre 1975, causa 23/75, Rey Soda, Racc. pag. 1279, punto 51, e 2 marzo 1989, causa 359/87, Pinna, Racc. pag. 585, punto 13). 54 Una dichiarazione d�invalidit� di tal genere va parimenti rispettata da tutti i giudici nazionali. Infatti, bench� sia indirizzata direttamente al solo giudice che ha adito la Corte, la sentenza con cui quest�ultima accerta, a norma dell�art. 234 CE, l�invalidit� di un atto di un�istituzione costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare invalido tale atto agli effetti di una pronunzia che egli debba emettere (sentenza 13 maggio 1981, causa 66/80, International Chemical Corporation, Racc. pag. 1191, punto 13). 55 Solo un esame concreto della disposizione dichiarata invalida e della normativa comunitaria di cui essa fa parte permette di determinare quali siano i provvedimenti necessari che devono essere adottati per porre rimedio all�illegittimit�. In taluni casi, la dichiarazione d�invalidit� concerne una disposizione autonoma e non ha ripercussioni su altri elementi della normativa comunitaria mentre, in altri, questa dichiarazione d�invalidit� provoca una lacuna del diritto o un�incoerenza, che richiedono un intervento del legislatore al fine di modificare la sostanza del testo. 56 Peraltro, occorre ricordare che il principio della certezza del diritto, che costituisce un principio generale dell�ordinamento comunitario, impone che la normativa comunitaria sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli interessati (v., in tal senso, sentenze 16 giugno 1993, causa C-325/91, Francia/Commissione, Racc. pag. I-3283, punto 26, e 23 settembre 2003, causa C-78/01, BGL, Racc. pag. I-9543, punto 71). Conformemente a tale principio, pu� risultare opportuno che, in seguito ad una sentenza della Corte che dichiari invalide talune disposizioni della normativa comunitaria, il legislatore comunitario apporti le modifiche formali che consentano di chiarire quest�ultima e, a tal fine, adotti un testo che rettifichi la detta normativa e abroghi le disposizioni dichiarate invalide, nonch� i rinvii alle medesime. 57 Occorre precisare, tuttavia, che un siffatto testo di rettifica si limita a dare formalmente esecuzione, nella normativa comunitaria, al contenuto della sentenza della Corte. La dichiarazione d�invalidit� deriva infatti da questa sentenza e non dal testo di rettifica, con tutte le conseguenze che ci� comporta, in particolare per quanto concerne gli effetti nel tempo della dichiarazione d�invalidit��. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 � Rinvio pregiudiziale di annullamento. Effetti. (Sentenza della Corte (Terza Sezione) 8 novembre 2007. Causa C421/ 06) �(Omissis) 52 Secondo costante giurisprudenza, quando la Corte accerta, nell�ambito di un procedimento ai sensi dell�art. 234 CE, l�invalidit� di un atto emanato dalle autorit� comunitarie, la sua decisione produce la conseguenza giuridica di imporre alle istituzioni competenti della Comunit� europea l�obbligo di adottare i provvedimenti necessari per porre rimedio all�illegittimit� accertata (v., in particolare, sentenze 19 ottobre 1977, cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel e Str�h, Racc. pag. 1753, punto 13, e 29 giugno 1988, causa 300/86, Van Landschoot, Racc. pag. 3443, punto 22). In tal caso, spetta alle dette istituzioni adottare i provvedimenti necessari all�esecuzione della sentenza pregiudiziale al pari di quanto sono tenute a fare, ai sensi dell�art. 233 CE, nel caso di una sentenza che annulli un atto o dichiari illegittima l�inerzia di un�istituzione comunitaria. Dalla menzionata giurisprudenza emerge infatti che, quando una sentenza pregiudiziale accerti l�illegittimit� di un atto comunitario, l�obbligo sancito dall�art. 233 CE si applica per analogia. 63 Alla luce di tutto quanto sin qui esposto, occorre rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che, dal momento che l�art. 1, punto 1, lett. b), della direttiva 2002/2 prevedeva un obbligo autonomo privo di nessi con gli obblighi previsti dalle altre disposizioni della medesima direttiva, la dichiarazione d�invalidit� della detta disposizione, pronunciata dalla Corte mediante la citata sentenza ABNA e a., non ha provocato nessuna lacuna del diritto n� un�incoerenza che impongano alle istituzioni comunitarie di adottare modifiche di sostanza della direttiva 2002/2�. In ogni caso, l�invalidit� di una disposizione comunitaria deriva direttamente dalla sentenza della Corte che la accerta e spetta tanto alle autorit� quanto ai giudici degli Stati membri trarne le conseguenze nel loro ordinamento giuridico nazionale. LE DECISIONI Dossier L�autorizzazione del prefetto agli istituti di vigilanza DOCUMENTI IN ALLEGATO: -1. Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Seconda Sezione, sentenza del 13 dicembre 2007 nella causa C-465/05; -2. Consiglio di Stato (Sezione quarta), sentenza del 5 settembre 2007 n. 4647; -3. Circolare del Ministero dell�Interno del 29 febbraio 2008 n. 557/PAS/2731/10089.D(1). La sentenza affronta la vexata quaestio, sul fronte nazionale, del regime autorizzatorio previsto per gli Istituti di vigilanza privata. Le contestazioni mosse all�Italia prendono le mosse da una serie di disposizioni del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (d�ora in poi T.U.), approvato con regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), che regolano la materia e della cui compatibilit� con il Trattato si controverte. In particolare si discute della conciliabilit� con la libert� di stabilimento e la libera prestazione di servizi degli articoli 134, 135, 136, 137, 138 del Testo Unico e degli articoli 250, 252, 257 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante regolamento per l�esecuzione del T.U., cos� come modificato dall�art. 5 della legge 23 dicembre 1946, n. 478, nonch� di alcune circolari del Ministero dell�Interno. Ad essere sotto l�esame della Corte sono, dunque, i tratti salienti della disciplina prevista dal nostro ordinamento per l�esercizio dei servizi di vigilanza. L�autorizzazione come limite alle libert� fondamentali In particolare l�attenzione si concentra sull�autorizzazione concessa dal Prefetto. Secondo quanto prescrive l�art. 134 T.U. la licenza del Prefetto � condicio sine qua non per l�esercizio dell�attivit� di vigilanza e custodia, il cui rilascio viene garantito, a parit� di condizioni, sia ai cittadini italiani siaai cittadini degli Stati membri. � la stessa necessit� di un�autorizzazione amministrativa allo svolgimento di talune prestazioni di servizi sul territorio nazionale da parte di un�impresa, anche con sede in un altro Stato membro, a rappresentare, secondo il giudizio del giudice comunitario, il primo elemento di contrariet� al Trattato, in quanto ostacolo all�esercizio di una libert� fondamentale, la libert� di prestazione dei servizi (art. 49 Trattato). In verit�, precisa la Corte, la presenza di una licenza o di un�autorizzazione per lo svolgimento di simili incombenze potrebbe risultare giustifica RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 ta da esigenze di ordine pubblico, laddove le norme dello Stato membro, nel quale l�impresa ha la propria sede, non provvedano gi� al loro soddisfacimento. �, infatti, orientamento giurisprudenziale consolidato (1) ritenere che �una restrizione pu� essere giustificata solo qualora l�interesse generale dedotto non sia gi� tutelato dalle norme cui il prestatore � assoggettato nello Stato membro in cui � stabilito�. In questa prospettiva la normativa italiana �non prevedendo che, ai fini del rilascio di una licenza, si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore di servizi transfrontaliero � gi� assoggettato nello Stato membro nel quale � stabilito, eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito dal legislatore nazionale, che � quello di garantire uno stretto controllo sulle attivit� di cui trattasi�. Quindi, � evidente che l�autorizzazione prefettizia per sopravvivere ad ogni censura avrebbe dovuto concepirsi come indispensabile solo nell�eventualit� in cui l�impresa di vigilanza da autorizzare non fosse gi� sottoposta a quei controlli nello Stato membro d�origine, a cui l�autorizzazione prevista dal T.U. � funzionale. La carenza di una simile previsione rende la normativa italiana superflua e restrittiva della libera prestazione dei servizi e, pertanto, in contrasto con il diritto comunitario. In aggiunta alle censure mosse all�esistenza stessa dell�autorizzazione prefettizia, viene ravvisata un ulteriore violazione dell�art. 49, nonch� del- l�art. 47 del Trattato: l�efficacia territoriale circoscritta. La licenza prevista dall�art. 134 T.U. presenta, infatti, una portata limitata con la conseguenza di rendere possibile l�esercizio delle attivit�, alle quali essa si riferisce, solo nel territorio per il quale � stata concessa. A nulla valgono a questo proposito le obiezioni sollevate dallo Stato italiano e incentrate sulla tutela dell�ordine pubblico che renderebbe necessario tener conto delle singole realt� territoriali e della necessit� che in loco gli istituti di vigilanza non si sostituiscano all�autorit� pubblica. La Corte ritiene che le argomentazioni sollevate a tal proposito non siano state sufficientemente corroborate da prove e sottolinea come quegli obiettivi di tutela possano essere realizzati attraverso soluzioni alternative, quali l�effettuazione di controlli regolari capaci, congiuntamente all�autorizzazione iniziale, di espletare una costante verifica sulla condotta e sui servizi prestati. Del resto le esigenze di ordine pubblico ben difficilmente avrebbero potuto trovare soddisfacimento sulla base della sola limitata efficacia territoriale del provvedimento autorizzatorio, non associato ad alcun altra forma di controllo, ben potendo gli istituti operare in un�area circoscritta e subire allo stesso modo le ingerenze e l�infiltrazione delle organizzazioni criminali locali nel corso della propria attivit�. (1) Ex multis sentenza del 9 novembre 2006, causa C-433/04, Commissione c/Belgio, punto 33; sentenza del 21 settembre 2006, causa C-168/04, Commissione c/Austria, punto 37; sentenza del 26 gennaio 2006, causa C-514/03, Commissione c/Spagna, punto 47; sentenza del 21 ottobre 2004, causa C-445/05, Commissione c/Lussemburgo; sentenze 23 novembre 1999, cause riunite C-369/96 e C-376/96, Arblade e a., punti 34 e 35. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni Simili prese di posizione non fanno che anticipare l�aspetto veramente interessante di questa pronuncia, affrontata nella sua parte finale, e concernente l�autorizzazione delle tariffe, aspetto controverso almeno per quanto riguarda i minimi tariffari. In base alle argomentazioni della Corte di Giustizia la presenza di un potere prefettizio di determinazione dei prezzi provoca una restrizione all�accesso al mercato di nuovi operatori economici provenienti da altri Stati membri, poich� impedisce loro di praticare liberamente prezzi pi� concorrenziali, in ribasso rispetto alla tariffa imposta, di quelli praticati dalle imprese nazionali; risulta, quindi, vano il tentativo di evocare come giustificazione la tutela della sicurezza pubblica e la garanzia di standard qualitativi a vantaggio dei consumatori, in quanto non si ritiene provato che lo strumento delle tariffe predefinite assolva compiutamente a tali funzioni. La disciplina nazionale dei minimi tariffari e la sua interpretazione La sentenza in questione non pu� che ammirarsi per essere entrata nel merito di una questione che ha assunto i toni di una vera e propria diatriba nazionale, incapace finora di trovare soluzioni univoche ad un problema. La questione, come noto, sorge dall�interpretazione delle disposizioni sottoposte a censura comunitaria. Oltre all�art. 134 T.U., l�art. 135, 4� comma, dispone l�obbligo per i direttori degli uffici informazioni, investigazioni o ricerche dell�affissione della tabella relativa alle operazioni alle quali attendono �con la tariffa delle relative mercedi� e l�art. 135, 5� comma, T.U. esclude per i direttori la possibilit� di �ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa�; inoltre l�art. 9 riconosce un ampio potere discrezionale all�autorit� di pubblica sicurezza, potendo quest�ultima imporre prescrizioni ulteriori rispetto alle condizioni previste dalla legge; infine l�art. 257, 4� e 5� comma, del regolamento di esecuzione stabilisce che l�autorizzazione prefettizia, ex art. 134 T.U., deve contenere l�approvazione delle tariffe e che ogni variazione o modificazione deve essere oggetto di nuova approvazione. Tutto ci� posto, in passato dalla combinazioni di tali disposizioni e, in particolare, facendo leva sul potere discrezionale che conferisce l�art. 9 T.U. all�autorit� di pubblica sicurezza, si riconosceva un vero e proprio potere del Prefetto di fissare tariffe minime vincolanti per gli istituti di vigilanza (2), avvallato dalla stessa giurisprudenza (3), la cui ratio consisteva sostanzialmente nella necessit� di garantire minimi qualitativi relativi nello svolgimento di un servizio pubblico essenziale. (2) La circolare del Ministero dell�interno del 1991 n. 559 prevedeva che il sindacato sui prezzi fosse effettuato attraverso una determinazione prefettizia che stabilisse in via generale e preventiva i �limiti minimi delle tariffe da osservare� e che tutti gli istituti di vigilanza erano tenuti ad osservare. (3) Si veda in proposito C.d.S., sez. VI, 3 marzo 1999, n. 265; Tar Lombardia 7 luglio 1996 n. 1946. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Con due diversi pareri l�Autorit� garante per la concorrenza e per il mercato (4) sottolineava gli effetti negativi che un regime di tariffe minime provocava e come fosse assolutamente non dimostrata una sua efficacia contro un basso livello qualitativo, proponendo, quale soluzione alternativa, la sottoposizione degli istituti di vigilanza ad un sistema di controlli costanti e la conseguente revoca della licenza laddove da essi venissero riscontrate gravi irregolarit�. Un simile orientamento ha sicuramente influito e indotto l�autorit� ministeriale a sostituire il potere prefettizio di determinazione delle tariffe minime con le cd. tariffe di legalit�, fondate su un sistema di oscillazione; in sostanza all�interno della banda variabile l�impresa � libera di determinare la tariffa che ritiene opportuno applicare. La maggiore flessibilit� che caratterizza il nuovo sistema, tuttavia, non incide sulla necessit� del provvedimento autorizzatorio del Prefetto e rende possibile che tale provvedimento abbia ad oggetto tariffe non ricomprese nella fascia di oscillazione (5). Nonostante non siano mancati apprezzamenti al nuovo sistema, per aver introdotto un utile ed imprescindibile elemento di valutazione delle offerte e, quindi, della capacit� ed idoneit� tecnico-organizzativa dell�istituto (6), � stato rilevato come la disciplina avesse mantenuto un sostanziale effetto anticoncorrenziale (7). Infatti la persistente presenza dell�autorizzazione prefettizia ha reso dubbia l�effettiva portata vincolante delle tariffe preventivamente approvate; ci si � chiesti, in sostanza, se la necessaria approvazione cagionasse l�obbligo per l�istituto di rispettare i relativi prezzi, non pi� determinati erga omnes ma individualmente, o se, al contrario, fosse possibile praticare liberamente prezzi anche non specificatamente approvati secondo le condizioni di mercato. La soluzione proposta dalla giurisprudenza � stata tutt�altro che univoca, prospettandosi in seno allo stesso Consiglio di Stato due diversi orientamenti. Con il primo orientamento (8), posta l�esclusione di minimi tariffari prestabiliti ex ante dal Prefetto, si � affermata la non vincolativit� delle tariffe mini (4) Pareri del 1� dicembre 1995 n. 27952 e del 23 maggio 1997 n. 21303. (5) Per una ricostruzione storica e giurisprudenziale della vicenda si veda G. CREPALDI, Il potere prefettizio di determinazione delle tariffe dei servizi di vigilanza:natura ed effetti, in Foro amm.CDS, 2006, 3, 833 ss. (6) C.d.S., sez. IV, 16 ottobre 2001, n. 5445, nella quale si precisa che �le tariffe di legalit�, in tale contesto, assolvono ad una duplice funzione: 1) fornire all�Amministrazione il necessario parametro tecnico di valutazione delle tariffe presentate dal singoli istituti, in modo tale da garantire l�uniformit� delle stesse valutazioni; 2) fornire alle Amministrazioni appaltanti un parametro omogeneo di valutazione delle offerte in modo tale da individuare con sufficiente margine d� attendibilit� quelle anomale.� (7) Gli effetti anticoncorrenziali del nuovo regime sono analizzati da G. FONDERICO, Il controllo amministrativo sui prezzi dei servizi di vigilanza privata, in Giorn. dir. amm., 2002, 12, 1287 ss. (8) C.d.S., sez. VI, 9 marzo 2004, n. 3261; C.d.S., sez. VI, 4 ottobre 2002, n. 5253; C.d.S., sez. VI, 29 gennaio 2002, n. 808 con nota di L.CARBONE in collaborazione con M. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni me generali fissate dal Prefetto, derogabili dai singoli istituti di vigilanza attraverso la determinazione di importi diversi (anche inferiori), richiedendo, tuttavia, per questi ultimi l�approvazione dell�Autorit�, al fine di garantire, comunque, la corretta gestione del servizio. Viene, quindi, confermata la cogenza della tariffa, ancorch� si tratta di tariffa inferiore alla tariffa di legalit� (9). Un simile visione del problema non pu� che ripercuotersi sulla libert� dell�impresa di formulare un�offerta durante una gara per l�affidamento dei servizi di vigilanza. Inevitabilmente ci si dovr� attenere alle tariffe sottoposte ad approvazione (pur potendo risultare anche inferiori al limite minimo di oscillazione) sia nella formulazione dell�offerta sia nel l�assegnazione del servizio di vigilanza, dovendosi verificare che i partecipanti siano in possesso dei requisiti necessari allo svolgimento dell�attivit�, e quindi possiedano la licenza, di cui l�approvazione delle tariffe � elemento costitutivo. In base al secondo orientamento si � esclusa l�esistenza non solo di un potere generale del Prefetto di determinare i minimi tariffari, ma anche di una loro determinazione �ad hoc� in sede di autorizzazione, poich� la sussistenza di tali poteri non si evincerebbe dal dato normativo che disporrebbe, tutt�al pi�, la determinazione, all�atto dell�autorizzazione, di prezzi massimi e non minimi (art. 135, comma 5, T.U.). Alla luce di ci� nell�ambito di una gara d�appalto � da escludersi che il mancato rispetto dei minimi possa riversarsi �sulla validit� (quantomeno sotto il profilo della loro ammissibilit� alla competizione) delle offerte economiche � inferiori alla soglia minima consentita dall�atto di approvazione delle tariffe � presentate da imprese (debitamente autorizzate) in procedure indette per l�affidamento di pubblici servizi di vigilanza� (10) posto che �gli istituti di vigilanza prescelti, laddove D�ADAMO, R. VICARIO e F. PERUGINI, Gare d�appalto dei servizi di vigilanza e minimi tariffari stabiliti dal prefetto, in Corr. giur., 2002, 4, 440. (9) In dottrina aderisce a tale orientamento S. MORO, Il legittimo bilanciamento tra tutela della concorrenza e salvaguardia della sicurezza pubblica: il caso delle tariffe di legalit� per le prestazioni degli istituti di vigilanza, in Foro amm TAR, 2005, 6, 1892 ss. il quale afferma: �Nell�ambito di questo apprezzabile orientamento giurisprudenziale emergono due indirizzi: per uno, il prefetto avrebbe il potere di adottare � provvedimenti generali di tariffazione inderogabili�; per l�altro (�.) si potrebbe affermare che vi sia una doppia categoria di minimi tariffari: la prima �costituita dal livello pi� basso della fascia di oscillazione individuata in via generale; la seconda invece approvata dal prefetto con riguardo al singolo istituto, in misura eventualmente ancora pi� bassa rispetto a quella individuata dalle tariffe di legalit��. Quest�ultimo indirizzo appare preferibile per due ordini di ragioni: in primo luogo, � conforme al dato letterale delle disposizioni normative che contengono un espresso richiamo all�approvazione prefettizia delle tariffe praticate dal singolo istituto; in secondo luogo, come verr� successivamente approfondito, � pi� coerente con un�interpretazione costituzionalmente orientata�e precisa la compatibilit� di un sistema basato sulla tariffazione minima con gli art. 81 e 82 del Trattato CE in materia di concorrenza. (10) C.d.S., sez. IV, 29 maggio 2007, n. 4644; C.d.S., sez IV, 20 settembre 2005 n. 4816 con nota di G. CREPALDI, Il potere prefettizio di determinazione delle tariffe dei servizi di vigilanza:natura ed effetti, in Foro amm.CDS, 2005, 10, 2930; C.d.S., sez. V, 17 ottobre RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 non rientrino nel range di astratta congruit� individuato dalla prefettura, potranno essere soggetti a particolari controlli e finanche a limitazioni nelle loro possibilit� di operare, visto che permane comunque, ai fini della stessa conduzione dell�istituto di vigilanza privata, il regime di approvazione delle tariffe e delle relative variazioni di cui all�art. 257 r.d. 635/1940� (11). Il contributo della Corte di Giustizia In tale contesto nazionale la sentenza comunitaria non pu� che risultare determinante. La conclusione secondo la quale la limitazione alla libera fissazione delle tariffe, quale risulta dalla circolare del Ministero dell�Interno (12) nel riconoscere un potere decisionale relativo alla fissazione di una tariffa di riferimento e all�approvazione delle tariffe proposte dagli operatori, rappresenta una restrizione della libera prestazione dei servizi ex art. 49 Trattato CE, e non pu� che ripercuotersi sul vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale italiano in merito alle tariffe minime. Infatti escludere che il Prefetto possa esercitare un potere di determinazione dei prezzi, mette definitivamente fine alla questione circa il carattere vincolante delle tariffe minime (13) e al tempo stesso non preclude agli operatori economici di offrire prezzi pi� costosi per servizi qualitativamente migliori (14). Ad essere travolto dalla sentenza in commento �, in sostanza, l�intero sistema di determinazione tariffaria prevista dal nostro legislatore per la vigilanza privata. La ricostruzione offerta dal giudice comunitario, tuttavia, non pregiudica la possibilit� che all�Autorit� sia riconosciuto comunque un potere di controllo. Tale potere potr� garantire che nel corso di una gara per l�aggiudicazione dei servizi di vigilanza ad essere privilegiata non sia l�offerta econo 2002, n. 5674 con nota di M. MAZZAMUTO, La liberalizzazione del mercato della vigilanza privata, in Foro amm.CDS, 2002, 11, 2459 ss.. In dottrina si veda G.A.CHIESI, Sulla derogabilit� � in sede di partecipazione a pubbliche gare � dei minimi tariffari fissati dai Prefetti per le prestazioni degli Istituti di vigilanza, in www.giustamm.it; G. FONDERICO, Il controllo amministrativo, cit., 1296-1297, critico sulla funzione effettivamente espletata dalle tariffe minime in ordine alla garanzia di un buon livello qualitativo e di tutela della sicurezza e ordine pubblici. Contra S. MORO, Il legittimo bilanciamento, cit., 1892 ss. (11) C.d.S., sez.V, 3 giugno 2002, n. 3065. (12) La circolare n. 559/C. 4770.10089. D. (13) Sul divieto di derogare gli onorari minimi la Corte di Giustizia si era gi� pronunciata il 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e altri c/Portolese, punto 58, nel senso di identificare una violazione dell�art. 49. (14) In proposito si veda M. MAZZAMUTO, La liberalizzazione del mercato, cit., 2470 che ritiene esista una limitazione della concorrenza anche nella presenza di limiti �massimi�, tutt�altro che finalizzata ad evitare fenomeni criminali dissimulanti pratiche estorsive. Secondo l�A. una pratica estorsiva potr� comunque verificarsi anche ove sussistono massimi tariffari nel caso in cui si estorcano servizi ulteriori, non richiesti, con il relativo prezzo pur rispettoso dei massimi. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni micamente pi� bassa per il semplice fatto di essere tale, ma l�offerta economicamente pi� conveniente alla luce di molteplici aspetti considerati (qualit� del servizio, rispetto degli obblighi contributivi e tributari, organizzazione dell�impresa�) nell�ambito del giudizio di congruit�. In questo modo si procede a sostituire un controllo eseguito ex ante e fondamentalmente generale ed astratto, con un controllo ad hoc, adattato alle circostanze concrete nelle quali viene formulata l�offerta, al fine di verificare che essa sia effettivamente appropriata al servizio che si dovr� svolgere. Il risultato che si ottiene � quello di evitare una discutibile corsa al ribasso in un settore dove ci sono evidenti esigenze di carattere generale in alcun modo disconosciute. Che l�ordine pubblico sia un valore ancora da tutelare nello svolgimento di queste attivit� non sembra, infatti, questione messa in discussione, risultando agli occhi della Corte indimostrato solo che una simile tutela possa essere efficacemente affrontata attraverso lo strumento della fissazione dei prezzi. Per giunta queste ultime considerazioni, applicate al panorama giurisprudenziale nazionale, potrebbero dimostrare che la giurisprudenza nazionale, almeno quella che intravede nella tariffa un parametro per valutare, nel- l�ambito del giudizio di congruit� eseguito in una gara d�appalto, la regolarit� dell�offerta, escludendo qualunque controllo-approvazione preventivo, abbia fornito una lettura del dato normativo corretta e, per quanto possibile, orientata al diritto comunitario. Indubbiamente questa pronuncia costringe il legislatore italiano a ripensare la disciplina in materia di istituti di vigilanza. Allo stato attuale si conosce dell�esistenza di una circolare ministeriale e di uno schema di regolamento modificativo del regolamento attuativo del T.U. La circolare ministeriale fornisce una serie di indicazioni alle quali i Prefetti si dovranno conformare in attesa della riforma normativa e rappresenta la prima risposta concreta del nostro ordinamento alla condanna comminata dall�Europa. In particolare per quanto concerne l�autorizzazione prefettizia delle tariffe si recepisce la posizione adottata da una parte del Consiglio di Stato che, come ricordato, disconosce il potere dell�autorit� di definire con efficacia vincolante le tariffe applicate dagli Istituti di vigilanza, sottoposte alla �eventuale� verifica di congruit�. L�autorit� ministeriale, infatti, prende atto della possibilit� di formulare offerte �a ribasso� e ribadisce che, ricorrendo questa ipotesi, non pu� assolutamente ritenersi superfluo un controllo, necessario per accertare che tutte le esigenze di ordine e sicurezza pubblica trovino soddisfacimento, il quale operer� solo e soltanto in sede di gara per l�aggiudicazione di taluni servizi. Il vantaggio di questa prospettiva � sicuramente quello di ottenere un controllo calibrato, che tenga conto di elementi e circostanze concrete, senza apparire un ingiustificato ostacolo all�attuazione di scelte imprenditoriali. Scendendo nel merito delle modifiche previste dallo schema di regolamento, � rilevante la scomparsa di ogni riferimento all�autorizzazione tariffaria del Prefetto sia all�atto della concessione della licenza per lo svolgimento del servizio sia nel proseguo, qualora si verificassero dei cambiamen RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 ti. In sostanza si procede ad una integrale modifica dell�art. 257, al quale tra l�altro si affiancherebbe una serie di ulteriori disposizioni che definiscono il contenuto della domanda: la documentazione che dovr� esibirsi di adempimento degli obblighi assicurativi e previdenziali, il versamento della cauzione e delle garanzie sostitutive ed infine il contenuto dell�autorizzazione e le condizioni in base alle quali questa pu� essere negata o revocata. L�impressione generale � che tali mutamenti riescano a soddisfare le esigenze di conformit� al diritto comunitario senza per questo rinunciare a standard qualitativi assolutamente fondamentali per i servizi di vigilanza; al contrario sembra che l�intera disciplina si fondi sulla necessit� che i soggetti che intendono espletare un servizio di tal genere debbano fornire idonee garanzie dal punto di vista non solo organizzativo, ma anche tecnico e finanziario, poich� sarebbe inaccettabile consentire a scelte imprenditoriali di incidere negativamente sulla sicurezza pubblica. Abolito l�equivoco strumento dell�autorizzazione, che gli sviluppi futuri saranno incentrati sulla verifica concreta dell�idoneit� del soggetto a svolgere l�attivit� di vigilanza e sicurezza, vero ed efficace mezzo di controllo, viene confermato dall�art. 257 ter, 2� comma, che prevede la semplice �comunicazione al prefetto della tabella delle tariffe dei servizi offerti� e precisato dall�art. 257 quater, 3� comma, lett. b), in base al quale le autorizzazioni possono essere revocate o sospese quando � accertata �la reiterata adozione di comportamenti o scelte, ivi comprese quelle attinenti alle tariffe� che incidono sulla sicurezza delle guardie particolari o sulla qualit� dei servizi resi in rapporto alla dotazione di apparecchiature, mezzi, strumenti ed equipaggiamenti, alle esigenze di tutela dell�ordine e della sicurezza pubblica�. In quest�ultimo caso, lungi dal riproporre una qualche cogenza delle tariffe, le si erige a parametro, uno dei tanti, per valutare caso per caso l�esistenza di condizioni non rispettose delle sicurezza pubblica e del personale. Dott.ssa Valeria Santocchi(*) (doc. 1) Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 13 dicembre 2007 � Commissione delle Comunit� europee/Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato D. Del Gaizo � AL 2705/06) (Inadempimento di uno Stato � Libera prestazione dei servizi � Diritto di stabilimento � Professione di operatore della vigilanza � Servizi di vigilanza privata � Giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana � Autorizzazione prefettizia � Sede operativa � Numero minimo di personale � Versamento di una cauzione � Controllo amministrativo dei prezzi dei servizi forniti) (*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni �(Omissis) 1 Con il suo ricorso la Commissione delle Comunit� europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo disposto che: � l�attivit� di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana; � l�attivit� di vigilanza privata possa essere esercitata solamente dopo il rilascio di un�autorizzazione del Prefetto; � la suddetta autorizzazione abbia una validit� territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell�importanza delle imprese di vigilanza gi� operanti nel medesimo territorio; � le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attivit�; � il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attivit� di vigilanza; � le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate; � le imprese di vigilanza privata debbano versare una cauzione presso la locale Cassa depositi e prestiti; � i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nel- l�ambito di un determinato margine d�oscillazione, � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE. Contesto normativo 2 L�art. 134 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), cos� come modificato (in prosieguo: �il Testo Unico�), recita: �Senza licenza del Prefetto � vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di propriet� mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati. Salvo il disposto dell�art. 11, la licenza non pu� essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell�Unione europea o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo. I cittadini degli Stati membri dell�Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani. La licenza non pu� essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libert� individuale�. 3 Ai sensi dell�art. 135, dal quarto al sesto comma, del Testo Unico: �I direttori suindicati devono (�) tenere nei locali del loro ufficio permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi. Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identit� o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall�amministrazione dello Stato. La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto�. 4 Ai sensi del secondo comma dell�art. 136 del Testo Unico, la licenza pu� essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti gi� esistenti. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 5 L�art. 137 del Testo Unico prevede quanto segue: �Il rilascio della licenza � subordinato al versamento nella Cassa depositi e prestiti di una cauzione nella misura da stabilirsi dal Prefetto. (�) Il Prefetto, nel caso di inosservanza, dispone con decreto che la cauzione, in tutto o in parte, sia devoluta all�erario dello Stato. (�)�. 6 L�art. 138 del Testo Unico � cos� formulato: �Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti: 1� essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell�Unione europea; 2� avere raggiunto la maggiore et� ed avere adempiuto agli obblighi di leva; 3� sapere leggere e scrivere; 4� non avere riportato condanna per delitto; 5� essere persona di ottima condotta politica e morale; 6� essere munito della carta di identit�; 7� essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro. La nomina delle guardie particolari deve essere approvata dal prefetto. Le guardie particolari giurate, cittadini di Stati membri dell�Unione europea, possono conseguire la licenza di porto d�armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di cui al D.M. 30 ottobre 1996, n. 635 del Ministro dell�interno (�)�. 7 L�art. 250 del Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante regolamento per l�esecuzione del Testo Unico, cos� come modificato dall�art. 5 della legge 23 dicembre 1946, n. 478 (in prosieguo: il �regolamento di esecuzione�), dispone quanto segue: �Constatato il possesso dei requisiti prescritti dall�art. 138 della legge, il Prefetto rilascia alle guardie particolari il decreto di approvazione. Ottenuta l�approvazione, le guardie particolari prestano innanzi al Pretore giuramento con la seguente formula: �Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana ed al suo Capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere le funzioni affidatemi con coscienza e diligenza e con l�unico intento di perseguire il pubblico interesse�. Il Pretore attesta, in calce al decreto del Prefetto, del prestato giuramento. La guardia particolare � ammessa all�esercizio delle sue funzioni dopo la prestazione del giuramento�. 8 L�art. 252 del regolamento di esecuzione stabilisce che: �Salvo quanto disposto da leggi speciali, quando i beni, che le guardie particolari sono chiamate a custodire, siano posti nel territorio di province diverse, � necessario il decreto di approvazione da parte del Prefetto di ciascuna provincia. Il giuramento � prestato presso uno dei Pretori, nei cui mandamenti siano i beni da custodire�. 9 L�art. 257 dello stesso regolamento cos� prevede: �La domanda per ottenere la licenza prescritta dall�art. 134 della legge deve contenere l�indicazione del Comune o dei Comuni in cui l�istituto intende svolgere la propria azione, della tariffa per le operazioni singole o per l�abbonamento, dell�organico delle guardie adibitevi, delle mercedi a queste assegnate, del turno di riposo settimanale, dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia, dell�orario e di tutte le modalit� con cui il servizio deve essere eseguito. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni Alla domanda deve essere allegato il documento comprovante l�assicurazione delle guardie, tanto per gli infortuni sul lavoro che per l�invalidit� e la vecchiaia. Se trattasi di istituto che intende eseguire investigazioni o ricerche per conto di privati, occorre specificare, nella domanda, anche le operazioni all�esercizio delle quali si chiede di essere autorizzati, ed allegare i documenti comprovanti la propria idoneit�. L�atto di autorizzazione deve contenere le indicazioni prescritte per la domanda e l�approvazione delle tariffe, dell�organico, delle mercedi, dell�orario e dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia. Ogni variazione o modificazione nel funzionamento dell�istituto deve essere autorizzata dal Prefetto�. 10 Per quanto riguarda gli atti amministrativi adottati in applicazione della normativa nazionale, si deve rilevare che numerose autorizzazioni dei Prefetti all�esercizio di attivit� di vigilanza privata stabiliscono che le imprese del ramo debbano avere un numero minimo e/o massimo di dipendenti. 11 Peraltro, da una circolare del Ministero dell�Interno risulta che le imprese non possono esercitare le loro attivit� al di fuori della giurisdizione di competenza della Prefettura che ha emesso il provvedimento autorizzatorio. Fase precontenziosa del procedimento 12 Con lettera di costituzione in mora del 5 aprile 2002 la Commissione ha intimato alla Repubblica italiana di presentare le proprie osservazioni sulla compatibilit� della normativa nazionale di cui trattasi con libera prestazione dei servizi e la libert� di stabilimento. 13 In seguito alle risposte fornite dalla Repubblica italiana il 6 giugno 2002, la Commissione ha inviato a detto Stato membro un parere motivato il 14 dicembre 2004, invitandolo ad adottare le misure necessarie per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica. Una proroga di tale termine, richiesta dalla Repubblica italiana, � stata rifiutata dalla Commissione. 14 La Commissione, non soddisfatta delle risposte fornite dalla Repubblica italiana, ha deciso di proporre il presente ricorso. Sul ricorso 15 A sostegno del suo ricorso, la Commissione deduce otto censure relative, in sostanza, ai requisiti stabiliti dalla normativa italiana per l�esercizio di un�attivit� di vigilanza privata in Italia. 16 In via preliminare, occorre ricordare che, se � pur vero che, in un settore non assoggettato ad un�armonizzazione completa a livello comunitario, come accade nel caso dei servizi di vigilanza privata, come del resto ammesso sia dalla Repubblica italiana sia dalla Commissione in udienza, gli Stati membri restano, in linea di principio, competenti a definire le condizioni di esercizio delle attivit� nel detto settore, ci� non toglie che essi devono esercitare i loro poteri nel settore medesimo nel rispetto delle libert� fondamentali garantite dal Trattato CE (v., in particolare, sentenze 26 gennaio 2006, causa C-514/03, Commissione/ Spagna, Racc. pag. I-963, punto 23, e 14 dicembre 2006). 17 A tale riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte, gli artt. 43 CE e 49 CE impongono l�abolizione delle restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Devono essere considerate come tali tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l�esercizio di tali libert� (v. sentenze 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I-2941, punto 31, e 26 ottobre 2006, causa C-65/05, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-10341, punto 48). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 18 La Corte ha anche dichiarato che i provvedimenti nazionali restrittivi dell�esercizio delle libert� fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni per poter risultare giustificati: applicarsi in modo non discriminatorio, rispondere a motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (v. sentenze 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-5123, punto 57 e giurisprudenza ivi citata, nonch� Commissione/Grecia, cit., punto 49). 19 Alla luce di tali principi si deve procedere all�esame delle censure presentate dalla Commissione. Sulla prima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell�obbligo di prestare giuramento Argomenti delle parti 20 La Commissione fa valere che l�obbligo per le guardie particolari di prestare giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana, di cui all�art. 250 del regolamento di esecuzione, indirettamente basato sulla cittadinanza, costituirebbe, per gli operatori di altri Stati membri attivi nell�ambito della vigilanza privata, un ostacolo ingiustificato tanto all�esercizio del diritto di stabilimento quanto alla libera prestazione dei servizi. 21 Peraltro, secondo la Commissione, l�obbligo in parola non pu� essere considerato giustificato e proporzionato rispetto allo scopo perseguito, ossia, assicurare una migliore tutela dell�ordine pubblico. 22 La Repubblica italiana afferma che le attivit� di cui � causa, considerate dal Testo Unico, implicherebbero l�esercizio di pubblici poteri ai sensi degli artt. 45 CE e 55 CE e, di conseguenza, non rientrerebbero nel campo di applicazione delle disposizioni dei capi 2 e 3, titolo III, parte terza, del Trattato. 23 La Repubblica italiana sostiene, quindi, che le imprese attive nel settore della vigilanza privata partecipano, in numerosi casi, in modo diretto e specifico all�esercizio di pubblici poteri. 24 Essa fa valere, a tal proposito, che dette attivit� di vigilanza forniscono, per loro natura, un contributo rilevante alla sicurezza pubblica, ad esempio per quanto riguarda la vigilanza armata presso istituti di credito e la scorta di furgoni per il trasporto valori. 25 Lo Stato membro di cui trattasi sottolinea altres� che i verbali redatti dalle guardie particolari giurate nello svolgimento delle loro attivit� hanno un valore probatorio privilegiato rispetto a quello delle dichiarazioni di privati cittadini. Esso aggiunge che le guardie in parola possono procedere ad arresti in flagranza di reato. 26 In risposta a siffatta argomentazione, la Commissione sostiene che gli artt. 45 CE e 55 CE, in quanto disposizioni che derogano a libert� fondamentali, devono essere interpretati in maniera restrittiva, conformemente alla giurisprudenza della Corte. 27 Peraltro, secondo la Commissione, gli elementi prospettati dalla Repubblica italiana non sarebbero idonei a giustificare un�analisi diversa da quella che ha indotto la Corte a dichiarare, in modo costante, che le attivit� di sorveglianza o di vigilanza privata non costituiscono di regola una partecipazione diretta e specifica all�esercizio di pubblici poteri. 28 Indipendentemente dal richiamo dell�applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, la Repubblica italiana fa valere i seguenti motivi di difesa. 29 Essa sostiene che la Commissione potrebbe muovere critiche all�obbligo di prestare giuramento solo relativamente alle limitazioni che da questo obbligo deriverebbero per la libera circolazione dei lavoratori e non in base agli artt. 43 CE e 49 CE, dal momento che le guardie particolari devono necessariamente essere lavoratori subordinati. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni 30 Inoltre, essa fa valere che la prestazione di giuramento, che non costituisce un�operazione obiettivamente gravosa, garantisce il corretto esercizio delle delicate funzioni che le guardie sono chiamate a prestare in materia di sicurezza e che sono disciplinate da leggi dello Stato a carattere imperativo, sottolineando quindi il legame di causa ad effetto che sussisterebbe fra il giuramento ed il rafforzamento della tutela preventiva dell�ordine pubblico. Giudizio della Corte 31 Considerate le conseguenze derivanti dall�applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, occorre innanzitutto verificare se tali disposizioni siano effettivamente da applicare nel caso di specie. 32 Dalla giurisprudenza della Corte emerge che la deroga di cui agli artt. 45, primo comma, CE e 55 CE va limitata alle attivit� che, considerate di per s�, costituiscono una partecipazione diretta e specifica all�esercizio di pubblici poteri (v. sentenze 29 ottobre 1998, causa C-114/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-6717, punto 35; 9 marzo 2000, causa C-355/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-1221, punto 25, e 31 maggio 2001, causa C-283/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4363, punto 20). 33 La Corte ha anche dichiarato che l�attivit� delle imprese di sorveglianza o di vigilanza privata non costituisce di regola una partecipazione diretta e specifica all�esercizio di pubblici poteri (v. citate sentenze Commissione/Belgio, punto 26, e 31 maggio 2001, Commissione/Italia, punto 20). 34 Peraltro, al punto 22 della sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia, cit., la Corte ha dichiarato che la deroga prevista dall�art. 55, primo comma, del Trattato CE (divenuto art. 45, primo comma, CE) non si applicava nel caso di specie. 35 Occorre, pertanto, accertare se gli elementi presentati dalla Repubblica italiana nel ricorso in questione, alla luce della formulazione attuale del Testo Unico e del regolamento di esecuzione, possano indurre ad una valutazione della situazione in Italia diversa rispetto a quelle all�origine della giurisprudenza citata ai punti 33 e 34 della presente sentenza. 36 Secondo l�art. 134 del Testo Unico, i soggetti operanti nell�ambito della vigilanza privata si occupano, in linea di principio, di attivit� di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari, di investigazioni o ricerche per conto di privati. 37 Anche se le imprese di vigilanza privata possono, come confermato dalla Repubblica italiana all�udienza, in determinate circostanze e in via eccezionale, prestare assistenza agli agenti di pubblica sicurezza, ad esempio nel settore dei trasporti di valori o partecipando alla sorveglianza di taluni luoghi pubblici, detto Stato membro non ha dimostrato che in tali circostanze si tratti di esercizio di pubblici poteri. 38 La Corte, del resto, ha gi� dichiarato che il mero contributo al mantenimento della pubblica sicurezza, che chiunque pu� essere chiamato a offrire, non costituisce un tale esercizio (v. sentenza 29 ottobre 1998, Commissione/Spagna, cit., punto 37). 39 Peraltro, l�art. 134 del Testo Unico pone un limite severo all�esercizio delle attivit� di sorveglianza, e cio� che queste ultime non possono mai comportare l�esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libert� individuale. Le imprese di vigilanza privata non hanno dunque alcun potere coercitivo. 40 Pertanto, la Repubblica italiana non pu� validamente sostenere che le imprese di vigilanza privata, nell�ambito delle loro attivit�, effettuino operazioni di mantenimento del- l�ordine pubblico, assimilabili ad un esercizio di pubblici poteri. 41 Inoltre, per quanto riguarda l�argomento relativo al valore probatorio dei verbali redatti dalle guardie particolari giurate, si deve rilevare che, come riconosciuto, del resto, dalla Repubblica italiana stessa, tali verbali non fanno pienamente fede, diversamente da RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 quelli redatti nell�esercizio di pubbliche funzioni, segnatamente dagli agenti della polizia giudiziaria. 42 Infine, relativamente all�argomento attinente alla possibilit�, per le guardie particolari giurate, di procedere ad arresti in flagranza di reato, esso era stato gi� avanzato dalla Repubblica italiana nella causa all�origine della citata sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia. In tale occasione, la Corte, al punto 21 della sentenza pronunciata in detta causa, ha dichiarato che nella fattispecie in esame le guardie non avevano un potere maggiore di qualsiasi altro individuo. Questa conclusione va confermata nell�ambito del presente ricorso. 43 Da quanto precede risulta che in Italia, allo stato della normativa vigente, le imprese di vigilanza privata non partecipano in maniera diretta e specifica all�esercizio di pubblici poteri, in quanto le attivit� di vigilanza privata che esse svolgono non possono essere equiparate ai compiti attribuiti alla competenza dei servizi di pubblica sicurezza. 44 Pertanto, le deroghe di cui agli artt 45 CE e 55 CE non sono applicabili nel caso di specie. 45 Per quanto concerne, poi, specificamente i requisiti di cui all�art. 250 del regolamento di esecuzione, dalla normativa italiana risulta che, per fornire servizi di vigilanza privata, le imprese possono impiegare unicamente guardie che abbiano prestato giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, dinanzi al Prefetto, in italiano. 46 A tale proposito, bench� tale norma si applichi in modo identico sia agli operatori stabiliti in Italia sia a quelli provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attivit� nel territorio italiano, essa ci� non di meno costituisce per qualsiasi operatore non stabilito in Italia un ostacolo all�esercizio della sua attivit� in questo Stato membro che pregiudica il suo accesso al mercato. 47 Infatti, rispetto agli operatori provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attivit� in Italia, quelli insediati in una provincia italiana possono disporre con maggiore facilit� di personale che accetti di prestare il giuramento richiesto dalla normativa italiana. � quindi palese che siffatta promessa solenne di fedelt� alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, data la sua portata simbolica, sar� pronunciata pi� agevolmente da cittadini di tale Stato membro o da soggetti gi� stabiliti in detto Stato. Di conseguenza, gli operatori stranieri sono posti in una situazione svantaggiosa rispetto agli operatori italiani insediati in Italia. 48 Pertanto, il giuramento controverso, cos� imposto ai dipendenti delle imprese di vigilanza privata, costituisce, per gli operatori non stabiliti in Italia, un ostacolo alla libert� di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. 49 Per quanto riguarda il motivo dedotto in subordine dalla Repubblica italiana per giustificare l�ostacolo cos� constatato alle libert� garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE e relativo alla tutela dell�ordine pubblico, si deve ricordare che la nozione di ordine pubblico pu� essere richiamata in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettivit�. Come tutte le deroghe ad un principio fondamentale del Trattato, l�eccezione di ordine pubblico va interpretata in modo restrittivo (v. sentenza Commissione/Belgio, cit., punto 28 e giurisprudenza ivi citata). 50 Orbene, non si pu� ritenere che le imprese di vigilanza privata stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potrebbero realizzare, esercitando il loro diritto alla libert� di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi e assumendo personale che non ha prestato giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, una minaccia effettiva e grave ad un interesse fondamentale della collettivit�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni 51 Da quanto precede emerge che il requisito del giuramento che risulta dalla normativa italiana � contrario agli artt. 43 CE e 49 CE. 52 La prima censura dedotta dalla Commissione a sostegno del suo ricorso � quindi fondata. Sulla seconda censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�obbligo di detenere una licenza con validit� territoriale Argomenti delle parti 53 Secondo la Commissione, l�obbligo di ottenere una previa autorizzazione valida su una data parte del territorio italiano, di cui all�art. 134 del Testo Unico, per mere prestazioni occasionali di servizi di vigilanza privata, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell�art. 49 CE. 54 Siffatte restrizioni sono giustificabili soltanto nella misura in cui esse rispondano a motivi imperativi di interesse generale e, in particolare, tale interesse generale non sia garantito dagli obblighi cui il prestatore di servizi � gi� soggetto nello Stato membro in cui � stabilito. 55 La Repubblica italiana fa valere, in via principale, l�applicazione delle deroghe di cui agli artt. 45 CE e 55 CE. 56 In subordine, essa sostiene che, dal momento che il settore dell�attivit� in questione non � armonizzato e non vige in esso alcun regime di mutuo riconoscimento, persiste il potere dell�amministrazione dello Stato membro ospitante di sottoporre ad autorizzazione interna i soggetti provenienti da altri Stati membri. 57 Infine, la Repubblica italiana aggiunge che, in ogni caso, per valutare se l�autorizzazione possa essere concessa, l�amministrazione competente tiene conto, nella sua prassi, degli obblighi cui i prestatori sono gi� soggetti nello Stato di origine. Giudizio della Corte 58 Secondo una giurisprudenza costante, una normativa nazionale che subordina l�esercizio di talune prestazioni di servizi sul territorio nazionale, da parte di un�impresa avente sede in un altro Stato membro, al rilascio di un�autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dell�art. 49 CE (v., in particolare, sentenze 9 agosto 1994, causa C-43/93, Vander Elst, Racc. pag. I-3803, punto 15; Commissione/Belgio, cit., punto 35; 7 ottobre 2004, causa C-189/03, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9289, punto 17, e 18 luglio 2007, causa C-134/05, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23). 59 Inoltre, la limitazione dell�ambito di applicazione territoriale dell�autorizzazione che obbliga il prestatore, ai sensi dell�art. 136 del Testo Unico, a chiedere un�autorizzazione in ognuna delle province ove intende esercitare la sua attivit�, tenendo presente la suddivisione dell�Italia in 103 province, rende ancora pi� complicato l�esercizio della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza 21 marzo 2002, causa C-298/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3129, punto 64). 60 Pertanto, una normativa quale quella in discussione nella presente causa � contraria, in via di principio, all�art. 49 CE e, di conseguenza, vietata da tale articolo, salvo essa sia giustificata da motivi imperativi d�interesse generale e a condizione, peraltro, di essere proporzionata rispetto allo scopo perseguito (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 24). 61 Occorre in primo luogo rilevare che il requisito di un�autorizzazione amministrativa o di una licenza preventive per l�esercizio di un�attivit� di vigilanza privata appare in s� idoneo a rispondere all�esigenza di tutela dell�ordine pubblico, tenuto conto della natura specifica dell�attivit� di cui trattasi. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 62 Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, una restrizione pu� essere giustificata solo qualora l�interesse generale dedotto non sia gi� tutelato dalle norme cui il prestatore � assoggettato nello Stato membro in cui � stabilito (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 43). 63 Non si pu� dunque considerare necessaria per raggiungere lo scopo perseguito una misura adottata da uno Stato membro la quale, in sostanza, si sovrappone ai controlli gi� effettuati nello Stato membro in cui il prestatore � stabilito. 64 Nel caso di specie, la normativa italiana, non prevedendo che, ai fini del rilascio di una licenza, si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore di servizi transfrontaliero � gi� assoggettato nello Stato membro nel quale � stabilito, eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito dal legislatore nazionale, che � quello di garantire uno stretto controllo sulle attivit� di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 38; 29 aprile 2004, causa C-171/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-5645, punto 60; Commissione/ Paesi Bassi, cit., punto 18, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit. supra, punto 25). 65 Quanto all�argomento della Repubblica italiana secondo cui vigerebbe una prassi amministrativa applicando la quale, al momento della decisione circa le richieste di autorizzazione, l�autorit� competente terrebbe conto degli obblighi posti dallo Stato membro di origine, si deve rilevare che non � stata fornita prova di tale prassi. In ogni caso, per giurisprudenza costante, semplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dall�amministrazione e prive di adeguata pubblicit�, non possono essere considerate valido adempimento degli obblighi del Trattato (v., in particolare, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19). 66 Infine, come osservato al punto 44 della presente sentenza, le deroghe di cui agli artt. 45 CE e 55 CE non sono applicabili nella fattispecie in esame. 67 Pertanto, la seconda censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo del- l�obbligo di licenza con validit� territoriale, � fondata, mancando nella normativa italiana una disposizione che imponga espressamente di prendere in considerazione i requisiti previsti nello Stato membro di stabilimento. Sulla terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialit� della licenza e della rilevanza, ai fini del rilascio di tale licenza, del numero e del- l�importanza delle imprese gi� operanti nel medesimo territorio 68 Come osservato al punto 59 della presente sentenza, dall�art. 136 del Testo Unico risulta che il fatto di disporre di una licenza consente di esercitare l�attivit� di vigilanza privata solo nel territorio per il quale essa � stata rilasciata. 69 Spetta peraltro al Prefetto valutare l�opportunit� di rilasciare le licenze in considerazione del numero e dell�importanza delle imprese gi� attive nel territorio interessato. Argomenti delle parti 70 Secondo la Commissione le disposizioni in parola rappresentano una restrizione ingiustificata e sproporzionata della libert� di stabilimento e, per il fatto stesso della licenza, della libera prestazione dei servizi. 71 Inoltre, essa sottolinea che il Prefetto, nel valutare il rischio per l�ordine pubblico costituito dalla presenza di un numero eccessivo di imprese attive nel settore della vigilanza privata su un dato territorio, determinerebbe une situazione di incertezza giuridica per gli operatori provenienti da un altro Stato membro, aggiungendo che non � stata peraltro fornita la prova di una minaccia grave ed effettiva all�ordine e alla sicurezza pubblica. 72 La Repubblica italiana afferma che tale limitazione territoriale non � contraria all�art. 43 CE e che essa � direttamente connessa alla valutazione relativa alla tutela dell�ordine pubblico cui il Prefetto subordina il rilascio della licenza. Detta valutazione si fonde IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni rebbe necessariamente su circostanze di natura puramente territoriale, come la conoscenza della criminalit� organizzata su un dato territorio. 73 Essa fa infine valere che � opportuno vegliare a che tali imprese di vigilanza privata non si sostituiscano alla pubblica autorit�. Giudizio della Corte 74 La Repubblica italiana non contesta il fatto che la limitazione territoriale della licenza costituisca una restrizione sia alla libert� di stabilimento sia alla libera prestazione dei servizi, ai sensi della giurisprudenza della Corte citata al punto 17 della presente sentenza. In via principale, a sua difesa, essa richiama la tutela dell�ordine pubblico e della pubblica sicurezza, sottolineando, a tale riguardo, che l�attivit� di vigilanza privata deve svolgersi al riparo da infiltrazioni criminali di stampo locale. 75 Per quanto riguarda i motivi di ordine pubblico fatti valere dalla Repubblica italiana per giustificare siffatta restrizione, e alla luce della giurisprudenza costante della Corte quale ricordata al punto 49 della presente sentenza, anche ammettendo che il rischio di infiltrazioni di dette organizzazioni possa essere ritenuto esistente, la Repubblica italiana non asserisce n� dimostra che il sistema delle licenze territoriali sarebbe l�unico idoneo ad eliminare tale rischio ed a garantire il mantenimento dell�ordine pubblico. 76 La Repubblica italiana non ha dimostrato che, al fine di non pregiudicare l�attuazione di un efficace controllo dell�attivit� di vigilanza privata, sia necessario rilasciare un�autorizzazione per ogni ambito territoriale provinciale in cui un�impresa di un altro Stato membro intende svolgere l�attivit� di cui trattasi a titolo della libert� di stabilimento o della libera prestazione dei servizi; va tenuto presente al riguardo che l�attivit� in parola, di per s�, non � tale da creare turbative per l�ordine pubblico. 77 A questo proposito, misure meno restrittive di quelle adottate dalla Repubblica italiana, ad esempio l�introduzione di controlli amministrativi regolari, potrebbero, in aggiunta al requisito di un�autorizzazione preventiva non limitata territorialmente, assicurare un risultato analogo e garantire il controllo dell�attivit� di vigilanza privata, in quanto l�autorizzazione in questione potrebbe essere del resto sospesa o revocata in caso di inadempienza degli obblighi incombenti alle imprese di vigilanza privata o di turbative all�ordine pubblico. 78 Infine, non pu� essere accolto nemmeno l�argomento secondo cui sarebbe necessario non consentire ad un numero eccessivo di imprese straniere di stabilirsi per esercitare attivit� di vigilanza privata o di offrire i loro servizi sul mercato italiano della vigilanza privata affinch� dette imprese non si sostituiscano all�autorit� di pubblica sicurezza, segnatamente in mancanza di identit� fra l�attivit� di cui � causa e quella rientrante nell�esercizio di pubblici poteri, come esposto al punto 40 della presente sentenza. 79 Di conseguenza, le restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi che risultano dalla normativa controversa non sono giustificate. 80 Pertanto, la terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialit� della licenza, � fondata. Sulla quarta censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�obbligo di avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l�attivit� di vigilanza privata 81 Dall�applicazione del Testo Unico e del regolamento di esecuzione risulta che le imprese di vigilanza privata sono tenute ad avere una sede operativa in ogni provincia in cui intendono esercitare la loro attivit�. Argomenti delle parti 82 La Commissione sostiene che l�obbligo menzionato � una restrizione alla libera prestazione dei servizi non giustificata da alcuna ragione imperativa di interesse generale. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 83 La Repubblica italiana, che non contesta la prassi prefettizia in questione n� la restrizione alla libera prestazione dei servizi che essa comporta, fa valere che l�obbligo di disporre di una tale sede operativa o di locali � diretto ad assicurare, in particolare, un ragionevole livello di prossimit� fra l�area di operativit� delle guardie particolari giurate e l�esercizio delle responsabilit� direttive, di comando e controllo del titolare della licenza. Giudizio della Corte 84 Occorre, innanzi tutto, ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la condizione in base alla quale un�impresa di sorveglianza deve avere la sua sede di attivit� nello Stato membro in cui � fornito il servizio � direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri (v., in particolare, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 27, nonch� 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 85 � pacifico che la prassi di cui trattasi nella fattispecie costituisce un ostacolo, in via di principio vietato, alla libera prestazione dei servizi garantita dall�art. 49 CE, come del resto ammesso dalla la Repubblica italiana. 86 Orbene, una tale restrizione alla libera prestazione dei servizi non pu� ritenersi giustificata, qualora non siano soddisfatte le condizioni ricordate al punto 18 della presente sentenza, e ci� in quanto la condizione relativa alla sede operativa eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che � quello di assicurare un efficace controllo dell�attivit� di vigilanza privata. 87 Il controllo dell�attivit� di vigilanza privata, infatti, non � assolutamente condizionato dall�esistenza di una sede operativa in ogni provincia di detto Stato nell�ambito della quale le imprese intendono esercitare la loro attivit� a titolo della libera prestazione dei servizi. Un regime di autorizzazioni e gli obblighi che ne discendono, purch�, come osservato al punto 62 della presente sentenza, le condizioni da rispettare per ottenere tale autorizzazione non si sovrappongano alle condizioni equivalenti gi� soddisfatte dal prestatore di servizi transfrontaliero nello Stato membro di stabilimento, sono sotto quest�aspetto sufficienti per conseguire lo scopo di controllo dell�attivit� di vigilanza privata (v., in tal senso, sentenza 11 marzo 2004, causa C-496/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2351, punto 71). 88 Si deve quindi constatare che, obbligando i prestatori di servizi ad avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l�attivit� di vigilanza privata, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi del- l�art. 49 CE. 89 Di conseguenza, la quarta censura dev�essere accolta. Sulla quinta censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�esigenza di autorizzazione del personale delle imprese di vigilanza privata 90 In applicazione dell�art. 138 del Testo Unico, l�esercizio dell�attivit� di guardia particolare giurata � soggetto ad un certo numero di requisiti. Peraltro, la nomina delle guardie giurate dev�essere approvata dal Prefetto. Argomenti delle parti 91 Secondo la Commissione, l�instaurazione di tale autorizzazione per il personale delle imprese di vigilanza privata insediate in altri Stati membri � contraria all�art. 49 CE poich� la legislazione nazionale non tiene conto dei controlli ai quali ogni guardia particolare giurata � soggetta nello Stato membro d�origine. 92 La Repubblica italiana afferma che tale censura dovrebbe essere esaminata solo sotto il profilo della libera circolazione dei lavoratori. Inoltre, essa ribadisce la difesa gi� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni prospettata in base all�art. 55 CE relativamente alla partecipazione degli interessati all�esercizio di pubblici poteri. Giudizio della Corte 93 La Corte ha gi� dichiarato che il requisito secondo il quale gli appartenenti al personale di un�impresa di vigilanza privata devono ottenere una nuova autorizzazione specifica nello Stato membro ospitante costituisce una restrizione non giustificata alla libera prestazione dei servizi di tali imprese ai sensi dell�art. 49 CE, in quanto non tiene conto dei controlli e delle verifiche gi� effettuati nello Stato membro di origine (citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 66; Commissione/Paesi Bassi, punto 30, e 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, punto 55). 94 Orbene, ci� si verifica nel caso del Testo Unico. Pertanto, dal momento che l�argomento della Repubblica italiana relativo all�applicazione dell�art. 55 CE non � pertinente, come gi� dimostrato in precedenza, anche la quinta censura � fondata. Sulla sesta censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della fissazione di requisiti relativi al numero dei dipendenti Argomenti delle parti 95 Secondo la Commissione, l�art. 257 del regolamento di esecuzione prevede il requisito di un numero minimo e/o massimo come organico di guardie particolari giurate per ogni impresa di vigilanza privata. 96 Essa cita, peraltro, tre autorizzazioni prefettizie, rilasciate da Prefetti di province diverse, in cui � menzionato il numero di guardie particolari assunte da imprese di vigilanza privata. 97 La Commissione ritiene che sulla gestione delle imprese di vigilanza gravi un vincolo assai pesante, poich�, da un lato, il numero esatto dei dipendenti impiegati in ciascuna sede provinciale � un elemento indefettibile della domanda di licenza e, dall�altro, ogni modifica dell�organico del personale dipendente deve essere autorizzata dal Prefetto. Un obbligo siffatto costituirebbe un ostacolo ingiustificato e sproporzionato sia all�esercizio del diritto di stabilimento sia alla libera prestazione dei servizi. 98 La Repubblica italiana fa valere che l�unico obbligo imposto dalla lettera della legge riguarda la necessit� di comunicare al Prefetto la composizione dell�organico del personale dipendente, al fine di porre l�autorit� di pubblica sicurezza in condizione di sapere quante persone in armi prestano servizio in un dato territorio, e ci� per l�espletamento dei necessari controlli. 99 Essa aggiunge che le autorizzazioni prefettizie, citate a titolo esemplificativo dalla Commissione, considerano solamente i dipendenti dichiarati dai responsabili stessi delle imprese di vigilanza privata e, di per s�, non impongono alcun obbligo. Giudizio della Corte 100 � pacifico che, in applicazione dell�art. 257 del regolamento di esecuzione, qualsiasi variazione o modifica nel funzionamento dell�impresa, segnatamente una modifica del numero delle guardie impiegate, deve essere comunicata al Prefetto e da questo autorizzata. L�autorizzazione prefettizia necessaria per l�esercizio dell�attivit� di vigilanza privata viene quindi concessa tenuto conto, in particolare, dell�organico del personale dipendente. 101 Una tale condizione pu� indirettamente indurre a vietare un aumento o una diminuzione del numero di persone assunte dalle imprese di vigilanza privata. 102 Detta circostanza � tale da incidere sull�accesso degli operatori stranieri al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata. Tenuto conto, infatti, delle limitazioni cos� imposte al potere di organizzazione e direzione dell�operatore economico e delle relative conse RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 guenze in termini di costi, le imprese straniere di vigilanza privata possono essere dissuase dal costituire stabilimenti secondari o filiali in Italia o dall�offrire i loro servizi sul mercato italiano. 103 Per quanto riguarda il motivo dedotto dalla Repubblica italiana per giustificare l�ostacolo alle libert� garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE, � giocoforza constatare che l�obbligo di assoggettare ad autorizzazione del Prefetto qualsiasi modifica nel funzionamento del- l�impresa non pu� essere immediatamente qualificato inidoneo a conseguire lo scopo ad esso attribuito di realizzare un controllo efficace sull�attivit� di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 59). 104 Tuttavia, la Repubblica italiana non ha sufficientemente dimostrato in diritto che il controllo della fissazione del numero dei dipendenti richiesto dalla legislazione in vigore � necessario per raggiungere lo scopo perseguito. 105 Di conseguenza la sesta censura dev�essere accolta. Sulla settima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell�obbligo di versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti 106 Ai sensi dell�art. 137 del Testo Unico, le imprese di vigilanza privata sono tenute a versare una cauzione, nella misura da stabilirsi dal Prefetto, presso la sezione della Tesoreria provinciale dello Stato, a favore della Cassa depositi e prestiti, in ciascuna provincia in cui sono autorizzate ad esercitare la loro attivit�. Detta cauzione � diretta a garantire il pagamento di eventuali sanzioni amministrative in caso di inosservanza delle condizioni che disciplinano il rilascio della licenza. Argomenti delle parti 107 Secondo la Commissione, tale requisito impone un onere economico supplementare alle imprese che non hanno la loro sede principale in Italia, in quanto la norma di legge italiana non tiene conto dell�eventuale identico obbligo che pu� gi� esistere nello Stato membro di origine. 108 La Repubblica italiana osserva che, non essendo l�attivit� di vigilanza privata soggetta ad armonizzazione comunitaria, non si pu� che tener conto caso per caso della possibilit� che l�impresa stabilita in altro Stato membro abbia gi� potuto prestare nello Stato membro di origine idonee garanzie presso istituti di credito analoghi alla Cassa depositi e prestiti italiana. Giudizio della Corte 109 La Corte ha gi� dichiarato, in materia di vigilanza privata, che l�obbligo di provvedere ad un deposito cauzionale presso una cassa depositi e prestiti pu� ostacolare o scoraggiare l�esercizio della libert� di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE, nella misura in cui essa rende la fornitura di prestazioni di servizi o la costituzione di una filiale o di uno stabilimento secondario pi� onerosa per le imprese di vigilanza privata stabilite in altri Stati membri rispetto a quelle stabilite nello Stato membro di destinazione (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 41). 110 Si deve osservare che, nel caso di specie, l�obbligo di versare una cauzione va adempiuto in ciascuna delle province in cui l�impresa intende esercitare la sua attivit�. 111 Una restrizione siffatta pu� essere giustificata solo in quanto l�interesse generale dedotto, vale a dire porre a disposizione delle autorit� italiane somme che garantiscano l�assolvimento di tutti gli obblighi di diritto pubblico sanciti dalla normativa nazionale vigente, non sia gi� tutelato dalle norme cui il prestatore � assoggettato nello Stato membro in cui � stabilito. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni 112 A tale riguardo, la normativa italiana richiede il deposito di cauzioni senza tenere conto di eventuali garanzie gi� prestate nello Stato membro di origine. 113 Orbene, dalle osservazioni della Repubblica italiana risulta che le autorit� prefettizie competenti, nelle loro prassi, prenderebbero in considerazione, caso per caso, le cauzioni versate presso istituti di credito di altri Stati membri analoghi alla Cassa depositi e prestiti. 114 Con questa prassi, la Repubblica italiana stessa riconosce che il deposito di una nuova cauzione in ciascuna delle province in cui l�operatore, proveniente da altri Stati membri, intende esercitare la sua attivit� in base alla libert� di stabilimento o della libera prestazione dei servizi non � necessario per raggiungere lo scopo perseguito. 115 In tale contesto, la settima censura � fondata. Sull�ottava censura, relativa alla violazione dell�art. 49 CE a motivo dell�imposizione di un controllo amministrativo dei prezzi 116 In base all�art. 257 del regolamento di esecuzione, il Prefetto � incaricato di approvare le tariffe applicate dalle imprese a ogni prestazione di sicurezza privata. Qualsiasi modifica di tali tariffe deve essere autorizzata alle stesse condizioni. 117 Peraltro, dalla circolare del Ministero dell�Interno dell�8 novembre 1999, n. 559/C. 4770.10089. D, risulta che i Prefetti fissano una tariffa legale per ciascun tipo di servizio, nonch� un�oscillazione percentuale della citata tariffa all�interno della quale ogni impresa � libera di scegliere la propria tariffa per ciascun servizio. 118 I Prefetti devono verificare che le tariffe proposte rientrino nell�ambito della citata fascia di oscillazione prima di approvarle. Nel caso in cui quest�ultima non sia osservata, i titolari delle imprese devono giustificare la fissazione di tariffe non conformi, spettando ai Prefetti accertare se le imprese possano operare su tale base. Se detta ultima condizione non pu� essere dimostrata in maniera inequivocabile, le tariffe non vengono approvate e, di conseguenza, la licenza non pu� essere rilasciata. Argomenti delle parti 119 La Commissione ritiene che tale disciplina non sia compatibile con la libera prestazione dei servizi. Considerato il controllo dei prezzi cos� realizzato, le tariffe praticate in Italia impedirebbero ad un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di presentarsi sul mercato italiano o di offrire i suoi servizi a prezzi pi� vantaggiosi di quelli praticati dai suoi concorrenti in Italia, o di proporre servizi pi� costosi ma ad elevato valore aggiunto, e dunque pi� concorrenziali. 120 Una tale disciplina costituirebbe una misura idonea ad ostacolare l�accesso al mercato dei servizi di vigilanza privata, per il fatto di impedire un�efficace concorrenza sul piano dei prezzi. 121 La Repubblica italiana fa valere che la regolamentazione controversa risulta giustificata dalla necessit� di evitare la fornitura di servizi a prezzi eccessivamente bassi, che determinerebbero inevitabilmente uno scadimento del servizio, compromettendo quindi, in particolare, la tutela di interessi fondamentali riguardanti la sicurezza pubblica. Giudizio della Corte 122 Secondo una costante giurisprudenza, l�art. 49 CE osta all�applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l�effetto di rendere la prestazione di servizi tra gli Stati membri pi� difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. citata sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, punto 70). 123 Per quanto riguarda le tariffe minime obbligatorie, la Corte ha gi� dichiarato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 minimi determinati da una tariffa forense per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall�art. 49 CE (sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I-11421, punto 70, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 71). 124 Nella controversia in esame, la circolare n. 559/C. 4770.10089. D, menzionata al punto 117 della presente sentenza, riconosce ai Prefetti un potere decisionale relativo alla fissazione di una tariffa di riferimento e all�approvazione delle tariffe proposte dagli operatori, con conseguente diniego dell�autorizzazione qualora le dette tariffe non siano state approvate. 125 La restrizione cos� apportata alla libera fissazione delle tariffe � idonea a restringere l�accesso al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata di operatori, stabiliti in altri Stati membri, che intendano offrire i loro servizi nello Stato in questione. Tale limitazione, infatti, ha, da un lato, l�effetto di privare gli operatori in parola della possibilit� di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza pi� efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente in Italia e ai quali, pertanto, risulta pi� facile che agli operatori economici stabiliti all�estero fidelizzare la clientela (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 72 e giurisprudenza ivi citata). Dall�altro, questa stessa limitazione � idonea ad impedire ad operatori stabiliti in altri Stati membri di inserire nelle tariffe delle loro prestazioni taluni costi che non devono sopportare gli operatori stabiliti in Italia. 126 Infine, il margine d�oscillazione concesso agli operatori non � tale da compensare gli effetti della limitazione cos� apportata alla libera fissazione delle tariffe. 127 Si realizza pertanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi garantita dal- l�art. 49 CE. 128 Per quanto riguarda i motivi dedotti dalla Repubblica italiana per giustificare la restrizione di cui trattasi, detto Stato membro non ha fornito elementi idonei a dimostrare le conseguenze positive del regime di fissazione dei prezzi n� in relazione alla qualit� dei servizi prestati ai consumatori, n� in relazione alla sicurezza pubblica. 129 In tale contesto, occorre concludere che l�ottava censura � fondata. 130 Alla luce di quanto precede, si deve constatare che, avendo disposto, nell�ambito del Testo Unico, che: � l�attivit� di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; � l�attivit� di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un�autorizzazione del Prefetto con validit� territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono gi� assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dal- l�art. 49 CE; � la detta autorizzazione abbia una validit� territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell�importanza delle imprese di vigilanza privata gi� operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; � le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attivit�, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni � il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attivit� di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche gi� effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; � le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; � le imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e � i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nel- l�ambito di un determinato margine d�oscillazione, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE. Sulle spese 131 Ai sensi dell�art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente � condannata alle spese se ne � stata fatta domanda. Poich� la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce: 1) Avendo disposto, nell�ambito del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, cos� come modificato, che: � l�attivit� di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; � l�attivit� di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un�autorizzazione del Prefetto con validit� territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono gi� assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; � la detta autorizzazione abbia una validit� territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell�importanza delle imprese di vigilanza privata gi� operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; � le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attivit�, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; � il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attivit� di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche gi� effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; � le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; � le imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e � i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nel- l�ambito di un determinato margine d�oscillazione, la Repubblica italiana � venuta meno RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE. 2) La Repubblica italiana � condannata alle spese�. (doc. 2) Sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 29 maggio � 5 settembre 2007, n. 4647, sul ricorso in appello proposto dalla Lottomatica S.p.A./Istituti di vigilanza riuniti d�Italia � I.V.R.I. S.p.A. �(Omissis) In diritto I. L�appello principale � fondato e deve essere accolto. I.1. Deve innanzitutto respingersi la preliminare eccezione di improcedibilit� dell�appello principale, sollevata dagli Istituti di Vigilanza Riuniti d�Italia S.p.A., sul rilievo che la Lottomatica S.p.A. avrebbe dato esecuzione alla sentenza impugnata, avendo chiesto con la nota in data 19 gennaio 2007 alla impresa aggiudicataria Flash & Capitalpol S.p.A. e alla controinteressata Centralpol S.r.l. precisazioni in merito agli elementi costitutivi dell�offerta proprio in relazione alla deroga alla tariffa di legalit� autorizzata dal Prefetto. � noto infatti che l�esecuzione della sentenza immediatamente esecutiva, qual � quella di primo grado (sospesa solo per effetto del decreto cautelare presidenziale n. 835 del 14 febbraio 2007, sostanzialmente confermato dalla successiva ordinanza n. 1482 del 20 marzo 2007), esclude che possa integrare la fattispecie di acquiescenza, tanto pi� che la societ� Lottomatica S.p.A. nella predetta nota del 19 gennaio 2007 ha espressamente rappresentato la volont� di non accettare la sentenza di cui si tratta, precisando che era in corso la relativa impugnazione. I.2. Passando all�esame del merito del gravame, la Sezione ritiene indispensabile premettere in punto di fatto che, come emerge dalla documentazione in atti (ed in particolare dal paragrafo 5 del foglio illustrativo dell�oggetto della gara, delle modalit� di partecipazione e di aggiudicazione, nonch� della stipula del contratto), la lex specialis disciplinante la gara per l�affidamento del Servizio di vigilanza non armata, ponte radio e reception prevedeva espressamente che l�aggiudicazione sarebbe avvenuta in favore del concorrente che avesse offerto il prezzo pi� basso, ai sensi dell�articolo 23, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 157 del 1995, valutato in relazione al corrispettivo mensile per lo svolgimento del citato servizio di vigilanza non armata, ponte radio e reception, esposto nella dichiarazione d�offerta, e che, in caso di offerta manifestamente ed anormalmente bassa, ai sensi dell�art. 25, comma 2, del ricordato decreto legislativo n. 157 del 1995, e dell�articolo 37, comma 1, della direttiva 92/50/CEE, la Commissione aggiudicatrice avrebbe chiesto al concorrente, prima dell�aggiudicazione, le necessarie giustificazioni e, qualora queste non fossero state ritenute valide, il concorrente sarebbe stato escluso; era precisato che nella valutazione della anomalia dell�offerta, la Commissione avrebbe considerato le tariffe prefettizie (c.d. tariffe di legalit�) come parametri di congruit�. Inoltre l�esclusione dalla gara era prevista: a) per i componenti che avessero omesso di presentare anche uno solo dei documenti richiesti o che avessero presentato riserva in merito al loro contenuto o che comunque non si fossero attenuti alle modalit� di cui ai precedenti paragrafi 2, 3 e 4; b) per le offerte nelle quali fossero state sollevate eccezioni o apposte condizioni di qualsiasi natura alle modalit� di esecuzione del servizio specificate nello Schema di contratto e/o nel Capitolato Tecnico; c) per le offerte irregolari nella forma o nel contenuto ovvero difformi dalle specifiche del Contratto o del Capitolato Tecnico; d) per le impre IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni se che avessero presentato situazioni di controllo ai sensi dell�art. 2359 c.c., con altre imprese offerenti nella presente gara. Giova poi ricordare che, comՏ noto, in sede di aggiudicazione dei contratti con la pubblica amministrazione la stazione appaltante � tenuta ad applicare in modo incondizionato le clausole inserite nella lex specialis in ordine ai requisiti di partecipazione ovvero alle cause di esclusione, atteso che il formalismo che caratterizza la disciplina delle procedure di gara risponde, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerit� e, per altro verso, alla necessit� di garantire l�imparzialit� dell�azione amministrativa e la parit� di condizioni tra i concorrenti, con la conseguenza che se solo in presenza di un�equivoca formulazione della lettera di invito o del bando di gara pu� ammettersi un�interpretazione che consenta la pi� ampia ammissione degli aspiranti (C.d.S., sez. V, 31 gennaio 2006, n. 349), d�altra parte la pubblica amministrazione non pu� disporre l�esclusione dalla gara per cause diverse da quelle espressamente previste nella speciale disciplina di gara da essa stessa fissata, in virt� del principio dell�autovincolo e dell�affidamento, corollari dell�articolo 97 della Costituzione. I.3. Ci� precisato, deve innanzitutto escludersi che (come del resto sul punto correttamente rilevato dai primi giudici) la violazione da parte dei concorrenti delle tariffe prefettizie (c.d. tariffe di legalit�) poteva costituire ex se motivo di invalidit� della relativa offerta e di esclusione dalla gara, ci� non essendo espressamente previsto dalla ricordata lex specialis. D�altra parte, secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa stessa Sezione, da cui non vi � motivo per discostarsi (sez. IV, 20 settembre 2005, n. 4816), nell�ordinamento giuridico italiano non si rinviene alcuna specifica disposizione normativa, primaria o secondaria, che autorizzi i Prefetti a fissare, in via preventiva e con caratteri di generalit�, tariffe minime ed inderogabili per i servizi di vigilanza, non essendo tali le disposizioni contenute negli articoli 9 e 134 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e 257 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, tanto pi� che le (pi� recenti) circolari del Ministero dell�Interno (che hanno introdotto e configurato il nuovo sistema delle tariffe di legalit�) si sono preoccupate di chiarire che l�atto di approvazione delle tariffe, mentre impedisce agli istituti di vigilanza di praticare prezzi pi� alto di quelli ivi stabiliti, non osta a richiedere prezzi inferiori a quelli minimi; pertanto deve escludersi qualsiasi valenza autorizzativo � prescrittiva dell�atto di approvazione delle tariffe di legalit�, con la conseguenza, per un verso, che la violazione di queste ultime non comporta alcun effetto automatico di decadenza dal titolo e non spiega nemmeno effetti sulla valida prestazione dei relativi servizi e, per altro verso, che le predette tariffe costituiscono esclusivamente canoni di congruit� dei prezzi praticati dagli istituti, ai diversi fini del controllo sulla seriet� e affidabilit� dell�impresa. Pertanto in alcun modo la asserita violazione della tariffa di legalit� poteva comportare l�invalidit� dell�offerta dell�aggiudicataria e della controinteressata e tanto meno l�automatica esclusione dalla gara. I.4. Diversamente da quanto affermato dai primi giudici, la violazione della tariffa di legalit� non implica automaticamente una fattispecie dell�anomalia dell�offerta. Infatti, secondo le disposizioni della lex specialis della gara (riportate nel richiamato para- grato 5 del foglio illustrativo e che devono essere puntualmente osservate anche dalla stazione appaltante, trattandosi, come si � avuto modo di accennare, di disposizioni poste a presidio dei principi di imparzialit� e buon andamento dell�azione amministrativo, nonch� di garanzia della par condicio dei concorrenti), ai fini della individuazione dell�offerta manifestamente e anormalmente bassa doveva farsi riferimento all�articolo 25, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, a norma del quale sono sottoposte alla procedura di verifica le RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 offerte che presentano una percentuale di ribasso che superi di un quinto la media aritmetica dei ribassi delle offerte ammesse, calcolata senza tener conto delle offerte in aumento. Orbene, in punto di fatto � pacifico tra le parti che l�offerta presentata dalla societ� aggiudicataria (Flash & Capitalpol S.p.A.) e quella della controinteressata (Centralpol S.r.l.) non raggiungevano la soglia di anomalia, secondo la previsione del ricordato articolo 25 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, cos� che non sussisteva alcun obbligo per l�amministrazione appaltante di avviare la procedura di verifica di anomalia delle offerte. Diversamente opinando, del resto, il concetto di offerta anormalmente bassa sarebbe stato rimesso alla mera discrezionalit� della stazione appaltante, violando cos� macroscopicamente i principi di trasparenza, buon andamento, affidamento e par condicio, a garanzia dei quali si pone, come pure rilevato, la lex specialis della gara, cui � vincolata � come sopra accennato � la stessa stazione appaltante, che non pu� essere disapplicarla. Sotto altro profilo, poi, non pu� non rilevarsi che, seguendo la tesi dei primi giudici, verrebbe surrettiziamente reintrodotta sotto altra veste il valore prescrittivo ed inderogabile delle tariffe prefettizie di legalit� che, invece, possono costituire solo parametro di valutazione nel giudizio di verifica dell�anomalia dell�offerta anomala, come risulta dalla stessa lex specialis della gara di cui si tratta (la cui clausola non � stata neppure oggetto di impugnativa. II. Alla stregua delle considerazioni svolte deve essere accolto anche l�appello incidentale proposto dalla impresa aggiudicataria Flash & Capitalpol S.p.A., mentre deve essere respinto siccome infondato l�appello incidentale proposto dagli Istituti di Vigilanza Riuniti d�Italia S.p.A. (fondato sulla asserita erroneit� della sentenza impugnata per non aver annullato l�impugnato provvedimento di aggiudicazione per la mancata esclusione delle offerte della aggiudicataria e della interessata). A ci� consegue la riforma della sentenza impugnata ed il rigetto del ricorso proposto in primo grado dagli Istituti di Vigilanza Riuniti d�Italia � I.V.R.I. S.p.A.. La peculiarit� delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull�appello proposto dalla Lottomatica S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II, n. 326 del 27 gennaio 2007, cos� provvede: � accoglie l�appello principale della Lottomatica S.p.a. e l�appello incidentale della societ� Flash & Capitalpol S.p.A.; � respinge l�appello incidentale proposto dagli Istituti di Vigilanza Riuniti d�Italia � I.V.R.I. S.p.A.; � per l�effetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso proposto in primo grado dagli Istituti di Vigilanza Riuniti d�Italia � I.V.R.I. S.p.A.; � dichiara compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall�Autorit� amministrativa. Cos� deciso in Roma, il 29 maggio 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni (doc. 3) Circolare Ministero dell�Interno del 29 febbraio 2008 N. 557/PAS/2731/10089.D (1) Oggetto: Corte di Giustizia delle Comunit� Europee � Sentenza del 13 dicembre 2007 nella Causa C-465/05 (Commissione c/o Repubblica italiana), concernente l�ordinamento della sicurezza privata. ai Sigg. ri Prefetti Loro sedi ai Sigg. ri Commissari del Governo Trento e Bolzano al Sig. Presidente della Giunta regionale della Valle d�Aosta Aosta ai Sigg.ri Questori Loro sedi e, per conoscenza, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento delle Politiche Comunitarie Roma al Ministero dell�Economia e delle Finanze Dipartimento per le Politiche Fiscali Roma al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Roma al Comando Generale dell�Arma dei Carabinieri Roma al Comando Generale del Corpo della Guardia di Finanza Roma Si premette che con sentenza del 13 dicembre 2007, in corso di pubblicazione nella G.U.C.E., la Corte di Giustizia della Comunit� Europea, decidendo la causa C � 465/05 (Commissione Europea c/o Repubblica italiana), ha deliberato che la normativa italiana recante l�ordinamento della sicurezza privata e, in particolare, le disposizioni del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (artt. da 133 a 141) e quelle corrispondenti del relativo regolamento di esecuzione (artt. da 249 a 260) sono in contrasto con gli artt. 43 e 49 del Trattato istitutivo della Comunit� Europea (versione in vigore dal 1� febbraio 2003) (1), concernenti, rispettivamente, la libert� di stabilimento e la libera prestazione di servizi. Rinviando al testo integrale della sentenza, disponibile nel sito web della Corte �curia.europa.eu/it/index.htm�, dove � possibile prenderne lettura ed estrarne copia compilando il modulo di ricerca con gli estremi della causa sopra riportati, si richiama l�attenzione delle SS.LL. sul dispositivo, nel quale il Giudice europeo ha stabilito che: �Avendo disposto, nell�ambito del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, cos� come modificato, che: 1) l�attivit� di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedelt� alla Repubblica italiana, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; 2) l�attivit� di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un�autorizzazione del Prefetto con validit� territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono gi� assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; (1) Come noto, il trattato di Roma 25 marzo 1957, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 14 ottobre 1957, n. 1203, � stato successivamente modificato pi� volte, e in particolare con il Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, che ha stabilito anche la data di entrata in vigore del testo aggiornato, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 11 maggio 2002, n. 102. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 3) la detta autorizzazione abbia una validit� territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell�importanza delle imprese di vigilanza privata gi� operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; 4) le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attivit�, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; 5) il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attivit� di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche gi� effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE; 6) le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; 7) le imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE; 8) i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nel- l�ambito di un determinato margine d�oscillazione, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 CE.�. In ragione di quanto sopra e, ancor pi�, delle ben note criticit� del settore della sicurezza privata (oggetto, come si ricorder�, di uno speciale monitoraggio svolto nel corso del 2004), questo Ministero ha avviato le iniziative occorrenti per l�adeguamento della normativa di cui trattasi, attraverso una complessa riarticolazione delle disposizioni vigenti, soprattutto di carattere regolamentare, in modo da garantire, in un sistema aperto alla concorrenza, una maggiore affidabilit� dei servizi di sicurezza privata e, soprattutto, una tutela adeguata del personale operante e dei profili di sicurezza pubblica e di ordine pubblico. Poich� la decisione della Corte di Giustizia � immediatamente attivabile presso il giudice nazionale e deve comunque informare l�azione della pubblica amministrazione, anche al fine di evitare le conseguenze negative dell�eventuale inottemperanza al �giudicato� comunitario, � opportuno, nelle more della avviata riforma normativa, fornire qui di seguito le indicazioni formulate sulla scorta dei lavori preparatori del provvedimento in itinere e della giurisprudenza nazionale e comunitaria pi� recente. 1) Giuramento: la formula del giuramento contenuta nell�articolo 5 della legge 23 dicembre 1946, n. 478 deve ritenersi ormai riservata alle sole guardie giurate che espletano effettivamente pubbliche funzioni (quelle di rilevazione delle violazioni amministrative e, pi� in generale, dove riconosciuto dalla giurisprudenza, quelle di polizia giudiziaria) (2). In attesa della revisione normativa in corso, pu� ritenersi che tale formula di giuramento continui provvisoriamente ad essere efficace, stante anche la giurisprudenza della Corte (2) In particolare, il giuramento con la formula tradizionale � dovuto, in relazione alle funzioni di natura pubblicistica ad esse attribuite dalla legge, dalle guardie volontarie zoofile dell�ENPA (ex art. 5 del D.P.R. 31.3.1979 s.n.), dalle guardie volontarie addette alla vigilanza ittica (ex art. 22 della legge n. 963/1965) e venatoria (ex art. 27 della legge n. 157 del 1992). Per i �guardia parchi� dovr� farsi riferimento agli specifici ordinamenti, rappresentando che, comunque, i dipendenti pubblici giurano con le formule di cui alla legge n. 478/1946 citata nel testo. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni di Cassazione che ha riconosciuto, sia pure in determinate occasioni, lo svolgimento di funzioni di polizia giudiziaria (si confronti per tutte Sez. I, sent. n. 782 del 26-01-1994). Per gli appartenenti ad altri Stati membri dell�Unione Europea, stante, comunque, la previsione di un giuramento, che la Corte di giustizia non ha di per s� censurato, dovr� adottarsi una formula che non implichi un impegno di fedelt� �alla Repubblica Italiana�, n� �al Capo dello Stato� italiano, evidentemente inappropriato per quei cittadini comunitari, che pure possono svolgere l�attivit� di guardia giurata nel nostro Paese (ex art. 138 T.U.L.P.S., come modificato dalla legge n. 39/2002). Al fine di consentire a questi ultimi di svolgere l�attivit� di vigilanza senza restrizioni inappropriate, il testo normativo �in itinere� ha individuato la seguente formula: �Giuro di osservare lealmente le leggi e le altre disposizioni vigenti nel territorio dello Stato e di adempiere le funzioni affidatemi con coscienza e diligenza, nel rispetto dei diritti dei cittadini�, che appare pertinente allo scopo e non discriminatoria nei confronti degli addetti ai servizi di vigilanza che dovessero essere cittadini di altro Stato membro dell�Unione Europea, stabiliti in Italia, o dipendenti da imprese di vigilanza stabilite in Italia. Nelle more dell�emanando regolamento, e tenuto anche conto del fatto che la presente circolare non pu� impegnare, per sua natura, gli organi di altre Amministrazioni, si ravvisa l�opportunit� di far prestare il giuramento prescritto, nella nuova formula sopra detta, davanti alla medesima autorit� amministrativa (il Prefetto) che approva la nomina delle guardie particolari, o un suo delegato, facendone annotazione in calce al decreto di approvazione. Ove disponibile un servizio di traduzione asseverata, sar� consentito il giuramento nella lingua materna o in altra lingua europea conosciuta dall�interessato. Resta inteso che il giuramento gi� prestato con la formula e nei modi tradizionali rester� comunque perfettamente valido. 2) Oneri assolti nello Stato d�origine: Nel caso di rilascio della licenza a titolari o rappresentanti di istituti gi� stabiliti in altro Stato membro dell�Unione Europea, il Prefetto terr� conto degli obblighi cui gli interessati sono assoggettati nello Stato membro d�origine. In particolare: ai fini dell�accertamento della �capacit� tecnica� (per la quale vds. punto 3), si terr� conto della professionalit�, della struttura organizzativa, della dotazione di mezzi e di attrezzature gi� in possesso nello Stato d�origine, sempre che ne sia dimostrata la disponibilit� per i servizi da svolgersi in Italia, e fermi restando gli altri obblighi di legge vigenti in Italia, in particolare per quanto concerne la conformit� dei mezzi e delle attrezzature alle norme nazionali di riferimento; relativamente alla cauzione, si precisa che essa potr� essere prestata con le modalit� previste dall�art. 14 del regolamento di esecuzione del TULPS, come modificato dal D.P.R. 28 maggio 2001, n. 311, anche presso un istituto bancario o assicurativo dello Stato d�origine, accreditato in Italia. Una nuova cauzione potrebbe non essere necessaria qualora l�interessato dimostri che la cauzione, la fideiussione o la polizza assicurativa gi� prestata nello Stato d�origine, adeguata, anche nell�ammontare, a quella richiesta in Italia in analoghe circostanze, sia assistita da un�idonea clausola di pagamento a favore delle competenti autorit� italiane, a semplice richiesta del Prefetto, ai fini dell�eventuale incameramento, totale o parziale, di cui all�art. 137, terzo comma, del T.U.L.P.S (3). (3) Cfr. sul punto, le argomentazioni della Corte di Giustizia CE nella sentenza del 26 gennaio 2006 sulla causa C-514/03 nei confronti della Spagna (punti 41-44). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Pertanto, i sigg.ri Prefetti, cui sia eventualmente richiesto il rilascio di una licenza da parte del titolare o rappresentante di un istituto gi� autorizzato ad operare in altro Stato membro dell�Unione Europea, richiederanno gli elementi istruttori alle competenti autorit� dello Stato d�origine per il tramite del Dipartimento della pubblica sicurezza, nonch�, relativamente alla prestazione della cauzione dall�estero, al competente ufficio del Ministero dell�Economia e delle Finanze, per i profili tecnico-finanziari di competenza. 3) Superamento del limite provinciale: Sia per i richiedenti nazionali che per quelli appartenenti ad altri Stati membri dell�Unione Europea, il limite provinciale cessa di essere una caratteristica indefettibile della licenza, per adeguarsi alla libera articolazione dell�iniziativa economica privata. Inoltre, la facolt� di cui al secondo comma dell�art. 136 del T.U. delle leggi di p.s., di negare la licenza �in considerazione del numero o della importanza degli istituti gi� esistenti�, non potr� pi� trovare applicazione, in quanto contraria, secondo il giudicato della Corte europea, agli artt. 43 e 49 del Trattato CE (4). Permangono, invece, non censurati dalla Corte di Giustizia ed anzi destinati a costituire i cardini della nuova disciplina di settore, i parametri concernenti i requisiti di affidabilit� dei soggetti interessati, la capacit� tecnica, le eventuali controindicazioni inerenti la sicurezza pubblica o l�ordine pubblico, di cui, rispettivamente, agli articoli 134, secondo comma, e 136, primo e ultimo comma, del T.U. delle leggi di p.s. In attesa della pi� compiuta disciplina regolamentare, che potr� prevedere ambiti territoriali differenziati e differenziate caratteristiche tecnico-organizzative e dimensionali del- l�istituto, in reciproca relazione, si ritiene necessario formulare le seguenti direttive: relativamente alle caratteristiche della licenza ed al rilascio della stessa: la licenza sar� rilasciata, fino a diversa determinazione, dal Prefetto competente per il luogo in cui il richiedente avr� individuato la sede tecnico-operativa, nella quale assolvere gli obblighi di direzione e gestione dell�istituto e quelli di conclusione degli affari concernenti i servizi di vigilanza, con i connessi obblighi di cui all�art. 135 T.U.L.P.S.. La licenza individuer�, quindi, secondo la richiesta degli interessati e sussistendo i prescritti requisiti di affidabilit� e capacit�, l�ambito funzionale e territoriale prescelto (il tipo o i tipi di servizio che si intende svolgere; la o le province ovvero la o le regioni in cui si intende operare), acquisito il parere dei Prefetti competenti per territorio e del Questore, per i profili tecnico-operativi di competenza, nonch�, se necessario, degli altri organi pubblici in possesso delle competenze tecniche eventualmente occorrenti (anche ai fini della valutazione della �capacit� tecnica� di cui si dir� appresso). Il parere degli altri Prefetti non sar� necessario per l�espletamento dei servizi che, per loro natura, gi� prescindono dal carattere della territorialit�, o perch� connessi ad una specifica installazione (ad es.: la gestione di sistemi di telesorveglianza ed allarme, di �caveaux�, (4) Peraltro anche la giurisprudenza amministrativa pi� recente (Cons. Stato, ordinanza n. 1472/2004 del 30 marzo 2004; parere n. 2937/05 del 29 marzo 2006; sentenza n. 2197/2006 del 13 dicembre 2005) si � espressa criticamente sull�applicazione della norma in questione, ritenendone l�incompatibilit� con l�ordinamento concorrenziale del mercato e sottolineando che l�eventuale rifiuto della licenza per i motivi �de qua� non pu� prescindere dall�accertamento di elementi in grado di denotare l�effettivit� di un �vulnus� diretto per la sicurezza e l�ordine pubblico. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni ecc.) o perch� necessariamente mobili (ad es.: il trasporto valori, la vigilanza in cantieri mobili, la vigilanza per specifici eventi). Per tali tipologie di servizio le relative modalit� di svolgimento saranno approvate, ai sensi del R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952, dal Questore della stessa provincia dove risulta rilasciata la licenza. In tutti i casi, dovr� essere comunque preventivamente segnalata al Questore competente per territorio, ai fini dei controlli demandatigli dalla legge, la presenza di guardie particolari giurate o di altri operatori della sicurezza privata appartenenti ad istituti aventi sede in altra provincia. Fermo restando che la determinazione dimensionale dell�impresa, anche relativamente al personale impiegato, costituisce una libera scelta imprenditoriale, fatte salve le condizioni di cui si dir� appresso, va da s� che la struttura organizzativa ed operativa dell�istituto dovr� risultare perfettamente in grado di assicurare i servizi offerti e commisurata all�ambito funzionale e territoriale richiesto, garantendo comunque la necessaria attivit� di direzione, l�indirizzo unitario ed il controllo delle attivit� delle guardie particolari giurate. A tal fine ogni domanda per il rilascio di una nuova licenza o per l�integrazione di quella gi� rilasciata sar� corredata di un progetto tecnico-organizzativo recante: - l�indicazione del soggetto che richiede la licenza, dell�institore o del direttore tecnico preposto all�istituto o alle eventuali articolazioni secondarie, nonch� degli altri soggetti provvisti di poteri di direzione, amministrazione o gestione, anche parziali, se esistenti; -la composizione organizzativa e l�assetto proprietario dell�istituto, con l�indicazione, se esistenti, dei rapporti di controllo attivi o passivi e delle eventuali partecipazioni in altri istituti; -l�indicazione degli ambiti territoriali in cui l�istituto intende svolgere la propria attivit�, precisando la sede legale e quella o quelle operative, qualora non coincidenti (circa la pluralit� delle sedi operative vds. anche punto 4); -l�indicazione dei servizi per i quali si chiede l�autorizzazione, del personale (vds. anche il punto 6), dei mezzi e delle tecnologie che si intendono impiegare; unitamente alla documentazione attestante: -il possesso delle capacit� tecniche occorrenti, proprie e delle persone preposte alle unit� operative dell�istituto; -la disponibilit� dei mezzi finanziari, logistici e tecnici occorrenti per l�attivit� da svolgere e le relative caratteristiche, conformi alle disposizioni in vigore; relativamente ai requisiti soggettivi: si continuer� a fare riferimento a quelli richiesti dal secondo comma dell�art. 134 T.U.L.P.S., integrati sulla scorta dell�art. 10 della legge n. 575 del 1965, precisando che gli stessi dovranno sussistere in capo al richiedente o, se trattasi di societ�, al legale rappresentante ed a chiunque eserciti funzioni di amministrazione e gestione (5) della societ� o impresa e delle persone comunque preposte alle sue articolazioni territoriali o funzionali; relativamente alla capacit� tecnica: si intende che le indicazioni sopra dette relativamente al �progetto tecnico-organizzativo� (o �progetto d�impresa�) sono strettamente finalizzate all�accertamento della capacit� tecnica che, in relazione alla soppressione del vincolo dimensionale e territoriale finora in vigore, (5) Per l�individuazione dei soggetti aventi compiti di amministrazione e gestione, giova fare riferimento alle istruzioni a suo tempo impartite per l�applicazione dell�art. 2, c. 3, del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 assume una particolare centralit� nel procedimento autorizzatorio, essendo rimesso a questa Amministrazione di assicurare sufficienti livelli di affidabilit� e sicurezza dei servizi di vigilanza privata. Atteso il carattere fortemente innovativo, per l�ordinamento interno, del principio di libera determinazione delle dimensioni funzionali e territoriali degli istituti di vigilanza, anche oltre il limite provinciale, occorre fare riserva di specifiche istruzioni circa i requisiti di �capacit� tecnica� per gli istituti che volessero assumere una dimensione territoriale rilevante (ultraprovinciale, regionale o nazionale), posto che quelli finora in uso sono calibrati sulla dimensione non superiore alla provincia. In proposito, giova precisare che l�emanando regolamento rimette la determinazione di tali requisiti ad una decretazione ministeriale assistita dal parere di un�apposita commissione consultiva centrale, con esperti di diversa provenienza e competenza. Tuttavia, qualora dovessero pervenire � presso la Prefettura della provincia ove l�istituto ha la sede tecnica operativa � nuove istanze, nelle more dalla definizione delle modifiche normative e regolamentari in itinere, non � precluso l�avvio delle conseguenti attivit� di valutazione del �progetto tecnico-organizzativo� (o �progetto d�impresa�), che comporta anche la valutazione della disponibilit� dei mezzi finanziari, logistici e tecnici occorrenti per le attivit� da svolgere. A tal fine, da parte delle SS.LL. dovr� essere intrapresa ogni utile iniziativa al riguardo, non esclusa la convocazione delle conferenze provinciali permanenti di cui all�art. 4 del D.P.R. 3 aprile 2006, 180, opportunamente integrate da esperti in materia di organizzazione aziendale, nella valutazione economica-finanziaria, ecc., al fine di svolgere una valutazione quanto pi� ampia possibile, fermi restando gli aspetti pi� intimamente connessi con l�ordine e la sicurezza pubblica. Al termine di tale procedura istruttoria occorrer� segnalare preventivamente al Dipartimento della pubblica sicurezza le conseguenti valutazioni delle SS. LL. connesse alle determinazioni da assumere al riguardo, fornendo, inoltre, ogni ulteriore contributo che potr� formare oggetto di approfondimento ai fini del- l�emanazione del decreto ministeriale cui � rimessa l�individuazione dei nuovi requisiti di �capacit� tecnica�.La griglia di requisiti volti ad attestare la �capacit� tecnica� a svolgere servizi di vigilanza privata gi� in uso potranno essere prudentemente utilizzati, oltre che per l�ambito provinciale e per i servizi che, per loro natura, gi� prescindono dal carattere della territorialit�, anche, con effetto sommatorio (salvo quanto si dir� ai punti 4 e 6), nel caso venga richiesta l�unificazione delle licenze finora rilasciate al medesimo titolare in sedi diverse. In tal caso si proceder� al rinnovo della licenza-base, con le opportune integrazioni, sulla base dei �progetti tecnico-organizzativi� che saranno presentati dagli interessati e che dovranno costituire l�occasione per un miglioramento sostanziale della qualit� ed affidabilit� dei servizi di sicurezza privata. Contestualmente saranno ritirate le licenze non pi� necessarie. Si richiamano, infine, per confermarne la valenza, le indicazioni di carattere generale concernenti la verifica della �capacit� tecnica� recate nella circolare 557/PAS. 15442.10089.D (7) 2 del 7 gennaio 2005; relativamente alle evidenze negative di ordine e sicurezza pubblica: permane, come si � detto, non censurata dal giudice europeo, la facolt� di negare o revocare la licenza per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico, di cui all�ultimo comma del medesimo art. 136 T.U.L.P.S.. Conformemente alla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia CE, occorre che il diniego costituisca misura necessaria e proporzionata rispetto alle esigenze. Rientreranno IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni in quest�ambito, in particolare, sia l�esigenza di prevenire eventuali condotte illecite volte ad incrementare artificiosamente la �domanda� di servizi di vigilanza, sempre che si sia in possesso di utili elementi prognostici, che quella del rapporto fra sicurezza pubblica e sicurezza privata (6). In conclusione, per effetto della sentenza indicata in premessa, d�ora in avanti la licenza potr� essere ricusata o, se gi� rilasciata, potr� o dovr� essere revocata solo per: carenza dei requisiti soggettivi di cui all�art. 134 T.U.L.P.S. o presenza di taluno dei provvedimenti interdettivi previsti dalle norme penali e antimafia; carenza o inadeguatezza della �capacit� tecnica�, da valutarsi anche con riferimento alle caratteristiche funzionali e dimensionali dell�istituto, con particolare attenzione ai requisiti di affidabilit� dei servizi di vigilanza privata; superiori esigenze di ordine e sicurezza pubblica, attentamente valutate e specificamente motivate. 4) Superamento dell�obbligo di una sede operativa in ogni provincia: Fermo restando quanto detto al punto precedente, neppure pu� essere considerata presupposto indefettibile della licenza la disponibilit� di una sede operativa in ogni provincia. Conseguentemente, gli obblighi di tenuta ed esibizione del registro delle operazioni, quelli di identificazione del cliente (committente) e quelli di affissione della tabella delle operazioni, con le relative tariffe, saranno assolti nella sede principale ed in quelle operative comunque stabilite nel territorio dello Stato, osservate le modalit� gi� indicate con la circolare n. 557/PAS/11858.12015(1) del 2 gennaio 2008, concernente analoga problematica delle agenzie di recupero crediti. Parzialmente diversa � la questione della disponibilit� di una �sala operativa�, che si differenzia concettualmente dalla �sede�, in quanto non attiene al luogo di assolvimento degli adempimenti disciplinati dall�art. 134 del T.U.L.P.S., bens� alle modalit� di impiego delle guardie particolari giurate e, quindi, alla adeguatezza tecnico-operativa dell�istituto e dei suoi servizi. Essa, pertanto, former� oggetto di specifiche indicazioni in sede di regolamentazione tecnica del requisito della �capacit� tecnica�, conformando, comunque, le prescrizioni al principio di non richiedere alle imprese oneri che non siano giustificati da evidenti motivi di sicurezza. Giova precisare in proposito che il Dipartimento della pubblica sicurezza ha gi� accolto, sia pure in relazione a specifiche situazioni locali (ad es.: le nuove province regionali della Sardegna) il principio secondo cui la dislocazione della �sala operativa� pu� essere indifferente, purch� idonea, per tecnologia e modalit� di conduzione, ad assicurare la (6) A carattere indicativo, si fa presente che la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, esaminando � nella XIV legislatura � le proposte di legge di riforma della sicurezza privata, aveva individuato il rapporto massimo in un terzo del personale delle forze dell�ordine in ciascuna provincia. Anche il Consiglio di Stato, nel parere n. 2937/05 citato nella nota precedente, aveva suggerito di individuare una soglia oggettiva della pericolosit� insita nella presenza di corpi armati troppo numerosi. La sentenza della Corte di Giustizia non consente tuttavia di porre limiti dimensionali allo svolgimento delle attivit� di sicurezza privata, o nel numero delle guardie giurate dipendenti (cfr. oltre, nel testo, punto 6), va quindi rimessa al prudente apprezzamento dell�autorit� di pubblica sicurezza l�individuazione delle situazioni di attuale o potenziale pericolo per l�ordine e la sicurezza pubblica, anche in relazione alle obiettive possibilit� di controllo delle attivit� autorizzate. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 costante controllabilit�, direzionabilit� e assistenza del personale operante e costante collegamento con le sale operative dei presidi di polizia competenti per territorio (7). Si rappresenta, infine, che lo schema di regolamento predisposto da questa Amministrazione prevede che possa farsi a meno di una sala operativa in ogni provincia, purch� l�istituto disponga di linee di telecomunicazioni dedicate almeno per ogni ambito territoriale in cui operano le guardie giurate dipendenti. Poich� dall�applicazione della sentenza nei punti 3) e 4) pu� derivare una maggiore mobilit� di servizio delle guardie particolari giurate, si precisa che l�eventuale prestazione di un servizio fuori della provincia in cui ha sede l�istituto di appartenenza pu� essere svolto solo se conforme al regolamento di servizio approvato dal Questore, il quale dovr� contenere le prescrizioni occorrenti per la sicurezza delle guardie particolari giurate, anche relativamente all�osservanza dei limiti previsti per la durata giornaliera del servizio (8). 5) Oneri assolti nello Stato d�origine dal personale di vigilanza: Il principio di �non duplicazione� degli oneri gi� assolti nello Stato d�origine, appartenente all�Unione Europea, � stato sancito dalla Corte di Giustizia anche relativamente al personale addetto ai servizi di vigilanza, per cui esso trover� applicazione anche nei confronti del personale operativo al seguito di istituti di vigilanza stabiliti in altro Stato membro che vengano a stabilirsi (richiedere la licenza) anche in Italia. La loro �nomina� sar�, quindi, approvata tenendo conto delle selezioni, della formazione e delle valutazioni di pubblica sicurezza effettuate nel Paese d�origine, mediante la previa verifica della sussistenza dei requisiti e delle eventuali autorizzazioni gi� rilasciate nel predetto Stato d�origine e dei soli requisiti penali e di polizia previsti dall�art. 138 del T.U.L.P.S. (osservando, per l�istruttoria, le indicazioni gi� date a proposito del punto 2). Analogamente si proceder� per il personale comunque assunto da istituti di vigilanza operanti nel territorio dello Stato, qualora sia in possesso di un titolo autorizzatorio gi� rilasciato dalla competente autorit� di altro Stato membro dell�U.E.. In parte analoga � anche se fortemente innovativa e particolarmente delicata per i profili di ordine e sicurezza pubblica � � la situazione del personale di vigilanza, appartenente ad un istituto di sicurezza privata stabilito in altro Stato membro dell�Unione Europea, incaricato di svolgere in Italia servizi di sicurezza, in base al principio di libera prestazione di servizi. Su tale punto si fa presente che la libera prestazione di servizi, senza un previo stabilimento dell�istituto di sicurezza privata nel territorio dello Stato interessato (pi� semplicemente: senza aver conseguito, nel medesimo Stato, la prescritta licenza o autorizzazione) � generalmente riconosciuta nell�ambito dei cosiddetti servizi �transfrontalieri� (�occasionali� e �temporanei�) (9) ed � comunque sottoposta alla stretta osservanza delle disposizioni (7) Cfr. nota 557/PAS/.14885.10089.D.53(1) del 27 dicembre 2007, indirizzata alle Prefetture e Questure della Sardegna, e nota 557/PAS/11451.10089.D.4 (1) del 3 settembre 2007, indirizzata alle Prefetture e Questure di Bari e di Palermo. (8) Cfr., in proposito, da ultimo, la circolare 557/PAS.7446.10089.D.(10) del 1 giugno 2006. (9) Nella stessa sentenza del 13 dicembre indicata in premessa, la Corte di Giustizia fa specifico riferimento al �prestatore di servizi transfrontaliero� (punto 64), richiamando altre sentenze che sui servizi transfrontalieri si sono espressamente soffermate (sentenza sulla causa C-335/98, riguardante il Belgio, punto 39; sentenza sulla causa C-171/02, riguardante il Portogallo, punto 60). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni in vigore nello Stato interessato, particolarmente per quanto concerne il controllo pubblico sulle attivit� svolte e l�eventuale impiego di armi o altri strumenti sottoposti a particolari regimi (autorizzatori, di omologazione, ecc.) (10). Si rappresenta, in proposito, che le norme in itinere, come predisposte da questo Ministero, prevedono, sul punto, che: �Il Ministero dell�interno � Dipartimento della pubblica sicurezza pu��.autorizzare l�esercizio occasionale nel territorio della Repubblica di servizi temporanei di vigilanza e custodia ammessi dalla legge ad imprese regolarmente autorizzate allo svolgimento dei medesimi servizi nello Stato di stabilimento, utilizzando proprio personale munito delle qualificazioni e autorizzazioni previste nello Stato di stabilimento, sulla base di incarichi regolarmente assunti nel medesimo Stato. Alle medesime condizioni possono essere autorizzate le attivit� transfrontaliere, intendendo per tali quelle che hanno inizio nello Stato membro di stabilimento dell�impresa e che devono concludersi in territorio italiano e viceversa. Con le autorizzazioni �sono adottate le prescrizioni occorrenti per assicurare che i servizi siano assolti alle medesime condizioni, compresa la vigilanza dell�autorit� di pubblica sicurezza, previste nel territorio della Repubblica per lo svolgimento di servizi analoghi. Relativamente al porto delle armi si osservano le disposizioni vigenti nel territorio della Repubblica�. In relazione a quanto sopra, ove ne venga fatta richiesta nelle more dell�approvazione delle disposizioni in parola, le SS.LL. informeranno tempestivamente al Dipartimento della pubblica sicurezza per la valutazione dei provvedimenti e delle altre misure occorrenti, fermo restando che per il personale impiegato in tali servizi non � richiesto il giuramento. 6) Divieto di limitazioni o prescrizioni numeriche del personale dipendente: La sentenza indicata in premessa dispone chiaramente che nessuna prescrizione o limitazione numerica potr� essere disposta in ordine al personale dipendente dagli istituti di vigilanza. Si tratta, evidentemente, dell�affermazione del diritto di libera determinazione dell�attivit� imprenditoriale, gi� evidenziato al punto 3), cui si conforma, come noto anche l�ordinamento italiano (cfr. art. 41 Cost.). Premesso che le norme del T.U.L.P.S. in materia non prevedono, neppur esse, alcuna limitazione numerica, si osserva che la Corte di Giustizia ha inteso fare riferimento alla prassi che vede talvolta condizionare, per motivi diversi, il rilascio della licenza a vincoli numerici minimi o massimi, ritenendola un ostacolo non giustificato alla libert� di impresa. Nondimeno, � pur vero che i fattori presi in considerazione in passato per il dimensionamento degli istituti di sicurezza privata non sono indifferenti alle valutazioni che accompagnano il rilascio delle licenze in materia ed il controllo delle attivit� autorizzate, in quanto la puntuale documentazione del numero delle g.p.g. dipendenti o che si intende assumere � particolarmente rilevante per: (10) Per non incorrere nelle sanzioni previste per l�esercizio senza autorizzazione, occorre che siffatti servizi abbiano durata temporalmente circoscritta ed il carattere di occasionalit�, in relazione a specifici eventi ed esigenze (es. vigilanza di beni di propriet� di soggetto straniero trasportati e/o esposti temporaneamente in Italia; servizio di �stewarding� in relazione alla presenza di tifoserie di cittadini di altro Stato europeo, ecc.). Secondo alcuni osservatori occorre anche che l�incarico per lo svolgimento di tali servizi sia conferito nello Stato di stabilimento. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 - verificare la capacit� tecnica (anche sotto il profilo finanziario e gestionale) di chi richiede la licenza, tanto pi� nel momento in cui diviene possibile superare il limite territoriale provinciale; -verificare il rispetto dei regolamenti di servizio e delle prescrizioni che individuano il numero delle g.p.g. da impiegare nei servizi a rischio (es. il trasporto valori); -verificare il rispetto dei limiti orari di impiego del personale e degli altri obblighi a tutela dello stesso, particolarmente per i profili di sicurezza; -valutare eventuali rischi, anche solo potenziali, per l�ordine pubblico. Legittimamente, pertanto, la licenza potr� contenere prescrizioni a tutela dei rilevanti interessi pubblici sopra indicati. Esclusa, in ogni caso, l�apposizione di limiti numerici minimi o massimi, i Sigg.ri Prefetti adotteranno le prescrizioni occorrenti affinch� sia sempre osservato l�obbligo di comunicazione del personale dipendente di cui all�art. 259 del regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S., (in funzione dei relativi controlli), e l�onere della previa autorizzazione nei confronti delle modificazioni di carattere strutturale, funzionale o dimensionale che richiedano un aggiornamento della verifica della �capacit� tecnica� corrispondente, con applicazione restrittiva, secondo il dettato della Corte europea, della disposizione dell�ultimo comma dell�art. 257 del medesimo regolamento di esecuzione. Anche in tale circostanza sar� richiesto un documentato �progetto tecnico-operativo� di cui si � detto al punto 3). 7) Relativamente alla cauzione, si fa rinvio a quanto anticipato al punto 2). 8) Divieto di determinazione autoritativa dei prezzi: Occorre prendere atto che la legge (art. 135 T.U.L.P.S., quarto e sesto comma; art. 257, quarto comma, del relativo regolamento di esecuzione) non conferisce al Prefetto alcuna potest� di determinare autoritativamente le tariffe dei servizi di vigilanza privata, bens� di assicurare una sorta di verifica di congruit� delle stesse, secondo l�ormai consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato. In tale prospettiva, anche i �ribassi� eventualmente offerti, per aggiudicarsi taluni servizi potranno essere soggetti a verifiche, finalizzate ad accertare che l�operazione non avvenga in pregiudizio della qualit� dei servizi stessi � e, dunque, delle esigenze di ordine e sicurezza pubblica � ovvero della sicurezza delle guardie giurate, secondo regole gi� ampiamente recepite nell�ordinamento (11) e dalla giurisprudenza amministrativa. Nelle more delle modifiche regolamentari occorrenti per adeguare compiutamente l�ordinamento interno a quello comunitario e, comunque, alla decisione della Corte di Giustizia, si ritiene di non poter prescindere dai principi enunciati. Si rappresenta, inoltre, per opportuna indicazione da far valere fin da ora, che il testo normativo in itinere non consente, in ogni caso, ribassi dovuti ad inadempimenti rispetto al costo reale del lavoro, ovvero inadempienze sui costi di sicurezza (veicoli blindati, protezioni individuali antiproiettile, apparecchiature tecnologiche, ecc.). (11) Cfr., ad esempio, le regole di verifica delle cosiddette �offerte anomale� negli appalti, di cui agli artt. 86 e 87 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici). Secondo quest�ultimo articolo, i ribassi possono essere giustificati, a titolo esemplificativo, da economie nel metodo di prestazione del servizio;dalle soluzioni tecniche adottate; dall�originalit� del progetto; da altre condizioni eccezionalmente favorevoli. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni Al fine di semplificare, per quanto possibile, i procedimenti di verifica, le SS.LL. potranno avvalersi di una certificazione liberatoria circa l�adempimento degli obblighi contrattuali rilasciata dall��ente bilaterale� previsto dal contratto nazionale di categoria e del documento unico di regolarit� contributiva (D.U.R.C.) di cui all�art. 2 del D.L. 25 settembre 2002, n. 210 e successive integrazioni e modificazioni. *** ** *** Nel rassegnare le linee d�indirizzo che precedono alla prudente applicazione che le SS.LL. vorranno assicurare, si confida nella tempestiva segnalazione di eventuali criticit�, che si prega far pervenire quanto prima e comunque, non oltre il 30 aprile 2008, segnalando anche i procedimenti in corso, a quella data, per il rilascio di nuove licenze (con l�indicazione degli ambiti territoriali e funzionali richiesti) o per l�estensione di quelle gi� rilasciate, anche al fine di consentire la messa a punto di eventuali ulteriori indicazioni di dettaglio. Il Vice Ministro (Minniti) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Violazione alla concorrenza � Imputazioneresponsabilit� in caso di successione di imprese: il caso tabacchi italiani (Corte di Giustizia delle Comunit� europee, Grande Sezione, sentenza dell�11 dicembre 2007 nella causa C-280/06) La sentenza oggetto della presente nota di commento verte su interessanti questioni di diritto comunitario della concorrenza, in particolare sul criterio da applicare, ai sensi degli artt. 81 e seguenti (CE) e dei principi generali del diritto comunitario, per individuare l�impresa destinataria delle sanzioni in caso di successione di pi� imprese nel corso della condotta lesiva e sulla competenza dell�Autorit� amministrativa nazionale (organo deputato ad applicare la normativa antitrust) a valutare discrezionalmente la ricorrenza di circostanze che giustifichino l�imputazione al successore economico della responsabilit� per violazioni concorrenziali commesse dal soggetto a cui subentra. Le predette questioni sono state oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte di Giustizia europea su iniziativa del Consiglio di Stato, a sua volta adito nel corso di procedimenti pendenti fra l�Autorit� garante della Concorrenza e del Mercato, l�Ente tabacchi italiani � ETI SpA, la Philip Morris Products SA, la Philip Morris Holland BV, la Philip Morris GmbH, la Philip Morris Products Inc. e la Philip Morris International Management SA (le cinque societ� sono considerate le �societ� del gruppo Philip Morris�) e l�Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), in merito ad un�intesa sul prezzo di vendita delle sigarette (1). Fatto � opportuno partire da una sintetica esposizione dei fatti per comprendere appieno la portata delle questioni sottoposte in via pregiudiziale alla Corte. In esito ad un�istruttoria avviata durante il mese di giugno 2001, l�Autorit� Garante della concorrenza e del mercato constatava, con provvedimento del 13 marzo 2003, che le societ� del gruppo Philip Morris, unitamente all�AAMS (a sua volta trasformatasi in Ente tabacchi italiani e, infine, in (1) Sulla Gazzetta ufficiale dell�Unione europea del 11 giugno 2005 � stata pubblicata una nota d�informazione, destinata ai giudici nazionali, concernente il procedimento pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia. In particolare, il punto 1 testualmente recita �Il sistema del rinvio pregiudiziale � un meccanismo fondamentale del diritto dell�Unione europea, che ha per oggetto di fornire alle giurisdizioni nazionali lo strumento per assicurare un�interpretazione ed un�applicazione uniformi di tale diritto in tutti gli Stati membri�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni ETI) avevano concluso ed effettivamente attuato un�intesa tale da alterare la concorrenza sul prezzo di vendita delle sigarette nel mercato nazionale dal 1993 al 2001, in violazione dell�art. 2, comma 2, lett. a) e b), della legge n. 287/90 (2). A prescindere dall�entit� delle sanzioni irrogate dalla suddetta Autorit� alle societ� ritenute responsabili delle infrazioni alle regole della concorrenza, desta attenzione il fatto che la condotta incriminata era imputata all�ETI, nonostante fosse stata posta in essere dall�AAMS anteriormente all�1 marzo 1999 (3). Tutte le imprese interessate hanno impugnato il provvedimento in parola dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. Quest�ultimo, pur respingendo il ricorso delle societ� del gruppo Philip Morris, accoglieva parzialmente quello presentato dall�ETI, in particolare annullando il provvedimento dell�Autorit� nella parte in cui questo imputava all�ETI la responsabilit� di fatti commessi dall�AAMS. Avverso le sentenze del Tar Lazio � stato successivamente proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato: quest�ultimo, con una prima sentenza dell�8 novembre 2005, respingeva i ricorsi dell�ETI e delle societ� del gruppo Philip Morris nella parte in cui contestavano l�esistenza della violazione delle regole della concorrenza. Riguardo alla questione dell�imputazione all�ETI della condotta dell�AAMS il Consiglio di Stato, rilevando una discontinuit� fra modello organizzativo e gestionale dell�AAMS e quello subentrato per effetto del trasferimento delle attivit� dell�AAMS all�Ente tabacchi italiani, concludeva in senso contrario all�applicazione del criterio della continuit� economica, laddove anche il Tar aveva fondato le sue valutazioni sul criterio della responsabilit� personale. Il medesimo giudice amministrativo di secondo grado ha, nondimeno, ritenuto opportuno interrogare la Corte in merito ai criteri da applicare nel diritto comunitario della concorrenza, al quale rinvia l�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90. Esso ha, pertanto, sospeso d�ufficio il procedimento in parola, al fine di sottoporre alla Corte le questioni pregiudiziali di cui si � precedentemente detto. Sulla competenza della Corte. Una breve digressione sulla competenza della Corte appare opportuna, dato che la Commissione ha manifestato dubbi a tal riguardo. Quest�ultima, (2) Si tratta della legge 10 ottobre 1990 n. 287, in cui � enucleata la normativa italiana in tema di tutela della concorrenza e del mercato. (3) � utile ripercorrere la storia evolutiva dell�AAMS: fu istituita con regio decreto legge n. 2258 del 14 dicembre 1927 come organo dell�Amministrazione dello Stato, dipendente dal Ministero dell�Economia e delle Finanze, a cui era affidata la gestione del Monopolio del Tabacco (si trattava di un organo dotato di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile, ma non di una propria personalit� giuridica). Con decreto del 9 luglio 1998, n. 283 tutte le attivit� di produzione e vendita nel settore tabacchi sono state trasferite ad un altro ente pubblico, l�Ente tabacchi italiani (ETI) con decorrenza dal 1 marzo 1999. Il Consiglio di Amministrazione del suddetto Ente, con delibera del 23 giugno 2000, ha successivamente trasformato in SpA l�ETI che, invece, a partire dal 2003 � stato privatizzato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 infatti, ha rilevato che le cause principali attengono alla validit� di una decisione di un�autorit� nazionale della concorrenza che, prima dell�entrata in vigore del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003 (4), concernente l�applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato, ha applicato esclusivamente le disposizioni nazionali che vietano le intese, e non l�art. 81 CE. In sostanza, a detta della Commissione, l�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90 (5) sarebbe stato applicabile se si fosse trattato di interpretare la nozione di impresa, che � comune agli artt. 81 CE e 2 della legge n. 287/90, ma non per determinare quali sono le imprese da sanzionare. Inoltre il medesimo organo comunitario richiamava, a sostegno della sua tesi, il fatto che sia il Tar Lazio che il Consiglio di Stato avessero rispettivamente fondato le proprie argomentazioni sulle disposizioni italiane in materia di sanzioni amministrative di cui all�art. 31 della legge n. 287/90. Se per i giudici e i giuristi italiani, dunque, avrebbe potuto valere il principio per cui �il diritto comunitario costituisce soltanto un elemento tra gli altri ai fini dell�interpretazione delle disposizioni nazionali applicabili� (argomento riportato dalla Commissione), l�ETI e le societ� del gruppo Philip Morris ritenevano, al contrario, che la Corte fosse competente a conoscere del rinvio pregiudiziale. A tal riguardo �, tuttavia, opportuno menzionare l�art. 234 del Trattato CE, in cui si delinea la competenza per cos� dire �generale� della Corte: rientrerebbe nelle sue funzioni, infatti, il compito di �pronunciarsi in via pregiudiziale sull�interpretazione del diritto dell�Unione europea e sulla validit� degli atti di diritto derivato�, fermo restando che la Corte non � competente n� a pronunciarsi su questioni di fatto sollevate nell�ambito della causa principale n� a risolvere le divergenze di opinione in merito all�interpretazione o all�applicazione delle norme di diritto nazionale. In definitiva, spetterebbe alle giurisdizioni di rinvio (nella specie, al Consiglio di Stato) trarre le conseguenze di quanto la Corte abbia espresso nel merito delle questioni sottopostele ed eventualmente disapplicare la norma nazionale di cui trattasi. A ben vedere, sia l�Autorit� (che ha adottato il provvedimento impugnato dinanzi al Tar, avviando l�iter procedimentale nel corso del quale � poi emerso il dubbio interpretativo per la cui soluzione i giudici superiori hanno rite (4) Si tratta del regolamento concernente l�applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del trattato, diretto a sostituire quello n. 17/62, con decorrenza dal 1 maggio 2004, in vista di uno snellimento del ruolo della Commissione e di un correlativo accrescimento del ruolo delle autorit� e giurisdizioni nazionali nell�attuazione del diritto della concorrenza, ed a garanzia di una effettiva applicazione uniforme delle regole comunitarie della concorrenza. (5) La summenzionata norma si colloca fra le disposizioni con cui il legislatore delimita l� �ambito di applicazione rapporti con l�ordinamento comunitario� (rubrica dell�art. 1, che a sua volta ricade nell�ambito del Tit. 1 �Norme sulle intese, sull�abuso di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione�) della legge intitolata �Norme per la tutela della concorrenza e del mercato� sopra menzionata. Essa testualmente recita: �L�interpretazione delle norme contenute nel presente titolo � effettuata in base ai principi dell�ordinamento delle Comunit� europee in materia di disciplina della concorrenza�. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni nuto di sottoporre i predetti quesiti all�organo giurisdizionale comunitario) che il medesimo Tar hanno fondato il loro provvedimento e la sentenza sulla normativa e sulla giurisprudenza comunitaria. Il Consiglio di Stato, inoltre, non ha mancato di motivare puntualmente il rinvio pregiudiziale, adducendo la considerazione che �questo � necessario per conoscere il criterio da prendere in considerazione conformemente ai principi del diritto comunitario della concorrenza a cui rinvia l�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90�. A tal riguardo, un orientamento dottrinale (6) mette in luce quanto, nonostante i numerosi dubbi interpretativi che la norma inevitabilmente solleva, essa non sia affatto inutile. Se � vero che un certo coordinamento con la disciplina comunitaria gi� sussisteva in base al sistema di rapporti tra l�ordinamento comunitario e gli ordinamenti nazionali, nel senso che v�era una supremazia del primo sui secondi, esso riguardava innanzitutto la disciplina di fattispecie colpite contemporaneamente dal diritto comunitario e dal diritto nazionale, e non fattispecie che sfuggivano all�applicazione del primo. La norma si inscriverebbe nel quadro di una sorta di �uniformazione� del diritto. Sicch�, del tuttocontraria alla logica che la ispira sarebbe una sua interpretazione restrittiva. � vero che i giudici e le autorit� amministrative italiane sono da sempre stati abituati ad interpretare ed applicare le leggi italiane sulla base dei criteri interpretativi dettati dalle leggi dello Stato, ma � altrettanto vero che le norme comunitarie della concorrenza non fanno parte di un ordinamento straniero, ma sono parte integrante dell�ordinamento italiano. La presenza del referente interpretativo comunitario del resto, non pu� avere un effetto �totalizzante�. Cosa dovrebbe intendersi in concreto per �principi di diritto comunitario� a cui rinvia il comma 4 oggetto della dibattuta questione interpretativa? Un orientamento abbastanza affermato (7) sostiene che si tratti dei tre principi materiali di diritto comunitario: a) garanzia di una concorrenza non falsata; b) unit� del mercato integrato; c) funzionalizzazione dei poteri degli Stati membri agli obiettivi della Comunit�. Inoltre, a conforto della summenzionata tesi, � opportuno evidenziare come gli artt. 2 e 3 della legge italiana sulla concorrenza, a cui rinvia l�art. 15 della medesima legge (8), riprendono mutatis mutandis la formulazione degli artt. 81 e 82 CE (9). (6) A. FRIGNANI, Ambito di applicazione e rapporti con l�ordinamento comunitario, in Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287, Zanichelli, 1993, Vol. I, p. 106 e ss. (7) M. V. BENEDETTELLI, Sul rapporto fra diritto comunitario e diritto italiano della concorrenza, in Foro it., 1990, IV, c. 237. (8) In tema di �Poteri dell�Autorit� in materia di intese restrittive della libert� di concorrenza e di abuso di posizione dominante� l�art. 15 recita �Se a seguito dell�istruttoria di cui all�art. 14 l�Autorit� ravvisa infrazioni agli articoli 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l�eliminazione delle infrazioni stesse.� E gli articoli 2 e 3 contengono rispettivamente la disciplina delle Intese restrittive della libert� di concorrenza e dell�Abuso di posizione dominante. (9) Le summenzionate norme, infatti, rappresentano il contesto normativo comunitario nel cui ambito la fattispecie de qua si colloca, ad esse fa riferimento il Consiglio di Stato nell�ordinanza 8 novembre 2005 con cui ha sottoposto le questioni pregiudiziali alla Corte. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Sulle domande di pronuncia pregiudiziale. Superata ogni questione preliminare, conviene ora focalizzare l�attenzione sull�oggetto delle domande pregiudiziali sollevate dall�autorit� giudiziaria italiana dinanzi a quella comunitaria. In particolare: quali sono le circostanze in base alle quali un comportamento anticoncorrenziale nel quale � incorsa un�impresa gi� operante sul mercato rilevante possa essere imputato al suo successore? Sullo sfondo di tale caso di specie, come gi� precedentemente detto, cՏ un�intesa che tra il 1993 e il 2001 aveva influito, in violazione delle norme in materia di concorrenza, sui prezzi di vendita al dettaglio sul mercato delle sigarette in Italia e che era stata scoperta dall�autorit� italiana garante della concorrenza. A tale intesa in origine partecipava l�Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. L�attivit� economica di quest�ultima nel settore della produzione e della commercializzazione di prodotti di tabacco, compresa la sua partecipazione all�intesa, dal marzo 1999 veniva per� rilevata dall�Ente Tabacchi Italiani, di nuova fondazione e successivamente privatizzato. Secondo l�autorit� italiana garante della concorrenza a quest�ultimo deve essere imputata e punita con un�ammenda, non solo la sua stessa partecipazione all�intesa dal marzo 1999, ma anche la precedente partecipazione all�intesa dell�AAMS. I limiti di una siffatta imputazione di comportamenti anticoncorrenziali nel caso di successione di imprese sono di rilevante importanza pratica per effettuare in concreto l�alienazione, la riorganizzazione o la privatizzazione di imprese, poich� i rischi di responsabilit� per chi aliena e chi acquisisce imprese variano a seconda dei criteri che le autorit� garanti della concorrenza e i giudici pongono a fondamento dell�imputazione di comportamenti anticoncorrenziali. Inoltre, la presente fattispecie � di grande interesse anche sotto un altro profilo: la decisione con la quale l�autorit� italiana garante della concorrenza infligge l�ammenda � essenzialmente fondata sulla normativa nazionale in materia di concorrenza, la quale � tuttavia orientata al diritto comunitario, la cui interpretazione viene in questa sede richiesta alla Cortedi Giustizia. � di grande importanza per la futura collaborazione tra la Corte di Giustizia e i giudici nazionali se una domanda di pronuncia pregiudiziale in tali circostanze sia ricevibile, tanto pi� che il diritto nazionale e il diritto comunitario in questa materia sono tra loro in sempre pi� stretto rapporto. Destano particolare interesse le conclusioni dell�Avvocato generale Juliane Kokott (presentate il 3 luglio 2007) in ordine alla ricevibilit� della domanda pregiudiziale da parte della Corte. In esse si mette in evidenza come �nel settore del diritto della concorrenza l�interesse ad un�interpretazione e ad un�applicazione il pi� possibile uniforme delle disposizioni vigenti a livello comunitario � particolarmente spiccato, poich� in questo campo il diritto nazionale si orienta sul diritto comunitario con particolare frequenza. Ci� non vale soltanto a partire dall�entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1/2003 (10), con il quale si � pervenuti ad una correlazione particolarmente stretta tra la normativa nazionale in materia di concorrenza e il diritto comu IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni nitario. Gi� prima, cio� ancora ai tempi in cui vigeva il regolamento n. 17 (11), la normativa nazionale in materia di concorrenza di numerosi Stati membri si ispirava, anche per dirimere situazioni puramente interne, al diritto comunitario. Questo si verificava, non da ultimo, anche per la legge italiana 287/1990, la quale trova applicazione nella controversia di cui alla causa a qua�. Tali considerazioni rafforzano la conclusione che �il diritto comunitario in materia di concorrenza, sia che trovi applicazione parallela al diritto nazionale in materia di concorrenza, sia che diventi indirettamente rilevante per le situazioni giuridiche puramente interne semplicemente tramite un rinvio contenuto nella normativa nazionale sulla concorrenza, dovrebbe comunque essere interpretato e applicato in modo uniforme, al fine di assicurare nella pi� ampia misura possibile la certezza del diritto e analoghe condizioni di concorrenza a tutti gli operatori economici ai quali il diritto comunitario trova applicazione diretta o indiretta. Garantire questo risultato nelle fattispecie rientranti nella normativa in materia di concorrenza � uno degli obiettivi principali dei procedimenti di pronuncia pregiudiziale ai sensi del- l�art. 234 CE.� Con riferimento al merito delle questioni pregiudiziali, e in primis al problema concernente l�individuazione dei criteri di imputazione di un comportamento anticoncorrenziale al successore nel mercato di colui che ha preso parte all�intesa, � utile tener conto delle osservazioni presentate alla Corte dall�ETI, delle interpretazioni fornite dai giudici nazionali nel corso del procedimento principale, nonch� di quelle formulate dall�Avvocato generale, onde avere una lettura il pi� possibile completa della vicenda e poter comprendere appieno la opzione interpretativa sposata dalla Corte nella sentenza in epigrafe. Secondo l�ETI, il criterio rilevante � quello della responsabilit� personale. Quest�ultimo ammetterebbe deroghe solo in casi eccezionali, al fine di proteggere l�effetto utile delle regole di concorrenza: in questi casi, pertanto, la responsabilit� dell�infrazione potrebbe essere imputata ad una persona diversa da quella che aveva il controllo dell�impresa al momento dell�infrazione, anche qualora quest�ultima non abbia cessato di esistere. Tuttavia, circostanze eccezionali di tale natura non sussisterebbero qualora, come nella causa principale a qua, sia possibile imputare la responsabilit� dell�infrazione alla persona che gestiva l�impresa al momento in cui l�infrazione stessa � stata commessa. (10) Regolamento del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l�applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato. Con questo regolamento sono state ammodernate le norme relative all�applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE, e il coinvolgimento delle autorit� e dei giudici nazionali nell�applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza � stato rafforzato. (11) Regolamento (CEE) del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17: primo regolamento di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Secondo le societ� del gruppo Philip Morris, il criterio della responsabilit� personale si applica in tutti i casi in cui la persona che ha materialmente compiuto l�atto illecito esiste ancora, esercita attivit� imprenditoriali ed � in grado di ottemperare alla decisione dell�autorit� della concorrenza che impone la sanzione. Quindi, a parte il caso della scomparsa del soggetto giuridico e dell�impossibilit� derivatane che esso sia sottoposto a sanzioni, l�ordinamento giuridico comunitario non ammetterebbe deroghe al criterio della responsabilit� personale. Pertanto, il ricorso al diverso criterio della continuit� economica sarebbe giustificato solamente qualora sia necessario per assicurare l�applicazione effettiva delle regole della concorrenza. Secondo il governo italiano, il criterio della continuit� economica implicherebbe la responsabilit� della persona che ha continuato e portato a termine il comportamento contrario alle regole della concorrenza cominciato da un�altra persona ogni volta che l�impresa interessata dall�infrazione e ceduta da una persona ad un�altra � identica dai punti di vista economico, strutturale e funzionale. A tal riguardo, sarebbe indifferente che la persona che ha ceduto tale impresa esista ancora formalmente ed eserciti o meno altre attivit�. Nella fattispecie, risulterebbe dal decreto legge n. 283/9 che vi � effettivamente un�identit� tra l�impresa gestita dall�AAMS e quella gestita dall�Ente tabacchi italiani, diventato ETI. L�AAMS e l�ETI sarebbero inoltre uniti da legami strutturali, essendo entrambi emanazione del Ministero dell�Economia e delle Finanze. A tal riguardo, il Consiglio di Stato ha, invece, affermato che il trasferimento delle attivit� dell�AAMS all�Ente tabacchi italiani ha segnato una netta discontinuit� rispetto al modello organizzativo e gestionale precedente. Tale modello originariamente era connotato dalla ascrizione in capo all�AAMS (che si configurava come amministrazione autonoma dello Stato) di una concentrazione di compiti economici e di funzioni amministrative di stampo pubblicistico tali da creare una dipendenza dal potere politico. Tale connessione non sarebbe pi� riprodotta in capo al nuovo ente, le cui attivit� sono esclusivamente di natura imprenditoriale. Perci� non sarebbe applicabile il criterio della continuit� economica, pur riscontrandosi che l�AAMS, ancorch� non svolga pi� alcuna attivit� commerciale nel settore del tabacco, continua a svolgere un�attivit� economica sottoposta al diritto della concorrenza. � opinione della Commissione, invece, che, qualora l�infrazione sia stata commessa da un�impresa gestita da un organismo di uno Stato membro dotato di un proprio potere decisionale e l�attivit� economica interessata sia stata ceduta ad un altro soggetto giuridico, le sanzioni relative a tale comportamento debbano essere inflitte all�organismo dello Stato se questo, dopo la cessione, continua ad esercitare un�attivit� imprenditoriale anche in settori diversi da quello interessato da tale comportamento. Per contro, le sanzioni dovrebbero essere inflitte al soggetto giuridico che ha acquisito l�attivit� economica in questione se, dopo la cessione, tale organismo dello Stato cessa di esercitare attivit� imprenditoriali. La Corte (Grande Sezione), in merito alla questione di cui in questa sede si sta trattando ha dichiarato che IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni Gli artt. 81 CE e seguenti devono essere interpretati nel senso che, nel caso di enti dipendenti dalla stessa autorit� pubblica, qualora una condotta costitutiva di una stessa infrazione alle regole della concorrenza sia stata commessa da un ente e successivamente proseguita fino alla sua fine da un altro ente succeduto al primo, il quale non ha cessato di esistere, tale secondo ente pu� essere sanzionato per l�infrazione nella sua interezza, se � provato che tali due enti sono stati sotto la tutela della citata autorit�. La Corte, in buona sostanza, risolve il problema interpretativo sottoposto alla sua attenzione, alla luce del principio della continuit� economica ed in nome della piena ed effettiva realizzazione della ratio del diritto comunitario della concorrenza. Tuttavia, essa non manca di mettere in evidenza che il fatto che l�infrazione commessa dall�AAMS e continuata dall�ETI sia imputata interamente a quest�ultima non sia, a ben vedere, in contrasto con il principio di responsabilit� personale. Non pu� e non deve essere trascurato, infatti, che al momento del loro comportamento illecito i due enti fossero sotto il controllo della stessa persona, ossia dello stesso ente pubblico, il Ministero dell�Economia e delle Finanze. Per tale ragione, inoltre, non osterebbe all�applicabilit� della sanzione irrogata dalla competente autorit� amministrativa italiana nei confronti dell�ETI il fatto che l�ente che ha commesso l�infrazione esista ancora. In questo modo la Corte si riporta alle conclusioni in passato gi� formulate in altre cause, circa l�irrilevanza di modifiche di natura giuridica o organizzativa di un ente in vista della imputazione al nuovo ente della responsabilit� per comportamenti anticoncorrenziali tenuti dal primo, laddove fra i due enti succedutisi nel tempo vi sia identit� sotto l�aspetto economico (12). Inoltre, essa richiama l�attenzione altres� su un�altra circostanza: non rileva il fatto che la cessione venga decisa non da singoli, ma dal legislatore nella prospettiva di una privatizzazione. In definitiva, le misure di ristrutturazione o di riorganizzazione d�impresa adottate dalle autorit� di uno Stato membro non possono legittimamente avere come conseguenza la compromissione dell�effetto utile del diritto comunitario della concorrenza (13). La decisione della Corte alla luce delle conclusioni dell�Avvocato Generale Juliane Kokott. Per meglio comprendere l�orientamento interpretativo della Corte, � opportuno far riferimento alle osservazioni presentate dall�Avvocato generale Juliane Kokott, ancorch� le conclusioni a cui il predetto avvocato giunge non siano state successivamente avallate dai giudici comunitari. Costui affronta con particolare attenzione il problema del rapporto fra principio della responsabilit� personale e principio di continuit� economica nella (12) Sentenze 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, nonch� Aalborg Portland e a./Commissione. (13) Sentenza 12 maggio 2005, causa C-415/03, Commissione/Grecia. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 imputazione di un comportamento anticoncorrenziale nel caso di successione di imprese. Innanzitutto, si mette in evidenza che �il problema dell�imputazione di un comportamento anticoncorrenziale trova le sue radici nel fatto che i destinatari delle norme in materia di concorrenza e i destinatari delle decisioni delle autorit� garanti della concorrenza non sono necessariamente identici�. Le prime, infatti, si riferiscono ad imprese, le seconde, invece, possono essere rivolte solo a persone, essendo dirette a reprimere violazioni alle norme di concorrenza e dovendo essere eseguite dopo essere state pronunciate. L�imputazione della infrazione ad una concreta persona sarebbe, pertanto, la imprescindibile premessa per l�attuazione dell�obiettivo della misura sanzionatoria nel caso di specie irrogata. La natura sanzionatoria della medesima misura, che � strettamente correlata alla ratio di garanzia di un�effettiva attuazione delle norme sulla concorrenza, realizzata dissuadendo gli operatori economici dal tenere condotte anticoncorrenziali, darebbe ragione del richiamo al principio di responsabilit� personale. In quest�ottica questo settore dell�ordinamento si configurerebbe come molto affine al diritto penale: il comportamento incriminato deve essere imputato a quelle persone, fisiche o giuridiche, che gestiscono l�impresa che ha partecipato all�intesa. Dal principio della responsabilit� personale consegue che un comportamento anticoncorrenziale deve essere imputato alla persona che gestisce l�impresa al momento dell�infrazione; ne consegue che laddove, per effetto di riorganizzazioni, alienazioni di imprese e altri cambiamenti, il responsabile della gestione della medesima impresa sia un nuovo gestore, �il comportamento incriminato deve essere imputato al nuovo gestore solo dal momento in cui ha assunto la responsabilit� dell�impresa�. Tuttavia, occorre guardarsi dai rischi insiti in un�applicazione eccessivamente formalistica del principio in parola: nel caso in cui l�originario gestore non esista pi� o non svolga pi� alcuna attivit� economica significativa, le norme poste a presidio del corretto andamento della concorrenza risulterebbero eluse, anzi, eventuali modificazioni dell�assetto organizzativo delle imprese potrebbero essere orientate unicamente alla finalit� elusiva. Al fine di evitare questo effetto distorsivo, si ricorre al principio della continuit� economica: esso si configura, pertanto, come una eccezione alla regola generale, dettata dalla esigenza di preservare la medesima ratio posta alla base del criterio della personalit� della responsabilit�. Tuttavia, questo nuovo criterio, che si configura come complementare rispetto a quello in generale applicabile, troverebbe applicazione in presenza di circostanze particolari. Ad esempio, si fa riferimento all�ipotesi di un cambiamento che abbia interessato il gestore dell�impresa che ha preso parte all�intesa e che abbia determinato il venir meno del medesimo da un punto di vista giuridico. In questo caso la continuit� economica assicura che �le persone giuridiche non si sottraggano alle loro responsabilit� in materia di concorrenza mediante una modifica della loro forma giuridica o denominazione�. Al punto 81 delle sua conclusioni l�Avvocato generale esprime con chiarezza un fondamentale principio: �Il criterio della continuit� economica non deve sostituire il principio della responsabilit� personale, ma semplicemente integrarlo��. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni A queste considerazioni di carattere generale, si aggiungono riferimenti alla fattispecie sottoposta al vaglio della Corte. A tal riguardo, si ha modo di mettere in evidenza che non vՏ dubbio che l�ente economico pubblico ETI (frutto di una ristrutturazione interna all�AAMS, originariamente operante nel settore dei giochi d�azzardo e delle lotterie, nonch� dei tabacchi) e la societ� per azioni ETI Spa devono considerarsi successori economici dell�AAMS nel settore della produzione e del commercio dei tabacchi. Tuttavia quest�ultimo soggetto, gestore originario dell�impresa, continua ad esistere giuridicamente. Pertanto, l�irrogazione nei suoi confronti di un�ammenda pu� in ogni caso produrre un effetto preventivo generale, ancorch�, allo stato attuale esso non sia pi� economicamente attivo nel settore dei tabacchi, ma in quello del gioco d�azzardo. Si riscontra, inoltre, che al momento dell�irrogazione della sanzione non sussistevano nessi strutturali tra l�AAMS e l�ETI, dato che quest�ultima era gi� stata trasformata in societ� per azioni. Considerazioni conclusive. La decisione della Corte, quindi, diverge in toto dalle conclusioni dell�Avvocato generale: in essa si afferma la prevalenza del criterio della continuit� economica, ignorando l�evento rappresentato dalla trasformazione dell�ETI (ente pubblico economico succeduto all�AAMS in uno dei settori in cui quest�ultimo operava) in ETI SpA (societ� per azioni, quindi, soggetto privato, non pi� riconducibile strutturalmente al Ministero dell�Economia e delle Finanze). Forse uno spiraglio ad una lettura cos� ampia del principio della continuit� economica, qual � quello che si evince dalla pronuncia della Corte, potrebbe essere ravvisato nella soluzione che il medesimo Avvocato fornisce alla seconda domanda pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato: entro quali limiti l�autorit� amministrativa nazionale � titolare di poteri discrezionali nell�imputazione di comportamenti anticoncorrenziali? Si afferma che �le autorit� garanti della concorrenza, come pure i giudici competenti, non hanno alcuna facolt� di scegliere se imputare il comportamento anticoncorrenziale di un�impresa all�originario ovvero al nuovo gestore. Il criterio della continuit� economica pu� invece venire in considerazione solo qualora le sanzioni previste dalle norme in materia di concorrenza, in caso di mera applicazione del principio della responsabilit� personale, dovessero mancare il loro obiettivo�. Questa valutazione pu�, in determinati casi, richiedere l�analisi di rapporti economici complessi. Si tratta, ad esempio, della valutazione della rilevanza del- l�attivit� economica che l�originario gestore continua a svolgere successivamente alla riorganizzazione interna all�impresa, come pure della individuazione di un nesso strutturale esistente fra originario e nuovo gestore. Nella fattispecie de qua, in particolare, � forse alla luce di questi rapporti economici complessi che pu� essere giustificata l�applicazione del criterio di imputazione della continuit� economica, e, quindi, una pronuncia manifestamente a favore ed in linea con l�orientamento dell�Autorit� garante italiana. Dott.ssa Maria Antonia Chieco (*) (*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 Sentenza della Corte (Grande Sezione) dell�11 dicembre 2007 (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato � Italia) � Autorit� Garante della concorrenza e del mercato/Ente tabacchi italiani. (Avvocato dello Stato D. Del Gaizo � AL 30230/06) (Concorrenza � Applicazione di sanzioni in caso di successione di imprese � Principio della responsabilit� personale � Enti dipendenti dalla stessa autorit� pubblica � Diritto nazionale che qualifica come fonte di interpretazione il diritto comunitario della concorrenza � Questioni pregiudiziali � Competenza della Corte) �(Omissis) 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione degli artt. 81 CE e segg. nonch� dei principi generali del diritto comunitario. 2 Questa domanda � stata proposta nell�ambito di procedimenti tra l�Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: l��Autorit��), l�Ente tabacchi italiani � ETI SpA, la Philip Morris Products SA, la Philip Morris Holland BV, la Philip Morris GmbH, la Philip Morris Products Inc. e la Philip Morris International Management SA (in prosieguo, le cinque societ� congiuntamente considerate: le �societ� del gruppo Philip Morris�), nonch� l�Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (in prosieguo: l��AAMS�) in merito ad un�intesa sul prezzo di vendita delle sigarette. Contesto normativo 3 In diritto italiano la legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato (GURI n. 240 del 13 ottobre 1990; in prosieguo: la �legge n. 287/90�), comprende in particolare, nel titolo I, le seguenti disposizioni: �Art. 1. (�) 1. Le disposizioni della presente legge in attuazione dell�articolo 41 della Costituzione a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica, si applicano alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell�ambito di applicazione degli articoli 65 e/o 66 del Trattato istitutivo della Comunit� europea del carbone e dell�acciaio, degli articoli 85 e/o 86 del Trattato istitutivo della Comunit� economica europea (CEE), dei regolamenti della CEE o di atti comunitari con efficacia normativa equiparata. (�) 4. L�interpretazione delle norme contenute nel presente titolo � effettuata in base ai principi dell�ordinamento delle Comunit� europee in materia di disciplina della concorrenza. Art. 2. (�) 1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonch� le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. 2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all�interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attivit� consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d�acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, cos� da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all�accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l�oggetto dei contratti stessi. 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto�. 4 Il titolo II di tale legge riguarda l�Autorit�, istituita dall�art. 10, comma 1. L�art. 15, comma 1, della medesima legge, contenuto nel citato titolo II, dispone quanto segue: �Se (�) l�Autorit� ravvisa infrazioni agli articoli 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l�eliminazione delle infrazioni stesse. Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravit� e della durata dell�infrazione, dispone inoltre l�applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell�ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, determinando i termini entro i quali l�impresa deve procedere al pagamento della sanzione�. 5 L�art. 31, riportato al titolo VI della legge n. 287/90, ha il seguente tenore: �Per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II della legge 24 novembre 1981, n. 689�. 6 L�8 dicembre 1927 veniva promulgato il regio decreto legge n. 2258, istitutivo dell�Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (GURI n. 288 del 14 dicembre 1927). A tale organo dell�amministrazione dello Stato, che dipendeva dal Ministero dell�Economia e delle Finanze, � stata affidata, fino al mese di febbraio 1999, la gestione del monopolio del tabacco. In seguito, l�AAMS ha continuato a svolgere funzioni statali nel settore del tabacco. Essa esercita inoltre un�attivit� commerciale nel settore dei giochi, segnatamente in quello delle lotterie. L�AAMS � autonoma sia a livello della gestione amministrativa sia dal punto di vista finanziario e contabile, ma non dispone di personalit� giuridica propria. 7 Dal 1� marzo 1999, tutte le attivit� di produzione e vendita nel settore dei tabacchi sino ad allora affidate all�AAMS venivano trasferite ad un altro ente pubblico istituito con decreto legge 9 luglio 1998, n. 283, recante �Istituzione dell�Ente tabacchi italiani� (GURI n. 190 del 17 agosto 1998, pag. 3; in prosieguo: il �decreto legge n. 283/98�). Tale ente riceveva le attivit� e le passivit� dell�AAMS relative ai settori di attivit� che gli erano stati affidati. Con delibera del suo consiglio di amministrazione 23 giugno 2000, esso veniva trasformato in societ� per azioni assumendo la denominazione di Ente tabacchi italiani � ETI SpA (in prosieguo: l��ETI�). Il capitale di questa societ� era inizialmente detenuto al 100% dal Ministero dell�Economia e delle Finanze. In seguito ad una gara indetta nel 2003 da tale Ministero, l�ETI veniva privatizzata ed il suo controllo esclusivo era assunto dalla British American Tobacco plc (in prosieguo: la �BAT�), societ� holding di diritto inglese del gruppo BAT-British American Tabacco. Cause principali e questioni pregiudiziali 8 In esito ad un�istruttoria avviata durante il mese di giugno 2001, l�Autorit� constatava, con provvedimento 13 marzo 2003, che le societ� del gruppo Philip Morris, congiuntamente all�AAMS, divenuta poi l�Ente tabacchi italiani e, infine, l�ETI, avevano concluso e attuato un�intesa avente ad oggetto ed effetto un�alterazione della concorrenza sul prezzo di vendita delle sigarette nel mercato nazionale dal 1993 al 2001, in violazione dell�art. 2, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 comma 2, lett. a) e b), della legge n. 287/90. Essa applicava di conseguenza alle suddette societ� sanzioni pecuniarie amministrative di importo pari a EUR 50 milioni complessivi, per quanto riguarda le societ� del gruppo Philip Morris, e pari a EUR 20 milioni per quanto riguarda l�ETI. 9 Nel suo provvedimento, l�Autorit� imputava all�ETI la condotta posta in essere dall�AAMS anteriormente al 1� marzo 1999, in quanto quest�ultima, una volta operativo l�Ente tabacchi italiani, divenuto poi l�ETI, aveva cessato lo svolgimento delle attivit� di produzione e vendita nel settore del tabacco. Ci� premesso, anche tenendo conto del fatto che l�AAMS non ha cessato di esistere, l�ETI, in applicazione del criterio della continuit� economica, sarebbe il successore dell�AAMS. 10 Tale provvedimento veniva impugnato da tutte le imprese interessate dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Quest�ultimo respingeva il ricorso delle societ� del gruppo Philip Morris e accoglieva parzialmente il ricorso dell�ETI, annullando il provvedimento nella parte in cui questo imputava all�ETI la responsabilit� di fatti commessi dall�AAMS. Il citato Tribunale fondava la sua valutazione sul criterio della responsabilit� personale. 11 Adito in appello avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il Consiglio di Stato, con una prima sentenza 8 novembre 2005, ha respinto i ricorsi dell�ETI e delle societ� del gruppo Philip Morris nella parte in cui contestavano l�esistenza della violazione delle regole della concorrenza. Riguardo alla questione dell�imputazione all�ETI della condotta dell�AAMS, il Consiglio di Stato osserva, nella decisione di rinvio, che il trasferimento delle attivit� dell�AAMS all�Ente tabacchi italiani ha segnato una netta discontinuit� rispetto al modello organizzativo e gestionale precedente. Tale modello, prima che le attivit� in questione fossero trasferite all�Ente tabacchi italiani, diventato ETI, era connotato dall�ascrizione in capo all�AAMS, nella sua veste di amministrazione autonoma dello Stato, di una concentrazione di compiti economici e di funzioni amministrative di stampo pubblicistico tali da creare una dipendenza dal potere politico. Tale connessione non sarebbe pi� riprodotta in capo al nuovo ente, le cui attivit� sono esclusivamente di natura imprenditoriale. Peraltro, il giudice del rinvio rileva che l�AAMS, pur non svolgendo pi� alcuna attivit� commerciale nel settore del tabacco, continua a svolgere un�attivit� economica sottoposta al diritto della concorrenza. Secondo il Consiglio di Stato, tali peculiarit� depongono in senso contrario all�applicazione del criterio della continuit� economica. 12 Il Consiglio di Stato nondimeno ha ritenuto opportuno interrogare la Corte in merito ai criteri da applicare nel diritto comunitario della concorrenza, al quale rinvia l�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90. Esso ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: �1) [Q]uale sia, ai sensi degli artt. 81 e seguenti [CE] e dei principi generali del diritto comunitario, il criterio da seguire nell�individuazione dell�impresa da sottoporre a sanzione per violazione delle norme in tema di concorrenza nel caso in cui, nell�ambito di una condotta unitariamente sanzionata, la parte finale del comportamento sia stata tenuta da una impresa succeduta nel settore economico di riferimento all�impresa originaria, qualora l�ente originario, pur non essendo estinto, non operi pi�, quanto meno nel settore economico interessato dall�intervento sanzionatorio, come impresa commerciale. 2) [S]e, in sede di individuazione del soggetto sanzionabile, residui in capo all�Autorit� amministrativa competente nell�applicazione della normativa antitrust il compito di valutare discrezionalmente la ricorrenza di circostanze che giustifichino l�imputazione al successore economico della responsabilit� per violazioni concorrenziali commesse dalla persona IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni giuridica cui subentra, anche quando quest�ultima non abbia cessato di esistere alla data della decisione, affinch� l�effetto utile delle norme sulla concorrenza non risulti pregiudicato dalle modificazioni apportate alla figura giuridica delle imprese�. Sulla competenza della Corte 13 Poich� la Commissione delle Comunit� europee ha espresso dubbi in merito alla competenza della Corte, occorre anzitutto esaminare tali dubbi. Osservazioni presentate alla Corte 14 La Commissione sostiene che le cause principali attengono alla validit� di una decisione di un�autorit� nazionale della concorrenza che, prima dell�entrata in vigore del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l�applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1), ha applicato esclusivamente le disposizioni nazionali che vietano le intese, e non l�art. 81 CE. 15 Essa ritiene che l�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90, ai sensi del quale l�interpretazione delle norme contenute nel titolo I � effettuata in base ai principi del diritto comunitario della concorrenza, sia privo di rilevanza a tale riguardo. Infatti, nelle cause principali, si tratterebbe di determinare quali sono �le imprese e gli enti interessati� ai sensi del- l�art. 15 di tale legge nonch� il regime delle sanzioni amministrative come previsto dal- l�art. 31 della stessa, articoli che fanno parte, rispettivamente, dei titoli II e VI. Il citato art. 1, comma 4, potrebbe essere preso in considerazione se si trattasse di interpretare la nozione di impresa, che � comune agli artt. 81 CE e 2 della legge n. 287/90, ma non per determinare quali sono le imprese da sanzionare. 16 La Commissione aggiunge che, anche ammettendo che il rinvio da parte della legge n. 287/90 ai principi del diritto comunitario si applichi nelle cause principali, la giurisprudenza della Corte condurrebbe nondimeno a concludere che le questioni pregiudiziali sono irricevibili. A tale riguardo, la Commissione cita la sentenza 28 marzo 1995, causa C-346/93, Kleinwort Benson (Racc. pag. I-615), ed evidenzia che la citata legge non precisa che i giudici nazionali sono tenuti ad applicare, in modo assoluto e incondizionato, le interpretazioni adottate dalla Corte. 17 Su quest�ultimo punto, la Commissione fa notare che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha fondato la sua sentenza sulle disposizioni italiane in materia di sanzioni amministrative, alle quali rinvia l�art. 31 della legge n. 287/90. Allo stesso modo, il Consiglio di Stato menzionerebbe argomenti che l�Autorit� desume dal diritto italiano in materia di responsabilit�. Ci� dimostrerebbe che, per i giudici e i giuristi italiani, il diritto comunitario costituisce soltanto un elemento tra gli altri ai fini dell�interpretazione delle disposizioni nazionali applicabili. 18 L�ETI e le societ� del gruppo Philip Morris ritengono al contrario che la Corte sia competente a conoscere del rinvio pregiudiziale. Senza prendere posizione sulla competenza della Corte, il governo italiano evidenzia che una risposta di quest�ultima sarebbe utile per il Consiglio di Stato, tenuto conto del rinvio al diritto comunitario di cui all�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90. Giudizio della Corte 19 L�art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione giudiziaria, grazie al quale la Corte fornisce ai giudici nazionali gli elementi d�interpretazione del diritto comunitario che possono essere loro utili per valutare gli effetti di una disposizione di diritto nazionale controversa nell�ambito della causa sulla quale essi sono chiamati a pronunciarsi (sentenze 15 maggio 2003, causa C-300/01, Salzmann, Racc. pag. I-4899, punto 28 e giurisprudenza ivi citata, nonch� 4 dicembre 2003, causa C-448/01, EVN e Wienstrom, Racc. pag. I-14527, punto 77). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 20 Quando la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, � tenuta a pronunciarsi (sentenze Salzmann, cit., punto 29, e 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43). 21 Adita con domande di tale natura, in cui le regole comunitarie di cui era stata richiesta l�interpretazione erano applicabili solo mediante un rinvio operato dal diritto interno, la Corte ha giudicato in maniera costante che, quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che essa apporta a situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto comunitario, esiste un interesse comunitario certo a che, per evitare future divergenze d�interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto comunitario ricevano un�interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (v., in tal senso, in particolare, sentenze 18 ottobre 1990, cause riunite C-297/88 e C-197/89, Dzodzi, Racc. pag. I-3763, punto 37; 17 luglio 1997, causa C-28/95, Leur-Bloem, Racc. pag. I-4161, punto 32; 11 gennaio 2001, causa C-1/99, Kofisa Italia, Racc. pag. I-207, punto 32; 29 aprile 2004, causa C-222/01, British American Tobacco, Racc. pag. I-4683, punto 40, e 16 marzo 2006, causa C-3/04, Poseidon Chartering, Racc. pag. I-2505, punto 16). 22 Infatti, non risulta n� dal dettato dell�art. 234 CE n� dalle finalit� della procedura, istituita da tale articolo, che gli autori del Trattato CE abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su una norma comunitaria nel caso specifico in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvia al contenuto della norma in parola per determinare le regole da applicare ad una situazione puramente interna a tale Stato (sentenze Dzodzi, cit., punto 36; Leur-Bloem, cit., punto 25, e 14 dicembre 2006, causa C-217/05, Confederaci�n Espa�ola de Empresarios de Estaciones de Servicio, Racc. pag. I-11987, punto 19). 23 Riguardo all�applicazione della summenzionata giurisprudenza alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale, � giocoforza constatare che le disposizioni del titolo I della legge n. 287/90 si conformano, per le soluzioni che apportano a situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto comunitario. 24 Infatti, l�art. 1, comma 4, di tale legge dispone che l�interpretazione delle disposizioni del suo titolo I si effettua sulla base dei principi del diritto comunitario della concorrenza. Gli artt. 2 e 3 della citata legge, che fanno parte dello stesso titolo, riprendono mutatis mutandis la formulazione degli artt. 81 CE e 82 CE. 25 Inoltre, n� la formulazione dell�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90, n� la decisione di rinvio, n� gli altri documenti del fascicolo sottoposti alla Corte fanno pensare che il rinvio al diritto comunitario che contiene tale disposizione sia sottoposto a una qualunque condizione. 26 Pertanto, conformemente alla sopra citata giurisprudenza, esiste un interesse comunitario certo a che le regole del diritto comunitario, qualora appaiano dubbi nell�ambito del- l�applicazione del rinvio operato dal diritto interno, possano ricevere un�interpretazione uniforme mediante sentenze rese dalla Corte su domanda di pronuncia pregiudiziale. 27 Quanto all�argomento della Commissione secondo cui le cause principali rientrano esclusivamente nell�ambito dei titoli II e VI della legge n. 287/90, di modo che l�art. 1, comma 4, di tale legge, il quale fa parte del suo titolo I, non sarebbe rilevante, � giocoforza constatare che tale valutazione non � condivisa dal Consiglio di Stato, il quale ha espressamente motivato il rinvio pregiudiziale facendo riferimento al citato art. 1, comma 4. A tale riguardo, occorre ricordare che non spetta alla Corte giudicare l�esattezza del quadro normativo che il giudice nazionale definisce su sua propria responsabilit� (v., in tal senso, senten IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni ze Salzmann, cit., punto 31; 1� dicembre 2005, causa C-213/04, Burtscher, Racc. pag. I10309, punto 35, nonch� 7 giugno 2007, cause riunite da C-222/05 a C-225/05, van der Weerd e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22). 28 Riguardo, infine, all�argomento della Commissione secondo cui il diritto comunitario � solo uno degli elementi da considerare per l�interpretazione delle disposizioni del titolo I della legge n. 287/90 e secondo cui i giudici italiani non sono obbligati ad applicare, in modo assoluto e incondizionato, le interpretazioni fornite dalla Corte, � sufficiente constatare che l�Autorit� e il Tribunale amministrativo regionale del Lazio hanno fondato il loro provvedimento e la sentenza sulla normativa e sulla giurisprudenza comunitaria, e che il Consiglio di Stato ha motivato il suo rinvio pregiudiziale con la considerazione che questo � necessario per conoscere il criterio da prendere in considerazione conformemente ai principi del diritto comunitario della concorrenza a cui rinvia l�art. 1, comma 4, della legge n. 287/90. 29 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Corte � competente a conoscere della domanda di pronuncia pregiudiziale. Sulle questioni pregiudiziali 30 Mediante le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, quali sono, in virt� degli artt. 81 CE e segg. nonch�, eventualmente, di ogni altra regola rilevante del diritto comunitario, i criteri che occorre applicare per determinare l�impresa da sanzionare per violazione delle regole della concorrenza in caso di successione di imprese, in particolare qualora la parte finale di una violazione di tal genere sia stata attuata dal successore economico dell�ente che ha commesso tale infrazione e qualora quest�ultimo ente, bench� non abbia pi� operato nel settore economico interessato dalla sanzione, non abbia cessato di esistere. Osservazioni presentate alla Corte 31 Secondo l�ETI, il criterio rilevante � quello della responsabilit� personale. Sarebbe possibile derogare a tale criterio solo in casi eccezionali, per proteggere l�effetto utile delle regole di concorrenza. In casi di tal genere, la responsabilit� dell�infrazione potrebbe essere imputata ad una persona diversa da quella che aveva il controllo dell�impresa al momento dell�infrazione, anche qualora quest�ultima non abbia cessato di esistere. 32 Tuttavia, circostanze eccezionali di tale natura non sussisterebbero, qualora, come nelle cause principali, sia possibile imputare la responsabilit� dell�infrazione alla persona che gestiva l�impresa al momento in cui l�infrazione stessa � stata commessa. 33 Le societ� del gruppo Philip Morris sostengono che il criterio della responsabilit� personale si applica in tutti i casi in cui la persona che ha materialmente compiuto l�atto illecito esiste ancora, esercita attivit� imprenditoriali ed � in grado di ottemperare alla decisione dell�autorit� della concorrenza che impone la sanzione. 34 Tali societ� ritengono che, a parte il caso della scomparsa del soggetto giuridico e dell�impossibilit� derivantene che esso sia sottoposto a sanzioni, l�ordinamento giuridico comunitario non ammetta deroghe al criterio della responsabilit� personale. Il ricorso al criterio della continuit� economica sarebbe giustificato solamente qualora sia necessario per assicurare l�applicazione effettiva delle regole della concorrenza. 35 Secondo il governo italiano, il criterio della continuit� economica implica la responsabilit� della persona che ha continuato e portato a termine il comportamento contrario alle regole della concorrenza cominciato da un�altra persona ogni volta che l�impresa interessata dall�infrazione e ceduta da una persona ad un�altra � identica dai punti di vista economico, strutturale e funzionale. A tale riguardo, sarebbe indifferente che la persona che ha ceduto tale impresa esista ancora formalmente ed eserciti o meno altre attivit�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 36 Nella fattispecie, risulterebbe dal decreto legge n. 283/98 che vi � effettivamente un�identit� tra l�impresa gestita dall�AAMS e quella gestita dall�Ente tabacchi italiani, diventato ETI. L�AAMS e l�ETI sarebbero inoltre uniti da legami strutturali, consistenti nel fatto che entrambi sono emanazione del Ministero dell�Economia e delle Finanze. 37 Secondo la Commissione, qualora l�infrazione sia stata commessa da un�impresa gestita da un organismo di uno Stato membro dotato di proprio potere decisionale e l�attivit� economica interessata sia stata ceduta ad un altro soggetto giuridico, le sanzioni relative a tale comportamento devono essere inflitte all�organismo dello Stato se questo, dopo la cessione, continua ad esercitare un�attivit� imprenditoriale, anche in settori diversi da quello interessato da tale comportamento. Per contro, le sanzioni dovrebbero essere inflitte al soggetto giuridico che ha acquisito l�attivit� economica in questione se, dopo la cessione, tale organismo dello Stato cessa di esercitare attivit� imprenditoriali. Giudizio della Corte 38 Risulta dalla giurisprudenza che il diritto comunitario della concorrenza riguarda le attivit� delle imprese (sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C211/ 00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I-123, punto 59) e che il concetto di �impresa� comprende qualsiasi ente che eserciti un�attivit� economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalit� di finanziamento (v., in particolare, sentenze 28 giugno 2005, cause riunite C-189/02 P, C202/ 02 P, da C-205/02 P a C-208/02 P e C-213/02 P, Dansk R�rindustri e a./Commissione, Racc. pag. I-5425, punto 112; 10 gennaio 2006, causa C-222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., Racc. pag. I-289, punto 107, nonch� 11 luglio 2006, causa C-205/03 P, FENIN/Commissione, Racc. pag. I-6295, punto 25). 39 Qualora un ente di tal genere violi le regole della concorrenza, incombe ad esso, secondo il principio della responsabilit� personale, di rispondere di tale infrazione (v., in tal senso, sentenze 8 luglio 1999, causa C-49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I-4125, punto 145, e 16 novembre 2000, causa C-279/98 P, Cascades/ Commissione, Racc. pag. I-9693, punto 78). 40 Riguardo alla questione di sapere in quali circostanze un ente che non � l�autore del- l�infrazione possa nondimeno essere sanzionato per questa, occorre, anzitutto, constatare che rientra in una tale ipotesi la situazione in cui l�ente che ha commesso un�infrazione ha cessato di esistere giuridicamente (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit., punto 145) o economicamente. A quest�ultimo riguardo, occorre considerare che una sanzione inflitta ad un�impresa che continua ad esistere giuridicamente, ma non esercita pi� attivit� economiche, rischia di essere priva di effetto dissuasivo. 41 Occorre inoltre rilevare che, se nessun�altra possibilit� di imposizione della sanzione ad un ente diverso da quello che ha commesso l�infrazione fosse prevista, alcune imprese potrebbero sfuggire alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identit� � stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa. Lo scopo di reprimere comportamenti contrari alle regole della concorrenza e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive (v., in tal senso, sentenze 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 173; 29 giugno 2006, causa C-289/04 P, Showa Denko/Commissione, Racc. pag. I-5859, punto 61, nonch� 7 giugno 2007, causa C-76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22) sarebbe pertanto compromesso. 42 Di conseguenza, come gi� constatato dalla Corte, qualora un ente che ha commesso un�infrazione alle regole della concorrenza sia oggetto di una modifica di natura giuridi IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE -Le decisioni ca o organizzativa, tale modifica non ha necessariamente l�effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilit� per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l�aspetto economico, vi � identit� fra i due enti (v., in tal senso, sentenze 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, Racc. pag. 1679, punto 9, nonch� Aalborg Portland e a./Com-missione, cit., punto 59). 43 Conformemente a questa giurisprudenza, le forme giuridiche rispettive dell�ente che ha commesso un�infrazione e del suo successore sono irrilevanti. L�applicazione a tale successore della sanzione per l�infrazione non pu� dunque essere esclusa per il solo fatto che, come nelle cause principali, questo possiede un altro status giuridico e opera con modalit� diverse rispetto all�ente cui � succeduto. 44 � irrilevante anche la circostanza che una cessione delle attivit� venga decisa non da singoli, ma dal legislatore nella prospettiva di una privatizzazione. Infatti, le misure di ristrutturazione o di riorganizzazione d�impresa adottate dalle autorit� di uno Stato membro non possono legittimamente avere come conseguenza la compromissione dell�effetto utile del diritto comunitario della concorrenza (v., in tal senso, sentenza 12 maggio 2005, causa C-415/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-3875, punti 33 e 34). 45 Nelle cause principali, risulta dalla decisione di rinvio nonch� dal fascicolo sottoposto alla Corte che le attivit� economiche dell�AAMS sul mercato interessato dall�intesa sono state proseguite dall�Ente tabacchi italiani, diventato poi ETI. Alla luce di ci�, anche se l�AAMS ha continuato ad esistere in quanto operatore economico su altri mercati, l�ETI poteva essere considerato, nell�ambito del procedimento relativo all�intesa sui prezzi di vendita delle sigarette, come il successore economico dell�AAMS. 46 Riguardo alla questione se un caso come quello in oggetto integri la fattispecie in cui un�entit� economica pu� essere sanzionata per l�infrazione commessa da un altro ente, occorre constatare, anzitutto, che il fatto che l�AAMS non disponga di personalit� giuridica (v. punto 6 della presente sentenza) non � un elemento che pu� giustificare l�applicazione al suo successore della sanzione per l�infrazione che essa ha commesso. 47 Per contro, l�applicazione della sanzione per l�infrazione commessa dall�AAMS all�ETI potrebbe giustificarsi per il fatto che quest�ultimo e l�AAMS dipendono dalla stessa autorit� pubblica. 48 A tale riguardo occorre ricordare che, qualora due enti costituiscano lo stesso ente economico, il fatto che l�ente che ha commesso l�infrazione esista ancora non impedisce, di per s�, che venga sanzionato l�ente a cui esso ha trasferito le sue attivit� economiche (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punti 355-358). 49 In particolare, una tale configurazione della sanzione � ammissibile qualora tali enti siano stati sotto il controllo della stessa persona e, considerati gli stretti legami che li uniscono sul piano economico e organizzativo, abbiano applicato in sostanza le stesse direttive commerciali. 50 Nelle cause principali, � certo che, al momento del loro comportamento illecito, l�AAMS e l�ETI erano detenuti dallo stesso ente pubblico, ossia il Ministero dell�Economia e delle Finanze. 51 Spetta al giudice del rinvio verificare se, partecipando all�intesa sui prezzi di vendita delle sigarette, l�AAMS e l�ETI siano stati sotto la tutela di tale organismo pubblico. In caso affermativo, occorrerebbe concludere che il principio della responsabilit� personale non si oppone a che la sanzione per l�infrazione commessa dall�AAMS e continuata dall�ETI sia inflitta interamente a quest�ultima. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � N. 1/2008 52 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, le questioni sottoposte vanno risolte dichiarando che gli artt. 81 CE e seguenti devono essere interpretati nel senso che, nel caso di enti dipendenti dalla stessa autorit� pubblica, qualora una condotta costitutiva di una stessa infrazione alle regole della concorrenza sia stata commessa da un ente e successivamente proseguita fino alla sua fine da un altro ente succeduto al primo, il quale non ha cessato di esistere, tale secondo ente pu� essere sanzionato per l�infrazione nella sua interezza, se � provato che tali due enti sono stati sotto la tutela della citata autorit�. Sulle spese 53 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: Gli artt. 81 CE e seguenti devono essere interpretati nel senso che, nel caso di enti dipendenti dalla stessa autorit� pubblica, qualora una condotta costitutiva di una stessa infrazione alle regole della concorrenza sia stata commessa da un ente e successivamente proseguita fino alla sua fine da un altro ente succeduto al primo, il quale non ha cessato di esistere, tale secondo ente pu� essere sanzionato per l�infrazione nella sua interezza, se � provato che tali due enti sono stati sotto la tutela della citata autorit��. I L CONTENZIOSO NAZIONALE Dossier Ingresso-soggiorno dello straniero e tutela dell�ordine pubblico: il problema dell�effettodelle precedenti condanne penali di Valeria Camilli e Rita Tuccio(*) TEMI: 1.- Visto d�ingresso e permesso di soggiorno nella disciplina del T.U. Immigrazione. 2.- Condizioni per l�accesso e la permanenza dello straniero in Italia. Autosufficienza dei motivi ostativi alla luce dell�interpretazione letterale del T.U. Immigrazione. 3.- La condanna. 4.- Gli indici di pericolosit� sociale. 5. -Attenuazioni al giudizio di pericolosit� sociale. DOCUMENTI: 1.- Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 8 febbraio 2008 n. 415. 2.Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 13 marzo 2008 n. 1031. 3.- Tribunale Amministrativo per la Regione Umbria, Perugia, sezione prima, sentenza 6 giugno 2007 n. 505. 1. Visto d�ingresso e permesso di soggiorno nella disciplina del T.U. Immigrazione. A fronte del forte incremento del flusso migratorio degli stranieri, intensificatosi gi� a partire dagli anni Novanta (1), il legislatore ha avvertito progressivamente sempre pi� impellente l�esigenza di provvedere ad una disciplina omogenea sull�immigrazione. Al fine di rendere pi� aderente alla pras (*) Dottori in Giurisprudenza, ammesse alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. (1) Per una ricostruzione ed un�analisi dei processi migratori in prospettiva storico- giuridica si rinvia da ultimo a GIANLUCA BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L�esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Napoli, 2007. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 1/2008 si la regolazione del fenomeno migratorio nel rispetto delle diverse esigenze dello straniero sono stati nettamente distinti i due momenti dell�ingresso e del soggiorno nel territorio dello Stato. Infatti, la scelta in tal senso della legge 39 del 1990 (che ha introdotto il permesso di soggiorno) � stata confermata con la legge 40 del 1998 e poi con il d.lgs. 286 del 1998 che agli artt. 4 e 5 disciplina in modo autonomo le due diverse condizioni. Pur volendo limitarsi alla mera formulazione testuale, la scelta del legislatore di disciplinare le due fattispecie in due articoli distinti non pu� far dubitare del fatto che ciascuna rilevi per caratteristiche proprie e peculiari. A tal proposito, sia sufficiente sottolineare quantomeno due aspetti di divergenza tra i due istituti. In primo luogo, � bene tenere presente che sul piano soggettivo i due atti si differenziano in quanto rientranti nelle competenze di autorit� differenti: il visto d�ingresso viene rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche e consolari dello Stato italiano, mentre il permesso di soggiorno spetta alla competenza del questore della provincia entro cui si trova lo straniero. In secondo luogo, per ci� che riguarda specificatamente l�elemento temporale, il visto di ingresso si caratterizza per avere una durata limitata (fino a 90 giorni) rispetto ai casi di permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell�art. 5 co. 3 (per motivi diversi da quelli di lavoro), dell�art. 5 co. 3 bis, 3 ter e 3 quater (per motivi di lavoro), dell�art. 9 co. 1(carta di soggiorno rilasciata a tempo indeterminato). Tuttavia, � al contempo innegabile che sussista un elemento di connessione tra le due fattispecie e che quest�ultimo si appalesi specificamente nel momento patologico della vicenda migratoria, laddove lo Stato si vede costretto ad intervenire in via autoritativa a fronte della necessaria tutela del- l�ordine pubblico. Oggetto immediato dell�art. 4 co. 3 T.U. consiste nella disciplina della fattispecie di ammissione dello straniero nel territorio dello Stato, non venendo specificati gli effetti che deriverebbero in caso di accertamento positivo delle condizioni di inammissibilit� del cittadino. Propriamente, l�art. 4 co. 3 T.U. non regola direttamente la domanda di rilascio (o revoca) del permesso di soggiorno, quanto piuttosto si limita a circoscrivere i requisiti e le condizioni che legittimano l�ingresso del cittadino nello Stato. Tuttavia, � il successivo art. 5 co. 5. che, nel regolare le conseguenze della mancanza dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, opera l�esplicito collegamento con l�art. 4 co. 3 quando afferma che �il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno � stato rilasciato, esso � revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l�ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato��. Pertanto, dal combinato disposto dell�art. 4 co. 3 e del 5 co. 5 del T.U. sembrerebbe dedursi pacificamente che tra le cause ostative al rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno debbano contemplarsi anche le condizioni previste dall�art. 4 co. 3 relative all�ingresso dello straniero sul territorio italiano, in quanto il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno rappresenta l�elemento indefettibile a garanzia della legittima permanenza dello straniero in Italia. Una simile interdipendenza dell�art. 4 co. 3 e dell�art. 5 co. 5 sembra godere anche del consenso della pi� recente giurisprudenza del giudice di legittimit� laddove, ai fini dell�applicazione dell�art. 5 co. 1 IL CONTENZIOSO NAZIONALE del T.U., venga presupposta la regolare entrata in Italia dello straniero nel rispetto delle condizioni stabilite nell�art. 4 co. 3 (2). Oltretutto, siffatta interpretazione sembra essere accolta da ultimo anche dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 424 del 2 febbraio 2007 (3). Occorre, tuttavia, precisare che il subordinare il rilascio del visto d�ingresso ed il provvedimento di rifiuto, rinnovo o revoca del permesso di soggiorno all�accertamento della sussistenza degli stessi requisiti pare rispondere coerentemente alla medesima logica. Infatti, in una simile equiparazione appare palese che l�intento del legislatore consista nell�assicurarsi un mezzo con cui accertare costantemente la sussistenza e la permanenza in capo allo straniero soggiornante in Italia delle medesime condizioni legittimanti del- l�ingresso. In breve, il legislatore parrebbe ispirarsi ad un criterio di continuit� dei requisiti di validit� del soggiorno. In tal senso, emerge con chiarezza la duplice valenza del permesso di soggiorno � condivisa oltretutto anche da consolidata giurisprudenza (4) � che, se da un lato legittima formalmente la condizione di permanenza stabile sul territorio dello Stato, dall�altro rappresenta lo strumento attraverso cui le autorit� di polizia possono procedere ad un controllo preventivo, finalizzato alle esigenze di tutela di sicurezza e di cura dell�ordine pubblico. Pertanto, proprio in ragione della necessit� di rendere possibile il costante controllo dell�autorit� pubblica, le norme del T.U. sul permesso di soggiorno sono puntuali e specifiche. In particolare, si sta facendo riferimento alle disposizioni del Regolamento d�attuazione in cui si prevede che il permesso di soggiorno riporti per iscritto il motivo indicato nel visto d�ingresso, che secondo alcuni (5) finirebbe per irrigidire ecces( 2) Cass. Civ., sez. I, n. 210 del 2005. (3) C.d.S., sent. 424 del 2 febbraio 2007, sez. VI: �L�art. 4, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998 come sostituito dalla L. n. 189 del 2002, prevede che non � ammesso in Italia lo straniero che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ex art. 444, c.p.p., per i reati previsti dai commi 1 e 2, art. 380 c.p.p., ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libert� sessuale, il favoreggiamento dell�immigrazione clandestina verso l�Italia e dell�emigrazione clandestina dall�Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione od allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivit�. L�art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 286 del 1998, prevede che il permesso di soggiorno od il suo rinnovo sia rifiutato e, se il permesso di soggiorno � stato rilasciato, esso sia revocato, quando manchino o vengano a mancare i requisiti richiesti per l�ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato. Ne consegue la legittimit� della revoca, vincolata, del permesso di soggiorno dello straniero che ha commesso un reato rientrante fra quelli di cui dall�art. 380 c.p.p., commi 1 e 2, adeguatamente motivato col richiamo alle norme di legge�. In tal senso anche C.d.S., sent. 410, 1 febbraio 2007, Sez. VI., ma anche TAR Campania - Napoli, sez. IV, sent. n. 3832, 27 aprile 2006. (4) Si veda in particolare C.d.S., sez. IV, 30 marzo � 20 maggio 1999, n. 870, in cui riconosce al permesso di soggiorno non solo la finalit� di verificare i requisiti dello straniero a soggiornare in Italia, ma anche l�ulteriore scopo di facilitare la localizzazione del medesimo ai fini della verifica in concreto della sua permanenza. (5) In merito si veda PAOLO BONETTI, Ingresso, Soggiorno ed Allontanamento, in BRUNO NASCIMBENE, Diritto degli stranieri, p. 328, Padova, 2003. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 1/2008 sivamente la posizione dello straniero e per non tener conto dei possibili cambiamenti della vita quotidiana. In realt�, proprio la necessit� di contemperare le esigenze di garanzia dell�ordine pubblico con i diritti dello straniero sembrerebbe richiedere al legislatore una cautela tale che solamente la puntualit� e la specificit� del testo normativo sembrano offrire, in conformit� a quanto richiede la riserva di legge prevista dall�art 10 co. 2 Cost. Infatti, laddove � costituzionalmente previsto l�intervento del legislatore, la disciplina non solo deve essere dettata esclusivamente dalla legge, ma quest�ultima, a parere di chi scrive, deve essere quanto pi� possibile stringente, al fine di ridurre il margine valutativo in sede di interpretazione. In proposito, come si vedr� anche in seguito (6), il legislatore sembra muoversi lungo uno schema binario: in primis provvede a dettare la regola generale, in secundis si preoccupa di disciplinarne le eccezioni. Si noti, � sempre egli stesso che esercita il potere derogatorio con gli effetti pi� vistosi, da un lato, di conservare in capo a s� la disciplina dell�immigrazione, dall�altro, di attenuare la rigidit� della disposizione puntuale proprio in considerazione di specifiche esigenze. Pertanto, alla luce di quanto finora esposto, non sembra condivisibile l�opinione (7) di chi sostiene che la normativa sull�immigrazione, ed in particolare le norme sull�ingresso ed il soggiorno dello straniero, renderebbero la condizione di quest�ultimo incerta e precaria con la conseguenza di non favorirne l�integrazione nel Paese ospitante. Tuttavia, qui si ritiene che una simile impostazione tenderebbe a sottovalutare le ragioni su cui si fonda la ratio stessa degli istituti in esame, ovvero la garanzia dell�ordine pubblico, a fronte delle esigenze dello straniero che, tuttavia, laddove non venga in alcun modo posto in discussione il principio dell�affidamento, trovano ben ampia tutela nel testo normativo. Pertanto, al fine di provare a comprendere la ratio che sottende la spinosa (8) materia della regolazione dell�immigrazione, in questa sede, pare opportuno soffermarsi in primo luogo sull�analisi delle condizioni legittimanti l�ingresso � e, di qui, la permanenza � dello straniero in Italia a partire da una lettura testuale della disposizione. (6) In riferimento ai motivi familiari e alle cause di esclusione dell�espulsione si veda infra. (7) Si confronti GUIDO SIRIANNI, La polizia degli stranieri, Torino, 1999, p. 60. (8) Si � scelto il presente aggettivo al fine di suggerire una pi� ampia riflessione sui temi connessi ai diritti fondamentali dello straniero, alla tutela costituzionale dello straniero, alla natura della situazione giuridica soggettiva dello straniero, di cui la presente sede non consente una trattazione specifica e puntuale. Tuttavia, sui primi temi si rinvia ex multis ALESSANDRO PACE, Problematica delle libert� costituzionali, Padova, 2003, GIUSEPPE UGO RESCIGNO, Cittadinanza: riflessioni sulla parola e sulla cosa, in Riv. Dir. Cost, 1997, p. 37 e dello stesso autore Note sulla cittadinanza, in Dir. Pubbl., 2000, p. 751; STEFANO SICCARDI, L�immigrato e la Costituzione. Note sulla dottrina e sulla giurisprudenza costituzionale, Giur. it, 1996, p. 316; circa la configurabilit� di una nuova situazione giuridica si veda ALESSANDRO CACCIARI mentre per la ricostruzione della posizione dello straniero in termini di soggezione si veda pi� dettagliatamente GUIDO SIRIANNI, cit, p. 79. IL CONTENZIOSO NAZIONALE Prima di passare a tale esame occorre fare un�ultima precisazione con riguardo alla lettera della disposizione di cui all�art. 5 co. 5 T.U. laddove ricollega alla mancanza dei requisiti necessari per l�ingresso ed il soggiorno un provvedimento di �revoca�. Sebbene si sia sostenuto (9) che i provvedimenti di revoca, rifiuto di rinnovo e annullamento del permesso siano stati configurati dal legislatore alla stregua di provvedimenti di polizia, cio� di provvedimenti attinenti all�attivit� di prevenzione tipica dell�autorit� di pubblica sicurezza, di fronte ai quali lo straniero non potrebbe esercitare neppure in tale procedimento i diritti tipici del procedimento amministrativo previsti dalla legge 241/1990, tale orientamento deve ritenersi superato dalla pi� recente giurisprudenza (10). Infatti, si � affermato che il provvedimento di �revoca� del permesso di soggiorno debba essere preceduto da un regolare atto di comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi degli articoli 7, 8, 9 e 10 legge 7 agosto 1990 n. 241, salvo che ricorrano comprovate ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerit� del procedimento, di conseguenza sembrando che il provvedimento di diniego abbia natura di vero e proprio atto amministrativo a cui siano applicabili le previsioni della legge 241/1990. Pur tuttavia, le suddette considerazioni non compromettono il rilevo secondo cui, a differenza dalla legge sul procedimento amministrativo laddove sono distinte le ipotesi di revoca e di annullamento, il legislatore nel T.U. abbia pensato ad una revoca intesa in senso atecnico, come tale comprendente anche l�istituto dell�annullamento (11). E ci� per la semplice considerazione che nel comma 5 art. 5 il legislatore equipara, quanto ai presupposti e alle conseguenze, alla revoca il rifiuto originario del permesso o del suo rinnovo. 2. Condizioni per l�accesso e la permanenza dello straniero in Italia. Autosufficienza dei motivi ostativi alla luce dell�interpretazione letterale del T.U. Immigrazione. L�art. 4 comma 3 prevede tre motivi ostativi al rilascio del visto d�ingresso (mancanza di requisiti, minaccia dell�ordine pubblico, condanna), colle (9) PAOLO BONETTI, Ingresso, Soggiorno ed Allontanamento, in BRUNO NASCIMBENE, Diritto degli stranieri, p. 328, Padova, 2003. (10) T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 14 febbraio 2007, n. 34; Consiglio Stato , sez. VI, 19 gennaio 2007, n. 109. (11) Peraltro in proposito, si consideri l�ulteriore profilo dell�adozione di provvedimenti di diniego in considerazione degli elementi richiesti all�art. 21 nonies l. 241/1990 ai fini dell�annullamento d�ufficio, con specifico riferimento a quei casi in cui sia emersa solo dopo molto tempo la mancanza dei requisiti necessari per l�ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato. In particolare, tale disposizione prevede quali condizioni per l�annullamento del provvedimento amministrativo, sussistendo le ragioni di interesse pubblico, un termine ragionevole e che si tenga conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Tuttavia, sebbene possa apparire in contrasto con quanto sostenuto finora, in proposito si ritengono prevalenti le ragioni a sostegno della previsione del termine ragionevole. Infatti, tale specifico termine � volto essenzialmente ad assicurare un principio di certezza del diritto e della tutela dell�affidamento legittimo. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 1/2008 gati tra loro per il tramite della proposizione o. Pertanto, se risulta intuitivo che il primo requisito non solleva particolari dubbi, ben pi� problematico appare individuare la relazione tra il secondo ed il terzo elemento. Ad un�interpretazione testuale e letterale della norma secondo i canoni ermeneutici prescritti dall�art. 12 disp. att. c.c. (12), la preposizione semplice impiegata dal legislatore appartiene alle preposizioni disgiuntive. Da tale considerazione dovrebbe trarsi agilmente che ogni elemento rappresenta un requisito autonomo ed indipendente, di talch� dovrebbe dedursi la pari ordinazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie. L�interpretazione in senso disgiuntivo di tali elementi comporta, in primis, che ciascuno di essi sarebbe di per s� idoneo ad arrestare la procedura di rilascio del permesso di soggiorno ed, in secundis, che la mancanza di anche uno solo di essi determinerebbe il mancato rilascio del titolo di soggiorno. Accedendo, ad una simile interpretazione, appare piuttosto limpido che non esiste una diretta correlazione tra il secondo ed il terzo elemento e che, pertanto, entrambi quest�ultimi elementi rilevano autonomamente e in modo del tutto autosufficiente, al pari del primo. Inoltre, sempre alla luce della ricostruzione prospettata non pu� accogliersi la tesi che presuppone la necessaria verifica della contemporaneit� della condanna e della pericolosit� sociale, in quanto una simile valutazione sembra finire per anteporre la pericolosit� sociale alla condanna in una relazione di causa-effetto. Infatti, una simile visione ridurrebbe la condanna (si badi per determinati reati, e non per qualunque reato) a mero presupposto per la valutazione della pericolosit� sociale, ed oltretutto ci� attribuirebbe ampi poteri discrezionali in capo al questore. Invece, si � qui sostenuta la volont� della disposizione di dotare di propria autonomia ciascun segmento normativo e di garantire la pari ordinazione tra gli stessi. Pertanto, il subordinare in via di fatto la circostanza della presenza della condanna all�accertamento della concreta minaccia pare del tutto fuorviante e poco fedele alle intenzioni del legislatore, il quale, se avesse voluto indurre l�autorit� pubblica a contemperare nella verifica entrambi i motivi ostativi, avrebbe senz�altro scelto di coordinarli impiegando la preposizione e e non la disgiuntiva o. Ancora si consideri che proprio la formulazione letterale della disposizione contribuisce ad escludere un ruolo attivo (e quindi valutativo) dell�amministrazione pubblica (13), in quanto l�art. 4 co. 3 non si rivolge direttamente al soggetto agente, bens� predilige una costruzione passiva e negativa (Non � ammesso lo straniero che non), volta a mettere in evidenza le ragioni, dettagliatamente indicate, che comportano l�esclusione dei titoli di sog (12) Art. 12 co. 1 disp. att. c.c recita: �Nell�applicare la legge non si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore�. (13) Sull�esistenza di un automatismo tra la condanna e l�impossibilit� di continuare il soggiorno in Italia si veda TAR Trentino Alto Adige - Trento , sent. n. 164 del 16 maggio 2006. IL CONTENZIOSO NAZIONALE giorno. Pertanto, a buon diritto dalla disposizione in esame sembra dedursi la volont� del legislatore di riservare a se stesso la scelta esclusiva delle situazioni ostative, con la conseguenza di precludere, secondo il principio costituzionale della divisione dei poteri, margini discrezionali in capo alla P.A. (14). Pi� nel dettaglio, l�assenza di spazio discrezionale in capo all�Amministrazione parrebbe essere nuovamente confermato dall�ipotesi di espulsione prevista all�art. 7 della legge 39 del 1990, in cui ugualmente sono presupposti i delitti ex art. 380 co. 1 e 2 c.p.p. ma, dovendo la pronuncia essere emessa obbligatoriamente, si finisce con il negare in toto la valutazione della pericolosit� sociale. Ci� non di meno, pur volendo prescindere dagli aspetti pi� propriamente letterali, non pare possa farsi a meno di rilevare il nesso di contenuto tra la pericolosit� sociale ed i reati ex art. 380 c.p.p.. Tuttavia, il tacito riferimento dei reati elencati nell�art. 4 co. 3 alla pericolosit� sociale, non sembra di per s� idoneo a legittimare un�ulteriore valutazione in tal senso da parte del questore. In primo luogo, non pu� sottovalutarsi che ai fini del divieto di rilascio del titolo abilitativo all�ingresso � necessaria una condanna per alcuni tra i reati pi� afflittivi nei confronti dello Stato: da un lato, per i reati per i quali � previsto l�arresto in flagranza ex. art. 380 c.p.p. e che, quindi, per questo solo fatto rivelano l�intenzione del legislatore di classificarli come reati particolarmente gravi (15); dall�altro, per i reati specificatamente previsti, volti a punire comportamenti che ledono diritti fondamentali della persona e rappresentano violazioni che comportano elevato allarme sociale. Pertanto, proprio in ragione delle specifiche norme incriminatrici tassativamente elencate nell�art 4 co. 3 e dei beni giuridici a tutela dei quali esse sono poste, pu� dedursi che la valutazione della pericolosit� sociale rimane assorbita dalla condanna: colui che ha commesso uno di quei reati � socialmente pericoloso (16), in quanto l�autorit� giudiziaria ha gi� accertato con condanna che costui ha posto in essere dei comportamenti illeciti volti a ledere l�incolumit� pubblica e la personalit� dello Stato. (14) Dello stesso orientamento pare essere il TAR Veneto - Venezia, sez. III, sent. n. 1493 dell�8 maggio 2007. (15) In cui il legislatore ha fondato i presupposti dell�arresto obbligatorio sulla natura di delitto non colposo del fatto commesso; sulla flagranza di esso e sulla gravit� del delitto che � alternativamente correlata: alla misura della pena edittale (co. 1) ; alla specificit� del delitto e, quindi, alla sua inclusione in un elenco tassativo (co. 2) che per queste ultime ipotesi l�obbligatoriet� dell�arresto � correlata alla salvaguardia della sicurezza collettiva e della tranquillit� sociale. In giurisprudenza si veda TAR Piemonte - Torino, sez. II, n. 4619 del 12 dicembre 2006; in giurisprudenza sull�inesistenza di alcuna concreta verifica della gravit� del reato in capo all�Amministrazione si veda da ultimo TAR Veneto- Venezia, sez. III, sent. n. 1439, 8 maggio 2007. (16) Sulla gravit� dei reati ex art. 380 c.p.p. e sulla natura della condotta del soggetto agente si veda la dottrina di FRANCESCO ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, vol. II, Giuffr�, 2003, p. 3-58 e p. 558-647; in giurisprudenza si veda la sent. del C.d.S. n. 359 del 30 gennaio 2007, sez. VI in cui si afferma che: �il citato art. 4, comma 3, non d� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 1/2008 Tuttavia, tale tesi, fondata su argomenti sia testuali che contenutistici, sebbene inizialmente � sembrata inserirsi nel solco di alcuna giurisprudenza (17), sembra andare contro tendenza rispetto alla giurisprudenza sempre pi� costante dei T.A.R. che gi� all�indomani della riforma, assumendo un atteggiamento di particolare tolleranza nei confronti dello straniero, hanno via via interpretato in senso congiuntivo il secondo con il terzo elemento, ritenendo necessaria anche la valutazione circa la pericolosit� sociale dello straniero, ancorch� in presenza di condanna per uno dei reati espressamente elencati (18). Ci� non di meno, la giurisprudenza amministrativa di primo grado � finanche giunta a riconoscere un�ampia discrezionalit� in capo all�autorit� pubblica con la conseguenza di svalutare il momento valutativo effettuato in sede penalistica, provvedendo a distinguere la valutazione di pericolosit� sociale svolta dall�amministrazione nel rilascio del permesso di soggiorno dal giudizio penale (19). Tuttavia, da ultimo la giurisprudenza amministrativa ha mostrato un�inversione di tendenza (20), scindendo la valutazione luogo a dubbi di costituzionalit�, in quanto l�intervento di una sentenza penale di condanna per reati di particolare gravit� quali quelli indicati dalla norma stessa, anche se non passata in giudicato, � di per s� indice di pericolosit� sociale e di minaccia per l�ordine pubblico. Tanto � vero che l�art. 86 del d.P.R. n. 309/1990 prevede, a pena espiata, l�espulsione dallo Stato dello straniero condannato per alcuni reati, tra cui quello previsto dall�art. 73 del decreto medesimo�. (17) Si veda sempre C.d.S., sent n. 7979/2004, in cui si afferma che la valutazione degli elementi ex art. 4 co 3 debba farsi in via autonoma ed indipendente, in quanto il giudizio di pericolosit� sociale su cui si fonda il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno non postula necessariamente l�esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna, essendovi sufficienti anche una serie di indizi e di fatti purch� da essi possa ragionevolmente desumersi l�inclinazione del soggetto a delinquere. (18) In tal senso, rimane emblematico il caso del TAR Lombardia - Brescia, che con ben due ordinanze ha sollevato la questione di legittimit� costituzionale del combinato disposto degli articoli 4 co. 3 e 5 co. 5 nella parte in cui fanno discendere automaticamente l�obbligo di rigettare l�istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per gli stranieri condannati per i reati previsti dall�art. 4 co. 3. La prima volta la questione era stata sollevata nel 2003 e su di essa la Corte costituzionale con l�ordinanza 9/2005 aveva dichiarato la manifesta infondatezza per la mancanza del requisito della rilevanza. Successivamente, nel 2005, il TAR Brescia sollevava nuovamente la questione di legittimit� che questa volta la Corte Costituzionale con sent. 414/2006 ha dichiarato inammissibile, in quanto il rimettente non ha fornito alcuna motivazione circa l�impossibilit� di pervenire ad un�interpretazione che escluda l�applicabilit� delle disposizioni censurate nelle fattispecie oggetto del giudizio a quo. Sul punto si veda anche TAR Emilia Romagna - Bologna, sent. 28 luglio 2003, n 1035 in cui il TAR espressamente afferma che � in particolare le condanne inflitte dal giudice penale, vanno considerate non sulla base di presunzioni automatiche e assolute di pericolosit� del soggetto che ha gi� commesso un reato incluso fra quelli ivi indicati, ma in concreto, tenendo conto dei giudizi prognostici concreti contenuti nella sentenza di condanna.� (19) Si veda sul punto espressamente TAR Veneto - Venezia, sent. n. 484 del 17 gennaio 2003, tuttavia nel caso in esame la statuizione perde tutta la propria forza in quanto non sufficientemente motivata ed affermata in via meramente assertiva. (20) TAR Toscana, Firenze, 19 dicembre 2007 n. 5043. IL CONTENZIOSO NAZIONALE della pericolosit� sociale dalla sussistenza di una condanna, rappresentando quest�ultima, di per s�, un indice presuntivo di pericolosit� sociale o quanto meno di riprovevolezza, nel senso di immeritevolezza ai fini della permanenza dello straniero in Italia (21). Infine, si rilevi che ulteriori elementi a conferma di una valutazione autonoma degli elementi individuati dall�art. 4 co. 3 sembrerebbero rinvenibili anche in altre disposizioni del Testo Unico. In particolare, con riferimento alla presentazione di documentazione falsa e contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto, � lo stesso legislatore che all�art. 4 co. 2 prevede un automatico rigetto della domanda per inammissibilit� (22), rimanendo assorbito, in quanto presupposto, ogni giudizio di pericolosit� sociale nel comportamento dello straniero lesivo del principio di affidamento. 3. La condanna. Avendo fin qui dimostrato l�autosufficienza dei due elementi su cui fondare il diniego od il rifiuto del visto d�ingresso/ permesso di soggiorno, ci si domanda: in quali casi rileva la pericolosit� sociale? In che senso va inteso il sostantivo condanna di cui all�art. 4 co. 3? A tale ultimo fine pare opportuno quantomeno soffermarsi sul significato del termine condanna e, infine, sull�introduzione della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p. come ulteriore pronuncia ostativa al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno. Per ci� che attiene specificatamente al primo aspetto, un�interpretazione letterale della norma vorrebbe che l�elemento preclusivo per il rilascio del titolo abilitativo all�ingresso ed al soggiorno del soggetto in Italia sia propriamente una condanna. Ad una lettura testuale, appare alquanto evidente che la condizione della condanna, in quanto in connessione con specifici reati, tassativamente elencati, debba essere ricondotta alla nozione penalistica della medesima. Inoltre, la volont� del legislatore di richiamare il concetto processual-penalistico sembrerebbe aver trovato ulteriore conferma con la legge 189 del 2002 � pi� sopra richiamata � con la quale, introducendo anche la sentenza di patteggiamento come motivo ostativo al rilascio, si � in fin dei conti proceduto ad evocare un ulteriore elemento penalistico. In proposito, risolutivo di tale questione pare essere l�art. 533 c.p.p. che, rubricato Condanna dell�imputato, delimita chiaramente il proprio oggetto, in quanto statuisce che la sentenza di condanna consiste in quella specifica decisione, emessa a seguito di un procedimento penale conclusosi con l�accertamento della colpevolezza dell�imputato (23). Pertanto, una sentenza di condanna � (21) TAR Toscana, Firenze, 6 dicembre 2007 n. 4678; TAR Trentino Alto Adige 23 novembre 2007 n. 344; TAR Campania 9 agosto 2007 n. 7415; TAR Veneto 8 maggio 2007 n. 1439; TAR Piemonte 7 maggio 2007 n. 2046. (22) TAR Campania, Napoli, sez. IV, 7 agosto 2006 n. 7876. (23) � bene a questo punto sottolineare la volont� del legislatore penale che in sede di riforma ha preferito a fini garantistici vincolare l�emissione della sentenza di condanna RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 1/2008 caratterizzata dalla compresenza di tre elementi: 1) � una sentenza, perci� rappresenta il momento decisionale-conclusivo di un processo; 2) � una sentenza emessa nel corso di un procedimento penale che, notoriamente, � un procedimento fasico; 3) � una sentenza di condanna perci� attribuisce in capo all�imputato la responsabilit� penale, ovvero imputa a costui la commissione di un fatto ritenuto penalmente illecito dall�ordinamento. Una simile precisazione, pare opportuno sottolineare, non rappresenta un eccesso di pedanteria giuridica, in quanto a far chiarezza sul punto � stata chiamata la stessa Corte Costituzionale. Infatti, la questione � parsa complicarsi con l�entrata in vigore del d.l. 195/2002 (poi convertito in legge 222/2002) �in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari�, che ha sollevato il problema della rilevanza della mera denuncia ai fini dell�espulsione dello straniero. Ai sensi del decreto legge su indicato, la dichiarazione di emersione, compiuta dal datore di lavoro, consente al lavoratore di rimanere sul territorio nazionale fino a quando il procedimento non � terminato (con il rilascio del permesso di soggiorno ovvero il diniego) e al datore di lavoro di non essere punito per tutte le violazioni (�comunque afferenti all�occupazione�, art. 1, comma 6 legge 222/2002), di carattere penale o amministrativo, delle norme relative al soggiorno e al lavoro. Fino alla definizione del procedimento non � applicabile a carico del datore di lavoro la norma penale che sanziona l�occupazione illegittima di un lavoratore, privo di permesso o con permesso scaduto, revocato, annullato (art. 22, comma 12 t.u.; la rilevanza penale del fatto previsto da detta norma � cos� sospesa, art. 1, comma 6 citato). Tale favor � soltanto attenuato dall�aver escluso dalla sanatoria gli stranieri che siano stati espulsi per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Anche in tal caso, ove la sfera dei beneficiari (pur espulsi) viene ristretta, si afferma che possono comunque sussistere condizioni per la revoca del provvedimento di espulsione �in presenza di circostanze obiettive riguardanti l�inserimento sociale� (art. 1, comma 8, lett. a), escludendo, alla fine, solo alcune limitate categorie di stranieri (si tratta di coloro che: siano o siano stati sottoposti a procedimento penale per delitto non colposo conclusosi, in sostanza, con la condanna; espulsi con accompagnamento alla frontiera mediante la forza pubblica; rientrati illegittimamente nel territorio nazionale dopo l�espulsione; segnalati ai fini della non ammissione; denunciati per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p. o destinatari di una misura di prevenzione o di sicurezza, art. 1, 8� comma, lett. a, b, c). Pertanto dalla lettera della norma appare di tutta evidenza che risultano esclusi dall�ambio della sanatoria coloro che siano quantomeno denunciati all�accertamento della colpevolezza dell�imputato, sostituendo il carattere residuale della sentenza di condanna (prima si diceva fuori dei casi in cui non fosse previsto il proscioglimento). IL CONTENZIOSO NAZIONALE per uno dei reati suddetti. Tale novit� normativa pare aver ispirato l�orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato che, inizialmente, ha ritenuto condizione legittima di espulsione la mera denuncia, in quanto essa, al pari della condanna, rappresenterebbe una situazione di conflitto tra lo straniero e l�ordinamento interno (24). Tuttavia, la Corte Costituzionale nella sentenza 78/2005, � intervenuta a censurare una serie di norme in relazione a tale specifico profilo ed ha, inoltre, riconosciuto che �la denuncia nulla prova riguardo la colpevolezza o alla pericolosit� del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce (25)�. Inoltre, la giurisprudenza (26) ha finanche ritenuto elemento fondante del diniego del rinnovo del permesso di soggiorno al pari della condanna espressamente prevista anche il mero decreto di rinvio a giudizio emesso dal GUP ai sensi dell�art. 424 c.p.p. ancorch� la forma di decreto sia posta volutamente a garanzia dell�imputato nel corso del procedimento non ancora concluso. Di altro tenore appare, poi, la questione circa l�indefettibilit� o meno del carattere di definitivit� della condanna poich�, in assenza di espresso divieto del legislatore, pare debba protendersi per l�equiparazione della sentenza definitiva e quella non ancora passata in giudicato, per la quale sia ancora possibile proporre impugnazione (27). Infine, l�ultimo aspetto da rilevare circa la condanna ex art. 4 co. 3 attiene alla natura della medesima: la lettera della norma espressamente prevede che la sentenza sia patteggiata o di condanna. Il testo normativo attualmente in vigore equipara le due diverse sentenze, nonostante il legislatore abbia provveduto a tale pari ordinazione in momenti successivi. Di conseguenza, la condanna per i reati di cui agli artt. 380-381 c.p.p. vincola l�autorit� amministrativa a rifiutare il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno e ci� a prescindere dalla natura della relativa sentenza (di condanna o patteggiata) (28). In realt�, una simile novellazione del testo ha comportato non poche conseguenze, soprattutto a livello processuale, per i dinieghi emessi sulla (24) C.d.S., sez. IV, sent. 238/2002. (25) Sent. Corte Cost. n 78/2005, punto 3 del Cons. Dir., in dottrina si veda GUIDO SAVIO, Scheda, Nota a commento a Corte Costituzionale n. 78/2005, 18 febbraio 2005, in Diritto,Immigrazione e Cittadinanza, 2005, fasc. 6, p. 103. (26) C.d.S., sez. IV, sent. n. 6704/2006 in cui si afferma che �il Collegio deve osservare che nel caso in esame gli atti impugnati nel giudizio di primo grado sono basati, oltre che sulla sentenza patteggiata avanti indicata, anche su altri due essenziali presupposti: da una parte, la sentenza del Tribunale di Bari n 25 settembre 2002, n. 1486, di condanna a tre anni di reclusione, per favoreggiamento dell�immigrazione clandestina in concorso, anche se, al momento della proposizione dell�attuale appello, non ancora passata in giudicato, e dall�altra, l�applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale sopra specificata�. (27) In tal senso si veda C.d.S., Sez. VI, sent. n 359 del 30 gennaio 2007. (28) TAR Veneto, sez. III, n. 795 del 2008; TAR Emilia Romagna � Bologna, sez. I, n. 165/2008. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 1/2008 base di sentenze patteggiate in date anteriori al 2002, anno dell�entrata in vigore della modifica legislativa. Si consideri, a tal fine, che nel vigore della disciplina previgente la condanna patteggiata non era, da sola, sufficiente a precludere il soggiorno in Italia ai cittadini extracomunitari, richiedendosi a tal fine a carico dello straniero un motivato giudizio di pericolosit� sociale in forza del quale questi potesse considerarsi una minaccia per l�ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Tuttavia, i T.A.R. (29) e da ultimo anche il Consiglio di Stato (30) hanno pian piano accolto le doglianze degli stranieri che impugnavano i decreti di mancato rinnovo o di espulsione sulla base di tali motivazioni e hanno sostenuto che la disciplina di cui all�art. 4 co. 1 b) legge 189/2002 non trova applicazione nel caso in cui il procedimento di applicazione della pena ai sensi dell�art. 444 c.p.p. per i reati ivi contemplati sia iniziato e/o concluso anteriormente all�entrata in vigore della legge 189/2002. Si � affermato, innanzitutto, che alla componente negoziale propria del patteggiamento si raccorda l�esigenza che lo stesso sia chiamato ad espl