ANNO LVII � N. 3 LUGLIO-SETTEMBRE 2006 


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 


COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi � Giuseppe Guarino 
Natalino Irti � Eugenio Picozza � Franco Gaetano Scoca. 

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo � Condirettore: Giacomo Arena. 

COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello � Vittorio Cesaroni � Roberto de Felice � Maurizio Fiorilli 
Massimo Giannuzzi - Maria Vittoria Lumetti � Antonio Palatiello � Carlo Sica � Mario Antonio Scino. 

HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE NUMERO: Antonella Anselmo Lemme - Patrizia Asproni � 
Stefano Baia Curioni � Pio Baldi - Monica De Angelis - Wally Ferrante - Oscar Fiumara � Louis 
Godart � Paolo Leon � Fabio Merusi - Giancarlo Pampanelli � Pietro Petraroia � Ettore Pietrabissa 
- Jacopo Polinari � Michele Porcari � Giuseppe Proietti - Francesca Quadri � Daniele Ravenna -
Sergio Ristuccia - Vittorio Russo � Francesco Rutelli - Karen Sanig - Grazia Sanna � Xavier 
Santiapichi � Valeria Santocchi � Francesco Scoppola - Salvatore Settis � Giuseppe Severini � 
Raffaele Tamiozzo - Paola Maria Zerman � Andrea Zoppini. 

SEGRETERIA DI REDAZIONE: Francesca Pioppi 
Telefono 066829431 � E-mail: rassegna@avvocaturastato.it 

La Rassegna � consultabile sul sito: www.avvocaturastato.it 

I destinatari della rivista sono pregati di comunicare 
alla Segreteria della redazione eventuali variazioni 
di indirizzo 

ABBONAMENTI ANNO 2006 
ITALIA 
ABBONAMENTO ANNUO .............................................................................. � 41,00 
ESTERO 
� 77,00 
UN NUMERO SEPARATO .................................................................................� 12,00 � 21,00 
Prezzi doppi, tripli, quadrupli ecc. per tutti quei fascicoli che, 
stampati in unico volume, sostituiscono altrettanti numeri 
della prevista periodicit� annuale. 
Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
Segreteria di Redazione 
Stampato in Italia - Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 
Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - 00176 Roma 


INDICE - SOMMARIO 


TEMI ISTITUZIONALI 
Oscar Fiumara, Wally Ferrante, Il ruolo dell�Avvocatura dello Stato nella 
realizzazione dei principi di effettivit� ed efficacia della giustizia (testo 
tratto dall�intervento dell�Avvocato Generale Oscar Fiumara al Convegno su �Nuove frontiere 
per la costruzione dell�Unione europea: l�effettivit� e l�efficacia del sistema di giustizia�, 
organizzato dall�Unione degli Avvocati Europei, Venezia 23, 24 e 25 novembre 2006) . . . . pag. 1 
Vittorio Russo, L�impegno dell�Avvocatura dello Stato in un nuovo corso 
della giustizia (relazione per il Convegno su �Nuove frontiere per la costruzione 
dell�Unione europea: l�effettivit� e l�efficacia del sistema di giustizia�, organizzato 
dall�Unione degli Avvocati Europei, Venezia 23, 24 e 25 novembre 2006) . . . . . . . . . . . . . . . � 17 
Giuseppe Fiengo, I caratteri originari della difesa dello Stato in Italia. . . . . . . . � 29 
INCONTRI DI STUDIO 
In Art we trust. Modelli di governance per i beni culturali (Roma, 22 giugno 
2006, Avvocatura Generale dello Stato) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 49 
Relazione della Commissione di studio per l�istituzione delle fondazioni 
di diritto privato finalizzate alla gestione e all�attivit� di valorizzazione 
dei beni culturali (D.M. 13 giugno 2005) al Ministero per i Beni e 
le Attivit� culturali � Ufficio legislativo, di Giuseppe Fiengo . . . . . . . . . . . . . � 50 
Atti del Convegno � Tavola rotonda con interventi di: Oscar Fiumara, 
Louis Godart, Patrizia Asproni, Francesco Rutelli, Salvatore Settis, 
Stefano Baia Curioni, Pio Baldi, Michele Porcari, Pietro Petraroia, 
Sergio Ristuccia, Andrea Zoppini, Francesca Quadri, Giuseppe 
Proietti, Antonella Anselmo Lemme, Karen Sanig, Paolo Leon, Fabio 
Merusi, Giuseppe Severini, Ettore Pietrabissa, Daniele Ravenna, 
Francesco Scoppola, Raffaele Tamiozzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 63 
RECENSIONI 
Francesco Marcelli, Valeria Giammusso, La giurisprudenza costituzionale 
sulla novella del Titolo V. 5 anni e 500 pronunce, Senato della 
Repubblica, Servizio Studi, Quaderni di documentazione n. 44, ottobre 

2006. Recensione di Valeria Santocchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 149 

DOTTRINA 

Monica De Angelis, La cultura dell�Amministrazione pubblica in Italia fra 
tradizione e riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 151 

Giancarlo Pampanelli, Sulla rilevabilit� giudiziale della decadenza dell�appaltatore 
di opera pubblica per mancata iscrizione di �riserva� . . . . . . . . . . . . � 179 

Jacopo Polinari, Le fasi della formazione del contratto pubblico: brevi note 
a prima lettura sugli artt. 11 e 12 del codice dei contratti pubblici . . . . . . . . � 185 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Grazia Sanna, Espropriazione per pubblica utilit� e brevetti industriali . . . . . . pag. 193 
Xavier Santiapichi, Le cartolarizzazioni immobiliari: profili giuridici . . . . . . . . . . � 214 
Paola Maria Zerman, Lo Stato sussidiario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 254 
INDICE SISTEMATICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 310 


T EMI I STITUZIONALI 
Il ruolo dell�Avvocatura dello Stato nella rea


lizzazione dei principi di effettivit� ed efficacia

della giustizia(*) 

di Oscar Fiumara e Wally Ferrante(**) 

I. Evoluzione storica 
1. L�esperienza dell�Avvocatura dello Stato, intesa come istituzione 
deputata all�assistenza legale e al patrocinio giudiziale delle amministrazioni 
statali in via organica ed esclusiva, � propria del nostro paese e di pochi 
altri: la �Finanzprokuratur� austriaca, il Corpo degli Avvocati dello Stato in 
Spagna, il Consiglio legale dello Stato greco, il Servizio del Contenzioso 
dello Stato egiziano; di recente si � sviluppato un certo interesse, da parte di 
altri paesi (la �Advocacia General da Uniao� del Brasile, la �Agence 
Judiciaire du Royaume� del Marocco e l�esperienza dell�Avvocatura dello 
Stato albanese, la cui legge � modellata sulla falsariga di quella italiana), nei 
confronti di questo modello difensivo, strutturato in modo tale da assicurare 
una difesa uniforme, estesa in linea generale a tutti i tipi di giudizio, con 
risultati qualitativamente ed economicamente positivi sia per lo Stato-apparato 
che, in definitiva, per lo Stato-comunit�. 
La funzione dell�Avvocatura dello Stato, organo tecnico incardinato 
nell�Amministrazione ma allo stesso tempo distinto ed autonomo rispetto ad 
essa, ha subito notevoli sviluppi nel corso dell�ultimo secolo, parallelamente 
ai profondi mutamenti dello Stato e degli equilibri tra libert� del cittadino 
e autorit� del potere pubblico. 

(*) Testo tratto dall�intervento dell�Avvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara al 
Convegno organizzato dall�Unione degli Avvocati europei su �Nuove frontiere per la 
costruzione dell�Unione europea: l�effettivit� e l�efficacia del sistema di giustizia�, XX 
anniversario della fondazione dell� U.A.E., Venezia, 23, 24 e 25 novembre 2006. 

(**) Avvocato dello Stato. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

2. Le antiche origini del sistema italiano di consulenza e difesa dello 
Stato affondano le loro radici, nell�ordinamento preunitario, nel Granducato 
di Toscana, con l�istituzione, nel 1777, dell�Avvocato Regio, che aveva il 
compito di difendere lo Stato in giudizio in posizione sostanzialmente 
pariordinata rispetto agli avvocati liberi professionisti. 
3. All�indomani dell�unificazione, tale sistema non venne per� immediatamente 
trapiantato nel Regno d�Italia e, con R.D. 9 ottobre 1862 n. 915, 
vennero istituite le Direzioni del Contenzioso Finanziario, speciali uffici 
amministrativi dipendenti direttamente dal Ministro delle Finanze, ispirati al 
modello organizzativo di stampo francese dell�Agent judiciaire du tr�sor. A 
norma dell�art. 4 del citato R.D., i compiti degli uffici del contenzioso consistevano 
in particolare �nel dare pareri in tutti i casi in cui si trattava di promuovere 
o abbandonare giudizi, di produrre gravami, di provvedere alla 
tutela legale dei diritti dell�Erario, di fare transazioni o contratti e di assicurare 
in via giuridica gli interessi o le ragioni dello Stato�. 
Dette funzioni vennero per� interpretate in maniera estremamente riduttiva 
tanto che i compiti degli uffici del contenzioso si ridussero alla mera 
scelta di avvocati liberi professionisti per la difesa nelle cause erariali e alla 
verifica in ordine al pagamento dei loro onorari. 

4. Fu solo con l�istituzione dell�Avvocatura erariale, con R.D. 16 gennaio 
1876 n. 2914, che la difesa tecnica e le consultazioni legali furono affidate 
in via esclusiva ad un corpo di avvocati costituito ad hoc, anche se il suo 
campo di azione era ben pi� ristretto rispetto a quello attuale, come si evince 
anche dalla denominazione riduttiva, che faceva sostanzialmente coincidere 
il suo raggio di intervento con la tutela degli interessi meramente patrimoniali 
dell�amministrazione. Tale funzione corrispondeva d�altronde alla 
concezione, derivata dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo n. 
2248 del 1865, dell�assoggettabilit� dello Stato al giudizio esclusivamente 
qualora avesse operato iure privatorum, restando sottratta al sindacato giurisdizionale 
ogni altra attivit� espressione di imperio. 
A norma dell�art. 1 del citato R.D. le amministrazioni statali non potevano 
pi� ricorrere per consulto o per affidamento di difesa ad avvocati del libero 
foro ma erano tenute a servirsi dei regi avvocati, reclutati senza concorso 
tra i magistrati del pubblico ministero e tra noti professionisti privati. 

L�Avvocatura erariale, allora difensore delle prerogative del potere pubblico, 
contribu� alla formazione di una giurisprudenza restrittiva, adottando 
la linea difensiva pi� radicale, quella di negare in capo al giudice la potest� 
di giudicare in presenza di un�attivit� iure imperii. 

II. Nuove competenze dell�Avvocatura dello Stato 
1. L�ampliarsi dello spettro della domanda di giustizia nei confronti della 
pubblica amministrazione e la crisi del modello impugnatorio hanno comportato, 
di pari passo, un�estensione delle competenze dell�Avvocatura sia in 
relazione al tipo di controversie, riguardanti non pi� solo la legittimit� dell�atto 
amministrativo ma un pi� sostanziale sindacato del rapporto in relazio

TEMI ISTITUZIONALI 

ne al bene della vita tutelato, sia in relazione ai soggetti assistiti, sia con riferimento 
a nuove tipologie di giudizio. 

Con il R.D. 30 novembre 1933 n. 1611, infatti, le funzioni 
dell�Avvocatura, ora denominata Avvocatura dello Stato, ed incardinata non 
pi� nel Ministero delle Finanze ma nella Presidenza del Consiglio dei 
Ministri, hanno abbandonato la loro settorialit� e sono andate via via accrescendosi, 
mediante la concessione del patrocinio, ex artt. 43 e 48 del Testo 
Unico citato, a numerosi Stati stranieri, attraverso la rappresentanza e difesa 
delle loro rappresentanze diplomatiche e ad organizzazioni internazionali 
quali la Commissione delle Comunit� Europee, la Banca Europea degli investimenti 
e la F.A.O. 

2. Le competenze dell�Avvocatura dello Stato hanno quindi assunto la 
nuova dimensione, definitivamente consacrata nella legge 3 aprile 1979 n. 
103, della rappresentanza e difesa non pi� solo del potere esecutivo ma dello 
Stato unitariamente considerato, anche come soggetto di diritto sopranazionale 
ed internazionale, innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunit� 
Europee e alla Corte internazionale di Giustizia dell�Aja. 
La necessit� del rispetto dei principi del diritto comunitario, derivante 
dall�appartenenza dell�Italia all�Unione Europea, condiziona tutta l�evoluzione 
giurisprudenziale volta ad apprestare nuovi rimedi a fronte delle istanze 
di tutela che nascono da rapporti socio economici sempre pi� globalizzati 
ed informati ai valori del mercato e della concorrenza. 

Il ruolo dell�Avvocatura dello Stato innanzi alla Corte di Giustizia, in 
rappresentanza dello Stato italiano, sia nelle cause di infrazione che in quelle 
di rinvio pregiudiziale, � destinato ad incrementarsi anche in considerazione 
dell�ampliamento del numero degli Stati membri dell�Unione Europea ed 
assume un rilievo determinante anche nella sensibilizzazione della Corte sui 
notevoli riflessi economici che possono derivare sul piano interno dalle sue 
pronunce. 

Si pensi, per i casi pi� recenti giunti agli onori della cronaca, alla questione 
delle quote latte nonch� alla vicenda della compatibilit� con il diritto 
comunitario dell�IRAP, che ha visto scendere al fianco dell�Italia diversi altri 
paesi europei. 

3. La molteplicit� dei compiti dell�Avvocatura dello Stato, spesso sganciati 
dalla rappresentanza del potere esecutivo, includono, con l�avvento della 
Costituzione Repubblicana, il suo intervento - come si vedr� pi� oltre - nei 
giudizi di costituzionalit� delle leggi innanzi alla Corte costituzionale, nella 
veste istituzionale di difensore della legittimit� della legge nonch� la rappresentanza 
dello Stato, nella sua veste unitaria, nei conflitti di attribuzione tra 
Stato e Regioni e nei giudizi di ammissibilit� dei referendum abrogativi. 
L�attitudine dell�Avvocatura, maturata nel contenzioso costituzionale e 
comunitario, a considerare lo Stato come entit� complessiva, le consente di 
svolgere l�attivit� difensiva, anche nelle questioni puramente interne, avendo 
a riferimento l�azione amministrativa nel suo complesso. 

4. L�Avvocatura dello Stato difende inoltre la Camera dei Deputati e il 
Senato innanzi ai rispettivi organi di giurisdizione domestica: la Commis

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sione giurisdizionale e l�Ufficio di Presidenza della Camera e, rispettivamente, 
la Commissione per il contenzioso e il Consiglio di garanzia del Senato, 
organi di autodichia informati grosso modo alle regole del processo amministrativo. 


5. Altri casi rilevanti in cui il legislatore dell�ultimo decennio ha esteso 
il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato riguardano le Autorit� indipendenti: 
l�Autorit� garante della concorrenza e del mercato (legge n. 74 del 1992), 
l�Autorit� per la vigilanza dei lavori pubblici (legge n. 109 del 1994), 
l�Autorit� per le garanzie nelle comunicazioni (legge n. 249 del 1997), il 
Garante per la protezione dei dati personali (legge n. 675 del 1996). 
Per comprendere la rilevanza degli interessi sottesi all�intervento delle 
Autorit� indipendenti, basta considerare che il ruolo dalle stesse svolto nello 
Stato moderno, parte di una Comunit� internazionale, consiste sostanzialmente 
nel far osservare le regole del mercato, alla luce dei principi comunitari. 
Tali organi, pur nella loro posizione di imparzialit� e terziet�, emettono 
comunque atti qualificabili come provvedimenti amministrativi, come tali 
sottoposti al sindacato giurisdizionale, e sono istituzionalmente difesi 
dall�Avvocatura dello Stato. 

III. Funzioni dell�Avvocatura dello Stato 
1. Ai sensi dell�art. 13 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, �l�Avvocatura 
dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; 
alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle 
e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare 
giudizi; esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle 
amministrazioni interessate; esprime parere sugli atti di transazione redatti 
dalle amministrazioni; prepara contratti e suggerisce provvedimenti intorno 
a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia 
di litigio�. 
In forza dei rispettivi statuti regionali, analoga disciplina � applicabile 
anche per le cinque regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle 
d�Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) mentre le regioni a 
statuto ordinario, in base all�art. 10 legge 3 aprile 1979 n. 103, possono 
decidere, una volta per tutte, di avvalersi di tutte le funzioni dell�Avvocatura 
dello Stato con apposita deliberazione del Consiglio regionale. 
Ai sensi dell�art. 43 R.D. n. 1611 del 1933, le regioni a statuto ordinario 
che non si sono avvalse della norma precedentemente citata possono 
comunque avvalersi del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato. La stessa 
disciplina vale per tutte le amministrazioni pubbliche non statali e gli enti 
sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, 
sempre che il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato sia previsto da una 
specifica norma di legge. 

L�Istituto opera quindi trasversalmente a vantaggio di tutti i settori della 
pubblica amministrazione, tanto governativi (centrali e periferici) quanto 
relativi ad altri enti pubblici, territoriali e non. 


TEMI ISTITUZIONALI 

2. Tra le funzioni svolte dall�Avvocatura dello Stato, quella che ha avuto 
tradizionalmente una maggiore visibilit� � quella contenziosa di patrocinio 
in giudizio della parte pubblica. 
A proposito dello Stato quale parte in giudizio, si � parlato di �processo 
di parti in cui una parte � un po� meno parte dell�altra�. L�affermazione, lungi 
dall�evocare privilegi sostanziali o processuali dello Stato, allude al rispetto 
del principio di legalit� da parte della pubblica amministrazione anche quando 
� parte in giudizio, con conseguente dovere del suo avvocato di essere, 
per il proprio particolare cliente, prima giudice che difensore, avendo sempre 
come parametro di riferimento l�interesse pubblico generale. In tal senso, 
si � parlato di una funzione di natura latu sensu �giustiziale� dell�Avvocatura 
dello Stato, che non si presenta innanzi ai giudici come difensore della singola 
amministrazione, centro di riferimento di particolari interessi pubblici, 
quanto piuttosto nella veste di moderatore e mediatore tra interessi confliggenti, 
portatore di un interesse generale del rispetto della legalit�. 

Infatti, l�Istituto, quale organo statale in posizione di indipendenza, non 
essendo inserito nell�organizzazione burocratica delle amministrazioni 
patrocinate, offre una garanzia di neutralit� nella sua assistenza legale, contribuendo 
cos� a realizzare i principi di imparzialit� e buon andamento dell�azione 
amministrativa sanciti dall�art. 97 Cost. 

La stessa Corte di cassazione (Cass., Sez. Un., 5 febbraio 1997 n. 1082) 
ha sottolineato �la particolare posizione dell�Avvocatura dello Stato che, 
secondo la giurisprudenza, non pu� parificarsi a quella di un difensore di 
una parte privata o di altro ente da essa non rappresentato. Invero, la ratio 
dell�art. 1�, secondo comma, del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 risiede nella 
relazione tra Amministrazione ed Avvocatura che non si configura come una 
relazione intersoggettiva, in quanto si riferisce a due organi appartenenti 
alla medesima persona giuridica, e cio� lo Stato-soggetto. L�Avvocatura 
dello Stato rappresenta e difende l�Amministrazione attiva quale organo tecnico 
deputato a valutare e tutelare in maniera uniforme gli interessi dello 
Stato, in virt� del suo inserimento nell�apparato statale, quale suo organo. 
Inoltre, � comunemente affermato che l�Avvocatura dello Stato, difendendo 
e rappresentando la pubblica amministrazione in piena autonomia, non 
difende solo ragioni patrimoniali, bens� gli interessi unitari della collettivit� 
nazionale. Rispettando il principio di legalit� e di giustizia al quale deve 
ispirarsi la cura della cosa pubblica, l�Avvocatura dello Stato concorre ad 
assicurarne la migliore utilizzazione da parte di tutti i cittadini. La necessit� 
della difesa contingente di questo e di quell�interesse particolare 
dell�Amministrazione deve essere sempre coerente con una visione d�insieme 
dei diritti da tutelare; ci� richiede massima attenzione e considerazione 
per le legittime attese degli amministrati, nei cui confronti gli organi pubblici 
devono essere ed apparire interlocutori affidabili e controparti non pregiudizialmente 
ostili. Concludendo, l�Avvocato dello Stato deve integrare 
l�assolvimento del ministero professionale con l�adempimento dell�ulteriore 
dovere che gli deriva dall�appartenenza ad una pubblica istituzione, quale 
portatore dell�esigenza di legalit� dell�azione amministrativa�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

3. Tale ruolo � particolarmente evidente nel campo del diritto costituzionale, 
in cui l�Avvocatura dello Stato, come parte interveniente necessaria nelle 
questioni incidentali sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale, spesso 
propone, in qualit� di amicus curiae, letture adeguatrici delle norme sospettate 
di illegittimit� costituzionale, e in tal modo contribuisce a ricomporre unitariamente 
nel quadro dei principi costituzionali conflitti che, diversamente, la 
formulazione a volte imperfetta o superata delle norme renderebbe insanabili. 
Nel contenzioso costituzionale, l�intervento del Presidente del Consiglio 
dei Ministri, che assume una valenza squisitamente politica, caratterizza in 
termini assolutamente peculiari il patrocinio affidato all�Avvocatura dello 
Stato che, se non perde certo la sua autonomia tecnica nella costruzione della 
strategia difensiva e della linea processuale, non pu� disattendere le indicazioni 
di massima e le finalit� politiche perseguite dall�organo di vertice del 
Governo n�, tanto meno, rifiutare il patrocinio, come invece pu� fare qualunque 
avvocato nei rapporti con il cliente. 

La richiesta di una pronunzia di incostituzionalit� da parte 
dell�Avvocatura � invece un evento raro (cito per tutti il caso Priebke, di 
alcuni anni fa, relativo alla possibilit� di costituzione di parte civile nei processi 
innanzi ai giudici militari) ed evidenzia un interesse politico del 
Governo alla abrogazione o alla modifica della norma censurata che non � 
stato possibile conseguire con il normale iter di formazione delle leggi o che 
risulta comunque conforme alle necessit� finanziarie e di bilancio. 

La non frequenza di tale modalit� di partecipazione dell�Avvocatura 
dello Stato al giudizio di costituzionalit� delle leggi non � indice di una sua 
vocazione istituzionale a contraddire sempre e comunque la avversa eccezione 
di incostituzionalit� bens� � dovuta al fatto che la determinazione di intervento 
nel processo � assunta dalla Presidenza del Consiglio con una preventiva 
valutazione che, se negativa, di norma viene espressa con una semplice 
determinazione di �non intervento�. 

Questa determinazione pu� essere basata su valutazioni meramente tecniche 
� di manifesta inammissibilit� o infondatezza della questione incidentale 
che rendono inutile l�intervento � o sul riconoscimento implicito della 
fondatezza della censura o ancora sulla carenza di un interesse specifico alla 
pronunzia concernente una legge regionale o su una linea politica di rinnovamento 
rispetto all�orientamento del quale era espressione la norma oggetto 
di censura. 

Anche nei giudizi di legittimit� in via principale o di conflitto, ove la 
veste di parte del Governo � ben caratterizzata, alcune considerazioni valgono 
ad escluderne una assimilazione con la parte privata. Innanzi alla Corte, 
infatti, agisce o resiste il Presidente del Consiglio e non la singola amministrazione 
cui fa capo la materia o l�atto oggetto del giudizio ma non quale 
titolare di vertice del potere esecutivo bens� come portatore di un interesse 
generale riferibile all�unitariet� dell�ordinamento statuale. In tale contesto, 
l�Avvocatura dello Stato � vincolata non solo dalla determinazione di intervenire 
o meno nel giudizio ma anche dall�oggetto del processo come definito 
dal Governo, che non pu� essere ampliato o modificato. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Va ricordata ancora la rappresentanza delle massime cariche dello Stato, 
come nel recente conflitto di attribuzioni tra il Presidente della Repubblica e 
il Ministro della Giustizia in ordine all�esercizio del potere di grazia, in cui 
l�Avvocatura dello Stato ha difeso il Presidente della Repubblica (Corte 
Cost. 18 maggio 2006 n. 200). 

4. La difesa dello Stato in giudizio � ispirata ad una tendenziale universalit� 
di patrocinio, in tutte le controversie e di fronte a tutte le giurisdizioni. 
Oltre ai giudizi dinanzi ai Collegi comunitari ed internazionali ed alla Corte 
Costituzionale, la rappresentanza e difesa dell�Avvocatura dello Stato � assicurata 
sia nei giudizi civili, che in quelli amministrativi, penali, tributari e 
contabili, innanzi ai giudici di merito, alle magistrature superiori ed ai collegi 
arbitrali. 
5. Per quanto riguarda i giudizi civili, va osservato che tale sede processuale 
costituisce luogo di elezione per la difesa della sfera patrimoniale e non 
patrimoniale dello Stato, a fronte della quale il privato cittadino vanta una 
posizione di diritto soggettivo ed � posto quindi sullo stesso piano dell�amministrazione, 
sia nelle controversie involgenti una responsabilit� aquiliana, 
sia in quelle aventi ad oggetto una responsabilit� contrattuale. 
Innanzi al giudice civile, si colgono pi� accentuatamente le peculiarit� 
dell�attivit� contenziosa dell�Avvocatura e le prerogative da cui essa � assistita, 
non certo espressioni di un ingiustificato privilegio, ma strumentali ad 
una pi� efficace difesa, soprattutto - come si vedr� oltre - con riferimento alla 
disciplina del foro erariale, al regime della notifica degli atti giudiziari ed 
alla conformazione dello ius postulandi. 

6. Per quanto riguarda i giudizi amministrativi � nei quali la posizione 
dell�avvocato dello Stato, difensore s� della Pubblica Amministrazione, ma 
nel rispetto del principio di legalit� dell�azione amministrativa, � sottolineata 
non certo a caso dalla sua collocazione in udienza a lato del collegio giudicante 
� va osservato che il mutamento della societ� civile e degli equilibri 
tra i poteri dello Stato hanno condotto ad un controllo sempre pi� pregnante 
del potere giudiziario sull�operato di quello esecutivo: da un lato, con il progressivo 
ampliamento dei casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
e, dall�altro, con l�introduzione di una tutela sostanziale pi� effettiva, 
ripristinatoria e risarcitoria, ferma restando la preclusione per il giudice 
amministrativo di risolvere questioni attinenti al merito amministrativo � 
fatte salve le recenti aperture in tema di sindacato c.d. forte sull�attivit� connotata 
da discrezionalit� tecnica � riservato alla pubblica amministrazione 
quale unica depositaria della cura degli interessi pubblici. 
Sotto il primo aspetto, si � andata profilando una graduale attenuazione 
del criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla dicotomia interesse 
legittimo � diritto soggettivo (salvo, poi, una frenata imposta dalla Corte 
costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204) per lasciar spazio alla 
attribuzione di interi �blocchi di materie� alla giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo che, da eccezione, � divenuta la regola, sopravanzando 
statisticamente, come numero di contenziosi, quella di legittimit�, con la 
tendenziale trasformazione del giudizio amministrativo da processo sull�atto 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

a processo sul rapporto, con conseguente spostamento del fulcro della cognizione 
del giudice amministrativo verso la valutazione di legittimit� della 
complessiva azione amministrativa anzich� del solo provvedimento finale. 

Sotto il secondo profilo, il giudizio amministrativo si � arricchito di una 
serie di poteri istruttori, cautelari e decisori tali da comportare una svolta 
fondamentale nell�effettivit� della tutela apprestata al privato nei confronti 
della pubblica amministrazione. 

Entrambe le innovazioni sono riconducibili, all�esito della lenta evoluzione 
giurisprudenziale e dottrinale dell�intero secolo scorso, ad una rapida 
accelerazione degli ultimi anni, ad iniziare dalla legge n. 241 del 1990 sul 
procedimento amministrativo, che ha dato ampio spazio alle istanze partecipative 
del privato anche prima ed a prescindere dal processo, innanzitutto 
con gli accordi sostitutivi dei provvedimenti di cui all�art. 11, espressamente 
devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nonch� 
con lo strumento dell�accesso ai documenti amministrativi, configurato sempre 
pi� come diritto pieno ed autonomo e non solo strumentale alla tutela 
giurisdizionale, anche esso attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo dalla recente legge n. 15 del 2005. 

In tale chiave di lettura, � agevole individuare un forte collegamento tra 
procedimento e processo, in quanto la configurazione di un procedimento 
amministrativo che, a seguito delle modifiche apportate alla legge n. 241 del 
1990 dalla legge n. 15 del 2005, interpreta i rapporti tra amministrazione e 
privato all�insegna dei canoni della trasparenza e della semplificazione, non 
pu� che comportare una pi� pregnante tutela giurisdizionale delle situazioni 
giuridiche soggettive oggetto dell�esercizio del potere amministrativo. 

Quanto all�estensione degli strumenti di tutela istruttori, cautelari e 
soprattutto decisori, tralasciando l�eccezionale caso di risarcibilit� degli 
interessi legittimi, discendente dagli obblighi europei, per effetto dell�art. 
13 della legge comunitaria per il 1991 (legge 142 del 19 febbraio 1992), la 
prima tappa fondamentale � stata segnata dalla legge delega n. 59 del 1997, 
che ha indicato tra i principi direttivi la �estensione della giurisdizione del 
giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali 
consequenziali, ivi compreso quello relativo al risarcimento del 
danno�. 

Dal canto suo, la Corte di Cassazione, con la storica sentenza n. 500 del 
1999, ha successivamente infranto il dogma dell�irrisarcibilit� del danno 
derivante dalla lesione di interessi illegittimi, segnando una svolta epocale 
nel senso della effettivit� della tutela del privato nei confronti della pubblica 
amministrazione, lasciando per� aperto il problema del previo necessario 
annullamento dell�atto amministrativo illegittimo, poi risolto dall�Adunanza 
Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4 del 2003 che ha affermato 
il principio della c.d. pregiudizialit� amministrativa. 

Il Consiglio di Stato ha infatti definitivamente ribadito che l�azione di 
risarcimento pu� essere proposta sia unitariamente all�azione di annullamento 
che in via autonoma ma � ammissibile solo a condizione che sia impugnato 
tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con suc



TEMI ISTITUZIONALI 

cesso il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo 
non � dato di poter disapplicare gli atti amministrativi. 

Quanto all�effettivit� della tutela, con l�art. 7 della legge n. 205 del 2000, 
il legislatore ha definitivamente sancito il potere del giudice amministrativo, 
nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, di disporre 
�anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del 
danno ingiusto�. 

La citata legge ha inoltre allargato i poteri cautelari del giudice amministrativo 
- gi� estesi in via giurisprudenziale agli atti negativi a fronte dei quali 
� configurabile un interesse pretensivo del privato - anticipandone gli effetti, 
in casi indifferibili, anche inaudita altera parte; ha previsto il dimezzamento 
dei termini e l�accelerazione del giudizio nonch� il deposito del dispositivo 
della decisione nelle materie elencate nell�art. 23 bis della legge n. 1034/1971 
(aggiunto dall�art. 4 della legge 205/00); ha munito il giudice amministrativo 
in sede di giurisdizione esclusiva di poteri analoghi a quelli del giudice ordinario 
in materia di ingiunzione di pagamento e di condanna in via provvisionale 
al pagamento di somme non contestate ed ha introdotto, all�art. 6, l�istituto 
dell�arbitrato nel processo amministrativo, in relazione alle controversie 
concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva, assicurando 
una celere definizione della lite da parte di un collegio professionale, con 
effetti deflativi del contenzioso innanzi al giudice amministrativo. 

Il giudice amministrativo, nonostante la �perdita� del pubblico impiego, 
ha infatti visto accrescere enormemente la propria giurisdizione, in particolare 
nel settore nevralgico del diritto dell�economia; � stato inoltre concentrato 
presso un unico giudice il giudizio di annullamento e quello risarcitorio, 
con la corrispondente erosione dei tradizionali privilegi dell�amministrazione 
in materia di responsabilit� aquiliana. 

L�ultimo atto del percorso di espansione della giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo � rappresentato dalla repentina sterzata in senso 
opposto per effetto della gi� richiamata sentenza della Corte Costituzionale 

n. 204/2004 che ha dichiarato l�illegittimit� costituzionale degli artt. 33 e 34 
del D.Lgs. 80/98, come modificati dalla legge 205/00. 
La Corte ha infatti ritenuto che l�indiscriminata estensione della giurisdizione 
esclusiva alla materia dei servizi pubblici, dell�edilizia e dell�urbanistica, 
sulla base di un generico interesse pubblico di settore, anche per controversie 
a carattere tipicamente paritetico, avrebbe alterato non soltanto il 
rapporto tra giurisdizione del giudice ordinario e giurisdizione del giudice 
amministrativo, rapporto che dovrebbe presentarsi in termini di regola ad 
eccezione quanto alla cognizione dei diritti soggettivi, ma anche il rapporto, 
all�interno della giurisdizione del giudice amministrativo, tra giurisdizione 
generale di legittimit� e giurisdizione esclusiva, anch�esso connotato da un 
rapporto di genus a species. 

Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
dalla legge 205/00 non sarebbero infatti caratterizzate da quell�inestricabile 
intreccio di situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi 
e come diritti soggettivi che pu� giustificare, compatibilmente con il dettato 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

costituzionale, la sottrazione della relativa cognizione al giudice ordinario, la 
cui funzione garantistica di parit� di trattamento � assicurata dal controllo 
nomofilattico della Corte di cassazione. 

Sulla base della ricostruzione storica dei lavori dell�Assemblea 
Costituente, non vi sarebbe, per la Corte, un�incondizionata discrezionalit� 
del legislatore nell�attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
intere materie, a prescindere dalla natura delle situazioni soggettive 
coinvolte, dovendosi ritenere che la giurisdizione del giudice amministrativo 
presupponga necessariamente l�esplicarsi della funzione autoritativa 
dell�amministrazione. 

Correlativamente, la Corte ha riconosciuto la piena conformit� alla Carta 
costituzionale dell�attribuzione al giudice amministrativo del potere di conoscere 
della domanda risarcitoria, sostanziandosi lo stesso non gi� in una 
nuova �materia� ma in un ulteriore strumento di tutela, oltre a quello classico 
demolitorio, tale da rendere effettiva la domanda di giustizia del cittadino 
nei confronti della pubblica amministrazione. 

7. Per quanto concerne i procedimenti penali, l�Avvocatura solitamente 
rappresenta gli interessi dello Stato, quale parte civile, chiedendo il ristoro 
dei danni patrimoniali o morali conseguenti alla commissione di un reato. Si 
pensi, non solo ai reati tributari, ma a quelli di terrorismo o di criminalit� 
organizzata che minano alla radice l�ordine pubblico di uno Stato democratico 
nonch� i reati di inquinamento ambientale o quelli di corruzione o concussione, 
che direttamente attentano all�imparzialit� e al buon andamento 
della pubblica amministrazione. 
Ai sensi dell�art. 44 R.D. n. 1611 del 1933, l�Avvocatura pu� anche agire 
come organo di difesa di una persona fisica a condizione che si tratti di un 
pubblico dipendente che sia imputato di un crimine commesso nell�esercizio 
delle sue funzioni e sempre che, da una preliminare delibazione, non si ravvisi 
un conflitto tra la posizione del dipendente e gli interessi dell�amministrazione. 


8. A differenza della difesa giudiziaria, che implica un inevitabile ruolo 
di parte, l�attivit� di consulenza consente di assicurare la tutela non gi� dell�interesse 
contingente e parziale della singola amministrazione bens� degli 
interessi pubblici generali, attuando realmente il principio di legalit�. 
In tale contesto, emerge la rilevanza centrale che, nell�attivit� 
dell�Avvocatura, riveste la funzione consultiva. Con essa, oltre alla prevenzione 
delle liti, un organo giuridico indipendente e unitario pu� assicurare 
che vengano considerati e, nella misura consentita, garantiti gli interessi giuridicamente 
rilevanti di tutti i soggetti coinvolti, e quindi non solo dello Stato 
ma anche degli stessi cittadini. 

In un momento storico caratterizzato da un�accentuata tendenza alla privatizzazione, 
in cui l�azione amministrativa viene a svolgersi secondo 
modelli giuridici non pi� interamente tipizzati, permane e si rafforza la esigenza 
di unitariet�. Ci� non solo per assicurare uniformit� all�azione 
dell�Amministrazione dello Stato ma anche per garantire la parit� di trattamento 
che costituisce uno dei principi cardine della Carta Costituzionale. 


TEMI ISTITUZIONALI 

La legge conferisce all�Avvocatura dello Stato due tipi di consulenza: 
una di tipo giudiziario, funzionalmente collegata ad una lite potenziale o in 
atto e una di natura generale, anche su atti di normazione di vario rango. 

In relazione alla prima categoria, appare evidente l�impatto che il parere 
dell�Avvocatura dello Stato pu� rivestire in ordine all�opportunit� di agire o 
di resistere in giudizio, di proporre impugnazione o di rinunziare agli atti del 
giudizio, anche in relazione alla celerit� con la quale pu� essere raggiunta 
una soluzione transattiva, rispetto ai tempi della giustizia, che possono far 
lievitare gli interessi e la responsabilit� ove le ragioni del soggetto privato 
siano da ritenersi ragionevolmente fondate. L�Avvocatura pu� quindi suggerire 
all�amministrazione di provvedere all�annullamento in autotutela di un 
atto illegittimo o alla corresponsione della somma reclamata ove palesemente 
dovuta, contribuendo notevolmente ad assicurare l�effettivit� della tutela 
apprestata ad entrambe le parti. 

Particolarmente rilevante appare l�attivit� consultiva di natura c.d. giudiziaria 
in relazione alla recente esperienza del contenzioso seriale, promosso 
da vaste platee di consumatori, a volte per effetto di provvedimenti delle 
Autorit� indipendenti (si pensi alla vicenda dei rimborsi dei premi assicurativi 
in materia di responsabilit� automobilistica), o in relazione a vicende di 
grande impatto sociale (si pensi alla tutela del risparmio o alla tutela della 
salute da rischi di massa) o di grande interesse civile ed umano (si pensi a 
recenti iniziative giudiziarie da parte di internati militari italiani in Germania 
dopo l�armistizio del 1943, e da parte di profughi istriani a seguito del passaggio 
del territorio dell�Istria alla ex Iugoslavia): alcune proposte legislative 
tendono ad introdurre lo strumento della class action allo scopo di ridurre 
i costi processuali e di favorire soluzioni rapide e giuridicamente omogenee; 
in tale ambito l�Avvocatura dello Stato, per le descritte sue caratteristiche, 
oltre che prevenire o contenere tali tipi di contenzioso, pu� utilmente 
intervenire nella delicata fase preliminare di selezione delle cause pilota. 

Per quanto riguarda il secondo tipo di consulenza c.d. generale, si evidenzia 
che i pareri di massima o di particolare rilevanza vengono resi 
dall�Avvocato Generale, sentito il Comitato consultivo � espressione del 
principio di collegialit� sul piano tecnico-istituzionale � composto dall�Avvocato 
Generale, che lo presiede, e da sei Avvocati dello Stato con una particolare 
esperienza professionale, designati dal Consiglio degli Avvocati e 
Procuratori dello Stato. 

L�attivit� consultiva si caratterizza per autonomia e indipendenza del 
giudizio ed assume il connotato garantistico di una pronuncia pro-veritate. 

Pu� inoltre inquadrarsi in tale ambito della funzione consultiva il potere-
dovere che l�art. 15 della legge n. 103 del 1979 conferisce all�Avvocato 
Generale di segnalare al Presidente del Consiglio dei Ministri eventuali 
carenze legislative e problemi interpretativi. 

In linea generale, l�attivit� consultiva dell�Avvocatura dello Stato ha 
natura facoltativa. 

Solo in qualche caso la legge configura il parere dell�Avvocatura come 
obbligatorio - come per le transazioni sulle riserve dell�appaltatore, per l�an



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

nullamento dei crediti per inesigibilit� e per la congruit� delle spese legali 
sostenute da un pubblico dipendente in un giudizio civile, amministrativo o 
penale conclusosi a lui favorevolmente - o addirittura come vincolante, come 
per i pareri di propriet� e libert� di immobili. 

L�Avvocatura dello Stato riveste quindi un ruolo importante, sia nelle sedi 
giurisdizionali, sia con la sua attivit� di consulenza legale, per mantenere un quadro 
di riferimento unitario nei molteplici e rilevanti settori dell�agire pubblico.

� per questa esigenza di razionalizzazione e di uniformit� che sono state 
rivendicate l�organicit� e l�esclusivit� del patrocinio dell�Avvocatura dello 
Stato nei casi in cui una norma autorizzi un�entit� di evidenza pubblica ad 
avvalersene. Ci� non toglie che il principio possa essere temperato con intese 
fra Avvocatura ed Ente, che, per determinati casi e per esigenze obiettive, 
consentano, senza minare l�indispensabile visione unitaria e comparata degli 
interessi in gioco, l�affidamento della cura di una parte del contenzioso all�esterno 
dell�Istituto. 

IV. Organizzazione dell�Avvocatura dello Stato 
1. Sotto il profilo organizzativo, gli uffici dell�Avvocatura dello Stato sono 
costituiti dall�Avvocatura Generale e da venticinque Avvocature Distrettuali. 
La prima, con sede in Roma, ha una competenza estesa all�ambito nazionale 
per quanto non riservato alla competenza degli uffici distrettuali, aventi sede 
in ciascun distretto di Corte d�appello e quindi in linea generale in ogni capoluogo 
di regione, con l�eccezione della Sicilia, con quattro Avvocature 
Distrettuali, della Lombardia, della Campania, della Puglia e della Calabria, 
ciascuna con due Avvocature Distrettuali, e della Valle d�Aosta, per la quale le 
relative funzioni sono svolte dall�Avvocatura di Torino. 
Il criterio di riparto delle competenze � ovviamente quello territoriale 
della localizzazione del giudice competente o dell�ufficio centrale o periferico 
che richiede il parere. L�Avvocatura Generale � quindi competente per i 
giudizi innanzi alle magistrature superiori (anche per le cause in cui i gradi 
di merito sono stati seguiti dalle Avvocature Distrettuali): Corte di cassazione, 
Consiglio di Stato, Corte dei conti, Tribunale Superiore delle Acque, 
Corte costituzionale nonch�, funzionalmente, per i giudizi innanzi ai collegi 
internazionali e comunitari ed in materia consultiva per i pareri che involgano 
questioni di massima. 

2. Al vertice dell�Istituto � posto l�Avvocato Generale, coadiuvato nelle sue 
funzioni da un Avvocato Generale Aggiunto e da otto Vice Avvocati Generali. 
L�Avvocato Generale, nominato dal Presidente della Repubblica, su proposta 
del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei 
Ministri, � fiduciariamente investito dal Governo del ruolo di garantire la 
rispondenza dell�attivit� tecnico-legale dell�Istituto agli interessi generali 
dello Stato e degli altri soggetti patrocinati ed assistiti. 

La delicatezza di tale funzione e l�ampio margine di autonomia ed indipendenza 
dei singoli Avvocati dello Stato spiegano l�ampiezza e l�importanza 
dei poteri attribuiti all�organo di vertice. 


TEMI ISTITUZIONALI 

L�Avvocato Generale determina le direttive inerenti alla trattazione degli 
affari contenziosi e consultivi; presiede il Consiglio degli Avvocati e 
Procuratori dello Stato ed il Comitato consultivo; vigila su tutti gli uffici e il 
personale dell�Avvocatura; risolve, sentito il Comitato consultivo, le divergenze 
di parere sia tra gli uffici distrettuali dell�Avvocatura dello Stato, sia 
tra questi e le singole amministrazioni; assegna agli Avvocati e Procuratori 
in servizio presso l�Avvocatura Generale gli affari contenziosi e consultivi; 
riferisce periodicamente al Presidente del Consiglio sull�attivit� svolta 
dall�Avvocatura dello Stato. 

3. L�Avvocato Generale � inoltre assistito, nell�esercizio delle sue funzioni, 
da un Avvocato dello Stato che svolge le funzioni di Segretario 
Generale, il quale cura il funzionamento degli uffici e dei servizi, sovrintende 
agli affari amministrativi ed esercita le funzioni di capo del personale 
amministrativo. Tale incarico viene conferito per un periodo di cinque anni 
ed � rinnovabile una sola volta. 
4. Gli Avvocati Distrettuali sono incaricati della direzione degli uffici 
periferici ed esercitano in sede locale le medesime funzioni assolte 
dall�Avvocato Generale in sede centrale. 
5. Tra gli organi collegiali, oltre al Comitato consultivo, di cui si � gi� 
detto, va ricordato il Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato, composto 
dall�Avvocato Generale, dai due Vice Avvocati Generali e dai due 
Avvocati Distrettuali rispettivamente pi� anziani nell�incarico e da quattro 
Avvocati dello Stato, di cui almeno uno Procuratore, eletti ogni tre anni da 
tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato. Tale organo di autogoverno esprime 
pareri sulla distribuzione dei legali dell�Avvocatura nelle varie sedi sia a 
seguito della prima nomina che a seguito di trasferimento; esprime giudizi in 
merito alla progressione nelle classi di stipendio; formula parere sul conferimento 
degli incarichi e sul collocamento fuori ruolo. 
V. Caratteristiche della difesa in giudizio a mezzo dell�Avvocatura dello 
Stato 
1. L�attivit� di rappresentanza e difesa in giudizio dell�Avvocatura dello 
Stato presenta caratteri di assoluta originalit�, sia rispetto all�attivit� professionale 
degli Avvocati del libero foro, sia rispetto all�attivit� di quelli organicamente 
inseriti in uffici legali di soggetti pubblici non assistiti 
dall�Avvocatura dello Stato ed iscritti negli albi speciali. 
La peculiarit� non attiene al contenuto dell�attivit� difensiva, che in qualunque 
esplicazione dell�attivit� forense non pu� che essere informato alla 
professionalit� dell�Avvocato, bens� alla particolare configurazione che assume 
lo ius postulandi dell�Avvocatura dello Stato. 

Quest�ultima � infatti dotata ex lege del mandato necessario ed irrevocabile 
di rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni statali e di 
quelle assimilate. 

Gli Avvocati e Procuratori dello Stato esercitano la loro attivit� tecnicoprofessionale, 
innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede, senza 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

bisogno di mandato neppure nei casi in cui le norme processuali comuni 
richiedono la procura speciale, bastando che consti della loro qualit� (art. 1 

R.D. n. 1611 del 1933). 
Mentre dunque l�incarico professionale forense trova il suo fondamento 
in un rapporto di autonomia privata tra cliente e Avvocato, sempre modificabile 
o revocabile, l�Avvocatura dello Stato � ed i singoli Avvocati dello Stato, 
che sono fungibili e sostituibili tra loro, sia nella sottoscrizione degli atti 
difensivi che nella partecipazione alle udienze � assumono la difesa legale in 
sede giurisdizionale in adempimento di un obbligo istituzionale. 

La rappresentanza processuale dell�Avvocatura non comporta, peraltro, 
anche la rappresentanza sostanziale della pubblica amministrazione; ci� in 
base ad una scelta legislativa che riserva all�Avvocatura la posizione di 
Avvocato e all�Amministrazione quella di titolare del rapporto giuridico controverso, 
con la conseguente disponibilit� dello stesso. L�Avvocatura pu� 
compiere per� tutti quegli atti processuali, quali l�impugnazione o la rinunzia 
agli atti del giudizio, che possono determinare effetti di natura sostanziale 
e deve indirizzare l�Amministrazione, nell�osservanza delle norme di 
legge, nelle determinazioni concernenti la disponibilit� della lite. 

A norma dell�art. 12 della legge n. 103 del 1979, in caso di contrasto tra 
l�Amministrazione e l�Avvocatura dello Stato, decide il Ministro con provvedimento 
non delegabile. Si tratta di un�eventualit� eccezionale che si � 
verificata di rado, riconoscendo quasi sempre l�Amministrazione il contenuto 
tecnico ed imparziale del parere dell�Avvocatura dello Stato in ordine alla 
gestione di una determinata controversia, alla resistenza o desistenza dalla 
lite; parere che deve ritenersi improntato al rispetto della legge ed al perseguimento 
del fine pubblico generale. 

2. Oltre all�automatismo del mandato, vi sono altre due norme che favoriscono 
la prontezza e l�efficacia della difesa dello Stato a mezzo 
dell�Avvocatura: quella sul foro erariale (art. 25 c.p.c.) e quella sull�obbligo 
di notifica, a pena di nullit�, degli atti indirizzati alle amministrazioni presso 
l�Avvocatura dello Stato territorialmente competente (art. 144 c.p.c.). 
La norma sul foro erariale consente di concentrare presso un unico giudice, 
avente sede nel distretto di Corte d�appello ove ha sede l�Avvocatura 
dello Stato, tutte le cause civili in cui sia parte un�amministrazione statale o 
assimilata. La norma non si applica invece ai processi penali ed amministrativi 
(non essendo invocabile per le cause pendenti innanzi alle sezioni distaccate 
dei TAR) e, in alcuni casi eccezionali, anche ai giudizi civili (esecuzioni 
immobiliari, fallimenti, controversie di competenza dei giudici di pace). 

3. La norma che prevede la notifica degli atti giudiziari presso 
l�Avvocatura dello Stato permette una pi� tempestiva difesa dello Stato, evitando 
eventuali ritardi nella trasmissione dell�atto da parte dell�amministrazione 
interessata, soprattutto nei casi in cui l�Avvocatura sia gi� in possesso 
degli elementi fattuali, oltre che giuridici, per poter apprestare la difesa (si 
pensi ad esempio alle notifiche di atti di appello). 
Si sottolinea inoltre che, mentre la notifica effettuata direttamente 
all�amministrazione � affetta da nullit� (insanabile qualora siano nelle more 


TEMI ISTITUZIONALI 

maturate decadenze), l�erronea individuazione della branca amministrativa 
competente � sanata dalla mancata eccezione in tal senso dell�Avvocatura 
dello Stato nella sua prima difesa (art. 4 legge 25 marzo 1958 n. 260), il che 
conferma quella visione improntata all�unitariet� dello Stato, rappresentato 
nella sua globalit� dall�Avvocatura dello Stato, a prescindere dall�interesse 
specifico della singola amministrazione di volta in volta coinvolta nel giudizio. 

VI. Considerazioni conclusive 
1. Si � detto che l�Avvocatura dello Stato consiste in uno speciale organo 
costituito da avvocati che sono allo stesso tempo funzionari dello Stato e 
professionisti specializzati che esercitano la loro attivit� di assistenza e consulenza 
in via generale, in modo autonomo ed indipendente. 
Tale sistema presenta due indubbi vantaggi: il primo � quello di assicurare 
una linea difensiva uniforme per tutte le cause, tenendo sempre presente, 
da un angolo prospettico che garantisce una visione d�insieme dell�ordinamento 
statuale, l�interesse pubblico generale; il secondo � di tipo economico, 
trattandosi di un meccanismo che, per via della concentrazione delle 
competenze, consente un notevole risparmio di spesa dello Stato. 

2. Nel concreto, occorre chiedersi se l�Avvocatura dello Stato sia in 
grado di curare efficacemente la funzione che le � stata affidata. 
Al di l� della preparazione e della capacit� professionale dei singoli 
Avvocati dello Stato, che sono reclutati mediante un duplice concorso pubblico 
particolarmente selettivo, vanno evidenziati alcuni elementi oggettivi 
ed alcuni dati numerici che, pur nella loro sinteticit�, possono dare un�idea 
dell�attivit� svolta e dei risultati conseguiti. 

Innanzi tutto, va precisato che l�organico dell�Avvocatura, nella sede 
centrale romana e nelle sedi distrettuali, � complessivamente di 370 legali e 
di circa 900 impiegati amministrativi. (Tali ruoli, malgrado l�evidente esiguit�, 
sono attualmente largamente scoperti e le note difficolt� finanziarie impediscono 
il reclutamento per i posti vacanti). Attualmente il numero degli 
affari nuovi per anno, in un ventaglio amplissimo di materie, � di circa 
200.000, con un incremento costante negli anni (dieci anni fa, il numero era 
di circa 140.000), con un�assegnazione media nuova annua pro-capite di 
500/600 affari, che si aggiungono a quelli anteriori pendenti. Il costo complessivo 
medio annuo per l�intera Avvocatura si aggira su � 130.000.000, il 
che significa che, mediamente, una pratica costa allo Stato per la sua difesa 
� 600-650. Con riferimento ai soli affari contenziosi, la percentuale di cause 
vinte dall�Avvocatura dello Stato � del 65-70%, percentuale gi� certamente 
altissima, ma che potrebbe anche salire se si riuscisse a potenziare i mezzi 
dell�Avvocatura. E si tenga conto comunque che, nella residua percentuale 
del 30-35%, vi sono cause che possono considerarsi perdute in partenza, 
fisiologicamente, perch� (come quelle sulla riparazione per ingiusta detenzione 
o quelle numerosissime sull�indennizzo per la durata irragionevole del 
processo) sono conseguenti a norme che mirano ad un ripristino dell�equilibrio 
sociale infranto da difetti del sistema: una sorta di riconoscimento 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

implicito delle inadeguatezze funzionali dei pubblici poteri e di riparazione 
per tali mancanze. 

Gi� tali risultati sembrano dimostrare il grande impegno dei legali e del 
personale dell�Istituto e appaiono sostanzialmente positivi. Questo per� non 
significa affatto che non ci siano margini per assicurare una tutela pi� efficace, 
soprattutto nella rapidit� della consulenza legale, fondamentale per arginare 
potenziali contenziosi e per indirizzare l�agire amministrativo verso il 
pi� equo perseguimento del fine pubblico. 

Le Amministrazioni pubbliche, cos� come tutti i clienti, richiedono ai 
professionisti cui si rivolgono un servizio sempre pi� efficiente e risultati 
sempre pi� soddisfacenti. 

E� evidente che tempi e modi del servizio reso possono essere migliorati 
e a tal fine sono state avviate, in questi ultimi anni, riorganizzazioni all�interno 
dell�Istituto per rispondere pi� efficacemente e pi� tempestivamente 
alle richieste che pervengono dalle amministrazioni. 

Deve quindi concludersi che l�Avvocatura dello Stato, forte di una tradizione 
che data ormai 130 anni e che le ha consentito di accompagnare la vita 
dello Stato unitario pur nei numerosi e radicali mutamenti istituzionali che 
l�hanno segnato, continuer� a perseguire ed a garantire costantemente la tutela 
dell�interesse pubblico che deve essere alla base dell�azione amministrativa. 


L�impegno dell�Avvocatura dello Stato in un 
nuovo corso della giustizia(*) 

di Vittorio Russo 

� davvero unica l�esperienza del prender parte insieme alle massime 
autorit� del diritto, europee e non solo, e davanti ad una cos� attenta e qualificata 
platea, ad un discorso che investe la difesa del tessuto normativo europeo. 
Questo costituisce infatti la struttura portante e di collegamento delle 
tante diversit� di un�Europa in cui, per�, �ognuno possa sentirsi a casa sua� 
come ha detto il Presidente dell�U.A.E. Joe Lemmer. Mi ha poi particolarmente 
colpito l�attenta analisi svolta in apertura dal Prof. Cacciari, del fenomeno 
dell�espansione della domanda, anzi delle domande di giustizia, cui 
corrisponde un espandersi a dismisura della produzione normativa, la quale 
all�inverso contribuisce, in una sorta di spirale, alla proliferazione delle 
prime. Ma la costruzione di un�Europa del XXI secolo deve evidentemente 
fare i conti anche con queste realt�. Ed anzi, ricordava proprio ieri il Prof. 
Tesauro, la competitivit� del continente Europa passa proprio per il problema 
della giustizia. 

L�Avvocato Generale dello Stato ha gi� illustrato il ruolo istituzionale e 
le funzioni dell�Avvocatura dello Stato, nell�ordinamento giudiziario europeo 
ed in quello interno. Il mio intervento sar� invece pi� specificamente 
rivolto alle possibilit� dell�Avvocatura dello Stato di contribuire all�efficacia 
ed all�effettivit� della tutela giurisdizionale, oltre che nel contesto attuale, 
soprattutto in un meno problematico futuro del �pianeta giustizia�. 

La crisi della giustizia interna del nostro Paese affonda le sue radici nei 
secoli, e si manifesta principalmente nell�eccessiva lentezza dei processi. 
Problema questo che in qualche misura condividiamo con altri grandi Paesi 
europei, come anche qui emerso ad esempio dalle relazioni del Presidente della 
Corte Suprema di Spagna Herando Santiago, o del Presidente della S.C. tedesca 
Hirsch, il quale ci ha ricordato che �solo il diritto rapido � buon diritto�. 
Ma insieme alle condanne ed alle raccomandazioni all�indirizzo del nostro 
Paese (in �buona compagnia per� con molti altri Stati del continente), dalle 
sedi europee � sempre pervenuto l�unanime riconoscimento degli sforzi straordinari 
compiuti dall�Italia per migliorare il suo sistema giudiziario. 

Anche l�Avvocatura dello Stato pu� e deve partecipare a questi sforzi. Ci si 
chieder� in che modo possa farlo, non esercitando essa funzioni giurisdizionali. 

(*) Relazione dell�Avvocato dello Stato Vittorio Russo al Convegno su �Nuove frontiere 
per la costruzione dell�Unione Europea: l�effettivit� e l�efficacia del sistema di giustizia�, 
U.A.E., XX anniversario della fondazione dell�Unione degli Avvocati Europei, Venezia, 23, 
24 e 25 novembre 2006. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Il processo, per�, lo fanno i giudici e gli avvocati. Partendo da questa premessa 
occorre considerare che, oltre ad essere un organo della nostra pubblica 
Amministrazione, l�Avvocatura dello Stato � anche un grande �studio legale�, e 
sicuramente il pi� impegnato sulla scena del Foro italiano. E chi vi parla � uno 
dei trecentosettanta avvocati che ne fanno parte. Qual �, in relazione al tema 
assegnatomi, il significato di questa collocazione professionale? E quale contributo 
pu� dare questa particolare figura professionale a quel nuovo corso della 
giustizia disegnato dalle riforme di questi ultimi anni, e da quelle in arrivo? 

Partendo proprio dall�aspetto dimensionale dello �Studio legale 
Avvocatura�, e dalla mole di contenzioso che esso � chiamato a gestire, gi� 
espresso in cifre dall�Avvocato Generale, mi limiterei qui ad evidenziare che 
l�avvocato dello Stato � presente, oltre che nella quasi totalit� dei giudizi 
dinanzi alla Corte Costituzionale, nelle cause riguardanti il nostro Paese 
dinanzi agli Organi comunitari di giustizia, in pi� della met� delle cause 
amministrative pendenti in Italia (che salgono a 7 su 10 dinanzi al TAR 
Lazio) ed in centinaia di migliaia di cause civili, oltre che in un gran numero 
di affari penali, di Corte dei conti e davanti a collegi arbitrali. Pu� dunque 
comprendersi quanto sia pervasivo e caratterizzante il ruolo dell��avvocato 
dello Stato� nelle nostre aule di giustizia. 

Ma, chi � questo personaggio? 

Al profilo tracciato dalla sentenza delle SS.UU. n. 1082 del �97, richiamata 
dall�Avvocato Generale, vorrei aggiungere la testimonianza del suo 
predecessore Giorgio Zagari davanti alla Commissione bicamerale nella 
seduta del 15 aprile di quello stesso anno: ��Siamo abituati, nella nostra 
azione professionale, ad un faticoso regime, perch� pur essendo avvocati e 
dovendo quindi svolgere nelle cause tale ruolo su un piano assolutamente 
paritario rispetto agli avvocati del libero foro, non possiamo espletare la 
nostra funzione con ottica parziale; la difesa contingente di questo o quell�interesse 
particolare dell�amministrazione deve essere sempre coerente 
con una visione d�insieme dei diritti da tutelare, improntata alla massima 
considerazione per le legittime attese degli amministrati�. Concetto che il 
fondatore dell�Avvocatura dello Stato, Mantellini, scolpiva con le parole 
ripetute dall�Avvocato Generale: �Prima giudice e poi avvocato dello Stato�. 

�Gli avvocati dello Stato � riprende Giorgio Zagari � sono figure in qualche 
modo complesse, nel senso che si tratta di avvocati, di funzionari e, sotto 
un certo profilo, anche di magistrati�Nella veste di funzionario, l�avvocato 
dello Stato deve esercitare le proprie funzioni sempre con l�indipendenza e 
la libert� professionale proprie dell�avvocato, che consentono di dare al suo 
patrocinio la pi� efficace ed adeguata tutela; infine, quale portatore delle 
esigenze di legalit� e garanzia dell�azione amministrativa � cio�, in qualche 
misura, come magistrato � deve anche saper salvaguardare, soprattutto nell�esercizio 
della funzione consultiva, l�unit� e razionalit� dell�ordinamento 
nel rispetto della legalit��. 

In coerenza con questo quadro, vediamo nell�art. 1 del Codice Etico 
dell�Avvocatura dello Stato, che gli Avvocati e Procuratori dello Stato, nella 
conduzione degli affari, �agiscono: 


TEMI ISTITUZIONALI 

�a) in piena indipendenza dai soggetti che usufruiscono della loro consulenza 
e del loro patrocinio; 
�b) secondo le proprie motivate convinzioni giuridiche e le proprie valutazioni 
etiche; 
�c) in posizione di parit� processuale con gli avvocati e procuratori del 
libero foro nel rispetto delle regole di deontologia professionale forense�. 

Pi� che essere al servizio dell�interesse pubblico in giudizio, dunque, noi 
avvocati dello Stato condividiamo il grande privilegio, oltre che il dovere, di 
interpretarlo direttamente. E nei casi, per fortuna pressoch� teorici, in cui la 

c.d. �ragion di Stato� non riuscisse ad armonizzarsi con le vedute del suo 
team di giuristi, soltanto il Ministro potrebbe, sotto la sua responsabilit�, 
determinare diverse scelte processuali (art. 12 legge 3 aprile 1979 n. 103). 
Ma resterebbe in ogni caso salva una garanzia d�indipendenza non minore di 
quella del magistrato, consistente nella fondamentale prerogativa dell�avvocato 
dello Stato, che ritenesse �di non poter seguire per ragioni di coscienza� 
le direttive ricevute, di chiedere dispensa dalla trattazione dell�affare. 
Norma questa, sempre del citato art. 1 del Codice etico, da leggere insieme 
con l�art. 19 legge cit., che prevede appunto la possibilit� degli avvocati e 
procuratori dello Stato di chiedere, in caso di divergenza di opinioni, �di 
essere sostituiti nella trattazione dell�affare�. 
Ben si comprender� quali grandi vantaggi pu� arrecare questa autonomia 
intellettuale ed operativa degli avvocati dello Stato, nella vastit� di spazi operativi 
che essi sono soliti impegnare, nel momento dialogico sia col collega della 
difesa privata che con il giudice; e specie nella visione conciliativa del nuovo 
processo civile. Il che ci indica un�Avvocatura dello Stato trait d�union, e ideale 
strumento di composizione di interessi privati e pubblici in conflitto. Questa 
vocazione pu� rendere un gran buon servizio alla causa dell�effettivit� e dell�efficacia 
della tutela giurisdizionale, sia assicurando alla controparte privata una 
pi� sollecita definizione della controversia nei numerosi casi in cui si possano 
comporre amichevolmente gli interessi in campo, e sia, con ci� stesso, alleviando 
il lavoro del giudice a vantaggio della celerit� delle definizioni giudiziali, di 
quegli altri casi in cui la composizione non fosse invece possibile. 

Personalmente condivido l�idea di un generale primato della risorsa conciliativa 
o transattiva, anche a prescindere dalle connotazioni pubblicistiche 
dei soggetti da noi patrocinati. In una societ� che riesca davvero ad aver cura 
dell�individuo, questa dovrebbe infatti affermarsi come il mezzo fisiologico 
di definizione delle controversie, e dunque il migliore strumento di effettivit� 
anche in un�ipotetica giustizia ultrarapida. Ci� per la conclusiva ragione 
che, nella generalit� dei casi, l�accordo accontenta entrambe le parti, nei 
maggiori termini complessivi sia di resa economica che di soddisfazione psichica. 
Nel caso invece di vincitori e vinti, di fronte ad uno che ride ce n�� un 
altro che piange. E specie quando la giustizia � ritardata, non sempre a piangere 
� quello che perde� Anche nel miglior sistema giudiziario, dunque, la 
sentenza dovrebbe costituire l�extrema ratio, quasi la patologia di un processo 
con operatori di giustizia rivolti pi� a presentare ai loro �utenti� il volto 
della legge, severo quando occorre, che ad azionarne la scure. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Le possibilit� dell�Avvocatura dello Stato di promuovere e coltivare 
transazioni, che, come stiamo per vedere, possono rivelarsi una vera e propria 
miniera di effettivit� della tutela giurisdizionale, sono in via generale 
previste dall�art. 13 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 (appr. T.U. dell�Avvocatura 
dello Stato) e dall�art. 14 R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 (legge di contabilit� 
generale dello Stato), �qualunque sia l�oggetto della controversia�. 
Norme speciali prevedono, poi, il ricorso a questo mezzo nell�istruttoria prefettizia 
per il risarcimento dei danni provocati da operazioni di polizia giudiziaria 
(art. 3 d.P.R. 18 settembre 94 n. 388); oppure nelle controversie riguardanti 
l�esecuzione delle infrastrutture serventi le aree industriali, di cui 
all�art. 32 legge 14 maggio 1981 n. 219, la cui transigibilit� richiede il parere 
obbligatorio dell�Avvocatura dello Stato a norma dell�art. 5 comma 6 D.L. 
8 febbraio 1995 n. 32 conv. con legge 7 aprile 1995 n. 104. 

Proprio in omaggio a questa tradizione storica, ed a fini deflattivi della 
gran massa di contenzioso che ancor oggi grava sulle Corti d�appello, il 

D.L. 11 settembre 2002 n. 201 aveva inserito, nel quadro dell�azione di 
equa riparazione per superamento della durata ragionevole del processo (l. 
24 marzo 2001 n. 89, art. 2 bis) � questo proprio sta emergendo come leit 
motiv del convegno � una fase consultiva necessaria e pre-contenziosa presso 
la stessa Avvocatura dello Stato, chiamata di volta in volta ad elaborare i 
contenuti di una proposta transattiva, in piena autonomia ed in base ai parametri 
oggettivi del giudizio sotto osservazione (condotta della parte in 
causa, durata, tipologia ed esito), e direttamente a concludere il relativo procedimento. 
Ma tale pur opportuna misura non venne per� convertita in 
legge. 
Venendo ora allo specifico campo d�esperienza di chi vi parla, osserverei 
come i vantaggi della soluzione concordata della lite appaiano particolarmente 
evidenti nel campo degli incentivi dello Stato alle imprese. Si � ad 
esempio riusciti molte volte a �recuperare� iniziative importanti sul piano 
economico-occupazionale locale, oltre che imprenditoriale, ricorrendo ad 
un modello di �transazione ad oggetto pubblico� (�inaugurato� nel 1999 con 
la transazione Stilgres-Tilegres-I.C.M.- gi� Min. Industria Commercio ed 
Artigianato): dietro adeguate garanzie si �trasferiva,� ad un�impresa terza, il 
contributo gi� concesso ed indi revocato ad altra impresa nel frattempo 
assoggettata a procedura concorsuale, attraverso un accordo trilaterale fra 
gli organi della procedura, lo Stato ed il terzo, il quale subentrava anche 
negli obblighi dell�originario disciplinare. Oltre a porre fine a catene di contenziosi 
solitamente agguerriti, tali soluzioni hanno assecondato l�interesse 
delle pubbliche finanze dinamicamente considerate, oltre a quelli delle collettivit� 
locali pi� direttamente coinvolte nell�operazione. Questa �architettura� 
giuridica richiese il superamento di ostacoli di natura tecnica; ma alla 
fine funzion�, ed ancora oggi funziona. Il che pu� costituire un esempio �sul 
campo� della nostra concreta attenzione all�interesse pubblico. 

Ma, oltre a questi, vi sono altri mezzi a disposizione dell�avvocato dello 
Stato per assicurare, �insieme all�applicazione delle norme giuridiche� la 
valutazione delle ragioni di equit� e di contemperamento degli interessi in 


TEMI ISTITUZIONALI 

conflitto per la realizzazione del buon andamento e della imparzialit� voluti 
dalla Costituzione� (art. 1 del Codice Etico cit.). 

Codificando il principio programmatico da ultimo richiamato, l�art. 1 
della legge 241/90 ha formalizzato nel diritto positivo un generalizzato precetto 
di economicit� dell�azione amministrativa, che investe anche il pur 
peculiare compito dell�Avvocatura dello Stato. Questa � infatti chiamata, 
oltre che al patrocinio strettamente tecnico-legale delle pubbliche amministrazioni, 
a �gestire� economicamente il loro contenzioso, e come s�� visto in 
una visione globale degli interessi in campo. Per tal via le risorse giuridiche 
dell�Avvocatura dello Stato vanno in qualche modo ad �integrarsi�, con quelle 
che lo stesso sistema statale gi� impegna nell�attivit� giudiziaria. Il che 
concorre a realizzare, insieme all�affermazione del richiamato principio di 
legalit�, un ulteriore ed importante momento di effettivit� della tutela giurisdizionale. 


Tutte le volte, infatti, che ci si trovi di fronte all�alternativa se promuovere 
o non una lite, oppure abbandonare una lite gi� iniziata o smettere di 
resistervi, o impugnare un provvedimento giurisdizionale �sfavorevole� 
all�Amministrazione o piuttosto rendere un parere di acquiescenza (in 
sostanza �vincolante�), valutazioni di questo tipo non potrebbero limitarsi al 
calcolo del tornaconto strettamente patrimoniale in rapporto alle obiettive 
chances di vittoria. Intanto esse dovrebbero fare anche i conti col complessivo 
costo delle risorse amministrative richieste dalla gestione della lite; e 
soprattutto, in contesti professionali notoriamente sovraccarichi di lavoro, 
compararne il tornaconto col sacrificio di affari pi� importanti per la cosa 
pubblica, che ne restassero �sacrificati�, sul tavolo dell�avvocato dello Stato 
come, correlativamente �su quello del giudice. Ma questo calcolo potrebbe 
ancora rivelarsi �miope�, quando il suo risultato monetario non tenesse conto 
della sorte degli interessi pubblici in campo, specie se di difficile o impossibile 
contabilizzazione. Proprio in quest�ordine di idee risiede la ratio dell�art. 
13 del cit. T.U., il quale dispone che l�Avvocatura dello Stato provvede, 
oltre alla tutela legale dello Stato ed alle consultazioni richieste dalle 
Amministrazioni, �a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, 
contestare o abbandonare giudizi�. 

Occorre al riguardo riprendere e sviluppare l�accennata visione �integrata�del 
Sistema Giustizia, che �, a parere di chi vi parla, la chiave di un discorso 
molto importante. 

Quando l�Avvocatura dello Stato abbandona un giudizio o soprassiede 
ad un appello, affatto non �abdica dalle sue funzioni di �avvocato� � del che 
cercheremo pi� avanti di veder meglio il significato � abbandonando cos�l�Amministrazione al suo destino. � che il suo parere sostituisce la sentenza, 
nel senso che sul piano funzionale l�Amministrazione non pu� prescinderne 
(se non, come si suol dire, �a rischio e pericolo� dei funzionari che si 
assumessero la responsabilit� di disattendere l�organo tecnico-giuridico 
dello Stato); e ci� alla stregua di un avvocato con una sorta di potest� effettiva 
sulle scelte del suo cliente. Il che realizza un�ottima architettura di sistema: 
l�assoggettamento dello Stato al giudice assicura infatti la migliore 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

garanzia possibile al privato, mentre la contemporanea e sempre immanente 
regia di un�Avvocatura dello Stato professionalmente sensibile agli interessi 
pubblici in campo, assicura un mezzo aggiuntivo di realizzazione del 
diritto. Peraltro, in corrispondenza con i detti due poli d�interesse, privato e 
pubblico, un sistema del genere pone nel miglior rapporto dialettico il giudice, 
espressione della Comunit� statale, con l�avvocato rappresentante dello 
Stato-Amministrazione. Entrambi concorrono, in ultima analisi, a fornire il 
�prodotto� giustizia, sia complementarmente in quanto soggetti indefettibili e 
co-protagonisti della scena processuale, e sia alternativamente, tutte le volte 
che l�avvocato dello Stato ritenga pi� conveniente offrire all�Amministrazione, 
in luogo di una sentenza (destinata spesso a farsi attendere a lungo�), 
il suo parere conclusivo della lite, in pratica di pari efficacia cogente. 

Attraverso una sua lettura opportunamente �storicizzata�, l�art. 13 T.U. 
Avv. Stato finisce cos� con l�introdurre un meccanismo di grande modernit� 
ed efficienza, in un quadro caratterizzato ormai ovunque da progressive problematicit� 
di tutti i sistemi giudiziari, nel sostenere una sempre crescente 
domanda di giustizia dei cittadini. Considerata la �fisica impossibilit� di 
uscire in altro modo da questa emergenza, data l�incomprimibilit� di certi 
tempi del processo, si ripone infatti sempre maggiore fiducia nei c.d. 
Alternative Dispute Resolutions; i quali, nel comune vissuto sociale sono 
anzi preferiti alla �sentenza� quali mezzi per derimere la lite. Oltre a quelli 
tradizionali rappresentati da conciliazioni ed arbitrati � ma si consideri anche 
la crescente diffusione delle �Authorities� � ben a ragione, sulla scorta di 
quanto precede, potremmo annoverare fra gli A.D.R. quest�importante funzione 
del nostro Istituto. Esso � infatti sempre chiamato, in presenza di una 
lite potenziale o in atto, e dunque a ben vedere in tutti i possibili contesti 
attuativi del diritto, a ricercare la via migliore della legalit� e della buona 
amministrazione, in qualche modo super partes ed anche prescindendo dalle 
sorti del processo, eventualmente� concludendo esso la lite, o prevenendola, 
col suo parere. Il che costituisce anche espressione di quel molto attuale 
ed europeo principio di �sussidiariet�� dei mezzi dell�ordinamento. Non 
sfuggir� una qualche analogia fra questa funzione dell�Avvocatura dello 
Stato con alcuni dei compiti non giurisdizionali del Consiglio di Stato. Se si 
pensa che le liti in atto fra privato e pubblici poteri rappresentano poco meno 
del 10% dei giudizi civili in corso, e ben oltre la met� di quelli amministrativi, 
per non parlare del contenzioso comunitario, e senza contare quelle che 
si riescono preventivamente ad evitare, potr� facilmente intendersi l�importanza 
di questa risorsa nell�intero Sistema Giustizia. 

Ma vorrei anche aggiungere, in un quadro generale di etica professione 
forense, che se e nella misura in cui l�attivit� giurisdizionale riesca a costituire 
mezzo di orientamento dei comportamenti individuali e sociali, e l�avvocato 
a rendersi interprete professionale di questo, il suo saggio consiglio 
anzich� la radicalizzazione ad oltranza di tesi o posizioni potrebbe rivelarsi 
opzione estremamente evolutiva. �Meglio un tristo accordo che una bella 
causa�, recitava l�antica saggezza di certi avvocati di una volta, agli antipodi 
di quella �continua ricerca�, cui molti sono invece spinti oggi dal sovraf



TEMI ISTITUZIONALI 

follamento del loro ambiente professionale, �di tutto ci� che pu� estendere 
l�area del conflitto ed allungare i tempi della sua definizione� (riportando le 
parole usate dal Presidente Marvulli, all�inaugurazione del corrente anno 
giudiziario). 

Tornando ora al nostro Istituto, trattiamo ad esempio molti ricorsi contro 
provvedimenti di revoca di contributi statali in conto capitale, gi� �provvisoriamente� 
assegnati ex lege 488/92 per la realizzazione di iniziative industriali 
nelle zone di �obiettivo C.E.E.�. Spesso i privati imprenditori propongono 
le loro contestazioni sia davanti ai TAR, sia contemporaneamente 
innanzi ai Tribunali ordinari, stanti gli immancabili problemi di riparto di 
giurisdizione in materia, che vengono in pratica �utilizzati� come �doppia 
possibilit� di ottenere provvedimenti cautelari, con mire di tipo pi� pretensivo 
che inibitorio�. Pur trattandosi generalmente di rilevanti importi, di 
fronte a sentenze ben motivate, ancorch� sfavorevoli, o talvolta anche ordinanze 
che colgano il punto della questione e lascino intendere un convincente 
orientamento del TAR, spesso l�Avvocatura generale soprassiede all�impugnativa, 
suggerendo all�Amministrazione, insieme alla ��retta via�, di 
abbandonare la (doppia) lite. Dal che scaturisce, oltre al vantaggio per l�impresa 
e per la produzione, spesso il salvataggio di significativi livelli occupazionali, 
col corrispondente beneficio dell�economia locale e nazionale e 
�del �ruolo d�udienza� del giudice (anzi spesso di �due, come s�� visto). 
E risulter� altrettanto chiaro come anche questo contribuisca al buon funzionamento 
della giustizia. 

Anche nel campo dei provvedimenti cautelari, la mentalit� � la stessa. 

Con opportune circolari infatti, l�Avvocatura dello Stato ha sempre raccomandato 
alle amministrazioni l�accettazione, almeno di regola e salvo 
buoni motivi in contrario, dei provvedimenti cautelari resi in sede giurisdizionale 
amministrativa di I grado. Peraltro, oltre alla loro istituzionale funzione 
protettiva del privato, questi riescono spesso egregiamente a proteggere 
anche l�Amministrazione dai danni (ulteriori) che questa venisse altrimenti 
chiamata a risarcire, ove il provvedimento fosse alfine annullato. Potrebbe 
oltretutto accadere che un eventuale insuccesso dell�impugnativa dell�inibitoria, 
pur se dipendente dalla prevalente considerazione del periculum in 
mora, finisca ci� non di meno col gettare cattiva luce sulle ragioni 
dell�Amministrazione gi� �soccombente� in sede di sospensiva, dal che 
restando queste pregiudicate poi, in sede di definitivo giudizio da parte del 
primo giudice. 

Nell�area amministrativa, dunque, il ruolo, ed anzi vorrei aggiungere lo 
storico contributo dell�Avvocatura dello Stato all�effettivit� ed all�efficacia 
della tutela giurisdizionale, in questa visione integrata e sinergica delle risorse 
giuridiche dello Stato, parrebbe rilevantissimo. Basti pensare all�incremento 
del carico giudiziario del plesso TT.AA.RR.-Consiglio di Stato, ed 
alle praticamente inevitabili paralisi della P.A., che deriverebbero da un 
opposto atteggiamento di contrapposizione ad oltranza, di una parte pubblica 
cos� presente. Ed alle conseguenti ricadute sull�efficacia della tutela 
medio tempore del cittadino. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Anche nel campo penale l�Avvocatura riesce, da sempre, a dare significativi 
contributi all�effettivit� della tutela giurisdizionale. 

Potrei in proposito citare la significativa esperienza del processo c.d. 
Moro-ter, con 173 imputati di quella che a suo tempo fu la �colonna romana� 
delle �Brigate rosse�. Tutti ricordano l�imponente mobilitazione giudiziaria, 
cui si deve in gran parte il merito dell�interruzione dei cd. anni di 
piombo (decennio 1972-82). E va anche ricordato, per incidens, il grande 
contributo campale di lavoro, che l�Avvocatura dello Stato parte civile 
riusc� a dare, come negli altri processi di quegli anni, al fianco dell�accusa. 
Ci� che invece � forse meno noto � che, da quelle oltre 3000 pagine di sentenza, 
sostanzialmente confermate in Corte d�assise d�appello e poi in 
Cassazione, scaturirono migliaia di statuizioni civili generiche, cui avrebbero 
dunque dovuto seguire altrettante e domande �in separata sede� per il 
quantum, ovviamente destinate ad uno scontato esito favorevole. Le relative 
cause sarebbero oggi ancora in corso (e probabilmente ancora in primo 
grado). 

Ma privilegiandosi a tutti i livelli, nella cornice storica di quegli anni, 
l�esigenza di �uscire dall�emergenza�, anche attraverso una grande opera di 
�riappacificazione sociale�, apparve pi� opportuno rinunciare alle pretese 
civili dello Stato, sia di natura patrimoniale che morale, che comunque non 
avrebbe portato ad apprezzabili risultati pratici, per un ben intuitivo ordine 
di considerazioni�. Con una circolare che richiese grande lavoro ed impegno 
tecnico � le fattispecie erano numerose, e con aspetti fattuali e giuridici 
del pi� vario tipo � si riusc� a porre fine all�intero contenzioso civile postterroristico. 
Col che il nostro Istituto, oltre ad assecondare quel precetto di 
economia dell�azione amministrativa di cui si � detto, si � dimostrato in 
grado di offrire anche nel campo penale il suo contributo ad una concreta 
affermazione della giustizia. Non pu� infatti dubitarsi, anche se questo tipo 
di approccio alla giustizia penale pu� sembrare insolito, che fondamentalmente 
questa � rivolta non solo alla protezione dei cittadini, ma nello stesso 
tempo al momento rieducativo del condannato. O meglio di centinaia di condannati 
nella specie � migliaia se si considera che quell�indirizzo ha avuto 
poi applicazione generalizzata a tutti i processi per reati di indole terroristica 
� i quali, anche una volta scontate le loro pene detentive, avrebbero altrimenti 
continuato a sentirsi braccati �a vita�, e con maggiori difficolt� di reinserimento 
socio-economico. Molti di questi sono stati cos� �riguadagnati� a 
rapporti esemplari con la societ�. Il che anche ha concorso a realizzare in 
pieno sia l�efficacia che l�effettivit� della tutela giurisdizionale, consistenti, 
secondo la pregevole distinzione fornitaci dalla Presidente della Suprema 
Corte finlandese Koskelo, nel �fare le cose giuste� ed �in modo adeguato�. 

Attraverso i cenni che precedono, si � cercato di mostrare alcune delle 
possibilit� di interazione ed integrazione dell�Avvocatura dello Stato con la 
Magistratura giudicante, in un comune �Sistema Giustizia�. Sistema di cui 
fanno parte, nella stessa protagonale posizione, anche i Colleghi del libero 
Foro, e con i quali l�avvocato dello Stato si confronta ogni giorno in ogni sua 
causa. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Indipendenza di pensiero e plasticit� operativa guidano dunque, come s�� 
visto, l�azione di questo operatore della giustizia, a met� strada fra un funzionario 
dello Stato ed un libero professionista. Ci� pone l�avvocato dello Stato, 
come pur s�� detto, in una posizione dialogica privilegiata col collega della privata 
difesa. Se da una parte, infatti, gi� s�� visto come alcune peculiarit� del 
nostro compito rispecchino una professionale attenzione all�interesse pubblico; 
dai cenni che precedono emerger� altrettanto chiaro come il perseguimento 
di questo interesse, nella relazione col soggetto �esterno�, debba muoversi in 
una dialettica processuale di diritto �comune�, ossia con gli stessi mezzi processuali 
a disposizione di tutti gli altri soggetti dell�ordinamento. 

Il che, in una visione un po� pi� �laica� ed evolutiva della nostra professione, 
riterrei che assecondi bene l�attuale momento storico, in cui vediamo 
contemporaneamente in corso un duplice processo: da una parte di privatizzazione 
dei compiti e dei mezzi dello Stato, e dall�altra di relativizzazione 
della sua sovranit� in funzione degli impegni con gli altri Stati, con i quali 
condivide il Progetto europeo e gli impegni per la sua realizzazione. Sul 
primo scenario vediamo una sempre maggiore fungibilit� nei compiti di difesa 
di enti ed interessi pubblici, fra avvocati dello Stato e del libero foro, con 
i quali ci accade abbastanza spesso di trovarci in posizione litisconsortile, 
oppure contraria, in difesa di interessi pubblici contrapposti; o, ancora, 
entrambi in difesa di parti private (ma sempre in funzione dell�interesse pubblico) 
nei casi ad esempio previsti dall�art. 44 del T.U. cit.. Cos� come, sullo 
scenario processuale europeo vediamo un avvocato dello Stato alla difesa di 
interessi dell�intera collettivit� statuale, contrapposti ad interessi di altre collettivit� 
statuali, o a quelli di tipo sovranazionale e �federale� che li trascendano, 
sempre a fianco o di fronte ad avvocati del libero foro. A questo proposito, 
si avvertirebbe viva l�esigenza di dotare l�Avvocatura dello Stato, al 
pari di ogni altro studio che tratta �internazionale� e/o �comunitario�, di una 
sua sede nelle citt� dove hanno sede gli organismi internazionali e sopranazionali, 
con l�attribuzione all�Avvocato generale della qualit� di agente nel 
contenzioso dinanzi al Tribunale di primo grado ed alla Corte di Giustizia 
delle Comunit� europee. 

Questa straordinaria dinamicit� ed elasticit� del nostro ufficio difensivo, 
rende peraltro estremamente attuale ed efficace la risorsa dell�art. 15 del citato 
T.U., il quale assegna dell�Avvocato Generale dello Stato il compito di 
�riferire periodicamente al Presidente del Consiglio dei Ministri sull�attivit� 
svolta dall�Avvocatura dello Stato, presentando apposite relazioni, e 
segnala anche prontamente le eventuali carenze legislative ed i problemi 
interpretativi che emergono nel corso dell�attivit� di istituto�. 

Pu� facilmente intendersi quale ricchezza di possibilit� racchiuda questa 
norma, prodotta da un legislatore lungimirante, cui non sfuggiva il contributo 
tecnico che poteva offrire quella miniera di esperienze del diritto davvero 
�a tutto campo�, rappresentata dall�Avvocatura dello Stato. Di quale 
migliore osservatorio dell�intera realt� processuale potrebbe disporsi nell�intero 
�Pianeta Giustizia�, sia sul versante giurisdizionale, che di quello professionale 
forense? 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Diverse volte � stata adoperata questa possibilit�; e fra le ultime, ad 
esempio in sede di osservazioni al disegno di legge 2430 di modifiche al 
codice di procedura civile, e di delega al Governo per l�attuazione di modifiche 
ad esso (approvato dal C.d.M. il 24 ottobre 2003). Alcune di queste 
osservazioni sono state poi recepite e trasfuse nel vigente codice di rito. 

Sembra del resto chiaro come una qualsivoglia credibile politica di 
incremento dell�efficacia dei mezzi giurisdizionali, non possa prescindere da 
un osservatorio del genere. Presente come nessun altro operatore del diritto 
in ogni scenario processuale, ed in tutta la sua dimensionalit�, sia orizzontale 
che verticale, una tale risorsa andrebbe decisamente utilizzata, anzi oserei 
dire �tesaurizzata� a tutti i livelli. Nel contesto del nostro Convegno, 
l�Avvocatura dello Stato sarebbe ben disposta, � questa la mia personale convinzione, 
a mettere questo tipo di esperienza a disposizione delle iniziative 
di monitoraggio dei sistemi e della vita della giustizia, che in questa sede 
venissero messe in cantiere. 

Questo � quel che riesce a fare, e soprattutto, ed ancor di pi�, pu� fare 
l�Avvocatura dello Stato al servizio della giustizia e dei cittadini dell�Europa. 
Ma devo avviarmi verso le conclusioni con una nota purtroppo dolente; 
anche se sempre in chiave costruttiva e con immutato ottimismo nel futuro.

� nota la situazione di crisi di alcuni settori della nostra giustizia, fra cui 
sicuramente quella civile, con gli altrettanto noti e negativi riflessi proprio 
sull�efficacia ed effettivit� della stessa. Personalmente guardo con molto 
interesse ad alcune idee di riforma del codice di procedura civile, e trovo 
moderne e razionali alcune linee di fondo, quali la c.d. �privatizzazione� del 
processo ed il connesso principio di sussidiariet� che dovrebbe animarne la 
funzione. Cos� come guardo anch�io con stupita meraviglia alle nuove frontiere 
informatiche e telematiche del diritto, che saranno certamente decisive 
per la conquista di un processo rapido e giusto. Proprio queste ultime, anzi � 
ne sono personalmente convinto � saranno l�arma �in pi��, e vincente, in una 
sfida dall�esito altrimenti �segnato� da croniche problematicit� del sistema. 
Una legislazione davvero lungimirante dovrebbe, per tornare adesso �a casa 
nostra�, far pi� decisamente partecipare l�Organo di assistenza legale dello 
Stato alla �rivoluzione informatica e telematica� in atto; il che consentirebbe 
ad esempio di attivare anche nel nostro Istituto uno sportello telematico, con 
enormi benefici per l�attivit� amministrativa, e dunque, soprattutto, per gli 
amministrati! 

Ma, con altrettanta schiettezza, non posso per� tacere su quel che vedo 
un problema strutturale di fondo, che accomuna gli avvocati dello Stato alla 
pi� gran parte nostri ��cugini� magistrati: manca, qui in Italia, un �Ufficio 
del giudice�. Lo stesso problema della durata dei processi parrebbe in buona 
parte localizzarsi nel �collo di bottiglia� del tempo a disposizione del giudice 
per �leggersi le carte�e �studiare la causa�. Ma perch�? I giudici francesi 
sono forse pi� preparati di quelli italiani, o gli avvocati d�oltralpe scrivonodi meno o gli pongono meno problemi? � evidente che non � cos� La differenza 
rispetto al collega francese, tedesco o austriaco sta nel fatto che, a 
loro disposizione, vi � appunto un �Ufficio del giudice�; che non � l�attuale 


TEMI ISTITUZIONALI 

cancelleria, non di rado popolata da personale demotivato, insufficiente, 
male organizzato e poco attrezzato. Per Ufficio del giudice deve invece 
intendersi un ambiente di lavoro confortevole, attrezzato ed assistito da funzionari 
di formazione giuridica al suo diretto servizio. Pu� sembrare a prima 
vista un problema prosaico, di quotidianit�, �terra terra� come si suol dire, e 
magari un po�� miope. Ma quasi 30 anni ormai, di frequentazione di aule 
di giustizia di ogni tipo, e le testimonianze di tanti giudici, amici e colleghi 
con i quali posso dialogare in termini schietti, mi assicurano che non lo �. 

E chiamerei a sostegno di quello che dico Andrea Proto Pisani il quale, 
in un articolo di un paio d�anni fa, sosteneva �l�importanza che sul piano 
ordinamentale avrebbe l�introduzione anche in Italia (sulla falsariga delle 
esperienze tedesca e austriaca) della figura del Rechtspfleger, cio� di una 
figura intermedia tra il segretario e il giudice cui devolvere funzioni di giustizia 
per cos� dire minore, quali il rilascio di decreti ingiuntivi e di ordinanze 
di convalida di sfratto, la direzione dei processi di esecuzione forzata, ecc. 

�Sul piano organizzativo (oltre alla sempre attesa revisione delle circoscrizioni 
giudiziarie con la soppressione dei piccoli tribunali) � da ricordare 
il completamento dell�informatizzazione degli uffici e soprattutto l�introduzione 
(al pari di quanto gi� � in gran parte realizzato riguardo ai magistrati 
requirenti) dell�ufficio del giudice, con una propria stanza, un proprio 
segretario, personale amministrativo che lo coadiuvi nelle ricerche e lo sollevi 
da compiti materiali o di cancelleria (essendo oggi il giudice italiano 
l�unico in Europa che spesso non ha una propria scrivania, che redige da 
solo i verbali d�udienza, scrive l�intestazione delle sentenze e disperde cos� 
notevoli energie), di modo che al giudice sia riservata unicamente l�attivit� 
di ius dicere. 

�Occorre che non solo il ceto politico ma anche i processualcivilisti (me 
per primo) acquistino consapevolezza che solo da questi interventi ordinamentali 
ed organizzativi si pu� ragionevolmente attendere una svolta nell�attuale 
situazione di vero e proprio disastro della giustizia civile in Italia. 

��II sacrosanto ridimensionamento dell�importanza delle riforme processuali 
non vuol dire che gli studiosi del processo civile debbano cambiare 
mestiere, ma solo che essi devono avere consapevolezza del carattere molto 
limitato e non decisivo delle riforme che, anche sul modello di esperienze 
straniere, essi possono elaborare o proporre...� (�Intervento sulla giustizia 
civile� di ANDREA PROTO PISANI, in Foro It., 2004, p. V, 3.1,6, 3.2, 4). 

Ma non � certo compito dell�Avvocatura dello Stato, e meno che meno 
di chi vi parla, occuparsi di quel che non funziona nell�organizzazione giudiziaria� 
Se non fosse che �si tratta degli stessi, speculari, problemi 
(salvo quello �delle stanze, che da noi sono per lo pi� belle ed in numero 
sufficienti per tutti), che affliggono il nostro prestigioso Istituto! 

Avvertiamo in particolare il problema, oltre che di una generale ridefinizione 
degli uffici, anche con lo sviluppo dei sistemi informatici e l�utilizzo 
delle nuove tecnologie, di liberare i nostri gi� stracolmi uffici di migliaia di 
cause, spesso seriali, la cui facile trattazione consentirebbe il loro affidamento 
agli stessi funzionari della P.A., col che si potrebbe almeno in parte ovvia



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

re a quella cronica e non facilmente spiegabile penuria di personale sia togato 
sia impiegatizio (che non sembra invero trovar riscontro in nessun altra 
magistratura). Ma, soprattutto, sentiamo anche (ed ancor di pi�) noi, il cui 
lavoro si svolge per lo pi� davanti ai giudici e dunque fuori dei nostri uffici, 

l�esigenza davvero non pi� differibile, di disporre almeno di un assistente 
collaboratore di formazione giuridica, col compito esclusivo dell�indispensabile 
supporto tecnico-specialistico all�attivit� professionale, e di un�unit� 
di segreteria per ciascun avvocato. Siamo convinti che una sia pur minima 
cellula operativa di questo tipo, che ci farebbe uscire dalla cronica (ed un po� 
paradossale) situazione d�emergenza di �organi senza ufficio, moltiplicherebbe 
la resa e le possibilit� del nostro lavoro, a diretto vantaggio della collettivit�. 


Decomprimendosi cos� risorse professionali �schiacciate� da sovraccarichi 
lavorativi � ciascuno di noi ormai introita in media oltre 500 nuovi affari 
contenziosi � una razionalizzazione di questo tipo dell�Avvocatura dello 
Stato sprigionerebbe, oltre ad economie che ne trascenderebbero esponenzialmente 
i costi, preziose risorse professionali. Queste intanto assicurerebbero 
una miglior difesa dello Stato, e dunque in ultima analisi dei pubblici 
interessi e delle pubbliche finanze; ma poi, potrebbero essere proficuamente 
investite nell�intensificazione di quelle sinergie giudiziali di cui dinanzi s�� 
detto, in funzione di alleggerimento e deflazione del contenzioso generale, a 
tutto ulteriore vantaggio di questo sempre pi� vasto �Pianeta Giustizia�, e 
dell�intera collettivit�. 


I caratteri originari
della difesa dello Stato in Italia 


di Giuseppe Fiengo 

SOMMARIO: 1.� La legittimazione dello Stato in giudizio. 2.� La disponibilit� 
del diritto controverso. 3.� La personalit� giuridica dello Stato e l�articolazione 
in soggetti a legittimazione separata. 4.� Le linee evolutive della 
giurisprudenza. 5.� I problemi all�indomani dell�Unit� nazionale. 6.� La 
nascita dell�avvocatura erariale. 7.� L�involuzione dell�epoca giolittiana. 
8.� Considerazioni finali. 

1. La legittimazione dello Stato in giudizio 
Lo scritto che segue, frutto di uno studio pi� volte iniziato e mai concluso, 
ha per oggetto alcuni temi tradizionali concernenti la difesa dello Stato in 
giudizio e d� conto di una vicenda normativa che si sviluppa in Italia alle origini 
dell�istituzione dell�Avvocatura dello Stato. La finalit� � quella di 
cogliere, attraverso la ricostruzione puntuale del succedersi delle disposizioni 
legislative, una chiave di lettura unitaria di alcune questioni che sono sviluppate 
nel corso degli anni e che sono state progressivamente affrontate e 
risolte dallo stesso legislatore e/o dalla giurisprudenza. 
In realt� i problemi giuridici non nascono, n� si risolvono, attraverso 
proposizioni astratte, ma sono espressione di un travaglio pi� profondo di 
uomini e tempi; in ogni caso il dato normativo nel suo mutare, consolidarsi 
e perire resta pur sempre un fatto dal quale gli interpreti ed operatori non 
possono prescindere. E nel nostro Paese questo dato normativo appare particolarmente 
significativo, dal momento che il sistema di difesa nel giudizio 
civile ed amministrativo ha fatto perno proprio sull�esistenza di un organismo 
istituzionale di difesa pubblica. 
Pur avendo i suoi precedenti storici immediati negli avvocati fiscali del 
XVIII secolo, l�Avvocatura dello Stato � un istituto relativamente recente; le 
sue strutture portanti sono direttamente connesse a quel moto di pensiero che 
ha portato in Italia alla soggezione della pubblica amministrazione alla giurisdizione 
del giudice ordinario e all�avvento dello Stato di diritto. La soluzione 
organizzativa adottata dal legislatore, di affidare in via esclusiva a funzionari 
specializzati la difesa in giudizio delle proprie controversie, � del 
tutto peculiare dell�esperienza italiana, ancorch�, di recente, sia stata riproposta 
anche in altri ordinamenti, tra i quali, da ultimo, la Spagna. 
La semplicit� della formula, che riassume la funzione degli avvocati 
dello Stato quali �difensori dello Stato in giudizio�, non deve trarre in inganno; 
il meccanismo di questa rappresentanza legale deve, infatti, fare i conti 
con la complessit� delle formule organizzatorie dell�amministrazione statale 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

e degli altri soggetti pubblici, nei quali il potere centrale, nel corso di oltre 
un secolo, si � andato articolando; tale complessit� ha infatti posto tutta una 
serie di questioni teorico-pratiche, molto dibattute in dottrina e giurisprudenza, 
che, in estrema sintesi, si riconducono al tema generale della legittimazione 
in giudizio delle pubbliche amministrazioni. 

Per illustrare tale posizione i trattati di diritto amministrativo e le stesse 
pronunce dei giudici fanno spesso ricorso ad una tripartizione funzionale, 
che trae origine dal diritto processuale civile: la legitimatio ad causam, o 
legittimazione sostanziale, che indica la pertinenza della situazione giuridica 
controversa a questa o quella amministrazione, di norma identificata per 
lo Stato nella cosiddetta branca amministrativa (ministero od organi indipendenti), 
la legitimatio ad processum, o rappresentanza processuale, spettante 
all�organo chiamato, secondo le leggi, a stare in giudizio (dopo lungo travaglio 
identificato nel ministro in carica o, per gli enti strumentali, nel presidente 
dell�ente), e lo ius postulandi, il diritto di patrocinare davanti alle 
magistrature togate, spettante all�organo tecnico di difesa. 

La buona intenzione, di utilizzare categorie del diritto comune per spiegare 
anche i fenomeni connessi alla partecipazione dello Stato al giudizio, 
rischia tuttavia di essere vanificata nel momento in cui questa tripartizione 
concettuale viene calata nella realt� operativa e si tenta di svolgere coerentemente 
tutte le implicazioni che derivano dall�adozione di tali nozioni generali; 
la rottura della consequenzialit� delle nozioni processual-civilistiche e la 
necessit� di far ricorso, sul piano logico, ad un �diritto speciale� dello Stato 
in giudizio, indipendentemente dalla pertinenza o meno delle soluzioni adottate, 
costituiscono in ogni caso sintomo di inadeguatezza dell�approccio. 

2. La disponibilit� del diritto controverso 
Le ragioni di questa situazione di sostanziale incoerenza sono molteplici. 
Prima fra tutte, � l�interferenza che si viene a creare, attraverso la presenza 
di un avvocato istituzionale, nella disponibilit� del diritto controverso. 
Una volta ammesso � ed � principio fondamentale dello Stato di diritto 

� che le pretese dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni 
siano azionabili davanti ad un giudice, anche quando coinvolgano la cura di 
interessi pubblici, e che le amministrazioni possano a loro volta agire in giudizio 
per la tutela degli interessi alle stesse affidati, il dato di esperienza, che 
emerge immediatamente � che, anche attraverso il processo e la pronuncia 
giudiziale le amministrazioni pubbliche, possono perseguire (e normalmente 
perseguono) interessi sostanziali. Si tratta pertanto di armonizzare la complessa 
normazione, che progressivamente ha disciplinato l�esercizio delle 
funzioni pubbliche e ne permette il costante controllo e la piena giustiziabilit�, 
con la sostanziale libert� che attraverso l�instaurazione o la resistenza in 
un giudizio viene ad acquistare una pubblica amministrazione. A che serve, 
infatti, introdurre nella legislazione sostanziale controlli procedimentali sui 
contratti di appalto, se poi, davanti ad arbitri o a giudici che debbano conoscere 
delle controversie, l�amministrazione appaltante e l�imprenditore riacquistano 
di fatto, e legittimamente, tutta la libert� di trovare un diverso asset

TEMI ISTITUZIONALI 

to dei loro rapporti? Chi abbia esperienza di liti con pubbliche amministrazioni 
sa bene che risultati difficili da ottenere in via di gestione si possono 
raggiungere agevolmente, e senza assunzione di responsabilit�, attraverso la 
decisione del giudice. 

In realt�, come oramai non si dubita che anche lo strumento contrattuale 
ed in generale l�attivit� di diritto privato delle pubbliche amministrazioni 
costituiscono esercizio di funzione amministrativa, cos� non pu� escludersi 
che anche attraverso il processo, davanti al giudice ordinario o al giudice 
speciale, le amministrazioni pubbliche curino concretamente interessi pubblici, 
scegliendo, graduando e valutando, ovviamente nei modi e nei termini 
in cui questa cura, scelta, graduazione e valutazione sono possibili attraverso 
lo strumento giudiziale. � quindi di notevole importanza stabilire come 
questa particolare azione amministrativa, che si svolge nel processo e/o attraverso 
la gestione della res litigiosa, possa trovare canoni di valutazione e di 
imputazione, oltre al necessario collegamento con le responsabilit� degli 
organi politici. 

L�introduzione nell�ordinamento nazionale di una Avvocatura Erariale 
(poi divenuta Avvocatura dello Stato) e l�attribuzione in via esclusiva a tale 
organismo tecnico di consulenza e difesa dello ius postulandi costituiscono, 
quindi, istituti destinati ad operare non soltanto sul piano del processo (civile), 
ma anche sul piano sostanziale della disponibilit� del rapporto controverso, 
finendo per introdurre, nel settore del contenzioso, linee organizzative in 
parte difformi da quelle che generalmente governano la distribuzione delle 
potest� nell�amministrazione statale: il rapporto tra pubblica amministrazione 
e Avvocatura dello Stato � difensore istituzionale e stabile � potrebbe 
infatti non essere qualificabile alla stregua del comune canone civilistico che 
regola i rapporti tra la parte e il difensore. 

Nel diritto comune vale infatti la regola che lo ius postulandi (scelta 
sulla difendibilit� della causa, scelta sui mezzi difensivi ecc.) spetti in via 
esclusiva al difensore, mentre la disposizione del rapporto controverso resta,
ovviamente, di pertinenza della parte privata. � chiaro che il meccanismo 
che permette di conciliare l�indipendenza e la professionalit� del difensore, 
in grado indubbiamente di incidere attraverso i suoi comportamenti processuali 
sulla sostanza del rapporto, con la titolarit� del diritto controverso spettante 
al cliente, sta proprio nella natura negoziale, unilaterale e revocabile 
del mandato. Tutto ci� potrebbe non valere per l�amministrazione statale, 
che non pu� liberamente decidere a chi affidare le proprie cause e a chi revocare 
il relativo incarico. La risposta pi� facile che si offre di fronte a questo 
genere di prospettazioni � che ci si trova di fronte ad un rapporto tra organi 
dello Stato, interamente regolato dalla legge� Ma tutto questo basta? 

Sul piano astratto le soluzioni possibili sono due: o la titolarit� ex lege 
dello ius postulandi nell�interesse dello Stato implica necessariamente una 
qualche incidenza del difensore istituzionale sul rapporto controverso, una 
sua particolare titolarit� della res litigiosa, oppure l�Avvocatura dello Stato 
non pu� essere considerato un comune difensore professionale e viene ad 
avere una titolarit� semiplena dello stesso ius postulandi. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La giurisprudenza, pur nel rispetto della formula generale che lo ius 
postulandi spetti ex lege all�Avvocatura dello Stato, nella sostanza oscilla tra 
due soluzioni, ora ritenendo ammissibile, attraverso l�atto processuale, una 
disposizione del rapporto da parte della sola Avvocatura dello Stato, anche in 
contrasto con la stessa amministrazione, ora invece � in genere si tratta di atti 
non canonizzati nel processo e quindi atipici � negando operativit� ad atti 
che implichino disposizione del rapporto da parte dell�avvocato erariale 
senza l�intervento dell�amministrazione interessata. In pratica la linea di 
demarcazione passa, secondo la giurisprudenza, attraverso una sibillina e 
oscillante nozione di atto processuale, senza mai affrontare il problema nel 
suo complesso. 

La difficolt� � evidentemente � consiste nella resistenza del processo 
civile (e forse anche del processo amministrativo), in cui diviene parte una 
pubblica amministrazione, a piegarsi alle esigenze proprie dei moduli funzionali 
tipici dell�attivit� amministrativa; ma forse le vie potrebbero essere 
altre e non � escluso che, proprio nel momento genetico dell�Avvocatura erariale, 
i padri fondatori del liberalismo italiano abbiano sfiorato approcci 
diversi di qualche interesse. 

3. La personalit� giuridica dello Stato e l�articolazione in soggetti a legittimazione 
separata. 
Il secondo tema che ha creato difficolt� riguarda specificatamente l�articolazione 
organizzativa dello Stato persona ed il dibattito che alla fine del 
secolo XIX si � svolto sulla personalit� giuridica dello Stato. 

Cominciamo col dire che nell�amministrazione contemporanea si � 
appannato (e fanno fatica a consolidarsi i tentativi nuovamente riproposti) 
quel principio dell�unica cassa, che la dottrina liberale classica aveva tentato 
di estendere allo stesso patrimonio personale e/o dinastico del Sovrano attraverso 
il ministero della Real Casa. Tale principio comportava che un unico 
organo amministrava tutti indistintamente gli introiti dello Stato, tributi diretti 
ed indiretti, imposte e tasse, redditi patrimoniali etc.; l�insieme di queste 
risorse veniva distribuito tra varie branche di attivit� e vari centri di riferimento 
della spesa aventi struttura in larga misura omogenea. I1 solo ministero 
delle Finanze aveva il bilancio dell�entrata, gli altri esclusivamente un bilancio 
di spesa (� il modo di garantire gli interessi settoriali sottostanti): un organo 
ad hoc, il Tesoro (ma per un certo periodo fu lo stesso ministero delle 
Finanze) faceva le parti. La successiva creazione di aziende dotate di autonomia 
finanziaria e � successivamente � il moltiplicarsi di enti pubblici strumentali 
hanno del tutto stravolto questo organico disegno organizzativo. 

Una delle caratteristiche di tale disegno era che l�organo di rappresentanza 
e difesa giudiziale degli interessi statali (intesi in una accezione prevalentemente 
patrimoniale) accedeva organicamente al ministero dell�entrata. 
Conseguentemente le Ferrovie dello Stato, finanziariamente separate dallo 
Stato, ebbero all�origine un servizio legale autonomo e solo in seguito la 
difesa dell�Azienda fu assunta, tra dibattiti e polemiche, dall�Avvocatura erariale 
nel frattempo istituita. 


TEMI ISTITUZIONALI 

Quanto alla attribuzione della personalit� giuridica dello Stato gli Autori 
che ne trattavano mettevano in evidenza come �la finalit� pratica, voluta 
conseguire con il ricorso alla figura della persona giuridica, si concentrava 
nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali di diritto privato�, per la 
cui configurabilit� in realt� bastava la vecchia idea del �fisco�. Solo in un 
secondo momento, volendosi estendere la soggezione alla giurisdizione 
anche a rapporti di natura autoritativa, la costituzione dello Stato, nella sua 
globalit�, come soggetto giuridico unitario (persona) fu intesa come strumento 
logico ed ideologico diretto ad assoggettare lo Stato-sovrano al diritto, 
ponendo le condizioni necessarie e sufficienti perch� i pubblici poteri 
potessero entrare in rapporti giuridici in qualche misura paritetici con altri 
soggetti. 

Nella costruzione teorica giocarono evidentemente le concezioni soggettivistiche 
e volontaristiche del XIX secolo, il bisogno di trovare un surrogato 
alla personalit� della Corona ed alla continuit� dinastica da tale concetto 
assicurato, le tendenze unitarie e centralizzanti dominanti sia in filosofia che 
in politica; fatto si � che 1�idea che tutto l�apparato dei pubblici poteri costituisse 
persona giuridica, ente astratto o reale, aveva anche il vantaggio non 
indifferente di rendere giuridicamente rilevante (funzione in senso tecnico) 
l�intera attivit� della macchina dello Stato, spersonalizzando il potere e rendendolo 
�servizio�, in quanto tale sempre controllabile. 

L�idea successiva della distribuzione del potere per branche amministrative, 
sintetizzabile nel principio teorizzato dal Musil agli inizi del secolo con 
riguardo all�amministrazione imperiale austriaca, secondo il quale �i ministeri 
sono la divisione del mondo secondo i suoi principali punti di vista�, muove 
invece da una vicenda politico-concettuale in parte diversa, pi� viva e concreta, 
interna agli apparati dei pubblici poteri e, forse per questo, meno nota. 

Il principio fondamentale che regola la nascita del potere ministeriale � 
che prima emergono gli interessi e poi vengono istituiti gli organi destinati a 
curarli. La storia istituzionale dello Stato liberale italiano segue cos� il lento 
enuclearsi ed emergere della cosiddetta potest� ministeriale, dall�idea dell�amministrazione 
statale come amministrazione della Corona fino all�affermarsi 
del principio costituzionale, tuttora valido, secondo il quale per ogni 
attivit� dello Stato deve esserci un ministro che ne risponde in Parlamento. 
Nella struttura composita della Monarchia e della regia amministrazione che 
garantiva unitariamente il vecchio assetto generale, la borghesia emergente 
nelle istituzioni parlamentari introduceva man mano i suoi particolari interessi 
di classe, canonizzandoli e garantendoli con l�istituzione di strutture 
ministeriali, stabili e dipendenti dal Parlamento. A cominciare dalla istituzione 
del Ministero dell�Agricoltura, poi progressivamente con l�istituzione 
degli altri apparati amministrativi ministeriali, gli interessi pubblici e le 
garanzie ad essi connesse si settorializzano e la loro cura viene sottoposta al 
controllo parlamentare e giudiziale. L�originaria unit� dello Stato, collegata 
spesso ideologicamente al cosiddetto interesse pubblico generale, veniva 
cos� sempre pi� a restringersi in ambiti limitati, per emergere soltanto nei 
momenti difficili del Paese. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Questa frantumazione dell�Amministrazione, questo prevalere degli 
interessi di settore, che poi erano quelli che facevano riferimento al nuovo 
capitale industriale e finanziario, � la grande preoccupazione dei giuristi e 
politici della Destra storica. Ed � significativo che alle soglie della rivoluzione 
parlamentare del 1876, il Minghetti ed il suo entourage, del quale faceva 
parte il Mantellini, ritengono di dover inventare � con un colpo di mano del 
Governo, come si vedr� in seguito � un istituto, come l�Avvocatura Erariale, 
il cui compito principale, fino alla rottura in epoca giolittiana, sar� quello di 
opporsi, attraverso una classe di buoni giuristi, espressione della borghesia 
fondiaria, alla disarticolazione degli interessi od anche � si disse all�epoca � 
al prevalere di camarille locali nella gestione delle liti, in contrapposizione 
con le direzioni generali dei ministeri e agli interessi del capitale mobiliare 
che, attraverso i canali ministeriali, tentavano di emergere. 

Per inciso va detto che nella legislazione positiva le tracce pi� significative 
che davano fondamento alla teoria della personalit� giuridica unitaria 
dello Stato, oltre che nelle poche norme che imputano ad esso unitariamente 
diritti reali e beni materiali, si rinvenivano proprio nella disciplina della 
rappresentanza e difesa in giudizio e nella attivit� svolta, per conto dello 
Stato nel sua unitariet�, dall�Avvocatura erariale (in tal senso Jellinek). 

Va anche detto, con realismo, che l�entificazione dello Stato nel suo 
complesso, che � caratteristica degli ordinamenti europei continentali, ha 
rischiato in alcune elaborazioni dottrinarie di avere come ulteriore conseguenza 
logica l�attribuzione a tale persona delle stesse prerogative che spettavano 
alla Corona, ivi compresa l�esenzione dalla giurisdizione, pi� o meno 
mascherata attraverso l�autodichia, o comunque il mantenimento di �privilegi� 
nell�ambito del processo civile. Tutto ci� oggi � venuto meno, ma ancora 
recentemente la Corte Costituzionale ha ribadito che �la difesa dello Stato 
comporta una visione dei problemi pi� ampia e diversa da quella che ordinariamente 
� richiesta per la difesa di una parte privata, se non altro per 
l�indubbia appartenenza allo Stato di fini generali di giustizia�. Come si 
vede le vecchie idee non muoiono� 

4 . Le linee evolutive della giurisprudenza 
Sul piano strettamente processuale del giudizio civile, l�articolazione 
dello Stato per branche ministeriali e l�istituzione di apparati autonomi od 
autorit� indipendenti dovrebbero implicare una serie di conseguenze, allorch� 
la lite viene introdotta nei confronti di una branca amministrativa o una 
struttura autonoma diversa da quella effettivamente interessata a contraddire: 
la domanda avanzata nei confronti di un�autorit� incompetente (nel senso 
di incompetenza assoluta o carenza di attribuzione), dovrebbe essere considerata 
improponibile per mancanza d�interesse (vedi l�articolo 100 del codice 
di procedura civile) o, comunque, infondata nel merito. In altri termini se 
la corretta individuazione dell�Amministrazione titolare dell�affare comportasse 
problemi di legitimatio ad causam, le conseguenze, che derivano nella 
teoria e nella pratica processuale, dovrebbero essere che un ministero 
dovrebbe essere considerato terzo rispetto alla lite intrapresa da o nei con



TEMI ISTITUZIONALI 

fronti di un altro ministero, che la compensazione tra crediti e debiti dello 
Stato nei confronti di un unico soggetto non potrebbe essere ammessa su 
semplice autorizzazione, n� il fermo amministrativo su semplice decreto del 
ministro del Tesoro. Se le regole generali che disciplinano l�attivit� amministrativa, 
in particolare i procedimenti autoritativi, avessero immediata traduzione 
nell�ambito del processo civile, l�interrogatorio (libero o formale) non 
sarebbe possibile n� il giudice potrebbe in ipotesi legittimamente trarre argomenti 
di prova dal comportamento processuale di una parte (la pubblica 
amministrazione in giudizio) le cui modalit� di esternazione della volont� 
appaiono, nel diritto sostanziale, del tutto precostituite e tipizzate. 

La giurisprudenza, sia pure a fatica, ha ammesso tutti questi istituti nei 
giudizi in cui era parte una amministrazione statale, ma ha invece costruito 
in chiave di nullit� formale i vizi attinenti all�erronea od omessa indicazione 
dell�amministrazione legittimata al giudizio; una nullit� il cui fondamento 
� probabilmente collegato al vizio della citazione per assoluta incertezza 
nella persona chiamata in giudizio, ma la cui insanabilit� ed assolutezza, ritenuta 
dalle pronunce pi� antiche anche in relazione a vizi che non importavano 
incertezza sull�oggetto del contendere ma esclusivamente errori nell�organo 
dello Stato chiamato in giudizio, costituiscono varianti al diritto comune, 
introdotte dai giudici in ossequio alla natura pubblicistica del soggetto 
interessato al giudizio e alle norme che disciplinano competenze ed attribuzioni 
degli organi amministrativi dello Stato. La materia veniva, in altri termini, 
ritenuta indisponibile da parte di tutti i soggetti (anche pubblici) che 
intervenivano nel processo e conseguentemente la nullit�, sia che concernesse 
la legittimazione sostanziale, sia che riguardasse il caso, pi� ricorrente, 
dell�errata chiamata in giudizio di un soggetto non legittimato al processo, 
restava comunque non sanabile. 

A seguito dell�entrata in vigore della legge 25 maggio 1958 n. 260, che 
indicava il ministro in carica quale unico organo, legittimato ad essere chiamato 
in giudizio nelle cause ove � convenuta un�amministrazione dello 
Stato, ed imponeva all�amministrazione resistente di indicare nella prima 
udienza, a pena di decadenza, l�organo (o la persona) nel nome del quale 
debba essere rinnovata la chiamata in giudizio (v. oltre), 1a giurisprudenza si 
� orientata a ritenere sanabile anche l�erronea o la non univoca indicazione 
della branca amministrativa competente (Cass. 31 ottobre 1961 n. 2520) e/o 
a ritenere efficace, come atto interruttivo della prescrizione, una citazione 
notificata in persona diversa da quella legittimata a stare in giudizio, sempre 
che lo Stato si fosse legittimamente costituito in giudizio. L�ulteriore passaggio 
� consistito nella conferma da parte delle Sezioni Unite di un indirizzo, 
gi� varie volte seguito, sia dalla giurisprudenza di merito che dalla Suprema 
Corte di Cassazione (Cass. 19 sett. 1970 n. 1594 in Foro It. 1970, I, 2780, 
Cass. 9 aprile 1973 n. 1002 in Foro It. 1973, I, 1002, Cass. 7 luglio 1972 n. 
2274 in Foro It. 1973, I, 1900) secondo il quale �in base all�assioma fondamentale 
del carattere unitario della personalit� dello Stato non si ritiene 
nullo, quando lo Stato sia attore o ricorrente, l�atto giudiziale proposto da 
amministrazione diversa da quella specifica competente (si trattava 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dell�Amministrazione degli Interni in luogo di quella degli Affari Esteri), pur 
sempre rappresentata e difesa dall�Avvocatura dello Stato, che � l�organo 
cui unitariamente spetta la rappresentanza e difesa processuale dello Stato�. 
Quest�ultimo indirizzo si riferisce chiaramente alla cosiddetta legitimatio ad 
causam e costituisce interpretazione estensiva dell�art. 4 della legge 25 
marzo 1958 n. 260 che ammette anche per tal genere di errori l�operativit� 
del meccanismo di sanatoria. 

Su un piano strettamente processuale sembra che la giurisprudenza, pur 
senza peraltro mai dichiararlo esplicitamente, abbia fatto applicazione di un 
principio generale della procedura civile, secondo cui il cosiddetto difetto di 
rappresentanza (omessa od erronea indicazione dell�organo chiamato in giudizio) 
non rileva tutte le volte che dal tenore degli atti non sussiste incertezza 
sull�ente chiamato in causa e sull�oggetto della controversia. D�altronde 
l�erronea indicazione della branca amministrativa legittimata si risolve in 
una nullit� della citazione comunque sanabile con la costituzione del convenuto: 
effettivamente l�oggetto del contendere e l�imputazione all�interno dell�amministrazione 
statale degli effetti della domanda e del successivo giudizio 
si determinano anche con l�attivit� del convenuto, che � in grado con il 
proprio comportamento processuale di integrare eventuali carenze ed inesattezze 
della domanda attrice. 

Non vi � dubbio che tali principi conservativi della domanda, che avevano 
avuto tradizionale elaborazione nel processo civile, hanno giocato un 
ruolo importante nell�adozione da parte della giurisprudenza di un indirizzo 
pi� liberale in ordine alla sanatoria ex tunc delle nullit� in relazione alla errata 
vocatio in ius dello Stato. Tuttavia l�insistenza della giurisprudenza sul 
ruolo peculiare dell�Avvocatura dello Stato, in siffatto meccanismo di sanatoria, 
il costante richiamo alla necessit� di una legittima costituzione in giudizio 
(che in tema di non rilevanza della nullit� dovrebbe avere un ruolo non 
particolarmente significativo), il bisogno di precisare, da parte di quelle decisioni 
che hanno ritenuto ammissibili le azioni proposte per amministrazioni 
non legittimate in via sostanziale, che � compito dell�Avvocatura dello Stato 
curare, nell�ambito dei rapporti interni con le amministrazioni legittimate, 
l�informazione e la corretta imputazione dei rapporti derivanti dal processo, 
fanno sorgere il dubbio che la giurisprudenza pi� liberale abbia voluto far 
riferimento ad un principio pi� specifico. 

Nella sostanza la giurisprudenza, nel momento in cui, pi� per istinto che 
attraverso lucide argomentazioni, ha tagliato corto su tutte le questioni di 
legittimazione dello Stato in giudizio, trovando sanatorie o non rilevanza 
delle nullit� laddove le norme ed i giudici precedenti avevano visto nullit� 
radicali e disposizioni inderogabili, ha finito per affermare che quel che veramente 
conta, affinch� gli interessi della parte pubblica statale siano tutelati, 
� che compaia in giudizio il suo avvocato istituzionale, con il suo mandato 
ex lege e la sua responsabilit� professionale. Tutto il resto, sia pure a fatica, 
deve considerarsi sanabile. 

La conseguenza pratica � che i concetti di competenza ed attribuzione, 
ed in genere i meccanismi con i quali sono costruiti gli apparati pubblici, non 


TEMI ISTITUZIONALI 

costituiscono criteri per stabilire quanto sia disponibile, nel processo e con 
atti processuali, da parte di una data amministrazione, ma sono canoni di 
valutazione di atti sostanziali, che non incidono oltre la teorica della legittimit� 
degli atti amministrativi. 

Nondimeno il processo civile ed amministrativo di cui � parte una pubblica 
amministrazione � e resta sempre pi� attivit� (tecnica) connotata dalla 
cura di interessi sostanziali pubblici e la presenza di un organo amministrativo, 
quale l�Avvocatura dello Stato, titolare in via generale ed esclusiva 
nella gestione della res litigiosa, potrebbe anche costituire un elemento di 
non coerenza rispetto ai principi costituzionali che vogliono le potest� statali 
articolate in organi distinti e competenze specifiche. 

Ma � proprio la legislazione positiva ed il valore letterale che emerge 
dalle singole disposizioni, che nel tempo hanno regolato la questione dello 
ius postulandi, a far chiarezza anche su questo punto. 

5. I problemi all�indomani dell�Unit� nazionale 
All�indomani della proclamazione del Regno d�Italia i compiti che oggi 
svolge l�Avvocatura dello Stato erano affidati a speciali uffici amministrativi, 
le Direzioni del Contenzioso finanziario, dipendenti direttamente dal 
Ministro delle Finanze, secondo un modello organizzativo di ispirazione 
francese, ereditato dal Regno delle Due Sicilie ed esteso a tutto il territorio 
nazionale dal regio decreto 9 ottobre 1862 n. 915. I compiti degli uffici del 
contenzioso consistevano in particolare (art. 4 del r.d. citato) �nel dare pareri 
in tutti i casi in cui si trattava di promuovere o abbandonare giudizi, di 
produrre gravami, di provvedere alla tutela legale dei diritti dell�Erario, di 
fare transazioni o contratti e di assicurare in via giuridica gli interessi o le 
ragioni dello Stato�. 
Oltre quindi a sostenere, direttamente o a mezzo di liberi professionisti, 
i giudizi che riguardavano l�Erario, gli uffici emanavano norme ed istruzioni 
�per tutto ci� che concerne il procedimento della difesa giudiziale� e vigilavano 
�sulla retta applicazione delle leggi di Finanza�, rispondendone al 
Ministro. 
Come si vede si trattava di uffici amministrativi nei quali il profilo della 
gestione del rapporto controverso e della rappresentanza sostanziale era prevalente, 
nel senso che l�Amministrazione Finanziaria, che era poi quella 
destinata a subire l�onere economico delle controversie, si attrezzava nel suo 
interno per trattare affari amministrativi che presentavano aspetti litigiosi. Il 
profilo della difesa tecnica restava in ombra, anche se era stabilito che per 
accedere ai vertici della carriera degli uffici del contenzioso occorreva �essere 
abilitati, secondo le leggi vigenti, all�esercizio dell�avvocatura�. 
Tale interpretazione trova indiretta conferma nelle critiche, che il 
Mantellini e gli altri commentatori rivolgevano alla esperienza degli Uffici 
del Contenzioso finanziario, secondo le quali tali uffici erano ridotti a meri 
controllori contabili per il pagamento di onorari a liberi professionisti, difensori 
nelle cause erariali, con grave pregiudizio dell�interesse dello Stato ad 
una solida difesa davanti ai giudici. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Il sistema tuttavia aveva una sua giustificazione, se si considera che esistevano 
allora i tribunali del contenzioso amministrativo, nei quali la commistione 
tra amministrazione e giudice non poneva soverchi problemi di 
legittimazione processuale, di rappresentanza e/o di difesa degli organi. 
D�altronde la possibilit�, ampliamente utilizzata, di ricorrere a professionisti 
del libero foro permetteva all�amministrazione pubblica quei rapporti elastici, 
tipici della parte privata col proprio difensore, necessari alle varie esigenze 
del processo. 

Quel che preme sottolineare � questa sorta di canonizzazione in capo ad 
un unico ufficio, dipendente dal Ministro delle Finanze, della gestione dell�interesse 
patrimoniale dello Stato, in giudizio e fuori, sotto il profilo generalissimo 
della vigilanza sulla retta applicazione delle leggi sull�entrata e 
sulla spesa. 

Il meccanismo venne complicato dalla legge abolitiva del contenzioso 
amministrativo (allegato E della legge 20 marzo 1865 n. 2248). La soggezione 
delle amministrazioni statali alla giurisdizione del giudice ordinario e alle 
regole generali del processo civile veniva a comportare tutta una serie di 
nuovi problemi, primo fra tutti quello della rappresentanza e della difesa nel 
processo. Si trattava infatti di decidere se, anche per lo Stato-parte nel giudizio, 
dovesse valere la regola, espressa dal codice di procedura civile dell�epoca, 
secondo cui nei giudizi innanzi ai Tribunali civili e alle Corti 
d�Appello era obbligatorio il ministero di un difensore. Occorreva comunque 
stabilire chi potesse stare, con o senza il ministero di un difensore, in 
giudizio per lo Stato, indicando il luogo ove a tale �rappresentante� dovesse 
essere notificata la citazione. 

La soluzione non era delle pi� semplici, ove si consideri che concordemente 
la dottrina dell�epoca riconosceva al difensore, e ancor pi� al rappresentante, 
notevoli poteri di gestione della lite attraverso una serie di atti processuali 
(ad esempio la litis contestatio) la cui natura era �quasi-negoziale�. 

D�altronde, venuti meno i tribunali del contenzioso amministrativo ed 
affermata in pieno l�esigenza di un giudice-terzo, l�amministrazione statale 
perdeva anche quel controllo indiretto sulla gestione della lite che le derivava 
dall�essere l�interesse di cui era attributaria in qualche modo rappresentato 
in seno all�organo giudicante. Sotto questo profilo l�area del giudice ordinario 
si presentava per la pubblica amministrazione come terra di nessuno, 
se non addirittura come sede ostile alla cura degli interessi pubblici alla stessa 
affidati. 

Ulteriore problema era costituito dal fatto che oramai lo Stato poteva 
essere convenuto davanti all�autorit� giudiziaria ordinaria e poteva agire a 
sua volta per ogni sorta di attivit�, che involgeva la cura di interessi pubblici 
(attivit� amministrativa in senso lato) e che poteva anche sottendere rilevanti 
scelte politiche. Fino a quando era possibile convenire lo Stato in giudizio 
solo per attivit� poste in essere iure gestionis, i criteri di valutazione e 
gli ambiti di competenza del rappresentante dello Stato in giudizio (gli Uffici 
del Contenzioso finanziario e, indirettamente, gli avvocati privati incaricati 
della trattazione in giudizio) avevano un parametro ben preciso cui adeguar



TEMI ISTITUZIONALI 

si, rappresentato dalla salvaguardia dell�interesse patrimoniale. Nel momento 
in cui, per l�evoluzione del sistema di giustizia amministrativa, le direzioni 
del contenzioso si videro costrette ad assumere la gestione della lite e la 
difesa anche su attivit� amministrative in senso stretto (cosiddette iure imperii) 
si rendeva necessario mettere ordine nei rapporti tra organi di amministrazione 
attiva, esclusivamente competenti alla cura degli interessi pubblici 
ad essi affidati, ed organi in qualche modo preposti alla lite, i quali, attraverso 
i comportamenti processuali e la scelta concreta delle linee di difesa, venivano 
di fatto ad interferire sulla materia. Era d�altronde evidente che i problemi 
di riparto di competenze tra organi non potessero essere risolti applicando 
sit et simpliciter le regole di diritto comune che disciplinano i rapporti 
tra la parte e il difensore. 

Anche se quest�ultimo problema rest� alquanto in ombra a seguito delle 
scelte restrittive, effettuate quasi subito, in tema di riparto di giurisdizione 
dalla giurisprudenza dei giudici ordinari e dal Consiglio di Stato in sede di 
pronuncia sui conflitti, le altre questioni dovettero invece essere affrontate 
esplicitamente dal legislatore. 

Un primo risvolto pratico della nuova situazione si ebbe cos� proprio nel 
regolamento esecutivo della legge 20 marzo 1865 all. E n. 2248, destinato a 
disciplinare �il modo col quale saranno rappresentate ed assistite le amministrazioni 
nei giudizi civili, cos� anche il luogo e il modo della citazione 
delle amministrazioni stesse�. Detto regolamento, emanato con regio decreto 
25 giugno 1865 n. 2361, stabiliva, in deroga alla disciplina di diritto 
comune, che in qualunque giudizio civile le Amministrazioni dello Stato cos� 
attrici come convenute potevano essere rappresentate da propri funzionari, 
senza bisogno di concorso di avvocati, procuratori o patrocinatori. Tali funzionari 
coincidevano grosso modo con quelli che potevano considerarsi 
organi dello Stato di rilevanza esterna ed erano indicati in un�apposita tabella 
annessa al regolamento. 

Si stabiliva inoltre che le amministrazioni dello Stato potevano �altres� 
essere rappresentate in giudizio dai direttori degli uffici del contenzioso e dai 
loro sostituti, cui spettava invece in via esclusiva la rappresentanza per 
Cassazione, il cui giudizio � � noto � si connotava con caratteristiche del 
tutto peculiari, che escludevano in linea di massima ogni elemento di disponibilit� 
della lite. 

Per gli uffici del contenzioso e per i funzionari indicati nella tabella non 
occorreva mandato, bastando che constasse la loro qualit�. I direttori degli 
uffici del contenzioso e taluno tra i titolari di organi pi� importanti erano esonerati 
anche dal produrre il mandato speciale (articoli 6 e 7 del citato regolamento 
n. 2361/1865). Il raccordo tra competenze delle amministrazioni interessate 
e quelle degli uffici del contenzioso passava attraverso il potere degli 
uffici del contenzioso di ordinare che la causa fosse trattata dall�ufficio amministrativo 
con l�assistenza di un avvocato o di un procuratore; cosa, peraltro, 
che gi� avveniva spontaneamente in quanto gli uffici compartimentali e provinciali 
avevano il potere di delegare di volta in volta o per determinate specie 
di controversie avvocati e procuratori secondo le leggi comuni. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Uno degli effetti della legge abolitiva del contenzioso amministrativo 
consistette cos� nell�aggregare all�organo di tutela patrimoniale del ministero 
delle Finanze, l�organo titolare della potest� coinvolta nella lite, attribuendo 
a quest�ultimo non soltanto la rappresentanza in giudizio ma lo stesso ius 
postulandi (i due aspetti peraltro all�epoca non si distinguevano cos� nettamente). 


Nella realt� pratica, come denuncia il Mantellini nelle sue opere posteriori 
di qualche decennio, il raccordo non funzionava e le direzioni generali 
dei ministeri, cio� i titolari dell�interesse sostanziale, facevano il bello ed il 
cattivo tempo nei confronti degli uffici del contenzioso finanziario. Tra i due 
organi prevaleva chi gestiva la lite sotto il profilo del potere e della scelta 
politica: sull�interesse generale dell�Erario avevano il sopravvento gli interessi 
settoriali, puntuali e concreti, presenti nella causa. 

6. La nascita dell�avvocatura erariale 
La logica evoluzione del sistema, in concomitanza con il graduale affermarsi 
della legittimazione separata degli organi dello Stato e della potest� 
ministeriale, avrebbe dovuto comportare un sempre maggior accentramento, 
presso gli uffici di amministrazione attiva, della gestione della res litigiosa, 
attraverso l�attrezzarsi di una difesa legale degli organi che avevano la rappresentanza 
(oggi diremo la creazione di uffici legali interni nei singoli ministeri) 
ovvero un largo ricorso all�assistenza di avvocati del libero foro. 
L�ordinamento italiano invece si evolse in una direzione del tutto diversa per 
una serie di ragioni storiche ed ideologiche, particolari e generali. Non a caso 
erano quegli gli anni in cui il sistema politico, messi da parte gli entusiasmi 
libertari della unificazione recente, mostrava il suo volto oligarchico liberale. 
L�occasione di una riforma fu offerta � ed � sintomatico � da una legge 
organica sugli uffici del pubblico ministero (le cui attribuzioni nel processo 
civile venivano notevolmente ridimensionate e limitate alle sole cause di 
diritto familiare), che all�art. 7 demandava ad un successivo regolamento 
anche la riorganizzazione degli uffici del contenzioso finanziario, divenuti 
ben poca cosa a seguito delle riforme del decennio precedente. 
Tale regolamento, emanato con regio decreto 16 gennaio 1876 n. 2914 
fa nascere l�Avvocatura erariale, istituto gi� noto nell�esperienza preunitaria 
del Granducato di Toscana, ma sostanzialmente nuovo nel momento in cui 
veniva inserito, con quello che fu definito un colpo di mano di Minghetti e 
del suo gruppo parlamentare, nel sistema di garanzie istituzionali proprie del 
Regno d�Italia. La riforma, legata al nome di Giuseppe Mantellini, ex avvocato 
regio di Toscana, consistette apparentemente nell�affidamento della 
difesa tecnica e delle consultazioni legali ad un corpo professionale di avvocati, 
costituito ad hoc. In realt�, come confermato dalle stesse reazioni dell�opposizione 
parlamentare all�emanazione del regolamento, nel regio decreto 
del 1876 vi era ben altro, politicamente non neutro ed istituzionalmente 
diretto a favorire gli interessi, oramai perdenti, della Destra Storica. 
Infatti l�art. 1 del regolamento stabiliva che le difese e le consultazioni 
legali per le Amministrazioni dello Stato venivano affidate in via esclusiva 


TEMI ISTITUZIONALI 

agli uffici dei regi avvocati erariali. Le amministrazioni (ministri compresi), 
salvo casi particolari nei quali fossero autorizzate attraverso una particolare 
procedura, non potevano pi� ricorrere per consulto o per affidamento di difesa 
ad avvocati del libero foro, ma erano tenute a servirsi dei regi avvocati e 
dei loro delegati (avvocati del libero foro in qualche modo inseriti in questa 
organizzazione tecnica di difesa e sottoposti, per quanto concerne la trattazione 
delle cause, alle direttive dell�Avvocatura erariale) (art. 7). La difesa 
esclusiva riservata ai regi avvocati erariali costituiva un duro colpo, oltre che 
ad interessi clientelari ruotanti nell�ambito delle amministrazioni, specialmente 
locali, allo stesso potere degli organi di amministrazione attiva. La 
libert� degli avvocati di essere �domini litis�, nella causa loro affidata, ha 
infatti il proprio contrappeso nella natura fiduciaria del rapporto di mandato 
che lega il cliente al proprio difensore. Nel momento in cui una legge stabilisce 
la irrevocabilit� del mandato e l�esclusivit� della difesa, il meccanismo 
si altera a favore del cliente, se conserva maggiori poteri nei confronti dell�organo 
tecnico di difesa, ovvero a favore dell�avvocato, se diviene un 
super/amministratore giudiziale. Fu quest�ultima l�impressione suscitata dal 
decreto del 1876, anche se non del tutto giustificata. 

Pi� complessa era invece la questione della rappresentanza dello Stato in 
giudizio (cosiddetta legittimatio ad processum). L�art. 2 del regolamento stabiliva 
infatti tra i compiti dell�Avvocatura erariale quello di �assumere e 
sostenere la rappresentanza e difesa delle Amministrazioni dello Stato in 
tutti i giudizi attivi e passivi davanti alle Corti ed ai tribunali delle citt� dove 
gli uffici hanno sede, e quando la specialit� della causa lo richiede, anche 
di cognizione delle corti e dei tribunali di altre citt� del Regno, e di delegare 
gli avvocati e procuratori per la rappresentanza e la difesa delle amministrazioni 
nei giudizi sia attivi che passivi davanti alle corti o ai tribunali nel 
loro distretto, ma fuori della loro sede�. 

Che cosa stesse a significare l�ambigua formula �rappresentanza e difesa� 
ci viene chiarito dal successivo art. 8, che stabiliva �che le citazioni e le notificazioni 
nelle controversie civili interessanti le amministrazioni dello Stato si 
fanno in nome delle persone ed alle persone dei capi di ufficio che le rappresentano 
come parti in causa nel luogo dove risiede l�autorit� giudiziaria davanti 
alla quale pende o si vuole iniziare la lite�. N� i titolari degli uffici dei regi 
avvocati erariali, n� i loro delegati per rappresentare le amministrazioni in giudizio 
hanno bisogno di mandato, ma basta che consti la loro qualit�. �Davanti 
ai pretori e i conciliatori � concludeva l�art. 8 � le amministrazioni possono 
essere rappresentate da propri funzionari che siano per tali riconosciuti�. 

Tale articolo infatti sembra raggruppare problemi eterogenei: la persona 
indirizzaria delle citazioni, il luogo delle notificazioni, il mandato ex lege 
degli avvocati erariali e dei loro delegati, il diritto all�amministrazione a 
comparire direttamente nei giudizi pretorili e conciliatori. 

La chiave interpretativa di tale coacervo di norme � nel fatto che il privilegio 
dell�amministrazione statale di poter �piatire di persona� anche 
davanti alle corti ed ai tribunali viene abolito. La difesa (e con essa la rappresentanza) 
dell�amministrazione statale viene affidata in via esclusiva ad 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

avvocati erariali (scelti senza concorso tra i magistrati del pubblico ministero 
e tra noti professionisti privati) e ad avvocati delegati, scelti dagli avvocati 
erariali, che restano nell�esercizio del loro incarico, semplici privati. 

La convinzione che sembra emergere da questo dato normativo � che 
con la riforma Mantellini del 1876 un corpo scelto di avvocati diviene nell�ordinamento 
nazionale la faccia esterna giudiziale dell�amministrazione 
statale, il polo verso cui si indirizzano gli atti dei privati e le persone nel cui 
nome lo Stato agisce in giudizio. Solo cos� si spiega la necessit� del regolamento 
del 1876 di disciplinare anche il tema delle notificazioni e delle citazioni, 
senza peraltro affrontare la revisione delle tabelle allegate al regolamento 
del 1865. Solo cos� � giustificabile l�assenza di ogni riferimento al 
mandato speciale (il rappresentante di un ente morale � di per s� munito di 
mandato speciale nei limiti in cui esprime direttamente la volont� dell�ente). 
Solo cos� l�insistenza sul tema estraneo della �rappresentanza�, anche a proposito 
degli avvocati privati delegati e il conferimento di poteri di delega 
direttamente agli avvocati erariali (non valeva la regola che delegatus non 
potest delegare?) acquistano un senso giuridico. 

D�altra parte l�art. 16, ultimo comma, del regolamento 16 gennaio 1876 

n. 2914 abrogava esplicitamente, nelle parti che sono contrarie, �il capo I del 
regolamento approvato con regio decreto 25 giugno 1865 n. 2361� concernente 
appunto �delle citazioni e della rappresentanza in giudizio delle pubbliche 
amministrazioni�. 
In conclusione, stando al tenore letterale delle disposizioni esaminate ed 
alle interpretazioni dell�epoca, le famose tabelle sulla rappresentanza organica 
delle amministrazioni statali, emanate nel 1865, sopravvivevano, dieci 
anni dopo, solo per quanto concerne i giudizi davanti ai pretori ed ai conciliatori 
(e cio� tenendo presente la riserva di giudice collegiale per le cause di 
imposte) esclusivamente per una modestissima parte (quella meno rilevante) 
del contenzioso giudiziale dello Stato. Questa circostanza spiegherebbe perch� 
il legislatore non si sia mai preoccupato di aggiornare le tabelle organiche 
mentre le stesse norme del regolamento n. 2361/1865 siano divenute ad 
un certo momento �di difficile reperibilit��. 

7. L�involuzione dell�epoca giolittiana 
Per uno strano capriccio storico le tabelle organiche restarono di fatto in 
vigore; anzi, secondo quella linea di sviluppo verso quello che si connoter� 
sempre pi� come uno Stato pluriclasse e porter� al cosiddetto �governo per 
ministeri�, ebbero il sopravvento sul nuovo concetto, introdotto nell�ordinamento 
Mantellini, che l�organo di difesa tecnica fosse anche in linea generale 
il rappresentante della pubblica amministrazione in giudizio. Vi fu cio� la 
tendenza a considerare esclusiva la rappresentanza organica prevista dalle 
tabelle e recessiva quella dell�organo tecnico di difesa anch�essa prevista 
dalla normativa del 1865 e privilegiata nel regolamento del 1876, ricollegandosi 
una nullit� insanabile alla mancata citazione dell�organo indicato quale 
�rappresentante dell�amministrazione secondo le tabelle�, indipendentemente 
dalla costituzione o meno in giudizio dell�organo di difesa. 


TEMI ISTITUZIONALI 

In pratica l�interpretazione prevalente, data dalla giurisprudenza all�art. 8 del 
regio decreto n. 2916 del 1876, che imponeva la citazione della P.A. �in nome 
delle persone dei capi di ufficio che le rappresentano come parti in causa�, fu 
che esso si riferisse non alle persone titolari degli uffici dell�Avvocatura erariale 

o ai delegati erariali, quanto piuttosto ai rappresentanti organici indicati nelle 
tabelle del 1865, che appunto in via di questo richiamo restavano saldamente in 
vigore, anche per quel che concerne i giudizi collegiali. 
Nacque cos�, proprio da un tipo di normativa che tendeva ad escluderlo, 
quel dualismo tra rappresentanza organica nel processo (legittimatio ad processum) 
e difesa tecnica (ius postulandi) sulla cui base i futuri legislatori ed 
interpreti costituiranno il sistema vigente. Le leggi successive infatti, invece 
di dipanare l�equivoco, lo renderanno ancora pi� plausibile (cfr. legge n. 485 
del 1907) anzi, nel superarlo ( con la legge n. 260 del 1958) finiranno col 
legittimarlo. 

Ed in effetti la vicenda della rappresentanza processuale sembra aver 
seguito di pari passo le alterne fortune dell�Avvocatura dello Stato. La struttura 
portante dell�ordinamento Mantellini infatti, se rispondeva pienamente 
alle esigenze del processo civile ed alle sue regole (al fondo vi � la scelta fondamentale 
della Destra Storica di Minghetti per il principio della unit� della 
giurisdizione e per l�abrogazione di ogni privilegio dell�amministrazione 
pubblica) contrastava di fatto con la regola di costituzione materiale che 
aggregava gli interessi emergenti della borghesia e dei nuovi ceti attorno alle 
singole potest� ministeriali. In fin dei conti l�istituzione della IV sezione del 
Consiglio di Stato va letta in chiave di riconoscimento di situazioni giuridiche 
soggettive che nell�amministrazione ed attraverso l�amministrazione 
raggiungevano consistenza, se non dignit�, di diritti. 

Ed � in questo clima che matura una aspra polemica tra gli avvocati 
generali erariali e il mondo politico amministrativo degli inizi del secolo, 
polemica che culminer� con le dimissioni nel 1913 dell�ultimo Avvocato 
Generale espressione della oligarchia creata dal Mantellini. 

E qui si pu� seguire la curiosa vicenda della endiadi �rappresentanza e 
difesa�. La legge 4 luglio 1907 n. 485, coeva alla legge 7 luglio 1907 n. 42, 
che sottraeva all�Avvocatura erariale gran parte delle controversie delle 
Ferrovie dello Stato, segna infatti un durissimo attacco del Parlamento 
all�Istituto ed alla sua formula mantelliniana: scompare ogni accenno alla 
rappresentanza, sostituito dalla endiadi �la difesa delle cause e le consultazioni 
legali nell�interesse dello Stato�; si estende la possibilit� delle amministrazioni 
attive di derogare alla difesa dell�Avvocatura erariale; l�intero regolamento 
del 16 gennaio 1876 viene esplicitamente abrogato restando in vita 
solo poche disposizioni, tra le quali l�art. 8, il cui tenore, tuttavia, avulso dall�organico 
testo, finisce per giustificare quella interpretazione giurisprudenziale 
sulla vigenza delle tabelle organiche e sulla spettanza agli organi di 
amministrazione attiva della legitimatio ad processum o rappresentanza processuale, 
che si era andata consolidando. E, tanto per far capire che da una 
parte pendeva il potere, si stabilisce che �i funzionari� dell�Avvocatura erariale 
dovessero essere assunti per concorso. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La rappresentanza, espunta dalla legge, ricompare � dopo la nomina di 
Villa, un fedelissimo di Giolitti, ad Avvocato Generale � nella stessa formulazione 
mantelliniana, nel regolamento per l�esecuzione del testo unico delle 
leggi sulla regia avvocatura approvato con R.D. 24 novembre 1913 (art. 1) 
in connessione con la previsione legislativa di una riserva di deliberazione 
del Consiglio dei Ministri per dar la stura alla possibilit� per le amministrazioni 
attive di nominare e comunque utilizzare direttamente avvocati del 
libero foro. Solo in epoca fascista la �rappresentanza� riacquista pari dignit� 
della �difesa� nel testo unico emanato con regio decreto 30 ottobre 1933 

n. 1611, in gran parte tuttora vigente, laddove (art. 1) si stabilisce che �la 
rappresentanza, il patrocinio e l�assistenza in giudizio delle amministrazioni 
dello Stato, anche se organizzate in ordinamento autonomo, spettano 
all�Avvocatura dello Stato�. 
In effetti il vigente Testo Unico del 1933, emanato allo scopo di coordinare 
la normativa preesistente con le regole del foro dello Stato (abolizione 
dei delegati erariali) e con quelle della rappresentanza e difesa dell�Amministrazione 
autonoma delle Ferrovie dello Stato, segna storicamente un 
momento di razionalizzazione e di reviviscenza dell�ordinamento 
Mantellini, nel senso che vi � una chiara tendenza del legislatore a ribadire 
quei principi in parte dispersi dalla giurisprudenza e dagli atti normativi dell�inizio 
del Secolo. 

L�accorpamento in un unico articolo della formula sulla �rappresentanza 
e difesa� con il principio, stabilito al secondo comma dell�art. 1 che �gli 
avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni, 
in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei 
quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale bastando che consti 
la loro qualit��, mostra chiaramente la volont� di incentrare nell�organo 
tecnico di difesa (che assume ora il nome di Avvocato dello Stato) tutti i 
poteri di rappresentanza e di patrocinio anteriormente distinti tra difensore e 
amministrazione. 

Tale indirizzo, in connessione con l�inquadramento dell�Avvocatura 
sotto l�alta vigilanza del Presidente del consiglio, � coerente con la tendenza 
dell�epoca di sostituire l�amministrazione ministeriale con l�organizzazione 
di tipo diverso facente capo direttamente al Primo Ministro, Capo del 
Governo fascista. Una riprova che questo processo sia avvenuto anche per 
l�Avvocatura dello Stato si ha nei successivi articoli 2, 3 e 4 del regio decreto 
1611 del 30 ottobre 1933: la rappresentanza diretta da parte dei funzionari 
dell�Amministrazione statale acquista carattere eccezionale, � sottoposta a 
rigide misure di controllo da parte dell�Avvocatura dello Stato ed � limitata 
sostanzialmente ai soli giudizi innanzi ai pretori ed ai conciliatori. 

In aderenza a queste premesse sostanziali gli articoli 11 e 12 del R.D. 30 
ott. 1933 n. 1611 stabilivano che le citazioni andavano notificate alle amministrazioni 
dello Stato presso l�ufficio dell�Avvocatura dello Stato competente 
�nella persona che le rappresenta secondo le norme organiche�. 

Da questo ultimo inciso e dalla norma transitoria dell�art. 52, secondo la 
quale �fino a quando non si sia approvata una nuova tabella in sostituzione 


TEMI ISTITUZIONALI 

di quella annessa al r.d. 25 giugno 1965 n. 2316, le notificazioni alle amministrazioni 
dello Stato degli atti di cui agli articoli 11 e 12 debbono esser 
fatte, ferme le norme di competenza contenute nel titolo I, alla persona che 
le rappresenta nel luogo ove risiede l�autorit� giudiziaria, che sarebbe competente 
secondo le norme ordinarie della procedura civile�, la giurisprudenza 
ha tratto la convinzione della permanenza in vigore delle famose tabelle 
organiche per i giudizi collegiali. 

Tale convinzione alla luce delle norme del Testo Unico � probabilmente 
frutto di un equivoco: quando infatti l�art. 11 parla di �persona che rappresenta 
secondo le norme organiche etc�� si riferisce ai titolari di uffici della 
Avvocatura di Stato, dal momento che anche per la pubblica Amministrazione, 
come per qualsiasi persona giuridica, vale il principio che il cosiddetto 
rappresentante, o organo che dir si voglia, va citato non solo nella sua carica 
ma possibilmente indicando nome e cognome. Successive evoluzioni 
hanno indicato l�irrilevanza di questa indicazione personale; occorre tuttavia 
considerare che negli Anni Trenta la dottrina della cosiddetta immedesimazione 
organica era soltanto agli inizi. L�articolo 12 riferendosi ai giudizi nei 
quali la rappresentanza e difesa dell�Avvocatura non � necessaria non toccava 
evidentemente il problema della legittimazione, ma si limitava a disciplinare 
il luogo di notificazione. 

Quanto all�art. 52, l�interpretazione pi� corretta � che si riferisse alla sola 
notificazione degli atti e che non riguardasse perci� la legittimatio ad processum. 
� probabile anzi che l�articolo avesse presente soprattutto i giudizi 
pretori e conciliatori. Il riferimento alle sole norme sulla notificazione e non 
alla rappresentanza dello Stato in giudizio risulta evidente dalla natura transitoria 
della norma (il legislatore infatti aveva innovato solo nel campo delle 
notificazioni); inoltre la stessa rubrica all�art. 52 si riporta all�art. 9 del regio 
decreto 25 giugno 1865 n. 2361, che stabiliva solo le persone designate 
(dalla quarta colonna delle famose tabelle) a ricevere efficacemente le notificazioni 
degli atti per la P.A. La rappresentanza era invece regolata dall�art. 
2 del regolamento del 1865 e non era derogabile da pattuizioni speciali, 
come invece lo era tendenzialmente la materia delle notificazioni (art. 10). 
D�altronde la confusione tra organo che rappresenta in causa la P.A. e ufficio 
competente a ricevere la notificazione di atti � errore alquanto ricorrente 
nella giurisprudenza. 

L�unico presupposto normativo di tutta l�annosa questione sulla legittimazione 
processuale degli organi delle varie amministrazioni che � come � 
noto � dette luogo ad un�intera letteratura negli anni 1950 consisteva pertanto 
in una giurisprudenza oramai consolidata che aveva ritenuto vigente una 
norma che non sussisteva pi� nell�ordinamento scritto. 

Ed � noto che sulla questione della rappresentanza processuale dell�amministrazione 
statale � alla fine intervenuta la legge 25 marzo 1958 n. 260, 
che, col dichiarato proposito da semplificare la materia, ha disposto (art. 1) 
che le �citazioni vanno notificate alle amministrazioni dello Stato presso 
l�Avvocatura dello Stato nella persona del Ministro competente�, specificando 
nel successivo art. 3 che va indicata la persona del Ministero in carica. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In questo modo l�interpretazione dei giudici � stata legittimata per intervento 
successivo del legislatore, il quale dandosi carico delle gravi conseguenze 
che la giurisprudenza ricollegava all�errata indicazione dell�organo 
legittimato, ha stabilito la sanabilit� ex tunc della nullit� della citazione per 
effetto di una tempestiva eccezione dell�Avvocatura dello Stato, costituitasi 
in giudizio. In questo sforzo di semplificazione (come si � visto) la giurisprudenza 
� andata oltre, estendendo anche alla questione della legittimatio ad 
causam e dell�erronea indicazione della branca amministrativa la speciale 
sanatoria prevista dall�art. 4 Legge 260/58. A seguito dell�entrata in vigore 
della legge 3 aprile 1979 n. 103 la �rappresentanza�, introdotta dalla legge 
25 marzo 1958 n. 260, si � estesa anche ai giudizi dinanzi al Consiglio di 
Stato ed ai Tribunali Amministrativi Regionali. 

8. Considerazioni finali 
La vicenda storico normativa descritta, ancorch� esaurita come vicenda 
giuridica, pu� essere proficuamente utilizzata come uno studio di archeologia: 
i materiali utilizzati dai �padri fondatori� della Destra Storica sono 
sostanzialmente gli stessi, anche se oggi sono profondamente cambiate le 
strutture che gli avvocati dello Stato sono chiamati a difendere. Ed � evidente 
che i momenti attraverso i quali si realizza la rilevanza funzionale della 
gestione delle liti pubbliche oggi non vadano ricercati solo nell�ambito della 
disciplina processuale ma anche nell�organizzazione ed attivit� di organi e 
soggetti che in qualche modo in tale gestione intervengono. Anzi, laddove 
l�approccio resta esclusivamente organizzativo ed interno, riguardando il 
momento pubblicistico fasi diverse rispetto al giudizio, il processo e l�attivit� 
che vi pone lo Stato ed i suoi avvocati possono ragionevolmente svolgersi 
solo e soltanto secondo regole di diritto comune. 
La chiave interpretativa si coglie nell�affermazione di alcuni Autori, talvolta 
ripresa nella stessa giurisprudenza, secondo cui la complessit� dell�organizzazione 
statale e la molteplicit� dei suoi apparati trova il suo momento 
unitario proprio nel processo e negli istituti che regolano la rappresentanza e 
difesa giudiziale; la personalit� giuridica dello Stato avrebbe il suo momento 
di emergenza soprattutto nel giudizio civile. 
L�affermazione pu� sembrare enfatica, ma la sostanza appare pi� semplice: 
� tutta nel meccanismo civilistico del rapporto di mandato. La prima 
esigenza dei �padri fondatori� che introducevano la tutela giurisdizionale di 
diritto comune nei confronti dell�amministrazione statale fu quella di stabilire 
i soggetti fisici che avessero capacit� di rappresentare lo Stato davanti ai 
giudici ordinari, di impegnarlo unitariamente con il proprio comportamento 
processuale, fossero essi legali rappresentanti od anche difensori tecnici. 
Indipendentemente dalle soluzioni normative di volta in volta adottate 
(patrocinio del libero foro, avvocati erariali o loro delegati, foro dello Stato 
etc�) lo schema tecnico adottato non sembra essere quello della istituzione 
di uffici-organi, ma quello pi� antico della rappresentanza e, in generale, del 
mandato. � in forza di quest�ultimo particolare rapporto funzionale (che � e 
resta regolato dal diritto comune ad operatori giuridici pubblici e privati) 


TEMI ISTITUZIONALI 

che, nei rapporti esterni, la complessit� della macchina statale diviene omogenea 
e norme inderogabili, fondamentali nel controllo sulla gestione del 
potere pubblico, quali la competenza e le regole sul procedimento, assumono 
un�elasticit� tutta tipica della gestione processuale: tutto il complesso 
delle imputazioni giuridiche, i rapporti interorganici, le imputazioni materiali 
e quelle pi� raffinate, di natura formale, si semplificano attraverso lo schema 
di una predisposizione ex lege di un procuratore generale alle liti, presso 
il quale ed attraverso il quale regolare l�intera gamma dei rapporti giudiziali 
dello Stato. Proprio non considerando la struttura del rapporto in chiave 
organica di attribuzione e competenza, ma in chiave civilistica ( di mandato), 
diviene possibile la difesa giudiziale di enti ed apparati non appartenenti 
formalmente allo Stato-persona ma svolgenti il loro ruolo nell�ambito della 
cosiddetta amministrazione statale allargata. Va ricordato al riguardo che il 
rapporto procuratorio e/o di mandato, sia pure al livello di estrema semplificazione, 
esprime nel diritto civile la cura di un interesse altrui, e conseguentemente 
il nocciolo duro della �funzione in senso tecnico�. In ogni caso, 
quanto avviene all�interno del rapporto di mandato, tra avvocati dello Stato 
ed amministrazioni statali, non interessa il processo, nel senso che non trova 
nei meccanismi processuali alcuna sanzione giuridica. 

Non vi � dubbio che il sistema possa apparire empirico, rispetto ai sofisticati 
schemi di imputazione giuridica esistenti nell�ambito degli apparati 
amministrativi, particolarmente in quelli dotati di poteri autoritativi, ma 
appare estremamente funzionale. Ed � in fondo a tale meccanismo che ha 
fatto richiamo nella sostanza la giurisprudenza per sanare nullit� in origine 
insanabili. 

Spostato sul piano dell�organizzazione (forse sarebbe il caso di dire il 
rapporto interno di provvista tra mandante e mandatari) non c�� pi� ragione 
di focalizzare l�attenzione sulle funzioni svolte in giudizio, sullo ius postulandi, 
sulla legittimatio ad causam o ad processum, ma basta fermarsi ai 
meccanismi decisionali che si svolgono presso l�Avvocatura dello Stato. Tali 
meccanismi sembrano essere sfuggiti all�indagine della dottrina, per restare 
esclusivo appannaggio di pochi chierici. E tra questi chierici vi � chi, autorevolmente, 
ha teorizzato che lo Stato in giudizio (ovverosia l�Avvocatura 
dello Stato) non si presenterebbe innanzi ai giudici come singola amministrazione, 
centro di riferimento di particolari interessi pubblici canonizzati, 
quanto piuttosto nella veste di supremo moderatore e mediatore tra interessi 
confliggenti, portatore esso stesso di un interesse pubblico generale di natura 
latu sensu �giustiziale�. In altre parole, secondo questa impostazione non 
� solo l�interesse pubblico puntuale e concreto che sta davanti al giudice a 
contrastare la domanda del cittadino, ma � anche e soprattutto l�interesse 
pubblico generale dell�intera collettivit�. Interesse pubblico generale del 
quale sarebbero referenti gli organi di vertice dell�Avvocatura dello Stato, 
intesa quale istituzione di raccordo tra lo Stato soggetto e lo Stato Comunit�. 

C��, indubbiamente, la necessit� di una disciplina differenziata dell�attivit� 
di mediazione giuridica e di coordinamento legale nell�ambito dell�amministrazione 
statale, con i necessari collegamenti con le sedi (e nelle sedi) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

di elaborazione dell�indirizzo politico amministrativo; la decisione tecnicolegale 
ed in particolare la determinazione delle linee di gestione delle liti 
sfugge infatti allo schema della decisione amministrativa ed ai controlli giurisdizionali 
avverso gli atti della P.A. e non si presenta, salvo rarissimi casi, 
come pura decisione politica, nei confronti della quale siano attivabili i meccanismi 
della responsabilit� politica. Nondimeno � di chiara evidenza che 
l�imporre al governo e all�amministrazione attiva di servirsi di un avvocato 
stabile e professionalmente garantito, sia nella sostanza un modo di rendere 
funzione, formalizzandola in una qualche procedura, un�attivit� non altrimenti 
controllabile, senza consentire tuttavia � ed era una delle gravi conseguenze 
delle tesi dei chierici dell�Avvocatura dello Stato � che la stessa attivit� 
sfugga di mano ai legittimi titolari del potere di governo. In altri termini 
l�Avvocatura dello Stato non costituisce modulo organizzatorio dello Stato 
parte in giudizio, ma pi� semplicemente gruppo professionale, coordinato e 
regolato in modo tale da svolgere il mandato affidato ai singoli avvocati nel 
modo pi� trasparente e coerente possibile, in aderenza alle regole fondamentali 
dello Stato di diritto. 

In conclusione nel nostro ordinamento amministrativo, sin dalla riforma 
Mantellini e ancor di pi� con la legge di riforma del 1979 (legge n. 103), si � 
creato un organismo, l�Avvocatura dello Stato, che assorbe potenzialmente 
tutti i rapporti giudiziali dello Stato, e in genere, tutti i rapporti contenziosi a 
qualsiasi branca amministrativa appartengano (sulle transazioni � previsto un 
parere obbligatorio e vincolante, e cio� in sostanza una co-decisione). 
Significativo al riguardo � che la legge processuale commini la nullit� per la 
mancata notificazione degli atti introduttivi del giudizio presso gli uffici 
dell�Avvocatura e ritenga mera irregolarit� qualsiasi difetto di rappresentanza. 

Si tratterebbe dunque di una vera e propria attribuzione di funzioni, esclusiva 
dell�Avvocatura e dei suoi membri, concorrente con il potere sostanziale 
delle singole amministrazioni di curare gli interessi pubblici loro affidati, ma 
regolata in via esclusiva dalle regole sulla �rappresentanza di diritto civile� e 
sulle regole professionali che fanno da supporto alle attivit� forensi. 

Professionisti in via esclusiva, garantiti e scelti da un pubblico concorso 
e titolari di un munus pubblico, nel cui interno le regole professionali e le 
decisioni d�indirizzo dell�Avvocato Generale e dei suoi collaboratori segnano 
le linee di un rapporto funzionale (art 97 Cost.) nella corretta ed utile 
gestione delle liti dello Stato. 


I N C ON T R I D I S T U D I O 
In Art we Trust 
Modelli di governance per i beni culturali 


Convegno organizzato da Confcultura in collaborazione con Rassegna 
Avvocatura dello Stato e ARCUS. 


I beni culturali, dopo un lungo periodo di sperimentazioni possono 
costituire la vera leva competitiva del marketing territoriale e dell�identit� 
turistico-culturale italiana per un riposizionamento competitivo 
sui mercati internazionali. Il quadro giuridico-amministrativo deve conseguentemente 
adeguarsi al profondo cambiamento di un settore che pu� 
diventare decisivo per la nostra economia, a condizione di garantire il 
giusto equilibrio fra necessit� della tutela (che implicano una visione ed 
una capacit� di controllo prerogativa dello Stato centrale), politiche di 
sviluppo territoriale (legate al governo locale), efficacia ed efficienza nell�amministrazione 
delle limitate risorse (capacit� gestionale di matrice 
privatistica). Quale modello di governance pu� dunque comporre questo 
complesso di competenze? La Commissione ministeriale sulla valorizzazione 
del patrimonio culturale(*) ha avanzato alcune ipotesi concrete. 
Sulle ipotesi formulate giuristi, economisti, esperti di politiche pubbliche 
e di conservazione del patrimonio storico-artistico, sono chiamati a dare 
una risposta anche alla luce delle recenti modifiche al Codice dei beni 
culturali e delle regole della sussidiariet�. 

(*) La Relazione ministeriale � pubblicata in calce agli Atti del Convegno. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Atti del Convegno � Tavola rotonda 
(Roma, 22 giugno 2006, Avvocatura Generale dello Stato) 


GIUSEPPE FIENGO 
Avvocato dello Stato e Presidente della Commissione ministeriale sulle Fondazioni 


Relazione della Commissione di studio per l�istituzione di fondazioni di diritto 
privato finalizzate alla gestione e all�attivit� di valorizzazione 
dei beni culturali (D.M. 13 giugno 2005) 
al Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali � Ufficio Legislativo 


1. Con decreto 13 giugno 2005, il Ministro per i beni e le attivit� culturali, On. 
Rocco Buttiglione, costituiva un gruppo di lavoro incaricato di �approfondire le 
forme e le modalit� per la costituzione di fondazioni di diritto privato, finalizzate 
alla gestione delle attivit� di valorizzazione di beni culturali, nonch� di procedere 
all�esame delle connesse problematiche, anche al fine dell�elaborazione di linee 
guida e atti d�indirizzo�. 
2. � noto al riguardo che l�articolo 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, 
n. 368, con una disposizione fortemente innovativa, aveva previsto che il 
Ministero, �al fine del pi� efficace esercizio delle sue funzioni e, in particolare, 
per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali� potesse �costituire o partecipare 
ad associazioni, fondazioni e societ� secondo modalit� e criteri definiti 
con regolamento emanato ai sensi dell�art 17, comma 3 della legge 23 agosto 
1998, n. 400�. 
3. La disposizione, pur avendo trovato attuazione, in relazione alle fondazioni, 
con il regolamento ministeriale n. 491 del 27 novembre 2001, ha subito l�impatto 
derivante dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 che riservava allo Stato le 
sole �funzioni ed i compiti in materia di tutela� e dalla riforma del Titolo V della 
Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha individuato, 
tra l�altro, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali come competenza 
legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni. 
In tale nuovo contesto, il Consiglio di Stato con il parere n. 1794 del 26 agosto 
2002, reso sullo schema di regolamento ministeriale sulla costituzione e partecipazione 
del Ministero per i Beni e le Attivit� culturali a societ�, ha ritenuto che �le 
disposizioni del decreto legislativo n. 368 del 1998, attributive della potest� regolamentare� 
devono ritenersi venute meno a seguito dell�entrata in vigore del nuovo 
Titolo V della Costituzione che, inserendo le materie della valorizzazione dei 
beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attivit� culturali tra 
quelle di legislazione concorrente, esclude che lo Stato possa disciplinare la materia 
in questione nella sua intera estensione e, per giunta, al livello regolamentare�. 
Con molto realismo, nello stesso parere, il Consiglio di Stato segnalava al Ministero 
�la necessit� di ricomprendere tra i principi generali da emanarsi con legge, non 
soltanto i principi generali relativi alle societ�, ma anche quelli relativi alle fondazioni, 
per i quali la sede regolamentare (a suo tempo coerente con il dettato normativo 
del decreto legislativo n. 368) non appare pi� idonea a contenere i principi fondamentali 
in materia�. 


ATTI DEL CONVEGNO 

4. Un�ulteriore precisazione degli ambiti di un intervento ministeriale in materia, 
pu� cogliersi nel parere n. 1354/02, reso dallo stesso Consiglio di Stato il 2 
luglio 2002, sulle fondazioni bancarie. 
Le massime di tale consultazione recano, tra gli altri, i seguenti principi: 

a) La misura dell�intervento pubblico nei settori privati (come le fondazioni 
bancarie) deve rispondere a criteri di ragionevolezza e di proporzionalit�, raffrontando 
i benefici dell�attivit� di vigilanza e controllo con i possibili costi economico-
sociali che possono derivare, ad esempio, dal ritardo e dal rallentamento che 
tali funzioni di vigilanza possono provocare sulle attivit� operative degli organismi 
privati vigilati. Tali principi impongono di ponderare con attenzione ancora maggiore 
le possibili limitazioni agli spazi di autonomia privata operate in nome di 
finalit� d�interesse pubblico, potendo quelle stesse finalit� essere perseguite gi� 
all�interno del medesimo regime privatistico�. 

b) Posto che l�autonomia privata delle fondazioni bancarie � la regola e la sua 
limitazione legislativa l�eccezione, deve ritenersi che, ove la legge preveda l�emanazione 
di un regolamento ministeriale attuativo, questo non pu� imporre limiti 
ulteriori all�autonomia privata, che non trovino espresso fondamento (e conseguente 
limitazione) nella legge medesima. Di conseguenza, l�autonomia privatistica 
delle fondazioni bancarie riacquista naturalmente la sua pienezza, laddove cessino 
i vincoli dell�eteroregolamentazione derivanti direttamente dalla legge� 

c) Le fondazioni bancarie di origine non associativa� rientrano nella definizione 
di �organismo di diritto pubblico�, di cui all�art 2 comma 1 lett. b del d.lgs. 
17 marzo 1995, n. 157, poich�, tra l�altro devono garantire una �prevalente e qualificata 
rappresentanza degli enti pubblici negli organi di indirizzo�. Tale natura 
giuridica impone ad esse, per i casi eccedenti la soglia comunitaria, il rispetto delle 
regole della gara europea, oltre che per la scelta delle societ� di gestione del 
risparmio, anche per la realizzazione di tutti i servizi e lavori... 

5. Sulla base di tali orientamenti consultivi, sin dalle prime riunioni emergeva, 
tra i componenti del gruppo di lavoro, l�opinione che il tema posto dal Ministro, nel 
nuovo contesto del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, dovesse mirare, pi� 
che alla scelta � per la verit� opinabile � di modelli unitari di organizzazione (fondazione, 
associazione, societ� mista od altro), da porre a base di una rigida scelta 
normativa, ad approfondire il modo attraverso cui un�amministrazione territoriale, 
proprietaria di beni del demanio storico artistico, potesse procedere ad attivit� di 
valorizzazione di tali beni, contando su risorse umane ed economiche limitate, tali 
da non garantire l�utilizzazione e fruizione collettiva, che la vastit� ed importanza 
del patrimonio storico artistico degli enti pubblici territoriali (Stato, regioni, comuni 
e province) in astratto consentirebbe. 
6. La tesi del gruppo di lavoro � che la forte creativit� dell�autonomia privata e 
il carattere indipendente, che la Costituzione garantisce alle amministrazioni regionali 
e locali, consigliano, piuttosto che proporre regole uniformi sulle forme organizzative 
di gestione indiretta dei beni e delle attivit� culturali, di recepire quello 
che la realt� concreta legittimamente crea, individuando esclusivamente percorsi 
procedimentali e limiti specifici all�autonomia delle parti, che indirizzino l�azione 
del Ministero in un�attivit� di �governo dal margine� del settore, in qualche misura, 
�privatizzato�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

7. In realt� il carattere demaniale dei beni in questione (articoli 822 e 823 del 
codice civile) non viene meno, se la gestione che li riguarda resta regolata dal diritto 
civile; quel che conta � che sia comunque assicurata la conservazione e la fruizione 
collettiva nelle migliori condizioni possibili. 
8. In altri termini il gruppo di lavoro, anche attraverso le audizioni svolte e le 
aspettative colte nell�ambito degli operatori del settore, � giunto alla conclusione 
che le forme di valorizzazione e gestione indiretta dei beni culturali pubblici possano 
ragionevolmente essere regolate dal �diritto comune�, avviandosi in tal modo 
un�opportuna apertura, da parte dell�autorit� ministeriale, alla �valorizzazione privata 
dei beni culturali pubblici�. 
9. Le fonti normative destinate a sorreggere siffatto indirizzo devono essere 
prevalentemente individuate � ad avviso del gruppo di lavoro � in moduli convenzionali 
(contratti, intese ed atti accessivi a concessioni di beni e di servizi) ai sensi 
dell�art. 823 del codice civile e dell�art. 1, comma 1 bis della legge 7 agosto 1990 
n. 241 (v. infra). 
10. Il gruppo di lavoro condivide l�orientamento del Codice dei beni culturali 
e del paesaggio tendente ad integrare, ove possibile (nei bandi di gare pubbliche e 
nell�ambito dei progetti di valorizzazione, da presentarsi da parte di soggetti pubblici 
e privati), servizi a contenuto culturale con attivit� di maggiore redditivit� economica, 
al fine di riequilibrare la gestione, non facilmente attiva, dei beni e delle 
attivit� culturali. 
Va tuttavia sfruttata al meglio � ad avviso di alcuni membri del gruppo di lavoro 
� la possibilit� da parte delle amministrazioni competenti in tema di valorizzazione 
dei beni culturali e dei soggetti privati, che ne assumono, nelle forme pi� 
varie, la gestione, di utilizzare la cosiddetta �eccezione culturale�, che, com�� noto, 
secondo il diritto dell�Unione Europea, sottrae le iniziative pubbliche nel settore ad 
una rigida applicazione delle regole della concorrenza e del mercato (Cfr. Corte 
Cost. 13 luglio 2004 n. 272). 

11. Ove, per il concorso di specifiche circostanze (finanziamento pubblico dell�iniziativa, 
struttura associativa con presenza prevalente di enti esponenziali di collettivit� 
od altro), il soggetto gestore si venga necessariamente a qualificare, per il 
diritto comunitario, organismo di diritto pubblico, i servizi culturali che l�istituto o 
luogo di cultura � chiamato ad offrire agli utenti (ad esempio, la didattica museale, 
l�organizzazione di mostre, la ricerca e l�informazione scientifica) devono essere 
ben individuati e regolamentati e, nel caso di gara pubblica, devono costituire criterio 
prevalente di valutazione dell�offerta pi� vantaggiosa rispetto a valutazioni 
esclusivamente economiche e commerciali. 
12. Resta il nodo del restauro, che ha forti implicazioni di attivit� scientifica e 
culturale. Anche qui la tendenza � quella di connotare tale attivit� in modo autonomo 
rispetto agli altri appalti di lavori. Il settore che potrebbe essere ragionevolmente 
sviluppato, come attivit� nella quale l�amministrazione sceglie con semplice 
valutazione discrezionale il contraente affidatario dei servizi, � la diagnostica sui 
beni culturali, che dovrebbe assumere carattere necessario e propedeutico rispetto 
alla stessa progettazione ed affidamento dei lavori. Occorrer� una particolare attenzione 
al problema, allorch� si proceder� al recepimento nell�ordinamento nazionale 
delle direttive 17/2004/CE e 18/2004/CE in materia di appalti pubblici. 

ATTI DEL CONVEGNO 

13. Il censimento e la catalogazione dei beni culturali di appartenenza pubblica 
costituiscono le premesse ovvie di una �gestione indiretta�: non si pu� affidare a 
terzi un compendio di beni di cui si ha solo una vaga conoscenza. Serve nel settore 
del patrimonio storico artistico un sistema analogo alla catalogazione dei libri. 
Poich� non � realistico completare queste operazioni prima di avviare forme 
partecipate di gestione del patrimonio culturale di propriet� pubblica, la soluzione 
acceleratoria consiste nel prevedere in tutti gli affidamenti di beni un onere specifico 
di catalogazione e l�invio delle relative informazioni, soprattutto di carattere 
scientifico, ad un�autorit� centrale. 

La relativa clausola generale, da inserire in tutti i progetti di valorizzazione e 
relativi affidamenti, pu� essere predisposta dall�Istituto Centrale per il Catalogo ed 
eventualmente allegata ad atto d�indirizzo ministeriale, in modo tale che acquisti 
valenza concordata, ai sensi dell�art. 17 del Codice per i beni culturali ed il paesaggio, 
con le regioni e gli enti locali. 

14. Tutela e conservazione. Conseguenza della connotazione privatistica che il 
gruppo di lavoro intende attribuire alla gestione indiretta, � che le attivit� di restauro 
e di conservazione svolte da parte dei soggetti affidatari di beni del patrimonio 
storico artistico pubblico restano teoricamente assoggettate ad autorizzazione, come 
quelle dei proprietari o possessori di beni privati vincolati (art. 21 del Codice). 
Per agevolare i lavori di restauro e conservazione da parte dei soggetti affidatari 
� tuttavia possibile, applicando in via estensiva o analogica l�art. 24 del Codice, 
introdurre la previsione di forme di autorizzazione semplificata per la gestione indiretta 
dei beni culturali. L�atto di consenso pu�, infatti, essere adottato nel singolo 
caso concreto sul progetto preliminare, per tutto l�arco degli interventi al momento 
dell�avvio della gestione indiretta, con controllo successivo o in ogni altra forma 
che si ritenga necessaria e sufficiente a salvaguardare la tutela. 

Com�� noto la Carta del restauro elaborata a Venezia del 1972 � stata integralmente 
recepita in una circolare ministeriale, sicch� la stessa pu� divenire una sorta 
di capitolato generale da allegare a tutti gli atti di affidamento. In tal modo, le prescrizioni 
tecniche della Carta del restauro diventano parametro di valutazione della 
correttezza degli interventi realizzati ed, in quanto parametri predeterminati, possibili 
oggetto di impegnative dichiarazioni di conformit� da parte di tecnici professionalmente 
abilitati (principio dell�autocertificazione e sussidiariet� orizzontale). A 
questo punto il controllo da parte delle competenti Soprintendenze � e degli uffici 
regionali e comunali cui, in forza del principio di sussidiariet� verticale, le funzioni 
potrebbero essere, sia pure in concorso, delegate (cosiddette �soprintendenze 
parallele�) � potrebbe anche essere svolto �a campione�. 

15. Il quadro istituzionale. Il gruppo di lavoro sottolinea l�esigenza che la 
�gestione indiretta� di beni del patrimonio culturale statale tenga conto del quadro 
istituzionale (articoli 117 e 118 Cost.), che, come messo in luce dalle relazioni dell�avvocato 
Antonella Anselmo Lemme, prevede un ruolo primario delle regioni e 
degli enti esponenziali di collettivit� locali nei processi di valorizzazione e forme di 
sussidiariet� orizzontale, con il concorso dei privati nel servizio reso, in forma diretta 
o indiretta, con i beni del patrimonio storico artistico (art. 6, comma 3). 
In attuazione di questo disegno il codice prevede una rete di intese programmatiche 
Stato-regione che dovrebbe sorreggere tutto il sistema di valorizzazione e 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

gestione dei beni culturali, in un ambito territoriale definibile come �bacino culturale 
regionale�. 

Su piano procedimentale questo potrebbe significare in astratto, che, prima di 
avviare affidamenti indiretti o in concomitanza con essi, l�amministrazione statale 
dovrebbe aver concluso procedure di intesa con le regioni, per definire le modalit� di 
valorizzazione, gestione e fruizione e gli eventuali trasferimenti di beni. Significativo 
al riguardo � il comma 4 dell�art. 112, laddove stabilisce che �Al fine di coordinare, 
armonizzare ed integrare le attivit� di valorizzazione dei beni del patrimonio culturale 
di appartenenza pubblica, lo Stato, per il tramite del Ministero, le regioni e gli 
altri enti pubblici territoriali stipulano accordi su base regionale, al fine di definire 
gli obiettivi e fissarne i tempi e le modalit� di attuazione. Con gli accordi medesimi 
sono individuate le adeguate forme di gestione ai sensi dell�art. 115�. 

Le intese ed accordi su base regionale, alla luce delle citate disposizioni legislative 
verrebbero pertanto ad assumere carattere di presupposto necessario e propedeutico 
rispetto agli affidamenti in gestione indiretta, se non anche � ed � il problema 
posto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 255/04 in relazione al settore 
dello spettacolo � degli stessi interventi diretti dell�amministrazione statale in un 
determinato territorio regionale. 

16. Sembra ragionevole, tuttavia, ritenere che la rete di indirizzi ed accordi, di 
cui si discute, tarder� ad avere attuazione nell�intero territorio nazionale, con il 
rischio che un�interpretazione rigida delle disposizioni recate dal Codice e la mancanza 
di �accordi su base regionale� finiscano per impedire l�avvio del processo di 
gestione indiretta, penalizzando anche le situazioni ad oggi utilmente avviate. 
Una soluzione possibile consiste nel prevedere, negli atti di affidamento, una 
sorta di clausola risolutiva e/o modificativa che faccia salva l�efficacia di accordi ed 
intese che sopravvengano nel corso della gestione, prevedendone la loro diretta efficacia 
sul rapporto. Si tratta in pratica, con le modifiche necessarie per il settore dei 
beni culturali, della vecchia clausola dello ius variandi, tipica delle concessioni di 
pubblico servizio: se muta, o si definisce meglio, il quadro istituzionale, ovvero se 
interviene una legge regionale che disciplina la valorizzazione in determinate 
forme, la gestione prevista nell�affidamento indiretto deve adeguarsi ovvero, se non 
pu� adeguarsi al nuovo quadro, cessa; le modalit� attraverso cui si perviene a tale 
risultato passano ovviamente attraverso una ri-negoziazione obbligatoria dell�affidamento, 
che garantisca, anche nel mutato assetto degli interessi pubblici, l�investimento 
fatto dal soggetto privato. 

17. Sullo sfondo delle problematiche affrontate dal gruppo di lavoro emerge 
una incertezza di fondo sulla qualificazione delle attivit� di valorizzazione, sia ad 
iniziativa pubblica che ad iniziativa privata. 
La definizione che offre il codice non � priva di ambiguit�: secondo l�articolo 
6 �La valorizzazione consiste nell�esercizio delle funzioni e nella disciplina delle 
attivit� dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare 
le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. 
Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione 
del patrimonio�. 

Pi� realisticamente l�articolo 111 del Codice distingue tra un�attivit� di valorizzazione 
ad iniziativa pubblica che disciplina come �pubblico servizio� e un�attivit� di 


ATTI DEL CONVEGNO 

valorizzazione ad iniziativa privata alla quale d� qualifica di �attivit� socialmente 
utile�. � evidente la scelta del legislatore per una nozione di pubblico servizio in senso 
soggettivo e tale scelta potrebbe attrarre nell�area �del pubblico servizio� anche le 
forme di gestione qualificate dal codice come �indirette� e partecipate dal privato. 

18. Il gruppo di lavoro, ancorch� ritenga utile una chiarificazione legislativa 
delle fonti primarie al riguardo, ritiene tuttavia che, allo stato della disciplina vigente, 
l�attivit� di valorizzazione di beni culturali pubblici dello Stato e degli enti territoriali 
da parte di soggetti privati non costituisce n� esercizio di pubblica funzione 
n� attivit� di pubblico servizio. 
19. Non convince, in primo luogo, l�affidamento esclusivo alla mano pubblica 
(Stato o regione, non importa) di tutti i processi di valorizzazione, da intendersi in 
senso tecnico come creazione di valore aggiunto, sia in senso economico che in senso 
culturale. Chi crea e d� valore a questi beni � essenzialmente la societ� civile nel suo 
stratificarsi e nel suo riconoscersi in questi beni. 
La valorizzazione � principalmente promozione di conoscenza attraverso la 
fruizione: si parte dal bene per superare lo stesso, per fare cultura e il fine culturale 
non pu� essere predeterminato dai pubblici poteri, salvo il limite insuperabile 
della tutela, che altro non �, ove correttamente intesa, che la riproducibilit� da parte 
delle generazioni future dell�esperienza sul bene. 

In altri termini la valorizzazione dei beni culturali � attivit� d�interesse generale 
cui possono concorrere vari soggetti, pubblici e non (la sussidiariet� orizzontale 
non implica alcun ruolo privilegiato e primario riservato ai pubblici poteri). Se si 
rimane ancorati al bene (e alla sua titolarit� pubblica), si monopolizza la cultura e 
questo non � il pensiero del Costituente. Il criterio di appartenenza del bene per 
ancorare la titolarit� delle attivit�, cui fa ricorso anche la Corte Costituzionale, ha 
in ogni caso carattere residuale (in assenza di accordi tra Stato e Regioni). 

20. Sotto altro profilo, se si resta all�analisi pi� accreditata del fenomeno giuridico 
dei beni culturali e alla teoria comunemente accettata del doppio regime 
dominicale (la titolarit� del corpus mechanicum � indifferentemente pubblica o privata, 
ma la disciplina del valore culturale, il corpus mysticum � eminentemente pubblica, 
se non addirittura collettiva), la qualificazione esclusivamente pubblicistica 
dell�attivit� di valorizzazione non quadra: se l�ordinamento � stato in grado di riconoscere 
un valore culturale (e quindi essenzialmente collettivo, secondo l�orientamento 
scientifico pi� accreditato) a beni che restano indifferentemente di propriet� 
pubblica o privata, non si vede perch� non si possa ritenere egualmente valida una 
forma di valorizzazione/gestione che sia regolata alla stessa maniera, con puntuali 
prescrizioni e vincoli, ma sostanzialmente libera nella forme, ancorch� investa beni 
pubblici affidati �in gestione indiretta�. 
Funzionerebbero in questo caso le regole generali del �servizio pubblico in 
senso oggettivo� e gli oneri di cui sarebbe gravato questo tipo di gestione dovrebbero 
essere solo quelli (clausole a favore dello Stato o a favore della fruizione collettiva) 
previsti nell�atto di affidamento. 

21. La tesi espressa dal gruppo di lavoro � che la valorizzazione da parte di un 
soggetto privato, di beni demaniali dello Stato o di enti pubblici territoriali resterebbe 
in ogni caso �valorizzazione ad iniziativa privata�, ai sensi e per gli effetti del 
Codice Urbani e come tale sfuggirebbe alle rigide regole poste dall�art. 115. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Si tratta di una interpretazione plausibile della vigente disciplina diretta essenzialmente 
ad evitare � per dirla mutuando la provocatoria espressione da ultimo 
adottata dalla direttrice di uno dei pi� prestigiosi musei inglesi � che l�attivit� dei 
musei e dei luoghi della cultura, e in generale la raccolta delle opere d�arte, altro 
non sia che l�appagamento della vocazione del �principe�, quale che sia, ad ornare 
la propria corte di cose di pregio. 

22. V�� quindi un sostanziale accordo nel gruppo di lavoro nel ritenere che la 
gestione indiretta debba prendere le mosse, oltre che attraverso intese, protocolli 
preliminari a vari livelli, etc., da un progetto di valorizzazione d�iniziativa privata, 
ove per privato si intendono convenzionalmente tutti i soggetti diversi dall�ente 
pubblico titolare del diritto dominicale sulla res. 
23. La prima verifica, da condursi attraverso un nucleo di valutazione tecnicamente 
attrezzato e specializzato, consiste nella considerazione dell�affidabilit�/
sostenibilit� tecnico-scientifica ed economica del progetto di valorizzazione. A 
tali fini sembrano mutuabili � secondo le indicazioni fornite dal professor Pietro 
Masi � le esperienze dei consorzi universitari e delle altre forme di gestione nel settore 
della ricerca, nei quali il primo problema che si pone � quello di individuare 
correttamente le risorse a disposizione, i costi dell�iniziativa ed i risultati prevedibili. 
Il relativo giudizio, riguardante scienze esatte, dovrebbe assumere carattere 
autonomo, sottratto alle scelte d�indirizzo politico e concludersi con una valutazione 
della quale � rebus sic stantibus � i componenti il nucleo di valutazione assumono 
una qualche responsabilit� professionale. 
24. Una seconda fase di esame del progetto � anch�essa caratterizzata da un 
certo grado di autonomia tecnico-scientifica, propria della cosiddetta discrezionalit� 
valutativa del giudizio sul pregio culturale � dovrebbe ponderare specificatamente 
gli aspetti scientifici e culturali dell�iniziativa ed i profili specifici della fruizione, 
che la valorizzazione � diretta ad assicurare. 
Data la difficolt� di creare ex novo organismi tecnico-consultivi nell�ambito di 
un�Amministrazione dei beni e delle attivit� culturali, il gruppo di lavoro � sia pure 
con qualche preoccupazione sulla capacit� dell�organo di acquisire questa specifica 
competenza � esprime l�avviso che per questa seconda fase della valutazione siano 
utilmente adattabili il Consiglio Nazionale dei Beni Culturali ed i relativi Comitati 
di settore. 

Va, al riguardo, segnalata la prassi dei Comitati di settore di integrare la propria 
composizione con gli esperti di volta in volta necessari per affrontare il tema all�ordine 
del giorno e la presenza obbligatoria in ciascuno di questi comitati di un membro 
esperto nelle politiche di gestione degli istituti culturali. Va segnalato altres� che 
sono normalmente invitati alle sedute �i direttori generali competenti per materia 
e i direttori regionali competenti per territorio� e che tre degli otto esperti del 
Consiglio Superiore sono di designazione della Conferenza Stato Regioni. Quella 
che manca � la presenza, in sede di esame tecnico scientifico del progetto di valorizzazione 
da parte del Comitato di settore, di un esperto designato dalla regione nel 
cui territorio insistono i beni da affidare. 

Il gruppo di lavoro ritiene sia possibile attuare nella prassi amministrativa una 
funzionale assimilazione del Comitato di settore alla conferenza dei servizi disciplinata 
dalla legge n. 241 del 1990, prevedendo la presenza del rappresentante della 


ATTI DEL CONVEGNO 

regione interessata e, nel caso di dissenso del voto da quanto dallo stesso espresso, la 
devoluzione della questione al Consiglio Superiore in sede plenaria, dove sono istituzionalmente 
presenti i membri designati dalla Conferenza permanente Stato-Regioni. 

� questa una soluzione procedimentale, che potrebbe offrire una disciplina alla 
partecipazione della regione interessata all�attivit� di valorizzazione, anche se non 
surroga la mancanza di intese generali, che secondo il codice dovrebbe precedere 
ciascun affidamento. 

25. Gli organismi (nucleo di valutazione e comitati di settore del Consiglio 
Nazionale) che analizzano i progetti dovrebbero svolgere anche le funzioni di osservatorio 
e di servizio informazioni per tutte le amministrazioni ed i soggetti che si occupano 
(o che si intendono occupare) di valorizzazione dei beni culturali. Un archivio �on 
line� di progetti, valutazioni, affidamenti, convenzioni, statuti e carte di servizio. 
26. A questo punto della relazione occorre dar conto di un ampio dibattito svoltosi 
nel gruppo di lavoro sulla cosiddetta �gestione indiretta� e sulle convergenze 
che � sia pure con diverse tonalit� ed approcci � si sono alla fine realizzate sulle 
soluzioni da proporre. 
Secondo l�opinione del consigliere Giuseppe Severini il Codice Urbani avrebbe 
regolato la gestione in forma indiretta (art. 115) come �una esternalizzazione 
traslativa della gestione� (pubblica) �che avviene o (art. 115, comma 2 lett. a) a 
favore di un organismo di diritto pubblico, partecipato �prevalentemente dalla p.a. 
cui i beni appartengono, o senz�altro a un soggetto terzo e privato (art. 115, comma 
2 lett. b)�. 

Il professor Fabio Merusi, e la maggior parte dei membri del gruppo di lavoro, 
sono invece della convinzione che, in relazione ai soggetti affidatari della gestione, 
�bisogna evitare la creazione un organismo di diritto pubblico�. 

Il dissidio su questo punto � stato, in qualche misura, attenuato dall�intervento 
ai lavori del Capo dell�Ufficio legislativo, avvocato Antonio Scino che ha precisato 
come tra i compiti del gruppo di lavoro, vi sia anche quello di individuare e di 
proporre alla Commissione Settis, incaricata di attuare la revisione del Codice 
Urbani, aggiustamenti e modifiche al decreto legislativo n. 42/2004. 

I punti di emersione del problema attengono specificatamente: 

a) all�individuazione del soggetto affidatario diretto (art. 115, comma 2, lett. a) 
come organismo di diritto pubblico, scarsamente allettante per gli investitori privati 
e per le fondazioni bancarie; 

b) al carattere prevalente della partecipazione nella fondazione, associazione o 
societ� che il Codice Urbani sembra imporre all�amministrazione che conferisce il 
bene. � evidente la difficolt� di reperire un soggetto disponibile ad affrontare possibili 
ed indeterminate perdite di esercizio, nel momento in cui partecipa ad un�associazione, 
fondazione o societ� in veste minoritaria, senza una significativa incidenza 
sul potere di gestione. 

Il tema ha avuto una significativa eco nei lavori della Commissione Settis, incaricata 
della revisione del Codice Urbani, che sembra intenzionata a proporre significative 
modifiche all�articolo 115 del decreto legislativo n. 42/2004 

27. Nel corso della riunione del 4 ottobre 2005 il professor Fabio Merusi ha presentato 
uno schema di lavoro, articolato in cinque proposizioni attraverso le quali 
superare le divergenze di opinione emersa tra i componenti il gruppo di lavoro. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In particolare il professor Fabio Merusi ritiene che l�Amministrazione per i 
beni e le attivit� culturali debba operare in tutti i casi, anche quelli previsti dall�art. 
115, comma 2, lett. a), attraverso �affidamento del bene in concessione in base ad 
un progetto-programma pluriennale di comprovata sostenibilit� economico-finanziaria�, 
rendendo in tal modo �irrilevante la tipologia giuridica del concessionario�, 
purch� � ed � questa la precisazione dell�Autore � di diritto privato. 

La proposta trae fondamento dalla circostanza che la messa a disposizione di 
beni pubblici a favore di soggetti diversi, dall�amministrazione che ne � proprietaria, 
necessita in ogni caso di un titolo abilitativo, che altri non pu� essere che una 
concessione di beni e/o di servizi culturali. 

In altri termini l�ipotesi di concessione, che l�art. 115, comma 2, lett. c) presenta 
come residuale rispetto alle forme di gestione indiretta, � in realt� omnicomprensiva, 
fermo restando le differenze nelle modalit� di individuazione del soggetto 
terzo nel caso di gestione indiretta (a soggetti costituiti ad hoc) e nel caso di affidamento 
a imprenditori privati (normalmente gara pubblica). Il contratto accessivo 
che accompagna necessariamente l�affidamento in concessione del bene e del servizio 
regoler�, secondo questa costruzione, tutti i rapporti tra l�amministrazione ed 
il soggetto affidatario (esso pu� anche consistere in un atto costitutivo di una fondazione, 
associazione o societ�) e tra il concessionario/affidatario ed i terzi fruitori 
del bene culturale (clausole di salvaguardia delle fruizioni collettive ed in generale 
�carta dei servizi�). 

La soluzione, ancorch� forzata rispetto alla previsione dell�art. 115 del Codice 
Urbani, appare in concreto praticabile ed ha il pregio di uniformare in un unico procedimento 
amministrativo tutti i casi di affidamento a soggetti diversi dalle amministrazioni 
proprietarie, lasciando alla societ� civile e alle autonomie locali l�onere 
di individuare le forme pi� idonee per la gestione indiretta di ciascuno dei beni culturali 
affidabili secondo queste modalit�. La previsione dell�articolo 115, comma 5, 
del decreto legislativo n. 42/2004, secondo il quale �Qualora a seguito della comparazione 
di cui al comma 4, risulti preferibile ricorrere alla concessione a terzi, 
alla stessa si provvede mediante procedura ad evidenza pubblica, sulla base di 
valutazione comparativa dei progetti presentati�, va correttamente interpretata � ad 
avviso del gruppo di lavoro � nel senso che una tale fase (eventuale) segue solo 
dopo una puntuale valutazione negativa in ordine all�affidamento del bene a soggetto 
specificatamente costituito, nell�ambito delle intese tra soggetti pubblici e privati, 
per procedere alla valorizzazione del bene secondo le modalit� indicate nella 
cosiddetta �gestione indiretta�. 

28. Un secondo aspetto sul quale si � discusso riguarda la presenza e le funzioni 
di rappresentanti dell�amministrazione di tutela nell�organo di gestione del soggetto 
concessionario, ed in particolare nel consiglio di amministrazione delle fondazioni. 
Sul punto, sin dalla prima riunione, il professor Andrea Zoppini ha espresso 
l�avviso che gi� esiste ai sensi del codice civile un controllo tutorio particolarmente 
penetrante sulle fondazioni, sicch� nel sistema delle fondazioni dirette alla valorizzazione 
e gestione di beni culturali � sufficiente �valorizzare quel profilo del controllo�. 
In alternativa, potrebbe prevedersi che taluni �diritti speciali� dell�amministrazione 
pubblica siano previsti al livello statutario: si pensi ad esempio alla previ



ATTI DEL CONVEGNO 

sione del voto determinante quando siano affrontate determinate materie, ovvero a 
poteri di controllo in termini privatistici. 

In generale il gruppo di lavoro ritiene che per gli istituti di cultura la composizione 
della governance dovrebbe garantire in pari tempo l�imprenditorialit� e la 
scientificit�: un amministratore delegato, ma anche un direttore. Ci� in particolare 
potrebbe meglio avvenire ove sia separata la gestione imprenditoriale e quella culturale, 
prevedendosi organi e competenze distinte (v. oltre). 

29. Con osservazioni scritte presentate il 27 settembre 2005 il Consigliere 
Giuseppe Severini dopo aver richiamato l�attenzione del gruppo di lavoro sull�art. 
53, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004 � a norma del quale �I beni del 
demanio culturale non possono essere alienati, n� formare oggetto di diritti a favore 
di terzi, se non nei modi previsti dal presente codice� � ritiene che �la presenza 
di rappresentanti� del Mibac a valle dell�affidamento o della concessione non 
ha�altro significato che quella di un modulo organizzativo a garanzia immediata 
degli interessi pubblici di tutela e valorizzazione nel quadro di un servizio pubblico�. 
Ritiene conseguentemente che il rappresentante del Mibac debba essere �organizzativamente, 
quanto a poteri interni, differenziato dagli altri� Egli continua 
ratione officii, ad essere un organo dello Stato che deve svolgere una funzione congrua 
rispetto a tale veste: non diviene un soggetto privato beneficiario di un incarico. 
Perci� non � bene che concorra con il suo voto alla formazione della volont� 
collegiale. Deve piuttosto esprimersi attraverso atti separati: propulsivi, sollecitatori, 
condizionanti, prescrittivi o interdettivi. Egli deve altres� permanentemente 
riferire al Mibac��. 
30. Nel modello generale di concessione proposto dal professor Fabio Merusi 
come sintesi dell�attivit� finalizzata alla creazione delle �gestioni indirette� di beni 
del demanio culturale, la presenza di rappresentanti dell�amministrazione concedente 
nell�organizzazione interna del soggetto concessionario dovrebbe trovare 
esclusiva regolazione nella convenzione, immaginandosi al riguardo (in coerenza 
con l�atto traslativo) una funzione interdittiva ed eventualmente propositiva, simile 
a quella del magistrato della Corte dei Conti nei consigli di amministrazione degli 
enti pubblici economici. 
Il Consigliere Giuseppe Severini ha manifestato, con due documenti che ha 
prodotto agli atti, la medesima tesi, ma ravvisando gi� nella legge la fonte abilitata 
a differenziare nelle linee generali, in realistica ragione della diversit� degli interessi, 
l�organo propositivo/interdittivo emanazione della Amministrazione dei beni 
culturali, preposto alla tutela. � preferibile che questo non sia confuso con gli altri 
soggetti che partecipano all�amministrazione della figura giuridica dell�affidatario 
(o del concessionario), ovvero alla gestione del museo, perch� il suo ruolo � diverso, 
gli interessi che cura diversi, e non partecipa della responsabilit� della gestione 
delle risorse da altri conferite. Cos�, applicando un criterio dialettico di �separazione 
dei poteri� in ragione degli interessi coinvolti, la gestione della struttura affidataria 
va efficacemente assegnata ai soggetti diversi da quelli della tutela, i quali 
potranno legittimamente orientarla verso la soddisfazione degli interessi che sono 
alla base della loro partecipazione al progetto (ad es., per il Comune l�indotto turistico-
ricettivo; per certi privati la cura d�immagine, ecc.); mentre il Mibac, con l�organo 
in questione (preferibilmente collegiale e a spiccata connotazione tecnico-pro



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

fessionale) potr� esercitare con speditezza e ab intra la funzione di tutela e curare 
l�interesse pubblico circa la valorizzazione delle sue collezioni, la cui gestione ha 
esternalizzato: potr� cos� anche esercitare il controllo strategico di cui si � detto. A 
tale scopo, a parte i poteri propulsivi, sollecitatori, condizionanti, prescrittivi, interdettivi, 
pare opportuna la partecipazione di un tale organo a provvista statale alle 
sedute dell�organo gestorio, ma senza diritto di voto: in modo da facilitare, attorno 
al tavolo comune, l�esame spedito costruttivo dei temi di comune interesse. Quanto 
all�organo gestorio, lo Stato si potr� riservare, semmai, la nomina di personalit� 
insigni, estranee all�apparato di tutela. 

31. Secondo il professor Andrea Zoppini la logica privatistica impone che gli organi 
gestionali del concessionario perseguano lo scopo sociale, ossia la valorizzazione; il 
concedente deve fissare soltanto le forme e le modalit� d�uso del bene culturale pubblico 
(e ovviamente, l�aspetto della tutela). La convenzione accessiva alla concessione 
stabilisce i poteri di controllo e le forme del suo esercizio da parte del concedente. 
Il professor Federico Tedeschini distingue, a tale proposito, tra attivit� di ordinaria 
amministrazione, attinente alla valorizzazione, da lasciare alle libere scelte del 
consiglio di amministrazione, con un semplice dovere informativo nei confronti 
dell�Amministrazione concedente; e attivit� di straordinaria amministrazione, 
suscettibile di incidere anche in modo irreversibile sul bene, da sottoporre al controllo 
del concedente, che esercita al riguardo � anche attraverso organismi interni 
all�organizzazione del concessionario � un potere interdittivo. 

32. Da un�analisi delle diverse posizioni espresse dai componenti del gruppo di 
lavoro sembrano potersi cogliere alcuni elementi di convergenza: 
� la partecipazione di rappresentanti dell�amministrazione concedente nelle 
attivit� di gestione delle fondazioni, associazioni e societ�, affidatarie di beni del 
demanio culturale non � vista con favore. 
� l�apporto che i rappresentanti dell�amministrazione offrono alla valorizzazione 
e gestione (sia pure per diverse motivazioni espresse dai componenti del gruppo 
di lavoro) deve comunque risultare, per ragioni di trasparenza e responsabilit� chiaramente 
separata da quella degli amministratori privati delle fondazioni, delle associazioni 
e delle societ�. 
� in sintesi, una sorta di �governo dal margine�, caratterizzato da un potere di 
interferenza limitato alle decisioni correlate alla funzione di tutela; un potere di 
interlocuzione e propositivo nell�ambito delle scelte in materia di valorizzazione; 
un generale potere di referto e vigilanza sull�attivit� del concessionario. 
� notevole interesse ha suscitato l�ipotesi di inserire la rappresentanza dell�amministrazione 
concedente in un organo tecnico che operi a latere del consiglio di 
amministrazione e che garantisca per l�organismo affidatario della gestione indiretta 
di beni del demanio culturale l�autonomia tecnico scientifica del processo di valorizzazione, 
che il codice garantisce per tutti i musei e i luoghi di cultura. 
� nell�ambito di un assetto della concessione che salvaguardi le linee sopra 
individuate, restano salve tutte obbligazioni ed i patti che le parti pubbliche e private 
intendono assumere nell�interesse dell�amministrazione concedente e della fruizione 
collettiva dei beni affidati. 
33. Il professor Andrea Zoppini rileva che un nodo da sciogliere � l�interpretazione 
del termine �prevalente�, attribuito dall�art. 115 del Codice Urbani alla parte

ATTI DEL CONVEGNO 

cipazione del concedente al nuovo soggetto giuridico cui affidare la valorizzazione 
e gestione dei beni culturali demaniali: dal momento che nello schema privatistico 
delle fondazioni, associazioni e societ� non � immaginabile una posizione prevalente 
che si riferisca alla partecipazione sociale e/o ai diritti corporativi, con tale formula 
il legislatore vuole presumibilmente intendere la possibilit�, per il concedente, 
di avere l�ultima parola sulle decisioni fondamentali relative al bene. 

Il Consigliere Giuseppe Severini ritiene che, una volta risolta la cura dell�interesse 
pubblico a tutela e valorizzazione mediante la formula dell�organo tecnico statale 
di cui si � detto, la questione della gestione (si intende: per gli aspetti diversi da 
quelli inerenti tutela e valorizzazione) pu� ben essere scissa da quella della appartenenza 
delle cose: nel senso che pu� essere affidata agli altri partecipanti al soggetto 
affidatario/concessionario. La presenza delle personalit� insigni designate dal 
Mibac potr� efficacemente compensare spinte di eccessiva valorizzazione degli 
interessi altri. 

Alcuni membri del gruppo di lavoro pur apprezzando queste interpretazioni 
restrittive della formula adottata dal decreto legislativo n. 42/2004, ritengono la 
disposizione ambigua e foriera di possibili intralci in sede applicativa e propongono 
che nella revisione del Codice dei beni culturali e del paesaggio la previsione 
della partecipazione prevalente sia abolita. 

34. L�interscambio di professionalit� tra il pubblico ed il privato. 
Nel settore dei beni e delle attivit� culturali servono essenzialmente laureati, tecnici 
e dirigenti. Una soluzione va ricercata nell�art 23 bis del decreto legislativo 30 
marzo 2003 n. 165, applicato in una logica che faccia salve le specificit� del settore. 

Alcuni membri del gruppo di studio hanno fatto riferimento per assicurare continuit� 
nel passaggio alla gestione indiretta, al sistema civilistico della cessione di 
ramo d�azienda. � evidentemente una partita che va disciplinata caso per caso, tenendo 
presente tuttavia linee di indirizzo di fondo, che dovrebbero consentire una progressiva 
sostanziale �parit�� tra i settori pubblico e privato (nel quale va inserita � si 
� detto � anche la gestione indiretta). 

Resta il problema inverso, che attiene alla garanzia che il privato nella gestione 
dei beni culturali, utilizzi professionalit� specifiche ed esperte, evitando di affidare 
i servizi culturali a personale non qualificato, temporaneo e precario. 

Alcuni membri del gruppo di lavoro ritengono che, in questo contesto, sarebbe 
auspicabile il progressivo formarsi di un contratto unico nazionale per le categorie 
professionali per i beni e le attivit� culturali con conseguente mobilit� tra i settori 
pubblico e privato. Forme garantite di scelta del personale da parte di concessionari 
privati potrebbero essere incentivate assicurando, nell�eventualit� di una retrocessione 
del bene culturale o di naturale scadenza della concessione, forme di assorbimento 
di detto personale nelle amministrazioni pubbliche, sia pure nei limiti delle 
effettive esigenze di continuit� delle gestioni da parte del soggetto concedente. 

35. Il sistema privatistico di affidamento della gestione indiretta, consente l�afflusso 
diretto di risorse pubbliche e private e dei prezzi dei servizi offerti al pubblico 
alla gestione dei musei, evitando vischiosit� amministrative e finanziarie. 
Anche per i musei ed i luoghi di cultura, che restano in gestione diretta dello 
Stato e degli enti pubblici territoriali, la maggioranza del gruppo di lavoro � dell�opinione 
che l�attuale sistema di devoluzione dei proventi ai soggetti proprietari delle 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

raccolte mal si concilia con il sistema di autonomia finanziaria previsto per tali istituzioni. 


36. Trattamento fiscale delle attivit� di valorizzazione dei beni culturali. Il professor 
Giuseppe Tinelli ritiene che il finanziamento pubblico della valorizzazione 
dei beni culturali nell�attuale sistema tributario si fonda su una serie di agevolazioni 
fiscali prive di un coordinamento organico e aventi un modesto impatto economico 
rispetto all�importanza del ruolo dei beni culturali nel contesto nazionale. In 
altri Stati europei e negli USA il sostegno pubblico si manifesta in misure fiscali tali 
da indirizzare realmente le scelte private nei confronti delle erogazioni liberali a 
favore di iniziative culturali, riconoscendo la quasi integrale deducibilit� ai fini dell�imposizione 
diretta delle somme versate a tali fini, ma anche prevedendo la 
sostanziale neutralit� fiscale dei trasferimenti di beni culturali a favore di enti che 
possono assicurare la fruizione pubblica e la tutela� Inoltre un simile intervento 
non troverebbe ostacoli in sede comunitaria, attesa la pacifica inapplicabilit� dei 
limiti agli aiuti di Stato di cui all�art. 87 del Trattato UE, al di fuori delle esigenze 
di tutela della concorrenza e del mercato, nella specie non rilevanti. 
37. Segue. In questo senso sarebbe opportuno �costruire� l�intero sistema normativo 
incentrando il regime di deducibilit� (o detraibilit�) delle erogazioni liberali 
in maniera oggettiva, ossia collegando le ipotesi di deduzione (o detrazione) 
direttamente al bene (vincolato) che � oggetto dell�attivit� di tutela o conservazione 
finanziata, a prescindere dunque dalla natura del soggetto che risulter� nel concreto 
destinatario dell�attribuzione liberale (ad es. un bonus fiscale). 
Analogo trattamento dovrebbero ricevere, in relazione alla tassazione indiretta, 
le sponsorizzazioni : sarebbe utile costruire anche in questo caso la disciplina del 
rapporto di sponsorizzazione di beni culturali dando rilevanza proprio al tipo di 
bene o di iniziativa culturale sponsorizzata. La valorizzazione del legame tra la 
sponsorizzazione ed il particolare bene culturale consentirebbe di evitare la necessaria 
qualificazione come commerciale dell�attivit� di sponsorizzazione svolta dallo 
sponsee. 

C�� da aggiungere che l�investimento in beni ed attivit� culturali, � un investimento 
in beni e conoscenze che restano, aumentano il valore capitale degli immobili 
e possono creare ulteriori fonti di ricchezza nazionale. Si capitalizza in cultura 
e si creano le premesse di redditi futuri. 

Il gruppo di lavoro in occasione della predisposizione della Legge Finanziaria 
2006 ha collaborato con l�Ufficio Legislativo del Ministero per la predisposizione 
di un testo coordinato di agevolazioni fiscali all�attivit� di valorizzazione ad iniziativa 
pubblica e privata. 

38. Alla presente relazione vengono allegati tutti gli atti e la documentazione 
acquisiti nel corso dei lavori, ed in particolare: i verbali delle audizioni e delle 
discussioni svolte, i documenti presentati dai singoli componenti il gruppo di lavoro, 
nonch� quelli � riguardanti la procedura di revisione del Codice � cui in qualche 
misura si � fatto riferimento. Una succinta scheda bibliografica completa l�indicazione 
dei materiali collegialmente consultati. 
Una particolare menzione meritano due documenti, che parimenti si allegano: 
la lettera 20 novembre 2005 del professor Marco Cammelli, che contiene proposte 
specifiche, in relazione alla nuova formulazione dell�art. 115 del Codice dei beni 


ATTI DEL CONVEGNO 

culturali e del paesaggio, e le osservazioni del Consigliere Giuseppe Severini alla 
bozza di relazione che, nelle parti in cui non risultano recepite nel testo definitivo, 
acquistano necessario valore di dissenting opinion. 

39. Hanno contribuito alla presente relazione l�Avv. Antonella Anselmo 
Lemme, il Prof. Marco Cammelli, il Cons. Sergio De Felice, il Prof. Pietro Masi, il 
Prof. Fabio Merusi, la Dott.ssa Angela Maria Montano, l�Avv. Pierpaolo Pugliano, 
il prof. Pietro Maria Putti, il cons. Giuseppe Severini, il Prof. Federico Tedeschini, 
il Dott. Andrea Trotta, il Prof Andrea Zoppini. Le funzioni di segreteria del gruppo 
di lavoro sono state svolte dal Dott. Daniele Carletti, dalla Dott.ssa Marzia Ciafrino, 
dal Dott. Vincenzo Pisano e dal Dott. Antonio Tarasco. 
40. Nel consegnare al Ministro la presente relazione, il coordinatore del gruppo 
di lavoro, Avvocato Giuseppe Fiengo, suggerisce, che, ove il documento proposto 
sia condiviso, lo stesso sia presentato alla Conferenza Permanente Stato � 
Regioni affinch� costituisca la base di un�intesa e/o di un atto di indirizzo generale, 
da adottarsi ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 28 agosto 1997 n. 281. 
Si resta a disposizione per quanto altro, al riguardo, sar� richiesto. 
Con osservanza, 
Avv. Giuseppe Fiengo 
Roma 27 novembre 2005. 

OSCAR FIUMARA 
Avvocato Generale dello Stato 


Indirizzo di saluto 

Il mio non � un intervento, ma semplicemente un saluto: il saluto del �padrone 
di casa�, il saluto suo e dell�intera Avvocatura dello Stato, la quale � particolarmente 
lieta di ospitare in questa sede un convegno di grande spessore e di grande importanza, 
impreziosito dalla presenza del Vice Presidente del Consiglio � Ministro dei 
Beni Culturali On. Rutelli, che saluto con deferenza, e gestito da un tavolo di persone 
di altissimo livello e di grandissima competenza. Sono particolarmente lieto 
anche della presenza di un pubblico cos� numeroso che d� lustro anche al nostro 
Istituto. 

Il tema dei beni culturali � oggi uno dei temi pi� importanti: si tratta di una 
delle ricchezze nazionali maggiori e quindi tutto ci� che riguarda questo tema non 
pu� che essere di interesse veramente nazionale. Questo nuovo spirito di guardare 
all�aiuto dei privati e quindi di poter coinvolgere anche il privato nella gestione dei 
beni pubblici rientra in un tentativo meritevole della massima attenzione: esso va 
senz�altro fatto, continuato, perseguito e valorizzato perch� attraverso la sinergia fra 
pubblico e privato si possono ottenere grandi risultati. Sono particolarmente lieto 
che ci� avvenga in questa sede perch� anche essa stessa � un notevole bene culturale, 
che va adeguatamente valorizzato pur nella sua specifica funzionalit�. Il nostro 
palazzo, che � il palazzo degli Agostiniani, il vecchio convento degli Agostiniani, � 
passato nella propriet� dello Stato dopo i noti fatti del 1870; esso � stato destinato 
prima a sede del Ministero della Marina e dal 1930 a sede dell�Avvocatura dello 
Stato. � un palazzo che ha moltissime benemerenze culturali (e spero anche qual



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

che benemerenza giuridica attraverso l�opera di noi avvocati). Alla mia sinistra, 
oltre le vetrate v�� il cortile del Vanvitelli, il quale ha ristrutturato il vecchio edificio 
quattrocentesco, e alle mie spalle v�� un grande affresco del �700 del Guglielmi; 
l�atrio antistante la nostra sala (che in origine era il refettorio del convento) � attribuito 
a Filippo Iuvara; vi ho indicato solo alcune delle tante gemme che adornano 
la nostra sede e sono certo che tutte, con il preziosissimo aiuto gi� manifestato del 
Ministero dei beni culturali, saranno anche valorizzate meglio nel tempo, nei prossimi 
anni. 

Vi dicevo che la mia introduzione sarebbe stato un rispettoso e caldo saluto: 
non mi soffermo ancora perch� vedo che il programma di oggi � fittissimo e di grandissimo 
interesse si presenta ogni intervento, per cui, dopo avervi augurato buon 
lavoro, taccio, non parlo pi� e ascolter� con interesse. 

LOUIS GODART 
Consigliere per la Conservazione del Patrimonio artistico, Presidenza della Repubblica (*) 

Signor Ministro, Signore e Signori, cari amici, sono felice di portare a questo 
importante convegno il saluto del Capo dello Stato. Quando parliamo dei beni culturali, 
della loro scoperta o riscoperta, della loro conoscenza e della loro conservazione 
sappiamo che parliamo di realt� che sono fondamentali per ogni Paese e in 
particolare per un Paese come l�Italia che, in base a rilevamenti non certo dettati da 
sciovinismo, possiede oltre il 60% delle risorse culturali dell�intera umanit�. L�Italia 
sa utilizzare a dovere questo patrimonio? � una domanda che ci dobbiamo porre e 
alla quale certamente la giornata odierna di riflessione dar� una risposta. Non c�� 
alcun dubbio che i beni culturali sono fondamentali per lo sviluppo economico di 
ogni Paese e in particolare di un paese come l�Italia. I milioni di visitatori che ogni 
anno giungono nella Penisola per ammirarne le citt� d�arte ne sono la prova. � 
anche evidente che l�immensa competenza degli operatori, dei nostri operatori, nel 
campo dei beni culturali, rappresenta un biglietto da visita fondamentale per il 
nostro Paese. Ho avuto negli anni passati l�onore e la gioia di accompagnare il precedente 
Capo dello Stato in tutte le sue visite all�estero, e devo dire che in ogni 
Paese coinvolto in qualche modo nella collaborazione con il nostro Ministero dei 
Beni Culturali, abbiamo raccolto parole di straordinario entusiasmo per i nostri tecnici, 
per il nostro modo made in Italy di affrontare i problemi, in particolare del 
restauro dei beni culturali. Penso alle missioni che l�amico Proietti insieme ai suoi 
collaboratori e insieme ai nostri restauratori stanno conducendo in Cina, in India, in 
Cambogia, in Iran e penso anche a quello che l�UNESCO ha deciso di fare, cio� 
affidare all�Italia l�arduo ma entusiasmante compito di intervenire su tutti i cantieri 
minacciati da eventi o bellici o da cataclismi naturali. Quindi non c�� alcun dubbio 
che, e dal punto di vista economico e dal punto di vista della nostra immagine all�estero, 
i beni culturali italiani siano una risorsa fondamentale. 

(*) Testo non rivisto dall�Autore. 


ATTI DEL CONVEGNO 

L�Italia fa abbastanza per valorizzarli? Questa credo sia un�altra domanda che 
dobbiamo porci, e dobbiamo riconoscere sinceramente che si potrebbe fare molto 
di pi�. Penso in particolare alle zone del nostro meridione che rappresentano uno 
straordinario serbatoio di beni culturali e che non sono, a mio modesto parere, sufficientemente 
valorizzate. Tante volte con l�amico Bassolino o con l�amica 
Jervolino ho parlato di una citt� che mi � molto cara, Napoli e l�entroterra napoletano. 
L� abbiamo veramente una miniera d�oro dal punto di vista dei beni culturali 
e si ha l�impressione, parlando anche con i nostri ospiti stranieri, che si potrebbe, 
attraverso una dovuta campagna d�immagine, dare un valore ben maggiore a questi 
beni culturali e quindi farne un trampolino di lancio fondamentale per l�economia 
di questa zona. Questo cosa significa? Significa � credo che l�Avvocato Generale 
dello Stato abbia accennato perfettamente a questo problema � che dobbiamo cercare 
nuove strade, naturalmente strade pilotate dall�attivit� di governo, ma che mirino 
anche ad una sinergia tra pubblico e privato. Io sono convinto che da questa 
sinergia tra pubblico e privato � naturalmente, insisto, strettamente controllata ed in 
mano allo Stato � possa emergere una serie di iniziative che indubbiamente porteranno 
ad una maggiore valorizzazione del nostro immenso patrimonio artistico, 
archeologico e dei nostri beni culturali in generale. 

PATRIZIA ASPRONI 
Presidente di Confcultura 


Desidero innanzitutto ringraziare l�Avvocato Generale Oscar Fiumara che ci 
ha concesso ospitalit� in questo luogo di grande prestigio istituzionale, ma anche, 
come ha potuto dire, di prestigio storico e artistico. 

Desidero inoltre ringraziare in particolare l�Avvocato Giuseppe Fiengo, 
Presidente della Commissione Ministeriale sulle Fondazioni, con il quale ci siamo 
confrontati sulla valorizzazione dei beni culturali, tanto da voler costruire e promuovere 
insieme questa giornata di studio. 

Saluto il Ministro dei Beni Culturali, l�On. Rutelli, al quale desidero fare innanzitutto 
gli auguri per il nuovo incarico e che ringrazio di essere qui a dimostrare 
con la sua presenza, crediamo, sensibilit� e attenzione verso le tematiche di questo 
convegno. 

Infine, ringrazio i relatori e i moderatori che hanno aderito con partecipazione 
e tutti voi che oggi siete qui. 

Confcultura � l�associazione degli operatori dei servizi per la gestione, la valorizzazione 
e la promozione del patrimonio culturale. L�Associazione riunisce le 
principali aziende concessionarie dei servizi ai visitatori dei musei e dei parchi 
archeologici statali. Dieci anni di attivit�, ormai, dall�introduzione della legge 
Ronchey hanno permesso di costruire un patrimonio di esperienze che hanno contribuito 
all�evoluzione delle norme e delle pratiche di gestione dei servizi di assistenza 
culturale e accoglienza al pubblico. I risultati ottenuti in questi anni, non facili 
per diverse circostanze, sono stati l�occasione di un confronto permanente con il 
Ministero dei Beni e le Attivit� Culturali, le Soprintendenze, i direttori dei musei, i 
funzionari, e hanno aiutato a superare parte della diffidenza tra pubblico e privato 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

quanto a concezione gestionale. � ormai opinione condivisa che la presenza delle 
imprese concessionarie ha migliorato l�offerta ai visitatori dei musei, ha rinnovato 
la loro immagine, potenziato gli strumenti di comunicazione e promozione, dato 
maggior cura all�accoglienza, diversificato i servizi che integrano e qualificano l�esperienza 
cognitiva. Inoltre, significativo � stato anche l�aumento di occupazione in 
un settore ad alta specializzazione: partendo da formazioni tradizionali come quella 
dello storico dell�arte, l�archeologo, il restauratore si sono sviluppate nuove figure 
professionali, pi� sensibili alle implicazioni economiche dell�attivit�, esperti di 
marketing, di merchandising, di animazione turistica e didattica, di fund raising e 
tanti altri. Oggi le imprese concessionarie rappresentano una parte fondamentale del 
patrimonio culturale e hanno sviluppato professionalit� progettuali capaci di produrre 
notevoli benefici per il settore. Un corretto rapporto tra lo Stato e queste 
imprese rappresenta infatti la migliore garanzia per ottimizzare la gestione del patrimonio 
storico, artistico e paesaggistico del nostro Paese. I concessionari sono i referenti 
naturali con cui costruire la nuova architettura gestionale del sistema di valorizzazione 
prevista dalle recenti modifiche apportate al codice e dalle regole della 
sussidiariet�. Un�economia dei servizi avanzati pu� portare al nostro paese i benefici 
che un tempo erano associati solo al prodotto industriale. Pensiamo all�aumento 
della produttivit�, alle esportazioni, alla competitivit�. La qualit� di divulgazione 
dalla cultura �, come sappiamo, un rilevante indicatore di sviluppo delle nazioni. 
L�Italia dispone di una risorsa unica al mondo, la cui domanda di fruizione � elevata 
e crescente e cio� il patrimonio culturale, che � caratterizzato da risorse materiali 
superiori agli altri paesi: pensiamo alle architetture, ai parchi archeologici, alle 
collezioni, agli archivi. Il patrimonio culturale � un bene non riproducibile, non rinnovabile, 
che si deteriora e consuma e che deve essere anzitutto studiato e goduto. 
La sua conservazione costituisce pertanto un imperativo etico e politico fondamentale 
ed ineludibile. Sostituire l�espressione �beni culturali� con �patrimonio culturale� 
indica una consapevolezza, e non solo semantica, della mutata tensione verso 
la cultura, considerata ormai parte integrante del bilancio di uno stato. Questo patrimonio 
� infatti la leva principale per l�identit�, non solo italiana, ma europea e uno 
degli obiettivi strategici della Commissione Europea � un asset fondamentale per 
interpretare la competitivit� italiana verso il resto del mondo. Siamo ben consapevoli, 
perci�, che un utilizzo inadeguato del patrimonio culturale pu� comportare 
grandi rischi; un consumo non guidato pu� infatti generare il degrado della risorsa 
stessa. � dunque imprescindibile che la politica di valorizzazione del patrimonio 
vincolato e di interesse pubblico risponda a queste due esigenze: da un lato alla logica 
di conservazione per le generazioni future, dall�altro, che affronti la rilevanza dei 
beni per il territorio e la sua identit� culturale e diventi portatrice di conoscenza e 
di benessere sociale ed economico per la comunit� locale. 

C�� chi pone la questione morale del bene culturale e si scaglia contro ogni 
forma di commercializzazione nell�ambito dei beni e le attivit� culturali, i �mercanti 
nel Tempio�. A costoro ricordiamo che rispetto alla divulgazione necessaria alla 
conoscenza, l�unico limite accettabile � di tipo qualitativo. Tutti vogliamo qualificare 
la fruizione dei beni culturali in Italia, ma nessuno, a meno che non si sostenga 
una concezione elitaria della cultura, pu� sostenere che la limitazione dell�accesso 
rappresenti un valore per la nostra societ�. Noi desideriamo far fruire il nostro 


ATTI DEL CONVEGNO 

patrimonio e gestirlo come vero e proprio bene collettivo. Preservare le risorse non 
significa non usarle, ma usarle bene. 

Il mezzo per ottenere un utilizzo sostenibile delle risorse � quello di considerare 
vincente il circolo virtuoso beni culturali, turismo, commercio, artigianato, enogastronomia, 
occupazione, cultura. I beni culturali attirano il turismo, il turismo fa 
prosperare il commercio, l�artigianato e l�enogastronomia, tutto ci� rid� occupazione 
e quindi ricchezza, che di nuovo crea e investe nella cultura. 

L�unificazione delle competenze del turismo e dei beni culturali sotto un�unica 
responsabilit� ministeriale pu� quindi rispondere alla peculiarit� di una domanda 
turistica nel nostro paese che considera il flusso dei visitatori nei musei e nei parchi 
archeologici una manifestazione importante del dovere di divulgazione culturale di 
questi beni. L�Italia � ancora considerata m�ta privilegiata del turismo internazionale, 
ma versa, in questo momento, in quello che l�economista Marcus Olson ha definito 
�sclerosi istituzionale�, una sorta cio� di indurimento delle arterie organizzative 
culturali. Abbiamo perso competitivit� in un mercato in cui per molti anni abbiamo 
avuto una leadership incontrastata. Nella crisi generale l�unico dato positivo nel 
nostro paese lo ha fornito il segmento del turismo culturale. Le presenze nelle citt� 
d�arte sono cresciute del 94% negli ultimi quindici anni, con un peso sul totale delle 
presenze turistiche di circa il 24%. Ci� significa che un turista su quattro � attratto 
dalla bellezze storico-artistiche e dall�offerta di eventi culturali nelle nostre citt�. Il 
flusso dei turisti indirizzato verso monumenti, musei, mostre, eventi culturali � cresciuto 
negli anni ad un tasso superiore alla media, fino a rappresentare circa il 30% 
della domanda turistica e originare il 36% del fatturato totale pari a 31 miliardi di 
euro nel 2004 con una incidenza pari al 2% sul PIL. 

Con una gestione illuminata del patrimonio culturale viene a crearsi un valore 
aggiunto sia indiretto, misurabile con la crescita educativa dei cittadini, ma soprattutto 
diretto in quanto i flussi dei visitatori generano un indotto economico sul territorio. 
Entrambi le componenti contribuiscono allo sviluppo del benessere di tutta 
la collettivit�, dunque le politiche di valorizzazione devono essere affidabili e sostenibili 
sia dal punto di vista tecnico-scientifico che economico. 

A parit� di garanzia della conservazione dei beni culturali, la loro valorizzazione 
in termini di divulgazione della conoscenza e reddito dell�indotto dipende 
dall�ottimizzazione dell�accesso e dalla propensione alla spesa dei visitatori, confrontata 
con una gestione qualificata, ma ponderata, dal lato dei costi. Questi risultati 
sono normalmente meglio perseguiti con modelli gestionali mutuati dal diritto 
privato e dall�organizzazione aziendale. Lo sforzo di contenimento della spesa 
pubblica produce un vincolo strutturale di scarsit� delle risorse economiche. Le 
politiche di valorizzazione dei beni culturali vanno quindi attuate con il modello 
pi� efficace e pi� efficiente possibile. 

Sempre nel rispetto delle esigenze di tutela, la gestione del patrimonio deve 
tendere a maggiori livelli di autofinanziamento, ottimizzando le fonti di reddito, 
ma soprattutto controllando i costi di esercizio per alleggerire il carico del settore 
pubblico. 

Il coinvolgimento degli operatori privati nella valorizzazione dei beni culturali 
� perci� necessario; bisogna esternalizzare tutte le attivit� non strategiche per far 
fronte alla scarsit� di risorse. Quando si persegue ogni opportunit� di economia � 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

chiaro che l�esternalizzazione deve avvenire quanto pi� possibile nella logica del 
mercato confrontandosi con la concorrenza ed eliminando intermediazioni che rallentano 
i processi e allontanano l�efficienza. Naturalmente, il coinvolgimento dei 
privati non comporta passaggi di titolarit� del patrimonio; � condizionato invece a 
regole precise rispetto alla sua disponibilit�. Inoltre, applicare un modello aziendale 
di diritto privato non implica obbligatoriamente il fine di lucro o l�esercizio di 
attivit� a redditivit� elevata; pu� anzi mostrarsi particolarmente prezioso anche nell�ambito 
di attivit� a basso reddito. Nuove forme di collaborazione tra pubblico e 
privato, ad esempio il project financing, il global service, forniscono occasioni per 
migliorare la sostenibilit� economica del patrimonio, coinvolgendo, a fianco degli 
amministratori pubblici, imprese specializzate nelle forniture dei servizi per la valorizzazione. 
Qualsiasi impresa privata operi in un mercato cos� sensibile deve perci� 
dimostrare un alto e specifico livello professionale e tecnico. La selezione delle 
imprese abilitate ad operare in un settore cos� particolare deve essere affidata, 
secondo noi, ad un organismo centrale del Ministero che attesti la qualit� degli operatori, 
fissando parametri e regole certi. 

Dal punto di vista metodologico, la valutazione comparativa sugli interventi sul 
patrimonio storico, artistico e naturalistico deve interessare il livello amministrativo 
competente per territorio. Questo emerge dalle istanze politiche e dalle conseguenti 
riforme costituzionali come ad esempio il Titolo V. E a questo proposito 
Confcultura riterrebbe utile approfondire con quali innovazioni la normativa del 
project financing pu� essere impiegata nell�ambito dei beni culturali. 

Le considerazioni svolte fin qui ci permettono di definire meglio quali modalit� 
organizzative siano pi� adeguate per la gestione e la valorizzazione dei beni culturali. 
Se in una politica di valorizzazione del patrimonio intervengono soggetti 
competenti in materia di conservazione, politica di sviluppo territoriale e gestione, 
appare illogico che le competenze debbano mantenere una propria chiara identit� 
istituzionale e funzionale e convergere in un�organizzazione di scopo, stabile, ma 
temporanea. Stiamo guardando con attenzione alla creazione di un primo modello 
di collaborazione fra pubblico e privato attraverso una societ� mista per la valorizzazione 
dei beni culturali creata dalla Regione Campania, nella quale il socio privato, 
scelto con procedura di evidenza pubblica, avr� il compito di realizzare i servizi 
e gli interventi finalizzati al miglioramento della fruizione, ma parteciper� anche 
alle decisioni strategiche relative allo sviluppo dell�intera filiera dei beni culturali. 
� un modello ancora da verificare, naturalmente, ma che potrebbe avere, cosa 
importante per il sud, il pregio di indirizzare verso un unico obiettivo di sviluppo 
del territorio, gli investimenti pubblici della Regione e gli investimenti privati dei 
soggetti specializzati. Altri modelli, come le Fondazioni, hanno visto sperimentazioni 
a volte difficoltose, a dimostrazione di applicazioni che hanno bisogno di 
essere su misura. Il consorzio misto, la cui funzionalit� � stata sperimentata nei casi 
dei consorzi di ricerca, ci sembra una delle modalit� pi� interessanti per integrare il 
pubblico con il privato. Il consorzio ha una architettura efficiente, una struttura centrale 
e autonoma che non prevale su quella dei consorziati, i quali, pur apportando 
le proprie specificit�, le realizzano all�interno delle loro realt� aziendali, con evidenti 
vantaggi rispetto, ad esempio, all�impiego delle risorse umane. Il Consorzio, 
come la Fondazione, non prevede il fine di lucro e, pur dotato di un fondo consor



ATTI DEL CONVEGNO 

tile, limita i problemi di tipo patrimoniale. All�interno di un consorzio misto, dedicato 
ad un progetto di valorizzazione, potrebbe trovare espressione il ruolo di ogni 
soggetto. L�amministrazione centrale per la tutela del patrimonio nell�organo di 
controllo, l�amministrazione locale per lo sviluppo territoriale nell�organo assembleare, 
l�operatore privato per la gestione aziendale nell�organo amministrativo. Il 
consorzio misto potrebbe rappresentare quell�organizzazione permanente capace di 
dare stabilit� agli investimenti privati ed � particolarmente adatto alle naturali prerogative 
dei diversi soggetti coinvolti. 

Una simile figura giuridica pu� contenere il modello di funzionamento che pi� 
tiene conto delle diverse esigenze e potrebbe costituire una sorta di �via italiana� al 
trust, a quel modello, cio�, tipicamente anglosassone che appare cos� efficace. 

Il sistema italiano � diverso e nulla deve invidiare agli altri paesi: abbiamo le 
risorse e anche gli strumenti per costruire un modello tutto nostro, un modello, anzi, 
pi� modelli che possano essere d�esempio, che ci facciano recuperare quella posizione 
di rilievo che abbiamo ricoperto per tanto tempo. 

Ogni riflessione sul futuro, anche quello pi� avveniristico, deve partire da una 
comprensione del passato, ma bisogna avere una prospettiva a lungo termine, una 
visione globale che ci permetta di guardare lontano, ad un futuro che � gi� oggi. 

Come hanno scritto in un articolo Giuliano Amato e Carlo de Benedetti �per 
costruire il futuro bisogna prima di tutto vederlo, quel futuro�. Noi lo vediamo. 

FRANCESCO RUTELLI 
Vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attivit� Culturali 


Desidero innanzi tutto ringraziare l�Avvocatura dello Stato, nella persona del 
suo Avvocato Generale, Oscar Fiumara, anche alla luce di una lunga esperienza che 
mi ha permesso a pi� riprese di constatare la qualit� del lavoro e le capacit� di quanti 
operano in questa Istituzione, e il ruolo essenziale che essa svolge nella vita della 
nostra Repubblica. Voglio approfittare, caro Avvocato, anche per ringraziarvi per il 
fatto che alcune tra le figure di maggior rilievo impegnate con spirito di servizio ed 
indipendenza con il nuovo Governo, provengono dai ranghi dell�Avvocatura. 

Vorrei aggiungere un ulteriore ringraziamento riferito all�attualit�: � in corso un 
negoziato extragiudiziale da parte del nostro Ministero con una serie di istituzioni 
culturali, in particolare americane, ma non solo, per la restituzione di alcuni fondamentali 
beni archeologici trafugati dal nostro territorio. Oggi si registra un cambiamento 
di cultura diffusa in questo campo. Ancora negli anni �70, non erano in pochi, 
anche nel nostro paese, a pensare che di fronte alla nostra sostanziale incapacit� di 
preservare il patrimonio, non sarebbe stato troppo grave se, per l�intermediazione di 
qualche trafficante spregiudicato, una parte di quel patrimonio fosse stato accolto in 
qualche grande istituzione culturale internazionale dove lo avrebbero preservato ed 
esposto al pubblico, anzich� forse rimanere trascurato e abbandonato in Patria. 

Da allora abbiamo fatto molti passi avanti e il dibattito tecnico molto serrato 
che � in corso � al quale partecipano il Professor Proietti, i Carabinieri del nucleo 
per la tutela del patrimonio artistico, i tecnici del nostro Ministero � dimostra un 
cambiamento che coinvolge anche l�opinione pubblica dei paesi ricettori. Se oggi il 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Getty Museum pu� accettare di restituire allo Stato italiano alcune opere estremamente 
significative, lo si deve al fatto che � mutato l�approccio dell�opinione pubblica 
americana e questo vale per tanti altri paesi. Un�era � finita, anche perch� da 
noi � cambiata la valutazione dell�importanza della tutela, gi� sancita dall�art. 9 
della Costituzione, ma mai assunta come una priorit� reale della nostra politica 
nazionale. In questi procedimenti, il capo del team di negoziazione � un Avvocato 
dello Stato, tenace, competente e costante nella Sua azione, un altro esempio della 
professionalit� e dell�alta dedizione al servizio pubblico che questa Istituzione sa 
sempre assicurare. Caro Avv. Fiumara, di nuovo per questo La voglio ringraziare e 
attraverso di Lei tutta la struttura dell�Avvocatura. 

In merito alle importanti questioni sollevate dalla Dott.ssa Asproni, vorrei dare 
una risposta sintetica e tuttavia cercare di entrare nella sostanza dei problemi partendo 
da una considerazione fondamentale: abbiamo bisogno di investire pi� risorse pubbliche 
nella cultura. Se prescindiamo da questo presupposto rischiamo di mancare i 
nostri obiettivi e di illudere una parte dei nostri interlocutori, perch� anche quando ci 
riferiamo alle istituzioni pubblico-private pi� efficienti del mondo nel campo della 
cultura, e si discute della quota che queste istituzioni sono in grado di raccogliere 
attraverso il finanziamento privato, non � mai in discussione il fatto che la quota prevalente 
sar� sempre pubblica, e minoritario il pur fondamentale concorso dei privati. 

Per spiegare questo faccio un esempio pratico: una settimana fa abbiamo avuto 
l�immensa soddisfazione di trovare nell�area del Parco di Veio una tomba etrusca 
dell�inizio del VII sec. a.C., un ritrovamento straordinario perch� si tratterebbe della 
pi� antica pittura murale finora scoperta in Occidente. � interessante rilevare che la 
grande parte dei giornalisti che sono venuti a visitare il sito hanno chiesto ai responsabili 
pubblici come pensassero di gestirlo e quando l�avrebbero aperto e reso fruibile 
al pubblico. Si tratta di un messaggio fondamentale, che vale per l�archeologia, 
ma naturalmente anche per l�arte, antica e contemporanea, per la musica, e tanto pi� 
per la lirica, per il teatro, per la danza: pi� cresce la consapevolezza del pubblico, 
pi� si amplia il patrimonio, pi� occorrono risorse pubbliche per la responsabilit� di 
tutelarlo. Oggi, per questo compito, in parte ci vengono in aiuto le nuove tecnologie, 
ma comunque dobbiamo far fronte ad oneri sempre crescenti. 

La base del ragionamento poggia sulla necessit� di creare consapevolezza tra i 
nostri concittadini sull�importanza di aumentare le risorse della comunit� destinate 
alla tutela di questo patrimonio. E sotto questo profilo, il settennato di Presidenza 
della Repubblica di Ciampi, e sono certo che altrettanto avverr� con Giorgio 
Napolitano, ha dato al nostro Paese un contributo decisivo, facendo capire agli italiani 
che l�identit� nazionale e il senso della Patria sono connessi a molti fattori, tra 
i quali in misura determinante c�� la consapevolezza della qualit�, della ricchezza e 
dell�inscindibilit� tra il nostro patrimonio culturale e il destino nazionale. Si tratta di 
una missione nazionale. 

Fortunatamente, dice la D.ssa Asproni, qualcosa di nuovo sta avvenendo. Fatta 
questa premessa imprescindibile, infatti, noi possiamo attivare strumenti decisamente 
innovativi, per associare agli investimenti pubblici nella cultura, che comunque 
devono aumentare, strumenti di partecipazione nella gestione da parte di privati 
che consentano di migliorare l�efficienza della prestazione dei servizi resi e permettano 
di accrescere le risorse disponibili. 


ATTI DEL CONVEGNO 

Da questo punto di vista sono lieto di informarvi che abbiamo concordato con 
il Ministro dell�Economia Padoa Schioppa la costituzione di una alta commissione 
che si occuper� dei rapporti tra cultura ed economia, con l�obiettivo di intervenire 
in tempi rapidi su quelle parti della nostra legislazione che sono evidentemente inadeguate 
ancorch� ispirate da ottima volont�: mi riferisco ad incentivi e defiscalizzazioni 
a favore della cultura. Per il nostro governo si tratta di un impegno di legislatura. 


Le imprese che fanno parte della vostra associazione, rimandano il principio 
della propria esperienza nel settore alla legge Ronchey. Mai potremo ringraziare 
abbastanza Alberto Ronchey per lo sforzo iniziale compiuto sui cosiddetti servizi 
aggiuntivi. Il tempo ci ha fatto comprendere che quell�aggettivo probabilmente � 
superato: infatti, quei servizi dei quali dobbiamo dotarci non sono pi� aggiuntivi, 
ma sono parte costitutiva della fruizione che � necessariamente connessa alla tutela 
del nostro patrimonio. 

Quindi, ben vengano tutte le innovazioni che ci consentano di migliorare gli 
strumenti di regolazione. Un elemento fondamentale � la fiscalit� e su questo dovr� 
lavorare in particolare la commissione comune con il Ministro dell�Economia. � 
chiaro che la legge approvata nel 2000, che definisce procedure che permettano sia 
alle persone fisiche sia alle imprese di detrarre una parte di quello che versano allo 
Stato a vantaggio di iniziative per la cultura, � stata utile ma non funziona adeguatamente 
e va rivista. 

Dobbiamo anche rivedere le procedure, intervenendo per incentivare le esperienze 
veramente importanti degli ultimi anni: penso alle aziende pubbliche nate 
con un approccio pi� attento alla gestione dei servizi � come � avvenuto a Roma, a 
partire dai Musei Capitolini �; penso alle Fondazioni, per le quali la legislazione � 
insufficiente per attirare risorse, non garantendo adeguate incentivazioni ai privati; 
penso alle istituzioni di gestione. 

E qui � in campo la necessit� di migliorare la nostra capacit� di avvalerci di 
partnership private per la gestione dei beni culturali, tenendo salda l�assoluta certezza 
riguardante la tutela, l�assoluta indisponibilit� all�alienazione dei nostri beni. 

Voglio concludere con una considerazione riguardante il turismo. Penso che 
anche qui si debba trasmettere un messaggio culturale e, anche se ci vorr� del 
tempo, sono convinto che ci riusciremo. � vero, come ricordava la Dott.ssa Asproni, 
che tra i diversi segmenti del turismo in Italia l�unico che � venuto crescendo in 
maniera sostenuta e costante � il cosiddetto turismo culturale. Tuttavia, noi dobbiamo 
anche avere la consapevolezza precisa che in Italia tutti i tipi di turismo sono 
fortemente legati seppure indirettamente alla dimensione culturale. Non si pu� dire 
che le sia estraneo, ad esempio, il turismo religioso, poich� si tratta di visite che 
hanno una motivazione spirituale, ma che si realizzano praticamente sempre in luoghi 
d�arte. 

Anche il segmento pi� popolare del turismo nazionale, quello balneare, che 
occupa oggi in termini di presenze circa il 57%, � in misura crescente condizionato 
dal legame con il turismo culturale. Infatti, gli operatori hanno cominciato ad integrare 
l�offerta classica � spiaggia, ombrellone e discoteca � con la riscoperta dell�entroterra, 
delle meraviglie storiche, paesaggistiche ed ambientali, degli itinerari 
enogastronomici. Anche nei segmenti tradizionalmente considerati pi� lontani dalla 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

vocazione culturale come il turismo d�affari e congressuale, si possono trovare virtuose 
sinergie. 

Io credo che le grandi associazioni di categoria o professionali, nel momento in 
cui trovassero un sistema organizzato di accoglienza, che purtroppo ancora non c��, 
preferirebbero venire in Italia piuttosto che in un altro Paese che non abbia le stesse 
attrattive culturali e paesaggistiche. Tanto pi� se ci fosse chi organizza per loro, 
nel corso del convegno al quale partecipano, una cena in un meraviglioso luogo di 
cultura, o una visita in un museo, o una conferenza in cui si raccontino gli incanti 
della cultura italiana. 

Con questo torno a ribadire la nostra priorit�: dare pi� risorse pubbliche alla 
cultura e migliorare l�efficienza dei servizi. Si tratta di un bene immateriale impagabile 
per l�identit� e la cultura nazionale. Ma questo sforzo ci ripaga anche in termini 
di credibilit� internazionale, di risultati economici, di occupazione e anche di 
crescita di un nuovo sistema imprenditoriale. All�estero � molto richiesta la qualit� 
dei nostri tecnici e scienziati, il nostro know how, la professionalit� che viene dalle 
istituzioni pubbliche, come l�Istituto Centrale del Restauro o l�Opificio delle Pietre 
Dure, ma anche dalle nostre imprese, che ormai sono in grado di guidare a livello 
internazionale operazioni di primaria grandezza. 

Quindi, nel rinnovare il sincero ringraziamento a voi per l�iniziativa di oggi, 
vorrei ribadire che abbiamo davanti un enorme lavoro da fare, e qui con noi ci sono 
molte persone gi� fortemente impegnate in questo compito. La Sottosegretaria 
Mazzonis, che avr� la responsabilit� di seguire in particolare il settore dei beni culturali, 
una donna di grande preparazione culturale e di grande esperienza; validissimi 
dirigenti del nostro Ministero, Capi dipartimento, Direttori, Sovrintendenti; il 
Prof. Settis che, ancorch� non formalmente insediato, guider� il nuovo Consiglio 
Superiore dei Beni Culturali dall�alto della sua ricca esperienza e grande competenza 
scientifica. 

Tutta questa squadra � a vostra disposizione e al vostro servizio. � innanzitutto 
al servizio del Paese e della crescita di professionalit�, di affidabilit�, di seriet� e 
creazione di un migliore rapporto tra esigenze e risultati che dobbiamo ai nostri concittadini 
nel campo della cultura. 

Caro Avvocato e carissime amiche ed amici, sono sicuro che di questa sensibilit� 
� portatore il Presidente del Consiglio, con l�intera compagine di governo. Tutti 
insieme lavoreremo con grande determinazione in questa direzione. 

SALVATORE SETTIS 
Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa 


Vorrei innanzitutto ringraziare il Ministro per aver preannunciato questa nomina 
cos� prestigiosa e cos� preoccupante; e vorrei solo dire che cercher� di meritare la sua 
fiducia. Vorrei anche ringraziare gli organizzatori di questa giornata per avermi dato 
l�occasione di parlare in questo contesto e di offrire qualche riflessione sui problemi 
del patrimonio culturale fra pubblico e privato. 

Un tema questo che mi pare, nel dibattito culturale di questi anni in Italia, sia 
stato origine come pochi altri di fraintendimenti, equivoci e mitologie. Un osserva



ATTI DEL CONVEGNO 

tore esterno, per esempio uno straniero paracadutato in Italia da non so dove, 
potrebbe avere l�impressione che si contrappongano da noi rigidamente due concezioni 
nemiche: la prima, che si presenta come quella tradizionale, vorrebbe che 
il patrimonio culturale debba essere di competenza esclusivamente pubblica, mentre 
ogni intromissione del privato sarebbe una profanazione; l�altra concezione, 
inscenata di solito come quella �moderna� (parola il cui significato andrebbe ogni 
volta chiarito), pretende viceversa che � finito, anche per mancanza di soldi, il 
tempo in cui lo Stato si occupava del patrimonio culturale, l�amministrazione pubblica 
del settore fa acqua da tutte le parti, sarebbe meglio chiudere, � stato scritto, 
piuttosto che cercare di rilanciarla, la sola salvezza pu� venire da un massiccio 
ingresso dei privati nell�arena. Il Ministro Rutelli ci ha appena dato un importante 
messaggio in direzione diametralmente opposta a questa, messaggio che si congiunge 
a quello che abbiamo avuto dal Presidente del Consiglio Prodi il quale, 
rispondendo ad un appello del FAI con un articolo sul Corriere della Sera prima 
delle elezioni, ha impegnato il proprio governo, in caso di vittoria nelle elezioni, a 
portare velocemente i finanziamenti del settore ai livelli del 2001 prima e poi gradualmente 
all�1% del PIL. 

Ora, pi� Stato o pi� privato? In questi termini, a me pare, la domanda non ha 
senso, o piuttosto non appartiene ad un grande dibattito politico, ma alla cronaca 
spicciola di questi anni difficili che abbiamo attraversato. Anni in cui si � registrato 
un lento ma inesorabile arretrare della macchina pubblica della tutela, un 
crescente conflitto di competenze e di attribuzioni fra Stato, Regioni ed Enti 
Locali conseguenti all�infelicissima modifica del Titolo V della Costituzione, un 
preoccupante calo delle risorse investite nel settore, la costante diminuzione dei 
funzionari tecnico-scientifici a fronte di un turn over pressoch� inesistente. 
Questo processo di decadimento secondo alcuni � fatale e irreversibile. Secondo 
me no. Ma � questa idea della sua irreversibilit� che ha innescato idee e proposte 
di varia natura. Ne ricordo due: secondo una, dovremmo �chiudere�, almeno su 
questo fronte, lo Stato passando tutto alle Regioni; secondo l�altra, invece, si 
dovrebbe privatizzare. Due formule magiche entrambe fallaci. Questo dibattito, 
per�, ha avuto il vantaggio di attirare l�attenzione su una questione centrale per 
il futuro del nostro Paese e pi� in generale per l�Europa, una questione che � stata 
gi� richiamata da Louis Godart e poi dal Ministro, la centralit� del patrimonio 
culturale nel definire le identit� locali, nazionali e sopranazionali, e di conseguenza 
la necessit� di precisare il ruolo e le forme di gestione che � poi il tema 
di oggi. 

Da dove nasce questa mitologia della privatizzazione ad ogni costo, della privatizzazione 
senza una riflessione previa? Io credo che questa parola d�ordine nasca da 
una triplice spinta: la tendenza ad alleggerire la spesa pubblica e lo Stato generatasi 
nell�era Tatcher-Reagan e accentuatasi dopo il crollo dei regimi socialisti, la privatizzazione 
dei servizi pubblici in alcuni paesi, con conseguenze non sempre felici; 
infine, la crescente coscienza delle dimensioni straordinariamente grandi del nostro 
patrimonio culturale che � stata gi� richiamata, e dunque la difficolt� conseguente di 
reperire le risorse. 

A questi dati di fondo si � aggiunto un dato minore, quasi di cronaca spicciola, 
e cio� un�immagine grossolana dei musei americani, considerati attivi e dina



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

mici in quanto privati. Donde la deduzione che privatizzare i nostri musei sia la 
strada giusta per risolvere il problema, il toccasana, generando d�incanto le risorse 
necessarie e alleviando la spesa pubblica. Questo naturalmente � assolutamente 
falso e non mi intrattengo qui molto su questo, vi dir� soltanto, e tra poco entrer� 
leggermente pi� nel merito, che non c�� nessun museo americano, che abbia 
degli introiti che coprano pi� del 15% circa dei propri costi di esercizio. Il Getty, 
citato poco fa, arriva a circa il 10% dei costi di esercizio, il resto lo copre con 
fondi propri, con gli enormi fondi lasciati da J. Paul Getty tanto tempo fa. Ora, 
questo banale economicismo, brutale ma anche superficiale, quindi facilmente 
battibile, si � esercitato in due campi principali. Uno riguarda la gestione dei 
musei, l�altro riguarda la gestione del patrimonio. Vorrei toccare brevemente questi 
due punti. 

� vero, i musei americani sono mediamente pi� dinamici di quelli italiani. � 
perch� sono privati? E in che senso sono privati? Alla seconda domanda risponder� 
tra un momento. Io credo che questo dinamismo dipenda dalla maggiore 
disponibilit� di fondi e dalla totale autonomia dei musei. I musei americani gestiscono 
fondi propri. I fondi sono generati dagli assets dei musei, costituiti a loro 
volta mediante finanziamenti anche da parte di enti pubblici, molto superiori a 
quello che la vulgata italiana ritiene, e mediante le donazioni a fondo perduto dei 
privati (da analizzare come il Ministro Rutelli ha gi� accennato), in parte da un 
enorme rispetto per la professionalit� degli operatori, da una grande competitivit� 
dei musei americani nel cercare operatori di altissimo livello, senza mai fare 
assunzioni ope legis, come vuole un certo malcostume italiano. Il museo americano, 
gestito come un�azienda, e pertanto produttore del reddito necessario a 
sostentarne le spese di gestione, semplicemente non esiste. Il museo americano � 
un�entit� culturale a finanziamento misto, pubblico-privato. Per un problema 
vero, cio� dinamizzare i nostri musei mediante il reperimento di nuove risorse, si 
� indicata una soluzione confusa, tecnicamente erronea e totalmente impraticabile. 
Eppure, si continua a ragionare cos�. Cito l�ultimo preoccupante episodio in 
questa sceneggiata, una sceneggiata del novembre 2005, il cui nobile quadro era 
Palazzo Chigi, �quel� Palazzo Chigi, non quello di oggi, in cui, in Consiglio dei 
Ministri fu distribuito dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni 
Letta un documento prodotto dagli uffici della Presidenza del Consiglio secondo 
cui, cito, �la realt� dello sfruttamento del bene culturale si inquadra a pieno titolo 
nell�economia d�impresa, in particolare stiamo parlando di un�impresa del settore 
tempo libero-turismo culturale�. La citazione continua �la gestione dei beni 
culturali va improntata a logiche imprenditoriali che producano reddito attraverso 
una impresa ad hoc, proprio perch� il reddito deve sostenere la conservazione 
e la fruizione�. �Lo sfruttamento del bene pubblico risponde alle logiche del mercato 
e collima sua sponte con le esigenze della fruizione e della conservazione 
poich� il bene � esso stesso il fattore di produzione dell�impresa�; ergo, i musei 
che non producono reddito non servono, si chiudono, cio� si chiudono tutti, salvo 
il Colosseo, che essendo l�unico in attivo resta l�unico aperto. Questo documento 
� stato distribuito a tutti i ministri del passato governo, ed � stato successivamente, 
per fortuna ritirato. Ma � stato scritto e diffuso, e lo richiamo per il rischio che 
comporta. 


ATTI DEL CONVEGNO 

Il secondo punto � il fronte del patrimonio immobiliare pubblico. Che il patrimonio 
pubblico di propriet� statale, ma in generale delle Regioni, dei Comuni, 
delle Province sia assolutamente ingestibile data la sua enormit� � un dato a tutti 
noto. Come risolvere questo problema, come arrivare ad una migliore gestione, � 
viceversa controverso. Ci sono stati vari tentativi, (non ne faccio qui una storia, 
ci sono persone che potrebbero farla molto meglio di me in questa sala e forse la 
faranno), ma vorrei solo ricordare telegraficamente alcune tappe: il tentativo 
Tremonti di lanciare la Patrimonio S.p.a. che secondo il giudizio, che in questa 
sede ricordo volentieri, di un grande giurista come Giorgio Oppo, fu un esempio 
clamoroso, sto citando, �della mancanza di fantasia e impegno del legislatore nell�ideare 
specifici modelli di una gestione agile e produttiva di interessi economici 
pubblici�. Qual era l�idea? Il patrimonio immobiliare in mani pubbliche � 
molto grande anche per via del combinato disposto della legge 1089/39 e del 
Codice Civile, che rende ipso facto parte del patrimonio culturale ogni immobile 
che ha pi� di 50 anni: chiaramente il patrimonio immobiliare pubblico ha finito 
con l�assumere una dimensione che non pu� reggere, e potrebbe essere logico 
individuare una parte, che sarebbe molto grossa, di patrimonio immobiliare pubblico 
che si pu� ragionevolmente dismettere, quello senza valore culturale. La 
Patrimonio S.p.a. anzich� seguire questa strada segu� quella opposta, cio� di rendere 
dismissibile in linea di principio tutto, ma proprio tutto, compreso il Monte 
Bianco, le intere coste italiane, tutti i monumenti. Questo ha comportato momenti 
di grave rischio, ci fu perfino un momento in cui le bozze del nuovo Codice dei 
beni culturali comportavano una riduzione molto drastica della definizione di 
bene culturale, cio� non pi� cose che presentano �interesse artistico, storico, 
archeologico� ecc., come la legge del �39 e il T.U. del �99, bens� cose che presentano 
�interesse artistico, storico, archeologico particolarmente importante�. 
Come sa benissimo Louis Godart, che ha combattuto con me questa battaglia, ad 
un certo punto il Ministro Urbani si � convinto a tornare alla formulazione della 
legge del 1939 e del T.U del 1999. 

Ora, questo discorso va richiamato non perch� � un discorso del passato, ma perch� 
tentazioni di questo tipo continuano a serpeggiare. Un giurista molto illustre, 
Giuseppe Guarino, ha lanciato il 26 ottobre dello scorso anno e ripreso all�Accademia 
dei Lincei qualche giorno fa un�idea molto simile a quella della Patrimonio S.p.a. 
Guarino ha osservato che le enormi dimensioni del debito pubblico in Italia sono tali 
da far temere una crisi irreversibile e ha proposto di risolvere il problema monetizzando 
la propriet� pubblica ivi compresi, cito da Guarino, �i beni immobili di interesse 
storico, archeologico e artistico che sono giuridicamente inalienabili. Per immettere 
sul mercato tali beni � continua Guarino, che � un nome che tutti conoscono in questa 
sala, un nome illustre � , cio� i beni storici archeologici e artistici, bisogna fornirli 
di un reddito e insieme abrogare, con atto avente forza di legge, il vincolo della inalienabilit��. 
Cos� Giuseppe Guarino: prova evidente, la sua proposta, che il pericolo 
di alienare il patrimonio culturale pubblico sia sempre vivo. Personalmente ritengo 
che nello scrivere queste cose Giuseppe Guarino abbia avuto un momento di distrazione, 
dimenticando l�art. 9 della Costituzione. Ma noi non dobbiamo dimenticarlo: 
perci� questo rischio va ricordato, anche perch� voci di questo genere, ahim�, non 
sono limitate al centro-destra, ma ci sono anche tra forze del centro-sinistra. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Ma qual � il futuro che dobbiamo augurarci rispetto al quadro di questi anni 
passati, cos� caratterizzato da improvvisazioni, da approssimazioni, da cose inventate 
all�ultimo momento, da musei che dovrebbero diventare redditizi perch� copiano 
gli americani, da leggi che si fanno ignorando la Costituzione? Se pensiamo al 
ruolo dei privati, io credo che sia giusto ricordare che i privati possono avere, hanno 
di fatto, un ruolo importante nella gestione di moltissima parte del nostro patrimonio. 
Per fortuna una parte estremamente rilevante del nostro patrimonio, e non parlo 
solo di palazzi, parlo anche di importanti collezioni, basta citare la Galleria Doria 
Pamphili, sono e restano e devono restare in mani private. L�idea invece che il patrimonio 
culturale dello Stato sia cos� eccessivo che bisogna immediatamente darlo 
via � un�idea che non mi convince, ma purtroppo l�ho ritrovata nell�editoriale del 
Giornale dell�arte di giugno, a firma dell�ambasciatore Sergio Romano. Egli scrive 
che dovremmo conciliare le virt� della gestione pubblica e i meriti della valorizzazione 
privata con concessioni o dismissioni, e poi naturalmente soggiunge, essendo 
persona colta, che queste concessioni o dismissioni dovrebbero essere subordinate 
alla stipula di una convenzione molto rigorosa estesa e puntuale sugli obblighi del 
concessionario o del compratore del bene culturale pubblico. Questa � una sua opinione 
che io non condivido ma cito soltanto; mi preme per� sottolineare la conclusione 
di questo articolo: secondo Sergio Romano, per poter far funzionare il sistema 
da lui ipotizzato, occorrerebbe �un corpo ispettivo di cui il Ministero dei Beni 
Culturali non sembra disporre�. Affermazione davvero stupefacente. Ma allora non 
ci sono pi� le Sovrintendenze? Sono state abolite? Io non l�ho letto sui giornali. 
Bisogna inventare un corpo ispettivo dei Beni Culturali? C�� da trasecolare! Ecco, io 
penso, un Paese che sta dimenticando la gloriosa istituzione delle Sovrintendenze � 
un Paese che muore! Io vorrei che il nostro Paese non morisse. Perch� questo Paese 
non muoia non deve inventare nuove forze ispettive, basta che sappia far funzionare 
quelle che ci sono gi�. 

Un altro degli equivoci a cui vorrei accennare � la donazione di fondi privati. Le 
donazioni di fondi privati sono molto importanti, in particolare � importante il lavoro 
che fanno alcune Fondazioni bancarie, nel nostro Paese. Tuttavia vorrei richiamare un 
dato molto preoccupante. Se andiamo a guardare nel dettaglio, le erogazioni liberali 
di fondazioni private sui beni culturali hanno questa distribuzione: 70% nelle regioni 
del nord, 5% nelle regioni del sud e il resto al centro. Vi sembra una distribuzione 
equilibrata? Pu� veramente bilanciare l�eventuale assenza o carenza di fondi pubblici? 
A me pare di no. 

Bisogna inoltre lavorare, credo, anche sul tema delle donazioni individuali, altro 
grande equivoco diffuso in Italia quando si cita il modello americano. Il Ministro 
Rutelli sa benissimo queste cose, le ha gi� accennate, mi permetter� solo di specificare 
con qualche cifra che supporta il discorso che il Ministro ci ha appena fatto. Negli 
Stati Uniti, si dice spesso, ci sono molti donatori privati; lo Stato non c��, tutto � privato�
ma questa immagine � completamente falsa. Negli Stati Uniti la situazione � la 
seguente: per quel che riguarda le contribuzioni ai progetti culturali, ai musei ecc., gli 
Enti Pubblici (gli Stati, le Contee, le citt�) danno delle cifre intorno al 10% mediamente 
in modo diretto, e altri contributi mediante servizi. I contributi dei privati sono 
intorno al 50%, e poi ci sono contributi di aziende. Questi contributi di privati non 
sono, come vorrebbe la mitologia italiana, gli assegni di Paperon de� Paperoni, non 


ATTI DEL CONVEGNO 

sono gli assegni da 1 milione di dollari, da 10 milioni di dollari, sono in prevalenza le 
piccole donazioni del comune cittadino. Le donazioni del cittadino comune costituiscono 
negli Stati Uniti il 73% del totale delle donazioni private, a fronte del 2,2% in 
Italia. Mi pare che ci sia una certa distanza. Ma perch� c�� questa distanza? C�� perch� 
le donazioni americane sono collegate a un efficiente sistema di defiscalizzazioni, 
e le nostre no. Ci abbiamo provato, male, e non ci siamo riusciti. Perci� la notizia 
che il Ministro Rutelli ci ha dato, di una commissione concordata con il Ministro 
Padoa Schioppa al fine di studiare un opportuna fiscalit� di vantaggio per chi faccia 
donazioni ai musei (ma anche agli istituti di ricerca e d�istruzione, ai teatri eccetera) 
� una notizia straordinaria; sar� ancora pi� straordinaria, voglio augurarmi, se e quando 
se ne vedranno i risultati, ma pensare in questi termini � gi� molto importante. 
Senza dimenticare che la vera ragione per cui in America c�� un buon sistema di vantaggi 
fiscali per chi dona e in Italia no � che in America l�evasione fiscale � molto 
ridotta e severamente punita, cosa che non pu� certo dirsi dell�Italia. Chiediamoci 
dunque: � meglio proteggere l�evasione fiscale (e dunque rendere impossibile ogni 
minor introito al Fisco in conseguenza di donazioni), oppure incoraggiare i cittadini a 
donare per cultura e ricerca? Perch�, mentre si favoleggia di un �modello americano� 
quando si parla di privatizzare i musei, non si vuol seguire il semplicissimo modello 
americano in materia di fiscalit� di vantaggio? In America, lo Stato finanzia la cultura 
(teatri, musei, universit�, ricerca) non solo mediante contributi diretti, ma anche 
indirettamente, e cio� offrendo sensibili sgravi fiscali ai cittadini che sono disposti a 
fare donazioni: in Italia sapremo fare altrettanto? 

Vorrei poi citare alcuni altri temi, molto velocemente e per concludere: per 
esempio l�ipotesi delle Fondazioni Museali, e qui non entrer� nel merito; o ancora 
i �servizi aggiuntivi� , almeno per dire che anche a me l�aggettivo �aggiuntivi� d� 
fastidio perch� chiamiamo �aggiuntivo� in Italia qualcosa che si d� in esterno come 
se i musei non potessero farlo direttamente, il che spesso non � vero: per esempio, 
nessun museo americano si sognerebbe di dare all�esterno i servizi didattici sulle 
proprie collezioni, che sono anzi considerati parte essenziale del core business di 
ogni singolo museo. Anche su questi fronti, constatiamo con preoccupazione che 
l�intervento del privato � stato troppo spesso concepito in Italia non in sussidio di 
quello pubblico, ma invece in sostituzione o in supplenza di un�amministrazione 
pubblica in ritirata. La ritirata dello Stato in questo settore della Pubblica 
Amministrazione si manifesta nel modo pi� chiaro con l�invecchiamento del personale, 
l�assoluta mancanza di nuove assunzioni negli ultimi 5 anni, l�et� media del 
personale vicina ai 55 anni oggi. 

Non mi intrattengo su questi punti, vorrei per� ricordare che quando diciamo 
che il patrimonio culturale � intrinseco al carattere nazionale, come il Ministro ci ha 
ricordato citando le parole del Presidente della Repubblica Ciampi, che lo ha ricordato 
tante volte, tocchiamo un tema che non si riferisce soltanto a valori ideali, ma 
anzi comporta ricadute economiche e sociali di straordinaria importanza. La grande 
redditivit� del patrimonio culturale non � negli introiti diretti, anche se dovessimo 
aumentare il costo dei biglietti come diceva qualche Ministro della passata 
legislatura, e neppure nell�indotto derivante dal turismo, anche se l�una e l�altra 
cosa sono importanti. La pi� grande ricchezza dell�Italia � il continuum tra tessuto 
urbano e museo, tra case e monumenti, tra citt� e campagna, tra ambiente e paesag



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

gio, che incide sulla qualit� della vita e dunque in modo diretto e profondo anche 
sulla produttivit� ed economicit� non dei musei, bens� della societ� nel suo insieme: 
� quello che gli economisti e i sociologi dell�economia pi� avvertiti, e cito 
per tutti Amartya Sen, stanno predicando da anni. Quello che una societ� come la 
nostra sapr� e vorr� fare in questo campo potr� essere uno straordinario e centrale 
banco di prova per il nostro futuro. Dobbiamo vincere, io credo, il superficiale 
economicismo che svendendo la sostanza profondamente civica dei beni culturali 
ha prodotto una crescente usura dei valori simbolici che li permeano e che 
cementano la societ�, incrementando la sua capacit� di rinnovarsi e di vincere le 
sfide del futuro. Bisogna ridisegnare il ruolo del pubblico e del privato in una crescita 
armonica ispirata a una sola fonte: l�art. 9 della Costituzione, giustamente 
richiamata poco fa dal Ministro. La capacit� propositiva e progettuale dei privati 
deve potersi affiancare alla professionalit� delle strutture pubbliche della tutela, 
che vanno per� urgentissimamente rinnovate mediante l�iniezione di nuovo personale 
giovane e di alta qualificazione. Occorre stringere un grande patto nazionale 
per la tutela che includa Stato, Regioni, Enti Locali, privati e che parta non 
dalla suddivisione dei ruoli n� dalla spartizione delle torte, ma dalle esigenze vitali 
ineludibili del nostro patrimonio. 

Insomma, la domanda dalla quale ero partito, �pi� Stato o pi� privato?�, ha una 
sola possibile risposta: ci vuole molto pi� Stato, e uno Stato che funzioni perch� ci 
possa essere, e io lo spero, pi� privato. 

STEFANO BAIA CURIONI 
Direttore del centro ASK, Universit� Luigi Bocconi e della Fondazione ERGA (Universit� 
Luigi Bocconi e Scuola Normale Superiore di Pisa) 


Una domanda sulle Autonomie: note su una possibile politica industriale del 
patrimonio culturale 

Vorrei in primo luogo ringraziare la Professoressa Asproni per avermi chiesto 
di partecipare a questo autorevole convegno. 

L�Universit� Bocconi � solo apparentemente un nuovo attore nel mondo del 
patrimonio culturale. Diversi ricercatori e docenti della facolt� hanno, infatti, spontaneamente 
avviato, fin dai primi anni Novanta, percorsi di approfondimento in 
questo ambito; in seguito, dal 1999, l�istituzione del corso quadriennale di 
Economia per l�Arte la Cultura e la Comunicazione ha rilanciato questi interessi, 
che sono poi stati sistematizzati sul piano della ricerca dalla recente creazione del 
centro di ricerca ASK (Art, Science Knowledge) dedicato all�economia del patrimonio 
e della fondazione ERGA allo stesso scopo istituita in collaborazione con la 
Scuola Normale Superiore di Pisa e l�Avvocato Paolo Fresco. 

La testimonianza che vorrei portarvi nasce quindi da una pratica di �campo�, 
da un percorso induttivo, ma anche da un duraturo confronto tra diverse discipline, 
che dura ancora oggi e che costituisce una sorta di basso continuo per i percorsi di 
ricerca individuali all�interno della nostra facolt�. 

Vi � un obiettivo comune nell�ambito dell�heritage e delle istituzioni ad esso 
preposte, che si va delineando in modo sempre pi� netto: dopo anni di drammatici 


ATTI DEL CONVEGNO 

squilibri, a cui si � fatto pi� volte cenno negli interventi che mi hanno preceduto, 
esiste la necessit� prospettica di ristabilire un equilibrio virtuoso tra la presenza del 
patrimonio artistico e culturale � materiale e immateriale � e i processi di sviluppo 
economico, sociale e culturale del nostro paese. In apparenza si tratta di un obiettivo 
ovvio e largamente condiviso. In realt� � importante rielaborarlo e trasformarlo 
fino al punto di tradurlo in un insieme di azioni pratiche, comprensibili, realizzabili 
� diciamo in un disegno di politica culturale � attorno a cui confrontare le effettive 
possibilit� di intervento. 

Diverse sono le unit� logiche cui far riferimento per operare questa concretizzazione. 


La prima � data dalla centralit� dei �territori� e, in riferimento all�articolata 
connessione tra patrimonio culturale e territorio, la possibilit� di impostare i modelli 
di sviluppo urbano, logistico ed infrastrutturale lungo coordinate che tengano 
conto del patrimonio e delle sue potenzialit� simboliche, identitarie, direttamente 
produttive e turistiche. 

La seconda riguarda lo spostamento del focus da strategie prevalentemente promozionali, 
orientate a competere in modo indifferenziato al mercato del turismo e 
del tempo libero, di norma finalizzate a sostenere accessi di massa ai territori e alle 
citt�, al sostegno di una conoscenza pi� intima e per cos� dire �virale� del patrimonio 
storico e culturale, nelle sue diverse dimensioni, materiale ed immateriale capace 
di alimentare grazie alla mobilitazione degli attori rilevanti nei territori, una vera 
e propria �politica economica-industriale� della cultura. 

La terza riguarda il passaggio da prospettive di breve termine a quadri impostativi 
e analitici orientati al medio lungo periodo, nonch� da un dimensionamento 
locale degli investimenti ad una scelta pi� strategica e tematicamente concentrata 
nell�allocazione delle risorse. 

Ora, nella misura in cui questi termini possono suonare provocatori ed essere 
fraintesi, ritengo opportuno soffermarmi sul significato metaforico del termine 
�industriale� (che per altro rimanda ad una cultura della pianificazione in buona 
parte coerente con la tradizione italiana della conservazione come ben mostrato 
dalla recente ripresa delle note programmatiche di Giovanni Urbani). 

Questa metafora si riferisce ad una costellazione di valori e di riferimenti concettuali, 
ciascuno dei quali �, di norma, largamente condiviso, ma pi� raramente considerato 
come parte di un insieme e come fonte di una serie di vincoli pratici e politici. 

Il primo tra essi � rappresentato dalla convinzione che il patrimonio culturale 
debba essere considerato come una struttura della convivenza. � un errore 
immaginare che esso possa essere efficacemente trattato come un elemento sovra 
strutturale e sostituibile, come un insieme di merci nel mercato del tempo libero 
e della piacevolezza. In senso polaniano potremmo suggerire che il patrimonio 
sia irriducibile ad una dimensione meramente mercantile (anche se, come ogni 
ente oggettivabile, non pu� essere immune dalla mercificazione). Si tratta piuttosto 
di concepirlo come una presenza essenziale, che risponde al registro della 
necessit�; non solo in quanto memoria e flusso di reinterpretazione del passato, 
ma in quanto capitale simbolico che letteralmente circonda e �qualifica� i processi 
di sviluppo socioeconomico, i quali, in quanto edificatori di civilt�, sono 
chiamati proprio a produrre patrimonio culturale e ad essere storicamente misu



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

rati nella sua prospettiva. Il patrimonio come insieme di oggetti, di memorie, di 
simboli, spazi, rimandi, � insomma l�ordito necessario (e non l�antitesi) della 
modernit�, anche economica e imprenditoriale, che � lecito attendersi. 

Questo non significa ovviamente garantire la salvezza di ogni cosa del passato 
dall�oblio o dalla consunzione, ma problematizzarne la presenza, anche estendendo 
la nozione di patrimonio, nelle sue componenti materiali e immateriali, al processo 
di patrimonializzazione. In questa prospettiva le istituzioni di gestione del patrimonio 
si trovano esplicitamente confrontate con il compito di assumere responsabilit� 
nei confronti del flusso di permanente creazione e crescita del patrimonio fisico e 
immateriale, ovvero ad assumere maggiori responsabilit� educative, con la conseguenza 
di veder rafforzati i propri compiti di progettazione culturale. 

Il secondo punto direttamente discendente da questa prima osservazione e oggi 
unanimemente condiviso, consiste nell�inscindibilit� di tutela e valorizzazione 
scientifica. Un rafforzamento che va nella direzione di una crescente e condivisa 
responsabilit� nei confronti dei processi di divulgazione, di comunicazione, di progettazione 
culturale. Si tratta di un punto oggettivamente molto delicato su cui non 
vi � condivisione. � piuttosto evidente, infatti, che, avendo in mente l�intero processo 
collettivo di �costruzione � del patrimonio artistico e culturale e del suo valore 
condiviso, la giunzione tra tutela e valorizzazione scientifica dovrebbe estendere i 
suoi effetti ai diversi livelli di divulgazione e informazione. La questione per� non 
pu� essere risolta riportando in capo a poche istituzioni �autorizzate� il compito 
della progettazione culturale, e quindi ribaltando in senso statalista, una dinamica di 
decentramento e sussidiariet� che ad oggi appare difficilmente e forse non utilmente 
reversibile. L�alternativa alla �volgarizzazione� non � insomma la riedificazione 
di uno �stato culturale� nel senso evocato da Fumaroli. Si tratterebbe piuttosto di 
rafforzare con decisione il ruolo di una comunit� critica, scientifica e di ricerca, ad 
oggi ancora esistente, ma connessa in modo discontinuo con i processi di gestione 
del patrimonio; di dare vigore e pubblica rilevanza ad un insieme di strumenti di 
opinione in grado di influenzare le scelte delle istituzioni culturali e del loro pubblico. 
L�impressione, che andrebbe per� sostanziata da un�indagine pi� approfondita, 
� che in questi anni all�indebolimento delle strutture soprintendenziali e all�aumentato 
ruolo dei soggetti privati, abbia corrisposto una crescente disarticolazione del 
sistema di gestione del patrimonio rispetto alla comunit� scientifica nazionale ed 
internazionale. Una dinamica di questo ordine, se confermata, implicherebbe una 
progressiva �destrutturazione� del �campo� dei beni culturali (movimento opposto 
a quello che, per esempio, si � registrato nel campo delle arti contemporanee) che 
potrebbe essere vista come il vero grave problema da affrontare. 

Il terzo punto pi� specificamente organizzativo, riguarda la necessit� di utilizzare, 
nelle politiche culturali, alcuni criteri tipici delle politiche industriali. Tra queste, 
proprio per esemplificare in modo sintetico: far nascere dal territorio e nelle relazioni 
tra territori e stato centrale visioni di respiro non breve, traducibili in obiettivi concreti 
e in sentieri operativi praticabili, finanziariamente sostenibili senza incorrere 
nelle perenni asfissie che hanno reso corto il respiro progettuale del settore negli ultimi 
anni. Rafforzare infine sul piano istituzionale queste scelte imperniando su di esse 
un quadro di alleanze interistituzionali e sussidiariet� verticali e orizzontali capaci di 
testimoniare la condivisione allargata dei territori coinvolti. 


ATTI DEL CONVEGNO 

L�insieme di considerazioni delineate sinora suggerisce di concentrare l�attenzione 
su alcune priorit� che insistono sul tema oggi oggetto di dibattito ovvero la 
governance e la forma delle istituzioni candidate alla gestione del patrimonio culturale. 


Una di queste � sicuramente relativa alla necessit� di rafforzare strumenti di 
coordinamento territoriale, e si riferisce quindi al consolidamento, nella pratica e 
nella cultura di programmazione, delle normative pattizie locali: strumento cruciale 
di garanzia che le azioni di coordinamento, necessariamente destinate a condizionare 
le indipendenze delle singole istituzioni coinvolte, siano fatte rispettare con 
forza di legge. 

L�altra � legata ad un�esatta comprensione delle istanze operative che chiedono 
di essere potenziate nel seno delle istituzioni culturali del patrimonio. 

L�obiettivo, infatti, non � solo quello (gi� meritorio) di avere delle istituzioni 
culturali capaci, come � stato detto oggi, di coniugare efficienza e efficacia, scientificit� 
e progettualit�. Si tratta anche di risolvere un nodo complesso, costituito 
dalla necessit�, per le istituzioni culturali operanti sui territori (sopraintendenze), di 
trovare un equilibrio tra la dimensione necessariamente extra territoriale, omeostatica, 
rappresentata dalle azioni di ricerca e tutela in senso allargato e la dimensione 
della gestione ovviamente co-evolutiva rispetto ai territori. 

La difficolt� di governo e di gestione delle istituzioni culturali � rappresentata 
dal trovarsi nell�obbligo di mediare con difficolt� tra questi compiti. Non si tratta di 
un esercizio banale. Operando sul territorio ci rendiamo conto che le istituzioni culturali 
danno forma a strutture gestionali sofisticate e complesse, rese �semplici� 
solo in ragione di una scarsit� di risorse che, di fatto, porta ad accumulare su poche 
persone compiti estremamente ampi e diversificati. 

Come si � gi� evidenziato in letteratura le istituzioni culturali sono strutture che 
tecnicamente possiamo definire multi stakeholders. Esse sono cio� chiamate a 
rispondere simultaneamente ad una molteplicit� di portatori di interesse di carattere 
pubblico, privato, scientifico, e dovrebbero (il condizionale � necessario) render 
conto della loro operativit� su tutti i fronti elencati. Fronti molto diversi tra loro: il 
pubblico caratterizzato da tutte le note articolazioni territoriali e di competenza; il 
privato con tutte le complessit� competitive che istituisce; lo scientifico con tutta la 
sua specificit� disciplinare e la sua segmentazione nazionale ed internazionale. 

Si tratta poi di un compito che deve essere svolto in modo simultaneo sui diversi 
fronti, e che deve essere svolto in funzione di una �autonomia� del progetto culturale 
che � il fondamento e il mandato di ogni istituzione di gestione del patrimonio e 
che, proprio per questo, deve convivere con una condivisione sempre pi� allargata e 
trasparente della sua natura e dei suoi esiti. 

Occorrono quindi robuste capacit� di progetto, di gestione dei processi e una 
sedimentata cultura dell�accountability, della rendicontazione, tutte qualit� su cui il 
sistema del patrimonio culturale, a nostro avviso, ha ancora spazi di miglioramento. 

Per avviare la prospettiva di una �politica industriale� della cultura occorre 
quindi operare tenendo conto simultaneamente dell�insieme di questi principi: 

- la centralit� dei territori e degli strumenti di garanzia che governano le relazioni 
tra i portatori di interesse e i piani di sviluppo individuati; 
-l�evidenza che la connessione tra patrimonio culturale e crescita economica e 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sociale passa principalmente dalla funzione educativa e formativa e solo secondariamente 
dalla funzione di attrazione turistica di breve termine; 

-l�ipotesi che solo una stabile congiunzione tra la presenza del patrimonio e 
una visione multi dimensionale dello sviluppo locale (inteso come formazione del 
capitale economico, sociale e simbolico) possa garantire le condizioni di sostenibilit� 
delle azioni di conservazione e tutela; 
-la necessit� di garantire un continuo consolidamento del �campo� dei beni 
culturali e della componente scientifica nella progettazione culturale rafforzando la 
connessione tra tutela e valorizzazione scientifica; 
- la necessit� di consolidare le istituzioni di gestione del patrimonio come strumenti 
delle politiche industriali della cultura, accrescendo la loro capacit� di integrazione 
con i diversi ambiti a cui fanno riferimento (territori, comunit� scientifiche 
e della conservazione, pubblico dei fruitori), ma anche la loro capacit� e responsabilit� 
di progettazione culturale. 
In apparenza si presenta come un compito di grande complessit� tanto da essere 
comprensibile solo come un possibile orizzonte di sviluppo e di convergenza. 

In realt� il riferimento a questo insieme di principi consente anche di individuare 
alcune priorit� di breve-medio termine. 

A questo proposito vorrei condividere alcune esperienze che stiamo conducendo 
con la Fondazione ERGA, organizzata dalla Bocconi con la Scuola Normale di 
Pisa e con l�Avvocato Fresco. 

La Fondazione sta lavorando da alcuni mesi ad un progetto di studio dedicato 
alla Sovrintendenza Archeologica di Roma, un progetto sollecitato e commissionato 
congiuntamente dalla Sovrintendenza e da Electa e dedicato ad esplorare le possibilit� 
di rafforzamento organizzativo e istituzionale della SAR. I risultati saranno 
presentati entro quest�anno. Mi limiterei in questa sede a dare soltanto alcune evidenze 
che possono essere di interesse per il dibattito comune. 

La prima � l�evidente rilevanza delle sovrintendenze autonome in termini di 
patrimonio custodito e gestito, in termini di sperimentazione istituzionale, di 
responsabilit� gestionale e di rilevanza del loro mandato sul piano dell�integrazione 
tra la dimensione della tutela e valorizzazione scientifica e la dimensione della 
divulgazione su plessi archeologici e artistici cruciali per il paese . 

La seconda evidenza: la singolare variet� di soluzioni istituzionali che si sono 
stratificate nel tempo a partire dall�istituzione della sovrintendenza autonoma di 
Pompei la quale � diversa nella sua strutturazione dalla sovrintendenza archeologica 
autonoma di Roma, che a sua volta � diversa da altri esperimenti di autonomia 
condotti per i poli museali o per l�Egizio di Torino. Una variet� di forme e governance 
che non appare retta da un disegno unitario, e che, complessivamente, non � 
stata sufficientemente studiata. Mancano evidenze scientifiche riguardo implicazioni 
e i risultati di medio-lungo termine, ma anche di breve, di queste diverse e specifiche 
soluzioni di autonomia. 

La terza evidenza, singolare, � il silenzio che circonda attualmente le 
Sovrintendenze Autonome. � una sorta di silenzio �metafisico� che si estende dalla 
struttura degli interventi legislativi pi� recenti che di fatto sfiorano, ma non trattano 
l�argomento (nuovo codice), agli argomenti del dibattito del campo. Non se ne 
parla, eppure sono importantissime. 


ATTI DEL CONVEGNO 

� necessario, a nostro avviso, riconoscere le grandi potenzialit� custodite da 
queste istituzioni in termini di competenze, conoscenze, di collezioni, ma soprattutto 
riconoscere che esse potrebbero costituire i riferimenti naturali delle possibili 
politiche economiche e industriali della cultura. Le Sovrintendenze gi� autonome 
potrebbero, in altri termini, diventare perni, diciamo cos�, organizzativi centrali di 
un intervento di politica economica del patrimonio sul territorio. 

D�altra parte � impossibile immaginare che queste strutture possano compiere 
questo ruolo e svolgere questo compito unicamente sulla base di una parziale autonomia 
finanziaria. Non basta lo strumento dell�autonomia finanziaria previsto dalla 
legge per consentire a queste istituzioni di svolgere un compito significativo. 
Occorre un intervento ben pi� profondo, a monte del quale sta per� la risposta ad 
una domanda forse non banale: si intende proseguire nella prospettiva dell�autonomia 
e delle sovrintendenze speciali o si ritiene l�esperimento complessivamente 
concluso? 

Io credo che questa domanda debba essere posta, che debba essere ricollocata 
nel dibattito nazionale, perch� le implicazioni di una scelta in una o nell�altra direzione 
sarebbero molto profonde. La nostra risposta in questo momento suggerisce 
senza dubbi di non dissipare quanto di buono � stato costituito nell�esperimento 
delle autonomie. 

D�altra parte non ci si pu� nascondere che un rafforzamento di tali istituzioni 
implicherebbe non solo elementi di revisione della normativa, ma anche un percorso 
di forte trasformazione e riqualificazione delle loro competenze e capacit�. 
Entrambe traiettorie che, data la rilevanza mondiale dei plessi patrimoniali coinvolti, 
potranno essere condotte a buon fine solo con la concentrazione duratura di molta 
energia politica, forti competenze gestionali, elevati investimenti formativi e infrastrutturali. 
Una scelta non facile, ma probabilmente necessaria per completare una 
ristrutturazione di quadro normativo e politico nel quale si possa effettivamente tentare 
la ricongiunzione tra la cultura del patrimonio e la cultura dello sviluppo territoriale. 


PIO BALDI 
Direttore generale per l�architettura e l�arte contemporanea MiBAC 


Alla domanda che mi viene fatta risponder� pi� avanti, ora vorrei tracciare un 
quadro generale nell�ambito del poco tempo che abbiamo. 

Il quadro parte da un esame della situazione di oggi per analizzare il modello 
di gestione organizzativa ed economica dei musei, delle aree archeologiche, dei 
complessi monumentali dipendenti dallo Stato. Analizziamolo. � un modello di 
gestione molto, molto esile. Sono istituti che hanno un management senza rilevanza 
esterna, sono incorporati dentro alle soprintendenze da cui sono gerarchicamente 
dipendenti, sono quasi privi di visibilit�. � un modello molto italiano, molto 
Antichit� e belle arti. Un modello che nel tempo ha avuto grandi meriti perch� la 
sua carta vincente � stata quella di agganciare il museo al territorio, cio� di costituire 
una filiera, se cos� possiamo chiamarla, museo-ricerca-territorio: il museo era 
dedicato ad indagare il territorio circostante e dal territorio ricavava beni di interes



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

se storico-artistico che poi costituivano il patrimonio del museo e divenivano oggetto 
di studio, con un�integrazione molto stretta. 

In un periodo recente, negli anni �90, su iniziativa, com�� noto, dell�allora 
Ministro Alberto Ronchey, � venuta l�idea di fornire i musei di servizi � spiritosamente 
il Ministro Rutelli ha detto che non serve �aggiuntivi� � ed � cambiato notevolmente 
il modo di guardare il museo o l�area archeologica o il complesso monumentale�. 
Questo � stato sicuramente un passo avanti nel mondo dei beni culturali: 
ne � derivata la consapevolezza che per gestire il patrimonio pubblico occorre farsi 
carico anche delle esigenze del visitatore, del cliente: non sono sufficienti lo studio 
e la ricerca, che rimangono esigenze primarie, ma occorre affacciarsi sull�altro versante, 
il versante del fruitore. 

In anni ancora pi� recenti, e parliamo dell�inizio degli anni 2000, sono venuti i 
poli museali, di cui parlava il Professor Baia Curioni subito prima di me. I poli 
museali sono stati un�ulteriore evoluzione del sistema gestionale. Per�, e concordo 
con quello che ha detto il relatore che mi ha preceduto, credo che si tratti di una 
riforma intermedia, che cio� non ha raggiunto tutti gli scopi per cui era stata messa 
in atto e oltretutto sono convinto che si sono perse alcune cose. Dico subito cosa si 
� perso: si � interrotto il rapporto museo-ricerca-territorio perch� i poli museali non 
hanno territorio e non sono pi� all�interno di una sovrintendenza, ma si � guadagnata 
la consapevolezza che il museo va amministrato con un modello organizzativo 
che tenga conto anche di parametri di efficienza gestionale. Senza ovviamente mettere 
in discussione la primazia della tutela e della ricerca. Ma dovendo i dirigenti 
dei poli museali reimpiegare, e qui sta il punto, i frutti delle entrate derivanti dai 
biglietti e da altri servizi, ecco che si comincia a chiedere a dei manager pubblici, 
che di questo mai prima si erano occupati, di curare le esigenze della tutela facendosi 
anche carico di un quadro di compatibilit� economica. Questa � la novit� di 
grande impatto derivata dall�istituzione dei poli museali. Perch� dico riforma intermedia? 
Perch� non si � andati pi� avanti, perch� il dirigente del polo museale non 
ha, per esempio, la possibilit� di operare su uno dei campi fondamentali per un 
direttore di museo, cio� l�organizzazione delle risorse umane. Tutto il management 
del personale � esterno rispetto al dirigente, che su questo tema non pu� intervenire 
in alcun modo. Questo ovviamente limita molto le sue capacit� d�azione. Inoltre 
il polo museale, rispetto ad un modello che chiamer� sbrigativamente anglosassone, 
manca di organi di gestione, c�� soltanto un consiglio di amministrazione molto 
ristretto, credo siano tre persone interne all�istituzione, che non riesce a esprimere 
la compresenza di tutti gli interessi in gioco in un organismo complesso come il 
museo. 

Il modello anglosassone, e non parlo dei musei americani che sono musei 
sostanzialmente privati, n� dei grandi musei francesi che sono sostanzialmente pubblici, 
nel modello anglosassone, e cito ad esempio la National Gallery di Londra, 
c�� una abbastanza convincente compensazione e compenetrazione fra Stato e privato 
e l� � evidente come l�intero budget sia gestito dagli organi del museo che in 
genere sono tre: un Presidente, un Consiglio Scientifico e un Consiglio di 
Amministrazione. � evidente come anche le risorse umane siano gestite dal museo, 
cos� come la fondamentale funzione del trovar soldi, il fund raising. Ho parlato 
della National Gallery perch� ha una caratteristica particolare, comune anche ad 


ATTI DEL CONVEGNO 

altri grandi musei, ma non a tutti, e cio� di avere la direzione del museo che appartiene 
al campo professionale che � il campo di azione del museo: il museo � un�organizzazione 
tecnico-scientifica-culturale e il capo della National Gallery � uno storico 
dell�arte e questo � fondamentale. La testa di un�organizzazione culturale deve 
essere una testa che ragiona all�interno della disciplina in cui il museo opera ed in 
cui si trova la missione del museo, altrimenti la missione sar� difficile da raggiungere. 
C�� anche un direttore amministrativo nella National Gallery che � dichiaratamente 
subordinato al presidente e riconosce pubblicamente che la sua � una funzione 
servente, finalizzata, una funzione importantissima, ma ancillare che serve a 
fornire gli strumenti economici, amministrativi, finanziari, gestionali che consentono 
alla testa del museo di conseguire la sua missione. Questo credo che debba essere 
tenuto in conto in qualsiasi tipo di riforma o di aggiustamento si faccia nei musei 
italiani. 

Quale pu� essere un modello evolutivo per i nostri musei? Credo che bisogna 
dividere per categorie, non c�� un modello unico, ce ne sono almeno quattro. Ho 
sentito adesso la proposta di Patrizia Asproni sul modello Campania e il consorzio 
misto che lei delineava. Non so se ho colto tutti i dettagli perch� l�illustrazione � 
stata rapida e quindi non sono in grado di dare un giudizio mirato. Mi � chiaro per� 
che partecipano sia l�ente titolare dell�istituzione, sia gli enti locali sia i privati. 
Questo � sicuramente giusto, ma non credo che possa esistere, se cos� � la proposta, 
un unico consorzio il quale ha in gestione una pluralit� di istituzioni, perch� la differenza 
tra queste � cos� marcata che, secondo me, servono forme di governance 
differenziate in funzione della tipologia. 

Provo a parlare di alcune possibili tipologie. Ci sono monumenti, beni culturali 
che hanno il diritto di essere inutili, hanno il diritto di non servire a niente: la 
colonna Traiana non serve a nulla, l�arco di Costantino non serve a niente, cos� 
come non serve a niente una sinfonia di Mozart o una lirica di Leopardi. 
Ovviamente sto parlando per paradossi, parlo di beni che servono per la nostra identit� 
culturale come riconosce l�art. 9 della Costituzione. Servono anche perch� 
hanno funzioni di ricaduta indiretta forse secondarie, ma importanti perch� costituiscono 
ci� che contribuisce a costruire quella visione per cui l�Italia � m�ta del turismo 
ed � riconosciuta come paese dei beni culturali all�interno del mondo globalizzato. 
La colonna Traiana, l�arco di Costantino o il mausoleo di Teodorico sono 
comunque solo monumenti, e ce ne sono tanti, cui non si pu� assegnare alcuna funzione 
utilitaria in grado di produrre ricadute economiche dirette. 

C�� poi una seconda categoria che potrei cercare di esemplificare nel Colosseo 

o nell�area archeologica di Pompei o ancora nell�area di villa d�Este o nella reggia 
di Caserta: grandi complessi monumentali. Per questi il modello che si sta cominciando 
a delineare credo che sia il modello giusto: si tratta di beni, di complessi di 
beni in cui prevale la missione culturale che produce conoscenza attraverso le primarie 
funzioni di studio e di ricerca che vi si svolgono e che devono essere compiute 
da un�amministrazione pubblica come quella dei beni culturali che ne ha le capacit�, 
l�esperienza e la tradizione da 130 anni. Dico quindi che in questi casi deve 
essere saldamente in mano pubblica sia la propriet� sia la gestione degli immobili, 
fermo restando che, come avviene per il Colosseo la gestione di tutto ci� che � 
mostre, biglietti, servizi vari � affidata ai privati che lo fanno, mi sembra, molto 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

bene. Questo modello potrebbe essere avviato anche in altri complessi monumentali 
(e non sono pochi), ma, ripeto, mantenendo sia la propriet� sia la gestione degli 
immobili in mano allo Stato. 

C�� poi un�ulteriore categoria: un largo numero di musei pubblici piccoli 
rispetto alle dimensioni dei grandi musei internazionali, come ad esempio la 
Pinacoteca Nazionale di Siena, istituzione di grandissima importanza, o il museo 
archeologico di Chiusi, o il museo degli argenti a Palazzo Pitti, eccetera. Si tratta di 
musei in cui la traiettoria territorio-ricerca-musealizzazione deve restare quella che 
� e non c�� la possibilit� di ricavare utili in alcun modo, non ci sarebbe un privato 
al mondo che pu� essere interessato a gestire un simile tipo di struttura. Sarebbe 
totalmente in perdita, sarebbe puro mecenatismo, � inutile anche pensare di proporlo. 
Si tratta di istituzioni da far funzionare in conto articolo 9 della Costituzione. 

Vedo poi una quarta categoria, una categoria ampia: sono palazzi nobiliari, 
sono fortezze, sono castelli, monasteri o altro: Palazzo Altieri a Oriolo Romano ad 
esempio, o Palazzo Colonna di Genazzano, propriet� dello Stato o delle Regioni o 
dei Comuni, Forte Stella a Porto Ercole, il Forte di Bard in Val d�Aosta, tutta quella 
molteplicit� di ex conventi poi diventati caserme o carceri largamente presenti nei 
nostri centri storici come la serie dei conventi di S. Agostino, S. Francesco o S. 
Domenico. Questi edifici inizialmente sede di comunit� monastiche spesso sono 
stati poi trasformati in carceri o caserme, ed ora sono in larga parte in disuso e quindi 
fanno parte di quella categoria, che potrebbe rientrare nello schema che a me 
sembra trasparire dallo studio fatto dalla commissione presieduta dall�Avvocato 
Fiengo, edifici per i quali l�invenzione di un sistema a propriet� pubblica e gestione 
privata potrebbe, credo, essere fruttuoso. 

Schematizzando molto: propriet� in mano all�amministrazione pubblica che, 
non avendo la possibilit� o la convenienza di attuare la gestione, la affida ai privati 
con regole stabilite in modo molto fermo e garantista. 

Non mi � rimasto tempo per parlare di quello di cui mi aveva chiesto il conduttore, 
cio� del museo MAXXI, che ha una struttura ancora diversa. Si tratta di un 
grande museo di architettura contemporanea, una macchina per produrre cultura, 
costosa, importante, che deve variare continuamente le collezioni, le mostre, che 
deve ospitare eventi e creare nuove idee. Si tratta di un�istituzione dinamica che 
richiede l�intervento non solo dello Stato e non solo dei privati, ma anche degli Enti 
Locali. La struttura gestionale e il management andranno messi a punto tenendo 
conto di questo maggior grado di complicazione e con attenzione ad altre esperienze, 
soprattutto anglosassoni. 

Per concludere voglio precisare che, con le dovute limitazioni ed eccezioni, esiste 
una fascia categoriale in cui lo schema propriet� pubblica e gestione affidata ai 
privati, con molte regole precise e protettive pu� probabilmente dare frutti in cambio 
di un canone, ovviamente, ma il canone pu� essere positivo, neutro o negativo. 
Se la struttura pu� dare grossi vantaggi economici, e questo lo si pu� capire con una 
simulazione a priori, � chiaro che ci sar� un canone che il privato pagher� allo Stato, 
ma se la struttura invece che dare vantaggi economici d� svantaggi e il privato 
comunque se ne accolla la gestione e in qualche modo, in ogni caso, riesce a coprire 
una parte di quei costi che invece lo Stato non avrebbe coperto, potrebbe esserci 
anche un canone inverso, cio� lo Stato, invece di pagare 100 per una cosa che non 


ATTI DEL CONVEGNO 

potrebbe gestire paga solo 50 e il privato fa, col controllo dello Stato, quello che � 
possibile fare nell�edificio, secondo le indicazioni della soprintendenza. 

Ecco, io mi fermo qui, vorrei concludere ripetendo quello che ha detto 
Salvatore Settis, con cui concordo in pieno, non � possibile aprire maggiormente al 
privato se lo Stato non si rafforza, la struttura statale ha bisogno di maggiore supporto 
e maggior sostegno, di maggior finanziamento, ma soprattutto di ritrovare 
quello slancio che forse sente di non avere pi�, attaccata da tante parti e in tanti 
modi negli ultimi anni. 

MICHELE PORCARI 
Delegato ANCI per i Beni e le Attivit� culturali 


In quanto Delegato nazionale dell�ANCI nonch� sindaco di Matera, vivo sulla 
mia pelle i problemi di cui stiamo discutendo, atteso che la gestione di un territorio 
come quello della mia citt� copre esattamente le tematiche di cui stiamo parlando 
oggi, tra l�altro in maniera anche piuttosto complessa. 

Permettetemi per�, prima di entrare nello specifico dell�intervento, di fare una 
considerazione di carattere politico. Io partecipo ormai da tre anni ai vari dibattiti 
sullo sviluppo della cultura e devo dire che oggi per la prima volta ho sentito parlare 
di investimenti, cio� di una volont�, di cui evidentemente abbiamo tutti bisogno, 
di credere in un sistema che deve andare in crescita. E un sistema che cresce ha 
bisogno di investimenti, perch� senza investimenti il sistema muore, diventa asfittico, 
e va a chiudersi in se stesso. 

Ricordo un bellissimo intervento del Professor Urbani ad un incontro presso 
l�Auditorium, circa tre anni fa, organizzato appunto dall�ANCI, in cui l�allora 
Ministro ci chiese di fare pressione sul governo per ottenere disponibilit� e finanziamenti 
perch� diversamente non si riusciva ad andare avanti. 

Oggi si respira un clima di grande attesa perch� abbiamo sentito parlare per la 
prima volta di nuovi investimenti; le responsabilit� che il nuovo governo si sta assumendo 
sono enormi, perch� sappiamo le difficolt�, le viviamo anche noi Comuni 
sui bilanci: certamente � un impegno molto, molto arduo, altrettanto certamente la 
prospettiva della costituzione di un tavolo tecnico fra il Ministero della Cultura e 
quello dell�Economia � forse la risposta pi� intelligente che in questo momento si 
potesse dare alle necessit�, da un lato, di cominciare a credere nella cultura e quindi 
inevitabilmente reinvestirci sopra, dall�altro di far quadrare i conti, che sappiamo 
essere una valutazione di difficolt� estrema. 

Quando parliamo di cultura evidentemente parliamo di Enti Locali, in qualche 
modo i soggetti che in prima linea sono chiamati a tutelare e gestire i beni del loro 
territorio. E i Comuni in questo meccanismo, nonostante le difficolt� economiche e 
le finanziarie che hanno deciso la spesa delle amministrazioni comunali in questi 
ultimi anni, hanno svolto in maniera direi egregia il loro ruolo, investendo per esempio 
� e questo non so se � un dato conosciuto � molto pi� di quello che � stato fatto 
sia dal Governo che, in parte, anche dalle Regioni. Questo vuol dire che i Comuni 
credono nei loro territori, credono nei beni culturali, credono che i beni culturali 
possano essere una leva in grado di far crescere lo sviluppo economico del territo



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

rio, e forse sono stati i primi soggetti a comprendere l�importanza della comunicazione 
dei beni culturali, perch� gran parte del marketing territoriale si appoggia proprio 
sulle capacit� di caratterizzare il territorio con le sue vocazioni. Non � un caso 
che proprio l�ANCI abbia deciso di fare un�operazione abbastanza particolare: quella 
di nominarmi sia responsabile delle politiche culturali che responsabile di un progetto 
che potrebbe apparentemente non avere collegamenti diretti con la cultura, un 
progetto che si chiama �Res Tipica� e che gioca proprio sulla capacit� di valorizzare 
gli appeal territoriali in campo enogastronomico e di produzione locale. La scelta 
di unire in capo ad un unico soggetto lo sviluppo delle attivit� culturali con la 
capacit� di identificare gli elementi forti di espressione di un territorio, in qualche 
modo implica un�intuizione che oggi ho sentito anche dal Ministro, cio� che un territorio 
� in grado di diventare soggetto protagonista se riesce a diventare proprietario 
delle sue espressioni territoriali che sono quindi, come si diceva prima, le caratteristiche 
enogastronomiche, forse anche le caratteristiche turistiche, ma soprattutto 
le caratteristiche culturali che esso � capace di esprimere, perch� attraverso quegli 
elementi culturali si radicalizza la capacit�, l�espressione e l�identit� di un territorio. 
Questo percorso l�ANCI lo sta facendo da diversi anni e lo fa ragionando e 
dialogando con tutti i soggetti istituzionalmente sui vari livelli e sulle varie fasce. 
Abbiamo lavorato moltissimo nella valorizzazione del patrimonio culturale con l�idea 
che la cultura e la sua conservazione � un dovere sicuramente civico e morale. 
Si � detto molto bene anche oggi, l�importanza del bene culturale consiste nel poter 
essere in qualche modo da un lato elemento rappresentativo del territorio, elemento 
capace di dare fruizione ai cittadini e a tutti coloro che vogliono avvicinarsi al 
bene culturale, di quello che il bene �, dall�altro la capacit� di produrre comunque 
un reddito che � finalizzato alla sua conservazione. La difficolt� del progetto e del 
tema che oggi stiamo affrontando � dato proprio da questi due elementi che devono 
essere in qualche modo messi sul piatto della bilancia. Da una parte la massima 
fruibilit� del bene culturale, dall�altra la sua conservazione che evidentemente ci 
porta adover ragionare in termini di economicit� sulla gestione del bene, ma al 
tempo stesso deve essere una valutazione del patrimonio che debba avere una 
gestione sostenibile; si dice tanto dell�ambiente, credo che per i beni culturali valga 
ancora di pi� questo concetto. I Comuni da questo punto di vista stanno lavorando 
da molto tempo e i modelli sperimentati dalle varie amministrazioni � qualche volta 
in maniera brillante, qualche volta meno � sono comunque sicuramente uno dei 
punti di riferimento. Abbiamo sentito stamattina che uno degli elementi che si sta 
sperimentando, quello del consorzio misto, nasce proprio da un esperimento fatto 
con i vari enti locali sul territorio (si parlava della Campania); non si pu� immaginare 
la realizzazione di un sistema del genere se non c�� insieme la partecipazione 
del privato, ma soprattutto di Regione, Provincia e Comune ed oggi, finalmente, 
possiamo dire anche dello Stato, che diventa il soggetto che guida i processi di sviluppo 
che, in qualche modo, devono essere posti in essere dagli altri soggetti che 
partecipano alle loro attivit�. E che l�Italia sia all�avanguardia in questo � dimostrato 
dal fatto che numerosissime delegazioni � abbiamo ricevuto l�ultima a Matera 
non pi� tardi di un mese fa � vengono in Italia, in questo caso dalla Cina, per studiare 
il meccanismo di gestione dei sistemi dei beni culturali. Probabilmente l�idea 
che ne hanno avuto � molto caotica perch� in realt� non c�� ancora un modello 


ATTI DEL CONVEGNO 

molto affermato ma, lo diceva molto bene un attimo fa il Dr. Baldi, non � possibile 
immaginare un unico sistema di gestione perch� i beni culturali hanno diverse prerogative 
e diversi aspetti. Per� evidentemente la sperimentazione, la voglia e la 
grande consapevolezza che ormai � sorta all�interno dell�Italia � lo diceva anche il 
Ministro a proposito della consapevolezza della custodia e della conservazione dei 
beni culturali che � maturata in questi ultimi anni � sicuramente ci stanno aiutando 
a lavorare in questo senso. 

Il lavoro che stanno facendo i Comuni � enorme, l�ANCI chiede da tempo che 
questo imponente impegno economico, organizzativo ed ovviamente anche etico 
venga riconosciuto anche sul piano del coinvolgimento nella governance complessiva 
del sistema. Questa richiesta non nasce per la gestione di quelli che possono 
essere elementi di potere, ma nasce proprio perch� il sistema della sussidiariet� ha 
bisogno di tutti i soggetti protagonisti per poter realizzare un funzionamento corretto 
della gestione soprattutto in un momento in cui, lo sappiamo, le risorse sono 
comunque scarse. Allora � bene concordare i meccanismi di utilizzazione delle 
risorse che possono muovere i Comuni attraverso, per esempio, i progetti dei fondi 
strutturali o dei finanziamenti europei o come la nostra 1bis, i finanziamenti che 
arrivano direttamente dal Governo, i finanziamenti regionali possano esser portati a 
sistema perch� un investimento possa funzionare attraverso, ovviamente, una griglia 
di scelte e di selezioni che diventano il punto fondamentale del lavoro che 
Governo ed Enti Locali devono fare, per scegliere su quali elementi e su quali beni 
culturali poi costruire il modello e il progetto che il territorio vuole in qualche modo 
proporre. 

Chiediamo al nuovo Ministro, e lo abbiamo gi� esplicitato, di porsi alla guida 
di un forte movimento di solidariet� nazionale a favore della cultura. Lo sta gi� 
facendo, ha gi� delle grandi intuizioni, noi vorremmo in qualche modo poterlo 
affiancare vista la grande capacit�, come dicevo prima, che i sindaci hanno di inventarsi 
ipotesi, idee e modelli di gestione, costruendo ponti tra i vari livelli istituzionali, 
lavorando per una politica che sia allo stesso tempo forte, cooperativa e sussidiaria. 
Per perseguire concretamente questi obiettivi occorrer� utilizzare nella 
maniera migliore tutti gli strumenti previsti dalla normativa e valorizzare e rafforzare, 
oltre alla Conferenza unificata Stato-Regioni a cui evidentemente partecipano 
anche UPI e ANCI, anche gli organismi di consulenza del Ministero dove � prevista 
la presenza di rappresentanti delle Regioni e appunto degli Enti Locali. 

In merito alla strategia della valorizzazione dei beni e delle attivit� culturali 
abbiamo gi� accennato come i Comuni, in particolare in questi ultimi anni, siano 
stati chiamati ad un grande impegno. La profonda ridistribuzione delle competenze 
e delle responsabilit� conseguenti alla riforma del Titolo V della Costituzione ha 
comportato per il sistema dei comuni italiani la necessit� di aggiornare le proprie 
strategie di intervento in raccordo appunto con gli altri livelli istituzionali coinvolti. 
La portata innovativa dell�attuazione del decentramento e del federalismo in cui 
i Comuni stanno profondendo un enorme sforzo intellettuale, rischia per� di essere 
inficiata dai continui tagli intervenuti nel corso degli ultimi anni sia sui bilanci degli 
Enti Locali, sia direttamente sui settori di specifico interesse. Tali pesanti restrizioni 
stanno obbligando i Comuni a ridimensionare sensibilmente i finanziamenti alle 
piccole e grandi iniziative che si svolgono sui territori che in questi anni, nonostan



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

te le enormi difficolt� dei bilanci comunali, sono state comunque promosse e mantenute 
in piedi. Speriamo che anche su questo versante dal nuovo governo possano 
venire segnali positivi per evitare che un doveroso invito alla razionalizzazione 
delle risorse divenga, al contrario, la chiusura e l�abbandono di questo settore strategico. 
Mi sembra che oggi si stia aprendo una nuova fase e noi siamo ben felici di 
potervi contribuire. 

Desta per� particolare preoccupazione la situazione dello spettacolo dal vivo, 
per esempio, che ha visto negli ultimi anni una serie di tagli drammatici soprattutto 
al FUS; qui abbiamo recepito come ANCI una forte lamentela da parte dei Comuni 
e delle Fondazioni, mi riferisco in particolare a quelle relative alle opere ed ai teatri, 
ed evidentemente anche qui una scelta andr� fatta. Sono attivit� che richiedono 
forti investimenti, ma che non producono altrettanti ritorni economici direttamente 
dal pubblico. Allora la scelta va fatta: vogliamo mantenere e conservare questo tipo 
di attivit�? Bisogna investire, bisogna crederci sapendo, come dicevamo prima, che 
un investimento in questo settore produce reddito, � un investimento a tutti gli effetti 
ed � capace di muovere risorse, economia e, non dimentichiamolo, anche convinzione 
nel futuro, che � un valore aggiunto alla capacit� produttiva del territorio, perch� 
oggi assistiamo ad una situazione nella quale l�atteggiamento dei cittadini e dei 
Comuni � un atteggiamento di difesa; e sappiamo che quando ci si difende troppo, 
prima o poi si finisce con il perdere la speranza di una crescita del Paese. 

Dicevamo quindi che � necessario, dal nostro punto di vista, l�immediato intervento 
che tenga conto delle necessit� economiche del FUS e dei soggetti che al FUS 
attingono. Pi� in generale, proponiamo che tutti i finanziamenti attualmente a 
disposizione del settore vengano ricondotti alla programmazione nazionale ed alla 
concertazione interistituzionale. Auspichiamo che un nuovo iter legislativo possa 
cominciare dal recepimento dei contenuti dell�accordo raggiunto dalla scorsa legislatura 
fra Comuni, Province e Regioni, AGIS, sindacati, che fu recepito nel testo 
approvato nelle commissioni parlamentari, ma che per motivi di tempo non riusc� a 
tradursi poi in atti legislativi. Infine un apporto importante al finanziamento della 
cultura potr� venire certamente dal volontario contributo dei cittadini che andr�, 
come dicevamo prima, incentivato con la possibilit� di beneficiare della piena deducibilit� 
dal reddito di quanto destinato ai fini culturali e, pi� in generale, da un sistema 
fiscale pi� favorevole per il settore. Sono proposte gi� presentate, che fanno parte 
della storia e della cultura dell�ANCI e che sono state fino ad oggi disattese: noi 
siamo convinti che, come dicevamo prima, da oggi possa voltarsi pagina e cominciare 
tutti a credere nella cultura e nel suo sviluppo, perch� attraverso questo si possa 
aprire per il nostro Paese un nuovo futuro di crescita e di sviluppo, sia chiaro, anche 
e soprattutto economico, perch� la cultura porta benefici anche economici. 

PIETRO PETRAROIA 
Direttore Generale �Cultura, Identit� e Autonomie della Lombardia�, Regione Lombardia 

Non � certo mio compito rappresentare in questa sede il punto di vista ufficiale 
di Regione Lombardia, ma presenter� un contributo personale nato dalla mia 
esperienza di lavoro, che si � sviluppata nell�universit�, nell�amministrazione dei 


ATTI DEL CONVEGNO 

Beni Culturali � sia in posizioni �centrali� che di �periferia� � e, negli ultimi nove 
anni, in Regione Lombardia. 

Mi sembra importante rimettere al centro del nostro confronto di oggi una parola 
del titolo di questo convegno ��governance� � e chiedersi in che cosa possa concretamente 
articolarsi. Cercher� di rispondere richiamandomi alla conclusione dell�intervento 
compiuto stamattina dal Prof. Salvatore Settis, non dissimile peraltro da 
quanto egli ha sostenuto in parecchi dei suoi ultimi interventi sulla stampa; l�idea, 
cio�, di un �grande accordo fra Stato e Regioni�, del quale, peraltro, occorrerebbe 
precisare natura e caratteristiche. 

Assumendo con piena convinzione la prospettiva sostenuta da Settis, proporr� 
qualche spunto e qualche esempio su come sia possibile da subito dare ad essa una 
qualche forma di concretezza; mi permetter�, insomma, di suggerire i titoli di una 
possibile agenda di lavoro e alcuni principi cui fare riferimento. 

Anzitutto vorrei per� dichiarare un grande apprezzamento per il lavoro svolto 
dalla commissione ministeriale coordinata dall�Avv. Giuseppe Fiengo; il mio non � 
un apprezzamento semplicemente formale o dovuto all�occasione, che qui ci si 
offre, di condividere questo momento di lavoro; scaturisce soprattutto � e glielo 
dicevo stamattina di persona � dall�aver constatato che nella sua relazione sui lavori 
svolti egli ha saputo rendere conto dell�articolazione, della diversit� delle posizioni 
presenti all�interno della commissione stessa e con questo arricchisce la nostra 
crescita professionale e, pi� in generale, culturale. Cos� voglio esprimere immediatamente 
anche una particolare vicinanza alle posizioni che Confcultura ha espresso 
nel documento reso in sede di audizione e qui distribuito, poi ripreso in piccola 
parte nell�intervento introduttivo della Presidente Asproni. 

L�idea di fondo che vorrei proporre � quella di lavorare, per quanto riguarda gli 
strumenti normativi, a partire da �quello che c��, ma in una direzione profondamente 
nuova, perch� � se vogliamo favorire un rapporto produttivo, fecondo in 
primo luogo tra soggetti pubblici e, poi, tra soggetti pubblici e soggetti privati � 
occorre garantire due condizioni. 

Da un lato, c�� bisogno di fare riferimento a qualcosa che sia riconosciuto come 
stabile, perch�, se non c�� un minimo di stabilit� nel tempo delle regole relative al 
mercato dei servizi culturali, non solo diventa impossibile per un serio imprenditore 
giocare il proprio ruolo in una dimensione di ragionevole rischio, ma neppure 
riesce possibile ad un funzionario o a dirigente pubblico esprimere responsabilmente 
il proprio impegno professionale. 

L�altro elemento di cui c�� bisogno � molto simile al primo e lo chiamerei certezza: 
c�� bisogno di chiarezza, di certezza nei riferimenti normativi. Di fatto abbiamo 
oggi un Codice dei beni culturali troppo lungo e in gran parte costituito da 
norme di natura procedurale o regolamentare, che mal si conciliano con l�idea stessa 
di codice. Con questo non intendo dire che i contenuti o gli obiettivi siano sbagliati, 
ma che c�� contraddizione fra l�approccio di tipo codicistico ed il livello di 
dettaglio operativo a cui l�articolato si spinge, al punto che proprio nella parte dedicata 
ai principi generali sulla valorizzazione spesso si arriva a prescrivere minutamente 
modalit� amministrative degne, forse, di una circolare. 

Risulta invece mancante, come credo dovr� speso ripetere, un quadro di riferimento 
condiviso degli aspetti metodologici e tecnici del lavoro di tutela e valoriz



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

zazione: � come dire che ancora manca proprio quello che ci serve di pi�, con maggiore 
urgenza e da pi� tempo. 

Tuttavia, se lo si vuole, anche con questo tipo di Codice � possibile, valorizzando 
tutti i varchi contenuti nell�articolato, definire accordi � in particolare fra Stato e 
regioni � non soltanto per la programmazione di specifici interventi complessi, ma 
anche per la definizione della stessa normativa tecnica, ad esempio in materie come 
la catalogazione, la ricerca, la conservazione del patrimonio, la formazione e l�aggiornamento 
degli operatori a tutti i livelli: non � obiettivo da poco, se si intende 
costruire un quadro nazionale certo, stabile, autorevole e condiviso, sviluppato valorizzando 
le potenzialit� di eccellenti centri di ricerca e sperimentazione presenti 
ancora oggi in Italia, a partire dalle universit� e dagli Istituti centrali del ministero. 

L�esigenza di questo accordo sulle regole, sui metodi pi� adeguati per la tutela 
e la inseparabile valorizzazione del patrimonio culturale, appare evidente se ci si 
rende conto che, per costruire un raccordo pubblico-privato fondato sulla reciproca 
fiducia degli attori, occorre � lasciatemelo dire anche da ex soprintendente � superare 
l�incertezza e l�estemporaneit� dei riferimenti metodologici e, quindi, di tanti 
giudizi tecnici in ordine alla tutela e in particolare in ordine alla conservazione. 

Occorre imperniare la tutela non su giudizi troppo soggettivi e metodologicamente 
spesso difformi nel quadro territoriale nazionale rispetto a problematiche 
affini, provando invece a porre al centro della nostra attenzione il patrimonio culturale 
tutelato nella sua fisica consistenza e nelle sue reali dinamiche conservative e 
gestionali, indipendentemente dall�appartenenza giuridica e dalla natura del soggetto 
gestore responsabile della fruizione pubblica. 

L�urgenza di superare il rischio di continuo travalicamento dalla discrezionalit� 
verso l�arbitrariet� sembra accentuata dal complesso delle norme oggi esistenti (o 
mancanti, soprattutto per gli aspetti tecnici) in rapporto alle ultime modifiche della 
normativa sull�attivit� amministrativa (cfr. art. 6, comma 1, lett. e) della legge 
241/1990, modificata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15): c�� infatti il rischio che 
le decisioni fondamentali in ordine alla tutela, in particolare riguardo alla conservazione 
dei beni culturali, siano ora di fatto non pi� in capo a ciascun Soprintendente 
(o Direttore regionale), ma addirittura di competenza pressoch� esclusiva del singolo 
funzionario responsabile del procedimento e tutto ci� in assenza di norme tecniche 
e linee guida unificanti a livello nazionale, essendo ormai davvero lontana, direi 
storica, la carta del restauro del 1972. 

Ecco, se riuscissimo a fare un passo avanti verso il superamento dell�estrema 
frammentariet� dei giudizi tecnici di fatto oggi assunti dalle Soprintendenze (delle 
quali certo non discuto n� il ruolo n� l�autorevolezza nel mondo, ma sottolineo l�estrema 
difficolt�, oggi, ad operare con metodi condivisi, che � sotto gli occhi di 
tutti) ci� sarebbe molto importante, perch� si creerebbe la possibilit� di prevedere 
almeno a grandi linee il quadro di riferimento di ogni intervento di valorizzazione 
(cfr. gli artt. 6 e 111 del Codice), mettendo in grado gli investitori � pubblici o privati 
� di formulare previsioni in merito alle condizioni tecnico-economiche e dunque 
a costi, ricavi, modalit� gestionali sostenibili nel rispetto dell�integrit� del bene 
culturale. 

Non va peraltro taciuto che l�adozione condivisa di norme tecniche, linee 
guida, criteri e modelli di intervento, oltre a valorizzare finalmente in modo diffu



ATTI DEL CONVEGNO 

so gli esiti della ricerca applicata al patrimonio culturale nella pratica della tutela e 
della valorizzazione, porrebbe premesse assolutamente inderogabili per applicare il 
comma 3 dell�articolo 116 della Costituzione alla tutela dell�ambiente, dell�ecosistema 
e del bene culturale. 

Un secondo importante obiettivo mi sembra quello di sviluppare nella programmazione 
� cos� come nella progettazione � interventi specifici di valorizzazione 
caratterizzati da un approccio che sia veramente territoriale e multiservizi, cio� 
integrato: con ci�, riprendo qualche spunto fra quelli prima offerti dal Prof. Stefano 
Baia Curioni. 

Sottolineo la rilevanza di questo obiettivo perch� nel dibattito che si � sviluppato 
sia in Parlamento che nel Paese dagli anni �80 in poi � sembrato quasi che la funzione 
museale facesse �aggio� sulla tutela territoriale. Questo ha portato nelle 
Soprintendenze � e persino sui mezzi di comunicazione � ad una sorta di svalutazione 
del lavoro di chi si occupa di tutela territoriale rispetto a quello di chi si occupa di 
musei, come se in Italia non vi fosse una strettissima interdipendenza fra le due funzioni; 
inoltre tutto ci� ha portato, a mio avviso, ad una sopravvalutazione delle potenzialit� 
dei grandi musei o sistemi di musei al centro di flussi turistici � ad esempio dei 
�poli museali� � rispetto all�impegno su politiche complessivamente coerenti con tutti 
i valori e le funzioni richiamati nell�art. 9 della Costituzione. Di conseguenza � sembrato 
per un certo tempo che potessero inventarsi delle scorciatoie per applicare la cultura 
aziendale alle esigenze di innovazione nella gestione del museo, mentre per la 
gran parte del patrimonio culturale diffuso sul territorio non si � neppure andati, in 
generale, alla ricerca di modalit� innovative di esercizio della tutela e della valorizzazione; 
resta il fatto che i musei capaci di esercitare un appeal veramente significativo 

� se valutato rispetto al numero dei visitatori � non raggiungono, credo, la decina in 
Italia. Per contro, non si tiene conto di un dato di fatto, gi� stamani richiamato dal 
Ministro: l�unico comparto turistico in crescita in Italia deriva proprio dall�apprezzamento 
per i contesti storico-ambientali a forte capacit� di evocazione culturale. 
C�� dunque un gravissimo rischio, di cui prima parlavo con il Prof. Settis e che 
ripropongo alla vostra attenzione: quello di cercare, non dico un impossibile equilibrio 
economico, ma comunque una massimizzazione della redditivit�, anche economica, 
muovendosi soltanto all�interno di ogni singolo istituto o �luogo della cultura� 
(cfr. art. 101 del Codice), non considerando che la redditivit�, soprattutto se riferita 
all�indotto, si crea in realt� nella forte relazione di ogni istituzione culturale col territorio, 
naturalmente considerato a pi� scale di ampiezza in rapporto alla provenienza 
e ai bisogni dei fruitori. 

Riprendendo allora il tema di questo convegno, vorrei sottolineare che il problema 
della governance � problema del governo delle relazioni anzitutto nel territorio; 
non �, dunque, un problema di buona, corretta amministrazione di un singolo 
bene culturale, ancorch� fondata su sistemi di cofinanziamento pubblico-privato. 
La costruzione di un modello di gestione utile per il patrimonio culturale non pu� 
quindi essere ispirata dall�idea che il singolo oggetto sul quale si interviene venga 
sovraccaricato di ingiustificate attese di capacit� di costruire redditi e di ripianare i 
costi per la sua gestione. 

Prendendo le debite distanze da qualsiasi illusione di totale autofinanziamento 

� che gi� il Ministro Rutelli stamattina ha voluto opportunamente �sfatare� � rima

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ne per� il fatto che la redditivit� nelle varie forme possibili (economica, culturale o 
sociale�), si promuove essenzialmente attraverso un governo delle relazioni; � 
questo il senso che vorrei proporre di dare al termine governance, che � nel titolo 
di questo convegno. 

Mi sembra che questo approccio � che caratterizza in modo deciso le politiche, 
non soltanto culturali, di Regione Lombardia � possa indurci a prendere molto sul 
serio le parole pronunciate dall�On. Martella nel corso dell�audizione che il 
Ministro Rutelli ha avuto in Parlamento gioved� scorso, come riportate dal resoconto 
stenografico. Diceva l�On. Martella: �Credo si debba fuoriuscire da un modello 
di subordinazione degli enti periferici allo Stato. Ritengo altres� che si debba abbandonare 
anche un�impostazione competitiva tra le parti per adottare invece un 
impianto organizzativo, cooperativo e coordinato cos� come stabilito anche dal 
Titolo V della Costituzione. Si tratta insomma di creare luoghi di concertazione, di 
codecisione e di cooperazione che siano in grado di impedire la frammentazione, la 
dispersione degli investimenti, la sovrapposizione di competenze, la mancata programmazione�. 


Suppongo che l�On. Martella includesse fra gli �enti periferici� anche le Regioni, 
che sono peraltro enti territoriali di legislazione e governo; ma prendo atto che 
nel nostro linguaggio corrente le Regioni vengano ancora confuse con le autonomie 
locali o con soggetti periferici; peraltro, ho riconosciuto in queste parole un approccio 
positivo, molto vicino all�esperienza sviluppatasi negli ultimi anni in Regione 
Lombardia, dove il 60% circa dei fondi d�investimento per la cultura � destinato ad 
interventi condotti mediante programmazione negoziata. 

Non dimentichiamo che la programmazione negoziata non � stata inventata 
certo dalle Regioni, ma, nei modi attualmente previsti dalla normativa nazionale, � 
stata rilanciata dall�allora Ministro Carlo Azeglio Ciampi, dapprima con la finanziaria 
per il �97, ossia la legge 662 del �96, che ne ha individuato gli istituti tipici, e poi 
con la legge 144 del �99, che ha definito i meccanismi di finanziamento attraverso 
l�istituzione di fondi indivisi ad essa dedicati. Le Regioni � a partire dalla 
Lombardia � hanno valutato con grande attenzione e hanno promosso l�applicazione 
della programmazione negoziata, non soltanto per la ristrutturazione di aree 
industriali dimesse, ma anche per la valorizzazione del patrimonio culturale. 

Regione Lombardia ha stipulato con il Ministero per i Beni e le Attivit� 
Culturali nel 1999 il primo accordo di programma-quadro, sottoscritto dalla 
Ministro Melandri e dal Presidente Formigoni. Dopo di allora, mentre le altre regioni 
procedevano a loro volta a costruire altri accordi quadro, abbiamo realizzato due 
aggiornamenti dell�accordo del �99 con il Governo nazionale e stipulato oltre cinquanta 
accordi di programma a livello lombardo. Tra di essi mi sia consentito ricordare 
in particolare un nuovo tipo di accordo, introdotto dalla normativa regionale 
complementare a quella statale, che si chiama �Accordo quadro di sviluppo territoriale�. 
Promosso da Regione Lombardia, esso coinvolge oltre una ventina di comuni, 
la Provincia di Como e, per la prima volta nella sua storia, la Fondazione CARI-
PLO, che ha meritoriamente accettato con una erogazione emblematica di 6 milioni 
di euro di non limitarsi ad una generosa dazione, ma di assumersi con tutti gli 
altri sottoscrittori la corresponsabilit� del buon esito dell�accordo (un vero e proprio 
atto di natura contrattuale), che prevede precise modalit� di monitoraggio delle 


ATTI DEL CONVEGNO 

azioni di tutela valorizzazione e sviluppo e che introduce un vincolo sui bilanci 
delle amministrazioni partecipanti, restando peraltro dinamicamente aperto all�adesione 
di altri enti pubblici e privati. 

Praticando costantemente questa modalit� di investimento su tutto il territorio 
abbiamo sperimentato l�importanza della lettera e dello spirito dell�art. 9 della 
Costituzione, che, facendo riferimento alla Repubblica e non solo ad una delle sue 
componenti istituzionali, ha la possibilit� di essere effettivamente praticato in modo 
da produrre coesione sociale e culturale nel rispetto delle diversit� territoriali ed 
istituzionali, secondo quel principio di sussidiariet�, che � ormai cardine della 
nostra Carta fondamentale. 

Del resto � riprendendo nella sostanza e un po� indebolendo una disposizione del 
testo unico del �99 (D.Lgs. 490) � il Codice ora in vigore, come tutti sappiamo, dispone 
all�art. 40 che �gli interventi conservativi sui beni culturali che coinvolgono lo Stato, 
le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali nonch� altri soggetti pubblici e privati, 
sono ordinariamente oggetto di preventivi accordi programmatici�. Mi sembra evidente 
che, senza bisogno di inventare nuove procedure (ne abbiamo gi� troppe e troppo 
diversificate), l�art. 40 del Codice venga applicato in coerenza con le norme sopra 
richiamate e con la deliberazione CIPE sullo stesso tema assunta nel marzo 1997. 

Vi � poi un altro essenziale capitolo dell�azione comune di Stato e Regioni per 
il patrimonio culturale, assolutamente necessario per aiutare la tutela a dotarsi di 
quello che Giovanni Urbani chiamava �corpo di azione tecnica� (e lo ricordo con 
orgoglio di allievo). Ad esso fanno riferimento a mio avviso almeno cinque articoli 
del codice: sono l�art. 17, il 29, il 114, il 118 ed il 132, quest�ultimo in materia di 
pianificazione territoriale e paesaggio. 

Non vi � ora il tempo per esaminarli tutti, ma un accenno � necessario perch� grazie 
ad essi pu� prendere consistenza il gi� ricordato �grande patto� fra Stato e Regioni 
individuato dal Prof. Settis come ineludibile per una gestione unitaria e, aggiungo, 
contemporaneamente sussidiaria della tutela in Italia. 

L�art. 17 dispone che si pervenga a procedure e modalit� di catalogazione dei 
beni culturali individuate e definite dal Ministero con il concorso delle Regioni e 
sulla base di studi, ricerche ed iniziative scientifiche alle quali le universit� diano la 
loro collaborazione. Le metodologie, cos� costruite e condivise, si dovranno applicare 
a programmi cooperativamente definiti e cofinanziati da Ministero, Regioni e altri 
enti pubblici territoriali, che daranno luogo ad un sistema nazionale di catalogazione 
ad architettura distribuita e con una totale interoperabilit� tra le singole componenti 
territoriali del sistema. 

Per l�attuazione di questo impegno condiviso, Stato, Regioni ed universit� 
potranno costituire, anche a livello interregionale, centri dotati di propria personalit� 
giuridica, come prevedono, in sostanziale coincidenza di intenti, il comma 11 
dell�art. 29 del Codice e l�art. 118. 

Si tratta di una sfida per tutti, che per� si affaccia all�orizzonte non del tutto 
nuova, se si pensa che gi� nel maggio 1983 Stato e Regioni sottoscrissero un accordo 
per operare in tal modo, mentre poi improvvisi e diversi approcci al tema (mi 
riferisco all�operazione Memorabilia e al programma cosiddetto dei giacimenti culturali 
intorno al 1985-�90) fecero dimenticare del tutto l�impegno assunto, che 
riguardava, non a caso, non soltanto la documentazione ma anche la conservazione 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dei beni e la formazione degli operatori del settore a tutti i livelli: temi, come si 
vede, che il Codice ha riproposto nel contesto odierno perch� assolutamente ineludibili 
per un corretto approccio all�art. 9 della Costituzione; temi che, peraltro, uno 
stato decisamente centralista come la Francia sta oggi concretamente affrontando 
nella fase di progressivo trasferimento al sistema regionale di molte funzioni operative 
di tutela, attualmente in capo al sistema ministeriale centrale, a partire dall�inizio 
del 2007. 

Un ulteriore componente, essenziale ed urgente, dell�impegno comune di Stato 
e Regioni per la tutela del nostro patrimonio culturale dovrebbe consistere nell�avviare 
immediatamente tavoli tecnici di lavoro per l�attuazione del comma 5 dell�art. 
29 del Codice, possibilmente in stretto raccordo con quanto disposto dall�art. 114. 
In sostanza, si tratta � e qui riprendo sinteticamente un tema che ho gi� esposto poco 
fa � di co-decidere, con l�apporto di universit� ed altri istituti di ricerca, norme tecniche, 
linee guida, criteri e modelli di intervento per la conservazione, da pensare 
in stretto raccordo tecnico-operativo con la previsione di �livelli minimi uniformi di 
qualit� delle attivit� di valorizzazione�, di cui all�art. 114. 

Rispetto ad un simile approccio � cio� l�assunzione di un impegno condiviso 
per la definizione metodologica e tecnica di un quadro di riferimento nazionale unitario 
per la conservazione, la gestione, la valorizzazione del nostro patrimonio culturale 
� sono personalmente convinto che nessuna delle Regioni italiane in questo 
momento solleverebbe obiezioni di principio, ferme restando le attribuzioni delle 
Regioni a statuto speciale attuali o future, nella consapevolezza che un quadro tecnico-
metodologico nazionale condiviso � fondamento essenziale per l�esercizio da 
parte delle Regioni di ulteriori forme di autonomia coerenti con il comma 3 dell�art. 
116 della Costituzione. 

E non si dimentichi che un quadro di riferimento nazionale coeso e condiviso, 
cio� costruito insieme da Stato e Regioni, renderebbe meno attaccabili i singoli atti 
di tutela, riducendo entit� e tempi del contenzioso. 

Sul piano strettamente operativo, vorrei aggiungere che un lavoro come quello 
che il Codice stesso prospetta darebbe un ruolo via via pi� concreto a strumenti tecnici 
di notevole utilit� che lo stesso Ministero nei decenni scorsi ha promosso e alimentato, 
sia pure con discontinuit� e penuria di mezzi, senza riconoscerne a pieno 
il valore strategico. Penso non soltanto alla Carta del Rischio del patrimonio nazionale 
(1985-�97, di fatto oggi efficacemente operante quasi solo in Lombardia, con 

14.000 monumenti censiti), ma anche, per esempio, ai capitolati speciali per la conservazione, 
la cui elaborazione faceva capo ai gruppi NORMAL, mai adeguatamente 
incentivati e finanziati. Il completamento di questi ultimi strumenti � che consentono 
di regolare nel mercato del lavoro il rapporto fra imprese, committenza, finanziatori 
ed organi di controllo � dovrebbe essere a mio avviso posto fra le priorit� 
assolute da assegnare agli Istituti centrali competenti, ovviamente d�intesa con tutte 
le competenze pi� qualificate nel campo della ricerca come delle opere pubbliche e 
della valorizzazione. 
E ancora, sempre in questa linea, ricordo l�importanza di portare a fondo seriamente 
� non come � stato fatto con il D.M. 24 ottobre 2001, n. 420 d�infausta 
memoria � il sistema di qualificazione delle imprese di conservazione, anzitutto 
evitando una interpretazione lassista (e illegittima) da parte delle Soprintendenze 


ATTI DEL CONVEGNO 

dell�art. 182 del Codice; e, aggiungerei, anche delle imprese che si occupano di 
catalogazione e pi� in generale della costruzione del sistema delle conoscenze, cos� 
essenziale per la tutela e la conservazione � a partire dalle fasi di studio e diagnostica 
� ma anche per la pianificazione urbanistica come per la formazione, la ricerca, 
lo stesso sfruttamento economico dei diritti di uso e riproduzione delle immagini 
del patrimonio culturale. 

Un�ulteriore proposta che vorrei fare in questa sede � quella di sviluppare e diffondere 
quelli che potrei chiamare dei disciplinari d�uso sostenibile di beni cultura


li: intendo riferirmi a strumenti costruiti su singoli complessi monumentali che aiutino 
a capire, non volta per volta, ma in termini generali qual � la capacit� di portata 
e la compatibilit� d�uso che singoli manufatti e complessi d�interesse culturale possono 
avere soprattutto nel caso di manifestazioni e di attivit� estemporanee di promozione 
culturale, comunicazione etc. Disponendo di disciplinari che siano � per dir 
cos� � dettagliati e personalizzati per ogni luogo della cultura sottoposto a tutela si 
eviterebbe di moltiplicare gli atti di autorizzazione derivanti dal comma 1 dell�art. 20 
del Codice, si ridurrebbe il rischio di contenzioso sul comma 2 dell�art. 30, si ridurrebbe 
l�incertezza dei riferimenti tecnici in fase di verifica ex artt. 18 e 19 del Codice, 
si consentirebbe un�interazione pubblico-privato pi� trasparente e serena. 
In questa stessa logica, ritengo, il Codice dei beni culturali giustamente propugna 
l�utilizzo dei contratti di servizio (art. 115, commi 5 e 6) e dei contratti di sponsorizzazione 
(art. 120), dando spazio a forme di normativa pattizia aggiuntive a 
quelle riconducibili alla programmazione negoziata. 

I contratti di servizio sono uno strumento estremamente interessante da sperimentare 
per la valorizzazione, materia la cui normazione � assegnata dalla 
Costituzione alle Regioni, fatti salvi i principi generali introdotti dallo Stato nel 
Codice. � evidente la relazione concreta fra contenuti dei contratti di servizio e le 
norme tecniche di cui prima parlavo a proposito della conservazione (art. 29, c. 5) e 
dei �livelli minimi uniformi di qualit� della valorizzazione� (art. 114); pertanto un 
lavoro cooperativo fra le Regioni e lo Stato potrebbe portare all�individuazione 
quanto meno di un �indice� tipo dei contenuti da sviluppare nei contratti di servizio. 

Naturalmente � indispensabile, mirando a traguardi di medio e lungo periodo 
nella direzione indicata, avere la consapevolezza che le iniziative proposte possono 
trovare concreta attuazione soltanto se fra gli operatori del patrimonio e dei servizi 
culturali si sviluppa una cultura condivisa, una sensazione di reciproca affidabilit� 
tecnica e deontologica, indipendentemente dall�ambito amministrativo o privato di 
appartenenza. Alla base di tutto questo deve esserci il riconoscimento di una professionalit�, 
o, meglio, di una serie di professionalit� che in ogni ambiente di lavoro 
(statale o di ente territoriale, pubblico o privato) trovino riferimenti comuni e riconoscibili. 
Per questo motivo, Stato e Regioni devono concordare profili di competenze 
per le professionalit� degli operatori, delineando percorsi formativi-tipo, fondati 
sulla ricostruzione della catena del valore dei principali processi di conservazione e 
gestione. � dunque necessario continuare sulla strada appena intrapresa per il settore 
della conservazione, a proposito dei restauratori di beni culturali. 

Mi avvio alla conclusione ribadendo l�importanza che si applichino estensivamente, 
magari semplificandoli, gli strumenti di programmazione negoziata; che questi 
siano affiancati dall�utilizzazione di adeguate tecniche di stakeholders manage



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ment, necessarie per individuare sul territorio i soggetti ora e nel futuro interessati a 
condividere (o a contrastare) un progetto di sviluppo che si fondi sulla valorizzazione 
del patrimonio culturale. Queste tecniche, che in Lombardia abbiamo cominciato 
da un anno ad applicare alla gestione degli accordi di programma, sembrano particolarmente 
idonee per gli interventi di salvaguardia dell�identit� culturale territoriale. 

E a proposito, ancora, di programmazione negoziata, mi sia consentito di proporre 
due spunti ulteriori. 

In primo luogo, penso si possa prospettare una nuova mission di ARCUS 
S.p.A., di cui si � molto parlato anche nell�audizione del Ministro Rutelli gioved� 
scorso alla Camera: diventare, soprattutto per il Ministero, la struttura operativa 
per la programmazione negoziata relativamente agli interventi di maggiore complessit� 
ed impegno economico. � mia impressione che attualmente, quando vengono 
chiamate ad impegnarsi in un atto di programmazione negoziata, le soprintendenze 
tendano a vedere la concertazione programmatica come un possibile 
�rischio� per l�indipendente esercizio della discrezionalit� tecnica in materia di 
tutela e, soprattutto, come un�interferenza nella �propria� programmazione. Inoltre, 
poich� di norma gli accordi di programma vengono cofinanziati dal Ministero a 
valere su fondi variamente connotati caso per caso � ordinari o speciali � le soprintendenze 
possono avvertire anche il rischio che la gestione amministrativa degli 
accordi di programma sia un�inutile complicazione. 

In effetti a tutt�oggi le regole di bilancio non sono state adeguate, nello Stato, 
all�esigenza di porre in sincronia la disponibilit� degli strumenti finanziari con la 
realizzazione effettiva degli interventi. Si producono cos� simultaneamente residui 
e carenze di risorse, circostanza che una efficiente gestione degli atti di programmazione 
negoziata non pu� tollerare. 

Se invece ARCUS potesse accompagnare operativamente il raccordo fra i soggetti 
istituzionali chiamati ad assumere le decisioni di programmazione per interventi 
di valore infrastrutturale in materia di cultura, il suo ruolo (per lo studio dei 
modelli gestionali, per semplificare l�erogazione delle risorse di origine statale, per 
concorrere al monitoraggio dei finanziamenti, per fornire assistenza tecnica e consulenza, 
per partecipare ad organismi di gestione di interventi di valorizzazione, 
etc.) risulterebbe di vero sostegno allo sviluppo della programmazione negoziata, 
senza per nulla sottrarre agli uffici ministeriali competenze che ad essi spettano, ma, 
anzi ponendosi al loro servizio. 

Infine, un aspetto sul quale vorrei tornare per sottolinearlo come decisivo � 
quello della abilitazione degli operatori sul territorio. � una funzione che richiede 
una cura tutta particolare e che assume significativo rilievo quanto pi� articolata ed 
estesa � l�area o il complesso che � oggetto di intervento. Si tratta della necessit� di 
accompagnare lo sviluppo imperniato sulla valorizzazione dei beni culturali e del 
paesaggio attraverso il sostegno formativo e consulenziale a coloro che sul territorio 
devono diventare capaci di assicurare autonomamente e con qualit� la gestione 
nel tempo del patrimonio ad essi affidato. Alcune iniziative interessanti, magari a 
carattere sperimentale, potrebbero realizzarsi d�accordo tra Stato e Regioni come 
azioni di avvio del nuovo quadro di programmazione dei fondi comunitari. 

Credo che oltre a rendere operativi gli spunti e le proposte che qui ho prospettato 
sarebbe opportuno, ogni volta che sia possibile, fare opera di semplificazione 


ATTI DEL CONVEGNO 

normativa; in sostanza, si tratta di fare preferenzialmente ricorso al diritto civile, 
evitando, se non assolutamente indispensabile, la produzione di leggi speciali e procedure 
specifiche; si tratta di abrogare quelle leggi o parti di leggi che abbiano una 
funzione di mero �suggerimento� o che abbiano un contenuto soltanto regolamentare 
e procedurale; e invece favorire davvero, perch� di questo c�� un forte bisogno, 
l�armonizzazione dei processi di programmazione e di controllo fra Stato, Regioni 
ed Enti Locali che sono oggi troppo differenti. Questo, infatti, certamente costituisce 
un ostacolo concreto � insieme a taluni aspetti delle norme di contabilit� dello 
Stato � all�effettiva pratica della normativa pattizia, nel cui quadro si inseriscono 
quegli strumenti di programmazione negoziata e cofinanziamento cui ho prima 
accennato e che possono venire indirizzati al bene comune se davvero si d� luogo a 
quel �corpo di azione tecnica�, costituito da adeguate competenze professionali, 
norme tecniche, linee guida, criteri costruiti in modo condiviso, che il Codice e, 
soprattutto, la densa e pregiata trama territoriale � storica e naturalistica � del nostro 
Paese ci chiedono di realizzare assieme. 

SERGIO RISTUCCIA 
Presidente del Consiglio Italiano per le Scienze Sociali 


Cerco di essere rapidissimo attraverso qualche semplice notazione. 

Innanzitutto il titolo di questo convegno �Modelli di governance e Beni 
Culturali� � tale da stimolare un�ampia discussione, tale da identificare con difficolt� 
l�argomento clou di cui si deve discutere. Pare chiarissimo, dai vari interventi 
che si sono succeduti, che in questo tema si ricomprendono non solo i problemi 
di organizzazione e governo strategico all�interno dell�Amministrazione statale, 
regionale, comunale e quelli legati al ruolo delle sovrintendenze, ma anche il tema 
della gestione dei servizi. In questo campo il terreno di discussione � veramente 
amplissimo. 

Io mi tengo all�indicazione che mi era stata data per intervenire a questo convegno 
e cio� a commenti e spunti derivanti dalla relazione della Commissione di 
Studio coordinata dall�Avv. Fiengo e che aveva per oggetto il tema �Istituzioni di 
Fondazioni di diritto privato� e che poi, in realt�, nel suo svolgimento, si � tenuta 
poco al tema avendo riguardato la pluralit� dei possibili modelli di gestione. In pratica 
questa scelta ha voluto assumere che, in fondo, una formula standard per la 
gestione non pu� esistere. La motivazione principale che � stata data dalla relazione 
mi pare assolutamente condivisibile e risiede in quella che � la creativit� dell�autonomia 
privata una volta che � stato richiesto di essere partecipe a questa gestione. 

Condivido pienamente questa indicazione e osservo anche, tuttavia, che questo 
non � tema esclusivo dei giuristi, ma � un terreno pi� ampio che coinvolge differenti 
discipline, secondo una logica multidisciplinare. Cerco di spiegarmi con pi� semplicit�. 
Nell�esperienza professionale, mia come credo di tanti colleghi che sono 
presenti, ci si trova di fronte a richieste di organizzare sotto una determinata veste 
giuridica un tema che � di sostanza, un tema reale di �rapporti fra persone�. Un corretto 
metodo professionale vuole che sia prima capito �di che si tratta�, quali siano 
le esigenze vere, quali siano, volta a volta, le cose da valorizzare e sistematizzare. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Solo successivamente a questa analisi viene lo studio della forma giuridica. Per cui 
� difficile, una volta che si � aperto un discorso a questo incontro con l�autonomia 
privata, non seguire questa prassi di approccio al tema che vuole preventivamente 
una corretta lettura delle fattispecie a cui si tratta di applicare un modello di gestione. 
In questo senso l�analisi della pluralit� delle varie forme di gestione quale risultato 
della commissione che ha concluso i lavori, non limitandosi, quindi, solamente 
a considerare il tema che gli era stato dato, � del tutto da condividere. 

Se, quindi, � vero che il tema centrale � la ricognizione e la valutazione delle 
fattispecie, allora si chiama veramente in causa l�apporto di altre discipline (principalmente 
economico-finanziarie). Adeguata importanza deve essere data agli studi 
di fattibilit� che possono partire anche da due punti diversi: vedere un determinato 
compendio di beni culturali come l�oggetto principale intorno al quale ragionare, 
ovvero, come del resto ho sentito in vari interventi di oggi, considerare il compendio 
di beni culturali in un quadro maggiore di fattibilit� e di valutazione di realt� 
territoriale e di valorizzazione complessiva del territorio. Sono banalit�, ma � bene 
ricordare queste cose. Il metodo di scelta � un metodo che deve sottolineare i passaggi, 
dare indicazioni tematiche da non trascurare mai e, ovviamente, avendo ad 
oggetto principale la verifica della misura di sostenibilit� economica e finanziaria 
di un progetto di valutazione, � un metodo che decide o pu� decidere, entro certi 
limiti e entro certi paletti, la scelta del migliore strumento di gestione. 

Ho visto discutere anche nel documento di Confcultura il tema della Fondazione. 
Qui non voglio entrare nell�architettura della singola possibile fondazione museale o 
quant�altro. Nel documento Confcultura, cos� come nell�intervento di Settis colgo le 
indicazioni che sia fondamentale, nel discutere del modello fondazione, il tema della 
patrimonialit� disponibile. Settis prende ad esempio i musei americani. Questi sono s� 
liberi, indipendenti e privati, ma non � vero che dipendono dai ricavi non entro il 20%. 
Dipendono dal fatto che possono disporre di un patrimonio che utilizzano, o ne utilizzano 
i frutti. � di grande evidenza il caso della Fondazione Parco della Musica di 
Roma in cui, essendo passati da una Societ� per azioni che anno per anno era in perdita, 
si � passati ad una fondazione che oggi � in grado di essere un grande volano 
anche cittadino, ma per un fatto puramente elementare: che la Camera di Commercio 
� entrata nella fondazione con un bel patrimonio e lo ha messo a disposizione in parte 
come patrimonio disponibile entro cinque esercizi e in parte invece messo a frutto. 
Questa � la realt� della trasformazione reale dell�Auditorium in una realt� cittadina di 
prim�ordine, come credo bisogna riconoscere. Ne sono contento essendo stato il consulente 
giuridico della trasformazione che � stata, credo, la prima trasformazione eterogenea 
sulla base del nuovo diritto societario: cio� da una S.p.a. si � passati ad una 
fondazione. Ma non � il fatto formale a rilevare, ma quello sostanziale: che si � trovato 
un patrimonio adeguato alle necessit� almeno dei primi anni dell�Auditorium. 

Da questo nasce il discorso di quale pu� essere l�approccio relativo alle fondazioni 
di origine bancaria. Su questo, per prima cosa, voglio dire che non condivido 
dell�intervento del Prof. Settis, cos� rigoroso, diciamo critico, del bestiario del �benculturalismo�, 
l�idea del ruolo della fondazione di origine bancaria. Le fondazioni 
di origine bancaria non sono soggetti di supplenza di nessuno, hanno la possibilit� 
di intervenire, certo su questo campo, soprattutto nella logica dello sviluppo locale 
che � il punto di riferimento principale, ma non sono un soggetto di per s� di sup



ATTI DEL CONVEGNO 

plenza. Immaginate se fossero di supplenza su tutti i campi in cui devono intervenire 
o possono intervenire che sono la ricerca scientifica, la sanit�, ed altri ancora. 
Si assisterebbe, ad esempio, ad una forte disparit� di intervento fra nord e sud a 
causa di quella che � la storia dei fatti, ossia la trasformazione in fondazione di 
patrimoni che erano stati accumulati nell�ambito delle Casse di Risparmio (dove 
ovviamente a nord c�erano i patrimoni maggiori). Detto questo, � un problema reale 
delle fondazioni, della loro responsabilit� sociale, della loro politica quella di saper 
bene intervenire territorialmente. 

Dopo la definizione della natura e delle fondazioni di origine bancaria che si � 
avuta nell�ambito del contenzioso davanti alla Corte Costituzionale, l� dove, avendo 
cominciato la pratica professionale in Via dei Portoghesi, mi sono per� trovato 
come controparte, le fondazioni possono contribuire, l� dove serva, e naturalmente 
essendo preparate a questo, a studiare la singola fattispecie, e ad essere coinvolte a 
fornire a determinate fondazioni museali quella patrimonialit� che serve proprio a 
risolvere certi problemi di gestione; in altre parole, � giusto quello che afferma 
Confcultura che � troppo alta l�esigenza per una fondazione di costituire il patrimonio 
adeguato alle proprie necessit�. Ma a tal fine non si pu� prescindere dal ruolo 
delle fondazioni di origine bancaria. Del resto mi sembra che non esistono, in Italia, 
altri operatori privati filantropi o grandi donatori. Quindi, non solo � possibile creare 
col supporto delle fondazioni di origine bancaria altre fondazioni, ma occorre 
crearle con il grado necessario di patrimonio distinguendo, di nuovo, in questo 
patrimonio la parte vincolata, in qualche senso intangibile, che magari va messa a 
frutto, dalla parte disponibile. � del resto questa la struttura della fondazione delle 
antichit� egizie a Torino che vede, da una parte, un patrimonio modesto, di tipo stabile 
e, dall�altra, un patrimonio a disposizione pi� consistente da utilizzare nei prossimi 
esercizi. 

ANDREA ZOPPINI 
Professore di Istituzioni di Diritto privato all�Universit� degli Studi di Roma Tre 

Ringrazio sinceramente per l�invito che mi � stato rivolto. Il titolo principale 
per essere qui a parlare del tema dei modelli di governance dei beni culturali � quello 
di aver fatto parte della commissione presieduta dall�Avv. Fiengo. In particolare, 
facevo parte di quella commissione in quanto da sempre mi occupo dell�istituto 
delle fondazioni. � un istituto che tradizionalmente � stato negletto dagli studiosi 
del diritto privato e che, invece, negli anni pi� recenti ha conosciuto un grande 
risveglio e interesse, oltre che una grande vitalit� sul piano dell�esperienza dal 
momento che quasi il 60-70% delle fondazioni italiane � stata istituita dopo il 1990. 

Confesso che prendo la parola con grande imbarazzo. Innanzitutto perch� il 
parlare prima dell�ora di colazione � sempre complesso ed inoltre per la ragione che 
evidentemente dal privatista ci si pu� legittimamente attendere qualcosa che va contro 
il sentimento comune del contesto in cui ci troviamo. Dallo studioso di diritto 
privato, dicevo, ci si pu� legittimamente attendere qualche proposta e qualche provocazione 
in senso diverso da quella che riguarda il bene culturale come qualcosa 
che collochiamo in un�ideale teca giuridica e dalla quale non lo vogliamo togliere. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Vorrei svolgere alcune considerazioni brevissime muovendo appunto dal riferimento 
alla governance, che � qualcosa di molto diverso dal government, cio� dal 
governo in senso pubblicistico. Quando parliamo di governance ed, in particolare, 
di corporate governance, facciamo riferimento ad un dibattito che ci viene dagli 
Stati Uniti e che riguarda il modo in cui le regole di organizzazione di soggetti privati 
generano output efficienti, ossia ci poniamo sostanzialmente tre ordini di problemi: 
quali sono i processi decisionali idonei a generare esiti efficienti, qual � il 
modo migliore per costruire una dialettica efficiente tra la propriet� e chi assume 
decisioni (che nelle societ� per azioni riguarda il rapporto tra azionisti e management) 
ed infine quale il miglior sistema possibile dei controlli. 

Il punto che qui ci interessa consiste nelle modalit� di declinazione di questi 
concetti quando ci occupiamo di beni culturali. La commissione presieduta dall�Avv. 
Fiengo ha assunto un punto di avvio della riflessione, che � il punto di avvio politico 
dal quale abbiamo lavorato, e che coincide con la considerazione che la mano 
pubblica non � in grado di assumere in gestione diretta pi� del 20% dei beni cultura


li. Allora, movendo da questo dato, come incentivare i privati ad intervenire, quindi 
come favorire l�afflusso di risorse private nella gestione diretta dei beni culturali? 
Ritengo che, se ragioniamo privatisticamente, dobbiamo muovere da una premessa 
in ordine alla quale il privato � disposto ad intervenire a condizione che le 
regole del gioco siano chiare. Queste regole del gioco sono quelle che devono dare 
la massima garanzia di tutela ma, fissate queste regole, � necessario poi che le forme 
di organizzazione, i modelli di gestione siano significativamente rimessi all�autonomia 
privata e all�autonomia statutaria, cio� quella particolare modalit� in cui si 
manifesta l�autonomia privata che attiene al modello di organizzazione degli enti 
collettivi. Se questo � vero, e cio� con il privato � necessario immaginare modelli 
di interrelazione chiari e scritti in maniera definita una volta per tutte; se � vero 
anche che � impossibile definire un modello precostituito di interazione pubblico e 
privato perch�, in realt�, i fenomeni con cui abbiamo a che fare sono estremamente 
variegati ed � quindi impossibile dire ad esempio che solo la fondazione, per la 
particolare caratteristica di questo istituto, � il modello idoneo ad una gestione del 
bene culturale, o solo il consorzio o solo, per ipotesi, la societ� per azioni; se tutto 
questo � vero, la soluzione pi� semplice da dare a questo tipo di interazione � quella 
fondata su una convenzione che stabilisca queste regole e che rimetta conseguentemente 
al privato la scelta poi dell�intelaiatura giuridica. 

Il secondo punto sul quale vorrei richiamare l�attenzione � quello in ordine al 
quale, in un certo senso, dobbiamo liberarci di un (e qui mi riferisco a quanto concerne 
il diritto privato) retaggio individualistico tipico dei codici borghesi 
dell��800, retaggio individualistico che sostanzialmente da un lato professava l�idea 
per cui la propriet� privata, il bene gestito dal privato si debba manifestare in 
una propriet� piena, cio� nel diritto di godere e disporre del bene in modo pieno 
ed assoluto e, dall�altro, l�idea che tutto ci� che non � finalizzato a realizzare un 
utile soggettivo deve essere marginalizzato. Questa � la ragione per la quale il 
codice civile francese aveva cancellato le fondazioni di diritto privato mentre il 
codice civile italiano le aveva collocate in una posizione del tutto marginale in 
quanto si riteneva che la fondazione dovesse realizzare solo interessi di pubblica 
utilit�. Se noi rimuoviamo, in questa materia, il paradigma liberale ottocentesco o 


ATTI DEL CONVEGNO 

un�idea di tipo individualistico, ecco che si dischiudono alcune possibili soluzioni 
tecniche. In questa prospettiva dobbiamo prendere atto che ci sono regole di 
tutela dei beni culturali che possono essere indifferentemente pensate sia come 
regole dei beni sia come regole del soggetto metaindividuale, cio� della persona 
giuridica che gestisce il bene collettivo. Possiamo pensare cio� a regole che attengono 
ai beni che si manifestano nella forma di un onere reale opponibile erga 
omnes, e cio� nel senso che il bene concesso al privato ha un suo statuto giuridico 
che � opponibile a tutti i terzi e che accompagna il bene anche nella sua circolazione; 
oppure possiamo immaginare che queste regole sono nel dna della fondazione 
(ma anche, direi, in altre forme giuridiche) che probabilmente � l�istituto 
pi� adatto per realizzare questi scopi, e queste regole giuridiche regolano e disciplinano 
le modalit� di amministrazione della persona giuridica medesima. 

Tocco questi temi con grande velocit� perch� il tempo � veramente limitato, 
avviandomi cos� a concludere con un�ultima considerazione ed una battuta. 

L�ultima considerazione � che abbiamo sentito ed evocato il modello multistakeholder 
e cio� l�idea che quando si tratta di beni culturali c�� un�ispirazione nelle 
persone giuridiche private di riferimento a coinvolgere tutti nella decisione, cos� 
come l�idea della privatizzazione, seppure tra virgolette, dei beni culturali, evidentemente 
pone problemi che hanno a che vedere con il fatto che questi processi di 
privatizzazione vengono fatti a strati. Ebbene, vorrei cogliere l�occasione per suonare, 
non dico un campanello d�allarme, ma almeno una campanellina, nel senso 
che bisogna sempre tenere in conto del fatto che costruire modelli di governance 
particolarmente complessi in cui in maniera non definita competenze diverse si 
miscelano nel consiglio d�amministrazione pu� generare risultati profondamente 
inefficienti. � opportuno tenere conto del fatto che un assetto privatistico � tale ed 
efficiente in quanto � chiaro chi ha il comando della gestione imprenditoriale. A mio 
parere, questo vale non solo nell�impresa, nell�impresa generale lucrativa, ma anche 
quando ci poniamo il problema di identificare qualche modello privatistico pi� evoluto 
per gestire il bene culturale. Vengo ora all�ultima battuta: com�� noto si parla 
sempre di governance in tutti i contesti possibili e immaginabili, per cui mi sovviene 
una battuta di De Rita che a me piace molto e cio� �ricordiamoci che il nostro 
Paese pi� che di governance ha bisogno di un government buono�. 

FRANCESCA QUADRI 
Avvocato dello Stato, Capo dell�Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e le Attivit� 
culturali 


Ringrazio gli organizzatori per avermi invitato a questa giornata di studio, pur 
ricoprendo da un solo mese l�incarico di capo Ufficio Legislativo del Ministero per 
i beni e le attivit� culturali. � quindi da poco tempo che mi sono dedicata pi� da 
vicino a queste problematiche, sicuramente molto avvincenti e di interesse fondamentale 
per il Paese. 

Mi inserisco quindi nel dibattito sulla governance dei beni culturali: pi� Stato 

o pi� privato? O � meglio � come permettere l�ingresso del settore privato, quale 
modulo organizzativo di governance dare alle sinergie tra pubblico e privato? 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Mi sembra che una delle questioni che ha animato la dottrina ed i primi commentatori 
del codice Urbani sia quella relativa alla qualificazione della valorizzazione, 
se cio� si possa ricondurre tale attivit� ad una pubblica funzione o ad un servizio 
pubblico. 

Tralascerei di considerare tutte le problematiche attinenti la tutela e la conservazione, 
adeguatamente risolte nel quadro normativo del codice dei beni culturali. 
Per quanto riguarda, in particolare, la conservazione, mi pare che la sua collocazione 
nell�ambito della tutela elimini qualsiasi rischio di privare lo Stato di questa funzione 
pubblica. 

Limito dunque il campo dell�indagine a quello che � l�argomento principale del 
nostro dibattito, ossia la valorizzazione. 

In che modo pu� essere perseguito l�obiettivo e svolto il compito della valorizzazione 
dei beni culturali? Esclusivamente attraverso l�esercizio di poteri pubblicistici 
ovvero anche attraverso il ricorso a moduli di diritto privato, cos� assimilando 
la valorizzazione ad un pubblico servizio? A mio parere il problema non pu� che 
essere affrontato attraverso una ricostruzione � che svolger� molto brevemente, 
naturalmente, dato il tempo limitato di cui mi � consentito disporre � del quadro 
normativo introdotto dal codice dei beni culturali, alla luce delle modifiche e dei 
correttivi del recente decreto n. 156. L�art. 6 fissa in maniera indubbia la natura di 
funzione pubblica della valorizzazione. Ci� � detto espressamente con la locuzione 
�esercizio delle funzioni e della disciplina delle attivit� dirette a promuovere la 
conoscenza del patrimonio culturale�. Inoltre la conservazione, quale attivit� collegata 
alla valorizzazione, si pone come sostegno, promozione degli interventi, ma 
non � attratta alla sfera della valorizzazione. 

L�art. 6, pur collocando la valorizzazione nell�ambito delle pubbliche funzioni 

� da ricondursi all�esplicazione di potest� pubbliche � pone, tuttavia, un�importante 
premessa: l�impegno da parte della Repubblica al sostegno di forme di partecipazione 
da parte dei privati. Tale partecipazione si configura nell�ambito della cosiddetta 
sussidiariet� orizzontale e si traduce in un intervento � principalmente economico 
� tale da non snaturare la funzione pubblica della valorizzazione. 
L�art. 6 stabilisce, tra l�altro, come limite alla valorizzazione la funzione della 
tutela. � questo un altro elemento assolutamente garantista in termini di prevalenza 
dell�interesse alla tutela. L�apporto dei privati � considerato come fonte di sostegno, 
volta a creare sinergia tra pubblico e privato senza modificare la natura pubblica 
della funzione. 

Diversa dalla funzione di valorizzazione � l�attivit� di valorizzazione, disciplinata 
dall�art. 112. 

L�art. 112 affronta anzitutto la questione del riparto di competenze tra Stato e 
Regioni. La competenza concorrente di Stato e Regioni, in base al riformato articolo 
117 della costituzione, trova attuazione attraverso lo strumento degli accordi. 

In via subordinata, in caso di mancato raggiungimento degli accordi, la suddivisione 
delle competenze tra Stato e Regioni � risolta secondo il principio dominicale � 
accolto anche dalla Corte Costituzionale � secondo cui Stato e Regioni, rispettivamente, 
provvedono alla valorizzazione ciascuno dei propri beni. 

Ma l�elemento dominante contenuto nell�art. 112 � sicuramente quello dell�accordo, 
che deve fissare, proprio nell�esercizio della funzione pubblica di valorizza



ATTI DEL CONVEGNO 

zione, obiettivi, strategie, progetti in vista dei quali va svolta la gestione del bene 
culturale, ossia l�attivit� materiale di valorizzazione. 

La disciplina scaturente dal nuovo testo dell�art. 112 � semplificata rispetto alla 
precedente, essendo stata eliminata la previsione delle linee guida da indicarsi in 
sede di Conferenza unificata. L�eliminazione di questo passaggio conferisce maggiore 
snellezza alla procedura per la conclusione degli accordi e riconosce superiore 
discrezionalit� agli enti coinvolti. 

� attraverso gli accordi che si pu� giungere � importante novit�, questa, introdotta 
dall�art. 112 � all�individuazione dei bacini culturali. I bacini culturali hanno una 
conformazione geografica non necessariamente corrispondente al territorio regionale, 
poich� traggono la loro ragion d�essere dalla comunanza culturale ed artistica di siti 
vicini. Da ci� l�esigenza di coinvolgere amministrazioni � regionali e locali � interessate 
al progetto. � chiaro che l�accordo postula � nella filosofia dell�art. 112 � la creazione 
di un centro unitario non solo decisionale, ma anche di vigilanza della successiva 
gestione del bene culturale. A tale scopo � preordinata la creazione di un �soggetto 
giuridico� unitario preposto alla fase ideativa della valorizzazione. 

La norma suscita, invero, dubbi intorno a quale sia la natura del soggetto giuridico, 
se necessariamente pubblica ovvero anche privata, qualora sia prevista la 
partecipazione di privati che possano dare il loro apporto. Ci� che sicuramente la 
legge esclude � che si possa trattare di soggetti che perseguano fine di lucro. Sono 
infatti ammessi a partecipare al centro decisionale unitario solo soggetti no profit 
oppure, come nel caso delle fondazioni, che abbiano tra i propri fini statutari il perseguimento 
di scopi di sostegno del patrimonio culturale. 

Il soggetto giuridico ha quindi il compito di individuare il concreto obiettivo in 
cui consista la valorizzazione del bene culturale. 

Qui entriamo in una seconda fase, regolata dall�art. 115, consistente nell�esecuzione 
della valorizzazione, ossia in quella attivit� comunemente denominata 
�gestione del bene culturale�. A questo proposito si nota che l�approccio del codice 
dei beni culturali segna una svolta. Si pu� effettivamente dubitare che la gestione 
dei beni culturali sia configurata come una funzione pubblica. L�art. 115 prevede 
infatti due sistemi di gestione: la gestione diretta da parte dell�ente pubblico proprietario 
e la gestione indiretta attraverso la concessione a terzi. Tra le due forme di 
gestione si coglie una sorta di competizione, sfociante in un giudizio di comparazione 
sulla base della maggiore efficienza dell�uno o dell�altro modulo procedimentale. 
Non pu� non osservarsi un affinamento del testo del nuovo art. 115, laddove 
viene introdotto il concetto di �migliore efficacia�, senza dubbio pi� incisivo rispetto 
a quello di �adeguatezza�. 

La questione che la norma pone �, tuttavia, se, una volta che sulla base del giudizio 
comparativo emerga la convenienza del modulo concessorio rispetto a quello 
della gestione diretta, l�amministrazione sia obbligata ad affidare in concessione 
la gestione del bene. Dal tenore della disposizione sembrerebbe doversi dare 
una risposta affermativa, cos� come sembrerebbe � per converso � che tutte le volte 
in cui si intenda procedere all�affidamento in concessione occorra specificare in 
motivazione le ragioni che inducono a ritenere questa opzione pi� conveniente 
rispetto alla gestione diretta. Veniamo dunque al modulo procedimentale. 
Effettivamente concordo con il Dott. Petraroia laddove egli diceva che il codice 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

affronta la questione troppo nel dettaglio. Esso impone dei moduli procedimentali 
che potrebbero essere lasciati ad una maggiore discrezionalit�, fermo restando il 
perseguimento dell�obiettivo gi� tracciato nei piani strategici e progettuali indicati 
negli accordi dell�art. 112. Il legislatore, diversamente, fissa un preciso modulo 
procedimentale, quello della concessione, che � lo strumento giuridico tradizionalmente 
adoperato per la gestione di servizi. Sono imposte dettagliatamente varie 
cautele, quali l�osservanza degli obiettivi del piano strategico indicato, ivi compresi 
i tempi di esecuzione. La concessione � affiancata dalla stipula di un contratto 
di servizio, che detta le regole del rapporto tra concedente e concessionario. Non 
si pu� tralasciare di considerare che all�amministrazione � riservato il potere di 
indicare i livelli minimi del servizio, come tipicamente avviene per altre tipologie 
di servizi pubblici. 

� appena il caso, infine, di fare un breve cenno sui servizi aggiuntivi. 

I servizi aggiuntivi, a mio avviso, si collocano su di un gradino distinto rispetto 
alla gestione � diretta o indiretta � del bene culturale. Il termine �aggiuntivo� d� 
effettivamente il senso della natura di questi servizi, non attinenti alla funzione 
essenziale, alla c.d. �mission� della valorizzazione del bene culturale, ma rispondenti 
ad un interesse ulteriore, non essenziale ma complementare al godimento del 
bene. Solo per fare un banale esempio, poter prendere un caff� in un locale apposito 
allestito presso un museo certamente non attiene alla principale modalit� di fruizione 
del luogo di cultura, ma rende pi� confortevole la visita con il probabile risultato 
di incoraggiarla. Mi sembra che, piuttosto, l�impropriet� consista nell�inserire 
tra i servizi aggiuntivi alcuni servizi che in realt� aggiuntivi non sono, come ad 
esempio la vigilanza, che attiene ad un�esigenza essenziale per la valorizzazione del 
bene culturale. 

Compiuta questa breve disamina sull�inquadramento giuridico della governance 
ai sensi del codice, non pu� trascurarsi la delicatezza del passaggio alla applicazione 
concreta, che dar� veramente conto della �tenuta� delle norme. Molti problemi 
si pongono all�attenzione dell�amministrazione che dovr� coordinarsi necessariamente 
anche con l�organizzazione periferica per seguire linee direttrici comuni e 
condivise per la gestione indiretta dei beni culturali: la struttura dei bandi di gara, 
l�ampiezza delle concessioni, nel senso dell�ambito territoriale e della tipologia di 
attivit� ricomprese nella gestione, la durata, il contenuto dei contratti di servizio, la 
fissazione dei livelli minimi essenziali. Anche dal grado di approfondimento di queste 
tematiche dipender� la riuscita del sistema di gestione delineato dal codice. 

GIUSEPPE PROIETTI 
Capo del Dipartimento per la ricerca, l�innovazione e l�organizzazione del Ministero per i 
Beni e le Attivit� culturali 


Riprendo subito l�intervento ultimo della mattinata, quello dell�Avv. Quadri, 
con cui concordo appieno nella focalizzazione delle tematiche discusse sull�area 
della valorizzazione. Posto che, naturalmente, per quel che riguarda la tutela, ivi 
compresa la conservazione, non dobbiamo dimenticare di trovarci di fronte ad un 
sistema, il sistema italiano della tutela, che si articola ormai da oltre 130 anni sul 


ATTI DEL CONVEGNO 

territorio, diffusamente, nelle soprintendenze: e un sistema che costituisce un 
modello a cui guarda tutto il mondo. L�esperienza italiana nel settore della tutela 
del patrimonio culturale fisico, per come si � evoluta sul campo (e che campo 
quello italiano) costituisce oggi un modello e non son parole vuote: basterebbe 
avere a che fare con il colleghi che si occupano del patrimonio culturale negli altri 
paesi di grande tradizione culturale per avere la percezione esatta di quanto interesse 
ci sia nei confronti del modello di tutela che noi abbiamo operativo, e che 
pure mettiamo in discussione per pur legittime valutazioni di adeguamento ai 
tempi mutati. 

Le realt� istituzionali mutano? Teniamo presente per�, e lo ripeto, che il 
sistema italiano della tutela sul territorio costituisce un modello a cui guarda l�intero 
mondo; naturalmente quella parte del mondo che � in condizione di potersi 
porre i problemi della tutela del patrimonio culturale. E, allora, area della valorizzazione; 
governance; rapporto tra pubblico e privato in un�area, e anche qui 
concordo con l�avv. Quadri, che focalizzerei sui servizi aggiuntivi. Quando usiamo 
questi termini non dobbiamo sottovalutare la volont� di chi li ha prodotti. Se 
si son chiamati servizi aggiuntivi, e non � stato un semplice atto di un funzionario 
ministeriale a definirli cos�, � proprio perch� si voleva sottolineare la loro 
sussidiariet� rispetto ad una funzione che rimane centrale e che � quella della 
gestione dei beni culturali, che era dato per scontato dovesse rimanere in mano 
pubblica. 

Il Prof. Settis ha illustrato questa mattina alcune esperienze da lui direttamente 
vissute negli Stati Uniti. Voglio aggiungere soltanto che probabilmente il dibattito 
sulla privatizzazione della gestione del patrimonio culturale o meglio, dei luoghi 
della fruizione del patrimonio culturale, soprattutto i musei, � nato e si � sviluppato 
sulla base di una scarsa conoscenza delle esperienze dei paesi ai quali si guardava 
quando si evocava questa possibilit�. Quello che � comunemente ritenuto il tempio 
della gestione virtuosistica privata di un museo � forse il Metropolitan Museum. 
Io ho studiato il bilancio di due annualit� del Metropolitan, quella del 2000 e quella 
del 2001; devo confermare quello che anticipava il Prof. Settis a proposito del 
Getty: il bilancio del Metropolitan, sotto la voce �entrate�, reca la dizione �contribuzione 
ordinaria della municipalit� di New York�; reca poi la seconda dizione 
�contribuzione straordinaria della municipalit� di New York�, che � equivalente sul 
piano quantitativo a quello della contribuzione ordinaria. Con queste due contribuzioni, 
la ordinaria e la straordinaria, che naturalmente si ripetono ad ogni anno in 
bilancio, il Metropolitan copre le spese del personale e quelle di funzionamento. 
Senza questa contribuzione pubblica il Metropolitan non potrebbe rimanere aperto 
come museo. Quindi, quando si guarda a modelli e lo si fa senza conoscerne appieno 
i meccanismi di funzionamento ed i vincoli finanziari per auspicare la trasposizione 
pura e semplice di quei modelli in Italia, si corre il rischio di fuorviare il dibattito. 
Dir� una cosa in pi�, avendo studiato a fondo anche dall�interno il meccanismo 
di funzionamento sia per quello che riguarda i costi sia per quello che riguarda i 
benefici della gestione museale (benefici naturalmente sia di natura finanziaria che 
di natura economica): che l�unico museo statale in Italia che presenta un utile finanziario 
e che quindi pu� essere �appetibile� da parte di una gestione privata �, e non 
� una battuta, credetemi, la Grotta Azzurra di Capri. � l�unico museo che presenta 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

un utile finanziario e non perch� gli altri musei siano gestiti male. Come dimostra 
anche il caso dei grandi musei privati del mondo anglosassone (sottolineo a questo 
proposito per� che il British Museum � un museo statale e che � anche ad ingresso 
gratuito), mi pare chiara la considerazione che il gestore di un museo ha interesse a 
produrre un utile finanziario perch� il gestore privato alla fine del mese deve fare i 
conti tra quello che ha speso e quello che ha incassato. 

Altro � il discorso che riguarda i benefici economici. I musei statali in Italia 
sono gestiti dal Ministero dei Beni Culturali, il quale naturalmente non ricava 
utile finanziario dalla loro gestione. Ma sempre lo Stato, in Italia, ha altri 
Ministeri, come quello dell�Economia, che dalla esistenza e dal funzionamento 
dei musei ricavano utili che non sono propriamente (qui l�amico Paolo Leon mi 
pu� soccorrere) finanziari, ma non sono neanche genericamente economici. Parlo 
di introiti fiscali e mi riferisco solo al gettito dell�IVA al 10% sul valore aggiunto 
del fatturato (della branca delle tavole input output) degli alberghi e pubblici 
esercizi. Il fatturato, quindi, calcolato per largo difetto degli alberghi e dei pubblici 
esercizi ricavabile dallo sviluppo delle presenze alberghiere, quindi dei pernottamenti 
accertati nei soli alberghi. Con una serie di ricadute a filiera, posto che 
le presenze alberghiere direttamente originate da motivazioni culturali costituiscono, 
per largo difetto, il 22% del totale e portano ogni anno un gettito IVA nelle 
casse dello Stato di 1 miliardo e 300 milioni di euro. Questo vuol dire, ripeto, che 
lo Stato, mentre attraverso la gestione diretta dei musei da parte del Ministero dei 
Beni Culturali non ricava utile finanziario, ricava per� un gettito fiscale che non 
� propriamente un utile finanziario secondo la scolastica economica, ma non � 
neanche un generico beneficio economico: � pur sempre un gettito finanziario, si 
tratta cio� di danaro contante che ogni anno entra nelle casse dello Stato. Quindi 
lo Stato ha dei benefici nella gestione dei musei. Naturalmente, posto che nessun 
privato pu� trovare un utile finanziario nel gestire direttamente i musei, si pu� 
migliorare certamente, con il contributo del privato, il segmento dei cosiddetti 
servizi aggiuntivi. In questo senso l�esperienza compiuta negli anni pi� recenti ha 
per la verit� costretto i diretti protagonisti di questa esperienza a pagare lo scotto 
che si paga molto spesso quando si affrontano percorsi innovativi. Non temo 
di dare informazioni molto lontane dal vero se dico che tutte le esperienze finora 
compiute nel settore dei servizi aggiuntivi, parlo per esempio dei servizi di 
gestione della biglietteria e delle collegate attivit� in termini di didattica ecc., si 
sono dimostrati non remunerativi per i gestori privati, tanto che in moltissimi casi 
gli stessi gestori hanno dovuto rinunciare alle concessioni. Altro � il discorso di 
alcuni altri segmenti, parlo di attivit� di bookshop o di attivit� di ristorazione (ma 
limitatamente ad alcuni grandi complessi museali), gli Uffizi per esempio. Ecco, 
in quel caso probabilmente l�esperienza dell�ingresso del privato nella gestione di 
alcuni servizi aggiuntivi ha prodotto degli utili finanziari e quindi pu� dimostrarsi 
interessante, �appetibile� nell�ottica di un rapporto di collaborazione fattiva tra 
pubblico e privato. Il problema, in Italia � anche un altro: la caratteristica del patrimonio 
culturale italiano � quella di essere capillarmente diffuso sul territorio 
soprattutto attraverso una rete di luoghi di fruizione, che nessun gestore privato 
trover� mai interessanti da condurre. Anche qui la legge Ronchey aveva in un certo 
modo previsto questa difficolt� incentivando la forma consortile da parte degli 


ATTI DEL CONVEGNO 

aspiranti privati alla gestione dei servizi aggiuntivi, obbligando quasi alla formulazione 
di proposte che coprissero anche le aree dei cosiddetti musei minori. 

Giuseppe Fiengo: Io ringrazio, ma non vorrei che oggi pomeriggio, visto che 
qui siamo prevalentemente pubblicisti, prevalessero, dopo le aperture di questa 
mattina, i problemi. Ci sono, li conosco perfettamente, so cosa significa l�ingresso 
dei privati, ma c�� una forte voglia non solo di fare i servizi aggiuntivi, ma di 
partecipare anche loro a creare cultura. Io non credo, e qui marco un dissenso 
dall�Avv. Quadri, che la valorizzazione sia una funzione pubblica. La valorizzazione 
la fanno tutti, tutti coloro che riconoscono in un bene culturale qualcosa 
che rappresenta la propria identit�. Quindi non sarei cos� esclusivo in questo, 
penso che i privati abbiano le loro ragioni se vogliono spendere soldi per i beni 
culturali e che non sia soltanto per ragioni di profitto, ma anche per ragioni di 
promozione, di promozione della loro immagine: � il sentirsi diversi, il sentirsi 
parte di un qualcosa di importante e che � la loro identit�. Quindi i problemi ci 
sono, sono questi, ma non vorrei che tornassimo indietro rispetto ad un�apertura, 
fatta anche dal Ministro, che ritengo invece significativa. E quando dico privati 
intendo anche i Comuni, le Regioni, perch� noi li abbiamo sempre considerati 
cos�, sbagliando, senza considerare che forse anche loro esprimono una voglia di 
gestione dei beni culturali pari a quella dello Stato. Questo voleva essere lo spirito 
del convegno, ed anche se mi rendo conto che avete fatto bene a richiamare 
l�attenzione di tutti su questi problemi, voglio per� battermi ancora per questo. 
Do ora la parola all�Avv. Antonella Anselmo. 

ANTONELLA ANSELMO LEMME 
Avvocato in Roma 


Ringrazio l�Avvocato Fiengo, con il quale mi trovo pienamente d�accordo, 
forse perch�, alla base delle sue considerazioni, vi � il lavoro svolto collegialmente 
all�interno della Commissione. 

Sono tematiche sulle quali abbiamo molto riflettuto e dibattuto. 

In via generale penso sia molto importante individuare quei presupposti imprescindibili 
per l�affidamento, a terzi, dei servizi museali o, comunque, per la realizzazione 
di formule di cogestione. 

Ho avuto modo di partecipare ai lavori della Commissione evidenziando alcuni 
aspetti che vorrei, molto sinteticamente, esprimere in questa sede. 

� In primo luogo, l�esigenza di far precedere ogni forma di esternalizzazione 
dei servizi museali da una definizione chiara della �missione� del singolo museo. 
Occorre infatti che l�esternalizzazione sia preceduta dalla formulazione del piano 
scientifico, dalle linee di sviluppo nel campo della ricerca, dalla catalogazione dei 
reperti, dai progetti educativi, tutti elementi a fondamento della struttura museale. 

� In un momento successivo, sulla base del piano scientifico gi� elaborato, 
dovrebbe essere formulato il cosiddetto �business plan�, eventualmente su proposta 
dei privati. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Non si pu� pensare di attrarre investimenti se non si ha una chiara visione della 
programmazione delle attivit� concretamente realizzabili all�interno del museo. Il 
coordinamento tra queste due fasi dovrebbe avvenire nel rispetto della piena autonomia 
scientifica del museo e degli standard di qualit� dei servizi. 

Al riguardo ritengo che il singolo museo debba distinguere nettamente la propria 
offerta culturale dalla connessa politica commerciale. 

Si impone infatti la necessit� di definire chiaramente la linea di confine tra le 
attivit� non profit e le attivit� idonee a produrre reddito, nel pieno riconoscimento 
giuridico delle singole professionalit� museali. 

� Il Ministro e gli autorevoli relatori che mi hanno preceduto hanno ricordato 
quante siano le competenze e le specializzazioni degli operatori in Italia, e come 
queste siano ampiamente apprezzate all�estero. 
Tuttavia ancora oggi non si � giunti al riconoscimento giuridico pieno dei vari 
profili professionali operanti nel settore, presupposto imprescindibile per ogni serie 
valorizzazione, con gli evidenti riflessi, anche indiretti, sul piano del rilancio economico 
del settore. 

Basti pensare che il Codice Urbani si incentra solo sulla figura del restauratore, 
tralasciando del tutto la figura del direttore del museo che �, forse, la figura pi� 
importante nei rapporti, anche esterni, volti a rappresentare l�identit� della singola 
della struttura museale. 

� Infine, evidenzio la possibilit� di riconoscere al privato non solo la veste di 
investitore, ma anche quella di �promotore culturale�. 
Sul punto mi ricollego a quanto affermava l�Avvocato Fiengo sul �pluralismo 
culturale�. 
L�apporto del privato deve potersi inserire in un contesto che consenta lo sviluppo 
armonico, equilibrato, ma al contempo pluralistico, della cultura del Paese. 
Occorre evitare il rischio che al monopolio del �pubblico� sulla cultura, da pi� 
parti lamentato, si sostituisca il monopolio del privato, non sempre espressione 
fedele della societ� civile, nelle sue svariate sfaccettature. 

Cosa si intende per privato? 

Si intendono soltanto i grandi operatori finanziari in grado di indirizzare anche 
la cultura (o quantomeno certe scelte culturali del pubblico), ovvero si intende per 
privato anche la societ� civile, incoraggiata alla promozione e fruizione dei servizi 
culturali? 

Il Professor Settis ricordava l�esperienza statunitense, evidenziando una 
capacit� di contribuzione da parte della societ� civile, anche mediante meccanismi 
di agevolazioni fiscali, che pu� arrivare fino al 70% delle attivit� culturali 
globali. 

Questo � lo scenario maggiormente auspicabile perch� diversificato e, comunque, 
capace di indirizzare pi� incisivamente l�opinione pubblica verso crescenti 
richieste di servizi culturali qualificati. 

Tuttavia rimane imprescindibile il quadro generale nel quale ci muoviamo. 

Mi riferisco agli obiettivi ultimi fissati dalla Costituzione; in particolare all�art. 9. 

Il comma I, art. 9, della Costituzione � la disposizione che garantisce la promo


zione della cultura e della ricerca quale compito fondamentale della Repubblica 
nelle sue varie articolazioni istituzionali. 


ATTI DEL CONVEGNO 

La norma deve essere letta, a mio parere, in combinazione con il successivo art. 
33 Cost., disposizione che troppo spesso viene tralasciata. 

L�art. 33, come � noto, sancisce il principio in base al quale l�arte e la scienza 
sono libere, come libero ne � l�insegnamento. Io penso che la combinazione di queste 
due disposizioni sia importantissima perch� evita quei rischi di dirigismo statale 
nella cultura, sempre presenti, in forma pi� o meno larvata, in ogni ordinamento 
giuridico, anche di base democratica. 

Vorrei dare un esempio concreto. 

La legge cd. Bottai, la n. 1089/1939, allo stato attuale formalmente abrogata, � 
una legge che dal punto di vista di tecnica legislativa � ineccepibile, tant�� che ancora 
oggi noi la applichiamo in gran parte, in quanto confluita nel Codice Urbani. 

Ebbene la citata legge Bottai introduce i concetti di �cultura della nazione� e di 
�patrimonio nazionale culturale�. 

Dal punto di vista storico sappiamo tuttavia che il concetto di �cultura� � un 
concetto originariamente extra-giuridico. 

Questo che cosa significa? 

Significa che, sul piano applicativo, questa nozione costituisce un �guscio 
vuoto� al cui interno � possibile far confluire i valori sociali e politici che siano 
espressione prevalente di un dato contesto storico. 

Giovi ricordare che, storicamente, l�emanazione della legge Bottai, risalente al 
giugno del 1939, fu preceduta dall�epurazione degli intellettuali dalle Scuole e dalle 
Accademie di Cultura italiane, operazione avvenuta attraverso le rigorose e capillari 
operazioni di censimento ministeriale (in argomento vd. ANNALISA CAPRISTO, 
L�espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, 2002, Silvio Zamorani Editore, 
Torino). 

In particolare mi riferisco al R.D.L. 5 settembre 1938 n. 1390 concernente i 
Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista e al successivo R.D.L. 15 
novembre 1938 n. 1779, Integrazione e coordinamento in un unico testo delle norme 
gi� emanate per la difesa della razza nella scuola italiana. 

L�art. 2 del citato Testo Unico stabiliva testualmente che �Delle Accademie, 
degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti non possono far parte 
persone di razza ebraica�. 

In base a questi provvedimenti fu avviata una fase molto buia della storia italiana 
costituita dal censimento degli intellettuali di razza ebraica e di religione non cattolica. 

L�allora Ministero dell�Educazione Nazionale, affidato appunto a Giuseppe 
Bottai, a decorrere dall�agosto del 1938 (circolare 12336 del 9 agosto 1938) avvi� 
all�interno delle Accademie, delle Universit� e degli Istituti di cultura una fase 
capillare di censimento al fine di individuare i dipendenti non appartenenti alla 
razza ariana o comunque non professanti la religione cattolica. 

L�accertamento dell�appartenenza alla razza ebraica comportava, ope legis, la 
cessazione dal servizio a decorrere dal 16 ottobre del 1938. 

Assai pochi furono gli intellettuali, scienziati e professori universitari che rifiutarono 
la compilazione delle schede. 

Tra questi pochi deve essere ricordato Benedetto Croce. 

Viceversa, tanti altri intellettuali italiani seguirono le burocratiche istruzioni 
ministeriali: ad esempio Concetto Marchesi, il latinista che successivamente � nella 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

nascente fase repubblicana � fu coautore della formulazione dell�art. 9 della 
Costituzione, come � testimoniato dagli Atti dell�Assemblea Costituente. 

E quindi, anche alla luce delle passate esperienze storiche, appare evidente come 
l�art. 33 Cost. sia una disposizione fondamentale, perch� rappresenta il vero baluardo 
del pluralismo culturale, requisito imprescindibile di un sano regime democratico. 

Il pubblico dunque (Stato, Regioni, enti locali) deve evitare di monopolizzare 
la cultura, ma piuttosto �liberarla�, anche assumendo un ruolo suppletivo: � necessario 
dare supporto a quelle energie intellettuali che stentano a farsi largo nella 
dimensione economica della vita culturale del Paese. 

In questa logica il II comma dell�art. 9 Cost., che configura tra i compiti della 
Repubblica la tutela del patrimonio culturale, diventa una norma dal carattere dinamico, 
che si inserisce in un contesto pi� ampio di sviluppo culturale inteso come 
elemento fondamentale nel progresso morale e materiale della societ�, come delineato 
dagli art. 2 e 3 della Costituzione. In questo quadro si inserisce altres� il principio 
di sussidiariet� verticale ed orizzontale il quale, se sar� ben applicato, nello 
spirito della leale collaborazione tracciato dalla Consulta, potr� contribuire a realizzare 
il pluralismo culturale dettato dall�art. 33 Cost. 

In questo assetto generale, i musei assumono un ruolo attivo fondamentale. Per 
capire che cos�� un museo occorre tuttavia pensare a quali siano gli elementi essenziali, 
di carattere universale, tali da tipicizzare una struttura museale. 

Penso ai requisiti delineati a livello internazionale. 

Il codice deontologico dell�ICOM d� una definizione molto ampia di museo. 

Nell�ultima versione del 2004 si definisce museo �un�istituzione permanente, 
senza scopo di lucro, al servizio della societ� e del suo sviluppo, aperta al pubblico 
e che compie ricerche riguardanti le testimonianze materiali e immateriali dell�uomo 
e del suo ambiente, le raccoglie, le conserva, le comunica e soprattutto le 
espone a fini di studio, educativi e di diletto�. 

Il museo ha sicuramente una polifunzionalit� di cui bisogna tener conto. 

Abbiamo l�attivit� di raccolta (e qui sar� importante delineare quale sar� la 
politica delle acquisizioni e soprattutto � in questa sede � la verifica dei titoli di provenienza 
dei beni) e quella della conservazione. 

Abbiamo la comunicazione, funzione all�interno della quale sar� importante 
definire una politica di comunicazione attraverso gli uffici stampa che aiuti a creare 
quella coscienza collettiva diffusa che forse un po� manca nel nostro paese. 

Abbiamo poi le attivit� di ricerca, di studio e diletto. 

Indipendentemente dalla natura dell�amministrazione responsabile, che per il 
codice ICOM � assolutamente indifferente, il soggetto �museo� pu� essere sia pubblico 
sia privato: ci� che caratterizza il museo � la sua attivit� non profit. 

In quest�ottica diventa fondamentale lo statuto di un museo. 

Lo statuto deve essere un documento scritto in cui sia determinato lo stato 
giuridico dell�istituzione, la sua missione e la natura permanente di organismo 
senza fine di lucro. In questo documento devono essere chiarite le finalit�, gli 
obiettivi, le politiche del museo, il ruolo e la composizione dell�amministrazione 
responsabile. 

Ma veniamo al punto secondo me pi� importante, nello spirito dell�odierno 
incontro di studi: il rapporto tra finanziamenti e attivit� generatrici di reddito. 


ATTI DEL CONVEGNO 

Per quanto riguarda i finanziamenti, l�amministrazione museale si assume la 
piena responsabilit� della gestione finanziaria del museo e della custodia di tutti i 
suoi beni, previa determinazione degli obiettivi e della politica dell�istituzione, nonch� 
dei mezzi a garanzia dell�effettivo utilizzo. 

Secondo il codice ICOM, le collezioni sono poste al servizio del pubblico e non 
devono essere in alcun modo considerate fonte di profitto; se si superasse questo 
elemento � ovviamente � avremmo un ente diverso, non pi� un museo. 

Questo, per�, non significa che la struttura museale non possa svolgere anche 
attivit� generatrici di reddito. 

Le attivit� potenzialmente generatrici di reddito, quali l�apertura di attivit� commerciali 
all�interno della struttura museale, i punti di ristoro, le attivit� promozionali, 
devono essere ricondotte all�interno di una politica commerciale che sia predefinita, 
sia in relazione all�uso delle collezioni e tale da non comprometterne la natura. 

Qualora organizzazioni non profit o imprese commerciali siano coinvolte in 
attivit� promosse dal museo per ricavarne un reddito, i rapporti che esse intrattengono 
con il museo devono essere definiti con chiarezza, sulla base di un accordo 
che precisi l�attivit� del museo in tale ambito. 

Mi riporto dunque all�intervento autorevole del Professor Zoppini, il quale evidenziava 
la necessit� di regole chiare, che devono essere determinate preventivamente, 
non in corso di rapporto. 

E poi abbiamo altri aspetti, come per esempio il personale o la funzione educativa. 

Cerco di essere concisa per lasciare la parola alla collega Sanig che ci parler� 
dell�esperienza inglese. 

Vorrei solo dire che, per quanto riguarda le professionalit�, abbiamo un altro 
documento che pu� essere un elemento di riferimento, la Carta Nazionale delle 
Professioni Museali, promossa dalla Conferenza delle Associazioni Museali italiane 
e dall�ICOM nell�ottobre del 2005. 

Qui si definiscono chiaramente gli ambiti delle attivit� museali e soprattutto i 
profili, le professionalit�. 

All�interno di questi ambiti si riscontra, da una parte la ricerca, la cura e la 
gestione delle collezioni in cui operano, rispettivamente, il conservatore, il restauratore, 
il registrar (che � colui che si dedica ai prestiti e alla movimentazione delle 
opere), dall�altra il servizio rapporti col pubblico in cui assume una funzione importantissima 
l�educatore museale. 

Il terzo ambito � quello amministrativo-finanziario che svolge attivit� di supporto, 
ovviamente, a quella del conservatore. 

Infine si ha l�ambito delle strutture della sicurezza, con il responsabile delle strutture 
dell�impiantistica, il responsabile della sicurezza, ecc.. Questi ambiti, nel loro complesso, 
con le rispettive figure professionali, ruotano attorno alla figura del direttore. 

Il direttore � colui che rappresenta l�istituzione all�esterno ed � importante, 
secondo me, quello che � stato detto stamattina: ossia che, nel caso della National 
Gallery di Londra, il direttore � uno storico dell�arte. Quindi la figura del �manager� 
� di supporto rispetto al soggetto che individua le finalit� ultime della missione 
museale, quelle tecnico-scientifiche. 

Se questi sono gli standard internazionali per il riconoscimento del museo deve 
evidenziarsi che il Codice Urbani, introduce, nel settore �de quo�, strumenti sicuramente 
importanti, adeguatamente duttili. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Permangono tuttavia delle incongruenze definitorie. 

L�art. 117 del D.Lgs. 42/2004 (nel testo attualmente vigente, per effetto delle 
modifiche apportate con D.Lgs. 156/2006 e D.Lgs. 157/2006) elenca tra i cd. servizi 
aggiuntivi, dal carattere evidentemente accessorio, dunque non essenziale al perseguimento 
delle finalit� museali, (servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba, 
di pulizia, di gestione dei punti vendita ecc.) anche i servizi di vigilanza, quelli 
di guida e assistenza didattica . 

Peraltro l�affidamento a terzi dei servizi di didattica museale, se limitato nel 
tempo, non consente un�adeguata programmazione didattica e di ricerca. 

Porre in primo piano la valenza educativa dei beni culturali significa superare 
il concetto di tutela conservativa del patrimonio culturale per lasciare spazio 
(anche) alla sua valorizzazione. 

Il Codice Urbani definisce altres� il museo �una struttura permanente che 
acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalit� di educazione e di 
studio� (art. 101, co. 2, lett. b) D.Lgs. cit.). 

La disposizione segna un�importante tappa verso il riconoscimento del museo 
come soggetto e non pi� mero contenitore n� come bene culturale, tuttavia manca 
il riferimento all�ampia nozione formulata dall�ICOM e condivisa in ambito internazionale 
e da molte Regioni (manca il riferimento alle funzioni di ricerca e finalit� 
di diletto connaturate alla natura dell�istituzione museale). 

I criteri di gestione dei musei, anche mediante affidamento a terzi, devono essere 
correlati al perseguimento delle finalit� dei musei: la conservazione, l�educazione, 
lo studio, la ricerca, obiettivi di progresso spirituale della societ� come previsto 
dall�art. 9, co. 1, Cost.. 

�Il compito di raccogliere e conservare le opere d�arte, un tempo funzione e 
privilegio di determinati ceti, � passato alla comunit� sul finire del secolo XVIII e 
sul principio del XIX; la nascita del Museo corrisponde al positivo riconoscimento 
della capacit� educativa dell�arte�. Cos� scriveva Giulio Carlo Argan nel 1949 (Il 
museo come scuola, Comunit�, n. 3, 1949, 65). 

Storicamente il museo come spazio aperto al pubblico � si pensi al Louvre, alla 
National Gallery, alla Royal Accademy � � un�istituzione generata, culturalmente, 
dal pensiero illuminista e, politicamente, dal consolidamento dello Stato borghese. 

Il museo dunque oltre a luogo di custodia e conservazione di collezioni, opere 
d�arte, materiale scientifico, dovrebbe assurgere al ruolo di soggetto attivo, capace 
di promuovere le attivit� culturali, la ricerca e lo studio anche attraverso il coordinamento 
e la collaborazione con le istituzioni universitarie (art. 114, co. 1), nell�ambito 
di una piena autonomia, non solo scientifica. 

Gli strumenti giuridici per attuare questo cambiamento culturale sono gi� 
disponibili nella disciplina di settore. 

In primo luogo, gli accordi interistituzionali. 

L�art. 112 co. 4 stabilisce che le P.A. stipulano accordi (su base regionale o subregionale) 
per definire strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, per elaborare 
piani strategici di sviluppo culturale e programmi, per integrare infrastrutture e settori 
produttivi (analisi e utilizzo delle risorse culturali e economiche di un dato contesto 
territoriale). 

L�art. 114 co. 1�Il Ministero le regioni e gli altri enti pubblici territoriali anche 
con il concorso delle universit�, fissano i livelli minimi uniformi di qualit� delle 


ATTI DEL CONVEGNO 

attivit� di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica e ne curano l�aggiornamento 
periodico�. 

La modifica della norma (inserimento di minimi) risponde all�esigenza i) di non 
limitare la competenza regionale sulla valorizzazione e ii) di consentire il miglioramento 
della qualit� dei servizi museali attraverso specifiche politiche degli enti 
locali. 

Tali �standard� devono essere rispettati sia nella gestione diretta sia in quella 
indiretta (114 co. 3) e adottati con decreto del Ministero, previa intesa in sede di 
Conferenza unificata. 

Potr� essere questo il nuovo strumento giuridico da adottarsi per il recepimento 
degli standard ICOM. 

Sulle forme di gestione permane la distinzione tra forma diretta e forma indiretta. 

Sulla gestione diretta (115, co. 2) � confermata l�esigenza di garantire al museo 
l��adeguata autonomia scientifica organizzativa finanziaria e contabile e provviste 
di idoneo personale tecnico�. 

La gestione diretta pu� avvenire anche attraverso la �forma consortile pubblica�. 

Si opera pertanto il riconoscimento giuridico delle reti o sistemi museali confermato 
dall�art. 112 co. 9, afferente gli accordi per servizi strumentali comuni 
destinati alla fruizione/valorizzazione di uffici comuni gestiti nella forma �consortile 
non imprenditoriale�. 

La gestione �indiretta� (115 co. 3) � attuata tramite la concessione a terzi delle 
attivit� di valorizzazione. 

Tale attivit� comprende la promozione, la conoscenza, l�utilizzazione, la fruizione 
al fine di promuovere lo sviluppo della cultura, nonch� la promozione e il 
sostegno alla conservazione, come si desume dall�art. 6 Cod. Urb. 

L�affidamento avviene mediante procedure ad evidenza pubblica sulla base di 

valutazione comparativa di specifici progetti. 

Al riguardo andr� chiarito, in sede applicativa, se sar� il capitolato di gara a 
specificare il progetto scientifico, e dunque quello economico, o viceversa, se saranno 
i concorrenti in gara a proporre un pacchetto unitario. 

I soggetti pubblici (115 co. 4) optano per la gestione indiretta al fine di assicurare 
un migliore livello di valorizzazione dei beni culturali. 

La scelta � preceduta da una �valutazione comparativa in termini di sostenibilit� 
economico-finanziaria e di efficacia sulla base degli obiettivi previamente definiti�. 

Qui andrebbe chiarito se per obiettivi predefiniti si intenda, in particolare, la 
missione del museo, la sua politica commerciale, il piano di sviluppo, ovvero, indifferentemente, 
ciascuno di tali elementi. 

Andr� tuttavia chiarito a chi spetta la determinazione dei citati obiettivi: se 
all�Amministrazione, proprietaria delle collezioni, ovvero al Direttore del museo, o 
infine ai Soprintendenti. 

Correlativamente andr� chiarito a chi compete definire tra i modelli alternativi 
(nelle due forme di gestione), la sostenibilit� economico-finanziaria e l�efficacia. 

L�art. 115 co. 5 stabilisce che il rapporto con il concessionario sia regolato da 
un contratto di servizio in cui risultino, tra l�altro, i contenuti e la tempistica del progetto 
di gestione, i livelli qualitativi delle attivit� e dei servizi, nonch� le professionalit� 
degli addetti. 

Ivi devono essere comunque specificati i servizi essenziali. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In conclusione si pu� osservare che gli statuti dei singoli musei, da un lato, 
nonch�, dall�altro, gli altri strumenti giuridici individuati dal legislatore, rappresentano 
gli atti in cui dovrebbero consacrarsi le specifiche finalit� del museo nonch� le 
politiche di coordinamento con le altre iniziative culturali, pubbliche e private, presenti 
nel territorio. 

La sfida per una migliore amministrazione si avr�, quindi, in sede operativa, 
attesa la molteplicit� degli strumenti cui ricorrere. 

Sar� necessario, forse, cambiare un po� la cultura: come diceva Giannini gi� 
negli anni �60, non bisogna andare sempre alla ricerca del perfezionamento della 
legge, l�importante � cominciare ad applicarla. 

KAREN SANIG 
Partner � Head of Art Law � Mishcon de Reya Solicitors, London, England 

Saving art for the nation � the UK perspective 

INTRODUCTION 

Checks and balances are put in place by the British government to ensure that 
art is preserved for the nation and for other nations but that at the same time the art 
market is capable of operating effectively. 

This is done through funding ,taxation and export regulations on the one hand. 
On the other hand various committees have been created to examine for example 
the illicit trade in antiquities (Illicit trade advisory panel) and the return of cultural 
heritage property looted during the Nazi period � (the Spoliation Advisory 
Panel). There has also been a recent announcement that the UK will ratify the 
Hague Convention on the Protection of Cultural Property in the event of armed 
conflict. 

I will examine below the UK�s own protection of cultural heritage through 
funding, taxation schemes, export control, funding and legislation. I will also look 
at how the UK protects the cultural heritage of others. 

The government has assigned this task for a large part to the department of culture 
media and sport (DCMS) which itself devolves responsibility to a number of 
different Committees and Councils. 

Examples of these are: 

� English Heritage � the Government�s advisor on the historic environment in 
England. 
Its role is to champion and care for the historic environment which it does by 
improving the understanding of the past through research and study; providing conservation 
grants, advisory and education services; identifying and helping to protect 
buildings and archaeological sites of national importance; maintaining over 400 historic 
properties and making them accessible to the broadest possible public audience; 
and maintaining the National Monuments Record as the central publicly 
accessible archive for the historic environment in England. 

� The Arts Council � the distributor of public funds and national lottery funds 
for the arts). 

ATTI DEL CONVEGNO 

� MLA (museums libraries and archives council) � a non-departmental public 
body which is the lead strategic agency for museums galleries and archives. It has 
an acquisition, export and loan unit. 
1. TAXATION 
� Acceptance in Lieu Scheme 
This scheme enables taxpayers to transfer works of art and other heritage 
objects into public ownership while paying inheritance tax. 

The Inland Revenue may, with the approval of the appropriate minister, accept 
such works in payment of tax. 

These items must be �pre-eminent� in other words, of particular historical, artistic, 
scientific, or local significance, either individually or collectively, or associated 
with a building in public ownership, which will be expected to have public access 
for at least 100 days each year. 

This enables taxpayers to transfer important works of art and other important 
heritage objects into public ownership as a way of paying Inheritance Tax. The taxpayer 
is given the full open market value of the item and the item becomes the property 
of the public museum, archive or library at no cost to itself. 

The following criteria are used to decide whether an artwork is �preeminent�: 

� an especially close association with our history and national life 
� of especial artistic or art-historical interest 
� especial importance for the study of some particular branch of art, learning 
our history 
� an especially close association with a particular historic setting. 
� The Tax Exemption, and Douceur, for Private Treaty Sales 
There is a longstanding policy that the price paid by the purchasing institution 
should not be reduced by the full amount of this tax saving, but should be adjusted 
to leave part of the benefit to the seller. 

This division usually allows them 25% of the tax saving. 

� Income Tax and Corporation Tax� Relief for Charitable Giving 
Individuals 
Gift Aid: The charity can reclaim the basic rate tax that the donor has paid as a gift. 

Through Payroll Giving Schemes: The gift is deducted from the donor�s pay 
before the PAYE tax is deducted, so the donor receives the tax relief immediately. 

Or, if the donor makes a gift or a sale at below market value of certain shares 
and securities or land or buildings, the value of the gift is deducted from the donor�s 
income before the income tax is calculated�leading to relief at the donor�s highest 
rate of tax. 

Companies 

Payment to charities is simply deducted from profits for tax purposes. 
Gift or sale at below market value of shares and securities or land or buildings 


� value of gift deducted from profits for tax purposes. 
Corporate Sponsorship � is very common in the UK. Corporation tax relief is 
available for payments to sponsor a charitable activity, including art exhibitions, 
etc. This is acceptable as long as the payments are made wholly and exclusively for 
the purpose of the sponsoring company�s trade, and are not of a capital nature. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

2. EXPORT 
� Export Licensing Unit 
This unit issues, on behalf of the Secretary of State for Culture, licences to 
export cultural goods. Certain cultural objects more than 50 years of age and valued 
above specific financial thresholds require an individual licence for export out of 
the UK whether on a permanent or temporary basis. It is the role of the Unit to 
assess each application using criteria established under UK and EU law. 

� Export Licenses 
Section 9 of the Export Control Act of 2002 requires the Secretary of State to 
provide guidance about the exercise of functions under control orders made under 
the Act. 

There are several different kinds of licenses: 

� Open Licenses 
� Open General Export License (OGEL) 
� Open Individual Export License (OIEL) 
� May be granted to a named individual, company or institution for export of 
specified objects. 
� Individual Export Licenses (relevant to objects of national importance/heritage). 
If an object is deemed to be older than 50 years, it will be referred by the Export 
Licensing Unit to an Expert Adviser. 
The Expert Advisor will be asked to give an opinion on the work, judging it 
according to the Waverly Criteria (from the �Waverly Report of 1952 which was set 
up to protect national treasures�essentially a safety net). These are as follows: 

� Is the object so closely connected with our history and national life that its 
departure would be a misfortune? 
This refers to national treasures, whose departure from the country would be a 
misfortune since they possess outstanding artistic, historical or archaeological value. 

This category can include items sourced abroad, but which have acquired 
national importance through association with an important person, location or 
event. For example Captain Scott�s sledging flag. 

� Is the object of outstanding aesthetic importance? 
This involves a subjective judgment and it is important to note that the committee 
does not restrict this criterion to great works of painting or sculpture. 

For example Venus and Adonis painting by Titian; The Holy Family with the 
Infant St. John by Fra Bartolommeo; a pair of George II open armchairs by William 
and John Linnell, Chippendale chairs or a painting by Van Gogh. 

� Is the object of outstanding significance for the study of some particular 
branch of art, learning or history? 
An item in this category may be considered of outstanding significance on its 
own or on account of its connection with a person, place or event. The Reviewing 
Committee belkiebe that �learning� in relation to culture includes a wide number of 
disciplines from art to engineering to literature. For example mathematical instruments 
or a Hutton racing car. 

Once the Expert Advisor has determined that the work meets one or more of 
the criteria, it will then be brought before the Reviewing Committee on the Export 
of Works of Art. 


ATTI DEL CONVEGNO 

� Reviewing Committee on the Export of Works of Art and Objects of Cultural 
Interest (�the Committee�) 
This is an independent body which advises the Secretary of State for Culture, 
Media and Sport on whether a cultural object, intended for export, is of national 
importance under specified criteria. Where the Committee finds that an object 
meets one or more of the criteria, it will normally recommend that the decision on 
the export licence application should be deferred for a specified period. An offer 
may then me made from within the United Kingdom at or above the fair market 
price. 

The Committee advises on the principles which should govern the control, of 
exports of works of art and antiques; 

� considers cases where refusal of an export license for a work of art or antique 
is suggested on the grounds of national importance; 
� advises in cases where a special government [exchequer] grant is needed 
towards the purchase of an object that would otherwise be exported; 
� supervises the operation of the export control committee. 
The Committee Members will meet and read statements from both the expert 
and the individual requesting the export license and then vote on whether the object 
satisfies the Waverly criteria. 

If it does, the Committee will recommend to the Secretary of State that a decision 
on the license application should be deferred for a specified period of time to 
enable an offer of purchase to be made at or above the fair market price. 

The committee recommends both the length of the period and the price. 

If the object does NOT satisfy any of the criteria, the Committee will recommend 
that the export license be granted. 

The recommendation of the Committee will then go to the Ministers who will, 
taking the recommendations into account, make a decision as to the deferral period 
and fair market price. 

Once the Ministers have come to a decision, the party seeking the license will be 
informed in writing and the MLA will issue a news release inviting interested parties 
to make an offer to purchase through the Secretary of the Review Committee. 

If no offer has appeared by the end of the period, the export license will be 
granted unless it is determined at the expiration that the required funds will be 
raised and there is a serious potential purchaser. In this case, the deferment period 
will be extended, normally around 4 months. 

The extension of the deferral period has caused several problems in the past 
with works such as Canova�s Three Graces. This sculpture was commissioned by 
the 6th Duke of Bedford and was completed in 1817. Upon completion, it was 
installed in Woburn Abbey and remained there until 1984 when it was purchased by 
a fine art investment company. In September 1993, the J. Paul Getty Trust agreed to 
buy it for �7.6 million, but it was deemed to qualify under the Waverly criteria and 
the export was deferred for 18 months in order to allow Britain to finance the purchase 
of it with lottery funds and private contributions. 

Examples of the most recent deferral cases include: 

� Temporary Export Ban on the Lake of Lucerne and Dark Rigi watercolours 
by Turner. (23 May, 2006). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

� Temporary Ban on Portrait of an Artist by Michiel van Musscher (1665-67) 
in its last months(23 May, 2006). 
� Temporary Ban deferred on Venetian View of the Molo by Luca Calevarijs. 
(9 May 2006). 
3. FUNDING 
There are several different methods of funding museum development, the 
acquisition of pieces and the continuation of British cultural heritage. 

They are: 

� The Government Indemnity Scheme 
Offers an alternative to the cost of commercial insurance and is available to 
museums, galleries and libraries within the UK when borrowing works of art and 
objects for exhibitions and for long-term loan. It provides the public with access to 
world class exhibitions and objects which might otherwise not be available. 

The purpose of the Government Indemnity Scheme is to facilitate public 
access to items of an artistic, historic, scientific or technological nature. 

The scheme covers loans made accessible to the public in a temporary exhibition, 
or on long-term loan or made the available to the public for study. It also facilitates 
loans for study by the borrowing institution which, in turn, is likely to contribute 
materially to public understanding or appreciation of the object loaned. 

An example might be new findings following scientific analysis of a painting 
or a fossil, or fresh insights into history resulting from the study of manuscripts, 
which are then brought into the public domain on a display label or in a museum 
publication or CD-ROM. 

Indemnities underwrite the borrower�s risk of the loss or damage to the objects 
while on loan to the borrower or while in transit to and from their institution. Many 
exhibitions could not be staged at all if the GIS was not in operation. 

This is because Exchequer-funded institutions are not permitted to take out 
commercial insurance while non-Exchequer funded institutions (who can take out 
commercial insurance) could not afford the cost of commercial insurance necessary 
to cover exhibitions which typically, comprise unique, high value items. The total 
risk in any one year underwritten by GIS is on average about �2 billion. 

� Heritage Lottery Fund 
This was formed to distribute funds to capital and revenue projects that safeguard 
and improve access to land, buildings, objects, and collections of importance 
to the national and local heritage. 

Lottery Funding has enabled public collections to acquire such works as 
Titian�s Venus and Anadyomene, Stubb�s Whistlejacket, and Botticelli�s The Virgin 
Adoring the Sleeping Christ Child. 

There are recent concerns, however, that the HLF�s resources are diminishing 
as the range of projects it embraces is growing larger and larger without enough 
increase of cash. 

� National Heritage Memorial Fund 
This was established in 1980 to defend the most outstanding parts of UK 
national heritage. 

In 1992 it became the distributor for the Heritage Lottery Fund. 

� Grants from the Department of Culture, Media and Sport 

ATTI DEL CONVEGNO 

These were given to 22 sponsored museums 

� Funds provided by local government bodies 
(see Tate example below). 

� National Collections Art Fund 
This is UK�s largest independent art charity, with 80,000 members. 

This gives grants to help enrich public collections and campaigns widely on 
behalf of museums and their visitors. 

For over 10 years, the Art Fund and the HLF have jointly funded over 200 
acquisitions for public UK collections, including works by Titian, JMW Turner, 
Gainsbourough, and Charles Rennie Mackintosh. 

A good example of these at work is the Tate Modern in London. It cost �134 
million to convert the power station to a museum space. Funding for both acquisitions 
and remodelling was made possible by an innovative amalgam of the following: 


� The Millennium Commission: �50 million � Lottery money; 
� English Partnerships: �12 million � to purchase the site and remove machinery; 
� Arts Council of England: �6.2 million � lottery money to convert level four 
into a gallery space; 
� Clore Foundation: �2.5 million; 
� Department of Culture, Media and Sport: �5 million � with year-on-year 
increases of �6 million to ensure free admission to the museum; 
� Corporate sponsorship: �1.25 million Unilever; 
� London Borough of Southward � local council; 
� American Patrons � independent charity based in New York that supports the 
work of the Tate in the UK. 
They receive full tax-exempt status and it welcomes gifts from individuals , 
foundations and corporations who wish to contribute to the Tate. 
This is something that Italian museums could set up with UK or US money 
donations. 

� Founding Corporate Partner Scheme: �4 million � this is one of the most 
unique innovations of the Tate Museum group. It was launched in 1998, made up of 
17 companies, cash divided between all 4 Tates. In return for the companies� 5 year 
commitment, the scheme allows them to gain exclusive benefits including entertaining, 
employee education events, private views and special access behind the scenes. 
4. LEGISLATION 
Protection of cultural heritage is also carried out by legislation. Some examples are: 

� The Treasure Act 1996 
All finders of gold and silver objects, and groups of coins from the same findspot, 
which are over 300 years old have a legal obligation to report such items under 
the Treasure Act 1996. Now prehistoric assemblages found after 1 January 2003 
also qualify as Treasure. 

Secures historic gold and silver artifacts found by members of the public for 
acquisition by museums and galleries of England Wales and Northern Ireland. 

� British Museum Act 1963 (on decommissioning by museums) 
Section 3 (1) It is the duty of the Trustees to keep the objects comprised in the 
collections of the Museum within the authorized repositories of the Museum, except 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

insofar as they may consider it expedient to remove them temporarily for any purpose 
connected with the administration of the Museum� 

Section 3 (4) Objects vested in the Trustees as part of the collections of the 
Museum shall not be disposed of unless they fall under Section 5 of the Act. 

Section 5 (1) on the disposal of objects 

The trustees of the British Museum may sell, exchange, give away or otherwise 
disposed of any object vested in them only if: 

� the object is a duplicate 
� it is printed matter not made before 1850 and there is a suitable photocopy of it 
� the object is unfit to be retained 
Otherwise, the object may not be disposed of. 
Where an object has become vested in the Trustees by virtue of a gift or bequest 
the powers conferred by Section 5 shall NOT be exercisable as respects that object 
in a manner inconsistent with an condition attached to the gift or bequest. 

Treasure Act 1996 � secures gold and silver artefacts, found by members of the 
public, for acquisitions by museums and galleries of England, Wales and Northern 
Ireland. 

Export Control Act 2002 � indicates that the secretary of state may by order 
make a prevision for or in connection with the imposition of export controls in relation 
to goods of any description. 

The Dealing in Cultural Objects (Offences) Act 2003 � designed to criminalise 
anyone dealing dishonestly in unlawfully removed cultural objects from anywhere 
in the world. 

Export of Objects of Cultural Interest (Control) Order 2003 � deals with controls 
on the export of objects of cultural interest, including the liability of individuals who 
file misleading applications, fail to comply with license conditions, the power to 
demand evidence of destination, and the definition of an object of cultural interest. 

An object of cultural interest includes any objects of cultural interest manufactured 
or produced more than 50 years before the date of exportation except: 

� Postage stamps and other articles of philatelic interest; 
� Birth, marriage, or death certificates or other documents relating to the personal 
affairs of the exporter or spouse; 
� Letters or other writing written by or to the exporter or the spouse of the 
exporter; and 
� Goods exported by and being the personal property of, the manufacturer or 
producer thereof or the spouse, widow or widower of the person. 
5.RECENT SAVE 

� Raphael�s Madonna: The Madonna of the Pinks (1507-8) 
This was very controversial because it was fought for as a piece of national heritage, 
yet it is a Raphael only about the size of a sheet of A4 paper, and the HLF 
contributed �11.5m to the National Gallery to purchase the work. 

It was owned by the Duke of Northumberland but was on loan to the gallery 
since 1992. 

It was originally on sale to the J Paul Getty Museum in California for �29m, but a 
temporary bar was put on the painting in January 2003 by the UK Government to provide 
a �last chance� for someone to buy the painting in order to keep it in the country. 


ATTI DEL CONVEGNO 

It was saved by �11.5m from HLF, �400,000 from the National Art Collections 
Fund and donations from gallery visitors which allowed the National Gallery to 
purchase the work for �22m after tax. 

� Canaletto views of London purchased for �6m export licence to send them to 
France barred 
Two Canaletto views of London have been purchased by the football pools millionaire 
Sir Peter Moores for �6m ($11.2m). He is acquiring them for Compton Verney, 
in Warwickshire, the 18th century country house he recently opened as an art gallery. 

The two paintings had been owned by Lord Trevor until 1999, when they were 
sold at Christie�s London for �3,851,000. They were bought by a private collector 
who then applied to export them to France. An export licence was deferred, but during 
the deferral period the application was withdrawn, which meant the owner had 
to retain them in the UK. A second export licence application was made last autumn. 

By this time, the value of the paintings had risen considerably. Documents 
released under the Freedom of Information Act reveal that three valuations were 
submitted by the private owner. A valuation of �6m was ultimately agreed by the 
Export Reviewing Committee, and on 20 December 2005 the licence was deferred, 
enabling a UK buyer to match the recommended price. 

On 22 February it was announced that a matching offer was being made, and 
the licence would therefore be deferred for a second period, until 20 June, to enable 
the purchase to be completed. 

PAOLO LEON 
Professore di Economia pubblica, Universit� degli Studi di �Roma Tre� 


Una prima osservazione all�Avvocato Lemme: non si pu� confondere la Carta 
di Verona dei repubblichini con la Costituzione italiana � sarebbe un sacrilegio 
democratico. Noi abbiamo un regime dei beni culturali che non ha niente a che 
vedere con il mancato pluralismo culturale durante il fascismo. 

Lasciando da parte questa esagerazione, il problema che abbiamo davanti non 
� nuovo, ma non � stato risolto, e la commissione se ne occupa giustamente. 

Il primo problema � che non esistono, salvo rarissimi casi (Proietti l�ha gi� 
detto), rientri finanziari sufficienti a pagare la gestione dei beni culturali; certamente 
i rientri non pagano l�investimento sui beni (per esempio il restauro), ma anche 
la gestione non � recuperata dai biglietti o da qualche altra attivit�, come la promozione 
culturale. Ci� significa che, quando il privato si deve occupare di operazioni 
di questa natura, � inevitabilmente sussidiato. Il problema, allora, si trasforma: 
come costruire la regola deontologica del settore privato, che deve distinguere l�appalto 
dalla gestione e deve comprendere che siamo di fronte ad un bene con caratteristiche 
particolari? Esiste questa deontologia? Direi di no; perch� il settore privato 
si � sviluppato con grandissima lentezza, le esperienze sono molto poche e le 
associazioni imprenditoriali non hanno costruito un codice per le loro imprese. � 
bene che le imprese vengano associate, ma nel campo dei beni culturali, le associazioni 
non possono solo difendere le imprese nei confronti dei loro committenti pubblici. 
Senza una propria preparazione culturale, il settore privato rischia di far pre



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

valere l�atteggiamento di massimizzazione del profitto o di minimizzazione delle 
perdite, e si potrebbe trovare in urto o in difficolt� con gli obiettivi pubblici. 

Una questione importante �, dunque, quella di formare sia i privati sia le associazioni 
a intraprendere le loro obbligazioni nei confronti del settore pubblico pensando 
che il loro scopo � di natura collettiva: non si tratta, infatti, di rispondere alla 
Regione, al Comune o allo Stato, ma alla natura collettiva di questi beni, ed � 
anche per questa ragione che i privati possono essere legittimati. Anche il personale 
pubblico deve essere formato nello stesso senso, perch� altrimenti non c�� dialogo 
e le difficolt� diventano insuperabili. Cos�, ci� che abbiamo di fronte nel rapporto 
tra pubblico e privato � legato alla insufficiente formazione del personale 
pubblico della valorizzazione; � vero che il personale pubblico ha l�obiettivo principale 
della conservazione, e che coniugare questa con la valorizzazione � difficile; 
ma, se non ci si preoccupa di comprendere ambedue gli elementi nel finanziamento 
e nelle capacit� professionali del settore pubblico, questo sar� in difficolt� 
a trattare col settore privato. Qui c�� il solito conflitto tra fruizione e conservazione, 
solo che in questo caso la conservazione sarebbe affidata al pubblico e la fruizione 
al privato, ma se il privato non ha obiettivi paragonabili a quelli del pubblico 
e il pubblico non capisce quello che fa il privato, non ci sar� accordo. 

C��, poi, un aspetto del settore privato che occorrerebbe approfondire. Le 
Fondazioni ex bancarie, che fanno un lavoro pregevolissimo e, a differenza di quello 
che dice Settis, debbono continuare ad operare come e ancora meglio di quanto non 
stiano facendo, presentano per� un difetto di legittimit� nel campo dei beni culturali, e 
la ragione sta nel fatto che sono distribuite diversamente sul territorio. Inoltre, se ciascuna 
fa la propria politica nel campo della cultura come negli altri settori, il risultato 
� che l�immagine esterna dell�intervento delle fondazioni � modesta; il pubblico sa che 
cosa succede nei beni culturali, ma non sa che quel particolare intervento � stato finanziato 
dalla fondazione bancaria. Solo chi frequenta specificamente il bene restaurato 
dalla fondazione, sa chi l�ha finanziato, mentre il pubblico generico non lo sa. 

Uno dei problemi che abbiamo qui �, forse, che le associazioni e le fondazioni 
ex bancarie debbono trovare un centro di imputazione nazionale, che dia loro una 
legittimit� pi� forte, per esempio nel campo della storia dell�arte. Ciascuna pu� 
naturalmente dotarsi delle capacit� necessarie, ma questo non vuol dire che tutte 
insieme le posseggano; varrebbe allora la pena che trovassero una forma consortile, 
un accordo: in questo modo le fondazioni potrebbero dialogare con il soprintendente 
su un piano di parit�. 

Uno dei problemi, nella concorrenza tra pubblico e privato, � che ambedue i 
settori, negli ultimi anni, hanno utilizzato in maniera pesante personale precario, ci� 
consente di avere costi ridotti. Poich� anche il settore pubblico fa cos�, la necessit� 

o l�opportunit� offerta dal settore privato nel campo della flessibilit� del lavoro � 
meno stringente. Se si esce dalla precariet� nel pubblico, forse si trova una giustificazione 
per il settore privato nella sua flessibilit� organizzativa (ma se fosse solo 
precariet� privata, non sarebbe accettabile). 
Ultime considerazioni: dobbiamo tener conto che l�intervento del settore privato, 
come ci � stato detto, ha effettivamente molte sfaccettature. Una per noi � difficilissima: 
noi non possiamo contare sull�erogazione liberale. Non siamo in Inghilterra e 
neanche negli Stati Uniti. Le erogazioni liberali nel nostro paese sono impedite da due 
fattori: da un eccesso di complessit� della legge che le determina, e dal fatto che un 


ATTI DEL CONVEGNO 

numero straordinariamente elevato di imprese e di famiglie non paga le tasse, e chi 
non paga le tasse non ha alcuna ragione di approfittare dei benefici della detassazione. 
Quando si fanno condoni su condoni, l�effetto della detassazione � uguale a zero. 
Inoltre, non c�� una vera distinzione, nel trattamento fiscale, soprattutto nel caso della 
pubblicit�, fra quella fatta per i beni culturali e quella fatta per lo sport. 

Infine: noi abbiamo un settore pubblico che lavora un po� troppo con i giuristi, 
poco con gli economisti. Perch� dico questo: sembra che tutti i problemi della 
gestione siano problemi giuridici. In primo luogo, i problemi non sono giuridici, ma 
organizzativi. In secondo luogo, una volta affrontati i problemi organizzativi, emergono 
i problemi finanziari. Infine, una volta affrontati gli aspetti organizzativi e i 
finanziari, si pu� passare alle forme contrattuali. Noi invece abbiamo sempre anticipato: 
diamo subito una forma giuridica, e poich� non funziona, ce ne dispiace. 
Questo � un problema serio, e varrebbe la pena, adesso che l�attuale governo ha una 
maggioranza troppo piccola per mettersi a fare leggi straordinariamente forti, che si 
cominciasse a utilizzare uno strumento importante dell�azione pubblica, sempre 
dimenticato, che � quello degli indirizzi. Nella pratica operativa pubblica, gli indirizzi 
non hanno valore politico, perch� la politica ha sempre riconosciuto nell�amministrazione 
diretta il vero potere (anche per questo fa difficolt� a lasciarla ai privati). 
Forse questa � la volta che le circostanze ci possono spingere a utilizzare questo 
strumento. 

FABIO MERUSI 
Professore di Diritto amministrativo, Universit� degli Studi di Pisa 

Pubblico e privato nei beni culturali 

Quanto pubblico e quanto privato nei beni culturali? 

� una domanda alla quale si possono dare le pi� disparate risposte a seconda 
delle pi� diverse sensibilit� soggettive se non si ricorda il motto di chi in passato 
risiedeva nel luogo in cui ha oggi sede il Ministero del Beni culturali: distinguere 
frequenter! 

Non tutti i beni Culturali sono eguali. L�aggettivo �culturale� attribuito al sostantivo 
a valenza giuridica �bene� dalla Commissione Franceschini in poi grazie anche 
all�efficacia �suadente� di un famoso scritto di Massimo Severo Giannini, ha avuto un 
grande pregio, quello di estendere un regime giuridico protettivo anche a cose non 
ricadenti nell�angusta dizione delle belle arti e dell�archeologia, ma ha anche un grave 
difetto: quello della notte hegeliana nella quale tutte le vacche sono nere. 

E allora seguiamo l�indicazione che abbiamo visto �consustanziale� al 
Ministero dei Beni Culturali: distinguiamo frequentemente all�interno dei beni culturali 
e si vedr� che molto spesso le opinioni sono diverse perch� in realt� gli interlocutori 
parlano di cose diverse. 

Tutti i beni culturali hanno lo �statuto� che recentemente un codice loro ha 
garantito, ma tali beni non sono tutti eguali, alcuni hanno determinate potenzialit� o 
possibilit� di utilizzazione, altri ne hanno altre, alcuni sono �fruibili�, altri sono soltanto 
�conservabili� per un dovere verso la storia e cos� via variegando per tipi diversi. 
E insomma la �natura della cosa� che si rivendica sulla definizione giuridica. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Proviamo dunque a fare qualche distinzione nella quale possa venire in rilievo 
anche la distinzione pubblico-privato. 

Ci sono beni che per loro natura possono appartenere solo allo Stato o ad enti 
pubblici. 

Fatto l�elenco di tali beni di necessaria propriet� pubblica c�� per� da aggiungere 
subito che spesso il peggior nemico dei beni culturali di propriet� pubblica � il 
Demanio. 

Basta guardarsi attorno. Quante caserme e quante carceri e quante universit� 
hanno pressoch� distrutto o impedito la �fruizione� culturale di immobili di inestimabile 
pregio storico e artistico. Per limitarmi a ricordi personali recenti potrei citar 
forse l�unico esempio italiano di tappeto dipinto su pavimento distrutto da un�amministrazione 
comunale; la residenza in esilio di un sovrano nordafricano spodestato 
nell�ottocento da una potenza coloniale distrutta dalla polizia stradale o la fruizione 
degli affreschi di una delle pi� importanti scuole rinascimentali inibita... dai 
carabinieri che vi hanno sede... e si potrebbe continuare. 

Insomma non sempre il �pubblico� fa un uso culturalmente conforme dei �beni 
culturali�. 

Naturalmente � facilmente immaginabile l�obiezione: ma la funzione di conservazione 
del bene � cosa diversa dalla propriet� pubblica e i relativi poteri e diritti 
sono esercitati da amministrazioni diverse, il Ministero dei beni culturali da una 
parte e il Ministero dell�economia o l�ente proprietario dall�altra. Tutt�al pi� si tratter� 
di liti interorganiche... In realt� come l�esperienza insegna le �differenze di 
vedute� fra potentati sono spesso le pi� difficili da uniformare... Come ho gi� altre 
volte proposto, la questione, gi� emersa fin dai tempi della legge del �39 e della 
redazione del codice del �42, andrebbe risolta attribuendo anche la gestione del 
demanio culturale statale al Ministero dei beni culturali in modo da concentrare i 
poteri sul bene in un unico organo che li gestisca almeno con unit� di intenti... 

Sarebbe una riforma senza spesa, ma forse con qualche effetto... sulla conservazione 
e, perch� no, anche sulla valorizzazione di beni culturali pubblici. 

E veniamo ai privati. 

Tenuto conto di quanto evidenziato in precedenza a proposito delle gestioni 
�demaniali� non � detto che affidare la gestione di determinati beni culturali (ad 
esempio un museo o un immobile storico) ad un privato dia risultati peggiori di 
quelli che pu� dare la gestione pubblica. Anzi � da credere che per la valorizzazione 
del bene il rapporto sia inverso. Naturalmente anche qui bisogna distinguere frequenter. 
Ci sono beni che si prestano e altri no. E in ogni caso deve essere garantito 
il potere di intervento per la conservazione evitando commistioni fra conservazione 
e gestione, tenuto conto che la commistione dei ruoli difficilmente d� buoni 
risultati su un versante o sull�altro. Distinzione di ruoli che va tenuta attentamente 
presente al momento in cui si decide di affidare un bene pubblico alla gestione di 
un soggetto diverso da una pubblica amministrazione, sia esso un privato vero e 
proprio o un privato commisto con enti pubblici o con soggetti solo apparentemente 
privati come sempre pi� di frequente si usa fare o proporre: il gestore privato non 
� un benefattore che persegue un interesse collettivo, bens� un imprenditore che 
deve trarre un utile da una attivit� economica. Il che va tenuto presente non solo per 
non proporre convenzioni incompatibili con una attivit� imprenditoriale, ma, prima 


ATTI DEL CONVEGNO 

ancora, per individuare i beni pubblici che si prestano ad una fruizione economicamente 
rilevante. L�attributo �culturale� non pu� essere un limite alla �esternalizzazione� 
di una attivit� amministrativa. Da tempo si sono �esternalizzate� attivit� 
�sovrane� come l�attivit� di polizia e, in alcuni Paesi, addirittura le carceri... quel 
che conta � che una determinata attivit� amministrativa si presti a trasformarsi in 
una attivit� imprenditoriale privata. Altrimenti o si coltivano illusioni o si inibiscono 
gestioni �alternative� con argomenti impropri. 

Naturalmente l�imprenditorialit� non � appannaggio soltanto dei privati o di 
soggetti che comunque agiscono in forme privatistiche come le societ� per azioni 
partecipate da soggetti pubblici o le tanto spesso evocate fondazioni che in realt� 
celano una pubblica determinante. 

Anche la pubblica amministrazione pu� essere organizzata in forme aziendalistiche. 
Si potrebbero citare esempi storici a iosa, esempi di successo ed esempi 
ormai in declino. 

Ci sono beni culturali che si prestano ad una gestione aziendale nella quale forme 
privatistiche di gestione siano compatibili con una organizzazione strutturale pubblica. 

� stata spesso invocata la concessione di una gestione autonoma ai musei o a 
particolari musei che presentano caratteristiche idonee per una gestione imprenditoriale. 


Certamente non va mitizzata la gestione americana dei musei, ma certamente 
in molti casi l�attrazione di beni culturali in una gestione aziendale potrebbe essere 
profittevole sia per i beni, sia per i fruitori. 

Va da s� che il modello della gestione aziendale di beni pubblici non � incompatibile 
con la �esternalizzazione� di settori della pubblica amministrazione, cio� 
con l�affidamento a privati della gestione di beni culturali. L�uno o l�altro modello 
pu� essere utilizzato a seconda delle concrete opportunit�, essendo peraltro ben 
chiaro che entrambi i modelli presuppongono l�Amministrazione della conservazione, 
cio� il controllo sulla conservazione del bene da parte del Ministero dei beni culturali, 
nelle sue pi� recenti articolazioni organizzative. 

E a proposito di conservazione mi sia consentito di lanciare il solito sasso contro 
la classe politica. Non per lamentare l�esiguit� dei finanziamenti a favore del 
Ministero dei beni culturali. Di questi tempi non mi sembrerebbe proprio il caso. 
Ma per sottolineare per l�ennesima volta una occasione mancata... e per auspicare 
(non bisogna mai perdere la speranza!) un intervento riparatore. 

Ci si lamenta che in un Paese come l�Italia, dove i beni culturali da conservare 
sono praticamente dovunque e per di pi� crescenti con l�espandersi della nozione di 
�culturalmente rilevante� (basta leggere l�ultima sistemazione del codice dei beni 
culturali peraltro subito insidiata �al rialzo� dal legislatore regionale per averne 
un�idea), le esigenze di finanziamenti per la conservazione siano praticamente infinite 
e non si manca di elogiare l�intervento di �benefattori� che intervengono in 
sostituzione � adesso si dice �sussidiariamente� � dell�Amministrazione statale, in 
particolare non si manca di elogiare le fondazioni c.d. bancarie, forse anche perch� 
� anche il fenomeno maggiormente reclamizzato... 

Quel che si dimentica di dire � che l�elargizione a favore della conservazione 
di beni � una percentuale alquanto modesta dei finanziamenti annualmente elargiti 
dalle fondazioni bancarie, mentre la totalit� o la quasi totalit� dei finanziamenti ero



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

gati dalle fondazioni potrebbe essere indirizzata verso la conservazione di beni culturali. 
Se ci� non succede � colpa del legislatore e... il legislatore potrebbe porvi 
rimedio. 

Quando si privatizzarono (formalmente) gli enti creditizi di diritto pubblico 
attraverso lo scorporo dell�azienda bancaria si pose il problema di cosa far fare 
all�ente conferente poi trasformato nelle attuali fondazioni di diritto privato. Si scatenarono, 
come sempre succede, gli appetiti pi� disparati, i quali cercarono udienze 
trasversali presso tutte le forze politiche, col risultato che le finalit� che le fondazioni 
bancarie possono oggi periodicamente scegliere sono risultate una ventina, fra le 
quali � ovviamente compresa la conservazione dei beni culturali. Non si vogliono 
ovviamente dare giudizi sugli altri che, in tempo di carestia, si sono avventati sul 
formaggio, ma � certo che in un paese che pullula di beni culturali e che non riesce 
a conservarli tutti si � persa un�occasione unica per trovare una fonte di finanziamento 
alternativa alle fonti �singhiozzanti� del bilancio statale. Ma non � mai tardi 
per rimediare. Le leggi sulle fondazioni bancarie sono state �manipolate� pi� volte 
ad ogni cambio di governo o di legislatura� 

Ci vorrebbe qualcuno� preferibilmente un Ministro dei Beni Culturali, che... 
impugnasse in Parlamento il vessillo per una nuova crociata� in pro dell�arte e 
della cultura... 

GIUSEPPE SEVERINI 
Consigliere di Stato 


Anzitutto voglio ringraziare chi ha la pazienza di ascoltarci a quest�ora. 

Solo alcuni flash perch� veramente non c�� tempo. 

Credo che sia il caso ormai di dismettere questo abito: tutte le volte che si parla 
di valorizzazione, si immagina qualcosa che si deve introdurre nell�ordinamento 
giuridico. Che abbiamo lavorato a fare questi ultimi cinque anni dopo la riforma del 
Titolo V? C�� un bel pezzo del Codice dei beni culturali che ha proprio la sua ragione 
nel fatto che � autonomizzata la nozione di valorizzazione, che � cio� dedicato 
alla valorizzazione. Allora cominciamo a ragionare di questo. Cominciamo anche a 
prendere in considerazione dal punto di vista giuridico che il combinato disposto 
degli artt. 112 e del 115 del Codice, cio� dei due articoli che definiscono il sistema 
dell�esternalizzazione, � stato oggetto di un recente decreto legislativo integrativo e 
correttivo. Il che significa che su questa novellazione non si pu� tornare perch� il 
potere integrativo e correttivo � stato speso: quindi il fatto che la delega sia ancora 
aperta per altri due anni significa che si pu� tornare sugli altri articoli, ma la riconfigurazione 
del 112 e 115 � esaurita con la novella del marzo passato. Insomma, 
ormai parliamo essenzialmente de iure condito. 

Cominciamo anche a tenere presente un altro effetto molto significativo: che, 
per effetto del principio di diritto intertemporale per cui sono le leggi del momento 
che governano l�azione amministrativa, i procedimenti non esauriti all�epoca del 
vecchio 112 e del vecchio 115 vanno dismessi e che quindi tutte le esternalizzazioni 
che non erano arrivate ad affidamento con quel regime, fino all�ultimo atto necessario 
� vedi passaggio del personale � debbono essere riesaminate alla luce del 


ATTI DEL CONVEGNO 

nuovo combinato disposto. Il che significa vedere se davvero l�esternalizzazione � 
il metodo pi� adeguato, come dice ormai testualmente il 115, per gestire quel servizio 
o no. 

Cominciamo allora ad analizzare questo sistema, tutto sommato non � mal congeniato, 
e l� dobbiamo vedere anche cosa significa il concorso del privato nella 
valorizzazione. In realt� l�espressione valorizzazione significa questo: lo Stato non 
ce la fa, soccorrano risorse esterne, essenzialmente risorse private. Non � pi� il 
modus vivendi tra Stato e Regioni per far s� che le regioni possano occuparsi della 
materia dei beni culturali senza intaccare la tutela: ormai � traslato il significato di 
valorizzazione, significa acquisire risorse. 

Gli artt. 112 e 115 prevedono due tipi di formule consensuali: una, diciamo, 
intensa e una leggera. La formula intensa a sua volta si ripartisce nei tre criteri che 
ricordava Francesca Quadri poco fa, cio� c�� una definizione di strategie generali 
che � assorbita nella sfera pubblica, alla quale possono concorrere soltanto quei privati 
che immettono nel sistema di valorizzazione del territorio i propri beni cultura


li. Poi c�� un livello intermedio che � quello dell�elaborazione dei cosiddetti piani 
strategici di sviluppo culturale, che sono strumenti di pianificazione dell�azione: in 
questi c�� un concorso di un privato, e vi si differenzia un tipo di privato, le fondazioni 
bancarie essenzialmente, soggetti no profit, i quali concorrono dunque alla 
definizione del piano e non sono soltanto grant making, perch� esercitano un ruolo 
attivo di definizione della valorizzazione del territorio. C�� in questo una straordinaria 
potenzialit� per l�identit� dell�azione delle fondazioni bancarie. 
Poi c�� il livello pi� basso di questo modulo intenso, che � quello dell�eventuale 
esternalizzazione con gli strumenti della concessione. 

Accanto a questo c�� un modulo pi� leggero, che � quello definito dall�ultimo 
comma dell�art. 112, vale a dire le forme consortili a carattere non imprenditoriale. 
Richiamo l�attenzione sulla differenza tra questi due perch� temo che, se non ci si 
sforza di rendere vivo il modulo intenso, ci si attester� giocoforza sul modulo pi� 
semplice che � il luogo di minore resistenza, di minore difficolt�: cio� i piccoli consorzi 
tra soggetti pubblici e privati interessati indirettamente o direttamente, per una 
causa o per l�altra, a valorizzare i beni culturali. 

Tutto questo postula una presa in considerazione della differente ragione, per 
cui un soggetto privato partecipa o vuol partecipare o pu� essere chiamato a partecipare 
alla valorizzazione dei beni culturali. � sotto questa luce che va letto il principio 
dell�art. 111, comma 4, che dice che l�attivit� privata di valorizzazione � da 
considerare di utilit� sociale. C�� una logica acquisitiva di utilit� economica: io 
decido di propormi come gestore del tal museo perch� ritengo che potr� lucrare 
attraverso l�uso di questo bene culturale. Non so quanto questo sia verosimile: Settis 
oggi ce lo ha ricordato ancora una volta, ma esiste questo mito che si possa fare economia 
attraverso la gestione del bene culturale. C�� poi all�opposto una logica non 
acquisitiva, ma dativa: io ho un bene culturale e mi piace per una ragione o per l�altra, 
magari per mia crescita di immagine o quant�altro, offrirlo alla pubblica fruizione 
e quindi valorizzarlo direttamente. Il motivo pu� anch�esso essere egoistico o 
non egoistico, ma � tutt�altro che un obiettivo lucrativo come quello che si diceva, 
� un costo considerato nella sua natura pura e semplice. Poi c�� la terza posizione 
che � quella della utilit� sociale, istituzionale delle fondazioni ex bancarie. Io credo 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

che sia su questo terzo punto che bisogna orientare l�attenzione affinch� si moduli 
in maniera molto concreta. Quindi spostiamo l�attenzione, per favore, sul ius conditum 
e cerchiamo di esplorarlo e di tirarne fuori le sue pi� autentiche potenzialit�, 
che non mi sembrano poche. 

ETTORE PIETRABISSA 
Direttore Generale di ARCUS 


Si � parlato molto del rapporto pubblico-privato nel corso del convegno di oggi. 

Normalmente il rapporto pubblico-privato viene inteso in senso orizzontale, 
cio� viene visto come la relazione funzionale che pu� proporsi fra un soggetto 
pubblico che gestisce attivit� pubbliche in linea istituzionale, da un lato, e, dall�altro 
lato, soggetti privati � esterni funzionalmente e gerarchicamente rispetto al 
soggetto pubblico � che possono collaborare opportunamente alla gestione di queste 
attivit�. 

Il punto di vista alternativo che mi piacerebbe sottoporre ora alla discussione � 
costituito da una impostazione dell�interazione pubblico-privato definibile come 
verticale, e di cui la societ� Arcus S.p.A. � un esempio. 

Va subito detto che Arcus � una societ� di diritto privato, una societ� per azioni 
ordinaria, guidata da un consiglio di amministrazione e dal suo presidente, controllata 
da un collegio sindacale, dotata di una struttura operativa gestita da un direttore 
generale. La particolarit� � costituita dalla circostanza che l�azionista di riferimento 
di Arcus � un soggetto pubblico: in particolare l�azionista della societ� � il 
Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali. 

Credo che questo sia un punto di vista � all�interno del mondo dell�interazione 
pubblico-privato � alquanto innovativo. 

Nei suoi due anni di vita, fino ad oggi Arcus si � dimostrato uno strumento efficace 
per ottenere alcuni risultati specifici. 

Quali risultati possano essere ottenuti lo si pu� capire se si riflette sulla circostanza 
che Arcus � uno strumento che, grazie alla propria caratteristica di operare 
secondo criteri privatistici, pu� intervenire con una particolare potenzialit� di efficienza 
ed efficacia, interagendo con altri soggetti privati, e tuttavia gestendo beni 
pubblici e fondi pubblici sotto il diretto controllo e le direttive specifiche del 
Ministero di riferimento, che �, come detto, il Ministero per i Beni e le Attivit� 
Culturali. 

Possono essere citati alcuni esempi specifici. Arcus ha affrontato un progetto a 
forte contenuto tecnologico, nell�ambito del quale � stato necessario partecipare a 
una gara pubblica europea indetta dall�ESA (l�Ente Spaziale Europeo), al fine di 
ottenere un co-finanziamento in ambito UE. Non facilmente un Ministero pu� muoversi 
direttamente con la necessaria rapidit�, e non � detto che possa direttamente 
partecipare ad una gara a cui normalmente sono invitati soggetti privati. Arcus invece, 
in forza della propria natura, pu� muoversi liberamente e con prontezza, e questo 
� quello che, dietro l�indicazione del Ministero, � stato fatto. Arcus ha quindi 
partecipato alla gara indetta dall�ESA: la gara � stata vinta e oggi Arcus � alla testa 
di un consorzio di aziende italiane e non, che, sempre seguendo le direttive del 


ATTI DEL CONVEGNO 

Ministero, sta mettendo a punto le metodiche per utilizzare la tecnologia satellitare 
per il controllo dei siti archeologici, degli edifici museali e dei beni culturali in viaggio. 
Fra qualche mese sar� possibile, quando un quadro di Raffaello viaggia 
dall�Italia a Pittsburg per una mostra, monitorarlo momento per momento, chilometro 
per chilometro, per essere certi di dove � e di come � trattato. 

Ancora: su un tema cos� vasto e difficile da gestire sia dal punto di vista politico 
che dal punto di vista economico come quello del merchandising, � stato avviato 
un progetto, ancora una volta sotto le specifiche direttive e l�attenzione del 
Ministero, con il quale, attraverso opportune interazioni con entit� private e con 
studi di consulenza professionale, sono stati messi a punto i piani di intervento 
necessari ad ottenere una positiva evoluzione del mercato. 

Credo, quindi, che si possa sostenere che l�innovativo concetto di integrazione 
verticale pubblico-privato rappresentato da Arcus possa avere un senso e dare risultati 
apprezzabili. 

Un risultato particolare si ottiene poi nel momento in cui la parte privatistica dell�esperimento 
riesce ad esplicitarsi anche in termini di risparmi economico-finanziari. 
Ad esempio, i numeri ci dicono che in Arcus il rapporto tra volumi finanziati e 
costi di struttura � pari a circa la met� o meno, rispetto alla media di sistema. In altri 
termini, mediamente le societ� finanziarie come Arcus, a parit� di volumi finanziati, 
presentano costi di struttura pari ad oltre il doppio di quelli denunciati da Arcus. 
Questo senz�altro � un risultato significativo: vuol dire che la societ� riesce a risparmiare 
sui costi di gestione, ottenendo risultati superiori alla media del sistema. 

Arcus � nata due anni fa, e la mia persuasione � che si tratti di un esperimento 
che ha senso e che ha dato buona prova, in termini di efficacia di intervento, di 
garanzia della qualit� delle attivit� svolte � anche grazie alla costante presenza del 
Ministero �, di possibilit� di diversificazione degli interventi operativi. 

Si ritiene che sia un esperimento che potr� avere un futuro. Naturalmente, come 
tutti gli esperimenti, anche quello costituito da Arcus deve essere sottoposto a revisione, 
verificato e messo a punto: non si nasce perfetti. 

Il prossimo salto di qualit� che Arcus dovr� fare sar� una ulteriore integrazione 
funzionale con il Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali, per garantire sempre 
meglio la effettiva corrispondenza delle attivit� aziendali rispetto alle necessit� istituzionali. 
Arcus dovr� sempre pi� diventare quella che � nata essere, cio� il braccio operativo 
dell�istituzione rappresentata dal Ministero per i Beni e le Attivit� Culturali. 

DANIELE RAVENNA 
Direttore del Servizio Studi, Senato della Repubblica 


Il nodo che affrontiamo oggi attiene alla ricerca di un assetto per il governo del 
sistema dei beni culturali, ove si confrontano i ruoli del proprietario � pubblico o 
privato � del bene; dell�autorit� pubblica, titolare da una parte dei poteri di tutela 
sul bene, dall�altra dei poteri di governo del territorio; dei detentori del potere economico. 


Un contributo a questo dibattito pu� provenire dal recente documento approvato 
dalla Commissione istruzione del Senato, al termine di una lunga indagine conoscitiva 
dedicata a �nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

beni culturali�, protrattasi per l�intera XIV legislatura (1). Nel documento, pur 
caratterizzato dall�impostazione in gran parte ricognitiva e tendenzialmente neutra 
propria di questo genere di atti parlamentari, appaiono meritevoli di segnalazione � 
anche per l�ampio consenso politico raccolto sul testo (2) � alcune conclusioni non 
scontate. In primo luogo i preoccupati rilievi sulla scelta, peraltro ormai costituzionalmente 
radicata, del criterio di ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni 
fondato sulla distinzione fra tutela e valorizzazione, di cui si paventa l�attitudine a 
suscitare incertezza normativa e conflittualit�. Il complesso delle innovazioni normative 
che hanno interessato il settore non appare infatti, alla Commissione, �in 
grado di promuovere un effettivo sistema integrato nel quale i vari attori (...) possano 
confrontarsi, coordinarsi e collaborare nella gestione dell�immenso patrimonio 
culturale italiano�, tanto che si conclude: �il superamento del rigido modello di 
separazione fra tutela e valorizzazione, cristallizzato dal Titolo V della 
Costituzione, rappresenta un�esigenza che dovr� essere perseguita nella prossima 
legislatura�. Lo stesso Codice, anche con le recentissime modifiche, pur mirando a 
una integrazione fra le due funzioni, viene giudicato solo in parte capace di soddisfare 
tale istanza. Pi� in generale, il documento, nell�enumerare le �criticit�� poste 
in luce dall�indagine, rileva come la disciplina del settore sia ancora in una fase di 
evoluzione, che non consente di esprimere una ponderata valutazione complessiva. 

Quale ulteriore contributo di riflessione, vorrei spostarmi sul piano fattuale, 
ripercorrendo brevemente l�esperienza di un soggetto di per s� peculiare, nel panorama 
degli enti operanti in Italia nel campo dei beni culturali italiani, come il Fondo 
per l�ambiente italiano-FAI e in particolare la progressiva sperimentazione di 
modelli e tipologie di rapporti differenziati vissuta dal FAI nel rapporto con le pubbliche 
amministrazioni. 

Il FAI nacque nel 1975, nella forma tipica della fondazione, ad opera di un 
gruppo di privati, che mi piace nominare (Giulia Maria Crespi, Renato Bazzoni, 
Alberto Predieri) convinti della necessit� di dar vita a una persona giuridica privata 
con il compito di �studiare la conservazione di ambienti, beni e in particolare 
fondi di interesse artistico, storico, archeologico, paesistico, ambientale, ecologico, 
di promuovere e intraprendere le azioni pi� opportune per la tutela le conservazione 
dei beni suindicati� (3). In particolare, la fondazione avrebbe dovuto: 

� acquisire in propriet�, gestire e valorizzare beni culturali a rischio di perdita 
o deperimento, perch� appartenenti a privati non pi� in grado di averne cura, operando 
nell�interesse pubblico ma con gli strumenti propri del diritto privato; 
(1) Senato della Repubblica � XIV legislatura, Documento approvato dalla 7^ 
Commissione permanente nella seduta del 1� febbraio 2006 a conclusione dell�indagine 
conoscitiva sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali 
(Doc. XVII, n. 25) 
(2) Il documento, bench� votato sul finire della legislatura in un clima generale di accesa 
contrapposizione politica, ha raccolto significativi apprezzamenti anche dai senatori dell�opposizione, 
che si sono astenuti. 
(3) Questo lo scopo iniziale della Fondazione, poi modificato ed oggi incentrato sull�educazione 
e l�istruzione della collettivit� alla difesa dell�ambiente e del patrimonio. 

ATTI DEL CONVEGNO 

� di conseguenza, configurare i rapporti con la Pubblica Amministrazione (il 
Ministero) nei termini classici quali definiti dalla legge 1089 circa il rapporto fra 
privato proprietario di un bene vincolato e amministrazione preposta alla tutela (4). 
Il modello di riferimento per i fondatori, come � noto, � il National Trust britannico, 
rispetto al quale possiamo cogliere tuttavia una significativa differenza. Il 
Trust, nato nel 1895 da iniziativa privata, muoveva dalla valutazione del rischio di 
distruzione di un patrimonio culturale posto in pericolo dalle trasformazioni socioeconomiche 
della societ� britannnica, a fronte della inesistenza di strumenti e politiche 
di tutela, e solo successivamente � stato oggetto di una particolare legislazione 
di sostegno che ne ha sottolineato la valenza pubblicistica, specificandone altres� gli 
obiettivi volti alla tutela, alla fruizione, alla valorizzazione (5). Il FAI, invece, nasce 
anch�esso come soggetto privato ma in un contesto profondamente diverso, storicamente 
connotato dalla presenza e dal radicamento di una forte normativa di tutela e 
di un apparato pubblico preposto alla sua applicazione dotato di penetranti poteri, 
di cui peraltro i fondatori assumono la inadeguatezza rispetto a un compito pressoch� 
incommensurabile quale la tutela dell�intero patrimonio culturale italiano. In tal 
senso, il FAI fin dall�origine intende consapevolmente calarsi in tale sistema e �giocarlo�: 
dare vita cio� a un soggetto privato, che diviene privatisticamente proprietario 
del bene in pericolo e lo amministra con l�efficienza del buon padre di famiglia, 
assoggettandosi pi� che volentieri a � e anzi assecondando � l�esercizio dei 
penetranti poteri di tutela spettanti all�amministrazione dei beni culturali sul bene 
stesso. 

Nei primi due decenni di vita il FAI ha cos� potuto acquisire la propriet� di 
alcuni beni, alcuni dei quali di grande rilevanza, come i castelli di Avio in Trentino, 
di Masino e della Manta in Piemonte, le ville del Balbianello, della Porta Bozzolo 
e Panza in Lombardia, l�abbazia di San Fruttuoso in Liguria. Tale modello, coerentemente 
applicato nei primi decenni di vita del FAI, ha avuto il merito, fra l�altro, 
di mettere alla prova e sfatare rapidamente un mito che ha avuto un certo corso per 
un qualche periodo di tempo: l�idea che il bene culturale, se ben amministrato, 
possa dar vita a un business capace di assicurarne il sostentamento. Al contrario, la 
pur attenta gestione del FAI ha confermato che il bene culturale, salvo eccezioni 

(4) Il FAI impersona dunque di una figura differente � pur se contiguit� vi � e lo spunto 
andrebbe sviluppato � dalla fondazione di partecipazione. Sulle prime esperienze di quest�ultimo 
modello (Fondazione Museo delle antichit� egizie di Torino, Fondazione Torino 
Musei, Fondazione Museo nazionale della scienza e della tecnologia) si possono vedere gli 
scritti di E. BELLEZZA, M. TURETTA, G. CATTANEO INCISA, F. GALLI, A. MOTTOLA MOLFINO in 
MBAC � Ufficio studi, Notiziario, n.74-76, gennaio-dicembre 2004. Per una valutazione 
fortemente critica, v. A. PAOLUCCI, La fondazione ideale, in www.mecenate.info/ 
stampa.asp?id=649. 
(5) Il Trust, giuridicamente, � una registered charity � dunque un soggetto di natura privata 
� il cui statuto � per� � caso unico nell�ordinamento britannico � stabilito direttamente 
per legge. V. C. DESIDERI � E. A. IMPARATO, Beni ambientali e propriet�. I casi del National 
Trust e del Conservatoire de l�espace littoral, Milano, 2005, pagg. 17 e ss.. Interessante la 
sintesi di problemi e prospettive del Trust, ivi, pagg. 48 e ss.. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

rarissime, e per quanto bene amministrato da un proprietario privato, ben difficilmente 
� in grado di raggiungere l�equilibrio economico; e che comunque tale equilibrio, 
anche ove sia raggiunto, � destinato ad andare in crisi, prima o poi, a fronte 
dell�insorgere di emergenze, imprevedibili quanto inevitabili. 

Si afferma quindi con prepotenza il tema del reperimento delle risorse, del fund 
raising, del rapporto con i soggetti titolari di risorse economiche (il mondo delle 
imprese, le fondazioni bancarie, gli Enti locali, lo stesso Stato), che diviene elemento 
essenziale nell�attivit� del FAI. Nel contempo si sviluppa la componente associativa, 
che progressivamente assume straordinario rilievo e giunge a connotare peculiarmente 
il FAI rispetto alle fondazioni tradizionali. 

L�emergere del tema della valorizzazione del patrimonio culturale come impegno 
coinvolgente, a vario titolo, Stato, regioni ed autonomie locali; il connesso 
superamento di una idea �puntiforme� del singolo bene, la cui valorizzazione impone 
logiche di concertazione sul territorio e la costruzione di reti; il crescere della 
domanda di servizi sempre pi� ricchi e complessi; tutto ci� ha imposto ai soggetti 
titolari di beni culturali � e fra questi al FAI � la progressiva costruzione di una serie 
di legami con le istituzioni, variamente strutturati e articolati. Anche in relazione a 
ci�, dalla fine degli anni �90 si � prodotto, tanto nel FAI quanto nell�amministrazione 
pubblica, un significativo mutamento nelle strategie di tutela e valorizzazione. 

Se fino a quel momento il FAI si era mosso nel solco dell�idea originaria � l�acquisto 
del bene in propriet� pleno iure quale strumento per la sua salvaguardia � 
dalla fine di tale decennio l�esperienza maturata nella gestione del proprio patrimonio 
ha reso la fondazione interlocutore credibile, agli occhi della pubblica amministrazione, 
per sperimentare forme di affidamento di beni pubblici di particolare 
rilievo; nel contempo, il FAI ha maturato una disponibilit� ad affrontare tale nuova 
esperienza. 

Il primo caso � del 1999, allorch� il FAI stipula una convenzione con la regione 
Sicilia per il restauro paesaggistico, il recupero produttivo, la conservazione e la 
fruizione turistico-culturale di un�area appartenente al demanio regionale: il giardino 
della Kolymbetra, piccola valle situata nel cuore della Valle dei Templi di 
Agrigento. La convenzione prevede la concessione gratuita, venticinquennale, dell�area 
al FAI, le modalit� per la gestione, i poteri di vigilanza della Soprintendenza 
regionale. 

� del 2002 la prima iniziativa con lo Stato, che vede una duplicit� di strumenti 
volti a un obiettivo unitario: il recupero del complesso demaniale del parco di 
villa Gregoriana a Tivoli, da tempo in condizioni di precariet�. Mediante una concessione 
il Demanio affida al FAI il complesso dei Templi di Vesta e Tiburno �per 
consentire interventi di recupero, tutela e salvaguardia e fruizione dei menzionati 
Templi da parte dell�ente concessionario�. A tal fine il concessionario � obbligato a 
predisporre un progetto per il �restauro, recupero e salvaguardia� che sar� sottoposto 
all�approvazione della Soprintendenza. La struttura dell�atto, per il resto, appare 
del tutto convenzionale, compreso il canone; quindi obiettivi del progetto, modalit� 
di finanziamento, ecc. sono estranei all�atto stesso. 

Contestualmente, nella stessa data l�Agenzia del Demanio affida al FAI il complesso 
dell�adiacente Villa Gregoriana con il diverso strumento della locazione, 
affinch� la fondazione svolga �a propria cura e spese, la sua attivit� istituzionale sul 


ATTI DEL CONVEGNO 

sopra descritto compendio demaniale che versa in notevole stato di degrado�, 
apprezzando �la natura degli interventi proposti e necessari per il restauro del compendio�. 
Nel contratto si autorizza il locatario a effettuare il restauro, recupero, tutela 
e salvaguardia del complesso, per consentirne la fruizione da parte del pubblico 
anche dietro pagamento di un biglietto, e si prevede anche la possibilit� di punti di 
ristoro e bookshop. Appare curiosa, in questo atto, l�assenza di ogni riferimento 
all�Amministrazione dei beni culturali. 

Sempre nel 2002 il Demanio dello Stato assegna in concessione al FAI un singolare 
bene sito nel comune di Palau in Sardegna, che unisce valenze storiche, architettoniche 
e paesaggistiche: una batteria di artiglieria costiera in stato di abbandono � la 
Batteria Talmone � per il �restauro conservativo ai fini di una valorizzazione e pubblica 
fruizione� di tale compendio. Anche in questo atto di concessione vengono stabiliti 
gli obblighi del concessionario � compreso il versamento di un canone � in termini 
del tutto convenzionali per tale tipologia di provvedimenti. Le misure di tutela 
fissate dal Soprintendente regionale per la Sardegna, che attengono pressoch� solo 
alla fisica conservazione del bene, fanno parte integrante dell�atto di concessione. Da 
segnalare che il bene nel 2004 � stato trasferito in propriet� dallo Stato alla regione 
Sardegna, la qual � pertanto subentrata nel rapporto con il soggetto concessionario. 

Non meramente simbolico, in tutti questi casi, l�ammontare del canone previsto, 
con tanto di deposito cauzionale di una annualit� e di previsione di aggiornamento 
ISTAT. 

In verit�, la previsione stessa di un canone � pur coerente con la struttura dell�atto 
� appare incongrua in un negozio che vede lo Stato affidare a un concessionario 
un bene solitamente degradato e in abbandono per mancanza di risorse economiche 
e progettuali, affinch� sia il concessionario ad attivarsi per far convergere 
i soggetti, pubblici e privati, le capacit� e le risorse necessarie alla tutela, alla fruizione 
e alla valorizzazione del bene. La stessa durata della concessione andrebbe 
meglio parametrata rispetto a tale realt�. 

Al riguardo, una recente disposizione, contenuta nel regolamento per la locazione 
degli immobili di propriet� statale, sembra prefigurare, sia pur indirettamente, 
la possibilit� di concessioni a soggetti quali il FAI a canone particolarmente agevolato 
(6). Se consideriamo che per altri casi la stessa fonte prevede la possibilit� 

(6) Si tratta del Regolamento concernente i criteri e le modalit� di concessione in uso 
e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato, emanato con d.P.R. 13 settembre 
2005, n. 296, pubblicato nella Gazz. Uff. 2 febbraio 2006, n. 27, il cui art. 11 (rubricato 
�Soggetti beneficiari a canone agevolato�) prevede: 
�1. I beni immobili dello Stato di cui all�articolo 9 possono essere dati in concessione 
ovvero in locazione a canone agevolato per finalit� di interesse pubblico connesse all�effettiva 
rilevanza degli scopi sociali perseguiti in funzione e nel rispetto delle esigenze primarie 
della collettivit� e in ragione dei princ�pi fondamentali costituzionalmente garantiti, a 
fronte dell�assunzione dei relativi oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria, in favore 
dei seguenti soggetti: 

(.......) 
g) le istituzioni, le fondazioni e le associazioni non aventi scopo di lucro, anche combattentistiche 
e d�arma, le quali: 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

di concessioni gratuite, mentre in altri ambiti dell�ordinamento � lo stesso Stato a 
finanziare il concessionario, vediamo che la materia offre spunti di riflessione e prospettive 
di evoluzione. 

Sul piano della strumentazione istituzionale volta a promuovere il concorso di 
soggetti pubblici e privati nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, la 
regione Lombardia rappresenta un laboratorio avanzato e il FAI � stato parte attiva 
di molte esperienze (7). 

Fra queste, si possono menzionare due strumenti di partenariato: un Accordo 
di programma per le case-museo milanesi; un Accordo quadro di sviluppo territoriale 
per la valorizzazione del lago di Como. 

Nel centro di Milano il FAI � proprietario di casa Necchi Campiglio, una delle 
rarissime ville urbane del centro cittadino, perfettamente conservata fino ai giorni 
nostri, costruita fra il 1930 e il 1933 da Piero Portaluppi. Al fine di consentire il 
restauro della villa e del giardino, arricchendola anche di strutture che ne faciliteranno 
l�utilizzo da parte del pubblico, il FAI ha aderito all�Accordo di programma realizzato 
fra il 2004 e il 2005 dal Ministero, dalla Regione Lombardia, dalla Provincia 
e dal Comune di Milano per la realizzazione in citt� di una rete di case-museo (8). 

Sul lago di Como il FAI � proprietario dal 1988 della villa del Balbianello. 
Questo ha dato titolo alla Fondazione per aderire all�Accordo Quadro di Sviluppo 
Territoriale (AQST) per la valorizzazione culturale del lago di Como e in particolare 
dell�area dei Magistri Comacini, approvato anch�esso fra 2004 e 2005 (9). 

1) (Non ammesso al visto della Corte dei conti); 

2) perseguono in �mbito nazionale fini di rilevante interesse nel campo della cultura, 
dell�ambiente, della sicurezza pubblica, della salute e della ricerca; 

3) svolgono la propria attivit� sulla base di programmi di durata almeno triennale; 

4) utilizzano i beni di propriet� statale perseguendo, ove compatibili con i propri scopi, 
l�ottimizzazione e la valorizzazione dei medesimi, garantendo altres� la effettiva fruibilit� 
degli stessi da parte della collettivit��. 

Il precedente articolo 10, inoltre, � dedicato ai �soggetti beneficiari a titolo gratuito�. 

(7) Gli strumenti della programmazione negoziata regionale in Lombardia, quali disciplinati 
nella legge regionale 14 marzo 2003, n.2, e la loro applicazione nel campo dei beni 
culturali, con rilevanti effetti positivi (decine di interventi cofinanziati, numerosi accordi di 
programma e un accordo quadro di sviluppo territoriale sottoscritti al 2005) sono ampiamente 
studiati in P. BILANCIA (cur.), La valorizzazione dei beni culturali tra pubblico e privato 
� studio dei modelli di gestione integrata, Milano, 2005 e specialmente, ivi, P. 
BILANCIA, Introduzione, p. 30, G. MARCHETTI, Analisi della legislazione della Regione 
Lombardia in materia di beni culturali, p. 104 e S. SASSI, La programmazione negoziata 
della Regione Lombardia nel settore culturale, p. 123. 
(8) L�Accordo di programma � lo strumento amministrativo volto a coordinare interventi 
di interesse regionale che richiedono l�azione di pi� soggetti pubblici locali (art. 6 
della citata legge della Regione Lombardia n. 2 del 2003). All�Accordo possono aderire 
anche soggetti privati. 
(9) L�Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale � lo strumento amministrativo promosso 
dalla Regione per coordinare l�azione delle Autonomie locali interessate su un programma 
di interventi condiviso; anche ad esso possono aderire soggetti privati (art. 3 della citata 
legge della Regione Lombardia n. 2 del 2003). 

ATTI DEL CONVEGNO 

L�Accordo Quadro vede l�adesione della Regione, di tutti gli enti locali dell�area, 
di una fondazione bancaria, di diverse altre fondazioni, associazioni e enti 
ecclesiastici, la gran parte dei quali concorre, pur in misura diversa, a finanziare 
l�Accordo. 

Hanno invece carattere meramente bilaterale varie convenzioni sottoscritte dal 
FAI con altri soggetti, a durata solitamente triennale, aventi ad oggetto progetti di 
conservazione programmata (manutenzione straordinaria), ovvero valorizzazione. 
Si possono citare quelle: 

� con la Regione Piemonte per lo svolgimento di attivit� didattiche e culturali 
nel castello di Masino; 
� con la Fondazione CRT per interventi straordinari di restauro; 
� con la Fondazione San Paolo per il castello di Masino. 
In altro ambito territoriale, si pu� menzionare una convenzione con la Regione 
Lazio per lo svolgimento di attivit� culturali: l�obiettivo � quello di studiare nuovi 
itinerari nelle diverse province della Regione in occasione della giornata FAI di primavera. 
Vi sono poi gli accordi per la costituzione dei sistemi museali. Il FAI partecipa 
ad alcuni di questi con i beni di sua propriet� (la villa Panza per il sistema dell�arte 
contemporanea nella provincia di Varese, la ricordata villa del Balbianello per il 
sistema museale della provincia di Como). 
Tali accordi non presentano una configurazione giuridica definita: di fatto vi � 
un ente territoriale capofila che promuove e coordina gli altri interessati, guida il 
gruppo di lavoro e chiede un contributo alla Regione, curando inoltre le attivit� di 
promozione comuni, quali la gestione di un eventuale logo o marchio. 
Su un altro piano, il FAI ha aderito ad una iniziativa avviata per realizzare, 
mediante il Fondo sociale europeo, un polo formativo sul tema della valorizzazione 
dei beni culturali, con l�obiettivo di realizzare un corso biennale post-diploma e 
costituire un centro servizi e supporto per gli enti interessati. In questo caso i soggetti 
promotori appartengono alla sfera privata e la forma organizzativa si configura 
quale associazione temporanea di imprese; gli enti pubblici resterebbero sullo 
sfondo come garanti. 
Vorrei concludere con uno spunto che vi sottopongo. Le nostre riflessioni ruotano 
da tempo attorno a un punto focale assillante: il reperimento di risorse da convogliare 
verso il patrimonio culturale e le conseguenze di ci� sul �sistema di 
governo� del settore e dei singoli beni. Ma io vorrei spostare un momento tale 
punto focale, chiedendomi in che rapporto si ponga tale problematica con il principio 
di libert� (�L�arte e la scienza sono libere e libero ne � l�insegnamento�: art. 
33, primo comma, Cost.), che �sta sotto� la tutela dei beni culturali. Perch� in definitiva 
� anche per questo che noi vogliamo tutelato il nostro patrimonio culturale: 
perch� di esso possiamo avvalerci, noi e le generazioni a venire, per fondarvi la 
nostra libert� di pensiero e artistica. E allora mi e vi chiedo di riflettere sulla variet� 
di questi �sistemi di governo� (dalla propriet� privata soggetta a vincolo, alla 
propriet� pubblica, alle infinite variet� di concertazione fra soggetti diversi, privati 
e pubblici, che qui abbiamo fugacemente menzionato) alla luce di questo diverso 
punto focale. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

FRANCESCO SCOPPOLA 
Presidente della Commissione regionale BAC Marche 


Mi limiter� solo ad enunciare cinque titoli degli argomenti che vorrei proporre, 
perch� la permanenza in sala, dopo tante ore, ha dell�eroico. 

Il primo titolo pu� essere riassunto nelle esigenze di stabilit� e di semplificazione 
normativa: occorrono ormai tutte le dita di una mano per elencare che siamo 
qui a considerare l�ipotesi di una riforma della riforma della riforma della riforma 
delle norme di tutela, perch� al primo riferimento che consiste nelle leggi Bottai del 
1939 n. 1089 e n. 1497, � seguito il testo unico n. 490 del 1999, poi il Codice n. 42 
del 2004, quindi appena pochi giorni fa i due decreti del 2006 n. 156 e n. 157 e adesso 
siamo riuniti a considerare l�opportunit� di un nuovo passo. Occorre quindi una 
mano intera per enumerare schematicamente a che punto siamo. Non solo il quadro 
� articolato e in continuo cambiamento, ma il fenomeno ha per giunta un andamento 
esponenziale. Proprio gli atti della Commissione Parlamentare Cultura insegnano 
che nel �99, al momento in cui si and� al testo unico, dalle due leggi Bottai del 
1939 si era passati a 4 norme riguardanti la tutela nel �49, ad 8 nel �59, a 16 nel �69, 
a 32 nel �79, a 64 nell��89. Naturalmente si tratta di una pura coincidenza fortuita, 
ma indica un andamento, che � stato precisamente esponenziale. Di fronte ad un tale 
incremento progressivo e crescente, occorre semplificazione e stabilit�. 

Per non dire poi che parallelamente alle modificazioni delle norme di tutela, ve 
ne sono state altre 5 di riorganizzazione dell�amministrazione preposta all�applicazione 
delle norme di tutela. Si possono ricontare sulla punta delle dita: l�ordinamento 
originario della Direzione generale antichit� e belle arti presso la Pubblica 
Istruzione, l�istituzione del Ministero nel 1974-1975, la riforma del 1998 n. 368 
compiutamente attuata nel 2001, la riforma del 2004 introdotta con il D.Lgs. N. 3 e 
con il d.P.R. 173 e le attuali esigenze di rimodulazione. Non mi soffermo nemmeno 
su queste norme, perch� l�uditorio le conosce. 

La seconda urgenza da segnalare alla vostra attenzione, il secondo titolo da 
proporre pu� essere espresso nelle diffuse esigenze di coordinamento: esisteva, 
faticosamente messo in piedi con il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112 (art. 154 e 155), 
un meccanismo, le commissioni regionali, che � stato ora disattivato con il D.Lgs. 

n. 156 del 2006, art. 6, andando oltretutto fuori dai limiti fissati con la norma di 
delega, che � stata forzata in termini di tempo e di merito: perch� la delega era 
biennale ed erano poi stati previsti altri due anni per le correzioni, ma per correggere 
la norma stessa, non per abrogare norme diverse. Viceversa � stata abrogata 
� e non dal Parlamento � una norma diversa dal D.Lgs. 42/2004 (che fino al 2006 
il Governo poteva eventualmente correggere). Sono state cos� soppresse, con una 
forzatura e senza una ragione dichiarata, le commissioni regionali di coordinamento, 
le quali avevano il compito di coordinare Stato, Regioni, Province, 
Comuni e altri soggetti per cercare di individuare e concordare la programmazione 
economica. � strana la forma quasi schizofrenica di procedere dalla quale sembriamo 
afflitti. 
Il terzo titolo, il terzo spunto � arrivo subito in fondo � � quello delle competenze: 
probabilmente la faccenda la possiamo dirimere o avviare a soluzione non 


ATTI DEL CONVEGNO 

solo disquisendo sulle differenze fra tutela e valorizzazione, fra compiti dello 
Stato e delle Regioni, stabilendo di conseguenza quali siano poi quelli nei quali 
possano concorrere anche i privati, ma facendo chiarezza sul termine di �competenza 
esclusiva�. La competenza esclusiva non significa la possibilit� o la facolt� 
di escludere qualcuno, ma significa il diritto di non essere esclusi, indica una 
titolarit�: allora, finch� si far� confusione ancora su questo e cio� finch� vi sar� 
un ufficio statale, regionale, provinciale, comunale, ecclesiastico o privato che 
dica: �siccome sono il titolare della competenza esclusiva voglio fare tutto da 
solo, senza ascoltare nessuno�, allora resteremo ancora fuori dal seminato, nel 
campo della inutile litigiosit�. 

Il quarto titolo riguarda il tema delle strutture, delle soprintendenze: se guardiamo 
non a come vorremmo essere, ma a come stiamo diventando, possiamo fare un 
primo passo avanti. Si tratta di aprire gli occhi sul fatto che gi� di fatto abbiamo 
strutture parallele, soprintendenze parallele e procedure di controllo parallele. Il 
caso dei Fori Imperiali a Roma, ad esempio, lo insegna: sar� stato un bene, non lo 
sar� stato, ma c�� stata la positiva concorrenza, in senso buono, fra le soprintendenze 
del Comune e dello Stato. Non si dica che Roma � un caso a s�, per via della questione 
romana, della storia dei rapporti tra Stato e Chiesa. Sar� certamente pur vero 
ma anche altrove, come ad esempio nel caso dell�Emilia Romagna, esistono da 
tempo strutture parallele in materia di beni culturali. Quindi il modello � forse non 
voluto � ma reale, � quello di un parallelismo. 

Il quinto e ultimo titolo in materia di governance dei beni culturali, e qui mi 
fermo, � quello delle dotazioni perenni: lo insegna la storia del medioevo, del 
rinascimento, lo dimostrano gli avi: per dare gambe, fiato e corpo alle nuove 
generazioni, oppure ad una istituzione, ad un museo, gli si d� una dote. Anche in 
altri paesi le dotazioni perenni sono quelle che permettono di respirare, sono il 
contrario dei contratti a termine precari per le persone e dei finanziamenti straordinari 
(o previsti periodicamente ma sempre episodicamente da ogni legge finanziaria) 
per le istituzioni. I nostri musei possono avere un reddito, sia pur basso, 
perenne: ad un giardino monumentale, per non andare in malora, bastano a volte 

50.000 euro l�anno, anche se si tratta di un grande parco, ma servono tutti gli anni, 
non serve a nulla finanziare ogni tanto un costoso restauro straordinario e poi pi� 
niente. 
Per le dotazioni perenni, grazie al consiglio dell�amico Giuseppe Fiengo, si 
era fatto 4 anni fa un esperimento nelle Marche: quello di depositare in banca, 
dopo una opportuna procedura di individuazione tramite gara, non alla stregua di 
un deposito ordinario ma come vera e propria spesa effettuata in cambio di servizi, 
le somme di cui fosse stato autorizzato il prelievo in contanti. Erano certo solo 
gli spiccioli di bilancio: ma se era possibile tenerli in cassaforte, a maggior ragione 
li si doveva poter tenere in banca: era pi� chiara la gestione e pi� trasparente. 
Inoltre fruttavano, aumentavano: a quel punto potevano costituire un primo piccolissimo 
nucleo di una quota perenne, anche se solo per assicurare le spese correnti, 
per comprare la carta, per pagare le bollette l�ultimo giorno utile, tramite 
domiciliazione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

RAFFAELE TAMIOZZO 
Avvocato dello Stato 


I musei diocesani 

Consentitemi di fare una breve premessa per rivolgere anche da parte mia un 
sincero, personale apprezzamento all�organizzatore dell�incontro di studio, l�Avv. 
Giuseppe Fiengo, al quale attribuisco fra i tanti, tre fondamentali meriti, il primo di 
essere un validissimo collega dell�Avvocatura dello Stato, il secondo di essere da 
sempre, prima che un collega, un ottimo amico, il terzo, infine, riferito al fatto che 
ci accomuna una certa simpatia, da qualcuno definita in maniera un po� rude passione 
demenziale, per il settore dei beni culturali. 

Cercher� di occuparmi di problemi di governance nel settore dei beni di interesse 
religioso, tentando alcune considerazioni anche de iure condendo perch� di 
diritto consolidato in questo settore esistono solo la Costituzione (il che non � poca 
cosa), l�articolo 9 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (Codice Urbani) e le 
intese che sono state stipulate tra lo Stato e la Chiesa, le autorit� religiose, il rappresentante 
della CEI e il Ministro per i beni e le attivit� culturali (le ultime del 13 settembre 
1996, del 18 aprile 2000 per archivi e biblioteche e del 2004: l�autorizzazione 
alla stipula di quest�ultima, destinata a sostituire quella del 1996, � stata autorizzata 
dal Governo il 3 agosto del 2004). 

La Costituzione stabilisce il principio della libert� di culto e del rispetto delle 
religioni; come sapete, lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti 
e sovrani; i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi, le cui modifiche 
non richiedono procedimento di revisione costituzionale; questo per l�articolo 
7; l�articolo 8, poi, fissa il principio che tutte le confessioni religiose sono egualmente 
libere davanti alla legge e i rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla 
base di intese con le relative rappresentanze. 

Ecco, queste due norme sostanzialmente costituiscono il presupposto della attivit� 
normativa che lo Stato svolge con riferimento alle autorit� religiose del nostro 
Paese, ivi compreso il profilo della disciplina del patrimonio storico, archivistico, 
librario e artistico che le confessioni religiose, in particolare quella cattolica, contengono, 
posseggono e gestiscono e relativamente ai quali il Ministero e le regioni 
provvedono ai sensi dell�articolo 9 del Codice Urbani d�accordo con le rispettive 
autorit�. 

Una prima considerazione va fatta con riferimento al bene culturale religioso 
che, a differenza di quelli che costituiscono il patrimonio nazionale, � patrimonio 
delle stesse autorit� religiose: non pu� considerarsi immanente a questo patrimonio 
il complesso delle regole che disciplinano i beni che, anche se in propriet� privata, 
costituiscono il cosiddetto patrimonio nazionale; voi mi insegnate come sia dubbia 
l�opportunit� di continuare a parlare di patrimonio nazionale; la difesa del patrimonio 
culturale di uno Stato non � fatta con riferimento ad un presunto dominio eminente 
da parte dei soggetti costituenti la collettivit� nazionale (patrimonio nazionale), 
ma � e deve essere visto solo con riferimento a valenze storiche e cio� alla circostanza 
che quei beni, quel patrimonio culturale, prescindendo dalla posizione dei 


ATTI DEL CONVEGNO 

singoli che allo stesso possono essere anche, e spesso sono, del tutto indifferenti, 
rappresentano l�identit� della nazione, sia che si tratti di patrimonio artistico sia che 
si tratti di patrimonio paesaggistico, entrambi questi beni � storico-artistici o culturali 
in senso stretto e paesaggistici � accomunati nell�unitario concetto recepito dal 
Codice Urbani di patrimonio culturale. 

Se quindi � vera la qualit� peculiare di questi beni, � necessario indagare quali 
possono essere le forme per valorizzare beni di siffatta natura e, nell�ambito delle 
varie forme che possono essere utilizzate (pensiamo soltanto ai beni di propriet� del 
Ministero dell�interno � Fondo per il culto, le chiese che costituiscono patrimonio 
del Fondo per il Culto), la mia attenzione si rivolge ad una particolare tipologia di 
enti che raccolgono tali beni, enti che sono rappresentati dai musei diocesani. 

I musei diocesani nel nostro Paese hanno una peculiarit� specifica: sono istituzioni 
che raccolgono beni che hanno la caratteristica di appartenere territorialmente 
ad una diocesi. 

Esistono anche i cosiddetti musei di arte sacra, che per� non costituiscono il 
genus rispetto alla species musei diocesani; i musei di arte sacra sono da considerare 
a parte, sono destinati ad una fruizione esclusivamente estetica, storico-artistica, 
laica e non possono essere confusi con i musei diocesani; i musei di arte sacra trovano 
la loro limitazione nella mancanza di esposizione e considerazione dell�uso 
liturgico; hanno un contenuto oggettivamente limitato alla sfera cultuale ma senza 
alcuna particolare vocazione alla valorizzazione di detta sfera cultuale, che � invece 
caratteristica propria del museo diocesano. 

Un museo d�arte sacra si connatura come museo storico-artistico, a differenza 
del museo diocesano che invece pu�, anzi deve, essere comunicatore del valore iconografico 
dell�opera. 

Numerosi fattori purtroppo negli ultimi anni hanno determinato l�accantonamento 
di opere d�arte religiose, che hanno rischiato e rischiano con molta facilit� di 
cadere nell�oblio. 

Anche beni culturali di ingente valore sono stati eliminati o rimossi per far 
luogo ad una nuova suppellettile di moderna fattura, ispirata ai dettami dell�arte 
contemporanea; chi non ha avuto notizia della sostituzione di candelabri di fattura 
celliniana con moderni, stilizzati candelabri, che sicuramente danno una 
impronta, una ventata di modernit�, di contemporaneit� anche all�arredo di chiese 
e altari? Gran parte della suppellettile dimessa, non trovando collocazione pi� 
consona ed appropriata, viene accatastata nei meandri delle chiese, causando 
concreto rischio per la loro conservazione. 

Le percentuali indicate annualmente dei furti dei beni di interesse culturale dal 
nostro Comando tutela del patrimonio culturale dimostrano che accadono sempre 
numerosi furti proprio nei luoghi, negli edifici comunque sotto gestione religiosa. 

Che cosa fa allora il museo diocesano? Dovrebbe come principale vocazione 
accogliere ci� che rischia di essere disperso, dovrebbe essere destinato a valorizzare, 
ad accrescere la cultura relativa alla significazione storico-religiosa di quell�oggetto, 
quell�opera d�arte che, estrapolata dal contesto originario per il quale era stata 
creata, assume valore storico per eccellenza di testimonianza del passato, fruibile 
non soltanto da una comunit� cristiana, religiosa ma anche da una comunit� laica: e 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

qui ho usato volutamente il termine fruibile: est enim proprie frui aeternorum sicut 
uti terrenorum: Sant�Agostino insegnava che � proprio caratteristica fondamentale 
delle cose eterne essere fruite e delle cose terrene essere usate; l�uso logora e finisce 
per distruggere il bene; la fruizione costituisce un valore aggiunto del bene, lo valorizza 
vieppi� e ne esalta le qualit� estetiche, storiche, in definitiva culturali. 

� necessario quindi rivedere l�atteggiamento che porta a distruggere tutti quei 
beni o arredi sacri non pi� utilizzati nel culto e quindi non pi� fruibili nell�espletamento 
della liturgia e creare una nuova mentalit�, che porti a vedere, in queste 
opere, retaggi e segni del passato anche in ambito cultuale, segni idonei a indicare 
e testimoniare le caratteristiche e i cambiamenti della sfera sacra e ad assicurare la 
memoria storicizzata degli oggetti che hanno contraddistinto la comunit� cristiana 
nelle passate generazioni. 

Ci� che vale per la religione cattolica pu� e deve valere anche per le altre confessioni 
religiose. 

Tornando alla problematica specifica dei musei diocesani, occorre naturalmente 
valutare il grado di conservazione in cui si trovano i beni culturali d�interesse religioso: 
per garantirne uno stato di conservazione adeguato � necessaria una manutenzione 
specifica, che assicuri una lunga vita al bene, soprattutto se si considera 
l�antichit�, la vetust� del patrimonio ecclesiastico italiano, se si considera l�importanza 
e la vastit� di questo patrimonio. 

Le opere e gli oggetti eliminati dalla specifica, quotidiana funzione liturgica, 
nei casi pi� fortunati ma rari, vengono accolti all�interno dei musei diocesani appositamente 
realizzati; nei casi pi� frequenti, questi beni culturali finiscono, come si � 
detto, relegati in cantina o nelle soffitte delle chiese. 

Come spiega Monsignor Giancarlo Santi, direttore dell�Ufficio Nazionale Beni 
Culturali Ecclesiastici della CEI e presidente fino allo scorso anno dell�AMEI 
(Associazione Musei Ecclesiastici Italiani), la crisi della conservazione dei beni culturali 
religiosi pu� essere ricondotta ad una frattura tra la non pi� utilit� del bene e 
la conseguente mancanza di manutenzione. La variazione di impiego di alcuni beni 
religiosi, e quindi il loro allontanamento dall�uso liturgico, ha causato una mancanza 
di cura sullo stesso patrimonio, destinandolo all�oblio. Pensiamo soltanto ad 
alcuni particolari oggetti come cartegloria, candelieri d�altare in legno, paliotti d�altare 
in stoffa, alcuni paramenti sacri come manipoli e pianete sostituite dalle pi� 
recenti casule, stendardi processionali, tronetti per l�esposizione eucaristica e reliquiari 
che ormai, non essendo pi� in uso, sono custoditi in maniera non del tutto 
consona all�interno di armadi o in cantina. La manutenzione al solo scopo della conservazione, 
non invece in vista dell�uso, costituisce in ambito strettamente religioso 
una novit�, non prevista, onerosa, non capita e perci�, spesso, non pi� effettuata, 
come ormai le indagini di settore da tempo hanno dimostrato e dimostrano. 

In ambito ecclesiale esistono difficolt� e nodi problematici inerenti il settore 
della tutela dei beni culturali. 

Manca infatti un sistematico impegno formativo da parte della Chiesa in grado 
di realizzare un disegno unitario fatto di programmi, sussidi, itinerari educativi per 
la conservazione dei beni culturali ecclesiastici. 

L�impegno svolto a favore dei beni culturali nelle chiese italiane si rivela spes



ATTI DEL CONVEGNO 

so quale espressione di una sensibilit� spontanea da parte di un singolo sacerdote, 
piuttosto che una convinzione radicata e teoricamente motivata, dettata dalla chiesa. 
In alcuni casi il cattivo stato di conservazione del patrimonio religioso � imputabile 
proprio all�incuria di alcuni sacerdoti, spesso ad una loro non adeguata preparazione, 
al mancato rispetto delle discipline canoniche nonch� ad un altro fenomeno 
sempre in triste crescita, il ricordato grave fenomeno dei furti nelle chiese. 

Un rimedio pu� essere rappresentato dalla revisione di determinati atteggiamenti 
di indifferenza, con il conseguente recupero di una mentalit� della manutenzione 
verso oggetti obsoleti, che sono obsoleti peraltro solo dal punto di vista dell�uso 
liturgico, ma non certo dal punto di vista della storia e della dottrina. 

Vanno in questa direzione alcune proposte avanzate dalla CEI, relative alla sensibilizzazione 
costante sul valore dei beni culturali ecclesiastici da suscitare sin dal 
seminario e l�istituzione di organismi preposti alla tutela del patrimonio religioso a 
livello diocesano, regionale, statale; va in tal senso anche la proposta di individuare 
un organo nazionale che coordini e orienti siffatte scelte e siffatte revisioni di cultura. 

Si � pensato addirittura all�ideazione e alla creazione di societ� di servizi destinate 
a controllare e monitorare il patrimonio storico della chiesa, al fine di evitare non 
solo cattivi esempi di manutenzione, ma addirittura suggerire le argomentazioni per 
una conservazione adeguata del patrimonio; si tratterebbe evidentemente di un sussidio 
pratico per la manutenzione, inteso come contributo da elargire con l�accordo di 
Stato, Chiesa, associazioni e privati, nell�ottica di una prospettiva imprenditoriale che 
si occupi proprio di gestione del patrimonio culturale ecclesiastico. 

Oltre alla manutenzione bisogna comunque ricordare che altri fattori giocano a 
scapito dei beni culturali ecclesiastici e sono l�abbandono e la chiusura di chiese 
nell�entroterra italiano nonch� la diminuzione del numero dei sacerdoti in grado di 
sorvegliare il patrimonio stesso, si comprende quanto sia ancor pi� necessaria la 
creazione di un museo diocesano che raccolga queste emergenze, trovando una 
soluzione ottimale alla conservazione dei beni culturali di interesse religioso. Alla 
luce di siffatte argomentazioni, l�istituzione di un museo diocesano assume sempre 
pi� il carattere di necessit�, ossia di strumento indispensabile al fine di evitare la 
dispersione del patrimonio storico e religioso italiano, dispersione che in alcuni casi 
� collegata anche all�eliminazione della suppellettile ecclesiastica. 

Stando ai dati forniti nel 1997, i musei diocesani erano allora 105, di cui 60 
aperti secondo varie modalit�, 12 chiusi o in restauro, 20 in progettazione e 13 in 
fase di allestimento. La situazione sembrava notevolmente mutata in meglio nel 
2001 in quanto i musei diocesani raggiungevano il numero di 215, tra questi 90 
aperti con orari fissi, 10 visitabili ad orari da concordarsi, 14 in restauro, 60 in progettazione 
e 37 in fase avanzata di allestimento. 

Un�ulteriore indagine, aggiornata al 2005, ha attestato l�entit� dei musei diocesani 
intorno alle 228 unit�. Tra questi 129 aperti con orario fisso e 16 a richiesta, 35 
in fase avanzata di progettazione, 4 in restauro e 41 in fase di progettazione iniziale. 

Se si considera che le diocesi italiane ammontano ad un totale di 227, sembra evidente 
che in media ogni diocesi � provvista di un museo diocesano. 

La regione pi� ricca di musei diocesani � la Campania con 27 unit�; seguono 
le Marche e la Puglia con 24 unit�, mentre la Toscana si attesta sulle 19 unit�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Basandoci sui dati forniti dalla CEI, purtroppo datati al 2001, il museo diocesano 
con maggior numero di presenze nel 2000 � stato il Museo Diocesano di 
Bressanone (che � anche il pi� antico) con un�affluenza di 68.302 visitatori. 

Con riferimento al numero complessivo dei musei diocesani in Italia � dai 105 
del 1997 ai 228 del 2005 � si nota immediatamente un forte incremento del fenomeno 
durante gli anni. 

I musei diocesani sono sottoposti alla giurisdizione dell�Ordinario Diocesano e 
sono di stretta pertinenza della diocesi. Per natura essi devono definirsi �aperti� in 
quanto svolgono una funzione di centri di raccolta, di studio e di valorizzazione e 
talvolta di restauro di tutto il patrimonio della diocesi. 

Questi musei assumono il principale obiettivo di conservare il patrimonio artistico 
laddove sia divenuto obsoleto e non pi� utilizzabile, riconoscendo tuttavia che la 
normale collocazione di un�opera d�arte religiosa � insindacabilmente all�interno della 
chiesa. Il patrimonio storico-ecclesiastico, infatti, non � stato costituito in funzione dei 
musei, ma per esprimere il culto, la catechesi, la cultura, la carit�. Mutando per� nel 
corso del tempo le esigenze pastorali e i gusti delle persone, molti manufatti diventano 
obsoleti, cos� che si impone il problema della loro conservazione, al fine di garantirne 
la persistenza, dato il valore storico e artistico che li caratterizzano e qualificano. 

Unitamente all�alto valore pastorale, l�opera d�arte religiosa � anche e fortemente 
congiunta con le esigenze cultuali del luogo e con il contesto storico e territoriale 
dal quale proviene. 

Un museo diocesano quindi si impegna a far emergere questi valori radicandosi 
con il territorio, collegandosi all�azione della chiesa e conformandosi con l�aspetto 
pastorale, rendendo dunque ragione di una lettura globale dell�opera d�arte. 

Il museo diocesano deve garantire un costante contatto tra il bene musealizzato 
e quello ancora in loco; deve consentire l�utilizzo temporaneo del bene depositato 
sia per motivi liturgici e pastorali sia per motivi sociali e culturali, e soprattutto 
deve avviare iniziative di promozione e di animazione culturale per lo studio, la 
fruizione, l�utilizzazione dei beni musealizzati. 

Il museo diocesano � un museo specificamente ecclesiologico. Si distingue 
dagli altri musei per essere insieme un museo storico, teologico e liturgico con finalit� 
pastorali. 

I presupposti fondamentali del museo diocesano sono la ecclesialit� e la territorialit� 
poich� esso appartiene alla chiesa e svolge il proprio compito in favore di una 
determinata comunit�, legata ad un territorio: esso quindi appartiene alla comunit� dei 
credenti perch� il patrimonio culturale della chiesa si � costituito e le opere d�arte religiose 
sono sorte in funzione della comunit� cristiana. 

Il museo diocesano � anche un museo storico; esso dovrebbe essere in grado di 
poter, con i mezzi a disposizione, descrivere il cammino cristiano e civile di una 
comunit�, presentarne la vita nei suoi multiformi aspetti. Dovrebbe esporre con 
chiarezza ed equilibrio il concetto che nella comunit� cristiana la fede ag� e oper� 
da protagonista principale in quanto la fede ha redento l�uomo e ha creato una societ� 
saggia; di conseguenza i beni culturali di un museo diocesano debbono offrire 
concrete testimonianze circa la fecondit� della Buona Novella nello spirito e nelle 
attivit� di un popolo. 


ATTI DEL CONVEGNO 

Sotto il profilo espositivo, sembra evidente che i musei religiosi non debbano 
necessariamente seguire l�ordinamento storico-artistico, ma rendersi autonomi, 
potendo anche scegliere una presentazione diversa rispetto a quella tradizionale. 

Il museo diocesano infatti � anche un museo teologico perch� deve presentare 
gli oggetti d�arte in chiave iconografica e iconologica. Se da una parte questo concetto 
si basa sull�esigenza di porre in risalto la storia della liturgia nella diocesi e le 
forme di artigianato locale, intese la prima come spiegazione della funzioni di un 
oggetto nell�espletamento del rito e la seconda come testimonianza della qualit� 
della vita lavorativa e artigianale messa a servizio della chiesa, sicuramente pi� 
interessante risulta l�accenno alla storia della pietas popolare e al fenomeno dell�urbanesimo. 
I costumi e le tradizioni popolari, congiuntamente alle festivit� per i santi 
patroni e alle usanze e abitudini che vengono esplicitate in queste ritualit� folcloristiche 
e locali, devono essere citati ed evidenziati con chiarezza in un museo religioso; 
inoltre molti agglomerati urbani sono storicamente sorti proprio a seguito del 
potere aggregante di una pieve montana o di una chiesa. 

Le professionalit� che devono partecipare all�allestimento di un museo diocesano 
sono quindi notevolmente diversificate e ognuna fa riferimento alla propria 
sfera di competenza. Il museologo e il museografo devono essere affiancati da un 
antropologo culturale, da un liturgista, da uno storico dell�arte e da uno studioso di 
iconografia e iconologia. 

Ne deriva un quadro del museo diocesano particolarmente complesso e poliedrico, 
che cerca di afferrare tutti gli aspetti pi� reconditi e primari di una societ� cristiana. 


La domanda che � lecito porsi a questo punto � se un museo diocesano non possa 
diventare una nuova tipologia di museo etnografico-antropologico e quindi essere 
assimilato non pi� alla categoria dei musei storico-artistici, ma appunto a quella dei 
musei etnografici e antropologici. Un assunto di questo genere richiederebbe una 
riflessione puntuale, che purtroppo non ci sembra sia stata ancora affrontata. 

Anche il museo diocesano non pu� trascurare la finalit� pastorale che va inserita 
nell�ambito della missione evangelizzatrice della chiesa e questa finalit� pastorale 
il museo diocesano la pu� perseguire con l�attivit� didattica, di valorizzazione 
delle proprie raccolte, attivit� da intensificare e favorire in ogni modo, perch� � 
quella che rende il museo vivo e non solamente deposito di materiali. 

Ai Musei diocesani � cos� affidato un duplice compito, da un lato valorizzare la 
cultura locale in maniera dettagliata, dall�altro realizzare una rete che connetta dinamicamente 
i beni culturali ecclesiastici con l�intero territorio. Il trasferimento dell�opera 
d�arte religiosa dalla chiesa al museo infatti comporta un impoverimento delle 
strutture di provenienza ed � quindi auspicabile che contestualmente si crei una rete 
di contatti e collegamenti attraverso visite guidate, esposizioni, convegni, giornate di 
studio, che possano agevolare l�integrazione delle diverse strutture decentrate, nell�ottica 
di un museo diffuso. In questo modo la suppellettile mantiene la propria integrit�, 
cultuale e culturale, in quanto non � avulsa dal contesto di riferimento. 

La suppellettile ecclesiastica, creata per un determinato contesto territoriale, � 
espressione, testimonianza di quella precipua realt� e come tale non deve essere trasferita. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La Diocesi di Milano ha considerato la possibilit� di dar vita a consorzi museali 
ecclesiastici coordinati con consorzi di altra caratterizzazione e tipologia e quindi 
instaurare un collegamento costante tra il museo diocesano e gli altri istituti culturali 
presenti nel territorio della diocesi. 

Tale richiamo induce a valutare la possibilit� di creare una sorta di rete tra le 
diverse istituzioni museali presenti nel territorio nazionale, che superi quindi i limiti 
territoriali della diocesi. 

� ormai acquisito che per monumenti, musei, gallerie, scavi archeologici, 
archivi di stato, biblioteche e altri istituti dell�amministrazione statale risulta spesso 
finanziariamente conveniente affidare in concessione a soggetti privati, ad enti 
pubblici economici, a fondazioni culturali e bancarie, a societ� e a consorzi costituiti 
a tal fine, a cooperative regolarmente costituite, i servizi che non possono essere 
svolti mediante le risorse umane e finanziarie dell�amministrazione. 

L�applicazione anche al museo diocesano della normativa statale in materia di 
coordinamento, di biglietti integrati, di consorzi museali e di societ� di servizi che 
controllino le modalit� di valorizzazione sembra sia senz�altro da tenere presente e 
da auspicare, ma da auspicare in maniera pi� ferma e decisa sembra l�avvio di una 
attivit� sinergica e convergente non soltanto del museo con il territorio della diocesi, 
ma anche e soprattutto fra musei diocesani, affinch� dalle autorit� religiose 
venga coltivata la possibilit� di favorire e intensificare i rapporti non solo dei musei 
diocesani con gli istituti statali e pubblici esistenti al di l� del ristretto limite territoriale 
della diocesi, ma anche degli istituti e dei musei diocesani fra loro, con la stipula 
di accordi di collaborazione reciproca, ci� proprio al fine di favorire quella 
maggiore e migliore conoscenza e fruizione delle particolari collezioni negli stessi 
musei conservate. 

� necessario assicurare il potenziamento di una concreta e intensa attivit� di 
scambio, la realizzazione di mostre ad esempio in un museo diocesano della 
Lombardia che possa ospitare collezioni conservate in un museo diocesano della 
Puglia ed esporle con criteri scientifici alla pubblica fruizione � sia pure temporanea 
� in un diverso ambito territoriale: � questo, a mio avviso, un segnale indubbiamente 
positivo che pu� emergere dal nostro incontro e che mi auguro sia condiviso 
e recepito. 

Carlo Chenis, sacerdote e illustre accademico, particolarmente attento alle problematiche 
del patrimonio religioso del nostro Paese, che fra l�altro ho avuto modo 
di apprezzare in qualit� di componente di una commissione speciale per il controllo 
delle attivit� amministrative e degli interventi strutturali connessi alla ricostruzione 
della cattedrale di Noto (uno dei gioielli del barocco siciliano), esprime l�avviso 
che, laddove una suppellettile risulti ormai totalmente inadeguata, piuttosto che 
rovinarla sia preferibile eliminarla in maniera consona, e quindi procedere al seppellimento 
o alla bruciatura. 

In particolare, i manufatti non pi� funzionali, alla stregua delle spoglie mortali, 
devono essere � qualora risulti necessario � distrutti secondo una regolamentazione 
canonica (abitualmente si brucia o si seppellisce ci� che va eliminato), o, aggiunge 
Chenis, ricollocati in ambienti ancora dedicati al sacro quali musei ecclesiastici, nella 
accezione pi� ampia del termine. 


ATTI DEL CONVEGNO 

Questa affermazione sembra contraddittoria: da un lato distruggere le opere, i 
manufatti di interesse religioso, dall�altro conservarli in un museo: e ci� malgrado 
l�autore sostenga che le opere religiose sono portatrici di un significato intrinseco. 
Queste forme di eliminazione, note anche in passato, sono riconducibili alla concezione 
che l�incenerimento di un oggetto o l�incinerazione di un defunto sono viste 
come un trasferimento di stato, un�elevazione, che dalla sfera umana conduce a 
quella trascendente. L�incinerazione riconduce al divino, intendendo per quest�ultimo 
una sfera trascendentale fuori dall�universo conosciuto. 

Non possiamo, da credenti, non concordare con questa concezione del trascendente 
e con il significato attribuito all�incinerazione del corpo, che significa soltanto 
distruzione di una spoglia morta, dalla quale l�anima si � gi� levata, sollevata per 
salire al cielo; non siamo invece d�accordo sull�assunta omogeneit� della soluzione 
riferita ai beni culturali di interesse religioso; optiamo quindi � e decisamente � per 
quella che viene considerata dal Chenis solo una soluzione alternativa e residuale, 
che sarebbe quella di inserire il bene culturale, che non si � ritenuto di incenerire, 
in un museo e per l�appunto nel museo diocesano. 

Siamo infatti convinti, anche con riferimento ai beni culturali di interesse religioso, 
che per quanto riguarda la valenza storica e culturale del bene materiale, questa 
� una propriet� che attraverso la fruizione il bene culturale � destinato a produrre 
in continuazione, senza soluzioni di continuit�, esattamente come la memoria di 
un uomo illustre e che ha meritato per la Chiesa, per la religione, per l�umanit�, � 
destinato a protrarsi senza soluzioni di continuit� nei secoli dei secoli: pensiamo 
soltanto ai dottori della Chiesa e al loro insegnamento, pensiamo a Sant�Agostino, 
a San Tommaso, a San Francesco, a Suor Teresa di Calcutta, a Giovanni Paolo 
Secondo. 

Ma, mentre per gli uomini la memoria, la foscoliana memoria delle loro opere, 
del loro agire terreno e dei loro insegnamenti si tramanda nei secoli, per quanto 
riguarda le cose � necessario che si mantenga integra, anche se non in perfetta conservazione, 
la testimonianza materiale avente valore di civilt� che la Commissione 
Franceschini ci ha insegnato ad apprezzare come definizione del bene culturale, 
normalmente, unanimemente anche dal legislatore, e non solo da quello nazionale, 
ormai da tempo condivisa e recepita. 

Su tale ultima considerazione si basa l�auspicio di un potenziamento, anche e 
soprattutto attraverso l�adozione di modelli simili a quelli statali di governance, 
potenziamento � dicevo � delle funzioni di conservazione, valorizzazione e tutela 
dei patrimoni culturali religiosi e dei musei diocesani che tali patrimoni custodiscono 
e che a tali finalit� di tutela e valorizzazione sono espressamente deputati. 


RECENSIONI 
FRANCESCO MARCELLI E VALERIA GIAMMUSSO, �La giurisprudenza costituzionale 
sulla novella del Titolo V. 5 anni e 500 pronunce�,Senato della 
Repubblica, Servizio studi, Quaderni di documentazione n. 44, ottobre 2006. 

L�attivit� giurisprudenziale della Corte Costituzionale in materia di rapporti 
tra Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V intervenuta nel 2001, 
rappresenta l�oggetto dell�analisi compiuta nel Quaderno di 
Documentazione n. 44, ottobre 2006, dal titolo �La giurisprudenza costituzionale 
sulla novella del Titolo V. 5 anni e 500 pronunce� di Francesco 
Marcelli e Valeria Giammusso, edito dal Senato della Repubblica. L�opera 
rappresenta una raccolta sintetica di tutte le sentenze della Corte costituzionale 
dal 2002 fino al 2006, che hanno avuto ad oggetto questioni di legittimit� 
costituzionale delle leggi statali o regionali e conflitti di attribuzione tra 
Stato e Regioni. 

La sintesi delle pronunce � preceduta da una completa introduzione nella 
quale vengono affrontate le molteplici questioni poste dalle disposizioni del 
Titolo V, dalla difficile definizione delle materie di competenza statale e dall�esistenza 
di materie cd. trasversali, nonch� dalla possibilit� dello Stato di 
riappropriarsi di materie di competenza concorrente o residuale delle 
Regioni sulla base di esigenze unitarie, all�autonomia organizzativa e al 
federalismo fiscale. Tale trattazione introduttiva non tradisce la natura dell�opera, 
in quanto viene effettuato un costante richiamo alle sentenze riportate 
successivamente, consentendo un riscontro immediato dei principi affermati 
dal Giudice delle Leggi e, quindi, un simultaneo approfondimento. 

Per quanto riguarda la parte dedicata alle pronunce la scelta � stata quella 
di evitare una riproposizione del testo, prediligendo una concisa redazione 
che mettesse in luce tutti gli aspetti salienti e i risvolti problematici posti; 
al tempo stesso, laddove lo si � ritenuto necessario, non si � rinunciato a 
riproporre le espressioni utilizzate dalla stessa Corte Costituzionale e, nel 
tentativo di far comprendere il percorso logico seguito, sono stati inseriti 
riferimenti ai cd. obiter dicta. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

I criteri redazionali scelti consentono un�individuazione immediata delle 
pronunce raccolte, rappresentando, un ottimo strumento di ausilio. 

A tal proposito non va trascurato che di strumento di ausilio si tratta, 
essendo raccomandabile, come gli stessi Autori sottolineano, l�esame dei 
testi originali delle sentenze alle quali, ovviamente, la sintesi non si pu� 
sostituire. In effetti la lettura dell�opera richiede una conoscenza delle stesse 
pronunce che contempla, potendo risultare, contrariamente agli intenti perseguiti, 
un po� ostica qualora si scegliesse, anche solo per avere un�informazione 
orientativa, di procedere direttamente ad una sua consultazione. 

Dott.ssa Valeria Santocchi (*) 

(*) Dottore in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello 
Stato. 


D OTTRINA 
La cultura dell�amministrazione pubblica in
Italia fra tradizione e riforme(*) 


di Monica De Angelis (**) 

SOMMARIO: 1.- Alla base della definizione di �cultura amministrativa�: 
una premessa teorica. 1.1.- La cultura amministrativa in Italia. 1.2.- La cultura 
amministrativa italiana in movimento: dalla cultura formale e burocratica 
alla cultura della qualit� e del risultato. 2.- Caratteristiche ricostruttive 
dell�ambiente culturale della P.A. italiana: tratti di una amministrazione 
in transizione. 2.1- I tratti di una amministrazione tradizionale. 2.2.- Tratti 
di una amministrazione in trasformazione. Nuovi principi e nuovi strumenti 
per una nuova cultura. 3.- Elementi tradizionali e innovativi a confronto: la 
riforma della pubblica amministrazione italiana e le politiche per il cambiamento 
della cultura. 3.1.- la cultura della semplificazione e della prossimit� 
al cittadino. 3.2.- Cultura del servizio e cultura del mercato. 3.3.- La cultura 
della comunicazione. 3.4 � Cultura �del personale�. 4.- L�immagine della 
pubblica amministrazione oggi. 5.- Riflessioni conclusive. 

1. Alla base della definizione di �cultura amministrativa�: una premessa teorica 
La Pubblica Amministrazione (PA) pu� essere descritta in tanti possibili 
modi: � interessante la definizione secondo la quale � �una rappresentazione 
della realt� correlata a valori politico-sociali contingenti�; � �valutazione, condizionamento, 
soddisfazione e sintesi degli interessi rilevanti in un determina


(*) Il saggio � stato elaborato sulla base della relazione presentata alla Conferenza 
internazionale �Administrative Cultures in Europe�, Strasburgo, Consiglio d�Europa, 10-11 
ottobre 2006. 

(**) Ricercatrice di Diritto Amministrativo presso la facolt� di Economia, 
Dipartimento di Scienze Sociali, Universit� Politecnica delle Marche, Ancona. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

to momento storico� (1). Qualunque descrizione, comunque, non pu� prescindere 
dalla storia stessa della PA, dai sistemi cui essa si � ispirata, dalle caratteristiche 
tradizionali e pi� recentemente acquisite che le sono proprie, dai 
modelli amministrativi eterodeterminati dalle norme e quelli nati dalla prassi, 
dalla qualit� delle strutture e del personale che la anima, etc. In altre parole, per 
una corretta descrizione della PA occorre considerare sia elementi materiali, 
che, soprattutto, immateriali e ben si comprende dunque perch� negli ultimi 
anni l�attenzione degli studiosi delle realt� organizzative si � indirizzata allo 
studio della dimensione culturale e simbolica. Gli orientamenti della ricerca in 
questo campo sono numerosi e spesso anche contraddittori, ma tutti convengono 
nell�attribuire una significativa rilevanza agli aspetti meno strutturali e qualitativi 
delle realt� organizzate, come la cultura. Se dunque quest�ultima � assai 
utile per descrivere e studiare le organizzazioni (la PA) anche in funzione del 
loro cambiamento, occorre subito chiedersi cosa debba intendersi per cultura. 
La risposta a quest�ultima domanda non � univocamente concorde. 

Posto che gli studi sulla cultura sono indissolubilmente legati alle analisi 
sulle organizzazioni, allo stato attuale si possono distinguere vari approcci 
teorici che hanno fatto della dimensione culturale il nucleo centrale di 
indagine (2). Da un lato si sostiene che la cultura organizzativa � l�insieme 
coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto 

o sviluppato per imparare ad affrontare i problemi di adattamento esterno e 
di integrazione interna; assunti che hanno funzionato abbastanza bene da 
poter essere considerati validi (il modo corretto di percepire, pensare e sentire 
in relazione a specifici problemi) e perci� tali da essere insegnati ai nuovi 
membri. In questa prospettiva la cultura � una variabile indipendente che si 
aggiunge alle altre ed � capace di influenzare tanto la struttura quanto i comportamenti 
di una organizzazione (3). Secondo un�altra impostazione, inve(
1) Cos� DE LUCA F., Una nuova missione per la funzione pubblica, in Funzione pubblica, 
n. 1/2005, p. 26. 
(2) Lo studio della cultura si connota per la sua valenza interdisciplinare. Sul punto cfr. 
GAGLIARDI P., Teoria dell�organizzazione e analisi culturale, in Gagliardi P. (a cura di), Le 
imprese come culture: nuove prospettive di analisi organizzativa,Torino, 1986, p. 23 e ss. Al 
momento non si � ancora giunti ad una teoria unitaria del concetto di cultura: le analisi sviluppate 
non pongono in evidenza solo gli aspetti strumentali, economici e materiali delle organizzazioni, 
ma soprattutto i profili simbolici ed ideativi. Cfr. S. GHERARDI, Pu� il concetto di cultura 
organizzativa contribuire allo studio della pubblica amministrazione ed al suo mutamento?, 
in Rivista trimestrale di Scienza dell�amministrazione, n.1, 1987, che parla in proposito di 
�codice di molti colori�. Un�opera di sistematizzazione della letteratura in tema di cultura � 
stata operata da SMIRCICH L. (Concepts of Culture and Organizational analysis, in 
Administrative Science Quarterly, n. 28, 1983), portando, quale risultato, all�elaborazione di 
un modello interpretativo sul rapporto tra teoria organizzativa e teoria della cultura nell�ambito 
del quale sono stati individuati alcuni principali filoni di studio. Le differenze rinvenibili in 
questi filoni sembrano poter essere ricondotte a tre principali concezioni di cultura. La prima 
considera la cultura come variabile indipendente (corrispondente al filone del management 
comparativo), la seconda come �qualcosa che l�organizzazione ha� (corrispondente al filone 
del corporate culture), la terza come �qualcosa che l�organizzazione �. 
(3) E.H. SCHEIN, Cultura organizzativa e processi di cambiamento aziendale, in 
Sviluppo e organizzazione, n. 84, 1984. 

DOTTRINA 153 

ce, la cultura � un concreto processo di attribuzione di sensi e di significati 
che coinvolge i membri di una organizzazione. In tale prospettiva la cultura 
non � una variabile, qualcosa che l�organizzazione ha, ma qualcosa che l�organizzazione 
�; si sottolinea l�importanza del linguaggio e dei simboli nell�organizzazione, 
la quale diventa un sistema condiviso di significati, idee e 
convinzioni. 

Gli studi sulla cultura organizzativa utilizzano anche concetti e metodi 
di indagine propri dell�antropologia culturale e mutuano concetti chiave da 
alcune significative correnti del pensiero sociologico (4): con tali apporti 
l�organizzazione appare come il risultato di interazioni quotidiane dei suoi 
membri e ai fini della definizione della cultura assumono importanza i c.d. 
artefatti, ovvero i simboli, il rituale ed il mito, il linguaggio, i valori, le ideologie: 
tutti strumenti che l�uomo utilizza per costruire il senso ed il significato 
della realt� in cui vive e lavora (5). Ed infatti se la cultura � un sistema 
di significati collettivamente e pubblicamente accettati, la costruzione di 
simboli pu� essere considerata il veicolo primo attraverso cui si forma un 
gruppo o un�organizzazione perch� � attraverso il lessico, la forma degli edifici, 
le credenze relative all�uso ed alla distribuzione del potere e dei privilegi 
che un�organizzazione si presenta a s� e al mondo esterno; attraverso il 
rituale i rapporti sociali diventano convenzionali e prescritti, quindi prevedibili 
e controllabili, mentre i miti sono il mezzo attraverso cui legare il presente 
al passato e servono spesso per dare spiegazioni e quindi legittimare le 
azioni. Vi � poi il linguaggio, che � sicuramente fra i pi� importanti artefatti 
della cultura di un�organizzazione, in quanto attraverso esso si stabilizzano 
concettualmente le esperienze che vengono cos� integrate in un sistema dotato 
di senso (6). La cultura pu�, altres�, essere considerata come costruzione 
di un modello normativo e di un sistema di valori. I valori influenzano la 
scelta fra modelli, mezzi, obiettivi; la cultura genera il sistema di norme che 
presiede al funzionamento dell�organizzazione, distribuendo il potere e le 
informazioni, definendo gli standards ed i criteri di decisione, indicando le 
mete. Anche l�ideologia � elemento costitutivo delle identit� culturali: essa 
serve a mobilitare le coscienze individuali e sociali per il conseguimento di 
principi etici generali e a stimolare l�impegno necessario allo svolgimento 
dei compiti organizzativi quotidiani. 

(4) Ad esempio dalla sociologia fenomenologica che parte dall�assunto fondamentale 
del conferimento di senso alla realt� da parte degli attori o dall�interazionismo simbolico, 
che considera il rapporto con il mondo fisico e sociale mediato da processi simbolici. 
(5) GAGLIARDI P. (a cura di), Le imprese come cultura, ISEDI, 1986: �gli artefatti culturali 
realizzano un articolato processo di integrazione fra dimensione operativa ed affettiva, 
fra esperienze passate e presenti, fra livello individuale e collettivo�. 
(6) Vedi M. C. RISIMINI, La cultura organizzativa e la pubblica amministrazione italiana, 
paper Formez, Master in Economia del settore pubblico, Napoli, 1992 che fra l�altro cita 
Mills riferendosi al significato del linguaggio: �Un vocabolario non � una mera sfilza di 
parole: in esso sono immanenti tessuti sociali � coordinate istituzionali e politiche. Dietro 
il vocabolario vi sono serie di azioni collettive� (Mills, 1972). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Se dunque ogni organizzazione � una realt� sociale costituita dalle persone 
e dalle loro relazioni e ogni realt� sociale � costruita sulla base di 
significati e valori, di simboli, di relazioni, etc. sembra consequenziale 
ritenere che il mondo sia abitato da tante organizzazioni quante sono le 
realt� in cui si usano linguaggi, consuetudini, comportamenti, norme e 
valori specifici. Esistono quindi molteplici organizzazioni nelle quali le 
interazioni fra i soggetti vanno viste come il frutto di un continuo processo 
di produzione culturale legato strettamente all�azione. Se questo � vero 
allora per cultura organizzativa pu� intendersi quel sistema di elementi che 
consente ad un gruppo che lavora insieme di intendersi, di (poter) comunicare 
e di (poter) portare avanti l�attivit� concreta che rappresenta lo specifico 
contributo lavorativo, ideativo ed emotivo all�organizzazione nel suo 
insieme (7). Grazie alla cultura gli individui che fanno parte di una organizzazione 
imparano a muoversi in essa, ad essere cio� competenti. 
Appartenere ad una organizzazione significa condividere una identit� e una 
struttura di sensi e significati; significa sentirsi membri dell�organizzazione 
e portatori del messaggio cui essa � preordinata; significa avere in 
comune la stessa cultura. 

1.1. La cultura amministrativa in Italia 
Data questa serie di premesse, si vuole subito precisare che non � facile 
stabilire in maniera definitiva cosa si intenda per cultura amministrativa e 
quale sia dunque la cultura che promana dall�amministrazione pubblica italiana, 
stante altres� la scarsit� di studi specifici sul tema (8). Solo a partire 
dagli anni Novanta nelle scienze aziendali si registrano analisi volte ad occuparsi 
specificamente di cultura nelle PPAA (9). Secondo l�approccio aziendalistico 
la cultura � una variabile macro: infatti, rispetto ad un dato ente 
pubblico - qualunque esso sia - �il complesso e pi� ampio sistema pubblico 
di appartenenza si presta ad essere considerato come �ambiente� in relazione 
ai valori �forti� che afferma, diffonde e viene a reiterare�. Cos� se �il 
sistema pubblico-ambiente pu� essere concepito come l�insieme delle amministrazioni 
pubbliche operanti a diversi livelli di governo, per cui oggetto di 
analisi tenderebbe a divenire la dinamica delle relazioni interistituzionali che 
si sviluppano tra diversi enti pubblici�, allora per cultura del sistema pubblico 
si pu� intendere �l�insieme dei valori, delle convinzioni e delle credenze 
attorno ai fenomeni organizzativi diffusi all�interno del sistema delle pubbliche 
amministrazioni inteso in senso lato� e si palesa con i principi e i criteri 
che ispirano le caratteristiche e il funzionamento delle strutture pubbliche 

(7) Cos� GHERARDI S., Le micro-decisioni nelle organizzazioni, Bologna, 1990. 
(8) Come segnalato nel 1990 da S. GHERARDI, V. MORTARA, cit., i quali sostengono 
altres� che la stessa metodologia necessaria per uno studio di questo tipo conduce ad una raccolta 
di informazioni relative a micro-realt� e, quindi, una loro generalizzazione ed estensione 
a tutta la pubblica amministrazione potrebbe essere fuorviante. 
(9) Si veda BONTI M., Dal sistema burocratico alla cultura della qualit� nelle amministrazioni 
pubbliche, Milano, 2000 e ivi bibliografia citata. 

DOTTRINA 155 

stesse (10): tali principi e criteri oggi possono essere definiti come giuridico-
formali-burocratici. 

Esiste anche una dimensione micro della cultura, dimensione tuttavia difficile 
da studiare nell�ambito delle amministrazioni pubbliche (11): in queste, 
infatti, non � agevole individuare una cultura organizzativa con tratti propri e 
specifici, a differenza di quanto normalmente avviene nei contesti aziendali. 
Si pu� parlare di cultura tecnica, di cultura medica, etc., cio� di cultura in riferimento 
a funzioni o professionalit� specifiche, espressione di un sistema di 
valori condivisi all�interno di un gruppo o di un sottosistema organizzativo (in 
letteratura sub-culture), piuttosto che essere indicativa in modo diretto della 
cultura organizzativa della struttura complessiva di riferimento. A conferma 
di questo si consideri che �quando si vuole parlare di cultura organizzativa 
con riguardo ad una unit� pubblica si � soliti fare riferimento al concetto di 
cultura burocratica, laddove non pu� sfuggire alla riflessione come quest�ultima 
accezione non sia tale da qualificare la singola unit� pubblica, cos� differenziandola 
dalle altre appartenenti al medesimo sistema, risultando piuttosto 
quale connotato peculiare di quest�ultimo� (12). Nelle PPAA, dunque, si 
assiste spesso alla associazione dei concetti di amministrazione e cultura 
burocratica proprio per la �forza� che esercita il sistema pubblico-ambiente, 
forza che impedisce la formazione di culture organizzative distinte. 

(10) BONTI M., op. cit., p. 57. Peraltro secondo l�autrice la cultura giuridico-formaleburocratica 
dominante all�interno del sistema pubblico tenderebbe ad operare, nei confronti 
di ogni singola unit�, molteplici condizionamenti in relazione alla possibilit� non solo di 
realizzare, ma anche di definire possibili innovazioni sotto il profilo organizzativo e gestionale. 
Tale circostanza �contribuirebbe a far luce sui motivi per cui la modifica degli orientamenti 
culturali prevalenti all�interno di una singola unit� organizzativa, come pure lo sviluppo 
di nuovi, risulti particolarmente difficile da realizzare qualora non trovi una sorta di 
conferma, ratifica e sostegno in un cambiamento degli stessi ovvero in un consenso sugli 
stessi a livello di intero sistema pubblico� (p. 60). 
(11) Cos� come rilevato da GHERARDI S., MORTARA V., Culture organizzative e amministrazione 
pubblica, in Rivista trimestrale di Scienza dell�Amministrazione, n.1, 1987. 
(12) BONTI M., op. cit., p. 61. Peraltro laddove culture distinte esistono, il loro incontro 
crea contraddizioni e si finisce per assistere alla prevalenza della cultura burocratica sulle 
altre. A proposito delle culture dell�amministrazione scrive Melis (MELIS G., Storia dell�amministrazione 
italiana, Bologna, 1996, p. 13): � Che inizialmente siano state molte, era forse 
scontato: un�amministrazione ancora attrezzata per eseguire materialmente le funzioni affidatele 
ebbe, sino almeno al fascismo se non oltre, forti competenze professionali e tecniche, 
ognuna delle quali collegata a un mondo di conoscenze e a un patrimonio di valori professionali 
propri. Il conflitto tra questo pluralismo originario e la cultura del diritto amministrativo 
cos� come verr� configurandosi specie nell�et� giolittiana � invece meno scontato. Quel 
conflitto [�] si sarebbe riprodotto con alterne vicende sino almeno a questo secondo dopoguerra 
ed avrebbe largamente coinciso con l�altro conflitto, tra conservatori e riformatori o 
� se si preferisce � tra formalisti e cultori del controllo da una parte e sperimentalismi e 
sostenitori dell�efficienza dall�altra�. 
(13) Sulla storia della PA italiana si veda CASSESE S., Il sistema amministrativo italiano, 
Bologna, 1983; MELIS G., Storia dell�amministrazione italiana, op. cit.; MELIS G., La burocrazia, 
Bologna, 1998; BONINI F., Storia della pubblica amministrazione in Italia, Firenze, 2006. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Utilizzando l�approccio della cultura offerto dalle scienze aziendali e la 
definizione di cultura fornita dall�istituto di Potsdam, � possibile sostenere che 
esiste un sistema pubblico-ambiente caratterizzato da principi e valori giuridico-
formali-burocratici e costituito da una pluralit� di amministrazioni ed esistono 
distinte subculture, derivanti anche dalla storia della PA italiana (13). La 
cultura organizzativa dominante � stata per molto tempo quella burocratica, 
ovvero quella dell�attenzione alla forma, al precedente, del controllo degli atti, 
del culto dell�interpretazione letterale delle norme, del rispetto della gerarchia. 
Organizzazione e cultura burocratica si sono consolidate reciprocamente, 
andando a determinare un forte elemento di freno rispetto a qualsivoglia spinta 
innovativa. Ma � pur vero che la cultura � un concetto fondamentalmente 
dinamico e se, come � stato affermato, �descrivere la PA equivale a descrivere 
un mutante nel momento stesso in cui muta� (14), anche i suoi tratti culturali 
cambiano, con tempi (a volte lentissimi) e metodi diversi sia a livelli micro che 
al livello macro. 

1.2. La cultura amministrativa italiana in movimento: dalla cultura formale 
e burocratica alla cultura della qualit� e del risultato 
Se si sintetizzano i tratti della cultura burocratica quali rigidit� e incapacit� 
ad adattarsi al cambiamento; enfasi eccessiva sui controlli formali e sulle regolarit� 
procedurali; peso rilevante accordato alla logica giuridica e dunque diffidenza 
e resistenza nei confronti di strumenti e tecniche quantitativo-economiche; 
scarsa importanza riconosciuta alla comunicazione e alla trasparenza delle azioni 
sia all�interno che all�esterno; ridotta integrazione e coordinamento tra unit� 
appartenenti al medesimo sistema; mancanza di logiche di programmazione di 
lungo periodo, allora si pu� sostenere che oggi, soprattutto dopo il processo di 
riforma della PA avviato negli anni Novanta del secolo scorso, le caratteristiche 
della cultura burocratica non appaiono pi� dominanti. Anzi in taluni casi (pochi) 
superate e sostituite con altre, che fanno riferimento a valori tipici della cultura 
della qualit� e del risultato; caratteristiche che si rifanno alla capacit� di gestire 
sistemi prima ancora che atti e procedure o alla capacit� di integrare tra loro le 
diverse logiche che sottintendono al funzionamento delle strutture pubbliche 
(politica, sociale, tecnologica, organizzativa, giuridica, contabile, economica, 
etc.) (15). L�obiettivo perseguito con le norme dell�azione riformatrice degli ultimi 
quindici anni � stato quello di promuovere una traslazione dell�asse portante 
della PA dall�atto giuridico all�atto economico, dal giuridicismo all�aziendalismo; 
di iniettare elementi per una nuova cultura i cui valori fondanti sono l�efficienza 
e la trasparenza e i cui metodi sono quelli gestionali, economici e progettuali 
in luogo (e spesso accanto) di quelli formali e autorizzativi (16). 

(14) Cos� DE LUCA F., cit., p. 26. 
(15) Cfr. BONTI M., op. cit., pagg. 62-65. 
(16) CANZIANI A., La nuova organizzazione della pubblica amministrazione, in Napoli 
M. (a cura di), Riforma del pubblico impiego ed efficienza della pubblica amministrazione, 
Torino, 1996, p. 180. 

DOTTRINA 157 

Ma, come � evidente, una cosa � comunque il dato positivo, altra � quello 
reale: si � inteso attivare un nuovo modello culturale, consapevoli del fatto che 
la cultura � una risorsa forte per un�organizzazione, non facilmente mutabile, 
soprattutto se tutti gli attori non la considerano come leva per smuovere le difficolt� 
che si frappongono all�inserimento del nuovo. La promozione di cambiamenti 
culturali ha bisogno di tempo e di strumenti diversificati (comunicazione, 
formazione, personale, tecniche di misurazione delle performances, 
etc.) per poter attecchire, per influire in maniera sistematica su ogni singolo 
aspetto e struttura dell�amministrazione pubblica e consentire a tutti gli attori 
di entrare in possesso dei codici necessari per leggere le diverse realt� (17). La 
cultura, del resto, � il risultato di un lungo processo, di una storia, evoca la 
memoria di un percorso di apprendimento, di prove ed errori, di crisi e successi. 
Essa � il frutto della fusione e della sintesi dell�azione degli individui e 
dei gruppi nell�ambiente e nel tempo ed entro i confini dell�organizzazione 
determina il modo concreto di fare le cose. Indica, per esempio, le attivit� alle 
quali ci si deve dedicare con pi� assiduit�, suggerisce quali informazioni hanno 
maggiore rilevanza ai fini decisionali, evidenzia quali categorie di persone 
godono di maggiori competenze all�interno della struttura. 

I modi di lavorare, le regole interne, la chiarezza dei ruoli e delle responsabilit�, 
la definizione dei poteri ed i limiti del loro esercizio, il sistema della 
remunerazione e del riconoscimento e quello della comunicazione, sono gli 
elementi da rivedere per cambiare la cultura ed � proprio su questi aspetti che 
ha puntato l�attenzione il legislatore degli anni Novanta, consapevole che il 
principio del buon andamento della PA proclamato dall�art. 97 della 
Costituzione comprende s�, secondo una affermata tendenza giurisprudenziale 
della Corte costituzionale, il rispetto della legalit� e della legittimit� evoca 
il raggiungimento di altri parametri: quello dell�efficienza, della trasparenza, 
dell�economicit�, dell�efficacia, dell�autonomia e della responsabilit�, della 
sussidiariet� e della differenziazione. 

2. Caratteristiche ricostruttive dell�ambiente culturale della PA italiana: 
tratti di una amministrazione in transizione 
2.1. I tratti di una amministrazione tradizionale 
L�apparato amministrativo italiano � stato lungamente contraddistinto da 
un�immagine negativa: caratterizzato da lentezza e vischiosit�, permeato da un 
diffuso atteggiamento di conservazione tenace della tradizione e di chiusure a 
ogni fermento di innovazione. Emblematico il ritratto che emerge dal Rapporto 
Giannini sullo stato della PA del 1979: �lo Stato non � amico sicuro e autorevole, 
ma una creatura ambigua, irragionevole, lontana�la fiducia dei cittadini 
non si avr� finch� non sia cancellata l�odierna figura dello Stato� (18). 

(17) Lo stesso recepimento delle norme spesso pu� dar vita ad applicazioni molto 
diversificate, perch� mediate da contesti subculturali, politici ed organizzativi diversi. 
(18) Ministero della Funzione pubblica, �Rapporto sui principali problemi dell�amministrazione 
dello Stato�, in Riv. Trim. Dir. Pubb. 1982, 750. Nel 1979 il Ministro per la 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

I tratti dell�amministrazione scolpiti nel Rapporto Giannini nel 1979 
non sono molto diversi da quelli delineati nel Rapporto Cassese nel 1993 
(19). Notevoli differenze, invece, emergono dal quadro dell�amministrazione 
presentato nell�ultimo rapporto al Parlamento sullo stato della PA ad 
opera del Dipartimento della funzione pubblica. Scorrendo i primi due 
Rapporti appare una amministrazione tradizionale, pesante, lenta, costosa, 
che non soddisfa i cittadini Nel terzo Rapporto invece si notano in maniera 
evidente gli effetti prodotti da oltre un decennio di riforme: occorre subito 
rilevare comunque che le forme pi� attraenti che assume la PA nelle ricerche 
effettuate negli anni pi� recenti sono ancora ben lontane dall�idea di un 
sistema pubblico efficiente, moderno e orientato alla soddisfazione del cittadino. 


Nei primi due Rapporti, dunque, l�amministrazione appare ancorata ad 
un modello formale-burocratico e presenta una cultura che ad esso ben si 
coniuga. Fra gli elementi caratterizzanti di tale modello e di tale cultura rileva, 
innanzi tutto, un�elevata ritualizzazione delle procedure (protocollo, 
istruttoria, revisione, visto), che produce i medesimi effetti attribuiti al linguaggio 
politico, il quale ottunde pi� che acuire le facolt� critiche, fornisce 
pi� simboli che sostanza a coloro che non sono strettamente coinvolti dalla 
responsabilit� della decisione (20). Si pu� quindi avanzare l�ipotesi che attraverso 
la formalizzazione dell�azione, tanto il funzionario pubblico quanto i 

Funzione Pubblica, Massimo Severo Giannini trasmetteva al Parlamento il �Rapporto sui 
principali problemi dell�amministrazione dello Stato� noto oggi come �Rapporto Giannini�, 
una radiografia di 1.400 pagine �sulle amministrazioni dello Stato centrali e periferiche��. Si 
tratta di un documento storico, sempre attuale, nel corpo del quale viene fatta l�anatomia 
dell�organizzazione della macchina pubblica, vengono indicati i percorsi di riforma e prospettati 
i mezzi di intervento; tutto per rendere questa organizzazione idonea a reggere le 
azioni per lo sviluppo ed a sostenere quindi il peso di un�azione determinante per lo sviluppo 
del Mezzogiorno. Si � detto, giustamente, che il Rapporto Giannini ha avuto un grande 
merito storico-culturale-politico: quello di aver posto con la chiarezza propria di chi ne � 
stato ideatore l�esigenza di affrontare, per una riforma seria e fondata della pubblica amministrazione, 
non soltanto i problemi di carattere normativo ed istituzionale, ma anche quelli 
di carattere operativo ed organizzativo, ed ha sottolineato in particolare il peso che un�attenta 
valutazione dell�efficienza e dell�organizzazione del lavoro pu� avere nel concorrere a 
risolvere i mali di una pubblica amministrazione che voglia essere servente dello sviluppo. 
Occorre raccordare questa valutazione con una riflessione di chiusura del Rapporto che 
assegna allo Stato, nelle sue articolazioni - richiamando l�art. 5 della Costituzione -, la fisionomia 
di un apparato di servizio per i cittadini e non invece quella di una realt� a s� stante, 
quella di �un amico sicuro ed autorevole� e non di �creatura ambigua, irragionevole, lontana�. 
Una situazione che il Rapporto definiva in quel momento essere ancora �gravissima ma 
non irreversibile�, lungimirante profezia di possibili manifestazioni di insofferenza nel caso 
in cui non si fosse attivato il necessario processo di riforma e adeguamento di un apparato 
pubblico che fosse idoneo strumento per avvicinare il cittadino al governo pubblico dell�economia. 


(19) S. CASSESE, Rapporto sulle condizioni della PA, Roma, 1993, Ministero della funzione 
pubblica. 
(20) EDELMAN M., Costruire lo spettacolo politico, Torino, 1992. 

DOTTRINA 159 

cittadini hanno gestito e ricevuto simboli (riferiti a specifici interessi) espressi 
da una coalizione dominante, che, nella storia della amministrazione italiana, 
pu� essere individuata anche nell�ambito politico (21). 

Un altro elemento importante che potrebbe aver influito sulla formazione 
della cultura amministrativa � legato al sistema dei controlli e al conseguente 
regime delle responsabilit�. In molti casi, le varie fasi in cui si articola il procedimento 
amministrativo non trovano giustificazione in compiti diversi in ragione 
dell�obiettivo da raggiungere, bens� nel susseguirsi di passaggi in linea gerarchica 
in cui si sviluppa un�operazione di revisione che si conclude con l�apposizione 
di un visto. L�attivit� � concepita come preparazione di una pratica che 
spetta a qualcun altro controllare, visionare, firmare e non gi� come espletamento 
di una specifica funzione della quale si � responsabili. In tal modo si crea una 
sorta di de-responsabilizzazione rispetto a ci� che si fa, il risultato del lavoro 
non viene valutato e quindi, di conseguenza, non si attiva alcuna responsabilit�. 
In ogni procedimento si riscontra un�enfasi sull�atto e sulla norma e si trascura 
il ruolo del singolo attore e la sua azione nel contesto organizzativo (22). 

Rileva, poi, nell�amministrazione tradizionale, un certo immobilismo, 
una scarsa attitudine a produrre innovazione: ed infatti per molti anni la PA 
italiana � rimasta in pratica uguale a s� stessa, nonostante i diversi tentativi 
di riforma concretizzati in altrettanti provvedimenti normativi: le cause dell�immobilismo 
sono molteplici, ma non pu� non segnalarsi l�atteggiamento 
di chiusura di gran parte della dirigenza, gelosa delle proprie prerogative e 
del potere e la latitanza dell�autorit� politica accusata di inadeguatezza nello 
svolgimento delle proprie funzioni di guida e controllo (23). 

Si vogliono sottolineare, infine, quelle che sono state definite da autorevole 
dottrina �disfunzioni� (24): tipicamente amministrative, tecniche e funzionali. 
Le innumerevoli disfunzioni, gravando sui cittadini e sulle imprese, 
che oltre a sostenerne i costi diretti, ne hanno anche subito i costi indiretti 
connessi ai numerosi adempimenti burocratici, hanno determinato altres� una 
forte insoddisfazione, che trova la sua principale ragion d�essere nell�eccesso 
di regolamentazione e nella rigidit� della disciplina normativa, nella complessit� 
e nella lentezza dei procedimenti, nella pressoch� assente trasparenza 
dell�azione pubblica, nell�accentramento delle funzioni e/o frammentazione 
e sovrapposizione delle competenze, nella duplicazione di attivit�. 

(21) Cfr. RISIMINI C., cit., p. 6 e ss. e MELISG., La burocrazia, op. cit., passim. 
(22) � risaputo che l�organizzazione del lavoro nella PA non � certo tale da valorizzare 
e promuovere la variabilit� umana, almeno in termini di contributo personale, rispetto alla 
definizione delle procedure e alle attivit� di esecuzione che sono tutte rigorosamente previste 
e routinizzate. Questo spesso induce il pubblico dipendente a perseguire strategie, attraverso 
tante micro-decisioni che gli consentono di mettere in campo le proprie competenze 
relazionali essenziali, in realt�, per l�attivit� lavorativa nella PA. Cfr. GHERARDI, Le microdecisioni, 
op. cit., passim. 
(23) CERASE P., Un amministrazione bloccata, Milano, 1990, passim. 
(24) GIANNINI M.S., Diritto pubblico dell�economia, 1985. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

L�amministrazione tradizionale, precedente alle riforme degli anni 
Novanta, � basata dunque su un sistema ordinato e circoscritto di componenti 
che funzionano in modo routinizzato e prevedibile (25). Fa riferimento ad 
un modello fondato sull�osservanza della regola, sulla divisione del lavoro, 
sulla formulazione di una linea gerarchica che lega superiori e subordinati, 
sulla commistione fra sfera politica e sfera gestionale. 

L�esigenza di cambiamento di tale modello di riferimento, dei valori che 
esso favorisce e dei simboli cui si riferisce si avverte pi� fortemente quando 
appare evidente il contrasto dell�azione amministrativa con i principi di efficienza 
e efficacia, con la necessit� di arrivare a performances soddisfacenti 
per tutti gli attori del sistema (cittadini, imprese, amministrazioni pubbliche 
stesse, etc.); quando la struttura di tipo gerarchico-funzionale mal si concilia 
con il bisogno di snellire l�attivit� amministrativa (meno vincoli, meno passaggi 
intermedi, meno verifiche di carattere formale, maggiore celerit�) e di 
attribuire autonomia operativa e decisionale � e dunque diretta responsabilit� 
- alle unit� organizzative rispetto ai risultati conseguiti; quando l�attivit� 
amministrativa non pu� pi� essere basata solo su norme e regole di carattere 
formale, ma deve aderire all�idea del miglioramento continuo e del necessario 
raggiungimento del risultato corrispondente agli interessi dei cittadini. 

2.2. Tratti di una amministrazione in trasformazione. Nuovi principi e nuovi 
strumenti per una nuova cultura 
Il legislatore degli anni Novanta ha inteso attivare una netta inversione di 
tendenza: rinnovare l�amministrazione pubblica, iniettandole componenti per 
definire una nuova cultura volta ad applicare concretamente i principi della 
semplificazione, della trasparenza, del decentramento, della sussidiariet�, dell�efficienza, 
etc. Ha costruito un percorso riformatore in cui la norma costituzionale 
che presidia le regole di funzionamento della P.A. (art. 97 Cost.) � 

(25) Merita qui precisare che le disfunzioni delle PA trovano una loro prima giustificazione 
e spiegazione nel ritardo con cui si � giunti alla formazione dello Stato italiano e nella 
ritardata evoluzione del sistema politico-amministrativo. Inoltre gli studi sulla cultura organizzativa 
hanno mostrato che talune disfunzioni che appaiono effettivamente tali nel complesso 
possono, dal punto di vista di singole categorie di individui, avere una valenza positiva. 
Ad esempio se la PA per un verso � stata refrattaria ai cambiamenti di struttura, dimostra 
di converso, una certa capacit� di assorbimento dei problemi emergenti attraverso la 
prassi dell�adattamento contingente, del giorno per giorno, o facendo ricorso alla tattica del 
rinvio. Tutto ci� � funzionale ad una logica di azione in cui il conseguimento di obiettivi 
generali viene, di fatto, piegato al conseguimento di interessi specifici che la sfera politica 
impone in ordine alle circostanze. Peraltro, facendo anche riferimento all�effetto anestetizzante 
delle abitudini di cui parla Proust nella sua Ricerche, l�azione caratterizzata da routine 
ha una funzione tranquillizzante nella misura in cui d� certezza e prevedibilit� agli attori 
sociali. WEICK K., Organizzazione, Torino, Isedi, 1993 (ed. orig. 1969-1979). Tutto ci� 
che non � previsto nella procedura o che non � sacramentato dalla prassi � una sfida al sistema 
della PA e quindi rappresenta una minaccia alla chiarezza e certezza dell�azione. Quanto 
pi� l�organizzazione � istituzionalizzata tanto meno si adatta ai cambiamenti, data anche la 
forte capacit� di persistenza giocata dai ruoli, dalle norme e dai programmi. 

DOTTRINA 161 

oggetto di una autentica �rilettura�: i principi del buon andamento e dell�imparzialit�, 
precedentemente perseguiti attraverso una amministrazione autoreferenziale, 
solenne e rituale ed anche impenetrabile, vengono ora affidati a 
modelli organizzativi nuovi ed a regole di funzionamento fondate sui principi 
della chiarezza, del controllo dei risultati e della comunicazione. Nella consapevolezza 
che i profondi mutamenti della struttura amministrativa (simboli) 
possono determinare (e si accompagnano a) profondi mutamenti della cultura 
del sapere e dell�agire, le norme provvedono a disegnare una organizzazione 
pi� flessibile, a ridistribuire le funzioni amministrative, a privatizzare il rapporto 
di pubblico impiego, a distinguere (non separare) tra poteri di gestione (ai 
dirigenti) e di indirizzo (agli organi politici). Postulando l�obbligo di collaborazione 
fra tutti gli attori del sistema, si perviene al definitivo superamento sostituendolo 
con quello fiduciario - del rapporto gerarchico tra l�organo politico 
e quello gestionale; inoltre il venir meno del rapporto fiduciario, al pari dell�accertata 
inidoneit� allo svolgimento delle funzioni e del mancato raggiungimento 
degli obiettivi, costituisce il fondamento della responsabilit� dirigenziale 
(26). Si procede altres� con la progressiva diminuzione dei controlli preventivi 
di legittimit� a favore dei controlli di risultato tesi a verificare la rispondenza 
fra gli obiettivi prefissati e gli esiti prodotti (27). Il principio della semplificazione 
amministrativa risulta essere elemento imprescindibile per i processi 
organizzativi dell�amministrazione e strumento principe per il cambiamento 
del rapporto fra amministrazione e cittadini, i quali non sono pi� collocati in 
posizione di sudditanza ma sono titolari di diritti e poteri formalmente sanciti: 
si tenta di superare la logica del formalismo e della gerarchia e di pervenire ad 
una rete organizzativa pubblica che rivesta pi� correttamente i caratteri dell�amministrazione 
condivisa. 

A favorire il passaggio dal modello permeato da una cultura formaleburocratica 
al modello a cultura orientata al risultato e alla qualit� vi � la 
crisi del sistema politico-istituzionale, connessa alle contestuali problematiche 
economiche e fiscali dell�ultimo decennio del secolo scorso: l�inserimento, 
all�interno della pubblica amministrazione, delle logiche di mercato rompe 
gli equilibri su cui si era assestato il funzionamento della macchina statale e 
richiede l�acquisizione di una nuova dimensione operativa; il ridimensionamento 
della sfera pubblica e la privatizzazione dei servizi pubblici (28), non


(26) Sulla distinzione fra funzioni gestionali e di indirizzo cfr. BERTI G., Amministrazione 
come responsabilit�, in Riforme amministrative e responsabilit� dei pubblici dipendenti 
(a cura di CAMMELLI C., BOTTARI C. E RECCHIONE S.), Rimini,1996; GARDINI G., 
L�imparzialit� amministrativa tra indirizzo e gestione: organizzazione e ruolo della dirigenza 
pubblica nell�amministrazione contemporanea, Milano, 2003. 
(27) Sui controlli di nuova generazione sia consentito rimandare a M. DE ANGELIS, La 
giuridicit� dei controlli di nuova generazione, in questa Rassegna, n. 2/2002 (aprile-giugno), 
p. 285. Vd. anche IANNOTTA L., a cura di, Economia, diritto e politica nell�amministrazione 
di risultato, Torino, 2003; SPASIANO M. R., Funzione amministrativa e legalit� di 
risultato, Torino, 2003. 
(28) L�Italia appartiene alla categoria dei paesi a tradizione statiste; in questo modello 
lo Stato assume un ruolo paterno dal quale dipendono le sorti dei suoi sudditi. Naturale con

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ch� la ricerca di una maggiore prossimit� del potere pubblico al livello locale 
(sussidiariet� verticale) e l�allargamento della legittimazione partecipativa 
investono i contenuti identificativi del modello statuale che aveva retto per 
tanti decenni. 

L�esigenza di riformare la PA nasce dunque da diversi fattori, alcuni di 
carattere propriamente interno al sistema amministrativo italiano, messo in 
crisi non solo dalle sue ridondanze ed inefficienze, ma anche dal progressivo 
superamento dello Stato-provvidenza; altri sono determinati da fattori 
esterni, legati all�appartenenza all�Unione europea, alla necessit� di ridurre 
la politicizzazione dell�apparato pubblico, alla ricerca di forme di statualit� 
leggera, alla esigenza di produrre servizi pubblici efficienti e di qualit� comparabile 
a quella dei servizi privati (29). 

seguenza dello Stato paterno � il suo interventismo. Nei primi cinquant�anni di vita nazionale 
lo Stato ha costruito da s� l�economia moderna dell�Italia, creando imprese e imprenditori 
e affrontando i problemi dello sviluppo attraverso la creazione degli enti pubblici. 

Oggi le cose sono assai cambiate: la gestione pubblica di imprese, con le privatizzazioni, 
si � ridotta anche se sono aumentati i controlli sull�economia privata poich� resta �immutata 
la trama di fondo che fa discendere poteri ed elargizioni dello Stato anzich� far salire 
diritti dei cittadini� cui sono ora riconosciuti diritti di cittadinanza politica ma sono ancora 
trascurati i diritti della cittadinanza amministrativa, bench� oggi si affermi, con enfasi, che 
il cittadino/utente � sovrano. Cfr. CASSESE S., Lo Stato introvabile, Roma, 1998, p. 29. 

(29) Due sono stati i filoni culturali del cambiamento amministrativo: la Public choice 
e il New public management. La Public choice ha per prima gettato le basi per una diversa 
interpretazione del rapporto esistente tra politica e amministrazione: gli studi condotti negli 
anni �70 con riferimento alla situazione americana hanno messo in evidenza come le burocrazie 
tendano a perseguire una visione particolare �privatistica� dell�interesse pubblico 
poich� orientate a massimizzare i rispettivi budget di spesa sottraendosi al controllo politico. 
Questa visione di una burocrazia, ben lontana dall�adottare strumenti imparziali nel conseguimento 
del pubblico interesse, si � diffusa con un certo vigore nel corso degli anni �80, 
creando una situazione in cui, accanto alla necessit� di ridurre il deficit statale, andava 
aumentando il crescente fastidio dell�opinione pubblica nei confronti dei vertici burocratici. 
Si � cos� delineato un ulteriore scarto tra la domanda e l�offerta delle PA che ha contribuito 
a delegittimarne socialmente l�immagine. 
La conseguente proposta della Public choice si risolve, semplicisticamente, nella riduzione 
del settore pubblico in nome di un ritorno ai principi del mercato. Proprio guardando 
al mercato, alla sua presunta superiorit� rispetto ai tradizionali criteri organizzativi dello 
Stato, si � andato imponendo l�altro filone culturale: il New public management, il quale 
nega l�esistenza di una specifica via di amministrazione pubblica, ribadendo la superiorit� 
delle tecniche gestionali utilizzate nelle imprese private. La soluzione manageriale diviene 
cos� la terapia adeguata per risolvere qualunque tipo di disfunzione, una sorta di deus ex 
machina pronto a rivoluzionare l�idea stessa della PA. La letteratura su tali aspetti � assai 
vasta. Si veda a titolo esemplificativo ANDRISANI P.J., HAKIM S., SAVAS E.S., The New Public 
Management: Lessons from Innovating Governors and Mayors, Kluwer Academic 
Publishers, Boston, 2002; BARZELAY M., 2001; BORGONOVI, E., 2002, Principi e sistemi 
aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea, Milano; FERLIE E., ASHBURNER L., 
FITZGERALD L., PETTIGREW A., 1996, The New Public Management in Action, Oxford 
University Press, New York; GRUENING G., 2001, Origini e basi teoriche del New Public 
Management, in MENEGUZZO M., Managerialit�, Innovazione e Governance: La Pubblica 


DOTTRINA 163 

La riforma amministrativa nelle sue diverse sfaccettature (dalle privatizzazioni 
di ampi settori dell�economia pubblica, all�introduzione di criteri di 
economicit� nella gestione delle risorse pubbliche, al decentramento amministrativo 
volto a meglio corrispondere ai bisogni dei singoli e al contempo 
responsabilizzare i governi locali,) � stata recepita dunque come necessaria 
per ridurre i costi della spesa pubblica e per rispondere alle esigenze di un 
cittadino pi� consapevole ed esigente. Tuttavia se da un lato la riforma �ha 
rappresentato uno strumento per incidere sulla riduzione del debito pubblico�, 
dall�altro si � risolta �in un continuo, ramificato susseguirsi di norme 
che costituiscono un labirinto quasi inquietante. Ogni legge importante introduce 
una notevole quantit� di regolamenti, decreti, circolari; essa poi viene 
modificata nel corso delle legislature impedendo quel cambiamento culturale, 
ancor prima che strutturale, che si vorrebbe attuare� (30). 

Ed infatti occorre altres� evidenziare che i tentativi di riforma della PA 
in Italia non sono stati espressione di un comune progetto riformatore n� di 
un indirizzo politico unitario, ma la maggior parte dei cambiamenti, soprattutto 
negli ultimi 20 anni, sono derivati dall�adozione di nuove regole e di 
interventi per settori posti in essere al di fuori di una politica globale volta a 
considerare le trasformazioni in un quadro ben definito. Il che ha determinato 
non pochi disagi nello svolgimento dell�attivit� amministrativa e situazioni 
di transizione e di stand by che non hanno giovato ai cittadini e alla stessa 
amministrazione (31). Gli sforzi verso l�innovazione sono comunque continui 
ed evidenti e merita rilievo l�impegno politico manifestato negli ultimi 

Amministrazione verso il 2000, II ed., Aracne; JONES L.L., THOMPSON F., 1997, 
L�implementazione strategica del New Public Management, in Azienda Pubblica, n.6, 1997. 
(Titolo originale The strategic implementation of the New Public Management, edizione it. 
a cura di MUSSARI R.); MENEGUZZO M., 1997, Ripensare la modernizzazione amministrativa 
e il New Public Management. L�esperienza italiana: innovazione dal basso e sviluppo 
della governance locale, in Azienda Pubblica, n.6, 1997; POLLITT C., BOUCKAERT G., 2000, 
Public Management Reform: a Comparative Analysis, Oxford University Press, Oxford, 
(trad. it., BORGONOVI E., ONGARO E., 2002, La riforma del management pubblico, Egea, 
Milano); ZUFFADA E., 2000, Amministrazioni Pubbliche e Aziende Private, Egea, Milano 

(30) ZACCAGNINI S., Ricerche empiriche sulla Pubblica amministrazione negli anni 
�90, in Rivista trimestrale di Scienza dell�amministrazione, n. 1, 2004, � 2.1. 
(31) Si ricordi, peraltro, che criteri e modelli organizzativi, prassi diffuse e pi� o meno 
accettate e quant�altro, dipendono in gran parte dal tipo di cultura politica prevalente in un 
determinato paese in un certo momento storico. Nel corso degli ultimi due secoli, la cultura 
politica italiana (cos� come quella di altri paesi dell�Europa continentale) � stata caratterizzata 
da un�eredit� dottrinale di tipo dirigistico, e quindi dalla ben radicata convinzione 
dell�importanza del ruolo direttivo dello Stato nello sviluppo economico del Paese. Al contrario 
in Gran Bretagna (oltre che negli USA) la cultura politica, dominata sin dal XVIII 
secolo dalla dottrina della libert� naturale, il ruolo dello Stato ai fini dello sviluppo economico 
era considerato di carattere secondario. Tale cultura ha costituito la giustificazione (e 
la ragion d�essere), in Italia, di modelli organizzativi e di intervento la cui esistenza e permanenza 
richiedevano la presenza di uno Stato forte ed ambizioso, artefice di ricchezza, 
garante di libert�, arbitro ultimo dei rapporti socio-economici e della conseguente creazione 
di amministrazioni specializzate per materia, altamente centralizzate, con il compito di 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

anni dalle diverse coalizioni governative nel porre mano, anche se spesso in 
direzioni contrapposte, a riforme dirette a razionalizzare e a migliorare strutture 
e modi operativi della PA. Una riflessione globale su queste vicende mette 
in evidenza una situazione alquanto confusa, una quasi atavica inerzia e resistenza 
al cambiamento ed una sconcertante indecisione nello stabilire e perseguire 
modelli chiari fra quelli prescelti (32): il punto nodale nel determinare 
contraddizioni e confusioni probabilmente sta in quello che si pu� definire 
�equivoco della managerialit� e dell�orientamento ai risultati�. In altre parole 
il pi� volte invocato inserimento di una cultura manageriale mutuata dalle 
organizzazioni economiche, nella PA ha completamente trascurato di considerare 
la specificit� della stessa: si � cercato di equiparare la PA ad un�azienda di 
servizi, senza tenere in adeguato conto la presenza di particolare norme e di atti 
collegati all�applicazione delle stesse che si ispirano a un sistema di valori 
assai diverso di quello dei principi di un�azienda. E se i valori � come visto sono 
una delle componenti essenziali della cultura, allora la contraddizione fra 
essi pu� limitare e/o frenare non poco l�innesto di una cultura diversa. Proprio 
le contraddizioni fra impianti culturali diversi contribuiscono ad alimentare la 
convinzione secondo cui le amministrazioni tradizionali sono incapaci di trasformarsi 
da organizzazioni che producono procedure (spesso non applicate) 
in amministrazioni di risultato in grado di assicurare la qualit� dei servizi offerti 
e di contenere i costi necessari a realizzarli. 

3. Elementi tradizionali e innovativi a confronto: la riforma della pubblica 
amministrazione italiana e le politiche per il cambiamento della cultura 
Ogni riforma amministrativa � stata caratterizzata, in Italia come del 
resto anche in altri Paesi occidentali, da un insieme di interventi che - in 
parte ridondanti e sovrapposti � hanno tentato, attraverso la sollecitazione di 
pi� leve di riformare la PA incidendo sulla sua cultura amministrativa. 

Nel caso italiano il cammino delle �grandi riforme� ha ricevuto un incredibile 
impulso grazie all�emanazione di una serie di leggi basilari (fra queste 
le leggi nn. 142 e 241 del 1990 e le c.d. leggi �Bassanini� del 1997-2000) (33) 
che hanno introdotto principi innovativi per l�apparato amministrativo italia


realizzare e mantenere efficienti i vari tipi di infrastrutture, di promuovere lo sviluppo economico, 
di regolare a tal fine industria, commercio ed agricoltura, di soccorrere ed assistere 
i pi� bisognosi, di promuovere lo sviluppo dell�istruzione, di tutelare la sanit� pubblica e 
cos� via. Per molti anni la realt� amministrativa italiana, dunque, registra una organizzazione 
altamente specialistica e centralizzata. 

(32) BONTADINI-TARADEL, Il rapporto tra criteri organizzativi, contenuti tecnici, 
modelli strutturali e cultura politica nelle amministrazioni: alcune note, in Rivista trim. di 
Scienze dell�Amministrazione, n. 2, 2003, p. 39. 
(33) Molto � stato scritto sulla Legge 241/90 soprattutto perch� ha rivoluzionato, dettando 
nuove regole, i rapporti tra i cittadini e le istituzioni. Il senso straordinario della innovazione 
sta nell�aver capovolto lo sguardo con il quale le �autorit�� si debbono mettere in 
relazione con il cittadino. Non � quest�ultimo che deve conformarsi ed interpretare le logiche, 
i linguaggi, i modi d�essere delle amministrazioni, ma viceversa. � l�amministrazione 

DOTTRINA 165 

no quali la trasparenza, la semplificazione, il decentramento, la sussidiariet�, 
l�efficacia (ovvero il risultato conseguito quale criterio di valutazione di 
ogni attivit� amministrativa). Ridisegnando il sistema amministrativo, il 
legislatore ha inteso introdurre un nuovo modo di gestire la PA e il rapporto 
tra questa e i cittadini anche al fine di superare quelle gravi insufficienze e 
inefficienze che per molti anni hanno contrassegnato l�immagine della PA e 
i servizi da essa resi, con crescente insoddisfazione dei cittadini e delle 
imprese nonch� con alti costi economici per l�intera comunit�. L�azione 
intrapresa � per taluni aspetti quasi rivoluzionaria, postulando un cambiamento 
profondo: vi sono elementi di forte innovazione e modernizzazione 
prodromici al pi� ampio progetto di riforma dello Stato che ha trovato luce 
nella riforma costituzionale del 2001 e con la quale si � definita altres� una 
nuova allocazione delle competenze all�interno delle istituzioni pubbliche. 

Utilizzando i nuovi principi, redistribuendo gran parte delle funzioni, evitando 
sovrapposizioni e delimitando i confini tra una amministrazione ed 
un�altra, di fatto il legislatore impone rinnovate responsabilit�, conferisce elevata 
autonomia decisionale ai dirigenti, esige il raggiungimento di risultati e 
l�efficienza nell�impiego delle risorse. In estrema sintesi l�analisi normativa 
mette in evidenza che le attivit� di modernizzazione della PA hanno seguito 
diverse direzioni (riassumibili nella c.d. buona governance): potenziamento e 
qualit� dei servizi pubblici; attenzione e intensificazione degli investimenti 
nelle tecnologie dell�informazione e della comunicazione (e-government); 
miglioramento della qualit� della regolazione e delegificazione (diminuzione 
della normativa, codificazione e valutazione dell�impatto delle norme); corretta 
gestione e formazione delle risorse umane; liberalizzazioni (soppressione di 
vincoli e abolizione di procedure, lasciando pi� libert� ai privati); semplificazione 
delle procedure e dell�organizzazione anche mediante il decentramento, 
riducendo i tempi per cittadini ed imprese, e i costi per le pubbliche amministrazioni. 
Il tutto con riferimento a una serie di principi, di ordine strutturale, 
etico e culturale, definiti anche a livello comunitario, come la trasparenza, l�accountability, 
l�armonizzazione delle prestazioni amministrative. 

Fra i percorsi seguiti dal legislatore per l�innesto di nuovi valori (e simboli) 
e dunque per attivare concretamente dei cambiamenti nella cultura 
della PA, particolarmente interessanti appaiono talune politiche e taluni strumenti 
che rappresentano (e sono a loro volta portatori) valori, codici, regole, 
simboli tali da costruire e costituire culture. 

che deve organizzarsi per dare risposte al cittadino in un rapporto alla pari attraverso il quale 
sono finalmente visibili i suoi reali bisogni. L�affermazione contenuta nella legge 241/90 dei 
principi (intrinseci, ovviamente, ad un ordinamento democratico) di trasparenza, pubblicit� 
e accesso del procedimento amministrativo � esplicita perch� attribuisce alla struttura pubblica 
un �nuovo� ruolo; si chiede cultura ed atteggiamenti mentali conseguenti che devono 
portare ad uno scambio alla pari attraverso processi di comunicazione. Proprio dalla l. 241 
nascono tutti gli spunti culturali fondamentali per la grande riforma della Pubblica 
Amministrazione avviata negli anni Novanta. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

3.1. La cultura della semplificazione e della prossimit� al cittadino 
Il termine semplificazione pu� incorporare finalit� tra loro piuttosto 
diversificate, ovvero: 1. mira a perseguire l�obiettivo di ridurre le aree di regolazione 
che equivale, in alcuni casi, ad una retrocessione dello Stato da alcune 
aree d�intervento; 2. punta all�aumento dell�efficienza dell�azione amministrativa, 
mantenendo l�intervento da parte dello Stato, ma diminuendo i costi 
che esso produce; 3. affronta i problemi relativi all�efficacia dell�azione 
amministrativa attraverso un miglioramento del servizio reso all�utenza. 

Questi tre aspetti sono spesso compresenti in un�azione di riforma, anche 
se appartengono a scelte di carattere metodologico tra loro non sempre convergenti. 
La semplificazione pu�, quindi, in alcuni casi, indicare la liberalizzazione 
dell�esercizio di attivit� private; in altri casi, invece, mira pi� ad una 
riduzione dei tempi procedurali; in altri casi ancora, se ne riducono invece i 
costi; oppure si tratta soltanto di interventi di delegificazione, per cui lo stesso 
tipo di normazione viene, per cos� dire, tolta dalla fonte legislativa primaria, 
pi� rigida e con bassi margini di flessibilit�, e ricondotta a strumenti normativi 
pi� flessibili. 

In particolare la semplificazione delle procedure, a differenza delle riforme 
sulle strutture (numero dei Ministeri, delle unit� amministrative, delle 
posizioni a livello dirigenziale), ragiona pi� sulla dinamica e sull�efficacia 
del sistema, piuttosto che sulle interdipendenze esistenti tra le diverse unit� 
amministrative. La PA attualmente, appare orientata ad assumere un modello 
reticolare, in cui si realizza una frequente interdipendenza tra diverse unit� 
organizzative che non sono in rapporto gerarchico tra loro e dalla quale pu� 
scaturire un problema di coordinamento chiaramente evidenziato quando si 
sviluppa l�analisi delle procedure (34). 

(34) Il modello reticolare � strettamente legato allo sviluppo dell�e-government. Il 
governo elettronico rappresenta � tra le altre cose � una occasione straordinaria per la modernizzazione 
della Pubblica Amministrazione e per dare una risposta positiva alla crescente 
domanda di servizi efficienti e efficaci dei cittadini e delle imprese e all�esigenza di maggiore 
partecipazione dei cittadini alla vita pubblica (dall�e-government all�e-democracy). Tra i 
progetti approvati negli anni pi� recenti sono identificabili alcuni interventi destinati a incidere 
sulla trasparenza e sulla tempistica dei procedimenti amministrativi e, pi� in generale a 
promuovere - attraverso l�automazione dello scambio di informazioni tra le diverse amministrazioni 
pubbliche e tra i diversi uffici all�interno della stessa amministrazione � significativi 
ritorni in termini di miglioramento dei processi operativi e della cultura organizzativa (progetto 
di protocollo informatico e gestione dei flussi documentali, progetto di mandato informatico 
e di revisione dei sistemi dei pagamenti, sistema informativo unitario del personale): 
questi interventi costituiscono uno stimolo allo sviluppo del flusso d�informazioni tra le 
amministrazioni e, quindi, una possibilit� di pi� stretta cooperazione tra il livello centrale e il 
livello locale in una logica di amministrazione a rete. Per l�e-government cfr. Ministro per 
l�Innovazione e le tecnologie, Linee guida del Governo per lo sviluppo della Societ� 
dell�Informazione nella legislatura, Roma, 2002; M. MARCIANO, Monografie CNIPA, 
Elementi per lo sviluppo di un modello di pubblica amministrazione digitale, 2003; A.C. 
FRESCHI, F. DE CINDIO, L. DE PIETRO, �E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione 
emergenti nel panorama italiano�, FORMEZ- Progetto CRC, 2004. 

DOTTRINA 167 

Anche gli obiettivi specifici perseguiti mediante la semplificazione delle 
norme procedurali sono, in realt�, molto diversi, ma comunque tutti volti a 
eterodeterminare elementi per una cultura performed oriented. 

Il processo di semplificazione pu� presentare, comunque, alcune criticit� 
che possono essere limitate ricorrendo ad un approccio delle problematiche 
secondo il quale � necessario porre delle regole che siano effettivamente 
utili agli attori del sistema (35); � necessario sviluppare una partecipazione 
effettiva dei destinatari dei provvedimenti, i quali devono poter intervenire 
formulando eventuali proposte di assetti normativi alternativi. Inoltre ogni 
nuova regolazione giuridica deve essere connessa al cambiamento organizzativo; 
la modifica di una norma presuppone, infatti, per essere attuata, che 
sia strettamente integrata con innovazioni anche nella struttura organizzativa 
e con i canoni che governano le relazioni intersoggettive. In particolare: l�azione 
di regolazione e di semplificazione deve essere sistematica e la realizzazione 
di interventi di regolazione giuridica deve essere attuata anche sulla 
base della valutazione economica degli effetti che produce, comparandone i 
costi con i benefici. A tal fine sono state intraprese una serie di azioni volte 
anche a rivedere le strutture che presidiano il processo di semplificazione e 
a portare verso il basso il baricentro della regolazione, valorizzando quelle 
che sono le capacit�, le conoscenze, le attitudini delle singole amministrazioni 
e degli attori coinvolti: a titolo esemplificativo si pensi all�introduzione 
dell�analisi di impatto della regolamentazione - AIR (36). Un secondo ordine 
di misure ha riguardato anche i processi, con l�introduzione di una valutazione 
economica obbligatoria degli effetti dell�azione amministrativa, sia 
per quanto riguarda i costi delle amministrazioni che per i costi dei privati 
(ed es. controlli di risultato, carte dei servizi, nuclei di valutazione). 

Al dire unilaterale si � sostituito un po� ovunque il dialogo, alla staticit� 
procedimentale � stata affiancata la visione dinamica dell�esperienza, all�impersonalit� 
dell�azione amministrativa � subentrata l�attenzione per la persona 
e il risultato. In questo contesto acquista pieno significato il riferimento al 
principio di sussidiariet� che accompagna la riorganizzazione delle compe


(35) Secondo tale approccio occorre utilizzare con maggiore consapevolezza ed accortezza 
lo strumento normativo, per evitare che questo si ritorca su coloro che lo utilizzano: le 
regole devono essere quindi utilizzate con un orientamento all�efficacia che vada oltre il 
mero risparmio dei tempi e dei costi dell�azione amministrativa. 
(36) Il clima culturale e legislativo degli ultimi anni ha evidenziato l�esigenza di rivedere 
i modi del �fare norme�, cercando strumenti in grado di ancorare il procedimento legislativo 
a previsioni e interventi correttivi adeguati. Il Council dell�OECD, nel marzo 1995, 
propone una vera e propria check list per migliorare la qualit� della regolazione amministrativa 
e nel 1997 ne propone una per la progettazione legislativa. L�attenzione � richiamata 
non solo sulla cost benefit analysis (BCA) e cio� al solo effetto economico ma su un nuovo 
modo di fare progettazione legislativa vincolato all�identificazione del problema, alla giustificazione 
del tipo di intervento proposto, ai costi, agli obiettivi e all�impatto sulla societ� 
socioeconomica consentendo il passaggio da una cultura delle regole ad una cultura dei 
risultati. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tenze delle istituzioni pubbliche in ragione delle loro reale capacit� di raggiungere 
gli obiettivi di rilevanza comune. La domanda avanzata ai soggetti 
pubblici di essere �il pi� vicino possibile ai cittadini� impone una autentica 
trasformazione valoriale. Attraverso la �sussidiariet��, dunque, lo Stato si 
organizza per garantire che la gestione della cosa pubblica avvenga affidando 
le funzioni alle autorit� territorialmente (sussidiariet� verticale) e funzionalmente 
(sussidiariet� orizzontale) pi� vicine ai cittadini interessati. Sul 
piano interno, in un�ottica di razionalizzazione e semplificazione dell�azione, 
la nuova distribuzione dei compiti, delle funzioni e delle risorse tra enti 
(volta a garantire una maggiore autonomia nell�organizzazione e nella 
gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie) ha posto in primo 
piano altres� la necessit� di decentrare le sedi decisionali. 

Nel complessivo contesto riformatore non poteva non trovare spazio, 
infine, anche la questione relativa all�innovazione del linguaggio amministrativo. 
Sulla scia degli interventi volti a migliorare l�impatto della legislazione, 
si inseriscono le iniziative che mirano a rinnovare il lessico usato dalle 
amministrazioni pubbliche (drafting formale): fra queste merita menzione il 
�Manuale di stile� per la semplificazione del linguaggio delle amministrazioni 
pubbliche a cura del Dipartimento della funzione pubblica che rientra 
a pieno titolo tra le misure necessarie per un processo di modernizzazione 
del sistema pubblico (37). Ancora oggi, tuttavia, molti documenti amministrativi 
presentano frasi poco comprensibili e tecnicismi; i cittadini hanno 
dunque ragione a lamentare la perdurante oscurit� del lessico della PA (c.d. 
burocratese). Affrontare concretamente il problema significa, per�, non puntare 
solo sulla semplificazione testuale, ma intervenire sul costume e sulle 
mentalit�, sull�immagine che l�Amministrazione ha di s�, sul modo in cui 
opera per consolidata tradizione: e questo richiede tempi lunghi e interventi 
diversificati. Il problema ha infatti � come accennato - radici antiche: all�indomani 
dell�Unit� lo Stato aveva funzioni essenzialmente d�ordine, i pubblici 
poteri non dialogavano con gli amministrati, esercitando semplicemente il 
loro potere di imperium. Oggi naturalmente non � pi� cos�, anche se parte 
dell�opinione pubblica � rimasta in qualche misura ancorata a quell�idea 
della PA e resiste tuttora l�archetipo di una specie di sacralit� dell�Amministrazione 
che giustifica il suo linguaggio inaccessibile, il suo atteggiamento 
distaccato e un po� altero verso gli utenti. 

(37) Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, 
Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche, 

Bologna, 1997. Oltre al manuale di stile � stato realizzato un apposito programma informatico, 
il software errata corrige-pubblica amministrazione, con l�obiettivo di facilitare la revisione 
dei testi ai fini di semplificazione. Si osservi che l�oscuro linguaggio giuridico utilizzato 
dal funzionario pubblico � da sempre, nella percezione del cittadino forse il principale 
elemento con il quale si identifica la burocrazia nella sua accezione pi� negativa. Il �burocratese� 
� un linguaggio che non facilita la relazione, negando al cittadino il diritto e la 
garanzia della trasparenza su quello che l�amministrazione vuole e offre. 


DOTTRINA 169 

3.2. Cultura del servizio e cultura del mercato 
Nelle organizzazioni che operano in regime di libera concorrenza e di 
mercato, l�attenzione riservata al concetto di qualit� del prodotto o servizio 
erogato fonda la sua ragion d�essere nel clima di competitivit� in cui tutte le 
aziende si trovano ad agire. L�impresa ha bisogno di un consumatore soddisfatto 
e fidelizzato, poich� l�aumento della soddisfazione rappresenta un 
investimento redditizio e da privilegiare se l�obiettivo � l�incremento delle 
quote di mercato. Un sistema produttivo orientato alla qualit� fornisce ai 
clienti un�immagine di affidabilit� e garantisce trasparenza, efficienza e controllabilit�. 
Al contempo viene a crearsi con il cliente l�auspicato collante 
con l�impresa e i suoi prodotti, dovuto al fatto che l�organizzazione � capace 
di conformarsi alle sue aspettative. 

Tutto ci� sembrerebbe avere poco a che fare con la PA, giacch�, a differenza 
delle aziende che operano nei mercati, gli uffici pubblici sono organismi 
�istituzionalizzati�, perch� voluti dall�ordinamento e fondati con legge. Essi 
esistono a prescindere dalla possibilit� di soddisfare il cittadino poich�, indipendentemente 
dal fatto che siano in condizioni di fornire servizi di qualit�, o 
che, al contrario, non lo siano, o che trascurino di farlo, non subiscono i condizionamenti 
della concorrenza. Questo � il motivo per il quale nel settore pubblico, 
sino a poco tempo fa, erano mancati approcci all�innovazione, ritenuti 
non necessari a causa del ruolo non concorrenziale svolto dalla pubblica 
amministrazione. Solo negli ultimi anni si � avvertita l�esigenza di importanti 
spinte verso l�innovazione, la necessit� di adeguarsi ai parametri di efficienza 
espressi dalle PPAA europee. Se l�obiettivo primario della pubblica amministrazione 
� rappresentato dalla piena soddisfazione dei bisogni espressi dal cittadino, 
� evidente come venga ad assumere sempre maggiore rilievo la qualit� 
delle prestazioni nell�ambito dell�offerta dei servizi di ciascun ente pubblico 
e come la qualit� dell�offerta coinvolga il complesso delle strutture e dei 
soggetti che, a vario titolo, partecipano al processo. Una svolta significativa, 
rispetto alle forme giuridiche di garanzia ispirate ai principi della trasparenza 
e della tutela del cittadino, si � avuta con le c.d. Carte dei Servizi, che hanno 
previsto l�obbligo di stabilire modalit� di definizione, miglioramento, valutazione 
e controllo della qualit� dei servizi erogati. Con le Carte (ma non solo 
con queste) sono stati introdotti nel sistema nuovi strumenti volti ad ottimizzare 
il risultato delle prestazioni con l�adozione di standard di qualit� (indicati 
dalle norme come obiettivi di qualit� di cui gli enti erogatori assicurano il 
rispetto) e forme di valutazione della qualit� del servizio, attraverso l�analisi 
degli scostamenti rispetto agli standard prefissati per la soddisfazione del cittadino; 
il rimborso degli utenti da parte del soggetto erogatore nel caso il servizio 
erogato risulti di livello inferiore rispetto a quanto prestabilito; la ricerca 
costante della qualit� nell�erogazione del servizio (38). 

(38) Tale obiettivo richiede un elevata capacit� di interazione e quindi di conoscenza 
dell�ambiente esterno. L�ente pubblico deve, quindi, mettersi in una posizione di ascolto 
verso l�utente allo scopo di prevederne e interpretarne i bisogni che sono sempre pi� 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Va sottolineata dunque l�attenzione la c.d. customer satisfaction, intensificata 
da ultimo con la direttiva del ministro della funzione pubblica n. 80 del 
5 aprile 2004, sulla rilevazione della qualit� percepita. In altre parole, nel 
quadro normativo � evidente come il ruolo svolto dal cittadino sia molto 
cambiato: non � soltanto il destinatario dei servizi, ma diventa una risorsa per 
le stesse amministrazioni al fine di valutare la rispondenza dei servizi erogati 
ai bisogni reali, cos� come percepiti dagli stessi fruitori. In tal modo le 
amministrazioni escono dalla propria autoreferenzialit� e si relazionano con 
i cittadini, destinatari dei servizi, utilizzando il pi� possibile il metodo della 
collaborazione. 

La diffusione della cultura della qualit� rende consapevoli gli attori della 
PA della necessit� di abbandonare l�idea dell�esclusivit� per la gestione dei 
servizi erogati e del bisogno di rendere la partecipazione dell�utente al processo 
di produzione/erogazione del servizio e della definizione dell�azione 
amministrativa in generale una componente fondamentale (39). Se per molto 
tempo gli utenti non hanno avuto voce, n� alternative rispetto a prestazioni 
insufficienti e/o scadenti, ora alle PA ed ai suoi attori si chiede di essere meno 
servant of the Crown e pi� servant of the Public. 

3.3. La cultura della comunicazione 
Negli ultimi anni la comunicazione sembra entrare tra le priorit� della 
PA come mezzo strategico per conseguire obiettivi nell�interesse dei cittadini. 
La consapevolezza dell�importanza della comunicazione coincide con la 
riforma della PA ed infatti, a partire dagli anni Novanta, trasparenza, partecipazione, 
ascolto, efficienza ed efficacia sono le parole d�ordine per ridisegnare 
l�immagine e il governo delle istituzioni e le loro modalit� di rapporto 
con la cittadinanza. Si comincia a trattare in modo organico di informazione 
amministrativa, cio� del dovere di tutti gli organi della PA di trasmettere 

differenziati e in rapida evoluzione. Anche sulla posizione delle Carte nel sistema giuridico 
si veda M. DE ANGELIS, La partecipazione in Sanit� fra comunicazione e qualit�, comunicazione 
al Convegno Calass 2006, Milano 4-6 ottobre 2006. 

(39) L�abbandono dell�esclusivit� � testimoniato anche dal ricorso sempre pi� massiccio 
all�outsourcing. Si noti che secondo la ricerca Censis/TESS del 2003 presso numerosi 
grandi Enti Pubblici emerge come nelle PA l�outsourcing sia inteso come strumento che permette 
di: concentrare le risorse (sia umane che finanziarie) su specifiche funzioni e attivit� 
di rilevanza strategica, tralasciando quelle meno rilevanti e secondarie; controllare le attivit� 
pi� difficili da gestire e soprattutto per accelerare i processi di cambiamento o di riorganizzazione 
interni alle singole strutture. La bibliografia sulle esternalizzazioni � assai vasta. 
Per il fenomeno in generale si veda: DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA, Guida all�esternalizzazione 
di servizi e attivit� strumentali nella pubblica amministrazione, 2005; DE 
PAOLIS A,. Outsourcing e valorizzazione delle competenze: le regole base per un governo 
efficace, Milano, 2000; DI LASCIO F., Dall�esercizio privato delle funzioni pubbliche all�esternalizzazione, 
Quaderni del Consiglio regionale, Ancona, 2004; FUMAGALLI L. , DI 
CIOCCIO P., L�outsourcing e i nuovi scenari della terziarizzazione, Milano, 2003; RICCIARDI 
A., L�outsourcing strategico, Milano, 2000; VENTICELLI G., Outsourcing. Conviene davvero 
esternalizzare?, Milano, 2004. 

DOTTRINA 171 

dati e notizie ai cittadini: dal diritto di accesso al diritto di ottenere dati e notizie, 
dal diritto di informazione al diritto di partecipazione fino ad arrivare alla 
trasparenza amministrativa. Ma � piuttosto recente la legge che definisce sia 
gli obiettivi della comunicazione tra istituzioni e cittadini, sia gli strumenti 
necessari per attuare le direttive. Le leggi nn. 142 e 241 del 1990, infatti, 
segnano solo l�inizio del processo prevedendo norme riguardanti la partecipazione 
popolare all�amministrazione locale, l�accesso agli atti amministrativi, la 
possibilit� di presentare memorie, etc. I contenuti e le finalit� del rinnovato 
rapporto con i cittadini regolati dalle citate leggi rappresentano poi i presupposti 
delle norme introdotte nel 1993 con il d.lgs. n. 29 con il quale si impone 
l�obbligo a tutti gli enti pubblici di istituire gli URP (40). L�amministrazione 
apre le porte, almeno formalmente, si obbliga a comunicare o, se si preferisce, 
a dotarsi degli strumenti necessari ad attivare le tanto attese �relazioni con il 
pubblico�. Il legislatore presenta finalmente una forte volont� di porre fine, 
dopo decenni, a una burocrazia autoreferenziale, mettendosi alle spalle la vecchia 
mentalit� che non aveva logiche partecipative. La nuova amministrazione 
che comunica con i cittadini � ben rappresentata nella legge n. 150 del 2000 
(41). Tale legge ha consegnato assai chiaramente alla PA la responsabilit� di 
dover considerare la comunicazione, esterna ed interna, come lo strumento 
attraverso il quale viene percepita la qualit� o la inefficacia di un servizio e, 
perci�, come componente che condiziona decisamente i processi di cambiamento. 
Infatti comunicare dovrebbe significare organizzare amministrazioni 
trasparenti che utilizzano tecnologie e linguaggi adeguati e soprattutto hanno 
attori che si esprimono con rinnovati codici e comportamenti. La comunicazione 
� un contenitore dentro il quale coesistono norme, modi d�essere, conoscenze, 
che insieme esaltano e rinnovano l�organizzazione, la rendono capace didare risposte di qualit� alle aspettative della collettivit�. � un valore aggiunto 
che ha a che fare con: il diritto (un atto amministrativo, seppure dovuto, non 
produce efficacia se non ha in s� processi di comunicazione); l�immagine (gli 
sforzi, le prerogative, la missione di un ente non saranno mai visibili senza un 
processo di comunicazione); il dialogo (lo scambio alla pari all�interno fra gli 
operatori, fra il dirigente ed i collaboratori, fra i dirigenti, non avviene se non 
si � consapevoli della prerogativa della comunicazione; la conoscenza (la 
comunicazione aumenta la conoscenza interpersonale tra gli attori e quella 
delle dinamiche di azione interne ed esterne, modificando ogni giorno i comportamenti 
e le decisioni conseguenti); l�organizzazione (il riconoscimento dei 
ruoli, la esplicitazione delle responsabilit� non producono sinergia senza un 
percorso di comunicazione corretto). 

(40) Cfr. DE ANGELIS M., La ricerca dell�efficienza, in AA. VV., La nuova disciplina 
del rapporto di impiego pubblico (a cura di D�ALESSIO G., D�ANTONA M., ALLEVA P.), 
Roma, 1995. 
(41) G. ARENA (a cura di), La funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, 
Rimini, 2001. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

3.4. Cultura �del personale� 
Se � vero che le risorse umane costituiscono parte essenziale del patrimonio 
immateriale di ogni organizzazione, � anche vero che le caratteristiche 
possedute dal personale e la qualit� delle relazioni che esso instaura con 
l�utenza definiscono il grado di soddisfazione dei cittadini non meno delle 
caratteristiche intrinseche dell�attivit� resa; se � vero altres� che per raggiungere 
obiettivi di semplificazione, responsabilizzazione, etc. � imprescindibile 
una adeguata politica del personale (management delle regole, benessere 
organizzativo, valutazione per obiettivi, privatizzazione del pubblico impiego), 
allora ben si comprende come sia necessario porre in essere azioni specifiche 
se si vuole incidere sulla cultura dell�organizzazione. L�acquisizione, 
la gestione, la valorizzazione del personale, ovvero la politica delle risorse 
umane, trova precisi riferimenti legislativi (a partire dal d.lgs n. 29/1993) 
secondo i quali, avendo come presidio culturale del comportamento degli 
attori il principio del buon andamento di cui all�art. 97 Cost., le amministrazioni 
pubbliche vanno ad accrescere l�efficienza in relazione a quella dei corrispondenti 
uffici e servizi dei Paesi dell�Unione europea, anche mediante il 
coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici, realizzando, al contempo, 
la migliore utilizzazione delle risorse umane con la cura, la formazione e 
lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo altres� l�adeguamento 
dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di 
genere della pubblica amministrazione, ovvero di una cultura propria, specifica 
della PA. Proprio quest�ultima affermazione, sulla quale quasi nulla � 
stato scritto, consente di ritornare a soffermarsi brevemente sul valore diverso 
che ha lo svolgimento delle attivit� di servizio pubblico da quelle che attivit� 
di servizio pubblico non sono. Molte delle attivit� della PA, infatti, 
richiedono ragionamenti e valutazioni in termini di qualit�, in termini di 
standard, in termini di risultato che vanno assolutamente condivisi dagli 
utenti e giudicati dagli stessi. Ebbene tutte le peculiarit� della PA vanno 
assorbite anche attraverso una forte opera di formazione, perch� questa � uno 
strumento formidabile di innovazione e di creazione di valori. Verificare se 
effettivamente negli ultimi anni vi sia stata nelle diverse realt� istituzionali 
una offerta formativa adeguata alla domanda di conoscenza, se effettivamente 
la formazione, in quanto capace di creare nuova cultura (saperi) cos� come 
disponibilit� di cambiamento (comportamenti), sia stata utilizzata per 
migliorare le performances della PA e taluni valori di riferimento � assai difficile. 
Tuttavia si pu� registrare una viva e continua attenzione sul tema, 
testimoniata peraltro anche dalla Direttiva del Dipartimento della funzione 
pubblica del 13 dicembre 2001 sulla formazione del personale della PA. La 
direttiva indica metodi, propone procedure, sollecita comportamenti diversi 
rispetto al passato, sposando la logica secondo la quale la formazione � un 
investimento; deve consentire la crescita professionale degli operatori pubblici 
e il miglioramento dei servizi resi dalle PPAA ai cittadini, cos� come 
influire sulla costruzione di nuovi valori e dunque di una nuova cultura, 
tenendo conto delle singole realt� amministrative caratterizzate dalla diversit� 
dei saperi e delle tecniche operative (42). 


DOTTRINA 173 

4. L�immagine della pubblica amministrazione oggi 
Quale sia l�immagine e la percezione (aspettative, opinioni, giudizi, stereotipi) 
che i cittadini hanno oggi della PA, quale sia la sua rappresentazione 
da parte degli addetti ai lavori e quale livello di trasformazione sia stato 
raggiunto � difficile da dire, perch� la memoria dell�amministrazione tradizionale 
tende a persistere nel tempo, alimentata dai mass media, i quali spesso 
tendono a esaltare gli aspetti critici, paradossali, allarmanti, tratti dalle 
cronache di ordinaria vita burocratica, leggendo le notizie alla luce di opinioni 
gi� possedute e di stereotipi correnti. Rispondere a questa domanda � 
per� utile specie se pu� costituire l�occasione di un confronto con quanto 
detto nelle pagine precedenti (43). Utilizzando una serie di indagini relative 
al funzionamento della PA e altre indirizzate specificatamente a rilevare il 
grado di informazione e di soddisfazione dei cittadini, si pu� avere un quadro 
significativo della considerazione della PA dal suo interno (i dipendenti) 
e dall�esterno (gli utenti), consentendo in qualche caso di valutare i cambiamenti 
avvenuti negli ultimi anni. Se si guardano i dati relativi all�apprezzamento 
del funzionamento degli uffici pubblici (file agli sportelli, tempi di 
risposta per ottenere le prestazioni, quantit� di documenti e di passaggi 
richiesti) a quello del personale (cortesia, disponibilit� all�ascolto, efficienza, 
competenza e professionalit�), si nota come giudizi positivi siano espressi 
dalla met� dei cittadini intervistati, e come soltanto un quarto di loro giudichi 
il funzionamento della PA peggiorato nell�ultimo anno, mentre pi� di 
un terzo lo considera migliorato (44). Significativo � anche il dato relativo 

(42) In tale prospettiva una citazione merita �il kit del benessere organizzativo�. Si tratta 
di una vera e propria �cassetta degli attrezzi� per le amministrazioni che desiderano avviare 
un�indagine sull�ambiente di lavoro nei propri uffici, al fine di utilizzarne i risultati per la 
messa a punto di innovative politiche di gestione e formazione. Cfr. M. BACCINI, Human 
governance: per una cultura della pubblica amministrazione ovvero l�umanizzazione della 
pubblica amministrazione, in Funzione pubblica, n. 1/2005, p. 11. La Human governance � 
la proposta italiana di umanizzazione della PA che si inserisce nel processo di miglioramento 
della regolazione (better regulation) e dei sistemi di governance, con l�obiettivo di rafforzare 
la fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni, stimolando un processo di rinnovamento 
culturale che investa non solo l�Amministrazione ma anche i cittadini stessi. La 
Human governance, su proposta italiana, � stata inserita nella dichiarazione finale del VI 
Global Forum di Seoul; nella risoluzione finale adottata a Lussemburgo dai Ministri europei 
della Funzione pubblica e nel programma a Medio termine 2005-2006 approvato dalla 
medesima assemblea. 
(43) Una lettura dell�impatto delle riforme degli anni Novanta sul personale della PA 
pu� essere colta in MELIS. G., La burocrazia, cit., pp. 83-99. Scrive l�autore a p. 99: �Luci 
ed ombre�hanno caratterizzato la stagione delle riforme. Due passi avanti e uno indietro. 
All�irruente volontarismo che ha animato le politiche razionalizzatici � sembrato spesso 
contrapporsi la spessore impenetrabile di una burocrazia che non vuole cambiare: perch� 
teme di perdere piccoli ma consolidati privilegi; o semplicemente perch� il nuovo lo spaventa, 
e la induce ad arretrare�. 
(44) Si osservi che i giudizi pi� positivi provengono da intervistati con istruzione superiore 
e universitaria (il 46,9 % degli intervistati provvisti di laurea giudica migliorato il fun

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

alla percezione, da parte dei cittadini, delle capacit� comunicative dei dipendenti 
pubblici: essi sono ritenuti capaci di farsi capire molto o abbastanza 
dalla maggioranza degli intervistati. Se si articola il giudizio di soddisfazione 
per singoli aspetti relativi all�attivit� degli uffici pubblici, emerge come 
l�aspetto tecnologico sia ancora una volta la carta vincente della percezione 
degli utenti: il giudizio positivo sull�utilizzo delle nuove tecnologie d� luce 
all�immagine della PA, ma sono assai apprezzati anche la preparazione del 
personale, la vicinanza e la comodit� degli sportelli. Le indagini consentono 
anche di rilevare alcune aree di insoddisfazione. Gli elementi maggiormente 
critici sono rappresentati ancora adesso dalla mancanza di integrazione tra i 
vari uffici preposti alle informazioni e alle operazioni amministrative richieste 
e dai tempi troppo lunghi delle risposte amministrative. 

La lettura dei dati sollecita a considerare fondamentali per la modernizzazione 
della PA l�attenzione e gli investimenti finanziari e organizzativi a 
favore dell�e-government, supportato da adeguate politiche di informazione 
e di promozione, rivolte ai soggetti pi� svantaggiati: � appena il caso di notare 
che nell�ambito delle ricerche sulla complessit� delle procedure amministrative 
risalta la stretta correlazione tra sensibilit� di talune aree della vita 
del cittadino (salute, previdenza sociale) e rilievi critici che riguardano l�adeguatezza, 
la competenza e, anche, la disponibilit� e cortesia del personale, 
la capacit� informativa del front-office, etc. Rispetto alle aspettative di 
miglioramento hanno un certo peso proprio quelle richieste che sono al centro 
dei processi di riforma della PA e delle politiche di sviluppo delle risorse 
umane: competenza professionale, responsabilit� personale, orientamento 
all�utente degli atteggiamenti e dei comportamenti degli operatori pubblici. 

A proposito dell�efficienza amministrativa, � sicuramente positiva la 
valutazione da parte delle imprese: il miglioramento � individuato soprattutto 
sul versante della chiarezza e della semplicit� delle procedure. Va ricordato, 
tuttavia, che le imprese cos� come altre organizzazioni collettive, si muovono 
nel rapporto con le pubbliche amministrazioni in una condizione privilegiata 
rispetto al cittadino perch� dispongono di maggiori risorse organizzative 
e perch� riescono a ottenere un maggior ascolto dalle pubbliche 
amministrazioni. 

Confrontando i giudizi sullo stato della PA provenienti dal suo interno e 
dall�esterno, si nota come le valutazioni interne della PA siano pi� favorevoli 
rispetto a quelle esterne, con qualche eccezione dettata da temi che sollecitano 
di pi� la sensibilit� dei dipendenti. Dipendenti e cittadini, poi, sono 
piuttosto d�accordo nel riconoscere l�importanza dei sistemi informatizzati 

zionamento della P.A.) che fruiscono di maggiori informazioni e che sono certamente pi� 
dotati di �destrezza amministrativa�, cio� delle risorse informative e relazionali necessarie 
per muoversi tra uffici e procedure. Le fonti dei dati sono rinvenibili in Relazione al 
Parlamento sullo stato della pubblica amministrazione in Italia dell�anno 2003 (a cura del 
Ministro della Funzione pubblica), p. 136 e ss.; FORMEZ, Indagine di scenario sull�innovazione 
nella pubblica amministrazione, 2005. 


DOTTRINA 175 

per il raggiungimento di standard soddisfacenti di efficienza amministrativa 
e per l�adeguatezza dei servizi offerti ai cittadini. Pi� forte, invece, � il divario 
relativo al giudizio sulla modernizzazione della PA: i segnali di trasformazione 
sono pi� visibili per i dipendenti che per i cittadini. Fra coloro, 
dipendenti o cittadini, che ritengono la PA ancora lenta, inefficiente, rigida, 
rileva come causa principale di questa condizione l�eccessivo numero delle 
leggi e le complicazioni presenti nelle procedure. La manifestazione dei giudizi 
positivi o negativi sulla PA sembra influenzata dalla maggiore o minore 
ampiezza valoriale che essa assume per l�intervistato: di fronte alla proposta 
di opinioni che richiamano, in termini generali, il tema dell�effettivo cambiamento 
della PA, le valutazioni presentano un certo scetticismo, anzi, molti 
rifiutano la stessa ipotesi di un possibile cambiamento e soltanto una bassa 
percentuale di dipendenti, di imprese e di cittadini accetta la piena evidenza 
delle trasformazioni avvenute. Confortante � comunque il riconoscimento 
del rinnovamento rispetto ad alcuni servizi pubblici e in particolare per taluni 
aspetti concreti della attivit� amministrativa, come l�utilizzo dell�autocertificazione. 
Una indicazione positiva deriva anche dalla certezza, condivisa 
da tutti i soggetti (con una pi� forte convinzione da parte dei dipendenti pubblici), 
che il rinnovamento della PA si espander� ulteriormente oltre i casi di 
isolata eccellenza; ma nessuno nasconde l�idea che la strada del cambiamento 
potr� incontrare i maggiori ostacoli nella cultura burocratica e, di conseguenza, 
in certe abitudini amministrative consolidate: pu� apparire singolare 
che siano in misura minore i cittadini a segnalare questo rischio e che a 
condividerlo siano invece, insieme alle imprese, i dipendenti. In tutti gli 
studi, infine, l�analisi dei dati rivela la presenza di numerose contraddizioni 
e la persistenza di vecchi stereotipi: il punto � che non soltanto ogni amministrazione 
� una storia a s�, ma che ogni cittadino, impresa, dipendente 
pubblico ha una molteplicit� di esperienze amministrative e ciascuna di esse 
provoca effetti o imprime immagini che alimentano (o possono alimentare) 
valutazioni e reazioni diverse. 

5. Riflessioni conclusive 
Alla luce di quanto detto si prova ora a trarre delle riflessioni conclusive 
procedendo per punti. 

1. La PA sta attraversando in questo momento una fase di transizione: 
sembra caratterizzata dalla sovrapposizione di un modello antico e radicato 
che continua a voler far prevalere i principi consolidati di un sistema statico, 
formale, e - in fondo - sicuro a quello c.d. innovativo ispirato ai principi dell�efficienza 
(l�attenzione all�efficienza consente anche un maggiore svincolo 
dalla politica), dell�efficacia e dell�economicit�, La coesistenza di suddetti 
modelli, tuttavia, complica la reale attuazione delle trasformazioni amministrative 
e rende il passaggio dall�amministrazione �per atti� all�amministrazione 
per risultati (con tutte le dovute implicazioni) pi� sviluppato in chiave 
formale che culturale. 
2. Nella PA italiana i valori del �pubblico� si intersecano con le ragioni 
del �privato�; le resistenze del �centro� si confrontano con le esigenze e le 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

richieste delle �periferie�; i principi di �autonomia� incontrano limiti direttivi 
a volte vincolanti; la gestione delle risorse umane � sempre limitata dai flussi 
delle risorse economiche: questo catalogo esemplificativo di ambiguit� rileva 
i motivi che stanno a fondamento dello stato autentico del processo di cambiamento 
in atto della PA, ma pone, al contempo, la necessit� di indagare sulle 
scelte di fondo che l�ordinamento italiano � chiamato a compiere nei prossimianni. � vero che alla �cultura dell�adempimento� va, oggi, contrapponendosi 
una nuova �cultura della soddisfazione dei bisogni dei cittadini�; � vero cio� 
che non � pi� sufficiente assicurare la corrispondenza dell�attivit� svolta con il 
dettato normativo ed i principi politico - istituzionali, ma � necessario porre 
l�utente al centro dell�attivit� amministrativa. Ma � altres� vero che sviluppare 
un atteggiamento culturale orientato a costruire un nuovo rapporto con il cittadino, 
riconquistare la fiducia degli utenti verso le strutture pubbliche attraverso 
un�informazione sempre chiara, completa e tempestiva e una loro attiva partecipazione; 
predisporre un�organizzazione interna flessibile e veloce, attraverso 
la previsione di procedimenti amministrativi pi� semplici; restituire credibilit� 
nelle istituzioni pubbliche attraverso la qualit� de servizio intesa come 
piena rispondenza a bisogni e alle aspettative, non � cosa facile e necessita ditempi lunghi e strumenti diversificati. � un dato che la tradizionale rappresentazione 
della pubblica amministrazione come sistema statico e uniforme arretra 
progressivamente di fronte a una realt� articolata di pubbliche amministrazioni 
che esprimono dinamicit� e competitivit�, che accrescono il proprio capitale 
relazionale e che tendono ad avviare nuove modalit� relazionali con i cittadini 
caratterizzate da una pi� elevata capacit� d�ascolto, dalla molteplicit� dei 
canali relazionali offerti, dalla qualit� stessa delle relazioni rivolte tendenzialmente 
ad assicurare non soltanto la piena soddisfazione delle domande del cittadino, 
ma di farlo divenire protagonista del processo amministrativo. Ma � 
pur vero che si tratta di un percorso pi� lento di quanto sarebbe necessario, 
anche se di direzione costante, di cui si colgono � e si coglieranno � di anno in 
anno i piccoli, ma significativi progressi. 

3. Le teorie del cambiamento organizzativo sottolineano come ogni cambiamento 
efficace abbia un forte contenuto autopoietico (autocritico e autocreativo): 
� necessario, infatti, che alla base di ogni cambiamento vi sia una 
convinta e partecipata contribuzione degli stessi soggetti interessati, che si 
appoggi in qualche modo su valori culturali condivisi. Solo se i pubblici 
amministratori si sentiranno soggetti, e non soltanto oggetti, del cambiamento, 
tutte le contraddizioni del sistema potranno essere superate, probabilmente 
anche grazie ad un rinnovamento generazionale degli operatori della PA 
che potrebbe facilitare un maggior orientamento alla cultura del servizio (45).
4. � vero che il processo di riforma e di ammodernamento della PA 
avviato a partire degli anni Novanta si � andato consolidando grazie al soste(
45) SAPORITO L., Una nuova cultura della pubblica amministrazione nel contesto 
dell�Unione Europea, in Regioni e comunit� locali, n. 3-4, 2002, p. 10. 

DOTTRINA 177 

gno offerto da una costante diffusione della cultura dell�informazione e della 
comunicazione, della semplificazione e dell�efficienza; ma � altres� vero che 
il �pubblico� non pu� acquisire e fare propria acriticamente la logica del 
mercato tout court. Pu� essere produttivo mutuare dal diritto privato valori, 
principi ed istituti che possano favorire la realizzazione di obiettivi volti al 
cambiamento; ma va forse rimessa in discussione la diffusa tendenza a stemperare 
l�attivit� amministrativa nel modulo consensual-privatistico e va parimenti 
rigettata la suggestione culturale che i parametri espressivi dell�azione 
amministrativa, sintetizzabili in efficacia, efficienza, economicit�, debbano 
rispondere ad una logica aziendalistica. 

5. Come � stato sottolineato dal Dipartimento della funzione pubblica 
nel 2003 (nella�Relazione al Parlamento sullo stato della pubblica amministrazione 
in Italia�), il generale processo verso una dislocazione dei poteri 
pubblici pi� vicina ai cittadini si � avviato non soltanto attraverso la maggiore 
valorizzazione delle autonomie locali (sia nell�ambito delle istituzioni 
pubbliche sia nell�ambito dell�associazionismo civico e sociale), ma anche 
attraverso una tendenziale riforma del modello organizzativo e della cultura 
della pubblica amministrazione. Sono stati aperti (e se ne aprono sempre pi�) 
ampi spazi di sussidiariet� verticale (tra diversi livelli di governo) e orizzontale 
(tra istituzioni pubbliche e realt�, organizzate e non, della societ� civile). 
Queste spinte verso la democratizzazione reale dei rapporti tra poteri pubblici 
e cittadini hanno come orizzonte valoriale e funzionale la centralit� del 
cittadino come portatore di bisogni, ma anche come risorsa insostituibile, per 
il suo patrimonio di conoscenze e di disponibilit� cooperative, di un nuovo 
modo di �fare amministrazione�. Gli apparati pubblico-amministrativi escono 
progressivamente dalla logica autoreferenziale (quando non autoritativa) 
che ha connotato tradizionalmente il modello burocratico di amministrazione; 
assumono � anche se il cammino � ancora all�inizio � le connotazioni di 
una amministrazione colloquiale: e ci� implica la capacit� di comunicare 
efficacemente strategie e politiche, di aprirsi all�ascolto e alla partecipazione, 
di semplificare le procedure, di valutare l�efficacia degli interventi e, infine, 
se e in quanto questi obiettivi vengono perseguiti quotidianamente e in 
ogni ambito della vita amministrativa, l�attenzione a trasmettere una immagine 
di s� che aiuti lo sviluppo all�interno dell�amministrazione identit� professionali 
forti e incrementi all�esterno quel capitale di fiducia civica che 
costituisce la principale fonte di legittimazione dei poteri amministrativi. 
6. L�idea guida delle riforme degli ultimi quindici anni � quella di una 
amministrazione performance-oriented, cio� di una amministrazione di 
risultato (46). Al risultato si fa infatti riferimento come elemento essenziale 
(46) Dubita sulla assoluta validit� della formula CASSESE S., Che cosa vuol dire �amministrazione 
di risultati�, in M. IMMORDINO, A. POLICE (A CURA DI), Principio di legalit� e 
amministrazione di risultati, Torino, 2002; critico specialmente nei confronti di una applicazione 
generalista della formula, G. CORSO, Amministrazione di risultati, Annuario AIPDA, 
Milano, 2002, p. 127 e ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

della dirigenza e dei c.d. controlli di gestione; � il parametro per la ripartizione 
delle risorse fra apparati (riforma del bilancio); � canone di tutela degli 
utenti (carte dei servizi); � misura della responsabilit� (ministeriale e dirigenziale), 
etc.; ma il legislatore si riferisce al risultato anche perch� spinto dalla 
necessit� di rispondere al bisogno di (ri)legittimazione delle istituzioni pubbliche, 
di controllo della spesa pubblica, di apertura dei mercati. Tuttavia, il 
passaggio da una amministrazione vincolata nel suo agire dal formalismo 
legalistico ad una responsabile del conseguimento di risultati utili per la collettivit� 
non sembra obiettivo di breve periodo come dimostrano proprio gli 
esiti dei diversi interventi succedutisi negli ultimi anni: il numero delle leggi 

- e dei tipi di legge � continua ad aumentare, mentre in taluni casi le c.d. semplificazioni 
diventano esse stesse una selva pi� intricata di quella che avrebbero 
dovuto abbattere (47); monitoraggi, verifiche e certificazioni soffocano 
negli standard, nelle tabelle e nelle statistiche e la responsabilit� personale 
dei funzionari ha l�occhio pi� attento ai revisori o alle fonti di finanziamento 
che alla ragion d�essere dell�attivit� considerata. 
7. I cambiamenti intervenuti in Italia come negli altri Paesi, sono evidenti 
e altrettanto lo sono i risultati positivi. Tuttavia oscurit�, lentezza e distanza 
sono ancora oggi i termini che vengono sovente usati per indicare il rapporto 
dei cittadini con la PA. Esaminato da questo punto di vista, il problema 
finisce con l�avere, nella sostanza, radici essenzialmente culturali: cultura 
della PA ma anche cultura del cittadino con la logica conclusione che l�obiettivo 
finale cui si deve tendere � un cambiamento che investa anche (e 
soprattutto) gli aspetti culturali connessi alla gestione della cosa pubblica. 
(47) Basti pensare alla semplificazione nel drafting legislativo che ha condotto, sul 
modello della legge finanziaria, al contenimento del numero degli articoli di cui le leggi si 
compongono (derivante dal tentativo di ovviare alle lungaggini della votazione articolo per 
articolo della legge) e alla moltiplicazione dei commi: una complicazione per l�interprete e 
per il cittadino. 

DOTTRINA 179 

Sulla rilevabilit� giudiziale della decadenza 
dell�appaltatore di opera pubblica per mancata 


iscrizione di �riserva� 

di Giancarlo Pampanelli (*) 

1 � Il sistema normativo in materia di appalto di opere pubbliche tralatiziamente 
contempla, come noto, la previsione dello specifico onere, a carico 
dell�appaltatore, della apposizione di �riserve� sugli atti contabili onde far 
valere le proprie pretese economiche nei confronti dell�Amministrazione 
committente. 

In sostanza, l�appaltatore, qualora abbia a voler richiedere alla stazione 
appaltante pagamenti che non risultino dovuti in relazione alla contabilit� 
dell�appalto, � tenuto ad iscrivere, in occasione della prima registrazione 
successiva al verificarsi dell�evento dedotto come generatore del diritto al 
compenso, apposita riserva sul documento contabile, che deve essere altres� 
esplicitata nei termini prescritti (cfr. al riguardo art. 54 del R.D. 25 maggio 
1895 n. 350 ed ora art. 165 del d.P.R. 21 dicembre 1989 n. 554; in tema di 
lavori del Genio Militare art. 33 del RD. 17 marzo 1932 n. 366 ed ora art. 
204 del d.P.R. 19 aprile 2005 n. 170 ecc.). 

La giurisprudenza (e la dottrina) � concorde, pur con diverse sfumature, 
nell�affermare che la ragione fondamentale giustificatrice delle preclusioni 
implicite ed esplicite nel sistema dell�iscrizione delle riserve consiste nella 
necessit�, nel quadro generale delle esigenze proprie del bilancio pubblico, 
della continua evidenza delle spese dell�opera, in relazione alla corretta utilizzazione 
ed all�eventuale e tempestiva integrazione dei mezzi finanziari 
all�uopo predisposti, nonch� alle altre determinazioni che l�amministrazione 
deve prendere, anche in funzione di immediato controllo delle pretese avanzate 
dall�appaltatore. 

Nell�appalto di opere pubbliche, l�onere di immediata denuncia di ogni 
fatto connesso all�esecuzione dell�opera, che l�appaltatore ritenga produttivo 
di conseguenze patrimoniali a s� sfavorevoli, � espressione di un principio 
generale, e pertanto sussiste anche riguardo ai fatti c.d. continuativi, come 
quelli prodotti da una causa costante o da una serie causale di non immediata 
rilevanza onerosa. (Cass., sez. prima, 24 gennaio 1997 n. 746). 

La conseguenza del mancato adempimento dell�onere di apposizione di 
riserva e sua esplicitazione � dato dalla decadenza dell�appaltatore dalla possibilit� 
di far utilmente valere la relativa pretesa economica. 

(*) Avvocato dello Stato. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

�Nell�appalto di opere pubbliche, la mancata tempestiva iscrizione nel 
registro di contabilit�, da parte dell�appaltatore, di riserva intesa ad ottenere 
il riconoscimento di maggiori costi sostenuti per le opere eseguite (nella specie, 
per lavori di sbancamento), ne comporta la decadenza dal diritto al pagamento 
e preclude la proposizione dell�azione di arricchimento, la quale � 
connotata dal requisito della sussidiariet�� (Cass., sez. prima, 12 settembre 
2003 n. 13440 tra le tante). 

Inoltre, �in tema di appalto di opere pubbliche, l�onere della prova di 
avere tempestivamente iscritto le riserve nel registro di contabilit� (o nel verbale 
di sospensione dei lavori) grava sull�appaltatore che intenda avanzare 
pretesa per compensi ed indennizzi aggiuntivi rispetto al corrispettivo originariamente 
pattuito� (Cass., sez. prima, 3 novembre 2000 n. 14361). 

2 � Rammentato quanto sopra, occorre osservare che, sul piano giudiziale, 
la intervenuta decadenza dell�appaltatore di opera pubblica per mancata 
tempestiva apposizione di riserva sugli atti contabili � ritenuta dalla Suprema 
Corte � seguita dalla giurisprudenza di merito ed arbitrale � formare oggetto 
di una cd. �eccezione in senso stretto�, non rilevabile ex officio. 

Di conseguenza, la relativa eccezione deve essere sollevata nei prescritti 
termini perentori stabiliti dal cod. proc. civ., sotto pena di decadenza (v. al riguardo 
recentemente Cass., sez. prima, n. 1637/06; idem, sez. prima, n. 3824/03; 
idem n. 14361/00, ed altre precedenti della Cassazione a Sezione singola). 

Nella su citata decisione n. 3824/03, in ordine alla decadenza per mancata 
iscrizione di riserva, si legge tra l�altro che �la previsione si deve ritenere 
appartenente a materia di diritti patrimoniali disponibili, quali non possono 
che essere quelli che disciplinano il momento contrattuale del rapporto 
tra appaltatore e P.A. nell�appalto di opere pubbliche. 

Altra �, infatti, l�evidente �ratio� della previsione volta a tutelare la P.A. 
consentendole di valutare in ogni momento l�opportunit� della permanenza 
del rapporto o la convenienza di un recesso con riguardo ai maggiori costi 
prospettati (Cass. 13399/99), ed altro � affermare che da tanto derivi la irrilevanza 
sostanziale e processuale dell�atteggiamento, rispetto alla assenza di 
tempestiva riserva, della stessa P.A., essendo invece coerente con la natura 
dell�istituto la possibilit� che l�appaltante stesso ritenga di �non far valere� 
le conseguenze sanzionatorie di quella norma. 

La tempestivit� della iscrizione delle riserve, pertanto, quale adempimento 
imposto con le specifiche prescrizioni di cui al citato R.D. 350 del 
1895 ed al d.P.R. 1063/62 (applicabili al caso sottoposto), opera � impedendo, 
in caso di inosservanza, l�esercizio dei diritti a maggiori compensi � solo 
ove la Amministrazione appaltante abbia contestato la predetta mancanza di 
tempestiva iscrizione e, quindi, abbia nel processo eccepito la decadenza 
avveratasi�. 

3 � Ci� posto, attualmente non pu� dirsi che, nella specifica materia 
della decadenza dell�appaltatore di cui ci occupiamo, sussista un ben delineato 
contrapposto indirizzo della Suprema Corte. 

Tuttavia, l�orientamento sopra rammentato assunto dalla Cassazione nel 
delicato settore in questione non appare pienamente convincente e trova 


DOTTRINA 181 

ostacolo in posizioni ed affermazioni rivenienti dalla stessa giurisprudenza 
del Giudice di legittimit�. 

Anzitutto, a divergenti conclusioni rispetto a quelle sopra cennate sembra 
dover condurre una integrale ed attenta lettura della sentenza n. 3197, in 
data 4 luglio 1989, delle Sezioni Unite della Cassazione. 

Detta pronunzia, seppure riferita ad un caso di specie (sancisce che la 
decadenza dall�azione giudiziaria per la riliquidazione della pensione prevista 
dall�art. 37, comma 5, della legge n. 830/1961, in quanto indisponibile 
dall�ente previdenziale nel cui interesse � sancita, pu� essere rilevata d�ufficio), 
ha tuttavia una ricaduta e portata di carattere generale. 

Invero, nel testo della articolata motivazione della decisione in parola, si 
afferma il principio della non necessaria coincidenza della astratta �disponibilit�� 
del diritto con l�esclusione dell�esistenza di �materia sottratta alla 
disponibilit� delle parti�, a mente dell�art. 2969 cod. civ. 

Precisamente, il carattere disponibile del diritto azionato in giudizio non 
� di per s� elemento decisivo per escludere che si verta in materia sottratta 
alla disponibilit� delle parti, mentre il carattere indisponibile del diritto (in 
quei pochi casi in cui esso � tale, come succede per i diritti relativi allo stato 
e alla capacit� delle persone, o c.d. �jura status�) � gi� chiaro indice che si 
verte in materia sottratta alla disponibilit� delle parti. 

Ma soprattutto, nell�arresto giurisprudenziale de quo, le Sezioni Unite si 
sono �funditus� poste il problema di individuare un criterio di carattere generale 
per la ricognizione dei casi di decadenze c.d. �di ordine pubblico�, rilevabili 
ex officio dall�organo giudicante e da sussumere nel disposto dell�art. 
2969 cod. civ. 

Ci� al dichiarato e condivisibile fine di evitare pronunzie �che non approfondiscono 
il problema e contengono proposizioni meramente assertive�. 

Cos�, indicate come decadenze di ordine pubblico quelle in materia tributaria 
e previdenziale stabilite in favore dell�Amministrazione, la Suprema 
Corte ha rilevato che la decadenza di ordine pubblico ricorre �solo quando 
alla sua base vi sia un interesse superiore e specifico, diverso dal generale 
interesse alla certezza delle relazioni sociali, che ogni previsione di decadenza 
�, per sua natura, destinata a soddisfare.� 

Ci� premesso, le Sezioni Unite hanno fissato il principio generale per 
cui, al fine della individuazione delle dette decadenze non subordinate a 
rilievo di parte, �la chiave di soluzione del problema appare doversi individuare 
nella considerazione dell�interesse tutelato: la rilevabilit� d�ufficio ed 
il complessivo regime proprio dell�indisponibilit� possono essere affermati 
se la decadenza in esame viene annoverata tra quelle dettate a protezione dell�interesse 
pubblico alla definitivit� e certezza delle determinazioni che concernono 
le erogazioni di spese gravanti sui pubblici bilanci, se, cio�, si esclude, 
come deve escludersi, che l�ente possa rinunciare alla decadenza stessa, 
derogare negozialmente alla disciplina legale di questa o riconoscere il diritto 
a questa soggetto, con effetti impeditivi della decadenza�. 

Non solo. Con riferimento specifico al settore delle opere pubbliche ed 
alla decadenza dell�appaltatore per mancata iscrizione di riserva, deve esse



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

re tenuta in conto la posizione assunta da Cassazione, Sez. prima Civile, n. 
8014 del 26 agosto 1997, sentenza che si riallaccia alla pronunzia menzionata 
delle Sezioni Unite e ne d� applicazione � per cos� dire � nella materia che 
ne occupa. 

La decisione ribadisce che, pur sussistendo la tendenziale corrispondenza 
tra i �diritti indisponibili�, cui fa riferimento la rubrica dell�art. 2968 c.c., 
e la �materia sottratta alla disponibilit� delle parti�, menzionata nel testo 
della citata disposizione, non v�� tra le due espressioni una coincidenza assoluta, 
talch�, pur potendo esser disponibile il diritto colpito da decadenza, 
questa pu� essere prevista dalla legge a tutela di un interesse superiore rispetto 
a quello delle parti in contesa, ossia per regolare una materia sottratta alla 
loro disponibilit�. 

Pertanto, a ci� consegue � secondo la Cassazione � che �... non vi � dubbio 
che il diritto dell�appaltatore ai maggiori compensi per i quali � stata 
iscritta riserva sia disponibile, ma non pu� per ci� solo ritenersi disponibile 
la posizione dell�ente pubblico tenuto al pagamento, il quale � soggetto alle 
norme sulla contabilit� pubblica e non pu� rinunciare alla decadenza disposta 
dalla legge in ordine alla regolarit� della procedura stabilita per l�iscrizione 
delle riserve nei registri di contabilit�. Tale orientamento interpretativo, 
che � stato ulteriormente ribadito anche in tema di appalto di opere pubbliche 
� Cass., 14 luglio 1992, n. 8548 � consente perci� di ribadire che la decadenza 
dell�appaltatore dalle riserve relative a domande di maggiori compensi 
non pu�, comunque, formare oggetto di rinuncia da parte della P.A., n� in 
forma espressa, n� in forza di un comportamento tacito concludente�. 

4 � A tal punto, tirando la fila del discorso, pare � ad avviso di chi scrive 
� che l�attuale indirizzo giurisprudenziale maggioritario in tema di rilevabilit� 
giudiziale della decadenza dell�appaltatore in questione, debba essere 
sottoposto a critica e rimeditato. 

Invero, se � come � pacifico � la predisposizione da parte del legislatore 
del sistema normativo delle �riserve� dell�appaltatore di opera pubblica, 
con le connesse decadenze a suo carico dalle pretese economiche in caso di 
mancata iscrizione, radica la sua �ratio� nella necessit� di immediata consapevolezza 
per l�Amministrazione committente delle spese comportate dall�opera 
pubblica, rapida determinazione sulla sorte dell�appalto, controllo e 
riscontro di dette pretese e spese e tempestiva programmazione delle risorse 
finanziarie per farvi fronte, in relazione anche con la disponibilit� e trasparenza 
dei pubblici bilanci; 

� se, ancora � come del pari non � fondatamente contestabile � la decadenza 
dell�appaltatore in parola risulta discendere non da una mera generica 
esigenza di definitiva certezza di relazioni giuridiche, bens� trovare giustificazione 
in un �interesse superiore e specifico� qual � quello sopra delineato, 
attinente al controllo e programmazione delle erogazioni di denaro pubblico 
per la realizzazione dell�opera divisata; 
� la logica conseguenza � allora che siamo di fronte ad una decadenza 
rientrante tra quelle �di ordine pubblico�, rilevabili ex officio, secondo il 
paradigma tracciato dalle Sezioni Unite con la ripetuta pronunzia n. 3197 del 

DOTTRINA 183 

1989, nonch� � � da soggiungere � secondo una necessaria considerazione 
della natura degli interessi in gioco. 

Del resto, vale pure osservare che la sentenza n. 3197/89 de qua, provenendo 
dalle Sezioni Unite della Cassazione e non essendo pi� stata rimessa in 
discussione, in successivi interventi del medesimo Alto Collegio, rappresenta 
un precedente nomofilattico che si impone rispetto agli indirizzi delle singole 
Sezioni ed il cui contenuto appare essere manifestazione della funzione di 
assicurare �l�esatta osservanza e l�uniforme interpretazione della legge, l�unit� 
del diritto oggettivo nazionale� (come recita l�art. 65 ord. giudiz.). 

Si osserva che la fissazione da parte delle Sezioni Unite delle su rammentate 
linee-guida in tema di decadenze rilevabili ex officio ha proprio l�evidente 
funzione di orientare i giudici in riferimento alla relativa problematica 
e chiudere la via a decisioni dettate da convinzioni soggettive. 

Non � per� solo quello di cui sopra il profilo da tenere in considerazione. 

Come visto, ed a prescindere dal richiamo allo �schema generale� fornito 
dalla decisione n. 3197/1989, la Cassazione, Sez. prima, con la pronunzia 

n. 8014/1997 ha decisamente affermato che l�ente pubblico non pu� rinunciare 
� n� in forma espressa n� in forza di un comportamento tacito concludente 
� ad opporre la decadenza dell�appaltatore dalle riserve relative a 
domande di maggiori compensi, non trattandosi di posizione disponibile dell�ente 
pubblico stesso. 
Il che sta ragionevolmente a significare (anche se la Corte non ha avuto 
modo di direttamente esplicitarlo) che si tratta di una decadenza �sottratta 
alla disponibilit� delle parti� e dunque rilevabile ex officio ai sensi del citato 
art. 2969 cod. civ. 

In definitiva, sia che si privilegi, nell�ottica generale delle Sezioni Unite, 
l�interesse superiore e specifico connesso con le erogazioni di denaro pubblico 
sotteso alle previsioni di decadenza, sia che si affermi l�indisponibilit� 
ed irrinunziabilit� per l�ente pubblico a far valere in particolare la decadenza 
in parola dell�appaltatore, la coincidente e condivisibile conseguenza � 
quella di una ricomprensibilit� della fattispecie decadenziale in questione nel 
disposto del pi� volte menzionato art. 2969 cod. civ. 

N� in contrario potrebbe obiettarsi che non � sufficiente una riconosciuta 
indisponibilit� della posizione soggettiva da parte dell�ente pubblico per 
giustificare l�applicazione dell�art. 2969 cod. civ. e, pi� in generale, una 
deroga al principio dispositivo che sovrintende al processo civile. 

Cos�, in particolare, anche la prescrizione non � come noto rinunziabile 
dall�Amministrazione, ma rimane eccezione in senso stretto non rilevabile 
d�ufficio, salvo espresse previsioni legislative. 

Invero, a tale osservazione appare doversi opporre che il parallelismo 
non � correttamente proponibile, in quanto la disciplina della rilevabilit� giudiziale 
della prescrizione � di carattere generale e non conosce una normativa 
� qual � quella di cui all�art. 2969 cod. civ. � che, in ragione della specifica 
rilevanza dell�interesse superiore implicato dalla previsione di decadenza, 
attribuisca all�organo giudicante il potere di diretto intervento e rilievo 
della stessa. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Va altres� sottolineato che la problematica trattata, oltre ad involgere 
interessi spesso di notevole rilevanza economica, tende oggi ad acquisire 
maggiore incidenza a seguito delle modifiche introdotte dalle leggi nn. 
80/205 e 51/2006 al processo civile (in particolare agli artt. 180 e 183 cod. 
proc. civ.), con la accentuata rigidit� normativa in tema di tempestivit� della 
proposizione giudiziale delle c.d. eccezioni in senso stretto. 

Peraltro, � da osservare che il senso comune mal tollera, a fronte di erogazioni 
di denaro pubblico, una divaricazione tra le ragioni dell�ente pubblico 
riconosciute dal diritto sostanziale e l�ostacolo frapposto dalle preclusioni 
processuali. 

Conclusivamente, non pu� che auspicarsi in materia un intervento risolutivo 
delle Sezioni Unite della Suprema Corte. 


DOTTRINA 185 

Le fasi della formazione del contratto pubblico:
brevi note a prima lettura sugli artt. 11 e 12 delcodice dei contratti pubblici 

di Jacopo Polinari (*) 

SOMMARIO: 1.� La fase di aggiudicazione. 1.2.� Aggiudicazione provvisoria 
e definitiva. 2.� La fase di stipulazione. 

L�art. 11 del c.d. codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e 
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, D.Lgs. 
163/06 (d�ora in avanti codice degli appalti), disciplina, con abbondante 
ricorso a rinvii alle norme (pre)vigenti ed agli ordinamenti delle stazioni 
appaltanti, le diverse fasi della procedura di affidamento dei contratti pubbli


ci. La disposizione si apprezza per la scelta, condivisa dal Consiglio di Stato 
e dalla scarsa dottrina che si � occupata dell�argomento (1), di semplificare 
ed unificare la procedura attraverso l�introduzione di una netta distinzione 
tra la fase di scelta del contraente, che culmina nell�aggiudicazione, atto unilaterale 
dell�amministrazione, e nella stipulazione del contratto, la prima 
tutta di diritto amministrativo, l�altra tutta regolata dal diritto privato. 
Le nuove norme introducono una disciplina generale delle varie fasi in 
cui si articola la procedura di affidamento e stipula del contratto, con l�evidente 
intento di rendere il procedimento uniforme almeno nelle sue linee 
generali, introducendo una serie di regole e scansioni temporali precise da 
applicare a tutte le procedure di affidamento, salve le singole discipline speciali. 


1. La fase di aggiudicazione 
La disposizione si apre con una previsione di incerta rilevanza pratica e 
portata precettiva: �le procedure di affidamento dei contratti pubblici hanno 
luogo nel rispetto degli atti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici, 
se previsti dal presente codice o dalle norme vigenti�. La disposizione 
impone, nella procedura di affidamento, di rispettare il quadro definito 
con gli atti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatici, ove 
previsti; della quale cosa, peraltro, nessuno poteva dubitare. Semmai pi� 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello 
Stato. 

(1) V. Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, Adunanza del 6 febbraio 
2006; SANTORO, L�approvazione dell�aggiudicazione e del contratto nel nuovo codice 
dei contratti pubblici, in Riv. Trim. degli App. 2006, 231 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

interessante ed utile sarebbe stata una disposizione che avesse fissato, al 
rango di norma generale, le conseguenze della violazione di tali disposizioni 
nei rapporti con i contraenti e sul contratto. 

Al comma 2 dell�art. 11 si prevede che �prima dell�avvio delle procedure 
di affidamento dei contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici 
decret(i)no o determin(i)no di contrarre, in conformit� ai propri ordinamenti, 
individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione 
degli operatori economici e delle offerte� (2). 

La determinazione o il decreto di contrarre assumono rilevanza esterna 
con la pubblicazione di bandi di gara, o degli inviti ad offrire o partecipare 
al dialogo competitivo od a negoziare, secondo le disposizioni contenute 
nella sezione seconda, capo terzo, titolo primo, parte seconda del codice 
degli appalti. Alla pubblicazione dei bandi e degli avvisi segue, quindi, la 
fase di gara vera e propria, che culmina con la selezione dei partecipanti che 
deve avvenire, secondo quanto disposto �con formula un po� ridondante (3)� 
dal comma 4 prima parte art. 11, mediante uno dei criteri di selezione previsti 
dal codice. 

Al termine della procedura � dichiarata l�aggiudicazione provvisoria, 
che, diversamente da quanto poteva ritenersi sotto il previdente sistema, 
appare come un atto endoprocedimentale, incapace di produrre posizioni di 
aspettativa, n� effetti lesivi degli interessi legittimi degli altri partecipanti 
alla gara, e pertanto non autonomamente impugnabile (4). L�aggiudicazione 

(2) La disposizione si apprezza perch�, la necessit� di una preventiva deliberazione a 
contrattare, pure se affermata pressoch� pacificamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza 
(si vedano, per tutti, CARANTA, I contratti pubblici, Torino, 2004, 277 ss.; MASSERA, I contratti, 
in CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, 
II, Milano, 2003, 1577; ROSSI, Diritto amministrativo, II � Approfondimenti, Milano, 
2005, 99. In giurisprudenza v., ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1159; 
Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 1997, n. 760; T.A.R. Emilia Romagna � Bologna, Sez. I, 27 
gennaio 1998; T.A.R. Puglia � Bari, Sez. I, 3 luglio 1995, n. 705), si presenta estremamente 
utile sia relativamente alla predeterminazione degli scopi, dei criteri e delle modalit� della 
successiva attivit� contrattuale dell�amministrazione, sia ai fini della successiva attivit� di 
controllo non era mai stata prevista da una disposizione a carattere generale, se non dall�art. 
192 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL). 
Inoltre, l�espressa previsione della determinazione a contrarre pu� avere importanti 
riflessi sul problema degli effetti dell�eventuale invalidit� della stessa sul contratto concluso, 
risolto in linea di massima da dottrina e giurisprudenza ricostruendo l�invalidit� della 
deliberazione in termini di errore-vizio della volont�, a cui segue l�annullabilit� del contratto 
o la sua inefficacia ab origine. Cfr. CARANTA, op. cit., 282. Nel senso dell�inefficacia del 
contratto in caso caducazione della deliberazione a contrattare, v. Cons. Stato, Sez. VI, 27 
ottobre 2003. 

(3) PIANESI, La disciplina della procedura di affidamento: prima lettura degli artt. 11 
e 12 del codice dei contratti pubblici, in Giustamm.it, 2006; SANTORO, Dall�aggiudicazione 
provvisoria all�aggiudicazione del contratto, in www.appaltiecontratti.it, 2006, 8. Cfr. 
anche TAR Campania 28 ottobre 2005 n. 17855, in Foro Amm., TAR 2005, 3252; C. Stato, 
Sez. V, 24 marzo 2006, n. 1525, in Foro amm. CDS 2006, 3 885. 
(4) Nello stesso senso v. PIANESI, La disciplina della procedura di affidamento, cit., 3 

DOTTRINA 187 

provvisoria ha il solo effetto di sottoporre l�aggiudicatario ai controlli previsti 
dal primo comma dell�art. 12 codice (5). Se i controlli hanno esito positivo la 
stazione appaltante provvede alla aggiudicazione definitiva (comma 5), che 
non equivale ad accettazione dell�offerta (comma 7), e diventa efficace solo 
una volta verificata la sussistenza dei requisiti previsti dal bando o dall�invito 
(6). Tale controllo, peraltro, si riduce ad una mera ricognizione delle prove 
documentali fornite dall�aggiudicatario, e riguardanti il possesso dei requisiti 
gi� valutati sulla base dell�autodichiarazione resa in fase di offerta (7). 

Peraltro, poich�, l�aggiudicazione definitiva ed efficace non equivale ad 
accettazione dell�offerta, come invece avveniva sotto il previgente sistema, 
questa produce l�unico effetto di vincolare l�aggiudicatario alla propria offerta 
finch� non venga stipulato il contratto, oltre che quello, invero pi� importante, 
di determinare il sorgere di legittime posizioni di aspettativa, relativamente 
alla natura delle quali si dir� tra breve, verso la tempestiva conclusione 
del contratto. 

Ai sensi dell�art. 79 comma 5 lett. a) del codice, l�amministrazione 
aggiudicatrice deve in ogni caso comunicare d�ufficio �l�aggiudicazione, 
tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, 
all�aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i 
candidati che hanno presentato un�offerta ammessa in gara, nonch� a coloro 
la cui offerta sia stata esclusa, se hanno proposto impugnazione avverso l�esclusione, 
o sono in termini per presentare detta impugnazione� (8). 

(5) �L�aggiudicazione provvisoria � soggetta ad approvazione dell�organo competente 
secondo l�ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero 
degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, 
decorrenti dal ricevimento dell�aggiudicazione provvisoria da parte dell�organo competente. 
In mancanza, il termine � pari a trenta giorni. Il termine � interrotto dalla richiesta di chiarimenti 
o documenti, e inizia nuovamente a decorrere da quando i chiarimenti o documenti 
pervengono all�organo richiedente. Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in 
mancanza, quello di trenta giorni, l�aggiudicazione si intende approvata�. Art. 12 comma 1 
codice degli appalti. 
(6) Come ha giustamente notato la dottrina meglio avveduta �quello che rimane anomalo 
e procedimentalmente scorretto � il fatto che la verifica condizionante (l�efficacia dell�aggiudicazione) 
sia indirizzata verso l�aggiudicazione definitiva e non verso l�aggiudicazione 
provvisoria�. SANTORO, Dall�aggiudicazione provvisoria alla stipula del contratto, cit. 10. 
(7) SANTORO, Op. loc. cit. 
(8) V. sul punto PIANESI, La disciplina della procedura di affidamento, cit., 4: �Questa 
disposizione, in cui sembra leggersi l�intento di rendere il pi� certo ed il pi� ravvicinato possibile 
il momento della conoscenza dell�aggiudicazione da parte non solo dell�aggiudicatario, 
ma anche di chi avrebbe interesse a ricorrere avverso l�aggiudicazione medesima, introducendo 
la comunicazione d�ufficio (andando oltre, pertanto, quanto previsto dall�art. 41 
della direttiva 2004/18/CE), anche per limitare il lasso di tempo in cui eventuali ricorsi possano 
essere proposti, oltre ad individuare espressamente i controinteressati relativamente 
all�aggiudicazione, � richiamata dall�art. 11, comma 10, laddove prevede che il contratto 
non possa comunque essere stipulato prima di 30 giorni dalla comunicazione ai controinteressati 
del provvedimento di aggiudicazione ai sensi dell�art. 79�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Una volta divenuta efficace l�aggiudicazione definitiva termina la fase 
di scelta del contraente e si apre la successiva fase di stipulazione del contratto. 


1.2. Aggiudicazione provvisoria e definitiva 
Come si � detto, il tenore degli artt. 11 e 12 codice sembrerebbero riconoscere 
alla aggiudicazione provvisoria esclusivamente natura di atto endoprocedimentale, 
non idoneo n� a costituire legittime aspettative nell�aggiudicatario, 
n� a ledere l�interesse degli altri partecipanti alla gara. 
L�aggiudicazione provvisoria sembra avere il solo effetto di sottoporre il partecipante 
che ha presentato la migliore offerta ai controlli di cui all�art. 12 
primo comma codice (9), all�esito positivo dei quali viene pronunziata l�aggiudicazione 
definitiva, questa s� vero atto avente natura provvedimentale, 
dal momento che determina in via definitiva la volont� dell�amministrazione 
nella scelta del contraente (10). 

Cessano pertanto di avere albergo nel nuovo sistema tutti i dubbi riguardanti 
l�efficacia propria dell�aggiudicazione provvisoria, e financo l�ammissibilit� 
della figura (11). 

Per quanto riguarda l�aggiudicazione definitiva, che si ha in seguito 
all�esito dei controlli di cui all�art. 12 comma 1, posti in essere dagli organi 
competenti secondo gli ordinamenti delle singole amministrazioni aggiudicatrici, 
questa sembra oggi comportare un vincolo solamente per l�aggiudicatario, 
la cui offerta diviene irrevocabile sino a che non sia decorso il termine 
entro cui deve essere stipulato il contratto, mentre la legge dispone 
espressamente che il vincolo contrattuale vero e proprio sorger�, per ogni 
ipotesi e dunque non pi� solo per i casi diversi dall�asta pubblica e dalla licitazione 
privata, in seguito alla eventuale stipulazione del contratto, con cui 
l�offerta viene �accettata� dalla stazione appaltante. 

L�aggiudicazione appare ora esclusivamente l�atto con cui l�amministrazione 
formalizza l�individuazione del contraente, sulla base dell�offerta presentata, 
mentre tutto quanto riguarda il vincolo contrattuale � spostato sul 
contratto che andr� stipulato successivamente, diversamente da quanto 
disposto nel previgente sistema dalla legge contabile del 1923, in base alla 
quale l�aggiudicazione equivaleva a conclusione del contratto, mentre la successiva 
stipulazione si riteneva avesse esclusiva funzione ricognitiva di un 
accordo gi� perfezionato. 

Questo, in ogni caso, non toglie all�aggiudicazione definitiva la qualit� 
di atto provvedimentale, conclusivo del procedimento di scelta del contraen


(9) Nello stesso senso SANTORO, Dall�aggiudicazione provvisoria, cit., 8 
(10) Anche se ancora priva di efficacia, almeno fino all�esito del controllo dei requisiti 
(art. 11 comma 8). 
(11) Cfr. SANTORO, L�approvazione dell�aggiudicazione, cit., 232 ss.; FAVIERE, Brevi 
note sul dibattito in materia di aggiudicazione provvisoria e definitiva, in Giustamm.it, 
2004. 

DOTTRINA 189 

te, e quindi autonomamente impugnabile ove lesivo degli interessi degli altri 
partecipanti alla gara. 

Infatti, a parte eventualit� patologiche quali l�annullamento dell�aggiudicazione 
in via di autotutela, l�aggiudicazione definitiva rappresenta il provvedimento 
con il quale viene scelta, appunto in via definitiva, la controparte 
contrattuale della pubblica amministrazione. 

Sino al momento della stipulazione, del resto, permangono i poteri pubblicistici 
dell�amministrazione, che pu� agire in via di autotutela, come si 
preoccupa di precisare il comma 9 dell�art. 11. In ogni caso, comunque, il 
contratto non pu� essere stipulato prima che siano trascorsi trenta giorni 
dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione, 
salvo motivate ragioni di urgenza particolare che non consentano all�amministrazione 
di attendere tale termine. 

Il comma 9 dell�art. 11 dispone altres� che la stipulazione deve avvenire 
non oltre sessanta giorni dalla data in cui � divenuta efficace l�aggiudicazione, 
trascorsi i quali l�aggiudicatario �pu�, mediante atto notificato alla stazione 
appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. 
All�aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese 
contrattuali documentate. Nel caso di lavori, se � intervenuta la consegna dei 
lavori in via di urgenza, l�aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese 
sostenute per l�esecuzione dei lavori ordinati dal direttore dei lavori, ivi comprese 
quelle per opere provvisionali�. 

Si impongono alcune questioni: in primo luogo la disposizione consente 
all�aggiudicatario, una volta trascorso inutilmente il termine de quo, di sciogliersi 
dal vincolo dell�offerta, e di recedere dal contratto. Ora, poich� il termine 
che � appena trascorso � proprio quello per la conclusione del contratto, 
non si vede da quale contratto l�aggiudicatario possa recedere. Lo stesso 
per quanto riguarda le spese contrattuali delle quali l�aggiudicatario pu� 
ottenere il ristoro. In questo caso peraltro sembra corretto ritenere che le 
spese cui il codice degli appalti si riferisce sono quelle precontrattuali, sostenute 
dall�aggiudicatario confidando nella tempestiva conclusione del contratto 
(12). 

Non sono disciplinate, invece, le ipotesi in cui l�aggiudicatario non revochi 
l�offerta e la stipulazione del contratto avvenga molto oltre i sessanta 
giorni, n� quella in cui l�amministrazione rifiuti di stipulare il contratto, al di 
fuori delle ipotesi di autotutela. 

(12) Come ulteriore conseguenza si deve ritenere altres� che la disposizione limiti, per 
il caso di recesso dell�aggiudicatario, l�area della responsabilit� precontrattuale ad un mero 
indennizzo dell�aggiudicatario, in mancanza di ogni espresso riferimento al risarcimento del 
danno, ed anzi nella espressa previsione secondo la quale non spetta all�aggiudicatario 
�alcun indennizzo�. Per inciso non si pu� fare a meno di notare l�impropriet� di linguaggio 
usata dai codificatori: non si vede infatti quale altro indennizzo possa essere preteso dall�aggiudicatario 
oltre ristoro delle spese precontrattuali documentate. In altre parole pare a chi 
scrive che ci� che � stato escluso non � l�indennizzo, ma il risarcimento del danno. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In mancanza di ogni previsione legislativa, � da ritenere che nella prima 
ipotesi l�aggiudicatario possa, se e quando il contratto verr� stipulato, domandare 
ristoro degli eventuali pregiudizi subiti a causa del decorso del tempo (perdita 
di occasioni contrattuali, danni causati dal fermo dell�organizzazione ecc.). 

La seconda questione � a tutta evidenza notevolmente pi� seria. Occorre 
infatti domandarsi di quale tipo sia la posizione soggettiva dell�aggiudicatario, 
se interesse legittimo o diritto soggettivo, e soprattutto quali rimedi abbia a sua 
disposizione per il caso in cui l�amministrazione rifiuti di stipulare il contratto. 

Quanto al primo problema non sembra seriamente contestabile che la situazione 
giuridica soggettiva che si crea in capo all�aggiudicatario sia un vero e 
proprio diritto soggettivo avente ad oggetto la stipulazione del contratto, salvo 
che sia espressamente previsto il differimento del sorgere del vincolo al 
momento della stipulazione (13). Ritenere infatti che, a fronte dei poteri in capo 
alla Amministrazione di non stipulare il contratto in esercizio di autotutela, la 
posizione dell�aggiudicatario presenti la consistenza di un interesse legittimo al 
corretto uso del potere, pare contrastare, sul piano sistematico, con l�affermata 
configurabilit� di una responsabilit� precontrattuale della P.A. di fronte al legittimo 
affidamento dell�aggiudicatario alla stipulazione del contratto (14). 

Inoltre, la situazione muta qualora si veda nell�aggiudicazione definitiva 
ed efficace un obbligo a contrarre per l�amministrazione o meno. Se un 
obbligo a contrarre fosse configurabile (15), tuttavia la pedissequa applicazione 
del primo comma dell�art. 2932 c.c. � resa difficile dalla circostanza, 
di cui si dir� infra, che il contratto, una volta stipulato, � sottoposto alla condizione 
sospensiva dell�approvazione di cui al comma 2 dell�art. 12 codice 
degli appalti. Diversamente, qualora si ritenesse che l�aggiudicazione definitiva 
efficace non costituisca alcun obbligo a contrarre in capo all�amministrazione, 
non si vedono ostacoli all�applicazione della disciplina della 
responsabilit� precontrattuale (16). 

(13) Cass. Sez. Un. 11 giugno 1998, n. 5807, in Riv. C. Conti, 1998, II, 240. 
(14) V., ex multis, TAR Lazio, sez. I, 7 luglio 2003 n. 5991, in Foro Amm. TAR, 2003, 
2297, con riferimento alla mancata stipula del contratto per sopravvenuta carenza di fondi; 
C. Stato, sez. IV, 7 marzo 2005, n. 920, in Foro Amm CDS, 2005, 738; C. Stato, Ad. Plen, 5 
settembre 2005 n. 6, ivi, 2005, 2515. 
(15) Ci� che � escluso, a mio parere giustamente da SANTORO, Dall�aggiudicazione alla 
stipula del contratto, cit., 13. Ci� � vero �specie se l�offerta, a seguito della procedura di 
gara sia giudicata non conveniente fermo restando che la determinazione di non concludere 
deve essere adeguatamente motivata�. 
(16) V., in senso analogo, PIANESI, La disciplina della procedura di affidamento, cit., 4: 
�Occorrer�, poi, verificare se il fatto che sia stato legislativamente previsto un termine specifico 
per l�esercizio del potere discrezionale di stipulazione del contratto, la possibilit� di 
reazione dell�aggiudicatario nei termini appena visti e l�esclusione dell�indennizzo escludano 
sempre e comunque la configurabilit� di un ritardo colpevole e dunque la sussistenza di 
una responsabilit� precontrattuale dell�amministrazione o se detta responsabilit� possa 
comunque verificarsi se, nel far decorrere inutilmente il termine, la stazione appaltante abbia 
comunque posto in essere comportamenti contrari all�art. 1337 del codice civile�. 

DOTTRINA 191 

Ancora, la stipulazione del contratto non pu� avvenire prima che siano 
trascorsi trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati (ed all�aggiudicatario) 
della comunicazione di cui all�art. 79 comma 5 lettera a) del 
codice. Questo termine dilatorio pu� essere derogato (ad eccezione dei 
contratti relativi ad infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi) 
solo se si manifestano motivate ragioni di particolare urgenza che impongano 
alle amministrazioni di concludere il contratto entro un termine pi� 
breve. 

Infine possono ancora verificarsi due ipotesi ostative alla stipulazione. 

In particolare, la intempestiva prestazione della garanzia fideiussoria 
prevista dall�art. 113 del codice, provoca la revoca dell�affidamento e l�acquisizione, 
da parte dell�amministrazione aggiudicatrice, della cauzione 
provvisoria di cui all�art. 75 codice. 

Ancora, le disposizioni antimafia recate nella legge 575/1965 impongono 
alle amministrazioni aggiudicatici il divieto di concludere contratti d�appalto 
qualora le imprese aggiudicatici siano soggette a misure preventive o 
siano pendenti procedimenti per l�irrogazione delle medesime. 

La sanzione interdittiva pu� operare sull�aggiudicazione, determinandone 
la revoca (17) o pregiudicandone l�approvazione (18). 

2. La fase di stipulazione. 
Terminata la complessa e ben scandita fase della aggiudicazione e stipulato 
il contratto, questo non � ancora efficace: � infatti sottoposto alla condizione 
sospensiva dell�esito positivo dell�eventuale approvazione degli altri 
controlli previsti dalle norme proprie delle stazioni appaltanti o degli enti 
aggiudicatori (art. 11 comma 11). L�approvazione deve avvenire nel rispetto 
dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento del 
contratto da parte dell�organo competente. Qualora gli ordinamenti dell�organo 
competente a concedere l�approvazione non prevedano termini specifici, 
questo si intende di trenta giorni. Una volta decorsi inutilmente i termini 
il contratto si intende approvato. 
Solo con l�approvazione il contratto diventa pienamente efficace, e le 
obbligazioni assunte dall�amministrazione, nonch� l�impegno contabile di 
cui all�art. 20 comma 3 legge 468/78, diventano giuridicamente efficaci ed 
azionabili, salvo il diritto, di compiere atti conservativi (art. 1356 c.c.). 
Fino a che non pervenga l�approvazione il contratto, pienamente valido, 
non � ancora efficace, ma sarebbe errato concludere, come fa parte della dottrina, 
che solo con l�approvazione sorgono le obbligazioni assunte dalla pubblica 
amministrazione, o che, fino all�avveramento della condizione la posizione 
dell�aggiudicatario verso l�amministrazione integri un interesse legit


(17) C. Stato, Sez. IV, 14 gennaio 2002, n. 149, in Foro amm. C.d.S. 2002, 145; TAR 
Lazio, 1 febbraio 2005 n. 854, in TAR, 2005, 854. 
(18) TAR Palermo 6 novembre 2003 n. 1814, in Foro Amm. TAR, 2003, 3385. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

timo e non invece un diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del 
giudice amministrativo (19). 

Quanto al primo problema, � noto che la condizione incide sull�efficacia 
del contratto, non sulla sua esistenza, n� sulla validit�, n� tantomeno sulla 
sua vincolativit�. Il contratto sottoposto a condizione sospensiva � bloccato 
quanto agli effetti, ma � perfezionato col compiersi del procedimento di formazione: 
esso � vincolante ed impegnativo per le parti che sono gi� sottoposte 
al vincolo contrattuale ed agli obblighi generali di buona fede e correttezza, 
e di tutela degli interessi dell�altro contraente. Pertanto ogni avvenimento 
diverso dall�approvazione che dovesse accedere nella pendenza della condizione 
va inquadrato nella disciplina della responsabilit� contrattuale propriamente 
detta. 

Allo stesso modo sottost� alle regole del codice civile, ed alla giurisdizione 
del giudice ordinario, anche l�esecuzione anticipata del contratto eventualmente 
domandata dalla stazione appaltante alla stregua del comma 12 
art. 11 del codice dei contratti pubblici. 

Venendo alla seconda questione, � palese che, nella pendenza della condizione, 
la posizione del contraente non pu� in alcun modo essere un interesse 
legittimo. In primo luogo non si vede per quale ragione, in assenza di 
espressa previsione di legge, la posizione del contraente nella pendenza della 
condizione dovrebbe essere diversa a seconda della natura, pubblica o privata, 
di controparte. Inoltre la nuova disciplina ha voluto tenere nettamente 
distinte, anche con riguardo alle posizioni soggettive delle parti private, la 
fase, tutta di diritto amministrativo, della scelta del contraente, dalla fase, 
tutta di diritto privato, della stipulazione ed esecuzione del contratto. 

Diversa, invece, � la posizione del contraente, questa s� qualificabile 
come interesse legittimo, con tutte le altre conseguenze in ordine alla giurisdizione, 
nei confronti della legittimit� della procedura di approvazione del 
contratto. 

(19) SANTORO, L�approvazione dell�aggiudicazione, cit., 244; Cass. Sez. Un. 26 luglio 
1985 n. 4332, in Cons. Stat. 1985, II, 1790. 

DOTTRINA 193 

Espropriazione per pubblica utilit� e 
brevetti industriali 

di Grazia Sanna (*) 

SOMMARIO: 1.� Premesse. 2.� Diritti umani fondamentali. Nozione. 3.� Il bene giuridico. 
Beni immateriali. 4.� Tutela italiana e tutela internazionale del brevetto. 5.� Il potere 
ablativo della P.A. L�espropriazione per pubblica utilit� prima del T.U. n. 327/2001 e successive 
modificazioni. 6.� L�espropriazione per pubblica utilit� dopo la novella di cui al 

T.U. n. 327/2001 e successive modificazioni. 7.� Conclusioni. 
1. Premesse 
Il presente contributo intende proporre alcune riflessioni sulla questione 
se la Pubblica Amministrazione possa ricorrere allo strumento dell�espropriazione 
per pubblica utilit� sacrificando, ove ne sussistano i presupposti 
costituzionali, la propriet� privata industriale, qualora ci� si renda indispensabile 
per la salvaguardia di diritti umani fondamentali. 

Sul piano legislativo internazionale parrebbe essersi ormai consolidata 
una visione � di segno contrario allo spirito che anim� le Rivoluzioni 
Americana e Francese � che, fondando su un orientamento giurisprudenziale 
di common law relativamente recente, mira ad affermare la supremazia 
della lex mercatoria persino su diritti e libert� costituzionalmente protetti e 
sin qui considerati inviolabili. 

Per valutare la portata �rivoluzionaria� di siffatto orientamento, resa 
discreta dai contesti in cui si celebrano i suoi riti e dalla specialit� della materia, 
� sufficiente ricordare alcuni casi giurisprudenziali emblematici: il caso 
Diamond/Chakrabharti, il caso Moore/ UCLA, il caso della multinazionale 

W.R. Grace-Governo U.S.A./ Gruppo Europeo Verdi et al., ed il pi� recente 
Schmeiser/Monsanto. 
I casi citati sono accomunati da un unico aberrante denominatore, ormai 
cristallizzato in norme internazionali, regionali e nazionali: il presupposto che 
privatizzazione e commerciabilit� della �materia vivente� siano cosa lecita (1). 

Nelle more di tale impressionante processo di cambiamento pu� essere 
particolarmente interessante domandarsi se, alla luce del diritto positivo 

(*) Avvocato. 

(1) a) Il caso Diamond/Chakrabharti, Corte Suprema degli Stati Uniti, sentenza n. 79136 
del 16 giugno 1980. Nel 1971, un microbiologo indiano, Mr. Ananda Chakrabharti, si 
rivolse all�Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti, per registrare un microrganismo geneticamente 
manipolato. L�Ufficio respinse la richiesta, affermando che la legge americana 
vietava la brevettabilit� di forme viventi. 
A sostegno del proprio provvedimento di reiezione, l�ufficio governativo richiam� la 
circostanza che nei pochi casi in cui i brevetti erano stati estesi a forme viventi (cio� ad alcuni 
tipi di piante), il Congresso aveva dovuto promulgare leggi ad hoc di carattere eccezio 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

vigente nell�ordinamento italiano, l�istituto espropriativo rimanga uno strumento 
esperibile al fine di riequilibrare il potere di privativa che oligarchie 
monopolistiche sempre pi� voraci sono andate estendendo anche su beni 
strategici essenziali per la vita, su beni, cio�, che costituiscono il nucleo di 
diritti fondamentali, quali sono, in primo luogo, la signoria sul proprio corpo, 
il diritto alla salute, il diritto ad un cibo sicuro, il diritto all�acqua, in una 
parola, il diritto ad esistere. 

nale. Mr. Chakrabharti e la societ� presso cui prestava servizio proposero la questione in 
sede giurisdizionale e, con grande sorpresa generale, ottennero una pronuncia favorevole. 
La motivazione della sentenza recitava, infatti, che il microrganismo brevettato �era pi� 
simile a composti chimici inanimati, come reagenti e catalizzatori, che a cavalli, api, rose e 
lamponi�. La causa prosegu� il suo corso dinanzi alla Corte Suprema Federale. L�Ufficio 
Brevetti e la People�s Business Commission, si affannarono nel tentativo di dimostrare che 
il caso all�esame della Corte riguardava direttamente il valore e il significato della vita. Se 
la validit� del brevetto fosse stata confermata � argomentavano � �la vita costruita, piccola 

o grande che sia non sarebbe pi� considerata vita, ma solo un comune reagente chimico� 
(cos� in Il secolo Biotech di J. RIFKIN, Milano, Baldini & Castoldi, 1998, p. 84). La People�s 
Business Commission dichiar�, inoltre, che una sentenza favorevole avrebbe aperto le porte 
alla prassi di brevettare, in futuro, tutte le forme di vita. Nel 1980, la richiesta di Mr. 
Chakrabharti fu definitivamente accolta e, conseguentemente, venne affermato il principio 
della brevettabilit� della vita manipolata geneticamente. La decisione della Corte Suprema 
costitu� la premessa fondamentale per avviare il processo di privatizzazione e sfruttamento 
commerciale delle risorse genetiche, negli Stati Uniti e altrove. Ai fini della valutazione del 
suo impatto nel mondo dell�economia pu� essere interessante notare che, pochi mesi dopo 
la pubblicazione della sentenza, una piccola societ�, la Genentech, oggi un colosso, offr� al 
pubblico pi� di un milione di azioni a 35 dollari l�una. Nei primi venti minuti di contrattazione, 
il valore di un�azione era salito a 89 dollari. Nel tardo pomeriggio, l�azienda biotech 
aveva guadagnato 36 milioni di dollari. 
b) Il caso Moore/UCLA. John Moore, un business man originario dell�Alaska, scopr� 
che parti del suo corpo, estratte durante un�operazione chirurgica, erano state brevettate 
dall�Universit� della California e date in concessione ad una grossa azienda senza il suo consenso 
e a sua insaputa. Il valore della linea cellulare ceduta dall�Universit� ammontava a 
circa 3 miliardi di dollari. Moore intent� causa all�Universit�, reclamando il diritto di propriet� 
sui tessuti estratti dal proprio corpo. Nel 1990 la Corte Suprema della California gli 
diede torto, sostenendo che non poteva vantare alcun diritto sulle linee cellulari ricavate 
dalla sua milza (cfr. Supreme Court of California, n. S006987 del 9 luglio 1990). Una vicenda 
analoga, ma senza risvolti giudiziari, ha avuto una certa eco sui media italiani a proposito 
di alcuni cittadini di Limone sul Garda, un comune vicino a Como. Negli anni �80, il prof. 
Sirtori, farmacologo milanese, scopr� nel sangue di un certo numero di cittadini del piccolo 
comune un�anomalia genetica che dava luogo alla produzione di una proteina, la A-I 
Milano, capace di impedire l�insorgere di alcune malattie cardiovascolari. Il gene venne isolato 
e brevettato dallo stesso professore insieme ad una multinazionale svedese. Il brevetto 
� stato successivamente venduto alla multinazionale farmaceutica statunitense Pfizer. 
Attualmente, la popolazione di Limone, che possiede quei geni per eredit� biologica, non li 
possiede pi� giuridicamente: ne pu� fare, se cos� possiamo dire, un uso personale, ma se 
volesse regalarli a qualcuno non potrebbe, perch� sono coperti da brevetto. 

c) Nel 1994 la multinazionale W.R. Grace di New York e il Governo USA, rappresentato 
dal Ministero dell�Agricoltura, ottennero dall�Ufficio Europeo Brevetti (EPO) il brevetto 
n. 436257, avente ad oggetto un fungicida estratto da un albero indiano autoctono: il 


DOTTRINA 195 

Ancora una volta la Storia ci pone dinanzi alla necessit� di interrogarci 
sul rapporto tra lex e jus; segno che, dai tempi in cui Sofocle cant� le gesta 
d�Antigone, tutto � cambiato ma in fondo nulla � cambiato (2). 

Allo scopo di meglio definire i termini della presente ricerca, tenteremo 
innanzitutto di inquadrare la categoria dei Diritti Umani fondamentali. 

Successivamente, prenderemo in considerazione il concetto di bene giuridico, 
in particolare quello di �bene immateriale�, atteso che la tendenza 
monopolistica cui sopra accennavamo si va esplicando con sempre maggior 
forza per mezzo del controllo e della tutela giuridica del sapere relativo alle 
leggi sottili che governano la materia inerte � ma da ultimo, anche la materia 
vivente � piuttosto che sull�oggetto materiale in s�, come prevalentemente 
accadeva in passato. Infatti, stiamo assistendo ad un�accelerazione parossistica 
del processo di materializzazione di quanto sinora abbiamo considerato 
Spirito, categoria del pensiero, quest�ultima, tradizionalmente associata 

Neem. Nove mesi dopo, l�Eurodeputata verde Aelvoet, Vandana Shiva, Presidente della 
Fondazione di Ricerca per le Scienze, la Tecnologia e l�Ecologia e l�IFOAM chiesero l�annullamento 
del brevetto, denunciando l�atto di �biopirateria� perpetrato dalla multinazionale 
e dando prova che il Neem, ab immemorabile, era utilizzato nella medicina ayurvedica 
per la cura di certe affezioni dermatologiche e come antiparassitario nelle coltivazioni. L� 8 
marzo del 2005 il brevetto fu revocato dalla Commissione Tecnica Ricorsi dell�EPO. Tale 
decisione rappresenta un importante precedente. Onere della prova e costi iniziali, tuttavia, 
sono stati sopportati delle vittime dell�atto di �pirateria�. Questa circostanza meriterebbe 
particolare attenzione. 

d) Il caso Schmeiser contro Monsanto. In Canada � recentemente accaduto, per citare 
un esempio tra tanti, che un imprenditore agricolo abbia sub�to l�irreversibile inquinamento 
dei propri campi � coltivati con un tipo di colza da lui stesso selezionata nel corso di lunghi 
anni � e sia stato, nonostante la non colpevolezza provata in tre gradi di giudizio, ritenuto 
responsabile di violazione del brevetto rilasciato alla Monsanto per la colza Roundup Ready. 
Secondo i giudici Canadesi, infatti, l�intenzione non sarebbe rilevante ai fini dell�accertamento 
della responsabilit� dato che: �nella maggior parte delle violazioni di brevetto, consentire 
una difesa fondata sull�ignoranza o sulla mancanza di volont� di operare la violazione 
distruggerebbe l�efficacia del brevetto stesso, perch� l�effettivo contenuto di ogni particolare 
brevetto � noto solo a poche persone (Cfr. sentenza pronunciata dalla Corte Suprema 
del Canada il 21 maggio 2004 SCC 034, file n. 29437). 

(2) Sul punto, particolarmente denso di significato, mi pare il monito del Prof. 
Zagrebelsky: �Antigone ci ammonisce ancora, senza jus la lex diventa debole ed, al tempo 
stesso, tirannica. La scommessa del costituzionalismo sta tutta qui: nella capacit� della 
Costituzione, posta come lex, di diventare jus; [...] nella capacit� di uscire dall�area del potere 
e delle fredde parole di un testo scritto, per farsi attrarre nella sfera vitale delle convinzioni 
e delle idee care, senza le quali non si pu� vivere ed alle quali si aderisce con calore� 
in La Repubblica, 25 aprile 2003. 
Guido Alpa, sottilmente osserva che oggi �il conflitto (tra lex e jus, n.d.a.) non � superato, 
tutt�al pi� si riveste di una nuova immagine: �Ora il conflitto non � pi� tra due leggi, 
ma tra due interpretazioni dello stesso valore fondamentale��, cos� in L�Avvocato, Bologna, 
Il Mulino, 2005, p. 111. Per una analogia interessante sul tema dei principi che reggono l�arte 
dell�interpretazione si veda E. PICOZZA, L�interpretazione musicale e il metronomo, in 
Annuario di Ermeneutica Giuridica, n. 9, 2004. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

a �libert�� e �gratuit�� perch� trascendente e dunque non suscettibile d�inquadramento 
in un sistema di quantificazione del suo �valore� (3). E, per 
quanto l�ago della bilancia dell�economia in termini di valore appaia inclinato 
in modo crescente verso l�immateriale, � tuttavia agevole rilevare 
come, in sostanza, il fenomeno rappresenti un mero slittamento concettuale 
della �materialit�� del bene verso un grado di maggiore evanescenza, 
mentre tuttora immutato rimane l�assunto epistemologico sotteso, espressione 
della cultura dualistica che domina il pensiero occidentale da oltre 

2.500 anni. 
Prova ne sia il fatto che, nonostante l�uso e l�abuso che oggigiorno si fa 
dell�aggettivo �olistico�, siamo ben lontani dall�applicare alle scienze giuridiche 
e sociali la visione fatta propria dalla fisica sin dai tempi dell�enunciazione 
della teoria quantistica � visione peraltro perfettamente aderente a 
quella propria d�altre grandi tradizioni (4) � secondo cui la realt� � manifestazione 
di un�unit� fondamentale in virt� della quale, ci� che accade ad una 
foglia d�erba, si riverbera anche sulla stella pi� lontana. 

Tornando ai nostri beni, passeremo sommariamente in rassegna, oltre 
alla categoria dei beni immateriali, i pi� importanti strumenti apprestati dall�ordinamento 
italiano e da quello internazionale a protezione di detti beni; 
quindi ci occuperemo sommariamente della espropriazione per pubblica utilit� 
ed infine verificheremo se, dopo l�entrata in vigore del T.U. sull�espropriazione 
per pubblica utilit� di cui al d.P.R. n. 327/2001 e del D.L. 10 febbraio 
2005 n. 30, la Pubblica Amministrazione -nel suo ruolo di Potere dello 
Stato deputato in concreto al contemperamento della pluralit� d�interessi di 
cui sono portatori i singoli individui e le varie formazioni umane che compongono 
la societ� � sia ancora intitolata all�esercizio del potere espropriativo 
in materia di propriet� intellettuale. 

2. Diritti umani fondamentali 
Pare proprio non sia cosa facile da inquadrare, la loro fisionomia, se persino 
un�autorit� come Norberto Bobbio afferma che �oltre che mal definibile 
e variabile, la classe dei diritti dell�uomo � anche eterogenea� (5). 

(3) La questione, tuttavia, meriterebbe maggiore attenzione. Tutto ci� che ci siamo abituati 
a chiamare Spirito, anche a voler tralasciare il contesto religioso, non sarebbe �veramente 
Spirito� se avesse ragione Lao Tzu (e anche il nostro Eraclito). Il mistico Cinese 
padre del Taoismo, vissuto nel V sec. a. C., in una sua famosa massima, affermava: �Il Tao 
(cio� lo Spirito che si rivela come �Via�, n.d.a.) che pu� essere nominato non � il vero Tao�. 
(4) �Noi siamo parte della Terra ed essa � parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli, 
il cervo, il cavallo, il grande condor... Le creste rocciose, gli spiriti dei prati, il calore 
del corpo del pony, e l�uomo, appartengono tutti alla stessa famiglia... Tutte le cose condividono 
lo stesso respiro: gli animali, gli alberi e l�uomo, partecipano tutti dello stesso respiro
�. (Discorso rivolto dal Capo Indiano Seathle al Presidente degli Stati Uniti George 
Washington a Puget Sound, Washington, nel dicembre del 1853. Trascrizione originale di 
Ted Perry, pubblicata a Milano, da RED edizioni, 2004, p. 50). 
(5) N. BOBBIO, L�et� dei diritti, Torino, Einaudi, 1997, p. 11. 

DOTTRINA 197 

Sull�argomento si sono confrontate, specie nel corso degli ultimi tre 
secoli, varie posizioni filosofiche riconducibili, sostanzialmente, a due scuole 
di pensiero: il giusnaturalismo e il giuspositivismo. 

Le premesse epistemologiche della prima, trovano fondamento nell�assunto 
che alcuni diritti umani trarrebbero giustificazione da una loro natura 
quasi archetipica, assoluta, che trascende la storia. 

Per la seconda scuola, viceversa, caratteristica di tutti i diritti, persino dei 
diritti umani fondamentali, sarebbe la relativit�. Mutando nel tempo con le 
convinzioni degli uomini, la loro incorporazione nel diritto positivo vigente 
in un dato ordinamento sarebbe l�atto costitutivo imprescindibile per portarli 
ad esistenza, in quanto non sarebbero altro che diritti pubblici soggettivi, 
cio� diritti riflessi dal potere dello Stato, che dipendono dalla sua disponibilit� 
ad autolimitarsi. 

Tuttavia, neppure il loro esplicito riconoscimento in atti solenni garantisce 
la loro protezione, se � vero che �anche fra i cosiddetti diritti fondamentali, 
ve ne sono pochi che non vengono sospesi in qualche circostanza o 
negati per qualche categoria di persone; in altre parole, sono ben pochi i 
diritti ritenuti fondamentali che non vengano in concorrenza con altri diritti 
ritenuti pur essi fondamentali e che non impongano pertanto, in certe situazioni 
e con riguardo a particolari categorie, una scelta� (6). 

Lucidamente, si pu� concludere con lo stesso Bobbio che �il problema 
relativo ai diritti dell�uomo, oggi, non � tanto quello di giustificarli, quanto 
quello di proteggerli. Non � un problema filosofico, ma politico� (7). 

Dalla Rivoluzione Americana e Francese in poi, la tendenza generale 
degli Stati � stata quella di riconoscere alcuni fondamentali diritti dell�uomo, 
attraverso la loro solenne proclamazione contenuta in atti formali: 
Dichiarazioni, Statuti e Costituzioni. 

Dopo la Seconda Guerra mondiale, anche l�organizzazione delle relazioni 
internazionali � stata caratterizzata dalla tendenza a considerare e proteggere 
interessi di spiccato valore umano, mentre nel passato prevaleva la considerazione 
degli interessi politici degli Stati. 

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell�Uomo, proclamata il 10 
dicembre 1948 dall�Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi, � l�espressione 
pi� significativa del processo di internazionalizzazione della 
dignit� e delle libert� fondamentali che dovrebbero esser prerogativa di ciascun 
essere umano per il solo fatto di esser venuto al mondo. 

Solo due anni pi� tardi, nel corso del passaggio dall�enunciazione degli 
ideali della Dichiarazione Universale dei Diritti dell�Uomo a forme pratiche 

(6) Ivi, p. 11. 
(7) Ivi, p. 16. Secondo l�Autore, il problema del fondamento dei diritti dell�uomo sarebbe 
superato dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell�uomo del 1948 che �rappresenta 
la manifestazione dell�unica prova con cui un sistema di valori pu� essere considerato umanamente 
umano e quindi riconosciuto e questa prova � il consenso generale circa la sua validit�
�. Attuale e sempre pi� urgente sarebbe il problema delle �garanzie�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

di tutela internazionale e di garanzia istituzionale, il Consiglio d�Europa 
adott� un atto regionale di portata storica: la Convenzione per la Salvaguardia 
dei Diritti dell�Uomo e delle libert� fondamentali, firmata a Roma il 4 
novembre del 1950. 

Nel suo preambolo, i paesi firmatari, membri del Consiglio d�Europa, 
riaffermarono il �loro profondo attaccamento a queste libert� fondamentali 
che costituiscono le basi della giustizia e della pace nel mondo� e si dichiararono 
decisi a �prendere le prime misure atte ad assicurare la garanzia collettiva 
di certi diritti affermati nella Dichiarazione Universale�. 

Nel marzo del 1952, fece seguito un primo Protocollo addizionale, 
espressione di una tecnica giuridica che comporta l�automatica estensione 
del sistema di garanzie preordinato con la Convenzione di Roma ai diritti 
costituenti l�oggetto d�ogni singolo protocollo addizionale. 

C�� da dire, in proposito, che l�Europa ha scelto un atteggiamento prudente 
sulla via dell�attuazione pratica dei diritti e delle libert� contenuti nell�atto 
fondamentale, ritenendo il sistema di garanzie adottato adatto alla protezione 
degli interessi civili e politici, ma meno adatto per quanto concerne 
i diritti economici, culturali e sociali. 

In ogni caso, sono coperti dal sistema di garanzie preordinato dalla 
Convenzione di Roma: il diritto alla vita (art. 2); il diritto all�integrit� fisica 
delle persone (art. 3); l�interdizione della schiavit�, della servit� e del lavoro 
forzato o obbligatorio (art. 4); il diritto alla libert� e alla sicurezza personale 
(art. 5); il diritto ad una buona amministrazione della giustizia, con riguardo 
sia al giudizio sulle contestazioni dei diritti e dei doveri di carattere civile di 
una persona, sia nel giudizio sulle accuse penali contro di essa rivolte (art. 6); 
interdizione di condanne non fondate sul principio di legalit� dei delitti e delle 
pene (art. 7); il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e 
della corrispondenza (art. 8); il diritto alla libert� di pensiero, di coscienza e 
di religione (art. 9); la libert� d�espressione (art. 10); libert� di riunione pacifica 
e di associazione (art. 11); il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia 
(art. 12). I vari diritti delle persone e i vari obblighi statali formulati nel primo 
protocollo addizionale riguardano la protezione della propriet� (art. 1); il 
diritto all�istruzione e il diritto dei genitori ad assicurare l�educazione della 
prole e l�insegnamento in conformit� alle loro convinzioni filosofiche e religiose 
(art. 2); l�impegno delle parti contraenti ad organizzare libere elezioni a 
scrutinio segreto per l�elezione del corpo legislativo (art. 3). 

La carta di Nizza, secondo alcuni interpreti autentico momento di 
discontinuit� nel processo di costruzione europea, si presenta come il nucleo 
di una vera e propria costituzione. A differenza della Convenzione Europea 
per la Salvaguardia dei Diritti dell�Uomo, la Carta include, seppur blandamente, 
anche i diritti sociali. Tuttavia, in dottrina se n�� negata l�efficacia 
vincolante (se si eccettua la pur significativa applicazione da parte di alcuni 
giudici nazionali e il richiamo costante ad essa operato da parte degli avvocati 
generali presso la Corte di Giustizia), almeno fino a che non sar� incorporata 
nella Costituzione europea, cosa che in effetti � avvenuta con il suo 
inserimento nel titolo secondo del testo approvato. 


DOTTRINA 199 

La Costituzione Europea, adottata dopo un iter lungo e tormentato, sorvola 
sulla definizione dei �diritti fondamentali�, limitandosi a fornirne un 
elenco; i diritti sono identificati all�interno dei singoli titoli dedicati alla 
dignit�, alla libert�, all�uguaglianza e alla solidariet�. 

La Carta, che avrebbe dovuto segnare il momento decisivo del passaggio 
dall�Unione economica all�Unione dei cittadini, in Italia � stata ratificata 
in base alla legge d�autorizzazione n. 57/2005. 

Tuttavia l�esito negativo del referendum francese, seguito da quello 
olandese, che hanno impedito il recepimento della Carta Costituzionale 
Europea nei rispettivi ordinamenti, rimanda il momento in cui tutti i cittadini 
dell�Unione potranno godere di una Costituzione valida. 

Il problema � di non lieve portata, perch� l�epoca storica in cui viviamo 
� sempre pi� caratterizzata dallo squilibrio tra il riconoscimento astratto dei 
diritti fondamentali e la loro effettiva tutela, mancando in capo ai singoli, 
tranne per alcune limitate materie, la possibilit� di richiederne l�attuazione 
effettiva per via giurisdizionale, a livello regionale ed internazionale. 

3. Il bene giuridico. Beni immateriali 
Nell�ambito della teoria generale del diritto classica, il bene giuridico � 
stato pi� o meno unanimemente definito � valga per tutte la formulazione 
adottata da Arturo Rocco � come �tutto ci� che, esista o no attualmente, 
abbia esistenza materiale o immateriale, pu� soddisfare un bisogno umano�. 
Oggetto del rapporto �non � la cosa in quanto tale, come non lo � neppure 
del diritto, perch� la �cosa� (il gegenstand) sia nell�economia, sia nel diritto, 
� considerata rispetto all�uomo e all�utilit� che egli ne pu� trarre� (8). 

I beni si classificano, innanzitutto, sulla base delle caratteristiche fisiche 

o strutturali influenti sul loro regime giuridico. 
Pertanto, si distinguono cose quae tangi possunt, percepibili con i nostri 
sensi o con appositi strumenti (ad esempio l�energia elettrica) e �beni immateriali�, 
creazioni della nostra mente concepibili solo astrattamente (opere 
d�autore, marchi, insegne, segni distintivi d�impresa). 

Il diritto sul bene immateriale derivante dalla creazione intellettuale 
(corpus mysticum), nel passato, si concepiva come un quid ben distinto e 
separato dal diritto sulla cosa materiale (corpus mechanicum): il quadro, il 
foglio di carta, il pennello, �ci� in cui l�opera creativa s�incarna� (9). In ter


(8) A. LEVI, Teoria Generale del Diritto, Padova, Cedam, 1967, p. 422. 
(9) La nascita del concetto di �bene immateriale� si deve a Josef Kohler, interprete 
massimo del pensiero positivistico in ambito giuridico, che tent� di dare �scientificit�� alla 
tematica del diritto d�autore e delle invenzioni proponendo la nuova figura in questione. 
Nella seconda met� del XIX secolo, di fronte all�esistenza di leggi relativamente giovani che 
accordavano il diritto di sfruttamento esclusivo di invenzioni, di opere letterarie ed artistiche, 
Kohler propose di concettualizzare la giovane esperienza normativa, presentando come 
bene l�invenzione o l�opera. La specificit� di tali beni, connotati dall�aggettivo �immateriale�, 
consisteva non nel nuovo dispositivo in cui s�incarna la scoperta dell�inventore, n� nel 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

mini di valore, la maggior considerazione era riservata al prodotto concreto 
in s� e per s�. 

Ultimamente, invece, si � verificato uno spostamento dell�accento sul 
valore intrinseco del corpus mysticum, come elemento di gran lunga preponderante 
rispetto al fattore materiale impiegato nella produzione: �L�evoluzione 
economica � certamente in questo senso, e negli ultimi decenni il prodotto 
delle societ� industrializzate � diventato sempre pi� immateriale�(10). 

Non solo. La tendenza, ormai, � di attribuire valore all�elemento immateriale 
in ogni singolo manufatto prodotto dall�uomo, e ci� anche in quei casi in 
cui esso sia di dominio pubblico - come accade, ad esempio nelle lavorazioni 
tradizionali � e, dunque, nella coscienza collettiva, la sua sussistenza e la sua 
funzione appaiano eclissate in favore dell�aspetto meramente materiale (11). 

Questo punto � quanto mai interessante se si considera che, nel secolo scorso, 
in dottrina, vi furono lunghe diatribe persino sulla possibilit� di intendere 
certi beni immateriali come oggetto di diritti (ci fu, del resto, anche chi neg� 
l�idea che una produzione dell�ingegno potesse essere oggetto di propriet�). 

I paladini di siffatta interpretazione restrittiva non si sarebbero certo 
aspettati, in tempi cos� relativamente brevi, di veder rientrare nel novero dei 
beni suscettibili di transazione commerciale anche la pelle e le ossa umane, 
divenute �prodotti� grazie ad un procedimento brevettato, per le loro caratteristiche 
di superconduttivit�. N� avrebbero immaginato che, mediante una 
tecnologia suicida � la famigerata GURT (Genetic Use Restriction 
Technology), meglio conosciuta come �Terminator� � un pugno di monopolisti 
potessero assicurasi il controllo riproduttivo di sementi cui Madre 
Natura ha dato vita nel corso di migliaia di anni (12). 

libro che veicola il pensiero dello scrittore, bens� nella �soluzione originale� di un problema 
tecnico o nella creazione estetica, ossia �in un prodotto spirituale e dunque immateriale e 
non nelle cose che lo rendono socialmente accessibile e fruibile�. P. SPADA et al, Diritto 
Industriale, Propriet� Intellettuale e Concorrenza, Torino, Giappichelli, 2005, p. 7. 

(10) G. SENA, Beni materiali, beni immateriali e Prodotti industriali. Il complesso 
intreccio delle diverse propriet�, in Rivista di Diritto Industriale, Milano, Giuffr�, 2004, 
parte I, p. 55. In proposito � interessante osservare che Taichi Sakaiya, direttore generale 
dell�Economic Planning Agency giapponese, ha colto la natura del cambiamento in atto 
nella percezione dei beni, affermando che �I beni materiali avranno importanza solo come 
contenitori o veicoli del bene-conoscenza� (cos� in T. SAKAIYA, The knowledge-value revolution, 
or, a history of the future, trad. di G. Fields e W. Marsh, Tokio, Kodanska 
International, 1991, p. 60). 
(11) G. SENA, Beni materiali, beni immateriali e Prodotti industriali. Il complesso 
intreccio delle diverse propriet�, cit.,p. 56. 
(12) Pelle e ossa umane nei limiti delle loro caratteristiche di superconduttivit� elettrica. 
Brevetto Microsoft del 22 giugno 2004: licenza numero 6.754.472 rilasciata dall�Ufficio 
brevetti degli Stati Uniti, PTO (United States Patent and Trademark Office) col titolo 
Metodi e apparecchi per trasmettere energia e dati usando il corpo umano. In generale, poi, 
per la vexata quaestio che riguarda il procedimento di enclosure � attuato da un esiguo 
numero di corporations multinazionali � della gran parte del germoplasma e, pi� in generale, 
del patrimonio genetico di ogni creatura vivente, si veda J.RIFKIN, Il secolo biotech, 

DOTTRINA 201 

Nei tempi pi� antichi, la tutela dell�originalit� dello spirito creativo 
umano e, dunque, la protezione dello sfruttamento economico esclusivo delle 
nuove invenzioni, sostanzialmente dipendeva da un solo fatto giuridico: la 
capacit� dell�inventore di mantenere segreto il nuovo processo produttivo. 

Da almeno due secoli, tuttavia, gli ordinamenti giuridici moderni hanno 
elaborato altre possibilit� di privativa pi� pratiche. Tra queste, ve n�� una che 
si � attestata come strumento principe di tutela nel campo dell�innovazione 
tecnologica: la facolt� per l�inventore di richiedere ed ottenere, ricorrendone 
le condizioni, un brevetto. 

Il brevetto � un provvedimento concesso da un�Autorit� Amministrativa, 
nazionale o internazionale, che attribuisce al titolare un diritto d�esclusiva 
allo sfruttamento dell�invenzione, per un tempo determinato ed in cambio di 
una descrizione sufficiente a mettere un esperto del ramo in grado di attuarla, 
quando sia stata accertata la sussistenza dei requisiti della �novit��, �originalit��, 
�industrialit�� e �liceit�� dell�invenzione medesima. 

Il diritto d�esclusiva, garantito per mezzo del brevetto, � riconducibile 
alla categoria dogmatica dei �beni immateriali� e si configura come un diritto 
reale e assoluto che pu� essere liberamente fatto oggetto di atti dispositivi 
a titolo definitivo o temporaneo. 

4. Tutela italiana e tutela internazionale del brevetto 
Come si � detto in precedenza, il brevetto � un provvedimento concesso 
dalla Pubblica Amministrazione che attribuisce al titolare un diritto d�esclusiva 
allo sfruttamento dell�invenzione per un tempo determinato, quando 
sussistano i requisiti della novit�, originalit�, industrialit� e liceit� dell�invenzione 
medesima. 

Generalmente parlando, nella disciplina delle privative industriali, il 
concorso di norme nazionali ed internazionali � quasi costante. 

Oltre alle leggi italiane c.d. di �iniziativa propria� (13) infatti, esistono 
numerose convenzioni internazionali (bilaterali, ma soprattutto multilaterali) 
grazie alle quali, le normative di molti paesi, sono contraddistinte da una 

Milano, Baldini & Castoldi, 1999; AA. VV., OGM: le verit� sconosciute di una strategia di 
conquista, Roma, Editori Riuniti, 2003. 

(13) Il regime giuridico italiano dei diritti nascenti dal brevetto � ricavabile, innanzitutto, 
dai RR. DD. 1127/39 e n. 244/40 (titolate, rispettivamente, Testo delle Disposizioni 
Legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali e Testo delle disposizioni regolamentari 
in materia di brevetti per invenzioni industriali); in secondo luogo dalla disciplina 
di carattere generale contenuta nel codice civile, agli artt. 2584-2591 per le invenzioni 
industriali, e agli artt. 2592 � 2594 per i disegni e i modelli industriali; quindi, il d.P.R. . n. 
540/72 recante Semplificazione dei procedimenti amministrativi in materia di brevetti per 
invenzioni industriali, per modelli di utilit�, modelli e disegni ornamentali e in materia di 
registrazione di marchi d�impresa. Vengono poi in considerazione altre norme, frutto dell�esigenza 
di adeguare l�ordinamento nazionale alle numerose convenzioni intervenute in 
materia di brevetti per invenzioni, cui partecipa anche l�Italia. In questo quadro vanno ricordate 
la legge n. 260 del 26 maggio 1978 e il d.P.R. 22 giugno 1979 n. 338 che, traendo occa

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

notevole affinit�. Le convenzioni stipulate in ambito regionale Europeo sono 
caratterizzate, oltre che da una vasta coincidenza della cerchia dei contraenti, 
anche da una normativa sostanziale omogenea, talvolta persino coincidente 
nella formulazione testuale (cfr. la disciplina dettata in materia di requisiti 
di brevettabilit� dell�invenzione industriale: artt. 52 Conv. Monaco; art. 

1.2. Conv. Lussemburgo; 1 Conv. Strasburgo; 33 PCT) (14). 
In Europa, la protezione dei brevetti � attuata essenzialmente per mezzo 
di due diversi sistemi: il sistema nazionale proprio di ciascun singolo stato 
membro ed il sistema del Brevetto Europeo, istituito con la Convenzione 
Europea Brevetti e con la Convenzione Brevetti della Comunit�, parte integrante 
dell�Accordo Brevetti della Comunit� firmato nel 1989. 

La Convenzione Europea Brevetti non crea una protezione uniforme, ma 
fornisce al richiedente la possibilit� di ottenere tanti brevetti quanti sono i paesi 
firmatari nei quali intenda rendere effettiva la protezione dell�invenzione. 

Pertanto, chiunque voglia ottenere il provvedimento in questione pu� 
richiederlo a livello nazionale, presso il competente Ufficio brevetti ovvero, 
in alternativa, richiedere un brevetto europeo all�Ufficio Europeo Brevetti 
(EPO) (15). 

Il brevetto europeo, una volta rilasciato, s�inserisce in un coacervo di 
brevetti nazionali la cui validit� e i cui effetti sono determinati dalle leggi 

sione dall�esecuzione della Convenzione di Strasburgo (1963) sull�unificazione di taluni 
elementi del diritto dei brevetti, del Trattato di Cooperazione in materia di Brevetti (PCT) 
(1971), delle Convenzioni di Monaco (1973) e di Lussemburgo (1975) sui brevetti europei 
e comunitari, hanno profondamente innovato l�intera normativa italiana. E ancora il d.P.R. . 

n. 32/79 recante norme di applicazione per i brevetti europei e i brevetti comunitari. Di fondamentale 
importanza, per la portata innovativa, il D.Lgs. n. 198/96, di adeguamento della 
legislazione interna alle prescrizioni obbligatorie dell�accordo TRIP�s in materia di propriet� 
industriale. Recentemente, con il decreto D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, � stato emanato 
il nuovo Codice della Propriet� Industriale, per tentare una sistemazione unitaria della 
materia. 
(14) M. CORDA, voce Brevetti, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, Treccani, 
1997, p. 7. 
(15) Come si � detto in precedenza, il diritto di brevetto si concreta attraverso il rilascio 
di un provvedimento concessorio da parte della Pubblica Amministrazione, e attiene al 
diritto pubblico. Da questa caratteristica discende la �territorialit�� che connota la sua disciplina, 
com�� facilmente desumibile dall�analisi della normativa vigente, nazionale e internazionale. 
Secondo la migliore dottrina, la territorialit�, nella sua massima estensione concettuale, 
significa essenzialmente tre cose: a) che le condizioni in presenza delle quali gli 
interessi in esame sono tutelati da un ordinamento statale devono verificarsi nell�ambito 
dello Stato (territorialit� del fatto costitutivo della tutela); b) che i fatti impeditivi della costituzione 
della tutela o estintivi della tutela devono verificarsi nell�ambito di un medesimo territorio 
(territorialit� dei fatti impeditivi ed estintivi della tutela); c) che sono rilevanti, e 
quindi sanzionati, i fatti lesivi degli interessi tutelati solo se si verifichino nel territorio dello 
Stato in osservazione (territorialit� dell�illecito). La territorialit� � una nozione di diritto 
sostanziale che per� si riferisce anche alle norme vigenti in un certo Stato che siano preordinate, 
non gi� a proteggere o a reprimere determinati comportamenti (com�� proprio delle 
norme finali), ma a prescegliere la regola di protezione o di repressione quando insorga una 

DOTTRINA 203 

nazionali. Ne consegue che, ogni violazione o richiesta di revoca, va denunciata 
presso i tribunali nazionali di ciascuno dei paesi per i quali � stato concesso 
il Brevetto Europeo. La mancanza di una Corte comune, perci�, comporta 
il rischio che i tribunali competenti dei vari stati membri emettano sentenze 
contradditorie. 

La Convenzione per i Brevetti Comunitari ha lo scopo di unificare le 
protezioni nazionali e creare un Brevetto Europeo comunitario. Tuttavia, n� 
la Convenzione Brevetti della Comunit� n� l�Accordo dell�89 sono ancora 
entrati in vigore, dato che non tutti gli stati firmatari hanno ratificato (16). 

In ambito internazionale, un ruolo centrale � svolto dall�Organizzazione 
Mondiale della Propriet� Intellettuale (ONMI o WIPO), con sede a Ginevra, 
organismo istituito con la Convenzione del 14 aprile del 1967 (17) e deputato 
ad operare in un quadro di strumenti preesistenti, i pi� importanti dei quali 
sono: la Convenzione d�Unione di Parigi (CUP) (18) per la protezione della 
propriet� industriale, risalente al 1883; la Convenzione d�Unione di Berna 

lite che non sia in tutti i suoi elementi (contendenti e materia contesa) collocata nel territorio 
di un dato Stato e, quindi, si profili un conflitto tra le regole applicabili. In questo secondo 
caso la territorialit� si atteggia come nozione di diritto internazionale privato e pu� compendiare 
sia le regole di conflitto tra leggi, sia le regole sulla condizione giuridica degli stranieri. 
A quest�accezione della territorialit� deve ricondursi la recente riforma del diritto 
internazionale privato attuata con la legge n. 218/95, secondo cui �I diritti su beni immateriali 
sono regolati dalla legge dello Stato di utilizzazione�. Ci� significa che la tutela del 
diritto d�esclusiva, che si costituisce in capo al soggetto mediante il rilascio del brevetto, va 
ricondotta alla competenza della legge che accorda il titolo concessorio, e che tale legge ha 
carattere dell�esclusivit�, non potendo l�autorit� pubblica tollerare che il rapporto di cui essa 
� parte possa essere disciplinato da norma diversa da quella nazionale, appunto di applicazione 
necessaria. A tale regime territoriale � subordinata anche la disciplina inerente al contenuto 
dei diritti (�patrimoniali� e �morali�) sui beni immateriali, il loro modo d�esercizio, 
i loro limiti e, dunque, anche la durata, fatto salvo l�obbligo di recepire il contenuto degli 
accordi internazionali ratificati che dettino in proposito norme uniformi. 

(16) Occorre precisare che non tutte le creazioni intellettuali riconducibili al campo 
della propriet� industriale possono servirsi della protezione assicurata dal brevetto. 
Certamente brevettabili sono le invenzioni e i modelli industriali. Il marchio, invece, ad 
esempio, non � pi� brevettabile dopo la novella di cui al D.Lgs. n. 480/92, che ha recepito 
la direttiva comunitaria n. 89 /104. Secondo la nuova terminologia adottata, il marchio che 
si voglia proteggere con diritto d�esclusiva non si brevetta pi�: ora, si registra. Le altre creazioni 
intellettuali � c.d. opere dell�ingegno � sfuggono al campo della propriet� industriale 
e sono garantite dal diritto d�autore. 
(17) Ratificata dall�Italia con legge n. 424/76. 
(18) Un nodo importante nella revisione della Convenzione di Unione � stato rappresentato 
dall�ipotesi di un abbassamento del livello di protezione minima internazionale delle 
invenzioni, che si verificherebbe qualora si ampliasse la discrezionalit� degli stati in materia 
di concessione di licenze obbligatorie, anche dotate di esclusiva, e si consentisse agli 
stessi di far uso dell�invenzione o di autorizzare i terzi a farne uso senza il consenso del titolare 
del brevetto, ove ricorrano motivi di pubblico interesse. Di segno contrario, cio� mirante 
all�innalzamento della protezione dei brevetti � un altro negoziato, l�Uruguay Round del 
GATT (Cfr. M. CORDA, voce Brevetti, cit., p. 4). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

per la protezione delle opere letterarie ed artistiche (CUB), del 1886; 
l�Arrangement di Madrid per la Registrazione Internazionale dei Marchi del 
1891; la Convenzione di Monaco del 5/10/1973 sul Brevetto Europeo ed il 
Patent Cooperation Treaty adottato a Washington nel 1979. 

Il numero degli Stati aderenti all�OMPI che ritengono necessario considerare 
omogenee � e quindi da assoggettare ad un regime normativo e amministrativo 
internazionale � le materie afferenti alla �propriet� intellettuale�(
19), si � ampliato per effetto di un successivo trattato internazionale che 
ha inserito la propriet� intellettuale tra i temi necessari alla creazione di un 
regime mondiale del commercio. 

Il trattato in questione, firmato il 15 aprile del 1994 dagli stati membri 
dell�Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), a Marrakech, ed 
attuato in Italia con il D.Lgs. n. 198/96, prende il nome di TRIP�S (Trade 
Related Intellectual Property Rights). Promuove l�uniformazione delle singole 
legislazioni nazionali in materia di propriet� intellettuale al diritto dei 
brevetti statunitense e sostanzialmente copre tutto ci� che � commerciabile. 

Il suo aspetto economicamente pi� rilevante e allo stesso tempo pi� controverso, 
� quello che riguarda i diritti di propriet� intellettuale sulle risorse 
genetiche. 

In pratica, attraverso l�accordo TRIP�s, tutti i paesi firmatari sono stati 
persuasi ad accettare una miscellanea di brevetti biotech che permettono la 
privatizzazione e la concentrazione, nelle mani di poche societ� transnazionali 
tecnologicamente attrezzate, di geni, linee cellulari, organismi e processi 
vitali propri di specie vegetali, animali e dell�uomo. 

Ci� � potuto accadere perch� sin dagli anni �80, gli Stati Uniti hanno 
adottato una nuova concezione di �merce� che considera la �vita� come 
�risorsa biologica e genetica�. 

Per la prima volta nella storia, infatti, con la sentenza pronunciata dalla 
Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso Chachkrabharti\PTO, � stato affermato 
il principio della brevettabilit� degli organismi viventi (ancorch�, nel caso 
specifico, si trattasse di un microrganismo geneticamente manipolato) (20). 

Dopo soli 7 anni il Patent and Trademark Office (PTO), sino ad allora 
critico acerrimo della sentenza, mut� indirizzo emanando un decreto che 
considerava i componenti delle creature viventi (geni, cromosomi, cellule e 
tessuti) brevettabili e tutelabili come propriet� intellettuale in favore di 

(19) Art. 2 VIII Convenzione OMPI: �les droits relatifs: � aux oeuvres litt�raires, artistiques 
et scientifiques, � aux interpr�tations des artistes interpr�tes et aux ex�cutions des 
artistes ex�cutants, aux phonogrammes et aux emissions de radiodiffusion, � aux inventions 
dans tous les domaines de l�activit� humaine, � aux d�couvertes scientifiques, � aux dessins 
et mod�les industriels, � aux marques de fabrique, de commerce et de service, ainsi 
qu�aux noms commerciaux et d�nominations commerciales,� � la protection contre la concurrence 
d�loyale, et tous les autres drots aff�rents � l�activit� intellectuelle dans les domaines 
industriel, scientifique, litt�raire et artistique�. 
(20) Cfr. sub nota n. 1. 

DOTTRINA 205 

chiunque ne avesse isolato per primo le propriet�, descritto le funzioni, ovvero 
individuate le applicazioni commerciali utili (21). 

Prima della rivoluzionaria sentenza del 1980, solo le invenzioni rispondenti 
a certi requisiti, non gi� le scoperte, potevano essere brevettate. 

Ad esempio, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di dichiarare proprio, 
con diritto ventennale d�esclusiva, un elemento chimico scoperto in natura. 

Infatti, nel 1928, al gruppo di scienziati che aveva scoperto e per primo 
purificato il tungsteno, fu negato il brevetto con la motivazione che tale elemento 
era sempre esistito e perci� una semplice scoperta naturale non poteva 
essere considerata �invenzione�. 

Una volta acquisita consapevolezza di quanto stava divenendo possibile 
a seguito dell�accordo TRIP�s, l�opinione pubblica mondiale, sorretta dalle 
perplessit� avanzate dagli ambienti scientifici pi� responsabili, ha sollevato 
la questione dei rischi connessi dell�impiego delle biotecnologie e contrastato 
con fermezza i fondamenti dell�accordo sulla propriet� intellettuale, esponendone 
gli intenti predatori soprattutto ai danni del Sud del pianeta. 

In ogni caso, quanto sin qui riportato mostra essenzialmente il fatto 
incontrovertibile che i governi di tutti gli Stati sono stati spinti ad accettare 
l�accordo TRIP�s sui brevetti biotech prima che fosse possibile averne chiare 
le implicazioni scientifiche ed etiche. 

Tanto ci� � vero che, solo pochi anni pi� tardi, a Nairobi, oltre 100 nazioni 
hanno ratificato il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza (22), un atto 
che impone ai governi la massima precauzione quale principio guida in 
materia di biotecnologie. 

Allo stato attuale, alcuni geni e cellule dell�uomo, cos� come quelli d�altre 
creature e di quasi tutte le piante, sono gi� stati brevettati e gli osservatori prevedono 
che, in meno di 25 anni, gran parte del patrimonio genetico comune, 
eredit� di milioni d�anni d�evoluzione di tutte le specie terrestri, sar� stata isolata, 
identificata e posta sotto il controllo esclusivo, come forma di propriet� 
intellettuale, di uno sparuto gruppo di multinazionali della biologia.

� gi� accaduto che le aziende di settore che controllano la produzione 
agricola mondiale di sementi strategiche (soya, mais, cotone e riso, ad esempio) 
si siano trasformate da �venditori� in �fornitori�, mentre gli agricoltori 
sono diventati �utenti�, costretti ogni anno a riacquistare il �diritto d�accesso� 
al germe della vita. 

Esame a parte e ben altro spazio, infine, meriterebbe l�iter che ha portato 
allo stravolgimento del diritto fondamentale alla propriet� assoluta del 
proprio corpo e la conseguente attribuzione al mercato del potere di espropriarlo. 
Una sentenza pronunciata in California nel 1990, ha stabilito il precedente 
giurisprudenziale per la definizione di ci� che pu� o non pu� essere 

(21) Il decreto Animals patentability, adottato dal U.S. Patents and Trademark Office 
(PTO) Washington, D.C., U.S Government Printing Office, 7 aprile 1987. 
(22) Firmato a Montreal il 29 gennaio 2000, ratificato dall�Italia con legge 15 gennaio 
2004, n. 27, in G.U. 4 febbraio 2004 n. 28. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

reclamato come diritto di propriet� su s� stesso, in un essere umano (cfr. il 
gi� citato caso Moore/UCLA, sub nota n. 1) (23). 

Quanto alla razzia perpetrata ai danni della biodiversit� (23bis) e del 
sapere tradizionale delle collettivit� collegato alle risorse genetiche � giustamente 
bollata come �biopirateria�� vi � un aspetto particolarmente inquietante, 
desumibile dalla inversione logica che lo caratterizza. Se il brevetto, 
infatti, ha storicamente avuto la funzione di proteggere il sapere individuale 
per renderlo di pubblico dominio al fine di soddisfare interessi generali, l�ottenimento 
di brevetti sul sapere tradizionale collegato a risorse genetiche pu� 
essere visto come un atto di rimozione di un sapere gi� di dominio pubblico,
al fine di asservirlo al dominio privato per un beneficio privato. � gi� accaduto 
che societ� detentrici di brevetto abbiano sfidato la distribuzione di prodotti 
da sempre sul mercato (es., il caso dei fagioli gialli), sottraendo di fatto 
l�accesso al libero uso di risorse da parte delle comunit� e dei singoli individui 
che ne fanno parte (23ter).

� da auspicarsi che un ripensamento generale della materia su scala 
internazionale riporti chiarezza, ordine ed equit�. 

5. Il potere ablativo della P.A. L�espropriazione per pubblica utilit� in materia 
di propriet� intellettuale prima del T.U. 327/2001 e successive modificazioni. 
Nel nostro ordinamento giuridico, il fondamento del potere ablativo 
della P.A. va ricercato nell�ambito dell�art. 42 3�c. della Costituzione, che 
prevede la possibilit� d�espropriazione della propriet� privata per motivi 
d�interesse generale �nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo�. 

L�orientamento prescelto dai nostri padri Costituenti diverge da quello 
incorporato nello Statuto Albertino che, mentre da un lato dichiarava inviolabile 
il diritto di propriet�, dall�altro � dato il carattere di flessibilit� della 
Carta � lo rendeva di fatto derogabile mediante l�adozione di leggi ordinarie 
che potevano limitare o sottrarre l�indennizzo. 

L�attuale precetto costituzionale, invece, impone che la determinazione 
dei modi d�acquisto, di godimento e dei limiti, che connotano l�istituto della 
propriet� privata nell�ordinamento vigente, non possa violare la garanzia 
accordata dalla Costituzione al diritto in parola sopprimendolo (ovvero 
negando e comprimendone singole facolt�) senza indennizzo. 

La logica dell�impianto impone di considerare che la violazione della 
garanzia sussisterebbe non solo nei casi in cui fosse posta in essere la traslazione 
totale o parziale del diritto, ma anche nei casi in cui, pur restandone 

(23) Cfr. sub nota n. 1. 
(23bis) Per la definizione di biodiversit� secondo la Convenzione sulla diversit� 
Biologica, cfr. nota n. 29. 
(23ter) Cos� KARL MUTTER in Traditional Knowledge related to genetic resources and 
its intellectual protection in Colombia, in European Intellectual Property Review, n. 9 del 
2005, p. 329. 


DOTTRINA 207 

intatta la titolarit�, il diritto di propriet� venisse annullato o menomato senza 
indennizzo. 

In proposito, meritano di essere ricordate alcune storiche sentenze emanate 
dalla Corte Costituzionale (cfr. la sent. n. 55 /68). 

Pure la Corte di Giustizia delle Comunit� Europee ha pi� volte appuntato 
la propria attenzione sull�istituto espropriativo, affermando che il diritto di 
propriet� rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali costituenti parte 
essenziale dei �principi generali del diritto comunitario�. 

La questione dell�indennizzo, tuttavia, rimane il vero punto cruciale 
delle controversie in materia. 

Tra i provvedimenti ablatori che limitano negativamente la sfera giuridica 
del destinatario e che possono incidere su diritti reali, personali, o su 
obblighi a rilevanza patrimoniale, sono comprese le espropriazioni, le occupazioni, 
le requisizioni, le confische ed i sequestri. 

Ai fini che qui interessano, tuttavia, ci limiteremo ad occuparci dell�espropriazione. 


L�espropriazione � il provvedimento che ha l�effetto di costituire un 
diritto di propriet� o altro diritto reale in capo al soggetto espropriante, previa 
estinzione del diritto in capo all�espropriato, al fine di consentire la realizzazione 
di un�opera pubblica o per altri motivi di pubblico interesse, dietro 
versamento di un indennizzo riconosciuto come indefettibile dall�art. 42, 
2� comma, della Costituzione. 

L�espropriazione deve avere, come presupposto legittimante la sua adozione, 
�l�interesse generale�. Deve escludersi, quindi, non solo che il provvedimento 
ablatorio possa perseguire interessi meramente privati ma occorre, 
inoltre, che esso miri alla soddisfazione d�esigenze concrete ed attuali 
effettivamente rilevanti per la collettivit� (24). 

L�individuazione delle esigenze che danno contenuto all�interesse generale 
pu� rinvenirsi nella stessa legge che prevede la potest� ablatoria (25), 
oppure pu� trovarsi definita come fattispecie astratta (clausola generale) che 
poi impone l�individuazione, nella fase applicativa, dei concreti motivi d�interesse 
generale. 

In ogni caso, � necessario che, secondo un criterio di ragionevolezza, sia 
identificabile una plausibile idoneit� del mezzo a perseguire il fine, in altri 
termini, un�apprezzabile proporzionalit� tra l�interesse da tutelarsi per 
mezzo dello strumento prescelto ed il sacrificio imposto al privato. 

6. L�espropriazione per pubblica utilit� dopo la novella di cui al T.U. 
327/2001 e successive modificazioni 
Recentemente, l�entrata in vigore del testo unico sull�espropriazione per 
pubblica utilit�, emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 

(24) Corte Cost. sent. n. 95/66. 
(25) Corte Cost., sent. n. 155/ 95. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

327 dell�8 giugno 2001 e successivamente modificato con il D.Lgs. 
302/2002, ha significativamente innovato il regime giuridico dell�istituto. 

Dietro incarico governativo, il Consiglio di Stato ha predisposto la 
nuova impalcatura normativa in materia d�espropriazione, selezionando e 
riorganizzando il quadro preesistente. 

In considerazione della natura del redigendo Testo Unico sull�esproprio, 
il Consiglio di Stato ha predisposto l�articolato in coerenza con la distinzione 
tra norme procedimentali, che continuano ad avere valore regolamentare, 
e norme sostanziali, con forza di legge, di talch� il risultato finale � uno strumento 
normativo che si �caratterizza per la coesistenza di una parte legislativa 
ed una regolamentare, che restano diverse sotto il profilo sostanziale nel 
sistema della gerarchia delle fonti� (26). 

Nel T.U. sono state inserite le norme di natura urbanistica direttamente 
incidenti sul procedimento, per armonizzarle con i principi affermati dalla 
Corte Costituzionale. 

Quanto ai profili sostanziali della materia espropriativa, in particolare 
con riferimento ai criteri di computo dell�indennit�, se n�� razionalizzato 
l�assetto positivo, anche se in modo non totalmente compiuto. 

Il risultato forse pi� rilevante � che, con il testo unico ora in vigore, � 
stato previsto un solo �tipo� di procedimento espropriativo ed � stata conseguentemente 
decisa l�eliminazione della pluralit� di modelli espropriativi 
previgenti, che contrastavano tra loro perch� adottati in tempi diversi e con 
norme diverse mai coordinate. 

Trattandosi di un testo unico che dovrebbe contemplare ogni possibile 
ipotesi normativa collegata a tale istituto, � sorto il dubbio se la materia dell�espropriazione 
della propriet� industriale rientri o meno nella novella. 

La risposta si trova nella gi� citata Relazione Illustrativa, dove il 
Consiglio di Stato afferma testualmente che �il riferimento ad un testo unico 
della materia �urbanistica ed espropriazione�, nell�allegato 3 della legge n. 
50 del 1999, ha indotto a redigere l�articolato con riferimento ai soli fenomeni 
espropriativi di matrice urbanistica (ossia le espropriazioni immobiliari 
strumentali alla realizzazione d�interventi ed opere di pubblica utilit�), con 
esclusione delle espropriazioni di beni mobili o non riguardanti la trasformazione 
del territorio� (27). 

Sembra doversi escludere con sufficiente grado di certezza, quindi, che la 
materia delle espropriazioni aventi ad oggetto opere dell�ingegno sia da ricondursi 
sotto al regime normativo di cui al testo unico sin qui considerato. 

Ai fini che qui rilevano, conviene aggiungere una breve osservazione. 
L�art. 4, comma 5� ha previsto un ampio rinvio a tutte le norme internazionali, 
consuetudinarie e pattizie in cui l�Italia intervenga, che eventualmente 

(26) Relazione illustrativa al T.U. predisposto ex art. 5 legge n. 50/99, delle disposizioni 
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilit�, 
Ad. Generale, Parere 29 marzo 2001 n. 4/2001 Prot. Norm. n. 124/2000; Gab. n. 4/2001 

(27) Ibid. 

DOTTRINA 209 

disciplinino l�espropriazione. In tali ipotesi � riconosciuto il primato del 
diritto internazionale. 

Il rinvio operato, ha carattere di rinvio mobile a tutte le disposizioni presenti 
e future in materia espropriativa: una norma di self-restraint dell�ordinamento 
nazionale rispetto a quello internazionale. 

L�espropriazione della propriet� intellettuale per il momento �, e tale 
rimane anche dopo l�entrata in vigore del T.U. sulle espropriazioni, un istituto 
disciplinato specificamente ed espressamente dal Codice della Propriet� 
Industriale ex D.Lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005, agli artt. 141 e segg. 

L�art. 141 del citato Codice della Propriet� Industriale, infatti, cos� 
testualmente recita: 

1. Con esclusione dei diritti sui marchi, i diritti di propriet� industriale, 
ancorch� in corso di registrazione o di brevettazione, possono essere espropriati 
dallo Stato nell�interesse della difesa militare del Paese o per altre 
ragioni di pubblica utilit�. 
2. L�espropriazione pu� essere limitata al diritto d�uso per i bisogni 
dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie, in 
quanto compatibili. 
3. Con l�espropriazione anzidetta, quando si effettua nell�interesse della 
difesa militare del Paese e riguardi titoli di propriet� industriale di titolari 
italiani, � trasferito all�Amministrazione espropriante anche il diritto di 
chiedere titoli della propriet� industriale all�estero. 
La norma disciplina il ricorso alla procedura ablatoria dei diritti inerenti 
ai titoli di propriet� industriale, marchio escluso, per ragioni d�interesse 
militare o di pubblica utilit�. 

L�espropriazione pu� avere ad oggetto il diritto nel suo complesso o 
limitarsi al diritto all�uso dell�invenzione per i bisogni dello Stato. 

Nel caso d�esproprio prima della presentazione della domanda di concessione, 
il provvedimento determina il trasferimento coattivo del diritto di 
brevetto. 

Il successivo art. 142, precisa i termini procedimentali dell�intervento 
prescrivendo che: 

1. L�espropriazione viene disposta per decreto del Presidente della 
Repubblica su proposta del Ministro competente, di concerto con i Ministri 
delle attivit� produttive, sentito il Consiglio dei Ministri, se il provvedimento 
interessa la difesa militare del Paese o, negli altri casi, la Commissione 
dei Ricorsi. 
2. Il decreto d�espropriazione nell�interesse della difesa militare del 
Paese, quando viene emanato prima della stampa dell�attestato di brevettazione 
o di registrazione, pu� contenere l�obbligo e stabilire la durata del 
segreto sull�oggetto del titolo di propriet� industriale. 
3. La violazione del segreto � punita ai sensi dell�art. 262 del codice 
penale. 
4. Nel decreto d�espropriazione � fissata l�indennit� spettante al titolare 
del diritto di propriet� industriale, determinata sulla base del valore di mercato 
dell�invenzione, sentita la Commissione dei Ricorsi. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

5. Contro i decreti d�espropriazione per causa di pubblica utilit� � 
ammesso ricorso al Tribunale Amministrativo regionale competente per territorio, 
il quale provvede con giurisdizione esclusiva e con applicazione del 
rito speciale di cui all�art. 23 bis, legge 6 dicembre 1971, n. 1034. 
Sotto l�egida del codice della propriet� industriale previgente, una norma 
di tenore simile ha avuto sporadiche applicazioni (28). 

Come espressamente previsto nel testo, l�Autorit� titolare del potere di 
proporre l�intervento espropriativo � nel caso in cui l�invenzione sia d�interesse 
per la difesa militare del paese � � il Ministro competente per materia, 
di concerto con i Ministri per le Attivit� Produttive, Commercio e Finanze e 
sentito il Consiglio dei Ministri, ovvero sentita la Commissione dei Ricorsi 
negli altri casi. 

Il Presidente della Repubblica, invece, interviene a disporre l�espropriazione 
per decreto. 

Non sembra siano contemplate ipotesi di delega delle funzioni alle 
Regioni o ad altri Enti locali. 

L�esproprio, come gi� accennato, pu� riguardare l�esclusiva nel suo 
complesso o il diritto d�uso nell�interesse dello Stato, caso quest�ultimo, che 
permetterebbe al privato di mantenere concomitanti diritti. 

In ipotesi d�esproprio per causa di pubblica utilit�, il diritto del titolare 
degrada ad interesse legittimo sotto il profilo dell�interesse al corretto esercizio 
del potere d�esproprio e rimane diritto soggettivo per quanto riguarda 
la misura dell�indennit�. 

L�art. 142 del testo unico vigente innova in modo sostanziale rispetto al 
passato, in quanto l�indennit� � determinata in ogni caso nel decreto d�espropriazione 
mentre nel precedente sistema poteva essere fissata anche in un 
secondo momento. Inoltre, il suo ammontare � agganciato alla logica dei 
prezzi di mercato, anche se non � indicato alcun parametro specifico per stimare 
il valore dell�invenzione. 

Per quanto attiene alla tutela giurisdizionale, prima della riforma del processo 
amministrativo la materia costituiva riserva di giurisdizione esclusiva 
del T.A.R. territorialmente competente ed era assoggettata al rito speciale di 
cui all�art. 23 bis, legge 6 dicembre 1971, n. 1034. 

La nuova legge sul processo � art. 34 del D.Lgs. 80/98 � ha mantenuto 
l�originaria giurisdizione esclusiva del T.A.R. nelle controversie contro 
provvedimenti e comportamenti della P.A. che riguardano il procedimento 
espropriativo, mentre, in materia di opposizione alla stima per l�indennit�, � 
confermata la giurisdizione del giudice ordinario (art. 34 u.c.). 

(28) Si pu� solo ricordare il caso HAG deciso dalla Corte di Giustizia, o il caso del 
marchio Sidol, gestito da una societ� italiana il cui capitale fu sequestrato ed espropriato alla 
fine della seconda guerra mondiale dal Comitato Internazionale di liquidazione dei beni 
tedeschi in Italia (il resoconto storico � reperibile in Trib. Milano sent. 663/94 del 16 dicembre 
1993) cos� riportato in M. SCUFFI, M. FRANZOSI, A. FITANTE Il codice della propriet� 
industriale, Padova, Cedam, 2005, p. 679. 

DOTTRINA 211 

Infine, l�art. 143, disciplina le vicende relative all�indennit� d�esproprio 
come segue: 

1. Ove il titolare dell�indennit� non accetti l�indennit� fissata ai sensi 
dell�art. 142 ed in mancanza d�accordo fra il titolare e l�Amministrazione 
procedente, l�indennit� � determinata da un collegio d�arbitratori. 
2. All�inventore o all�autore, il quale provi d�aver perduto il diritto di 
priorit� all�estero per il ritardo della decisione negativa del Ministero in 
merito all�espropriazione, � concesso un equo indennizzo, osservate le 
norme relative all�indennit� di espropriazione. 
3. I decreti di espropriazione devono essere annotati nel registro dei 
titoli di propriet� industriale a cura dell�Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. 
L�articolo in esame si occupa delle modalit� di determinazione dell�indennit� 
d�esproprio. A differenza di quanto avviene nei casi d�espropriazione 
nell�interesse militare, in mancanza d�accordo, l�indennit� � fissata tramite 
arbitraggio. 

Nel nuovo testo � scomparso ogni riferimento al lodo che evocava la 
figura dell�arbitrato, con ogni conseguente dubbio di costituzionalit� della 
procedura, nella parte che non contemplava la possibilit� di proporre ricorso 
giurisdizionale. Contro la determinazione degli arbitratori, � ammessa impugnazione 
avanti all�A.G.O. 

Date queste premesse di carattere tecnico-giuridico, � necessario spendere 
alcune parole per spiegare l�importanza e l�attualit� che lo strumento 
espropriativo potrebbe rivestire nell�ambito dei diritti di propriet� intellettuale, 
limitandoci a proporre alcune ipotesi apparentemente paradossali ma, di 
fatto, gi� verificatesi in concreto, ad esempio, con i brevetti sul riso basmati, 
sulla curcuma, il neem, i fagioli gialli ecc., cui si rimanda perch� vi si � 
accennato innanzi. 

Ma andiamo oltre con l�immaginazione e supponiamo che una entit� privata 
decida di acquistare i diritti di esclusiva sulla produzione di farmaci salvavita, 
al solo fine di sottrarli alla libera circolazione sul mercato analogamente 
a quanto � gi� accaduto, talvolta, in materia di copyright relativi ad 
opere dell�ingegno ritenute troppo �avanzate� per essere diffuse presso il 
grande pubblico. 

Non si pu� pensare che la nostra civilt� giuridica abbia omesso di indicare 
i mezzi per proteggere i pi� deboli. � di tutta evidenza che debba esistere 
uno strumento giuridico capace di contemperare gli interessi in gioco e di 
contrastare effetti cos� nefasti come quelli appena prospettati. 

Uno degli strumenti possibili a disposizione della Pubblica Amministrazione, 
una volta accertata la sussistenza dell�interesse pubblico specifico, 
concreto ed attuale, ad avviso di chi scrive, pu� essere l�espropriazione. 

7. Conclusioni 
Nell�ordinamento italiano, alla luce di quanto sinora argomentato, � in 
astratto concepibile la possibilit� di ricorrere all�espropriazione per pubblica 
utilit� del brevetto (attualmente, come si � visto, principale protagonista nel 
processo di predazione di risorse che sino a qualche decennio fa erano con



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

siderate patrimonio comune dell�umanit�, ma anche strumento potenziale di 
arbitraria esclusione dall�accesso a beni essenziali per la vita) una volta che 
la Pubblica Amministrazione abbia ritenuto sussistenti le ragioni di pubblica 
utilit� e validamente effettuato il giudizio di comparazione tra l�interesse del 
privato da sacrificare e l�interesse della collettivit�. 

Tuttavia, l�aspettativa che l�Autorit� competente ex lege attivi il potere 
espropriativo nella materia in questione e con le finalit� indicate in premesse, 
� un�ipotesi assai remota. E ci� per due ordini di motivi. 

In primo luogo, lo strumento espropriativo in materia industriale, cos� 
come si connota nel nostro diritto positivo, sembra esser stato concepito per 
mantenere una sorta di privilegio residuale derivato dallo ius principis, che 
riserva all�apparato governativo la facolt� di decidere se rendere o meno 
disponibili al pubblico le �primizie� prodotte dall�ingegno umano. 

A riprova di quanto si assume, � sufficiente considerare che siffatta prerogativa 
non � attribuita alle autonomie locali, cio� agli enti istituzionali tradizionalmente 
pi� prossimi e dunque pi� sensibili ai bisogni reali delle 
comunit� amministrate. 

In secondo luogo, le specifiche Autorit� governative che detengono in 
astratto il potere in questione, oltre ad essere istituzionalmente tenute a curare 
gli interessi di un�industria dal volto sempre pi� transnazionale, sono vieppi� 
dipendenti dalle istituzioni internazionali nate per proteggere il mercato 
e, dunque, rappresentano interessi che spesso contrastano con la pubblica 
utilit� intesa come benessere latu sensu, della collettivit� dei cittadini. 

Sarebbe quindi auspicabile, de iure condendo, che il legislatore italiano, 
riconsiderato l�istituto espropriativo alla luce del nuovo ruolo assunto dalla 
propriet� intellettuale su scala globale, indirizzasse la propria attenzione 
verso la necessit� di estendere il corrispondente potere anche in favore degli 
locali. Ci� consentirebbe, quantomeno, di creare un primo possibile strumento 
di difesa contro atti di �biopirateria� ai danni di beni collettivi riconducibili 
al concetto di �biodiversit��, nell�ampia accezione indicata nella 
Conferenza sull�ambiente di Rio de Janeiro, nel 1992 (29), oltre a contribuire 
all�elevazione della consapevolezza circa il valore delle risorse collettive 
locali e quindi rafforzare il senso di appartenenza di coloro che ne fanno 
parte. Occorre avvertire che il rischio pi� serio tuttavia, data la difficolt� 
della materia, pu� esser costituito dalla mancanza di informazione dei rappresentanti 
delle comunit�, non solo in termini legali, ma anche in termini 
commerciali e tecnici. Sarebbe perci� opportuno creare spazi di condivisione 
del sapere aperti all�interazione pi� vasta e ricca possibile tra enti locali, 
rappresentanti del mondo accademico, esperti indipendenti, ONG, operatori 
che si confrontano ogni giorno con tali nuove problematiche e cittadini. 

(29) �La variabilit� tra tutti gli organismi viventi, inclusi ovviamente, quelli del sottosuolo, 
dell�aria, gli ecosistemi acquatici e terrestri, marini e i complessi ecologici dei quali 
sono parte; questa include la diversit� all�interno di specie, tra specie ed ecosistemi�. 
Dichiarazione di Rio sull�Ambiente e lo Sviluppo del 3-14 giugno 1992. 

DOTTRINA 213 

In questa fase storica in cui l�incertezza sulla nuova fisionomia degli 
Stati nazionali rende difficile tracciare una correlativit� specifica tra apparati 
governativi e garanzie di tutela effettiva dei diritti dei soggetti pi� deboli, 
mi pare che un ruolo attivo molto importante possa essere svolto dalle autonomie 
locali collegate in network l�una con l�altra, s� da raggiungere una 
massa critica capace di esercitare sufficiente pressione sulle istituzioni internazionali 
che maggiormente condizionano l�esercizio della democrazia 
effettiva. In tal modo potrebbero promuovere un miglior equilibrio rispetto 
all�attuale assetto dei poteri contrassegnato dall�egemonia del mercato.

Vorrei concludere con questa considerazione finale. � stato autorevolmente 
affermato che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell�uomo � 
qualcosa di pi� di un sistema dottrinale e un qualcosa di meno rispetto alle 
norme giuridiche: i principi che enuncia si limitano ad esprimere l��ideale 
comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni� (30). 

Un richiamo espresso alle norme giuridiche, tuttavia, esiste. 

Quasi fosse un monito a non dimenticare, infatti, nel Preambolo si legge 
che �� indispensabile che i diritti dell�uomo siano protetti da norme giuridiche, 
se si vuole evitare che l�uomo sia costretto a ricorrere, come ultima 
istanza, alla ribellione contro la tirannia e l�oppressione�. 

Di fronte alle sfide sempre pi� difficili che saremo costretti a fronteggiare, 
cio� alla riduzione delle risorse naturali (31) causata da un modello di sviluppo 
economico non pi� sostenibile, agli squilibri derivanti da una distribuzione 
delle risorse da molti percepita come non equa, al fondamentalismo 
religioso che sembra aver trovato nuova linfa, all�ideologia del terrore che si 
diffonde, penso che la direzione indicata, cio� il rafforzamento della coesione 
sociale nelle comunit� locali, il recupero di modelli economici meno 
aggressivi, lo stretto collegamento cooperativo tra le comunit� locali e l�avvio 
di un processo che dia voce e dignit� istituzionale alle stesse comunit� 
sul piano internazionale, sia quanto di pi� auspicabile. 

(30) Cos� N. BOBBIO, Presente e avvenire dei Diritti dell�Uomo, in La comunit� internazionale, 
XXIII, 1968, pp. 3-18. 
(31) Millennium Ecosystem Assessment: Synthesis Report, marzo 2005 (FAO e WWF 
su incarico ONU): �Siamo in bancarotta ecologica e i primi beni iniziano a essere pignorati: 
negli ultimi 25 anni abbiamo visto scomparire una foresta di mangrovia su tre e una barriera 
corallina su cinque; due ecosistemi su tre mostrano segni di declino; il 25 per cento dei 
mammiferi, il 12 per cento degli uccelli e il 32 per cento degli anfibi sono a rischio di estinzione
�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Le cartolarizzazioni immobiliari: 
profili giuridici 

di Xavier Santiapichi (*) 

DEFINIZIONI E QUADRO NORMATIVO NAZIONALE DI RIFERIMENTO 

Scopo di questo breve scritto � l�illustrazione del fenomeno delle cartolarizzazioni 
immobiliari (1); operazioni finalizzate all�accelerazione del processo 
di dismissione di patrimoni immobiliari pubblici, attraverso il conferimento 
degli stessi (o dei futuri crediti derivanti dalla loro alienazione) ad una 
societ� veicolo, con l�attribuzione di uno specifico mandato di vendita e l�ordine 
di convertire i crediti derivanti da tale futura cessione in liquidit� immediata, 
attraverso emissioni obbligazionarie o l�assunzione di finanziamenti. 

La cartolarizzazione, o securitization, � una tecnica finanziaria, nata nel 
mondo anglosassone, successivamente importata a livello europeo dalla 
seconda met� degli anni �80, che ha preso avvio anche nel mercato finanziario 
italiano, grazie all�entrata in vigore della legge 30 aprile 1999 n. 130 
Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti. 

Il legislatore non introduce una definizione di �cartolarizzazione� (2): si 
limita piuttosto a descrivere i tratti caratterizzanti che un�iniziativa finanziaria 
deve possedere, affinch� possa essere riconosciuta rilevante ai fini dell�applicazione 
delle disposizioni della legge n. 130/99 (3). 

(*) Avvocato. 

(1) Sulle cartolarizzazioni immobiliari si rinvia, in particolare, a: I. BORRELLO, La cartolarizzazione 
dei proventi delle dismissioni immobiliari, in Giornale di diritto amministrativo 
n. 2/2002; L .CAROTA, Le operazioni di cartolarizzazione relative agli immobili pubblici, 
in Contratto e Impresa 2/2003; R. COLAGRANDE, La dismissione del patrimonio immobiliare 
degli enti previdenziali pubblici, in NLCC 2-3/2002; M. TAMPONI, Cartolarizzazione 
immobiliare e (dubbia) tutela dell�investitore, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 
5/2002; M. RENNA, Privatizzazioni e beni pubblici, in Pubblica amministrazione e privatizzazioni 
dopo gli anni 90, un primo bilancio, a cura di Cammeli-Sciullo, Rimini, 2004. 
(2) Pi� in generale sulla cartolarizzazione si rinvia a: V. TROIANO, Le operazioni di cartolarizzazione, 
Padova, 2003; G. FAUCEGLIA, La cartolarizzazione dei crediti: commento alla 
legge n. 130 del 1999, Torino, 2002; A. GIANNELLI, La societ� per la cartolarizzazione dei crediti: 
questioni regolamentari e profili di diritto societario e dell�impresa, in Rivista delle societ� 
n. 4/2002; G. GUERRIERI, in Legge 30 aprile 1999 n. 130. Disposizioni sulla cartolarizzazione 
dei crediti. Commentario a cura di A. Maffei Alberti, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 
2000; G. MORBIDELLI, Cartolarizzazione. Aspetti teorici e applicazione pratica, Torino,2002; 
R. PARDOLESI, La cartolarizzazione dei crediti in Italia. Commentario alla legge 30 aprile 
1999 n. 130, Milano, 1999; A. PETRAGLIA, La legge sulla cartolarizzazione dei crediti: brevi 
riflessioni, in Corriere Giuridico, 1999;. C. PROTO, La nuova legge sulla cartolarizzazione dei 
crediti, in Il Fallimento, 1999; C. RUCELLAI, Il disegno di legge sulla cartolarizzazione dei crediti. 
Rischi e opportunit�, in Giurisprudenza Commerciale, 1998/1. 
(3) V. TROIANO, op.cit., p. 54. 

DOTTRINA 215 

Il verbo �cartolarizzare� significa letteralmente trasformare un qualche 
cosa che ha un valore economico � ossia un bene (4) � in un documento che 
ne rappresenta l�effettivo valore monetario (5). Anche l�omologo termine 
anglosassone �securitization� significa, letteralmente, conversione in titoli. 

L�analisi del fenomeno della cartolarizzazione � stato fino ad oggi pressoch� 
interamente focalizzato, da parte della letteratura nazionale, sulla 
disciplina contenuta nella legge 130/99 e, nell�ambito di questa, sulla figura 
portante che essa prevede, articolata sulla cessione dei crediti ad una societ� 
veicolo e sulla emissione di titoli da parte di questa societ�, garantiti dai crediti 
ceduti. La disposizione legislativa nazionale descrive un modello, un 
prototipo normativo, piuttosto flessibile, che lascia all�interprete ampi spazi 
applicativi ed interpretativi ed a questo �prototipo� finiscono per ricollegarsi 
numerose varianti. 

Nell�ambito di questo prototipo normativo si pone la cartolarizzazione 
�pubblica� che, per la verit�, nasce ben prima della disposizione della 130. 
Gi� prima di tale legge il d.l. 28 marzo 1997, n. 79, Misure urgenti per il 
riequilibrio della finanza pubblica, convertito con modificazioni dalla legge 
28 maggio 1997 n. 140, aveva stabilito che le amministrazioni pubbliche 
avrebbero potuto cedere con procedure ad evidenza pubblica i loro crediti, 
esclusi quelli di natura tributaria e contributiva, �a soggetti abilitati all�esercizio 
dell�attivit� di recupero crediti di comprovata affidabilit��. A questa 
disposizione fece seguito il d.l. 2 novembre 1998 n. 378 Restituzione del 
contributo straordinario per l�Europa ed altre disposizioni tributarie urgenti, 
non convertito in legge, cui si aggiunse la legge 23 dicembre 1998, n. 448, 
Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo, ove fu disciplinata 
la cessione e la cartolarizzazione dei crediti contributivi vantati 
dall�INPS, nonch� la cessione e la cartolarizzazione dei crediti d�imposta. 
Per la prima volta il legislatore disciplinava una operazione di cartolarizzazione 
in Italia. 

Successivamente con il d.l. 6 settembre 1999 n. 308 Disposizioni urgenti 
in materia di cessione e cartolarizzazione dei crediti INPS, nonch� di 
societ� per la gestione dei rimborsi, convertito dalla legge 4 novembre 1999 

n. 402, sopravvenne la legge 23 dicembre 1999 n. 488 Disposizioni per la 
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 
2000), che ha attribuito al Ministero del Tesoro, del Bilancio e della 
Programmazione Economica, la facolt� di definire modalit� e tempi di un�operazione 
di cartolarizzazione dei crediti di locazione degli immobili di propriet� 
degli enti previdenziali pubblici. 
La legge 23 dicembre 2000 n. 388 Disposizioni per la formazione del 
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2001) ha rifor


(4) Il codice civile definisce beni le cose che possono formare oggetto di diritti (art 
810). I diritti di credito sono anch�essi beni (art. 812) ed in particolare beni mobili (art 813). 
(5) G. MORBIDELLI, op. cit., p. 25. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

mulato l�art. 15 della richiamata legge. n. 448/98, relativo alla cartolarizzazione 
dei crediti d�imposta e contributivi maturati e maturandi dallo Stato e 
dagli Enti pubblici previdenziali. 

Il d.l. 25 settembre 2001 n. 351 Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione 
e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo 
dei fondi comuni di investimento immobiliare, convertito con modificazioni 
dalla legge 23 novembre 2001 n. 410 (recentemente modificata con la 
legge 24 novembre 2003 n. 326 Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo 
e per la correzione dell�andamento dei conti pubblici), ha dettato regole 
per la cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio 
immobiliare dello Stato e di altri enti pubblici. Alcune modifiche al sistema 
sono state poi introdotte dal d.l. 15 aprile 2002 n. 63 Disposizioni finanziarie 
e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema 
di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti 
comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e 
finanziamento delle infrastrutture, convertito con la legge 15 giugno 2002 n. 
112 che ha istituito la �Patrimonio dello Stato S. p. a.� e dalla legge finanziaria 
2003 (Legge 289/2002). 

I diversi interventi legislativi in materia di cartolarizzazione �pubblica� 
hanno di fatto generato un istituto peculiare, riconducibile in prevalenza ad 
una operazione di securitization con a monte la garanzia indiretta derivante 
da un bene immobile, dalla sua futura vendita o dai proventi derivanti dalla 
sua locazione. 

LA LEGISLAZIONE REGIONALE 

La Legge Finanziaria 2003 (6) ha esteso alle regioni, province, comuni, 
nonch� ai loro enti strumentali, alle aziende sanitarie ed ospedaliere, la facolt� 
di effettuare operazioni di cartolarizzazione dei proventi conseguenti alla 
vendita di beni immobili degli enti stessi. 

Per la verit� tale norma estende ai citati enti la disciplina che, per gli 
immobili dello Stato, era gi� stata introdotta con il d.l. 351/01. 

L�art. 84 della Legge n. 289/2002, richiamando espressamente alcune 
previsioni del d.l. n. 351/01, delinea � seppure con i necessari adeguamenti 
connessi alla diversa natura degli enti coinvolti � il seguente sistema. 

Con apposite delibere dell�organo competente degli enti proprietari vengono 
individuati i beni immobili suscettibili di dismissione (7). In questo c�� 

(6) La legge 27 dicembre 2002 n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato, all�art. 84/1, Privatizzazione del patrimonio immobiliare 
delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, dispone che le regioni, le province, 
i comuni e gli altri enti locali sono autorizzati a costituire o a promuovere la costituzione, 
anche attraverso soggetti terzi, di pi� societ� a responsabilit� limitata con capitale iniziale 
di 10.000 euro, aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o pi� operazioni di cartolarizzazione 
dei proventi derivanti dalla dismissione dei rispettivi patrimoni immobiliari. 
(7) Art. 84, commi 3 e 4, della legge finanziaria 2003. 

DOTTRINA 217 

la prima rilevante differenza con la disciplina di cui al d.l. n. 351/01; mentre 
in quel caso l�inclusione dei beni nei decreti ministeriali di cui al comma 1 
dell�art. 3 del d.l. n. 351/01 produce il passaggio dei beni stessi al patrimonio 
disponibile, l�inclusione dei beni nelle delibere degli organi degli enti 
locali �non modifica il regime giuridico previsto dagli artt. 823 e 829, primo 
comma, del codice civile, dei beni demaniali trasferiti�. Ci� crea alcuni problemi 
interpretativi, almeno per alcune tipologie di beni. Infatti, qualora tali 
beni siano di propriet� di enti locali, da un lato sar� necessario � ai sensi del 
disposto dell�art. 829, comma 1, cod. civ. � attendere la dichiarazione di 
�sdemanializzazione� (ove necessaria) da parte della competente autorit� e 
la sua pubblicazione sulla G.U.; dall�altro si pone il dubbio circa la portata 
del richiamo all�art. 823 cod. civ. (in particolare, quindi, con riguardo all�inalienabilit� 
di tali beni), visto che per tali stessi beni si prevede esplicitamente 
il loro trasferimento a societ� ed addirittura la possibilit� che essi 
costituiscano una forma di garanzia di diritto di credito. Un ulteriore dubbio 
sorge dal contenuto del comma 5 del citato art. 84 che prevede la possibile 
cessione senza la preventiva autorizzazione del Ministro per i Beni e le 
Attivit� Culturali per i beni appartenenti al cosiddetto demanio culturale; ma 
c�� da chiedersi se sia possibile la loro cessione. 

La fase pi� delicata della dismissione � rappresentata dalla costituzione 
della societ� veicolo, che acquista il patrimonio da destinare alla successiva 
collocazione sul mercato. Le societ�, la cui natura giuridica � di societ� a 
responsabilit� limitata, con capitale non inferiore a 10 mila euro, possono 
essere costituite o promosse da regioni, province, comuni ed altri enti locali. 
L�oggetto sociale sar� ovviamente la cartolarizzazione dei proventi derivanti 
dalla dismissione del loro patrimonio immobiliare. 

Il quadro complessivo della legislazione in materia di cartolarizzazione 
pubblica non pu� dirsi completo sin tanto che non si sono esposte � seppur 
assai sinteticamente � anche le relative disposizioni regionali. 

Le stesse ragioni che hanno indotto il Governo nazionale ad assumere 
provvedimenti per accellerare il processo di dismissione del patrimonio 
immobiliare e � prima ancora � per generare immediati flussi di cassa, hanno 
spinto le regioni a legiferare in materia. Il �Patto di stabilit� interno� ha 
sostanzialmente obbligato la P.a. ad incidere il meno possibile sul livello di 
indebitamento; per il raggiungimento di tale obiettivo le amministrazioni 
regionali hanno realizzato o hanno in corso di studio e attuazione progetti di 
valorizzazione del proprio patrimonio immobiliare. 

In particolare gli enti territoriali hanno seguito ben presto l�esempio fornito 
dallo Stato in tema di securitization, anche se, relativamente alle cartolarizzazioni 
immobiliari, esisteva qualche difficolt� dovuta alla particolarit� 
della legge 410, modellata sulle esigenze delle amministrazioni centrali. 

La legge 289/02 ha previsto all�art. 84 la sostanziale estensione del 
modello di cui al d.l. 351/01 per operazioni della specie poste in essere da 
parte di regioni, province, comuni, altri enti territoriali. 

La legge 289/02 (art. 84) ha infatti esplicitamente autorizzato regioni, 
province e comuni a promuovere la costituzione di s.r.l. aventi ad oggetto 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

esclusivo la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione dei proventi 
derivanti dalla dismissione dei rispettivi patrimoni immobiliari. 

Con la stessa legge � stata prevista l�estensione dei principi della l. 
410/01 anche agli enti territoriali. 

Attualmente sono nove le regioni che si sono dotate di alcune norme di 
recepimento di tale materia, e pi� precisamente, il Lazio (L.R. 18/94 e successive 
mod.), la Puglia (L.R. 27/95), l�Emilia Romagna (L.R. 10/00), il 
Friuli Venezia Giulia (L.R. 3/02), il Molise (L.R. 7/02), l�Abruzzo (L.R. 
7/03), la Sicilia (L.R. 4/03), la Liguria (L.R. 7/04), ed il Veneto (L.R. 5/04). 
Recentemente la provincia Autonoma di Trento ha approvato una legge provinciale 
(Legge Provinciale 23 novembre 2004 n. 9, Disposizioni in materia 
di programmazione, di contabilit� e di usi civici) in cui ha disposto la dismissione 
del proprio patrimonio immobiliare attraverso operazioni di cartolarizzazione, 
conformemente a quanto previsto dall�art. 84 della legge 289/02 
(art. 31bis l. p. n. 7/79 mod. l. p. n. 9/04). 

Di seguito verranno riportate le norme regionali che si sono occupate di 
cartolarizzazione immobiliare, considerando che spesso si � trattato di un 
mero richiamo alla normativa statale di riferimento. 

Lazio 

La Regione Lazio � stata la prima regione italiana a condurre un�operazione 
di dismissione di immobili delle Asl, facendo ricorso ad un�operazione 
di cartolarizzazione. 

La L.R. n. 18 del 16 giugno 1994 �Disposizioni per il riordino del servizio 
sanitario regionale ai sensi del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive 
modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unit� sanitarie locali e 
delle aziende ospedaliere�, all�art. 24, ha disposto che i beni trasferiti in comunione 
alle aziende unit� sanitarie locali sono gestiti con determinate modalit�, 
specificate nella stessa norma, attraverso operazioni di cartolarizzazione, e 
mediante l�apporto ad un fondo comune di investimento immobiliare chiuso 

La creazione di un Fondo � stata imposta al fine di facilitare la dismissione 
del patrimonio immobiliare delle AaSsLl del Lazio, attraverso la scelta 
del conferimento di tali beni al fondo immobiliare ed alla successiva cartolarizzazione 
delle quote del fondo. 

La peculiarit� della norma introdotta dalla Regione sta nell�aver combinato 
i vantaggi delle operazioni di cartolarizzazione con quelli derivanti dall�immissione 
del patrimonio immobiliare nel Fondo. 

Come gi� detto, le operazioni di cartolarizzazione hanno come obiettivo 
primario la trasformazione immediata del patrimonio immobiliare in liquidit�, 
attraverso, ad esempio, emissioni obbligazionarie. Si tratta, cio�, di un 
fenomeno statico, che ha alla sua base un obiettivo essenzialmente liquidatorio: 
vendere gli immobili sul mercato, con i proventi rimborsare l�emissione 
obbligazionaria e coprire i costi della procedura. In estrema sintesi: la cartolarizzazione 
ha la funzione di dare immediata liquidit�. 

L�immissione in fondi comuni, al contrario, non ha una finalit� prettamente 
liquidatoria, ma essenzialmente gestoria, e dunque di valorizzazione 
del patrimonio. 


DOTTRINA 219 

Ebbene, la combinazione delle due tecniche, evidentemente, produce 
rilevanti vantaggi per il soggetto che dismette: da una parte, l�immissione del 
patrimonio immobiliare in fondi comuni di investimento determina l�impegno 
del fondo a valorizzare i beni conferiti. Dall�altra, poi, le quote rappresentative 
dell�apporto, venendo cedute alla societ� veicolo che ne attua la 
cartolarizzazione, consente di realizzare prontamente la liquidit� necessaria 
all�ente che dismette. Ovviamente, quest�ultimo non solo riceve i proventi 
derivanti dalla cartolarizzazione, ma altres� il sovrappi� derivante dalla vendita 
degli immobili cos� come valorizzati dal Fondo. 

La Regione Lazio, con L.R. 11 settembre 2003 n. 29, �Assestamento del 
bilancio di previsione della Regione Lazio per l�anno finanziario 2003�, 
attuando la previsione dell�articolo 84 della legge n. 289/02, ha individuato 
nell�Agenzia Sviluppo Lazio S.p.A. il soggetto incaricato di costituire o promuovere 
la costituzione di un veicolo, avente ad oggetto la realizzazione di 
operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione dei 
patrimoni immobiliari della Regione, dei suoi enti pubblici strumentali e 
delle aziende sanitarie locali e ospedaliere. 

Puglia. 

In attuazione dell�art. 33 della L.R. 26 aprile 1995, n. 27, �Disciplina del 
demanio e del patrimonio regionale�, come novellato dall�art. 21, L.R. 7 
marzo 2003, n. 4, la Giunta regionale � stata autorizzata a dismettere i beni 

o parte di essi, facenti parte del patrimonio disponibile della Regione, sulla 
base di un programma nel quale siano indicate le modalit� di dismissione, al 
fine di promuovere il riordino, la valorizzazione e l�alienazione del patrimonio 
immobiliare della Regione. 
La stessa Giunta regionale ha, poi, previsto la dismissione anche attraverso 
operazioni di cartolarizzazione e la partecipazione a fondi istituiti con 
apporto di beni immobili ai sensi dell�articolo 14 bis (Fondi istituiti con 
apporto di beni immobili) della legge 25 gennaio 1994 n. 86 Istituzione e 
disciplina dei fondi comuni di investimento immobiliare chiusi. 

Emilia Romagna. 
La legge regionale 25 febbraio 2000 n. 10 (Disciplina dei beni regionali 
� Abrogazione della L.R. 10 aprile 1989 n. 11), all�art. 11, comma 4-ter 
(comma inserito dalla legge regionale 12 marzo 2003 n. 3, Disciplina dei 
beni regionali � modifiche ed integrazioni alla L.R. 25 febbraio 2000, n. 10) 
ha consentito alla Giunta regionale di procedere alla dismissione di immobili 
avvalendosi delle disposizioni statali in materia di privatizzazione e valorizzazione 
del patrimonio immobiliare pubblico. 

Friuli Venezia Giulia. 

La legge regionale 25 gennaio 2002 n. 3 Disposizioni per la formazione 
del bilancio pluriennale ed annuale della Regione autonoma Friuli-Venezia 
Giulia (legge finanziaria 2002) ha disposto che l�Amministrazione regionale 
� autorizzata ad attuare progetti di dismissione di beni appartenenti al 
patrimonio immobiliare disponibile della Regione attraverso operazioni di 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

cartolarizzazione dei proventi derivanti dalle dismissioni medesime. A questo 
fine, l�Amministrazione regionale � autorizzata a costituire o a promuovere 
la costituzione, anche attraverso soggetti terzi, di una o pi� societ� di 
capitali, ai sensi della legge n. 130/99, ovvero a ricorrere a societ� gi� costituite 
ai sensi della medesima legge. 

Inoltre il Servizio per la gestione del patrimonio immobiliare, in virt� 
della Delib. G.R. 28 maggio 2004 n. 1362 Direzione centrale del patrimonio 
e dei servizi generali � Servizio per la gestione del patrimonio immobiliare 

� Indirizzo politico per l�anno 2004 ai sensi dell�articolo 6, comma 1 della 
legge regionale n. 18/1996, ha avuto tra gli obiettivi prioritari, per l�esercizio 
2004, quello di proseguire nel processo di dismissione del patrimonio 
immobiliare disponibile anche con operazioni di cartolarizzazione. 
Molise. 

Con L.R. 3 giugno 2002 n. 7 � Legge finanziaria regionale 2002 � stato 
previsto, in alternativa o in concorrenza all�indebitamento tradizionale, per il 
triennio 2002/2004 che vengano emessi prestiti obbligazionari o che vengano 
effettuate operazioni di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare e 
dei crediti verso lo Stato e/o verso terzi. 

Sicilia 

Per quanto riguarda questa regione, la cartolarizzazione ha avuto ad 
oggetto la dismissione degli immobili delle Aziende unit� sanitarie locali e 
delle Aziende ospedaliere. 

A tal fine, la legge regionale 16 aprile 2003 n. 4 � Disposizioni programmatiche 
e finanziarie per l�anno 2003 aveva disposto la verifica della congruit� 
dei proventi derivanti dal patrimonio, di cui trattasi, ai valori di mercato, 
verifica da effettuarsi da parte dei direttori generali delle Aziende sanitarie 
stesse. 

Tuttavia, qualora i proventi determinati dalla gestione immobiliare fossero 
risultati inferiori ai corrispondenti valori di mercato, i direttori generali 
avrebbero dovuto procedere all�immediato adeguamento della rendita o alla 
dismissione del relativo patrimonio immobiliare.

� stato compito dei direttori generali redigere l�elenco degli immobili e 
definire gli esiti delle verifiche, dandone comunicazione all�Assessorato 
regionale della sanit� e all�Assessorato regionale del bilancio e delle finanze 
per gli aspetti finanziari. 

I direttori generali hanno posto in essere tutti gli adempimenti finalizzati 
all�ottimale gestione del patrimonio immobiliare, procedendo alla vendita 
dei beni immobili non proficuamente utilizzati mediante aste pubbliche per 
lotti costituiti da singoli immobili o porzioni immobiliari, dandone comunicazione 
secondo i criteri di cui al decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 
e successive modifiche ed integrazioni. 

Abruzzo. 

Al fine di massimizzare e rendere maggiormente efficiente l�afflusso 
nelle casse del sistema sanitario regionale di risorse finanziarie da destinare 


DOTTRINA 221 

prioritariamente alle aziende sanitarie, anche per la copertura dei disavanzi, 
con L.R. 17 aprile 2003 n. 7 Disposizioni finanziarie per la redazione del 
bilancio annuale 2003 e pluriennale 2003-2005 della Regione Abruzzo 

(legge finanziaria regionale 2003) la Giunta regionale � stata autorizzata ad 
effettuare operazioni di finanza strutturata, incluse operazioni di cartolarizzazione 
disciplinate dalla legge n. 130/1999 e dall�art. 84 della legge n. 
289/2002 in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio 
immobiliare pubblico, ed a costituire societ� regolate dalle predette leggi. 

Liguria 

La legge regionale 2 aprile 2004 n. 7 Disposizioni per la formazione del 
bilancio annuale e pluriennale della Regione Liguria (legge finanziaria 
2004) disciplinando la Cartolarizzazione del patrimonio immobiliare della 
Regione e delle Aziende Sanitarie (art. 15), ha previsto che la Regione sia 
autorizzata a costituire o a promuovere la costituzione, anche attraverso soggetti 
terzi, di una societ� a responsabilit� limitata con capitale iniziale di euro 
10.000,00 avente per oggetto esclusivo la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione 
dei proventi derivanti dalla dismissione dei patrimoni immobiliari 
della Regione medesima e delle Aziende Sanitarie. In queste operazioni 
possono essere inclusi i patrimoni immobiliari degli enti strumentali della 
Regione, dei Comuni, delle Province e degli altri enti locali che ne facciano 
richiesta. 

Inoltre � importante sottolineare che il ricavo delle operazioni di cartolarizzazione 
su patrimoni immobiliari della Regione e delle Aziende 
Sanitarie viene prioritariamente destinato al finanziamento delle esigenze del 
settore sanitario; in modo particolare il ricavato dovr� essere destinato a 
favore delle aziende proprietarie. 

Veneto 

La Regione Veneto, nell�ambito delle proprie finalit� volte allo sviluppo 
economico e sociale del territorio ed al fine di migliorare la gestione del proprio 
patrimonio immobiliare e valorizzarne il rendimento, ha promosso, con 
la L.R. 27 febbraio 2004 n. 5 Valorizzazione dei beni immobili della 
Regione Veneto e utilizzazione delle risorse mediante cartolarizzazione, la 
costituzione di un fondo comune di investimento immobiliare chiuso, o di 
societ� veicolo, con apporto di beni immobiliari di propriet� della Regione o 
di enti e societ� da essa controllati, comprese le aziende ULSS e ospedaliere 
e con l�esclusione delle Aziende territoriali per l�edilizia residenziale 
(ATER) provinciali. 

Tale scopo pu� essere raggiunto anche mediante il trasferimento di parte 
degli immobili di propriet� della Regione ad una o pi� societ� veicolo aventi 
per oggetto esclusivo la realizzazione di una o pi� operazioni di cartolarizzazione 
dei proventi derivanti dalla dismissione di parte del patrimonio 
immobiliare della Regione. 

A queste operazioni di cartolarizzazione si applicano, per quanto compatibili, 
le disposizioni della legge n. 410/01e della legge n. 130/99. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI NELLE REGIONI. 

Le regioni che si sono occupate di cartolarizzazione immobiliare hanno 
anche applicato la disciplina propria della cartolarizzazione dei crediti, come 
la Regione Abruzzo o il Molise che le hanno disciplinate nella stessa norma 
(Abruzzo � art. 61 L.R.. n. 7/03; Molise � art. 3 L.R. n. 7/02). Alcune regioni 
hanno disciplinato distintamente i due tipi di cartolarizzazione, come la 
regione Lazio, Sicilia, e Veneto, mentre altre regioni si sono occupate soltanto 
della cartolarizzazione dei crediti, come la Campania, la Sardegna, la 
Toscana e l�Umbria. 

In particolare, la Regione Lazio si � occupata di cartolarizzazione dei 
crediti a proposito del patrimonio immobiliare delle aziende sanitarie locali. 

A tal proposito ha emanato la L.R. 3 agosto 2001 n. 16 Misure urgenti di 
contenimento e razionalizzazione della spesa sanitaria in cui ha promosso la 
costituzione di una societ� a prevalente capitale regionale, quale strumento 
per immettere liquidit� nel sistema delle aziende e risanare parte del deficit 
accumulato nella gestione sanitaria, il cui oggetto sociale prevede: 1) l�acquisizione 
di beni facenti parte del patrimonio immobiliare indisponibile 
delle aziende, rispettandone la destinazione d�uso, e la contestuale concessione 
in locazione finanziaria dei medesimi beni alle aziende venditrici, con 
facolt� a loro favore di esercitare il diritto di opzione per il riacquisto, al termine 
della locazione finanziaria, della propriet� dei rispettivi beni al prezzo 
stabilito; 2) la cessione di tutti i crediti relativi alle operazioni di cui al numero 
1) ad altra societ� di capitali, avente i requisiti di cui alla legge 30 aprile 
1999, n. 130, affinch� provveda all�acquisto ed alla cartolarizzazione dei crediti 
ad essa ceduti. 

Successivamente, la Regione Lazio ha autorizzato la Giunta regionale a 
mettere a disposizione delle singole Aziende Unit� Sanitarie Locali ed aziende 
ospedaliere, in via di anticipazione, le somme che devono essere finanziate 
per il ripiano delle maggiori occorrenze finanziarie del servizio sanitario 
regionale � in attesa della loro effettiva erogazione da parte dello Stato � 
anche mediante operazioni di cartolarizzazione dei crediti ai sensi della 
legge 30 aprile 1999, n. 130. 

Anche la Regione Veneto, con L.R. 11 settembre 2000 n. 19 � Provvedimento 
generale di rifinanziamento e di modifica di leggi regionali in corrispondenza 
dell�assestamento del bilancio di previsione per l�esercizio finanziario 
2000 � si � occupata di operazioni finanziarie delle unit� locali socio 
sanitarie e delle aziende ospedaliere attraverso lo strumento della cartolarizzazione 
dei crediti. La stessa necessit� � stata avvertita anche dalla Regione 
Sicilia, che ha regolamentato la cartolarizzazione dei crediti della sanit�, con 

L.R. 3 maggio 2001 n. 6 Disposizioni programmatiche e finanziarie per l�anno 
2001. Infatti i crediti vantati dalle aziende unit� sanitarie locali e dalle 
aziende ospedaliere nei confronti della Regione sono stati pagati dalla Regione 
con la cessione di crediti nel quadro di operazioni di cartolarizzazione poste in 
essere ai sensi e con le modalit� di cui alla legge 30 aprile 1999 n. 130. 
Nella stessa legge sono state previste operazioni di cartolarizzazione 
anche per i crediti delle imprese. 


DOTTRINA 223 

Le regioni che si sono interessate esclusivamente di cartolarizzazione 
dei crediti sono la Campania, la Sardegna, la Toscana e l�Umbria. 

Nello specifico, la Regione Campania, con L.R. 26 luglio 2002 n. 15 
Legge finanziaria regionale per l�anno 2002, ha autorizzato la Giunta 
Regionale, previa analitica ricognizione e valutazione dei residui attivi, di 
cui � data comunicazione alla Commissione bilancio, anche al fine della 
verifica di sussistenza dei requisiti per il loro mantenimento in bilancio, a 
porre in essere, per l�esercizio 2002, operazioni di cessione e cartolarizzazione 
dei crediti ai sensi della legge regionale 30 aprile 2002 n. 7, articolo 14, 
comma 1, lettera a). 

La Regione Sardegna, con una norma alquanto scarna, l�art. 37 bis, 
della L.R. 5 maggio 1983 n. 11 Norme in materia di bilancio e di contabilit� 
della Regione, introdotto dalla L.R. 29 aprile 2003, n. 3 Disposizioni 
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge 
finanziaria 2003) ha stabilito che la Regione ha facolt� di procedere a operazioni 
di cessione e di cartolarizzazione dei crediti vantati nei confronti dei 
terzi. 

La Regione Toscana, ha previsto degli interventi finanziari per le aziende 
sanitarie ed ospedaliere della Regione. A tal fine ha emanato la L.R. 26 
gennaio 2001 n. 3 Disposizioni per il finanziamento di provvedimenti di 
spesa per il periodo 2001-2003, in cui, all�art. 13, ha autorizzato la Giunta 
Regionale a mettere a disposizione delle aziende sanitarie locali e delle 
aziende ospedaliere, in via di anticipazione, le risorse di competenza della 
Regione comprese negli accantonamenti di cui alla tabella A della legge 23 
dicembre 1999, n. 488 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 
e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2000) per il ripiano delle maggiori 
occorrenze finanziarie del servizio sanitario, in attesa della loro effettiva 
erogazione da parte dello Stato, nel limite complessivo di lire 900 miliardi 
(464.811.209,18 euro). 

Per queste finalit� la Giunta regionale � stata autorizzata ad acquisire 
negli esercizi 2001 e 2002 le risorse necessarie mediante la cessione ad intermediari 
finanziari dei crediti di competenza della Regione, entro i limiti precedentemente 
indicati, ai sensi dell�articolo 1260 e seguenti del codice civile. 
La Giunta regionale pu� procedere, in alternativa alla cessione ad intermediari 
finanziari, a cedere, negli esercizi 2001 e 2002, i crediti di competenza 
della Regione, mediante operazione di cartolarizzazione dei crediti, ai 
sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130 . 

Infine, la Regione Umbria ha disposto la cessione dei crediti con L.R. 27 
aprile 2001 n. 14 Bilancio di previsione per l�esercizio finanziario 2001 e 
bilancio pluriennale 2001-2003. In relazione alle opportunit� di mercato, e 
nel rispetto delle vigenti disposizioni di legge, la Giunta regionale � stata 
autorizzata a ricorrere alla cessione ad intermediari finanziari dei crediti 
della Regione, da realizzarsi anche mediante la cartolarizzazione dei crediti 
ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, determinando le condizioni e le 
modalit� di massima delle operazioni e ponendo in essere tutte le procedure 
necessarie all�esecuzione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La stessa norma � stata riprodotta negli anni successivi fino alla L.R. 13 
aprile 2004 n. 4 Bilancio di previsione annuale per l�esercizio finanziario 
2004 e Bilancio pluriennale 2004-2006. 

DALLA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI ALLA CARTOLARIZZAZIONE IMMOBILIARE 

La cartolarizzazione dei crediti � una tecnica finanziaria che si sostanzia 
nella conversione di crediti in emissioni obbligazionarie, attivit� finanziaria 
che consente lo smobilizzo e la conversione in titoli da collocare sul mercato 
dei capitali (8). 

Essa assolve all�esigenza di procedere alla smobilizzazione dei propri 
crediti e consiste in un�operazione volta al reperimento, sul mercato dei capitali, 
di somme di danaro dirette a finanziare l�impresa titolare di un portafoglio 
crediti, o di altre attivit� di bilancio, in cambio della destinazione in via 
esclusiva di tale portafoglio alla soddisfazione del diritto degli investitori 
alla restituzione del capitale concesso a prestito, maggiorato degli interessi 
(9). 

La cartolarizzazione dei crediti � un�operazione complessa, che coinvolge 
vari attori, generalmente secondo la seguente formula: il cedente (originator) 
trasferisce il suo portafoglio di prestiti da cartolarizzare ad una societ� 
esterna creata ad hoc denominata societ� veicolo (Special Purpose Vehicle 

� veicolo di destinazione speciale) che ha per unico oggetto sociale la gestione 
della operazione di cartolarizzazione; la SPV emette obbligazioni garantite 
dal valore capitale e dal flusso di interessi attesi sui crediti cartolarizzati 
e le colloca (direttamente o per il tramite di una banca di investimento) sul 
mercato; con il ricavato, la societ� paga all�originator i crediti acquistati. I 
pagamenti dei debitori principali sono utilizzati per corrispondere gli interessi 
ed il capitale agli investitori finali (10). 
Mediante la SPV si separano patrimonialmente i crediti oggetto della 
cartolarizzazione dagli altri che rimangono nel portafogli del cedente. Infatti 
il ruolo della SPV, nella sua duplice veste di cessionario del portafoglio crediti 
e di emittente dei titoli garantiti dal portafoglio medesimo, consiste 
essenzialmente nella funzione di �segregazione� o separazione patrimoniale 
del portafoglio crediti ceduti, separazione intesa a costituire il portafoglio 
crediti in garanzia esclusiva dei diritti dei portatori dei titoli emessi dalla 
SPV medesimo. 

� insomma, uno strumento per realizzare in modo perfetto quella separatezza 
patrimoniale che, nel processo di cartolarizzazione, costituisce il fondamentale 
requisito per assicurare la tutela e, quindi, la fiducia dei risparmiatori 
e, pi� in generale, degli investitori nei titoli garantiti dal portafoglio cos� 
separato (11). 

(8) I. BORRELLO, op. cit., p. 133. 
(9) G. GUERRIERI, op. cit.. 
(10) I. BORRELLO, op. cit., p. 133. 
(11) C. RUCELLAI, op. cit., p 644. 

DOTTRINA 225 

Le caratteristiche generali dell�istituto della cartolarizzazione sono disciplinate 
dalla legge 30 aprile 1999 n. 130 Disposizioni sulla cartolarizzazione 
dei crediti. 

Le maggiori novit� contenute nella legge in esame consistono appunto 
nella individuazione della societ� veicolo (SPV), quale societ� cessionaria dei 
crediti detenuti dalle banche o da altre societ� cedenti, nella non applicazione 
alle emissioni di titoli effettuate da questa societ� veicolo delle disposizioni 
contenute nel codice civile agli art. 2410 e ss., nel peculiare regime applicabile 
in materia fallimentare ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti ed alla 
operazione di cartolarizzazione nel suo complesso, oltre che nelle disposizioni 
di natura fiscale previste per questo tipo di operazione finanziaria. 

L�art. 1 della legge in commento circoscrive l�ambito di applicazione 
della disciplina peculiare della legge 130/99 ad una fattispecie caratterizzata 
dai seguenti presupposti: a) che la cessione deve avere ad oggetto crediti 
pecuniari, sia presenti sia futuri (12); b) che il trasferimento avvenga a titolo 
oneroso; c) che la qualit� di cessionaria deve essere assunta da una societ� 
avente le caratteristiche di cui all�art. 3 della legge; d) che il cessionario 
deve provvedere all�acquisto dei crediti grazie al finanziamento ricevuto in 
seguito all�operazione di emissione di titoli della stessa societ� o di altra 
societ�; e) che le somme pagate dai debitori ceduti all�atto della riscossione 
debbono essere destinate in via esclusiva al soddisfacimento dei portatori dei 
titoli. 

In merito, si � avuto modo di sottolineare come la norma non abbia voluto 
dettare un modello �imperativo e rigido� di cartolarizzazione, ma che 
abbia inteso predisporre uno �schema-tipo� rimesso alla discrezionalit� degli 
operatori, i quali vi possono ricorrere, solo se intendono profittare della 
disciplina di �favore� ivi indicata (13). 

La conferma risiede nella stessa legge, che, all�art. 7, prevede forme differenziate 
di cartolarizzazione attraverso il ricorso a fondi comuni di investimento 
o al modello della subpartecipation, dichiarando applicabile la disciplina 
�in quanto compatibile�. 

In tal modo sembra che il legislatore abbia voluto adottare come riferimento 
dell�intervento normativo le possibili e pi� diffuse tipologie di cartolarizzazione, 
ricercando criteri di compatibilit� con l�esigenza primaria della 
tutela dei portatori dei titoli e del mercato (14). 

(12) D. ARENA, op. cit.. Secondo l�autore sul significato e sulla possibilit� che i crediti 
futuri possano costituire oggetto di contrattazione vi � stata una lunga evoluzione giurisprudenziale; 
si pu� sintetizzare affermando che qualora per�futuro� si intenda qualcosa 
di semplicemente sperato, ci� non pu� formare oggetto di negozio giuridico. Nella nostra 
accezione il termine �futuri� si riferisce a quei rapporti di credito non ancora attuali, ma 
derivanti da rapporti giuridici gi� in atto e normalmente collegati a contratti di durata: 
come a dire che il credito � s� futuro, ma nasce da rapporti esistenti. 
(13) C. PROTO, op. cit., p. 1173. 
(14) G. FAUCEGLIA, op. cit., p. 44. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

In questo quadro devono essere inserite le �cartolarizzazioni pubbliche�, 
in rapporto di genere (la cartolarizzazione ex 130) a specie (la cartolarizzazione 
�pubblica�). 

La tecnica della cartolarizzazione, nata per far fronte eminentemente ad 
esigenze di finanziamento delle imprese private, di natura finanziaria, commerciale 
o industriale, ha trovato nel nostro Paese un�ampia, crescente diffusione 
anche nel settore della pubblica amministrazione. 

Ed anzi, come gi� abbiamo ricordato, la prima occasione nella quale il 
legislatore nazionale ha normato sulla cartolarizzazione, � stata per disciplinare 
un�operazione avente ad oggetto i crediti di un istituto previdenziale. 

La legge 130/99 non pone limitazioni sotto il profilo soggettivo, per 
quanto concerne la figura del soggetto cedente, che ben potrebbe essere un 
ente o un�amministrazione pubblica. 

Tuttavia l�introduzione di apposite previsioni normative per la regolamentazione 
delle operazioni di cartolarizzazione pubbliche, ha risposto 
all�interesse di disciplinare simili operazioni, e, pur richiamando la normativa 
della legge 130/99, se ne discosta, in ragione delle peculiarit� proprie 
della natura pubblica dell�originator, e per consentire modalit� operative non 
ammesse dalle regole generali. 

La disciplina delle cartolarizzazioni pubbliche si qualifica, infatti, per 
presentare soluzioni e configurazioni tecniche pi� avanzate rispetto a quelle 
della legge 130/99: mi riferisco alla tipologia degli assets � i beni 
suscettibili di cartolarizzazione � all�estensione del patrimonio separato, 
all�organizzazione dei sottoscrittori dei titoli emessi per le operazioni in 
questione. 

Il quadro normativo di riferimento della cartolarizzazione pubblica si 
mostra particolarmente articolato (se si considerano anche le disposizioni 
contenute nell�ambito della legislazione regionale) ed oggetto di ripetuti 
interventi di integrazione dell�ambito applicativo delle figure regolate. 

Tuttavia, pur nella frammentazione di cui si � detto, � possibile cogliere, 
attraverso una lettura diacronica dell�evoluzione normativa in materia, le 
linee di un�ideale traiettoria di sviluppo della disciplina delle cartolarizzazioni 
pubbliche (15). 

Le operazioni di cartolarizzazione pubbliche costituiscono, infatti, parte 
integrante di un disegno pi� ampio che coinvolge la riforma della contabilit� 
dello Stato e la definizione di modalit� pi� efficienti per la gestione dell�attivo 
patrimoniale pubblico. 

Della specie cartolarizzazione pubblica � poi possibile scindere due 
diverse tipologie, a seconda del bene offerto in garanzia, sia esso diritto di 
credito o diritto di credito collegato ad un bene immobile. 

Nel primo caso, quello pi� semplice e pi� vicino al prototipo della legge 
130 (cartolarizzazione�pubblica� di un diritto di credito), le disposizioni di 

(15) V. TROIANO, op. cit., p. 89. 

DOTTRINA 227 

riferimento sono contenute negli artt. 13 e 15 della legge 448 del 1998, 
Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo. 

L�art. 13 ha costituito il primo momento di emersione a livello normativo 
della tecnica della cartolarizzazione, consentendo la cessione, a titolo 
oneroso ed in massa, dei crediti contributivi vantati dall�INPS, gi� maturati 

o che maturassero entro un determinato periodo di tempo: attualmente si fa 
riferimento ai crediti che verranno a maturazione sino al 31 dicembre 2005. 
Nella prima formulazione dell�art. 13, il negozio di cessione, e gli effetti scaturenti 
da questo, venivano regolati mediante rinvio espresso alla disciplina 
della cessione di crediti di impresa di cui alla legge 21 febbraio 1991 n. 52, 
Disciplina della cessione dei crediti di impresa. 
In origine la norma prevedeva che il cessionario fosse individuato tra banche 
ed intermediari finanziari e fosse a propria volta autorizzato a costituire una 
societ� per azioni avente quale oggetto esclusivo l�acquisto dei crediti INPS. Il 
modello introdotto contemplava i profili di struttura, ma non quelli funzionali 
dell�operazione: mancava ogni riferimento alle modalit� per vincolare al servizio 
del rimborso dei sottoscrittori dei titoli i ricavi dei crediti ceduti, n� erano 
previste forme di segregazione dei crediti stessi presso il cessionario. 

Tali aspetti sono stati integrati dal d.l. 6 settembre 1999 n. 308, convertito 
con legge 5 novembre 1999 n. 402 Disposizioni urgenti in materia di 
cessione e cartolarizzazione dei crediti INPS, nonch� di societ� per la 
gestione dei rimborsi. Si prevede ora la diretta cessione ad una societ� per 
azioni, avente ad oggetto esclusivo l�acquisto e la cartolarizzazione dei crediti 
INPS; questa societ� potr� finanziarsi, per esplicita previsione di legge, 
oltre che mediante emissione di titoli, mediante contrazione di prestiti. 

Il successivo articolo 15 della 448/98 � sempre in materia di cartolarizzazione 
pubblica dei crediti � prevede pi� in generale l�operazione di cartolarizzazione 
dei crediti dello Stato e degli altri enti pubblici, non solo quelli 
dell�INPS. La norma ha subito diverse modifiche che hanno riguardato la 
rubrica della disposizione, che dimostra la mutazione funzionale che ha interessato 
tale previsione: si passa dall�iniziale Societ� per la gestione dei rimborsi, 
alla denominazione di Societ� per l�acquisto e la cartolarizzazione dei 
crediti, per poi giungere, con il d.l. 350/01, all�attuale formulazione di 
Societ� per la cartolarizzazione. 

La disposizione dell�art. 15 viene creata per rendere maggiormente efficiente 
la gestione dei rimborsi d�imposta e contributivi mediante la costituzione 
di un�apposita societ�, la quale avrebbe potuto assicurare il pagamento 
di quanto dovuto per tali rimborsi mediante la riscossione dei crediti d�imposta 
e contributivi dello Stato e degli enti pubblici previdenziali dei quali si 
fosse resa cessionaria. 

Il mutamento funzionale di questa disposizione si realizza con la legge 
23 dicembre 2000 n. 388 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001), all�art. 102, stabilendo 
che la societ� per azioni ha come oggetto esclusivo l�acquisto e la cartolarizzazione 
dei crediti di imposta e contributivi maturati e maturandi dallo Stato 
e dagli altri enti pubblici. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La tipizzazione della struttura per realizzare le operazioni di cartolarizzazione 
consentite dall�art. 15 avviene ad opera del d.l. 350/01 Disposizioni 
urgenti in vista dell�introduzione dell�euro in materia di tassazione dei redditi 
di natura finanziaria, di emersione di attivit� detenute all�estero, di cartolarizzazione 
e di altre operazioni finanziarie (conv. in legge 409/01) 

Per quanto attiene alla tipologia dei beni oggetto di cartolarizzazione, 
l�art. 15 assimila ai crediti futuri i proventi di natura non tributaria appartenenti 
allo Stato; prevede espressamente che il patrimonio separato sia costituito 
dai crediti e dai proventi ceduti, nonch� dai diritti acquisiti nell�ambito 
delle singole operazioni. 

Nell�ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione viene precisato 
che delle obbligazioni assunte dalla societ� risponde esclusivamente il patrimonio 
separato; viene stabilito che la societ� per la cartolarizzazione possa 
finanziarsi non solo mediante l�emissione di titoli, ma anche tramite assunzione 
di finanziamenti. 

La tipologia di operazione delineata dall�art. 15 (come recentemente 
modificato dall�art. 84, comma 9, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 � 
Legge Finanziaria 2003, e dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla 
legge 24 novembre 2003, n. 274) viene assunta a modello per le operazioni 
di cartolarizzazioni pubbliche di crediti (16). 

Alla cartolarizzazione dei crediti si affianca un�altra specie di cartolarizzazione 
che ha ad oggetto i proventi derivanti dalla dismissione immobiliare 
del patrimonio pubblico. 

Rispetto al prototipo normativo della legge 130 e rispetto a quello � pi� 
sopra delineato � della cartolarizzazione pubblica dei crediti, la cartolarizzazione 
immobiliare, che pi� propriamente interessa il presente scritto, ha ad 
oggetto un�obbligazione che � indirettamente garantita dalla presenza di un 
bene immobile. 

La garanzia �indiretta� deriva dalla circostanza che non � il bene immobile 
a rappresentare il credito a monte del quale si pone l�operazione di securitization, 
ma gli utili derivanti dalla sua dismissione o dal suo godimento (affitto, 
locazione). Come correttamente � stato osservato la locuzione �cartolarizzazione 
immobiliare� costituisce una contraddizione in termini, giacch� la cartula, 
ovverosia il documento, pu� incorporare un credito, non un immobile (17). 

La procedura della cartolarizzazione � stata utilizzata anche nell�ambito 
della privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. 

Pi� precisamente, attraverso la ricostruzione dell�evoluzione normativa, 
si cercher� di esaminare l�incidenza delle pi� recenti disposizioni rispetto al 
previgente regime. 

(16) La legge finanziaria 2003 modifica l�ambito di applicazione oggettivo e soggettivo: 
da un punto di vista oggettivo, oggetto delle cartolarizzazioni sono oltre che i crediti 
d�imposta e contributivi, anche altri crediti; sul versante soggettivo si ammette che possano 
assumere la qualifica di originator, oltre che lo Stato anche altri enti pubblici. 
(17) TAMPONI, op. cit., p. 531. 

DOTTRINA 229 

In linea generale (18), il primo intervento normativo in tema di dismissione 
dei beni immobiliari dello Stato � rappresentato dalla legge 25 gennaio 
1992 n. 35 � Conversione in legge del decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 
386, recante trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle 
partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di 
gestione economica � , un intervento normativo che tuttavia non ha avuto un 
concreto seguito e che � stato assorbito dai successivi interventi della legge 
23 dicembre 1996 n. 662 Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, 
e della legge 23 dicembre 1998 n. 448 Misure di finanza pubblica per la 
stabilizzazione e lo sviluppo. 

Nel frattempo, per�, con particolare riguardo ai beni immobiliari degli 
enti previdenziali pubblici, il Governo ha introdotto, con il D.Lgs. 16 febbraio 
1996 n. 104 � Attuazione della delega conferita dall�art. 3, comma 27, 
della legge 8 agosto 1995, n. 335 , in materia di dismissioni del patrimonio 
immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in 
campo immobiliare � una specifica disciplina sulla gestione di detti beni, 
sulle forme del trasferimento della propriet� degli stessi, e sulle forme di realizzazione 
di nuovi investimenti immobiliari secondo principi di trasparenza, 
economicit� e congruit� di valutazione economica. 

Con la legge 23 dicembre 1996 n. 662 sono state disciplinate in linea 
generale le modalit� di attuazione dei programmi di dismissione del patrimonio 
immobiliare pubblico, secondo i principi inderogabili previsti all�art. 3, 
comma 109, della stessa legge. 

Durante la fase di attuazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 104/96, 
� entrato in vigore il d.l. 28 marzo 1997 n. 79 (convertito in legge 28 maggio 
1997 n. 140), con il quale il Governo, ritenuta la straordinaria necessit� 
ed urgenza di adottare misure per il riequilibrio finanziario del bilancio e per 
il contenimento del disavanzo pubblico, aveva previsto che il Ministro del 
Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, 
avrebbe dovuto provvedere, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore 
dello stesso decreto legge, a definire i criteri per la stima del valore commerciale 
del predetto programma sulla base di valutazioni di mercato, relative ad 
immobili aventi analoghe caratteristiche, ad individuare i beni oggetto di 
dismissione, ed a definire uno schema-tipo di contratto d�acquisto dei predetti 
beni, e ad individuare il soggetto disponibile ad acquistare il compendio 
dei beni appartenenti a ciascun ente interessato. 

Pi� precisamente, l�art. 7 della legge 140/97 si era limitato a stabilire che 
il soggetto acquirente si sarebbe dovuto impegnare, nel caso avesse proceduto 
a vendita frazionata degli immobili cos� acquistati, a garantire il rispetto 
del diritto di prelazione degli eventuali conduttori secondo i criteri di cui 
all�art. 6 del D.Lgs. 104/96, ed all�art. 3, comma 109 della legge 662/96, con 
la conseguenza che, di fatto, il diritto di prelazione sembrava condizionato 
ad un evento incerto nell�an e nel quando. 

(18) Per la ricostruzione normativa cfr. R. COLAGRANDE, op. cit., p. 242 e ss.. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Anche le successive integrazioni apportate dall�art. 2, comma 1, della 
legge 488/99 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale 
dello Stato (Legge finanziaria 2000) non hanno contribuito a chiarire la 
posizione degli inquilini coinvolti nel programma straordinario. 

Nell�incertezza derivante all�interpretazione delle disposizioni susseguitesi 
nel tempo in punto di configurazione dei diritti di opzione e di prelazione 
nell�ambito del piano straordinario di dismissione, con D.M. 27 settembre 
2000 del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con 
il Ministero del tesoro, del bilancio e della Programmazione Economica, si � 
inteso sostituire il criterio di individuazione dei beni immobili da dismettere 
con la disciplina straordinaria gi� individuata con il D.M. 16 marzo 2000, e 
si � inteso stabilire le specifiche modalit� di vendita degli stessi beni. 

A distanza di circa un anno dall�adozione del decreto interministeriale 
che regolava la vendita immobiliare pubblica, il Governo � intervenuto con 
il d.l. 351/01, conv. in legge 410/01, recante Disposizioni urgenti in materia 
di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di 
sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare. 

Con tale legge � stata introdotta una nuova disciplina organica per la 
ricognizione, la privatizzazione e la cessione del patrimonio immobiliare 
pubblico. 

La prima e pi� importante differenza della legge 410/01 rispetto alla 
legge 130/99 consiste nella possibilit� di cedere alle societ� veicolo, costituite 
ai fini della realizzazione dell�operazione di cartolarizzazione, non solo i 
crediti di cui sia titolare l�originator (in questo caso lo Stato o altro ente pubblico) 
ma gli immobili di propriet� di quest�ultimo. 

A questo fine la legge contempla una specifica procedura per l�individuazione 
degli immobili oggetto di cessione, e dunque di cartolarizzazione, 
stabilendo all�art. 3, comma 1, che l�inclusione di tali beni nel decreto del 
Ministero dell�Economia e delle finanze, produce il passaggio dei beni al 
patrimonio disponibile. 

Il programma di alienazione del patrimonio immobiliare pubblico si articola 
in due tipologie di operazioni: 

1) la cessione dei beni ad una o pi� societ� appositamente costituite (le 
societ� veicolo), che finanziano l�acquisto attraverso una o pi� operazioni di 
cartolarizzazione e versano l�importo raccolto con tale operazione a titolo di 
prezzo iniziale ai proprietari cedenti; 

2) come alternativa alla cartolarizzazione, l�apporto dei beni pubblici ad 
uno o pi� fondi comuni di investimento immobiliare, destinando allo Stato 
ed agli enti pubblici cedenti i proventi delle operazioni di collocamento delle 
quote dei fondi medesimi. 

Il punto che interessa questa ricerca � la prima tipologia. 

L�art. 1 della legge 410/01 disciplina una nuova procedura volta ad accelerare 
l�individuazione dei beni, che fanno parte del patrimonio immobiliare 
dello Stato e che possono essere alienati. 

In questa prima fase � in cui non � prevista la partecipazione di intermediari 
finanziari � vi � l�attivit� di ricognizione del patrimonio immobiliare 


DOTTRINA 231 

pubblico a cura dell�Agenzia del Demanio: ad essa � demandato il compito 
di individuare, mediante appositi decreti dirigenziali, i beni immobili dello 
Stato, distinguendoli tra beni demaniali, beni disponibili ed indisponibili, al 
fine di procedere al riordino, alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio 
immobiliare dello Stato. I decreti dell�Agenzia del Demanio, da pubblicare 
nella Gazzetta Ufficiale, hanno effetto dichiarativo della propriet�, in 
assenza di precedenti trascrizioni, e producono gli effetti previsti dall�articolo 
2644 del codice civile (effetti della trascrizione), nonch� effetti sostitutivi 
dell�iscrizione del bene in catasto. 

A differenza della legge 130/99, che non specifica quale forma giuridica 
debba assumere la SPV, la normativa in esame, all�art. 2, recita che il 
Ministro dell�Economia e delle Finanze � autorizzato a costituire una o pi� 
societ� a responsabilit� limitata con capitale iniziale di 10.000 euro. 

La societ� che realizza la cartolarizzazione deve essere iscritta nell�elenco 
generale degli intermediari finanziari, di cui all�art. 106 del T.U.B.. 

Un�ulteriore novit� rispetto alla legge 130/99 � rappresentata dalla previsione 
della possibilit� di costituire o di promuovere la costituzione della 
societ� anche attraverso soggetti terzi (il caso, ad esempio, dei crediti INPS), 
pur ammettendosi l�ipotesi di una costituzione per atto unilaterale del 
Ministero dell�Economia e delle Finanze. 

I beni acquisiti dalle societ� veicolo, nonch� ogni altro diritto acquisito 
nell�ambito dell�operazione di cartolarizzazione, costituiscono �patrimonio 
separato�. 

Tale principio corrisponde al c.d. principio della �segregazione� gi� contenuto 
nell�art. 3, comma 2, della legge 130/99, il cui fine � tutelare, pi� che 
la societ� veicolo, i soggetti coinvolti nell�operazione in qualit� di acquirenti 
dei titoli ovvero finanziatori dell�operazione o di qualunque altro creditore 
nell�ambito di ciascuna operazione. 

La legge chiarisce che delle obbligazioni nei confronti dei portatori dei 
titoli e dei concedenti i finanziamenti risponde esclusivamente il patrimonio 
separato con i beni ed i diritti acquisiti. 

Sotto il profilo del rimborso dei titoli emessi dalla societ� veicolo, la cartolarizzazione, 
cos� come � disciplinata dalla legge 410/01, differisce, rispetto 
al prototipo della 130, per il fatto che il rimborso � legato alla realizzazione 
delle procedure di vendita dei beni immobiliari. 

Da parte di alcuni si � notato che le procedure di vendita presentano 
caratteristiche di aleatoriet�, sia nel quantum, sia nel tempo, rispetto al caso 
in cui l�ammortamento dei titoli � connesso unicamente all�incasso dei crediti 
(19). Ad avviso di chi scrive � al contrario � rispetto ad una �comune� 
operazione di cartolarizzazione collegata � ad esempio � a crediti incagliati 
di una banca (statisticamente � l�opzione pi� diffusa), la cartolarizzazione 
immobiliare pubblica ex 410 genera maggior tutela per l�obbligazionista, che 

(19) D. ARENA, op. cit., p. 1094 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

ha prestato liquidit� ad una SPV proprietaria non solo del credito derivante 
dalla vendita futura, ma dello stesso immobile. 

Come si � gi� detto la differenza sostanziale rispetto all�archetipo di cartolarizzazione 
previsto dalla legge 130/99 risiede nella circostanza che nel caso 
della legge 410/01 alla societ� veicolo si trasferiscono a titolo oneroso immobili 
e non (solo) crediti, e si cartolarizzano i proventi della loro gestione e vendita. 

La diversa natura del bene trasferito provoca da un lato un ampliamento 
del ruolo svolto dalla societ� veicolo e dall�altro una maggior tutela per l�obbligazionista. 
Nel caso della cartolarizzazione dei crediti, essa ha il compito 
di rendersi cessionaria di crediti e di provvedere a soddisfare le ragioni dei 
sottoscrittori dei titoli emessi per finanziare l�operazione attraverso la loro 
gestione e riscossione; nel caso di cartolarizzazione immobiliare pubblica, la 
societ� veicolo ha, invece, il compito di rendersi cessionaria di immobili da 
gestire e vendere, dovendo provvedere a soddisfare i diritti dei portatori dei 
titoli emessi per finanziare l�operazione, attraverso la gestione e la riscossione 
dei proventi derivanti dalla vendita di quegli immobili. 

C�� dunque solo un passaggio in pi�: passaggio che la societ� per la cartolarizzazione 
deve porre in essere per trasformare i beni di cui si � resa cessionaria 
nei proventi cartolarizzati. 

Si pu� quindi affermare che la cartolarizzazione � realizzabile attraverso 
il trasferimento di un bene la cui natura non � rilevante e che in ogni caso il 
trasferimento non � casualmente autonomo, ma � funzionale alla realizzazione 
dell�operazione (20). 

Non risulta pertanto alterato lo schema dell�operazione, che rimane lo 
stesso sia nella cartolarizzazione dei crediti sia in quella degli immobili seppur 
con le riportate precisazioni. 

In applicazione della legge 410/01, sono state realizzate 2 operazioni di 
cartolarizzazione utilizzando patrimoni segregati della medesima societ� 

(S.C.I.P. Societ� Cartolarizzazione Immobili Pubblici S.r.l.) nel prosieguo 
indicate come SCIP 1 e SCIP 2 per brevit�). Le operazioni sono state concluse 
rispettivamente il 21 dicembre 2001 ed il 4 dicembre 2002. 
I dati seguenti sono tratti dalla relazione al Parlamento sulle operazioni 
di cartolarizzazione dei proventi da dismissione del patrimonio immobiliare 
pubblico del secondo semestre 2002. 

In attuazione alla legge 410/01 sono state fatte due operazioni denominate 
SCIP 1 e SCIP 2. 

Nell�operazione Scip 1, sette enti previdenziali pubblici (ENPALS, INAIL, 
INPDAI, INPDAP, INPS, IPOST ed IPSEMA) hanno ceduto alla S. 27.250 
unit� ad uso prevalentemente residenziale e ad un consorzio per i 262 immobili 
ad uso prevalentemente commerciale per un valore lordo complessivo (confermato 
ex-post da un primario valutatore immobiliare, come imposto dalle 
agenzie di rating) pari, al netto degli sconti massimi previsti per legge, a 3,83 

(20) L. CAROTA, op. cit., p. 801. 

DOTTRINA 233 

mldi di euro. La gestione degli immobili fino alla rivendita � stata affidata ai 
precedenti proprietari mentre la vendita � stata attribuita ai precedenti proprietari 
per gli immobili ad uso prevalentemente abitativo e ad un consorzio per i 
262 immobili ad uso commerciale. Quest�ultimo consorzio era gi� stato designato 
dal MLPS quale advisor per la vendita. Il relativo contratto � stato mantenuto 
sostanzialmente inalterato. La remunerazione degli enti previdenziali � 
su base commissionale e parametrata agli effettivi risultati di vendita mentre la 
gestione � remunerata in percentuale agli affitti percepiti. A fronte della cessione 
degli immobili, SCIP ha corrisposto agli enti venditori il ricavo, al netto 
delle spese, di due emissioni di titoli, entrambe con rating triplo A da 3 agenzie 
di rating rispettivamente di 1 ed 1,3 miliardi di euro. Per entrambe le serie, 
la scadenza legale (data ultima per il rimborso nella previsione delle agenzie di 
rating) � stata fissata al dicembre 2005. La scadenza attesa � stata invece fissata 
rispettivamente al 21 dicembre 2002 e 21 dicembre 2003. La remunerazione 
per gli investitori � stata determinata in base alle richieste degli investitori 
rispettivamente nello 0,17% e 0,22% di maggiorazione sul tasso interbancario 
Euribor. L�opera-zione � stata strutturata e collocata da un consorzio formato 
da Banca IMI, Banca Intesa, Deutsche BAnk e Lehman Brothers. 

Con l�operazione SCIP 2, sette enti previdenziali pubblici (ENPALS, 
INAIL, INPDAI, INPDAP, INPS, IPOST ed IPSEMA) e lo Stato hanno ceduto 
alla SCIP 53.241 unit� ad uso residenziale e 9.639 unit� ad uso commerciale 
per un valore lordo complessivo (determinato dall�Agenzia del Territorio e 
confermato da un primario valutatore immobiliare, come imposto dalle agenzie 
di rating) pari, al netto degli sconti massimi previsti per legge, a circa 7,79 
miliardi di euro. Con l�operazione SCIP 2 � stata di fatto privatizzata la totalit� 
degli immobili ad uso residenziale degli enti previdenziali coinvolti. 

La gestione degli immobili fino alla rivendita � stata affidata ai precedenti 
proprietari mentre la vendita � stata attribuita ai precedenti proprietari 
per gli immobili ad uso prevalentemente abitativo (all�Agenzia del Demanio 
per gli immobili precedentemente dello Stato) ed ad un consorzio per gli 
immobili ad uso commerciale. La remunerazione dei venditori � su base 
commissionale e parametrata agli effettivi risultati di vendita mentre la 
gestione � remunerata in percentuale agli affitti percepiti. A fronte della cessione 
degli immobili, SCIP ha corrisposto ai soggetti venditori il ricavo, al 
netto delle spese, di cinque emissioni di titoli, di totali euro 6.637 milioni con 
rating triplo A (euro 5.216 milioni), doppio A (euro 858 milioni) e singolo A 
(euro 536 milioni) da 3 agenzie di rating. 

LE FASI ED I PROTAGONISTI DELL�OPERAZIONE 

La legge 410 prevede che, per procedere al riordino, gestione e valorizzazione 
del patrimonio immobiliare dello Stato, l�Agenzia del demanio, con 
propri decreti dirigenziali, individui, sulla base e nei limiti della documentazione 
esistente presso gli archivi e gli uffici pubblici, i singoli beni, distinguendo 
tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e 
disponibile. I decreti hanno effetto dichiarativo della propriet�, in assenza di 
precedenti trascrizioni, e producono gli effetti previsti dall�articolo 2644 del 
codice civile, nonch� effetti sostitutivi dell�iscrizione del bene in catasto. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Il Ministro dell�economia e delle finanze � autorizzato a costituire o a 
promuovere la costituzione, anche attraverso soggetti terzi, di pi� societ� a 
responsabilit� limitata con capitale iniziale di 10.000 euro, aventi ad oggetto 
esclusivo la realizzazione di una o pi� operazioni di cartolarizzazione dei 
proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato 
e degli altri enti pubblici. 

Le societ� possono essere costituite anche con atto unilaterale del 
Ministero dell�economia e delle finanze; non si applicano in tale caso le 
disposizioni previste dall�articolo 2497, secondo comma, del codice civile. 
Delle obbligazioni nei confronti dei portatori dei titoli e dei concedenti i 
finanziamenti, nonch� di ogni altro creditore nell��mbito di ciascuna operazione 
di cartolarizzazione, risponde esclusivamente il patrimonio separato. 

Il Ministro dell�economia e delle finanze riferisce al parlamento ogni 6 
mesi, a decorrere dalla data di costituzione delle societ� di cui al presente 
comma, sui risultati economico-finanziari conseguiti. 

Le societ� costituite ai sensi del comma 1 effettuano le operazioni di cartolarizzazione, 
anche in pi� fasi, mediante l�emissione di titoli o l�assunzione 
di finanziamenti. Per ogni operazione sono individuati i beni immobili 
destinati al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli e dei concedenti 
i finanziamenti. I beni cos� individuati, nonch� ogni altro diritto acquisito 
nell��mbito dell�operazione di cartolarizzazione, dalle societ� ivi indicate 
nei confronti dello Stato e degli altri enti pubblici o di terzi, costituiscono 
patrimonio separato a tutti gli effetti da quello delle societ� stesse e da quello 
relativo alle altre operazioni. Su ciascun patrimonio separato non sono 
ammesse azioni da parte di qualsiasi creditore diverso dai portatori dei titoli 
emessi dalle societ� ovvero dai concedenti i finanziamenti da esse reperiti. 

All�art. 3 della medesima legge vengono esplicate le modalit� di cessione 
degli immobili. 

In particolare, i beni immobili individuati possono essere trasferiti a titolo 
oneroso alle societ� di cartolarizzazione con uno o pi� decreti di natura 
non regolamentare del Ministro dell�economia e delle finanze, da pubblicare 
nella Gazzetta Ufficiale. L�inclusione nei decreti produce il passaggio dei 
beni al patrimonio disponibile. Con gli stessi decreti sono determinati: 

- il prezzo iniziale che le societ� corrispondono a titolo definitivo a fronte 
del trasferimento dei beni immobili e le modalit� di pagamento dell�eventuale 
residuo, che pu� anche essere rappresentato da titoli; 
- le caratteristiche dell�operazione di cartolarizzazione che le societ� realizzano 
per finanziare il pagamento del prezzo. All�atto di ogni operazione di 
cartolarizzazione � nominato un rappresentante comune dei portatori dei titoli, 
il quale, oltre ai poteri stabiliti in sede di nomina a tutela dell�interesse dei 
portatori dei titoli, approva le modificazioni delle condizioni dell�operazione; 
-l�immissione delle societ� nel possesso dei beni immobili trasferiti; 
-la gestione dei beni immobili trasferiti e dei contratti accessori, da 
regolarsi in via convenzionale con criteri di remunerativit�; 
- le modalit� per la valorizzazione e la rivendita dei beni immobili trasferiti. 

DOTTRINA 235 

Per quanto concerne i beni immobili di enti pubblici soggetti a vigilanza 
di altro Ministero, i decreti del Ministro dell�economia e delle finanze 
sono adottati di concerto con il Ministro vigilante. Per i beni dello Stato di 
particolare valore artistico e storico i decreti del Ministro dell�economia e 
delle finanze sono adottati di concerto con il Ministro per i beni e le attivit� 
culturali. 

Fino alla rivendita dei beni immobili trasferiti i gestori degli stessi sono 
responsabili a tutti gli effetti ed a proprie spese per gli interventi necessari di 
manutenzione ordinaria e straordinaria, nonch� per l�adeguamento dei beni 
alla normativa vigente. 

Per tutte le modalit� di determinazione del prezzo, del diritto di opzione 
e di prelazione si rinvia alla norma precedentemente richiamata. 

Analizzeremo la struttura dell�operazione come delineata dalla legge 
130/99, perch� la legge 410/01 rinvia ad essa per tutto ci� non espressamente 
previsto nella stessa. 

Abbiamo detto che la legge 130/99 non d� una definizione delle operazioni 
di cartolarizzazione, ma stabilisce le condizioni in presenza delle quali 
alle operazioni di cessione dei crediti, attuate mediante �cartolarizzazione� 
possano e debbano essere applicate le disposizioni della legge stessa (21). 

Il legislatore non si limita ad indicare l�oggetto della cessione, ma prevede 
espressamente le caratteristiche del cessionario e l�ulteriore presupposto 
dell�obbligo di quest�ultimo di destinare le somme corrisposte dal debitore 
o dai debitori ceduti in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati 
nei titoli emessi, dalla stessa o da altre societ�, per finanziare l�acquisto 
dei crediti, nonch� al pagamento dei costi della operazione. 

Il fulcro dell�intera operazione di cartolarizzazione � rappresentato dalla 
�societ� per la cartolarizzazione dei crediti�, disciplinata dall�art. 3 della legge. 

Il ruolo della SPV consiste essenzialmente nella funzione di segregazione 
o separazione patrimoniale del portafoglio dei crediti ceduti, separazione 
intesa a costituire il portafoglio crediti in garanzia esclusiva dei diritti dei 
portatori dei titoli emessi dalla SPV medesima. 

La legge 130/99 non fornisce alcuna espressa indicazione circa la possibilit� 
o meno per i creditori cosiddetti riservatari, e cio� quelli legittimati a 
soddisfarsi in via esclusiva sui crediti cartolarizzati e sulle somme corrisposte 
a pagamento degli stessi, di estendere la loro azione esecutiva anche sul 
residuo patrimonio del debitore (societ� per la cartolarizzazione). 

Di conseguenza non a tutti � sembrato possibile qualificare la situazione 
di separazione prevista dalla legge in esame come una forma di vera �segregazione�, 
caratterizzata dalla c.d. �incomunicabilit� bidirezionale� fra il 
patrimonio separato ed il soggetto che ne � titolare (22). 

(21) C. PROTO, op. cit., p. 1173. 
(22) L. CAROTA, Le operazioni di cartolarizzazione relative agli immobili pubblici, in 
Contratto e Impresa 2/2003, p. 796. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Secondo un�interpretazione restrittiva e puramente letterale della legge 
130/99, alcuni interpreti ne deducono che i crediti, i titoli e le somme liquide 
che la societ� di cartolarizzazione acquista, investe e disinveste nella 
gestione di questo patrimonio separato, non farebbero parte del patrimonio 
separato e sarebbero pertanto inopponibili e quindi attaccabili anche da terzi 
creditori diversi dai portatori dei titoli e dagli altri soggetti partecipanti all�operazione 
(23). 

Tuttavia le successive leggi del 23 novembre 2001 n. 409 e 410 (di conversione 
dei d.l. 25 settembre 2001 n. 350 e 351) fanno espresso riferimento, 
come parte integrante del patrimonio separato, anche ad ogni altro diritto 
acquisito nell�ambito dell�operazione di cartolarizzazione. 

Questa recente precisazione legislativa non � stata peraltro recepita 
dalla pratica come strumento di interpretazione della legge n. 130/99. Si � 
anzi ritenuto di argomentare, a contrario, che proprio perch� la legge 130, 
a differenza delle leggi n. 409 e 410 del 2001, non contiene il citato riferimento 
estensivo, essa sarebbe da interpretare restrittivamente, nel senso 
cio� di limitare la nozione e gli effetti del patrimonio separato esclusivamente 
ai suoi componenti originari � i crediti ceduti e le somme corrisposte 
dai debitori ceduti � ai quali la stessa legge 130/99 fa specifico riferimento. 


Secondo questa tesi i beni � quali i crediti della societ� di cartolarizzazione 
verso soggetti terzi (diversi dai debitori ceduti) e le somme liquide ed 
i titoli a breve � non farebbero parte pertanto del patrimonio separato. 

Tuttavia la nozione giuridico � finanziaria di patrimonio non si cristallizza 
certo negli elementi costitutivi iniziali del patrimonio stesso, cos� come 
conferiti al gestore, ma si estende necessariamente a tutti quei beni in cui gli 
elementi costitutivi originari del patrimonio necessariamente si trasformano 
nel corso della gestione (24). 

Ridurre il concetto di patrimonio separato ai suoi soli componenti iniziali, 
solo perch� la legge 130/99 fa letterale espresso riferimento a questi componenti 
iniziali, vanifica lo scopo stesso della separatezza patrimoniale e 
della gestione del patrimonio separato. 

Affinch� questo principio della separazione patrimoniale sia effettivamente 
realizzato, alla SPV dovrebbe essere impedito di svolgere un�attivit� 
imprenditoriale sua propria � come abbiamo precedentemente sostenuto (25) 
-, il che non � sfuggito al legislatore che, non a caso, all�art. 3, comma 3, 
della legge prevede l�inapplicabilit� alla SPV del requisito della capitalizzazione 
previsto dall�art. 106, comma 3, lettera c), del Testo Unico delle leggi 
in materia bancaria e creditizia ( D.Lgs. 385/1993) (26). 

(23) C. RUCELLAI, Cartolarizzazione e tutela del mercato, in G. MORBIDELLI, 
Cartolarizzazione. Aspetti teorici e applicazione pratica, op. cit., p. 14. 
(24) C. RUCELLAI, op. cit., p. 15. 
(25) Vedi supra �Dalla cartolarizzazione dei crediti alla cartolarizzazione immobiliare�. 

DOTTRINA 237 

In particolare, con Provvedimento del 23 agosto 2000, il Governatore 
della Banca d�Italia ha stabilito che la SPV dovr� essere iscritta nell�elenco 
speciale di cui all�art. 107 del T.U.B. (27), che prevede l�assoggettamento 
alla vigilanza prudenziale della Banca d�Italia, avente ad oggetto, tra l�altro, 
l�adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse 
configurazioni, l�organizzazione contabile- amministrativa, ed i controlli 
interni del soggetto vigilato. 

La portata dei poteri di vigilanza della Banca d�Italia derivanti dall�iscrizione 
dell�elenco speciale di cui all�art. 107, comma 3, T.U.B., appare quanto 
meno sproporzionata rispetto alle caratteristiche ed alle finalit� della 
societ� di cartolarizzazione (28). 

Per quanto riguarda la disciplina, le modalit� e l�efficacia della cessione, 
l�art. 4 non fa alcun cenno alla natura della cessione stessa, se questa debba 
avvenire pro soluto o pro solvendo. 

Tuttavia appare evidente che la finalit� principale dell�operazione richieda 
che si tratti di una cessione pro soluto, in cui il rischio di insolvenza del 
debitore ceduto si trasferisce sul cessionario (29). 

Il legislatore si limita a prevedere che l�operazione abbia riguardo ad una 
cessione di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri, evidentemente postulando 
che per i crediti in questione la �pecuniariet�� sussista fin dall�origine (30). 

I crediti in questione devono essere presenti o futuri: a quest�ultimo 
riguardo, si � posto il problema se ai fini della determinazione del carattere 
�futuro� del credito si possa far riferimento alle disposizioni di cui all�art. 3 
della legge 21 febbraio 1991 n. 52 Disciplina della cessione dei crediti di 
impresa (art. 3 Cessione di crediti futuri e di crediti in massa). 

Con riferimento alle cessioni di crediti futuri, occorre premettere che la 
norma di riferimento � contenuta, oltre che nell�art. 1348, anche nell�art. 1346 
codice civile, che richiede il requisito della determinatezza o determinabilit� 
dell�oggetto del contratto. La giurisprudenza ha ritenuto che per il requisito 
della determinabilit� del credito occorra, quanto meno, che al momento della 
cessione esista gi� il rapporto specifico dal quale traggono origine i crediti (31). 

(26) Questa norma subordina l�iscrizione nell�elenco degli intermediari finanziari ad 
un capitale sociale versato non inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la 
costituzione delle societ� per azioni. 
(27) Il D.M. 4 aprile 2001 del Ministero del tesoro, del Bilancio e della Programma.zione 
Economica, ha espressamente incluso le societ� per la cartolarizzazione dei crediti � 
non solo quelle di cui all�art. 3 della legge 130/99, ma anche quelle istituite ai sensi delle 
leggi speciali � tra gli intermediari finanziari soggetti in ogni caso all�obbligo di iscrizione 
nell�elenco speciale. 
(28) Per un esame pi� approfondito si veda A. GIANNELLI, La societ� per la cartolarizzazione 
dei crediti: questioni regolamentari e profili di diritto societario e dell�impresa, in 
Rivista delle societ�, n. 4/2002, p. 924. 
(29) D. ARENA, op. cit., p. 1086. 
(30) A. U. PETRAGLIA, La legge sulla cartolarizzazione dei crediti: brevi riflessioni, in 
Corriere Giuridico, 1999, p. 1072. 
(31) Vedi, ex plurimis, Cass. 5 giugno 1978 n. 2798. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Pi� recentemente, si � ritenuta valida la cessione del credito sperato, 
nella quale venga indicato l�ammontare del credito, oltre che il debito ceduto 
ed il tempo in cui presumibilmente il credito verr� ad esistenza (32). 

L�art. 3 della legge 52/91 comporta una deroga a questo principio stabilendo 
espressamente che la cessione in massa di crediti futuri si considera 
con oggetto determinato se indicato il debitore ceduto e purch� relativa a crediti 
derivanti da contratti che il cedente stipuler� con il debitore ceduto entro 
ventiquattro mesi dalla data della cessione. 

In quest�ultima ipotesi si cedono crediti senza che neppure sia stato stipulato 
il negozio dal quale dovrebbero sorgere: si cede, in altri termini una 
mera speranza di credito. 

Si manifesta il problema di stabilire se alle cessioni di crediti in massa 
futuri, finalizzate alla realizzazione di un�operazione di cartolarizzazione, si 
debba applicare, in ordine al requisito di determinabilit� dell�oggetto, la normativa 
civilistica o quella prevista per le operazioni di factoring. 

Secondo autorevole dottrina la nozione di crediti futuri desumibile dalla 
legge 52/91 non pu� essere applicata alla cessione di cui alla legge sulla cartolarizzazione 
(33). 

Nello stesso senso altra dottrina afferma che la cessione di cui alla disciplina 
sulla cartolarizzazione comprenderebbe soltanto i crediti futuri derivanti 
da rapporti esistenti, essendo inidonea a ricomprendere i crediti futuri derivanti 
da rapporti non ancora sorti nell�accezione della legge sul factoring (34). 

Al riguardo il Ministero del Tesoro (35) ha precisato che �per crediti 
futuri si intendono i crediti non ancora esistenti in quanto generabili nel normale 
esercizio dell�attivit� del cedente�. 

� evidente l�ampliamento introdotto da questa normativa secondaria, ai 
fini delle operazioni di cartolarizzazione, rispetto alla definizione di credito 
futuro elaborata dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione e 
delle corti di merito, ed anche rispetto alla definizione di credito futuro contenuta 
nella legge 52/91 sul factoring. 

� evidente, del pari, che questo ampliamento normativo della nozione 
tradizionale di credito futuro � stato introdotto allo scopo specifico di consentire 
la cartolarizzazione su base �revolving� o rotativa anche ai sensi della 
legge 130/99. 

Un ulteriore requisito � quello della individuabilit� in blocco dei crediti 
pecuniari ceduti. 

Trattasi di requisito che viene definito dallo stesso decreto del Ministero 
del Tesoro come �l�insieme di crediti pecuniari individuabili sulla base di 
criteri predeterminati e tali da assicurare l�omogeneit� giuridico-finanziaria 
degli stessi�. 

(32) Cass., 8 maggio 1990 n. 4040. 
(33) Per le motivazioni, vedi C. PROTO, op. cit., p. 1178. 
(34) A. U. PETRAGLIA, op. cit., p. 1072. 
(35) Decreto del Ministero del Tesoro del 4 aprile 2001 cit. 

DOTTRINA 239 

Purtroppo questa definizione non contribuisce a determinare, n� a chiarire, 
il campo dei crediti cartolarizzabili. 

La questione principale � quella di stabilire se questo requisito dell�individuabilit� 
in blocco sia da intendersi come rigorosamente obiettivo, nel 
senso di richiedere la cessione di tutti i crediti che corrispondono alle caratteristiche 
individuate e che assicurano l�omogeneit� giuridico-finanziaria del 
blocco, o se possa intendersi anche come soggettivo, nel senso di consentire 
al cedente di scegliere quali crediti cedere tra quelli che corrispondono alle 
caratteristiche individuate. 

La stessa Banca d�Italia, ancorch� informalmente sembri propendere per 
la seconda alternativa, non ha preso alcuna posizione scritta, ufficiale od 
ufficiosa, al riguardo.

� pertanto escluso che il cedente, o chiunque altro, possa fornire garanzie 
contrattuali in merito al soddisfacimento di questo requisito, come invece 
troppo spesso pretendono, con una certa insensibilit� giuridica, alcune 
agenzie di rating, riconoscendo che tale insensibilit� � favorita da una formulazione 
normativa non felice e restrittiva (36). 

La legge 130/99, nulla disponendo in ordine alla �qualit�� dei crediti 
oggetto della cessione, implicitamente ammette la cartolarizzazione dei crediti 
in sofferenza (37) � di difficile esazione -, che rappresenta, in verit�, una 
peculiarit� tutta italiana nell�ampio panorama internazionale della securitization, 
utilizzata non solo dalle banche, ma pure dagli enti pubblici, con la predisposizione 
di normative di favore emanate ad hoc (vedi la cartolarizzazione 
dei crediti INPS ed INAIL) (38). 

L�operazione di cartolarizzazione pu� essere utilizzata come strumento, 
ad esempio, per la collocazione sul mercato dei titoli derivanti dal project 
financing come disciplinato dalla legislazione sui lavori pubblici ( Merloni 
ter), oppure per la cartolarizzazione del trattamento di fine rapporto dei lavoratori 
dipendenti delle aziende private, o per facilitare le operazioni di 
dismissione dei patrimoni immobiliari degli enti pubblici. 

Per quanto concerne in particolare la cessione dei crediti della P.A., non 
� dato riscontrare alcuna incompatibilit� con l�art. 8 della legge 140/97 
Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica, disciplinante il c.d. 
�factoring pubblico�, in considerazione della diversa funzione di questa 
norma la quale � fondamentalmente finalizzata a consentire un recupero pi� 
celere, da parte della P.A., dei propri crediti liquidi ed esigibili, ricorrendo ad 
intermediari specializzati (39). 

Non sembra che la cessione dei crediti della P.A. debba essere giocoforza 
disciplinata da provvedimenti di legge ad hoc, a meno che non s�intenda 

(36) C. RUCELLAI, Cartolarizzazione e tutela del mercato, in Cartolarizzazione, Aspetti 
teorici e applicazione pratica, a cura di G. Morbidelli, op. cit., p. 13. 
(37) A. U. PETRAGLIA, op. cit., p. 1071, nota 4, �sono gi� stati oggetto di cartolarizzazione 
crediti ipotecari in sofferenza del S. Paolo �IMI, del Banco di Sardegna�. 
(38) G. FAUCEGLIA, op. cit., p. 49. 
(39) A. U. PETRAGLIA, op. cit., p. 1073. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

espressamente derogare ad altre particolari disposizioni di legge dettate in 
materia, com�� di recente avvenuto per la prima cartolarizzazione codificata 
nel nostro paese (quella dei crediti INPS) con l�art. 13 della legge 448/98, 
ove si � derogato sia al citato art. 8 della legge 140/97, sia agli artt. 1264 e 
ss., sia all�art. 111 c.p.c.. 

Appare utile riportare il quadro delle operazioni e dei soggetti che compongono 
il processo di cartolarizzazione dei crediti. 

I soggetti che in ipotesi possono essere coinvolti nel processo di securitization, 
possono divenire numerosi, anche in relazione alle esigenze particolari 
che in ciascuna operazione pu� manifestarsi e alle capacit� �creative� 
espresse nella costruzione delle stesse: 

-Agenzia di rating; 
-Garante, che presta eventuali garanzie assicurative collaterali; 
-Assicuratore, che interviene per coprire alcuni possibili rischi finanziari; 
- Merchant bank, che fornisce la consulenza per la costruzione dell�operazione 
e si occupa del classamento dei titoli; 
- Trustee, soggetto che rappresenta i portatori dei titoli e garantisce il 
corretto comportamento dell�S.P.V. emittente attraverso la possibilit� di 
effettuare dei controlli e dare direttive, nonch�, in alcuni casi, di sostituirsi al 
Servicer; 

-Sponsor, che fornisce il proprio ausilio nella quotazione degli A.B.S. in 
un mercato regolamentato; 
- Conduit bank, che si interpone tra l�S.P.V. cessionario e l�S.P.V. emittente 
per evitare problemi fiscali; 
- Servicer, che pu� essere lo stesso Originator, incaricato di incassare ed 
amministrare i crediti ceduti, nonch� di recuperare i crediti nel caso di inadempimento 
del debitore; 
- Back up servicer, che subentra in tempi rapidissimi al Servicer nel caso 
in cui si verifichi un Servicer Termination Event (ad es. fallimento); 
- Liquidity Provider, che anticipa al cessionario la liquidit� necessaria 
per il pagamento puntuale dei flussi necessari a fronteggiare le scadenze 
degli A.B.S., nel caso in cui vi siano ritardi negli incassi dei flussi finanziari 
relativi al portafoglio crediti; 
- Swap provider, che fornisce all�S.P.V. le opzioni che consentono a quest�ultimo 
di proteggersi dai rischi di variazione dei tassi di interesse e di cambio; 
-Collocatore, che si occupa del collocamento dei titoli. 
L�Arranger � quel soggetto che cura la �costruzione� dell�operazione di 
cartolarizzazione. Si tratta spesso di una societ� finanziaria o una banca che 
espleta la funzione di merchant bank, oppure una SIM o una societ� di consulenza 
finanziaria. Quasi sempre, pertanto, si tratta quindi di un soggetto 
sottoposto a vigilanza. 

L�Arranger cura spesso anche altre attivit� che rientrano nel quadro della 
cartolarizzazione: il collocamento sul mercato, la quotazione in borsa dei 
titoli e la loro sponsorizzazione. Normalmente interviene anche per realizzare 
le tecniche di credit enhancement, volte a rendere le caratteristiche dei 
titoli da emettere pi� aderenti alle esigenze del mercato. 


DOTTRINA 241 

La figura dell�Arranger non � disciplinata dalla legge 130/99 ma, a 
seconda della sua natura giuridica (SIM, banca), dalla normativa che regola 
il settore di appartenenza (rispettivamente Testo Unico sull�intermediazione 
finanziaria e Testo Unico bancario). 

La legge 130/99 non contiene alcuna disciplina con riferimento 
all�Originator, che pu� pertanto essere qualsiasi soggetto che ha interesse a 
cartolarizzare i propri crediti. 

Peraltro, la normativa si attaglia maggiormente ai soggetti aventi natura 
finanziaria. L�esigenza che le operazioni sottostanti siano uniformi e omogenee 
e la limitazione posta dall�art. 1, comma 1, legge 130/99 ai soli �crediti 
pecuniari� comporta che l�Originator dell�operazione di cartolarizzazione, 
pur potendo essere qualsiasi tipologia di impresa, � spesso rappresentato da 
un intermediario finanziario sottoposto a vigilanza (banca, intermediario 
finanziario disciplinato dal titolo V del Testo Unico bancario). 

Il processo, composto da pi� operazioni e in cui intervengono diversi 
soggetti, si articola sostanzialmente in tre fasi: 

1. individuazione degli asset da cartolarizzare; 
2. cessione degli asset allo Special Purpose Vehicle; 
3. emissione e collocamento dei valori mobiliari rappresentativi degli 
asset ceduti. 
Nella individuazione degli asset da �cartolarizzare� occorre tener presente 
che questi devono essere adatti a produrre i flussi di cassa per il pagamento 
degli interessi ed il rimborso dei titoli emessi. 

Normalmente tali asset sono pertanto rappresentati da crediti molto frazionati 
con un elevato grado di trasparenza statistico-finanziaria. Negli Stati 
Uniti, dove tale meccanismo finanziario si � sviluppato maggiormente, gli 
asset che hanno formato oggetto pi� frequentemente di operazioni della specie 
sono stati i crediti derivanti dall�utilizzo delle carte di credito, il leasing, 
i finanziamenti personali, i mutui ipotecari, e, da ultimo, i diritti cinematografici 
e musicali. Le operazioni finora effettuate in Italia hanno riguardato 
principalmente le sofferenze bancarie e i contratti di leasing. 

Una volta individuati gli asset che presentano le caratteristiche per essere 
cartolarizzati, il processo di securitization prosegue nella individuazione 
della struttura della cessione In questa fase assumono un ruolo chiave i meccanismi 
di isolamento, segregazione degli asset oggetto della securitization 
dal bilancio del cedente. 

L�operazione presuppone normalmente la costituzione di un intermediario 
specializzato (Special Purpose Vehicle � S.P.V.) che si rende titolare delle 
attivit� e che emette i titoli, allo scopo di garantire la completa indipendenza 
degli asset da cartolarizzare dal patrimonio e dalle vicende che interessano 
il soggetto cedente (bankruptcy remote). 

L�emissione e il collocamento degli A.B.S. deve rispondere alle esigenze 
degli investitori e pertanto i flussi generati dagli asset devono essere 
�aggiustati e ricomposti� per costruire quelle caratteristiche (piano di 
ammortamento, tasso di interesse, valuta di denominazione, ecc.) dei titoli 
oggetto della �cartolarizzazione� che soddisfino le esigenze del mercato. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Questa fase di �repackaging� � pertanto fondamentale per la riuscita dell�operazione 
e pu� comportare l�affiancamento di garanzie, l�utilizzo di forme 
di assicurazione, di strumenti derivati sui tassi o sulle valute, ecc. (cfr. infra). 

I titoli (Asset Backed Securities), dovranno comunque essere emessi con 
la clausola �limited recourse�, in base alla quale il pagamento degli interessi 
ed il rimborso del finanziamento potr� avvenire solo a condizione che 
abbia luogo l�incasso degli asset acquistati con il finanziamento dei titoli. 
Pertanto il soggetto emittente non risponde nei confronti dei soggetti eroganti 
se non nei limiti del portafoglio separato degli asset ceduti. 

Una volta realizzata la cartolarizzazione occorre procedere alla gestione 
degli attivi ceduti per garantire i flussi di cassa al servizio dei titoli emessi. 

Le operazioni di cartolarizzazione vengono realizzate per trasferire il 
rischio relativo agli asset ceduti ad altri soggetti. Il trasferimento � completo 
quando: 

-la cessione avviene pro-soluto; 
-vi � assenza di garanzia sui titoli da parte del cedente e del gruppo di 
appartenenza; 
-non vi sono rapporti partecipativi tra cedente e ceduto; 
- viene evitato il riacquisto dei titoli da parte del cedente e degli altri soggetti 
appartenenti al medesimo gruppo dello stesso. 
LO STATO GARANTE ED IL RISPETTO DEI PARAMETRI DEL �PATTO DI STABILIT�� 

Il Patto di stabilit� e di crescita, firmato ad Amsterdam nel 1997, prevede 
che gli stati aderenti all�euro siano sottoposti ad obblighi finanziari pi� 
rigorosi rispetto a quelli contenuti nel trattato sull�Unione europea, consistenti 
nel raggiungimento, a medio termine, del pareggio o del quasi pareggio 
del bilancio. 

In previsione di questi risultati, la Commissione ed il Consiglio hanno 
richiesto agli Stati partecipanti al Sistema monetario europeo (Sme), di indicare, 
annualmente, in un documento avente carattere informativo, denominato 
Programma interno di stabilit�, le misure finanziarie adottate per centrare 
gli obblighi comunitari. 

Le misure da inserire nel Programma interno di stabilit� e da presentare 
alla Commissione sono individuate in un atto che prende il nome di Patto 
interno di stabilit�. Tale patto non solo deve prendere in considerazione la 
finanza statale ma anche quella locale. 

Il cosiddetto Patto di stabilit� interno � stato introdotto con l�art. 28 della 
legge 23 dicembre 1998 n. 448 Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione 
e lo sviluppo. 

Di questa disciplina assumono particolare rilievo quattro aspetti. 

Il primo consiste nell�obbligo ricadente sugli enti esponenziali delle collettivit� 
infranazionali (regioni, province, comuni) di concorrere � in attuazione 
del principio del coordinamento della finanza pubblica sancito dall�art. 119 
della Costituzione � alla realizzazione degli impegni assunti in sede europea 
mediante la riduzione dell�indebitamento in rapporto al prodotto interno lordo. 

Il secondo aspetto degno di nota risiede nella discriminazione tra i disavanzi, 
a seconda che siano generati dal consumo e dagli investimenti. 


DOTTRINA 243 

Le spese in conto capitale sono, infatti, escluse dal computo del disavanzo 
(risultante dalla differenza tra le entrate finali effettivamente riscosse, 
inclusive dei proventi delle dismissioni dei beni patrimoniali, e le uscite finali 
di parte corrente al netto degli interessi) ed �, a tal fine, incentivata la riduzione 
dei mutui contratti in passato con la Cassa depositi e prestiti, nel senso 
che gli enti che abbiano conseguito la riduzione del disavanzo nella misura 
stabilita hanno titolo ad ottenere una riduzione dei tassi dei mutui concessi 
entro il 1997 (40). 

In terzo luogo, sono precisati alcuni tipi di interventi diretti a raggiungere 
l�obiettivo prestabilito, come la riduzione della spesa per il personale e le 
consulenze esterne e, soprattutto, l�indicazione di rivedere le modalit� di 
gestione dei servizi. 

Infine, per garantire il rispetto degli obiettivi stabiliti, sono previsti sia il 
monitoraggio da parte del potere centrale, sia adempimenti interni alle istituzioni 
interessate, come l�obbligo di fornire relazioni ai rispettivi consigli, 
in sede di assestamento. 

In sostanza, tutti i poteri pubblici sono sottoposti all�obbligo di adottare 
le misure necessarie per rispondere ai parametri della convergenza interna, 
che, a sua volta, � essenziale ai fini della integrale ed effettiva osservanza 
degli standard europei. 

Proprio in ordine all�adempimento degli obblighi assunti nei confronti 
dell�Unione europea, ribaditi con il Patto di stabilit�, il congegno introdotto 
in sede nazionale assume un preciso significato. 

Qualora l�Italia incorra nella sanzione prevista per il mancato contenimento 
del disavanzo entro la soglia prestabilita, il relativo importo verr� posto 
a carico degli enti che non abbiano realizzato gli obiettivi loro assegnati. 

Come nell�Unione europea, cos� all�interno della Repubblica, � previsto 
un meccanismo volto a dissuadere i vari poteri pubblici dall�incorrere in 
disavanzi eccessivi, addossando loro specifiche responsabilit� di tipo finanziario, 
senza che ci� comporti peraltro la caducazione della validit� dei 
bilanci e degli atti di gestione adottati dagli enti interessati. 

Per quanto riguarda gli strumenti da utilizzare per la riduzione della 
spesa sono stati previsti: l�aumento del ricorso al finanziamento fondato 
sulle capacit� dei singoli enti (ad esempio, l�aumento delle tariffe dei servizi 
pubblici); la riduzione dei costi dei servizi pubblici; il potenziamento delle 
attivit� di accertamento dei servizi propri; le dismissioni di immobili di propriet� 
non funzionali alle attivit� istituzionali; la riduzione della spesa del 
personale; la limitazione del ricorso a contratti stipulati al di fuori della dotazione 
organica; il ricorso ai contratti di risultato per l�acquisto di beni e di 
servizi. 

Inoltre la LF per il 1999 aveva previsto una vigilanza mensile dei dati da 
parte del Ministero del tesoro e del bilancio e della programmazione econo


(40) Circolare del Ministero del Tesoro 26 marzo 1999; D.M. Tesoro 29 gennaio 2001. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

mica ai fini della verifica della realizzazione degli obiettivi del Patto (art. 28, 
comma 5). 

Il comma 18 dello stesso articolo 28 LF 1999 aveva previsto, nei confronti 
degli enti, un obbligo di comunicazione riguardante i dati consuntivi 
della gestione di cassa per l�anno 1998 e 1999, al fine di consentire un tempestivo 
monitoraggio dei conti pubblici, obblighi che sono stati confermati 
dalla LF per il 2003 (contenere il costo dell�indebitamento e monitorare gli 
andamenti della finanza pubblica). 

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 28 del 4 febbraio 2004 � stato pubblicato il 
Decreto 1� dicembre 2003 n. 389 del Ministero dell�Economia che regola 
l�accesso al mercato dei capitali degli enti locali. 

Il Regolamento attua l�art. 41, comma 1, della legge n. 488 del 2001 
(legge finanziaria 2002).

� stabilito che gli enti (province � comuni � unione dei comuni � citt� 
metropolitane � comunit� montane e isolane � consorzi tra enti territoriali � 
regioni) comunichino, entro il giorno 15 del mese di febbraio, maggio, agosto 
e novembre di ogni anno, al Ministero dell�Economia e delle Finanze, i 
dati relativi all�utilizzo netto di forme di credito a breve termine presso il 
sistema bancario, ai mutui accesi con soggetti esterni alla pubblica amministrazione, 
alle operazioni derivate concluse e ai titoli obbligazionari emessi 
nonch� alle operazioni di cartolarizzazione concluse. 

Il Ministero dell�Economia e delle Finanze coordina l�accesso ai mercati 
dei capitali degli enti individuati. 

Il coordinamento � limitato alle operazioni di finanziamento a medio e 
lungo termine o di cartolarizzazione di importo pari o superiore a 100 milioni 
di euro. 

Il Dipartimento del Tesoro si riserva di determinare quale sia il momento 
pi� opportuno per l�effettiva attuazione di operazione di accesso al mercato. 

Restano escluse dalla comunicazione preventiva le operazioni di provvista 
con oneri a carico del bilancio dello Stato. 

� inoltre fissato che i contratti relativi alla gestione di un fondo per l�ammortamento 
del capitale da rimborsare o, alternativamente per la conclusione 
di uno swap per l�ammortamento del debito di cui all�art. 41, comma 2, 
della legge 28 dicembre 2001 n. 448, possono essere conclusi soltanto con 
intermediari contraddistinti da adeguato merito creditizio, cos� come certificato 
da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale. 

Le somme accantonate possono essere investite esclusivamente in titoli 
obbligazionari di enti e amministrazioni pubbliche nonch� di societ� a partecipazione 
pubblica di Stati appartenenti all�Unione Europea. 

Vivaci sono apparse le reazioni al Decreto ministeriale n. 389/2003, 
soprattutto per l�ingeneroso accostamento con quanto � accaduto ai titoli 
obbligazionari di societ� private e soprattutto perch� viene intravista una 
minaccia all�autonomia finanziaria degli enti locali. Per altro verso il 
decreto � stato sostanzialmente condiviso poich� colma un vuoto normativo 
circa la possibilit� per gli enti di utilizzare strumenti finanziari innovativi. 



DOTTRINA 245 

Il secondo punto sul quale i Comuni attendono chiarimenti � l�ambito nel 
quale deve esercitarsi il coordinamento del Tesoro e del Cicr in questa materia. 
L�azione di coordinamento esercitata dallo Stato deve avvenire � ad avviso 
dell�ANCI � entro limiti strettamente necessari a contenere il costo dell�indebitamento 
e monitorare gli andamenti di finanza pubblica. 

La Corte costituzionale con la sentenza n. 376 del 2003, ha escluso che 
con l�articolo 41 della legge n. 488/2001 �si attribuisca al Ministero 
(dell�Economia) il potere di incidere sulle scelte autonome degli enti quanto 
alla provvista o all�impiego delle loro risorse o, peggio, di adottare determinazioni 
discrezionali che possano concretarsi in trattamenti di favore o di 
sfavore nei confronti di singoli enti�. 

Coordinamento e monitoraggio da parte dello Stato sono, pertanto, elementi 
che concorrono in positivo all�andamento della finanza locale ma nel 
rispetto dei principi costituzionalmente protetti. 

Passando ora ad analizzare il rapporto tra cartolarizzazione e patto di stabilit� 
interno, si pu� affermare che essendo la cartolarizzazione un�operazione 
mediante cui determinati beni sono trasformati in strumenti finanziari da 
collocare sul mercato, in modo da acquisire subito quella liquidit� che tali 
beni sarebbero in grado di fornire soltanto in futuro, essa presenta un rilievo 
quanto meno finanziario, per cui influisce sui conti pubblici che, in base 
all�ordinamento comunitario, non devono presentare disavanzi eccessivi. 

Bisogna indagare su quale sia l�influenza che queste operazioni svolgono 
sui conti pubblici (se sia di segno migliorativo o peggiorativo), sia il rilievo 
che questo miglioramento o peggioramento dei conti pubblici presenta ai 
fini del rispetto del vincolo comunitario. 

L�ente pubblico infatti, nel cedere i propri beni alla societ� veicolo e nell�avvalersi 
dei suoi servizi di intermediazione, instaura rapporti con una 
impresa che viene scelta in luogo di altre, per cui assumono rilievo le norme 
comunitarie poste a tutela dell�assetto concorrenziale del mercato. 

D�altra parte, la presenza degli intermediari, il fatto cio� che ricorra una 
cessione a titolo oneroso di beni a loro favore e che siano questi ad emettere 
gli strumenti finanziari, comporta un diversa rappresentazione nei conti 
pubblici dell�operazione di cartolarizzazione. Quanto infine al rapporto giuridico 
che rende redditizio il bene cartolarizzato e che fornisce le risorse per 
remunerare i portatori degli strumenti finanziari, si tratta di profilo che in 
ogni caso, anche in assenza di intermediari, sarebbe rilevante per le norme 
comunitarie a tutela della concorrenza, ma che risulta in questo caso complicato 
dal fatto che tale rapporto intercorre non pi� con l�ente pubblico, bens� 
con un ente privato che per� � in qualche modo legato all�amministrazione. 

Per quanto attiene alla procedura di scelta della societ� l�atto che realizza 
questo trasferimento �, nel caso della legge n. 410/01, un decreto �di natura 
non regolamentare� del Ministro per l�economia (art. 3 comma 1), la cui pubblicazione 
produce gli effetti della trascrizione ai sensi dell�art. 2644 c.c. (art. 
3 comma 16); analogamente nel caso della legge n. 112/2002 (Conversione in 
legge, con modificazioni, del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, recante disposizioni 
finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del 
sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e 
finanziamento delle infrastrutture); nel caso invece della finanziaria 2003, il 
trasferimento � disposto con atto pubblico o scrittura privata autenticata, previa 
delibera dell�organo competente dell�ente territoriale proprietario. 

Va ricordato che nell�ordinamento comunitario manca una disciplina delle 
procedure di dismissione del patrimonio pubblico, del tipo di quelle previste 
per gli appalti: ci� non significa per� che gli Stati membri non sono tenuti a 
rispettare i principi fondamentali del Trattato e, in particolare, il principio di 
non discriminazione in base alla nazionalit�. Ma vi � di pi�, un vincolo pi� specifico 
potrebbe discendere dal divieto di aiuti di Stato alle imprese. 

Tra le molte definizioni di aiuti di Stato, quella forse pi� incisiva si ritrova 
nella giurisprudenza della Corte di giustizia che considera tali tutte le 
misure che si traducano, per le imprese destinatarie, in un vantaggio economico 
di qualunque tipo che esse non avrebbero ottenuto in normali condizioni 
di mercato (41). 

Su tale base sono stati ricompresi nella categoria degli aiuti anche quelli 
in natura e, in particolare, la cessione di edifici o terreni a condizioni favorevoli 
(42). 

Nel caso della legge n. 410 e della finanziaria 2003 � detto espressamente 
che le societ�, a cui le cessioni sono destinate, hanno �ad oggetto esclusivo la 
realizzazione di una o pi� operazioni di cartolarizzazione�: ci� corrisponde, 
del resto, alla disciplina generale sulla cartolarizzazione dei crediti, stabilita 
dalla legge 30 aprile 1999, n. 130, che prevede che la societ� cessionaria deve 
avere ad oggetto esclusivo la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione. 
Le societ� acquistano conseguentemente i beni all�unico fine di rivenderli nell�ambito 
di una operazione di cartolarizzazione effettuata per conto dell�amministrazione, 
per cui il prezzo corrisposto al momento del trasferimento � indicato 
come definitivo da entrambe le leggi nel solo senso che la relativa somma 
non � retrocedibile qualora risulti superiore a quella della successiva rivendita, 
ma, al contempo, � un prezzo a titolo di acconto sull�esito della definitiva vendita 
dei beni. In un contesto del genere, per valutare che la dismissione del 
bene non avvenga a condizioni favorevoli diventa assolutamente irrilevante il 
prezzo di cessione alle societ� ed il modo in cui esso si � formato, ma semmai 
bisogna considerare il prezzo della successiva rivendita a terzi, giacch�, per un 
verso, le societ� devono comunque riversare all�amministrazione la differenza 
(detratti gli oneri delle operazioni finanziarie, le spese e le provvigioni) mentre, 
per altro verso, gli unici eventualmente a beneficiare di condizioni favorevoli 
sono coloro che acquistano i beni dalle societ�. 

(41) Corte Giust. CEE 11 luglio 1996, causa 39/94, Syndicat francaise de l�Express 
international (Sfei) c. La Poste, in Dir. com. e degli scambi inter., 1996, pp. 709 ss.. 
(42) Sulla prassi decisionale della Commissione, che ricomprende tra gli aiuti anche la 
cessione di edifici o terreni a condizioni particolarmente favorevoli, si veda G. BELOTTI, Gli 
aiuti di Stato nel diritto comunitario della concorrenza. Della tutela dei terzi, in Dir. com. e 
degli scambi intern., 1995, pp. 470 ss. 

DOTTRINA 247 

Per quanto riguarda il caso della legge n. 112 il discorso � in parte differente: 
l�oggetto sociale della Patrimonio dello Stato SpA � ben pi� ampio, 
perch� riguarda �la valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio� 
conferitole dallo Stato ed � nell�ambito di tali compiti che essa pu� effettuare 
operazioni di cartolarizzazione (art. 7, comma 11, ma anche comma 10 
nella parte in cui richiama la legge n. 410). 

Sulla base di una ricostruzione testuale e sistematica della legge si pu� 
affermare che alla societ� possono essere ceduti beni sia per effettuare operazioni 
di cartolarizzazione per conto dell�amministrazione sia per provvedere 
alla gestione dei medesimi e senza il vincolo di doverli rivendere e di 
dover corrispondere all�amministrazione il saldo tra il prezzo di cessione e 
quello di rivendita. 

L�art. 7, comma 10, dopo aver detto che alla societ� possono essere trasferiti 
i beni dello Stato, stabilisce che il trasferimento �pu� essere operato 
con le modalit� e per gli effetti �della legge n. 410, e cio� in funzione di una 
cartolarizzazione per conto dello Stato stesso: poich� questa � soltanto una 
delle possibilit�, viene lasciato intendere che vi pu� essere anche un diverso 
trasferimento, effettuato in modi e con effetti di altro tipo. Inoltre, la stessa 
disposizione stabilisce che �il trasferimento non modifica il regime giuridico� 
dei beni demaniali, e quindi la loro inalienabilit�, per cui viene con ci� 
prefigurata una cessione che, potendo riguardare anche beni che non possono 
essere rivenduti, presuppone che quella in funzione della cartolarizzazione 
per conto dello Stato sia una delle possibili, e non l�unica, forma di trasferimento 
di beni alla societ�. 

In sostanza, vi sono pi� elementi che consentono di affermare che, in 
base alla legge n. 112, vi possono essere due diversi tipi di cessioni immobiliari: 
quella finalizzata alla cartolarizzazione per conto dello Stato, nelle cui 
operazioni la societ� opera come cessionaria e per la quale valgono appieno 
le cose dette a proposito delle altre due leggi in esame; l�altra � quella invece 
che non presenta questa natura, che si configura come ordinario trasferimento 
immobiliare, che serve a mettere i beni nella piena disponibilit� della 
societ�, tanto che questa pu� su essi effettuare operazioni di cartolarizzazione 
in posizione di soggetto cedente, e che ripropone in termini differenti il 
problema della configurazione di un aiuto di Stato. Ma anche per questo 
secondo tipo di cessione � agevole escludere che ricorrano aiuti di Stato. 

Rispetto alle imprese pubbliche il problema degli aiuti di Stato non vaimpostato in termini di condizioni favorevoli di cessione del bene. � giurisprudenza 
consolidata che rispetto alle imprese pubbliche il criterio sulla cui 
base valutare un qualsiasi conferimento da parte dello Stato � quello �dell�investitore 
privato� (43). 

(43) Per tutte, Corte Giust. CEE 10 luglio 1986, causa 234/84, Regno del Belgio c. 
Commissione (Meura), in Raccolta, 1986, pp. 2263 ss. in generale si veda, E. M. APPIANO, 
Aiuti di Stato alle imprese pubbliche e privatizzazioni nel diritto comunitario della concorrenza, 
in Dir. com. e degli scambi intern., 1994. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Non ricorre, invece, aiuto di Stato allorch� qualsiasi altro investitore privato, 
mosso da motivazioni di razionalit� economica, sarebbe stato indotto 
ad effettuare analoga operazione. Questo criterio � stato poi sviluppato in 
una pluralit� di corollari, ma � di per s� sufficiente ad escludere che le cessioni 
immobiliari a favore della Patrimonio dello Stato SpA possano configurarsi 
come aiuti di Stato, tenuto conto che i beni conferiti non sono strumentali 
ad una attivit� di altro tipo dell�impresa, ma costituiscono l�oggetto 
stesso di tale attivit�, che, nel caso in esame, consiste appunto nella loro 
gestione e valorizzazione e nella loro eventuale rivendita. In definitiva, 
mediante questo conferimento di beni, l�ente pubblico assume una decisione 
che non � di investimento, e che quindi non si presta neppure ad essere valutata 
alla stregua delle motivazioni che potrebbero indurre un qualsiasi investitore 
privato, ma che � invece di tipo organizzativo, in quanto relativa alla 
esternalizzazione della propria attivit� di gestione dei beni. 

In realt� la cessione degli immobili alle societ�, quando � collegata alla 
cartolarizzazione per conto dell�amministrazione, diventa un passaggio prodromico 
e strumentale alle relative operazioni che l�ente potrebbe svolgere 
direttamente, ma che, una volta abbia deciso di servirsi delle societ�, finiscono 
inevitabilmente per assorbire in s� anche la cessione dei beni, in quanto 
richiedono, per essere realizzate, lo svolgimento di una serie di attivit� (emissione 
di titoli rappresentativi della propriet� o ricorso al credito con accensione 
di garanzie sui beni, successiva vendita del bene e conseguente estinzione 
dei titoli o del credito) che presuppongono appunto la propriet� dei beni. 

A venire in rilievo � quindi il servizio, appunto di cartolarizzazione, che 
le societ�, a seguito della cessione a loro favore dei beni, sono tenute a compiere 
a favore dell�ente. Stando cos� le cose, si � in presenza non tanto di una 
vendita quanto piuttosto dell�affidamento di un servizio di intermediazione e 
rispetto a tale fattispecie si ripropone il problema delle procedure concorsuali 
di scelta del soggetto affidatario. 

In questo caso il quadro di riferimento � pi� diretto, perch� costituito dalla 
direttiva 92/50/CEE del Consiglio relativa agli appalti pubblici di servizi, che 
� stata recepita dal D.L. 17 marzo 1995, n. 157. La questione dell�applicazione 
di questa direttiva alle fattispecie in esame presenta risvolti differenti nelle 
tre leggi, ma la soluzione a cui bisogna comunque pervenire � nel senso che 
l�affidamento di questi servizi di cartolarizzazione � sottratta a tale disciplina. 

Rispetto alla legge n. 112 il ragionamento che si pu� utilizzare � quello 
dei servizi in house. 

La pi� recente giurisprudenza della Corte di giustizia � orientata a dare 
rilievo ai processi di integrazione verticale tra le pubbliche amministrazioni 
e le loro imprese e ad escludere l�applicazione delle direttive sugli appalti in 
presenza di fenomeni del genere. Nella nota sentenza Teckal (44) si legge che 

(44) Corte Giust. CEE 18 novembre 1999, causa 107/98, Teckal Srl c. Comune di 
Viano, in Riv. ital. dir. com., 2000, pp. 1399 ss. Conforme, sulla medesima vicenda, Cons. 
Stato, V, 9 maggio 2001, n. 2605 che ha capovolto la conclusione a cui era pervenuto Tar 

DOTTRINA 249 

queste direttive riguardano l�instaurazione di rapporti contrattuali tra un�amministrazione 
aggiudicatrice ed un ente da essa �distinto sul piano formale 
ed autonomo ... sul piano decisionale�: presupposto questo che non ricorre 
quando l�ente pubblico �eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo 
a quello da esso esercitato su propri servizi e questa persona realizzi la 
parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o con gli enti ... che la 
controllano�. In altri termini, casi del genere sfuggono alle direttive comunitarie 
per il solo fatto che non sussiste alcun appalto, perch� il presunto contraente 
� in realt� parte dell�amministrazione ed il presunto appalto � in realt� 
una delegazione intersoggettiva di compiti. 

Una situazione del genere � riscontrabile anche nella Patrimonio dello 
Stato SpA, almeno stando alle disposizioni della legge che la istituisce. Il 
capitale sociale � e deve rimanere interamente pubblico, giacch� il Ministro 
per l�economia pu� cedere le relative azioni, ma pu� farlo a titolo gratuito e 
soltanto a favore di altre societ� di cui lo Stato detenga l�intero capitale. 
Infine, l�oggetto sociale consiste nella �valorizzazione, gestione ed alienazione 
del patrimonio dello Stato�, per cui sembrerebbe che la societ� debba 
limitarsi a prestare la propria attivit� soltanto allo Stato. 

Incerta � invece la spiegazione delle altre due leggi in termini di servizi 
in house. 

Esse, infatti, non provvedono direttamente alla costituzione delle societ�, 
ma si limitano ad autorizzare, rispettivamente, il Ministro per l�economia 
e gli enti territoriali a costituirle o a promuoverne la costituzione, anche 
attraverso soggetti terzi: con ci� sembrerebbe non escluso che questi terzi 
possono essere anche privati e che l�ente pubblico, limitandosi a promuoverne 
la costituzione, neppure partecipi ad esse; ma non � neppure esclusa l�ipotesi 
opposta e addirittura � contemplata la possibilit� di una partecipazione 
dell�ente pubblico come unico azionista, visto che l�art. 2 comma 1 della 
legge n. 410, richiamato poi anche dall�art. 84 comma 2 della finanziaria 
2003, esclude l�applicazione a queste societ� dell�art. 2497 c.c.. 

In definitiva, una delle condizioni (quella del controllo pubblico) affinch� 
ricorrano servizi in house viene a dipendere dal modo in cui queste 
societ� sono costituite. 

Quanto poi all�altra condizione, quella dell�attivit� prevalentemente svolta 
a favore degli enti pubblici controllanti, le due leggi seguono soluzioni differenti. 
Sicuramente le societ� previste dalla finanziaria 2003, quelle cio� 
costituite dagli enti territoriali, operano soltanto nei confronti degli enti che 
ad esse partecipano, poich� hanno come esclusivo oggetto sociale la realizzazione 
di operazioni di cartolarizzazione �dei rispettivi patrimoni immobiliari�: 
dove il termine �rispettivi� lascia appunto intendere proprio la necessit� 

Emilia-Romagna, Parma, 17 ottobre 2000, n. 444: entrambe le sentenze in Riv. ital. dir. 
pubbl. com., 2002, pp. 171 ss., annotate ivi da L. R PERFETTI, Pubblico servizio, capacit� di 
diritto privato e tutela della concorrenza. Il caso del facility management. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

di un nesso del genere. Ci� � poi confermato dal fatto che la norma, per soddisfare 
anche l�esigenza di enti pubblici strumentali degli enti territoriali e 
delle aziende sanitarie e ospedaliere di avvalersi di queste societ�, prevede 
che ci� pu� avvenire soltanto indirettamente, e cio� mediante un ulteriore e 
preventivo trasferimento dei beni da questi enti ai relativi enti territoriali. 

Viceversa la legge n. 410 configura come oggetto sociale la cartolarizzazione 
del patrimonio immobiliare non soltanto dello Stato, ma anche degli 
altri enti pubblici per i quali l�Agenzia del demanio abbia effettuato la ricognizione 
dei loro beni: ed infatti le prime operazioni effettuate in attuazione 
di questa legge hanno riguardato esclusivamente beni degli enti previdenzia


li. Anche per questo aspetto, quindi, la possibilit� di configurare servizi in 
house finisce per dipendere dal modo in cui viene data attuazione alle leggi 
in esame. 
Dalle cose dette si pu� trarre, quanto meno, la conclusione che non � 
escluso che l�affidamento del servizio di cartolarizzazione alle societ� previste 
dalla legge n. 410 e dalla finanziaria 2003 pu� configurarsi, secondo l�ordinamento 
comunitario, come vero e proprio appalto: e ci�, sebbene non sia 
sempre possibile rinvenire un atto consensuale da cui questo affidamento 
deriverebbe, in quanto, nel sistema della legge n. 410, ad esempio, le attivit� 
di cui le societ� sono investite e le modalit� del loro svolgimento sono stabilite 
dal decreto del Ministro per l�economia che dispone contestualmente 
la cessione dei beni. 

Pur tuttavia, ricorrono vari elementi che inducono a ritenere che, se non 
ricorre l�ipotesi di servizi in house e se quindi vi � appalto, questo � comunque 
sottratto alla disciplina comunitaria, perch� le societ� si configurano 
comunque come organismi di diritto pubblico e, in quanto tali, si presentano 
esse stesse come amministrazioni aggiudicatrici. 

Per quanto riguarda le modalit� di contabilizzazione delle operazioni di 
cartolarizzazione � necessario chiarire l�incidenza che queste operazioni presentano 
in ordine alla osservanza del divieto di disavanzi eccessivi. 

Nella sostanza, mediante le operazioni di cartolarizzazione le componenti 
attive del patrimonio immobiliare vengono impiegate per creare strumenti 
finanziari da collocare sul mercato, in modo da acquisire liquidit�. 
L�esito di una operazione del genere � duplice: nel conto del patrimonio si 
determina una posta passiva (il debito nei confronti dei soggetti presso i 
quali sono collocati gli strumenti finanziari) accanto a quella attiva (il bene 
che resta di propriet� dell�ente pubblico che ha emesso gli strumenti finanziari); 
mentre nella contabilit� finanziaria si registra, nell�esercizio in cui l�operazione 
viene compiuta, una entrata che, derivando da accensione di prestiti, 
determina un peggioramento dei saldi. Se per� l�operazione viene effettuata 
avvalendosi di un soggetto terzo, la rappresentazione contabile cambia 
completamente: dal conto del patrimonio viene cancellata una componente 
attiva (il bene che passa in propriet� dell�intermediario), mentre sul versante 
finanziario si determina un aumento delle entrate patrimoniali (il prezzo 
pagato dall�intermediario, e riscosso dall�ente pubblico cedente, al momento 
del trasferimento del bene), con conseguente miglioramento dei saldi. 


DOTTRINA 251 

In realt�, la sostanza delle cose non sembrerebbe cambiare per il solo 
fatto che la cartolarizzazione sia realizzata direttamente oppure mediante 
intermediari caratterizzati nel senso che si diceva. Da ci� l�impressione che 
il ricorso alle �societ� veicolo� sia semplicemente un ingegnoso accorgimento 
di �finanza creativa� che consente di contabilizzare un miglioramento dei 
saldi di bilancio, in modo da renderli coerenti con i vincoli a cui essi sono 
sottoposti. Vi � allora da chiedersi se questo miglioramento � o meno rilevante 
per il rispetto del divieto di disavanzi eccessivi e delle regole del patto di 
stabilit� interna e se esso consente di portare a buon fine l�intento di eludere 
tali vincoli. 

Per quanto riguarda i vincoli comunitari di convergenza, viene in rilievo 
il limite al disavanzo pubblico. Il regolamento (CE) 3605/93 del Consiglio 
ha precisato che il disavanzo oggetto del divieto si riferisce al settore amministrazioni 
pubbliche ed ha rinviato alle regole del Sistema europeo dei conti 
nazionali e regionali nella Comunit� la delimitazione del settore amministrazioni 
pubbliche; queste regole (SEC 95) sono state poi approvate dal regolamento 
(CE) 2223/96 del Consiglio. 

Il SEC 95 ricomprende nel settore amministrazioni pubbliche tutte le 
unit� istituzionali che non producono prevalentemente beni e servizi per 
destinarli alla vendita, intendendo con ci� il fatto che questi non siano offerti 
in prevalenza gratuitamente o �a prezzi economicamente non significativi�. 
Inoltre, affinch� ricorra unit� istituzionale � necessario che essa disponga 
di �autonomia di decisione nell�esercizio della propria funzione principale� 
e di �una contabilit� completa� o della possibilit� �di compilare una contabilit� 
completa qualora gliene sia fatta richiesta�. Gli organismi che 
dispongono di una contabilit� completa �ma non hanno autonomia di decisione 
nell�esercizio della loro funzione principale sono assimilati alle unit� 
istituzionali che le controllano�. Sulla base di questa definizione e tenendo 
conto delle cose gi� dette, appare inevitabile ricomprendere nel settore 
amministrazioni pubbliche sicuramente la Patrimonio dello Stato SpA, ma 
anche le altre societ�. Conseguentemente le operazioni di cartolarizzazione, 
se per un verso migliorano indubbiamente i saldi del bilancio dell�ente pubblico 
a favore del quale sono effettuate, nel contempo peggiorano il disavanzo 
dell�aggregato amministrazioni pubbliche, che � rilevante ai fini dei vincoli 
comunitari, per cui l�intento di eluderli � destinato all�insuccesso. 

In questo stesso senso si � del resto espressa la Corte dei conti nell�audizione 
sul d.legge 63/2002 che � stato poi convertito dalla legge n. 112. In 
tale occasione la Corte ha inoltre precisato che, anche nell�ipotesi in cui le 
societ� non dovessero essere ricomprese nel settore amministrazioni pubbliche, 
le operazioni di cartolarizzazione, pur non determinando un peggioramento 
del disavanzo del settore, non contribuirebbero comunque al miglioramento 
di tale saldo. Infatti il regolamento (CE) 3605/93 del Consiglio ha 
chiarito che per disavanzo o avanzo pubblico si deve intendere l�indebitamento 
o accreditamento netto ed ha, anche in questo caso, rinviato al SEC la 
determinazione delle modalit� di calcolo di tale grandezza. In base al 
Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico elaborato dall�Eurostat, che � 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l�organismo preposto a sovraintendere al SEC, l�indebitamento o accreditamento 
netto va calcolato senza tener conto delle entrate e spese derivanti da 
operazioni finanziarie, quali, rispettivamente, i prelevamenti e conferimenti 
di capitale dalle/alle societ� partecipate: conseguentemente le entrate che 
l�ente pubblico, a seguito della cessione dei beni, riceve dalla societ� partecipata 
vanno iscritte in bilancio (contrariamente a quanto � stato fatto quest�anno) 
tra i prelevamenti di capitale, poich� costituiscono una sorta di 
liquidazione del capitale della societ�, e di esse non � possibile tener conto 
nella determinazione dell�indebitamento o accreditamento. Anche per questo 
aspetto, quindi, ogni intento elusivo � destinato all�insuccesso. 

Quanto poi al rispetto dei limiti posti dal patto di stabilit� interno, le operazioni 
di cartolarizzazione, in qualsiasi modo effettuate e cio� sia direttamente 
sia mediante l�intermediazione di �societ� veicolo�, appaiono assolutamente 
irrilevanti. Infatti, per le Regioni � stabilito un limite all�incremento 
delle spese correnti (45), per cui le risorse acquisite mediante la cartolarizzazione 
non incidono in alcun modo su tale limite e le relative disponibilit� 
sono liberamente impiegabili in investimenti. Il vincolo imposto agli 
EE.LL. riguarda la differenza tra entrate e spese correnti, ma, siccome � previsto 
che nel calcolo delle entrate non si tiene conto di quelle derivanti dalla 
dismissione di beni immobili, anche su questo vincolo le operazioni di cartolarizzazione 
non presentano alcun rilievo, limitandosi a fornire risorse liberamente 
impiegabili in spese di investimento. 

CRITERI E MODALIT� DI DETERMINAZIONE DEL PREZZO DI VENDITA DEGLI IMMOBILI 
PUBBLICI OGGETTO DI CARTOLARIZZAZIONE 

Il D.L. 23 febbraio 2004 n. 41, Disposizioni in materia di determinazione 
del prezzo di vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione, convertito 
in legge 24 aprile 2004 n. 104, ha modificato il precedente sistema di 
modalit� di determinazione del prezzo di vendita degli immobili pubblici. 

Secondo l�attuale normativa il prezzo di vendita delle unit� immobiliari 
ad uso residenziale, ai conduttori che abbiano manifestato (46) la volont� di 
acquisto entro il 31 ottobre 2001, � determinato, al momento dell�offerta in 
opzione e con le modalit� di cui diremo in prosieguo, sulla base dei valori di 
mercato del mese di ottobre 2001. 

Per quanto riguarda le modalit� di vendita, il prezzo � fissato applicando, 
al prezzo determinato secondo le disposizioni dell�articolo 3, comma 7, 
del d.l. 351/01, coefficienti aggregati di abbattimento calcolati dall�Agenzia 
del territorio sulla base di eventuali aumenti di valore degli immobili tra la 
data della suddetta offerta in opzione ed i valori medi di mercato del mese di 
ottobre 2001, quali pubblicati dall�Osservatorio del mercato immobiliare 
(OMI) e di altri parametri di mercato. 

(45) Si veda l�art. 28 della legge finanziaria 2003. 
(46) Nelle ipotesi e con le modalit� previste dal secondo periodo del comma 20 dell�articolo 
3 del D.L. 351/01, conv., con mod., dalla legge 410/01, e successive modificazioni. 

DOTTRINA 253 

La precedente determinazione di prezzo di vendita si applica anche agli 
immobili venduti prima della data di entrata in vigore del presente decreto. 
La determinazione del prezzo non produce alcun effetto in merito alle opzioni 
e prelazioni che non siano state esercitate e in relazione alle quali si siano 
verificate decadenze. Il rimborso per il maggiore prezzo eventualmente 
pagato per le vendite gi� concluse � corrisposto ai relativi acquirenti dai soggetti 
originariamente proprietari degli immobili. Il rimborso � effettuato nei 
limiti delle risorse derivanti dalla dismissione di ulteriori immobili di propriet� 
dello Stato, da individuare con decreto del Ministro dell�economia e 
delle finanze, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore 
della legge di conversione del decreto in commento. 

Le risorse derivanti dalla dismissione confluiscono all�entrata del bilancio 
dello Stato per essere successivamente assegnate, nel medesimo esercizio 
finanziario, ad apposito fondo da istituire presso il Ministero dell�economia 
e delle finanze. Le disponibilit� del fondo sono ripartite tra i soggetti originariamente 
proprietari degli immobili in proporzione ai rimborsi dovuti. 

Il Ministro dell�economia e delle finanze � autorizzato ad apportare, con 
propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 

I criteri e le modalit� con cui applicare la determinazione del prezzo di 
vendita sono fissati con uno o pi� decreti di natura non regolamentare del 
Ministro dell�economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro 
e delle politiche sociali 

In tali decreti si provvede alla definizione dei rapporti con le societ� a 
responsabilit� limitata, conseguenti ai minori introiti derivanti dall�applicazione 
delle disposizioni in esame. A tale fine si utilizzano le somme previste 
nell�art. 3, comma 12 del d.l. 351/01 in relazione alle quali non si applica il 
vincolo di cui al medesimo comma 12. Per le finalit� di cui sopra pu� essere 
concessa, con i medesimi decreti, la garanzia dello Stato. Al termine dell�operazione 
di cartolarizzazione per l�eventuale minore entrata per i soggetti 
originariamente proprietari degli immobili ovvero per l�escussione della 
garanzia eventualmente concessa dallo Stato, si provvede mediante utilizzo 
delle maggiori entrate derivanti dalla vendita di ulteriori immobili dello 
Stato che saranno individuati con appositi decreti. Il Ministro dell�economia 
e delle finanze � autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti 
variazioni di bilancio. Il Ministro dell�economia e delle finanze presenta, 
ogni sei mesi, una relazione al Parlamento sulle operazioni di vendita di ulteriori 
immobili effettuate ai sensi dell�art. 1 comma 4 d.l. 41/2004, sui relativi 
proventi e sulla quota parte del ricavato destinato alle finalit� indicate. 

Per le unit� immobiliari occupate da conduttori ultrasessantacinquenni o 
nel cui nucleo familiare siano compresi soggetti conviventi, legati da rapporti 
di coniugio o di parentela in linea retta, portatori di handicap, � consentita 
l�alienazione della sola nuda propriet�, quando essi abbiano esercitato il 
diritto di opzione e prelazione con riferimento al solo diritto di usufrutto. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Lo Stato sussidiario 

di Paola Maria Zerman (*) 

SOMMARIO: a) Origine e significato del principio di sussidiariet�; b) 
La impostazione tradizionale dei rapporti P.A.-cittadini; c) L�art. 118 della 
Costituzione; d) Il rapporto tra sussidiariet� verticale e orizzontale: viene 
prima la P.A. o il cittadino? e) La sussidiariet� verticale alla luce delle sentenze 
della Corte Costituzionale: 1.� La sussidiariet� come principio dinamico. 
2.� La attribuzione di funzioni amministrative in deroga all�art. 118. 
3.� L�accordo con le Regioni quale manifestazione della leale collaborazione: 
presupposto di legittimit� dell�azione sussidiaria; 4.� La deroga alle 
competenze legislative di cui all�art. 117 Costituzione nell�ipotesi di applicazione 
del principio di sussidiariet�; 5.� La legittimit� dei finanziamenti 
statali; 6.� La �chiamata in sussidiariet�� in caso di interventi finanziari 
che riguardano lo sviluppo dell�intero Paese; f) La sussidiariet� orizzontale: 
1.� La esplicazione del principio secondo il Consiglio di Stato; 2.� Esame 
dell�art. 118 della Costituzione: � norma immediatamente precettiva? 3.� La 
nuova visione del cittadino come risorsa: il capitale sociale; 4. Da un welfare 
assistenziale ad uno sussidiario. g) La sussidiariet� in Europa: 1.� La 
sussidiariet� verticale; 2.� La sussidiariet� orizzontale. 

Sussidiariet� �verticale�, �orizzontale�, �ascendente�, �discendente�� 
la sussidiariet� sta assumendo sempre nuovi volti, creando specificazioni (e 
confusione) che poco hanno a che vedere con l�originario significato del termine. 


� necessario procedere con ordine e, come prima cosa, illustrare la genesi 
del concetto e del principio. 

a) ORIGINE E SIGNIFICATO DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIET� 

Il termine �sussidiariet�� pare abbia origini non solo antiche, ma anche 
militari. 

La parola �sussidiariet�� proviene dal termine latino subsidium, che 
significa �aiuto dalla riserva�. Nel linguaggio militare romano le �subsidiarii 
cohortes�erano quelle che stavano di retroguardia pronte ad aiutare la 
prima acies (truppe di prima linea) se si fossero trovate in difficolt�. 

Il principio di sussidiariet� fa riferimento, quindi, al ruolo di aiuto che 
ogni entit� superiore deve svolgere nei confronti della inferiore, nella misura 
in cui questa non sia in grado di adempiere ai suoi compiti. La applicazio


(*) Avvocato dello Stato. 


DOTTRINA 255 

ne tipica di questo principio riguarda il rapporto tra Stato e cittadini: il primo 
deve aiutare e coordinare i secondi, ma non sostituirsi ad essi a meno che non 
si tratti di circostanza eccezionale. Tale principio gi� esisteva nella dottrina 
politica dell�antichit� classica e in quella sociale della Chiesa, ufficialmente, 
fin dall�enciclica Rerum Novarum di Leone XIII del 1891. La definizione 
esplicita del principio si trova nella Quadragesimo anno di Pio XII. Nel 
1931. Il principio � stato inserito dapprima in sede europea nel Trattato di 
Maastricht (art. 3B) e poi nella Costituzione italiana con la legge 3/2001 che 
ha riformato il titolo V della Costituzione. 

Certo, il termine latino evoca una funzione di aiuto, supporto �sussidio�, 
svolta, con ogni evidenza nei confronti di chi non � in grado di agire autonomamente. 


Il concetto implica quindi anche la presenza di pi� soggetti impegnati, in 
senso lato, verso il medesimo compito: l�uno, per�, coinvolto direttamente, 
l�altro solo in via indiretta e nell�ipotesi in cui il primo non sia in grado di 
svolgere la sua azione. 

L�azione sussidiaria � quindi come un��azione di riserva� effettuata solo in 
supplenza del soggetto principalmente coinvolto nella missione da svolgere. 

Nell�enciclica �Quadragesimo anno� emanata in occasione del 40� 
anniversario dalla pubblicazione della enciclica �Rerum novarum�, Pio XI 
si esprime cos�:

�� vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione 
delle circostanze, molte cose non si possono pi� compiere se non da grandi 
associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia 
restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che 
siccome � illecito togliere agli individui ci� che essi possono compiere con 
le forze e l�industria propria per affidarlo alla comunit�, cos� � ingiusto 
rimettere a una maggiore e pi� alta societ� quello che dalle minori e inferiori 
comunit� si pu� fare. Ed � questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento 
del retto ordine della societ�; perch� l�oggetto naturale di qualsiasi 
intervento della societ� stessa � quello di aiutare in maniera suppletiva le 
membra del corpo sociale, non gi� distruggerle e assorbirle. 

Perci� � necessario che l�autorit� suprema dello Stato, rimetta ad associazioni 
minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, 
dalle quali essa del resto sarebbe pi� che mai distratta; e allora essa potr� eseguire 
con pi� libert�, con pi� forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, 
perch� essa sola pu� compierle; di direzione cio�, di vigilanza di incitamento, 
di repressione, a seconda dei casi e delle necessit�. Si persuadano dunque 
fermamente gli uomini di governo, che quanto pi� perfettamente sar� 
mantenuto l�ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio 
della funzione suppletiva dell�attivit� sociale, tanto pi� forte riuscir� l�autorit� 
e la potenza sociale, e perci� anche pi� felice e pi� prospera la condizione 
dello Stato stesso� (da: Quadragesimo Anno p. 80 e 81). 

Occorre cercare di comprendere pi� in profondit� quale � stata da sempre 
la preoccupazione della Chiesa nei confronti dello Stato: la necessit� di 
mettere � nei rapporti con lo Stato � in primo luogo la persona. Evitare cio� 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

i rischi dello statalismo, che assorbe in s� tutte le attivit� che possono essere 
svolte dai cittadini e quindi toglie agli stessi la possibilit� di esercitare la propria 
capacit� di azione, personalit� e libert�; evitare, d�altra parte, i pericoli 
propri del liberalismo, che � lasciando unicamente ai privati l�azione civile 
ed economica ispirata dalla logica del profitto � pu� condurre ad una impostazione 
sociale egoista e di emarginazione dei pi� deboli. 

Salvare il ruolo dei cittadini nell�azione privata e pubblica, e salvare il 
ruolo dello Stato: un equilibrio di rapporti regolato dal principio della sussidiariet�, 
questo � il principio ispiratore della dottrina sociale della Chiesa, 
recepito poi anche dalla Costituzione italiana e a livello europeo. Significa, 
questo, che il cittadino � il vero protagonista dell�azione civile e amministrativa, 
e che lo Stato deve intervenire solo nella misura in cui i privati non 
siano in grado di esercitare le funzioni a loro spettanti (ad esempio, nel 
campo dell�insegnamento, dell�educazione, della sanit�, dell�assistenza 
ecc.). 

b) L�IMPOSTAZIONE TRADIZIONALE DEI RAPPORTI P.A.- CITTADINI. 

Pubblica Amministrazione e cittadini sono portatori, secondo l�impostazione 
che ha caratterizzato per decenni il diritto amministrativo, di interessi 
contrapposti: la P.A. persegue per definizione l�interesse pubblico, il cittadino 
l�interesse privato. 

Questa contrapposizione, oltre ai profili giuridici, trova anche le radici 
in una visione culturale di antica diffidenza reciproca: la P.A. ritiene che l�interesse 
del cittadino sia per definizione �egoistico� e diretto ad ottenere il 
massimo utile; d�altra parte il cittadino non di rado si sente vessato dalla P.A. 

o comunque ostacolato nella sua azione. 
Il difficile equilibrio pubblico-privato trova di frequente composizione 
davanti al Giudice Amministrativo: come � noto la figura dell�interesse legittimo 
definisce la possibilit�, per il singolo che si trova interessato dall�azione 
della Amministrazione pubblica, di sindacarne la legittimit� dell�operato. 

La legge 241/1990 prevedendo la possibilit� per l�interessato di partecipare 
al procedimento amministrativo, ha comportato un superamento significativo 
di questa radicale contrapposizione: nell�ottica della legge, infatti, il 
cittadino, singolo o anche associato, coopera nello svolgimento di un�attivit� 
pubblica, quale la formazione del procedimento. 

Successivamente altre leggi, in particolare le leggi �Bassanini� (tra cui 
la 59/97) e la legge 328/2000 relativa alla integrazione pubblico-privato dei 
servizi sociali, hanno via via riconosciuto un ruolo di maggiore rilievo al privato 
nel perseguimento delle pubbliche finalit�. 

c)L�ART. 118 DELLA COSTITUZIONE 

Un totale cambio di rotta in questo senso, si � avuto con il �nuovo� art. 
118 della Costituzione, introdotto dalla legge 3/2001. 

La norma cos� recita: 

�Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per 
assicurarne l�esercizio unitario, siano conferite a Province, Citt� metropoli



DOTTRINA 257 

tane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiariet�, differenziazio


ne e adeguatezza. 

(omissis) 

Stato, Regioni, Citt� metropolitane, province e Comuni favoriscono la 
autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di 
attivit� di interesse generale, sulla base del principio di sussidiariet��. 

Come si pu� leggere il principio di sussidiariet� � due volte richiamato 
dalla norma costituzionale: nel primo comma � in relazione alla distribuzione 
delle competenze amministrative tra enti pubblici � e nell�ultimo, in ordine 
ai rapporti tra enti pubblici e Stato. 

Dottrina e giurisprudenza hanno denominato il rapporto tra Enti pubbli


ci: sussidiariet� verticale; quello tra Enti pubblici e cittadini: sussidiariet� 
orizzontale. 
La sussidiariet� verticale opera quindi nel rapporto tra Enti pubblici, partendo 
da quello pi� vicino al cittadino. 
Come enuncia la norma, le funzioni amministrative sono attribuite in via 
generale al Comune, e, in via subordinata, ove lo richiedano esigenze di 
gestione unitaria, agli enti di grado superiore. 

Come dichiarato dalla Corte Costituzionale, in tal caso, la sussidiariet�. 
non opera come �aprioristica modificazione delle competenze regionali in 
astratto, ma metodo per l�allocazione di funzioni a livello pi� adeguato� 
(Corte Cost. 303/2003). 

La sussidiariet� verticale, quindi, costituisce un principio dinamico che 
pu� comportare ad una modifica delle competenze attribuite per legge (Corte 
Cost. sent. cit.) 

Mentre invece, la sussidiariet� orizzontale � principio regolatore dei rapporti 
cittadino-P.A. 

Quest�ultima deve favorire l�azione del privato � singolo o associato -. 
Ci� significa che � il cittadino che pu� perseguire direttamente l�attivit� di 
interesse generale. 

Il privato � quindi da considerare come risorsa per l�espletamento di attivit� 
utili per la collettivit�, non pi� (o non solo) portatore di interessi individuali 
di carattere egoistico. 

Il cambio di prospettiva emerge con chiara evidenza dal combinato 
disposto delle due norme sopra richiamate: l�azione amministrativa � infatticostituzionalmente attribuita sia alla P.A., sia al cittadino. � finita l�epoca 
della contrapposizione. 

Inizia � o dovrebbe cominciare � l�era della collaborazione di entrambi 
i soggetti, pubblico e privato, nel perseguimento del pubblico interesse. 

In realt� occorre rilevare che gi� da alcuni anni lo Stato si sta accorgendo 
dell�importante ruolo del privato nell�ambito sociale: si pensi a tutta la 
attivit� svolta dagli organismi �no-profit� in vari settori, specie in quello 
socio-assistenziale (assistenza agli anziani, ai tossicodipendenti, ai malati 
terminali) di tutela del patrimonio artistico, dell�istruzione. E qualche riconoscimento 
c�� stato, da parte legislativa, con una disciplina di alleggerimento 
degli oneri fiscali per le ONLUS (d.lgs. 1997 n. 460: riordino della disci



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

plina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative 
di utilit� sociale: sono di diritto considerate ONLUS le ONG regolate 
dalla legge 49/1987). 

E qualche anno fa, la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato 
di interventi e servizi sociali (legge 328/2000), nel riconoscere il ruolo 
fondamentale dell�azione dei privati in tale ambito, ha esplicitamente preso 
atto del compito essenziale svolto dalla famiglia nella formazione e nella 
cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della 
coesione sociale (art. 16). 

In questo contesto occorre chiedersi: come si inserisce il principio della 
sussidiariet� orizzontale nell�attuale organizzazione amministrativa e che 
conseguenze concrete pu� avere?

� necessario quindi approfondire il meccanismo di azione del principio, 
nonch� il coordinamento tra il primo e l�ultimo comma, e cio� della sussidiariet� 
verticale e di quella orizzontale. 

Chi viene prima: il cittadino o la P.A.? Chi � da considerarsi il vero protagonista 
dell�azione amministrativa? 

d) IL RAPPORTO TRA SUSSIDIARIET� VERTICALE E ORIZZONTALE: VIENE PRIMA LA P.A. 
O IL CITTADINO? 

A non individuare bene il rapporto tra i due principi regolatori (sussidiariet� 
verticale e orizzontale) si pu� correre il rischio � come avviene non di 
rado � di trattare separatamente la sussidiariet� verticale ed orizzontale, vanificando 
la portata innovatrice, o meglio, rivoluzionaria, della norma. 

Occorre infatti sottolineare che la maggior parte degli sforzi dottrinali e 
giurisprudenziali, sono diretti ad approfondire la portata e l�operativit� del 
rapporto di sussidiariet� verticale, e cio� tra Enti pubblici. 

Molteplici sono le sentenze della Corte Costituzionale che hanno esaminato 
la materia, in ragione dei numerosi conflitti di attribuzione e di legittimit� 
costituzionale sollevati dalla Regioni e dallo Stato. 

Centrare l�attenzione solo sulla sussidiariet� verticale, lasciando da parte 
quella orizzontale come estranea alla prima, comporta il rischio di eliminare 
la sussidiariet� orizzontale, e, paradossalmente, di rendere ancora pi� incalzante 
l�azione della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino, 
visto che � l�ente pi� �vicino al cittadino� che, in applicazione della sussidiariet� 
verticale deve prendersi cura dei suoi interessi.

� stato acutamente osservato che, �se il principio di sussidiariet� verticale 
non viene esplicitamente coniugato con quello di sussidiariet� orizzontale, 
si cade in modo inequivocabile in una pi� subdola e pericolosa forma di 
statalismo celebrato nella formula: ci� che non fa il pubblico lo fa comunque 
il pubblico�(Dario Antiseri). 

Gi� nel 1849 J. S. Mill pubblica �On Liberty� ritenendo che �i mali 
cominciano quando invece di fare appello alle energie e alle iniziative di 
individui e associazioni, il governo si sostituisce ad essi; quando invece di 
informare, consigliare e all�occasione, denunciare, e imporre vincoli, ordina 
loro di tenersi in disparte e agisce in loro vece�. 


DOTTRINA 259 

Il problema non � di poco conto e pu� davvero determinare una distorta 
applicazione dell�art. 118 della Costituzione, se non addirittura una disapplicazione 
dell�ultimo comma del medesimo, laddove appunto prevede la sussidiariet� 
orizzontale. 

� necessario infatti comprendere che non si pu� parlare di sussidiariet� 
verticale �saltando� a pi� pari quella orizzontale, e questo per il fatto che la 
prima si pone in termini di azione solo eventuale nei confronti della seconda. 

In altri termini: la sussidiariet� orizzontale viene prima rispetto a quella 
verticale, e ci� sia dal punto di vista logico-giuridico che storico-culturale. 

Sotto il primo profilo, perch� se la sussidiariet� orizzontale riguarda �il 
favore� dell�azione dei cittadini rispetto a quella della p.a., ne consegue cheil vero protagonista dell�azione amministrativa � il cittadino. � questi che 
deve svolgere l�azione diretta al bene generale e, solo in mancanza, la pubblica 
amministrazione. 

Diversamente opinando si viene di fatto ad escludere ogni possibilit� di 
azione del cittadino: se infatti si pensasse di applicare dapprima la sussidiariet� 
verticale e solo dopo quella orizzontale, quest�ultima non troverebbe 
mai spazio, dato che verrebbe superata dalla attribuzione dell�esercizio della 
funzione all�ente pubblico vicino al cittadino. 

Non bisogna dimenticare che l�azione dell�ente pubblico, in virt� della 
sussidiariet�, � comunque sempre un�azione di riserva, eventuale e non viceversa. 


Mentre, invece, secondo la visione, anche giuridica oltre che culturale, 
di impostazione ancora statalista, � l�azione del privato che viene considerata 
eventuale e di riserva. 

Il che implica il rovesciamento dei termini e il tradimento del significato 
profondo del principio. 

Vero � che, come � stato da qualcuno osservato (Pizzetti), in realt� la sussidiariet� 
� unica, non si pu� dividere e separare come in un binario parallelo.

� pertanto la sussidiariet� orizzontale che segna i rapporti tra cittadino e 

p.a. ad avere la precedenza: solo laddove manchi l�azione dei cittadini, interviene 
l�ente pubblico, secondo un principio di sussidiariet� verticale molto 
vicino, in realt�, ai concetti di decentramento amministrativo o autarchico. 
La interpretazione in tal senso della norma costituzionale � ampiamente 
suffragata dalla ratio storico-culturale del principio di sussidiariet� orizzontale, 
che � diretto a valorizzare sempre di pi� l�azione dei �corpi intermedi� 
tra Stato e cittadino, in armonia con il primitivo spirito della Costituzione 
originaria.

� noto, infatti, che quest�ultima ha segnato il superamento della concezione 
illuministica che, abolendo i corpi intermedi tra Stato e cittadino, lasciava 
questi solo di fronte allo Stato, privo del riconoscimento dei diritti come 
essere �sociale� quali la costituzione di associazioni, enti e, in primo luogo, il 
riconoscimento della soggettivit� sociale della famiglia, definita dall�art. 29 
della Costituzione come �societ� naturale� fondata sul matrimonio. 

Senza ulteriormente considerare che il suddetto principio � mutuato 
dalla dottrina sociale della Chiesa e rappresenta il punto di equilibrio tra l�a



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

zione dei cittadini e quella dello Stato: solo laddove il cittadino non sia in 
grado di svolgere l�azione diretta all�interesse generale (come ad esempio 
l�istruzione, la cultura, l�assistenza ecc.) allora deve intervenire lo Stato. 

Pertanto, la domanda previa di fronte alla corretta applicazione della sussidiariet� 
verticale �: �� stata data effettiva possibilit� ai privati di esercitare 
tale attivit�?� 

Solo in ipotesi affermativa e nel caso gli stessi rimangano inattivi, si pu� procedere 
ad esaminare quale sia l�Ente pubblico competente a svolgere l�azione. 

Occorre da ultimo sottolineare la fondamentale importanza della domanda 
relativa alla possibilit� offerta ai cittadini di svolgere una certa azione. 

Risulta del tutto evidente che tale enunciazione non pu� essere ricondotta 
al riconoscimento delle attivit� che i privati gi� svolgono fruendo di quelle 
libert� fondamentali gi� riconosciute dalla costituzione. 

In tale ottica, infatti, il principio di sussidiariet� costituirebbe solo una 
enunciazione di principio e sarebbe del tutto superfluo. Tale criterio si inserisce 
invece in una norma di carattere organizzativo che riguarda la suddivisione 
delle competenze amministrative: il primo comma, riguarda la primariet� 
dei Comuni nello svolgimento dell�azione amministrativa, l�ultimo 
azione dei cittadini. 

Ne consegue che l�enunciazione in esame ha rilevanza organizzativa nel 
senso che lo Stato riconosce la competenza dei cittadini allo svolgimento 
delle funzioni pubbliche e che � pertanto � ne favorisce l�azione. 

Sicch� il termine �favorire� deve essere inteso nel senso di far �assumere 
una posizione prioritaria al privato rispetto al pubblico anche in settori 
sinora riservati alla competenza esclusiva degli apparati amministrativi� 
(Cons. Stato, parere 1794/2002). 

E per questo, si rende necessario il sostegno economico a tale azione, 
come pacificamente riconosciuto anche per la sussidiariet� verticale: ovvero 
lo Stato deve mettere in grado i cittadini di svolgere attivit� nell�interesse 
sociale, senza che questo costituisca un personale e gravoso onere per i 
medesimi. 

Diversamente, si sarebbe di fronte ad un riconoscimento �fasullo� della 
sussidiariet�: si lascerebbe il privato agire in teoria, ma in pratica gli si precluderebbe 
tale possibilit� lasciandolo privo di risorse adeguate. 

La corretta applicazione della sussidiariet� orizzontale, invece, comporta, 
come esplicitato dalla norma costituzionale, una azione positiva di sostegno 
dell�azione dei cittadini diretta al perseguimento di un interesse generale. 

e) LA SUSSIDIARIET� VERTICALE ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE 
COSTITUZIONALE 

1.- La sussidiariet� come principio dinamico 

Numerose sono le sentenze della Corte Costituzionale intervenute a 
seguito di ricorsi inoltrati, per lo pi� dalle Regioni che assumevano lesa da 
parte dello Stato la competenza legislativa prevista dall�art. 117 della 
Costituzione. 


DOTTRINA 261 

La Corte � andata gradatamente elaborando la portata della sussidiariet� 
verticale alla luce del nuovo assetto costituzionale. 

Interessante � rilevare che la stessa ha chiarito che la sussidiariet� indicata 
dall�art. 118 � diversa da quei richiami alla sussidiariet� contenuti nelle 
varie leggi di decentramento (le c.d. Bassanini). 

�Enunciato nella legge 15 marzo 1997 n. 59 come criterio ispiratore 
della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri 
enti territoriali e quindi gi� operante nella sua dimensione statica, come fondamento 
di un ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua 
incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. 
Accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale 
attribuzione della generalit� delle funzioni amministrative ai 
Comuni, � resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiariet�, che 
consente ad essa di operare non pi� come ratio ispiratrice e fondamento di 
un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilit� 
di quell�ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie� 
(Corte Cost. 303/2003). 

Secondo la Corte, permane nell�ordinamento l�attivit� unificante dello 
Stato, la quale non � da considerarsi limitata alle sole materie di competenza 
esclusiva dello Stato o ai principi fondamentali in materie di competenza 
concorrente. Il principio di sussidiariet�, pu� comportare deroghe alle competenze 
previste dall�art. 118 proprio in considerazione di questa esigenza 
unitaria. 

2. - La attribuzione di funzioni amministrative in deroga all�art. 118 
Molteplici sono i casi sottoposti al vaglio della Corte Costituzionale in 
cui quest�ultima invece di dichiarare la illegittimit� di una legge perch� in 
violazione dell�art. 118 ha enunciato la applicabilit� del principio di sussidiariet� 
verticale in nome di esigenze di esercizio unitario di determinate attivit� 
amministrative. 

Cos� ad esempio la sentenza della Corte n. 6/2004 che ha ritenuto legittima 
la autorizzazione, prevista nella legge, del Ministero delle Attivit� produttive 
per la costruzione di impianti di energia elettrica. 

�La qualificazione della normativa in esame come espressiva di una 
scelta del legislatore statale di considerare necessario il conferimento allo 
Stato della responsabilit� amministrativa unitaria in materia, �sulla base dei 
principi di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza� di cui all�art. 118, 
primo comma, Cost., deve superare la preliminare obiezione delle Regioni 
ricorrenti sull�idoneit� della fonte statale a compiere questa scelta anche l� 
dove le norme costituzionali affidano solo limitati poteri legislativi allo 
Stato, come appunto nel caso delle materie di cui al terzo comma dell�art. 
117 Cost.. 

�Il superamento di questa obiezione appare agevole se si considera che 
la valutazione della necessit� del conferimento di una funzione amministrativa 
ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere 
necessariamente effettuata dall�organo legislativo corrispondente almeno 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

al livello territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante 
ad un livello territoriale inferiore (come sarebbe un Consiglio regionale in 
relazione ad una funzione da affidare � per l�esercizio unitario � al livello 
nazionale). 

�Questa scelta legislativa che trova sicuro, seppur implicito, fondamento 
costituzionale nell�art. 118 Cost., in relazione al principio di legalit�, deve 
giustificarsi in base ai principi di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza; 
questi ultimi, tuttavia, non possono trasformarsi � come questa Corte 
ha affermato nella sentenza n. 303 del 2003 � �in mere formule verbali capaci 
con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale 
il riparto costituzionalmente stabilito, perch� ci� equivarrebbe a negare la 
stessa rigidit� della Costituzione�. 

�Proprio per la rilevanza dei valori coinvolti, questa Corte ha quindi 
affermato, nella medesima sentenza, che una deroga al riparto operato dall�art. 
117 Cost. pu� essere giustificata �solo se la valutazione dell�interesse 
pubblico sottostante all�assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato 
sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno 
scrutinio stretto di costituzionalit� e sia oggetto di un accordo stipulato con 
la Regione interessata�. 

�In altri termini, perch� nelle materie di cui all�art. 117, terzo e quarto 
comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni 
amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l�esercizio, � 
necessario che essa innanzi tutto rispetti i principi di sussidiariet�, differenziazione 
ed adeguatezza nell�allocazione delle funzioni amministrative, 
rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni.

�� necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente 
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che 
risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine. Da ultimo, 
essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione 
dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione 
o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione 
per l�esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli 
organi centrali. Quindi, con riferimento a quest�ultimo profilo, nella perdurante 
assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, pi� in 
generale, dei procedimenti legislativi � anche solo nei limiti di quanto previsto 
dall�art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al 
titolo V della parte seconda della Costituzione) � la legislazione statale di 
questo tipo �pu� aspirare a superare il vaglio di legittimit� costituzionale 
solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il 
dovuto risalto le attivit� concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia 
le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealt�� (sentenza 
n. 303 del 2003). 

�Se si applicano i menzionati criteri alla normativa oggetto del presente 
giudizio, si rileva anzitutto la necessariet� dell�intervento dell�amministrazione 
statale in relazione al raggiungimento del fine di evitare il �pericolo di 
interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale� 


DOTTRINA 263 

(art. 1 del D.L. n. 7 del 2002); non v�� dubbio, infatti, che alle singole amministrazioni 
regionali � che si volessero attributarie delle potest� autorizzatorie 
contemplate dalla disciplina impugnata � sfuggirebbe la valutazione complessiva 
del fabbisogno nazionale di energia elettrica e l�autonoma capacit� 
di assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno. In relazione agli altri criteri, 
d�altra parte, non si pu� non riconoscere da un lato la specifica pertinenza 
della normativa oggetto del presente giudizio in relazione alla regolazione 
delle funzioni amministrative in questione, dall�altro che tale normativa 
si � limitata � nell�esercizio della discrezionalit� del legislatore � a regolare 
queste ultime in funzione del solo fine di sveltire le procedure autorizzatorie 
necessarie alla costruzione o al ripotenziamento di impianti di energia elettrica 
di particolare rilievo. 

�Resta da valutare il rispetto dell�ultimo criterio indicato, in relazione 
alla necessaria previsione di idonee forme di intesa e collaborazione tra il 
livello statale e i livelli regionali. 

�Da quest�ultimo punto di vista devono considerarsi adeguati i due 
distinti livelli di partecipazione delle Regioni disciplinati nel D.L. n. 7 del 
2002, quale convertito dalla legge n. 55 del 2002: per il primo comma dell�art. 
1, quale opportunamente modificato in sede di conversione, la determinazione 
dell�elenco degli impianti di energia elettrica che sono oggetto di 
questi speciali procedimenti viene effettuata �previa intesa in sede di 
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province 
autonome di Trento e di Bolzano�; per il secondo comma dell�art. 1, l�autorizzazione 
ministeriale per il singolo impianto �� rilasciata a seguito di un 
procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali 
interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le 
modalit� di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, 
d�intesa con la Regione interessata�. Appare evidente che quest�ultima 
va considerata come un�intesa �forte�, nel senso che il suo mancato raggiungimento 
costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento 
� come, del resto, ha riconosciuto anche l�Avvocatura dello Stato � a 
causa del particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo 
tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, 
alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed 
ambientali, al turismo, etc. 

�I due distinti livelli di partecipazione � dell�insieme delle Regioni nel 
primo caso e della Regione direttamente interessata nel secondo � realizzano 
quindi, ove correttamente intesi ed applicati dalle diverse parti interessate, 
sufficienti modalit� collaborative e di garanzia degli interessi delle istituzioni 
regionali i cui poteri sono stati parzialmente ridotti dall�attribuzione 
allo Stato dell�esercizio unitario delle funzioni disciplinate negli atti impugnati. 
N� mancano, ovviamente, strumenti di tutela contro eventuali prassi 
applicative che non risultassero in concreto rispettose della doverosa leale 
collaborazione fra Stato e Regioni�. 

�L�insieme di tali considerazioni evidenzia quindi l�infondatezza dei 
rilievi delle Regioni ricorrenti relativamente alla pretesa violazione dell�art. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

118 Cost., sia in riferimento ai principi di sussidiariet�, differenziazione ed 
adeguatezza, sia per quel che concerne la fonte statale utilizzata. 

�Devono ora essere affrontate le censure sollevate dalle ricorrenti in 
relazione a specifiche disposizioni degli atti normativi oggetto del presente 
giudizio. 

�In particolare, alcuni di tali rilievi di costituzionalit� riguardano la pretesa 
illegittima compressione dei poteri amministrativi e rappresentativi 
degli enti locali interessati, alla luce degli articoli 117 e 118 Cost.: pi� specificamente, 
si nega, da parte delle Regioni ricorrenti, che l�autorizzazione 
unica possa legittimamente essere configurata come sostitutiva di ogni altra 
autorizzazione di competenza degli enti locali e come modificativa degli 
strumenti urbanistici o del piano regolatore portuale, in quanto ci� sarebbe 
incompatibile con le competenze legislative regionali in materia di �governo 
del territorio�, nonch� con le funzioni amministrative che sarebbero riconosciute 
dall�art. 118 Cost. a Comuni, Province, Citt� metropolitane e Regioni. 

�Tali censure non sono fondate. 

�Quanto alla pretesa violazione dell�art. 117 della Costituzione, in questa 
sede ci si pu� limitare a richiamare le considerazioni svolte pi� sopra. La 
disciplina impugnata, infatti, concerne la allocazione e la regolazione di funzioni 
amministrative (in una materia affidata alla legislazione concorrente) e 
conseguentemente � nell�art. 118 della Costituzione e nei principi di sussidiariet�, 
differenziazione ed adeguatezza che deve trovare il proprio decisivo 
parametro di giudizio, secondo quanto esposto in precedenza�. (Sent. 
6/2004 cit.) 

3. L�accordo con le Regioni quale manifestazione della leale collaborazione: 
presupposto di legittimit� dell�azione sussidiaria 
Perch� lo Stato possa legittimamente amministrare in sussidariet�, al 
posto delle Regioni o degli altri enti territoriali, � necessario che si profilino 
esigenze di esercizio unitario. 

Ma non � sufficiente: un�ulteriore condizione di legittimit� richiede la 
Corte. Questa applica in analogia l�art. 120 della Costituzione, relativo ai 
poteri sostitutivi da parte del Governo, il quale esplicitamente prescrive che 
il comportamento di quest�ultimo sia ispirato alla �leale collaborazione�. 

Ritiene la Corte che tale principio debba applicarsi ogniqualvolta lo 
Stato ritenga di applicare il principio di sussidiariet� verticale: 

�Da questo punto di vista, va ritenuto insufficiente il meccanismo previsto 
dalla disposizione censurata, che � ai fini della emanazione del D.P.C.M. 
per la ripartizione del fondo e a differenza di quanto previsto dall�art. 20, 
comma 5, del D.Lgs. n. 422 del 1997 � si limita a richiedere che sia �sentita� 
la Conferenza unificata Stato-Regioni di cui all�art. 8 del D.Lgs. n. 281 
del 1997, riducendo in tal modo gli spazi di autonomia riconosciuti alle 
Regioni nel complessivo sistema di finanziamento del trasporto pubblicolocale. � invece costituzionalmente necessario, al fine di assicurare in modo 
adeguato la leale collaborazione fra le istituzioni statali e regionali, che il 
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri cui fa riferimento la dispo



DOTTRINA 265 

sizione impugnata sia adottato sulla base di una vera e propria intesa con la 
Conferenza unificata di cui all�art. 8 del D.Lgs. n. 281 del 1997.� (Corte 
Cost. 6 giugno 2005 n. 222). 

Pertanto, la verifica della legittimit� costituzionale di una norma va condotta 
alla luce del principio di leale collaborazione, che determina la necessit� 
di accordo con la Regione interessata o altre intese che costituiscano un 
reale coinvolgimento della Regione. 

Diversamente, ove non sussista tale condizione, la norma deve essere 
dichiarata illegittima. 

Interessante sul principio di leale collaborazione la recente sentenza n. 
31/2006 che nel dichiarare che non spetta allo Stato, e per esso all�Agenzia 
del demanio, escludere la partecipazione delle Regioni al procedimento 
diretto all�alienazione di aree situate nel territorio della stessa Regione e 
appartenenti al demanio idrico dello Stato ha chiarito quanto segue : 

� L�art. 86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento 
di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, 
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) dispone che 
�Alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le Regioni e gli enti 
locali competenti per territorio�; il secondo comma aggiunge: �I proventi dei 
canoni ricavati dall�utilizzazione del demanio idrico sono introitati dalla 
Regione�. I successivi artt. 89 e 105 elencano in modo dettagliato le funzioni 
conferite alle Regioni e agli enti locali. 

�Alla luce del nuovo testo dell�art. 118 Cost., dopo la riforma del Titolo 
V della Parte II, l�attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni 
amministrative in materia � sorretta dal principio di sussidiariet�, che implica 
l�allocazione delle funzioni amministrative al livello di governo il pi� 
possibile prossimo alle comunit� amministrate. D�altronde, l�esercizio dei 
poteri dominicali dello Stato nei confronti dei beni del demanio idrico deve 
necessariamente ispirarsi anche al principio costituzionale di leale collaborazione, 
proprio perch� occorre in concreto bilanciare l�interesse dello Stato 
proprietario e gli interessi delle collettivit� locali fruitrici dei beni. 

�Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale collaborazione 
deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e 
Regioni: la sua elasticit� e la sua adattabilit� lo rendono particolarmente idoneo 
a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi 
ed evitando eccessivi irrigidimenti. La genericit� di questo parametro, se 
utile per i motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e concretizzazioni. 
Queste possono essere di natura legislativa, amministrativa o 
giurisdizionale, a partire dalla ormai copiosa giurisprudenza di questa Corte. 
Una delle sedi pi� qualificate per l�elaborazione di regole destinate ad integrare 
il parametro della leale collaborazione � attualmente il sistema delle 
Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali. Al suo interno si sviluppa il 
confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al 
quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse. 

�In materia di demanio idrico, in sede di Conferenza unificata � stato 
sottoscritto, nella seduta del 20 giugno 2002, un accordo rilevante per l�og



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

getto della presente controversia: �Risultando in alcuni casi particolarmente 
attive le procedure di �sdemanializzazione� (vendita al privato di aree demaniali), 
il provvedimento finale di sdemanializzazione potr� essere assunto 
solo a seguito di parere favorevole delle Regioni e Province autonome, tenuto 
anche conto degli indirizzi della Autorit� di bacino�. 

�Accordi come quello appena citato rappresentano la via maestra per conciliare 
esigenze unitarie e governo autonomo del territorio, poteri dominicali e 
interessi delle collettivit� amministrate. Il principio di leale collaborazione, 
anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo 
ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto. 

La via di concretizzazione del parametro della leale collaborazione che 
passa attraverso gli accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni appare 
anche la pi� coerente con la sistematica delle autonomie costituzionali, giacch� 
obbedisce ad una concezione orizzontale-collegiale dei reciproci rapporti 
pi� che ad una visione verticale-gerarchica degli stessi. ..� (sent. del 1 febbraio 
2006 n. 31). 

4. La deroga alle competenze legislative di cui all�art.117 Costituzione nell�ipotesi 
di applicazione del principio di sussidiariet�. 
Di grande importanza risulta essere la sentenza 303/2003 che nell�esplicitare 
il meccanismo di funzionamento del principio di sussidiariet� ne ha 
esaminato anche il riflesso sulle competenze legislative indicate dall�art.117 
della Costituzione. 

Afferma in proposito la Corte che: 

�Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in base ad 
uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un 
rovesciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate 
alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali. 

�In questo quadro, limitare l�attivit� unificante dello Stato alle sole 
materie espressamente attribuitegli in potest� esclusiva o alla determinazione 
dei princip� nelle materie di potest� concorrente, come postulano le ricorrenti, 
significherebbe bens� circondare le competenze legislative delle 
Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura 
istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo 
istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla 
normale ripartizione di competenze [basti pensare al riguardo alla legislazione 
concorrente dell�ordinamento costituzionale tedesco (konkurrierende 
Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense 
(Supremacy Clause)]. Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti 
congegni volti a rendere pi� flessibile un disegno che, in ambiti nei 
quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di 
vanificare, per l�ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione 
presenti nei pi� svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei princip� giuridici, 
trovano sostegno nella proclamazione di unit� e indivisibilit� della 
Repubblica. Un elemento di flessibilit� � indubbiamente contenuto nell�art. 
118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni 


DOTTRINA 267 

amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce 
col rendere meno rigida, come si chiarir� subito appresso, la stessa distribuzione 
delle competenze legislative, l� dove prevede che le funzioni amministrative, 
generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un 
livello di governo diverso per assicurarne l�esercizio unitario, sulla base deiprincip� di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza. � del resto coerente 
con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiariet� che 
essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle 
finalit� che si intenda raggiungere; ma se ne � comprovata un�attitudine 
ascensionale deve allora concludersi che, quando l�istanza di esercizio unitario 
trascende anche l�ambito regionale, la funzione amministrativa pu� 
essere esercitata dallo Stato. Ci� non pu� restare senza conseguenze sull�esercizio 
della funzione legislativa, giacch� il principio di legalit�, il quale 
impone che anche le funzioni assunte per sussidiariet� siano organizzate e 
regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole 
Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni 
amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge 
statale possa attendere a un compito siffatto. 

� �Una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva 
o concorrente, in virt� dell�art. 118, primo comma, la legge pu� attribuire 
allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni 
fondanti dello Stato di diritto, essa � anche abilitata a organizzarle e regolarle, 
al fine di renderne l�esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro 
legale, resta da chiarire che i princip� di sussidiariet� e di adeguatezza 
convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel 
Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell�interesse 
pubblico sottostante all�assunzione di funzioni regionali da parte dello 
Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di 
uno scrutinio stretto di costituzionalit�, e sia oggetto di un accordo stipulato 
con la Regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, 
primo comma, sia desumibile anche il principio dell�intesa consegue alla 
peculiare funzione attribuita alla sussidiariet�, che si discosta in parte da 
quella gi� conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 
15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle 
funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi gi� 
operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un 
ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione 
nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto 
alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione 
della generalit� delle funzioni amministrative ai Comuni, � resa, infatti, 
attiva una vocazione dinamica della sussidiariet�, che consente ad essa di 
operare non pi� come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni 
stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilit� di quell�ordine 
in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie. 
�Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale 
della sussidiariet� e dell�adeguatezza. Si comprende infatti come tali 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

princip� non possano operare quali mere formule verbali capaci con la loro 
sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto 
costituzionalmente stabilito, perch� ci� equivarrebbe a negare la stessa rigidit� 
della Costituzione. E si comprende anche come essi non possano assumere 
la funzione che aveva un tempo l�interesse nazionale, la cui sola allegazione 
non � ora sufficiente a giustificare l�esercizio da parte dello Stato di 
una funzione di cui non sia titolare in base all�art. 117 Cost. Nel nuovo 
Titolo V l�equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, 
che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l�erosione delle funzioni 
amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, � divenuta 
priva di ogni valore deontico, giacch� l�interesse nazionale non costituisce 
pi� un limite, n� di legittimit�, n� di merito, alla competenza legislativa 
regionale. 

�Ci� impone di annettere ai princip� di sussidiariet� e adeguatezza una 
valenza squisitamente procedimentale, poich� l�esigenza di esercizio unitario 
che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche 
quella legislativa, pu� aspirare a superare il vaglio di legittimit� costituzionale 
solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano 
il dovuto risalto le attivit� concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia 
le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealt��. 

Dall�ampio stralcio della sentenza riportato emerge con chiarezza che, in 
ossequio al principio di legalit�, la deroga all�allocazione delle competenze 
amministrative, in nome del principio di sussidiariet�, determina anche una 
deroga alle competenze legislative previste dall�art. 117. 

Considerato, infatti, che solo la legge pu� regolare le funzioni amministrative, 
ne consegue che in tal caso dovr� essere la legge statale a regolarle 
anche in materia che non appartiene alla sua competenza esclusiva o che non 
rientri nei principi fondamentali previsti per la legislazione concorrente. 

5.- La legittimit� dei finanziamenti statali 

Particolare attenzione � stata posta dalla Corte alle ipotesi di finanziamento, 
da parte dello Stato, ad attivit� rientranti in materia di competenza 
regionale. 

Molteplici sono le pronunce ove � stata presa in considerazione � per 
vagliarne la legittimit� � una norma di legge statale che prevedeva un finanziamento 
diretto o comunque la costituzione di un fondo destinato a determinate 
finalit�. 

Con l�occasione, la Corte ha rilevato che il finanziamento vincolato incide 
sulla gestione od organizzazione di una materia, e quindi pu� determinare 
una lesione della ripartizione di competenze stabilita dall�art.117 della 
Costituzione. 

�� La questione � fondata. 

La norma impugnata � come si desume dalla sua formulazione letterale, 
nonostante la complessit� dei molteplici richiami a disposizioni precedenti, 
e dalla stessa rubrica dell�art. 47 � disciplina interventi destinati alla formazione 
professionale: questa materia appartiene, nell�assetto definito dal 


DOTTRINA 269 

nuovo art. 117 della Costituzione, alla competenza residuale delle Regioni, 
in quanto non � inclusa nell�elenco delle materie attribuite dal secondo 
comma alla legislazione dello Stato ed � nel contempo espressamente esclusa 
dall�ambito della potest� concorrente in materia di istruzione, sancita dal 
successivo terzo comma (v. sentenza n. 13 del 2004). 

�(omissis) � Con riferimento ai finanziamenti disposti da leggi statali in 
favore di soggetti pubblici o privati (mediante la costituzione di appositi 
fondi o il rifinanziamento di fondi gi� esistenti), questa Corte ha pi� volte 
affermato che � dopo la riforma costituzionale del 2001 ed in attesa della sua 
completa attuazione in tema di autonomia finanziaria delle Regioni (cfr. sentenze 
n. 320 e n. 37 del 2004) � l�art. 119 della Costituzione pone, sin d�ora, 
al legislatore statale precisi limiti in tema di finanziamento di funzioni spettanti 
al sistema delle autonomie (sentenza n. 423 del 2004). 

�Anzitutto non � consentita l�erogazione di nuovi finanziamenti a destinazione 
vincolata in materie spettanti alla competenza legislativa, esclusiva 

o concorrente, delle Regioni (sentenze n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003). 
Infatti il ricorso a questo tipo di finanziamento pu� divenire uno strumento 
indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell�esercizio delle funzioni 
delle Regioni e degli enti locali, nonch� di sovrapposizione di politiche e 
di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle 
Regioni negli ambiti materiali di propria competenza. (Corte Cost. 51/2005). 
�In secondo luogo � giacch� �le funzioni attribuite alle Regioni ricomprendono 
pure la possibilit� di erogazione di contributi finanziari a soggetti 
privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche 
pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici 
ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalit� per la loro 
erogazione� (sentenza n. 320 del 2004) � questa Corte ha ripetutamente chiarito 
che il tipo di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all�art. 
117 Cost., �vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, 
in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati 
a soggetti privati, poich� ci� equivarrebbe a riconoscere allo Stato potest� 
legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle 
rispettive competenze� (sentenze n. 320, n. 423 e n. 424 del 2004). 

�� Sulla base di tali consolidati principi (ed a maggior ragione, trattandosi 
di interventi in materia di competenza regionale residuale) il comma 1 
dell�art. 47 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo� (Corte 
Cost. 51/2005). 

Il finanziamento vincolato da parte dello Stato deve essere quindi limitato 
alle materie rientranti nella sua competenza esclusiva, come ad esempio 
la tutela della concorrenza e del risparmio (art.117 lett. e) Cost.). A questo 
proposito, la Corte ha avuto modo di precisare che alla tutela della concorrenza 
sono da ascrivere quegli interventi che si caratterizzano per la loro 
dimensione nazionale e funzione di stimolo del mercato (Corte Cost. 
134/2005). 

Esaustiva in tal senso � la motivazione riguardante la tutela del c.d. 
�made in Italy�: 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

�Preliminarmente, deve osservarsi che il carattere (asseritamente) modesto 
dal punto di vista finanziario dell�intervento non � certamente decisivo 
per escludere la sua riconducibilit� alla materia della �tutela della concorrenza� 
di cui all�art. 117 Cost., secondo comma, ma pu�, al pi�, costituire un 
indizio in tale senso: ed infatti, deve rilevarsi che questa Corte ha sottolineato 
che �proprio l�aver accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la 
moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, 
i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse 
finanziarie e la tutela della concorrenza rende palese che quest�ultima costituisce 
una delle leve della politica economica statale e pertanto non pu� essere 
intesa soltanto in senso statico ..... ma anche in quell�accezione dinamica 
..... che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni 
di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali� 
(sentenza n. 14 del 2004). 

�Questa Corte ha quindi precisato (sentenza n. 272 del 2004) che �non 
spetta (ad essa) valutare in concreto la rilevanza degli effetti economici derivanti 
dalle singole previsioni di interventi statali ..... stabilire, cio�, se una 
determinata regolazione abbia effetti cos� importanti sull�economia di mercato 
..... tali da trascendere l�ambito regionale ..... (ma solo) che i vari strumenti 
di intervento siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata 
rispetto agli obiettivi attesi�. 

�La (pretesa) modestia dell�intervento statale non determina, quindi, di 
per s� l�estraneit� alla materia di cui alla lettera e) dell�art. 117 Cost., secondo 
comma, ma potrebbe semmai costituire sintomo della manifesta irrazionalit� 
della pretesa dello Stato di porre in essere, attraverso quell�intervento, 
uno strumento di politica economica idoneo ad incidere sul mercato; in 
breve, le scelte del legislatore sono, in questa materia, censurabili solo quando 
�i loro presupposti siano manifestamente irrazionali e gli strumenti di 
intervento non siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata 
rispetto agli obiettivi attesi� (sentenza n. 14 del 2004) e, pertanto, �il criterio 
della proporzionalit� e dell�adeguatezza appare essenziale per definire l�ambito 
di operativit� della competenza legislativa statale attinente alla �tutela 
della concorrenza� e conseguentemente la legittimit� dei relativi interventi 
statali� (sentenza n. 272 del 2004). 

�� Considerata alla luce dei principi appena ricordati, e che vanno qui 
ribaditi, la norma censurata rivela pianamente la sua natura di �ragionevole 
e proporzionato� intervento statale nell�economia volto a promuovere lo sviluppo 
del mercato attraverso una campagna che diffonda, con il marchio 
�made in Italy�, un�immagine dei prodotti italiani associata all�idea di una 
loro particolare qualit�: dove � evidente la presenza di un rapporto, che certamente 
non pu� ritenersi irragionevole (e, tanto meno, manifestamente irragionevole), 
tra lo strumento impiegato e l�obiettivo (di sviluppo economico 
del Paese) che si � prefisso il legislatore statale, cos� come � evidente che 
sussiste il requisito dell�adeguatezza per ci� solo che lo strumento impiegato, 
per sua natura, suppone che sia predisposto e disciplinato dallo Stato perch� 
solo lo Stato pu� porre in essere strumenti di politica economica tenden



DOTTRINA 271 

ti a svolgere sull�intero mercato nazionale un�azione di promozione e sviluppo 
(sentenza n. 303 del 2003).

�� ben vero che, dichiaratamente, il comma 61 dell�art. 4 mira alla diffusione 
all�estero (nei mercati mediterranei, dell�Europa continentale e orientale) 
del �made in Italy�, ma tale previsione, lungi dall�implicare la riconducibilit� 
alla (ovvero una commistione con la) materia del �commercio con l�estero�, 
esprime soltanto l�auspicata ripercussione sul commercio con l�estero dell�intervento 
statale volto alla diffusione di un�idea di qualit� dei prodotti (in generale) 
di origine italiana. La circostanza che un intervento di pertinenza dello 
Stato (come la Regione ricorrente riconosce, non contestandone la legittimit� e 
l�opportunit�) abbia in futuro ricadute (anche) su un settore dell�economia soggetto 
alla potest� legislativa concorrente non comporta interferenze tra materie 
(come non la comporterebbe, ad esempio, con il commercio con l�estero un 
intervento statale in tema di �dogane� o di �rapporti internazionali�). 

�L�inquadramento della disciplina de qua nella materia-funzione della 
�tutela della concorrenza� � nel senso pi� volte affermato da questa Corte e 
qui ribadito � esclude che possa ravvisarsi una violazione del precetto di cui 
all�art. 117 Cost., sesto comma, per il fatto che il regolamento disciplinante 
�le indicazioni di origine e l�istituzione ed uso del marchio� sia emanato dal 
Ministro delle attivit� produttive (di concerto con altri) senza coinvolgimento 
delle Regioni� (Corte Cost. 175/2005). 

6.- La �chiamata in sussidiariet�� in caso di interventi finanziari che 
riguardano lo sviluppo dell�intero Paese 

Anche per quanto concerne gli interventi finanziari, la Corte 
Costituzionale ne ha affermato la legittimit� in ragione della chiamata in sussidiariet� 
nelle ipotesi in cui venga in rilievo un�esigenza di carattere nazionale, 
che trascende l�ambito di operativit� delle singole Regioni. Allo Stato 
competono quegli strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo 
dell�intero Paese e che perci� rispondono ad un�esigenza unitaria, come 
si pu� bene leggere nella decisione che segue: 

� �Tuttavia, questa Corte ha altres� gi� avuto occasione di affermare 
nella sentenza n. 14 del 2004 (anch�essa successivamente pi� volte confermata) 
che dal complessivo disegno di riparto delle competenze di cui al 
Titolo V della Costituzione ed in particolare dagli strumenti statali di intervento 
esclusivi elencati nell�art. 117 Cost., comma 2, lettera e), emerge �l�intendimento 
del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo 
Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell�intero 
paese�; ci� mentre �appartengono, invece, alla competenza legislativa 
concorrente o residuale delle Regioni gli interventi sintonizzati sulla realt� 
produttiva regionale tali comunque da non creare ostacolo alla libera circolazione 
delle persone e delle cose fra le Regioni e da non limitare l�esercizio 
del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 
Cost., primo comma)�. 
�Ci� significa che sussiste in generale una ineludibile responsabilit� 
degli organi statali in tema di scelte di politica economica di sicura rilevan



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

za nazionale, anche al di l� della specifica utilizzabilit� dei singoli strumenti 
elencati nel secondo comma dell�art. 117 Cost. (come appunto la 
�tutela della concorrenza� nel caso affrontato nella sentenza n. 14 del 
2004); peraltro, in questi diversi casi, gli organi statali dovranno necessariamente 
utilizzare altri poteri riconosciuti allo Stato dal Titolo V della 
Costituzione. 

�Nel caso di specie non si opera nell�ambito della �tutela della concorrenza�, 
neppure a volerla intendere in senso dinamico, dal momento che gli 
interventi previsti appaiono finalizzati semplicemente ad agevolare una maggiore 
capitalizzazione di alcune imprese medio-grandi, con un evidente ed 
importante impatto sul miglioramento del sistema societario, ma con una 
ricaduta necessariamente limitata e solo indiretta sull�attivit� economica nei 
tanti e diversi settori produttivi che potranno essere interessati. 

�Ci� non toglie, peraltro, che il legislatore statale possa considerare 
necessario che anche in materie affidate alla competenza legislativa residuale 
o concorrente delle Regioni, si possano attrarre a livello centrale 
determinate funzioni amministrative �sulla base dei principi di sussidiariet�, 
differenziazione ed adeguatezza� di cui al primo comma dell�art. 118 
Cost., dettando la relativa disciplina della funzione amministrativa in questione. 


�Ci� � precisamente quanto avviene con la disciplina qui oggetto di censura, 
la quale opera l�attribuzione al livello statale di una funzione amministrativa 
di temporaneo sostegno finanziario a determinate imprese produttive 
per evidenti finalit� di politica economica. 

�� Come ben noto, questa Corte ha pi� volte ammesso che la legge statale 
�chiami in sussidiariet�� alcune funzioni in ambiti di normale competenza 
delle Regioni, peraltro nel rispetto di determinate condizioni. 

�In linea generale, � ammissibile una deroga al normale riparto di competenze 
�solo se la valutazione dell�interesse pubblico sottostante all�assunzione 
di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata�, e �non 
risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalit�� 
(sentenza n. 303 del 2003). Pi� precisamente, �perch� nelle 
materie di cui all�art. 117 Cost., terzo e quarto comma, una legge statale 
possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed 
al tempo stesso regolarne l�esercizio, � necessario che essa innanzi tutto 
rispetti i principi di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione 
delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di eserciziounitario di tali funzioni. � necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina 
logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette 
funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale 
fine� (sentenza n. 6 del 2004). 

�Per poter compiere tale valutazione nel caso di specie, dirimente � la 
considerazione dell�esplicita finalizzazione del Fondo rotativo nazionale alla 
crescita e allo sviluppo del tessuto produttivo nazionale, in quanto per il raggiungimento 
di tale finalit� appare strutturalmente inadeguato il livello 
regionale, al quale inevitabilmente sfugge una valutazione d�insieme. Ci� � 


DOTTRINA 273 

ancor pi� avvalorato dalla considerazione che il Fondo previsto dalle disposizioni 
impugnate si riferisce alle sole imprese medie e grandi �come qualificate 
dalla normativa nazionale e comunitaria�, nonch� dall�affidamento al 
Comitato interministeriale per la programmazione economica del decisivo 
potere di determinare �le condizioni e le modalit� di attuazione degli interventi 
di cui ai commi da 106 a 109�. Si tratta, pertanto, di un intervento volto 
a realizzare finalit� di politica economica da attuare in contesti particolari 
che almeno in parte sfuggono alla sola dimensione regionale (l�intervento 
tramite Sviluppo Italia s.p.a. prefigurato dalla disciplina impugnata non 
esclude quello analogo delle Regioni, come reso evidente dallo stesso 
comma 106 dell�art. 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, l� dove prescrive 
che Sviluppo Italia s.p.a. intervenga nei settori dei beni e dei servizi �con 
priorit� per quelli cofinanziati dalle Regioni�). 

�Tuttavia, come gi� chiarito da questa Corte, la �chiamata in sussidiariet�� 
di funzioni che costituzionalmente spettano alle Regioni comporta 
anche la necessit� che lo Stato coinvolga sostanzialmente le Regioni stesse, 
�poich� l�esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme 
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, pu� aspirare a 
superare il vaglio di legittimit� costituzionale solo in presenza di una disciplina 
che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivit� concertative 
e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono 
essere condotte in base al principio di lealt�� (cfr., ancora, sentenza n. 303 
del 2003). 

�Su questa linea si � anche ammesso che, ove non sussistano ancora adeguati 
strumenti di partecipazione delle Regioni ai procedimenti legislativi 
statali, quanto meno debbano essere previsti �adeguati meccanismi di cooperazione 
per l�esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in 
capo agli organi centrali� (sentenza n. 6 del 2004). 

�Nel caso in esame, mentre non appare configurabile alcun tipo di coinvolgimento 
delle Regioni nell�ambito dell�attivit� meramente gestoria affidata 
a Sviluppo Italia s.p.a., il fondamentale ruolo di tipo normativo in materia 
riconosciuto al CIPE � senz�altro in grado di costituire la sede idonea per 
un coinvolgimento delle Regioni che risulti adeguato ad equilibrare le esigenze 
di leale collaborazione con quelle di esercizio unitario delle funzioni 
attratte in sussidiariet� al livello statale; ci� comporta, necessariamente, la 
conseguenza che il comma 110 dell�art. 4 della legge n. 350 del 2003 sia 
integrato dalla previsione che i poteri del CIPE in materia di determinazione 
delle condizioni e delle modalit� di attuazione degli interventi di gestione del 
Fondo rotativo nazionale per gli interventi nel capitale di rischio possano 
essere esercitati solo di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti 
tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano� (Corte 
Cost.242/2005). 

Come sopra affermato dalla Corte, la �chiamata in sussidiariet�� deve 
rispondere ad un�esigenza unitaria, deve essere limitata e congrua rispetto al 
fine, e deve rispettare il canone della concertazione con le Regioni, in applicazione 
del principio di leale collaborazione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

f) LA SUSSIDIARIET� ORIZZONTALE 

1.- La esplicazione del principio secondo il Consiglio di Stato 

In base al riformulato art.118 della Costituzione, �Stato, Regioni, Citt� 
metropolitane, Province e Comuni favoriscono l�autonoma iniziativa dei cittadini, 
singoli e associati, per lo svolgimento di attivit� di interesse generale�. 

La portata della norma � di grande rilievo giuridico e operativo, ed apre 
nuovi orizzonti di collaborazione tra cittadini e pubbliche amministrazioni. 

Certo � che l�applicazione piena del principio comporta un cambiamento 
culturale, prima che giuridico, considerata la diffusa diffidenza nei confronti 
dell�azione del privato, portatore, storicamente, di un interesse contrapposto 
a quello generale perseguito per definizione dalla Pubblica 
Amministrazione. 

I punti chiave della disposizione in esame sono rappresentati dalle 
seguenti enunciazioni della norma: 

il significato del termine�favoriscono�; 

la �autonoma iniziativa� 

dei cittadini �singoli� o associati; 

per lo svolgimento di attivit� di �interesse generale�. 

Vale la pena prendere l�avvio dalla disamina effettuata dal Consiglio di 
Stato in alcuni pareri: 

�Ben diversa � la nozione di sussidiariet� orizzontale che emerge dal 
quarto comma dell�articolo 118 Cost.: essa costituisce esito di un processo di 
rivisitazione dei rapporti tra autorit� territoriali e comunit� reso esplicito dall�articolo 
4 c. 3 della legge 15 marzo 1997, n. 59, secondo il quale il conferimento 
di funzioni agli enti territoriali deve osservare, tra gli altri, :�il principio 
di sussidiariet�, � attribuendo le responsabilit� pubbliche anche al 
fine di favorire l�assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da 
parte delle famiglie, associazioni e comunit�, alla autorit� territorialmente 
e funzionalmente pi� vicina ai cittadini interessati�, nonch� dall�articolo 3, 
comma 5, ultima parte del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (gi� art. 
2 della legge 3 agosto 1999, n. 265), secondo il quale: �I comuni e le province 
svolgono le loro funzioni anche attraverso le attivit� che possono essere 
adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro 
formazioni sociali�. 

�Tali norme (soprattutto l�articolo 4 c. 3 della legge n. 59 del 1997) rappresentano 
l�antecedente logico o, forse meglio, il precetto sostanziale poi 
inserito a livello fondamentale nella gerarchia delle fonti. Esse, al pari della 
disposizione costituzionale che le riproduce, non pongono alcun problema di 
riconoscimento, di autorizzazione per dir cos� e di qualificazione da parte 
delle pubbliche autorit� rispetto alle attivit� di interesse generale poste in 
essere da soggetti comunitari in un contesto diverso da quello dello svolgimento 
dei pubblici poteri.

�� questa la prova di una riserva originaria di materie (attribuzioni si 
potrebbe dire utilizzando l�analogia con quanto la legge conferisce alle potest� 
pubbliche) a soggetti esponenti del fenomeno della cittadinanza societa



DOTTRINA 275 

ria, secondo la definizione di una recente dottrina sociologica. Per cittadinanza 
societaria deve intendersi l�aspetto relazionale che ai soggetti, prevalentemente 
comunitari (famiglie, associazioni), � conferito per il solo fatto di 
porsi nel contesto sociale e di operarvi al di fuori di regole pre confezionate 
da autorit� munite di pubblici poteri: gli interessi sociali e generali che tali 
comunit� esprimono attraverso l�assunzione di compiti, la risoluzione di problemi 
pratici compresenti in una collettivit�, la gestione di attivit� coerenti 
allo sviluppo della comunit� stessa costituiscono manifestazioni originarie e 
non comprimibili di cittadinanza societaria che le autorit� territoriali sono 
tenute a favorire e a rispettare, posto che esse si traducono, in una valutazione 
per dir cos� a posteriori, in uno svolgimento implicito di funzioni tipiche 
dell�ente pubblico di riferimento, come suggerisce il comma 5 dell�articolo 
3 del testo unico sulle autonomie locali n. 267 del 2000. 

�Si tratta, in altre parole, di prendere atto della coesistenza di interessi e 
di istanze che non necessariamente devono essere assunti dall�ente pubblico, 
quasi che quest�ultimo sia in grado di fagocitare gli interessi costituenti l�intera 
esponenza della collettivit� di riferimento. Esistono, cio�, forme di 
impegno e di attivit�, soprattutto nel versante sociale, ma non esclusivamente 
in quest�ultimo, che sono dislocate (e non possono non esserlo) a livello 
di soggetti utenti e agenti al medesimo tempo. 

�L�articolo 118 Cost. enuncia il dovere per gli enti territoriali componenti 
la Repubblica di favorire tali forme di assunzione di responsabilit� in 
contesti di interesse generale non gestiti dalla mano pubblica (o dalle organizzazioni 
privatistiche che sempre pi� frequentemente sono i successori 
dell�ente pubblico nelle gestioni dei servizi). 

�Il fenomeno in esame, sorto dalla consapevolezza democratica che 
sempre di pi� emerge nella societ� civile, esprime una forma di relazione con 
i pubblici poteri non riconducibile al modulo formale della cittadinanza partecipativa 
o procedimentale, nella quale si realizzano le garanzie prevalentemente 
giuridiche del soggetto privato: esso costituisce quasi una specie di 
premessa alle forme di partecipazione (ovviamente elaborate e complesse 
dell�ordinamento pubblico generale), che mantiene una sua autonomia e un 
suo campo di azione riservato. 

�Favorire e rispettare queste forme di attivit�, se riconosciute di interesse 
generale, costituisce per l�ente pubblico un dovere. � significativo, in proposito, 
rilevare come il quarto comma dell�articolo 118 della Costituzione 
disponga nei confronti di tutte le autorit� territoriali, a partire dallo Stato, eliminando 
cos� in radice il dubbio (gi� revocato con sentenza della Corte costituzionale 
14 dicembre 1998, n. 408) di una possibile funzione antiregionalista 
o, in genere, antiautonomista del principio di sussidiariet� (non solo in 
senso verticale). 

�Il riconoscimento della coerenza all�interesse generale degli interventi 
della comunit� di base non costituisce anche il titolo per la qualificazione 
del fenomeno comunitario e della sua ricezione nell�ordinamento generale, 
posto che, in quest�ultimo, il riconoscimento opera in virt� della primaria 
forma di espressione della soggettivit� a livello singolo o associati



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

vo qui definita come cittadinanza societaria. Si tratta, in definitiva, di 
rideterminare le metodiche della democrazia non solo con riferimento ai 
poteri dei singoli nell�ordinamento generale (diritti soggettivi pubblici e 
situazioni giuridiche collegate), ma anche con riguardo alle forme di 
estrinsecazione della personalit� sociale nel proprio contesto di base in 
ragione della consapevolezza democratica e della volont� sempre pi� decisa 
delle singole comunit� di base di regolare al proprio interno scelte di 
interesse generale. 

�Sotto un profilo puramente teorico, si tratta di prendere atto della sussistenza 
di ordinamenti di base muniti di una intrinseca capacit� di gestione 
di interessi con rilievo sociale. In tali ordinamenti lo sviluppo delle relazioni 
e la scelta dei mezzi per il conseguimento di un fine giusto e adeguato � 
rimessa alla capacit� delle organizzazioni societarie (in quanto munite della 
relativa cittadinanza) di interpretare e gestire i bisogni della collettivit� di 
riferimento. 

�Il precetto costituzionale sancisce e conclude, a questa stregua, un percorso 
di autonomia non pi� collegato al fenomeno della entificazione, ma 
correlato pi� semplicemente alla societ� civile e al suo sviluppo democratico 
a livello quasi sempre volontario. Corollario di questa concezione della 
sussidiariet� orizzontale � che la medesima opera esclusivamente nel proprio 
ambito di riferimento senza commistioni con le attivit� che presuppongono, 
invece, uno statuto di situazioni correlate all�esercizio di pubblici poteri. 

�In questa prospettiva, � evidente come le imprese (e gli eventuali aiuti 
alle stesse) nulla abbiano a che fare con il fenomeno della sussidiariet� orizzontale. 


�Quest�ultima si esprime in forme diverse dall�impresa: l�art. 118 Cost. 
indica come protagonista del fenomeno il cittadino singolo o associato, le 
leggi ordinarie n. 59 del 1997 e n. 265 del 1999 collegano la sussidiariet� 
orizzontale alle famiglie, alle formazioni sociali, alle associazioni e alla 
comunit�, configurando una capacit� relazionale che si estrinseca in percorsi 
e metodiche rispetto alle quali, pur che sia salvaguardato il principio di 
democraticit� implicito alle previsioni dell�articolo 18 Cost., i pubblici poteri 
non hanno sostanzialmente titolo all�intromissione. 

�A prescindere dalla qualit� del soggetto � comunque certo che la metodica 
dell�ausilio finanziario pubblico erogato in ambiti territoriali determinati 
pu� essere applicata anche ai fenomeni tipici della sussidiariet� orizzontale 
purch� sussistano tutte le condizioni che implicitamente sono poste 
dai precetti (costituzionali e ordinari): sussistenza di una attivit� a cura e iniziativa 
di cittadini, famiglie, associazioni, comunit� che si riveli adeguata e 
di interesse generale, tipicit� della stessa attivit� e sua riferibilit� esclusiva a 
quei soggetti, giudizio da parte dell�ente pubblico della necessit� che il servizio 
o l�attivit� possano continuare per beneficio della comunit� di riferimento, 
erogazione dell�ausilio quale forma di concorso per l�implicita utilizzazione 
dei benefici dall�intera collettivit�, anche politica, di riferimento.� 
(Consiglio di Stato, Adunanza del 25 agosto 2003, Sezione consultiva per gli 
atti normativi n.1440/2003). 


DOTTRINA 277 

In un altro importante parere il Consiglio di Stato afferma che: 

�Come la Sezione ha gi� avuto modo di affermare nel suo parere n. 
1354/02 reso dall�adunanza del 1� luglio 2002, in materia di fondazioni bancarie, 
l�intervento legislativo nei settori tipici dell�autonomia privata trova, 
ora, un fondamentale principio generale di riferimento nell�articolo 118, ultimo 
comma, della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale 

n. 3 del 2001, che ha introdotto nel nostro ordinamento il cd. principio di 
�sussidiariet� orizzontale� affermando che �Stato, Regioni, Citt� metropolitane, 
Province e Comuni favoriscono l�autonoma iniziativa dei cittadini, singoli 
e associati, per lo svolgimento di attivit� di interesse generale, sulla 
base del principio di sussidiariet��. 
�Come � stato affermato da autorevole dottrina pubblicistica e ribadito 
dal parere n. 1354/02, tale principio costituisce �il criterio propulsivo in 
coerenza al quale deve da ora svilupparsi, nell�ambito della societ� civile, il 
rapporto tra pubblico e privato anche nella realizzazione delle finalit� di 
carattere collettivo�. 

�Sotto un altro profilo, si d� attuazione ad un principio economico 
anch�esso strettamente legato a tali premesse ideologiche, nel senso che 
appare meno necessario impiegare risorse pubbliche l� dove operano, o sono 
in grado di operare, i privati, mediante il ricorso a forme di autofinanziamento 
e/o incremento delle risorse che provengono dall�apporto disinteressato 
dei singoli. 

�Inoltre, il riconoscimento della portata innovativa della nuova norma 
costituzionale dispiega significative conseguenze anche con riferimento al 
Titolo I della Costituzione e, in particolare, alle norme di ordine sostanziale 
che disciplinano le guarentigie dei cittadini � singoli e associati � nei confronti 
dei pubblici poteri. Ci� muta la stessa nozione di autonomia privata, 
nel senso che il suo riconoscimento assume portata prioritaria non solo quando 
essa � orientata alla realizzazione dei bisogni individuali (art. 41 Cost.), 
ma anche quando persegue utilit� generali, configurando spazi autonomi di 
tutela per �attivit� strumentali� mediante le quali si persegue la realizzazione 
delle �utilit� generali�, cos� da far assumere una posizione prioritaria al 
privato rispetto al pubblico anche in settori sinora riservati alla competenza 
esclusiva degli apparati amministrativi. 

�Naturalmente � afferma, tra l�altro, il menzionato parere n. 1354/02 � 
resta pur sempre nell�autonomia del legislatore accompagnare l�attuazione 
del principio di sussidiariet� orizzontale con l�individuazione di strumenti di 
vigilanza e di controllo. Tale prospettiva appare confermata, nella materia in 
esame, dalla particolare cautela che la Costituzione e il legislatore ordinario 
hanno sempre posto non soltanto nella materia della �tutela� dei beni culturali 
ambientali, ma anche in quelle della �gestione� e �valorizzazione� degli 
stessi. Avendo riguardo alla �misura� dell�intervento pubblico, � stato fondatamente 
sostenuto che essa deve rispondere a criteri di ragionevolezza e di 
proporzionalit�, raffrontando i benefici dell�attivit� di vigilanza e controllo 
con i possibili costi economico-sociali che possono derivare, ad esempio, dal 
ritardo o dal rallentamento che tali funzioni di vigilanza possono provocare 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sulle attivit� operative degli organismi privati vigilati�(Cons. Stato, parere 
della sezione consultiva per gli atti normativi 1794/2002). 

L�importanza del ruolo del privato � evidenziata ulteriormente dal 
Consiglio di Stato: 

�Come � stato affermato da autorevole dottrina pubblicistica, tale principio 
costituisce �il criterio propulsivo in coerenza al quale deve da ora svilupparsi, 
nell�ambito della societ� civile, il rapporto tra pubblico e privato 
anche nella realizzazione delle finalit� di carattere collettivo�. 

�Ci� trova riscontro in una visione � gi� delineata dalla giurisprudenza 
della Corte Costituzionale a partire dalla nota sentenza del 7 aprile 1988, n. 
396, sulle IPAB � secondo cui lo Stato e ogni altra Autorit� pubblica proteggono 
e realizzano lo sviluppo della societ� civile partendo dal basso, dal 
rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui 
coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti 
dal �sociale� e si impegnano direttamente per la realizzazione di quelle 
che sulla base di tale parametro sono avvertite come utilit� collettive, 
come esigenze proprie della comunit� di cui fanno parte. 

�Sotto un altro profilo, si d� attuazione ad un principio economico anch�esso 
strettamente legato a tali premesse ideologiche, nel senso che appare meno 
necessario impiegare risorse pubbliche l� dove operano, o sono in grado di operare, 
i privati, mediante il ricorso a forme di autofinanziamento e/o incremento 
delle risorse che provengono dall�apporto disinteressato dei singoli. 

�Il riconoscimento della portata innovativa della nuova norma costituzionale 
dispiega significative conseguenze anche con riferimento al Titolo I 
della Costituzione e, in particolare, alle norme di ordine sostanziale che 
disciplinano le guarentigie dei cittadini � singoli e associati � nei confronti 
dei pubblici poteri. 

�Ci� muta la stessa nozione di autonomia privata, nel senso che il suo 
riconoscimento assume portata prioritaria non solo quando essa � orientata 
alla realizzazione dei bisogni individuali (art. 41 Cost.), ma anche quando 
persegue utilit� generali, configurando spazi autonomi di tutela per �attivit� 
strumentali� mediante le quali si persegue la realizzazione delle �utilit� 
generali�, cos� da far assumere una posizione prioritaria al privato rispetto al 
pubblico anche in settori sinora riservati alla competenza esclusiva degli 
apparati amministrativi. 

�Il principio della sussidiariet� orizzontale introdotto dall�ultimo comma 
dell�articolo 118 Cost. produce implicazioni non meno rilevanti in tema di 
formazioni sociali, consentendo una lettura evolutiva dell�articolo 18 Cost. 
che vada oltre la letterale protezione, nei limiti del lecito, dei �fini� perseguiti 
dalle formazioni sociali e che consenta di sottolineare quel �valore aggiunto� 
che, rispetto ai singoli, esse sono in grado di produrre mediante il potenziamento 
e la previsione di organizzazioni articolate e complesse, capaci di 
avvalersi dell�apporto diretto e/o indiretto degli associati o di terzi, per l�affermazione 
dei valori collettivi di cui si fanno portatrici. 

�Naturalmente, resta pur sempre nell�autonomia del legislatore accompagnare 
l�attuazione del principio di sussidiariet� orizzontale con l�indivi



DOTTRINA 279 

duazione di strumenti di vigilanza e di controllo. Tale prospettiva appare 
confermata, nella materia in esame, dalla recente legge n. 112 del 2002, che 
rende esplicita l�esistenza di un �regime giuridico privatistico speciale� 
(Cons. Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, parere 1354/2002). 

2.- Esame dell�art.118 della Costituzione: � norma immediatamente precettiva? 


Come affermato dal parere su richiamato del Consiglio di Stato (Sezione 
consultiva per gli atti normativi n.1440/2003), � configurabile il sostegno 
anche economico alle attivit� svolte dai privati, ai sensi dell�art. 118, qualora 
sussistano le seguenti condizioni: 

sussistenza di una attivit� a cura e iniziativa di cittadini, famiglie, associazioni, 
comunit� che si riveli adeguata e di interesse generale; 

tipicit� della stessa attivit� e sua riferibilit� esclusiva a quei soggetti; 

giudizio da parte dell�ente pubblico della necessit� che il servizio o l�attivit� 
possano continuare per beneficio della comunit� di riferimento; 

erogazione dell�ausilio quale forma di concorso per l�implicita utilizzazione 
dei benefici dall�intera collettivit�, anche politica, di riferimento. 

Che del resto sia ammissibile il sostegno economico a favore dei privati 
che pongono in essere attivit� di interesse generale � insito nella novit� 
contenuta nell�art.118 della Costituzione, atteso che, come gi� rilevato, 
anche prima dell�introduzione del principio di sussidiariet�, erano riconosciuti 
i diritti di libert� che permettevano ai cittadini di svolgere attivit� di 
ogni genere anche di interesse generale.

� proprio la natura organizzativa del principio che fa scaturire la logica 
conseguenza di un doveroso sostegno, anche economico, a favore dei cittadini, 
cos� come gli enti pubblici che svolgono le funzioni amministrative 
�anche in applicazione del principio di sussidiariet� � devono avere le risorse 
economiche per il svolgimento di tali compiti. 

In definitiva il privato che agisce ai sensi dell�art. 118 non svolge un�attivit� 
di volontariato, ma una funzione sostanzialmente pubblica, che, come 
tale, deve essere sostenuta economicamente dall�ordinamento. 

Quest�ultimo provveder� anche agli opportuni controlli relativi alla 
regolarit� di utilizzazione delle risorse in relazione al tipo di attivit� svolta. 

A conferma di quanto esposto, sia pure in modo stringato, interviene la 
legge 131/2001 (c.d. Legge �La Loggia�), secondo cui �quando sono impiegate 
le risorse pubbliche, si applica l�art. 12 della legge 7 agosto 1990 n. 
241�. (art. 7 comma 1). 

Come � noto, l�art. 12 citato prevede che le amministrazioni pubbliche 
predeterminino e pubblichino i criteri e le modalit� di corresponsione di contributi 
o altri vantaggi economici a privati. 

Preso atto che legittimamente le p.a. possono stabilire la erogazione a 
privati, singoli o associati, di contributi per lo svolgimento di attivit� di interesse 
generale, occorre chiedersi, ai fini della immediata precettivit� della 
norma, quali siano i criteri di valutazione dell�interesse generale perseguito 
dalla attivit�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Il problema non � di poco conto, considerato che, da una parte, non � 
necessario che la attivit� sia �delegata� dalla p.a. ai cittadini: il dettato della 
norma si riferisce, infatti, alla iniziativa �autonoma� dei cittadini, singoli o 
associati. 

Si potrebbe forse pensare che i cittadini agiscano �in surroga� 
dell�Amministrazione, ogniqualvolta questa sia inadempiente, come ad 
esempio nel caso di una cattiva manutenzione di una strada, o di sporcizia in 
ambienti pubblici, o mancata manutenzione di locali o macchinari presenti 
in edifici pubblici (come scuole, ospedali, ecc.). 

In tal caso si renderebbe necessaria, da parte dei privati, una sorta di diffida 
ad adempiere, i cui termini scaduti legittimerebbero l�azione dei privati 
e quindi il rimborso delle spese sostenute (per la riparazione, la manutenzione, 
l�apposizione di un segnale di pericolo, la pulizia di locali ecc.). 

Sotto il profilo contenutistico pare che le attivit� �in surroga� sopra 
descritte non esauriscano la portata dell�art. 118. 

�Autonoma iniziativa� non si esaurisce n� facendo riferimento ad una 
attivit� meramente delegata, n� sostituiva di un�inadempienza del soggetto 
pubblico, anche se comunque comprensiva delle predette ipotesi. 

Sotto il profilo giuridico si pongono alcuni problemi, correlati in particolar 
modo al profilo della responsabilit� per danni nel corso dell�esercizio 
della attivit�, nonch� del titolo per il riconoscimento della attivit� rimborsabile. 


Ulteriore elemento di riflessione � dato dal comma 1-ter della legge 
241/1990, introdotto dall�art. 1 della legge 11 febbraio 2005 n. 15. 

Secondo tale norma: �I soggetti privati preposti all�esercizio di attivit� 
amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1� e cio� 
quei criteri di economicit�, efficacia, pubblicit� e trasparenza secondo le 
disposizioni previste dalla stessa legge 241/1990 e delle altre che disciplinano 
i singoli procedimenti. 

Per quanto concerne un primo aspetto si ritiene che comunque l�attivit� 
svolta dal privato rimanga tale anche se indirizzata ad un interesse pubblico, 
e tale debba essere regolata sotto i diversi profili giuridici. 

Pi� delicato � il profilo relativo al riconoscimento della attivit� rimborsabile 
da parte della p.a., stante anche il profilo contabile che deve essere 
considerato. 

Quali sono le spese che legittimamente la P.A. pu� impegnare in ordine 
ad attivit� svolte da privati ai sensi dell�art. 118? 

Il problema � senz�altro complesso e di non semplice soluzione: si ritiene 
tuttavia che non costituisca un ostacolo alla immediata precettivit� della 
norma. 

La soluzione, infatti, pu� venire proprio dall�art. 7 della legge 131/2000, 
sopra richiamato, che rinvia alla applicabilit� dell�art. 12 della legge 
241/1990 ogni volta che siano impiegate risorse pubbliche. 

In conclusione, non c�� dubbio che la corretta applicazione dell�art. 118 

u.c. richieda un approfondimento dottrinale, e giurisprudenziale, circa la 
applicabilit� degli istituti previsti dalla legge 241/1990 per fornire le linee 

DOTTRINA 281 

guida di azione sia per le pubbliche amministrazioni che per i privati desiderosi 
di impegnarsi per il bene della comunit�. 

Si ritiene, per�, che buona parte della soluzione del problema sia nella 
mentalit� e nelle mani dei pubblici amministratori che, in considerazione 
dell�esistenza del nuovo principio di sussidiariet� orizzontale, provvedano a 
predeterminare e a rendere pubblici i criteri di erogazione di somme a favore 
di privati, con la contestuale indicazione delle attivit� di interesse generale, 
per il cui svolgimento vengono erogate. 

3.- La nuova visione del cittadino come risorsa: il capitale sociale 

La impostazione sopra descritta, cambia radicalmente i rapporti cittadino-
pubblica amministrazione: lo stesso � infatti considerato sempre di pi� 
dall�ordinamento come una risorsa per il Paese. 

Come � stato autorevolmente osservato (Pizzetti), l�art. 118 u.c. introduce 
non solo un nuovo modello di amministrazione, ma anche un nuovo 
modello di democrazia ove i cittadini prendono parte alla vita civile non 
solo attraverso l�esercizio del diritto di voto, ma anche attraverso l�assunzione 
in prima persona del ruolo di protagonisti nella gestione della cosa 
pubblica. 

In questa prospettiva, il cittadino diventa sempre di pi� una ricchezza 
umana in grado di rinnovare in modo positivo e propositivo le strutture spesso 
burocraticizzate delle varie pubbliche amministrazioni. 

A questo proposito, recenti studi evidenziano l�esistenza di un nuovo 
indicatore del livello di ricchezza di una societ�: il �capitale sociale�, costituito 
da quelle relazioni positive, basate sulla fiducia, che facilitano la collaborazione 
tra individui, famiglie e gruppi sociali. 

Secondo il noto sociologo Pierpaolo Donati, il capitale sociale � rappresentato 
da �quelle caratteristiche � di forma e contenuto � inerenti alla struttura 
delle relazioni sociali che facilitano l�azione cooperativa di individui, 
famiglie e gruppi sociali e organizzazioni in genere� . 

Non � questa la sede per approfondire la disamina sulla rilevante importanza 
del �capitale sociale� per un Paese, che va ben al di l� del PIL e d� il 
polso circa il benessere globale, e non solo economico, dello stesso. 

Basti ricordare che la prima fonte di capitale sociale � individuata nella 
famiglia e che dalla stessa, in gran parte, scaturiscono risorse positive o 
negative per la societ� con conseguenze determinanti anche sotto il profilo 
economico. 

Basti pensare che attualmente le famiglie garantiscono assistenza al 76% 
degli anziani non autosufficienti, e che l�indebolimento dei legami affettivi 
finirebbe per ripercuotersi sull�assistenza pubblica, con un aggravio dei costi 
sociali. 

La famiglia, infatti, � il luogo privilegiato in cui si forgiano gli stili di 
vita, dove prendono forma le abitudini alimentari, ma anche l�educazione al 
controllo di molte forme di uso-abuso: si pensi al fumo e all�alcool, ma 
anche a quegli atteggiamenti tossicofilici che preludono a ben pi� gravi 
forme di tossicodipendenza. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Nella famiglia, caratterizzata dalla gratuit� e dalla fiducia, il rapporto di 
affetto produce autostima, � �fattore di protezione� contro l�uso di sostanze 
stupefacenti, e crea capacit� di servizio agli altri, sia all�interno della famiglia 
che al di fuori, attraverso azioni di volontariato di vario genere che intessono 
il tessuto della societ� civile e ne migliorano il benessere globale. 

4. - Da un welfare assistenziale ad uno sussidiario. 
Secondo un modello di tipo assistenziale, il benessere sociale � stato 
essenzialmente perseguito in termini di esigui sussidi destinati all�individuo 
svincolato dal contesto familiare, attraverso l�erogazione di una varia 
gamma di prestazioni al cittadino anziano, disoccupato, invalido, in maternit� 
ecc., considerando una situazione di disagio isolata che prescindeva dal 
suo inserimento in un contesto relazionale pi� ampio. 

Queste forme di erogazione non hanno quasi mai determinato un miglioramento 
effettivo di tali situazioni, ma hanno comunque prodotto un deficit 
finanziario statale assai rilevante, al punto da mettere in crisi il modello assistenziale 
seguito e imporre la ricerca di nuove forme di solidariet�. 

In sostanza, nel perseguimento del welfare non � stato valorizzato un fattore 
fondamentale di benessere discendente dal carattere relazionale legato 
all�essenza stessa della persona. 

Questo benessere di tipo affettivo � determinato, come sopra ricordato, 
da un ambito familiare che si prende cura della persona nella sua totalit� e 
quindi anche delle situazioni di disagio che riguardano ogni individuo nel 
corso della vita (anzianit�, malattia ecc.). 

Il benessere della famiglia si riverbera inevitabilmente con un immediato 
rapporto �causa-effetto� sul benessere della societ�, per cui rafforzare l�istituto 
della famiglia come luogo di relazioni e come fonte di benessere, 
prima personale e poi sociale, � quindi diventato urgente in un momento in 
cui il disavanzo pubblico impedisce di continuare ad intraprendere azioni 
isolate e frammentate senza alcuna strategia e coordinamento dati da una 
visione di insieme. 

Eppure in Italia la spesa per la famiglia � la minore in Europa. 

L�Italia dedica appena lo 0,9% della ricchezza nazionale alle politiche 
familiari. 

Tutti gli altri Paesi dell�Unione a 15 spendono molto di pi� per la famiglia, 
a partire dal Portogallo e dai Paesi Bassi che destinano l�1,2% del loro Pil alle 
politiche familiari. Seguono (in ordine crescente): Irlanda 1,9%, Grecia 2,1%, 
Regno Unito 2,4%, Belgio 2,6%, Austria 2,9%, Francia e Germania 3%, 
Lussemburgo e Finlandia 3,4%, Svezia 3,5%, Danimarca 3,8%. 

L�Italia � pertanto abbondantemente al di sotto della media dell�Unione 
Europea, che � pari al 2,3%.Solo la Spagna sta peggio di noi con lo 0,4% 
del Pil. 

Questo mette in evidenza la difficolt� delle famiglie italiane a concepire 
figli (il tasso di fecondit� medio per la donna italiana � pari a 1,2: il pi� basso 
d�Europa) a causa degli scogli economici e della latitanza delle politiche a 
sostegno della famiglia. 


DOTTRINA 283 

Uno dei principali strumenti a sostegno della famiglia � di natura fiscale. 
Il sistema fiscale italiano prevede infatti diverse misure di detrazioni 
Irpef per familiari a carico, in relazione al reddito del contribuente e al 
numero dei figli. 

I sussidi monetari, attualmente in vigore a sostegno delle famiglie, 
appaiono del tutto inadeguati al mantenimento dei figli: l�arrivo del primo 
figlio comporta mediamente una diminuzione del reddito a disposizione tra 
il 18% il 45% ed una spesa aggiuntiva compresa tra i 500 e gli 800 euro mensili, 
variabili in relazione all�et� e alla collocazione geografica. 

L�insufficienza delle detrazioni fiscali in vigore nel nostro Paese risulta 
evidente nel confronto con Francia e Germania: per una famiglia con due 
figli a carico e un reddito complessivo di 30 mila euro il risparmio d�imposta 
previsto � pari a poco pi� di 500 euro in Italia, di tremila euro in Francia 
e di seimila in Germania. 

Le famiglie che vivono in condizione di indigenza, in base agli ultimi 
dati disponibili sono circa 2 milioni e mezzo (l�11% del complesso), concentrate 
per i due terzi nel Mezzogiorno d�Italia. 

La povert� � sensibilmente pi� diffusa tra le famiglie con una o pi� persone 
in cerca di occupazione: essa colpisce il 9,4% ei nuclei familiari in cui 
nessuno risulta disoccupato, il 21,1% delle famiglia con una persona in cerca 
di occupazione oltre un terzo (il 37,3%) di quelle con due o pi� persone 
disoccupate. 

La famiglia � anche un operatore economico sul mercato interno che 
oggi ha difficolt� a formulare una domanda di beni di consumo, anche di 
prima necessit�, a causa del rilevante aumento dei prezzi e del costo delle 
abitazioni (canoni d�affitto e mutui) con conseguente riduzione di risorse 
spendibili. Di qui le lamentate difficolt� del mercato interno, che si riversano 
sulla produzione.

�, pertanto, necessario restituire alla famiglia una capacit� di spesa che 
pu� essere perseguita soltanto liberando risorse attraverso il classico strumento 
di sollecitazione dei consumi caratterizzato da riduzione d�imposte 
con conseguente liberazione di risorse.

� per questo che in molti paesi europei, dalla Francia alla Svezia, si � 
individuato un sistema di tassazione dei redditi familiari attraverso meccanismi 
diversi ma che in ogni caso hanno la caratteristica di depurare il reddito 
imponibile dalle spese necessarie per il mantenimento dei singoli, dei figli e 
degli anziani a carico della famiglia (c.d. �quoziente familiare� nell�ipotesi 
in cui il reddito si cumuli tra i due coniugi e si divida per un quoziente prestabilito 
a seconda del numero dei figli, BIF � basic income family � laddove 
il costo dei figli sia dedotto dall�imponibile nella misura stabilita per il 
mantenimento mensile di ogni figlio). 

Tale impostazione, � stato autorevolmente denominata (Antonini) di 
�sussidiariet� fiscale�. 

La conseguenza sul piano economico � quella della liberazione di risorse, 
con effetti positivi sul mercato e quindi sul sistema fiscale nel suo complesso 
(per effetto dell�incremento degli scambi), e della riduzione di oneri a 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

carico dello Stato e degli enti pubblici in relazione all�assistenza per malati 
ed anziani che pu� essere assicurata in famiglia con vantaggi psicologici evidenti 
e riduzione del disagio. 

g) LA SUSSIDIARIET� IN EUROPA 

1.- La sussidiariet� verticale 

Quali sono i rapporti tra gli Stati membri e la Unione europea? 

La risposta non � cos� semplice ed implica la soluzione a importanti problemi 
sottesi: quali la natura stessa dell�Unione ma, ancor pi� � sotto l�aspetto 
politico � la delimitazione della sovranit� degli Stati. 

In un�Europa dove la conflittualit� ha generato sanguinosi conflitti mondiali, 
fino a che punto i singoli Stati intendono spogliarsi di poteri conquistati 
non di rado con la forza, e gelosamente conservati? 

C�� inoltre da considerare il �deficit di democrazia� lamentato da molti: 
come � noto, infatti, attualmente il Parlamento europeo, eletto dal popolo, 
non ha per� compiti legislativi ma solo consultivi. Il potere normativo spetta 
ad organi, quali il Consiglio e la Commissione, che non sono rappresentativi 
dei cittadini, ma composti da pochi membri scelti dai Governi degli Stati. 

Fino a dove, quindi, si pu� spingere l�Unione andando ad incidere sul 
diritto interno dei singoli Stati? 

La risposta potrebbe sembrare chiara leggendo l�art. 5 del TCE, secondo 
il quale: �La Comunit� agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite 
e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. 

�Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunit� 
interviene, secondo il principio della sussidiariet�, soltanto se e nella misura 
in cui gli obiettivi dell�azione prevista non possano essere sufficientemente 
realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni 
o degli effetti dell�azione in questione, essere realizzati meglio a livello 
comunitario. 

�L�azione della Comunit� non va al di l� di quanto necessario per il 
raggiungimento degli obiettivi del presente trattato�. 

Si osserva in proposito: 

a) il Trattato distingue tra: le competenze che spettano in via esclusiva 
alla Comunit�, e quelle che spettano congiuntamente agli Stati membri e alla 
Comunit�; 

b) In questo secondo caso, e cio�, nelle materie di competenze condivise 
-�concorrenti�-, il principio regolatore tra Comunit� e Stati � quello di 
sussidiariet� della azione della Comunit� rispetto ai singoli Stati. 

Ma quali poteri hanno gli Stati membri di controllare il rispetto del principio? 

Lo stesso � stato ritenuto in linea teorica talmente importante da giustificare 
la predisposizione di accordi per controllare la sua effettiva operativit�. 

Il �Protocollo sull�applicazione dei principi di sussidiariet� e di proporzionalit�� 
firmato ad Amsterdam nel 1997 (ed entrato in vigore il 1 maggio 
1999) prescrive tra l�altro che: 

�(1) Ciascuna istituzione assicura, nell�esercizio delle sue competenze, il 
rispetto del principio della sussidiariet�. Assicura inoltre il rispetto del princi



DOTTRINA 285 

pio della proporzionalit�, secondo il quale l�azione della Comunit� non va al 
di l� di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato. 

(2) L�applicazione dei principi di sussidiariet� e proporzionalit� avviene 
nel rispetto delle disposizioni generali e degli obiettivi del trattato, con particolare 
riguardo al completo mantenimento dell�acquis comunitario e dell�equilibrio 
istituzionale; non deve ledere i principi elaborati dalla Corte di 
giustizia relativamente al rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario 
e dovrebbe tenere conto dell�articolo 6, paragrafo 4, del trattato sull�Unione 
europea, secondo il quale �l�Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire 
i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche�. 
(3) Il principio di sussidiariet� non rimette in questione le competenze 
conferite alla Comunit� dal trattato, come interpretato dalla Corte di giustizia. 
I criteri di cui all�articolo 5, secondo comma del trattato, riguardano settori 
che non sono di esclusiva competenza della Comunit�. Il principio di 
sussidiariet� d� un orientamento sul modo in cui tali competenze debbono 
essere esercitate a livello comunitario. La sussidiariet� � un concetto dinamico 
e dovrebbe essere applicata alla luce degli obiettivi stabiliti nel trattato. 
Essa consente che l�azione della Comunit�, entro i limiti delle sue competenze, 
sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente, 
ristretta e sospesa laddove essa non sia pi� giustificata. 
(4) Le motivazioni di ciascuna proposta di normativa comunitaria sono 
esposte, onde giustificare la conformit� della proposta ai principi di sussidiariet� 
e proporzionalit�; le ragioni che hanno portato a concludere che un 
obiettivo comunitario pu� essere conseguito meglio dalla Comunit� devono 
essere confortate da indicatori qualitativi o, ove possibile, quantitativi. 
(5) Affinch� l�azione comunitaria sia giustificata, devono essere rispettati 
entrambi gli aspetti del principio di sussidiariet�: gli obiettivi dell�azione 
proposta non possono essere sufficientemente realizzati con l�azione degli 
Stati membri nel quadro dei loro sistemi costituzionali nazionali e perci� 
possono dunque essere meglio conseguiti mediante l�azione da parte della 
Comunit�. 
Per valutare se la condizione di cui sopra � soddisfatta dovrebbero essere 
applicati i seguenti principi guida: 

� il problema in esame presenta aspetti transnazionali che non possono 
essere disciplinati in maniera soddisfacente mediante l�azione degli Stati 
membri; 
� le azioni dei soli Stati membri o la mancanza di un�azione comunitaria 
sarebbero in conflitto con le prescrizioni del trattato (come la necessit� di 
correggere distorsioni di concorrenza o evitare restrizioni commerciali dissimulate 
o rafforzare la coesione economica e sociale) o comunque pregiudicherebbero 
in modo rilevante gli interessi degli Stati membri; 
� l�azione a livello comunitario produrrebbe evidenti vantaggi per la sua 
dimensione o i suoi effetti rispetto all�azione a livello di Stati membri. 
(6) La forma dell�azione comunitaria deve essere quanto pi� possibile 
semplice, in coerenza con un soddisfacente conseguimento dell�obiettivo 
della misura e con la necessit� di un�efficace applicazione. La Comunit� 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

legifera soltanto per quanto necessario. A parit� di altre condizioni, le direttive 
dovrebbero essere preferite ai regolamenti e le direttive quadro a misure 
dettagliate. Le direttive di cui all�articolo 189 del trattato, mentre sono 
vincolanti per lo Stato membro al quale sono indirizzate per quanto concerne 
il risultato da raggiungere, lasciano alle autorit� nazionali facolt� di scelta 
riguardo alla forma e ai metodi. 

(7) Riguardo alla natura e alla portata dell�azione comunitaria, le misure 
comunitarie dovrebbero lasciare il maggior spazio possibile alle decisioni 
nazionali, purch� sia garantito lo scopo della misura e siano soddisfatte le 
prescrizioni del trattato. Nel rispetto del diritto comunitario, si dovrebbe aver 
cura di salvaguardare disposizioni nazionali consolidate nonch� l�organizzazione 
ed il funzionamento dei sistemi giuridici degli Stati membri. Se opportuno, 
e fatta salva l�esigenza di un�effettiva attuazione, le misure comunitarie 
dovrebbero offrire agli Stati membri vie alternative per conseguire gli 
obiettivi delle misure. 
(8) Quando, in virt� dell�applicazione del principio della sussidiariet�, la 
Comunit� non intraprende alcuna azione, gli Stati membri sono tenuti a conformare 
la loro azione alle norme generali enunciate all�articolo 5 del trattato, 
adottando tutte le misure idonee ad assicurare l�assolvimento degli obblighi 
loro incombenti in forza del trattato e astenendosi da qualsiasi misura che 
possa compromettere il conseguimento degli obiettivi del trattato. 
(9) Fatto salvo il suo diritto d�iniziativa, la Commissione dovrebbe: 
� eccettuati i casi di particolare urgenza o riservatezza, effettuare ampie 
consultazioni prima di proporre atti legislativi e se necessario pubblicare i 
documenti delle consultazioni; 
� giustificare la pertinenza delle sue proposte con riferimento al principio 
di sussidiariet�; se necessario, la motivazione che accompagna la proposta 
fornir� dettagli a questo riguardo. Il finanziamento, totale o parziale, di 
azioni comunitarie con fondi del bilancio comunitario richiede una spiegazione; 
� tenere nel debito conto la necessit� che gli oneri, siano essi finanziari 
o amministrativi, che ricadono sulla Comunit�, sui governi nazionali, sugli 
enti locali, sugli operatori economici, sui cittadini, siano minimi e commisurati 
all�obiettivo da conseguire; 
� presentare una relazione annuale al Consiglio europeo, al Parlamento 
europeo e al Consiglio circa l�applicazione dell�articolo 5 del trattato. La 
relazione annuale deve anche essere inviata al Comitato delle Regioni e al 
Comitato economico e sociale. 
(10) Il Consiglio europeo tiene conto della relazione della Commissione 
di cui al paragrafo 9, quarto trattino, nel quadro della relazione sui progressi 
compiuti dall�Unione, che deve presentare al Parlamento europeo a norma 
dell�articolo 4 del trattato sull�Unione europea. 
(11) Nel pieno rispetto delle procedure applicabili, il Parlamento europeo 
e il Consiglio procedono all�esame della conformit� delle proposte della 
Commissione con le disposizioni dell�articolo 5 del trattato, quale parte integrante 
dell�esame generale delle medesime. La presente disposizione riguar

DOTTRINA 287 

da sia la proposta iniziale della Commissione sia le modifiche che il 
Parlamento e il Consiglio prevedono di apportare alla proposta. 

(12) Nel corso delle procedure di cui agli articoli 251 e 252 del trattato, 
il Parlamento europeo � informato della posizione del Consiglio sull�applicazione 
dell�articolo 5 del trattato mediante l�esposizione dei motivi che 
hanno indotto il Consiglio ad adottare la posizione comune. Il Consiglio 
informa il Parlamento europeo dei motivi in base ai quali una proposta della 
Commissione � giudicata in tutto o in parte non conforme all�articolo 5 del 
trattato. 
(13) L�osservanza del principio di sussidiariet� � riveduta secondo le 
regole stabilite dal trattato.� 
L�articolato protocollo dimostra grande attenzione al principio di sussidiariet� 
ed indica in modo chiaro che solo laddove l�azione del singolo Stato 
non sia sufficiente al raggiungimento degli obbiettivi comunitari, interviene 
l�Unione. 

Tuttavia occorre rilevare che si contano a centinaia gli atti della 
Comunit� (direttive, decisioni, risoluzioni, regolamenti) in cui, con formula 
ormai tralaticia contenuta in motivazione, si legittima l�intervento della 
Comunit� nelle pi� diverse materie di competenza concorrente (dalle disposizioni 
sull�igiene dei mangimi; al rispetto dei diritti della propriet� intellettuale; 
alle statistiche sulla formazione professionale nelle imprese; ai sedili, 
ai loro ancoraggi e ai poggiatesta dei veicoli a motore;ai servizi armonizzati 
di informazione fluviale; ecc.), sulla base del presupposto che lo scopo perseguito 
dall�atto comunitario �non pu� essere realizzato in misura sufficiente 
dagli Stati membri e, pu� dunque essere realizzato meglio a livello comunitario�. 


N� risultano decisioni della Corte di Giustizia in materia, che contribuiscano 
a chiarire i termini di operativit� del principio, al di l� delle affermazioni 
contenute nel protocollo. 

In definitiva di fronte ad una produzione normativa della Comunit� 
quasi alluvionale, � difficile comprendere se il rispetto del principio di sussidiariet� 
costituisca solo un suono di parole o anche un criterio effettivo di 
valutazione dei limiti di legittimit� dell�azione comunitaria. 

Il principio di sussidiariet� verticale � stato ripreso dall�art. I-11 della 
Costituzione europea. 

Secondo tale norma, che richiama integralmente la dizione gi� del 
Trattato CE sulla sussidiariet�, le istituzioni dell�Unione applicano il principio 
di sussidiariet� �conformemente al protocollo sull�applicazione dei principi 
di sussidiariet� e di proporzionalit�. I parlamenti nazionali vigilano sul 
rispetto di tale principio secondo la procedura prevista in detto protocollo�. 

La Costituzione adegua il protocollo sull�applicazione dei principi di 
sussidiariet� e di proporzionalit� allegato al trattato che istituisce la 
Comunit� europea (trattato CE) firmato ad Amsterdam: la principale innovazione 
introdotta, riguarda la creazione di un meccanismo di controllo del



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l�applicazione del principio di sussidiariet� che per la prima volta coinvolge 
direttamente i parlamenti nazionali. 

Ogni parlamento nazionale potr� riesaminare i progetti di atti legislativi 
ed emettere un parere motivato, ogniqualvolta ritenga che il principio di sussidiariet� 
non sia stato rispettato. Se un terzo dei parlamenti condivide lo 
stesso parere, la Commissione o l�istituzione che ha presentato il progetto 
dovr� riesaminare la sua proposta. 

Al termine di questo riesame, la Commissione o qualsiasi altra istituzione 
interessata potr� decidere di ritirare la sua proposta oppure di mantenerla 

o di modificarla, ma sar� comunque tenuta a motivare la sua scelta. Il protocollo, 
come si pu� leggere nel testo che sotto si riporta, conferisce inoltre ai 
parlamenti nazionali la facolt� di presentare alla Corte, attraverso il proprio 
Stato membro, un ricorso per violazione del principio di sussidiariet� da 
parte di un atto legislativo. 
�Articolo 1.-Ciascuna istituzione vigila in modo continuo sul rispetto 
dei principi di sussidiariet� e di proporzionalit� definiti nell�articolo I-11 
della Costituzione. 

Articolo 2.-Prima di proporre un atto legislativo europeo, la 
Commissione effettua ampie consultazioni. Tali consultazioni devono tener 
conto, se del caso, della dimensione regionale e locale delle azioni previste. 
Nei casi di straordinaria urgenza, la Commissione non procede a dette consultazioni. 
Essa motiva la decisione nella proposta. 

Articolo 3.-Ai fini del presente protocollo, per �progetto di atto legislativo 
europeo� si intende la proposta della Commissione, l�iniziativa di un 
gruppo di Stati membri, l�iniziativa del Parlamento europeo, la richiesta 
della Corte di giustizia, la raccomandazione della Banca centrale europea e 
la richiesta della Banca europea per gli investimenti, dirette all�adozione di 
un atto legislativo europeo. 

Articolo 4.-La Commissione trasmette i progetti di atti legislativi europei 
e i progetti modificati ai parlamenti nazionali nello stesso momento in cui 
li trasmette al legislatore dell�Unione. 

Il Parlamento europeo trasmette i suoi progetti di atti legislativi europei 
e i progetti modificati ai parlamenti nazionali. 

Il Consiglio trasmette i progetti di atti legislativi europei presentati da un 
gruppo di Stati membri, dalla Corte di giustizia, dalla Banca centrale europea 
o dalla Banca europea per gli investimenti, e i progetti modificati, ai parlamenti 
nazionali. 

Non appena adottate, le risoluzioni legislative del Parlamento europeo e 
le posizioni del Consiglio sono da loro trasmesse ai parlamenti nazionali. 

Articolo 5.-I progetti di atti legislativi europei sono motivati con riguardo 
al principio di sussidiariet� e di proporzionalit�. Ogni progetto di atto 
legislativo europeo dovrebbe essere accompagnato da una scheda contenente 
elementi circostanziati che consentano di valutare il rispetto dei principi di 
sussidiariet� e di proporzionalit�. Tale scheda dovrebbe fornire elementi che 
consentano di valutarne l�impatto finanziario e le conseguenze, quando si 
tratta di una legge quadro europea, sulla regolamentazione che sar� attuata 


DOTTRINA 289 

dagli Stati membri, ivi compresa, se del caso, la legislazione regionale. Le 
ragioni che hanno portato a concludere che un obiettivo dell�Unione pu� 
essere conseguito meglio a livello di quest�ultima sono confortate da indicatori 
qualitativi e, ove possibile, quantitativi. I progetti di atti legislativi europei 
tengono conto della necessit� che gli oneri, siano essi finanziari o amministrativi, 
che ricadono sull�Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali 
o locali, sugli operatori economici, sui cittadini, siano il meno gravosi 
possibile e commisurati all�obiettivo da conseguire. 

Articolo 6.-Ciascuno dei parlamenti nazionali o ciascuna camera di uno 
di questi parlamenti pu�, entro un termine di sei settimane a decorrere dalla 
data di trasmissione di un progetto di atto legislativo europeo, inviare ai presidenti 
del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un parere 
motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa 
non sia conforme al principio di sussidiariet�. Spetta a ciascun parlamento 
nazionale o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali consultare all�occorrenza 
i parlamenti regionali con poteri legislativi. 

Se il progetto di atto legislativo � stato presentato da un gruppo di Stati 
membri, il presidente del Consiglio trasmette il parere ai governi di tali Stati 
membri. 

Se il progetto di atto legislativo � stato presentato dalla Corte di giustizia, 
dalla Banca centrale europea o dalla Banca europea per gli investimenti, 
il presidente del Consiglio trasmette il parere all�istituzione o organo interessato. 


Articolo 7.-Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione e, se 
del caso, il gruppo di Stati membri, la Corte di giustizia, la Banca centrale 
europea o la Banca europea per gli investimenti, ove il progetto di atto legislativo 
sia stato presentato da essi, tengono conto dei pareri motivati trasmessi 
dai parlamenti nazionali o da ciascuna camera di uno di questi parlamenti. 

Ciascun parlamento nazionale dispone di due voti, ripartiti in funzione 
del sistema parlamentare nazionale. In un sistema parlamentare nazionale 
bicamerale, ciascuna delle due camere dispone di un voto. 

Qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiariet� 
da parte di un progetto di atto legislativo europeo rappresentino almeno 
un terzo dell�insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali conformemente 
al secondo comma, il progetto deve essere riesaminato. Tale soglia � 
pari a un quarto qualora si tratti di un progetto di atto legislativo europeo presentato 
sulla base dell�articolo III-264 della Costituzione riguardante lo spazio 
di libert�, sicurezza e giustizia. 

Al termine di tale riesame, la Commissione e, se del caso, il gruppo di 
Stati membri, il Parlamento europeo, la Corte di giustizia, la Banca centrale 
europea o la Banca europea per gli investimenti, se il progetto di atto legislativo 
europeo � stato presentato da essi, pu� decidere di mantenere il progetto, 
di modificarlo o di ritirarlo. Tale decisione deve essere motivata. 

Articolo 8.-La Corte di giustizia dell�Unione europea � competente a 
pronunciarsi sui ricorsi per violazione, mediante un atto legislativo europeo, 
del principio di sussidiariet� proposti secondo le modalit� previste all�artico



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

lo III-365 della Costituzione da uno Stato membro, o trasmessi da quest�ultimo 
in conformit� con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del 
suo parlamento nazionale o di una camera di detto parlamento nazionale. 

In conformit� alle modalit� previste dallo stesso articolo, tali ricorsi possono 
essere proposti anche dal Comitato delle regioni avverso atti legislativi 
europei per l�adozione dei quali la Costituzione richiede la sua consultazione. 

Articolo 9.-La Commissione presenta al Consiglio europeo, al 
Parlamento europeo, al Consiglio e ai parlamenti nazionali una relazione 
annuale circa l�applicazione dell�articolo 11 della Costituzione. La relazione 
annuale deve anche essere inviata al Comitato delle regioni e al Comitato 
economico e sociale�. 

2.- La sussidiariet� orizzontale 

Unificazione dell�Europa non significa uniformit� di trattamento di 
popolazioni che vivono in territori diversi, con cultura, storia, condizioni climatiche 
differenti. Invocare una maggiore unit� per l�Europa significa anche 
coinvolgere i cittadini, perch� possano dare il loro apporto in tema di idee, 
di risorse e di senso di cittadinanza europea. 

Non si pu� inoltre dubitare del fatto che la vera ricchezza dell�Europa 
deriva appunto dalla societ� civile, e cio� dai cittadini che non solo singoli 
ma associati tra loro perseguano obiettivi di rilievo comune. 

Ciononostante, nel Trattato non vi sono spazi di riconoscimento del principio 
di sussidiariet� orizzontale. L�art. 5 TCE, nell�enunciare il principio di 
sussidiariet�, fa infatti riferimento alla sola ripartizione delle competenze tra 
Comunit� e Stati membri e quindi si riferisce unicamente a quella verticale. 

Altre enunciazioni generali non sono contenute nel Trattato. 

C�� chi sostiene che vi sia una apertura al principio di sussidiariet� orizzontale 
nell�art. 138, il quale dispone che: 

�1. La commissione ha il compito di promuovere la consultazione delle 
parti sociali a livello comunitario e prende ogni misura per facilitarne il dialogo 
provvedendo ad un sostegno equilibrato delle parti. 

2. A tal fine la Commissione, prima di presentare proposte nel settore 
della politica sociale, consulta le parti sociali sul possibile orientamento di 
un�azione comunitaria. 
3. Se, dopo tale consultazione, ritiene opportuna un�azione comunitaria, 
la Commissione consulta le parti sociali sul contenuto della proposta prevista. 
Le parti sociali trasmettono alla Commissione un parere o, se opportuno, 
una raccomandazione�. 
Se pure di apertura si possa parlare, la stessa risulta assai lontana dal 
recepimento dell�importanza dell�azione dei cittadini nello svolgimento di 
attivit� di interesse generale in ambito europeo, al punto che prevale la tesi 
secondo la quale non sia stato dato spazio alcuno alla sussidiariet� orizzontale 
in Europa. 

Manca, inoltre, anche nella Costituzione, ogni riferimento alla sussidiariet� 
orizzontale. Non vi � stata, sul tema, una sensibilit� a livello politico 
che abbia accolto l�istanza rivolta dalla societ� civile di introdurre il princi



DOTTRINA 291 

pio di sussidiariet� orizzontale nella Costituzione. C�� chi aveva proposto di 
inserire una norma simile a quella dell�art. 118 della Costituzione italiana per 
riconoscere il ruolo dei privati, singoli e associati, nella Governance europea. 

Occorre ancora una maturazione culturale, sociale e politica, per scoprire 
la importanza di questo principio, dalla cui pratica attuazione dipender� in 
buona misura il grado di democraticit� e di rispetto del cittadino e della persona 
nell�Europa del futuro. 

Bibliografia essenziale 

ANTONINI LUCA, Sussidiariet� fiscale, Guerini e associati, 2005. 

ARENA GREGORIO, Il principio di sussidiariet� orizzontale nell�art.118, u.c. della 
Costituzione. Relazione al Convegno Cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 
7-8 febbraio 2003, Astrid e Quelli del 118 (Comitato permanente per l�attuazione dell�art.
118,u.c. della Costituzione). 

ACTIVE CITIZENSHIP NETWORK, Sussidiariet� Orizzontale, Governace Democratica e 
Referendum Europeo, www.activecitizenship.net, 2002. 

ALLEGRETTI GIOVANNI e HERZBERG CARSTEN, Bilanci Partecipativi in Europa, Nuove 
Democratiche nel Vecchio Continente, Ediesse, 2005. 

ANTISERI DARIO, Mercato, sussidiariet�, Europa nella tradizione del cattolicesimo 
liberale, articolo del 20 febbraio 2003, inaugurazione anno accademico 2002/2003 della 
Scuola Superiore dell�Amministrazione dell�Interno. 

ANTONUCCI CARLA, Famiglie, interventi di welfare e sussidiariet�: quali sinergie fra 
pubblico e privato?, Congresso Europeo, 6 ottobre 2005. 

ARENA GREGORIO, Il principio di sussidiariet� orizzontale nell�art. 118, u.c.della 
Costituzione, relazione al Convegno Cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma 
il 7-8 febbraio 2003, Astrid e Quelli del 118 (Comitato permanente per l�attuazione dell�art. 
118, u.c., Cost.). 

BONELLI ENRICO, Governo Locale, Sussidiariet� e Federalismo Fiscale, G. Giappichelli 
Editore-Torino, 2001. 

BASSANINI FRANCO e TIBERI GIULIA, La Costituzione Europea, Un Primo Commento, 
Societ� editrice il Mulino, 2004. 

CONVENZIONE EUROPEA, Ruolo dei Poteri nella Costituzione Europea, Tipologia degli 
Atti e Gerarchia delle Norme nell�Unione Europea, CONV517/03. 

COTTURI GIUSEPPE, Novit� e portata progressiva della sussidiariet� orizzontale nella 
costituzione italiana, A proposito dell�art. 118, nella revisione del Titolo V. 

DE CARLI PAOLO, Sussidiariet� e Governo Economico, Giuffr� Editore, 2002. 

DI DIEGO SEBASTIANO, FRANGUELLI FERDINANDO e MAURO TARANTINO, Le Onlus, 
Disciplina civilistica e fiscale, Profili gestionali, organizzativi e contabili. 

DONATI PIERPAOLO, Manuale di Sociologia della Famiglia, Editori la Terza, 1999. 

DONATI PIERPAOLO, La Cittadinanza Societaria, Editori la Terza, 2000. 

DONATI PIERPAOLO, Quale welfare amico delle famiglie?, Universit� di Bologna 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

DONATI PIERPAOLO, Lo Stato sociale in Italia, Bilanci e Prospettive, Rapporti 
Mondatori. 

DONATI PIERPAOLO, (a cura di), Famiglia e Capitale Sociale Nella Societ� Italiana, San 
Paolo, 2003. 

DONATI PIERPAOLO, Famiglia, welfare e sussidiariet�: la sfida di nuove politiche sociali 
che possono generare benessere comunitario�, Convegno di Bologna, 6-8 ottobre 2005. 

FERIOLI ELENA, I servizi sociali dopo la revisione del Titolo V della Costituzione: verso 
una differenziazione dei modelli regionali di welfare, Scuola Superiore di Studi Universitari 
e di Perfezionamento Sant�Anna, Pisa. 

GASPERI ANTONIO, Il principio di sussidiariet� fra riflessione filosofica e applicazione 
legislativa�, www.gildacentrostudi.it. 

MIRANDA BOTO JOS� MARIA, El Principio de Subisidiariedad en el Ordenamento 
Comunitario y sus Aplicaciones en Materia Social, Revista del Ministerio de Trabajo y 
Asusntos Sociales, N�mero 47, 2003. 

MOSCARINI ANNA, Competenza e Sussidiariet� nel Sistema delle Fonti, CEDAM, 2003. 

NOTARBARTOLO DANIELA, Autonomia funzionale e libert� dei cittadini: dal CRISP un 
Seminario di studio sul sistema formativo nella Welfare society, Sezione istruzione del 
CRISP. 

PARLAMENTO EUROPEO, Commissione per gli affari costituzionali, Relazione sulle 
Relazioni tra il Parlamento Europeo e i Parlamenti Nazionali nel Quadro della Costruzione 
Europea, A5-0023/2002. 

PARLAMENTO EUROPEO, Commissione per gli affari costituzionali, Relazione sulla delimitazione 
delle competenze tra l�Unione Europea e gli Stati membri, A5-00133/2002. 

PARLAMENTO EUROPEO, Commissione per gli affari sociali, Indagine conoscitiva sul 
terzo settor�, documento conclusivo. 

PETRANGELI FEDERICO, Sussidiariet� e Parlamenti Nazionali: evitare la confusione istituzionale, 
Osservatorio sull�Europa, 2002. 

PETRANGOLINI TERESA e FERLA VITTORINO, con la consulenza di Giuseppe Cotturri, di 
Gregorio Arena, Rapporto sul primo anno di attivit� per l�attuazione dell�articolo 118, ultimo 
comma, della Costituzione, Roma, 6 giugno 2003, Casa Internazionale delle donne. 

PISTOLESI GIANCARLO, Sussidiariet� Orizzontale, I servizi alla Persona: 
Programmazione o Mercato�, www.uil.it. 

PIZZETTI FRANCO, Il ruolo delle istituzioni nel quadro della democrazia della cittadinanza 
� Il principio di sussidiariet� nel nuovo art. 118�, www.diritto.it/ , 12 febbraio 2003. 

PIZZETTI FRANCO, UNIONCAMERE, AC 4862 � Modificazione di articoli della parte II 
della Costituzione� (Audizione informale presso la I Commissione della Camera dei 
Deputati, 30 giugno 2004) articolo tratto dal sito web ISSiRFA � Le autonomie funzionali 

� Camere di Commercio. 
PIZZETTI FRANCO, Il principio di competenza concorrente nel Trattato che adotta una 
Costituzione per l�Europa�, tratto da Sussidiariet�, interessi degli Stati e tutela dei cittadini 
(La ripartizione di competenze in un multilevel system: due prospettive per l�Unione), 15 
febbraio 2005. 

PIZZETTI FRANCO, Nuovo ordinamento amministrativo e principio di sussidiariet�. 

PIZZETTI FRANCO, L�evoluzione del sistema italiano fra prove tecniche di governance e 
nuovi elementi unificanti. Le interconnessioni con la riforma dell�Unione Europea, Trapani 
3-4 maggio 2002, www.giurcost.org. 

PIZZETTI FRANCO, Le intese per l�attuazione dell�art. 116, 10 dicembre 2001. 


DOTTRINA 293 

PIZZETTI FRANCO, I nuovi elementi unificanti del sistema italiano: il posto della 
Costituzione e delle leggi costituzionali ed il ruolo dei vincoli comunitari e degli obblighi 
internazionali dopo la riforma del titolo V della Costituzione, www.giurcost.org , marzo 
2003. 

PIZZETTI FRANCO, Audizione del Presidente dell�A.I.C. al Senato sulla revisione del 
Titolo V, parte II della Costituzione, tratto da: Associazione Italiana Costituzionalisti, 20 
novembre 2001. 

PIZZETTI FRANCO, 118: Cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma, 7-8 febbraio 
2003. 

POCAR FAUSTO, Commentario Breve ai Trattati della Comunit� e dell�Unione Europea, 
CEDAM, 2001. 

PRANDINI RICCARDO, Famiglie, interventi di welfare e sussidiariet�: quali sinergie fra 
pubblico e privato?, Congresso Europeo, 7 ottobre 2005. 

PROPERSI ADRIANO, ROSSI GIOVANNA, Gli Enti Non Profit, Il Sole 24 Ore, 2003. 

RAZZANO GIOVANNA, Il Consiglio di Stato, il principio di sussidiariet� orizzontale e le 
imprese, in Giuris. italiana 2004, pp. 718-722. 

SIRCO ROBERTO, ANTISERI DARIO, Il Principio di Sussidiariet�, la Difesa della Persona 
Umana, Istituto Acton,. 2003. 

TONDI DELLA MURA VINCENZO, Rapporti tra volontariato ed enti pubblici nell�evoluzione 
della forma di stato sociale�, Professore associato di Diritto Costituzionale, Facolt� 
di Giurisprudenza � Universit� di Lecce. 

TONDI DELLA MURA VINCENZO, Le prospettive di sviluppo del terzo settore avviate 
dalle riforme della XIII legislatura, Professore associato di Diritto Costituzionale, Facolt� 
di Giurisprudenza � Universit� di Lecce. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



DOTTRINA 295 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



DOTTRINA 297 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



DOTTRINA 299 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



DOTTRINA 301 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



DOTTRINA 303 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



DOTTRINA 305 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



DOTTRINA 307 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 



I NDICE SISTEMA TICO 
ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI 

MONICA DE ANGELIS, La cultura dell�Amministrazione pubblica in Italia fra 
tradizione e riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 151 
GIUSEPPE FIENGO, I caratteri originari della difesa dello Stato in Italia . . . . . . . . � 29 
GIUSEPPE FIENGO, Relazione della Commissione di studio per l�istituzione 
delle fondazioni di diritto privato finalizzate alla gestione e all�attivit� di 
valorizzazione dei beni culturali (D.M. 13 giugno 2005) al Ministero per i 
Beni e le Attivit� culturali � Ufficio legislativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 50 
OSCAR FIUMARA, WALLY FERRANTE, Il ruolo dell�Avvocatura dello Stato nella 
realizzazione dei principi di effettivit� ed efficacia della giustizia (testo tratto 
dall�intervento dell�Avvocato Generale Oscar Fiumara al Convegno su 
�Nuove frontiere per la costruzione dell�Unione europea: l�effettivit� e l�efficacia 
del sistema di giustizia�, organizzato dall�Unione degli Avvocati 
Europei, Venezia 23, 24 e 25 novembre 2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 1 
In Art we trust. Modelli di governance per i beni culturali (Roma, 22 giugno 
2006, Avvocatura Generale dello Stato) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 49 
Atti del Convegno � Tavola rotonda con interventi di: OSCAR FIUMARA, 
LOUIS GODART, PATRIZIA ASPRONI, FRANCESCO RUTELLI, SALVATORE SETTIS, 
STEFANO BAIA CURIONI, PIO BALDI, MICHELE PORCARI, PIETRO PETRAROIA, 
SERGIO RISTUCCIA, ANDREA ZOPPINI, FRANCESCA QUADRI, GIUSEPPE 
PROIETTI, ANTONELLA ANSELMO LEMME, KAREN SANIG, PAOLO LEON, FABIO 
MERUSI, GIUSEPPE SEVERINI, ETTORE PIETRABISSA, DANIELE RAVENNA, 
FRANCESCO SCOPPOLA, RAFFAELE TAMIOZZO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 63 
GIANCARLO PAMPANELLI, Sulla rilevabilit� giudiziale della decadenza dell�appaltatore 
di opera pubblica per mancata iscrizione di �riserva� . . . . . . . . . . . . . . . � 179 
JACOPO POLINARI, Le fasi della formazione del contratto pubblico: brevi note 
a prima lettura sugli artt. 11 e 12 del codice dei contratti pubblici . . . . . . . . . . . . . . � 185 


310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

VITTORIO RUSSO, L�impegno dell�Avvocatura dello Stato in un nuovo corso 
della giustizia (relazione per il Convegno su �Nuove frontiere per la costruzione 
dell�Unione europea: l�effettivit� e l�efficacia del sistema di giustizia�, 
organizzato dall�Unione degli Avvocati Europei, Venezia 23, 24 e 25 novembre 
2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 17 

GRAZIA SANNA, Espropriazione per pubblica utilit� e brevetti industriali . . . . . . . � 193 

XAVIER SANTIAPICHI, Le cartolarizzazioni immobiliari: profili giuridici . . . . . . . . . � 214 

VALERIA SANTOCCHI, recensione a: FRANCESCO MARCELLI, VALERIA 
GIAMMUSSO, La giurisprudenza costituzionale sulla novella del Titolo V. 5 
anni e 500 pronunce, Senato della Repubblica, Servizio Studi, Quaderni di 
documentazione n. 44, ottobre 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 149 

PAOLA MARIA ZERMAN, Lo Stato sussidiario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 254 


Finito di stampare nel mese di marzo 2007 
Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma