ANNO LIX � N. 4 OTTOBRE-DICEMBRE 2007 


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 


COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi � Giuseppe Guarino 
Natalino Irti � Eugenio Picozza � Franco Gaetano Scoca. 

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo � Condirettori: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 

COMITATO DI REDAZIONE: Vittorio Cesaroni � Lorenzo D�Ascia � Roberto de Felice � Maurizio Fiorilli 
Massimo Giannuzzi - Maria Vittoria Lumetti � Antonio Palatiello � Massimo Santoro � Carlo Sica � 
Mario Antonio Scino. 

HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Pasquale Fava � Dimitris Liakopoulos � 
Alfonso Mezzotero � Arianna Scacchi � Marco Vita. 

SEGRETERIA DI REDAZIONE: Francesca Pioppi 
Telefono 066829431 � E-mail: francesca.pioppi@avvocaturastato.it 

GESTIONE DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Antonella Quirini 
Telefono 066829205 � E-mail: antonella.quirini@avvocaturastato.it 

ABBONAMENTO ANNUO ........................................................................ � 40,00 
UN NUMERO ......................................................................................... � 12,00 


Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico 
bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando: codice IBAN: 
IT 06U 01000 03245 350 0 10 2368 00, causale di versamento, indirizzo ove effettuare 
la spedizione, codice fiscale del versante. 

I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo 

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it � Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 

Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - 00176 Roma 



INDICE � SOMMARIO 


TEMI ISTITUZIONALI 
Antonio Palatiello (dossier), Le Agenzie fiscali: natura e patrocinio. . . . . . . pag. 1 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Dimitris Liakopoulos, Marco Vita, Le competenze complementari dal 
Trattato costituzionale della Comunit� europea al Trattato di Lisbona . . . . � 
1.- I giudizi in corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 
65 
87 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 233 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Pasquale Fava, Il giudizio di ottemperanza secondo la giurisprudenza del 
Consiglio di Stato e della Corte costituzionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 257 
Alfonso Mezzotero, Pregiudiziale amministrativa, rito del silenzio e risarcimento 
del danno da omissione provvedimentale: tiene la rete di contenimento 
del giudice amministrativo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 292 
Arianna Scacchi, Per una lettura critica e costituzionalmente orientata 
della recente disciplina riguardante la revoca degli "atti amministrativi 
che incidono sui rapporti negoziali" . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 341 
INDICI SISTEMATICI ANNUALI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 383 


T EMI ISTITUZIONALI 
Dossier 

Le Agenzie fiscali: natura e patrocinio 

a cura di Antonio Palatiello 

SOMMARIO: Introduzione. 1.- Le Agenzie fiscali; il problema all�esame del Comitato 
Consultivo. 2.- Le �Convenzioni�. 3.- Gli orientamenti della Corte costituzionale e della 
Corte di Cassazione; il problema del patrocinio. 4.- L�Agenzia del Demanio e la legittimazione 
processuale. 5.- L�ente-organo e il significato del patrocinio. 

Introduzione 

1. Il problema della natura giuridica delle Agenzie istituite dal D.Lgs. 30 
luglio 1999, n. 300, si pose immediatamente all�attenzione dell�Avvocatura 
dello Stato, specie con riguardo alle Agenzie fiscali, che particolarmente risultavano 
costituire una notevole innovazione dell�apparato ordinamentale dello 
Stato (l�art. 9 del D.Lgs. 31 marzo 1988, n. 112, aveva gi� parlato di riordino 
delle strutture statali). Non poteva sfuggire, infatti, che l�istituzione di soggetti 
autonomi, successori in rapporti fondamentali per lo Stato, quali quello tributario 
o quelli legati alla funzione pubblica del patrimonio, o all�attivit� doganale 
o al territorio, imponeva la necessit� di chiarire, insieme con i limiti della 
successione, la natura dei rapporti tra i vari centri di riferimento e lo Stato. 
La risposta al quesito di fondo (se le Agenzie fiscali fossero o meno entiorgani 
dello Stato) apparve subito foriera di conseguenze molto importanti 
non solo sul piano istituzionale (ad esempio, nei rapporti con le Regioni: se 
l�Agenzia � organo dello Stato, � possibile immaginare il conflitto di attribuzioni 
davanti alla Corte Costituzionale) ma anche su quello operativo (si 
pensi al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, necessario ex art. 1 T.U. n. 
1611/1933 in favore delle Amministrazioni statali pur se ad ordinamento 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

autonomo, quali sono ad esempio gli enti-organo). Fu dunque elaborata una 
relazione, che viene di seguito pubblicata, per il Comitato Consultivo, che 
aveva lo scopo di richiamare l�attenzione sul problema nei suoi aspetti essenziali 
e sulle possibili soluzioni, nel tentativo di ricondurre a sistema un fenomeno 
altrimenti, almeno nella sua reale essenza, del tutto incomprensibile. 

Si trattava infatti, di capire come mai fosse possibile, ad esempio, un�abdicazione 
della funzione tributaria in favore di ente in ipotesi estraneo all�apparato, 
quando perfino la sovranit� popolare diretta trova limiti nella materia 
tributaria (art. 75 Cost.), o come si potesse configurare una rinuncia alla 
propriet� pubblica quando questa � strumento necessario per lo svolgimento 
dei compiti istituzionali (ed � prevista dall�art. 42 Cost.). 

2. L�imperiosa urgenza della necessit� del concreto svolgimento dei rapporti 
giuridici port�, nell�immediato, a valorizzare il dato costituito dell�art. 72 
D.Lgs. n. 300/99, dove � disposto che �le agenzie fiscali possono avvalersi del 
patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43 del testo unico 
approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni�; 
e dunque sembr� utile stipulare con le Agenzie apposite �convenzioni� 
per la disciplina dell�attivit� di patrocinio, di cui al citato art. 43. Tali convenzioni, 
che sul piano pratico, nel quotidiano dell�esperienza giuridica, 
hanno dato subito buoni risultati operativi, sono state rinnovate; e qui si pubblicano 
un paio di esempi di quelle vigenti (la Convenzione con l�Agenzia 
delle Entrate del 20 giugno 2007 e quella con l�Agenzia del Demanio, nel frattempo 
diventata ente pubblico economico, in data 21 giugno 2006). 
Queste Convenzioni non sono l�esempio migliore di coerenza tecnica, 
perch� se, come � evidente e come � espressamente dichiarato, esse sono 
volte a disciplinare il patrocinio di cui all�art. 43 T.U., cio� il patrocinio 
�organico ed esclusivo�, non dovrebbero muovere dal presupposto che quel 
patrocinio possa essere diverso da quello disciplinato nel T.U., ovvero possa 
essere meramente facoltativo; per fortuna, di fatto, la premessa teorica (errata) 
� superata, nella realt� delle singole clausole convenzionali, da una disciplina 
che si limita al dettaglio della gestione meramente pratica del servizio 
reso dall�Avvocatura. Ma va riconosciuto alle Convenzioni il merito di aver 
permesso la gestione degli interessi comunque statali in modo non difforme 
da quello che � utile ai fini del perseguimento e della tutela di quegli interessi, 
senza che la discussione di fondamentali questioni in apicibus turbasse o 
rischiasse di inquinare l�ordinato svolgimento dell�attivit�. E cos� al 
Comitato Consultivo sembr� opportuno non dar corso, allora, alla discussione 
della �Relazione�. 

3. Ma i problemi rimossi non sono mai problemi risolti; essi covano 
sotto la cenere, e basta un refolo perch� la fiamma torni viva. Cos�, nel caso 
delle Agenzie fiscali, si sono avute due occasioni importanti che hanno fatto 
di recente riemergere il problema in tutta la sua gravit�: la prima occasione 
� stata il formarsi di un sostanziale contrasto di opinioni tra la Corte 
Costituzionale e le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, opportunamente 
e saggiamente minimizzato da tali supremi Organi, ma pur sempre 
evidenziato, con ricadute di carattere pratico di notevole peso. La seconda 

TEMI ISTITUZIONALI 

occasione si � avuta a seguito di un contrasto di opinioni insorto tra il 
Ministero dell�economia e delle finanze e l�Agenzia del Demanio in ordine 
alla titolarit� dei beni statali e quindi, in particolare, alla legittimazione processuale 
nelle controversie che coinvolgono la propriet� (per esempio, le 
azioni di rivendica, o di usucapione); anzi, la non identit� di vedute che si � 
registrata addirittura all�interno dello stesso Ministero ha disvelato da un 
canto la delicatezza del tema e dall�altro l�ambiguit� di un sistema normativo 
che, volendo riordinare le strutture statali, crea soggetti nuovi in posizione 
che, secondo una certa lettura, pu� addirittura essere competitiva o conflittuale 
con il soggetto Stato. 

Di seguito si pubblicano gli stralci salienti delle sentenze della Corte 
Costituzionale e della Corte di Cassazione: come si vede, malgrado l�apprezzabile 
tentativo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di minimizzare 
la divergenza di opinioni, questa resta; e resta tutta, e forse si aggrava, proprio 
nel momento in cui si tenta di risolvere le contraddizioni spostandole su piani 
ordinamentali diversi o operando distinzioni piuttosto artificiose; cos� si � 
fatto per l�Agenzia delle Entrate, da una parte descritta come ente �collocato 
nell�ambito del sistema ordinamentale statale� e dunque, ad esempio, legittimato 
al conflitto di attribuzioni (Corte Costituzionale) e dall�altra parte considerata 
un soggetto �non titolare dell�obbligazione tributaria�, ma incaricato 
di accertare e riscuotere i tributi il cui gettito �senza intermediazione alcuna 
rimane sempre dello Stato� (Corte di Cassazione): una doppia natura, costituzionale 
e ordinaria, che � piuttosto curiosa. Sorprende, peraltro, la conseguenza 
che la Corte di Cassazione trae dalla ritenuta estraneit� dell�Agenzia rispetto 
allo Stato, nel senso che l�Ente �pur non disponendo ex lege del relativo 
patrocinio, ha la facolt� di richiedere di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato, con riferimento a singoli procedimenti� (Cass. 26 novembre 
2007, n. 24547), potendo il direttore dell�Agenzia avvalersi �eventualmente� 
dell�Avvocatura (Cass. 8 febbraio 2008, n. 3058). Sono affermazioni 
non condivisibili, purtroppo elaborate sulla base dell�osservazione contenuta 
in Cass. S.U. 14 febbraio 2006, n. 3116, dove � detto che l�Agenzia �pu� semplicemente 
avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato � (che) in 
assenza di una disposizione normativa� deve quindi avvenire in relazione al 
singolo procedimento, non rilevando l�eventuale conclusione tra Avvocatura 
e Agenzia di convenzioni di carattere generale per l�assunzione del patrocinio, 
come il protocollo d�intesa��. Ma l�art. 72 D.Lgs. n. 300/99, attraverso 
il testuale richiamo all�art. 43 del T.U. e successive modifiche, dice esattamente 
il contrario, e cio� dice che il patrocinio � �organico ed esclusivo� e 
dunque: a) non serve l�affidamento volta per volta del singolo incarico, b) � 
vietato l�affidamento del patrocinio a professionisti esterni, perch� in violazione 
della regola legale dell�esclusivit�. 

La disciplina dell�art. 43 citato, come novellato dalla legge n. 103/79, 
non � altro che la codificazione dell�insegnamento giurisprudenziale, remoto 
e costante, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ad es., Cass. 

S.U. 24 febbraio 1975, n. 700, in questa Rassegna, 1975, I, 696) che la sentenza 
del 2006, chiss� perch�, non considera. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

4. La seconda occasione di rinnovato interesse per il problema della 
natura giuridica delle Agenzie fiscali si � avuta nella gestione delle cause 
aventi ad oggetto la propriet� degli immobili statali. Dal Ministero pervennero 
due opinioni: da un lato, totale dismissione di ogni tipo di legittimazione 
processuale dello Stato, dall�altro conservazione della legittimazione, pur 
con la responsabilit� gestionale in capo alla sola Agenzia del Demanio; quest�ultima 
a sua volta sosteneva la propria estraneit� alle vicende solo dominicali 
dei beni statali. Vi � stato un interessante dibattito cui � seguita la soluzione 
del Comitato Consultivo, con le disposizioni dettate dall�Avvocato 
Generale che vengono oggi pubblicate. Il dibattito ha evidenziato la contraddizione 
intima di un sistema che consideri i rapporti relativi ai beni statali in 
termini di alterit� tra lo Stato e l�Agenzia del Demanio, la quale ha un senso 
in quanto gestore di quei beni, e non proprietario; ed � un gestore che in tale 
veste opera esclusivamente nello Stato e per lo Stato. 
Ma anche in questa occasione si �, nell�imperiosa urgenza del quotidiano, 
preferito optare per soluzioni immediatamente operative, di nuovo rinviando 
una netta presa di posizione sui problemi di fondo. 

5. La teoria dell�ente-organo, cio� la possibilit� di considerare una persona 
giuridica quale organo di altro ente, � da tempo universalmente accettata. 
Anche l�Avvocatura dello Stato ben ne conosce i contenuti ed in pi� 
occasioni ne ha fatto applicazione. 
Di seguito si pubblica uno dei tanti pareri in argomento, che richiama i 
dati consolidati circa gli indici di riconoscibilit� dell�ente-organo. Se si leggono 
gli artt. da 57 a 71 del D.Lgs. n. 300/99, e successive modifiche, ci si 
accorge che i ricordati indici di riconoscibilit� ci sono proprio tutti, a cominciare 
dalla pertinenza soltanto statale degli interessi affidati, fino alle modalit� 
di provvista degli organi, al sistema dei controlli, alle direttive, alla vigilanza 
e cos� via. 

Se l�ente Agenzia � organo dello Stato, esso rientra, ai fini del patrocinio, 
nell�art. 1, T.U. n. 1633/1933, quale amministrazione statale ad ordinamento 
autonomo. Come si spiega, allora, l�art. 72 D.Lgs. n. 300/99, che 
peraltro vide la luce senza una sia pur minima consultazione con l�Avvocato 
Generale dello Stato? 

Esso si spiega con l�esigenza di contemperare due realt�: quella dell�ente 
comunque personificato e dunque comunque diverso dal soggetto Stato e 
quella dell�organo che come tale opera nello Stato. Non tutto quello che la 
persona giuridica fa o acquista � fatto o acquistato nell�esercizio dell�attivit� 
organica; pu� essere strumento pi� o meno diretto di quella attivit�, ma in 
essa non si identifica: acquistare gli strumenti di lavoro, o procurarsi la sede 
non � ancora gestire il munus organico. A questo settore di attivit�, diversa 
dalla gestione immediata e diretta dell�interesse statale affidato, si riferisce 
l�art. 72, quale norma (non di libert� ma) di vincolo imposto all�Ente in una 
coerenza necessaria con la attribuita natura di organo dello Stato per la 
gestione di interessi soltanto statali; si � voluto, cio�, che anche per le attivit� 
diverse dalla gestione del munus organico l�Agenzia fruisse del patrocinio 
organico ed esclusivo dell�Avvocatura dello Stato, dato il coinvolgimento, 


TEMI ISTITUZIONALI 

sia pur solo indiretto e mediato, dell�interesse statale che ogni vicenda contenziosa 
� o comunque legale � finisce con il determinare e dunque stante la 
necessit� di una visione unitaria e unificante dell�interesse pubblico che 
l�Avvocatura dello Stato � istituzionalmente chiamata a svolgere nella 
gestione legale dei singoli affari, attraverso l�esercizio del patrocinio. 

Avv. Antonio Palatiello 

1. LE AGENZIE FISCALI; IL PROBLEMA ALL�ESAME DEL COMITATO CONSULTIVO. 
Relazione per il Comitato Consultivo (settembre 2000). 

�1. Le undici agenzie istituite, in correlazione con il �riordino delle strutture� statali 
previsto dall�art. 9 (e da altri articoli) del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112, dal D.Lgs. 30 luglio 
1999 n. 300 sono da questo definite, all�art. 8 commi 1 e 2 e all�art. 2 comma 3, �strutture 
che �svolgono attivit� a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale ... al servizio 
delle amministrazioni pubbliche...�, in regime di �piena autonomia� e per� con sottoposizione 
�ai poteri di indirizzo e di vigilanza di un Ministro� ed al controllo della Corte dei 
Conti, anche quando dotate di personalit� giuridica (anche e non solo) �di diritto pubblico�. 
Specularmente l�art. 2 comma 2 recita �i Ministeri svolgono�le funzioni di spettanza statale� 
sia per mezzo della propria organizzazione sia �per mezzo delle agenzie�. Queste ultime 
sono dunque raffigurate, nel contesto di una distribuzione tra strutture modellate in modi 
differenziati di funzioni ed attivit� tutte ministeriali, come strutture alternative ai dipartimenti 
(ai quali sono attribuiti �compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee�) 
e in genere alle cosiddette �strutture di primo livello� di cui all�art. 3 del D.Lgs. n. 300 del 
1999; e per� esse pure (le agenzie) facenti parte dell�amministrazione dello Stato per quanto 
attiene sia alle funzioni sia all�organizzazione sia alla responsabilit� politica ed al controllo 
parlamentare sia infine � e rileva non poco (si pensi anche al controllo della Corte dei 
Conti) � alla provenienza ed al fluire dei �finanziamenti da accordare� attraverso �apposita 
unit� previsionale di base dello stato di previsione del Ministero competente� (art. 9 comma 
4) e con assegnazione di personale e risorse. 
Conferma di quanto precede si trae dalla sostanziale somiglianza del rapporto tra poteri 
di indirizzo politico-amministrativo degli �organi di Governo� (e segnatamente del 
Ministro) ed ambito delle funzioni attribuite ai dirigenti, siano questi preposti a dipartimento 
od a direzione generale od operanti in tali strutture, siano essi invece preposti ad agenzia 
od in essa operanti. In proposito significative appaiono le parole �secondo le disposizioni 
generali dettate dagli artt. 3 comma 1 e 14 del D.Lgs. n. 29 del 1993 e successive modificazioni� 
contenute nel cit. art. 8 comma 2 del D.Lgs. n. 300 del 1999. Tra le competenze riservate 
agli organi di governo merita segnalare l�adozione degli �atti di indirizzo interpretativo 
ed applicativo� ad integrazione e chiarimento degli �atti normativi� (sono tali anche i 
regolamenti), ossia le cosiddette circolari ministeriali, come noto di notevole importanza 
specie in materia tributaria. Ingiustificato il mancato esplicito richiamo dei commi 2 e 3 del 
predetto art. 3: � per� indubbio che anche i dirigenti delle agenzie �sono responsabili in via 
esclusiva dell�attivit� amministrativa, della gestione e dei relativi risultati�. 

Il principio �il Ministro non pu� revocare, riformare, riservare o avocare a s�, o altrimenti 
adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti ... salvo il potere di annullamento 
ministeriale per motivi di legittimit�� (art. 14 comma 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

come sostituito da ultimo dall�art. 9 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80), principio che in qualche 
misura realizza la cosiddetta �autonomizzazione delle burocrazie�, vale per tutti i dirigenti 
statali, anche non operanti in agenzie. 

Nel D.Lgs. n. 3000 del 1999 non si rinviene un esplicito richiamo anche dell�art. 21 
(responsabilit� dirigenziale) del D.Lgs. n. 29 del 1993 come sostituito dall�art. 14 del D.Lgs. 

n. 80 del 1998. Deve cionondimeno ritenersi che, anche per questo aspetto, non siano configurabili 
apprezzabili differenze tra dirigenti delle strutture ministeriali tradizionali e dirigenti, 
anche di vertice, delle agenzie. 
N� paiono sensibili le differenze quanto ad adattabilit� dell�organizzazione interna alle 
�esigenze di speditezza efficienza ed efficacia dell�azione amministrativa� (art. 8 comma 4 
lettera 1), posto che l�art. 5 comma 5 consente l�allocazione delle risorse umane finanziarie 
e strumentali all�interno dei dipartimenti �secondo principi di economicit� efficacia ed efficienza� 
e che per l�art. 4 l�organizzazione anche delle direzioni generali pu� essere modificata 
mediante norme secondarie, ed anzi deve essere �revisionata� con cadenza almeno 
biennale. 

Ovviamente ci� si rileva senza alcun intendimento di sminuire le differenze tra agenzie 
e moduli organizzativi tradizionali. Differenze che paiono concretarsi non tanto in modalit� 
particolari di �provvista� (e, come si � detto, rimozione) dei dirigenti ed in diversit� nel 
loro �status�, quanto essenzialmente nel rilievo dato � per le agenzie � alla convenzione 
definente obiettivi attribuiti, risultati attesi, finanziamenti da accordare, etc., alla adozione 
di specifici statuti peraltro non autoprodotti, all�autonomia di bilancio nei limiti dell�anzidetta 
�apposita unit� previsionale�, ed alla previsione di un collegio dei revisori dei conti. 

Questi peculiari connotati non valgono a configurare le agenzie come enti pubblici per 
cos� dire separati dallo Stato-apparato. Esse non sono riconducibili neppure alle figure (elaborate 
dalla dottrina pi� che codificate dal legislatore) dell�ente �strumentale � o �di servizi� 
(ossia dedicato alla prestazione di specifici servizi pubblici amministrativi): queste figure 
sono ipotizzabili solo quando l�interesse pubblico (od il gruppo di interessi pubblici) � 
curato dall�ente ausiliario, e �non � anche dell�ente ausiliato� (M.S. Giannini). Il D.Lgs. n. 
300 del 1999 esclude � e non solo nel citato art. 2 comma 2 � una siffatta devoluzione ed il 
conseguente estraniarsi dello Stato dai compiti (non solo �esecutivi�) assegnati alle agenzie. 
Compiti del resto intimi alla vita dello Stato (si pensi alle Agenzie fiscali) e pi� spesso attinenti 
all�esercizio di �funzioni� amministrative che alla prestazione di �servizi� alla collettivit�; 
per il che l�ipotesi di una dismissione da parte dello Stato sarebbe irrazionale e persino 
di dubbia coerenza con gli artt. 95 e 97 della Costituzione. � appena il caso di accennare 
che nell�ordinamento amministrativo statunitense la parola �agency�, pur non esprimendo 
una nozione definita e costante, individua organizzazioni non assimilabili agli enti pubblici 
del nostro ordinamento; lo stesso deve del resto dirsi per le organizzazioni denominate 
�board� o �commission�, che dalla �agency� si differenziano per il carattere collegiale 
dell�organo di vertice. 

Le agenzie rimangono dunque strutture facenti parte dell�apparato ministeriale statale, 
anzi facenti parte � come recita il titolo del D.Lgs. n. 300 del 1999 � della �organizzazione 
del Governo�. La responsabilit� politica per i risultati e le modalit� delle attivit� delle agenzie 
non si differenzia sostanzialmente da quella relativa alle attivit� delle altre strutture della 
amministrazione statale. E, d�altro canto, non pare che lo Stato possa sottrarsi alla ordinaria 
responsabilit� civile conseguente dall�operato delle agenzie di che trattasi; neppure la attribuzione 
all�agenzia della personalit� giuridica sembra escludere una responsabilit�, seppur 
�in ultima istanza�. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Quanto precede non � contraddetto dalla previsione di possibilit� di avvalimento da 
parte di Regioni od enti locali secondo modalit� da definire mediante convenzioni (cfr. ad 
esempio l�art. 57 comma 2). Una delle ragioni che hanno condotto a configurare agenzie pu� 
esser stata l�esigenza di prevenire la moltiplicazione di strutture dedite ad attivit� �tecniche� 
identiche o similari; per� non � seriamente contestabile che il D.Lgs. n. 300 del 1999 configura 
le agenzie da esso previste come strutture unicamente dello Stato. 

2.� Corollario e, al tempo stesso, conferma di quanto sin qui osservato � la impossibilit� 
di portare dinanzi ad una autorit� giurisdizionale eventuali conflitti tra una agenzia ed 
un Ministro od altra struttura ministeriale (ad esempio un Dipartimento). Contrasti e divergenze 
di opinione tra le strutture e gli organi dell�amministrazione statale sono certamente 
ipotizzabili, anzi possono essere persino considerati fisiologici; essi per� non sono �giustiziabili� 
e � se insorti all�interno di un unico apparato ministeriale � non sono neppure classificabili 
come conflitti di amministrazione, il potere di risolverli spettando al Ministro preposto 
all�apparato. 

In questo potere � di decisione dei conflitti e dei contrasti interni � si � ravvisato uno 
degli indici connotanti una sovraordinazione (altri indici di essa sono i poteri di dare indirizzi, 
emanare direttive generali, definire obiettivi priorit�, piani e programmi, verificare la 
piena e corretta esecuzione delle indicazioni date, etc.) ed, al tempo stesso, non compatibili 
con l�attribuzione di piena �autarchia�. Per contro, �i rapporti tra lo Stato e gli enti autarchici 
sono per essi rapporti esterni, nei quali la volont� di ciascun soggetto... pu� liberamente 
determinarsi nei limiti segnati dalla legge� (A. De Valles). 

� indice connotante la sovraordinazione anche �il potere di annullamento ministeriale 
per motivi di legittimit�� (cui si � accennato), che rimane distinto dal potere di annullamento 
governativo degli atti illegittimi dei soggetti dotati di �autarchia�. Per quanto si � osservato 
l�agenzia � al pari di ogni altra struttura ministeriale � non pu� accedere per cos� dire 
�in proprio� alla giurisdizione contro l�annullamento ministeriale. 

La �non-giustiziabilit�� dei conflitti e dei contrasti (la parola conflitti sembra riferirsi 
specificamente ai dissensi sulle competenze) tra agenzia statale ed altra struttura ministeriale 
(o addirittura il Ministro) rileva anche quando si passa a trattare del coordinamento � necessario 
� tra D.Lgs. n. 300 del 1999 e regole sulla rappresentanza e difesa delle amministrazioni 
statali dinanzi alle giurisdizioni. Poich� � come si � visto � le agenzie fanno parte dello 
Stato-apparato, ad esse si applica, naturaliter e senza necessit� di ulteriore esplicita e specifica 
disposizione, il titolo primo del testo unico approvato con il R.D. n. 1611 del 1933. E non 
sono configurabili situazioni di conflitto di interessi tra lo Stato e le sue agenzie, sia perch� 
gli interessi pubblici da queste curati sono, per definizione, interessi generali dello Stato al 
pari di quelli affidati a dipartimenti od altre strutture ministeriali, sia perch� � ripetesi � eventuali 
dissensi o contrasti non possono sfociare in controversie dinanzi alle giurisdizioni. 

Del resto, giova rammentare che l�unit� organizzativa elementare o �di base� non e n� 
l�agenzia n� la struttura ministeriale �di primo livello�; queste sono organizzazioni complesse, 
al cui interno solitamente opera una molteplicit� di �uffici� (art. 17 comma 1 lettera d) 
del D.Lgs. n. 29 del 1993 come sostituito da ultimo dall�art. 12 del D.Lgs. n. 80 del 1998) 
dotati di competenza a porre in essere atti e comportamenti, ossia ad esprimere all�esterno 
la cosiddetta volont� dello Stato o le declaratorie (ad esempio, le certazioni) la cui produzione 
� affidata all�amministrazione. L�attribuzione di funzioni pubbliche solitamente avviene 
per uffici (ad esempio, gli uffici delle entrate) e non per figure organizzative complesse; 
l�agire delle amministrazioni �, nel concreto, l�agire degli uffici, pi� propriamente degli uffici 
abilitati ad operare come organi con conseguente formale imputazione degli effetti giuri



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dici di loro atti e comportamenti all�organizzazione complessa della quale fanno parte. La 
ipotesi di conflitti o contrasti tra organizzazioni complesse (ad esempio, tra una agenzia ed 
un dipartimento) frontalmente contrapposte pu� dunque risultare poco rappresentativa della 
effettiva dinamica delle strutture amministrative. 

3. L�argomento della personalit� giuridica, attribuita alle Agenzie fiscali ed alla 
Agenzia di protezione civile (non si ci occupa qui della ARAN), � rimasto sinora nell�ombra, 
e non a caso. Invero �la persona giuridica non � figura organizzativa primaria nel diritto 
pubblico, essendo rilevante come figura soggettiva piuttosto la sua eterogenea struttura 
sottostante, che consente l�azione, e non la qualificazione ultronea data dall�attribuzione di 
personalit� giuridica, intesa in modo esclusivo a consentire un tipo specifico di imputazione 
di atti e fattispecie, quelle patrimoniali� (S. Valentini). 
L�attribuzione della personalit� giuridica ad un ufficio-organo o ad una struttura complessa 
(quale una agenzia) nel suo insieme includente pi� uffici-organo non pare aggiunga 
qualcosa di significativo alla attitudine a produrre effetti giuridici mediante l�esercizio di 
funzioni pubbliche amministrative. Ed infatti delle autorit� indipendenti operanti in Italia, 
una sola � la CONSOB � � dotata di personalit�; il che �induce ad ulteriore svalutazione 
della questione della personalit� giuridica nell�ambito della organizzazione pubblica� (V. 
Cerulli Irelli). 

Le cinque agenzie con riconoscimento di personalit� giuridica sono � se si prescinde 
dalla norma di raccordo contenuta nell�art. 10 verosimilmente aggiunto al titolo secondo del 
D.Lgs. n. 300 del 1999 � stranamente collocate nel titolo quinto (di detto D.Lgs.) intitolato 
�disposizioni finali e transitorie�, in origine forse destinato ad accogliere solo le norme poi 
poste negli artt. 55 e 89. Ci� lascia trasparire una certa estraneit� delle disposizioni aggiunte 
nel titolo quinto rispetto all�originario impianto generale del provvedimento legislativo, e la 
provenienza degli articolati trasfusi in dette disposizioni da fucine settoriali, forse desiderose 
di trarre qualche beneficio dal riconoscimento di una loro specificit�. Sennonch�, la dianzi 
rilevata non significativit�, rispetto all�esercizio di funzioni amministrative e in genere allo 
svolgimento di attivit� di diritto pubblico, del riconoscimento di una personalit� giuridica per 
cos� dire aggiuntiva a quella dello Stato fa emergere con tutta evidenza che, per almeno quattro 
delle cinque agenzie in questione, detto riconoscimento rimane marginale e non necessario, 
ed anzi potrebbe originare inutili complicazioni. Cos�, ad esempio, non si riesce a ravvisare 
alcun significato sostanziale nell�imputare all�agenzia delle entrate anzich� allo Stato gli 
avvisi di rettifica delle dichiarazioni tributarie; ed anche eventuali rapporti di avvalimento 
con Regioni ed enti locali potrebbero essere istituiti e gestiti senza necessit� del riconoscimento 
di personalit� giuridica e secondo modalit� gi� sperimentate da pi� uffici dello Stato. 
Del resto, in un giudizio costituzionale per conflitto di attribuzione la personalit� delle cinque 
agenzie svanirebbe, ed esse sarebbero considerate unicamente organi dello Stato. 

Solo per l�agenzia del demanio il riconoscimento della personalit� giuridica pu� risultare 
di qualche significato: per la �amministrazione dei beni immobili dello Stato� la redazione 
annualmente di un bilancio consuntivo recante, oltre ad un conto economico, anche 
una situazione patrimoniale pu� essere utile. Peraltro, la genericit� della espressione �beni 
immobili dello Stato� non pare sufficiente a sminuire le profonde differenze nelle condizioni 
giuridiche delle varie categorie di beni, e potr� far emergere contrasti tra agenzia del 
demanio ed amministrazioni statali che di singoli beni immobili hanno cura e responsabilit� 
o semplicemente fanno uso. 

Per prevenire equivoci, appare opportuno considerare altres� che il riconoscimento 
della personalit� giuridica non � necessario neppure per l�individuazione dei �centri di 


TEMI ISTITUZIONALI 

spesa� pubblica a finalit� di valutazione e controllo. Non solo le agenzie non dotate di personalit� 
ma anche le altre strutture statali possono essere � e sono � poste sotto osservazione 
da questo particolare angolo visuale. 

Una volta evidenziato il marginale rilievo del riconoscimento della personalit� giuridica 
per le cinque agenzie di che trattasi � rilievo che risulta per quattro di esse essenzialmente 
solo �logistico� (ossia, come si dir�, relativo alle risorse umane e materiali strumentali 
all�esercizio delle attivit�) � appare palese come quanto osservato nei primi due paragrafi di 
questo parere valga in linea di principio per esse pure: in sintesi, esse fanno parte dell�amministrazione 
dello Stato, con le descritte conseguenze. Tra l�altro, questa conclusione � 
necessitata se solo si consideri che altrimenti risulterebbe arduo configurare e regolare in 
modo soddisfacente i rapporti di collaborazione con organismi statali quali la Guardia di 
Finanza, e il Corpo dei Vigili del Fuoco e molte delle altre �strutture operative nazionali di 
cui all�art. 11 della legge 24 febbraio 1992 n. 225�. 

Quanto sin qui osservato riconduce ciascuna agenzia dotata di personalit�, riguardata 
(l�agenzia) nella globalit� della sua struttura, alla figura organizzatoria (la cui validit� concettuale 
� unanimemente condivisa) dell��organo (dello Stato) � persona giuridica�. Di tale 
ben nota figura organizzatoria � appena il caso di rammentare i connotati, quanto a capacit� 
giuridica ed a dinamiche di imputazione giuridica di atti e comportamenti, richiamando 
le conclusioni cui autorevole dottrina � pervenuta. 

�L�organo-persona giuridica si istituisce sempre e solo quando ricorrono particolari 
ragioni, di solito di carattere patrimoniale, cio� per dare all�organo una maggior libert� 
negoziale, e attribuirgli la qualit� di parte contraente, con possibilit� di percepire proventi 
diretti in corrispettivo delle prestazioni che eroghi (sono tali ISTAT e il CNR, in quanto possono 
essere richiesti di prestazioni a pagamento anche da parte di soggetti non pubblici). Gli 
organi persone giuridiche presentano, cos�, due facce: in quanto sono organi, si inseriscono 
in un quadro di rapporti interorganici, per cui sottostanno, a seconda dei casi, a poteri gerarchici, 
e di direttiva, a controlli generali (per esempio della Corte dei conti) o speciali, e cos� 
via. In quanto persone giuridiche hanno propri rapporti patrimoniali, propria contabilit�, 
propria organizzazione. Di solito hanno anche proprio personale (distinto per stato giuridico, 
reclutamento, ecc., dal personale dell�ente di cui sono organi), e propri beni (beni che, 
quanto all�appartenenza, possono non essere dell�ente di cui sono organi)� (M.S. Giannini). 

Peraltro, il ricondurre ciascuna delle cinque agenzie di che trattasi � ripetesi considerata 
nella globalit� della sua struttura � alla figura dell�organo-persona giuridica non esaurisce 
affatto l�argomento che ne occupa. L�istituzione di agenzie dotate di personalit� di certo 
non determina un declassamento degli uffici per cos� dire operativi (ad esempio, degli uffici 
delle entrate), per sottrazione ad essi della qualit� di uffici-organo a rilevanza esterna. In 
proposito va segnalato l�art. 17 comma 2 ove si riconosce �autonomia tecnica� e persino 
(enfaticamente) �indipendenza�, peraltro impropriamente riferendole non agli uffici ma �al 
personale� degli uffici. Rimane quindi da esaminare se per gli atti da detti uffici prodotti e 
per i relativi effetti debba configurarsi una duplice imputazione giuridica, all�agenzia organo-
persona giuridica dello Stato ed inoltre allo Stato (od altro ente territoriale servito dall�agenzia 
stessa), o se invece si abbia una sola imputazione giuridica senza alcun transito attraverso 
la persona-agenzia. 

� di tutta evidenza l�esattezza di questa seconda ricostruzione: gli uffici test� denominati 
operativi, ancorch� gestiti quanto a provvista ed organizzazione delle risorse umane e 
materiali dall�agenzia, producono atti i cui effetti giuridici sono direttamente imputati allo 
Stato (od al diverso ente territoriale servito). Del resto, nell�elencare le entrate delle agenzie 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

fiscali l�art. 70 comma 1 univocamente esclude che il gettito dei tributi rientranti nella competenza 
amministrativa degli uffici ricompresi nell�agenzia possa essere rappresentato come 
�risorsa propria� di questa. 

Ne discende che l�espressione �la titolarit� dei rapporti giuridici e delle obbligazioni di 
pertinenza dei citati dipartimenti � trasferita alle agenzie fiscali�, leggibile nel D.M. 
(Finanze) 28 dicembre 2000 (in Gazz. Uff. n. 9 del 12 gennaio 2001) � enfatica, per non dire 
erronea: premesso che le parole �di pertinenza dei citati dipartimenti� esprimono solo ambiti 
di competenza amministrativa e che la parola �titolarit�� � oltremodo vaga, appare indubbio 
che i crediti e le obbligazioni (ad esempio, per rimborsi IVA) dello Stato non sono stati 
trasferiti alle agenzie. 

A questo punto il riconoscimento della personalit� giuridica alle cinque agenzie assume 
un significato abbastanza preciso. Tale riconoscimento (salvo quanto osservato per l�agenzia 
del demanio) comporta imputazione giuridica all�agenzia soltanto delle attivit� di 
provvista ed organizzazione delle risorse umane e materiali strumentali alla �vita� ed all�operare 
dell�agenzia stessa; e per queste attivit� l�agenzia � organo (dello Stato) � persona 
giuridica. In sostanza, sono distinguibili tre ambiti: quello delle �funzioni� amministrative 
esercitate dagli uffici-organi frequentemente ma non necessariamente �periferici�, con 
imputazione direttamente allo Stato (od altro ente territoriale eventualmente servito) degli 
atti e dei conseguenti effetti giuridici; quello (per certi versi residuale) delle �funzioni� 
amministrative (ad esempio, l�adozione d� regolamenti e di atti di carattere generale �che 
regolano il funzionamento della agenzia�) esercitate dalla agenzia come organo unitariamente 
inteso dello Stato e senza utilizzazione della personalit� giuridica; e quello delle attivit� 
svolte dalla agenzia come organo-persona giuridica, con duplice imputazione degli atti 
e dei conseguenti effetti giuridici. Queste ultime emergono allorquando l�agenzia � �competente 
in particolare a svolgere i servizi relativi a� (cos� recitano l�art. 62 comma 2, l�art. 
63 comma 1 e l�art. 64 comma 1) � opera come struttura �di servizio� per l�esercizio di funzioni 
pubbliche amministrative che, come si � detto, - se statali � tali rimangono. 

Prima di concludere un cenno occorre dedicare all�art. 72 ed all�art. 79 comma 6 del 
D.Lgs. n. 300 del 1999. Al riconoscimento della personalit� giuridica queste disposizioni, 
inserite senza previamente acquisire l�opinione dell�Avvocato generale dello Stato, hanno 
ritenuto di collegare la modalit� di patrocinio prevista dall�art. 43 del testo unico in esse 
menzionato (ovviamente come integrato dall�art. 11 della legge n. 103 del 1979), alla quale 
pure si applicano disposizioni del titolo primo del medesimo testo unico quale l�art. 1 
comma 2 (Cass., S.U., 21 luglio 1999 n. 484, Cons. Stato, IV, 28 dicembre 2000 n. 6997 e 
numerose altre). Pervero, un siffatto collegamento non era e non � necessitato, tenuto conto 
dell�appartenenza di tutte le undici agenzie considerate all�organizzazione dello Stato e dell�essere 
organi dello Stato anche le agenzie dotate di personalit� giuridica. 

Comunque, i citati artt. 72 e 79 comma 6 concernono il patrocinio rispettivamente delle 
agenzie fiscali e dell�agenzia di protezione civile per le liti nelle quali esse specificamente 

� in quanto struttura globalmente considerata � sono parti, non anche il patrocinio degli uffici-
organi (ed autonomamente organi) che da esse sono gestiti. Il patrocinio di questi ultimi 
continua ad essere disciplinato dal titolo primo del testo unico approvato con R.D. n. 1611 
del 1933, anche per quanto attiene alle disposizioni processuali (in tema di foro, di notificazioni, 
etc.) contenute in esse e nel codice d� procedura civile. Inoltre per quanto riguarda il 
contenzioso dinanzi alle Commissioni tributarie, continuano ad applicarsi le disposizioni 
recate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e dall�art. 37 comma 4 del D.Lgs. 31 dicembre 
1992 n. 545; a proposito di queste giova rilevare che la Direzione centrale per gli affari giu

TEMI ISTITUZIONALI 

ridici e per il contenzioso tributario del Dipartimento delle entrate � rimasta struttura non 
confluita nella omonima agenzia (malgrado anche i �servizi relativi al contenzioso� siano 
menzionati negli artt. 62 e 63). 

� appena il caso di aggiungere che l�interpretazione qui data ai citati artt. 72 e 79 
comma 6, oltre ad essere sorretta dalle esposte considerazioni sistematiche, risulta opportuna 
perch� previene incertezze ed inutili complicazioni. 

4. Le disposizioni poste dal D.Lgs. n. 300 del 1999 sono troppo recenti � e tuttora solo 
parzialmente attuate nel concreto � perch� un interprete istituzionale possa esimersi dal formulare 
cauta riserva di ulteriori riflessioni e di approfondimenti. D�altro canto, neppure pu� 
escludersi che il legislatore provveda ad integrare o correggere il disegno tracciato. In particolare, 
norme o prassi o insegnamenti giurisprudenziali � prevedibile definiscano in modo 
gradualmente sempre pi� penetrante sia le linee di confine tra competenze rispettivamente 
degli organi di governo e dei dirigenti apicali, tra i quali vanno annoverati anche i direttori 
generali delle agenzie (in pratica assimilati a capi di dipartimento dall�art. 5 comma 2), sia 
le modalit� di cooperazione tra detti organi e dirigenti (ad esempio, ancorch� solo l�art. 81 
comma 3 preveda, per l�Agenzia di protezione civile, che il Ministero si possa avvalere dell�agenzia 
�per la predisposizione di provvedimenti normativi�, appare inevitabile che un siffatto 
avvalimento si abbia anche per tutte le altre agenzie), sia � ancora � la consistenza e le 
modalit� della �vigilanza� del Ministero competente per la singola agenzia: malgrado l�identit� 
della parola utilizzata la nozione di �vigilanza� formatasi nei riguardi degli enti pubblici 
non � trasponibile alle agenzie, posto che, come accennato, queste intrattengono rapporti 
interorganici all�interno dello Stato e non rapporti intersoggettivi con esso�. 
2. LE �CONVENZIONI� 
A) CON L�AGENZIA DELLE ENTRATE; B) CON L�AGENZIA DEL DEMANIO. 
a) Protocollo d�intesa tra Avvocatura dello Stato ed Agenzia delle Entrate 

�Considerato che, ai sensi dell�art. 72 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, 
l�Agenzia delle Entrate pu� avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ai sensi dell�art. 
43 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive 
modificazioni e che, in base a tale ultima disposizione, l�Avvocatura dello Stato � autorizzata 
ad assumere la rappresentanza e la difesa dell�Agenzia delle Entrate, salve le ipotesi di 
conflitto ed i casi speciali ivi previsti; 

Vista la delibera n. 388 del 30 maggio 2007 � allegato sub A) al presente atto � con la 
quale il Comitato di gestione dell�Agenzia delle Entrate ha ritenuto, ai sensi del citato art. 
43 del R.D. n. 1611 del 1933, di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato; 

Ritenuta l�opportunit� di disciplinare, sulla base della obiettiva distinzione dei ruoli e 
delle competenze e del riconoscimento delle rispettive responsabilit�, le modalit� di cooperazione 
tra l�Agenzia delle Entrate (di seguito denominata anche solo Agenzia) e 
l�Avvocatura dello Stato (di seguito denominata anche solo Avvocatura), al fine di assicurare 
nel modo migliore la piena tutela degli interessi pubblici coinvolti, prevedendo anche 
forme snelle e semplificate di relazioni, tali da rafforzare l�efficienza e l�efficacia dell�azione 
amministrativa e l�ottimale funzionalit� delle strutture; 

Ravvisata, in particolare, l�opportunit� di prevedere modalit� operative volte a garantire 
un efficiente ed incisivo apporto consultivo dell�Avvocatura, nonch� lo svolgimento del 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

patrocinio dell�Agenzia affidato alla stessa Avvocatura nei giudizi attivi promossi o proseguiti 
in gradi ulteriori dall�Agenzia e nei giudizi passivi instaurati o coltivati da terzi nei 
confronti della medesima; 

Tra il Direttore dell�Agenzia delle Entrate, Dott. Massimo Romano e l�Avvocato 
Generale dello Stato, Avv. Oscar Fiumara si conviene quanto segue. 

Attivit� consultiva 

1. Allo scopo di razionalizzare gli interventi, l�Agenzia, tramite le competenti Direzioni 
centrali, provvede a coordinare la proposizione di quesiti e richieste di pareri che involgono 
questioni interpretative di carattere generale o di particolare rilevanza, evitando, salvo casi 
di assoluta urgenza, l�inoltro di specifiche richieste tramite proprie strutture periferiche. 
2. Considerato che l�efficacia dell�attivit� consultiva � direttamente correlata alla tempestiva 
acquisizione dei richiesti pareri, l�Avvocatura provvede a corrispondere con tempestivit� 
alle relative richieste, comunque nei termini imposti dai procedimenti amministrativi 
ovvero in quelli prospettati dall�Agenzia richiedente, segnalando tempestivamente i casi 
eccezionali in cui ci� non sia possibile. 
3. L�Agenzia informa l�Avvocatura dei principali orientamenti dalla stessa assunti, in 
particolare in ordine all�interpretazione di normativa di prima applicazione, al fine di acquisire 
eventuali suggerimenti e/o pareri, particolarmente nella prospettiva dei riflessi sulla 
gestione del relativo contenzioso, potenziale o in atto. 
Assistenza e rappresentanza in giudizio 

4. L�Agenzia, attraverso le proprie strutture centrali o territoriali, provvede ad investire 
l�Avvocatura delle richieste di patrocinio con il pi� ampio margine rispetto alle scadenze, 
fornendo una completa e documentata relazione in fatto e in diritto, quale necessario supporto 
per l�efficace tutela delle ragioni dell�Agenzia. In sede di richiesta verr� precisato il 
nominativo del funzionario responsabile del procedimento, con le modalit� per la sua immediata 
reperibilit� (telefono, fax, e-mail); analogamente l�Avvocatura provveder� a segnalare 
alla struttura richiedente dell�Agenzia il nominativo dell�Avvocato incaricato dell�affare e le 
medesime modalit� di immediata reperibilit� (telefono, fax, e-mail). Ogni eventuale modifica 
dei predetti recapiti sar� tempestivamente comunicata. 
Al fine di assicurare nel modo pi� sollecito ed efficace lo svolgimento delle rispettive 
attivit� istituzionali, � assicurato all�Avvocatura l�accesso alla documentazione tributaria 
(normativa, prassi e giurisprudenza) disponibile in banca dati, nonch� l�accesso ai dati relativi 
ai fascicoli di causa delle controversie pendenti presso le Commissioni tributarie. 

5. Ove l�Avvocatura ritenga di non convenire, per singole controversie, sulle richieste 
avanzate dall�Agenzia, provvede, se del caso previa acquisizione di elementi istruttori, a 
darne tempestiva e motivata comunicazione alla struttura richiedente, al fine di pervenire ad 
una definitiva determinazione. Le divergenze che insorgono tra il competente Ufficio 
dell�Avvocatura e l�Agenzia, circa l�instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, 
sono risolte dal Direttore dell�Agenzia, ai sensi dell�art. 12, secondo comma, della legge 
3 aprile 1979, n. 103. 
6. Qualora gli atti introduttivi del giudizio, o di un grado di giudizio, vengano notificati 
all�Agenzia presso una sede dell�Avvocatura, non ancora investita della difesa, sono dalla 
stessa inviati alla competente struttura dell�Agenzia entro cinque giorni dal ricevimento, ed 
immediatamente per i ricorsi in via d�urgenza, utilizzando gli strumenti in concreto pi� rapidi. 
Per le controversie attinenti a rapporti di lavoro avanti al Giudice ordinario, ai sensi del 
primo comma dell�art. 417-bis c.p.c., l�Agenzia sta in giudizio avvalendosi direttamente di 

TEMI ISTITUZIONALI 

propri dipendenti, salvi i casi in cui � venendo in rilievo questioni di massima o aventi notevoli 
riflessi economici � sia richiesta l�assunzione della difesa da parte dell�Avvocatura. 

7. L�Avvocatura provvede a tenere informata la competente struttura dell�Agenzia dei 
significativi sviluppi delle controversie dalla stessa curate, anche con l�invio degli atti difensivi 
propri e delle controparti, di iniziativa o a seguito di richiesta della stessa struttura, 
dando comunque pronta comunicazione dell�esito del giudizio con la trasmissione di copia 
della decisione, in particolare se notificata. Ove si tratti di pronuncia sfavorevole per 
l�Agenzia suscettibile di gravame, l�Avvocatura rende tempestivamente il proprio parere in 
ordine all�impugnabilit� della decisione stessa. Le pronunce che investano questioni di 
carattere generale sono dall�Avvocatura segnalate alla Direzione centrale normativa e contenzioso 
dell�Agenzia o alla diversa Direzione centrale eventualmente interessata. 
8. Le sentenze pronunciate in grado di appello relativamente a controversie di lavoro, 
notificate presso l�Avvocatura distrettuale dello Stato, sono da quest�ultima trasmesse contemporaneamente, 
oltre che all�Avvocatura generale dello Stato, all�Ufficio dell�Agenzia 
parte del giudizio di appello, unitamente agli atti essenziali di cui l�Ufficio stesso non sia in 
possesso. 
9. A richiesta del Direttore dell�Agenzia, l�Avvocatura pu� assumere, ai sensi dell�art. 
44 del R.D. n. 1611 del 1933, la rappresentanza e la difesa di dipendenti dell�Agenzia nei 
giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio. 
10. Avanti le Commissioni tributarie regionali, anche a seguito di rinvio della Corte di 
Cassazione, l�Avvocatura presta, d�intesa con la competente Direzione regionale, alle strutture 
dell�Agenzia l�assistenza nelle controversie particolarmente rilevanti in considerazione 
dell�ammontare della pretesa fiscale e/o del principio di diritto in discussione. Le concrete 
modalit� di attuazione di tale assistenza sono concordate tra il competente Direttore 
Regionale e l�Avvocato Generale per i giudizi avanti la Commissione tributaria regionale di 
Roma ed i competenti Avvocati Distrettuali dello Stato per i giudizi avanti le altre sedi. 
11. L�Avvocatura provvede al diretto recupero nei confronti delle controparti delle 
competenze e degli onorari di giudizio, posti a loro carico per effetto di sentenza, ordinanza, 
rinuncia o transazione. In caso di giudizio conclusosi con esito favorevole per l�Agenzia 
ma con disposta compensazione, totale o parziale, delle competenze e degli onorari del giudizio, 
cos� come in caso di transazione dopo sentenza favorevole, trova applicazione il 
disposto dell�art. 21, commi terzo, quarto e quinto, del R.D. n. 1611 del 1933, avendo riguardo 
alla complessit� e all�impegno processuale della controversia, sulla base delle tariffe professionali 
applicabili. 
12. Per le cause che si svolgono davanti ad Autorit� Giudiziarie aventi sede diversa da 
quella della competente Avvocatura, ai sensi dell�art. 2 del R.D. n. 1611 del 1933, quest�ultima, 
ove non debba partecipare direttamente, si avvale, per la rappresentanza in giudizio, 
salvo diversa intesa con l�Agenzia, di funzionari dell�Agenzia stessa. In tal caso, 
l�Avvocatura trasmette l�atto di delega all�Ufficio dell�Agenzia che ha redatto la relazione 
difensiva, salvo che in quest�ultima siano fornite diverse indicazioni. 
Attivit� concernente la proposizione dei ricorsi per cassazione nei giudizi tributari e di 
lavoro 

l3. Nelle more della realizzazione di specifiche modalit� di trasmissione telematica degli 
atti processuali, le richieste di proposizione di ricorso per cassazione in materia tributaria 
vengono trasmesse all�Avvocatura generale dalla Direzione regionale e non direttamente 
dall�Ufficio locale, salvi i casi di particolare e motivata urgenza, in cui l�Ufficio locale ne d� 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

comunque tempestiva notizia alla Direzione regionale, acquisendone l�assenso, anche per 
posta elettronica, in relazione a ciascuna richiesta. Le Direzioni regionali, o gli Uffici nei predetti 
casi eccezionali, trasmettono le richieste di proposizione di ricorso per cassazione, in 
modo da assicurare la ricezione da parte dell�Avvocatura entro il termine massimo di: 

a) trenta giorni dalla notifica della sentenza; 

b) dieci mesi dalla data di deposito della sentenza non notificata. 

In via del tutto eccezionale, in presenza di documentate e rilevanti difficolt� che non 
consentano l�osservanza degli indicati termini, le richieste di ricorso per cassazione vengono 
trasmesse in modo da assicurare la ricezione da parte dell�Avvocatura entro il termine 
massimo di: 

a) venti giorni prima della scadenza del termine breve di impugnazione; 

b) quarantacinque giorni prima della scadenza del termine lungo di impugnazione. 

14. Nella prospettiva di accelerare l�esame preliminare delle proposte di ricorso e fermo 
quanto previsto al precedente punto 13, le richieste di proposizione di ricorso per cassazione 
devono essere anticipate all�Avvocatura generale dello Stato all�indirizzo di posta elettronica 
dedicato. Nell�oggetto del messaggio di posta elettronica vanno indicati i seguenti dati: 
-cognome e nome o denominazione della controparte; 
-estremi della sentenza; 
-data di scadenza del termine per la proposizione del ricorso. 
Nel testo del predetto messaggio vanno riportati i recapiti (telefono, fax ed e-mail) del 
funzionario responsabile presso la Direzione regionale e di quello responsabile presso 
l�Ufficio locale, ai quali rivolgersi in caso di richiesta di ulteriori informazioni da parte 
dell�Organo legale. 
Al messaggio di posta elettronica vanno allegati: 

-la richiesta di proposizione del ricorso per cassazione; 
- la proposta trasmessa dall�Ufficio locale; 
-la copia scannerizzata della sentenza da impugnare; 
- ogni altro documento ritenuto indispensabile alla migliore comprensione della controversia, 
per il quale si ponga la necessit� di una sua anticipata trasmissione all�Avvocatura 
generale. 

La trasmissione della richiesta di ricorso in formato cartaceo � integrata di tutta la 
necessaria documentazione, ivi comprese la copia degli scritti difensivi dell�Ufficio e della 
controparte e dei documenti prodotti in giudizio � � effettuata, fermo restando il rispetto dei 
termini di cui al punto 13, subito dopo l�anticipazione per posta elettronica, avendo cura di 
riportare sulla richiesta la seguente dicitura �Richiesta gi� anticipata per posta elettronica 
il giorno...� e di allegare la stampa del messaggio di invio per posta elettronica. 

15. L�Avvocatura, nei casi in cui ritenga di non condividere la richiesta di ricorso per 
cassazione, d� tempestiva comunicazione del proprio motivato parere negativo alla competente 
Direzione regionale, in caso di urgenza secondo modalit� rapide (posta elettronica o fax) 
e, se del caso,dandone anticipazione telefonica ai recapiti indicati nella richiesta di ricorso. In 
ogni caso, tale parere � inviato alle strutture dell�Agenzia, salvo obiettive circostanze impedienti, 
almeno dieci giorni prima della scadenza del termine breve dell�impugnazione ovvero 
almeno venti giorni prima della scadenza del termine lungo di impugnazione. 
16. La Direzione regionale, qualora non condivida il parere negativo dell�Avvocatura, 
formula alla stessa, entro due giorni utili dalla ricezione di detto parere, le proprie osserva

TEMI ISTITUZIONALI 

zioni e le invia, unitamente alla completa documentazione relativa alla richiesta di ricorso, 
anche alla Direzione centrale normativa e contenzioso, tramite posta elettronica o fax. 

17. Qualora l�Avvocatura non condivida la reiterata richiesta di proposizione del ricorso 
di cui al punto 16, comunica con la necessaria urgenza il proprio definitivo parere direttamente 
alla Direzione centrale normativa e contenzioso e alla Direzione regionale competente, 
mediante posta elettronica o fax. Nel caso in cui la Direzione centrale normativa e 
contenzioso non condivida il parere dell�Avvocatura, per la risoluzione della divergenza, si 
applica il secondo periodo del punto 5. 
18. In mancanza di conferma espressa del parere negativo dell�Avvocatura, quest�ultima 
provveder�, in modo da evitare decadenze, alla proposizione di ricorso per cassazione, 
in attesa dell�eventuale soluzione della divergenza insorta. 
19. Per la notifica del ricorso per cassazione, l�Avvocatura pu� avvalersi della collaborazione 
degli Uffici dell�Agenzia. In tal caso, se la notifica deve essere eseguita nei capoluoghi 
di regione, l�Avvocatura trasmette il ricorso alla Direzione regionale competente, mentre, 
se la notifica deve essere eseguita fuori dei capoluoghi di regione, l�Avvocatura effettua l�invio 
all�Ufficio locale del luogo di esecuzione della notifica, sempre che nella citt� ove ha sede 
il detto Ufficio locale sia presente l�Ufficio notificazioni esecuzioni e protesti. 
20. Ai fini della notifica, l�Avvocatura fa pervenire il ricorso entro tre giorni lavorativi 
liberi prima della scadenza del termine di impugnazione; si considera non lavorativo anche 
il sabato. 
21. L�Ufficio invia tramite posta celere il ricorso all�Avvocatura subito dopo la notifica. 
22. Nei casi in cui provvede a notificare il ricorso senza avvalersi degli uffici 
dell�Agenzia, l�Avvocatura d� tempestiva informazione alla Direzione regionale della avvenuta 
proposizione del ricorso. 
23. L�Avvocatura si pu� avvalere della collaborazione degli uffici dell�Agenzia anche 
per la richiesta di trasmissione del fascicolo d�ufficio, ai sensi dell�art. 369, terzo comma, 
c.p.c.. In tal caso, l�Avvocatura invia la predetta richiesta alla Direzione regionale competente 
ovvero, se la sentenza impugnata � stata emessa da una sezione staccata della Commissione 
tributaria regionale, all�Ufficio del luogo in cui ha sede la stessa sezione staccata. 
24. La richiesta di cui al punto 23, dopo gli adempimenti di rito, � immediatamente 
restituita, tramite posta celere, all�Avvocatura. 
25. Le modalit� di cooperazione tra Agenzia e Avvocatura in materia di ricorsi per 
cassazione di cui al punto 13 ed ai punti da 15 a 24 si applicano, in quanto compatibili, 
anche alla restante attivit� di assistenza e rappresentanza in giudizio. In particolare, le 
modalit� di cooperazione di cui ai punti 15, 16 e 18 si applicano anche alle controversie 
di lavoro. 
26. L�Agenzia provveder� a costituire presso l�Avvocatura un congruo fondo, a titolo 
di anticipazione e salvo rendiconto annuale, per le spese vive da sostenere nei giudizi 
dei quali � parte. Le modalit� per la costituzione del fondo e per la sua gestione contabile 
saranno successivamente concordate tra l�Avvocatura e la Direzione centrale amministrazione 
dell�Agenzia. 
Incontri periodici 

27. Tra l�Avvocatura e l�Agenzia � fissato un calendario di incontri periodici, di regola 
a cadenza trimestrale, a livello regionale e centrale, per l�esame dell�evoluzione del contenzioso 
concernente le pi� significative e rilevanti problematiche in discussione (in particolare, 
in ordine all�applicazione delle norme tributarie e alle controversie di lavoro), al fine 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

di definire congiuntamente e uniformemente le linee di condotta delle controversie in corso 
e l�interesse alla prosecuzione delle stesse. 

Negli incontri a livello centrale sono esaminate congiuntamente anche le tematiche di 
particolare rilevanza generale che possono avere un impatto sulla conduzione e sulla soluzione 
del contenzioso potenziale o in atto. 

Per ciascuna sede l�Avvocatura indica un proprio avvocato con funzioni di referente. 

Disposizione finale 

28. L�Avvocatura e l�Agenzia si impegnano a segnalare reciprocamente tutte le difficolt� 
operative eventualmente insorte nella gestione dei rapporti oggetto del presente protocollo, 
allo scopo di provvedere, nello spirito della pi� piena collaborazione, al superamento 
delle stesse ed eventualmente alla modifica delle modalit� di cooperazione. 
Roma, 20 giugno 2007 � Dott. Massimo Romano � Avv. Oscar Fiumara�. 

Agenzia delle Entrate � Comitato di Gestione � Delibera n. 388 � Rinnovo Protocollo 
d�intesa con l�Avvocatura dello Stato. 

�Il Comitato di Gestione 

nella riunione odierna, con la partecipazione del Direttore dell�Agenzia, dott. Massimo 
Romano, che lo presiede, e dei componenti del Comitato dott. Vincenzo Busa, prof.ssa 
Silvia Giannini, prof.ssa Maria Cecilia Guerra, dott. Francesco Miceli, dott. Villiam Rossi e 
cons. Italo Volpe; 

visto l�ad. 7, comma 1, dello Statuto dell�Agenzia, secondo il quale il Comitato di 
gestione delibera, su proposta del Direttore, sugli atti generali che regolano il funzionamento 
dell�Agenzia; 

considerato che l�art. 72 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 prevede che le 
agenzie fiscali possono avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 
43 del Testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611; 

esaminato lo schema di protocollo d�intesa con il quale si definiscono le modalit� operative 
volte a garantire l�apporto consultivo dell�Organo legale e lo svolgimento del patrocinio 
nei giudizi instaurati dall�Agenzia e da terzi nei confronti della medesima; 

ritenuta l�opportunit� di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura in considerazione del 
suo ruolo istituzionale, della specifica professionalit� e della positiva valutazione del sistema 
di relazioni convenuto con l�Organo legale; 

su proposta del Direttore delibera di esprimere parere favorevole alla sottoscrizione del 
Protocollo d�intesa con l�Avvocatura Generale dello Stato per il triennio 1� marzo 2007 � 
28 febbraio 2010. 

La presente delibera sar� pubblicata nel sito intranet dell�Agenzia delle Entrate. 

Roma, 30 maggio 2007 � Il Presidente Dott. Massimo Romano � Il Segretario Dott. 
Antonino Italiano�. 

b) Protocollo d�intesa tra l�Avvocatura dello Stato e l�Agenzia del Demanio. 

Gi� pubblicato in questa Rassegna, 2006, n. 2, 301. 


TEMI ISTITUZIONALI 

3. GLI ORIENTAMENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE E DELLA CORTE DI 
CASSAZIONE; IL PROBLEMA DEL PATROCINIO. 
A) LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE; B) LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI 
CASSAZIONE. 
a.1) Corte Costituzionale, sentenza 29 dicembre 2004 n. 427 � Pres. V. Onida � Red. P. 
Maddalena. 

�(omissis) 

1.� Con ricorso notificato il 1� marzo 2003, depositato il successivo 7 marzo ed iscritto 
al numero 25 del registro ricorsi 2003, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato varie 
disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato � legge finanziaria 2003), e, tra queste, la disposizione 
dell�art. 80, comma 6, oggetto del presente giudizio, che viene censurata in riferimento 
agli articoli 117, secondo, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione. 

La disposizione impugnata, �al fine di favorire l�autonoma iniziativa per lo svolgimento 
di attivit�, di interesse generale, in attuazione dell�articolo 118, quarto comma, della Costituzione�, 
prevede che �le istituzioni di assistenza e beneficenza e gli enti religiosi che perseguono 
rilevanti finalit� umanitarie o culturali possono ottenere la concessione o locazione di beni 
immobili demaniali o patrimoniali dello Stato, non trasferiti alla �Patrimonio dello Stato 
S.p.a.�, � n� suscettibili di utilizzazione per usi governativi, a un canone ricognitorio determinato 
ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge 11 luglio 1986, n. 390, e successive modificazioni�. 

La ricorrente sostiene che la disposizione sarebbe illegittima, sia perch� costituirebbe 
un intervento dello Stato nel settore, di esclusiva competenza regionale (art. 117, quarto 
comma, della Costituzione), delle politiche sociali, sia perch� lo Stato, non avendo ancora 
dato attuazione al precetto costituzionale (art. 119 della Costituzione) di dotare le Regioni e 
gli enti locali di un proprio patrimonio, secondo un criterio di coerenza con le rispettive funzioni, 
non potrebbe disporre di beni solo ancora temporaneamente propri. 

2.� Le due censure non sono fondate. 

2.1.� � anzitutto infondato l�assunto secondo cui lo Stato, fino alla attuazione dell�art. 
119, ultimo comma, della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), non potrebbe 
disporre dei propri beni demaniali o patrimoniali. 

L�invocata disposizione costituzionale, in effetti, prevede che Regioni ed enti locali 
abbiano un patrimonio attribuito secondo i principi determinati dalla legge statale, ma non 
detta alcuna regola in ordine alla individuazione dei beni oggetto dell�attribuzione, n�, tanto 
meno, vieta allo Stato la gestione e l�utilizzazione, medio tempore, di tali beni. 

Questa Corte ha gi� chiarito (sentenza n. 98 del 1997) che la dotazione patrimoniale di 
un ente pubblico non � predeterminata dalla Costituzione ed ha, pertanto, escluso che essa 
possa essere stabilita interpretativamente in sede di giudizio di costituzionalit�. Ne consegue 
che, fino all�attuazione dell�ultimo comma dell�art. 119 della Costituzione e, pertanto, 
fino alla previsione da parte del legislatore statale dei principi per la attribuzione a Regioni 
ed enti locali di beni demaniali o patrimoniali dello Stato, detti beni restano a tutti gli effetti 
nella piena propriet� e disponibilit� dello Stato (e per esso dell�Agenzia del demanio), il 
quale incontrer�, nella gestione degli stessi, il solo vincolo delle leggi di contabilit� e delle 
altre leggi disciplinanti il patrimonio mobiliare ed immobiliare statale. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La diversa tesi, sostenuta dalla Regione, oltre a negare in radice gli stessi diritti dominicali 
dello Stato sui propri beni, condurrebbe, d�altra parte, all�irragionevole conseguenza 
che i beni statali non dovrebbero essere gestiti in attesa della legge di attuazione dell�art. 119 
della Costituzione. 

2.2.� Parimenti infondata � l�ulteriore censura prospettata dalla ricorrente, secondo la 
quale la disposizione di legge in questione violerebbe la competenza regionale nella materia 
residuale delle politiche sociali. 

In effetti, l�art. 80, comma 6, della legge n. 289 del 2002, non diversamente dalla legge 
11 luglio 1986, n. 390 (Disciplina delle concessioni e delle locazioni di beni immobili demaniali 
e patrimoniali dello Stato in favore di enti o istituti culturali, degli enti pubblici territoriali, 
delle unit� sanitarie locali, di ordini religiosi e degli enti ecclesiastici), cui la norma 
impugnata fa espresso richiamo, e da altre normative di settore (cfr. la legge 1� giugno 1990, 

n. 134, recante �Estensione dei benef�ci in materia di concessione o locazione di immobili 
demaniali previsti dalla legge 11 luglio 1986, n. 390, agli enti a carattere internazionalistico 
di cui alla legge 28 dicembre 1982, n. 948�, e l�art. 32 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, 
recante �Disciplina delle associazioni di promozione sociale�), disciplina la gestione dei 
beni immobili (demaniali o patrimoniali) non utilizzati o utilizzabili dallo Stato, consentendone 
un utilizzo sociale. 
Tale disposizione costituisce una manifestazione del potere dominicale dello Stato di 
disporre dei propri beni e, come tale, non incontra i limiti della ripartizione delle competenze 
secondo le materie. 

In altri termini, la competenza della Regione nella materia non pu� incidere sulle facolt� 
che spettano allo Stato in quanto proprietario. Queste infatti precedono logicamente la 
ripartizione delle competenze ed ineriscono alla capacit� giuridica dell�ente secondo i principi 
dell�ordinamento civile. In questo senso, peraltro, si � gi� espressa questa Corte, la 
quale ha precisato che la competenza regionale in materia di demanio marittimo non incide 
sulla destinazione dei canoni di concessione che spettano allo Stato in quanto titolare del 
demanio (cfr. sentenza n. 286 del 2004). Che il canone di concessione segua la titolarit� del 
bene � stato peraltro confermato dalla sentenza di questa Corte n. 26 del 2004 relativa alla 
tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali (omissis)�. 

a.2) Corte Costituzionale, sentenza 11 febbraio 2005 n. 72 � Pres. F. Contri � Red. F. Gallo. 

� (Omissis) Ritenuto in fatto 

1.� Con ricorso notificato il 29 marzo 2002 e depositato il 5 aprile 2002, la Regione 
Siciliana ha sollevato � in riferimento all�art. 36 del proprio statuto, all�articolo 2 del decreto 
del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello 
Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria) e al principio costituzionale di leale 
cooperazione tra Stato e regioni � conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione: 
a) alla risoluzione dell�Agenzia delle entrate, �Direzione Centrale Gestione Tributi�, 

n. 29/E del 30 gennaio 2002 (concernente �Istituzione del codice-tributo per il versamento 
dell�imposta sostitutiva dovuta dai fondi comuni d�investimento immobiliare chiusi. 
Decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 
novembre 2001, n. 410�); b) alla risoluzione della medesima Agenzia delle entrate, 
�Direzione Centrale Gestione Tributi�, n. 31/E del 31 gennaio 2002 (concernente 
�Istituzione dei codici tributo per il versamento delle imposte sostitutive previste dalla 
finanziaria 2002. Articoli 4, 5 e 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448�). 

TEMI ISTITUZIONALI 

1.1.� La ricorrente premette che l�Agenzia delle entrate: a) con la risoluzione n. 29/E, 
istituendo un apposito codice-tributo per consentire il versamento, tramite modello F24, dell�imposta 
sostitutiva prevista a carico dei fondi comuni chiusi d�investimento immobiliare 
dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 
novembre 2001, n. 410, ha stabilito che le somme percette �vanno imputate al capo VI ed 
al capitolo 1054 del bilancio dello Stato�; b) con la risoluzione n. 31/E, istituendo tre codici-
tributo per il versamento delle imposte sostitutive previste dagli artt. 4, 5 e 7 della legge 
28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale 
dello Stato. Legge finanziaria 2002), ha disposto che tutte le somme riscosse per tali titoli 
vanno imputate a specifici �capitoli del bilancio dello Stato�. 

1.2.� La ricorrente sostiene, in via preliminare, l�ammissibilit� del sollevato conflitto, 
ancorch� l�Agenzia delle entrate sia ente dotato di propria personalit� giuridica di diritto 
pubblico, con autonomia regolamentare, amministrativa, contabile e finanziaria, trattandosi 
di organizzazione creata dallo Stato per l�esercizio di proprie funzioni e potest� 
(omissis). 

2.1.� La difesa erariale eccepisce, quanto all�ammissibilit� del conflitto: a) che 
l�Agenzia delle entrate � un ente con propria personalit� giuridica, distinta ed autonoma 
rispetto a quella dello Stato, del quale non pu� essere considerata �organo� ai sensi e per gli 
effetti di cui all�art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, sicch� gli atti 
emessi dall�Agenzia non potrebbero essere oggetto di conflitto costituzionale di attribuzione; 
(omissis). 

Considerato in diritto 

1.� La Regione Siciliana ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti 
dello Stato in relazione alle risoluzioni dell�Agenzia delle entrate, �Direzione Centrale 
Gestione Tributi�, n. 29/E del 30 gennaio 2002 e n. 31/E del 31 gennaio 2002, entrambe concernenti 
l�istituzione di codici-tributo per il versamento di imposte sostitutive. Asserisce la 
ricorrente che tali risoluzioni, nel disporre che tutte le somme riscosse per detti titoli vanno 
imputate a specifici �capitoli del bilancio dello Stato� e non anche ai rispettivi capo e capitolo 
del bilancio regionale (per la parte di spettanza regionale), violerebbero le prerogative 
di cui all�art. 36 dello statuto della Regione Siciliana, ed all�art. 2 del decreto del Presidente 
della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione 
Siciliana in materia finanziaria), nonch� il principio costituzionale di leale cooperazione tra 
Stato e regioni. 

2.� La difesa erariale ha preliminarmente eccepito l�inammissibilit� del conflitto, perch� 
avente ad oggetto atti non dello Stato, ma dell�Agenzia delle entrate. 

L�eccezione � infondata. 

Questa Corte ha gi� ritenuto ammissibile il conflitto costituzionale di attribuzione in 
relazione ad atti dell�Agenzia delle entrate, sul presupposto della sostanziale riconducibilit� 
di tale ente, ai fini del conflitto, nell��mbito dell�amministrazione dello Stato (sentenza n. 
288 del 2004, riguardante, appunto, un conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione 
Siciliana in relazione ad atti emessi dall�indicata Agenzia). Tale conclusione deve essere qui 
ribadita. Il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell�organizzazione del 
Governo, a norma dell�articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) affida, infatti, 
all�Agenzia delle entrate la �gestione� dell�esercizio delle tipiche funzioni statali concernenti 
�le entrate tributarie erariali� prima attribuite al Dipartimento delle entrate del 
Ministero delle finanze ed agli uffici connessi e, in particolare, assegna a tale ente la cura 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

del fondamentale interesse statale al perseguimento del �massimo livello di adempimento 
degli obblighi fiscali� (artt. 57, comma 1, primo periodo; 61, comma 3; 62, commi 1 e 2). 
Ai soli fini del conflitto costituzionale di attribuzione tra Regione e Stato, la riconducibilit� 
alla sfera di competenza statale di tali essenziali funzioni � �affidate� all�Agenzia delle 
entrate nell��mbito del peculiare modulo organizzatorio disegnato per le agenzie fiscali dal 
decreto legislativo n. 300 del 1999, con disciplina derogatoria rispetto a quella dettata per le 
agenzie non fiscali (art. 10 del decreto) � esige di imputare al sistema ordinamentale statale 
gli atti emessi nell�esercizio delle medesime funzioni (omissis)�. 

a.3) Corte Costituzionale, sentenza 1 febbraio 2006 n. 31 � Pres. A. Marini � Red. G. 
Silvestri. 

�(Omissis) Considerato in diritto 

1.� Con ricorso notificato il 3 luglio 2004 e depositato il 12 luglio successivo, la 
Regione Lombardia ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del 
Consiglio dei ministri, chiedendo che sia dichiarato che non spetta allo Stato, attraverso 
l�Agenzia del demanio, disciplinare l�alienazione di aree, situate nel territorio della stessa 
Regione, appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato, nei termini e secondo le modalit� 
di cui alla circolare dell�Agenzia del demanio, Direzione generale, del 23 settembre 
2003, prot. 2003/35540/NOR, avente ad oggetto �Decreto legge 24 giugno 2003 n. 143 convertito 
con legge 1 agosto 2003 n. 212 recante �Disposizioni urgenti in tema di versamento 
e riscossione di tributi, di fondazioni bancarie e di gare indette dalla C. S.p.A., nonch� di 
alienazione di aree appartenenti al Patrimonio e al Demanio dello Stato� pubblicato sulla 
Gazzetta Ufficiale n. 185 dell�11 agosto 2003 s.o. n. 131/L�. Secondo la ricorrente, che ha 
sollecitato l�annullamento � previa sospensione dell�esecuzione � dell�atto impugnato, 
sarebbero nella specie violati il principio di leale collaborazione e gli artt. 5, 114, 117, 118 
e 119 della Costituzione. 

2.� Il presente conflitto di attribuzione ha per oggetto un atto dell�Agenzia del demanio, 
la quale � definita �ente pubblico economico� dall�art. 61, comma 1, del decreto legislativo 
30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell�organizzazione del Governo, a norma dell�art. 11 
della legge 15 marzo 1997, n. 59), come modificato dall�art. 1 del decreto legislativo 3 
luglio 2003 n. 173 (Riorganizzazione del Ministero dell�economia e delle finanze e delle 
agenzie fiscali, a norma dell�articolo 1 della legge 6 luglio 2002 n. 137) � esercita tuttora le 
funzioni che erano proprie della Direzione generale del demanio e delle direzioni compartimentali. 
Con riferimento a queste funzioni, tipiche dell�amministrazione pubblica statale, si 
deve ritenere che gli atti posti in essere dalla suddetta Agenzia siano riferibili allo Stato, inteso, 
secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non come persona giuridica, 
bens� come sistema ordinamentale (sentenza n. 72 del 2005) complesso e articolato, 
costituito da organi, con o senza personalit� giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso 
stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalit� in vista dell�esercizio, in forme diverse, 
di tipiche funzioni statali. 

Il termine Stato deve ritenersi impiegato dall�art. 134 Cost. in un duplice significato: 
pi� ristretto quando viene in considerazione come persona giuridica, che esercita le supreme 
potest�, prima fra tutte quella legislativa; pi� ampio, quando, nella prospettiva dei rapporti 
con il sistema regionale, si pone come conglomerato di enti, legati tra loro da precisi 
vincoli funzionali e di indirizzo, destinati ad esprimere, nel confronto dialettico con il sistema 
regionale, le esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati dall�art. 5 Cost. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Questa Corte ha precisato che la propriet� e disponibilit� dei beni demaniali spettano � 
sino all�attuazione dell�ultimo comma dell�art. 119 Cost. � allo Stato �e per esso all�Agenzia 
del demanio� (sentenza n. 427 del 2004). Nei rapporti con il sistema ordinamentale regionale, 
l�Agenzia del demanio � pertanto parte integrante del sistema ordinamentale statale. L�uno 
e l�altro insieme formano il sistema ordinamentale della Repubblica. Al suo interno possono 
verificarsi conflitti tra organi e soggetti, statali e regionali, agenti rispettivamente per fini unitari 
o autonomistici, che attingono il livello costituzionale se gli atti o i comportamenti che li 
originano sono idonei a ledere, per invasione o menomazione, la sfera di attribuzioni costituzionalmente 
garantita del sistema statale o di quello regionale, anche se non provengono da 
organi dello Stato o della Regione intesi in senso stretto come persone giuridiche. 

� compito della giurisdizione di costituzionalit� mantenere un costante equilibrio dinamico 
tra i due sistemi, perch� le linee di ripartizione tracciate dalla Costituzione siano rispettate 
nel tempo, pur nel mutamento degli strumenti organizzativi che lo Stato e le Regioni 
sceglieranno via via di adottare per conseguire i propri fini nel modo ritenuto pi� adatto, 
secondo i diversi indirizzi politici e amministrativi. 

Nel caso di specie, � innegabile che l�impugnata circolare della Direzione generale 
dell�Agenzia del demanio si pone sul confine tra le sfere di competenza statale e regionale 
in materia di governo del territorio, in quanto incide contemporaneamente sulla gestione e 
sulla disponibilit� di beni demaniali destinati a soddisfare interessi pubblici delle comunit� 
amministrate, nel quadro dei princip� fondamentali posti a tutela dell�intera collettivit� 
nazionale. Essa � pertanto atto idoneo, sotto i profili soggettivo ed oggettivo, a far sorgere 
un conflitto di attribuzione tra la Regione Lombardia e lo Stato, cui sostanzialmente pu� 
essere riferito il citato atto dell�Agenzia del demanio (omissis). 

4.� Nel merito, il ricorso � fondato. 

4.1.� La necessaria valutazione ponderata degli interessi pubblici coinvolti esclude che 
possa procedersi ad una sdemanializzazione ope legis di aree non identificate n� dalle amministrazioni 
competenti n� dallo stesso legislatore, ma individuate solo per la loro contiguit� 
ad opere eseguite mediante sconfinamento su terreni demaniali. L�intento del legislatore, 
fatto palese dalla norma prima ricordata, � quello di accelerare la cessione ai soggetti richiedenti 
di aree non pi� utilizzabili per le finalit� pubblicistiche originarie, a causa dell�irreversibile 
mutamento dello stato dei luoghi derivante dall�esecuzione di opere sconfinate in terreno 
demaniale. Lo stesso legislatore ha cura di escludere in modo assoluto e incondizionato 
dalla procedura accelerata di alienazione il demanio marittimo e le aree sottoposte a tutela 
ai sensi del testo unico in materia di beni culturali e ambientali (oggi �Codice dei beni 
culturali e del paesaggio�, ai sensi dell�art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, approvato 
con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). 

Non emerge dalla norma statale in questione una volont� di generale declassificazione 
di aree demaniali, da cedere ai soggetti sconfinanti dietro mera richiesta e pagamento del 
prezzo. Al contrario, il legislatore statale mostra particolare attenzione a non pregiudicare 
interessi collettivi primari collegati ai beni pubblici oggetto della specifica disciplina dettata 
per l�alienazione. Non appare ragionevole un�interpretazione della norma in esame che presuppone, 
accanto all�esclusione generalizzata di alcune categorie di beni, ispirata ad una logica 
di forte garanzia dell�interesse pubblico, un altrettanto generalizzato abbandono di tutte le 
rimanenti aree demaniali, esclusa ogni valutazione concreta da parte delle amministrazioni 
locali competenti, ispirato all�opposta logica della dismissione incontrollata del patrimonio 
pubblico. Un consolidato insegnamento ermeneutico impone che, prima di constatare una 
contraddizione intrinseca nel corpo di una disposizione normativa, si esplori la possibilit� di 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dare al testo da interpretare un significato coerente e ragionevole e solo nell�ipotesi di esito 
negativo di tale ricerca si concluda per l�irreparabile irragionevolezza della stessa. 

Nel caso oggetto del presente giudizio l�interpretazione con esiti contraddittori del citato 
art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003 non � una strada obbligata, giacch� � ben possibile, anzi 
necessario, interpretare la medesima disposizione come disciplina dei rapporti tra l�amministrazione 
statale ed i soggetti richiedenti, fermo restando il quadro normativo e istituzionale 
preesistente, che non risulta superato o alterato da alcuna delle norme in essa contenute. 
Di tale quadro fanno parte i rapporti tra Stato e Regioni in materia di governo del territorio, 
con particolare riferimento al demanio idrico, sul quale deve concentrarsi l�analisi giuridica 
necessaria ai fini dello scrutinio di costituzionalit� dell�atto impugnato. 

4.2.� L�art. 86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni 
e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo 
I della legge 15 marzo 1997, n. 59) dispone che �Alla gestione dei beni del demanio idrico 
provvedono le Regioni e gli enti locali competenti per territorio�; il secondo comma aggiunge: 
�I proventi dei canoni ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono introitati dalla 
Regione�. I successivi artt. 89 e 105 elencano in modo dettagliato le funzioni conferite alle 
Regioni e agli enti locali. 

Alla luce del nuovo testo dell�art. 118 Cost., dopo la riforma del Titolo V della Parte II, 
l�attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni amministrative in materia � sorretta 
dal principio di sussidiariet�, che implica l�allocazione delle funzioni amministrative al 
livello di governo il pi� possibile prossimo alle comunit� amministrate. D�altronde, l�esercizio 
dei poteri dominicali dello Stato nei confronti dei beni del demanio idrico deve necessariamente 
ispirarsi anche al principio costituzionale di leale collaborazione, proprio perch� 
occorre in concreto bilanciare l�interesse dello Stato proprietario e gli interessi delle collettivit� 
locali fruitrici dei beni. 

Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale collaborazione deve 
presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni: la sua elasticit� e la sua adattabilit� 
lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, 
attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti. La genericit� di questo parametro, 
se utile per i motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e concretizzazioni. 
Queste possono essere di natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale, a partire 
dalla ormai copiosa giurisprudenza di questa Corte. Una delle sedi pi� qualificate per 
l�elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione � 
attualmente il sistema delle Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali. Al suo interno si 
sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al 
quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse. 

In materia di demanio idrico, in sede di Conferenza unificata � stato sottoscritto, nella 
seduta del 20 giugno 2002, un accordo rilevante per l�oggetto della presente controversia: 
�Risultando in alcuni casi particolarmente attive le procedure di �sdemanializzazione� (vendita 
al privato di aree demaniali), il provvedimento finale di sdemanializzazione potr� essere 
assunto solo a seguito di parere favorevole delle Regioni e Province autonome, tenuto 
anche conto degli indirizzi della Autorit� di bacino�. 

Accordi come quello appena citato rappresentano la via maestra per conciliare esigenze 
unitarie e governo autonomo del territorio, poteri dominicali e interessi delle collettivit� 
amministrate. Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone 
alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad 
un impegno assunto. 


TEMI ISTITUZIONALI 

La via di concretizzazione del parametro della leale collaborazione che passa attraverso 
gli accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni appare anche la pi� coerente con la sistematica 
delle autonomie costituzionali, giacch� obbedisce ad una concezione orizzontale-collegiale 
dei reciproci rapporti pi� che ad una visione verticale-gerarchica degli stessi. 

Una norma legislativa, come l�art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003, intervenuta ad un anno 
di distanza dal citato accordo, senza che sul punto ci fossero state altre forme di interlocuzione 
ufficiali ed istituzionali tra Stato e Regioni, si inserisce nel quadro sopra tracciato e 
deve essere letta al suo interno. Solo in estrema ipotesi si potrebbe concludere per una deliberata 
ed unilaterale deroga all�accordo da parte dello Stato, a mezzo della norma citata. 
Come gi� detto prima, tale conclusione non � autorizzata dal testo della disposizione in 
parola, che nulla dice a proposito dei rapporti tra istituzioni e si limita a fissare le regole procedurali 
che devono disciplinare la presentazione delle domande ed i rapporti tra privati e 
Agenzia del demanio territorialmente competente. 

4.3.� L�acquisizione del parere della Regione si colloca in un altro circuito di rapporti, 
che attiene alla valutazione ponderata degli interessi pubblici in gioco, rispetto ai quali viene 
in rilievo la competenza regionale in materia di gestione del demanio idrico stabilita dall�art. 
86 del D.Lgs. n. 112 del 1998, rispetto al quale l�accordo del 2002 si pone esplicitamente in 
funzione attuativa. Nella premessa del suddetto accordo si legge infatti che �in sede di verifica 
dell�attuazione dell�art. 86 del [�] decreto legislativo n. 112 del 1998 sono emersi alcuni 
problemi connessi alla piena e corretta attuazione delle disposizioni di cui allo stesso articolo 
86 del D.Lgs. n. 112 del 1998, esaminati con l�ufficio del Commissario straordinario 
del Governo per l�attuazione del decentramento amministrativo�. Il titolo stesso dell�accordo 
conferma lo stretto legame con la norma generale di conferimento delle funzioni amministrative 
sopra citata: �Accordo tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali in materia di demanio 
idrico ai sensi dell�art. 86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112�. 

In mancanza di una chiara e inequivocabile volont� legislativa contraria, si deve ritenere 
che un�interpretazione sistematica dell�art. 86 del D.Lgs. n. 112 del 1998, dell�accordo 
Stato-Regioni del 20 giugno 2002 e dell�art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003 conduca alla conclusione 
della perdurante attualit� del ruolo della Regione nell�apprezzare la sussistenza di 
eventuali ragioni ostative alla cessione a terzi dei beni del demanio idrico. Al riguardo 
occorre infatti tener conto della precipua destinazione di tali beni alla soddisfazione di interessi 
delle comunit� regionali e locali, che non possono essere sacrificati in partenza da una 
generale sdemanializzazione, legata soltanto all�interesse particolare dei privati sconfinanti 
ed all�interesse finanziario dello Stato, realizzato peraltro in misura modesta. 

Il senso dell�art. 86 pi� volte citato � proprio quello di attribuire all�ente esponenziale 
della comunit� regionale, con la gestione del demanio idrico, tutte le funzioni amministrative 
inerenti agli interessi pubblici delle collettivit� locali soddisfatti dai beni del suddetto. � 
irragionevole, pertanto, un�interpretazione dell�art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003 nel senso 
che lo stesso introduca un�innovazione particolare rispetto al regime giuridico generale precedente, 
escludendo in modo radicale la Regione da ogni interlocuzione nelle procedure di 
vendita a terzi dei beni del demanio idrico. 

4.4.� L�impugnata circolare dell�Agenzia del demanio si discosta da questo quadro normativo 
e istituzionale conforme ai princip� costituzionali ed omette ogni riferimento alla 
Regione nello scandire le fasi del procedimento che porta all�atto finale di cessione del bene 
demaniale al soggetto richiedente. Il diritto all�acquisto dell�area statale interessata dallo 
sconfinamento � collegato dalla circolare in questione �esclusivamente all�esistenza di un 
titolo che legittimi sotto il profilo edilizio la realizzazione dell�opera�. � agevole notare che 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

invece l�art. 5-bis sopra citato non introduce questa esclusivit�, ma si limita ad individuare 
i presupposti in base ai quali il privato pu� richiedere allo Stato la vendita di beni appartenenti 
al demanio statale, senza nulla disporre in merito all�eventuale intervento di altri enti 
nel procedimento, peraltro legato al tipo di demanio di cui trattasi. Appare evidente che l�esistenza 
o meno di un potere consultivo della Regione nella materia specifica del demanio 
idrico, nei sensi precisati dal citato accordo del 20 giugno 2002, non incide sui presupposti 
che legittimano il proprietario dell�area che abbia sconfinato in terreno demaniale a chiedere 
la cessione in propriet� dell�area occupata, nei limiti stabiliti dalla stessa disposizione di 
legge. Si tratta di due profili distinti, che finiscono per essere sovrapposti dalla trasformazione 
di un procedimento accelerato di vendita a privati di porzioni di terreno demaniale in 
una generalizzata sdemanializzazione ope legis, che annulla ogni potere di apprezzamento 
da parte della Regione sulla sottrazione all�uso pubblico di beni affidati dalla legge alla sua 
gestione. 

L�intento di escludere l�interlocuzione di altri enti nel procedimento risulta evidente in 
un altro passo dell�atto impugnato, nel quale testualmente si legge, con riferimento al citato 
art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003: �Per effetto di tale norma i beni di demanio pubblico 
interessati dallo sconfinamento che costituiranno oggetto di alienazione sono da considerarsi 
tacitamente sdemanializzati senza necessit� di apposito provvedimento che ne sancisca il 
passaggio al Patrimonio dello Stato e di acquisizione di ulteriori diversi pareri�. Viene pure 
stabilito, nella circolare in questione, che �devono ritenersi automaticamente sospesi gli 
eventuali procedimenti amministrativi di sdemanializzazione interessanti tali beni ancora 
pendenti stante l�effetto conseguito ope legis�. 

Non spetta a questa Corte, ma al giudice competente, valutare la legittimit� dell�atto in 
relazione alla legislazione ordinaria vigente ed in particolare allo stesso art. 5-bis del d.l. n. 
143 del 2003, di cui l�atto stesso si pone come attuazione. Uguale affermazione deve farsi a 
proposito della previsione, ampiamente censurata dalla ricorrente Regione, di una sorta di 
automatico effetto traslativo delle autorizzazioni e dei pareri ottenuti dal privato sconfinante 
per il proprio terreno sulla porzione di terreno demaniale occupato, ancorch� lo stesso sia 
gravato dal vincolo paesaggistico e ambientale, considerato dal medesimo art. 5-bis come 
ostativo all�inclusione dei beni ad esso sottoposti nel novero di quelli cedibili a terzi con la 
procedura accelerata prevista. 

Ci� che invece deve essere censurato in questa sede � la totale esclusione della Regione 
dal procedimento delineato dall�atto impugnato. Tale esclusione non � conseguenza necessaria 
della legislazione ordinaria vigente, che al contrario richiede come indispensabile la 
partecipazione della Regione in quanto portatrice di interessi costituzionalmente protetti 
delle collettivit� locali. La chiusura unilaterale del procedimento prescritto dell�Agenzia del 
demanio menoma pertanto in modo illegittimo la sfera di attribuzioni della ricorrente e si 
pone in violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni (omissis)�. 

a.4) Corte Costituzionale, sentenza 19 ottobre 2006 n. 334 � Pres. F. Bile � Red. F. Gallo. 

�(Omissis) 1.� Con ricorso notificato il 20 marzo 2004 e depositato il 6 aprile 2004, la 
Regione Siciliana ha sollevato � in riferimento all�art. 36 del proprio statuto e all�art. 2 del 
decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello 
Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria) � conflitto di attribuzione nei confronti 
dello Stato, in relazione: a) al decreto del Direttore generale dell�Amministrazione autonoma 
dei monopoli di Stato, emesso in data 30 dicembre 2003 (Modalit� di versamento del 


TEMI ISTITUZIONALI 

prelievo unico erariale dovuto ai sensi dell�art. 39, comma 13, del decreto-legge 30 settembre 
2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per 
gli apparecchi e congegni di cui all�art. 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica 
sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni); b) 
alla nota dell�Agenzia delle entrate � Direzione centrale amministrazione, emessa in data 13 
febbraio 2004, n. 2004/29102 (Istituzione codici tributo per il versamento del prelievo erariale 
unico sugli apparecchi e congegni di gioco di cui all�art. 110, comma 6, del regio decreto 
n. 773/1931, previsto dall�art. 39, comma 13, del decreto-legge n. 269/2003) (omissis). 

1.2.� La ricorrente sostiene, in via preliminare, l�ammissibilit� del sollevato conflitto, 
ancorch� l�Agenzia delle entrate sia ente dotato di propria personalit� giuridica di diritto 
pubblico, con autonomia regolamentare, amministrativa, contabile e finanziaria, trattandosi 
di organizzazione creata dallo Stato per l�esercizio di proprie funzioni e potest�. 

1.3.� Nel merito, la Regione lamenta la lesione delle proprie attribuzioni e della propria 
autonomia finanziaria, non essendo stato specificato, negli atti oggetto di conflitto, che 
i proventi del prelievo erariale unico riscossi in Sicilia debbono essere imputati al bilancio 
regionale. Infatti, i provvedimenti impugnati, prevedendo l�imputazione delle somme derivanti 
dalla riscossione del prelievo erariale unico ad un capitolo del bilancio dello Stato, sottrarrebbero 
tali importi alla Regione, in violazione degli evocati parametri, secondo i quali 
spettano alla Regione tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell��mbito del suo territorio, 
dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il 
cui gettito sia destinato alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalit� contingenti 
o continuative dello Stato, specificate dalla normativa istitutiva (omissis). 

2.� Nel giudizio si � costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e 
difeso dall�Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile 
o, comunque, rigettato. 

In punto di ammissibilit�, la difesa erariale rileva che: a) �la domanda conclusivamente 
formulata nel ricorso [�] appare non congrua al presente processo costituzionale�, per 
mancanza della richiesta della declaratoria di non spettanza allo Stato del gettito del prelievo 
erariale unico; b) la Regione non ha proposto ricorso avverso l�art. 39 del decreto-legge 

n. 269 del 2003, ma solo avverso atti amministrativi meramente applicativi di tale norma. 
L�Avvocatura generale osserva, inoltre, che il prelievo erariale unico, pur rientrando tra 
le prestazioni patrimoniali imposte di cui all�art. 23 Cost., non ha natura tributaria, ma �propriamente 
amministrativa�; e ci� sarebbe confermato �anche dalla assenza di disciplina di 
alcune fasi procedimentali � come quelle attinenti alla riscossione coattiva, all�accertamento 
e alla previsione della misura delle sanzioni comminabili � che caratterizzano i tributi�. 
Il gettito del prelievo in questione spetterebbe, pertanto, allo Stato, a norma del d.P.R. n. 
1074 del 1965, il quale prevede che spettino alla Regione Siciliana solo le entrate tributarie 
(art. 2) e che spettino allo Stato i proventi delle attivit� di gioco. 

3.� Con memorie depositate in prossimit� dell�udienza, la difesa erariale ha ribadito la 
propria eccezione di inammissibilit� del ricorso �per incongrua formulazione della domanda
�, e ha dedotto la �cessazione di efficacia� dell�impugnato decreto direttoriale per effetto 
dell�art. 7 del decreto direttoriale 8 aprile 2004 (Termini e modalit� di assolvimento del 
prelievo erariale unico sugli apparecchi e congegni da intrattenimento di cui all�art. 110, 
comma 6, del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Osserva, inoltre, l�Avvocatura 
dello Stato che l�impugnata nota dell�Agenzia delle entrate, �tenendo contabilmente separato 
il prelievo �riscosso in Sicilia�, lascia impregiudicata la questione relativa alla spettanza 
sia dell�attribuzione sia dell�entrata per cui si discute�. In forza di tali considerazioni, sem



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

pre ad avviso dell�Avvocatura, il ricorso dovrebbe essere ritenuto privo di oggetto o dovrebbe, 
comunque, dichiararsi cessata la materia del contendere. 

L�Avvocatura generale ribadisce, altres�, che il prelievo erariale unico non � un tributo 
sostitutivo dell�imposta sugli intrattenimenti, ma �un provento delle attivit� di gioco�, e 
cio� �un �provento� di attivit� [�] imprenditoriali� svolte dallo Stato attraverso la rete telematica. 
Rileva, infine, che lo statuto di autonomia e le relative norme di attuazione non 
garantiscono alla Sicilia �una �invarianza� quantitativa degli introiti da tributi �deliberati� 
dallo Stato�. (omissis). 

Considerato in diritto (omissis) 

2.� Si deve preliminarmente rilevare, in relazione all�impugnazione della citata nota 
dell�Agenzia delle entrate, l�ammissibilit� di un conflitto costituzionale di attribuzione 
avente ad oggetto un atto di tale Agenzia, emesso nell�esercizio delle funzioni pubbliche 
concernenti le entrate tributarie erariali in precedenza attribuite al Dipartimento delle entrate 
del Ministero delle finanze e connessi uffici. Questa Corte, infatti, con le sentenze n. 288 
del 2004 e nn. 72 e 73 del 2005, ha ritenuto ammissibile tale tipo di conflitto, in ragione 
delle indicate funzioni, e della collocazione dell�Agenzia delle entrate nell�ambito del sistema 
ordinamentale statale (omissis). 

Per aversi materia di un conflitto di attribuzione tra Regione e Stato, � necessario che 
l�atto impugnato sia idoneo a ledere la sfera di competenza costituzionale dell�ente confliggente. 
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione Siciliana, gli atti oggetto del conflitto 
non attribuiscono il gettito del prelievo erariale unico allo Stato, ma si limitano a fornire 
istruzioni sulle modalit� di versamento delle imposte. Essi vanno inquadrati nell�articolato 
sistema normativo delineato dal decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di 
semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e 
dell�imposta sul valore aggiunto, nonch� di modernizzazione del sistema di gestione delle 
dichiarazioni), con il quale viene disciplinato, tra l�altro, il versamento delle imposte dai 
contribuenti allo Stato ed il riversamento del gettito tributario da parte dello Stato agli enti 
ai quali spetta, in tutto o in parte, quel gettito. Tale sistema prevede, per quanto qui rileva, 
che le somme dovute agli enti destinatari del gettito, tra cui la Regione Siciliana, vengano 
ad essi riversate soltanto dopo che un�apposita struttura di gestione centralizzata abbia provveduto 
ai conteggi ed alle operazioni di propria competenza. Gli atti impugnati, dunque, 
inserendosi in una fase procedimentale meramente provvisoria (che precede l�intervento 
dell�indicata struttura di gestione e non ne condiziona l�operato), non incidono sulla spettanza 
del gettito e non sono idonei a ledere le prerogative costituzionali della Regione 
Siciliana in materia finanziaria. Conseguentemente, rimangono impregiudicate le pretese 
regionali che potrebbero nascere da violazioni del delineato sistema normativo (sentenza n. 
72 del 2005; vedi anche, ex plurimis, le sentenze n. 73 del 2005, n. 97 e n. 92 del 2003, nonch� 
le ordinanze n. 79 e n. 30 del 2003) (omissis)�. 

b.1) Corte di cassazione, Sezioni Unite, sentenza 14 febbraio 2006 n. 3116 

�(Omissis) 3.2. Le ragioni dell�Avvocatura, nell�interesse delle amministrazioni ricorrenti, 
svolte nella memoria del 9 dicembre 2005, possono cos� sintetizzarsi: 

� il problema della persistente vigenza, dopo l�istituzione delle agenzie fiscali, della 
legge 15 maggio 1999, n. 133, art. 21, comma 1, secondo cui le sentenze di secondo grado 
delle Commissioni Tributarie devono essere notificate all�Amministrazione finanziaria pres

TEMI ISTITUZIONALI 

so l�Avvocatura Distrettuale dello Stato competente, deve essere risolto, contrariamente a 
quanto affermato da alcune sentenze della Sezione tributaria della Corte (n. 12075/04 e 
2161/05), nel senso della vigenza di tale norma, in quanto le agenzie, pur dotate di personalit� 
giuridica, devono considerarsi organi dello Stato. 

L�Avvocatura sollecita, pertanto una revisione del principio affermato dalle Sezioni 
Unite nella sentenza 6033/2003, in considerazione delle successive pronunce della Corte 
Costituzionale n. 72 del 7 febbraio 2005 e n. 73 del 12 febbraio 2005, le quali, richiamando 
un principio gi� affermato nella sentenza n. 288 del 2004, hanno ritenuto l�ammissibilit� di 
un conflitto di attribuzione sollevato da una regione nei confronti di una risoluzione 
dell�Agenzia delle Entrate, sul presupposto della sostanziale riconducibilit� di tale ente nell�ambito 
dell�amministrazione dello Stato. Ci� in quanto il D.Lgs. n. 300 del 1999 (Riforma 
dell�organizzazione del governo, a norma della legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 11) affida 
all�Agenzia delle Entrate la �gestione� dell�esercizio delle tipiche funzioni statali concernenti 
le �entrate tributarie erariali� prima attribuite al Dipartimento delle Entrate del 
Ministero delle Finanze ed agli uffici connessi. Pertanto, secondo la Corte Costituzionale, ai 
soli fini del conflitto costituzionale di attribuzione tra Regione e Stato, la riconducibilit� alla 
sfera di competenza statale di tali essenziali funzioni affidate all�Agenzia delle Entrate �nell�ambito 
del peculiare modulo organizzatorio disegnato per le Agenzie fiscali dal D.Lgs. n. 
300 del 1999� ... �esige di imputare al sistema ordinamentale statale gli atti emessi nell�esercizio 
delle medesime funzioni�. Secondo l�Avvocatura, l�espressa limitazione dell�imputazione 
al sistema statale delle funzioni affidate all�Agenzia ai soli fini del conflitto non 
appare idonea a modificare .i termini della questione, in quanto sarebbe singolare che tale 
imputazione operasse nel solo giudizio per conflitto di attribuzione, e non dinanzi alle altre 
giurisdizioni. Ci� significa che l�attivit� dell�Agenzia, allorch� questa esercita funzioni in 
materia di accertamento e riscossione di tributi statali, sarebbe direttamente imputabile allo 
Stato. A tale soluzione non � di ostacolo al D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, secondo cui le 
Agenzie �possono avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�articolo 
43 del testo unico approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611�. In proposito, premesso 
che anche la difesa ex art. 43 � di fatto obbligatoria (salvo il caso di conflitto con lo Stato), 
tale difesa riguarderebbe i casi di attivit� diversa da quella di pertinenza statale; 

� l�ordinamento conosce da tempo la figura della persona giuridica-organo: ne sono 
esempi le Universit�, la Cassa per il Mezzogiorno, l�A.I.M.A., gli istituti d�istruzione superiore, 
il Fondo edifici di Culto. Un esempio significativo � costituito dalla Banca d�Italia 
che, a norma dell�ari 43 del suo statuto, approvato con R.D. 11 giugno 1936, n. 1067, nel 
testo modificato dal d.P.R. n. 482 del 1948, �esercita il servizio di Tesoreria provinciale, a 
tenore di speciali convenzioni, e, alle condizioni che siano deliberate dal Consiglio superiore, 
pu� disimpegnare altri servizi per conto dello Stato�; 
� che le Agenzie fiscali costituiscano un modulo organizzatorio per la gestione di funzioni 
statali in materia tributaria emergerebbe dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1 
(�Per la gestione delle funzioni esercitate dai dipartimenti delle entrate, delle dogane, del 
territorio e di quelle connesse svolte da altri uffici del ministero sono istituite l�agenzia delle 
entrate... delle dogane... del territorio e... del demanio... Alle agenzie fiscali sono trasferiti i 
relativi rapporti giuridici, poteri e competenze che vengono esercitate secondo la disciplina 
dell�organizzazione interna di ciascuna agenzia�; 
� la configurazione delle agenzie come organi dello Stato con personalit� giuridica 
sarebbe imposta da un�interpretazione conforme a Costituzione � sotto il profilo dell�art. 76 
Cost. � delle norme ad esse relative contenute nel D.Lgs. n. 300 del 1999. La Legge Delega 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

15 marzo 1997, n. 59, art. 11, lett. a), e art. 12, prevedono, infatti, l�emanazione di decreti 
delegati diretti a razionalizzare l�ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri e 
dei Ministeri, anche mediante istituzione d� agenzie o di aziende, senza contemplare la possibilit� 
di trasferire funzioni statali ad enti diversi dallo Stato. L�istituzione di Agenzie ed 
aziende viene prevista, infatti, come un �ridisegno delle strutture di primo livello�. Una 
diversa interpretazione condurrebbe ad una censura di incostituzionalit� delle norme delegate 
per eccesso di delega. 

� in conclusione, essendo l�attivit� dell�Agenzia delle Entrate in materia di tributi statali 
direttamente imputabile al Ministero dell�Economia e delle Finanze, con conseguente 
applicazione della legge n. 133 del 1999, art. 21, che impone la notifica delle sentenze delle 
Commissioni Tributarie regionali presso l�Avvocatura dello Stato; 
� il D.L. n. 182 del 2005, art. 3, comma 5 decies (convertito in legge n. 231 del 2005), 
nell�introdurre un comma nel R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, (legge sulla contabilit� dello 
Stato) prevede espressamente che �tra le amministrazioni dello Stato devono intendersi le 
Agenzie da esso costituite, anche quando dotate di personalit� giuridica�; 
� in via subordinata, si deduce che la legge n. 133 del 1999, art. 21, deve ritenersi ancora 
applicabile. La ratio della disposizione �, infatti, quella di provocare l�immediata conoscenza 
della decorrenza del termine breve, in capo direttamente all�organo difensore ex lege 
delle Agenzie fiscali, finalit� non venuta meno a seguito della sostituzione degli uffici del 
Ministero con quelli dell�Agenzia, in quanto la titolarit� dei tributi � sempre in capo allo 
Stato. 
Pertanto, la notificazione della sentenza presso l�Agenzia centrale deve considerarsi 
nulla, decorrendo il termine breve soltanto da quella effettuata presso la competente 
Avvocatura dello Stato; 

� in via ulteriormente subordinata si deduce che, essendo stato il giudizio instaurato nei 
confronti di un organo del Ministero delle Finanze, ed essendo l�Agenzia delle entrate intervenuta 
solo con l�atto d�appello, il processo deve considerarsi proseguito nei confronti di tre 
parti, e cio� contribuente, ufficio dell�Agenzia e organo statale, che non era stato estromesso. 
(omissis). 
4.1. Preliminarmente deve essere definita la posizione dell�Agenzia delle Entrate nei 
riguardi dell�Amministrazione finanziaria statale. 
Innanzitutto si pone il problema, prospettato dall� Avvocatura erariale, della qualificazione 
dell�Agenzia come persona giuridica-organo dello Stato. 

La tesi, pur suggestiva ed abilmente articolata, non � condivisa dalle Sezioni Unite. 

Senza addentrarsi in problemi generali sull�architettura organizzativa dei pubblici pote


ri, il Collegio rileva che la ricostruzione del rapporto tra due persone giuridiche come organico, 
nel senso che la seconda, pur nella sua autonoma soggettivit�, assume il ruolo di organo 
della prima, con imputazione a quest�ultima di attivit� da essa compiuta, non possa essere 
risolta attraverso indici, quali l�interesse perseguito o la sottoposizione a controlli, come 
sostenuto dalla difesa dell�Amministrazione nelle sue conclusioni. Infatti, l�essere l�attivit� 
svolta dal secondo ente funzionale al perseguimento di interessi statali, anche di rango primario 
� quale � indubbiamente l�imposizione fiscale � costituisce un dato assolutamente 
generico, che � comune ad altre figure nelle quali si realizza una cooperazione tra enti pubblici, 
quali i c.d. enti strumentali o ausiliari, le concessioni di pubblici servizi e di costruzione 
di opera pubblica, o il ricorso a strumenti organizzatori di tipo privatistico, come avviene 
nel caso di costituzione di societ� per la gestione di pubblici servizi al di fuori del meccanismo 
concessorio. La configurabilit� di persone giuridiche-organi, riconosciuta dalla 


TEMI ISTITUZIONALI 

stessa legislazione fiscale (si richiamano, fra gli altri, del d.P.R. n.. 917 del 1986, artt. 45 e 
88, comma 1, e del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 5, nel testo risultante dalla modifica 
introdotta dal d.P.R. n. 793 del 1981, art. 2, norme nelle quali vengono espressamente 
menzionati �organi dello Stato dotati di personalit� giuridica�), per quanto interessa l�interprete 
� un problema di stretto diritto positivo, tanto che si conoscevano esempi anche prima 
delle profonde e recenti modificazioni introdotte nell�organizzazione dei pubblici poteri. 
Essa richiede, infatti, un sicuro elemento testuale che consenta di ritenere che l�attivit� della 
seconda persona giuridica (o una parte di tale attivit�) sia direttamente imputata ad altra persona 
giuridica. 

Orbene, nel caso di specie, la natura primaria degli interessi e la sottoposizione a controlli 
non sono sufficienti, in difetto di specifiche previsioni, a ritenere che l�attivit� di accertamento 
e di riscossione dei tributi statali, pur essendo affidata all�Agenzia delle entrate, 
rimanga attivit� amministrativa statale in senso stretto, con la conseguente applicazione del 

R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, in materia di patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura. 
In proposito va anzitutto osservato che, per escludere l�esistenza di un rapporto organico 
tra Stato-Amministrazione finanziaria ed Agenzia, � del tutto irrilevante la possibilit�, 
prevista dalla legge, di concludere convenzioni, in quanto l�esistenza di un simile rapporto 
non � in logico contrasto con la previsione di atti bilaterali tra i due enti, considerato che 
l�attivit� affidata all�ente-organo non si riconduce interamente all�alveo del rapporto organico, 
e l�atto bilaterale pu� ben riguardare l�impiego di risorse umane e materiali per un 
migliore espletamento delle funzioni affidate. La prassi amministrativa conosce numerosi 
esempi di convenzioni tra enti pubblici, aventi ad oggetto l�esercizio di attivit� inserita in un 
rapporto organico fra gli enti stessi. Un esempio rilevante � costituito dalla convenzione tra 
Stato e Banca d�Italia sull�esercizio del servizio di tesoreria dello Stato � pacificamente 
ricondotto ad un rapporto organico tra i due enti � prevista dal R.D. 11 giugno 1936, n. 1067, 
art. 43, ricordato nella memoria dell�Avvocatura. 

Le ragioni che ostano a ricondurre l�attivit� impositiva affidata all�Agenzia nell�alveo 
di un rapporto organico con lo Stato sono, invece, le seguenti. 

Innanzitutto deve ritenersi che nessuna conferma della tesi sostenuta dall�Avvocatura 
possa trarsi dalle sentenze della Corte Costituzionale da essa richiamate. 

A parte l�espressa riserva che l�attivit� dell�Agenzia delle Entrate viene considerata 
�statale� soltanto ai fini della risoluzione del conflitto di attribuzioni con la Regione, tale 
inquadramento non appare sufficiente per affermare che l�attivit� stessa debba essere direttamente 
imputata allo Stato. La difficolt� di pervenire ad una simile soluzione, del resto, era 
stata avvertita dalla stessa Avvocatura dello Stato che, nei giudizi di costituzionalit� conclusisi 
con le sentenze n. 72 e 73 dell�11 febbraio 2005, aveva sostenuto che l�Agenzia delle 
Entrate non poteva essere considerata �organo� dello Stato, ai sensi della Legge 
Costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, art. 39, comma 2, con conseguente inammissibilit� del 
conflitto di attribuzioni. In proposito la Corte, respingendo tale questione d�inammissibilit�, 
si � limitata ad osservare che l�affidamento, da parte del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, 
all�Agenzia delle Entrate delle funzioni statali concernenti i tributi erariali comporta l�imputazione 
al sistema ordinamentale statale degli atti emessi nell�esercizio di tali funzioni. 
Tale statuizione non comporta, quindi, necessariamente una diretta imputazione degli atti 
emessi dall�Agenzia nell�esercizio di funzioni impositive ad organi statali, ma soltanto alla 
sfera delle attribuzioni statali � contrapposta a quella regionale � nel suo complesso. Nella 
specie, come aveva esattamente dedotto la Regione Sicilia nei citati giudizi di conflitto, 
l�Agenzia, pur dotata di autonomia regolamentare, amministrativa, contabile e finanziaria, 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

costituiva comunque un�organizzazione creata dallo Stato per l�esercizio di proprie funzioni 
e potest�. Appare ben chiaro dalla motivazione delle sentenze della Corte Costituzionale che 
la stessa ha voluto includere nell�attivit� �statale�, potenzialmente idonea ad invadere le attribuzioni 
costituzionalmente garantite delle Regioni, non solo le attivit� direttamente imputabili 
allo Stato-persona, ma anche quelle dei soggetti ai quali lo Stato, con diversi meccanismi 
giuridici, abbia affidato compiti o funzioni di cui esso sia originariamente titolare. Si pensi al 
gi� richiamato caso di societ� private, costituite per l�esercizio di pubblici servizi al di fuori 
dallo schema concessorio, e all�ampia nozione di �rapporto di servizio�, costruita dalla giurisprudenza 
per affermare un legame tra soggetti, anche privati, ed ente pubblico (ivi compreso 
lo Stato), ai fini della sottoposizione di tali soggetti alla giurisdizione contabile per 
danno erariale. Del resto, anche la Legge Delega 15 marzo 1997, n. 59, art. 12, comma 1, lett. 
g), sulla base della quale � stato emesso il D.Lgs. n. 300 del 1999, prevede espressamente la 
possibilit� del �trasferimento, riallocazione o unificazione delle funzioni e degli uffici esistenti 
anche mediante istituzione di dipartimenti o di amministrazioni ad ordinamento autonomo 
o di agenzie e aziende�. Nessun decisivo argomento letterale o sistematico impone una 
lettura della norma nel senso di escludere un affidamento dell�esercizio di poteri in materia 
di imposizione fiscale statale all�infuori dallo schema del rapporto organico. Si aggiunga che 
la descrizione del fenomeno come trasferimento di rapporti giuridici, poteri e competenze gi� 
appartenenti all�Amministrazione dello Stato, secondo la previsione del D.Lgs. n. 300 del 
1999, att. 57, mal si concilia con un rapporto organico esistente tra i due enti. 

4.2. Ci� premesso, occorre analizzare la struttura del meccanismo attraverso il quale 
l�Agenzia esercita funzioni originariamente statali, attraverso norme legislative che comportano, 
oltre al conferimento dell�esercizio di funzioni di primario interesse statale, una successione 
in una serie di rapporti giuridici dei quali l�Amministrazione finanziaria statale era 
parte, il subentrare dell�Agenzia nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all�adempimento 
dell�obbligazione tributaria non d� luogo, come gi� ritenuto dalle Sezioni Unite, ad 
un�ipotesi di successione a titolo universale, ma, per quanto riguarda il riflesso processuale, 
ad un�ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi dell�art. 111 
cod. proc. civ. E ci�, non soltanto in considerazione della riserva al Ministero delle Finanze 
di determinate funzioni, definite come �statali� dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 56, ma fondamentalmente 
perch�, come spesso viene trascurato, le risorse finanziarie acquisite 
mediante l�attivit� impositiva esercitata in via esclusiva dall�Agenzia affluiscono direttamente 
al bilancio dello Stato, senza transitare da quello dell�Agenzia. Il che � quanto dire 
che il trasferimento di situazioni soggettive previsto dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, 
comma 1, non si estende alla titolarit� dell�obbligazione tributaria. Orbene, pur essendo certamente 
conferita, a causa del maneggio di danaro che resta di pertinenza statale, ai soggetti 
che operano per l�Agenzia in qualit� di agenti contabili dello Stato, con conseguente soggezione 
degli stessi alla giurisdizione contabile della Corte dei Conti, ci� non comporta di 
necessit� l�attribuzione all�Agenzia del ruolo di organo dello Stato. La pertinenza originariamente 
statale (o, comunque, dell�ente impositore) del gettito dell�imposizione fiscale, 
infatti, non viene meno per il fatto che l�esercizio della potest� impositiva, nelle sue diverse 
articolazioni e nella sua proiezione processuale, � affidato ad altro soggetto. Basti considerare 
che nell�ordinamento tributario costituisce una modalit� del tutto ordinaria l�attivit� 
di riscossione tramite concessionario. Addirittura, per i tributi locali e per alcuni tributi statali 
(ad esempio, in materia di imposta sugli spettacoli e di tributi connessi: del d.P.R. 26 
ottobre 1972, n. 640, art. 17) � prevista anche la possibilit� di concessione dell�accertamento, 
oltre che della riscossione. 

TEMI ISTITUZIONALI 

Il fenomeno del conferimento dell�esercizio di potest� o di compiti pubblicistici, originariamente 
attribuiti ad un ente pubblico, che resta titolare delle posizioni giuridiche di diritto 
sostanziale o di alcune di esse, ad altro soggetto � assai diffuso nell�ordinamento. 

La speciale caratteristica del caso di specie � il fatto che tale attribuzione sia avvenuta 
attraverso un atto normativo primario (pur a contenuto concreto), e non, come generalmente 
accade, con atto amministrativo, come nelle ipotesi della concessione e della delegazione 
amministrativa. Pur nella diversit� dello strumento giuridico, il risultato � identico, e cio� 
una separazione tra titolarit� di posizioni giuridiche sostanziali � nella specie, l�acquisizione 
in via immediata del gettito tributario � ed esercizio dei poteri e dei diritti necessari ad 
assicurare tale gettito. 

Proprio tale separazione comporta come conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale, 
l�attribuzione della legitimatio ad causam e ad processum esclusivamente al soggetto 
cui � stato conferito l�esercizio dei poteri e delle funzioni, separatamente dalla titolarit� 
di corrispondenti situazioni sostanziali. Le Sezioni Unite richiamano, in proposito, la 
consolidata giurisprudenza della Corte (fra le pi� recenti, sentenze 16 novembre 2001, n. 
14378; 26 giugno 2003, n. 10163; 16 luglio 2003, n. 11139; 4 settembre 2004, n. 17881) in 
materia di concessione di costruzione di opere pubbliche, nelle quali l�attribuzione al concessionario 
dell�esercizio dei poteri pubblicistici necessari per la realizzazione dell�opera, 
tra i quali siano compresi quelli relativi al trasferimento coattivo della propriet� del suolo, 
comporta una sua legittimazione esclusiva nelle controversie relative all�esercizio di tali 
poteri, come quelle sull�indennit� di espropriazione, essendo del tutto irrilevante che l�opera 
appartenga all�ente concedente, le cui esigenze l�opera tende a soddisfare. 

Tale riflessione consente, quindi, di affermare che, come esattamente ricordato nell�ordinanza 
della Sezione tributaria, l�attribuzione all�Agenzia delle Entrate della gestione del 
contenzioso, prevista dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 62, n. 2, e ribadita dalla norma statutaria, 
costituisce un mero corollario del conferimento delle funzioni e del trasferimento di 
una serie di posizioni sostanziali strumentali ad assicurare il corretto adempimento dell�obbligazione 
tributaria, di cui l�Amministrazione dello Stato resta titolare. 

La possibilit� di affidamento ad enti diversi dallo Stato, anche se non aventi un diretto 
collegamento col territorio, della cura di interessi di rango primario, quale � indubbiamente 
la realizzazione della pretesa impositiva, non pare possa essere messa in discussione, proprio 
se si considera il ricorso sempre pi� ampio a moduli organizzativi autonomi, anche in 
settori che in tempi meno recenti venivano considerati come prerogativa dell�amministrazione 
statale diretta. Le Sezioni Unite non condividono, perci�, i dubbi di legittimit� costituzionale 
che vengono avanzati nei confronti di figure organizzatorie autonome, alle quali 
siano affidate funzioni originariamente statali al di fuori dello schema del rapporto organico. 
Per quanto attiene all�imposizione fiscale, vi � sempre da tener presente che, come si � 
gi� detto, il destinatario del gettito fiscale � senza intermediazione alcuna � rimane sempre 
lo Stato. Inoltre, se � ampiamente consentito il ricorso all�attivit� di soggetti, anche privati, 
estranei all�amministrazione statale, per l�accertamento e la riscossione di tributi, soggetti 
che vengono scelti attraverso atti discrezionali dell�amministrazione, non si vede perch� 
debbano sorgere sospetti d�incostituzionalit� quando, come nella specie, l�affidamento delle 
funzioni impositive ad altro soggetto avviene in forza di atto di normazione primaria; 

4.3. Da tali considerazioni consegue che nei procedimenti introdotti successivamente al 
1 gennaio 2001 la legittimazione appartiene soltanto all�Agenzia delle Entrate, la quale, secondo 
il disposto del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, pu� semplicemente avvalersi del patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato. Il ricorso a tale patrocinio, in assenza di una disposizione norma

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tiva (legislativa, regolamentare o statutaria) vincolante anche nei confronti dei terzi, deve quindi 
avvenire � anche se non � necessaria una specifica procura � in relazione al singolo procedimento, 
non rilevando l�eventuale conclusione tra Avvocatura e Agenzia di convenzioni di 
contenuto generale per l�assunzione del patrocinio, come il protocollo d�intesa del 21 marzo 
2001, richiamato nella circolare ministeriale del 30 luglio 2001, n. 71/E/2001/135070. 

Per quanto attiene, invece, ai procedimenti introdotti anteriormente alla data predetta, e 
nei quali come � avvenuto nella specie � l�ufficio finanziario periferico non aveva richiesto 
il patrocinio dell�Avvocatura, si deve ancora una volta fare riferimento ai principi enunciati 
dalle Sezioni Unite nelle sentenze 29 aprile 2003, n. 6633, e 5 maggio 2003, n. 6774, e fondamentalmente 
alla riconduzione della vicenda all�art. 111 cod. proc. civ.. Sul punto, come si 
� detto, l�Avvocatura ha rilevato che la proposizione dell�appello da parte dell�Agenzia 
avrebbe mantenuto la qualit� di parte dell�Amministrazione finanziaria, non essendo questa 
stata estromessa. La Corte osserva, in proposito, che pur essendo tale deduzione in linea con 
l�interpretazione dell�art. 111 c.p.c., la stessa non tiene conto della particolarit� dei rapporti 
che, a seguito dell�operativit� delle Agenzie fiscali, si sono creati tra queste e 
l�Amministrazione finanziaria. Vi � da considerare, infatti, che la gestione del contenzioso 
nelle fasi di merito, prima attribuita agli uffici dei Dipartimenti delle entrate, viene assunta in 
via esclusiva all�Agenzia delle Entrate, la quale � assumendo, anche da un punto di vista 
materiale � l�intera organizzazione degli uffici del Dipartimento � esercita tutti i poteri processuali 
relativi all�attivit� impositiva e di riscossione secondo la propria competenza, potendo 
giungere a disporre del diritto sostanziale fatto valere in giudizio e del rapporto processuale, 
per esempio attraverso atti di autotutela. L�attribuzione al nuovo soggetto, in via esclusiva, 
della gestione del contenzioso, comprendente anche l�attivit� di difesa nel processo (ove 
non venga fatto ricorso al patrocinio dell�Avvocatura), comporta che, pur mantenendo 
l�Amministrazione finanziaria la qualit� di parte, la concreta strategia processuale (e quindi 
il mantenimento di tale qualit�) spetta all�Agenzia. In proposito si deve rilevare che la legge 
non prevede alcun potere degli organi statali centrali di emettere atti che condizionino la validit� 
o l�esecuzione sulle determinazioni dell�ufficio periferico dell�Agenzia circa la concreta 
strategia difensiva adottata. Quindi, la proposizione dell�appello esclusivamente da parte 
dell�Agenzia, senza esplicita menzione dell�ufficio finanziario periferico che era parte originaria, 
ha comportato la conseguente estromissione di quest�ultimo. 

4.4. Si pu�, quindi, passare all�esame delle questioni relative alla legittimazione processuale 
dell�Agenzia in relazione al giudizio di Cassazione. 
In proposito, le Sezioni Unite non possono non prendere atto delle incertezze interpretative 
provocate dall�impatto del nuovo sistema sul regime processuale preesistente, che gi� 
aveva comportato notevoli difficolt� e determinato questa Corte all�elaborazione di principi 
spesso derogatori da quelli del diritto processuale comune. 

Pertanto, la sollecitazione della difesa erariale alla scelta di soluzioni che non contrastino 
col principio dell�affidamento, che comporta, secondo la giurisprudenza della Corte 
Costituzionale, della Corte Comunitaria e di questa stessa Corte, un divieto di introdurre 
modificazioni a sorpresa di un regime processuale (legale o di formazione pretoria) al quale 
i soggetti dell�ordinamento si siano adeguati, non pu� sic et simpliciter comportare l�accoglimento 
della tesi qui sostenuta dalla stessa Avvocatura, nell�ambito di una autentica rivoluzione 
normativa dell�intero apparato pubblico dell�imposizione tributaria statale e dei conseguenti 
riflessi processuali, introdotta con immediata operativit� nel sistema previgente 
senza l�adozione di adeguate norme transitorie e di attuazione. Pertanto, nell�esercizio della 
funzione di nomofilachia affidatale dall�ordinamento giudiziario, la Corte dovr� individua



TEMI ISTITUZIONALI 

re le soluzioni che meglio attuino le finalit� di tutela, e soprattutto siano il pi� possibile chiare 
per gli operatori. 

Per quanto riguarda la soluzione data dalla giurisprudenza nel sistema previgente 
all�assunzione di operativit� delle agenzie fiscali, la stessa si fondava sull�identificazione 
delle diverse articolazioni dell�Amministrazione finanziaria � ai fini della legittimazione ad 
causata e ad processum � come distinti soggetti giuridici. 

La legittimazione degli uffici periferici era fondata sul D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 
e 11 e limitata al giudizio dinanzi alle commissioni tributarie. Per il giudizio di Cassazione, 
in difetto di speciale disciplina, si riteneva che riprendesse vigore la regola ordinaria, contenuta 
nel R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, dell�esclusiva legittimazione del Ministro 
delle Finanze (confluito poi in quello dell�Economia e delle Finanze), rappresentato e difeso 
per legge dall�Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale era domiciliato. Con la 
conseguenza che la proposizione del ricorso per Cassazione nei confronti dell�ufficio finanziario 
periferico era inammissibile, e non suscettibile di sanatoria, neppure attraverso la 
costituzione del Ministero attraverso l�Avvocatura erariale. Da ci� conseguiva, altres�, l�inammissibilit�, 
senza possibilit� di sanatoria, del ricorso proposto dall�ufficio finanziario 
periferico che era stato parte nel giudizio di merito. 

Come si � sopra ricordato, alcune sentenze della Sezione Tributaria hanno applicato tali 
regole anche al caso in cui il ricorso per Cassazione sia proposto nei confronti dell�ufficio 
periferico dell�Agenzia delle Entrate o da quest�ultimo. 

Le Sezioni Unite ritengono che i detti principi non possano essere applicati nel caso in 
cui parte esclusiva nel processo tributario (come nel caso di specie) sia l�Agenzia delle Entrate. 

Una corretta interpretazione di tale regime non pu� prescindere dai vincoli derivanti dai 
principi costituzionali di pienezza ed effettivit� della tutela giurisdizionale, ulteriormente 
rafforzati dal nuovo testo dell�art. 111 Cost.. A ci� si aggiunga che, nei campi in cui si chiede 
la tutela giurisdizionale di diritti derivanti dall�ordinamento comunitario � divenuti assai 
numerosi, particolarmente in materia tributaria � il principio di effettivit� osta ad una disciplina 
processuale che renda eccessivamente difficile l�esercizio di tali diritti. Si consideri, 
ancora, l�indicazione della giurisprudenza della Corte Costituzionale nella sentenza n. 189 
del 13 giugno 2000 per un�interpretazione, se necessario adeguatrice, del sistema processuale, 
nel senso di ridurre ai casi indispensabili le ipotesi di inammissibilit� dei rimedi giurisdizionali. 
Il risultato, di tali indicazioni, provenienti da norme o ordinamenti di rango superiore, 
� un vero e proprio effetto di irraggiamento nei confronti della disciplina legislativa che 
regola i modi di esercizio della tutela giurisdizionale. Tale effetto adeguatore del sistema 
normativo, allorch� sia in gioco la tutela di diritti fondamentali, � stato riconosciuto dalla 
giurisprudenza di questa Corte, proprio in materia processuale tributaria (sentenza delle 
Sezioni Unite del 2 dicembre 2004, n. 22601). 

Per quanto concerne il caso di specie, si deve, innanzitutto, rilevare che la disciplina 
della legittimazione e difesa in giudizio delle amministrazioni dello Stato non pu� applicarsi 
allorch� ad un ente pubblico, dotato di autonome personalit� giuridica e legitimatio ad 
causam e ad processum, ma che ad esso debbano applicarsi le regole stabilite in via generale 
dal codice di procedura civile, tenuto conto dell�impatto, su tale disciplina, di quella in 
materia di contenzioso tributario. 

Senza prendere posizione sulla validit� della regola enunciata dalla giurisprudenza 
della Corte nel regime precedente all�assunzione di operativit� dell�Agenzia delle Entrate, 
la cui applicazione viene invocata dalla difesa erariale anche nel nuovo sistema e secondo 
cui le norme in materia di contenzioso tributario che attribuiscono legittimazione agli uffici 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

periferici hanno carattere eccezionale, per cui, nella fase che si svolge dinanzi al Giudice 
ordinario (e cio� nel giudizio di Cassazione) riprende applicazione l�ordinaria disciplina in 
tema di rappresentanza in giudizio dello Stato, le Sezioni Unite si limitano a rilevare come 
tale ricostruzione, in generale, non tiene adeguatamente conto della natura impugnatoria 
(almeno per quanto attiene all�introduzione del giudizio) del processo tributario, e della 
regola vigente in materia di processo amministrativo di legittimit�, coerente con la natura 
impugnatoria di tale processo, secondo la quale parte necessaria del giudizio � sempre l�autorit� 
che ha emesso l�atto o provvedimento impugnato (R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 
36 e della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21). 

Orbene, secondo gli articoli 163 e 144 cod. proc. civ., l�atto introduttivo del giudizio 
deve essere proposto nei confronti del soggetto convenuto e notificato, per le amministrazioni 
non patrocinate dall�Avvocatura dello Stato, direttamente all�ente, in persona del suo 
rappresentante. Se si segue la regola generale, pertanto, ove l�ente non si sia avvalso del 
patrocinio dell�Avvocatura (il che deve avvenire per ogni singolo procedimento) essendo 
l�Agenzia delle Entrate rappresentata dal suo direttore, il ricorso, proposto nei confronti 
della stessa Agenzia, dovrebbe essere notificato, in via di principio al direttore presso la sede 
centrale dell�ente in Roma. Identica regola vale per quanto attiene alla notificazione della 
sentenza conclusiva della fase del merito. 

Sennonch�, tale regola deve essere opportunamente integrata con la disciplina speciale 
contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, e precisamente negli artt. 10 e 11. Poich� tali norme 
attribuivano capacit� di stare in giudizio agli uffici finanziari che avevano emesso l�atto 
impugnato e tale capacit� � stata assunta dagli uffici periferici dell�Agenzia delle Entrate, la 
stessa capacit� deve ritenersi conferita in modo concorrente e alternativo, secondo un 
modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 cod. civ., 
anche tenendo conto di quanto sopra rilevato sulla natura impugnatoria del processo tributario. 
Ci� perch� nel nuovo sistema non � applicabile la disciplina vigente per le amministrazioni 
dello Stato, operante al di fuori della disciplina speciale contenuta nella legge sul 
contenzioso tributario. 

Pertanto, anche gli uffici periferici dell�Agenzia, subentrati a quelli dei Dipartimenti 
delle Entrate, devono essere considerati � una volta che l�atto ha come destinatario l�ente � 
come organi dello stesso che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza in giudizio, ai 
sensi dell�art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2 e artt. 144 e 145 cod. proc. civ.. Da ci� consegue, 
altres�, che la notifica della decisione, ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione 
del ricorso, pu� essere indifferentemente effettuata all�Agenzia presso la sua sede 
centrate ovvero presso il suo ufficio periferico; inoltre, che il ricorso per Cassazione pu� 
essere proposto anche nei confronti dell�ufficio periferico, e ad esso notificato. Dal punto di 
vista pratico, tale soluzione non comporta un aggravio nell�esercizio del diritto di difesa 
nella fase di legittimit� da parte dell�Agenzia, in quanto � del tutto normale che gli uffici 
dell�ente che hanno emesso l�atto impugnato, e di regola hanno curato il contenzioso dinanzi 
alle commissioni tributarie, svolgano l�attivit� istruttoria necessaria a predisporre la difesa 
stessa. Quanto alla difesa tecnica dell�Agenzia nel giudizio di Cassazione, non essendo 
espressamente prevista � come per il giudizio dinanzi alle commissioni � quella affidata a 
funzionari dell�ente, la stessa potr� essere affidata, oltre che all�Avvocatura dello Stato, a 
professionisti esterni. Si tratta di una scelta ovviamente non del tutto libera, dovendo gli 
organi competenti dell�Agenzia, secondo l�espressa previsione del D.Lgs. n. 300 del 1999, 
art. 61, agire in base �ai principi di legalit�, imparzialit� e trasparenza, con criteri di efficienza, 
economicit� ed efficacia�, con possibilit� di essere assoggettati a giudizio contabile di 


TEMI ISTITUZIONALI 

responsabilit� per danno erariale nei casi in cui la scelta del professionista esterno non consideri 
l�alta specializzazione dell�Avvocatura erariale e i minori costi complessivi che il 
ricorso a quest�ultima in genere comporta. 

In conclusione, le regole enunciate per il regime previgente all�istituzione delle 
Agenzie fiscali non possono essere applicate perch� costruite su una realt� ordinamentale 
totalmente diversa, per cui non pu� derivarne alcun affidamento, essendo, invece, necessario 
� in assenza di una disciplina transitoria � trarre dal nuovo sistema regole tali da garantire 
certezza agli operatori e, in definitiva, un�adeguata tutela giurisdizionale. 

Nella specie, non essendo contestata l�esistenza di una richiesta dell�Agenzia circa l�intervento 
dell�Avvocatura, si deve ritenere che quest�ultima sia munita del potere di rappresentanza, 
a seguito della proposizione dell�appello da parte della sola Agenzia, soltanto nei 
confronti di quest�ultima. Il ricorso deve considerarsi inammissibile per quanto riguarda 
l�Amministrazione dello Stato, che come si � detto non � pi� parte in causa, mentre, nei confronti 
dell�Agenzia l�inammissibilit� deve essere dichiarata perch� il gravame � stato proposto 
dopo la scadenza del termine breve (omissis)�. 

b.2) Corte di Cassazione, sentenza 26 novembre 2007 n. 24547. 

�(Omissis) Avverso la sentenza di appello, l�Amministrazione finanziaria ha proposto 
ricorso per Cassazione. 

In particolare deducendo �violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, 
artt. 21, 22 e 23, �l�Amministrazione ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per 
avere erroneamente ritenuto che la documentazione prodotta dai contribuenti, bench� diversa 
da quella specificamente e tassativamente prevista dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 23, 
fosse idonea a dimostrare la sussistenza e l�entit� dei debiti del de cuius ai fini della loro 
deducibilit�. Le contribuenti hanno resistito con controricorso, eccependo preliminarmente 
l�inammissibilit� del ricorso, in quanto promosso, dopo l�1 gennaio 2001, 
dall�Amministrazione delle finanze e dall�Agenzia delle entrate, quest�ultima inidoneamente 
difesa e rappresentata dall�Avvocatura generale dello Stato (omissis). 

L�eccezione di inammissibilit� del ricorso proposto dalla controricorrente in via preliminare 
� infondata e va disattesa. 

In proposito, deve osservarsi che questa corte ha reiteratamente affermato (cfr. Cass., 
sez. un., 6633/03, 6674/03, 3116/06, 3118/06) che il ricorso per cassazione avverso sentenze 
di commissioni tributarie regionali, pronunciate, quale quella oggetto del presente giudizio, 
nell�ambito di un procedimento in corso all�atto dell�entrata in funzione delle Agenzie 
fiscali istituite dal D.Lgs. n. 300 del 1999, e divenute operative a partire dal 1 gennaio 2001, 

D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1, � ammissibilmente promosso sia dal Ministero dell�economia 
e delle finanze, ai sensi dell�art. 111 c.p.c., comma 1, (in quanto organo statuale cui 
si rapporta la pubblica amministrazione, parte originaria del processo) sia dall�Agenzia delle 
entrate, ai sensi dell�art. 111 c.p.c., comma 5, giacch� il trasferimento, dall�Amministrazione 
finanziaria all�Agenzia, dei rapporti inerenti alle entrate tributarie, disposta dalla richiamata 
normativa, configura ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso. 
Deve, peraltro, considerarsi che l�Agenzia, pur non disponendo ex lege del relativo 
patrocinio, ha la facolt� di richiedere di avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato 
con riferimento ai singoli procedimenti, senza che sia necessaria specifica procura (v. Cass. 
3116/06, 3118/06). 

Il ricorso dell�Amministrazione �, dunque, ammissibile (omissis)�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

b.3) Corte di Cassazione, sentenza 8 febbraio 2008 n. 3058. 

�(Omissis) L�Amministrazione delle finanze e l�Agenzia delle Entrate hanno proposto 
ricorso per cassazione avverso la suindicata sentenza della Commissione tributaria regionale 
del Piemonte, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di legge, con particolare 
riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10,11, e 52 e D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 
62 e 66, nonch� motivazione contraddittoria ed insufficiente. 

I contribuenti non si sono costituiti. 

Il ricorso dell�Amministrazione finanziaria � fondato. 

Il D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, ha previsto, per la gestione delle funzioni gi� esercitate 
dai vari Dipartimenti e dagli altri Uffici del Ministero delle finanze, l�istituzione delle 
Agenzie fiscali, che in base alla previsione del successivo D.M. 28 dicembre 2000, art. 73, 
comma 4, sono divenute operative a far tempo dall�1 gennaio 2001, contestualmente subentrando 
nella titolarit� dei rapporti giuridici gi� di pertinenza degli uffici ministeriali. 

In forza dell�art. 61, comma 1, del medesimo testo di legge, le Agenzie fiscali hanno 
personalit� giuridica di diritto pubblico e autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, 
organizzativa, contabile e finanziaria e, quindi, quali autonomi soggetti di diritto, 
possono stare in giudizio nelle controversie instaurate successivamente alla loro costituzione 
a mezzo del direttore che ne ha la rappresentanza, avvalendosi, eventualmente, del patrocinio 
della Avvocatura dello Stato, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1, art. 43. 

Ai fini della realizzazione della migliore organizzazione, il D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 
66, commi 2 e 3, ha disposto che gli uffici siano articolati tra livello centrale e livello periferico, 
secondo disposizioni interne. 

In tale prospettiva, lo Statuto provvisorio dell�Agenzia delle Entrate (approvato con 
Decreto 14 marzo 2000), ha stabilito, all�art. 13, che, sino all�approvazione del regolamento 
di amministrazione, l�articolazione dell�Agenzia in uffici centrali e periferici corrispondesse 
a quella in essere per le strutture del Dipartimento delle Entrate le cui funzioni, ai sensi 
del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1, erano state e trasferite all�Agenzia e, quindi, 
il Regolamento di amministrazione dell�Agenzia delle Entrate (approvato con deliberazione 
del comitato direttivo 30 novembre 2000 e pubblicato in G.U. 13 febbraio 2001, n. 36), 
ha stabilito, all�art. 7 comma 3, che gli uffici locali dell�Agenzia corrispondono ai preesistenti 
Uffici delle Entrate. 

Tanto premesso, va rilevato che la legge attribuisce la personalit� giuridica alla Agenzia 
fiscale e non anche ai singoli uffici periferici in cui essa si articola (v. art. 61, comma 1 
D.Lgs. 300/1999 ed il Regolamento di amministrazione) e identifica, come organo dotato di 
rappresentanza legale dell�Agenzia fiscale, il solo direttore dell�Agenzia (v. D.Lgs. n. 300 
del 1999, artt. 67 e 68), mentre l�art. 6 dello Statuto dell�Agenzia delle entrate (approvato 
con deliberazione del Comitato direttivo del 13 dicembre 2000, n. 6, pubblicato in G.U. 20 
febbraio 2001 n. 42) ribadisce che �Il direttore � il legale rappresentante dell�Agenzia, la 
dirige e ne � responsabile� e che egli �svolge tutti i compiti non espressamente assegnati 
dalle disposizioni di legge e dal presente statuto ad altri organi�. 

Ci� posto, va osservato che, se le richiamate indicazioni normative configurano il direttore 
dell�Agenzia delle entrate quale unico soggetto capace di rappresentare l�Agenzia in 
attivit� a rilevanza esterna, deve, d�altro canto, considerarsi che l�art. 5, comma 1, del 
Regolamento di amministrazione, in attuazione della previsione di cui al D.Lgs. n. 300 del 
1999, art. 66, commi 2 e 3, attribuisce agli Uffici locali le funzioni operative dell�Agenzia 
ed in particolare la gestione dei tributi, l�accertamento, la riscossione e la trattazione del 


TEMI ISTITUZIONALI 

contenzioso, prevedendo che le �le funzioni operative dell�Agenzia sono svolte da uffici 

locali di livello dirigenziale. 

Essi curano, in particolare, ... la trattazione del contenzioso�. 

E tale disposizione � che appare in sintonia con quanto disposto dall�art. 7, comma 3, 
del medesimo regolamento � risulta costantemente intesa da questa corte (v., tra le altre, Cass. 
604/05, 11551/05, nelle motivazioni), con indirizzo da cui non vi � motivo di discostarsi, nel 
senso che gli uffici periferici delle Agenzie sono deputati alla trattazione del contenzioso nei 
limiti stabiliti dalla legge; e cio� � ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, che riconoscono 
agli uffici locali la posizione processuale di parte e l�accesso alla difesa diretta 
davanti alle commissioni tributarie attraverso la rappresentanza del direttore � costituendosi 
direttamente in giudizio, a mezzo dei relativi direttori, dinanzi alle commissioni di merito. 

Gli uffici locali dell�Agenzia, esplicazione territoriale dell�Agenzia centrale sono, 
quindi, legittimati ad agire ed esser convenuti nei giudizi davanti alle commissioni tributarie 
ed in questi sono rappresentati dal direttore nominato, avente funzioni dirigenziali, che 
per la gestione e l�adempimento dei compiti ad esso demandati pu� delegare suoi diretti collaboratori 
a scopi determinati. 

Quanto esposto in precedenza comporta, con riferimento al caso di specie, che, diversamente 
da quanto ritenuto dal giudice a quo, deve ritenersi che gli appelli proposti per 
l�Agenzia dal direttore tributario N.R., a ci� delegato dal direttore dell�Agenzia, Ufficio di 
(...), D.M.G., sono ammissibili (omissis)�. 

4. L�AGENZIA DEL DEMANIO E LA LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE. 
A) LE OPINIONI DEL M.E.F., DELL�AGENZIA E DELLA RAGIONERIA GENERALE; B) LE CIRCOLARI 
DELL�AVVOCATO GENERALE. 
Relazione per il Comitato Consultivo (20 luglio 2007). 

�Si tratta di stabilire a chi spetti la legittimazione processuale nelle cause che coinvolgono 
direttamente la propriet� degli immobili dello Stato (rivendiche, accertamenti d�usucapione 
e simili): l�Agenzia del Demanio sostiene che la legittimazione sia del Ministero 
dell�Economia e delle Finanze; quest�ultimo afferma che l�Agenzia sarebbe subentrata in 
ogni funzione e competenza relative a qualsiasi vicenda riguardante gli immobili dello Stato. 

Con parere ribadito in data 18 maggio 2007 (all. 1) questa Avvocatura Generale optava 
per l�interpretazione dell�Agenzia; la resistenza opposta dal M.E.F. ha reso opportuno 
indire, presso l�Avvocatura, apposita riunione cui hanno partecipato qualificati rappresentanti 
delle Amministrazioni coinvolte (M.E.F., Demanio, Territorio); sono stati acquisiti 
documenti riassuntivi delle diverse posizioni, quello del M.E.F. � Dipartimento Politiche 
Fiscali (docc. 2 e 6), del M.E.F. � Dipartimento del Tesoro (doc. 3) e dell�Agenzia del 
Demanio (doc. 4); in precedenza era gi� stato acquisito l�avviso della Ragioneria Generale 
dello Stato (docc. 5 e 7). 

La proposta che sottopongo alla valutazione del Comitato Consultivo, alle cui determinazioni 
peraltro le Amministrazioni interessate hanno gi� dichiarato in sede di riunione di 
volersi attenere, � nel senso della costituzione in giudizio di entrambi i soggetti cos� da rendere 
inutile l�eccezione di difetto di legittimazione e di evidenziare agli stessi che la gestione 
della lite e le relative spese saranno comunque a carico dell�Agenzia, cui resta l�onere di 
fornire il concreto apporto per la difesa in giudizio (Avv. A. Palatiello).� 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

A.G.S. � Parere del 18 maggio 2007 n. 59320 
Legittimazione ad causam e ad processum e patrocinio dell�Avvocatura dello Stato nell�interesse 
del Ministero dell�economia e delle finanze e dell�Agenzia del Demanio (consultivo 
17707/07, avvocato A. Palatiello). 

�(Omissis) In relazione ad una serie di vertenze, nelle quali si controverte della propriet� 
di beni immobili dello Stato, il Dipartimento per le politiche fiscali ha rilevato la carenza 
di legittimazione passiva, indicando, quale ente competente, in alcuni casi, �l�Agenzia del 
Territorio che � subentrata all�ex Dipartimento del territorio del soppresso Ministero delle 
Finanze�, ed in altri, l�Agenzia del Demanio. 

A sostegno di tale tesi, il Dipartimento effettua una ricostruzione del quadro normativo 
delineatosi a seguito dell�entrata in vigore del decreto legislativo n. 300 del 1999, citando 
numerose pronunce giurisprudenziali, nonch� l�articolo 20, comma 3, del d.P.R. n. 
107/01 (che sostanzialmente riproduce quanto previsto dall�articolo 57 del decreto legislativo 
n. 300/99, a norma del quale �Per la gestione delle funzioni esercitate dai dipartimenti 
delle entrate, delle dogane, del territorio e di quelle connesse svolte da altri uffici del 
ministero sono istituite l�agenzia delle entrate, l�agenzia delle dogane, l�agenzia del territorio 
e l�agenzia del demanio, di seguito denominate agenzie fiscali. Alle agenzie fiscali 
sono trasferiti i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze che vengono esercitate 
secondo la disciplina dell�organizzazione interna di ciascuna agenzia.�), che ha stabilito 
che �le Agenzie fiscali subentrano al Ministero nei rapporti giuridici, poteri competenze e 
controversie relative alle funzioni ad esse trasferite...�. 

Di contro, l�Agenzia del Demanio, in linea con l�avviso espresso dalla Scrivente, ritiene 
ancora legittimato passivo il Ministero dell�economia e delle finanze in tutte le controversie 
in cui sia posta in discussione la titolarit� di un bene dello Stato. 

Al riguardo, la Scrivente ritiene che sia proprio l�inciso �relative alle funzioni ad esse 
trasferite...� contenuto nella norma sopra citata, a circoscrivere il perimetro del �trasferimento� 
in questione, intervenuto a seguito del nuovo assetto delineato dal decreto legislativo 
n. 300 del 1999. 

Con specifico riguardo all�Agenzia del Territorio, che il citato Dipartimento indica, talvolta, 
quale soggetto legittimato, si osserva che l�articolo 64 del citato decreto legislativo n. 
300/99, che individua le competenze di detta Agenzia, non contiene alcun riferimento alla 
titolarit� (rectius propriet�) dei beni immobili dello Stato. 

Quanto poi all�Agenzia del demanio, l�articolo 65 dello stesso decreto legislativo n. 
300 del 99, prevede che �All�agenzia del demanio � attribuita l�amministrazione dei beni 
immobili dello Stato, con il compito di razionalizzarne e valorizzarne l�impiego, di sviluppare 
il sistema informativo sui beni del demanio e del patrimonio, utilizzando in ogni caso, 
nella valutazione dei beni a fini conoscitivi ed operativi, criteri di mercato, di gestire con 
criteri imprenditoriali i programmi di vendita, di provvista, anche mediante l�acquisizione 
sul mercato, di utilizzo e di manutenzione ordinaria e straordinaria di tali immobili...�. 

Gi� il tenore letterale della norma, che fa espresso riferimento alla �amministrazione� 
e non anche, ad esempio, alla �titolarit�� dei beni in questione, indurrebbe a ritenere trasferita 
a detta Agenzia esclusivamente la gestione dei beni immobili dello Stato, non anche la 
propriet�. 

Inoltre, un�interpretazione logico sistematica e teleologica dell�articolo 65 citato � che 
si inserisce peraltro nel quadro di un riassetto organizzativo che ha visto scorporare le funzioni 
operative dei previgenti Dipartimenti dal Ministero, per affidarle alle Agenzie fiscali 


TEMI ISTITUZIONALI 

sembrerebbe avvalorare la suesposta tesi, in considerazione del fatto che l�Agenzia, nella 
amministrazione dei beni in questione, � tenuta a valorizzarne l�impiego, utilizzando in ogni 
caso a fini operativi, criteri di mercato, cosi chiaramente orientando l�azione amministrativa 
dell�Agenzia, che deve informare la propria attivit� a criteri di gestione sostanzialmente 
imprenditoriali. 

A completamento del processo innovativo delineato con il decreto legislativo n. 300 del 
1999, � poi intervenuto il decreto legislativo n. 173 del 2003, che ha previsto la trasformazione 
dell�Agenzia del demanio in ente pubblico economico. 

Quanto appena rappresentato indurrebbe ad escludere la riconducibilit�, a detta 
Agenzia, della titolarit� dei beni immobili dello Stato e, dunque, la legittimazione passiva 
della stessa nelle cause in cui sia in contestazione la propriet� del bene. 

Tenuto tuttavia conto della posizione del Dipartimento per le politiche fiscali, nonch� 
della necessit� di assumere una linea � anche difensiva � unitaria e condivisa, si ritiene 
opportuno convocare una riunione presso la Scrivente � I piano, sala Mantellini � per il giorno 
30 maggio p.v., ore 9.30, alla quale codesti Uffici avranno cura di assicurare la partecipazione 
di qualificati rappresentanti (omissis)�. 

Considerazioni del Dipartimento delle politiche fiscali. 

�Per quanto riguarda la propriet� dei beni dello Stato, sebbene l�articolo 42 della 
Costituzione, nel prevedere una propriet� pubblica accanto ad una privata sembra avallare 
una soluzione qualificatoria dei diritti sui beni pubblici di stampo dominicale, le norme del 
codice civile e le leggi speciali di settore, tuttavia, non utilizzano mai il termine propriet� 
per designare il rapporto tra i pubblici poteri ed i beni pubblici, qualificandolo, piuttosto, in 
termini di appartenenza. Essendo questo termine privo di specificit� giuridica, per coglierne 
il significato occorre verificare la portata dei poteri, delle facolt� e dei diritti attribuiti dall�ordinamento 
alle amministrazioni pubbliche cui essi appartengono. 

Relativamente ai beni patrimoniali disponibili, l�amministrazione pu� vantare un 
autentico diritto di propriet� che pu� definirsi pubblica solo in ragione della loro appartenenza 
ad organi dell�apparato pubblico, ma che nella sostanza � assimilabile a quella di diritto 
comune. 

Quanto ai beni demaniali ed ai beni del patrimonio indisponibile dello Stato il particolare 
regime che ne sancisce l�inusucapibilit�, l�inalienabilit� e l�inespropriabilit�, sembra 
contrassegnare un tipo di propriet� che � pubblica non tanto in ragione della titolarit�, come 
avviene per i beni patrimoniali disponibili, quanto, piuttosto, per la natura dei poteri, delle 
facolt� e degli scopi che la connotano, tutti gravitanti nell�orbita del diritto pubblico e tali 
da indurre a qualificarla come propriet�-funzione. 

Il concetto di propriet�-funzione va inteso in senso diverso rispetto a quello di �funzione 
sociale� che si rinviene nell�articolo 42 della Costituzione con riferimento alla propriet� 
privata, in quanto � espressivo di tutta una serie di compiti, doveri e oneri che la pubblica 
amministrazione � chiamata ad assolvere per la conservazione, gestione ed utilizzazione dei 
beni demaniali. 

Il concetto di propriet�, quindi, pu� essere usato solo come schema generale di riferimento, 
suscettibile di essere riempito di poteri e facolt� variabili in ragione dei diversi scopi 
che essa � destinata a realizzare. 

La propriet�-funzione, proprio perch� gravita tutta nell�ambito del diritto pubblico, � 
una propriet�-scopo che si risolve nel fine pubblico istituzionale dell�ente d� appartenenza. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Sotto il profilo contenutistico, essa, pertanto, si sostanzia in doveri di gestione, di controllo 
e di conservazione finalizzati a consentire che i beni pubblici siano sempre in grado di realizzare 
i loro scopi, ma anche in poteri diretti ad incentivare le potenzialit� di utilizzazione 
e di sfruttamento, attraverso l�uso di strumenti pubblicistici (concessioni o autorizzazioni) 
idonei a contemperare l�interesse statico alla loro conservazione con quello dinamico volto 
a potenziarne le capacit� evolutive (R. GALLI-D. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 
2004, p. 583). 

Da quanto sopra esposto, quindi, per i beni pubblici, a differenza di quelli privati, il 
diritto positivo presenta una significativa esitazione ad intitolarli alla propriet�. 

Ci� emerge dalla considerazione di tutte le principali formule normative che li riguardano. 

Il r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 esordisce con una norma cos� formulata: �i beni 
immobili dello Stato, tanto pubblici quanto posseduti a titolo di privata propriet�, sono amministrati 
a cura del Ministero delle finanze, salve le eccezioni stabilite da leggi speciali�. 

Anche il regolamento di esecuzione di questa legge (r.d. n. 827/1924) ne segue la falsariga: 
�i beni dello Stato si distinguono in demanio pubblico e beni patrimoniali, secondo 
le norme del codice civile�, laddove � vano cercare l�intitolazione di una posizione giuridica 
alla propriet� statale dei beni pubblici (a fortiori alla propriet� pubblica). 

Il codice civile del 1942 evita di classificare le propriet� e di menzionare la propriet� 
pubblica: beni �appartengono� allo Stato e agli enti territoriali e non territoriali (artt. 822-831). 

Ancora pi� significativo � che la normativa sui beni appartenenti �allo Stato, agli enti 
pubblici e agli enti ecclesiastici� sia contenuta nel titolo I del libro III del codice; mentre soltanto 
il titolo successivo reca la disciplina della propriet�, quale diritto di godere e disporre 
delle cose in modo pieno ed esclusivo (art. 832 c.c.). 

Nella propriet� pubblica prevalgono nettamente esigenze, finalit� e, di conseguenza, 
discipline normative specifiche che vedono il soggetto pubblico �proprietario� quale centro 
di imputazioni giuridiche tutte qualificate per la doverosit�. La c.d. propriet� pubblica �, 
cio�, sempre espressione di un dovere e la sua gestione implica esercizio di una pubblica 
funzione. Infatti, i beni classificati come demaniali e come patrimoniali indisponibili si presentano 
quali oggetto prevalente di doveri amministrativi piuttosto che di diritti per il loro 
titolare nominato (CAPUTI-JAMBRENGHI, Diritto Amministrativo, Monduzzi, 2005, p. 180). 

Premesso quanto sopra sul concetto di propriet� pubblica, si torna a dire che anche a 
seguito delle innovazioni introdotte dal decreto legislativo n. 173 del 2003, il decreto legislativo 
n. 300 del 1999 conserva un ruolo primario nella regolamentazione dell�attivit� 
dell�Agenzia del Demanio Ente pubblico economico. 

Infatti, ai sensi dell�articolo 66, comma 1, ultimo periodo del predetto D.Lgs. n. 300, 
come modificato dal D.Lgs. n. 173 �L�Agenzia del Demanio � regolata, salvo che non sia 
diversamente disposto dal presente decreto legislativo, dal codice civile e dalle altre leggi 
relative alle persone giuridiche private�. 

L�inciso contenuto nella norma conferma la specialit� della regolazione data con il D.Lgs. 

n. 300; il rinvio alla disciplina civilistica o comunque privatistica contenuto nel citato articolo 
66 � da ritenere di carattere residuale e sussidiario rispetto a quanto gi� disposto nel D.Lgs. n. 
300 (cfr. parere dell�Ufficio legislativo finanze, prot. n. 3-16868 del 9 dicembre 2004). 
Peraltro, l�articolo 1, comma 3, dello Statuto dell�Agenzia prevede che l�attivit� 
dell�Agenzia stessa � regolata dal D.Lgs. n. 300 del 1999, dallo Statuto, dalle norme del 
codice civile e delle altre leggi relative alle persone giuridiche private. 

Ci� premesso, ai sensi del combinato disposto dell�articolo 57 del D.Lgs. n. 300/99 (dal 
quale emerge che le Agenzie fiscali sono state istituite per la gestione delle funzioni che in 


TEMI ISTITUZIONALI 

passato venivano esercitate dai Dipartimenti del Ministero delle finanze e che alle Agenzie 
stesse sono trasferiti i rapporti giuridici inerenti all�esercizio delle funzioni, poteri e competenze 
che vengono esercitati secondo la disciplina dell�organizzazione interna di ciascuna 
Agenzia), dell�articolo 17, comma 3, del previgente Statuto dell�Agenzia (ai sensi del quale 
l�Agenzia subentra al Ministero delle finanze nei rapporti giuridici, poteri e competenze 
relativi ai servizi ad essa trasferiti o assegnati) e dell�articolo 12, comma 1, dello Statuto 
vigente (il quale afferma che l�Ente pubblico economico Agenzia del Demanio succede a 
titolo universale a tutti i rapporti giuridici, sostanziali e processuali in titolarit� dell�Agenzia 
del Demanio alla data della trasformazione) si � attuata una sostanziale successione 
dell�Agenzia nelle competenze gestori del Dipartimento del territorio (area demanio). 

A tale ultimo riguardo, si ricorda che il menzionato r.d. n. 2440/1923 aveva attribuito 
al Ministero delle finanze l�amministrazione (e non la propriet�) dei beni immobili dello 
Stato, tanto pubblici che posseduti a titolo di propriet� privata, funzione ora di competenza 
dell�Agenzia del Demanio ex articulo 65 del D.Lgs. n. 300/1999. 

Peraltro, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 427/2004 parla di beni demaniali e 
patrimoniali dello Stato come di beni nella propriet� e disponibilit� dello Stato e per esso 
dell�Agenzia del Demanio. 

La speciale caratteristica del caso di specie � il fatto che l�attribuzione di potest� originariamente 
in capo al Ministero sia avvenuta attraverso un atto normativo primario e non 
con atto amministrativo, come nelle ipotesi della concessione e della delegazione amministrativa. 
Pur nella diversit� dello strumento giuridico, il risultato � identico, e cio� una separazione 
tra titolarit� di posizioni giuridiche sostanziali ed esercizio dei poteri e dei diritti. 

Proprio tale separazione comporta come conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale, 
l�attribuzione della legitimatio ad causam esclusivamente al soggetto cui � stato 
conferito l�esercizio dei poteri e delle funzioni, separatamente dalla titolarit� di corrispondenti 
situazioni sostanziali (Cass. Civ. Sez. Unite n. 3118/2006). Le Sezioni Unite richiamano, 
in proposito, la consolidata giurisprudenza della Corte (fra le pi� recenti, sentenze 16 
novembre 2001, n. 14378; 26 giugno 2003, n. 10163; 16 luglio 2003, n. 11139; 4 settembre 
2004, n. 17881). 

Sempre la Cassazione, con sentenza n. 11979 dell�8 agosto 2003, ha osservato che �a 
partire dal l� gennaio 2001, si � verificata una successione nella titolarit� dei rapporti, poteri 
e competenze in materia tributaria tra soggetti distinti: il Ministero, da un lato, e l�agenzia 
fiscale, dall�altro, senza che sia configurabile alcun nesso di natura organica tra il primo 
e la seconda�. 

�... Deve escludersi che l�agenzia fiscale possa qualificarsi come organo statale od 
amministrazione statale ad ordinamento autonomo e che il Ministero delle finanze possa 
conservare per tale ragione (neppure adducendo l�essenzialit�, per lo Stato, dell�esercizio 
del potere impositivo) la legittimazione processuale...�. 

In definitiva, sembra possa rilevarsi come sia da escludere totalmente un qualsiasi coinvolgimento 
del Ministero quale soggetto attivo o passivo di procedimenti contenziosi, dato 
che il nuovo assetto organizzativo gli attribuisce solo funzioni di indirizzo, vigilanza e controllo 
sui risultati di gestione delle Agenzie fiscali�. 

Considerazioni del Dipartimento del Tesoro. 

�L�Agenzia del Demanio � nata dalla suddivisione e dal conferimento delle funzioni 
del Ministero delle Finanze alle quattro Agenzie Fiscali (Entrate, Territorio, Dogane e 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Demanio) istituite nell�ambito della nuova organizzazione del Ministero dell�Economia e 
delle Finanze a seguito del Decreto Legislativo n. 300/1999. 

In seguito, il Decreto Legislativo 173/03 ha trasformato l�Agenzia in Ente Pubblico 
Economico (EPE). Tale trasformazione, peraltro, non incide sulla natura delle funzioni 
dell�Agenzia che continua ad essere assoggettata ai poteri di indirizzo e di controllo da parte 
dello Stato, posto che l�art. 1 dello Statuto dispone che �l�Agenzia � sottoposta all�alta vigilanza 
del Ministero dell�economia e delle finanze, che ne detta gli indirizzi�, ci� mediante l�Atto 
di indirizzo triennale, inviato annualmente dal Ministro dell�Economia e delle Finanze; inoltre, 
essa � soggetta al controllo della Corte dei Conti che viene esercitato, tra l�altro, con la presenza 
alle sedute del Comitato di Gestione di un magistrato della Corte delegato al controllo. 

Per quanto attiene alla definizione delle competenze assegnate dall�Agenzia del Demanio, 
Part. 65 del D.Lgs. 300/99, statuisce che: �All�Agenzia del Demanio � attribuita l�amministrazione 
dei beni immobili dello Stato, con il compito di razionalizzarne e valorizzarne 
l�impiego, di sviluppare il sistema informativo sui beni del demanio e del patrimonio, utilizzando 
in ogni caso, nella valutazione dei beni a fini conoscitivi ed operativi, criteri di 
mercato, di gestire con criteri imprenditoriali i programmi di vendita, di provvista, anche 
mediante l�acquisizione sul mercato, di utilizzo e di manutenzione ordinaria e straordinaria 
di tali immobili�. 

I compiti svolti dall�Agenzia trovano ulteriore puntualizzazione nello Statuto, pubblicato 
sulla G.U. n. 48 del 27 febbraio 2004, il quale all�art. 2 dispone che: �L�Agenzia svolge 
tutte le funzioni e i compiti ad essa attribuiti dalla legge e relativamente ai beni immobili 
dello Stato, e provvede, tra l�altro, a: 

a) definire la loro ottimale composizione nel tempo e tutelarne l�integrit� e la corretta 
utilizzazione, assicurando il soddisfacimento delle esigenze statali, anche attraverso acquisizioni, 
dismissioni e sdemanializzazioni; 

b) assicurare le conoscenze complete ed aggiornate delle loro caratteristiche fisiche e 
giuridiche; 

c) garantire i pi� alti livelli di redditivit� e definire e realizzare gli interventi finalizzati 
alla loro realizzazione; 

d) coordinare la programmazione dei loro usi ed impieghi nonch� gli interventi edilizi 
sugli stessi monitorandone lo stato di attuazione; 

e) svolgere tulle le attivit� connesse e strumentali rispetto a quelle di cui alle precedenti 
lettere�. 

Dalla lettura delle suddette norme emerge con palese evidenza la natura strettamente 
gestoria delle competenze attribuite dalla legge all�Agenzia del demanio in materia di tutela 
e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. 

L�assunto trova ulteriore conferma nell�Atto di indirizzo per il conseguimento degli 
obiettivi di politica fiscale adottato dal Ministero dell�economia e delle finanze, per gli anni 
2006/2009 il quale, nel delineare gli obiettivi che l�Agenzia dovr� perseguire nel triennio, 
tutti correlati ad attivit� di gestione ai fini della razionalizzazione, valorizzazione e messa a 
reddito del patrimonio immobiliare pubblico (vedi punto 3.4, lettere a, b, c, d, e), dispone al 
punto l che �quanto alla gestione dei beni pubblici (...) l�Agenzia del demanio orienter� la 
propria azione sulla base delle seguenti linee di intervento: (...) creazione del valore e 
gestione proattiva degli immobili di propriet� dello Stato�. 

Le suddette norme, peraltro, vanno lette in combinato disposto con l�art. 20 comma 3 
del d.P.R. n. 107/2001 (Regolamento di organizzazione del Ministero dell�Economia e delle 


TEMI ISTITUZIONALI 

Finanze) il quale statuisce che �Le Agenzie fiscali subentrano al Ministero nei rapporti giuridici, 
poteri, competenze e controversie relative alle funzioni ad esse trasferite�. 

Ne consegue che, posto che le funzioni trasferite a norma di legge all�Agenzia del 
Demanio attengono esclusivamente all�amministrazione dei beni immobili dello Stato con 
esclusione di qualsiasi riferimento alla loro titolarit�, la legittimazione passiva della medesima 
nelle controversie ad essi collegate � inscindibilmente connessa al suo ruolo di gestore 
del patrimonio immobiliare pubblico in nome e per conto dello Stato, quale titolare del 
diritto di propriet� sugli stessi. 

Dalla lettura della norma, peraltro, si evince che l�esercizio della rappresentanza in giudizio 
da parte dell�Agenzia del demanio � strettamente correlata con l�adempimento delle 
funzioni ad essa trasferite, costituendo una delle modalit� con cui in concreto l�Agenzia 
provvede a garantire la tutela e la conservazione del patrimonio affidato alle sue cure; ne 
deriva che tale attivit�, lungi dall�avere carattere eventuale, costituisce un corollario delle 
sue competenze in quanto tale non necessitante di mandato ad agire ad hoc. 

A conferma di ci� sono molteplici gli esempi di controversie in cui l�Agenzia del demanio 
negli anni passati � intervenuta a sostegno delle ragioni di interesse pubblico in assenza 
di specifico incarico da parte del MEF; per attenersi alle vicende pi� recenti si pu� far menzione 
della questione attinente all�interpretazione data da talune Regioni a statuto speciale 
(Friuli Venezia Giulia e Sicilia) alle norme dello statuto concernenti la titolarit� e il trasferimento 
di beni immobili statali e delle vicende attinenti alla dismissione del patrimonio 
immobiliare del Ministero della difesa alla luce della disciplina dettata dal D.L. n. 269/2003. 

� d�uopo ribadire, in proposito, che si tratta di attivit� e competenze che l�Agenzia 
svolge �in rappresentanza� e sotto la vigilanza del MEF, quindi in nome e nell�interesse 
dello Stato che continua a mantenere la titolarit� dei beni in questione. 

Ad ulteriore sostegno del suddetto assunto � utile fare richiamo a taluni dati normativi 
che assumono peculiare rilievo nella materia de quo. 

L�art. 3 dello Statuto dell�Agenzia dispone che: �Il patrimonio � costituito da un fondo 
di dotazione e dai beni mobili e immobili strumentali all�attivit� dell�Agenzia. I beni che 
costituiscono il patrimonio iniziale sono individuati con decreto del Ministero dell�economia 
e delle finanze�. 

In attuazione di tale disciplina il MEF ha provveduto con D.M. del 29 luglio 2005 a 
dare avvio al processo di patrimonializzazione dell�Agenzia disponendo il trasferimento di 
taluni beni demandando ad un successivo Decreto, ad oggi in fase di adozione, l�individuazione 
di ulteriori cespiti. 

Se ne ricava che il patrimonio immobiliare dell�Agenzia del Demanio � costituito da 
beni che lo Stato, mediante appositi provvedimenti, ha provveduto ad assegnare alla sua titolarit�, 
per cui in assenza di specifico conferimento, i beni che la medesima gestisce rimangono 
confinati nella mera sfera dell�esercizio del potere di amministrazione dell�Agenzia. 

Le stesse linee guida sono deducibili dalla lettura della disciplina in materia di dismissione 
del patrimonio immobiliare pubblico dettata dalla Legge n. 410/2001. 

Tale normativa dispone che il conferimento dei cespiti tanto alla SCIP, societ� veicolo 
delle operazioni di cartolarizzazione (artt. l e 3) tanto ai fondi immobiliari chiusi (art. 4) 
avvenga con Decreto di natura non regolamentare del Ministro dell�economia e delle finanze, 
mentre riconosce all�Agenzia del Demanio compiti di individuazione dei beni da trasferire 
nella fase �attuativa� delle operazioni e di gestione nella fase �esecutiva�. 

Conformemente a ci�, l�art. 26 del D.L. 269/2003 comma 9 bis, al fine di favorire la valorizzazione 
dei beni immobili statali e nell�ambito del perseguimento degli obiettivi di finanza 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

pubblica in funzione del patto di stabilit� e crescita, prevede che �(...) l�Agenzia del demanio, 
con decreto del Ministero dell�Economia e delle Finanze, pu� essere autorizzata a vendere a 
trattativa privata, anche in blocco, beni immobili dello Stato a S.I. S.p.A.� 

In attuazione della suddetta norma il Ministro dell�Economia e delle finanze � intervenuto 
con il D.M. 1 dicembre 2005 per rilasciare l�autorizzazione richiesta ex lege. 

Dalle suddette disposizioni emerge con assoluta evidenza che titolare del patrimonio 
immobiliare che l�Agenzia amministra � il soggetto Stato, alla cui autorizzazione � subordinato 
l�esercizio diretto del potere di disposizione dei cespiti da parte dell�Agenzia e ai cui 
interventi normativi � collegato il conferimento di tali beni a soggetti differenti, Agenzia del 
Demanio compresa. (omissis)�. 

Considerazioni dell�Agenzia del Demanio. 

�Con la presente, lo scrivente Ufficio intende porre in evidenza alcune problematiche 
connesse alla legittimazione passiva del Ministero dell�Economia e delle Finanze nei giudizi 
afferenti alla propriet� dei beni immobili dello Stato. 

Alcuni Uffici del predetto Dicastero e, su richiesta di questo, diverse Avvocature 
Distrettuali, ritengono che, nelle predette controversie, non sussista la legittimazione passiva 
del Ministero, in quanto, a seguito dell�istituzione, con D.Lgs. n. 300/1999, delle Agenzie 
Fiscali e, in particolare, dell�Agenzia del Demanio, ente pubblico dotato di autonoma personalit� 
giuridica, cui � stata attribuita la gestione dei beni immobili dello Stato, l�Agenzia 
sarebbe l�unico soggetto legittimato a resistere anche nelle cause che vertono sulla propriet� 
di detti beni. 

Tale orientamento � stato manifestato nell�ambito di diversi contenziosi. 

Fra tutti, si rammenta, ad esempio, la recente causa avviata innanzi al Tribunale Civile di 
Napoli dalla sig.ra S. contro lo Stato � Ministero dell�Economia e delle Finanze (come proprietario 
pro quota ex art. 586 c.c.), al fine di ottenere dal Tribunale adito il riconoscimento 
dell�avvenuta acquisizione, per usucapione, della propriet� di due unit� immobiliari in Napoli. 

A seguito della notifica dell�atto di citazione della sig.ra S., l�Ufficio Amministrazione 
delle Risorse del Dipartimento per le Politiche Fiscali del predetto Dicastero, con nota prot. 
56731/2006, ha richiesto all�Avvocatura Distrettuale di Napoli di eccepire in giudizio il 
difetto di legittimazione passiva del Ministero, in quanto con D.Lgs. n. 300/99 � stata attribuita 
all�Agenzia del Demanio, autonomo soggetto giuridico, l�amministrazione dei beni 
immobili dello Stato, per cui la stessa andava ritenuta come unico soggetto legittimato a 
resistere nella lite de qua. 

L�Organo Legale, recependo dette indicazioni, contrastanti con quelle fornite da 
quest�Agenzia, che ha agito in linea con gli accordi intercorsi e formalizzati nel Protocollo 
d�Intesa con l�Avvocatura Generale, ha richiesto l�integrazione del contraddittorio (autorizzata 
dal Giudice) nei confronti della scrivente nonch� l�estromissione del Ministero dal giudizio 
(sulla base di una prassi comune e frequente posta in essere dalle Avvocature 
Distrettuali, anche di propria iniziativa). 

Quanto sopra � avvenuto anche nel giudizio promosso da B. e M. contro il Ministero 
dell�Economia e delle Finanze e l�Agenzia del Demanio, avente ad oggetto il riconoscimento 
in capo agli attori della propriet� di una porzione di demanio idrico. Anche in tal caso, il 
Ministero aveva richiesto alla Distrettuale di sollevare il difetto di legittimazione passiva 
dello stesso, ma il T.R.A.P. Torino ha diversamente concluso con la sentenza n. 38/06, accogliendo 
la domanda attorea e ritenendo legittimato passivo il Ministero. 


TEMI ISTITUZIONALI 

La tesi seguita dal Dipartimento Politiche Fiscali, fondata su interpretazione estensiva 
del D.Lgs. n. 300/99 e delle norme ad esso collegate, ha determinato l�insorgere di un conflitto 
nel patrocinio che l�Avvocatura svolge nell�interesse di entrambi gli enti. 

Appare, pertanto, utile rinvenire una comune e concorde strategia difensiva, al fine, da 
un lato, di non duplicare inutilmente le spese di lite a carico del bilancio dello Stato, dall�altro, 
di fornire omogenee istruzioni all�Organo Legale, che si costituisce nell�interesse di 
entrambi gli enti, i quali agiscono a tutela dei medesimi interessi e perseguono identiche 
finalit� pubbliche, ovvero la tutela del patrimonio dello Stato. Il Ministero dell�Economia e 
delle Finanze, quale soggetto che rappresenta la propriet�; l�Agenzia del Demanio, quale 
soggetto meramente gestore del patrimonio dello Stato. 

Sotto il profilo strettamente giuridico, a sostegno della tesi seguita dalla scrivente 
Agenzia e condivisa sia dall�Avvocatura Generale sia dalla Ragioneria Generale dello Stato, 
si evidenzia, infatti, che a norma dell�art. 57 del D.Lgs. n. 300/99 e s.m.i., le Agenzie Fiscali 
sono subentrate al Ministero vigilante nei �rapporti giuridici, poteri e competenze� per le 
funzioni ad esse trasferite, funzioni che, per quanto attiene l�Agenzia del Demanio, afferiscono 
alla gestione degli immobili dello Stato, rimasto titolare del diritto di propriet� sugli 
stessi (nello stesso senso, l�art. 3 del D.M. 28 dicembre 2000). 

� chiaro, dunque, che questa Agenzia � subentrata nella titolarit� dei rapporti giuridici 
relativi alla gestione dei beni in parola, ma non nella titolarit� dei diritti, in primis del diritto 
di propriet� sugli stessi, che, rimanendo allo Stato, lo rende legittimato passivo nei giudizi 
in cui si controverte di tale diritto. 

In tal senso, d�altra parte, si � espressa anche l�Avvocatura Generale dello Stato, con 
nota prot. 128139 del 9 novembre 2006, in accordo con ampia giurisprudenza dei Tribunali 
delle Acque Pubbliche, orientamento condiviso anche dal Giudice Ordinario (si veda, ed es. 
Trib. Civ. Torino, sentenza n. 5500/06 � P. contro Agenzia del Demanio; Trib. Civ. Torino, 
sentenza n. 8086/03). 

Tale nota � stata condivisa anche dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello 
Stato, nella nota prot. 38039 del 2006. 

Come detto, inoltre, diversi precedenti giurisprudenziali confermano questa tesi, affermando 
la necessit� che il Ministero dell�Economia e delle Finanze, in quanto soggetto proprietario 
dei beni immobili dello Stato, partecipi alle controversie de quibus, poich� � nei 
suoi confronti che, innanzitutto, deve formarsi il giudicato che incide sul diritto di propriet� 
e, pertanto, � soggetto legittimato passivo nei relativi giudizi. 

In ragione di quanto detto, dunque, si � ritenuto che, anche al fine di non duplicare inutilmente 
di spese di giudizio, nelle cause �dominicali� di cui sopra, qualora venga evocato 
in giudizio il solo Ministero dell�Economia e delle Finanze, l�Avvocatura non debba eccepirne 
il difetto di legittimazione passiva n� estendere il contraddittorio nei confronti 
dell�Agenzia del Demanio, la quale garantisce tutto il supporto documentale necessario per 
la difesa e la tutela degli interessi erariali (si veda, in tal senso, il punto 9 del Protocollo 
d�Intesa sottoscritto con l�Avvocatura). 

Qualora, poi, l�atto introduttivo del giudizio sia rivolto contro entrambi i soggetti, le 
argomentazioni sopra descritte dovrebbero condurre l�Avvocatura a non richiedere, comunque, 
l�estromissione del Ministero (stante l�oggetto di cui si controverte), bens� a redigere 
un unico atto difensivo nell�interesse di ambedue i convenuti in modo da contenere anche le 
spese processuali. 

Resta fermo, chiaramente, che, in tutte le altre controversie aventi ad oggetto l�attivit� 
di gestione svolta dalla scrivente Agenzia, seppure sempre in nome e per conto del Ministero 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dell�Economia e delle Finanze, � corretto che l�Avvocatura evidenzi la successione 
dell�Agenzia del Demanio nei rapporti giuridici del predetto Ministero e, pertanto, richieda 
l�integrazione del contraddittorio nei confronti della stessa, la quale risponder� in via esclusiva 
di eventuali responsabilit� derivanti da atti e/o fatti da questa posti in essere, qualora gli 
effetti pregiudizievoli non derivino da atti e/o fatti precedenti all�istituzione dell�Agenzia (e, 
quindi, di competenza dell�ex Dipartimento). 

Infatti, nei giudizi che hanno ad oggetto esclusivamente atti e comportamenti imputabili 
all�Agenzia del Demanio nell�ambito della sua attivit� istituzionale di gestione, la sua 
legittimazione passiva andr� certamente ricondotta nella fattispecie giuridica della successione 
a titolo particolare, ex art. 111 c.p.c. (come da costante giurisprudenza in tal senso), 
relativamente ai rapporti giuridici inerenti alle funzioni ad essa trasferite. 

Ferma restando la piena disponibilit� a recepire altre soluzioni che venissero prospettate 
dai soggetti in indirizzo, le argomentazioni di cui sopra sono state esposte al fine di individuare 
una linea di condotta comune e coerente tra i due soggetti istituzionali preposti alla 
tutela del patrimonio dello Stato, per articolare nel modo pi� efficace la difesa degli interessi 
erariali, permettendo una proficua collaborazione tra le Avvocature Distrettuali, l�Agenzia 
del Demanio (nonch� le sue strutture territoriali) ed il Ministero vigilante. (omissis)�. 

Considerazioni della Ragioneria generale dello Stato. 

�Con il foglio n. 128140 P, datato 9 novembre 2006, l�Avvocatura Generale dello Stato 
aveva chiesto, dopo aver svolto talune considerazioni di natura giuridica, notizie in merito 
alla documentazione inerente al demanio idrico funzionali alla causa indicata in oggetto. 

A tal riguardo, si � ritenuto, con la lettera n. 167454 del 18 dicembre 2006, trasmettere 
per competenza a codesto Dipartimento la suddetta richiesta. 

In quella sede, � stato anche precisato che la partecipazione ad eventuali controversie 
volte all�accertamento del diritto di propriet� (o di altro diritto reale) sui beni immobili 
appartenenti, prima facie, allo Stato non rientra nella competenza del Dipartimento della 
Ragioneria Generale dello Stato. 

Successivamente, con la nota in esito, codesto Dipartimento per le Politiche Fiscali ha 
comunicato, invece, il proprio avviso di �assoluta estraneit� alle controversie relative ai 
beni demaniali�, precisando, altres�, �che la fattispecie in oggetto non rientra in alcun modo 
nelle competenze di quest�Ufficio n� risulta che la competenza in materia possa rinvenirsi 
in qualunque altro Ufficio di questo Ministero� (dell�Economia e delle Finanze). 

Ci� posto, non possono condividersi le conclusioni esposte nella predetta nota, anche 
alla luce dell�avviso espresso dall�Avvocatura Generale dello Stato relativamente alla circostanza 
che �allo Stato, e per esso al Ministero Economia e Finanze, � rimasta la legittimazione 
passiva in controversie dominicali, quali � tra altre � rivendiche ex previgente art. n. 
941 cod. civ., oppure per asserita usucapione�. 

In particolare, giova rammentare che, tra le competenze attribuite al Ministero 
dell�Economia e delle Finanze e ascrivibili al Dipartimento per le Politiche Fiscali, a norma 
dell�articolo 24, lettera d), nonch� dell�articolo 25 del D.Lgs. n. 3011/1999, rientrano le 
�funzioni previste dalla legge in materia di demanio, patrimonio della Stato, catasto e conservatorie 
dei registri immobiliari�. 

Pertanto, si ritiene che la legittimazione passiva del Ministero dell�Economia e delle 
Finanze nelle controversie dominicali concernenti il demanio idrico sia riconducibile alle 
attivit� istituzionalmente affidate alla cura di codesto Dipartimento che, quindi, vorr� provvedere, 
nel proprio ambito, in merito�. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Ulteriori considerazioni del Dipartimento per le politiche fiscali. 

�Nel documento �format contenzioso�, inviato per mail in data 8 giugno c.a., si afferma 
che la titolarit� di beni immobili pubblici spetta al Ministero dell�Economia e delle 
Finanze, in quanto soggetto proprietario del patrimonio immobiliare dello Stato. 

Si legge, inoltre, che sono, invece, trasferite all�Agenzia del Demanio le funzioni concernenti 
l�amministrazione del patrimonio immobiliare pubblico �ai fini della sua tutela, 
razionalizzazione, valorizzazione e messa a reddito�, e che l�art. 20, comma 3, del d.P.R. n. 
107/2001 (Regolamento di organizzazione del Ministero dell�Economia e delle Finanze) 
statuisce che �Le Agenzie fiscali subentrano al Ministero nei rapporti giuridici, poteri, competenze 
e controversie relative alle funzioni ad esse trasferite�. 

A tal proposito, per quanto riguarda la propriet� dei beni dello Stato, si torna a ripetere 
quanto segue. 

Sebbene l�articolo 42 della Costituzione, nel prevedere una propriet� pubblica accanto 
ad una privata sembra avallare una soluzione qualificatoria dei diritti sui beni pubblici di 
stampo dominicale, le norme del codice civile e le leggi speciali di settore, tuttavia, non utilizzano 
mai il termine propriet� per designare il rapporto tra i pubblici poteri ed i beni pubblici, 
qualificandolo, piuttosto, in termini di appartenenza. Essendo questo termine privo di 
specificit� giuridica, per coglierne il significato occorre verificare la portata dei poteri, delle 
facolt� e dei diritti attribuiti dall�ordinamento alle amministrazioni pubbliche cui essi appartengono. 


Relativamente ai beni patrimoniali disponibili, l�amministrazione pu� vantare un 
autentico diritto di propriet� che pu� definirsi pubblica solo in ragione della loro appartenenza 
ad organi dell�apparato pubblico, ma che nella sostanza � assimilabile a quella di diritto 
comune. 

Quanto ai beni demaniali ed ai beni del patrimonio indisponibile dello Stato il particolare 
regime che ne sancisce l�inusucapibilit�, l�inalienabilit� e l�inespropriabilit�, sembra 
contrassegnare un tipo di propriet� che � pubblica non tanto in ragione della titolarit�, come 
avviene per i beni patrimoniali disponibili, quanto, piuttosto, per la natura dei poteri, delle 
facolt� e degli scopi che la connotano, tutti gravitanti nell�orbita del diritto pubblico e tali 
da indurre a qualificarla come propriet�-funzione. 

Il concetto di propriet�-funzione va inteso in senso diverso rispetto a quello di �funzione 
sociale� che si rinviene nell�articolo 42 della Costituzione con riferimento alla propriet� 
privata, in quanto � espressivo di tutta una serie di compiti, doveri e oneri che la pubblica 
amministrazione � chiamata ad assolvere per la conservazione, gestione ed utilizzazione dei 
beni demaniali. 

Il concetto di propriet�, quindi, pu� essere usato solo come schema generale di riferimento, 
suscettibile di essere riempito di poteri e facolt� variabili in ragione dei diversi scopi 
che essa � destinata a realizzare. 

La propriet�-funzione, proprio perch� gravita tutta nell�ambito del diritto pubblico, � una 
propriet�-scopo che si risolve nel fine pubblico istituzionale dell�ente di appartenenza. Sotto il 
profilo contenutistico, essa, pertanto, si sostanzia in doveri di gestione, di controllo e di conservazione 
finalizzati a consentire che i beni pubblici siano sempre in grado di realizzare i loro 
scopi, ma anche in poteri diretti ad incentivare le potenzialit� di utilizzazione e di sfruttamento, 
attraverso l�uso di strumenti pubblicistici (concessioni o autorizzazioni) idonei a contemperare 
l�interesse statico alla loro conservazione con quello dinamico volto a potenziarne le 
capacit� evolutive (R.GALLI-D. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 2004, p. 583). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Da quanto sopra esposto, quindi, per i beni pubblici, a differenza di quelli privati, il 
diritto positivo presenta una significativa esitazione ad intitolarli alla propriet�. 

Il r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 esordisce con una norma cos� formulata: �i beni 
immobili dello Stato, tanto pubblici quanto posseduti a titolo di privata propriet�, sono amministrati 
a cura del Ministero delle Finanze, salve le eccezioni stabilite da leggi speciali�. 

Anche il regolamento di esecuzione di questa legge (r.d. n. 827/1924) ne segue la falsariga: 
�i beni dello Stato si distinguono in demanio pubblico e beni patrimoniali, secondo 
le norme del codice civile�, laddove � vano cercare l�intitolazione di una posizione giuridica 
alla propriet� statale dei beni pubblici (a fortiori alla propriet� pubblica). 

Il codice civile del 1942 evita di classificare le propriet� e di menzionare la propriet� 
pubblica: beni �appartengono� allo Stato e agli enti territoriali e non territoriali (artt. 822-831). 

Ancora pi� significativo � che la normativa sui beni appartenenti �allo Stato, agli enti 
pubblici e agli enti ecclesiastici� sia contenuta nel titolo I del libro III del codice; mentre soltanto 
il titolo successivo reca la disciplina della propriet�, quale diritto di godere e disporre 
delle cose in modo pieno ed esclusivo (art. 832 c.c.). 

Nella propriet� pubblica prevalgono nettamente esigenze, finalit� e, di conseguenza, 
discipline normative specifiche che vedono il soggetto pubblico �proprietario� quale centro 
di imputazioni giuridiche tutte qualificate per la doverosit�. La c.d. propriet� pubblica �, 
cio�, sempre espressione di un dovere e la sua gestione implica esercizio di una pubblica 
funzione. Infatti, i beni classificati come demaniali e come patrimoniali indisponibili si presentano 
quali oggetto prevalente di doveri amministrativi piuttosto che di diritti per il loro 
titolare nominato (CAPUTI-JAMBRENGHI, Diritto Amministrativo, Monduzzi, 2005, p. 180). 

Premesso quanto sopra sul concetto di propriet� pubblica, si torna a dire che anche a 
seguito delle innovazioni introdotte dal decreto legislativo n. 173 del 2003, il decreto legislativo 
n. 300 del 1999 conserva un ruolo primario nella regolamentazione dell�attivit� 
dell�Agenzia del Demanio Ente pubblico economico. 

Infatti, ai sensi dell�articolo 66, comma 1, ultimo periodo del predetto D.Lgs. n. 300, 
come modificato dal D.Lgs. n. 173 �L�Agenzia del Demanio � regolata, salvo che non sia 
diversamente disposto dal presente decreto legislativo, dal codice civile e dalle altre leggi 
relative alle persone giuridiche private�. 

L�inciso contenuto nella norma conferma la specialit� della regolazione data con il 
D.Lgs. n. 300; il rinvio alla disciplina civilistica o comunque privatistica contenuto nel citato 
articolo 66 � da ritenere di carattere residuale e sussidiario rispetto a quanto gi� disposto 
nel D.Lgs. n. 300 (cfr. parere dell�Ufficio legislativo finanze, prot. n. 3-16868 del 9 dicembre 
2004). 

Peraltro, l�articolo 1, comma 3, dello Statuto dell�Agenzia prevede che l�attivit� 
dell�Agenzia stessa � regolata dal D.Lgs. n. 300 del 1999, dallo Statuto, dalle norme del 
codice civile e delle altre leggi relative alle persone giuridiche private. 

Ci� premesso, ai sensi del combinato disposto dell�articolo 57 del D.Lgs. n. 300/99 (dal 
quale emerge che le Agenzie fiscali sono state istituite per la gestione delle funzioni che in 
passato venivano esercitate dai Dipartimenti del Ministero delle finanze e che alle Agenzie 
stesse sono trasferiti i rapporti giuridici inerenti all�esercizio delle funzioni, poteri e competenze 
che vengono esercitati secondo la disciplina dell�organizzazione interna di ciascuna 
Agenzia), dell�articolo 17, comma 3, del previgente Statuto dell�Agenzia (ai sensi del quale 
l�Agenzia subentra al Ministero delle finanze nei rapporti giuridici, poteri e competenze 
relativi ai servizi ad essa trasferiti o assegnati) e dell�articolo 12, comma 1, dello Statuto 
vigente (il quale afferma che l�Ente pubblico economico Agenzia del Demanio succede a 


TEMI ISTITUZIONALI 

titolo universale a tutti i rapporti giuridici, sostanziali e processuali in titolarit� dell�Agenzia 
del Demanio alla data della trasformazione) si � attuata una sostanziale successione 
dell�Agenzia nelle competenze gestorie del Dipartimento del territorio (area demanio). 

A tale ultimo riguardo, si ricorda che il menzionato r.d. n. 2440/1923 aveva attribuito 
al Ministero delle finanze l�amministrazione (e non la propriet�) dei beni immobili dello 
Stato, tanto pubblici che posseduti a titolo di propriet� privata, funzione ora di competenza 
dell�Agenzia del Demanio ex articulo 65 del D.Lgs. n. 300/1999. 

Peraltro, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 427/2004 parla di beni demaniali e 
patrimoniali dello Stato come di beni nella propriet� e disponibilit� dello Stato e per esso 
dell�Agenzia del Demanio. 

In definitiva, sembra possa rilevarsi come sia da escludere totalmente un qualsiasi coinvolgimento 
del Ministero quale soggetto attivo o passivo di procedimenti contenziosi, dato 
che il nuovo assetto organizzativo gli attribuisce solo funzioni di indirizzo, vigilanza e controllo 
sui risultati di gestione delle Agenzie fiscali. 

Anche volendo non condividere la tesi sopra descritta, peraltro formulata da accreditata 
dottrina, come riportato, si fa presente che la proposta di documento per la rappresentanza 
in giudizio in commento appare non conforme alle norme del codice di procedura civile 
ed agli orientamenti della Giurisprudenza. 

A tal proposito, si riporta quanto segue. 

Premesso che il documento in esame riveste i caratteri formali e sostanziali di una procura 
speciale ad agire in giudizio rilasciata dal rappresentato Ministero dell�economia e 
delle finanze all�Agenzia del Demanio, l�indagine deve essere diretta a stabilire se la rappresentanza 
processuale esiga, per poter essere rite et recte conferita, la congiunta attribuzione 
della rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto giudizio o se possa legittimamente 
prescinderne. 

Alla questione suindicata, se la rappresentanza processuale esiga la congiunta attribuzione 
della rappresentanza sostanziale, deve darsi soluzione positiva, conformemente ad un 
orientamento giurisprudenziale della Corte di legittimit� a Sezioni Unite (Cass. S.U. 
4666/98) ormai consolidato e che di seguito si richiama: �Superate iniziali incertezze, costituisce, 
invero, jus receptum che, ai sensi dell�art. 77 cod. proc. civ., il potere rappresentativo 
processuale pu� essere conferito soltanto a colui che gi� sia investito di un potere rappresentativo 
di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio (Cass. 23 ottobre 
1990 n. 10287; Id. 9 novembre 1983 n. 6621): ed il principio si conferma di persistente validit�, 
anche ad una rinnovata revisione critica che ne investa le premesse ermeneutiche, i percorsi 
argomentativi che da esse si snodano e le necessit� di inquadramento sistematico. Lo 
svolgimento dei lavori preparatori dell�art. 77 c.p.c. conferma, poi, la necessit� di una lettura 
della norma incompatibile con la previsione di una rappresentanza volontaria limitata agli 
atti processuali, alla medesima ratio essendosi ispirati gli artt. 12 del progetto Carnelutti; 5, 
cpv. dello schema Rocco; 41 del progetto Redenti; 5 del progetto preliminare Solmi; 21 del 
progetto definitivo Solmi; ed essendosi nella stessa Relazione del guardasigilli sul progetto 
definitivo espressamente rilevato che �la rappresentanza limitata ad affari giudiziari sarebbe 
stata in contrasto con l�interesse pubblicistico del processo che richiede la presenza in 
giudizio di chi abbia un reale interesse nella controversia e, d�altro canto, potrebbe dar luogo 
a pericolosi abusi�. 

Sul piano dei principi deve, inoltre, notarsi che, ai sensi dell�art. 100 cod. proc. civ., 
�per proporre una domanda o per contraddire alla stessa � necessario avervi interesse�: e 
questa proposizione manifesta una capacit� di riferimento non solo all�esistenza obiettiva 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dell�interesse ad agire, che si risolve nella presenza o nella probabilit� della lite, ma anche 
alla sua appartenenza, cio� alla titolarit� della lite in chi agisce, nel senso che la relazione 
della lite con l�agente debba consistere in ci� che l�interesse in lite sia suo. 

Posta, dunque, come necessaria la coincidenza della titolarit� dell�interesse litigioso con 
la corrispondente legittimazione processuale, manifestamente se ne deve dedurre l�impossibilit� 
che taluno delegando ad altri l�ufficio di parte nel processo che riguarda una sua lite, 
spezzi quell�unione imposta da un principio fondamentale del processo civile (Tribunale di 
Milano Sez. VI civ., 15-22 marzo 2006, n. 3682 � Pres. S. Di Blasi, Rel. A. Simonetti). 

Nel caso in esame, a voler accettare la tesi della legittimazione ad causam del 
Ministero dell�economia e delle finanze per effetto della propriet� dei beni in capo al medesimo, 
la parte sostanziale del rapporto giuridico dedotto in giudizio (MEF) �attribuisce 
all�Agenzia del Demanio la rappresentanza ad agire in giudizio in nome e per conto del 
Ministero dell�Economia e delle Finanze nella causa de quo al fine di garantire adeguata 
tutela all�interesse dello Stato�. 

Detta ipotesi di procura non pu� ritenersi conforme al disposto dell�art. 77 c.p.c. perch� 
priva di qualsiasi accenno al conferimento di poteri di rappresentanza sostanziale; anzi, 
la soluzione prospettata si fonda proprio sull�inesistenza di un interesse sostanziale 
dell�Agenzia, e conferisce alla stessa, si ripete, soltanto il potere di agire in giudizio in nome 
e per conto del Dicastero. 

Per tali considerazioni, si ritiene che vi sia carenza di legittimazione ad agire 
dell�Agenzia del Demanio relativamente alla questione in esame. 

Da ultimo, nel documento in commento si legge che �Il Dipartimento delle Politiche 
Fiscali, quale soggetto competente a rappresentare in giudizio il MEF per i ricorsi vertenti 
in materia di propriet� immobiliare, assunto quanto sopra posto e considerato, prende atto 
del conferimento del suddetto incarico all�Agenzia del Demanio�. 

Al riguardo, si ricorda che dopo la riforma del D.Lgs. n. 300/1999, le funzioni previste 
dalla legge in materia di patrimonio dello Stato sono state sottratte all�area funzionale delle 
politiche fiscali (che mantiene funzioni in materia di demanio) e conferite all�area politiche 
economiche e finanziarie (Dipartimento del Tesoro). 

Quindi, per i ricorsi vertenti in materia di propriet� immobiliare non demaniale competente 
a rappresentare in giudizio il MEF � il Dipartimento del Tesoro�. 

A.G.S. � Circolare 9 agosto 2007 n. 35, prot. 88408 � Comunicazione di servizio 9 agosto 
2007 n. 93, prot. 88411. 
Legittimazione nelle cause relative ai beni immobili dello Stato). 

Gi� pubblicata in questa Rassegna, 2007, n.2, 221. 

Relazione per il Comitato consultivo � Roma, 9 gennaio 2008. 

�Nella riunione del Comitato Consultivo tenutasi il 20 luglio 2007 si affront� il problema 
della legittimazione processuale nelle cause che coinvolgono direttamente la propriet� 
degli immobili dello Stato (rivendiche, accertamenti d�usucapione e simili); si trattava di 
valutare le posizioni dell�Agenzia del Demanio, che sosteneva essere la legittimazione del 
solo Ministero dell�Economia e delle Finanze, e di quest�ultimo, il quale affermava che 
l�Agenzia sarebbe subentrata in ogni funzione e competenza relative a qualsiasi vicenda 
riguardante gli immobili dello Stato. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Si ricordava, nella relazione che fu all�epoca predisposta (all. 1), che con parere ribadito 
in data 18 maggio 2007 questa Avvocatura Generale aveva optato per l�interpretazione 
dell�Agenzia; la resistenza opposta dal M.E.F. aveva reso opportuno indire, presso 
l�Avvocatura, apposita riunione cui avevano partecipato qualificati rappresentanti delle 
Amministrazioni coinvolte (M.E.F., Demanio, Territorio); erano stati acquisiti documenti 
riassuntivi delle diverse posizioni, quello del M.E.F. � Dipartimento Politiche Fiscali, del 

M.E.F. � Dipartimento del Tesoro e dell�Agenzia del Demanio; in precedenza era gi� stato 
acquisito l�avviso della Ragioneria Generale dello Stato. 
Il parere del Comitato Consultivo venne recepito nella circolare dell�Avvocatura 
Generale n. 35/07 in data 9 agosto 2007 (all. 2) con la quale venne indicata �una linea operativa 
unitaria� secondo cui, tra l�altro, nelle azioni reali relative alla propriet� dell�immobile 
e comunque in ogni vicenda in cui si tratti �di acquistare o di perdere o di modificare o 
di limitare la propriet� di un bene l�Avvocatura si costituir� in giudizio per entrambi gli Enti 
(il M.E.F. e il Demanio) ... a prescindere dall�individuazione del convenuto, tra i due predetti, 
fatta dall�attore e si eviter� qualsiasi eccezione di difetto di legittimazione�. 

L�Agenzia del Demanio ha recentemente segnalato che nell�attuazione della predetta 
direttiva alcune Avvocature Distrettuali sono solite costituirsi con due separati atti; segnala 
inoltre che la ricordata direttiva � stata da alcune Avvocature interpretata nel senso che la 
costituzione in giudizio dell�Agenzia debba avvenire anche quando controparte non abbia 
notificato l�atto introduttivo alla medesima n� in altro modo l�abbia chiamata in giudizio; 
l�Agenzia richiama in proposito l�art. 9 della vigente Convenzione (all. 3). 

Propongo al Comitato Consultivo di esprimere parere favorevole ad una integrazione 
della precedente direttiva del 9 agosto 2007 nel senso che: a) quando si opera la costituzione 
per entrambi gli Enti (M.E.F. e Agenzia del Demanio) l�atto deve essere unico ed unitario; 
b) la costituzione in giudizio dell�Agenzia postula la notifica alla medesima dell�atto 
introduttivo o della chiamata in causa, a prescindere dalla domanda formulata dalla parte. 
L�allegato 4 contiene un possibile schema di direttiva, nella forma della circolare. 

Avv. A. Palatiello� 

A.G.S. � Circolare 14 febbraio 2008 n. 12, prot. 21243 � Comunicazione di servizio 14 
febbraio 2008 n. 22, prot. 21250. 
Legittimazione nelle cause relative ai beni immobili dello Stato. Disposizioni integrative. 

�L�Agenzia del Demanio ha segnalato che nelle cause promosse contro il Ministero 
dell�Economia e delle Finanze in litisconsorzio con l�Agenzia alcune Avvocature 
Distrettuali sono solite costituirsi in giudizio con due separati atti. Tale prassi non pu� essere 
approvata non solo perch� essa si risolve in un maggior costo amministrativo, ma anche 
perch� appare in contraddizione con il presupposto logico che giustifica l�assunzione del 
patrocinio di entrambi i soggetti convenuti e cio� l�assoluta mancanza di conflitto di interessi 
tra i medesimi: appare infatti evidente che la redazione di separati atti fa apparire, almeno 
nella forma, una non coincidenza di posizioni sostanziali. 

Colgo l�occasione per richiamare la norma di cui all�art. 9 della vigente convenzione 
con l�Agenzia del Demanio, giusta la quale �l�Avvocatura d� notizia ... (all�Agenzia) anche 
delle controversie proposte soltanto nei confronti del Ministero dell�Economia e delle 
Finanze e relative ai beni gestiti dall�Agenzia � L�Avvocatura evita di chiamare l�Agenzia 
a partecipare alle predette controversie, quando non � ravvisabile una legittimazione della 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

stessa a parteciparvi ...�. Anche in esecuzione della convenzione sono state impartite le istruzioni 
di cui alla mia Circolare n. 35/07 e coeva Comunicazione di servizio n. 93/07, e dunque 
in coerenza con la medesima esse vanno intese: in particolare, il punto 2) di pag. 3, dove 
si dispone che nelle azioni relative a vicende �in cui si tratti di �acquistare� o di �perdere� 

o di �modificare� o di �limitare� la propriet� di un bene l�Avvocatura si costituir� in giudizio 
per entrambi gli Enti (il M.E.F. e il Demanio)... a prescindere dall�individuazione del 
convenuto, fra i due predetti, fatta dall�attore�, deve intendersi riferito al caso in cui entrambi 
gli Enti siano stati citati in giudizio, a prescindere dalle domande in concreto proposte dall�attore 
(in relazione alle quali si individua, appunto, il convenuto). 
Non v�� ragione di costituirsi per l�Agenzia del Demanio, e dunque di determinare una sorta 
di spontaneo intervento in causa dell�Ente, quando l�attore non abbia proposto nei confronti di 
questo l�atto introduttivo del giudizio e quando, non trattandosi di vicende relative alla �gestione�, 
�non � ravvisabile una legittimazione della stessa (Agenzia) a parteciparvi� (art. 9 cit.). 

Nelle cause di cui al punto 2 di pag. 3 delle ricordate istruzioni la costituzione del 

M.E.F. avverr�, coerentemente, in quanto vero legittimato, anche quando sia stata citata in 
giudizio soltanto l�Agenzia. 
L�Avvocato Generale Oscar Fiumara�. 

5. L�ENTE � ORGANO E IL SIGNIFICATO DEL PATROCINIO 
A) PARERI DELL�AVVOCATURA ; B) UNA RECENTE SENTENZA DI UN GIUDICE DI MERITO. 
L�ENTE ORGANO 

a.1) A.G.S. � Parere 27 settembre 2002 

Rappresentanza e difesa dell�Istituto Superiore di Sanit� (consultivo 12401/02, avvocato 
A. Palatiello). 

�(Omissis) codesto Istituto espone di aver ricevuto, per effetto del regolamento adottato 
con d.P.R. 20 gennaio 2001, n. 70, una profonda trasformazione della propria struttura, 
tale da aver determinato una radicale modifica della stessa natura giuridica; l�istituto sarebbe, 
cos�, divenuto ente pubblico da �organo tecnico� dello Stato, sicch� dovrebbe ritenersi 
venuto meno il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. Sulla base di tale premessa, codesto 
Istituto manifesta comprensibile preoccupazione per la sorte dei giudizi in corso e di quelli 
da promuovere, e dunque chiede alla Scrivente di valutare se non sia il caso di far dichiarare 
l�interruzione dei primi (quando, si intende, le norme processuali consentano tale rimedio), 
e di adottare le opportune misure non escluso il promuovimento del d.p.c.m., di cui 
all�art. 43 del R.D. n. 1611/1933, di autorizzazione al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato 
ad evitare eccezioni di nullit� per difetto di ius postulandi degli atti processuali futuri (rectius, 
di quelli adottati dopo l�entrata in vigore del d.P.R. n. 70/01 cit.). (omissis). 

Il Regolamento � stato, infine, adottato con d.P.R. 20 gennaio 2001, n. 70, che, 
all�art. 1 c. 1 definisce l�Istituto quale �ente di diritto pubblico, dotato di autonomia scientifica, 
organizzativa, amministrativa e contabile�; e al c. 2 quale �organo tecnico scientifico 
del servizio sanitario nazionale�sottoposto alla vigilanza del Ministro della Sanit��. Non � 
il caso di verificare se la qualificazione dell�Istituto quale �ente di diritto pubblico� trovi 
conferma nel contesto del Regolamento e se sia coerente con le indicazioni della legge (il 
D.Lgs. n. 419/99 non parla di conferimento di personalit� giuridica, e peraltro il legislatore 
delegante voleva ridurre, e non ampliare, il numero degli enti; di ci� il legislatore delegato 


TEMI ISTITUZIONALI 

� ben consapevole: sul punto si vedano le considerazioni del Consiglio di Stato nel parere 
del 29 dicembre 2000, n. 333, qui trasmesso): invero, anche una persona giuridica pu� essere 
organo dello Stato e dunque, per quanto interessa, rientrare nel novero dei soggetti affidati 
al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ex art. 1 R.D. n. 1611/1933. 

Dunque il problema non � tanto quello di stabilire se l�I.S.S. sia davvero � ed eventualmente 
in che limiti � una persona giuridica pubblica, ma, ben diversamente, ai fini del patrocinio 
di questa Avvocatura, occorre verificare se esso continui ad essere un organo dello 
Stato. La risposta affermativa discende dalla considerazione degli elementi sintomatici rilevanti 
ai fini dell�indagine (gi� altre volte eseguita da questa Avvocatura Generale: ad esempio 
con riguardo alla Cassa Integrativa di Previdenza del Personale Telefonico Statale, o al 
Fondo Finanzieri, o alle Autorit� di Bacino; e pi� di recente a proposito dell�AIMA, con 
parere 15 luglio 2002, n. 13891, e delle Agenzie Fiscali, con parere recepito dalla P.C.M. di 
cui alla nota 9 luglio 2002, n. 72570; cfr. anche Cass. n. 1531/89: vicende di enti pubblici 
pur sempre organi dello Stato, e dunque amministrazioni statali autonome ai fini dell�art. 1 

R.D. n. 1611/1933). 
Tali elementi sintomatici sono: 1) i fini istituzionali dell�ente; 2) il sistema di provvista 
degli organi; 3) il sistema della contabilit� e dei finanziamenti. Riguardo ai fini, essi coincidono 
esattamente con quelli dello Stato: la tutela della salute, oggi attraverso il coordinamento 
e il raccordo con gli enti locali, per il tramite del Servizio Sanitario Nazionale, del 
quale ultimo, come ricordato, l�Istituto continua ad essere �organo tecnico-scientifico�, � 
uno dei compiti propri dello Stato, addirittura di rilevanza costituzionale (art. 32 e 38 Cost.); 
si noti in proposito che l�art. 117 Cost., anche prima della Novella di cui alla legge cost. 18 
ottobre 2001, n. 3, assegnava allo Stato il compito di dettare i principi fondamentali in tema, 
tra l�altro, di assistenza sanitaria e ospedaliera; dopo la Novella, detta norma attribuisce allo 
Stato la legislazione esclusiva per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni 
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale 
(lett. m) nonch� per la tutela dell�ambiente e per l�ecosistema (lett. s): valori la cui tutela pur 
rientra nelle attribuzioni dell�Istituto; la tutela della salute � oggi elencata tra le materie di 
legislazione concorrente, ferma per� la competenza dello Stato ad indicare i �principi fondamentali�. 


Il responsabile di vertice del sistema organizzativo che trova riferimento nel S.S.N. � il 
Ministro della Sanit�; � dunque logico che l�Istituto sia sottoposto alla vigilanza del Ministro 
(si noti, non del Ministero); � infatti il Ministro che indica gli obiettivi generali dell�azione. 
Le �funzioni istituzionali� indicate nell�art. 2 confermano la vocazione di organo di coordinamento 
generale e di controllo dell�Istituto, cos� in perfetta sintonia con i fini istituzionali 
dello Stato. In quanto al sistema di provvista degli organi va osservato che il Presidente � 
nominato con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del 
Ministro della Sanit� (art. 5); nel Consiglio di amministrazione, che � nominato dal 
Ministro, quattro membri su otto sono di designazione statale, (e dunque la provenienza statale 
� in maggioranza: il presidente, come si � visto, � nominato con d.P.R.) (art. 6); il direttore 
generale � pure di nomina statale (art. 8); anche nel Comitato Scientifico, che � di nomina 
statale, la maggioranza � direttamente o indirettamente di designazione statale (art. 9); i 
revisori dei conti sono tutti di nomina e designazione statale (art. 11). 

Il sistema di contabilit� e di bilancio, infine, trova una penetrante ingerenza dello 
Stato, cui vanno trasmessi i bilanci preventivi e consuntivi, le relazioni del collegio dei revisori 
ed una relazione annuale dell�attivit� svolta (art. 15); lo Stato, inoltre, contribuisce direttamente 
e indirettamente alla provvista dei mezzi finanziari (art. 17). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In conclusione, al momento, non pu� che confermarsi che l�Istituto Superiore di Sanit�, 
quale organo dell�Amministrazione statale ad ordinamento autonomo, pur se personificato, 
usufruisce del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato a norma dell�art. 1 del R.D. n. 
1611/1933; del che sarebbe bene dare atto, per opportuna chiarezza, in uno dei regolamenti 
previsti dall�art. 13 del d.P.R. n. 70/01�. 

IL PATROCINIO ORGANICO ED ESCLUSIVO 

a.2) A.G.S. � Parere 9 agosto 2000 (avvocato G. D�Avanzo). 

�Il T.U. 31 agosto 1933 n. 1592 delle leggi sulla istruzione superiore, dopo aver disposto 
all�art. 1 comma terzo �le Universit� ... hanno personalit� giuridica e autonomia amministrativa, 
didattica e disciplinare, nei limiti stabiliti dal presente testo unico� e all�art. 44 �ogni 
Universit� ... ha un regolamento interno nel quale sono contenute le norme relative al funzionamento 
amministrativo, contabile ed interno...�, all�art. 56 comma primo recita �le Universit�... 
possono essere rappresentate e difese dall�Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi... 
semprech� non trattasi di contestazioni contro lo Stato�. Quest�ultima disposizione si 
salda con l�art. 43 del T.U. 30 ottobre 1933 n. 1611 delle leggi nella rappresentanza e difesa delle 
amministrazioni nei giudizi; articolo al quale l�art. 11 della legge 3 aprile 1979 n. 103 ha aggiunto 
tre commi il primo dei quali dispone �qualora sia intervenuta (per legge o per regolamento o 
per d.P.C.M.) di cui al primo comma la rappresentanza e la difesa nei giudizi (delle amministrazioni 
non statali o di enti sovvenzionati)... sono assunte dall�Avvocatura dello Stato in via organica 
ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni�. 

In concreto, il coordinato operare delle disposizioni di leggi sin qui menzionate ha assimilato 
(anche) le Universit� alle Amministrazioni dello Stato, quanto sia al patrocinio ed alla 
consulenza legale sia alle speciali norme processuali intrinsecamente connesse al patrocinio 
ad opera dell�Avvocatura dello Stato. � appena il caso di rammentare che tali norme processuali 
concernono l�esonero dall�onere di specifico �mandato� (alias, procura) ed anche dall�onere 
di specifica deliberazione di conferimento del �mandato�, il luogo delle notificazioni 
dei ricorsi e delle citazioni nonch� delle sentenze (ad esempio, sono state dai Giudici ritenute 
invalide o inefficaci notificazioni ad Universit� eseguite non presso la competente 
Avvocatura), il rilascio d�ufficio di copia di ogni sentenza, e � seppur con qualche dubb�o � 
il �foro della pubblica amministrazione (art. 25 c.p.c.). 

La disciplina in argomento � stata cos� efficacemente sintetizzata nel parere Cons. Stato 
II n. 2025 del 29 ottobre 1986: 

�L�art. 56 del Testo unico delle leggi sull�istruzione superiore, approvato con r.d. 31 
agosto 1933 n. 1592, prevede che le Universit� e gli Istituti superiori possono essere rappresentati 
e difesi in giudizio dall�Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti l�autorit� 
giudiziaria i collegi arbitrali e le giurisdizioni amministrative. 

Da tale disposizione, correlata con quella contenuta nell�art. 43 del t.u. 30 ottobre 1933 

n. 1611, sulla rappresentanza in giudizio dello Stato e sull�ordinamento dell�Avvocatura 
dello Stato, integrato dall�art. 11 legge 3 aprile 1979 n. 103, deriva che la rappresentanza e 
la difesa in giudizio delle Universit� vengono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via 
organica ed esclusiva, salva l�ipolesi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni. 
A parte quest�ultima ipotesi, ove le amministrazioni degli Atenei ritengano, in casi speciali, 
di non avvalersi della Avvocatura, debbono adottare apposita, motivata delibera da sottoporre 
agli organi di vigilanza. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Le citate disposizioni, che hanno tratto alla rappresentanza, al patrocinio e all�assistenza 
in giudizio, comportano � com�� ben rilevato dall�Amministrazione riferente � che le 
Universit� hanno il potere-dovere di avvalersi dell�Avvocatura dello Stato, cui spetta istituzionalmente 
di prestare la propria opera nei loro confronti, tant�� che solo eccezionalmente 
� prevista la possibilit� del ricorso ad avvocati del libero Foro. 

Per quanto concerne le prestazioni di consulenza legale, l�art. 47 del T.U. n. 1611 del 
1933, attribuisce all�Avvocatura dello Stato l�ulteriore compito di dare pareri, ove ne venga 
richiesta, agli enti dei quali assume la rappresentanza e difesa in giudizio�. 

Nello stesso senso la Corte dei Conti nella deliberazione n. 1432 del 6 aprile 1984, ove 

� tra l�altro � si legge: �Al secondo quesito (se, nelle materie rientranti nella loro sfera di 
autonomia amministrativa, le Universit� siano ugualmente obbligate a tale patrocinio e se in 
dette materie permanga la necessit� della deliberazione a stare in giudizio) � tenuto anche 
conto del nuovo testo dell�art. 43 del citato r.d. n. 1611 del 1933 (quale risulta dalle aggiunte 
introdottevi con l�art. 11 della legge n. 103 del 1979), che ha inteso conferire carattere di 
organicit� e di esclusivit� al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato per quanto attiene alla 
difesa in giudizio degli enti pubblici, pur senza parificarlo in modo assoluto a quello dello 
Stato � questa Sezione ritiene invece che possa rispondersi affermativamente entro i limiti 
di applicazione della norma stessa, che ha rigorosamente condizionato la discrezionalit� 
spettante agli enti predetti, autorizzati a farsi rappresentare e difendere dall�organo legale 
dello Stato, circa la facolt� di scelta di un diverso patrocinio con il ricorso ad avvocati del 
libero foro; condizione nella specie concretatesi nell�adozione di �apposita motivata delibera� 
dalla quale si desumano le ragioni che abbiano indotto l�ente interessato a non avvalersi 
dell�Avvocatura medesima. � appena il caso di aggiungere che i principi innanzi ricordati, 
sanciti in via generale per tutti gli enti pubblici dalla citata legge n. 103 del 1979, sono 
applicabili anche nei confronti delle Universit� e degli Istituti di istruzione universitaria, per 
i quali anzi, ancora prima della emanazione della legge stessa, essi si potevano rinvenire nell�ordinamento 
vigente sulla base delle considerazioni di cui alla menzionata sentenza n. 
2546/75 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione�. 
� poi sopravvenuta la legge 9 maggio 1989 n. 168 che all�art. 6, con esplicito riferimento 
all�art. 33 Cost. (�le istituzioni di alta cultura, universit� ed accademie, hanno il diritto 
di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato�) ha sottolineato 
la �autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile� delle Universit� 
(comma 1), ad esse confermando la potest� di darsi �propri statuti e regolamenti�; tra questi 
ultimi i �regolamenti di ateneo� (commi 6 e seguenti), menzionati anche nel successivo 
art. 7 dedicato alla �autonomia finanziaria e contabile�. L�ultimo comma di questo art. 7 
recita, al secondo periodo, �per ciascuna universit�, con l�emanazione del regolamento di 
ateneo, cessano di avere efficaci4 le disposizioni legislative e regolamentari con lo stesso 
incompatibili�. 

Sono seguiti il D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, che all�art. 1 comma secondo include le 
Universit� tra le �amministrazioni pubbliche�, e l�acceleratorio art. 6 del d.l. 21 aprile 1995 

n. 120, convertito nella legge 21 giugno 1995 n. 236. Comunque, anche recentemente la 
Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento giurisprudenziale nel senso del 
carattere �obbligatorio� del patrocinio delle Universit� da parte dell�Avvocatura dello Stato 
(Cass., lav., 27 novembre 1999 n. 13292). Nello stesso senso VINGIANI e SANTORO, 
L�ordinamento universitario, appendice 1999, n. 379: 
�L�autonomia delle Universit� sussiste �nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato� e 
dalla legge n. 168 non sembra possa desumersi un�abrogazione implicita di quanto statuito 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dal T.U. n. 1611 del 30 ottobre 1933 e dal R.D. n. 779 dell�8 giugno 1940 per quanto concerne 
le Universit��. 

Nel corso degli ultimi dodici mesi � emerso che, mentre molte Universit� non hanno 
prodotto disposizioni statutarie o regolamentari in tema di patrocinio e consulenza legale 
implicitamente rinviando alle leggi dello Stato od hanno prodotto disposizioni che non si 
discostano sensibilmente da tali leggi (ad esempio, l�art. 105 del regolamento di ateneo 
dell�Universit� di Torino recita �Nei giudizi attivi e passivi avanti l�autorit� giudiziaria, i 
collegi arbitrali e le giurisdizioni amministrative speciali, sempre che non si tratti di contestazioni 
contro lo Stato, l�Universit� � rappresentata e difesa dall�Avvocatura dello Stato. 
L�Universit�, sulla base di motivata delibera adottata dall�Organo competente, pu� conferire 
specifico mandato di rappresentanza e difesa ad avvocati del libero foro�), alcune 
Universit� hanno ritenuto di poter produrre disposizioni non coerenti con la ricordata disciplina 
legislativa. Cos�, ad esempio, l�Universit� G. D�Annunzio di Chieti nell�art. 53 del suo 
Statuto ha scritto �il Consiglio di amministrazione pu� deliberare l�affidamento ad un difensore 
libero professionista della rappresentanza e difesa in giudizio dall�Universit��; e ancora 
ad esempio, l�Universit� la Sapienza di Roma nell�art. 2 punto 6 del suo Statuto si � riservata 
di stabilire �in base a valutazioni discrezionali di opportunit� e convenienza se avvalersi 
del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato ovvero di professionisti del libero foro�. 

Sul piano applicativo, si � in qualche raro episodio rilevato che l�affidamento del patrocinio 
a legali del libero foro � stato di fatto deciso monocraticamente. In un paio di episodi 
dinanzi a Giudici amministrativi sono comparsi all�udienza per patrocinare l�Universit� 
Federico II di Napoli nella stessa controversia l�avvocato dello Stato ed anche un avvocato 
del libero foro munito di procura conferita senza tempestiva comunicazione all�Avvocatura 
dello Stato. 

Questa Avvocatura generale ha ben presente la tendenza a valorizzare tutte le autonomie 
nella pi� larga estensione, e � fra esse � l�autonomia delle Universit�, la quale peraltro 
� strumentale alla libert� della scienza e dell�insegnamento. Occorre per� considerare anche 
le esigenze funzionali ed organizzative dell�Avvocatura dello Stato, e il valore della �certezza� 
del diritto processuale per coloro che agiscono in giudizio contro le Universit�; esigenze 
e valore � questi � che non possono essere sottordinati ad opzioni essenzialmente amministrative 
di qualche singolo apparato universitario. � palese quindi la necessit� di mantenere 
uniformit� di disciplina nell�ambito processuale. 

A questo proposito, reputa la Scrivente che statuti e regolamenti prodotti dalle 
Universit� non possono privare di efficacia disposizioni legislative aventi anche seppur indiretta 
rilevanza processuale, anzi non possono recare norme derogatorie di dette disposizioni. 
L�art. 7 ult. comma citato riguarda soltanto il regolamento di ateneo, non anche lo statuto; 
e detto regolamento � rivolto a disciplinare l�amministrazione la finanza e la contabilit� 
dell�Universit� (argomenti questi diversi dalla didattica e dalla ricerca), non anche i processi 
giurisdizionali nei quali l�Universit� assume la veste di parte. 

N� pu� �a priori� escludersi l�eventualit� che l�apertura al patrocinio ad opera di legali 
del libero foro sia utilizzata per veicolare interpretazioni alternative a quelle seguite 
dall�Avvocatura dello Stato nella sua funzione nomofilattica. 

D�altro canto, appare non agevole distinguere le controversie riguardanti esclusivamente 
il soggetto autonomo Universit� da altre controversie nelle quali a tale soggetto sono 
affidati interessi pi� generali. L�art. 49 dello statuto dell�Universit� di Padova ha cercato di 
distinguere le �cause attinenti alla propria attivit� negoziale di ente autonomo ed a quella 
(parrebbe, attivit� negoziale) di ente delegato�, affidabili a legali del libero foro, dalle altre; 


TEMI ISTITUZIONALI 

(analogamente il Politecnico di Bari all�art. 58 del suo statuto); e per� la distinzione, alias 
il �ritaglio�, presenta margini di incertezza e comunque non considera le possibili complicazioni 
processuali. 

Sembra doveroso segnalare quanto precede a codesta Presidenza del Consiglio dei 
Ministri ed a codesto Ministero, affinch� esaminino la opportunit� di assumere iniziative 
volte a tracciare in modo pi� netto il limite dell�autonomia amministrativa e contabile delle 
Universit�, le quali � giova rammentarlo � sono sottoposte a controllo successivo della 
Corte di Conti e sono sovvenzionate dallo Stato. Ad avviso di questa Avvocatura, la rappresentanza 
e difesa in giudizio delle Universit� statali spetta tuttora �ope legis�, quando non 
sussista conflitto con lo Stato o con le Regioni, all�Avvocatura dello Stato e solo eccezionalmente 
pu� essere affidata ad un difensore del libero foro, in forza di specifica delibera del 
Consiglio di amministrazione dell�Universit�; e non paiono consentite disposizioni statutarie 
o regolamentari in argomento specie allorquando esse si discostino sostanzialmente dalle 
leggi dello Stato. (Omissis)�. 

a.3) A.G.S. � Parere 4 maggio 1994 prot. 53200 (avvocato A. Palatiello). 

�(�) codesta Avvocatura esprime l�avviso che il patrocinio dell�Ente Poste, da parte 
dell�Avvocatura dello Stato, non abbia natura �obbligatoria ed organica�, in quanto l�art. 10, 
2� comma, d.l. 1� dicembre 1993, n. 487, convertito con legge 29 gennaio 1994, n. 71, 
avrebbe introdotto un�ipotesi di patrocinio facoltativo, in virt� del quale sarebbe necessaria 
�un�esplicita determinazione dell�Ente di costituirsi in giudizio, affidando l�incarico della 
difesa giudiziale all�Avvocatura dello Stato� sia pure �con valore di mero atto interno�. 

La cennata lettura della norma diverge in modo sostanziale da quella fornita con la circolare 
della Scrivente in data 17 febbraio 1993, n. 2812, dove, attraverso l�espresso richiamo 
all�art. 43 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, come modificato dall�art. 11 legge 3 aprile 
1979, n. 103, la �possibilit�� dell�Ente di avvalersi dell�Avvocatura dello Stato � ricondotta 
nel sistema del patrocinio facoltativo�, come delineato dal cennato art. 11: la rappresentanza 
e la difesa degli enti �autorizzati� sono, invero, �assunte dall�Avvocatura dello Stato in 
via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le 
Regioni�; aggiunge la norma che �salva l�ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed 
enti intendano in casi speciali non avvalersi dell�Avvocatura dello Stato, debbono adottare 
apposita motivata delibera��. 

� noto che la disposizione costituisce la codificazione di un principio da sempre sostenuto 
dall�Avvocatura e gi� affermato dalla giurisprudenza (ad es.: Cass. S.U. 24 febbraio 
1975, n. 700, in Rass. Avv. St. 1975, I, 696; id. 5 luglio 1983, n. 4512, ivi 1983 I, 699, con 
specifico riguardo alla legge n. 103/79): il patrocinio facoltativo non � altro che un patrocinio 
esclusivo, derogabile nelle sole ipotesi previste (�conflitto�; �casi speciali�, con il procedimento 
della �motivata delibera�), oltre le quali non � legittimo che l�Ente provveda alla 
propria difesa al di fuori del cennato rapporto organico. L��esistenza ipso iure tra ente pubblico 
e Avvocatura dello Stato� (Cass. S.U. n. 4512/83 cit.) di tale rapporto rende superflua 
qualsiasi �determinazione di conferimento�, sia pure a soli fini interni: nasce, infatti, dalla 
legge, e non dalla �determinazione� dell�ente, il potere � dovere dell�Avvocatura di provvedere 
a quanto di propria competenza. 

Si allegano tre recenti pareri in argomento resi da questa Avvocatura Generale (15 
marzo 1991, n.22108; 13 dicembre 1991, n.106664; 21 luglio 1992, n.77201) per opportuna 
conoscenza e norma (omissis)�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

b) Tribunale di Catanzaro, sezione seconda civile, sentenza 7 gennaio 2008 � Giud. B. 

Arcuri - V.Z. (Avv. G. Spadafora) c/ Ufficio del Commissario Delegato per l�Emer


genza Ambientale (Avv. dello Stato A. Mezzotero). 

L�Ufficio del Commissario delegato per l�emergenza ambientale nel territorio della 
Regione Calabria � organo dello Stato, con le conseguenze che ne derivano anche in ordine 
al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato a norma dell�art. 1 R.D. 30 ottobre 1933, 
n.1611. Infatti lo Stato � l�unico soggetto cui pu� essere riconosciuta la titolarit� della 
gestione dell�emergenza, e dunque il Commissario � longa manus del Governo. 

� radicalmente nullo il contratto con il quale si affida il patrocinio di un organo statale 
ad un avvocato esterno e la prestazione cos� eseguita non d� titolo a compenso alcuno, 
neppure sotto il profilo dell�arricchimento. 

�(omissis) Motivi della decisione 

L�esame delle diverse questioni giuridiche, sottese alla controversia, deve essere condotto 
secondo un rigoroso ordine logico, atteso che le stesse parti in causa concludono in 
modo gradato in ragione della soluzione data in itinere ai molteplici punti controversi. 
Occorre muovere, in primis, dalla natura giuridica da riconoscere al Commissario delegato 
per l�emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria al fine di ritenere o meno 
applicabile alla fattispecie il patrocinio obbligatorio della difesa erariale, giusta il r.d. 30 
ottobre 1933 n. 1611. Data, a monte, soluzione al quesito in parola, � necessario, a valle, 
registrarne le conseguenze, con specifico riguardo ai mandati difensivi conferiti all�Avv. Z. 
Risolte, in via ermeneutica, le quaestiones juris sopraccitate, si rende necessario rinvenire o 
meno il titolo giuridico cui ricollegare il diritto dell�attore alle somme richieste a copertura 
dell�attivit� professionale svolta. 

1. Le parti in causa pervengono a conclusioni differenti in merito alla natura giuridica 
dell�Ufficio del Commissario delegato per l�emergenza ambientale nel territorio della 
Regione Calabria: per l�attore, questo sarebbe organo straordinario della Regione che si 
sostituisce alle amministrazioni locali (ufficio estraneo, pertanto, all�orbita del Regio decreto 
n. 1611 del 1933); per la difesa erariale, al contrario, si tratterebbe di un organo statale, 
vincolato, pertanto, al patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato. 
Reputa questo giudice che la tesi della convenuta sia da condividere. L�avvenuta 
dichiarazione della situazione di emergenza, ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, 
costituisce l�elemento caratterizzante la fattispecie in esame, da cui non pu� prescindersi al 
fine di pervenire ad una soluzione che si riveli confacente al dato normativo ed alla ratio 
legis sottesa alla disciplina di cui si discute. 

Ed, in tal senso, deve rilevarsi che, nell�alveo dei principi fondamentali, posti dall�art. 
5 cit., si inscrive la specifica competenza dello Stato a disciplinare gli eventi di natura straordinaria 
di cui all�art. 2, comma 1, lettera c) di tale legge, che si sostanzia nel potere di deliberare 
e revocare lo stato di emergenza, determinandone la durata e l�estensione territoriale 
in stretto riferimento alla qualit� ed alla natura degli eventi (cos�, Corte cost., 14 luglio 2006, 

n. 284): e siffatto potere pu� essere esercitato anche �mediante l�adozione di ordinanze da 
parte di Commissari delegati, in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi 
generali dell�ordinamento giuridico� (Corte cost., 3 marzo 2006, n. 82). Il che vuol dire 
che il Commissario delegato agisce nella veste di organo a connotazione �statale�, essendo 
lo Stato l�unico soggetto cui pu� essere riconosciuta la titolarit� della �gestione dello stato 
di emergenza�. Da ci� discende che, i Commissari delegati sono da qualificare alla stregua 

TEMI ISTITUZIONALI 

di �organi che operano come longa manus del Governo� (Corte costituzionale, sentenza 26 
giugno 2007) e discende, altres�, che indipendentemente dal loro (pi� o meno delimitato) 
ambito territoriale di efficacia, i provvedimenti posti in essere dai commissari stessi sono 
atti dell�amministrazione centrale dello Stato finalizzati a soddisfare interessi che trascendono 
quelli delle comunit� locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, e ci� in 
ragione tanto della rilevanza delle stesse, quanto della straordinariet� dei poteri necessari per 
farvi fronte (chiarissima, al riguardo, la recentissima sentenza gi� cit.: Corte costituzionale, 
26 giugno 2007, n. 237). Se � vero, infatti, che costituisce una precipua competenza del 
Governo � come ribadito dalla Consulta nella sentenza n. 284 del 2006 � quella di �disciplinare 
gli eventi di natura straordinaria di cui al citato art. 2, comma 1, lettera c)�, decisiva 
appare la constatazione �che tali funzioni hanno rilievo nazionale, data la sussistenza di 
esigenze di unitariet�, coordinamento e direzione�. Ed, invero, ci� che sembra disconoscere 
la difesa di parte attrice � proprio lo specifico terreno sui generis in cui si innesta l�investitura 
del Commissario delegato e, cio�, lo �stato di emergenza�, che rende necessario l�uso 
di un potere straordinario, di tipo anche gestionale, da poter riconoscere solo allo Stato quale 
autorit� centrale: ci� vuol dire � senza trascurare gli addentellati offerti dalla giurisprudenza 
costituzionale � che non pu� essere condivisa la tesi secondo la quale vi sarebbe un �trasferimento� 
dei poteri emergenziali dovendosi ritenere fermo che la funzione in esame non 
tollera altro titolare se non lo Stato. Ne consegue che la �delega� non involge (ne potrebbe 
involgere) la titolarit� dei poteri de quibus ma solo il loro esercizio a fronte della necessit� 
di utilizzare Uffici territorialmente localizzati. 

Da quanto precede, � doveroso rilevare che il Commissario delegato per l�emergenza 
ambientale nel territorio della Regione Calabria � �organo dello Stato centrale, nella situazioni 
di emergenza�: approdo ermeneutico costantemente ribadito anche dalla pi� recente 
giurisprudenza (in tal senso, afferma, ad es., T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 1 marzo 
2006, n. 236, che �il Commissario Delegato, bench� costituito presso l�Ufficio di Presidenza 
della Regione Calabria, ha veste di organo straordinario della Presidenza del Consiglio dei 
Ministri (Dipartimento della Protezione Civile) di cui si avvale il competente apparato statale 
per lo svolgimento dei compiti attribuiti dalla legge n. 225 del 1992 in materia di protezione 
civile). Merita adesione, pi� in particolare, la ricostruzione dei rapporti tra 
Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissario delegato, in termini di amministrazione 
indiretta (o per taluni, cd. avvalimento, termine, tuttavia, in senso proprio, pi� confacente 
al settore degli appalti pubblici) poich� si verifica che una Amministrazione dello Stato si 
avvale, per la cura di interessi nazionali (nell�esercizio dei poteri emergenziali), di uffici 
regionali e locali, d�intesa con gli enti interessati con la peculiarit� di conservare, tuttavia, 
la piena titolarit� della funzione (e del potere) esercitato. L�ufficio commissariale si atteggia, 
allora, ad organo �straordinario� di cui il Dipartimento della Protezione Civile si avvale 
per fronteggiare lo stato di emergenza (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 28 aprile 2004, 

n. 2576 in Foro Amm. C.d.S., 2004, 1109). Ad ogni modo, anche non aderendo precipuamente 
al modulo organizzativo dell�amministrazione indiretta, l�Ufficio del Commissario 
delegato ha senz�altro natura �statale�, in quanto longa manus del Governo, conclusione cui 
da ultimo si perviene a seguito della autorevole lettura ermeneutica fornita dalla Corte delle 
Leggi (Corte cost. 237/07 pi� volte citata). N� confuta l�assunto l�eccezione attorea afferente 
al procedimento di nomina che, secondo la tesi difensiva di parte attrice, dovrebbe essere 
quello di cui all�art. 11 legge 400/1988: ed, infatti, nel settore delle emergenze ambientali 
(ma anche in caso di calamit� naturali, terremoti, alluvioni), l�attore principale � il 
Dipartimento di Protezione civile. Da qui parte la proposta per la dichiarazione dello stato 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

d�emergenza e per la nomina del commissario, anche se spetta al Consiglio dei ministri emanare 
il decreto. Lo strumento di attuazione � l�ordinanza di protezione civile in cui vengono 
indicati i compiti del commissario delegato e le risorse finanziarie necessarie, che sono stanziate 
ad hoc oppure reperite presso i Ministeri e le Regioni coinvolti. L�eccezione, pertanto, 
non ha pregio. Va parimenti disattesa la lettura ermeneutica attorea che equipara, in punto 
di regime legale, lo statuto giuridico delle Universit� a quello dell�ufficio commissariale per 
l�emergenza ambientale (risultando, quindi, inconferente il riferimento alla sentenza SS.UU. 
10700/2006): ed, infatti, per le prime viene negata la qualit� di organi dello Stato, in virt� 
di esplicito riferimento normativo contenuto nella legge 168/1989. 

2. Pu�, dunque, passarsi all�esame della questione immediatamente connessa a quella 
sin qui analizzata: alla luce delle considerazioni svolte, il Commissario Delegato, bench� 
costituito presso l�Ufficio di Presidenza della Regione Calabria, ha veste di organo straordinario 
della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Protezione Civile) di cui 
si avvale il competente apparato statale per lo svolgimento dei compiti attribuiti dalla legge 
n. 225 del 1992 in materia di protezione civile. Ne consegue che trovano piena applicazione 
le norme del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, nonch� delle altre leggi in materia di rappresentanza 
e difesa in giudizio dello Stato, riguardanti il patrocinio dello Stato e la notificazione 
degli atti alle amministrazioni statali (T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. I, 1 marzo 2006, n. 
236). Deve, dunque, in siffatti termini essere risolto il secondo nodo interpretativo oggetto di 
letture diametralmente opposte in seno alle difese delle parti e merita accoglimento l�eccezione 
sollevata dalla difesa erariale. Ai sensi dell�art. 1 del Regio decreto 30 ottobre 1933, n. 
1611, la rappresentanza, il patrocinio e l�assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello 
Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla Avvocatura dello Stato. 
Ed, infatti, nessuna Amministrazione dello Stato pu� richiedere la assistenza di avvocati del 
libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali, inteso il parere dell�Avvocato generale 
dello Stato e secondo norme stabilite dal Consiglio dei ministri (art. 5 r.d. cit.). La necessit� 
del patrocinio e della rappresentanza delle amministrazioni dello Stato da parte 
dell�Avvocatura dello Stato, peraltro, � pacificamente applicabile anche agli organi delegati 
dell�Amministrazione centrale dello Stato (Cass. civ., Sez. I, 12 dicembre 2003, n. 19025). 
Sgombrato il campo, quindi, dalle ipotesi di cd. patrocinio autorizzato o di cd. patrocinio 
facoltativo, ed appurato che, nella fattispecie si versa, senza dubbio, in una ipotesi di cd. 
patrocinio �obbligatorio� occorre interrogarsi sulle conseguenze che discendono dalla violazione 
del precetto in esame, diagnosticandone, prima, la natura giuridica. La disamina, quindi, 
deve snodarsi attraverso le eccezioni della difesa erariale, verificando, prima, l�efficacia 
dei mandati defensionali (su cui si fonda il diritto di credito al compenso professionale) e, in 
caso di validit� degli stessi, superando, allora, lo scoglio concernente la validit� del rapporto 
giuridico sostanziale (che se nullo, travolgerebbe i mandati alle liti a valle, laddove produttivi 
di effetti giuridici). Quanto alle norme in materia di rappresentanza obbligatoria 
dell�Avvocatura dello Stato, afferendo le norme in materia di jus postulandi all�ordine pubblico 
processuale e venendo in rilievo una disposizione legale inderogabile, deve convenirsi 
per la natura imperativa dell�addentellato normativo ex r.d. 1611/1933 che statuisce il patrocinio 
erariale necessario. Ne consegue che difetta del necessario jus postulandi l�avvocato del 
libero foro che rappresenti in giudizio l�Ufficio commissariale delegato per l�emergenza ex 
lege 225/1992, poich� in contrasto con la cd. esclusivit� del patrocinio erariale (definito, in 
tal senso, dalla migliore dottrina come organico, obbligatorio ed esclusivo). 
3. Da quanto premesso, discende che i contratti di patrocinio stipulati tra convenuto ed 
attore � negozi regolati dalle norme del c.c. sul contratto d�opera professionale e dalla disci

TEMI ISTITUZIONALI 

plina della professione forense, ivi comprese le tariffe (che conferisce sia la cd. rappresentanza 
tecnica e il conseguente ius postulandi) � devono considerarsi radicalmente nulli senza 
possibilit� alcuna di sanatoria, poich� in contrasto con una norma imperativa. Opportuno 
rimarcare che la nullit� di cui si discute afferisce al mandato alle liti che, si ricorda � aderendo 
anche agli insegnamenti della pi� autorevole dottrina processualistica - � un negozio 
esclusivamente processuale formale e autonomo (Cass. civ. sentenze 18 luglio 2002 n. 
10454; 23 novembre 1979 n. 6113), configurabile come contratto di prestazione d�opera 
intellettuale che si distingue, pur presupponendolo (Cass. civ. 4 aprile 1997 n. 2910), dal 
rapporto, interno ed extraprocessuale, intercorrente tra il difensore e la parte, attinente al 
conferimento dell�incarico, il quale � soggetto alle norme di un ordinario mandato di diritto 
sostanziale (Cass. civ. 18 luglio 2002 n. 10454; Cass. civ. 26 gennaio 1981 n. 579; Cass. civ. 
26 ottobre 1979 n. 5620). Logico corollario ne � che risulta inapplicabile l�art. 2237 c.c., 
norma che presuppone l�efficacia del contratto d�opera, nella specie preclusa dalla nullit�: 
ed, infatti, i provvedimenti di revoca del Commissario non possono essere qualificati come 
atti negoziali di recesso (a fronte di un titolo negoziale efficace) bens� come provvedimenti 
conseguenti alla rilevata nullit� dei mandati defensionali conferiti (invalidi). Pertanto, nel 
caso in esame, occorre guardare non alle norme che presuppongono la validit� del contratto 
d�opera quanto a quelle che, al contrario, ne sanciscono l�inefficacia, al fine di corroborare 
quanto qui si afferma ovvero che � preclusa l�azione contrattuale di adempimento. Ed, 
infatti, la situazione di specie, non sussumibile sotto la volta dell�art. 2237 c.c., appare in 
linea con il regime legale sotteso all�art. 2231 c.c. , ove si prevede che quando l�esercizio di 
un�attivit� professionale � condizionato all�iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita 
da chi non � iscritto non gli d� azione per il pagamento della retribuzione: l�art. 2231 
c.c., di fatti, disciplina una specifica ipotesi sanzionata con la nullit� assoluta (art. 1418, 
comma I, c.c., v. Cass. civ., Sez. II, 19 febbraio 2007, n. 3740) cui il legislatore ricollega la 
preclusione di qualsivoglia compenso professionale. L�Avv. Z., per tutto quanto sin qui 
esposto, non ha azione alcuna per il pagamento della retribuzione. 

Le conclusioni cui si � pervenuti � con riguardo alla validit� dei mandati defensionali 

� sono sufficienti a rigettare qualsivoglia pretesa fondata sugli incarichi professionali conferiti 
(non potendosi vantare alcun diritto soggettivo di credito a fronte di un titolo nullo), 
rimanendo assorbita, perch� irrilevante, la quaestio juris concernente la validit� del rapporto 
sostanziale sotteso al contratto di patrocinio. Pu�, tuttavia, rilevarsi, che non hanno pregio 
le argomentazioni difensive svolte dall�attore nella sua memoria conclusiva di replica, 
laddove si reclamano compensi professionali che troverebbero titolo autonomo nel rapporto 
sostanziale di mandato: in primo luogo, poich� tutte le attivit� che giustificano la richiesta 
di compenso traggono linfa dal contratto di patrocinio e non dal mandato; in secundis, 
poich� il tenore delle ordinanze di conferimento di incarico non lascia spazio ad alcun dubbio 
laddove ricollega ogni compenso solo ed esclusivamente allo svolgimento dell�incarico 
ai fini dei giudizi nella volta del processo. 
4. Rilevata e dichiarata la nullit� dei mandati defensionali, per violazione della norma 
imperativa che sancisce il patrocinio obbligatorio erariale per il Commissario delegato per 
l�Emergenza ambientale, si rende necessario esaminare la domanda subordinata di parte 
attrice che invoca, in caso di reiezione dell�azione primaria contrattuale, un indennizzo per 
ingiustificato arricchimento del convenuto, ai sensi dell�art. 2041 c.c. L�eccezione della 
difesa erariale, secondo la quale l�azione sarebbe inammissibile poich� proposta in via subordinata 
rispetto all�azione primaria di adempimento, non pu� essere accolta, seppur la tesi 
sia seguita da una certa dottrina. Reputa questo giudice, infatti, che debba seguirsi il costan

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

te insegnamento della Suprema Corte la quale afferma che non � preclusa la possibilit� di 
introdurre l�azione di arricchimento senza causa in via subordinata, per il caso in cui sia 
negata l�esistenza di un�azione proposta in via principale e fondata su un titolo specifico 
(Cass. civ., Sezioni Unite 28 maggio 1975 n. 2157; Cass. civ. 25 settembre 1998 n. 9584). 
Ci� ritenuto, la domanda non pu�, tuttavia, trovare accoglimento, per diversi motivi, tutti 
coesistenti nel caso di specie. 

4.1. In primo luogo, come correttamente si � osservato in dottrina, l�actio de in rem 
verso non pu� costituire uno strumento sedicente per eludere una norma imperativa che presidia 
interessi pubblici primari. Ed, infatti, consentendo il compenso professionale, mediante 
l�indennizzo ex art. 2041 c.c., verrebbe spogliata di efficacia la disposizione cogente di 
cui all�art. 1 r.d. 1611/1933, svilendo di significato giuridico la sanzione civile invalidatoria 
della nullit� assoluta. L�assunto trova riscontro nella giurisprudenza formatasi attorno alle 
disposizioni che regolano casi simili a quello di specie in cui l�ordinamento �sanziona� la 
violazione di un divieto imperativo con l�inefficacia. Si afferma, ad esempio, che affinch� 
l�appropriazione ingiustificata determini, ai sensi dell�art. 2041 c.c. , una �correlativa diminuzione 
patrimoniale� del soggetto tutelato, occorre, in linea di principio, che l�ordinamento 
giuridico gli riconosca la legittimazione a disporre dell��utilit�� nei confronti di altri. Non 
pu� quindi esercitare l�azione di arricchimento senza causa chi ha eseguito una prestazione 
d�opera intellettuale senza essere iscritto agli albi o agli elenchi previsti dalla legge, appunto 
perch� egli non era legittimato a ricavarne il valore di scambio (arg. art. 2231, c. 1, c.c., 
v. Cass. civ. 2 ottobre 1999 n. 10937). L�inosservanza delle norme imperative, in conclusione, 
travolge i relativi rapporti contrattuali, e gli atti rivolti ad eludere le norme medesime, 
affetti da insanabile nullit�, con l�effetto di far s� che il soggetto autore della violazione resta 
privo non solo di azione contrattuale, ma pure di azione di indebito arricchimento, dato che 
questa, avendo funzione integratrice e sussidiaria, non pu� ritenersi ammissibile, come strumento 
surrettizio, per aggirare una norma imperativa per ragioni di ordine pubblico, e per 
difendere un interesse che la norma stessa disconosce (si veda, in un caso specifico, Cass. 
civ., 13 dicembre 1984, n. 6537; si veda, anche, Cons. Stato, Sez. IV, 7 maggio 2002, n. 
2447: in tema di condictio indebiti, il principio di sussidiariet� dell�art. 2042 c.c., deve essere 
posto in stretta connessione con le disposizioni dell�art. 1344 c.c., pertanto la stessa � 
inammissibile qualora sia volta ad eludere gli effetti conseguenti alla violazione di norme 
imperative). 
4.2. L�azione di indebito arricchimento non pu�, comunque, trovare accoglimento per 
difetto dei presupposti di legge. Nel solco dello jus receptum della giurisprudenza di legittimit�, 
l�azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. differisce da quella ordinaria, in 
quanto presuppone non solo il fatto materiale dell�esecuzione di un�opera o di una prestazione 
vantaggiosa per l�ente pubblico, ma anche il riconoscimento, da parte di questo, dell�utilit� 
dell�opera o della prestazione. L�orientamento suddetto (cfr. ex multis, Cass. civ. 23 
aprile 2002 n. 5900), seppur avversato dalla dottrina pi� recente, presidia interessi pubblici 
primari mirando ad evitare che l�istituto in esame diventi strumento disfunzionale ai danni 
delle pubbliche amministrazioni ed � pienamente condiviso da questo giudice 
Occorre, pertanto, verificare se l�Ufficio commissariale abbia riconosciuto (esplicitamente 
o implicitamente) l�utilit� dell�attivit� professionale dell�Avv. Z. Un riconoscimento 
esplicito � pacificamente assente ed, anzi, le ordinanze di revoca degli incarichi (ord. nn. 
3233, 3225 e 3237 del 6 dicembre 2004) depongono nel senso opposto. 

Un riconoscimento implicito non pu� ritenersi sussistente. Quanto alla condotta processuale 
dell�Avvocatura dello Stato, questa non pu� essere imputata, ex art. 2041 c.c., alla 


TEMI ISTITUZIONALI 

Pubblica Amministrazione convenuta, non essendo la difesa erariale deputata ad esternare il 
riconoscimento di cui si tratta: l�atto giuridico de quo, infatti, deve provenire dagli organi 
rappresentativi dell�ente pubblico (Cass. civ., Sez. I, 9 marzo 2006, n. 5069) e non pu� provenire 
da qualsiasi soggetto che faccia parte della struttura dell�ente, ma solo da organi rappresentativi 
dell�amministrazione interessata o da coloro cui � rimessa la formazione della 
volont� dell�ente stesso (Cass. civ., Sez. I, 9 luglio 2004, n. 12681). E, comunque, le argomentazioni 
della difesa erariale di cui si tratta, non hanno la consistenza di un riconoscimento 
dell�utilitas. In concreto, comunque, l�Ufficio commissariale ha fatto fronte ad un danno 
imminente subito e subendo, per effetto della violazione del patrocinio obbligatorio, cosicch� 
le ordinanze di revoca costituiscono provvedimenti dovuti. In tal senso, � sufficiente 
dare atto delle sorti del processo instaurato dinnanzi al Tribunale di Milano (sentenza 
5833/2007): l�Ufficio commissariale ha subito una condanna alle spese di ingente ammontare 
(oltre euro 440.000,00), proprio per effetto della caducazione dello jus postulandi (il 
giudizio era stato introdotto dall�avvocato attore e non dall�Avvocatura Distrettuale). Ed, 
infatti, il regime giuridico che segue ogni atto posto in essere nelle fasi fisiologiche del processo, 
introitato da soggetto privo del potere di rappresentanza processuale, � quello della 
nullit� insanabile anche ex post mediante ratifica. Ci� si traduce in una assenza di utilit� concreta 
in capo alla P.A. per effetto dell�attivit� svolta dall�attore, da intendersi nulla poich� 
posta in violazione di un divieto di legge. 

5. Infine, deve essere rigettata la richiesta risarcitoria proposta da parte attrice, omessa 
ogni considerazione sulla struttura logica di siffatta istanza, presentata in subordine alla 
richiesta di indennizzo ex art. 2041 c.c. L�azione in parola deve essere qualificata come actio 
ex art. 1338 c.c. poich� l�avv. Z. ricollega il danno risentito alla circostanza di avere confidato, 
senza sua colpa, nella validit� del contratto. E, tuttavia, l�assenza di colpa in capo al 
richiedente, richiesta dalla norma in esame, non � rinvenibile nella fattispecie: come afferma 
autorevole dottrina, infatti, il comportamento sanzionato non consiste soltanto nell�omissione, 
dolosa o colposa, di comunicazione, ma anche nell�omissione di diligenza nell�accertamento 
delle cause d�invalidit�. E, infatti, come ripetutamente afferma la Suprema 
Corte, la responsabilit� prevista dall�art. 1338 cod. civ., tutela l�affidamento di una delle 
parti non sulla conclusione del contratto, ma sulla sua validit�, sicch� non � configurabile 
una responsabilit� della P.A. ove l�invalidit� del contratto derivi da norme generali, da presumersi 
note alla generalit� dei consociati e quindi tali da escludere l�affidamento incolpevole 
della parte adempiente (Cass. civ., Sez. I, 27 marzo 2007, n. 7481; Cass. civ., Sez. I, 26 
agosto 1997, n. 7997; Cass. civ., Sez. I, 20 agosto 1992, n. 9682; Cass. civ., 4 ottobre 1974, 
n. 2603). 
Al di l� dell�alveo dell�art. 1338 c.c., deve, comunque, escludersi la sussistenza di un 
affidamento incolpevole. Quanto alla nota dell�Avvocatura distrettuale prodotta dalla difesa 
attorea, essa non pu� fondare l�affidamento di cui si tratta, per due motivi. Una prima ragione 
� di ordine logico: gli incarichi (del 2002) sono cronologicamente anteriori alla nota 
dell�Avvocato Distrettuale di Stato del 21 gennaio 2003 (prot. 1212). Un secondo motivo si 
incentra sul valore della nota in esame che non ha certo la valenza del parere ed �, come 
pacifico, estranea ai giudizi oggetto degli incarichi conferiti all�attore. 

Conclusivamente, la domanda attorea deve essere integralmente rigettata (�)�. 


I L CONTENZIOSO 
COMUNIT ARIO 
ED INTERNAZIONALE 
Le competenze complementari dal Trattatocostituzionale della Comunit� europea alTrattato di Lisbona 

di Dimitris Liakopoulos(*) e Marco Vita(**) 

SOMMARIO: -1. I principi generali applicabili all�esercizio delle competenze 
dell�Unione; -2. La ripartizione delle competenze tra l�Unione europea e gli Stati membri; 
-3. La definizione e classificazione delle categorie di competenza; -4. La sorte dell�attuale 
art. 308 (ex art. 235) del Trattato CE; -5. I nuovi requisiti procedurali per il ricorso alla 
clausola di flessibilit�; -6. Il principio di sussidiariet� nei lavori della Convenzione Europea 

1. La questione della delimitazione delle competenze del Trattato costituzionale 
� stata esaminata dal Gruppo di lavoro V: �Competenze complementari�, 
affidato alla Presidenza del rappresentante del Governo danese 
Henning Christophersen. A tale gruppo � stato assegnato, in particolare, il 
compito di valutare se l�introduzione della nuova categoria delle �competenze 
complementari� potrebbe contribuire ad una migliore delimitazione delle 
competenze tra l�Unione europea e i suoi Stati membri (1). Al riguardo appare 
interessante notare che, in un primo momento, il mandato di questo 
Gruppo di lavoro era strettamente limitato allo specifico aspetto delle competenze 
complementari (2). 
(*) Professore a contratto di diritto comunitario presso l�Universit� della Tuscia. 

(**) Professore di diritto internazionale presso l�Universit� della Tuscia. 

(1) MENGOZZI, Istituzioni di diritto comunitario, Cedam, ultima edizione. 
(2) CONV. 52/02, ove il Presidium a met� maggio 21002 istituisce i primi sei gruppi 
di lavoro. Cfr. anche CONV 449/02, Relazione di sintesi della sessione plenaria, Bruxelles 
5/6 dicembre 2002, pp. 10 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

I membri del Gruppo V sono, infatti, stati invitati a riflettere sul trattamento 
da �riservare in futuro alle cosiddette competenze complementari�, 
definendone il concetto e valutando se �occorre restituire agli Stati membri 
ogni competenza sulle materie in cui l�Unione ha attualmente una competenza 
complementare�, o se non si debbano piuttosto �esplicitare i limiti della 
competenza complementare dell�Unione� (3). Nella prima riunione del gruppo 
di lavoro sulle competenze complementari, molti membri hanno per� 
manifestato il loro disappunto sul mandato ricevuto, considerandolo troppo 
restrittivo, ed hanno avanzato la richiesta, poi accolta, di allargare il dibattito 
in modo tale da consentire una discussione pi� generale sulla ripartizione 
delle competenze tra Unione europea e Stati membri. Ritengo inoltre importante 
anticipare che la Relazione finale del gruppo �competenze complementari� 
(4) ha ricevuto un�accoglienza molto negativa (5). Infatti, in occasione 
della discussione svoltasi alla seduta plenaria del 7-8 novembre 2002 davanti 
alla Convenzione Europea, il Presidente del Gruppo ha dovuto constatare 
che �un�ampia maggioranza dei membri (6) della Convenzione non condivide 
l�approccio adottato nella relazione�(7). 

Al Gruppo � stato sostanzialmente rimproverato di non aver seguito gli 
orientamenti sui compiti dell�Unione emersi gi� nelle prime discussioni della 
Convenzione europea, allorch� la maggioranza dei membri aveva posto l�accento 
sul bisogno di chiarire la sfera delle competenze rispettive dell�Unione 
europea e degli Stati membri, piuttosto che di procedere ad una drastica modifica 
del sistema nel suo complesso che si verificherebbe, ad esempio, nel caso 
in cui si decidesse di introdurre un definitivo catalogo di competenze (8). 

(3) CONV. 75/02, Mandato del gruppo Competenze complementari, p. 5 ss. 
(4) CONV. 375/02., Relazione finale del gruppo V, p. 1, ove si legge che il gruppo competenze 
complementari ha considerato le questioni relative alla competenza complementare 
e i settori collegati. Si segnala che la relazione finale del Gruppo V � pubblicata insieme alla 
Relazione finale dei gruppi solidariet�, integrazione della Carta, adesione alla CEDU, personalit� 
giuridica, ruolo dei parlamenti nazionali e governance economica. 
(5) CONV. 400/02, Resoconto sommario della sessione plenaria, Bruxelles, 7 e 8 
novembre 2002, pp. 10 ss. 
(6) CONV. 40/02, Contributo del sig. Reinhard Eugen B�sch, ove si legge anche che: 
�solo due membri hanno auspicato che talune competenze tornino agli Stati�. 
(7) Il testo del trattato di Lisbona non ha portato modifiche importanti solo mettendo 
fra parentesi l�espressione: (nella costituzione dei trattati). In realt� la lista delle competenze 
come fissata negli artt. da I-13 a I-17 era redata in termini generali e con un rinvio alla 
parte III del trattato costituzionale per quanto riguarda la loro portata e le loro modalit� d�esercizio, 
al paragrafo 6 dell�art. I-12. Con il trattato di 2007 tutte queste innovazioni sono 
state introdotte nei Tue e Tce vigenti. 
(8) In questo senso cfr. CONV. 40/02, ove a pagina 2 si legge che: �(�) l�orientamento 
della Convenzione � largamente favorevole alla necessit� di non rimettere in discussione 
le realizzazioni attuali dell�Unione�. A pagina 6 dello stesso documento, la Convenzione si 
esprime: �a favore di un sistema di delimitazione delle competenze flessibile, che consenta 
un certo adattamento dei compiti dell�Unione alle nuove sfide e permetta di rispondere 
meglio alle attese dei cittadini (�) un sistema di elenchi, di competenze dell�Unione o di 
quelle degli Stati membri, sarebbe contrario a tale flessibilit��. 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

Al fine di rispondere ai quesiti posti dalla Dichiarazione di Laeken (9), 
il Gruppo di lavoro sulle competenze complementari si � posto l�obiettivo di 
razionalizzare e schematizzare il sistema di ripartizione delle competenze, 
cercando di renderlo pi� chiaro e trasparente, nonch� maggiormente comprensibile 
al cittadino europeo. Al riguardo, la Relazione finale, trasmessa il 
31 ottobre 2002 ai membri della Convenzione Europea, contiene una serie di 
interessanti Raccomandazioni (10) tra le quali desideriamo evidenziare, in 
primo luogo, la proposta del Gruppo V di introdurre, nel Trattato costituzionale 
(11), un apposito Titolo dedicato interamente alla materia delle competenze. 
Tale Titolo dovrebbe innanzitutto definire in modo chiaro e sistematico 
i principi generali �applicabili all�esercizio della competenza 
dell�Unione� (12), evitando cos� di doverli enunciare in tutti gli articoli del 
Trattato (13). Fondamentale importanza riveste, al riguardo, il principio delle 
competenze di attribuzione, secondo il quale, ai sensi dell�art. 5 (ex art. 3B) 
del Trattato CE, l�Unione/Comunit�: �agisce nei limiti delle competenze e 
degli obiettivi che le sono assegnati� (14). Il principio di attribuzione fissa, 
pertanto, una condizione essenziale �per l�esercizio di qualsiasi attivit� 
dell�Unione�. Allo stesso tempo, esso costituisce anche una garanzia per gli 
Stati membri che, in quanto �signori dei Trattati�, restano titolari di tutte le 
competenze (15) che non hanno espressamente conferito all�Unione. 
Considerati tali aspetti, il Gruppo �competenze complementari� raccomanda 
di mettere in evidenza quest�ultimo carattere del principio di attribuzione, 

(9) RAUX, De Nice � Laeken: Pour une approche structurante de la constitutionalisation 
de l�union europ�enne, in Revue des affaires europ�ennes, 2002, pp. 62 ss. 
(10) PERNICE, Eine neue Kompetenzordnung f�r die Europ�ische Union, in Walter 
Hallstein-Institut f�r Europ�isches Verfassungsrecht, Berlin, Humbolt, Universit�t, 2002, 
pp. 22, ove si legge che il grupo sulle competenze complementari: �(�) hat wie alle �brigen 
Arbeitgruppen aufgrund eines Beschlusses des Konventspraesidiums keine konkreten 
Formulierungsvorschl�ge, sondern nur allgemeine Schlussffolgerungen entwickelt (�)�. 
(11) A.A.V.V., Draft constitutional treaty of the European Union and related documents, 
in European law review, 2003, pp. 3 ss. AMATO, Verso la costituzione europea, in 
Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2003, pp. 292 ss. CANNIZZARO, Democrazia 
e sovranit� nei rapporti fra stati membri e Unione europea, in Rivista il Diritto dell�unione 
europea, 2000, pp. 242 ss. DE SIERVO, La difficile costituzione europea e le scorciatoie illusorie, 
in DE SIERVO (a cura di), La difficile costituzione europea: Ricerca dell�Istituto Luigi 
Sturzo, Il Mulino, 2001. WEILER, The Constitution of europe: do the new clothes have an 
emperor? And other essays, Cambridge, Cambridge University Press, 1999. WEILER, A 
Constitution for Europe? Some heart choices, in Journal of common market studies, 2002, 
pp. 564 ss. WESSEL, Revisiting the international legal statues of the EU, in European foreign 
affairs review, 2000, pp. 508 ss. 
(12) CONV. 375/02, p. 10. 
(13) CONV. 209/02, Gruppo V Competenze complementari, resoconto sommario della 
riunione del 17 luglio 2002, p. 1. 
(14) TIZZANO (a cura di), Una costituzione per l�Europa, Giuffr�, 2004. 
(15) LENAERTS, DESOMER, Bricks for a constitutional treaty of the European Union: 
Values, objectives and means, in European law review, 2002, pp. 378 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

introducendo cos� un�automatica �presunzione di competenza� a favore di 
quella degli Stati membri. Condividendo la scelta operata dal Gruppo V di 
non accogliere la richiesta (16) di introdurre, subito dopo l�affermazione del 
principio di attribuzione, un elenco esemplificativo di competenze che devono 
ritenersi proprie degli Stati membri: una volta chiarito che tutte le competenze 
non conferite all�Unione restano di pertinenza degli Stati membri, 
non avrebbe, infatti, alcun senso predisporre una simile lista che, per di pi�, 
rischierebbe di essere incompleta. Un elenco di competenze proprie degli 
Stati membri necessiterebbe, inoltre, di essere costantemente aggiornato, non 
potendosi prevedere, ex ante, tutte le contingenze che uno Stato membro 
dovr� o vorr� affrontare da solo. Tra i principi ritenuti idonei a garantire il 
corretto esercizio delle competenze da parte dell�Unione, particolare attenzione 
� stata dedicata, dal Gruppo �competenze complementari�, al principio 
del rispetto dell�identit� nazionale degli Stati membri, gi� contenuto nel 
terzo paragrafo dell�attuale art. 6 (ex art. F) del Trattato UE (17). Secondo il 
Gruppo, sussiste la necessit� di chiarire gli elementi essenziali che �costituiscono 
l�identit� nazionale� e �che devono essere rispettati dall�UE nell�esercizio 
delle sue competenze� (18). 

Il Gruppo sulle competenze complementari raccomanda, pertanto, di 
inserire la disposizione sopra citata nel Titolo dedicato alle competenze 
dell�Unione (19) e di formularla in modo pi� articolato, precisando che �gli 
elementi essenziali dell�identit� nazionale comprendono le strutture fondamentali 
e le funzioni essenziali dello Stato membro, in particolare l�impianto 
politico e costituzionale, comprese le autonomie regionali e locali, le scelte 
riguardo alla lingua, la cittadinanza nazionale, il territorio, lo status giuridico 
delle confessioni e associazioni religiose, la difesa nazionale e l�organizzazione 
delle forze armate� (20). In questo modo si ritiene di poter veni


(16) CONV. 24/02, p. 2, nonch� CONV. 26/02, Contributo del sig. Zaplana Hernandez 
Soro, Osservatore della Convenzione, p. 10. cfr. anche dal Parlamento Europeo la relazione 
sulla delimitazione delle competenze tra l�unione europea e gli stati membri del 2003, p. 22. 
(17) Si ricorda che l�articolo 6, paragrafo 3 (ex. Art. F) del Trattato UE recita: 
�L�Unione rispetta l�identit� nazionale dei suoi Stati membri�. 
(18) PERNICE, Verfassung der Europ�ischen Union: Bemerkungen zu den Artikel-
Entw�rfen des Pr�sidiums des Verfassungskonvents, in Walter Hallstein-Institut f�r europ�isches 
Verfassungsrecht, WHI, paper 3/03, Berlin, Humboldt, Universit�t, 2003, pp. 3 ss. 
(19) HANF, BAUME, Vers une clarification de la riparrtition des comp�tences entre 
l�Union et ses Etats membres?: Une analyse de projet d�articles du Presidium de la 
Convention, in Cahiers de droit europ�en, 2003, pp. 136 ss. 
(20) CONV. 375/02, Relazione finale del gruppo V, p. 11. dal documento in esame si 
apprende che secondo il Gruppo V, due settori rientrano nelle responsabilit� nazionali essenziali. 
Il primo di tali settori � costituito dalle strutture fondamentali e funzioni essenziali 
dello Stato membro, quali l�impianto politico e costituzionale, comprese le autonomie regionali 
e locali, la cittadinanza nazionale, il territorio, lo status giuridico delle confessioni e 
associazioni religiose, la difesa nazionale, l�organizzazione delle forze armate e la scelta 
delle lingue. Il secondo settore riguarda invece: scelte politiche di fondo e valori sociali fondamentali 
di uno Stato membro, quali la politica di distribuzione dei redditi, l�imposizione 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

re incontro alle richieste, espresse in seno al Gruppo, di rafforzare �la salvaguardia 
del ruolo e dell�importanza degli Stati membri nel Trattato�. 
Secondo un�ampia maggioranza del Gruppo V, il cos� precisato principio del 
rispetto dell�identit� nazionale � generalmente indicato come �clausola 
Christophersen� � costituisce �un�alternativa valida� non solo al sopra menzionato 
elenco di competenze proprie degli Stati membri, ma anche alle proposte 
di includere nel futuro Trattato costituzionale una �Carta dei diritti e 
dei doveri degli Stati membri� (21). Occorre, tuttavia, rilevare che questa 
raccomandazione del Gruppo V � stata fortemente criticata in sede di dibattito 
davanti alla Convenzione Europea (22): molti membri della stessa 
hanno, infatti, ritenuto che la clausola del rispetto dell�identit� nazionale tenderebbe 
a riproporre, per altra via, l�idea di un elenco di competenze degli 
Stati membri (23), gi� rifiutata dalla Convenzione (24), e di creare inoltre, 
con lo specifico riferimento alla difesa nazionale, un ostacolo all�avanzamento 
del processo di integrazione europea (25). A ci� si aggiunge la considerazione, 
evidenziata dalla dottrina, secondo la quale il principio del rispetto 
dell�identit� nazionale degli Stati membri non dovrebbe neppure essere 
incluso nel Titolo dedicato alla materia delle competenze, assumendo esso, 

ed esazione delle imposte sulle persone fisiche, il regime previdenziale sociale, il sistema di 
istruzione, il sistema di sanit� pubblica, la preservazione e l�arricchimento del patrimonio 
culturale, l�obbligatoriet� del servizio militare o civile. Il Gruppo sulle competenze complementari 
precisa di aver raggiunto un ampio accordo secondo cui, nella disposizione sull�identit� 
nazionale degli Stati membri, non sarebbe necessario menzionare le scelte politiche 
di fondo degli Stati membri. Cfr. CONV. 410/02, p. 5, ove si legge che Erwin Teufel considera 
la proposta del gruppo V di precisare la posizione degli Stati membri all�interno 
dell�Unione, come �heureuse initiative�. 

(21) CONV. 209/02, p. 3 ove si legge che molti membri del gruppo hanno: �sottolineato 
la necessit� di rispondere alla sensazione di un continuo accrescimento delle competenze 
dell�unione avvertita dall�opinione pubblica e invocato dunque l�introduzione nei trattati di 
formule volte a rassicurare i cittadini. Tali formule potrebbero consistere nell�indicazione 
pi� esplicita dei limiti dell�azione dell�unione e nell�affermazione pi� netta di taluni �diritti� 
degli Stati. Al riguardo � stata espressa una preferenza per il modello �politico� e alcuni 
hanno sostenuto l�utilit� di redigere una �Carta dei diritti e dei doveri degli Stati membri�, 
che potrebbe essere aggiunta dopo la Carta dei diritti fondamentali�. 
(22) CONV. 400/02, p. 13, vi si legge che la Convenzione europea ritiene che la norma 
dell�attuale art. 6, paragrafo 3 (ex art. F) del trattato UE dovrebbe essere formulata in maniera 
�pi� generica�. 
(23) Ibidem, ove il Presidente del Gruppo V precisa per� che �l�intento del gruppo era 
chiarire il principio, escludendo ogni velleit� di poter considerare l�elenco di esempi un catalogo 
delle competenze degli Stati�. Cfr. anche CONV. 375/02, p. 11, ove si legge che la riformulata 
disposizione sull�identit� nazionale �non costituisce una clausola derogatoria: gli Stati 
membri continueranno a essere obbligati a rispettare le disposizioni dei trattati. L�articolo non 
costituirebbe, pertanto, una definizione della competenza degli Stati membri e quindi non trasmetterebbe 
il messaggio errato che sia l�Unione a concedere competenze agli Stati membri 
o che l�azione dell�Unione non possa mai avere ripercussioni su questi settori�. 
(24) CONV. 40/02, p. 6, nonch� CONV. 60/02, p. 1 ss. 
(25) CONV. 400/02, pp. 10 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

piuttosto, un�importanza generica per l�identit� e la struttura dell�Unione nel 
suo complesso. Il principio in esame troverebbe, pertanto, migliore collocazione 
nel Titolo del futuro Trattato dedicato agli obiettivi dell�Unione (26). 
Tali formule potrebbero consistere nell�indicazione pi� esplicita dei limiti 
dell�azione dell�Unione e nell�affermazione pi� netta di taluni �diritti� degli 
Stati. Al riguardo � stata espressa una preferenza per il modello �politico� e 
alcuni hanno sostenuto l�utilit� di redigere una �Carta dei diritti e dei doveri 
degli Stati membri�, che potrebbe essere aggiunta dopo la Carta dei diritti 
fondamentali. 

Ancor pi� ampiamente contestata � stata, per�, la raccomandazione del 
Gruppo di riformulare o chiarire il riferimento a �un�unione sempre pi� stretta�, 
contenuto nel secondo paragrafo dell�attuale art. 1 (ex art. A) del Trattato 
UE (27), al fine di evitare di dare l�impressione che un eventuale futuro trasferimento 
di alcune competenze all�Unione europea possa, di per s�, essere 
considerato uno scopo e un obiettivo dell�Unione. Per i convenzionali intervenuti 
nel dibattito del 7-8 novembre 2002, l�espressione �unione sempre pi� 
stretta� � un concetto di portata politica che non � stato correttamente interpretato 
dal Gruppo: l�espressione in parola si riferirebbe, infatti, all�unione 
tra i popoli e i cittadini europei e non potrebbe essere in alcun modo considerata 
attinente alla materia delle competenze (28). Senza entrare nel dettaglio, 
il Gruppo �competenze complementari� ha, poi, raccomandato di includere 
nel Titolo del futuro Trattato costituzionale dedicato a tutte le questioni 
relative alla competenza, anche altri principi, quali il principio di sussidiariet�, 
il principio di proporzionalit�, il principio del primato del diritto comunitario, 
il principio dell�interesse comune e della leale cooperazione, il principio 
dell�attuazione ed esecuzione degli atti. 

2. Prima di passare all�esame delle modalit� con cui il Gruppo �competenze 
complementari� ha, in concreto, affrontato il tema oggetto della nostra 
trattazione, ritengo opportuno rilevare che il Gruppo V non ha trascurato di 
considerare che un Trattato costituzionale chiaro e comprensibile deve 
necessariamente parlare al cittadino, utilizzando un linguaggio semplice, 
nonch� termini appropriati. Conscio di tale esigenza, il Gruppo di lavoro ha 
valutato l�opportunit� di modificare la denominazione delle cosiddette 
�competenze complementari� che, come si � gi� potuto rilevare, indicano i 
(26) CONV. 375/02, p. 2, ove il Gruppo V suggerisce che: �gli appropriati organismi 
della Convenzione esaminino ulteriormente l�opportunit� di riformulare o chiarire il riferimento 
�a un unione sempre pi� stretta� nell�art. 1 del TUE in modo da evitare di dare l�impressone 
che il futuro trasferimento di competenze all�unione rimanga in se stesso uno 
scopo e un obiettivo dell�Unione stessa�. 
(27) Cfr. art. 1, paragrafo 2 (ex art. A) del Trattato UE, ove si legge che il trattato 
sull�Unione europea �segna una nova tappa nel processo di creazione di un�unione sempre 
pi� stretta tra i popoli dell�Europa, in cui le decisioni siano prese il pi� vicino possibile ai 
cittadini�. 
(28) CONV. 400/02, p. 12. 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

settori per i quali l�Unione/Comunit� si limita a �integrare, assistere o coordinare 
l�azione degli Stati membri�, senza che il suo intervento possa avere 
l�effetto di escludere la competenza degli Stati membri. In seno al Gruppo � 
prevalsa (29) l�opinione che il termine �competenze complementari� 
dovrebbe essere sostituito con quello di �misure di sostegno�, ritenuto pi� 
idoneo a trasmettere �l�essenza delle relazioni tra gli Stati membri e l�Unione 
nelle aree di competenza complementare� (30).

3. � senz�altro positivo che la Relazione Finale del Gruppo �competenze 
complementari� abbia raccomandato di raggruppare, nel Titolo del futuro 
Trattato costituzionale dedicato al tema delle competenze, soltanto le disposizioni 
fondamentali sulla ripartizione delle competenze tra l�Unione europea 
e gli Stati membri, rinviando invece, per la disciplina di dettaglio delle 
materie espressamente attribuite alla competenza dell�Unione dal Trattato, 
ad una sua diversa parte (31). Ritengo, infatti, che in tal modo sia possibile 
delineare una disciplina generale delle competenze dell�Unione pi� chiara, 
nonch� maggiormente comprensibile al cittadino europeo. Ci� comporterebbe, 
per di pi�, un netto miglioramento rispetto alla situazione attuale, che, 
com�� noto, vede le norme sulla competenza contenute in ordine sparso nei 
Trattati. 
Seguendo le raccomandazioni del Gruppo, il sopra menzionato Titolo 
dovrebbe indicare le varie categorie di competenza dell�Unione, fornendone 
una definizione. Il Gruppo V consiglia, pertanto, di distinguere nel nuovo 
Trattato tre categorie di competenze: quelle esclusive dell�Unione, quelle 
condivise tra l�Unione europea e i suoi Stati membri, ed infine le cosiddette 
�misure di sostegno�. Cominciando dalle �misure di sostegno�, � possibile 
rilevare subito che si tratta di una nuova categoria, attualmente non 
indicata in modo esplicito in alcuna disposizione dei Trattati. Nella 
Relazione finale del Gruppo, le �misure di sostegno� sono definite come 
competenze che consentono all�Unione �di appoggiare ed integrare le politiche 
nazionali, quando vi sia un interesse comune dell�Unione e degli Stati 
membri in tal senso�. A ci� viene aggiunta la considerazione che le misure 
in parola si distinguerebbero per il fatto di riferirsi a settori politici in cui gli 

(29) CONV. 347/02, Gruppo V Competenze complementari, Resoconto sommario 
della riunione del 7 ottobre 2002, p. 2, ove si legge che alcuni membri del gruppo hanno 
espresso preferenze a favore dell�utilizzo di termini, quali �misure di appoggio�, �misure 
complementari� o �azioni complementari�. 
(30) CONV. 375/02, p. 1, ove si legge anche che diversi membri del gruppo �preferiscono 
termini quali misure dell�unione in settori in cui gli Stati membri hanno piena competenza�. 
Si segnala, inoltre, che nei confronti della proposta di ricominciare le competenze 
complementari �misure di sostegno� sono state espresse numerose riserve da parte dei 
membri della Convenzione europea. Essi hanno, infatti ritenuto che la nuova determinazione 
�misure di sostegno� � confusa �in quanto non esplicita il fatto che si tratta di �settori� 
nei quali l�Unione � abilitata ad agire�. Cfr. anche sul punto CONV. 400/02, p. 12. 
(31) CONV. 375/02, p. 2 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Stati membri non hanno trasferito la propria competenza normativa 
all�Unione (32). L�intervento dell�Unione nelle materie che rientrano nelle 
�misure di sostegno� non pu�, pertanto, avere l�effetto di escludere la competenza 
degli Stati membri, attraverso l�armonizzazione delle loro disposizioni 
legislative, regolamentari o amministrative (33), anche se il futuro 
Trattato costituzionale potrebbe prevedere alcune esplicite eccezioni. Appare 
interessante evidenziare l�orientamento, affermatosi in seno al Gruppo V, 
secondo il quale la categoria delle �misure di sostegno� si differenzierebbe 
dalle competenze esclusive e condivise anche per il fatto di consentire al 
legislatore comunitario soltanto l�emanazione di �misure di lieve intensit�� 
che potrebbero consistere, ad esempio, nell�adozione di risoluzioni o di raccomandazioni. 
Attraverso un rinvio alla giurisprudenza della Corte di 
Giustizia, il Gruppo di lavoro �, inoltre, giunto alla conclusione che anche 
decisioni giuridicamente vincolanti (34) possono essere legittimamente adottate 
come �misure di sostegno�, poich� per dette misure l�Unione pu� stanziare 
fondi dal suo bilancio richiedendo, comunque, la previa adozione da 
parte del Consiglio o del Parlamento europeo di �un atto di base che autorizzi 
le dette spese� (35). Il Gruppo sulle competenze complementari ritiene per


(32) CONV. 375/02, p. 5. cfr. inoltre CONV. 209/02, p. 2, ove si legge che �taluni membri 
del gruppo hanno proposto di definire le competenze complementari come competenze 
degli Stati membri in relazione alle quali l�unione pu� essere chiamata a svolgere una politica 
di sostegno, completamento o coordinamento. Tale soluzione consentirebbe cosi di redigere 
anche se del tutto indirettamente, una specie di elenco delle competenze degli Stati�. 
Nel senso di definire le �misure di sostegno� come competenze degli Stati membri, cfr. 
anche CONV. 410/02, p. 6 ss. In senso contrario alla qualificazione delle misure di sostegno 
quali competenze degli Stati membri, CONV. 12/02, Contributo del sig. Hubert Haenel, 
membro della Convenzione, p. 7, il quale rileva che nei settori delle �misure di sostegno�, 
�la Communaut� a une vraie responsabilit� � y exercer�. 
(33) CONV. 375/02, p. 5, ove si legge che delle politiche in cui l�Unione pu� adottare 
misure di sostegno �continuano ad essere responsabili gli stati membri� che �non hanno trasferito 
la loro competenza legislativa all�Unione�. 
(34) Si ricorda che, ai sensi dell�art. 249 (ex art. 189) del trattato CE, la decisione � un 
atto obbligatorio in tutti i suoi elementi, che si differenzia dal regolamento per il fatto di 
avere destinatari specificamente designati e di essere, dunque, priva di quella portata generale 
ed astratta che � tipica degli atti legislativi. La decisione corrisponde sostanzialmente 
all�atto amministrativo dei sistemi giuridici nazionali, in quanto rappresenta lo strumento 
utilizzato dalle istituzioni quando sono chiamate ad applicare il diritto comunitario a singole 
fattispecie concrete. Nel caso in cui i destinatari della decisione siano singoli individui, la 
decisione costituisce espressione di un�attivit� amministrativa piuttosto che normativa. Nel 
caso in cui i destinatari della decisione siano invece gli Stati membri, la decisione pu� assumere 
anche carattere normativo. Le decisioni sono normalmente emanate dalla 
Commissione, mentre il Consiglio, di regola, emana solo le decisioni indirizzate agli Stati 
membri. La decisione deve, inoltre, essere notificata a suoi destinatari e solo da tale momento 
produce i suoi effetti ed � ad essi opponibile. Cfr. G. TESAURO, Diritto comunitario, ultima 
edizione, pp. 114 ss. MENGOZZI, Istituzioni di diritto comunitario, op. cit., pp. 169 ss. 
(35) Corte di giustizia: Sentenza del 12 giugno 1998, Regno Unito di Gran Bretagna e 
Irlanda del Nord/Commissione delle Comunit� europee, causa C106/96, in Raccolta, p. 2729, 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

tanto opportuno che nel futuro Trattato costituzionale per l�Europa si specifichi 
che il legislatore comunitario non �, invece, autorizzato ad adottare come 
�misure di sostegno� regolamenti o direttive, ossia atti giuridicamente vincolanti 
�volti a sostituire o armonizzare la legislazione nazionale�. In via eccezionale, 
le norme di dettaglio che disciplinano i settori rientranti nella categoria 
delle �misure di sostegno� potrebbero, tuttavia, consentire al legislatore 
dell�Unione di adottare anche tali strumenti legislativi. Ritengo opportuno 
rilevare, al riguardo, che questa raccomandazione ha suscitato molte obiezioni 
da parte dei membri della Convenzione Europea: essi, pur non contestando 
il fatto che le �misure di sostegno� vietano generalmente all�Unione europea 
qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative degli Stati membri 
(36), hanno sottolineato che si tratta pur sempre di una categoria di competenze 
attribuite all�Unione, cui deve, quindi, essere messo a disposizione l�intero 
ventaglio degli strumenti legislativi necessari al loro esercizio (37). 

Dopo aver proceduto alla definizione delle �misure di sostegno�, il 
Gruppo di lavoro sposta la sua attenzione sulla classificazione dei settori che 
possono essere ricondotti a tale categoria, dichiarando di voler �fornire il 
massimo di chiarezza senza cambiare la competenza giuridica dell�Unione 
nei settori in questione�. Attraverso l�applicazione del principio da esso stesso 
elaborato, secondo il quale atti legislativi dell�Unione (regolamenti e 
direttive) non possono essere adottati quali misure di sostegno, se non allorch� 
il Trattato lo consenta in via eccezionale, il Gruppo sulle competenze 
complementari ha riportato alla nuova categoria di competenze i settori politici 
dell�occupazione, dell�istruzione e della formazione professionale, della 
cultura, delle reti transeuropee, dell�industria, della sanit� pubblica (38), 
nonch� della ricerca e dello sviluppo. I settori della protezione dei consuma


ove al punto 26 si legge che il giudice comunitario ritiene che: �l�esecuzione delle spese 
comunitarie relative ad azioni comunitarie significative presuppone non solo l�iscrizione del 
corrispondente stanziamento nel bilancio della Comunit�, di competenze dell�autorit� di 
bilancio, ma anche la previa adozione di un atto di base che autorizzi le dette spese�. Cfr. 
anche CONV. 375/02, p. 4, ove il Gruppo V afferma che: �nessun elemento della sentenza 
prevede che l�atto di base debba avere la forma di un regolamento o di una direttiva. Nella 
causa dinnanzi alla Corte, l�atto di base che autorizzava le spese aveva la forma di una decisione 
sui generis�. Cfr. COLNERIC, Der Gerichtshof der europ�ischen Gemeinschaft als 
Kompetenzgericht, in Europ�ische Zeitschrift f�r Wirtschaftsrecht, 2002, pp. 710 ss. 

(36) DASHWOOD, The limits of european community powers, in European law review, 
1996, pp. 114 ss. 
(37) CONV. 541/03, Contributo del sig.. Elmar Brok, membro della Convenzione, 
Competenze dell�Unione europea, p. 4. 
(38) CONV. 347/02, Gruppo V: Competenze complementari, Resoconto sommario 
della riunione del 7 ottobre 2002, p. 2. per quanto concerne la sanit� pubblica si legge che: 
�taluni membri hanno osservato che due dei tre casi citati nell�articolo 152 consentono alla 
Comunit� di agire attraverso l�armonizzazione delle legislazioni nazionali, mentre secondo 
altri questi due casi costituirebbero l�eccezione che conferma la regola sancita dal terzo 
caso, ossia misure di incentivazione che escludono l�armonizzazione�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tori (39), della cooperazione allo sviluppo (40) e della cooperazione doganale, 
pure presi in considerazione, sono stati, invece, esclusi dall�ambito delle 
�misure di sostegno�, sulla base della presa d�atto che per essi �regolamenti 
e/o direttive sono (�) chiaramente ammessi (�) non come eccezione definita 
con precisione, ma come regola generale� (41). 

Il Gruppo V raccomanda, poi, di distinguere le categorie della competenza 
esclusiva dell�Unione e della competenza condivisa tra l�Unione europea 
e i suoi Stati membri, precisando che le materie rientranti in quella condivisa 
saranno individuate per esclusione. La competenza condivisa assumer�, in 
altre parole, la veste di categoria �residuale�, raggruppando tutte �le materie 
che non rientrano n� nelle misure di sostegno n� nella competenza esclusiva�. 
Per quanto concerne, invece, la categoria delle competenze esclusive � 
la cui caratteristica essenziale � �che gli Stati membri possono agire in tali 
settori solo se autorizzati dall�Unione� � la Relazione finale non fornisce un 
elenco delle materie che vi possono essere ricondotte. In seno al Gruppo 
sono, infatti, emerse due divergenti opinioni: l�una secondo la quale la classificazione 
delle competenze esclusive, rinominate �competenze 
dell�Unione�, andrebbe condotta in base a criteri di natura politica, al fine �di 
rendere chiari ai cittadini dell�Unione tutti i settori in cui quest�ultima 

(39) CONV. 375/02, p. 9. si legge che poich� �si potrebbero adottare direttive (minime) 
ai sensi dell�articolo 153 (ex art. 129 A), ha giustificato la classificazione della tutela 
dei consumatori tra le competenze condivise. Cfr. anche CONV. 347/02, ove si rileva che 
per alcuni membri del Gruppo sulle competenze complementari �il rimando all�articolo 95, 
che figura nell�articolo 153, rende questa materia oggetto di competenze condivisa, mentre 
altri ritengono che le misure prese a nome dell�articolo 95 siano adottate a titolo del mercato 
interno e non della protezione dei consumatori, che resterebbe una competenza complementare�. 
(40) CONV. 375/02, p. 9, dove si spiega che �la cooperazione allo sviluppo riveste 
forme speciali in quanto le attivit� dell�unione in questo settore non intaccherebbero mai la 
competenza degli Stati membri di mantenere la loro politica di sviluppo�. Tuttavia, in materia 
di cooperazione allo sviluppo regolamenti e direttive sono chiaramente ammessi, �non 
come eccezione definitiva con precisione, ma come regola generale�. Secondo il Gruppo V, 
la cooperazione allo sviluppo ricade, pertanto, �nell�ambito della competenza condivisa�. 
(41) CONV. 375/02, p. 9. Si segnala che vi sono state anche proposte tendenti a ricondurre 
nell�ambito della categoria delle �misure di sostegno� la lotta alla droga e gli sport a 
livello internazionale. Per quanto concerne la lotta alla droga, il gruppo V ha rilevato, in 
primo luogo, che essa � �gi� contemplata dall�articolo 152 (effetti nocivi per la salute umana 
derivante dall�uso di stupefacenti)� ed ha inoltre, affermato che la materia � �di competenza 
del gruppo Libert�, sicurezza e giustizia�. Per quanto concerne, invece, la proposta di 
consentire l�adozione di misure di sostegno per gli sport a livello internazionale, essa �non 
ha riscosso un ampio consenso� in seno al gruppo di lavoro. Si ricorda, inoltre, che il gruppo 
�competenze complementari� non ha ritenuto i considerazione la classificazione delle 
materie che rientrano nel secondo e terzo pilastro, affermando che �qualsiasi classificazione 
di questo tipo dipenderebbe notevolmente da una serie di scelte politiche che spettano ad 
altri concessi della Convenzione�. 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

dovrebbe svolgere un ruolo principale o esclusivo�; l�altra che evidenzia la 
necessit� di una classificazione basata su considerazioni meramente giuridiche, 
auspicando che �tutte le materie per le quali � essenziale che gli Stati 
membri non agiscano per se stessi, anche se non si riesce a trovare una soluzione 
a livello di Unione� siano ricondotte alla categoria della competenza 
esclusiva. Il Gruppo non considera inconciliabili tali opinioni. Esso rinvia, 
per�, la sintesi dei due criteri ai pertinenti organismi della Convenzione, raccomandando, 
per la soddisfazione di quello �politico�, una riformulazione 
dei compiti e delle responsabilit� dell�Unione, attualmente descritti negli 
articoli 3 e 4 del Trattato CE, al fine di indicare gi� in tale sede i settori che 
devono ritenersi di �responsabilit� dell�Unione�; al contempo una definizione 
delle competenze esclusive e condivise conforme all�attuale giurisprudenza 
della Corte di Giustizia consentirebbe anche la soddisfazione del criterio 
�giuridico� (42). Quest�ultima raccomandazione del Gruppo mi sembra piuttosto 
singolare se si considera che, per l�individuazione delle materie di competenza 
esclusiva e condivisa dell�Unione, proprio i criteri elaborati dalla 
giurisprudenza della Corte di Giustizia sono stati ritenuti insufficienti a 
determinare una chiara e precisa delimitazione delle competenze tra 
l�Unione europea e i suoi Stati membri. Occorre, infine, volgere la nostra 
attenzione al modo con cui il Gruppo �competenze complementari� ha 
affrontato le richieste, provenienti soprattutto dai L�nder tedeschi, di precisare 
il rapporto fra la competenza per il mercato interno e le cosiddette 
�misure di sostegno�: senza seguire le proposte di abrogazione dell�attuale 
art. 95 (ex art. 100 A) del Trattato CE, il Gruppo consiglia di precisare nella 
futura Costituzione per l�Europa il cosiddetto criterio del �centro di gravit�� 
(43), gi� individuato dalla Corte di Giustizia nella causa Repubblica federale 
di Germania/Parlamento europeo e Consiglio dell�Unione europea (44). A 
tal fine il Gruppo V ritiene opportuno chiarire che la disposizione sopra menzionata 
� volta all�armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari 
ed amministrative degli Stati membri � potr� trovare applicazione nell�ambito 
dei settori che rientrano nella categoria delle misure di sostegno soltanto 
se gli obiettivi, i contenuti principali, �nonch� gli effetti ricercati di 
dette misure sono connessi agli articoli del trattato relativi al mercato interno�. 
Mi sembra, comunque, che il cos� individuato criterio del �centro di gravit�� 
non consentir� di individuare con certezza il limite dell�art. 95 (ex art. 

(42) CONV. 375/02, ove si legge: �La competenza esclusiva e la competenza condivisa 
dell�Unione dovrebbero essere definite nel futuro Trattato conformemente all�attuale giurisprudenza 
della Corte di giustizia e i settori rispettivamente di competenza esclusiva e condivisa 
dovrebbero essere determinati conformemente ai criteri sviluppati dalla Corte�. 
(43) CONV. 375/02, p. 12, cfr. anche la Sentenza della Corte di giustizia del 5 ottobre 
2000, Repubblica federale di Germania/Parlamento europeo e Consiglio dell�Unione europea, 
Causa C376/98, punto 35, in Raccolta, p. 8419. 
(44) Causa C-376/98, in Raccolta p. 8419. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

100 A) del Trattato CE. La valutazione di merito circa la sussistenza dei criteri 
indicati dal Gruppo V pare, infatti, essere rimessa, in primo luogo, alla 
discrezionalit� degli organi dell�Unione che intenderanno agire sulla base 
del nuovo art. 95 del Trattato costituzionale. A ci� aggiungiamo la considerazione 
che � difficile prevedere che una maggiore chiarezza possa essere 
realizzata attraverso l�attivit� interpretativa svolta dalla Corte di Giustizia: 
nel caso in cui questa dovesse essere chiamata a chiarire se �gli obiettivi e 
contenuti principali e gli effetti ricercati� delle misure di sostegno �sono connessi 
agli articoli del trattato relativi al mercato interno�, potrebbe infatti 
giungere ad una conclusione affermativa, semplicemente affermando che 
tale connessione sussiste, poich� le azioni previste dal legislatore comunitario 
hanno �effettivamente per oggetto il miglioramento delle condizioni di 
instaurazione e di funzionamento del mercato interno�. Cos� facendo, la 
Corte di Giustizia non aggiungerebbe nient�altro a quanto gi� affermato nella 
causa succitata. Sarebbe forse pi� conveniente chiarire che l�art. 95 (ex art. 
100 A) del Trattato pu� essere applicato soltanto alle misure di sostegno che, 
in via eccezionale, consentono l�armonizzazione delle disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative degli Stati membri. 

4. Per quanto concerne l�articolo 308 (ex art. 235) del Trattato CE (45) � 
diretto a supplire all�assenza di poteri d�azione (46) attribuiti alle Istituzioni 
comunitarie da specifiche disposizioni del Trattato (47) � � possibile rilevare, 
sin d�ora, che il Gruppo �competenze complementari� non ha accolto le 
richieste di abrogare la disposizione in esame: esso ha, piuttosto, messo in 
rilievo la necessit� di conciliare le esigenze di maggiore chiarezza del sistema 
di ripartizione delle competenze con l�obiettivo di conservare il dinamismo 
e la flessibilit� dell�azione dell�Unione europea (48). Viene perci� suggerito 
di mantenere, anche nel futuro Trattato costituzionale, una cosiddetta 
(45) Si ricorda che l�articolo 308 (ex articolo 235) del Trattato CE recita: �Quando un�azione 
della Comunit� risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune 
uno degli scopi della Comunit�, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d�azione 
a tale uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all�unanimit� su proposta della Commissione 
e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso�. 
(46) VON BOGDANDY, BAST, I poteri dell�Unione: una questione di competenza. 
L�ordine verticale delle competenze e proposte per la sua riforma, in Rivista italiana di 
diritto pubblico comunitario, 2002, pp. 304 ss. e ripubblicato in Common market law 
review, 2002, pp. 228 ss. 
(47) Cfr. dalla Corte di giustizia del 28 marzo 1996, Parere 2/94, punto 29, in Raccolta 
1996, p. 1759. 
(48) Parlamento europeo, Relazione sulla delimitazione delle competenze tra l�Unione 
europea e gli stati membri, cfr. anche CONV. 32/02, Contributo del senatore L. Dini, membro 
della Convenzione, p. 4, CONV. 37/02, Contributo del dr. Teija Tiilikainen, membro della 
Convenzione, po. 3, ove si legge riguardo all�art. 308: �This source of dynamism should not 
be subdued�. Vedi anche CONV. 58/02, Contributo del sig. Hannes Farnleitner, membro della 
Convenzione sulla ripartizione delle competenze, p. 5, nonch� CONV. 186/02, ove si legge che 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

�clausola di flessibilit�� che, alla stregua dell�attuale art. 308 (ex art. 235), 
consenta all�Unione allargata a 27 o pi� Stati membri di �affrontare sviluppi 
e sfide inattesi�. Nell�opinione del Gruppo V, la norma in esame costituisce, 
infatti, �un�importante disposizione di rilievo costituzionale che (�) potrebbe 
trovare in un futuro Trattato la giusta collocazione in un titolo generale 
sulla competenza� (49). Con il trattato di Lisbona si aggiunge l�art. I-18 detto 
clausola di flessibilit� secondo il quale: �se un azione dell�Unione appare 
necessaria (...) per realizzare uno degli obiettivi� al legislatore si permette: 
�di adottare le misure appropriate�. Si tratta in verit� di una riformulazione 
pi� precisa dell�art. 208 Tce, il cui testo verr� adattato con il Trattato modificativo 
per ripristinare la formula dell�art. I-18. Si tratta di ripartizione dei 
poteri tra Unione e Stati membri che erano completate da una serie di precisazioni 
relative al ruolo dei parlamenti nazionali e al controllo dell�applicazione 
dei principi di sussidiariet� e di proporzionalit� che si trovano sia nei 
protocolli n. 1 sul ruolo dei parlamenti nazionali nell�Unione europea e n. 2 
sull�applicazione dei principi di sussidiariet� e di proporzionalit�. Tutto ci� 
contribuisce ad un ruolo maggiore al Comitato delle regioni, abilitato ad 
adire alla Corte di giustizia. 

Con il Trattato modificativo prende forma una mera linea di riaffermazione 
pleonastiche che si pu� ritenere che non facciano altro che ripetere in 
diversi modi il contenuto delle seguenti precisazioni: in conformit� dell�articolo 
5 del presente Trattato qualsiasi competenza non attribuita all�Unione 
nei trattati appartiene agli Stati membri (art. 4 Tue modificato), in virt� del 
principio di attribuzione. L�unione agisce nei limiti delle competenze che le 
sono attribuite dagli Stati membri nella costituzione per realizzare gli obiettivi 
da questa stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all�Unione nella 
Costituzione appartiene agli Stati membri (art. 5 tue modificato, gi� nell�art. 
I-11). Le disposizioni della carta non estendono in alcun modo le competenze 
dell�Unione definite nei Trattati (art. 6 Tue modificato), l�adesione dell�unione 
alla Cedu �non modifica le competenze dell�Unione definite nei trattati� 
(art. 6 Tue modificato), i progetti di emendamento intesi a modificare i 
trattati �possono tendere ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite 
all�unione nei trattati� (art. 33 Tue modificato), per le competenze concorrenti 
le quali appartengono all�Unione nonch� agli Stati membri: �Gli Stati 

in seno al Gruppo sulle competenze complementari �numerosi oratori hanno sottolineato la 
necessit� di preservare una certa flessibilit� nel sistema di ripartizione delle competenze, in 
considerazione delle esigenze della globalizzazione. In tale contesto � stato propugnato il mantenimento 
di un meccanismo di flessibilit� analogo a quello dell�art. 308�. CONV. 47/02, ove 
si legge che, qualora si decidesse di abrogare l�art. 308, �sarebbe opportuno soppesare i rischi 
di paralisi dell�attivit� della Comunit�, che si troverebbe nell�impossibilit� di adattarsi alle 
nuove realt��. 

(49) VON BUNGGENBERG, Dynamische integration, art. 308 und die Forderung nach 
einem Kompetenzkatalog, in Europarecht, 2000, pp. 880 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui 
l�Unione ha deciso di cessare di esercitarla� (art. 2 Tce modificato). Per le 
stesse competenze concorrenti �quando l�Unione ha svolto un azione in un 
determinato settore, il campo di applicazione di questo esercizio di competenza 
copre unicamente gli elementi disciplinati dall�atto dell�Unione in questione 
e non copre pertanto l�intero settore�. 

Al fine di mettere in risalto il carattere �residuale� ed eccezionale che la 
clausola di flessibilit� dovr� assumere anche nel futuro neo Trattato costituzionale, 
il Gruppo sulle competenze complementari ritiene opportuno, anzitutto, 
introdurre disposizioni specifiche che riconducano esplicitamente nell�ambito 
delle competenze dell�Unione le materie in cui la stessa interviene, 
attualmente, proprio attraverso il ricorso all�art. 308 (ex art. 235) del Trattato 
(50). A ci� viene aggiunta la considerazione che attraverso un utilizzo sproporzionato 
ed indebito della clausola in parola dovrebbe essere stato propugnato 
il mantenimento di un meccanismo di flessibilit� analogo a quello dell�art. 
308 chiarendo e precisando le condizioni che consentono di farvi ricorso. 
Utili indicazioni pervengono, al riguardo, dalla giurisprudenza resa dalla 
Corte di Giustizia nel Parere 2/94, ove la stessa aveva non soltanto precisato 
che l�art. 308 (ex art. 235) �non pu� costituire il fondamento per ampliare 
la sfera dei poteri della Comunit� al di l� dell�ambito generale risultante 
dal complesso delle disposizioni del Trattato�, ma aveva anche chiarito che 
la norma in esame �non pu� essere (�) utilizzata quale base per l�adozione 
di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro 
conseguenze a una modifica del Trattato che sfugga alla procedura all�uopo 
prevista nel Trattato medesimo� (51). 

Al fine di consentire un adeguato controllo dell�applicazione della nuova 
clausola di flessibilit�, il Gruppo sulle competenze complementari ritiene, 
dunque, opportuno rendere espliciti i sopra menzionati limiti imposti dal giudice 
comunitario. Il Gruppo V raccomanda, inoltre, che la clausola di flessibilit� 
specifichi che gli atti adottati ai suoi sensi, non possono �costituire la 
base per misure di armonizzazione in settori politici nei quali l�Unione la 
esclude�. Ci� significa, in altre parole, che il divieto di armonizzazione delle 
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, 
previsto per le materie ricondotte alla nuova categoria delle �misure di soste


(50) Per quanto concerne invece il settore del turismo menzionato, assieme all�energia 
e alla protezione civile, nell�attuale art. 3, lettera u) del trattato CE, il gruppo rileva che �� 
anomalo che nell�articolo 3 del TCE siano menzionate materie per le quali nessun articolo 
corrispondente del trattato definisce gli obiettivi politici e la competenza. Il gruppo ritiene 
pertanto che l�articolo 3, lettera u) del TCE vada adottato�. In questo senso cfr. CONV. 
375/02, p. 15. GAJA, Comment on opinion 2/94, in Common market law review, 1996, pp. 
974 ss. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, ed. Laterza, ultima edizione. 
(51) CONV. 375/02, CONV. 410/02. 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

gno�, non pu� essere eluso attraverso il ricorso alla clausola in esame. Una 
parte della dottrina �, invece, piuttosto scettica riguardo alla possibilit� che 
la summenzionata raccomandazione del Gruppo V possa effettivamente 
costituire un criterio per la corretta applicazione della clausola di flessibilit�. 
Essa evidenzia, infatti, la paradossale tautologia di una disposizione che 
ripete che l�armonizzazione � esclusa in settori in cui la Costituzione prevede, 
appunto, un divieto di armonizzazione. A ci� si aggiunge l�osservazione 
che una simile precisazione dell�attuale art. 308 (ex art. 235) del Trattato 
potrebbe offrire alle istituzioni dell�Unione anche una facile via per sottrarsi 
al divieto di armonizzazione stesso. Secondo quanto rilevato dalla dottrina 
citata, il legislatore comunitario potrebbe, infatti, ricorrere alla norma dell�art. 
95 (ex art. 100 A) del Trattato, rilevando che il divieto di armonizzazione 
era stato voluto dai redattori della Costituzione unicamente per quanto 
riguarda l�applicazione della clausola di flessibilit�. 

La dottrina in esame auspica, pertanto, che la suddetta raccomandazione 
del Gruppo V non venga accolta, ovvero che anche il futuro art. 95 (ex art. 
100 A) del Trattato escluda espressamente dal suo ambito di applicazione i 
settori per i quali la Costituzione non ammette misure di armonizzazione. 
Quale ultima condizione �materiale� richiesta per il legittimo ricorso alla 
clausola di flessibilit�, il Gruppo sulle competenze complementari ritiene 
opportuno rendere pi� operativo il requisito previsto dall�attuale art. 308 (ex 
art. 235), secondo cui un atto adottato ai suoi sensi deve rientrare nel �quadro 
del mercato comune�. Si auspica, perci�, di estendere l�ambito di applicazione 
della clausola in esame, consentendo di farvi ricorso non solo ai fini 
della realizzazione del mercato comune, ma anche nell�ambito dell�Unione 
economica e monetaria, nonch� dell�attuazione delle politiche o attivit� 
comuni di cui agli articoli 3 e 4 del Trattato CE. Come efficacemente messo 
in luce dal membro della Convenzione Europea Erwin Teufel, occorre chiarire 
che la clausola di flessibilit� non pu� in alcun modo costituire uno strumento 
per l�ampliamento delle competenze dell�Unione europea: essa dovr�, 
piuttosto, consentire all�Unione di raggiungere gli obiettivi gi� fissati nel 
Trattato costituzionale, qualora il Trattato stesso non �abbia previsto i poteri 
d�azione a tal uopo richiesti�. 

5. Per quanto riguarda i requisiti procedurali richiesti ai fini dell�adozione 
di atti normativi dell�Unione/Comunit� sulla base della clausola di flessibilit�, 
il Gruppo sulle competenze complementari ha raggiunto un ampio 
accordo sulla necessit� di mantenere il voto all�unanimit�, previsto dall�attuale 
art. 308 (ex art. 235) del Trattato CE, in seno al Consiglio. In questo 
modo si ritiene, infatti, di poter porre un efficace limite al ripetuto utilizzo, 
da parte delle Istituzioni dell�Unione, della norma sopra citata. Ritengo, 
per�, appropriato rilevare che, come si � visto in precedenza, il ricorso 
all�art. 308 (ex art. 235) del Trattato CE si � gi� notevolmente ridotto per 
effetto dell�entrata in vigore dell�Atto Unico europeo: a partire da tale 
momento, la stessa Commissione aveva iniziato ad esprimere il suo favore 
riguardo al ricorso a disposizioni del Trattato che consentissero l�adozione di 
delibere a maggioranza qualificata, opponendosi, pertanto, all�utilizzo del

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l�art. 308 (ex art. 235). Tale orientamento della Commissione � stato confermato 
anche dalla Corte di Giustizia, conscia del fatto, efficacemente messo 
in luce dalla dottrina, che procedure decisionali a maggioranza qualificata 
risultano pi� sopranazionali di quelle all�unanimit�, e costituiscono un passo 
decisivo per il rafforzamento del processo di integrazione. 

A ci� ritengo opportuno aggiungere la considerazione che la giurisprudenza 
resa dalla Corte di Giustizia nel noto Parere 2/94 ha imposto rilevanti 
limiti all�applicazione dell�attuale art. 308 (ex art. 235) del Trattato CE. Tali 
limiti sono destinati, come si � visto, ad essere enunciati chiaramente nella 
nuova clausola di flessibilit�, assieme al divieto di armonizzazione nei casi 
previsti dal Trattato. Si ricorda, inoltre, che il Gruppo sulle competenze complementari 
consiglia l�introduzione di un meccanismo che consenta di avanzare, 
alla stregua dell�attuale art. 300, paragrafo 6 del Trattato CE (ex art. 
228), una richiesta di parere preventivo alla Corte di Giustizia. Questa, prima 
ancora dell�adozione dell�atto comunitario in questione, dovrebbe, dunque, 
verificare se l�atto stesso risponde ai requisiti fissati dalla nuova clausola di 
flessibilit�. 

Appurata la necessit� di garantire all�Unione europea del XXI secolo la 
possibilit�: �di progredire nel suo sviluppo� ci si pu�, dunque, chiedere se 
dette precisazioni � unite alla raccomandazione del Gruppo V di imporre il 
controllo politico da parte sia del Parlamento europeo, esigendone il parere 
conforme (52), sia dei Parlamenti nazionali, in connessione con il meccanismo 
di allerta precoce indicato dal Gruppo �Sussidiariet�� � non siano di per 
s� sufficienti ad ostacolare un utilizzo indebito della clausola in esame. In 
un�Unione allargata a 27 o pi� Stati membri, il mantenimento del requisito 
dell�unanimit� per l�adozione di atti ai sensi della nuova clausola di flessibilit� 
potrebbe, infatti, rendere difficile, e finanche impossibile, il suo pratico 
utilizzo. L�intenzione di introdurre nella Costituzione per �l�Europa a 27� 
una clausola, nei cui confronti si possa, anche soltanto lontanamente, prospettare 
il pericolo di rimanere �lettera morta� non mi pare essere di alcuna 
utilit�. Ritengo pertanto che, nel caso in cui le sopra menzionate raccomandazioni 
del Gruppo V dovessero essere accolte (53), sarebbe pi� appropria


(52) CONV. 375/02, ove si legge che il Gruppo V raccomanda di �prevedere il parere 
conforme o un altro tipo di partecipazione sostanziale del Parlamento europeo�. 
(53) Si ricorda che il Gruppo �competenze complementari� ha, infine raccomandato 
di introdurre nella clausola di flessibilit� anche un meccanismo che consenta l�abrogazione 
con voto a maggioranza qualificata, di disposizioni adottate ai suoi sensi. Ci� al fine di 
�restituire agli Stati membri la libert� di manovra in una materia disciplinata a norma dell�articolo 
308�. In tal senso cfr. CONV. 375/02, p. 16. Si segnala anche detta raccomandazione 
� stata fortemente critica dai membri della Convenzione europea. Sul punto cfr. 
CONV. 58/02, p. 6, ove Hannes Farnleitner afferma: �Eine Umgestlatung von art. 308 
EGV zu einer Art. Evolutivklausel, die auch die R�ck�bertragung von Befugnissen an die 
Mitgliestaaten erm�glichen w�rde, erscheint zwar aud den ersten Blick interessant, bei 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

to consentire l�adozione di atti normativi, ai sensi della nuova clausola di 
flessibilit�, con voto a maggioranza qualificata. 

In realt� con il trattato di Lisbona � stato fissato un passo indietro 
davanti alla possibilit� per un solo Parlamento di un singolo Stato membro 
di impedire l�adozione di misure relative al diritto di famiglia avente 
implicazioni transnazionali. La clausola � imitata dalla procedura di revisione 
semplificata dell�art. IV-444. Il Consiglio decide all�unanimit� in 
materia e il Parlamento europeo ha solo un ruolo consultivo. La clausola 
verrebbe applicata solo in caso di disaccordo tra un governo e la sua maggioranza 
parlamentare. L�interna unione dipender� dalla relazione tra un 
solo governo e la sua maggioranza. Il trattato modificativo riduce anche i 
poteri del legislatore europeo in materia di politica spaziale europea, giacch� 
nell�art. 172bis Tce modificato (ex art. III-254) verr� indicato che le 
misure adottate non possono comportare un armonizzazione delle disposizioni 
legislative e regolamentari degli Stati membri. Lo stesso vale per il 
contenuto del Protocollo n. 9 sui servizi di interesse generale. Il testo 
avrebbe potuto sviluppare complessivamente la nozione gi� inserita nel 
trattato CE (art. 16) con il trattato di Amsterdam del 1997 e portata avanti 
nel Trattato costituzionale con la base giuridica aggiunta nel suo art. III122 
(art. 14 modificato). 

6. L�analisi e la valutazione delle problematiche sollevate riguardo al 
principio di sussidiariet� sono state affidate, principalmente, al Gruppo I 
�Sussidiariet��, posto sotto la presidenza del parlamentare europeo spagnolo 
Inigo M�ndez de Vigo. In particolare, a questo Gruppo di lavoro della 
Convenzione Europea � stato attribuito il compito di esaminare il modo con 
cui assicurare una migliore applicazione ed un pi� efficace controllo del 
principio in parola che � considerato �la chiave per garantire una migliore 
ripartizione e definizione delle competenze�. 
Occorre, per�, rilevare che del principio di sussidiariet� si � occupato 
anche il Gruppo IV della Convenzione, che ha considerato la questione del 
ruolo che � ai fini di un pi� efficace controllo dell�azione esercitata dai 
Governi dei singoli Stati membri � possa essere attribuito, a livello europeo, 
ai Parlamenti nazionali e che include anche la sorveglianza del rispetto della 

genauerer Betrachtung w�rde jedoch gerade ein solches Unterfanggen die mitgliedstaatliche 
Kompetenzhoheit in Frage stellen. Die M�glichkeit einer Aufhebung von spezifischen 
vertraglichen Einzelerm�chtigungen auf der Grundlage con Art. 308 EGV-oder einer vvergleichbaren 
Bestimmung in einer k�nftigen europ�ischen Verfassung-w�rde aus diesel 
Bestimmung n�mlich eine Vertrags�nderungsbestimmung machen, als welche sie aud der 
Basis der geltenden Rechtsggrundlage gerade nicht zu qualifiziern ist (�)�. In senso contrario 
all�introduzione, nella clausola di flessibilit�, di un meccanismo che consenta di restituire 
competenze agli Stati membri, cfr. anche CONV 178/02, Contributo del sig. Andrei 
Duff, del sig. Alain Lamassoure, del sig. Olivier Duhamel, ecc, intitolato: �le questioni della 
competenza e della sussidiariet� e confusione da esse derivanti�, p. 5. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sussidiariet� (54). Ritengo opportuno anticipare che un ampio numero dei 
membri del Gruppo di lavoro IV ha approvato le conclusioni finali presentate 
dal Gruppo I �Sussidiariet��. Per questo motivo, dedicheremo il prosieguo 
della nostra trattazione primariamente all�esame delle raccomandazioni del 
Gruppo sul principio di sussidiariet� (55), confrontandole, comunque, con i 
suggerimenti del Gruppo sul ruolo dei Parlamenti nazionali. 

Il documento conclusivo del Gruppo �Sussidiariet�� racchiude due 
�regole d�oro� che sono servite ad orientare le riflessioni del Gruppo di lavoro 
in esame: viene, innanzitutto, evidenziata la necessit� di assicurare una 
migliore applicazione del principio di sussidiariet�, evitando per�, allo stesso 
tempo, che tali miglioramenti blocchino, interferiscano o rendano ancora 
pi� lungo il processo decisionale in seno alle istituzioni europee. I membri 
del Gruppo I ritengono, inoltre, che non dovrebbe essere creato alcun organo 
politico ad hoc incaricato di controllare l�applicazione del principio di 
sussidiariet�. Secondo quanto efficacemente messo in luce anche dai membri 
della Convenzione Europea Hannes Farnleitner e Reinhard B�sch, un 
simile organo appesantirebbe il processo legislativo comunitario (56), gi� 
sufficientemente complesso, richiedendo anche la creazione di nuove istituzioni 
e burocrazie che inciderebbero notevolmente sul bilancio dell�Unione. 
Nella Relazione Finale del Gruppo �Sussidiariet�� viene ribadita la natura 
essenzialmente politica del principio in esame: esso richiede, infatti, di stabilire 
se la realizzazione in comune degli obiettivi dell�Unione europea possa 
essere meglio realizzata a livello europeo piuttosto che ad un altro livello, 
comportando �un margine discrezionale importante per le istituzioni� 
dell�Unione. Di conseguenza, il Gruppo auspica che anche il controllo sulla 
corretta applicazione del principio di sussidiariet� sia di natura puramente 

(54) CONV. 353/02, Relazione finale del gruppo IV, �Ruolo dei Parlamenti nazionali�, 
p. 9, ove si legge che il Gruppo si � posto i seguenti interrogativi: �i Parlamenti nazionali 
hanno un ruolo da svolgere nel controllo della sussidiariet�? Dovrebbero agire da soli o in 
gruppo? In quale fase, o in quali fasi, del processo legislativo dovrebbero essere coinvolti? 
Quale meccanismo sarebbe pi� appropriato?�. 
(55) CHALTIEL, Le principe de subsidiarit� dix ans apr�s le trait� de Maastricht, in 
Revue du march� commun et de l�Union europ�enne, 2003, pp. 365 ss. D�ANGOLO, La sussidiariet� 
nell�Unione europea, Padova, Cedam, 1998. ESTELLA, The EU principle of subsidiariety 
and its critique, Oxford, Oxford University Press, 2002. IPPOLITO, Fondamento, 
attuazione e controllo del principio di sussidiariet� nel diritto della Comunit� e dell�Unione 
europea, 2007. 
(56) CONV. 286/02, Conclusioni del gruppo, p. 4, ove che si legge che la scheda sussidiariet� 
dovrebbe fornire: �elementi di valutazione del suo impatto finanziario, nonch� 
delle sue conseguenze-quando si tratta di una direttiva sulla regolamentazione che sar� 
attuata dagli Stati membri (a livello nazionale o a un altro livello)�. Cfr. anche CONV. 
331/02, p. 8, ove si legge che alcuni membri della Convenzione auspicano che anche il principio 
di proporzionalit� sia fatto oggetto di una verifica e di un controllo �di natura e intensit� 
pari a quelli previsti per la sussidiariet��. 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

politica ed intervenga prima dell�entrata in vigore degli atti legislativi comunitari. 
Tale controllo ex ante del principio di sussidiariet� richiederebbe, 
innanzitutto, una sua maggiore presa in considerazione da parte delle 
Istituzioni comunitarie che partecipano al processo legislativo. Nella fase di 
elaborazione di una proposta legislativa, la responsabilit� del rispetto del 
principio di sussidiariet� spetta infatti, in primo luogo, alla Commissione 
che, secondo quanto precisato dal Gruppo di lavoro in esame, dovrebbe procedere 
il pi� rapidamente possibile alla consultazione di tutte le parti in causa 
che, direttamente o indirettamente, siano interessate all�atto legislativo previsto. 
A ci� si aggiunge la previsione di un rafforzato obbligo di motivazione 
delle proposte normative presentate dalla Commissione stessa. Essa 
dovrebbe, infatti, essere tenuta ad allegare ad ogni proposta legislativa una 
cosiddetta �scheda sussidiariet�� che consenta, caso per caso, la migliore 
valutazione del rispetto, da parte del legislatore comunitario, del principio in 
esame: a tal fine, la �scheda sussidiariet�� dovrebbe anche fornire indicazioni 
circostanziate sulle incidenze finanziarie, �nonch� delle sue conseguenze 
(...) sulla regolamentazione che sar� attuata dagli Stati membri�. 

La proposta pi� innovativa presentata dal Gruppo �Sussidiariet�� sembra, 
per�, essere quella concernente la creazione di un nuovo controllo politico ex 
ante della sussidiariet� che coinvolga i Parlamenti nazionali di ciascuno Stato 
membro. Per la prima volta nella storia dell�Unione europea, le assemblee di 
rappresentanza popolare nazionale sarebbero, invero, associate al processo 
legislativo europeo, consentendo, in questo modo, una pi� intensa percezione 
della presenza dell�Unione nella vita quotidiana dei cittadini. Ci� agevolerebbe, 
inoltre, una maggiore legittimazione democratica dell�Unione stessa, 
giacch� si attuerebbe un collegamento diretto tra i Parlamenti nazionali e le 
istituzioni europee, senza il tramite svolto attualmente dai rappresentanti dei 
Governi nazionali. I Parlamenti nazionali sarebbero, infine, posti in condizione 
di controllare. Il principio di proporzionalit� che, come si � visto, impone 
alle Istituzioni dell�Unione di ricorrere, ai fini del raggiungimento degli obiettivi 
comunitari prefissati, alla misura meno impegnativa, assicurandosi che gli 
oneri sostenuti siano proporzionati agli obiettivi. 

Il Gruppo sul principio di sussidiariet� propone, infatti, la creazione di 
meccanismo di allarme preventivo - un cosiddetto early warning system -di 
natura politica, che implica, in primo luogo, la trasmissione immediata e 
simultanea, ad opera della Commissione, di tutte le proposte legislative sia al 
legislatore dell�Unione � Consiglio e Parlamento europeo � che ai Parlamenti 
nazionali. Detta raccomandazione costituisce, pertanto, una significativa innovazione, 
considerato che il compito di informare i Parlamenti nazionali circa 
le proposte normative elaborate a livello comunitario, � attualmente attribuito 

� ai sensi del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali allegato al Trattato 
istitutivo dell�Unione europea � a ciascun Governo nazionale. 
Seguendo le raccomandazioni del Gruppo, l�istituzione del meccanismo 
di allarme preventivo e il suo concreto funzionamento consentiranno poi ai 
Parlamenti nazionali, posti su un piano di parit�, di intervenire rapidamente 
ed efficacemente qualora ritengano che una proposta normativa non sia con



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

forme al principio di sussidiariet�: entro un termine di sei settimane dalla 
data di trasmissione delle proposte legislative e prima dell�avvio della procedura 
legislativa propriamente detta, ciascun Parlamento nazionale potr�, 
infatti, sottoporre ai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio europeo 
e della Commissione un parere motivato, esponendo le ragioni per cui 
ritiene che la proposta in causa non sia conforme al principio di sussidiariet�. 
� importante rilevare che detto parere potr� riguardare esclusivamente la 
questione del rispetto della sussidiariet� e non anche il merito, ossia l�opportunit� 
politica, della proposta normativa (57). Il Gruppo �Sussidiariet�� consiglia 
poi di valutare le conseguenze dei pareri motivati sul seguito della procedura 
legislativa, a seconda del numero e del contenuto dei pareri ricevuti. 
Qualora, entro il termine di sei settimane, al legislatore comunitario fosse 
trasmesso soltanto un numero limitato di pareri, esso dovrebbe motivare 
ulteriormente e in modo dettagliato l�atto in relazione al principio di sussidiariet�. 


Nel caso in cui il legislatore comunitario dovesse, invece, ricevere un 
numero significativo di pareri provenienti da un terzo dei Parlamenti nazionali, 
la Commissione sarebbe obbligata a riesaminare la sua proposta normativa. 
Tale riesame potrebbe indurre la Commissione a modificare o a ritirare 
la proposta, rimanendo comunque anche libera di mantenerla. Per quanto 
concerne infine la possibilit� di ricorrere al giudice comunitario per inosservanza 
del principio di sussidiariet�, il Gruppo concorda sulla necessit� che il 
controllo giurisdizionale ex post � ovvero, il controllo esercitato nei confronti 
dell�atto legislativo gi� adottato � sia rafforzato, consentendo ai Parlamenti 
nazionali di adire direttamente la Corte di Giustizia, laddove tale facolt� � 
attualmente attribuita soltanto agli Stati membri. Al fine di sottolineare il 
carattere eccezionale e limitato che il ricorso alla procedura giurisdizionale 
dovrebbe assumere, il Gruppo I consiglia, tuttavia, di permettere il ricorso 
alla Corte, per violazione del principio di sussidiariet�, soltanto ai Parlamenti 
nazionali che abbiano formulato un parere motivato nel quadro del cosiddetto 
�early warning system�. Nel corso di una riunione congiunta tra il Gruppo 
�Sussidiariet�� e quello dei Parlamenti nazionali, numerosi membri di quest�ultimo 
hanno per� proposto l�eliminazione di detta limitazione: essi 
hanno, infatti, rilevato che la subordinazione del ricorso giurisdizionale 
all�attivazione, da parte dei Parlamenti nazionali, del meccanismo di allarme 
preventivo rischierebbe �di incitare i Parlamenti nazionali ad abusare del 
meccanismo al solo scopo di preservare successivamente il diritto di adire la 

(57) CONV. 286/02, p. 5, ove si legge che il parere motivo dei parlamenti nazionali 
�dovrebbe essere espressione di una maggioranza e impegnare l�intero parlamento secondo 
le modalit� � da esso determinate�. Nel documento in esame si legge, inoltre, che il parere 
motivato trasmesso dai parlamenti nazionali �potrebbe avere carattere generale o riguardare 
soltanto una disposizione specifica della proposta esaminata�. 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

Corte di Giustizia�. Occorre, infine, volgere la nostra attenzione sulla proposta 
del Gruppo �Sussidiariet��, intesa a conferire anche al Comitato delle 
Regioni �il diritto di adire la Corte di Giustizia per violazione del principio 
di sussidiariet�� (58). 

Nonostante le critiche sollevate, al riguardo, da una parte della dottrina, 
detta proposta appare apprezzabile, se si considera che il Comitato delle 
Regioni, istituito dal Trattato di Maastricht, � considerato un ricorrente non 
privilegiato che, alla stregua delle persone fisiche e giuridiche, deve presentare 
ricorso in prima istanza dinnanzi al Tribunale di primo grado, dimostrando, 
inoltre, che l�atto normativo impugnato lo riguardi direttamente ed individualmente. 
Nel caso in cui la raccomandazione del Gruppo I fosse accolta, 
il Comitato delle Regioni otterrebbe, invece, il diritto di ricorrere direttamente 
alla Corte di Giustizia impugnando, per violazione del principio di 
sussidiariet�, quelle proposte legislative trasmesse al Comitato in parola, al 
fine di consentirgli la formulazione del suo parere. Minore sostegno hanno 
invece ricevuto le proposte volte a riconoscere il diritto di ricorso alla Corte 
di Giustizia per violazione del principio di sussidiariet� alle Regioni dotate 
di competenza legislativa. In seno al Gruppo si �, infatti, affermata la convinzione 
che il grado e le modalit� di partecipazione degli enti regionali e 
locali al processo legislativo comunitario devono essere determinati in ambito 
esclusivamente nazionale. Ci� al fine di non �compromettere l�equilibrio 
raggiunto a livello europeo tra gli Stati membri�. Secondo quanto evidenziato 
anche dal membro della Convenzione Europea Erwin Teufel, alla suddetta 
proposta si sono opposti alcuni Stati membri, quali la Spagna: quest�ultima, 
in particolare, sospettava che il riconoscimento diretto, alle Regioni con 
competenza legislativa, della facolt� di adire la Corte di Giustizia avrebbe 
potuto pregiudicare l�integrit� dell�ordinamento costituzionale spagnolo, 
incoraggiando le tendenze separatiste di alcune sue Regioni (59). 

In conclusione la Cig che ha iniziato il 23 luglio si � concluso il 19 ottobre 
2007 annunciando il Trattato di Lisbona del 2007, il quale dovrebbe 
entrare in vigore il 10 gennaio 2009. La Convenzione europea sugger� di 
aggiungere alcune nuove basi giuridiche per l�azione dell�Unione e oper� in 
tal senso dopo la proposta di alcuni dei suoi componenti. Furono cosi introdotte 
tra le altre nuovi basi e misure: per la tutela diplomatica e consolare dei 
cittadini europei (art. III.127) per il congelamento dei fondi di gruppi terro


(58) BASSANINI, TIBERI (a cura di), Una costituzione per l�Europa, dalla Convenzione 
europea alla conferenza intergovernativa, Il Mulino, 2003. 
(59) A.A.V.V., Unione europea, Stato, regioni: Riforme costituzionali a confronto, progetto 
di ricerca presso il servizio legislativo e qualit� della legislazione, Consiglio regionale 
dell�Emilia Romagna, Bologna, Il Mulino, 2003. ANSELMO, Processo comunitario di armonizzazione 
delle legislazioni nazionali e o limiti al potere normativo degli Stati membri: Un 
altro membro della Corte, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2003, pp. 417 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ristici (art. III.160) e particolari disposizioni per lo spazio di libert�, sicurezza 
e giustizia (art. III.268, 272, 274) e per l�azione esterna (da art.III.310 a 
312, 320, 321, 328 e 329). 

Non � facile durante gli anni di integrazione europea analizzare con esattezza 
il modo in cui si protegge la sovranit�, mentre � possibile dimostrare 
come le suddette cautele abbiano impedito lo sviluppo di una vera capacit� 
dell�Unione in materia. Certe competenze della CE non si pongono esattamente 
alla questione della sovranit� e alla tutela dei cittadini dei diversi Stati 
dell�Unione. L�assenza di tutela a livello dell�Unione, voluta da certi governi 
non era compensata in modo sufficiente a livello degli Stati europei n� 
addirittura a livello delle NU. In particolare con il nuovo trattato uno degli 
elementi che caratterizzano lo spazio di libert�, sicurezza e giustizia � stato 
spostato dall�art. I.42 che elimina il paragrafo 7 dall�elenco. Si tratta a riferimenti 
ai servizi di polizia e delle dogane e alla prevenzione e all�individuazione 
dei reati, che ricompare nell�art. 3 Tue, ossia ex U.3. del Trattato costituzionale 
come controlli alle frontiere esterne, l�asilo, l�immigrazione, la 
prevenzione della criminalit� e la lotta contro quest�ultima. Con l�art. 10 Tue 
ex I.44 � stato stabilito in numero di stati membri necessari per avviare ad 
una cooperazione rafforzata che dovrebbe essere pari a nove. La stessa cosa 
valga anche per gli Stati membri che possono adire il Consiglio europeo per 
combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell�Unione, nonch� per 
la cooperazione in materia di polizia. Questi Stati membri potranno avviare 
una cooperazione rafforzata in caso di blocco in sede di Consiglio dei ministri 
secondo gli artt. 68I e 69J Tce modificato ex III.274 e III.275. 

Il tempo dimostrer�, spiegher� e illustrer� le modifiche che introdurr� il 
trattato modificativo. I parlamenti e i governi nazionali si impegneranno ad 
avere dai trattati modificati e non solo insistere come troppo spesso fanno, 
sul fatto che vigileranno di fronte ai rischi di sconfinamento da parte delle 
istituzioni dell�Unione nelle competenze nazionali. I meccanismi giuridici 
sono ex novo complicati ma si concentrano ad un integrazione pi� forte, pur 
senza la partecipazione di alcuni Stati. La prassi ci dimostrer� se rimarranno 
meccanismi di semplice applicazione provvisoria che permetteranno a gruppi 
di avanguardia di esplorare nuove possibilit� o diventer� una provvisoriet� 
permanente per cittadini europei e Stati membri. 


I GIUDIZI IN CORSO 
ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE 
Causa C-230/06 - Materia trattata: unione doganale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di Cassazione 
(Italia) il 12 gennaio 2006 � Militzer & Munch GmbH/Ministero delle 
Finanze. (Avvocato dello Stato G. Albenzio - AL 26736/06). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se l�art.11 � bis, par. 1, del regolamento 87/1062/CEE, modificato dal 
regolamento 93/2454/CEE, debba essere interpretato nel senso di rendere 
operante il termine di undici mesi, posto all�amministrazione doganale di 
partenza per comunicare il mancato appuramento delle merci in regime di 
transito comunitario, nel caso in cui l�appuramento da parte della dogana 
di destinazione risulti attestato in documenti contraffatti, la cui falsit� non 
sia facilmente riconoscibile; se, ai fini dell�interpetazione della predetta 
norma, siano utilizzabili i principi affermati nelle sentenze della Corte di 
Giustizia nelle cause C-325/00 e C-222/01; se l�attribuzione allo spedizioniere 
doganale delle intere conseguenze di una irregolare operazione di 
transito comunitario, nell�ipotesi considerata, sia in contrasto col principio 
di proporzionalit�; 

2) se in ipotesi descritte nel precedente numero sia applicabile il paragrafo 
2 dell�art. 11�bis; 

3) se l�art. 215, par. 1, del regolamento 92/2913/CEE debba essere interpretato 
nel senso che, in ipotesi quali quella descritta al n. 1, la competenza 
dell�ufficio doganale debba essere determinata secondo il criterio stabilito 
dalla seconda parte o dalla terza parte di detto paragrafo. 

L�INTERVENTO ORALE DEL GOVERNO ITALIANO 

� Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, 

preliminarmente intendo attirare l�attenzione della Corte sulla irricevibilit� 
dei quesiti posti dal Giudice remittente per la errata individuazione delle 
norme sulle quali si chiede la pronunzia pregiudiziale, in considerazione del 
fatto che l�errore non � soltanto formale ma sostanziale, nel senso che influisce 
sulla rilevanza delle questioni nel giudizio a quo: rimandiamo, in proposito, 
ai paragrafi 6-7 e 17-18 della nostra memoria 10/8/2006 ove sono esposte 
le motivazioni della eccezione; la natura sostanziale del vizio impedisce 
l�applicazione della giurisprudenza di codesta Corte sulla possibilit� di 
estendere il giudizio a norme non espressamente citate dal giudice remittente 
(come richiesto dalla Commissione al paragrafo 101 delle sue osservazioni 
scritte, in relazione alla sentenza 20/3/1986 in causa C-33/85 ed alle altre 
ivi citate). 

Passando all�esame dei quesiti posti dalla Corte di Cassazione italiana, 
osserviamo che sulla prima parte del primo quesito, concernente la conse



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

guenze del mancato rispetto del termine di undici mesi di cui all�art. 11-bis 
Reg. 87/1062 (anche nella formulazione di cui all�art. 49 Reg. 92/1214, 
applicabile in relazione all�epoca dei fatti � dal 23/4/1993 al 16/7/1993 �, ed 
in quella di cui all�art. 379, par. 1, Reg. 2454/93, applicabile dall�1/1/1994) 
non v�� motivo di discutere, visto l�orientamento gi� assunto da codesta 
Corte nella sentenza 14/11/2002 in causa C-112/01 che va confermato nel 
caso di specie. 

Anche sul secondo quesito posto dalla Corte di Cassazione, circa la 
valenza dell�art. 11-bis, par. 2, non v�� ragione di discutere, atteso che nell�invito 
di pagamento indirizzato dalla Dogana italiana alla societ� Militzer 
& Munch (in data 8/8/1995, allegato 4 alle nostre osservazioni scritte) era 
stato espressamente concesso quel termine: in proposito si veda il punto 19 
delle nostre osservazioni. 

Su entrambi gli argomenti, comunque richiamiamo quanto dedotto nelle 
osservazioni 10/8/2006 e risultante dai documenti alle stesse allegati. 
Concentriamo, quindi, la nostra attenzione sugli altri due quesiti. 

Incominciamo dal terzo quesito, sulla competenza dell�ufficio doganale 
ad agire per il recupero dei dazi evasi. Abbiamo evidenziato nelle nostre 
osservazioni scritte (par. 20-21) che l�art. 215 CDC nel testo cui fa riferimento 
il giudice remittente non era vigente all�epoca dei fatti: nel periodo aprile-
luglio 1993 vigeva l�art. 34, par. 1-2, Reg. 90/2776 del Consiglio del 
17/9/1990 che, per le operazioni di transito comunitario quali sono quelle di 
cui � causa, individuava la competenza alternativa dello Stato nel quale era 
stata commessa o accertata l�infrazione. 

Nel caso di specie, l�irregolarit� � stata accertata senza ombra di dubbio 
in Italia dal servizio SVAD della Guardia di Finanza (su questo non 
v�� contestazione); si pu� anche individuare l�Italia come luogo in cui � 
stata commessa l�infrazione se si considera la natura della stessa, consistita 
in falsificazione dei timbri e delle formalit� apposte sui documenti dalle 
autorit� doganali italiane; in vero, risponde a un criterio perfettamente 
logico e di comune esperienza che la falsificazione di timbri e certificati 
avvenga nel luogo in cui gli originali autentici sono conservati, sia perch� 
� necessario disporre di quegli originali per crearne di falsi (e nella specie 
non � emerso che gli originali siano stati rubati, cio� sottratti dal luogo di 
conservazione, quindi si deve ritenere che i falsi siano stati confezionati 
in loco) sia perch� � necessaria la complicit� di funzionari dell�ufficio 
doganale che custodisce gli originali per effettuarle l�operazione di falsificazione 
(come � emerso nella specie dalle indagini della Guardia di 
Finanza). 

Peraltro, gli uffici doganali di partenza della merce non hanno la possibilit� 
di controllare l�autenticit� dei timbri e la loro corrispondenza con quelli in 
possesso dell�autorit� italiana che, quindi, � l�unica in grado di effettuare i controlli 
al momento in cui riceve i documenti per l�appuramento; ecco perch� 
sosteniamo che la circostanza che un appuramento � stato in apparenza effettuato 
dall�operatore comporta la inapplicabilit� delle prescrizioni dettate per il 
caso in cui l�appuramento non si � materialmente verificato, come � detto chia



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

ramente dall�art. 11-bis, par. 1 e 2, che parla di �merci�non�presentate all�ufficio 
di destinazione� (si veda il n. 10 della nostra memoria scritta). 

Peraltro, l�omessa presentazione della merce all�ufficio di destinazione, 
conseguente alla falsificazione dei documenti che attestano questa presentazione 
in realt� mai avvenuta, ha il risultato di impedire agli uffici competenti 
di destinazione (cio� l�Italia, come � pacifico nelle operazioni di transito 
di cui si discute) di effettuare i controlli previsti dal codice doganale e, pertanto, 
essendosi in Italia verificata la sottrazione al controllo doganale e 
quindi la nascita dell�obbligazione ai sensi degli art. 203, par. 2, e 215, par. 
1, CDC, � l�Autorit� doganale italiana competente alla riscossione (secondo 
la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia richiamata anche dalla 
Commissione ai punti 51-52 delle sue osservazioni scritte � sent. 1/2/2001, 
causa C-66/99, ed altre). 

Ancora, ai sensi dell�art. 215, par. 2 (nella formulazione all�epoca vigente), 
l�obbligazione doganale sorge �nel luogo in cui l�autorit� doganale constata 
che la merce si trova in una situazione che ha fatto sorgere l�obbligazione�, 
cio� nella specie nel luogo in cui la Guardia di Finanza-SVAD ha 
accertato l�irregolarit� del transito, con la conseguenza che l�autorit� doganale 
italiana � competente a procedere alla riscossione. 

Sotto questo profilo non possono essere condivisi i dubbi espressi dalla 
Commissione nelle sue osservazioni scritte, atteso che le stesse non rispondono 
alla comune esperienza ed a criteri logici e, soprattutto, considerato che 
seguendo la sua linea interpretativa eccessivamente formalistica si perviene 
al risultato di favorire la frode, ostacolando eccessivamente e senza ragione 
l�attivit� di accertamento e riscossione, in contrasto con lo spirito di tutta la 
legislazione comunitaria e del principio di collaborazione fra gli Stati ed in 
danno degli interessi della Comunit�. 

Passiamo al secondo quesito posto nell�ultima parte della prima questione 
pregiudiziale, ove la Corte di Cassazione chiede se l�attribuzione in capo 
allo spedizioniere dell�intero debito daziario sia conforme al principio di 
proporzionalit�; in proposito, la Commissione ritiene di poter modificare la 
domanda del giudice remittente per mutarne il riferimento dal principio di 
proporzionalit� a quello dello sgravio ai sensi dell�art. 239 CDC (e art. 899909 
DAC) e del connesso diritto di difesa dell�operatore. 

Riteniamo che l�operazione di manipolazione del quesito tentata dalla 
Commissione non sia ammissibile perch� non si tratta soltanto di fare riferimento 
a norme di diritto comunitario non richiamate espressamente dal giudice 
di rinvio ma pur sempre attinenti al merito del quesito posto (come prevede 
la giurisprudenza della Corte di Giustizia richiamata dalla Commissione 
al punto n. 101 delle sue osservazioni, sent. 20/3/1986, causa C-35/85, ed 
altre); con il mutamento suggerito dalla Commissione si viene a modificare 
radicalmente il quesito, in quanto il principio di proporzionalit� richiamato 
dalla Corte di Cassazione � presente nella interpretazione delle norme comunitarie 
con una sua precisa configurazione ed � stato applicato proprio in casi 
simili a quello in discussione (come vedremo fra poco), mentre il riferimento 
all�art. 239 CDC, su cui gi� si � pronunciata la Cassazione italiana nel proces



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

so a quo con sentenza passata in giudicato, comporta il diverso problema dei 
limiti del giudicato nazionale rispetto alla corretta ed uniforme applicazione 
dei precetti comunitari, in relazione all�art. 2909 cod. civ. italiano (oggetto 
della recente sentenza della Corte 18/7/2007, causa C-119/05), problema che 
non � stato sollevato dal giudice remittente. La modifica del quesito, quindi, 
non � ammissibile. 

Ebbene, il principio di proporzionalit� per la soluzione del caso in esame 
� ben invocato dal giudice remittente, atteso che gli argomenti difensivi della 
societ� ricorrente dinanzi alla giurisdizione italiana concernevano proprio la 
compatibilit� con il principio di proporzionalit� della richiesta della Dogana 
allo spedizioniere per il pagamento dei dazi dovuti in seguito all�operazione 
di transito irregolare, in relazione alla grande sproporzione fra quel dazio e 
il compenso ricevuto (trattasi del quarto motivo di ricorso in Cassazione 
della societ� M.&M. come riferito nella ordinanza di rimessione alla fine 
della pag. 20 e all�inizio della pag. 21); tale principio � stato pi� volte esaminato 
dalla giurisprudenza comunitaria in relazione a casi del tutto simili a 
quello in esame: si veda, ad esempio, la sentenza del Tribunale di prima 
istanza 13/9/2005, causa T-53/02, ove si stabilisce, in linea con altre decisioni 
della Corte di Giustizia, che: �161. Occorre rilevare che l�importo dell�obbligazione 
doganale imposta alla ricorrente � connesso all�importanza 
economica delle merci oggetto delle operazioni di transito comunitario in 
questione, in particolare all�ammontare dei dazi e delle imposte che gravano 
su tali merci, ...Il fatto che l�importo richiesto a titolo di dazi all�importazione 
sia rilevante rientra nel novero dei rischi professionali ai quali si 
espone l�operatore economico (v., in tal senso, sentenza Faroe Seafood e a., 
cit., punto 115). Pertanto, la rilevanza di tale obbligazione per la quale � 
chiesto lo sgravio non �, di per s�, un elemento atto a variare la valutazione 
delle condizioni alle quali � subordinato tale sgravio�. 

Del resto, l�art. 96, par. 2, CDC dispone chiaramente che �anche uno spedizioniere�
che accetti le merci sapendo che sono soggette al regime del transito 
comunitario� [�] tenuto a presentarle intatte all�ufficio di destinazione 
nel termine fissato�, con le conseguenze che derivano dalla omissione di questo 
dovere, anche per il pagamento dei dazi dovuti (per i quali, poi, lo spedizioniere 
ben pu� rivalersi sull�operatore che gli ha conferito il mandato). 

Al quesito posto dalla Corte di Cassazione italiana va, quindi, data risposta 
nel senso espresso dalla giurisprudenza test� citata, negando che il principio 
di proporzionalit� possa, di per s�, giustificare la non attribuzione allo 
spedizioniere doganale delle intere conseguenze di una irregolare operazione 
di transito comunitario, come nella specie ha correttamente fatto la dogana 
italiana, in applicazione di quanto disposto dall�art. 96 CDC. 

Per completezza di difesa, nonostante la irricevibilit� della proposta 
della Commissione di mutare il contenuto del quesito posto dal giudice 
remittente, affrontiamo la problematica inerente lo sgravio regolato dall�art. 
239 CDC e dagli art. 899-909 del Regolamento; sul punto � intervenuta nel 
corso del giudizio a quo una decisione definitiva della Corte di Cassazione 

(n. 15381 del 2002) che ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

dell�Autorit� Giudiziaria a conoscere del comportamento tenuto dalla 
Dogana italiana sulla domanda di sgravio presentata dalla societ�. 

Secondo la Cassazione: �Con riferimento invece alle altre ipotesi, quelle 
atipiche, lo sgravio passa attraverso la decisione dello Stato di rimettere 
il caso all�esame della Commissione, in relazione alle sue particolarit�, e 
postula poi una decisione della Commissione medesima (sentiti i rappresentanti 
di tutti gli Stati membri). La qualit� dei soggetti preposti alle indicate 
decisioni e la natura delle funzioni dai medesimi espletate portano a ritenere 
che lo sgravio �caso per caso�, non vincolato a parametri direttamente 
fissati dalla normativa comunitaria, e nemmeno affidato ad apprezzamenti 
discrezionali dell�autorit� amministrativa doganale, � esercizio di potest� 
gestionale e politica delle autorit� di governo del singolo Stato e della 
Comunit� europea; a fronte di tale potest� non sono configurabili posizioni 
soggettive giudizialmente tutelabili, ma solo aspettative od interessi di mero 
fatto.�. 

Tale pronunzia va letta in coordinamento con quanto dispone l�art. 905, 
comma 6, DAC: la procedura di rimborso o di sgravio di cui all�art. 239, 
paragrafo 2, CDC �va considerata come mai iniziata quando� � nella pratica 
risulti che esiste una controversia tra l�autorit� doganale che ha trasmesso 
la pratica e colui che ha sottoscritto la dichiarazione�� l�esistenza 
della obbligazione doganale non sia stabilita�. 

La Commissione, Direzione generale fiscalit� e unione doganale-
Politica doganale, ha quindi precisato: �se il sorgere dell�obbligazione o il 
suo importo saranno oggetto di contestazione, il fascicolo non dovr� essere 
trasmesso alla Commissione. Per contestazione, bisogna intendere ogni 
ricorso ai sensi dell�articolo 243 del codice doganale comunitario (procedura 
avviata presso un�autorit� amministrativa o giudiziaria), avente come 
oggetto l�esistenza o l�importo dell�obbligazione� [nota TAXUD/B1/PT 
D(2003)6668]. 

Negli stessi termini si era espresso il Comitato del codice doganale 
anche per il caso in cui la domanda di sgravio fosse presentata dall�operatore 
direttamente alla Commissione (documento di lavoro TAXUD/765/2003 
dell�8/12/2003): �1. Caso delle domande trasmesse alla Commissione quando 
l�importo dell�obbligazione doganale non sia stabilito. 

Ai sensi degli articoli 871, paragrafo 6, quarto trattino e 905, paragrafo 
6, quarto trattino, la Commissione trasmette la pratica all�autorit� doganale 
e la procedura ...va considerata come mai iniziata quando l�esistenza 
dell�obbligazione doganale non sia stabilita�. In questo caso, prima di trasmettere 
una pratica alla Commissione l�autorit� doganale deve assicurarsi 
che l�esistenza o l�importo dell�obbligazione doganale siano stabiliti. 

Ci� non si verifica in particolare quando l�esistenza o l�importo dell�obbligazione 
doganale formano oggetto di contestazione. Per contestazione si 
intende qualsiasi ricorso ai sensi dell�articolo 243 del codice doganale 
comunitario,... avente ad oggetto l�esistenza o l�importo dell�obbligazione 
doganale. In questo caso, la pratica potr� essere trasmessa alla 
Commissione soltanto al termine della contestazione�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La Commissione ha successivamente ritenuto �che anche un debito contestato 
possa essere ritenuto stabilito� [nota 10/6/2004 B1/PT 
D(2004)6393], cos� interpretando le conclusioni del Comitato del codice 
doganale raggiunte nella riunione dell�1/12/2004 [Documento di lavoro 
TAXUD/C3/D (04)69224 del 16/12/2004] secondo cui: ��la Commission 
confirme que si un op�rateur conteste la dette douani�re et en m�me temps 
soumet une demande de non recouvrement/remise ou remboursement sous 
l�angle des articles 220 ou 239 du Code, l�Etat membre peut soumettre cette 
demande � la Commission pour examen, m�me si la question de l�existence 
de la dette n�est pas encore r�gl�e au niveau national�. 

Da questo complesso di riferimenti possiamo trarre due conclusioni: a) che 
una domanda di sgravio ai sensi dell�art. 239 deve essere inoltrata alla 
Commissione dall�Autorit� doganale nazionale nelle ipotesi in cui spetti alla 
prima la decisione (cio� per le situazioni particolari come quella invocata nella 
specie dalla soc. M.&M.) solo quando non sia pendente un giudizio in sede 
nazionale o questo sia terminato; in pendenza di giudizio l�Autorit� doganale 
ha solo la facolt� di inoltrare la domanda alla Commissione o di trattenerla in 
attesa dell�esito del giudizio: b) che l�operatore pu� di propria iniziativa presentare 
direttamente alla Commissione una domanda di sgravio, senza attendere 
la fine del giudizio e l�attivazione da parte della dogana nazionale. 

Bene ha fatto, quindi, la Dogana italiana nel caso di specie a non inoltrare 
la domanda di sgravio alla Commissione in pendenza del giudizio e correttamente 
ha deciso la Corte di Cassazione quando ha dichiarato il difetto di giurisdizione 
sulla decisione della dogana, giusto quanto ribadito dalla sentenza della 
Corte di Giustizia 18/7/2007, causa C-119/05, secondo la quale, nel rispetto dei 
principi di cui all�art. 234 Trattato, nelle materie di competenza esclusiva della 
Commissione quest�ultima agisce sotto il controllo del giudice comunitario ed i 
giudizi nazionali non hanno competenza ad intervenire (punti 51-54, 59-63). 

Anche secondo la prospettazione ipotizzata dalla Commissione, in conclusione, 
la risposta al quesito posto dalla Corte di Cassazione non pu� 
discostarsi da quella suggerita in riferimento all�effettivo contenuto del quesito 
formulato, cio� che la soc. M.&M. non pu� sottrarsi, in sede di giudizio 
promosso dinanzi all�Autorit� Giudiziaria nazionale ai sensi dell�art. 243 
CDC, al pagamento delle imposte evase in occasione delle operazioni di 
transito comunitario da essa curate nella sua qualit� di spedizioniere. 

In conclusione 

il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti 
al suo esame affermando in via generale che: 

l�inosservanza del termine di undici mesi di cui all�art. 11-bis Reg. 
87/1062 (anche nella formulazione di cui all�art. 49 Reg. 92/1214, applicabile 
in relazione all�epoca dei fatti, ed in quella di cui all�art. 379, par. 1, Reg. 
2454/93, applicabile dall�1/1/1994) non comporta l�estinzione dell�obbligazione 
doganale sorta a carico dell�obbligato principale e costituisce una prescrizione 
procedurale che si rivolge soltanto alle autorit� amministrative; 

lo stesso dicasi per il termine di tre mesi di cui all�art. 11-bis, par. 2, Reg. 
87/1062, ma nella specie non v�� luogo a decidere sulla rilevanza del detto ter



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

mine in quanto nell�invito di pagamento indirizzato dalla Dogana italiana alla 
societ� Militzer & Munch in data 8/8/1995 era stato espressamente concesso; 

per le operazioni di transito comunitario avvenute prima del 1� gennaio 
1994, ai sensi dell�art. 34, par. 1-2, Reg. 90/2776 del Consiglio del 17/9/1990 
allora vigente, competente a procedere alla riscossione dei dazi non pagati in 
conseguenza del mancato appuramento di quelle operazioni � la dogana dello 
Stato nel quale � stata accertata la violazione ovvero, ai sensi dell�art. 215 
CDC, la dogana dello Stato nel quale � stata commessa, cio� � per le operazioni 
di transito comunitario � lo Stato di destinazione della merce o i cui timbri 
e certificati siano stati falsificati, in mancanza di diverse risultanze; 

il principio di proporzionalit� non pu� essere invocato dallo spedizioniere 
per sottrarsi al pagamento dei dazi dovuti per le operazioni da esso 
curate, indipendentemente dall�importo del compenso ricevuto; in subordine, 
la presentazione della domanda si sgravio ai sensi dell�art. 239 CDC in 
pendenza di giudizio sulla debenza dei dazi da parte dell�obbligato principale 
non gli consente di sottrarsi all�esito del giudizio e non obbliga l�autorit� 
doganale dello Stato membro ad inoltrare la domanda alla 
Commissione, ai sensi dell�art. 905 DAC. 

Lussemburgo, 6 dicembre 2007 Avv. Giuseppe Albenzio�. 

Causa C-365/06 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Ricorso presentato 
il 7 settembre 2006 � Commissione delle Comunit� europee/
Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato F. Arena - AL 36420/06). 

LE CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE 

Constatare che la Repubblica italiana, 

� riservando l�attivit� di elaborazione e stampa dei cedolini paga ai soli 
consulenti del lavoro, o a persone assimilate, iscritte agli albi professionali; 
� prescrivendo specifici requisiti circa la composizione e la costituzione 
dei centri di elaborazione dati; 
� subordinando l�iscrizione a tali albi professionali all�obbligo di essere 
residenti in Italia; 
� venuta meno agli obblighi ad essa gravanti dagli articoli 43 e 49 del 
Trattato che istituisce la Comunit� Europea; 

� vietando qualsiasi esercizio delle attivit� di consulente del lavoro in 
assenza dell�iscrizione agli albi italiani; 
� venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall�art. 49 del Trattato 
che istituisce la Comunit� europea. 

IL CONTRORICORSO DEL GOVERNO ITALIANO 

�La legislazione italiana controversa e la procedura precontenziosa. 

L�art. 1, comma 1, della legge 11 gennaio 1979 n. 12 (�Norma per l�ordinamento 
della professione di consulente del lavoro�) dispone che: �Tutti 
gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente 
od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da 
coloro che siano iscritti nell�albo dei consulenti del lavoro a norma dell�articolo 
9 della presente legge, salvo il disposto del successivo articolo 40, 
nonch� da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori 
legali dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali 
in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro 
delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti 
di cui sopra�. 

Il comma 4 del predetto articolo 1 prevede, poi, che �Le imprese considerate 
artigiane ai sensi della legge 25 luglio 1956 n. 860 , nonch� le altre 
piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l�esecuzione 
degli adempimenti di cui al primo comma a servizi o a centri di assistenza 
fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria. Tali servizi possono 
essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro, anche se dipendenti 
dalle predette associazioni�. 

Il comma 5 del medesimo articolo, aggiunto dalla legge 17 maggio 1999 

n. 144, recita �Per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative 
agli adempimenti di cui al primo comma, nonch� per l�esecuzione delle 
attivit� strumentali ed accessorie, le imprese di cui al quarto comma possono 
avvalersi anche di centri di elaborazione dati costituiti e composti esclusivamente 
da soggetti iscritti agli albi di cui alla presente legge con versamento, 
da parte degli stessi, della contribuzione integrativa alle casse di previdenza 
sul volume di affari ai fini IVA, ovvero costituiti o promossi dalle 
rispettive associazioni di categoria alle condizioni definite al citato quarto 
comma. I criteri di attuazione della presente disposizione sono stabiliti dal 
Ministero del lavoro e della previdenza sociale sentiti i rappresentanti delle 
associazioni di categoria e degli ordini e collegi professionali interessati. Le 
imprese con oltre 250 addetti che non si avvalgono, per le operazioni suddette, 
di proprie strutture interne possono demandarle a centri di elaborazione 
dati, di diretta costituzione od esterni, i quali devono essere in ogni 
caso assistiti da uno o pi� soggetti di cui al primo comma�. 
Da ultimo, l�art. 9 della citata legge n. 12/1979 cos� identifica le condizioni 
per ottenere l�iscrizione all�albo dei consulenti del lavoro: 
�L�iscrizione nell�albo si ottiene a seguito di istanza, redatta in carta legale 
e rivolta al consiglio provinciale di cui al successivo articolo 11, corredata 
dei seguenti documenti: 

a) certificato di cittadinanza italiana o documento attestante che l�interessato 
ha la cittadinanza di uno degli Stati membri della comunit� economica 
europea, ovvero documento attestante che l�interessato � italiano 
appartenente a territorio non uniti politicamente all�Italia, oppure che � cittadino 
di uno degli Stati esteri nei cui confronti vige un particolare regime 
di reciprocit�; 

b) certificato autentico o autenticato di abilitazione all�esercizio della 
professione rilasciato dall�ispettorato regionale del lavoro competente per 
territorio; 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

c) certificato autentico o autenticato attestante il titolo di studio posseduto; 


d) certificato del casellario giudiziario; 

e) certificato di buona condotta morale e civile; 

f) certificato di godimento dei diritti civili; 

g) ricevuta attestante il versamento del contributo di iscrizione; 

h) due fotografie, di cui una autenticata, per il rilascio della tessera di 
riconoscimento; 

i) certificato di residenza�. 

La normativa sopra testualmente riportata veniva ritenuta incompatibile 
con il diritto comunitario da parte della Commissione che, pertanto, in data 
24 luglio 2000 inviava al Governo italiano una lettera di messa in mora. 

(omissis)...� 

Roma, 1 dicembre 2006 Avv. Filippo Arena�. 

LA CONTROREPLICA DEL GOVERNO ITALIANO 

�Le modifiche alla legislazione controversa intervenuta in corso di causa. 

Come preannunciato nel controricorso, in un�ottica di collaborazione da 
parte delle Autorit� italiane con le Istituzioni Europee, la legge 11 gennaio 
1979 n. 12 (�Norme per l�ordinamento della professione di consulente del 
lavoro�) � stata modificata attraverso due ravvicinati interventi legislativi: 
l�articolo 5-ter del decreto legge n. 10 del 2007, aggiunto dalla legge di conversione 
del 6 aprile 2007, n. 46 e l�art. 10, comma 8 del D.L. n. 7/2007, convertito 
dalla legge 2 aprile 2007, n. 40. Gli interventi richiamati sono idonei 
ad eliminare le presunte incompatibilit� della legislazione italiana con la normativa 
comunitaria rilevate dalla Commissione nel proprio ricorso. 

In particolare, l�articolo 5-ter del D.L. n. 10/2007 ha sostituito l�inciso 
�costituiti e composti esclusivamente da� contenuto nell�articolo 1, comma 
5, della legge n. 12 del 1979, con la frase �che devono essere in ogni caso 
assistiti da uno o pi� soggetti iscritti agli albi di cui alla presente legge�, per 
cui la formulazione del comma 5 dell�art. 1 della l. n. 12/1979 attualmente 
vigente � la seguente : �Per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e 
stampa relative agli adempimenti di cui al primo comma, nonch� per l�esecuzione 
delle attivit� strumentali e accessorie, le imprese di cui al quarto 
comma possono avvalersi anche di centri di elaborazione dati che devono 
essere in ogni caso assistiti da uno o pi� soggetti iscritti agli albi di cui alla 
presente legge con versamento, da parte degli stessi, della contribuzione 
integrativa alle casse di previdenza sul volume di affari ai fini IVA, ovvero 
costituiti o promossi dalle rispettive associazioni di categoria alle condizioni 
definite al citato quarto comma. I criteri di attuazione della presente 
disposizione sono stabiliti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale 
sentiti i rappresentanti delle associazioni di categoria e degli ordini e collegi 
professionali interessati. Le imprese con oltre 250 addetti che non si 
avvalgono, per le operazioni suddette, di proprie strutture interne possono 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

demandarle a centri di elaborazione dati, di diretta costituzione od esterni, 
i quali devono essere in ogni caso assistiti da uno o pi� al primo comma�. 

A sua volta, l�articolo 10, comma 8, del D.L. n. 7/2007, convertito dalla 
Legge n. 40/2007, ha aggiunto un comma 6 all�articolo 1, L. n. 12/1979, in 
forza del quale: �L�iscrizione all�albo dei consulenti del lavoro non � richiesta 
per i soggetti abilitati allo svolgimento delle predette attivit� dall�ordinamento 
giuridico comunitario di appartenenza, che operino in Italia in 
regime di libera prestazione di servizi�. 

Le richiamate modifiche legislative appaiono, senza dubbio, idonee a 
rimuovere i dubbi espressi dalla Commissione nel proprio ricorso in merito 
all�incompatibilit� della legislazione vigente in Italia con le previsioni del 
Trattato; si chiede, pertanto, che la Commissione, anche in un�ottica deflattiva 
del contenzioso, voglia prendere in considerazione l�ipotesi di rinunciare 
al ricorso. 

Ove, al contrario, la Commissione ritenesse di dover ulteriormente insistere 
nelle proprie censure, si formulano, qui di seguito, le seguenti brevi 
osservazioni (anche in relazione agli effetti derivanti dalle modifiche legislative 
appena sopra citate). 

Sulla violazione degli artt. 43 e 49 CE in ragione della riserva di attivit� di 
elaborazione e stampa dei cedolini paga ai soli consulenti del lavoro, o a 
persone assimilate, iscritte agli albi professionali. 

In riferimento alla violazione in rubrica si richiamano le modifiche 
legislative sopra riportate attraverso le quali � stata eliminata l�apparente 
incongruenza delle disposizioni applicabili alle imprese in ragione del 
numero dei dipendenti. Le piccole imprese, infatti, non sono pi� tenute ad 
avvalersi di CED composti esclusivamente da consulenti del lavoro. Il 
nuovo comma 5 dell�art. 1 della L. n. 12 del 1979 prevede, sia per le piccole 
imprese che per le imprese con pi� di 250 dipendenti, solamente la necessit� 
che i CED siano assistiti da almeno uno o pi� consulenti del lavoro. 
L�incoerenza stigmatizzata dalla Corte nella sentenza Payroll �, dunque, 
venuta meno. 

Ben consci che l�esistenza di prassi amministrative non � idonea a 
rimuovere eventuali incompatibilit� della legislazione interna rispetto alla 
normativa comunitaria, il richiamo della circolare n. 14 del 15 marzo del 
2000 al punto 20 del controricorso era esclusivamente finalizzata a sottolineare 
l�assenza, in concreto, degli effetti derivanti dall�applicazione della 
normativa in contestazione paventati dalla Commissione. 

Per ci� che concerne l�attivit� dei CED si rileva, in primo luogo, come, 
ancora una volta, la Commissione si limiti a far riferimento a non meglio 
identificate informazioni che la stessa avrebbe assunto. A fronte della contestazione 
in merito alla ricostruzione relativa alla natura dei Centri di elaborazione 
dati effettuate sin dalla fase precontenziosa ed anche nel controricorso, 
la ricorrente lamenta che le affermazioni del Governo italiano non sarebbero 
state dimostrate, in tal modo pretendendo di operare una inammissibile 
inversione dell�onere della prova, gravante, al contrario, solo su di essa 
Commissione. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Al riguardo, si ribadisce, peraltro che lo svolgimento dell�attivit� di suddetti 
centri richiede una specifica conoscenza della normativa fiscale nonch� 
un�approfondita preparazione in materia di diritto del lavoro e della previdenza 
sociale. Considerata la natura dei dati con cui i lavoratori dei CED 
vengono a contatto � indispensabile, peraltro, aver sviluppato una particolare 
conoscenza e professionalit� in tema di trattamento dei dati personali e 
tutela della privacy. 

Le conoscenze richiamate risultano indispensabili per una consapevole 
valutazione dei dati forniti dal datore di lavoro e per una corretta ed accorta 
impostazione dei programmi informatici. L�inserimento dei dati rilevanti nei 
programmi informatici �, infatti, attivit� complessa e di particolare delicatezza 
essendo strumentale alla quantificazione dell�importo dello stipendio 
netto del lavoratore e al corretto assolvimento degli obblighi di natura previdenziale 
e fiscale. 

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione (replica, 
punti 6 e 7) la decisione n. 243/1999 del Consiglio di Stato � tutt�altro che 
irrilevante ai fini del caso di specie poich� il Supremo Collegio, con specifico 
riferimento all�attivit� di inserimento dei dati da parte dei CED, ha affermato 
�anche a voler dare per ammesso (il che non �, dal momento che qualsiasi 
elaborazione di dati richiede la predisposizione, da parte degli stessi 
CED, di appositi programmi, che garantiscano i risultati voluti) che si tratti 
di compiti meramente esecutivi��. Tale affermazione, seppur inserita incidentalmente 
nel ragionamento del Collegio, mostra chiaramente come anche 
il Consiglio di Stato ritenga che l�attivit� dei CED non sia meramente esecutiva 
e che, pertanto, il suo svolgimento debba avvenire da parte o comunque 
sotto la supervisione di un consulente del lavoro o figure professionali assimilate 
(pare solo il caso di accennare alla circostanza � quanto all�osservazione 
di cui al punto 6 della replica � che lo scrutinio del Consiglio di Stato 
ha avuto ad oggetto, ovviamente, la circolare del Ministero del Lavoro e non 
la legge n. 12 del 1979, essendo il compito del Giudice amministrativo italiano 
quello di sindacare la legittimit� degli atti amministrativi e non della 
normativa di rango primario) . 

Un ulteriore chiarimento sulla natura dell�attivit� di elaborazione e stampa 
dei cedolini paga � offerto dalla Corte di Cassazione penale, che ha chiarito 
che �l�elaborazione delle buste paga e gli adempimenti connessi alle 
stesse� sono �compiti che in nessun modo potrebbero essere qualificati di 
natura meramente esecutiva in quanto�richiedenti una attivit� di individuazione, 
interpretazione ed applicazione di una normativa complessa e di difficoltoso 
coordinamento�. 

Si osserva, ancora, che, chiarita la natura non meramente esecutiva delle 
attivit� svolte, non pu� essere in discussione la necessit� che i CED, quando 
non siano interamente composti da consulenti del lavoro, siano quantomeno 
assistiti da una o pi� di tali figure professionali. Tale indispensabile assistenza 
� finalizzata, infatti, alla tutela del lavoratore, la quale rientra tra le ragioni 
di interesse generale che giustificano le restrizioni delle libert� fondamentali 
garantite dal Trattato, come riconosciuto pacificamente dalla costante 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

giurisprudenza comunitaria e, riguardo al caso di specie, dalla sentenza 
Payroll. 

Si deve inoltre sottolineare che l�art. 1, comma 5, della Legge n. 12 del 
1979, sia nella nuova formulazione che nell�interpretazione affermatasi nella 
prassi antecedente a tale modifica legislativa rispetta ampiamente � contrariamente 
a quanto asserisce la Commissione (replica, punto 13 e seguenti) � 
il principio di proporzionalit� della restrizione rispetto all�obiettivo perseguito: 
la presenza di almeno un consulente del lavoro all�interno dei CED � condizione 
di indispensabile garanzia per la tutela dei lavoratori e allo stesso 
tempo incide in maniera minima sulle libert� garantite dagli artt. 43 e 49 del 
Trattato. 

Sulla violazione degli articoli 43 e 49 CE in relazione ai requisiti per la composizione 
e costituzione dei centri di elaborazione e stampa dei cedolini 
paga. 

La violazione delle norme in rubrica da parte della Legge n. 12 del 1979 
� sostenuta dalla Commissione richiamando le conclusioni dell�Avvocato 
generale Mischo nella causa Payroll e la successiva sentenza di codesta 
Corte del 17 ottobre 2002. Come gi� chiarito in sede di controricorso, la 
Corte, nella sentenza Payroll, si � limitata a rilevare l�incompatibilit� della 
normativa nazionale con il solo articolo 43 CE esclusivamente con riguardo 
all�incoerenza (che era, in realt�, del tutto apparente) delle diverse previsioni 
legislative applicabili alle imprese in ragione del numero dei dipendenti 
(non appare necessario replicare ancora sulla corretta interpretazione della 
pronuncia di codesta Corte pi� volte citata, risultando evidente, a parere del 
Governo italiano, il senso della stessa, cos� come chiarito ai punti 13 e ss. del 
controricorso) 

In ogni caso, a seguito della nuova formulazione dell�art. 1, comma 5, 
della L. n. 12 del 1979, la censura in esame non ha pi� ragione di essere: i 
CED che assistono le piccole imprese non richiedono pi� di essere interamente 
composti da consulenti del lavoro o figure analoghe, ma � sufficiente 
che siano assistiti da uno o pi� di tali soggetti.

� opportuno, inoltre, sottolineare che grazie all�inserimento di un 
nuovo comma nell�art. 1 della Legge n. 12 del 1979, la condizione richiesta 
dal comma 5 sarebbe soddisfatta anche nel caso in cui il CED fosse assistito 
da un soggetto che, pur non iscritto nell�albo nazionale dei consulenti del 
lavoro, sia abilitato dall�ordinamento giuridico di appartenenza allo svolgimento 
di attivit� analoghe a quelle di un consulente del lavoro italiano. Una 
tale previsione mostra la massima attenzione dell�ordinamento italiano alla 
garanzia della libert� di prestazione di servizi, il cui rispetto era, peraltro, 
assicurato anche precedentemente alle modifiche legislative. 

Sulla violazione dell�articolo 49 CE conseguente all�obbligo di iscrizione 
negli albi professionali italiani. 

Con riferimento alla violazione in rubrica � necessario richiamare, ancora 
una volta, le recenti modifiche apportate alla Legge n. 12 del 1979. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Il nuovo comma 6 della richiamata legge prevede una deroga espressa 
all�obbligo di iscrizione nell�albo professionale italiano in favore dei lavoratori 
comunitari. Tale previsione legislativa stabilisce che l�iscrizione all�albo 
italiano non � necessaria per i lavoratori comunitari abilitati dall�ordinamento 
di provenienza allo svolgimento di attivit� analoghe a quelle dei consulenti 
del lavoro italiani. 

In ogni caso, anche prescindendo dalla modifica legislativa richiamata al 
precedente punto, neppure l�originaria formulazione della Legge n. 12 del 
1979 poteva essere ritenuta in contrasto con l�articolo 49 CE. Infatti il lavoratore 
comunitario in possesso dei requisiti accertati nello Stato di provenienza 
poteva ottenere (e pu� tutt�ora ottenere) senza alcuna difficolt� l�iscrizione 
all�albo professionale italiano. 

Si sottolinea, per scrupolo di completezza, che la Commissione riteneva 
ingiustificato l�obbligo dell�iscrizione all�albo dei consulenti del lavoro per 
la sola ragione che considerava l�attivit� dei CED meramente esecutiva e 
senza riflessi sull�esigenza di tutela dei lavoratori (replica, punto 35). Come 
chiarito al precedente paragrafo A), le funzioni svolte dai CED sono tutt�altro 
che meramente esecutive e incidono direttamente sugli interessi dei lavoratori. 
L�esigenza dell�iscrizione all�albo italiano dei consulenti del lavoro 
appariva, pertanto, misura utile e proporzionata ai fini della tutela dei lavoratori. 


Sulla violazione degli articoli 43 e 49 CE per la previsione della necessit� di 
un certificato di residenza ai fini dell�iscrizione agli albi italiani. 

Ai fini dell�iscrizione all�albo nazionale dei consulenti del lavoro, si prende 
atto, in primo luogo, della rinuncia della Commissione al motivo incentrato 
sulla contrariet� della previsione indicata in rubrica con l�art. 43 CE. 

Nel merito, si osserva che l�obbligo di residenza per la registrazione 
all�albo era gi� escluso dall�art. 16 della l. 526/1999 (cfr. punto 33 controricorso) 
che, in luogo dello stesso, aveva affermato la sufficienza dell�elezione 
di un domicilio professionale. Ai fini della chiarezza e della trasparenza 
della legislazione, peraltro, ora, inseguito alle modifiche apportate dall�art. 5 
ter del D.L. n. 10/2007 (all. 1) � lo stesso articolo 9, comma 1, lettera i), della 
Legge n. 12 del 1979 a prevedere semplicemente l�elezione di un domicilio 
professionale in Italia. 

Peraltro, pi� in generale, alla luce delle modifiche legislative della 
Legge n. 12 del 1979 si ritiene che anche la contestazione in esame non abbiapi� motivo di essere. � evidente, infatti, che l�iscrizione all�albo italiano dei 
consulenti del lavoro si pone come una scelta meramente facoltativa per il 
cittadino comunitario, atteso che il nuovo articolo 1, comma 6, della L. n. 
12/1979 non la richiede come condizione necessaria per lo svolgimento delle 
attivit� indicate nel medesimo articolo 1. 

In via meramente subordinata, qualora la Commissione non ritenesse di 
abbandonare la contestazione in rubrica, ci si vede costretti a ribadire l�eccezione 
di irricevibilit� della domanda sulla compatibilit� dell�obbligo di elezione 
di domicilio professionale con l�articolo 49. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Nel parere motivato della Commissione, infatti, non c�� traccia di una 
tale contestazione e pertanto, come costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza 
di codesta Corte, l�ampliamento dell�oggetto del ricorso dopo il 
parere motivato non pu� essere ammesso. 

Priva di fondamento � la tesi sostenuta dalla Commissione (replica, 
punto 37) secondo cui la modifica della contestazione sarebbe da attribuire 
al Governo italiano. La possibilit� di sostituire il certificato di residenza con 
l�elezione del domicilio professionale ai fini dell�iscrizione all�albo italiano 
era prevista dalla legislazione italiana sin dal 1999 appunto e la circostanza, 
gi� nella fase precontenziosa7, non era stata oggetto di alcun rilievo nel successivo 
parere motivato. 

Conclusioni 

Sulla base delle considerazioni che precedono, il Governo italiano confida 
che la Corte vorr� accogliere le seguenti conclusioni: 

respingere il ricorso proposto dalla Commissione; 

in subordine, dare atto che, in considerazione delle modifiche legislative 
intervenute con il D.L. n. 7/2007, convertito dalla legge n. 40 del 2 aprile 
2007 e con il D.L. n. 10/2007, convertito dalla legge n. 46 del 6 aprile 
2007, la pretesa incompatibilit� della Legge n. 12 del 11 gennaio 1979 con 
gli articoli 43 e 49 del Trattato CE � venuta meno 

Roma, 8 maggio 2007 Avv. Filippo Arena� 

Causa C-424/06 - Materia trattata: politica sociale - Ricorso presentato 
il 16 ottobre 2006 - Commissione delle Comunit� europee/Repubblica italiana. 
(Avvocato dello Stato F. Arena -AL 48064/06). 

LE CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE 

Constatare che non adottando tutte le misure legislative, regolamentari 
ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2002/15/Ce del 
Parlamento europeo e del Consiglio dell�11 marzo 2002, concernente l�organizzazione 
dell�orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni 
mobili di autotrasporto, o, in ogni caso, non avendo comunicato tali misure 
alla Commissione, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad 
essa imposti da tale direttiva. 

LA DIFESA DEL GOVERNO ITALIANO 

�Lo scopo della Direttiva 2002/15/CE, cos� come enucleato dall�art. 1 
della stessa, consiste nello stabilire �prescrizioni minime in materia di organizzazione 
dell�orario di lavoro per migliorare la tutela della salute e della 
sicurezza delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, 
per migliorare la sicurezza stradale e ravvicinare maggiormente le condizioni 
di concorrenza�. 

L�art. 14 della Direttiva prevede l�obbligo degli Stati membri di adottare 
le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

conformarsi alla Direttiva entro il 23 marzo 2005, ovvero di provvedere 
affinch� entro la medesima data la parti sociali abbiano adottato le disposizioni 
necessarie. 

Sullo stato della disciplina vigente nell�ordinamento della repubblica italiana. 

Nonostante non siano stati adottati atti specifici volti al recepimento 
della Direttiva di cui si discute, corre l�obbligo di segnalare che la disciplina 
vigente (sia attualmente sia al momento della notifica del parere motivato) 
appare sostanzialmente conforme alle previsioni della Direttiva. 

In effetti, la disciplina dell�orario di lavoro degli autotrasportatori � 
rimessa alla contrattazione collettiva tra la parti sociali e queste ultime hanno 
raggiunto gi� nel 2000 � con previsioni successivamente confermate nel 
novembre del 2006 � un accordo le cui linee direttrici di fondo appaiono in 
linea con la normativa comunitaria dettata dalla direttiva e, in parte, risultano 
ancor pi� garantistiche di questa ultima. 

In dettaglio, la disciplina in questione � contenuta negli articoli 11 e 11 
bis del Contratto Collettivo nazionale del 13 giugno 2000, in vigore sino al 
9 novembre del 2006 e, successivamente, negli articoli con la medesima 
numerazione contenuti nel Contratto Collettivo nazionale sottoscritto in data 
9 novembre 2006. 

Sulla qualificazione di lavoro effettivo 

La Direttiva, all�art. 3, cos� definisce l�orario di lavoro �a) orario di 
lavoro: 1) nel caso dei lavoratori mobili: ogni periodo compreso fra l�inizio 
e la fine del lavoro durante il quale il lavoratore mobile � sul posto di lavoro, 
a disposizione del datore di lavoro ed esercita le sue funzioni o attivit�, 
ossia: 

� il tempo dedicato a tutte le operazioni di autotrasporto. In particolare 
tali operazioni comprendono: 

i) la guida; 

ii) il carico e lo scarico; 

iii) la supervisione della salita o discesa di passeggeri dal veicolo; 

iv) la pulizia e la manutenzione tecnica del veicolo; 

v) ogni altra operazione volta a garantire la sicurezza del veicolo, del 

carico e dei passeggeri o ad adempiere gli obblighi legali o regolamentari 
direttamente legati al trasporto specifico in corso, incluse la sorveglianza 
delle operazioni di carico e scarico, le formalit� amministrative di polizia, 
di dogana, di immigrazione ecc.; 

� i periodi di tempo durante i quali il lavoratore mobile non pu� disporre 
liberamente del proprio tempo e deve rimanere sul posto di lavoro, pronto 
a svolgere il suo lavoro normale, occupato in compiti connessi all�attivit� 
di servizio, in particolare i periodi di attesa per carico e scarico, qualora 
non se ne conosca in anticipo la durata probabile, vale a dire o prima della 
partenza o poco prima dell�inizio effettivo del periodo considerato, oppure 
conformemente alle condizioni generali negoziate fra le parti sociali e/o 
definite dalla normativa degli Stati membri�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Il Contratto Collettivo nazionale del 13 giugno 2000, all�art. 11, cos� 
descrive il tempo di lavoro effettivo: �� tempo di lavoro effettivo quello che 
non rientra nelle seguenti definizioni: 

a) tempo trascorso in viaggio, per treno, per nave, aereo od altri mezzi 
di trasporto per la esecuzione dei servizi affidati al lavoratore; 

b) tempo di attesa del proprio turno di guida nella cabina dell�autotreno 
guidato da due conducenti e ripartendo in misura uguale fra di essi il 
lavoro effettivo in trasferta�. Il tempo di lavoro effettivo si calcola inoltre 
con l�esclusione dei tempi di riposo intermedio, intendendosi per tali quelli 
in cui il lavoratore � lasciato in libert� anche fuori dal proprio domicilio 
e dalla sede dell�impresa, e con la facolt� di allontanarsi all�autoveicolo, 
essendo manlevato dalla responsabilit� di custodia del veicolo stesso 
e del carico�. Agli effetti della qualificazione dei tempi di lavoro, � in 
particolare tempo di lavoro effettivo quello, ad esempio, trascorso alla 
guida del mezzo per la esecuzione delle operazioni di dogana e di carico 
in raffinerie.� 

� agevole osservare, sulla base di una semplice comparazione dei due 
testi, che la disciplina vigente sin dal 1� luglio del 2000 in Italia, senza soluzione 
di continuit� (le previsioni del Contratto Collettivo nazionale del giugno 
2000 sono state riprodotte testualmente nell�art. 11 del Contratto 
Collettivo nazionale sottoscritto in data 9 novembre 2006, attualmente in 
vigore) � del tutto conforme a quella dettata dalla Direttiva n. 2002/15/CE. 

Sui riposi intermedi 

L�art. 5 della direttiva cos� disciplina i c.d. riposi intermedi : �Gli Stati 
membri prendono tutte le misure necessarie affinch�, fermo restando il livello 
di tutela previsto dal regolamento (CEE) n. 3820/85 ovvero, in difetto, 
dall�accordo AETR, le persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, 
senza pregiudizio dell�articolo 2, paragrafo 1, non lavorino in nessun 
caso per pi� di sei ore consecutive senza un riposo intermedio. L�orario 
di lavoro deve essere interrotto da riposi intermedi di almeno trenta minuti 
se il totale delle ore di lavoro � compreso fra sei e nove ore, di almeno quarantacinque 
minuti se supera le nove ore.� 

Il comma 5 dell�art. 11 sia del Contratto Collettivo del giugno del 2000 
che del Contratto Collettivo del novembre del 2006 prevedono il diritto ad 
un riposo intermedio di durata non inferiore ad un�ora per le trasferte sino a 
15 ore e non inferiore a due ore per trasferte superiori a 15 ore. 

Appare intuitivo che la disciplina vigente nell�ordinamento giuridico italiano 
� pi� favorevole al lavoratore e del tutto conforme allo scopo della 
Direttiva come enucleato nell�art. 1 della medesima, atteso che, per limitarsi 
ad un solo esempio, un autotrasportatore che effettui una trasferta di durata 
pari a 15 ore avrebbe diritto, secondo la previsione di cui all�art. 5 cit. della 
Direttiva, ad un riposo intermedio pari a 45 minuti, laddove, sulla base della 
normativa pattizia vigente in Italia, lo stesso ha diritto ad un periodo non 
inferiore ad un�ora di riposo. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Sul lavoro notturno 

La disciplina vigente in Italia (cfr. art. 17 Contratto Collettivo del 13 giugno 
2000 e art. 4, parte speciale, sezione prima del Contratto Collettivo del 
9 novembre 2006), secondo la quale � considerato lavoro notturno quello 
svolto nel periodo compreso tra le 22.00 e le 6.00, � pi� favorevole all�autotrasportatore 
di quanto lo sia la corrispondente disciplina comunitaria che 
identifica quale orario di lavoro notturno quello compreso tra mezzanotte e 
le sette della mattina successiva: sotto quest�ulteriore profilo,dunque, nulla 
quaestio. 

Sull�orario di lavoro 

Ai sensi dell�art. 4 della Direttiva l�orario di lavoro degli autotrasportatori 
non pu� superare le quarantotto ore settimanali; pu� essere prevista, 
peraltro, una durata settimanale pari a 60 ore, purch�, su un periodo di quattro 
mesi, la durata media settimanale non superi le predette quarantotto ore. 

Gli artt. 11 e 11 bis dei citati Contratti Collettivi individuano, in linea 
generale, per il personale viaggiante, un orario di lavoro settimanale pari a 
39 ore (cfr. primo comma art. 11 di entrambi gli accordi); l�art. 11 bis, poi, 
specifica che per il personale addetto a mansioni discontinue (tali essendo 
quelle per cui lo svolgimento dell�attivit� lavorativa non coincide con i tempi 
di presenza a disposizione del datore di lavoro, in ragione di oggettivi vincoli 
di organizzazione derivanti dalla tipologia di trasporti, per lo pi� di natura 
extraurbana), l�orario di lavoro settimanale � pari a 47 ore. Anche sotto questo 
profilo, dunque, piena rispondenza con la previsioni normative in esame. 

Il medesimo comma 1 dell�art. 11 bis prevede, poi, un limite complessivo 
mensile pari 250 ore, con ci�, in apparenza, violando i limiti di cui all�art. 
4 della Direttiva. 

La apparente contraddittoriet� della disposizione pattizia con la normativa 
comunitaria, peraltro, viene meno, in virt� dell�applicazione del generale 
principio ermeneutico, in forza del quale ogni accordo tra le parti non pu� 
che essere letto in modo tale da renderlo conforme alle previsioni di legge, 
nel caso di specie, alle previsioni della Direttiva appunto. 

E dunque, poich� nel sistema comunitario delineato dalla Direttiva 
2002/15 � espressamente previsto il meccanismo della compensazione (per 
cui sono ammessi �sforamenti� alla durata di lavoro settimanale di 48 ore, 
purch� venga rispettata la media di 48 ore su un arco di tempo di quattro 
mesi, e ci� oltre alle ulteriori deroghe previste dall�art. 8 della Direttiva 
medesima), la previsione dei contratti collettivi non pu� che essere interpretata 
muovendo i passi, in primo luogo, dall�indicazione di massima (ed informatrice 
dell�intera disciplina) dell�orario di lavoro settimanale pari a 37 o 47 
ore, rappresentando poi l�indicazione delle 250 ore mensili, un limite massimo 
che, in quanto applicabile sotto la condizione del rispetto del limite della 
media delle quarantott�ore settimanali computate su un periodo di quattro 
mesi (ovvero sei, cfr. art. 8, secondo comma Direttiva 2002/15), non risulta 
complessivamente incompatibile con la disciplina comunitaria. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Conclusioni 

Sulla base delle considerazioni che precedono, il Governo italiano confida 
che la Corte vorr� accogliere le seguenti conclusioni: 
respingere il ricorso proposto dalla Commissione. 
Roma, 29 gennaio 2007 Avv. Filippo Arena�. 

Cause riunite da C-468/06 a 478/06 - Materia trattata: concorrenza -
Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dall�Efeteio Athinon 
(Grecia) il 21 novembre 2006 � Convenuta: GLAXOSMITHKLINE 
Anonimi Emporiki Viomichaniki Etairia Pharmakeftkon Proiondon. 
(Avvocato dello Stato F. Arena). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se il rifiuto, da parte di una impresa in posizione dominante, di soddisfare 
integralmente gli ordinativi che le vengono inoltrati dai grossisti di 
prodotti farmaceutici, quando � diretto a restringere le attivit� di esportazione 
di questi ultimi e a limitare in tal modo il danno causato dal commercio 
parallelo, costituisca di per s� un comportamento abusivo ai sensi dell�art. 
82 CE. Se sulla soluzione di tale questione influisca il fatto che il commercio 
parallelo � molto proficuo per i grossiti in ragione delle differenze di 
prezzo esistenti nell�ambito dell�unione europea a cauaa dell�intervento statale, 
cio� in ragione del fatto che il mercato dei prodotti farmaceutici non 
presenta condizioni di concorrenza pura, essendo invece caratterizzato da 
un gado elevato di intervento da parte dello Stato. Infine, se sia corretto che 
un giudice nazionale applichi le regole comunitarie di concorrenza in modo 
indifferenziato ai mercati che funzionano in modo concorrenziale e a quelli 
in cui la concorrenza viene falsata dall�intervento statale. 

2) Come si debba valutare l�eventuale carattere abusivo nel caso in cui 
la Corte giudichi che la restrizione del commercio parallelo, per le ragioni 
precedentemente esposte, non costituisce sempre una pratica abusiva, quando 
� posta in essere da una impresa in posizione dominnate. 

In particolare: 

2.1 Se sia appropriato usare il criterio della percentuale di superamento 
del normale consumo nazionale e/o quello del danno che l�impresa in 
posizione dominante subisce in termini di fatturato complessivo e di profitto 
complessivo. In caso di soluzione affermativa, come si debba determinare il 
livello delle percentuale di superamento e l�importo del danno subito � consistendo 
quest�ultimo in una percentuale del fatturato e del profitto complessivo 
� al di sopra del quale il comportamento in esame si configura come 
abusivo. 
2.2 Se debba essere seguita unaa impostazione fondata sulla ponderazione 
degli interessi e, in caso di risposta affermativa, quali siano gli interessi 
che devono rientrare in tale ponderazione. 
Pi� specificatamente: 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

a) se in proposito rilevi il fatto che il paziente-consumatore finale riceve 
un vantaggio economico limitato dal commercio parallelo; e 

b) se debbano essere presi in considerazione, e in in quale misura, gli 
interessi degli organismi previdenziali ad ottenere farmaci meno cari. 

2.3 quali altri criteri e impostazioni si ritengano appropriati nel caso di 
specie. 
OSSERVAZIONI ORALI DEL GOVERNO ITALIANO 

�Signor Presidente, Signori Giudici, Signor Avvocato Generale. 

Il Governo italiano, non avendo svolto osservazioni nella fase scritta del 
procedimento, intende, in primo luogo, rappresentare che, a suo avviso, la 
risposta da fornire alle domande oggetto del rinvio pregiudiziale � quella 
suggerita dalla Commissione. 

Nell�esporre le ragioni che, secondo il Governo italiano, militano nel 
senso di ritenere ravvisabile, nel comportamento della Glaxo, un abuso di 
posizione dominante, si provveder� inoltre a rispondere ai quesiti formulati 
da codesta Corte. 

In primo luogo, non pu� non ricordarsi che il commercio parallelo � una 
legittima pratica commerciale che trova il proprio fondamento nel principio 
di libera circolazione delle merci di cui agli articoli 28-30 del Trattato.

La giurisprudenza di codesta Corte ha chiarito, pi� volte � ad esempio, 
nella nota decisione emessa nelle cause riunite C-267/95 e 268/95, Merck 
contro Prime Crown � che i prodotti medicinali non si sottraggono all�applicazione 
delle regole sul mercato interno, di talch� le misure statali restrittive 
del commercio parallelo di prodotti farmaceutici sono ammesse, solo nella 
misura in cui esse siano giustificate da ragioni di tutela della propriet� industriale 
ovvero di tutela della salute e della vita delle persone ai sensi dell�articolo 
30 del Trattato. 

Allo stesso obiettivo cui tende il principio di libera circolazione delle 
merci, e cio� l�integrazione dei mercati, sono finalizzate, secondo quanto 
ritenuto da codesta Corte nella sentenza emessa nella cause riunite C-56/64 
e C-58/64, Consten e Grundig, le norme a tutela della concorrenza. 

In particolare, come noto, nella citata decisione, � stato espressamente 
affermato che l�art. 81, paragrafo 1, essendo teso a perseguire l�obiettivo dell�eliminazione 
delle barriere fra gli Stati membri, si oppone ad accordi tra 
imprese che ricostruiscano le divisioni nazionali. 

Vi �, dunque, una integrazione tra la disciplina prevista in tema di libera 
circolazione delle merci e quella a tutela della concorrenza: entrambe 
mirano al medesimo risultato, l�una vietando l�adozione di misure statali che 
possano restringere la circolazione delle merci appunto, la seconda vietando 
alle imprese (nella ricorrenza degli altri presupposti previsti dagli articoli 81 
e 82 del Trattato) comportamenti che possano condurre alla ripartizione dei 
mercati. N�, peraltro, l�esistenza di una regolamentazione (differenziata) dei 
prezzi dei prodotti pu� essere ritenuta circostanza idonea ad escludere l�applicazione 
delle regole di concorrenza: cos� come la differenza dei prezzi tra 
i vari Stati non pu� essere considerata ragione sufficiente ad escludere l�ap



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

plicazione piena ed incondizionata degli articoli 28-30 del Trattato, nello 
stesso modo un comportamento abusivo (che si risolva nella compartimentazione 
dei mercati) deve poter essere sanzionato ai sensi dell�art. 82. 
Dovranno, peraltro, ricorrere gli specifici requisiti previsti da tale disposizione 
per poter applicare la stessa; ed �, dunque, questa la ragione (in tal modo 
rispondendo al secondo quesito formulato per la risposta orale) per cui non 
vi � inconciliabilit� tra la giurisprudenza in materia di libera circolazione 
delle merci (che prescinde dalla verifica degli effetti sul consumatore finale) 
e la necessit� di verificare l�esistenza di un beneficio per il consumatore finale 
al fine di ritenere integrati gli estremi di un abuso di posizione dominante: 
se si ritenga che detto ultimo requisito sia necessario perch� possa ritenersi 
integrata la fattispecie anticoncorrenziale (ricordando, peraltro, che � sufficiente 
la mera potenzialit� dell�effetto anticoncorrenziale), ci� � dovuto 
solo alla diversa natura del comportamento preso in considerazione dagli 
articoli 81 e 82 del Trattato, rispetto a quello oggetto di disciplina ad opera 
degli articoli 28-30. 

Sulla base di questo presupposto di fondo, pu� essere esaminata, ora, 
brevemente, la questione posta dalla Corte d�Appello di Atene. 

Senza necessit� di citare i precedenti giurisprudenziali di codesta Corte 
in materia di abuso di posizione dominante (che si ritrovano nelle osservazioni 
scritte presentate dalla Commissione), il Governo italiano ritiene, sulla 
base di detta giurisprudenza, che il rifiuto da parte di un impresa in posizione 
dominante di fornire ai grossisti propri clienti la quantit� di prodotti da 
essi richiesti, ove non ricorrano cause di giustificazione idonee, costituisce, 
in s�, un abuso vietato ai sensi dell�art. 82 del Trattato. 

Il Governo italiano ritiene, inoltre, che lo scopo dichiarato dalla Glaxo 
a sostegno del proprio rifiuto (e cio� l�intenzione di impedire ai grossisti di 
effettuare esportazioni in altro mercato nazionale) non rappresenti una giustificazione 
idonea. 

Il commercio parallelo di medicinali rappresenta l�unica forma di pressione 
competitiva intrabrand nel settore in questione: quest�ultima innesca 
una riduzione dei prezzi dei medicinali e consente, dunque, un risparmio di 
spesa sia per i sistemi sanitari pubblici (da considerarsi alla stregua di consumatori 
finali) che per i singoli acquirenti dei prodotti medicinali. 

Il commercio parallelo contribuisce, pertanto, in modo rilevante alla 
creazione e sviluppo del mercato interno. 

Ci� � ancor pi� vero se si tiene conto della evoluzione dei flussi delle 
esportazioni parallele. In effetti, storicamente, queste ultime si rivolgevano 
verso i paesi del nord Europa ove i prezzi dei medicinali risultano pi� elevati 
in ragione delle diverse politiche di prezzi adottate dalle autorit� sanitarie pubbliche 
di detti paesi. La maggior parte delle esportazioni parallele si continua, 
per lo pi�, a rivolgere verso detti Stati, e, tuttavia, recentemente, i mercati di 
destinazione delle esportazioni parallele si sono ampliati a taluni Paesi come la 
Francia e l�Italia, mercati tradizionalmente a prezzo basso di farmaci. Le novit� 
nei flussi delle esportazioni confermano, dunque, il ruolo rilevante delle 
esportazioni parallele ai fini della integrazioni dei mercati nazionali. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Si deve ritenere, inoltre, che il commercio parallelo abbia ricadute positive 
in tema di risparmio della spesa: come � nella normale dialettica competitiva, 
infatti, le case farmaceutiche reagiscono all�entrata del concorrente sul 
mercato ritoccando i pressi al ribasso.

Ci� �, ad esempio, avvenuto in Svezia dove � cos� come risulta da uno 
studio condotto nel 2001 per la World Bank, da Gaslandt e Maskus, dal titolo 
Parallel import of pharmaceutical products in the European Union � tra 
il 1994 ed il 1998 si � osservato un significativo rallentamento nell�aumento 
dei prezzi dei farmaci soggetti ad importazione parallela. In modo analogo, 
per fare un esempio che pu� dimostrare quanto in precedenza si diceva in 
merito al cambiamento dei mercati di destinazione delle esportazioni parallele, 
in Italia � stato possibile verificare che, in seguito all�introduzione di 
talune quantit� di Daflon (un medicinale per la cura dei disturbi venosi), il 
prezzo di quest�ultimo farmaco � aumentato dopo ventuno mesi dall�ultima 
variazione e non ogni anno come era, invece, consueto prima che il farmaco 
in questione venisse importato. 

Altro emblematico esempio di effettivo risparmio di spesa per il sistema 
sanitario nazionale (da considerare, anch�esso, quale consumatore finale 
come gi� prima ricordato), viene proprio dal Regno Unito: come risulta dal 
punto 130 della decisione del Tribunale di primo grado del 27 settembre 
2006 nella causa T-168/2001, il National Health Service rimborsa automaticamente 
ai farmacisti un importo pari al prezzo al quale il produttore commercializza 
il suo farmaco nel mercato britannico, dedotta una quota compresa 
tra il 4 ed il 5 %, corrispondente al risparmio che si presume realizzato 
ove il farmacista si sia rifornito tramite il commercio parallelo. 

Anche in Germania, ove sono stati adottati dei meccanismi incentivanti 
nell�assetto di regolamentazione dei prezzi e dei sistemi di rimborso alle farmacie 
� quali, ad esempio, l�obbligo dei farmacisti di fornire il prodotto 
importato se il suo prezzo � del 15% o di almeno 15 euro inferiore rispetto 
al prezzo del prodotto commercializzato dal produttore -, � stato appurato, 
tramite uno studio condotto nel 2003 dalla York Health Economics 
Consortium, che, nel solo 2002 e nel solo settore dei contraccettivi orali, � 
stato realizzato un risparmio di spesa di 10 milioni di euro. 

Pi� in generale, e per chiudere sul punto, da un ulteriore studio eseguito 
dalla University of Southern Denmark del 2006 � emerso che, nei paesi tradizionalmente 
destinatari delle esportazioni parallele, il risparmio in termini di spesa 
dovuto a tale fenomeno � stato pari a 441,5 milioni di euro (in particolare il 
risparmio per la Danimarca � stato di 14,2 milioni, per la Svezia di 45,3 milioni, 
per la Germania di 145,0 milioni e per il Regno Unito di 237,0 milioni). 

Sembra, dunque, potersi concludere nel senso che � sicuramente � il 
consumatore finale benefici, almeno in parte, degli esiti del commercio 
parallelo. 

Nei mercati di esportazione dei prodotti farmaceutici, infatti, (che rappresentano 
i mercati rilevanti al fine di verificare la sussistenza dell�abuso, 
essendo questi i mercati dove l�impatto della condotta si registra, cos� rispondendo 
anche al primo quesito formulato da codesta Corte), come visto, il 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

commercio parallelo introduce un confronto competitivo che, ove fosse ritenuto 
legittimo il rifiuto del produttore di rifornire i grossisti per bloccare l�esportazioni 
verso lo Stato in cui il prezzo del prodotto � pi� elevato, non 
avrebbe luogo, con conseguente possibilit�, per il produttore medesimo, di 
sfuggire a qualunque forma di competizione. 

Per ci� che riguarda, poi, il rilievo che il commercio parallelo costituisce 
una causa importante della riduzione degli investimenti in ricerca e sviluppo 
delle case farmaceutiche (e, dunque, ritenere illegittimo un comportamento 
teso ad impedire lo stesso, si risolverebbe in un ostacolo per l�innovazione, 
fattore particolarmente decisivo nel settore oggetto del presente 
esame), si deve convenire con quanto dedotto dalla Commissione ai punti 64 
e 65 delle proprie osservazioni scritte ed ai punti da 155 a 161 della decisione 
dell�8 maggio 2001, Glaxo Wellcome, secondo cui non vi � alcuna dimostrazione 
in ordine alla esistenza di un nesso di causalit� tra gli effetti del 
commercio parallelo e l�entit� dell�importo destinato dalle case farmaceutiche 
alla ricerca ed allo sviluppo. Al contrario, la modesta entit� delle esportazioni 
parallele orienta a ritenere che tale nesso sia del tutto da escludere. 

Ne deriva che la affermata incidenza, in termini negativi, del commercio 
parallelo sull�entit� degli investimenti in ricerca e sviluppo non pu� essere 
utilizzata quale argomento per escludere l�abusivit� del comportamento della 
Glaxo, in quanto la stessa, a tacer d�altro, � del tutto indimostrata. 

Il terzo quesito formulato da codesta Corte riguarda le modalit� con le 
quali vengono fissati i prezzi dei medicinali all�interno degli Stati membri. 

Per quanto riguarda l�Italia, il prezzo dei farmaci � stato nel tempo determinato 
con metodi diversi. 

Fino al 1993 il prezzo era �amministrato�, cio� determinato da un�apposita 
autorit� (il CIP � Comitato Interministeriale Prezzi). 

Dal 1994 al 2002 (per i farmaci a carico del SSN) � stato in vigore un 
prezzo �sorvegliato� dal CIPE (Comitato Interministeriale per la 
Programmazione Economica) il cui livello non poteva superare il Prezzo 
Medio Europeo di farmaci analoghi. 

Per alcune categorie di farmaci invece il prezzo era �contrattato�. Con 
la Deliberazione C.I.P.E. 1� febbraio 2001, n. 3 recante �Individuazione dei 
criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci�, si prevedeva infatti un 
meccanismo per la determinazione del prezzo dei farmaci di cui al 
Regolamento CEE n. 2309/1993, nonch� di quelli autorizzati secondo la procedura 
di mutuo riconoscimento. 

Tale meccanismo � stato esteso a tutti i farmaci dall�articolo 48, comma 
33, del Decreto Legge n. 269/2003 il quale ha cos� disposto: �Dal 1� gennaio 
2004 i prezzi dei prodotti rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale 
sono determinati mediante contrattazione tra Agenzia e Produttori secondo 
le modalit� e i criteri indicati nella Delibera Cipe 1� febbraio 2001, n. 3, 
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2001�. 

I prezzi dei medicinali in Italia rientranti nella c.d. fascia A, a totale carico 
del servizio sanitario nazionale, vengono, dunque, ora determinati in 
seguito a contrattazione con la impresa produttrice. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

�, peraltro, prevista la possibilit� di rivedere il prezzo sulla base della 
seguente procedura. 

L�articolo 7 della delibera CIPE 1� febbraio 2001, n. 3 (come si � detto, 
ormai applicabile a tutti i farmaci) dispone: 

Il prezzo definito al termine della procedura negoziale come prezzo ex 
fabrica, � valido per un periodo di ventiquattro mesi fatte salve le diverse 
clausole contrattuali. 

Qualora sopravvengano modifiche delle indicazioni terapeutiche e/o 
della posologia, tali da far prevedere un incremento del livello di utilizzazione 
del farmaco, ciascuna delle parti pu� riaprire la procedura negoziale 
anche prima della scadenza del periodo previsto. 

Il contratto si rinnova per ulteriori ventiquattro mesi alle medesime condizioni 
qualora una delle parti non faccia pervenire all�altra almeno novanta 
giorni prima della scadenza naturale del contratto, una proposta di modifica 
delle condizioni. 

L�Amministrazione apre il processo negoziale secondo le modalit� gi� 
previste al punto 5. della presente delibera e fino alla conclusione del procedimento 
resta operativo l�accordo precedente.

� quindi possibile ottenere una modifica del prezzo contrattato sia alla 
scadenza del biennio che prima della scadenza medesima, restando, peraltro, 
pur sempre possibile per le imprese trasferire il farmaco nella classe �C� di 
cui all�articolo 8 comma 10 della legge n. 537/93 (con la conseguente libert� 
di prezzo, ma con l�esclusione dall�elenco dei farmaci con onere a carico 
del SSN). 

Il prezzo del farmaco, dunque, viene fissato in seguito ad una libera contrattazione 
con le autorit� pubbliche e, pertanto, � ragionevole ritenere che il 
produttore, decidendo di immettere sul mercato un certo prodotto a quel 
prezzo, abbia valutato la redditivit� dell�operazione anche rispetto ai costi 
fissi ed ai costi variabili di produzione, avendo a mente, al contempo, i ritorni 
complessivi della propria intera attivit� commerciale su tutti i mercati 
interessati (quarto quesito). 

Come noto, peraltro, il produttore resta sempre libero di commercializzare 
o meno un determinato medicinale all�interno di un mercato di uno 
Stato membro: ove per� abbia liberamente assunto detta determinazione, � 
necessario impedire che lo stesso produttore possa assumere comportamenti 
tesi alla compartimentazione dei mercati, quale �, senz�altro, l�ostacolo al 
commercio parallelo. 

La seconda parte del quinto quesito riguarda la circostanza della mancata 
(o ritardata) immissione nel mercato di uno Stato membro di un prodotto 
al fine di evitare il rischio di importazioni parallele. 

Pur non avendo evidenze in un senso o in un altro, pu� non essere inutile 
osservare che, nei diversi studi condotti sul punto (ed in particolare lo studio 
di M. Kyle del 2006 �Pharmaceutical price controls ed entry strategies, 
pubblicato in Review of Economics and Statistic; quello di Danzon ed altri 
del 2003 �The impact of price regulation on the launch delay of new drugs. 
Evidence from twenty-five major market in the 1990s� pubblicato in NBER 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Working PaperRew� e quello di Mc Kelvey ed altri del 2004 
�Pharmaceutical analyzed through the lens of a sectoral innovation 
system�, pubblicato in Sectoral System of innovation, Cambridge university 
press), vengono richiamate, oltre alla lunghezza dei tempi necessari al rilascio 
dell�autorizzazione all�immissione in commercio, anche le scelte strategiche 
delle imprese in relazione alla misura di determinazione del prezzo nei 
vari Stati membri, ma non vi sono significativi riferimenti al rischio del commercio 
parallelo. 

Quanto all�ultimo quesito, si osserva che l�articolo 81, paragrafo 2, della 
direttiva 2001/83/CE impone al titolare dell�autorizzazione alla messa in 
commercio di un medicinale, una volta che detta immissione sia stata effettuata, 
di assicurare forniture adeguate alle esigenze dei pazienti dello Stato 
membro in questione. 

Ne deriva che, una volta che il medicinale sia stato messo in commercio 
al prezzo, peraltro, quantomeno per ci� che riguarda l�Italia, concordato dal 
produttore, quest�ultimo, nei limiti delle proprie possibilit�, non pu� rifiutarsi 
di soddisfare la domanda interna proveniente dal mercato nazionale interessato. 
Il produttore pu� peraltro chiedere, come prima evidenziato, la revisione 
del prezzo. 

Dall�articolo 81 della direttiva, tuttavia, non discende l�obbligo di rifornire 
soggetti che vogliano acquistare il medicinale al fine di esportare lo stesso, 
prevedendo la norma in questione un obbligo riferito alla sola domanda 
nazionale: detto obbligo, al ricorrere della altre condizioni, pu� invece 
discendere dall�art. 82 del Trattato. 

In conclusione, il Governo italiano ritiene che le regole del diritto della 
concorrenza debbano trovare applicazione anche nei mercati nei quali la 
concorrenza sia influenzata dall�intervento statale, che il rifiuto da parte di 
un�impresa in posizione dominante di rifornire i grossisti di un determinato 
medicinale costituisca un abuso ai sensi dell�art. 82 del Trattato, salvo che 
non sia giustificato da ragioni obiettive che, tuttavia, non possono essere 
rinvenute nello scopo di impedire la commercializzazione parallela dei 
medicinali in questione: una soluzione di segno diverso, infatti, si tradurrebbe 
in una significativa battuta di arresto al processo di integrazione dei mercati. 


Avv. Filippo Arena�. 

Causa C-534/06 - Materia trattata: agricoltura - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione (Italia) il 27 
dicembre 2006 - Industria Lavorazione Carni Ovine/Regione Lazio. 
(Avvocato dello Stato G. Aiello - AL 7056/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se l�art. 13 del Regolamento (CEE) n. 866/90 del Consiglio del 
19.03.1990 debba essere interpretato nel senso che il finanziamento va 
escluso nei casi in cui sia posta in essere la commercializzazione e/o trasfor



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

mazione (anche) di prodotti non provenienti dall�area comunitaria, nonostante 
il rispetto del programma specifico in relazione al quale � stato ottenuto 
il finanziamento, con la commercializzazione e/o trasformazione di prodotti 
provenienti dall�area comunitaria nella misura programmata. 

IL FATTO 

In data 01.10.1997, la Regione Lazio ha proposto opposizione dinanzi al 
Tribunale di Roma avverso il decreto ingiuntivo recante la condanna al pagamento 
in favore della societ� Industria Lavorazioni Carni Ovine s.r.l. (ILCO) 
della somma di �. 1.617.575.382 a titolo di saldo del contributo comunitario 
per la costruzione di uno stabilimento per la macellazione di carni ovine di 
origine comunitaria nel comune di Acquapendente. 

Il Tribunale di Roma ha respinto l�opposizione con sentenza del 
13.02/25.03.1999. 

La Regione Lazio ha proposto appello avverso la predetta sentenza 
dinanzi alla Corte di Appello di Roma. 

La Corte adita, con sentenza n. 3159/02 del 09.09.2002, ha accolto il gravame 
e ha revocato il decreto ingiuntivo a carico della Regione appellante. 

La Corte territoriale ha ritenuto che la destinazione dell�impianto alla 
macellazione di carni ovine di origine autoctona o comunque comunitaria 
fosse condizione necessaria ai fini dell�erogazione del contributo. 

Il fondamento normativo posto a sostegno della decisione � costituito 
dall�art. 13 del reg. (CEE) n. 866/90 del 29.03.1990 in forza del quale sono 
esclusi dal finanziamento gli investimenti per la commercializzazione o la 
trasformazione di prodotti provenienti da Paesi Terzi. 

La societ� ILCO ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza 
de qua. 

Con Ordinanza interlocutoria n. 26925 del 23.11.2006, depositata in data 
15.12.2006, la Corte di Cassazione ha sollevato dinanzi alla codesta Corte di 
Giustizia delle Comunit� Europee la questione pregiudiziale. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Con il presente atto il Governo della Repubblica Italiana interviene nel 
presente giudizio al fine di rilevare quanto segue. 

Il regolamento (CEE) n. 866/90 del 29.03.1990 concerne il miglioramento 
delle condizioni di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti 
agricoli. 

Tale regolamento si inserisce nel pi� ampio contesto della Politica 
Agricola Comunitaria e individua i tipi di investimento formanti oggetto dell�intervento 
del FEAOG, sezione orientamento, tenendo conto sia della situazione 
attuale dei mercati agricoli e del settore agroalimentare, sia della prospettiva 
di sviluppo degli sbocchi per i prodotti agricoli. 

In coerenza con le predette finalit� l�art. 13 del reg. n. 866/90 esclude dai 
finanziamenti comunitari gli investimenti finalizzati alla commercializzazione 
o la trasformazione di prodotti provenienti da Paesi Terzi. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

� evidente, infatti, che se la ratio dei finanziamenti comunitari � da 
ricercarsi nell�incentivazione della politica comunitaria in materia agroalimentare 
ne consegue l�impossibilit� di avvalersi dei finanziamenti medesimi 
per la trasformazione di prodotti di origine extracomunitaria. 

Diversamente opinando la disposizione di cui all�art. 13 del reg. n. 
866/90 verrebbe privata di significato. 

Il chiaro tenore letterale dell�art. 13 del reg. n. 866/90 impedisce dubbi 
interpretativi e trova conferma nel quinto considerando del regolamento 
secondo il quale l�intervento comunitario deve essere coerente con la politica 
agricola comune. 

Del resto quando il Legislatore Comunitario ha inteso escludere l�applicazione 
della norma limitativa di cui all�art. 13 del reg. n. 866/90 lo ha disposto 
espressamente. 

A titolo esemplificativo, infatti, ai sensi dell�articolo 32 del regolamento 
(CEE) 1600/92 la Commissione pu� decidere, su richiesta motivata delle 
autorit� portoghesi, di estendere il beneficio delle misure previste del regolamento 
(CEE) 867/90 del Consiglio, del 29 marzo 1990, relativo al miglioramento 
delle condizioni di trasformazione e di commercializzazione dei 
prodotti della silvicoltura, a taluni prodotti agricoli essenziali importati in 
provenienza da Paesi terzi, a condizione che i prodotti trasformati e/o commercializzati 
siano destinati esclusivamente al mercato interno delle Azzorre 
e di Madera. 

Con decisione n. 97/37/CE del 18.12.1996, inoltre, la Commissione ha 
stabilito che l�articolo 13, secondo trattino, del regolamento (CEE) n. 866/90 
non si applica a condizione che i prodotti trasformati e/o commercializzati in 
virt� degli investimenti finanziati siano destinati esclusivamente al mercato 
dei Dipartimenti Francesi d�Oltremare (DOM). 

Alla luce delle considerazioni che precedono il Governo della 
Repubblica Italiana ritiene che al quesito posto debba darsi risposta nel senso 
che l�art. 13 del reg. n. 866/90 esclude l�erogazione dei finanziamenti comunitari 
in tutti i casi in cui sia posta in essere la commercializzazione e/o trasformazione 
di prodotti non provenienti dall�area comunitaria. 

Roma, 10 aprile 2007 Avv. Giacomo Aiello�. 

Causa C-1/07 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht Siegen (Germania) il 
3 gennaio 2007 -Procedimento penale a carico di Frank Weber. (Avvocato 
dello Stato S. Fiorentino -AL 12795/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se l�art. 1, n. 2, della direttiva 91/439/CEE, in combinato disposto con 
l�art. 8, n. 2 e n. 4, sia da interpretare nel senso che ad uno Stato membro � vietato 
non riconoscere il permesso di circolare all�interno del suo territorio in 
base ad una patente di guida rilasciata da un altro Stato membro e non ricono



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

scere quindi la validit� di quest�ultima ovvero negarla, perch� al suo titolare 
nel primo Stato membro menzionato veniva revocata la patente, dopo il rilascio 
nei suoi confronti di una cosiddetta �seconda� patente di guida dell�Unione 
europea in un altro Stato membro, qualora la revoca della patente si basi su un 
fatto o su un comportamento illegittimo verificatosi nel periodo antecedente al 
rilascio della patente di guida da parte dell�altro Stato membro. 

IL FATTO 

Secondo quanto si ricava dall�ordinanza di rinvio, l�imputato, che risiede 
stabilmente in Germania, era in possesso di una patente di guida per le 
categorie A1, M, B e L. Il 18.09.2004, nella localit� di Kreuztal � stato colto 
alla guida di un autoveicolo sotto l�effetto di sostanze stupefacenti (cannabis 
e anfetamine). Con provvedimento amministrativo del 17.11.2004, divenuto 
definitivo il 4.12.2004, gli veniva inflitta una sanzione pecuniaria ed imposto 
il divieto di porsi alla guida di autoveicoli per un periodo di un mese. 

In data 18.11.2004 veniva rilasciata all�imputato, nella Repubblica ceca, 
una patente di guida che, come � poi emerso, era stata rilasciata sulla base di 
esami sostenuti il 16.11.2004. 

Nel frattempo, a seguito del fatto occorso il 18.09.2004, veniva avviato 
dall�autorit� amministrativa del circondario di Siegen-Wittgenstein un procedimento 
teso ad accertare l�idoneit� dell�imputato alla guida. L�imputato � 
venuto a conoscenza di questo procedimento per effetto di comunicazione 
del 7.01.2005. Il procedimento si concludeva con provvedimento del 
17.03.2005, divenuto definitivo dal 6.04.2005, di revoca della patente di 
guida (tedesca) ai sensi dell�art. 3, n. 1, del codice della strada tedesco 
(Stra�enverkehrsgesetz: in prosieguo �StVG�), in combinato disposto con 
l�articolo 46, n. 1, del regolamento sull�accesso delle persone alla circolazione 
stradale � regolamento sulla patente di guida (Fahrerlaubnis � 
Verordnung: in prosieguo �Fev�). 

La revoca, a quanto si evince dall�ordinanza, era determinata anche dal 
fatto che l�imputato, nel corso del procedimento, non aveva ottemperato 
all�ordine impostogli dall�Amministrazione tedesca, la quale non era a conoscenza 
del possesso da parte dell�imputato della patente di guida ceca, di 
rinunciare all�ulteriore rilascio della patente e di dimostrare la sua idoneit� 
alla guida di autoveicoli attraverso una perizia medico � psicologica. Alla 
data dell�ordinanza di rinvio l�imputato non disponeva di una nuova patente 
di guida tedesca, n� gli era stato accordato il diritto di utilizzare la patente 
ceca (in vista del quale l�imputato, peraltro, non aveva presentato una corrispondente 
richiesta). 

In data 6.01.2006 il sig. Weber veniva colto, in Germania, alla guida di 
un autocarro per il quale � previsto l�obbligo di patente di guida ed esibiva 
alla polizia tedesca la patente di guida ceca. Ne nasceva un procedimento 
penale che, in primo grado, veniva definito con sentenza di condanna per 
guida senza patente. 

Il sig. Weber ha impugnato la sentenza sostenendo di essere abilitato a 
condurre l�autocarro sulla base della patente ottenuta nella Repubblica ceca 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ed in forza dell�art. 8, n. 2 e n. 4, della direttiva 91/439/CEE. Queste disposizioni, 
a giudizio dell�imputato, non consentivano alle autorit� tedesche di 
non riconoscere la patente di guida ceca, se la causa della revoca della patente 
tedesca aveva origine in un fatto antecedente al rilascio della patente ceca. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il quadro giuridico comunitario. 

La direttiva del Consiglio 29 luglio 1991, 91/439/CEE, concernente la 
patente di guida (in prosieguo �la direttiva�), ha istituito un modello di 
patente comunitaria, specificando, all�articolo 1, n. 2, che �le patenti di 
guida rilasciate dagli Stati membri sono riconosciute reciprocamente dai 
medesimi�. 

Il rilascio della patente � subordinato ad alcuni requisiti, tra i quali, 
secondo l�articolo 7, n. 1, lettera b), la �residenza normale ... nel territorio 
dello Stato membro che rilascia la patente di guida�. Ai sensi dell�articolo 9, 
primo paragrafo, per residenza normale �si intende il luogo in cui una persona 
dimora abitualmente, ossia per almeno 185 giorni all�anno, per interessi 
personali e professionali o, nel caso di una persona che non abbia interessi 
professionali, per interessi personali che rivelino stretti legami tra detti 
interessi e il luogo in cui essa abita�. Secondo l�articolo 7, n. 5, inoltre, �si 
pu� essere titolari di una sola patente di guida�. 

Scopo della direttiva � di favorire la politica comune dei trasporti, di 
migliorare il livello di sicurezza stradale, di agevolare la libert� circolazione 
delle persone nel territorio dell�Unione e la libert� di stabilirsi in uno Stato 
membro diverso da quello nel quale si � sostenuto l�esame di guida. 

Nel contemperamento di tali esigenze deve rinvenirsi la ratio delle 
disposizioni previste dall�art. 8 della direttiva, che al numero 2 stabilisce che 
�lo Stato membro di residenza normale pu� applicare al titolare di una 
patente di guida rilasciata da un altro Stato membro le proprie disposizioni 
nazionali concernenti la restrizione, la sospensione, la revoca o l�annullamento 
del diritto a guidare e, se necessario, pu� procedere a tal fine alla 
sostituzione della patente� (c.d. lex loci) e, al numero 4, prevede che �uno 
Stato membro pu� rifiutarsi di riconoscere ad una persona che sul suo territorio 
� oggetto di uno dei provvedimenti citati al paragrafo 2, la validit� di 
una patente di guida rilasciata da un altro Stato membro�. 

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il riconoscimento 
reciproco delle patenti di guida rilasciate dagli Stati membri non �, in via di 
principio, subordinato ad altre condizioni ed avviene �senza formalit� alcuna� 
e senza alcun margine di apprezzamento rispetto alle misure da adottare 
per conformarsi all�obbligo (v. sentenze 29 febbraio 1996, causa C-193/94, 
Skanavi, punto 26; 29 ottobre 1998, causa C-230/97 Awoyemi, punti 41 e 42; 
ordinanza 11 dicembre 2003, causa C-408/02, Da Silva Carvalho, punto 20). 

Esso si basa sulla fiducia reciproca nell�osservanza di disposizioni gi� 
ampiamente armonizzate, dato che la direttiva non impone soltanto l�obbligo 
del riconoscimento reciproco delle patenti di guida, ma anche quello dell�osservanza 
di varie condizioni e norme minime di rilascio di tali patenti. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Ne consegue che spetta unicamente allo Stato del rilascio verificare se 
sussistano o meno i requisiti per la concessione del permesso di guida, sicch� 
le disposizioni della direttiva devono essere interpretate nel senso che 
esse ostano a che uno Stato membro neghi il riconoscimento di una patente 
di guida rilasciata da un altro Stato membro per il motivo che, secondo 
le informazioni di cui il primo Stato membro dispone, il titolare della 
patente, alla data di rilascio di quest�ultima, aveva stabilito la sua residenza 
normale nel territorio di detto Stato membro ospitante e non in quello 
dello Stato membro del rilascio (v. sentenza 29 aprile 2004, causa C476/
01, Kapper, punto 49). Infatti, nell�ambito dell�assistenza reciproca e 
dello scambio di informazioni previsto dall�articolo 12, n. 3, della direttiva, 
qualora lo Stato membro ospitante abbia seri motivi per dubitare della 
regolarit� di una o pi� patenti rilasciate da altro Stato membro, spetta alla 
Stato ospitante di comunicarli a quest�ultimo e, qualora lo Stato di rilascio 
non adottasse i provvedimenti adeguati, � facolt� dello Stato ospitante promuovere 
un procedimento ai sensi dell�art. 227 CE (v. sentenza Kapper, 
citata, punto 48). 

Occupandosi delle deroghe previste dall�articolo 8 della direttiva, la 
Corte ha chiarito che l�art. 8, n. 4, della direttiva non pu� essere fatto valere 
da uno Stato membro per rifiutarsi di riconoscere indefinitamente, ad una 
persona che � stata oggetto sul suo territorio di un provvedimento di revoca 

o di annullamento di una patente precedente rilasciata da tale Stato, la validit� 
di qualsiasi patente che possa esserle rilasciata in seguito da un altro 
Stato membro. Infatti, qualora il periodo di divieto temporaneo di ottenere 
una nuova patente, che accompagnava il divieto in questione, sia gi� trascorso, 
il combinato disposto degli artt. 1, n. 2 e 8 n. 4, della direttiva osta a che 
lo Stato membro ospitante continui a rifiutarsi di riconoscere la validit� di 
qualsiasi patente di guida rilasciata in seguito all�interessato da un altro Stato 
membro (v. sentenza Kapper, citata, punto 76). 
Non gioverebbe, in contrario, opporre che le disposizioni nazionali 
applicabili siano dirette proprio a prorogare per un periodo indeterminato gli 
effetti nel tempo di un provvedimento di revoca di annullamento della patente 
precedente e a riservare allo Stato membro che ha disposto la revoca o 
l�annullamento la verifica circa il venir meno delle condizioni del provvedimento 
restrittivo. Ammettere una simile deroga, infatti, vorrebbe dire consentire 
ad uno Stato membro di richiamarsi alle proprie disposizioni interne 
per opporsi indefinitamente al riconoscimento di una patente rilasciata da 
altro Stato membro, il che equivarrebbe alla negazione stessa del principio 
del riconoscimento reciproco delle patenti di guida introdotto dalla direttiva 

(v. sentenza Kapper, citata, punto 77). 
Questi principi sono stati ripresi dalla Corte nell�ordinanza 6 aprile 2006, 
causa C-227/05, Halbritter. In tale circostanza, la Corte ha ribadito che: 

� il combinato disposto degli artt. 1, n. 2, e 8, nn. 2 e 4, della direttiva 
osta a che uno Stato membro rifiuti di riconoscere, nel suo territorio, il diritto 
di condurre un veicolo derivante da un permesso di guida rilasciato in un 
altro Stato membro e, dunque, la validit� di tale permesso, a motivo del fatto 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

che il titolare del medesimo, colpito nel territorio del primo Stato da una 
misura di revoca di un permesso precedentemente ottenuto, non si � sottoposto 
all�esame di idoneit� alla guida richiesto dalla normativa del detto primo 
Stato per il rilascio di un nuovo permesso a seguito della revoca di cui sopra, 
qualora il divieto temporaneo di ottenere un nuovo permesso disposto unitamente 
alla revoca fosse scaduto al momento del rilascio del permesso di 
guida nell�altro Stato membro (punto 32); 

� il combinato disposto degli artt. 1, n. 2, e 8, nn. 2 e 4, della direttiva 
osta a che, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, uno Stato 
membro, cui sia stata presentata una domanda di conversione di un permesso 
di guida valido, rilasciato in un altro Stato membro, in un permesso nazionale, 
possa subordinare tale conversione alla condizione che venga effettuato 
un nuovo esame di idoneit� alla guida del richiedente, imposto dalla normativa 
del primo Stato membro al fine di risolvere i dubbi esistenti al riguardo 
a motivo di circostanze antecedenti all�ottenimento del permesso nell�altro 
Stato membro (punto 39). 
Con la successiva ordinanza 28 settembre 2006, causa C-340/05, Kremer, 
la Corte ha ribadito che il combinato disposto degli articoli 1, paragrafo 2, e 
8, paragrafi 2 e 4, della direttiva 91/439/CEE ostano a che uno Stato membro 
rifiuti di riconoscere, sul suo territorio, il diritto di guidare risultante da una 
patente di guida rilasciata da un altro Stato membro e, pertanto, la validit� di 
tale patente sul presupposto che il titolare di detto permesso, che era stato 
oggetto, nel territorio del primo Stato membro, di una misura di revoca non 
accompagnata da un divieto temporaneo di ottenere una nuova patente, non si 
� sottoposto alle condizioni richieste dalla normativa di detto primo Stato per 
il rilascio di un nuovo permesso a seguito di quella revoca, ivi compreso l�esame 
di idoneit� alla guida che comprovasse che erano venuti meno i motivi 
che avevano giustificato detta revoca (punto 38). 

Il diritto nazionale e la posizione della giurisdizione di rinvio. 

Sulla base di quanto � dato evincere nelle decisioni di rinvio, in base 
all�art. 46, n. 5, della FeV, in combinato disposto con l�articolo 3, n. 2, secondo 
comma dello StVG, la revoca della patente di guida, disposta ai sensi del 
combinato dell�art 28, n. 1, della FeV e dell�art. 3, n. 1 , dello StVG, produce 
la decadenza del diritto a guidare autoveicoli sul territorio nazionale, sebbene 
l�interessato sia in possesso di una patente ottenuta in un altro Stato 
membro. 

Questo stato di cose comporta che, alla stregua del diritto nazionale, 
l�imputato non era autorizzato a condurre autoveicoli alla data del 6.01.2006, 
quando fu colto alla guida dell�autocarro Daimler Chrysler, bench� avesse 
ottenuto in data 18.11.2004 la patente ceca, in quanto il diritto a guidare, 
derivante dalla titolarit� di quest�ultima patente, era venuto meno per effetto 
del provvedimento di revoca del 17.03.2005. 

Risulterebbe, cos�, integrata la fattispecie oggettiva di reato prevista dall�art. 
21 dello StVG. 

Il Landgericht, tuttavia, si interroga sulla compatibilit� di tale disciplina 
con il diritto comunitario. Infatti, secondo la giurisprudenza Kapper e 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Kremer, uno Stato membro, in cui precedentemente al titolare fosse stata 
revocata la patente di guida, deve riconoscere la validit� di una patente o di 
un permesso di guida rilasciata da un altro Stato membro in epoca successiva 
(se era disposto un periodo di sospensione, il principio deve operare una 
volta scaduto questo periodo). 

La peculiarit� della presente fattispecie starebbe nel fatto che la revoca 
della patente tedesca si fonda sull�accertamento di una circostanza, come una 
condotta dell�interessato, che ha avuto luogo prima del rilascio della patente 
stessa da parte dell�altro Stato membro. Quindi il provvedimento di revoca, 
che si inquadra nell�art. 8, n. 2, della direttiva, seguirebbe solo cronologicamente 
al rilascio di un�altra patente di guida o di un permesso di guida da 
parte di un altro Stato membro. 

******* 
Si discute, nella causa principale, di una patente ceca acquisita mentre 
era in corso un procedimento, avviato il 18.09.2004, di accertamento dell�idoneit� 
alla guida da parte dell�ufficio di polizia amministrativa del circondario 
di Siegen-Wittgenstein ed inoltre mentre era efficace un primo provvedimento 
cautelare, emesso il 17.11.2004, comportante il divieto di guida per 
un mese (la patente ceca � stata, infatti, rilasciata il 18.11.2004, sebbene figuri 
come data dell�esame il 16.11.2004). 
Secondo quanto � dato comprendere dall�interpretazione del diritto 
nazionale che scaturisce dall�ordinanza di rinvio, l�accertamento della inidoneit� 
alla guida, che costituisce il presupposto del provvedimento di revoca, 
verrebbe effettuato con riferimento non alla data di chiusura del procedimento 
(nel nostro caso, 17.03.2005), ma con riferimento all�epoca in cui si era 
verificata la condotta dalla quale � scaturito il procedimento (nel nostro caso, 
il 18.09.2004). 
Dalla narrazione dei fatti contenuta nell�ordinanza, tuttavia, sembrerebbe 
anche che l�accertamento condotto nel corso del procedimento non sia 
limitato a verificare l�idoneit� alla guida del soggetto al momento della condotta 
che si pone all�origine del procedimento. Infatti risulta che, nel contesto 
del procedimento di verifica, l�interessato venga invitato a comprovare la 
propria idoneit� alla guida con una perizia medico � psicologica. Sembra 
ragionevole concludere che questa perizia sia finalizzata a dimostrare l�idoneit� 
alla guida del soggetto nel momento in cui � sottoposto all�esame e non 
nel momento in cui aveva commesso il fatto che ha determinato l�apertura 
del procedimento. Trattandosi di un procedimento amministrativo teso a 
verificare se il soggetto � in grado di condurre autoveicoli, e non di un procedimento 
teso a sanzionare una violazione, sembra al Governo italiano che 
l�oggetto del procedimento debba necessariamente essere l�accertamento 
della idoneit� alla guida al momento in cui si procede. 
Se questo �, come sembra dover essere, lo scopo del procedimento che 
ha portato all�emanazione del provvedimento di revoca � dal quale scaturisce, 
secondo il diritto nazionale, anche la decadenza dal diritto a guidare con 
patenti straniere � sembra al Governo italiano che sia del tutto irrilevante se 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

il fatto che ha dato origine al procedimento sia anteriore o successivo al conseguimento 
della patente nella Repubblica ceca. 

La fattispecie rientrerebbe, in entrambi i casi, nell�ambito di applicazione 
dell�art. 8, paragrafo 2, della direttiva, perch�, in ogni caso, non si farebbe 
questione del riconoscimento di una patente di guida acquisita in un altro 
Stato membro, ma di una �restrizione, sospensione, revoca o annullamento 
del diritto a guidare�. 

Secondo l�art. 8, par. 2, lo Stato membro di residenza normale della persona 
(cio� la Germania, nel caso del sig. Weber, secondo quanto riferisce il 
giudice del rinvio) pu� applicare i provvedimenti citati al punto precedente, 
allorquando ne ravvisi la necessit� e secondo il proprio diritto nazionale, 
ancorch� il soggetto sia titolare di una patente acquisita in un altro Stato 
membro. 

Poich� l�accertamento dell�inidoneit� �, nel nostro caso, certamente successivo 
al conseguimento della patente nella Repubblica ceca, nulla osta 
all�applicazione delle norme nazionali tedesche, secondo le quali il provvedimento 
adottato nei confronti del sig. Weber comportava anche la perdita 
del diritto a guidare con patenti estere. 

La direttiva non esige che l�accertamento della capacit� di guida, da 
parte degli Stati membri, sia necessariamente collegato ad un fatto commesso 
dall�interessato (lo si desume anche dall�art. 1, par. 3). Quindi, la circostanza 
che il procedimento sia scaturito da un fatto anteriore al conseguimento 
della patente ceca � del tutto occasionale e non ha alcun rilievo, perch� ci� 
che rileva � che l�accertamento sia effettuato con riferimento ad un momento 
successivo ed il provvedimento acquisti efficacia da tale momento. 

D�altronde, sulla base del principio di fiducia reciproca che ispira la 
direttiva, lo Stato membro ospitante e tenuto a riconoscere che il soggetto 
che abbia acquisito la patente di guida in un altro Stato membro fosse idoneo 
alla guida al momento del rilascio ed � tenuto a presumere che il soggetto 
sia rimasto idoneo alla guida sino a diverso accertamento, ma non � tenuto 
a mantenere ferma tale presunzione allorquando abbia accertato che, in un 
momento successivo al rilascio della patente, il soggetto risulti inidoneo. 

Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere complessivamente ai quesiti sottoposti al suo 
esame affermando che 

L�art. 8, n. 2, della direttiva 91/439/CEE � da interpretare nel senso che 
ad uno Stato membro non � vietato applicare un provvedimento di restrizione, 
sospensione, revoca o annullamento del diritto a guidare al titolare di 
una patente di guida rilasciata da un altro Stato membro 

� allorquando tale provvedimento trovi causa nell�accertamento di uno 
stato di fatto successivo al conseguimento di tale patente di guida; 
� ancorch� il procedimento da cui � scaturito il provvedimento abbia 
avuto inizio in conseguenza di un fatto antecedente al conseguimento della 
patente in detto altro Stato membro. 
Roma, 24 maggio 2007 Avv. Sergio Fiorentino� 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Causa C-78/07 - Materia trattata: agricoltura - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la 
Regione siciliana (Italia) il 13 febbraio 2007 - Ispettorato Provinciale 
dell�Agricoltura di Enna, Assessorato all�agricoltura e foreste della regione 
Sicilia, Regione Sicilia/Domenico Valvo. (Avvocato dello Stato G. Aiello -
AL 14527/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se la concessione del beneficio dell�indennit� compensativa prevista dal 
Regolamento CEE n. 2328/91 (come modificato dal Regolamento n. 
3669/93) e dal Regolamento CEE n. 950/97 del Consiglio del 20 maggio 
1997, relativo al miglioramento dell�efficienza delle strutture agricole, 
possa essere esclusa ad un imprenditore agricolo che percepisce una pensione 
e, in particolare, una pensione di anzianit�. 

IL FATTO 

Dalla narrativa della decisione sopra richiamata, si apprende che un cittadino 
italiano, imprenditore a titolo principale, essendo in possesso dei 
requisiti previsti dal Regolamento CE n. 2328/91 (come modificato dal Reg. 
CE n. 3669/93) e dal Regolamento CE n. 950/97, ha fatto domanda 
all�Ispettorato Provinciale dell�Agricoltura di Enna per ottenere, relativamente 
agli anni 1996, 1997 e 1998, l�indennit� compensativa prevista dalla 
normativa comunitaria richiamata. 

Tale beneficio � stato negato dal citato Ispettorato Provinciale 
dell�Agricoltura, in quanto ritenuto non cumulabile con la pensione di vecchiaia 
anticipata percepita dal medesimo. 

Avverso detta determinazione, avendo, in via preliminare, infruttuosamente 
proposto ricorso in opposizione all�IPA di Enna, l�interessato ha agito 
innanzi al Tribunale Amministrativo regionale (d�ora innanzi TAR) di 
Catania. In particolare, il ricorrente deduceva di non essere titolare di alcuna 
pensione di vecchiaia, di avere semmai usufruito del trattamento previdenziale 
erogato dal Fondo Pensioni del Personale C.C.R.V.E, che non sarebbe 
paragonabile alla pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata di cui si fa 
menzione nel provvedimento impugnato, nonch� di avere regolarmente percepito, 
per gli anni 1994-1995, l�indennit� successivamente negatagli. 

Per l�annullamento della sentenza n. 1447/05 con cui il TAR adito ha 
accolto il ricorso, hanno proposto appello innanzi al Consiglio di Giustizia 
Amministrativa della Regione Siciliana l�Ispettorato Provinciale 
dell�Agricoltura di Enna, l�Assessorato all�Agricoltura e Foreste della 
Regione Sicilia e la Regione Sicilia. 

In base ai regolamenti comunitari sopra citati gli imprenditori agricoli 
che gi� percepiscono una �pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata� 
non sono esclusi dal regime di aiuti all�agricoltura, tuttavia, alla luce della 
Circolare applicativa della Regione Sicilia sembrerebbe vero il contrario. In 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ogni caso, ad avviso del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione 
Siciliana l�erogazione percepita dal ricorrente si sostanzierebbe in un trattamento 
previdenziale assimilabile ad una pensione di anzianit�. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Cos� delineati i termini della vicenda esaminata nel giudizio a quo, il 
Governo italiano osserva che l�interessato � titolare di pensione diretta con 
decorrenza dal dicembre del 1992 a carico del Fondo pensioni per il personale 
della Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele per le province 
siciliane, Sicilcassa, in seguito assorbito dal Banco di Sicilia s.p.a. 

Il Fondo pensioni in questione, in applicazione del Decreto legislativo 
del 20.11.1990 n. 357, costituisce Gestione Speciale dell�Assicurazione 
Generale Obbligatoria (A.G.O) istituita presso l�Istituto Nazionale 
Previdenza Sociale (INPS) per i dipendenti degli Enti Creditizi inizialmente 
esclusi o esonerati dall�assicurazione obbligatoria. 

L�art. 4 del citato decreto legislativo prevede, peraltro, espressamente 
che �per gli iscritti alla gestione speciale indicati negli artt. 2 e 3 � fatto 
salvo il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore 
previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l�invalidit�, la vecchiaia 
ed i superstiti esclusive od esonerative di rispettiva iscrizione, che 
agli effetti del richiamato diritto continuano ad operare�. 

Nella fattispecie in esame, pertanto, l�interessato percepisce un regolare 
trattamento pensionistico, la cui erogazione � in parte a carico della Gestione 
speciale dell�A.G.O. istituita presso l�INPS ed in parte a carico degli ex datori 
di lavoro (il Banco di Sicilia). 

L�effettiva percezione di detta erogazione, indipendentemente dalla qualificazione 
della stessa in termini di pensione di vecchiaia o di anzianit�, 
garantisce all�interessato un certo reddito per il proprio sostentamento. 

Una distinzione tra pensione di vecchiaia e di invalidit� appare, peraltro, 
priva di pregio: non avrebbe, infatti, senso escludere dal contributo solo chi 
beneficia di una pensione di vecchiaia e non chi invece dispone di una pensione 
di anzianit�, essendo comunque entrambe fonti di sostentamento per i 
rispettivi beneficiari. 

D�altronde, poich� scopo della disciplina in questione appare piuttosto 
quello di sostenere unicamente chi non possa fare affidamento su altre forme 
di reddito per il proprio sostentamento, non avrebbe alcun senso distinguere 
tra le due erogazioni. 

Il Reg. CE n. 950/97 relativo al miglioramento dell�efficienza delle strutture 
agricole, al titolo IX, in materia di �Aiuti in favore delle zone agricole 
svantaggiate�, consente agli Stati membri di istituire un regime di aiuti destinati 
ad incentivare l�agricoltura e a migliorare il reddito degli agricoltori di 
tali zone. 

I beneficiari di tali prestazioni, ai sensi dell�art. 5 della citata normativa, 
devono esercitare l�attivit� agricola a titolo principale, salva restando la 
facolt� per gli Stati membri di estendere tali aiuti agli imprenditori agricoli a 
tempo parziale che ricavano almeno il 50% del loro reddito totale dalle atti



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

vit� agricole, forestali, turistiche o artigianali, oppure di attivit� di conservazione 
dello spazio naturale che beneficiano di sovvenzioni pubbliche, svolte 
nella loro azienda, purch� il reddito direttamente proveniente dall�attivit� 
agricola nell�azienda non sia inferiore al 25% del reddito totale dell�imprenditore 
e il tempo di lavoro dedicato alle attivit� esterne all�azienda non superi 
la met� del tempo di lavoro totale dell�imprenditore. 

La disciplina comunitaria, cos� come non esclude espressamente la possibilit� 
di versare detti contributi a favore di imprenditori agricoli titolari di 
pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata, non attribuisce neppure un 
obbligo in tal senso a carico degli stati membri. 

La lettera della citata disposizione chiaramente attribuisce una mera 
facolt� agli Stati membri di estendere il regime contributivo a favore di soggetti 
che non abbiano nell�attivit� agricola la loro unica fonte di sostentamento. 


Nella fattispecie in esame, l�interessato ricava parte del proprio reddito 
dalla summenzionata pensione, pertanto la sua posizione appare equiparabile 
semmai alla seconda categoria di soggetti ammessi al beneficio, peraltro, 
a condizione che lo Stato membro riconosca estensibile a questi l�erogazione 
stessa. 

La disciplina comunitaria prevede comunque un coordinamento con la 
normativa nazionale. 

Le disposizioni sulla indennit� compensativa sono state recepite dalla 
Regione Sicilia nel POP 2 (GURS del 13/1/1996) e disciplinate con 
Circolare Ass. del 18/5/1993 n. 125/DR, sostituita dalla Circ. Ass. del 
28/5/1993, ulteriormente sostituita dalla Circolare Assessorale del 16/2/1998 

n. 250 (Reg. CE n. 950/97 artt. 17, 18 e 19 � Indennit� compensativa � pubblicata 
sulla Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia dell�11/4/1998, n. 18). 
Ai sensi della normativa regionale, i beneficiari sono individuati negli 
imprenditori che coltivino almeno 2 ettari di superficie agricola utile (s.a.u.) 
impegnandosi a proseguire l�attivit� agricola per almeno un quinquennio a 
decorrere dalla presentazione dell�istanza. Sono esclusi coloro che percepiscono 
una pensione di vecchiaia o una pensione di vecchiaia anticipata. 

In merito a detta questione, la stessa Commissione delle Comunit� 
Europee, in risposta ad una richiesta di interpretazione inviata da una ditta 
siciliana, ha precisato che le autorit� regionali hanno la facolt�, non gi� l�obbligo, 
di concedere l�indennit� compensativa agli imprenditori agricoli titolari 
di pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata. 

I servizi della Commissione hanno, inoltre, chiarito che in tali casi le 
spese relative all�indennit� compensativa non possono essere oggetto di cofinanziamento 
comunitario, rimanendo a totale carico del bilancio regionale. 

In un�altra occasione, sollecitati da un quesito posto dal Ministero per le 
Politiche agricole, con nota prot. n. 1586 del 17 marzo 1999, i Servizi della 
Commissione hanno ribadito che l�aiuto concesso agli imprenditori percettori 
di pensione non d� luogo ad alcun cofinanziamento da parte della 
Comunit� e che l�Amministrazione regionale potrebbe in tali casi interrompere 
l�erogazione del beneficio. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La normativa regionale non pu� ritenersi configgente con il dettato 
comunitario, stante che per gli imprenditori agricoli che ricavano almeno il 
50% del loro reddito totale dalle attivit� agricole, come appunto l�interessato 
nel caso di specie (il quale ha nella pensione un�ulteriore e sicura fonte di 
sostentamento), l�art. 5 del reg. CE n. 950/97 parla di mera facolt� degli Stati 
di estendere detto beneficio. 

La normativa regionale soddisfa comunque la finalit� sottesa alla normativa 
comunitaria, la quale consiste esclusivamente nel garantire agli imprenditori 
agricoli che lavorano in aree svantaggiate delle fonti di sussidio in 
grado di sostenerli economicamente, circostanza questo non esclusa nella 
fattispecie de quo. 

Ricorrendo le predette caratteristiche ritiene il Governo italiano che non 
possa concedersi indennit� compensativa agli imprenditori agricoli qualora 
questi percepiscano gi� una pensione. Ci� in quanto il beneficio sarebbe ancorato 
al mero sostegno al reddito e non alla gestione in fatto dell�impresa. 

Conseguentemente si suggerisce di rispondere al quesito formulato dal 
giudice a quo nel senso che �l�indennit� compensativa sia esclusa nei confronti 
di un imprenditore quando questi percepisca anche una pensione ed, 
in particolare, una pensione di anzianit��. 

Roma, 24 maggio 2007 Avv. Giacomo Aiello�. 

Causa C-95/07 - Materia trattata: fiscalit� � Domanda di pronuncia pregiudiziale 
proposta dalla Commissione tributaria provinciale (Italia) il 
20 febbraio 2007 � Ecotrade spa/Agenzia Entrate Ufficio Genova 3. 
(Avvocato dello Stato Gianni De Bellis -AL 17749/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se la corretta interpretazione dell�art. 17, dell�art. 21 par. 1 e dell�art. 
22 della Sesta Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 n. 77/388/CE, in 
materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle 
imposte sulla cifra d�affari, osti ad una normativa nazionale (in specie l�art. 
19 D.P.R. 26/10/72 n. 633) che subordini l�esercizio del diritto a detrarre 
l�imposta sul valore aggiunto, dovuta da un soggetto passivo nell�esercizio 
della sua attivit� di impresa, al rispetto di un termine (biennale), sanzionandone 
l�omessa osservanza con la perenzione del diritto stesso; in modo particolare 
in riferimento ai casi in cui l�assoggettabilit� ad IVA dell�acquisto 
del bene o del servizio avvenga in applicazione di un meccanismo del reverse 
charge, che consenta all�Amministrazione di esigere il pagamento del tributo 
usufruendo di un termine (quadriennale, di cui all�art. 57 D.P.R. 
633/72) superiore a quello previsto a favore dell�imprenditore per la sua 
detrazione, che ne � invece decaduto per il suo trascorrere. 

2) Se la corretta interpretazione dell�art. 18, par. 1, lett. d) della Sesta 
Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 n. 77/388 CE osti ad una normativa 
nazionale che nel regolamentare le �formalit�� indicate da tale articolo 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

attraverso il meccanismo del reverse charge, disciplinato dal combinato 
disposto dell�art. 17 terzo comma con gli artt. 23 e 25 D.P.R. 633/72, possa 
inserire (a danno del solo contribuente) il rispetto di un limite temporale � 
come previsto dall�art. 19 D.P.R. 633/72 � per l�esercizio del diritto alla 
detrazione sancito dall�art. 17 stessa Direttiva. 

IL FATTO 

I quesiti sono stati formulati nell�ambito di una causa che vede contrapposti 
la societ� ECOTRADE s.p.a. (di seguito �ECOTRADE�) e 
l�Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate di Genova 3: di seguito 
�l�Ufficio�). 

L�Ufficio aveva notificato il 16 dicembre 2004 alla ECOTRADE un 
avviso di rettifica della dichiarazione presentata nel 2002 in relazione all�anno 
di imposta 2001. 

In tale avviso si contestava l�omessa emissione e registrazione del documento 
previsto dall�art. 17 comma 3 del D.P.R. n. 633/1972 in relazione a prestazioni 
di servizi (noleggio di navi per trasporti dall�Italia ad altri Stati comunitari) 
che avrebbero dovuto considerarsi compiute nel territorio nazionale. 

In base al citato articolo 17 comma 3 la ECOTRADE avrebbe dovuto 
emettere una �autofattura�, registrarla a debito e a credito, cos� indicando la 
relativa imposta dovuta e portando in detrazione il medesimo importo. 

Nell�avviso di rettifica l�Ufficio ha quindi contestato l�omessa fatturazione 
delle operazioni richiedendo il pagamento della relativa imposta. 

Nel suo ricorso la ECOTRADE riconosce di avere erroneamente ritenuto 
di non essere tenuta agli adempimenti sopra esposti. 

Lamenta per� il fatto che trattandosi di operazione �neutra�, in quanto 
l�IVA a credito corrispondeva esattamente a quella che si poteva portare in 
detrazione, non appariva giustificata la pretesa all�Ufficio di ottenere il pagamento 
dell�IVA senza riconoscerne nel contempo la detraibilit�. 

Aderendo alla prospettazione di ECOTRADE la Commissione 
Tributaria Provinciale di Genova con ordinanza n. 208/16/06 individuava la 
causa del mancato riconoscimento della detrazione nel fatto che i termini per 
l�esercizio di tale diritto fossero inferiori (e ormai trascorsi al momento della 
rettifica), rispetto a quelli concessi al fisco per accertare le irregolarit� ed 
evasioni d�imposta. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il Governo italiano ritiene che ad entrambi i quesiti la Corte debba dare 
una risposta negativa. 

Con il primo quesito il Giudice a quo chiede in sostanza se sia conforme 
alla direttiva 77/388/CEE una normativa nazionale che, in via generale, 
ponga un limite temporale biennale per l�esercizio del diritto alla detrazione, 
pena la perdita del diritto medesimo. 

A tale riguardo si evidenzia che l�articolo 17 par. 1 della sesta direttiva, 
come sostituito dall�articolo 28 septies (e ora divenuto articolo 168 della 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

direttiva 112/2006/CE), stabilisce che �Il diritto a deduzione nasce quando 
l�imposta deducibile diventa esigibile�. 

A sua volta l�articolo 18 (recante �modalit� di esercizio del diritto a 
deduzione�) al par. 2 dispone: 

il soggetto passivo opera la deduzione sottraendo dall�importo totale dell�imposta 
sul valore aggiunto dovuta per un dato periodo fiscale l�ammontare 
dell�imposta per la quale, nello stesso periodo, � sorto e pu� essere esercitato 
in virt� delle disposizioni del paragrafo 1 il diritto a deduzione. 

La direttiva non pone quindi un termine finale entro il quale il diritto a 
detrazione deve essere esercitato. Dal citato articolo 18 par. 2 emerge per� 
l�esigenza che l�esercizio di tale diritto sia il pi� possibile immediato (ed 
infatti la norma fa riferimento allo �stesso periodo�). 

Ed infatti la Corte ha affermato che �il diritto alla deduzione previsto 
dagli artt. 17 e seguenti della sesta direttiva, che costituisce parte integrante 
del meccanismo dell�IVA e, in linea di principio, non pu� essere soggetto 
a limitazioni, si esercita immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato 
sulle operazioni effettuate a monte (v., in particolare, sentenze 11 luglio 
1991, causa C-97/90, Lennartz, Racc. pag. I-3795, punto 27, e 8 gennaio 
2002, causa C-409/99, Metropol e Stadler, Racc. pag. I-81, punto 42)� (sentenza 
29 aprile 2004 in causa C-152/02 Terra, punto 35). 

Nel caso in esame per�, il Giudice a quo si pone il problema non del 
momento iniziale da cui pu� essere esercitato il diritto, bens� del termine 
finale entro il quale ci� pu� avvenire e se sia giustificata la previsione di un 
termine inferiore a quello concesso all�ufficio per le rettifiche. 

La norma nazionale che prevede un termine per esercitare la detrazione 
� contenuta nell�articolo 19 comma 1 del DPR n. 633/72 il quale dispone: 

per la determinazione dell�imposta dovuta a norma del primo comma 
dell�articolo 17 o dell�eccedenza di cui al secondo comma dell�articolo 30, 
� detraibile dall�ammontare dell�imposta relativa alle operazioni effettuate, 
quello dell�imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata 
a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell�esercizio 
dell�impresa, arte o professione. Il diritto alla detrazione dell�imposta 
relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in 
cui l�imposta diviene esigibile e pu� essere esercitato, al pi� tardi, con la 
dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto 
alla detrazione � sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita 
del diritto medesimo. 

Il termine per le rettifiche � invece contenuto nell�articolo 57 (recante 
�termine per gli accertamenti�) comma 1 del D.P.R. n. 633/72 il quale 
dispone: 

gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell�art. 54 e 
nel secondo comma dell�art. 55 devono essere notificati, a pena di decadenza, 
entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui � stata 
presentata la dichiarazione. 

Nella fattispecie la rettifica era stata operata a norma dell�articolo 54 
comma 5, riportato in allegato 1 all�ordinanza di rimessione. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Ebbene si deve in primo luogo rilevare che i due termini non sono tra 
loro paragonabili. 

Il primo termine � infatti concesso al soggetto passivo per esercitare un 
diritto (alla detrazione) che gli deriva dall�avere assolto una imposta �a 
monte� della sua attivit� economica. 

Il secondo termine � invece concesso al fisco per accertare la regolarit� 
delle dichiarazioni sotto il profilo sostanziale e cio� per colpire l�evasione 
fiscale (1). 

Appare allora evidente come non si possa operare alcun parallelo tra le 
due ipotesi. 

Nel primo caso il termine biennale (anzi, il termine � maggiore in quanto 
l�articolo 19 prevede che il diritto a detrazione �pu� essere esercitato, al 
pi� tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello 
in cui il diritto alla detrazione � sorto� quindi, in sostanza, entro un termine 
di circa tre anni), consente al soggetto passivo di scegliere il momento a lui 
pi� congeniale per operare la detrazione. 

Si tratta di una scelta totalmente discrezionale che non comporta alcuna 
difficolt�. 

Viceversa l�attivit� di accertamento e rettifica richiede spesso un lungo 
lavoro dell�Ufficio di verifica e d�indagine, diretto ad assicurare il corretto 
adempimento degli obblighi tributari. 

Esclusa pertanto la necessit� che i due termini debbano essere identici 
(non essendo identiche le attivit� da porre in essere) resta solo da valutare la 
congruit� o meno del primo termine. 

Se � vero infatti che le modalit� di esercizio del diritto a detrazione sono 
di competenza degli Stati nazionali, � innegabile per� che nell�esercizio della 
loro discrezionalit� essi debbano rispettare il principio di effettivit�, nel 

(1) Per accertare la regolarit� delle dichiarazioni sotto il profilo formale l�articolo 54 
bis (�Liquidazione dell�imposta dovuta in base alle dichiarazioni�) dello stesso D.P.R. n. 
633/72 prevede ai commi 1 e 2 un ben pi� breve termine: 
1. Avvalendosi di procedure automatizzate l�amministrazione finanziaria procede, entro 
l�inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all�anno successivo, alla 
liquidazione dell�imposta dovuta in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti. 
2. Sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate 
e di quelli in possesso dell�anagrafe tributaria, l�amministrazione finanziaria provvede 
a: 
a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione 
del volume d�affari e delle imposte; 

b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze 
di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni; 

c) controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestivit� dei versamenti dell�imposta 
risultante dalla dichiarazione annuale a titolo di acconto e di conguaglio nonch� 
dalle liquidazioni periodiche di cui agli articoli 27, 33, comma 1, lettera a), e 74, quarto 
comma. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

senso di non rendere impossibile o eccessivamente difficile l�esercizio del 

diritto. 

Ed a tale riguardo il termine previsto appare pi� che adeguato. 

La situazione non � diversa allorch� l�esercizio del diritto a detrazione 
avvenga �in applicazione di un meccanismo del reverse charge�, come � 
avvenuto nella fattispecie. 

A ben vedere nel caso in esame la perdita del diritto a detrazione � avvenuta 
in primo luogo per un errore imputabile a ECOTRADE (l�avere ritenuto 
non imponibile in Italia l�operazione); in secondo luogo per mancanza 
degli adempimenti necessari (emissione di autofattura, doppia registrazione). 

Ma il meccanismo dell�IVA � tale per cui l�adempimento delle formalit� 
contabili � indispensabile per poter usufruire del diritto a detrazione. 

Come ha precisato la Corte �Quanto agli artt. 18, n. 1, lett. a), e 22, n. 
3, lett. a) e c), della sesta direttiva, si deve rilevare che risulta dal tenore di 
tali norme come, per poter procedere alla deduzione prevista dall�art. 17, n. 
2, lett. a), della detta direttiva, il soggetto passivo deve in via di principio 
essere in possesso di una fattura o di un documento equivalente, che gli sia 
stato rilasciato da un altro soggetto passivo� (sentenza 8 novembre 2001 in 
causa C-338/98 Commissione c/ Paesi Bassi, punto 74). 

Pi� in particolare in un caso come quello di specie, l�articolo 18 par. 1 
della sesta direttiva prevede che: 

per poter esercitare il diritto a deduzione, il soggetto passivo deve: 

d) quando � tenuto al pagamento dell�imposta quale acquirente o destinatario, 
in caso d�applicazione dell�articolo 21, paragrafo 1, o articolo 21, 
paragrafo 2, lettera c), assolvere le formalit� fissate da ogni Stato membro. 

In applicazione di tale disposizione l�articolo 25 comma 1 del D.P.R. n. 
633/72 dispone che: 

il contribuente deve numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette 
doganali relative ai beni e ai servizi acquistati o importati nell�esercizio 
dell�impresa, arte o professione, comprese quelle emesse a norma del 
terzo comma dell�articolo 17 e deve annotarle in apposito registro anteriormente 
alla liquidazione periodica, ovvero alla dichiarazione annuale, nella 
quale � esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta. 

In sostanza la norma prevede che il committente (nei casi di reverse charge), 
debba annotare nell�apposito registro l��autofattura� emessa ai sensi dell�articolo 
17 comma 3, prima di esercitare il diritto alla detrazione nel termine 
previsto in via generale dall�articolo 19 comma 1 dello stesso D.P.R. n. 633/72. 

Ne consegue che il vero ostacolo, nella fattispecie, al riconoscimento del 
diritto a detrazione non � da rinvenirsi nel termine previsto dall�articolo 19 
comma 1 del D.P.R. n. 633/72, bens� nel mancato adempimento (nel termine 
generale previsto dal medesimo articolo), delle formalit� previste dal citato 
articolo 25 comma 1; adempimento che non era pi� effettuabile. 

Siffatta conseguenza � per� solo il frutto del principio di cartolarit� a cui 
� soggetta l�IVA. 

Per quel che riguarda il secondo quesito, si ritiene che la risposta negativa 
al primo imponga la medesima soluzione. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere ai 
quesiti sottoposti nel seguente modo: 

1) la corretta interpretazione dell�articolo 17, dell�articolo 21 par. 1 e 
dell�articolo 22 della Direttiva n. 77/388/CEE, non osta ad una normativa 
nazionale (come l�articolo 19 del D.P.R. n. 633/72) che subordini l�esercizio 
del diritto a detrarre l�imposta sul valore aggiunto, dovuta da un soggetto 
passivo nell�esercizio della sua attivit� di impresa, al rispetto di un termine 
(biennale), sanzionandone l�omessa osservanza con la perdita del diritto 
stesso; ci� anche nei casi in cui l�assoggettabilit� ad IVA dell�acquisto del 
bene o del servizio avvenga in applicazione di un meccanismo del reverse 
charge, che consenta all�Amministrazione di esigere il pagamento del tributo 
usufruendo di un termine (quadriennale, di cui all�articolo 57 D.P.R. 
633/72) superiore a quello previsto a favore dell�imprenditore per la sua 
detrazione, che ne � invece decaduto per il suo trascorrere senza il tempestivo 
rispetto degli adempimenti formali previsti dall�articolo 25 comma 1 del 

D.P.R. n. 633/72; 
2) la corretta interpretazione dell�articolo 18, par. 1, lett. d) della 
Direttiva n. 77/388/CEE, non osta ad una normativa nazionale che nel regolamentare 
le �formalit�� indicate da tale articolo attraverso il meccanismo 
del reverse charge, disciplinato dal combinato disposto dell�art. 17 terzo 
comma con gli articoli 23 e 25 D.P.R. 633/72, possa inserire (a danno del 
solo contribuente) il rispetto di un limite temporale � come previsto dall�articolo 
19 del D.P.R. 633/72 � per l�esercizio del diritto alla detrazione sancito 
dall�articolo 17 stessa Direttiva. 

Roma, 3 luglio 2007 Avv. Gianni De Bellis�. 

Causa C-102/07 - Materia trattata: ravvicinamento delle legislazioni -
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der 
Nederlanden il 21 febbraio 2007 � Adidas AG e Adidas Benelux BV/Marca 
Mode, C&A Nederland, H&M Hennes & Mauritz Netherlands BV e Vendex 
KBB Nederland BV. (Avvocato dello Stato S. Fiorentino - AL 19773/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

1) Se ai fini della determinazione dell�ambito di tutela di un marchio 
consistente in un segno intrinsecamente privo di potere distintivo o in un�indicazione 
rispondente alla descrizione di cui all�art. 3, n. 1, lett. c), della 
direttiva, ma che attraverso l�uso ha acquisito carattere distintivo ed � stato 
oggetto di registrazione, occorre tener conto dell�interesse generale a non 
restringere indebitamente la disponibilit� di determinati segni per gli altri 
operatori che offrono prodotti o servizi analoghi (il �Freihaltebed�rfnis�) . 

2) In caso si soluzione affermativa della questione n. 1, se vi sia differenza 
qualora i segni in esame, da tenere disponibili, vengano considerati 
dal pubblico rilevanti come segni distintivi di prodotti, oppure come semplice 
decorazione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

3) In caso di soluzione affermativa della questione n. 1, se vi sia differenza 
qualora il segno contestato dal titolare del marchio sia privo di carattere 
distintivo ai sensi dell�art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva, oppure costituisca 
un�indicazione ai sensi dell�art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva. 

IL FATTO 

La questione � sorta nell�ambito di una controversia che vede contrapposte 
due imprese operanti nel settore dell�abbigliamento sportivo ad altre 
societ� olandesi, operanti nel medesimo settore tessile. 

La lite verte sulla tutela dei diritti di marchio dei quali � titolare la societ� 
Adidas AG ed � licenziataria esclusiva per il Benelux la societ� Adidas BV. 
I segni distintivi in questione sono costituiti da marchi figurativi, consistenti 
in un motivo a tre strisce verticali parallele di uguale lunghezza, che corrono 
lungo tutto il fianco delle spalle, maniche e gambe dei pantaloni e/o 
lungo le cuciture laterali di un capo di abbigliamento, eseguite in un colore 
contrastante con il colore di base del capo stesso. Questi marchi figurativi (in 
prosieguo denominati anche il �motivo a tre strisce� o il �maschio a tre strisce�) 
sono registrati per abbigliamento sportivo e casual e lo erano gi� in 
data anteriore ai fatti che si imputano alle convenute. 

Le ricorrenti in cassazione (d�ora in poi �Adidas e a.�) hanno convenuto 
in giudizio con separate azioni (in un caso in via d�urgenza, negli altri 
in via di cognizione ordinaria) le resistenti in cassazione, contestando 
l�uso da parte di queste di un segno consistente in due strisce verticali 
parallele, di colore contrastante (d�ora innanzi �il motivo a due strisce�), 
che veniva apposto su tutta la lunghezza di capi di abbigliamento sportivo 

o casual (1). 
Le convenute hanno a propria volta chiesto � chi in via riconvenzionale, 
chi con separate azioni � che venisse dichiarato, in confronto di Adidas e a. 
il loro diritto ad utilizzare il motivo a due strisce. 

Dopo alterne vicende processuali sia la domanda di Adidas e a., sia le 
domande delle convenute sono state rigettate, previa riunione dei giudizi, dal 
Gerechtshof (Corte d�Appello) di �s-Hertogenbosch. Il Giudice d� appello 
ha, infatti, accertato che il comportamento contestato alle convenute non 
costituiva una violazione dei diritti di marchio invocati da Adidas e che le 
domande di accertamento proposte dalle altre imprese erano, a quanto � dato 
capire, inammissibili in quanto generiche ed in quanto il riconoscimento che 
veniva chiesto si fondava su circostanze di fatto incapaci di costituire oggetto 
di accertamento giudiziale una volta per tutte, perch� suscettibili di diver


(1) La traduzione dell�ordinanza di rinvio di cui dispone non consente, a dire il vero, 
di identificare con precisione la contestazione mossa nei confronti resistente n. 4 
(�Vendex�): pu� solo desumersi dal contesto che questa coincida con quella riguardante le 
altre parti convenute. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

so apprezzamento al mutare di contesto di luogo e di tempo nel quale quelle 
circostanze si inseriscono. 

Avverso la decisione d�appello � stato proposto ricorso per cassazione. 
Nel contesto di tale grado di giudizio sono state sollevate le questioni pregiudiziali 
qui in esame. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�La normativa comunitaria rilevante. 

L�articolo 3 della Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, n. 104, 
89/104/CEE, rubricato �Impedimenti alla registrazione o motivi di nullit��, 
stabilisce che: 

�1. Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere 
dichiarati nulli: 

a) i segni che non possono costituire un marchio di impresa; 

b) i marchi di impresa privi di carattere distintivo; 

c) i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni 
che in commercio possono servire a designare la specie, la qualit�, la quantit�, 
la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l�epoca di 
fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche 
del prodotto o del servizio; 

d) di marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni 
che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e 
costanti nel commercio; 

e) i segni costituiti esclusivamente: 

� dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto; 
� dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; 
� dalla forma che d� un valore sostanziale al prodotto; 
f � g � h) ... Omissis.. 
2. ... Omissis ... 
3. Un marchio di impresa non � escluso dalla registrazione o, se registrato, 
non pu� essere dichiarato nullo ai sensi del paragrafo 1, lettere b), c) 
o d), se prima della domanda di registrazione o a seguito dell�uso che ne � 
stato fatto esso ha acquisito un carattere distintivo. 

4.. ... Omissis ...�. 

L�articolo 5, paragrafo 1, della direttiva (�Diritti conferiti dal marchio 
d�impresa�), stabilisce: 

�1. Il marchio registrato di impresa conferisce al titolare un diritto 
esclusivo. Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, si 
usare nel commercio: 

a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti identici a quelli 
per cui esso � stato registrato; 

b) un segno che, a motivo dell�identit� o della somiglianza di detto 
segno col marchio di impresa e dell�identit� o somiglianza dei prodotti o servizi 
contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a 
un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di 
associazione tra il segno e il marchio d�impresa�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

L�articolo 6 della direttiva, intitolato �Limitazione degli effetti del marchio 
d�impresa�, al paragrafo 1 prevede: 

�1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare 
dello stesso di vietare ai terzi l�uso nel commercio: 

a) ... Omissis..; 

b) di indicazioni relative alla specie, alla qualit�, alla quantit�, alla 
destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all�epoca di fabbricazione 
del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del 
prodotto o del servizio; 

c)... Omissis.., 

purch� l�uso sia conforme agli usi consueti di lealt� in campo industriale 
e commerciale� 

******* 
Si ritiene opportuno argomentare contestualmente in merito ai tre quesiti. 
Nel primo quesito la giurisdizione di rinvio chiede se sia giustificata un�in


terpretazione della direttiva secondo la quale l�ambito e l�intensit� della tutela 
quale marchio di un segno privo di intrinseca capacit� distintiva, ma che tale 
capacit� abbia successivamente acquistato con l�uso (cos� da potere essere 
registrato come marchio), sia influenzato dall�interesse pubblico a mantenere 
il segno disponibile per l�uso da parte di altri operatori che offrono prodotti o 
servizi analoghi (il c.d. �Freihaltebed�rfnis� o �imperativo di disponibilit��). 

La sostanza della questione posta dalla Corte Suprema dei Paesi Bassi 
consiste, in altre parole, nel chiedersi se l�interesse pubblico nel mantenere 
disponibile un determinato segno costituisca un elemento da prendere in 
considerazione per valutare l�estensione della protezione in una procedura di 
contraffazione. 

L�Hoge Raad ha rilevato che nella giurisprudenza della Corte di giustizia 
si rinviene l�enunciazione di un principio contrario alla detta ipotesi 
interpretativa, essendosi, ad esempio nella sentenza Chiemsee, affermato che 
non � autorizzata una differenziazione del carattere distintivo del marchio a 
seconda dell�esistenza di un simile interesse (sentenza 4 maggio 1999, causa 
C-108/97, Chiemsee, punto 48). 

Ad avviso del Giudice del rinvio, tuttavia, affermazioni in parte diverse 
si ritroverebbero nella sentenza Libertel, nella quale la Corte ha chiarito che, 
ai fini della valutazione del carattere distintivo che un segno o indicazione 
generica (come un colore) pu� presentare quale marchio, occorre prendere in 
considerazione l�interesse generale a mantenere taluni segni liberamente utilizzabili 
(sentenza 6 maggio 2003, causa C-104/01, Libertel, punto 60). 

Sembra, per�, al Governo italiano che non vi sia contraddizione tra gli 
enunciati contenuti nella sentenza Chiemsee e nella sentenza Libertel, perch� 
la considerazione dell�interesse generale �, nel secondo caso, affermata in 
funzione del rinvenimento di un eventuale impedimento alla registrazione o 
di una possibile causa di nullit� del marchio, mentre nel primo caso � negata 
in funzione di una eventuale delimitazione dell�ambito di tutela di un 
segno del quale non � contestata la registrazione quale marchio. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

La Corte ha, invero, ripetutamente affermato che esiste un interesse generale 
che sconsiglia la monopolizzazione di taluni segni da parte di una sola 
impresa, in forza della loro registrazione come marchi (v., ad esempio, sentenza 
24 giugno 2004, causa C-49/02, Heidelberger Bauchemie, punto 41). 

Questo interesse, tuttavia, � stato preso in considerazione dal legislatore 
comunitario allorquando ha individuato i possibili impedimenti alla registrazione, 
contenuti nell�articolo 3 della direttiva. 

In alcuni casi, in particolare nei casi previsti dall�articolo 3, paragrafo 1, 
lettera e), l�impedimento previsto � permanente (o �assoluto�) e non pu� 
essere superato con l�argomento che, di fatto, il segno abbia acquisito carattere 
distintivo nella considerazione del pubblico dei consumatori (v. sentenza 
18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips Remington, punti 57 e 75; sentenza 
12 febbraio 2004, causa C-218/01, Henkel, punto 36; sentenza 8 aprile 
2003, cause riunite C-53/01, C-54/01 e C-55/01, Linde, punti 44 e 65). Ci� 
vuol dire che, in relazione a taluni segni (quelli costituiti dalla forma imposta 
dalla natura stessa del prodotto, dalla forma necessaria per ottenere un 
risultato e dalla forma che d� un valore sostanziale al prodotto), si ritiene 
sempre prevalente � rispetto all�interesse particolare dell�operatore che 
ambisce alla tutela del segno come marchio e all�interesse dei consumatori 
ad identificare l�origine del prodotto o del servizio � l�interesse pubblico a 
che gli operatori economici possano liberamente utilizzare quel segno e a 
che i consumatori non siano privati dei benefici della concorrenza rispetto 
all�uso di quel segno. 

In altri casi, ed in particolare nei casi previsti dall�articolo 3, par. 1, lettere 
b), c) o d), gli impedimenti alla registrazione sono relativi e, ancorch� la 
ratio di alcuni di essi sia da rinvenire nel Freihaltebed�rfnis, essi possono 
superati a seguito dell�acquisto del carattere distintivo da parte di quel segno. 

Una volta che ci� sia, quando cio� il marchio (come tale gi� definito 
dalle lettere b, c e d dell�art. art 3, par. 1, che alla lettera e utilizza, invece, il 
diverso termine �segno�) abbia acquistato carattere distintivo a seguito di un 
processo di commercializzazione e pubblicizzazione, tanto da rendersi rinomato 
e quindi riconoscibile per il pubblico, sembra al Governo italiano che 
l�articolo 3, par. 3, della direttiva non autorizzi un�interpretazione secondo la 
quale il marchio medesimo, in considerazione del regime di riserva che 
rischia di creare rispetto ad un segno o ad un�indicazione generica, debba 
ricevere una tutela depotenziata rispetto ai marchi che abbiano un originario 
carattere distintivo. 

In altre parole, l�imperativo di disponibilit�, che � preso in considerazione 
ai fini della validit� del marchio, non deve essere nuovamente preso in 
considerazione per circoscrivere l�oggetto della tutela del segno distintivo 
che abbia superato il giudizio di validit�, perch� il superamento di questo 
giudizio implica che, nel caso concreto, � prevalente l�interesse del titolare 
del marchio a contraddistinguere i propri prodotti o servizi. 

Ritiene, quindi, il Governo italiano che il quesito posto dalla giurisdizione 
di rinvio occorre in linea massima, e ragionando in termini astratti, dare 
risposta negativa. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Nondimeno, la circostanza che il marchio sia costituito da un segno o da 
un�indicazione intrinsecamente privi di carattere distintivo pu�, in concreto, 
influenzare il giudizio di fatto circa la sussistenza della contraffazione. 

Come affermato nel decimo �considerando� della direttiva e nella giurisprudenza 
di codesta Ecc.ma Corte, questo giudizio � orientato essenzialmente 
dall�induzione di un concreto rischio di confusione nel pubblico dei 
consumatori, mentre non � sufficiente un mero rischio di associazione (2). 

Nella giurisprudenza della Corte si trova affermato che il rischio di confusione 
deve essere oggetto di valutazione globale, che prenda in considerazione 
di tutti i fattori esistenti nel caso di specie e che il rischio di confusione 
� tanto pi� elevato quanto pi� rilevante � il carattere distintivo del marchio 
anteriore (3), ma che, nondimeno, esso deve essere autonomamente provato 
e non pu� essere presunto sulla base dell�esistenza di un rischio di associazione 
in senso stretto (4), vale a dire della mera circostanza che il pubblico 
effettui un ravvicinamento tra il segno alternativo e il marchio, perch� la 
percezione del segno evoca il marchio, senza tuttavia indurre confusione. 

Ci� posto, sembra possa affermarsi che, tra i vari elementi che devono 
essere esaminati nella valutazione di fatto circa l�esistenza di un rischio di 
confusione, si debba considerare che un segno come un motivo geometrico 
elementare o un colore, in ragione del fatto che esso non ha una capacit� 
intrinsecamente distintiva, � normalmente percepito dal pubblico dei consumatori 
come elemento esclusivamente decorativo o ornamentale. 

In altre parole, i consumatori non percepiscono di regola un segno di 
questo tipo come indicazione dell�origine del prodotto, ma come mera decorazione, 
il che finir� per escludere, in molti casi, l�esistenza in concreto di unrischio di confusione. � stato, del resto, affermato che allorquando il pubblico 
interessato percepisca il segno esclusivamente come decorazione, esso 
non stabilisce alcun nesso con un marchio d�impresa registrato (v. sentenza 
23 ottobre 2003, causa C-408/01 Adidas � Salomon, punto 40). 

La tutela del marchio costituito da un segno privo di intrinseca capacit� 
distintiva, pertanto, sebbene in linea di principio debba coincidere con quella 
accordata al marchio di fantasia, in concreto rischier� � ma � un rischio da 
presumersi liberamente accettato dall�imprenditore che rinuncia a registrare 
un marchio di fantasia � di doversi arrestare dinnanzi alla percezione di un 
segno simile, da parte del pubblico dei consumatori, esclusivamente quale 
motivo ornamentale o decorativo. 

(2) Ci�, ancorch� di tratti di marchio notorio: v. sentenza 22 giugno 200, causa C425/
98, Marca Mode/Adidas AG, punto 41: �.. la notoriet� di un marchio non permette di 
presumere l�esistenza di un rischio di confusione pr il solo fatto dell�esistenza di un rischio 
di associazione in senso stretto�. 
(3) v. sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, Sabel, punti 22 e 24; sentenza 
Marca Mode, citata alla precedente nota, punto 40. 
(4) v. sentenza Marca Mode, citata alla nota 2, punto 39. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

La giurisdizione di rinvio si interroga poi, nel terzo quesito, se vi sia differenza 
qualora il segno contestato dal titolare del marchio sia privo di carattere 
distintivo ai sensi dell�art. 3, n. 1, lett. b, della direttiva, oppure costituisca 
un�indicazione ai sensi dell�art. 3, n. 1, lett. c, della direttiva. 

Sembra al Governo italiano � ammesso di avere ben compreso la portata 
del quesito (il contenuto di esso non sembra, peraltro, diverso anche in 
altre versioni linguistiche) � che la circostanza che i segni utilizzati dalle 
parti resistenti in cassazione rientrino astrattamente tra quelli contemplati 
nelle due disposizioni richiamate nel quesito, o nell�una nell�altra di esse, 
non sposti i termini della questione. 

La giurisdizione del rinvio ipotizza, tuttavia, che il segno possa costituire 
una �indicazione� ai sensi dell�art. 3, n. 1, lett. c, della direttiva. In tal 
caso, le resistenti potrebbe invocare la specifica limitazione rispetto agli 
effetti del marchio contenuta nell�articolo 6, n. 1, lettera b), della direttiva, 
che riproduce pressoch� testualmente il contenuto dell�articolo 3, n. 1, lettera 
c) della direttiva, sebbene circoscrivendo l�ambito della limitazione alle 
�indicazioni� ed omettendo il riferimento ai �segni�. 

In tal caso, se cio� il segno contestato fosse una indicazione del tipo previsto 
dall�art. 6, n. 1, lettera b), della direttiva, troverebbe de plano applicazione 
la limitazione alla tutela del marchio prevista da tale norma, sempre 
che, nell�ambito del giudizio di fatto riservato alla giurisdizione nazionale, 
consti che l�uso dell�indicazione da parte delle resistenti in cassazione sia 
conforme agli usi consueti di lealt� in campo industriale e commerciale. 

Tuttavia, proprio la diversit� esistente tra il contenuto dell�art. 3, n. 1, 
lettera c) e l�art. 6, n. 1, lettera b) della direttiva, porta a osservare che i termini 
� �indicazioni� e �segni� � non sono certo considerati come sinonimi. 
L�indicazione, dovendo tale termine interpretarsi, per cos� dire, �per sottrazione� 
rispetto alla nozione di segno, dovr� necessariamente consistere in 
una espressione alfabetica (o, tutt�al pi�, in una rappresentazione geografica, 

o in un ideogramma) che ha la specifica ed esclusiva funzione di rendere 
conoscibile una delle caratteristiche del prodotto o del servizio. 
Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando che 

Ai fini della determinazione dell�ambito di tutela di un marchio consistente 
in un segno intrinsecamente privo di potere distintivo o in un�indicazione 
rispondente alla descrizione di cui all�art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva, 
ma che attraverso l�uso ha acquisito carattere distintivo ed � stato 
oggetto di registrazione, non deve tenersi conto dell�interesse generale a non 
restringere indebitamente la disponibilit� di determinati segni per gli altri 
operatori che offrono prodotti o servizi analoghi. 

Tuttavia, ai fini del giudizio di fatto sull�esistenza della contraffazione, 
esiste una forte presunzione che un segno simile a quello oggetto di registrazione 
come marchio, ma intrinsecamente privo di potere distintivo, sia percepito 
dal pubblico dei consumatori come mero elemento decorativo o ornamentale, 
cos� da escludere il rischio di confusione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La circostanza che il segno non sia percepito dal pubblico come mezzo 
per contraddistinguere l�origine del prodotto o del servizio assume notevole 
rilievo in questo contesto. 

Se il segno contestato dal titolare del marchio consiste in una indicazione 
relativa alla specie, alla qualit�, alla quantit�, alla destinazione, al valore, 
alla provenienza geografica, all�epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione 
del servizio od altre caratteristiche del prodotto o del servizio il titolare 
del marchio non pu�, ai sensi dell�art. 6, par. 1, lettera b), vietarne a terzi 
l�uso nel commercio, sempre che tale uso sia conforme agli usi consueti di 
lealt� in campo industriale e commerciale. Nell�interpretare tale disposizione, 
dovr� ritenersi che costituisca �indicazione� un elemento che ha la specifica 
ed esclusiva funzione di rendere conoscibile una delle caratteristiche del prodotto 
o del servizio, come un�espressione alfabetica o un ideogramma. 

Roma, 21 giugno 2007 Avv. Sergio Fiorentino�. 

Causa C-162/07 - Materia trattata: fiscalit� - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione (Italia) il 26 
marzo 2007 � Ampliscientifica Srl, Amplifin SpA/Ministero dell�Economia 
e delle Finanze, Agenzia delle Entrate. (Avvocato dello Stato G. De Bellis -
AL 20804/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se l�art. 4, par. 4, ultima parte, della direttiva del Consiglio 17 maggio 
1911, n. 77/388/CEE, debba essere interpretato come norma non sufficientemente 
precisa, che consente agli Stati membri di applicare il regime ivi 
previsto in ipotesi particolari di vincoli economici, finanziari o giuridici tra 
diversi soggetti, o come norma sufficientemente precisa, che quindi impone, 
una volta che lo Stato membro abbia deciso di adottare tale regime, di prevederne 
l�applicabilit� in tutti i casi di vincoli ivi descritti; 

2) indipendentemente dalla risposta al precedente quesito, se la previsione 
di limiti temporali, nel senso che il vincolo deve esistere da un rilevante 
periodo di tempo, quale presupposto per l�applicazione del regime, senza 
che ai soggetti interessati sia consentito di dare la dimostrazione dell�esistenza 
di una valida ragione economica della costituzione del vincolo, costituisca 
un mezzo sproporzionato rispetto ai fini della direttiva e all�osservanza 
del principio del divieto dell�abuso del diritto; se, comunque, tale regolamentazione 
sia da ritenersi contraria al principio della neutralit� dell�I.V.A. 

IL FATTO 

La questione pregiudiziale � stata sollevata nell�ambito di una controversia 
che vede contrapposti il Ministero delle Finanze e due societ�, la 
Ampliscientifica s.r.l. e la Amplifin s.p.a. 

A quel che risulta dall�ordinanza di rimessione, la Amplifin controllava 
indirettamente (tramite altra societ�, la Amplaid s.p.a.) la Ampliscientifica. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Avvalendosi della normativa nazionale contenuta nell�articolo 73 del 

D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (1) (a cui � stata data attuazione con il Decreto 
Ministeriale 13 dicembre 1979 (2)) che consente di compensare tra societ� 
controllate (�liquidazione IVA di gruppo�), l�IVA risultante a debito e a credito 
dalle dichiarazioni annuali, la Amplifin presentava per l�anno 1990 una 
dichiarazione IVA che comprendeva anche un debito IVA di Ampliscientifica 
di � 1.865.000 (pari ad � 963,19). 
Analoga situazione si verificava per l�anno successivo in relazione ad 
altra societ� controllata direttamente da Amplifin, la Ampliare s.r.l. La 
Amplifin presentava per il 1991 una dichiarazione IVA, sempre avvalendosi 
del meccanismo �liquidazione IVA di gruppo� includendovi un credito IVA 
della Ampliare di � 4.748.889.000 (pari ad � 2.452.596,48). 

L�Ufficio IVA di Milano notificava due avvisi di rettifica: uno alla 
Ampliscientifica per omesso versamento dell�IVA 1990 per � 1.865.000; 
l�altro ad Amplifin per omesso versamento dell�IVA 1991 per �. 

4.748.889.000. 
In entrambi i casi l�Ufficio sosteneva che non sussistevano i presupposti 
per effettuare la �liquidazione IVA di gruppo� (e quindi, in sostanza, per 
compensare i relativi crediti e debiti di imposta tra le societ� suddette) in 
quanto sia in base all�articolo 73 del D.P.R. n. 633/72 che in base all�articolo 
2 del D.M. 13 dicembre 1979 era necessario che la controllante avesse il 
controllo sulle altre societ� almeno dall�inizio dell�anno solare precedente 
all�anno d�imposta in cui ci si avvaleva dalla liquidazione di gruppo, e perci� 
almeno dal 1� gennaio 1989 per la Ampliscientifica e dal 1� gennaio 
1990 per l�Ampliare. 

Poich� invece le societ� erano state costituite la prima il 20 febbraio 
1989 e la seconda il 6 novembre 1990, secondo l�Ufficio mancanva un presupposto 
per l�applicazione del meccanismo compensativo previsto dalla 
citata disposizione. 

La Commissione Tributaria Regionale di Milano dopo aver riunito le 
due cause, respingeva i ricorsi delle societ� ritenendo legittimi gli avvisi di 
rettifica. 

Entrambe le societ� proponevano ricorso alla Corte di Cassazione la 
quale essendo giudice di ultima istanza e ritenendo di non ricavare �sufficienti 
indicazioni dalla giurisprudenza comunitaria� per la decisione della 
vertenza, formulava i quesiti sopra riportati. 

(1) recante �Istituzione e disciplina dell�imposta sul valore aggiunto�, pubblicato nella 
G.U.R.I. 11.11.1972 n. 292 e pi� volte modificato. 
(2) recante �Norme in materia di imposta sul valore aggiunto relative ai versamenti e 
alle dichiarazioni delle societ� controllate�, pubblicato nella G.U.R.I. 19.12.1979, n. 344 e 
pi� volte modificato. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�La normativa comunitaria. 

L�articolo 4 paragrafo 4 della direttiva 77/388/CEE (ora riportato nell�articolo 
11 della direttiva 2006/112/CE) dispone al comma 2: 

con riserva della consultazione di cui all�articolo 29, ogni Stato membro 
ha la facolt� di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti 
all�interno del Paese che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente 
vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi. 

La normativa nazionale 

L�articolo 73 del D.P.R. n. 633/72 prevede al comma 3: 

il Ministro delle finanze pu� disporre con propri decreti, stabilendo le 
relative modalit�, che le dichiarazioni delle societ� controllate siano presentate 
dall�ente o societ� controllante all�ufficio del proprio domicilio fiscale 
e che i versamenti di cui agli articoli 27, 30 e 33 siano fatti all�ufficio stesso 
per l�ammontare complessivamente dovuto dall�ente o societ� controllante 
e dalle societ� controllate, al netto delle eccedenze detraibili. Le dichiarazioni, 
sottoscritte anche dall�ente o societ� controllante, devono essere 
presentate anche agli uffici del domicilio fiscale delle societ� controllate, 
fermi restando gli altri obblighi e le responsabilit� delle societ� stesse. Si 
considera controllata la societ� le cui azioni o quote sono possedute dall�altra 
per oltre la met� fin dall�inizio dell�anno solare precedente. 

In attuazione di tale comma 73 � stato emesso il Decreto Ministeriale 13 
dicembre 1979 il quale (per la parte che in questa sede interessa), all�articolo 
2 dispone: 

agli effetti del presente decreto si considerano controllate soltanto le 
societ� per azioni, in accomandita per azione e a responsabilit� limitata le 
cui azioni o quote sono possedute per una percentuale superiore al cinquanta 
per cento del loro capitale, fin dall�inizio dell�anno solare precedente, 
dall�ente o societ� controllante o da un�altra societ� controllata da questi ai 
sensi del presente articolo. La percentuale � calcolata senza tenere conto 
delle azioni prive del diritto di voto. 

Le societ� controllanti a loro volta controllate da un�altra societ� possono 
avvalersi della facolt� prevista dal presente decreto soltanto se la 
societ� che le controlla rinuncia ad avvalersene. 

Il primo quesito 

In relazione al primo quesito, il giudice remittente afferma i punti 4.2 e 4.3. 

4.2. Si pone il problema se il contenuto della norma della direttiva, 
ferma restando la facolt� degli Stati membri di introduzione del regime, sia 
incondizionato e sufficientemente preciso circa i relativi presupposti, ovvero 
lasci agli Stati membri ampia facolt� di individuare le ipotesi di vincoli nell�ambito 
della categoria prevista dall�art. 4, par. 4 � che danno luogo alla 
deroga dal principio generale secondo cui � debitore d�imposta, secondo il 
D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, lett. a), e art. 22 della stessa direttiva, e art. 
17, comma 1, art. 21 e seguenti, il soggetto che effettua la cessione o la pre

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

stazione di servizi. Poich� la norma della direttiva non prevede alcuna formalit� 
o adempimento per evitare un impiego abusivo del regime speciale, si 
pone il problema se la disciplina di idonee misure antiabuso possa considerarsi 
rimessa alle autorit� nazionali, e se le stesse possano ammettere l�uso 
del regime soltanto in particolari ipotesi di vincolo, come ha fatto il legislatore 
italiano, che ha limitato la dichiarazione di gruppo al solo caso di controllo 
societario. � evidente che al modello descritto nella norma della direttiva 
pu� ricondursi una vasta serie di casi, sia di vincoli giuridici, sia di vincoli 
puramente economici o finanziari. Le ricorrenti, in particolare, sostengono 
che un�ipotesi di vincolo, a prescindere dal fatto che esista una partecipazione 
di controllo da un tempo precedente l�anno anteriore a quello 
della dichiarazione, sarebbe presente ex definitione quando, come nel caso 
di specie, le diverse societ� appartengono ad un unico gruppo. 

4.3. Non pare superfluo evidenziare che, comunque, il conferimento ad 
un soggetto di obblighi (e diritti) in materia di i.v.a., spettanti ad altro soggetto 
che col primo abbia speciali vincoli, costituisce un�eccezione alle 
regole, comunitarie e nazionali, che definiscono i soggetti obbligati al compimento 
di atti diretti ad assicurare l�adempimento dell�obbligo fiscale. Il 
Collegio richiama, in proposito, la sentenza della Corte di Giustizia del 4 
dicembre 1990 in causa C-186/89, Van Tiern, nella quale � stato affermato 
che le categorie di debitori d�imposta previste nella Sesta direttiva costituiscono 
un elenco esaustivo. 
Il Governo italiano ritiene che dalla formulazione della direttiva 
77/388/CEE risulti in modo chiaro come agli Stati sia concessa un�ampia 
discrezionalit� nella individuazione delle persone �strettamente vincolate fra 
loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi�. 

Si tratta quindi, per usare il linguaggio della Corte di Cassazione, di 

�norma non sufficientemente precisa�. 

Nessun dubbio pertanto pu� sussistere circa il fatto che nell�esercizio 
della loro discrezionalit� gli Stati siano liberi di individuare il contenuto del 
vincolo tra le persone ai fini dell�applicazione della disciplina derogatoria. 

Ci� non vuol dire naturalmente un�assoluta libert� degli Stati di modificare 
le regole essenziali del meccanismo dell�IVA (come ad esempio i criteri 
di individuazione del soggetto passivo). 

Di certo nell�esercizio di tale discrezionalit� gli Stati nazionali ben possono 
attribuire rilievo (come ha fatto l�Italia) anche alla durata del vincolo 
nel periodo anteriore all�applicazione del particolare meccanismo di liquidazione 
dell�IVA . 

La questione non sembra comunque assumere particolare rilievo nel 
caso in esame, tenuto conto la limitatissima applicazione che l�Italia ha fatto 
della facolt� concessa dall�articolo 4 par. 4 della sesta direttiva. 

Come ha precisato il Ministero delle Finanze nella Circolare 18 febbraio 
1986, n. 16, la normativa nazionale �prende le mosse dall�art. 4, punto 4), 
secondo comma della sesta direttiva comunitaria, senza tuttavia accogliere 
il principio fondamentale in esso contenuto, consistente nel riconoscimento 
giuridico e fiscale della unitariet� del soggetto passivo in presenza di sog



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

getti giuridicamente indipendenti, ma vincolati fra loro da rapporti economici 
ed organizzativi. Il principio contenuto nella citata norma comunitaria 
� stato recepito, invero, in termini molto ristretti e con contenuto di carattere 
procedurale, cio� mantenendo sempre l�autonomia giuridica e fiscale 
delle societ� interessate, sufficiente a perseguire il fine prefissato che era 
quello di offrire alle dette societ� un mezzo semplificato di recupero delle 
eccedenze di credito mediante la compensazione tra debiti e crediti d�imposta 
emergenti dalle liquidazioni e dichiarazioni di societ� facenti parte di un 
gruppo, soggette al controllo diretto o indiretto di una societ� che partecipi, 
in modo qualificato e consistente, al capitale delle societ� controllate�. 

La considerazione di �pi� persone come un unico soggetto passivo� � 
stata quindi effettuata all�unico scopo di semplificare le modalit� di calcolo 
(a debito o a credito) dell�imposta risultante dalle dichiarazioni annuali. 

Il secondo quesito. 

Il secondo quesito ne contiene in realt� tre. Si chiede infatti se la previsione 
di un limite temporale minimo quale presupposto per l�applicazione del 
regime agevolato senza possibilit� per i soggetti passivi di dare una dimostrazione 
che in realt� non vi sia alcun fine elusivo (rectius: che sussistevano valide 
ragioni economiche nella costituzione del vincolo), sia contraria: 

a) al principio di proporzionalit�; 

b) al principio del divieto dell�abuso del diritto; 

c) al principio di neutralit� dell�IVA. 

Il Governo italiano ritiene che la risposta non possa che essere negativa. 
L�articolo 4 par. 4 della sesta direttiva prevede al comma 3: 

Lo Stato membro che esercita l�opzione di cui al secondo comma pu� 
adottare tutte le misure necessarie per evitare che il ricorso alla presente 
disposizione sfoci in frodi o evasioni fiscali. 

Il prevedere che il vincolo tra i soggetti sussista da un periodo determinato 
(il 1� gennaio dell�anno precedente all�applicazione del regime agevolato) 
non appare contrario al principio di proporzionalit�. 

Da un lato infatti, il termine previsto non � eccessivamente lungo (il soggetto 
pu� avvalersi del regime agevolato gi� nel secondo anno della sua esistenza), 
dall�altro la previsione � senza dubbio idonea a prevenire tentativi di 
frode ai danni dell�erario. 

Non ci vuole molto ad immaginare una societ� creata ad hoc per conseguire 
fittizi rimborsi d�imposta su fatture relative ad operazioni inesistenti, 
rimborsi che inseriti in una liquidazione di gruppo dell�IVA consentirebbero 
ad altra societ� di compensare un debito reale d�imposta che in tal modo non 
verrebbe versato. 

Una durata minima del vincolo, se da un lato non pu� escludere del tutto 
che simili frodi accadano, di certo ne rende meno agevole la realizzazione. 

D�altro canto abbreviare ulteriormente il termine varrebbe a dire concedere 
il beneficio anche per soggetti controllati (o creati) da pochissimo 
tempo e che non hanno ancora presentato una autonoma dichiarazione che 
consenta un controllo da parte del fisco sulla sua attivit�. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

E a tale riguardo il fatto che non sia consentito ai soggetti interessati di 
provare l�assenza di finalit� elusive non appare contrario al principio di proporzionalit�. 


Occorre infatti considerare che non si sta discutendo della concessione 
di una agevolazione fiscale o della previsione di una tassazione maggiorata, 
bens� della semplice possibilit� per pi� soggetti tra loro collegati di effettuare 
una compensazione delle rispettive posizioni debitorie e creditorie all�atto 
della dichiarazione annuale IVA. 

Le esigenze di semplificazione che sono alla base sia della normativa 
comunitaria che di quella nazionale, escludono che si possa ipotizzare un 
obbligo per gli Stati di introdurre deroghe al sistema consentendo ai soggetti 
interessati di dimostrare una sorta di �buona fede�, al solo fine di usufruire 
del meccanismo suddetto. 

Anche per tali motivi non appare pertinente il richiamo ai principi in 
tema di abuso del diritto, elaborati dalla Corte allo scopo di individuare i 
comportamenti di privati ai quali, nonostante il formale rispetto delle regole, 
debba comunque essere negato un diritto (nel caso delle sentenze Halifax 
(3), Optigen (4) e Axel Kittel (5), il diritto alla deduzione dell�IVA ex articolo 
17 della sesta direttiva). 

Nel caso di specie invece, non � il fisco che viene a contestare un comportamento 
elusivo, ma � il legislatore nazionale che individua una serie di 
condizioni per prevenire �frodi o evasioni fiscali�. 

Una volta accertato che tali condizioni non violano il principio di proporzionalit� 
e sono consentite dalla direttiva 77/388/CEE, nessun problema 
di abuso del diritto si pone. 

Cos� come non esiste alcuna violazione del principio di neutralit� 
dell�IVA, tenuto conto da un lato della limitatissima applicazione che l�Italia 
ha fatto della facolt� concessa dall�articolo 4 par. 4 della sesta direttiva e dall�altro 
che non si verifica alcuna duplicazione d�imposta. 

******* 
In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere ai 
quesiti sottoposti nel seguente modo 

1) l�art. 4, par. 4, ultima parte, della direttiva del Consiglio 11 maggio 
1977, n. 77/388/CEE, deve essere interpretato come norma non sufficientemente 
precisa, che consente agli Stati membri di applicare il regime ivi previsto 
in ipotesi particolari di vincoli economici, finanziari o giuridici tra 
diversi soggetti, anche subordinandolo ad un precedente periodo minimo di 
durata; 

(3) 21 febbraio 2006 in causa C-255/02. 
(4) 12 gennaio 2006 in cause 12 C-354/03, 355/03 e 484/03. 
(5) 6 luglio 2006 in cause C-439/04 e 440/04. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

2) la previsione di limiti temporali (quali quelli previsti dalla normativa 
nazionale nel giudizio a quo), nel senso che il vincolo deve esistere da un 
determinato periodo di tempo, quale presupposto per l�applicazione del 
regime, senza che ai soggetti interessati sia consentito di dare la dimostrazione 
dell�esistenza di una valida ragione economica della costituzione del 
vincolo, non contrasta con il principio di proporzionalit�, n� con il principio 
del divieto dell�abuso del diritto, n� con il principio di neutralit� 
dell�IVA. 

Roma, 27 luglio 2007 Avv. Gianni De Bellis�. 

Causa C-222/07 - Materia trattata: libera prestazione di servizi -
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Supremo 
(Spagna) il 3 maggio 2007 � UTECA (Union de Televisiones Comerciales 
Asociadas)/Federacion de Asociaciones de Productores Audiovisuales, Ente 
Publico RTVE e Administracion del Estado. (Avvocato dello Stato F. Arena 

-AL 27926/07). 
LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se l�art. 3 della direttiva del Consiglio 89/552/CEE, relativa al coordinamento 
di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
dagli Stati membri concernenti l�esercizio dalle attivit� televisive, 
come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 
giugno 1997, 97/36/CE, consenta agli Stati membri di stabilire un obbligo in 
forza del quale gli operatori televisivi sono tenuti a destinare una percentuale 
dei loro proventi di esercizio al prefinanziamento di film europei per il 
cinema e per la televisione. 

2) Nel caso in cui alla prima questione sia data una soluzione affermativa, 
se sia conforme alla citata direttiva e all�art. 12 del Trattato CE, in 
combinato disposto con le singole disposizioni cui esso si riferisce, una normativa 
nazionale che, oltre a prevedere il suddetto obbligo di prefinanziamento, 
riservi il 60% di quest�ultimo ad opere in lingua originale spagnola. 

3) Se l�obbligo, imposto da una normativa nazionale agli operatori televisivi, 
di destinare al prefinanziamento di film per il cinema una parte dei 
loro proventi di esercizio, di cui, una quota pari al 60 per cento dev�essere 
riservata appositamente ad opere in lingua originale spagnola � che sono 
per la maggior parte prodotte dall�industria cinematografica spagnola � 
costituisca un aiuto di Stato a favore dell�industria medesima, ai sensi dell�art. 
87 del Trattato CE. 

IL FATTO 

La questione � sorta nell�ambito di una lite promossa dalla Union de 
Televisiones Comerciales Asociadas davanti al Tribunale Supremo � Sezione 
del contenzioso amministrativo e tesa ad ottenere l�annullamento del regio 
decreto che approva il regolamento avente ad oggetto la disciplina dell�inve



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

stimento obbligatorio per il prefinanziamento di lungometraggi e cortometraggi 
cinematografici e di film per la televisione, europei e spagnoli. 

Nell�atto introduttivo la ricorrente ha chiesto che venisse sottoposta a 
codesta Corte una questione pregiudiziale riguardante la conformit� al diritto 
comunitario delle previsioni contenute nel regolamento impugnato nonch� 
delle disposizioni legislative in virt� delle quali l�atto oggetto della controversia 
davanti alla giurisdizione di rinvio � stato emanato. 

La domanda della parte ricorrente � stata avversata sia dalla convenuta 
Admistraci�n General del Estrado che dalla intervenuta Federaci�n de 
Asociasiones de productores Audiovisuales Espanoles. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�... (omissis) 
La normativa comunitaria rilevante. 


L�articolo 3, n. 1 della direttiva 89/552/CE, cos� come modificato dalla 
Direttiva 97/36/CE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti 
l�esercizio delle attivit� legislative, stabilisce che: 

�Gli Stati membri conservano la facolt� di richiedere alle emittenti televisive 
soggette alla loro giurisdizione di rispettate norme pi� particolareggiate 
o pi� rigorose nei settori disciplinati dalla presente direttiva�. 

L�art. 4, n. 1, dalla direttiva, cosi recita: 

�Gli Stati membri vigilano, ogniqualvolta sia possibile e ricorrendo ai 
mezzi appropriati, che le emittenti televisive riservino ad opere europee ai 
sensi dell�articolo 6 la maggior parte del loro tempo di trasmissione, escluso 
il tempo dedicato a notiziari, manifestazioni sportive, giochi televisivi, 
pubblicit� o servizi di teletext e televendite. Tenuto conto delle responsabilit� 
dell�emittente televisiva verso il suo pubblico in fatto di informazione, 
educazione, cultura e svago, questa proporzione dovr� essere raggiunta gradualmente 
secondo criteri appropriati. 

L�art 5 della medesima direttiva, stabilisce che: 

�Gli Stati membri vigilano, ogniqualvolta sia possibile e ricorrendo ai 
mezzi appropriati, che le emittenti televisive riservino alle opere europee 
realizzate da produttori indipendenti dalle emittenti stesse il 10% almeno del 
loro tempo di trasmissione � escluso il tempo dedicato notiziari, manifestazioni 
sportive, giochi televisivi, pubblicit� o servizi di teletext e televendite 
� oppure, a scelta dello Stato membro, il 10% almeno del loro bilancio 
destinato alla programmazione. Tenuto conto delle responsabilit� delle emittenti 
verso il loro pubblico in fatto di informazione, educazione, culture e 
svago, questa percentuale deve essere raggiunta gradualmente secondo criteri 
appropriati; essa deva essere raggiunta assegnando una quota adeguata 
ad opere recenti, vale a dire quelle diffuse entro un termine di cinque anni 
dalla loro produzione�. 

******* 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In merito alla prima questione, si ritiene che l�articolo 3 della Direttiva, 
che consente agli Stati membri di introdurre disposizioni pi� rigorose o particolareggiate 
per le emittenti soggette alla loro giurisdizione, non osta alla 
previsione di quote di riserva aggiuntive rispetto a quelle previste dalla direttiva. 
La direttiva impone, infatti, solo un coordinamento minimo tra le legislazioni 
nazionali per le opere europee in quanto tali, ma non preclude eventuali 
obblighi aggiuntivi a carico delle emittenti nazionali, tra i quali rientra 
la finalit� culturale, finalit� senz�altro riconducibile al cinema. 

La legislazione spagnola oggetto di scrutinio, in effetti, risulta del tutto 
in linea con le previsioni degli artt. 3, 4 e 5 cit., atteso che si limita a prevedere 
un finanziamento per opere europee recenti (in armonia con la previsione 
di cui all�ultimo inciso dell�art. 5 della Direttiva) e per tipi di opere europee 
che non sono ulteriori e diverse da quelle contemplate dalla disciplina 
comunitaria ma che rappresentano solo una specificazione all�interno delle 
categorie indicate dalla Direttiva. 

Alla luce delle suddette considerazioni non sembra sussistere alcun profilo 
di compatibilit� tra la legislazione spagnola e la disciplina comunitaria 
in questione. 

In merito alla seconda questione si ritiene che la Direttiva e il Trattato 
non ostino alla previsione di sottoquote per film in lingua nazionale originale 
in quanto i preamboli delle direttive del 1989 e del 1997, rispettivamente 
al considerando 24 e 44 alla luce dei quali l�articolato deve necessariamente 
essere interpretato, annoverano in modo espresso il conseguimento di obiettivi 
di politica linguistica tra le cause che giustificano norme pi� restrittive. 

La sentenza di codesta Corte citata nell�ordinanza di rinvio (sentenza 4 
maggio 1993 � causa C-17/92 Fedicine) non contiene elementi idonei a concludere 
nel senso dell�incompatibilit� con le norme del Trattato richiamate 
dal Tribunal Supremo, in quanto, nella questione decisa con la sentenza citata, 
l�imposizione dell�obbligo era volta direttamente ad attribuire un beneficio 
ad imprese di produzione spagnola, laddove, nella presente fattispecie, il 
60% del finanziamento � destinato esclusivamente (ed in linea con gli 
obbiettivi richiamati dal ricordato 44� considerando della Direttiva) a film 
prodotti (da qualunque impresa di produzione europea) in lingua spagnola. 

La suddetta considerazione (che rileva anche al fine di risolvere la terza 
questione sollevata dal Tribunal Supremo) consente di escludere l�esistenza 
di un conflitto tra la normativa nazionale in esame e le previsioni comunitarie 
richiamate nell�ordinanza di rinvio. 

Quanto appena sopra osservato in ordine alla conformazione del finanziamento 
previsto dalla normativa spagnola � destinato come visto non ad 
imprese di produzione nazionale ma solo alla produzione di opere in lingua 
spagnola � vale anche ad escludere che la misura possa essere qualificata 
quale aiuto di Stato ai sensi dell�art. 87 del Trattato. 

Come noto infatti, perch� una determinata misura possa essere qualificata 
come aiuto di Stato � necessario che �in primo luogo, deve trattarsi di un intervento 
dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale 
intervento deve poter incidere sugli scambi tra Stati membri. In terzo luogo, 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

deve concedere un vantaggio al suo beneficiario. In quarto luogo, deve falsare 

o minacciare di falsare la concorrenza� (Sentenza Corte Giustizia 15 luglio 
2004 � causa C-345/02, Pearle, punto 33; nello stesso senso cfr sentenza Corte 
Giustizia 24 luglio 2003, causa C-280/00, Altmark Trans, punto 75). 
In considerazione della rilevata circostanza della possibilit� di godere 
del contributo da parte di tutte le imprese di produzione europee (prescindendo 
dalla loro nazionalit� e dallo Stato di stabilimento delle stesse) deve 
escludersi che ricorra � quantomeno � il requisito della possibilit� della 
misura di incidere sugli scambi tra Stati membri, con conseguente inconfigurabilit� 
della stessa quale aiuto di Stato. 

Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame nel seguente 
modo: 

L�art. 3 della direttiva del Consiglio 89/552/CEE, relativa al coordinamento 
di determinate disposizioni legislativo, regolamentari e amministrative 
dagli Stati membri concernenti l�esercizio dalle attivit� televisive, come 
modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 
1997, 97/36/CE, non osta a che gli Stati membri stabiliscano un obbligo in 
forza del quale gli operatori televisivi sono tenuti a destinare una percentuale 
dei loro proventi di esercizio al prefinanziamento di film europei per il 
cinema e per la televisione, risultando detta previsione in linea con le finalit� 
perseguite dalla Direttiva citata. 

La Direttiva e l�art. 12 del Trattato CE in combinato disposto con le singole 
disposizioni cui esso si riferisce non ostano ad una normativa nazionale 
che riservi il 60% di un finanziamento destinato alla produzione di opere 
europee in lingua originale spagnola, nella misura in cui lo stesso non sia 
destinato ad imprese di produzione nazionale. 

L�obbligo, imposto da una normativa nazionale agli operatori televisivi, 
di destinare al prefinanziamento di film per il cinema una parte dei loro proventi 
di esercizio, di cui, una quota pari al 60 per cento dev�essere riservata 
appositamente ad opere in lingua originale spagnola non costituisce un 
aiuto di Stato a favore dall�industria medesima, ai sensi dell�art. 87 del 
Trattato CE, non ricorrendo i requisiti individuati dalla giurisprudenza 
comunitaria per la qualificazione di una misura quale aiuto di Stato. 

Roma, 16 agosto 2007 Avv. Filippo Arena�. 

Causa C-225/07 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dall�Amtsgericht Landau/Isar 
(Germania) il 7 maggio 2007 - procedimento penale a carico di Rainer 
Gunther Moginger. (Avvocato dello Stato S. Fiorentino - AL 27925/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

1) Se gli artt. 1, n. 2, 7, n.1, lett. b), nn. 2 e 4, e 9 della direttiva del 
Consiglio 29 luglio 1991, 91/43�9/CEE, concernente la patente di guida, 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

come modificata dalla direttiva del Consiglio 2 giugno 1997, 97/26/CE (in 
prosieguo: la �direttiva�), debbano essere interpretati nel senso che ostano a 
che uno Stato membro si rifiuti di riconoscere una patente di guida rilasciata 
da un altro Stato membro anche qualora il suo titolare sia stato oggetto, 
nel territorio del primo Stato membro, di un provvedimento di revoca o di 
annullamento di una patente di guida rilasciata dallo stesso Stato membro e 
qualora il periodo di divieto temporaneo di ottenervi una nuova patente, che 
accompagna il detto provvedimento, non sia ancora trascorso prima della 
data di rilascio della patente di guida da parte dell�altro Stato membro; 

2) In caso di risposta affermativa alla questione sub 1), 
se la predetta direttiva debba essere interpretata nel senso che gli organi giudiziari 
e le autorit� del primo Stato membro in questione possono ignorare il 
principio del riconoscimento reciproco qualora si impedisca al titolare della 
patente di guida, nel caso specifico per abuso di diritto, di avvalersi della 
patente di guida ottenuta all� estero in un altro Stato membro dell�UE, in particolare 
qualora, malgrado il rispetto dei requisiti inerenti al diritto comunitario, 
da un�analisi complessiva delle circostanze oggettive emerga il mancato raggiungimento 
delle finalit� cui mira la norma contenuta nella direttiva e qualora 
sussista un elemento soggettivo consistente nella volont� di procurarsi un 
vantaggio previsto dal diritto comunitario sotto forma del riconoscimento della 
patente di guida conseguita all�estero in un altro Stato membro dell�UE, creando 
arbitrariamente le condizioni a tal fine necessarie soprattutto 

� nel caso in cui, secondo le informazioni in possesso del primo Stato 
membro in questione, il titolare della patente, alla data del rilascio di quest�ultima, 
avesse la sua residenza normale nel territorio di detto Stato membro 
e non in quello dello Stato membro del rilascio della patente di guida, e 
� nel caso in cui, secondo le informazioni in possesso del primo Stato 
membro in questione, si debba ritenere, sulla base di circostanze oggettive 
soggette a controllo giurisdizionale, che il titolare della patente di guida non 
avrebbe avuto alcuna possibilit� di ottenere legalmente una patente di guida 
nel primo Stato membro. 
IL FATTO 

Si ricava dall�ordinanza di rinvio che all�imputato, il quale risiede stabilmente 
in Germania, secondo la definizione contenuta nell�articolo 9 della 
direttiva 91/439/CEE (in prosieguo: �la direttiva�), � stato contestato il reato 
di guida senza patente, punibile ai sensi dell�art. 21, n. 1, primo comma, 
dello Stra�enverkehrgesetz (StVG � Codice della strada tedesco), per essere 
stato colto alla guida di un veicolo su un�autostrada federale tedesca, il 7 
dicembre 2006, senza essere munito di una valida patente di guida. 

Con ordinanza del 20 aprile 2006, le autorit� amministrative tedesche avevano 
infatti revocato il diritto a guidare dell�imputato che, all�epoca, era in possesso 
di una patente di guida rilasciatagli il 25 aprile 2005 nella Repubblica ceca. 

Negli anni precedenti l�imputato era stato raggiunto da una serie provvedimenti 
di limitazione del diritto a guidare in Germania, l�ultimo dei quali 
risalente al 26 luglio 2004. In tale circostanza l�autorit� giudiziaria penale 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

tedesca gli aveva applicato il divieto di rilascio di una nuova patente di guida 
prima del termine di dodici mesi. 

Dopo questo provvedimento l�imputato, avendo anche ricevuto dalle 
autorit� della citt� di Passau un parere negativo circa la sua possibilit� di 
ottenere nuovamente il permesso di guida in Germania, aveva, in data 28 
dicembre 2004, ritirato l�ultima domanda di rilascio della patente, senza presentarne 
di nuove in Germania. 

Si viene, cos�, alla data del 19 giugno 2005, allorquando l�imputato veniva 
colto alla guida di uno scooter in stata di ebbrezza. A tale epoca, egli era 
in possesso della patente ceca, rilasciatagli il 25 aprile 2005 durante la vigenza 
del divieto di rilascio della patente per dodici mesi disposto in Germania 
il 26 luglio 2004. 

Con lettera del 16 gennaio 2006 le autorit� della citt� di Passau invitavano 
l�imputato a dimostrare la propria idoneit� alla guida. Non avendo l�interessato 
fornito un parere positivo al riguardo, veniva adottata l�ordinanza del 
20 aprile 2006 citata al punto 3. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�... (omissis) 
Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere complessivamente ai quesiti sottoposti al suo 
esame affermando che: 
Gli articoli 1, n. 2, 7, n. 1, lett. b), nn. 2 e 4, e 9 della direttiva del Consiglio 
29 luglio 1991, 91/439/CEE, concernente la patente di guida, come modificata 
dalla direttiva del Consiglio 2 giugno 1997, 97/26/CE, devono essere 
interpretati nel senso che non ostano a che uno Stato membro si rifiuti di 
riconoscere una patente di guida rilasciata da un altro Stato membro qualora 
il suo titolare sia stato oggetto, nel territorio del primo Stato membro, di 
un provvedimento di revoca o di annullamento di una patente di guida rilasciata 
dallo stesso Stato membro e qualora il periodo di divieto temporaneo 
di ottenervi una nuova patente, che accompagna il detto provvedimento, non 
sia ancora trascorso prima della data di rilascio della patente di guida da 
parte dell�altro Stato membro. 

Roma, 1 agosto 2007 Avv. Sergio Fiorentino�. 

Causa C-226/07 - Materia trattata: fiscalit� - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Dusseldorf (Germania) il 7 
maggio 2007 - Flughafen Koln/Bonn GmbH/Hauptzollamt Koln. (Avvocato 
dello Stato G. Albenzio - AL 27927/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se l�art. 14, n.1, lett. a) della direttiva del Consiglio 27 ottobre 2003, 
2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei pro



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dotti energetici e dell�elettricit�, debba esser interpetatato nel senso che una 
impresa che ha utilizzato gasolio tassato, compreso nella voce 2710 della 
nomenclatura combinata, per la produzione di elettricit� e ha presentato una 
domanda di rimborso dell�imposta possa far valere direttamente questa 
disposizione. 

IL FATTO 

Dal contenuto dell�ordinanza risulta che il contenzioso in esame ha origine 
dal diniego dell�Amministrazione finanziaria tedesca di attribuire alla 
Societ� Flughafen il rimborso della accisa pagata sul gasolio utilizzato nei 
generatori di terra per la produzione di energia elettrica necessaria per gli 
aeromobili nell�aeroporto di Colonia/Bonn; la parte ricorrente rivendica il 
beneficio al rimborso in forza della diretta applicazione dell�art. 14, n. 1, 
lett. a), della Direttiva del Consiglio 27/10/2003 n. 2003/96/CE, mentre 
l�Amministrazione doganale contesta che sussista nella specie il diritto 
azionato in mancanza di una espressa previsione normativa nazionale (nella 
specie emessa solo successivamente con legge entrata in vigore in data 
1/8/2006). 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il Governo italiano, quanto al quesito posto ed ai principi generali 
richiamati dal Giudice remittente, ritiene di dover intervenire nel presente 
giudizio perch� l�emananda decisione pu� avere riflessi sulle disposizioni 
interne in materia (nell�ordinamento italiano, il menzionato articolo 14, n. 1, 
lett. a), della Direttiva 2003/96 � stato recepito con la modifica dell�articolo 
21, comma 9, del testo unico accise approvato con decreto legislativo 26 
ottobre 1995, n. 504, ove si dispone l�assoggettamento ad accisa del prodotti 
energetici, quali il gasolio, utilizzati per la produzione di energia elettrica, 
con richiamo espresso ai �motivi di politica ambientale� nella Direttiva indicati) 
e sui contenziosi fra le Autorit� Doganali Nazionali e gli operatori commerciali 
aventi ad oggetto la problematica della tassazione del gasolio utilizzato 
per la produzione di energia. 

Prima di passare alla formulazione delle osservazioni di merito, riteniamo 
opportuno richiamare la struttura e la finalit� generale della Dir. 
2003/96 a mezzo della quale la Comunit� � intervenuta nella materia a tutela 
del mercato interno, promuovendo, attraverso il graduale ravvicinamento 
delle politiche economiche degli Stati membri, lo sviluppo armonioso 
delle attivit� economiche della Comunit� nel suo insieme; in particolare, 
nella questione che occupa, il riferimento normativo � l�art. 93 (ora 99) CE, 
richiamato nel preambolo della Dir. 2003/96/CE del Consiglio, ove si legge 
che: �Il Consiglio, deliberando all�unanimit� su proposta della 
Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del 
Comitato economico e sociale, adotta le disposizioni che riguardano l�armonizzazione 
delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d�affari, alle 
imposte di consumo e altre imposte indirette, nella misura in cui detta 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

armonizzazione sia necessaria per assicurare l�instaurazione ed il funzionamento 
del mercato interno [�]�. 

La tassazione dei prodotti utilizzati come propellente (e, quindi, in definitiva 
la loro competitivit� e diffusione sul mercato), sotto altro aspetto, � 
questione che si intreccia con l�interesse alla tutela ambientale, il quale ha 
acquisito sempre maggior rilievo sia in seguito all�adesione della Comunit� 
alle Convenzione di Kyoto sia per il fatto che con l�Atto unico europeo (sottoscritto 
a Bruxelles il 28 febbraio 1986 dalla Conferenza Intergovernativa, 
entrato in vigore in data 1/7/1987 in seguito alle ratifiche parlamentari dei 
singoli Paesi) � stata data una specifica base giuridica per l�azione comunitaria 
in materia di politica ambientale. 

La Dir. 2003/96/CE del Consiglio � che �ristruttura il quadro comunitario 
per la tassazione dei prodotti energetici e dell�elettricit�� � si propone 
espressamente di lasciare agli Stati membri �la flessibilit� necessaria per 
definire ed attuare politiche adeguate al loro contesto nazionale� (9� 
Considerando), concedendo effettivamente un certo margine di libert� agli 
Stati nella previsione di una disciplina che realizzi il duplice obiettivo sopra 
evidenziato della tassazione armonizzata e della severa politica ambientale, 
calibrando la tassazione del prodotto pi� inquinante e specifiche esenzioni o 
riduzioni d�imposta per impieghi o combinazioni suscettibili di ridurre l�impatto 
ambientale (ad esempio, rispetto a quei prodotti che vengano utilizzati 
nell�ambito di progetti pilota per lo sviluppo tecnologico di prodotti pi� 
rispettosi dell�ambiente, nonch� di prodotti energetici che contengono acqua). 

Tanto premesso, si osserva che l�invocato art. 14 dir. 2003/96 non sembra 
avere una chiara forza self executing nel senso della esenzione dall�accisa 
dei prodotti inquinanti (quali gli idrocarburi), perch� il principio in esso 
contenuto (esenzione dall�accisa dei prodotti elencati) � posto con la previsione 
di condizioni ed eccezioni demandate alla determinazione della normativa 
nazionale, in un sistema di formazione progressiva della norma che non 
ne consente una immediata applicazione prima dell�intervento degli Stati 
membri, infatti: a) nella prima parte della norma si affida agli Stati la disciplina 
dell�esenzione dall�accisa armonizzata �alle condizioni da essi stabilite 
al fine di garantire un�agevole e corretta applicazione delle esenzioni stesse 
ed evitare frodi, evasioni o abusi�; b) nell�ultima parte della lett. a) si concede 
espressamente agli Stati membri �la facolt� di tassare questi prodotti 
per motivi di politica ambientale�. 

Una interpretazione corretta della norma porta a ritenere che, fin quando 
gli Stati membri non intervengano con la propria legislazione a stabilire le 
condizioni per usufruire delle esenzioni, il principio generale non pu� trovare 
applicazione perch� si presterebbe a �frodi, evasioni o abusi� e si porrebbe 
in contrasto con la �politica ambientale� dei singoli Stati e della 
Comunit�, esentando dalla tassazione prodotti che per la loro natura sono 
altamente inquinanti. 

Affermare che la Direttiva non pu� trovare immediata applicazione 
senza gli interventi delle legislazioni nazionali non comporta, peraltro, il 
rischio di un rinvio sine die della sua operativit�, atteso che sussistono stru



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

menti, a disposizione della Commissione e dei singoli interessati, per indurre 
gli Stati membri ad attivarsi nel senso previsto dalla Direttiva; nel caso 
opposto, invocato dalla societ� ricorrente dinanzi all�Autorit� giudiziaria 
tedesca, si rischierebbe di sconvolgere i sistemi di tassazione in vigore negli 
Stati, che da un giorno all�altro diverrebbero inapplicabili e che sono fondati 
(come per la Germania e per l�Italia, oltre che per la quasi totalit� delle 
legislazioni degli Stati) sulla regola generale della tassabilit� degli idrocarburi, 
salvo eccezioni, senza concedere agli stessi il tempo e la possibilit� 
(anche attraverso indagini tecniche e di mercato e contatti con gli operatori 
del settore e con i consumatori) di studiare e delineare un sistema equilibrato 
di tassazione, riduzioni ed esenzioni che possa soddisfare i contrapposti 
interessi coinvolti e salvaguardare l�ambiente. 

La questione posta dalla Autorit� Giudiziaria remittente va, quindi, risolta 
nel senso che non pu� essere invocata dalla societ� ricorrente la diretta 
applicazione dell�articolo 14 della direttiva 92/12/CEE fino al momento in 
cui la legislazione nazionale tedesca non � intervenuta a regolare la materia 
e concedere lo sgravio fiscale con la legge sulla tassazione dei prodotti energetici 
entrata in vigore in data 1/8/2006. 

In conclusione 

il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere al quesito sottoposto 
al suo esame affermando che: a) l�art. 14, n. 1, lett. a), della Direttiva 
del Consiglio 27/10/2003 n. 2003/96/CE non ha efficacia diretta e non pu� 
trovare immediata applicazione prima dell�intervento delle legislazioni 
nazionali degli Stati membri che ne stabiliscano le condizioni operative e 
disciplinino le eventuali esenzioni; b) la Flughafen Koln/Bonn GmbH non 
ha diritto al rimborso dell�accisa pagata sul gasolio utilizzato per la produzione 
di energia elettrica prima dell�1/8/2006, data dell�entrata in vigore 
della normativa nazionale tedesca che lo prevede. 

Roma, 14 agosto 2007 Avv. Giuseppe Albenzio�. 

Causa C-239/07 - Materia trattata: energia - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Konstitucinis Teismas (Lituania) il 14 maggio 
2007 � Julius Sabatauskas e a./Seimas (Parlamento) della Repubblica di 
Lituania. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 29331/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se occorra interpretare l�art. 20 della direttiva del Parlamento europeo 
del Consiglio 26 giugno 2003, 2003/54/CE, relativa a norme comuni per il 
mercato interno dell�energia elettrica, che abroga la direttiva 96/92/CE, nel 
senso che esso obbliga gli Stati membri ad adottare una normativa in forza 
della quale, posto che la rete elettrica disponga della �necessaria capacit��, 
qualsiasi terzo ha il diritto di scegliere, a sua discrezione, la rete � di trasmissione 
o di distribuzione elettrica � alla quale desidera connettersi e il 
gestore della relativa rete � obbligato a dargli l�accesso alla rete. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

IL FATTO 

Il rinvio pregiudiziale in questione riguarda l�interpretazione dell�articolo 
20, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2003/54/CE, che sancisce il diritto di �accesso 
dei terzi� al sistema di trasmissione e di distribuzione dell�energia elettrica. 

La questione pregiudiziale viene sollevata in relazione ad una disposizione 
della legge della Repubblica di Lituania sull�elettricit� (articolo 15, n. 
2 della legge del 1 luglio 2004) che cos� dispone: ��L�apparecchiatura di 
un cliente pu� essere connessa a una rete di trasmissione esclusivamente 
qualora il gestore della rete di distribuzione rifiuti, a causa dei requisiti tecnici 
o operativi imposti, di connettere alla rete di distribuzione l�apparecchiatura 
del cliente situata nel territorio indicato nella licenza del gestore 
della rete di distribuzione�. 

La Corte Costituzionale della Repubblica di Lituania, nel chiedere alla 
Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla compatibilit� di questa legge nazionale 
con l�art. 20 della direttiva, osserva che l�art. 15, n. 2 della legge lituana 
non garantirebbe la libert� del cliente del servizio elettrico di scegliere 
una specifica rete di fornitura elettrica � di trasmissione o di distribuzione � 
da connettere alla propria apparecchiatura e lo obbligherebbe a connettere 
tale apparecchiatura ad una rete di distribuzione elettrica. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il Governo italiano ritiene che al quesito debba essere data risposta 
positiva, occorrendo interpretare l�art. 20 della direttiva 2003/54/CE nel 
senso che esso obbliga gli Stati membri ad adottare una normativa in forza 
della quale, posto che la rete elettrica disponga della �necessaria capacit��, 
qualsiasi terzo ha il diritto di scegliere, a sua discrezione, la rete, di trasmissione 
o di distribuzione elettrica, alla quale desidera connettersi e il gestore 
della relativa rete � obbligato a dargli l�accesso alla rete. 

Innanzitutto, va precisato che ai sensi dell�art. 2 della direttiva 
2003/54/CE, per �trasmissione� deve intendersi �il trasporto di energia elettrica 
sul sistema interconnesso ad altissima tensione ed alta tensione ai fini 
della consegna ai clienti finali o ai distributori, ma non comprendente la fornitura� 
mentre per �distribuzione� deve intendersi �il trasporto di energia 
elettrica su sistemi di distribuzione ad alta, media e bassa tensione per le consegne 
ai clienti ma non comprendente la fornitura�. 

Ci� detto, come osservato nell�ordinanza di rimessione, secondo le parti 
interessate la disposizione della legge belga, che obbliga il cliente a connettere 
le sue apparecchiature innanzitutto ad una rete di distribuzione, garantirebbe 
il diritto dei clienti piccoli e vulnerabili di pagare l�elettricit� ad un 
prezzo che sia il pi� basso possibile, considerato che lo stesso � determinato 
sulla base del principio del c.d. �timbro� (o della �tariffa unitaria�) mentre 
per le industrie finanziariamente forti e di dimensioni rilevanti sarebbe economicamente 
pi� vantaggioso connettersi direttamente ad una rete di trasmissione 
elettrica in quanto in tal caso non dovrebbero pagare per la fornitura 
elettrica tramite reti di distribuzione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Per tale motivo, � necessario valutare se il citato art. 20 della direttiva 
implichi che gli Stati membri debbano garantire a tutti i clienti, anche a coloro 
che consumano l�elettricit� per uso domestico, il diritto di connettersi 
direttamente alle reti di trasmissione elettrica. 

Ai sensi dell�art. 20 della direttiva, gli Stati membri garantiscono un 
�sistema di accesso� ai sistemi di trasmissione e di distribuzione, applicato 
obiettivamente e senza discriminazioni tra tutti gli utenti del sistema. 

Questo vuol dire che gli Stati membri danno accesso alle reti, di trasmissione 
e di distribuzione, attraverso un complesso di regole tecniche, economiche, 
strutturali che, come vuole la direttiva, sia basato su �tariffe pubblicate, praticabili 
a tutti i clienti idonei, ed applicato obiettivamente e senza discriminazioni�. 

La direttiva non si spinge fino al punto di riconoscere al cliente il diritto di 
scegliere, a suo arbitrio, la rete � di trasmissione o di distribuzione elettrica � 
alla quale desidera connettersi, con conseguente obbligo del gestore della rete 
stessa di concedere l�accesso a prima richiesta ove la rete elettrica disponga 
della �necessaria capacit�� (art. 20, par. 2 della direttiva 2003/54/CE). 

L�art. 20 della direttiva deve essere infatti interpretato nel senso che il 
cliente che avanza una richiesta di accesso, deve preliminarmente adeguarsi 
al �sistema di accesso� predisposto dalla normativa nazionale, cio� conformarsi 
a quel complesso di requisiti, tecnici, economici e strutturali, basati su 
criteri obiettivi e non discriminatori, che garantisce l�accesso al sistema. 

In questo senso pu� affermarsi che il cliente ha un �diritto condizionato� 
di accesso al sistema, ovvero subordinato al rispetto delle regole tecniche che 
disciplinano il sistema di accesso e che in Italia sono state stabilite 
dall�Autorit� per l�Energia elettrica e il gas (tra l�altro con la delibera n. 
281/05), nel rispetto dei criteri di obiettivit� e non discriminazione sanciti 
dalla direttiva europea. 

Dette regole per� non possono essere tali da negare a priori la facolt� 
dell�utente di accedere direttamente alla rete di trasmissione; il gestore infatti 
non pu� negare la connessione, direttamente alla rete di trasmissione, 
all�utente che dimostri di potersi adeguare a quel complesso di regole che 
costituiscono il �sistema di accesso�. 

L�unica ipotesi in cui l�accesso pu� essere rifiutato �, secondo l�art. 20, 
par. 2 della direttiva, quella in cui il gestore del sistema di trasmissione o di 
distribuzione �manchi della necessaria capacit��. 

Al di fuori di questa ipotesi, in cui peraltro il rifiuto deve essere debitamente 
motivato, all�utente deve essere garantito il diritto di accesso diretto 
alla rete di trasmissione, fatto salvo naturalmente il rispetto di quelle regole 
tecniche e strutturali che costituiscono il �sistema di accesso�. 

L�utente, da parte sua, ha l�onere di esercitare tale diritto legittimamente, 
chiedendo l�accesso alla trasmissione quando � ragionevole ritenere che 
la sua richiesta sia accolta. 

Rientra nell�esercizio abusivo del diritto di accesso, invece, l�ipotesi in 
cui l�utente, vantando un diritto di �accesso diretto� alla trasmissione pur 
non possedendone all�evidenza i requisiti tecnici ed economici, rivolga al 
gestore della rete di trasmissione una richiesta in tal senso, col solo risultato 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

di aumentare inopinatamente l�afflusso e i tempi di trattazione delle richieste 
di accesso meritevoli di essere accolte. 

Al riguardo appare significativo il fatto che il legislatore comunitario 
non si sia limitato a prevedere quanto disposto negli artt. 9 e 14 della medesima 
direttiva in ordine ai compiti dei gestori del sistema di trasmissione e, 
rispettivamente, del sistema di distribuzione ma abbia anche espressamente 
previsto, per l�appunto all�art. 20, che il sistema di accesso ed il correlativo 
obbligo di consentire l�accesso medesimo riguardano distintamente sia il 
sistema di trasmissione che quello di distribuzione e gravano in modo autonomo 
sia sul gestore del sistema di trasmissione che sul gestore del sistema 
di distribuzione: �gli stati membri garantiscono l�attuazione di un sistema di 
accesso dei terzi ai sistemi di trasmissione e di distribuzione��� �il gestore 
del sistema di trasmissione o di distribuzione pu� rifiutare l�accesso ove 
manchi della necessaria capacit��. 

� evidente infatti che se il legislatore comunitario avesse voluto negare 
il diritto di accesso diretto alla rete di trasmissione non vi sarebbe stata alcuna 
necessit� di aggiungere l�art.20 a quanto gi� previsto dagli artt. 9 e 14 dai 
quali si desume quanto segue: 

� l�art. 9 prevede che il gestore del sistema di trasmissione � tenuto a 
�soddisfare richieste ragionevoli di trasmissione di energia elettrica� assicurando 
�la non discriminazione tra gli utenti o le categorie di utenti del sistema�. 
Il riferimento alle richieste ragionevoli � chiaramente riferito ai vincoli 
tecnici posti dai singoli Stati membri, nonch� alla �capacit�� del sistema; 
� l�art. 14 (par. 2) riguarda gli obblighi in capo ai distributori e, sulla 
falsa riga dell�art. 9, impone di �non porre in essere discriminazioni tra gli 
utenti o le categorie di utenza del sistema�. 
Peraltro l�articolo 2 della direttiva, rubricato �Definizioni�, sancisce 
espressamente al punto 3) che per �trasmissione� � da intendere �il trasporto 
di energia elettrica sul sistema interconnesso ad altissima tensione e ad 
alta tensione, ai fini della consegna ai clienti finali o ai distributori, ma non 
comprendente la fornitura� e per �distribuzione� � da intendersi �il trasporto 
di energia elettrica su sistemi di distribuzione ad alta, media e bassa tensione 
per le consegne ai clienti, ma non comprendente la fornitura�. 

Se quindi, come risulta espressamente, la �trasmissione� di elettricit� 
comprende il trasporto della stessa, tra l�altro, fino al cliente finale, vuol dire 
che a quest�ultimo deve essere garantito l�accesso diretto alla rete di trasmissione 
senza dover passare attraverso le �reti di distribuzione�. 

Pertanto, una normativa nazionale che subordini la connessione diretta 
al sistema di trasmissione, al previo rifiuto opposto dal gestore della rete di 
distribuzione, deve ritenersi limitativa della libert� di scelta del cliente e pu� 
prestarsi ad un�applicazione discriminatoria. 

Infatti, se tutti i clienti che necessitano di connettersi direttamente alla 
rete di trasmissione venissero obbligati a rivolgersi prima al gestore della 
rete di distribuzione, con conseguente possibilit� di connettersi alla rete di 
trasmissione esclusivamente in caso di rifiuto di accesso da parte del gestore 
della rete di distribuzione �per motivi tecnici o operativi imposti� non 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

meglio specificati, si produrrebbero delle conseguenze non in linea n� con la 
lettera, n� con lo spirito della direttiva in quanto la libert� di scelta del cliente 
verrebbe indebitamente limitata siccome indirizzata prioritariamente verso 
la rete di distribuzione, anche laddove il cliente stesso possieda i requisiti 
tecnici ed operativi per connettersi direttamente alla rete di trasmissione. 

Inoltre, il gestore della rete di distribuzione, destinatario in prima battuta 
di tutte le richieste di connessione, di cui quindi avrebbe in qualche misura 
il �controllo�, potrebbe utilizzare in modo opportunistico o discriminatorio 
la facolt� di rifiuto per �motivi tecnici e operativi�, con ci� condizionando 
l�afflusso delle richieste di accesso alla rete di trasmissione. 

******* 
Il Governo Italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel 
senso che l�art. 20 della direttiva 2003/54/CE obbliga gli Stati membri ad adottare 
una normativa in forza della quale, posto che la rete elettrica disponga della 
�necessaria capacit��, qualsiasi terzo ha il diritto di scegliere, a sua discrezione, 
la rete, di trasmissione o di distribuzione elettrica, alla quale desidera connettersi 
e il gestore della relativa rete � obbligato a dargli l�accesso alla rete. 
Roma, 17 settembre 2007 Avv. Wally Ferrante�. 

Causa C-265/07 - Materia trattata: diritto delle imprese - Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale ordinario di Roma 
(Italia) il 4 giugno 2007 - Caffaro Srl/Azienda Unit� Sanitaria Locale 
RM/C. (Avvocato dello Stato S. Fiorentino - AL 28400/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se l�art. 14 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, come modificato 
dall�art. 147 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sia in contrasto con la 
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000, n. 35, 
2000/35/CE, in particolare con l�articolo 5 della stessa direttiva, nella misura 
in cui prevede un termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, 
che il creditore � obbligato a rispettare, qualora si tratti di esecuzione forzata 
nei confronti delle pubbliche amministrazioni e ancorch� il pagamento 
costituisca il corrispettivo di una transazione commerciale (cos� come definita 
dall�articolo 1 della medesima direttiva comunitaria 2000/35/CE). 

IL FATTO 

La questione � sorta nell�ambito di un procedimento di esecuzione promosso 
dalla Caffaro s.r.l. (in prosieguo: �il creditore�) nei confronti della 
Azienda USL Roma/C (in prosieguo: �il debitore�), in forza di un titolo esecutivo 
di natura non meglio precisata nell�ordinanza di rinvio, ma che il Giudice 
a quo afferma soggetto alla disciplina della direttiva 2000/35/CE (in prosieguo 
�la direttiva sui ritardi di pagamento� o semplicemente �la direttiva�), recepita 
dallo Stato italiano con decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231. 

...(omissis) 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�La normativa comunitaria rilevante. 

L�articolo 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 
giugno 2000, n. 35, 2000/35/CE, rubricato �Procedura di recupero di crediti 
non contestati�, stabilisce che: 

�1. Gli Stati membri assicurano che un titolo esecutivo possa essere 
ottenuto, indipendentemente dall�importo del debito, di norma entro 90 giorni 
di calendario dalla data in cui il creditore ha presentato un ricorso o ha 
proposto una domanda dinanzi al giudice o altra autorit� competente, ove 
non siano contestati il debito o gli aspetti procedurali. Gli Stati membri 
assolvono a tale obbligo secondo le rispettive disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative. 

2. Le rispettive disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
nazionali si applicano alle stesse condizioni a tutti i creditori stabiliti nella 
Comunit� europea. 
3. Il periodo di 90 giorni di calendario di cui al paragrafo 1 non include: 
a) i periodi necessari per le notificazioni; 
b) qualsiasi ritardo imputabile al creditore, come i termini necessari per 
regolarizzare il ricorso o la domanda. 

4. Il presente articolo lascia impregiudicate le disposizioni della convenzione 
di Bruxelles concernente la competenza giurisdizionale e l�esecuzione 
delle decisioni in materia civile e commerciale� 
L�articolo 2 della direttiva (�Definizioni�) enuncia: 

�Ai fini della presente direttiva si intende per: 

1 � 4) ... Omissis ... 

5) �titolo esecutivo�: ogni decisione, sentenza o ordine di pagamento, 
sia immediato che rateale, pronunciati da un tribunale o da altra autorit� 
competente, che consenta al creditore di ottenere, mediante esecuzione forzata, 
il soddisfacimento della propria pretesa nei confronti del debitore: esso 
comprende le decisioni, le sentenze o ordini di pagamento provvisori che 
restano esecutivi anche se il debitore abbia proposto impugnazione�. 

Nell�interpretare la direttiva vengono in rilievo, per quanto interessa la 
presente controversia, i seguenti �considerando� 

�(12) L�obiettivo della lotta contro i ritardi di pagamento nel mercato 
interno non pu� essere sufficientemente realizzato dagli Stati membri separatamente 
e pu� pertanto essere meglio realizzato a livello comunitario. La presente 
direttiva non va al di l� di quanto necessario per raggiungere l�obiettivo 
auspicato. La presente direttiva � quindi integralmente conforme ai principi 
di sussidiariet� e di proporzionalit� enunciati all�articolo 5 del trattato. 

(15) La presente direttiva si limita a definire l�espressione �titolo esecutivo�, 
ma non disciplina le varie procedure per l�esecuzione forzata di un 
siffatto titolo, n� le condizioni in presenza delle quali pu� essere disposta la 
sospensione dell�esecuzione ovvero pu� essere dichiarata l�estinzione del 
relativo procedimento. 
(16) I ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale 
resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

membri per i bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza 
delle procedure di recupero. Occorre modificare decisamente questa situazione 
anche con un risarcimento dei creditori, per invertire tale tendenza e 
per far s� che un ritardo di pagamento abbia conseguenze dissuasive. 

(17) Il risarcimento ragionevole delle spese di recupero deve essere 
preso in considerazione fatte salve le disposizioni nazionali, in base alle 
quali il giudice nazionale pu� concedere al creditore eventuali risarcimenti 
aggiuntivi per i danni causati dal ritardo di pagamento da parte del debitore, 
tenendo inoltre conto del fatto che queste spese sostenute possono gi� 
essere state compensate dagli interessi relativi al ritardato pagamento. 
(20) Le conseguenze del pagamento tardivo possono risultare dissuasive 
soltanto se accompagnate da procedure di recupero rapide ed efficaci per 
il creditore. Conformemente al principio di non discriminazione di cui 
all�articolo 12 del trattato, tali procedure dovrebbero essere a disposizione 
di tutti i creditori stabiliti nella Comunit� europea. 
(22) La presente direttiva disciplina tutte le transazioni commerciali a 
prescindere dal fatto che esse siano effettuate tra imprese pubbliche o private 
o tra imprese e autorit� pubbliche, tenendo conto del fatto che a queste 
ultime fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese. Essa pertanto 
dovrebbe disciplinare anche tutte le transazioni commerciali tra gli 
appaltatori principali ed i loro fornitori e subappaltatori. 
(23) L�articolo 5 della presente direttiva prevede che la procedura di 
recupero dei crediti non contestati sia conclusa a breve termine, in conformit� 
delle disposizioni legislative nazionali, ma non impone agli Stati membri 
di adottare una procedura specifica o di apportare specifiche modifiche 
alle procedure giuridiche in vigore�. 
Il diritto nazionale e le motivazioni della giurisdizione di rinvio. 

L�articolo 14 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito 
dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, al comma 1, dispone (1): 

�Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano 
le procedure per l�esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei 
lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l�obbligo di pagamento 
di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione 
del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non pu� procedere 
ad esecuzione forzata n� alla notifica di atto di precetto�. 

Il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, con il quale � stata trasposta nell�ordinamento 
italiano la direttiva sui ritardi di pagamento, prevede, tra l�altro: 

Articolo 3. Responsabilit� del debitore. 

�1. Il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori, ai 
sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel 

(1) Si esporr� il testo nella versione risultante dalle modifiche introdotte dall�art. 147 
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e dall�art. 44, comma 3, del decreto legge 30 settembre, 
n. 269, applicabile ratione temporis ai fatti di causa. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

pagamento del prezzo � stato determinato dall�impossibilit� della prestazio


ne derivante da causa a lui non imputabile�. 

Articolo 4. Decorrenza degli interessi moratori. 

�1. Gli interessi decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla 
scadenza del termine per il pagamento. 

2. Salvo il disposto dei commi 3 e 4, se il termine per il pagamento non � 
stabilito nel contratto, gli interessi decorrono, automaticamente, senza che sia 
necessaria la costituzione in mora, alla scadenza del seguente termine legale: 
a) trenta giorni dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore 
o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente; 
b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione 
dei servizi, quando non � certa la data di ricevimento della fattura 

o della richiesta equivalente di pagamento; 
c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione 
dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta 
equivalente di pagamento � anteriore a quella del ricevimento delle 
merci o della prestazione dei servizi; 

d) trenta giorni dalla data dell�accettazione o della verifica eventualmente 
previste dalla legge o dal contratto ai fini dell�accertamento della 
conformit� della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il 
debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca 
non successiva a tale data. 

3 � 4 ... Omissis...�. 

Articolo 5. Saggio degli interessi. 

�1. Salvo diverso accordo tra le parti, il saggio degli interessi, ai fini del 

presente decreto, � determinato in misura pari al saggio d�interesse del principale 
strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato 
alla sua pi� recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il 
primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette 
punti percentuali. Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo 
della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i 
successivi sei mesi. 

2. Il Ministero dell�economia e delle finanze d� notizia del saggio di cui 
al comma 1, al netto della maggiorazione ivi prevista, curandone la pubblicazione 
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno 
lavorativo di ciascun semestre solare� (2). 
Articolo 6. Risarcimento dei costi di recupero. 
�1. Il creditore ha diritto al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero 
delle somme non tempestivamente corrispostegli, salva la prova del 

(2) Il saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei 
pagamenti nelle transazioni commerciali, al netto della maggiorazione prevista nel comma 
1 del presente articolo, � stato fissato al 4,07% per il semestre 1� luglio-31 dicembre 2007 
dal Comunicato 30 luglio 2007 (Gazz. Uff. 30 luglio 2007, n. 175). Ne consegue che il saggio 
degli interessi moratori, nel medesimo semestre, � stabilito nella misura dell�11,07%. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

maggior danno, ove il debitore non dimostri che il ritardo non sia a lui imputabile. 


2. I costi, comunque rispondenti a principi di trasparenza e di proporzionalit�, 
possono essere determinati anche in base ad elementi presuntivi e 
tenuto conto delle tariffe forensi in materia stragiudiziale�. 
Il Capo I del Titolo I del Libro Quarto del codice di procedura civile italiano 
disciplina il c.d. �procedimento di ingiunzione�. All�interno di questo 
Capo, l�articolo 633, intitolato �Condizioni di ammissibilit��, al comma 1, 
dispone: 

�Su domanda di chi � creditore di una somma liquida di denaro o di una 
determinata quantit� di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di 
una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione 
di pagamento o di consegna: 

1) se del diritto fatto valere si d� prova scritta; 

2 � 3) Omissis�. 

L�articolo 641, intitolato �Accoglimento della domanda�, al comma 1, 
stabilisce: 

�Se esistono le condizioni previste dall�articolo 633, il giudice, con 
decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso (3), 
ingiunge all�altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la 
quantit� di cose chieste ... nel termine di quaranta giorni, con l�espresso 
avvertimento che nello stesso termine pu� essere fatta opposizione a norma 
degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si proceder� ad 
esecuzione forzata�. 

L�articolo 647, rubricato �Esecutoriet� per mancata opposizione o per 
mancata attivit� dell�opponente�, al comma 1 dispone: 

�Se non � stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l�opponente 
non si � costituito, il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza 
anche verbale del ricorrente, lo dichiara esecutivo�. 

Il Tribunale di Roma ha rilevato che il termine di novanta giorni previsto 
dall�articolo 5 della direttiva � rispettato nell�ordinamento italiano, perch�, 
nel caso in cui il credito non sia contestato, il titolo esecutivo si ottiene 
nel termine massimo di settanta giorni (un termine compreso tra zero e trenta 
giorni per ottenere il decreto ed un successivo termine di quaranta giorni 
affinch� il decreto acquisti efficacia esecutiva). 

Il giudice remittente ha, in effetti, aggiunto ulteriori dieci giorni di c.d. 
�tempo tecnico�, necessario per il ritiro delle copie autentiche e per la notifica 
del decreto. Si � per� visto, al precedente punto 7, che il paragrafo 3, lettera 
a), dell�articolo 5 della direttiva esclude i periodi necessari per le notificazioni 
dal computo dei novanta giorni per l�ottenimento del titolo esecutivo. 

(3) Le parole �da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso� sono state 
aggiunte dall�articolo del decreto legislativo n. 231 del 2002, con il quale, come si � visto, 
� stata trasposta la direttiva sui ritardi di pagamento. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Fatta questa premessa, il Tribunale di Roma ha, tuttavia, rilevato che il 
rispetto della direttiva da parte dell�ordinamento italiano, nel caso in cui sia 
debitrice una pubblica amministrazione, � meramente formale, perch�, in 
forza delle disposizioni nazionali che si sono anche qui richiamate, il creditore 
� costretto ad attendere per altri centoventi giorni prima di poter avviare 
la procedura esecutiva. 

In presenza di quello che ha definito un palese contrasto tra l�art. 14 del 
decreto legge n. 669 del 1996 e la direttiva sui ritardi di pagamento, il 
Giudice romano ha quindi sottoposto a codesta Ecc.ma Corte la questione 
pregiudiziale che forma oggetto del presente procedimento. 

Analisi 

Ritiene il Governo italiano che alla questione posta dalla giurisdizione di 
rinvio occorra dare risposta negativa, perch� la direttiva sui ritardi di pagamento 
non si occupa del termine entro il quale debba avere attuazione il credito 
enunciato nel titolo esecutivo. 

Nessuna disposizione della direttiva si riferisce espressamente o anche 
implicitamente al suddetto termine. L�articolo 5, richiamato dal Giudice del 
rinvio, riguarda, come emerge con ogni evidenza dal suo tenore letterale, 
esclusivamente il procedimento di formazione del titolo esecutivo e non la 
fase, successiva, di attuazione di esso. La definizione di titolo esecutivo, 
contenuta nell�articolo 2, non implica la necessit� che esso debba attribuire 
al creditore la possibilit� di ottenere immediatamente il soddisfacimento 
della propria pretesa. 

Una lettura che comprendesse nell�ambito di applicazione della direttiva 
anche la fase di esecuzione, oltre a scontrarsi con l�interpretazione letterale 
della normativa comunitaria, andrebbe oltre gli scopi di ravvicinamento della 
legislazione perseguiti della direttiva. 

Risulta con ogni evidenza dal suo quindicesimo �considerando�, infatti, 
che la direttiva non intende disciplinare le procedure di esecuzione (4). 
Oggetto di queste procedure, che la direttiva sui ritardi di pagamento riserva 
alle legislazioni nazionali, sono necessariamente, oltre alle modalit�, anche i 
tempi nei quali deve realizzarsi coattivamente la pretesa creditoria ed i termini 
entro i quali il debitore, che si veda notificare il titolo esecutivo o un�intimazione 
di pagamento che su di esso si fondi, pu� validamente adempiere 
al fine di evitare l�esecuzione. 

Il divieto di avviare esecuzioni nei centoventi giorni dalla notifica del titolo 
esecutivo pu�, d�altra parte, agevolmente rientrare nella nozione di �sospensione 
dell�esecuzione� che, nuovamente, il quindicesimo �considerando� afferma 
essere istituto estraneo all�ambito di regolazione della direttiva. 

N� in senso diverso depone il ventesimo �considerando�, nella parte in 
cui segnala che le conseguenze del pagamento tardivo possono risultare dis


(4) Queste procedimenti, come noto, sono molto differenti nei diversi Stati membri e 
non sempre hanno, come invece in Italia, carattere giurisdizionale. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

suasive soltanto se accompagnate da procedure di recupero rapide ed effica


ci. Infatti, come emerge con chiarezza dal successivo ventitreesimo �considerando�, 
che rinvia all�articolo 5, nell�impianto della direttiva la nozione di 
�procedura di recupero� rimanda esclusivamente alla procedura che porta 
alla formazione del titolo esecutivo e non comprende la fase, successiva, dell�attuazione. 
La direttiva persegue, quindi, la finalit� di dissuasione dei ritardi di 
pagamento attraverso l�imposizione di un automatismo nella decorrenza 
degli interessi moratori, di una misura minima del tasso degli interessi moratori 
(5) e di un termine certo entro il quale il creditore possa ottenere un titolo 
esecutivo, ma non si estende sino a disciplinare il termine a partire dal 
quale il creditore debba essere messo concretamente in condizione di agire 
in executivis. 

La disciplina di tale momento della fase esecutiva sarebbe, oltretutto, 
scarsamente significativa senza la contemporanea previsione di un termine 
finale certo del procedimento esecutivo, perch�, in assenza di un termine 
sicuro di durata della procedura e di una limitazione dei presupposti che 
legittimano la sospensione dell�esecuzione (punti dei quali la direttiva non si 
occupa), non vi sarebbe alcuna rafforzata garanzia che il creditore possa 
effettivamente ricevere la somma dovuta in tempi celeri. 

Quindi, tenuto conto che la direttiva non realizza una compiuta armonizzazione 
delle procedure di esazione e che essa, stando al suo dodicesimo 
�considerando�, si ispira ai principi di sussidiariet� e proporzionalit�, bisogna 
convenire sul fatto che � almeno all�attuale stadio della legislazione comunitaria 
� l�esigenza di celerit� dei pagamenti sia perseguita principalmente 
attraverso strumenti indiretti di pressione nei confronti del debitore. 

In ogni caso, anche se si ritenesse, id quod non, che le finalit� della direttiva 
non potrebbero realizzarsi se non prevedendo un termine ragionevole 
per la procedibilit� dell�azione esecutiva, la misura prevista dall�ordinamento 
nazionale rientrerebbe certamente nei canoni della ragionevolezza e della 
proporzionalit�, soprattutto se riguardata alla luce delle imperative esigenze 
di interesse pubblico che essa intende salvaguardare. 

Scopo della norma nazionale, infatti, non � quello di rendere �finanziariamente 
attraente� (v. sedicesimo �considerando�) per il debitore, ossia per 
le amministrazioni statali o per gli enti pubblici non economici (cio� per gli 
enti pubblici che non gestiscono imprese), i ritardi di pagamento. La prospettiva 
della mora pu� risultare attraente solo in presenza di impieghi produttivi 
o speculativi del denaro, che sono necessariamente estranei agli scopi istituzionali 
di questi debitori. 

(5) L�articolo 3, par. 1, lett. d), prevede un �margine� di sette punti percentuali rispetto 
al tasso di riferimento, ove non diversamente previsto dal contratto e sempre che le condizioni 
contrattuali non siano �gravemente inique�, ai sensi del successivo paragrafo 3, per 
il creditore. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Il ritardo nei pagamenti si traduce, pertanto, necessariamente in un danno 
per l�ente pubblico debitore. Tanto � vero che dinnanzi alla Corte dei Conti, 
competente a giudicare della responsabilit� civile dei pubblici funzionari 
verso l�amministrazione di appartenenza, vengono costantemente incardinati 
procedimenti a carico di quanti, tra essi, abbiano causato danni all�ente pubblico 
esponendolo alle penalit� di mora per non aver fatto s� che fossero 
rispettati i termini legali di pagamento. Il che, si deve incidentalmente osservare, 
costituisce un ulteriore stimolo verso la celerit� dell�adempimento. 

Scopo della misura nazionale �, dunque, quello di assicurare alle amministrazioni 
statali e agli enti pubblici non economici, attraverso il differimento 
dell�esecuzione, uno spazio di adempimento per l�approntamento dei 
mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti azionati, al fine di �evitare 
il blocco dell�attivit� amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti 
di fondi, contemperando in tal modo l�interesse del singolo alla realizzazione 
del suo diritto con quello, generale, ad una ordinata gestione delle 
risorse finanziarie pubbliche� (6). 

Si vuole quindi evitare che l�azione dei creditori delle amministrazioni 
statali, attraverso l�imposizione di vincoli su somme che devono avere una 
determinata destinazione, finiscano per ritardare l�azione pubblica.

� ben vero che tale finalit� pu� essere garantita anche attraverso la previsione 
della impignorabilit� dei fondi cha abbiano una specifica destinazione 
pubblicistica; tuttavia, al di l� dell�interpretazione fortemente restrittiva 
che di tali ipotesi d� la giurisprudenza italiana, resta il fatto che il pignoramento, 
sia pure poi destinato ad essere dichiarato inefficace, determina sempre 
� attraverso la costituzione automatica dell�obbligo, penalmente sanzionato, 
di non disporre delle somme pignorate � un blocco dei fondi che si protrae 
sino a quando la procedura esecutiva non sia dichiarata estinta dal 
Giudice dell�esecuzione (perch� � stata accolta l�opposizione dell�amministrazione 
debitrice o perch�, in seguito a tale opposizione, il creditore abbia 
rinunciato alla procedura). 

La norma nazionale mira, pertanto, a far s� che le amministrazioni statali 
e gli enti pubblici economici provvedano ai propri pagamenti, secondo 
tempi che tengono conto dei meccanismi di formazione della spesa pubblica, 
mediante l�utilizzo dei fondi da esse specificamente destinate a tale 
scopo. 

Nel contempo, la norma ottiene anche il risultato di ridurre notevolmente 
i casi in ci sia necessario ricorrere all�esecuzione forzata, deflazionando 
cos� il carico complessivo del contenzioso esecutivo e contribuendo, in ultima 
analisi, ad una pi� spedita definizione anche di quelle procedure esecutive 
che non si riesce a prevenire mediante il pagamento entro il termine di 
centoventi giorni. 

(6) Si � citato dalla sentenza 23 aprile 1998, n. 142, della Corte costituzionale, che si � 
occupata ex professo dell�art. 14 del decreto � legge n. 669 del 1996. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

D�altro canto, l�interesse pubblico al quale si � fatto sopra riferimento 
viene tutelato con modalit� non eccessivamente gravose per il creditore, il 
quale � peraltro garantito, oltre che da tutti gli istituti previsti dalla direttiva, 
anche dalla istituzionale solvibilit� delle amministrazioni statali e degli enti 
pubblici non economici. 

N� pu� trascurarsi che l�ordinamento italiano attribuisce al creditore una 
modalit� alternativa di esecuzione dei titoli esecutivi di fonte giudiziale (ivi 
inclusi i decreti ingiuntivi divenuti esecutivi per mancata opposizione), vale 
a dire il c.d. �giudizio di ottemperanza� dinnanzi al giudice amministrativo 
previsto dall�art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. 

Questa procedura si articola in un ricorso al giudice amministrativo 
affinch� questi adotti, all�esito di un procedimento caratterizzato da particolare 
speditezza, ogni provvedimento idoneo a dare esecuzione al giudicato, 
sino alla possibile nomina di un commissario ad acta, vale a dire di un proprio 
ausiliario che subentri nei poteri dell�amministrazione debitrice e adotti 
esso stesso i necessari atti amministrativi. 

Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere al quesito sottoposto al suo esame affermando 
che 

Una norma come l�art. 14 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, 
la quale preveda un termine dalla notifica del titolo esecutivo che il creditore 
� obbligato a rispettare, qualora si tratti di esecuzione forzata nei 
confronti delle pubbliche amministrazioni e ancorch� il pagamento costituisca 
il corrispettivo di una transazione commerciale, non � in contrasto 
con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 giugno 
2000, n. 35, 2000/35/CE, in particolare con l�articolo 5 della stessa direttiva. 


Roma, 20 settembre 2007 Avv. Sergio Fiorentino�. 

Causa C-288/07 - Materia trattata: fiscalit� - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (Chancery Division) 
(Regno Unito) il 14 giugno 2007 � The Commissioners of Her Majesty�s 
Revenue & Customs/Isle of Wight Council, Mid-Suffolk District Council, 
South Tyneside Metropolitan Borough Council, West Berkshire District 
Council. (Avvocato dello Stato G. De Bellis - AL 31861/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se il concetto di �distorsioni di concorrenza� debba essere rapportato 
ai singoli enti di diritto pubblico, talch�, nell�ambito della presente causa, 
la capacit� di provocare distorsioni della concorrenza debba essere valutata 
con riferimento all�area territoriale o alle aree in cui l�ente in questione 
fornisce i detti servizi di parcheggio o se, invece, occorra prendere a riferimento 
l�intero territorio nazionale dello Stato membro interessato. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

2) Cosa debba intendersi per �provocherebbe�, e in particolare, quale 
sia il grado di probabilit� o il livello di certezza richiesto per soddisfare tale 
condizione. 

3) Come debba essere interpretata l�espressione �di una certa importanza�, 
e in particolare, se essa si riferisca ad un effetto sulla concorrenza pi� 
che irrilevante o minimo, ad un effetto �considerevole�, ovvero ad un effetto 
�eccezionale. 

IL FATTO 

Le questioni sono state poste nell�ambito di un giudizio che vede contrapposti 
i Commissioners of Her Majesty�s Revenue & Customs e quattro 
amministrazioni locali (in seguito: i Comuni). 

A quanto risulta dall�ordinanza di rinvio, i Comuni hanno chiesto 
all�Amministrazione Finanziaria inglese il rimborso dell�IVA corrisposta sui 
corrispettivi percepiti per il servizio di autoparcheggio in luogo custodito. 

Il giudice di primo grado, accogliendo la tesi dei Comuni, aveva sostenuto 
che l�attivit� di autoparcheggio doveva ritenersi non imponibile, poich� 
esercitata dagli enti in quanto pubbliche autorit� ed in modo tale da non provocare 
importanti distorsioni della concorrenza. 

I Commissioners hanno proposto appello, sostenendo che la sentenza di 
primo grado era errata in quanto: 

a) per valutare, come previsto dall�articolo 4 n. 5 della sesta direttiva, se 
il non assoggettamento ad IVA dell�attivit� �provocherebbe distorsioni della 
concorrenza di una certa importanza�, non doveva essere effettuata un�analisi 
del mercato a livello locale, bens� nazionale; 

b) la valutazione di tali effetti, doveva tenere conto della possibilit� che 
l�attivit� �potrebbe provocare� delle distorsioni della concorrenza e non 
invece che �provocherebbe�. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�A norma dell�articolo 4 n. 5 della direttiva 77/388/CEE (il cui contenuto 
� ora trasfuso, senza sostanziali modifiche, nell�articolo 13 della direttiva 
2006/112/CE) 

Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto 
pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attivit� od operazioni 
che esercitano in quanto pubbliche autorit�, anche quando, in relazione a 
tali attivit� od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. 


Se per� tali enti esercitano attivit� od operazioni di questo genere, essi 
devono essere considerati soggetti passivi per dette attivit� od operazioni 
quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza 
di una certa importanza. 

In ogni caso, gli enti succitati sono sempre considerati come soggetti 
passivi per quanto riguarda le attivit� elencate nell�allegato D quando esse 
non sono trascurabili. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Gli Stati membri possono considerate come attivit� della pubblica 
amministrazione le attivit� dei suddetti enti le quali siano esenti a norma 
degli articoli 13 o 28. 

Nella fattispecie l�attivit� di autoparcheggio in luoghi custoditi non � 
ricompresa nell�elenco di cui all�allegato D alla sesta direttiva. 

Ne consegue che assumono rilievo solo le due seguenti circostanze: 

a) che i Comuni abbiano agito come �pubbliche autorit��; 

b) che il non assoggettamento ad IVA delle operazioni �provocherebbe 
distorsioni di concorrenza di una certa importanza�. 

In relazione al primo quesito, il Governo italiano ritiene che la individuazione 
dell�ambito territoriale che occorre considerare per valutare se l�esonero 
dall�IVA sia in grado di provocare distorsioni di concorrenza di una 
certa importanza, costituisca il risultato di una valutazione puramente economica 
e non giuridica. 

Ci� in quanto la valutazione che occorre effettuare, comporta l�applicazione 
dei principi propri in tema di concorrenza. 

Ed a tal fine viene ad assumere rilievo il concetto di mercato rilevante. 

� evidente infatti che per valutare la possibilit� che una determinata attivit� 
provochi distorsioni della concorrenza, occorre individuare il mercato 
nell�ambito del quale tale effetto si potrebbe verificare. 

Come si legge al punto 2 della comunicazione 9 dicembre 1997 della 
Commissione �sulla disciplina del mercato rilevante ai fini dell�applicazione 
del diritto comunitario in materia di concorrenza� (in GUCE 9.12.1997, 

n. C 372) �La definizione del mercato costituisce uno strumento per individuare 
e definire l�ambito nel quale le imprese sono in concorrenza tra loro. 
Essa permette di stabilire il contesto entro il quale la Commissione mette in 
atto la politica di concorrenza. Scopo principale della definizione del mercato 
� di individuare in modo sistematico le pressioni concorrenziali alle 
quali sono sottoposte le imprese interessate�. 
Ai successivi punti 7, 8 e 9 si legge ancora: 

7. I regolamenti di applicazione dell�articolo 85 e dell�articolo 86 del 
trattato, in particolare la sezione 6 del formulario A/B relativo al regolamento 
n. 17 e il capitolo 6 del formulario CO relativo al regolamento (CEE) n. 
4064/89 sul controllo delle concentrazioni contengono (ciascuno in forma 
lievemente diversa) delle definizioni di questi concetti. Il mercato del prodotto 
rilevante � definito come segue: 
�Il mercato del prodotto rilevante comprende tutti i prodotti e/o servizi 
che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione 
delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell�uso al quale sono 
destinati.� 

8. Il mercato geografico rilevante � definito come segue: 
�Il mercato geografico rilevante comprende l�area nella quale le imprese 
in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni 
di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che pu� essere tenuta 
distinta dalle zone geografiche contigue perch� in queste ultime le condizioni 
di concorrenza sono sensibilmente diverse.� 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

9. Il mercato rilevante nell�ambito del quale va valutato un determinato 
problema di concorrenza risulta quindi dalla combinazione del mercato del 
prodotto e del mercato geografico rilevanti. La Commissione interpreta le 
definizioni citate ai paragrafi 7 e 8 (che riflettono la giurisprudenza della 
Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado come pure la propria prassi 
nelle decisioni) secondo gli orientamenti esposti nella presente comunicazione. 
Orbene, restando nell�ambito della presente causa, occorre valutare 
quale sia �il mercato del prodotto� relativo all�offerta di parcheggi a pagamento 
ed il �mercato geografico richiesto�. 

Tale mercato non pu� in alcun modo identificarsi con l�intero mercato 
nazionale. 

Non v�� dubbio infatti che in tema di parcheggi a pagamento, non � ipotizzabile 
alcuna concorrenza tra offerte di citt� diverse e distinte tra loro. 
L�utente non avr� di certo interesse ad effettuare spostamenti rilevanti al solo 
fine di utilizzare parcheggi con tariffe pi� competitive. 

Si pu� invece ipotizzare una situazione di concorrenza in prossimit� di 
luoghi oggetto di frequentazione da parte di numero elevato di persone 
(come ad esempio stadi di calcio, centri storici, stazioni, aeroporti ecc.). 

In tali casi � fisiologico che si crei una concorrenza tra le diverse offerte 
di parcheggio situate nelle vicinanze dei luoghi suddetti. 

Ma la peculiarit� del servizio di parcheggio � tale per cui la valutazione 
del mercato rilevante e, conseguentemente, dell�ambito in cui si pu� ipotizzare 
una concorrenza suscettibile di alterazione a seguito dell�offerta di 
parcheggi da parte di enti pubblici, ma pu� che riguardare la dimensione 
locale. 

Con il secondo quesito il giudice remittente chiede alla Corte di specificare 
il significato del termine �provocherebbe�, e in particolare, quale sia il 
grado di probabilit� o il livello di certezza richiesto per soddisfare tale condizione. 


Il Governo italiano ritiene al riguardo che il termine �provocherebbe� va 
inteso nel senso che dal fatto di porre in essere un�attivit� non imponibile (e 
come tale ad un prezzo ridotto, in quanto non gravata da IVA), possa derivare 
con un elevato grado di probabilit� distorsioni alla concorrenza. 

Pur non essendo necessaria la certezza assoluta, il termine utilizzato dal 
legislatore � tale per cui deve trattarsi non di una semplice possibilit� di 
distorsione della concorrenza, ma di una buona probabilit� che un tale effetto 
si realizzi. 

Circa il terzo quesito il giudice remittente propone tre alternative per 
descrivere il significato dell�espressione, contenuta nell�articolo 4 n. 5 
comma 2 della direttiva 77/388/CEE, �distorsioni di concorrenza di una 
certa importanza�. 

Si ipotizza perci�: 

a) un effetto irrilevante o minimo; 

b) un effetto considerevole; 

c) un effetto eccezionale. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Anche qui l�espressione usata (�una certa importanza�) consente di 
escludere l�ipotesi a) (un effetto minimo), mentre pi� pertinente appare l�ipotesi 
b) (un effetto considerevole). 

Del pari � da escludersi l�ipotesi c) (un effetto eccezionale), fermo 
restando che qualora come conseguenza dell�attivit� non imponibile si provocasse 
una eccezionale distorsione della concorrenza, la fattispecie prevista 
dal legislatore si sarebbe comunque realizzata. 

L�espressione �una certa importanza� va intesa infatti come limite al di 
sotto del quale la distorsione non viene dal legislatore ritenuta quantitativamente 
rilevante al punto da imporre l�assoggettamento ad IVA dell�attivit�. 
Ne consegue la necessit� di applicazione dell�IVA in tutti i casi di distorsione 
della concorrenza che superino la soglia dell�effetto �considerevole�. 

******* 
In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere ai 
quesiti sottoposti nel seguente modo 

Il concetto di �distorsioni di concorrenza� � un concetto puramente economico, 
che presuppone la individuazione del mercato rilevante nel cui 
ambito potrebbe verificarsi la distorsione stessa. La valutazione se l�esercizio 
di un�attivit� non imponibile da parte di un ente pubblico sia in grado di 
provocare distorsioni della concorrenza va effettuata con riferimento al mercato 
rilevante, che tenuto conto della natura dell�attivit� di autoparcheggio 
e delle esigenze della domanda, non pu� riferirsi all�intero territorio nazionale 
dello Stato membro interessato. 

Il termine �provocherebbe� contenuto nell�articolo 4 n. 5 comma 2 della 
direttiva 77/388/CEE va inteso nel senso che dal fatto di porre in essere un�attivit� 
non imponibile, possano derivare distorsioni alla concorrenza con un 
elevato grado di probabilit� e non soltanto la mera possibilit� che ci� accada. 

L�espressione �di una certa importanza� contenuta nell�articolo 4 n. 5 
comma 2 della direttiva 77/388/CEE va intesa nel senso che dal fatto di 
porre in essere un�attivit� non imponibile, possano derivare distorsioni alla 
concorrenza di rilevanza almeno �considerevole� e non invece semplicemente 
�minima�. 

Roma, 4 ottobre 2007 Avv. Gianni De Bellis�. 

Causa C-291/07 - Materia trattata: fiscalit� � Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Regeringsratten (Svezia) il 15 giugno 2007 � 
Kollektivavtalssitftelsen TRR Trygghetsradet/Skatteverket. (Avvocato dello 
Stato G. De Bellis -AL 31874/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se l�art. 9, n. 2, lett. e), e l�art. 21, n. 1, lett. b), della sesta direttiva IVA, 
nonch� l�art. 56, n. 1, lett. c), e l�art. 196 della direttiva del Consiglio 28 
novembre 2006, 2006/112/CE, debbano essere interpretati, ai fini della loro 
applicazione, nel senso che il destinatario di una prestazione di servizi di consulenza 
effettuata da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro, 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

destinatario che eserciti al tempo stesso attivit� economiche ed attivit� che esulino 
dalla sfera di applicazione della direttiva, debba essere considerato quale 
soggetto passivo, ancorch� tale prestazione di servizi venga unicamente utilizzata 
per le attivit� non ricomprese nella sfera di applicazione della direttiva. 

IL FATTO 

La questione � stata sollevata nell�ambito di un giudizio che vede contrapposti 
la Kollektivavtalssitftelsen TRR Trygghetsr�det (in seguito: la 
TRR) una fondazione nota nel 1994 e creata dal sindacato dei datori di lavoro 
unitamente a quello dei lavoratori e la Skatteverket (Amministrazione 
finanziaria svedese). 

A quel che risulta dall�ordinanza di rimessione, la TRR svolge sia un�attivit� 
non imponibile (prevalente), sia un�attivit� imponibile costituita da 
prestazioni di servizio, quantificabile nel 5% circa dei suoi ricavi. 

La TRR volendo avvalersi di consulenza rese da un prestatore stabilito 
in Danimarca, ha chiesto alla Commissione Tributaria un parere vincolante 
circa la sua natura di �commerciante� ai sensi del capitolo 5 articolo 7 della 
legge svedese in materia di IVA (n. 200/1994). 

Tale disposizione (attuativa dell�articolo 9 n. 1 della direttiva 
77/388/CEE), prevede che le prestazioni di consulenza fornite da un prestatore 
di altro Stato membro ad un commerciante avente la sede della sua attivit� 
economica in Svezia (ovvero che in tale paese disponga di un centro di 
attivit� stabile o, in mancanza, di domicilio o residenza abituale) si considerano 
effettuate in tale Stato. 

Nella sua richiesta la TRR precisava che la consulenza da richiedere al 
prestatore danese, riguardava la sua attivit� con imponibile. 

La Commissione Tributaria da un lato ha riconosciuto che l�attivit� prevalente 
di TRR non � imponibile ai fini IVA. Dall�altro ha per� ritenuto di 
poter qualificare TRR come �commerciante� ai sensi del capitolo 5 articolo 
7 della legge svedese in materia di IVA. 

Come conseguenza di ci� la consulenza resa dal prestatore danese sarebbe 
imponibile in Svezia, ancorch� destinata all�attivit� non imponibile. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il Governo italiano ritiene che al quesito proposto debba essere data 
risposta negativa. L�articolo 9 della sesta direttiva (di cui il capitolo 5 articolo 
7 della legge svedese n. 200/1994 costituisce trasposizione), prevede che 

Si considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore 
ha fissato la sede della propria attivit� economica o ha costituito un 
centro di attivit� stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene 
resa o, in mancanza di tale sede o di tale centro di attivit� stabile, il luogo 
del suo domicilio o della sua residenza abituale. 

Tuttavia: [..] 

e) il luogo delle seguenti prestazioni di servizi, rese a destinatari stabiliti 
fuori della Comunit� o a soggetti passivi stabiliti nella Comunit�, ma 
fuori del Paese del prestatore, � quello in cui il destinatario ha stabilito la 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sede della sua attivit� economica o ha costituito un centro di attivit� stabile 
per il quale si � avuta la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o 
di tale centro d�attivit� stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza 
abituale: [�] 

� prestazioni fornite da consulenti, ingegneri, uffici studi, avvocati, periti 
contabili ed altre prestazioni analoghe nonch� elaborazioni di dati e fornitura 
di informazioni; [�] 
Analoga disposizione � ora contenuta nell�articolo 56 della direttiva 
2006/112/CE. 

Per effetto di tali disposizioni la consulenza fornita dal prestatore danese 
a TRR sarebbe imponibile in Svezia se destinata ad un soggetto passivo 
che in tale Stato ha stabilito la sede della sua attivit� economica o ha costituito 
un centro di attivit� stabile per il quale si � avuta la prestazione di servizi 
o, in mancanza di tale sede o di tale centro d�attivit� stabile, il luogo del 
suo domicilio o della sua residenza abituale. 

Viceversa sarebbe imponibile in Danimarca, qualora il destinatario della 
consulenza fosse un consumatore finale. 

Ebbene, il termine �soggetti passivi� contenuto nel citato articolo 9 n. 2 
lett. e), non si ritiene possa avere una portata cos� ampia da ricomprendere 
tutti coloro i quali svolgano una qualsiasi attivit� imponibile, che non sia in 
rapporto alla consulenza fornita. 

In realt�, nel momento in cui un prestatore di un altro Stato membro fornisce 
una consulenza ad un soggetto passivo il quale per� la destina alla sua 
attivit� privata (rectius: non imponibile), � come se la stessa consulenza 
fosse fornita ad un �non soggetto passivo�. 

Diversamente si verrebbe a configurare una ingiustificata disparit� di 
trattamento. 

Il far dipendere il mutamento di territorialit� (e perci� in sostanza, uno spostamento 
del gettito fiscale da uno Stato all�altro), dalla semplice e causale circostanza 
che il destinatario della consulenza svolge un�attivit� economica, qualunque 
essa sia, a cui la consulenza non inerisce, renderebbe privo di razionalit� 
il sistema contro la volont� del legislatore, il quale ha voluto che per alcune 
prestazioni (tra cui la consulenza) il luogo della imponibilit� venisse a coincidere 
con quello della loro utilizzazione da parte di un consumatore finale. 

E tale deve essere considerato anche chi svolge un�attivit� economica a 
cui la consulenza non sia pertinente. 

D�altronde tale soggetto passivo non potrebbe portare in detrazione 
l�IVA assolta, per mancanza di inerenza con la sua attivit� imponibile (come 
prevede l�articolo 17 n. 2 della sesta direttiva). 

Tale imposta, ormai definitivamente acquisita per essere pervenuta allo 
stadio del consumo finale, verrebbe quindi versata dal prestatore la consulenza 
nel suo Stato. 

Viceversa, se la consulenza fosse inerente all�attivit� economica svolta, 
la prestazione si considererebbe (ex articolo 9 n. 2 lett. e) effettuata nel paese 
del soggetto passivo destinatario, il quale (ai sensi dell�articolo 21 n. 1 lettera 
b) della sesta direttiva, ora articolo 196 della direttiva 2006/112/CE), 
dovrebbe versarla all�erario del suo Paese e contemporaneamente la porte



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

rebbe in detrazione nel rispetto del principio di neutralit�, in base al quale 
l�imposta verr� definitivamente percepita dallo Stato nel suo stadio finale, 
cio� al momento in cui la prestazione pervenga (sotto forma di valore 
aggiunto) ad un consumatore finale. 

Tale meccanismo risulterebbe per� alterato qualora si aderisse ad un 
concetto cos� ampio di �soggetto passivo�, come ha ritenuto la Commissione 
Tributaria svedese. 

Di fatto, stante l�impossibilit� per il destinatario di portare in detrazione 
l�IVA versata (per mancanza del requisito dell�inerenza), si verificherebbe 
uno spostamento del gettito fiscale definitivo (perch� l�operazione � pervenuta 
ad uno stadio finale) da uno Stato all�altro, in contrasto con la chiara 
volont� del legislatore il quale, si ribadisce, ha invece voluto le prestazioni 
di consulenza imponibili nello Stato del prestatore qualora l�incameramento 
dell�IVA sia definitivo. 

******* 
In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere al 
quesito sottoposto nel seguente modo 

L�art. 9, n. 2, lett. e), e l�art. 21, n. 1, lett. b), della sesta direttiva IVA, 
nonch� l�art. 56, n. 1, lett. c), e l�art. 196 della direttiva del Consiglio 28 
novembre 2006, 2006/112/CE, devono essere interpretati nel senso che il 
destinatario di una prestazione di servizi di consulenza effettuata da un soggetto 
passivo stabilito in un altro Stato membro, destinatario che eserciti al 
tempo stesso attivit� economiche ed attivit� che esulino dalla sfera di applicazione 
della direttiva, deve essere considerato al pari di un consumatore 
finale nei casi in cui tale prestazione di servizi venga unicamente utilizzata 
per le attivit� non ricomprese nella sfera di applicazione della direttiva. 

Roma, 3 ottobre 2007 Avv. Gianni De Bellis�. 

Causa C-304/07 - Materia trattata: ravvicinamento delle legislazioni � 
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof 
(Germania) il 2 luglio 2007 � Directmedia Publishing GmbH/AlbertLudwigs-
Universitat Freiburg, Prof. Dr. Ulrich Knoop. (Avvocato dello 
Stato F. Arena -AL 32931/07). 

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

Se il prelievo di dati da una banca dati tutelata (ex art. 7, n. 1, della 
direttiva sulle banche dati) con loro contestuale inserimento in un�altra 
banca dati possa configurare un�operazione di estrazione ai sensi dell�art. 
7, n. 2, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 
marzo 1996, 96/9/CE, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, 
anche qualora esso venga effettuato sulla base di consultazioni della prima 
banca dati a seguito di valutazione caso per caso, oppure se un�estrazione 
ai sensi di quest�ultima disposizione presupponga un�attivit� di (materiale) 
copiatura di un insieme di dati. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

IL FATTO 

Con ordinanza depositata il 2 luglio 2007 il Bundesgerichtshof tedesco 
ha sollevato una questione pregiudiziale nell�ambito di una causa che vede 
contrapposti la Directmedia Publishing Gmbh e la Albert-Ludwig-
Universitat Freiburg ed il Prof. Ulrich Knoop. 

Il Prof. Ulrich Knoop ha diretto il Progetto �Patrimonio dei classici� in 
esito al quale � stata pubblicata la cos� detta Antologia di Friburgo, vale a 
dire un�antologia di poesie tedesche appartenenti al periodo compreso tra il 
1720 ed il 1933. 

Per la creazione dell�antologia � stato predisposto un elenco di titoli di 
poesie, poi pubblicato su internet con il titolo le 1100 pi� importanti poesie 
della letteratura tedesca tra il 1730 ed il 1900. 

Per la realizzazione del predetto elenco (nel quale sono riportate l�autore, 
il titolo, la riga iniziale e l�anno di apparizione di ogni singola poesia) � 
stata svolta un attivit� di selezione, ricerca e verifica (descritta al punto 2 dell�ordinanza 
di rimessione) durata due anni e mezzo e costata 34.900 euro (la 
spesa � stata sopportata dalla Albert-Ludwig-Universitat Freiburg). 

La Directmedia Publishing Gmbh ha pubblicato nel 2002 (e successivamente 
distribuito) un CD-ROM denominato �1000 poesie che tutti debbono 
avere�; della poesie in questione 876 riguardano il periodo tra il 1720 ed il 
1990 ed 856 di queste risultano menzionate nell�elenco di titoli di cui si � 
sopra detto. Il giudice di rinvio ha asserito che la Directmedia Publishing 
Gmbh si � ispirata, per la raccolta di poesie, al suddetto elenco, omettendo 
solo talune delle poesie nello stesso presenti ed aggiungendone poche altre, 
verificando, caso per caso, la scelta adottata dal Prof. Knoop. I testi delle 
poesie inserite nella raccolta sono state estratte da fonti informatiche. 

Il Prof. Knoop e l�Universit� di Friburgo hanno chiesto che la Directmedia 
Publishing Gmbh venga condannata alla cessazione della riproduzione su 
copie e/o la distribuzione del CD-ROM da essa pubblicato, sul presupposto 
che la convenuta abbia violato il diritto di autore del Prof. Knoop quale creatore 
di un�opera antologica ed il diritto della Universit� di Friburgo alla tutela 
della propria prestazione quale costitutrice di una banca dati. 

La Directmedia ha sostenuto che la raccolta di dati contenuta nel proprio 
CD-ROM non avrebbe le caratteristiche richieste dall�art. 87a della Legge 
tedesca sul diritto di autore per la esistenza di una banca di dati. 

Il Giudice di primo grado ha accolto la domanda degli attori ed il giudice 
di appello ha confermato la statuizione di prime cure. 

Avverso la decisione del giudice di secondo grado ha proposto ricorso 
per cassazione (Revision) la Directmedia. Gli originari attori si sono costituiti 
per resistere al ricorso. 

Il Bundesgerichthof, (dopo aver respinto il ricorso per cassazione proposto 
nei confronti del Prof. Knoop), ritenendo che l�esito della controversia tra 
la Directamedia e l�Universit� di Friburgo dipenda dall�interpretazione dell�art. 
7, n. 2, lett. a), della direttiva 1996/9/CE (Direttiva sulla tutela giuridica 
delle banche di dati), ha sospeso il procedimento e ha proposto a codesta 
Corte domanda di pronuncia pregiudiziale. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�La normativa comunitaria rilevante e le motivazioni della giurisdizione 
di rinvio. 

L�art. 7 della Direttiva 1996/9/CE prevede che: 

�1. Gli Stati membri attribuiscono al costitutore di una banca di dati il 
diritto di vietare operazioni di estrazione e/o reimpiego della totalit� o di 
una parte sostanziale del contenuto della stessa, valutata in termini qualitativi 
o quantitativi, qualora il conseguimento, la verifica e la presentazione di 
tale contenuto attestino un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo 

o quantitativo. 
2. Ai fini del presente capitolo: 
a) per �estrazione� si intende il trasferimento permanente o temporaneo 
della totalit� o di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati 
su un altro supporto con qualsiasi mezzo o in qualsivoglia forma; 

b) per �reimpiego� si intende qualsiasi forma di messa a disposizione del 
pubblico della totalit� o di una parte sostanziale del contenuto della banca di 
dati mediante distribuzione di copie, noleggio, trasmissione in linea o in altre 
forme. La prima vendita di una copia di una banca dati nella Comunit� da 
parte del titolare del diritto, o con il suo consenso, esaurisce il diritto di controllare 
la rivendita della copia nella Comunit�. Il prestito pubblico non 
costituisce atto di estrazione o di reimpiego. 

3. Il diritto di cui al paragrafo 1 pu� essere trasferito, ceduto o essere 
oggetto di licenza contrattuale. 
4. Il diritto di cui al paragrafo 1 si applica a prescindere dalla tutelabilit� 
della banca di dati a norma del diritto d�autore o di altri diritti. Esso si 
applica inoltre a prescindere dalla tutelabilit� del contenuto della banca di 
dati in questione a norma del diritto d�autore o di altri diritti. La tutela delle 
banche di dati in base al diritto di cui al paragrafo 1 lascia impregiudicati i 
diritti esistenti sul loro contenuto. 
5. Non sono consentiti l�estrazione e/o il reimpiego ripetuti e sistematici 
di parti non sostanziali del contenuto della banca di dati che presuppongano 
operazioni contrarie alla normale gestione della banca dati o che arrechino 
un pregiudizio ingiustificato ai legittimi interessi del costitutore della 
banca di dati.� 
Il giudice del rinvio � dopo aver osservato che gli artt. 97 n. 1, 98 n. 
1, 87a e 87 b della Legge d�autore tedesca rappresentano la trasposizione 
nel diritto interno delle previsioni contenute nella direttiva 1996/9/CE e 
che, pertanto, la risoluzione della controversia non pu� che dipendere 
dalla interpretazione delle norme interne in modo conforme al diritto 
comunitario � ha posto la questione se la nozione di estrazione di cui 
all�art. 7, n. 2, lett. a) della direttiva sulla tutela giuridica delle banche di 
dati presupponga, sempre, una operazione di materiale copiatura di un 
insieme di dati ovvero se possa ritenersi integrato il requisito dell�estrazione 
anche nell�ipotesi in cui il prelievo di dati da una banca dati tutelata, 
con contestuale inserimento in altra banca dati, avvenga previa valutazione 
caso per caso. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Secondo il Bundesgerichthof, il tenore letterale dell�art. 7, n. 1 lett. a) cit, 
talune opinioni dottrinali ed una particolare lettura della sentenza British 
Horseracing di codesta Corte (1) farebbero propendere per la necessit� di 
leggere la nozione di estrazione nel senso che la stessa presupponga comunque 
un�operazione di copiatura. 

In particolare, la lettura delle motivazioni di cui ai punti 52 e ss. della 
sentenza British Horseracing (nei quali viene chiarito che la tutela sui generis 
� attribuita al costitutore di una banca dati anche nella ipotesi in cui le attivit� 
di copiatura non consentite avvengano utilizzando non l�originale ma 
una copia della banca dati) farebbe propendere per la necessit� che, ai fini 
del diritto alla tutela accordata dalla normativa in questione, sarebbe sempre 
necessario un materiale trasferimento di dati da una banca ad un�altra, essendo, 
la specificazione contenuta in sentenza non necessaria, ove i dati materiali, 
contenuti nella banca dati, fossero ritenuti tutelati gi� in s�. 

La tutela accordata dalla direttiva sarebbe collegata, dunque, alla circostanza 
dell�esser incorporata, la banca dati, in un mezzo di supporto, di talch� 
l�oggetto della tutela accordata al costitutore di una banca dati riguarderebbe 
solo �la banca dati registrata in un mezzo di supporto e intesa quale 
espressione concreta del contenuto raccolto, ordinato e reso accessibile, 
quale bene immateriale�; in questa ottica, la tutela riconosciuta dall�art. 7 cit. 
presupporrebbe, in ogni caso, l�attivit� di materiale copiatura della banca 
dati incorporata nel mezzo di supporto, non essendo, detta tutela, operante 
nella diversa ipotesi in cui la banca dati venga utilizzata, esclusivamente, 
quale fonte di informazione, bench� in misura rilevante. 

Ad avviso del Governo italiano, la questione posta dal giudice del rinvio 
pu� essere risolta sulla scorta degli argomenti gi� svolti nella citata sentenza 
British Horseracing (2) 

In quell�occasione, in effetti, codesta Corte ha avuto modo di sciogliere 
i numerosi dubbi posti dal giudice del rinvio, fornendo, in sostanza, una 
compiuta ed approfondita interpretazione di tutti i concetti contenuti nell�art. 
7 della direttiva in questione.

� stato, in particolare, chiarito che il fine della tutela riconosciuta dalla direttiva 
� quello di incentivare quanto pi� possibile la creazione di sistemi di memorizzazione 
e di gestione di informazioni esistenti (3) e che, a tal fine, occorre fornire 
adeguati mezzi di tutela contro l�appropriazione dei risultati ottenuti dall�investimento 
professionale e finanziario del costitutore della banca dati (4). 

In questo contesto e anche alla luce delle espressioni contenute proprio 
nell�art. 7, n. 2, lett. a, (�con qualsiasi mezzo o in qualsivoglia forma�), 

(1) Sentenza 9 novembre 2004, in causa C-203/2002, British Horseracing Board Ltd. e a. 
(2) Sentenza 9 novembre 2004,in causa C-203/02, cit. 
(3) cfr. Sentenza 9 novembre 2004, in causa C-203/02, cit., punto 31. 
(4) Sentenza 9 novembre 2004, in causa C-203/02, cit., punto 32; cfr. anche il trentanovesimo 
considerando della Direttiva 1996/9/CE. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

codesta Corte ha concluso nel senso che �il legislatore comunitario ha voluto 
conferire un senso ampio alle nozioni di estrazione e di reimpiego. Alla 
luce dell�obiettivo perseguito dalla direttiva, queste nozioni devono essere 
quindi interpretate nel senso che si riferiscono a qualsiasi operazione consistente, 
rispettivamente, nell�appropriazione e nella messa a disposizione 
del pubblico, senza il consenso del costitutore della banca di dati, dei risultati 
del suo investimento, privando cos� quest�ultimo dei redditi che dovrebbero 
consentirgli di ammortizzare il costo di tale investimento�(5).

�, pertanto, questo il criterio informatore della intera disciplina: se l�operazione 
di estrazione avviene illegittimamente (id est senza il consenso del 
costitutore) ed � tale da poter pregiudicare l�investimento effettuato per la 
creazione della suddetta banca dati, deve concludersi � nella ricorrenza, 
ovviamente, delle altre condizioni previste dalla direttiva � nel senso della 
spettanza al costitutore della tutela sui generis. 

La questione in merito alla necessit�, per poter aver diritto alla tutela di 
cui si discute, che vi sia una materiale operazione di copiatura del contenuto 
della banca di dati incorporata in un mezzo di supporto, in altra banca dati, 
non appare, al contrario, rappresentare un criterio determinante. 

A tal riguardo, sembra che il giudice tedesco abbia, forse, desunto troppo 
dai punti 52 e ss. della sentenza British Horseracing pi� volte citata, nei 
quali codesta Corte si � limitata a rispondere al quesito n. 7 posto, in quella 
circostanza, dal giudice del rinvio, affermando � ancora una volta in linea 
con lo scopo della direttiva sopra indicato � che la tutela accordata al costitutore 
si estende anche all�ipotesi in cui l�estrazione avvenga da una copia 
della banca dati e non dall�originale della stessa. In tal modo, tuttavia, non 
sembra si sia voluto affermare il principio della previa necessaria operazione 
di materiale copiatura al fine di poter godere della tutela, ma solo ampliare 
ancor di pi� la stessa accordandola anche all�ipotesi di estrazione non eseguita 
direttamente dall�originale, ove, comunque, il risultato dell�investimento 
del creatore della banca dati possa esserne pregiudicato. 

Peraltro che la soluzione corretta sia quella sin qui esposta, trova ulteriore 
conferma nella risposta fornita da codesta Corte, ancora una volta, nella 
sentenza British Horseracing al quesito incentrato sull�interpretazione dell�art. 
7, n. 5 della direttiva, in forza del quale �non sono consentiti l�estrazione 
e/o il reimpiego ripetuti e sistematici di parti non sostanziali del contenuto 
della banca di dati che presuppongano operazioni contrarie alla normale 
gestione della banca dati o che arrechino un pregiudizio ingiustificato ai 
legittimi interessi del costitutore della banca di dati�. 

La disposizione appena citata � stata interpretata nel senso di ritenere, 
comunque, integrata un�operazione di estrazione non consentita anche nella 
ipotesi in cui i dati vengano singolarmente prelevati e, tuttavia, l�effetto 
cumulativo dei singoli prelievi (ove orientato a costituire o a mettere a dispo


(5) Sentenza 9 novembre 2004,in causa C-203/02, cit., punto 51. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sizione del pubblico una parte rilevante della banca dati, ed idoneo dunque a 
pregiudicare l�investimento del creatore della banca dati), risulta essere 
comunque vietato. E ci� perch� una diversa conclusione si tradurrebbe nell�elusione 
del divieto di cui all�art. 7, n. 1 della direttiva (6). 

La risposta di codesta Corte conferma, dunque, che le modalit� del prelievo 
non appaiono di centrale importanza al fine di qualificare il suddetto 
prelievo quale estrazione ai sensi dell�art. 7, n. 2, lett. a cit., dovendosi piuttosto 
aver riguardo alla possibilit� o meno che le operazioni compiute siano 
idonee o meno a pregiudicare l�investimento del costitutore. 

Spetter�, poi, ovviamente, al giudice nazionale verificare che l�operazione 
di estrazione in concreto compiuta abbia le caratteristiche sopra descritte 
ed integri, dunque, i presupposti per poter riconoscere al costitutore le tutela 
sui generis di cui alla direttiva. 

Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere al quesito sottoposto al suo esame nel 
seguente modo: 

Il prelievo di dati da una banca dati tutelata (ex art. 7, n. 1, della direttiva 
sulle banche dati) con loro contestuale inserimento in un�altra banca 
dati configura un�operazione di estrazione ai sensi dell�art. 7, n. 2.let. a), 
della direttiva 1996/9/CE, anche qualora esso venga effettuato sulla base di 
consultazioni della prima banca dati a seguito di valutazione all�investimento 
eseguito dal costitutore della prima banca dati. 

Roma, 19 ottobre 2007 Avv. Filippo Arena�. 

Causa C-306/07 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dallo Hojesteret (Danimarca) il 3 luglio 
2007 - Ruben Andersen/Kommunernes Landsforening, in qualit� di rappresentante 
del Comune di Slagesle (ex Comune di Skaeelkor). (Avvocato dello 
Stato W. Ferrante -AL 32933/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se l�art. 8, n. 1 della Direttiva del Consiglio 14 ottobre 1991, 
91/533/CEE, relativa all�obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore 
delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, comporti 
che un contratto collettivo mirante al recepimento delle sue disposizioni 
non si applica ad un lavoratore che non � membro di un�organizzazione 
firmataria di detto contratto. 

2) In caso di soluzione negativa della prima questione, se l�espressione 
�il lavoratore che non � coperto da un o da contratto collettivi che hanno 
attinenza col rapporto di lavoro� di cui all�articolo 8, n. 2, di detta diretti


(6) Sentenza 9 novembre 2004, in causa C-203/02, punti 83-95. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

va, comporti che le clausole di un contratto collettivo che prevedono la previa 
messa in mora del datore di lavoro non si applicano ad un lavoratore non 
membro di un�organizzazione firmataria di detto contratto. 

3) Se i termini �contratto di lavoro temporaneo� e �rapporto di lavoro 
temporaneo� di cui all�articolo 8, n. 2, della direttiva riguardino lavori di 
breve durata o altri lavori, ad esempio tutte le forme di rapporti di lavoro 
limitate nel tempo. Nel primo caso, secondo quali criteri un rapporto di 
lavoro debba essere considerato come temporaneo (di breve durata). 

IL FATTO 

Il rinvio pregiudiziale trae origine da un giudizio, nel quale il ricorrente, 
beneficiario di contratti di reinserimento professionale presso un Comune 
Danese, ha lamentato di aver ricevuto lettere di assunzioni viziate da errori, 
corrette entro 15 giorni dalla segnalazione. 

I cinque contratti di reinserimento professionale avevano tutti una durata 
compresa tra un mese e un anno ma di fatto hanno avuto una durata inferiore 
ad un mese a causa delle assenze del ricorrente. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il Governo italiano ritiene che al primo quesito debba darsi risposta 
negativa. 

Il giudice remittente si chiede se il ricorrente possa invocare l�applicazione 
della legge danese sull�obbligo del datore di lavoro di informare i 
dipendenti delle condizioni relative al rapporto di lavoro (�legge sulla prova 
dell�assunzione�, di recepimento della direttiva comunitaria 14 ottobre 1991, 

n. 91/533/CEE) o se possa �basarsi soltanto sul contratto collettivo che � 
stato adottato a livello municipale per recepire la direttiva�. 
La direttiva 91/533/CEE � stata recepita nell�ordinamento danese con una 
legge (la citata �legge sulla prova dell�assunzione�) che prevede l�applicazione 
della disciplina legislativa solo in via sussidiaria, nel caso in cui gli obblighi di 
informazione del lavoratore sulle condizioni applicabili al rapporto di lavoro 
previsti dalla direttiva non siano disciplinati in un contratto collettivo. 

Pertanto, nell�ordinamento danese, nel caso in cui vi sia un contratto collettivo 
che disciplina gli obblighi di informazione, fonte di tali obblighi � 
l�atto di contrattazione collettiva e, solo in sua mancanza o in mancanza 
nello stesso di �clausole corrispondenti almeno alle norme e alle disposizioni 
della direttiva 91/533/CEE�, sar� applicabile la legge. 

Nell�ordinanza di remissione viene specificato che �tutti i datori di lavoro 
comunali� hanno stipulato accordi e che gli stessi si applicano, secondo 
la legge danese, erga omnes sia ai lavoratori iscritti ai sindacati, sia ai lavoratori 
non iscritti. 

La direttiva n. 91/533/CEE inoltre lascia liberi gli Stati membri di adottare 
le disposizioni �legislative, regolamentari ed amministrative� necessarie 
per il recepimento (cfr. ultimo considerando nonch� l�articolo 9), consentendo 
ai singoli Stati, in alternativa, di provvedere �a che le parti sociali attuino 
le disposizioni necessarie mediante accordo�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Pertanto, se il recepimento a livello nazionale � stato correttamente effettuato 
con l�adozione di un contratto collettivo avente efficacia erga omnes, 
applicabile quindi anche ai lavoratori non iscritti ad una delle organizzazioni 
sindacali firmatarie, non si pu� ipotizzare una deroga con riferimento al 
solo articolo 8, n. 1 della direttiva in esame che non prevede nulla in proposito, 
limitandosi a stabilire: � Gli Stati membri introducono nel loro ordinamento 
giuridico interno le misure necessarie per consentire a qualsiasi lavoratore 
che si ritenga leso della mancata osservanza degli obblighi derivanti 
dalla presente direttiva di difendere i propri diritti per vie legali dopo aver 
fatto eventualmente ricorso ad altri organi competenti�. 

In definitiva, se come risulta dall�ordinanza di remissione il contratto 
collettivo ha efficacia erga omnes nell�ordinamento nazionale, lo stesso si 
applicher� anche al lavoratore non appartenente al sindacato firmatario e il 
lavoratore potr� comunque agire in giudizio per far valere i propri diritti 
anche se fonte dell�obbligo � il contratto collettivo. 

Anche al secondo quesito, il Governo italiano ritiene che debba darsi 
risposta negativa. 

Il giudice remittente, rilevando che la direttiva, all�art. 8 n. 2, ha concesso 
agli Stati Membri la facolt� di prevedere che l�accesso alle vie di ricorso 
legale, di cui al richiamato n. 1 dello stesso articolo, sia subordinato alla previa 
messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore e all�assenza 
di risposta entro un termine di quindici giorni, chiede come debbano essere 
interpretate le eccezioni a tale regola disciplinate nella stessa norma. 

Infatti, l�articolo 8, paragrafo 2, comma 2 prevede che la formalit� della 
messa in mora non possa, comunque, essere richiesta n� per il lavoratore 
espatriato di cui all�art. 4, n� per il lavoratore che abbia un contratto o un rapporto 
di lavoro temporaneo, n� per il lavoratore che non sia �coperto da uno 

o da contratti collettivi che hanno attinenza con il rapporto di lavoro�. 
L�espressione �lavoratore che non � coperto da uno o da contratti collettivi� 
sembra debba essere interpretata con riferimento alla validit� che 
negli ordinamenti dei singoli Stati membri hanno i contratti collettivi. 

Se secondo la normativa nazionale, i contratti collettivi si applicano erga 
omnes a tutti i lavoratori, la disciplina negli stessi contenuta si applicher� anche 
per il lavoratore non membro di un�organizzazione firmataria del contratto. 

Tale conclusione sembra emergere dalla formulazione della norma che 
fa riferimento al lavoratore �non coperto� dal contratto collettivo e non al 
lavoratore che non appartenga all�organizzazione sindacale firmataria. 

Inoltre, una diversa interpretazione della disposizione, comporterebbe 
che solo per tale aspetto, l�efficacia del contratto collettivo verrebbe regolata 
a livello comunitario, il che non sembra corrispondere alla ratio della 
direttiva, che consente espressamente che la trasposizione negli Stati membri 
possa essere attuata mediante accordi stipulati tra le parti sociali. 

Se, infatti, il contratto collettivo ha, come nell�ordinamento danese, efficacia 
erga omnes, affermare che solo con riferimento a quanto disposto dall�articolo 
8, n. 2, tale disposizione � applicabile limitatamente ai lavoratori 
che fanno parte delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collet



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

tivo, comporterebbe una limitazione della competenza nazionale relativamente 
all�efficacia da attribuire ai contratti collettivi, non voluta dal legislatore 
comunitario. 

Naturalmente, la predetta disposizione si riferisce anche alle categorie di 
lavoratori � si pensi a nuove tipologie di prestazioni lavorative ancora non 
disciplinate � per le quali non sia stato stipulato alcun contratto collettivo. 

Deve rilevarsi che nell�ordinamento italiano la direttiva in esame � stata 
recepita con il decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, che prevede 
all�articolo 1, comma 4, che alcune delle informazioni che � richiesto debbano 
essere fornite al lavoratore, possano essere date mediante �il rinvio alle 
norme del contratto collettivo applicato al lavoratore�. 

Per quanto sopra esposto, si ritiene che la risposta al quesito debba essere 
individuata nella validit�, riconosciuta in ogni ordinamento, alla contrattazione 
collettiva, in quanto dai contenuti della direttiva non appare che il 
legislatore comunitario abbia voluto intervenire sull�efficacia, attribuita in 
ogni Stato membro, ai contratti collettivi. 

In ordine al terzo quesito i giudici remittenti chiedono come debba essere 
interpretata la locuzione di cui all�art. 8, n. 2 �contratto o rapporto di 
lavoro temporaneo� in una duplice prospettiva: 

� se tale disposizione riguardi tutti i lavori a tempo determinato nei quali 
la durata del contratto sia fissata all�origine del rapporto (che prevedono per 
i lavoratori gli stessi diritti dei lavoratori assunti a tempo indeterminato) 
ovvero solo i contratti (definiti �provvisori� nell�ordinanza di remissione) 
per i quali �di giorno in giorno si pu� porre fine al contratto di lavoro�, in 
cui i lavoratori sono sottoposti a condizioni meno favorevoli; 
� quali siano, comunque, i criteri affinch� un rapporto di lavoro debba 
essere considerato come temporaneo (o �di breve durata�), ai sensi dell�articolo 
8 n. 2 della direttiva n. 91/533/CEE, e come tale debba comportare l�esclusione 
dalla necessit� di previa messa in mora del datore di lavoro quale 
condizione necessaria per ricorrere alle vie giudiziarie, qualora gli Stati 
membri nelle norme di recepimento abbiano accolto tale opzione. 
Con riferimento al primo profilo, la disposizione della Direttiva va 
interpretata alla luce del suo oggetto e del suo scopo. Pertanto l�esclusione 
della previa messa in mora deve riferirsi non a qualsiasi contratto a tempo 
determinato, che potrebbe essere anche di alcuni anni, ma esclusivamente ai 
contratti temporanei che, per la loro breve durata, non si prestano al previo 
esperimento di particolari formalit� per la tutela dei diritti derivanti dalla 
direttiva. 

Quanto al secondo profilo, deve rilevarsi che la direttiva n. 91/533/CEE, 
nel definire all�articolo 1 il campo di applicazione, ha previsto che gli Stati 
membri possano avvalersi della facolt� di non applicare le disposizioni in 
essa contenute al rapporto di lavoro che: 

� abbia una durata complessiva non superiore a un mese e/o non superi 
le otto ore di lavoro settimanale, ovvero 
� abbia carattere occasionale e/o particolare purch�, nel caso specifico, 
ragioni obiettive giustifichino la sua non applicazione. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La predetta norma appare chiaramente contenere una definizione di 
lavoro temporaneo, applicabile anche all�articolo 8, n. 2. 

Il legislatore italiano, con il decreto legislativo del 26 maggio 1997, n. 152 
di recepimento della direttiva in esame, da un lato, ha limitato l�ambito di applicazione 
della normativa escludendo i �rapporti di lavoro di durata complessiva 
non superiore ad un mese e il cui orario non superi le otto ore settimanali� (art. 
5); dall�altro, per tutti gli altri rapporti di lavoro, non si � avvalso della facolt� 
concessa agli Stati membri dall�articolo 8 n. 2 della direttiva di �subordinare� 
il ricorso giudiziale alla previa messa in mora del datore di lavoro. 

Infatti, l�articolo 4 del predetto decreto legislativo si limita a prevedere 
la possibilit� (e non l�obbligo) per il lavoratore di rivolgersi alla direzione 
provinciale del lavoro affinch� intimi al datore di lavoro di fornire le informazioni 
previste dalla norma. 

******* 
Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito 
nel senso che l�art. 8, n. 1 della Direttiva 91/533/CEE, relativa all�obbligo 
del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili 
al contratto o al rapporto di lavoro, comporti che un contratto collettivo 
mirante al recepimento delle sue disposizioni si applica anche al lavoratore 
che non � membro di un�organizzazione firmataria di detto contratto. 
Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito 
nel senso che l�espressione �il lavoratore che non � coperto da uno 

o da contratto collettivi che hanno attinenza col rapporto di lavoro� di cui 
all�articolo 8, n. 2, di detta direttiva, comporti che le clausole di un contratto 
collettivo che prevedono la previa messa in mora del datore di lavoro si 
applicano anche ad un lavoratore non membro di un�organizzazione firmataria 
di detto contratto, ove nello Stato membro in questione sia attribuita efficacia 
erga omnes ai contratti collettivi. 
Il Governo italiano propone infine alla Corte di risolvere il terzo quesito 
nel senso che i termini �contratto di lavoro temporaneo� e �rapporto di lavoro 
temporaneo� di cui all�articolo 8, n. 2, della direttiva riguardino esclusivamente 
lavori di breve durata e non anche tutte le altre forme di rapporti di lavoro 
limitate nel tempo e che debba essere considerato come temporaneo e di breve 
durata il contratto che abbia una durata complessiva non superiore ad un mese 
e che non superi le otto ore di lavoro settimanali ovvero che abbia carattere 
occasionale e/o particolare ai sensi dell�art. 1 n. 2 della direttiva 91/533/CEE. 

Roma, 17 ottobre 2007 Avv. Wally Ferrante�. 

Causa C-321/07 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgerichts Mannheim 
(Germania) il 12 luglio 2007 - Procedimento penale a carico di Karl 
Schwarz. (Avvocato dello Stato S. Fiorentino - AL 36483/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se, contrariamente all�art. 7, n. 5, della direttiva 91/439/CEE, sia 
possibile sul piano del diritto comunitario che un cittadino dell�Unione 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

europea possa essere in possesso di una valida patente di guida nazionale 
nonch� di un�ulteriore patente di guida di un altro Stato membro, entrambe 
ottenute anteriormente all�adesione di quest�ultimo all�Unione europea; e, 
eventualmente, 

2) se la revoca, avvenuta prima dell�entrata in vigore della 
Fahrerlaubnisverordnung 1� gennaio 1999 (regolamento tedesco 1� gennaio 
1999, sulle patenti di guida), della seconda patente, nazionale, rilasciata 
posteriormente, per il reato di guida in stato di ebbrezza, implichi dal punto 
di vista giuridico che anche la validit� della prima patente straniera, rilasciata 
anteriormente, non vada pi� riconosciuta a livello nazionale dopo l�adesione 
dello Stato membro straniero, anche qualora sia gi� scaduto il divieto 
nazionale [di rilascio di una nuova patente di guida]. 

IL FATTO 

Secondo quanto si ricava dall�ordinanza di rinvio, l�imputato � un cittadino 
austriaco residente in Germania ed � in possesso di una patente di guida 
austriaca di categoria A e B sin dal 28 ottobre 1964, quando gli fu rilasciata 
dall�ufficio della motorizzazione di Vienna. 

Nel 1968 l�imputato aveva fatto convertire la patente di guida austriaca 
in una patente tedesca di categoria 1 e 3, senza, tuttavia, che gli venisse chiesto 
di consegnare il documento austriaco alle autorit� tedesche. 

Dopo avere rinunciato, in data 9 maggio 1988, al permesso di guida 
tedesco ed avere restituito la relativa patente, l�imputato ha conseguito, in 
data 3 maggio 1994, una nuova patente di guida tedesca ed anche in tale 
occasione gli venne consentito di mantenere la patente di guida austriaca. 

Tale era, dunque, la situazione esistente alla data del 1� gennaio 1995, a 
decorrere dalla quale ha avuto effetto l�atto di adesione della Repubblica 
austriaca alle Comunit� europee. 

In data 1� dicembre 1997, con sentenza dell�Amstgericht di Mannheim, 
l�imputato � stato condannato ad un�ammenda per il reato di guida in stato 
di ebbrezza. Contestualmente gli � stato revocato il permesso di guida e gli 
� stata sequestrata la patente, con applicazione di un divieto di rilascio di una 
nuova patente per un periodo non inferiore a sei mesi. Una successiva 
domanda di rilascio di una nuova patente di guida, avanzata dall�imputato 
nel corso il 24 luglio 2000, � stata respinta in data 2 aprile 2001, a causa della 
mancata presentazione del certificato di idoneit�. 

L�11 aprile 2005 l�imputato � stato colto alla guida di un autoveicolo su 
strada tedesca. L�Amstgericht di Mannheim ha quindi emesso, in data 30 
gennaio 2006, un decreto penale di condanna per guida senza patente, contro 
il quale non fu proposta opposizione in quanto, a dire dell�interessato, il 
decreto era stato comunicato a Vienna e, pertanto, egli non ne era venuto in 
possesso in tempo utile per impugnarlo. 

In pendenza di questo procedimento, in data 23 dicembre 2005, si � verificato 
il fatto che ha dato origine al giudizio principale: l�imputato � stato 
nuovamente colto alla guida di un autoveicolo, sulle strade di Mannheim, 
ma, a differenza dalla precedente occasione, egli ha questa volta esibito il 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

titolo di guida austriaco. Le autorit� tedesche gli hanno, nondimeno, contestato 
il reato di guida senza patente, punibile ai sensi dell�art. 21, comma 1, 

n. 1 dello Stra�enverkehrgesetz (StVG � Codice della strada tedesco). 
Con sentenza del 22 giugno 2006 l�Amstgericht di Mannheim ha assolto 
l�imputato. La Procura di Mannheim si � appellata al locale Landgericht. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�... (omissis) 
Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando che: 

Il fatto che una patente di guida sia stata rilasciata da uno Stato membro 
anteriormente alla sua adesione all�Unione europea, non osta all�applicazione, 
a tale patente, delle disposizioni della direttiva 91/439/CEE concernenti 
le patenti di guida, ivi compresa quella contenuta nell�articolo 7, paragrafo 
5, della direttiva, secondo la quale si pu� essere titolari di un�unica 
patente di guida rilasciata da uno Stato membro. 

L�art. 8, par. 2, della direttiva 91/439/CEE consente alo Stato membro di 
residenza normale di applicare al titolare di una patente di guida rilasciata 
da un altro Stato membro le proprie disposizioni nazionali concernenti la 
restrizione, la sospensione la revoca o l�annullamento del diritto a guidare, 
anche dopo la scadenza del termine minimo di divieto nazionale di rilascio 
di una nuova patente di guida, a meno che il possesso della patente di guida 
dell�altro Stato membro non implichi che il titolare sia stato oggetto di un 
successivo accertamento della propria idoneit� alla guida. Questa condizione 
non si verifica nel caso del possesso di una patente rilasciata anteriormente 
all�applicazione del divieto, a meno che tale patente non sia stata 
oggetto di un provvedimento di rinnovo nell�altro Stato membro, che implichi 
un nuovo accertamento dell�idoneit� alla guida. 

Roma, 19 novembre 2007 Avv. Sergio Fiorentino�. 

Causa C-348/07 - Materia trattata: libert� di stabilimento - Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Landegericht Hamburg 
(Germania) il 27 luglio 2007 � Turgay Semen/Deutsche Tamoil GmbH. 
(Avvocato dello Stato S. Fiorentino - AL 37824/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se sia compatibile con l�art. 17, n. 2, lett. a), della direttiva del 
Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei 
diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, il 
fatto che l�indennit� dovuta all�agente commerciale incontri una limitazione 
costituita dall�importo delle provvigioni da lui perse a seguito dell�estinzione 
del contratto di agenzia, anche nel caso in cui i vantaggi che permangono 
al preponente debbano essere considerati di entit� superiore. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

2) Se, nel caso di un gruppo societario di cui il preponente faccia parte, tra 
i detti vantaggi rientrino anche quelli che pervengono alle societ� del gruppo. 

IL FATTO 

A seguito del recesso della Deutsche Tamoil GmbH dal rapporto di agenzia 
che la legava all�attore, questi la ha convenuta in giudizio, chiedendo, tra 
l�altro, un�indennit� determinata ai sensi dell�art. 89b, n. 1, del codice di 
commercio tedesco. L�attore aveva gestito, dall�1.11.2001 al 31.12.2005, una 
stazione di rifornimento di nuova costruzione di propriet� della convenuta, 
principalmente vendendo carburanti e lubrificanti in nome e per conto della 
preponente (ma anche fornendo ai propri clienti schede telefoniche di vari 
operatori, messe a disposizione dalla preponente medesima). 

Le parti hanno proposto al Tribunale punti di vista contrastanti in ordine 
alla determinazione dell�importo delle provvigioni perse dall�agente. 
Sostiene, peraltro, l�attore � ed � questo il punto che ha dato luogo al rinvio 
pregiudiziale � che, indipendentemente dalla correttezza del proprio calcolo, 
i vantaggi ricavati dalla preponente sarebbero notevolmente maggiori e giustificherebbero, 
anche sotto il profilo dell�equit�, la condanna al pagamento 
dell�indennit� nella misura richiesta. Per dimostrare tale assunto, l�attore ha 
analizzato le particolarit� dei rapporti contrattuali del settore ed ha inoltre 
fatto riferimento � il che ha giustificato il secondo quesito pregiudiziale � 
agli interessi complessivi del gruppo societario di cui fa parte la convenuta. 

Nella motivazione del rinvio, il Landgericht ha riferito di una posizione 
della dottrina tedesca, secondo la quale l�art. 89b, n. 1, prima frase dell�HGB si 
discosterebbe dall�art. 17, n. 2, lett. a) della direttiva, in quanto per quest�ultima 
le perdite di provvigione dell�agente commerciale costituiscono solo uno fra gli 
elementi da considerare, nel contesto della verifica di equit� dell�indennit�. 

Il Tribunale di Amburgo mostra di non condividere che vi sia una simile 
diversit� di contenuto, perch� anche la disposizione della direttiva pu� 
essere interpretata, come pacificamente avviene per la norma interna, nel 
senso che l�importo delle provvigioni perdute dall�agente commerciale costituisca 
la misura massima dell�indennit�. Secondo il Giudice del rinvio questa 
interpretazione, oltre a non essere in contrasto con il tenore letterale della 
direttiva, potrebbe trovare fondamento nella circostanza che la direttiva si � 
ispirata proprio alla disciplina tedesca. Essa, inoltre, avrebbe il pregio di condurre 
ad una soluzione facilmente praticabile. 

Altri argomenti potrebbero tuttavia far propendere per un�interpretazione 
differente: di qui l�opportunit� di sollevare la questione pregiudiziale. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�...(omissis) 
Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando 
che: 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

L�art. 17, n. 2, della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 
86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti 
gli agenti commerciali indipendenti, non deve essere interpretato nel 
senso che l�indennit� dovuta all�agente commerciale incontri una limitazione 
costituita dall�importo delle provvigioni da lui perse a seguito dell�estinzione 
del contratto di agenzia. Il ricorso al criterio dell�equit� � nel contesto 
del quale possono essere anche considerati i vantaggi che permangono 
al preponente � pu�, in base ad una valutazione del caso concreto e secondo 
parametri che spetta alla legislazione nazionale definire, condurre alla 
liquidazione di un�indennit� inferiore o superiore, purch� contenuta nel 
limite massimo stabilito dall�art. 17, n. 2, lettera b) della direttiva. 

Nel caso di un gruppo societario di cui il preponente faccia parte, tra i 
vantaggi che permangono al preponente, rilevanti ai fini della determinazione 
dell�indennit� spettante all�agente di commercio, non rientrano anche 
quelli che pervengono ad altre societ� del gruppo, se cos� non � previsto dal 
contratto di agenzia, come interpretato dal Giudice nazionale alla stregua 
del proprio diritto interno. L�applicazione di questa regola non priva l�agente 
della facolt� di chiedere un risarcimento dei danni corrispondenti al 
minore importo dell�indennit�, se tale minore importo � la conseguenza di 
una condotta del preponente contraria al dovere di lealt� e buona fede imposto 
dall�articolo 4 della direttiva. 

Roma, 26 novembre 2007 Avv. Sergio Fiorentino�. 

Causa C-349/07 - Materia trattata: principi del diritto comunitario � 
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Supremo Tribunal 
Administrativo il 27 luglio 2007 - Soprop� � Organizacoes de Calcado, 
Lda/Fazenda Publica. (Avvocato dello Stato G. Albenzio -AL 39121/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se il termine da otto a quindici giorni stabilito all�articolo 60, n. 6, 
della Lei General Tributaria (legge tributaria generale) e all�articolo 60, n. 
2, del Regime Complementar do procedimento de Inspeccao (Regolamento 
complementare del procedimento di ispezione tributaria), approvato con 
decreto legge n. 413/98 del 31 dicembre, ai fini dell�esercizio orale o scritto 
del diritto del contribuente di essere ascoltato, sia conforme al principio del 
diritto di difesa. 

2) Se un termine di tredici giorni, calcolato a decorrere dalla notifica 
effettuata dall�autorit� doganale a un importatore comunitario (nella fattispecie 
una piccola ditta portoghese di commercio di calzature) per esercitare 
il suo diritto di audizione preventiva entro otto giorni e la data della notifica 
per versare i dazi di importazione in dieci giorni , in relazione a 52 operazioni 
di importazioni di calzature dall�Estremo oriente ai sensi del regime 
SPG effettuate nell�arco di due anni e mezzo (tra il 2000 e la met� del 2002), 
possa essere ritenuto un termine ragionevole per l�importatore per l�esercizio 
del suo diritto di difesa. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

IL FATTO 

Una societ� importatrice di calzature ha proposto ricorso contro l�avviso 
di liquidazione dei dazi doganali emesso dall�autorit� doganale portoghese, 
lamentando la violazione del principio del diritto di difesa a causa della 
esiguit� dei termini concessi ai fini dell�esercizio orale o scritto del diritto 
�all�audizione da parte del contribuente�. Dall�esame dell�ordinanza di 
remissione, emerge che i termini concessi sono conformi a quanto previsto 
in materia dalle leggi portoghesi, tuttavia, i Giudici a quo pur rilevando che 
�non risulta sia stata chiamata in causa l�interpretazione di alcuna norma 
comunitaria, in particolare, una norma comunitaria che sia stata violata a 
causa del termine che � stato concesso per esercitare il diritto di audizione 
preventiva�, hanno ritenuto necessario adire la Corte di Giustizia, per accertare 
se tali termini siano o meno �conformi al principio del diritto di difesa�. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il Governo italiano, quanto ai quesiti posti ed ai principi generali richiamati 
dal Giudice remittente, ritiene di dover intervenire nel presente giudizio 
perch� l�emananda decisione pu� avere riflessi sulle disposizioni interne in 
materia e su eventuali contenziosi che dovessero sorgere fra le Autorit� 
Doganali Nazionali e gli operatori commerciali. 

Si osserva, in proposito, che nel Reg. CEE n. 2913/92 non si rinviene 
alcun termine nella materia oggetto della questione pregiudiziale in esame e 
l�art. 6 stabilisce che la decisione dell�Autorit� doganale sulle richieste formulate 
�sull�applicazione della normativa� deve essere assunta e comunicata 
�al pi� presto�; d�altro canto, l�art. 245 prevede che �le norme di attuazione 
della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri�. 

A livello nazionale, la materia � disciplinata dal D.P.R. 23 gennaio 1973, 

n. 43, testo unico delle leggi doganali, e dal decreto legislativo 8 novembre 
1990, n. 374; l�articolo 65 del citato Testo unico, indica le modalit� con le 
quali i contribuenti possono difendersi dalle decisioni assunte dall�autorit� 
doganale in sede di accertamento prevedendo che sulla eventuale contestazione 
decide, con provvedimento motivato, il capo della dogana, che la decisione 
deve essere subito notificata all�interessato e che: �Se il proprietario 
della merce non intende accettare la decisione, nel termine perentorio di 
dieci giorni dalla notifica deve chiedere che si proceda alla redazione di 
apposito verbale�; altro termine (non inferiore a quindici giorni) � previsto 
dall�articolo 11 del decreto legislativo n. 374/1990, perch� l�operatore, nel 
caso di revisione dell�accertamento, compaia o fornisca notizie se a tal fine 
�invitato� dall�ufficio doganale; il diritto di difesa � inoltre assicurato dall�articolo 
22 del decreto legislativo n. 374/1990 che permette, comunque, al 
contribuente di presentare, entro il termine di sessanta giorni, i rimedi giurisdizionali 
previsti dalle norme. 
Tanto premesso, si rileva, in primo luogo, che la domanda di pronunzia 
pregiudiziale appare irricevibile, perch� la Corte portoghese nel sollevare le 
questioni pregiudiziali non ha indicato con puntualit� le norme comunitarie 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

che si presumono violate, invocando genericamente la violazione del �principio 
del rispetto dei diritti di difesa�; vero � che l�articolo 234 CE stabilisce 
che la Corte di Giustizia � competente a pronunciarsi sull�interpretazione 
del Trattato ma la Corte di Giustizia ha pi� volte deciso che: �l�esigenza 
di giungere a un�interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il 
giudice nazionale impone che quest� ultimo definisca l�ambito di fatto e di 
diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno 
le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (causa C-458/93. Saddik,
punto 12). � inoltre indispensabile che il giudice nazionale fornisca delle 
spiegazioni minime in ordine ai motivi che lo hanno indotto a chiedere l�interpretazione 
di quelle determinate disposizioni comunitarie e sul nesso 
intercorrente tra le disposizioni medesime e la normativa nazionale applicabile 
alla controversia. Va sottolineato al riguardo che le informazioni fornite 
a tal fine dalle decisioni di rinvio non servono solo a consentire alla Corte 
di risolvere in modo utile le questioni ma anche a dare ai governi degli Stati 
membri e alle altre parti interessate la possibilit� di presentare osservazioni 
ai sensi dell�art 20 dello Statuto della Corte� (cfr. ordinanza 7 aprile 1995 
causa C-167/94, e da ultimo sentenza 6 marzo 2007, cause riunite C-338/04, 
C-359/04, C-360/04). 

Nel caso in esame, la Corte portoghese non ha indicato la norma comunitaria 
che si presume violata; anzi, come sopra segnalato, l�articolo 245 del 
Codice doganale europeo (Reg. n. 2913/92) rimette agli Stati membri l�adozione 
delle norme per l�attuazione della procedura di ricorso; con la questione 
pregiudiziale in esame (nelle formulazione proposta) si chiede alla Corte 
di Giustizia di valutare la congruit� di termini previsti da norme nazionali, 
rispetto al generico parametro di tutela del diritto di difesa, senza indicare 
alcuna disposizione comunitaria che dovrebbe costituire il parametro di riferimento. 


Una pronuncia della Corte di Giustizia che, entrando nel merito, giungesse 
ad affermare che siano illegittimi i termini indicati nella legge portoghese, 
finirebbe per costituire una grave ingerenza in un ambito che lo stesso 
legislatore comunitario ha riservato (con l�art. 245 citato) agli Stati membri, 
creando in tal modo un pericoloso precedente. 

Peraltro, la giurisprudenza elaborata in materia di diritto di difesa da 
parte della Corte di Giustizia riguarda controversie nelle quali o � stata analizzata 
una precisa disposizione comunitaria che si affermava essere lesiva di 
tale diritto (cfr. sentenza 12 dicembre 2002, causa C-395/00, con la quale � 
stata dichiarata la parziale invalidit� di un articolo della direttiva 92/12/CE) 
oppure si � contestato il mancato rispetto del diritto di difesa da parte di organismi 
comunitari in procedure inerenti l�erogazione di fondi europei (cfr. 
sentenza 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P; e sentenza 21 settembre 2000, 
causa C-462/98 P); non appare compatibile con l�articolo 234 del Trattato 
ammettere che la Corte di Giustizia possa verificare la compatibilit� di 
norme nazionali con riferimento a principi generali (salvo che nei limiti di 
astratte affermazioni di principio), quando manchi un preciso parametro di 
valutazione (da individuare in termini fissati nella legislazione europea che 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

possano fungere da indice di riferimento); oltretutto, una pronunzia svincolata 
da precisi riferimenti normativi comunitari, creerebbe incertezza quanto 
alla individuazione dei termini da considerare �legittimi� a livello comunitario, 
con possibili ripercussioni anche in ambiti diversi da quello oggetto 
della presente pregiudiziale. 

Inoltre, l�ordinanza di remissione appare del tutto laconica in ordine 
all�indicazione del quadro nazionale di riferimento, poich� non viene specificato 
se i termini oggetto di contestazione siano stati concessi nell�ambito 
della fase amministrativa del procedimento tributario o in quella giudiziaria; 
non viene neppure specificato se il contribuente (come accade nel nostro 
ordinamento sopra descritto) abbia o meno la possibilit� di presentare ricorso 
giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi e se in questa fase 
siano concessi ulteriori termini per esercitare il diritto di difesa; specificazione 
necessaria, poich� la concessione di termini �brevi� al contribuente nella 
fase amministrativa non pu� comportare violazione dei diritto di difesa allorch� 
sia sempre ammessa la possibilit� di proporre ricorso giudiziale ed i termini 
previsti in tale fase garantiscano pienamente tale diritto. 

Ad ogni buon conto, ad avviso del Governo italiano, qualora la Corte 
ritenesse di poter decidere nel merito, dovrebbe limitarsi alla affermazione 
della necessit� di assicurare agli operatori l�esercizio del proprio diritto di 
difesa sia nella fase amministrativa che in quella giudiziale (v. sentenza 8 
marzo 2007, in causa C-44/06), senza ulteriori indicazioni specifiche (riservate 
ai legislatori nazionali, come ribadito dalla sentenza 11 gennaio 2001, 
in causa C-1/99). 

In conclusione 

il Governo italiano suggerisce alla Corte di dichiarare irricevibile la 
domanda di pronunzia pregiudiziale e, in via subordinata, di rispondere ai quesiti 
sottoposti al suo esame affermando che il principio del diritto di difesa dell�operatore 
che voglia contestare una decisione delle autorit� doganali deve 
essere rispettato sia nei procedimenti amministrativi che in quelli giudiziali, 
secondo la disciplina che il legislatore nazionale � competente ad emanare. 

Roma, 20 novembre 2007 Avv. Giuseppe Albenzio�. 

Causa C-375/07 - Materia trattata: unione doganale. Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi 
Bassi) il 3 agosto 2007 � Staatssecretaris van Financien/Heuschen & 
Schrouff Oriental Foods Trading BV. (Avvocato dello Stato G. Albenzio -
AL 38356/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se fogli, quali descritti nell� allegato al regolamento (CE) della 
Commissione 27 giugno 1997, n. 1196 (GU L 170, pag. 13), rientrino nella 
voce 1905 della nomenclatura combinata, allorch� si tratta di fogli composti 
di farina di riso, sale e acqua, che sono essiccati, ma non sottoposti ad 
alcun trattamento termico. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

2) Se, alla luce della soluzione per la questione precedente il regolamento 
appena citato sia valido. 

3) Se l�art. 871 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 
1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d�applicazione del regolamento 
(CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario 
(GU L 253, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) della 
Commissione 29 luglio 1998, n. 1677 (GU L 212, pag. 18) debba essere 
interpretato nel senso che, laddove, ai sensi del detto art. 871, n. 1, gravi sull�autorit� 
doganale l�obbligo di sottoporre una fattispecie alla Commissione 
prima di poter decidere di rinunciare ad una contabifizzazione a posteriori 
nella detta fattispecie, il giudice nazionale, chiamato a decidere su un ricorso 
promosso dal debitore d�imposta avverso la decisione dell�autorit� doganale 
di procedere alla contabilizzazione a posteriori, non ha il potere di 
annullare la contabilizzazione a posteriori in base alla propria conclusione 
che siano sussistenti le condizioni, di cui all�art. 220, n. 2, lett. b), per 
(dover) rinunciare alla contabilizzazione a posteriori, conclusione che non � 
suffragata dalla Commissione. 

4) Qualora la soluzione alla questione sub 3 sia nel senso che la circostanza 
che sia riconosciuta alla Commissione una certa competenza decisionale 
in materia di recupero dei dazi doganali non comporta una limitazione 
della competenza del giudice nazionale chiamato a pronunciarsi su un ricorso 
relativo al recupero dei dazi doganali, se il diritto comunitario contenga 
un�altra disposizione atta a garantire l�uniforme applicazione del diritto 
comunitario allorch�, in un dato caso concreto, le valutazioni della 
Commissione e del giudice nazionale siano divergenti riguardo ai criteri che 
sono utilizzati nell�ambito dell�art. 220, n. 2, del CDC per determinare se un 
errore dell�autorit� doganale sia rilevabile dal debitore d�imposta. 

IL FATTO 

Con ordinanza pronunciata in data 13 luglio 2007 e depositata in data 3 
agosto 2007, l�Autorit� Giudiziaria in epigrafe indicata ha sollevato davanti 
alla Corte una questione pregiudiziale ai sensi dell�art. 234 CE nell�ambito 
di un procedimento per il pagamento di dazi doganali relativi ad operazioni 
di importazione, con immissione in libera pratica, di merce definita �ricepaper� 
(pasta di riso in sfoglie) proveniente da Paesi extracomunitari, alla 
quale la dogana competente aveva attribuito la voce doganale 1901 90 99 
della Tariffa doganale comune-TDC, con conseguente assoggettamento al 
pagamento di dazio, come in effetti poi richiesto a mezzo di avviso di accertamento 
del 22/11/2000 per NLG 13.650,30. 

Dal contenuto dell�ordinanza risulta che la parte ricorrente contesta la 
attribuzione della voce doganale suddetta, ritenendo invece corretta la voce 
1905 90 20 della TDC, con pi� favorevole tassazione, ritenendo il 
Regolamento di classificazione CE n. 1196/1997 non adottato in conformit� 
ai suoi poteri; la parte privata invoca, comunque, il disposto dell�art. 220, n. 
2, lett. b), CDC e la conseguente non contabilizzazione a posteriori del dazio 
maggiore preteso. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

A tale ultimo fine la parte privata aveva presentato domanda di sgravio ai 
sensi dell�art. 239, n. 1, CDC che la Commissione aveva respinto con decisione 
17 giugno 2004; tale decisione era stata impugnata dinanzi al Tribunale di 
primo grado che aveva deciso rigettano il ricorso con sentenza 30/11/2006, 
causa T-382/04, gravata di impugnazione dinanzi alla Corte di Giustizia; contestualmente, 
i Giudizi nazionali aditi dalla parte hanno annullato l�intimazione di 
pagamento, ritenendo che nel caso di specie non si sarebbe dovuto procedere 
alla contabilizzazione a posteriori ai sensi dell�art. 220, n. 2, lett. b), CDC. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Il Governo italiano, quanto ai quesiti posti ed ai principi generali richiamati 
dal Giudice remittente, ritiene di dover intervenire nel presente giudizio 
perch� l�emananda decisione pu� avere riflessi sulle disposizioni interne 
in materia e su eventuali contenziosi che dovessero sorgere fra le Autorit� 
Doganali Nazionali e gli operatori commerciali. 

...(omissis) 
In conclusione 

il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti 
al suo esame affermando, con riferimento al caso in esame: 1) un prodotto 
costituito da fogli di farina di riso, sale e acqua essiccati, senza essere sottoposto 
ad alcun trattamento termico va classificato alla voce nc. 1905 2090; 
2) il Regolamento CEE della Commissione 27 giugno 1997 n. 1196 � valido; 
3) ai sensi dell�art. 871 (e dell�art. 905) Reg. CEE della Commissione 2 
luglio 1993 n. 2454, la Commissione non pu� prendere in considerazione 
una domanda di sgravio/rimborso qualora sia pendente dinanzi al giudice 
nazionale una controversia promossa dal debitore d�imposta che abbia il 
medesimo oggetto, salvo che la domanda stessa non sia trasmessa 
dall�Autorit� doganale nazionale (in quest�ultimo caso detta Autorit� doganale 
dovr� conformarsi alla decisione della Commissione); 4) il Giudice 
nazionale non pu� sindacare le decisioni definitive della Commissione e vi 
si deve conformare, salvo rimessione della questione alla Corte di Giustizia. 

Roma, 18 novembre 2007 Avv. Giuseppe Albenzio�. 

Causa C-388/07 - Materia trattata: politica sociale - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & 
Wales), Queen�s Bench Division (Administrative Court) (Regno Unito) il 
9 agosto 2007 � The Queen su domanda proposta dagli Incorporated 
Trustees of the Nazional Council on Aging (�Age Concern 
England�)/Secretary of State for Business, Enterprise and Regulatory 
Reform. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 39466/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

Con riguardo alla direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 
2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parit� di trattamento 
in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (�la direttiva�): 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

1) 

Et� pensionabile nazionale e ambito di applicazione della direttiva 

i)Se nell�ambito della direttiva rientrino le norme del diritto nazionale 
che consentono ai datori di lavoro di licenziare lavoratori di 65 anni di et� 

o di et� superiore a causa di pensionamento. 
ii) Se nell�ambito della direttiva rientrino le norme del diritto nazionale 
che consentono ai datori di lavoro di licenziare lavoratori di 65 anni di et� 

o di et� superiore a causa di pensionamento, quando tali norme siano state 
introdotte dopo l�adozione della direttiva; 
iii) alla luce delle risposte che saranno fornite ai quesiti sub i) e ii) di 
cui sopra 
1) se gli articoli 109 e/o 156 della legge 1996 (n.d.r. normativa nazionale 
inglese) e/o 
2) se gli articoli 30 e 7, in combinato disposto con gli allegati 8 e 6 del 
regolamento (n.d.r. normativa nazionale inglese) fossero o rispettivamente 
siano da considerarsi disposizioni nazionali che stabiliscono et� pensionabile 
ai sensi del quattordicesimo �considerando�. 

2) 

Definizione di discriminazione diretta fondata sull�et�: difesa della giustificata 
disparit� di trattamento 

iv) Se l�articolo 6, n. 1, della direttiva consenta agli Stati membri di emanare 
una legislazione ai sensi della quale una disparit� di trattamento in 
ragione dell�et� non costituisce discriminazione se � intesa come mezzo proporzionato 
per il conseguimento di finalit� legittima, o se l�articolo 6, n. 1, 
imponga agli Stati membri di definire tipologie di disparit� di trattamento 
che potrebbero essere in tal modo giustificate, per mezzo di un elenco o altro 
strumento analogo per forma e contenuto all�art. 6, n. 1. 

3) 

Criteri di giustificazione della discriminazione diretta ed indiretta 

v) Quali siano, se esistono, le differenze concrete rilevanti tra i criteri di 

giustificazione definiti all�art. 2, n. 2, della direttiva relativi alla discriminazione 
indiretta, ed i criteri di giustificazione relativi alla discriminazione 
diretta fondata sull�et�, previsti all�art. 6, n. 1, della direttiva. 

IL FATTO 

La questione pregiudiziale � stata sollevata nel corso di una controversia 
nella quale, un ente inglese per la promozione del benessere degli anziani, ha 
impugnato un regolamento del 2006 teso a recepire nell�ordinamento inglese 
la direttiva 2000/78/CE, recante norme sulla parit� di trattamento in materia 
di occupazione e di condizioni di lavoro, lamentando che alcune disposizioni 
sarebbero contrarie al diritto comunitario in quanto realizzerebbero una 
discriminazione fondata sull�et�. 

In particolare, � stata contestata la legittimit� di una norma che esclude 
dall�ambito di applicazione del regolamento il licenziamento di dipendenti 
motivato dal raggiungimento dell�et� pensionabile, se effettuato nel rispetto 
di taluni requisiti procedurali. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

I giudici remittenti hanno chiarito che, nel diritto nazionale inglese, 
prima del 1 ottobre 2006, data di entrata in vigore della legge nazionale in 
contestazione, i datori di lavoro potevano legittimamente procedere al licenziamento 
dei lavoratori subordinati che avessero raggiunto 65 anni di et� o 
la diversa et� pensionabile, ed in questo caso il lavoratore non poteva chiedere 
la tutela prevista per il licenziamento illegittimo. 

Il regolamento impugnato nel giudizio a quo, introducendo nell�ordinamento 
inglese norme sul divieto di discriminazione, prima assenti, ha 
comunque precisato, all�art. 30, paragrafo 2, che queste disposizioni non 
possono far ritenere �illegittimo il licenziamento di una persona dell�et� di 
65 anni od oltre, ... ove causa del licenziamento sia il pensionamento�. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Con riferimento al primo quesito, con il quale il Giudice remittente 
chiede alla Corte se rientrino nell�ambito di applicazione della direttiva 
2000/78/CE le norme del diritto nazionale inglese che consentono ai datori 
di lavoro di licenziare i lavoratori in et� pensionabile, il Governo italiano 
ritiene debba darsi risposta positiva, come gi� ritenuto dalla giurisprudenza 
comunitaria. 

La direttiva 2000/78/CE ha voluto creare un quadro generale per garantire 
la parit� di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro 
per fornire protezione contro eventuali discriminazioni dirette ed indirette 
fondate su uno dei motivi di cui all�articolo 1 (religione, convinzioni personali, 
handicap, et� o tendenze sessuali). 

L�articolo 3, definendo il campo di applicazione della direttiva, stabilisce 
che la stessa si applica �a tutte le persone ... per quanto attiene ... c) 
all�occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento 
e la retribuzione�. 

Il quattordicesimo �considerando� della direttiva 2000/78/CE lascia 
impregiudicate le disposizioni nazionali che stabiliscono l�et� pensionabile. 

Ci� premesso, nella sentenza del 16 ottobre 2007, causa C-411/05, la 
Corte di Giustizia, al punto 44, ha chiarito che �Tale �considerando�, tuttavia, 
si limita a precisare che la direttiva in parola non incide sulla competenza 
degli Stati membri a stabilire l�et� per poter accedere al pensionamento 
e non osta minimamente all�applicazione della direttiva di cui trattasi alle 
misure nazionali che disciplinano le condizioni per il termine di un contratto 
di lavoro al raggiungimento dell�et� pensionabile cos� fissata�. 

Al punto 45 della predetta sentenza, che si � occupata di un caso analogo 
a quello oggetto del presente giudizio, riguardante la legislazione spagnola, 
la Corte ha precisato che �la normativa in esame nella causa principale, 
che ritiene valida la cessazione ex lege del rapporto di lavoro fra un datore 
di lavoro ed un lavoratore allorch� quest�ultimo raggiunge l�et� di 65 anni, 
incide sulla durata del rapporto di lavoro che vincola le parti, nonch�, in 
maniera pi� generale, sull�esercizio da parte del lavoratore interessato della 
propria attivit� professionale, impedendone la partecipazione futura alla 
vita attiva�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La Corte ha pertanto concluso, al punto 46 della predetta sentenza, che 
�si deve ritenere che una disciplina di tale genere stabilisca norme attinenti 
�all�occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento 
e la retribuzione� ai sensi dell�art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 
2000/78�. 

In proposito, si osserva che, nell�ordinamento italiano, l�articolo 4 
comma 2 della legge 11 maggio 1990 n. 108, recante disciplina dei licenziamenti 
individuali, prevede che �Le disposizioni di cui all�articolo 18 della 
legge 20 maggio 1970, n. 300�, concernenti la tutela reale nei confronti dei 
licenziamenti illegittimi �non si applicano nei confronti dei prestatori di 
lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che 
non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto� . 

La norma � stata oggetto di numerose pronunce della Corte 
Costituzionale, ma non in merito alla presunta discriminazione che si realizzerebbe 
con riferimento ai lavoratori �anziani�, ma in relazione alla disparit� 
di trattamento tra uomini e donne in ragione della diversa et� pensionabile 
e alle diverse modalit� per esercitare l�opzione per proseguire il rapporto 
di lavoro (cfr. per tutte sentenze n. 498/1988 e n. 256/2002). 

Infatti, la giurisprudenza, sia costituzionale sia della Suprema Corte, non 
ha posto in dubbio l�esistenza di una legittima ragione giustificatrice della 
norma che prevede un diverso trattamento in ragione dell�et�, ritenendo che 
sia una �scelta ragionevole ed equilibrata tutelare in modo forte i lavoratori 
che trovano nel lavoro l�unica fonte del loro sostentamento ed escludere, 
invece da tale tutela quei lavoratori che, dopo una vita lavorativa protetta 
da norme limitative del recesso, hanno acquisito quel trattamento istituzionalmente 
sostitutivo del reddito da lavoro� (Cass. sez. Lavoro, sentenza n. 
2472 del 6 febbraio 2006; nonch� Cass. Sez. Lavoro, sentenza n. 3907 del 20 
aprile 1999). 

Alla luce della citata sentenza della Corte di Giustizia C-411/05, deve 
dunque ritenersi che sia la normativa italiana, sia quella inglese oggetto del 
presente giudizio rientrino nel campo di applicazione della direttiva, apparendo 
del tutto irrilevante se tali norme siano state adottate prima o dopo 
l�entrata in vigore della direttiva, non potendosi trarre elementi in tal senso 
dalla formulazione del �considerando� n. 14. 

Quanto alla questione proposta sub iii), con la quale si chiede se le 
norme di diritto inglese siano da considerare disposizioni che stabiliscono 
l�et� pensionabile, si ritiene che la questione, riguardando l�interpretazione 
di una disposizione nazionale, debba essere dichiarata irricevibile, dovendo 
la Corte di Giustizia, ai sensi dell�art. 234 del Trattato, interpretare le disposizioni 
comunitarie e non anche le norme interne degli Stati membri. 

Con il secondo quesito, il Giudice remittente chiede alla Corte di precisare 
se l�articolo 6, n. 1, della direttiva permetta agli Stati membri di emanare 
(o mantenere) una legislazione che, pur prevedendo astrattamente delle 
disparit� di trattamento, non costituisca discriminazione in ragione dell�et� 
perch� mezzo proporzionato al conseguimento di finalit� legittime, ovvero 
se la formulazione dell�articolo 6, n. 1, imponga agli Stati membri di �defi



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

nire tipologie di disparit� di trattamento che potrebbero essere in tal modo 
giustificate, per mezzo di un elenco o altro strumento analogo per forma e 
contenuto all�art. 6, n. 1�. 

Per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia �La trasposizione 
nel diritto interno di una direttiva non richiede necessariamente che le sue 
disposizioni vengano riprese in modo formale e testuale in una norma di 
legge o di regolamento espressa e specifica e pu� essere sufficiente un contesto 
giuridico generale; ci� vale a condizione che esso garantisca effettivamente 
la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente chiaro 
e preciso� (cfr. sentenza del 10 aprile 2003, causa C-392/99 nonch� sentenza 
4 dicembre 2003, Causa C-63/01). 

Per quanto esposto, deve ritenersi che non sia necessario precisare in un 
�elenco� le disposizioni di diritto interno che si ritengono compatibili con la 
direttiva comunitaria perch�, qualora fosse affermato tale principio, ci� 
imporrebbe, nella trasposizione della maggioranza delle direttive comunitarie, 
di inserire un simile elenco nei testi di recepimento, con un notevole 
appesantimento dei testi normativi. 

L�art. 6 n. 1 della direttiva afferma che possano ritenersi disparit� di trattamento 
giustificate da una finalit� legittima: a) la definizione di condizioni 
speciali di accesso all�occupazione per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori 
con persone a carico; b) la fissazione di condizioni minime di et� e di 
esperienza professionale per l�accesso all�occupazione e c) la fissazione di 
un�et� massima per l�assunzione. 

In proposito, l�art. 3, comma 4 del decreto legislativo del 9 luglio 2003, 

n. 216, di attuazione nell�ordinamento italiano della direttiva 2000/78/CE, fa 
salve le disposizioni che prevedono la possibilit� di trattamenti differenziati 
in merito agli adolescenti, ai giovani, ai lavoratori anziani e ai lavoratori con 
persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto e dalle legittime 
finalit� di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale. 
Il riferimento alle finalit� di politica del lavoro, di mercato del lavoro e 
di formazione professionale, a giustificazione della disparit� di trattamento 
in ragione dell�et�, � rinvenibile non solo nell�art. 6 n. 1 della direttiva ma 
anche nel �considerando� 25, che riconosce espressamente che, in talune circostanze, 
delle disparit� di trattamento in funzione dell�et� possano essere 
giustificate. 

Peraltro, l�elenco esemplificativo contenuto nelle richiamate lettere a), b), 
e c) dell�art. 6 n. 1 individua fattispecie derogatorie abbastanza generiche (et� 
minima, et� massima, condizioni particolari di accesso per i giovani), il che fa 
ritenere che la �specificit�� delle disposizioni nazionali che prevedano giustificate 
disparit� di trattamento fondate sull�et�, richiesta dal �considerando� 25, 
sia da interpretarsi in modo comunque elastico e tale da non imporre agli Stati 
membri una dettagliata elencazione delle norme che, nell�ordinamento nazionale, 
giustifichino un diverso trattamento in funzione dell�et�. 

Con riferimento al terzo quesito, con il quale il Giudice inglese chiede 
alla Corte di Giustizia di chiarire se esistono differenze tra i casi in cui siano 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

giustificate le disparit� di trattamento in generale (ipotesi descritte nell�articolo 
2, n. 1 della direttiva) e i casi di giustificate disparit� di trattamento collegate 
all�et�, previsti dall�articolo 6, n. 1 della direttiva, si osserva che le due 
norme presentano formulazioni differenti che fanno ritenere che diverso sia 
il loro ambito applicativo. 

In particolare, l�articolo 2, per la parte di interesse, dispone che sussiste 
discriminazione a meno che �tale disposizione, tale criterio o tale prassi 
siano oggettivamente giustificati da una finalit� legittima e i mezzi impiegati 
per il suo conseguimento siano appropriati e necessari�, invece l�articolo 
6, n. 1, dispone che �gli Stati membri possono prevedere che le disparit� di 
trattamento in ragione dell�et� non costituiscono discriminazione laddove 
esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell�ambito del 
diritto nazionale, da una finalit� legittima, compresi giustificati obiettivi di 
politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i 
mezzi per il conseguimento di tale finalit� siano appropriati e necessari� 
(evidenza nostra). 

A prescindere da differenze che potremmo anche considerare marginali 
(quali la presenza del termine �ragionevolmente� o il riferimento all� �ambito 
del diritto nazionale� contenuti nell�articolo 6 e non presenti nell�articolo 2), 
quella che appare essere una differenza sostanziale � il riferimento agli obiettivi 
di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale. 

Infatti, mentre tali obiettivi non sarebbero sufficienti a giustificare 
norme che prevedano disparit� di trattamento con riferimento alle convinzioni 
personali, alle tendenze sessuali o alla presenza di handicap, nel caso di 
disparit� di trattamento fondate sull�et� sono ritenute legittime norme nazionali 
che trovino la loro giustificazione nella necessit� di raggiungere obiettivi 
di politica e mercato del lavoro, quali ad esempio favorire l�inserimento 
dei giovani lavoratori o consentire ai lavoratori che abbiano raggiunto una 
determinata et� di avere trattamenti preferenziali al fine di raggiungere il 
limite minimo di contribuzione e conseguire, quindi, il diritto alla pensione. 

Pertanto le deroghe previste dall�articolo 6 appaiono pi� ampie di quelle 
disciplinate dall�articolo 2. Elementi a sostegno di tale conclusione possono 
trovarsi sia nel �considerando� 25, sia nella ratio delle deroghe enunciate. 

Se, infatti, potrebbe essere giustificato prevedere condizioni contrattuali 
pi� favorevoli per i giovani al fine di incentivarne l�ingresso nel mondo del 
lavoro e dunque per perseguire determinati obiettivi occupazionali, le stesse 
condizioni apparirebbero contrarie al pi� elementare principio di eguaglianza 
qualora fossero previste in considerazione di differenze religiose o sessuali. 

******* 
Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito 
affermando che le norme del diritto nazionale inglese che consentono ai 
datori di lavoro di licenziare i lavoratori di 65 anni o in et� pensionabile rientrano 
nell�ambito di applicazione della direttiva 2000/78/CE a prescindere 
dal fatto che tali norme siano state adottate prima o dopo l�entrata in vigore 
della direttiva medesima mentre deve dichiararsi irricevibile la questione se 
le norme di diritto inglese siano da considerare disposizioni che stabiliscono 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

l�et� pensionabile, trattandosi di questione attinente all�interpretazione di 
una disposizione nazionale e non gi� di una norma comunitaria. 

Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito 
nel senso che l�articolo 6, n. 1, della direttiva consente agli Stati membri 
di emanare una legislazione ai sensi della quale una disparit� di trattamento 
in ragione dell�et� non costituisce discriminazione se � intesa come 
mezzo proporzionato per il conseguimento di finalit� legittime, senza necessariamente 
imporre agli Stati membri di definire tipologie di disparit� di trattamento, 
che potrebbero essere in tal modo giustificate, per mezzo di uno 
specifico elenco. 

Il Governo italiano propone infine alla Corte di risolvere il terzo quesito 
affermando che esistono differenze concrete tra i criteri di giustificazione 
previsti in generale dall�articolo 2, n. 1 della direttiva e quelli collegati all�et�, 
previsti dall�articolo 6, n. 1 della direttiva stessa, nel senso che questi ultimi 
consentono possibilit� di deroghe pi� ampie. 

Roma, 5.12.2007 Avv. Stato Wally Ferrante�. 

Causa C-394/07 - Materia trattata: convenzione competenza giurisdizionale/
esecuzione delle decisioni - Domanda di pronuncia pregiudiziale 
proposta dalla Corte di appello di Milano (Italia) il 22 agosto 2007 � 
Marco Gambazzi/DaimlerChrysler Canada Inc., CIBC Mellon Trust 
Company. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 41319/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se, sulla base della clausola dell�ordine pubblico di cui all�art. 27, 
punto 1 della Convenzione di Bruxelles, il Giudice dello Stato richiesto del 
provvedimento di esecutivit� possa tenere conto del fatto che il Giudice dello 
Stato che ha emesso il provvedimento ha negato alla parte soccombente, 
costituitasi in giudizio, di svolgere qualsiasi difesa successivamente all�adozione 
di un provvedimento di esclusione (debarment) nei termini sopra riferiti; 


2) ovvero se l�interpretazione di detta disposizione, unitamente ai principi 
ricavabili dagli artt. 26 e segg. della Convenzione, circa il reciproco 
riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giudiziarie in ambito comunitario, 
osti a che il Giudice nazionale possa considerare lesivo dell�ordine 
pubblico, nell�accezione di cui all�art.27, punto 1, lo svolgimento di un processo 
civile in cui una parte sia impedita nell�esercizio del diritto di difesa, 
in virt� di provvedimento di esclusione del Giudice, a ragione del mancato 
adempimento di un suo ordine�. 

IL FATTO 

La Corte d�appello di Milano, chiamata a valutare l�esecutivit� in Italia 
di una sentenza inglese con la quale un cittadino svizzero � stato condannato 
al pagamento di ingenti somme di denaro a favore di due societ� canade



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

si, ha rilevato che il giudice inglese, a causa del mancato adempimento da 
parte del soccombente all�ordine del giudice di produrre una determinata 
documentazione (Mareva injunction), aveva emesso un provvedimento di 
�debarment�, con il quale la parte, pur costituita, era stata esclusa dal processo, 
che �era proseguito, sino all�emanazione dei provvedimenti emessi dal 
giudice inglese, in forzata contumacia, senza permettere la produzione od 
illustrazione di una qualche difesa�. 

Premesso che ai sensi degli articoli 29 e 34, comma 3 della Convenzione 
di Bruxelles del 27 settembre 1968, applicabile ratione temporis al caso di 
specie, � vietata la revisione nel merito della decisione straniera da parte del 
giudice richiesto del riconoscimento, la Corte di appello chiede alla Corte di 
giustizia se il principio di ordine pubblico interno, di cui all�articolo 27, n.1 
della Conven-zione di Bruxelles, debba essere interpretato nel senso di permettere, 
al giudice richiesto del riconoscimento, di negarlo quando la decisione 
da eseguire sia stata emessa all�esito di un giudizio nel quale alla parte 
sia stata negata la possibilit� di produrre difese per mancata ottemperanza ad 
un ordine del giudice. 

Secondo i giudici remittenti il diritto di difesa occupa una posizione 
essenziale nello svolgimento dell�equo processo e deve essere considerato 
un diritto fondamentale, riconosciuto sia a livello internazionale, sia dalla 
Costituzione italiana. 

Tale diritto potrebbe ritenersi leso ove, come nel caso del provvedimento 
inglese di �debarment�, l�esclusione della difesa non rappresenti una sanzione 
ragionevole e proporzionata rispetto al comportamento processuale 
della parte di mancata ottemperanza all�ordine di esibizione del giudice. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Ai sensi dell�art. 27 n. 1 della Convenzione di Bruxelles, le decisioni di 
un altro Stato contraente non sono riconosciute �se il riconoscimento � contrario 
all�ordine pubblico dello Stato richiesto�. 

In proposito, occorre innanzi tutto stabilire se il diritto di difesa possa 
ritenersi un principio fondamentale generalmente riconosciuto di tal che la 
sua violazione integri in ogni caso una contrariet� all�ordine pubblico. 

Un argomento in tal senso pu� essere tratto dallo stesso articolo 27 che, 
al n. 2, prevede quale altra causa ostativa al riconoscimento delle sentenze 
straniere, il fatto che la domanda giudiziale od un atto equivalente non sia 
stato notificato o comunicato al convenuto contumace regolarmente ed in 
tempo utile perch� questi possa presentare le proprie difese. 

Nel caso di specie, l�atto introduttivo era stato certamente notificato al 
convenuto, sebbene successivamente lo stesso sia stato relegato d�ufficio alla 
condizione di contumace � bench� per effetto di un suo comportamento processuale 
di inadempienza, sulla cui giustificabilit� non pare possa in questa 
sede effettuarsi un sindacato � con la conseguente impossibilit� di continuare 
ad esplicare la propria attivit� difensiva nel corso del processo. 

La limitazione anche parziale del diritto di difesa, diritto la cui salvaguardia 
� espressamente contemplata dal citato art. 27 n. 2 quale requisito essenzia



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

le perch� una sentenza possa essere riconosciuta, pu� quindi certamente assumere 
rilievo nell�ambito dell�accertamento circa la contrariet� o meno all�ordine 
pubblico interno, proprio in ragione della centralit� che lo connota. 

Del resto, gi� l�art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei 
diritti dell�uomo del 4 novembre 1950, nell�enunciare il diritto ad un processo 
equo, contempla espressamente il diritto a disporre del tempo necessario 
per predisporre la difesa nonch� il diritto a difendersi personalmente o con 
l�ausilio di un difensore. 

Da ultimo, la stessa Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea 
adottata il 7 dicembre 2000 prevede, all�art. 47 recante diritto a un ricorso 
effettivo e a un giudice imparziale, che �ogni individuo ha la facolt� di farsi 
consigliare, difendere e rappresentare�. 

Per quanto concerne l�ordinamento italiano, va ricordato che, con l�adozione 
della legge 31 maggio 1995 n. 218, recante riforma del sistema italiano 
di diritto internazionale privato, sono stati abrogati gli articoli dal 796 
all�805 del codice di procedura civile che prevedevano il c.d. procedimento 
di delibazione, sempre necessario affinch� una sentenza straniera potesse 
essere riconosciuta e fatta valere nel nostro ordinamento. 

In ossequio ai principi della Convenzione di Bruxelles, informata all�esigenza 
di garantire la semplificazione delle formalit� cui sono sottoposti il 
reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie 
in applicazione dell�art. 293 del Trattato CE (ex art. 220 del Trattato 
CEE), la richiamata legge n. 218/1995 ha introdotto un sistema di riconoscimento 
automatico delle sentenze straniere in presenza di determinati requisiti, 
rendendo eccezionale ed eventuale l�ipotesi di verifica giurisdizionale 
della sussistenza dei requisiti stessi. 

L�art. 67 dispone infatti che, in caso di mancata ottemperanza o di contestazione 
del riconoscimento della sentenza straniera ovvero quando sia 
necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse pu� 
chiedere alla Corte d�appello del luogo di attuazione l�accertamento dei 
requisiti del riconoscimento. 

Per tutti gli altri casi, l�art. 64 prevede che la sentenza straniera � riconosciuta 
in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento 
quando: �. b) l�atto introduttivo del giudizio � stato portato a conoscenza 
del convenuto in conformit� a quanto previsto dalla legge del luogo dove si 
� svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; � 
g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all�ordine pubblico. 

Va sottolineato che, rispetto all�abrogato articolo 797 del codice di procedura 
civile, che prevedeva le condizioni per ottenere la delibazione della 
sentenza straniera in Italia, i requisiti elencati all�art. 64 della legge 218/1995 
sono sostanzialmente identici salvo l�aggiunta, alla lettera b), dell�inciso �e 
non sono stati violati i diritti essenziali della difesa�, a dimostrazione del 
fatto che appare sempre pi� imprescindibile, alla luce dell�evoluzione del 
complesso delle norme comunitarie, ancorare il reciproco riconoscimento 
dei provvedimenti giurisdizionali al rispetto di un principio considerato 
essenziale ed inviolabile come quello del diritto di difesa. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Per quanto riguarda la giurisprudenza comunitaria, va ricordato che la 
Corte di Giustizia si � pi� volte pronunciata sulla necessit� del rispetto del 
diritto di difesa, affermando che la compressione di tale diritto deve essere 
considerata lesione di un principio fondamentale del diritto comunitario 
(Sentenza Corte di Giustizia del 28 marzo 2000, Causa C-7/98, Krombach). 

In tale sentenza, la Corte ha premesso che l�art. 27 della Convenzione di 
Bruxelles deve essere interpretato restrittivamente in quanto costituisce un 
ostacolo alla realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali della 
Convenzione (cfr. sentenze 2 giugno 1994, causa C-414/92, Solo 
Kleinmotoren, Racc. pag. I-2237, punto 20, e C-7/98 Krombach, citata, 
punto 21) e che per quanto attiene pi� in particolare al ricorso alla clausola 
dell�ordine pubblico, di cui all�art. 27, punto 1), della Convenzione, la stessa 
deve applicarsi soltanto in casi eccezionali (sentenze 4 febbraio 1988, 
causa 145/86, Hoffmann, Racc. pag. 645, punto 21, e 10 ottobre 1996, causa 
C-78/95, Hendrikman e Feyen, Racc. pag. I-4943, punto 23). 

Ci� detto, la Corte ha innanzitutto chiarito che sebbene gli Stati membri 
restino in linea di principio liberi di determinare, conformemente alle loro 
concezioni nazionali, le esigenze del loro ordine pubblico, i limiti di tale 
nozione rientrano nell�interpretazione della Convenzione di Bruxelles che, 
in virt� del principio della certezza del diritto nell�ordinamento comunitario, 
deve essere applicata uniformemente in tutti gli Stati sulla base della giurisprudenza 
della Corte di giustizia ad essa riferita. 

Nella citata sentenza, la Corte ha quindi precisato che il ricorso alla clausola 
dell�ordine pubblico contenuta all�art. 27, punto 1 della Convenzione � 
immaginabile solo nel caso in cui il riconoscimento o l�esecuzione della 
decisione pronunciata in un altro Stato contraente contrasti in modo inaccettabile 
con l�ordinamento giuridico dello Stato richiesto, in quanto leda un 
principio fondamentale. 

In proposito, occorre rilevare che, vietando la revisione nel merito della 
decisione straniera, gli artt. 29 e 34, terzo comma della Convenzione non consentono 
che il giudice dello Stato richiesto neghi il riconoscimento o l�esecuzione 
della detta decisione per il solo motivo che esiste una divergenza tra la norma 
giuridica applicata dal giudice dello Stato di origine e quella che avrebbe applicato 
il giudice dello Stato richiesto se gli fosse stata sottoposta la controversia. 

Nell�ordinamento italiano non esiste infatti una disposizione simile al 
�debarment� inglese, potendo il contegno omissivo delle parti o il loro rifiuto 
ingiustificato a consentire le ispezioni ordinate dal giudice costituire al pi� 
argomenti di prova a carico della parte che non ha ottemperano a detto ordine 
(articolo 116 del codice di procedura civile) senza tuttavia comportare una 
conseguenza cos� grave come quella di essere praticamente escluso dal processo 
senza poter pi� esplicare alcuna attivit� difensiva. 

In base alla sentenza Krombach, quindi, per rispettare il divieto della revisione 
nel merito della decisione straniera, il riconoscimento potrebbe essere 
negato solo laddove sia riscontrabile una violazione manifesta di una regola di 
diritto considerata essenziale nell�ordinamento giuridico dello Stato richiesto o 
di un diritto universalmente riconosciuto come fondamentale. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Nel caso affrontato, la Corte ha ritenuto che, alla luce della clausola dell�ordine 
pubblico di cui all�art. 27, punto 1) della Convenzione di Bruxelles, 
il giudice dello Stato richiesto pu� tener conto, nei confronti di un imputato 
perseguito per un reato doloso, del fatto che il giudice dello Stato d�origine 
gli ha negato il diritto di farsi difendere non essendo comparso personalmente. 


A norma dell�articolo II del Protocollo relativo alla Convenzione di 
Bruxelles, infatti, la possibilit� di farsi difendere senza comparire personalmente 
� accordata solo a coloro cui venga contestata �un�infrazione non 
volontaria�. 

La Corte invece ha ritenuto, nella citata decisione, che il rispetto dei 
diritti della difesa �in qualsiasi procedimento� promosso nei confronti di una 
persona che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio 
fondamentale del diritto comunitario e dev�essere garantito anche in mancanza 
di qualsiasi norma riguardante il procedimento di cui trattasi (conformi 
sono anche le sentenze 29 giugno 1994, causa C-135/92, Fissano, punto 
39 e 24 ottobre 1996, causa C-32/95, Lisrestal, punto 21). 

Infatti, se � vero che lo scopo della Convenzione � quello di garantire la 
semplificazione delle formalit� cui sono sottoposti il reciproco riconoscimento 
e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie, questo obiettivo 
non pu� tuttavia essere raggiunto indebolendo i diritti della difesa (in questi 
esatti termini la sentenza Krombach, punto 43). 

Pertanto, il ricorso alla clausola dell�ordine pubblico deve essere considerato 
possibile nei casi eccezionali in cui le garanzie previste dall�ordinamento 
dello Stato d�origine e dalla Convenzione non sono bastate a proteggere 
il convenuto da una violazione manifesta del suo diritto a difendersi. 


Nel caso di specie, inoltre, non va trascurato che il riconoscimento delle 
medesime sentenze inglesi � stato negato da parte del giudice svizzero perch� 
in contrasto con la Convenzione di Lugano, che ha esteso ad alcuni Paesi 
europei non comunitari quali la Svizzera l�applicabilit� dei principi della 
Convenzione di Bruxelles. 

Alla luce di quanto sopra, il Giudice nazionale richiesto dell�exequatur 
potr� valutare se l�istituto del �debarment�, valutate tutte le circostanze, 
abbia comportato nella fattispecie una tale compressione del diritto di difesa 
da costituire una sanzione eccessiva e sproporzionata rispetto alla mancata 
ottemperanza all�ordine del giudice e da ritenersi quindi contraria all�ordine 
pubblico. 

Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel 
senso che, sulla base della clausola dell�ordine pubblico di cui all�art. 27, 
punto 1 della Convenzione di Bruxelles, il Giudice dello Stato richiesto del 
provvedimento di esecutivit� pu� tenere conto del fatto che il Giudice dello 
Stato che ha emesso il provvedimento ha negato alla parte soccombente, 
costituitasi in giudizio, di svolgere qualsiasi difesa successivamente all�adozione 
di un provvedimento di esclusione quale il �debarment�. 

Roma, 14.12.2007 Avv. Wally Ferrante�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Causa C-400/07 - Materia trattata: politica sociale � Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale 
del Lazio (Italia) il 29 agosto 2007 � SALF SpA/Agenzia Italiana del 
Farmaco (AIFA), Ministero della Salute. (Avvocato dello Stato G. De Bellis 
-AL 43424/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Dopo le previsioni contenute negli articoli 2 e 3 (1) che modulano il 
rapporto tra le pubbliche autorit� di uno Stato membro e le imprese farmaceutiche 
� nel senso di affidare la determinazione del prezzo di una specialit� 
medicinale o il suo aumento alle indicazioni fornite dalle prime ma nella 
misura riconosciuta dall�autorit� preposta, quindi sulla base di una interlocuzione 
tra le imprese stesse e le autorit� preposte al controllo della spesa 
farmaceutica � l�articolo 4, paragrafo 1, disciplina �il blocco dei prezzi di 
tutte le specialit� medicinali o di certe loro categorie� configurandolo come 
un mezzo di carattere generale da sottoporre a verifica, al fine di stabilirne 
il mantenimento, almeno una volta all�anno con riferimento alle condizioni 
macroeconomiche esistenti nello Stato membro. 

La disposizione attribuisce alle autorit� competenti un termine di 90 
giorni per provvedere, prevedendo che queste, allo spirare di esso, debbano 
annunciare quali sono le eventuali maggiorazioni o diminuzioni di prezzo 
apportate. 

Si chiede di conoscere se l�interpretazione di tale disposizione nella 
parte che si riferisce alle �eventuali diminuzioni previste� � da ritenere nel 
senso che, oltre al rimedio generale costituito dal blocco dei prezzi di tutte 

o di certe categorie di specialit� medicinali sia previsto, o meno, anche un 
altro rimedio generale, costituito dalla possibilit� di una riduzione dei prezzi 
di tutte e di certe categorie di specialit� medicinali ovvero se l�inciso 
�eventuali diminuzioni� deve essere riferito esclusivamente alle specialit� 
medicinali gi� sottoposte al blocco dei prezzi; 
2) Si chiede di conoscere se l�articolo 4, paragrafo 1 � nella parte in cui 
impone alle Autorit� competenti di uno Stato membro di verificare, almeno 
una volta all�anno, nel caso di blocco dei prezzi, se le condizioni macroeconomiche 
giustificano la prosecuzione del blocco medesimo � pu� essere interpretato 
nel senso che, ammessa la riduzione dei prezzi come risposta al quesito 
numero 1, � possibile il ricorso a tale misura anche pi� volte nel corso di un 
unico anno e nel ripetersi di molti anni (a partire dal 2002 e fino al 2010); 

3) Se, ai sensi del predetto articolo 4 � da leggere alla luce delle premesse 
che si soffermano sullo scopo principale delle misure di controllo dei 

(1) Direttiva 89/105/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, riguardante la trasparenza 
delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialit� per uso umano e la 
loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

prezzi delle specialit� medicinali individuate nella �promozione della salute 
pubblica attraverso un�adeguata disponibilit� di specialit� medicinali e 
prezzi ragionevoli e dall�esigenza di evitare disparit� di misure che possano 
ostacolare o falsare il commercio intracomunitario di dette specialit�� � 
possa ritenersi compatibile con la disciplina comunitaria l�adozione di 
misure che facciano riferimento ai valori economici della spesa solo �stimati� 
anzich� �accertati� (il quesito riguarda entrambe le fattispecie); 

4) se le esigenze connesse al rispetto dei tetti di spesa farmaceutica che 
ogni Stato membro � competente a determinarsi debbano essere collegati 
puntualmente, alla sola spesa farmaceutica oppure se possa ritenersi rientrante 
nella sfera di potest� degli stati nazionali la facolt� discrezionale di 
tener comunque conto anche dei dati relativi alle altre spese sanitarie; 

5) se i principi di trasparenza e partecipazione delle imprese interessate 
ai provvedimenti di blocco o riduzione generalizzata dei prezzi dei farmaci, 
desumibili dalla direttiva, debbano essere interpretati nel senso che sia 
necessario prevedere sempre e comunque una possibilit� di deroga al prezzo 
imposto (art. 4 comma 2 direttiva) ed una partecipazione concreta dell�impresa 
richiedente, con conseguente necessit� per l�amministrazione di 
motivare l�eventuale diniego. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Alla causa � stato attribuito il numero C-400/07. Analoghi quesiti sono 
stati formulati dallo stesso Giudice con altre otto ordinanze che hanno dato 
origine alle cause da 352/07 a 356/07 e da 365/07 e 367/07. 

Con ordinanza del 23 ottobre 2007 il Presidente della Corte, ai sensi dell�articolo 
43 del Regolamento di procedura, ha riunito le nove cause, in 
quanto tra loro oggettivamente connesse. 

Le controversie in cui sono sorte le questioni vedono contrapposte diverse 
societ� farmaceutiche e l�Agenzia Italiana del Farmaco (in seguito: AIFA) 
e hanno ad oggetto vari provvedimenti (�determine�), dell�AIFA con le quali 
� stata disposta la temporanea riduzione del prezzo di farmaci comunque 
dispensati o impiegati dal Servizio Sanitario Nazionale (di seguito: SSN). 

La classificazione dei farmaci. 

L�articolo 8 comma 10 della legge n. 537/93 (2), prevede che tutti i farmaci 
vengano classificati nelle classi �A�, �C� e �C-bis�. 

Nella classe �A� sono ricompresi i �farmaci essenziali e farmaci per 
malattie croniche�. 

Nella classe �C� sono invece ricompresi �altri farmaci privi delle caratteristiche 
indicate alle lettere a) e b) ad eccezione dei farmaci non soggetti 
a ricetta con accesso alla pubblicit� al pubblico�. 

(2) Legge 24 dicembre 1993 n. 537, recante �Interventi correttivi di finanza pubblica�, 
pi� volte modificata. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Nella classe �C-bis� sono infine ricompresi �farmaci non soggetti a 
ricetta medica con accesso alla pubblicit� al pubblico (OTC)�. 

Il comma 14 del medesimo articolo 8 prevede che �I farmaci collocati 
nella classe di cui al comma 10, lettera a), sono a totale carico del Servizio 
sanitario nazionale�, mentre i farmaci collocati nelle classi C) e C-bis) 
�sono a totale carico dell�assistito�. 

Con l�articolo 85 della legge n. 388/2000 (3) � stata invece soppressa (a 
decorrere dal 1� luglio 2001) la classe �B� in cui erano inseriti i farmaci 
�diversi da quelli di cui alla lettera a), di rilevante interesse terapeutico�, 
per i quali era dovuta una partecipazione alla spesa da parte degli assistiti 
nella misura del 50 per cento. 

Il prezzo dei farmaci. 

Il prezzo dei farmaci � stato nel tempo determinato con metodi diversi. 

Fino al 1993 il prezzo era �amministrato�, cio� determinato da un�apposita 
autorit� (il CIP � Comitato Interministeriale Prezzi). 

Dal 1994 al 2002 (per i farmaci a carico del SSN) � stato in vigore un 
prezzo �sorvegliato� dal CIPE (Comitato Interministeriale per la 
Programmazione Economica) il cui livello non poteva superare il Prezzo 
Medio Europeo di farmaci analoghi. 

Per alcune categorie di farmaci invece il prezzo era �contrattato�. Con 
la Deliberazione C.I.P.E. 1� febbraio 2001, n. 3 (4) recante �Individuazione 
dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci�, si prevedeva infatti 
un meccanismo per la determinazione del prezzo dei farmaci di cui al 
Regolamento CEE n. 2309/1993 (5) nonch� di quelli autorizzati secondo la 
procedura di mutuo riconoscimento. 

Tale meccanismo � stato esteso a tutti i farmaci dall�articolo 48 comma 
33 del Decreto Legge n. 269/2003 (6) il quale ha cos� disposto: �Dal 1� gennaio 
2004 i prezzi dei prodotti rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale 
sono determinati mediante contrattazione tra Agenzia e Produttori secondo 
le modalit� e i criteri indicati nella Delibera Cipe 1� febbraio 2001, n. 3, 
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2001�. 

Il controllo della spesa farmaceutica. 

Tenuto conto delle limitate risorse pubbliche, si � sempre posto il problema 
di trovare il giusto equilibrio tra l�esigenza di assicurare la pi� ampia disponi


(3) Legge 23 dicembre 2000 n. 388, recante �Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)�. 
(4) Pubblicata nella G.U.R.I. 28 marzo 2001, n. 73. 
(5) Reg. (CEE) 22 luglio 1993 n. 2309/93, recante �Regolamento del Consiglio che 
stabilisce le procedure comunitarie per l�autorizzazione e la vigilanza dei medicinali per 
uso umano e veterinario e che istituisce un�Agenzia europea di valutazione dei medicinali�. 
(6) Decreto Legge 30 settembre 2003 n. 269, recante �Disposizioni urgenti per favorire 
lo sviluppo e per la correzione dell�andamento dei conti pubblici�, convertito in legge, 
con modificazioni, dall�art. 1, Legge 24 novembre 2003, n. 326. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

bilit� di farmaci essenziali per la tutela della salute collettiva con onere a carico 
del SSN e quella di evitare il superamento dei tetti di spesa programmata. 

In particolare l�articolo 5 comma 1 del decreto legge n. 347/2001 (7) ha 
stabilito che �A decorrere dall�anno 2002 l�onere a carico del Servizio sanitario 
nazionale per l�assistenza farmaceutica territoriale non pu� superare, 
a livello nazionale ed in ogni singola regione, il 13 per cento della spesa 
sanitaria complessiva�. 

A sua volta l�articolo 48 comma 1 del D.L. n. 269/2003 ha stabilito che 
�A decorrere dall�anno 2004, fermo restando quanto gi� previsto dall�articolo 
5, comma 1, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, 
con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, in materia di assistenza 
farmaceutica territoriale, l�onere a carico del SSN per l�assistenza 
farmaceutica complessiva, compresa quella relativa al trattamento dei 
pazienti in regime di ricovero ospedaliero, � fissata, in sede di prima applicazione, 
al 16 per cento come valore di riferimento, a livello nazionale ed in 
ogni singola regione�. 

Per garantire il rispetto dei tetti di spesa fissati nelle disposizioni ora 
richiamate, l�articolo 48 del D.L. n. 267/2003 ha previsto al comma 5 lettera 
f-bis) che all�AIFA � affidato (tra l�altro) il compito di �procedere, in caso 
di superamento del tetto di spesa di cui al comma 1, ad integrazione o in 
alternativa alle misure di cui alla lettera f), ad una temporanea riduzione del 
prezzo dei farmaci comunque dispensati o impiegati dal Servizio sanitario 
nazionale, nella misura del 60 per cento del superamento�. 

In attuazione delle disposizioni citate sono stati emessi vari provvedimenti 
dall�AIFA con i quali sono stati ridotti i prezzi della maggior parte dei farmaci 
�comunque impiegati o dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale� (i farmaci 
�impiegati� sono quelli utilizzati nelle strutture sanitarie pubbliche, quali gli 
ospedali; i farmaci �dispensati� sono quelli acquistati dai cittadini presso le farmacie 
con onere a carico del SSN e previa prescrizione medica). 

Da parte di molte aziende farmaceutiche vi sono stati numerosi tentativi 
diretti a far dichiarare illegittimi i provvedimenti dell�AIFA. 

Tra i vari ricorsi proposti davanti ai Giudici amministrativi, si inseriscono 
le cause che hanno dato origine alle questioni rimesse alla Corte. 

Da ultimo � intervenuta la legge n. 296/2006 (8) che all�articolo 1, 
comma 796, lettera f) ha disposto �per gli anni 2007 e seguenti sono confermate 
le misure di contenimento della spesa farmaceutica assunte 
dall�Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ai fini del rispetto dei tetti stabiliti 
dall�articolo 48, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, con le 

(7) Decreto Legge 18 settembre 2001 n. 347, recante �Interventi urgenti in materia di spesa 
sanitaria�, convertito in legge, con modificazioni, dall�art. 1, Legge 16 novembre 2001, n. 405. 
(8) Legge 27 dicembre 2006 n. 296, recante �Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

deliberazioni del consiglio di amministrazione n. 34 del 22 dicembre 2005, 

n. 18 dell�8 giugno 2006, n. 21 del 21 giugno 2006, n. 25 del 20 settembre 
2006 e n. 26 del 27 settembre 2006, salvo rideterminazioni delle medesime 
da parte dell�AIFA stessa sulla base del monitoraggio degli andamenti effettivi 
della spesa�. 
Ci� premesso in relazione ai singoli quesiti il Governo italiano osserva 
quanto segue. 

Il primo quesito 

L�articolo 4 della direttiva 89/05/CEE, cos� dispone 

Nel caso di un blocco dei prezzi di tutte le specialit� medicinali o di certe 
loro categorie imposto dalle autorit� competenti di uno Stato membro, detto 
Stato membro verifica, almeno una volta all�anno, se le condizioni macroeconomiche 
giustifichino la continuazione senza modifiche del blocco. Entro 
novanta giorni dall�inizio di questo esame, le autorit� competenti annunciano 
quali eventuali maggiorazioni o diminuzioni di prezzo sono apportate. 

2. In casi eccezionali il detentore di un�autorizzazione di commercializzazione 
di specialit� medicinali pu� richiedere una deroga dal blocco dei 
prezzi se ci� � giustificato da motivi particolari. La richiesta contiene un 
esposto sufficiente di tali motivi. Gli Stati membri assicurano che sia adottata 
una decisione motivata in merito ad ogni richiesta e che detta decisione 
sia comunicata al richiedente entro un termine di novanta giorni. Se le 
informazioni a sostegno della richiesta sono insufficienti, le autorit� competenti 
notificano immediatamente al richiedente quali siano le informazioni 
particolareggiate supplementari richieste e prendono una decisione definitiva 
entro novanta giorni dal ricevimento di queste informazioni supplementari. 
Se la deroga � accordata, le autorit� competenti pubblicano immediatamente 
un annuncio concernente l�aumento di prezzo accordato. 
Nel caso di un numero eccezionale di richieste il termine pu� essere prorogato 
una sola volta di ulteriori sessanta giorni. Tale proroga � notificata 
al richiedente prima della scadenza del termine iniziale. 

Preliminarmente si pone un problema di applicabilit� o meno della 
disposizione ad una legislazione, come quella italiana, in cui il blocco del 
prezzo dei farmaci (rectius: la loro riduzione) pu� essere in ogni momento 
evitata dall�azienda trasferendo il suo farmaco nella classe �C� di cui all�articolo 
8 comma 10 della legge n. 537/93, con la conseguente libert� di fissare 
il prezzo che ritiene pi� congruo, ma con l�esclusione dall�elenco dei farmaci 
con onere a carico del SSN. 

Il blocco dei prezzi previsto dall�articolo 4, sembra riferirsi ad un sistema 
di prezzi �amministrati�, in cui non � possibile sottrarsi alla disciplina 
del �blocco�. 

Non � questo per� il caso dell�Italia la cui legislazione, come si � detto 
nel precedente punto 16, prevede che il prezzo sia �contrattato� solo per i 
farmaci a carico del SSN (in classe �A�), mentre i prezzi dei farmaci in classe 
�C� sono liberi e ciascuna azienda vi pu� trasferire i suoi prodotti. 

Tenuto conto per� della finalit� della direttiva, che � quella �di ottenere 
una visione d�insieme delle intese nazionali in materia di prezzi, compreso il 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

modo in cui esse operano nei singoli casi e tutti i criteri su cui sono basate, 
e di renderle note a tutte le persone interessate dal mercato delle specialit� 
medicinali negli Stati membri� (5� �considerando�) e del fatto che la stessa 
direttiva si occupa anche delle �misure di carattere economico� che gli Stati 
membri adottano �per controllare le spese a carico dei servizi sanitari�, tra 
cui �controlli diretti e indiretti dei prezzi delle specialit� medicinali� (2� 
�considerando�), non sembra possa negarsi che in linea di principio, il citato 
articolo 4 si riferisca anche alle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus. 

Orbene, dalla lettura del paragrafo 1 dell�articolo 4 si evince che la 
disposizione: 

a) consente alle �autorit� competenti� di disporre il blocco dei prezzi di 
tutte le specialit� medicinali �o di certe loro categorie�; 

b) qualora il blocco sia disposto, impone un controllo periodico (almeno 
annuale) per verificare la permanenza o meno delle �condizioni macroeconomiche� 
che giustifichino il mantenimento del blocco; 

c) all�esito di tale esame, da concludersi entro il termine di 90 giorni, 
devono essere enunciate �quali eventuali maggiorazioni o diminuzioni di 
prezzo sono apportate�. In sostanza si pongono tre alternative: 

c1) che nessuna modifica al blocco venga introdotta; 

c2) che vengano apportate maggiorazioni dei prezzi dei farmaci (con ci� 
superando il blocco); 

c3) che vengano disposte diminuzioni dei prezzi dei farmaci. 

La formulazione della norma consente quindi di ritenere sussistente un 
ampio potere degli Stati non solo di bloccare, ma anche di diminuire il prezzo 
dei farmaci (di tutti o di alcune categorie) in funzione delle �condizioni 
macroeconomiche�. 

Il Giudice remittente si chiede se 

l�interpretazione di tale disposizione nella parte che si riferisce alle 
�eventuali diminuzioni previste� � da ritenere nel senso che, oltre al rimedio 
generale costituito dal blocco dei prezzi di tutte o di certe categorie di 
specialit� medicinali sia previsto, o meno, anche un altro rimedio generale, 
costituito dalla possibilit� di una riduzione dei prezzi di tutte e di certe categorie 
di specialit� medicinali ovvero se l�inciso �eventuali diminuzioni� 
deve essere riferito esclusivamente alle specialit� medicinali gi� sottoposte 
al blocco dei prezzi; 

Ritiene il Governo italiano che la soluzione pi� corretta sia la prima. 

Non si vede infatti per quale motivo il legislatore nei casi in cui esigenze 
di carattere economico generale rendessero necessaria una riduzione 
generalizzata del prezzo di tutti i farmaci o di alcune categorie, abbia voluto 
subordinare l�adozione di tale misura al previo blocco dei medesimi prezzi. 

Una interpretazione sistematica della disposizione non pu� che condurre 
a tale soluzione, dal momento che le politiche nazionali sui prezzi dei farmaci 
e la loro inclusione nei regimi di previdenza sociale rientrano nella 
competenza esclusiva degli Stati, come risulta dal 6� �considerando� della 
direttiva che dopo avere evidenziato l�esigenza �di assicurare che tutti gli 
interessati possano verificare che le misure nazionali non costituiscano 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

restrizioni quantitative alle importazioni o esportazioni n� misure di effetto 
equivalente�, precisa che �dette esigenze non influenzano nemmeno le politiche 
nazionali per la fissazione dei prezzi e la determinazione dei regimi di 
previdenza sociale salvo nella misura in cui sia necessario raggiungere la 
trasparenza prevista dalla presente direttiva�. 

D�altro canto anche la direttiva 2001/83/CE (9) del Parlamento europeo 
e del Consiglio prevede all�articolo 4 par. 3 che �La presente direttiva si 
applica ferme restando le competenze delle autorit� degli Stati membri sia 
in materia di fissazione dei prezzi dei medicinali sia per quanto concerne la 
loro inclusione nel campo d�applicazione dei sistemi nazionali di assicurazione 
malattia, sulla base di condizioni sanitarie, economiche e sociali�. 

Per restare nella normativa italiana, occorre considerare in ogni caso 
quanto gi� evidenziato al precedente punto 27. Nel momento in cui la legge 
(articolo 48 del D.L. n. 269/2003) consente di operare una riduzione generalizzata 
del prezzo dei farmaci, � comunque consentito alle aziende che ritengano 
non sufficientemente remunerativo il nuovo prezzo, di trasferire il farmaco 
nella classe �C� (tra i prodotti che non gravano nel SSN) e praticare 
in tale sede il (pi� elevato) prezzo ritenuto pi� conveniente. 

Si ritiene pertanto, in via subordinata, che qualora la Corte dovesse accogliere 
la tesi secondo cui ��l�inciso �eventuali diminuzioni� debba essere riferito 
esclusivamente alle specialit� medicinali gi� sottoposte al blocco dei prezzi�
�, dichiari che tale limite non opera nei casi, come quello italiano, in cui sia 
comunque consentito alle aziende evitare la riduzione autoritativa del prezzo 
escludendo i propri farmaci dall�elenco di quelli rimborsabili dal SSN. 

Il secondo quesito 

Con il secondo quesito si chiede 

di conoscere se l�articolo 4, paragrafo 1 � nella parte in cui impone alle 
Autorit� competenti di uno Stato membro di verificare, almeno una volta 
all�anno, nel caso di blocco dei prezzi, se le condizioni macroeconomiche 
giustificano la prosecuzione del blocco medesimo � pu� essere interpretato 
nel senso che, ammessa la riduzione dei prezzi come risposta al quesito 
numero 1, � possibile il ricorso a tale misura anche pi� volte nel corso di un 
unico anno e nel ripetersi di molti anni (a partire dal 2002 e fino al 2010). 

La risposta non pu� che essere affermativa. La possibilit� anche di pi� 
interventi infra annuali si evince chiaramente dal fatto sia che l�articolo 4 
non pone alcun tipo di limitazioni temporali, sia dalla previsione di una verifica 
da eseguirsi �almeno una volta l�anno�. 

Sempre la mancanza di espresse limitazioni circa la durata delle misure 
consente la reiterazione delle stesse in presenza delle condizioni macroeconomiche 
che le giustifichino. 

(9) Direttiva 6 novembre 2001 n. 2001/83/CE, recante �Direttiva del Parlamento europeo 
e del Consiglio recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano�. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Il terzo quesito 

Con il terzo quesito si chiede se possa ritenersi compatibile con la disciplina 
comunitaria l�adozione di misure che facciano riferimento ai valori 
economici della spesa solo �stimati� anzich� �accertati�. 

In sostanza si vuole conoscere se le disposizioni contenute nel citato articolo 
4 ostino ad una normativa nazionale che faccia riferimento non solo ad 
un superamento gi� avvenuto dei tetti di spesa, ma anche ad un superamento 
prevedibile. 

Come si � detto al precedente punto 31, l�articolo 4 impone agli Stati di 
considerare �le condizioni macroeconomiche� al momento di adottare i 
provvedimenti generali in materia di prezzi. 

Tra queste condizioni ben pu� essere ricompreso l�andamento della 
spesa farmaceutica. 

Se poi debba farsi riferimento solo ai dati �accertati� ovvero alle previsioni 
di spesa (dati �stimati�), la situazione non cambia, purch� si tratti di 
criteri trasparenti ed attendibili. 

La questione non appare comunque rilevante nei giudizi a quo, in quanto 
la normativa nazionale (articolo 48 comma 5 lettera f-bis) del D.L. n. 
269/2003) nel prevedere la possibilit� di �procedere, in caso di superamento 
del tetto di spesa di cui al comma 1, ad integrazione o in alternativa alle 
misure di cui alla lettera f), ad una temporanea riduzione del prezzo dei farmaci 
comunque dispensati o impiegati dal Servizio sanitario nazionale, 
nella misura del 60 per cento del superamento�, consente di disporre anche 
la soppressione della riduzione gi� operata nel caso di �andamento della 
spesa migliore di quello stimato� (cos� si esprime lo stesso Giudice remittente 
a pagina 13 dell�ordinanza n. 974/2007). 

Il quarto quesito 

Quanto appena detto vale anche in relazione al quarto quesito con il 
quale si chiede alla Corte se 

le esigenze connesse al rispetto dei tetti di spesa farmaceutica che ogni 
Stato membro � competente a determinarsi debbano essere collegate puntualmente, 
alla sola spesa farmaceutica oppure se possa ritenersi rientrante 
nella sfera di potest� degli stati nazionali la facolt� discrezionale di tener 
comunque conto anche dei dati relativi alle altre spese sanitarie. 

Il generico riferimento alle �condizioni macroeconomiche� contenuto 
nell�articolo 4 della direttiva, unito al riconoscimento della spettanza agli 
Stati membri delle �politiche nazionali per la fissazione dei prezzi e la determinazione 
dei regimi di previdenza sociale� (6� �considerando�) portano a 
ritenere che la citata disposizione non osti ad una normativa nazionale che 
faccia dipendere interventi sui prezzi dei farmaci dall�andamento non solo 
della spesa farmaceutica in senso stretto, ma anche della spesa sanitaria in 
senso pi� ampio. 

D�altro canto non si vede come possa sostenersi il contrario. 

Infatti, anche qualora si volesse ritenere che l�articolo 4 impone di ancorare 
gli interventi sui prezzi alla sola spesa farmaceutica, poich� il livello di 
quest�ultima � determinato da ciascuno Stato nelle sue leggi di bilancio 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

(come si � detto al punto 19, per l�Italia l�articolo 48 comma 1 del D.L. n. 
369/2003 stabilisce il tetto in termini percentuali sull�intera spesa sanitaria) 
una simile previsione non potrebbe trovare pratica applicazione, in quanto lo 
stesso Stato resterebbe sempre libero di modificare il parametro (di riferimento 
tetto di spesa farmaceutica) di cui per ipotesi dovrebbe tenere conto 
nel disciplinare i prezzi dei farmaci. 

Il quinto quesito 

Con il quinto quesito si chiede 

se i principi di trasparenza e partecipazione delle imprese interessate ai 
provvedimenti di blocco o riduzione generalizzata dei prezzi dei farmaci, 
desumibili dalla direttiva, debbano essere interpretati nel senso che sia 
necessario prevedere sempre e comunque una possibilit� di deroga al prezzo 
imposto (art. 4 comma 2 direttiva) ed una partecipazione concreta dell�impresa 
richiedente, con conseguente necessit� per l�amministrazione di 
motivare l�eventuale diniego 

A tale riguardo � opportuno precisare che l�articolo 7 della delibera CIPE 1� 
febbraio 2001, n. 3 (come si � detto, ormai applicabile a tutti i farmaci) dispone: 

7. Durata del contratto e rinnovazione 
Il prezzo definito al termine della procedura negoziale come prezzo ex 
fabrica, � valido per un periodo di ventiquattro mesi fatte salve le diverse 
clausole contrattuali. 

Qualora sopravvengano modifiche delle indicazioni terapeutiche e/o 
della posologia, tali da far prevedere un incremento del livello di utilizzazione 
del farmaco, ciascuna delle parti pu� riaprire la procedura negoziale 
anche prima della scadenza del periodo previsto. 

Il contratto si rinnova per ulteriori ventiquattro mesi alle medesime condizioni 
qualora una delle parti non faccia pervenire all�altra almeno novanta 
giorni prima della scadenza naturale del contratto, una proposta di modifica 
delle condizioni. 

L�Amministrazione apre il processo negoziale secondo le modalit� gi� 
previste al punto 5. della presente delibera e fino alla conclusione del procedimento 
resta operativo l�accordo precedente.

� quindi possibile ottenere una modifica del prezzo contrattato alla scadenza 
del biennio ovvero (in casi particolari) anche prima della scadenza. 

Tale circostanza, unita alla possibilit� (gi� evidenziata al punto 27) per 
le aziende di evitare la riduzione o il blocco del prezzo trasferendo il farmaco 
nella classe �C� di cui all�articolo 8 comma 10 della legge n. 537/93 (con 
la conseguente libert� di prezzo, ma con l�esclusione dall�elenco dei farmaci 
con onere a carico del SSN), consentono di ritenere sostanzialmente 
rispettata la previsione di cui al paragrafo 2 dell�articolo 4. 

******* 
In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere ai 
quesiti sottoposti nel seguente modo 

l�articolo 4 paragrafo 1 della direttiva 89/105/CEE nella parte in cui si 
riferisce alle �eventuali diminuzioni previste� va interpretato nel senso che, 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

oltre al rimedio generale costituito dal blocco dei prezzi di tutte o di certe categorie 
di specialit� medicinali, sia previsto anche un altro rimedio generale, 
costituito dalla possibilit� di una riduzione dei prezzi di tutte o di talune categorie 
di specialit� medicinali. In subordine una tale possibilit� di riduzione dei 
prezzi deve ritenersi consentita nei casi, come quello di cui al giudizio a quo, 
nei quali esista la possibilit� per le aziende di evitare la riduzione o il blocco 
del prezzo trasferendo il farmaco nella classe �C� di cui all�articolo 8 comma 
10 della legge n. 537/93 con la conseguente libert� di prezzo, ma con l�esclusione 
dall�elenco dei farmaci con onere a carico del SSN; 

l�articolo 4 paragrafo 1 della direttiva 89/105/CEE nella parte in cui 
impone alle Autorit� competenti di uno Stato membro di verificare, almeno 
una volta all�anno, nel caso di blocco dei prezzi, se le condizioni macroeconomiche 
giustificano la prosecuzione del blocco medesimo � deve essere 
interpretato nel senso che, ammessa la riduzione dei prezzi come risposta al 
quesito numero 1, � possibile il ricorso a tale misura anche pi� volte nel 
corso di un unico anno e nel ripetersi di pi� anni; 

l�articolo 4 paragrafo 1 della direttiva 89/105/CEE non osta ad una normativa 
nazionale che consenta riduzioni di prezzo che facciano riferimento 
ai valori economici della spesa solo �stimati� anzich� �accertati�; 

l�articolo 4 paragrafo 1 della direttiva 89/105/CEE non osta ad una normativa 
nazionale che consenta riduzioni di prezzo nel caso di superamento 
di tetti di spesa che tengano conto anche dell�andamento delle voci di spesa 
sanitaria diverse da quella farmaceutica in senso stretto; 

la corretta interpretazione dell�articolo 4 paragrafo 2 della direttiva 
89/105/CEE consente di ritenere soddisfatta l�esigenza per le aziende di partecipazione 
e della possibilit� di chiedere la deroga al blocco o alla riduzione 
del prezzo dei farmaci nel caso di una normativa, come quella di cui al 
giudizio a quo: a) in cui esista la possibilit� per le aziende di evitare la riduzione 
o il blocco del prezzo trasferendo il farmaco in una classe a prezzo 
libero, ma con l�esclusione dall�elenco dei farmaci con onere a carico del 
SSN; b) in cui la normativa sulle modalit� di contrattazione del prezzo (articolo 
7 della delibera CIPE 1� febbraio 2001, n. 3) consenta la possibilit� di 
ottenere una modifica del prezzo contrattato alla scadenza del biennio ovvero 
(in casi particolari) anche prima della scadenza. 

Roma, 9 gennaio 2008 Avv. Gianni De Bellis�. 

Causa C-402/07 - Materia trattata: trasporti - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) il 30 agosto 
2007 -Christopher Sturgeon, Gabriel Sturgeon, Alana Sturgeon/Condor 
Flugdienst GmbH. (Avvocato dello Stato W. Ferrante -AL 47062/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se per l�interpretazione della nozione di �cancellazione del volo� 
[sull�interpretazione degli artt. 2, lett.1), 5, n.1, lett. c), del regolamento 
(CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 11 febbraio 2004, n. 261, che 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri 
in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato 
e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91] sia decisivo il fatto 
che l�originaria pianificazione di volo venga abbandonata, per cui un rinvio, 
indipendentemente dalla durata, non costituisce cancellazione del volo 
se la compagnia aerea non abbandona la pianificazione del volo originario. 

2) Nel caso in cui la questione sub 1) sia risolta negativamente, in quali 
casi un rinvio del volo originariamente previsto non debba essere pi� considerato 
come ritardo, bens� come cancellazione. Se la soluzione della suddetta 
questione dipenda dalla durata del ritardo.� 

Causa C-432/07 - Materia trattata: trasporti � Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dallo Handelsgerichts (Austria) il 18 settembre 
2007 � Stefan Bock e Cornelia Lepuschitz/Air France SA.(Avvocato dello 
Stato W. Ferrante -AL 47062/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) Se l�art. 5, in combinato disposto con gli artt. 2, lett. l), e 6 del regolamento 
CE del Parlamento europeo e del Consiglio 11 febbraio 2004, n. 
261, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza 
ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo 
prolungato e che abroga il regolamento CEE n. 295/91, debba essere 
interpretato nel senso che un differimento di 22 ore, rispetto all�orario di 
partenza, costituisce un �ritardo� ai sensi dell�art. 6. 

2) Se l�art. 2, lett. l), del regolamento CE n. 261/2004 debba essere interpretato 
nel senso che nei casi in cui i passeggeri vengono imbarcati in un 
momento notevolmente differito (22 ore) su un volo con un numero modificato 
(numero di volo originario con aggiunta del codice �A�), su cui � 
imbarcata soltanto una parte � seppur rilevante � dei passeggeri inizialmente 
prenotati, oltre, per�, ad altri viaggiatori originariamente non prenotati, 
si configura come una �cancellazione del volo� anzich� un �ritardo�. 

In caso di risposta affermativa alla questione sub 2): 

3) Se l�art. 5, n. 3, del regolamento CE n. 261/2004 debba essere interpretato 
nel senso che un problema tecnico dell�aeromobile e le derivanti 
modifiche dell�orario dei voli costituiscono circostanze eccezionali (che non 
si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le 
misure del caso). 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�Le questioni pregiudiziali poste dalle due ordinanze, per l�analogia 
degli argomenti trattati, possono essere esaminate congiuntamente. 

L�obiettivo del regolamento n. 261/04 � quello di �garantire un elevato 
livello di protezione per i passeggeri� e di tenere �in debita considerazione 
le esigenze in materia di protezione dei consumatori in generale�, come evidenziato 
nel 1� considerando. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

La centralit� del passeggero e un rafforzamento dei suoi diritti rappresentano, 
quindi, il filo conduttore della disciplina comunitaria ed in tale ottica 
va interpretato il regolamento in questione. 

L�abrogato regolamento n. 295/91 si limitava infatti a prevedere, per i 
soli voli di linea, il rimborso o l�offerta di voli alternativi, servizi gratuiti e 
livelli minimi di indennizzo in caso di negato imbarco dei passeggeri (c.d. 
overbooking). 

Il nuovo regolamento si applica invece a tutti i voli commerciali e riguarda, 
oltre al negato imbarco, le cancellazioni e i ritardi dei voli, prevedendo 
un indennizzo non solo in caso di negato imbarco ma anche in caso di cancellazione 
del volo. 

La mancata previsione di un indennizzo per il ritardo del volo rende 
quindi determinante la linea di demarcazione tra la nozione di �ritardo�, di 
cui il regolamento non determina un limite massimo, e quella di �cancellazione�. 


La stessa Commissione nella Comunicazione 4 aprile 2007 testualmente 
afferma �Il regolamento (CE) n. 261/2004 non definisce il concetto di 
ritardo. Vi � una certa confusione riguardo agli obblighi delle compagnie 
aeree nei confronti dei passeggeri in caso di ritardo prolungato oltre 24 ore, 
il che pu� diventare una notevole fonte di conflitti�. 

Nell�ordinamento italiano, la tutela del passeggero in caso di ritardo del 
volo � contenuta nella L. 10.1.2004 n. 12 di ratifica ed esecuzione della 
Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 per l�unificazione di alcune 
norme relative al trasporto aereo internazionale. 

L�art. 19 di detta legge prevede il diritto del passeggero al risarcimento 
del danno derivante da ritardo. 

Da un esame della normativa comunitaria, si osserva come la �compensazione 
pecuniaria� assuma contorni ben diversi dal risarcimento del danno 
sia perch� � predeterminata nell�ammontare, sia perch� l�una non esclude 
l�altro, tanto � vero che il risarcimento viene previsto separatamente, e come 
voce suppletiva, nel regolamento n. 261/04, in un apposito articolo (art. 12). 

Delineato il quadro normativo, appare indispensabile sottolineare come 
la definizione di volo cancellato, descritta all�art. 2 paragrafo 1) del regolamento 
in esame, difetti dell�elemento temporale. 

Se per cancellazione del volo si intende la mancata effettuazione di un 
volo originariamente previsto e sul quale sia stato prenotatato almeno un 
posto, la partenza dello stesso volo anche dopo alcuni giorni configurerebbe 
la fattispecie del ritardo e non della cancellazione, con tutte le conseguenze 
negative per il passeggero. 

La giurisprudenza ha individuato alcuni indici rivelatori dell�avvenuta 
cancellazione del volo quali l�abbandono della pianificazione dello stesso, 
l�emissione di una nuova carta di imbarco, l�effettuazione di un nuovo 
check-in, la sostituzione dell�aeromobile o dell�equipaggio, l�imbarco soltanto 
di una parte dei passeggeri inizialmente prenotati. 

In realt�, ai fini di una effettiva tutela del passeggero, appaiono determinanti, 
oltre a tali indici, gli effetti che derivano da un determinato evento. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Infatti, la cancellazione del volo, ove accompagnata dall�offerta di altro 
volo con la stessa o altra compagnia, dallo stesso luogo e con un orario non 
significativamente diverso, pu� arrecare minori disagi al passeggero rispetto 
al ritardo del volo a tempo indeterminato. 

Ad esempio, il passeggero che, a seguito della cancellazione del volo, 
giunga a destinazione grazie ad un volo alternativo con un ritardo di due ore, 
ha diritto alla compensazione pecuniaria � che va dai 250 euro ai 600 euro a 
seconda della lunghezza della tratta � mentre analogo diritto non spetta a chi 
arriva con un ritardo di 25 ore del volo originario, che pu� fruire esclusivamente 
del rimborso per i pasti, le bevande e l�eventuale pernottamento in 
albergo, oltre al trasporto dall�aeroporto all�albergo e ritorno (art. 9, par. 1, 
lett. a, b e c) nonch�, in caso di ritardo di almeno 5 ore, al rimborso del prezzo 
del biglietto (art. 8, par. 1, lett. a). 

Il diritto alla compensazione pecuniaria dovrebbe, pertanto, essere commisurato 
alla rilevanza dei disagi subiti dal passeggero che sono direttamente 
proporzionali all�entit� del ritardo subito nel raggiungimento della destinazione, 
a prescindere dalla configurazione dello stesso come �cancellazione� 
o come �ritardo� in senso tecnico. 

Si veda in proposito la sentenza della Corte di Giustizia del 10 gennaio 
2006, causa C-344/04, che ha affermato � in relazione a diverse questioni 
pregiudiziali vertenti sulla validit� degli articoli 5, 6 e 7 del regolamento n. 
261/2004 dei quali si era censurata l�incompatibilit� rispetto alla 
Convenzione di Montreal � che l�ampiezza delle diverse misure adottate dal 
legislatore comunitario varia in funzione dell�importanza dei danni subiti dai 
passeggeri, che � valutata sia in funzione della durata del ritardo e dell�attesa 
del volo successivo, sia del lasso di tempo trascorso prima che gli interessati 
fossero informati della cancellazione del volo o del ritardo. 

Soggiunge la Corte che, trattandosi di misure di risarcimento uniformi, 
esse sono dirette a soddisfare bisogni immediati dei passeggeri a prescindere 
dalla causa della cancellazione o del ritardo del volo. 

La sostanziale equiparazione della cancellazione al �lungo ritardo� e �al 
ritardo che comporti un pernottamento� � peraltro evincibile dal quindicesimo 
considerando del regolamento 261/2004, che riserva eguale considerazione 
a tali eventi ai fini dell�individuazione della �circostanza eccezionale� 
idonea a limitare gli obblighi che incombono sui vettori aerei ai sensi del 
quattordicesimo considerando. 

In base all�art. 5, n. 3, il vettore aereo operativo non � tenuto a pagare una 
compensazione pecuniaria a norma dell�art. 7, se pu� dimostrare che la cancellazione 
del volo � dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero 
comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. 

In proposito, il terzo quesito posto dal Giudice austriaco pu� essere risolto 
alla luce delle conclusioni dell�Avvocato Generale, presentate il 27 settembre 
2007 nella causa C-396/06, in base alle quali affinch� un vettore 
aereo possa far valere l�art. 5, n. 3 del regolamento n. 261/2004 allo scopo di 
non pagare compensazioni pecuniarie in seguito all�indisponibilit� di un 
aeromobile per problemi tecnici, vanno considerate circostanze eccezionali 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

quelle che non avrebbero potuto essere evitate anche se si fossero adottate 
tutte le misure del caso. 

Tali misure comprendono la precisa e puntuale attuazione del programma 
di manutenzione e di verifica dell�aeromobile e, dopo la comparsa del 
problema tecnico, l�adozione di provvedimenti adeguati per effettuare le 
sostituzioni alla luce della passata esperienza. 

Circostanze eccezionali possono consistere in problemi tecnici che non 
siano n� di un tipo che si verifica normalmente e periodicamente su tutti gli 
aeromobili o su un determinato tipo di aeromobile, n� di un tipo che sia stato 
gi� rilevato in precedenza sull�aeromobile in questione. 

In ogni caso, spetta al giudice nazionale valutare l�ammissibilit� e il 
valore probatorio dei documenti e di ogni altro elemento fornito dal vettore 
aereo al fine di stabilire se sussistono le condizioni di cui all�art. 5, n. 3 del 
regolamento n. 261/2004. 

******* 
Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito 
posto dal Giudice tedesco nel senso che, per l�interpretazione della 
nozione di �cancellazione del volo� non sia decisivo il fatto che l�originaria 
pianificazione di volo venga abbandonata. 
Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito 
posto dal Giudice tedesco nel senso che l�individuazione dei casi in cui 
un rinvio del volo originariamente previsto non debba essere pi� considerato 
come ritardo bens� come cancellazione dipende dalla durata del ritardo. 
Il Governo italiano propone alla Corte di risolvere il primo quesito posto 
dal Giudice austriaco nel senso che l�art. 5, in combinato disposto con gli 
artt. 2, lett. l), e 6 del regolamento CE n. 261/2004 debbano essere interpretati 
nel senso che un differimento di 22 ore, rispetto all�orario di partenza, 
costituisce un �ritardo� ai sensi dell�art. 6. 
Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il secondo quesito 
posto dal Giudice austriaco nel senso che l�art. 2, lett. l), del regolamento 
CE n. 261/2004 debba essere interpretato nel senso che il caso in cui i passeggeri 
vengono imbarcati in un momento notevolmente differito (22 ore) su 
un volo con un numero modificato (numero di volo originario con aggiunta 
del codice �A�), su cui � imbarcata soltanto una parte � seppur rilevante � dei 
passeggeri inizialmente prenotati, oltre, per�, ad altri viaggiatori originariamente 
non prenotati, si configura come una �cancellazione del volo� anzich� 
come un �ritardo�. 
Il Governo italiano propone infine alla Corte di risolvere il terzo quesito 
posto dal Giudice austriaco nel senso che l�art. 5, n. 3, del regolamento CE 

n. 261/2004 debba essere interpretato nel senso che un problema tecnico dell�aeromobile 
e le derivanti modifiche dell�orario dei voli costituiscono circostanze 
eccezionali, che non si sarebbero comunque potute evitare anche se 
fossero state adottate tutte le misure del caso, ove vi sia stata la precisa e puntuale 
attuazione del programma di manutenzione e di verifica dell�aeromobile 
e, dopo la comparsa del problema tecnico, l�adozione di provvedimenti 
adeguati per effettuare le sostituzioni alla luce della passata esperienza. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Circostanze eccezionali possono consistere in problemi tecnici che non siano 
n� di un tipo che si verifica normalmente e periodicamente su tutti gli aeromobili 
o su un determinato tipo di aeromobile, n� di un tipo che sia stato gi� 
rilevato in precedenza sull�aeromobile in questione. In ogni caso, spetta al 
giudice nazionale valutare l�ammissibilit� e il valore probatorio dei documenti 
e di ogni altro elemento fornito dal vettore aereo al fine di stabilire se 
sussistono le condizioni di cui all�art. 5, n. 3 del regolamento n. 261/2004. 

Roma, 25.1.2008 Avv. Wally Ferrante�. 

Causa C-446/07 - Materia trattata: agricoltura - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Tribunale civile di Modena (Italia) il 1� ottobre 
2007 -Alberto Severi, Cavazzuti e figli/Regione Emilia-Romagna. 
(Avvocato dello Stato S. Fiorentino -AL 47067/07). 

LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI 

1) se l�art. 3 par. 1 e art. 13 par. 3 Reg. CEE 2081/92 (ora art. 3 par. 1 
e 13 par. 2 Reg. Ce 510/06) in riferimento all�articolo 2 D.Lgs. 109/92 (art. 
2 dir. 2000/13/CE) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione 
di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, per la 
quale vi sia stato in sede nazionale un �rigetto� o comunque un blocco della 
richiesta alla Commissione europea di registrazione come DOP o IGP ai 
sensi dei citati regolamenti, debba essere considerata generica quantomeno 
per tutto il periodo in cui pendono gli effetti del suddetto �rigetto� o blocco; 

2) se l�art. 3 par. 1 e art. 13 par. 3 Reg. CEE 2081/92 (ora art. 3 par. 1 
e 13 par. 2 Reg. Ce 510/06) in riferimento all�articolo 2 D.Lgs. . 109/92 (art. 
2 dir. 2000/13/CE) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione 
di un prodotto alimentare evocativo di un luogo non registrata come 
DOP o IGP ai sensi dei citati regolamenti, possa essere legittimamente utilizzata 
nel mercato europeo dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona 
fede ed in modo costante per molto tempo prima dell�entrata in vigore del 
Regolamento CEE n. 2081/92 (ora Reg. CE 510/06) e nel periodo successivo 
a tale entrata in vigore; 

3) se l�art. 15 par. 2 della dir. CEE 89/104, relativa all�armonizzazione 
delle legislazioni nazionali sui marchi, debba essere interpretato nel senso che 
al soggetto titolare di un marchio collettivo di prodotto alimentare, contenente 
un riferimento geografico, non � consentito impedire ai produttori di un prodotto, 
avente le stesse caratteristiche, di designarlo con una denominazione simile 
a quella contenuta nel marchio collettivo, qualora detti produttori abbiano 
usato tale denominazione in buona fede, in modo costante per un tempo molto 
anteriore alla data di registrazione del suddetto marchio collettivo. 

IL FATTO 

Secondo quanto si ricava dall�ordinanza di rinvio, il giudizio ha ad 
oggetto l�impugnazione, da parte dei ricorrenti, di un provvedimento (c.d. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

ordinanza ingiunzione) emesso dalla Regione Emilia Romagna, con il quale 
� stata irrogata la sanzione prevista per la violazione dell�art. 2 del D.Lgs. 
109/92 a causa della commercializzazione, con il marchio del Salumifico 
Cavazzuti, di un insaccato denominato �Salame tipo Felino� prodotto in uno 
stabilimento di Modena. 

Nell�ordinanza ingiunzione si mette in evidenza che l�indicazione 
�Salame felino� costituisce marchio registrato e gode di una fama di genuinit� 
e tipicit� caratteristiche, legate al territorio del comune di Felino e che 
l�etichettatura utilizzata � suscettibile di trarre in errore il consumatore, non 
essendo sufficiente, per eliminare il rischio di confusione, l�indicazione 
�tipo�. 

Le ricorrenti sostengono che poich� l�ordinanza ingiunzione ravvisa la 
sussistenza della violazione in relazione al collegamento tra la denominazione 
e il territorio, � indispensabile verificare se effettivamente tale collegamento 
esiste. 

A tal fine, occorrerebbe innanzitutto verificare se la denominazione 
�Salame Felino� non sia da considerare generica. Occorrerebbe, poi, interrogarsi 
sugli effetti dell�eventuale uso in buona fede della denominazione, nel 
corso degli anni, da parte degli operatori che non sono stabiliti nella zona del 
Comune di Felino. L�eventualit� di questo uso in buona fede andrebbe esaminata 
anche alla luce delle normativa sui marchi collettivi, tenuto conto dell�esistenza 
di un marchio collettivo detenuto dalla Associazione salame felino. 

A tali osservazioni, la Regione Emilia Romagna ha replicato facendo 
valere l�autonomia dell�interesse tutelato dall�art. 2 del D.Lgs. 109/92. A 
giudizio della resistente, l�espressione �salame felino� rappresenta un�indicazione 
di provenienza che � a differenza di altre, quali �salame Milano� o 
�salame ungherese� � � idonea ad evocare una connessione territoriale 
rispetto ad un alimento che, come il salame felino, richiede fasi di lavorazione 
e di stagionatura condizionate da caratteristiche ambientali. Il fatto di 
avere utilizzato questa indicazione per un alimento prodotto altrove � sufficiente 
ad integrare la violazione della norma sull�etichettatura. 

Ci� anche perch� la denominazione �salame felino� evoca una tradizione 
produttiva che si caratterizza per l�utilizzo di maiali provenienti da allevamenti 
selezionati, per l�impiego di tagli di carne pregiati, per un ridotto 
impiego di sale ed aromi e per una metodologia di produzione e stagionatura 
strettamente legata al territorio. 

Nell�illustrare le questioni pregiudiziali, il Tribunale di Modena ha premesso 
che all�epoca dei fatti la denominazione in esame non era riconosciuta 
n� come DOP n� come IGP ed ha ricordato che, nel corso dell�anno 2003, 
era stata portata avanti una proposta di riconoscimento della indicazione 
geografica protetta �Salame felino�, la quale individuava una zona di produzione 
estremamente pi� ampia rispetto al Comune di Felino o alla Provincia 
di Parma (nella quale ricade il Comune di Felino), essendo estesa ad ampi 
settori delle Regioni Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia. 

Questa proposta era, per�, stata impugnata dinnanzi al Tribunale 
Amministrativo Regionale del Lazio da parte della Associazione salame feli



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

no, il che, secondo il Giudice a quo, aveva portato alla sospensione del procedimento 
di registrazione (tuttavia si vedr�, allorquando si risponder� al 
primo quesito, che non vi � luogo per parlare di �blocco� o di �rigetto� della 
richiesta di registrazione). 

Il Giudice a quo ha, poi, rilevato che, in base alla documentazione esibita 
dalla parte ricorrente, come ad esempio alcuni studi degli anni �90, potrebbe 
ritenersi che la denominazione �Salame Felino� sia riferita ad una zona di 
produzione pi� ampia dei confini del Comune di Felino, tale da comprendere 
anche la zona ove � situato lo stabilimento della ricorrente. Quest�ultima 
risulta avere utilizzato da decenni la denominazione in questione, senza che 
fossero mai sorte contestazione. Esiste, poi, una attestazione del 2003 del 
Ministero delle attivit� produttive � che, invero, non ha la competenza primaria 
in materia, in Italia � secondo la quale l�indicazione �Salame felino� 
sarebbe ormai associata ad una ricetta tradizionale ed avrebbe perso ogni 
riferimento con caratteristiche legate all�ambiente geografico. 

Il Tribunale ha, poi, evidenziato che la denominazione �Salame Felino� 
� inserita nell�elenco dei �prodotti tradizionali� di cui all�articolo 8, comma 
1 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 (1), ma che questo inserimento 
non costituisce riconoscimento di origine o di provenienza del prodotto 
dal territorio al quale � riconducibile l�eventuale indicazione geografica contenuta 
nella denominazione. 

Il Giudice remittente ha, infine, rilevato che esiste un marchio collettivo 
riferito al �Salame Felino�. 

LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO 

�La normativa comunitaria rilevante. 

I quesiti posti nell�ordinanza di rinvio portano, innanzi tutto, sull�interpretazione 
di alcune disposizioni del Regolamento (CEE) 14 luglio 1992, n. 
2081/92, regolamento del Consiglio relativo alla protezione delle indicazioni 
geografiche e delle denominazione d�origine dei prodotti agricoli ed alimentari 
(in prosieguo �il Regolamento sulle indicazioni geografiche� o 
anche semplicemente �il Regolamento�). 

L�articolo 3, par. 1, del Regolamento stabilisce quanto segue: 

�1. Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate. 
(1) L�articolo 8 del D.Lgs. 173/98, rubricato �Valorizzazione del patrimonio gastronomico
�, al comma 1 dispone: �Per l�individuazione dei �prodotti tradizionali�, le procedure 
delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura il cui uso risulta consolidato 
dal tempo, sono pubblicate con decreto del Ministro per le politiche agricole, d�intesa 
con il Ministro dell�industria, del commercio e dell�artigianato, e con la Conferenza permanente 
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. 
(...)�. In attuazione di tale norma � stato emanato il decreto ministeriale 18 luglio 2000 (pubblicato 
nella G.U. 21 agosto 2000, n. 194), successivamente aggiornato, che, nell�elenco 
relativo alla Regione Emilia Romagna, prevede il �Salame Felino�. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Ai fini del presente regolamento, si intende per �denominazione divenuta 
generica� il nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur collegato 
col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare 
� stato inizialmente ottenuto o commercializzato, � divenuto, nel linguaggio 
corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare. Per 
determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene 
conto di tutti i fattori, in particolare: 

� della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua 
origine e nelle zone di consumo, 
� della situazione esistente in altri Stati membri, 
� delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie. 
Nei casi in cui, secondo la procedura prevista agli articoli 6 e 7, venga 
respinta una domanda di registrazione in quanto una denominazione � divenuta 
generica, la Commissione pubblica la relativa decisione nella Gazzetta 
Ufficiale delle Comunit� europee�. 

L�articolo 13, par. 3, del Regolamento dispone: 

�Le denominazioni protette non possono diventare generiche �. 

Queste disposizioni sono state riprodotte nell�art. 3, par. 1 (con alcune 
variazioni (2)) e nell�art. 13, par. 2 del Regolamento (CE) 20 marzo 2006, n. 
510/2006, che ha abrogato e sostituito il Reg. (CEE) n. 2081/92. Il nuovo 
Regolamento � entrato in vigore il 31 marzo 2006, sicch� � dubbia la sua 
applicabilit� ai fatti di causa, non essendo possibile evincere dall�ordinanza 
di rinvio a quale epoca essi risalgano: dall�esame del provvedimento emerge 
esclusivamente che il procedimento di contestazione della violazione ai 
ricorrenti si � perfezionato il 18 maggio 2006 (il che, tenuto conto dei tempi 
del procedimento, lascia per� presumere che i fatti siano anteriori al 31 
marzo 2006). 

Viene, inoltre, in considerazione la Direttiva 20 marzo 2000, n. 
2000/13/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al ravvicinamento 
delle legislazioni degli Stati membri concernenti l�etichettatura e 
la presentazione dei prodotti alimentari (in prosieguo �la Direttiva sull�etichettatura�), 
che all�articolo 2 stabilisce: 

�1. L�etichettatura e le relative modalit� di realizzazione non devono: 
a) essere tali da indurre in errore l�acquirente, specialmente: 
(2) Il testo dell�art. 3, par. 1, del Reg. (CE) n. 510/2006 � il seguente: 
� 1. Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate. 
Ai fini del presente regolamento, si intende per �denominazione divenuta generica� il 
nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur collegato col nome del luogo o della 
regione in cui il prodotto agricolo o alimentare � stato inizialmente prodotto o commercializzato, 
� divenuto il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare nella Comunit�. 

Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene conto di 

tutti i fattori, in particolare: 
a) della situazione esistente negli Stati membri e nelle zone di consumo; 
b) delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare 
la natura, l�identit�, le qualit�, la composizione, la quantit�, la conservazione, 
l�origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o i ottenimento, 

ii) attribuendo al prodotto alimentare effetti o propriet� che non possiede, 

iii) suggerendogli che il prodotto alimentare possiede caratteristiche 
particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche 
identiche; 

b) fatte salve le disposizioni comunitarie applicabili alle acque minerali 
naturali e ai prodotti alimentari destinati ad un�alimentazione particolare, 
attribuire al prodotto alimentare propriet� atte a prevenire, curare o guarire 
una malattia umana n� accennare a tali propriet�. 

2. Secondo la procedura prevista dall�articolo 95 del trattato, il 
Consiglio stabilisce un elenco non esaustivo delle dichiarazioni di cui al 
paragrafo 1, il cui uso deve essere in ogni caso vietato o limitato. 
3. I divieti o le limitazioni di cui ai paragrafi 1 e 2 valgono anche per: 
a) la presentazione dei prodotti alimentari, in particolare la forma o l�aspetto 
conferito agli stessi o al rispettivo imballaggio, il materiale utilizzato per 
l�imballaggio, il modo in cui sono disposti e l�ambiente nel quale sono esposti; 

b) la pubblicit�. 

La giurisdizione di rinvio ha, poi, fatto riferimento all�articolo 15 (rubricato 
�Disposizioni particolari concernenti i marchi collettivi, i marchi di 
garanzia e i marchi di certificazione�) della Direttiva 21 dicembre 1988, n. 
89/104/CEE, Prima direttiva del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni 
degli Stati membri in materia di marchi d�impresa, il quale dispone: 

�1. Fatto salvo l�articolo 4, gli Stati membri la cui legislazione autorizza 
la registrazione di marchi collettivi o di marchi di garanzia o di certificazione 
possono prevedere che detti marchi siano esclusi dalla registrazione, 
che si dichiari la loro decadenza o che si dichiari la loro nullit� per motivi 
diversi da quelli di cui agli articoli 3 e 12, nella misura in cui la funzione di 
detti marchi lo richieda. 
2. In deroga all�articolo 3, paragrafo 1, lettera c) gli Stati membri possono 
stabilire che i segni o indicazioni che, in commercio, possono servire 
per designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi possano 
costituire marchi collettivi, oppure marchi di garanzia o di certificazione. Un 
marchio siffatto non autorizza il titolare a vietare ai terzi l�uso, in commercio, 
di detti segni o indicazioni, purch� li usi conformemente agli usi consueti 
di lealt� in campo industriale o commerciale; in particolare un siffatto 
marchio non pu� essere fatto valere nei confronti di un terzo abilitato ad 
usare una denominazione geografica�. 
La normativa nazionale rilevante. 

Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, di attuazione della direttiva 
89/395/CEE e della direttiva 89/396/CEE, all�articolo 2, intitolato 
�Finalit� dell�etichettatura dei prodotti alimentari�, nel testo modificato dal 
D.Lgs. 23 giugno 2003 n. 181, di attuazione della direttiva 2000/13/CE concernente 
l�etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonch� la 
relativa pubblicit� dispone: 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

�1. L�etichettatura e le relative modalit� di realizzazione sono destinate 
ad assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore. Esse 
devono essere effettuate in modo da: 
a) non indurre in errore l�acquirente sulle caratteristiche del prodotto 
alimentare e precisamente sulla natura, sulla identit�, sulla qualit�, sulla 
composizione, sulla quantit�, sulla conservazione, sull�origine o la provenienza, 
sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso; 

b) non attribuire al prodotto alimentare effetti o propriet� che non possiede; 


c) non suggerire che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari, 
quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche 
identiche; 

d) non attribuire al prodotto alimentare propriet� atte a prevenire, curare 
o guarire una malattia umana n� accennare a tali propriet�, fatte salve le 
disposizioni comunitarie relative alle acque minerali ed ai prodotti alimentari 
destinati ad un�alimentazione particolare. 

2. I divieti e le limitazioni di cui al comma 1 valgono anche per la presentazione 
e la pubblicit� dei prodotti alimentari�. 
L�articolo 4 del medesimo decreto legislativo, rubricato �Denominazione 
di vendita�, nel testo modificato dal D.Lgs. 25 febbraio 2000 n. 68, di attuazione 
della direttiva 97/4/CE, che modifica la direttiva 79/112/CEE, in materia 
di etichettatura, presentazione e pubblicit� dei prodotti alimentari destinati 
al consumatore finale, prevede: 

�1. La denominazione di vendita di un prodotto alimentare � la denominazione 
prevista per tale prodotto dalle disposizioni della Comunit� europea 
ad esso applicabili. In mancanza di dette disposizioni la denominazione di 
vendita � la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari 
o amministrative dell�ordinamento italiano, che disciplinano il prodotto 
stesso. 
1-bis. In assenza delle disposizioni di cui al comma 1, la denominazione 
di vendita � costituita dal nome consacrato da usi e consuetudini o da una 
descrizione del prodotto alimentare e, se necessario da informazioni sulla sua 
utilizzazione, in modo da consentire all�acquirente di conoscere l�effettiva 
natura e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso. 

1-ter. � ugualmente consentito l�uso della denominazione di vendita 
sotto la quale il prodotto � legalmente fabbricato e commercializzato nello 
Stato membro di origine. Tuttavia, qualora questa non sia tale da consentire 
al consumatore di conoscere l�effettiva natura del prodotto e di distinguerlo 
dai prodotti con i quali esso potrebbe essere confuso, la denominazione 
di vendita deve essere accompagnata da specifiche informazioni 
descrittive sulla sua natura e utilizzazione. 

1-quater. La denominazione di vendita dello Stato membro di produzione 
non pu� essere usata, quando il prodotto che essa designa, dal punto di 
vista della composizione o della fabbricazione, si discosta in maniera 
sostanziale dal prodotto conosciuto sul mercato nazionale con tale denominazione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

1-quinquies. ... Omissis ... 

2. La denominazione di vendita non pu� essere sostituita da marchi di 
fabbrica o di commercio ovvero da denominazioni di fantasia. 

3 � 5-bis ... Omissis ...� 

Il decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (�codice della propriet� 

industriale�), all�articolo 29 stabilisce: 

�1. Sono protette le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine 
che identificano un paese, una regione o una localit�, quando siano 
adottate per designare un prodotto che ne � originario e le cui qualit�, reputazione 
o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente 
all�ambiente geografico d�origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e 
di tradizione�. 
Il successivo articolo 30 dispone: 

�1. Salva la disciplina della concorrenza sleale, salve le convenzioni internazionali 
in materia e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona 
fede, � vietato, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico, l�uso di indicazioni 
geografiche e di denominazioni di origine, nonch� l�uso di qualsiasi mezzo 
nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano 
che il prodotto stesso proviene da una localit� diversa dal vero luogo di origine, 
oppure che il prodotto presenta le qualit� che sono proprie dei prodotti 
che provengono da una localit� designata da un�indicazione geografica. 
2. La tutela di cui al comma 1 non permette di vietare ai terzi l�uso nell�attivit� 
economica del proprio nome o del nome del proprio dante causa 
nell�attivit� medesima, salvo che tale nome sia usato in modo da ingannare 
il pubblico�. 
La giurisprudenza nazionale sulla denominazione �salame felino�. 

I giudici italiani si sono in pi� di un�occasione occupati della denominazione 
�Salame felino�. 

Nell�anno 1995 diversi produttori stabiliti nel Comune di Felino o in 
zone limitrofe, tutti facenti parte della �Associazione dei produttori per la 
tutela del salame felino� (in prosieguo la �Associazione salame felino�), 
hanno convenuto avanti al Tribunale di Milano l�UNI � Ente nazionale italiano 
di unificazione (3) che, nell�ambito delle proprie competenze, aveva 
emanato una norma tecnica sulla composizione e gli ingredienti per la produzione 
di un salume denominato �salame felino�. 

(3) L�UNI � Ente Nazionale Italiano di Unificazione � un�associazione di diritto privato, 
senza scopo di lucro, che riunisce oltre 7000 soggetti (imprese, liberi professionisti, associazioni, 
istituti scientifici e scolastici, pubbliche amministrazioni) e svolge attivit� normativa 
in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario ad esclusione di quello elettrico 
ed elettrotecnico. Il ruolo dell�UNI, quale Organismo nazionale italiano di normazione, � 
stato riconosciuto dalla Direttiva Europea 83/189/CEE del marzo 1983, recepita dal 
Governo Italiano con la Legge n. 317 del 21 giugno 1986. 

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Con sentenza del 15 gennaio 2001, il Tribunale di Milano ha �accertato il 
diritto all�uso esclusivo della denominazione Salame Felino o Salame di 
Felino da parte delle societ� attrici� ed ha ordinato all�UNI di cessare la divulgazione 
della norma tecnica in questione (la norma UNI-10267). Il Tribunale 
ha rilevato che �gli attori sono produttori di un insaccato di carni di maiale, 
manifatturato nel Comune di Felino e in alcuni altri Comuni, tutti situati nella 
Provincia di Parma, per tradizione ultracentenaria denominato e conosciuto, 
anche oltre i confini dell�Italia, come �Salame Felino� o �Salame di Felino�� 
ed ha evidenziato che, qualora si fosse consentito a chiunque di utilizzare la 
dicitura in esame, ne sarebbe derivato un �involgarimento di detto segno 
distintivo, utilizzato a scapito dei produttori della originaria zona geografica 
di produzione, con pregiudizio degli interessi economici degli stessi, fatti 
oggetto di attivit� concorrenziali da parte di imprenditori che, non avendo 
contribuito all�affermazione dei pregi del salame e inducendo i consumatori a 
credere l�origine geografica di produzione nella zona di �Felino�, si avvantaggerebbero 
dell�opera e dell�impegno economico profusi dalle attrici per la 
conservazione della bont� e tipicit� del prodotto, legate al territorio�. 

Riguardata la questione in relazione all�articolo 2598 del codice civile, 
che reprime gli atti di concorrenza sleale, il Tribunale ha infine affermato che 
�quanto all�utilizzo del segno distintivo �salame felino� da parte di produttori 
fuori dalla zona del �felino�, la suddetta normativa varrebbe certamente 
a configurare l�utilizzo di tale segno di origine quale atto di concorrenza 
sleale perch� rivolto ad ingannare il consumatore circa la provenienza geografica 
del prodotto, a sviarne le tendenze all�acquisto a danno degli originari 
produttori e, perlomeno, ad agganciarsi parassitariamente ai pregi del 
salame Felino manifatturato nella provincia di Parma, notoriamente, anche 
fuori d�Italia, conosciuta per la gradevolezza, la qualit�, il sapore e, insomma, 
per la particolare bont� e gustosit� degli alimenti ivi prodotti�. 

Con sentenza n. 839/2002, la Corte di Appello di Milano ha rigettato 
l�impugnazione proposta dall�UNI avverso la descritta sentenza. La Corte 
d�Appello ha chiarito che �(l)a circostanza che gli impianti [di produzione 
del salame felino, n.d.r.] siano collocati e la produzione avvenga in una 
determinata zona non � indifferente, proprio ai fini delle caratteristiche dei 
prodotto. Infatti, le relazioni tecniche prodotte da parte appellata ( ...) che 
l�appellante non � stata in grado di efficacemente contrastare (non sono stati 
forniti in alcun modo elementi tecnici che consentano di disattendere le indicazioni 
degli esperti che si sono pronunciati con le relazioni prodotte dagli 
attori-appellati e che risultano invece concordi e motivate in modo convincente) 
sottolineano l�importanza dei fattori geografici naturali ed umani 
(...). In particolare la stagionatura del Salame Felino, oltre ad essere codificata 
da una lunga esperienza, si giova di un particolare �microsismo �, 
strettamente collegato all�ambiente, che si � detto (vedi sul punto la relazione 
Ballerini pag. 53-54) essere dovuto ai microrganismi della fermentazione, 
formatisi durante periodi di tempo indefinibili, non riproducibili in altri 
luoghi e non sostituibili da altri �stipiti microbici��. La sentenza � stata poi 
confermata dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 21332/05). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Parallelamente si � svolto un altro giudizio avente ad oggetto l�uso dell�indicazione 
geografica �Salame Felino�. 

Nel 1998, l�Associazione salame felino ha contestato alla Kraft Jacobs 
Suchard S.p.A. (in prosieguo �Kraft�) la vendita di un insaccato denominato 
�Salame Felino� prodotto nella provincia di Cremona. Nel giudizio � 
intervenuta, a sostegno della Kraft, l�ASS.I.CA., vale a dire l�Associazione 
degli industriali delle carni (che vede tra i suoi soci anche Grandi Salumifici 
Italiani, attuale ricorrente). 

Con sentenza n. 236/01, l�adito Tribunale di Parma ha accolto la domanda, 
dichiarando che �il comportamento posto in essere da Kraft Jacobs 
Suchard Spa, con la commercializzazione di un salume denominato �Salame 
Felino�, ma prodotto nello stabilimento di Cremona via Filzi, n. 69, viola i 
diritti sulla indicazione geografica �Salame Felino� o �Salame di Felino�, 
e �(..) costituisce concorrenza sleale ai danni dell�Associazione fra produttori 
per la tutela del �Salame Felino��. 

Il Tribunale ha, in particolare, affermato che �l�assenza, fino ad ora, di 
una registrazione a livello comunitario (...) non pu� comportare un uso indiscriminato 
della denominazione, la cui rilevanza, anche a livello internazionale, 
e legislativo, appare comunque riconosciuta� ed ha evidenziato che �il 
collegamento con il territorio parmense si rinviene ampiamente illustrato 
nella relazione sulle origini preistoriche e storiche del salame felino� e che, 
pertanto, �il consumatore, trovandosi di fronte un salume di formato analogo 
a quello tipico, denominato Felino, senza specificazioni offerto da una 
nota ditta, ben potr� essere vittima d�inganno, pensando di acquistare quello 
tipico, mentre la sua produzione � avvenuta in ambito geografico diverso 
dalla zona tipica, richiamata dalla denominazione rinvenuta sull�etichetta�. 

La decisione � stata successivamente confermata dalla lunga articolata 
sentenza n. 34/2006 della Corte di Appello di Bologna. 

Nella sentenza, la Corte d�Appello afferma, tra l�altro, che �(p)er quanto 
detto la denominazione Salame Felino� o Salame di felino� gode sicuramente 
di �reputazione� dovuta alla �tradizione�, formatasi nell�ambito del 
territorio della provincia di Parma ed unicamente in esso, che ha determinato 
l�affermazione del buon nome acquisito in ambito nazionale ed internazionale
� anche se �occorre verificare se ci� sia sufficiente per ritenere operante 
la tutela fissata dall�art. 31 del D.lgs. 198/96 (4)�. Ebbene, questa 

(4) L�articolo 31 del decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 198 � introdotto nell�ordinamento 
italiano per dare attuazione all�Accordo TRIPs, disponeva: 
�1. Per indicazione geografica si intende quella che identifica un paese, una regione o 
una localit�, quando sia adottata per designare un prodotto che ne � originario e le cui qualit�, 
reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all�ambiente 
geografico d�origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione. 
2. Fermo il disposto dell�art. 2598, n. 2, del codice civile e le disposizioni speciali in 
materia, e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede, costituisce atto di 
concorrenza sleale, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico, l�uso di indicazioni geo

IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

verifica conduce, secondo i Giudici bolognesi, a risultati positivi in quanto 
�solamente un uso appropriato della denominazione �Salame felino�, che 
tale tradizione evoca, pu� conseguire il risultato voluto dalla tutela approntata 
dall�art. 31 D.Lgs. n. 198/96 non solo nei confronti dei produttori � il 
cui interesse alla tutela della denominazione � superfluo sottolineare � ma 
anche con specifico riferimento al consumatore medio�. 

Analisi sul primo quesito. 

Con il primo quesito, il Giudice a quo chiede in sostanza di conoscere se 
debba considerarsi necessariamente generica, ai sensi dell�art. 3, paragrafo 1, 
del Reg. (CEE) 2081/92, la denominazione di un prodotto alimentare per il 
quale non esista una registrazione comunitaria quale DOP o IGP e se eventualmente 
in questo contesto rilevi � nel senso di dover quanto meno considerare 
generica la denominazione per tutto il periodo di durata del �blocco� 

� che fosse stata avviata dalle autorit� nazionale una richiesta di registrazione 
come DOP o IGP e che le medesime autorit� abbiano successivamente 
sospeso l�inoltro della richiesta alla Commissione europea. 
Sul punto si rende innanzi tutto necessario fornire alcune delucidazioni 
in fatto. 

Con decreto n. 6875 del 4 giugno 2007, il Ministero delle politiche agricole 
e forestali (vale a dire il Dicastero che ha la competenza esclusiva in 
materia, in Italia), su domanda della Associazione salame felino, ha accordato 
la protezione a titolo transitorio a livello nazionale, ai sensi dell�art. 5, 
paragrafo 6, del Reg. (CE) n. 510/06, alla denominazione �Salame Felino�, 
stabilendo all�articolo 2 del decreto che tale denominazione � riservata �al 
prodotto ottenuto in conformit� al disciplinare di produzione trasmesso con 
nota n. 2714 del 4 aprile 2007 all�organismo comunitario competente�, prevedendo, 
ai sensi del medesimo Regolamento, un �periodo di adattamento� 
di due anni � durante il quale potr� essere utilizzata una denominazione 
�Salame tipo Felino� � per le imprese che hanno legalmente commercializzato 
il prodotto denominato �Salame Felino� in modo continuativo per i cinque 
anni antecedenti alla data di pubblicazione del decreto. 

Si vede, quindi, che non vi � luogo per parlare, come fa il Giudice del 
rinvio, di �rigetto� o di �blocco� della procedura di registrazione. Il procedimento 
� andato avanti, sia pure apportando al progetto le variazioni che si 

grafiche, nonch� l�uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto 
che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una localit� diversa dal 
vero luogo d�origine, oppure che il prodotto presenta le qualit� che sono proprie dei prodotti 
che provengono da una localit� designata da una indicazione geografica. 

3. La tutela di cui al comma 2 non permette di vietare ai terzi l�uso nell�attivit� economica 
del proprio nome, o del nome del proprio dante causa nell�attivit� medesima, salvo 
che tale nome sia usato in modo da ingannare il pubblico�. 
La norma � stata abrogata e trasfusa nelle disposizioni del codice della propriet� industriale 
riportate, nel testo, ai punti 10 e 11. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sono rivelate necessarie per tenere conto delle ragioni addotte dai produttori 
che si erano opposti alla formulazione originaria della richiesta, le quali, 
come si � visto alla Sezione IV del presente scritto, sono sin qui state condivise 
dalla giurisprudenza interna. 

Ci� premesso, ad avviso del Governo italiano occorre in via preliminare 
interrogarsi sulla ricevibilit� del quesito. 

Non ignora questa difesa che, secondo una consolidata giurisprudenza 
della Corte, spetta unicamente al giudice nazionale valutare, alla luce delle 
particolari circostanze di ciascuna causa, la necessit� di una pronuncia pregiudiziale 
per essere in grado di pronunciare la propria sentenza nonch� larilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. � stato, per�, affermato 
che non � escluso il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale 
quando appaia in modo manifesto che l�interpretazione del diritto 
comunitario chiesta da tale giudice non ha alcuna relazione con l�effettivit� 

o con l�oggetto della causa principale, oppure quando il problema sia di natura 
ipotetica (sentenze 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asociaci�n Nacional 
de Empresas Forestales, punto 31, 23 novembre 2006, causa C-238/05, 
Asnef-Equifax e Administraci�n del Estado). 
Ora, nel motivare sulla rilevanza del quesito, il quale porta sull�interpretazione 
del Regolamento sulle indicazioni geografiche, il Giudice a quo, 
chiamato invece ad applicare l�articolo 2 del decreto legislativo n. 109/92 (il 
quale costituisce trasposizione dell�art. 2 della Direttiva sull�etichettatura), 
ha ipotizzato una reciproca interferenza tra le due fonti di diritto comunitario 
derivato che deve, viceversa, essere manifestamente esclusa sulla base 
dell�interpretazione letterale, sistematica e teleologica delle stesse. 

Infatti, l�articolo 1, paragrafo 2, del Regolamento sulle indicazioni geografiche 
(oggi riproposto nell�articolo 1, par. 2, del Reg. n. 510/2006), stabilisce 
che il regolamento medesimo si applichi �senza pregiudizio di altre 
disposizioni comunitarie particolari�. Ci� implica che le disposizioni del 
regolamento non possono essere utilizzate per definire la portata degli obblighi 
di corretta informazione del consumatore contenuti nella Direttiva sull�etichettatura. 
Per meglio dire, tali disposizioni possono contribuire solo a 
definire il contenuto minimo degli obblighi di informazione, nel senso che 
un etichettatura in contrasto con una denominazione registrata deve sempre 
considerarsi ingannevole (lo si evince chiaramente dall�articolo 13, par. 1, 
lettera c, del Regolamento sulle indicazioni geografiche), ma il fatto che la 
condotta di un operatore non violi il Regolamento sulle indicazioni geografiche 
non pu� comportare che sia stato necessariamente garantito l�interesse 
dei consumatori tutelato dalla Direttiva sull�etichettatura. 

Risulta, infatti, dalla giurisprudenza della Corte che, ai fini della valutazione 
della capacit� di induzione in errore di un�indicazione contenuta nell�etichettatura, 
il giudice nazionale deve essenzialmente riferirsi all�aspettativa 
presunta connessa a tale indicazione di un consumatore medio, normalmente 
informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Non rileva, pertanto, 
se l�operatore sia, o meno, legittimato ad utilizzare quell�indicazione alla 
stregua delle norme particolari di un altro settore dell�ordinamento. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Sembra, quindi, al Governo italiano che la questione posta dal Giudice 
del rinvio non abbia alcuna significativa attinenza con l�effettiva questione 
controversa: la natura generica, o meno di una denominazione ha rilievo ai 
fini dell�applicazione del Regolamento sulle indicazioni geografiche, mentre 
nel giudizio a quo si tratta di una sanzione per etichettatura ingannevole, la 
cui applicazione non dipende dall�interpretazione di quel Regolamento. 
Appare evidente, pertanto, l�intento di suscitare, senza che vi sia un reale 
collegamento con l�oggetto della causa, una pronuncia della Corte che finirebbe 
per interferire con il procedimento di registrazione in corso, di cui si � 
detto al punto 36 del presente scritto. 

In subordine, qualora la Corte ritenesse di dover esaminare il quesito, 
ritiene il Governo italiano che ad esso occorra dare risposta negativa. 

La condizione di genericit� di una denominazione non � l�effetto della 
mancata registrazione di essa quale DOP o IGP, ma � il risultato di un processo 
in forza del quale il prodotto agricolo o alimentare, pur originario di un 
luogo o di una regione, abbia perso, nel linguaggio comune, ogni riferimento 
al luogo d�origine. Neanche l�espressa decisione di rigetto della registrazione 
di una denominazione reca quale corollario necessario che la denominazione 
sia generica: si evince, infatti, dall�articolo 3, paragrafo 1, terzo 
comma del Regolamento che la genericit� della denominazione � solo uno 
dei possibili motivi di rigetto della domanda di registrazione. 

Il fatto che la denominazione non sia registrata, pertanto, � una condizione 
necessaria ma certamente non sufficiente ai fini dell�affermazione della sua 
genericit�: la relativa verifica, come indica chiaramente l�articolo 3 del Regolamento, 
deve scaturire da una valutazione di fatto, nel condurre la quale l�Interprete 
dovr� anche considerare le pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie. 

Sicuramente da escludere, poi, � quanto ipotizza il Giudice del rinvio 
allorquando esso prospetta che la genericit� della denominazione possa essere 
affermata in via transitoria, sino a quando non si perfezioni il procedimento 
di registrazione. Infatti, come si desume chiaramente dall�articolo 3, paragrafo 
1, primo comma del Regolamento � escluso che una denominazione 
generica possa successivamente evolvere in una denominazione registrata. 

Ci� detto, � opportuno, ad avviso del Governo italiano, che la Corte ribadisca 
che il Regolamento n. 2081/92 non esaurisce l�ambito di tutela accordata 
alle denominazioni e che, pertanto, esso non osti ad una normativa 
nazionale che proibisca, nel proprio territorio, l�uso ingannevole di una indicazione 
geografica non protetta dal Regolamento. 

La Corte ha, infatti, gi� avuto modo di affermare che �lo scopo perseguito 
dal regolamento n. 2081/92 non pu� essere messo in causa a motivo 
dell�applicazione, a fianco dello stesso, di disposizioni nazionali di protezione 
delle indicazioni di origine geografica che non rientrano nel suo ambito 
di applicazione� (v. sentenza 7 novembre 2000, causa C-312/98 Warsteiner, 
punto 49) e che il medesimo regolamento non osta all�applicazione di una 
normativa nazionale che tuteli denominazioni le quali implichino riferimenti 
geografici specifici i quali, se esistessero nessi tra le caratteristiche dei prodotti 
richiamate da tali denominazioni e la zona geografica alla quale rinvia



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

no, potrebbero formare oggetto di una registrazione ai sensi del detto 
Regolamento (sentenza 7 maggio 1997, causa riunite C-321/94, C-322/94, 
C-323/94 e C-324/94, Pistre, punti 39 e 40). 

Secondo quesito 

Il Governo italiano non suggerir� risposte rispetto al secondo ed al terzo 
quesito, ritenendoli manifestamente irricevibili. 

Con il secondo quesito, si chiede se la denominazione di un prodotto alimentare 
evocativo di un luogo, non registrata come DOP o IGP ai sensi del 
Regolamento sulle indicazioni geografiche, possa continuare ad essere legittimamente 
utilizzata dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed 
in modo costante sin da epoca antecedente all�adozione del Regolamento. 

Si tratta, anche in questo caso, di una questione che non sembra avere 
alcuna attinenza con l�oggetto del giudizio a quo. Infatti, nessuna disposizione 
comunitaria o nazionale relativa all�etichettatura dei prodotti prende in 
considerazione la buona fede, o meno, dell�operatore che abbia messo in 
commercio un prodotto etichettato in modo ingannevole. 

L�articolo 14, paragrafo 2, del Regolamento sulle indicazioni geografiche 
si occupa della buona fede quale possibile fonte di acquisito, in epoca 
anteriore alla registrazione della DOP o della IGP, di un marchio corrispondente 
ad una delle situazioni oggetto di protezione ai sensi del Regolamento 
medesimo. Tuttavia, poich�, per quanto detto, nel giudizio principale non � 
stata contestata la violazione di una denominazione registrata ai sensi del 
Regolamento e poich� non consta che le ricorrenti abbiano rivendicato la 
titolarit� di un marchio corrispondente alla denominazione �Salame Felino�, 
il quesito posto dal Tribunale di Modena si dimostra del tutto ipotetico. 

Naturalmente la buona fede, intesa come assenza di colpa, pu� essere 
presa in considerazione dal giudice nazionale nel verificare la sussistenza 
dell�elemento soggettivo della violazione, ai fini dell�applicazione della sanzione. 
Ma questa verifica non potrebbe avere come effetto quello di consentire, 
anche per il futuro, l�utilizzo dell�etichettatura controversa. 

Terzo quesito 

Con l�ultimo quesito il Tribunale di Modena chiede di conoscere se i 
titolari di un marchio collettivo possano impedire la commercializzazione di 
un prodotto con una denominazione simile a quella contenuta nel marchio, 
da parte di produttori che abbiano usato tale denominazione in buona fede 
sin da epoca precedente, anche molto anteriore, alla registrazione del detto 
marchio collettivo. 

Si tratta, nuovamente, di un quesito irricevibile, perch� appare manifesto 
che l�interpretazione del diritto comunitario chiesta dal Giudice a quo 
non ha alcuna relazione con l�effettivit� o con l�oggetto della causa principale, 
risolvendosi in una questione di natura puramente ipotetica. 

Infatti la denominazione �Salame tipo Felino� non � stata contestata alle 
ricorrenti dai titolari del marchio collettivo, che non sono parte in causa, ma 
da un�autorit� pubblica (la Regione Emilia Romagna) e per motivi che non 
risiedono nella contraffazione del marchio collettivo. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

Risulta, infatti, dalla lettura dell�ordinanza di rinvio che l�esistenza di un 
marchio collettivo � semplicemente una delle circostanze citate nel provvedimento 
impugnato nel giudizio principale, quale elemento che, unitamente 
a vari altri, consentirebbe di desumere che la denominazione di vendita utilizzata 
dalle ricorrenti fosse ingannevole per i consumatori (se tale ingannevolezza 
sussistesse effettivamente �, poi, questione di fatto rimessa all�apprezzamento 
del giudice nazionale). 

Conclusioni 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce 
alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando 
che: 

Il fatto che una denominazione di prodotto alimentare contenente riferimenti 
geografici non sia stata ancora registrata come DOP o come IGP non 
comporta che tale denominazione debba essere necessariamente considerata 
generica ai sensi dell�articolo 3, par 1, del Regolamento (CE) 2081/92, n� 
osta, di per s�, all�applicazione delle disposizioni di tutela dei consumatori 
rispetto alla ingannevolezza della etichettatura dei prodotti nel caso di uso 
di detta denominazione quale denominazione di vendita. 

Roma, 25 gennaio 2008 Avv. Sergio Fiorentino�. 

Causa C-561/07 - Materia trattata: ravvicinamento delle legislazioni -
Ricorso presentato il 18 dicembre 2007 - Commissione delle Comunit� europee/
Repubblica italiana. (Avvocato dello Stato W. Ferrante - AL 3316/08). 

LE CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE 

� Mantenendo in vigore le disposizioni dell�art. 47, comma 5 e 6 della 
legge n. 428 del 29 dicembre 1990 in caso di crisi aziendale a norma dell�art. 
2, quinto comma, lettera c) della legge 12 agosto 1977 n. 675 in modo 
tale che i diritti dei lavoratori elencati agli articoli 3 e 4 della direttiva 
2001/23/CE non sono garantiti in caso di trasferimento di imprese di cui � 
stata accertata la �situazione di crisi�, la Repubblica italiana � venuta meno 
agli obblighi che le incombono in virt� di questa direttiva. 
IL CONTRORICORSO DEL GOVERNO ITALIANO 

�L�art. 3 della citata direttiva, che ha sostituito la direttiva 77/187/CEE, 
dispone, per quanto qui interessa: 

�1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di 
lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, 
in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. 

Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data 
del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi 
risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da 
un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

2. � 
3. Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro 
convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest�ultimo 
per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto 
collettivo o dell�entrata in vigore o dell�applicazione di un altro contratto 
collettivo. 
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle 
condizioni di lavoro purch� esso non sia inferiore ad un anno. 
4 �� 

L�art. 4, comma 1 della predetta direttiva prevede che: 

�1. Il trasferimento di un�impresa, di uno stabilimento o di una parte di 
impresa o di stabilimento non � di per s� motivo di licenziamento da parte 
del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti 
che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d�organizzazione 
che comportano variazioni sul piano dell�occupazione ��. 

L�art. 5 della citata direttiva dispone inoltre che: 

� 1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 
3 e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti 
di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura 
fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista 
della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo 
di un�autorit� pubblica competente (che pu� essere il curatore fallimentare 
autorizzato da un�autorit� pubblica competente). 

2. Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso 
di una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente 
dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione 
dei beni del cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto 
il controllo di un�autorit� pubblica competente (che pu� essere un curatore 
fallimentare determinato dal diritto nazionale), uno Stato membro pu� 
disporre che: 
a) nonostante l�articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente risultanti 
da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima del 
trasferimento o prima dell�apertura della procedura di insolvenza non siano 
trasferiti al cessionario, a condizione che tali procedure diano adito, in virt� 
della legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente 
a quella prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE 
del Consiglio del 20 ottobre 1980, concernente il riavvicinamento delle 
legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati 
in caso di insolvenza del datore di lavoro; 

e/o 

b) il cessionario, il cedente o la persona o le persone che esercitano le 
funzioni del cedente, da un lato, e i rappresentanti dei lavoratori, dall�altro, 
possano convenire, nella misura in cui la legislazione o le prassi in vigore lo 
consentano, modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare 
le opportunit� occupazionali garantendo la sopravvivenza dell�impresa, 
dello stabilimento o di parti di imprese o di stabilimenti. 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

3. Uno Stato membro ha facolt� di applicare il paragrafo 2, lettera b) a 
trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi economica 
quale quella definita dal diritto nazionale, purch� tale situazione sia dichiarata 
da un�autorit� pubblica competente e sia aperta al controllo giudiziario, 
a condizione che tali disposizioni fossero gi� vigenti nel diritto nazionale 
il 17 luglio 1998 ��. 
Per quanto concerne la legislazione italiana, occorre sottolineare che il 
ricorso della Commissione, nel riportare il contenuto dell�art. 47, commi da 
3 a 6 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 (legge comunitaria per il 1990), 
non tiene conto della normativa sopravvenuta che ha modificato sia la predetta 
norma, sia l�art. 2112 del codice civile sul mantenimento dei diritti dei 
lavoratori in caso di trasferimento di azienda. 

Il comma 3 del citato articolo 47, che sostituiva i primi tre commi dell�art. 
2112 c.c., � stato cos� modificato dall�art. 2 del decreto legislativo 2 
febbraio 2001, n. 18: 

�3. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli 
obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi 
dell�art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.� 

Il comma 4 dello stesso articolo, come codificato dall�art. 2 del D.Lgs. 

n. 18/2001 prevede che: 
�4. Gli obblighi di informazione e di esame congiunto previsti dal presente 
articolo devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa 
al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata 
trasmissione da parte di quest�ultima delle informazioni necessarie non 
giustifica l�inadempimento dei predetti obblighi�. 

I commi 5 e 6 del citato articolo 47, come riportati nel ricorso della 
Commissione, sono rimasti invariati mentre i commi 1 e 2 (richiamati dal 
comma 3), come modificati dall�art. 2 D.Lgs. n. 18/2001, dispongono: 

�1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell�articolo 2112 del codice 
civile, un trasferimento d�azienda in cui sono complessivamente occupati 
pi� di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi 
una parte d�azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente e il cessionario 
devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni 
prima che sia perfezionato l�atto da cui deriva il trasferimento o che sia 
raggiunta un�intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive 
rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali 
aziendali costituite, a norma dell�articolo 19 della legge 20 maggio 1970, 

n. 300, nelle unit� produttive interessate, nonch� ai sindacati di categoria 
che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate 
al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, 
resta fermo l�obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria 
comparativamente pi� rappresentativi e pu� essere assolto dal cedente 
e dal cessionario per il tramite dell�associazione sindacale alla quale 
aderiscono o conferiscono mandato. L�informazione deve riguardare: a) la 
data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento 
d�azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi 
ultimi. 

2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di 
categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione 
di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro 
sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con 
i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, 
decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.� 
Anche i primi tre commi dell�art. 2112 c.c. sono stati cos� modificati dall�art. 
1 del D.Lgs. n. 18/2001: 

�1. In caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro continua 
con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. 

2. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti 
che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui 
agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore pu� consentire 
la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto 
di lavoro. 
3. Il cessionario � tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi 
previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti 
alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti 
da altri contratti collettivi applicabili all�impresa del cessionario. L�effetto 
di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo 
livello. 
Il comma 4 del citato art. 2112 c.c. � stato cos� modificato dall�art. 1 
D.Lgs. n. 18/2001, riproducendo con qualche novit� il �vecchio� comma 4 
dell�art. 47 l. 428/1990 : 

�4. Ferma restando la facolt� di esercitare il recesso ai sensi della normativa 
in materia di licenziamenti, il trasferimento di azienda non costituisce 
di per s� motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro 
subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento 
d�azienda, pu� rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui 
all�art. 2119, primo comma� che prevede in favore del lavoratore che recede 
per giusta causa un�indennit� equivalente all�importo della retribuzione 
che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. 

Il comma 5 dell�art. 2112 c.c. � stato inoltre sostituito dall�art. 32 del D.lgs. 
10 settembre 2003, n. 276: 

�5. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento 
di azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale 
o fusione, comporti il mutamento nella titolarit� di un�attivit� economica 
organizzata, con o senza scopo di lucro, [al fine della produzione o 
dello scambio di beni o di servizi], preesistente al trasferimento e che conserva 
nel trasferimento la propria identit� a prescindere dalla tipologia 
negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento � attuato 
ivi compreso l�usufrutto o l�affitto di azienda. Le disposizioni del presente 
articolo si applicano altres� al trasferimento di parte dell�azienda, intesa 
come articolazione funzionalmente autonoma di un�attivit� economica orga



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

nizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del 
suo trasferimento�. 

Dopo aver esattamente ricostruito il quadro vigente della legislazione italiana, 
si pu� passare a confutare gli addebiti mossi dalla Commissione, secondo 
la quale l�art. 47, commi 5 e 6 della legge n. 428/1990, nell�escludere l�applicazione 
dell�art. 2112 c.c. ai lavoratori trasferiti all�acquirente in caso di 
crisi aziendale priverebbe i lavoratori stessi delle garanzie previste dagli articoli 
3 e 4 della direttiva 2001/23/CE, trasfusi appunto nell�art. 2112 c.c. 

Come riconosciuto dalla stessa Commissione, le guarentigie apprestate 
dall�art. 2112 c.c. sono le seguenti: 

-il rapporto di lavoro continua con l�acquirente e il lavoratore conserva 
tutti i diritti che ne derivano; 
-l�alienante e l�acquirente sono obbligati in solido per tutti i crediti che 
il lavoratore aveva al tempo del trasferimento; 
-i contratti collettivi sono mantenuti; 
-il trasferimento non costituisce un motivo di licenziamento. 
Orbene, quanto alla tutela di cui al primo trattino, e salvo quanto si dir� 
in relazione alla tutela di cui al terzo trattino, si osserva che non tutti i diritti 
dei lavoratori trasferiti sono garantiti dalla direttiva; si pensi ad esempio ai 
diritti a prestazioni di vecchiaia, di invalidit� o per i superstiti dei regimi 
complementari di previdenza professionali o interprofessionali, il cui mantenimento 
� escluso dall�art. 3, paragrafo 4, lettera a) della direttiva, a meno 
che gli Stati membri dispongano diversamente. 

Una mancata previsione in tal senso non pu� quindi considerarsi in contrasto 
con la direttiva. 

Quanto alla tutela di cui al secondo trattino, va ricordato che l�art. 3, 
paragrafo 1, secondo comma della direttiva 2001/23/CE prevede una mera 
facolt� degli Stati membri di prevedere una solidariet� passiva tra cedente e 
cessionario in ordine agli obblighi nei confronti dei lavoratori derivanti dai 
rapporti di lavoro in essere prima del trasferimento. 

Non si pu� quindi ritenere che la non applicazione dell�art. 2112 c.c., 
prevista dall�art. 47, commi 5 e 6 della legge n. 428/1990 sia sotto tale profilo 
incompatibile con la direttiva. 

Quanto alla garanzia di cui al terzo trattino, va ricordato che ai sensi dell�art. 
3, paragrafo 3, comma 2 della citata direttiva, gli Stati membri possono 
limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro convenute 
mediante contratto collettivo purch� esso non sia inferiore ad un anno. 

La direttiva impone quindi in modo perentorio la conservazione delle 
medesime condizioni contrattuali solo per il primo anno successivo al trasferimento 
dell�azienda, lasciando agli Stati membri la facolt�, decorso tale 
periodo, di mutare dette condizioni. 

Quanto alla garanzia di cui al quarto trattino, occorre ricordare che l�art. 
4, paragrafo 1 della direttiva, nel prevedere che il trasferimento di un�impresa 
non � di per s� motivo di licenziamento, soggiunge, subito dopo che �tale 
dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi 
economici, tecnici o d�organizzazione che comportano variazioni sul 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

piano dell�occupazione� che � proprio la circostanza che ricorre nel caso di 
accertamento di specifici casi di crisi aziendale, ai sensi dell�art. 2, comma 
5, lettera c) della legge 12 agosto 1977 n. 675, �che presentino particolare 
rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla 
situazione produttiva del settore�. 

Alla luce di quanto sopra, pu� ritenersi che dall�esclusione dell�applicazione 
dell�art. 2112 c.c. pu� derivare una limitazione � peraltro ampiamente 
giustificata, come si vedr� pi� oltre � solo marginale dei diritti dei 
lavoratori trasferiti in caso di crisi aziendale, in quanto la maggior parte 
delle tutele previste dagli articoli 3 e 4 della direttiva sono facoltative o contemplano 
espressamente possibilit� di deroga in ragione di particolari circostanze. 


Ci� detto, anche per il ristretto ambito in cui l�esclusione dell�applicazione 
dell�art. 2112 c.c. pu� assumere un qualche rilievo, l�art. 47, commi 5 
e 6 della legge n. 428/1990 appare pienamente conforme alla direttiva 
2001/23/CE. 

L�art. 5, paragrafo 1 della direttiva 2001/23/CE preveda espressamente 
la non applicazione degli articoli 3 e 4 ai trasferimenti di imprese oggetto di 
procedura fallimentare o di altra procedura di insolvenza analoga aperta in 
vista della liquidazione dei beni del cedente. 

La giurisprudenza della Corte di giustizia ha pi� volte escluso che possano 
rientrare in tali tipi di procedure concorsuali quelle volte ad un risanamento 
dell�impresa pi� che a una liquidazione della stessa. 

Si veda in proposito la sentenza del 7 dicembre 1995, causa C-472/93, 
Spano, che si � occupata proprio di un trasferimento di azienda di cui era 
stato dichiarato lo stato di crisi ai sensi dell�art. 2, comma 5, lett. c) della 
legge 12 agosto 1977, n. 675. 

La Corte ha affermato che le imprese di cui il CIPI � Comitato 
Interministeriale per il Coordinamento della Politica Industriale � accerta lo 
stato di crisi (a seguito della soppressione del CIPI, tale ruolo � svolto dal 
Ministero del lavoro e della previdenza sociale), sono caratterizzate da una 
situazione patrimoniale che consente il proseguimento dell�attivit� produttiva 
senza significative interruzioni e hanno concrete prospettive di recupero. 
Di conseguenza, un�impresa di cui sia stato dichiarato lo stato di crisi � 
oggetto di un procedimento che, lungi dal tendere alla liquidazione dell�impresa, 
mira al contrario a favorire la prosecuzione della sua attivit� nella prospettiva 
di una futura ripresa. 

Con la sentenza del 25 luglio 1991, causa C-362/89, D�Urso, la Corte ha 
affermato il medesimo principio in caso di trasferimento di azienda conseguente 
ad un provvedimento di amministrazione straordinaria delle grandi 
imprese in crisi di cui alla legge 3 aprile 1979, n. 95, la cui finalit� sta, anche 
qui, nel restituire all�impresa un equilibrio che consenta di garantire la ripresa 
della sua attivit� futura. 

� stata altres� esclusa l�applicabilit� della deroga di cui all�art. 5, paragrafo 
1 della direttiva (che consente la non applicabilit� degli articoli 3 e 4) 
anche al trasferimento di un�impresa avvenuto nell�ambito di un procedi



IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

mento proprio del diritto danese noto come �surseance van betaling� (sospensione 
dei pagamenti) che non � finalizzato alla liquidazione dei beni del 
cedente (Corte di giustizia, sentenza del 7 febbraio 1985, causa C-135/83, 
Abels). 

Alla luce di tre precedenti conformi della Corte di giustizia, non pu� 
ragionevolmente sostenersi che il trasferimento di impresa in caso di crisi 
aziendale possa rientrare nell�ambito di applicazione dell�art. 5, paragrafo 1 
della direttiva in quanto non finalizzato alla liquidazione dei beni del cedente.

� per� possibile far rientrare la fattispecie in esame nell�ambito delle 
deroghe previste dall�art. 5, paragrafi 2 e 3 della direttiva 2001/23/CE che 
consentono, a determinate condizioni, la non applicabilit� degli articoli 3 e 4 
della direttiva medesima, rendendo cos� pienamente conforme la previsione 
di non applicazione dell�art. 2112 c.c. 

In proposito, non appare convincente l�affermazione della Commissione 
secondo la quale l�art. 5, paragrafo 2 presupporrebbe l�applicabilit� degli 
articoli 3 e 4 in quanto l�incipit di tale paragrafo �: �quando gli articoli 3 e 4 
si applicano�.

� evidente infatti che ci� sta a significare che si � fuori dall�ambito di 
applicazione dell�art. 5, paragrafo 1 che esclude l�applicazione degli articoli 
3 e 4 per i trasferimenti di imprese soggette a procedure fallimentari o ad altre 
procedure d�insolvenza finalizzate alla liquidazione dei beni del cedente. 

L�art. 5, paragrafo 2 si riferisce invece ai trasferimenti nel corso di una 
procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente �indipendentemente 
dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei 
beni del cedente stesso�, ipotesi che si attaglia quindi al caso della dichiarazione 
di crisi aziendale oggetto del presente procedimento. 

Per tali casi, pur essendo applicabili gli articoli 3 e 4 della direttiva, 
l�art. 5, paragrafo 2 prevede una sostanziale deroga che consente �nonostante 
l�articolo 3, paragrafo 1� di non trasferire al cessionario gli obblighi del 
cedente nei confronti del lavoratori in base ai rapporti di lavoro in essere 
prima del trasferimento a condizione che tale procedura di insolvenza dia 
adito ad una protezione almeno equivalente a quella prevista dalla direttiva 
80/987/CEE concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati 
membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza 
del datore di lavoro. 

Orbene, in base all�art. 4 della citata direttiva 80/987/CEE, come modificata 
dalla direttiva 2002/74/CE, in caso di insolvenza del datore di lavoro, 
gli organismi di garanzia assicurano ai lavoratori i diritti non pagati relativi 
alla retribuzione degli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro.

� evidente che il meccanismo della Cassa Integrazione Guadagni 
Straordinaria (CIGS), previsto in funzione di ammortizzatore sociale per il 
personale in esubero rimasto alle dipendenze del cedente, ha una durata ben 
pi� estesa, essendo peraltro finalizzato alla graduale assunzione di tale personale 
da parte del cessionario, con priorit� rispetto alle eventuali altre 
assunzioni che quest�ultimo si determini ad effettuare entro un anno dal trasferimento, 
come previsto dall�art. 47, comma 6 della legge n. 428/90. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Quanto alla deroga prevista dall�art. 5, paragrafo 3 della direttiva 
2001/23/CE, questa � contemplata proprio per i trasferimenti in cui il cedente 
sia in una situazione di grave crisi economica quale definita dal diritto 
nazionale, purch� tale situazione sia dichiarata da un�autorit� pubblica competente 
e sia aperta al controllo giudiziario. 

Tale deroga consente di convenire modifiche alle condizioni di lavoro 
dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunit� occupazionali garantendo 
la sopravvivenza dell�impresa. 

In proposito, come gi� osservato nella fase precontenziosa, l�art. 47, 
comma 5, individua una procedura compatibile sotto tutti i punti di vista con 
quella richiesta per l�attivazione della deroga di cui all�art. 5, paragrafo 3 
della direttiva. 

In particolare, � necessaria una situazione di grave crisi economica, 
dichiarata da un�autorit� pubblica (il CIPI, ora il Ministero del Lavoro); � 
prevista l�esigenza di salvaguardia delle opportunit� occupazionali; � necessario 
un accordo tra cessionario, cedente e rappresentanti dei lavoratori; vi � 
un�apertura al controllo giudiziario in quanto il mancato rispetto della procedura 
prevista dalla norma considerata, per quanto concerne in particolare la 
conclusione dell�accordo, legittima le parti pretermesse a ricorrere all�autorit� 
giudiziaria competente. 

Va inoltre ribadita l�argomentazione gi� avanzata sia in fase precontenziosa, 
sia nei tre precedenti giurisprudenziali citati (sentenza Abels, punto 
21; sentenza D�Urso, punto 18 e sentenza Spano, punto 23) secondo la quale 
la rigida applicazione dell�articolo 2112 c.c. e degli articoli 3 e 4 della direttiva, 
anche laddove la stessa ne consenta una parziale deroga, costituirebbe 
un disincentivo per gli imprenditori eventualmente disposti ad acquisire 
l�impresa in stato di crisi, vista l�onerosit� del passaggio di tutti i lavoratori, 
non supportata da alcun incentivo connesso alla loro assunzione, con un 
effetto finale complessivamente deteriore per i lavoratori. 

Un�interpretazione della direttiva che si risolva nell�impedire che i lavoratori 
in soprannumero dell�impresa restino alle dipendenze del cedente 
potrebbe infatti risultare meno favorevole ai lavoratori medesimi sia perch� 
il potenziale cessionario potrebbe essere dissuaso dall�acquistare l�impresa 
dalla prospettiva di dover mantenere in servizio il personale eccedente dell�impresa 
trasferita, sia perch� il personale verrebbe licenziato e perderebbe 
quindi i vantaggi che avrebbe eventualmente potuto trarre dalla continuazione 
del rapporto di lavoro con il cedente, godendo comunque del diritto di 
precedenza nelle assunzioni effettuate dal cessionario entro un anno dal trasferimento 
dell�impresa. 

Invero la Corte ha ribattuto a tale deduzione con un�argomentazione che 
non appare convincente e che anzi appare confermare la bont� della tesi 
interpretativa sopra propugnata. 

Sostiene la Corte (sentenza D�Urso, punto 19) che, �se in forza dell�art. 
4, n. 1, la direttiva vieta che il trasferimento costituisca di per s� un motivo 
di licenziamento per il cedente o per il cessionario, essa non pregiudica i 
licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici e di 


IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso 

organizzazione che comportano variazioni sul piano dell�occupazione. Va 
aggiunto che la direttiva non si oppone nemmeno a che, qualora una disciplina 
nazionale implichi a favore del cedente disposizioni che gli consentono 
di alleviare o di sopprimere gli oneri connessi all�occupazione dei lavoratori 
in soprannumero, per evitare nella misura del possibile licenziamenti, 
dette disposizioni si applichino, dopo il trasferimento, a vantaggio del cessionario�. 


Non pu� sfuggire che detta argomentazione, anzich� scalfire la tesi della 
piena compatibilit� della legislazione italiana con i principi e la ratio della 
direttiva, non fa che confermarne la correttezza. 

Si veda in proposito, per quanto riguarda la giurisprudenza italiana, la 
sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, del 16.5.2002, n. 7120 in 
base alla quale, �in tema di trasferimento di azienda, l�art. 47, comma quinto, 
della legge n. 428 del 1990 deve essere interpretato nel senso che l�accordo 
sindacale di deroga all�art. 2112 c.c., per un verso, e la dichiarazione dello 
stato di crisi aziendale, l�omologazione del concordato preventivo o gli altri 
eventi menzionati dalla norma, per altro verso, concretano due condizioni 
che devono congiuntamente sussistere nel momento in cui diviene operativo 
il trasferimento di azienda dal cedente al cessionario, ferma restando l�insussistenza 
di una rigida sequenza temporale tra l�accordo sindacale e la richiesta 
di dichiarazione di stato di crisi e gli altri eventi previsti, nel senso della 
non necessaria posteriorit� dell�accordo. La suddetta interpretazione risulta 
conforme alla lettera e alla ratio della disposizione in oggetto ma altres� 
rispettosa del principio pi� volte affermato dalla Corte di giustizia secondo 
cui il giudice nazionale ha l�obbligo di adottare, tra diverse possibili letture 
di una norma interna, quella maggiormente aderente al diritto comunitario�. 

Il Governo italiano conclude quindi nel senso che l�art. 47, commi 5 e 6 
della legge n. 428/1990 � conforme alla direttiva 2001/23/CE in quanto la 
deroga all�applicazione dell�art. 2112 c.c., che ha recepito le tutele a favore 
dei lavoratori previste in caso di trasferimento di azienda dagli articoli 3 e 4 
della predetta direttiva, � consentita dall�art. 5, paragrafi 2 e 3 della direttiva 
medesima. 

Roma, 27 febbraio 2008 Avv. Wally Ferrante�. 


I P ARERI 
DEL COMIT A T O 
CONSUL TIV O 
Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo � Parere del 26 ottobre 
2007 n. 46144(*). 

Gara per l�espletamento dei servizi di pulizia nelle scuole statali. 
Esclusione di partecipante (contenzioso 2022/07, avvocato M. Mango). 

�(�) La questione sottoposta all�esame della Scrivente � relativa alla 
prospettata impossibilit� di legittima partecipazione alla gara di [un�associazione 
temporanea di imprese di cui fa parte una societ�] (aggiudicataria 
provvisoria) a capitale pubblico facente capo al Ministero dell�Economia ed 
al Comune [�]. 

La materia � disciplinata dall�art. 13 del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito 
in legge 4 agosto 2006 n. 248, a norma del quale ��le societ� a capitale 
interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni 
pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali 
all�attivit� di tali enti� con esclusione dei servizi pubblici locali� non 
possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, n� 
in affidamento diretto n� con gara��. 

L�esclusione dal divieto dei �servizi pubblici locali�, secondo il parere 
dello studio [�] allegato alla nota in riferimento, sarebbe tale da legittimare 

(*) Sulla legittimazione delle societ� a partecipazione pubblica � La questione affrontata 
nel parere � reso in via ordinaria � riguarda l�ambito soggettivo ed oggettivo dell�art. 13 
del noto d.l. Bersani (d.l. 4 luglio 2006 n. 233, conv. in legge 4 agosto 2006 n. 248). 

L�interpretazione fornita � del tutto diversa rispetto a quella propugnata da uno studio 
legale privato in sede consultiva pro veritate � tende ad attribuire alla norma la massima 
estensione possibile, anche in virt� del fatto che una delle ragioni della sua emanazione (resa 
manifesta nella rubrica) � costituita dall�esigenza di contenere i costi dell� �apparato pubblico� 
ampiamente inteso. 

Il parere si discosta consapevolmente dalla tesi di Caja (ovviamente non citato in termini 
espressi), in un articolo pubblicato su giustamm.it (GIUSEPPE CAIA, Norme per la riduzione 
dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza) e da 
alcune difese assunte dall�Avvocatura in sede di giustizia comunitaria. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

la partecipazione alla gara dell�[Associazione temporanea] di cui fa parte la 
Societ� [a partecipazione pubblica], atteso che essa � stata costituita, �nel 
quadro della salvaguardia e della creazione di nuovi posti di lavoro�, proprio 
per lo svolgimento �di pubblici servizi di interesse municipale� (cos� il parere 
di che trattasi, che riporta testualmente le relative previsioni dell�atto 
costitutivo e dello statuto), che il Comune ha ritenuto di �assumere� in proprio 
mediante la creazione di un apposito organismo. Il parere elenca poi i 
possibili servizi pubblici (�pulizia, manutenzione e gestione degli immobili 
comunali; gestione e manutenzione delle aree a verde pubblico; gestione dei 
gabinetti pubblici�), con esemplificazione che non risulta per� avere corrispondenza 
dell�atto costitutivo della societ�. 

Ad avviso della Scrivente, le conclusioni raggiunte nel predetto parere 
non possono essere condivise. N�, ovviamente, potrebbero assumere in contrario 
rilievo decisivo le determinazioni adottate da altra amministrazione 
[�], che ha ammesso la [stessa] societ� ad una gara da essa espletata. 

Una corretta soluzione della questione prospettata non pu� prescindere 
dallo scopo perseguito dal citato art. 13, diretto (come gi� risulta dalla stessa 
rubrica: �norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali 
e locali e a tutela della concorrenza�), non solo ad eliminare ogni possibile 
fonte di alterazione della concorrenza derivante dalla peculiare struttura di 
tali societ� (nelle quali la presenza, diretta o mediata, della mano pubblica 
finirebbe in sostanza con l�eludere il rischio di impresa), ma anche ad assicurare 
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, evitando 
�un fenomeno � la proliferazione di societ� pubbliche o miste � che � considerato 
una delle cause dell�incremento della spesa pubblica da parte degli 
enti locali� (Cons. Stato, II sez., 25 settembre 2007 n. 322). 

La evidenziata ratio legis costituisce la chiave di volta per la corretta 
interpretazione delle disposizioni della cui applicazione si tratta e, segnatamente, 
dell�espressione �con esclusione dei servizi pubblici locali�, alla stregua 
della quale dovrebbe ritenersi consentita la partecipazione alla gara di 
cui all�oggetto. E il (pur non perspicuo) dato normativo, letto in tale ottica, 
non consente, ad avviso della Scrivente, interpretazioni che possano comportare 
l�ammissione alla gara dell�[Associazione temporanea] di cui fa parte la 
societ� [a partecipazione pubblica]. 

Non � superfluo osservare in primo luogo, che l�ampiezza della previsione 
di cui al primo comma del citato art. 13 (che testualmente esclude dal �mercato 
libero�, senza alcuna distinzione, tutte le societ� a capitale interamente 
pubblico o misto costituite per la produzione di beni e servizi strumentali 
all�attivit� delle Amministrazioni regionali e locali) � tale da impedire, ad avviso 
della Scrivente, un�interpretazione alla stregua della quale il divieto possa 
intendersi riferito solamente alle societ� destinatarie di affidamenti c.d. in 
house (come pure ritenuto da alcuni commentatori delle disposizioni qui in 
esame) . Tale conclusione, peraltro, appare coerente alla tendenziale evoluzione 
della legislazione, diretta, in considerazione dei principi comunitari, a ridurre 
la presenza pubblica nell�economia e nel mercato: in un quadro di tal fatta 
sembrerebbe incongrua un�interpretazione che consentisse alle Amministra



I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

zioni di operare liberamente sul mercato tramite societ� che potrebbero in definitiva 
fruire di un �ombrello� costituito dalla partecipazione pubblica, potenzialmente 
in grado, attraverso i possibili interventi finanziari dell�Amministrazione 
partecipante, di alterare le regole della concorrenza . L�interpretazione 
qui propugnata appare peraltro coerente con quella sostenuta dall�Autorit� di 
Vigilanza nella delibera 9 maggio 2007 (allegata alla nota in riferimento); ed 
inoltre con quella della giurisprudenza (comunitaria e nazionale) che ha individuato 
limiti assai ristretti per gli affidamenti diretti (che costituiscono eccezione 
all�applicazione della normativa sugli appalti pubblici), ritenuti consentiti 
solo quando manchi un vero e proprio rapporto contrattuale tra 
Amministrazione aggiudicatrice e societ� affidataria, che venga in pratica a 
configurarsi come una longa manus dell�Amministrazione (nei ristrettissimi 
limiti in cui possa considerarsi che essa eserciti nei confronti dell�affidatario il 

c.d. �controllo analogo�). In questo quadro intendere il divieto di cui all�art. 13 
come riferito ai soli affidamenti in house svuoterebbe di pratico significato la 
novella normativa, attesa la gi� esistente tendenziale esclusivit� del rapporto 
affidatario/Amministrazione controllante. 
Tanto chiarito, occorre verificare se la partecipazione alla gara di che 
trattasi possa ritenersi consentita con riferimento all�esclusione del divieto di 
operare sul mercato per le societ� a capitale interamente o parzialmente pubblico 
per i servizi pubblici locali, nonch� per lo svolgimento esternalizzato 
delle funzioni amministrative. 

Nel parere dello studio [legale] sembra postularsi che l�esclusione dal 
divieto sia da intendere riferita (�soggettivamente�) anche alle societ� costituite 
al generico fine dello svolgimento �di pubblici servizi di interesse municipale�, 
�nel quadro della salvaguardia e della creazione di nuovi posti di lavoro� 
(obiettivi, questi, che non costituiscono peraltro alcun �pubblico servizio�). 

Siffatta prospettazione non appare, ad avviso di questa Avvocatura, condivisibile 
e non consentirebbe comunque la partecipazione alla gara di che 
trattasi dell�[Associazione temporanea] di cui fa parte la societ� [partecipata 
pubblica]. 

Da un lato, infatti, non pu� ritenersi accettabile che quella che appare in 
definitiva una semplice ed astratta dichiarazione di intenti possa essere una 
sorta di �grimaldello� atto a consentire la libera partecipazione al mercato (in 
qualunque settore) di imprese i cui ambiti di operativit� il legislatore vuole 
ridurre, limitare e comunque ricondurre ad un rapporto di esclusivit� con 
l�Amministrazione partecipante. In altri termini, l�esclusione del divieto si 
potrebbe profilare solo per quelle societ� costituite in vista della gestione di 
uno specifico, concreto ed individuato servizio pubblico, come appare peraltro 
confermato, ad avviso della Scrivente, dalla disposizione di cui al secondo 
comma dell�art. 13, a mente del quale �le societ� di cui al comma 1 sono 
ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole 
di cui al comma 1�. 

D�altronde, a parere di questa Avvocatura, l�esclusione del divieto per i 
servizi pubblici locali va piuttosto intesa, �oggettivamente�, con specifico 
riferimento all�attivit� effettivamente e concretamente svolta dalla societ� par



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tecipata che il legislatore ha ritenuto possa legittimamente svolgersi anche in 
favore di altri soggetti, senza che ci� comporti alterazioni della concorrenza, 
proprio in funzione della sua specificit� ma senza che gli ambiti di operativit� 
della societ� partecipata possano estendersi al di l� di quelli in funzione dei 
quali la societ� � stata costituita (anche qui in considerazione dell�esclusivit� 
dell�oggetto sociale cui si riferisce il ricordato secondo comma dell�art 13). 
Tale conclusione, peraltro, spiega il perch� dell�esclusione del divieto per lo 
svolgimento esternalizzato di funzioni (termine, questo, utilizzato dal legislatore 
in senso atecnico) amministrative, l�affidamento del quale, diversamente 
opinando, pur costituendo in sostanza una semplice delega di attivit� amministrative 
dovrebbe incongruamente considerarsi idoneo a legittimare una illimitata 
operativit� sul mercato della societ� affidataria. 

Sotto questo profilo, dunque, anche a voler riconoscere efficacia alla 
�dichiarazione di intenti� contenuta nell�atto costitutivo e nello statuto della 
societ� [partecipata pubblica] non potrebbe non considerarsi che la gara di 
che trattasi � diretta ad affidare, mediante le ordinarie procedure di scelta del 
contraente bandite da codesta Amministrazione, la pulizia di tutte le scuole 
esistenti nel territorio regionale (e riguarda perci� lo svolgimento di attivit� 
serventi rispetto al servizio pubblico (istruzione) offerto dall�Amministrazione 
scolastica, che non possono a loro volta essere qualificate come �servizio 
pubblico�, in mancanza del requisito consistente � secondo la costante 
giurisprudenza del G.O. (Cass. SS.UU. 3 agosto 2006 n. 17573) e quella di 
gran lunga prevalente del Giudice amministrativo � nell�essere l�attivit� 
rivolta direttamente a soddisfare le esigenze dell�utenza, in un rapporto trilatero 
che vede coinvolti l�Amministrazione, il gestore e, appunto, l�utenza 
(cfr. pure l�art. 30 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, sulla definizione della 
concessione di servizi). 

Anche in forza delle considerazioni che precedono sembra dunque non 
possa ritenersi consentita la partecipazione alla gara di cui all�oggetto 
dell�[Associazione temporanea], la possibilit� della cui esclusione (previo 
avviso del relativo Procedimento) codesta Amministrazione vorr� quindi 
valutare [�]�. 

A.G.S. � Parere del 13 novembre 2007 n. 121454(*). 
Costituzione di parte civile del Commissario straordinario del Governo 
per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura nei processi per 
estorsione ed usura (consultivo 38551/07, avvocato M. Borgo). 

�(�) codesto Commissario ha chiesto di conoscere il parere di questo 
Generale Ufficio in ordine alla possibilit� che il Commissario straordinario 
del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura si 

(*) Parere reso dall�Avvocatura generale dello Stato in via ordinaria. 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

costituisca parte civile nei processi penali per estorsione ed usura, e si rappresenta 
quanto segue. 

L�art. 185 del c.p. prevede, come noto, che qualsiasi reato, che abbia 
cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga il colpevole e 
coloro che in virt� delle disposizioni delle leggi civili siano tenuti a rispondere 
del fatto di lui, al risarcimento del danno. 

Tale obbligazione ha natura essenzialmente civilistica, pertanto le disposizioni 
del suddetto articolo non hanno efficacia costitutiva di essa ma mirano 
principalmente ad integrare i principi generali sanciti dagli artt. 2043 e 
2059 del c.c. che danno di detta obbligazione, e quindi del diritto che sorge 
in capo al soggetto che di essa risulti �beneficiario�, un�enunciazione ed 
un�applicazione pi� ampia di quella penale e ci� in virt� della fondamentale 
differenza che sussiste tra l�illecito civile e l�illecito penale: il primo, infatti, 
in via generale, determina l�obbligo di risarcire soltanto il danno patrimoniale 
arrecato, nel secondo invece al ristoro del danno patrimoniale si accompagna 
l�obbligo di risarcire anche quello non patrimoniale. 

La ragione di detta diversit� discende in via diretta dalla genericit� della 
lesione che si verifica nell�ipotesi di illecito civile, consistente nella �generica� 
violazione del principio del neminem laedere, e dalla specificit� di 
quella che si realizza nel caso di illecito penale, la quale, concretizzando 
delle precostituite figure di reato, consente di individuare l�oggetto specifico 
dell�interesse protetto attraverso la norma incriminatrice. 

Provvede a concretizzare il contenuto dell�art. 185 c.p., da un punto di 
vista procedurale, e quindi a chiarire le modalit� attraverso cui l�azione civile 
pu� essere esperita all�interno del procedimento penale, l�art. 74 c.p.p.: in 
esso si afferma che le azioni civili dirette ad ottenere le restituzioni e il risarcimento 
del danno, possono essere fatte valere dal �soggetto al quale il reato 
ha recato danno�. 

Con questa definizione si identifica, quindi, la figura giuridica del �danneggiato�: 
deve considerarsi tale chiunque abbia subito, per effetto del reato, 
ovvero dell�azione o omissione imputata al soggetto attivo dello stesso, un 
danno eziologicamente ad esso riferibile, in quanto costituente di questodiretta conseguenza. � legittimato, quindi, ad esercitare l�azione civile nel 
procedimento penale, non chiunque abbia sofferto un qualsiasi danno dal 
fatto costituente reato, bens� chi abbia sofferto un danno di cui il reato sia 
stato causa immediata (danno diretto ed effettivo) e per di pi� esso deve essere 
necessariamente correlato alla lesione di un diritto soggettivo, il quale normalmente 
attiene al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. 

A tale �danneggiato� � quindi accordata la possibilit� di inserire la propria 
domanda risarcitoria anche all�interno del procedimento penale: l�art. 74 

c.p.p. viene, pertanto, a configurare un�ipotesi di trasferimento dell�azione 
civile in sede penale. Un trasferimento che il legislatore del 1989 ha voluto 
disciplinare in maniera particolarmente attenta nel nuovo codice di rito, allo 
scopo di arginare le �degenerazioni� che si erano invece verificate nel periodo 
di vigenza di quello antecedente, nel quale la disciplina a �maglie larghe� 
in tema di esercizio dell�azione civile in sede penale, aveva consentito un 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

proliferare di �costituzioni di parti civili� da parte di soggetti che non ne possedevano 
tutti i crismi: nel nuovo codice, invece, l�attenzione del legislatore 
� stata volta fondamentalmente a scemare il numero di soggetti legittimati ad 
intervenire nel procedimento penale, limitandolo soltanto a coloro che 
mostrino e tutelino un �interesse� diretto e chiaro in esso. 

In particolare, il legislatore ha subordinato la legittimit� della costituzione 
di parte civile alla sussistenza e al possesso, da parte di chi la propone, di 
due presupposti fondamentali, che possono identificarsi: a) nella legittimatio 
ad causam ovvero la titolarit� di un diritto soggettivo pieno, diretto ed immediato, 
tutelabile in sede penale, al quale l�offesa concretizzante il reato ha 
recato danno, determinandone la lesione e del quale si pretende il risarcimento; 
b) nella legittimatio ad processum ovvero la sussistenza nel soggetto che 
interviene nel procedimento penale, del potere di tutelare, legittimamente, i 
diritti lesi. 

Alla luce di quanto sopra, questo Generale Ufficio ritiene, ad un primo 
esame, che la prospettata costituzione di parte civile di codesto Commissario 
nei processi penali per estorsione ed usura potrebbe ritenersi ammissibile. 

Ed invero, come evidenziato da codesto Ufficio commissariale, il primo 
dei presupposti di legittimit� dell�esercizio dell�azione civile in sede penale, 
sopra menzionati, ovvero la legittimatio ad causam, potrebbe essere identificato, 
nel caso che ci occupa, nel diritto dello Stato, e per esso di codesto 
Commissario, ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale consistente 
nell�esborso economico cui l�Amministrazione statale � tenuta, per legge, in 
relazione alla concessione dei benefici economici spettanti alle vittime dei 
fenomeni dell�estorsione e dell�usura. 

Ci� posto, e passando ai profili di opportunit� della prospettata costituzione 
di parte civile (profili che, come noto, costituiscono oggetto di valutazione 
da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri cui, ai sensi dell�art. 
1, comma 3, della legge 3 gennaio 1991 n. 3, � attribuito il compito di 
autorizzare la costituzione di parte civile dello Stato), questo Generale 
Ufficio ritiene che l�esercizio dell�azione civile dovrebbe essere, comunque, 
limitato a quelle fattispecie processuali che abbiano ad oggetto fenomeni 
estorsivi che, per la loro dimensione, pervasivit� e capillarit� sul territorio, 
vedano danneggiati non soltanto gli imprenditori ma gli stessi cittadini che 
vivono in una determinata zona del Paese. 

A questo ultimo proposito, la Scrivente segnala come, di recente, alcune 
associazioni, nate a seguito di spontanei fenomeni di aggregazione che 
hanno interessato soprattutto il territorio siciliano, si siano costituite parte 
civile in alcuni processi penali aventi ad oggetto reati estorsivi o, comunque, 
reati connessi al fenomeno del racket. 

Negli atti di costituzione di parte civile, le predette associazioni hanno 
reclamato il risarcimento del danno non patrimoniale, evidenziando come 
�reati come l�estorsione, consumata o tentata, specie se aggravati, per avere 
gli imputati commesso i fatti avvalendosi delle condizioni di cui all�art. 416 
bis c.p. ed al fine di agevolare l�attivit� dell�associazione di stampo mafioso 
in cui sono inseriti (v. art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

12 luglio 1991 n. 203), di per s� costituiscono un attentato alla libert� commerciale 
ed imprenditoriale che, gi� diritto soggettivo delle parti offese, 
siano esse persone fisiche o giuridiche, quando assunta nell�oggetto sociale, 
diventa anche diritto soggettivo del sodalizio che si proponga di tutelarla, 
ed in questa diversa dimensione, � possibile oggetto di ulteriore lesione 
e di risarcimento�; gli imputati, avvalendosi della forza di intimidazione 
del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omert� 
che ne deriva, hanno commesso, per diversi anni, svariati episodi di estorsione 
consumata o tentata in danno di diversi imprenditori, imponendo il 
�pizzo� a chi esercitasse un�attivit� economicamente rilevante, con pari 
guadagno illecito da parte dell�organizzazione e dei suoi sodali e associati. 
Ci� ha profondamente alterato e compresso la libert� di iniziativa economica 
dei singoli operatori presenti nel territorio, impedendo il pieno sviluppo 
della loro capacit� imprenditoriale�. 

Alla luce di quanto sopra, non vi � chi non veda l�importanza, anche da 
un punto di vista dell�immagine, per lo Stato, quale ente esponenziale della 
collettivit� nazionale, di partecipare, quale parte civile, a processi penali in 
cui vengano in rilievo vicende estorsive ovvero legate al fenomeno dell�usura 
che, come pi� sopra evidenziato, per dimensioni e caratteristiche, si traducono 
in una vera e propria vessazione delle popolazioni di una determinata 
zona del Paese. 

Una partecipazione, quella di cui sopra, che potrebbe assumere, tra l�altro, 
una valenza, per cos� dire simbolica, e che potrebbe costituire uno sprone 
nei confronti di tutti quegli imprenditori che, ancora oggi, percepiscono il 
�pizzo�, non come una limitazione della propria libert� imprenditoriale, ma 
come un costo di impresa da affrontare per potere operare nel mercato. 

La partecipazione nei processi penali, da parte dello Stato, in qualit� di 
parte civile, potrebbe, pertanto, essere volta a dimostrare la responsabilizzazione 
dello stesso Stato italiano che, conscio dei propri doveri e dei propri 
diritti, si ritiene legittimato a costituirsi parte civile, accanto ed insieme ai 
commercianti vessati, perch� la diffusione capillare di fenomeni come quello 
del racket delle estorsioni danneggia non solo i singoli commercianti, ma 
anche i cittadini che nello stesso contesto vivono ed effettuano i propri 
acquisti. (�)�. 

A.G.S. � Parere del 14 novembre 2007 n. 121841. 
D.Lgs. 286/06, art. 2, comma 73 � Imposta di consumo sul gas metano 

� Applicazione dell�aliquota ridotta al settore della distribuzione commerciale 
(consultivo 29067/07, avvocato G. Albenzio). 
�In risposta al quesito posto da codesta Agenzia delle Dogane (�), in 
ordine alla corretta individuazione dei soggetti aventi diritto all�agevolazione 
disposta con l�articolo 2, comma 73, della legge 24 novembre 2006, n. 
286 (conversione del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262), questa Avvocatura 
Generale dello Stato osserva quanto segue. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

1. Con la norma in argomento � stata disposta l�estensione del regime agevolato 
dell�accisa sul gas naturale (metano) comprendendo tra gli �usi industriali� 
anche quelli relativi al �settore della distribuzione commerciale�. 
Al fine di individuare correttamente l�ambito di estensione di quella 
espressione e prima di esprimere ogni altra considerazione in merito, va individuata 
la ratio della disposizione di cui si discute, secondo lo spirito di 
fondo della norma ed alla finalit� che ha condotto il Legislatore ad estendere 
l�ambito applicativo dell�aliquota ridotta.

� evidente, in primo luogo, che il nuovo testo della disposizione introduce 
un importante sgravio fiscale per la categoria della �distribuzione commerciale� 
che pu� cos� fruire di un notevole risparmio sull�imposta di consumo 
sul gas metano destinato alla combustione nei locali adibiti all�attivit� 
commerciale; ma, al di l� del dato oggettivo costituito dal risparmio degli 
imprenditori, � significativa la parificazione delle attivit� commerciali alle 
�aziende produttive� e, quindi, alle imprese industriali, artigiane, agricole e 
del turismo (gi� considerate ai fini della accisa di cui si discute) con costi di 
riscaldamento riconosciuti alla stregua di �costi aziendali�. 

Proprio da questa equiparazione che il legislatore ha inteso stabilire, 
occorre prendere le mosse ai fini di una corretta individuazione dei soggetti 
ammessi a godere del beneficio fiscale. 

2. Il Legislatore ha compreso nella novella legislativa la categoria generale 
di coloro che svolgono una attivit� nel �settore della distribuzione commerciale�, 
senza alcuna limitazione della portata dell�agevolazione e del suo 
campo di applicazione, ed � proprio la genericit� del dato normativo e la sua 
atecnicit� (nel senso della non coincidenza con le categorie del commercio 
definite in altri testi di legge, quali l�art. 4, par. 1, D.Lgs. 114/98 richiamato 
nella nota cui si risponde) che, se fa sorgere le difficolt� interpretative evidenziate 
da codesta Agenzia, gi� depone per una individuazione dell�ambito 
di applicazione dell�agevolazione senza limitazioni all�interno di quella categoria 
generale contemplata (�settore della distribuzione commerciale�). 
L�interpretazione del dato letterale come test� riportata trova conferma 
nell�elaborazione della nozione di �distribuzione commerciale� maturata 
dalla dottrina economica come lo strumento attraverso il quale vengono 
immesse merci e servizi sul mercato, con le diverse forme di organizzazione 
della distribuzione diretta (ove la vendita si attua direttamente nella sede dell�impresa 
e ove � l�impresa stessa che assume su di s� tutte le funzioni attinenti 
alla messa in commercio del prodotto) e della distribuzione indiretta 
(nella quale, invece, operatori commerciali autonomi operano a diversi livelli, 
quali dettaglianti o grossisti, ponendosi come intermediari tra produttore 
e consumatore finale). 

Pertanto, oltre al settore del commercio al dettaglio, cos� come definito 
all�art. 4, paragrafo 1, lettera b) del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 
114 richiamato da codesta Agenzia, sembra doveroso, a parere di questa 
Avvocatura Generale, ricomprendere tra i soggetti destinatari dell�agevolazione 
de qua anche coloro che svolgono un�attivit� di commercio all�ingrosso 
ed, analogamente, gli esercenti una attivit� di intermediazione commer



I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

ciale o comunque non direttamente connessa alla vendita diretta al consumatore 
finale. 

Non vi � ragione, poi, per escludere dal novero di coloro che possono 
fruire dell�applicazione dell�aliquota ridotta gli esercenti le attivit� della vendita 
per catalogo e del commercio elettronico che devono essere riconosciute, 
a tutti gli effetti, quali attivit� di distribuzione commerciale, qualificate 
nello stesso D.L. 31 marzo 1998, n. 114 prima citato all�art. 4, lettera h), 
come �forme speciali di vendita al dettaglio� e, nel caso del commercio elettronico, 
disciplinate specificatamente a livello europeo (cfr. D.L. n. 70 del 
2003 con il quale � stata attuata nel nostro ordinamento la Direttiva CE 31/00 
di disciplina dei servizi della societ� dell�informazione e, in sostanza, anche 
del commercio elettronico, anche se il legislatore europeo non ha inteso 
regolamentare direttamente i complessi rapporti tra la normativa attinente ai 
contratti di distribuzione e quella riguardante l�e-commerce, rimandando con 
ci� ai principi generali del diritto comunitario). 

3. Quanto allo specifico quesito di codesta Agenzia, se l�attivit� di somministrazione 
delle bevande possa essere considerata attivit� di distribuzione 
commerciale e se, dunque, possano farsi rientrare tra i soggetti beneficiari 
dell�agevolazione anche i titolari di bar, birrerie o simili, questa 
Avvocatura Generale � dell�avviso che, seppur correttamente inquadrabili 
nel novero delle �prestazioni di servizio�, quelle attivit� devono pur sempre 
essere riconosciute facenti parte del pi� ampio settore della �distribuzione 
commerciale�, sia per la loro caratteristica economica sia per il riscontro 
normativo dato dalla nota (1) dell�art. 26 comma 1 del Testo Unico Accise, 
ora comma 3 dello stesso articolo, dopo la riformulazione ex art. 1, comma 
1, lett. i), D.Lgs. 2/2/2007 n. 26 [ove � dato leggere che �sono considerati 
compresi negli usi industriali gli impieghi del gas naturale (�) in tutte le 
attivit� industriali produttive di beni e servizi e nelle attivit� artigianali ed 
agricole (�)�] sia per coerenza con la ratio della normativa in esame come 
sopra delineata (equiparazione tra attivit� industriali ed attivit� commerciali 
in genere). 
Quanto, infine, alla possibilit� di individuare restrittivamente l�ambito di 
operativit� dell�esenzione introdotta dall�articolo 2, comma 73, legge 286/06 
facendo riferimento alla tabella ATECOFIN 2004 (pubblicata nella G.U. n. 301 
del 30 dicembre 2003, compilata ai fini fiscali e contenente, nel quadro G, 
una elencazione delle attivit� commerciali), si fa notare che l�assunzione 
della medesima quale criterio classificatorio esaustivo delle attivit� che possono 
farsi rientrare nel �settore della distribuzione commerciale� appare in 
contrasto con lo spirito e la lettera della norma come sopra delineati. 

Concludendo, in assenza di una chiara delimitazione del campo di applicazione 
dell�agevolazione da parte del Legislatore e, allo stato, di una norma 
di interpretazione autentica nel senso auspicato nella nota cui si risponde, 
qualsiasi altra interpretazione in senso restrittivo della nuova disposizione � 
in particolare attraverso l�esclusione di attivit� di intermediazione commerciale 
o non direttamente connesse alla vendita diretta al consumatore finale 

� si profila, a parere di questa Avvocatura Generale, difficilmente sostenibi

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

le nella sede contenziosa che sicuramente si aprirebbe per l�annullamento dei 
provvedimenti negativi dell�agevolazione che fossero adottati. 

La presente nota viene inoltrata, per conoscenza, anche al Ministero 
dell�Economia per le eventuali iniziative legislative che si ritenessero utili in 
considerazione dell�amplissimo ambito di operativit� dell�agevolazione cos� 
come attualmente si presenta, tale da limitare l�assoggettamento dell�aliquota 
piena a categorie residuali e far assurgere a regola l�eccezione. (�)�. 

A.G.S. � Parere del 16 novembre 2007 n. 123400. 
Merce importata in violazione dei divieti economici � Misura della confisca 
amministrativa � R.D.L. n. 1923 del 14 novembre 1926 � Art. 67 del 
Decreto legislativo n. 507 del 30 dicembre 1999 (consultivo 16519/07, avvocato 
G. Albenzio). 

�1.- (�) codesto Ministero(*) esprime motivato dissenso sul parere reso 
da questa Avvocatura all�Agenzia delle Dogane con nota 30 maggio 2007 
prot. 64216 in ordine all�applicazione della confisca obbligatoria per le 
merci importate in violazione dei divieti economici, ai sensi dell�art. 11 r.d.l. 
14 novembre 1926 n. 1923, come modificato dall�art. 67 D.Lgs. 30 dicembre 
1999 n. 507. 

Nella menzionata consultazione la Scrivente aveva espresso l�avviso 
che: �la modifica intervenuta nell�ambito della depenalizzazione prevista 
dalla Legge 205/99 concerne solo la sostituzione della misura afflittiva 
penale con la sanzione amministrativa, ferma restando l�obbligatoriet� della 
confisca delle merci, che si accompagna sempre alla sanzione principale 
(prima penale, ora amministrativa) prevista�. 

Codesto Ministero ritiene, invece, che nella specie opererebbe esclusivamente 
il disposto dell�art. 20 1egge 689/81, con la conseguenza che nelle 
ipotesi di introduzione di merce nel territorio dello Stato senza le prescritte 
autorizzazioni, dopo la depenalizzazione della violazione regolata dall�art. 
11 r.d.l. 1923/1926, opererebbe il regime della confisca �facoltativa� di cui 
al terzo comma del citato art. 20. 

A sostegno della esposta tesi, viene invocato il carattere generale della 
disciplina della legge 689/81 (che avrebbe abrogato �tutte le disposizioni in 
tema di confisca amministrativa previste da precedenti norme regolatrici di 
tale sanzione, anche se speciali�, secondo Cass. 6447/96) e la struttura del 
nuovo �sistema globalizzato� del commercio (che richiederebbe norme di 
semplificazione ed incentivazione piuttosto che di repressione). 

2.- Ad avviso della Scrivente, l�interpretazione della norma come dal 
parere reso con la nota 30 maggio 2007 appare rispettosa del principio generale 
di cui all�art. 12, comma 1, disp. prel. cod. civ. 

(*) Ministero del Commercio internazionale. 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

Se pure � vero � come ritiene codesto Ministero � che la disciplina della 
confisca di cui all�art. 20 legge 689/81 ha carattere generale e comporta l�abrogazione 
delle disposizioni �previste da precedenti norme regolatrici di 
tale sanzione, anche se speciali� (alla citata Cass. 6447/96 si aggiungano, in 
termini, Cass. 7297/96, 9437/92, 293/89, ecc.), � altrettanto vero � da un lato 

� che l�art. 12 della stessa legge fa salve le disposizioni speciali o derogatorie 
[�norma (l�art. 20) che opera per tutte le infrazioni amministrative assoggettabili 
a pena pecuniaria, in difetto di previsioni di tipo speciale o derogatorio 
(art. 12 citata legge del 1981)� � Cass. 8719/96] e � dall�altro lato � 
che questo effetto implicitamente abrogativo non pu� valere per le norme 
che siano emanate o modificate successivamente, come � il caso in esame. 
Infatti, la depenalizzazione del reato di cui all�art. 11, comma 1, r.d.l. 
1923/1926 � intervenuta solo ad opera dell�art 67 D.Lgs. n. 507/1999 (e questo 
rende nuova la norma sanzionatoria); peraltro, il Legislatore si � limitato 
alla sostituzione della sanzione penale con quella amministrativa (con la tecnica 
della sostituzione delle sole parole del testo originario che irrogavano la 
pena detentiva) ed ha lasciato inalterato il restante testo del comma, ivi compresa 
la sua parte finale che prevedeva anche la sanzione accessoria della 
confisca (�oltre la confisca delle merci�), cos� che il testo vigente dell�articolo, 
come riportato anche nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, 28 gennaio 
2000 n. 22, in nota all�art. 67, recita: �11. Chiunque in qualsiasi modo 
esporta merce della quale sia vietata l�esportazione, o non la reintroduce 
nello Stato nei termini stabiliti dalle norme relative se spedita in cabotaggio, 
oppure devia verso uno Stato estero merce destinata originariamente ad un 
porto italiano o delle Colonie, nel caso previsto dal primo comma dell�art. 
10, o anche soltanto tenta di esportarla o deviarla, � punito con la sanzione 
amministrativa pecuniaria da lire ottocentomila a quattro milioni ottocentomila, 
oltre la confisca delle merci�. 

3.- La esposta interpretazione del nuovo testo dell�art. 11, fondata sul 
suo testo letterale, � � ad avviso della Scrivente � da preferire rispetto a quella 
proposta da codesto Ministero, pur apprezzabile da un punto di vista meramente 
sistematico, alla luce sia del richiamato principio generale di cui 
all�art. 12, comma 1, disp. prel. cod. civ. sia della posizione assunta dalla 
Suprema Corte in casi analoghi, ove � stata ribadita la prevalenza della 
norma speciale successiva a quella generale di cui all�art. 20 legge 689/81: 

� Cass., sez. II, 22 maggio 2006, n. 11965: �In tema di disciplina del 
commercio su aree pubbliche l�art. 29, 1 comma, D.Lgs. n. 114 del 1998, che 
sanziona l�esercizio dell�attivit� di vendita al di fuori del territorio nel quale 
si � autorizzati, � norma che, in quanto posteriore alla disposizione generale 
in materia di illecito amministrativo di cui all�art. 20 1egge n. 689 del 
1981, si caratterizza come speciale rispetto a questa e, pertanto, nel provvedere, 
in aggiunta alla sanzione pecuniaria, �la confisca delle attrezzature e 
della merce� stabilisce un caso di confisca obbligatoria� 
� Cass., sez. I, 6 maggio 1998, n. 4545: �La disposizione di cui all�art. 
10 legge n. 122 del 1992, relativa alla confisca delle attrezzature e delle strumentazioni 
utilizzate per l�abusivo esercizio dell�attivit� di autoriparazione, 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

si pone in rapporto di specialit� con le disposizioni in tema di confisca 
amministrativa contenute nell�art. 20 legge n. 689 del 1981 ... per la previsione 
della obbligatoriet� e generalit� della misura accessoria che, a norma 
del citato art. 20, sarebbe altrimenti facoltativa�. 

4. Inoltre, si deve rilevare che l�interpretazione suggerita da questa 
Avvocatura si presenta pi� coerente con il regime della confisca regolato dal 
T.U.L.D. per i casi di contrabbando depenalizzato. 
Infatti, il nuovo art. 295-bis d.P.R. 43/1973 richiama espressamente nel 
suo terzo comma l�art. 301 (�Le disposizioni degli articoli 301, 301-bis e 
333 si osservano anche con riguardo alle violazioni previste dal presente 
articolo. I provvedimenti per i quali, in base alle medesime disposizioni, � 
competente l�autorit� giudiziaria sono adottati dal capo della dogana nella 
cui circoscrizionale la violazione � stata accertata�) e, quindi, la confisca 
obbligatoria ivi prevista. 

Non sembra invero che vi sia ragione per una differente disciplina della 
confisca fra fattispecie analoghe, quali quelle regolate, rispettivamente, dall�art. 
11 r.d.l. 1923 e dall�art. 295-bis T.U.L.D. 

Oltretutto, le esigenze di speditezza dei traffici commerciali dovrebbero 
tener conto di quelle di tutela della regolarit� degli stessi e delle scelte del 
Legislatore di punire con maggiore severit� alcune violazioni. (�)�. 

A.G.S. � Parere del 6 dicembre 2007 n. 131624. 
Fermo amministrativo di beni mobili registrati ai sensi dell�art. 86 del 

d.P.R. n. 602/73 e conseguente applicazione dell�art. 214, comma 8, del 
D.Lgs. n. 285/92 (Codice della Strada) (consultivo 40835/07, avvocato M. 
Borgo). 
�(�) codesto Dicastero ha chiesto alla Scrivente di dirimere il contrasto 
interpretativo, insorto fra codesta Amministrazione(*) e l�Agenzia delle 
Entrate, in ordine all�interpretazione delle disposizioni normative di cui 
all�oggetto, e si rappresenta quanto segue. 

In via preliminare, questo Generale Ufficio ritiene che, ai fini della corretta 
interpretazione del combinato disposto dell�art. 86, comma 3, del d.P.R. 

n. 602/73 con l�art. 214, comma 8, del Codice della Strada, si possa prescindere 
dal prendere posizione in ordine all�annoso problema della natura giuridica 
del c.d. �fermo fiscale�. 
Al proposito, � noto che sulla natura giuridica del fermo di cui all�art. 86 
del d.P.R. n. 602/73, si registrano accesi contrasti, sia in dottrina (cfr., da ultimo, 
MOLINARI FRANCESCO, Fermo dei beni mobili registrati (c.d. Fermo 
Amministrativo). Processo tributario e garanzie giurisdizionali alla luce 
della legge n. 248/06, la c.d. Bersani-Visco: un�altra occasione perduta, 

(*) Ministero dell�Interno. 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

pubblicato sulla rivista on line www.diritto.it, che attribuisce al fermo la natura 
di atto preordinato all�espropriazione forzata; contra, GENISE ANTONIO, Il 
fermo amministrativo dei beni mobili registrati, pubblicato sulla medesima 
rivista, che propende per la natura di provvedimento amministrativo del 
fermo) ma soprattutto in giurisprudenza dove, a fronte dell�ormai consolidato 
indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo il quale �il 
provvedimento di fermo � un atto funzionale all�espropriazione forzata e, 
quindi, mezzo di realizzazione del credito dell�amministrazione� (cfr., da ultimo, 
Cass. SS.UU., ordinanza 17 gennaio 2007, n. 875), si registra il contrario 
orientamento del Consiglio di Stato, ben sintetizzato dall�ordinanza della 
sesta Sezione n. 2032 del 13 aprile 2006 con la quale era stata rimessa alla 
Corte Costituzionale la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 49, 
57, 86, d.P.R. n. 602/1973, e degli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546/1992, se interpretati, 
secondo il diritto vivente, quale risulta dalla giurisprudenza, nel senso 
di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in materia 
di fermo tributario di veicoli; questione decisa dalla Consulta con ordinanza 
di manifesta inammissibilit� del 17 luglio 2007, n. 297, avendo, i giudici 
costituzionali, ribadito che non � compito della Corte Costituzionale dirimere 
i contrasti interpretativi, insorti fra gli organi giurisdizionali. 

I predetti contrasti interpretativi non sono venuti meno neppure a seguito 
della novella normativa di cui all�art. 35, comma 26-quinques del D.L. 4 luglio 
2006, n. 223, convertito con modificazioni nella legge n. 248/06, con la quale 
� stata introdotta, nell�elencazione di cui all�art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 
546/92 (contemplante gli atti che possono essere impugnati davanti alle 
Commissioni Tributarie), la lettera e-ter) che si riferisce al c.d. �fermo fiscale�. 

Ci� premesso, la Scrivente evidenzia come la disposizione di cui all�art. 
86, comma 3, del d.P.R. n. 602/73, a tenore della quale �chiunque circola con 
veicoli, autoscafi e aeromobili sottoposti al fermo � soggetto alla sanzione 
prevista dall�art. 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 
285�, abbia la funzione di munire di sanzione il divieto di circolazione del 
veicolo, sottoposto a fermo, gi� espressamente previsto dall�art. 5, comma 2, 
del D.M. 7 settembre 1998, n. 503 (Regolamento recante norme in materia di 
fermo amministrativo di veicoli a motore ed autoscafi, ai sensi dell�articolo 
91-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, 
introdotto con l�articolo 5, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 
669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30). 

Lo stretto legame esistente tra le disposizioni di cui all�art. 86 del d.P.R. 

n. 602/73 e quelle contenute nel D.M. n. 503/98 � stato valorizzato, come 
noto, dalla legge n. 248/2005, di conversione del D.L. n. 203/2005, il cui 
art. 3, comma 41, ha stabilito che �Le disposizioni dell�art. 86 del d.P.R. 29 
settembre 1973 n. 602, si interpretano nel senso che, fino all�emanazione 
del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo pu� essere 
eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, 
relative alle modalit� di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti 
dello stesso, contenute nel decreto Ministro delle Finanze 7 settembre 1998 
n. 503�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Ci� posto, � possibile passare all�esame della problematica concernente 
la individuazione dell�autorit� cui compete l�irrogazione della sanzione 
(sulla cui esatta portata, si dir� pi� oltre) di cui all�art. 86, comma 3, del 

d.P.R. n. 602/73. 
Al proposito, questo Generale Ufficio, nel sottolineare che la disposizione, 
da ultimo richiamata, si riferisce propriamente alla fattispecie della circolazione 
di un veicolo, sottoposto al c.d. �fermo fiscale�, ritiene che dal 
richiamo, operato dalla predetta disposizione all�art. 214, comma 8, del 

C.d.S. (quoad poenam), possa dedursi che competente a contestare la violazione 
del divieto di circolazione di un veicolo a motore, sottoposto al fermo 
di cui all�art. 86 del d.P.R. n. 602/73, sia l�organo di polizia che ha provveduto 
all�accertamento della predetta violazione (con conseguente competenza 
del Prefetto, in caso di proposizione del ricorso amministrativo avverso il 
verbale di accertamento). 
Quanto, poi, alla sanzione che dovr� essere irrogata, questo Generale 
Ufficio concorda con il parere, reso dall�Agenzia delle Entrate con la nota 
prot. n. 2007/55190, nella parte in cui esclude che il richiamo all�art. 214, 
comma 8, del Codice della Strada, contenuto nell�art. 86, comma 3, del 

d.P.R. n. 602/73, possa essere inteso nel senso che il veicolo, che sia stato 
posto in circolazione nonostante il fermo, possa essere oggetto di confisca 
(sanzione amministrativa accessoria prevista dall�art. 214, comma 8, del 
Codice della Strada a seguito della modifica introdotta dalla legge n. 
168/2005 di conversione del D.L. n. 115/2005). 
Alla predetta conclusione, secondo il parere di questo Generale Ufficio, 
deve pervenirsi, oltre che in forza degli argomenti svolti dall�Agenzia delle 
Entrate nella nota, pi� sopra citata, anche alla luce delle seguenti ulteriori 
considerazioni. 

L�art. 86, comma 3, del d.P.R. n. 602/73, come pi� sopra evidenziato, si 
esprime nel senso che �chiunque circola con veicoli, autoscafi e aeromobili 
sottoposti al fermo � soggetto alla sanzione prevista dall�art. 214, comma 8, 
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285�; l�utilizzo dell�espressione 
�alla sanzione prevista�� sembrerebbe fare propendere per la volont� di un 
rinvio (per cos� dire, di natura ricettizia) alla solo sanzione pecuniaria, originariamente 
prevista dall�art. 214, comma 8, del Codice della Strada, e non 
anche a quella accessoria, introdotta dalla novella del 2005. 

A ci� si aggiunga, che la confisca del veicolo, con conseguente ingresso 
dello stesso nel patrimonio dello Stato, non sembrerebbe in linea con la pacifica 
funzione, attribuita al c.d. �fermo fiscale� che, come noto, � quella di 
conservare la garanzia patrimoniale del credito esattoriale nelle more del 
perfezionamento del procedimento di espropriazione forzata. 

Alla luce di quanto sopra, � possibile precisare quanto segue: nell�ipotesi 
in cui gli organi di polizia, a seguito di un controllo, accertino che � stato 
messo in circolazione un veicolo a motore, sottoposto al c.d. �fermo fiscale�, 
dovranno elevare verbale di contestazione della violazione di cui al combinato 
disposto dell�art. 86, comma 3, del d.P.R. n. 602/73 con l�art. 214, 
comma 8, del Codice della Strada, nei confronti del conducente del veicolo 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

(la norma di cui all�art. 86, comma 3, del d.P.R. n. 602/73 sanziona, infatti, 
�chiunque circola�� e non il solo proprietario del veicolo che �, invece, il 
�destinatario� del provvedimento di c.d. �fermo fiscale�; questo ultimo sar�, 
peraltro, obbligato in solido con il conducente del veicolo al pagamento della 
somma da questi dovuta, ai sensi di quanto disposto, in via generale, dall�art. 
196 del Codice della Strada), con conseguente applicazione della sola sanzione 
pecuniaria prevista dalla disposizione, da ultimo indicata (sanzione, 
oggi, pari ad una somma compresa tra euro 656,00 ed euro 2628,00); non 
dovranno procedere al sequestro del veicolo ai sensi dell�art. 213 del Codice 
della Strada, non essendo possibile, per le ragioni sopra evidenziate, disporre, 
nel caso di specie, la sanzione accessoria della confisca del veicolo; 
dovranno, infine, trasmettere il relativo verbale di accertamento della violazione 
al concessionario della riscossione che ha disposto il c.d. �fermo fiscale�, 
al fine di consentire a questo ultimo di provvedere al pignoramento del 
veicolo medesimo. (�)�. 

A.G.S. �Parere del 6 dicembre 2007 n. 131636. 
Reclamo avverso decreto di annullamento di rettifica d�ufficio del 
cognome operata dall�Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Bologna 
(consultivo 39916/07, avvocato M. Borgo). 

�(�) Questo Generale Ufficio ritiene non opportuna la proposizione di 
ricorso per Cassazione avverso il provvedimento, reso dalla Corte di Appello 
di Bologna in data 26 luglio 2007 con riferimento al reclamo, meglio indicato 
in oggetto, per le ragioni che seguono. 

Con il predetto decreto, la Corte di Appello di Bologna ha rigettato il 
reclamo, proposto da codesta Avvocatura Distrettuale nei confronti del provvedimento 
con il quale il Tribunale felsineo aveva accolto il ricorso proposto 
dai genitori di due minori, nati in Portogallo ed aventi doppia cittadinanza, 
italiana e portoghese, avverso la rettifica del loro cognome, operata 
dall�Ufficiale dello Stato Civile di Bologna in sede di trascrizione dell�atto 
di nascita nei registri dello stato civile, rettifica consistita nella eliminazione 
del cognome materno. 

Il decreto, emesso dalla Corte di Appello felsinea, peraltro conforme ad 
altri precedenti giurisprudenziali (cfr., tra gli altri, Tribunale di Roma � Sez. 
I Civile, decreti del 30 gennaio 2006, 29 ottobre 2004, 15 ottobre 2004), fa 
leva sul combinato disposto degli articoli 12 e 17 del Trattato CE, cos� come 
interpretati dalla Corte di Giustizia nella causa C-148/2002. 

Con la predetta sentenza, la Corte di Giustizia, al paragrafo 42 della 
decisione, ha affermato che �Per quanto riguarda [�] il principio dell�immutabilit� 
del cognome in quanto strumento destinato a prevenire i rischi di 
confusione in merito all�identit� o alla filiazione delle persone, occorre rilevare 
che, sebbene tale principio certamente contribuisca ad agevolare il 
riconoscimento dell�identit� delle persone e della loro filiazione, non � tuttavia 
tanto indispensabile da non poter ammettere una prassi consistente nel 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

permettere ai figli che siano cittadini di uno Stato membro e che abbiano 
anche la cittadinanza di un altro Stato membro di portare un cognome composto 
da elementi diversi da quelli previsti dal primo Stato membro, cognome 
che costituisce, peraltro, oggetto di un�iscrizione in un registro ufficiale 
del Secondo Stato membro�. 

I giudici della Corte di Lussemburgo sono, pertanto, pervenuti alla conclusione 
che gli articoli 12 e 17 del TCE devono essere interpretati ��nel 
senso che ostano al fatto che, in circostanze come quelle della causa principale, 
l�autorit� amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda 
di cambiamento del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e 
in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altro Stato 
membro, allorch� la domanda � volta a far s� che i detti figli possano portare 
il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione 
del secondo Stato membro�. 

L�esistenza di una pronuncia della Corte di Giustizia che, come noto, 
vincola tutti i soggetti dell�ordinamento giuridico, siano essi gli organi giurisdizionali 
ovvero gli organi amministrativi, preclude la possibilit� di proporre 
il gravame di legittimit�. 

A quanto sopra, si aggiunga, per mera completezza di argomento, che, 
nella corrente legislatura, � stato presentato in Parlamento un disegno di 
legge (Disegno di legge n. 19 � Atti del Senato della Repubblica � approvato, 
in sede referente, dalla Commissione Giustizia in data 2 ottobre 2007) che 
si pone l�obiettivo di prevedere, anche con riferimento all�ordinamento dello 
stato civile italiano, la possibilit� di trasmettere ai figli, nati all�interno del 
matrimonio, anche il cognome della madre. 

Nella relazione di accompagnamento alla predetta iniziativa legislativa 
si legge: �Con l�introduzione di queste modifiche il disegno di legge consente 
all�Italia di adempiere agli impegni cui ci richiamano il Consiglio 
d�Europa e la Convenzione sull�eliminazione di ogni forma di discriminazione 
nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata 
in Italia con la legge 14 marzo 1985, n. 132. In particolare il 
Consiglio d�Europa, con le raccomandazioni 1271 (1995) e 1362 (1998) 
adottate dall�Assemblea parlamentare rispettivamente il 28 aprile 1995 e il 
18 marzo 1998, ha affermato che la discriminazione fra donne e uomini 
riguardo alla scelta del nome di famiglia non � compatibile con il principio 
di eguaglianza da esso sostenuto e ha invitato gli Stati membri inadempienti 
a realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell�attribuzione del 
cognome ai figli. Mentre la Convenzione di New York all�articolo 16 impegna 
gli Stati aderenti a �prendere tutte le misure adeguate per eliminare la 
discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal 
matrimonio e nei rapporti familiari, e in particolare ad assicurare, in condizioni 
di parit� con gli uomini: (...) g) gli stessi diritti personali al marito e 
alla moglie, compresa la scelta del cognome, (...);�. L�introduzione di una 
normativa pi� rispettosa dei diritti di entrambi i coniugi significa dunque 
anche contribuire ad una migliore integrazione con la cittadinanza europea 
e adeguarsi agli altri paesi dell�Unione europea che gi� permettono l�attri



I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

buzione del cognome della madre o del padre in pieno regime di eguaglianza. 
Com�� noto, infatti, in Germania vige il cognome della famiglia, cognome 
scelto dai coniugi, che per� hanno anche la facolt� di mantenere il proprio 
cognome e di trasmettere ai figli l�uno o l�altro. In Austria l�articolo 93 
del codice civile stabilisce che i coniugi portino lo stesso cognome, che pu� 
essere quello del marito o quello della moglie. In Francia dal 1� gennaio 
2005 � entrata in vigore la �legge Gouzes� (legge n. 2002-304 del 4 marzo 
2002, sul nome di famiglia), che prevede che i genitori possano scegliere di 
trasmettere ai figli il cognome del padre, della madre o di entrambi. Nella 
legislazione italiana non esiste in realt� nessuna norma di legge positiva che 
preveda l�attribuzione del cognome paterno ai figli legittimi, nati all�interno 
del matrimonio. Si tratta piuttosto di una prassi consolidata. Su questa e su 
tutti gli articoli del codice civile relativi alla questione � stata peraltro avanzata 
questione di legittimit� costituzionale dalla Corte di Cassazione, con la 
sentenza n. 13298 del 17 luglio 2004, in quanto in contrasto con gli articoli 
2, 3 e 39, secondo comma, della Costituzione. �Il dubbio di contrasto � vi si 
legge � si fonda sull�evidente rilievo che l�attribuzione automatica ed indefettibile 
ai figli del cognome del marito si risolve in una discriminazione ed 
in una violazione del principio di eguaglianza e di pari dignit�. La Corte 
costituzionale, con la sentenza n. 61 del 6 febbraio 2006, pur dichiarando 
inammissibile la questione di legittimit� costituzionale avanzata dalla 
Cassazione per il vuoto di regole che si verrebbe a determinare in seguito 
�alla caducazione della disciplina denunciata�, riconosce tuttavia che �l�attuale 
sistema di attribuzione del cognome � retaggio di una concezione 
patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di 
famiglia romanistico, e di una tramontata potest� maritale, non pi� coerente 
con i princ�pi dell�ordinamento e con il valore costituzionale dell�uguaglianza 
tra uomo e donna�. Rimette infine al legislatore la decisione sulle 
modalit� per corrispondere al principio costituzionale dell�uguaglianza tra 
i generi anche in fatto di trasmissione del cognome. Il presente disegno di 
legge � la proposta che � accogliendo l�indirizzo della Corte � si sottopone 
al Parlamento�. 

Alla luce di quanto sopra, questo Generale Ufficio ritiene non opportuna 
la proposizione di ricorso per Cassazione avverso il decreto in oggetto. 

Il presente parere viene esteso, per opportuna conoscenza, al Ministero 
dell�Interno ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. (�)�. 

A.G.S. � Parere del 19 dicembre 2007 n. 136320. 
Emissione di garanzie su finanziamenti correlati ad attivit� di costruzione 
ed esercizio impianti nucleari all�estero da parte di ENEL s.p.a. (consultivo 
41653/07, avvocato G. Palmieri). 

�Esaminata la documentazione trasmessa (�), in relazione ai quesiti 
posti, a) se l�attivit� di costruzione, esercizio e gestione di un impianto 
nucleare all�estero da parte di ENEL s.p.a. (nel caso in esame, costruzione ed 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

esercizio di due �unit� nucleari� in Bulgaria) possa considerarsi legittima 
alla luce del vigente quadro normativo nazionale e comunitario in materia, 
tenuto conto in particolare dell�esito del referendum abrogativo in materia di 
nucleare del 1987; b) in caso di valutazione positiva circa la precedente questione 
se il rilascio da parte di SACE di una garanzia sul progetto possa considerarsi 
legittimo (dando per assunto che detto intervento si ponga in linea 
con lo scopo statutario di SACE stessa e con la sua normativa di riferimento), 
si osserva quanto segue. 

Come ricordato nella nota che si riscontra, l�Avvocatura Generale dello 
Stato si era espressa su una questione attinente a centrale nucleare da 
costruirsi all�estero ([la] societ� A. si era aggiudicata un contratto di fornitura 
nell�ambito del progetto per la costruzione [di una] centrale nucleare [�] 
in Romania), anche se sostanzialmente diversa da quella in esame e, quindi, 
non riconducibile al caso di specie, con parere in data 7 febbraio 2002, nel 
quale, in conclusione, si escludeva che l�esito del referendum del 1987 avesse 
come conseguenza un divieto alla produzione e commercializzazione dei 
beni e prodotti nucleari e parimenti si escludeva che lo spirito dello stesso 
referendum fosse quello di imporre a SACE di astenersi dal concedere la 
richiesta garanzia, salve eventuali valutazioni di opportunit� di competenza 
del Governo o del Ministero allora vigilante sulla SACE. 

Per completezza, si ricorda che, con deliberazione in data 28 marzo 2002 
il CIPE, menzionando espressamente il parere di questa Avvocatura 
Generale del 7 febbraio 2002, ha statuito che l�esportazione di beni e servizi 
destinati alla produzione di energia nucleare pu� essere presa in considerazione 
da SACE, nell�ambito della sua autonomia gestionale e nel rispetto 
delle linee guida ambientali che detto Istituto si � impegnato ad osservare. 

Va ricordato che l�ENEL � stato istituito con la legge 6 dicembre 1962, 

n. 1643 ed � stato trasformato in societ� per azioni con il d.l. 11 luglio 1992, 
n. 333, convertito con modificazioni con legge 8 agosto 1992, n. 359. 
La legge n. 1643/1962 citata � stata modificata con il d.P.R. 9 dicembre 
1987, n. 500, che ha abrogato, per effetto del citato referendum del 1987, le 
parole �la realizzazione e l�esercizio di impianti elettronucleari� contenute 
nel 7� comma, lett. b), dell�articolo 1. 

Successivamente, la legge 9 gennaio 1999, n. 1, contenente norme per 
l�attuazione del nuovo piano energetico nazionale, ha sostituito il predetto 
settimo comma dell�art. 1 della legge n. 1643/1962 con l�articolo 34, disposizione, 
meramente ricognitiva delle finalit� pi� generali della societ� stessa, 
prevedendo che l�ENEL possa, previa autorizzazione del Ministero dell�industria, 
promuovere, in Italia e all�estero, la costituzione di societ� per azioni 
o assumervi partecipazioni, qualora esse abbiano per oggetto il compimento 
di attivit� riconducibili ai fini propri dell�ente e, cio�, la produzione 
di energia elettrica. 

La predetta norma di cui all�articolo 34 � di carattere ricognitivo e non 
contiene alcuna considerazione, n� implicita, n� esplicita, del profilo attinente 
alla realizzazione ed all�esercizio di impianti nucleari e, perci�, non appare 
risolutiva nel caso in esame . 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

Con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, di attuazione della direttiva 
96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell�energia elettrica, 
in particolare, con l�articolo 13, 2� comma, lett. e), � stato previsto che 
l�ENEL possa costituire societ� per lo smaltimento delle centrali elettronucleari 
dimesse e la chiusura del ciclo del combustibile. 

In ottemperanza a tale disposizione � stata istituita in data 1 novembre 
1999 [una societ�], appartenente al gruppo ENEL, per il �decommissioning� 
delle installazioni nucleari. 

La citata norma di cui all�articolo 13 ha evidentemente carattere specifico 
ed � dettata al solo scopo di realizzare, appunto, lo smantellamento definitivo 
delle centrali nucleari dimesse, senza ulteriori eventuali possibili 
implicazioni connesse ad impianti nucleari o attivit� che siano non da dimettere 
ma da realizzare, ed in quanto tale non esplica i suoi effetti se non nei 
limiti cos� chiaramente delineati dalla norma stessa. 

Con la legge 23 agosto 2004, n. 239, di riordino del settore energetico e 
di delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di 
energia, all�art. 1, comma 42, si prevede che i produttori nazionali di energia 
elettrica possano, eventualmente in compartecipazione con imprese di altri 
paesi, svolgere attivit� di realizzazione e di esercizio di impianti localizzati 
all�estero, anche al fine di importare l�energia prodotta, senza alcun espresso 
divieto con riferimento alle tecnologie od agli impianti nucleari. 

La legge 18 aprile 2005, n. 62, legge comunitaria 2004, contiene , all�art. 
15, le disposizioni per l�attuazione della direttiva 2003/54/CE del 26 giugno 
2003 relativa a norme comuni per il mercato dell�energia elettrica, che abroga 
la direttiva 96/92/CE. 

Il predetto articolo, alla lettera l), prevede espressamente fra i criteri 
direttivi, lo sviluppo di nuove tecnologie e sistemi per la produzione di energia 
elettrica, �incluse le tecnologie nucleari�, nonch� lo svolgimento di attivit� 
di realizzazione e di esercizio �ivi compresi gli impianti elettronucleari� 
localizzati all�estero, assumendo, quindi, valenza interpretativa del sistema e 
rimettendo alla normazione delegata i profili relativi alle modalit� di attuazione 
del principio generale che esso contiene . 

Tale disciplina, che attua la direttiva comunitaria 2003/54/CE, rappresenta 
un elemento di completamento del quadro che si � delineato in base 
all�esame della normativa nazionale, emanata successivamente all�esito del 
referendum abrogativo del 1987, nella quale � assente qualsiasi divieto 
espresso o implicito di realizzare fuori dal territorio nazionale impianti e attivit� 
elettronucleari. 

Tale conclusione appare, poi, coerente con la previsione costituzionale 
di cui all�art. 41, che sancisce la libert� di iniziativa economica, nell�accezione 
comunemente accolta in dottrina e giurisprudenza costituzionale e che 
assume maggiore latitudine se l�attivit� � esplicata � al di fuori del territorio 
nazionale. 

Elemento di ulteriore coerenza � rappresentato dalla mutata natura giuridica 
dell�ENEL che � divenuta societ� per azioni e che non opera pi� in 
regime di esclusiva. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Va, infine, ricordato che nel disegno di legge di delega al Governo per 
completare la liberalizzazione dei settori dell�energia e del gas naturale e per 
il rilancio del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili, in attuazione 
delle direttive comunitarie 2003/54/CE, 2003/55/CE e 2004/67/CE, approvato 
dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 9 giugno 2006, c.d. �pacchetto 
Bersani�, attualmente all�esame del Senato (atto n. 691 XV Legislatura), � 
stato approvato un emendamento che esplicitamente, all� articolo 1, 1� 
comma, prevede l�installazione di impianti nucleari e investimenti all�estero 
per la realizzazione di tali impianti. 

N� � di poco rilievo la recente (30 novembre 2007) firma a Nizza dell�accordo 
di collaborazione fra ENEL e EdF per la costruzione in Normandia 
del primo impianto nucleare di nuova generazione EPR. 

Pertanto, non pu� ritenersi sussistere un generale divieto, ricavabile dal 
sistema o derivante direttamente dall� esito del referendum abrogativo del 
1987, di esercizio all�estero di quel tipo di attivit� imprenditoriale (costruzione 
ed esercizio di unit� nucleari in Bulgaria) per la quale l�ENEL ha chiesto 
garanzie a codesto Istituto. 

Conclusivamente, si ritiene che in linea di diritto, non vi siano motivi di 
per s� ostativi all�eventuale rilascio di garanzie da parte di SACE in relazione 
al segnalato �progetto�, naturalmente in quanto lo stesso, nella ritenuta 
compatibilit� con le scelte generali di interesse nazionale, sia coerente con la 
normativa di riferimento di codesta Societ� e con la procedura ambientale 
per il settore nucleare. (�)�. 

A.G.S. � Parere del 20 dicembre 2007 n. 136855. 
Sequestro conservativo penale � Conversione in pignoramento � 
Esecuzione mobiliare e immobiliare (consultivo 13628/06, avvocato C. 
Colelli). 

�(�) � stato chiesto a quest�Avvocatura un parere in ordine ad alcune 
problematiche relative allo svolgimento degli incombenti successivi alla 
intervenuta conversione ex lege del sequestro in pignoramento. 

1) La prima questione posta all�attenzione della Scrivente riguarda le 
corrette modalit� di applicazione degli artt. 316 e ss. del c.p.p. e 156 delle 
disp. di att. del c.p.c. nelle ipotesi in cui, essendosi l�amministrazione costituita 
parte civile in un processo penale, ottenga all�esito dello stesso solo una 
condanna generica, essendo rimessa ad un successivo giudizio civile la concreta 
liquidazione del danno. 

L�art. 156 citato dispone che il sequestrante che abbia ottenuto la sentenza 
di condanna esecutiva ex art. 686 del codice di procedura civile (a norma 
del quale il sequestro si converte in pignoramento al momento in cui il creditore 
ottiene sentenza di condanna esecutiva) deve depositarne copia nella 
cancelleria del giudice competente per l�esecuzione nel termine perentorio di 
sessanta giorni dalla comunicazione della stessa. 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

Il quesito posto riguarda specificamente l�individuazione del momento 
in cui tale ultimo termine comincia a decorrere nella considerata ipotesi di 
condanna generica. 

Pur non registrandosi pronunce rese in sede di legittimit� in relazione 
alle norme considerate, si osserva che la Suprema Corte ha pi� volte affrontato 
la questione dell�idoneit� della condanna generica a costituire valido 
titolo per l�esecuzione forzata, pervenendo costantemente alla soluzione 
negativa (v., ex multis, Cass. n. 9996/2004; n. 16259/2003; n. 8915/2003, 
nella quale la sentenza di condanna generica viene considerata titolo idoneo, 
unitamente ad altri elementi, al fine di ottenere in sede monitoria un titolo 
giudiziale idoneo all�azione esecutiva). 

D�altro canto � evidente che, essendo il pignoramento finalizzato all�esecuzione 
forzata del credito, presuppone necessariamente l�avvenuta liquidazione 
dello stesso, mancando in caso contrario la misura dell�incisione 
coattiva sul patrimonio del debitore. 

Si ritiene, pertanto, che la conversione del sequestro in pignoramento ex 
art. 686 c.p.c. non possa ragionevolmente ritenersi perfezionata fino a che non 
sia stato liquidato in sede civile l�ammontare del risarcimento richiesto con la 
costituzione di parte civile e che solo dalla pubblicazione della relativa sentenza 
possa iniziare a decorrere il termine di cui all�art. 156 disp. att. al c.p.c. 

A soluzione opposta deve pervenirsi nel caso in cui sia stata riconosciuta 
alla parte civile, gi� in sede penale, una somma a titolo di provvisionale a 
norma dell�art. 540, secondo comma, c.p.p. 

La condanna, in tal caso, �, per espressa previsione della norma citata, 
immediatamente esecutiva, con la conseguenza che, nei limiti di quanto liquidato, 
si determiner� l�automatica conversione del sequestro in pignoramento. 

2) In ordine, poi, alla seconda questione prospettata, si ritiene, in primo 
luogo, di potere escludere che le previsioni di cui al d.P.R. n. 43/1988 e del 
successivo D.Lgs. n. 46/1999 - con cui � stato introdotto il sistema generalizzato 
della riscossione mediante ruolo delle entrate patrimoniali dello Stato 

-abbiano inciso sulla possibilit� di realizzare i crediti statali risultanti da un 
titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. mediante le procedure di esecuzione forzata 
previste dal codice di rito. 
Dunque, legittimamente codesta Avvocatura ha curato gli adempimenti 
successivi alla conversione del sequestro in pignoramento.

� stata, tuttavia, evidenziata la difficolt� cui � andata incontro codesta 
Avvocatura nel seguire con puntualit� tali adempimenti; � stata, quindi, prospettata 
la possibilit� � previa individuazione di un veloce canale di comunicazione 
- di richiedere l�intervento, ai fini dello svolgimento dei successivi 
incombenti relativi alla procedura di esecuzione forzata, del concessionario 
per la riscossione. 

Esaminata la normativa che regolamenta l�attivit� di quest�ultimo, si 
ritiene che tale strada presenti rilevanti profili di criticit� che consigliano, ad 
evitare pregiudizievoli opposizioni, di adottare una diversa soluzione. 

Occorre preliminarmente evidenziare che, secondo il prevalente orientamento 
della dottrina (Mandrioli, Santulli, C. Ferri) e della giurisprudenza di 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

legittimit� (v., di recente, Cass. n. 10029/2006, n. 8615/2004), la conversione 
del sequestro in pignoramento avviene automaticamente al momento 
della pubblicazione della sentenza esecutiva, laddove il successivo deposito 
del titolo nel termine di cui all�art. 156 disp. att. costituisce onere a pena di 
efficacia del pignoramento nel quale il sequestro si � gi� convertito. 

Se cos� �, ne consegue che il vincolo di indisponibilit� sui beni oggetto 
del sequestro pu� mantenersi solo se la procedura esecutiva iniziata con la 
conversione in pignoramento non si estingue e va a buon fine. 

In ipotesi, quindi, il subentro del concessionario dovrebbe avvenire nell�ambito 
della medesima procedura e dopo che � gi� aperto il pignoramento; 
a tale possibilit�, tuttavia, osta la peculiarit� della disciplina della procedura 
di riscossione attuata da concessionario, che implica, in primo luogo, la formazione 
del ruolo e che si svolge, successivamente, secondo modalit� differenti 
da quelle disciplinate dal codice di rito (v. art. 52, artt. 62 e ss. e artt. 76 
e ss. del d.P.R. 602/73 e succ. mod.). 

Il concessionario, infatti, conduce la procedura per la realizzazione coattiva 
dei crediti fondamentalmente in via amministrativa fino alla fase di assegnazione 
e/o distribuzione (secondo le modalit� disciplinate dal d.P.R. 
602/72), compiendo autonomamente e con forme specifiche quelle attivit� 
che, di regola, vengono svolte sotto il controllo o autorizzate dal giudice dell�esecuzione. 


L�intervento del concessionario in una procedura esecutiva giudiziale gi� 
avviata presupporrebbe la trasformazione di quest�ultima in un procedimento 
di natura sostanzialmente amministrativa, possibilit� che tuttavia non 
appare contemplata n� disciplinata da alcuna norma. 

In conclusione, pare non esservi, allo stato, alternativa al necessario 
intervento dell�Avvocatura per conto dell�amministrazione creditrice nell�ambito 
delle procedure esecutive generate dalla conversione del sequestro 
in pignoramento (�)�. 

A.G.S. � Parere del 21 dicembre 2007 n. 137342. 
Mutui per edilizia ospedaliera. Universit� degli Studi La Sapienza e 
Azienda Policlinico Umberto I. Azione per recupero crediti (consultivo 
47862/04, avvocato F. Tortora). 

�(�) facendo seguito alla nota del 5 novembre 2007 prot. 117757, si fa 
presente che la Scrivente ha maturato la convinzione � pur non sottacendo i 
prospettabili dubbi interpretativi generati dalla non inequivoca formulazione 
della relativa normativa � che sia da intraprendere la prospettata azione di 
recupero nei confronti della Azienda Policlinico Umberto I, sul presupposto 
che i debiti per cui � causa sembrano rientrare tra quelli che ex lege sono stati 
�accollati� alla nuova Azienda Policlinico. 

Si premette che la attesa sentenza della Corte Costituzionale n. 346/07, 
avente ad oggetto l�art. 7-quater del D.L. 31 gennaio 2005 n. 7, come inserito 
dalla legge di conversione 31 marzo 2005 n. 43, bench� preceduta da 


I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 

ampia discussione sui limiti e la portata del fenomeno successorio all�evidenza, 
nulla sembra dire al riguardo, e non appare utilmente apprezzabile nel 
caso de quo. 

Ci� posto, si osserva che la nota disciplina introdotta dall�art. 2 comma 
1 del D.L. 341/99, cos� come convertito dall�art. 1 della legge 453/99, sembra 
dare congrua rilevanza �ai contratti in corso per la costruzione di strutture 
destinate ad attivit� assistenziali� nel senso che i medesimi appaiono 
formalmente e volutamente distinti dagli altri �rapporti in corso� relativi alla 
gestione dell�assistenza sanitaria, previsti dal medesimo articolo, quali autonome 
fonti di obbligazioni per le quali si verifica il fenomeno successorio 
dalla medesima norma regolato. 

In altre parole, il legislatore sembra aver esattamente inteso, dandone 
conferma lessicale, che oltre ai normali rapporti obbligatori, scaturenti da 
fonti varie nell�ambito dell�attivit� di assistenza sanitaria, sarebbe stato 
necessario prevedere e nominare separatamente, a scanso di ambiguit�, 
anche la specifica attivit� contrattuale in corso di esecuzione (con le relative 
obbligazioni) funzionale alla edilizia sanitaria. 

Sembra, dunque, che i detti contratti rientrino nel fenomeno successorio 
in parola, cos� come del resto ritenuto anche in precedente parere di questa 
Avvocatura reso nei confronti dell�Universit�. 

Contrariamente a quanto sostenuto nel parere pro veritate richiesto 
dall�Azienda Policlinico Umberto I, poi, appare senz�altro condivisibile la 
diversa impostazione data da codesta Societ� alla valenza giuridica dei mutui 
in oggetto, trattandosi in realt� di mutui di scopo, la cui specificit� prevede 
che le obbligazioni restitutorie, bench� aventi fonte nel contratto, sorgano e 
diventino esigibili per stati di avanzamento dei lavori in sinallagma con le 
erogazioni volta per volta effettuate in dipendenza della progressiva realizzazione 
dell�opera finanziata. 

Ci� stante, allora, � coerente il ritenere che le obbligazioni restitutorie 
nascenti dai contratti in corso risultino a carico della nuova Azienda subentrante 
in relazione a quegli immobili che, costituendo �strutture destinate ad 
attivit� assistenziali�, siano transitati nel patrimonio della nuova Azienda. 

Tale conclusione non � contraddetta dalla successiva disposizione contenuta 
nell�art. 8-sexies del D.L. 136/04, convertito in legge 186/04, laddove 
interpreta l�art. 2 comma 1 del D.L. 341/99 nel senso che: �l�azienda 
Policlinico Umberto I di Roma succede nei contratti di durata in essere con 
la soppressa omonima azienda universitaria esclusivamente nelle obbligazioni 
relative alla esecuzione dei medesimi successiva alla data di istituzione 
della predetta azienda Policlinico Umberto I�: e ci� in quanto � in disparte 
la sostenibile riconducibilit� dei contratti de quibus a quelli di durata (cfr. 
per rifer. anche Cass. n. 2301/04) � dalla predetta disposizione, da leggersi 
in necessaria correlazione con la norma interpretata, non pare corretto desumere 
che siasi voluto escludere la successione della predetta azienda nelle 
obbligazioni con scadenza successiva alla sua istituzione, derivanti da contratti 
finalizzati alla costruzione di strutture destinate ad attivit� assistenziali, 
trasferite alla azienda neo costituita. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Privo di pregio, infatti, sembra l�argomento, pur utilizzato dall�Azienda, 
che nessun subentro sarebbe possibile in quanto la titolarit� dei suddetti 
mutui era in capo alla Universit� e non alla azienda universitaria, posto che 
la azienda universitaria medesima non possedeva la necessaria personalit� 
giuridica per accedere al finanziamento, ma che tali contratti furono stipulati 
nell�esclusivo scopo di realizzare strutture destinate alle attivit� assistenziali 
svolte da tale azienda, pur non personificata. 

Le stesse motivazioni di cui sopra, poi, sembrerebbero escludere i debiti 
suddetti dalla massa passiva prevista ex art. 2 comma 3 del citato D.L. 
453/99, da determinarsi alla data di cessazione dell�azienda universitaria e, 
quindi, non compatibile con il meccanismo genetico delle obbligazioni provenienti 
da mutuo di scopo come sopra delineate. Tanto che, come codesta 
Societ� rileva, a quella data �non sussisteva alcuna morosit�� (n� poteva, 
appunto, sussistere) da insinuare in tale passivo, poich� trattandosi di contratto 
in corso lo stesso doveva intendersi ricompreso nella previsione di cui 
al precedente comma 1. 

Quanto sopra, dunque, presuppone, peraltro, quale necessaria premessa 
l�avvenuto trasferimento delle strutture finanziate al patrimonio del nuovo 
ente, dovendosi in caso contrario ritenere che verrebbe meno il collegamento 
giuridico tra l�obbligo restitutorio e lo scopo dei finanziamenti sottostante 
ai mutui stessi. 

Pertanto, assume fondamentale rilievo l�accertamento gi� richiesto dalla 
Scrivente a codesta Societ� (con nota prot. 29969 del 13 marzo 2006, solo 
parzialmente riscontrata con nota prot. LEG/P971/06 del 9 ottobre 2006) ed 
avente ad oggetto: 

-se siasi provveduto al trasferimento dei beni immobili dalla Universit� 
al nuovo soggetto costituito e se sia stato predisposto l�elenco dei beni cos� 
trasferiti (indicando, in caso positivo, per ogni struttura trasferita il relativo, 
o i relativi se pi� di uno, contratto di finanziamento); 
-se i finanziamenti suddetti siano stati concretamente ed interamente 
utilizzati, od in quale misura, per le opere di edilizia ospedaliera relative agli 
immobili trasferiti ed � eventualmente � elencati; 
-se i rapporti per la realizzazione delle opere siano esauriti, ed in quale 
data, o se invece residuino lavorazioni da eseguire o contenziosi in corso o 
riserve non ancora trattate. 
Accertato e comunicato quanto sopra, dovr� poi procedersi ad aggiornare, 
alla data il pi� possibile vicina alla citazione che si andr� a notificare, la 
somma complessivamente dovuta dalla debitrice, con accessori legali, nella 
rappresentata distinzione tra crediti propri di codesta Societ� e crediti afferenti 
al Ministero dell�Economia e delle Finanze. 

Pertanto, si rimane in attesa di quanto richiesto e, salvo avviso contrario 
di codesta Cassa, si provveder� a intraprendere l�azione di recupero richiesta 
nei soli confronti dell�Azienda di nuova costituzione, riservandosi all�esito 
delle difese da questa proposte, ogni valutazione in merito all�eventuale 
coinvolgimento, in secondo momento e se del caso in via cautelativa e subordinata, 
anche dell�Universit� (�)�. 


D OTTRINA 
Il giudizio di ottemperanza secondo lagiurisprudenza del Consiglio di Stato e dellaCorte costituzionale 

di Pasquale Fava(*) 

SOMMARIO: 1.- L�ottemperanza come strumento processuale costituzionalmente necessario. 
2.- L�evoluzione storica della normativa. 3-. La natura giuridica del giudizio di 
ottemperanza: un caso di giurisdizione di merito da valutare differenziando le sentenze 
dell�A.G.O. da quelle del G.A. 4.- Inerzia, violazione ed elusione del giudicato. 5.- Il rito dell�ottemperanza. 


1. L�ottemperanza come strumento processuale costituzionalmente necessario 
Il giudizio di ottemperanza (1) costituisce il rimedio processuale che consente 
di assicurare l�effettivit� della tutela giurisdizionale innanzi all�inadempimento 
totale, parziale o �mascherato� dell�obbligo dell�Amministrazione di 
conformarsi alle decisioni della magistratura, consentendo al privato vittorioso 
di conseguire l�utilit� derivante dalla pronuncia giurisdizionale illegittimamente 
negata dalla P.A. 

(*) Giudice della Corte dei Conti. 

Il presente contributo � destinato ad essere pubblicato nelle �Lezioni di diritto processuale 
amministrativo� a cura del Prof. Giuseppe Morbidelli. 

(1) Tra i principali contributi scientifici intervenuti sul giudizio di ottemperanza 
A.A.V.V., Atti del convegno sull�adempimento del giudicato amministrativo, Milano, 
Giuffr�, 1962; A.A.V.V., Il giudizio di ottemperanza (Atti del XXVII Convegno di studi di 
scienza dell�amministrazione � Varenna 1981), Milano, Giuffr�, 1983; ABBAMONTE G. � 
LASCHENA R., Giustizia amministrativa, 501-526; AZZARITI G., In tema di proponibilit� del 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

L�ottemperanza, in tal modo, attua i principi costituzionali del diritto di 
difesa sanciti negli articoli 24 (1�co.), 103 (1� co.), 111(1� co.) e 113 (1� co.) 

giudicato di ottemperanza avverso una decisione amministrativa non ancora passata in giudicato, 
in Rass. Avv. Stato, 1969, I, 1095; BENVENUTI F., Giudicato (dir. amm.), Encl. Dir., 
Vol. XVIII, 1969, 893; CAIANIELLO V., Manuale di diritto processuale amministrativo, 
Torino, UTET, 2003, 973-1024; CALABR� C., Il giudizio di ottemperanza, in Studi per il centocinquantenario 
del Consiglio di Stato, Roma (IPZS), 1981, 965; ID., Giudizio amministrativo 
per l�ottemperanza ai giudicati, in Enc. Giur. Trecc., Vol. XV, Roma, 1989; ID., 
Giudicato (Diritto Processuale Amministrativo), in Enc. Giur. Trecc., Vol. XV, Roma, 2002; 
CAMMEO F.., Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, 1911, 310 ss.; 
ID., Diritti patrimoniali ed esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato e della G.P.A., 
in Giur. It., 1931, III, 42; ID., L�esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato e della 
G.P.A., in Giur. It., 1937, III, 65; CANNADA BATOLI E., Appunti sul contraddittorio nel processo 
ex art. 27, n. 4, della legge sul Consiglio di Stato, in Riv. Trim. dir. e Proc. Civ., 1960, 
1553; ID., Della profetica esecuzione di successivo giudicato, in Foro Amm., 1969, II, 207; 
CASSESE S., L�esecuzione forzata, in Dir. Proc. Amm., 1991, 173; CLARICH M., Giudicato e 
potere amministrativo, CEDAM, 1989; ID., L�effettivit� della tutela nell�esecuzione delle 
sentenze del giudice amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 1998, 523; CORSARO A., Giudizio 
di ottemperanza ed effettivit� della tutela, in Foro Amm.� Cons. Stato, 2007, 1053; FERRARA 
L., Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, Milano, 2003; FORTI U., Il ricorso 
al Consiglio di Stato contro il mancato adempimento dell�obbligo della autorit� amministrativa 
di conformarsi al giudicato della autorit� giudiziaria ordinaria, in Riv. Prat. Dir. 
Giur., 1904 (poi in Studi di diritto pubblico, II, 1937, 217); GIANNINI M.S., Contenuto e limiti 
del giudizio di ottemperanza, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1960, 442; GUICCIARDI E., 
L�obbligo dell�Autorit� amministrativa di conformarsi al giudicato dei tribunali, in Arch. 
Dir. Pubbl., 1938, 250; LUCE A., Ancora sul giudizio di ottemperanza, in Dir. Proc. Amm., 
1995, 786; MALINCONICO G., L�impugnazione degli atti commissariali nel giudizio di ottemperanza 
alle sentenze del giudice amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 1993, 465; 
MAZZAROLLI L., Il giudizio di ottemperanza oggi: risultati concreti, in Dir. Proc. Amm., 
1990, 266; MELE E., I limiti dell�amministrazione nell�esecuzione del giudicato, in Foro 
Amm., 1986, 2716; NIGRO M., Sulla natura giuridica del processo di cui all�art. 27, n. 4, 
della legge sul Consiglio di Stato, in Riv. Dir. Pubbl., 1954, 228; ID., L�esecuzione delle sentenze 
di condanna della Pubblica Amministrazione, in Foro it., 1965, V, 57; ID., Giustizia 
amministrativa, 4a ed. (a cura di Cardi E. e Nigro A.), Bologna, Il Mulino, 1994, 312-324; 
PAJNO A., Il giudizio di ottemperanza come processo di esecuzione, in Foro Amm., 1987, 
1645; PATRONI GRIFFI F., Il giudicato amministrativo e la sua ottemperanza, in MORBIDELLI 
G., Codice della giustizia amministrativa, Milano, Giuffr�, 2005, 794-827; PELILLO S., Il 
giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo, Milano, Giuffr�, 1990; 
RANELLETTI O., Sulla esecuzione in via amministrativa delle decisioni del Consiglio di Stato 
e delle Giunte provinciali amministrative, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1951, 76; SAITTA F., Il 
giudice dell�ottemperanza, Milano, 1991; ID., Sistema di giustizia amministrativa, Milano, 
2005, 293-353; SALVATORE P., Il giudizio di ottemperanza nella evoluzione giurisprudenziale, 
in Studi in memoria di F. Piga, I, Milano, 1992, 855; SANDULLI A.M., Il problema dell�esecuzione 
delle pronunce del giudicato amministrativo, in Dir. e societ�, 1982, 19; SATTA F., 
L�esecuzione del giudicato amministrativo di annullamento, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 
1967, 947; ID., Giustizia amministrativa, 1997, 499-506; SCHINAIA M.E., I poteri del giudice 
amministrativo nella fase dell�esecuzione delle sue decisioni da parte 
dell�Amministrazione, relazione tenuta nel colloquio svoltosi ad Atene nei giorni 11-14 ottobre 
2003 con il Consiglio di Stato di Grecia, in www.giustizia-amministrativa.it; SCOCA F.G., 


DOTTRINA 259 

della Costituzione che impongono al Legislatore di predisporre gli strumenti 
tecnici che assicurino al privato l�utilit� vantata che vada oltre la mera pronuncia 
di cognizione, risolvendosi nell�attuazione effettiva della pretesa attivata dal 
privato avverso gli atti ed i comportamenti della P.A. impugnati e/o contestati. 

Come ha rilevato il Giudice delle leggi �una decisione di giustizia che 
non possa essere portata ad effettiva esecuzione [�] non sarebbe che un�inutile 
enunciazione di principi, con conseguente violazione degli art. 24 e 113 
Cost., i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi 
accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto� (2). �, quindi, 
necessario imporre in capo all�Amministrazione un obbligo di conformazione 
al giudicato che �consiste nell�attuazione di quel risultato pratico, tangibile, 
riconosciuto come giusto e necessario dal giudice� a fronte del cui inadempimento 
�la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni 
di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione 
giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria� (3). 

Sentenze di ottemperanza e loto appellabilit�, in Foro it., 1979, II, 73; SCOTTO G., L�obbligo 
delle autorit� amministrative di conformarsi al giudicato dei tribunali ordinari, in Stato civ., 
1970, 370; TARULLO S., Esecuzione ed ottemperanza, in SCOCA F.G., Giustizia amministrativa, 
2006, 465-481; TRAVI A., L�esecuzione della sentenza, in CASSESE S. (a cura di), Trattato 
di diritto amministrativo (Diritto amministrativo speciale), Tomo V (Il processo amministrativo), 
2003, 4605-4660; ID., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, GIAPPICHELLI, 2006, 
330-338; ID., Il giudicato amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 2006, 912-936; VERRIENTI L., 
Giudizio di ottemperanza, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, UTET, 1991, 257-289; ID., Il giudizio 
di ottemperanza, in ROMANO A., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, 
CEDAM, 1992, 361-391; VILLATA R., L�esecuzione del giudicato amministrativo, Milano, 
1968; ID., L�esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971; ID., Orientamenti 
recenti della giurisprudenza in tema di giudizio di ottemperanza, in Dir. Proc. Amm., 1993, 
170; VIPIANA M.P., Contributo allo studio del giudicato amministrativo, Milano, 1990; ID.., 
Spunti a proposito della reciproca conversione fra ricorso per ottemperanza e ricorso ordinario 
di mera legittimit�, in Dir. Proc. Amm., 1990, 254. 

(2) C. cost., 8 settembre 1995, n. 419, in Giur. It., 1997, I, 103; in termini C. cost. 15 
settembre 1995, n. 435. 
(3) C. cost., 8 settembre 1995, n. 419, in Giur. It., 1997, I, 103; in termini C. cost. 15 
settembre 1995, n. 435. 
Nonostante la descritta funzione costituzionale, l�Adunanza Plenaria ha correttamente 
ritenuto estendibile il blocco delle procedure esecutive individuali nei confronti degli enti 
locali per i quali sia intervenuta la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario previsto 
dall�art. 21, 3� co., D.L. 18 gennaio 1993, n. 8 c. L. 19 marzo 1993, n. 68, poi refluita nell�art. 
81 D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 (disciplina ritenuta costituzionalmente legittima dal 
Giudice delle leggi in quanto la limitazione della proponibilit� delle azioni esecutive � imposta 
nel quadro di un ragionevole contemperamento degli interessi pubblici e privati coinvolti 
� C. cost. 29 giugno 1995, n. 285) rilevando che �la pretesa creditoria all�esecuzione forzata 
non � frustrata, ma � meramente deviata da uno strumento di soddisfacimento individuale 
verso uno di tipo concorsuale� atteso che �l�esigenza di contestuale liquidazione dei 
debiti degli enti locali nel rispetto del principio della par condicio creditorum costituisce 
ragione sufficiente di tale meccanismo sostitutorio dello strumento di tutela approntato dall�ordinamento� 
(Cons. Stato, A.P., 24 giugno 1998, n. 8). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Con queste pronunce la Consulta ha sancito in via definitiva la conformit� 
a Costituzione della ricostruzione operata dall�Adunanza Plenaria del 
Consiglio di Stato in relazione alla funzione del giudizio di ottemperanza 
(�finalit� di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto derivante dal 
giudicato ordinario o amministrativo attraverso il termine medio di un�attivit� 
amministrativa sia di natura provvedimentale, sia di natura meramente 
adempitiva� onde effettivamente �sopperire alla inerzia, al rifiuto, all�attivit� 
elusiva o di incompleto adempimento dell�Amministrazione� (4)) e al 
contenuto dei poteri riconosciuti al giudice amministrativo (�� circa l�ambito 
e le caratteristiche del giudizio di merito, si pu� affermare che la sostanziale 
ragione che indusse il legislatore ad affidare al giudice amministrativo 
competenza di merito in ordine ai ricorsi diretti ad ottenere l�adempimento 
dell�obbligo di conformare l�azione amministrativa al giudicato fu certamente 
quella di consentirgli, perch� fosse assicurato siffatto adempimento 
stante l�inerzia dell�Amministrazione, i pi� ampi poteri di intervento, diretto 
o indiretto, volti alla finalit� della reintegrazione completa della stessa 
giuridica del cittadino. E la cognizione estesa al merito consente appunto al 
giudice di sostituirsi all�Amministrazione inerte ponendo in essere [�] tutti 
quegli atti che, caso per caso, si presentino necessari allo scopo di rendere 
conforme al giudicato la situazione dei rapporti tra cittadino e P.A.� (5)). 

2. L�evoluzione storica della normativa (6) 
Il giudizio di ottemperanza fu introdotto limitatamente alle sentenze (passate 
in giudicato) dell�A.G.O. dall�art. 4, n. 4, della legge 31 marzo 1889, n. 
5992 (7) (c.d. legge Crispi) nell�ambito dell�istituzione della Quarta Sezione 
del Consiglio di Stato cui vennero attribuite funzioni giurisdizionali. 

Sotto un altro profilo, pur riconoscendo la natura costituzionalmente necessaria dell�ottemperanza, 
� stato precisato che la Carta Fondamentale non impone di assicurare la fruibilit� 
dello stesso anche in relazione alle sentenze provvisoriamente esecutive dell�A.G.O. (C. 
cost., 8 febbraio 2006, n. 44 e ID., 25 marzo 2005, n. 122) nonch�, prima della riforma intervenuta 
con l�art. 10 (1�co.) Legge 21 luglio 2000, n. 205, delle sentenze provvisoriamente 
esecutive dei TAR (C. cost., 12 dicembre 1998, n. 406). 

((4) Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, n. 1. In termini Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23. 

(5) Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, n. 1. In termini Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23. 
(6) Per ulteriori approfondimenti storici VERRIENTI L., Giudizio di ottemperanza, Dig. 
Disc. Pubbl., Torino, UTET, 1991, 259-263; ID., Il giudizio di ottemperanza, in ROMANO A., 
Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, CEDAM, 1992, 362-365. 
(7) La disposizione � stata riprodotta senza alcuna modifica letterale nell�art. 26, n. 5 
del T.U. 2 giugno 1889, n. 6166 (che coordinava la legge istitutiva della IV Sezione con la 
legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. D), nell�art. 23, n. 5, del T.U. 17 agosto 1907, n. 638 (che 
riordinava la legislazione in vigore con la legge 7 marzo 1907, n. 62 di istituzione della V 
Sezione del Consiglio di Stato), nell�art. 27 n. 4 del T.U. Cons. Stato e, da ultimo, nell�art. 
37 della Legge T.A.R. 

DOTTRINA 261 

Come rilevato dall�Adunanza Plenaria del Consiglio 9 marzo 1973, n. 1, 
la legge Crispi riconobbe uno specifico rimedio processuale per reagire 
avverso la recalcitranza dell�Amministrazione ad adempiere all�obbligo di 
conformazione al giudicato delle decisioni dell�A.G.O. in cui fosse stata 
accertata la �violazione di un diritto civile o politico�, obbligo che veniva 
riconosciuto esistente gi� durante la vigenza della legge di abolizione del 
contenzioso amministrativo (8) ma che era, tuttavia, incoercibile in considerazione 
della mancanza di un efficace strumento di tutela giurisdizionale specie 
alla luce del divieto di repressione degli atti amministrativi imposto 
all�A.G.O. dagli art. 4 della L.A.C. (9). 

L�art. 88 del regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alle sezioni 
giurisdizionali del Consiglio di Stato (R.D. 17 agosto 1907, n. 642) conferm� 
che �l�esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa, eccetto che 
per la parte relativa alle spese�, mentre l�art. 27, n. 4), del testo unico delle 
leggi sul Consiglio di Stato (R.D. 26 giugno 1924, n. 1054) ribad� la giurisdizione 
di merito del Consiglio di Stato sui �ricorsi diretti ad ottenere l�adempimento 
dell�obbligo dell�autorit� amministrativa di conformarsi, in 
quanto riguarda il caso deciso, al giudicato del Tribunale che abbia riconosciuto 
la lesione di un diritto civile o politico�. 

Successivamente la giurisprudenza del Consiglio di Stato (10) estese il 
rimedio anche alle proprie decisioni assunte in sede giurisdizionale anche se le 

(8) La Plenaria, confermando la praticabilit� del rimedio anche in relazione agli accertamenti 
di natura incidentale sull�illegittimit� dei provvedimenti amministrativi (��non pu� 
esservi, invero, alcun dubbio in ordine all�esistenza in ogni caso di un obbligo preciso sia 
di esecuzione del giudicato sia di ottemperanza ad esso, cio� di uniformare l�azione amministrativa 
al contenuto della pronuncia principale o incidentale del giudice��), ha rilevato 
che �Malgrado la mancanza di una affermazione precisa della sussistenza di un vero e proprio 
obbligo giuridico dell�Amministrazione di �conformarsi al giudicato� del giudice ordinario 
e malgrado qualche incertezza in sede dottrinaria, ben presto si riconobbe che 
all�Autorit� amministrativa l�ordinamento imponeva un vero e proprio obbligo giuridico di 
porre in essere tutta l�attivit� amministrativa necessaria per eliminare le situazioni riconosciute 
contra legem dalla sentenza passata in giudicato, vale a dire, in particolare, di eliminare 
dal mondo giuridico gli atti riconosciuti incidentalmente illegittimi dal giudice ordinario, 
ovvero di porre in essere quegli atti necessari per rendere la situazione di fatto conforme 
a quella diritto� (Cons. Stato, A. P., 9 marzo 1973, n. 1). 
(9) L�art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, recita che ��i Tribunali si limiteranno 
a conoscere degli effetti dell�atto stesso in relazione all�oggetto dedotto in giudizio� 
(10) Cons. Stato, Sez. IV, 9 marzo 1928, n. 181 e n. 182 in Foro It., 1928, III, 102 (un 
significativo estratto della decisione n. 181 si pu� leggere anche in VERRIENTI L., Giudizio 
di ottemperanza, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, UTET, 1991, 263-263; ID., Il giudizio di 
ottemperanza, in ROMANO A., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, 
CEDAM, 1992, 366) e ID., Sez. V, 13 marzo 1931, n. 176 (in Foro It., 31, III, 181). 
L�orientamento fu successivamente confermato nella celebre decisione delle Sezioni 
Unite della Suprema Corte n. 2157/1953 (in Foro it., 53, I, 1081; un estratto significativo 
della decisione pu� leggersi anche in VERRIENTI L., Giudizio di ottemperanza, in Dig. Disc. 
Pubbl., Torino, UTET, 1991, 264; ID., Il giudizio di ottemperanza, in ROMANO A., Commen



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

norme richiamate si riferivano esclusivamente ai giudicati dell�A.G.O., fondando 
il proprio convincimento sulla funzione che l�ordinamento aveva inteso assegnare, 
nel quadro degli istituti di tutela del cittadino nei confronti dell�Amministrazione, 
al rimedio previsto dall�art. 27, n. 4, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054. 

In seguito la giurisprudenza dell�Adunanza Plenaria (11), superando l�orientamento 
originario di segno contrario (12), ha esteso l�ottemperanza al 

tario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, CEDAM, 1992, 366-367) che afferm� 
che l�esecuzione del giudicato amministrativo costituisce un obbligo dell�amministrazione 
ad essa imposto nel superiore e generale interesse dell�attuazione della giustizia che si conforma 
al principio chiovendiano secondo cui il �processo deve dare praticamente a chi ha 
un diritto tutto quello che egli ha diritto di conseguire�. 

Le decisioni della Sezione quarta del 1928 costituirono l�anello finale di un�evoluzione 
giurisprudenziale che aveva avuto inizio con il riconoscimento alle pronunce del 
Supremo consesso amministrativo dell�idoneit� ad assumere autorit� di cosa giudicata 
(Cons. Stato, Sez. IV, 20 aprile 1894, in Giur. It., 1894, III, 161 e Cass. civ., Sez. Un., 12 
dicembre 1901, in Giust. Amm.). 

(11) Secondo la Plenaria (Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, n. 1), chiarito che presupposto 
del giudizio di ottemperanza � l�inerzia o il rifiuto dell�Amministrazione di provvedere, 
non potrebbe negarsi che, anche in relazione all�esecuzione delle sentenze di condanna 
dell�Amministrazione al pagamento di somme, potrebbe verificarsi una fattispecie non dissimile 
a quella nella quale, dopo la dichiarazione incidentale di illegittimit� dell�atto, occorra 
che l�Amministrazione ponga in essere l�attivit� necessaria perch� la pronuncia del giudice 
consegua gli effetti previsti dall�ordinamento e quindi siano concretamente ipotizzabili condotte 
omissive, rifiuti pi� o meno formalizzati, oppure esecuzioni meramente apparenti. Anche 
in relazione alle procedure di spesa l�Amministrazione potrebbe risultare inerte nel porre in 
essere la necessaria attivit� amministrativa prevista dalle norme di contabilit� pubblica tesa a 
consentire l�adempimento dell�obbligazione pecuniaria e l�intervento del giudice amministrativo 
in sede di ottemperanza sarebbe quindi preordinato a sopperire a tali condotte. Ad avviso 
della Plenaria ancorch� tale �attivit� non sia strettamente di natura provvedimentale ma semplicemente 
satisfattiva di un pretesa pecuniaria e adempitiva�, quindi coercibile anche attraverso 
altri strumenti previsti dall�ordinamento (segnatamente l�esecuzione forzata innanzi 
all�A.G.O.), l�unica differenza tra i due giudizi esecutivi sarebbe costituita dalla circostanza 
che nel primo il rimedio ex art. 27 n. 4 T.U. Cons. Stato costituirebbe il solo strumento giuridico 
di reazione nei confronti dell�Amministrazione inerte, mentre nel secondo esso sarebbe 
concorrente con l�azione esecutiva ordinaria. Quindi il soggetto interessato avrebbe la �possibilit� 
di scegliere tra l�esecuzione forzata ordinaria, secondo le norme del codice di rito, e l�esecuzione 
in sede amministrativa con il ricorso ex art. 27 n. 4, giacch� i due rimedi non sono 
alternativi, nel senso che l�uno esclude l�altro, ma sono tra loro concorrenti, nel senso che 
l�uno si aggiunge all�altro ed entrambi possono essere esperiti, anche contestualmente, perch� 
la pretesa creditoria trovi puntuale adempimento in via coattiva� anche perch� �l�esaurimento 
dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilit� di cassa non costituiscono legittima 
causa di impedimento all�esecuzione del giudicato, dovendo l�Amministrazione porre in 
essere tutte le iniziative necessaria per rendere possibile il pagamento, procedendo alla liquidazione, 
alla formazione dei mandati, al reperimento dei fondi� e, in mancanza, ben potrebbe 
il giudice amministrativo adito in sede di ottemperanza assegnare �un termine 
all�Amministrazione inadempiente perch� provveda con contestuale nomina di un commissario 
ad acta, il quale scaduto inutilmente detto termine, ponga in essere, un ulteriore termine 
fissato dal giudice, tutti quegli adempimenti contabili anche relativi al reperimento dei fondi, 
occorrenti alla corresponsabile di somme� (Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, n. 1). 

DOTTRINA 263 

giudicato di condanna al pagamento di somme di denaro formatosi su decisioni 
dell�A.G.O., affermando la concorrenzialit� del rimedio con l�esecuzione 
civile (13). 

L�art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ha confermato il rimedio 
dettando regole specifiche in materia di competenza (14) mentre gli articoli 
10, 1� co., e 3, 1� co., della legge 21 luglio 2000, n. 205, hanno rispettivamente 
esteso il rimedio alle sentenze dei T.A.R. non sospese in appello e 
alle ordinanze cautelari (15). 

(12) Per l�orientamento originario che riteneva inammissibile l�ottemperanza delle sentenze 
dell�A.G.O. di condanna al pagamento di somme di denaro si richiamano, tra l�altro, 
Cons. Stato, Sez. IV, 10 aprile 1890; ID., Sez. IV, 26 aprile 1895; ID., Sez. V, 16 novembre 
1937, n. 1281; ID., Sez. V, 30 dicembre 1952, n. 1413; ID., Sez. V, 21 dicembre 1957, n. 
1226; ID., Sez. V, 30 ottobre 165, n. 1046; ID., Sez. IV, 23 novembre 1966, n. 841. 
(13) Per la concorrenzialit� tra l�esecuzione civile e l�ottemperanza si sono schierate 
numerose decisioni successive (Cons. Stato, Sez. IV, 1� ottobre 2004, n. 6362; ID., Sez. V, 
15 aprile 2004, n. 2161; ID., Sez. V, 12 novembre 2001, n. 5788; ID., Sez. IV, 1� settembre 
1999, n. 1399). � chiaro che ammettendo la possibilit� di incardinare entrambi i giudizi, ove 
l�interessato sia stato integralmente soddisfatto all�interno di uno dei due processi, quello 
ancora pendente dovrebbe chiudersi in considerazione della sopravvenuta carenza di interesse 
alla sua prosecuzione (cos� Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 2004, n. 2161; ID. Sez. VI, 
29 gennaio 2002, n. 480). 
(14) Come sar� successivamente rilevato la competenza in materia di giudizio di ottemperanza 
� pacificamente ritenuta di natura funzionale e inderogabile, pertanto, rilevabile 
anche d�ufficio e non necessariamente attraverso il regolamento di competenza (Cons. Stato, 
Sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3926; ID., Sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3574; ID., Sez. IV, 2 gennaio 
1996, n. 14). 
(15) Giova ricordare che l�orientamento favorevole all�estensione del rimedio alle sentenze 
del Consiglio di Stato impugnate con ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione 
o con ricorso per revocazione ex art. 395 (n. 4 e 5) c.p.c. sostenuto dall�Adunanza 
Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato. A.P., 21 marzo 1969, n. 10, in Foro Amm., 
1969, 171, e Cons. Stato, Sez. IV, 24 novembre 1970, n. 901; ID., Sez. IV., 15 maggio 1973, 
n. 564) fu bocciato dalla Cassazione (Cass. Civ. Sez. Un., 18 settembre 1970, n. 1563, in 
Foro It., 1970, 2349; ID., Sez. Un., 5 novembre 1973, n. 2863, in Foro Amm., 1974, I, 1, 
188; ID., Sez. Un. 7 novembre 1973, n. 2897, in Cons. Stato, 1974, II, 125). 
Ci� impose il Consiglio di Stato di rimeditare le proprie posizioni in senso conforme 
alla Corte regolatrice affermando la praticabilit� dell�ottemperanza solo in relazione alle 
sentenze passate in giudicato, dichiarando inammissibili i ricorsi per l�esecuzione proposti 
in relazione a sentenze dei TAR provvisoriamente esecutive (Cons. Stato, A.P., 23 marzo 
1979, n. 12, in Cons. Stato, 1979, I, 321; ID., A.P., 10 aprile 1980, n. 10, in Cons. Stato, 1980, 
I, 411; ID., A.P., 19 maggio 1997, n. 9, in Foro Amm., 1998, 1352; ID., Sez. IV, 17 aprile 
1990, n. 287). 

La questione dell�allargamento dei confini oggettivi dell�ottemperanza si � poi progressivamente 
spostata alla fruibilit� del rimedio in relazione alle sentenze provvisoriamente 
esecutive pronunciate dai T.A.R. nonch� alle ordinanze cautelari. 

Sotto quest�ultimo profilo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, pur non etichettando 
il rimedio come ottemperanza (�il contenuto decisorio dell�ordinanza cautelare non 
acquista mai quell�efficacia definitiva che, in ordine al caso deciso, ha il giudicato� sicch� 
il giudizio di ottemperanza per l�esecuzione di tali ordinanze non risulta esperibile), ha riconosciuto 
che qualora la mera adozione dell�ordinanza cautelare non soddisfi le esigenze di 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

3. La natura giuridica del giudizio di ottemperanza: un caso di giurisdizione 
di merito da valutare differenziando le sentenze dell�A.G.O. da quelle del 
G.A. 
L�esecuzione del giudicato (16), specie se afferente l�esercizio di poteri 
amministrativi, pone il problema di conciliare il principio di separazione dei 
poteri giudiziario ed esecutivo con quello di garantire un�effettiva tutela giurisdizionale 
alle legittime pretese dei privati. 

tutela del ricorrente, a seguito di nuovo ricorso dell�interessato proposto secondo le regole 
ordinarie, lo stesso giudice pronunciatosi sulla sospensiva possa adottare tutti gli atti, di 
natura costituiva o dichiarativa di obblighi a carico della P.A., che siano idonei ad assicurare 
l�effettivit� della tutela cautelare (Cons. Stato, A.P., 30 aprile 1982, n. 6, in Foro Amm., 
1982, I, 626; ID., 11 dicembre 1982, n. 12, in Foro Amm., 1982, I, 1212). Lo strumento tecnico 
per rimediare all�inerzia o l�elusione dell�ordinanza cautelare, pertanto, secondo la giurisprudenza 
anteriore alla riforma del 2000, non era il ricorso per ottemperanza ex art. 27, n. 
4., R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, ma un nuovo ricorso in sede cautelare (inter plures Cons. 
Stato, Sez. VI, 2 giugno 1987, n. 350, in Cons. Stato, 1987, I, 885) nell�ambito del quale il 

G.A. avrebbe potuto, con i pi� ampi poteri sostitutivi di merito, identificare le attivit� specifiche 
da compiersi (o compierle direttamente) oppure nominare un commissario ad acta che 
si sostituisca all�Amministrazione in caso di ulteriore inadempienza (cos� C. cost., 8 settembre 
1995, n. 419), con la sola limitazione temporale delle misure adottate (Cons. Stato, A.P., 
30 aprile 1982, n. 6). I frutti della descritta evoluzione giurisprudenziale, che, peraltro, si 
arricchivano della conquista della �sospendibilit�� degli atti negativi (Cons. Stato, A.P., 8 
ottobre 1982, n. 17), sono stati da ultimo positivizzati dall�art. 3 della legge 21 luglio 2000, 
n. 205, che ha previsto la possibilit� di ottenere che il T.A.R. adotti le opportune disposizioni 
attuative delle misure cautelari concesse nell�esercizio dei pieni poteri tipici del giudice 
dell�ottemperanza (in talune ipotesi � stato addirittura utilizzato lo strumento del decreto 
presidenziale � T.A.R. Lazio, Sez. II ter, Decr. Pres. 15 marzo 2001, n. 1828). 
Circa la questione dell�esperibilit� dell�ottemperanza in relazione alle sentenze provvisoriamente 
esecutive dei T.A.R. il Giudice delle Leggi, confermando l�orientamento 
dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, A.P., 23 marzo 1979, n. 12 e ID., 
A.P., 1� aprile 1980, n. 10), con sentenza del 12 dicembre 1998, n. 406, ha dichiarato che 
l�imposizione del pi� alto grado di certezza derivante dal giudicato per accedere alla tutela 
esecutiva dell�ottemperanza costituisce esercizio non irragionevole della discrezionalit� 
legislativa attese �le peculiarit� funzionali del giudizio amministrativo (esteso al merito) 
con potenzialit� sostitutive e intromissive nell�azione amministrativa, non comparabili con 
i poteri dell�esecuzione nel processo civile�. Dopo il chiaro decisum del Giudice delle leggi 
solo una specifica modifica legislativa avrebbe potuto estendere il rimedio alle sentenze 
provvisoriamente esecutive dei T.A.R. non sospese dal Consiglio di Stato. Il Legislatore, nel 
quadro della riforma del processo amministrativo, recependo un orientamento innovativo 
della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 3 maggio 1999, n. 767) che estendeva 
alle sentenze di primo grado la soluzione gi� raggiunta per l�esecuzione delle ordinanze 
cautelari, ha previsto la possibilit� di adire nuovamente il T.A.R. per ottenere i provvedimenti 
idonei ad assicurare l�esecuzione provvisoria della sentenza (art. 10, 1� co., legge 21 
luglio 2000, n. 205). 

(16) L�esistenza di una sentenza passata in giudicato unitamente alla previa notifica di 
una diffida e alla presenza di un inadempimento oppure di un atto violativo od elusivo del 
giudicato � tra i presupposti di ammissibilit� del giudizio di ottemperanza. 

DOTTRINA 265 

Il Legislatore, come gi� succintamente evidenziato, ha assicurato il raggiungimento 
di quest�ultimo obiettivo introducendo lo strumento dell�ottemperanza 
che, attribuendo al giudice amministrativo i poteri sostitutivi 
tipici della giurisdizione di merito, si presenta molto invasivo nei confronti 
dell�Amministrazione di qui si pu� comprendere la ragione dei numerosi 
conflitti di attribuzione sollevati dinanzi alla Corte costituzionale. Difatti, 
come riconosciuto dalla stessa Adunanza Plenaria (17) il potere del G.A. di 
adottare direttamente gli atti, i provvedimenti e le misure necessari per il 
soddisfacimento del ricorrente oppure di indicarli all�Amministrazione 
assegnandole un termine a provvedere, o ancora, nell�ipotesi di ulteriore 
inottemperanza, di nominare (o di indicare un soggetto che a sua volta 

Tuttavia, nell�ipotesi di giudicato formatosi solo nel corso del giudizio di ottemperanza, 
la giurisprudenza amministrativa pi� recente, riconoscendo rilevanza al fatto costitutivo 
sopravvenuto per soddisfare esigenze di economia processuale (Cons. Stato, Sez. IV, 14 
ottobre 2004, n. 6673; ID., Sez. VI, 24 settembre 2004, n. 6261; ID., Sez. V, 2 settembre 
2002, n. 4394; ID., Sez. IV., 2 dicembre 1999, n. 2049), sembra aver superato l�orientamento 
tradizionale che, per converso, dichiarava comunque l�inammissibilit� del ricorso per 
carenza originaria di un presupposto processuale (Cons. Stato, Sez. IV, 25 marzo 1996, n. 
370; ID., Sez. V, 11 gennaio 1991, n. 15; ID., Sez. V, 29 aprile 1985, n. 208). 

Con particolare riferimento agli effetti prodotti dal giudicato amministrativo di accoglimento 
dell�azione di annullamento si � oramai consolidato l�insegnamento dettato dalla 
Plenaria nella decisione 22 dicembre 1982, n. 19, secondo cui esso produrrebbe accanto 
all�effetto caducatorio (eliminazione retroattiva dell�atto impugnato) e all�effetto ripristinatorio 
(restaurazione dello status quo antecedente all�adozione dell�atto annullato) anche l�effetto 
ordinatorio o conformativo (�questo effetto, in particolare si rivolge nei confronti 
dell�Amministrazione parte del giudizio, affinch� questa conformi la propria azione amministrativa 
al fine di adeguare lo stato di fatto e di diritto alle disposizioni dettate dal giudicato, 
quasi reductio ad iustum, secondo i criteri di legittimazione al provvedimento, di legalit� 
e di corretto esercizio del potere precettivamente indicati nella sentenza�). 

Nel caso di giudicato parziale � stato, altres�, ritenuto (Cons. Stato, A.P., 3 dicembre 
1982, n. 18) che quest�ultimo produce sul piano processuale effetti preclusivi della cognizione 
del giudice di secondo grado (consentendogli l�esame dei soli motivi di legittimit� dell�atto 
devoluti con l�impugnazione parziale della sentenza di primo grado) unitamente ad 
effetti sostanziali concorrenti con pari autorit� con quelli della decisione di appello ai fini 
della costituzione dei vincoli posti all�ulteriore azione amministrativa, con la conseguenza 
che l�Amministrazione potrebbe procedere all�esecuzione dei capi definitivi della decisione 
di primo grado pur in pendenza dell�appello contro le restanti disposizioni della stessa sentenza. 
Tuttavia, gli atti di ottemperanza emanati in via prodromica in pendenza della definzione 
delle ulteriori questioni controverse sarebbero necessariamente subordinati, quanto ai 
presupposti della rinnovazione degli atti annullati, alla compatibilit� con il contenuto della 
decisione d�appello che eventualmente riformi i capi impugnati della sentenza del TAR in 
considerazione degli effetti espansivi esterni che la riforma produce sugli atti e provvedimenti 
dipendenti (art. 336 c.p.c.) in via automatica e senza che occorra esperire una specifica 
impugnazione. 

Per l�ammissibilit� in relazione al giudicato parziale Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, 

n. 1 e ID., A.P., 4 luglio 1978, n. 23. 
(17) Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

nomini) un commissario ad acta che si sostituisca all�Amministrazione 
(18), comporta che �l�attivit� sostitutiva del giudice nel procedimento di 
ottemperanza�, pur essendo quest�ultimo un �procedimento giurisdiziona


(18) Sul punto Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, n. 1. 
La variet� degli strumenti utilizzabili dal giudice dell�ottemperanza esercitando i propri 
poteri sostitutivi di merito e, in particolare, la possibilit� di nominare un commissario ad 
acta (figura introdotta dalla giurisprudenza amministrativa, in carenza di previsioni normative 
specifiche, sulla falsariga del modello di controllo sostitutivo, facendo leva sull�ampiezza 
dei propri poteri decisori) ha trovato un�importante conferma in una celebre pronuncia 
della Corte costituzionale che, ratificando l�interpretazione della Plenaria, ha confermato la 
natura giurisdizionale dell�attivit� esecutiva del giudice dell�ottemperanza (�il giudice 
amministrativo, sia che sostituisca la propria decisione all�omesso provvedimento della 
pubblica amministrazione, che vi era tenuta in forza del giudicato formatosi nei suoi confronti, 
come pi� spesso suole accadere quando si tratti di atto vincolato; sia che ingiunga 
alla amministrazione medesima di provvedere essa stessa, entro un termine all�uopo prefissatole 
e con le modalit� specificate in sentenza; sia infine che disponga la nomina di un 
commissario per l�ipotesi che il termine abbia a decorrere infruttuosamente, esplica sempre 
attivit� di carattere giurisdizionale (�decide pronunciando anche in merito�, come si esprime 
l�art. 27, comma primo, del citato testo unico del 1924, riferendosi testualmente al 
Consiglio di Stato �in sede giurisdizionale�). N� fa differenza, sotto questo aspetto, quanto 
all�ipotesi ora da ultimo prospettata, che la nomina del commissario sia operata dal giudice 
amministrativo direttamente, ovvero attraverso l�interposizione di un organo amministrativo 
(come nella specie che forma oggetto del presente giudizio), poich� in tal caso a 
quest�ultimo viene semplicemente demandata la scelta della persona, e non gi� conferito il 
potere di agire in via sostitutiva per mezzo di un �suo� commissario, come si verifica invece 
quando sia l�organo di controllo, di propria iniziativa, ad inviare un commissario ad acta 
presso amministrazioni sottoposte alla sua vigilanza. Procedendo, pertanto, direttamente o 
indirettamente, alla nomina di un commissario, il giudice amministrativo non si surroga 
all�organo di controllo, ma pone in essere un�attivit� qualitativamente diversa da quella che 
quest�ultimo avrebbe istituzionalmente il potere-dovere di esplicare nell�ipotesi di omissione 
da parte degli enti locali di atti obbligatori per legge, tra i quali rientrano bens�, ma 
senza esaurirne la specie, quelli da adottare per conformarsi ad un giudicato: potere-dovere 
che, comunque, preesiste alla pronuncia emessa nel giudizio di ottemperanza ed � da questa 
indipendente. Ed a sua volta, l�attivit� del commissario, pur essendo, praticamente, la 
medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall�amministrazione, o in ipotesi da un commissario 
ad acta inviato dall�organo di controllo, ne differisce tuttavia giuridicamente, perch� 
si fonda sull�ordine contenuto nella decisione del giudice amministrativo, alla quale � 
legata da uno stretto nesso di strumentalit�.� C. cost. 12 maggio 1977, n. 75), dando la stura 
alla definitiva configurazione del commissario ad acta come organo ausiliario del G.A. 
(Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23; ID., Sez. VI, 29 marzo 2001, n. 1871; ID., Sez. IV, 
30 marzo 2000, n. 1834; ID., Sez. V, 7 ottobre 1996, n. 1202; ID., Sez. VI, 20 febbraio 1990, 

n. 274; ID., Sez. IV, 24 gennaio 1985, n. 25; ID., Sez. V, 27 marzo 1981, n. 97) cui conseguono 
i corollari: 1) dell�impugnabilit� degli atti di quest�ultimo direttamente al giudice dell�ottemperanza 
(�la verifica della corrispondenza dell�operato del commissario ad acta al 
giudicato va richiesta attraverso un nuovo ricorso per l�esecuzione del giudicato� Cons. 
Stato, A.P., 26 agosto 1991, n. 5 � in precedenza la Plenaria aveva similmente ritenuto che 
gli atti del commissario non fossero impugnabili nelle forme ordinarie ma soggetti al 
�costante controllo del giudice di ottemperanza� da attivare con le forme del rito di cui 
all�art. 27, n. 4, R.D. 1054/1924 [Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23]; conformi ID., Sez. 

DOTTRINA 267 

le� (sia pure �sui generis� in quanto �si proietta nella fase di realizzazione 
positiva e pratica della sentenza da eseguire�), sia �oggettivamente la stessa 
che avrebbe potuto e dovuto compiere l�Amministrazione� venendosi ad 
inserire �nel sistema organizzativo e funzionale dell�Amministrazione con 
un�intrinsecit� che pu� essere ancora maggiore degli atti che il giudice 
amministrativo pu� emanare negli altri casi in cui ha giurisdizione di merito� 
atteso che �lo sbocco di tale procedimento � conclusivo e operativo, 
portando addirittura all�inserimento della determinazione concreta del giudice 
amministrativo (emessa da lui direttamente o dal commissario ad acta 

VI, 14 gennaio 2003, n. 110; ID., Sez. IV, 19 dicembre 2000, n. 6835; ID., Sez. I, 16 dicembre 
1998, n. 839; ID., Sez. 28 febbraio 1995, n. 298; ID., Sez. VI, 7 febbraio 1995, n. 153; 
ID., Sez. V, 27 marzo 1992, n. 259; ID., Sez. VI, 12 novembre 1990, n. 963; ID., Sez. VI, 20 
maggio 1987, n. 297) a meno che non si tratti, secondo un certo orientamento giurisprudenziale 
ampiamente sostenuto in passato e che oggi sembra recessivo in considerazione del 
grave inconveniente pratico derivante dalla difficolt� di dover distinguere i due diversi ordini 
di situazioni (cos� TRAVI A., L�esecuzione della sentenza, in CASSESE S. (a cura di), 
Trattato di diritto amministrativo (Diritto amministrativo speciale), Tomo V (Il processo 
amministrativo), 2003, 4650), di atti del commissario non meramente esecutivi ma autonomi 
ed ulteriori (per Cons. Stato, Sez. VI, 30 dicembre 2004, n. 8275; ID., Sez. IV, 30 marzo 
2000, n. 1834; ID., Sez. V, 15 marzo 1991, n. 262; ID., Sez. V, 15 gennaio 1990, n. 49; ID., 
Sez. V, 27 novembre 1989, n. 771; ID., Sez. VI, 24 marzo 1988, n. 353; ID., Sez. V, 11 luglio 
1985, n. 259; Cons. giust. amm., 11 febbraio 1986, n. 13; ID., 31 maggio 1984, n. 61 si 
dovrebbe proporre ricorso ordinario in sede di giurisdizione generale di legittimit�) oppure, 
secondo un certo orientamento dottrinale e giurisprudenziale, dell�impugnazione da parte di 
un terzo rimasto estraneo al processo conclusosi con il giudicato (anche qui per Cons. Stato, 
Sez. IV, 19 dicembre 2000, n. 6835; ID., Sez. IV, 3 aprile 2001, n. 1999; CAIANIELLO V., 
Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, UTET, 2003, 1012, si dovrebbe proporre 
ricorso ordinario in sede di giurisdizione generale di legittimit�), 2) dell�applicazione 
analogica della disciplina relativa al compenso dei consulenti tecnici (Cons. Stato, Sez. VI, 
1� ottobre 1999, n. 1297; ID., Sez. IV, 30 maggio 2001, n. 2957) nonch� 3) dell�impossibilit� 
per l�Amministrazione di annullarli in sede di autotutela (Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 
1999, n. 1332; ID., Sez. IV, 10 giugno 1999, n. 993; ID., Sez. V, 28 febbraio 1995, n. 298; 
Cons. giust. amm., 11 ottobre 1999, n. 422; secondo Vincenzo Caianiello l�atto di annullamento 
dell�Amministrazione sarebbe inesistente per straripamento di potere [Op. cit., 10101011]; 
la P.A. sarebbe, tuttavia, legittimata ad impugnarli Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 
2005, n. 1952; ID., Sez. VI, 16 ottobre 2002, n. 5647; ID., Sez. V, 6 ottobre 1999, n. 1332). 

Secondo le ricostruzioni minoritarie oramai recessive, per converso, il commissario ad 
acta dell�ottemperanza sarebbe un organo straordinario dell�amministrazione (Cons. Stato, 
Sez. V, 6 ottobre 1990, n. 70; ID., Sez. VI, 2 ottobre 1980, n. 892) oppure un organo misto, 
ausiliario del giudice per alcuni aspetti e dell�amministrazione per altri (Cons. giust. amm., 
21 dicembre 1982, n. 92). 

Il commissario ad acta nominato dal giudice dell�ottemperanza si differenzia da quello 
previsto dall� art. 21-bis della legge T.A.R. nell�ambito della speciale procedura di impugnazione 
del silenzio dell�Amministrazione, atteso che qui, mancando il rinvio alla disciplina 
del rito di cui all�art. 27, n. 4 T.U.C.D.S., si assiste ad una c.d. �ottemperanza anomala o 
speciale� cui si accede a prescindere dal passaggio in giudicato e, soprattutto, si ammette 
l�intervento del commissario nell�ambito del medesimo processo, senza bisogno di un ricorso 
ad hoc, essendo sufficiente una semplice istanza al giudice che ha dichiarato l�illegittimi



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

da lui appositamente nominato) nelle linee funzionali di svolgimento dell�azione 
amministrativa� (19). 

Successivamente la Plenaria ha reiteratamente confermato il proprio precedente 
orientamento ribadendo che �in sede di ottemperanza il giudice adito 
esplica, sotto forme giurisdizionali, una attivit� di natura in effetti amministrativa, 
giacch� l�oggetto del suo giudizio sta non nella risoluzione di una controversia 
bens� nel compimento � diretto o a mezzo di commissario ad acta 
appositamente nominato � di attivit� sostitutiva dell�Amministrazione� (20). 

Come in precedenza rilevato l�Amministrazione � tenuta a conformarsi 
alle decisioni della magistratura. Quest�obbligo sussiste indipendentemente 
dalla fruibilit� del rimedio dell�ottemperanza (21) in quanto �non vi � coin


t� del silenzio. Per tali ragioni � stato di recente ritenuto che questo commissario non sia un 
ausiliario del giudice ma un organo straordinario dell�Amministrazione che �viene a disporre 
di uno spazio di libert� sicuramente sconosciuto all�analoga figura nominata in sede di 
esecuzione al giudicato� in quanto �non vi �, infatti, una vera e propria sentenza di ottemperanza, 
ma un semplice atto di nomina, con cui il giudice non dice all�amministrazione 
come deve provvedere, ma demanda tutto all�organo amministrativo straordinario che � il 
commissario� (Cons. Stato, Sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3602). 

Circa i poteri spettanti al commissario ad acta nominato dal giudice dell�ottemperanza, 
di recente quest�ultimo � stato ritenuto legittimato a stipulare un atto di transazione con 
il ricorrente con la conseguente inammissibilit� del giudizio (Cons. giust. amm. 2 marzo 
2007, n. 141; sotto il profilo strettamente processuale giova rilevare che la pronuncia di rito 
avrebbe dovuto essere non di inammissibilit� ma di improcedibilit�, atteso che la carenza di 
interesse non era originaria ma sopravvenuta nel corso del giudizio; peraltro, neanche una 
pronuncia di cessazione della materia del contendere sarebbe stata corretta in quanto nella 
transazione il requisito dell�aliquid datum � aliquid retentum esclude ontologicamente l�integrale 
soddisfacimento delle ragioni del ricorrente). 

(19) Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, n. 1. 
(20) Cons. Stato, A.P., 29 gennaio 1980, n. 2. 
L�anno prima la stessa Plenaria aveva sancito l�inammissibilit� dei ricorsi per ottemperanza 
di decisioni del G.A. non passate in giudicato formale (art. 324 c.p.c) in considerazione 
del fatto che l�attivazione dei poteri della giurisdizione di merito che pu� condurre 
�all�inserimento della determinazione concreta del giudice amministrativo nelle linee funzionali 
di svolgimento dell�azione amministrativa� richiede il �raggiungimento del massimo 
grado di certezza (formazione della �res giudicata�)�. Quest�orientamento, ribadito 
dalla stessa Plenaria con la decisione 1� aprile 1980, n. 1, verr�, poi, recepito dalla Corte 
costituzionale nelle pronunce dichiarative della legittimit� costituzionale delle disposizioni 
che non consentivano di avvalersi dell�ottemperanza in relazione alle pronunce provvisoriamente 
esecutive dei TAR (C. cost., 12 dicembre 1998, n. 406) come pure di quelle che ne 
escludevano la fruibilit� in riferimento alle sentenze provvisoriamente esecutive dell�A.G.O. 

(C. cost., 25 marzo 2005, n. 122 e ID., 8 febbraio 2006, n. 44). 
(21) Gi� prima dell�introduzione del giudizio di ottemperanza da parte della legge 
Crispi l�orientamento prevalente affermava l�esistenza di un obbligo di conformazione alle 
decisioni dell�A.G.O. 
Analogamente un obbligo similare � stato ritenuto sussistere in capo 
all�Amministrazione in relazione alle sentenze provvisoriamente esecutive dei TAR e alle 
ordinanze cautelari anche prima dell�introduzione delle modifiche della legge T.A.R. a cura 
della legge 205/00 che hanno esteso il rimedio a queste ipotesi. 


DOTTRINA 269 

cidenza tra l�ambito della esecutivit� delle decisioni e quello del giudizio 
d�ottemperanza� (22). Il principio pu� essere considerato ancora valido, pur 
se, a seguito della riforma del 2000 (23), il segnalato disallineamento � che 
resta per le sentenze dell�A.G.O.� � venuto meno in relazione a quelle provvisoriamente 
esecutive e alle ordinanze cautelari dei TAR (non sospese in 
appello), atteso che � ancora vivo il dibattito sui nuovi rimedi introdotti se 
essi costituiscano un autentico giudizio di ottemperanza, oppure se si tratti di 
un �suo surrogato nel quale il giudice disporrebbe appunto di quei poteri 
senza che ci sia un normale ricorso per l�ottemperanza� (24). 

Quasi a sancirlo icasticamente sin dal 1907 (momento storico in cui non 
era ancora stato affermato il principio della possibilit� di ottemperare le 
decisioni del G.A. essendo lo strumento ancora limitato a quelle 
dell�A.G.O.) fu previsto che tutte le decisioni del G.A. avrebbero dovuto contenere 
nel dispositivo, a pena di nullit�, l�ordine all�Autorit� amministrativa 
di compiere tutte le attivit� esecutive necessarie per conformarsi al decisum 
(art. 65, 1� co., n. 5, R.D. 17 agosto 1907, n. 642). 

In linea generale, peraltro, l�ordinamento prevede il reato di mancata 
esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all�art. 388 c.p. 
che, per la verit�, appare difficilmente configurabile in relazione alle condotte 
di mera inottemperanza non dolosa della P.A (25). 

L�obbligo di conformazione alle decisioni della magistratura si concreta 
innanzitutto nel divieto di adottare lo stesso provvedimento inficiato dai vizi 

(22) Cons. Stato, A.P., 23 marzo 1979, n. 12. 
In termini Cons. Stato, A.P., 2 giugno 1983, n. 15, secondo cui �poich� col ricorso per 
l�esecuzione del giudicato si chiede al Consiglio di Stato che la P.A. operi in modo da rendere 
la situazione di fatto conforme a quella di diritto sancita da un giudicato, il suo presupposto 
� una sentenza passata in giudicato, non gi� l�espressa comminatoria di esecuzione 
forzata che inerisce specificamente alle sentenze di condanna� (l�Adunanza Plenaria si 
alline�, in questo modo, alla giurisprudenza della Suprema Corte che aveva in pi� occasioni 
sancito la necessit� della formazione del giudicato � Cass. civ., Sez. Un., 18 settembre 
1970, n. 1563, in Foro It., 1970, 2349; ID., Sez. Un., 5 novembre 1973, n. 2863, in Foro 
Amm., 1974, I, 1, 188; ID., Sez. Un. 7 novembre 1973, n. 2897, in Cons. Stato, 1974, II, 125 

� ribaltando l�orientamento originario del Consiglio di Stato che aveva ritenuto ammissibile 
l�ottemperanza nei confronti delle proprie decisioni impugnate con ricorso per cassazione 
o revocazione � Cons. Stato. A.P., 21 marzo 1969, n. 10, in Foro Amm., 1969, 171, e 
Cons. Stato, Sez. IV, 24 novembre 1970, n. 901; ID., Sez. IV., 15 maggio 1973, n. 564). 
La posizione espressa dalla Plenaria nel 1979 e nel 1983 � stata confermata dalla Corte 
costituzionale nelle decisioni in cui ha rigettato le questioni di legittimit� costituzionale 
della disciplina del rito dell�ottemperanza nella parte in cui non estendevano il rimedio alle 
sentenze provvisoriamente esecutive del G.A. (C. cost., 12 dicembre 1998, n. 406) e 
dell�A.G.O. (C. cost., 15 marzo 2005, n. 122; ID., 8 febbraio 2006, n. 44). 

(23) Art. 3, 1� co., e 10, 1� co., della legge 21 luglio 2000, n. 205. 
(24) ROMANO A., Art. 33, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, in Commentario breve alle leggi 
sulla giustizia amministrativa, 964. 
(25) Sui tratti morfologici della fattispecie penale incriminatrice, da ultimo, Cass. pen. 
Sez. un., 5 ottobre 2007, n. 36692. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

accertati dal giudice (c.d. effetto preclusivo) (26), pur se in caso di annullamento 
per vizi formali o di motivazione � ritenuto legittimo il nuovo provvedimento 
di contenuto sostanzialmente identico a quello caducato purch� lo 
stesso sia stato emendato dai vizi riscontrati (27). 

Accanto al descritto effetto preclusivo, il giudicato produce, altres�, un 
effetto ripristinatorio e conformativo (28). Per esempio, a seguito di un annullamento 
di un atto espropriativo (interesse oppositivo) l�Amministrazione � 
tenuta a restituire il bene al privato, mentre in caso di accertamento dell�illegittimit� 
dell�inerzia tenuta dalla P.A. su un�istanza proposta dal privato (interesse 
pretensivo) la stessa � tenuta a riconsiderarla in relazione alle linee di 
indirizzo fornite dal giudice. In questi casi la decisione obbliga la P.A. a porre 
in essere tutte quelle attivit� materiali e giuridiche che siano idonee a soddisfare 
pienamente la pretesa del privato secondo il contenuto precettivo del giudicato 
(29). Tali effetti non costituiscono prerogativa esclusiva del giudicato 

(26) Il principio � ius receptum (inter plures Cons. Stato, Sez. V, 10 ottobre 1984, n. 
78, in Cons. Stato, 984, I, 354). 
(27) Il principio in base al quale il giudicato di annullamento per vizi formali dell�atto 
impugnato non elimina n� riduce il potere dell�amministrazione di provvedere di nuovo 
anche negativamente in ordine all�oggetto dell�atto di annullamento, imponendo solo di 
esplicitare i motivi posti a fondamento della nuova determinazione sfavorevole � ius receptum 
(inter plures Cons. Stato, Sez. VI, 11 marzo 1998, n. 270; ID., Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 
375, in Cons. Stato, 1981, I, 831). 
Con particolare riferimento alla tutela degli interessi pretensivi l�Amministrazione, 
quindi, ben potrebbe confermare il rigetto dell�istanza del privato per motivazioni nuove 
mai esternate nel precedente provvedimento e, a seguito di un eventuale nuovo annullamento, 
reiterare il rigetto fondandolo su ragioni nuove. 

Per evitare tali atteggiamenti ostruzionistici e dilatori si � fatto largo nella giurisprudenza 
amministrativa un orientamento (allo stato isolato) che impone all�Amministrazione in 
sede di attuazione del giudicato di sollevare tutte le ragioni ostative rilevanti, di guisa che, 
in caso di illegittimit� anche del secondo provvedimento, la P.A. non potrebbe dedurre nuovi 
motivi a sostegno del diniego, con la conseguenza che il terzo provvedimento potrebbe essere 
ritenuto emanato in carenza di potere e suscettibile direttamente di ricorso per ottemperanza 
con attribuzione al G.A. di poteri di merito che gli consentirebbero di assicurare l�effettivo 
soddisfacimento del privato con il sindacato diretto sulla fondatezza dell�istanza presentata 
(Cons. Stato, Sez. VI, 3 dicembre 2004, n. 7858; ID., Sez. VI, 6 febbraio 1999, n. 
134; Cons. giust. amm., 28 gennaio 2002, n. 49). Questa tesi, allo stato minoritaria, sembra 
essere stata seguita da alcuni T.A.R. (T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 maggio 2003, n. 627, in TAR, 
2003, I, 1007; ID., Sez. I, 21 febbraio 2002. m. 174, in Foro Amm.-T.A.R.., 2002, 436; T.A.R. 
Puglia, Lecce, Sez. I, 27 febbraio 2002, n. 842, in Urb. App., 2002, 955; T.A.R. Calabria, 
Sez. II, 7 giugno 2002, n. 1604, in Foro Amm. � T.A.R., 2002, 2184). 

(28) Il Consiglio ha chiarito che il giudicato amministrativo ha un contenuto complesso 
che accanto all�effetto demolitorio e ripristinatorio, entrambi rivolti al passato, comprende 
l�effetto conformativo che, rivolto al futuro, s�invera nel vincolo posto all�attivit� amministrativa 
di riedizione del potere (Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 1994, n. 219).
(29) � stato, difatti, ritenuto che �l�amministrazione, che a seguito del giudicato, rinnovi 
le sue determinazioni, deve in primo luogo uniformarsi alle indicazioni rese dal giudi

DOTTRINA 271 

amministrativo, ma conseguono anche al giudicato dell�A.G.O. pur se quest�ultimo 
non pu�, di regola, contenere statuizioni caducatorie limitandosi i 
poteri del giudice ordinario alla mera disapplicazione degli atti illegittimi (30). 

L�Amministrazione, tuttavia, potrebbe rimanere inerte in tutto o in parte 
oppure porre in essere un�attivit� elusiva delle statuizioni della pronuncia 
giurisdizionale che si presenti formalmente in linea con le medesime ma 
nella sostanza ne tradisca lo spirito, ovvero anche atti chiaramente violativi 
dei vincoli puntuali imposti dal giudicato. 

La decisione che accerti la spettanza di un diritto (giurisdizione 
dell�A.G.O. o del G.A. in sede esclusiva) oppure l�illegittimo esercizio del 
potere che abbia pregiudicato un interesse legittimo oppositivo o pretensivo 
(giurisdizione solitamente del G.A.), con le relative statuizioni, secondo i 
casi, dichiarative, costitutive o di condanna, deve poter essere messa ad esecuzione 
dalla parte vittoriosa anche a fronte di tali atti d�inadempimento dell�obbligo 
di attuare e conformarsi alle decisioni della magistratura incombente 
sull�Amministrazione. 

L�ambito dei poteri del giudice dell�ottemperanza e i presupposti processuali 
richiesti per l�ammissibilit� del ricorso, tuttavia, differiscono secondo che 
si chieda l�esecuzione di decisioni dell�A.G.O. o del giudice amministrativo. 

In primo luogo, nel caso dell�ottemperanza alle sentenze dell�A.G.O. � 
richiesto, a pena di inammissibilit�, il passaggio in giudicato della sentenza 
che costituisce presupposto di ammissibilit� del ricorso ritenuto costituzionalmente 
ragionevole dalla Consulta (31). 

In secondo luogo, il giudice amministrativo, contrariamente a quanto gli 
� consentito nel caso dell�ottemperanza alle proprie decisioni, non pu� completare 
il contenuto eventualmente lacunoso della pronuncia dell�A.G.O. perch� 
in tale ipotesi verrebbe ad incidere su situazioni soggettive estranee 
all�ambito della propria giurisdizione (32). 

Si ritiene, quindi, correttamente, che il giudizio di ottemperanza in relazione 
alle sentenze dell�A.G.O. abbia natura di stretta esecuzione. 

ce e condizionare la propria valutazione ai limiti di rilevanza sostanziale della posizione 
soggettiva consolidata nella sentenza. In secondo luogo deve diligentemente prendere in 
esame la situazione controversa nella sua complessiva estensione, valutando non solo i profili 
oggetto della decisione giudiziale di annullamento, ma anche quegli altri che possano 
essere comunque rilevanti per provvedere definitivamente sull�oggetto della pretesa: ci� 
perch� la consapevole omissione di alcuni di essi pu� concretare un atteggiamento comunque 
elusivo del giudicato, finalizzato a differire l�attuazione della decisione nella sua portata 
sostanziale� (Cons. Stato, Sez. V, 13 marzo 2000, n. 1328). 

(30) Sulla distinzione tra sentenza civile ed amministrativa PATRONI GRIFFI F., La sentenza 
amministrativa, in CASSESE S., Trattato di diritto amministrativo (Diritto amministrativo 
speciale), Tomo V (Il processo amministrativo), Milano, 2003, 4457-4489. 
(31) C. cost., 25 marzo 2005, n. 122; ID., 8 febbraio 2006, n. 44. 
(32) Cons. Stato, A.P., 17 gennaio 1997, n. 1; ID., Sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1190; ID., 
Sez. IV, 1� marzo 2001, n. 1143; ID., Sez. VI, 6 maggio 1998, n. 663. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Viceversa, nell�ipotesi dell�ottemperanza alle decisioni dello stesso 
G.A., essendo stato ampiamente riconosciuto (33) che il giudice dell�esecuzione 
possa integrare la decisione da ottemperare che, anzi, di regola si pre


(33) Cons. Stato, A.P., 15 marzo 1989, n. 7 (�il giudizio di ottemperanza risponde all�esigenza 
di garantire un�azione amministrativa che si conformi alla decisione del giudice 
amministrativo; questa, se anche non ha i caratteri di puntualit� e precisione propri delle 
pronunce del giudice civile costituenti titolo esecutivo, � un giudicato che vincola pur sempre 
il successivo comportamento della P.A. Tale peculiarit� del giudizio di ottemperanza, 
che esclude la sua assimilazione al processo di esecuzione disciplinato dal codice di procedura 
civile, implica la possibilit� che nel corso del procedimento previsto dall�art. 27, n. 4 
T.U. n. 1054 del 1924 si pervenga ad una interpretazione integrativa del comando contenuto 
nella sentenza passata in giudicato�). In termini Cons. Stato, A.P., 8 ottobre 1985, n. 19. 
Pi� recentemente la Plenaria (Cons. Stato, A.P. 17 gennaio 1997, n. 1, in Cons. Stato, 
1997, I, 1) ha ribadito il proprio orientamento precisando che l�interpretazione integrativa 
non � possibile in sede di ottemperanza di decisioni di giudici diversi da quello amministrativo 
ove la questione involga materia rimesse all�altrui giurisdizione. In linea con la richiamata 
giurisprudenza tradizionale e prevalente quest�ultima decisione ha, quindi, confermato 
che nel giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo pu� adottare una statuizione 
analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali 
problemi interpretativi, che sarebbero comunque devoluti alla propria giurisdizione, 
ma �non pu� esercitare analoghi poteri di integrazione allorch� la sentenza da eseguire sia 
stata adottata da un giudice appartenente a un diverso ordine giurisdizionale e la questione 
rientri nella giurisdizione di quest�ultimo�. 

L�orientamento della giurisprudenza amministrativa � stato confermato dalle Sezioni 
Unite della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. Un., 30 giugno 1999, n. 376). 

Il riconosciuto potere integrativo d� luogo, quindi, ad un giudizio di ottemperanza di 
natura mista (necessariamente di esecuzione ed eventualmente di cognizione) in cui possono 
convergere statuizioni decisorie di natura meramente esecutiva con altre di cognizione 
dando luogo, in relazione a queste ultime, a quello che � stato icasticamente definito il �giudicato 
a formazione progressiva� (etichetta utilizzata, da ultimo, da Cons. Stato, Sez. VI, 16 
ottobre 2007, n. 5409, che recepisce pienamente l�elaborazione di Nigro specie laddove fondandosi 
sul presupposto che �la regola posta dal giudicato amministrativo � una regola 
implicita, elastica, incompleta, che spetta al giudice dell�ottemperanza completare� e che 
�il giudice amministrativo � diversamente da quanto accade in caso di sentenze rese dal 
giudice di un altro ordine � ha il potere di integrare il giudicato, nel quadro degli ampi poteri, 
tipici della giurisdizione estesa al merito�, afferma l�esistenza del �giudicato a formazione 
progressiva�). 

Facendo leva sui poteri integrativi del giudice dell�ottemperanza si � ammessa la possibilit� 
di proporre un�azione restitutoria volta a condannare l�Amministrazione a porre in 
essere un facere specifico in esecuzione del giudicato di annullamento (Cons. Stato, A.P., 29 
aprile 2005, n. 2). 

Nonostante i menzionati poteri di integrazione, l�orientamento prevalente della giurisprudenza 
amministrativa ha, per converso, correttamente escluso l�esperibilit� di un�azione 
risarcitoria per equivalente per la prima volta in sede di ottemperanza, rilevando la necessit� 
di un sindacato giurisdizionale ad istruttoria completa, articolato sul doppio grado di 
giudizio ed improntato al rispetto del principio del contraddittorio, in merito alla ricorrenza 
degli elementi costitutivi dell�illecito (Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2006, n. 861; ID., 
Sez. VI, 8 marzo 2004, n. 1080; Sez. V, 7 aprile 2004, n. 1980; ID., Sez. VI, 18 giugno 2002, 

n. 3332; ID., Sez. IV, 8 ottobre 2001, n. 5312; ID., Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239; ID., Sez. 

DOTTRINA 273 

senta lacunosa (34), si � affermato che il giudizio abbia natura mista (necessariamente 
di esecuzione ed eventualmente di cognizione) (35). 

Difatti, a differenza delle sentenze dell�A.G.O., dalle decisioni del G.A., 
afferendo queste ultime pi� strettamente all�esercizio del potere funzionale 
spettante alla P.A., nasce solo un obbligo di conformazione ed ottemperanza 
non potendo il G.A. imporre all�Amministrazione di tenere una certa attivit�. 
Residua sempre, quindi, in capo all�Amministrazione un certo margine di 
libert� decisionale nell�attuazione del decisum che � tanto pi� ampio quanto 
maggiore � il potere discrezionale riconosciuto dalla norma attributiva del 
potere. Allo stesso modo in caso di annullamento per soli vizi formali 
l�Amministrazione ben potr� adottare un provvedimento del medesimo contenuto 
sostanziale che sia immune dai vizi riscontrati in sede giurisdizionale. 

Le decisioni del G.A., specie ai fini dell�esecuzione, si differenziano rispetto 
a quelle dell�A.G.O. caratterizzandosi per la maggiore importanza sostanziale 
della motivazione rispetto al dispositivo. Difatti, l�Amministrazione per comprendere 
come orientare la propria (doverosa) attivit� di conformazione dovr� 
andare a interpretare e valutare la motivazione della decisione alla luce delle 
censure articolate nei motivi di ricorso e accolte dal giudice amministrativo. 

1� febbraio 2001, n. 396), con l�eccezione dei danni derivanti dalla violazione del giudicato 
maturatisi dopo l�annullamento (Cons. Stato, Sez. Sez. VI, 8 marzo 2004, n. 1080; ID., 
Sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5820; ID., Sez. V, 28 febbraio 2006, n. 861). La posizione contraria, 
attualmente minoritaria, inaugurata da una decisione del T.A.R. Campania, Napoli 
(Sez. I, 19 settembre 2001, n. 4485), � stata sostenuta dalle Sezioni quarta e quinta del 
Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2003, n. 1077 e ID., Sez. IV, 30 gennaio 
2006, n. 290) e persino da una contestatissima pronuncia delle Sezioni Unite [Cass. civ., 
Sez. Un., 23 gennaio 2006, n. 1207 � per l�analisi del forte attrito determinato da questa sentenza 
con la Plenaria (Cons. Stato, A.P., 26 agosto, 1991, n. 5; ID., A.P., 29 aprile 2005, n. 2 
e Id., 16 novembre 2005, n. 9) anche in relazione alla questione pregiudiziale di giurisdizione 
relativa all�azione risarcitoria autonoma sia consentito rinviare a Fava P., Premessa, in 
FAVA P., GIULIANO P., SORANO F., La tutela delle propriet� e degli altri diritti reali, Maggioli, 
2006, 86-97]. 

(34) Per Nigro �la regola posta dalla sentenza amministrativa � (o pu� essere) una regola 
implicita, elastica, incompleta e condizionata. Spetta al giudice dell�ottemperanza: rendere 
esplicita la regola, traducendo dal negativo al positivo gli accertamenti del primo giudice 
sul corretto modo di esercizio del potere; dare un contenuto concreto all�obbligo della 
ripristinazione risolvendo i molti problemi possibili al riguardo; identificare il vincolo gravante 
sui tratti di azione amministrativa non incisi direttamente dal giudicato; decidere circa 
la rilevanza delle sopravvenienza. Ora, se per ci� che riguarda la prima operazione, si pu� 
ritenere trattarsi di mera interpretazione del giudicato, funzione la quale, per quanto complessa 
essa sia, � sempre di competenza del giudice dell�esecuzione, negli altri casi il giudice 
dell�ottemperanza sicuramente concorre (applicando gli ordini concettuali richiamati) ad 
identificare la volont� concreta della legge o a formare la normativa del caso concreto: � 
quindi, attivit� di cognizione, pur se la cognizione � compiuta in funzione immediata della 
sua traduzione in realt� pratica e contestualmente con questa� (NIGRO M., Giustizia amministrativa, 
4a ed. (a cura di CARDI E. E NIGRO A.), Bologna, Il Mulino, 1994, 318). 
(35) NIGRO M., Op. cit., loc. cit. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Con la decisione (di cognizione) il G.A. pu� solo orientare e correggere 
l�attivit� amministrativa riportandola nei binari della legittimit�. Non pu�, 
invece, salvo i casi di giurisdizione di merito, sostituirsi all�Amministrazione 
dettando la disciplina concreta del rapporto. 

Questa peculiarit� della decisione amministrativa imposta dalla necessit� 
di evitare sconfinamenti del potere giurisdizionale nella sfera riservata 
all�Amministrazione, comporta inevitabilmente che il dispositivo potrebbe 
anche non contenere una regola precisa del rapporto, atteso che dovr� essere 
l�Amministrazione a porla in essere nel riesercizio dei propri poteri funzionali 
in linea con le indicazioni del decisum. 

Ma in caso di inottemperanza dell�Amministrazione, proprio per salvaguardare 
le ragioni del privato riconoscendogli un rimedio che gli consenta 
effettivamente di ottenere quell�utilit� concreta dallo stesso anelata, la 
descritta linea di confine tra potere giudiziario e potere amministrativo, posta 
a tutela di quest�ultimo in relazione all�attivit� giurisdizionale di cognizione, 
arretra a vantaggio del primo dei due poteri. L�ottemperanza, difatti, costituisce 
una delle ipotesi tassative di giurisdizione del G.A. estesa al merito che 
permette al giudice di sostituirsi all�Amministrazione nell�esercizio dei poteri 
funzionali. Peraltro, in caso di lacune dell�ottemperanda decisione il giudice 
amministrativo ben potr� completare la regola del rapporto pronunciando 
statuizioni che, pur se adottate in sede di esecuzione, presentano un contenuto 
sostanzialmente di cognizione. 

Per tali ragioni ed in conformit� all�orientamento del Consiglio (36), si 
pu� ritenere che il giudizio di ottemperanza in relazione alle sentenze del 

G.A. ha natura mista di cognizione (riferita all�accertamento dell�inadempimento 
imputabile all�amministrazione ed all�attivit� determinativa del giudice) 
e di esecuzione (riferita all�attivit� di soddisfacimento concreto dell�interesse 
del ricorrente a livello strettamente esecutivo). 
L�estensione dei poteri del giudice dell�ottemperanza, quindi, dipende 
dal titolo da eseguire (sentenza dell�A.G.O. o del G.A.), dalla tipologia di 
poteri (discrezionali o vincolati) riconosciuti alla P.A. in relazione alle situazioni 
soggettive attivate in giudizio (condizionanti il contenuto precettivo del 
titolo da eseguire), nonch� dalla natura dei vizi (formali o sostanziali) accertati 
dalla decisione (37). 

(36) Cons. Stato, A.P., 15 marzo 1989, n. 7; ID., A.P., 8 ottobre 1985, n. 19; ID., A.P. 17 
gennaio 1997, n. 1. 
(37) Tale anfibiet� del giudizio di ottemperanza � stata riconosciuta dalla stessa Corte 
costituzionale che ha segnalato che esso �comprende una pluralit� di configurazioni (in 
relazione alla situazione concreta, alla statuizione del giudice e alla natura dell�atto impugnato), 
assumendo talora (quando si tratta di sentenza di condanna al pagamento di somma 
di denaro esattamente quantificata e determinata nell�importo, senza che vi sia esigenza 
ulteriore di sostanziale contenuto cognitorio) natura di semplice giudizio esecutivo � come 
tale assoggettabile alle limitazioni proprie delle �azioni esecutive� nei confronti degli enti 
locali dissestati � e quindi qualificabile come rimedio complementare che si aggiunge al 

DOTTRINA 275 

4. Inerzia, violazione ed elusione del giudicato 
Al fine di accertare l�effettiva sussistenza e la misura dell�inadempimento 
(totale, parziale o �mascherato�) dell�obbligo della P.A. di conformarsi 
alle decisioni della magistratura � necessario che il giudice dell�ottemperanza 
preliminarmente interpreti il titolo da eseguire (38) (che deve essere tra 
quelli per i quali � ritenuto esperibile il rimedio (39)) per verificare se l�am


procedimento espropriativo del codice di procedura civile, rimesso alla scelta del creditore. 
In altri casi il giudizio di ottemperanza pu� essere diretto a porre in essere operazioni 
materiali o atti giuridici di pi� stretta esecuzione della sentenza; in altri ancora ha l�obiettivo 
di conseguire una attivit� provvedimentale dell�amministrazione ed anche effetti ulteriori 
e diversi rispetto al provvedimento originario oggetto della impugnazione; inoltre pu� 
essere utilizzato, in caso di materia attribuita alla giurisdizione amministrativa, anche in 
mancanza di completa individuazione del contenuto della prestazione o attivit� cui � tenuta 
l�amministrazione, laddove invece l�esecuzione forzata attribuita al giudice ordinario 
presuppone un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile� (C. cost., 12 dicembre 
1998, n. 406). 

(38) Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 1996, n. 829; Id. Sez. IV, 24 febbraio 1996, n. 172. 
(39) Talune sentenze non sono suscettibili di ottemperanza, che, ove spiegata, va 
dichiarata inammissibile attesa la carenza originaria di interesse, perch� esse gi� soddisfano 
pienamente il ricorrente o non presentano un contenuto sostanziale da ottemperare oppure 
perch�, pi� semplicemente, non rientrano tra i provvedimenti suscettibili di ottemperanza. 
Le c.d. sentenze autoesecutive (Cons. Stato, A.P., 4 dicembre 1998, n. 8; ID., Sez. V, 
17 marzo 1998, n. 307) sono idonee di per s� a soddisfare compiutamente l�interesse che 
l�originario ricorrente aveva fatto valere in giudizio e, quindi, non possono formare oggetto 
di ottemperanza. Ne costituiscono esempio le decisioni di annullamento di atti negativi 
di controllo (Cons. Stato, A.P., 4 dicembre 1998, n. 8; ID., Sez. V., 17 marzo 1998, n. 307), 
di annullamento di provvedimenti amministrativi di autotutela demolitoria, quali revoche 

o annullamenti d�ufficio, che comportano ex se la reviviscenza retroattiva del provvedimento 
oggetto del procedimento di secondo grado (Cons. Giust. Sic., 16 settembre 1998, 
n. 468) nonch� di annullamento di atti sanzionatori che non abbiano prodotto ulteriori conseguenze.
�, altres�, inammissibile l�ottemperanza in relazione alle sentenze meramente processuali 
che non sono idoee a passare in giudicato (Cons. Stato, A.P., 1� marzo 1984, n. 4; ID. 
Sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5807; ID., Sez. V, 23 febbraio 2000, n. 947, in Foro Amm., 2000, 
497; ID., IV., 18 aprile 1994, n. 338; ID., Sez. IV, 30 novembre 1982, n. 788) e a quelle di 
rigetto (Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5794; ID., Sez. V, 6 marzo 2000, n. 1142; 
ID., Sez. V., 15 luglio 1998, n. 1060; ID., Sez. IV, 21 febbraio 1997, n. 305; Id., Sez. IV, 27 
maggio 1977, n. 539) perch� difettano di statuizioni sostanziali cui conseguano obblighi 
conformativi (secondo l�orientamento minoritario, per converso, anche questa tipologia di 
decisioni sarebbe idonea a passare in giudicato e coprirebbe il dedotto e il deducibile � Cons. 
Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1453; ID., Sez. 30 ottobre 2000, n. 5843; ID., Sez. IV, 18 
aprile 1994, n. 338). 

Secondo l�opinione prevalente l�ottemperanza non � ammissibile per chiedere l�attuazione 
di un decreto del Presidente della Repubblica che decida un ricorso straordinario, atteso 
che detto decreto, avendo natura amministrativa, non � equiparabile ad una sentenza e 
non � idoneo a passare in giudicato. L�orientamento tradizionale � sempre stato di segno 
negativo (inter plures Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 1999, n. 146; ID., Sez. IV, 20 luglio 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ministrazione abbia o meno attribuita all�interessato l�utilit� concreta e il 
risultato pratico riconosciuti come dovuti e giusti dall�ottemperanda decisione 
(40). Tale attivit� ermeneutica deve avere ad oggetto la statuizione giudiziale 
nel suo complesso e, quindi, non solo il dispositivo ma anche la motivazione 
del decisum (41). 

1998, n. 1098; ID., sez. IV, 13 agosto 1991, n. 650). Dopo alcuni isolati precedenti favorevoli 
(Cons. Stato, Sez. V, 22 novembre 2001, n. 5934; ID., Sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 
6695, in Giur. It., 2001, 842 che si ponevano sulla scia della decisione della Corte di giustizia 
16 ottobre 1996, causa da C-69/96 a C-79/96 che legittimava il Consiglio in sede di parere 
su ricorso straordinario a sollevare questioni pregiudiziali comunitarie) la giurisprudenza 
del Consiglio si � nuovamente attestata su posizioni contrarie (Cons. Stato, Sez. IV, 5 luglio 
2002, n. 3699, in Foro Amm.� Cons. Stato, 2002, 1640) a seguito della chiusura della 
Suprema Corte (Cass civ., Sez. Un., 18 dicembre 2001, n. 15978, in Foro it., 2002, I, 2447). 
Giova ricordare, peraltro, che anche il primo tentativo storico di estendere l�ottemperanza ai 
decreti del Presidente della Repubblica resi in sede decisoria di ricorsi straordinari cadde 
sotto la scure della Corte regolatrice (le Sezioni Unite con sentenza n. 3141 del 1953 caducarono 
per difetto di giurisdizione la pronuncia della Sezione sesta del Consiglio di Stato n. 
430 del 1951). Da ultimo il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha 
nuovamente riproposto l�orientamento favorevole alla �ottemperabilit�� della decisione del 
Capo dello Stato (Cons. giust. amm., 19 ottobre 2005, n. 695, in Foro Amm. � Cons. Stato, 
2005, 3737, con nota adesiva di FRENI F., Quando l�abito fa il monaco. Sull�ammissibilit� 
del giudizio di ottemperanza per l�esecuzione delle decisioni dei ricorsi straordinari).

�, altres�, esclusa l�ammissibilit� dell�ottemperanza in relazione alle decisioni intervenute 
su ricorsi amministrativi (Cons. Stato, Sez. IV, 3 giugno 1987, n. 327). 

(40) Cons. Stato, Sez. V, 17 febbraio 2003, n. 837; ID., Sez. V, 13 marzo 2000, n. 1328; 
ID., Sez. V, 6 febbraio 1999, n. 134. 
(41) L�orientamento, che affonda le sue radici in un�antica pronuncia del 1902 (Cons. 
Stato, Sez. IV, 2 maggio 1902, in Giur. It., 1903, III, 213) in cui si sostenne che la portata 
del giudicato avrebbe dovuto essere valutata in relazione alla statuizione giudiziale nel suo 
complesso considerando il dispositivo unitamente alla motivazione, � stato successivamente 
confermato da una celebre decisione dell�Adunanza Plenaria (Cons. Stato, A.P., 22 dicembre 
1982, n. 19) che ha, altres�, chiarito come sia necessario mantenere un rapporto di 
coerenza tra motivazione e dispositivo affinch� possano essere definiti con certezza gli 
effetti precettivi del giudicato che dovrebbero, comunque, essere identificati nella correlazione 
del petitum e della causa petendi in rapporto al riconoscimento della lesione dell�interesse 
azionato effettuato dalla sentenza di accertamento dei vizi invalidanti il provvedimento 
impugnato. 
La giurisprudenza amministrativa ha pure precisato che la motivazione � rilevante 
quando risolve questioni che fanno parte dell�oggetto della controversia, essendo state dibattute 
tra le parti, o che integrano una premessa necessaria della decisione costituendone presupposto 
logico indefettibile (Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2003, n. 5292) e che, 
comunque, devono correlarsi alla causa petendi introdotta dal ricorrente (Cons. Stato, Sez. 
VI, 3 novembre 2003, n. 6817; ID., Sez. VI, 20 febbraio 2002, n. 1041), essendo irrilevanti 
le considerazioni svolte dal giudicante al solo scopo di offrire un quadro completo della normativa 
di riferimento e non pertinenti rispetto al thema decidendum in quanto meri obiter 
dicta di natura incidentale (Cons. Stato, Sez. IV, 13 maggio 1980, n. 544; ID., Sez. IV, 19 
agosto 1994, n. 653; ID., Sez. IV, 16 ottobre 1995, n. 817). 

Cons. Stato, Sez. V, 12 settembre 1986, n. 442, in Cons. Stato, 1986, I, 1207. 


DOTTRINA 277 

Circa la situazione soggettiva attivata con l�ottemperanza, secondo un 
primo orientamento che si fonda sulla lettera dell�art. 27, n. 4, R.D. 26 giugno 
1924, n. 1054, la causa petendi (o petitum sostanziale) avrebbe sempre 
la consistenza di diritto soggettivo in quanto la disposizione normativa si 
riferisce esplicitamente all��obbligo� di conformazione al giudicato cui si 
correlerebbe un vero e proprio diritto (42). La tesi, peraltro, trova oggi un 
addentellato normativo nell�art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (che 
ha introdotto l�art. 21 septies nella legge 7 agosto 1990, n. 241) che sancisce 
la giurisdizione esclusiva del G.A. sulle impugnative di atti violativi o elusivi 
del giudicato, lasciando intendere, quindi, che la pretesa all�attuazione del 
giudicato costituisce un diritto soggettivo (43). 

Un altro orientamento, per converso, afferma che la causa petendi si 
identifica con quella medesima situazione giuridica soggettiva che ha formato 
oggetto del giudizio esitato con la sentenza ineseguita (44): per l�ottemperanza 
delle decisioni del G.A. verrebbero in rilievo normalmente interessi 
legittimi (nella sola giurisdizione esclusiva potrebbero sussistere diritti soggettivi), 
mentre in relazione a quella delle sentenze dell�A.G.O. sarebbero 
ordinariamente attivati diritti soggettivi (salvo i casi eccezionali in cui il G.O. 
conosce anche degli interessi legittimi). 

(42) Affermando la natura esecutiva del giudizio di ottemperanza, il Ferrara qualifica la 
situazione soggettiva del cittadino come diritto di credito avente ad oggetto una prestazione di 
fare (FERRARA L., Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, Milano, 2003). 
Abbamonte e Laschena si riferiscono atecnicamente ad un �diritto della parte vittoriosa 
alla conformazione dell�Amministrazione al contenuto del giudicato aministrativo� rilevando 
che �spetta al giudice dell�ottemperanza delimitare� tale pretesa �nella sua specificit� 
secondo i motivi accolti, in relazione all�inevitabile divenire della funzione amministrativa� 
(ABBAMONTE G � LASCHENA R., Giustizia amministrativa, CEDAM, 2001, 513). 

Anche in giurisprudenza non sono mancate decisioni che hanno richiamato l�esistenza 
di un vero diritto soggettivo all�osservanza del giudicato (Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 
1995, n. 39), o di un autentico diritto di credito all�esecuzione del giudicato (Cons. Stato, 
Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239). 

(43) Secondo l�interpretazione che va consolidandosi la disposizione non abrogherebbe 
l�art. 27, n. 4, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, ma concorrerebbe con essa onde migliorare 
la tutela del privato (TARULLO S., Esecuzione ed ottemperanza, in SCOCA F.G., Giustizia 
amministrativa, Torino, Giappichelli, 2006, 471; LONGOBARDI N., La legge n. 15/2005 di 
riforma della legge 241/1990. Una prima valutazione, in www.giustamm.it). 
In altri termini sarebbe possibile affermare la coesistenza nella medesima controversia 
della giurisdizione di merito con quella esclusiva non essendo tra loro incompatibili, in 
quanto si rileva che quest�ultima agisce delimitando le situazioni soggettive conoscibili dal 

G.A. (diritti soggettivi e interessi legittimi) mentre la prima opera sul diverso livello dell�ambito 
dei poteri istruttori (possibilit� di avvalersi di tutti i mezzi di prova previsti dal 
c.p.c.) e decisori (di natura sostitutiva ed estesi al merito della controversia). 
Il rapporto di incompatibilit�, difatti, sussisterebbe, per converso, tra giurisdizione di 
legittimit� ed esclusiva, nonch� tra la prima e quella di merito. 

(44) TARULLO S., Esecuzione ed ottemperanza, in SCOCA F.G., Giustizia amministrativa, 
Torino, Giappichelli, 2006, 467. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

L�oggetto del giudizio di ottemperanza, alla luce delle richieste del ricorrente 
(45), consiste nella verifica dell�effettivo adempimento da parte 
dell�Amministrazione dell�obbligo di conformarsi al comando imposto dal giudice 
della cognizione, anche attraverso una pi� puntuale definizione del contenuto 
degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (46), ferma l�inammissibilit� 
di istanze proposte per la prima volta in ottemperanza (47). Tale 
verifica � tesa ad accertare se la P.A. abbia o meno attribuito all�interessato 
quell�utilit� concreta che la sentenza abbia riconosciuto come dovuta, a prescindere 
dal fatto che residuino o meno in capo al soggetto obbligato poteri discrezionali 
in ordine alle modalit� da seguire al riguardo (48). Con il giudizio di 
ottemperanza, quindi, anche dopo l�adozione di atti esecutivi a contenuto 
discrezionale, il ricorrente fa valere non gi� la difformit� dell�atto sopravvenuto 
rispetto alla legge sostanziale (occorrendo esperire in tal caso l�ordinaria 
azione di annullamento), ma il contrasto specifico dell�atto stesso con l�obbligo 
di attenersi esattamente all�accertamento contenuto nella sentenza da eseguire 

(45) Il ricorrente non deve necessariamente precisare il contenuto dell�obbligo dell�autorit� 
amministrativa di conformazione al giudicato non essendo il giudice vincolato in 
modo assoluto alle doglianze e alle richieste esternate del ricorso (�il contenuto dell�obbligo 
dell�Autorit� amministrativa di conformarsi dl giudicato e quindi la determinazione 
degli atti, operazioni e comportamenti che, in conseguenza della sentenza da eseguire, 
l�Amministrazione � tenuta a porre in essere, non occorre che sia necessariamente precisato 
dall�interessato, la cui indicazione al riguardo potrebbe anche essere il risultato di una 
inesatta interpretazione della pronuncia giurisdizionale, ovvero di prospettazione soggettiva, 
bens� va obiettivamente desunto dalla stessa decisione della quale si lamenta l�inesecuzione� 
Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23). 
(46) Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2101, in Foro Amm.- Cons. Stato, 2006, 1138. 
(47) L�orientamento prevalente dichiara pacificamente l�inammissibilit� dei ricorsi per 
ottemperanza nella parte in cui deducono pretese nuove ed ulteriori rispetto a quelle contenute 
nella sentenza da eseguire e su cui si � formato il giudicato, dovendosi procedere in tali 
ipotesi con un ordinario ricorso di legittimit� (Cons. Stato, Sez. V, 27 aprile 2006, n. 2374, 
in Foro Amm. � Cons. Stato, 2006, 1201; ID., Sez. IV, 20 aprile 2006, n. 2240, in Foro Amm. 
� Cons. Stato, 2006, 1154; ID., Sez. IV, 15 dicembre 2003, n. 8217; ID., Sez. IV, 13 ottobre 
2003, n. 6198; ID., Sez. IV, 5 agosto 2003, n. 4449; ID., Sez. IV, 31 maggio 2003, n. 3006; 
ID., Sez. IV, 17 aprile 2003, n. 2007). 
(48) Cos� Cons. Stato, Sez. V, 22 novembre 2001, n. 5934. 
(49) Cos� Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2004, n. 501; Sez. V, 22 novembre 2001, n. 
5934; ID., Sez. IV, 22 aprile 1999, n. 694; ID., Sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; ID., Sez. IV, 
26 giugno 1998, n. 992; Id. 1� aprile 1996, n. 328; Sez. V, 27 maggio 1991, n. 874. Secondo 
questo orientamento l�ammissibilit� del ricorso di ottemperanza non dipenderebbe dalla 
ricorrenza di un atto violativo o elusivo del giudicato, ma sarebbe sufficiente la mera deduzione 
del ricorrente circa la difformit� specifica dell�atto rispetto all�obbligo derivante dal 
giudicato di attenersi esattamente all�accertamento contenuto nella sentenza da eseguire. Al 
di l� delle formule utilizzate, la tesi sembra pervenire sostanzialmente ai medesimi risultati 
applicativi dell�orientamento maggioritario che distingue tra atti violativi ed elusivi, caratterizzandosi 
esclusivamente per il minor onere imposto al giudicante e, quindi, al ricorrente 
che non dovr� andare a qualificare puntualmente la natura dell�atto di inottemperanza (se 
cio� esso ricada nel genus degli atti violativi oppure nella categoria di quelli elusivi). 

DOTTRINA 279 

(49). 

In ogni caso ai fini dell�ammissibilit� del ricorso per ottemperanza � 
necessario che il ricorrente alleghi una fattispecie di inerzia, violazione od 
elusione (50) di una decisione della magistratura. 

La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il rimedio � esperibile 
non solo nelle situazioni di inerzia assoluta o di rifiuto espresso (51), ma 
anche nelle ipotesi di adempimento parziale (52) dell�obbligo di attuazione 
del giudicato e in quelle in cui gli atti posti in essere successivamente dall�amministrazione 
abbiano carattere violativo od elusivo del giudicato. 

La definizione del concetto di atto violativo od elusivo del giudicato � 
stata al centro di un vivo dibattito giurisprudenziale.

� prevalso l�orientamento che distingue l�ipotesi in cui il giudicato abbia 
specificamente individuato l�attivit� provvedimentale da compiersi da parte 
dell�Amministrazione (giudicato con vincolo puntuale cui si correlerebbe un 
residuo potere vincolato dell�Amministrazione) da quella in cui esso contenga 
solo un vincolo di contenuto generico che lasci un ampio margine di valu


(50) Cons. Stato, Sez. VI, 17 luglio 1991, n. 469. 
(51) Giurisprudenza oramai consolidata (Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 2005, n. 1952; 
Id., Sez. IV, 5 agosto 2003, n. 4444, in Foro Amm. � Cons. Stato, 2003, 2211; Id., Sez. V, 29 
ottobre 1985, n. 357; Id., Sez. IV, 13 luglio 1982, n. 463, in Cons. Stato, 1982, I, 824; Id., 
Sez. V, 24 ottobre 1980, n. 875, in Cons. Stato, 1980, I, 1358; Id. 27 febbraio 1979, 157, in 
Cons. Stato, 1979, I, 178; Id., Sez. IV, 6 marzo 1979, 179, in Cons. Stato, 1979, I, 338; Id., 
Sez. V, 27 gennaio 1978, n. 103, in Cons. Stato, 1978, I, 72). 
L�ammissibilit� dell�ottemperanza in caso di adempimento parziale era stata riconosciuta 
anche da due decisioni dell�Adunanza Plenaria (Cons. Stato, A.P., 9 marzo 1973, n. 
1; Id., A.P., 4 luglio 1978, n 23) che avevano recepito un precedente orientamento della 
Quinta Sezione (Cons. Stato, Sez. V., 28 luglio 1972, n. 587). 

(52) �Al fine della esperibilit� del giudizio di ottemperanza, gli atti emanati dalla amministrazione 
dopo l�annullamento giurisdizionale possono considerarsi emessi in violazione del 
giudicato solo allorch� da questo derivi un obbligo talmente puntuale che la sua esecuzione 
si concreti nell�adozione di un atto il cui contenuto sia integralmente desumibile dalla sentenza, 
mentre di fronte al giudicato che imponga un semplice vincolo alla successiva attivit� 
discrezionale dell�amministrazione, gli atti eventualmente emanati da questa sono soggetti 
all�ordinario regime di impugnazione anche quando si discostino dai criteri indicati nella sentenza, 
in quanto in tale evenienza � configurabile un solo vizio di legittimit�, a meno che l�esplicazione 
della residua potest� discrezionale venga posta in essere senza alcuna considerazione 
della statuizioni contenute nella sentenza, s� da risultare, in modo concludente, predeterminata 
ad eludere la sentenza� (Cons. Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2003, n. 6334). 
(53) �Al fine della esperibilit� del giudizio di ottemperanza, gli atti emanati dalla 
amministrazione dopo l�annullamento giurisdizionale possono considerarsi emessi in violazione 
del giudicato solo allorch� da questo derivi un obbligo talmente puntuale che la sua esecuzione 
si concreti nell�adozione di un atto il cui contenuto sia integralmente desumibile dalla 
sentenza, mentre di fronte al giudicato che imponga un semplice vincolo alla successiva attivit� 
discrezionale dell�amministrazione, gli atti eventualmente emanati da questa sono soggetti 
all�ordinario regime di impugnazione anche quando si discostino dai criteri indicati nella 
sentenza, in quanto in tale evenienza � configurabile un solo vizio di legittimit�, a meno che 
l�esplicazione della residua potest� discrezionale venga posta in essere senza alcuna conside

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tazione discrezionale alla P.A. (53). 

Nel primo caso (giudicato puntuale), in considerazione del potere vincolato 
che residuerebbe all�Amministrazione, sarebbe agevole accertare se l�atto 
formalmente adempitivo abbia o meno violato il decisum e conseguentemente 
si ritiene ammissibile il ricorso per ottemperanza (54). 

La seconda ipotesi (giudicato generico), invece, ricadrebbe, di regola, 
nell�ordinario regime di impugnazione (55) in quanto la vaghezza e le lacune 
della decisione giurisdizionale non consentirebbero di affermare che l�atto 
dell�Amministrazione costituisca una chiara violazione dell�obbligo di 
attuare il giudicato atteso che quest�ultimo non impone un comportamento 
specifico ma, meno restrittivamente, solo un vincolo generico al successivo 
riesercizio del potere che resta connotato da un�ampia discrezionalit�. In 
questo caso, tuttavia, ferma l�inconfigurabilit� di atti stricto sensu violativi 
del giudicato sarebbe possibile allegare l�esistenza di una fattispecie elusiva 
posta in essere dall�Amministrazione. Il ricorrente in ottemperanza, difatti, 
dovrebbe dimostrare che l�esplicazione dei (residui) poteri discrezionali sia 
intervenuta senza alcuna considerazione delle statuizioni della sentenza 

razione della statuizioni contenute nella sentenza, s� da risultare, in modo concludente, predeterminata 
ad eludere la sentenza� (Cons. Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2003, n. 6334). 

(54) In relazione alla violazione del giudicato puntuale la cui ottemperanza si concreta nell�adozione 
di un atto il cui contenuto � integralmente desumibile dalla sentenza in relazione al 
thema decidendum introdotto nel giudizio dalle parti la Plenaria � intervenuta a pi� riprese. 
Con una prima decisione si � rilevato che nell�ipotesi in cui dal giudicato derivi un �obbligo 
talmente puntuale da non lasciare spazio alcuno all�esercizio di poteri 
dell�Amministrazione [�] l�ottemperanza al giudicato si concreta nell�adozione di un atto, il 
cui contenuto � integralmente desumibile dalla sentenza, onde deve ritenersi che 
l�Amministrazione sia carente del potere di provvedere diversamente e che eventuali atti difformi 
dal giudicato possano essere dichiarati nulli, indipendentemente da una impugnazione 
nel termine di decadenza. Inoltre � giustificabile, alla luce dei principi costituzionali, la deroga 
alla regola del doppio grado, giacch� l�adozione di atti nulli pu� essere equiparata ad un 
contegno puramente omissivo dell�Amministrazione, il cui accertamento non richiede necessariamente 
le forme e le garanzie di un ordinario giudizio di cognizione� (Cons. Stato, A.P., 
19 marzo 1984, n. 6). 

Successivamente la Plenaria ha ribadito il proprio precedente orientamento (�� stato 
costantemente affermato che qualora dalla esecuzione di un giudicato derivi 
all�Amministrazione non gi� un semplice vincolo all�attivit� discrezionale, ma un obbligo 
puntuale che non lascia spazio alcuno all�esercizio dei suoi poteri, essa � carente del potere 
di provvedere diversamente, e l�ottemperanza si concreta nell�adozione di un atto il cui 
contenuto � integralmente desumibile dalla sentenza in relazione al thema decidendum 
introdotto nel giudizio dalle parti� Cons. Stato, A.P., 8 aprile 1995, n. 7). 

(55) Affermano la necessit� di procedere con l�impugnazione ordinaria nel termine di 
decadenza in relazione ad atti successivi ad un giudicato che imponga un mero vincolo conformativo 
con residui poteri discrezionali attuativi in capo all�Amministrazione a meno che 
l�atto non sia qualificabile elusivo Cons. Stato, Sez. V, 22 novembre 2001, n. 5934; ID., Sez. 
IV, 11 marzo 1999, n. 266; Cons. Giust. Sic., 25 marzo 1999, n. 135. 
(56) Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2006, n. 861; ID., Sez. IV, 15 ottobre 2003, n. 6334. 

DOTTRINA 281 

risultando in modo concludente pretedeterminata ad eluderla (56), come 
accade quando l�Amministrazione cerchi di realizzare il medesimo risultato 
con un�azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l�esercizio 
di un potere formalmente diverso ma in palese carenza dei presupposti 
che lo giustificano (57), oppure ponendo in essere atti puramente interlocutori 
(preparatori o istruttori) non seguiti dai necessari provvedimenti di 
natura satisfattiva (58). 

Nell�ipotesi degli atti elusivi si �, quindi, in presenza di una fattispecie 
di �violazione mascherata� del giudicato in quanto l�inottemperanza non � 
manifesta ma insidiosa e criptata, dovendo essere accertata dal giudice attraverso 
una pi� difficile operazione di confronto (ed interpretazione) del decisum 
con il preteso atto elusivo. 

Secondo gli orientamenti giurisprudenziali consolidati, quindi, solo gli 
atti che siano propriamente riconducibili al genus di quelli violativi di un 
giudicato puntuale o elusivi di un giudicato non puntuale sono conoscibili 
dal giudice dell�ottemperanza. 

Ogni altro atto successivo al giudicato va, per converso, impugnato 
secondo le regole ordinarie (giurisdizione generale di legittimit�). 

In caso di errore nell�introduzione del rito, la giurisprudenza amministrativa, 
in presenza dei necessari requisiti di forma e sostanza (in particolare 
la notifica all�Amministrazione e ad almeno un controinteressato), consente 
la conversione del ricorso per ottemperanza in ricorso giurisdizionale 
ordinario in sede di giurisdizione generale di legittimit�. 

Con la novella del 2005 (art. 21-septies della legge 11 febbraio 2005, n. 
15), recependo l�orientamento giurisprudenziale prevalente (59), si � omogeneizzato 
e positivizzato il regime patologico degli atti violativi o elusivi del 

(57) Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2006, n. 861; ID., Sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5820. 
In queste ipotesi potrebbe essere dedotto il vizio di eccesso di potere, tra l�altro, sotto 
il profilo della divergenza tra scopo effettivamente perseguito e funzione tipica dell�atto 
(Cons. Stato, A.P., 11 marzo 1986, n. 6). 

(58) Cons. Stato, A.P., 29 gennaio 1980, n. 2; ID., A.P., 3 dicembre 1982, n. 18. 
(59) Affermano la nullit� degli atti violativi od elusivi del giudicato Cons. Stato, Sez. 
V, 28 febbraio 2006, n. 861; ID., Sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5820, in Foro Amm.� Cons. 
Stato, 2003, 2915; ID., Sez. V, 13 febbraio 1998, n. 166, in Foro Amm., 1998, 420; ID., Sez. 
V, 11 ottobre 1996, n. 1231, in Foro Amm., 1996, 2886. 
L�orientamento era stato confermato anche dall�Adunanza Plenaria del Consiglio di 
Stato (Cons. Stato, A.P., 11 marzo 1984, n. 6; ID., A.P., 8 aprile 1995, n. 7, in Foro Amm., 
1995, 818). 

La dottrina, tuttavia, non ha mancato di manifestare le proprie perplessit� in relazione 
alla ricostruzione giurisprudenziale rilevando che il potere � comunque presente pur se viene 
esercitato in difformit� dai vincoli del decisum (VILLATA R., Riflessioni in tema di giudizio 
di ottemperanza ed attivit� successiva alla sentenza di annullamento, in Dir. Proc. Amm., 
1989, 383; MAZZAROLLI L., Il giudizio di ottemperanza oggi: risultati concreti, in Dir. Proc. 
Amm., 1990, 245�246; FRACCHIA F., Violazione di giudicato e nullit� del provvedimento, in 
Foro It., 1993, III, 213; SCIULLO G., Il comportamento dell�Amministrazione nell�ottemperanza, 
in Dir. Proc. Amm., 1997, 74). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

giudicato stabilendo la nullit� di entrambi attesa la carenza di potere che li 
affetta (60). 

5. Il rito dell�ottemperanza 
Gli art. 90 e 91 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, contengono talune scarne 
disposizioni relative alla procedura che sono state integrate e chiarite 
dalla giurisprudenza amministrativa.

� previsto che il ricorso in ottemperanza si propone con deposito presso 
la segreteria del giudice competente �finch� dura l�azione di giudicato, ma 
non prima di trenta giorni da quello in cui l�autorit� amministrativa sia stata 
messa in mora di provvedere�. 

La segreteria ne d� successiva comunicazione all�Amministrazione che 
pu� nei venti giorni successivi trasmettere le sue osservazioni. 

Secondo l�interpretazione prevalente l�actio iudicati � proponibile entro 
il termine di prescrizione decennale decorrente dal passaggio in giudicato 
della sentenza (l�art. 90, 2� co., R.D. 17 agosto 1907, n. 642, stabilisce che 
�essi possono essere proposti finch� dura l�azione di giudicato�) (61). 

Il ricorso in ottemperanza deve essere preceduto, a pena di inammissibilit� 
(62), dalla notifica (63) di un atto stragiudiziale di diffida e messa in mora con 
cui si assegna all�Amministrazione competente (64) ad adempiere un termine 
non inferiore a trenta giorni (65) per provvedere in senso conforme al giudicato. 

(60) Si � gi� rilevato che il 2� co. del menzionato art. 21-septies attribuisce le relative 
controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che viene, quindi, a 
coesistere ed a rafforzare quella di merito. 
(61) Inter plures Cons. Stato, A.P., 26 agosto 1991, n. 5; Id., Sez. V., 6 agosto 2001, n. 
4239; Id., Sez. VI, 3 febbraio 1992, n. 59. 
Secondo la giurisprudenza amministrativa il termine � suscettibile di sospensione ed 
interruzione, come si verifica quando il ricorso � proposto ad un giudice incompetente ove 
il nuovo termine di prescrizione comincia a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza 
che ha dichiarato l�incompetenza (Cons. Stato, A.P., 26 agosto 1991, n. 5, in Foro 
Amm., 1991, 7-8). 

(62) Cons. Stato, Sez. IV, 28 maggio 1993, n. 570; Id., Sez. IV, 3 ottobre 1990, n. 739; 
ID., Sez. IV, 8 luglio 1987, n. 415; ID., Sez. IV, 18 gennaio 1984, n. 12. 
(63) Non � sufficiente la lettera raccomandata (Cons. Stato, Sez. IV, 2 aprile 2001, n. 
2269; ID., Sez. IV, 9 febbraio 1998, n. 228). 
(64) La notifica va effettuata al domicilio reale dell�Amministrazione in persona del rappresentante 
legale e non all�Avvocatura dello Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 14 luglio 1997, n. 
721; ID., 29 gennaio 1996, n. 70; ID., Sez. IV, 24 ottobre 1991, n. 72; ID., Sez. IV, 30 gennaio 
1990, n. 58; ID., Sez. IV, 27 febbraio 1989, n. 119; ID. Sez. IV, 18 novembre 1984, n. 11). 
(65) Il termine � dilatorio e si � ritenuto che il ricorso per l�esecuzione proposto prima 
della scadenza del termine non sia inammissibile ma versi in una situazione di temporanea 
improcedibilit� (Cons. Stato, Sez. VI, 10 agosto 1999, n. 1019). Il ricorso �, tuttavia, inammissibile 
se la diffida � notificata prima del passaggio in giudicato (Cons. Stato, Sez. VI, 6 
ottobre 1999, n. 1299; ID., Sez., IV, 8 luglio 1987, n. 415; ID., Sez. V, 29 aprile 1985, n. 208). 

DOTTRINA 283 

La giurisprudenza ha, tuttavia, chiarito che tale diffida non � necessaria 
in quanto inutile (conseguentemente il ricorso � ammissibile anche in carenza 
di diffida) se la P.A. abbia dichiarato espressamente di non volere adempiere, 
oppure se tale rifiuto risulti da comportamenti concludenti, chiari e 
inequivocabili, quali, ad esempio, attivit� successive al giudicato che si pongano 
in contrasto palese con i vincoli puntuali del medesimo (66). 

A differenza del rito ordinario, il contraddittorio (67) viene instaurato con 
il semplice deposito del ricorso, essendo onere della segreteria dare comunicazione 
della proposizione del giudizio all�Amministrazione competente per l�ottemperanza, 
che era stata comunque avvertita attraverso la notifica dell�atto di 
diffida. Non � prevista alcuna notifica in favore di eventuali controinteressati. 

Nella prassi forense, tuttavia, per evitare dichiarazioni d�inammissibilit� 
del ricorso proposto in relazione ad atti di dubbia sussunzione nella categoria 
di quelli violativi od elusivi del giudicato, i difensori sono soliti notificare il 
ricorso prima del deposito onde beneficiare dell�eventuale conversione del rito 
(che richiede la presenza dei requisiti di forma e sostanza del ricorso ordinario 
tra cui la notifica all�Amministrazione e ad almeno un controinteressato). 

La prassi � stata, peraltro, agevolata da un certo orientamento giurisprudenziale 
(68) che, per valorizzare i principi del giusto processo, ha cominciato a 
disporre, pur in assenza di una specifica disposizione processuale legittimante, 
ordini di integrazione del contraddittorio nelle ipotesi di mero deposito del 
ricorso per ottemperanza non preceduto dalle notifiche all�Amministrazione ed 
ai controinteressati. 

La Corte costituzionale (69), per converso, pur riconoscendo la natura 
contenziosa del giudizio di ottemperanza, circostanza �che rende imprescin


(66) Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 2004, n. 1845; ID., Sez. IV, 15 ottobre 2003, n. 6334; 
ID., Sez. V, 24 gennaio 1994, n. 49; ID., Sez. 18 giugno 1993, n. 752; ID., Sez. IV, 10 gennaio 
1990, n. 11; ID., Sez. V, 12 settembre 1986, n. 457. 
(67) Una non recente decisione della Plenaria aveva affermato chiaramente che il procedimento 
per ottenere l�esecuzione del giudicato, pur avendo carattere giurisdizionale, � 
retto da disposizioni particolari e in esso non devono essere osservate le normali regole del 
contraddittorio (�Nella trattazione dei ricorsi per conseguire l�ottemperanza al giudicato 
non si osservano dunque le forme ordinarie del contraddittorio, ma quelle particolari dello 
speciale procedimento� Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23). In termini Cons. Stato, Sez. 
VI, 9 marzo 1995, n. 250; ID., Sez. V, 29 ottobre 1985, n. 357. 
(68) Hanno ritenuto necessaria la notificazione del ricorso per ottemperanza all�amministrazione 
e ai controinteressati Cons. Stato, Sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5816; Id., Sez. V, 
2 marzo 2000, n. 1069; Id., Sez., 22 febbraio 2000, n. 938; Id., Sez. V, 3 luglio 1996, n. 841; 
Id., Sez. V., 27 maggio 1993, n. 643, in Cons. Stato, 1993, I, 677; Sez. V, 29 ottobre 1985, 
n. 357; Id., Sez. VI, 29 novembre 1977, n. 883. Hanno affermato, per converso, la sufficienza 
della mera comunicazione della segreteria Cons. Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5847; 
Id., Sez. IV, 12 dicembre 1997, n. 1436; Id., Sez. VI, 9 marzo 1995, n. 250. 
(69) C. cost., 9 dicembre 2005, n. 441 (in Dir. Proc. Amm. 2006, 478, con commento 
parzialmente critico di Gallo C.E., Il contraddittorio nel giudizio di ottemperanza, che ha 
auspicato l�estensione degli obblighi comunicativi in favore dei controinteressati [p. 494]. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dibile il pieno rispetto del contraddittorio�, ha confermato la legittimit� 
costituzionale dell�art. 91 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, ove sia interpretato 
nel senso di imporre un �obbligo di comunicare� il ricorso introduttivo 
�nella sua interezza, in tempo utile e in modo da consentire alla pubblica 
amministrazione una effettiva conoscenza della domanda e l�articolazione 
tempestiva dei mezzi di difesa�. Secondo la Corte il rispetto del principio del 
contraddittorio non deve essere assicurato necessariamente attraverso la 
notifica a mezzo ufficiale giudiziario (come erroneamente ritenuto dal giudice 
rimettente), atteso che anche in relazione al processo tributario l�art. 70 
del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevedendo espressamente la mera 
comunicazione del ricorso nella sua interezza, ha accreditato la proposta 
interpretazione evolutiva costituzionalmente orientata. 

L�art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (legge T.A.R.) ha ripartito 
la competenza tra T.A.R. e Consiglio di Stato differenziando i giudizi di 
ottemperanza al giudicato dell�A.G.O. da quelli relativi al giudicato degli 
organi di giustizia amministrativa (la competenza relativa al giudizio di 
ottemperanza, a differenza di quella generale, � di natura funzionale ed inderogabile, 
pertanto, secondo indirizzo consolidato, pu� essere eccepita anche 
senza l�osservanza delle forme del regolamento di competenza e pu� essere 
rilevata dal giudice persino d�ufficio (70)). 

Nel primo caso (giudicato dell�A.G.O.) la competenza � attribuita al 

T.A.R. solo quando �l�autorit� amministrativa chiamata a conformarsi sia 
un ente che eserciti la sua attivit� esclusivamente nei limiti della circoscrizione 
del tribunale amministrativo regionale�, mentre negli altri casi resta 
del Consiglio di Stato (71). 
Nella seconda ipotesi (giudicato del G.A.) la ripartizione della competenza 
� fissata in ossequio al principio in base al quale il miglior interprete ed ese


al contrario rilevato che i controinteressati non sono parte necessaria del giudizio di ottemperanza 
e che la comunicazione della segreteria agli stessi non potrebbe agevolare alcuna 
conversione del ricorso per ottemperanza in ricorso ordinario). 

Il Giudice delle leggi ha, peraltro, confermato l�orientamento che consente lo scrutinio 
di costituzionalit� in relazione alle disposizioni del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, come pure 
del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 (C. cost. 23 aprile 1987, n. 146; Id., 18 maggio 1989, n. 
251; Id., 21 ottobre 1998, n. 359; Id., 12 dicembre 1998, n. 406). In precedenza la Corte 
aveva dichiarato l�inammissibilit� della q.l.c. in considerazione della natura regolamentare 
dei due Regi decreti (C. cost. 28 novembre 1968, n. 118). 

(70) Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3926, in Foro Amm., 2000, 2615; ID. Sez. 
IV, 22 giugno 2000, n. 3574; Id., 22 maggio 2000, n. 2926, in Foro Amm., 2000, 1712; Id., 
26 marzo 1999, n. 420, in Foro Amm., 1999, 642; Id., 11 giugno 1997, n. 638, in Foro Amm., 
1997, 1636; Id., Sez. IV, 2 gennaio 1996, n. 14. 
(71) Le regole che governano la distribuzione della competenza sui giudizi per l�esecuzione 
del giudicato sono parzialmente diverse da quelle relative ai giudizi impugnatori in 
sede di giurisdizione generale di legittimit�. 
In quest�ultimo caso la dimensione ultraregionale dell�autorit� amministrativa i cui 
provvedimenti sono impugnati comporta l�attrazione della controversia alla competenza del 


DOTTRINA 285 

cutore della decisione definitiva non pu� che essere lo stesso giudice che l�haadottata. �, quindi, competente il T.A.R. per le proprie decisioni non appellate 
oppure interamente confermate dal Consiglio di Stato. �, per converso, competente 
il Consiglio nei casi di riforma, annullamento o conferma con modifiche 
o integrazioni della motivazione della sentenza del T.A.R. impugnata (72). 

T.A.R. Lazio e la salvezza del doppio grado di giurisdizione, mentre nell�ipotesi dei giudizi 
di ottemperanza il giudice competente � il Consiglio di Stato in unico grado. 
In relazione alle disposizioni dei commi 2 e 3 dell�art. 37 della legge 6 dicembre 1974, 

n. 1034 (legge T.A.R.), che attribuiscono al Consiglio di Stato la competenza sui giudizi di 
ottemperanza in unico grado, il T.A.R. Lazio ha sollevato la q.l.c. con ordinanza dell�8 maggio 
1980 deducendo il contrasto con gli art. 3 e 125 (2�co.) Cost. 
La Corte costituzionale, con ordinanza del 31 marzo 1988, n. 395, ha dichiarato la manifesta 
infondatezza della q.l.c. ribadendo che il principio del doppio grado di giurisdizione non 
� costituzionalmente obbligatorio e, con particolare riferimento alla giustizia amministrativa, 
la presenza dell�art. 125 (2�co.) Cost. impone �soltanto l�impossibilit� di attribuire al TAR 
competenze giurisdizionali in unico grado e la conseguente necessaria appellabilit� di tutte le 
sue pronunce�. Peraltro, l�assenza di previsioni costituzionali che indicano �il Consiglio di 
Stato come giudice di solo secondo grado� legittima la possibilit� che il Legislatore attribuisca 
�direttamente all�istanza superiore controversie che spetterebbero di norma al giudice di 
primo grado [�] in ragione della peculiarit� del contenuto in cui i giudizi di collocano�, 
�peculiarit� che sono certamente ravvisabili nelle fattispecie di cui all�art. 37, commi secondo 
e terzo, della legge n. 1034 del 1971� (C. cost., 31 marzo 1988, n. 395). 

La Plenaria (Cons. Stato, A.P., 22 dicembre 1990, n. 11), tuttavia, intervenendo sull�art. 
37 L. T.A.R., non ha abusato del disco verde della Consulta, ricercando una soluzione di compromesso 
con i T.A.R. 

Pur estendendo il regime di cui agli articoli 1 e 2 (che disciplinano la distribuzione di competenza 
in relazione all�ottemperanza delle sentenze dell�A.G.O.) ai giudizi di ottemperanza 
afferenti le decisioni dei giudici speciali ritenendo che le norme sulla competenza (art. 37, legge 
T.A.R.) devono interpretarsi estensivamente come quelle sulla giurisdizione (art. 27, n. 4, T.U. 

C.D.S. e art. 7, 1� co., legge T.A.R.), ha ritenuto che la terminologia �ente� di cui al 1� comma 
dell�art. 37 legge T.A.R. sia stata utilizzata atecnicamente dal Legislatore. Secondo la Plenaria, 
quindi, alla luce di un�interpretazione logico�sistematica che valorizzi le istanze di decentramento 
del sistema di giustizia amministrativa perseguite dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034, 
la parola ente designerebbe genericamente un �centro di imputazione� dell�attivit� amministrativa. 
In tal modo la Plenaria consente che si radichi la competenza dei T.A.R. anche nelle ipotesi 
di giudizi nei confronti di organi periferici dello Stato e degli enti pubblici ultraregionali. 
L�estensione alle pronunce dei giudici speciali delle norme sulla giurisdizione e sulla 
competenza afferenti il giudizio di ottemperanza per le decisioni dell�A.G.O. � stata confermata 
dalla giurisprudenza successiva (Cons. Stato, A.P., 23 dicembre 1994, n. 4; ID., Sez. IV, 25 
settembre 1998, n. 1213). 

L�unit� del sistema derivante dalla concentrazione in capo al G.A., quale giudice del potere 
pubblico, della giurisdizione per l�esecuzione del giudicato derivante dalle pronunce di tutti 
i giudici speciali � stata rotta dalla legislazione pi� recente che, valorizzando l�esigenza di rendere 
ciascun giudice, diverso da quello ordinario, garante dell�attuazione delle proprie pronunce, 
ha riconosciuto, sottraendola al giudice amministrativo, la giurisdizione della Corte dei 
conti e delle Commissioni tributarie sulle controversie afferenti l�ottemperanza alle proprie 
decisioni (rispettivamente art. 10 della legge 205/2000 e art. 70 D.Lgs. 546/1992). 

(72) Il principio, valido nell�ipotesi in cui le modifiche motivazionali in appello comportano 
un autonomo contenuto precettivo del giudicato anche in relazione alle modalit� di attua

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Sono legittimate a ricorrere le parti del giudizio chiusosi con l�ottemperanda 
sentenza. Secondo un certo orientamento (73) la legittimazione dovrebbe 
essere estesa a tutti coloro nei confronti dei quali il giudicato comunque spiega 
i suoi effetti immediati, come accade nei casi in cui la decisione eccezionalmente 
� destinata a produrre effetti erga omnes (annullamento di atti regolamentari 

o amministrativi generali che d� luogo ad un giudicato inscindibile o indivisibile) 
(74). 
Secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, 
al fine di assicurare il soddisfacimento delle finalit� dell�ottemperanza 
attraverso la completa attuazione del contenuto decisorio della sentenza, la 
legittimazione passiva deve essere riconosciuta non solo all�Amministrazione 
che sia stata parte nel precedente giudizio (nonch� ai suoi successori sia di 
natura pubblica (75) che privata (76)) ma anche a quella che, pur non avendo 
partecipato al precedente giudizio, sia titolare del potere di compiere un�attivit� 
vincolata meramente adempitivi (77) nonch� ai soggetti privati esercenti 
poteri pubblici (78).

� stato anche ritenuto ammissibile, non senza incertezze, l�intervento di 
chi non sia stato parte nel precedente giudizio che faccia valere una posizione 
dipendente da quella della P.A. soccombente, oppure un interesse costituito o 
conformato dall�atto di riesercizio del potere conseguente al giudicato (79). 

zione, � stato definitivamente affermato da una decisione dell�Adunanza Plenaria (Cons. Stato, 
A.P., 11 giugno 2001, n. 4; precedentemente in termini Cons. Stato, Sez. IV, 1� settembre 1999, 

n. 1392; ID., Sez. IV, 26 marzo 1999, n. 420; ID., Sez. IV, 1� aprile 1999, n. 361; ID., Sez. IV, 
11 dicembre 1998, n. 1781; ID., Sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1231; ID., Sez. IV, 14 marzo 1995, 
n. 172; ID., Sez. IV, 15 marzo 1994, n. 250; ID., Sez. VI, 3 febbraio 1992, n. 59; ID., Sez. IV, 
17 luglio 1991, n. 469; ID., Sez. V, 20 marzo 1985, n. 160). 
(73) Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 1968, n. 1120; Id., Sez. V, 9 aprile 1994, n. 276 
(hanno esteso la legittimazione a soggetti che non avevano partecipato al giudizio di merito). 
In senso contrario Cons. Stato, Sez. VI, 19 dicembre 1956, n. 892; ID., Sez. V, 27 settembre 
1960, n. 687; ID., Sez. II, 1� febbraio 1995, n. 15/95. 
In dottrina per l�orientamento favorevole all�allargamento della legittimazione a ricorrente 
SCOCA F.G., Aspetti processuali del giudizio di ottemperanza, in A.A.V.V., Il giudizio 
di ottemperanza (Atti Varenna), 1981, 210. Per quello contrario CASSARINO S., Il processo 
amministrativo, Vol. II, 887. 

(74) Per una recente conferma del principio dell�efficacia erga omnes dell�annullamento 
di atti amministrativi generali Cons. Stato, A.P., 11 gennaio 2007, n. 1. 
(75) Cons. Stato, Sez. VI, 4 novembre 1989, n. 1382 (ipotesi di successione tra enti 
pubblici). 
(76) Cons. Stato, A.P., 5 settembre 2005, n. 5 (in relazione all�obbligo incombente sul 
successore di natura privatistica di provvedere all�esibizione di un documento amministrativo 
relativo ad un atto adottato dall�estinto ente pubblico trasformato). 
(77) Cons. Stato, Sez. VI, 25 giugno 2002, n. 3484; ID., Sez. VI, 6 maggio 1997, n. 690; 
ID., Sez. VI, 22 aprile 1989, n. 485. In senso contrario, tuttavia, Cons. Stato, Sez. V, 31 
marzo 1994, n. 242; ID., Sez. IV, 11 giugno 1992, n. 620. 
(78) Cons. Stato, Sez. IV, 29 ottobre 2001, n. 5624; Cons. Giust. Amm., 13 febbraio 
2007, n. 42. 

DOTTRINA 287 

La trattazione del ricorso si svolge in camera di consiglio (80) applicando 
il principio istruttorio c.d. dispositivo con metodo acquisitivo in base al 
quale � sufficiente che il ricorrente alleghi un mancato o inesatto adempimento 
di quanto statuito nel decisum, che avrebbe dovuto essere ottemperato, 
rimanendo l�Amministrazione onerata della prova dell�avvenuta esecuzione 
(81). 

Durante il giudizio di ottemperanza, l�Amministrazione non perde il 
potere di provvedere adeguandosi al giudicato e l�adozione di atti adempitivi 
sopravvenuti comporta l�improcedibilit� del giudizio per sopravenuta 
carenza di interesse (se non satisfattivi o parzialmente satisfattivi (82)) o la 
cessazione della materia del contendere (se pienamente satisfattivi) (83). 

Circa il regime giuridico delle sopravvenienze di fatto o di diritto (84) 
che, ponendosi in contrasto con le statuizioni del giudicato, hanno l�attitudine 
di impedirne la piena attuazione, la giurisprudenza amministrativa, superando 
l�orientamento tradizionale (85) che ne affermava la rilevanza in ogni 

(79) T.A.R. Lazio, Sez. III, 4 febbraio 2003, n. 640. In senso implicitamente favorevole 
Cons. Stato, Sez. V, 22 novembre 2001, n. 5931; ID., Sez. V, 17 maggio 2000, n. 2875. In 
senso contrario Cons. giust. amm., 10 marzo 1983, n. 39. 
(80) Tuttavia le parti possono chiedere la trattazione in udienza pubblica ma spetta al 
giudice valutare se accogliere o meno la richiesta (Cons. Stato, Sez. Sez. V, 28 marzo 1998, 
n. 367; Cons. Giust. Sia., 22 marzo 1993, n. 114). 
(81) Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2004, n. 954; ID., Sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3443. 
(82) Cons. Stato, A.P., 10 dicembre 1991, n. 10. 
(83) Se l�atto adempitivo era gi� stato adottato dall�Amministrazione prima del deposito 
del ricorso per ottemperanza il giudizio va dichiarato inammissibile per carenza originaria 
di interesse. 
(84) Si � autorevolmente rilevato che il regime delle sopravvenienze di fatto e di diritto 
sarebbe delineato dalla giurisprudenza amministrativa in maniera divaricata (PATRONI 
GRIFFI F., Il giudicato amministrativo e la sua ottemperanza, in MORBIDELLI G., Codice 
della giustizia amministrativa, Milano, Giuffr�, 2005, 818�820). In relazione alle prime il 
tema delle sopravvenienze darebbe luogo ad una �casistica assai varia, che persegue soluzioni 
di concreta soluzione delle questioni bilanciando gli interessi in gioco� atteso che la 
giurisprudenza ammetterebbe �un certo rilievo, in senso ostativo all�esecuzione del giudicato, 
ai mutamenti della situazione di fatto� (p. 818). Con particolare riferimento alle seconde, 
invece, �la tesi oramai accolta � che trova applicazione la normativa vigente al momento 
della notificazione della sentenza definitiva, notificazione che ha l�effetto di �cristallizzare� 
la situazione di fatto e di diritto� (p. 819). In relazione alle sopravvenienze di diritto, 
difatti, si assiste al conflitto tra due principi: quello di dare effettiva attuazione al giudicato 
e quello di rispettare la legge in vigore al momento dell�attuazione del giudicato che si fonda 
sulla norma abrogata (cos� SATTA F., Giustizia amministrativa, 1997, 485). 
(85) L�orientamento era stato affermato anche da due pronunce dell�Adunanza 
Plenaria. 
La prima pronuncia, riferendosi all�attivit� giurisdizionale dello stesso giudice amministrativo 
da svolgersi in sede di ottemperanza che era destinata ad �inserirsi nel circuito 
decisionale e nell�ambito operativo dell�Amministrazione�, rilevava che quest�ultimo, come 
�l�Amministrazione, nel provvedere in seguito alla sentenza (e il giudice amministrativo nel 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

caso, si � oramai consolidata (86) nel senso di riconoscere efficacia solo agli 
eventi venuti in essere prima della notifica della sentenza favorevole (87), 
non potendo quelli successivi incidere sulla stabilit� del decisum per ragioni 
di certezza del diritto. Ove la sopravvenienza abbia rilevanza (perch� antecedente 
la notifica della sentenza) frustrando le pretese del privato quest�ultimo 
potr� tutelarsi (eventualmente) solo per equivalente dando prova del 
comportamento illecito della P.A. concretatosi nel colpevole ritardo nell�adempimento 
(88). 

Il principio � stato, peraltro, affermato anche in relazione alle situazioni 
soggettive ad efficacia durevole su cui sia sceso un giudicato �inciso� da una 

sostituirsi all�Amministrazione inadempiente), deve in genere � almeno quanto si tratti di 
valutazioni complesse e nelle quali sia dominante la considerazione dell�interesse pubblico 

� effettuare un nuovo apprezzamento delle esigenze generali da soddisfare tenendo conto 
anche dei nuovi elementi di fatto e normativi che siano sopravvenuti tempestivamente all�atto 
annullato� (Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23). 
Con la decisione del 14 ottobre 1986, n. 12, la Plenaria, pur richiamando il proprio precedente 
orientamento, affermava, per converso, che nell�ipotesi concreta la sopravvenienza 
normativa in discussione (una legge regionale della Sicilia di interpretazione autentica) non 
era idonea ad incidere sui rapporti giuridici su cui era sceso il giudicato. 

(86) Cons. Stato, A.P., 21 febbraio 1994, n. 4, in Foro It., 1994, III, 313; ID., A.P., 11 
maggio 1998, n. 2, in Cons. Stato, 1998, I, 743; ID., A.P., 10 dicembre 1998, n. 9, in Foro 
Amm., 1998, 11-12. 
L�orientamento si � sviluppato a partire dalle aperture dell�antesignana decisione della 
Plenaria del 1986 (Cons. Stato, A.P., 8 gennaio 1986, n. 1, in Cons. Stato, 986, 1) che aveva 
affermato che, in sede di esecuzione del giudicato di annullamento di un diniego di concessione 
edilizia, il sindaco avrebbe dovuto applicare la disciplina contenuta nello strumento 
urbanistico vigente non al momento della presentazione dell�originaria domanda ma al 
tempo della pronuncia definitiva, salva l�inopponibilit� delle variazioni dello strumento 
urbanistico sopravvenute dopo la notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso e 
salvo il potere�dovere dell�autorit� competente di rivedere in parte qua il piano vigente al 
fine di valutare se ad esso possa essere apportata una deroga che recuperi, in tutto o in parte 
e compatibilmente con l�interesse pubblico, la previsione del piano abrogato, sulla quale si 
fondava originariamente la domanda di concessione. 

Sulle variazioni sopravvenute allo strumento urbanistico, in termini Cons. Stato, Sez. 
V, 8 gennaio 1998, n. 53.

(87) � irrilevante la mera comunicazione della segreteria (Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 
2003, n. 1698, in Cons. Stato, I, 2003, 817). 
(88) Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2003, n. 1077; ID. , Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239, 
in Foro Amm., 2001, 2008, che recepiscono l�orientamento di quell�autorevole dottrina che 
aveva auspicato l�utilizzazione del rimedio risarcitorio almeno nelle ipotesi di sopravvenienze 
fattuali che avessero reso inattuabile il giudicato (�Di fronte al risultato concreto, per 
cui il corso della vita e degli eventi priva di significato la sentenza, si tratta di dare effettivit� 
e compiutezza alla tutela giurisdizionale amministrativa [�] questo � possibile solo 
collocando questo tipo di tutela nel pi� ampio e generale quadro della tutela giurisdizionale: 
per cui l� dove, quasi per forza di cose, non giungono il giudice amministrativo e l�amministrazione, 
deve poter essere invocata la tutela per equivalente, vale a dire il risarcimento 
del danno� SATTA F., Giustizia amministrativa, Padova, 1997, 484). 

DOTTRINA 289 

nuova legge che abbia efficacia retroattiva (come le leggi di interpretazione 
autentica). A tale riguardo � stato chiarito che il principio costituzionale dell�indipendenza 
della magistratura impone che il giudicato sia intangibile 
dalla legge sopravvenuta con effetti retroattivi che entri in conflitto con il 
contenuto del medesimo (89). Secondo l�orientamento della giurisprudenza 
amministrativa prevalente (90) quest�ultimo, ove abbia definito situazioni 
giuridiche ad effetti istantanei (tali sono secondo la Plenaria (91) quelle che 
�conseguono il loro scopo in quanto si estinguono�) deve essere attuato 
dall�Amministrazione, senza che la stessa possa invocare l�esistenza di una 
causa di impossibilit� sopravvenuta ad essa non imputabile inveratasi nel 
factum principis (la nuova legge retroattiva), mentre in relazione alle situazioni 
durevoli (tali sono secondo la Plenaria (92) quelle che �conseguono il 
loro scopo in quanto durano nel tempo�) bisognerebbe distinguere gli effetti 
che si sono prodotti prima della sopravvenienza di diritto che troverebbero 
la propria regola nel giudicato e quelli successivi che sarebbero, per converso, 
disciplinati dalle nuove norme. Secondo la menzionata giurisprudenza 
la soluzione non contrasterebbe con il principio di intangibilit� del giudicato 
da parte di nuove leggi retroattive perch� in relazione alla disciplina 
degli effetti che si producono dopo l�entrata in vigore della nuova normativa 
si profilerebbe una mera successione cronologica di regole normative senza 
che possa ritenersi esistente un conflitto tra legge e giudicato che, come rilevato, 
continuerebbe a regolare gli effetti gi� prodotti. 

Per la descrizione della tipologia di decisioni adottabili dal giudice dell�ottemperanza 
e la possibilit� di nominare un commissario ad acta si rinvia 
a quanto gi� rilevato nell�ambito della trattazione afferente la natura giuridica 
del giudizio amministrativo per l�esecuzione del giudicato nel quale sono 
riconosciuti al G.A. i pi� ampi poteri sostitutivi di merito. 

Circa i rimedi esperibili nei confronti della sentenza che chiude il giudizio 
di ottemperanza va segnalato che l�appellabilit� della medesima dipende 
dal contenuto e dalla natura giuridica delle statuizioni della decisione che 
vengono censurate. Ove quest�ultima si presenti meramente esecutiva del 
titolo da ottemperarsi (in quanto contenga esclusivamente statuizioni necessarie 
a garantire l�utilit� finale attribuita dal giudicato) l�appello sarebbe 
inammissibile, mentre lo stesso sarebbe, per converso, consentito nell�ipotesi 
in cui sia teso a censurare statuizioni (di cognizione) con cui il giudice del


(89) Cons. Stato, A.P., 21 febbraio 1994, n. 4, in Foro It., 1994, III, 313; ID., A.P., 10 
dicembre 1998, n. 9, in Foro Amm., 1998, 11�12. 
(90) Cons. Stato, A.P., 21 febbraio 1994, n. 4, in Dir. Proc. Amm., 1995, 254; ID., A.P., 11 
maggio 1998, n. 2, in Cons. Stato, 1998, I, 743; ID. A.P., 4 dicembre 1998, n. 8; ID., A.P., 10 
dicembre 1998, n. 9, in Foro Amm., 1998, 11-12. L�orientamento della Plenaria � stato seguito 
della giurisprudenza prevalente (Cons. Stato, Sez. IV, 6 maggio 2004, n. 2800; ID. Sez. IV, 6 
novembre 1998, n. 439; ID., Sez. IV, 2 giugno 998, n. 922; ID., Sez. IV, 20 gennaio 1998, n. 
39).(91) Cons. Stato, A.P., 11 maggio 1998, n. 2. 
(92) Cons. Stato, A.P., 11 maggio 1998, n. 2. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l�ottemperanza abbia integrato le lacune o interpretato il titolo da ottemperarsi, 
oppure abbia risolto questioni quali quelle relative ad eccezioni processuali 
o di rito, alla sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive dell�actio 
iudicati oppure alla fondatezza della pretesa azionata (per es. abbia 
ritenuto non violativi od elusivi del giudicato gli atti censurati) (93). 

(93) Orientamento oramai consolidato (Cons. Stato, 26 maggio 2006, n. 3144, in Foro 
Amm.�Cons. Stato, 2006, 1561; ID., Sez. IV, 10 marzo 2004, n. 1167; ID., Sez. IV, 17 giugno 
2003, n. 3443, in Foro Amm.�Cons. Stato, 2003, 1855; ID., Sez. VI, 10 aprile 2003, n. 
1906, in Giur It., 2003, 1936; ID., Sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1918, in Giur. It., 2003, 1930; 
ID., Sez. IV, 30 settembre 2002, n. 4979, in Foro Amm.�Cons. Stato, 2002, 2025; ID., Sez. 
V, 8 luglio 2002, n. 3789, in Foro Amm.�Cons. Stato, 2002, 1716; Id, Sez. V, 6 ottobre 1999, 
n. 1329; ID., Sez. IV, 28 luglio 1998, n. 1121; ID., Sez. VI, 5 maggio 1998, n. 632; ID., Sez. 
VI, 2 aprile 1998, n. 404; ID., Sez. V, 10 febbraio 1998, n. 153; ID. Sez. V, 28 febbraio 1995, 
n. 298; Cass civ., Sez.Un., 10 gennaio 1984, n. 175; Cons. Giust. Sic. 8 luglio 1998, n. 426). 
Il regime dell�appellabilit� delle decisioni rese in sede di ottemperanza risulta dalla lettera 
combinata dei decisa di due Adunanze Plenarie. 
Secondo la prima delle due decisioni (Cons. Stato, A.P., 14 luglio 1978, n. 23) l�appello 
sarebbe di regola precluso in quanto in relazione al giudizio di ottemperanza �il criterio 
seguito dalla legge non � quello del doppio grado di giudizio ma quello dell�unico grado di 
giudizio� (conclusione accolta dalla legge per i procedimenti di ottemperanza attribuiti alla 
competenza del Consiglio di Stato e applicabile, secondo la Plenaria, anche alle ipotesi attribuite 
alla competenza dei T.A.R.). Peraltro, prosegue la decisione, �le considerazioni [�] 
sulla speciale natura del procedimento di ottemperanza, sul carattere peculiare e pregnante 
delle relative statuizioni e sulla sua funzione esaustiva della vicenda processuale, forniscono 
invece una valida spiegazione logica del perch� il legislatore non abbia ritenuto il 
doppio grado rispondente alle caratteristiche e alla funzione proprie di tale procedimento 
in relazione all�esigenza che il giudizio (gi� eventualmente sviluppatosi in pi� gradi) pervenga 
finalmente a conclusione in tempi ormai spediti e in forme concentrate, cos� come 
richiede sia l�interesse alla tempestivit� dell�azione amministrativa sia l�interesse del privato 
alla realizzazione della posizione di vantaggio derivategli dalla sentenza da eseguire�. 
Tale regola generale, tuttavia, per evitare di sacrificare esigenze fondamentali di giustizia, � 
destinata a subire eccezioni in relazione a �pronunce e statuizioni aberranti o che comunque, 
sebbene formalmente emesse ex art. 27, n. 4 del T.U. del 1924 o ex art. 37 della legge 

n. 1034 del 1971, esulino o esorbitino in realt� dall�ambito e dalla funzione propria del procedimento 
di ottemperanza�. 
La decisione successiva della Plenaria (Cons. Stato, A.P., 29 gennaio 1980, n. 2) dichiara 
di condividere la linea interpretativa inaugurata nel 1978 ma ritiene necessario integrare 
e completare la precedente statuizione chiarendo che �deve ritenersi che le sentenze dei 
Tribunali amministrativi regionali emesse ai sensi dell�art. 37 della legge 6 dicembre 1971, 

n. 1034 non siano appellabili l� dove contengano mere misure attuative del preesistente giudicato, 
semprech� queste ultime non si sostanzino in statuizioni aberranti o comunque estranee 
all�ambito ed alla funzione propri del giudizio di ottemperanza�, mentre �l�appello contro 
le stesse sia consentito l� dove il Tribunale regionale si sia pronunciato � ovvero abbia 
illegittimamente omesso di pronunciarsi � sulla regolarit� in rito del seguito giudizio, sul 
ricorrere nel caso delle richieste condizioni soggettive ed oggettive dell�azione esperita, 
nonch� sulla fondatezza della pretesa azionata�, atteso che in questi casi il T.A.R. �finisce 
indubbiamente coll�esplicare una attivit� ontologicamente del tutto identica a quella pertinentegli 
in ordine alla verifica dei corrispondenti profili in rito ed in merito dei giudizi di 
cognizione ordinari s� da non potersi le sue conseguenti pronunce non definire, per pari 

DOTTRINA 291 

Pur se ammissibile in astratto, il ricorso per cassazione per (soli (94)) 
motivi di giurisdizione (come pure il regolamento preventivo di giurisdizione 
(95)) si presenta nel concreto una via percorribile con poche possibilit� di 
successo, attesa l�estrema difficolt� di articolare censure afferenti il superamento 
dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa in relazione a 
materie in cui il G.A. ha poteri decisori estesi al merito (96). 

Per chiudere il quadro dei rimedi esperibili avverso la sentenza che abbia 
chiuso il giudizio di ottemperanza giova ricordare che � stata, peraltro, ritenuta 
ammissibile l�opposizione di terzo (97). 

necessaria analogia, come di natura prettamente giurisdizionale�. Nelle ipotesi eccezionali 
in cui � ammissibile l�appello delle decisioni dei T.A.R. rese in sede di ottemperanza, dal 
carattere devolutivo dello stesso, discende che nel caso di �accoglimento del gravame e, in 
una connesso, dell�originario ricorso per ottemperanza di prima cure, spetti al Consiglio di 
Stato assumere le conseguenti misure attuative del giudicato�. 

La progressiva estensione dell�ambito di appellabilit� delle decisioni rese in sede di 
ottemperanza � stata riconosciuta incidentalmente anche dalla Corte costituzionale (C. cost., 
31 marzo 1988, n. 395). 

La giurisprudenza successiva, nonostante un incidentale orientamento della Cassazione 
favorevole all�affermazione della generale appellabilit� delle decisioni rese in sede di ottemperanza 
(Cass. civ., 24 novembre 1986, n. 6895), si � conformata all�interpretazione della 
Plenaria (Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2003, n. 5319; ID., Sez. V, 8 luglio 2002, n. 3789; 
ID., Sez. V, 6 ottobre 1999, n. 1329; ID. Sez. IV, 28 luglio 1998, n. 1121; ID., Sez. VI, 5 maggio 
1998, n. 632; ID., Sez. V, 10 febbraio 1998, n. 153; ID., Sez. V, 28 febbraio 1995, n. 298; 
ID., Sez. IV, 2 novembre 1993, n. 964; ID., Sez. V, 7 aprile 1992, n. 297). 

(94) In base all�art. 111, u.c., Cost. il ricorso per cassazione nei confronti delle decisioni 
del Consiglio di Stato � circoscritto alla sola verifica del rispetto dei limiti esterni della 
giurisdizione essendo inammissibili censure con cui si facciano valere errores in procedendo 
o in iudicando che attengono al modo dell�esercizio della funzione giurisdizionale e non 
alla sua esistenza (Cass. civ., Sez.Un., 16469/06, ID., Sez. Un., 26 febbraio 1990, n. 1456; 
ID., Sez. Un., 27 novembre 1987, n. 8792). 
(95) La esperibilit� del regolamento preventivo di giurisdizione � stata espressamente 
riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale al fine di soddisfare esigenze di economia processuale 
(�Una volta che il giudizio di c.d. ottemperanza (art. 27, n. 4, del T.U. 16 giugno 
1924, n. 1054, e art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) ha carattere giurisdizionale 
ed una volta che anche in questa sede possono sorgere, come di fatto sono sorte, questioni 
attinenti alla giurisdizione, non si vede ragione per negare la possibilit� di proporre regolamento 
di giurisdizione anche in un processo di esecuzione. Anzi potrebbe dirsi che, data 
la necessit� ancor pi� evidente di accelerare il corso dei giudizi di ottemperanza, la ratio 
pi� volte ripetuta si presenta qui con una intensit� maggiore� C. cost., 28 luglio 1983, n. 
246). In termini Cass. civ., Sez. Un., 9 marzo 1981, n. 1299. 
(96) Cass civ., Sez. Un., 23 luglio 2001, n. 10012; ID., Sez. Un., 6 maggio 1998, n. 
4572; ID., Sez. Un., 14 gennaio 1992, n. 368. 
(97) Cons. Stato, Sez. IV, 3 aprile 2001, n. 1999; ID., Sez. IV, 3 novembre 1994, n. 848. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Pregiudiziale amministrativa, rito del silenzio e

risarcimento del danno da omissione 

provvedimentale: tiene la rete di contenimento

del giudice amministrativo? 

di Alfonso Mezzotero(*) 

SOMMARIO: 1.- La questione della configurabilit� della c.d. pregiudizialit� da silenzio. 
2.- Presupposti per la risarcibilit� del danno da ritardo. 3.- La tesi favorevole alla c.d. pregiudizialit� 
del giudizio ex art. 21 bis. 4.- La contraria opinione che esclude il previo esperimento 
del rito del silenzio ai fini della proponibilit� dell�azione risarcitoria. 5.- La pregiudizialit� 
� estranea al risarcimento del danno da silenzio. 6.- Il progressivo superamento 
da parte della giurisprudenza della pregiudizialit� da silenzio. 7.- Il danno da omessa 
ripianificazione delle zone bianche. 8.- Termine prescrizionale dell�azione di risarcimento 
dei danni conseguenti a ritardo o inerzia. 

Sullo sfondo della disputa sulla questione della pregiudiziale amministrativa, 
ancora lontana dal raggiungimento di certezze giurisprudenziali, anche in 
considerazione del fatto che le recenti decisioni della Cassazione del giugno 
2006 hanno non solo ribaltato l�orientamento prevalso nella giurisprudenza 
amministrativa, ma anche trasformato, in modo criticabile, la pregiudiziale in 
una questione di giurisdizione, lo scritto esamina il percorso giurisprudenziale 
che ha progressivamente portato a ritenere inestensibile alle ipotesi in cui il 
danno scaturisce da comportamento inerte la teorica della pregiudizialit� 
amministrativa (secondo lo schema annullamento -reintegrazione in forma specifica 
� risarcimento per equivalente monetario, in successione decrescente). 

L�indagine �, in particolare, focalizzata sulle ragioni che rendono insostenibile 
riguardo al danno da comportamento inerte l�impostazione della 
maggioritaria giurisprudenza amministrativa che tende essenzialmente a 
legare l�azione risarcitoria ai tempi e ai modi tipici del processo amministrativo, 
accentuandone il carattere conseguenziale e completivo rispetto 
alla tutela demolitoria, al fine di evitare l�eccessivo protrarsi dello stato di 
incertezza in merito all�assetto dei rapporti pubblicistici. 

In tale ambito, tuttavia, permangono coni d�ombra (si pensi al danno da 
omessa ripianificazione delle zone bianche) che non consentono di ritenere 
pacificamente accolta dalla giurisprudenza la tesi che esclude che la 
domanda di accertamento giudiziale dell�illegittimit� del comportamento 
silente o inerte della P.A., veicolata dalla impugnazione del silenzio attraverso 
l�esperito dell�azione ex art. 21 bis, l. T.A.R., costituisca condizione di 
ammissibilit� dell�azione risarcitoria. 

(*) Avvocato dello Stato presso l�Avvocatura distrettuale di Catanzaro. 


DOTTRINA 293 

1. La questione della configurabilit� della c.d. pregiudizialit� da silenzio. 
Particolarmente controverso, anche in considerazione della non univoca 
posizione assunta dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, � il tema della 

c.d. pregiudiziale amministrativa da silenzio o inerzia della P.A. a fronte di 
adempimenti pubblicistici (1). 
Com�� noto, a seguito della riformulazione dell�art. 7, comma 3, legge 
T.A.R., in forza della legge n. 205/2000, la giurisprudenza amministrativa al 

(1) Per un�aggiornata e dettagliata ricostruzione del dibattito giurisprudenziale in 
materia di pregiudizialit� e del contrasto tra la IV e V Sezione del Consiglio di Stato, si 
veda LOTTI, La querelle infinita: pregiudiziale si, pregiudiziale no, in Urb. e app., 2007, 
963 ss., nonch� BERTONI, Pregiudiziale amministrativa, risarcimento del danno e questioni 
di giurisdizione, in Giorn. dir. amm., 2007, 10, 1087 ss. A livello monografico una trattazione 
completa del tema � stata fornita da CORTESE, La questione della pregiudizialit� 
amministrativa, Padova, 2007; FANTI, Tutela demolitoria e risarcitoria dell�interesse legittimo 
innanzi al giudice ordinario e amministrativo, Milano, 2006. Tra i molteplici contributi 
in materia, si segnalano ALLENA, La pregiudizialit� amministrativa fra annullamento 
e tutela risarcitoria, in Dir. proc. amm., 2006, 105 ss.; BARBIERI, Qualche motivo a favore 
della pregiudizialit� della tutela demolitoria rispetto alla tutela risarcitoria degli interessi 
legittimi, ivi, 471 ss.; CAPONIGRO, La pregiudiziale amministrativa tra l�essenza dell�interesse 
legittimo e l�esigenza di tempestivit� del giudizio, in www.giustamm.it; 
CARINGELLA, La pregiudiziale amministrativa: una soluzione antica per un problema 
attuale, in www.ildirittopericoncorsi.it; CAVALLARI, La pregiudiziale amministrativa: le 
ragioni di una soluzione, in www.giustizia-amministrativa.it; CHIEPPA, La pregiudiziale 
amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it; ID., � possibile optare per il solo 
risarcimento del danno da provvedimento amministrativo illegittimo, senza avvalersi degli 
effetti conformativi del giudicato di annullamento?, in Dir. & form., 2005, 376; COMPORTI, 
Pregiudizialit� amministrativa: natura e limiti di una figura a geometria variabile, ivi, 
2005, 280 ss.; CONSOLO, Piccolo discorso sul riparto di giurisdizioni, il dialogo tra le Corti 
e le esperienze dei tempi, in Dir. proc. amm., 2007, 631; CORRADINO, Sulla pregiudiziale 
amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it; CRISCENTI, Dalla pregiudizialit� e giurisdizione 
e ritorno (nota a Cass. 7 gennaio 2008, n. 35), in www.neldiritto.it; FIASCONARO, 
La pregiudiziale amministrativa e i profili di criticit� nella posizione delle Sezioni Unite 
della Corte di Cassazione, in www.giustizia-amministrativa.it; GAROFALO, Eventualit� del 
risarcimento del danno e pregiudiziale amministrativa, in www.giustamm.it; GASPARINI 
CASARI, In tema di pregiudiziale amministrativa, in Studi in onore di L. Mazzarolli, IV, 
Padova, 2007, 215 e ss.; GISONDI, Pregiudizialit� e giudizio sul rapporto, in www.giustizia-
amministrativa.it (ove alla nota 3 si rinvengono ulteriori riferimenti bibliografici sul 
tema); GOTTI, Spunti di riflessione sul rapporto tra azione risarcitoria e pregiudiziale di 
annullamento: un problema la cui soluzione non � pi� rinviabile, in Foro amm. C.d.S., 
2007, 2183; LOTTI, La pregiudiziale di annullamento: argomenti di diritto civile a confronto, 
ivi, 1828; STANCANELLI, Qualche osservazione sulla pregiudiziale amministrativa nel 
giudizio di risarcimento del danno, in Studi in onore di L. Mazzarolli, cit., 437 e ss.; VERDE, 
La pregiudizialit� dell�annullamento nel processo amministrativo per risarcimento del 
danno, in Dir. proc. amm, 2003, 971 ss.; VOLPE, Alcune considerazioni in tema di pregiudizialit� 
amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it; VILLATA, Pregiudizialit� 
amministrativa nell�azione risarcitoria per responsabilit� da provvedimento?, in Studi in 
onore di L. Mazzarolli, cit., 469 e ss. e in Dir. proc. amm., 2007, 271, cui si rimanda per 
l�ampiezza e puntualit� dei riferimenti di dottrina e giurisprudenza. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

suo massimo livello (2) ha affermato il principio che l�azione risarcitoria per 
danni conseguenti ad attivit� provvedimentale presuppone l�avvenuta impugnazione 
nell�ordinario termine di decadenza dell�atto illegittimo pregiudizievole, 
in ragione (principalmente) dell�impossibilit� di un accertamento 
incidentale da parte del giudice degli interessi della illegittimit� di un atto 
divenuto inoppugnabile. Ed invero, secondo i principi generali, al G.A. non � 
dato disapplicare atti amministrativi non regolamentari. Da qui il fondamentale 
corollario della inammissibilit� di azioni risarcitorie cc.dd. pure, proposte 
in relazione a provvedimenti amministrativi non impugnati nei termini e 
non rimossi in autotutela dall�amministrazione ovvero in sede giustiziale (3). 
Del resto, la proponibilit� di un�autonoma domanda risarcitoria, sganciata 

(2) Cons. St., ad. pl., 26 marzo 2003, n. 4, in Foro amm. C.d.S., 2003, 3, 885 ss., con 
nota di CIRILLO, L�annullamento dell�atto amministrativo e il giudizio sull�antigiuridicit� 
ingiusta dell�illegittimo esercizio dell�azione amministrativa; in Dir. proc. amm., 2003, 866 
ss., con nota di D�ATTI, Il diritto europeo e la questione della pregiudizialit� amministrativa, 
da ultimo, Cons. St., ad. pl., 22 ottobre 2007, n. 12, in Urb. e app., 2008, 339, ove la 
Plenaria ha compiuto una vera e propria ricostruzione sistematica dell�azione risarcitoria nel 
processo amministrativo, ribattendo alle argomentazioni espresse dalle Sezioni Unite nelle 
famose ordinanze gemelle n. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006 ed individuando sette ragioni 
a sostegno della pregiudizialit�. Sulla dec. n. 12/2007 si vedano i commenti di CLARICH, 
La pregiudizialit� amministrativa riaffermata dall�Adunanza plenaria del Consiglio di 
Stato: la linea del Piave o l�effetto boomerang?, in Giorn. dir. amm., 2008, 55; DI MAJO e 
MADDALENA, La giurisdizione esclusiva del g.a. in merito ai comportamenti amministrativi, 
in Il corriere del merito, 2008, 119; C.E. GALLO, L�Adunanza Plenaria conferma la pregiudiziale 
amministrativa, in Urb. e app., 2008, 346; PLAISANT, Accessione invertita, � scontro 
tra Consiglio di Stato e Cassazione, in Dir. prat. amm., 2007, 11, 84. 

(3) Sul tema della pregiudizialit� amministrativa, relativamente ad una fattispecie di 
occupazione illegittima, l�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si � espressa con decisione 
n. 9 del 30 luglio 2007, in www.lexitalia.it, cui la questione era stata deferita dal Cons. 
Giust. Amm. Reg. Sic., con ordinanza 2 marzo 2007, n. 75, ivi. In tale ultimo arresto i 
Giudici di Palazzo Spada escludono che la regola della pregiudizialit� operi ove l�atto sia 
stato rimosso in sede amministrativa, in autotutela o su ricorso di parte, oppure qualora il 
danno non sia prodotto dalle statuizioni costitutive contenute nell�atto, ma sia materialmente 
causato dalle particolari modalit� della sua esecuzione; sulla base di premessa, il 
Consiglio esclude l�operativit� della regola della pregiudizialit� nel caso di azione risarcitoria 
proposta a seguito dell�irreversibile trasformazione del fondo operata dalla P.A. sulla 
base di un�occupazione d�urgenza alla quale non sia seguita, nei termini previsti dalladichiarazione di p.u., l�emissione del decreto di esproprio. � evidente, infatti, che, in tale 
ipotesi, alcun onere di previa impugnazione del provvedimento dannoso pu� accollarsi al 
suo destinatario, considerato che il danno lamentato non discende da eventuali illegittimit� 
dell�atto dichiarativo quanto direttamente dalla mancata conclusione del procedimento e 
dalla omessa adozione al termine dei lavori dell�atto di trasferimento, che ha impedito la stabilizzazione 
degli effetti medio tempore prodotti dagli atti intermedi ad esso finalizzati sul 
piano causale. 
Prima dell�intervento dell�Adunanza Plenaria si sono registrate posizioni davvero contraddittorie 
tra le diverse sezioni del Consiglio di Stato: da ultimo, per la soluzione dell�ammissibilit� 
del ricorso non preceduto dall�impugnativa del provvedimento: Cons. St., sez. V, 
21 giugno 2007, n. 3321, in www.lexitalia.it, che, pur richiamando l�indirizzo delle Sezioni 


DOTTRINA 295 

dalla preventiva caducazione dell�atto produttivo di danno, comporterebbe la 
trasformazione della natura stessa della tutela, che verrebbe a perdere la sua 

unite a sostegno del superamento della teorica della pregiudizialit�, precisa, in ogni caso, 
che �ci� non impedisce di riconoscere l�interesse del ricorrente ad ottenere una sentenza di 
annullamento del provvedimento impugnato, idonea a spiegare effetti anche nel giudizio 
civile, quanto meno con riferimento al presupposto oggettivo dell�azione di responsabilit��; 
Cons. St., sez. V, 31 maggio 2007, n. 2822, ivi, e Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 18 maggio 
2007, n. 386, ivi, n. 5/2007; in senso decisamente opposto: Sez. IV, 8 maggio 2007, n. 2136, 
in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3034, in www.giustamm.
it, che conclude per l�inammissibilit� della pretesa risarcitoria di un pubblico dipendente 
in ragione della omessa impugnazione degli atti autoritativi della P.A. datrice, �in ossequio 
ai principi affermati dall�Adunanza Plenaria (decisione 26 marzo 2003, n. 4), secondo 
cui l�esercizio della pretesa risarcitoria fondata sulla affermata lesione di un interesse 
legittimo deve intendersi impedito a chi ha omesso di impugnare, nel termine decadenziale, 
il provvedimento amministrativo asseritamente produttivo del danno del quale si domanda 
il ristoro�; alla medesima conclusione approda Cons. St., sez. V, 12 luglio 2007, n. 3922, in 
www.giustamm.it, che ribadisce il principio della necessaria pregiudiziale di annullamento 
rispetto alla pronuncia di risarcimento. 

La giurisprudenza di primo grado si dimostra ancora compatta nell�aderire alla tesi 
favorevole alla pregiudizialit� patrocinata dalla decisione n. 4/2003 dell�Adunanza Plenaria: 
cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III ter, 5 novembre 2007, n. 10853, in www.lexitalia.it, ove il 
Collegio sostiene che, per accogliere una domanda di risarcimento dei danni provocati da un 
atto illegittimo dell�Amministrazione, � indispensabile che il giudice abbia pronunciato un 
preventivo annullamento del provvedimento amministrativo o almeno che abbia accertato 
l�illegittimit� di una condotta omissiva o commissiva della Pubblica Amministrazione, con 
la conseguenza che atteso il nesso di necessaria pregiudizialit� intercorrente fra le due 
domande, l�infondatezza della domanda principale di annullamento degli atti impugnati, 
trae seco anche quella della domanda subordinata risarcitoria che va anch�essa respinta; 

T.A.R. Piemonte, sez. II, 28 settembre 2007, n. 2990, in www.giustamm.it; T.A.R. Emilia 
Romagna, Parma, 1 agosto 2007, n. 432, ivi; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 23 luglio 
2007, n. 746, ivi; T.A.R. Valle d�Aosta, 11 luglio 2007, n. 88, in www.giustizia-amministrativa.
it; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 19 giugno 2007, n. 6214, in www.neldiritto.it; 
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 7 giugno 2007, n. 1629, in www.lexitalia.it; T.A.R. 
Campania, Napoli, sez. V, 31 maggio 2007, n. 5871, in www.iusna.net � rivista di giurisprudenza 
amministrativa napoletana; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 23 aprile 2007, n. 1174, 
in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 16 aprile 2007, n. 651, in 
Guida al diritto, n. 20/2007, 97, con nota di CARUSO, Con l�impugnazione immediata dell�atto 
il privato pu� ottenere il bene della vita; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 22 marzo 
2007, n. 273, in www.neldiritto.it; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 4 luglio 2006, n. 3710, in 
Foro amm. TAR, 2006, 2652, con nota di CALSOLARO, Per la pregiudiziale amministrativa: 
la doppia anima dell�interesse legittimo; T.A.R. Abruzzo, L�Aquila, 11 luglio 2006, n. 581, 
ibidem, 2570; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 3 agosto 2006, n. 7797, in Il Corriere del 
merito, 2006, 1207; T.A.R. Basilicata, 2 febbraio 2007, n. 3, in www.giustizia-amministrativa.
it; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 16 aprile 2007, n. 651, in www.lexitalia.it. 
Non mancano, tuttavia, decisioni che riducono o addirittura escludono l�operativit� 

della pregiudizialit�: T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 5 giugno 2007, n. 1469, in www.neldiritto.
it, che esclude l�onere della previa impugnazione dell�atto lesivo qualora la controversia 
afferisca ad un diritto soggettivo, quale, nel caso di specie, quello alla salute, considerato, 
per sua natura, fondamentale ed insuscettibile di affievolimento da parte della P.A., anche 
in ragione della copertura costituzionale di cui fruisce ai sensi dell�art. 32 Cost.; T.A.R. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

precipua natura rimediale e completiva, la quale � riconosciuta e ribadita 
dalla Corte costituzionale � vuole, in linea con il disposto dell�art. 7, legge n. 
205/2000, che il giudice amministrativo conosca anche di un eventuale risarcimento 
del danno, storicamente concepito come diritto patrimoniale consequenziale. 
Essendo la tutela risarcitoria complementare a quella di annullamento, 
deve necessariamente inserirsi nel sistema complessivo di tutela 
accordato dal giudice amministrativo, incentrato, a Costituzione invariata, 
sull�impugnazione del provvedimento amministrativo e sull�effetto conformativo 
impresso dalla sentenza sulla successiva azione amministrativa; 
rispetto a tale sistema, il potere di risarcire il danno da illegittimo esercizio 
della funzione pubblica si atteggia come aggiuntivo, scontando le caratteristiche 
proprie della struttura stessa della tutela del giudice amministrativo. 

La giurisprudenza si � interrogata, con esiti invero piuttosto contraddittori, 
in ordine all�estensibilit� della regola della pregiudizialit� amministrativa 
ai casi in cui il danno lamentato non derivi da un�attivit� commissiva, 
bens� dalla mera inerzia dell�amministrazione protrattasi per un lasso temporale 
pi� o meno lungo. La questione involge inevitabilmente la tematica del 
silenzio ed, in particolare, la possibilit� per il G.A., adito soltanto con l�azione 
risarcitoria, di accertare l�illegittimit� della condotta omissiva tenuta da 
una pubblica amministrazione al solo fine di pronunciare sulla domanda di 
risarcimento danni. In altri termini, occorre interrogarsi sull�ammissibilit� di 
una simile domanda allorquando all�inerzia del soggetto pubblico corrisponda 
l�inerzia del danneggiato, che abbia omesso di utilizzare gli strumenti 
apprestati dall�ordinamento per l�accertamento in via principale della illegittimit� 
della condotta omissiva serbata ai suoi danni, ossia lo speciale rito 
delineato dall�art. 21 bis, legge T.A.R.

� ben evidente come la problematica non sia di agevole soluzione, poich� 
la mancanza di un atto amministrativo (il comportamento inerte dell�amministrazione) 
rende non pertinente il riferimento all�assenza del potere 
disapplicativo in capo al G.A.; inoltre, l�eventuale decorso del termine (ora) 
annuale di �impugnazione� del silenzio non osta alla reiterabilit� dell�istanza, 
ai sensi dell�art. 2, comma 5, legge n. 241/1990, nella formulazione risultante 
dall�art. 3, comma 6-bis, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con 
modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. 

2. Presupposti per la risarcibilit� del danno da ritardo. 
L�indagine diretta a verificare l�estensibilit� della teorica della pregiudiziale 
al danno da silenzio e da ritardo deve necessariamente prendere le 

Liguria, sez. II, 12 aprile 2007, n. 633, in www.giustamm.it, che, richiamando l�indirizzo 
delle Sezioni Unite al quale il tribunale dichiara di aderire, decisamente esclude l�onere 
della previa impugnazione dell�atto lesivo, qualora l�interessato opti per la sola tutela risarcitoria, 
nel qual caso la legittimit� dell�atto, divenuto ormai inoppugnabile, verr� conosciuta 
incidenter tantum dal giudice amministrativo. 


DOTTRINA 297 

mosse dall�individuazione dei presupposti per la giustiziabilit� di pretese 
risarcitorie aventi ad oggetto danni derivanti non gi� da determinazioni attizie 
della P.A., bens� dal silenzio dalla stessa serbato sull�istanza del privato 

o dal ritardo con cui � stato definito il procedimento. 
Orbene, tra le fattispecie di responsabilit� della P.A. la dottrina e la giurisprudenza 
hanno avuto modo di enucleare anche quella correlata al ritardo 

o al silenzio nella conclusione del procedimento amministrativo. 
Tutte le classificazioni del danno da ritardo s�incentrano sulla netta 
distinzione tra una prima forma di responsabilit�, prospettabile per il solo 
fatto della violazione dell�obbligo formale di provvedere entro il termine, a 
prescindere, quindi, dall�esito finale dell�istanza, ed una seconda tipologia di 
responsabilit�, relativa ai danni connessi al mancato o ritardato godimento 
dell�utilit� finale, che presuppone il giudizio prognostico circa la sussistenza 
del diritto del privato a quel godimento. 

Secondo una classificazione elaborata in dottrina (4), il danno da ritardo 
pu� essere distinto nelle seguenti tre sottocategorie: 

a) danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo 
e favorevole dopo l�annullamento di un precedente atto illegittimo sfavorevole; 


b) danno provocato dalla mera tardivit� con cui � stato emanato un provvedimento 
legittimo e sfavorevole; 

c) danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo 
ma sfavorevole. 

Secondo questa tesi le tre ipotesi sono nettamente distinte tra loro: nel 
primo caso si tratta di una responsabilit� da provvedimento, essendo il danno 
provocato dall�illegittimo diniego (che andr�, quindi, impugnato entro l�ordinario 
termine decadenziale) e dal conseguente ritardo nell�emanazione del 
provvedimento richiesto; le altre due ipotesi riguardano, invece, danni (da 
ritardo procedimentale) non direttamente causati da provvedimenti illegittimi, 
poich� in entrambi i casi i provvedimenti sono legittimi. 

Secondo la tripartizione fatta propria dalla giurisprudenza (5), al c.d. 
danno da ritardo possono essere ricondotte tre ipotesi diverse tra di loro, 
incentrate, le prime due, sul provvedimento tardivo rispetto ai tempi procedimentali, 
la terza sul rifiuto di provvedere: 

1) adozione tardiva di un provvedimento legittimo, ma sfavorevole al 
destinatario; 
2) adozione del provvedimento richiesto, favorevole all�interessato, ma 
emesso in ritardo; 
3) inerzia, e dunque mancata adozione del provvedimento richiesto. 

(4) CHIEPPA, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilit� della pubblica 
amministrazione alla natura della responsabilit� per i danni arrecati nell�esercizio 
dell�attivit� amministrativa, in Dir. proc. amm., 2003, 691; ID., Brevi riflessioni sul danno 
da ritardo, in Dir. & formazione, n. 2, 2003, 217 ss. 
(5) Cons. St., sez. IV, 7 marzo 2005, n. 875, Foro amm. C.d.S., 2005, 721. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Nel caso di inerzia, il privato, attivando la specifica tutela di cui all�art. 
21 bis, legge T.A.R., pu� conseguire il provvedimento espresso (che, comunque, 
non pu� essere emesso direttamente dal giudice, come chiarito dalla 
giurisprudenza) (6). Tuttavia, il conseguimento del provvedimento espresso, 
ancorch� favorevole, lascia comunque in vita un possibile profilo di danno,
in relazione al ritardo con il quale il provvedimento � stato conseguito. � evidente, 
in questo caso, che il ritardo nell�emanazione del provvedimento 
favorevole all�istante vale a connotare in termini di illegittimit� l�attivit� 
della P.A.. In ogni caso, in tale ipotesi, pur essendo superfluo il giudizio prognostico, 
non � sufficiente il solo accertamento del ritardo per la statuizione 
circa l�obbligo del risarcimento del danno, essendo necessario scrutinare le 
ragioni del ritardo, vale a dire accertare se l�amministrazione non ha rispettato 
il termine finale del procedimento per dolo o colpa, ovvero se la sua 
inerzia possa ritenersi giustificata. In ordine alla non imputabilit� delle cause 
del ritardo, la giurisprudenza puntualizza che �l�Amministrazione non pu� 
addurre a giustificazione del proprio obbligo di provvedere rimasto inadempiuto 
un fatto interno alla sua organizzazione, al punto da farlo assurgere 
addirittura a causa di forza maggiore ossia una vis cui resisti non potest in 
grado di far venir meno il suo dovere istituzionale di provvedere. D�altronde, 
anche secondo il diritto comune per �causa non imputabile� � ai sensi dell�art. 
1218 cod. civ. � in grado di esonerare il debitore da responsabilit� da 
inadempimento deve intendersi quell�impedimento assolutamente imprevedibile 
ed estraneo alla sfera del debitore, cio� tale che egli non avrebbe 
potuto in alcun modo prevedere e controllare, mentre ogni altro evento tale 
da rendere pi� oneroso o difficoltoso l�adempimento non potrebbe, in ogni 
caso, esentare il debitore da responsabilit� facendo venir meno l�inadempimento 
colpevole� (7). 

Situazione analoga a quella sopra indicata si verifica nell�ipotesi in cui 
il provvedimento favorevole all�istante interviene con ritardo (senza che il 
privato agisca avverso l�iniziale inerzia dell�amministrazione, ai sensi dell�art. 
21 bis, legge T.A.R.): si pensi al caso del rilascio tardivo di un permesso 
di costruire, in relazione al quale sono prospettabili i danni consistenti nell�aumento 
dei costi del materiale di costruzione, dovuti al decorso del tempo 
ovvero ancora al rilascio in ritardo di una concessione demaniale per una stagione 
ormai trascorsa. Anche in questo caso, in sede di pretesa risarcitoria 

(6) Da ultimo, Cons. St., sez. IV, 10 ottobre 2007, n. 5311, in Urb. e app., 2008, 351, 
con nota di ROCCO, Appello incidentale improprio e accertamento della fondatezza della 
pretesa fatta valere nell�istanza inevasa, ove la Sezione, nell�affermare che il giudice pu� 
conoscere della fondatezza della pretesa allorch� non siano richiesti provvedimenti amministrativi 
dovuti o vincolati in cui non c�� da compiere alcuna scelta discrezionale, ribadisce 
la sussistenza del limite dell�impossibilit� di sostituirsi all�amministrazione, che potr� essere 
condannata ad adottare un provvedimento favorevole dopo aver valutato positivamente 
l�an della pretesa, ma nulla di pi�. 
(7) T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 31 ottobre 2007, n. 10329, in www.lexitalia.it. 

DOTTRINA 299 

per danno da ritardo, il G.A. non deve limitarsi al solo accertamento dell�illegittimit� 
del provvedimento (per violazione del termine procedimentale), 
ma deve estendere la sua indagine alla valutazione della colpa della P.A., intesa 
come apparato. Peraltro, atteso che secondo l�orientamento giurisprudenziale 
di cui si dar� infra, la fattispecie risarcitoria non si esaurisce nel superamento 
dei termini procedimentali, la pretesa relativa al danno da ritardo va, 
ad esempio, esclusa in ragione della particolare complessit� della fattispecie 
e del sopraggiungere di evenienze non imputabili all�amministrazione, che 
inducono ad escludere la sussistenza del requisito soggettivo della colpa in 
capo all�amministrazione stessa (8). Tale avviso �, del resto, espresso da autorevole 
dottrina togata (9), secondo cui: �in un�ottica � non infrequente � di 
collaborazione tra il richiedente e l�amministrazione, pu� anche accadere 
che il termine sia superato non per anomalie dell�azione amministrativa, ma 

o per obiettive esigenze o perch� lo stesso richiedente � consapevole della 
complessit� del caso � anche informalmente svolge opera di persuasione 
sulla accoglibilit� della istanza, tale da indurre l�amministrazione ad una 
maggiore ponderazione�. Occorre, quindi, che il ritardo sia dipeso da un 
comportamento inescusabile; in tal caso, sussister� l�elemento della colpevolezza 
dell�apparato amministrativo (la rimproverabilit� del ritardo). 
Controversa (fino al recente arresto dell�Adunanza Plenaria) � apparsa la 
questione se competa la tutela risarcitoria laddove l�amministrazione adotti 
un provvedimento sfavorevole, legittimo, ma con ritardo rispetto ai tempi 
ordinari del procedimento: � questa l�ipotesi del c.d. da ritardo mero, che s�identifica 
nella lesione dell�interesse procedimentale (e, dunque, non collegata 
al bene della vita) del privato alla tempestiva conclusione del procedimento, 
nel termine di cui all�art. 2, legge n. 241 del 1990, che prescinde dalla 
lesione del bene finale della vita al cui conseguimento l�istanza era rivolta. 

In questa ipotesi si pone, in particolare, la questione, strettamente collegata 
al problema pi� generale della natura giuridica della responsabilit� da 
illecito della P.A., se, rispetto al bene della vita, vi sia un distinto e autonomo 
interesse del soggetto nel rapporto con l�amministrazione, vale a dire 
l�interesse alla tempestivit� dell�agire amministrativo, risarcibile a prescindere 
dalla possibilit� di conseguire o meno il bene della vita richiesto ed indipendentemente 
dalla successiva emanazione e dal contenuto del provvedimento 
oggetto dell�istanza. 

In quest�ottica si muoveva l�art. 17, comma 1, lett. f), legge n. 59 del 
1997, che ipotizzava �forme di indennizzo automatico e forfettario�, pur se 

(8) T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 22 febbraio 2007, n. 623, in Guida al dir., 2007, 87, 
con nota di NUNZIATA, Principio di pregiudizialit� soddisfatto se c�� stato il giudizio sul 
silenzio-rifiuto. 
(9) MARUOTTI, La struttura dell�illecito amministrativo lesivo dell�interesse legittimo e 
la distinzione tra l�illecito commissivo e quello omissivo, in www.giustiziaamministrativa.
it. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

a favore del richiedente, qualora l�amministrazione non avesse adottato tempestivamente 
il provvedimento, anche se negativo. Tuttavia, tale disposizione, 
contenuta in un disegno di legge delega, non ha mai trovato attuazione, 
in quanto non � stata attuata la delega conferita dalla citata legge, n� sono 
state assunte, dopo la scadenza dei termini assegnati al legislatore delegato, 
iniziative per la emanazione di una nuova legge di delega con lo stesso contenuto 
o per la proroga del termine. 

In questa direzione sembrerebbe muoversi un recente d.d.l. c.d. Nicolais 

(A.S. 1859), approvato dal Consiglio dei Ministri in data 22 settembre 2006, 
recante norme in materia di efficienza delle amministrazioni pubbliche e di 
riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese, che prevede 
una tutela indennitaria e risarcitoria del privato a fronte della violazione da 
parte dell�amministrazione dei termini procedimentali, disancorata dalla 
necessaria dimostrazione della spettanza del bene della vita, cos� concependo 
il tempo come bene a s� stante e la relativa violazione come danno risarcibile. 
In particolare, tale d.d.l. introduce l�art. 2 bis, legge n. 241 del 1990, 
secondo cui: �le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all�articolo 1, 
co. 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza 
dell�inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del 
procedimento, indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal 
provvedimento richiesto. 2. Indipendentemente dal risarcimento del danno 
di cui al co. 1 e con esclusione delle ipotesi in cui il silenzio dell�amministrazione 
competente equivale a provvedimento di accoglimento dell�istanza, in 
caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento, le pubbliche 
amministrazioni e i soggetti di cui all�art. 1, co. 1-ter, corrispondono ai 
soggetti istanti, per il mero ritardo, una somma di denaro stabilita in misura 
fissa ed eventualmente progressiva, tenuto conto anche della rilevanza 
degli interessi coinvolti nel procedimento stesso�. 
Il problema di fondo consiste, quindi, nello stabilire se sia o meno risarcibile 
il danno da ritardo indipendentemente dalla fondatezza della pretesa 
azionata dal privato con l�istanza. In altri termini, occorre stabilire se l�affidamento 
del privato nella certezza dei tempi dell�azione amministrativa sia 
meritevole di tutela in s�, a prescindere dal conseguimento dell�utile finale 
cui l�istanza era preordinata. 

Parte della dottrina (10) ritiene ipotizzabile la responsabilit� della P.A. 
per il solo fatto del ritardo, in assenza quindi di ogni indagine sulla spettanza 
del bene della vita o dell�utilit� finale, rilevando che �non � ontologicamente 
corretto limitare le lesioni dell�interesse legittimo al solo provvedimento 
(allorch� esso sia, non solo illegittimo, ma anche sfavorevole). Ogni 

(10) CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995, 156 
ss.; SCOCA, Risarcibilit� e interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2000, 1, 35; TRIMARCHI BANFI, 
Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, 2000, 90. 

DOTTRINA 301 

violazione di principi e di regole che riguardino qualsiasi aspetto dell�azione 
amministrativa, in quanto impedisca, complichi o ritardi la determinazione 
(o il mantenimento) di un favorevole assetto degli interessi (finali), per 
ci� stesso lede l�interesse legittimo, anche se l�azione amministrativa si conclude 
in un provvedimento sfavorevole (e legittimo). L�inerzia, il ritardo nell�adozione 
del provvedimento, l�andamento contraddittorio, confuso, inutilmente 
gravoso dell�amministrazione provocano la lesione dell�interesse 
legittimo, allo stesso modo in cui provoca lesione il provvedimento finale 
sfavorevole� (11). 

Altra dottrina (12), sviluppando queste osservazioni, ha acutamente 
osservato che � da evitare ogni confusione tra la natura procedimentale della 
regola violata (quella, appunto, al rispetto dei termini procedimentali) e gli 
interessi che quella stessa regola vuole proteggere; in tal senso, si richiama 
la disciplina della partecipazione a una gara pubblica, che presenta senza 
dubbio aspetti meramente procedurali, in relazione ai quali l�interesse protetto 
� anzitutto quello a partecipare ad armi pari con gli altri concorrenti, il 
che, tuttavia, non impedisce al giudice di ravvisarvi un bene della vita, direttamente 
tutelato dalla disciplina della gara. Altrettanto, ritiene questa dottrina 
di poter affermare con riferimento alla disciplina del termine del procedimento, 
che � diretta a fornire certezza temporale all�istante in ordine ad ogni 
aspetto della sua partecipazione al procedimento: l�impegno di risorse, la 
rinuncia ad altre opportunit�, l�esigenza di avvalersi di circostanze favorevoli 
che non abbiano durata indefinita, ecc. Pertanto, conclude questa dottrina, 
anche queste situazioni, aventi senz�altro dimensione sostanziale, diverse da 
quella diretta al conseguimento dell�utilit� finalit�, meritano adeguata protezione 
risarcitoria. 

� evidente che l�accoglimento della tesi favorevole alla risarcibilit� dell�interesse 
legittimo per il solo fatto del ritardo imputabile alla P.A. muove 
dalla ricostruzione dogmatica della responsabilit� della P.A. come responsabilit� 
da contatto o paracontrattuale, pi� vicina a quella contrattuale che a 
quella aquiliana, che scaturisce dalla violazione dei doveri funzionali di legalit�, 
imparzialit� ed efficienza gravanti sull�amministrazione, analoghi agli 
obblighi di protezione nelle obbligazioni di diritto privato e svincola la tutela 
risarcitoria dal giudizio sulla spettanza del bene della vita o della chance 
di conseguirlo, concentrandosi sugli obblighi procedimentali, in cui il contatto 
qualificato si concreta (13). 

(11) In questi termini si esprime, in particolare, SCOCA, op. cit. 
(12) CLARICH - FONDERICO, La risarcibilit� del danno da mero ritardo dell�azione 
amministrativa, in Urb. e app., 2006, 67. 
(13) Per questa ricostruzione della responsabilit� della P.A., si veda CACCIAVILLANI, Il 
risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, in Giust. civ., 2000, I, 1579 ss.; 
PROTTO, La responsabilit� della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi 
come responsabilit� da contatto amministrativo, in Resp. civ., 2001, 213. Per le critiche 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La tutela risarcitoria, secondo questa ricostruzione, viene, quindi, accordata 
in relazione alla violazione degli obblighi procedimentali, tra cui quello 
alla definizione tempestiva del procedimento amministrativo, a prescindere 
dalla spettanza o meno del bene della vita. L�esistenza di un rapporto 
amministrativo d� luogo ad un�ipotesi di contatto sociale qualificato tra 
l�amministrazione e l�amministrato da cui scaturisce un affidamento meritevole 
di tutela, che prescinde dalla sicura acquisizione del bene della vita e la 
cui violazione d� titolo ad un risarcimento nei limiti del c.d. interesse negativo, 
correlato all�eliminazione della situazione di incertezza determinata dal 
comportamento della P.A. e non gi� all�utilit� finale che il privato aspirava a 
conseguire con la presentazione dell�istanza (14). L�apertura di un procedimento 
amministrativo determinerebbe il sorgere fra l�amministrazione ed il 
soggetto privato di un rapporto giuridico autonomo, a struttura complessa, 
nel cui ambito si formerebbero a carico del soggetto pubblico dei veri e propri 
obblighi di protezione della sfera del privato a cui sarebbero correlati specifici 
diritti del soggetto privato al comportamento diligente e conforme alla 
buona fede della P.A. Una di queste posizioni soggettive attive sarebbe il 
diritto a che l�amministrazione eserciti i propri poteri autoritativi espressamente 
e nei tempi prefissati, come espressamente sancito dall�art. 2, legge n. 
241 del 1990, al quale corrisponderebbe una posizione debitoria del sogget


espresse in dottrina alla tesi del contatto amministrativo qualificato, si veda TORCHIA, 
Giustizia amministrativa e risarcimento del danno fra regole di diritto processuale e principi 
di diritto sostanziale, in Giorn. dir. amm., 2003, 567. In giurisprudenza, a sostegno 
della tesi � invero minoritaria � della responsabilit� da contatto amministrativo qualificato, 
si vedano Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157, in Foro amm. C.d.S., 2003, 2, 480, con 
nota di SIRACUSANO, La nuova (e � vera �) svolta della Cassazione sulla c.d. risarcibilit� 
dell�interesse legittimo: i doveri di comportamento della pubblica amministrazione verso la 
logica garantistica del rapporto; in Resp. civ. e prev., 2003, 3, 752, con nota di ROLANDO, 
Ancora un passo avanti in tema di risarcibilit� degli interessi legittimi; Cons. St., sez. V, 8 
luglio 2002, n. 3796; Cons. St., sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204; T.A.R. Veneto, sez. I, 20 
novembre 2003, n. 5778; da ultimo, T.A.R. Lazio, sez. III-ter, 21 febbraio 2007, n. 1527; 
ID., sez. III-ter, 5 novembre 2007, n. 10852 (tutte in www.giustizia-amministrativa.it). La 
questione relativa alla natura della responsabilit� della P.A. era stata sottoposta alla Plenaria, 
la quale, tuttavia, con la sentenza 14 febbraio 2003, n. 2, in D &G � Dir. e giust., 2003, 11, 
40, con nota di PROIETTI, Sulla natura della responsabilit� dell�amministrazione restano i 
dubbi. Interessi legittimi: irrisolto il contrasto giurisprudenziale, ha respinto l�appello, 
senza pronunciarsi sul punto, in mancanza di impugnazione del capo della decisione di 
primo grado concernente l�obbligo del risarcimento dei danni. 

(14) In tal senso, T.A.R. Puglia, Bari, 17 maggio 2001, n. 1761, richiamata da T.A.R. 
Lazio, sez. III-ter, 5 novembre 2007, n. 10852, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it, 
ove si � precisato che la configurazione della responsabilit� da contatto qualificato, risarcibile 
solo nella misura dell�interesse negativo, se da una parte rappresenta la doverosa riparazione 
di un danno ingiusto, dall�altra scongiura una iperprotezione del ricorrente, nell�ipotesi 
in cui questo, una volta ottenuto il risarcimento del danno per equivalente, riesca 
anche a realizzare il proprio interesse pretensivo in ragione dell�effetto ripristinatorio e conformativo 
del giudicato di annullamento. 

DOTTRINA 303 

to pubblico attributario del relativo potere, il cui inadempimento determinerebbe 
una responsabilit� da contatto, ossia contrattuale della P.A. verso il privato. 
In tal modo si riconduce il danno risarcibile non alla perdita dell�utilit� 
sostanziale cui il privato aspira, ma all�inadempimento del rapporto che si 
genererebbe in relazione all�obbligo imposto dall�art. 2, attribuendo pertanto 
autonomo rilievo risarcitorio, indipendentemente dalla soddisfazione dell�interesse 
finale, all�obbligo dell�amministrazione di rispettare il termine 
del procedimento. 

Dopo un�iniziale presa di posizione per cos� dire aperturista, la giurisprudenza 
del Consiglio di Stato ha decisamente escluso che il tempo sia 
esso stesso bene della vita, la cui lesione pu� dar luogo a risarcimento, concludendo 
nel senso che l�unico bene della vita tutelabile in sede risarcitoria 
� quello cui si correla l�istanza presentata all�amministrazione, rimasta inevasa 
ovvero evasa con ritardo. Dunque, la spettanza del bene della vita costituisce 
presupposto essenziale del danno da ritardo. L�interesse pretensivo 
suscettibile di tutela risarcitoria � solo quello al conseguimento dell�utilit� 
finale richiesta con l�istanza o, in altri termini, al rilascio di un provvedimento 
vantaggioso per l�istante. 

Prima dell�arresto della Plenaria, la giurisprudenza di primo grado si � 
mostrata decisamente critica verso la tesi della risarcibilit� del danno da 
ritardo mero. 

In tal senso si � chiaramente espressa T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 13 gennaio 
2005, n. 56 (15): �in primo luogo va osservato come la formula �danno 
da ritardo� sia un sintagma, un�entit� di sintesi in cui sono inglobati il �diritto� 
ad una prestazione (la tempestiva conclusione del procedimento) e l�interesse 
al bene della vita che l�esecuzione della prestazione soddisfa (il rilascio 
del provvedimento). Tale entit� soffre, per�, intrinseca cesura: al diritto di 
prestazione non corrisponde l�interesse sostanziale finale, ma solo quello 
strumentale. Infatti, oggetto immediato della pretesa non � il provvedimento 
favorevole ma un provvedimento purch� sia. Il nostro ordinamento non concepisce, 
in linea di massima, il danno punitivo. Il fatto illecito produce l�obbligazione 
risarcitoria se ed in quanto esista una lesione da riparare. 
Pertanto, il danno da ritardo non � risarcibile di per s�. Danno da ritardo 
risarcibile ex art. 2043 c.c. pu� essere solo quello che determina una lesione 
dell�aspettativa (di interesse legittimo) al rilascio del provvedimento favorevole 
e non gi� il danno da mero inadempimento dell�obbligo di provvedere�. 

Si respinge, quindi, la tesi dottrinale che identifica un diritto soggettivo 
a fronte del dovere dell�amministrazione di conclusione del procedimento. 
Da un lato, si sostiene che non pu� richiamarsi il modello di tutela pensato 
per il diritto alla ragionevole durata del processo, che postula una indebita 

(15) La decisione � commentata da DIDONNA, Enti e ritardi, giro di vite sui risarcimenti, 
in D &G � Dir. e giust., 2005, 10, 97; MICARI, Il c.d. �danno da ritardo� ed i corollari 
tratti da una sentenza-trattato del TAR Puglia, in Giur. merito, 2006, 2, 435. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

equiparazione tra procedimento e processo; dall�altro lato, non potrebbe qualificarsi 
la pretesa alla conclusione del procedimento amministrativo nell�area 
dei diritti relativi, facendo leva sulla prescrizione di cui all�art. 2, legge n. 
241/1990, poich� �se cos� fosse, il danno da ritardo darebbe luogo ad un�ipotesi 
di responsabilit� contrattuale. Il che appare difficilmente compatibile 
con il quadro dipinto dalla sentenza 204/04 della Corte Costituzionale. Di 
pi�, la tesi del diritto di credito si scontra con l�analisi del lato passivo del 
rapporto giuridico, cio� il dovere della P.A. di provvedere: nel sistema della 
funzione amministrativa non � ravvisabile un�obbligazione in senso tecnico 
che abbia ad oggetto la conclusione del procedimento, trattandosi di una tipica 
attivit� autoritativa, per quanto regolata da fonti normative puntuali�. 

Sviluppando la nota impostazione dottrinale sopra richiamata (16), la IV 
Sezione del Consiglio di Stato con la citata ordinanza n. 875/2005, nel rimettere 
la relativa questione all�Adunanza Plenaria, aveva ricostruito il danno da 
ritardo come lesione conseguente alla violazione dell�interesse procedimentale 
al rispetto dei tempi posti dall�ordinamento, optando per l�autonoma 
risarcibilit� di tale interesse. 

A fondamento della risarcibilit� del danno da mero ritardo si pone, da un 
lato, l�adesione da parte della Sezione alla tesi della natura contrattuale della 
responsabilit� della P.A. (da contatto amministrativo qualificato), che, com�� 
noto, prescinde da un giudizio prognostico sulla spettanza del bene della 
vita, rendendo cos� risarcibili anche meri interessi procedimentali e, dall�altro 
lato, l�individuazione tra le norme che disciplinano il procedimento, 
accanto a disposizioni che costituiscono mere situazioni procedimentali (ad 
esempio, le norme in tema di partecipazione), di norme dirette a tutelare interessi 
sostanziali del privato, qualificabili essi stessi come autonomi (rispetto 
all�utilit� finale oggetto dell�istanza) beni della vita, tra i quali annoverare 
anche le norme che fissano la tempistica procedimentale, sicch� il privato ha 
titolo ad un risposta certa e tempestiva indipendentemente dal contenuto 
della stessa. In quest�ottica, sarebbe suscettibile di autonoma valutazione e 
meritevole di tutela risarcitoria l�affidamento qualificato del privato al 
rispetto da parte dell�amministrazione procedente dei canoni di correttezza 
comportamentale da osservare durante l�iter procedimentale. Secondo questa 
impostazione, dunque, � necessario procedere ad una considerazione non 
pi� unitaria ed uniforme, ma rigorosamente differenziata, delle diverse 
aspettative che si connettono all�osservanza delle norme procedimentali, le 
quali hanno, nell�ambito del diritto amministrativo attuale, la precipua ed 
immancabile finalit� di riequilibrare il rapporto fra amministrazione e cittadino, 
ponendo a carico della prima doveri di correttezza che non possono 
ritenersi immediatamente finalizzati alla pi� favorevole disciplina di un inte


(16) SCOCA, Risarcibilit� e interesse legittimo, cit.; CLARICH, Termine del procedimento, 
cit., 148, che ricostruisce in termini di diritto soggettivo la posizione soggettiva tutelata 
a fronte dell�obbligo formale di provvedere. 

DOTTRINA 305 

resse materiale di base del cittadino stesso (17). Se ne deduce, in tale prospettiva 
interpretativa, che il diritto di ricevere risposta alla propria richiesta 
di provvedimento e quello di vedere concluso il procedimento tempestivamente 
e senza aggravamenti rappresenterebbero non soltanto situazioni strumentali 
alla soddisfazione di un interesse materiale qualificabili sub specie 
di interesse legittimo, ma appunto diritti in s� e per s�. In altri termini per 
effetto dell�art. 2, legge n. 241 del 1990 sorgerebbe in capo alla P.A. una 
posizione obbligatoria che, pur avendo come oggetto della relativa prestazione 
l�esercizio di un potere pubblicistico, non troverebbe contrapposta una 
situazione giuridica soggettiva di mero interesse legittimo, ma una vera e 
propria posizione creditoria, avente la consistenza del diritto soggettivo. In 
tale contesto ricostruttivo la situazione giuridica soggettiva correlata all�obbligo 
di cui all�art. 2, legge n. 241 del 1990 non attiene, dunque, ad interessi 
procedimentali meramente formali e strumentali, ma piuttosto ad interessi 
sostanziali e dev�essere qualificata alla stregua di un vero e proprio diritto 
soggettivo. L�art. 2 non si pone quale norma di azione, diretta a regolare 
il potere autoritativo della pubblica amministrazione (rispetto alla quale sorgono 
esclusivamente posizioni di interesse legittimo), ma come norma di 
relazione diretta a disciplinare il rapporto fra l�amministrazione ed il soggetto 
privato, in un ambito in cui l�esercizio del potere amministrativo si presenta 
quale mero oggetto della prestazione comportamentale imposta al soggetto 
pubblico, senza che assumano alcun rilievo le modalit� ed il contenuto 
dell�agire amministrativo. 

Secondo questa tesi, dunque, l�inerzia dell�amministrazione su un procedimento 
avviato ad istanza di parte non costituisce esercizio del potere, ma 
semplice fatto di inadempimento, rispetto al quale non si pu� configurare un 
interesse legittimo, ma un diritto soggettivo a conseguire l�adempimento 
della prestazione dedotta in obbligazione, consistente nel tempestivo esercizio 
del potere autoritativo attribuito dalla legge alla pubblica amministrazione, 
in senso favorevole o sfavorevole per il soggetto privato coinvolto. La 
conclusione cui conduce tale ricostruzione � che l�amministrazione che 
provveda in ritardo o che non provveda affatto � tenuta, a prescindere da ogni 
indagine sulla spettanza del bene della vita o dell�utilit� finale, a risarcire i 
danni conseguenti alla situazione di incertezza circa il rilascio o meno del 
provvedimento richiesto in cui � stato colpevolmente lasciato colui che ha 
presentato l�istanza. 

Nel motivare a sostegno dell�autonoma risarcibilit� del danno da ritardo 
la Sezione, nell�ordinanza n. 875/2005, conclude affermando che �occorre 
procedere a una selezione degli interessi procedimentali, individuando quel


(17) A tal proposito ROMANO TASSONE, Situazioni giuridiche soggettive (dir. amm.), in 
Enc. giur., aggiornamento, II, Milano, 2004, 985, parla di �doveri di protezione, tendenti a 
garantire il rispetto dovuto alla persona in quanto tale, a prescindere dal fatto che dalla 
loro osservanza possa o meno derivare una situazione di vantaggio�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

li che possono dar luogo a mere situazioni strumentali, da far valere come 
tali in sede di impugnazione del provvedimento (si pensi alle situazioni 
riconducibili alla partecipazione procedimentale) e quelli che invece possono 
costituire, se lesi, oggetto di danno risarcibile, in quanto rappresentano 
essi stessi un �bene della vita� ritenuto dall�ordinamento meritevole di autonoma 
protezione. Tra questi interessi procedimentali potrebbe essere annoverato 
proprio e significativamente l�interesse allo svolgimento dell�azione 
amministrativa in tempi certi. L�affidamento del privato alla certezza dei 
tempi dell�azione amministrativa sembra � nell�attuale realt� economica e 
nella moderna concezione del cd. rapporto amministrativo � essere interesse 
meritevole di tutela in s� considerato, non essendo sufficiente relegare 
tale tutela alla previsione e all�azionabilit� di strumenti processuali a carattere 
propulsivo, che si giustificano solo nell�ottica del conseguimento dell�utilit� 
finale, ma appaiono poco appaganti rispetto all�interesse del privato a 
vedere definita con certezza la propria posizione in relazione a un�istanza 
rivolta all�amministrazione�. 

La questione � stata risolta in senso negativo dall�Adunanza Plenaria 
(18), la quale, discostandosi nettamente dalla ricostruzione della IV Sezione, 
ha concluso che il ritardo � risarcibile solo quando il privato pu� aspirare al 
provvedimento favorevole, mentre quando il provvedimento adottato in 
ritardo � (legittimamente) negativo, il ritardo dell�agire amministrativo non 
� fonte autonoma di risarcimento. Cos� motiva la Plenaria tale conclusione: 
�il sistema di tutela degli interessi pretensivi � nelle ipotesi in cui si fa affidamento 
sulle statuizioni del giudice per la loro realizzazione � consente il 
passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l�interesse pretensivo, 
incapace di trovare realizzazione con l�atto, in congiunzione con l�interesse 
pubblico, assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perci�, la 
mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso 
per l�interessato (suscettibile di appagare un �bene della vita�)�. 

Alla luce della descritta evoluzione giurisprudenziale, � da ritenere che 
nell�attuale quadro normativo (cos� come in quello antecedente alle riforme 
del 2005), tra i tipi di illecito dell�amministrazione non pu� essere annove


(18) Dec. 15 settembre 2005, n. 7, in Foro it., 2006, III, 1, con nota di SIGISMONDI; in 
Giust. civ., 2006, 6, 1329, con nota di MICARI, Provvedimento amministrativo negativo tardivo: 
l�adunanza plenaria sul danno da ritardo �mero� infittisce la �rete di contenimento�. 
La tesi che aggancia la risarcibilit� del danno da ritardo all�utilit� finale oggetto dell�istanza, 
escludendo la risarcibilit� del danno correlato alla mera violazione dei tempi procedimentali 
(c.d. danno da ritardo mero), � stata ribadita dalla giurisprudenza successiva 
all�arresto della Plenaria: in tal senso, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 14 settembre 2006, 

n. 8107; Cons. St., sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2862; T.A.R. Lombardia, Brescia, 2 febbraio 
2006, n. 108; Cons. St., sez. VI, 30 gennaio 2006, n. 321 (tutte in www.giustizia-amministrativa.
it); da ultimo, Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248, in Guida al dir., 2008, 10, 95, 
con nota critica di FORLENZA, L�attivit� discrezionale della P.A. riduce i poteri d�indagine 
del giudice. 

DOTTRINA 307 

rato quello caratterizzato dal mero decorso del termine di conclusione del 
procedimento, bench� la legge consenta l�immediata proposizione del ricorso 
al G.A., affinch� sia ordinata l�emanazione del provvedimento conclusivo 
del procedimento. Del resto, salvi i casi di silenzio significativo e quelli in 
cui il termine � perentorio perch� posto a presidio dell�interesse legittimo 
difensivo, il decorso del termine non incide sui poteri istituzionali dell�amministrazione 
di provvedere sull�istanza: il suo obbligo si perpetua e il tardivo 
esercizio della funzione pubblica non comporta di per s� l�illegittimit� del 
provvedimento finale (che � salva la sua impugnabilit� � determina l�assetto 
complessivo degli interessi). Il soggetto istante � titolare non di un diritto 
soggettivo, ma di una mera aspettativa legittima all�adempimento dell�obbligo 
imposto dall�art. 2, legge n. 241/1990, il quale sarebbe, infatti, dettato 
prevalentemente a tutela dell�interesse pubblico sotteso all�azione amministrativa 
e solo indirettamente a salvaguardia degli interessi del privato, nei 
limiti in cui questi si pongano come strumento per realizzare tale assetto 
teleologico (19). La violazione dell�obbligo di assolvere adempimenti pubblicistici 
aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative determina 
la lesione di un interesse pretensivo del privato, ed, in particolare, di un 
interesse legittimo procedimentale, avente valore solo formale e non coincidente 
con l�interesse sostanziale introdotto nel procedimento e consistente 
nella pretesa al bene della vita. Ne consegue che, essendo in presenza di un 
interesse procedimentale puramente formale, connesso a quello sostanziale 
in via meramente strumentale, il relativo vulnus non potrebbe essere considerato 
di per s� contra jus, ossia a prescindere dal vaglio della sua incidenza 
rispetto all�integrit� dell�interesse legittimo sostanziale teleologicamente 
orientato al conseguimento del bene della vita perseguito dal soggetto privato, 
con la conseguenza di dovere ritenere irrisarcibile la lesione del mero 
interesse procedimentale (20) all�esercizio del potere autoritativo da parte 
della P.A. Pertanto, il mero ritardo nella conclusione del procedimento consente 
all�interessato di attivare la tutela speciale ex art. 21 bis e non anche di 
formulare di una domanda risarcitoria, la quale, comunque, secondo la tesi 
preferibile che nega la c.d. pregiudiziale del rito del silenzio, � astrattamente 
proponibile ed ammissibile. Se, invece, l�istanza sia accolta o respinta 
dopo la scadenza del termine finale del procedimento, in assenza di statuizioni 
rese ai sensi del medesimo art. 21 bis, si applicano i principi sulla tutela 
dell�interesse legittimo leso dal provvedimento autoritativo, e cio� quelli 
sull�illecito commissivo: qualora l�atto sia ritualmente impugnato e risulti 
illegittimo (non rilevando di per s� la tardivit� del riscontro dell�istanza), 
valuter� il giudice se � oltre alla doverosa emanazione dell�atto ulteriore, ai 
sensi dell�art. 26, legge T.A.R. � l�amministrazione debba risarcire il danno, 
ove sussistano tutti gli elementi dell�illecito. 

(19) In tal senso, DI LIETO, Interessi pretensivi e oggetto del giudizio sul silenzio-rifiuto: 
i confini tra processo e procedimento, in Foro amm. T.A.R.., 2004, 5, 1618. 
(20) Su tale figura si veda GIANNINI, Diritto amministrativo, 1993, Milano, 77. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

3. La tesi favorevole alla c.d. pregiudizialit� del giudizio ex art. 21 bis. 
� in questo quadro che si pone la questione relativa alla necessit� o meno 
di qualificare l�inadempimento (pubblicistico) dell�amministrazione con la 
specifica tutela di cui all�art. 21 bis ai fini dell�accesso alla tutela risarcitoria. 

La prevalente giurisprudenza amministrativa di primo grado ha optato 
per la soluzione favorevole all�applicazione della regola della pregiudizialit� 
anche ai casi di danno cagionato da comportamento inerte dell�amministrazione 
(21), affermando che, ai fini del risarcimento del danno degli interessi 
legittimi, occorre la previa declaratoria dell�illegittimit� del contegno 
omissivo tenuto dall�amministrazione, sicch� l�azione risarcitoria non pu� 
essere ammissibilmente esperita in difetto del previo svolgimento del giudizio 
�impugnatorio� (del silenzio), che assume rilievo pregiudiziale ai fini 
della devolvibilit� al sindacato giurisdizionale della pretesa in questione. In 
altre parole, poich�, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza 
amministrativa, l�azione risarcitoria pu� essere esperita solo dopo avere 
chiesto ed ottenuto una declaratoria di illegittimit� del provvedimento causativo 
del danno, alla stessa maniera il danno da ritardo pu� essere risarcito 
solo a condizione che il danneggiato abbia preventivamente agito ex art. 21 
bis, legge T.A.R. Cos� come l�azione di impugnazione del provvedimento 
funge da pregiudiziale in senso logico ai fini dell�azione di risarcimento 
danni conseguenziali all�illegittimit� del provvedimento medesimo, simmetricamente 
il ricorso avverso il silenzio della P.A. funge anch�esso da pregiudiziale 
in senso logico ai fini dell�azione per i danni conseguenti all�inerzia 

o al ritardo dell�amministrazione nell�adottare un dato provvedimento. 
Secondo questa tesi, il previo esperimento della procedura del silenziorifiuto 
rileva come requisito per il risarcimento del danno da ritardo sotto due 
distinti profili: 1) su un piano sostanziale per la stessa configurabilit� di un 
ritardo imputabile; 2) su un piano processuale per l�accertamento, riservato 
al giudice amministrativo, dell�esistenza di un obbligo pubblicistico di provvedere 
e della sua violazione. In quest�ottica si � affermato che, nella prospettiva 
tracciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204/2004, in 

(21) T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 10 maggio 2006, n. 3432, in www.giustizia-amministrativa.
it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 11 luglio 2003, n. 1111, ivi; T.A.R. Calabria, 
Catanzaro, sez. II, 6 ottobre 2005, n. 1631, in Il Corriere del merito, 2006, 183, con nota 
adesiva di FRANCAVILLA, Pregiudiziale amministrativa, rito del silenzio e risarcimento del 
danno da omissione provvedimentale; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 13 gennaio 2005, n. 56, 
cit.; da ultimo, la tesi della pregiudizialit� del giudizio sul silenzio-rifiuto rispetto alla proposizione 
della domanda risarcitoria � sostenuta, sia pur in modo eventuale ed ipotetico 
rispetto alla fattispecie all�esame del Collegio, da T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 22 febbraio 
2007, n. 623, in giustizia-amministrativa.it, ove si afferma che, in sede di pretesa risarcitoria 
per danno da ritardo, l�eccezione di inosservanza del principio di pregiudizialit� � superata 
dalla circostanza che il procedimento amministrativo si sia concluso solo dopo l�attivazione 
da parte dell�interessato di un giudizio sul silenzio-rifiuto. 

DOTTRINA 309 

cui il ritardo non � pi� considerato un nudo comportamento materiale, bens� 
un comportamento amministrativo, forma dell�azione pubblica, equipollente 
a quella per provvedimenti, la domanda di risarcimento del danno derivato 
al privato dal ritardo con il quale l�amministrazione ha emesso un provvedimento 
dallo stesso richiesto dev�essere preceduta dal preventivo accertamento 
giurisdizionale dell�illegittimit� del ritardo medesimo, dal momento che 
�anche nell�ipotesi di danno da ritardo il privato pu� far evidenziare l�illegittimit� 
dell�azione amministrativa in via pregiudiziale all�azione di risarcimento. 
Se abbia omesso di farlo � questione che va risolta in senso affermativo, 
alla luce delle coordinate generali, da cui non vi � ragione di discostarsi 
a seconda dello strumento (atto o comportamento) che l�ente adotti 
nell�esercizio della funzione pubblica autoritativa� (22). 

Non essendo concesso al G.A. di sindacare in via incidentale la legittimit� 
dell�esercizio del potere, la conclusione non potrebbe essere che quella 
della inammissibilit� di un�azione risarcitoria per condotte omissive di una 
pubblica amministrazione la quale non faccia seguito all�esperimento del 
ricorso ex art. 21 bis, legge T.A.R. Ci� tanto pi� dopo la riscrittura dell�art. 
2, legge n. 241 del 1990, per effetto dell�art. 3, comma 6 bis, legge n. 
80/2005, che attribuisce al G.A. ad�to con il rito del silenzio il potere di conoscere 
della fondatezza dell�istanza, rito che assurgerebbe, secondo questa 
impostazione, a strumento privilegiato (ed esclusivo) di emersione dell�illegittimit� 
dell�inerzia dell�amministrazione. 

Tale indirizzo pretorio ha trovato adesione da parte di autorevole dottrina 
togata (23), che, ricostruendo gli elementi costitutivi dell�illecito omissivo 
della P.A., ha evidenziato come, affinch� la condotta omissiva dell�amministrazione 
si ponga contra ius (ossia risulti lesiva della posizione sostanziale 
di interesse legittimo), sia necessario che il soggetto leso abbia proposto il 
ricorso ex art. 21 bis contro il silenzio e che il giudice amministrativo lo 
abbia accolto, ordinando la conclusione del procedimento. 

Si afferma, in particolare, che la condanna al risarcimento del danno per 
l�illecito omissivo presuppone: 1) il silenzio-inadempimento, seguito dal 
tipico ricorso dell�interessato ai sensi dell�art. 21 bis; 2) la mancata esecuzione 
della sentenza che ordini all�amministrazione di provvedere. Ne consegue 
che l�illecito omissivo � obiettivamente qualificato dal particolare 
disvalore della condotta dell�amministrazione, che non rispetta le statuizioni 
del giudice (ovverosia quello adito ai sensi dell�art. 21 bis). Poich� l�ordinamento 
attribuisce rilievo centrale alla sentenza che accerti la sua perduranza, 

(22) T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 13 gennaio 2005, n. 56, cit. 
(23) MARUOTTI, La struttura dell�illecito amministrativo lesivo dell�interesse legittimo 
e la distinzione tra l�illecito commissivo e quello omissivo, in www.giustizia-amministrativa.
it.; alle medesime conclusioni era, in precedenza, pervenuto SASSANI, Il regime del silenzio 
e l�esecuzione della sentenza, in Il processo davanti al giudice amministrativo. 
Commento sistematico alla l. n. 205 del 2000 (a cura di SASSANI e VILLATA), Torino, 2001, 
293 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l�antigiuridicit� del silenzio si verifica con questa doppia fase omissiva: la 
fattispecie pu� dar luogo all�illecito omissivo nel grave caso in cui non sia 
data esecuzione alla sentenza resa ai sensi dell�art. 21 bis. 

In mancanza di una diversa indicazione da parte del legislatore, la sentenza 
che, accogliendo il ricorso ex art. 21 bis, ordina di provvedere costituisce 
un elemento essenziale ed indefettibile dell�illecito (omissivo). In altri 
termini, gli esiti del procedimento speciale finiranno per fungere da elemento 
della stessa fattispecie del danno, la cui valutazione dipender� proprio 
dalla conclusione del procedimento sul silenzio. Una volta emessa la sentenza 
e scaduto il termine fissato dal giudice in relazione alle esigenze del caso 
concreto, il successivo silenzio-inadempimento risulta una omissione contrastante 
con la pronuncia giurisdizionale e acquista il carattere di condotta 
antigiuridica, costitutiva dell�illecito (oltre ad assumere un eventuale rilievo 
di carattere penale). 

4. La contraria opinione che esclude il previo esperimento del rito del silenzio 
ai fini della proponibilit� dell�azione risarcitoria. 
Si � andata, tuttavia, formando un�opinione esattamente opposta (24), 
secondo cui la pregiudiziale del rito del silenzio non sarebbe necessaria nel 
giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno da c.d. ritardo puro 
(ossia non legato alla rivendicazione della spettanza del bene della vita). 

A tale conclusione si perviene rilevando che il rito del silenzio � finalizzato 
ad ottenere un provvedimento positivo, �sicch� non appare coerente con la 
ratio dell�istituto imporre di ricorrere ad esso vuoi al fine di accertare, in prospettiva, 
la spettanza del bene della vita, vuoi al fine di accertare in via principale 
l�obbligo di adempimento da utilizzare, in realt� incidentalmente, nel 
distinto giudizio risarcitorio� (25). Secondo questa tesi, l�inerzia protratta oltre 
il termine fissato dalla legge (ovvero in sede di regolamento adottato ai sensi 
dell�art. 2, legge n. 241/1990) � direttamente qualificata dalla norma, per effetto 
della violazione dei tempi procedimentali dalla stessa fissati; pertanto, varrebbe 
unicamente ad aggravare la posizione del privato l�onere di contestazione 
dell�illegittimit� del comportamento inerte dell�amministrazione mediante 
la previa introduzione dello strumento accelerato di cui all�art. 21 bis, legge 

(24) Si veda, in particolare, Cons. St., sez. IV, 7 marzo 2005, n. 875, cit., che ha rimesso 
la relativa questione all�Adunanza Plenaria. Si legga il relativo di commento di MICARI, 
Provvedimento amministrativo negativo tardivo: l�adunanza plenaria sul danno da ritardo 
mero infittisce la rete di contenimento, cit. 

Nel senso della esclusione della regola della c.d. pregiudiziale amministrativa allorquando 
non vi sia un provvedimento da gravare ed il comportamento illecito dell�amministrazione, 
nell�esercizio della funzione pubblica, assuma altre forme, come il ritardo o l�omissione 
colpevole: T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 11 ottobre 2004, n. 7166, in www.lexitalia.
it; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 11 maggio 2004, n. 1070, ivi; T.A.R. Veneto, sez. 
I, 25 giugno 2003, n. 3414, in Foro amm. T.A.R.., 2003, 1883. 

(25) Cos� Cons. St., sez. IV, 7 marzo 2005, n. 875, cit. 

DOTTRINA 311 

T.A.R., da cui far discendere l�an del risarcimento. Al massimo, la mancata 
attivazione del giudizio sul silenzio potr� incidere sulla quantificazione del 
danno, ai sensi dell�art. 1227, comma 2, c.c. (26), ma non sull�an del risarcimento, 
in quanto �appare inutilmente aggravare la posizione soggettiva del 
privato in fattispecie che non � riconducibile a quelle cui si riferisce la tematica 
della pregiudizialit� dell�annullamento�: in questi termini, Cons. St., sez. 
IV, 7 marzo 2005, n. 875, che cos� motiva al riguardo �� possibile una ricostruzione 
del danno da ritardo inteso come danno conseguente alla violazione 
dell�interesse procedimentale al rispetto dei tempi posti dall�ordinamento. 
Tale interesse procedimentale, che si fonda sull�esigenza di certezza nei rapporti 
tra cittadino e amministrazione, riceve tutela distinta e autonoma rispetto 
alla tutela accordata alla utilit� finale perseguita dal cittadino richiedente 
e conseguibile all�esito (positivo) del procedimento ed � ascrivibile a un pi� 
generale dovere di correttezza procedimentale posto a carico dell�amministrazione 
nell�esercizio di pubbliche potest�, cui � correlata la tutela dell�affidamento 
del cittadino che viene a �contatto� con l�amministrazione�. 

Il carattere autonomo della violazione del dovere di correttezza (che consegue 
alla crescente rilevanza del valore della certezza nelle relazioni giuridiche) 
conduce, ad avviso della Sezione rimettente, ad escludere che l�inadempimento 
nei termini all�obbligo di provvedere debba essere azionato con 
il meccanismo del silenzio; tale meccanismo serve al privato per ottenere 
l�utilit� finale, cio� il provvedimento richiesto, ma non appare necessario 
nell�economia dell�azione risarcitoria n� ai fini della qualificazione dell�inerzia 
� che � considerata contra ius dalla stessa norma che pone il termine 

� n� per accertare la spettanza dell�utilit� finale, che non rileva. In ogni caso, 
il danno risarcibile non potr�, ovviamente, essere quello che discende dalla 
mancata emanazione del provvedimento, ma solo quello che sia derivato al 
privato dalla situazione di incertezza protratta oltre il termine; in sostanza, 
sar� limitato al c.d. interesse negativo. 
(26) Analogamente alla soluzione proposta da una parte della dottrina (togata e non), 
con riferimento alla pregiudiziale di annullamento: si veda CARINGELLA, La pregiudiziale 
amministrativa: una soluzione antica per un problema attuale, cit.; CONSOLO, La Corte 
regolatrice della giurisdizione e la tutela del cittadino, in Corr. giur., 2006, 1041 ss.; 
CORAGGIO, La pregiudizialit� � la soluzione?, in www.giustizia-amministrativa.it; DE LISE, 
Relazione per l�inaugurazione dell�anno giudiziario T.A.R. Lazio, 28 febbraio 2008, ivi; DE 
NICTOLIS, Il nuovo contenzioso in materia di appalti pubblici alla luce del codice dei contratti 
pubblici, Milano, 2007, 575; DE PRETIS, Azione di annullamento e azione risarcitoria 
nel processo amministrativo, in Dir. & form., 2002. 
Il ristoro da riconoscersi al privato non sar� costituito dall�integrale reintegrazione 
della perdita subita dal danneggiato (limitato comunque, per alcuni studiosi, al solo danno 
emergente, sebbene l�opinione non possa dirsi pacifica), poich�, ai sensi dell�art. 1227 c.c., 
si sanzioner� la mancata tempestiva �impugnazione� del silenzio provvedimentale ovvero 
della determinazione amministrativa negativa, secondo quando parenteticamente sostenuto 
dall�ordinanza di rimessione (con riferimento all�ipotesi di silenzio), limitando cos� l�esposizione 
debitoria della Pubblica Amministrazione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Aderendo alla ricostruzione dottrinale (27) che definisce il rapporto procedimentale 
ad iniziativa di parte (non quello ad impulso ufficioso, costruito 
sulla falsariga dello schema civilistico del diritto potestativo) come rapporto 
giuridico (contrattuale), nell�ambito del quale sussistono situazioni di 
diritto soggettivo-obbligo di carattere eminentemente formale e distinguendo 
questa tematica da quella afferente al contenuto positivo o negativo � 
rispetto al bene della vita finale � della determinazione finale (in ordine alla 
quale sussisterebbe un �dovere di natura sostanziale� e non un obbligo di 
natura formale), si afferma che l�art. 2 legge n. 241/1990 abbia inteso codificare 
il �principio della certezza dell�agire dell�amministrazione�, qualificato 
alla stregua di �principio di ordine pubblico� in funzione preminente di 
tutela di coloro nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti provvedimentali, 
di qualsiasi segno essi siano. Il termine finale del procedimento amministrativo 
assume, in questa ricostruzione, valore perentorio ed il significato di 
�vincolo assoluto� per la P.A., vincolo che questa deve �adempiere�, con 
rilevanti effetti giuridici, interni ed esterni all�organizzazione pubblica, tra i 
quali (e sempre che non si configuri l�ipotesi di silenzio con significato legalmente 
tipico) l�inutilit� del procedimento di significazione del silenzio-inadempimento. 


Nel decidere la questione sottoposta al suo esame dall�ordinanza n. 
875/2005, l�Adunanza Plenaria (28), negando la configurabilit� del danno da 
ritardo puro, non ha preso posizione in ordine al problema, logicamente conseguenziale 
ad una tale categoria di danno, della necessit� del previo esperimento 
del giudizio sul silenzio. Una volta statuita l�infondatezza della pretesa 
sostanziale dell�istante, a seguito dei provvedimenti di rigetto non impugnati, 
infatti, l�Adunanza Plenaria dichiara espressamente di prescindere dall�affrontare 
il problema relativo ai requisiti che l�istanza avrebbe dovuto possedere 
affinch� l�inadempienza potesse considerarsi realizzata nella diversa 
ipotesi in cui si fosse verificata la lesione del bene della vita; nei seguenti termini 
motiva in proposito la Plenaria: �il sistema di tutela degli interessi pretensivi 
� nelle ipotesi in cui si fa affidamento sulle statuizioni del giudice per 
la loro realizzazione � consente il passaggio a riparazioni per equivalente 
solo quando l�interesse pretensivo, incapace di trovare realizzazione con 
l�atto, in congiunzione con l�interesse pubblico, assuma a suo oggetto la 

(27) CLARICH, Termine del procedimento amministrativo e potere amministrativo, cit., 
148 ss.; GOGGIAMANI, La doverosit� della pubblica amministrazione, Torino 2005, 112 s., la 
quale sostiene che l�osservanza del termine procedimentale tutela il bene della vita (diverso 
da quello finale) della �certezza dei tempi dell�azione amministrativa�, inserendo l�ipotesi 
nella �doverosit� strumentale� dell�azione amministrativa �a garanzia degli interessi secondari
� (267 ss., 283 s.), doverosit� non riscontrabile negli officia privati e da distinguersi 
dalla �doverosit�-finale�. 
(28) Dec. 15 settembre 2005, n. 7, sulla quale si legga il commento di CLARICH -
FONDERICO, La risarcibilit� del danno da mero ritardo dell�azione amministrativa, in Urb. 
e app., 2006, 1, 61. 

DOTTRINA 313 

tutela di interessi sostanziali e, perci�, la mancata emanazione o il ritardo 
nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l�interessato (suscettibile 
di appagare un �bene della vita�)�; su questa premessa, la Plenaria 
esclude che �tale situazione non � assolutamente configurabile nella specie, 
posto che � a prescindere da qualunque ulteriore profilo in ordine ai requisiti 
richiesti per potersi considerare realizzata l�inadempienza � risulta 
incontroverso che i provvedimenti adottati in ritardo risultano di carattere 
negativo per la societ� e che le loro statuizioni sono divenute intangibili per 
la omessa proposizione di qualunque impugnativa�. 

Proprio l�affermazione di voler prescindere da �ogni ulteriore profilo in 
ordine ai requisiti richiesti per potersi considerare realizzata l�inadempienza� 
potrebbe suggerire la conclusione che evidentemente la Plenaria ritiene tali 
requisiti necessari per realizzare l�inadempienza. Resta, comunque, il dubbio, 
in considerazione della particolare stringatezza del passaggio motivazionale 
sul punto, di quali siano in concreto tali ulteriori requisiti, tenuto conto, peraltro, 
della sussistenza in giurisprudenza, accanto alla tesi che ritiene necessaria 
l�attivazione del rito ex art. 21 bis, legge T.A.R. ai fini della qualificazione in 
termini di illiceit� del ritardo, di un orientamento (che va consolidandosi) che 
esclude la necessit�, ai fini del perfezionamento della responsabilit� da ritardo, 
dell�attivazione del rito del silenzio. Precedentemente alla novella del 2005, si 
era, del resto, ritenuto che l�illegittimit� del ritardo fosse individuabile nella 
diffida, quale momento perfezionativo della fattispecie del silenzio-indempimento 
e, dunque, in un quid pluris rispetto alla mera inerzia, ma prescindendo, 
comunque, dall�accertamento giurisdizionale preventivo (29). 

Se, infatti, il breve riferimento agli �ulteriori requisiti� necessari per 
realizzare l�inadempienza permette, da un lato, di escludere che l�Adunanza 
Plenaria consideri sufficiente la sola inerzia protratta oltre il termine al fine 
di ottenere il risarcimento dei danni, dall�altro non consente di stabilire se 
tale requisito a cui fa riferimento debba consistere nel previo giudizio sul 
silenzio o nella previa notifica della sola diffida. 

Ad ogni modo, occorre considerare che la fattispecie esaminata 
dall�Adunanza Plenaria si riferiva ad una vicenda anteriore ratione temporis 
all�entrata in vigore del d.l. n. 35/2005 (convertito dalla l. n. 80/2005), che, 
novellando l�art. 2, legge n. 241/1990, ha fatto venir meno la necessit� della 
diffida al fine di attribuire significato al silenzio. 

(29) In tal senso, Cons. St., sez. VI, 16 settembre 2004, n. 5995, in www.lexitalia.it, ove 
si � affermato che il termine di prescrizione dell�azione risarcitoria inizia a decorrere da 
quando si verifica l�evento produttivo del danno e, in particolare, nel caso di silenzio inadempimento, 
in cui non occorre il previo annullamento giurisdizionale di alcun atto amministrativo, 
la prescrizione della pretesa risarcitoria inizia a decorrere da quando si verifica il 
silenzio-inadempimento; conformi, in precedenza, Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5020, 
ivi; Id., 4 febbraio 2004, n. 376, ivi. 
Sul termine prescrizionale dell�azione di risarcimento del danno da ritardo si rinvia alle 
osservazioni che saranno svolte sub 8. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

5. La pregiudizialit� � estranea al risarcimento del danno da silenzio. 
L�ampliamento delle garanzie riconosciute al privato per effetto dell�eliminazione 
della diffida (ritenuta dalla stessa Plenaria condicio sine qua non 
per la costituzione delle inadempienze pubblicistiche, almeno fino al sopravvenire 
dell�art. 6-bis, d.l. n. 35/2005, convertito nella legge n. 80/2005) consente 
di sostenere che la mancata attivazione da parte del danneggiato del 
rimedio tipicamente apprestato dal legislatore per reagire al silenzio della 

P.A. possa valutarsi non gi� sul piano processuale, quale ragione di inammissibilit� 
della domanda risarcitoria, ma sotto il profilo del merito, in termini 
di negligenza rilevante ai sensi dell�art. 1227, comma 2, c.c. Peraltro, non si 
� mancato di sottolineare in dottrina (30) che, poich� il giudizio avverso il 
silenzio � maggiormente indirizzato verso il conseguimento dell�utilit� finale 
cui l�istanza rimasta inevasa era preordinata (arg. ex art. 2, comma 5, 
legge n. 241 del 1990), ove il privato avesse perso interesse a questo risultato, 
non vi sarebbe motivo per escludere un�azione autonoma di risarcimento 
per il danno da incertezza medio tempore prodottasi. 
Una tale conclusione pare sostenibile, oltrech� riguardo all�ipotesi della 
domanda risarcitoria fondata sul tardivo conseguimento del bene della vita 
sotteso alla fondata istanza presentata dal privato (31), anche con riferimen


(30) CLARICH - FONDERICO, op. cit., 68. 
(31) In tal senso, da ultimo, Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248, cit. Non pu� 
dubitarsi che in tal caso l�azione risarcitoria non sconta alcuna pregiudizialit�: si tratter� di 
un normale giudizio nel quale, in applicazione del riparto dell�onere della prova fissato dall�art. 
2697 c.c., il ricorrente dovr� dimostrare solo il superamento del termine fissato (normativamente 
o tramite provvedimenti che determinano un autovincolo per l�amministrazione) 
per il compimento dell�attivit� ed il concreto danno che tale ritardo gli ha fatto subire 
(ad esempio, una tardiva erogazione di finanziamenti pu� essere fonte di danno ove, ad 
esempio, il percettore abbia dovuto contrarre prestiti per ovviare al ritardo nella disponibilit� 
delle somme dovutegli; ed ancora, si pensi all�ipotesi della tardiva assunzione da parte 
della P.A., che pu� generare danni, individuabili nelle spese effettuate in vista dell�assunzione 
o per intraprendere altre attivit� lavorative transitorie, o nel patema derivante dall�ingiustificato 
protrarsi della situazione di disoccupazione: si veda, a tal ultimo proposito, Cass. 
civ., sez. III, 14 dicembre 2007, n. 26282, in www.lexitalia.it). La stessa Adunanza Plenaria 
nella decisione 15 settembre 2005, n. 7 ha ammesso l�azione risarcitoria, sganciata dall�impugnazione, 
per il caso di emanazione (tardiva) di provvedimenti favorevoli che, proprio 
perch� tali, non possono essere avversati. A prescindere dalla questione specifica della risarcibilit� 
del danno da ritardo che investe soprattutto aspetti sostanziali (esiste un diritto tutelato 
al provvedimento tempestivo, favorevole o sfavorevole che sia? Esiste una sanzione 
risarcitoria per il ritardo, inteso come dannoso di per s�, indipendente dalla fondatezza della 
pretesa al provvedimento?), � evidente che l�Adunanza Plenaria nega l�esistenza di un�azione 
risarcitoria autonoma quando l�interesse sia stato leso inoppugnabilmente, ma non nega 
affatto una azione risarcitoria autonoma davanti al G.A. quando l�interesse sostanziale sia 
stato soddisfatto (nel caso con il rilascio di un�autorizzazione edilizia), ma con ritardo. 
Come acutamente evidenziato (DOMENICHELLI, Le azioni nel processo amministrativo, in 
Dir. proc. amm., 2006, 9), senza dubbio la Plenaria era pi� preoccupata di affermare la giurisdizione 
amministrativa, negando che la fattispecie rientrasse in quella dei �comportamen

DOTTRINA 315 

to al c.d. danno da ritardo puro, che, come illustrato, ha ad oggetto il mero 
pregiudizio derivante dalla violazione dell�obbligo di comportamento imposto 
dall�amministrazione, a prescindere quindi dalla soddisfazione dell�interesse 
finale: in tal caso, infatti, ai fini della risarcibilit� del danno da ritardo 
(puro), al giudice non � richiesto di svolgere un giudizio prognostico sulla 
spettanza dell�utilit� finale, ma solo di accertare la violazione dell�obbligo di 
comportamento imposto all�amministrazione, sicch� l�azione risarcitoria 
risulta autonomamente proponibile a prescindere dall�attivazione del procedimento 
del silenzio. 

Tale conclusione sembra, inoltre, coerente proprio con l�impianto argomentativo 
della stessa decisione n. 7/2005 della Plenaria: infatti, nel danno 
da ritardo come delineato dall�Adunanza Plenaria la lesione del bene della 
vita � gi� presupposto per l�esercizio dell�azione. L�illegittimit� dell�inerzia 
serbata dalla P.A. rinviene il suo fondamento in ambito extraprocessuale, 
ossia nella violazione dei termini procedimentali, sicch� il preventivo giudizio 
sul silenzio, comportante l�accertamento della fondatezza della pretesa 
del privato (ove trattasi di attivit� vincolata), sarebbe, in tal caso, un inutile 
doppione del giudizio risarcitorio senza alcuna effettiva utilit�, il quale 
dovrebbe, comunque, essere autonomamente introdotto dal privato, non 
essendo la domanda risarcitoria azionabile nel giudizio ex art. 21 bis (32): 

ti� lesivi di diritti soggettivi rimessi al G.O. dalla sentenza n. 204, ma �non pu� esserle sfuggito 
di aver riaffermato la pregiudiziale amministrativa per... superarla!� 

(32) In questo senso si pone la giurisprudenza maggioritaria, che ritiene inammissibile, 
per incompatibilit� del rito, la domanda risarcitoria proposta in via cumulativa nello stesso 
ricorso introduttivo ex art. 21 bis: ex pluribus, solo tra le pi� recenti, T.A.R. Lazio, Roma, 
sez. II-ter, 27 luglio 2007, n. 7119; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 10 luglio 2007, n. 810; 
Id, sez. II, 16 giugno 2006, n. 847; T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 8 febbraio 2006, n. 399; 
T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 ottobre 2005, n. 3284; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, 9 settembre 
2005, n. 6786; Cons. St., sez. IV, 23 aprile 2004, n. 2386; T.A.R. Sardegna, 8 marzo 
2004, n. 323; T.A.R. Veneto, sez. II, 19 gennaio 2004, n. 137 (tutte in www.giustizia-amministrativa.
it); da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-ter, 5 dicembre 2007, n. 12568, ivi, in 
cui il Tribunale, confermando il proprio precedente orientamento (sez. III, 18 maggio 2006, 
n. 3555; sez. II, 9 settembre 2005, n. 6786; sez. I-ter, 6 luglio 2005, n. 5523; sez. II, 26 gennaio 
2005, n. 633; sez. II, 15 dicembre 2004, n. 16125), ha cos� motivato a sostegno della 
tesi contraria alla proponibilit� con il rito del silenzio di una domanda risarcitoria: �il giudizio 
speciale sul silenzio inadempimento non � compatibile con le controversie che hanno 
un oggetto ulteriore rispetto alla situazione di inerzia. Non � quindi ammissibile la domanda 
� proposta davanti al G.A. � con la quale si richiede il risarcimento del danno congiuntamente 
ad un ricorso presentato avverso il silenzio della P.A. � (cfr. ex multis T.A.R. Lazio 
Roma, sez. II, 9 settembre 2005, n. 6786). Ed anche nel caso in cui si ritenga che 
�L�impossibilit� per il giudice di sostituirsi all�amministrazione nell�esercizio del potere 
amministrativo nella prima fase del rito del silenzio rifiuto esclude la proponibilit�, in questa 
fase, dell�azione di risarcimento danni per perdita di chance ma non di quella per risarcimento 
specifico delle spese comunque affrontate per far valere il proprio diritto all�emanazione 
di provvedimenti quanto meno esaustivi dell�interesse strumentale all�eliminazione 
di atti ritenuti lesivi, con possibilit� di nuovi provvedimenti favorevoli. La liquidazione del 
danno emergente ben pu� avvenire utilizzando lo strumento previsto dall�art. 35 comma 2 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

per il carattere aggiuntivo dell�art. 21 bis rispetto ad altre forme di tutela 
(dell�interesse al bene della vita); per la complessit� degli accertamenti 
istruttori che potrebbero all�uopo richiedersi e che un sistema improntato alla 
concentrazione processuale quale quello delineato nell�art. 21 bis potrebbe 
non consentire; per la necessit� che debba essere accertata inequivocabilmente, 
secondo l�indirizzo della Plenaria, la fondatezza della pretesa, per cui 
la sentenza definitiva sulla domanda avente ad oggetto il risarcimento dei 
danni lamentati dal ricorrente per l�illegittimo comportamento omissivo dell�amministrazione 
pu� aversi solo dopo che l�amministrazione stessa abbia 
provveduto in ottemperanza alla decisione che accoglie il ricorso avverso il 
silenzio (33). 

Atteso che in base alla novella del 2005 il silenzio-rifiuto integra una fattispecie 
di inadempimento che si forma per il mero decorso del termine a 
provvedere e che legittima il privato ad un�impugnativa sganciata dal termine 
decadenziale, si dovr� ammettere che l�azione risarcitoria per danni da 
comportamento inerte della P.A. non debba necessariamente essere preceduta 
dall�accertamento dell�illegittimit� dell�inerzia da parte del giudice del 
silenzio, potendo essere autonomamente proposta. In questa prospettiva, a 
sostegno della esclusione della regola della pregiudizialit�, potrebbe nondi


decreto legge. n. 80 del 1998, come sostituito dall�art. 7 legge n. 205 del 2000, che consente 
al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali la P.A. deve proporre a 
favore dell�avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine, prevedendo 
che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per 
la determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza� (cfr. da 
ultimo T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 aprile 2006 , n. 2883), tuttavia, nella fattispecie all�esame, 
� mancata sia la richiesta specifica della detta voce di danno sia soprattutto ed a 
maggiore ragione la prova in ordine ai detti danni�. 

Un indirizzo minoritario ritiene ammissibile la domanda di risarcimento del danno, in 
ragione del ritardo o dell�inerzia imputati alla P.A., formulata congiuntamente al ricorso proposto 
avverso il silenzio-rifiuto serbato dall�amministrazione sull�istanza del privato, sull�assunto 
che l�inerzia o l�ingiustificato ritardo comporta la violazione da parte 
dell�Amministrazione del canone generale di imparzialit� e buon andamento ex art. 97 Cost. 
In tal senso, T.A.R. Puglia, Bari, sez. III-ter, 3 giugno 2004, n. 2371, in www.giustiziaamministrativa.
it, ove il Tribunale, dopo aver dichiarato illegittimo il silenzio-rifiuto formatosi 
sull�istanza del privato, ha ritenuto fondata la domanda di risarcimento dei danni, subiti 
a causa dell�ingiustificato ritardo nel portare a termine il procedimento, in violazione dei 
principi di imparzialit�, correttezza e buon andamento dell�attivit� della P.A., sanciti dall�art. 
97 Cost.; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 19 aprile 2002, n. 1572, ivi, ove si osserva che 
�il giudizio ex art. 21 bis l. 1034/71 non confligge con l�inserimento, in esso, di una pretesa 
risarcitoria, ogni qual volta detta pretesa trovi proprio nell�atteggiamento inerte della 

P.A. il suo fondamento; e poi, perch� le concrete caratteristiche del potere esercitato 
dall�Amministrazione, e la natura dell�interesse azionato in tale giudizio, riguardano non 
gi� l�astratta proponibilit�, bens� la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilit� 
aquiliana, onde giammai potrebbe derivarne un giudizio d�inammissibilit� della relativa 
domanda�. 
(33) In tal senso la rigorosa tesi dottrinale riportata sub 3. 

DOTTRINA 317 

meno valorizzarsi la differente funzione dell�azione speciale contro il silenzio, 
che mira a garantire una tutela (di tipo non risarcitorio) in forma specifica 
dell�interesse legittimo (da distinguere dalla reintegrazione in forma 
specifica, che, com�� noto, � alternativa al risarcimento per equivalente 
monetario, ammissibile nei limiti di cui all�art. 2058 c.c.), rispetto all�azione 
risarcitoria, finalizzata alla reintegrazione patrimoniale della sfera giuridica 
del soggetto danneggiato conseguente alla violazione dell�interesse procedimentale 
al rispetto dei tempi posti dall�ordinamento. 

Questa diversit� di funzioni �, del resto, ben delineata da autorevole dottrina 
(34), che ha evidenziato come il profilo della risarcibilit� dei danni da 
lesione dell�interesse legittimo � ulteriore rispetto al silenzio propriamente 
detto. Si tratta di due situazioni differenti: il silenzio come tale � un mero 
presupposto processuale, ossia un mero fatto (non un atto), rispetto al quale 
non rilevano n� la volontariet�, n� (a maggior ragione) la colpa, il cui effetto 
� quello di rendere proponibile l�azione (il ricorso) diretta a superare l�inerzia 
e ad ottenere (dall�amministrazione, dal commissario o dal giudice) il 
provvedimento che chiuda il procedimento. Sotto diverso profilo il silenzio 
pu� rilevare anche come atto, o, meglio, fatto illecito (in presenza di volontariet� 
e di colpa) e pu� essere oggetto (non pi� presupposto) di una diversa 
azione (risarcitoria) diretta alla condanna della P.A. inerte al pagamento dei 
danni eventualmente provocati dall�inerzia o dal ritardo nel provvedere. 
Sulla base di tali premesse, conclude questa dottrina osservando che �il 
silenzio pu� essere senz�altro fatto illecito; ma questa configurazione � 
estranea al silenzio di cui all�art. 21 bis e, quindi, alla tutela specifica 
approntata dall�ordinamento per contrastare l�inerzia dell�amministrazione 
e consentire al privato di ottenere il provvedimento che disciplini il suo interesse 
finale (o sostanziale)�. 

Se, dunque, a fini risarcitori, il silenzio rileva come fatto illecito, non si 
pone alcun problema di pregiudiziale amministrativa, posto che la questione 
risarcitoria prescinde dalla demolizione di qualsivoglia provvedimento 
amministrativo, essendo diretta a censurare il comportamento inerte tenuto 
dall�amministrazione, violativo dell�affidamento del cittadino e contrario 
all�obbligo di conclusione del procedimento ex art. 2, legge n. 241/1990, che 
canonizza nel nostro ordinamento il principio di doverosit� dell�esercizio del 
potere amministrativo e della certezza dei tempi dell�azione pubblica, come 
a pi� riprese precisato dalla giurisprudenza (35). Del resto, la stessa giuri


(34) SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento 
processuale, in Dir. proc. amm., 2, 252. 
(35) In tal senso, si segnala, da ultimo, Cons. St., sez. IV, 18 ottobre 2007, n. 5433, in 
www.giustizia-amministrativa.it, ove la Sezione ha chiaramente affermato: �ancor prima 
delle ulteriori modifiche apportate alla legge 7 agosto 1990, n. 241, la stessa Corte costituzionale 
ha avuto modo di qualificare come norma di principio e precettiva allo stesso 
momento la disposizione di cui all�art. 2 della citata legge. Norma di principio, in quanto 
la certezza dei tempi dell�azione amministrativa e la doverosit� dell�esercizio del potere 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sprudenza esclude l�applicazione della regola della pregiudizialit� laddove il 
privato contesti la contrariet� della condotta tenuta dall�amministrazione alle 
regole di buona fede e correttezza (36). 

L�accoglimento della teoria della pregiudizialit� non pu�, poi, fondarsi 
sull�assunto che l�accertamento dell�illegittimit� della condotta omissiva 
dell�amministrazione mediante il ricorso avverso il silenzio costituisca pregiudiziale 
in senso logico nel significato che tale nozione ha assunto nel processo 
amministrativo (37). 

Si tratta di una tesi criticabile. 

costituiscono elementi qualificanti della riforma introdotta dalla legge sul procedimento 
amministrativo, atteso che, secondo la Corte costituzionale, il legislatore, con l�art. 2, citato, 
ha inteso canonizzare �l�efficacia dell�obbligo di provvedere gi� esistente nell�ordinamento, 
con esclusione di ogni forma di insabbiamento di procedimenti, anche nelle fasi subprocedimentali�, 
dando cos� �applicazione generale a regole� che sono attuazione, sia 
pure non esaustiva, del principio costituzionale di buon andamento dell�amministrazione 
(art. 97 della Costituzione) negli obiettivi di trasparenza, pubblicit�, partecipazione e tempestivit� 
dell�azione amministrativa, quali valori essenziali in un ordinamento democratico� 
(Corte cost., 23 luglio 1997, n. 262)�; nello stesso senso, Cons. St. sez. V, 7 novembre 
2007, n. 5772, ivi: �l�inerzia dell�amministrazione � contraria ai principi di buon andamento 
della p.a. e dell�affidamento del cittadino nel corretto svolgimento dell�azione amministrativa, 
che impongono la conclusione di ogni procedimento con provvedimento espresso�; 
in termini identici si esprime Cons. St., sez. V, 5 febbraio 2007, n. 457, ivi. 

Alle stesse conclusioni perviene la giurisprudenza di primo grado: ex pluribus, si cita 

T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 28 agosto 2007, n. 3112, ivi: �la violazione dell�obbligo di concludere 
il procedimento mediante l�adozione di un provvedimento espresso ha una rilevanza 
specifica non solo sul versante del rimedio apprestato dall�ordinamento nei casi di inerzia 
dell�amministrazione, ossia nelle ipotesi di patente contrasto con il precetto di cui all�art 
2, comma 1 della legge 241/90 a seguito del mancato esercizio, nei termini di legge o regolamentari, 
della potest� provvedimentale ..., poich� l�obbligo di concludere il procedimento 
con un provvedimento espresso costituisce precipitato tecnico del canone di buon andamento 
della P.A.., di cui all�art 97 Cost., l�interpretazione pi� conforme a Costituzione del 
predetto obbligo � quella che non riconosce diritto di cittadinanza ad una potest� soprassessoria 
della P.A capace di tramutarsi in un rinvio sine die del pronunciamento sulla fattispecie 
concreta. Ci� � tanto pi� vero ogni qualvolta il procedimento sia stato avviato ad iniziativa 
del privato il quale vanta una posizione giuridicamente qualificata a conoscere in 
termini inequivocabili la volont� dell�interlocutore pubblico, senza che quest�ultimo possa 
opporgli incondizionatamente ragioni valevoli a fini di moratoria generalizzata di intere 
categorie procedimentali�. 
(36) T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 23 aprile 2007, n. 1175, in www.lexitalia.it, ove 
il principio � stato affermato con riferimento ad una domanda risarcitoria proposta dall�ex 
aggiudicatario, diretta a censurare non gi� la disposta revoca dell�aggiudicazione, ma la contrariet� 
del comportamento tenuto dalla stazione appaltante nelle more della stipulazione 
della stipulazione del contratto alle regole di correttezza e buona fede di cui all�art. 1337 
c.c.; nello stesso senso, Cons. St., sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194, in Guida al dir., 2007, 
3, 85, con nota di PONTE, Alla ricerca di un punto di equilibrio fra i diversi interessi pubblici 
e privati. 
(37) In tal senso, non condivisibilmente, conclude T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 13 gennaio 
2005, n. 56, cit. 

DOTTRINA 319 

La qualificazione del ricorso avverso il silenzio come pregiudiziale in 
senso logico rispetto all�azione risarcitoria per i danni da ritardo o da silenzio 
non � condivisibile ove si consideri che generalmente, si parla di �pregiudizialit� 
in senso logico� quando la pronuncia su una questione, che logicamente 
precede la definizione della causa principale, pu� essere compiuta dallo 
stesso giudice che detiene la questione principale. La pregiudiziale in senso 
logico ricorre, quindi, nell�ipotesi in cui la preventiva definizione di una questione 
si colloca lungo il percorso logico che conduce alla definizione del giudizio 
finale. Ne consegue che, per la definizione di quella questione, pregiudiziale 
appunto, non � necessaria un�azione separata da esperire dinanzi ad 
altro giudice (secondo il meccanismo di cui agli artt. 34 c.p.c., ovvero dell�art. 
295 c.p.c., dettato in tema di sospensione del giudizio in attesa della definizione 
di una questione pregiudiziale ed applicabile al processo amministrativo). 
La questione pregiudiziale in senso logico � tale perch� pu� e dev�essere 
definita dallo stesso giudice che si occupa della questione di carattere principale, 
senza la necessit� di instaurare un giudizio autonomo. Si pu� fare l�esempio 
di un�azione risarcitoria per inadempimento contrattuale: � evidente 
che il giudice non pu� condannare al risarcimento se non accerta, preventivamente, 
che il debitore � inadempiente. Ma per far questo, non � necessaria 
un�ulteriore azione (o meglio una preventiva azione) di accertamento, poich�, 
risolvendo una pregiudiziale in senso logico, il giudice, accertato l�inadempimento 
del debitore, lo condanna al risarcimento; se, invece, accerta che il 
debitore non � inadempiente, non accoglie la domanda attrice. Se nella pregiudiziale 
in senso logico l�azione � unica, ma si rende necessario �pregiudicare
� su una questione che logicamente si colloca nel percorso decisionale, 
ben potrebbe il giudice del risarcimento �pre-giudicare� sull�illegittimit� dell�inerzia 
protratta dell�amministrazione, decidendo cos� nel merito la domanda 
di risarcimento del danno, cos� come un giudice ordinario, accertato pregiudizialmente 
l�inadempimento del debitore, condanna lo stesso al risarcimento 
nei confronti del creditore. Come detto, infatti, la pregiudiziale si definisce 
in senso logico, laddove la preventiva cognizione sulla stessa non costituisce 
un giudizio autonomo rispetto alla questione principale, ma si inserisce 
nel percorso logico argomentativo che il giudice obbligatoriamente deve 
seguire per pervenire alla soluzione finale. In questo senso, quindi, il giudizio 
risarcitorio presuppone un accertamento pregiudiziale sull�illegittimit� dell�inerzia 
serbata dalla P.A., che rappresenta quell��elemento della fattispecie 
costitutiva del diritto al risarcimento, che si pone all�interno del thema decidendum 
da risolvere con efficacia di giudicato� (38). 

In definitiva, il giudizio che il G.A. formula sull�illegittimit� del comportamento 
della P.A. (che si manifesta in un ritardo o nella radicale assenza del 
provvedimento finale) rappresenta una �pregiudiziale in senso logico� 

(38) In tal senso VERDE, La pregiudizialit� dell�annullamento nel processo amministrativo 
per risarcimento del danno, in Dir. proc. amm., 2003, 972. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

rispetto al giudizio sul risarcimento del danno non nel significato che la 
nozione ha assunto nell�ambito del processo amministrativo, ma nella sua 
corretta accezione, come enucleata dalla dottrina processualcivilista (39). Il 
privato, cio�, potr� agire contro l�inerzia della P.A. e chiedere in un successivo 
giudizio una tutela risarcitoria (non proponibile, secondo il richiamato 
prevalente orientamento della giurisprudenza, nello stesso giudizio avverso 
il silenzio, in considerazione della specialit� e celerit� del rito del silenzio, 
che non consente la delibazione della domanda risarcitoria, che presuppone 
un giudizio ordinario). Del pari, il privato potr� agire direttamente innanzi al 

G.A. per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all�illegittimit� del 
comportamento della P.A., qualora non sia pi� interessato al provvedimento 
omesso ovvero perch� l�amministrazione si � pronunziata, ma con ritardo: in 
tal caso, secondo quanto osservato, non � necessario esperire il preventivo 
ricorso per l�annullamento o contro l�inerzia, ma il giudice del risarcimento, 
a titolo di pregiudiziale in senso logico, valuta l�illegittimit� del comportamento 
amministrativo (contrario a buona fede e che concreta, in ultima analisi, 
un�ipotesi di inadempimento del vincolo obbligatorio) e condanna al 
risarcimento danni, ove riscontri la sussistenza dei presupposti che radicano 
la colpa dell�amministrazione. 
Del resto, l�ammissibilit� dell�autonoma domanda di risarcimento del 
danno da silenzio, prescindendo cio� dal mancato rituale accertamento dell�inerzia, 
non comporterebbe le conseguenze su cui poggia la teorica della 
pregiudizialit� da provvedimento. Ed infatti, di certo non potrebbe sostenersi 
che la domanda risarcitoria autonoma da silenzio costituirebbe strumento 
di pratica elusione dei termini decadenziali, i quali sono posti esclusivamente 
a condizione dell�esercizio dell�azione di annullamento (ipotesi che viene 
a sostanziarsi ove si ritenga che, in difetto dell�impugnazione nel divisato 
termine di legge, sia comunque possibile esercitare nel termine prescrizionale 
l�azione risarcitoria avente ad oggetto il danno arrecato da un atto che, 
quantunque non impugnato, verrebbe ad essere incidenter tantum sindacabile 
con riveniente �disapplicazione�, sia pure limitatamente al caso sottoposto 
al vaglio giudiziale). 

Come accennato, esiste una intrinseca differenza tra azione di impugnazione 
di un provvedimento amministrativo e ricorso avverso il silenzio, tale 
per cui non � possibile instaurare il parallelo prospettato dalla tesi favorevole 
all�estensione della teorica della pregiudizialit�. 

L�azione di impugnazione del provvedimento illegittimo assolve alla 
funzione di sollecitare il sindacato giudiziario sul corretto esercizio del potere 
ed � soggetta ad un termine decadenziale (pari a sessanta giorni dalla 
conoscenza dell�atto di cui si contesta la legittimit�): l�instaurazione di un 
giudizio risarcitorio, senza il preventivo accertamento (con autonomo giudizio) 
dell�illegittimit� del provvedimento, potrebbe comportare un�elusione 

(39) SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1992, 55 ss. 

DOTTRINA 321 

dello stesso termine. In altre parole, poich� sulla pregiudiziale in senso logico 
la decisione del giudice acquista l�efficacia della res iudicata, si potrebbe 
verificare l�ipotesi per cui il ricorrente abbia omesso di impugnare tempestivamente 
l�atto e chieda ugualmente il risarcimento dei danni conseguenti. In 
tal caso, la pronuncia sul risarcimento, richiedendo un accertamento pregiudiziale 
sull�illegittimit� dell�atto consentirebbe, da un lato, di aggirare il termine 
decadenziale per l�impugnazione di un provvedimento illegittimo; dall�altro 
lato garantirebbe ugualmente una pronunzia con efficacia di giudicato 
sull�illegittimit� dell�atto medesimo. Ecco perch� il risarcimento danni da 
provvedimento illegittimo non � ammesso, secondo il prevalente orientamento 
della giurisprudenza amministrativa, nel caso in cui non si sia proposta, 
con successo, la preventiva impugnazione dell�atto medesimo: respinto 
il giudizio risarcitorio per mancata tempestiva impugnazione del provvedimento, 
non c�� pi� spazio per una pronunzia di annullamento dell�atto illegittimo, 
poich� il termine breve di sessanta giorni �, verosimilmente, gi� spirato.
L�azione contro il silenzio, viceversa, non � soggetta ad un termine decadenziale, 
costituendo il termine annuale per la proposizione dell�azione (previsto 
dall�art. 2, comma 5, legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 
80/2005) un termine di prescrizione breve del diritto d�azione, essendo prevista, 
alla sua scadenza, la reiterabilit� dell�istanza di avvio del procedimento 
e la possibilit� di presentare il ricorso, qualora il ricorrente, diffidando 
l�amministrazione, abbia dato prova della persistenza dell�interesse all�adozione 
del provvedimento da parte dell�amministrazione (40). 

Il ricorso avverso il silenzio assolve ad una funzione diversa, che non � 
quella autonoma di �controllare� il corretto esercizio del potere, ma � quella 
di verificare se il silenzio serbato dall�amministrazione sia legittimo o 
meno, in relazione alla fondatezza dell�istanza presentata dal privato (41). 
Pi� precisamente, l�azione di cui all�art. 21 bis, legge T.A.R. � essenzialmente 
preordinata ad ottenere il provvedimento, viceversa l�azione di risarcimento 
danni � funzionale ad ottenere un ristoro del pregiudizio subito: ci� significa 
che il privato pu� chiedere il risarcimento danni anche nell�eventualit� 
in cui non sia pi� interessato al provvedimento medesimo, ovvero nell�ipotesi 
in cui l�amministrazione abbia provveduto, ma con ritardo. In tal caso, il 
giudice adito in sede di tutela risarcitoria accerta in via pregiudiziale l�illegittimit� 
del silenzio (secondo lo schema della pregiudiziale in senso logico) 
e condanna l�amministrazione al risarcimento del danno conseguente al ritardo, 
senza necessit� che il privato agisca espressamente contro l�inerzia del


(40) In tal senso, da ultimo, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 20 luglio 2007, n. 1003, 
in www.giustizia-amministrativa.it; negli stessi termini, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 6 
giugno 2006, n. 6747, ivi. 
(41) � l�opinione della dottrina maggioritaria: per tutti, si veda GRECO, L�accertamento 
autonomo, L�accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, in 
Argomenti di diritto amministrativo, Milano, 2008, 256. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l�amministrazione. Lo schema � identico al rapporto che intercorre tra inadempimento 
contrattuale e risarcimento danni conseguenti. E ci�, si badi, a 
prescindere dall�adesione alla controversa tesi �contatto procedimentale�. 
L�adozione del provvedimento, infatti, prima ancora che essere interpretata 
come adempimento di un vincolo obbligatorio, costituisce senz�altro adempimento 
di un obbligo imposto all�amministrazione dalla legge (42). 

Inoltre, non � ragionevole sostenere che con la proposizione della 
domanda risarcitoria autonoma da silenzio si finirebbe per attribuire al giudice, 
in sede di giudizio risarcitorio (che ha natura di accertamento e di eventuale 
condanna), un potere disapplicativo di atti amministrativi (non impugnati 
nel termine decadenziale) fuori dalle ipotesi in cui siffatta potest� � dall�ordinamento 
positivamente riconosciuta. Ed ancora, � da escludere che la 
mancata attivazione dello speciale rimedio processuale avverso l�inerzia 
inciderebbe sulla stabilit� e certezza dell�azione amministrativa, che costituiscono 
valori presidiati dall�inoppugnabilit� del provvedimento e che non si 
attagliano al comportamento inerte, specie ove si consideri la reiterabilit� 
dell�istanza, decorso il termine annuale, ai sensi del comma 5 del novellato 
art. 2, legge n. 241/1990. Infatti, la previsione della possibilit� di riproporre 
l�istanza chiarisce che allo scadere dell�anno il silenzio dell�amministrazio


(42) Sulla portata precettiva dell�obbligo di provvedere si � espressa anche la Corte 
costituzionale: sent. 23 luglio 1997, n. 262, in Cons. Stato, 1997, II, 1128; Id., sent. 17 luglio 
2002, n. 355, in Foro it., 2004, I, 38. 
La giurisprudenza ha, di recente, precisato che l�esistenza dell�obbligo di provvedere, 
oltre che derivare da puntuale previsione normativa, pu� essere, altres�, desunta dai principi 
informatori dell�azione amministrativa, in specie quelli di imparzialit�, legalit� e buon 
andamento. Si afferma, in tal modo, l�esistenza dell�obbligo di provvedere, oltre che nei casi 
espressamente riconosciuti dalla legge, in particolari fattispecie nelle quali ragioni di giustizia 
e di equit� impongono l�adozione di un provvedimento: in tal senso, Cons. St., sez. IV, 
14 dicembre 2004, n. 7975, in Urb. e app., 2005, 693, con nota di DE PIERO, La fonte dell�obbligo 
di dare risposte alle istanze dei privati; tale decisione si segnala in particolare, per 
la trasposizione, in ambito pubblicistico, del canone buona fede contrattuale (c.d. buona fede 
in senso oggettivo, per distinguerla dalla situazione di ignoranza di ledere l�altrui diritto soggettivo: 
buona fede in senso soggettivo ex art. 1147 c.c.) che la P.A. � tenuta a rispettare 
allorch� il privato sia titolare di una posizione qualificata e differenziata, idonea a generare 
una aspettativa. Nello stesso senso si � espressa la coeva Cons. St., sez. IV, 2 novembre 
2004, n. 7068, in Foro amm. C.d.S., 2004, 3129, ove si � precisato che l�obbligo 
dell�Amministrazione di clare loqui si fonda sui doveri di lealt�, correttezza e solidariet� e 
sulla trasposizione, in ambito pubblicistico, del canone civilistico di buona fede contrattuale 
e di tutela dell�affidamento. Tale indirizzo interpretativo ha trovato, di recente, conferma 
in sede pretoria (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 11 ottobre 2007, n. 9948; T.A.R. Campania, 
Salerno, sez. II, 28 marzo 2007, n. 312, entrambe in www.lexitalia.it). Una compiuta analisi 
dei casi nei quali sussiste l�obbligo per l�amministrazione di provvedere sull�istanza del 
privato, configurandosi, quindi, in caso di inosservanza, il silenzio-inadempimento ricorribile, 
� stata svolta, di recente, da Cons. St., sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318, in Guida al 
dir., 2007, 31, 76 ss., con nota di FORLENZA, Un parametro troppo incerto che espone al 
rischio dell�arbitrio, in Guida al dir., 2007, 31, 76 ss. 


DOTTRINA 323 

ne non vale come provvedimento implicito di rigetto dell�istanza (da impugnare 
ai fini della proponibilit� dell�azione risarcitoria), conservando la sua 
valenza esclusivamente comportamentale di inadempimento all�obbligo di 
provvedere. Da questo punto di vista, quindi, l�omessa attivazione della tutela 
speciale di cui all�art. 21 bis, legge T.A.R. non varrebbe a far presumere 
la legittimit� del silenzio mantenuto dall�amministrazione; non pu�, infatti, 
estendersi all�inerzia il principio, affermato dall�Adunanza Plenaria n. 12 del 
2007 con riferimento al danno da provvedimento, secondo cui l�omessa attivazione 
del rimedio impugnatorio trasforma la presunzione di legittimit� 
dell�atto amministrativo da relativa in assoluta, con conseguente preclusione 
dell�allegazione dell�ingiustizia del danno provocato dal provvedimento 
inoppugnabile, ai sensi dell�art. 2043 c.c. (43). Riguardo alla violazione dell�obbligo 
di provvedere ed al silenzio-inadempimento che ne consegue, in 
quanto �fatto� non produttivo di effetti giuridici legalmente tipizzati, che si 
rinnova de die in diem, fatto ogni giorno nuovo e diverso (quello del giorno 
successivo non potrebbe essere considerato meramente confermativo di 
quello del giorno precedente), non pu� parlarsi di presunzione di legittimit�, 
afferendo questa al provvedimento amministrativo espresso, che non assume 
le caratteristiche poc�anzi indicate (44). Il mancato riscontro in sede giurisdizionale 
dell�illegittimit� del silenzio (rectius: della violazione dell�obbligo di 
provvedere) non vale, di certo, a far presumere legittimo un comportamento 
(omissivo) che resta sostanzialmente contra ius, non potendo ritenersi impedito 
al giudice del risarcimento di accordare la tutela a lui richiesta sul presupposto 
del mancato completamento della fattispecie risarcitoria (45). 

Sotto questo profilo, ancora una volta non convince l�opinione secondo 
la quale il previo esperimento della procedura del silenzio-rifiuto rileva 
come requisito per il risarcimento del danno da ritardo e per l�accertamento 
riservato al G.A. dell�esistenza di un obbligo pubblicistico di provvedere e 
della sua violazione. In altri termini, secondo questa impostazione, il ricorso 
avverso il silenzio rifiuto dev�essere instaurato proprio per evidenziare il 

(43) Per la critica alla tesi della Plenaria si veda CLARICH - FONDERICO, op. cit., 59; 
VOLPE, Pregiudiziale amministrativa e sacrifici concettuali del giudice amministrativo, in 
www.lexitalia.it; per interessanti spunti critici alla tesi della c.d. presunzione di legittimit� 
del provvedimento amministrativo si veda MICARI, Il c.d. �danno da ritardo� ed i corollari 
tratti da una sentenza-trattato del T.A.R. Puglia, in Giur. merito, 2006, 2, 435, il quale conclude 
affermando che �non di presunzione di legittimit� si deve parlare, ma di presunzione 
del perseguimento dei fini determinati ex iure positivo�. In generale, la presunzione di legittimit� 
� oggi considerata inaccettabile e non condivisibile opinione tradizionale da CASETTA, 
Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, 550; MATTARELLA, Il provvedimento, in 
Trattato dir. amm., a cura di CASSESE, Dir. amm. gen., I, Milano, 2003, 813; VILLATA-
RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 316. 
(44) In tal senso MICARI, op. cit. 
(45) � questa la tesi sostenuta in giurisprudenza, in particolare, da T.A.R. Puglia, Bari, 
sez. II, 13 gennaio 2005, n. 56, cit. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

momento a partire dal quale il provvedimento amministrativo deve essere 
emanato. In quest�ottica, il preventivo ricorso avverso il silenzio ha la funzione 
di accertare se il ritardo nell�adozione dell�atto sia illegittimo: l�adozione 
tardiva del provvedimento ampliativo farebbe presumere l�illegittimit� 
dell�originaria inerzia, ma nulla direbbe in ordine alla circostanza se il 
ritardo con cui � stato emanato sia illegittimo.

� ben evidente come una simile argomentazione finisce per vanificare la 
forza di una disposizione di legge di portata generale (l�art. 2, legge n. 
241/1990) che fissa un preciso obbligo dell�amministrazione di provvedere in 
modo espresso ed entro un certo termine, canonizzando nel nostro ordinamento 
il principio di doverosit� dell�esercizio del potere amministrativo e della 
certezza dei tempi dell�azione pubblica (46), poich� si rimette al giudice il 
potere di stabilire e di verificare (proprio) l�esistenza di un obbligo pubblicistico 
di provvedere e la sua violazione. Per tale ragione, la soluzione favorevole 
alla pregiudizialit� va respinta, proprio per le implicazioni e i rischi che 
essa comporta sul piano dell�effettiva tutela giurisdizionale del cittadino. 

Tali argomentazioni suggeriscono, quindi, l�abbandono del modello processuale 
unico tarato sull�impugnazione del provvedimento, non estensibile 
in materia di silenzio, e l�accoglimento di una pluralit� di rimedi processuali, 
a ciascuno dei quali riconoscere finalit� e condizioni differenziate (47). 
Pertanto, deve ragionevolmente escludersi che la previa o contestuale proposizione 
dell�azione �impugnatoria� del silenzio costituisca presupposto di 
ammissibilit� dell�azione risarcitoria nell�ipotesi in cui il danno da risarcire 
derivi da una illegittimit� non gi� di un atto, ma dell�attivit� della P.A., come, 
appunto, nel caso di danno da silenzio o da ritardo. 

(46) In tal senso, si segnala, da ultimo, Cons. St., sez. IV, 18 ottobre 2007, n. 5433, in 
www.giustizia-amministrativa.it, ove la Sezione ha affermato che la disposizione di cui 
all�art. 2, l. n. 241/1990 costituisce norma di principio e precettiva, in quanto la certezza dei 
tempi dell�azione amministrativa e la doverosit� dell�esercizio del potere costituiscono elementi 
qualificanti della riforma introdotta dalla legge sul procedimento amministrativo. Il 
principio di doverosit� dell�azione amministrativa, da intendere non soltanto in senso diacronico 
(certezza dei tempi di conclusione del procedimento), ma anche in senso per cos� 
dire funzionale (esplicitazione delle ragioni poste a fondamento della determinazione amministrativa), 
ha portata generale e tale da imporsi pure nelle ipotesi in cui la legge ricolleghi 
all�inerzia dell�amministrazione l�effetto di reiezione dell�istanza del privato, il quale pu� 
sempre legittimamente pretendere che la P.A. si pronunci in modo espresso e motivato, 
come la giurisprudenza non ha mancato di precisare, proprio valorizzando il carattere generale 
dell�obbligo imposto alla P.A. dall�art. 2, l. n. 241 del 1990 di rispondere in modo 
espresso e motivato alle richieste dei cittadini (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, 3 gennaio 
2008, n. 8; Id., 17 settembre 2007, n. 8992; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 22 febbraio 2007, 
n. 625; T.A.R. Campania, Napoli, 12 novembre 2004, n. 16775, tutte in www.giustiziaamministrativa.
it). 
(47) Su questo tema, in generale, si rinvia a CLARICH, Tipicit� delle azioni e azione di 
adempimento nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2005, 557 ss.; GRECO, 
L�accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, cit., 239 ss., ove ulteriori 
riferimenti bibliografici. 

DOTTRINA 325 

In questa ipotesi non si pone la questione di dover rimuovere un atto esistente 
ed efficace per agire in via risarcitoria, pur trattandosi di fattispecie 
rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo, tenuto conto che � 
innegabile che la ratio della riforma, iniziata con il D.Lgs. n. 80/1998 e completata 
con la legge n. 205 del 2000, sia quella di concentrare davanti ad un 
unico giudice, quello amministrativo, ogni forma di tutela nei confronti della 

P.A. quando viene in gioco la lesione di interessi legittimi. 
6. Il progressivo superamento da parte della giurisprudenza della pregiudizialit� 
da silenzio. 
La tesi secondo cui il giudizio ex art. 21 bis, legge T.A.R. non costituisce 
condizione di ammissibilit� della domanda di risarcimento del danno da 
omissione provvedimentale � stata, di recente, affermata dalla giurisprudenza, 
le cui conclusioni trovano adesione in dottrina (48). In particolare, si � 
osservato che rispetto all�inerzia non si configura alcun onere di avanzare e 
coltivare con successo l�azione demolitoria, non essendovi un atto che comporti 
la necessit� di un giudicato di annullamento. 

Gli argomenti a sostegno di tale indirizzo possono cos� sintetizzarsi. 

Si osserva, in particolare, che l�orientamento giurisprudenziale, secondo 
cui, una volta concentrata innanzi al G.A. la tutela impugnatoria dell�atto 
illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non � ammissibile l�accertamento 
incidentale da parte del G.A. dell�illegittimit� dell�atto non impugnato 
nei termini decadenziali al solo fine della domanda risarcitoria, non ha 
ragion d�essere riguardo al danno da silenzio, dal momento che non viene in 
rilievo un atto illegittimo (da caducare), ma un comportamento inerte, rispetto 
al quale non pu� essere applicata la regola della pregiudizialit� amministrativa, 
la cui applicazione generalizzata, in caso di danni da provvedimenti 
amministrativi, � stata da ultimo ribadita dal Consiglio di Stato al suo massimo 
livello (Cons. St., ad pl., 22 ottobre 2007, n. 12). 

La responsabilit� risarcitoria della P.A. non � originata da un provvedimento 
illegittimo, ma da un suo comportamento eventualmente illecito, a 
prescindere dall�esistenza e dalla legittimit� o meno di un�attivit� amministrativa 
provvedimentale ad esso relativa (49). L�azione dannosa si concre


(48) In tal senso CHIEPPA, La pregiudiziale amministrativa, in CHIEPPA-LOPILATO, Studi 
di diritto amministrativo, Milano, 2007, 658; CORRADINO, op. cit.; DE NICTOLIS, Il nuovo 
contenzioso in materia di appalti pubblici alla luce del codice dei contratti pubblici, Milano, 
2007, 553-554; VILLATA, op. cit., 482, il quale sottolinea l�irrilevanza, ai fini della c.d. pregiudiziale 
amministrativa, delle fattispecie di danno da ritardo, da mancata conclusione del 
contratto con l�aggiudicatario per difetto di copertura finanziaria, in cui la pretesa risarcitoria 
� del tutto indipendente dalla validit� del provvedimento, poggiando sulla violazione da 
parte dell�amministrazione di regole di comportamento. 
(49) In questo senso si esprime FORLENZA, op. cit., 110, contestando l�affermazione 
della Plenaria (dec. n. 7/2005), per la quale il non esercitare un potere (cos� come esercitarlo 
in ritardo) costituisce �la fattispecie speculare del suo esercizio�. Di contro, evidenzia 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tizza in un nihil facere, ossia nell�inerzia, sicch�, mancando un atto da annullare, 
la pregiudiziale amministrativa non trova ingresso. Nella fattispecie, 
incombendo sull�amministrazione l�obbligo di provvedere sull�istanza dell�interessato, 
laddove tale obbligo sia rimasto inadempiuto e l�inerzia si sia 
protratta ben oltre i termini procedimentali, al G.A. � consentito dichiarare la 
responsabilit� dell�amministrazione per avere determinato una lesione nella 
sfera giuridica del ricorrente, senza che venga in rilievo alcun atto da impugnare 
previamente (o contestualmente) alla proposizione della domanda 
risarcitoria. Si esclude, quindi, che nel caso in cui sia il comportamento 
(omissivo) a causare il danno, l�accertamento della sua illegittimit� debba 
pregiudizialmente essere compiuto nel contesto dello strumento attribuito 
dalla legge al G.A. per conoscere di tale illegittimit�, ossia il giudice sul 
silenzio-rifiuto. 

Del resto, il superamento della tesi della natura attizia del silenzio da 
parte delle decisioni dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 
8/1960, n. 10/1978 e n. 16/1989, rende inapplicabile la regola della pregiudizialit� 
(regola, peraltro, fortemente contrastata dalla giurisprudenza di 
legittimit�) (50). 

Argomenti a sostegno dell�esclusione della regola della pregiudizialit� 
nei casi di danno da omesso esercizio della funzione pubblica possono trarsi, 
in primo luogo, dalla decisione n. 9 del 30 luglio 2007 dell�Adunanza 

l�A. che �non adottare alcun provvedimento significa non esercitare il potere, cos� come 
adottare il provvedimento in ritardo significa tenere, per un tempo definito, un comportamento 
non conforme alle regole prescritte. In ambedue le ipotesi ci si trova di fronte a 
comportamenti, che non possono essere ritenuti il reciproco del provvedimento amministrativo
�. 

(50) Si veda, da ultimo, Cass. civ., sez. un., ord. 7 gennaio 2008, n. 35, in www.lexitalia.
it, sulla quale si legga il commento di CRISCENTI, op. cit.; gi�, Id., sez. I, 17 ottobre 2007, 
n. 21850, ivi; Id., sez. un., 13 giugno 2006, n. 13659 e 13660, in Corr. merito, 2006, 1096, 
con nota di MADDALENA, Risarcimento degli interessi legittimi al G.A., ma senza pregiudiziale 
amministrativa; in Urb. e app., 2006, 1175, con nota di LAMORGESE, Riparto della giurisdizione 
e pregiudizialit� amministrativa: le Sezioni Unite non convincono; in Giorn. dir. 
amm., 2006, 1100, con nota di CAVALLARO, Il danno da illegittimo esercizio della funzione 
amministrativa: giurisdizione e pregiudizialit�; in Dir. proc. amm., 2006, 1007, con nota di 
MALINCONICO, Risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi: riparto di giurisdizione 
e rapporto tra tutela demolitoria e risarcitoria. In particolare il caso dell�occupazione 
illegittima; in Giust. civ., 2006, 2000; Id., ord. 26 maggio 2004, n. 10180, in Giust. civ., 
2005, 9, 2223, L�adunanza plenaria di fronte alla problematica ma necessaria sistematicit� 
del diritto (giurisprudenziale) amministrativo; Id., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157, in Foro 
amm. C.d.S., 2003, con nota di SIRACUSANO, La nuova (e �vera�) svolta della Cassazione 
sulla c.d. risarcibilit� dell�interesse legittimo: i doveri di comportamento della pubblica 
amministrazione verso la logica garantistica del rapporto; in Resp. civ. e prev., 2003, 3, 
752, con nota di ROLANDO, Ancora un passo in avanti in tema di risarcibilit� degli interessi 
legittimi. In tal senso, com�� noto, si pone la storica sentenza n. 500 del 22 luglio 1999, 
per il cui commento si rimanda, tra gli altri, alle note di PALMIERI, PARDOLESI e A. ROMANO, 
in Foro it., 1999, I, 3201. 

DOTTRINA 327 

Plenaria del Consiglio (51), cui la questione era stata deferita dal Cons. 
Giust. Amm., con ordinanza 2 marzo 2007, n. 75. 

In tale ultimo arresto i Giudici di Palazzo Spada escludono che la regola 
della pregiudizialit� operi ove l�atto sia stato rimosso in sede amministrativa, 
in autotutela o su ricorso di parte, oppure qualora il danno non sia prodotto 
dalle statuizioni costitutive contenute nell�atto, ma sia materialmente 
causato dalle particolari modalit� della sua esecuzione; in forza di tale premessa, 
il Consiglio esclude l�operativit� della regola della pregiudizialit� 
nel caso di azione risarcitoria proposta a seguito dell�irreversibile trasformazione 
del fondo operata dalla P.A. sulla base di un�occupazione d�urgenza 
alla quale non sia seguita, nei termini previsti dalla dichiarazione di p.u.,
l�emissione del decreto di esproprio. � evidente, infatti, che, in tale ipotesi, 
alcun onere di previa impugnazione del provvedimento dannoso pu� accollarsi 
al suo destinatario, considerato che il danno lamentato non discende da 
eventuali illegittimit� dell�atto dichiarativo quanto direttamente dalla mancata 
conclusione del procedimento e dalla omessa adozione al termine dei 
lavori dell�atto di trasferimento, che ha impedito la stabilizzazione degli 
effetti medio tempore prodotti dagli atti intermedi ad esso finalizzati sul 
piano causale (52). 

La tesi che esclude l�applicabilit� della regola della pregiudizialit� nel 
caso di danno da comportamento inerte � stata, di recente, affermata da 
Cons. St., sez. IV, 8 maggio 2007, n. 2136 (53), ove la Sezione sostiene che 
la tutela dell�interesse legittimo implica che l�oggetto principale del giudizio 
� l�atto autoritativo lesivo, che dev�essere impugnato, �al di fuori dei casi di 
silenzio inadempimento�; ancora pi� chiaramente, si era in precedenza 

(51) Sulla quale si legga il commento di PLAISANT, La Plenaria non scioglie i dubbi 
sulla pregiudiziale, in Diritto e pratica amministrativa, 2007, 9, 98. 
(52) L�operativit� della regola della pregiudiziale amministrativa in caso di danno originato 
da un comportamento illecito era stata gi� esclusa da parte della giurisprudenza: 
Cons. St., sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338, in Riv. giur. edilizia, 2002, 6, 1357, con nota di 
MARI, Tutela risarcitoria degli interessi legittimi: pregiudiziale amministrativa e natura 
della reintegrazione in forma specifica; id., sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 952, in Dir. & formazione, 
2002, 690; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-ter, 20 giugno 2005, n. 5109, in www.giustizia-
amministrativa.it. L�ammissibilit� dell�azione risarcitoria c.d. pura, ovvero non collegata 
alla principale ordinaria azione impugnatoria, in caso di danno da comportamento inerte, 
era stata affermata anche da T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 11 ottobre 2004, n. 7166, ivi, 
�posto che l�elemento causativo del danno � da rinvenirsi non gi� in un provvedimento 
annullato in sede giurisdizionale perch� illegittimo ma in un comportamento inerte 
dell�Amministrazione. Ne consegue che il giudice amministrativo ben pu� accertare l�illegittimit� 
dell�inerzia della P.A. senza che tale esame costituisca elusione del termine decadenziale 
di impugnazione di provvedimenti n� disapplicazione di atti amministrativi� e da 
Cons. St., sez. VI, 14 maggio 2004, n. 5995, ivi, decisione che riprende le argomentazioni 
espresse dal Consiglio nella sentenza n. 3338/2002, cit. 
(53) In Foro amm. C.d.S., 2007, 6, 1828, con nota di LOTTI, La pregiudiziale di annullamento: 
argomenti di diritto civile a confronto. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

espressa Cons. St., sez. V, 18 gennaio 2006, n. 125 (54), che cos� motiva sul 
punto: �ben conosce il Collegio l�orientamento giurisprudenziale (che ha 
avuto autorevole suggello nella decisione del Consiglio di Stato, Adunanza 
Plenaria 26 marzo 2003, n. 4) secondo cui una volta concentrata presso il 
giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell�atto illegittimo e quella 
risarcitoria conseguente, non � possibile l�accertamento incidentale da 
parte del giudice amministrativo della illegittimit� dell�atto non impugnato 
nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e che l�azione 
di risarcimento del danno pu� essere proposta sia unitamente all�azione 
di annullamento che in via autonoma, ma che � ammissibile solo a condizione 
che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia 
coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice 
amministrativo non � dato di poter disapplicare atti amministrativi non 
regolamentari; nella fattispecie che ci occupa, tuttavia, non viene in rilievo 

� come sopra osservato � un atto illegittimo, bens� comportamento inerte, 
rispetto al quale non pu� essere invocata la regola della pregiudizialit�. 
Orbene, precisato che l�Amministrazione aveva l�obbligo giuridico di provvedere 
sull�istanza dell�interessato, che tale obbligo � rimasto inadempiuto 
e che tale inerzia si � protratta ben oltre i tempi procedimentali �, il 
Collegio non pu� che dare atto � sussistendone tutti i requisiti � della 
responsabilit� dell�amministrazione comunale per avere determinato una 
lesione nella sfera giuridica dell�appellante�; nella stessa direzione si pone 
Cons. St., sez. IV, 11 dicembre 2007, n. 6346 (55), ove la Sezione esclude 
che sulla domanda risarcitoria possa incidere la questione della pregiudizialit� 
amministrativa, trattandosi, invece, di ordinaria azione risarcitoria per 
asserita lesione di interessi legittimi, in relazione alla quale dovr� esclusivamente 
verificarsi la sussistenza dei presupposti del danno risarcibile nonch�, 
da ultimo, Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248, sia pur con riferimento 
alla sola ipotesi della domanda di risarcimento del danno da ritardo nell�adozione 
di provvedimento favorevole, il solo risarcibile secondo l�impostazione 
della Plenaria n. 7/2005. 
7. Il danno da omessa ripianificazione delle zone bianche. 
Tuttavia, il quadro giurisprudenziale sembra lontano dal trovare un 
assetto definito, sol che si consideri che l�operativit� del meccanismo della 
pregiudiziale amministrativa � stata affermata recentemente dalla giurisprudenza 
del Consiglio di Stato (56) in relazione al danno da comportamento 
omissivo dell�amministrazione per mancata nuova regolamentazione urbani


(54) In Foro amm. C.d.S., 2006, 1, 162. 
(55) In www.giustizia-amministrativa.it. 
(56) Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 954, in www.lexitalia.it; la decisione � commentata 
da PLAISANT, La tutela risarcitoria contro i vincoli urbanistici illegittimi, in Dir. e 
prat. amm., 2007, 4, 76. 

DOTTRINA 329 

stica dell�area di propriet� del privato istante a seguito della scadenza dei 
vincoli preordinati all�esproprio o aventi contenuto sostanzialmente espropriativo 
(57). 

Alla scadenza del quinquennio di efficacia del vincolo urbanistico, in 
assenza di reiterazione, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria afferma 
l�assoggettabilit� delle relative zone alla disciplina delle c.d. �zone bianche
� (58). Ci� in quanto, per un verso, la scadenza del termine quinquennale 
di operativit� dei vincoli previsti dagli strumenti urbanistici generali in 
caso di mancata approvazione dei necessari strumenti attuativi determina la 
perdita di efficacia ex nunc e, per altro verso, � escluso che possa rivivere la 
disciplina urbanistica anteriore all�imposizione del vincolo (59). In altri termini, 
essendo stata abrogata la disciplina urbanistica precedente e divenuta 
inefficace quella sopravvenuta, la zona soggetta a vincolo decaduto deve 
ritenersi soggetta alla disciplina prevista dall�art. 4, ult. comma, legge 28 
gennaio 1977, n. 10, che regola l�utilizzabilit� dei terreni nei comuni privi di 
strumenti urbanistici generali: la norma � volta a dettare una disciplina transitoria 
e con finalit� di salvaguardia, in relazione ai casi in cui manchi un�apposita 
disciplina urbanistica (60). 

(57) La giurisprudenza considera vincoli preordinati all�espropriazione o che comportano 
inedificabilit� assoluta quelli che svuotano il contenuto del diritto di propriet�, incidendo 
sul godimento del bene in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione 
naturale ovvero diminuendone significativamente il suo valore di scambio: da ultimo, 
Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3671, in www.giustizia-amministrativa.it; in precedenza, 
ex pluribus, Cons. St., sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2718, ivi. Si precisa, inoltre, che il 
regime di decadenza quinquennale vale soltanto per i vincoli finalizzati alla espropriazione, 
oppure che comportano la preclusione completa della attivit� edificatoria, e non invece per 
quei vincoli che costituiscono espressione della attivit� pianificatoria della P.A. e che hanno 
il solo effetto di imporre alla propriet� l�obbligo di conformarsi alla destinazione impressa 
al suolo: cos�, Cons. St., sez. IV, 13 marzo 2008, n. 1095, in www.lexitalia.it., che ha affermato 
tale principio con riferimento al vincolo di inedificabilit� relativo alla �fascia di rispetto 
stradale�, che non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda 
una generalit� di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia della circolazione, 
indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure espropriative; tale vincolo, 
quindi, non � soggetto a scadenze temporali. 
(58) In tal senso, da ultimo, Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6741; Id., sez. V, 9 
maggio 2003, n. 2449; Id., sez. IV, 17 luglio 2002, n. 3999; id., sez. V, 4 agosto 2000, n. 
4314 (tutte in www.giustizia-amministrativa.it); Id., sez. IV, 20 maggio 1996, n. 651, in 
Cons. Stato, 1996, I, 777. 
Si veda anche, nella giurisprudenza ordinaria, Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2003 n. 
14333, in Foro it., 2004, I, 792, con nota di TRAVI, La giurisprudenza della Cassazione sul 
risarcimento dei danni per lesioni di interessi legittimi dopo la sentenza delle sezioni unite 
22 luglio 1999, n. 500/SU; Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2007, n. 1754, in Foro amm. C.d.S., 
2007, 4, 1135. 

(59) Sul punto, RUSSO, Riflessioni a margine della decadenza dei vincoli urbanistici, in 
Riv. giur. edil., 1997, II, 105. 
(60) Sulla provvisoriet� della disciplina di cui all�art. 4, l. n. 10 del 1977, si veda Cons. 
St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6741; id., sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 5355; id., sez. IV, 21 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La giurisprudenza ha, altres�, precisato che l�applicazione della disciplina 
relativa ai comuni privi di regolamentazione urbanistica non fa venir meno 
l�obbligo del comune di procedere, al pi� presto, all�integrazione del piano 
divenuto parzialmente inoperante ovvero all�approvazione di un nuovo piano 
regolatore generale (61). L�amministrazione, a fronte di un vincolo ormai 
decaduto pu� anche disporne la rinnovazione, con idonea motivazione; tuttavia, 
non pu� rimanere inerte sacrificando indeterminatamente gli interessi del 
privato. Al riguardo, ritiene la giurisprudenza che, a fronte di una richiesta di 
ripianificazione di un�area soggetta a vincolo di inedificabilit� ormai decaduto, 
la P.A. � tenuta ad adottare un provvedimento decisorio, dovendo comunque 
concludere � ai sensi degli artt. 2 e 3, legge n. 241 del 1990 � il procedimento 
ad istanza di parte con l�adozione di un provvedimento espresso. La 
decadenza dei vincoli, determinando una situazione di inedificabilit� pressoch� 
assoluta, ha carattere provvisorio, dovendo l�Amministrazione procedere 
il pi� rapidamente possibile all�obbligatoria integrazione del piano divenuto 
parzialmente inoperante, potendo il privato, nell�inerzia della 
Amministrazione, promuovere interventi sostitutivi oppure agire in via giurisdizionale, 
seguendo il procedimento del silenzio-rifiuto (62). 

Peraltro, la giurisprudenza ha, di recente, puntualizzato che, nel caso di 
decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all�espropriazione o che comunque 
incidano significativamente sul valore economico della propriet� privata, 
l�obbligo del Comune di procedere alla nuova pianificazione dell�area rimasta 

febbraio 2005, n. 585; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 26 aprile 2004, n. 3544; T.A.R. 
Campania, Napoli, sez. IV, 6 novembre 2003, n. 13372; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 5 
luglio 2002, n. 674; T.A.R. Veneto, 24 dicembre 2001, n. 4410; T.A.R. Lazio, sez. II, 26 
novembre 1999 n. 2470 (tutte in www.giustizia-amministrativa.it). 

La disciplina dei vincoli preordinati all�espropriazione oggi vigente � dettata dall�art. 
9, comma 3, del nuovo T.U. sull�espropriazione (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), che, codificando 
sostanzialmente il dictum della sentenza n. 179/1999 della Corte costituzionale, stabilisce 
la decadenza del vincolo e l�applicabilit� dell�art. 9 del T.U. in materia edilizia 

(d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) �se non � tempestivamente dichiarata la pubblica utilit� dell�opera
�; in ipotesi di omessa ripianificazione, si applica la disciplina dettata per le ipotesi 
di assenza di pianificazione urbanistica, restando, comunque, in facolt� del proprietario di 
richiedere l�esercizio del potere pianificatorio. 
(61) Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6741; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 28 
febbraio 2007, n. 1274; Cons. St., sez. IV, 5 aprile 2005, n. 1560; Id., sez. IV, 21 febbraio 
2005, n. 585; Id., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4426; Id., sez. IV, 25 agosto 2003, n. 4812; Id., 
sez. IV, 17 aprile 2003, n. 2015; Id., sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6415; Id., sez. V, 21 maggio 
1999, n. 593; Id., sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1721; Id., sez. V, 5 maggio 1997, n. 479 
(tutte in www.giustizia-amministrativa.it); Id., ad. pl., 2 aprile 1984, n. 7, in Foro amm., 
1984, 601. 
(62) In tal senso, da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, 31 ottobre 2007, n. 10383, 
in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 5355, sulla quale si 
legga il commento di ROCCO, Le aree soggette a vincolo scaduto vanno ripianificate, in Dir. e 
prat. amm., 2007, 12, 108 ss.; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 luglio 2007, n. 1003, in 
www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 6 marzo 2006, n. 581, ivi. 

DOTTRINA 331 

priva di disciplina urbanistica non richiede l�iniziativa di parte, ma va ricondotto 
al novero degli adempimenti attivabili d�ufficio, in quanto risponde prioritariamente 
al pubblico e generale interesse alla definizione di un razionale ed 
ordinato assetto del territorio, che tenga conto ed assicuri la salvaguardia dei 
valori culturali, urbanistici ed ambientali ivi esistenti. Pertanto, l�Amministrazione 
� tenuta, senza che si ravvisi la necessit� di esserne sollecitata da un�apposita 
istanza del privato interessato, ad avviare il procedimento finalizzato alla 
riqualificazione dell�area mediante una specifica ed appropriata destinazione 
urbanistica (63). In tal caso, essendo l�obbligo della P.A. di provvedere imposto 
d�ufficio dai principi generali che presiedono all�esercizio dell�azione 
amministrativa, deve ritenersi che, ai fini della formazione del provvedimento 
tacito di silenzio-rifiuto impugnabile, non sia indispensabile la previa presentazione 
di un�istanza da parte del soggetto interessato, ma sia, tutt�al pi�, richiesta 
la sola notifica di un atto di diffida e messa in mora dell�Amministrazione, 
ai sensi dell�art. 25, comma 1 e 2, d.P.R. n. 3 del 1957 (64). 

La giurisprudenza nega, quindi, che la disciplina edificatoria propria 
della zona bianca possa, per un verso, costituire un beneficio completo per 
colui che intende costruire e, per altro verso, possa configurarsi quale pretesto 
per l�amministrazione per esimersi dal proprio fondamentale obbligo di 
imprimere specifiche destinazioni alle diverse aree del territorio comunale 
mediante un assetto coerentemente pianificato (65). Peraltro, la ripianificazione 
dell�area alla scadenza del vincolo si rende necessaria anche in ragione 
dell�eventuale sopravvenire di esigenze pubbliche, diverse da quelle poste 
a fondamento dell�originario assetto urbanistico, che impongano il divieto 
sull�area, nella quale il precedente vincolo sia decaduto, anche dell�edificazione 
propria delle cc.dd. zone bianche. 

Come si nota, la tutela offerta al proprietario dell�area inutilmente vincolata 
si traduce nel riconoscimento di un interesse legittimo pretensivo alla 
riqualificazione dell�area da parte dell�amministrazione, con la precisazione 
che, comunque, �in capo al proprietario inciso dalla reiterazione dei vincoli 
urbanistici a contenuto espropriativo non � ravvisabile alcun affidamento 
speciale, considerato che l�area era gi� soggetta a vincolo, con la conseguenza 
che non � comunque configurabile una aspettativa qualificata ad una 
destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione 
dell�Amministrazione, ma solo un�aspettativa generica ad una reformatio in 
melius analoga a quella di ogni altro proprietario che aspira ad una utilizzazione 
pi� proficua dell�immobile� (66). 

Nell�ipotesi in cui l�amministrazione comunale non procedesse tempestivamente 
alla ripianificazione dell�area, la tutela del privato, secondo ripe


(63) Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6741, in www.lexitalia.it. 
(64) Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6741, cit. 
(65) In questi termini, condivisibilmente, ROCCO, op. cit., 111. 
(66) T.A.R. Toscana, sez. I, 19 settembre 2007, n. 2685, in www.giustamm.it.; nello 
stesso senso, Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2007, n. 1754 e 26 settembre 2003, n. 14333, citt. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tuta affermazione della giurisprudenza, si sostanzia nel diritto di reagire di 
fronte all�inerzia mediante gli strumenti della richiesta di interventi sostitutivi 
della regione ovvero dando impulso al meccanismo di tipizzazione del 
silenzio e la sua successiva impugnazione innanzi al G.A. (67). 

� in questo contesto che si pone il problema, di recente affrontato dalla 
giurisprudenza, relativo alle condizioni di risarcibilit� del danno da omessa 
ripianificazione dell�area per effetto della scadenza degli strumenti urbanistici 
preesistenti (danno che, ad esempio, pu� consistere nell�impossibilit� per 
il privato, causata dallo stato di incertezza sulla destinazione del bene, di 
costruire sull�area interessata da vincoli di inedificabilit� decaduti da molti 
anni). 

In relazione a tale fattispecie il Consiglio di Stato (68) ritiene operante il 
meccanismo della pregiudiziale amministrativa, osservando che, una volta 
che un vincolo di inedificabilit� sia decaduto per il decorso del termine quinquennale 
di efficacia stabilito dall�art. 2, legge 19 novembre 1968 n. 1187, 
se il Comune non ha provveduto a pianificare nuovamente l�area interessata 
il proprietario pu� s� pretendere il risarcimento dei danni causati dal protrarsi 
dello stato di incertezza sull�impiego del bene, ma la domanda risarcitoria 
presuppone che il Comune sia rimasto inerte anche dopo l�intervenuto accertamento 
in sede giurisdizionale del silenzio dallo stesso serbato a seguito 
della diffida dell�interessato. Sicch�, qualora l�interessato abbia omesso di 
far constatare l�inattivit� dell�amministrazione, alla quale nella sostanza ha 
in tal modo mostrato di prestare acquiescenza, il ritardo in questione non 
comporta l�obbligo di risarcire il danno. 

Alla medesima conclusione era pervenuta la Suprema Corte (69), affermando 
che, dopo l�attivazione della procedura della messa in mora, di cui 
all�art. 25, d.P.R. 25 gennaio 1957, n. 3, e l�accertamento, innanzi al giudice 
amministrativo dell�illegittimit� del silenzio del Comune sull�istanza di 
ripianificazione dell�area bianca di propriet� del ricorrente, �l�eventuale profilo 
di danno che il protrarsi dello stato d�incertezza pu� arrecare alla sfera 
soggettiva del proprietario, al di l� della mera attribuzione di poteri di reazione 
procedimentale all�inerzia amministrativa, scaturisce solo all�esito di 
un accertamento giudiziale dell�inadempimento all�obbligo della ripianificazione, 
cui il proprietario dell�area dimostri di avere specifico interesse, 
attivando la procedura di annullamento del silenzio. In virt� della pronuncia 
si crea nel ricorrente un�aspettativa qualificata ad ottenere una discipli


(67) Cons. St., sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 5355; Id., sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 585; 
Id., sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6415; Id., sez. V, 13 dicembre 1999, n. 2107; Id., sez. IV, 
22 febbraio 1999, n. 209; Id., sez. IV, 13 agosto 1997, n. 827 (tutte in www.giustizia-amministrativa.
it); Id., sez. IV, 25 settembre 1995, n. 745, in Foro amm., 1995, 1844; Cass. civ., 
sez. I, 26 gennaio 2007, n. 1754 e 26 novembre 2003, n. 14333, citt. 
(68) Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 954, cit.; nello stesso senso, Cons. St., sez. 
VI, 31 marzo 2006, n. 1637, in Foro amm. C.d.S., 2006, 3, 998. 
(69) Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2003, n. 14333 e 26 gennaio 2007, n. 1754, citt. 

DOTTRINA 333 

na dell�area, quale che sia, ma comunque idonea a porre fine allo stato di 
incertezza urbanistica. Solo in caso di persistente inerzia successiva alla 
tipizzazione del silenzio, potrebbe verificarsi un fatto lesivo commisurabile 
agli obblighi di correttezza e buona fede che i nuovi principi in tema di 
responsabilit� amministrativa esigono nel momento in cui si instaura tra cittadino 
e pubblica amministrazione un contatto qualificato�. 

� evidente come questa impostazione riproponga la necessit� di un (previo) 
accertamento da parte del giudice amministrativo dell�illegittimit� della 
condotta omissiva della P.A., sul ritenuto presupposto che l�inerzia che d� 
titolo al risarcimento pu� essere solo quella protratta dopo l�accertamento dell�illegittimit� 
del silenzio. Detto in altri termini, l�ammissibilit� della domanda 
risarcitoria � condizionata al positivo esperimento del rimedio in forma 
specifica, costituito dal ricorso diretto a far dichiarare l�illegittimit� dell�inerzia 
dell�amministrazione in ordine alla ripianificazione urbanistica dell�area. 

La tesi suscita perplessit� e si espone alle medesime obiezioni svolte, in 
generale, riguardo alla trasposizione della regola della pregiudizialit� all�azione 
risarcitoria per danno da silenzio e da ritardo. 

Come detto, a seguito della riforma recata dalla legge 11 febbraio 2005, 

n. 15 (ribadita dalla legge 14 maggio 2005, n. 80) la diffida (70) non rappresenta 
pi� presupposto condizionante l�ammissibilit� del ricorso contra silentium 
(si veda il comma 4-bis dell�art. 2, legge n. 241 del 1990, inserito dall�art. 
2, legge n. 15 del 2005) (71); inoltre, il legislatore con l�art. 3, comma 
6-bis (introdotto in sede di conversione dalla legge n. 80/2005), d.l. n. 
35/2005, nel riformulare l�art. 2, legge n. 241 del 1990, ha introdotto al 
comma 5 di tale articolo, la previsione secondo la quale il G.A., nei giudizi 
contro il silenzio-rifiuto, �il giudice amministrativo pu� conoscere della fondatezza 
dell�istanza�. 
La prevalente giurisprudenza � pervenuta alla conclusione che, nonostante 
le ambiguit� lessicali del nuovo testo dell�art. 2, legge n. 241/1990, 
il G.A., in sede di ricorso avverso il silenzio-rifiuto, non possa sostituirsi agli 
apprezzamenti discrezionali della P.A., potendo valutare la fondatezza della 
pretesa solo a fronte di istanze dirette ad ottenere provvedimenti vincolati 
ovvero nelle sole ipotesi manifesta fondatezza (ove trattasi di provvedimenti 
vincolati) o infondatezza della pretesa sostanziale, essendo diseconomico 
obbligare la P.A. a provvedere laddove l�atto espresso non potr� che essere 
di rigetto. In particolare, da ultimo, Cons. St. sez. VI, 11 maggio 2007, n. 
2318 (72) ha affermato che lo scrutinio della fondatezza dell�istanza � con


(70) Ritenuta dalla giurisprudenza necessaria ai fini dell�esperimento dell�azione risarcitoria 
da parte del proprietario per i danni derivanti dallo stato di incertezza conseguente 
alla omessa ripianificazione dell�area una volta decaduto un vincolo di inedificabilit�: in tal 
senso, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 26 aprile 2004, n. 3544, in www.lexitalia.it e Cons. St., 
sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 456, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 671. 
(71) Sulla nuova norma si veda, in particolare, il lavoro monografico di GIOVAGNOLI, I 
silenzi della pubblica amministrazione, Milano, 2005. 
(72) In www.giustizia-amministrativa.it. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sentito: �a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorch� siano richiesti 
provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c�� da compiere 
alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni, e 
fermo restando il limite della impossibilit� di sostituirsi all�amministrazione 
(in altri termini si potr� condannare l�amministrazione ad adottare un provvedimento 
favorevole dopo aver valutato positivamente l�an della pretesa ma 
nulla di pi�); b) nell�ipotesi in cui l�istanza � manifestamente infondata, sicch� 
risulti del tutto diseconomico obbligare la P.A. a provvedere laddove 
l�atto espresso non potr� che essere di rigetto�. In ogni caso, �l�eventualit� 
che l�istanza presentata dal privato sia diretta ad ottenere un provvedimento 
espressione di discrezionalit� amministrativa se, infatti, preclude al 
Giudice amministrativo di pronunciarsi sulla fondatezza dell�istanza nel 
giudizio contro il silenzio-rifiuto, non gli impedisce, tuttavia, di dichiarare 
l�obbligo dell�Amministrazione rimasta inerte di provvedere sulla richiesta 
del privato (impregiudicato il contenuto dell�emanando provvedimento). Si 
arriverebbe altrimenti alla conclusione, inaccettabile e priva di qualsiasi 
fondamento normativo, di ritenere che contro l�inerzia della P.A. non vi sia 
tutela in tutti i casi in cui l�istanza del privato rimasta inevasa solleciti l�esercizio 
di poteri discrezionali� (73). 

Orbene, la previsione del potere del giudice di verificare la fondatezza 
dell�istanza induce a ritenere che sarebbe consentito al Giudice di accertare 
incidentalmente � ovvero secondo la tecnica della c.d. pregiudizialit� logica 
di cui si � detto � la violazione dell�obbligo di provvedere sull�istanza di 
ripianificazione presentata dall�interessato anche in mancanza di una pronuncia 
che accertasse come formalmente illegittimo il silenzio dell�Amministrazione, 
e ci� anche in considerazione dell�impossibilit� per il giudice del 
silenzio di accertare la fondatezza della pretesa alla luce della natura largamente 
discrezionale dell�attivit� richiesta all�Amministrazione in materia. 
La scelta di ripianificare rientra nella sfera strettamente politica e, quindi, 
attiene alla selezione degli interessi per il perseguimento dell�interesse pubblico, 
al principio di rappresentativit� e non pu� essere assunta dall�autorit� 
giudiziaria, politicamente non responsabile: sarebbe, infatti, illogico che 
l�ordinamento consentisse al giudice, che difetta di rappresentativit�, di 
sostituire la propria volont� a quella dell�amministrazione. Muovendo da 
queste premesse � ragionevole ritenere che l�impugnazione del silenzio-ina


(73) Nel senso dell�ammissibilit� del sindacato sulla fondatezza della pretesa nei soli 
casi di attivit� vincolata ovvero nell�ipotesi di fondatezza o infondatezza manifesta della 
pretesa sostanziale, si vedano, ancora, solo tra le pi� recenti: T.A.R. Toscana, sez. III, 23 
gennaio 2008, n. 36; T.A.R Lazio, Roma, sez. II, 15 novembre 2007, n. 11253; Cons. St., 
sez. IV, 10 ottobre 2007, n. 5311; T.A.R. Umbria, 26 luglio 2007, n. 580; T.A.R. Puglia, 
Bari, sez. II bis, 14 settembre 2007, n. 8953; Id. 12 settembre 2007, n. 2127; T.A.R. 
Campania, Napoli, sez. V, 31 maggio 2007, n. 5863; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 16 marzo 
2007, n. 744; T.A.R. Lazio, sez. I bis, 24 gennaio 2007, n. 473; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 10 
gennaio 2007, n. 45 (tutte in www.giustizia-amministrativa.it). 

DOTTRINA 335 

dempimento formatosi sulla richiesta del privato di una nuova determinazione 
sulla destinazione urbanistica, non pu� che determinare, alla luce dei 
pi� recenti orientamenti giurisprudenziali anche successivi alla riforma del 
2005, l�accertamento dell�obbligo dell�amministrazione di dettare una 
nuova disciplina urbanistica: in tal senso, si esclude che il G.A. possa sindacare 
la fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente e pronunciarsi 
in modo satisfattivo rispetto all�interesse, in concreto, fatto valere, qualora 
trattasi di attivit� connotata da margini di discrezionalit� amministrativa. In 
altri termini, non potr� il G.A., adito in sede di silenzio avverso il silenziorifiuto 
dell�amministrazione di procedere alla ripianificazione dell�area, 
accogliere la domanda volta ad ottenere un ordine atto a vincolare, nei contenuti, 
l�azione amministrativa (enunciando l�obbligo di imprimere all�area 
una determinata destinazione), giacch�, laddove l�attivit� dovuta sia subordinata 
alla verifica di determinati presupposti e per giunta contrassegnata � 
come nella specie � da un elevato tasso di discrezionalit� amministrativa, 
non pu� ritenersi consentito al giudice, in fase cognitoria, imporre all�amministrazione 
il contenuto di un provvedimento, ovvero di sostituirsi ad 
essa nel provvedere (74). 

Ed allora non paiono sussistere dubbi in ordine alla tenuta delle conclusioni 
alle quali si era giunti in precedenza in ordine all�ammissibilit� di 
un�autonoma domanda risarcitoria �pura�, che prescinda dall�accertamento 
dell�illegittimit� dell�inerzia all�esito dell�attivazione della tutela speciale ex 
art. 21 bis, posto che l�elemento causativo del danno � da rinvenirsi non gi� 
in un provvedimento annullato in sede giurisdizionale perch� illegittimo ma 
in un comportamento inerte dell�Amministrazione. 

Anche nella fattispecie in esame � dato al giudice del risarcimento accertare 
l�illegittimit� dell�inerzia della P.A. senza che tale esame costituisca elusione 
del termine decadenziale di impugnazione di provvedimenti n� disapplicazione 
di atti amministrativi. 

Pu�, al riguardo, richiamarsi quanto osservato in ordine alla natura dell�inerzia, 
che costituisce, come detto, una fattispecie di inadempimento che 
si forma con il mero decorso del termine di conclusione del procedimento, 
in relazione alla quale non risulta pi� necessaria alcuna diffida a provvedere, 
tanto pi� ove si consideri che la giurisprudenza ha di recente precisato che 
l�obbligo di ripianificazione dell�area a seguito della decadenza quinquennale 
dei vincoli va ricondotto agli adempimenti attivabili d�ufficio, in quanto 
imposto dai principi generali che presiedono all�esercizio dell�azione amministrativa, 
sicch� non occorre alcun atto formale dell�interessato, essendo 
sufficiente una mera diffida che faccia constare l�illegittimit� dell�omissione 
(75). La violazione del termine per provvedere alla ripianificazione dell�area 

(74) T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 6 marzo 2006, n. 581, in www.giustizia-amministrativa.
it. 
(75) Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6741, cit. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

(76) connoter� in termini di illegittimit� il comportamento (omissivo) dell�amministrazione. 
Sicch�, anche in questo, varrebbe unicamente ad aggravare 
la posizione del privato costringerlo ad attivare il rimedio di cui all�art. 
21 bis, il cui esito altro non sarebbe che quello di dichiarare l�obbligo dell�amministrazione 
� gi� sussistente ex lege � di provvedere a ripianificare 
l�area, non potendo il giudice esaminare la fondatezza dell�istanza, in considerazione 
della natura ampiamente discrezionale del potere di riapianificazione 
urbanistica. Sar�, allora, il giudice del risarcimento che, autonomamente 
e direttamente, accerter�, in via incidentale e secondo lo schema della 
pregiudizialit� in senso logico, la violazione dell�obbligo di provvedere e, in 
via principale, la meritevolezza della pretesa, ossia la spettanza del bene 
della vita, che, secondo il noto orientamento della giurisprudenza amministrativa, 
consente il passaggio a riparazioni per equivalente (77). �, quindi, 
il giudice, adito in sede risarcitoria, a dover effettuare un giudizio prognostico 
sulla spettanza del titolo, ai soli fini del risarcimento, essendo, comunque, 
impedito al giudice del silenzio l�accertamento della fondatezza dell�istanza. 
Ragionando diversamente, la rigorosa subordinazione dell�azione risarcitoria 
a quella di accertamento dell�illegittimit� della condotta omissiva dell�amministrazione 
rischia di trasformarsi in una sorta di non liquet da parte 
del giudice amministrativo, il quale non riuscendo a ravvisare nella decisione 
resa ai sensi dell�art. 21 bis, legge T.A.R. alcun accertamento in ordine 
alla spettanza del bene della vita (rectius: sulla fondatezza della pretesa), non 
potrebbe (mai) pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, rinviandone l�esame 
all�esito del riesercizio del potere amministrativo da parte della P.A.(78). 
Tuttavia, si � ben consapevoli che la tesi proposta risulta eversiva e 
distonica rispetto all�attuale assetto della giurisprudenza, preoccupata di 
evitare che il giudice amministrativo finisca per sindacare, in sede risarcitoria, 
l�esercizio della discrezionalit�. � ovvio intendere, infatti, che ove si 
consentisse, nel caso in esame, al privato di proporre fruttuosamente l�azione 
risarcitoria senza previa attivazione del rito ex art. 21 bis, legge T.A.R., 
il giudice amministrativo finirebbe per dover verificare la spettanza del 
bene della vita, in relazione ad attivit� connotata da alto tasso di discrezionalit� 
(ad esempio, quello costituito dalle aspettative edificatorie legate alla 
valutazione dell�ente locale di procedere all�attivit� di ripianificazione). Vi 
sarebbe il rischio che il giudice si sostituisca all�amministrazione, sia pure 
in modo virtuale e nella sola prospettiva risarcitoria, rischio che diventa 

(76) Tale termine, laddove non sia fissato dalla legislazione regionale (� il caso, ad 
esempio, della Lombardia: art. 7, l. reg. 11 marzo 2005, n. 12; del Lazio: art. 50, l. reg. 22 
dicembre 1989, n. 38; della Sicilia: art. 27, l. reg. 27 dicembre 1978, n. 71), ovvero per effetto 
di un provvedimento di auto-organizzazione comunale, � quello ordinario di novanta 
giorni, di cui all�art. 2, l. n. 241 del 1990 nuova formulazione. 
(77) Cons. St., ad. pl., 15 settembre 2005, n. 7, cit. 
(78) In tal senso, con riferimento alla pregiudiziale di annullamento, si esprime 
GISONDI, op. cit. 

DOTTRINA 337 

tanto pi� consistente quanto pi� sono intensi i margini di valutazione rimessi 
alla seconda nel riconoscere al privato, asseritamente leso, il bene della 
vita (79). Evenienza questa che viene individuata in quelle ipotesi in cui l�attivit� 
dell�amministrazione sia connotata da margini di discrezionalit� amministrativa 
pura, anzich� solo tecnica: in questa ipotesi si prospetta il rischio 
di un�ingerenza del giudice � chiamato a formulare il giudizio prognostico 
sulla spettanza del bene non ottenuto con la determinazione illegittima ed 
annullata � nella sfera davvero esclusiva dell�amministrazione, quella afferente 
il merito amministrativo e le valutazioni di pura opportunit� e convenienza 
alla stessa spettanti nella prospettiva dell�ottimale perseguimento dell�interesse 
pubblico. In questi casi, connotati dalla persistenza in capo 
all�amministrazione di significativi spazi di discrezionalit� amministrativa 
pura, si esclude che il giudice possa indagare sulla spettanza del bene della 
vita, ammettendo il risarcimento solo dopo e a condizione che 
l�Amministrazione, riesercitato il proprio potere, abbia riconosciuto all�istante 
il bene stesso: nel qual caso, il danno ristorabile non potr� che ridursi 
al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento di quel bene. 
Con riferimento al mancato esercizio del potere discrezionale, non sarebbe, 
quindi, neppure concepibile � per la valutazione di una domanda risarcitoria 

� una indagine prognostica su quanto, in ordine all�istanza, l�amministrazione 
potrebbe decidere tra pi� possibili soluzioni conformi all�ordinamento.
� ben evidente come alla base di tale impostazione conservatrice si 
ponga la preoccupazione che, per effetto dell�abbandono della pregiudiziale, 
il giudice finisca per sindacare, con riferimento al silenzio-inadempimento, 
l�esercizio della discrezionalit�; il che, sostanzialmente, conduce a negare 
sempre e comunque la sussistenza di un danno risarcibile in tutti i casi in cui 
l�interesse legittimo pretensivo attenga all�esercizio di un potere amministrativo 
discrezionale, ammettendosi il risarcimento esclusivamente in relazione 
all�esercizio del potere vincolato �ampliativo� del patrimonio del privato. 
Ma se cos� �, le ragioni che conducono a negare il sindacato del giudice a 
fronte del potere discrezionale non esercitato (comportamento omissivo) 
sono le stesse addotte dalla giurisprudenza a sostegno dell�impossibilit� di 
sindacare l�esercizio illegittimo del potere (provvedimento espresso). 
Sicch�, alcuna differenza tra il non esercitare un potere ovvero il suo tardivo 
esercizio, che costituiscono comportamenti, ed il provvedere espressamente.
� questa, in sostanza, la conseguenza alla quale conduce l�adesione alla tesi 
dell�Adunanza Plenaria n. 7 del 2005, secondo cui il danno da omissione 
provvedimentale presuppone la spettanza del bene della vita per la cui realizzazione 
� necessaria l�emanazione dell�atto richiesto; pertanto, anche nel 
caso di condotta omissiva il divieto di sindacato incidentale sull�esercizio del 

(79) In questi termini, da ultimo, Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248, cit.; in 
precedenza, Cons. St., sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945, in Riv. giur. edilizia, 2003, I, 1009, 
1547. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

potere finirebbe per rispondere alle medesime finalit� riscontrate nell�ipotesi 
di attivit� (positiva) amministrativa illegittima. 

Tuttavia, muovendo da una diversa prospettiva, i noti problemi relativi 
alla formulabilit� del giudizio prognostico sul normale e prevedibile sbocco 
del procedimento e sulla spettanza del bene della vita (da affrontare diversamente 
a seconda della natura vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale 
in senso classico dell�attivit� amministrativa) non conducono all�inammissibilit� 
dell�autonoma domanda risarcitoria, che andrebbe comunque ritenuta 
proponibile, ma incidono sul diverso piano della sua fondatezza e del 
quantum del risarcimento. L�omessa attivazione della tutela specifica avverso 
il silenzio rilever� nella prospettiva della reiezione di domande risarcitorie 
relative a danni che tale ricorso, con l�effetto coattivo sulla P.A. ad esso 
conseguente, avrebbe verosimilmente consentito di evitare o limitare. 

Infine, non sembra ragionevole precludere al cittadino la possibilit� di 
proporre autonoma azione risarcitoria, onde ottenere il risarcimento del 
danno per equivalente monetario correlato all�inerzia dell�amministrazione, 
laddove la diretta attuazione del rapporto di diritto pubblico non sia pi� utile 
per il cittadino, oppure quando l�adozione tardiva del provvedimento non 
copra tutti i danni dallo stesso subiti medio tempore. 

8. Termine prescrizionale dell�azione di risarcimento dei danni conseguenti 
a ritardo o inerzia. 
Escluso che l�azione risarcitoria per danno da silenzio e da ritardo debba 
essere soggetta al preventivo annullamento di alcun atto e, quindi, al preventivo 
ricorso contro il silenzio, resta il problema di individuare il momento a 
partire dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione per l�azione di 
risarcimento, nella consapevolezza che il giudice amministrativo adito per il 
risarcimento debba, preventivamente, valutare l�effettiva inerzia della P.A. 
(ossia la sussistenza dell�obbligo di provvedere e la condotta inadempiente 
dell�amministrazione). La questione cruciale, a questo punto, diventa quella 
relativa all�individuazione del momento a partire dal quale si deve calcolare 
il danno da ritardo. Detto in altri termini: quando comincia a decorrere il termine 
di prescrizione per l�azione di risarcimento dei danni conseguenti al 
ritardo o all�inerzia? E quindi: a partire da quale momento si ha danno da 
ritardo risarcibile? 

Come detto, secondo l�impostazione dell�Adunanza Plenaria, �il danno 
da ritardo non � risarcibile di per s�, con la conseguenza che danno da ritardo 
risarcibile ex art. 2043 c.c. pu� essere solo quello che determina una lesione 
dell�aspettativa dell�interesse legittimo al rilascio di provvedimento favorevole 
e non gi� il danno da mero inadempimento dell�obbligo di provvedere. 
In quest�ottica, poi, ritenere che il ritardo nell�emanazione di un atto sia risarcibile 
comporta conoscere il momento in cui l�atto doveva essere emanato. 

La ratio di siffatto ragionamento pu� essere ravvisata nella necessit� di 
collegare il risarcimento al pregiudizio che il privato ha subito per effetto del 
ritardo con cui l�amministrazione ha emanato l�atto (secondo il paradigma 
della responsabilit� aquiliana). Ci� significa che il problema dell�individua



DOTTRINA 339 

zione del momento a partire dal quale si configura il danno da ritardo presuppone, 
in realt�, una diversa soluzione a seconda che si acceda alla natura 
paritaria o autoritativa del rapporto tra amministrazione e cittadino ovverosia 
che si accolga la tesi che qualifica come contrattuale o extracontrattuale 
(aquiliana) la natura della responsabilit� dell�amministrazione per lesione di 
interessi legittimi. 

Infatti, nell�ipotesi tradizionale per la quale l�amministrazione risponde 
del danno da ritardo a titolo di responsabilit� extracontrattuale, il termine di 
prescrizione � quinquennale, ma tale termine comincer� a decorrere a partire 
dal momento in cui il privato effettivamente abbia subito un pregiudizio acausa del ritardo o dell�inerzia della P.A. � possibile, cio�, che nel momento 
in cui spira il termine dell�amministrazione a provvedere, il privato ancora 
non abbia subito alcun danno, e pertanto non � a partire da tale evento che 
pu� essere calcolato il decorso del tempo per l�instaurazione del giudizio 
risarcitorio. Il danno da fatto illecito, come conseguenza immediata e diretta 
del comportamento omissivo dell�amministrazione, pu� verificarsi anche 
a distanza di tempo, rispetto al decorso del termine per provvedere che la 
legge n. 241/1990 impone all�amministrazione, e pu� essere dovuto proprio 
al prolungato ritardo con cui l�amministrazione svolge la propria azione (c.d. 
inerzia perdurante). Ovviamente, incombe sul privato che instaura il giudizio 
risarcitorio la prova del pregiudizio subito e del tempo in cui tale pregiudizio 
sia stato prodotto. Proprio per questa ragione, tende a prevalere in giurisprudenza 
la tesi che configura il ritardo illegittimo dell�amministrazione 
nel provvedere sull�istanza del privato come illecito permanente che cessa 
solo al momento dell�adozione dell�atto che definisce il procedimento e pone 
fine all�inadempimento dell�obbligo di conclusione del procedimento imposto 
dall�art. 2, legge n. 241 del 1990. Ne consegue che il termine di prescrizione 
della conseguente pretesa risarcitoria comincia a decorrere solo dal 
momento della cessazione dell�illecito (80). 

Viceversa, nel caso in cui si accolga la tesi che individua nel rapporto tra 
amministrazione e cittadino un vincolo obbligatorio (c.d. contatto amministrativo 
qualificato), l�inerzia dell�amministrazione costituisce un�ipotesi di 
inadempimento del vincolo (ovvero di ritardo nell�adempimento): in questo 
caso a decorrere dal momento in cui spira per l�amministrazione il termine 
per provvedere, essa � �inadempiente�. Ma � evidente che in questa ipotesi 
la stessa P.A. risponde del ritardo (o del radicale inadempimento) a titolo di 
responsabilit� contrattuale, sicch� trova applicazione il principio dell�inversione 
dell�onere della prova, di cui all�art. 1218 c.c., con la conseguenza che 
sar� l�amministrazione a dover provare che il ritardo � dovuto a causa ad essa 
non imputabile: la prova che il privato danneggiato deve fornire attiene alla 

(80) In tal senso, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 8 novembre 2005, n. 18675, in Foro 
amm. T.A.R., 2005, 11, 3695. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

misura del risarcimento, alla sua quantificazione in termini monetari, ma non 
al nesso di causalit� tra condotta omissiva dell�amministrazione e pregiudizio 
subito, poich� esso, in caso di responsabilit� contrattuale, � in re ipsa. 
Infine, il termine di prescrizione secondo questa ricostruzione comincia a 
decorrere dallo spirare del termine assegnato all�amministrazione per provvedere 
ed � (quello ordinario) decennale (81). 

(81) In senso opposto si � espressa, anche di recente, la giurisprudenza, secondo cui il 
termine di prescrizione della domanda risarcitoria � quinquennale ed inizia a decorrere da 
quando matura il silenzio-inadempimento: Cons. St., sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908, in 
www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. VI, 14 maggio 2004, n. 5995, cit., ove si 
sostiene, da un lato, che la responsabilit� dell�amministrazione per danno da ritardo va 
ricondotta al paradigma della responsabilit� aquiliana, dall�altro lato, si osserva che il termine 
di prescrizione del giudizio risarcitorio va collegato allo spirare del termine per provvedere, 
che segna l�inizio del fatto illecito generatore del danno. 

DOTTRINA 341 

Per una lettura critica e costituzionalmente 
orientata della recente disciplina riguardante
la revoca degli �atti amministrativi 
che incidono su rapporti negoziali�(*) 


di Arianna Scacchi(**) 

SOMMARIO: 1.� Il potere di autotutela della P.A. 2.- La responsabilit� da atto lecito 
della P.A. ed il conseguente diritto all�indennizzo. 3.- La responsabilit� precontrattuale 
della P.A. 4.- La disciplina normativa prevista dall�art. 21 nonies della legge 241 del 1990 
in materia di annullamento d�ufficio. 5.- La risoluzione degli accordi ex art. 11 della legge 
241 del 1990. 6.- La riduzione dell�indennizzo conseguente alla �conoscenza o conoscibilit� 
da parte del privato della contrariet� dell�atto all�interesse pubblico. 7.- La riduzione 
dell�indennizzo per concorso colposo del privato. 8.- La riduzione dell�indennizzo per concorso 
di soggetti diversi dal danneggiato. 9.- La �dubbia� costituzionalit� del nuovo 
comma 1 bis dell�art. 21 quinquies della legge 241 del 1990. 

1. Il potere di autotutela della P.A. 
L�art. 12, comma 4, del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, contenente 
�Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, 
lo sviluppo di attivit� economiche e la nascita di nuove imprese� � 
successivamente confermato dall�articolo 13, comma 8 duedecies della 
legge di conversione n. 40 del 2007 � ha introdotto talune importanti novit� 
in merito alla revoca dei provvedimenti amministrativi da parte della P.A . 

In particolare, mediante l�aggiunta di un nuovo comma 1 bis al precedente 
art. 21 quinquies della legge generale sul procedimento amministrativo 
n. 241 del 1990 � stato espressamente previsto che �Ove la revoca di un 
atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti 
negoziali, l�indennizzo liquidato dall�amministrazione agli interessati � 
parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell�eventuale conoscenza 
o conoscibilit� da parte dei contraenti della contrariet� dell�atto 
amministrativo oggetto di revoca all�interesse pubblico, sia dell�eventuale 
concorso dei contraenti o di altri soggetti all�erronea valutazione della compatibilit� 
di tale atto con l�interesse pubblico�. 

Prima di procedere all�esame della nuova previsione normativa, appaiono 
necessarie alcune brevi premesse. 

(*)Il presente lavoro, che si pubblica per l�interesse e l�originalit� del raccordo tra 
l�esercizio del potere di revoca da parte della P.A. e le regole civilistiche e comunitarie, 
giunge a conclusioni non del tutto condivise dalla direzione della Rassegna (G.F.). 

(**) Ricercatore dell�Universit� di Roma �Tor Vergata�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La facolt� di revoca degli atti amministrativi � elaborata dalla prevalente 
dottrina (1), pur in assenza di espresse previsioni normative al riguardo e codificata 
dal legislatore italiano soltanto con la legge n. 15 del 2005 (che ha 
aggiunto alla legge n. 241 del 1990 l�art. 21 quinquies) � da sempre stata considerata 
quale tipica manifestazione del cd. �potere di autotutela� della P.A. 

Stando alla definizione tradizionalmente accolta in dottrina (2) l�autotutela 
amministrativa consiste in �quella parte di attivit� amministrativa con 
la quale la stessa pubblica amministrazione provvede a risolvere i conflitti, 
potenziali o attuali, insorgenti con gli altri soggetti, in relazione ai suoi 
provvedimenti od alle sue pretese�. 

Essa si risolve, pertanto, nella possibilit� riconosciuta dalla legge all�amministrazione 
di �farsi ragione da s�, vale a dire di realizzare coattivamente 
i propri interessi, mediante i mezzi amministrativi a sua disposizione, 
salvo ogni sindacato giurisdizionale. 

L�autotutela in senso stretto si distingue, tra l�altro, dall�autodichia, consistente 
nell�esercizio di attivit� formalmente giurisdizionale da parte dell�amministrazione, 
in quanto attivit� non obiettiva e neutrale, ma tesa al perseguimento 
di un interesse della P.A. parziale e soggettivo. 

La tesi attualmente prevalente (3) riconduce sotto l�egida definitoria di 
�autotutela amministrativa� sia l�attivit� provvedimentale che si esplica 
mediante atti tipici (c.d. �autotutela decisoria�), sia l�attivit� di esecuzione 
non povvedimentale (c.d. �autotutela esecutiva�). 

L� �autotutela decisoria� � a sua volta distinguibile in autotutela �sugli 
atti� ed autotutela �sui rapporti�; la prima si esplica in ordine alla validit� 
degli atti e comprende sia la cd. �autotutela diretta o non contenziosa� in cui 
l�amministrazione esercita i suoi poteri spontaneamente oppure in adempimento 
di un preciso dovere, sia la cd. �autotutela indiretta o contenziosa� 
dove il potere della P.A. si fonda sull�azione, o ricorso, dell�interessato, assumendo 
una connotazione fortemente giurisdizionale, anche se la controversia 
in tal caso si conclude con un atto che tende a soddisfare non soltanto 
l�interesse del privato ricorrente ma, altres�, seppur indirettamente, l�interesse 
pubblico dell�amministrazione. 

L��autotutela esecutiva� riguarda, invece, comportamenti tenuti da soggetti 
in rapporto giuridico con l�amministrazione, che non appaiono conformi 

(1) In merito all�istituto della revoca si citano, tra gli altri: RAGGI, La revocabilit� degli 
atti amministrativi, in Riv. dir. pubbl., 1917, 217; RESTA, La revoca degli atti amministrativi, 
Milano, 1935; ALESSI, La revoca degli atti amministrativi, Milano, 1942; PAPARELLA, 
Revoca, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 204; CORPACI, Revoca e abrogazione del provvedimento 
amministrativo, in Dig. disc. pubbl., XIII, Torino 1996, 324; FERRARI, Revoca nel 
diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., XIII, Torino 1996, 335; IMMORDINO, Revoca 
degli atti amministrativi e tutela dell�affidamento, Torino, 1999. 
(2) BENVENUTI , Voce Autotutela (dir. amm.), in Enc.dir., vol. IV, Milano, 1959, 537. 
(3) BENVENUTI, Voce �Autotutela�, cit. 538; SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo,
1989, 196; CASSESE, Diritto amministrativo, Milano, 2000, 829. 

DOTTRINA 343 

a pretese della P.A. (fondate su norme di legge o su precedenti atti amministrativi) 
e si esplica in decisioni di condanna o mediante l�applicazione di sanzioni 
al fine comune di garantire l�oggetto e l�utilit� del rapporto medesimo. 

Si parla, infine, di una cd. �autotutela legata� con riferimento agli accordi 
stipulati dalla P.A. con i privati, ai quali � secondo una parte della dottrina 
(4) � sarebbero applicabili soltanto i procedimenti di revisione, vale a dire 
quelli che incidono sull�efficacia dell�atto, ma non anche i procedimenti di 
riesame. Un�ipotesi di �autotutela legata� � attualmente prevista dalla legge 
241 del 1990 con specifico riferimento agli accordi stipulati ai sensi dell�art. 
11, ove il potere di recesso unilaterale della P.A. � esercitabile soltanto con 
l�osservanza di due condizioni: 1) la sopravvenienza di motivi di pubblico 
interesse; 2) l�obbligo di liquidare un indennizzo in relazione agli eventuali 
pregiudizi verificatisi in danno del privato. 

Autorevole dottrina (5) limita, in realt�, il concetto di autotutela amministrativa 
alla sola autotutela esecutiva, preferendo parlare con riferimento 
alle decisioni di autotutela decisoria sugli atti, di procedimenti di secondo 
grado (6), ovvero di procedimenti di riesame, di revisione e di regolarizzazione, 
aventi ad oggetto un provvedimento precedentemente adottato dallo 
stesso organo di controllo, ovvero da un organo gerarchicamente inferiore 
ma, comunque nell�esercizio delle medesime funzioni amministrative, e 
finalizzati rispettivamente ad eliminare vizi di legittimit� i primi (annullamento), 
vizi di opportunit� i secondi (revoca) e la mancanza di atti strumentali 
o della necessaria documentazione gli ultimi. 

Conformemente alla prevalente dottrina, anche l�orientamento della giurisprudenza 
amministrativa � da tempo pacifico nel riconoscere un generale 
�potere di revoca� degli atti amministrativi da parte della P.A., richiamando 
a fondamento di tale conclusione, una prerogativa dell�amministrazione funzionale 
alla tutela degli interessi pubblici di cui la stessa � affidataria. 

In particolare, partendo dalla tradizionale definizione di �autotutela� 
quale potest� attribuita dall�ordinamento alla P.A., in funzione essenzialmente 
strumentale rispetto alla realizzazione dei suoi fini istituzionali, se ne fa 
discendere il riconoscimento di un generale �potere di ritiro� dei provvedimenti 
amministrativi, precedentemente adottati, qualora gli stessi risultano 
essere inficiati da vizi di legittimit� o di merito (7). 

(4) GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, 549 ss. e CERULLI IRELLI, 
Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997, 586 ss. e 637 ss. 
(5) GIANNINI, in Diritto amministrativo, cit., 549, che espressamente afferma �l�autotutela 
� il nome di una potest� a s� stante, che � attribuita all�amministrazione per realizzare 
l�interesse pubblico cos� come reso concreto nel provvedimento, e che si esercita per 
atto volontario, se e in quanto l�amministrazione ritenga di doverla esercitare;l�amministrazione, 
in altre parole, sapendo che il provvedimento imperativo ha comunque prodotto 
il suo effetto, pu� fermarsi qui attendendo gli eventi, ma pu� decidere di andare oltre,esercitando 
la potest� di autotutela e ponendo il provvedimento in esecuzione� 
(6) GIANNINI, I procedimenti amministrativi, Milano, 1969. 
(7) In particolare, in merito alla distinzione tra annullamento di atti amministrativi illegittimi, 
revoca degli atti divenuti inopportuni o non pi� rispondenti all�interesse pubblico 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Mentre l�annullamento d�ufficio, frutto anch�esso dell�elaborazione dottrinale 
e giurisprudenziale, si traduce in un ritiro discrezionale, con efficacia 
retroattiva di un provvedimento ab origine illegittimo, sul presupposto dell�esistenza 
di un concreto interesse pubblico alla sua caducazione, che non 
pu� semplicemente coincidere con l�esigenza di ripristino della legalit� violata 
attraverso il provvedimento viziato; la revoca viene, al contrario, identificata 
con il provvedimento mediante il quale la P.A., per motivi di opportunit�, 
fa cessare, con efficacia ex nunc, gli effetti di un precedente atto amministrativo, 
a seguito di nuove circostanze (cd. sopravvenienze) che rendono 
ex post inopportuno un provvedimento originariamente adeguato e conforme 
all�interesse pubblico sotteso al potere esercitato. 

Con specifico riferimento ai provvedimenti amministrativi �connessi� 
con atti di natura negoziale stipulati tra il privato e la P.A., dottrina e giurisprudenza 
concordano nel ritenere che il suddetto potere di autotutela possa 
essere esercitato anche a seguito della sopravvenuta aggiudicazione del contratto, 
mentre discusso � l�esercizio di un siffatto potere nel caso in cui si sia 
gi� addivenuti alla sua stipulazione. 

Ci� in quanto, stando ad una tesi di natura essenzialmente privatistica, la 
stipulazione comporterebbe la nascita di un correlativo diritto soggettivo in 
capo al privato che impedirebbe di rimuovere in sede di autotutela i provvedimenti 
presupposti alla stipulazione del contratto (8). Di conseguenza 
all�amministrazione sarebbe consentito agire soltanto attraverso le vie precostituite 
dal sistema civilistico, vale a dire chiedendo l�annullamento dell�atto 
negoziale in forza dell�eventuale vizio del procedimento di formazione di 
volont� dell�amministrazione. 

Il prevalente orientamento giurisprudenziale ritiene che il potere di autotutela 
della P.A. � un potere di carattere generale, ed in quanto tale non � 
suscettibile di subire limiti assoluti, n� ratione temporis, n� per la sopravvenienza 
di un diritto soggettivo derivato dalla stipulazione di un atto di natura 
essenzialmente privata (9). 

Qualora il contratto sia gi� stato stipulato od anche parzialmente eseguito, 
l�esercizio del potere di autotutela deve, per�, essere esercitato nel rispetto 
di precisi e rigorosi parametri, in grado di evidenziare la sussistenza di un 
interesse pubblico tale da motivare la scelta compiuta dall�amministrazione. 

primario, rimozione (o abrogazione) per la sopravvenienza di circostanze di fatto o di diritto 
che rendono illegittima la permanenza di un provvedimento, mero ritiro di atti preparatori 
o non ancora resi esecutivi dall�autorit� di controllo: SANDULLI, Manuale di Diritto 
Amministrativo, cit., 718 ss.; CONTIERI, Il riesame del provvedimento amministrativo, 
Napoli, 1991; CAVALLO, Provvedimenti ed atti amministrativi, in Trattato di Diritto 
Amministrativo, Padova, 1993, 351 ss.; CERULLI IRELLI, Corso di diritto 
amministrativo,Torino, 2001, 660 ss. 

(8) CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2005, 2030 ss. 
(9) In dottrina sul punto, in particolare: GRECO, I contratti della P.A. tra pubblico e privato, 
Milano, 1986. 

DOTTRINA 345 

La prevalente giurisprudenza amministrativa (10) ritiene che in tali casi 
l�esercizio del potere di autotutela da parte della P.A. dovrebbe essere esercitato 
nel rispetto dei seguenti parametri: 1) obbligo di motivazione; 2) sussistenza 
di specifiche e concrete ragioni di interesse pubblico, non riconducibili 
alla mera esigenza di ripristino della legalit� violata mediante l�adozione 
del provvedimento successivamente annullato; 3) ragionevole arco di 
tempo trascorso dall�adozione del provvedimento annullato; 4) adeguata 
istruttoria; 5) rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale. 

La dottrina pi� recente ha, tuttavia, negato l�esistenza di un siffatto generale 
potere di revoca degli atti amministrativi da parte della P.A., valorizzando 
essenzialmente il concetto di �legittimo affidamento riposto dal cittadino 
nella validit� ed efficacia di un precedente provvedimento amministrativo a 
lui favorevole�. 

Per legittimo affidamento deve essenzialmente intendersi quella posizione 
soggettiva consolidatasi in capo ad un soggetto privato ogni qual volta 
una determinata situazione a lui favorevole viene ad assumere un grado di 
stabilit� nella sua sfera giuridica tale da poter far ragionevolmente presumere 
la sua effettiva realizzazione. 

Il principio del cd. �legittimo affidamento� quale tutela dell�interesse 
privato, nei termini sopra indicati, � stato introdotto e valorizzato nell�ambito 
della giurisprudenza comunitaria (11), la quale ha pi� volte ribadito che 
una determinata situazione di vantaggio � assicurata ad un privato da un atto 
specifico e concreto dell�autorit� amministrativa � non pu� essere da quest�ultima 
successivamente rimossa, se non previo indennizzo della posizione 
favorevole precedentemente acquisita. 

Facendo riferimento ai fondamentali principi di certezza del diritto e di 
stabilit� dei rapporti giuridici si � affermato che determinati atti dell�autorit� 
amministrativa, seppur illegittimi, non possono essere �rimossi�, in quanto 
il legittimo affidamento generato nei privati, non pu� essere sacrificato 
neppure in ragione di motivi di interesse pubblico. 

(10) Si vedano al riguardo: Cons. di Stato, sez. V, sent. n. 661 del 3 febbraio 2002, in 
Urbanistica e appalti, n. 4/2000; Cons. di Stato, sent. n. 1224 del 28 febbraio 2002, n. 1224. 
(11) Si veda, in materia di �Aiuto di Stato�, la pronuncia della II Sez. della Corte di 
Giustizia nelle cause riunite C-182/03 e C-217/03. 
Sui principi generali di diritto amministrativo comuni agli Stati membri e sulla costruzione 
di un diritto amministrativo europeo: AIROLDI, Lineamenti di diritto amministrativo 
comunitario, Milano, 1990; FALCON, Dal diritto amministrativo nazionale al diritto amministrativo 
comunitario, in Riv. it. dir. pub. com., 1991, 351; CASSESE, Il problema della convergenza 
dei diritti amministrativi: verso un modello amministrativo europeo?, in Riv. it. dir. 
pub. com., 1992, 23; FRANCHINI, Amministrazione italiana e amministrazione comunitaria, 
Padova 1992, 1-26; PICOZZA, Il regime giuridico del procedimento amministrativo comunitario, 
in Riv. it. dir. pub. com., 1994, 321; CASSESE, Diritto amministrativo comunitario e 
diritti amministrativi nazionali, in Trattato di diritto amministrativo europeo diretto da M. 
Chiti e G. Greco, Milano, 1997, 15; PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, 
II ed. Padova, 2005. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Le suddette argomentazioni sembrano essere state confermate a seguito 
dell�emanazione della legge n. 241 del 1990 e delle recenti modifiche ad essa 
apportate dalla legge n. 15 del 2005. 

Ci� in quanto, non soltanto l�attuale art. 1 della legge in questione 
espressamente richiama tra i principi dell�azione amministrativa anche quelli 
di diritto comunitario, ma la stessa legge nazionale ha ulteriormente rafforzato 
il legittimo affidamento del privato, attraverso la previsione di una sua 
attiva partecipazione al procedimento amministrativo volto all�adozione del 
provvedimento di cui lo stesso risulta essere destinatario (12). 

In particolare, il provvedimento amministrativo scaturito da una proficua 
�collaborazione� tra P.A. e destinatario determina in quest�ultimo una ragionevole 
aspettativa di stabilit� della decisione a lui favorevole assunta a 
seguito del procedimento. 

La maggiore stabilit� della determinazione amministrativa, dovuta all�espletamento 
di un�attenta e completa istruttoria, cui � chiamato ad intervenire 
attivamente lo stesso destinatario del provvedimento (nonch� eventuali 
contro-interessati) renderebbe, pertanto, ingiustificata nella maggior parte 
dei casi, una futura modificazione del provvedimento precedentemente 
emesso, con l�unica eccezione rappresentata dal sopravvenuto mutamento 
della situazione di fatto originariamente presupposta. 

Nonostante tali rilievi, posti in luce dalla dottrina pi� recente, le norme 
contenute nel nuovo art. 21 quinquies della legge 241 del 1990 si discostano 
parzialmente dalle suddette conclusioni cui era giunta anche la giurisprudenza 
maggioritaria. 

La nuova normativa sembra, infatti, riconoscere all�amministrazione 
un�illimitata potest� di revoca degli atti amministrativi, ivi compresi quelli che 
�incidono su connessi rapporti negoziali�. Su questi ultimi, in particolare, 
saranno incentrate le nostre brevi riflessioni, in virt� della peculiare incidenza 
della revoca dell�atto amministrativo su un connesso o conseguente �contratto� 
di natura privatistica, seppur stipulato da una pubblica amministrazione. 

(12) Si ricorda che uno dei principali obiettivi della n. 15 del 2005 consiste nell�effettiva 
attuazione del principio di trasparenza, precedentemente codificato dalla legge 241 del 
1990, inteso nella duplice accezione di rendere conoscibile all�esterno l�iter seguito dalla 
P.A. al fine dell�adozione del provvedimento, e di rendere, altres�, permeabile il processo 
decisionale pubblico al contributo ed alle istanze, e pi� in generale all�apporto collaborativo, 
dei privati. Ci�, al fine di pervenire ad un�amministrazione il pi� possibile concordata, 
e dunque condivisa, e di ridurre conseguentemente il contenzioso sul provvedimento. In 
quest�ottica, la legge 241, cos� come novellata dalla legge 15, disciplina al Capo III (artt. 713) 
la c.d. partecipazione del privato al procedimento amministrativo , prevedendo una serie 
di istituti diretti a dare effettiva attuazione a tale principio. Trattasi, in particolare: a) della 
comunicazione di avvio del procedimento (artt. 7 e 8); b) dei diritti di intervento e di partecipazione 
(artt. 9 e 10); c) della comunicazione dei motivi ostativi all�accoglimento dell�istanza 
(art. 10 bis); d) degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento (art. 11); e) 
della disciplina dei procedimenti relativi ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici 
(art. 12). 

DOTTRINA 347 

Nello specifico, il nuovo comma 1-bis dell�art. 21 quinquies prevede � 
nel caso in cui la revoca dell�atto amministrativo, incide su un rapporto di 
natura negoziale � il diritto in capo al soggetto danneggiato ad un indennizzo, 
il cui ammontare � commisurato al solo danno emergente e tiene, altres�, 
conto sia dell�eventuale conoscenza o conoscibilit� da parte dei contraenti 
della contrariet� dell�atto amministrativo revocato all�interesse pubblico, sia 
dell�eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all�erronea valutazione 
in cui � incorsa la P.A. in merito alla compatibilit� di tale atto con l�interesse 
pubblico. 

La disposizione completa la disciplina generale della revoca degli atti 
amministrativi, gi� introdotta dalla legge 15 del 2005 mediante la previsione 
dell�art. 21 quinquies della legge 241 del 1990, che al comma 1 espressamente 
stabilisce che �Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero 
nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell�interesse 
pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia 
durevole pu� essere revocato da parte dell�organo che lo ha emanato ovvero 
da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneit� 
del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta 
pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l�amministrazione 
ha l�obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia 
di determinazione e corresponsione dell�indennizzo sono attribuite alla giurisdizione 
del giudice amministrativo�. 

Mediante l�introduzione del nuovo comma il legislatore italiano ha, pertanto, 
esteso anche all�attivit� privatistica della P.A., la precedente previsione 
normativa inizialmente concernente la sola revoca degli atti amministrativi, 
prevedendo a carico delle amministrazioni pubbliche un semplice obbligo 
di �indennizzo� per il pregiudizio arrecato al soggetto interessato, limitato 
al solo danno emergente e per lo pi� ulteriormente riducibile nelle ipotesi 
specificamente previste dalla stessa norma. 

2. La responsabilit� da atto lecito dell�amministrazione ed il diritto all�indennizzo. 
I primi commenti (13) concernenti la disposizione in esame hanno incentrato 
l�attenzione prevalentemente sull�aspetto relativo alla quantificazione 
dell�indennizzo riconosciuto al privato, ritenendo condivisibile la scelta operata 
dal legislatore di limitarlo al solo danno emergente, venendo, in questo caso, 
in rilievo una cd. �responsabilit� da atto lecito dell�amministrazione (14)�. 

(13) GIOVAGNOLI, I criteri per la quantificazione dell�indennizzo in caso di revoca del 
provvedimento: le novit� del decreto Bersani, in Urbanistica ed appalti, n. 4 del 2007, 401 
e ss. 
(14) Sulla discussa nozione di �atto lecito dannoso�nell�ambito della dottrina civilistica: 
RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 205 che espressamente 
afferma� la categoria dell�atto lecito dannoso...� rigorosamente indotta dai dati di 
diritto positivo, di fronte alla impossibilit� di rinvenire in taluni casi un obbligo preesisten

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Si � evidenziato, in particolare, che il presupposto essenziale ai fini dell�applicazione 
della disciplina prevista dal comma 1 bis dell�art. 21 quinquies 
e della conseguente limitazione del pregiudizio subito dal privato al 
solo danno emergente, consiste nel fatto che il provvedimento di revoca dell�atto 
incidente su un connesso rapporto negoziale � stato legittimamente 
adottato dall�amministrazione interessata, nel rispetto dei presupposti e delle 
condizioni previste dalla stessa disposizione di legge. 

Conseguentemente, non � precluso al privato di ottenere il ristoro integrale 
del danno subito in conseguenza della revoca di un precedente atto 
amministrativo, nel caso in cui quest�ultima sia stata disposta in difformit� 
dei suddetti presupposti di legge e presenti caratteri di illegittimit�. 

In tal caso il privato dovr� dimostrare � anche in assenza di un previo 
giudizio di annullamento � l�illegittimit� della revoca e domandare non pi� 
il solo indennizzo (che presuppone un pregiudizio causato da un atto lecito), 
ma il risarcimento del danno subito in conseguenza del fatto illecito compiuto 
dall�amministrazione (15). 

te al risarcimento e violato con il contegno dannoso�; FRANZONI, L�illecito, in Trattato della 
responsabilit� civile, Milano, 2004, 1081 e ss.. Un esame critico della nozione � stato, tuttavia, 
svolto da: TORREGROSSA, Il problema della responsabilit� da atto lecito, Milano 1964 
e da TUCCI, La risarcibilit� del danno da atto lecito nel diritto civile, in Riv. dir. civ., 1967, 
I, 264, secondo il quale �anche negli atti leciti dannosi si pu� ritenere che sussista un danno 
ingiusto, volendo con ci� indicare che il danno si sostanzia nella lesione di un interesse del 
danneggiato tutelato dall�ordinamento giuridico.� 

(15) Deve, tra l�altro, evidenziarsi il contrasto attualmente esistente tra la giurisprudenza 
civile e quella amministrativa in merito alla cd. �pregiudiziale amministrativa�. 
Con sentenza n. 21850 del 17 ottobre 2007 la Cassazione ha ribadito quanto gi� affermato 
dalle Sezioni Unite nelle due celebri ordinanze del 13 giugno 2006, n. 13659, e n. 
13660, affermando che �al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti da lesione di 
interessi legittimi non � necessario il previo annullamento dell�atto illegittimo e dannoso 

(c.d. pregiudiziale amministrativa), essendo sufficiente l�accertamento della illegittimit� 
dell�atto stesso; opinare diversamente significherebbe restringere la tutela che spetta al privato 
di fronte alla pubblica amministrazione. L�accertamento della illegittimit� dell�atto 
non pu� perci� risultare precluso dalla inoppugnabilit� del provvedimento, n� il diritto al 
risarcimento pu� essere per s� disconosciuto da ci� che invece concorre a determinare il 
danno, ovverosia la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che 
la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimit�� 
Aggiungendo,inoltre, che �Il giudice, ai fini di accordare il risarcimento dei danni derivanti 
da lesione di interessi legittimi, seguendo lo schema normativo delineato dall�art. 2043 
c.c., deve: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se il danno sia qualificabile 
come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per 
l�ordinamento, che pu� essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto 
soggettivo assoluto o relativo, ovvero nelle forme dell�interesse legittimo o altro interesse 
(non elevato ad oggetto di immediata tutela ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso 
in considerazione dall�ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile 
a mero interesse di fatto); c) accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione 
dei noti criteri generali, se l�evento dannoso sia riferibile a una condotta (positiva o 
omissiva) della A�. Al contrario, la giurisprudenza amministrativa � ferma nel ritenere 

DOTTRINA 349 

Tali conclusioni non sembrano, a nostro modesto avviso, pienamente 
condivisibili per una serie di diverse argomentazioni. 

Innanzitutto, appare particolarmente difficile per il privato riuscire a 
dimostrare l�illegittimit� della revoca disposta dalla P.A., data l�ampia formulazione 
utilizzata dalla legge, la quale consente il �ritiro� di un provvedimento 
precedentemente adottato, non soltanto �per sopravvenuti motivi di 
interesse pubblico� o �di mutamento della situazione di fatto�, ovvero in 
presenza di �circostanze sopravvenute�, tali da richiedere necessariamente 
una nuova valutazione dell�interesse pubblico di cui l�amministrazione interessata 
� affidataria. 

La revoca pu� essere disposta anche nel caso di �nuova valutazione 
dell�interesse pubblico originario�, che non essendo dipesa da sopravvenuti 
motivi di interesse pubblico n� da sopravvenuti mutamenti della situazione 
di fatto � dovendosi, altrimenti, ritenere priva di autonoma valenza giuridica 
una siffatta previsione normativa � � presumibilmente dovuta ad 
un�erronea valutazione operata precedentemente dalla stessa amministrazione. 


Al riguardo, � opportuno ricordare come l�attuale orientamento della 
Corte di Giustizia europea esclude un potere di revoca da parte dell�amministrazione, 
nel caso in cui la medesima abbia commesso un errore di valutazione, 
ovvero abbia dato prova nel comportamento tenuto nei confronti dell�interessato 
di negligenza o di imprecisione. 

Pertanto, una tale interpretazione della disposizione in esame, in grado 
di legittimare il potere di revoca della P.A. anche nelle ipotesi di iniziale 
erronea valutazione dell�interesse pubblico di cui la stessa � affidataria, sembra 
porsi in aperto contrasto con l�attuale orientamento comunitario. 

necessaria la cd. �pregiudiziale� dell�annullamento del provvedimento lesivo rispetto al 
risarcimento del danno. L�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella recentissima pronuncia 
n. 12 del 22 ottobre 2007 ha, in particolare, ribadito che la necessit� di tale pregiudiziale 
trova fondamento nella �natura principalmente impugnatoria dell�azione innanzi al 
giudice amministrativo, cui spetta non solo di tutelare l�interesse privato ma di considerare 
e valutare gli interessi collettivi che con esso si confrontano e, non solo di annullare, 
bens� di �conformare� l�azione amministrativa affinch� si realizzi un soddisfacente e legittimo 
equilibrio tra l�uno e gli altri interessi. Queste essenziali circostanze, mentre si riflettono 
sui diversi caratteri del giudizio amministrativo rispetto a quello civile..., sembrano 
spiegare e giustificare e la priorit� dell�azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto � possibile 
e doveroso esercitare compiutamente l�anzidetto vaglio di legittimit� nonch� misurare 
spessore e valenza cos� della dedotta situazione soggettiva come della denunciata lesione, 
e la posta �consequenzialit�� rispetto ad essa, dell�azione risarcitoria�. 

Il Consiglio di Stato ha, inoltre, posto a fondamento della necessit� della pregiudiziale 
l�espressa formulazione dell�art. 7 della legge T.A.R. che qualifica l�azione risarcitoria, 
come �consequenziale� all�azione costitutiva di legittimit�. Ma tale conclusione si presta a 
taluni rilievi critici in quanto sembra confondere l�effetto con la causa e ritiene che le azioni 
risarcitorie consequenziali regolate dall�art. 7 cit. siano solo quelle che riguardano la 
lesione di un interesse legittimo (sul punto VOLPE Pregiudiziale amministrativa e sacrifici 
concettuali del giudice amministrativo in www.lexitalia.it ). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

A ci� deve aggiungersi che un potere di revoca connesso ad una semplice 
�nuova valutazione dell�interesse pubblico originario� comporta una 
discrezionalit� per l�amministrazione talmente ampia, da dover essere � 
secondo quanto rilevato da autorevole dottrina (16) � �attentamente controllata, 
caso per caso, nel suo corretto esercizio�. 

In presenza di un�espressa motivazione del provvedimento di revoca da 
parte della P.A., la quale sostenga che la nuova valutazione dell�interesse originario 
si � resa necessaria in virt� di un�erronea valutazione iniziale dovuta 
essenzialmente a fattori estranei e ad essa non imputabili, diventa estremamente 
difficile per il privato fornire la prova dell�illegittimit� della revoca. 

Ci� in quanto egli non possiede di fatto gli elementi necessari per poter 
sindacare l�opportunit� e la correttezza delle scelte operate dall�amministrazione, 
soprattutto nei casi in cui quest�ultime risultano essere frutto della 
ponderazione di una serie di interessi pubblici e privati di cui solo la P.A. 
interessata � depositaria. 

La tesi che ritiene giustificabile la quantificazione dell�indennizzo nei 
termini di cui al nuovo comma dell�art. 21 quinquies in tutti i casi in cui la 
revoca sia stata legittimamente disposta, non sembra, inoltre, tenere in adeguata 
considerazione l�ulteriore circostanza in base alla quale la norma si 
riferisce letteralmente ai soli casi in cui �la revoca di un atto amministrativo... 
incida su rapporti negoziali � e non anche a quelli previsti nei commi 
precedenti in cui la revoca incide esclusivamente su rapporti di natura amministrativa 
. 

Al riguardo, � importante premettere che non risulta affatto facile procedere 
in concreto all�individuazione dei casi in cui la revoca di un provvedimento 
amministrativo � in grado di incidere su connessi o conseguenti �rapporti 
negoziali�. 

A nostro modesto avviso l�espressione sembra poter ricomprendere due 
diverse ipotesi. 

Per �rapporti negoziali� devono, innanzitutto, intendersi sia quelli derivanti 
da contratti che accedono ad un precedente provvedimento amministrativo 
(es. contratto stipulato a seguito di concessione amministrativa), sia 
quelli derivanti da contratti legati ad un precedente provvedimento da un 
nesso di necessaria presupposizione (es. contratto di appalto stipulato a 
seguito del provvedimento di aggiudicazione). 

Per �rapporti negoziali� potrebbero, tuttavia, intendersi anche tutti i rapporti 
derivanti da contratti �dipendenti� dalla situazione giuridica soggettiva 
assicurata dal provvedimento amministrativo revocato (es. il concessionario 
di un dato bene o servizio stipula con soggetti terzi successivi contratti che 
presuppongono l�esercizio del diritto costituito dal provvedimento amministrativo). 


(16) CERULLI IRELLI, Osservazione generali sulla legge di modifica della legge n. 241 
del 1990, in www. giust.amm.it. 

DOTTRINA 351 

In quest�ultimo caso la revoca del provvedimento amministrativo non 
esaurirebbe la sua efficacia nell�ambito dei rapporti tra la P.A. ed il privato 
destinatario dell�atto in questione, ma inciderebbe, altres�, su ulteriori, seppur 
connessi, rapporti contrattuali stipulati tra privati in conseguenza dell�acquisita 
situazione giuridica successivamente revocata, generando l�ulteriore 
problema relativo alla sorte di tali rapporti nonch� quello delle relative pretese 
indennitarie o risarcitorie spettanti eventualmente anche a tali successivi 
contraenti (17). 

Conviene, per ora, limitare l�analisi al caso pi� semplice in cui la revoca 
del provvedimento amministrativo incide su un solo conseguente contratto 
stipulato tra la P.A. ed il privato. 

Ci� premesso, si pu� ritenere che la limitazione dell�indennizzo al solo 
danno emergente, nonostante l�espresso riferimento della legge ai soli casi in 
cui � la revoca di un atto amministrativo... incida su rapporti negoziali�, 
valga, in realt�, in tutti i casi di revoca. Tale soluzione sembra potersi dedurre 
dal combinato disposto della norma in esame con il comma 1 dello stesso 
art. 21 quinquies della legge 241 del 1990, ai sensi del quale �l�indennizzo � 
dovuto ogni volta che la revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti 
direttamente interessati�. 

Se cos� non fosse, dovrebbe ipotizzarsi che, poich� il legislatore ha limitato 
la misura dell�indennizzo da corrispondere al privato soltanto con riferimento 
ai casi in cui la revoca dell�atto amministrativo incide su rapporti 
negoziali, in tutti gli altri casi in cui tale revoca incide solo su precedenti rapporti 
amministrativi, l�indennizzo pu� includere anche il lucro cessante. 

Ma tale interpretazione indurrebbe all�inaccettabile conclusione in base 
alla quale il legittimo affidamento riposto dal privato in merito alla validit� 
ed all�efficacia di un provvedimento amministrativo dal quale deriva una sua 
specifica �situazione di vantaggio�, risulterebbe maggiormente tutelato 
rispetto all�affidamento riposto dal privato-contraente in merito alla validit� 
ed all�efficacia di un contratto stipulato con la P.A., nonostante il suo assoggettamento 
alle norme e alla conseguente responsabilit� previste dal diritto 
privato. 

3. La responsabilit� precontrattuale della P.A. 
Stando a quanto espressamente previsto dall�art. 1 comma 1 bis della 
legge 241 del 1990 �La pubblica amministrazione, nell�adozione di atti di 
natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che 
la legge disponga diversamente�. 

Essa, qualora agisca iure privatorum deve ritenersi equiparata ad un 
qualsiasi contraente privato, conseguentemente tenuto all�osservanza dei 

(17) In tali casi il giudice civile ha sempre rivendicato il potere � nel giudicare le relative 
controversie tra privati � di disapplicare l�atto amministrativo �presupposto� ai sensi 
degli artt. 4 e 5 della legge 2248/ 1865. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

principi, delle regole e delle connesse responsabilit� previste dalla vigente 
normativa civilistica (18). 

In realt�, il fondamentale problema esegetico e dogmatico posto dall�art. 1 
della legge n. 241 del 1990 consiste proprio nell�accertare quale sia l�effettiva 
portata e l�ambito di applicazione di tale discussa disposizione normativa (19). 

Se con essa il legislatore avesse semplicemente inteso legittimare l�uso 
del diritto privato da parte della P.A. in tutti i casi in cui non si tratti di eser


(18) Al riguardo, deve comunque evidenziarsi che la Corte Costituzionale nel dichiarare, 
con la celebre sentenza n. 204/2004, l�illegittimit� costituzionale dell�art. 33, comma 
1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, nella parte in cui prevede che �sono devolute 
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia 
di pubblici servizi� anzich� le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni 
di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennit�, canoni ed altri corrispettivi, 
ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un 
pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7 
agosto 1990, ovvero ancora relative all�affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza 
e controllo nei confronti del gestore (cos� come era previsto dall�art. 33, comma 2, lettere 
c e d), ha effettuato talune importanti premesse, nelle quali sembra ribadire che la cura 
dell�interesse pubblico si attua prevalentemente attraverso l�adozione di atti di natura autoritativa. 
In particolare, la Corte ribadisce che la materia dei pubblici servizi pu� essere oggetto 
di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la P.A. agisce esercitando il 
suo potere autoritativo ovvero, attesa la facolt�, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti 
negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facolt� (la quale, tuttavia, 
presuppone l�esistenza del potere autoritativo). 

Gli stessi rilievi vengono effettuati nel dichiarare, altres�, l�illegittimit� costituzionale 
dell�art. 34 del D.Lgs. n. 80 del 1998, quale recata dall�art. 7, comma 1, lettera b), della 
legge n. 205 del 2000, nella parte in cui, comprende nella giurisdizione esclusiva � oltre �gli 
atti e i provvedimenti� attraverso i quali le pubbliche amministrazioni svolgono le loro funzioni 
pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia � anche �i comportamenti�, nei quali 
la pubblica amministrazione non esercita � nemmeno mediatamente, e cio� avvalendosi 
della facolt� di adottare strumenti intrinsecamente privatistici � alcun pubblico potere. 

(19) Sul punto tra gli altri: DE MARZO, Attivit� consensuale e attivit� autoritativa della 
a., in Urbanistica e Appalti, n. 4/2005, 382, parla di �portata assai residuale del comma 1bis 
dell�art. 1 della Legge 241/1990�; CARINGELLA, Profili generali della riforma, in 
Urbanistica e Appalti, n. 4/2005, 377, �la norma si limita a esternare un principio ormai 
assodato da circa un ventennio, ossia quello della generale capacit� negoziale della pubblica 
amministrazione e della soggezione dell�attivit� paritetica alle normali regole del 
diritto comune�. Secondo SATTA, La riforma della legge 241/90: dubbi e perplessit� in 
http://www.giustamm.it, �il comma 1-bis si presta a gravi equivoci� poich� la dizione 
secondo cui la a. �agisce secondo le norme del diritto privato� sarebbe molto pi� ampia 
della locuzione �utilizza gli strumenti del diritto privato� e consentirebbe di affermare che 
l�amministrazione sia svincolata dalla regola dell�interesse pubblico. Per TRAVI, La legge n. 
15/2005: verso un nuovo diritto amministrativo?, in Corriere Giuridico., 4/2005, 449, �non 
� chiaro quale potr� essere la portata pratica di questa disposizione�. 
Secondo GIACCHETTI, Giurisdizione amministrativa e legge n. 15/2005, cit., 395 ss., la 
norma avrebbe introdotto un�affermazione di principio di alto valore sistematico, vale a dire 
la sottoposizione dell�attivit� amministrativa non autoritativa da chiunque esercitata in regi



DOTTRINA 353 

citare un potere pubblico, mediante l�adozione di atti autoritativi, il suddetto 
articolo non avrebbe alcuna effettiva portata innovativa, in quanto si sarebbe 
limitato a prevedere quanto gi� ritenuto pacifico sul presupposto della 
riconosciuta capacit� di diritto privato di tutti i soggetti dell�ordinamento 
giuridico e quindi anche della P.A.

� ormai pacifico, infatti, che l�amministrazione possa ricorrere al diritto 
privato per la cura dei propri interessi, mentre si discute semmai in merito ai 
caratteri e ai limiti ai quali pu� essere assoggettata l�attivit� dell�amministrazione 
retta dal diritto privato, nonch� in merito alla conseguente legittimit� 
e fondatezza di talune �regole speciali� tradizionalmente giustificate in virt� 
del carattere pubblico del soggetto agente. 

Tuttavia, non sembra nemmeno corretto affermare che la portata della 
norma sia tale da consentire una rilettura globale degli istituti del diritto 
amministrativo in chiave privatistica; in modo che la determinazione amministrativa 
anzich� essere qualificata come atto o provvedimento amministrativo 
dovrebbe essere ricondotta, di volta in volta, alla nozione di atto giuridico 
in senso stretto o di negozio giuridico con tutte le conseguenze che ne 
discendono sia sul piano del regime giuridico sia della conseguente tutela 
giurisdizionale. 

Secondo una diversa interpretazione (20)�la ratio della norma deve, in 
realt�, essere ricercata in tutti quei casi di esercizio dell�azione amministrativa 
non autoritativa in cui l�esperienza giuridica dell�ultimo secolo ha 
costruito moduli di azione di diritto pubblico. Cos� ad esempio, il procedimento 
amministrativo di concessione in luogo di un contratto di affitto o di 
locazione o di uso, il procedimento amministrativo di aggiudicazione per la 
scelta del contraente negli appalti pubblici in luogo delle trattative negozia


li. Si potrebbero aggiungere i procedimenti amministrativi di gestione del 
rapporto di lavoro del personale pubblico in luogo dei semplici poteri datoriali 
se questo settore non fosse stato (ma solo in parte, come � noto) oggetto 
della recente privatizzazione�. 
Si citano, altres�, i casi delle sovvenzioni (contributi, sussidi, ausili finanziari 
etc.), nonch� �tutti i casi in cui lo strumento autoritativo pu� essere 
sostituito da quello negoziale, in virt� del consenso del soggetto privato 
nella cui sfera l�effetto � destinato a prodursi; la vendita in luogo dell�espro


me di diritto privato al rispetto dei medesimi canoni di economicit�, efficacia, pubblicit� e 
trasparenza del procedimento amministrativo. Ci� avrebbe quindi condotto, secondo le linee 
evolutive indicate dall�ord. della �plenaria� del Consiglio di Stato n. 1 del 2000, anzich� 
secondo quelle tratteggiate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, �non 
a una (inimmaginabile) privatizzazione del pubblico, ma ad una pubblicizzazione del privato 
perch� nell�amministrazione di diritto privato l�hardware � (apparentemente) destinato a 
rimanere lo stesso ma il software � destinato ad essere radicalmente cambiato�. 

(20) CERULLI IRELLI, Note critiche in tema di attivit� amministrativa secondo moduli 
negoziali, in Dir amm., n. 2/2003, 249 e Il negozio come strumento di azione amministrativa, 
in www.giust.it., n. 6/2002. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

priazione, l�affitto in luogo della requisizione, la costituzione negoziale di 
servit� in luogo della costituzione coattiva, e cos� via. La presenza della 
norma produce la conseguenza, non di poco conto invero, che lo strumento 
negoziale vada privilegiato sempre, ove possibile, in luogo di avviare il procedimento 
autoritativo. E ci� in esercizio della capacit� negoziale, senza 
ulteriori vincoli di diritto pubblico (a parte ovviamente quelli di bilancio)�. 

Ci� premesso, deve evidenziarsi che, a differenza di quanto avviene nei 
rapporti amministrativi puri e semplici, nel caso di rapporti negoziali la revoca 
dell�atto amministrativo da parte della P.A., pur essendo disposta nel 
rispetto dei presupposti e delle condizioni previste dalla legge e dovendosi 
ritenere formalmente legittima, pu� risultare non conforme ai canoni di �correttezza 
e buona fede� che anche l�amministrazione, come qualsiasi altro 
contraente, � tenuta ad osservare nel momento in cui agisce secondo gli strumenti, 
le regole e le conseguenti responsabilit� proprie del diritto privato. 

In particolare, risulta ormai da tempo acquisito che: 1) anche la P.A., 
qualora agisca iure privatorum, � tenuta all�osservanza dei doveri di correttezza 
e di buona fede posti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. (21); 2) la responsabilit� 
precontrattuale della P.A. � configurabile anche nell�ambito di un procedimento 
di evidenza pubblica, ove le regole di correttezza e buona fede di 
cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. si aggiungono alle disposizioni codicistiche che 
regolano la gara. 

Una recente pronuncia dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 
(22), dopo aver confermato la propria giurisdizione esclusiva ai sensi dell�art. 
6 della legge n. 205 del 2000, ha ritenuto configurabile una responsabilit� 
precontrattuale ai sensi dell�art. 1337 c.c. in testa all�Amministrazione 
che, avendo portato a termine la procedura di evidenza pubblica, pervenendo 
sino all�aggiudicazione, aveva successivamente revocato l�aggiudicazione 
per mancanza delle disponibilit� finanziarie necessarie all�esecuzione dell�opera 
appaltata. 

Ci� in quanto, pur essendo la revoca dell�aggiudicazione (e di tutti i precedenti 
atti della procedura ad evidenza pubblica) essenzialmente valsa a 
porre al riparo l�interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l�amministrazione 
non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie, 
resta il fatto che la legittimit� di una siffatta revoca, in tal senso sufficientemente 
motivata, non impedisce di qualificare �la mancanza di ogni vigilanza 
e coordinamento sugli impegni economici che la P.A. veniva assumendo 
con l�aggiudicazione del contratto� come un comportamento disattento e 
contrario alle regole di correttezza e buona fede di cui all�art. 1337 c.c. 

(21) Cass. sent. n. 9129 del 10 dicembre 1987, in Giust. civ. Mass., 1987 e da ultimo 
Cass., n. 2525 del 7 febbraio 2006 e Cass. n. 12629 del 26 maggio 2006, in Foro It. Rep., 
2006, voce Opere pubbliche, n. 82. 
(22) Cons. di Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6, che ha affermato la giurisdizione 
amministrativa esclusiva, ai sensi dell�art. 6 della legge n. 205 del 2000 ove la condotta 
scorretta sia collegata ad un procedimento di evidenza pubblica. 

DOTTRINA 355 

Facendo applicazione dei suddetti principi, sembra potersi dedurre che 
nel caso in cui la revoca dell�atto amministrativo da parte della P.A. risulti, 
comunque, contraria ai doveri di cui agli artt. 1337 c.c. e 1338 c.c., non pu� 
ritenersi esaustivo il riconoscimento nei confronti del danneggiato di un 
mero indennizzo, in virt� dell�asserita legittimit� dell�azione amministrativa. 

In tal senso una recente sentenza del T.A.R. Lazio (23) ha espressamente 
chiarito che, anche a seguito dell�entrata in vigore del nuovo art. 21 quinquies 
della legge 241/1990, �una responsabilit� precontrattuale in capo alla 

P.A. � configurabile anche nel caso in cui il provvedimento di revoca sia 
stato legittimamente adottato, al fine di porre al riparo l�interesse pubblico 
dalla stipula di un contratto che l�amministrazione non ritiene pi� adeguato 
e rispondente all�originario parametro valutativo�. 
La legittimit� dell�atto di revoca non elimina, infatti, il profilo relativo 
alla valutazione del comportamento della stessa Amministrazione con 
riguardo al rispetto del dovere di buona fede e correttezza nell�ambito del 
procedimento di formazione della volont� negoziale. 

Pertanto, in base al principio del legittimo affidamento generato nei confronti 
del soggetto destinatario di un precedente atto amministrativo, � necessario 
distinguere tra la legittimit� della revoca disposta, in presenza di preminenti 
esigenze pubbliche che ne giustificano l�adozione, e la conformit� 
del comportamento complessivamente tenuto dall�amministrazione ai canoni 
della buona fede e correttezza nelle trattative di cui all�art. 1337 c.c. 

Sulla base di tali premesse, la stessa giurisprudenza amministrativa conclude 
sostenendo che �a fronte di comportamenti della stazione appaltante 
che integrino la violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, il privato 
avr� diritto, nonostante la legittimit� dell�atto di revoca, non al semplice 
indennizzo, ma al risarcimento del danno da lesione del cd. interesse 
negativo, commisurato alle spese sostenute per partecipare alla gara e alla 
perdita, ove dimostrata, della chance di aggiudicarsi altre gare d�appalto�. 

Tale risarcimento spetter� al privato nonostante la legittimit� del provvedimento 
di revoca e nonostante l�espressa previsione, da parte dell�art. 21 
quinquies, di un diritto all�indennizzo commisurato al solo danno emergente. 
Ci�, in quanto l�espressa previsione della necessit� di indennizzare il privato 
in ordine ad eventuali pregiudizi subiti in conseguenza dell�emanazione 
di provvedimenti di revoca di precedenti atti amministrativi, non elimina 
la possibile responsabilit� dell�amministrazione per violazione del principio 
di buona fede nell�ambito delle trattative che conducono alla conclusione del 
contratto, con conseguente diritto in capo al privato non al solo indennizzo, 
ma al risarcimento del danno patito. 

(23) In tal senso T.A.R. Lazio sez. I bis, 11 luglio 2006, n. 5766 che ha ritenuto legittima 
la revoca del bando di gara, dovuta al riscontro di errori materiali e concettuali relativi 
alla determinazione del corrispettivo per il servizio, rilevando, peraltro, l�impossibilit� di 
apportare correttivi in sede di stipula dei contratti di aggiudicazione, pena l�alterazione della 
par condicio delle imprese che avevano partecipato alla gara presentando offerte economiche 
sulla base del valore dei lotti come indicati negli atti di gara. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La regola pi� diffusa nella valutazione dei danni subiti a causa della violazione 
dei doveri di buona fede precontrattuale � tradizionalmente quella del 
cd. �interesse negativo�, inteso come interesse a non intraprendere trattative 
inutili. 

In realt�, l�art. 1337 c.c. non contempla espressamente n� il verificarsi 
del danno n� la conseguenza del risarcimento (come fanno, al contrario, gli 
art. 1218 e 2043 del c.c.) ma si limita a prescrivere un obbligo di comportamento 
a carico delle parti, le quali nello svolgimento delle trattative e nella 
formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede. Il successivo 
art. 1338 c.c. dichiara, invece, la responsabilit� della parte che conoscendo 
o dovendo conoscere l�esistenza di una causa di invalidit� del contratto, 
non ne ha dato notizia all�altra parte. 

L�orientamento civilistico tradizionale ritiene, pertanto, che la tutela 
risarcitoria collegata alla violazione degli artt. 1337 e 1338 c.c. operi solo nei 
casi in cui le �scorrettezze� precontrattuali di una delle parti hanno di fatto 
impedito la conclusione del contratto (trattative inutili) ovvero hanno condotto 
alla conclusione di un contratto invalido o inefficace (inutile stipulazione 
del contratto). Con la stipula di un contratto valido risulterebbe, al contrario, 
preclusa ogni possibilit� di far valere una responsabilit� per violazione 
degli obblighi comportamentali prenegoziali che resterebbero assorbiti 
dal raggiungimento dell�accordo; la tutela del contraente sarebbe affidata 
alle sole norme in tema di invalidit� ed inefficacia del contratto. 

Di conseguenza, il risarcimento del danno, volto essenzialmente a tutelare 
la libert� negoziale delle parti, viene ad essere identificato con quel particolare 
interesse che ciascun contraente ha a non intraprendere e/o proseguire 
trattative inutili ovvero a non stipulare un contratto invalido od inefficace. 

Sotto il profilo della stretta quantificazione, sia la dottrina che la giurisprudenza 
prevalenti sono concordi nel ritenere che tale interesse negativo 
(contrapposto all�interesse all�adempimento) comprende i danni rappresentati 
da: 1) spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della 
conclusione del contratto (danno emergente); 2) perdita di ulteriori occasioni 
per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso; 
3) attivit� sprecata nelle trattative e sottratta alle utili applicazioni. 

Conseguentemente viene escluso dalle voci risarcibili a titolo di interesse 
negativo il lucro cessante connesso all�esecuzione del contratto non stipulato, 
vale a dire ogni lucro o vantaggio che il contraente avrebbe potuto realizzare 
se il contratto fosse stato validamente concluso e conseguentemente eseguito. 

Un pi� recente indirizzo dottrinale (24) tende, tuttavia, ad ampliare l�ambito 
di operativit� della responsabilit� precontrattuale, affermando che l�av


(24) PIETROBON, Errore, volont� e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990, 
106; BENATTI, Responsabilit� precontrattuale, I) Diritto civile, in Enc. Giur. Treccani, 
XXVII, Roma, 1991; RAVAZZONI, La formazione del contratto, II, Milano, 1974, 14; 
CUFFARO, voce Responsabilit� precontrattuale, in Enc. del dir., XXXIX, Milano, 1988, 
1270; PATTI, Responsabilit� precontrattuale e contratti standard, Milano, 1993, II, 95. 

DOTTRINA 357 

venuta e valida conclusione del contratto non esclude il diritto al risarcimento 
del danno derivante da culpa in contraendo. 

In particolare, � opinione attualmente consolidata (25) e condivisa anche 
dalla giurisprudenza dominante (26), che tra gli obblighi di buona fede genericamente 
previsti dall�art. 1337 c.c. debbano includersi i doveri di avviso o 
di informazione che gravano su ciascuna parte e la cui violazione determina 
comunque l�insorgere di una responsabilit� precontrattuale per danni. 

L�art. 1337 c.c. consacra, quindi, un principio generale (27), la cd. buona 
fede in contraendo, di cui la previsione contenuta nel successivo art. 1338 
c.c., costituisce soltanto una specificazione sotto il profilo della mancata 
informazione di elementi che incidono sulla validit� del contratto. 

L�affermata estensione della responsabilit� precontrattuale, oltre ai casi 
di trattative infruttuose e di stipula di contratti invalidi, anche ai casi in cui 
la trattativa abbia avuto per esito la conclusione di un contratto valido ed 
efficace, ma pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto, 
ha portato ad una �rivisitazione� del danno risarcibile e tradizionalmente 
identificato col il cd. interesse negativo, che secondo l�opinione attualmente 
prevalente ed accolta di recente anche dalla giurisprudenza, non va inteso 
tanto come delimitativo dell�ammontare del risarcimento quanto piuttosto 
come identificativo della peculiare situazione giuridica tutelata dalla buona 
fede precontrattuale (28). 

Si accoglie, quindi, una diversa nozione di danno che influisce sulla conseguente 
determinazione dell�ammontare del danno stesso. 

In particolare, deve evidenziarsi come di recente la stessa Cassazione 

(29) abbia rivisitato il criterio di calcolo dell�interesse negativo, non esclu(
25) Si veda in particolare sul punto la monografia di GRISI, L�obbligo precontrattuale 
di informazione, Napoli, 1990. 
(26) Tra le pi� recenti vedasi: Cass. n 3462 del 15 febbraio 2007; Cass. n. 11004 del 12 
maggio 2006 in La Nuova giurisprudenza Civile Commentata, 2007, fasc. 4; I, 436. 
(27) In questo senso tra i primi: MENGONI, Sulla natura della responsabilit� precontrattuale, 
in Riv. dir. comm., 1956, II, 365. Affermano, altres�, la possibilit� di rinvenire nell�art. 
1337 c.c. un generale obbligo precontrattuale di informazione: BIANCA, Diritto civile, 3, Il 
contratto, 2000, 167; GRISI, L�obbligo precontrattuale di informazione, cit., 79; TURCO, 
Interesse negativo e responsabilit� precontrattuale, Milano, 1990, 240. In senso contrario: 
REALMONTE, Doveri di informazione e responsabilit� precontrattuale nell�attivit� di intermediazione 
mobiliare, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, II, Milano, 1994, 955, che considera 
assolutamente insoddisfacente gli esiti ricostruttivi che si limitano ad affermare la 
pleonasticit� dell�art. 1338 c.c. senza ricercare una possibile funzione e autonomia precettiva. 
In senso contrario anche D�AMICO, Rimedi, V, Trattato del contratto diretto da Roppo, 
Milano, 2006 1035 secondo il quale �con la disposizione dell�art. 1338 il legislatore non 
pu� che avere inteso chiarire che l�unico dovere di informazione di carattere generale (cio� 
operante a prescindere da una specifica previsione normativa) alla cui violazione pu� darsi 
rilevanza ai fini della responsabilit� precontrattuale � quello avente ad oggetto l�esistenza 
di eventuali cause di invalidit� del contratto�. 
(28) In tal senso espressamente TURCO, Interesse negativo, cit.., 307 e ss. 
(29) Cass. sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno e responsabilit�, 1, 2006, 25 e ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dendo la possibilit� che il soggetto leso dal comportamento scorretto dia 
prova di aver subito ulteriori danni. 

Partendo dall�ipotesi di cui all�art. 1440 c.c. � in base al quale il contratto 
affetto da dolo incidente resta valido, obbligando il contraente in mala 
fede al risarcimento del danno � e considerando tale norma quale specifica 
applicazione della responsabilit� precontrattuale di cui all�art. 1337 c.c. (30), 
il nuovo orientamento giurisprudenziale afferma anch�esso che la responsabilit� 
precontrattuale si estende non soltanto ai casi di trattative infruttuose o 
di stipulazione di contratti invalidi o inefficaci, ma anche ai casi in cui la trattativa 
ha per esito la conclusione di un contratto valido ed efficace, ma pregiudizievole 
per la parte vittima del comportamento scorretto (31). 

Ne deriva che in tali casi il risarcimento del danno, trattandosi non di 
trattativa infruttuosa ma dannosa, non pu� pi� concernere il solo interesse 
negativo, ma il cd. �interesse positivo differenziale�, legato alla comparazione 
tra gli effetti del contratto stipulato ed il vantaggio che ne sarebbe derivato 
dall�esecuzione, ove il suo contenuto non fosse stato in alcun modo 
influenzato dal comportamento abusivo. 

Il risarcimento va, cio�, commisurato alle migliori condizioni economiche 
che la �vittima� avrebbe ottenuto se la controparte avesse agito lealmente. 

Con specifico riferimento al caso di dolo incidente la Cassazione (32) ha 
espressamente affermato che � in caso di responsabilit� precontrattuale relativa 
alla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il 
risarcimento del danno pur non potendosi commisurare al pregiudizio derivante 
dalla mancata conclusione del contratto neppure pu� coincidere con la 
tradizionale figura del cd. interesse negativo commisurato alle spese veramente 
sostenute ed alle occasioni alternative mancate a causa della trattativa 
poi risultata inutile, bens� deve ragguagliarsi al minor vantaggio o al maggior 
aggravio economico subito dalla vittima per il comportamento sleale 
della controparte, salva la prova di ulteriori danni che risultino collegati a 
tale comportamento da un rapporto rigorosamente conseguenziale e diretto�. 

(30) La stessa Cassazione ha pi� volte affermato che l�art. 1440 c.c. costituisce applicazione 
del modello della responsabilit� precontrattuale di cui all�art. 1337 c.c. In tal senso 
si veda anche Cass. 29 marzo 1999, n. 2956, in Giur. it. 2000, 1, 1, 192. 
(31) In senso contrario: D�AMICO, Rimedi, V, cit., 1138 secondo il quale l�art. 1440 c.c. 
� pur contemplando un�ipotesi di risarcimento conseguente ad una fattispecie di responsabilit� 
precontrattuale, nonostante l�avvenuta stipulazione di un contratto valido � rappresenta 
una fattispecie eccezionale che non permette di affermare un principio di carattere generale 
secondo il quale la conclusione di un contratto valido ed efficace, ma comunque pregiudizievole 
per la parte vittima del comportamento scorretto, consente comunque di ottenere 
il risarcimento del danno per violazione degli obblighi di buona fede precontrattuali. 
La possibilit� di ristorare il soggetto che subisce il pregiudizio del contegno scorretto della 
controparte, stipulando un contratto valido ma �sgradito�, deve essere rigorosamente limitata 
alle fattispecie espressamente previste e disciplinate dalla legge. 
(32) Cass., sez. I, sent. 19024 del 2005, cit. 25. 

DOTTRINA 359 

In sostanza, si afferma che il risarcimento dei danni subiti, pur non 
potendo ricomprendere l�intero pregiudizio connesso alla lesione dell�interesse 
contrattuale positivo, non � indissolubilmente legato all�interesse negativo; 
ed al fine della quantificazione del relativo risarcimento del danno, la 
Cassazione propone il criterio del minor vantaggio o del maggior aggravio 
economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, salva la prova 
di danni ulteriori che siano conseguenza immediata e diretta di tale contegno 
sleale. 

E ci� varrebbe � secondo quanto affermato da una parte della dottrina 

(33) � non soltanto nel caso tipico del dolo incidente, ma anche con riferimento 
ai casi in cui la vittima della altrui condotta illecita o sleale, pur potendo 
chiedere l�annullamento del contratto, chiede soltanto il risarcimento del 
danno, nonch� nei casi di errore sui motivi � che pur essendo irrilevante per 
espressa disposizione di legge in materia contrattuale anche se determinante 
del consenso e noto alla controparte � non impedirebbe di ipotizzare una 
responsabilit� ex art. 1337 c.c. a carico del contraente che avendo riconosciuto 
l�errore dell�altro, secondo le regole della buona fede e correttezza contrattuale, 
avrebbe dovuto conseguentemente avvisarla. 
Secondo tale dottrina, data l�irrilevanza dell�errore sui motivi, il contratto 
non � annullabile, ma potendosi configurare una responsabilit� precontrattuale 
ex art. 1337 c.c. in capo al contraente in mala fede, egli � tenuto al risarcimento 
del danno cagionato alla controparte al di l� del limite del cd. interesse 
negativo, essendo qui in presenza di un contratto validamente stipulato. 

In definitiva, in tutti i casi in cui nonostante la condotta illecita o sleale 
di una delle parti, il contratto � stipulato e viene tenuto fermo, il criterio normalmente 
utilizzato per calcolare il cd. �interesse negativo� non pu� ritenersi 
sufficiente n� adeguato, in quanto esso � finalizzato essenzialmente a porre 
il danneggiato nella posizione specifica in cui si sarebbe trovato se non avesse 
intrapreso la trattativa. 

Ci� premesso, ad avviso di chi scrive, sembra che le stesse conclusioni 
proposte dalla giurisprudenza amministrativa in merito alla possibile configurazione 
di una responsabilit� precontrattuale della P.A., pur in presenza di 
un legittimo atto di revoca disposto ai sensi dell�art. 21 quinquies della legge 
241 del 1990, possano essere utilizzate nel caso in cui la revoca dell�atto presupposto 
o connesso al conseguente contratto sia disposta non nel corso delle 
trattative ma successivamente alla conclusione di quest�ultimo. 

Recependo la suddetta apertura della Corte di Cassazione che ha rideterminato 
il criterio di calcolo dell�interesse negativo, non escludendo di fatto 

(33) ROPPO, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della cassazione 
su nullit� virtuale e responsabilit� precontrattuale, in Danno e Responsabilit�, I, 2006, 
34 e ss.; contra D�AMICO, Rimedi, cit., 1024, secondo il quale le stesse ragioni che depongono 
per l�irrilevanza dell�errore sui motivi ai fini della validit� del contratto, militano per 
una analoga conclusione anche sul terreno della mera responsabilit� contrattuale. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

la possibilit� che il soggetto leso dal comportamento scorretto dia prova di 
�danni ulteriori�, ed evidenziando, altres�, che in questo caso siamo dinnanzi 
ad un contratto originariamente valido ed efficace (talvolta in parte anche 
eseguito) e soltanto successivamente �caducato�, in conseguenza della revoca 
di un atto amministrativo disposta a causa di un�originaria ed erronea 
valutazione di compatibilit� con l�interesse pubblico ovvero a causa di 
sopravvenienze non conosciute o conoscibili dal contraente all�atto dell�originaria 
stipulazione del contratto, sembrerebbe giustificato il riconoscimento 
di un risarcimento del danno non pi� limitato al solo interesse negativo. 

In tal caso non � configurabile una semplice lesione della libert� negoziale, 
in quanto le parti sono andate ben oltre la fase delle trattative, e gli 
�ulteriori danni� subiti dal contraente, che sulla validit� e sull�efficacia definitiva 
del contratto aveva riposto legittimo affidamento, devono essere risarciti, 
salvo la prova della loro esistenza e del necessario nesso di causalit� con 
la condotta illecita. 

Ad ulteriore conferma di quanto sin qui rilevato, appare opportuno ricordare 
come l�opinione attualmente prevalente in dottrina (34) annovera la 
buona fede tra le fonti di integrazione del contratto, nonostante la mancata 
esplicita menzione ad essa da parte dell�art. 1374 del c.c.. 

Un primo orientamento afferma che nel richiamo alla � legge� previsto 
dal suddetto articolo sarebbe contenuto anche il richiamo agli artt. 1175 c.c. 
secondo il quale �il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le 
regole della correttezza� nonch� 1375 c.c., secondo il quale �il contratto 
deve essere eseguito secondo buona fede�. 

Un diverso orientamento (35) ritiene che, pur essendo la tassativit� delle 
fonti integrative previste dall�art. 1374 c.c. idonea ad escludere dal novero di 
queste altre fonti extralegali, essa non pu� comunque impedire che sia la 
legge stessa a preveder ulteriori fonti di integrazione diverse da quelle previste 
dallo stesso art. 1374 c.c.. E poich� la buona fede nell�esecuzione del 
contratto trova un espresso ed autonomo fondamento, quale fonte di integrazione 
dello stesso, nell�art. 1375 c.c., non � necessario presupporre alcun 
espresso rinvio contenuto nel precedente art. 1374 c.c.. 

In particolare, stando all�orientamento esposto da una parte della dottrina 
e fatto proprio dalla giurisprudenza attualmente prevalente, i doveri di 
correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. pongono a carico 

(34) In particolare sul punto: UDA, La buona fede nell�esecuzione del contratto, 
Milano, 2004. Considerano la buona fede quale fonte di integrazione del contratto anche: 
MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, Studio critico, in Riv. dir. 
comm., 1954, I, 368 e ss.; CARUSI,voce Correttezza (Obblighi di), in Enc. dir., vol. X, 
Milano, 1962, 709, BENFATTI, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim. dir. 
e proc. civ., 1960, 342 ss.; RODOT�, Il principio di correttezza e la vigenza dell�art. 1175 c.c., 
in Banca, borsa e tit. di cred .1965, I, 150. 
(35) UDA, La buona fede nell�esecuzione del contratto, op. cit., 122 e ss. 

DOTTRINA 361 

dei contraenti una serie di obblighi ulteriori rispetto a quelli che individuano 
il contenuto primario del rapporto obbligatorio, aventi essenzialmente la 
finalit� di imporre un atteggiamento di tipo cooperativo tra le parti. 

Tali obblighi si sostanziano nei cd. obblighi di informazione, di lealt�, di 
assistenza e di custodia, che pur riferendosi alla prestazione, contribuiscono 
a precisarne le modalit� di esecuzione e a garantire il puntuale soddisfacimento 
dell�interesse ad essa sotteso. I suddetti obblighi in funzione integrativa 
della prestazione principale incidono sulla misura dell�esatto adempimento 
e la loro inosservanza pu� essere fonte di responsabilit� contrattuale 
ai sensi dell�art. 1218 c.c. (36). 

La clausola generale di buona fede �, altres�, fonte di altri obblighi (cd. 
obblighi di protezione (37)) che pur non essendo funzionali all�esatto adempimento, 
mirano a garantire che ciascun soggetto del rapporto obbligatorio, 

o i beni ad essi appartenenti, non subiscano danni a causa od in occasione del 
suo svolgimento. 
Tali obblighi si caratterizzano essenzialmente per la loro autonomia, e 
sono suscettibili di fondare azioni, altrettanto autonome, volte ad ottenere il 
risarcimento dei danni derivanti dalla loro inosservanza. 

A conferma di quanto rilevato, si evidenzia che nella vasta applicazione 
giurisprudenziale, formatasi al riguardo, il richiamo alla buona fede � stato 
pi� volte utilizzato al fine di estendere la necessaria cooperazione dovuta 
dalla controparte per la salvaguardia del suo interesse contrattuale anche al 
di l� delle specifiche previsioni contrattuali. 

L�obbligo di buona fede � stato ad esempio richiamato al fine di impegnare 
le parti ad effettuare correzioni o chiarimenti necessari a risolvere talune 
incertezze del rapporto contrattuale, nonch� al fine di fondare un cd. 
�obbligo di cd. rinegoziazione delle condizioni contrattuali� divenute squilibrate 
a seguito di sopravvenienze in corso di rapporto. 

Il riferimento alla buona fede � stato dalla giurisprudenza (38) utilizzato 
anche al fine di escludere l�esercizio da parte di uno dei contraenti di poteri 

(36) Sul punto vedasi da ultimo Cass., Sez. Unite, n. 26724 del 19 dicembre 2007. 
(37)Sugli obblighi di protezione, in particolare: BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, 
I, Milano, 1953, 99 ss.; BENATTI, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. 
trim. dir. e proc. civ., 1960, 342 ss. CASTRONOVO, voce Obblighi di protezione, in Enc. Giur. 
Treccani, vol. XXI, Roma, 1990; DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, artt. 1173-1176, 
in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1988, 316. 
(38) Cass. n. 12093 del 2001, secondo la quale: �l�obbligo di buona fede, correttezza 
e solidariet�, che � accessorio di ogni prestazione dedotta in negozio, consente alla parte 
interessata di conseguire ogni utilit� programmata, anche oltre quelle riferibili alle prestazioni 
convenute, comportando esso stesso una prestazione, cui ognuna delle parti � tenuta, 
in quanto imposta direttamente dalla legge (art. 1374 c.c.)�; � per cui agli effetti del contratto, 
che discendono dalle clausole pattizie, vanno aggiunti quelli che la norma produce, 
in forza del rilevato principio, il quale fissa una regola di condotta, cui debbono attenersi i 
soggetti del rapporto obbligatorio, alla stregua di quanto dispone l�art. 1375 c.c., secondo 
il quale il contratto deve essere eseguito, appunto, secondo buona fede, generando doveri 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

o facolt� ad esso spettanti, in quanto pur trattandosi di comportamenti formalmente 
leciti, in relazione alle singole circostanze concrete, risultavano 
sostanzialmente sleali o dannosi per la controparte e, pertanto, contrari al 
principio di buona fede, la quale �concorre alla formazione della regolamentazione 
negoziale in senso ampliativo o restrittivo, rispetto alla fisionomia 
apparente, in modo che l�ossequio alla legalit� formale non si traduca in 
sacrificio della giustizia sostanziale�. 
Con specifico riguardo al caso in cui la parte del rapporto contrattuale � 
titolare di poteri discrezionali � come, tra l�altro, pu� considerarsi l�esercizio 
del potere di revoca di un precedente atto amministrativo da parte della P.A. 
nel rispetto delle condizioni di cui all�art. 21 quinquies della legge 241 del 
1990 � � stato affermato che la buona fede obbliga all�esercizio di detti poteri 
secondo correttezza ed in modo da salvaguardare comunque l�utilit� della 
controparte. 

In particolare, � stato pi� volte ribadito che il diritto di recesso esercitato 
da una delle parti, pur in presenza di una giusta causa tipizzata nel contratto, 
non pu� ritenersi conforme al principio di buona fede nell�esecuzione 
dello stesso, qualora esso sia esercitato con modalit� impreviste ed arbitrarie 

o comunque tali da ledere la ragionevole aspettativa della controparte che 
senza colpa faceva affidamento sulla validit� e sull�efficacia di tale rapporto 
contrattuale. 
Pertanto, applicando le suddette argomentazioni al caso specifico oggetto 
della nostra indagine, se ne dovrebbe desumere che la revoca di un provvedimento 
amministrativo che incide su un connesso rapporto negoziale 
(sostanzialmente riconducibile ad una sorta di recesso dal contratto), seppur 
legittimamente disposta, non esclude in ogni caso un�eventuale responsabilit� 
contrattuale con conseguente obbligo risarcitorio, ove sia configurabile 
un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza che devono 
necessariamente presiedere non soltanto lo svolgimento delle trattative, 
ma anche l�intera fase dell�esecuzione nonch� quella dell�integrazione del 
contratto. 

Se si riconosce al privato il diritto al risarcimento del danno nei casi di 
ingiustificata ed arbitraria interruzione delle trattative o di ingiustificato 
rifiuto di stipulare il contratto, ovvero ogni qual volta la P.A. mediante comportamento 
colposo conduca le trattative senza verificare le sue concrete 
possibilit� di impegnarsi, non si comprende per quale motivo una siffatta 
tutela dovrebbe negarsi nel caso in cui la revoca dell�atto amministrativo 

di comportamento, la cui inosservanza costituisce inadempimento, al pari di quella riferita 
agli obblighi convenzionali. In tema di esecuzione del contratto la buona fede si atteggia, 
infatti, come un impegno di solidariet�, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti 
che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale 
del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi dell�altra parte, senza rappresentare 
un apprezzabile sacrificio a suo carico�. 


DOTTRINA 363 

presupposto avvenga successivamente alla stipulazione di un contratto, che 
certamente rende ancora pi� �ragionevole� il legittimo affidamento riposto 
dal privato in un atto negoziale inizialmente valido, perfetto ed efficace. 

Se si riconosce al soggetto aggiudicatario di un appalto, il diritto ad ottenere, 
a seguito della revoca della procedura di gara, � il risarcimento del 
danno derivante dal fatto di avere evitato la partecipazione ad altre gare, e 
di avere sopportato ingenti oneri in termini di investimenti non ammortizzati 
e di servizi bancari per il rinnovo delle fideiussioni� (39), non si comprende 
perch� una siffatta tutela dovrebbe negarsi all�aggiudicatario che ha gi� 
stipulato il conseguente contratto d�appalto e che oltre a tali oneri ha presumibilmente 
affrontato anche quelli relativi alla parziale esecuzione delle prestazioni 
dedotte in contratto, e sembra, pertanto, aver diritto anche al risarcimento 
di tali �danni ulteriori� . 

La soluzione da noi prospettata sembra, tra l�altro, aver trovato conferma 
in una recentissima sentenza del T.A.R. Puglia (40) ove � nel ribadire il 
potere da parte dell�amministrazione di ritirare l�aggiudicazione di un appalto 
pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, in presenza di adeguate 
esigenze di interesse pubblico, con la conseguente ed automatica caducazione 
(41) degli effetti negoziali del contratto stesso � viene effettuata un�importante 
distinzione ai fini della tutela risarcitoria tra �annullamento� in via 
di autotutela per vizi di legittimit� e �revoca� degli atti di gara. 

In particolare il Collegio, nell�escludere con riferimento al caso prospettato 
l�applicabilit� dell�art. 21 quinquies della legge 241 del 1990 � trattandosi 
di un�ipotesi di annullamento per vizi di legittimit� degli atti di gara � 
afferma espressamente che l�obbligo della P.A. di provvedere all�indennizzo 
dei danni subiti dal soggetto interessato in virt� della successiva revoca del 

(39) T.A.R. Lazio sez. I bis, 11 luglio 2006, n. 5766, cit. 
(40) T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 29 marzo 2007, n. 945, in Urbanistica e appalti n. 
9/2007, 1143, con nota di MASERA. 
(41) Sul punto, tra gli altri: SCOCA, Annullamento dell�aggiudicazione e sorte del contratto, 
in Foro Amm. T.A.R., 2007, 797 e ss.; STICCHI DAMIANI, La caducazione del contratto 
per annullamento dell�aggiudicazione alla luce del codice degli appalti, in Foro Amm. 
T.A.R., 2006, 3719 e ss.; FRENI, L�annullamento dell�aggiudicazione ed i suoi effetti sul 
negozio, in Dir. Amm., 2004, 837 e ss.; CARINGELLA, Annullamento della procedura di evidenza 
a monte e sorte a valle: patologia o inefficacia, in Corr. Giur., 2004, 672 e ss.; SATTA, 
L�annullamento dell�aggiudicazione e i suoi effetti sul contratto, in Dir. Amm., 2003, 645 e 
ss; CERULLI IRELLI, L�annullamento dell�aggiudicazione e la sorte del contratto, in 
Urbanistica e Appalti, 2002, 1195; GREGO, Accordi e contratti della pubblica amministrazione 
tra suggestioni interpretative e necessit� di sistema, in Dir. Amm., 2002, 413. 
Secondo parte della dottrina, la regola della caducazione del contratto per effetto dell�annullamento 
dell�aggiudicazione sembra potersi dedurre a contrario dall�art. 246 comma 
4 del D.Lgs. n. 163/2006, secondo il quale in caso di controversie relative a infrastrutture ed 
insediamenti produttivi la sospensione o l�annullamento dell�affidamento non comporta la 
caducazione del contratto gi� stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto � 
disposto esclusivamente per equivalente. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

provvedimento amministrativo legato al contratto da un vincolo di �preordinazione 
funzionale� si riferisce alla sola ipotesi di �revoca legittima� di 
provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole, salvo restando un�eventuale 
responsabilit� precontrattuale della P.A. ex art. 1337 e 1338 c.c., da 
valutarsi in virt� dell�attivit� complessiva dell�amministrazione pubblica. 

Al riguardo preme, tuttavia, evidenziare che la sentenza richiamata ritiene 
che, qualora il provvedimento di �ritiro�, adottato in via di autotutela dalla 

P.A. successivamente alla stipulazione del contratto, � tale da risultare 
�ingiusto ed illegittimo�, il soggetto interessato ha diritto a richiedere il risarcimento 
del �danno ingiusto� da intendersi quale �elemento costitutivo della 
fattispecie illecita di cui all�art. 2043 c.c�, mentre secondo la tesi da noi prospettata 
si tratta di una ipotesi di responsabilit� contrattuale per inadempimento 
od inesatto inadempimento riconducibile all�art. 1218 del c.c. . 
4. La disciplina normativa prevista dall�art. 21 nonies della legge 241 del 
1990 in materia di annullamento d�ufficio. 
A conferma di quanto sin qui sostenuto, deve evidenziarsi il fatto che 
l�art. 21 nonies della legge 241 del 1990, introdotto anch�esso dalla legge n. 
15 del 2005, espressamente afferma che il provvedimento amministrativo 
illegittimo, vale a dire adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di 
potere o da incompetenza, �pu� essere annullato d�ufficio, sussistendone le 
ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto 
degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall�organo che lo ha 
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge�. 

La norma in questione ha attribuito alla P.A., cos� come per il potere di 
revoca, un generale potere di annullamento d�ufficio di provvedimenti precedentemente 
adottati ed affetti da un vizio di legittimit� (anzich� di merito 

o di inopportunit�), subordinandolo non soltanto all�effettiva esistenza di 
ragioni di interesse pubblico, ma altres�, alla previa comparazione tra l�interesse 
pubblico all�eliminazione dell�atto e i diversi interessi dei destinatari 
dell�atto, nonch� al rispetto di un �termine ragionevole�. 
A tal riguardo la dottrina (42), ha pi� volte sottolineato che la portata 
innovativa della norma in questione non consiste tanto nel riconoscimento da 
parte della legge di un potere d�annullamento d�ufficio degli atti illegittimi 
della P.A., gi� da tempo ammesso dalla giurisprudenza pressoch� unanime, 
ma proprio nel fatto che l�avvenuto consolidamento delle posizioni giuridiche 
acquisite dal privato a causa del lungo tempo trascorso a seguito dell�adozione 
dell�atto, seppur illegittimo, comporta la prevalenza delle esigenze 
al mantenimento dell�atto amministrativo rispetto all�interesse pubblico concreto 
ed attuale alla sua rimozione. 

(42) VIRGA, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente 
approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, in www.lexitalia.it, n. 1/2005; 
CERULLI IRELLI, Osservazione generali sulla legge di modifica della l. n. 241 del 1990, in 
www.giust.amm.it. 

DOTTRINA 365 

Ne deriva che nell�attuale sistema l�incidenza del decorso del tempo ed 
il conseguente consolidarsi del legittimo affidamento riposto dal destinatario 
nell�efficacia dell�atto da rimuovere escludono l�annullabilit� in autotutela 
del provvedimento, in quanto fonte di posizioni giuridiche qualificate e 
ormai consolidate. 

In particolare, la recente giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che 
�lo stato di avanzata esecuzione di opere edilizie assentite in forza di un permesso 
di costruire di cui venga denunciata l�illegittimit� rivela la mancanza 
del requisito temporale �ragionevole�, al quale l�art. 21 nonies subordina 
l�esercizio del potere di autoannullamento, con la conseguenza che l�interesse 
pubblico a realizzare un assetto urbanistico legittimo deve considerarsi 
recessivo di fronte all�interesse privato alla conservazione del titolo abilitativo 
edilizio�. 

Le stesse considerazioni risultano estendibili in linea di principio al settore 
degli appalti pubblici. 

La giurisprudenza �, infatti, unanime nel ritenere sussistente la possibilit� 
per l�amministrazione di rivedere un precedente provvedimento di aggiudicazione, 
qualora circostanze sopravvenute (ovvero un diverso apprezzamento 
della situazione preesistente), lo rendano opportuno, con l�obbligo di dare 
esplicita e puntuale contezza del potere esercitato nella motivazione (43). 

Ne consegue che nei contratti della P.A. l�intervenuta aggiudicazione, 
quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, non preclude 
all�amministrazione di procedere all�annullamento dell�intera procedura 
di gara con atto successivo, purch� adeguatamente motivato e fermo restando 
l�esplicito riferimento ad un preciso e concreto interesse pubblico. 

Tuttavia, l�accertamento di eventuali vizi della procedura di gara (quali ad 
es. errate interpretazioni di norme giuridiche o di atti amministrativi, erronea 
ammissione di un�impresa alla selezione, erronea valutazione dell�offerta dell�aggiudicatario) 
non potr� condurre all�annullamento d�ufficio dell�atto finale 
di aggiudicazione allorch� il decorso di un ragionevole lasso di tempo dall�intervenuta 
stipulazione del contratto e l�avanzata fase esecutiva dei lavori 
abbiano ormai consolidato l�affidamento dell�impresa aggiudicataria. 

Unica eccezione a tale disciplina generale, resta quella rappresentata dallo 
speciale regime dell�annullabilit� d�ufficio previsto dall�art. 1 comma 136 della 
legge n. 311/2004, il quale subordina all�osservanza del limite temporale di tre 
anni il potere di rimozione in autotutela dei provvedimenti incidenti su �rapporti 
contrattuali e convenzionali con i privati�, allorquando l�Amministrazione 
agisca allo scopo di ottenere �risparmi o minori oneri finanziari�. 

Il riferimento al tempo trascorso, � da ritenersi elemento essenziale al 
fine di poter valutare la consistenza dell�affidamento del privato in ordine 
alla stabilit� dell�atto e la conseguente legittimit� dell�annullamento. 

(43) Vedasi tra le altre: Cons. di Stato, 28 febbraio 2000, n. 661, in Urbanistica e appalti, 
4/2000 con nota di Daloimo e pi� di recente Cons. di Stato, 28 febbraio 2002, n. 1224, in 
www.giust.it. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Sorprende, pertanto, come tale elemento non sia stato dal legislatore ritenuto 
ugualmente importante nel caso di revoca dell�atto amministrativo, ove, 
avrebbe dovuto rivestire una rilevanza ancor pi� grande, in considerazione 
del fatto che in questo caso l�atto originariamente efficace e successivamente 
�rimosso� ad opera della P.A. non presenta profili di illegittimit� ma di 
mera inopportunit�. 

Atteso che l�affidamento del privato in ordine alla stabilit� dell�atto �, di 
regola, confortato dal tempo che passa, sarebbe stato necessario � nell�ambito 
di una norma che fissa i criteri di quantificazione dell�indennizzo in caso 
di revoca di provvedimenti incidenti su rapporti negoziali � specificare, 
almeno, che la misura di tale indennizzo dipende anche dal tempo trascorso 
dall�emanazione del provvedimento, il quale in ogni caso non pu� superare 
un ragionevole periodo. 

Si potrebbe, altres�, ritenere che l�adozione di un provvedimento di revoca, 
in conformit� ai presupposti e alle condizioni di cui all�art. 21 quinquies 
della legge 241/1990, ma successivamente al decorso di un ragionevole periodo 
di tempo dalla sua adozione � da valutarsi concretamente in relazione al 
tipo di provvedimento, al rapporto negoziale sul quale influisce, e alla conseguente 
situazione giuridica soggettiva sorta e consolidatasi in capo al privato 

� configura, pur in assenza di un�espressa previsione normativa al riguardo, 
un caso concreto di responsabilit� della P.A. per violazione dei fondamentali 
canoni di correttezza e buona fede, che comportano una risarcibilit� del danno 
nei confronti del privato non limitato al solo danno emergente. 
A conferma di quanto sostenuto � opportuno ricordare che l�orientamento 
consolidato della Corte di Giustizia (44), pur affermando il principio generale 
della revocabilit� anche con effetti retroattivi degli atti amministrativi 
illegittimi, assoggetta tale potere di autotutela ad una serie di rigorosi presupposti 
e condizioni. 

In particolare, si ritiene che anche in presenza di un provvedimento illegittimo 
il principio di legalit� dell�azione amministrativa deve essere contemperato 
con quelli della certezza del diritto e della tutela dell�affidamento legittimo. 
E pi� in generale la Corte di Giustizia difende con rigore il cd. modello 
dello �Stato di diritto� codificato dall�art. 6 del Trattato dell�Unione Europea. 

Nelle pronunce pi� risalenti, i criteri di composizione di tali diversi principi 
sono stati elaborati tenendo conto della distinzione tra provvedimenti 
costitutivi e atti dichiarativi. 

Con specifico riguardo ai primi, la Corte di Giustizia ha fissato la regola 
per cui la revoca ex tunc � legittima solo ove intervenga in un �periodo di 

(44) Vedasi al riguardo: G.C.E., sentenza 13 luglio 1965, Lemmerz-Werke c. Alta 
Autorit�, causa 111/63, in Raccolta 1965 , 972; sentenza 3 marzo 1982, Alpha Steel c. 
Commissione, causa 14/81, in Raccolta 1982, 749; sentenza 26 febbraio 1987, Consorzio 
Cooperative. D�Abruzzo c. Commissione, causa 15/85, in Raccolta 1987, 1005, punti 12-17; 
sentenza 20 giugno 1991, Cargill c. Commissione, causa C-248/89, in Raccolta. 1991, I-2987, 
punto 20; sentenza 17 aprile 1997, De Compte c. Parlamento, in causa C-90/95, in Raccolta 
1997, I-1999, punto 35; Tribunale di primo grado, sentenza Mellet, cit., punti 120-121. 

DOTTRINA 367 

tempo ragionevole� dalla data di adozione dell�atto oggetto di riesame. 
Conseguentemente nel caso in cui tale periodo � da ritenersi trascorso, la 
garanzia della certezza del diritto e dell�affidamento legittimo del beneficiario 
prevalgono sull�interesse alla rimozione della misura illegittima. 

Per quanto riguarda, invece, il ritiro ex nunc degli atti illegittimi, la stessa 
giurisprudenza (45) ha escluso la libera revocabilit� degli atti costitutivi, 
sulla base dell�affermazione per cui l�esercizio del potere di riesame � subordinato, 
anche in tal caso, al rispetto del principio del legittimo affidamento 
e deve intervenire entro un lasso di tempo ragionevole. 

Tali principi, inizialmente elaborati dalla giurisprudenza europea con 
specifico riferimento ai soli atti amministrativi costitutivi di specifiche situazioni 
giuridiche soggettive nei confronti del destinatario, sono stati successivamente 
estesi a qualsiasi tipologia di atto illegittimo, stabilendo la regola 
consolidata secondo la quale la revoca � subordinata al trascorrere di un 
periodo di tempo ragionevole ed al rispetto del legittimo affidamento del 
destinatario del provvedimento. 

Il trascorrere di un ragionevole periodo di tempo, � stato configurato 
quale limite al potere di revoca persino nelle ipotesi in cui gli interessati 
erano coscienti del venir meno dei presupposti di fatto o di diritto su cui si 
fondava il provvedimento attributivo della loro specifica posizione di vantaggio, 
con l�unica eccezione concernente il caso di provvedimento adottato 
in palese violazione della normativa vigente. 

I suddetti principi elaborati dalla Corte di Giustizia con riferimento al 
�ritiro� degli atti amministrativi illegittimi dovrebbero valere � a nostro 
modesto avviso � non soltanto nel caso di annullamento, ma a maggior 
ragione nel caso di revoca di atti, il cui unico vizio consiste nel fatto di non 
rappresentare pi�, per sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto, �il 
migliore modo di provvedere alla cura dell�interesse pubblico di cui l�amministrazione 
� affidataria�. 

In conclusione, se l�affidamento generato nel destinatario dell�atto � 
considerato di regola prevalente rispetto alla cura dell�interesse pubblico, 
qualora sia decorso un ragionevole lasso di tempo, nonostante sia stata violata 
la legalit� dell�ordinamento giuridico, a maggior ragione tale interesse 
dovrebbe considerarsi prevalente, alle stesse condizioni, qualora non vi sia 
alcuna violazione della legalit� statutaria. 

5. La risoluzione degli accordi ex art. 11 della legge 241 del 1990. 
Un�ulteriore conferma dell�inadeguatezza della disciplina normativa di 
cui all�art. 21 quinquies della legge 241 del 1990 � avuto riguardo alle ipotesi 
di revoca del provvedimento amministrativo disposta dalla P.A. a segui


(45) Cfr. le citate sentenze Simon e Hoogovens, e, in termini ancora pi� perentori, la 
sentenza 23 giugno 1976, Elz c. Commissione, causa 56/75, in Raccolta 1977, pp. 1097 ss., 
punti 18-20. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

to della conclusione del contratto � risulta effettuando un raffronto con la 
diversa disciplina prevista dall�art. 11 della stessa legge in merito ai cd. 
�accordi tra P.A. e privati�. 

In particolare, il suddetto art. 11 consente all�amministrazione di �concludere, 
senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento 
del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare 
il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione 
di questo�. 

Si tratta di accordi procedimentali con cui la P.A. ed il privato concordano 
il contenuto del provvedimento amministrativo ovvero di accordi sostitutivi 
dello stesso provvedimento finale. 

Tali accordi devono essere stipulati, a pena di nullit�, per atto scritto, 
salvo che la legge disponga altrimenti ed ad essi si applicano, ove non diversamente 
previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti 
in quanto compatibili. 

Secondo l�orientamento maggioritario (46), nonostante il richiamo ai 
principi del codice civile, tali accordi sono dotati di una caratterizzazione 
pubblicistica e costituiscono essenzialmente una modalit� consensuale di 
esercizio del potere amministrativo. 

Stando ad una diversa tesi di stampo privatistico, si tratterebbe, invece, 
di accordi di natura negoziale, caratterizzati da una posizione di tendenziale 
parit� tra le parti, ai quali si applica in parte la disciplina dei contratti ed in 
parte quella propria del provvedimento che essi sostituiscono. 

Ci� che maggiormente interessa ai fini del presente lavoro, � il fatto che la 
legge espressamente riconosce alla P.A. il potere di recedere unilateralmente 
dall�accordo concluso con il privato �per sopravvenuti motivi di pubblico interesse� 
e �salvo l�obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in 
relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato�. 

Nonostante il riferimento letterale al diritto potestativo di recesso, trattandosi 
di accordi sostitutivi di provvedimenti amministrativi, il recesso 
dagli stessi da parte della P.A. costituisce, in realt�, l�esercizio del potere di 
autotutela su una precedente determinazione pubblicistica anche se adottata 
con modalit� consensuale. 

Il recesso dall�accordo appare assimilabile alla revoca di cui all�art. 21 
quinquies, dalla quale si differenzia in relazione a due elementi essenziali: 1) 
il recesso a differenza della revoca pu� essere legittimamente esercitato solo 
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse e non anche in ragione di una 
�mera rivalutazione� dell�originario interesse pubblico; 2) l�indennizzo riconosciuto 
al privato per il pregiudizio eventualmente subito non � limitato, 
come accade con riferimento alla revoca dell�atto amministrativo, al solo 
danno emergente ma � genericamente commisurato al pregiudizio in concreto 
verificatosi in danno del privato. 

(46) Cons. di Stato, sez. V, 24 ottobre 2000, n. 5710, in Cons. Stato, 2000, I, 2313 e ss. 

DOTTRINA 369 

Pertanto, la P.A. pu�, successivamente alla stipulazione di un accordo 
sostitutivo, esercitare il potere di recesso unilaterale solo a condizione che 
siano sopravvenuti nuovi elementi di fatto e/o di diritto rispetto a quelli esistenti 
al momento della stipulazione, tali da rendere necessaria una nuova 
sistemazione degli interessi in gioco. Ed anche in tal caso, la legge si preoccupa 
di garantire la posizione del privato ed, in particolare, il �legittimo affidamento� 
da esso riposto nella validit� e nella stabilit� dell�accordo, assicurandogli 
la liquidazione economica del pregiudizio sofferto a seguito del 
recesso. 

Dato il silenzio della legge sul punto, la determinazione dell�esatto 
ammontare di tale indennizzo e la sua eventuale assimilazione al risarcimento 
del danno � rimessa alla valutazione del giudice senza alcuna limitazione 
inderogabilmente imposta dalla legge. 

A giustificazione della rilevata differente disciplina normativa prevista 
dalla stessa legge generale sul procedimento amministrativo con riferimento 
a due ipotesi del tutto assimilabili circa gli effetti prodotti nei confronti del 
privato interessato � quali in effetti sono il recesso di cui all�art. 11 e la revoca 
di cui all�art. 21 quinquies � si � affermato in dottrina (47) che �tale diversit� 
si spiega alla luce della maggiore solidit� dell�affidamento riposto nei 
vincoli pattizi, rispetto a quelli unilaterali.� 

A nostro modesto avviso, tale giustificazione non pu� ritenersi condivisibile 
con riferimento ai casi in cui la revoca di un atto amministrativo ad 
efficacia durevole od istantanea incide su un conseguente o connesso rapporto 
negoziale. 

In questi casi la revoca dell�atto amministrativo comporta, altres�, la 
conseguente �caducazione� del contratto che accede ad esso (es. contratto 
stipulato a seguito di concessione amministrativa) o ad esso � legato da un 
nesso di necessaria presupposizione (contratto di appalto stipulato a seguito 
di un provvedimento di aggiudicazione). E l�affidamento riposto dai privati, 
in merito alla validit� ed alla stabilit� del vincolo pattizio stipulato con la 

P.A. a seguito dell�adozione dell�atto amministrativo poi revocato, non pu� 
certo ritenersi connotato da una minore solidit� rispetto a quello riposto nella 
validit� dell�accordo sostitutivo del provvedimento, avente ugualmente natura 
contrattuale. 
Sembra, pertanto, sussistere un�ingiustificata disparit� di trattamento tra 
due fattispecie sostanzialmente equiparabili sotto il profilo della lesione e 
della conseguente tutela del legittimo affidamento riposto dal privato. 

Occorre, peraltro, tener presente che secondo il diritto comunitario i 
principi dettati in materia di appalti e concessioni pubbliche comportano 
oltre alla armonizzazione procedurale dei procedimenti di attribuzione dell�appalto, 
anche l�armonizzazione sostanziale dell�appalto attribuito, definito 
sempre come contratto e cio� come negozio autonomo e non �accessivo�. 

(47) CARINGELLA, Il contratto, Giuffr�, 2007, 660. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

6. La riduzione dell�indennizzo conseguente alla �conoscenza o conoscibilit� 
da parte del privato della contrariet� dell�atto all�interesse pubblico�. 
Ulteriori perplessit� suscita la previsione secondo la quale l�indennizzo 
va liquidato tenendo conto della �conoscenza o della conoscibilit� da parte 
del privato della contrariet� dell�atto all�interesse pubblico�. 

Un primo aspetto critico concerne il fatto che una siffatta conoscenza da 
parte del privato pu� aversi soltanto nel caso in cui la revoca del provvedimento 
ad efficacia durevole od istantanea consegua ad una �nuova valutazione 
dell�interesse pubblico originario� ed abbia ad oggetto un atto originariamente 
contrario all�interesse pubblico. 

La norma non sembra applicabile alle restanti ipotesi di revoca rispettivamente 
disposte o �per sopravvenuti motivi di pubblico interesse� ovvero 
�per mutamento della situazione di fatto�, in quanto la conoscenza o conoscibilit� 
da parte del privato deve concernere un �vizio� gi� esistente e deve 
necessariamente valutarsi al momento dell�effettiva adozione dell�atto, o al 
massimo, nel caso di atto presupposto per la stipulazione di un successivo 
contratto, al momento della conclusione di quest�ultimo. 

Soltanto in tal caso, poich� la corresponsione dell�indennizzo nei confronti 
del privato � essenzialmente finalizzata al ristoro del pregiudizio da lui 
subito per aver fatto affidamento senza alcuna colpa sulla validit� e sull�efficacia 
dell�atto revocato, la conoscenza o la conoscibilit� della contrariet� 
dell�atto all�interesse pubblico giustificherebbe la decurtazione dell�indennizzo 
prevista dalla norma. 

A nostro giudizio, sembra plausibile che tale conoscenza o conoscibilit� 
debba accertarsi secondo la normale diligenza che era da attendersi in relazione 
alle circostanze, al contenuto dell�atto, alla natura del rapporto ed in 
particolare alle qualit� del soggetto privato. Di regola la diligenza richiesta, 
�, infatti, quella del buon padre di famiglia, vale a dire dell�uomo medio, o 
meglio del cittadino avveduto che vive in un determinato ambiente sociale, 
economico e culturale. 

Maggiore potr� eventualmente essere il grado di diligenza richiesta nel 
caso in cui il privato sia un professionista che agisce nell�ambito della propria 
attivit� professionale ed in un settore di cui conosce le regole, gli interessi 
coinvolti, e le connesse responsabilit� pubbliche e private; in tal caso la valutazione 
concernente la conoscibilit� della contrariet� dell�atto all�interesse 
pubblico potr� effettuarsi secondo il criterio della diligenza professionale. 

In sostanza, l�indagine sulla ricorrenza della riconoscibilit� si risolve 
un�indagine sulla buona fede del contraente privato, che essendo relativa ad 
uno stato soggettivo, viene ricavata in genere attraverso la valutazione di circostanze 
estrinseche e attraverso l�utilizzazione di elementi induttivi e presuntivi. 


Particolarmente ostico risulta, in ogni caso, riuscire a dare la prova sul 
piano applicativo che il privato conosceva (o poteva conoscere) la contrariet� 
dell�atto all�interesse pubblico, in quanto nell�ipotesi di revoca di un atto 
amministrativo, a differenza di quanto accade nel diverso caso di annullamento, 
non viene in rilievo un vizio di legittimit� dell�atto, quale l�incompe



DOTTRINA 371 

tenza, la violazione di legge o l�eccesso di potere, ma un vizio di merito o di 
inopportunit� dello stesso. 

La scelta relativa al modo pi� opportuno di provvedere alla cura dell�interesse 
pubblico di cui l�amministrazione � affidataria, tenendo in adeguata considerazione 
gli ulteriori interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento, 
costituisce, infatti, la tipica espressione del cd. �merito amministrativo�. 

E poich� tale scelta di merito rappresenta una prerogativa primaria ed 
esclusiva della P.A. sottratta di regola a qualsiasi sindacato da parte di soggetti 
terzi, ivi compreso lo stesso giudice amministrativo, ipotizzare, come fa 
la norma in esame, che il privato possa conoscere il vizio di merito che 
affligge l�atto revocato, significa ammettere che anche questi abbia le capacit� 
e le competenze per valutare la conformit� all�interesse pubblico della 
scelta amministrativa, il che sembra scontrarsi con l�esclusivit� e l�insindacabilita` 
del cd. �merito amministrativo�. 

Dal punto di vista del diritto costituzionale tale prospettiva potrebbe, tra 
l�altro, giustificarsi solo in un modello di Stato ispirato al principio di sussidiariet� 
orizzontale e non della c.d. integrazione politica (es. partenariato 
pubblico-privato). 

7. La riduzione dell�indennizzo per concorso colposo del privato. 
La norma prevede un�ulteriore diminuzione dell�indennizzo commisurato 
al solo danno emergente nel caso in cui il privato abbia concorso con il 
suo comportamento a determinare l�erronea valutazione della P.A. circa la 
compatibilit� dell�atto adottato con l�interesse pubblico. 

Stando ai primi commenti espressi in merito a tale nuova previsione 
legislativa, essa non avrebbe fatto altro che richiamare espressamente la 
disciplina civilistica di cui al comma 1 dell�art. 1227 c.c. secondo cui �se il 
fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento 
� diminuito secondo la gravit� della colpa e l�entit� delle conseguenze che 
ne sono derivate�. 

L�orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente ritiene che il 
comma 1 dell�art. 1227 c.c., concernente il cd. �concorso di colpa del danneggiato� 
richiede una cooperazione attiva da parte di quest�ultimo. 

Pertanto, il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto 
in ragione dell�entit� percentuale dell�efficienza causale del comportamento 
del danneggiato, atteso che il danno che taluno arreca a s� medesimo 
non pu� essere posto a carico dell�autore della causa concorrente, sia per il 
principio che il risarcimento va proporzionato all�entit� della colpa di ciascun 
concorrente, sia per l�esigenza di evitare un indebito arricchimento. 

Secondo la prevalente dottrina civilistica (48) il fondamento del principio 
risiede nell�esigenza che al danneggiante non faccia carico il danno per 
quella parte di esso che non � a lui causalmente imputabile. 

(48) BIANCA, Diritto Civile, 5, La responsabilit�, Milano, 1994, 137 e ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Una diversa opinione (49) riporta il principio sul piano della responsabilit� 
o pi� precisamente dell�autoresponsabilit� del soggetto. 

In ogni caso, la colpa del danneggiato non deve intendersi come criterio 
d�imputabilit� del fatto illecito, in quanto il soggetto che danneggia o concorre 
a danneggiare se stesso non compie alcun illecito . La colpa costituisce 
piuttosto un requisito legale della rilevanza causale del fatto. 

Da ci� consegue che in presenza di un comportamento non colposo prevale 
l�esigenza che il danneggiato sia integralmente risarcito del danno subito. 

Nel determinare la diminuzione del risarcimento, inoltre, occorre tener 
conto della gravit� della colpa e dell�entit� delle conseguenze derivatene. 

La prova del concorso spetta, infine, al danneggiante, trattandosi di circostanza 
che esclude o limita la pretesa del danneggiato. 

Ci� premesso in ordine alla vigente disciplina civilistica � che, tra l�altro, 
inserisce il concorso di responsabilit� nell�ambito del risarcimento del danno 
conseguente all�inadempimento contrattuale � deve necessariamente rilevarsi 
che il nuovo art. 21 quinquies applica, in realt�, il principio in esame ad un 
ambito giuridico sostanzialmente diverso da quello previsto dal codice civile. 

Con riferimento al suddetto articolo, il concorso di responsabilit� del 
danneggiato vale a ridurre ulteriormente l�indennizzo a lui spettante, nel caso 
di revoca di un precedente atto amministrativo, qualora egli con il suo comportamento 
abbia concorso a determinare l�erronea valutazione della P.A. 
circa la compatibilit� dell�atto adottato con l�interesse pubblico. 

Ma questo � possibile solo quando la P.A. opera esclusivamente �iure 
privatorum� applicandosi il concetto civilistico di causa cio� di funzione 
economico-sociale del contratto stesso. In tal caso, infatti, il negozio deve 
essere preceduto da apposita determinazione comune. 

La norma, inoltre, a differenza di quanto si legge nell�art. 1227 c.c., non 
parla espressamente di un comportamento imputabile al danneggiato �almeno 
a titolo di colpa�, ma deve ragionevolmente presumersi che anche in questo 
caso la colpa rappresenti un indispensabile requisito legale di rilevanza 
causale. Ci� anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza 
comunitaria, che ha pi� volte affermato il principio dell��incondizionata 
revocabilit� degli atti amministrativi�, sebbene legittimi e creatori di posizioni 
soggettive favorevoli, nei casi in cui gli stessi sono stati adottati sulla base 
di false o incomplete informazioni fornite fraudolentemente dalle parti interessate. 
In particolare, la revocabilit� incondizionata dell�atto amministrativo 
trova qui una sua ragionevole giustificazione nel fatto che il comportamento 
doloso dell�interessato, vale ad escludere ab origine la formazione in 
capo ad esso di un qualsiasi legittimo affidamento. 

Al contrario, nel caso in cui le informazioni (e/o i documenti) false o 
incomplete siano state fornite senza un intento fraudolento da parte dell�interessato 
(come avviene ad es. nel caso di comportamento negligente) la 

(49) PUGLIATTI, Autoresponsabilit�, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 458. 

DOTTRINA 373 

stessa giurisprudenza ritiene che la revoca dell�atto amministrativo debba 
essere subordinata alla previa valutazione della buona fede e del conseguente 
legittimo affidamento riposto nell�atto. 

In ordine al campo di applicazione della norma in questione si pone un ulteriore 
problema. Dal tenore letterale utilizzato dal legislatore, sembra che essa 
possa trovare applicazione solo con riferimento ad una delle tre diverse ipotesi 
di revoca, previste dal comma 1 dell�art. 21 quinquies, vale a dire la revoca 
determinata da una nuova valutazione dell�interesse pubblico originario. 

La norma, nel fare riferimento ad un eventuale concorso del destinatario 
nell�erronea valutazione in cui � incorsa la P.A. in merito alla compatibilit� 
del provvedimento adottato con l�interesse pubblico, presuppone che la revoca 
sia essenzialmente dovuta ad �inopportunit� originaria dell�atto� e non 
anche a �sopravvenuti motivi di interesse pubblico� o �di mutamento della 
situazione di fatto�. Ci� in quanto, con riferimento a tali ipotesi, non � neppure 
ipotizzabile un concorso di responsabilit� da parte del danneggiato, trattandosi 
di sopravvenienze da lui non conosciute o conoscibili al momento 
dell�adozione dell�atto a lui favorevole. 

Quest� ulteriore limitazione del campo di applicazione della norma soltanto 
ad una delle particolari tipologie di revoca contemplate dal primo 
comma dell�art. 21 quinquies d� luogo a talune perplessit� interpretative in 
merito alla determinazione dell�indennizzo da corrispondere nelle restanti 
ipotesi in cui non � configurabile alcuna �attenuazione� del legittimo affidamento 
riposto dal privato nella validit� e nell�efficacia della situazione giuridica 
a lui favorevole scaturita dall�adozione dell�atto successivamente 
rimosso. 

Due sembrano a nostro avviso le possibili interpretazioni al riguardo. 

Pu� ritenersi che l�indennizzo, anche nei casi di �sopravvenuti motivi di 
interesse pubblico� o �di mutamento della situazione di fatto�, sia comunque 
limitato al solo danno emergente; utilizzando la stessa soluzione che, in realt�, 
avevamo ipotizzato anche per le ipotesi � ugualmente non espressamente 
disciplinate � in cui la revoca riguarda un provvedimento che incide su un 
semplice rapporto amministrativo e non anche su un conseguente rapporto 
negoziale. 

In tal caso, avevamo ritenuto la soluzione come l�unica possibile, in 
quanto diversamente considerando l�indennizzo come comprensivo anche 
dell�eventuale lucro cessante si creerebbe un�ingiustificata disparit� di trattamento, 
per lo pi� a favore della situazione giuridica che crea nel privato un 
affidamento certamente meno forte rispetto a quello che nasce da un provvedimento 
ma si consolida definitivamente in un conseguente atto negoziale, 
in cui la P.A. agisce su un piano di parit� e secondo i principi e le responsabilit� 
proprie del diritto privato. 

In base alle suddette argomentazioni, � possibile ritenere che nel caso di 
revoca disposta per �sopravvenienze� � sia che essa riguardi provvedimenti 
che incidono su semplici rapporti amministrativi sia che riguardi provvedimenti 
che incidono su rapporti negoziali � l�indennizzo spettante al destinatario 
dell�atto revocato � comunque limitato al solo danno emergente, 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

senza che sia, per�, possibile alcuna ulteriore �riduzione� dello stesso, di 
fatto riferibile alle sole ipotesi di revoca disposta per originaria inopportunit� 
dell�atto. 

Stando ad una diversa interpretazione la nuova disposizione introdotta 
dall�art. 12, comma 4, del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7 � che limita l�ammontare 
dell�indennizzo al solo danno emergente � sarebbe, invece, applicabile 
alla sola revoca per originaria inopportunit� dell�atto, limitatamente alla 
quale una siffatta riduzione, troverebbe una giustificazione nel fatto che una 
corretta valutazione dell�interesse pubblico operata inizialmente dalla P.A. 
avrebbe impedito l�iniziale adozione del provvedimento da cui � scaturita sia 
la situazione di vantaggio sia il conseguente affidamento del privato. E poich� 
di regola, un�erronea valutazione degli interessi pubblici e privati connessi 
ad un determinato procedimento amministrativo dipende dalle informazioni, 
dai dati, dai documenti ed in generale dagli elementi di giudizio 
acquisiti non soltanto d�ufficio, ma forniti, altres�, su iniziativa dei soggetti 
destinatari e degli eventuali controinteressati all�adozione dell�atto, si comprenderebbe 
l�ulteriore riduzione dell�indennizzo prevista nei casi di conoscenza 
o conoscibilit� della contrariet� all�interesse pubblico e di concorso 
colposo all�erronea valutazione. 

Contro una siffatta interpretazione � riferibile ai soli casi di revoca per 
originaria inopportunit� dell�atto � osta, per�, il tenore letterale dell�ultimo 
periodo dell�art. 21 quinquies che espressamente richiama la revoca di cui al 
comma 1 dello stesso articolo, e conseguentemente tutte le diverse ipotesi in 
esso contemplate. 

Deve, tuttavia, rilevarsi che la soluzione da ultima prospettata, seppur non 
conforme al dettato normativo, sarebbe quella pi� coerente anche con riferimento 
al diverso regime previsto dall�art. 11 della stessa legge 241 del 1990, 
in relazione ai cosiddetti accordi sostitutivi di provvedimenti amministrativi, 
per i quali � come precedentemente illustrato � la legge si preoccupa di garantire 
il legittimo affidamento riposto dal privato, mediante la corresponsione di 
un indennizzo, il cui ammontare non viene ad essere, affatto, predeterminato 
e limitato al solo danno emergente ma viene rimesso al prudente apprezzamento 
dei giudici, ai quali spetta determinarlo in via equitativa. 

8. La riduzione dell�indennizzo per concorso di soggetti diversi dal danneggiato. 
Un ulteriore aspetto critico della norma in esame � quello concernente il 
riferimento all�eventuale concorso di �altri soggetti� � vale a dire di soggetti 
diversi dal contraente e/o destinatario del provvedimento revocato � che 
con il loro comportamento hanno contribuito a determinare l�erronea valutazione 
in cui � incorsa la P.A. circa l�originaria compatibilit� dell�atto revocato 
con l�interesse pubblico. 

Stando al tenore letterale della disposizione sembrerebbe che l�eventuale 
induzione in errore da parte del terzo, debba essere valutata dall�amministrazione 
al fine di determinare un�ulteriore riduzione dell�indennizzo spettante 
al privato. 


DOTTRINA 375 

Tuttavia, partendo dal presupposto in base al quale la funzione propria 
del suddetto indennizzo consiste essenzialmente nel �remunerare� in qualche 
modo l�incolpevole affidamento generato nel privato a seguito dell�adozione 
dell�atto successivamente revocato, l�ulteriore riduzione di tale indennizzo 
pu� trovare una plausibile giustificazione soltanto nel caso in cui il soggetto 
terzo sia un ausiliario del contraente ai sensi dell�art. 1228 c.c., ovvero un 
soggetto ad esso legato da un vincolo di subordinazione, seppur occasionale 

o temporaneo, ed assoggettato al suo potere di direzione e sorveglianza ai 
sensi dell�art. 2049 c.c. e la cui condotta sia comunque imputabile almeno a 
titolo di colpa. 
Nel diverso caso in cui il soggetto terzo non sia legato al contraente e/o 
destinatario dell�atto revocato da alcun rapporto riconducibile ad una delle 
suddette ipotesi normative, un�ulteriore diminuzione dell�indennizzo non 
sembra trovare alcuna ragionevole e plausibile giustificazione in base ai 
principi e alle norme della responsabilit� civile. 

Il contraente e/o destinatario del provvedimento amministrativo � completamente 
estraneo all�azione del terzo che induce in errore l�amministrazione, 
e ci� in quanto la condotta colposa o dolosa di quest�ultimo si svolge 
completamente al di fuori della sua sfera di conoscenza e di controllo. 

A tal riguardo appare opportuno evidenziare che la condotta del terzo che 
con il suo comportamento induce in errore la P.A. in ordine alla valutazione 
della compatibilit� del provvedimento con l�interesse pubblico di cui la stessa 
� affidataria, qualora si accompagni ad artifici o raggiri, potrebbe integrare 
gli estremi del dolo di cui all�art. 1435 c.c., il quale �, per�, giuridicamente 
rilevante (potendo determinare l�annullamento del contratto) nel caso di 
dolo del terzo, solo se conosciuto dal contraente che ne ha tratto vantaggio. 

Ebbene, considerato che il comportamento del terzo che induce la P.A. 
in errore in ordine alla valutazione dell�interesse pubblico, qualora sia doloso, 
integra una condotta che si avvicina molto alla fattispecie del dolo negoziale, 
potrebbe eventualmente ipotizzarsi che il concorso del terzo possa 
incidere sul quantum dell�indennizzo solo se il contraente e/o destinatario 
del provvedimento favorevole ne era a conoscenza. 

Una diversa interpretazione della norma in esame � ugualmente utile al 
fine di impedire che il destinatario dell�atto revocato, sia costretto a subire 
un�ulteriore quanto ingiusta riduzione dell�indennizzo a lui spettante, pur in 
assenza di un comportamento a lui imputabile almeno a titolo di colpa, e pertanto, 
a titolo di mera responsabilit� oggettiva � consiste nel consentire a 
quest�ultimo l�esercizio dell�azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti 
del terzo che con il proprio comportamento ha determinato l�ingiusta riduzione 
dell�indennit� a lui spettante, a seguito della revoca disposta dall�amministrazione. 


Il problema troverebbe, in realt�, facile soluzione qualora si accedesse a 
quel particolare orientamento giurisprudenziale che � nel tentativo di pervenire 
in sede aquiliana ad una piena tutela del patrimonio � ha ravvisato nell�art. 
41 della Costituzione il fondamento del cd. �diritto all�integrit� del 
patrimonio�, attribuendo di fatto rilevanza giuridica alla perdita patrimonia



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

le in s� e per s� considerata, e quindi a prescindere dalla lesione di una situazione 
giuridica soggettiva, previamente attribuita al danneggiato. 

La Cassazione in diverse sue pronunce ha identificato il suddetto diritto 
all�integrit� del patrimonio con il �diritto a determinarsi liberamente nello 
svolgimento dell�attivit� negoziale relativa al patrimonio (costituzionalmente 
garantito entro i limiti dell�art. 41 Cost.) facendo ragionevole affidamento 
sulla veridicit� delle dichiarazioni da chiunque rese e comunque concernenti 
quell�attivit� e senza essere pregiudicato da dichiarazioni rese per 
dolo o per colpa ( in violazione dei doveri inderogabili di solidariet� sociale 
predicati dall�art. 2 della Cost.)�. 

In realt�, conformemente a quanto rilevato da autorevole dottrina (50), 
si nutrono forti perplessit� in merito alla possibilit� di un�applicazione diretta 
dell�art. 41 della Cost., facendone derivare una situazione giuridica soggettiva 
consistente in un �preteso interesse all�integrit� del patrimonio�. 

Ci� in quanto: 1) la norma costituzionale in questione concerne essenzialmente 
i rapporti tra i cittadini e lo Stato; 2) nei rapporti tra i privati essa opera 
essenzialmente come garanzia costituzionale della libert� di concorrenza. 

Ragionando diversamente, ci sembra possibile affermare che nel caso in 
cui il fatto colposo o doloso di un soggetto �terzo� abbia concorso a determinare 
l�erronea valutazione della P.A. che � causa del successivo annullamento 
dell�atto originariamente adottato, esso rileva in maniera efficiente ai 
fini della determinazione dell�evento lesivo del legittimo affidamento del 
destinatario dell�atto, da cui scaturisce il conseguente diritto ad un equo 
indennizzo nei confronti dello stesso. 

L�ingiustizia del danno cagionato dal terzo consiste nella lesione di quella 
particolare situazione soggettiva, rappresentata dal cd. legittimo affidamento 
del destinatario dell�atto in merito alla validit� ed all�efficacia dello stesso, 
che trova il suo fondamento normativo e la conseguente rilevanza giuridica 
proprio nel nuovo comma 1 bis dell�art. 21 della legge 241 del 1990. 

Una volta ravvisata nella lesione del suddetto legittimo affidamento l�ingiustizia 
del danno richiesta ai fini della responsabilit� di cui all�art. 2043 
c.c., non sembrano esservi ostacoli al fine di poter configurare l�esistenza di 
un conseguente danno risarcibile ove si sia verificata � ai danni del contraente 
e/o destinatario del provvedimento annullato dalla P.A. � una perdita economica 
riconducibile (in tutto o in parte) al comportamento colposo o doloso 
di soggetto �terzo�. 

A tal fine, sar� per� necessario che la P.A. dia conto � nella motivazione 
dell�atto con cui riconosce all�interessato un indennizzo in misura ridotta 
rispetto all�ammontare complessivo del danno emergente � dell�errore di 
valutazione in cui � incorsa dato il concorrere di un comportamento imputabile 
a soggetti terzi. 

(50) C. SCOGNAMIGLIO, voce Ingiustizia del danno, in Enc. Giur. Treccani, vol. XVI, 
Roma, 1990. 

DOTTRINA 377 

In conclusione appare importante evidenziare che, anche aderendo alla 
soluzione da noi proposta, la norma rappresenta comunque un�evidente eccezione 
alla responsabilit� solidale di cui all�art. 2055 c.c., in base alla quale 
se il danno � imputabile a pi� soggetti, ciascuna � responsabile per l�intero 
nei confronti del danneggiato. 

Poich� siffatta norma � ritenuta applicabile anche nel caso in cui taluno 
degli autori del danno risponde a titolo contrattuale ed altri a titolo extracontrattuale, 
una corretta formulazione dell�art. 21 quinquies, conforme al principio 
civilistico di cui all�art. 2055 c.c., avrebbe dovuto prevedere che, nel 
caso di concorso del fatto del terzo, la P.A. � in ogni caso tenuta a corrispondere 
l�intero indennizzo nei confronti del destinatario dell�atto revocato, 
potendo essa agire in regresso nei confronti del terzo (co)responsabile nella 
misura determinata dalla gravit� della rispettiva colpa. 

Considerando che il fondamento della regola della responsabilit� solidale 
� gi� enunciata nel precedente codice del 1865, e ribadita con maggior 
vigore in quello attualmente vigente � risiede in un�essenziale funzione di 
garanzia del creditore, al quale � in tal modo consentito di ottenere comunque 
l�integrale risarcimento del danno, essa costituisce un evidente rafforzamento 
legale del rimedio del risarcimento del danno, la cui esclusione nel 
caso di specie pu� ritenersi legittima soltanto ove sia possibile rinvenire una 
qualche plausibile e ragionevole motivazione. 

In realt�, una qualche giustificazione del diverso regime normativo previsto 
nel caso oggetto della nostra indagine, seppur non del tutto convincente, 
pu� ravvisarsi nel fatto che ove la revoca dell�atto amministrativo sia stata 
legittimamente adottata nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste dall�art. 
21 quinquies, nonch� nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza 
contrattuale, qualora l�atto revocato incida su rapporti negoziali, non 
viene in rilievo il risarcimento di un danno conseguente ad un fatto illecito, 
ma un indennizzo derivante da fatto lecito della P.A.. 

9. Profili di dubbia costituzionalit� del comma 1 bis dell�art. 21 quinquies 
della legge 241 del 1990. 
In conclusione, appare necessario evidenziare che la soluzione da noi 
avallata nel presente lavoro � secondo la quale nel caso di sussistenti rapporti 
negoziali tra la P.A. ed il soggetto privato la revoca dell�atto amministrativo, 
seppur disposta nel rispetto delle condizioni previste dalla legge e formalmente 
legittima pu�, tuttavia, risultare non conforme ai canoni di �correttezza 
e buona fede� che anche l�amministrazione, come qualsiasi altro 
contraente, � tenuta ad osservare nel momento in cui agisce secondo gli strumenti, 
le regole e le conseguenti responsabilit� proprie del diritto privato � 
consente, in sostanza, di limitare la corresponsione del mero �indennizzo 
commisurato al danno emergente� ai soli casi di cd. �responsabilit� per fatto 
lecito da parte della A�, lasciando ampi spazi di applicazione al vero e proprio 
risarcimento del danno in favore del privato, qualora siano configurabili 
gli estremi di una responsabilit� contrattuale secondo le norme proprie del 
diritto civile. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Pertanto, ove la revoca dell�atto amministrativo sia in concreto esercitata 
secondo modalit� tali da integrare gli estremi di una responsabilit� precontrattuale 
ex art. 1337 c.c., ovvero di una responsabilit� per inadempimento 
per violazione degli obblighi di buona fede integrativa di cui all�art. 1375 
c.c., il privato ha diritto non al semplice indennizzo, ma al risarcimento del 
danno subito. 

In sostanza, trattasi di una lettura costituzionalmente orientata della 
norma in esame, a nostro modesto avviso, unica lettura possibile al fine di 
evitarne un giudizio di illegittimit� costituzionale per ingiustificata disparit� 
di trattamento tra contraente pubblico e contraente privato e conseguente 
violazione dell�art. 3 della Costituzione. 

E ci� soprattutto alla luce della recente introduzione nel corpo della legge 

n. 241 del 1990 di un nuovo art. 1 comma 1 bis (avvenuta ad opera della legge 
15 del 2005), il quale, in particolare, dispone che �La pubblica amministrazione, 
nell�adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le 
norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente�. 
La disposizione, che si inserisce nell�ambito delle recenti tendenze di 
privatizzazione volte a sottrarre parte delle connotazioni pubblicistiche tipiche 
dell�amministrare, consente alla P.A. di operare, anche per la realizzazione 
dei suoi compiti istituzionali e la conseguente realizzazione degli 
interessi pubblici di cui � affidataria, secondo le norme e i principi propri 
del diritto privato. 

Parte della dottrina (51) ha ravvisato nel nuovo comma 1 bis dell�art. 1 
della legge 241 del 1990 una fondamentale scelta culturale ed istituzionale 
operata dall�ordinamento italiano, in quanto essa tende a sostituire al tradizionale 
rapporto gerarchico, espressione di una concezione autoritaria e statalistica 
dei pubblici poteri, un diverso rapporto paritario e collaborativo tra 
i cittadini e le amministrazioni. 

In particolare, � stato da pi� parti rilevato che la disposizione in esame � 
l� ove privilegia come strumento giuridico di formazione del rapporto tra P.A. 
e cittadino, lo strumento privatistico � ha l�importante funzione di garantire ai 
soggetti privati una maggiore tutela dei propri interessi, in quanto fondata su 
un �accordo� regolato dalle norme e dai principi propri del codice civile. 

Resta fermo il fatto che l�attivit� della P.A. anche se formalmente connotata 
da aspetti civilistici, deve pur sempre rispettare il generale criterio di 
adeguata tutela dell�interesse pubblico, senza per questo trasformarsi in 
un�attivit� di carattere autoritativo. 

In realt�, anche prima della sua formale consacrazione nel comma 1 bis 
dell�art. 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, poteva ritenersi 
principio ormai consolidato nell�ordinamento giuridico italiano quello 
in forza del quale � consentito alla P.A. eseguire i suoi compiti istituzionali 

(51) CERULLI IRELLI, Il negozio come strumento di azione amministrativa, in www.lexitalia.
it. 

DOTTRINA 379 

di cura degli interessi pubblici di cui la stessa � affidataria, tanto mediante 
l�uso di strumenti autoritativi, quanto attraverso l�applicazione di istituti di 
diritto privato (52). 

Deve, tuttavia, evidenziarsi che stando al tenore letterale della seconda 
parte dello stesso art. 1, comma 1 bis � che fa espressamente salva la possibilit� 
da parte del legislatore di introdurre particolari deroghe in favore della 

P.A. rispetto alle comuni norme del diritto privato � tale disposizione sembrerebbe 
insuscettibile di incidere significativamente sulle cd. �aree di privilegio� 
tradizionalmente riconosciute all�amministrazione nell�applicazione 
del diritto privato. Ci� in quanto, attraverso la formula di chiusura �salvo che 
la legge disponga diversamente� la norma riconosce ed avalla l�esistenza di 
possibili deroghe e condizionamenti pubblicistici all�attivit� di diritto privato, 
da ritenersi ragionevolmente fondati in virt� della particolare natura dell�attivit� 
della P.A., essenzialmente finalizzata alla cura di interessi pubblici 
di carattere generale. 
La prevalente dottrina e la stessa giurisprudenza amministrativa riconoscono 
la legittimit� delle cd. �aree di privilegio della P.A. nell�applicazione 
del diritto privato�, in quanto tradizionalmente fondate sull�imprescindibilit� 
del rispetto del vincolo del fine e, in ultima analisi, sull�esigenza che l�attivit� 
della P.A., anche se svolta nelle forme del diritto privato, sia, comunque, 
preordinata al soddisfacimento dell�interesse pubblico. 

Ponendo in adeguata considerazione una siffatta �ratio�, risultano piuttosto 
limitate le possibili deroghe alle norme e ai principi di diritto privato 
che il legislatore � attualmente legittimato ad introdurre nell�ordinamento 
giuridico in favore della P.A. 

Alla luce del mutato rapporto tra P.A. e soggetti privati � di tipo non pi� 
gerarchico ed autoritario, ma paritario e collaborativo � la formula �salvo 
che la legge disponga diversamente�, pu�, a nostro avviso, leggersi nel senso 
che essa, lungi dal costituire una conferma impropria e indiscriminata della 
possibilit� di introdurre deroghe ai principi ed alle norme del diritto privato, 
affida per il futuro al solo legislatore la possibilit� di prevedere eccezionali 
e specifiche deroghe alla disciplina privatistica, da ritenersi legittime � e 
conseguentemente non lesive del principio di uguaglianza di cui all�art. 3 
della Cost. per ingiustificata disparit� di trattamento tra contraente pubblico 
e contraente privato � soltanto ove finalizzate alla necessaria salvaguardia di 
un concreto ed effettivo interesse pubblico generale di cui la P.A. risulta 
essere affidataria. 

In realt�, vistosi esempi di deroga legale al regime civilistico si rinvengono 
attualmente nella disciplina relativa ai contratti di appalto di opere pubbliche 
ed, in particolare, nel potere assegnato alla amministrazione di: risolvere 
unilateralmente il contratto, recedere da esso, rescinderlo per frode o 

(52) Sul punto, in particolare: SANDULLI, Commento alla legge di riforma della legge 
n. 241/1990 (a cura di Vittorio Italia), Milano, 2005. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

grave negligenza, sospendere l�esecuzione dei lavori e addirittura sostituirsi 
all�appaltatore inadempiente . 

In epoca antecedente all�emanazione del nuovo art. 1 comma 1 bis della 
legge 241 del 1990, il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale 
riteneva che in tali casi la deroga al diritto privato ed in favore della P.A. 
potesse ritenersi legittima � nell�ottica di un sindacato di costituzionalit� in 
merito alla sussistenza di adeguate ragioni giustificatrici � alla luce dei principi 
generali dell�azione amministrativa, tradizionalmente considerata quale 
attivit� �autoritativa� finalizzata alla cura di interessi pubblici. 

Nella prospettiva dell�avvenuta evoluzione della suddetta azione, che 
tende ormai a sostituire al tradizionale rapporto gerarchico un diverso rapporto 
paritario e collaborativo tra i cittadini e le amministrazioni, e che vede 
il diritto privato rappresentare il diritto comune dell�amministrazione, le suddette 
�ragioni giustificatrici� dei cd. �fattori di specialit�� riconosciuti alla 

P.A. in materia contrattuale, sembrerebbero, in realt�, non essere pi� tali. 
Una prima conseguenza della disposizione di cui all�art. 1 comma 1 bis 
della legge 241 del 1990 � certamente quella di escludere, in materia contrattuale, 
la validit� di deroghe al diritto comune in favore dell�amministrazione 
che non derivino da un�espressa disposizione di legge, ma semplicemente da 
una prassi amministrativa o dalla giurisprudenza applicativa. 

Ma i suddetti rilievi critici sembrano valere, altres�, con riferimento alle 
disposizioni attualmente vigenti nonch� nei confronti di quelle future che il 
legislatore, nella sua discrezionalit�, avesse a proporre in deroga alla disciplina 
contrattuale ordinaria. 

Sarebbe stato forse opportuno che lo stesso art. 1 comma 1 bis della 
legge 241 del 1990, l� ove espressamente prevede la possibilit� di specifiche 
deroghe di legge all�osservanza da parte della P.A. delle regole del diritto privato, 
avesse indicato anche i fondamentali principi, in grado di giustificare 
siffatte eccezioni. 

Ma dato il silenzio della norma sul punto, sembrano potersi ritenere giustificate 
le sole deroghe conformi ai principi generali di ragionevolezza, proporzionalit� 
ed uguaglianza, oltre ai principi comunitari della tutela della 
concorrenza e del libero mercato. 

In sostanza, il principio enunciato nel nuovo comma 1 bis dell�art. 1 
della legge 241 del 1990, ci sembra in grado di realizzare un adeguamento 
in via interpretativa del dato normativo, con conseguente ridimensionamento 
delle cd. �aree di privilegio� riconosciute alla P.A. in deroga alle norme di 
diritto privato, la cui legittimit� pu� ritenersi tale nei soli casi in cui a fondamento 
della deroga sussistano effettive e concrete ragioni di interesse pubblico 
generale. 

A conferma di quanto rilevato � possibile addurre il recente evolversi in 
senso positivo dell�orientamento giurisprudenziale inizialmente contrario 
all�applicabilit� alla P.A., di talune disposizioni di diritto comune in materia 
di contratti, quali, ad esempio, l�art. 1337 del c.c., sulla responsabilit� precontrattuale 
(gi� esaminato in precedenza) e l�1341 c.c. sulle clausole vessatorie, 
in virt� di un presunto carattere di specialit� del potere esercitato dall�amministrazione 
nel corso delle trattative. 


DOTTRINA 381 

Le recenti pronunce giurisprudenziali ribadiscono la perfetta equiparazione 
in materia contrattuale della P.A. a qualsiasi altro contraente privato, 
tenuta in quanto tale all�osservanza degli stessi obblighi ed incorrente nelle 
medesime responsabilit�. 

Alla luce di tali considerazioni deve, pertanto, esaminarsi la legittimit� 
della deroga alle norme di diritto privato introdotta dal nuovo art. 21 quinquies 
della legge 241 del 1990 in favore della P.A. in merito alla corresponsione 
nei confronti del soggetto privato di un mero indennizzo, limitato al 
solo danno emergente, nei casi di revoca di un provvedimento amministrativo, 
che in quanto incidente su un connesso rapporto negoziale, ne comporta 
la conseguente �caducazione�. 

Contrariamente a quanto da taluni sostenuto, la particolare �area di privilegio� 
riconosciuta da tale norma alla P.A. � consistente nella �predeterminata 
limitazione� dei danni risarcibili al privato che sulla validit� e sull�efficacia 
del contratto stipulato e successivamente �caducato�, aveva senza sua 
colpa riposto legittimo affidamento � non sembra trovare una valida giustificazione 
nel fatto che la revoca del provvedimento amministrativo (presupposto 
o connesso all�atto negoziale) � stata legittimamente disposta nel 
rispetto dei presupposti e delle condizioni previste dalla legge. 

Ci� potrebbe, forse, ritenersi sufficiente qualora il potere di revoca riconosciuto 
dalla legge alla P.A. fosse, in realt�, esercitabile soltanto per sopravvenuti 
motivi di interesse pubblico o per sopravvenuti mutamenti di fatto, in 
virt� dei quali il provvedimento precedentemente adottato non risulta pi� 
rispondente agli interessi generali. Ma non sembra potersi ritenere tale in 
presenza di una disposizione di legge che attualmente autorizza la revoca di 
un provvedimento amministrativo incidente su un connesso rapporto negoziale 
senza alcun limite di tempo e anche nel caso di una semplice �nuova 
valutazione dell�interesse pubblico originario� che, come in precedenza sottolineato, 
pu� anche dipendere da un�erronea valutazione inizialmente operata 
dalla stessa amministrazione. 

Se � vero che la deroga ai principi di diritto privato, nei casi in cui la P.A. 
agisce secondo gli strumenti propri di quest�ultimo, pu� ritenersi legittima � 
evitando, pertanto, un eventuale giudizio di illegittimit� costituzionale per 
ingiustificata disparit� di trattamento tra contraente pubblico e contraente privato 
e conseguente violazione dell�art. 3 della Costituzione � soltanto quando 
� essenzialmente finalizzata alla necessaria salvaguardia di un concreto ed 
effettivo interesse pubblico, ci si domanda quale sia l�interesse sotteso ad una 
limitazione della responsabilit� contrattuale della P.A., disposta dalla legge in 
termini di quantificazione del danno risarcibile nei confronti del contraente 
privato, oltre ad un evidente �risparmio di spesa� per la stessa P.A. 

Una siffatta deroga ai principi del diritto privato � qualora considerata 
tale da giustificare in ogni caso di revoca di un precedente atto amministrativo 
incidente su un rapporto negoziale un risarcimento in misura ridotta del 
danno cagionato al contraente privato, ivi compresa l�ipotesi di un�erronea 
valutazione iniziale da parte della stessa P.A. � potrebbe, al contrario, risultare 
non conforme ai principi di buon andamento ed efficienza della stessa 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

amministrazione, espressamente �autorizzata� dalla legge anche a �sbagliare� 
nell�iniziale valutazione degli interessi pubblici, senza incorrere per questo 
nel rischio dell�effettivo risarcimento del danno ad altri prodotto, in virt� 
di un comportamento ad essa imputabile almeno a titolo di colpa. 

Si ribadisce, pertanto, che soltanto una lettura costituzionalmente orientata 
della norma di cui all�art. 21 quinquies della legge 241 del 1990 � che 
ritiene possibile il risarcimento del danno cagionato al contraente privato 
ogni volta in cui, nonostante l�apparente legittimit� della revoca dell�atto 
amministrativo, la P.A. abbia comunque tenuto un comportamento contrario 
ai fondamentali doveri di �correttezza e buona fede� che anche l�amministrazione, 
come qualsiasi altro contraente, � tenuta ad osservare nel momento in 
cui agisce secondo gli strumenti, le regole e le conseguenti responsabilit� 
proprie del diritto privato � vale ad impedirne un giudizio di illegittimit� 
costituzionale per ingiustificata disparit� di trattamento tra contraente pubblico 
e contraente privato e conseguente violazione dell�art. 3 della 
Costituzione. 

Al riguardo, deve, infine, evidenziarsi che stando ad un determinato 
orientamento della Corte Costituzionale il giudizio di rinvio alla stessa Corte 
� ritenuto ammissibile soltanto nel caso in cui � nonostante lo sforzo del giudice 
a quo di dare un�interpretazione costituzionalmente orientata della 
norma primaria sospettata di illegittimit� costituzionale � la medesima resta 
univocamente incompatibile con i principi ed i valori tutelati dalla 
Costituzione. 


I NDICI SISTEMA TICI 
ANNUALI 
1 - ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI 

GIUSEPPE ALBENZIO, La Corte europea dei diritti dell�uomo. Considerazioni 
generali sulla sua attivit�, sulla esecuzione delle sentenze nei confronti 
dello Stato italiano, sul patrocinio in giudizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. III, 19 

Ancora in tema di inammissibilit� del ricorso per cassazione . . . . . . . . . . . . . . � III, 219 
DAVID ASTORRE, La prova della ricezione della notifica della sentenza ai fini 
della tempestivit� del ricorso per Cassazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 222 
VALERIO BALSAMO, Sindacabilit� giurisdizionale della revoca dell�incarico di 
assessore comunale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 165 
MAILA BEVILACQUA, La colpa grave nel procedimento di riparazione per 
ingiusta detenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 251 
GIUSEPPE BIANCHI, FILIPPO D�ANGELO, L�efficacia dei trattati internazionali 
alla luce del nuovo testo dell�art. 117, primo comma, Cost.; note a margine 
delle sentenze nn. 348/07 e 349/07 della Corte costituzionale . . . . . . . . . � III, 78 
MAURIZIO BORGO, Sulla competenza in materia di ricongiungimento familiare � I, 41 
MAURIZIO BORGO, C�era una volta� lo �Stato in giudizio� . . . . . . . . . . . . . . . � II, 1 
MAURIZIO BORGO, Il c.d. �fermo fiscale�, ancora alla ricerca del proprio giudice: 
nuovi contrasti giurisprudenziali dopo il c.d. �Decreto Bersani� . . . . . � III, 235 
MAURIZIO BORGO, Il divieto di prove nuove nel giudizio amministrativo. 
Contrasti giurisprudenziali nell�ambito del Consiglio di Stato . . . . . . . . . . . � III, 248 
MAURIZIO BORGO, I nuovi criteri di determinazione dell�indennit� di espropriazione 
per le aree edificabili. Brevi riflessioni, a caldo, sull�art. 37-bis 
del disegno di legge Finanziaria 2008, nel dossier: La declaratoria di incostituzionalit� 
delle norme in materia di esproprio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 153 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

MAURIZIO BORGO, Relazione al Convegno nazionale �Articoli 5 bis, 1-2 d.l. 
333/92 e 37 1-2 d.P.R. 327/01 incostituzionali. La nuova indennit� di 
esproprio per le aree edificabili�, nel dossier: La declaratoria di incostituzionalit� 
delle norme in materia di esproprio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. III, 145 

ALEJANDRA BOTO �LVAREZ, Alcuni appunti sulle norme processuali di favore 
che il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato porta con s� nel diritto 
spagnolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 6 

BENEDETTO BRANCOLI BUSDRAGHI, La d.i.a. Un nuovo silenzio? . . . . . . . . . . . . � II, 177 

IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA, EMANUELA RUSSIANI, Prime evoluzioni 
della giustizia amministrativa: contributi dell�Avvocatura erariale . . . . . . . . � III, 5 

VINCENZO CARDELLICCHIO, FABRIZIO GALLO, La Stazione unica appaltante 
provinciale (S.U.A.P.) di Crotone: genesi e prospettive evolutive . . . . . . . . . . � I, 26 

CINZIA F. CODUTI, Appalto pubblico o concessione di servizi? La Corte enfa- 
tizza il criterio del rischio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 64 

ROBERTO COLLACCHI, Legittimit� del provvedimento di reiterazione dei vincoli 
preordinati all�esproprio: obbligo di motivazione e di indennizzo. . . . . . . . � III, 241 

FILIPPO D�ANGELO, La pregiudiziale amministrativa nella giurisprudenza: 
dall�adunanza plenaria n. 4/2003 alla decisione n. 2822/07 della quinta 
sezione del Consiglio di Stato. Il giudice amministrativo apre alla 
Cassazione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 412 

GIANNI DE BELLIS, Il meccanismo dell�IVA italiana al vaglio della Corte di 
Giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 221 

GIULIA DE DOMINICIS, GIUSEPPE FABRIZIO MAIELLARO, La scelta del socio privato 
nella S.p.A. a capitale pubblico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 276 

MICHELE DIPACE, Responsabilit� amministrativa, azione di responsabilit� 
sociale e principio di parit�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 389 

CHIARA DI SERI, Le misure cautelari nei confronti di atti legislativi in contrasto 
con il diritto comunitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 209 

PASQUALE FAVA, Il giudizio di ottemperanza secondo la giurisprudenza del 
Consiglio di Stato e della Corte costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 257 

PASQUALE FAVA, Le tecniche di consultazione degli interessati nei procedimenti 
di regolazione delle Agencies statunitensi e gli standards minimi di 
consultation della Commissione europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 289 

FLAVIO FERDANI, Metodi Adr: la conciliazione come strumento di risoluzione 
delle controversie. Profili generali della conciliazione, ruolo del conciliatore 
e procedimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 313 


INDICI SISTEMATICI ANNUALI 

WALLY FERRANTE, La sanatoria sulle abilitazioni non si applica ai concorsi . . pag. II, 123 

GIUSEPPE FIENGO, Un significativo allargamento dell�in house 
providing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 254 

GIUSEPPE FIENGO, Le prove nei giudizi comunitari; in tema di �valutazioni 
d�incidenza� per le aree naturali protette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 95 

MAURIZIO FIORILLI, Le sentenze della Corte di giustizia delle Comunit� europee 
dell�anno 2006 emesse in cause cui ha partecipato l�Italia . . . . . . . . . . . � I, 45 

OSCAR FIUMARA, Discorso in occasione della cerimonia di inaugurazione 
dell�anno giudiziario � Roma, 26 gennaio 2007. . . . . . . . . . . . . . � I, 1 

SERENA IANNICELLI, recensione a: J. GALLO CURCIO, Lineamenti di diritto del 
l�urbanistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� II, 369 

ANDREA GUAZZAROTTI, Il rigore della Consulta sulla decretazione 
d�urgenza: una camicia di forza per la politica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 4 

PIERO LA SPINA, (dossier): Autorizzazioni paesaggistiche ed interessi generali 
del territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 195 

DIMITRIS LIAKOPOULOS, MARCO VITA, Le competenze complementari dal 
Trattato costituzionale della Comunit� europea al Trattato di Lisbona . . . . . . � IV, 65 

FRANCESCA MAELLARO, Il �difetto di giurisdizione temporaneo� nella procedura 
di liquidazione coatta amministrativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 229 

DOMENICO MAIMONE, Il principio di successione delle leggi nel tempo in 
materia penale applicato agli elementi normativi della fattispecie. Brevi 
osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 136 

PAOLO MARCHINI, Nuove questioni di giurisdizione per le sanzioni nel settore 
del latte e dei prodotti caseari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 215 

ROBERTO MASTROIANNI, Osservazioni sul sistema italiano di applicazione 
decentrata del diritto comunitario della concorrenza: i recenti sviluppi . . . . � II, 21 

ALFONSO MEZZOTERO, Pregiudiziale amministrativa, rito del silenzio e risarcimento 
del danno da omissione provvedimentale: tiene la rete di contenimento 
del giudice amministrativo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 292 

L�obbligo di gara sulle concessioni di scommesse ippiche. . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 88 
GLAUCO NORI, La cosa giudicata nazionale nel diritto comunitario . . . . . . . . . � I, 289 

GLAUCO NORI, L�art. 117, comma 1, Cost. e le norme CEDU secondo la 
Corte costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 25 

GLAUCO NORI, Le norme di attuazione degli statuti speciali: qualche osservazione 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 1 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ANTONIO PALATIELLO, (dossier): Le Agenzie fiscali: natura e patrocinio . . . . . . pag. IV, 1 

SARA RONCONI, Il fatto eccessivo colposo. I limiti di operativit�: l�errore colposo 
su scriminante non esistente (art.59, u.c., c.p.) e il fatto colposo giustificato 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 348 

EMANUELA ROSAN�, Le procedure di affidamento degli incarichi di progettazione 
nel nuovo codice degli appalti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 357 

VITTORIO RUSSO, La crisi dell�impresa beneficiaria di aiuti. Disfunzioni dei 
mezzi di recupero e ripercussioni nel sistema degli interventi . . . . . . . . . . . . � II, 235 

Uditori giudiziari �non idonei� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 128 
VALERIA SANTOCCHI, L�Italia e le sue seimila discariche abusive . . . . . . . . . . . . � I, 267 

VALERIA SANTOCCHI, Tre nuove condanne dell�Europa alla normativa italiana 
sull�ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 100 

ARIANNA SCACCHI, Per una lettura critica e costituzionalmente orientata 
della recente disciplina riguardante la revoca degli �atti amministrativi 
che incidono sui rapporti negoziali� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 341 

MARIA ELENA SCARAMUCCI, In tema di alienazione, ai fini della rottamazione, 
dei veicoli custoditi presso le depositerie giudiziarie o amministrative . . . . . � III, 290 

GIUSEPPE STUPPIA, La legittimazione passiva nelle impugnazioni delle ordinanze 
contingibili ed urgenti del Sindaco: recenti sviluppi giurisprudenziali . . . . � III, 280 

FABRIZIO TIGANO, Principio di tipicit� e accordi procedimentali . . . . . . . . . . . . � III, 330 

CRISTIANA TROMBETTA, L�esecuzione dei lavori da parte delle consorziate dei 
Consorzi di cooperative di produzione e lavoro. La recente interpretazione 
del Consiglio di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 259 

STEFANO VARONE, (dossier): L�anzianit� di servizio del personale A.T.A. transitato 
nella scuola statale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 163 

FRANCESCO VIGNOLI, Legge Pinto e sospensione dei termini nel periodo feriale � II, 131 

2 � INDICE DELLE SENTENZE 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 
Ord.19 dicembre 2006 nella causa C-503/06 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 214 
Ord. 27 febbraio 2007 nella causa C-503/06 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 218 
Sent. 15 marzo 2007 nella causa C-35/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 246 
Sent. 19 aprile 2007 nella causa C- 295/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 255 
Sent. 26 aprile 2007 nella causa C-135/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 279 
Sent. 18 luglio 2007 nella causa C-119/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 301 


INDICI SISTEMATICI ANNUALI 

Sez. 2�, sent. 18 luglio 2007 nella causa C-382/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 81 
Sent. 13 settembre 2007 nella causa C- 260/04 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 88 
Sez. 4�, sent. 20 settembre 2007 nella causa C-304/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 97 
Sez. 4�, sent. 20 settembre 2007 nella causa C-388/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 112 
Sez. 4�, sent. 4 ottobre 2007 nella causa C-179/06 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 116 
Sez. III, sent. 18 dicembre 2007 nella causa C-194/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 116 
Sez. III, sent. 18 dicembre 2007 nella causa C-195/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 124 
Sez. III, sent. 18 dicembre 2007 nella causa C- 263/05 . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� III, 134 

CORTE COSTITUZIONALE 
Sent. 29 dicembre 2004 n. 427 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 17 
Sent. 11 febbraio 2005 n. 72 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 18 
Sent. 1 febbraio 2006 n. 31 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 20 
Sent. 19 ottobre 2006 n. 334 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 24 
Sent. 9-23 maggio 2007 n. 171 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 16 
Sent. 26 giugno 2007 n. 234 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 172 
Ord. 20 luglio 2007 n. 312 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 124 
Sent. 24 ottobre 2007 n.348 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 32 
Sent. 24 ottobre 2007 n. 349. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 60 

CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. lav., sent. 17 febbraio 2005 n. 3224 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . .� III, 167 
SS.UU., sent. 14 febbraio 2006 n. 3116 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 26 
SS.UU., sent. 12 dicembre 2006 n. 26435 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 216 
SS.UU., sent. 31 ottobre 2007 n. 23019 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 219 
Sez. trib., ord. 22 novembre � 10 dicembre 2007 n. 25753 . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 226 
Sent. 26 novembre 2007 n. 24547 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 35 
Sent. 16 gennaio 2008 n.677 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 180 
Sent. 8 febbraio 2008 n. 3058 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 36 

CORTE D�APPELLO DI MILANO 
Sez. 2� civ., decreto 5 luglio 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 133 
Sez. 2� civ., decreto 10-23 gennaio 2007 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 134 

TRIBUNALE CIVILE DI CATANZARO 
Sez. 2�, sent. 7 gennaio 2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � VI, 58 

TRIBUNALE CIVILE DI ROMA 
Sez. lav., sent. 12 aprile 2005 - 15 novembre 2006 n.10287. . . . . . . . . . . . . . . . � III, 232 
Sez. 1� , decreto 8 maggio 2007 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . � I, 41 
Sez. 13�, ord. 1 giugno 2007 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 238 

TRIBUNALE PENALE DI CATANIA 
Sez. Acireale, sent. 6 dicembre 2006-21 marzo 2007 n. 318 . . . . . . . . . . . . . . . � II, 142 

CONSIGLIO DI STATO 
Sez. 4�, sent. 14 dicembre 2006 n. 7470 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 128 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Sez. 5�, sent. 23 gennaio 2007 n. 209 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. II, 170 
Sez. 5�, sent. 22 febbraio 2007 n. 948 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 188 
Ad. Plen., dec. 24 maggio 2007 n.7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 242 
Sez. 6�, dec. 4 giugno 2007 n. 2951 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 249 
Sez. 6�, sent. 22 giugno 2007 n. 3477 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 270 
Sez. 5�, ord. 13 agosto 2007, n. 4447 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� II, 4 
Sez. 5�, sent. 13 agosto 2007 n. 4448 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� III, 283 
Sez. 5�, dec. 11 settembre 2007 n. 4789 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� III, 254 
Sez. 6�, dec. 9 ottobre 2007 n. 5306 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 290 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
Roma, sez. 1� bis, sent. 14-20 febbraio 2007 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� II, 231 

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIA 
Dec. 3 agosto 2007 n.711 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 207 
Dec. 21 novembre 2007 n.1058 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 212 
Dec. 8 ottobre 2007 n.933 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 256 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SICILIA 
Sede di Palermo, sez. 2�, sent. 4 febbraio 2005 n. 150 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 195 
Sez. 1�, sent. 19 gennaio 2006, n.156 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 199 

COMMISSIONE TRIBUTARIA PER IL LAZIO 
Sez. 20�, sent. 9 maggio-15 giugno 2007, n.136 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 236 

3. INDICE DEGLI ARGOMENTI 
AMBIENTE E TERRITORIO � Energia eolica � Nulla osta paesaggistico richiesto 
per impianto di produzione � Diniego motivato esclusivamente con riferimento 
a ragioni ambientali � Legittimit� � Valutazione dell�interesse paesaggistico 
e degli interessi correlati � Sufficienza ex art. 146 D.Lgs. n.42/04 . . . . � III, 207 

AMBIENTE E TERRITORIO � Vincoli paesaggistici � Nulla osta per impianti di 
produzione di energia eolica � Diniego di rilascio � Riferimento agli elementi 
in fatto rilevanti nella fattispecie � Sufficienza � Valutazione degli 
altri interessi coinvolti (quali quelli relativi al risparmio energetico) � Non 
occorre � Fattispecie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 212 

APPALTI � Termine di impugnazione della delibera di aggiudicazione - Dies a 
quo - Data di ricezione del fax � Sussistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 249 

APPALTI E FORNITURE P.A. � Consorzi - Differenza tra subappalto e designa


zione da parte del Consorzio aggiudicatario dell�impresa che materialmen


te effettuer� i lavori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 270 

ATTO AMMINISTRATIVO � Revoca � Atto politico � Natura � Provvedimento di 

revoca dell�incarico di assessore comunale � Natura � Sindacabilit� giuri


sdizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 170 


INDICI SISTEMATICI ANNUALI 

AVVOCATURA DELLO STATO � Attivit� di patrocinio - Istanza di fissazione di 

udienza di cui all�art.9 co.2 L. 205/00 � Introduzione dell�istituto della 

perenzione decennale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. II, 4 

BENI CULTURALI E AMBIENTALI � Vincolo paesaggistico � Valutazione di com


patibilit� paesaggistica � Comparazione con gli altri interessi costituzional


mente rilevanti � Necessit� � Fattispecie: impianto eolico . . . . . . . . . . . . . . . � III, 195 

COMMISSIONE TRIBUTARIA � Fermo fiscale di beni mobili � Giurisdizione � 
Contrasti � Decreto Bersani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 236 

COMUNE E PROVINCIA � Sindaco � Ordinanze contingintibili ed urgenti � 
Emesse quale ufficiale del Governo � Impugnativa in s.g. � Notificazione 
del ricorso al solo Comune � Nel caso in cui non sia stato anche chiesto il 
risarcimento dei danni � Ammissibilit� � Ragioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 283 

COMUNE E PROVINCIA � Sindaco � Ordinanze contingintibili ed urgenti � 
Emesse quale ufficiale del Governo � Impugnativa in s.g. � Notificazione 
del ricorso � Va effettuata presso la Casa comunale � Notifica presso la 
sede dell�Avvocatura distrettuale dello Stato � Inammissibilit� . . . . . . . . . . . � III, 283 

COMUNIT� EUROPEE - Aiuti di Stato � CECA � Industria siderurgica � Aiuto 

dichiarato incompatibile con il mercato comune � Recupero � Autorit� di 

cosa giudicata della sentenza di un organo giurisdizionale nazionale . . . . . . � I, 301 

COMUNIT� EUROPEE � Domanda di pronuncia pregiudiziale � Ricevibilit� � 
Art. 86, n.1, Ce � Mancanza di portata autonoma � Elementi che consentono 
alla Corte di rispondere utilmente alle questioni ad essa sottoposte � Dir. 
92/50/CEE, 93/36/CEE, e 93/37/CEE � Normativa nazionale che consente 
ad un�impresa pubblica di eseguire per diretto incarico da parte di amministrazioni 
pubbliche operazioni senza applicazione del regime generale 
d�aggiudicazione degli appalti pubblici � Struttura di gestione interna � 
Presupposti - L�autorit� pubblica deve esercitare su di un ente distinto un 
controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi � L�ente 
distinto deve realizzare la parte pi� importante della propria attivit� con 
l�autorit� pubblica o le autorit� pubbliche che lo controllano . . . . . . . . . . . . . � I, 255 

COMUNIT� EUROPEE � Inadempimento di uno Stato � Ambiente � Direttive 
75/442/CEE e 91/156/CEE � Nozione di �rifiuti� � Scarti alimentari originati 
dall�industria agroalimentare destinati alla produzione di mangimi � 
Residui derivanti dalle preparazioni nelle cucine di cibi destinati alle strutture 
di ricovero per animali di affezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 124 

COMUNIT� EUROPEE � Inadempimento di uno Stato � Ambiente � Direttive 
75/442/CEE e 91/156/CEE � Nozione di �rifiuti� � Sostanze o oggetti 
destinati alle operazioni di smaltimento o di recupero � Residui di produzione 
che possono essere riutilizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 134 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

COMUNIT� EUROPEE � Inadempimento di uno Stato � Ambiente � Direttive 
75/442/CEE e 91/156/CEE � Nozione di �rifiuti� � Terre e rocce da scavo 
destinate ad essere riutilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. III, 116 

COMUNIT� EUROPEE -Inadempimento di uno Stato � Appalti pubblici di servizi 
� Direttiva 92/50/CEE � Convenzioni relative al trattamento di rifiuti 
urbani � Qualificazione � Appalto pubblico � Concessione di servizi � 
Misure di pubblicit� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 81 

COMUNIT� EUROPEE -Inadempimento di uno Stato - Conservazione degli 
habitat naturali - Flora e fauna selvatiche � Zona di protezione speciale 
�Valloni e steppe pedegarganiche� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 112 

COMUNIT� EUROPEE -Inadempimento di uno Stato � Direttiva 92/43/CEE � 
Conservazione degli habitat naturali e della flora e fauna selvatiche � 
Direttiva 79/409/CEE - Conservazione degli uccelli selvatici � Valutazione 
dell�impatto ambientale di lavori di adattamento di piste da sci . . . . . . . . . . � II, 97 

COMUNIT� EUROPEE -Inadempimento di uno Stato � Direttiva 92/43/CEE -
Conservazione degli habitat naturali e della flora e fauna selvatiche � 
Valutazione di incidenza ambientale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 116 

COMUNIT� EUROPEE � Inadempimento di uno Stato � Gestione dei rifiuti � 
Direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE e 1999/31/CE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 279 

COMUNIT� EUROPEE -Inadempimento di uno Stato � Libert� di stabilimento e 
libera prestazione di servizi � Concessioni di servizio pubblico � Rinnovo 
di 329 concessioni per la gestione e la raccolta di scommesse sulle corse 
ippiche senza preventivo concorso � Obblighi di pubblicit� e trasparenza . . � II, 88 

COMUNIT� EUROPEE � Ottava direttiva IVA � Artt. 2 e 5 � Soggetti passivi non 
residenti all�interno del paese � Imposta indebitamente versata � Modalit� 
per il rimborso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 246 

COMUNIT� EUROPEE � Procedimento sommario � Domanda di sospensione 
dell�esecuzione e domanda di provvedimenti provvisori � Decisione presa 
inaudita altera parte � Non luogo a provvedere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 218 

COMUNIT� EUROPEE � Procedimento sommario � Domanda di sospensione 
dell�esecuzione e domanda di provvedimenti provvisori � Domanda di pronuncia 
inaudita altera parte � Protezione degli uccelli � Deroghe . . . . . . . � I, 214 

CONCORSO per uditore giudiziario � Giudizio di inidoneit� � Onere della motivazione 
� Legittimit� della dizione �non idoneo� senza attribuzione di voto � II, 128 

CORTE COSTITUZIONALE � Espropriazione per pubblico interesse - Indennit� di 
esproprio - Criteri di determinazione -Illegittimit� costituzionale dell�art. 
5-bis, commi 1 e 2, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il 
risanamento della finanza pubblica), conv., con modif., dalla L. 8 agosto 
1992, n. 359 - Illegittimit� costituzionale, in via consequenziale, dell�art. 


INDICI SISTEMATICI ANNUALI 

37, co.1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.u. delle disposizioni legislative 
e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilit�) . . . .pag. III, 32 

CORTE COSTITUZIONALE � Giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale. 
Professioni � Avvocato e Procuratore � Esami per l�abilitazione professionale. 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 124 

CORTE COSTITUZIONALE � Trasferimento del personale degli Enti locali nei 
ruoli del personale A.T.A. statale � Riconoscimento dell�anzianit� di servizio 
maturata negli Enti di provenienza � Legittimit� del comma 218 della 
Legge Finanziaria 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 172 

DECRETO PENALE DI CONDANNA � Legittima un giudizio di disfavore al fine 
della ammissione alla richiesta rafferma � Causa ostativa alla rafferma . . . . � II, 231 

DIRITTO PROCESSUALE � Processo equo � Termine ragionevole (Legge Pinto) 
Mancato rispetto � Equa riparazione � Termine di proposizione della 
domanda di riparazione � Sospensione nel periodo feriale (L. 742/69, art.1) 


� Inapplicabilit� ai procedimenti ex L. 89/01. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 133 
EDILIZIA E URBANISTICA � Denuncia di inizio attivit� � Impugnazione di terzo . . � II, 188 

ESPROPRIAZIONI � Espropriazione per pubblico interesse - Atti procedimentali 
che disciplinano l�esproprio � Reiterazione del vincolo espropriativo � 
Assenza di riferimento all�indennizzo � Legittimit� � Sussistenza . . . . . . . . � III, 242 

GIURISDIZIONE del g.a. � Controversie � Provvedimenti sanzionatori � Settore 
dei prodotti lattiero-caseari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 216 

LAVORO PUBBLICO -Trasferimento e mobilit� � Trasferimento del personale 

A.T.A. � Norma di interpretazione autentica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 167 
LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA � Procedura � Difetto di giurisdizione 
temporaneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 232 

PENALE � Principio di successione delle leggi nel tempo � Applicazione agli 
elementi normativi della fattispecie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 142 

PROCESSO AMMINISTRATIVO � Documentazione � Pubblica Amministrazione � 
Deposito fuori termine � Legittimit� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 254 

PROCESSO CIVILE - Art. 366 nuovo testo c.p.c. � Onere della specifica indicazione 
di atti e documenti � Carenza � Ricorso per cassazione � Inammissibilit� 
� Fattispecie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 219 

PROCESSO CIVILE � Notifiche processuali - A mezzo posta � Decorso del termine 
per l�impugnazione delle sentenze nel giudizio tributario . . . . . . . . . . . � III, 226 

PROCESSO CIVILE � Questioni affrontate e decise dal giudice di merito � Ricorso 
incidentale � Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 219 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

VEICOLI custoditi presso le depositerie giudiziarie o amministrative � Alienazione 
ai fini della rottamazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. III, 290 

4. PARERI, COMUNICAZIONI, CIRCOLARI 
A.G.S. � Parere del 4 maggio 1994 n. 53200. 
Patrocinio dell�Ente Poste (avvocato A. Palatiello) . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 57 
A.G.S. � Parere del 9 agosto 2000. 
Patrocinio delle Universit� Statali (avvocato G. D�Avanzo) . . . . . . . . . . . . . � IV, 54 
A.G.S. � Parere del 27 settembre 2002 
Rappresentanza e difesa dell�Istituto Superiore di Sanit� (consultivo 
12401/02, avvocato A. Palatiello). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 52 
A.G.S. � Parere del 15 gennaio 2004 n. 5177. 
Affrancazione di usi civici � Forma dei relativi atti � Eseguibilit� delle 
formalit� catastali e ipotecarie � Trattamento tributario (consultivo 2749/09, 
avvocato M. Mari) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 304 
A.G.S. � Parere del 10 marzo 2005 n. 33752. 
Contenzioso Tributario in materia catastale. Giurisdizione sulle controversie 
relative alle intestazioni delle unit� immobiliari urbane (consultivo 
1774/05, avvocato L. Caputi Iambrenghi). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 193 
A.G.S. � Parere del 18 dicembre 2006 n. 144804. 
Indennit� corrisposta ai sensi dell�articolo 7, comma 2, O.P.C.M. n. 3379 
del 5 novembre 2004. Funzionari prefettizi in posizione di comando presso la 
struttura commissariale (consultivo 8453/06, avvocato D. Ranucci) . . . . . . . . . � II, 194 
A.G.S. � Parere del 2 gennaio 2007 n. 4 (reso dall�Avvocatura Generale in 
via ordinaria). 
Validit� della nomina a membro di commissione del concorso interno per 
titoli ed esami (per l�accesso alla qualifica di primo dirigente del Corpo 
Forestale dello Stato) di un consigliere comunale. Effetti sugli atti del procedimento 
(cs.45306/06, avv. P. Marchini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 341 
A.G.S. � Parere del 5 gennaio 2007 n. 1466. 
Ravvedimento operoso in materia di imposta di consumo sull�energia 
elettrica (cs.64227/05, avv. G. Mand�) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 346 
A.G.S. � Parere del 9 gennaio 2007 n. 3243. 
Sicurezza sul lavoro. Potere di accesso all�alloggio di rappresentanza del 
Prefetto. Decr. Legislativo n. 626/94 (cs. 24198/05, avv. Giovagnoli � interim 
avv. M. Borgo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 348 
A.G.S. � Parere del 9 gennaio 2007 n. 3245. 
Applicazione delle disposizioni di cui all�art. 20, co.1, L.241/90 ai procedimenti 
di competenza dell�Ufficio nazionale per il servizio civile (cs. 
48161/06, avv. F. Varrone) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 350 


INDICI SISTEMATICI ANNUALI 

A.G.S. � Parere del 13 febbraio 2007 n. 18543. 
Inapplicabilit� dell�art. 4 co. 2 bis L. 168/05 al concorso notarile e alle 
altre procedure concorsuali a numero chiuso (cs. 43036/06, avv. W. Ferrante) pag. I, 352 

A.G.S. � Parere del 20 febbraio 2007 n. 21716. 
Decreti liquidazione compensi per attivit� di assistenza e difesa di soggetti 
ammessi al gratuito patrocinio (cs. 3822/07, avv. C. Colelli) . . . . . . . . . . .� I, 356 

A.G.S. � Parere del 26 febbraio 2007 n. 24832. 
Accademia dei Georgofili. Uso gratuito o agevolato della sede di propriet� 
demaniale (cs. 40863/06, avv. A. Palatiello) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 360 

A.G.S. � Parere del 6 marzo 2007 n. 29057. 
Contributi universitari per gli studenti stranieri dell�Accademia di belle arti di 
Brera (cs. 43149/06, avv. G. Aiello) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 363 

A.G.S. � Parere del 14 marzo 2007 n. 32868 (reso dall�Avvocatura 
Generale in via ordinaria). 
Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell�area di 

Tuvixeddu � Tuvumannu in Cagliari ex art. 138, d.lgs. 42/04 (cs. 10475/07, 

avv. M. Borgo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 364 

A.G.S. � Parere del 15 marzo 2007 n. 33252. 
Assistenza tecnica dell�Agenzia del Demanio nel processo dinanzi alle 
Commissioni Tributarie (cs. 40972/06, avv. F. Favara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 368 

A.G.S. � Parere del 30 marzo 2007 n. 41082. 
Cartolarizzazione alloggi di servizio (cs. 8711/07, avv. P. Gallo) . . . . . . . . � I, 370 

A.G.S. � Parere del 14 aprile 2007 n. 46456. 
S. s.p.a. � Ordine del giorno dell�assemblea ordinaria degli azionisti � 
Individuazione dell�organo competente per la redazione del progetto di bilancio 
dell�esercizio chiuso al 31 dicembre 2006 e della relazione accompagnatoria 
(cs. 16024/07, avv. G. D�Amato) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � I, 372 
A.G.S. � Parere del 17 aprile 2007 n. 47332. 
Art. 15 e segg. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 � Estinzione anticipata 
del finanziamento agevolato da parte del soggetto finanziato (cs. 1952/07, avv. 

G. Albenzio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� I, 375 
A.G.S. � Parere del 21 aprile 2007 n. 49616. 
Prog. 20/PC/7 � Opere di captazione e adduzione della falda basale del 

massiccio del Matese � Ministero delle Infrastrutture � Transazione � Compensi 

dei consulenti tecnici di parte ministeriale (cs. 27902/05, avv. M. Corsini) . . . . . � I, 386 

A.G.S. � Parere del 21 aprile 2007 n. 49678. 
Comunicazione prevista dall�art. 3 del d.P.R. n. 252/1998 (consultivo 
34587/06, avvocato F. Fedeli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 298 

A.G.S. � Parere del 10 maggio 2007 n. 56119. 
Art. 15 del d.P.R. 601/73. Sua applicabilit� alle operazioni di cessione di 

credito tra istituti di credito e alle formalit� eseguite successivamente alle ces


sioni medesime (consultivo 19070/03, avvocato M. Mari) . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 196 


394 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 
A.G.S. � Parere del 15 maggio 2007 n. 57544. 
Rivalutazione indennit� integrativa speciale ex art. 1 comma 2 Legge 25 
febbraio 1992 n. 210 (consultivo 7530/06, avvocato M. Russo) . . . . . . . . . . . . � II, 201 
A.G.S. - Parere del 16 maggio 2007 n. 58330. 
Ministero della Pubblica istruzione (contenzioso 128205/96, avvocato 
M. Russo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 203 
A.G.S. - Parere del 18 maggio 2007 n. 59320 (reso dall�Avvocatura 
Generale in via ordinaria) 
Legittimazione ad causam e ad processum e patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato nell�interesse del Ministero dell�Economia e delle Finanze e 
dell�Agenzia del Demanio (consultivo 17707/07, avvocato A. Palatiello). . . � IV, 38 
A.G.S. � Parere del 26 maggio 2007 n. 62762. 
Comando del personale militare � ammissibilit� (consultivo 38914/06, 
avvocato P. Gallo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 204 
A.G.S. � Parere del 26 maggio 2007 n. 62781. 
Uso del nome a dominio www.forzearmate.org (consultivo 5464/07, 
avvocato V. Rago) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 207 
A.G.S. � Parere del 5 giugno 2007 n. 65965. 
Decreto Ministeriale 29 marzo 1994 come modificato dal D.M. 27 settembre 
1995 recanti modalit� di applicazione dell�aliquota ridotta di accisa 
sui carburanti consumati per l�azionamento delle autovetture pubbliche da 
piazza (consultivo 10571/07, avvocato G. Albenzio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 300 
A.G.S. � Parere del 14 giugno 2007 n. 69504 
Risultanze verifica amministrativo-contabile dell�Ispettorato Generale di 
Finanza sulla Croce Rossa Italiana (consultivo 12990/07, avvocato V. Rago) . . � II, 210 
A.G.S. - Parere del 14 giugno 2007 n. 69515 
Cittadini esteri coinvolti in situazioni di emergenza in Italia. Tutela della 
privacy e rispetto della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963 sulle relazioni 
consolari (consultivo 13697/07, avvocato D. Ranucci). . . . . . . . . . . . . . . � II, 211 
Agenzia del Territorio, Agenzia delle Entrate � Circolare del 14 giugno 
2007 n. 6, prot. 47218. 
Art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 � Facolt� di adempimento anticipato 
da parte del soggetto finanziato � Compatibilit� con il regime sostitutivo � I, 381 
A.G.S. � Parere del 15 giugno 2007 n. 70269. 
Atti di pignoramento ex art. 72 bis d.P.R. 602/73 (consultivo 1303/07, 
avvocato M. Russo). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 214 
A.G.S. � Parere del 21 giugno 2007 n. 72177. 
IRAP � Imposta Regionale sulle Attivit� Produttive � Natura privilegiata 
o meno del credito (consultivo 14596/07, avvocato M. Santoro) . . . . . . . . . . � III, 301 
A.G.S. � Parere del 19 luglio 2007 n. 81929. 
Disposizioni in materia di servizio nazionale della riscossione � Art. 3, c. 40, 
lett. a) del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (consultivo 61078/05, avvocato M. Mari) � II, 218 


INDICI SISTEMATICI ANNUALI 

A.G.S. � Circolare del 24 luglio 2007 n. 31 � Comunicazione di servizio n. 86/07 
Controversie relative al personale A.T.A. transitato nei ruoli dello Stato 

ai sensi della legge 3 maggio 1999, n. 124. Sentenza della Corte Costituzio


nale 18 giugno 2007 n. 234 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. III, 179 

A.G.S. � Circolare del 9 agosto 2007, n. 35 - Comunicazione di servizio n. 
93/07. 
Legittimazione nelle cause relative ai beni immobili dello Stato. . . . . . . . . � II, 21 

A.G.S. � Parere del 23 agosto 2007 n. 91651 (reso dall�Avvocatura Generale 
in via ordinaria). 
Disciplina fiscale applicabile, ai fini delle imposte indirette, alle opera


zioni di cessione dei beni di propriet� indivisa di coniugi in regime di comu


nione legale (consultivo 16086/07, avvocato G. De Bellis). . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 222 

A.G.S. - Parere del 30 agosto 2007 n. 93512 (reso dall�Avvocatura Generale 
in via ordinaria). 
Riforma delle esecuzioni mobiliari ex art. 547 c.p.c. (consultivo 
30175/07, avvocato M. Borgo). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 225 

A.G.S. - Parere del 3 ottobre 2007 n. 105161 (reso dall�Avvocatura 
Generale in via ordinaria). 
Equiparabilit� del decreto penale alla sentenza penale di condanna ai fini 

dell�esclusione dall�arruolamento (consultivo 28755/07, avvocato D. 

Ranucci) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � II, 226 

A.G.S. � Parere del 22 ottobre 2007 n. 112562. 
Affrancazione di usi civici. Trattamento tributario delle formalit� cata


stali. Tasse ipotecarie e tributi speciali catastali (consultivo 2749/02, avvoca


to M. Mari) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 304 

Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo � Parere del 26 ottobre 
2007 n. 46144 (reso dall�Avvocatura in via ordinaria). 

Gara per l�espletamento dei servizi di pulizia nelle scuole statali. 
Esclusione di partecipante (contenzioso 2022/07, avvocato M. Mango) . . . . . . � IV, 223 

A.G.S. � Parere dell�8 novembre 2007 n. 119530. 
Pubblico impiego -Mansioni superiori � Funzionari con qualifica C3 � 

Reggenza di Uffici dirigenziali � C.C.N.L. 16 febbraio 1999 (consultivo 

36817/06, avvocato A. Grumetto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � III, 308 

A.G.S. � Parere del 13 novembre 2007 n. 121454 (reso dall�Avvocatura 
Generale in via ordinaria). 
Costituzione di parte civile del Commissario straordinario del Governo 

per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura nei processi per 

estorsione ed usura (consultivo 29067/07) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .� IV, 236 

A.G.S. � Parere del 14 novembre 2007 n. 121841. 
D.Lgs. 286/06, art.2, comma 73 � Imposta di consumo sul gas metano � 

Applicazione dell�aliquota ridotta al settore della distribuzione commerciale 

(consultivo 29067/07, avvocato G. Albenzio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 239 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

A.G.S. � Parere del 16 novembre 2007 n. 123400. 
Merce importata in violazione dei divieti economici � Misura della confisca 
amministrativa � R.D.L. n. 1923 del 14 novembre 1926 � Art. 67 del 
Decreto legislativo n. 507 del 30 dicembre 1999 (consultivo 16519/07, avvocato 
G. Albenzio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. IV, 242 

A.G.S. � Parere del 6 dicembre 2007 n. 131624. 
Fermo amministrativo di beni mobili registrati ai sensi dell�art. 86 del 

d.P.R. n. 602/73 e conseguente applicazione dell�art. 214, comma 8, del D.Lgs. 
n. 285/92 (Codice della Strada) (consultivo 40835/07, avvocato M. Borgo) . . . . � IV, 244 
A.G.S. �Parere del 6 dicembre 2007 n. 131636. 
Reclamo avverso decreto di annullamento di rettifica d�ufficio del 

cognome operata dall�Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Bologna 

(consultivo 39916/07, avvocato M. Borgo). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 247 

A.G.S. � Parere del 19 dicembre 2007 n. 136320. 
Emissione di garanzie su finanziamenti correlati ad attivit� di costruzio


ne ed esercizio impianti nucleari all�estero da parte di ENEL s.p.a. (consulti


vo 41653/07, avvocato G. Palmieri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 249 

A.G.S. � Parere del 20 dicembre 2007 n. 136855. 
Sequestro conservativo penale � Conversione in pignoramento � 

Esecuzione mobiliare e immobiliare (consultivo 13628/06, avvocato C. 

Colelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 252 

A.G.S. � Parere del 21 dicembre 2007 n. 137342. 
Mutui per edilizia ospedaliera. Universit� degli Studi La Sapienza e 

Azienda Policlinico Umberto I. Azione per recupero crediti (consultivo 

47862/04, avvocato F. Tortora) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 254 

A.G.S. � Circolare 14 febbraio 2008 n. 12, prot. 21243 � Comunicazione di 
servizio 14 febbraio 2008 n. 22, prot. 21250. 
Legittimazione nelle cause relative ai beni immobili dello Stato. 
Disposizioni integrative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � IV, 51 

Finito di stampare nel mese di giugno 2008 
Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma