RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ANNO LVII N. 1 GENNAIO-MARZO 2006 COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Glauco Nori. Componenti: Franco Coppi Giuseppe Guarino Natalino Irti Eugenio Picozza Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo Condirettore: Giacomo Arena. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello Vittorio Cesaroni Roberto de Felice Maurizio Fiorilli Massimo Giannuzzi - Maria Vittoria Lumetti Antonio Palatiello Carlo Sica Mario Antonio Scino. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE NUMERO: Giuseppe Baldanza Benedetto Brancoli Busdraghi Ignazio Francesco Caramazza Pierpaolo Carbone Fabio Colavecchi Pasquale Fava Wally Ferrante Oscar Fiumara Maria Vittoria Lumetti Paolo Marchini Cristina Mirti Lisa Nori Marika Piscitelli Luca Spaziani Francesco Vignoli Giovanni Zampetti. SEGRETERIA DI REDAZIONE: Francesca Pioppi Telefono 066829431 E-mail: rassegna@avvocaturastato.it La Rassegna è consultabile sul sito: www.avvocaturastato.it ABBONAMENTI ANNO 2006 ITALIA ESTERO ABBONAMENTO ANNUO .............................................................................. 41,00 77,00 UN NUMERO SEPARATO ................................................................................. 12,00 21,00 Prezzi doppi, tripli, quadrupli ecc. per tutti quei fascicoli che, stampati in unico volume, sostituiscono altrettanti numeri della prevista periodicità annuale. Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO Segreteria di Redazione Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Via Roberto Malatesta n. 296 - 00176 Roma INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Intervento dellAvvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara nella Cerimonia di presentazione della relazione sullamministrazione della giustizia (Roma, 27 gennaio 2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Il ruolo dellAvvocatura dello Stato nellevoluzione della giustizia amministrativa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cenni storici, funzioni ed organizzazione dellAvvocatura dello Stato: relazione degli Avvocati Ignazio Francesco Caramazza e Wally Ferrante allincontro tenutosi il 1° marzo 2006 a Rabat (Marocco). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Cristina Mirti, dossier, La giurisprudenza comunitaria in tema di in house providing insiste sullinterpretazione rigorosa dei requisiti Teckal. (Corte di giustizia CE, sezione 1°, sentt. 6 aprile 2006 nella causa C-410/04 e 11 maggio 2006 nella causa C-340/04). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IL CONTENZIOSO NAZIONALE Ignazio Francesco Caramazza, dossier, Concessione della grazia, conflitto tra poteri dello Stato (Corte Cost., sent. 18 maggio 2006, n. 200; ord. 28 settembre 2005, n. 354). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lisa Nori, Una ricostruzione possibile alla luce della riforma del Titolo V . . . Marika Piscitelli, Foro erariale e giudice naturale (Corte Cost., sent. 20-24 febbraio 2006, n.71). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Colavecchi, Servizi pubblici locali: lillegittimità costituzionale degli affidamenti diretti prorogati oltre i termini previsti dalla legislazione statale (Corte Cost., sent. 3 marzo 2006 n.80). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giovanni Zampetti, La Corte e i vincoli derivanti dallordinamento comunitario : obbligo di procedure ad evidenza pubblica (Corte Cost., sent. 28 marzo 2006 n. 129). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Luca Spaziani, Il danno non patrimoniale nei giudizi in materia di equa riparazione: quando la lunga durata del giudizio non fa soffrire (Corte dappello di Roma, decr. 30 ottobre 2001 n.4227; Cass., sez. 1° civ., 28 maggio 2004 n. 10283) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Marchini, Quale nomofilachia per il giudice contabile? (Corte Conti, sez. riun., sent. 22 febbraio 2006 n.2). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pierpaolo Carbone, Caso SFIR: la parola al Consiglio di Stato (C.d.S., sez. 6°, sent. 21 marzo 2005 n.1113). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Luca Spaziani, dossier, Competenza territoriale del giudice amministrativo in materia di risarcimento del danno e recenti sviluppi in tema di giurisdizione (C.d.S., dec. 28 ottobre 2005 n.7197; Cass., S.U., sent. 23 gennaio 2006 n.1207; C.d.S., ad.plen., sent. 9 febbraio 2006 n.2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 » 4 » 10 » 19 » 55 » 109 » 130 » 137 » 142 » 152 » 162 » 171 » 192 » 226 Giuseppe Baldanza, Sul rapporto tra pregiudizialità amministrativa e autotutela. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DOTTRINA Giuseppe Baldanza, Levoluzione della tutela cautelare nel processo amministrativo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Benedetto Brancoli Busdraghi, I nuovi criteri di applicazione delllart. 228 TCE: quali sanzioni per linadempimento? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pasquale Fava, Linconfigurabilità della tutela autoristica su idee e/o schemi di gioco è principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto (art.10 Cost.). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maria Vittoria Lumetti, Il rapporto tra antico e moderno nel nuovo Codice dei beni culturali. La verifica e laccertamento dellinteresse culturale. La problematica del restauro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Vignoli, Il superamento del principio societas delinquere non potest nella disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 231 del 2001. . . . . . . . . . . . . . . . . INDICI SISTEMATICI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO pag. 247 » 295 » 314 » 326 » 334 » 376 » 387 » 241 Intervento dellAvvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara nella cerimonia di presentazione della relazione sullamministrazione della giustizia Sono particolarmente lieto di portare in questa sede a Lei, signor Presidente della Repubblica, a Lei Eminenza Cardinale Ruini, a tutte le Autorità presenti, a Lei, Signor Primo Presidente, alla Suprema Corte e a tutta la Magistratura, il saluto dellintera Avvocatura dello Stato, che ho lonore di rappresentare, riaffermando limpegno di piena e leale collaborazione con gli organi della giustizia che ha sempre caratterizzato il nostro Istituto, nel solco della più nobile tradizione forense e nella particolare prospettiva che consegue alla nostra funzione di rappresentanza legale dello Stato di diritto nelle sue molteplici articolazioni. Non potendo certo riferire neppure per cenni di tutte le questioni che nell anno in corso lAvvocatura dello Stato ha avuto modo di affrontare nel suo quotidiano dialogo con tutte le istituzioni giudiziarie, mi limito a ricordare che lAvvocatura dello Stato ha continuato a svolgere secondo tradizione remota e costante in particolare la funzione, collaborativa e coordinata con quella nomofilattica della Corte di Cassazione, di unitario riferimento degli interessi fondamentali dello Stato. Ciò assume un particolare rilievo in considerazione dei numerosi e radicali mutamenti istituzionali che hanno segnato la vita della Nazione negli ultimi anni, che impongono allAvvocatura di operare al fine di garantire comunque, anche in giudizio, la tutela dellinteresse pubblico che deve essere a base dellazione amministrativa. La connessione tra lAvvocatura dello Stato e i principi dello Stato liberale di diritto si è manifestata ed affermata, specie nel giudizio di legittimit à, attraverso la particolare attenzione che lIstituto pone nella prospettazione delle questioni di giurisdizione. I confini di essa direttamente derivano dal supremo principio della separazione dei poteri attraverso la riconduzione ad unità dei criteri dellinterpretazione del sistema giuridico, con particolare attenzione ai profili pubblicistici, che è un valore non certo secondario nella nostra Costituzione e che direttamente ridonda da un lato sul principio dell eguaglianza, che richiede pari trattamento di tutti i cittadini di fronte alla T E M I I S T I T U Z I O N A L I legge, e dallaltro su quello di legalità dellazione amministrativa di cui allart. 97. Nella cura dellinteresse pubblico affidatole lAvvocatura dello Stato ha avuto occasione di affermarne il valore, anche nellanno decorso, particolarmente in sede civile, attraverso lattenta riconduzione ad unità del fenomeno, proprio degli ultimi tempi, della frammentazione dei centri di riferimento dellazione statale e della creazione di varie entità diversamente denominate ed articolate che tuttavia altro non sono che organi della medesima persona giuridica Stato: la reconductio ad unitatem di tali centri significa, nella prospettiva che lAvvocatura dello Stato ha perseguita, considerazione sostanziale dellunico ed unitario interesse pubblico, come tale da affermare anche oltre le esigenze contingenti dei singoli organismi che dei segmenti di tale unico interesse si occupano. Giova in proposito ricordare che nellanno decorso lAvvocatura dello Stato ha avuto occasione, ad esempio, di rivendicare avanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per alcune entità statali (le scuole, le universit à degli studi statali) la qualità di organo dello Stato, malgrado lindubbia loro autonomia e il conferimento della personalità giuridica. È evidente che linteresse che tali strutture perseguono è uno dei principali interessi pubblici perché senza la libera cultura e senza la formazione e lapprofondimento delle idee nessun ordinamento giuridico potrebbe esistere: dunque lo Stato non può che affermare lappartenenza a se stesso di tale fondamentale interesse. Analogamente e nella stessa dimensione logica si è rivendicata la natura di organo dello Stato alle varie Agenzie, in particolare fiscali, che, dotate alcune e non dotate altre di personalità giuridica, hanno avuto dalla legge il compito di occuparsi di determinati settori dellattività statale, come quello della gestione e riscossione delle entrate fiscali o della cura del territorio o dellamministrazione del patrimonio pubblico: interesse di tutti e dunque interesse dello Stato ad un uniforme e coerente esercizio di quelle funzioni. Attendiamo con interesse tuttaltro che teorico di conoscere gli orientamenti che la Corte di Cassazione seguirà sulle questioni accennate, poiché da tali orientamenti sarà certamente possibile trarre un ulteriore contributo alla definizione dei nuovi confini tra pubblico e privato: tali confini nella fase attuale del nostro ordinamento appaiono assai mobili, mentre una loro chiara e stabile determinazione è parte essenziale della certezza del diritto. A questo riguardo, nellanno decorso si deve segnalare la soluzione che le Sezioni Unite hanno dato ad importanti questioni di giurisdizione poste al confine tra il pubblico e il privato, come quelle in materia di risarcimento del danno da mero comportamento della pubblica amministrazione, e in materia di controversie sui prelievi comunitari supplementari nella produzione agricola. Un settore nel quale lAvvocatura dello Stato è poi costantemente impegnata in un quotidiano dialogo con la Corte di Cassazione è quello del contenzioso tributario, nel quale si attende la soluzione di questioni di grande rilevanza finanziaria e sociale, quale quella relativa allapplicazione dellIrap alle attività di lavoro autonomo. La celere e uniforme risposta di legittimità a tale 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tipo di controversie è essenziale allo scopo di dare allamministrazione e ai contribuenti chiare direttive di comportamento. E anche allo scopo di ridurre il sovraccarico di ricorsi che grava sulla Corte e sullAvvocatura. A questo riguardo, proprio in considerazione del gran numero di giudizi cui partecipa il nostro Istituto, va menzionato il decreto legislativo di prossima emanazione, portante incisive modifiche al giudizio di Cassazione: si tratta di novità assai rilevanti che toccano la configurazione della Corte di Cassazione come giudice di legittimità e il diritto fondamentale di ricorso in Cassazione riconosciuto dallart. 111 Cost. Alla luce di questi valori, sarà indubbiamente necessaria da parte di tutti gli operatori, prima di esprimere una valutazione, una attenta verifica del loro concreto impatto in sede applicativa. Concludendo questo mio breve indirizzo di saluto, esprimo la mia convinzione che la Magistratura saprà superare le difficoltà che pur sono state evidenziate in questa giornata garantendo al Paese e a ciascun cittadino lalto servizio che la nostra Costituzione le affida. Roma, 27 gennaio 2006 TEMI ISTITUZIONALI 3 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il ruolo dellAvvocatura dello Stato nellevoluzione della giustizia amministrativa di Wally Ferrante 1. La funzione dellAvvocatura dello Stato, organo tecnico incardinato nellAmministrazione ma allo stesso tempo distinto ed autonomo rispetto ad essa, ha subito notevoli sviluppi nel corso dellultimo secolo, parallelamente ai profondi mutamenti dello Stato e degli equilibri tra libertà del cittadino e autorità del potere pubblico. LAvvocatura erariale, nata poco dopo lunità dItalia, aveva un campo di azione ben più ristretto rispetto a quello attuale, come si evince anche dalla denominazione riduttiva, che faceva sostanzialmente coincidere il suo raggio di intervento con la tutela degli interessi meramente patrimoniali dell amministrazione. Tale funzione corrispondeva daltronde alla concezione, derivata dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo n. 2248 del 1865, dellassoggettabilità dello Stato al giudizio esclusivamente qualora avesse operato iure privatorum, restando sottratta al sindacato giurisdizionale ogni altra attività espressione di imperio. LAvvocatura dello Stato, allora difensore delle prerogative del potere pubblico, contribuì alla formazione di una giurisprudenza restrittiva anche a seguito dellistituzione, con la legge n. 5992 del 1889, della IV sezione del Consiglio di Stato, la prima con funzioni giurisdizionali, sebbene limitate esclusivamente ad una valutazione di tipo cassatorio dellatto amministrativo. Fu solo con la legge n. 2840 del 1923 che fu attribuita al giudice amministrativo la cognizione incidentale su questioni di diritto, ad eccezione di alcune materie riservate espressamente al giudice ordinario, nonché, accanto alla giurisdizione generale di legittimità, la giurisdizione esclusiva, in materie tassativamente elencate, caratterizzata da una cognizione piena di controversie concernenti sia interessi legittimi sia diritti soggettivi. Lampliarsi dello spettro della domanda di giustizia nei confronti della pubblica amministrazione e la crisi del modello impugnatorio hanno comportato, di pari passo, unestensione delle competenze dellAvvocatura dello Stato in relazione a controversie riguardanti non più solo la legittimità dell atto amministrativo ma un più sostanziale sindacato del rapporto in relazione al bene della vita tutelato. Con lavvento della Costituzione Repubblicana, fu recepita nellart. 103 lelaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato che aveva individuato il criterio di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario in relazione alla situazione giuridica soggettiva fatta valere: interesse legittimo o diritto soggettivo, tranne i casi eccezionali, ed espressamente indicati, di cognizione da parte del giudice amministrativo anche di diritti soggettivi in sede di giurisdizione esclusiva. Correlativamente, le funzioni dellAvvocatura, nel frattempo trasformatasi in Avvocatura dello Stato, ed incardinata, al pari del Consiglio di Stato, TEMI ISTITUZIONALI 5 nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono andate via via arricchendosi, assumendo la nuova dimensione della rappresentanza e difesa non più solo del potere esecutivo ma dello Stato unitariamente considerato, anche come soggetto di diritto internazionale, innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee e alla Corte internazionale di Giustizia dellAja. 2. La necessità del rispetto dei principi del diritto comunitario, derivante dallappartenenza dellItalia allUnione Europea, condiziona tutta levoluzione giurisprudenziale volta ad apprestare nuovi rimedi a fronte delle istanze di tutela che nascono da rapporti socio economici sempre più globalizzati ed informati ai valori del mercato e della concorrenza. Il ruolo dellAvvocatura dello Stato innanzi alla Corte di Giustizia, in rappresentanza dello Stato italiano, sia nelle cause di infrazione sia in quelle di rinvio pregiudiziale, assume un rilievo determinante anche nella sensibilizzazione della Corte sui notevoli riflessi economici che possono derivare sul piano interno dalle sue pronunce. Si pensi, per i casi più recenti giunti agli onori della cronaca, alla questione delle quote latte nonché alla vicenda della compatibilità con il diritto comunitario dellIRAP, che ha visto scendere al fianco dellItalia diversi altri paesi europei. La molteplicità dei compiti dellAvvocatura dello Stato, spesso sganciati dalla rappresentanza del potere esecutivo, includono il suo intervento nei giudizi di costituzionalità delle leggi innanzi alla Corte costituzionale, nella veste istituzionale di difensore della legittimità costituzionale della legge nonché nella rappresentanza di altri poteri dello Stato nei conflitti di attribuzione, come nel recente conflitto tra il Presidente della Repubblica e il Ministro della Giustizia in ordine allesercizio del potere di grazia, in cui lAvvocatura dello Stato ha difeso il Presidente della Repubblica o nel conflitto tra Parlamento e Consiglio Superiore della Magistratura in relazione ai limiti in cui la legge ordinaria può imporre allorgano di autogoverno dellAutorità giudiziaria la riammissione in servizio di un magistrato, anche oltre i limiti di età, mediante ricostruzione della carriera, in caso di assoluzione in sede penale. LAvvocatura dello Stato difende inoltre la Camera dei Deputati e il Senato innanzi ai rispettivi organi di giurisdizione domestica: la Commissione giurisdizionale e lUfficio di Presidenza della Camera e, rispettivamente, la Commissione per il contenzioso e il Consiglio di garanzia del Senato, organi di autodichia informati grosso modo alle regole del processo amministrativo. 3. Il mutamento della società civile e degli equilibri tra i poteri dello Stato ha condotto ad un controllo sempre più pregnante del potere giudiziario sulloperato di quello esecutivo: da un lato, con il progressivo ampliamento dei casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, dall altro, con lintroduzione di una tutela sostanziale più effettiva, ripristinatoria e risarcitoria, ferma restando la preclusione per il giudice amministrativo di risolvere questioni attinenti al merito amministrativo fatte salve le recenti aperture in tema di sindacato c.d. forte sullattività connotata da discrezio6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO nalità tecnica riservato alla pubblica amministrazione quale unica depositaria della cura degli interessi pubblici. Sotto il primo aspetto, si è andato profilando il graduale abbandono del criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla dicotomia interesse legittimo diritto soggettivo per lasciar spazio allattribuzione di interi blocchi di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che, da eccezione, è divenuta la regola, sopravanzando statisticamente, come numero di contenziosi, quella di legittimità, con la tendenziale trasformazione del giudizio amministrativo da processo sullatto a processo sul rapporto, con conseguente spostamento del fulcro della cognizione del giudice amministrativo verso la valutazione di legittimità della complessiva azione amministrativa anziché del solo provvedimento finale. Sotto il secondo profilo, il giudizio amministrativo si è arricchito di una serie di poteri istruttori, cautelari e decisori tali da comportare una svolta fondamentale nelleffettività della tutela apprestata al privato nei confronti della pubblica amministrazione. Entrambe le innovazioni sono riconducibili, allesito della lenta evoluzione giurisprudenziale e dottrinale dellintero secolo scorso, ad una rapida accelerazione degli ultimi anni, ad iniziare dalla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, che ha dato ampio spazio alle istanze partecipative del privato anche prima ed a prescindere dal processo, innanzitutto con gli accordi sostitutivi dei provvedimenti di cui allart. 11, espressamente devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nonché con lo strumento dellaccesso ai documenti amministrativi, configurato sempre più come diritto pieno ed autonomo e non solo strumentale alla tutela giurisdizionale, anchesso attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dalla recente legge n. 15 del 2005. In tale chiave di lettura, è agevole individuare un forte collegamento tra procedimento e processo, in quanto la configurazione di un procedimento amministrativo che, a seguito delle modifiche apportate alla legge n. 241 del 1990 dalla legge n. 15 del 2005, interpreta i rapporti tra amministrazione e privato allinsegna dei canoni della trasparenza e della semplificazione, non può che comportare una più pregnante tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive oggetto dellesercizio del potere amministrativo. Altri casi strategici in cui il legislatore dellultimo decennio ha esteso le ipotesi di giurisdizione esclusiva, contribuendo a ribaltare la residualità delle particolari materie di cui allart. 103 Cost., riguardano i provvedimenti emessi dalle Autorità indipendenti, anchesse difese istituzionalmente dallAvvocatura dello Stato: la legge n. 74 del 1992 per i provvedimenti dellAutorità garante della concorrenza e del mercato, la legge n. 109 del 1994 per gli atti dellAutorità per la vigilanza dei lavori pubblici, la legge n. 249 del 1997 per i provvedimenti dellAutorità per le garanzie nelle comunicazioni. Per comprendere la rilevanza degli interessi sottesi allintervento delle Autorità indipendenti, basta considerare che il ruolo dalle stesse svolto nello Stato moderno, parte di una Comunità internazionale, consiste sostanzialTEMI ISTITUZIONALI 7 mente nel far osservare le regole del mercato, alla luce dei principi comunitari. Tali organi, pur nella loro posizione di imparzialità e terzietà, emettono comunque atti qualificabili come provvedimenti amministrativi, come tali sottoposti al sindacato giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo. 4. Quanto allestensione degli strumenti di tutela istruttori, cautelari e soprattutto decisori, tralasciando leccezionale caso di risarcibilità degli interessi legittimi, discendente dagli obblighi europei, per effetto dellart. 13 della legge comunitaria per il 1991 (legge 142 del 19 febbraio 1992), la prima tappa fondamentale è stata segnata dalla legge delega n. 59 del 1997, che ha indicato tra i principi direttivi la estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi compreso quello relativo al risarcimento del danno. Dal canto suo, la Corte di Cassazione, con la storica sentenza n. 500 del 1999, ha successivamente infranto il dogma dellirrisarcibilità del danno derivante dalla lesione di interessi illegittimi, segnando una svolta epocale nel senso della effettività della tutela del privato nei confronti della pubblica amministrazione, lasciando però aperto il problema del previo necessario annullamento dellatto amministrativo illegittimo, poi risolto dallAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4 del 2003 che ha affermato il principio della c.d. pregiudizialità amministrativa. Il Consiglio di Stato ha infatti definitivamente ribadito che lazione di risarcimento può essere proposta sia unitariamente allazione di annullamento che in via autonoma ma è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare gli atti amministrativi. Con lart. 7 della legge n. 205 del 2000, il legislatore ha definitivamente sancito il potere del giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, di disporre anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, riscrivendo gli articoli 33, 34 e 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, emanato in attuazione della citata legge delega del 1997, e confermando lattribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle tre nuove materie dei servizi pubblici, dellurbanistica e delledilizia, eliminando così il vizio di eccesso di delega sanzionato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 292 del 2000 in relazione allart. 33 del D.Lgs. n. 80/98. La citata legge n. 205/00 ha inoltre allargato i poteri cautelari del giudice amministrativo già estesi in via giurisprudenziale agli atti negativi a fronte dei quali è configurabile un interesse pretensivo del privato anticipandone gli effetti, in casi indifferibili, anche inaudita altera parte; ha previsto il dimezzamento dei termini e laccelerazione del giudizio nonché il deposito del dispositivo della decisione nelle materie elencate nellart. 23 bis della legge n. 1034/1971 (aggiunto dallart. 4 della legge 205/00); ha munito il giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva di poteri analoghi a quelli del giudice ordinario in materia di ingiunzione di pagamento e di condanna in via provvisionale al pagamento di somme non contestate ed 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ha introdotto, allart. 6, listituto dellarbitrato nel processo amministrativo, in relazione alle controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva, assicurando una celere definizione della lite da parte di un collegio professionale, con effetti deflativi del contenzioso innanzi al giudice amministrativo. Allesito di tale riforma, il giudice amministrativo, nonostante la perdita del pubblico impiego, ha infatti visto accrescere enormemente la propria giurisdizione, in particolare nel settore nevralgico del diritto delleconomia; è stato inoltre concentrato presso un unico giudice il giudizio di annullamento e quello risarcitorio, con la corrispondente erosione dei tradizionali privilegi dellamministrazione in materia di responsabilità aquiliana. 5. Lultimo atto del percorso di espansione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è rappresentato dalla repentina sterzata in senso opposto per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004 che ha dichiarato lillegittimità costituzionale degli artt. 33 e 34 del D.Lgs. 80/98, come modificati dalla legge 205/00. La Corte ha infatti ritenuto che lindiscriminata estensione della giurisdizione esclusiva alla materia dei servizi pubblici, delledilizia e dellurbanistica, sulla base di un generico interesse pubblico di settore, anche per controversie a carattere tipicamente paritetico, avrebbe alterato non soltanto il rapporto tra giurisdizione del giudice ordinario e giurisdizione del giudice amministrativo, rapporto che dovrebbe presentarsi in termini di regola ad eccezione quanto alla cognizione dei diritti soggettivi, ma anche il rapporto, allinterno della giurisdizione del giudice amministrativo, tra giurisdizione generale di legittimità e giurisdizione esclusiva, anchesso connotato da un rapporto di genus a species. Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dalla legge 205/00 non sarebbero infatti caratterizzate da quellinestricabile intreccio di situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi e come diritti soggettivi che può giustificare, compatibilmente con il dettato costituzionale, la sottrazione della relativa cognizione al giudice ordinario, la cui funzione garantistica di parità di trattamento è assicurata dal controllo nomofilattico della Corte di Cassazione. Sulla base della ricostruzione storica dei lavori dellAssemblea Costituente, non vi sarebbe, per la Corte, unincondizionata discrezionalità del legislatore nellattribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo intere materie, a prescindere dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte, dovendosi ritenere che la giurisdizione del giudice amministrativo presupponga necessariamente lesplicarsi della funzione autoritativa dellamministrazione. Correlativamente, la Corte ha riconosciuto la piena conformità alla Carta costituzionale dellattribuzione al giudice amministrativo del potere di conoscere della domanda risarcitoria, sostanziandosi lo stesso non già in una nuova materia ma in un ulteriore strumento di tutela, oltre a quello classico demolitorio, tale da rendere effettiva la domanda di giustizia del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Sulla scia della richiamata sentenza n. 204/2004, è stata recentemente sollevata dal Tribunale di Civitavecchia, con ordinanza del 14 marzo 2005, questione di legittimità costituzionale dellart. 1 comma 552 della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004 n. 311), che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al c.d. decreto sblocca centrali (D.L. n. 7 del 2002 conv. in legge n. 55 del 2003). La controversia trae origine dalla nota vicenda, riportata dagli organi di stampa, della riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Civitavecchia, autorizzata con decreto del Ministero delle Attività Produttive a seguito della favorevole valutazione di impatto ambientale compiuta dalla competente commissione VIA presso il Ministero dellAmbiente, nel contraddittorio con gli enti territoriali (Regione, Provincia e Comune) sui quali insiste limpianto. In proposito, appare evidente che, nel caso di specie, ci si trovi di fronte proprio a quel nodo gordiano di diritti soggettivi ed interessi legittimi, la cui compresenza giustifica, anche alla luce della citata sentenza della Corte costituzionale n. 204/04, la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo innegabile nella fattispecie che lamministrazione agisca nella sua veste autoritativa, esercitando i poteri che le derivano dalle leggi di settore. Lesperienza dellAvvocatura dello Stato, intesa come istituzione deputata alla difesa delle amministrazioni statali in via organica ed esclusiva, è propria del nostro paese e di pochi altri (Spagna, Albania, Marocco) anche se di recente si è sviluppata una certa curiosità, da parte di altri paesi, nei confronti di questo modello difensivo, strutturato in modo tale da assicurare una difesa uniforme, a trecento sessanta gradi, con risultati qualitativamente ed economicamente positivi, anche in termini di rapporto costi-benefici. TEMI ISTITUZIONALI 9 Cenni storici, funzioni ed organizzazione dellAvvocatura dello Stato: relazione degli Avvocati Ignazio Francesco Caramazza e Wally Ferrante allincontro tenutosi il 1° marzo 2006 a Rabat (Marocco) (*) SUMMARY OF THE PRESENTATION: I. HISTORIC EVOLUTION - 1. Avvocato Regio introduced in the Grand Duchy of Tuscany in 1777; 2. Avvocatura erariale after Italian unification in 1876; 3. Avvocatura dello Stato after the Constitution of 1948. II. FUNCTIONS - 1. What is the Avvocatura dello Stato? 2. Judiciary activity: * Trials in front of the Constitutional Court; * Trials in front of International Courts; * Civil proceedings; *Administrative proceedings; * Criminal proceedings; * Fiscal proceedings; * Trials in front of the Court of Account; * Arbitrations; 3. Consultative activity. III. ORGANIZATION - 1. Avvocatura Generale of Rome: * The Attorney General; * The Vice Attorney General; * The eight Deputies Attorney General; * The eight sections; * The Secretary General. 2. The twenty five District Avvocature; 3. Consultative Committee; 4. State Lawyer Council; 5. Executive Board; 6. Administrative offices. IV. THE DEFENCE OF AVVOCATURA DELLO STATO - 1. Compulsory and optional defence; 2. Regions defence; 3. Procedural rules: * competent judge; * notification of claims. V. HIRING SYSTEM - 1. How to become Junior State Lawyer; 2. How to become State Lawyer; 3. Free Internship and professional training. I. Historic evolution 1. The Italian counselling and judicial defence system dates back to the late 1700s, when the enlightened despotism of pre-liberal Tuscany anticipated some of the conquests of the French Revolution. In fact, one of the many reformations introduced by Pietro Leopoldo in his Grand Duchy was, in 1777, the institution of the Avvocato Regio, whose task was to provide judicial defence to the State, in a position substantially equal to the one of private professionals. This innovation, revolutionary at that time, was inspired by a constitution in action, very similar to those that later on, in the mid 1800s, spread all over Europe. It provided, among other things, the separation of powers and the submission of the executive power (when acting as a private citizen) to the judiciary. 2. The historic and cultural roots of the system that, one century later, inspired the institution of the Avvocatura erariale of the Italian kingdom, the Austrian Finanzprokuratur and the Spanish Direccion General de lo Contencioso del Estardo, must be sought for in the Austria of Maria Teresa, where the administrative praxis anticipated the development of administrative law. The public spirit typical of this system was the expression of an enlightened idea of the administration of the State, and it encouraged a careful and methodical administration of finance. 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (*) Il 1° marzo 2006, si è tenuto in Marocco, a Rabat, un incontro organizzato dalla Banca Mondiale di Washington, avente ad oggetto un progetto di riforma giudiziaria dellAgence Judiciaire du Royaume, struttura analoga allAvvocatura dello Stato in Marocco. Al predetto incontro hanno partecipato esperti di vari paesi, tra cui Francia, Spagna ed Egitto nonché per lItalia, in videoconferenza, il Vice Avvocato Generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza e lAvvocato dello Stato Wally Ferrante, che hanno illustrato le origini storiche, il ruolo, il funzionamento e lorganizzazione dellAvvocatura dello Stato con la relazione che viene qui pubblicata. Consequently, in the above described situation, an institution composed of employeeattorneys, was charged of the defence of the State in tax litigations. Such an institution would guarantee a unitary defence line, a high-profile professional specialization and an efficient economic management. 3. In 1876, a short time after the unification of Italy and the foundation of the kingdom of Italy, the Avvocatura erariale was established. The expression Avvocatura erariale does not have a precise English equivalent, but can be roughly translated as Office of Treasury attorneys. The Avvocatura erariale was organized according to the same criteria experienced in Tuscany, when the reformation of the offices of the Public prosecution took place: what actually happened is that magistrates and functions of such offices were moved to the offices of the legal institution. The restrictive word Treasury indicated the fact that the Avvocatura at that time was considered as the defender of the State with exclusive reference to its activity as a private person. Several reformations, in the period between the two World Wars, significantly changed the nature and functions of the institution: first of all, the Avvocatura, that formerly was a branch of the Ministry of Finance, became part of the organization of the Presidency of the Cabinet; secondly, the name changed from Avvocatura erariale to Avvocatura dello Stato (consistently with the fact that it was now also charged of the defence of the State in the exertion of its authoritative functions); special rules were introduced, concerning the territorial competence of tribunals in cases involving the State and the service of judicial papers at the headquarters of the Avvocatura; the defence of the Avvocatura was extended to all State administrations, including those provided with autonomy, and if authorized to public non-state administrations, to public entities financed, controlled or protected by the State, and to agents or civil servants in judgments having as their object the civil or criminal liability for facts committed in the accomplishment of their duties. II. Function 1. The above described procedural and substantial innovations, by increasing the number of entities that may benefit of the defence of the Avvocatura, by putting the Avvocatura at the top of the bureaucratic apparatus, and by permitting a unitary policy of defence, moved all in one direction, as they charged the Avvocatura directly or indirectly of the protection of the general interest of the State, rather than trusting it the mere judicial defence of the interests of one single administration. According to the ground principles contained in the law 1611 of 1933, modified by the law 103 of 1979, the Avvocatura dello Stato represents and protects all economic and non economic interests of the State and of other non state administration without limits of matter. The reasons for existence of the Avvocatura dello Stato are not only the practical need to manage, with an articulate organization, the enormous quantity of disputes arising between the State and the citizen without the necessity to charge every time a private lawyer who can be much more expensive for the State but above all the wish to grant a unitary plead which can also influence the jurisprudence about the limits within which a citizen can attack an administrative act. The Avvocatura dello Stato belongs to the structure of the Prime Minister Administration and is a technical organ which has the advantage to be formally separated from the public administration it defends whilst belonging to the state administration, which TEMI ISTITUZIONALI 11 consent to be more sensitive to the needs and the evolution of the juridical experience of the administration, above all through the consultative activity. In fact, some of the State Lawyers, beside their ordinary work, can also direct the legislative office of a Ministry in order to see and face the juridical problems from an internal perspective. The State Lawyer is totally independent from his client, the administration, and has no hierarchic relation with it. In case of disagreement, in the defence of a specific case, between the administration and the Avvocatura dello Stato, the divergency is solved by the Minister personally. This event, provided by article 12 of the law of 1979, is an exceptional case, considered that usually the administration agrees with the advice of the Avvocatura dello Stato. 2. Deeper and progressive changes were to take place in the republican legal system. * In particular, we have to mention the defence of the Prime Minister in the proceedings before the Constitutional Court concerning the constitutionality of the laws. In such a situation, the Prime Minister is not considered as the head of the executive power, but as the representative of a general interest, directly referable to the state legal system as a whole. In the same way, the Avvocatura defends the Government whenever a conflict between the powers of the State or between the State and the Regions arises, concerning the limits of their respective legislative or administrative competence or, eventually, in judgments concerning the admissibility of referendums for the abrogation of State laws. * Another extremely significant task of the Avvocatura concerns the defence of the Italian State as a unitary entity of the international and European legal system before international and super national Courts, such as the International Court of Justice of The Hague and the European Court of Justice. One last implementation of the tasks of the institution took place in the 1980s, as the Avvocatura undertook the defence of foreign administrations, such as diplomatic offices, or international organizations such as NATO headquarters, the Commission of European Communities and the European bank of Investments. * The State Lawyer defends the public administrations in front of the ordinary judge for civil claims and in front of the administrative judge for the administrative claims. In fact, our legal system, like the french system and unlike the anglosaxon system, provides a double jurisdiction. The distinction between the two jurisdictions was originally based on the difference between a right of the citizen, so called diritto soggettivo (decided by the ordinary civil judge) and a mere interest of the citizen, so called interesse legittimo (decided by the administrative judge). In the first case, the State is considered on equal terms as regards the private citizen; in the second case, the State is considered in a position of supremacy compared with the citizen. Some examples of cases decided by the civil judge concern the non contractual liability of the State for medical malpractice in public hospitals or for accident claims when the car belongs to the State (mainly accidents involving the police) or the contractual liability for lease contracts or sale of goods. Some examples of cases decided by the administrative judge concern public subventions for firms, authorizations for commercial activities, tender for public works, public competitions for civil servants, visa for non E.U. citizens. Nowadays, in order to avoid the uncertainty about the competent judge, in some matters characterized by a mixture of rights and interests, the distinction between the two jurisdictions is based on two lists of matters more and more specifically provided by the law. For 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO instance, all the acts adopted by the Independent Authorities have to be attacked in front of the administrative judge, as expressly provided by the law. * The criminal trials belong to the ordinary judge and, in this case, the State Lawyer normally defends, as a civil party, the State which has undergone a damage connected with the crime: for instance the damage consequent to fiscal evasion or the moral and property damage consequent to terrorism or corruption of public officials or environmental pollution. The State Lawyer can also defend, if requested, the author of the crime when a civil servant is accused of a fact committed during the exercise of his functions. * In the fiscal proceedings the State Lawyer pleads above all in front of the Supreme Court, as normally, in front of the Tributary Commission, the State is represented by its own officials. This particular fields, as a consequence of a procedural reform, has grown considerably in the recent time as to the number of cases. * The State Lawyer has also a specific competence in the trials in front of the Court of Account, dealing with the account responsibility of civil servants and the public pensions. * The State Lawyer can also be appointed as arbitrator in arbitrations concerning mainly public works. Originally, in this matter, the law provided that the arbitration was compulsory but a sentence of the Constitutional Court declared this rule in contrast with the constitutional principles, considered that the derogation to the State jurisdiction has to be voluntary chosen by the parties. The State Lawyers can also act as lawyers in an arbitration proceedings, as well in national and international arbitrations. Some example of this second kind are arbitrations dealing with international contracts between the italian Ministry of Foreign Affairs and developing countries regarding the construction of infrastructures, mainly in Africa and Latin America. The Avvocatura dello Stato has also represented the Italian State in some important international arbitrations: one between Italy and Libia to delimitate the frontier of the continental shelf and territorial sea between the two countries; one regarding a credit granted by Italy to Costa Rica which was defaulting in returning the capital; one between the italian and the brasilian Military Ministry regarding the construction of a military plane with a Rolls Royce engine where the brasilian Ministry was defaulting in the payment of royalties (the arbitration was conducted under International Chamber of Commerce rules); one between Italy and Cuba concerning the reciprocal protection of investments in the two countries. 3. The consultative activity is also very important in order to avoid the arising of litigations. In fact, the Avvocatura dello Stato can suggest to satisfy the request of a private citizen before the dispute arises, avoiding in this way the length of a trial and the additional fees following the sentence. Some advices can concern the general interpretation of a new law so that the public department can apply it in the right way, avoiding several potential litigations. Besides, some advices can concern the transaction or the disclaimer of a specific pending case. The advices can be optional or compulsory. The majority are optional so that the administration can decide if asking or not the advice to the Avvocatura dello Stato. Some examples of compulsory advices concern: TEMI ISTITUZIONALI 13 the real estate to be purchased by the State, which have to be ascertained as free from every burden (mortgage, emphyteusis etc); the refund of legal cost payed by a civil servant involved in a civil or criminal trial related to his public functions, if the trial ascertains the non responsibility of the civil servant; the annulment of a credit of the State if it is considered as irrecoverable. III. Organization 1. Throughout Italy, there are 337 State Lawyers dealing with more than 200.000 cases per year. About 110 work in Rome, dealing with more than 60.000 cases per year. The pro capite average number of cases is 500/600 per year. The total cost for the State of the entire Avvocatura dello Stato is around 130.000.000,00; therefore, the average cost of a single case is around 600,00 which is much more convenient for the State than what would be the cost of a private lawyer. Out of these 337 persons, about 60 are Procuratori dello Stato (Junior Lawyers) and the remaining are Avvocati dello Stato (State Lawyers). About 900 persons belong to the administrative staff. The Avvocatura dello Stato is led by the Avvocato Generale dello Stato (Attorney General), whose seat is in Rome and who is appointed with a decree of the President of the Republic under proposal of the Prime Minister and after a deliberation of the Cabinet. The charge lasts untill the age of seventy five. At present, the Attorney General is Mr. Oscar Fiumara, appointed on July, 2005. * The Attorney General expresses the unitary direction of the Institute, he coordinates the institutional activity, he supervises the consultative and judiciary activity, the solves divergencies between the legal advices given by different District Avvocature, he refers to the Prime Minister the trend of the activity of Avvocatura dello Stato with a periodical report. * In this role, he is assisted by the Vice Attorney General and by eight Deputies Attorney General, who are heads of eight sections. Their role is to assign the cases, to supervise the organisation of the work, to put a visa in all the procedural deeds subscribed by each Lawyer and to sign personally, together with the Lawyer in charge of the case, all the written advices. * From 2002, the seat of Rome is divided in eight sections, competent for specific Ministries or departments and other non state administrations strictly connected with them. Each State Lawyer belongs to a section and can specialize himself in a particular field, which allows a better quality of the plea. The new structure aims to rationalize the burden of the work, through a more equitable distribution of the cases; its purpose is as well to increase the positive results, granted by a more specialized and up to date plea. The main performance indicator is the issue of the trial: the high number of favourable sentences corresponds normally to an efficient defence of the State. In 2004, the percentage of won cases has been the 65%. An incentive to increase the efficiency of the defence is the system of distribution of legal fees. In fact, besides the ordinary monthly salary, the State Lawyer receives also, every four months, a share of the legal fees drawn through the won cases. The most important matters are directly assigned and supervised by the Attorney General, particularly the cases in front of the European Court of Justice, the International Courts and the Constitutional Court and all the cases involving the Indipendent Authorities: 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Antitrust Authority, Communication Authority; Privacy Authority, Public Works Authority, Energy Authority, Company and Stock Exchange Authority, Assurance Authority. The eight sections are competent for the cases involving the following administrations: Section 1: fiscal proceedings from central departments, Cabinet, Presidency of the Republic; Section 1 bis: fiscal proceedings from northern departments, Chamber of Deputies, Senate, Regions; Section 2: fiscal proceedings from southern departments, Environment Ministry, Comunication Ministry, Agricultur Ministry, Treasury Ministry; Section 3: Finance Ministry, Customs Agency, Labour Ministry; Section 4: Interior Ministry, Cultural Ministry Section 5: Ministry of Foreign Affairs, Health Ministry, Military Ministry; Section 6: Ministry of Justice, Industry Ministry; State Property Agency; Section 7: Ministry of Education, Public works Ministry. * The Secretary General (Mr Caramazza has been Secretary General for 10 years) assists the Attorney General in the exercise of his functions, directs the administrative offices and is the head of the administrative staff. At the present time, the Secretary General is Mrs Gabriella Palmieri, the first woman in this role. She was appointed in January, 2002. The charge lasts five years and is renewable one time. 2. The same kind of organization exists also in the District Avvocature, where the District Attorney possesses the same role of the Attorney General. There is one District Avvocatura in each seat of Court of Appeal, in total 25, more or less in each Region of Italy, which are 20. The exceptions are Sicily, with 4 District Avvocature, Lombardia, Puglia, Campania, with 2 District Avvocature each and Valle DAosta with none. The 25 District Avvocature defend the local organisms of the state administrations before the Judge of first instance and the Court of Appeal. If a decision has to be attacked before the Supreme Court, the District Avvocature send all the papers to the Avvocatura Generale in Rome, competent for the Superior Jurisdictions. The same happens for the cases before the Administrative Judges: the District Avvocatura defend the State before the Regional Administrative Tribunals and to appeal a decision in front of the Council of State, all the papers have to be transmitted to Rome. The Avvocatura Generale is at the same time the District Avvocatura of Rome. 3. Legal advices of particular importance have to be issued in Rome by the Consultative Committee, composed by the Attorney General and by six State lawyers with a deep and long experience. The Consultative Committee, which meets once a month, gives also the main general instructions for the coordination of the defence, solves the divergencies of opinion between Lawyers dealing with similar cases and establishes the criteria to assign the cases. 4. Another body having its seat in Rome is the State Lawyer Council, composed by nine members: five are provided by the law: the Attorney General, two senior Deputies Attorney General and two District Attorneys; four (one of which has to be a Procuratore dello Stato) are elected by all the State Lawyers every three years (normally one from north, one from Rome and one from south). This body has a relevant power as it is entitled to give its advice upon: TEMI ISTITUZIONALI 15 the seat of destination for the winners of the public competition to become Procuratore dello Stato and Avvocato dello Stato; the transfer from one seat to another; the appointment of District Attorneys and of Deputies Attorney General; the choice of State Lawyers as permanent advisors of a public agency or as member of a commission of a public competition or as arbitrator. 5. The executive board is constituted by the State Lawyers Council and by the Staff Permanent Council. It expresses advices and proposals on the organization of the Institute and establishes the criteria for the distribution of the economic resources between the different offices. 6. The administrative offices are: general affairs and staff; organization office; bookkeeping; stewards office; archivists office; secretaries and professional collaboration; external activity (notifications, deposits of procedural deeds); recover of legal fees; library and juridical documentation; informatics office and data base. IV. The defence of Avvocatura dello Stato 1. The plea of state administration by the Avvocatura dello Stato is compulsory and is provided in a general way by the law of 1933. For other non state public administrations, the defence by the Avvocatura dello Stato has to be provided by specific laws and the plea can be compulsory or optional. 2. For the Regions, the defence can be compulsory or optional. The defence is compulsory for the five Regions with special statute: Sardegna, Sicilia, Valle dAosta, Trentino Alto Adige and Friuli Venezia Giulia; the defence is optional for the other Regions with ordinary statute, so that they can decide each time to avail themselves of the defence of the Avvocatura dello Stato or not. In any case, the Avvocatura dello Stato can normally defend only public administrations; for this reason, the Railway administration and the Post administration, which have been transformed in joint-stock companies, can no more avail themselves of the legal assistance of the Avvocatura dello Stato. 3. The law provides some specific procedural rules to facilitate the defence of the State by the Avvocatura dello Stato. * When the State or another public administration represented by the Avvocatura dello Stato is one of the parties of a trial, the suit has to be filed in front of the judge where the Avvocatura dello Stato has its seat. This rule, fixed by article 25 of the italian code of civil procedure, is supposed to assure, with less expenses, a better defence. * The notification of a claim against a state administration, according to article 144 of the italian code of civil procedure, has to be made to the Avvocatura dello Stato and not to the administration concerned, in order to assure a prompt defence. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO V. Hiring system 1. To become Procuratore dello Stato (Junior Lawyer), one has to succeed in a public competition, which is considered very selective, consisting in three written tests and an oral examination on eight matters. There are normally 800-1000 participants for 8-10 positions. 2. After this first competition, one is appointed Procuratore dello Stato and after 2 years one is entitled to participate to another public competition to become Avvocato dello Stato, consisting in four written tests and two oral examinations: one on fifteen matters and one on a simulated plea. To this second competition, can participate also magistrates, private lawyers and officials of public administrations with a certain seniority. The ratio is, in this case, about 80 participants for 8 positions. The second competition is not compulsory; who decides not to participate, should become, more or less automatically, Avvocato dello Stato after 8 years (nowadays this is no longer the case, due to public expenditure limits) but normally the majority of Procuratori dello Stato dont wait for the automatic promotion and participate to the second competition, not only for economic reasons but above all to increase the quality of the work and to be entitled to functions one cant accomplish as a Junior Lawyer, like pleading in front of the Superior jurisdictions. A law of 1997 has abolished the distinction between Procuratori and Lawyers for the liberal profession but it doesnt apply to State Lawyers. The choice of the seat of destination depends on the final marks and on the ranking after the public competition. 3. It is possible to do a free internship of two years at the Avvocatura dello Stato, which allows to be admitted to the exam of private lawyer and as well to be admitted to the public competition to be appointed Procuratore dello Stato (even if, in this second case, the internship of 2 years is not necessary; in fact, one can participate to the public competition directly after the degree in law). The State Lawyers can participate to the courses of professional training organized for the magistrates every year. Several meetings with selected lecturers are also organized by the Avvocatura dello Stato about matters of general interest or about new laws or recent jurisprudence revirements. The Avvocatura dello Stato has its own web site (www. avvocaturastato.it ) and its own review which is very useful for the professional bringing up to date where are published articles about juridical matters regarding the defence of the State, sentences of the European Court of Justice, sentences of National Courts of particular importance, legal advices of the Consultative Committee. TEMI ISTITUZIONALI 17 Dossier La giurisprudenza comunitaria in tema di in house providing insiste sullinterpretazione rigorosa dei requisiti Teckal di Cristina Mirti Considerazioni preliminari. La finalità perseguita con la presente opera è racchiusa nel tentativo di illustrare i recenti approdi, cui è pervenuta la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in tema di in house providing. In tale sede si analizzerà il fenomeno degli affidamenti quasi in house anche se, in coerenza con luso corrente, si adotterà lespressione di affidamento in house (1). In dottrina, la spinosa tematica dellin house providing è stata definita come modalità di organizzazione della produzione o di approvvigionamento delle prestazioni (2) da parte di una pubblica amministrazione. Si è aggiun- I L C O N T E N Z I O S O C O M U N I T A R I O E D I N T E R N A Z I O N A L E (1) Per richiamare le chiarissime parole dellAvvocato Generale Juliane Kokott, pronunciate dallo stesso nelle Conclusioni rassegnate nella causa Parking Brixen, è necessario ribadire, al fine di correttamente inquadrare loggetto del presente lavoro, che Gli affidamenti in house in senso stretto sono procedure con cui una pubblica amministrazione affida un appalto ad un suo ente strumentale non dotato di personalità giuridica propria. Mentre, invece, in senso lato, possono rientrare nell ambito degli affidamenti in house anche particolari casi in cui amministrazioni aggiudicatrici stipulano contratti con società loro controllate dotate di propria personalità giuridica, mentre gli affidamenti in house in senso stretto non sono affatto rilevanti per la disciplina in materia di aggiudicazione di appalti, dato che essi costituiscono vere e proprie procedure amministrative interne, per quanto riguarda gli affidamenti in house in senso lato (affidamenti quasi in house) si pone sovente la difficile questione diretta ad accertare se per essi esista o meno lobbligo di svolgere una procedura ad evidenza pubblica. (2) D. CASALINI, Lorganismo di diritto pubblico e lorganizzazione in house, 2003, p. 247. to, a tale proposito, che lipotesi di una pubblica amministrazione che affidi ad un ente dalla stessa controllato la prestazione di servizi, forniture o lavori è stata denominata in house providing, con denominazione che evidenzia unattività (provvedere) interna (in house) allamministrazione pubblica (3). Lestrema importanza cui soggiace il tema in questione è dovuta al fatto che laffidamento in house costituirebbe uneccezione allapplicazione della disciplina comunitaria sugli appalti pubblici; in tal caso, infatti, in virtù del potere di organizzazione che risiede in capo ad ogni pubblica amministrazione, ciascuna di queste potrà liberamente decidere se svolgere essa stessa il servizio oggetto dellappalto ovvero affidarlo ad un soggetto estraneo ad essa. Come correttamente è stato osservato (4), leccezione allapplicazione della disciplina comunitaria degli appalti discende dalla circostanza che nel caso di affidamento in house sono assenti i presupposti richiesti dalle normative comunitarie, in particolare ed in via assorbente, la stipula di un contratto a titolo oneroso come prodotto dellincontro di due volontà distinte. A tal proposito ed in linea di continuità, altra parte della dottrina, per spiegare le ragioni in virtù delle quali detti affidamenti si sottraggono alla disciplina comunitaria sugli appalti, ha affermato che Le prestazioni di servizi, lavori o forniture dedotte nel rapporto in house tra amministrazione aggiudicatrice ed ente controllato non costituiscono loggetto di un contratto di appalto pubblico (...) stipulato tra unamministrazione aggiudicatrice ed un imprenditore (...). Lin house providing si pone a monte e costituisce piuttosto un ampliamento dellorganizzazione pubblica, formalmente alternativa al reperimento di prestazioni che potrebbero essere dedotte in un contratto di appalto pubblico, che invece non solo formalmente sono dedotte come oggetto di una relazione organizzativa interna alla struttura amministrativa dellente appaltante (5). Nel presente lavoro si analizzeranno i recenti sviluppi cui è pervenuta la giurisprudenza comunitaria attraverso le due recentissime sentenze succedutesi proprio in tema di in house providing ed intervenute, rispettivamente, il 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (3) Idem, in op. cit. (4) F. ROSSI, Gli affidamenti (quasi) in house: la partecipazione pubblica totalitaria come elemento essenziale. Problemi e quesiti. (5) D. CASALINI, in op. cit., p. 255. Lautore, nella sua brillante ricostruzione, afferma che il rapporto in house ha ad oggetto non prestazioni di lavori, servizi o forniture nel significato fatto proprio dalle direttive comunitarie nel definire lappalto pubblico, bensì le modalità con cui è organizzata la produzione o lapprovvigionamento di tali prestazioni. (...) Lin house providing è dunque vicenda giuridica interna allamministrazione e solo apparentemente alternativa allappalto, poiché ha un oggetto differente che si precisa nellesercizio del potere di organizzazione che pertiene ad ogni amministrazione pubblica (...). In tal senso lespressione affidamento di un appalto pubblico in house può essere equivoca: non essendo necessario alcun appalto, è preferibile definire il rapporto giuridico tra amministrazione controllante ed ente controllato semplicemente come approvvigionamento in house. 6 aprile 2006 (sentenza ANAV c. Comune di Bari), e l11 maggio 2006 (sentenza Carbotermo c. Comune di Busto Arsizio). Preliminarmente, tuttavia, è necessario dar conto, sia pur brevemente (6), delle precedenti pronunce dei Giudici comunitari intervenute su tale tematica, e rappresentanti, senza alcun ombra di dubbio, i postulati logici necessari degli ultimissimi approdi giurisprudenziali. Nella sentenza del 9 settembre 1999 (causa RI.SAN. S.r.l. c. Comune di Ischia), la Corte di Giustizia in relazione allambito di applicazione dell art. 45 TCE ha affermato il principio secondo il quale sono escluse dalle applicazioni delle disposizioni del presente capo, per quanto riguarda lo Stato membro interessato le attività che in tale Stato partecipino, sia pure occasionalmente, allesercizio dei pubblici poteri (7). È, però, solo con la sentenza Teckal, costituente la vera e propria pietra angolare della tematica in house, che si delineeranno i confini dellin house providing, dando origine ai cc. dd. criteri Teckal. Come si è osservato, è qui che la Corte di Giustizia sviluppando il suesposto principio, ha fornito un contributo decisivo alla definizione di affidamento in house delineandone i limiti ed individuando due criteri cumulativi, la cui contemporanea sussistenza consente di sottrarre alle procedure di aggiudicazione previste per gli appalti pubblici, tutti quei rapporti intercorrenti tra una pubblica amministrazione ed un ente soggetto allinfluenza dominante di questultima (8). Dunque la sentenza Teckal subordina il configurarsi di un affidamento in house, al ricorrere, cumulativamente, di detti requisiti: a) lamministrazione aggiudicatrice dovrà esercitare sullente aggiudicatario un controllo analogo a quello che essa esercita sui suoi servizi; b) a sua volta il concessionario dovrà realizzare la parte più importante della propria attività con lautorità che lo detiene. Tuttavia, iniziano, ben presto, ad imporsi allattenzione dellinterprete chiari segnali provenienti dalla giurisprudenza comunitaria (9), segni evidenti di una sorta di cambio di rotta, uninversione di tendenza che appare rimettere in discussione tutto il sistema di affidamento diretto dei servizi pubblici, basato sulle eccezioni Teckal. Lintenzione, evidente, della Corte di Giustizia di limitare in modo rigoroso lapplicazione delle eccezioni Teckal, la cui attuazione sottrarrebbe, in virtù del ragionamento fornito dagli stessi Giudici, porzioni rilevanti del IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 (6) Per unanalisi più approfondita si rimanda a I. MORICCA, Lo stato degli atti sullin house providing, in Rassegna Avvocatura dello Stato, 2004, n. 4, pgg. 1087 e ss; G. FIENGO, Ulteriori sviluppi sullin house providing, in Rassegna Avvocatura dello Stato, 2005, n. 3, pgg. 44 e ss. (7) Per unattenta disamina sulla portata di tale principio, si rinvia a I. MORICCA, Lo stato degli atti sullin house providing, cit. (8) I. MORICCA, in op. cit. (9) Supportata dallatteggiamento degli stessi Tribunali Amministrativi Regionali italiani, diversamente dal Consiglio di Stato. sistema degli affidamenti dei servizi pubblici alle regole del libero mercato tutelato dalla normativa comunitaria, si manifesta efficacemente nelle sentenze, a) sentenza Stadt Halle, resa l11 gennaio del 2005; b) sentenza Coname, resa il 21 luglio del 2005; c) sentenza Parking Brixen, resa il 13 ottobre del 2005 (10). 1. I fatti. La prima delle questioni sottoposte alla Corte di Giustizia trae origine dalladozione in virtù dellarticolo 113, comma 5, D. Lgs. n. 267/2000 da parte del Comune di Bari in data 18 dicembre 2003, di un provvedimento con cui detto comune affidava direttamente il servizio di trasporto pubblico sul territorio comunale alla AMTAB Servizio detta azienda costituiva una società per azioni il cui capitale era interamente detenuto dal Comune di Bari per il periodo dal 1° gennaio 2004 al 31 dicembre 2012. A fronte di ciò, in data 9 marzo 2004, lANAV (che rappresenta, per statuto, le imprese esercenti servizi nazionali ed internazionali di trasporto passeggeri, ed in tale veste vigila sul buon andamento del servizio pubblico, nellinteresse delle società che forniscono il servizio) depositava, dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Regione Puglia, ricorso, attraverso il quale chiedeva al giudice adito di annullare il provvedimento con cui il Comune di Bari aveva disposto laffidamento diretto del servizio pubblico di trasporto, lamentando violazione del diritto comunitario. In ordine alla seconda sentenza, essa conclude un procedimento instauratosi a seguito delladozione, da parte del Comune di Busto Arsizio, di un provvedimento mediante il quale detto Comune affidava un appalto per la fornitura di combustibili, nonché per la manutenzione, ladeguamento normativo e la riqualificazione tecnologica degli impianti termici degli edifici comunali direttamente alla ditta AGESP. Come è dato leggere nella sentenza oggetto della presente analisi, il Comune motivava la propria scelta osservando che la AGESP soddisfaceva i due requisiti stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per concludere appalti pubblici senza gara, vale a dire che lente locale eserciti sullente aggiudicatario un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e che il suddetto ente aggiudicatario realizzi la parte più importante della propria attività con lente locale che lo controlla. In via preliminare, va chiarito che la AGESP è una società per azioni costituita il 12 luglio 2000 dalla AGESP Holding ed il cui capitale sociale appartiene per il 100% a questultima. A sua volta, la AGESP Holding è una società per azioni nata dalla trasformazione, nel 1997, dellAzienda dei Servizi Pubblici, impresa speciale del Comune di Busto Arsizio. Il capitale sociale della AGESP Holding 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (10) Per unanalisi approfondita di dette questioni si rinvia a I. MORICCA, in op. cit., pgg. 1100 e ss.; G. FIENGO, Ulteriori sviluppi sullin house providing, cit. appartiene attualmente per il 99,98% al Comune di Busto Arsizio. I rimanenti azionisti sono i comuni di Castellana, (...), ciascuno dei quali detiene solo unazione. La presente controversia trae origine dallimpugnazione che la Carbotermo unimpresa specializzata negli appalti di fornitura di energia e di gestione di impianti termici ed impossibilitata a concorrere per laffidamento dellappalto in essere a causa della revoca della relativa gara, come sopra specificato proponeva dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, argomentando la mancata ricorrenza delle condizioni che avrebbero reso inapplicabile la direttiva comunitaria 93/36. 2. Lopera pretoria di arricchimento del contenuto dei requisiti Teckal: verso una sostanziale impossibilità di applicazione degli stessi. Il controllo analogo e la circostanza che lente aggiudicatario, giuridicamente distinto dalla amministrazione aggiudicatrice, realizzi la parte più importante della propria attività con lautorità o le autorità che la controllano (punto 50 della sentenza Teckal), costituiscono i più volte citati requisiti Teckal. Nel corso degli anni e nellambito di una continua fervente giurisprudenza su tali tematiche, si è assistito ad uninterpretazione sempre più rigorosa e restrittiva fornita dai Giudici comunitari in ordine a tali presupposti, fatto che, come giustamente è stato osservato, riduce lapplicazione di detti requisiti ad una sorta di corsa ad ostacoli, nei quali il giudice nazionale, soprattutto i Tribunali Amministrativi Regionali, e la stessa Corte di Giustizia, finiscono per creare di volta in volta barriere non facilmente superabili (11). In primo luogo, la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi soprattutto sulla spinosa tematica del controllo analogo, fornendone, appunto, come anticipato, una lettura al limite della sostanziale inapplicabilità (12). A tal proposito, nella sentenza Stadt Halle, che acquista particolare importanza in virtù dellulteriore specificazione del requisito sopra detto, i Giudici lussemburghesi hanno ritenuto che la partecipazione pubblica totalitaria del soggetto aggiudicatario fosse indispensabile per assicurare un controllo analogo e, dunque, un affidamento in house (13), in virtù di un duplice ordine di ragioni: a) in tal modo si scongiurerebbe la diversità ontologica IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 (11) G. FIENGO, op. cit., in questa rivista, 2005, n. 3, pag. 47. (12) A tal proposito, si condividono, senza voler anticipare i tempi, le considerazioni espresse dallAvvocato Generale Cristine Stix-Hackl nellambito delle Conclusioni sulla causa C-340/04, (...) i requisiti Teckal consistono in un insieme di concetti indeterminati, che hanno comportato tutta una serie di problemi giuridici e di distinzioni problematiche. Sulla base di tale esperienza si pone il problema di come la Corte possa garantire la massima chiarezza giuridica e, in tal modo, la massima certezza del diritto per gli interessati: una possibilità potrebbe essere quella di non raffinare la propria giurisprudenza solo con riferimento a casi specifici, ma di precisarla in termini più generali di quanto fatto sino ad ora. (13) Si rimanda per unanalisi più compiuta sullargomento a F. ROSSI, op. cit. degli interessi perseguiti, rispettivamente, dalla P.A. e dal socio privato; b) si eviterebbe qualsiasi forma di pregiudizio alla libera concorrenza ed alla parit à di trattamento, nella misura in cui una procedura siffatta offrirebbe ad unimpresa privata presente nel capitale della detta società un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti (14). Successivamente, su tale argomento, è intervenuta, nellottobre del 2005, la sentenza Parking Brixen, nellambito della quale la Corte ha avuto modo di chiarire, in aggiunta a quanto sinora detto, che il criterio del controllo analogo risulta soddisfatto solo se sussiste una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (punto 65) (15). I Giudici comunitari hanno, altresì, specificato, contribuendo ad uninterpretazione decisamente angusta dei requisiti Teckal, che i due criteri quello del controllo analogo e quello della prevalenza devono essere soddisfatti permanentemente. Su tale tematica, si richiamano, esaustivamente, le parole dellAvvocato Generale L. A. Geelhoed, espresse dallo stesso nellambito delle Conclusioni rassegnate nella causa ANAV c. Comune di Bari, (...) nell ipotesi in cui, una volta soddisfatti i due primi criteri allatto dellattribuzione della gestione del servizio di cui trattasi, lamministrazione competente procedesse alla cessione di una parte, anche di minoranza, delle quote della società interessata ad unimpresa privata, ne conseguirebbe che mediante una costruzione artificiale comprendente varie fasi distinte (...) la concessione di un servizio pubblico potrebbe venire attribuita ad unimpresa ad economia mista senza previa aggiudicazione in regime di concorrenza (16). Arrivando alle ultimissime pronunce, la sentenza ANAV ribadisce pienamente, con lo stesso rigore concettuale, i criteri come sopra interpretati; in essa infatti può leggersi: Qualora durante la vigenza del contratto (...) il capitale dellAMTAB Servizio fosse stato aperto ad azionisti privati, la conseguenza di ciò sarebbe laffidamento di una concessione di servizi pubblici ad una societ à mista senza procedura concorrenziale, il che contrasterebbe con gli obiettivi perseguiti dal diritto comunitario (...). Infatti, la partecipazione, ancorché minoritaria, di unimpresa privata nel capitale di una società alla quale partecipa pure lautorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa esercitare su una tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Quindi, se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impe- 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (14) Sentenza Stadt Halle, punti 49, 50, 51 e 52, in op. cit. (15) Si segnala lintervento, da ultimo, della sentenza 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo S.p.a. e Comune di Busto Arsizio, punti 38 e ss. (16) Conclusioni presentate il 12 gennaio 2006, nella causa C-410/04. (17) Pur condividendo alcune delle preoccupazioni, espresse dalla Corte, alle quali può dar vita una realtà di Public-Private-Partnership in un settore delicato come quello degli affidamenti in house, in particolare per i concreti rischi a cui si espongono i principi comunitari in tema di parità di trattamento e di non discriminazione su base nazionale, non ci si può esimere dal notare, con piglio disce di considerarla una struttura di gestione interna di un servizio pubblico nellambito dellente pubblico che la detiene (17). Si aggiunge, a tale scenario, quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza Carbotermo c. Comune di Busto Arsizio. Preliminarmente, appare necessario avvisare il lettore della profonda diversità intercorrente tra le posizioni dellAvvocato Generale e quelle espresse dalla Corte nella propria pronuncia. In particolare, questultima, non senza un evidente pregiudizio in merito allapplicazione delle eccezioni Teckal, mira ad arginare il più possibile, riducendolo ad un mero fenomeno episodico, laffidamento diretto di servizi pubblici, tradendo, in realtà, unoltranzistica difesa delle regole del libero mercato. Nel caso in analisi, la Corte di Giustizia ha negato categoricamente che ricorressero i presupposti per la configurazione di un affidamento in house, con il conseguente obbligo di indire una gara pubblica per laffidamento del relativo servizio pubblico. Il ragionamento dei Giudici comunitari si articola nei seguenti passi: IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 critico, lestrema drammatizzazione dei toni con cui i Giudici comunitari affrontano le questioni in tema di in house providing. In particolare, la semplice circostanza che il capitale sociale dellente aggiudicatario sia potenzialmente aperto a soci privati, non pare, di per sé, motivo sufficiente per ritenere insussistente il requisito del controllo analogo. Ed in effetti, se come ha chiarito la giurisprudenza comunitaria, il requisito del controllo analogo deve avere un riscontro sotto un duplice versante, quello strutturale e quello dellattività dellente, lintegrazione di detto presupposto non può negarsi in via meramente astratta ed ipotetica. In particolare, nel momento dellaggiudicazione del servizio la circostanza che il capitale dellente aggiudicatario sia potenzialmente aperto a soci privati non dovrebbe tradursi in un motivo di impedimento della fattispecie in house, se il requisito del controllo analogo, nei termini sopra precisati, nonché il presupposto della prevalenza, risultassero perfettamente rispettati. A tale proposito, pare utile fare una distinzione: in primo luogo potrebbe aversi una situazione, come quella della presente causa, in cui si ha un fenomeno di Public-Public-Partnership, ed in cui, tuttavia, il capitale risulta, per il futuro, potenzialmente aperto anche a soci privati, in virtù, anche, della veste giuridica adottata dallente aggiudicatario (Spa). In secondo luogo, potrebbe configurarsi una situazione già in origine contraddistinta da un rapporto di Public-Private-Partnership, in cui, pertanto, laffidamento opererebbe nei confronti di una società mista. Stando alla giurisprudenza comunitaria, nel secondo caso descritto risulterebbe categoricamente escluso un affidamento diretto del servizio; in effetti, qui ricorre, in via di principio, un rischio concreto di ledere gli obiettivi comunitari. Tuttavia, anche in questo caso il rischio paventato potrebbe scongiurarsi, in concreto, se il socio privato fosse, a suo tempo, stato scelto attraverso una gara pubblica, nel pieno rispetto delle regole sulla concorrenza. A fortiori , dovrebbe concludersi per linsussistenza di qualsiasi contrasto con le norme comunitarie nella prima delle ipotesi immaginate, ossia nel caso in cui lente aggiudicatario, al momento dell affidamento, risultasse esclusivamente in mano pubblica, sia pure in presenza della mera possibilità dellapertura, del proprio capitale sociale, a futuri soci privati. Tale conclusione sembra imporsi, per tre diverse ragioni: a) non cè traccia di un pregiudizio concreto ed attuale alle norme comunitarie; b) il principio di parità di trattamento ed il rispetto della concorrenza potranno agevolmente essere assicurati, nel momento in cui un socio privato volesse aggiungersi al partenariato, attraverso una pubblica gara per la scelta del socio medesimo; c) last but not least, una partecipazione, magari minoritaria del socio privato, non può escludere a priori ed in via meramente astratta la reale sussistenza del controllo analogo, la cui ricorrenza dipenderà, ciascuna volta, dal singolo caso concreto. È indiscutibile la circostanza che lamministrazione aggiudicatrice detenga la stragrande maggioranza del capitale sociale della società aggiudicataria; la parte restante del capitale è in possesso di altri enti pubblici. Tale circostanza ad una prima analisi sembrerebbe idonea a ritenere integrato il requisito del controllo analogo. La Corte, tuttavia, sottolinea che gli statuti della AGESP Holding e della AGESP attribuiscono ai relativi consigli di amministrazione i più ampi poteri, tanto in seno alla gestione ordinaria, quanto in merito a quella straordinaria. Questo significa, a detta dei Giudici, che il controllo esercitato dal comune di Busto Arsizio su queste due società si risolve nei poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci, la qual cosa limita considerevolmente il suo potere di influire sulle decisioni delle società di cui trattasi. È interessante, a tal proposito, mettere a confronto le affermazioni della Corte con quelle dellAvvocato Generale: 62. Per valutare la configurazione concreta del controllo occorre in ogni caso fare riferimento ai poteri effettivamente spettanti ad ogni socio (...). (Omissis) 68. Poiché il criterio del controllo si riferisce alla capacità di influenzare la gestione della società nel suo complesso, il comportamento tenuto dal soggetto da valutare nellambito di una concreta procedura di appalto può non essere decisivo. 69. In concreto, per valutare se le disposizioni generali ed astratte del diritto nazionale e la concreta configurazione dello statuto della società interessata (...) consentano un controllo sufficiente, è necessario esaminare la fattispecie concreta. Questa valutazione però (...) ai sensi di cui allart. 234 CE non spetta alla Corte, ma al giudice nazionale. A tal stato dei fatti, i Giudici aggiungono che il legame del Comune con lente aggiudicatario è rappresentato solo da partecipazioni indirette, fatto che, a parere della Corte, rafforza le considerazioni suesposte. La Corte di Giustizia ritiene che tutte queste circostanze ostino allesercizio sulla società aggiudicataria, da parte dellamministrazione aggiudicatrice, di un controllo analogo a quello da questa esercitato sui suoi servizi. Con il suo ragionamento, il Collegio sembra allinearsi perfettamente a quanto, a suo tempo, già sostenuto dalla Commissione Europea in una nota del 26 giugno 2002 (18) in cui si sottolineava che affinché il controllo analogo sussista non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario (...). La Repubblica Italiana, nel corpus delle proprie osservazioni , ha invece, a più riprese, sottolineato che laffidamento in questione costituirebbe una semplice modalità organizzativa nella gestione pubblica dei servizi dinteresse generale. Si aggiunge che La conferma indiretta della legittimità di 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (18) Si rimanda, per unanalisi più approfondita, a I. MORICCA, op. cit., pag. 1094. tale modello organizzativo si ricava dalla stessa ordinanza n. 140/04 del TAR per la Lombardia laddove il giudice rimettente, (...) implicitamente conferma lintenzione della AGESP di procedere allacquisto del gasolio con gara ad evidenza pubblica (...). Secondo la Repubblica Italiana, la necessità che la AGESP S.p.A. indica una gara pubblica per detto approvvigionamento, costituisce la riprova che il Comune di Busto Arsizio, la AGESP Holding e la AGESP S.p.A. questultima affidataria del servizio in house siano unitariamente da considerare come un unico organismo di diritto pubblico, sul quale grava lonere di procedere ad appalti e forniture attraverso gare, ai sensi delle normative comunitarie e nazionali in materia. La Corte di Giustizia ha negato la ricorrenza di detta prospettazione, articolando la propria decisione nei punti 44, 45, 46, 47; discutibile appare, in particolare, quanto la Corte afferma nel punto 44: Tale argomento non può essere accolto. Da un lato, il Comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di ente locale e non in quella di organismo di diritto pubblico. Il motivo addotto dalla Corte non sembra condivisibile alla luce di una serie di considerazioni; in effetti, la nozione di organismo di diritto pubblico si pone come trasversale rispetto alle categorie pubblico-privato proprie dei singoli ordinamenti giuridici (19) , in quanto, e questo è quello che qui più conta, tale categoria, basata sulla normativa comunitaria, è finalizzata ad individuare tutti quei soggetti tenuti ad applicare la normativa comunitaria sugli appalti. Proprio in virtù di ciò, gli organismi di diritto pubblico sono amministrazioni aggiudicatrici, al pari dello Stato e degli enti locali, e proprio per tali ragioni essi sono sì tenuti a porre in essere le procedure di scelta dei contraenti in modo non discriminatorio, ma, soprattutto, essi sono esclusi dalle procedure di gara per gli affidamenti che essi ricevono dallo Stato o dagli enti locali (20) e da altri organismi di diritto pubblico. È proprio in virtù della considerazione di tali punti che emergerebbe la contraddittorietà dellobiezione formulata dai Giudici lussemburghesi, in ragione della quale il Comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di ente locale e non in quella di organismo di diritto pubblico. 3. Il requisito del controllo analogo e la compatibilità di questultimo con il fenomeno delle partecipazioni indirette: lottica dellAvvocato Generale. Il procedimento svoltosi tra la Carbotermo ed il Comune di Busto Arsizio ha permesso, inoltre, di affrontare delle interessanti tematiche, in ordine alle quali appare opportuno riportare i passi più salienti delle conclusioni rassegnate dallAvvocato Generale. Come, dunque, ha sottolineato lAvvocato Generale, Cristine Stix- Hackl, nelle proprie Conclusioni, in tale contesto si pone il problema del- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 (19) G. ROSSI, Lorganizzazione, in Diritto Amministrativo, 2005 p. 245. (20) Ancora G. ROSSI, in op. cit., p. 245. lapplicabilità, in via di principio, dei criteri Teckal a situazioni di partecipazione indiretta. Lo stesso Avvocato Generale ha, in un primo tempo, affermato che su tale tematica non sembrerebbe potersi trarre alcuna indicazione conclusiva; in un secondo momento è stato costretto a riconoscere che, tuttavia, a favore della generale applicabilità dei criteri Teckal anche nei casi di partecipazione indiretta depone il fatto che la Corte, nella causa Stadt Halle, ha appunto verificato la sussistenza dei presupposti per entrambi i criteri Teckal. Se ne potrebbe inferire un implicito riconoscimento di principio. (...) Il presupposto è, però, che il requisito del controllo sia rispettato a tutti i livelli di partecipazione (21). Due aspetti ulteriori, considerati dallAvvocato Generale, concernono da un lato la tematica della pluralità di partecipazioni pubbliche in seno al soggetto aggiudicatario, dallaltro il rapporto intercorrente tra il requisito del controllo analogo ed uno statuto sociale di una Spa che sancisca la possibilit à di partecipazione, al capitale, di soci privati. In ordine al primo profilo, a ben vedere esso non dovrebbe costituire un ostacolo alla configurabilità di un controllo analogo e, pertanto, non dovrebbe ostare ad un affidamento in house. A riprova di ciò, in coerenza con quanto sostenuto dallo stesso Avvocato Generale, possono richiamarsi gli illustri precedenti giurisprudenziali già sopra rievocati: in primo luogo, nello stesso caso Teckal ricorreva una partecipazione di più enti pubblici allente aggiudicatario, circostanza che, con tutta evidenza, non ha, di per sé, impedito di ravvisare un affidamento in house nel caso detto; in aggiunta ed a sostegno di tale ordine di idee, sia consentito richiamare le parole dellAvvocato Generale, nelle quali si è correttamente osservato (22) che A favore dellapplicabilità delleccezione Teckal a soggetti le cui quote sono detenute da più enti pubblici depone, oltre alla sentenza Teckal, anche il fatto che per la Corte, nella causa Stadt Halle lelemento decisivo ai fini dellesclusione di un affidamento in house è stato la considerazione della sussistenza, nel caso di specie, di una c.d. Public- Private-Partnership, da cui consegue che le imprese private perseguono fini differenti rispetto a quelli degli enti locali, circostanza incompatibile, a detta di una intransigente giurisprudenza comunitaria, con un affidamento in house. Nel caso in esame, al contrario, vi è però soltanto una partecipazione di comuni, e non vi sono interessi di privati. Poiché i comuni perseguono fini di pubblico interesse, quanto meno ad un primo esame si potrebbe concludere che il requisito del controllo è rispettato perfino nella sua interpretazio- 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (21) Così lAvvocato Generale C. Stix-Hackl, nelle Conclusioni rassegnate nellambito del procedimento oggetto del presente lavoro, punti 22 e ss. La sentenza Stadt-Halle costituirebbe, a ben vedere, un importante precedente circa la possibilità di ravvisare un affidamento in house providing anche a fronte di partecipazioni indirette tra lente aggiudicatario e lamministrazione aggiudicatrice, in particolare in virtù della circostanza che nel caso richiamato lente aggiudicatario era rappresentato da una società addirittura pro-nipote della amministrazione aggiudicatrice, fatto che, tuttavia, di per sé non esclude la possibilità di un affidamento in house. (22) Punti 31 e ss. delle Conclusioni, presentate in data 12 gennaio 2006, da parte dellAvvocato C. Stix-Hackl, nel presente procedimento, causa C-340/04. ne più rigorosa. (...) ne consegue dunque, in via di principio, che anche i soggetti che hanno più soci possono ricadere nelleccezione Teckal (23). In relazione al secondo aspetto, decisamente importanti appaiono le parole espresse, su tale tematica, dallAvvocato Generale: Poiché in questo caso, ai sensi dello statuto, sussiste la possibilità della partecipazione di soggetti privati, sotto il profilo del controllo è necessario verificare se una futura apertura del capitale sociale a privati possa avere un rilievo giuridico. Relativamente allapertura del capitale sociale a privati è possibile distinguere il caso in cui una partecipazione di privati sia soltanto legalmente possibile da quello in cui essa sia giuridicamente obbligatoria (...). A tale proposito la Commissione ha sostenuto che anche una partecipazione solo potenziale di privati (...) depone nel senso di una mancata soddisfazione del criterio del controllo. Contro tale posizione estrema, sostenuta dalla Commissione, militano innanzitutto considerazioni di principio. In tal modo la qualificazione giuridica di piani di cooperazione tra pubblico e privato dipenderebbe da semplici possibili futuri sviluppi. 4. Il requisito della prevalenza: le conclusioni dellAvvocato Generale e le posizioni della Corte di Giustizia. Nelle conclusioni intermedie del procedimento Carbotermo c. Comune di Busto Arsizio, lAvvocato Generale afferma, punto 116, Il criterio in base al quale il soggetto controllato deve realizzare la parte più importante della propria attività con lente o con gli enti locali che lo controllano può essere soddisfatto anche nei casi di imprese partecipate da più enti pubblici e di partecipazione indiretta. A tale proposito devono essere ascritte al soggetto controllante anche determinate prestazioni erogate a favore di terzi. LAvvocato ha articolato le suesposte conclusioni in virtù delle seguenti ragioni: a) in primo luogo, ha concluso ritenendo che per verificare la sussistenza della seconda eccezione Teckal andasse considerato anche laspetto qualitativo dellattività svolta dallente aggiudicatario. Ciò sotto molteplici profili: 1. È indispensabile chiarire se si debba fare riferimento solo alle attivit à effettivamente esercitate o invece anche allo scopo dellimpresa (...) (24); 2. Ci si deve inoltre chiedere se abbiano rilievo soltanto alcune specifiche attività dellimpresa, oppure tutte (...) (25). IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 (23) Ancora lAvvocato Generale. (24) Punto 100 delle conclusioni. (25) Punto 101 delle conclusioni. A tal proposito lAvvocato aggiunge, ai punti 101, 102 e 103, (...) Si potrebbe in effetti anche intendere il requisito della prevalenza nel senso che si deve guardare soltanto a quelle attività dellimpresa che devono essere fornite al soggetto controllante (...). A mio parere già solo il fatto che si sia in presenza di uneccezione al regime previsto dalla direttiva depone contro una simile interpretazione (...). Come sembra risultare necessario sia dal testo della sentenza Teckal che dalla vicenda alla base del procedimento, il requisito della prevalenza non può però essere considerato soddisfatto solo perché lattività a favore di un detentore di quote supera la soglia In merito a tali profili, lAvvocato ha stabilito, al punto 103, che (...) il requisito della prevalenza non può però essere considerato soddisfatto solo perché lattività a favore di un detentore supera la soglia della prevalenza; è invece necessario considerare linsieme delle attività svolte per tutti i detentori di quote, insieme che deve poi essere posto in relazione con linsieme di tutte le attività svolte. b) in secondo luogo, lAvvocato ha ritenuto indispensabile verificare la ricorrenza del criterio della prevalenza appurandone il profilo quantitativo; a tal proposito, ha aggiunto che accanto allanalisi del fatturato debbano essere considerati altri elementi indicativi economici dellimpresa (26). c) In relazione al requisito della prevalenza, rileva anche il momento in cui detto presupposto dovrà sussistere; secondo la tesi prospettata dallAvvocato Generale, detto momento dovrebbe identificarsi con quello in cui la amministrazione aggiudicatrice affida lappalto o, a seconda dei casi, la concessione. d) Ulteriore ed ultimo punto da considerare ai fini del ricorrere del requisito della prevalenza, è rappresentato dallattività svolta dallente aggiudicatario nei confronti di terzi; più precisamente, lAvvocato rileva che, Poiché la AGESP non svolge prestazioni soltanto per il Comune, ma anche per soggetti terzi nel territorio comunale, sia imprese che privati, si pone poi la questione di capire se, ed eventualmente a quali condizioni, anche prestazioni non erogate direttamente al Comune possano essere considerate prestazioni svolte per il Comune, cioè per lente controllante, ai sensi del secondo criterio Teckal. A tale proposito, il Procuratore aggiunge, al punto 113, che (...) Viene innanzitutto in considerazione il tipo di relazione esistente fra i terzi e il soggetto controllante, in questo caso il comune. Una imputazione al comune è particolarmente verosimile nei casi in cui il comune è tenuto a fornire a terzi una prestazione (...). Anche in tal caso la risposta dovrebbe dipendere dallesistenza, a fianco della prestazione materiale, di un rapporto giuridico tra il comune e il soggetto che fornisce le prestazioni. Un ultimo cenno al profilo quantitativo del criterio della prevalenza; lAvvocato Generale esclude che a tal fine possa richiamarsi la regole dell80% di cui allart. 13 della direttiva 93/38, per le seguenti ragioni: la rigidità di una percentuale fissa potrebbe, in concreto, risolversi in un ostacolo per una soluzione corretta, oltre a eludere, totalmente, la rilevanza del suesposto profilo qualitativo del requisito della prevalenza; inoltre, e soprattutto, osta alla trasponibilità della regola dell80% la circostanza che si tratta di una disposizione eccezionale contenuta in una direttiva valida solo per taluni settori. 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO della prevalenza ; è invece necessario considerare linsieme delle attività svolte per tutti i detentori di quote, insieme che deve poi essere posto in relazione con linsieme di tutte le attività svolte. (26) Per una attenta disamina si rinvia alle stesse conclusioni, ai punti 106 e ss. Rispetto a questultimo profilo, la Corte ha precisato, al punto 55 della propria sentenza, che Dal momento che le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente, ne deriva che non si deve estendere loperatività dell art. 13 della direttiva 93/38 allambito di applicazione della direttiva 93/36 (quella rilevante nel caso in analisi). Per quanto riguarda la corretta applicazione del criterio della prevalenza, la Corte ne ha fornito uninterpretazione assolutamente restrittiva e rigorosa; i Giudici, infatti, affermano che la integrazione del requisito della prevalenza può intendersi avverata solo se le prestazioni di detta impresa lente aggiudicatario siano sostanzialmente destinate in via esclusiva allente locale (...) aggiungendo che entro tali limiti, risulta giustificato che limpresa di cui trattasi sia sottratta agli obblighi della direttiva 93/36, in quanto questi ultimi sono dettati dallintento di tutelare una concorrenza che, in tal caso, non ha più ragion dessere. La Corte aggiunge che, In applicazione di detti principi, si può ritenere che limpresa in questione svolga la parte più importante della sua attivit à con lente che la detiene (...) solo se lattività di detta impresa è principalmente destinata allente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale. Fin qui i Giudici hanno considerato la soglia di attività necessaria ad integrare il secondo requisito Teckal; con riferimento, invece, alle componenti di detta attività è interessante rilevare come i Giudici lussemburghesi abbiano sostanzialmente aderito al ragionamento dellAvvocato Generale, in particolare con riguardo alla circostanza che sia il profilo quantitativo che quello qualitativo siano parimenti essenziali per verificare la ricorrenza del requisito in questione. A tal proposito valgano le parole della Corte: 64. (...) il giudice deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative. 65. Quanto allaccertare se occorra tener conto in tale contesto solo del fatturato realizzato con lente locale controllante o di quello realizzato nel territorio di detto ente, occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che limpresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dallente locale controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni. 66. Infatti, le attività di unimpresa aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che questultima realizza nellambito di un affidamento effettuato dallamministrazione aggiudicatrice, indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o lutente delle prestazioni. 67. Non è rilevante sapere chi remunera le prestazioni dellimpresa in questione, potendo trattarsi sia dellente controllante sia di terzi utenti di prestazioni fornite in forza di concessioni o di altri rapporti giuridici instaurati dal suddetto ente. Risulta parimenti ininfluente sapere su quale territorio siano erogate tali prestazioni. 70. Nel caso in cui diversi enti locali detengano unimpresa, la condizione relativa alla parte più importante della propria attività può ricorrere IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 qualora limpresa in questione svolga la parte più importante della propria attività non necessariamente con questo o quellente locale ma con tali enti locali complessivamente considerati. 5. Conclusioni Simpone con evidenza, ancora una volta, il rigore con cui la Corte interpreta il requisito del controllo analogo (27), addirittura disattendendo, nella sentenza Carbotermo c. Comune di Busto Arsizio, le conclusioni dellAvvocato Generale. Tale atteggiamento chiaramente tradisce lintenzione degli stessi Giudici di ribadire, ogni volta che se ne presenti loccasione, leccezionalità dei criteri Teckal nonché il ristretto campo di applicazione degli stessi. Nella sentenza ANAV c. Comune di Bari vi è stata una rinnovata aderenza, da parte dei Giudici lussemburghesi, ad un indirizzo rigido e di difficile percorrenza in tema di in house providing. La Corte, in effetti, sembra non perdere occasione per sottolineare lestrema ristrettezza del terreno dapplicazione dei requisiti forse meglio sarebbe definirli eccezioni Teckal. Tale intransigenza viene pienamente riaffermata nella sentenza Carbotermo c. Comune di Busto Arsizio. E, comunque, necessario qualche ulteriore cenno conclusivo sullargomento: la c.d. gestione in house dei servizi pubblici, prevalentemente locali, costituisce la scelta di una pubblica amministrazione appaltante di gestire in proprio il servizio pubblico; dunque, solo apparentemente laffidamento è destinato ad un terzo. A tal proposito appare utile sottolineare quanto già la Repubblica Italiana aveva ribadito nelle proprie osservazioni (Causa C-340/04): Lindividuazione e la disciplina di questa particolare modalità di gestione trova fondamento nello stesso diritto comunitario si veda al riguardo il libro verde sui servizi di interesse generale COM(2003)270, la relazione sullo stesso al Parlamento europeo di Philippe Herzog nonché la successiva conforme risoluzione del Parlamento europeo sul predetto libro verde, punto 35, ove si parla in maniera espressa del diritto allautoproduzione dei servizi da parte degli enti pubblici (28). A ben vedere, già nella sentenza RI.SAN. si era escluso che dai principi generali del Trattato si potesse ricavare un generale obbligo, per la pubblica amministrazione che dovesse provvedere alla gestione di pubblici servizi, di ricorrere, necessariamente allespletamento di una pubblica gara. Inoltre, è appena il caso sottolineare, in piena analogia con le conclusioni formulate dallAvvocato Generale, che la questione posta dal Giudice 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (27) Correttamente in dottrina si è osservato che qualora il requisito del controllo analogo verrà inteso in modo rigoroso e restrittivo, sarà difficile immaginare che una persona giuridica formalmente distinta potrà mai soddisfare una siffatta condizione, così M. MAZZAMUTO, Brevi note su normativa comunitaria e in house providing, in Il diritto dellunione europea, 2001, nn. 2 e 3, pgg. 554 e ss. (28) G. FIENGO, in op. cit., pag. 65. nazionale e concernente le modalità mediante le quali lamministrazione aggiudicatrice esercita sullente affidatario del servizio il necessario controllo gestionale e finanziario stringente indispensabile, secondo i Giudici comunitari, per ravvisare un affidamento in house appare riguardare, più che lapplicazione del Trattato e della normativa comunitaria, lesatta interpretazione del diritto nazionale al fine di verificare se in virtù di detta normativa si sia, o meno, in presenza di un controllo gestionale e finanziario stringente. Un elemento che, invece, contraddistingue la pronuncia in analisi rispetto a quella intervenuta nella causa tra la Anav ed il Comune di Bari, è rappresentato dallopera chiarificatrice, almeno in parte, condotta dalla Corte in merito al secondo criterio Teckal, quello della prevalenza. In particolare, la Corte sottolinea tre punti di estrema importanza: Linapplicabilità, al criterio in questione, della regola dell80% di cui allart. 13 della direttiva 93/38; La medesima importanza, nellambito delle componenti del criterio detto, dei profili quantitativo e qualitativo; La rilevanza, ai fini dellaccertamento di detto criterio, dellattività che lente aggiudicatario svolge nei confronti di terzi per conto dellamministrazione aggiudicatrice, in relazione allaffidamento in house. Tuttavia, la Corte si appresta a precisare, fornendo anche in codesto caso uninterpretazione restrittiva del secondo presupposto Teckal, la necessità che le prestazioni fornite dallente aggiudicatario debbano essere sostanzialmente destinate in via esclusiva allente aggiudicatore; infatti, solo laddove lattività dellimpresa affidataria sarà stata principalmente destinata allamministrazione aggiudicatrice, con la marginalità di ogni altra attività, il secondo requisito Teckal potrà considerarsi rispettato. ALLEGATO 1 Corte di Giustizia delle Comunità europee, Prima Sezione, sentenza 6 aprile 2006 nella causa C-410/04 Domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con ordinanza 22 luglio 2004, pervenuta in cancelleria il 27 settembre 2004 Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (ANAV) c/ Comune di Bari, AMTAB Servizio Spa Pres. P. Jann Avv. Gen. L. A. Geelhoed. Governi italiano (ag. I. M. Braguglia, avv. dello Stato G. Fiengo), tedesco (ag. C. Schulze-Bahr), austriaco (ag. M. Fruhmann), polacco (T. Nowakowski), e Commissione delle Comunità europee. IL FATTO In virtù della normativa contenuta nellart. 113, comma 5°, D. Lgs. N. 267/2000, il Comune di Bari procedeva ad affidamento diretto del servizio di trasporto pubblico sul territorio comunale (tramite concessione) alla AMTAB Servizio. Contro detto provvedimento ricorreva al TAR lAssociazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (ANAV), denunciando la violazione del diritto comunitario (Articoli 43 Ce, 49 CE e 86 CE) e chiedendo, altres ì, al giudice adito di annullare il provvedimento con cui il Comune di Bari aveva disposto laffidamento diretto del servizio pubblico di trasporto. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 IL QUESITO. Se sia compatibile con il diritto comunitario, ed in particolare con gli obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli artt. [43 CE], 49 CE e 86 CE, lart. 113, comma quinto, D.Lgs. n. 267/00, come modificato dallart. 14 D.L. n. 269/03, nella parte in cui non pone alcun limite alla libertà di scelta dellAmministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio pubblico, ed in particolare tra laffidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e laffidamento diretto a società da essa interamente controllata. CONCLUSIONI DELLAVVOCATO GENERALE. « (Omissis). IV Analisi 11. Nella specie si chiede se gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE ostino ad una normativa, come quella oggetto della questione pregiudiziale, che lasci alle amministrazioni locali la scelta di affidare la gestione di un servizio, quale il trasporto pubblico, ad una società appartenente alla relativa amministrazione locale o di avviare la procedura di appalto con gara pubblica ai fini dellattribuzione della concessione del servizio medesimo ad un soggetto privato. 12. Questa è, sostanzialmente, la questione sulla quale il giudice del rinvio si interroga e che, alla luce della giurisprudenza recente e recentissima della Corte (4), appare relativamente agevole da risolvere. 13. Dagli atti della causa principale, depositati presso la cancelleria della Corte, emerge che il servizio di cui trattasi viene finanziato, quantomeno in parte, per mezzo dellacquisto di titoli di trasporto da parte degli utenti, ragion per cui si tratta di una concessione di servizi che ricade non nella sfera delle direttive comunitarie sugli appalti pubblici, bensì direttamente nella sfera delle disposizioni di diritto primario, in particolare delle libertà fondamentali previste dal Trattato CE (5). Il giudice del rinvio sembra essere giunto alla stessa conclusione, in quanto nella questione pregiudiziale fa unicamente riferimento agli artt. 43 CE (6), 49 CE e 86 CE, e non alla direttiva 92/50/CEE (7). 14. Gli elementi più importanti ai fini della soluzione della questione sono racchiusi nel punto 50 della sentenza Teckal, citata supra, nonché nel punto 49 della sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, citata supra. Da tale giurisprudenza risulta che lappello alla concorrenza non è obbligatorio, anche se la controparte contrattuale è un ente giuridicamente distinto dallautorità aggiudicatrice, nellipotesi in cui lautorità pubblica, che è unautorità aggiudicatrice, eserciti sullente distinto di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e in cui tale ente realizzi la parte più importante della propria attività con lente o con gli enti locali che lo controllano (8). 15. Orbene, ponendo a raffronto il nuovo testo dellart. 113, comma 5, lett. c), del decreto legislativo n. 267/00 [«società a capitale interamente pubblico a condizione che lente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con lente o gli enti pubblici che la controllano»] con i passi della giurisprudenza della Corte richiamati al punto precedente, si rileverà che il legislatore italiano si è evidentemente conformato a tale giurisprudenza. 16. Ciò è confermato dalla Commissione delle Comunità europee, la quale rileva, nelle proprie osservazioni scritte, che il testo attuale del detto art. 113, comma 5, lett. c), è conseguente ad una procedura dinfrazione avviata dallIstituzione nei confronti della Repubblica italiana. 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 17. Alla luce della conformità della normativa nazionale con la giurisprudenza della Corte, qualsiasi decisione di unamministrazione locale che, a sua volta, risulti conforme a tale normativa devessere parimenti considerata compatibile con il diritto comunitario. 18.Atal riguardo, si deve tuttavia osservare che i criteri che consentono di ritenere sussistenti situazioni «interne» devono essere applicati restrittivamente. In particolare, dalle menzionate sentenze Parking Brixen e Commissione/Austria emerge, da un lato, che il controllo esercitato dalla autorità aggiudicatrice non deve essere diluito per effetto della partecipazione, «anche di minoranza», di unimpresa privata nel capitale della società cui sia stata affidata la gestione del servizio di cui trattasi e, dallaltro, che la detta società deve realizzare la parte essenziale delle proprie attività unitamente allente o gli enti che la controllano. 19. Alla luce delle circostanze di fatto da cui è scaturita la controversia principale, tali due criteri appaiono soddisfatti, ragion per cui potrei terminare la mia analisi con tale rilievo, se dalla menzionata sentenza Commissione/Austria (9) non emergesse peraltro un terzo criterio, vale a dire lesigenza che i due detti criteri devono risultare soddisfatti permanentemente. 20. Infatti, nellipotesi in cui, una volta soddisfatti i due primi criteri allatto dellattribuzione della gestione del servizio di cui trattasi, lamministrazione competente procedesse alla cessione di una parte, «anche di minoranza», delle quote della società interessata ad unimpresa privata, ne conseguirebbe che mediante una costruzione artificiale comprendente varie fasi distinte, vale a dire la creazione della società, lattribuzione della gestione del servizio di trasporto pubblico alla medesima e la cessione di parte delle sue quote ad unimpresa privata la concessione di un servizio pubblico potrebbe venire attribuita ad unimpresa ad economia mista senza previa aggiudicazione in regime di concorrenza. 21. Lo stesso ragionamento vale per il caso in cui allente concessionario originario dovessero essere attribuiti, altri servizi pubblici, senza previo esperimento della procedura di appalto in regime di concorrenza, da parte di enti pubblici diversi da quelli che lo controllino. 22. Nelle due suesposte ipotesi, non risulterebbero più soddisfatti i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza, rammentati dalla Corte nelle menzionate sentenze Coname e Parking Brixen. V Conclusione 23. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale posta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia nei termini seguenti: Gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano allapplicazione di una disposizione quale lart. 113, comma 5, del decreto legislativo italiano n. 267/00, nel testo attualmente vigente, sempreché i due criteri ivi previsti, vale a dire che la società concessionaria sia soggetta ad un controllo analogo a quello esercitato dall amministrazione sui propri servizi e che realizzi la parte essenziale dei propri servizi unitamente allente che la controlli, risultino continuativamente soddisfatti successivamente allattribuzione, alla società medesima, della gestione di un servizio pubblico». RISPOSTA DELLA CORTE AI QUESITI «(Omissis) Sulla questione pregiudiziale 15. Con la propria questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se il diritto comunitario, in particolare gli obblighi di trasparenza e di libera concorrenza di cui agli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, osti a una disciplina nazionale, come quella oggetto della causa IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 principale, che non pone alcun limite alla libertà, per un ente pubblico, di scegliere tra le diverse forme di affidamento di un servizio pubblico, in particolare tra laffidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e laffidamento diretto ad una società di cui tale ente detiene lintero capitale. 16. Risulta dagli atti della causa principale che il servizio di trasporto pubblico sul territorio del Comune di Bari è finanziato, almeno in parte, attraverso lacquisto di titoli di trasporto da parte degli utenti. Tale sistema di finanziamento caratterizza la concessione di servizi pubblici (sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I-8585, punto 40). 17. È pacifico che le concessioni di servizi pubblici sono escluse dallambito di applicazione della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1) (sentenza Parking Brixen, cit., punto 42). Essa è stata sostituita dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), il cui art. 17 prevede esplicitamente linapplicabilità alle concessioni di servizi. 18. Anche se i contratti di concessione di servizi pubblici sono esclusi dallambito applicativo della direttiva 92/50, sostituita dalla direttiva 2004/18, le pubbliche autorità che li concludono sono tuttavia tenute a rispettare le regole fondamentali del Trattato CE in generale, e il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità in particolare (v., in tal senso, sentenze 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress, Racc. pag. I-10745, punto 60; 21 luglio 2005, causa C-231/03, Coname, Racc. pag. I-7287, punto 16; e Parking Brixen, cit., punto 46). 19. Le disposizioni del Trattato specificamente applicabili alle concessioni di servizi pubblici comprendono in particolare gli artt. 43 CE e 49 CE (sentenza Parking Brixen, cit., punto 47). 20. Oltre al principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, si applica alle concessioni di servizi pubblici anche il principio della parità di trattamento tra offerenti, e ciò anche in assenza di discriminazione sulla base della nazionalità (sentenza Parking Brixen, cit., punto 48). 21. I principi di parità di trattamento e di non discriminazione sulla base della nazionalit à comportano, in particolare, un obbligo di trasparenza che permette allautorità pubblica concedente di assicurarsi che tali principi siano rispettati. Lobbligo di trasparenza posto a carico di detta autorità consiste nel dovere di garantire, ad ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità, che consenta lapertura della concessione di servizi alla concorrenza, nonché il controllo sullimparzialità delle procedure di aggiudicazione (v., in tal senso, citate sentenze Telaustria e Telefonadress, punti 61 e 62, e Parking Brixen, punto 49). 22. In linea di principio, lassenza totale di procedura concorrenziale per laffidamento di una concessione di servizi pubblici, come quella di cui alla causa principale, non è conforme alle esigenze di cui agli artt. 43 CE e 49 CE, e nemmeno ai principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza (sentenza Parking Brixen, cit., punto 50). 23. Risulta inoltre dallart. 86, n. 1, CE che gli Stati membri non possono mantenere in vigore una normativa nazionale che consenta laffidamento di concessioni di servizi pubblici senza procedura concorrenziale, poiché un simile affidamento viola gli artt. 43 CE o 49 CE o ancora i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza (sentenza Parking Brixen, cit., punto 52). 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 24. Tuttavia, nel settore delle concessioni di servizi pubblici, lapplicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonché dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, è esclusa se, allo stesso tempo, il controllo esercitato sul concessionario dallautorità pubblica concedente è analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, e se il detto concessionario realizza la parte più importante della propria attivit à con lautorità che lo detiene (sentenza Parking Brixen, cit., punto 62). 25. Una normativa nazionale che riprenda testualmente il contenuto delle condizioni indicate al punto precedente, come fa lart. 113, quinto comma, del D.Lgs. n. 267/2000, come modificato dallart. 14 del D.L. n. 269/2003, è in linea di principio conforme al diritto comunitario, fermo restando che linterpretazione di tale disciplina deve a sua volta essere conforme alle esigenze del diritto comunitario. 26. Va precisato che, trattandosi di uneccezione alle regole generali del diritto comunitario, le due condizioni enunciate al punto 24 della presente sentenza devono essere interpretate restrittivamente, e lonere di dimostrare leffettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda avvalersene (v. sentenze 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 46, e Parking Brixen, cit., punto 63). 27. Stando alle osservazioni scritte presentate alla Corte dallAMTAB Servizio, il Comune di Bari ha deciso, in data 27 dicembre 2002, di cedere una partecipazione corrispondente all80% delle azioni di tale società da esso detenute, e in data 21 maggio 2004 ha deciso di avviare, a tal fine, la procedura di gara ad evidenza pubblica per la selezione del socio privato di maggioranza. Tale informazione è stata confermata dallANAV nel corso delludienza dinanzi alla Corte. 28. Nella stessa udienza, però, il Comune di Bari ha sostenuto di aver rinunciato allintenzione di cedere una parte delle proprie azioni dellAMTAB Servizio. Esso avrebbe deciso, in data 13 gennaio 2005, di non dare seguito alla propria delibera precedente, e di non privatizzare più detta società. Tale provvedimento non sarebbe stato inserito nei documenti inviati dal giudice a quo in quanto adottato successivamente allordinanza di rinvio. 29. Spetta al detto giudice, e non alla Corte, chiarire se il Comune di Bari intenda aprire il capitale dellAMTAB Servizio ad azionisti privati. Tuttavia, allo scopo di fornire a tale giudice elementi utili per risolvere la controversia sottopostagli, va precisato quanto segue. 30. Qualora, durante la vigenza del contratto di cui alla causa principale, il capitale dellAMTAB Servizio fosse aperto ad azionisti privati, la conseguenza di ciò sarebbe laffidamento di una concessione di servizi pubblici ad una società mista senza procedura concorrenziale, il che contrasterebbe con gli obiettivi perseguiti dal diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I- 9705, punto 48). 31. Infatti, la partecipazione, ancorché minoritaria, di unimpresa privata nel capitale di una società alla quale partecipa pure lautorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa esercitare su una tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 49). 32. Quindi, se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna » di un servizio pubblico nellambito dellente pubblico che la detiene (v., in tal senso, sentenza Coname, cit., punto 26). 33. Alla luce delle considerazioni svolte, la questione pregiudiziale va risolta dichiarando che gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonché i principi di parità di trattamento, di non IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 discriminazione sulla base della nazionalità e di trasparenza non ostano ad una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene lintero capitale, a condizione che lente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la societ à realizzi la parte più importante della propria attività con lente che la detiene. ALLEGATO 2 Corte di Giustizia delle Comunità europee, Prima Sezione, sentenza 11 maggio 2006 nella causa C-340/04 Domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale Amministra-tivo Regionale per la Lombardia, con ordinanza 27 maggio 2004, pervenuta in cancelleria il 9 agosto 2004 Carbotermo Spa, Consorzio Alisei c/ Comune di Busto Arsizio, AGESP Spa Pres. P. Jann Avv. Gen. C. Stix-Hackl. Governi italiano (ag. I. M. Braguglia), tedesco (ag. W. D. Plessing), austriaco (ag. M. Fruhmann), polacco (ag. T. Nowakowski), Regno Unito (ag. M. Hoskins), e la Commissione delle Comunità europee. I FATTI. 1. La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda linterpretazione della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1). 2. Tale domanda è stata sollevata nellambito di una controversia che vede contrapporsi limpresa Carbotermo SpA (in prosieguo: la «Carbotermo») e il consorzio Alisei al comune di Busto Arsizio e allimpresa AGESP SpA (in prosieguo: la «AGESP») in merito allaffidamento a questultima di un appalto relativo alla fornitura di combustibili, alla manutenzione, alladeguamento normativo e alla riqualificazione tecnologica degli impianti termici degli edifici del suddetto comune. I QUESITI. 1. Se sia compatibile con la direttiva 93/36 (...) laffidamento diretto dellappalto per la fornitura di combustibili e calore per impianti termici di edifici di proprietà o competenza del Comune, e relativa gestione, conduzione, manutenzione (con prevalenza del valore della fornitura), ad una società per azioni il cui capitale è, allo stato attuale, interamente detenuto da unaltra società per azioni, della quale è a sua volta socio di maggioranza (al 99,98%) il Comune appaltante, ovvero ad una società (AGESP) che non è partecipata direttamente dallEnte Pubblico, ma da unaltra società (AGESP Holding) il cui capitale è attualmente posseduto al 99,98% dalla Pubblica Amministrazione; 2. se il requisito dello svolgimento, da parte dellimpresa alla quale è stata direttamente affidata la fornitura, della parte più importante dellattività con lEnte pubblico che la controlla debba essere accertato facendo applicazione dellart. 13 della direttiva 93/38 ( ), e possa ritenersi sussistente nel caso in cui la suddetta impresa realizzi la prevalenza dei proventi con lEnte pubblico controllante o, in alternativa, nel territorio dellEnte stesso. LE CONCLUSIONI DELLAVVOCATO GENERALE. «(Omissis) IV Sulle questioni pregiudiziali 15. Tutte e due le questioni pregiudiziali riguardano in sostanza i due presupposti cumulativi che consentono a determinati appalti quasi in house di essere sottratti alla diret- 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tiva 93/36 (la c.d. «eccezione Teckal», o i «requisiti Teckal»): un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e lo svolgimento della parte più importante della propria attivit à a favore di chi detiene le quote. Se tali presupposti sussistono, non sono applicabili le disposizioni della direttiva, tra le quali lobbligo di seguire specifiche procedure. 16. Va chiarito che nel presente procedimento è rilevante la vecchia disciplina normativa, non la nuova (quella del c.d. «pacchetto legislativo»). V Osservazioni preliminari 17. Il presente procedimento, come anche quelli precedenti, dimostra che i requisiti Teckal consistono in un insieme di concetti indeterminati, che hanno comportato tutta una serie di problemi giuridici e di distinzioni problematiche. Sulla base di tale esperienza si pone il problema di come la Corte possa garantire la massima chiarezza giuridica e, in tal modo, la massima certezza del diritto per gli interessati: una possibilità potrebbe essere quella di non raffinare la propria giurisprudenza solo con riferimento a casi specifici, ma di precisarla in termini più generali di quanto fatto sino ad ora. Unaltra possibilità potrebbe essere quella di superare le incertezze introdotte con leccezione Teckal attraverso una completa revisione della propria giurisprudenza. Nel novembre 1999 la Corte, con la sentenza Teckal, ha aperto le porte ad eccezioni alla direttiva. Resta però non chiaro quanto tale spiraglio sia largo. 18. Proprio il presente procedimento indica che tale situazione ha effetti anche sui supremi giudici nazionali, come il Consiglio di Stato italiano. Stando allordinanza di rinvio, le linee guida fissate dal Consiglio di Stato per gli appalti quasi in house si rifanno ad una decisione della Corte. A prescindere dalla questione delladerenza di tale giurisprudenza a quella della Corte, resta il fatto che il procedimento principale, come altri in diversi Stati membri, dimostra che, evidentemente, la giurisprudenza della Corte non fornisce alcuna chiara indicazione per gli ambienti economici interessati e per i giudici degli Stati membri. 19. Per rendere possibile alla Corte una scelta tra le diverse opzioni, nel prosieguo preciserò in termini più generali, nonostante i dubbi espressi, leccezione Teckal. Alla Corte resta comunque sempre aperta laltra opzione. VI Primo requisito: controllo analogo a quello esercitato su un proprio servizio 20. Il presente procedimento presenta varie particolarità, che lo distinguono nel suo insieme da altre cause, pendenti o già decise, in materia di c.d. «Public-Private- Partnerships». 21. A differenza che nella vicenda esaminata nella causa Stadt Halle, qui manca, a quanto risulta dagli atti, una partecipazione di imprese private. Inoltre, nel presente procedimento è in gioco uno strumento societario diverso da quello della causa Stadt Halle, e cioè una società per azioni. A differenza che nelle cause Parking Brixen e Teckal, in questo caso lappalto non è andato ad una società figlia, ma ad una «nipote» dellente locale. A Valutazione giuridica delle partecipazioni indirette 22. Il primo elemento che connota la vicenda che deve essere esaminata nel presente procedimento è la circostanza, analoga a quella della causa Stadt Halle, che lappalto non è andato direttamente al soggetto a cui lente locale direttamente partecipa. 23. In tale contesto si pone il problema dellapplicabilità in via di principio dei criteri Teckal a situazioni di partecipazione indiretta; in altri termini, se siano sottratte alle regole delle direttive sugli appalti anche fattispecie in cui lente pubblico a favore del quale è svolta la prestazione partecipa al soggetto interessato solo tramite unaltra società. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 24. La Commissione e il governo polacco respingono recisamente tale ipotesi, per ragioni di principio. 25. Dalla giurisprudenza della Corte non si può trarre alcuna indicazione conclusiva. Ciò vale anche dopo la sentenza nella causa Parking Brixen. 26. A favore della generale applicabilità dei criteri Teckal anche nei casi di partecipazione indiretta depone il fatto che la Corte, nella causa Stadt Halle, ha appunto verificato la sussistenza dei presupposti per entrambi i criteri Teckal. Se ne potrebbe inferire un implicito riconoscimento di principio. 27. Il testo della sentenza Stadt Halle sembra però fornire unindicazione opposta. Al punto 49 è affermato quanto segue: «( ) realizzi la parte più importante della propria attivit à con lautorità o le autorità pubbliche che la controllano». Se ne potrebbe dedurre che lo scambio di prestazioni deve avvenire direttamente tra lamministrazione aggiudicatrice, detentrice delle quote, e il soggetto di cui lamministrazione aggiudicatrice possiede le quote. 28. Poiché tuttavia tale diversa interpretazione si riferisce espressamente al secondo criterio, cioè allo svolgimento della parte principale della propria attività, se ne potrebbe in realtà concludere che la sentenza Teckal non contiene alcuna esplicita indicazione sulla possibilit à che anche partecipazioni indirette possano soddisfare il primo criterio. 29. Daltra parte, il fatto che alla base della causa Teckal vi fosse una partecipazione di più enti pubblici, e che la Corte abbia implicitamente riconosciuto simili situazioni, introducendo i c.d. requisiti Teckal, depone invece nel senso che in via di principio anche le partecipazioni indirette possono essere comprese. Il presupposto è però che il requisito del controllo sia rispettato a tutti i livelli di partecipazione. 30. Tale criterio è soddisfatto, stando alla sentenza Parking Brixen, se sussiste una «possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti ». A tal fine è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Daltra parte, secondo tale sentenza non sembra necessario che tale influenza sia anche concretamente esercitata. B Valutazione giuridica delle imprese partecipate da più enti pubblici 1. In generale 31. La vicenda del procedimento principale presenta anche unaltra particolarità che la distingue da quella alla base della sentenza Stadt Halle. Nel presente procedimento non siamo in presenza di un ente misto pubblico-privato, ma di un soggetto, o meglio della sua società controllante, del quale non fanno parte imprese private. Ciò non risulta dallordinanza di rinvio, ma dagli altri atti di causa. Peraltro la partecipazione di altri soggetti riguarda solo lo 0,02 %. Poiché tale quota residua è in possesso di altri comuni, e quindi di soggetti pubblici, siamo in presenza di unimpresa partecipata da più enti pubblici, ovvero di una c.d. «Public-Public-Partnership». 32. Se si contestualizza la situazione del procedimento in esame nella giurisprudenza elaborata dalla Corte fino ad oggi, risulta il quadro seguente. Da un lato vi è una chiara differenza rispetto alla causa Stadt Halle, al centro della quale era un soggetto pubblico-privato, dallaltro appare chiara la prossimità alla vicenda Teckal, che ruotava attorno ad un soggetto le cui quote erano detenute da più enti pubblici. Infatti il soggetto che in tale secondo caso doveva effettuare eseguire lappalto di fornitura, lAGAC, possedeva sì una propria personalità giuridica, ma era il prodotto delliniziativa di più comuni. 33. A favore dellapplicabilità delleccezione Teckal a soggetti le cui quote sono detenute da più enti pubblici depone, oltre alla sentenza Teckal, come già esposto, anche il fatto 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO che per la Corte, nella causa Stadt Halle, lelemento decisivo è stata la considerazione che le imprese private perseguono fini differenti rispetto a quelli degli enti locali. 34. Nel presente procedimento vi è però soltanto una partecipazione di comuni, e non vi sono interessi di privati. Poiché i comuni perseguono fini di pubblico interesse, quanto meno ad un primo esame si potrebbe concludere che il requisito del controllo è rispettato perfino nella sua interpretazione più rigorosa. Ciò è senza dubbio vero qualora si interpreti il requisito della coincidenza degli interessi nel senso che esso è garantito già dallassenza di interessi privati. Daltra parte non è escluso, ed è anzi confermato dalla partecipazione dei comuni alla vita economica, che i comuni possano anche perseguire interessi diversi. In un simile caso la coincidenza degli interessi non esiste più. 35. Non si può infine ignorare il fatto che nella causa Teckal la questione riguardava una c.d. «azienda municipalizzata», e non una società per azioni, come nel presente caso. Sul significato della forma societaria si ritornerà più avanti. 36. La risposta alla questione relativa al modo di considerare i soggetti le cui quote sono detenute da più enti pubblici deve però essere data anche alla luce dei principi interpretativi esplicitamente affermati nella sentenza Stadt Halle, in base ai quali ogni eccezione allobbligo di applicare le disposizioni comunitarie deve essere interpretata restrittivamente. 37. Anche nella sentenza Stadt Halle, in cui pure non si trattava di una partecipazione di più soci, la Corte ha avvalorato la sostanziale applicabilità delleccezione Teckal a soggetti con più soci. Ciò si può ricavare dal fatto che la Corte non solo ha ripreso letteralmente leccezione Teckal, ma ha anche ricordato che nella causa Teckal il soggetto era controllato da «autorità pubbliche». Qui dunque la Corte ha utilizzato la pluralità di soci non solo in riferimento al secondo criterio delleccezione Teckal. 38. Ne consegue dunque che, in via di principio, anche i soggetti che hanno più soci possono ricadere nelleccezione Teckal. 39. Per poter ricorrere alleccezione Teckal anche nel presente caso è però necessario fare ancora un altro passo, poiché qui ci si trova anche in presenza di una partecipazione indiretta. A mio parere, anche in un simile caso non si può escludere a priori, in via generale ed astratta, lapplicabilità delleccezione Teckal. 40. È invece necessario verificare in concreto se il criterio del controllo sia rispettato. In proposito, va tenuta a mente lindicazione formulata dalla Corte nella causa Parking Brixen. Si tratta di verificare se lentità controllata disponga soltanto di una limitata autonomia, in particolare nei confronti dei soci. 41. Poiché in questo caso, ai sensi dello statuto, sussiste la possibilità della partecipazione di soggetti privati, sotto il profilo del criterio del controllo è necessario verificare se una futura apertura del capitale sociale a privati possa avere un rilievo giuridico. 42. Relativamente allapertura del capitale sociale a privati è possibile distinguere il caso in cui una partecipazione di privati sia soltanto legalmente possibile da quello in cui essa sia giuridicamente obbligatoria. Per quanto riguarda il primo caso, si potrà poi ulteriormente distinguere a seconda che di tale possibilità si sia poi realmente fatto uso in tal caso la situazione della preventiva apertura a privati, come nel caso Stadt Halle, è fuori discussione fin dallinizio oppure no. 43. A tale proposito la Commissione ha sostenuto che anche una partecipazione solo potenziale di privati, come quella prevista dallo statuto di una società di capitali, depone nel senso di una mancata soddisfazione del criterio del controllo. 44. Contro tale posizione estrema, sostenuta dalla Commissione, militano innanzitutto considerazioni di principio. In tal modo la qualificazione giuridica di piani di cooperazio- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 ne tra pubblico e privato dipenderebbe da semplici possibili futuri sviluppi. Che questi si verifichino effettivamente diverrebbe invece irrilevante. Un tale approccio è inusuale rispetto al sistema delle direttive sugli appalti. Inoltre, secondo il diritto dello Stato membro interessato potrebbe anche essere vietato proibire, nello statuto, il trasferimento di quote a privati. 45. Daltra parte il principio della protezione dagli abusi, che permea le direttive in materia di appalti, richiede, viceversa, che siano tenuti in considerazione determinati eventi che si dovessero verificare dopo lassegnazione dei servizi, vale a dire dopo laggiudicazione. Ciò riguarda in particolare il caso in cui al momento dellaffidamento unapertura non sia ancora avvenuta, ma sia già in concreto programmata. 46. Ci si può chiedere se la sentenza Parking Brixen modifichi qualcosa in tale valutazione. Afavore di una risposta negativa depone il fatto che lì, al contrario che nel caso presente, lapertura della società al capitale esterno era necessariamente prevista, ed ha costituito soltanto uno dei cinque elementi fondamentali per la decisione. Ciò non esclude ancora, tuttavia, che già lapertura possibile anche se solo insieme ad altre particolarità che caratterizzano la situazione oggetto del procedimento principale possa condurre al fatto che, qui, non sia raggiunta la soglia minima di controllo. È dunque necessario ancora esaminare tali particolarità, e il loro significato per il controllo. 47. A tale proposito è necessario richiamare la situazione alla base di un procedimento dinfrazione contro la Repubblica dAustria, e la valutazione giuridica che ne ha di recente fatto la Corte. 48. Nella causa Commissione/Austria la questione era quella dellaffidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti, da parte della città di Mödling, ad una società a responsabilit à limitata, dunque da parte di un comune ad una società controllata al 100 %. Circa due settimane dopo laffidamento del servizio lamministrazione comunale aveva deciso di cedere il 49 % delle quote ad unimpresa privata. Tale cessione aveva a sua volta luogo dopo altre due settimane circa. Qualche settimana più tardi era iniziato lo svolgimento del servizio affidato. 49. Nella relativa sentenza, del 10 novembre 2005, la Corte ha affermato che tutte le fasi devono essere considerate nel loro insieme e in funzione del loro obiettivo, e non isolatamente. Ciò significa che devono essere tenuti in considerazione anche gli sviluppi successivi allaggiudicazione del servizio, come la Corte ha in quel procedimento anche affermato in modo esplicito. Lì però, a differenza che nel presente caso, si trattava di sviluppi effettivamente verificatisi: in particolare, era stato già fatto uso della possibilità di aprire la societ à a partecipazioni private. Ciò era già avvenuto nel momento in cui la Corte si è pronunciata sulla vicenda. 50. Nel presente procedimento invece non risulta dagli atti se ed eventualmente quando si sia avuta una cessione di quote a privati, né che si siano elaborati piani in tal senso. In tale prospettiva né la sentenza Parking Brixen né quella Commissione/Austria forniscono una chiara indicazione del fatto che la semplice possibilità di apertura della società a privati possa essere sufficiente. 51. Si può pertanto concludere che la giurisprudenza, ad oggi, non esclude necessariamente dalleccezione Teckal gli appalti affidati a soggetti partecipati da più enti pubblici. Si devono quindi vedere ora le caratteristiche che tali situazioni devono presentare. 2. Le specifiche condizioni 52. Le condizioni necessarie affinché un appalto affidato ad un soggetto partecipato da più enti pubblici possa ricadere nelleccezione Teckal si riferiscono al rapporto tra il soggetto interessato e i soggetti pubblici che direttamente o indirettamente ne detengono le quote. 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 53. Va innanzitutto respinto largomento, dedotto nel corso del procedimento, secondo il quale leccezione Teckal riguarderebbe soltanto i casi di «delegazione interorganica (o interorganizzativa)» e di articolazioni della struttura organizzativa di un ente locale. Nella giurisprudenza della Corte non si rinviene alcun riferimento a tali categorie. 54. In generale in tale ambito la Corte, in particolare anche nella sentenza Parking Brixen, muove da considerazioni di tipo sostanziale, e non formale. Bisogna quindi esaminare, come si vedrà meglio più avanti, la struttura dei rapporti tra i soci. Andranno specificamente esaminate tanto disposizioni generali ed astratte, come il diritto societario nazionale, quanto la configurazione concreta, come lo statuto del soggetto interessato. 55. Nel presente caso il soggetto che deve svolgere il servizio non è, come nella sentenza Stadt Halle, una società a responsabilità limitata di diritto tedesco, ma una società per azioni di diritto italiano. 56. Sono qui applicabili le disposizioni rilevanti del codice civile italiano. 57. Vi è una differenza anche rispetto al soggetto preso in esame nella causa Teckal. Mentre lì la forma giuridica era quella dellazienda municipalizzata, qui siamo in presenza di un soggetto, la AGESP, che era tale in origine, ma che è stata trasformata in società per azioni con deliberazione 24 settembre 1997, n. 148. 58. Anche secondo il diritto italiano le società per azioni dispongono in generale di autonomia più ampia delle società a responsabilità limitata. 59. A mio giudizio un esame astratto delle possibilità di influenza dei soci sulle societ à per azioni in base al codice civile e della loro capacità di influire sulle relative società controllate non è sufficiente. Come ho già indicato, si tratta invece di esaminare la concreta configurazione dei rapporti tra la società «nonna» e la società madre, nonché tra la società madre e la società figlia. 60. La forma giuridica della società per azioni, ad esempio di quella secondo il diritto italiano, di per sé non crea problemi. Ciò si ricava del resto anche dalla sentenza Parking Brixen, che riguarda proprio una società per azioni di diritto italiano. Già dal fatto che per la Corte tale elemento non sia stato sufficiente per affermare lautonomia della società, e quindi lassenza del controllo, si ricava che la forma giuridica della società per azioni di diritto italiano, di per sé, non esclude lesistenza di un sufficiente controllo. 61. Daltra parte, la trasformazione di unazienda municipalizzata in una società per azioni è quantomeno una delle varie circostanze di cui va tenuto conto per valutare lautonomia. 62. Per valutare la configurazione concreta occorre in ogni caso fare riferimento ai poteri effettivamente spettanti ad ogni socio, e non al loro effettivo esercizio nella prassi. Tale principio è stato ora confermato dalla Corte nella sentenza Parking Brixen, in cui essa ha esaminato lo statuto della società per azioni in oggetto. 63. Inoltre i diritti di controllo del socio o dei soci non devono necessariamente riguardare soltanto le decisioni di aggiudicazione degli appalti in generale o il singolo specifico affidamento, ma devono estendersi alla gestione della società in generale. 64. Quanto ai mezzi per esercitare il controllo, in genere si tratta di poteri direttivi, ispettivi e di nomina. Sul punto occorre muovere dal principio secondo il quale si guarda alla possibilità di esercitare uninfluenza, e non soltanto alle disposizioni normative. 65. In conclusione, bisogna ancora fare riferimento allargomento, dedotto nel corso del procedimento, secondo il quale la valutazione di una procedura di affidamento e lutilizzo delleccezione Teckal dipendono dal comportamento delle parti, vale a dire del soggetto controllante e del soggetto controllato, in occasione del singolo specifico appalto. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 66. Si potrebbe così, sulla base del comportamento delle parti in primo luogo del soggetto partecipato da più enti pubblici nella procedura di appalto, valutare il loro grado di autonomia rispetto allente aggiudicatore. 67. Nel presente procedimento si è fatto essenzialmente riferimento al contenuto del contratto. In particolare, secondo questa tesi si dovrebbe valutare, quale indizio dellautonomia della AGESP, la penale prevista nel contratto per il caso del mancato raggiungimento di determinati obiettivi. 68. Poiché il criterio del controllo si riferisce alla capacità di influenzare la gestione della società nel suo complesso, il comportamento tenuto dal soggetto da valutare nellambito di una concreta procedura di appalto può non essere decisivo. Ciò potrebbe infatti in particolare condurre ad una situazione in cui il medesimo soggetto ricade nelleccezione Teckal in una procedura di affidamento e non vi ricade in unaltra. Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte non si ricava un tale metodo valutativo «caso per caso». Al contrario, la qualificazione del rapporto, e quindi la sussistenza del criterio del controllo, è ricondotta dalla Corte ad elementi che caratterizzano i soggetti interessati. 69. In concreto, per valutare se le disposizioni generali ed astratte del diritto nazionale e la concreta configurazione dello statuto della società interessata, in questo caso in particolare lart. 19, consentano un controllo sufficiente, è necessario esaminare una fattispecie concreta. Questa valutazione però, così come linterpretazione del diritto nazionale, ai sensi della ripartizione di competenze di cui allart. 234 CE non spetta alla Corte, ma al giudice nazionale. C Conclusioni intermedie 70. Il criterio del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi può essere soddisfatto anche nel caso di imprese partecipate da più enti pubblici. La valutazione del caso concreto oggetto del procedimento principale spetta al giudice nazionale. Egli deve valutare la situazione sulla base dei seguenti elementi: gli interessi dei detentori delle quote; la trasformazione dellazienda municipalizzata in una società per azioni; la circostanza che lapertura della società al capitale esterno non sia prevista obbligatoriamente, né sia di fatto avvenuta; la possibilità per la AGESP di aprire filiali anche allestero; lampiezza della possibilità di influenzare la nomina del consiglio di amministrazione e la dirigenza della società; i poteri del consiglio di amministrazione della AGESP, nonché la circostanza che il comune partecipi alla AGESP indirettamente, attraverso la AGESP Holding. 71. Naturalmente la Corte potrebbe anche in questo caso come già nelle cause Stadt Halle e Parking Brixen - dare già una valutazione conclusiva di una vicenda come quella oggetto del procedimento principale. Poiché la situazione che si è esposta coincide largamente con quella della causa Parking Brixen, a cui si aggiunge qui la partecipazione indiretta, si potrebbe concludere sulla base della giurisprudenza formatasi fino ad oggi, da molti considerata troppo rigorosa che nella situazione di cui alla causa principale non sia soddisfatto il primo criterio, vale a dire quello del controllo sufficiente, analogo a quello esercitato sui propri servizi. 72. Se invece la Corte ritenesse di cogliere loccasione per precisare ulteriormente la propria giurisprudenza affermando che almeno alcune partnership di enti pubblici possono 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO soddisfare il requisito del controllo, e pervenisse alla conclusione che è quanto avviene anche nel caso in esame, la Corte avrebbe la possibilità di chiarire per la prima volta il secondo criterio Teckal, vale a dire quello della prevalenza. VII Secondo requisito: svolgimento prevalente della propria attività a favore del titolare delle quote 73. A differenza che per il primo, per il secondo criterio Teckal non esiste una giurisprudenza della Corte, successiva a tale sentenza, che lo abbia precisato. Il presente procedimento offre ora alla Corte loccasione di farlo. 74. Il procedimento principale riguarda peraltro una situazione in cui al primo livello, vale a dire tra il Comune e la AGESP Holding, vi è una partecipazione quasi del 100 %, e al secondo livello, cioè tra la AGESP Holding e la AGESP, una partecipazione del 100 %. 75. Come già nella causa Stadt Halle, anche qui si ha un caso di partecipazione indiretta. Si tratta dunque di verificare se anche lattività di una «società nipote» a favore della «nonna» possa essenzialmente soddisfare il secondo requisito Teckal. A Ipotesi di partenza 76. Poiché la Corte, nella sentenza Stadt Halle, a causa dellinterpretazione che ha scelto per il primo criterio, non ha dovuto affrontare lanalisi del secondo, è ora logico che io riprenda quanto ho affermato nelle mie conclusioni in quella causa. 77. Il secondo criterio indicato nella sentenza Teckal, relativo alla prevalenza, riguarda una determinata quota minima delle attività svolte nel complesso dal soggetto controllato. Di conseguenza, si tratta di accertare la portata delle attività complessivamente svolte nonché di quelle svolte, in senso ampio, per lente titolare delle quote. 78. Tuttavia, a questo proposito, occorre osservare che dalla circostanza che la nozione di ente titolare delle quote non va interpretata in senso troppo restrittivo non si può concludere che in essa siano incluse anche attività prestate a favore di terzi, che però lente stesso dovrebbe altrimenti fornire. Nella pratica ciò riguarda innanzi tutto i servizi di interesse generale e nella fattispecie segnatamente le amministrazioni comunali, sulle quali grava lobbligo di fornire determinate prestazioni nei confronti di determinati soggetti. 79. Occorre inoltre chiarire che assumono rilievo le attività effettive, e non anche le attività astrattamente consentite dalla legge o dallo statuto sociale, o addirittura le attività che il soggetto controllato è obbligato a svolgere. 80. Orbene, la questione fondamentale è a partire da quale percentuale venga raggiunta la soglia di applicabilità del secondo criterio Teckal. A questo riguardo ci sono diverse tesi, e nel ventaglio di soluzioni proposte la quota necessaria va da più del 50 % a «considerevole », «decisamente prevalente», «quasi esclusiva», fino ad «esclusiva». 81. Quanto alla soglia, oltre ad un approccio positivo, consistente nel determinare la portata delle prestazioni fornite allente che detiene le quote, viene propugnato anche un approccio negativo. Secondo tale approccio negativo occorrerebbe considerare lentità della quota di prestazioni fornite a soggetti diversi dallente detentore delle quote. Questultima tesi è quella sostenuta nelle conclusioni presentate dallavvocato generale Léger nella causa ARGE. Lavvocato generale sostiene che «la direttiva è applicabile quando tale ente svolge essenzialmente la propria attività con operatori o enti territoriali diversi da quelli che compongono tale amministrazione aggiudicatrice». Tuttavia, alla luce dellapproccio positivo scelto per il secondo criterio nella causa Teckal, nel caso di specie non occorre soffermarsi ulteriormente sullapproccio negativo. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 82. Nondimeno, dal brano citato delle conclusioni presentate dallavvocato generale Léger emerge un altro aspetto rilevante da prendere in considerazione nellambito della determinazione della quota. 83. Si pone infatti la questione di capire se il secondo criterio Teckal consenta solo un metodo di valutazione quantitativo o se invece occorra tener conto anche di elementi qualitativi. Questultima tesi è corroborata dalla lettera e dal senso delleccezione stessa, che non fornisce neppure alcuna indicazione circa il modo di valutare le attività. Nemmeno la versione autentica del corrispondente passaggio della sentenza Teckal, vale a dire la versione italiana, esclude un metodo di valutazione qualitativo, in aggiunta o in alternativa («la parte più importante della propria attività»). 84. Del resto, la sentenza Teckal non contiene neppure alcuna indicazione circa il metodo di calcolo della quota. Pertanto, non è scontato che a tal fine assuma rilievo esclusivo il fatturato. 85. Il giudice nazionale deve dunque accertare, a mio parere, quale sia la «parte più importante delle attività» sulla base di elementi quantitativi e qualitativi. 86. A questo proposito va ricordato che la versione facente fede delle conclusioni è quella nella lingua scelta dallavvocato generale. Pertanto, dalle conclusioni dellavvocato generale Léger emerge il seguente quadro: da un lato, lavvocato generale si fonda sulla «quasi-exclusivité» delle prestazioni fornite, mentre nella versione tedesca si incontra lespressione «sämtliche Dienstleistungen» (tutte le prestazioni di servizi). Dallaltro, lavvocato generale fa leva sulla versione del secondo criterio Teckal nella lingua processuale, che è litaliano, e usa le espressioni «en grande partie», che nella versione tedesca viene resa con «im Wesentlichen» (sostanzialmente), o «la plus grande partie de leur activité» («den größten Teil ihrer Tätigkeit», la maggior parte della propria attività). 87. Per concretizzare ulteriormente, viene richiamata in dottrina, ma anche in procedimenti dinanzi alla Corte, la regola dell80 % di cui allart. 13 della direttiva 93/38. Amotivazione di tale proposta è stato addotto il carattere «oggettivo» o «congruo» della regola suddetta. 88. A questo riguardo va osservato che anche unaltra percentuale fissa potrebbe essere oggettiva o congrua. Tuttavia, come evidenziato da alcune parti nel presente procedimento pregiudiziale, ho già sottolineato nelle mie conclusioni nella causa Stadt Halle come la rigidit à di una percentuale fissa possa anche costituire un ostacolo per una soluzione corretta. Inoltre essa non consente di prendere in considerazione elementi che non siano quantitativi. 89. Alla trasponibilità della regola dell80 % di cui allart. 13 della direttiva 93/38 osta in primo luogo la circostanza che si tratta di una disposizione eccezionale contenuta in una direttiva valida solo per taluni settori. La valutazione ivi contenuta è circoscritta, conformemente alla volontà del legislatore comunitario, alla medesima direttiva. Seppure il concetto di fondo dovesse essere praticamente applicabile anche al di fuori dei settori esclusi dal regime generale, è tuttavia determinante il fatto che una siffatta disciplina non è stata adottata invece nella direttiva applicabile nel caso di specie. 90. In secondo luogo, chi sostiene lapplicabilità della soglia dell80% trascura il fatto che lart. 13 della direttiva 93/38 vale soltanto per le prestazioni di servizi. In quanto disposizione eccezionale essa non può essere applicata agli appalti di forniture nellambito dei settori esclusi dal regime generale neanche in via analogica. Solo la modifica intervenuta con il pacchetto legislativo ne ha previsto lestensione alle forniture. 91. In terzo luogo, il legislatore comunitario, anche in occasione della riformulazione delle direttive nellambito del c.d. pacchetto legislativo ha conservato la soglia dell80% 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO solo per i settori esclusi dal regime generale, evitando di estenderla allambito della c.d. direttiva classica. Eppure quando è intervenuta la nuova disciplina il secondo criterio Teckal era già noto, ed è stato anzi oggetto di discussioni nel corso del procedimento legislativo. 92. In quarto luogo, un ulteriore motivo osta ad unapplicazione analogica dellart. 13 della direttiva 93/38. Infatti, il n. 2 di detto articolo impone agli enti aggiudicatori di fornire alla Commissione, dietro sua richiesta, talune informazioni. Questa disposizione funge da contrappeso procedurale alleccezione disciplinata dallart. 13. Tuttavia, nel caso delleccezione Teckal la Corte ha preso unaltra direzione. 93. In quinto luogo, già solo il fatto che la Corte non abbia definito il secondo criterio Teckal richiamando la direttiva 93/38, ad essa certamente nota, depone contro la trasferibilit à della regola. La Corte si è invece accontentata di due presupposti di fatto diversi dall art. 13, e cioè i due criteri Teckal. Tali presupposti devono peraltro, in assenza di una norma procedimentale comparabile a quella di cui allart. 13, essere interpretati restrittivamente. 94. Si deve quindi in definitiva ritenere che la soglia dell80 % di cui alla direttiva 93/38 non costituisca un parametro per determinare la prevalenza dellattività svolta. B Sviluppi dellipotesi alla luce della giurisprudenza più recente 95. Il requisito della prevalenza, in quanto presupposto per lapplicazione di uneccezione, deve essere interpretato restrittivamente. Ciò è stato confermato dalla Corte quando essa ha affermato, al punto 63 della causa Parking Brixen, quanto segue: «Trattandosi di uneccezione alle regole generali del diritto comunitario, le due condizioni enunciate al punto precedente debbono formare oggetto di uninterpretazione restrittiva e lonere di dimostrare leffettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda avvalersene». 96. Tali indicazioni devono essere osservate anche nel presente procedimento. 97. Io sostengo inoltre come già nelle mie conclusioni nella causa Stadt Halle che la «parte più importante dellattività» deve essere verificata non solo sulla base di criteri quantitativi, ma anche qualitativi. 98. Per quanto riguarda gli elementi qualitativi, sarebbe necessario verificare come e a favore di chi il soggetto controllato in esame svolge la propria attività. A tale proposito è determinante il fatto che esista un mercato per lattività del soggetto, e che questo offra su tale mercato una parte delle prestazioni fornite a soggetti diversi dallente controllante. 99. Ciò non deve tuttavia essere inteso nel senso che le prestazioni fornite dal soggetto interessato devono essere richieste per forza anche da soggetti non pubblici. Il fatto che per un determinato bene o servizio vi siano soltanto richiedenti pubblici ancora non significa che non vi sia un mercato. Ci possono infatti essere altri offerenti. Così, la valutazione degli aspetti qualitativi non dipenderebbe soltanto dal rapporto tra il soggetto offerente e quello che lo controlla, ma piuttosto, in linea con gli obiettivi concorrenziali della normativa sugli appalti, anche dalla loro posizione economica sul mercato. In tal modo ci si accosterebbe allipotesi nella quale, in base alle direttive, è possibile procedere a trattativa senza pubblicazione del bando, e cioè nei casi in cui solo un operatore economico è in grado di eseguire lappalto. 100. È inoltre indispensabile chiarire se si deve fare riferimento solo alle attività effettivamente esercitate o invece anche allo scopo dellimpresa ad esempio loggetto sociale in base allo statuto vale a dire a tutte le attività che il soggetto potrebbe esercitare. Anche se la normativa sugli appalti fa talvolta riferimento agli scopi di unimpresa, una tale impostazione renderebbe ancora più difficile la stima della prevalenza, poiché per potenziali e non certe future attività non sarebbe possibile dare al momento indicazioni affidabili. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 101. Ci si deve inoltre chiedere se abbiano rilievo soltanto alcune specifiche attività dellimpresa, oppure tutte. Si potrebbe in effetti anche intendere il requisito della prevalenza nel senso che si deve guardare soltanto a quelle attività che devono essere fornite anche al soggetto controllante, come la fornitura di energia: resterebbero quindi escluse altre attivit à svolte dallimpresa, come lo smaltimento dei rifiuti, e sarebbe determinante solo la quota nello specifico settore che interessa. 102.Amio parere già solo il fatto che si sia in presenza di uneccezione al regime previsto dalla direttiva depone contro una simile interpretazione del secondo criterio Teckal. Ciò potrebbe infatti portare ad un incremento delle eccezioni alla direttiva, in tutti i casi in cui il requisito della prevalenza sia sì soddisfatto per uno specifico tipo di attività, ma non invece per tutte le attività dellimpresa. 103. Come sembra risultare necessario sia dal testo della sentenza Teckal che dalla vicenda alla base del procedimento, il requisito della prevalenza non può però essere considerato soddisfatto solo perché lattività a favore di un detentore di quote supera la soglia della prevalenza; è invece necessario considerare linsieme delle attività svolte per tutti i detentori di quote, insieme che deve poi essere posto in relazione con linsieme di tutte le attività svolte. 104. Al punto 50 della sentenza Teckal anche la Corte ha utilizzato, con riferimento al secondo requisito, il plurale, affermando quanto segue: «Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, lente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con lente o con gli enti locali che la controllano» (44). 105. Se si segue tale indicazione, non si guarderà soltanto alle prestazioni svolte a favore dellente controllante, cioè del comune di Busto Arsizio, ma anche a quelle erogate agli altri detentori di quote. 106. Per quanto riguarda laspetto quantitativo, non si deve guardare soltanto al fatturato. Devono invece essere considerati anche altri indicatori economici dellimpresa. In tal senso è possibile, come indicato nella seconda questione pregiudiziale, confrontare la somma dei proventi derivanti dalle attività a favore dei detentori di quote con la somma totale delle entrate. Peraltro, anche per la quota dei proventi totali va utilizzato lo stesso principio che vale per la quota del fatturato totale: non è sufficiente una semplice prevalenza sugli altri proventi. In entrambi i casi si resta fermi allaspetto quantitativo. 107. Infine, relativamente al requisito della prevalenza, la Corte non ha precisato in quale momento tale requisito deve sussistere, o quale sia il periodo da prendere in considerazione nelleffettuare la valutazione. 108. In base al sistema previsto dalle direttive sugli appalti, si dovrebbe trattare del momento in cui lente aggiudicatore agisce, in questo caso affida lappalto. Ciò conduce però ad una valutazione istantanea, a meno che non sia previsto come nellart. 13 della direttiva 93/38 un arco di tempo più ampio. 109. Poiché la AGESP non svolge prestazioni soltanto per il Comune, ma anche per soggetti terzi nel territorio comunale, sia imprese che privati, si pone poi la questione di capire se, ed eventualmente a quali condizioni, anche prestazioni non erogate direttamente al Comune possano essere considerate prestazioni svolte per il Comune, cioè per lente controllante, ai sensi del secondo criterio Teckal. 110. A questo punto appaiono di nuovo chiare lindeterminatezza del secondo criterio Teckal e la connessa incertezza giuridica per i soggetti interessati. Proprio ai fini di una maggiore certezza del diritto è necessario un chiarimento. 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 111. A tale proposito è stata in particolare sollevata la questione del rilievo possibile del luogo in cui la prestazione è stata svolta. Seguendo tale impostazione, nel procedimento principale si dovrebbero prendere in considerazione solo le prestazioni svolte nel territorio del comune di Busto Arsizio. Un sufficiente legame territoriale rappresenta quantomeno un criterio adeguato di imputazione. Ciò dipende dal fatto che un simile legame svolge un ruolo essenziale anche per la definizione delle competenze degli enti pubblici, in particolare dei comuni. Sarebbe invece troppo restrittivo ritenere di dover considerare soltanto le prestazioni svolte a favore di persone residenti nel territorio del comune. Al contrario si potrebbero però considerare le prestazioni svolte al di fuori del comune, ma a beneficio di persone del comune, ad esempio perché il comune non offre direttamente tali prestazioni per es. per ragioni di costi e queste vengono effettuate da un soggetto al quale partecipano più comuni e/o una o più regioni. 112. Va anche evidenziato che, ai fini della classificazione, non è rilevante chi sia il destinatario della fattura relativa alla prestazione, o chi effettui il pagamento della prestazione. È tipico ad esempio dei servizi di interesse generale svolti in concessione che almeno una parte del corrispettivo provenga dai beneficiari dei servizi dellente. Penso in particolare qui alle concessioni per la costruzione di autostrade, previste nelle direttive, che si accompagnano alla riscossione di un pedaggio. Nella realtà comunale sono di grande importanza innanzitutto i trasporti, la fornitura di energia, lo smaltimento dei rifiuti nonch é la costruzione, ed eventualmente anche la gestione, di strutture per la formazione o il tempo libero, nonché di parcheggi. In tali casi sarebbe necessario innanzitutto verificare che non si tratti di concessioni di servizi, alle quali, già per la loro natura, non si applica il regime della direttiva. 113. La Corte dovrebbe chiarire il secondo criterio Teckal indicando le condizioni al sussistere delle quali sono ricomprese anche le prestazioni a favore di terzi. Viene innanzitutto in considerazione il tipo di relazione esistente fra i terzi e il soggetto controllante, in questo caso dunque il comune. Una imputazione al comune è particolarmente verosimile nei casi in cui il comune è tenuto a fornire a terzi una prestazione. Non deve trattarsi necessariamente di un obbligo di prestare assistenza previsto normativamente, ad esempio da leggi regionali. Si potrebbe anche pensare ad obbligazioni di diritto privato, come quelle derivanti da un contratto di privati con il comune. Sarebbe pure necessario chiarire se abbiano rilievo anche ulteriori vincoli contrattuali fra terzi e lente che fornisce le prestazioni. Anche in tal caso la risposta dovrebbe dipendere dallesistenza, a fianco della prestazione materiale, di un rapporto giuridico tra il comune e il soggetto che fornisce le prestazioni. 114. È comunque da rigettare la tesi secondo la quale va ricompresa ogni prestazione svolta a favore della popolazione dellente locale interessato, in questo caso il comune di Busto Arsizio. In tal modo verrebbero infatti incluse anche tutte le altre forniture effettuate a privati, prive di qualunque rapporto con il comune. Non si guarderebbe più al tipo di attivit à commerciale svolta. Se ad esempio unimpresa non si limitasse a fornire energia o smaltire rifiuti, ma vendesse anche determinati beni, come stufe o contenitori per i rifiuti, anche tali operazioni sarebbero ricomprese, pur trattandosi di beni che ogni consumatore potrebbe acquistare anche da altri fornitori. Uninterpretazione imperniata soltanto sulla qualità dei terzi che ricevono le prestazioni condurrebbe a ritenere ricompresa ogni prestazione svolta a favore degli utenti, solo in quanto residenti nel comune. 115. Si deve dunque in sintesi affermare che è necessario guardare non soltanto alla qualità del terzo richiedente, ma anche al contenuto negoziale. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 C Conclusioni intermedie 116. Il criterio in base al quale il soggetto controllato deve realizzare la parte più importante della propria attività con lente o con gli enti locali che lo controllano può essere soddisfatto anche nei casi di imprese partecipate da più enti pubblici e di partecipazione indiretta. A tale proposito devono essere ascritte al soggetto controllante anche determinate prestazioni erogate a favore di terzi. 117. Nel presente procedimento il giudice nazionale deve a tal fine considerare una serie di elementi, tra i quali anche i proventi derivanti da attività svolte a favore degli enti controllanti, ma non deve utilizzare il criterio dell80 % di cui allart. 13 della direttiva 93/38. VIII Conclusione 118. In conclusione, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali: La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, deve essere interpretata nel senso che essa non osta allaffidamento diretto di un appalto in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, purché siano soddisfatte le condizioni seguenti. In primo luogo, lente locale deve esercitare sullaltro soggetto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Il giudice nazionale deve in proposito verificare i seguenti fattori: gli interessi dei detentori delle quote; la trasformazione dellazienda municipalizzata in una società per azioni; la circostanza che lapertura della società al capitale esterno non sia prevista obbligatoriamente, né sia di fatto avvenuta; la possibilità per la AGESP di aprire filiali anche allestero; lampiezza della possibilità di influenzare la nomina del consiglio di amministrazione e la dirigenza della società; i poteri del consiglio di amministrazione della AGESP, nonché la circostanza che il comune partecipi alla AGESP indirettamente, attraverso la AGESP Holding. In secondo luogo tale soggetto deve anche svolgere la parte più importante della propria attività per lente o gli enti locali che lo controllano. Il giudice nazionale deve al riguardo prendere in considerazione le circostanze indicate ai paragrafi 76-115, ivi compresi i proventi derivanti da attività svolte a favore dei detentori delle quote, ma non deve utilizzare il criterio dell80% di cui allart. 13 della direttiva 93/38/CEE. LA RISPOSTA DELLA CORTE AI QUESITI. «(Omissis) Sulla prima questione 31 La Corte ha già statuito che, se un appalto pubblico ha ad oggetto nel contempo prodotti ai sensi della direttiva 93/36 e servizi ai sensi della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), esso rientra nellambito di applicazione della direttiva 93/36 qualora il valore dei prodotti oggetto dellappalto sia superiore a quello dei servizi (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-8121, punto 38). Un appalto come quello di cui trattasi nella causa principale, in cui il valore dei prodotti è superiore a quello 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dei servizi oggetto dello stesso, rientra pertanto nellambito di applicazione della direttiva 93/36, come ha daltronde constatato il giudice del rinvio. 32 Lesistenza di un contratto ai sensi dellart. 1, lett. a), della direttiva 93/36 implica che vi sia stato un incontro di volontà tra due persone distinte (sentenza Teckal, cit., punto 49). 33 Conformemente allart. 1, lett. a), della suddetta direttiva, basta, in linea di principio, che il contratto sia stato stipulato tra, da una parte, un ente locale e, dallaltra, una persona giuridicamente distinta da questultimo. Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, lente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attivit à con lente o con gli enti locali che la detengono (sentenza Teckal, cit., punto 50). 34 Dallordinanza di rinvio e dagli atti di causa risulta che, allo stato, allamministrazione aggiudicatrice appartiene il 99,98% del capitale della AGESP Holding, mentre il restante 0,02% è nelle mani di altri enti locali. Conformemente allo statuto della AGESP Holding, azionisti privati possono entrare nel capitale di tale società a due condizioni: da un lato, la maggioranza delle azioni è riservata al comune di Busto Arsizio; dallaltro, nessun azionista privato può possedere una quota superiore alla decima parte del capitale della suddetta società. 35 Asua volta, la AGESP Holding detiene, allo stato, il 100% del capitale della AGESP. In base allo statuto di questultima, il suo capitale può essere accessibile ad azionisti privati alla sola condizione che a nessun azionista, ad eccezione della AGESP Holding, possa appartenere più di un decimo del capitale della suddetta società. 36 Per valutare se lamministrazione aggiudicatrice eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. Da questesame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un controllo che consente allamministrazione aggiudicatrice di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società (v. sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen, Racc. pag. I-8585, punto 65). 37 Il fatto che lamministrazione aggiudicatrice detenga, da sola o insieme ad altri enti pubblici, lintero capitale di una società aggiudicataria potrebbe indicare, pur non essendo decisivo, che lamministrazione aggiudicatrice in questione esercita su detta società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, ai sensi del punto 50 della menzionata sentenza Teckal. 38 Dagli atti di causa risulta che gli statuti della AGESP Holding e della AGESP attribuiscono al consiglio di amministrazione di ciascuna delle società i più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società. Gli statuti di cui trattasi non riservano al comune di Busto Arsizio nessun potere di controllo o diritto di voto particolare per limitare la libertà dazione riconosciuta a detti consigli di amministrazione. Il controllo esercitato dal comune di Busto Arsizio su queste due società si risolve sostanzialmente nei poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci, la qual cosa limita considerevolmente il suo potere di influire sulle decisioni delle società di cui trattasi. 39 Inoltre, leventuale influenza del comune di Busto Arsizio sulle decisioni della AGESP viene esercitata mediante una società holding. Lintervento di un siffatto tramite può, a seconda delle circostanze del caso specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dallamministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 40 Ne consegue che, in tali circostanze, previa verifica di queste ultime da parte del giudice di merito di cui alla causa principale, lamministrazione aggiudicatrice non esercita sulla società aggiudicataria dellappalto pubblico in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. 41 Lart. 6 della direttiva 93/36 impone alle amministrazioni che aggiudicano un appalto pubblico di ricorrere alla procedura aperta o alla procedura ristretta, salvo che lappalto rientri in uno dei casi eccezionali tassativamente elencati ai nn. 2 e 3 del suddetto articolo. Dallordinanza di rinvio non risulta che lappalto di cui trattasi nella causa principale rientri in uno di tali casi. 42 Ne consegue che la direttiva 93/36 osta allaffidamento diretto di un appalto pubblico in circostanze analoghe a quelle della causa principale. 43 Contro una conclusione in tal senso il governo italiano obietta che il fatto che la AGESP debba ricorrere a una procedura di aggiudicazione pubblica per acquistare il gasolio in questione prova che il comune di Busto Arsizio, la AGESP Holding e la AGESP devono essere considerati nel loro insieme come un unico «organismo di diritto pubblico» ai sensi dellart. 1, lett. b), della direttiva 93/36, tenuto ad aggiudicare appalti pubblici di forniture in conformità alla normativa comunitaria e nazionale in materia. 44 Tale argomento non può essere accolto. Da un lato, il comune di Busto Arsizio rientra nella nozione di «ente locale» e non in quella di «organismo di diritto pubblico» ai sensi di detta disposizione. Daltro lato, il comune di Busto Arsizio, la AGESP Holding e la AGESP dispongono ciascuno di una distinta personalità giuridica. 45 Peraltro, come ha rammentato la Corte al punto 43 della menzionata sentenza Teckal, le sole deroghe consentite allapplicazione della direttiva 93/36 sono quelle in essa tassativamente ed espressamente menzionate. 46 Ora, la direttiva 93/36 non contiene alcuna disposizione analoga allart. 6 della direttiva 92/50, che escluda dal suo ambito di applicazione appalti pubblici aggiudicati, a talune condizioni, ad amministrazioni aggiudicatrici (sentenza Teckal, cit., punto 44). 47 Si deve di conseguenza risolvere la prima questione nel senso che la direttiva 93/36 osta allaffidamento diretto di un appalto di forniture e di servizi, con prevalenza del valore della fornitura, a una società per azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è, allo stato attuale, interamente detenuto da unaltra società per azioni, della quale è a sua volta socio di maggioranza lamministrazione aggiudicatrice. Sulla seconda questione 48 La seconda questione consta di due parti. 49 Da un lato, il giudice del rinvio intende chiarire se la condizione consistente nello svolgimento, da parte dellimpresa alla quale è stata direttamente affidata la fornitura, della parte più importante dellattività con lente pubblico che la detiene debba essere accertata facendo applicazione dellart. 13 della direttiva 93/38. Daltro lato, esso si chiede se si possa ritenere che tale presupposto ricorra nel caso in cui la suddetta impresa realizzi la prevalenza dei proventi con lente pubblico che la detiene o nel territorio dellente stesso. Prima parte della seconda questione 50 Dallordinanza di rinvio emerge che lappalto di cui trattasi nella causa principale rientra nella direttiva 93/36. 51 Si tratta quindi di accertare se leccezione prevista dallart. 13 della direttiva 93/38 debba valere, per analogia, anche con riferimento allambito di applicazione della direttiva 93/36. 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 52 Leccezione prevista dal suddetto art. 13 riguarda solo gli appalti di servizi e ne sono esclusi gli appalti di forniture. 53 Lart. 13 della direttiva 93/38 riguarda determinati operatori, in particolare imprese comuni e imprese dai conti annuali consolidati, aventi modalità di funzionamento che differiscono da quelle delle amministrazioni aggiudicatrici previste dalla direttiva 93/36. 54 Inoltre, il suddetto articolo prevede un meccanismo di notifica alla Commissione che non potrebbe essere trasposto alla direttiva 93/36, in mancanza di un fondamento normativo. 55 Dal momento che le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente, ne deriva che non si deve estendere loperatività dellart. 13 della direttiva 93/98 allambito di applicazione della direttiva 93/36. 56 Tale conclusione è confermata dal fatto che, in sede di rifusione delle direttive in materia di appalti pubblici risalente al 2004, il legislatore comunitario, pur mantenendo la suddetta eccezione con lart. 23 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/17/CE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (GU L 134, pag. 1), ha scelto di non includere unanaloga eccezione nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), subentrata alla direttiva 93/36. 57 Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la prima parte della seconda questione nel senso che la condizione dinapplicabilità della direttiva 93/36 secondo la quale limpresa cui è stato direttamente affidato un appalto di fornitura deve svolgere la parte più importante dellattività con lente pubblico che la detiene non va accertata facendo applicazione dellart. 13 della direttiva 93/38. Seconda parte della seconda questione 58 Si deve rammentare che lobiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici è la libera circolazione delle merci e dei servizi nonché lapertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 44). 59 Le condizioni in presenza delle quali, secondo la menzionata sentenza Teckal, la direttiva 93/36 è inapplicabile agli appalti conclusi tra un ente locale e un soggetto giuridicamente distinto da questultimo, vale a dire che, al contempo, lente locale eserciti sul soggetto in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che il soggetto di cui trattasi svolga la parte più importante della sua attività con lente o gli enti locali che lo detengono, hanno, in particolare, lo scopo di evitare che sia falsato il gioco della concorrenza. 60 La condizione che il soggetto di cui trattasi realizzi la parte più importante della sua attività con lente o gli enti locali che lo detengono è finalizzata, in particolare, a garantire che la direttiva 93/36 continui ad essere applicabile nel caso in cui unimpresa controllata da uno o più enti sia attiva sul mercato e possa pertanto entrare in concorrenza con altre imprese. 61 Infatti, unimpresa non è necessariamente privata della libertà di azione per la sola ragione che le decisioni che la riguardano sono prese dallente pubblico che la detiene, se essa può esercitare ancora una parte importante della sua attività economica presso altri operatori. 62 È inoltre necessario che le prestazioni di detta impresa siano sostanzialmente destinate in via esclusiva allente locale in questione. Entro tali limiti, risulta giustificato che IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 limpresa di cui trattasi sia sottratta agli obblighi della direttiva 93/36, in quanto questi ultimi sono dettati dallintento di tutelare una concorrenza che, in tal caso, non ha più ragion dessere. 63 In applicazione di detti principi, si può ritenere che limpresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con lente locale che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se lattività di detta impresa è principalmente destinata allente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale. 64 Per verificare se la situazione sia in questi termini il giudice competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative. 65 Quanto allaccertare se occorra tener conto in tale contesto solo del fatturato realizzato con lente locale controllante o di quello realizzato nel territorio di detto ente, occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che limpresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dallente locale controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni. 66 Infatti, le attività di unimpresa aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che questultima realizza nellambito di un affidamento effettuato dallamministrazione aggiudicatrice, indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o lutente delle prestazioni. 67 Non è rilevante sapere chi remunera le prestazioni dellimpresa in questione, potendo trattarsi sia dellente controllante sia di terzi utenti di prestazioni fornite in forza di concessioni o di altri rapporti giuridici instaurati dal suddetto ente. Risulta parimenti ininfluente sapere su quale territorio siano erogate tali prestazioni. 68 Dal momento che, nella causa principale, il capitale dellimpresa aggiudicataria appartiene indirettamente a vari enti locali, può essere rilevante esaminare se lattività da prendere in considerazione sia quella che limpresa aggiudicataria realizza con tutti gli enti che la detengono o soltanto quella realizzata con lente che, nel caso specifico, agisce in qualità di amministrazione aggiudicatrice. 69 A tale proposito si deve rammentare che, secondo quanto precisato dalla Corte, la persona giuridicamente distinta di cui trattasi deve realizzare la parte più importante della propria attività «con lente o con gli enti locali che la controllano» (sentenza Teckal, cit., punto 50). La Corte ha quindi contemplato la possibilità che leccezione prevista si applichi non solo allipotesi in cui un solo ente pubblico detenga una siffatta persona giuridica, ma anche a quella in cui la detengano più enti. 70 Nel caso in cui diversi enti locali detengano unimpresa, la condizione relativa alla parte più importante della propria attività può ricorrere qualora limpresa in questione svolga la parte più importante della propria attività non necessariamente con questo o quellente locale ma con tali enti complessivamente considerati. 71 Di conseguenza, lattività da prendere in considerazione nel caso di unimpresa detenuta da vari enti locali è quella realizzata da detta impresa con tutti questi enti. 72 Dalle considerazioni che precedono deriva che si deve risolvere la seconda parte della seconda questione nel senso che, nel valutare se unimpresa svolga la parte più importante della sua attività con lente pubblico che la detiene, al fine di decidere in merito allapplicabilit à della direttiva 93/36, si deve tener conto di tutte le attività realizzate da tale impresa sulla base di un affidamento effettuato dallamministrazione aggiudicatrice, indipendentemente da chi remunera tale attività, potendo trattarsi della stessa amministrazione aggiudicatrice o dellutente delle prestazioni erogate, mentre non rileva il territorio in cui è svolta lattività». 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Cause riunite C-396/05 e 419/05 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi ed ai loro familiari Ordinanze della Sozialgericht Berlin (Germania) notificate il 13 gennaio 2006 (cs. 4504/06, avv. dello Stato W. Ferrante). IL QUESITO Se il disposto dellallegato VI, D (ex C9) Germania n. 1 del Regolamento (CEE) n. 1408/71, relativo allapplicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano allinterno della Comunità sia compatibile con il diritto comunitario superiore, in particolare con il principio della libera circolazione nel caso in esame, con il principio della libera esportabilità delle prestazioni di cui allart. 42 del Trattato che istituisce la Comunità europea (CE) in quanto esclude anche il pagamento di una pensione per i periodi contributivi maturati nel territorio del Reich. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Il Governo italiano ritiene che al quesito vada data risposta negativa, nel senso che appare contrario al principio fondamentale della libera esportabilit à delle prestazioni, di cui allart. 42 del Trattato CE, il disposto dell allegato VI, D (ex C9) Germania n. 1 del Regolamento (CEE) n. 1408/71, in quanto esso esclude che costituiscano titolo per il pagamento della pensione periodi contributivi maturati nel territorio del Reich, quindi in territori che sono appartenuti alla Germania fino al termine del secondo conflitto mondiale, qualora i beneficiari della prestazione previdenziale abbiano trasferito la residenza al di fuori della Repubblica Federale Tedesca, in territori comunque facenti parte dellUnione europea (Belgio e, rispettivamente, Spagna). Al riguardo, deve osservarsi che lallegato VI, D (ex C9) Germania n. 1 del Regolamento (CEE) n. 1408/71 contiene una disposizione che limita il principio dellesportabilità formulato allart. 10 del predetto regolamento. Lart. 10 del citato regolamento, rubricato Revoca delle clausole di residenza. Incidenza dellassicurazione obbligatoria sul rimborso dei contributi , al comma 1 espressamente dispone: salvo quanto diversamente disposto dal presente regolamento, le prestazioni in danaro per invalidità, vecchiaia o ai superstiti, le rendite per infortunio sul lavoro o per malattia professionale e gli assegni in caso di morte acquisiti in base alla legislazione di uno o più Stati membri, non possono subire alcuna riduzione, né modifica, né sospensione, né soppressione, né confisca per il fatto che il benefi- I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE ciario risiede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova listituzione debitrice. In via principale, deve osservarsi come tale disposizione detti una regola riferibile, con tutta evidenza, al principio generale sancito dallart. 42 del Trattato CE, in virtù del quale, il Consiglio ( ) adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per linstaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste; b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri. In secondo luogo, lart. 10 del citato regolamento ammette la possibilità di deroghe espresse alla regola in precedenza esposta, qualora esse siano previste dal medesimo regolamento. In tale prospettiva, rappresenta una deroga la disposizione contenuta nellallegato VI, D (ex C9) Germania n. 1 del Regolamento (CEE) n. 1408/71, in virtù della quale, lart. 10 del regolamento non pregiudica le disposizioni a norma delle quali gli infortuni (e malattie professionali) sopravvenuti fuori dal territorio della Repubblica federale di Germania, nonché i periodi maturati fuori da tale territorio, non danno luogo o danno luogo soltanto a determinate condizioni, al pagamento di prestazioni, quando i titolari risiedono fuori del territorio della Repubblica federale di Germania. Ciò premesso, deve rilevarsi lesistenza di un evidente contrasto tra il superiore principio della esportabilità delle prestazioni in materia di sicurezza sociale, di cui al citato art. 42 del Trattato CE, e il predetto allegato VI, D (ex C9) Germania n. 1 del Regolamento (CEE) n. 1408/71, applicabile alle ipotesi allesame del Giudice tedesco, in cui il beneficiario della prestazione previdenziale trasferisca la propria residenza in altro Stato benché i periodi contributivi siano stati sempre riferibili al territorio tedesco. Le due ricorrenti, infatti, entrambe cittadine tedesche, avevano maturato periodi contributivi nei periodi 1939 1945 e, rispettivamente, 1937 1945 in territori (Cecoslovacchia e Polonia) allepoca ricompresi nel territorio del Reich. Successivamente, a decorrere dal 1988, hanno percepito il trattamento pensionistico comprensivo di detti periodi contributivi. Aseguito del loro trasferimento, nel 2001, in altri Stati dellUnione Europea, è stato loro comunicata la rideterminazione del trattamento pensionistico, decurtando i periodi contributivi relativi alle attività lavorative svolte nel territorio del Reich. Al riguardo, deve concordarsi con lorientamento espresso dal Giudice tedesco in relazione ai casi sottoposti al suo esame, nel senso di escludere che le prestazioni previdenziali in questione possano considerarsi pensioni estere ad ogni effetto di legge. Infatti, sembra necessario distinguere tra periodi contributivi relativi a pensioni estere, che sono stati maturati in forza di contributi versati ad un regime pensionistico straniero, ossia non tedesco, e periodi contributivi maturati nel territorio del Reich, durante i quali i contributi sono stati versati ad un ente previdenziale tedesco. 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO In proposito, appare corretta losservazione formulata dal Giudice tedesco, secondo la quale il pagamento della pensione per periodi contributivi maturati nel territorio del Reich rientra nellambito di applicazione ratione materiae del Reg. n. 1408/71, in quanto ricompreso nella categoria delle prestazioni di vecchiaia e ai superstiti, di cui allart. 4, n. 1, lett. c) e d) del cit. Reg. Infatti, il computo dei periodi contributivi maturati nel territorio del Reich, ai fini della determinazione della pensione, risulta dallart. 247, n. 3 Sozialgesetzbuch VI del 18 dicembre 1989 (legislazione tedesca relativa al settore della sicurezza sociale di cui allart. 4, n. 1, Reg. cit.), il quale dispone che costituiscono periodi contributivi anche quelli in cui sono stati pagati contributi obbligatori o volontari ai sensi della normativa del Reich in materia assicurativa e previdenziale. Come già osservato dal giudice rimettente, i pagamenti basati su periodi contributivi maturati nel territorio del Reich non possono considerarsi prestazioni per le vittime della guerra e delle sue conseguenze, ai sensi dellart. 4, n. 4 del Reg. n. 1408/71, rispetto alle quali il citato Reg. non trova applicazione. A sostegno di tale conclusione, deve concordarsi con losservazione del Tribunale tedesco secondo la quale, a prescindere dalla guerra, i periodi contributivi maturati non in un territorio annesso dalla Germania bensì in un territorio che rientrava nei confini del Reich al 31 dicembre 1937, vengono trattati allo stesso modo dei periodi contributivi maturati in un territorio annesso, nella misura in cui lassicurato risieda nella Repubblica federale di Germania. Dallosservazione che precede è possibile dedurre che il riconoscimento dei periodi in questione, ai fini contributivi, si fonda, non sul fatto che era in corso la guerra, bensì sulla circostanza che erano stati versati dei contributi e che lassicurato risieda in Germania. A tale considerazione può aggiungersi il fatto che lente assicurativo (Rfa), al quale i contributi erano stati, allepoca, versati, aveva la sua sede a Berlino, ossia nel territorio dellattuale Repubblica federale di Germania e che il suo patrimonio è passato nella proprietà del convenuto nel giudizio principale (Deutsche Rentenversicherung Bund). Inoltre, deve osservarsi che lRfa è venuta meno, non solo per gli assicurati che vivevano negli ex territori dellest, bensì anche per le persone che erano assicurate presso tale istituto e vivevano nel territorio dellattuale Repubblica federale di Germania. Ciononostante, queste ultime persone non subiscono alcuna decurtazione della loro pensione, nellipotesi in cui si trasferiscano in unaltro Stato membro dellUnione europea. Premesse tali considerazioni, deve ritenersi, in conformità allorientamento già espresso dalla Corte di Giustizia, che una condizione limitativa della residenza rispetto al principio della libera esportabilità delle prestazioni pensionistiche può considerarsi ammissibile soltanto quando la prestazione sia collegata esclusivamente al fatto di trovarsi nel territorio dello Stato che la concede e non già al versamento di contributi di talché il collegamento viene meno con il trasferimento del beneficiario al di fuori del territorio dello Stato in questione. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 57 Codesta Corte ha formulato tale principio nella sentenza 2 maggio 1990, causa C-293/88, Winter-Lutzins, laddove ha avuto cura di chiarire che: 14. Lart. 51 (n.d.r. del Trattato CE) impone infatti al Consiglio di adottare, in materia di previdenza sociale, i provvedimenti necessari per linstaurazione della libera circolazione dei lavoratori istituendo in particolare il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri. Lo scopo degli artt. da 48 a 51 non sarebbe raggiunto se i lavoratori, come conseguenza del diritto di libera circolazione, dovessero essere privati dei vantaggi previdenziali garantiti loro dalla legge di uno Stato membro. 15. Per questo motivo, lart. 10, n. 1, del regolamento n. 1408/71, ri-guardante la revoca delle clausole di residenza, mira a garantire allinteressato il diritto di fruire di prestazioni previdenziali anche se egli trasferisce la propria residenza in un altro Stato membro, e a favorire la libera circolazione dei lavoratori tutelandoli contro gli inconvenienti che potrebbero conseguire dal trasferimento della loro residenza da uno Stato membro allaltro. Come la Corte ha già affermato nella sentenza 7 novembre 1973, Smieja (causa 51/73), lo scopo suddetto implica che la tutela venga estesa a quei vantaggi che, pur se scaturenti da regimi particolari, come il regime transitorio dellAOW, si risolvono in una maggiorazione della pensione che normalmente spetterebbe allinteressato. Premesse tali considerazioni, codesta Corte, nella medesima sentenza, ha concluso per la conformità della normativa olandese con il principio di cui allart. 42 del Trattato, atteso che la norma di cui allart. 10, n. 1 del Reg. n. 1408/71 non può essere applicata incondizionatamente ad un sistema di assicurazione generalizzata contro la vecchiaia, in forza del quale basta risiedere nel territorio nazionale per essere assicurati. Al contrario, in relazione al caso sottoposto allodierna attenzione della Corte, deve osservarsi che il presupposto per il pagamento di prestazioni pensionistiche fondate su periodi contributivi maturati nel territorio del Reich sembra essere rappresentato esclusivamente dal versamento di contributi; lelemento di collegamento non è quindi la mera residenza nel territorio dello Stato (come nel predetto caso della legislazione olandese) e pertanto non si potrebbe legittimamente impedire il pagamento delle relative prestazioni in caso di trasferimento del titolare in un altro Stato. Inoltre, se si considera che il progresso dellintegrazione tra gli Stati membri dellUnione europea costituisce lobiettivo principale della Comunità, appare del tutto contrastante con tale principio fondamentale ammettere, agli effetti dellordinamento comunitario, la legittimità di una norma nazionale che impedisca di percepire prestazioni previdenziali collegate a contributi maturati per attività lavorative svolte in territori pur sempre appartenuti alla Germania, nella particolare ipotesi in cui il beneficiario di dette prestazioni trasferisca la propria residenza in altro Stato membro dellUnione europea. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel senso di ritenere contrastante con il principio della libera esportabilità delle 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO prestazioni, di cui allart. 42 del Trattato CE, il disposto dellallegato VI, D (ex C9) Germania n. 1 del Regolamento (CEE) n. 1408/71, nella parte in cui esclude che periodi contributivi maturati in territori in passato appartenuti al Reich diano luogo al pagamento di prestazioni previdenziali quando i beneficiari trasferiscano la loro residenza al di fuori del territorio della Repubblica federale di Germania ma pur sempre in altri Stati membri dellUnione europea. Roma, 21 marzo 2006 Avvocato dello Stato Wally Ferrante». Causa C 429/05 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE Ordinanza della Tribunal dinstance de Saintes (Francia) notificata il 25 gennaio 2006 (cs.6125/06, avv. dello Stato W. Ferrante). I QUESITI 1. Se gli artt. 11 e 14 della Direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, vadano interpretati nel senso che consentono al giudice di applicare le norme sullinterdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni o di servizi, finanziato grazie a tale credito, quando il contratto di credito non menziona il bene il cui acquisto è finanziato o è stato concluso nella forma di apertura di credito senza menzione del bene finanziato. 2. Se la Direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, abbia una finalità più ampia della mera tutela del consumatore, che si estenda allorganizzazione del mercato consentendo al giudice di applicare dufficio le disposizioni che ne derivano. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Il Governo italiano ritiene che al primo quesito vada data risposta positiva, in quanto una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con la Direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, e, segnatamente, con la ratio implicita nel combinato disposto degli artt. 11 e 14 della predetta direttiva, dai quali emerge unesigenza di tutela del consumatore nei confronti del creditore di un contratto di finanziamento, stipulato in via accessoria rispetto ad un contratto di fornitura di beni, quando risulti palese lesistenza di un collegamento negoziale o di un vincolo di interdipendenza tra i due contratti, pur in assenza di unesplicita menzione del bene finanziato, e il contratto di vendita venga meno, in quanto dichiarato nullo o, comunque, sia risolto per inadempimento. In merito al secondo quesito, il Governo italiano ritiene di dover dare, anche ad esso, risposta positiva, considerato che losservanza delle condizioni previste dalla citata Direttiva n. 87/102/CEE, oltre a costituire presupposto per la tutela in via immediata del consumatore, risulta finalizzata, in via generale, a favorire la trasparenza delle informazioni contrattuali e, in definitiva, a consentire la creazione di un mercato del credito al consumo il più possibile concorrenziale. A tale affermazione consegue, dunque, la possibili- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 59 tà per il giudice di applicare dufficio le relative disposizioni, pur in assenza di uno specifico rilievo ad iniziativa della parte interessata. In relazione al primo quesito, deve, anzitutto, rilevarsi che lart. 4 della Direttiva n. 87/102/CEE sancisce la stipulazione in forma scritta del contratto di credito e prevede espressamente, quali elementi essenziali del predetto contratto, lindicazione del tasso annuo effettivo globale espresso in percentuale e lindicazione delle condizioni secondo cui il tasso in questione può essere modificato. Il comma 3 del citato art., precisa che: Il documento scritto deve inoltre comprendere gli altri elementi essenziali del contratto. A titolo desempio, nellallegato della presente direttiva figura un elenco di elementi di cui gli Stati membri possono imporre linclusione obbligatoria nel contratto scritto in quanto essenziali. Già da un sommario esame delle disposizioni citate può evincersi come la direttiva in esame non abbia proceduto ad elencare specificamente, nè tanto meno in via tassativa, tutti i possibili elementi essenziali di un contratto di credito al consumo, ma abbia consentito agli Stati membri, secondo il loro discrezionale apprezzamento, di imporre ai contraenti lobbligo di indicare, nel documento redatto, tutti gli elementi essenziali, oltre a quelli imposti dalla direttiva ed individuati dal comma 2 dellart. 4. A tal fine la direttiva si preoccupa di precisare come sia una mera facolt à per i singoli Stati di imporre linclusione obbligatoria di taluni elementi, sostituendo la propria valutazione dellessenzialità di questi ultimi a quella che, di regola, compete ai contraenti, qualora ciò costituisca un modo per raggiungere più efficacemente gli obiettivi della direttiva. Pertanto, si deve concludere che, nella prospettiva comunitaria, per valutare lessenzialità di un elemento contrattuale, talvolta si debba verificare anche la volontà delle parti, oltre a quanto prescritto dalle disposizioni legislative nazionali. Con riferimento al caso in esame, deve peraltro rilevarsi come lallegato della direttiva (contenente un elenco esemplificativo degli elementi essenziali del contratto di credito al consumo, secondo quanto previsto dallart. 4, comma 3, citato) menzioni, al punto 1 sub i), la descrizione dei beni o dei servizi che costituiscono loggetto del contratto, allevidente scopo di garantire, mediante la citazione espressa del bene finanziato, che risulti palese lesistenza di un nesso di interdipendenza tra vendita e credito, a condizione che ciò rientri nelle intenzioni delle parti. Ciò premesso e per quel che interessa in relazione al caso sottoposto allesame della Corte di Giustizia, deve rammentarsi come, tra i modelli tipo di contratto, previsti dal Code de la consommation francese, e il cui utilizzo è obbligatorio, quello contrassegnato dal n. 6 (Previa offerta di apertura di credito accessorio a contratti di vendita, utilizzabile in importi frazionati ed accompagnato da carta di credito), utilizzato dalle parti del giudizio a quo, non richiede alcuna indicazione in merito allinterdipendenza tra il contratto di vendita e il contratto di mutuo, a differenza di quanto espressamente previsto dal modello contrassegnato dal n. 1 (Previa offerta di cre- 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dito accessorio ad una vendita). Analogamente, nella disciplina prevista dallordinamento italiano, il contratto di credito al consumo prevede, a pena di nullità, la descrizione analitica dei beni e dei servizi oggetto della vendita finanziata (art. 124, comma 3, lett. a del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, approvato con D. Lgs. 1° settembre 1993 n. 385) mentre il contratto di apertura di credito in conto corrente non prevede tale indicazione in modo cogente (art. 126 del citato Testo Unico). Ciononostante, agli effetti della disciplina comunitaria, deve ritenersi che linterdipendenza tra il credito e la vendita costituisca elemento essenziale del contratto di credito, se tale è stato considerato dai contraenti, al di là del dato formale contenuto nella disciplina positiva interna ed a prescindere dalla forma contrattuale prescelta dalle parti (credito al consumo o apertura di credito). Infatti, la mancanza di una disposizione nazionale che imponga lindicazione obbligatoria del bene finanziato, nel caso di apertura di credito, può essere giustificata dal fatto che il contratto in questione può prestarsi ad una pluralità di operazioni di finanziamento. Tuttavia, per quanto attiene al caso di specie, risulta evidente come lapertura di credito sia stata finalizzata ad ununica operazione economica. Infatti, emerge dagli atti del giudizio come lesistenza di un nesso di interdipendenza tra il credito e la vendita sia stata, non solo tenuta presente, ma anche voluta da tutte le parti di entrambe le stipulazioni. Infatti, il contratto di credito è stato sottoscritto con la società finanziaria lo stesso giorno del contratto di vendita (5 settembre 2003) e per un tetto massimo pari al prezzo di vendita (6150 euro); inoltre, è stata prevista la possibilit à di utilizzare limporto residuo del credito (pari a 5535 euro), una volta detratto lacconto, solo dopo il versamento di questultimo. In secondo luogo, sebbene lofferta di credito non menzioni il bene finanziato, tuttavia essa indica compte plate-forme K par K, ossia lidentità del venditore. Inoltre, nel contratto di vendita concluso con la K par K si precisa espressamente:acconto del 10% dellimporto dacquisto, ossia 615 euro, prelevato dal vostro conto bancario o postale da parte della Franfinance in nome e per conto della K par K, autorizzata a tal fine; il prelievo avrà luogo al più presto 30 giorni dopo la firma del presente documento; la firma di unautorizzazione al prelievo dopo la scadenza del termine di riflessione per legge di sette giorni autorizza il mutuante a prelevare tale acconto dal suo conto bancario e a riversarlo al venditore; saldo del 90% dellimporto dell acquisto, ossia 5535 euro a credito del conto K. Tutti gli elementi desumibili dai contratti sembrano rappresentare segni inequivocabili dellinstaurazione di un collegamento negoziale giuridicamente rilevante tra le due stipulazioni, tale da giustificare che le vicende dellun contratto si riverberino sullaltro, secondo il principio simul stabunt, simul cadent. Da quanto esposto, si deve dedurre che lapertura di credito, pur senza menzionare espressamente il bene oggetto della vendita (le finestre), tuttavia, sia stata stipulata esclusivamente in funzione della vendita sottostante, e non anche per ulteriori scopi del consumatore-mutuatario. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 61 Lart. 11, comma 2, della citata direttiva, per quel che interessa nel caso di specie, attribuisce al consumatore il diritto di procedere contro il creditore del contratto di credito, qualora i beni o i servizi considerati dal contratto di credito ( ) non sono conformi al relativo contratto di fornitura . Tale norma è stata peraltro recepita anche nellordinamento italiano con lart. 42 del codice del consumo, approvato con D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206. In base alle conclusioni in precedenza raggiunte, devono ritenersi rientranti nella previsione di cui al citato art. 11, comma 2, non solo i beni espressamente menzionati nel contratto di credito, ma anche quelli implicitamente considerati dai contraenti come oggetto del finanziamento. Inoltre, lart. 14, comma 2, della citata direttiva, impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per impedire che le norme di attuazione della medesima direttiva siano eluse in conseguenza di una speciale formulazione dei contratti. Da tale norma, si desume lesigenza che sia apprestata al consumatore una tutela il più possibile effettiva, conformemente allo spirito della direttiva, anche facendo ricorso allintervento interpretativo del giudice nazionale chiamato a risolvere una data controversia. In proposito, si intende richiamare lattenzione sul fatto che la Risoluzione sulla relazione della Commissione in merito allapplicazione della Direttiva n. 87/102/CEE (G.U. C n. 115, pag. 27, punto 16), riconosce espressamente che le aperture di credito collegate allemissione di una carta di credito, a prescindere dalla pluralità di definizioni esistenti in questo settore secondo la relazione della Commissione, rientrano sin dora nel campo di applicazione della direttiva 87/102/CEE, segnatamente allarticolo 1, paragrafo 2, lettera c), in virtù del quale deve intendersi contratto di credito, un contratto in base al quale il creditore concede o promette di concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria. Alla luce delle considerazioni esposte, deve ritenersi, in funzione di una piena tutela del consumatore, che, in assenza di unesplicita menzione del bene venduto nel contratto di credito, ma di fronte ad elementi che facciano ritenere la stipulazione del finanziamento esclusivamente subordinata al contestuale acquisto di beni determinati, spetti al giudice nazionale interpretare, se necessario, la volontà dei contraenti, per verificare se sussista lintenzione delle parti di stabilire un nesso di interdipendenza tra il credito e la vendita e, in tale ipotesi, applicare le relative norme di tutela del consumatore-mutuatario. Per quanto attiene al secondo quesito, appare opportuno rammentare come la giurisprudenza della Corte di Giustizia, formatasi in materia di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, di cui alla Direttiva 5 aprile 1993, n. 93/13/CEE, abbia già attribuito al giudice la facoltà di sollevare dufficio lilliceità di una clausola contrattuale opposta al consumatore, allo scopo di assicurare a questi una tutela effettiva (così sentenza del 27 giugno 2000, cause riunite C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e altri). 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO In proposito, si ritiene opportuno richiamare lattenzione sulla disciplina vigente nellordinamento italiano, la quale, come si è detto, è stata di recente riordinata e trasfusa nel Codice di consumo con D.Lgs. n. 206/2005. Il predetto Codice ha dato definizione normativa alla categoria della cd. nullit à di protezione, predisposta a difesa di una specifica categoria di contraenti, attribuendo al consumatore una tutela secondo la prospettiva segnata dall ordinamento comunitario. In particolare lart. 36 stabilisce: Le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto ( ). La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata dufficio dal giudice ( ). La rilevabilit à dufficio della inefficacia della clausola vessatoria era peraltro già prevista dallart. 1469 quinquies del codice civile italiano, introdotto dallart. 25 legge 6 febbraio 1996 n. 52. Riportando il discorso alla Direttiva n. 87/102/CEE, come la stessa Corte di Giustizia ha avuto modo di affermare, deve precisarsi che essa è stata emanata allo scopo di assicurare un duplice obiettivo: assicurare la realizzazione di un mercato comune del credito al consumo e proteggere i consumatori che ottengono tali crediti (sentenza 23 marzo 2000, causa C- 208/98, Berliner Kindl Brauerei, punto 20; sentenza 4 marzo 2004, causa C- 264/02, Cofinoga Mérignac, punto 25). Ciò considerato, deve ritenersi che la facoltà per il giudice di applicare dufficio le norme emanate in attuazione della Direttiva n. 87/102/CEE, in materia di interdipendenza tra contratto di credito e contratto di fornitura di beni e servizi, pur in assenza di unesplicita eccezione di parte, possa ritenersi ammissibile in vista del raggiungimento degli obiettivi della direttiva stessa, come individuati nel suo preambolo, e nella prospettiva già affermata in materia di clausole abusive. Infatti, deve considerarsi che la mancata eccezione, ad iniziativa del consumatore, dellapplicabilità delle norme in materia di interdipendenza, si traduce senzaltro nella elusione degli obiettivi della direttiva concernenti la realizzazione di un mercato comune del credito e in unalterazione della libera concorrenza nello specifico settore del credito al consumo. Infatti, qualora ci si limitasse al mero dato formalistico, la posizione di debolezza contrattuale del consumatore potrebbe comportare la sistematica mancata attuazione delle disposizioni della direttiva e così favorire i professionisti che omettano di menzionare espressamente nel contratto di credito il bene finanziato, allo scopo di sottrarlo alla relativa disciplina. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso di ritenere applicabili le norme sullinterdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni o di servizi anche quando non è menzionato il bene il cui acquisto è stato finanziato, purchè risulti palese lesistenza di un collegamento negoziale tra le due stipulazioni, desumibile dalla volontà dei contraenti. In merito al secondo quesito, il Governo italiano propone alla Corte di risolverlo nel senso di ritenere la Direttiva n. 87/102/CEE finalizzata, oltre che a tutelare, in via immediata, il consumatore, anche a favorire la traspa- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 63 renza delle informazioni contrattuali, così da consentire la creazione di un mercato del credito al consumo il più possibile concorrenziale, con conseguente possibilità per il giudice di applicare dufficio le norme che ne derivano. Roma, 30 marzo 2006 Avvocato dello Stato Wally Ferrante». Causa C-432/05 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Ordinanza dellHogsta Domstolen (Corte di cassazione svedese) del 24 novembre 2005 (cs.8671/06, avv. dello Stato F. Sclafani). I QUESITI 1. Se il requisito di diritto comunitario in base al quale le norme processuali nazionali devono offrire una tutela effettiva ai diritti conferiti ai privati dallordinamento giuridico comunitario, debba essere interpretato nel senso che è ammissibile la proposizione di una azione per far dichiarare che talune disposizioni nazionali sono contrarie allart. 49 del Trattato CE, nel caso in cui la compatibilità delle medesime disposizioni nazionali con il detto articolo possa essere valutata esclusivamente in via pregiudiziale, ad esempio in unazione civile di risarcimento dei danni, in un procedimento riguardante la concreta violazione di una disposizione nazionale o in unazione di controllo della legittimità. 2. Se il requisito di diritto comunitario di una tutela effettiva implichi che lordinamento giuridico nazionale deve offrire una tutela provvisoria per cui le norme giuridiche nazionali che ostano allesercizio del diritto rivendicato, fondato sul diritto comunitario, possano essere disapplicate nei confronti di un privato per consentirgli lesercizio di tale diritto, fino a quando la questione dellesistenza del diritto stesso sia stata valutata in via definitiva dal giudice nazionale. 3. Nel caso in cui la risposta alla questione n.2 sia affermativa, se il diritto comunitario implichi che un giudice nazionale, in una situazione in cui è questione della compatibilità delle disposizioni nazionali con il diritto comunitario, in sede di valutazione di una richiesta di tutela provvisoria dei diritti conferiti dallordinamento giuridico comunitario, debba applicare disposizioni nazionali relative ai presupposti di tale tutela oppure, in tale situazione, debba applicare i criteri di diritto comunitario relativi alla detta tutela. 4. Nel caso in cui la risposta alla questione n.3 sia che devono essere applicati i criteri del diritto comunitario, quali essi siano. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «(Omissis) 2. Le suddette questioni sono sorte in una causa promossa dalla Unibet Ltd società con sede a Londra operante nel settore della raccolta ed organizzazione delle scommesse nei confronti dello Stato svedese. In detta causa la Unibet chiede che sia accertato il proprio diritto di commercializzare in Svezia i servizi di raccolta ed organizzazione delle scommesse senza che vi sia di ostacolo il divieto contenuto nellart. 38 della legge 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO svedese sulle lotterie, con conseguente disapplicazione della suddetta disposizione nazionale contrastante col diritto comunitario. Ai sensi del capitolo 11, art. 2 del Rageringsformen (Costituzione svedese) la possibilità da parte del giudice nazionale di verificare se una norma sia contraria ad unaltra gerarchicamente superiore, e quindi eventualmente di disapplicarla, presuppone che la questione sia sollevata in via pregiudiziale. Pertanto secondo la normativa svedese non è possibile proporre un ricorso in sede giurisdizionale al solo fine di ottenere che talune disposizioni siano dichiarate illegittime. Ai sensi del capitolo 1, articolo 2, primo comma del Rattegangsbalken (Codice di procedura penale, contenente anche disposizioni sulle cause civili) le azioni di accertamento sono ammissibili solo se esiste una pregiudizievole situazione di incertezza sul rapporto giuridico che si vuole accertare. Lart. 38 del Lotterilag (legge svedese sulle lotterie) vieta lesercizio dell attività di promozione ed organizzazione delle lotterie senza unapposita concessione e lart. 59 della stessa legge prevede che il provvedimento di diniego della concessione o altro provvedimento di ingiunzione o divieto per labusivo esercizio della suddetta attività possono essere impugnati dinanzi al Lansratt (Tribunale amministrativo regionale) e nellambito di tale giudizio il ricorrente può chiedere in via pregiudiziale la disapplicazione delle norme nazionali che contrastano con il diritto comunitario, mentre non è ammessa unazione di mero accertamento dinanzi al giudice amministrativo. Lart. 54 della legge svedese sulle lotterie prevede sanzioni penali per labusivo esercizio dellattività di organizzazione e promozione delle lotterie e nel conseguente procedimento penale limputato può chiedere la disapplicazione delle norme nazionali che contrastano con il diritto comunitario, mentre non è consentito proporre unazione di mero accertamento dinanzi al giudice penale. Nel giudizio promosso dalla Unibet al fine di ottenere in via principale laccertamento della contrarietà dellart. 38 della legge svedese con lart. 49 del Trattato CE sia il giudice di primo grado (Tingsratt) che quello di secondo grado (Svea Hovratt) hanno dichiarato inammissibile la domanda perché avente ad oggetto un controllo di legittimità in astratto, come tale non consentito dal diritto nazionale in quanto sostanzialmente diretto ad ottenere, in contrasto con la Costituzione, che il giudice dia istruzioni allautorità amministrativa competente nel settore delle lotterie. La Corte di Cassazione svedese nellordinanza di rimessione osserva anchessa che secondo il diritto nazionale la domanda della Unibet deve essere dichiarata inammissibile, tuttavia ritiene non risolta la questione se il principio di effettività della tutela in sede nazionale dei diritti conferiti dal diritto comunitario implichi che debba essere consentito proporre unazione diretta ad ottenere in via principale laccertamento della contrarietà di una norma nazionale col diritto comunitario, anche se lordinamento nazionale prevede altri tipi di ricorso in cui è possibile dedurre in via pregiudiziale detta contrarietà ed ottenere la disapplicazione delle norme nazionali rilevanti. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 65 Analoga questione interpretativa viene sollevata con riguardo alla richiesta di misure cautelari avanzata dalla Unibet posto che secondo il diritto nazionale linammissibilità della domanda principale non consente di esaminare nemmeno la domanda cautelare. Infine, qualora la risposta al primo quesito dovesse essere nel senso dell ammissibilità delle domande della Unibet, la corte svedese si chiede in base a quali criteri il giudice nazionale debba decidere la domanda cautelare. 3. Il Governo italiano ritiene di sottoporre allattenzione della Corte di Giustizia le seguenti osservazioni in merito ai suddetti quesiti. Il giudice svedese non mette in discussione il consolidato orientamento della Corte di Giustizia secondo il quale: 1) è compito dei giudici nazionali, in base al principio di collaborazione sancito dallart. 5 del Trattato, garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto; 2) in mancanza di disciplina comunitaria in materia spetta allordinamento giuridico di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali rivolti a garantire la tutela di tali diritti, ivi compresi i requisiti di legittimazione e di interesse ad agire; 3) tuttavia, queste modalità non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano i ricorsi di natura interna (principio di equivalenza) né possono essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile lesercizio dei diritti conferiti dallordinamento giuridico comunitario (principio di effettivit à) (tra le tante pronunce al riguardo si veda sentenza 11 settembre 2003, causa C-13/01 Safalero, punto 49; sent. 19 giugno 2003, causa C-467/01 p.62; sent. 14 dicembre 1995, cause riunite C-430 e 431/93 van Schijndel, p. 17 e giurisprudenza ivi citata; nonché sent. 11 luglio 1991, cause C-87-88-89/90, p. 24). Peraltro, la giurisprudenza comunitaria è altrettanto consolidata nel ritenere che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile lapplicazione del diritto comunitario deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nellinsieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali anche alla luce dei principi che sono alla base del sistema processuale nazionale (sent. 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck). Sulla base di tali principi il divieto di proporre in via diretta e principale una domanda rivolta allaccertamento della contrarietà di una norma nazionale rispetto al diritto comunitario deve essere valutato nel contesto degli altri rimedi giurisdizionali che lordinamento nazionale mette a disposizione dei privati per garantire un effettivo rispetto del primato del diritto comunitario in sede di tutela dei diritti da esso riconosciuti. 4. Il principio di effettività della tutela dei diritti derivanti dalle norme comunitarie implica comè noto che il titolare di detti diritti possa ottenere la concreta soddisfazione della sua pretesa anche nel caso in cui vi sia di ostacolo una norma nazionale che, essendo in contrasto con il diritto comunitario, dovrà essere disapplicata. In altri termini quel che conta è che sia garantito leffetto utile delle norme comunitarie ed a tale fine è necessario e sufficiente che lordinamento naziona- 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO le consenta di sollevare la questione della compatibilità comunitaria delle norme nazionali nel momento in cui si pone il problema della loro concreta applicazione, ovvero in via incidentale nellambito del giudizio avente ad oggetto una specifica richiesta di tutela la quale presuppone una controversia o comunque una minaccia o contestazione sulla spettanza del diritto in questione. Non è necessario invece che lordinamento nazionale consenta anche di dedurre in via principale la questione della incompatibilità comunitaria di una norma nazionale al di fuori di una controversia in cui si pone il problema dellapplicazione di detta norma. Ciò perché una simile iniziativa, essendo diretta ad un controllo di legittimità in astratto e ad un accertamento del tutto teorico, non avrebbe una rilevanza necessaria ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela il quale, come si è detto, riguarda la garanzia di una concreta soddisfazione del diritto vantato dal ricorrente di fronte ad unaltrui minaccia o contestazione e non anche la mera conformità del diritto nazionale al diritto comunitario. Comè noto, il dovere del giudice di disapplicare il diritto nazionale contrastante col diritto comunitario è stato introdotto e da sempre utilizzato come strumento per garantire uneffettiva tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti dallordinamento comunitario e non certo per assicurare la conformit à delle legislazioni nazionali al diritto comunitario. Il che è coerente con la nozione stessa di disapplicazione la quale oltre a non incidere evidentemente sulla vigenza della norma nazionale presuppone che vi sia una controversia nella quale sorge la questione della norma da applicare in caso di contrasto tra diritto nazionale e comunitario. Quindi, in assenza di una controversia non si pone a priori un problema di disapplicazione e leventuale contrasto tra il diritto nazionale e il diritto comunitario non è di competenza del giudice nazionale, bensì del giudice comunitario, ove ricorrano i presupposti per una procedura dinfrazione nei confronti dello Stato membro. 5. Né si potrebbe sostenere che nel caso come quello in esame in cui la norma nazionale neghi espressamente il diritto in questione, la parte interessata possa rivolgersi direttamente al giudice pur in assenza di una specifica contestazione del suo diritto e quindi ad esempio non sia tenuta a rivolgersi allautorità amministrativa competente a decidere in merito. Ciò in quanto il dovere di disapplicazione incombe, ancor prima del giudice, anche sullautorit à amministrativa che si trova ad applicare una norma nazionale in contrasto col diritto comunitario (sent. 22 giugno 1998, C-103/88, Fratelli Costanzo p. 31; sent. 9 settembre 2003, C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi). Infatti, se la Unibet avesse chiesto il rilascio della concessione prescritta dallart. 38 della legge svedese sulle lotterie si sarebbero potute verificare due ipotesi, entrambe pienamente compatibili con il principio di effettività: 1) lautorità amministrativa competente avrebbe potuto accogliere la domanda disapplicando la norma nazionale che vieta lesercizio di tale attività in assenza di concessione; 2) in caso di rigetto della domanda la Unibet avrebbe potuto impugnare tale provvedimento dinanzi al giudice deducendo in via incidentale il contrasto del citato art. 38 con lart. 49 del Trattato CE. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 67 Pertanto, imporre agli Stati di ritenere ammissibile un ricorso giurisdizionale diretto ad accertare in via principale lincompatibilità comunitaria di una norma nazionale, allorché vi siano altri rimedi processuali ed amministrativi per dedurre la questione in via incidentale, non solo non sarebbe funzionale al rispetto del principio di effettività, ma sarebbe anche incoerente con il principio secondo il quale il dovere di disapplicazione incombe non solo sul giudice nazionale ma anche su tutti gli organi dello Stato, comprese le autorità amministrative. 6. Anche nellordinamento giuridico italiano lazione di mero accertamento è sottoposta ad analoghe condizioni di ammissibilità che sono riconducibili al principio secondo il quale per poter ricorrere in sede giurisdizionale occorre avere un interesse ad agire (art. 100 del codice di procedura civile) inteso come esigenza di ottenere un risultato utile non conseguibile senza lintervento del giudice. Tale principio, comune alla maggior parte delle legislazioni nazionali, comporta che una domanda di mero accertamento possa essere validamente proposta soltanto quando vi sia uno stato di oggettiva incertezza giuridica tale da arrecare un pregiudizio concreto ed attuale al titolare del diritto. E comporta altresì che tale stato di incertezza non possa consistere in un mero dubbio interpretativo dellinteressato ma debba derivare da una minaccia o contestazione altrui. Coerentemente la mera esigenza di accertare la contrarietà di una norma rispetto ad una di rango superiore non giustifica il ricorso al giudice neppure quando si tratti di far dichiarare lillegittimità costituzionale di una legge la quale può essere dedotta solo in via incidentale previa valutazione della sua rilevanza da parte del giudice chiamato ad applicarla. Inoltre, anche nellordinamento giuridico italiano il sindacato del giudice sulla legittimità dellazione amministrativa deve avvenire attraverso limpugnazione di un provvedimento pregiudizievole per linteressato senza possibilit à di proporre unazione di accertamento. 7. Una norma nazionale che subordina lazione di mero accertamento ad una situazione di incertezza giuridica, come sopra considerata, non ha leffetto di rendere impossibile o eccessivamente difficile la tutela dei diritti riconosciuti dalle norme comunitarie in quanto finchè non si verifica una minaccia o contestazione di tali diritti non si pone ancora unesigenza di tutela giurisdizionale. Ed il principio di effettività di tale tutela non può arrivare fino al punto di consentire il ricorso al giudice in via preventiva, al solo fine di ottenere laccertamento di un diritto prima ancora che esso sia messo in discussione da una rivendicazione altrui o da un diniego dellautorità amministrativa. Imporre agli Stati membri un siffatto intervento del giudice significherebbe snaturare la funzione giurisdizionale che, secondo una concezione largamente condivisa, presuppone quanto meno una minaccia ad un diritto e non può essere utilizzata per una tutela oggettiva della legalità. Nella sentenza van Schijndel C-430-431/93 al p. 22 è stato affermato che il diritto comunitario non impone ai giudici nazionali di sollevare dufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie qualora ciò li obblighi a rinunciare al principio dispositivo alla cui osservanza sono tenuti. 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Da tale pronuncia si desume che il dovere di disapplicazione del diritto nazionale contrastante col diritto comunitario è strettamente funzionale allesigenza di tutela fatta valere nel processo e quindi risente dei limiti ragionevoli che lordinamento nazionale pone a tale tutela. Pertanto, se è stato ritenuto ragionevole il limite derivante dal principio dispositivo a maggior ragione deve ritenersi ragionevole il limite derivante da una norma processuale che circoscrive la facoltà di proporre una domanda di accertamento ai casi in cui vi sia una pregiudizievole situazione di incertezza giuridica sul diritto fatto valere in giudizio. Nella sentenza 11 settembre 2003, C-13/01, Safalero è stato affermato che il principio delleffettiva tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti dall ordinamento comunitario non osta ad una normativa nazionale secondo la quale limportatore non è legittimato a ricorrere contro un provvedimento di sequestro delle merci da lui vendute ad un rivenditore quando tale importatore dispone di un altro rimedio giurisdizionale idoneo ad assicurargli il rispetto dei suddetti diritti. Pertanto, anche nel caso in esame si dovrebbe giungere alla conclusione che il medesimo principio di effettività non osta ad una norma nazionale che nega la possibilità di dedurre in via principale lincompatibilit à del diritto nazionale col diritto comunitario quando linteressato dispone di altri rimedi giurisdizionali in cui detta incompatibilità può essere fatta valere in via incidentale allorché il diritto in questione sia minacciato, contestato o negato dallautorità amministrativa. Infine non va dimenticato che anche nel processo comunitario vigono analoghe limitazioni nellaccesso alla tutela giurisdizionale in quanto i requisiti di ricevibilità di cui allart. 230, quarto comma del Trattato CE non consentono di impugnare direttamente atti comunitari di portata generale essendo possibile far valere la loro invalidità solo in via incidentale ai sensi dell art. 241 del Trattato. 8. Gli altri quesiti sollevati dal giudice svedese riguardano la richiesta di provvedimenti cautelari avanzata dalla Unibet e quindi devono considerarsi assorbiti dalla suddetta soluzione che si propone di dare al quesito n.1 posto che, se la domanda principale è inammissibile, non può essere esaminata nemmeno la domanda cautelare. 9. In ragione di quanto sin qui considerato e dedotto, il Governo Italiano suggerisce di rispondere ai quesiti posti dal giudice nazionale svedese nei seguenti termini: Il requisito di diritto comunitario secondo il quale le norme processuali nazionali devono offrire una tutela effettiva dei diritti conferiti ai privati dallordinamento giuridico comunitario deve essere interpretato nel senso che esso, in una situazione quale quella oggetto della causa principale, non osta ad una normativa nazionale che non consente di chiedere in via principale laccertamento del contrasto del diritto nazionale col diritto comunitario, quando linteressato ha a disposizione altri rimedi giurisdizionali in cui può far valere il suddetto contrasto in via incidentale allorché il suo diritto sia minacciato o contestato. Roma, 11 aprile 2006 Avvocato dello Stato Francesco Sclafani». IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 69 Causa C437/05 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Direttiva 93/104/CE Ordinanza della Okresni soud v Ceském Krumlove (Repubblica ceca), notificata l8 febbraio 2006 (cs. 10423/06, avv. dello Stato W. Ferrante). IL QUESITO Se, sotto il profilo della conformità con la direttiva 93/104/CE nonché con la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, causa C- 151/02, Landeshauptstadt Kiel/Norbert Jaeger, nel valutare dal punto di vista lavorativo questioni giuridiche, debba essere considerato come attività lavorativa il periodo di tempo in cui un medico è in attesa di lavorare durante un servizio di permanenza obbligatoria al suo posto di lavoro in ospedale. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Il Governo italiano ritiene che al quesito vada data risposta negativa, dal momento che, in base alla direttiva 2003/88/CE (che ha sostituito la previgente direttiva 93/104/CE), nonché allorientamento seguito in materia dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, non è possibile affermare che il periodo di tempo inattivo del servizio di guardia dei medici, effettuato secondo il regime di presenza fisica nei centri ospedalieri, costituisca attivit à lavorativa anche a fini retributivi. La direttiva 2003/88/CE, contenente la disciplina di taluni aspetti dell organizzazione dellorario di lavoro, prevede prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dellorario di lavoro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano, di pausa, di riposo settimanale, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente ad aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro. Ciò premesso, deve riconoscersi che lobiettivo perseguito dalla predetta direttiva consiste nellottenere un miglioramento della sicurezza, delligiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro, posto che le modalità di lavoro possono avere ripercussioni negative sulla sicurezza e la salute dei lavoratori e che, pertanto, lorganizzazione del lavoro deve tener conto del principio generale delladeguamento del lavoro allessere umano (punti 3, 4, 5, 11 del preambolo della Direttiva). Considerati gli obiettivi della direttiva de qua, deve evidenziarsi come esuli dalla previsione del legislatore comunitario qualsiasi considerazione attinente ai profili retributivi del lavoro prestato, con lunica eccezione relativa alla necessità che i lavoratori usufruiscano di un certo periodo di ferie annuali retribuite, questione, peraltro, non presa in considerazione nel giudizio a quo. Lart. 2, n. 1, della citata direttiva ha mantenuto la previgente definizione di orario di lavoro, considerando tale qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nellesercizio della sua attività e delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO La giurisprudenza della Corte di Giustizia formatasi sul punto è concorde nel ritenere che un servizio di guardia, che un medico svolge secondo il regime della presenza fisica obbligatoria in ospedale, debba essere considerato come rientrante interamente nellorario di lavoro nel senso che la predetta direttiva osta alla normativa di uno Stato membro che qualifichi come periodi di riposo i periodi di inattività del lavoratore durante un servizio di guardia (in questi termini, oltre alla sentenza 9 settembre 2003, causa C-151/02, Jaeger, citata nellordinanza di rimessione, cfr. anche sentenza 3 ottobre 2000, causa C-303/98, Simap; ordinanza 3 luglio 2001, causa C-241/99, CIG, sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer). Le pronunce citate hanno quindi evidenziato, in primo luogo, come la nozione di orario di lavoro, di cui alle direttive in esame, debba essere intesa in contrapposizione al periodo di riposo, in quanto ciascuna delle due nozioni esclude laltra. In secondo luogo, la Corte ha affermato che, anche se lattività svolta varia secondo le circostanze, lobbligo imposto ai medici di essere presenti e disponibili sul luogo di lavoro, per prestare la loro opera professionale in caso di necessità, deve essere considerato rientrante nellesercizio delle loro funzioni. In particolare, la Corte ha avuto cura di precisare che tale interpretazione risulta conforme allobiettivo della direttiva 93/104/CE, che è quello di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, facendo in modo che essi possano beneficiare di periodi minimi di riposo e di adeguati periodi di pausa, mentre escludere dalla nozione di orario di lavoro, ai sensi della direttiva in esame, il periodo di servizio di guardia svolto secondo il regime della presenza fisica, equivarrebbe a rimettere seriamente in discussione il predetto obiettivo. Ciò precisato, deve peraltro affermarsi che, in base alle richiamate pronunce, la considerazione del periodo inattivo del servizio di guardia come attività lavorativa vale esclusivamente ai fini del calcolo del necessario periodo di riposo che deve essere riconosciuto ad ogni lavoratore, non già ad altri fini, né tanto meno ai fini del calcolo della retribuzione del lavoratore. In proposito, deve evidenziarsi che, sebbene lordinanza di rimessione non vi faccia espressamente riferimento, la questione pregiudiziale è stata sollevata tenendo conto della richiesta avanzata nel giudizio a quo, volta ad ottenere le differenze retributive per il periodo inattivo del servizio di guardia. La questione posta alla Corte consiste quindi nellaccertare se i principi comunitari impongano che lattesa durante il servizio obbligatorio di guardia in ospedale sia equiparabile allattività lavorativa vera e propria non solo ai fini del mancato computo della stessa come periodo di riposo ma anche a fini retributivi. In proposito, deve escludersi che la direttiva in esame implichi tale equazione sotto il secondo profilo. Deve infatti rilevarsi che la Commissione europea, in data 22 settembre 2004, ha presentato la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE, nella quale, pur restando invariata la definizione di orario di lavoro, vengono inserite due IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 71 nuove definizioni di servizio di guardia e periodo inattivo del servizio di guardia. Questultimo viene definito come periodo durante il quale il lavoratore è di guardia, ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare la propria attività o le proprie funzioni. Come riconosciuto dalla Commissione europea (punto 18 della Proposta di direttiva), queste due nuove definizioni mirano ad introdurre nella direttiva una nozione che non rappresenta esattamente una terza categoria di orario da aggiungere alle altre due, ma una categoria che integra, in misure diverse, le due nozioni di orario di lavoro e di periodo di riposo. In proposito, la Commissione ha avuto cura di precisare che nellintento di assicurare un adeguato equilibrio tra la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, da una parte, ed il bisogno di flessibilità delle imprese, dallaltra, e tenendo conto del fatto che i periodi inattivi durante i servizi di guardia non richiedono lo stesso livello di protezione che richiedono i periodi attivi, la proposta stabilisce che i periodi inattivi durante i servizi di guardia non fanno parte dellorario di lavoro ai sensi della direttiva, a meno che la legislazione nazionale, i contratti collettivi o gli accordi tra parti sociali non dispongano diversamente (punto 15 della Proposta di direttiva). La Proposta di direttiva in esame è stata oggetto di discussione da parte del Parlamento e del Consiglio europeo e, in data 31 maggio 2005, la Commissione delle Comunità europee ha formulato la Proposta modificata di direttiva che, da un lato, esclude in via generale la natura di attività lavorativa del periodo inattivo del servizio di guardia, dallaltro, tutela i medici in servizio di guardia sotto il profilo della salute e della sicurezza. In ragione di questultimo rilievo, nel preambolo della Proposta modificata di direttiva la Commissione ha anche segnalato di condividere le preoccupazioni del Parlamento europeo per quanto concerne la salute e la sicurezza dei lavoratori che prestano regolarmente servizio di guardia e ha annunciato lintenzione di aggiungere una disposizione volta a far sì che i periodi inattivi del servizio di guardia non possano essere conteggiati per quanto concerne il rispetto del riposo giornaliero e settimanale. Alla luce delle considerazioni esposte, la Commissione ha formulato il nuovo articolo 2 bis (rubricato servizio di guardia), il quale, per quanto è di interesse in relazione al caso di specie, stabilisce che: Il periodo inattivo del servizio di guardia non è considerato orario di lavoro, a meno che la legge nazionale o, conformemente alla legislazione e/o alle pratiche nazionali, un contratto collettivo o un accordo tra parti sociali non dispongano altrimenti. ( ) Il periodo inattivo del servizio di guardia non può essere conteggiato per il calcolo dei periodi di riposo previsti agli articoli 3 (riposo giornaliero) e 5 (riposo settimanale). Il periodo durante il quale il lavoratore esercita effettivamente le proprie attività o funzioni durante il servizio di guardia è sempre considerato come orario di lavoro. Dalla Proposta modificata di direttiva sembra potersi desumere, in primo luogo, che il legislatore comunitario non considera lavoro il periodo inattivo 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO del servizio di guardia e, a maggior ragione, non lo equipara allattività lavorativa agli effetti retributivi. Tuttavia, il legislatore consente che le varie normative nazionali possano disporre diversamente, rimettendo così tale profilo alla discrezionalità di ogni singolo Stato membro. In secondo luogo, il medesimo periodo non può nemmeno essere considerato come riposo effettivo, paragonabile a quelli presi in considerazione dagli articoli 3 e 5 della predetta direttiva, in quanto, altrimenti, ne risulterebbe pregiudicata la salute del lavoratore, che non potrebbe godere di un riposo completo dallattività lavorativa. Alla luce delle considerazioni esposte, sembra potersi affermare che laspetto retributivo relativo al servizio di guardia non rientri tra gli obiettivi di tutela della direttiva 2003/88/CE. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel senso di ritenere, in conformità con la direttiva 2003/88/CE e con linterpretazione resa in materia dalla Corte di Giustizia, che il periodo inattivo del servizio di guardia costituisca orario di lavoro limitatamente agli effetti del calcolo dei periodi di riposo cui ha diritto il lavoratore e non anche ai fini retributivi. Roma, 12 aprile 2006 Avvocato dello Stato Wally Ferrante». Causa C-450/05 riunita alle cause C-396/05 e 419/05 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Diritto tedesco applicabile alle pensioni fondate sui periodi FRG Ordinanza della Landessozialgericht Berlin- Branderburg (Germania) notificata il 2 marzo 2006 (ct. 11660/06, avv. dello Stato W. Ferrante). I QUESITI Se lallegato III, parti A e B, in entrambe punto 35 (n.d.r. recte 83), Germania-Austria, lett. e), del regolamento (CEE) n. 1408/71, nonché lallegato VI, parte C (n.d.r. recte D), Germania, n. 1, del medesimo regolamento siano compatibili con il diritto comunitario di rango superiore, ed in particolare con il principio della libera circolazione dei lavoratori di cui allart. 39 CE in combinato disposto con lart. 42 CE. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Il Governo italiano ritiene che al quesito vada data risposta negativa, in quanto il principio della libera circolazione dei lavoratori osta a che un lavoratore perda vantaggi previdenziali a causa della sopravvenuta inapplicabilit à di convenzioni vigenti tra due Stati membri, per effetto della entrata in vigore del Regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, nella particolare ipotesi in cui il lavoratore abbia esercitato il diritto alla libera circolazione prima dellentrata in vigore del predetto Regolamento nellambito dello Stato membro di residenza ed abbia confidato per un tempo considerevole nellapplicazione della previgente disciplina pattizia. In via preliminare, deve evidenziarsi che la questione sottesa al caso in esame consiste nellaccertare se sia compatibile con gli articoli 39, comma IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 73 2, e 42, comma 1, del Trattato CE la perdita di vantaggi previdenziali, a danno del lavoratore interessato, derivante dalla sopravvenuta inapplicabilit à della convenzione austro-tedesca del 1966, per effetto dellentrata in vigore del Reg. n. 1408/71 che, ai sensi dellallegato III, parti A e B, in entrambe punto 83, Germania-Austria, lett. e), e dellallegato VI, parte D, Germania, n. 1, consente alla legislazione tedesca di settore di porre talune limitazioni al godimento delle prestazioni previdenziali, in correlazione con la residenza allestero del beneficiario. In via generale, lart. 6, comma 1, Reg. cit. dispone che lo stesso regolamento si sostituisce, fatte salve le disposizioni degli articoli 7, 8 e 46, paragrafo 4, a qualsiasi convenzione di sicurezza sociale che vincoli due o più Stati membri ( ). Peraltro, lart. 7, comma 2, lett. c), Reg. cit. prevede, in deroga alla predetta norma, la perdurante applicabilità delle disposizioni delle convenzioni di sicurezza sociale menzionate nellallegato III. Lallegato III, parti A e B, contiene le disposizioni di convenzioni di sicurezza sociale che rimangono applicabili nonostante lart. 6 del regolamento e le disposizioni di sicurezza sociale il cui beneficio non è esteso a tutte le persone cui si applica il regolamento. In particolare, al punto 83, Germania-Austria, lett. e), il legislatore comunitario ha consentito di ritenere ancora applicabile lart. 4, paragrafo 1 della convenzione austro-tedesca sulla sicurezza sociale del 1966, seppur a talune specifiche condizioni. Lart. 4, paragrafo 1, prima frase, della predetta convenzione disciplina lequiparazione territoriale dellAustria alla Germania e prevede espressamente che: in quanto non diversamente disposto dal presente accordo, le disposizioni giuridiche di uno degli Stati contraenti, in base alle quali il sorgere di diritti a prestazioni, ovvero lerogazione di prestazioni, ovvero il pagamento di prestazioni pecuniarie sono subordinati alla residenza nel territorio nazionale, non si applicano alle persone menzionate allart. 3 che risiedono nel territorio dellaltro Stato contraente. Lart. 3 della citata convenzione dispone lapplicabilità delle disposizioni giuridiche ai cittadini di entrambi gli Stati contraenti. Peraltro, occorre ribadire che lequiparazione territoriale dellAustria alla Germania, agli effetti del godimento delle prestazioni previdenziali da parte dei beneficiari di esse, trova unapplicazione limitata. Infatti, il citato allegato III, prevede espressamente tale equiparazione per quanto concerne la legislazione tedesca in virtù della quale gli infortuni (e le malattie professionali) sopravvenuti fuori dal territorio della Repubblica federale di Germania, nonché i periodi compiuti fuori di tale territorio, non danno luogo o danno luogo soltanto a determinate condizioni al pagamento di prestazioni, quando i titolari risiedono fuori del territorio della Repubblica federale di Germania, nel caso in cui: i) la prestazione sia già stata concessa o possa essere concessa al 1° gennaio 1994; ii) la persona interessata abbia stabilito la propria residenza in Austria anteriormente al 1° gennaio 1994 e la concessione di pensioni a titolo di unassicurazione pensioni e infortuni sia iniziata anteriormente al 31 dicembre 1994; ( ). 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Ciò premesso, deve evidenziarsi come la predetta equiparazione territoriale, prevista dalla normativa transitoria, non può trovare applicazione nei confronti del ricorrente del giudizio a quo. Infatti, questi, dopo essersi trasferito dalla Romania in Austria alla fine del 1970 ed avere acquistato la cittadinanza austriaca, ha maturato il diritto a percepire la pensione di vecchiaia al compimento del 63° anno di età, a far data dal 1° agosto 1999. Pertanto, egli non rientra nellambito di applicazione della disciplina transitoria e deve concludersi che il Regolamento n. 1408/71 trovi, nel suo caso, completa applicazione. Con riferimento alla fattispecie che qui interessa, lart. 10 del citato regolamento, rubricato Revoca delle clausole di residenza. Incidenza dell assicurazione obbligatoria sul rimborso dei contributi, al comma 1 espressamente stabilisce: salvo quanto diversamente disposto dal presente regolamento, le prestazioni in danaro per invalidità, vecchiaia o ai superstiti, le rendite per infortunio sul lavoro o per malattia professionale e gli assegni in caso di morte acquisiti in base alla legislazione di uno o più Stati membri, non possono subire alcuna riduzione, né modifica, né sospensione, né soppressione, né confisca per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova listituzione debitrice. In primo luogo, deve osservarsi come tale disposizione detti una regola riferibile, con tutta evidenza, al principio generale sancito dallart. 42 del Trattato CE, in virtù del quale, il Consiglio ( ) adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per linstaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo di queste; b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri. In secondo luogo, lart. 10 del citato regolamento ammette la possibilità di deroghe espresse alla regola in precedenza esposta, qualora esse siano previste dal medesimo regolamento. In tale prospettiva, rappresenta una deroga la disposizione contenuta nellallegato VI, parte D, Germania n. 1 del Regolamento (CEE) n. 1408/71, in virtù della quale, lart. 10 del regolamento non pregiudica le disposizioni a norma delle quali gli infortuni (e malattie professionali) sopravvenuti fuori dal territorio della Repubblica federale di Germania, nonché i periodi maturati fuori da tale territorio, non danno luogo o danno luogo soltanto a determinate condizioni, al pagamento di prestazioni, quando i titolari risiedono fuori del territorio della Repubblica federale di Germania. Ciò precisato, deve peraltro osservarsi come, ai sensi del diritto tedesco applicabile, le pensioni fondate su periodi considerati agli effetti del Fremdrentengesetz (FRG), ossia la legge sulle pensioni a talune categorie di cittadini tedeschi e di profughi e rifugiati stranieri, non possono essere pagate allestero, se basate soltanto su periodi contributivi maturati allestero. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 75 Con riferimento al caso di specie, ciò implica che il ricorrente, il quale ha maturato periodi contributivi obbligatori sia in Romania che in Austria, non può beneficiare della pensione di vecchiaia, agli effetti della normativa tedesca, solo perché non risiede in Germania, nonostante la convenuta del giudizio principale abbia formalmente riconosciuto (in data 9 novembre 1995), ai sensi del Fremdrentengesetz, come periodi contributivi obbligatori, i periodi di contribuzione e di occupazione maturati in Romania tra il 1953 e il 1970. Stando alla disciplina fin qui richiamata, appare evidente come il ricorrente del giudizio principale, allo stato attuale, non possa godere di un diritto che, al contrario, la convenzione austro-tedesca del 1966 gli riconosceva pienamente prima del 1° gennaio 1994, data a partire dalla quale lAustria ha aderito alla Comunità europea. Ciò considerato, deve rilevarsi lesistenza di un evidente contrasto con il superiore principio della esportabilità delle prestazioni in materia di sicurezza sociale, di cui al citato art. 42 del Trattato CE, da parte del predetto allegato VI, parte D, Germania n. 1, in combinato disposto con lallegato III, parti A e B, in entrambe punto 83, Germania-Austria, lett. e), del Regolamento (CEE) n. 1408/71. Infatti, il ricorrente avrebbe potuto pacificamente beneficiare della prestazione previdenziale in questione se solo non avesse esercitato il diritto di libera circolazione trasferendosi in Austria, direttamente dal suo Stato di origine, invece che in Germania. Peraltro, tale limitazione si è concretizzata nei confronti del ricorrente solo a far data dalladesione dellAustria alla Comunità europea, posto che, fino a tale momento, egli restava comunque sottoposto alla disciplina contenuta nella convenzione austro-tedesca del 1966. Ciò considerato, appare opportuno evidenziare che la sentenza emessa da codesta Corte di Giustizia nel caso Roenfeldt (sentenza del 7 febbraio 1991, causa C-227/89), citata dal giudice rimettente, ha posto chiaramente in luce che, sebbene la sostituzione del Reg. n. 1408/71 alle disposizioni delle convenzioni previdenziali stipulate fra gli Stati membri abbia una portata tassativa, tuttavia essa non può indurre a misconoscere lo scopo dei citati articoli 39 e 42 del Trattato, cosa che avverrebbe se i lavoratori che hanno esercitato il loro diritto di libera circolazione dovessero perdere vantaggi previdenziali loro garantiti in precedenza sia dalla sola normativa nazionale sia dallazione congiunta della normativa nazionale e delle convenzioni internazionali vigenti fra due o più Stati membri in materia di previdenza sociale. Infatti, come in precedenza enunciato, lart. 42 del Trattato CE prescrive al Consiglio di adottare, nella sfera della previdenza sociale, i provvedimenti necessari per linstaurazione della libera circolazione dei lavoratori, garantendo, per il conferimento e la conservazione del diritto alle prestazioni e per il calcolo delle stesse, il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie normative nazionali. In proposito, occorre ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenze 24 ottobre 1975, Petroni, punto 13 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO della motivazione, causa 24/75, Racc. pag. 1149; 23 febbraio 1986, De Jong, punto 15 della motivazione, causa 254/84, Racc. pag. 671, e 14 dicembre 1989, Dammer, punto 21 della motivazione, causa 168/88, Racc. pag. 4553), lo scopo degli artt. 39-42 del Trattato non potrebbe essere perseguito se, in conseguenza dellesercizio del loro diritto di libera circolazione, i lavoratori dovessero perdere vantaggi previdenziali loro garantiti, in ogni caso, dalla sola normativa di uno Stato membro. In particolare, nella sentenza 9 luglio 1980, Gravina, punto 7 della motivazione (causa 807/79, Racc. pag. 2205), la Corte ne ha desunto che lapplicazione della disciplina comunitaria non può implicare una diminuzione delle prestazioni concesse in forza della legislazione di un solo Stato membro. Peraltro, uninterpretazione diversa della giurisprudenza summenzionata, che mirasse a non prendere in considerazione le disposizioni delle convenzioni stipulate dagli Stati membri, le quali comportano per il lavoratore vantaggi superiori a quelli che scaturiscono dalla normativa comunitaria, implicherebbe una limitazione sostanziale della portata delle finalità dell art. 42 del Trattato CE, in quanto il lavoratore che ha esercitato il proprio diritto alla libera circolazione si troverebbe collocato in una situazione meno favorevole rispetto a quella di cui avrebbe fruito se non si fosse avvalso di detto diritto. Al riguardo, deve precisarsi come i principi affermati nella citata sentenza Roenfeldt mirano unicamente a perpetuare un diritto acquisito in materia previdenziale e non disciplinato nellambito del diritto comunitario alla data in cui il cittadino di uno Stato membro che lo invoca poteva beneficiarne. Pertanto, il fatto che il Reg. n. 1408/71 sia divenuto applicabile, nello Stato membro di origine di un cittadino, alla data delladesione di detto Stato alla Comunità europea non può pregiudicare il suo diritto di fruire di una regolamentazione bilaterale, peraltro lunica applicabile nei suoi confronti, nel momento in cui ha, in origine, esercitato il diritto alla libera circolazione. Tale soluzione si basa sul principio che linteressato ha riposto un legittimo affidamento nel fatto che avrebbe potuto beneficiare delle disposizioni della convenzione bilaterale affidamento ritenuto meritevole di tutela da codesta Corte di Giustizia (in questi termini anche sentenza del 5 febbraio 2002, causa C-277/99, Kaske) nel momento in cui ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione; infatti, il ricorrente ha potuto confidare nellapplicabilità della predetta disciplina per un lungo periodo di tempo: dal 1970 (data del suo trasferimento in Austria) al 31 dicembre 1993 (termine fino al quale, a seguito delladesione dellAustria alla Comunità europea, la convenzione austro-tedesca del 1966 ha trovato esclusiva applicazione in questo Stato). Peraltro, si deve ritenere che i principi affermati dalla Corte nella citata sentenza Roenfeldt, che consentono di disapplicare le disposizioni del Reg. n. 1408/71, per continuare ad applicare al lavoratore cittadino di uno Stato membro una convenzione bilaterale cui tale regolamento si è sostituito, operano a condizione che tale lavoratore abbia esercitato un diritto di libera circolazione prima dellentrata in vigore di detto regolamento. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 77 Da quanto sopra, appare evidente come, nei confronti dellinteressato del giudizio a quo, ricorrano pienamente le condizioni richieste dalla giurisprudenza di codesta Corte di Giustizia per poter ritenere le disposizioni previste dal Reg. n. 1408/71, oggetto del rinvio pregiudiziale, contrastanti con il superiore principio comunitario della libera esportabilità delle prestazioni di sicurezza sociale. Infatti, il ricorrente ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione trasferendosi in Austria, dalla Romania, alla fine del 1970, ossia in un momento ancora antecedente alla stessa emanazione del Regolamento n. 1408/71 e alla sua entrata in vigore in Germania. A quella data e fino al 31 dicembre 1993, nella materia che qui interessa, in Austria doveva ritenersi applicabile esclusivamente la convenzione austro-tedesca del 1966. Pertanto, per lungo tempo il ricorrente ha potuto confidare nellequiparazione tra cittadini austriaci e cittadini tedeschi nel godimento delle prestazioni previdenziali, prevista dalla predetta convenzione bilaterale, a prescindere dal requisito della residenza. Inoltre, sotto la vigenza della nuova disciplina di cui al citato Regolamento, allinteressato è stato necessario un breve lasso di tempo (meno di sei anni: dal 1° gennaio 1994 allagosto 1999) per maturare il diritto alla pensione di vecchiaia, al compimento del 63° anno di età. Alla luce delle considerazioni che precedono, il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel senso di ritenere contrastante con il principio della libera esportabilità delle prestazioni, di cui al combinato disposto degli articoli 39, comma 2, e 42, comma 1, del Trattato CE, la disciplina prevista dallallegato III, parti A e B, in entrambe punto 83, Germania-Austria, lett. e), del regolamento (CEE) n. 1408/71, nonché dall allegato VI, parte D, Germania, n. 1, del predetto regolamento, nella parte in cui consente che un lavoratore perda vantaggi previdenziali a causa della sopravvenuta inapplicabilità di convenzioni vigenti tra due Stati membri, per effetto dellentrata in vigore del citato Regolamento, nella particolare ipotesi in cui il lavoratore abbia esercitato il diritto alla libera circolazione prima che il predetto Regolamento entrasse in vigore nello Stato membro di residenza e, pertanto, abbia confidato per un tempo considerevole nellapplicazione della previgente disciplina pattizia. Roma, 8 maggio 2006 Avvocato dello Stato Wally Ferrante». Causa C-455/05 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Armonizzazione delle legislazioni delle imposte sulle cifre daffari Ordinanza della Finanzgericht Hamburg (Germania), seconda sezione, del 1° dicembre 2005, notificata l8 febbraio 2006 (cs. 10422/06, avv. dello Stato S. Fiorentino). IL QUESITO Se lart. 13, sub B, lett. d), punto 2 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra daffari, debba essere 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO interpretato, per quanto riguarda la nozione di presa a carico di impegni, nel senso che in essa vadano compresi solo impegni pecuniari oppure nel senso che tale disposizione comprenda anche lassunzione di altri impegni, ad esempio gli obblighi di fare. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Con ordinanza depositata il 23 dicembre 2005 la Seconda Sezione del Finanzghericht di Hamburg ha sollevato una questione pregiudiziale nell ambito di una causa che vede contrapposti la società Velvet & Steel Immobilien und Handels Gmbh e lAmministrazione Finanziaria tedesca (Finanzamt Hamburg-Eimsbuettel) (...). Secondo quanto si ricava dallordinanza di rimessione, oggetto della controversia è limposta sulla cifra daffari dovuta per operazioni immobiliari della ricorrente. Nel corso di una revisione della contabilità aziendale, lAmministrazione finanziaria tedesca ha ritenuto che rientrasse tra le operazioni imponibili, ai sensi dellart. 1, n. 1, primo comma, dellUmsatzsteuergesetz (legge tedesca che disciplina limposta sulla cifra daffari) lassunzione di un obbligo di ristrutturazione di un immobile nei confronti della societ à T. Immobilien und Verwaltunggessellschaft mbH e del sig. N. P., acquirenti dellimmobile. Questo obbligo era stato originariamente assunto dalla società B. Immobilien Gmbh a dai sigg. S. e H. K., nel contesto dei contratti di compravendita con i quali avevano alienato alla T. Immobilien e al sig. N. P. un terreno con annesso edificio, composto da appartamenti dati in locazione. I venditori avevano, in particolare, contratto lobbligazione di effettuare i restanti lavori di ristrutturazione dellimmobile venduto ed assunto una garanzia di locazione degli appartamenti. La ricorrente aveva, poi, stipulato, sia con la B. Immobilien che con i sigg.ri H. (venditori), un contratto di Cessione di una parte del prezzo di vendita in cambio dellassunzione di obblighi, per effetto della quale era subentrata nel credito relativo ad una parte del prezzo dellimmobile e nelle obbligazioni relative ai servizi di ristrutturazione e alla garanzia di locazione. Secondo quanto si legge nellordinanza di rimessione, in questi contratti si enunciava quanto segue: Il venditore dichiara che non effettuerà più egli stesso né farà effettuare da altri alcun lavoro di ristrutturazione su tale immobile. Il garante dichiara di assumere tale obbligo di effettuare i lavori di ristrutturazione e la garanzia di locazione, ricevendo, in qualità di amministratore fiduciario, la summenzionata somma per il terreno, di far eseguire i lavori di ristrutturazione stabiliti e rispettivamente che concederà la garanzia di locazione. Il garante si impegna, una volta percepita la summenzionata somma, a liberare il venditore da tutte le spese e da tutti i diritti spettanti allacquirente dellimmobile in relazione ai lavori di ristrutturazione garantiti. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 79 Gli acquirenti dellimmobile avevano successivamente rilasciato una dichiarazione liberatoria, con la quale accettavano quanto concordato dalla ricorrente con i rispettivi venditori che, per effetto della dichiarazione liberatoria, venivano sollevati dagli obblighi di effettuare i lavori di ristrutturazione e di assumere la garanzia di locazione, stabiliti nei contratti di compravendita. La ricorrente raggiungeva, poi, un accordo con gli acquirenti dellimmobile, in base al quale venivano estinti lobbligo di ristrutturazione e la garanzia di locazione da essa assunti, contro la restituzione di una parte del prezzo della compravendita. Altra parte del prezzo era rimasta nella disponibilit à della ricorrente, a titolo di <<compenso o risarcimento forfetario/indennizzo forfetario per leventuale perdita di profitti>> e, secondo quanto si afferma nellordinanza di rimessione, è stata assoggettata allimposta sulla cifra di affari. La ricorrente ha iscritto, nella sua contabilità, le suddette prestazioni tra le operazioni esenti. La società, facendo leva sullargomento che nessuno dei due incarichi fosse stato eseguito, ha ritenuto che le operazioni fossero da considerare prese a carico di impegni così da rientrare nellambito di applicazione della norma interna prevista dallart. 4, punto 8, lett. g) dellUstG, che rappresenta la trasposizione della norma comunitaria di cui allart. 13, parte B, lett. d, punto 2 delle Sesta direttiva IVA (Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra daffari). La disposizione comunitaria stabilisce che (...) gli Stati membri esonerano (...) la negoziazione e la presa a carico di impegni, fideiussioni e altre garanzie nonché la gestione di garanzie di crediti da parte di chi ha concesso questi ultimi. La tesi dellAmministrazione finanziaria tedesca è che la normativa comunitaria si riferisca esclusivamente allassunzione di impegni pecuniari, mentre lassunzione dellobbligo di ristrutturazione dellimmobile rientrerebbe nel novero degli obblighi di fare. A conforto del proprio del proprio assunto, lAmministrazione tedesca rileva che: a) linterpretazione letterale della Sesta direttiva IVA porta a ritenere che la norma di cui allart. 13, parte B, lett. d), punto 2 si riferisca esclusivamente allassunzione di impegni finanziari. Infatti, se da un lato nella versione tedesca e francese della Sesta direttiva si usano espressioni generali per designare gli impegni, dallaltro lato, nella versione inglese si specifica che gli impegni devono essere di natura finanziaria, così fornendo un utile dato letterale per linterpretazione del disposto; b) linterpretazione alla luce delleconomia generale e della finalità del regime mostra che lesenzione fiscale deve limitarsi alla prestazione di servizi bancari e finanziari. Il Giudice remittente sembra ritenere che il testo della disposizione comunitaria di esenzione, pur esaminato nelle diverse versioni linguistiche, non conduca ad uninterpretazione univoca. 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO La versione tedesca, come quella in lingua francese (al pari di quella italiana), conterrebbe infatti una nozione generica di presa in carico di impegni , entro la quale potrebbe ricondursi lassunzione di obbligo quale quello di ristrutturazione contratto dalla ricorrente. La versione in lingua inglese, tuttavia, non allude allassunzione di impegni in generale, ma contiene, alla lettera d), numero 2), solo forme speciali di garanzie o cauzioni ((...) Member States shall exempt (...) the negotiation of or any dealing in credit guarantees or any other security for money and the managment of credit guarantees by the person who is granting the credit) ed entro tale casistica non rientrerebbe lassunzione di un impegno quale quello in esame. Ad avviso del Giudice remittente, pertanto, uninterpretazione che ritenesse esenti da IVA le operazioni realizzate dalla ricorrente, mentre non sarebbe in contrasto con la versione tedesca della Sesta direttiva, né con il diritto interno tedesco, non sarebbe consentita dal testo inglese, né da quello francese, se interpretato alla luce della trasposizione della norma comunitaria nel diritto interno francese che, allart. 261 C del Code Gènéral des Impots, contiene una limitazione alle operazioni bancarie e finanziarie (Sont exonérées de la taxe sur le valeur ajoutée: 1) Les opérations bancaires e financières suivantes (...)). Il Governo italiano osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte, le esenzioni previste dallart. 13 della direttiva 77/388/CEE costituiscono nozioni autonome di diritto comunitario e devono pertanto ricevere una definizione comunitaria indipendente dalle singole legislazioni nazionali (v. sentenze 12 settembre 2000, causa C-358/97, Commissione/Irlanda, punto 51; 16 gennaio 2003, causa C-315/00, Maierhofer, punto 25, 12 giugno 2003, causa C-275/01, Sinclair Collis,, punto 22; 18 novembre 2004, causa C- 284/03, Belgio Temco Europe SA). I termini con i quali sono state designate le esenzioni di cui allarticolo 13 devono essere interpretati restrittivamente, dato che costituiscono deroghe al principio generale secondo cui lIVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (v. sentenze 8 maggio 2003, causa C-269/00, Seeling Finanzamt Starnberg, punto 44; 20 giugno 2002, Commissione/ Germania, causa C-287/00, punto 43; 15 giugno 1989, causa 348/87, Stichtung Uitvoering Financiele Acties, punto 13). Linterpretazione letterale dellart. 13, parte B, lett. d), punto 2, della Sesta direttiva IVA porta ad escludere, quanto meno nella versione inglese, che possa esser compreso nel novero delle esenzioni laccollo verso corrispettivo di un obbligo di ristrutturazione quale quello assunto dalla ricorrente e, più generale, di unobbligazione avente ad oggetto un facere. La disposizione in esame è inserita in un contesto, quale quello definito dagli altri numeri della lettera d) della parte B, che ha ad oggetto esclusivamente la prestazione di servizi finanziari e dei relativi servizi di intermediazione. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 81 Questa parte della Sesta direttiva ha la finalità di escludere lapplicazione dellIVA a talune operazione finanziarie, in particolare quelle riguardanti direttamente strumenti finanziari, in considerazione delle difficoltà pratiche che possono sorgere per la tassazione di tali operazioni e delle possibili ripercussioni di tale tassazione sul costo del credito. Lo scopo che il legislatore comunitario persegue prevedendo uneccezione allobbligo di versare limposta quando il fatto generatore sia una delle operazioni menzionate allart. 13, parte B, lett. d), della sesta direttiva, non può avere altra ratio che quella di svincolare dal regime impositivo operazioni che, data la loro frequenza ed abitualità, costituiscono un elemento fondamentale dei sistemi finanziari e, pertanto, dellattività economica degli Stati membri. Si tratta di evitare un onere a carico di determinate prestazioni che possa ostacolare il funzionamento del mercato. Se questa è la finalità della disposizione, le operazioni esentate debbono essere solo quelle la cui esclusione risulti imprescindibile per conseguire il risultato voluto, mentre possono essere assoggettate ad imposta le operazioni la cui imposizione non incide sul sistema finanziario (v. conclusioni dellAvvocato Generale nella causa C-235/00 The Commissioners of Customs & Excise CSC financiale Service ltd, punti 24 e 25). Da uninterpretazione testuale, sistematica e teleologica dellart. 13, parte B, lett. d), numero 2, della direttiva 77/388/CEE, si ricava, pertanto, che le esenzioni ivi previste non possono estendersi allassunzione verso corrispettivo di un impegno avente ad oggetto una prestazione di fare, quale che sia il titolo dellobbligazione. In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere al quesito sottoposto al suo esame affermando che lart. 13, sub B, lett. d), punto 2 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra daffari, deve essere interpretato, per quanto riguarda la nozione di presa a carico di impegni, nel senso che in essa vadano compresi solo impegni pecuniari. Roma, 14 aprile 2006 Avvocato dello Stato Sergio Fiorentino». Cause riunite C-11/06 e C-12/06 (domande di pronuncia pregiudiziale) Concessione di sussidi allistruzione Trasmissione di osservazioni Ordinanza della Verwaltungsgericht Aachen (Germania) dell11 gennaio 2006, notificata il 29 marzo 2006 (ctt. 15994/06 e 15995/06., avv. dello Stato W. Ferrante). I QUESITI 1. Se il diritto di libera circolazione dei cittadini dellUnione Europea, sancito dagli artt. 17 CE e 18 CE, impedisca ad uno Stato membro di negare ad un proprio cittadino, in una fattispecie come quella oggetto del presente procedimento, la concessione di sussidi allistruzione per studi a tempo pieno da compiersi in un altro Stato membro, sulla base del rilievo che tali 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO studi non rappresenterebbero la prosecuzione di una frequenza di una durata minima di un anno di un centro di istruzione nazionale. 2. Se il principio di libera circolazione dei cittadini dellUnione, sancito dagli artt. 17 CE e 18 CE, vieti ad uno Stato membro di negare a un proprio cittadino che assolva in qualità di cosiddetto pendolare i propri studi in uno Stato membro contiguo la concessione dei sussidi allistruzione in un caso come quello di specie, sulla base del rilievo che il detto cittadino risiederebbe nella località di confine del territorio nazionale unicamente a fini di istruzione, senza che tale località costituisca la sua residenza permanente. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Il Governo italiano ritiene che al primo quesito vada data risposta positiva, dal momento che, la parte ricorrente possiede lo status di cittadino dellUnione che consente, a chi si trovi nella medesima situazione, di ottenere, nellambito di applicazione ratione materiae del Trattato, indipendentemente dalla cittadinanza, il medesimo trattamento giuridico (sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk) Tra le situazioni che rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario figurano quelle rientranti nellesercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in particolare della libertà di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri quale conferita dallart. 18 CE. Atteso che un cittadino dellUnione ha diritto a che gli venga riconosciuto in tutti gli Stati membri il medesimo trattamento giuridico accordato ai cittadini di tali Stati membri che si trovino nella medesima situazione, sarebbe incompatibile con il diritto alla libera circolazione che gli si potesse applicare, nello Stato membro di cui è cittadino, un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficerebbe se non avesse usufruito delle facilitazioni concesse dal Trattato in materia di circolazione. Tali facilitazioni non potrebbero infatti dispiegare pienamente i propri effetti se un cittadino di uno Stato membro potesse essere dissuaso o scoraggiato dal farne uso da ostacoli, anche di natura economica, posti da una normativa del proprio paese di origine che penalizzasse il fatto che egli ne abbia usufruito. In tal senso, si veda la sentenza di codesta Corte del 11 luglio 2002 emessa nella causa C-224/98, DHoop, in base alla quale Tale considerazione è particolarmente importante nel settore dellistruzione. Tra gli obiettivi fissati per lazione della Comunità figura infatti allart. 3, lett. p) del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 3, n. 1 lett. q) CE) un contributo ad unistruzione e ad una formazione di qualità. Ai sensi dellart. 126 n. 2 secondo trattino del Trattato CE (divenuto art. 149 n. 2 secondo trattino CE) tale contributo deve tendere, in particolare, a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti. Ciò premesso, deve riconoscersi che, nella fattispecie del giudizio principale, la normativa nazionale introduce una differenza di trattamento non giustificata tra i cittadini tedeschi che hanno diritto alla concessione di sussidi allistruzione per studi da compiersi nel territorio nazionale e cittadini tede- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 83 schi che, avendo fatto uso della libertà di circolazione, svolgono i loro studi in un altro Stato membro nonché, in particolare, tra cittadini tedeschi che, successivamente alla frequenza della durata di almeno un anno di un centro di istruzione nazionale, proseguano gli studi in un centro di un altro Stato membro dellUnione europea, i quali, a norma del paragrafo 5 secondo comma n. 3 del Bundesgesetz über individuelle Förderung del Ausbildung (GAföG), hanno diritto ai predetti sussidi e cittadini tedeschi che compiano interamente i propri studi in altro Stato membro, ad esempio perché nello Stato di appartenenza non sarebbero disponibili studi universitari nella disciplina prescelta, che invece non hanno diritto alla concessione di tali sussidi. Collegando il riconoscimento del beneficio economico alla condizione di aver svolto almeno un anno di corso universitario in Germania, la normativa nazionale pregiudica determinati cittadini tedeschi per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro libertà di circolazione al fine di seguire un insegnamento, per la sua intera durata, in un altro Stato membro. Peraltro, oltre al caso dellinesistenza della facoltà prescelta sul territorio nazionale, in cui è evidente il pregiudizio subito dal cittadino tedesco per effetto del disincentivo economico che, di fatto, limita notevolmente la sua scelta negli studi da espletare, non può non disconoscersi leffetto comunque restrittivo del diritto alla libera circolazione anche nel caso del cittadino tedesco che, nella scelta tra due corsi analoghi in Germania ed in altro Stato membro, sia in pratica indotto ad optare per il primo solo per non subire pregiudizi economici o sia costretto ad interrompere la continuità degli studi, iniziandoli in Germania e proseguendoli allestero, non per unesigenza didattica ed anzi presumibilmente in contrasto con essa solo per poter beneficiare dei sussidi. Una disparità di trattamento di tal genere è contraria ai principi che sono alla base dello status di cittadino dellUnione ovvero la garanzia di un medesimo trattamento giuridico nellesercizio della propria libertà di circolazione. In particolare, la Corte ha avuto cura di precisare nella sentenza del 17 marzo 2005, emessa nella causa C-109/04, Kraneman, che il complesso delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle persone è volto ad agevolare i cittadini comunitari nellesercizio di attività lavorative nel territorio della Comunità ed osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano svolgere unattività lavorativa nel territorio di un altro Stato membro. La Corte ha chiarito inoltre che un provvedimento che ostacola la libera circolazione dei lavoratori può essere ammesso solo se persegue un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato ed è giustificato da motivi imperativi dinteresse generale. Ma in un caso del genere occorre inoltre che lapplicazione di un tale provvedimento sia atta a garantire il raggiungimento dello scopo che esso persegue e non vada oltre quanto necessario al raggiungimento dello scopo Ora, da una costante giurisprudenza risulta che motivi di natura economica non possono costituire motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una limitazione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato. 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Tali principi dettati per i lavoratori, in quanto fondati sul diritto alla libera circolazione dei cittadini dellUnione, sono evidentemente applicabili anche agli studenti, tanto più che la parte ricorrente ha motivato la propria scelta di studio anche in ragione dei maggiori sbocchi lavorativi offerti dalla sede prescelta. Anche al secondo quesito, per analoghe ragioni, va data risposta positiva. La ricorrente afferma infatti di essersi trasferita in modo permanente a Düren con il proprio convivente e di spostarsi quotidianamente dalla propria residenza sul territorio nazionale tedesco a Heerlen nei Paesi bassi per frequentare la facoltà di ergoterapia. In proposito, il Tribunale tedesco ha ritenuto che la residenza a Düren non potesse considerarsi permanente ai fini dellapplicazione del paragrafo 5, comma 1 del GAföG in base al quale agli studenti ai sensi del paragrafo 8, primo comma, vengono concessi sussidi allistruzione qualora frequentino un centro di istruzione sito allestero raggiungendolo quotidianamente dalla propria residenza permanente sul territorio nazionale. Per residenza permanente ai sensi della presente legge si intende il luogo che non sia solo centro temporaneo di relazioni sociali, restando irrilevante lintenzione di stabilirvisi permanentemente o meno; il soggiorno effettuato unicamente a fini di istruzione non costituisce residenza permanente. In proposito, non può non rilevarsi la ingiustificata disparità di trattamento che verrebbe a crearsi tra cittadini tedeschi che risiedono permanentemente in territorio nazionale di confine, tale da consentire un pendolarismo quotidiano in centri di studi situati in altro Stato membro limitrofo, che hanno diritto ai sussidi ai sensi del citato paragrafo 5, comma 1 e cittadini tedeschi che spostino la loro residenza in un luogo di confine per potersi recare quotidianamente in altro Stato membro limitrofo per motivi di studio, che non hanno invece diritto ai predetti sussidi. Una tale normativa contrasta con il principio comunitario della libera circolazione che comporta eguale trattamento giuridico a parità di situazione in quanto disincentiva lo svolgimento di studi in altro Stato dellUnione ai pendolari che abbiano spostato la loro residenza in un luogo di confine del territorio tedesco negando un beneficio economico invece riconosciuto in analoga situazione ai cittadini tedeschi pendolari che risiedano in modo permanente (per mera casualità) in luoghi prossimi al confine. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso di ritenere che il diritto alla libera circolazione impedisce ad uno Stato membro di negare ad un proprio cittadino la concessione di sussidi allistruzione per studi da compiersi in un altro Stato membro qualora tali studi non costituiscano il proseguimento di una frequenza di almeno un anno di un centro di istruzione nazionale. Il Governo italiano propone inoltre di risolvere il secondo quesito nel senso che il diritto alla libera circolazione vieta ad uno Stato membro di negare ad un proprio cittadino che assolva come pendolare i propri studi in uno Stato membro contiguo la concessione dei sussidi allistruzione solo perché IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 85 la residenza di detto cittadino nella località di confine del territorio nazionale non sarebbe permanente ma dettata esclusivamente dalla finalità di istruzione. Roma, 8 giugno 2006 Avvocato dello Stato Wally Ferrante». Causa C-17/06 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Adozione di un marchio nominativo registrato Ordinanza della Cour dappel de Nancy (Francia) notificata il 15 marzo 2006 (cs.13445/06, avv. dello Stato S. Fiorentino). IL QUESITO Se lart. 5, n. 1 della direttiva (CE) n. 89/104 debba essere interpretato nel senso che ladozione, da parte di un terzo che non vi è autorizzato, di un marchio nominativo registrato, a titolo di denominazione sociale, nome commerciale o insegna nellambito di unattività di commercializzazione di prodotti identici costituisce un atto duso di tale marchio nella vita commerciale che il titolare può far cessare in forza del suo diritto esclusivo. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Controversia nella causa principale Con ordinanza depositata il 9 gennaio 2006 la Cour dappel de Nancy ha sollevato una questione pregiudiziale nellambito di una causa che vede contrapposti la società Céline s.a. e la società Céline Sarl. Secondo quanto si ricava dallordinanza di rimessione, la controversia è stata promossa dalla Céline s.a., che ha esposto di essere stata costituita, con detta ragione sociale, il 19 luglio 1928 e di avere come oggetto dellattività principale la creazione e la commercializzazione di articoli di abbigliamento ed accessori di moda. In data 19 aprile 1948, la società attrice ha depositato il marchio denominativo Céline, da allora costantemente rinnovato, per designare tutti i prodotti rientranti nelle classi 1-42, in particolare per abiti e calzature. Avendo casualmente appreso che la Céline Sarl gestisce, con linsegna Céline, nei locali siti in Nancy, al 40, rue Saint Dizier, unattività commerciale di pret-à-porter, abbigliamento intimo, confezioni, pellicce, abbigliamento e accessori diversi, la ha convenuta in giudizio chiedendo che ne fosse inibita lattività, caratterizzata dalla contraffazione del marchio depositato da essa attrice e da concorrenza sleale per usurpazione della sua ragione sociale e della sua insegna. La convenuta ha replicato di derivare il proprio diritto alluso dellinsegna Céline, per il tramite dei gestori successivi della stessa attività commerciale, dal sig. A. G., che si era fatto iscrivere il 25 settembre 1950 nel registro di commercio e delle società di Nancy per la gestione di unattività commerciale di confezione per signore e signori nei locali tuttora utilizzati dalla Céline Sarl. La convenuta ha opposto, ancora, che lattrice, la quale ha contestato i medesimi fatti nel 1974, non poteva agire per contraffazione dato che aveva tollerato luso del marchio per cinque anni. 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Con sentenza 27 giugno 2005 il tribunale ha così giudicato: Avendo adottato la ragione sociale Céline e linsegna Céline, la Céline Sarl ha commesso atti di contraffazione del marchio Céline n. 1460941, di cui è proprietaria la Céline s.a., nonché atti di concorrenza sleale per usurpazione della ragione sociale Céline e dellinsegna Céline. Si inibisce, quindi, alla Céline Sarl qualsiasi uso del termine Céline (omissis). Si ordina alla Céline Sarl di modificare la sua ragione sociale per adottare un vocabolo non idoneo a generare confusione con il marchio n. 1460941 e con la ragione sociale e linsegna Céline (omissis) Si condanna la società Céline Sarl a versare alla società Céline s.a. limporto di EUR 15 000 per il risarcimento dei danni derivanti dagli atti di contraffazione, limporto di EUR 10 000 per il risarcimento di danni derivanti dalla concorrenza sleale per usurpazione della ragione sociale e dell insegna, nonché il rimborso delle spese della presente pubblicazione. Per giungere a questa conclusione, il tribunale ha anzitutto costatato che la società Céline Sarl non ha mai proceduto al deposito del marchio Céline. Esso ne ha dedotto che la convenuta non può opporre la decadenza dovuta a tolleranza prevista dallad. L 716-5, quarto comma, del codice della propriet à intellettuale. Dopo aver accertato che la convenuta ha riprodotto il marchio della società Céline s.a. per prodotti identici, il tribunale ha poi considerato che sussistevano non solo atti di contraffazione bensì anche atti di concorrenza sleale. La società Céline Sarl ha interposto appello deducendo, tra laltro, che secondo linterpretazione degli articoli 713-2 e 713-3 del codice della propriet à intellettuale francese alla luce della direttiva (CE) 21 dicembre 1988, 89/104, luso di un marchio come ragione sociale o insegna esula dallambito della contraffazione, dato che né una ragione sociale né uninsegna hanno la funzione di distinguere prodotti e servizi. A tale motivo di impugnazione ha replicato la appellata, opponendo che lidentica riproduzione di un marchio depositato nella ragione sociale o nell insegna configura un atto di contraffazione tanto rispetto al diritto nazionale francese, che vieta qualsiasi uso di un marchio, a qualsiasi titolo, quanto rispetto al diritto comunitario, dato che una denominazione ed uninsegna designano necessariamente, anche se indirettamente, i prodotti o servizi dell impresa. La appellata ha aggiunto che la riproduzione servile del segno per designare unattività commerciale crea unapparenza ingannevole sullorigine dei prodotti, lasciando intendere ai consumatori che esista un rapporto tra le parti. Posizione del giudice remittente Il Giudice remittente ha valutato che lazione per contraffazione introdotta nei confronti della Céline SARL si fonda esclusivamente sulluso, da parte di tale società, del vocabolo Céline, che corrisponde esattamente al marchio denominativo anteriormente registrato dalla Céline s.a., da un lato IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 87 per identificare la persona giuridica con la sua ragione sociale e dallaltro per designare lattività commerciale da essa svolta. Ha quindi escluso che sia stato contestato alla Céline Sarl di avere apposto il segno identico al marchio di cui trattasi sui prodotti da essa commercializzati. Ha rilevato che ai sensi dellart. 713 del codice della proprietà intellettuale francese, salvo che il titolare li abbia autorizzati, sono vietati, se ciò può produrre un rischio di confusione nel pubblico, la riproduzione, luso o lapposizione di un marchio, nonché luso di un marchio riprodotto, per prodotti o servizi identici a quelli per cui il marchio è stato registrato. Ha, poi, dichiarato che, nel caso di specie, è certa lidentità tra i prodotti commercializzati dalla Céline Sarl (capi dabbigliamento) e quelli tutelati dal marchio registrato dalla Céline s.a. Ha quindi osservato che lart. 5, numero 1, lett. a), della direttiva (CE) 89/104 è stato trasposto nel diritto nazionale francese dallarticolo 15 della legge 4 gennaio 1991, n. 91-7, divenuto articolo L 713-2 del codice della proprietà intellettuale. Ha enunciato che la tendenza dominante della giurisprudenza francese è di dare alla suddetta norma uninterpretazione secondo la quale la contraffazione risulta dalla riproduzione degli elementi caratteristici di un segno protetto come marchio, indipendentemente dalluso che se ne faccia. Permane, ad avviso del Giudice remittente, un dubbio sullinterpretazione dellart. 5, n. 1, lett. a) della direttiva e, in particolare, se esso consenta di sanzionare, sulla base del diritto dei marchi, luso come ragione sociale e insegna di un segno validamente registrato in precedenza. La Cour dappell ha quindi sottoposto allesame della Corte il seguente quesito: Se lart. 5, n. 1, della direttiva (CE) n. 89/104 debba essere interpretato nel senso che ladozione, da parte di un terzo che non vi è autorizzato, di un marchio nominativo registrato, a titolo di denominazione sociale, nome commerciale o insegna nellambito di unattività di commercializzazione di prodotti identici costituisce un atto duso di tale marchio nella vita commerciale che il titolare può far cessare in forza del suo diritto esclusivo. Normativa comunitaria Vengono in rilievo, ai fini della risoluzione della questione pregiudiziale, lart. 5, nn. 1 e 5 e lart. 6, n. 1, della direttiva 89/104/CEE sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi. Lart. 5 della direttiva, intitolato Diritti conferiti dal marchio dimpresa , ai numeri 1 e 5 stabilisce che: 1. Il marchio registrato di impresa conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, si usare nel commercio: a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti identici a quelli per cui esso è stato registrato; 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO b) un segno che, a motivo dellidentità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dellidentità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio dimpresa ( ). 5. I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro luso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando luso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi Lart. 6 della direttiva, intitolato Limitazione degli effetti del marchio dimpresa, al numero 1 stabilisce: 1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi luso nel commercio: a) del loro nome e indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, allepoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché luso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. Lesame della giurisprudenza della Corte sembra far emergere posizioni non del tutto coincidenti. La Corte ha affermato che lart. 5, n. 1, della direttiva realizza unarmonizzazione completa e definisce il diritto esclusivo di cui godono i titolari dei marchi allinterno della Comunità (v. sentenze 12 novembre 2002, causa C- 206/01, Arsenal Football Club plc/Matthew Reed, punto 43; 20 novembre 2001, Cause riunite C-414/99 e C-416/99, punto 39) ed ha enfatizzato il nono considerando della direttiva, nel quale si precisa che questultima mira a garantire al titolare del marchio dimpresa, negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri, la medesima tutela e si qualifica tale finalità come fondamentale (v. citata sentenza Arsenal Football Club/Reed, punto 44). Ha aggiunto cha la natura esclusiva del diritto conferito dal marchio registrato al titolare di questultimo in forza dellart. 5, n. 1, lett. a), della direttiva può essere giustificata solo nei limiti dellambito di applicazione di tale disposizione (v. sentenza Arsenal Football Club/Reed, cit., punto 52). In altra occasione la Corte ha ricordato che la direttiva, prima direttiva di armonizzazione nel settore del diritto dei marchi dimpresa, ha ad oggetto, secondo il suo primo considerando, il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa, al fine di eliminare le disparità esistenti in grado di ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazioni dei servizi e che, tuttavia, ai sensi del suo terzo conside- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 89 rando, essa non mira al riavvicinamento completo delle dette legislazioni (v. sentenza 21 novembre 2002, causa C-23/01, Robelco NV Robelco Groep NV, punto 33). Infatti, per il terzo considerando della direttiva, non appare attualmente necessario procedere ad un riavvicinamento completo delle legislazioni degli Stati membri in tema di marchi dimpresa e che è sufficiente limitare il riavvicinamento alle disposizioni nazionali che hanno incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno. La Corte ha quindi concluso che la tutela rafforzata del carattere distintivo o della notorietà di un marchio dimpresa contro determinati usi di un segno a fini diversi da quello di contraddistinguere prodotti o servizi non rientra nellarmonizzazione comunitaria e che, pertanto, qualora il segno non sia utilizzato al fine di contraddistinguere prodotti o servizi, ci si deve riferire agli ordinamenti degli Stati membri per determinare la portata e, se del caso, il contenuto della tutela concessa ai titolari di marchi che sostengano di subire un danno derivante dalluso di tale segno come nome commerciale o denominazione sociale (sentenza Robelco NV/Robelco Groep NV, cit., punti 31 e 34). Normativa nazionale italiana La direttiva è stata trasposta nel diritto italiano dal decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 480, che ha modificato il R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (già in precedenza modificato dalla legge 21 marzo 1967, n. 158). Le norme in questione sono state poi trasfuse nel Codice della proprietà industriale, emanato con decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, che ha regolamentato complessivamente la materia. Lart. 20 del Codice, rubricato Diritti conferiti dalla registrazione stabilisce che: 1. I diritti del titolare del marchio dimpresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nellattività economica: a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dellidentità o somiglianza fra i segni e dellidentit à o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se luso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi. 2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità. 3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci. Lart. 21 del Codice, rubricato Limitazioni del diritto di marchio stabilisce che: 1. I diritti di marchio dimpresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi luso nellattività economica: a) del loro nome e indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, allepoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio dimpresa se esso è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché luso sia conforme ai principi della correttezza professionale. 2. Non è consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi. 3. È vietato a chiunque di fare uso di un marchio registrato dopo che la relativa registrazione è stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità delluso del marchio. Lart. 22 del Codice, rubricato Norme relative allesistenza, allambito e allesercizio dei diritti di proprietà industriale, stabilisce che: 1. È vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale un segno uguale o simile allaltrui marchio se, a causa dellidentità o dellaffinità tra lattività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. 2. Il divieto di cui al comma 1 si estende alladozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se luso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi. Linterpretazione recepita nella giurisprudenza italiana è nel senso di ritenere illecito linserimento nella ditta o nella regione sociale di parole rap- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 91 presentative del marchio altrui (Corte di cassazione sent. 26 agosto 2004, n. 17004) ovvero luso, nella propria insegna, del marchio altrui accanto alla propria denominazione (Corte di cassazione sent. 21 ottobre 1998, n. 14016), quando, a causa dellidentità o dellaffinità tra lattività dimpresa dei titolari di quei segni e i prodotti o i servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Tali illeciti, secondo la prevalente giurisprudenza italiana, costituiscono atti di contraffazione del marchio, che il titolare del diritto sul segno distintivo registrato ha diritto di far cessare, chiedendo che sia ordinata lintegrazione o la modificazione della ditta o della denominazione in contestazione mediante lutilizzo di elementi idonei a differenziarla (Tribunale di Napoli, 21 luglio 2000 Tufano s.a.s./Tufano s.r.l.; Tribunale di Firenze, 14 giugno 1988, Guccio Gucci/Gucci). Osservazioni del Governo italiano Per effetto delle lettere a) e b) dellart. 5, numero 1, della direttiva, il titolare del diritto esclusivo sul marchio ha la facoltà di vietare luso nel commercio di un segno identico al marchio per contraddistinguere prodotti e servizi identici a quelli contraddistinti dal marchio dimpresa nonché, se ciò possa dare adito ad un rischio di confusione per il pubblico, ivi compreso il rischio di associazione tra il segno e il marchio dimpresa, di vietare luso di un segno identico per contraddistinguere prodotti o servizi simili ovvero di un segno simile per contraddistinguere prodotti o servizi identici ovvero, ancora, luso di un segno simile per contraddistinguere prodotti simili. Ai fini della risoluzione della questione pregiudiziale, occorre verificare se questa disposizione riguardi esclusivamente il conflitto di segni utilizzati in funzione identica, vale a dire per contraddistinguere direttamente prodotti o servizi, ovvero possa, a determinate condizioni, essere applicato ai casi di conflitto di segni utilizzati in funzione diversa, luno per contraddistinguere prodotti o servizi, laltro per denominare limpresa o lesercizio nei quali si svolge lattività commerciale. Nel caso in cui debba darsi soluzione negativa alla questione sopra enunciata, occorre ulteriormente verificare se ciò precluda ad uno Stato membro, se lo voglia e alle condizioni da esso fissate, di reprimere, in base al diritto di esclusiva conferito da un marchio, condotte quali quelle che rilevano nella causa principale, ovvero se, ferme restando le disposizioni sulla concorrenza sleale, la responsabilità civile o la tutela dei consumatori (v. sesto considerando della direttiva), una regolamentazione di questo tipo si ponga in contrasto con lart. 5, numero 1, che definisce la materia oggetto di armonizzazione. Ritiene il Governo italiano che la riproduzione servile di un segno, registrato come marchio, per la designazione di unattività di commercio di prodotti identici a quelli per i quali il marchio è registrato, come si è verificato nella controversia che ha dato luogo alla causa principale, configuri, nel caso in cui essa possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, ivi compreso il rischio di associazione tra il segno e il marchio dimpresa, una violazione del diritto di esclusiva conferito dal marchio. 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Luso nel commercio, senza giusto motivo, di un segno identico al marchio altrui, ancorché senza materiale apposizione del segno sul prodotto, è, infatti, condotta per sua natura tale da creare pericolo di confusione circa la provenienza del prodotto tanto più nel caso in cui sia dato di riscontrare la vicinanza o, peggio, lidentità merceologica tra i prodotti e circa lesistenza di rapporti intercorrenti tra il commerciante ed il titolare del marchio, perch é crea nel pubblico lerroneo convincimento che il venditore sia inserito nellorganizzazione che fa capo al titolare del marchio o che, comunque, via sia un collegamento fra i due, tale per cui i prodotti venduti dal primo siano quelli tutelati dal marchio del secondo. Una tutela effettiva del marchio impone che sia consentito al titolare di impedire, indipendentemente dalla ricorrenza dei presupposti di applicabilit à delle disposizioni sulla concorrenza sleale e sulla responsabilità civile, la commercializzazione di prodotti o servizi, ancorché non contraddistinti da segno identico o simile al marchio, secondo modalità tali da poter accreditare nei consumatori la convinzione che si tratti dei prodotti o dei servizi contraddistinti dal marchio registrato. Questa evenienza si verifica certamente nel caso in cui la riproduzione del segno identico al marchio sia apposta nellinsegna, perché linsegna è strumento distintivo di individuazione pressoché esclusivamente rispetto alla clientela risultando, anzi, il mezzo principale che rende nota al pubblico lidentit à dellazienda ed è per sua stessa natura provvista di carattere e contenuto innegabilmente pubblicitario delle caratteristiche dei prodotti o dei servizi offerti. Un siffatto uso, senza giusto motivo, del segno identico al marchio produce, in ultima analisi, effetti sostanziali non dissimili da quelli derivanti dall apposizione del segno sul prodotto e suggerisce ladozione di analoghe forme di tutela. Sussiste, in definitiva, in fattispecie come quelle che hanno dato origine alla controversia principale, quella esigenza di evitare il rischio di confusione sulla provenienza del prodotto o del servizio ovvero dellidentità del produttore o fabbricante, in vista della quale è attribuito il diritto di esclusiva. La proposta conclusione non appare contraddetta dal testo della direttiva, se interpretato alla luce del criterio sistematico e teleologico. La Corte ha evidenziato che la direttiva 89/104 è diretta, in maniera generale, a contemperare, da un lato, gli interessi del titolare di un marchio a salvaguardare la funzione essenziale di questultimo e, dallaltro, linteresse di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei ad identificare i loro prodotti e servizi (v. sentenza 27 aprile 2006, causa C-145/05, Levi Strauss & Co./Casucci SpA, punto 29). La tutela dellinteresse degli altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei ad identificare i loro prodotti o servizi non può spingersi sino a consentire ad essi di utilizzare un segno distintivo, quale linsegna o la denominazione commerciale, identico ad un marchio registrato (e idoneo creare un rischio di confusione per il pubblico), per la commercializzazio- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 93 ne di prodotti identici o simili, potendo i due interessi contrapposti trovare ragionevole bilanciamento attraverso limposizione di una modificazione della ditta e della denominazione commerciale tale da eliminare il suddetto rischio. Allo scopo di tutelare linteresse degli operatori economici diversi dal titolare del marchio, la direttiva prevede, daltronde, allarticolo 6, alcune limitazioni degli effetti del marchio di impresa. In particolare, alla lettera a), stabilisce che il diritto conferito dal marchio non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi luso nel commercio del loro nome e indirizzo. Da questa disposizione sembra potersi argomentare che la direttiva non precluda al titolare del marchio di impedire a terzi luso nel commercio di segni distintivi, ancorché non apposti sui prodotti o associati direttamente ai servizi offerti, a meno che questi segni non coincidano con il nome o lindirizzo di detti terzi. Linterpretazione proposta, da ultimo, non impedirebbe che sia attribuito un effetto utile allart. 5, numero 5, della direttiva, il cui ambito di applicazione dovrebbe essere riferito ai casi di c.d. utilizzazione atipica dellaltrui marchio, costituiti dalluso di un marchio o di un marchio celebre in funzione prevalentemente pubblicitaria ed in relazione al commercio di prodotti non simili a quelli tutelati dal marchio. In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere al quesito sottoposto al suo esame affermando che Lart. 5, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi dimpresa, deve essere interpretato nel senso che ladozione, da parte di un terzo che non vi è stato autorizzato, di un marchio nominativo registrato, a titolo di ragione sociale, nome commerciale o insegna nellambito di unattività di commercializzazione di prodotti identici costituisce un atto duso di tale marchio nella vita commerciale che il titolare può far cessare in forza del suo diritto esclusivo, se, a causa dellidentità o dellaffinità tra lattività di impresa degli utilizzatori di quei segni e i prodotti o servizi per i quali il marchio é adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, ivi compreso il rischio di associazione tra il segno e il marchio. In subordine, il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere al quesito sottoposto al suo esame affermando che Gli artt. 5, nn. 1 e 5, e 6 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi dimpresa, devono essere interpretati nel senso di non precludere ad uno Stato membro, se lo vuole e alle condizioni da esso fissate, di tutelare un marchio contro luso di un segno simile o uguale ad esso quale ragione sociale, nome commerciale o insegna, se, a causa dellidentità o affinità tra lattività di impresa dei titolari di questi segni e i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determi- 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO narsi un rischio di confusione per il pubblico, ivi compreso il rischio di associazione tra il segno e il marchio. Roma, 24 maggio 2006 Avvocato dello Stato Sergio Fiorentino». Causa C-61/06 (Commissione delle Comunità europee c/ Repubblica italiana) Ricorso per inadempimento ex art. 226 CE notificato il 2 marzo 2006 Promozione ed uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti Relazione annuale Direttiva 2004/30/CE (ct. 10018/06, avv. dello Stato S. Fiorentino). IL RICORSO «1. Con il ricorso la Commissione chiede alla Corte di costatare che la Repubblica italiana, non avendo presentato, anteriormente al 1° luglio 2004, la relazione nazionale annuale sulla promozione dei biocarburanti, è venuta meno agli obblighi imposti dallarticolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell8 maggio 2003 (di seguito la direttiva), sulla promozione e luso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti (1). 2. La Commissione ha ricordato che scopo della direttiva, come previsto dal suo articolo 1, è la promozione dellutilizzazione di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili in sostituzione di carburante diesel o di benzina nei trasporti in ciascuno Stato membro, al fine di contribuire al raggiungimento di obiettivi quali rispettare gli impegni in materia di cambiamenti climatici, contribuire alla sicurezza dellapprovvigionamento rispettando lambiente e promuovere le fonti di energia rinnovabili. 3. Larticolo 4, paragrafo 1, della direttiva recita: Gli Stati membri comunicano alla Commissione, anteriormente al 1° luglio di ogni anno, le misure adottate per promuovere lutilizzazione di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili in sostituzione di carburante diesel o di benzina nei trasporti, le risorse nazionali assegnate alla produzione di biomassa per usi energetici diversi dai trasporti, e il totale delle vendite di carburanti da trasporto e la quota dei biocarburanti, puri o miscelati, e di altri carburanti rinnovabili immessi sul mercato per lanno precedente. Se del caso gli Stati membri segnalano le condizioni eccezionali nellofferta di petrolio greggio o di prodotti petroliferi che hanno influenzato la commercializzazione dei biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili. Nella loro prima relazione successivamente allentrata in vigore della presente direttiva gli Stati membri inseriscono il livello dei rispettivi obietti- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 95 (1) G.U.U.E. n. L 123 del 17 maggio 2003, pagina 42. vi nazionali indicativi per la prima fase. Nella relazione riguardante lanno 2006, gli Stati membri inseriscono i rispettivi obiettivi indicativi nazionali per la seconda fase. In tali relazioni le differenziazioni degli obiettivi nazionali rispetto ai valori di riferimento di cui allarticolo 3, paragrafo 1, lettera b), sono motivate e potrebbero essere basate sugli elementi seguenti: a) fattori obiettivi quali il limitato potenziale nazionale di produzione di biocarburanti a partire dalla biomassa; b) lammontare delle risorse assegnate alla produzione di biomassa per usi energetici diversi dai trasporti e le specifiche caratteristiche tecniche o climatiche del mercato nazionale dei carburanti per il trasporto; c) politiche nazionali che assegnino risorse comparabili alla produzione di altri carburanti per il trasporto basati su fonti energetiche rinnovabili e che siano coerenti con gli obiettivi della presente direttiva. 4. Con lettera del 21 marzo 2005 la Commissione, ai sensi dellart. 226 CE, richiamava lattenzione del Governo italiano sullobbligo di trasmettere la relazione sulla promozione delluso dei biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili nei trasporti, prevista dallarticolo 4, paragrafo 1, della direttiva. 5. Con tale lettera, la Commissione invitava lItalia a presentare le proprie osservazioni entro due mesi dal ricevimento della stessa e la rendeva edotta del fatto che, dopo aver preso nota delle eventuali osservazioni trasmesse, o nel caso in cui nessuna osservazione fosse pervenuta entro il termine suddetto, la Commissione avrebbe emesso un parere motivato ai sensi dellarticolo 226 CE. 6. Scaduto questo termine senza che fosse pervenuta alcuna comunicazione da parte delle Autorità italiane, con lettera del 13 luglio 2005 la Commissione emetteva un parere motivato con il quale invitava la Repubblica italiana ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro due mesi a decorrere dal suo ricevimento. 7. Non avendo ricevuto risposta alcuna al parere motivato, la Commissione si rivolgeva a codesta Corte, chiedendo laccoglimento delle conclusioni qui riportate al punto 1». IL CONTRORICORSO DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Con decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128 (2) , entrato in vigore il 13 luglio 2005, la Repubblica Italiana ha assicurato una completa trasposizione della direttiva, in particolare stabilendo gli obiettivi indicativi nazionali allarticolo 3, nel quale è previsto che: Sono fissati i seguenti obiettivi indicativi nazionali, calcolati sulla base del tenore energetico, di immissione in consumo di biocarburanti e altri carburanti rinnovabili, espressi come percentuale del totale del carburante diesel e di benzina nei trasporti immessi al consumo del mercato nazionale: a) entro il 31 dicembre 2005: 1,0 per cento; b) entro il 31 dicembre 2010: 2,5 per cento. Larticolo 8, comma 4, del decreto legislativo, stabilisce che entro il 1° luglio di ogni anno, il Ministero delleconomia e delle finanze, dintesa con 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO i Ministeri dellambiente e della tutela del territorio, delle attività produttive e delle politiche agricole e forestali, comunica alla Commissione i dati di cui allAllegato II e trasmette la relativa relazione. LAllegato II, al quale allude larticolo 8, comma 4, ora citato, riproduce il contenuto dellarticolo 4, paragrafo 1, della direttiva. Secondo costante giurisprudenza della Corte, lesistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (v. sentenze 31 marzo 1992, causa C-362/90, Commissione/Italia, punto 8; 4 luglio 2002, causa C-173/01, Commissione/Grecia, punto 7, 10 aprile 2003, causa C-114/02, Commissione/Francia, punto 9; 27 ottobre 2005, causa C- 525/03, Commissione/Italia, punto 14). Il Governo italiano, pur riconoscendo di non avere presentato, anteriormente al 1° luglio 2004, la relazione annuale sulla promozione dei biocarburanti prevista dallarticolo 4, paragrafo 1, della direttiva, ritiene di avere adottato, entro il termine stabilito nel parere motivato della Commissione, le misure idonee a conformarsi al parere medesimo. Sulla base delle considerazioni che precedono, il Governo italiano confida che la Corte vorrà accogliere le seguenti conclusioni: Rigettare il ricorso ovvero dichiarare che è cessata la materia del contendere. Roma, 11 maggio 2006 Avvocato dello Stato Sergio Fiorentino» Causa C-71/06 (Commissione delle Comunità europee c/ Repubblica italiana) Ricorso per inadempimento ex art. 226 CE, depositato il 7 febbraio 2006, notificato il 2 marzo 2006 Direttiva 2003/85/CE del Consiglio del 29 settembre 2003 Misure comunitarie di lotta contro lafta epizootica (ct.10019/06, avv. dello Stato W. Ferrante). IL RICORSO «Il ricorso è diretto a far constatare che la Repubblica Italiana, non adottando le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2003/85/CE del Consiglio del 29 settembre 2003 relativa a misure comunitarie di lotta contro lafta epizootica, che abroga la direttiva 85/511/CEE e le decisioni 89/531/CEE e 91/665/CEE e recante modifica della direttiva 92/46/CEE o comunque non avendo comunicato tali disposizioni alla Commissione, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dellart. 93, n. 1, della citata direttiva 2003/85/CE». IL CONTRORICORSO DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Il Governo italiano precisa che la legge 18 aprile 2005 n. 62 (in G.U.R.I. 27 aprile 2005 n. 96) Disposizioni per ladempimento di obblighi derivan- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 97 (2) Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 12 luglio 2005, n. 160 ti dallappartenenza dellItalia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 allarticolo 1 comma 1 dispone Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B. Nellelenco delle direttive da recepire nellallegato B, è espressamente indicata la direttiva 2003/85/CE del Consiglio, del 29 settembre 2003, relativa a misure comunitarie di lotta contro lafta epizootica, che abroga la direttiva 85/511/CEE e le decisioni 89/531/CEE e 91/665/CEE e recante modifica della direttiva 92/46/CEE. Il 17 febbraio 2006, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare il testo dello schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2003/85/CE del Consiglio del 29 settembre 2003 relativa a misure comunitarie di lotta contro lafta epizootica, che abroga la direttiva 85/511/CEE e le decisioni 89/531/CEE e 91/665/CEE e recante modifica della direttiva 92/46/CEE. Attualmente lo stesso decreto, dopo aver acquisito il parere della Conferenza Stato regioni, è stato trasmesso alle Commissioni parlamentari per lacquisizione dei prescritti pareri. Nelle more, in data 9 e 10 aprile 2006 si sono svolte le elezioni del nuovo Parlamento. Il procedimento di recepimento della direttiva si completerà al più presto con lemanazione del decreto legislativo previsto dal citato articolo 1 comma 1 della legge delega n. 62/2005. Si fa pertanto riserva di comunicare lavvenuta emanazione di tale decreto, confidando nella disponibilità della Commissione a rinunciare al ricorso proposto. Roma, 10 maggio 2006 Avvocato dello Stato Wally Ferrante». Causa C-73/06 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Società Planzer Luxembourg s.a.r.l. (ricorrente) c/ Bundeszentralamt fuer Steuern (Amministrazione finanziaria tedesca convenuto) Ordinanza promossa dalla seconda sezione del Finanzgericht di Koeln il 19 gennaio, depositata l8 febbraio 2006 (cs.15990/06, avv. dello Stato S. Fiorentino). I QUESITI 1. Se da unattestazione della qualità di imprenditore conforme al modello di cui allallegato B dellOttava Direttiva risulti un effetto vincolante, o una presunzione irrefutabile a favore dello stabilimento dellimprenditore nello Stato di rilascio dellattestazione. 2. In caso di soluzione negativa alla prima questione: se la nozione sede dellattività economica ai sensi dellart. 1, n. 1, della Tredicesima Direttiva vada interpretata nel senso che con ciò sintende il luogo ove la società ha la sede statutaria, 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO o ci si deve riferire al luogo ove vengono adottate le decisioni in materia di gestione dellimpresa, o è rilevante il luogo in cui vengono prese le decisioni determinanti ai fini della normale operativa gestione quotidiana. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Secondo quanto si ricava dallordinanza di rimessione, la controversia principale è insorta in quanto lAmministrazione fiscale tedesca ha respinto la domanda di rimborso dellIVA assolta a monte presentata dalla Planzer Luxembourg s.a.r.l. La ricorrente aveva allegato alla domanda di rimborso unattestazione della Administration de lEnregistrement del Granducato di Lussemburgo conforme al modello di cui allallegato B dellOttava Direttiva IVA (Direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra daffari Modalità di rimborso dellimposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti allinterno del Paese). LAmministrazione fiscale tedesca rifiutava il rimborso in quanto la sede della attività economica della società era localizzata in Svizzera e non in Lussemburgo, dove la ricorrente aveva la sede statutaria. Secondo il Bundeszentralamt fuer steuern, infatti, la società esercitava, nel periodo rilevante ai fini del rimborso, la propria gestione operativa a partire dalla Svizzera, dove aveva sede lunico socio, la Planzer Transport ag, a sua volta impresa di trasporto, come sarebbe emerso dagli accertamenti condotti dallamministrazione tributaria lussemburghese. La società doveva, pertanto, considerarsi soggetto passivo non residente nel territorio della Comunità, dovendosi tale nozione ricavare dallart. 1, n. 1, della Tredicesima direttiva IVA (Direttiva del Consiglio 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra daffari Modalità di rimborso dellimposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità), secondo il quale è tale il soggetto passivo di cui allarticolo 4, paragrafo 1, della direttiva 77/388/CEE che, nel corso del periodo di cui allarticolo 3, paragrafo 1, non ha fissato in tale territorio né la sede della propria attività economica né costituito un centro di attivit à stabile a partire dal quale sono state svolte le operazioni né, in mancanza di detta sede o di detto centro di attività stabile, il proprio domicilio o la propria residenza abituale e che, nel corso del medesimo periodo, non ha effettuato alcuna cessione di beni o prestazione di servizi che si consideri localizzata nello Stato membro previsto dallarticolo 2, ad eccezione ... (omissis).... Riteneva, infine, lAmministrazione fiscale tedesca che lattestazione della qualità di soggetto passivo di cui allallegato B dellOttava direttiva non avesse effetti vincolanti, né sul piano sostanziale, né sul piano della prova, circa lo stabilimento dellimprenditore nello Stato di rilascio dellattestazione. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 99 Il Giudice remittente ha rilevato che, secondo il diritto nazionale tedesco, se il ricorrente fosse da considerare residente fuori dal territorio comunitario, il rimborso non spetterebbe, ai sensi del combinato disposto dallart. 18, n. 9, sesta e settima frase dellUmsatzsteuergesetzes (legge tedesca relativa allimposta sulla cifra daffari UstG 1993) con i quali sono stati sostanzialmente trasposti nel diritto interno lart. 17, n. 4, della Sesta direttiva e lart. 1, punto, 1, della Tredicesima direttiva e dellart. 18, n. 2, settima frase del medesimo UstG 1993, perchè secondo questultima disposizione gli imprenditori non residenti nel territorio comunitario sono esclusi dal rimborso per le quote di imposte pagate corrispondenti allacquisto di carburante, indipendentemente dallesistenza della condizione di reciprocità con lo Stato di residenza. In punto di fatto, Il Giudice remittente ha accertato che la ricorrente aveva la sede statutaria nel periodo del rimborso in Lussemburgo e lì prendeva anche le decisioni importanti ai fini della gestione, per contro nello stesso periodo la gestione operativa era effettuata a partire dalla Svizzera. Di qui la rilevanza della questione che deve essere risolta, ad avviso del Finanzgericht, in accordo con il disposto dellart. 1, punto 1, della Tredicesima direttiva e, dunque, secondo linterpretazione, che viene rimessa a codesta Corte, delle nozioni di residenza e di sede dellattività economica. Assume, tuttavia, rilievo preliminare, come rileva il Giudice remittente, stabilire se debbano annettersi effetti vincolanti allattestazione rilasciata, ai sensi degli art. 3, lettera b) e 9 della Ottava direttiva e del suo Allegato B dall amministrazione finanziaria dello Stato comunitario nel quale limprenditore assume di essere residente, circa il fatto che egli soggetto passivo rispetto allimposta sul valore aggiunto in tale Stato. Il Governo italiano osserva quanto segue. Sulla prima questione La prima questione concerne linterpretazione dellart. 3, lettera b) e dell art. 9, seconda frase, della direttiva 79/1072/CEE (Ottava direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulle cifre daffari). Lart. 3 della Ottava direttiva dispone: Per beneficiare del rimborso, ogni soggetto passivo di cui allarticolo 2 che non ha effettuato alcuna cessione di beni o prestazioni di servizi che si consideri localizzata allinterno del Paese, deve: a) ... Omissis ... b) comprovare, mediante attestazione rilasciata dallamministrazione dello Stato in cui è residente, che egli è assoggettato allimposta sul valore aggiunto in tale Stato. Tuttavia, quando il servizio competente di cui allarticolo 9, primo comma, è già in possesso di tale documento giustificativo, il soggetto passivo non è più tenuto a fornirne un altro per un anno, a decorrere dalla data del rilascio della prima attestazione da parte dellamministrazione dello Stato in cui egli è residente. Gli Stati membri non rilasciano alcuna attestazione di soggetti passivi che beneficiano di una franchigia dellimposta ai sensi dellarticolo 24, paragrafo 2, della direttiva 77/388/CEE; c) ... omissis ...; d) ... omissis .... 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Lart. 9 dellOttava direttiva dispone: (omissis) Le attestazioni di cui allarticolo 3, lettera b) e allarticolo 4, lettera a), concernenti la qualità di soggetto passivo, devono essere conformi ai modelli che figurano nellallegato B. La direttiva, nella versione italiana, mostra una diversità tra la dizione contenuta nellarticolo 3, secondo il quale il soggetto passivo deve dimostrare di essere assoggettato allimposta sul valore aggiunto e quella contenuta nellarticolo 9, secondo cui lattestazione riguarderebbe la qualità di soggetto passivo allimposta: deve, tuttavia, ritenersi le due espressioni siano utilizzate come sinonimi, come si desume anche dalla versione inglese del testo, che allart. 3, lettera b), recita .. produce evidence, in the form of a certificate issued by the official authority of the State in which he is established, that he is a taxable person for the purposes of value added tax in that State. Anche il modello previsto dallAllegato B, daltra parte, è rubricato Testazione della qualità di soggetto passivo e la relativa certificazione si risolve nellattestazione che è il soggetto è titolare di un numero di registrazione IVA (in Italia, c.d. partita IVA). Ciò posto, si tratta di stabilire se da tale attestazione discenda un effetto vincolante a favore dello stabilimento dellimprenditore nello Stato membro che ha rilasciato lattestazione. Ritiene il Governo italiano che a tale quesito debba darsi risposta negativa. La questione se un soggetto sia, o meno, stabilito allinterno di uno Stato membro non può, infatti, essere rimessa alla volontà dellamministrazione finanziaria dello Stato medesimo, in quanto essa scaturisce da una nozione autonoma di diritto comunitario, che deve ricevere una definizione comunitaria indipendente dalle singole legislazioni nazionali e/o dalle determinazioni assunte dalle articolazioni amministrative dei singoli Stati membri. Appare di intuitiva comprensione, infatti, che lapplicazione di una interpretazione non uniforme delle nozioni di residenza e di sede dellattivit à economica potrebbe essere fonte di doppia imposizione o, per contro, di ingiustificata esenzione. È, pertanto, da escludere che lattestazione in esame, rilasciata dallamministrazione finanziaria di uno Stato membro sulla base della propria legislazione nazionale (sia pure relativa a materia oggetto di armonizzazione comunitaria), possa rendere incontestabile, da parte delle autorità degli altri Stati membri, lo status di impresa stabilita in detto primo Stato, sia determinando un effetto sostanziale in tal senso, sia il che è equivalente, noto essendo che le presunzioni assolute sono estranee al tema della prova dei fatti giuridici, ma operano sul piano sostanziale introducendo una presunzione che non ammetta la prova contraria. Un simile assunto impedirebbe, infatti, allamministrazione fiscale di uno Stato membro di invocare una corretta interpretazione della nozione di diritto comunitario, di fatto rimettendo allautonoma determinazione delle autorità di altro Stato membro lapplicazione di tale nozione al caso concreto. IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 101 Può, invece, convenirsi che dallattribuzione di un numero di partita IVA ad unimpresa che ne abbia fatto richiesta derivi, per ragioni di ordine logico giuridico, una presunzione semplice, valevole sino a prova contraria, della esistenza, nello Stato di rilascio, della sede dellattività economica o di un centro di attività stabile o del domicilio o della residenza abituale dellimpresa medesima (secondo la definizione contenuta nellarticolo 1 dellOttava direttiva, analoga, come si vedrà, a quella contenuta nellarticolo 1, numero 1, della Tredicesima direttiva). La proposta soluzione si dimostra coerente con la lettera dellart. 3 dellOttava direttiva. Il testo della lettera b) dellarticolo enuncia, infatti, chiaramente che lattestazione è richiesta ai soli fini della prova di una situazione di fatto, escludendo che il soggetto passivo di cui allarticolo 2 cioè il soggetto passivo non residente allinterno del Paese perché effettivamente non ricorre alcuna delle condizioni previste dal precedente articolo 1, al quale larticolo rimanda possa dimostrare diversamente il proprio status nei confronti delle autorità fiscali di uno Stato membro, ma non indica, in alcuna sua parte, che la effettiva sussistenza tale situazione di fatto non possa essere contestata dai terzi che ne abbiano interesse, sia pure, come è ovvio, sopportandone il relativo onere probatorio. Anche il testo del modello contenuto nellallegato B), daltra parte, rende palese che oggetto della certificazione è esclusivamente il possesso di un numero di partita IVA nello Stato che la rilascia, per modo che non può ipotizzarsi, sulla base di essa, linsorgenza di una situazione di legittimo e incolpevole affidamento circa lincontestabilità della propria residenza in capo al beneficiario della dichiarazione. Deve, dunque, concludersi che lattestazione in esame costituisca prova necessaria al fine di opporre, alle autorità di uno Stato membro, il proprio stabilimento in un altro Stato membro, ma non sufficiente in presenza di una prova contraria, da fornirsi da parte di chi vi abbia interesse. Sulla seconda questione Stabilito che il possesso dellattestazione rilasciata dalle autorità lussemburghesi non precludeva allamministrazione finanziaria tedesca di contestare alla ricorrente il suo affermato status di impresa stabilita in altro Stato membro della Comunità, può avere ingresso la seconda questione pregiudiziale introdotta dal Giudice remittente. Dalla lettura dellordinanza di rimessione sembra evincersi che lamministrazione finanziaria tedesca non ha contestato lautonomia della società costituita in Lussemburgo rispetto alla controllante sita in Svizzera, invocando il principio per cui la soggettività fiscale della stabile organizzazione di un soggetto non residente può essere negata pure nellipotesi di una sua personalit à giuridica, posto che laccertamento di un autonomo centro dimputazione dei rapporti tributari deve essere condotto, anche in materia di IVA, non solo sul piano formale, ma anche, e soprattutto, su quello sostanziale (applicazione di tale principio, cui rinvia anche lart. 4, numero 4, seconda frase della Sesta Direttiva IVA, si rinviene, ad esempio, nella sentenza 20 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO febbraio 1997, causa C-260/95, Commissioners o Custom & Excise/DFDS A/S, punto 26). Sembra, in altre parole, che il convenuto non contesti che limpresa avente sede statutaria in Lussemburgo sia autonoma dalla controllante svizzera, ma che esso deduca che anche limpresa formalmente situata in Lussemburgo debba considerarsi localizzata in Svizzera perché era ivi situato uno dei criteri di collegamento contemplati dallart. 1, numero 1), della Tredicesima direttiva e, in particolare, la sede della attività economica della società. Diviene, allora, centrale linterpretazione della locuzione sede della attività economica. Questa nozione è utilizzata tanto dallart. 1 dellOttava direttiva e dall art. 1, numero 1), della Tredicesima, dove opera quale criterio di collegamento soggettivo, quanto dallart. 9, numero 1, della Sesta direttiva, dove opera quale criterio di localizzazione oggettiva della prestazione di servizi. In questultimo contesto essa costituisce, secondo la giurisprudenza della Corte, il punto di riferimento preferenziale, nel senso che la presa in considerazione di un altro centro di attività a partire dal quale viene resa la prestazione di servizi entra in linea di conto solo nel caso in cui il riferimento alla sede non conduca ad una soluzione razionale dal punto di vista fiscale o entri in conflitto con un altro Stato membro (v. sentenza 17 luglio 1997, causa C- 190/95, ARO Lease BV/Inspecteur der Belastingdienst Grote Ondernemingen te Amsterdam, punto 15; v. anche sentenza 4 febbraio 1984, causa C-168/84, Commissioners o Custom & Excise/DFDS A/S, punti 17 e 18, Berkholz; sentenza 20 febbraio 1997, causa C-260/95, DFDS A/S, citata, punto 19). Come ha rilevato il Giudice remittente, tuttavia, non si rinvengono nella giurisprudenza casi in cui la Corte si sia occupata ex professo dellinterpretazione della nozione di sede dellattività economica. Ritiene il Governo italiano che lanalisi vada condotta ponendo lattenzione, piuttosto che sul dato formale, sulla realtà economica e commerciale, come si trova affermato nella giurisprudenza della Corte, che ha chiarito che la presa in considerazione della realtà economica costituisce un criterio fondamentale per lapplicazione del sistema comune dellIVA (sentenza 20 febbraio 1997, causa C-260/95, DFDS A/S, citata, punto 23). Sembra, pertanto, da rifiutare la prima delle ipotesi formulata dal Giudice remittente, secondo la quale la sede dellattività economica deve farsi necessariamente coincidere con il luogo in cui la società ha la sede statutaria. Questa soluzione pare, del resto, da escludere anche perché il testo dell art. 1, numero 1), della Tredicesima direttiva mostra chiaramente di considerare come nozioni distinte la sede dellattività economica e il domicilio che, per le persone giuridiche, coincide con la sede statutaria. Il medesimo articolo 1, numero 1, contempla, quale nozione a sua volta autonoma dal domicilio, quella della residenza abituale. Questultima, nel caso delle persone giuridiche, deve probabilmente ritenersi coincidere con IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 103 quella che, in alcuni ordinamenti quale quello italiano, viene definita la sede effettiva dellente, vale a dire il luogo in cui abbiano concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dellente, e dove operino i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi, ossia il luogo deputato o stabilmente utilizzato per laccentramento, nei rapporti interni o con i terzi, degli organi e degli uffici in vista del compimento degli affari e della propulsione dellattività dellente. Sembra, pertanto, che la seconda delle ipotesi formulate dal Giudice remittente, riferita al luogo in cui vengono adottate le decisioni in materia di gestione dellimpresa, privi di autonomia la nozione di sede dellattivit à economica, perché finisce per farla coincidere con la residenza abituale. Un rilievo autonomo può, in ultima analisi, essere attribuito alla sede dell attività economica solo accedendo alla terza delle ipotesi formulate nel quesito, coincidente con quella propugnata nella causa principale dellAmministrazione finanziaria tedesca, secondo cui essa coincide con il luogo, eventualmente diverso dal domicilio o dalla residenza abituale, nel quale vengono adottate le decisioni determinanti ai fini della normale operativa gestione quotidiana. In conclusione il Governo italiano suggerisce alla Corte rispondere al quesito sottoposto al suo esame affermando che: 1. da unattestazione della qualità di imprenditore conforme al modello di cui allallegato B dellOttava Direttiva non deriva un effetto vincolante, né una presunzione assoluta, a favore dello stabilimento dellimprenditore nello Stato di rilascio dellattestazione; 2. la nozione di sede dellattività economica ai sensi dellart. 1, n. 1, della Tredicesima Direttiva deve essere interpretata nel senso che con ciò si intende il luogo, eventualmente diverso dal domicilio o dalla residenza abituale, nel quale vengono assunte le decisioni determinanti ai fini della normale operativa gestione quotidiana. Roma, 8 giugno 2006 Avvocato dello Stato Sergio Fiorentino». Causa C-98/06 (domanda di pronuncia pregiudiziale) Interpretazione dellart. 6, n.1, del Regolamento Bruxelles I Ordinanza della Hogsta domstolen (Svezia) notificata il 13 aprile 2006 (cs.18628/06, avv. dello Stato W. Ferrante). I QUESITI 1.- Se un ricorso, fondato sullaffermazione che una società per azioni deve effettuare un pagamento come conseguenza dellassunzione di unobbligazione, debba essere considerato come una domanda in materia contrattuale ai fini dellapplicazione dellart. 6, n. 1, del regolamento Bruxelles I, anche se la persona che ha assunto lobbligazione in quel momento non era né il rappresentante legale di tale società né era stato autorizzato dalla medesima. 2.- Se la risposta alla prima questione è affermativa: se costituisca un ulteriore requisito della competenza giurisdizionale, oltre a quelli indicati 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO allart. 6, n. 1, che il ricorso proposto contro il convenuto dinanzi ai giudici dello Stato in cui ha il domicilio non sia intentato al solo scopo di far decidere il ricorso proposto contro un altro convenuto da un giudice diverso da quello che sarebbe stato normalmente competente. 3.- In caso di risposta negativa alla seconda questione, se la probabilità che sia accolto il ricorso contro il convenuto dinanzi ai giudici dello Stato in cui ha il domicilio, debba essere valutata in modo diverso in sede di esame della questione relativa al rischio di soluzioni incompatibili di cui allart. 6, n. 1. LE OSSERVAZIONI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA «Il Governo italiano ritiene che al primo quesito vada data risposta positiva, in quanto deve ritenersi che lassunzione di un obbligo negoziale, anche nella forma della delegazione di pagamento, da parte di un soggetto che agisca in qualità di rappresentante di una società (la società inglese Freeport Plc) e che deleghi al pagamento una società controllata al 100% dalla prima (la società svedese Freeport AB), rientri nella materia contrattuale prevista dallart. 5, n. 1, del Reg. n. 44/2001. Al riguardo, appare necessario osservare come, secondo la costante giurisprudenza di codesta Corte di Giustizia, la nozione di materia contrattuale di cui allart. 5, n. 1, del predetto Regolamento, debba essere considerata in modo autonomo e non mediante un rinvio alla qualificazione fornita da ciascun diritto nazionale. In particolare, tale nozione ricomprende tutte le fattispecie in cui sussista un obbligo liberamente accettato da una parte nei confronti dellaltra (in questi termini sentenza 27 ottobre 1998, causa C-51/97, Réunion européenne e altri; 17 settembre 2002, causa C-334/00, Tacconi; 1 ottobre 2002, causa C-167/00, Henkel). Lesistenza di un tale obbligo connotato in modo tale da escludere linsorgere di una responsabilità extracontrattuale o da illecito - non può che ritenersi sussistente nel caso in cui lo stesso sia assunto da un soggetto che appaia allesterno come dotato di poteri di rappresentanza della società che viene indicata per ladempimento dellobbligazione. Viene qui in considerazione la tutela dellaffidamento nelle relazioni commerciali, che è certamente un valore riconosciuto dal diritto comunicato. La risoluzione in termini positivi del primo quesito appare pregiudiziale allaccertamento della connessione tra le due cause promosse dal Sig. A. nei confronti della Freeport Plc e, rispettivamente, della Freeport AB ed ai conseguenti riflessi in tema di competenza giurisdizionale, in quanto la giurisprudenza comunitaria ha escluso che potesse configurarsi quel nesso così stretto tra le domande - cui fa riferimento lart. 6 n. 1 del Reg. n. 44/01 al fine di derogare alla competenza generale del domicilio del convenuto di cui allart. 2 dello stesso Regolamento - qualora le domande abbiano diversa natura, contrattuale ed extracontrattuale (cfr. sentenza del 27 settembre 1988, causa C- 189/87, Kalfelis). Posto che il rapporto intercorrente tra lattore e la Freeport Plc è certamente di natura contrattuale, la competenza speciale di cui allart. 6 n. 1 del Reg. 44/01 può affermarsi esclusivamente qualora anche il rappor- IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 105 to che lega lattore alla Freeport AB sia della medesima natura. Trattandosi infatti di competenza derogatoria rispetto alla regola generale del domicilio del convenuto, la norma deve considerarsi di stretta interpretazione. Lart. 6, comma 1, stabilisce che la persona di cui allarticolo precedente può inoltre essere convenuta: 1) in caso di pluralità di convenuti, davanti al giudice del luogo in cui uno qualsiasi di essi è domiciliato sempre che tra le domande esista un nesso così stretto da rendere opportuna una trattazione unica ed una decisione unica onde evitare il rischio, sussistente in caso di trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili . Da quanto sopra esposto, appaiono senzaltro ravvisabili i presupposti stabiliti dalla normativa comunitaria per radicare la giurisdizione del giudice svedese nella controversia intrapresa dal Sig. A. nei confronti della societ à inglese Freeport Plc, in deroga al principio generale del domicilio del convenuto, a norma del citato art. 6, comma 1, del Regolamento n. 44/2001, dovendosi ritenere che sia tale pretesa, sia quella vantata nei confronti della Freeport AB trovino fondamento in un rapporto di natura contrattuale. Il fatto che la relazione commerciale si sia articolata in due rapporti (quello originario con la società inglese e quello di delegazione del pagamento con la società svedese), non toglie infatti che entrambe queste relazioni giuridiche abbiano il medesimo oggetto (il corrispettivo delle prestazioni effettuate dallattore). In merito al secondo quesito, il Governo italiano ritiene che allo stesso debba darsi risposta negativa, atteso che appare sufficiente il requisito dell esistenza di un autentico vincolo di connessione tra le cause instaurate nei confronti di più convenuti, al fine di radicare la giurisdizione speciale davanti al giudice del luogo in cui uno qualsiasi di essi è domiciliato, ai sensi dell art. 6, n. 1, del predetto regolamento, senza che sia ulteriormente necessario che la scelta di quel giudice non sia stata determinata dal solo scopo di far decidere il ricorso proposto contro un altro convenuto da un giudice diverso da quello che sarebbe stato normalmente competente. A tale conclusione può giungersi argomentando a contrario, posto che lart. 6 n. 2 del Regolamento n. 44/2001 prevede espressamente, per le chiamate in garanzia o le chiamate di terzo, la competenza del giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale sempre che questultima non sia stata proposta solo per distogliere colui che è stato chiamato in causa dal suo giudice naturale. Tale condizione non è invece prevista dallart. 6 n. 1 per cause che possono considerarsi tutte principali, come nel caso di specie, e non appare quindi ragionevole introdurre in via interpretativa un ulteriore requisito non previsto ed invece espressamente contemplato per diversa fattispecie. Nella specie, lart. 6, comma 1, del Regolamento cit., giustifica leventualit à che, in una controversia in cui siano presenti più convenuti, uno di essi possa essere distolto dal suo giudice naturale e citato dinanzi al giudice dello Stato in cui laltro convenuto ha il domicilio, esclusivamente nellipotesi in cui tra le cause sussista un vincolo di connessione tale da rendere 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO opportuna una trattazione e una decisione unica per evitare soluzioni che potrebbero essere tra loro incompatibili se le cause fossero decise separatamente (in questi termini sentenza 27 ottobre 1998, causa C-51/97, Réunion européenne e altri), senza aggiungere alcuna altra condizione. A tal fine appare sufficiente rilevare che, stante lidentità del petitum tra le domande, qualora le due controversie fossero separatamente instaurate dinanzi a giudici diversi, lattore potrebbe anche ottenere due diverse pronunce favorevoli e, pertanto, conseguire per ben due volte la medesima somma di denaro. Alla luce della risposta fornita al secondo quesito, il Governo italiano ritiene che anche al terzo quesito debba darsi risposta negativa, posto che il rischio di soluzioni incompatibili, che lart. 6, n. 1 del Regolamento n. 44/2001 mira a prevenire in linea generale, non dipende dal giudizio prognostico che può prefigurarsi in ordine allesito del ricorso nel caso concreto, a seconda del giudice innanzi al quale lo stesso viene instaurato, ma dallesistenza di un effettivo vincolo di connessione tra le questioni dedotte nelle diverse cause e dalla possibilità, anche astratta, di contrasto di decisioni. Non va quindi valutato in modo diverso il rischio di soluzioni incompatibili in base alla probabilità che il ricorso sia accolto o meno dal giudice dello Stato che sarebbe competente secondo le regole ordinarie; tale rischio deve infatti ritenersi sempre potenzialmente sussistente quale che sia la sede del giudice chiamato a pronunciarsi. E tale rischio, e non la sede del giudice, il presupposto che giustifica una trattazione congiunta di questioni connesse che altrimenti sarebbero state giudicate da giudici diversi. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso di considerare quale domanda in materia contrattuale, ai fini dellapplicazione dellart. 6, n. 1, del regolamento Bruxelles I, il ricorso fondato sullaffermazione che una società per azioni deve effettuare un pagamento come conseguenza dellassunzione di unobbligazione, anche se la persona che ha assunto lobbligazione in quel momento non era né il rappresentante legale di tale società, né era stato autorizzato dalla medesima ma appariva tale allesterno. In relazione al secondo quesito, il Governo italiano propone alla Corte di considerare non necessario, ai fini della competenza giurisdizionale, il requisito, ulteriore rispetto a quelli indicati allart. 6, n. 1, che il ricorso non sia intentato al solo scopo di far decidere il ricorso proposto contro un altro convenuto da un giudice diverso da quello che sarebbe stato normalmente competente. In merito al terzo quesito, il Governo italiano propone alla Corte di risolverlo nel senso che non debba valutarsi in modo diverso il rischio di soluzioni incompatibili in base alla probabilità che il ricorso possa essere accolto o meno dal giudice dello Stato in cui ha domicilio il convenuto. Roma, 22 giugno 2006 Avvocato dello Stato Wally Ferrante». IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE - I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CE 107 Dossier Concessione della grazia, conflitto tra poteri dello Stato di Ignazio Francesco Caramazza La sentenza in rassegna, che viene pubblicata insieme con lordinanza di ammissibilità e con il ricorso, enuncia alcuni importanti principi, facendo chiarezza su questioni sinora assai controverse. Il primo e fondamentale è quello relativo alla spettanza in via esclusiva al Capo dello Stato del potere di concedere la grazia, potere rispetto al quale la controfirma del Ministro competente assume la valenza di mera attestazione di una leale collaborazione e di regolarità del procedimento. Il secondo si risolve nella puntualizzazione del fatto che la competenza ministeriale è quella propria del Guardasigilli ai sensi dellarticolo 110 della Costituzione. La natura umanitaria ed equitativa della grazia rende, infatti, listituto incompatibile con il circuito dellindirizzo politico-governativo. Il terzo non esplicitamente enunciato ma non perciò meno chiaro riguarda la legittimazione dellAvvocatura dello Stato a rappresentare e difendere il Presidente della Repubblica nei giudizi di conflitto fra poteri dello Stato quando, ovviamente, il potere confliggente non sia il Governo. Corte Costituzionale, sentenza 18 maggio 2006 n. 200 Pres. A. Marini Red. A. Quaranta Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della nota del 24 novembre 2004 con la quale il Ministro della giustizia ha dichiarato di non dare corso alla determinazione del Presidente della Repubblica relativa alla concessione della grazia ad Ovidio Bompressi, promosso con ricorso del Presidente della Repubblica (Avv. dello Stato I. F. Caramazza) nei confronti del Ministro della giustizia, notificato il 29 novembre 2005, depositato in cancelleria il successivo 1° dicembre ed iscritto al n. 25 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito. Il potere di concedere la grazia costituisce prerogativa esclusivamente presidenziale alla pari del potere di invio di messaggi alle Camere, di nomina dei senatori a vita e di I L C O N T E N Z I O S O N A Z I O N A L E nomina dei giudici costituzionali. La controfirma del Ministro della Giustizia, quale che sia la relativa opinione sul merito del provvedimento, si limita quindi ad attestare la completezza e la regolarità dellistruttoria e del procedimento seguito ed a garantire la relativa esecuzione. Il Ministro della Giustizia partecipa pertanto al relativo procedimento in funzione di leale collaborazione tra poteri, concorrendo alla formazione della volontà presidenziale mediante attività essenzialmente istruttoria ed esclusivamente nella veste di Guardasigilli. Rispondendo, infatti, lesercizio del potere di grazia a finalità essenzialmente umanitarie ed involgendo apprezzamenti di carattere equitativo, rimane ad esso totalmente estraneo il circuito dellindirizzo politico-governativo. «Ritenuto in fatto 1. Con ricorso del 10 giugno 2005 il Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro della giustizia «in relazione al rifiuto, da questi opposto, di dare corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi»; rifiuto risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal medesimo Ministro al Capo dello Stato. 1.1. Il ricorrente sul presupposto di aver manifestato al Guardasigilli, con nota dell8 novembre 2004 (emessa dopo aver ricevuto ed esaminato la documentazione sullistruttoria relativa allistanza di grazia presentata dal Bompressi), la propria determinazione di concedere il richiesto provvedimento di clemenza, invitandolo pertanto a predisporre il relativo decreto di concessione della grazia, per la successiva emanazione si duole del fatto che il Ministro gli abbia comunicato «di non poter aderire a questa richiesta» in quanto non condivisibile «né sotto il profilo costituzionale né nel merito», atteso che a suo dire «la Costituzione vigente pone in capo al Ministro della giustizia la responsabilità di formulare la proposta di grazia». Il Presidente della Repubblica assume, per contro, che il potere di grazia riservato «espressamente e in via esclusiva al Capo dello Stato dallart. 87 della Costituzione» «verrebbe posto nel nulla dalla mancata formulazione della proposta da parte dello stesso Ministro», proposta, oltretutto, che né la Costituzione né la legge richiedono ai fini della concessione del beneficio de quo. Ritiene, pertanto, il ricorrente che qualora egli pervenga, come nel caso in esame, «alla determinazione di concedere la grazia ad un condannato, tanto la predisposizione del relativo decreto, quanto la successiva controfirma costituiscono, per il Ministro della giustizia, atti dovuti». Su tali basi, pertanto, il ricorrente ha promosso conflitto ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 nei confronti del Ministro Guardasigilli, «per violazione degli articoli 87 e 89 Cost.». 1.2. Indiscutibile secondo il ricorrente sarebbe lammissibilità del conflitto sotto il profilo soggettivo, atteso che la qualificazione del Presidente della Repubblica come potere dello Stato «è del tutto pacifica», come del resto la legittimazione del Ministro della giustizia «ad essere parte in un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato», e ciò «in ragione del ruolo istituzionale» che la Costituzione riserva al Guardasigilli (sono richiamate, sul punto, le pronunce di questa Corte n. 380 del 2003, n. 216 del 1995, n. 379 del 1992). Ciò premesso, il ricorrente assume sotto il profilo oggettivo lesistenza di una lesione delle attribuzioni che la Costituzione conferisce al Capo dello Stato «nellesercizio del potere di concessione della grazia». 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 1.3. Nel merito, infatti, viene dedotta come sopra precisato la violazione degli articoli 87 e 89 della Costituzione, atteso che il rifiuto del Ministro «di formulare la proposta di grazia in favore di Ovidio Bompressi, ritenendola presupposto indispensabile del relativo decreto di concessione», si sostanzia de facto nella rivendicazione del «potere di interdire con la sua decisione (o addirittura con la sua inerzia) lesercizio del potere presidenziale di concessione della grazia», e quindi nellattribuzione «di un sostanziale potere di codecisione che è, viceversa, assente nel vigente ordinamento costituzionale». Diversi argomenti, difatti, «di ordine logico-giuridico, oltre che sistematico», concorrono a confermare la titolarità esclusiva di tale potere in capo al Presidente della Repubblica, secondo quanto risulta già dalla lettera dellart. 87 Cost. 1.3.1. Rilevante in tal senso secondo il ricorrente è, in primis, la ratio dellistituto della grazia, è cioè la sua finalità «umanitaria ed equitativa» (riconosciuta anche da questa Corte nella sentenza n. 134 del 1976 e nellordinanza n. 388 del 1987) che è quella di «attenuare lapplicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa viene a confliggere con il più alto sentimento della giustizia sostanziale». Se è vero, difatti, che la grazia mira a soddisfare unesigenza «correttivo-equitativa» dei rigori della legge (oppure a fungere come pure emerge dalla relazione governativa al progetto preliminare del codice di procedura penale del 1988, a commento dellart. 672 da «strumento di risocializzazione» del condannato, «alla luce dei risultati del trattamento rieducativo» al quale egli sia stato sottoposto), appare allora «naturale» assume il ricorrente tanto che la sua concessione esuli del tutto «da valutazioni di natura politica», quanto che «lesercizio di un potere di tale elevata e delicata portata venga riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo rappresentante dellunità della Nazione», nonché «garante super partes della Costituzione», e dunque «unico organo che offra la garanzia di un esercizio imparziale». In questo quadro, dunque, il Ministro della giustizia «è soltanto il Ministro competente che collabora con il Capo dello Stato nelle varie fasi del procedimento, contribuendo alla formazione della volontà presidenziale nellambito delle sue specifiche attribuzioni », destinate a sostanziarsi esclusivamente in «contributi istruttori, valutativi ed esecutivi », fermo restando che, proprio in ragione del «ruolo prevalentemente e essenzialmente istruttorio» spettante al Guardasigilli, in mancanza di accordo con il medesimo «devono comunque prevalere le istanze di cui è portatore il Presidente della Repubblica quale titolare del potere di grazia». 1.3.2. Il riconoscimento dellesistenza di «poteri di natura sostanziale» spettanti, in materia di grazia, al Ministro della giustizia non potrebbe, daltra parte, fondarsi sul disposto dellart. 89 Cost., secondo cui «nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità». Tale norma, difatti, non legittima affatto per un verso la necessità che in subiecta materia la determinazione presidenziale sia preceduta da una proposta ministeriale, giacch é come chiarito in dottrina il riferimento in essa contenuto allespressione ministri proponenti, «in luogo della più corretta ministri competenti», sarebbe da imputare ad un «uso improprio della locuzione» (ciò di cui si sarebbe mostrata consapevole a dire del ricorrente anche questa Corte, la quale nellordinanza n. 388 del 1987, «parafrasando il dettato dellart. 89 della Costituzione in relazione al provvedimento di grazia ha fatto riferimento al Ministro competente anziché al Ministro proponente»). Priva di fondamento costituzionale, pertanto, si presenterebbe la pretesa del Guardasigilli di essere «titolare esclusivo del potere di proposta». IL CONTENZIOSO NAZIONALE 111 Né, daltra parte, la conclusione relativa ad una compartecipazione del Ministro nella decisione presidenziale relativa alla concessione del provvedimento di clemenza potrebbe trarre argomento dalla necessità della controfirma del decreto di grazia. Se è vero, difatti, che in relazione agli atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi la controfirma «ha il significato di attestare leffettiva paternità dellatto e la conseguente assunzione di responsabilità politica» da parte del Ministro (giacché qui il Capo dello Stato «si limita ad un mero controllo di legittimità, oltre che di provenienza» dell atto), le posizioni dei due organi costituzionali appaiono, invece, «invertite con riguardo agli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali», tra i quali rientra la concessione della grazia. Ricorrendo tale evenienza, invero, «la controfirma ministeriale si presenta come atto dovuto, in quanto ha funzione, per così dire, notarile», e cioè «di mera attestazione di provenienza dellatto da parte del Capo dello Stato, oltre che di controllo della sua regolarità formale». 1.3.3. Né, poi, la necessità che la concessione della grazia consegua ad una collaborazione tra Presidente della Repubblica e Ministro Guardasigilli potrebbe essere giustificata in ragione dellesistenza di una consuetudine costituzionale in tal senso. Rileva in proposito il ricorrente come, innanzitutto, una consuetudine siffatta abbia assunto nel tempo «forme e modalità diverse», collegate allevoluzione conosciuta dalle norme del cosiddetto ordinamento penitenziario; di talché la progressiva individuazione di «nuovi percorsi di risocializzazione dei condannati» (in special modo attraverso «lapplicazione di misure alternative alla detenzione, ad opera della magistratura»), nel restituire alla grazia la sua funzione prettamente «equitativo-umanitaria», ha comportato che listituto «perdesse le finalità di politica penitenziaria che lavevano a volte in precedenza pervaso » e che avevano giustificato laffermarsi della descritta consuetudine di collaborazione tra i menzionati organi dello Stato. Sempre sul piano delle relazioni consuetudinarie intercorrenti, nella materia de qua, tra il Capo dello Stato e il Ministro della giustizia, rileva il ricorrente come non sia senza significato lesaurimento di quella prassi seguita dal Ministro, nel caso in cui ritenesse insussistenti i presupposti per la concessione del provvedimento di clemenza, di «archiviare la relativa pratica, senza neppure informare il Capo dello Stato». Allesito, infatti, dell invio della nota del 15 ottobre 2003 con la quale il Presidente della Repubblica ha chiesto «di essere informato della conclusione di tutte le istruttorie relative ad istanze di grazia, ai fini delle sue decisioni» (nota alla quale il Ministro «ha immediatamente aderito», come da sua comunicazione del successivo 17 ottobre) deve ritenersi venuta meno quella prassi in passato invalsa che «finiva per attribuire in qualche misura al Ministro della giustizia dei poteri di decisione sostanziale in materia». 1.3.4. La «natura esclusivamente presidenziale del potere di concedere la grazia» sarebbe, infine, desumibile secondo il ricorrente dalla stessa giurisprudenza costituzionale. Si richiama, difatti, da un lato, lindirizzo espresso da questa Corte in ordine alla «necessaria giurisdizionalizzazione della fase esecutiva delle sanzioni penali», per sottolineare come la declaratoria di illegittimità costituzionale «di numerose disposizioni che contemplavano competenze dellesecutivo (e cioè quindi del Ministro della giustizia) nella fase di esecuzione della pena» (sono richiamate le sentenze n. 274 del 1990; n. 192 del 1976; n. 114 del 1979; n. 204 e n. 110 del 1974) rischierebbe di essere contraddetta dal riconoscimento al Guardasigilli di «poteri decisionali veri e propri in ordine alla concessione della grazia», giacché, pur trattandosi di istituto «connotato da una ratio del tutto peculiare», esso «incide certamente sullesecuzione della pena». 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO IL CONTENZIOSO NAZIONALE 113 Daltro canto, poi, si sottolinea come la tesi della «esclusiva pertinenza presidenziale del potere di concedere la grazia» sia stata «implicitamente condivisa» da questa Corte nella sentenza n. 274 del 1990. Difatti, con tale pronuncia è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo lart. 589, terzo comma, del codice di procedura penale del 1930, norma che attribuiva al Ministro della giustizia (e non al Tribunale di sorveglianza) il potere di disporre il differimento della esecuzione della pena nel caso previsto dallart. 147, primo comma, n. 1, del codice penale, quello, cioè, della presentazione della domanda di grazia da parte del condannato. In particolare, osserva il ricorrente, la citata decisione «ha disatteso apertis verbis la tesi affermata nella Relazione ministeriale al progetto definitivo del codice di procedura penale» del 1930, secondo cui la prevista competenza ministeriale deriverebbe dalla necessit à che la prognosi in ordine alla concessione del provvedimento di clemenza sia effettuata «soltanto dallorgano che nella prassi costituzionale esercita il relativo potere» di concessione. Così argomentando, pertanto, e nellulteriormente precisare che non esistono, per contro, «vincoli costituzionalmente determinati per lesercizio del potere di grazia da parte del Presidente della Repubblica», questa Corte avrebbe dunque chiaramente escluso «lesistenza di qualsivoglia potere decisionale da parte del Ministro della giustizia». 1.4. Ciò premesso, il ricorrente evidenzia che nella materia de qua il Ministro della giustizia «è sicuramente titolare dei poteri istruttori», con la conseguenza che in base al principio di leale collaborazione il parere che esso esprime al Presidente della Repubblica consente al più «di pervenire a un provvedimento condiviso», fermo però restando che, «nel caso in cui tale condivisione non si verificasse», è innegabile che «la volontà prevalente e quindi la decisione finale non possono che essere quelle del titolare del potere costituzionale di grazia e cioè il Presidente della Repubblica». Su tali basi, pertanto, il ricorrente ha concluso affinché la Corte dichiari «che non spetta al Ministro della giustizia il potere di rifiutare di dare corso alla determinazione, alla quale il Capo dello Stato è pervenuto, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi e che, conseguentemente, annulli latto di cui alla nota 24 novembre 2004 del Ministro della giustizia». 2. Il presente conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 354 del 2005, con cui è stato disposto che, a cura del ricorrente, il ricorso e la stessa ordinanza fossero notificati al Ministro della giustizia; notificazione avvenuta il 29 novembre 2005. 3. Non si è costituito in giudizio il Ministro della giustizia. Considerato in diritto 1. Il presente conflitto è occasionato dal rifiuto opposto dal Ministro della giustizia di «dare corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi», rifiuto risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal medesimo Ministro al Capo dello Stato. Con il ricorso muovendosi dal presupposto che il potere di grazia sia riservato «espressamente e in via esclusiva al Capo dello Stato dallart. 87 della Costituzione» si lamenta che il Guardasigilli si sia rifiutato «di formulare la proposta di grazia» e di predisporre il relativo decreto di concessione, malgrado il Presidente della Repubblica, con nota dell8 novembre 2004, avesse manifestato la propria determinazione di volere concedere a favore dellinteressato il provvedimento di clemenza. Da qui la dedotta violazione degli articoli 87 e 89 della Costituzione, atteso che la mancata «formulazione della proposta da parte del Ministro» si sostanzierebbe, di fatto, nella rivendicazione di una attribuzione costituzionalmente spettante al Capo dello Stato, laddove, invece, sia la predisposizione del decreto che la successiva controfirma da parte del Guardasigilli costituirebbero «atti dovuti». In particolare, si sostiene nel ricorso che la ratio dellistituto della grazia sia «umanitaria ed equitativa», assolvendo alla funzione di «attenuare lapplicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa viene a confliggere con il più alto sentimento della giustizia sostanziale». Da questa peculiare connotazione del potere di grazia, da cui esula ogni valutazione di «natura politica», deriverebbe la sua «naturale» attribuzione al Capo dello Stato «quale organo rappresentante dellunità nazionale», nonché «garante super partes della Costituzione». 2. Con ordinanza n. 354 del 2005 questa Corte ha dichiarato, prima facie, ammissibile il conflitto che ha dato origine al presente giudizio e, lasciando impregiudicata ogni diversa successiva determinazione in ordine alla sua stessa ammissibilità, ha disposto la notificazione del ricorso al Ministro Guardasigilli. 3. Ciò premesso, sul piano processuale, ferma la legittimazione del Presidente della Repubblica a proporre il conflitto, deve essere confermata la legittimazione passiva del solo Ministro della giustizia, il quale competente, ratione materiae, ad effettuare listruttoria sulla grazia, a predisporre il relativo decreto di concessione, a controfirmarlo ed a curarne lesecuzione è il legittimo contradditore. È dal Ministro, infatti, che proviene latto, la nota datata 24 novembre 2004, con cui viene rivendicata una compartecipazione sostanziale nella determinazione di concedere o negare latto di clemenza e dunque, nello stesso tempo, viene implicitamente limitato lambito di autonomia decisionale del Capo dello Stato. La legittimazione passiva del Ministro della giustizia trova il suo fondamento direttamente nella previsione di cui allart. 110 Cost., atteso che, delle attribuzioni contemplate da tale norma, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente escluso la necessità di «uninterpretazione restrittiva» (sentenze n. 142 del 1973 e n. 168 del 1963). In tali attribuzioni devono essere inclusi tutti i compiti spettanti al suddetto Ministro in forza di precise disposizioni normative, purché essi siano in rapporto di strumentalità rispetto alle funzioni «afferenti allorganizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia», comprese dunque quelle concernenti «lorganizzazione dei servizi relativi allesecuzione delle pene e delle misure detentive» (sentenza n. 383 del 1993), e così, per quel che qui specificamente interessa, anche lattività di istruttoria delle domande di grazia e di esecuzione dei relativi provvedimenti secondo quanto previsto dallart. 681 del codice di procedura penale. Alla luce di tale premessa può, pertanto, ribadirsi quanto già affermato da questa Corte, sia pure in riferimento ad una diversa fattispecie, e cioè che il Ministro della giustizia deve ritenersi legittimato a resistere nei giudizi per conflitto quale «diretto titolare delle competenze determinate dallart. 110 della Costituzione», il cui esercizio venga assunto come causa di menomazione delle attribuzioni di altri poteri dello Stato (sentenza n. 379 del 1992). 4. Così determinata la legittimazione a stare in giudizio delle parti, in relazione alla esatta individuazione del thema decidendum, deve preliminarmente osservarsi come la questione allesame di questa Corte concerna non già la titolarità del potere di grazia, espressamente attribuita dalla Costituzione (art. 87, penultimo comma) al Presidente della Repubblica, bensì le concrete modalità del suo esercizio. Nel ricorso si assume, in particolare, che il ruolo del Ministro si risolverebbe in una doverosa collaborazione con il Capo dello Stato nelle varie fasi del procedimento. Il Ministro in tal modo sarebbe chiamato a contribuire, nel segno di una leale collaborazione tra poteri, alla formazione della volontà presidenziale mediante lo svolgimento di attività cui dovrebbe essere attribuita valenza essenzialmente istruttoria. 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 5. Ciò precisato, il ricorso, nel merito, deve ritenersi fondato sulla base delle considerazioni che seguono. 5.1. Prerogativa personale dei sovrani assoluti, la concessione della grazia ha sostanzialmente mantenuto tale carattere anche dopo lavvento della Monarchia costituzionale, essendo quello di dispensare dalle pene il segno massimo del potere, che attribuiva particolare autorità e prestigio alla figura del Monarca. È, dunque, in tale contesto storico quanto allesperienza italiana che, dapprima, nell art. 5 del Proclama dell8 febbraio 1848 (atto con il quale veniva preannunciata da Carlo Alberto lemanazione dello Statuto), e, successivamente, nellart. 8 dello Statuto stesso, venne riconosciuto al Re il potere di «far grazia e commutare le pene». Prerogativa, evidentemente, concepita in stretta connessione con i caratteri della «inviolabilità» e «sacralità» della persona del Monarca. Non irrilevante, tuttavia, appare la circostanza che, mentre nel primo dei citati testi normativi lesercizio del potere de quo veniva ascritto alla sfera del giudiziario (il predetto art. 5, difatti, recitava: «ogni giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome. Egli può far grazia e commutare le pene»), nel secondo, viceversa, si recideva tale legame. Alla previsione, difatti, dellart. 8 dello Statuto («il Re può far grazia, e commutare le pene») corrispondeva quella autonoma dellart. 68 (secondo cui «la Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici chEgli istituisce»), e ciò quasi a sottolineare che ladozione del provvedimento di clemenza si poneva, già allora, come lesito di un giudizio equitativo del tutto diverso da quello riservato agli organi giurisdizionali; ciò che rendeva lesercizio del potere di grazia non idoneo ad essere gestito dalla magistratura il cui compito è fare giustizia applicando la legge. Non è quindi casuale, nella medesima prospettiva, che già il primo codice di rito penale del Regno dItalia (quello del 1865) prevedesse allart. 826 che le «suppliche per grazia di pene pronunziate» fossero «dirette al re, e presentate al Ministro di grazia e giustizia», dettando così una norma che, se non dirimeva la questione circa la natura della grazia (e la sua titolarità), indicava tuttavia il luogo opportuno della sua trattazione, distinto dalla sede giurisdizionale. 5.2. Mutato il quadro istituzionale con il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, va ricordato il punto saliente del dibattito svoltosi nellAssemblea costituente, che portò a riconfermare nel testo della Costituzione del 1948 il Capo dello Stato quale titolare di un potere intimamente connesso, almeno da un punto di vista storico, alla figura del Monarca. Lart. 87, undicesimo comma, della Costituzione, dettando una disposizione sostanzialmente identica allart. 8 dello Statuto albertino, ha infatti stabilito che il Presidente della Repubblica «può concedere grazia e commutare le pene». Si discusse, allora, in ordine alle implicazioni di tale scelta, ponendosi prevalentemente laccento sullevoluzione conosciuta già nella prassi statutaria dallistituto in esame. In particolare, si sottolineò nella seduta assembleare del 22 ottobre del 1947 come il potere di concedere la grazia, rientrante in origine tra quelle «attribuzioni ( ) ancora di natura personale, residui dei diritti propri dei monarchi, senza alcun concorso di altri organi costituzionali », avesse progressivamente mutato natura già sotto il vigore del regime monarchico. Dalla affermazione secondo cui, allorché «il re fa la grazia, la fa come persona, non la fa in quanto rappresenta lo Stato», si era progressivamente passati al riconoscimento che «il Capo dello Stato della monarchia, secondo lo Statuto albertino, non ha nessun potere personale; tutti i suoi poteri sono esercitati in quanto rappresentante dello Stato e tutti sottoposti al principio generale della responsabilità ministeriale». Non casualmente, quindi, nel medesimo impianto costituzionale configurato nel 1948, venne ribadita la necessità che tutti gli atti del Presidente della Repubblica, a pena di inva- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 115 lidità, dovessero essere controfirmati dai Ministri «proponenti» (espressione equivalente, secondo linterpretazione successivamente invalsa, a quella di Ministri «competenti»), respingendo lAssemblea costituente la proposta avanzata nel corso di quella stessa seduta del 22 ottobre 1947 di escludere dallobbligo della controfirma gli atti presidenziali adottati «in via di prerogativa». 6. Inquadrato storicamente listituto, diventa rilevante stabilire ai fini della risoluzione del presente conflitto quale tipo di relazione intercorra tra il Capo dello Stato, titolare del potere di grazia, ed il Ministro della giustizia, il quale, responsabile dellattività istruttoria e quindi a tale titolo partecipe del procedimento complesso in cui si snoda lesercizio del potere in esame, è chiamato a predisporre il decreto che dà forma al provvedimento di clemenza, nonché a controfirmarlo e, successivamente, a curarne lesecuzione. Sul punto, come è noto, si è sviluppato un ampio dibattito nel corso del quale sono emersi diversi orientamenti che, sulla base di percorsi argomentativi anche molto diversificati, vanno dalla configurazione della grazia come atto costituente prerogativa presidenziale a quella di un atto complesso, alla cui formazione dovrebbero concorrere, in modo paritario, le due volontà del Presidente della Repubblica e del Ministro Guardasigilli, non senza passare attraverso altre distinte ed intermedie opzioni interpretative. È, dunque, rilevante, per la soluzione della questione posta, individuare la funzione propria del potere di grazia, anche alla luce della prassi sviluppatasi, nel periodo repubblicano, nelle relazioni tra Capo dello Stato e Ministro Guardasigilli. 6.1. Orbene, deve ritenersi, al riguardo, che lesercizio del potere di grazia risponda a finalità essenzialmente umanitarie, da apprezzare in rapporto ad una serie di circostanze (non sempre astrattamente tipizzabili), inerenti alla persona del condannato o comunque involgenti apprezzamenti di carattere equitativo, idonee a giustificare ladozione di un atto di clemenza individuale, il quale incide pur sempre sullesecuzione di una pena validamente e definitivamente inflitta da un organo imparziale, il giudice, con le garanzie formali e sostanziali offerte dallordinamento del processo penale. La funzione della grazia è, dunque, in definitiva, quella di attuare i valori costituzionali, consacrati nel terzo comma dellart. 27 Cost., garantendo soprattutto il «senso di umanit à», cui devono ispirarsi tutte le pene, e ciò anche nella prospettiva di assicurare il pieno rispetto del principio desumibile dallart. 2 Cost., non senza trascurare il profilo di «rieducazione » proprio della pena. Questa peculiare connotazione funzionale del potere di grazia appare, del resto, coerente con quanto affermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale. Questa Corte nello scrutinare, in particolare, listituto della grazia condizionata, ha osservato come esso assolva ad un compito «logicamente parallelo alla individualizzazione della pena, consacrata in linea di principio dallart. 133 c.p.», tendendo «a temperare il rigorismo dellapplicazione pura e semplice della legge penale mediante un atto che non sia di mera clemenza, ma che, in armonia col vigente ordinamento costituzionale, e particolarmente con lart. 27 Cost., favorisca in qualche modo lemenda del reo ed il suo reinserimento nel tessuto sociale» (sentenza n. 134 del 1976). È evidente, altresì, come determinando lesercizio del potere di grazia una deroga al principio di legalità il suo impiego debba essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria. Ciò vale a superare il dubbio al quale ha sostanzialmente fatto riferimento lo stesso Guardasigilli nella nota 24 novembre 2004, che ha occasionato il conflitto che il suo esercizio possa dare luogo ad una violazione del principio di eguaglianza consacrato nellart. 3 della Costituzione. 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 6.2. La stessa disamina della prassi formatasi sulla concessione della grazia dopo lavvento della Costituzione repubblicana, pone in evidenza, in base a dati statistici ministeriali, lesistenza di una ulteriore evoluzione dellistituto, o meglio della funzione assolta con il suo impiego. Se infatti molto frequente, fino alla metà degli anni 80 del secolo appena concluso, si è presentato il ricorso a tale strumento, tanto da legittimare lidea di un suo possibile uso a fini di politica penitenziaria, a partire dal 1986 ed in coincidenza, non casualmente, con lentrata in vigore della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sullordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) si è assistito ad un ridimensionamento nella sua utilizzazione: valga, a titolo esemplificativo, il raffronto tra i 1.003 provvedimenti di clemenza dellanno 1966 e gli appena 104 adottati nel 1987, ma il dato numerico è ulteriormente diminuito negli anni successivi, riducendosi fino a poche decine. Unevenienza, quella appena indicata, da ascrivere come si notava allintroduzione di una apposita legislazione in tema di trattamento carcerario ed esecuzione della pena detentiva. Ciò nella convinzione che le ordinarie esigenze di adeguamento delle sanzioni applicate ai condannati alle peculiarità dei casi concreti esigenze fino a quel momento soddisfatte in via pressoché esclusiva attraverso lesercizio del potere di grazia dovessero realizzarsi mediante limpiego, certamente più appropriato anche per la loro riconduzione alla sfera giurisdizionale, degli strumenti tipici previsti dallordinamento penale, processualpenale e penitenziario (ad esempio, liberazione condizionale, detenzione domiciliare, affidamento ai servizi sociali ed altri). Ciò ha fatto sì, dunque, che listituto della grazia sia stato restituito correggendo la prassi, per certi versi distorsiva, sviluppatasi nel corso dei primi decenni di applicazione della disposizione costituzionale di cui allart. 87, undicesimo comma, Cost. alla sua funzione di eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria. 7. Levoluzione legislativa e della prassi appena illustrata concorre a meglio definire i rispettivi ruoli esercitati dal Presidente della Repubblica e dal Ministro Guardasigilli nel procedimento complesso che culmina nellemanazione del decreto di concessione della grazia o di commutazione della pena. 7.1. In particolare, una volta recuperato latto di clemenza alla sua funzione di mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio per eccezionali ragioni umanitarie, risulta evidente la necessità di riconoscere nellesercizio di tale potere conformemente anche alla lettera dellart. 87, undicesimo comma, Cost. una potestà decisionale del Capo dello Stato, quale organo super partes, «rappresentante dellunità nazionale», estraneo a quello che viene definito il circuito dellindirizzo politico-governativo, e che in modo imparziale è chiamato ad apprezzare la sussistenza in concreto dei presupposti umanitari che giustificano ladozione del provvedimento di clemenza. Infine, si deve rilevare come lindicata conclusione risponda ad unulteriore esigenza, quella cioè di evitare che nella valutazione dei presupposti per ladozione di un provvedimento avente efficacia ablativa di un giudicato penale possano assumere rilievo le determinazioni di organi appartenenti al potere esecutivo. Lesame della giurisprudenza della Corte (sentenze n. 274 del 1990, n. 114 del 1979, n. 192 del 1976, n. 204 e n. 110 del 1974) induce a ritenere ormai consolidato lorientamento che, con implicito riferimento al principio di separazione dei poteri, esclude ogni coinvolgimento di esponenti del Governo nella fase dellesecuzione delle sentenze penali di condanna, in ragione della sua giurisdizionalizzazione ed in ossequio al principio secondo il quale solo lautorità giudiziaria può interloquire in materia di esecuzione penale. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 117 Significativa, a tale proposito, è la già citata sentenza n. 274 del 1990 con la quale questa Corte ha dichiarato lillegittimità costituzionale dellart. 589, terzo comma, del codice di procedura penale del 1930, il quale stabiliva che «nel caso previsto dallart. 147, primo comma, n. 1, del codice penale» (presentazione della domanda di grazia), spettasse «al Ministro di Grazia e Giustizia e non al Tribunale di sorveglianza il potere di differire lesecuzione della pena». Alla declaratoria di illegittimità della norma censurata questa Corte perveniva in base al rilievo secondo cui lipotesi contemplata nellart. 147, primo comma, n. 1, del codice penale è, unitamente ad altre analoghe, «espressione duno stesso principio, attinente allingerenza del potere esecutivo, dopo la pronuncia di sentenza definitiva di condanna, in decisioni riservate allautorità giudiziaria», e dunque evidenziando la necessità «che i residui poteri ministeriali in tema di differimento dellesecuzione della pena detentiva» venissero, invece, «rimessi alla competenza dellautorità giudiziaria di sorveglianza ». 7.2. Detto ciò, rimane da chiarire ai fini della risoluzione del presente conflitto quali siano i compiti spettanti al Guardasigilli nellambito dellattività finalizzata alladozione del provvedimento di clemenza. In via preliminare, occorre puntualizzare che il decreto di grazia è la risultante di un vero e proprio procedimento così è qualificato nella stessa rubrica dellabrogato art. 595 del codice di procedura penale del 1930 che si snoda attraverso una pluralità di atti e di fasi. Tale procedimento è stato tenuto ben presente dallo stesso legislatore costituente nel momento in cui, con lart. 87, undicesimo comma, Cost. ha annoverato tra i poteri del Capo dello Stato quello di concedere la grazia e commutare le pene. 7.2.1. Lanalisi di tale complessa procedura deve muovere dalla lettura dellart. 681 cod. proc. pen., il quale prevede, innanzitutto, che liniziativa salva lipotesi della «proposta » proveniente dal presidente del consiglio di disciplina (comma 3) possa essere assunta dal condannato ovvero da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore, dal curatore, da un avvocato, che sottoscrivono la «domanda» di grazia, «diretta al Presidente della Repubblica» e «presentata» al Ministro della giustizia (comma 1). La medesima disposizione con uninnovazione significativa rispetto alle previgenti discipline contenute nei codici di rito penale del 1865 (artt. da 826 a 829), del 1913 (art. 592), ed infine del 1930 (art. 595) ha, peraltro, riconosciuto espressamente la possibilità che la grazia sia «concessa anche in assenza di domanda o proposta» (art. 681, comma 4, cod. proc. pen.). In ogni caso liniziativa potrà essere assunta direttamente dal Presidente della Repubblica al quale da tempo si è riconosciuto tale potere. E si è anche chiarito quanto era dato per presupposto sotto il vigore della legislazione previgente, cioè nellesperienza costituzionale statutaria: già da allora si riteneva, infatti, che la presentazione della domanda non fosse indispensabile affinché potesse esplicarsi la prerogativa regia prevista dallart. 8 dello Statuto, giacché altrimenti, sarebbe stata introdotta, con legge ordinaria, una limitazione incompatibile con la natura dellistituto. 7.2.2. Instaurato, dunque, il procedimento, la prima fase è quella dellistruttoria, che ai sensi dellart. 681, comma 2, cod. proc. pen. prevede uno svolgimento differenziato a seconda che il condannato risulti, o meno, detenuto o internato. Nel primo caso è il magistrato di sorveglianza che, acquisiti tutti gli elementi di giudizio utili e le osservazioni del Procuratore generale presso la competente Corte di appello, provvede alla loro trasmissione al Ministro della giustizia, unitamente ad un motivato parere. Nella seconda ipotesi è, invece, direttamente il Procuratore generale a trasmettere al Guardasigilli le opportune informazioni con le proprie osservazioni. 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO La prassi delle relazioni tra il Ministro e gli organi giurisdizionali ha poi portato a meglio precisare quali siano le «informazioni» e gli «elementi di giudizio» da utilizzare ai fini della determinazione circa la concessione, o meno, della clemenza nei singoli casi. Tra tali elementi vanno ricompresi oltre ovviamente quelli desumibili dalla sentenza di condanna, dai precedenti dellinteressato e dai procedimenti in corso a suo carico anche le dichiarazioni delle parti lese o dei prossimi congiunti della vittima, circa il risarcimento del danno e la concessione del perdono, nonché, in relazione alla valutazione della personalit à del soggetto, le informazioni inerenti alle condizioni familiari e a quelle economiche, alla condotta dellinteressato, richiedendosi, infine, per i detenuti anche lestratto della cartella personale ed il c.d. rapporto di condotta. 7.2.3. La valutazione di suddetti elementi, ed in particolare dei pareri espressi dagli organi giurisdizionali, è effettuata in sede ministeriale. A conclusione della istruttoria il Ministro decide se formulare motivatamente la proposta di grazia al Presidente della Repubblica ovvero se adottare un provvedimento di archiviazione. E delle avvenute archiviazioni è da qualche tempo data notizia periodicamente al Capo dello Stato. 7.2.4. Se il Guardasigilli formula la proposta motivata di grazia e predispone lo schema del provvedimento mostra ovviamente con ciò di ritenere sussistenti i presupposti, sia di legittimità che di merito, per la concessione dellatto di clemenza. Spetterà, poi, al Presidente della Repubblica valutare autonomamente la ricorrenza, sulla base dellinsieme degli elementi trasmessi dal Guardasigilli, di quelle ragioni essenzialmente umanitarie che giustificano lesercizio del potere in esame. In caso di valutazione positiva del Capo dello Stato seguirà la controfirma del decreto di grazia da parte del Ministro, che provvederà a curare anche gli adempimenti esecutivi. Quanto, segnatamente, alla controfirma, pur necessaria per il completamento della fattispecie, è da rilevare in via generale come essa assuma un diverso valore a seconda del tipo di atto di cui rappresenta il completamento o, più esattamente, un requisito di validit à. È chiaro, infatti, che alla controfirma va attribuito carattere sostanziale quando latto sottoposto alla firma del Capo dello Stato sia di tipo governativo e, dunque, espressione delle potestà che sono proprie dellEsecutivo, mentre ad essa deve essere riconosciuto valore soltanto formale quando latto sia espressione di poteri propri del Presidente della Repubblica, quali ad esempio quelli di inviare messaggi alle Camere, di nomina di senatori a vita o dei giudici costituzionali. A tali atti deve essere equiparato quello di concessione della grazia, che solo al Capo dello Stato è riconosciuto dallart. 87 della Costituzione. 7.2.5. Qualora, invece, il Ministro valuti negativamente i risultati della istruttoria effettuata e ritenga non sussistenti i necessari requisiti di legittimità e/o di merito per la concessione della grazia, lesito della procedura può conoscere talune varianti, dipendenti dalle peculiarità delle circostanze concrete. Innanzitutto, come si è detto, può essere disposta larchiviazione. Ma se il Capo dello Stato abbia, a seguito della comunicazione e/o conoscenza della decisione di archiviazione, sollecitato, previa eventuale acquisizione di una apposita informativa orale o scritta (c.d. relazione obiettiva), il compimento dellattività istruttoria, il Ministro non ha il potere di impedire la prosecuzione del procedimento. Qualora, invece, liniziativa sia direttamente presidenziale, il Capo dello Stato può chiedere al Ministro lapertura della procedura di concessione della grazia; anche in questo caso il Guardasigilli ha lobbligo di iniziare e concludere la richiesta attività istruttoria, formulando la relativa proposta. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 119 Nelle suddette ipotesi, un eventuale rifiuto da parte del Ministro precluderebbe, sostanzialmente, lesercizio del potere di grazia, con conseguente menomazione di una attribuzione che la Costituzione conferisce quanto alla determinazione finale al Capo dello Stato. In definitiva, qualora il Presidente della Repubblica abbia sollecitato il compimento dellattività istruttoria ovvero abbia assunto direttamente liniziativa di concedere la grazia, il Guardasigilli, non potendo rifiutarsi di dare corso allistruttoria e di concluderla, determinando così un arresto procedimentale, può soltanto rendere note al Capo dello Stato le ragioni di legittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento. Ammettere che il Ministro possa o rifiutarsi di compiere la necessaria istruttoria o tenere comunque un comportamento inerte, equivarrebbe ad affermare che egli disponga di un inammissibile potere inibitorio, una sorta di potere di veto, in ordine alla conclusione del procedimento volto alladozione del decreto di concessione della grazia voluto dal Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica, dal canto suo, nella delineata ipotesi in cui il Ministro Guardasigilli gli abbia fatto pervenire le sue motivate valutazioni contrarie alladozione dell atto di clemenza, ove non le condivida, adotta direttamente il decreto concessorio, esternando nellatto le ragioni per le quali ritiene di dovere concedere ugualmente la grazia, malgrado il dissenso espresso dal Ministro. Ciò significa che, a fronte della determinazione presidenziale favorevole alla adozione dellatto di clemenza, la controfirma del decreto concessorio, da parte del Ministro della giustizia, costituisce latto con il quale il Ministro si limita ad attestare la completezza e la regolarit à dellistruttoria e del procedimento seguito. Da ciò consegue anche che lassunzione della responsabilità politica e giuridica del Ministro controfirmante, a norma dellart. 89 della Costituzione, trova il suo naturale limite nel livello di partecipazione del medesimo al procedimento di concessione dellatto di clemenza. 8. Sulla base delle considerazioni che precedono, facendo applicazione di tali principi al caso di specie, deve concludersi per laccoglimento del ricorso proposto dal Presidente della Repubblica. Il Ministro della giustizia, difatti, ha omesso di dar corso alla procedura per la concessione della grazia ad Ovidio Bompressi, sebbene, con nota dell8 novembre 2004, lodierno ricorrente abbia manifestato la propria determinazione di volere concedere il provvedimento di clemenza. Va, pertanto, dichiarato che non spettava al Ministro della giustizia impedire la prosecuzione del procedimento volto alla adozione della determinazione presidenziale relativa alla concessione della grazia, con la conseguenza che deve essere disposto lannullamento della impugnata nota ministeriale del 24 novembre 2004. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara, in accoglimento del ricorso, che non spettava al Ministro della giustizia di impedire la prosecuzione del procedimento volto alla adozione della determinazione del Presidente della Repubblica relativa alla concessione della grazia ad Ovidio Bompressi e, pertanto, dispone lannullamento della impugnata nota ministeriale del 24 novembre 2004. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 2006». 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Corte Costituzionale, ordinanza 28 settembre 2005, n. 354 Pres. P.A. Capotosti Rel. A. Quaranta nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della nota del 24 novembre 2004 con la quale il Ministro della giustizia dichiarava di non dare corso alla determinazione del Presidente della Repubblica di concedere la grazia della pena detentiva residua ad Ovidio Bompressi, giudizio promosso con ricorso del Presidente della Repubblica nei confronti del Ministro della giustizia, depositato in cancelleria il 10 giugno 2005 ed iscritto al n. 25 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di ammissibilità. «Ritenuto che con atto depositato il 10 giugno 2005 il Presidente della Repubblica, per il tramite dellAvvocatura generale dello Stato, ha promosso ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Ministro della giustizia «in relazione al rifiuto, da questi opposto, di dare corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi», rifiuto risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal medesimo Ministro al Capo dello Stato; che il ricorrente sul presupposto di aver manifestato al Guardasigilli, con nota dell8 novembre 2004 (emessa dopo aver ricevuto ed esaminato la documentazione sullistruttoria relativa allistanza di grazia presentata dal Bompressi), la propria determinazione di concedere la grazia della pena detentiva residua, invitandolo pertanto a predisporre il relativo decreto per la successiva emanazione assume che il Ministro gli ha comunicato di non poter aderire alla richiesta formulata in quanto non condivisibile «né sotto il profilo costituzionale, né nel merito», atteso che la Costituzione porrebbe in capo al Ministro della giustizia la responsabilità di formulare la proposta di grazia; che il ricorrente assume, per contro, che il potere di grazia riservato in via esclusiva al Capo dello Stato dallart. 87 della Costituzione «verrebbe posto nel nulla dalla mancata formulazione della proposta da parte dello stesso Ministro», proposta, oltretutto, che né la Costituzione né la legge richiedono ai fini della concessione del beneficio de quo; che il Presidente della Repubblica ritiene che qualora, come nel caso in esame, egli pervenga alla determinazione di concedere la grazia ad un condannato, sia la predisposizione del relativo decreto, che la successiva controfirma costituirebbero, per il Ministro della giustizia, «atti dovuti»; che, su tali basi, pertanto, il ricorrente ha elevato conflitto ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 nei confronti del Ministro della giustizia, per assunta violazione degli artt. 87 e 89 della Costituzione; che, risultando indiscutibile secondo il ricorrente lammissibilità del conflitto sotto il profilo soggettivo, atteso che la qualificazione del Presidente della Repubblica come potere dello Stato sarebbe «del tutto pacifica», come del resto la legittimazione passiva del Ministro della giustizia «in ragione del ruolo istituzionale» che la Costituzione riserva allo stesso, il ricorrente assume che sotto il profilo oggettivo non potrebbe negarsi la lesione delle attribuzioni che la Costituzione conferisce al Capo dello Stato «nellesercizio del potere di concessione della grazia»; che, nel merito, infatti, viene dedotta la violazione degli artt. 87 e 89 della Costituzione, atteso che il rifiuto del Ministro di formulare la proposta di grazia, ritenendola presupposto indispensabile del relativo decreto di concessione, si sostanzierebbe de facto nella rivendicazione del «potere di interdire con la sua decisione (o addirittura con la sua inerzia) lesercizio del potere presidenziale di concessione della grazia», e quindi nellattribuzione di un sostanziale potere di codecisione che non sarebbe, viceversa, previsto nel vigente assetto costituzionale; IL CONTENZIOSO NAZIONALE 121 che, nella prospettiva del ricorrente, diversi argomenti, «di ordine logico giuridico, oltre che sistematico», concorrerebbero a confermare la titolarità esclusiva di tale potere in capo al Presidente della Repubblica, secondo quanto risulta già dalla lettera dellart. 87 della Costituzione; che, rileverebbe in tal senso, innanzitutto, la ratio «umanitaria ed equitativa» dellistituto della grazia, tendente ad «attenuare lapplicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa viene a confliggere con il più alto sentimento della giustizia sostanziale»; che se, pertanto, la grazia mira a soddisfare unesigenza «correttivo-equitativa» dei rigori della legge, sarebbe consequenziale tanto che la sua concessione non implichi alcuna valutazione di natura politica, quanto che lesercizio di un tale elevato e delicato potere venga riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo rappresentante dellunità della Nazione, nonché «garante super partes della Costituzione», e dunque unico organo in grado di offrire garanzia di un esercizio imparziale; che, alla luce delle considerazioni che precedono, il Ministro della giustizia «è soltanto il Ministro competente che collabora con il Capo dello Stato nelle varie fasi del procedimento, contribuendo alla formazione della volontà presidenziale nellambito delle sue specifiche attribuzioni», destinate a sostanziarsi esclusivamente in contributi istruttori, valutativi ed esecutivi, fermo restando che, proprio in ragione del compito prevalentemente ed essenzialmente istruttorio spettante al Guardasigilli, in mancanza di accordo con il medesimo «devono comunque prevalere le istanze di cui è portatore il Presidente della Repubblica quale titolare del potere di grazia»; che il riconoscimento dellesistenza di «poteri di natura sostanziale» spettanti, in materia di grazia, al Ministro della giustizia non potrebbe, daltra parte, fondarsi sul disposto dell art. 89 della Costituzione, secondo cui «nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità»; che tale norma secondo il ricorrente non legittima affatto la necessità che in subiecta materia la determinazione presidenziale sia preceduta da una proposta ministeriale, giacch é il riferimento in essa contenuto allespressione ministri proponenti, in luogo della più corretta ministri competenti, sarebbe da imputare ad un uso improprio della locuzione; che priva di fondamento costituzionale, pertanto, si presenterebbe la pretesa del Guardasigilli di essere «titolare esclusivo del potere di proposta»; che, daltra parte, la conclusione relativa ad una compartecipazione del Ministro nella decisione presidenziale relativa alla concessione del provvedimento di clemenza non potrebbe neanche trarre argomento dalla necessità della controfirma del decreto di grazia; che ricorrendo, infatti, un atto formalmente e sostanzialmente presidenziale, la controfirma si presenterebbe come atto dovuto, in quanto avrebbe una funzione «per così dire notarile», e cioè di mera attestazione di provenienza dellatto da parte del Capo dello Stato, oltre che di controllo della sua regolarità formale; che la natura esclusivamente presidenziale del potere di concedere la grazia sarebbe, infine, desumibile secondo il ricorrente dalla stessa giurisprudenza costituzionale; si richiama, nel ricorso, lindirizzo espresso da questa Corte in ordine alla «necessaria giurisdizionalizzazione della fase esecutiva delle sanzioni penali», che sembra escludere lesistenza in tale materia di competenze governative; che, daltro canto, poi, si sottolinea come la tesi della esclusiva spettanza presidenziale del potere di concedere la grazia sarebbe stata «implicitamente condivisa» da questa Corte nella sentenza n. 274 del 1990, giacché la Corte, negando la ricorrenza di «vincoli costituzionalmente determinati per lesercizio del potere di grazia da parte del Presidente della 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Repubblica», avrebbe escluso «lesistenza di qualsivoglia potere decisionale dal parte del Ministro della giustizia»; che, alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorrente ha, pertanto, concluso affinché la Corte dichiari «che non spetta al Ministro della giustizia il potere di rifiutare di dare corso alla determinazione, alla quale il Capo dello Stato è pervenuto, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi e che, conseguentemente, annulli latto di cui alla nota 24 novembre 2004 del Ministro della giustizia». Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, ai sensi dellart. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a deliberare senza contraddittorio se il ricorso sia ammissibile, in quanto sussista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, con riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi prescritti dal medesimo art. 37; che questa preliminare e interlocutoria valutazione lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione relativamente anche ai profili attinenti alla stessa ammissibilità del ricorso, che allo stato va dichiarata tanto sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo. Per questi motivi la Corte Costituzionale, riservato ogni definitivo giudizio, dichiara ammissibile, ai sensi dellart. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente della Repubblica nei confronti del Ministro della giustizia, con latto indicato in epigrafe; dispone: a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Presidente della Repubblica; b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Ministro della giustizia entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dellart. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005». Corte Costituzionale Ricorso del Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dallAvvocatura Generale dello Stato (Avv. dello Stato I. F. Caramazza) giusta Decreto Presidenziale 7 giugno 2005 (Doc.1) Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Ministro della giustizia, in relazione al rifiuto, da questi opposto, di dare corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi, come risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal Ministro medesimo al Capo dello Stato. Fatto Con nota dell8 novembre 2004 (Doc. 2) il Presidente della Repubblica, premesso di avere ricevuto ed esaminato la documentazione sullistruttoria relativa allistanza di grazia presentata da Ovidio Bompressi documentazione la cui acquisizione era stata richiesta dal Presidente con note del 30 marzo 2004 (Doc. 3) e del 4 giugno 2004 (Doc. 4) , ha manifestato al Ministro della giustizia di essere pervenuto alla determinazione di concedere al Bompressi la grazia della pena detentiva residua, ed ha invitato pertanto il Ministro a predisporre il relativo decreto di concessione della grazia, per la successiva emanazione. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 123 Con nota del 24 novembre 2004 (Doc. 5) il Ministro della giustizia ha comunicato al Capo dello Stato di non poter aderire a questa richiesta, non ..condivisibile né sotto il profilo costituzionale né nel merito, argomentando tale rifiuto sul presupposto che la Costituzione vigente pone in capo al Ministro della giustizia la responsabilità di formulare la proposta di grazia. Il Presidente della Repubblica non ritiene di poter condividere la tesi del Ministro, in quanto il potere di grazia che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato verrebbe posto nel nulla dalla mancata formulazione della proposta da parte dello stesso Ministro. Tale tesi, se accettata, condurrebbe alla spoliazione della prerogativa di concedere grazia riservata espressamente e in via esclusiva al Capo dello Stato dallarticolo 87 della Costituzione: né la Costituzione, e neppure la legge, infatti, richiedono la proposta del Ministro della giustizia ai fini della concessione della grazia. Sicché, una volta che il Presidente della Repubblica sia pervenuto alla determinazione di concedere la grazia ad un condannato, tanto la predisposizione del relativo decreto quanto la successiva controfirma costituiscono, per il Ministro della giustizia, atti dovuti. In virtù del Decreto in epigrafe del Capo dello Stato, lAvvocatura Generale dello Stato eleva pertanto, con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli artt. 37 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli artt. 87 e 89 Cost. Diritto 1. Sullammissibilità del ricorso. 1.1. Sotto il profilo soggettivo. La spettanza della qualificazione di potere dello Stato in capo al Presidente della Repubblica, odierno ricorrente, è del tutto pacifica. Per quanto concerne il Ministro della giustizia, la legittimazione di tale organo ad essere parte in un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato è stata costantemente affermata da codesta Corte Costituzionale, in ragione del ruolo istituzionale di Guardasigilli che la Costituzione ad esso attribuisce (così, ex multis, Corte Cost., n. 379/1992; Corte Cost., ord. n. 216/1995; Corte Cost., n. 380/2003). Le competenze che lart. 110 Cost. riserva al Ministro della giustizia vengono in rilievo, ai fini del presente conflitto, soprattutto in relazione al momento istruttorio, di sua specifica competenza, delle domande di grazia, a quello di controllo della regolarità formale del decreto presidenziale ed a quello della sua esecuzione. 1.2. Sotto il profilo oggettivo. Il Presidente della Repubblica rivendica, con il presente atto, lintegrità delle proprie esclusive attribuzioni costituzionali nellesercizio del potere di concessione della grazia, attribuzione che è stata lesa dal rifiuto, da parte del Ministro della giustizia, di predisporre il relativo decreto di concessione nonché di controfirmarlo. Non vè dubbio, pertanto, che anche sotto il profilo oggettivo ricorrano i presupposti di cui allart. 37 legge 87/53. 2. Nel merito: violazione degli artt. 87 e 89 della Costituzione. 2.1. Occorre anzitutto rilevare che il Ministro della giustizia, nel rifiutare di formulare la proposta di grazia in favore di Ovidio Bompressi, ritenendola presupposto indispensabile del relativo decreto di concessione, ha rivendicato a sé il potere di interdire con la sua 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO decisione (o addirittura con la sua inerzia) lesercizio del potere presidenziale di concessione della grazia, così attribuendosi un sostanziale potere di codecisione, che è, viceversa, assente nel vigente ordinamento costituzionale: lart. 87 della Costituzione è inequivoco nel conferire in via esclusiva al Capo dello Stato ogni potere decisionale in materia (Il Presidente della Repubblica può concedere grazia e commutare le pene) (1).. Siffatta titolarità esclusiva in capo al Presidente della Repubblica del potere di concessione della grazia, affermata da autorevolissima dottrina, è confermata del resto, da una serie di considerazioni di ordine logico-giuridico, oltre che sistematico. 2.1.1. Occorre anzitutto considerare che listituto della grazia, il quale consiste in una eccezionale deroga allesecuzione della pena inflitta nella sentenza di condanna, è connotato da una ratio eminentemente umanitaria ed equitativa, in quanto è ispirato allesigenza, da sempre presente in ogni ordinamento, di attenuare lapplicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa viene a confliggere con il più alto sentimento della giustizia sostanziale. Si tratta certamente di ipotesi non classificabili ex ante, ma da individuarsi con riferimento alle peculiarità del singolo caso concreto. La concessione della grazia esula quindi del tutto da valutazioni di natura politica, e tanto meno può essere riconducibile allindirizzo politico della maggioranza di governo (sulla finalità umanitaria della grazia si vedano, per tutte Corte Cost., n. 134/1976 e Corte Cost., ord. 388/1987). Va anche ricordato, a questo riguardo, quanto afferma in proposito la Relazione al progetto preliminare del Codice di Procedura penale del 1988 nel commento allart. 672, divenuto art. 681 nel testo definitivo: Sul piano processuale e sostanziale listituto della grazia assolve una funzione correttivo-equitativa dei rigori della legge, ma anche e sempre più il ruolo di strumento di risocializzazione alla luce dei risultati del trattamento rieducativo. Se così è, allora è naturale che lesercizio di un potere di tale elevata e delicata portata venga riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo rappresentante dellunità della Nazione: trattasi di potere, del resto, che in tutti i regimi ed in tutte le epoche è stato riconosciuto come parte inscindibile delle prerogative proprie della massima autorità dello Stato. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 125 (1) In dottrina, hanno sostenuto che quello di concedere la grazia sia un potere esclusivamente presidenziale, tra gli altri, G. GUARINO, Il Presidente della Repubblica Italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, 967; V. SICA, La controfirma, Napoli, 1953, 128; P. NICOSIA, voce <(Grazia)>, in Noviss. Dig It., Torino, 1962, 8; G. CAMERINI, La grazia, la liberazione condizionale e la revoca anticipata delle misure di sicurezza, Padova, 1967, 19; C. CERETI, Corso di diritto costituzionale, Torino, 1971, 284; C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, 781; A. BALDASSARRE, Il Capo dello Stato, in Manuale di diritto pubblico (a cura di G. AMATO e A. BARBERA), Bologna, 1984, 554; E. GALLO, Ancora sul potere di grazia (a proposito di un anomalo conflitto di attribuzione), in Nòmos, 1992, 1, 77; T. L. RIZZO, Il potere di grazia del Capo dello Stato dalla monarchia alla repubblica, Roma, 1998, 55; M. AINIS, Sulla titolarità del potere di grazia, in Quaderni costituzionali, 2004, 97; S. STAMMATI, A proposito del nuovo dimensionamento del ruolo e dei poteri del Presidente della Repubblica, in La democrazia riformata. Analisi del progetto di revisione costituzionale (a cura di A. BEVERE), Napoli, 2004, 113; F. P. CASAVOLA, Un potere che spetta al Presidente, in Il Messaggero del 25 novembre 2004; A. PUGIOTTO, Potere di grazia tra legge Boato e inerzia residenziale, in Diritto e Giustizia, 2004, n. 8, 10; 5. BONFIGLIO, La controfirma non costituisce un impedimento a fare, sul sito dellAssociazione dei costituzionalisti; S. PRISCO, Amicus Sofri, sed magis amica Constitutio, sul sito Forum Costituzionale. Recentemente intervistati da Radio Radicale, si sono espressi negli stessi termini anche V. CERULLI IRELLI, G. SERGES, A. CELOTTO, M. GIGANTE, P. CARNEVALE, L. FERRAIOLI, L. CARLASSARE, 6. G. VASSALLI, A. MANZELLA, G. AMATO e A. CERRI. Ciò tanto più nel vigente ordinamento costituzionale, nel quale il Presidente della Repubblica, per il suo ruolo istituzionale di garante super partes della Costituzione, è lunico organo che offra la garanzia di un esercizio imparziale del potere di grazia. Il Ministro della giustizia, pertanto, è soltanto il Ministro competente che collabora con il Capo dello Stato nelle varie fasi del procedimento, contribuendo alla formazione della volontà presidenziale nellambito delle sue specifiche attribuzioni (contributi istruttori,valutativi ed esecutivi). Tanto anche ai fini della formazione di un auspicabile accordo sulla opportunità e sui contenuti del decreto di grazia. Resta fermo però che, atteso il ruolo prevalentemente ed essenzialmente istruttorio spettante al Ministro nel procedimento in questione, in mancanza dellaccordo, devono comunque prevalere le istanze di cui è portatore il Presidente della Repubblica quale titolare del potere di grazia. 2.1.2. Del resto, che la grazia debba essere connotata essenzialmente da una ratio equitativo-umanitaria, è confermato in maniera incontrovertibile da un raffronto sistematico con gli istituti anch essi clemenziali) dellamnistia e dellindulto. Occorre infatti considerare che nel testo originario della Costituzione prima della modifica dellart. 79 operata con L.Cost. 6 marzo 1992, n. 1 anche lamnistia e lindulto erano concessi con decreto del Presidente della Repubblica: tuttavia, nella specie, tale decreto doveva essere emanato su legge di delegazione delle Camere. Tale diversa disciplina dimostra chiaramente che, pur affidando tutti i provvedimenti di clemenza alla firma del Capo dello Stato, il Costituente aveva inteso distinguere nettamente le ipotesi di amnistia e dellindulto, da quella della grazia. Amnistia e indulto non potevano essere disposti senza un preventivo intervento politico del Parlamento. A causa delle rationes tradizionalmente sottese allistituto per la grazia, ogni intervento politico doveva e deve ritenersi invece per essa precluso. 2.1.3. Né varrebbe far leva, al fine di riconoscere in capo al Ministro della giustizia dei poteri di natura sostanziale (id est, di sindacato nel merito) in ordine alla concessione della grazia, sul disposto dellart. 89 Cost., a mente del quale nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità. Infatti, per quanto concerne il profilo della asserita necessità della proposta ministeriale, è sufficiente rilevare che la migliore dottrina (2) ha ormai da tempo osservato che lespressione ministri proponenti, in luogo della più corretta ministri competenti, è imputabile ad un uso improprio della locuzione ministri proponenti. Codesta stessa Corte Costituzionale, nellordinanza n. 388/1987, parafrasando il dettato dellart. 89 della Costituzione in relazione al provvedimento di grazia ha fatto riferimento al Ministro competente anziché al Ministro proponente. Del resto, con specifico riguardo alla grazia, è del tutto pacifico in dottrina che liniziativa ai fini della concessione del provvedimento di clemenza ben può partire (come è avvenuto nel caso di specie) dal Capo dello Stato, senza che sia indispensabile una formale proposta ministeriale (3). Ne consegue che non sono condivisibili le argomentazioni con cui Ministero della Giustizia ha motivato il proprio rifiuto di dare corso alla determinazione di concedere la gra- 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (2) Per tutti, P. VIRGA, Diritto costituzionale, Milano, 1979, 232. (3) Sul punto si vedano, per tutti, G. ZAGREBELSKY, voce Grazia (dir. cost.), in Enc. dir., Milano, 1970, 764, e L. PALADIN, voce Presidente della Repubblica, in Enc. dir., Milano, 1986, 235. zia ad Ovidio Bornpressi, in particolare laffermazione che la Costituzione vigente pone in capo al Ministro della giustizia la responsabilità di formulare la proposta di grazia, e che pertanto questi sarebbe titolare esclusivo del potere di proposta. Per quanto riguarda il profilo della necessità che anche il decreto di grazia sia controfirmato la dottrina è unanime nel riconoscere che la controfirma ministeriale assume un significato radicalmente diverso a seconda del tipo di atto presidenziale cui viene apposta (4). Ed invero, con riferimento agli atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi i quali costituiscono di gran lunga la maggioranza (si pensi, a titolo esemplificativo, ai decreti di emanazione degli atti aventi forza di legge e dei regolamenti nonché a quelli di nomina dei funzionari dello Stato nei casi indicati dalla legge) la controfirma ha il significato di attestare la effettiva paternità dellatto e la conseguente assunzione di responsabilità politica, in quanto il Capo dello Stato si limita ad un mero controllo di legittimit à, oltre che di provenienza. Viceversa, le posizioni dei due organi costituzionali risultano sostanzialmente invertite con riguardo agli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali, tra i quali rientrano la nomina dei giudici costituzionali e dei senatori a vita, linvio di messaggi alle Camere ai sensi dellart. 87 della Costituzione e la richiesta di riesame di una legge ai sensi dellart. 74, 2° comma, della Costituzione; in tali casi la controfirma ministeriale si presenta come un atto dovuto, in quanto ha una funzione, per cosi dire, notarile, di mera attestazione di provenienza dellatto da parte del Capo dello Stato, oltre che di controllo della sua regolarità formale. Pertanto una volta chiarito che la concessione della grazia, per le ragioni che precedono, è un potere sostanzialmente presidenziale, non può dubitarsi che la controfirma del Ministro della giustizia, competente ratione materiae, costituisca anchessa un atto dovuto, che il Ministro stesso non può rifiutare. Ex ante, partecipando il Ministro al relativo procedimento essenzialmente in funzione prodromica e strumentale attraverso lattività istruttoria, la funzione della controfirma costituisce mera attestazione di regolarità formale dellatto. Infatti, se si riconoscesse che la proposta del Ministro è essenziale per avviare una procedura di grazia, si attribuirebbe al Ministro stesso un potere di interdizione e quindi di veto assoluto sullesercizio del potere presidenziale consacrato nellart. 87 della Costituzione. Si avrebbe, inoltre, una indebita ingerenza nellesecuzione della pena, che nell ordinamento vigente non è più consentita al potere esecutivo. Ex post, la controfìrma ministeriale sul decreto di grazia assume una funzione ulteriore che è quella di impegno a dare esecuzione alla decisione presidenziale. 2.1.4. Nè sembra invocabile, lesistenza di una consuetudine costituzionale secondo cui la concessione del provvedimento di clemenza consegue a una collaborazione tra Presidente della Repubblica e Ministro della giustizia. Questa collaborazione tra Presidente della Repubblica e Ministro della giustizia ha assunto infatti nel tempo forme e modalità diverse, collegate, tra laltro, anche alle modifiche subite dalle norme dellordinamento penitenziario, che hanno progressivamente individuato nuovi percorsi di risocializzazione dei condannati e consentito lapplicazione di misure alternative alla detenzione, ad opera della magistratura. Le nuove norme di ordinamento penitenziario hanno così restituito allistituto della grazia la sua intima natura equitativo- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 127 (4) Cfr., per tutti, C. MORTATI, op. cit., 428 ss. umanitaria e hanno consentito come è reso evidente dalla drastica riduzione del numero delle grazie concesse che esso perdesse le finalità di politica penitenziaria che lavevano a volte in precedenza pervaso. Unultima considerazione: è noto che per lungo tempo è invalsa una prassi per cui, a fronte di una istanza di grazia rispetto alla quale il Ministro della giustizia riteneva non sussistenti i presupposti per la concessione del provvedimento di clemenza, il Ministro stesso si limitava ad archiviare la relativa pratica, senza neppure informarne il Capo dello Stato. Tale prassi, che finiva per attribuire in qualche misura al Ministro della giustizia dei poteri di decisione sostanziale in materia, è venuta meno negli ultimi anni, posto che con nota del 15 ottobre 2003 (Doc. 6) il Presidente della Repubblica ha formalmente chiesto al Ministro della giustizia il quale ha immediatamente manifestato la propria adesione con nota del 17 ottobre 2003 (Doc. 7) di essere informato della conclusione di tutte le istruttorie relative ad istanze di grazia, ai fini delle sue decisioni. 2.1.5. Un ulteriore argomento in favore della natura esclusivamente presidenziale del potere di concedere la grazia è desumibile dalla giurisprudenza di codesta Corte Costituzionale, la quale, in ossequio al superiore principio di separazione dei poteri e di necessaria giurisdizionalizzazione della fase esecutiva delle sanzioni penali, ha dichiarato a più riprese lillegittimità costituzionale di numerose disposizioni che contemplavano competenze dellesecutivo (e cioè quindi del Ministro della giustizia) nella fase di esecuzione della pena (cfr. Corte Cost., n. 110/1974, relativa al potere di revoca delle misure di sicurezza ex art. 207 c.p.; Corte Cost., n. 204/1974 e Corte Cost., n. 192/1976, relative al potere di concedere la liberazione condizionale ex art. 176 c.p.; Corte Cost., n. 114/1974 e Corte Cost., n. 274/1990, relative al potere di differire lesecuzione della pena ex art. 147 c.p.). Di tal che non potrebbe non apparire contraddittorio riconoscere oggi al Ministro della giustizia poteri decisionali veri e propri in ordine alla concessione della grazia; provvedimento che, pur essendo connotato da una ratio del tutto peculiare, incide certamente sullesecuzione della pena. Il principio di separazione dei poteri (e della correlativa distinzione delle funzioni) non risulta, invece, vulnerato dal riconoscimento di siffatte attribuzioni in via esclusiva, al Presidente della Repubblica, in ragione del ruolo istituzionale di garante super partes che a tale organo assegna la Costituzione. 2.1.6. Da ultimo, la tesi della esclusiva pertinenza presidenziale del potere di concedere la grazia è stata implicitamente condivisa da codesta Corte nella già citata sentenza n. 274/1990. In quella sede, infatti, nel dichiarare lillegittimità costituzionale delle disposizioni del codice di procedura penale che attribuivano al Ministro della giustizia e non al Tribunale di sorveglianza il potere di disporre il differimento dellesecuzione della pena ai sensi dellart. 147, l° comma, n. 1, c.p. (e cioè nelle ipotesi in cui venga presentata domanda di grazia), codesta Corte ha disatteso apertis verbis la tesi affermata nella Relazione ministeriale al progetto definitivo del codice di procedura penale, secondo cui lattribuzione di tale potere (di differimento dellesecuzione della pena) al Ministro della giustizia doveva ritenersi giustificata sulla base della considerazione che la prognosi favorevole sulla concedibilità del beneficio (della grazia n.d.r.) può essere effettuata soltanto dallorgano che nella prassi costituzionale esercita il relativo potere. Codesta Corte ha in proposito, affermato che non [vi sono] vincoli costituzionalmente determinati per lesercizio del potere di grazia da parte del Presidente della Repubblica, così chiaramente escludendo lesistenza di qualsivoglia potere decisionale da parte del 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Ministro della giustizia (o comunque di sindacato nel merito). In definitiva, alla luce delle considerazioni che tutte precedono, non si può dubitare che il potere di concessione della grazia, nel vigente ordinamento costituzionale, sia riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, e che quindi il rifiuto, opposto dal Ministro della giustizia nella nota del 24 novembre 2004, di dare corso alla determinazione del Presidente della Repubblica di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi costituisca una rivendicazione di poteri insussistenti in capo al Ministro medesimo. 2.2. Daltronde, il Ministro è sicuramente titolare di poteri istruttori ma questi non possono che concludersi, al più, con una valutazione. In base al principio di leale collaborazione tra le istituzioni, egli esprime il proprio parere al Presidente della Repubblica al fine di pervenire ad un provvedimento condiviso. Con la conseguenza che, nel caso in cui tale condivisione non si verificasse anche dopo aver esperito un adeguato confronto sui presupposti (che nel caso di specie, riguardante Ovidio Bompressi, si è svolto), la volontà prevalente e quindi la decisione finale non possono che essere quelle del titolare del potere costituzionale di grazia e cioè del Presidente della Repubblica. Nel contesto delineato la decisione di codesta Corte Costituzionale, oltre a dirimere il conflitto insorto, verrà ad assumere il precipuo scopo di fare chiarezza definitiva su un punto importante dellinterpretazione della Costituzione, già oggetto di dibattiti dottrinali di grande rilevanza. Quanto precede premesso e ritenuto, il ricorrente chiede che lEcc.ma Corte adita dichiari che non spetta al Ministro della giustizia il potere di rifiutare di dare corso alla determinazione, alla quale il Capo dello Stato è pervenuto, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi e che, conseguentemente, annulli latto di cui alla nota 24 novembre 2004 del Ministro della giustizia. Si depositano: 1. Decreto del Presidente della Repubblica; 2. Nota del Presidente della Repubblica al Ministro della giustizia dell8 novembre 2004; 3. Nota del Presidente della Repubblica al Ministro della giustizia del 30 marzo 2004; 4. Nota del Presidente della Repubblica al Ministro della giustizia del 4 giugno 2004; 5. Nota del Ministro della giustizia al Presidente della Repubblica del 24 novembre 2004; 6. Nota del Presidente della Repubblica al Ministro della giustizia del 15 ottobre 2003; 7. Nota del Ministro della giustizia al Presidente della Repubblica del 17 ottobre 2003. Roma, 10 giugno 2005 Il Vice Avvocato Generale Ignazio Francesco Caramazza». Continua dossier IL CONTENZIOSO NAZIONALE 129 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Segue Una ricostruzione possibile alla luce della riforma del Titolo V di Lisa Nori 1. La questione del rapporto tra i poteri del Presidente della Repubblica e del Ministro proponente (art.89 Cost.) è di vecchia data (1) e si concentra sulla individuazione dei poteri, tra quelli che lart.87 della Costituzione gli attribuisce, che sono propri del Presidente della Repubblica, rispetto ai quali la controfirma ministeriale assume un valore soltanto formale. Con la sentenza che si annota la Corte costituzionale lha affrontata a proposito della concessione della grazia. 2. La parte essenziale della motivazione si trova nel punto 7.2.4: È chiaro, infatti, che alla controfirma va attribuito carattere sostanziale quando latto sottoposto alla firma del Capo dello Stato sia di tipo governativo e, dunque, espressione delle potestà che sono proprie dellEsecutivo, mentre ad essa deve essere riconosciuto valore soltanto formale quando latto sia espressione di poteri propri del Presidente della Repubblica, quali ad esempio quelli di inviare messaggi alle Camere, di nomina dei senatori a vita o dei giudici costituzionali. La Corte non ha indicato quali siano i criteri in base ai quali si deve fare la distinzione e, di conseguenza, perché gli atti richiamati siano espressione di poteri propri del Presidente della Repubblica. Se ne deve dedurre che abbia voluto seguire le argomentazioni svolte in proposito dalla dottrina. Lo stesso vale per la conclusione tratta sulla questione sottoposta al suo giudizio: A tali atti deve essere equiparato quello di concessione della grazia, che solo al Capo dello Stato è riconosciuto dallart.87 della Costituzione. Qualcuno potrebbe lamentare che la sentenza non abbia una motivazione esauriente e che per questo non abbia soddisfatto tutte le aspettative. Dallart.87, infatti, non si ricavano criteri che possano giustificare una distinzione tra di essi, in particolare quella effettuata dalla Corte costituzionale. Linsoddisfazione potrebbe essere soprattutto di chi è interessato alla ricostruzione del sistema. La sentenza, almeno così sembra a chi scrive, può essere esaminata da un punto di vista diverso. 3. Loccasione suggerisce qualche premessa di carattere generale, alla quale deve essere attribuito un valore soltanto descrittivo di una situazione (2). (1) V. da ultimo MARTINEZ, Diritto costituzionale, Milano, 2005, pp.438 e ss. (2) Per questo non si fanno richiami dottrinali. Daltro canto la letteratura sullargomento è così vasta che il richiamo, anche se parziale, sarebbe sproporzionato per una semplice nota a sentenza. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 131 Non poche norme della Costituzione italiana (3) hanno la struttura di clausole generali che per la loro applicazione richiedono una specificazione da parte del giudice che le applica (4). Anche se in termini così secchi può sembrare eccessivo, si può dire che la Costituzione ha il significato e produce gli effetti che gli attribuisce la Corte costituzionale. Questa conclusione è, in pratica, inevitabile se si tiene conto del potere che alla Corte costituzionale è attribuito dallart.134, in particolare se coordinato con la natura di clausole generali che hanno molte norme costituzionali. La Costituzione, per sua natura, è il più politico dei testi normativi di un ordinamento. Nel completarne la portata la Corte svolge una funzione politica, ma politica in senso rigoroso. Si spiega, pertanto, perché le sue decisioni manchino talvolta di quella che, per le sentenze degli organi giurisdizionali, viene indicata come motivazione. La motivazione, come elemento di ogni atto che incide sulla sfera dei soggetti, secondo linsegnamento tradizionale è richiesta per consentire la tutela degli interessi eventualmente lesi. La mancanza nelle sentenze della Corte costituzionale di una motivazione, come è richiesta in un atto amministrativo e nelle sentenze (5), si giustifica non tanto perché le sue sentenze non sono impugnabili, quanto perché, svolgendo una funzione, più che tecnica, di alta politica, la motivazione finisce con lassumere una importanza secondaria rispetto alla definizione delle posizioni finali. La tutela, che la motivazione assicura nelle sentenze dei giudici, per quelle della Corte costituzionale è data dai criteri della scelta dei Giudici, non fondata su requisiti soltanto tecnici, che nella camera di consiglio consente il confronto ed il coordinamento delle loro diverse esperienze, anche culturali. Non può poi essere trascurato che le sentenze della Corte costituzionale, quando risolvono questioni incidentali o conflitti di attribuzione, producono effetti che vanno al di là del singolo giudizio e che incidono sulla struttura dellintero ordinamento giuridico perché sono esercizio di potestà di massimo livello politico (6). (3) Si potrebbe forse dire che losservazione vale per tutte le Costituzioni, almeno per quelle di tipo occidentale più conosciute. (4) La Corte Costituzionale si è occupata delle clausole generali o concetti elastici, affermando che la loro adozione non comporta un vulnus del parametro costituzionale..., quando la descrizione complessiva del fatto consenta comunque al giudice di stabilire il significato di tale elemento, mediante unoperazione interpretativa non esorbitante dallordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile (sentenza n.5 del 2004). (5) V. rispettivamente art.3 della legge n. 241 del 1990 ed art.111 della Costituzione. (6) Dopo le modifiche del Titolo V la Corte costituzionale è stata chiamata ripetutamente a decidere se alcune norme statali potevano essere considerate principi fondamentali ai sensi dellart.117, terzo comma, della Costituzione. 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO La motivazione, pertanto, non può avere la stessa rilevanza che ha in un atto giurisdizionale ordinario. 4. Come è stato rilevato da molti, tra le peculiarità delle recenti modifiche costituzionali, almeno di quelle attualmente in vigore, cè anche quella di aver modificato il solo Titolo V, senza toccare gli altri Titoli della Parte Seconda della Costituzione. Era scontato che sorgessero esigenze di coordinamento e ad esse non poteva provvedere se non la Corte costituzionale. Secondo lart.114 Cost. La repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Oggi, dunque, lo Stato non si identifica con la Repubblica, della quale è solo uno degli elementi costitutivi (7). La domanda consentiva solo una risposta secca: sì o no. La motivazione, intesa in senso tradizionale, sarebbe stata anche difficile perché la risposta in ogni caso si riduceva a dire che la norma costituiva un principio fondamentale perché era strutturata come principio fondamentale. Lo stesso si verifica anche nelle sentenze la cui posizione è analoga a quella della Corte costituzionale, in particolare in quelle della Corte di Giustizia dellUnione europea. Anche i Trattati sono costituiti in gran parte da clausole generali. La Corte, in particolare quando decide questioni incidentali, si limita ad enunciare il significato della norma comunitaria rilevandone lo scopo attraverso valutazioni di politica comunitaria. Anche per esse la tutela si realizza attraverso la discussione in camera di consiglio dove sono rappresentati non solo gli interessi, ma le culture dei Paesi membri. Anche in questo modo si può spiegare lorientamento che la Corte costituzionale ha assunto nei suoi rapporti con la Corte di Giustizia. Pur essendo organo di unica istanza nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, la Corte costituzionale, a quanto risulta, non ha mai fatto rinvii alla Corte di Giustizia ai sensi dellart. 234 del Trattato CE e tutto lascia prevedere che non intenda farlo in futuro. La Corte ha affrontato largomento nella sentenza n. 168 del 1991 nella quale ha confermato di poter procedere alla diretta interpretazione della normativa comunitaria per giudicare della legittimità costituzionale di una legge nazionale, ferma restando la facoltà di sollevare anchessa questione di interpretazione ai sensi dell art.177 cit. (oggi art. 234 del Trattato CE). Essendo giudice di ultima istanza, sarebbe tenuta, e non avrebbe solo la facoltà, a rimettere la questione alla Corte di Giustizia. Se per giurisdizione, ai sensi dellart.234, si deve intendere il giudice tecnico, che fa parte dell ordinario sistema di tutele di ogni singolo Stato, la norma si potrebbe considerare non applicabile allorgano che esercita poteri di alta politica, anche se in forma giurisdizionale. Questione diversa è se una tale presa di posizione di un giudice statale sarebbe corretta dal punto di vista comunitario, questione che non interessa in questa sede. (7) In base alla formulazione iniziale dellart.114 (La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni) il GIANNINI (Enciclopedia del diritto, Milano, 1988, XXIX, v. Repubblica), dopo aver premesso che il termine in alcune norme della Costituzione, compreso lart.114, si ritrova . come equivalente di complesso dei pubblici poteri costituiti dallo Stato e dagli enti pubblici che nel loro insieme compongono lordinamento ha rilevato che altre volte, come nellart.91, Repubblica significa semplicemente Stato, per concludere che Ricorre quindi una certa promiscuità di linguaggio in ordine alle voci Repubblica = Stato. Il che è stato spiegato col dire che nella prima evenienza si è voluto conferire alleloquio della Costituzione una maggiore solennità di linguaggio, essendo la promiscuità medesima priva di conseguenze giuridiche, in quanto di chiaro significato. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 133 Tutti quelli che sono indicati nellart.114 sono soggetti che hanno personalit à giuridica pubblica. Si può dire, pertanto, che la Repubblica è costituita da un numero, tutt altro che esiguo, di persone giuridiche pubbliche, appartenenti alle categorie indicate nellart.114. Una struttura di questo genere non può essere che associativa se non si vuole pensare ad una figura di tipo nuovo. La Repubblica non dovrebbe ancora essere considerata come solo ordinamento, perché, salvo che nellart.114 non si veda una improprietà terminologica, non si può dire che un ordinamento sia costituito da enti pubblici (8). Se la Repubblica ha oggi una struttura associativa nella quale sono inseriti gli enti esponenziali del nuovo sistema di potestà delineato nel Titolo V, si può concludere che viene ad essere un soggetto di diritto, anche se non dotato di personalità giuridica, titolare non di una capacità giuridica generale, ma esclusivamente di quei rapporti che, per il momento, trovano la loro fonte solo nella Costituzione (9). La Repubblica, dunque, può essere considerata come soggetto di rilievo solo costituzionale, titolare di quelle potestà e, in genere, di quei rapporti che ad essa debbono essere ricondotti in base alle norme costituzionali. La nuova configurazione costituzionale, delineata nel Titolo V, incide anche sulla posizione del Presidente della Repubblica. Lart. 87 lo qualifica come capo dello Stato. Le due qualifiche oggi non sono sovrapponibili, come lo erano prima delle ultime modifiche costituzionali. Il Presidente della Repubblica, per questo organo della Repubblica nella struttura che gli è stata data dal nuovo Titolo V, in quanto capo dello Stato è organo di un soggetto diverso, che fa parte della struttura associativa della Repubblica, della quale è soltanto uno dei costituenti. Il raccordo tra Repubblica e Stato si realizza, pertanto, anche nel Presidente della Repubblica, le cui funzioni ed i cui poteri vanno esaminati separatamente per verificare se sono riconducibili alla Repubblica o allo Stato. (8) Si potrebbe arrivare alla conclusione esclusa nel testo solo considerando che anche gli enti siano presi in considerazione come ordinamenti, tesi che non sembra sia stata sostenuta fino ad oggi. (9) Occorre osservare che, se da un lato la capacità e soggettività giuridica coincidono per quanto attiene al momento dellacquisto (nascita), esse possono anche essere disgiunte; nel senso che, mentre le persone fisiche non possono non essere soggetti di diritto, lordinamento può escludere alcuni soggetti da destinatari delle norme o prevederli come destinatari soltanto in presenza di determinati presupposti di fatto. Lesclusione o la limitazione della capacità giuridica è fenomeno che interessa particolarmente il campo del diritto pubblico . Esistono, in altri termini, delle norme che si indirizzano indistintamente a tutte le persone fisiche soggetti di diritto; e delle altre che si indirizzano soltanto ad alcuni di essi, limitando od escludendo, pertanto, la capacità giuridica degli altri (MARTINEZ, Diritto costituzionale, cit., p. 104). Largomento è trattato più ampiamente di quanto non lo sia nel testo in L. NORI, Gli enti territoriali nel Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, in Quaderni del Consiglio della Regione Marche, n.60/ 2004, p.25 e ss. 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Quando esercita i poteri che il nuovo Titolo V ha conservato allo Stato, opera come Capo dello Stato. Quando esercita poteri non più statali opera, invece, come Presidente della Repubblica, quindi anche negli interessi, coordinati ma non coincidenti, dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni. 5. Non si può, pertanto, continuare a considerare tra di loro omogenee le attribuzioni conferite al Presidente della Repubblica dalla Costituzione. Vanno distinte quelle che sono rimaste statali da quelle che sono passate alla Repubblica. Nellindagine si deve tenere conto del fatto che lo Stato è solo uno dei soggetti che costituiscono la Repubblica e che ciascuno di questi ha ricevuto una nuova collocazione dal Titolo V modificato. Lindagine potrebbe diventare molto complessa e, di conseguenza, troppo lunga. Ci si limita allessenziale, con la consapevolezza che in questo modo si perde di rigore. Per vedere a quale soggetto possano essere riferite le potestà attribuite al Presidente della Repubblica, in particolare quelle elencate nellart.87, si dovrebbe tenere conto degli interessi dello Stato e degli enti che costituiscono la Repubblica, attribuendo al primo quelle che si ricollegano solo a suoi interessi ed alla Repubblica quelle che investono gli interessi di tutti o di più di uno dei soggetti, oltre lo Stato, che costituiscono la Repubblica. Si può fare qualche esempio. La indizione delle elezioni delle nuove Camere e lautorizzazione a presentare alle Camere i disegni di legge di iniziativa del Governo sono sicuramente funzioni statali. Le Camere (art.55) ed il Governo (art.92) sono organi statali e i poteri che sono esercitati in relazione ad essi non possono essere che dello Stato. Al Presidente della Repubblica è attribuito il comando delle Forze Armate e la presidenza del Consiglio supremo di difesa. La difesa, dal punto di vista tecnico-militare è tuttora affidata allo Stato (10). Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio superiore, oltre che in qualità di organo dello Stato, anche per rappresentare in esso gli interessi degli altri enti che costituiscono la Repubblica, tutelati dalla difesa in condizioni di parità con lo Stato. Il comando delle Forze Armate e la presidenza del Consiglio supremo di difesa sono, pertanto, funzioni da riferirsi alla Repubblica e non allo Stato. Per ritenere il contrario bisognerebbe considerare la difesa come rivolta soprattutto alla tutela dello Stato e solo in via riflessa degli altri enti, ma in questo modo non attenendosi alla collocazione che ad essi è oggi attribuita dallart.114. Lo stesso si può dire per la presidenza del Consiglio superiore della magistratura e la nomina dei Giudici costituzionali. (10) Basterà rilevare che tuttora è previsto un Ministero della difesa. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 135 La giustizia, nei suoi diversi livelli, non è svolta nellinteresse del solo Stato, ma di tutti i soggetti che costituiscono la Repubblica, in particolare quella costituzionale che addirittura tutela ognuno di essi verso gli altri (11). Anche in questo caso le funzioni attribuite dallart.87 sono svolte nell interesse non del solo Stato, ma dellintera Repubblica. La concessione della grazia e la commutazione delle pene rientrano sicuramente nelle funzioni di giustizia (12). Se si accettano queste premesse, la conclusione è praticamente obbligata: il primo comma dellart.89 è stato abrogato, o modificato, anche se parzialmente, nel senso che non può essere più applicato alle funzioni presidenziali riferibili alla Repubblica perché si consentirebbe ad un Ministro, che è organo dello Stato, ma non della Repubblica, di interferire nellesercizio di una funzione che non è più del soggetto (lo Stato) di cui è organo. In caso contrario verrebbero lese le posizioni dei soggetti indicati nell art.114 che oggi sono tutelate dalla Costituzione attraverso la nuova struttura della Repubblica. 6. Questa conclusione può, al primo esame, provocare qualche perplessit à, che non sembra giustificata. Laver modificato solo il Titolo V, senza toccare gli altri Titoli della Parte Seconda della Cosituzione, non poteva non causare qualche problema di coordinamento. Una delle forme possibili di coordinamento era labrogazione, o la modifica, implicita di alcune norme. Anche se è formalizzato nellart.15 delle Disposizioni sulla legge in generale, il principio della abrogazione per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti è applicabile anche alle norme costituzionali. Secondo quello che è stato definito il concetto moderno, labrogazione (13) ricorre a queste condizioni: lesistenza di un potere giuridico permanente e potenzialmente inesauribile; lesercizio concreto e individuato di tale potere, da cui deriva un determinato atto giuridico; il rinnovato esercizio, sempre concreto e individuato, del potere medesimo, da cui deriva un ulteriore atto, idoneo a far cessare (ex nunc) lefficacia giuridica del precedente. Questa possibilità ricorre in ogni caso di potere normativo, non solo di quello legislativo. Il principio enunciato nellart.15 delle preleggi, pertanto, è di ordine generale. (11) Non si può arrivare a conclusioni contrarie per il fatto che i militari ed i magistrati siano dipendenti statali. La dipendenza organica non va messa sullo stesso piano dei poteri esercitati. Poiché la Repubblica è soggetto solo di rilievo costituzionale, lesercizio delle funzioni attribuibili alla Repubblica non può essere svolto che da soggetti che si trovano in rapporto organico con un soggetto diverso, che, nei casi presi in esame, non può essere che lo Stato. (12) Non risulta che sia mai stato messo in dubbio. Il fatto stesso che la controversia sia nata tra Presidente della Repubblica e Ministro della giustizia lo conferma definitivamente. (13) V. PUGLIATTI, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, I, v. Abrogazione. Teoria generale e abrogazione degli atti normativi, p. 142. Il nuovo articolo 114 Cost. ha reso non più omogenei i poteri del Presidente della Repubblica. A quelli oggi esercitati in qualità di organo delle Repubblica non è più applicabile lart.89 Cost. che si deve ritenere abrogato parzialmente. La firma del Ministro, pertanto, non sarebbe più latto con il quale il Ministro si limita ad attestare la completezza e la regolarità dellistruttoria e del procedimento eseguito, come ha ritenuto la Corte costituzionale, ma non sarebbe più necessaria (14). In questo senso sembra orientato anche il Presidente della Repubblica se, come è stato riferito dalla stampa, ha provveduto ad istituire presso la Presidenza della Repubblica un ufficio apposito, che potrebbe provvedere allintera istruttoria. 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (14) La Corte costituzionale, a sostegno della sua decisione, ha fatto alcune ipotesi, distinte per liniziativa del procedimento. Liniziativa del Ministro della giustizia non assumerebbe una funzione diversa da quella di altri e non potrebbe condizionare il Presidente della Repubblica se non, forse, richiedendogli un provvedimento formale. Il Presidente della Repubblica, naturalmente, potrebbe provvedere anche diniziativa propria. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 137 Foro erariale e giudice naturale (Corte Costituzionale, ordinanza 20 - 24 febbraio 2006, n. 71) Mentre si procedeva allunificazione delle Corti di Cassazione regionali nella Cassazione del Regno, con il R.D. 30 dicembre 1923 n. 2828, veniva istituito il «foro dello Stato». Tale previsione fu senza dubbio dettata dallesigenza di far corrispondere allUnità dello Stato, ununità di indirizzo nel campo giuridico. Infatti, il grande numero dei fori in cui conveniva la P.A., da un lato, impediva che il contributo apportato dai liberi professionisti e dagli avvocati dello stato potesse consolidarsi in un comune pensiero e, dallaltro, che si formasse una giurisprudenza uniforme, la quale presuppone una specifica competenza nelle materie speciali. Il foro erariale fu introdotto, inoltre, anche per ragioni di convenienza economica: senza di esso, un dispendio economico maggiore ricadrebbe su tutti i cittadini, imponendo, in primis, oneri tributari più gravosi. Del principio del foro dello Stato è stata spesso discussa la compatibilità con le disposizioni costituzionali (1) ma, a ben guardare, esso non contrasta né con lart. 3, perché non assicura allo Stato alcuna posizione di preminenza, né con lart. 25, poiché non distoglie alcuno dal giudice precostituito per legge, né con gli artt. 24 e 113, dal momento che non impedisce né diminuisce la tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione. Merita particolare segnalazione il preteso contrasto con lart. 25 Cost. La Corte ha costantemente ritenuto che lart. 25, vietando la costituzione del giudice a posteriori, ponga in essere una riserva di legge, nel senso di consentire soltanto una competenza fissata immediatamente ed esclusivamente dalla legge. In sintesi, lart. 25 tutela il diritto del cittadino ad una previa e non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere, ovvero, il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato in relazione ad un fatto già verificatosi. Non cè ragione, dunque, per dubitare della legittimit à delle norme che istituiscono fori speciali in relazione a predeterminate categorie di controversie, tanto più se ancora non insorte. Lattributo naturale ha un significato strettamente connesso al principio successivamente enunciato, al quale si limita a conferire solennità: giudice naturale è il giudice precostituito per legge, quello che è possibile identificare sulla base delle norme preesistenti del codice di rito e delle leggi speciali. Proprio di recente, con ordinanza del 26 luglio 2006, la Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale in riferimento allart. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sullordinamento dellAvvocatura dello Stato), per contrasto con lart. 25, comma primo della Costituzione, nella (1) E ciò sin dai lontani anni 60. A titolo esemplificativo, si ricordi la sentenza del 1963 n. 119. 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO parte in cui «prevede, in caso di chiamata in causa dello Stato, che la competenza si radichi, alternativamente, nel foro erariale o in quello naturale in base al mero esercizio discrezionale di scelta dellamministrazione». Nel corso di un giudizio civile tra privati, il Tribunale ordinario di Pisa, in composizione monocratica, ordinava la chiamata in causa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il quale, costituitosi, eccepiva lincompetenza territoriale del predetto Tribunale, essendo competente il Tribunale ordinario di Firenze, a norma dellart. 25 cod. proc.civ. Avendo il giudice accolto leccezione, lattore impugnava la sentenza dichiarativa dellincompetenza con istanza di regolamento, sostenendo lapplicazione del «foro erariale» soltanto nei processi davanti ai giudici collegiali, ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, resistendo allimpugnazione, chiedeva che fosse dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di Firenze a norma dellart. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933. Il ricorrente, a questo punto, eccepiva lillegittimità costituzionale di tale norma. Il giudice rimettente osservava che la norma denunciata, collegando lapplicazione del «foro erariale» alla mera richiesta dellamministrazione statale, intervenuta coattivamente in giudizio e, quindi, facendo dipendere da tale richiesta lo spostamento del giudice competente a far conoscere della causa principale, sembra porsi in contrasto con lart. 25, comma primo, Cost., poich é le parti di detta causa vengono distolte dal giudice naturale precostituito per legge in ordine alla stessa causa, per effetto di una scelta rimessa alla libera volontà dellamministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla legge. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura Generale dello Stato, concludeva per linammissibilità ovvero linfondatezza della questione, osservando che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il cosiddetto «foro erariale» è inderogabile ed attrae lintera controversia, in caso sia di litisconsorzio necessario, sia di consorzio facoltativo, sia di litisconsorzio successivo a seguito di intervento coatto, sicchè, in tali casi, non sussiste alcun margine di discrezionalità nello spostamento della causa davanti al tribunale del luogo dove ha sede lufficio dellAvvocatura dello Stato. Con ordinanza n. 71 del 2006, la Corte Costituzionale, considerato che lordinanza di rimessione non lascia comprendere se la pretesa violazione del precetto di cui allart. 25 Cost. sia ravvisata nella circostanza che le parti private sono distolte dal giudice naturale da esse individuato secondo le regole ordinarie, ovvero nella circostanza che, potendo la pubblica amministrazione non proporre leccezione dincompetenza, ad essa sia consentito, a suo libito, di sottrarsi al criterio del foro erariale, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dellart. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. Dott.ssa Marika Piscitelli Corte Costituzionale, ordinanza 20 24 febbraio 2006, n. 71 Pres. A. Marini Red. F. Bile Ricorso di M. P. (Avv.ti F. Caffarelli e G. Marinai) c. Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ct. 38312/04, Avv. dello Stato G. Fiengo). IL CONTENZIOSO NAZIONALE 139 «(Omissis) Ritenuto che la Corte di Cassazione investita di un ricorso per regolamento di competenza, proposto avverso una sentenza con cui il Tribunale ordinario di Pisa, allesito di un giudizio civile tra parti private, nel quale era stato chiamato a intervenire, iussu iudicis, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha dichiarato la propria incompetenza territoriale, per essere competente il Tribunale ordinario di Firenze, quale «foro della pubblica amministrazione» ha sollevato, con ordinanza del 26 luglio 2004, questione di legittimit à costituzionale, in riferimento allart. 25, comma primo, della Costituzione, dellart. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sullordinamento dellAvvocatura dello Stato), nella parte in cui «prevede, in caso di chiamata in giudizio dello Stato, che la competenza si radichi, alternativamente, nel foro erariale o in quello naturale in base al mero esercizio discrezionale di scelta dellamministrazione »; che, in punto di fatto, la Corte rimettente riferisce che, nel corso di un giudizio tra privati avente ad oggetto laccertamento del diritto di proprietà pro quota di una scultura archeologica, ladito Tribunale ordinario di Pisa, in composizione monocratica, aveva ordinato, ai sensi dellart. 107 del codice di procedura civile, la chiamata in causa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il quale, costituitosi, ha eccepito lincompetenza territoriale del predetto Tribunale, essendo competente il Tribunale ordinario di Firenze, a norma dell art. 25 cod. proc. civ.; che, avendo il giudice accolto leccezione, lattore ha impugnato la sentenza dichiarativa dellincompetenza con listanza di regolamento, ai sensi dellart. 42 cod. proc. civ., sostenendo che il «foro erariale» trova applicazione soltanto nei processi davanti ai giudici collegiali, dal momento che lart. 7 del regio decreto n. 1611 del 1933 deve essere interpretato, alla luce del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), nel senso che la previsione dei «giudizi innanzi ai pretori ed ai conciliatori», per i quali «le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa unamministrazione dello Stato», si riferisce oggi ai giudizi già innanzi ai pretori ed ora innanzi ai tribunali in composizione monocratica; che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha resistito allimpugnazione, chiedendo che, a conferma dellimpugnata sentenza, sia dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di Firenze, a norma dellart. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933 e che il ricorrente, a sua volta, ha eccepito lillegittimità costituzionale di tale norma; che la Corte rimettente rilevato, preliminarmente, che la normativa del decreto legislativo n. 51 del 1998, essendo entrata in vigore il 2 giugno 1999, è irrilevante, a norma dell art. 5 cod. proc. civ., ai fini della determinazione della competenza, posto che il giudizio è stato instaurato con citazione notificata il 14 gennaio 1999 osserva che la competenza a giudicare la controversia de qua va determinata in base allart. 25 cod. proc. civ. e allart. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933, il quale dopo aver stabilito (al primo comma, il cui disposto è stato poi recepito nellart. 25 cod. proc. civ.) che la «competenza per cause nelle quali è parte unamministrazione dello Stato, anche nel caso di più convenuti [ ], spetta al tribunale o alla corte di appello del luogo dove ha sede lufficio dellAvvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il tribunale o la corte dappello che sarebbe competente secondo le norme ordinarie» prevede (al secondo comma) che, «quando unamministrazione dello Stato è chiamata in garanzia, la cognizione così della causa principale come dellazione in 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO garanzia è devoluta, sulla semplice richiesta dellamministrazione, con ordinanza del presidente, allautorità giudiziaria competente a norma del comma precedente»; che tale ultima disposizione si applica anche nei casi in cui il giudice ordini lintervento di unamministrazione statale, cui ritenga comune la causa, ai sensi dellart. 107 cod. proc. civ., come già affermato dallo stesso giudice di legittimità (Cass. 17 aprile 1982, n. 2340); che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che, alla stregua del richiamato indirizzo interpretativo, dovrebbe essere dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di Firenze, ove ha sede lAvvocatura dello Stato, poiché il Ministero, chiamato in causa iussu iudicis, ha chiesto lapplicazione del foro erariale, ai sensi dellart. 6, comma secondo, del regio decreto n. 1611 del 1933; che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente osserva che la norma denunciata, collegando nel caso di chiamata in garanzia ovvero per ordine del giudice lapplicazione del «foro erariale» alla mera richiesta dellamministrazione statale, intervenuta coattivamente in giudizio (ex art. 106 o 107 cod. proc. civ.), e, quindi, facendo dipendere da tale richiesta lo spostamento del giudice competente a conoscere della causa principale, sembra porsi in contrasto con lart. 25, comma primo, Cost., poiché le parti di detta causa vengono distolte dal «giudice naturale precostituito per legge» in ordine alla stessa causa, per effetto di una scelta rimessa alla libera volontà dellamministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla legge; che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per linammissibilità ovvero linfondatezza della questione, osservando, in linea preliminare, che, nel caso di specie, si versa in unipotesi non già di «chiamata in garanzia», prevista dallart. 6, comma secondo, del regio decreto n. 1611 del 1933, bensì di «comunanza di causa», cui si applica la disposizione del primo comma del medesimo art. 6 e che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il cosiddetto «foro erariale» è inderogabile ed attrae lintera controversia, in caso sia di litisconsorzio necessario, sia di litisconsorzio facoltativo, sia di litisconsorzio successivo a seguito di intervento coatto, sicché, in tali casi, non sussiste alcun margine di discrezionalità nello spostamento della causa innanzi al tribunale del luogo dove ha sede lufficio dellAvvocatura dello Stato; che, inoltre, la Corte Costituzionale, con ripetute pronunce, ha ritenuto conforme a Costituzione la normativa dellart. 25 cod. proc. civ. e del regio decreto n. 1611 del 1933, osservando che «la regola del foro dello Stato, per un verso non menoma in modo apprezzabile lesercizio del diritto di difesa da parte del singolo, né sotto il profilo del costo né sotto quello del disagio; per altro verso ha una adeguata giustificazione nelle ragioni di interesse generale (ridondanti anche a beneficio dei singoli), collegabili al soddisfacimento dellesigenza di concentrare in vista di un servizio organizzato in modo da importare minori oneri e migliori risultati per la collettività gli uffici dellAvvocatura dello Stato e dellesigenza di concentrare ancora una volta in vista del migliore rendimento del servizio i giudizi cui partecipa lo Stato presso un numero ristretto di sedi giudiziarie» (ordinanza n. 189 del 1989); che, in tale contesto, la questione è infondata, in quanto la norma denunciata rende derogabile (su eccezione di parte) un foro che, per regola generale, è automatico e inderogabile, così rimettendo, ragionevolmente, al prudente apprezzamento della parte pubblica chiamata in causa la valutazione della rilevanza dellinteresse pubblico coinvolto nel giudizio. Considerato che la Corte di Cassazione dubita della legittimità costituzionale, in riferimento allart. 25, comma primo, della Costituzione, dellart. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sullordinamento dellAvvocatura dello Stato), in quanto, collegando nel caso di chiamata in garanzia ovvero per ordine del giudice lapplicazione del «foro erariale» alla mera richiesta dellamministrazione statale, intervenuta coattivamente in giudizio (ex art. 106 e 107 del codice di procedura civile), e, quindi, facendo dipendere da tale richiesta lo spostamento del giudice competente a conoscere della causa principale, distoglie le parti di detta causa dal «giudice naturale precostituito per legge», per effetto di una scelta rimessa alla libera volontà dellamministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla legge; che la questione è manifestamente inammissibile, in quanto lordinanza di rimessione, nel censurare la norma che riconosce alla pubblica amministrazione il potere di far valere o non lincompetenza del giudice adito in favore di quello del cosiddetto «foro erariale», non lascia comprendere se la pretesa violazione del precetto di cui allart. 25 Cost. sia ravvisata nella circostanza che le parti private sono distolte dal giudice naturale da esse individuato secondo le regole ordinarie ovvero nella circostanza che, potendo la pubblica amministrazione non proporre leccezione dincompetenza, ad essa sia consentito, a suo libito, di sottrarsi al criterio inderogabile del «foro erariale»; in sintesi, non è dato comprendere se si censuri la circostanza che parti private possano essere distolte dal loro giudice naturale ovvero la circostanza che la pubblica amministrazione possa sottrarsi al suo giudice naturale, non avanzando la richiesta di cui alla norma censurata; che, nel primo caso, risolvendosi la censura nella contestazione della stessa previsione del «foro erariale», è evidente che la Corte rimettente avrebbe dovuto fare oggetto dei suoi rilievi lart. 25 cod. proc. civ. (ovvero lart. 6, comma primo, del regio decreto n. 1611 del 1933), così come è evidente che, nel secondo caso, la questione è irrilevante nel giudizio a quo, in quanto per tale giudizio è stata dichiarata la competenza del giudice naturale della pubblica amministrazione ai sensi dellart. 25 cod. proc. civ. Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dellart. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sullordinamento dellAvvocatura dello Stato), sollevata, in riferimento allart. 25, comma primo, della Costituzione, dalla Corte di Cassazione con lordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2006». IL CONTENZIOSO NAZIONALE 141 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Servizi pubblici locali: l’illegittimità costituzionale degli affidamenti diretti prorogati oltre i termini previsti dalla legislazione statale. (Corte Costituzionale, sentenza 3 marzo 2006 n. 80) La normativa nazionale, nellart. 113 del D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L), dopo un lungo contenzioso con gli organismi comunitari, ha sostanzialmente riprodotto le indicazioni emerse dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee tipizzando la figura dellaffidamento diretto ovvero dellin house providing. Tale disposizione rende possibile agli enti locali laffidamento diretto a società con capitale interamente pubblico, e rispondenti ai requisiti ivi enucleati, di servizi pubblici locali senza lobbligo di esperire alcuna procedura di evidenza pubblica. Tuttavia, non può non rimarcarsi che, ove la possibilità di affidamento in house venga rimessa alla totale discrezionalità degli enti locali, si corre il serio rischio di ottenere una totale chiusura del mercato in contrasto con i principi cardine dellUnione Europea. Per tale motivo, sin dalla nota sentenza Teckal (1) la Corte di Giustizia si è premurata di sottolineare come, ancorché astrattamente compatibile con un mercato di tipo concorrenziale, laffidamento in house debba considerarsi una ipotesi eccezionale che sola possa giustificare la mancata applicazione delle regole in materia di concorrenza, altrimenti cogenti in tutti casi di affidamento di un servizio pubblico a soggetto diverso dalla stessa amministrazione (2). In altre parole, le istituzioni comunitarie, pur riconoscendo lammissibilit à della fattispecie di affidamento diretto la considerano unipotesi palesemente residuale ed eccezionale, dando per scontato che lipotesi normale sia rappresentata dallaffidamento mediante procedura ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza. Ciononostante, nella prassi applicativa laffidamento in house è stato utilizzato spesso come un espediente atto a perpetuare situazioni monopolistiche di gestione dei servizi pubblici locali, peraltro strumentali al mantenimento di fenomeni clientelistici prodotti dallinestricabile intreccio tra politica e amministrazione pubblica. (1) Corte di Giustizia delle Comunità Europee: causa C-107/98. (2) Tale eccezionalità è stata sottolineata anche dalla Commissione la quale, con esplicito riferimento ai principi enunciati nella sentenza Teckal, ha sentito lesigenza di precisare che lipotesi dell affidamento in house non può valere ad escludere in maniera generale dal campo di applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti pubblici e di concessioni ogni affidamento di un servizio che venga effettuato da un ente locale in favore di una società a capitale maggiormente o totalmente pubblico. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 143 Al fine di incentivare il superamento di tali assetti monopolistici, nella gestione del servizio di trasporto pubblico locale, il legislatore è intervenuto imponendo, con lart. 18 comma 3 del D.Lgs. 19 novembre 1997 n. 422, la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi [attualmente affidatari dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale] in società di capitali, ovvero in cooperative a responsabilità limitata, anche tra i dipendenti, o leventuale frazionamento societario derivante da esigenze funzionali o di gestione e specificando altresì che di tali società, lente titolare del servizio può restare socio unico per un periodo non superiore a due anni; ove la trasformazione di cui al presente comma non avvenga entro il termine indicato, provvede il sindaco o il presidente della provincia nei successivi tre mesi. In caso di ulteriore inerzia, la regione procede allaffidamento immediato del relativo servizio mediante le procedure concorsuali di cui al comma 2 lett. a). Nel comma successivo, il 3-bis (3), è stata peraltro prevista la possibilit à per le regioni di prorogare la durata degli attuali affidamenti entro e non oltre il 31 dicembre 2006 (4) al fine di incentivare secondo quanto disposto dal secondo comma dellarticolo in parola il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale (5). In particolare, a norma di detta disposizione le regioni prevedono un periodo transitorio, da concludersi comunque entro il 31 dicembre 2006, nel corso del quale vi è la facoltà di mantenere tutti gli affidamenti agli attuali concessionari ed alle società derivanti dalle trasformazioni di cui al comma 3, ma con lobbligo di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali [ ] Trascorso il periodo transitorio, tutti i servizi vengono affidati esclusivamente tramite le procedure concorsuali di cui al comma 2 lettera a). Come è stato efficacemente sottolineato dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento la fissazione di un termine massimo entro il quale (3) Entrambi i commi sono stati introdotti dallart. 1 del D.Lgs. 20 settembre 1999, n. 400 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 422 recante conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale). (4) Tale termine, prorogabile per un biennio ai sensi dellart. 11, comma 3 legge 1 agosto 2002, n. 166, è stato prorogato al 31 dicembre 2005 dallart. 23 , D.L. 24 dicembre 2003, n 355, come modificato dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dal comma 394 dellart. 1, legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Legge Finanziaria per il 2006). Peraltro il comma 393 del medesimo articolo ha inserito, dopo il citato comma 3-bis, altri cinque commi, che disciplinano anche la possibilità che le regioni prevedano, a determinate condizioni, alcuni tipi di ulteriore proroga dellaffidamento, fino ad un massimo di 12 mesi. (5) Peraltro tale finalità emerge anzitutto nellart. 4, comma 4, lett. b), della legge 15 marzo 1997 n. 59 (Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali, per la riforma della P.A. e per la semplificazione amministrativa) a norma del quale il decreto delegato in materia di trasporto pubblico locale avrebbe dovuto tra laltro definire le modalità per incentivare il superamento degli assetti monopolistici nella gestione di servizi di trasporto urbano ed extraurbano. 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO deve concludersi la fase transitoria e quindi generalizzarsi laffidamento tramite procedure concorsuali dei servizi di trasporto pubblico locale assume un valore determinante, poiché garantisce che possa giungere davvero in termini certi alleffettiva apertura della concorrenza di questo particolare settore, così dando attuazione alla normativa europea in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi di trasporto locale. Nonostante tale disposizione non possa essere interpretata se non come un intervento statale diretto ad incentivare lo sviluppo di un mercato concorrenziale nel settore del trasporto pubblico locale e, come tale, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato (a norma dellart. 117 comma 2 lett. e) Cost.), non sono mancati interventi legislativi regionali con cui, contestualmente alla programmata cessione a terzi di quote (tale cessione congegnata in modo tale, però, da permettere agli enti locali di mantenere sostanzialmente il controllo di codeste aziende) del capitale delle aziende affidatarie dei servizi di trasporto locale, è stata disposta altresì la proroga degli attuali affidamenti ben oltre il termine del 31 dicembre 2006 previsto dalla norma in parola. In particolare, la pronuncia in esame conclude un processo iniziato con la presentazione di più ricorsi da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, avverso lart. 1, comma 7, della legge della Regione Lazio (6) 3 marzo 2003, n. 5 (Norme in materia di società esercenti servizi di trasporto pubblico locale a partecipazione regionale), lart. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria 17 giugno 2003, n. 17 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 settembre 1998, n. 31, recante norme in materia di trasporto pubblico locale), lart. 3 della legge della Regione Veneto 26 novembre 2004, n. 30 (Disposizioni di interpretazione autentica e di modifica in materia di trasporto pubblico locale di cui alla legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25 «Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale» e successive modificazioni), lart. 1, comma 11, lettere b) e f), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2004, n. 36 (Modifiche alla legge regionale 7 agosto 1999, n. 23, recante «Norme per il trasporto pubblico locale») per contrasto con lart. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione. (6) In merito a tale normativa la Corte ha peraltro provveduto a dichiarare la cessazione della materia del contendere dal momento che la disposizione impugnata, nelle more del giudizio, è stata radicalmente modificata dallart. 15, comma 3, della legge regionale 11 settembre 2003, n. 29 che ha sostituito il termine originariamente previsto (cinque anni dal 31 dicembre 2003) su cui si fondavano le doglianze del Presidente del Consiglio dei ministri, con il termine del 31 dicembre 2004, «fatte salve ulteriori proroghe previste dalla normativa statale». In tal modo sottolinea la Corte il legislatore regionale, ancor prima che la norma potesse essere applicata in deroga ai parametri indicati dal ricorrente (tutti sostanzialmente riconducibili al termine ultimo fissato dalla legislazione statale per lentrata in vigore delle nuove modalità di affidamento dei servizi pubblici di trasporto locale mediante procedure ad evidenza pubblica, nonché alle condizioni che la medesima legislazione statale stabilisce per le proroghe degli affidamenti preesistenti), è rientrato nellambito legislativo ad esso esplicitamente riservato dal comma 3-bis dellart. 18 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 145 In primo luogo, lAvvocatura dello Stato ha lamentato che tali leggi regionali di proroga si porrebbero in contrasto con larticolo 117, primo comma, della Costituzione, in quanto suscettibili di alterare il regime di libero mercato delle prestazioni e dei servizi, in violazione degli obblighi comunitari in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici, derivanti dagli articoli 49 e seguenti del Trattato CE, nonché, nel caso delle leggi della Regione Lazio e della Regione Liguria, anche dalle direttive n. 93/38/CEE (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni) e n. 92/50/CEE (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi). In merito va infatti sottolineato che la Corte Costituzionale ha più volte considerato le norme comunitarie utilizzabili come parametro di legittimità, stante la modifica dellart. 117 Cost., per cui il legislatore, statale e regionale, deve espletare la propria attività tenendo conto dei vincoli derivanti dal dettato costituzionale nonché di vincoli derivanti dallordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (7). In secondo luogo, le disposizioni impugnate violerebbero, altresì, come precedentemente evidenziato, la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ponendosi in contrasto quindi con larticolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. In particolare, tale contrasto sorge tra lart. 18 della legge 422/97 nella parte in cui questultimo impone un termine entro il quale si deve necessariamente procedere allaffidamento dei servizi di trasporto locale mediante procedure di evidenza pubblica e le disposizioni impugnate, stante la previsione, in queste ultime, della proroga degli affidamenti diretti di tali servizi ben oltre il termine indicato nella disposizione statale. A fronte di tali censure, la Corte fonda la propria declaratoria di incostituzionalit à sulla violazione dellart. 117, secondo comma, lett. e) e quindi sul presupposto che, in una materia come la tutela della concorrenza, demandata dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato non è da ritenersi in alcun modo ammissibile un intervento legislativo regionale in deroga alla disciplina statale. In particolare, la Consulta ha evidenziato che, né può essere affermata la riconducibilità della disciplina del trasporto pubblico locale ad una materia legislativa regionale di tipo residuale, ai sensi del quarto comma dellart. 117 Cost., né il legislatore regionale può pretendere di modificare anche solo in parte disposizioni come il comma 3-bis dellart. 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997, che è formulato in forma chiaramente inderogabile e che, per di più, prevede al suo interno un ruolo delimitato per lo stesso legislatore regionale. Ciò non avviene a caso, poiché vi si prevede che le Regioni siano ecce- (7) In tal senso inter multis Corte Costituzionale sent. n. 486/2005; n. 286/2005; n. 166/2004 e 7/2004. zionalmente legittimate, rispetto alla nuova legislazione di liberalizzazione del settore, a ritardarne in parte limmediata applicazione a certe condizioni ed entro un periodo massimo. In altre parole, la declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza 3 marzo 2006, n. 80 non si fonda soltanto sul contrasto delle disposizioni impugnate con lart. 117 comma 1 Cost. in quanto tali disposizioni sarebbero suscettibili di alterare il regime del libero mercato delle prestazioni e dei servizi bensì anche, e soprattutto, sul contrasto delle stesse con la disciplina statale contenuta nellart 18, comma 3-bis, D.Lgs. 422/97, in quanto tale materia devesi considerare rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, esercitata, per ciò che qui interessa, con una disposizione evidentemente inderogabile. In conclusione, tale sentenza, oltre a riaffermare, qualora ve ne fosse ancora bisogno, la necessaria subordinazione dellattività legislativa nazionale ai principi di diritto comunitario ha anche, e soprattutto, provveduto ad evidenziare limportanza della concorrenza nel settore dei trasporti pubblici, denunciando una volta per tutte, sullonda delle numerose procedure dinfrazione attivate in merito dalla UE, lillegittimità (recte lincostituzionalità) di qualsivoglia tentativo di mantenimento degli assetti monopolistici esistenti in nome di una maggiore qualità e convenienza dei servizi offerti alla collettività. Dott. Fabio Colavecchi Corte Costituzionale, sentenza 3 marzo 2006, n. 80 Pres. A. Marini Red. U. De Siervo Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. dello Stato G. Fiengo) c/ Regioni Lazio, Liguria (Avv. G. Benghi), Veneto (Avv.ti R. Morra, M. Bertolissi, L. Manzi). «[Omissis] Considerato in diritto. 1. Con distinti ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, ha impugnato lart. 1, comma 7, della legge della Regione Lazio 3 marzo 2003, n. 5 (Norme in materia di societ à esercenti servizi di trasporto pubblico locale a partecipazione regionale), lart. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria 17 giugno 2003, n. 17 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 settembre 1998, n. 31, recante norme in materia di trasporto pubblico locale), lart. 3 della legge della Regione Veneto 26 novembre 2004, n. 30 (Disposizioni di interpretazione autentica e di modifica in materia di trasporto pubblico locale di cui alla legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25 «Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale » e successive modificazioni), lart. 1, comma 11, lettere b) e f), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2004, n. 36 (Modifiche alla legge regionale 7 agosto 1999, n. 23, recante «Norme per il trasporto pubblico locale»), lart. 25 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed edilizia), per contrasto con lart. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione. 2. Tutte le censure prospettate nei ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri sono accomunate dal fatto di avere ad oggetto disposizioni regionali che variamente introducono proroghe degli affidamenti preesistenti (o di alcuni di essi) rispetto al termine ultimo, previsto dal legislatore statale, per lentrata in vigore del nuovo regime di affidamento di tutti i servizi 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO di trasporto pubblico locale mediante procedure ad evidenza pubblica. Il ricorrente, in particolare, lamenta che disposizioni regionali di proroga si porrebbero in contrasto con larticolo 117, primo comma, della Costituzione, in quanto suscettibili «di alterare il regime di libero mercato delle prestazioni e dei servizi, in violazione degli obblighi comunitari in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici, derivanti dagli articoli 49 e seguenti del Trattato CE», nonché, nel caso delle leggi della Regione Lazio e della Regione Liguria, anche dalle direttive n. 93/38/CEE (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni) e n. 92/50/CEE (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi). Le disposizioni impugnate violerebbero, altresì, la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, di cui allarticolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. 3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso n. 50 del 2005, ha impugnato anche lart. 14 della legge della Regione Veneto n. 8 del 2005, contenente una disciplina in tema di installazione di impianti di telecomunicazioni. Per ragioni di disomogeneità della materia, le questioni di costituzionalità prospettate in relazione alla suddetta disposizione verranno trattate separatamente da quelle concernenti la disciplina dei servizi di trasporto pubblico locale sollevate con gli altri ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri e appena illustrate, per essere definite con distinta decisione di questa Corte. 4. Considerata la sostanziale identità della materia e la analogia delle questioni prospettate nei ricorsi indicati in epigrafe, i giudizi possono essere riuniti per essere affrontati congiuntamente e decisi con unica sentenza. 5. In via preliminare, devono essere dichiarati inammissibili, limitatamente alle questioni concernenti lart. 25 della legge della Regione Veneto n. 8 del 2005, gli interventi spiegati dalle società Wind Telecomunicazioni S.p.a. e Telecom Italia Mobile S.p.a. nel giudizio introdotto con il ricorso n. 50 del 2005; le due società, infatti, non hanno addotto alcun argomento che possa indurre questa Corte a discostarsi dalla propria costante giurisprudenza, secondo la quale nei giudizi promossi in via principale nei confronti di leggi regionali o statali non possono intervenire soggetti diversi da quelli titolari delle attribuzioni legislative in contestazione (fra le più recenti, v. sentenze n. 51 del 2006, n. 469, n. 383 e n. 150 del 2005). 6. Ancora preliminarmente, va delimitato loggetto delle questioni di legittimità costituzionale relative alla legge della Regione Veneto n. 30 del 2004 al solo comma 1 dellart. 3, dal momento che non soltanto le motivazioni addotte nel ricorso dallAvvocatura dello Stato si riferiscono esclusivamente a questa disposizione, ma lo stesso documento allegato alla deliberazione governativa di impugnazione della legge si riferisce in termini espliciti alla sola «norma contenuta nellart. 3, comma 1». 7. Infondate sono le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione Liguria in riferimento alle questioni di cui al ricorso n. 66 del 2003, per quanto concerne la asserita indeterminatezza dei termini normativi e la carenza dei requisiti argomentativi minimi necessari del ricorso; infatti, pur nella evidente sommarietà delle articolazioni argomentative e pur considerando la non sempre precisa individuazione nel ricorso dei parametri del giudizio, nel complesso è chiaro sia loggetto sostanziale del ricorso, sia lordine delle questioni di legittimità costituzionale proposte allesame di questa Corte. Al tempo stesso le direttive comunitarie che si asseriscono contraddette non esauriscono le norme comunitarie che vengono indicate come violate dalla disposizione impugnata. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 147 Del pari infondata è laltra eccezione sollevata dalla Regione Liguria, secondo la quale il ricorso sarebbe inammissibile in parte qua in relazione allasserito contrasto della disposizione censurata con lart. 117, primo comma, Cost., dal momento che nel quadro del nuovo Titolo V della Costituzione sarebbe superata ogni asimmetria di posizione fra Stato e Regioni e dovrebbe quindi «ritenersi inammissibile, per carenza di interesse, la censura non avente radice nel vizio di incompetenza». La giurisprudenza di questa Corte, al contrario, ha affermato, che «pur dopo la riforma, lo Stato può impugnare in via principale una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro costituzionale» (sentenza n. 274 del 2003). Né mancano decisioni di questa Corte che hanno considerato le norme comunitarie come parametro utilizzabile nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi promosso in via dazione (v. sentenze n. 406 e n. 286 del 2005; n. 166 e n. 7 del 2004). 8. Entrando nel merito delle questioni sollevate, è anzitutto da dichiarare la cessazione della materia del contendere relativamente allart. 1, comma 7, della legge della Regione Lazio n. 5 del 2003, dal momento che la disposizione impugnata, nelle more del giudizio, è stata radicalmente modificata dallart. 15, comma 3, della legge regionale 11 settembre 2003, n. 29 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione Lazio per lanno finanziario 2003), che ha sostituito il termine originariamente previsto (cinque anni dal 31 dicembre 2003) e su cui si fondavano le doglianze del Presidente del Consiglio dei ministri, con il termine del 31 dicembre 2004, «fatte salve ulteriori proroghe previste dalla normativa statale ». In tal modo il legislatore regionale, ancor prima che la norma potesse essere applicata in deroga ai parametri indicati dal ricorrente (tutti sostanzialmente riconducibili al termine ultimo fissato dalla legislazione statale per lentrata in vigore delle nuove modalità di affidamento dei servizi pubblici di trasporto locale mediante procedure ad evidenza pubblica, nonché alle condizioni che la medesima legislazione statale stabilisce per le proroghe degli affidamenti preesistenti), è rientrato nellambito legislativo ad esso esplicitamente riservato dal comma 3-bis dellart. 18 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dellarticolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59). 9. Lesame nel merito della pretesa lesione della lettera e) del secondo comma dell art. 117 Cost. da parte dellart. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria n. 17 del 2003, dellart. 3, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 30 del 2004, dellart. 1, comma 11, lettere b) e f), della legge della Regione Calabria n. 36 del 2004, dellart. 25 della legge della Regione Veneto n. 8 del 2005, rende necessario che si proceda, in via preliminare, alla ricostruzione del quadro normativo che si assume illegittimamente derogato dalle disposizioni impugnate. 9.1. Tutte le disposizioni censurate, seppur in ambiti più o meno ampi ed a condizioni tra loro differenziate, derogano in modo palese alla disciplina statale. Lart. 18, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 422 del 1997, introdotto dallart. 1, comma 6, del D.Lgs. 20 settembre 1999, n. 400 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 recante conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale), determina il termine ultimo entro cui le Regioni possono mantenere gli affidamenti agli attuali concessionari di servizi di trasporto pubblico locale, ponendo tuttavia «lobbligo», per tale periodo transitorio, «di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali». Al termine di tale periodo, è previsto che tutti i servizi siano affidati esclusivamente tramite procedure concorsuali. Il termine ultimo per il periodo transitorio entro il quale le Regioni hanno la facoltà di mantenere gli affidamenti ai concessionari attuali, in origine era fissato al 31 dicembre 2003, 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO IL CONTENZIOSO NAZIONALE 149 ma è stato più volte modificato dal legislatore statale: lart. 11, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), ha previsto la possibilit à di prorogarlo per un biennio per i servizi di trasporto ferroviario; lart. 23, del decreto- legge 24 dicembre 2003, n. 355 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), come risultante dalla conversione in legge operata dallart. 1 della legge 27 febbraio 2004, n. 47, lo ha a sua volta direttamente prorogato al 31 dicembre 2005 per i trasporti automobilistici; di recente, e successivamente alle impugnative delle leggi regionali sottoposte al presente giudizio, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge finanziaria 2006), con il comma 394 dell articolo unico che la compone, ha ulteriormente modificato il termine di cui al suddetto comma 3-bis dellart. 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997 portandolo al 31 dicembre 2006, mentre il comma 393 del medesimo articolo ha inserito, dopo il citato comma 3-bis, altri cinque commi, che disciplinano anche la possibilità che le Regioni prevedano, a determinate condizioni, alcuni tipi di ulteriore proroga dellaffidamento, fino ad un massimo di altri dodici mesi. Al settore del trasporto pubblico locale si applica questa specifica disciplina e non quella contenuta nellart. 113, comma 15-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sullordinamento degli enti locali), che individua nel 31 dicembre 2006 la data entro cui cessano le precedenti concessioni in tema di servizi pubblici locali. Ciò sia perch é lo stesso comma 15-bis dellart. 113 esclude la propria applicabilità nel caso in cui siano «previsti per i singoli settori» congrui periodi di transizione, ciò che appunto fa la legislazione sui trasporti pubblici locali con il comma 3-bis dellart. 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997; sia perché il comma 1-bis del medesimo art. 1 del Testo unico introdotto dallart. 1, comma 48, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e lintegrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) stabilisce che il settore del trasporto pubblico locale resta disciplinato dal D.Lgs. n. 422 del 1997 e che ad esso non si applicano le disposizioni dellart. 1 del T.U. 9.2. La ratio di quanto inserito come comma 3-bis dellart. 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997 dallart. 1, comma 6, del D.Lgs. n. 400 del 1999, è anzitutto rinvenibile nel criterio direttivo contenuto nellart. 4, comma 4, lettera b), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), secondo il quale il decreto delegato in materia di trasporto pubblico locale avrebbe dovuto tra laltro «definire le modalità per incentivare il superamento degli assetti monopolistici nella gestione di servizi di trasporto urbano ed extraurbano». Inoltre, lo stesso comma 2 dellart. 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997, esplicitamente, finalizza il conferimento dei poteri a Regioni ed enti locali in tema di affidamento dei servizi di trasporto locale «allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale». In questo quadro, la fissazione di un termine massimo entro il quale deve concludersi la fase transitoria e quindi generalizzarsi laffidamento mediante procedure concorsuali dei servizi di trasporto locale assume un valore determinante, poiché garantisce che si possa giungere davvero in termini certi alleffettiva apertura alla concorrenza di questo particolare settore, così dando attuazione alla normativa europea in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi di trasporto locale. 10. Nel quadro del nuovo Titolo V una disposizione come quella di cui al comma 3- bis dellart. 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997, e successive modificazioni, è riconducibile 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO allambito della competenza legislativa esclusiva statale in tema di «tutela della concorrenza », di cui alla lettera e) del secondo comma dellart. 117 Cost.; infatti, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la «configurazione della tutela della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere lassetto concorrenziale del mercato» (sentenza n. 272 del 2004). Né può essere condivisa lopinione espressa dalle difese delle Regioni Liguria e Veneto, secondo la quale la riconducibilità già affermata da questa Corte nella sentenza n. 222 del 2005 della disciplina del trasporto pubblico locale ad una materia legislativa regionale di tipo residuale, ai sensi del quarto comma dellart. 117 Cost., ridurrebbe la possibilità di incidere nella suddetta materia tramite una competenza esclusiva dello Stato o comunque permetterebbe alle Regioni di modificare ragionevolmente le disposizioni statali eventualmente introdotte sulla base di un simile titolo di legittimazione. Al contrario, le competenze esclusive statali che come quella relativa alla «tutela della concorrenza» si configurino come «trasversali » incidono naturalmente, nei limiti della loro specificità e dei contenuti normativi che di esse possano ritenersi propri, sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano. Né il legislatore regionale può pretendere di modificare anche solo in parte disposizioni come il comma 3-bis dellart. 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997, che è formulato in forma chiaramente inderogabile e che, per di più, prevede al suo interno un ruolo delimitato per lo stesso legislatore regionale. Ciò non avviene a caso, poiché vi si prevede che le Regioni siano eccezionalmente legittimate, rispetto alla nuova legislazione di liberalizzazione del settore, a ritardarne in parte limmediata applicazione a certe condizioni ed entro un periodo massimo. Da quanto fin qui chiarito discende che tutte le disposizioni legislative regionali impugnate, in quanto contenenti discipline che comunque derogano a questa norma, espressiva dellesclusivo potere del legislatore statale a tutela della concorrenza, risultano costituzionalmente illegittime. Né tale giudizio può essere revocato in dubbio in ragione della recentissima ulteriore modificazione del termine ultimo di cui al comma 3-bis dellart. 18 tramite lart. 1, commi 393 e 394, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, dal momento che, per il tenore sostanziale delle impugnazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, ciò che in questa sede rileva non è soltanto il rispetto di un mero termine temporale per le proroghe degli affidamenti preesistenti, ma la complessiva conformità della legislazione regionale ad una disposizione statale posta a tutela della concorrenza, nella quale si individuano anche una serie di limiti e condizioni per leventuale intervento legislativo regionale al fine di disciplinare la fase transitoria. Va pertanto dichiarata lillegittimità costituzionale dellart. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria n. 17 del 2003, dellart. 3, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 30 del 2004, dellart. 1, comma 11, lettere b) e f), della legge della Regione Calabria n. 36 del 2004, dellart. 25 della legge della Regione Veneto n. 8 del 2005, per contrasto con la competenza esclusiva dello Stato in tema di «tutela della concorrenza», di cui allart. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. 11. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura dedotti dal ricorrente. Per questi motivi la Corte Costituzionale riservata ogni decisione sulle questioni di legittimità costituzionale relative allart. 14 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed edilizia), sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 50 del 2005; riuniti i giudizi, dichiara inammissibili, limitatamente alle questioni concernenti lart. 25 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed edilizia), gli interventi spiegati dalle società Wind Telecomunicazioni S.p.a. e Telecom Italia Mobile S.p.a. nel giudizio introdotto con il ricorso n. 50 del 2005; dichiara lillegittimità costituzionale dellart. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria 17 giugno 2003, n. 17 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 settembre 1998, n. 31, recante norme in materia di trasporto pubblico locale), dellart. 3, comma 1, della legge della Regione Veneto 26 novembre 2004, n. 30 (Disposizioni di interpretazione autentica e di modifica in materia di trasporto pubblico locale di cui alla legge regionale 30 ottobre 1998, n. 25 «Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale» e successive modificazioni), dellart. 1, comma 11, lettere b) e f), della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2004, n. 36 (Modifiche alla legge regionale 7 agosto 1999, n. 23, recante «Norme per il trasporto pubblico locale»), dellart. 25 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed edilizia); dichiara cessata la materia del contendere relativamente alle questioni di legittimità costituzionale dellart. 1, comma 7, della legge della Regione Lazio 3 marzo 2003, n. 5 (Norme in materia di società esercenti servizi di trasporto pubblico locale a partecipazione regionale), sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione allart. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2006». IL CONTENZIOSO NAZIONALE 151 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO La Corte e i vincoli derivanti dallordinamento comunitario: obbligo di procedure ad evidenza pubblica (Corte Costituzionale, sentenza 28 marzo 2006 n. 129) 1. La Corte Costituzionale torna ad applicare, per la dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni di una legge regionale, lart. 117, primo comma, Cost., relativamente alla parte in cui prevede che la potestà legislativa, statale e regionale, debba essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dallordinamento comunitario (1). Con la sentenza n. 129 del 28 marzo 2006 la Corte ha infatti dichiarato lillegittimità costituzionale, per contrasto con lart. 117, comma 1 Cost., del combinato disposto dellart. 9, comma 12, e dellart. 11, comma 3, della L.R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella parte in cui non prevede lobbligo di procedure ad evidenza pubblica per tutti i lavori, da chiunque effettuati, di importo pari o superiore alla soglia comunitaria (2). La decisione in questione rileva tanto per la fattispecie presa in esame, quanto sotto il profilo di una riflessione che essa può favorire sul piano dell interpretazione del diritto comunitario. 2. Lart. 9, comma 12, della legge regionale n. 12 del 2005 ha previsto la possibilità da parte del proprietario di unarea sottoposta a vincoli espropriativi di realizzare direttamente attrezzature e servizi indicati dal Piano dei servizi, per la cui attuazione è preordinato il vincolo di espropriazione. Lart. 11, al comma 3, dopo aver stabilito che in via generale alle aree destinate alla realizzazione di interventi di interesse pubblico o generale, non disciplinate da piani e da atti di programmazione, possono essere attribuiti, a compensazione della loro cessione gratuita al Comune, aree in permuta o diritti edificatori trasferibili su aree edificabili previste dagli atti di PGT anche non soggette a piano attuativo, ha previsto che in alternativa a tale (1) Il precedente è da rinvenirsi in Corte Cost. n. 406 del 2005. Vedi infra. (2) Con la stessa sentenza la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo anche lart. 27, comma 1, lett. e), n. 4, della L.R. n. 12 del 2005, in quanto volto a stabilire un iter autorizzatorio comunale, per linstallazione di torri e tralicci per impianti di radio-trasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione, ulteriore rispetto a quello già previsto dallart. 87 del D.Lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche). Per la Corte, la previsione di un ulteriore procedimento finalizzato al rilascio del permesso di costruire, che si sovrappone ai controlli da effettuarsi a cura dello stesso ente locale nellambito del procedimento unificato, costituisce un inutile appesantimento delliter autorizzatorio per linstallazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione, in contrasto con le esigenze di tempestività e di contenimento dei termini, da ritenersi, con riferimento a questo tipo di costruzioni, principi fondamentali di governo del territorio. Da ciò consegue lillegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate per violazione dellart. 117, terzo comma, Cost.. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 153 attribuzione di diritti edificatori, sulla base delle indicazioni del piano dei servizi il proprietario può realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o generale, mediante accreditamento o stipulazione di convenzione con il Comune per la gestione del servizio. Il Governo, per mezzo dellAvvocatura generale dello Stato, ha proposto questione di legittimità costituzionale del combinato disposto delle citate disposizioni rilevando come queste, qualora lentità dei lavori da realizzare superi la soglia stabilita dalla normativa comunitaria, si pongano in contrasto con questultima e con la normativa statale che disciplina le modalità di affidamento degli appalti pubblici di lavori e servizi. In particolare risulterebbero violati i principi generali del Trattato comunitario in materia di tutela della concorrenza e, nellambito specifico degli appalti, le direttive del Consiglio delle Comunità europee 92/50, 93/36, 93/37 e 93/38 (3), e le relative norme statali di attuazione, che prevedono il ricorso a procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica per la realizzazione degli interventi in questione. In proposito la difesa erariale richiama specificamente lart. 19, comma 1, della legge n. 109 del 1994 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), ai sensi del quale i lavori pubblici possono essere realizzati esclusivamente mediante contratto di appalto o di concessione, ricordando come questultimo contratto negli anni sia stato equiparato dalla normativa comunitaria agli appalti pubblici, quanto alla procedura di scelta del contraente, al preciso fine di evitare che potesse risolversi in uno strumento per eludere la disciplina comunitaria in materia. Il ricorrente osserva quindi che lo scambio ipotizzato nelle norme impugnate, tra il proprietario dellarea che realizza direttamente i servizi previsti nel piano, e lente pubblico che li acquista, riguarderebbe comunque valori e diritti di stretta pertinenza pubblica, tali da non poter ragionevolmente permettere che il soggetto privato si sottragga allonere di realizzare tali interventi attraverso procedure di evidenza pubblica che assicurino il miglior uso delle risorse collettive. Al riguardo viene anche richiamata la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, sez. VI, del 12 luglio 2001, in causa C-399/98, per la quale, qualora il titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione realizzi direttamente le opere di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale dei contributi dovuti per il rilascio della concessione, si è comunque in presenza di un appalto di lavori secondo la normativa comunitaria, con il conseguente ricorso alle procedure di evidenza pubblica allorché il valore dellopera eguagli o superi la soglia comunitaria (4). E questa conclusione sarebbe confermata dallart. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994, il quale stabilisce che, per le singole opere dimporto superiore alla soglia comunitaria, i soggetti privati sono tenuti ad affidare le stesse nel rispetto delle procedure di gara previste dalla direttiva 93/37/CEE. (3) Le direttive 92/50, 93/36 e 93/37 coordinano rispettivamente le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, di forniture e di lavori; la direttiva 93/38 coordina le procedure di appalti nei settori esclusi. (4) Soglia determinata ai sensi dellart. 6 della direttiva 93/37/CEE. 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Da queste argomentazioni deriverebbe lillegittimità del combinato disposto del comma 12 dellart. 9 e del comma 3 dellart. 11, della legge regionale in questione, in quanto non è previsto e quindi implicitamente escluso che nellipotesi di realizzazione diretta, da parte del proprietario dell area sottoposta a vincolo di espropriazione, delle attrezzature e dei servizi per la cui attuazione il detto vincolo è preordinato, la scelta del contraente, per appalti che eguaglino o superino la soglia comunitaria, avvenga secondo procedure di evidenza pubblica. Vi sarebbe violazione, oltre che dei principi generali della legislazione nazionale in materia, delle direttive comunitarie sugli appalti, e quindi dellart. 117, primo comma, della Costituzione. Le motivazioni addotte dalla Consulta nel ritenere fondata la questione meritano unattenta considerazione. La Corte osserva che le direttive in materia di appalti prevedono che in ogni caso, quando si realizzi unopera o si affidi un servizio o una fornitura per importi uguali o superiori ad un certo valore, il soggetto che procede allappalto debba adottare procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente. E questobbligo, continua la Corte, sussiste sia che lattribuzione dellappalto spetti ad un ente pubblico territoriale o ad altro organismo di diritto pubblico ( ), sia che lo stesso venga effettuato da un privato il quale in tal caso assume come chiarito dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee la veste di titolare di un mandato espresso, conferito dallente pubblico che intende realizzare lopera o il servizio(sentenza 12 luglio 2001, in causa C-399/98). La Corte continua indicando che il principio fissato dalla Corte di Giustizia, come anche ricordato dal ricorrente, è stato riversato nellordinamento italiano per mezzo dellart. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994, nel testo sostituito dallart. 7, comma 1, della legge n. 166 del 2002 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), il quale in riferimento agli interventi eseguiti direttamente dai privati a scomputo di contributi connessi allattività edilizia o alla lottizzazione di aree, stabilisce che per le singole opere dimporto superiore alla soglia comunitaria i soggetti privati sono tenuti ad affidare le stesse nel rispetto delle procedure di gara previste dalla ( ) direttiva 93/37/CEE. Alla base del suo pronunciamento, la Corte pone quindi la regola interpretativa forgiata dalla Corte di Giustizia: viene chiarito, infatti, come la fattispecie configurata dalle norme regionali impugnate è assimilabile a quella oggetto delle direttive comunitarie ( ), nellinterpretazione datane dalla Corte di Giustizia e riprodotta dal legislatore nazionale italiano. 3. Un breve cenno, a questo punto, in merito alla fattispecie oggetto della decisione della Corte di Lussemburgo di cui alla sentenza 12 luglio 2001, in causa C-399/98 (5). (5) Ordine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi e altri, Racc., p. I-5409. Nella causa pendente tra lOrdine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi ed altri, contro il Comune di Milano ed altri, il T.A.R. Lombardia aveva posto, a norma dellart. 234 del Trattato CE (già art. 177), due questioni pregiudiziali relative allinterpretazione della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che appunto coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 155 Nelloccasione, il T.A.R Lombardia, di fronte ad una normativa nazionale che consentiva al titolare di una concessione edilizia, o di un piano di lottizzazione approvato, la realizzazione diretta di opere a scomputo del contributo di urbanizzazione edilizia, poneva la questione se la fattispecie potesse costituire un appalto pubblico di lavori che, ai sensi del diritto comunitario, avrebbe richiesto losservanza delle procedure di scelta del contraente ad evidenza pubblica. La Corte di Giustizia prendeva dunque le mosse dalla definizione di appalto pubblico di lavori contenuta nellart. 1 della direttiva 93/37, per poi ricondurre a tale tipologia di appalto la fattispecie oggetto del giudizio davanti al tribunale amministrativo (6): con la conseguenza che, nel caso in cui limporto stimato dellopera eguagli o superi la soglia comunitaria, la direttiva deve trovare applicazione, in quanto prevalente sulla diversa normativa italiana. Ne deriva in sostanza lobbligo a carico dellamministrazione comunale di rispet- Per la realizzazione del progetto Scala 2001 articolato in tre diversi interventi, nonché del progetto preliminare di un nuovo teatro da realizzare su unarea compresa in zona Bicocca, lamministrazione comunale aveva approvato una convenzione specifica con la Pirelli, con lEnte Autonomo Teatro alla Scala e con la Milano Centrale Servizi S.p.A., mandataria dei soggetti promotori del Progetto Bicocca; questultima, in qualità di mandataria dei soggetti promotori della lottizzazione, avrebbe avuto il compito di realizzare il nuovo teatro, con larea di parcheggio annessa, quale opera di urbanizzazione secondaria, nella zona della Bicocca e sul terreno a tal fine necessario, ceduto gratuitamente al comune di Milano dai soggetti promotori. Conformemente alla convenzione, la costruzione del teatro, limitatamente alla struttura esterna delledificio, si sarebbe effettuata a scomputo dei contributi di concessione dovuti in forza della legislazione nazionale e regionale, mentre gli allestimenti interni sarebbero rimasti da realizzare a carico del Comune di Milano, mediante ricorso ad una procedura di appalto pubblico. Secondo il giudice amministrativo, lindividuazione diretta del soggetto chiamato a realizzare opere pubbliche di urbanizzazione in conformità alla normativa nazionale urbanistica, avrebbe potuto astrattamente raccordarsi allipotesi di appalto di lavori di cui allart. 1 della direttiva 93/37 CEE, con la conseguente necessità di accertare in sede comunitaria, quale dovesse essere la legislazione, nazionale o comunitaria, da applicare. Per il quadro della vicenda, e per il commento alla sentenza della Corte di Giustizia, si veda I. NASTI, Opere di urbanizzazione sopra soglia comunitaria e rispetto delle procedure di evidenza pubblica: il caso Bicocca davanti alla Corte di giustizia, in Il Corriere giuridico, 2002, fasc. 2, p. 185 ss. (6) I requisiti stabiliti dallart. 1 della direttiva 93/37, ai fini dellapplicazione della stessa sono sei: 1) la contrattualità; 2) lonerosità; 3) la forma scritta del contratto; 4) la qualifica soggettiva di amministrazione aggiudicatrice per una parte; 5) la qualificazione soggettiva di imprenditore per laltra, 6) la natura di opera pubblica delloggetto dei lavori. Nel caso in esame, per la Corte di giustizia, il Comune costituisce amministrazione aggiudicatrice, in quanto ente pubblico territoriale, ai sensi dellart. 1, lett. a) della direttiva stessa, per la quale si considerano amministrazioni aggiudicatrici lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o di tali organismi di diritto pubblico ( ); le opere di urbanizzazione in questione rientrano nelle attività previste dalla direttiva, sussistendo lelemento relativo allesecuzione di lavori o alla realizzazione di unopera ai sensi dellart. 1 lett. a) della direttiva; la convenzione costituisce pur sempre un contratto di diritto pubblico; il carattere dellonerosità deriva dalla rinuncia da parte del Comune a pretendere il pagamento dellimporto dovutogli a titolo di contributo di urbanizzazione a fronte del rilascio della concessione; la forma scritta sussiste, essendo stata conclusa la convenzione di lottizzazione, tra il Comune ed il proprietario o i proprietari lottizzanti, per iscritto; confermata è anche la qualità di imprenditore del proprietario lottizzante. 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tare le procedure di evidenza pubblica ogni volta che intende attribuire un appalto pubblico di lavori rispondente a tali caratteristiche, onde evitare esclusioni discriminatorie di quegli imprenditori che abbiano interesse a partecipare allesecuzione dei progetti per la realizzazione di opere pubbliche (7). Nello scegliere questa soluzione, il giudice comunitario sembra rendersi conto del grave onere che finirebbe con limporre alla P.A., andando in sostanza a vanificare quellobiettivo di velocizzazione e semplificazione che trova chiara espressione proprio nelle convenzioni di lottizzazione (8). E così la Corte di Lussemburgo conclude affermando che ciò non significa che, per garantire il rispetto della direttiva in caso di realizzazione di unopera di urbanizzazione, debba necessariamente essere lamministrazione comunale ad applicare le procedure di aggiudicazione previste dalla direttiva in questione. Leffetto utile di questultima risulterebbe ugualmente garantito qualora la normativa nazionale conferisse allamministrazione comunale il potere di obbligare il lottizzante titolare della concessione, mediante accordi stipulati con questo, a realizzare le opere pattuite ricorrendo alle procedure previste dalla direttiva, e ciò affinché vengano rispettati gli obblighi incombenti in proposito allamministrazione comunale in forza della direttiva medesima. In tal caso, infatti, il lottizzante, alla luce degli accordi conclusi con il Comune che lo esentano dal contributo per gli oneri di urbanizzazione in cambio della realizzazione di unopera di urbanizzazione pubblica, deve essere considerato come titolare di un mandato espresso conferito dal Comune ai fini della costruzione di tale opera. E si è visto come lobbligo di ricorso alle procedure di evidenza pubblica in situazioni del genere sia stato successivamente inserito nellordinamento italiano. 4. Nel caso in esame, la Corte Costituzionale rileva come la qualifica di titolare di un mandato espresso, conferito dal Comune, possa adattarsi anche al proprietario espropriando, di cui alla legge regionale n. 15 del 2005, che accetta di realizzare lopera prevista dallente pubblico. E lobbligo di procedere alle prescritte gare di appalto non si porrebbe in contraddizione con le modalità della cosiddetta urbanistica consensuale e perequativa, essendo esso soltanto volto a tutelare i principi di trasparenza e concorrenza, laddove limporto delle realizzazioni superi un certo limite (9). (7) Non concorde con questa ricostruzione la tesi dellAvvocato generale, che aveva proposto una diversa soluzione: lart. 1, lett. a) della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, ( ), non si oppone ad una normativa nazionale la quale prevede che, allorché lattuazione di un piano di lottizzazione rende necessari lavori di costruzione di unattrezzatura collettiva, spetta al titolare della concessione edilizia procedere a questi lavori, a sue spese, in contropartita dellesenzione dal pagamento del contributo dovuto al comune a titolo della concessione edilizia, a meno che il comune non decida di riscuotere il contributo in sostituzione della realizzazione diretta dei lavori, senza far ricorso allapplicazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavoro previsti da tale direttiva. (8) I. NASTI, op. cit., p. 187. (9) Si tenga presente come il fondamento normativo del modello consensualistico dellamministrazione sia costituito dallart. 11 della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo (nel IL CONTENZIOSO NAZIONALE 157 È unoperazione di interpretazione analogica, dunque, quella che porta la Corte Costituzionale a ritenere applicabile un principio formulato dalla Corte di Giustizia (10), e a stabilire che le direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, debbano essere osservate anche nellipotesi che sia conferito ad un privato il compito di realizzare direttamente lopera necessaria per la successiva prestazione del servizio pubblico, la cui gestione può essere affidata, mediante convenzione, al privato medesimo. Le direttive in materia di appalti fungono così da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale allart. 117, primo comma, Cost. E lillegittimità costituzionale del combinato disposto delle disposizioni regionali impugnate è determinata dal contrasto di queste con la menzionata norma costituzionale, la quale collocata nella Parte seconda della Costituzione, si ricollega allart. 11 Cost. e presuppone il rispetto dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana. Ora, deve ricordarsi come la Corte, prima della riforma costituzionale del 2001, si fosse dichiarata competente ad esercitare il controllo di costituzionalit à per violazione di norme comunitarie nellambito del giudizio in via principale (11). Con la costituzionalizzazione del limite del diritto comunitario alla legittimità delle leggi regionali (e statali) di cui al primo comma del novellato art. 117 Cost., il giudice delle leggi si era invece per alcuni anni sorprendentemente sottratto ad una presa di posizione aperta sul parametro in questione: e ciò fino alla sentenza n. 406 del 2005 (12). Prima di questa decisione la Corte aveva infatti evitato di pronunciarsi sul punto, a volte ritenendo la questione testo modificato dallart. 7 della legge 11 febbraio 2005, n. 15), in forza del quale lamministrazione può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. (10) Sia ricordato qui come alle sentenze interpretative della Corte di Giustizia delle Comunità europee sia riconosciuta diretta applicabilità nellordinamento nazionale. Cfr. Corte Cost. n. 113 del 1985. (11) Cfr. Corte Cost. n. 384 del 1994, in cui il giudice costituzionale, vigente il vecchio art. 127 Cost., aveva considerato legittimamente impugnabile, per violazione del diritto comunitario, una legge regionale da parte dello Stato. Parallelamente la Corte aveva dichiarato la propria competenza a intervenire, pronunciando se del caso lincostituzionalità, anche quando fossero le Regioni ad impugnare in via di azione leggi dello Stato le quali, contravvenendo al diritto comunitario, ledessero o invadessero allo stesso tempo le proprie competenze (Corte Cost. n. 94 del 1995). In riferimento al giudizio in via incidentale, invece, la Corte ha avocato a sé la competenza a pronunciarsi sulle legittimità costituzionale delle norme interne contrastanti con norme comunitarie soltanto nel caso in cui queste non abbiano effetti diretti. La giurisprudenza costituzionale seguita alla nota sentenza Simmenthal della Corte di Giustizia (9 marzo 1978, causa 106/77, Racc., p. 629) ha sempre dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale su leggi nazionali, sulla base dellargomentazione secondo cui tali leggi vanno disapplicate e non dichiarate incostituzionali: lattesa dell intervento del giudice costituzionale costituirebbe infatti un indebito ostacolo di carattere nazionale alla diretta efficacia delle norme comunitarie nellordinamento interno. (12) A. CELOTTO, La Corte Costituzionale finalmente applica il primo comma dellart. 117 Cost. (in margine alla sent. n. 406 del 2005), in www.giustamm.it, n. 1/2006. 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO infondata, altre inammissibile, altre ancora dichiarando lincostituzionalità della norma, in relazione però ad altro parametro costituzionale, assorbendo quello specifico profilo di censura (13). La stranezza di questo atteggiamento della Consulta sarebbe consistita nel fatto che, stando alla lettera dellart. 117, primo comma, Cost., la incompatibilità comunitaria di una legge interna, ne comporterebbe comunque anche la illegittimità costituzionale: la violazione di norme comunitarie da parte delle leggi regionali (o statali) si configura infatti quale violazione indiretta della Costituzione, secondo il classico schema delle norme interposte (14). Con la sentenza n. 406 del 2005, la Corte ha rotto quindi finalmente ogni indugio (15): caratteristica di questa pronuncia è laver voluto ricercare, con succinta motivazione, lapplicazione dellart. 117, primo comma, come parametro del giudizio (16). Nelloccasione la Corte ha rilevato il palese contrasto della disciplina impugnata con la direttiva 2000/75/CE, ed è lassenza di ogni dubbio in ordine allinterpretazione del diritto comunitario che in qualche modo le ha permesso di superare il disagio ricollegato ad un parametro (quello rappresentato dallart. 117, primo comma, Cost.) che, se interpretato nel suo significato più ampio, potrebbe alterare lequilibrio nei delicati rapporti con la Corte di Giustizia (17). È infatti indiscutibile che attraverso un meccanismo del genere la Corte Costituzionale viene a svolgere quello che è un compito tipico della Corte di Giustizia nellambito delle questioni pregiudiziali di interpretazione: loperazione effettuata dal giudice costituzionale coinvolge infatti linterpretazione delle norme comunitarie, ed è stata probabilmente la particolare semplicità ermeneutica a consentire alla Corte, nelloccasione, di non ritenere necessario avvalersi dellinterpretazione del giudice comunitario (18). E così, a seguito della sentenza n. 406 del 2005, ci si poteva aspettare che la Corte Costituzionale potesse procedere alla risoluzione delle questioni implicanti il rispetto di una fonte comunitaria, attraverso linterpretazione (13) Vedi ad esempio Corte Cost. sentt. nn. 2 e 65 del 2005, 6, 7, 8, 166 del 2004. (14) A. CELOTTO, op. cit. (15) La Corte ha dichiarato in questa occasione lillegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 1° aprile 2004, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di zootecnia), per violazione dellart. 117, primo comma, Cost., in relazione al contrasto con la direttiva n. 2000/75/CE del 20 novembre 2000 (Direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni specifiche relative alle misure di lotta e di eradicazione della febbre catarrale degli ovini), e con i relativi atti attuativi. (16) C. NAPOLI, La Corte dinanzi ai vincoli derivanti dallordinamento comunitario: tra applicazione dellart. 117, primo comma e rispetto dei poteri interpretativi della Corte di Giustizia, in www.forumcostituzionale.it., in corso di pubblicazione in le Regioni, 2/2006. LAvvocatura generale dello Stato aveva infatti invocato anche il contrasto delle norme regionali impugnate con la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale e di tutela dellambiente e dellecosistema, di cui allart. 117, secondo comma, lettere q) e s) Cost. (17) C. NAPOLI, op. cit. (18) In questo senso, R. CALVANO, La Corte Costituzionale fa i conti per la prima volta con il nuovo art. 117 comma 1 Cost., in www.associazionedeicostituzionalisti.it., in corso di pubblicazione in Giurisprudenza costituzionale, 2005. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 159 stessa del diritto comunitario, nei casi in cui la legge italiana contravvenisse a questa in modo manifesto: viceversa, in situazioni di non palese contrasto tra la fonte interna e quella comunitaria, sarebbe potuto giungere il momento di completare definitivamente il dialogo tra le due Corti, svoltosi sino a questo momento a distanza, con lutilizzazione diretta dellart. 234 del Trattato anche da parte del giudice costituzionale (19). Nel giudizio in via principale, infatti, è lo stesso giudice costituzionale a definire la causa: la Corte sarebbe, in questa veste, giudice di unica ed ultima istanza, in quanto tale tenuto a richiedere lintervento del giudice comunitario nelle questioni interpretative in virtù dellart. 234, terzo comma. Sopraggiunge dunque allinterno della problematica la sentenza della Corte n. 129 del 2006, che conferma lutilizzo del parametro dei vincoli derivanti dallordinamento comunitario, ricollegandolo al principio fondamentale contenuto nellart. 11 Cost. (20) La Corte, evidentemente, non ha scelto di rinviare pregiudizialmente la questione alla Corte di Giustizia persistendo così nel suo consolidato atteggiamento , ma ha dato bensì vita ad unoperazione ermeneutica nell ambito del diritto comunitario per la risoluzione della questione di legittimit à costituzionale ad essa sottoposta: e ciò attraverso lapplicazione in via analogica al caso in esame di un principio stabilito dal giudice comunitario per altra fattispecie. Con tale operazione la Corte, per la particolare sede in cui è chiamata a intervenire, ha sì svolto quello che è il compito precipuo della Corte di Giustizia (linterpretazione del diritto comunitario), ma lo ha fatto in unottica di collaborazione o comunque di non contrapposizione nei confronti delle prerogative di questultimo, dovendo ad ogni modo considerarsi che, se è vero che alle sentenze interpretative della Corte di Lussemburgo è riconosciuta diretta applicabilità nellordinamento nazionale, le eventuali antinomie tra diritto interno e diritto comunitario devono essere risolte dai giudici comuni e dagli altri operatori giuridici in ossequio proprio alla giurisprudenza del giudice comunitario. Si continuerà a vedere in futuro in che misura la Corte andrà avanti nel ritagliarsi uno spazio nellambito dellinterpretazione del diritto comunitario, e se vorrà finalmente avvalersi, in relazione al grado di complessità delle questioni trattate, dellintervento interpretativo della Corte di Giustizia. Dott. Giovanni Zampetti (19) R. CALVANO, op. cit. In merito alla ritrosia della Corte Costituzionale italiana ad esercitare la facoltà di sollevare anchessa questione pregiudiziale di interpretazione ai sensi dellart. 234 Tce, si veda G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, p. 312-313, nota 275. (20) Come è noto, lart. 11 Cost., nellinterpretazione datane dalla Corte, ha da sempre costituito lappiglio costituzionale per consacrare ladesione dellItalia alla Comunità europea e anche per giustificare la diretta applicabilità della normativa comunitaria nellordinamento nazionale: cfr. Corte Cost. n. 183 del 1973 (sentenza Frontini). 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Corte Costituzionale, sentenza 28 marzo 2006, n.129 Pres. A. Marini Rel. G. Silvestri Giudizio di legittimità costituzionale promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. dello Stato G. Fiengo) notificato il 16 maggio 2005 Regione Lombardia (Avv.ti A. Manzi, N. Zanon). «Considerato in diritto (Omissis) 5. ( ) rimane da esaminare la censura riguardante il comma 12 del medesimo articolo, in combinato disposto con lart. 11, comma 3, della stessa legge. Il ricorrente sostiene che tale norma sia costituzionalmente illegittima perché non prevede e quindi implicitamente esclude che nellipotesi di realizzazione diretta, da parte del proprietario dellarea sottoposta a vincolo espropriativo, delle attrezzature e dei servizi per la cui attuazione è preordinato il detto vincolo, la scelta del contraente, per appalti che eguaglino o superino la soglia comunitaria, avvenga secondo procedure di evidenza pubblica. Vi sarebbe violazione delle direttive del Consiglio delle Comunità europee 92/50 del 18 giugno 1992 (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici dei servizi), 93/36 del 14 giugno 1993 (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture), 93/37 (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori) e 93/38 (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni) e quindi dellart. 117, primo comma, della Costituzione. 5.1. La questione è fondata nei limiti di seguito precisati. 5.2. La normativa comunitaria in materia di appalti pubblici, contenuta in un gruppo di direttive, che hanno ricevuto attuazione mediante atti legislativi nazionali, prevede che in ogni caso, quando si realizzi unopera o si affidi un servizio o una fornitura per importi uguali o superiori ad un certo valore, il soggetto che procede allappalto debba adottare procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente. Lobbligo sussiste sia che lattribuzione dellappalto spetti ad un ente pubblico territoriale o ad altro «organismo di diritto pubblico» (secondo la dizione delle direttive prima citate), sia che lo stesso venga effettuato da un privato, il quale in tal caso assume come chiarito dalla Corte di giustizia delle Comunità europee la veste di «titolare di un mandato espresso», conferito dallente pubblico che intende realizzare lopera o il servizio (sentenza 12 luglio 2001, in causa C- 399/98). La citata pronuncia della Corte di giustizia riguarda il caso del titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione, cui è consentita la realizzazione diretta di unopera di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione, quando il valore di tale opera eguagli o superi la soglia comunitaria. Il principio fissato dalla Corte di giustizia è stato riversato nellordinamento italiano per mezzo dellart. 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), nel testo sostituito dallart. 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che, riferendosi agli interventi eseguiti direttamente dai privati a scomputo di contributi connessi allattività edilizia o alla lottizzazione di aree, stabilisce che «per le singole opere dimporto superiore alla soglia comunitaria i soggetti privati sono tenuti ad affidare le stesse nel rispetto delle procedure di gara previste dalla [ ] direttiva 93/37/CEE». La fattispecie configurata dalle norme regionali impugnate è assimilabile a quella oggetto delle direttive comunitarie sopra citate, nellinterpretazione datane dalla Corte di giustizia e riprodotta dal legislatore nazionale italiano. Si tratta infatti di accordi che i priIL CONTENZIOSO NAZIONALE 161 vati proprietari di aree destinate ad essere espropriate per la realizzazione di attrezzature e servizi pubblici possono stipulare con il Comune competente, in base ai quali «il proprietario può realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o generale, mediante accreditamento o stipulazione di convenzione con il Comune per la gestione del servizio» (art. 11, comma 3, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005). Si tratta quindi di accordi a titolo oneroso, dai quali derivano per le parti contraenti diritti e obblighi reciproci, che consentono al proprietario espropriando, in particolare, di mantenere la proprietà dellarea e di ottenere la gestione del servizio previsto in cambio della realizzazione diretta degli interventi necessari. Tutta loperazione prevista dalle norme impugnate è preordinata alla soddisfazione di interessi pubblici, come viene confermato dallart. 9, comma 12, della legge regionale de qua, che fa riferimento a vincoli previsti «per la realizzazione esclusivamente ad opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e servizi». Da quanto sinora detto si deduce come sia applicabile anche al proprietario espropriando che accetta di realizzare lopera prevista dallente pubblico la qualifica di «titolare di un mandato espresso» conferito dal Comune, di cui alla citata sentenza della Corte di giustizia. Non entrano in discussione, per i profili di costituzionalità evocati nella presente questione, le modalità della cosiddetta urbanistica consensuale e perequativa, ma soltanto lobbligo di procedere alle prescritte gare di appalto, poste a base della normativa europea citata, a tutela della trasparenza e della concorrenza, qualora limporto delle realizzazioni superi un certo limite. Il ricorso a procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente non può peraltro essere ritenuto incompatibile con gli accordi tra privati e pubblica amministrazione, giacché la possibilità che tali procedure siano svolte dagli stessi privati risulta già ammessa nellordinamento proprio nella fattispecie oggetto della richiamata pronuncia della Corte di giustizia e disciplinata in modo conforme dal citato art. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994, come sostituito dalla legge n. 166 del 2002. 5.3. Sulla scorta delle precedenti considerazioni, non si può dubitare che le direttive comunitarie prima citate in materia di procedure ad evidenza pubblica per lattribuzione di lavori, forniture e servizi debbano essere osservate anche nellipotesi che sia conferito ad un privato il compito di realizzare direttamente lopera necessaria per la successiva prestazione del servizio pubblico, la cui gestione può essere affidata, mediante convenzione, al privato medesimo. Come questa Corte ha già affermato (sentenze n. 406 del 2005, n. 7 e n. 166 del 2004), le direttive comunitarie fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale allart. 117, primo comma, Cost. La norma costituzionale citata, collocata nella Parte seconda della Costituzione, si ricollega al principio fondamentale contenuto nellart. 11 Cost. e presuppone il rispetto dei diritti e dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana. Pertanto la mancata previsione, nelle norme regionali impugnate, dellobbligo di adottare procedure ad evidenza pubblica in ogni caso in cui lappalto sia di importo uguale o superiore alla soglia comunitaria, determina la loro illegittimità costituzionale. Per questi motivi la Corte Costituzionale (omissis) dichiara lillegittimità costituzionale del combinato disposto dellart. 9, comma 12, e dellart. 11, comma 3, della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella parte in cui non prevede lobbligo di procedure ad evidenza pubblica per tutti i lavori, da chiunque effettuati, di importo pari o superiore alla soglia comunitaria. (omissis). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2006». 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il danno non patrimoniale nei giudizi in materia di equa riparazione: quando la lunga durata del giudizio non fa soffrire. (Corte dAppello di Roma, decreto 30 ottobre 2001, n. 4227, confermato da Corte di Cassazione, sezione prima civile, 28 maggio 2004 n. 10283) Con la pronuncia in esame la Corte dAppello di Roma, con decisione poi confermata dalla Prima sezione della Corte di Cassazione, si è pronunciata su una questione inerente lequa riparazione ex legge n. 89/01. La conferma da parte della Cassazione per vero è dipesa non tanto dalla condivisione da parte del giudice della legittimità delle argomentazioni fondanti il decreto innanzi ad essa impugnato, quanto dalla carenza, nel ricorso per cassazione proposto dalla parte privata, di puntuali ragioni di censura avverso il provvedimento impugnato e dalla conseguente inammissibilit à del ricorso stesso. È, dunque, proprio la pronuncia di merito confermata (sia pure per ragioni esclusivamente di rito, non avendo la Cassazione avuto modo di spingersi anche ad una valutazione sostanziale di quanto in esso affermato) a destare interesse: se da un lato infatti contiene una prima specificazione e concreta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite in materia di equa riparazione con le sentenze nn. 1338, 1339, 1340 e 1341 del 2004, dallaltro riesce, senza peraltro discostarsi dal nuovo indirizzo inaugurato dalle pronunce citate, a porre alcuni apprezzabili limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale. È noto come la legge n. 89/01 preveda, allart. 2 comma I, che Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libertà fondamentali, [ ] ha diritto ad una equa riparazione. Il senso della norma consiste nel riconoscere al soggetto che abbia subito un processo prolungatosi oltre il tempo ritenuto ragionevole, la possibilità di adire la Corte di Appello onde ricevere unequa riparazione per il danno subito, nella duplice manifestazione di carattere patrimoniale ovvero non patrimoniale. Per quanto concerne il danno patrimoniale, la giurisprudenza (sia nazionale che europea) è concorde nel ritenere che esso debba costituire oggetto di allegazione e prova da parte dellinteressato nel suo esatto ammontare, ciò che nella prassi fa sì che, essendo spesso la prova difficoltosa, la riparazione non venga in concreto accordata per tale categoria di pregiudizio. Per quanto riguarda il danno non patrimoniale (che rappresenta nella prassi lelemento centrale dellequa riparazione), la Sezione Prima della Corte di Cassazione aveva in passato sostenuto in maniera costante che anche il danno non patrimoniale analogamente a quello patrimoniale dovesse essere provato nella sue esistenza, sebbene tale prova potesse essere facilitata dal ricorso a presunzioni e massime di esperienza individuate in relazione al caso di specie. Con la pronuncia in commento, conformemente alle pronunzie delle Sezioni Unite già richiamate, la Corte si discosta da quanto in precedenza IL CONTENZIOSO NAZIONALE 163 sostenuto dalla prima sezione della Corte di Cassazione in materia di prova del danno non patrimoniale. Si enuclea il principio secondo il quale il danno non patrimoniale cagionato dal superamento del cosiddetto termine ragionevole pur non dovendosi ritenere implicito in re ipsa, debba considerarsi provato, in ragione dell id quod plerumque accidit, nella normalità dei casi, salvo che la consequenzialit à tra violazione del termine ragionevole e danno non patrimoniale possa essere, nel caso concreto, smentita dal ricorrere di talune circostanze. La vicenda processuale che ha occasionato la pronuncia in commento era iniziata nel 1993 dinnanzi al Pretore di Napoli. Avverso la pronuncia di primo grado, ottenuta nel 1994, il ricorrente proponeva appello, che la Corte di Appello decideva nel 1999. Loriginario ricorrente attivava pertanto il procedimento previsto dalla legge n. 89/01, volto ad ottenere lequa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, adducendo danni patrimoniali e non patrimoniali. La Corte di Appello di Roma, pur ravvisando un anomalo prolungamento della fase dappello, rigettava listanza. Avverso tale rigetto veniva proposto ricorso per Cassazione che, con la pronuncia annotata, veniva dichiarato inammissibile. Così riassunta la vicenda processuale che ne occupa, linteresse destato dal decreto confermato dalla Corte di Cassazione risiede essenzialmente nell enunciazione da parte della Corte di merito di una prima casistica in presenza della quale la presunzione di danno non patrimoniale per superamento del delai raisonnable può ritenersi superata. La Corte di Cassazione, nelle richiamate pronunzie, aveva già individuato alcune fattispecie in cui la presunzione avrebbe potuto dirsi superata, identificandole con i casi in cui la parte processuale abbia tratto vantaggio dallanomalo prolungamento della vicenda giudiziaria, di modo che il protrarsi del giudizio risponda in realtà allinteresse della parte stessa, ovvero nella piena consapevolezza dellinfondatezza della pretesa o della sua inammissibilit à. La Corte dAppello di Roma, in sede di rinvio, ha giustificato la ritenuta mancanza di un danno non patrimoniale (i.e. di uno stato di sofferenza legato alla lunga durata del giudizio), rilevando come il ricorrente avesse sostanzialmente tratto vantaggio dalla durata del procedimento di appello, in virtù della riparazione sovracompensativa ottenuta mediante cumulo degli interessi sulla rivalutazione. Viene quindi così evidenziato un caso concreto in cui la durata del processo può dirsi fonte di vantaggio, vale a dire lipotesi in cui il cumulo degli accessori consenta al creditore una sorta di lucro che trascende la normale funzione conservativa degli accessori stessi. Sotto laspetto dellinfondatezza della domanda, poi, la pronuncia in analisi sembra invece fornire uninterpretazione in chiave lata ed estensiva di quanto affermato dalle Sezioni Unite, fondando il rigetto della domanda sulla notazione che limpugnazione proposta dal ricorrente fosse solo in 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO parte fondata e non manifestamente e completamente tale, come indicato dalle Sezioni unite nella richiamata giurisprudenza. Ancora, la Corte dAppello attribuisce rilevanza ai fini del decidere anche al limitatissimo rilievo economico dellazione proposta dalla parte privata. La vicenda, in altri termini, è analizzata nella sua interezza: la compresenza di più fattori complessivamente considerati la fondatezza solo parziale delle istanze ed il limitato valore economico della controversia, unitamente al vantaggio conseguito dalla parte grazie alla durata del processo è idonea ad escludere che, nel caso concreto, la parte abbia subito un danno non patrimoniale. In ragione di quanto detto, è lecito ritenere che la pronuncia della Corte di merito non si ponga in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite nelle sentenze 1339 e 1340 del 2004, nelle quali si era escluso che lesiguo valore economico della controversia presupposta potesse essere di per sé ritenuto sufficiente a non ravvisare un danno non patrimoniale in capo allinteressato. Nella decisione della Corte di merito difatti, traspare, come si è già evidenziato, lintento di rivolgere lattenzione alla vicenda nella sua dimensione concreta, sì da evidenziare quelle circostanze che, nel complesso considerate e non, si badi, una indipendentemente dallaltra siano idonee a dimostrare che di fatto una sofferenza di ordine morale non si è verificata. A sostegno di quanto detto, può infatti rammentarsi che laffermazione delle Sezioni Unite in base alla quale lentità della posta in gioco nel processo in cui non è stato rispettato il termine ragionevole, non può mai escludere in toto il danno non patrimoniale, si accompagna tuttavia al riconoscimento del fatto che lesiguità della pretesa potrà avere un effetto riduttivo dell entità del risarcimento (Cassazione Civile, sez. Unite, 26 gennaio 2004, n. 1339). Di qui, la possibilità, a rigor di logica non preclusa dalle statuizioni precedenti, di unesclusione totale nelleventualità in cui concorrano più circostanze idonee a ridurre sino ad escludere lentità del danno non patrimoniale. In conclusione, la decisione qui esaminata allineandosi allindirizzo giurisprudenziale delle Sezioni Unite lo riempie di significato in rapporto ad una fattispecie concreta, e ciò fa dando luogo ad una pronunzia di rigetto, di per sé abbastanza inconsueta, stante lorientamento delle corti dAppello le cui decisioni di accoglimento dei ricorsi per equa riparazione sono oramai numericamente preponderanti. Dott. Luca Spaziani Corte dAppello di Roma, sezione equa riparazione, decreto 30 ottobre 2001 n. 4227 Pres. R. Morra Rel. R. Bernabai C. M., tutore di R.M. (Avv.ti A. Marra e L. Felice) c/Ministero della Giustizia (ct. 31108/01, Avv. dello Stato M. Russo). «(Omissis) Il sig. C. M. nella veste indicata, ha proposto domanda dinanzi al Pretore di Napoli, quale giudice del lavoro, con ricorso depositato il 20 dicembre 1993, per il ricoIL CONTENZIOSO NAZIONALE 165 noscimento, nellinteresse della sua assistita, della rivalutazione e degli interessi sui benefici economici previsti della legge 11 febbraio 1980 n. 18 che le erano stati liquidati limitatamente alla sorte capitale, in unica soluzione, al Ministero dellInterno, fino dal 31 marzo 1991. Costituitosi ritualmente il Ministero dellInterno ha eccepito la prescrizione del credito. Con sentenza 25 ottobre 1994, il pretore di Napoli ha accolto la domanda nei limiti dell eccepita prescrizione quinquennale. Il ricorrente ha presentato appello con ricorso depositato il 10 aprile 1995, ritenuto parzialmente fondato dal tribunale di Napoli, con sentenza depositata il 21 dicembre 1999. Sulla base di tali premesse di fatto, assume in questa sede il ricorrente che il descritto iter processuale di complessivi anni sei, ha superato di gran lunga il termine ragionevole di durata di un processo, con particolare riguardo al grado di appello, caratterizzato da un intervallo di quattro anni e sei mesi tra la data del deposito del ricorso (10 aprile 1995) e la prima udienza di trattazione (11 ottobre 1999), inaccettabile nellambito di controversia disciplinata dal rito del lavoro, improntata ai principi di oralità e concentrazione. Si è costituito il ministero della Giustizia contestando il fondamento della domanda di indennizzo. La causa è passata in decisione alludienza, in camera di consiglio, del 17 settembre 2001. La fattispecie risarcitoria configurata allart. 2 della legge in esame costituisce una novità per lordinamento italiano, che aveva, di norma, ricondotto la responsabilità della pubblica amministrazione ad atti dolosi o (gravemente) colposi dei suoi dipendenti, in base al rapporto di immedesimazione organica. Il rilievo, comunemente accolto in dottrina e confortato, del resto, da una inequivoca giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo che si debba invece prescindere del tutto da profili di negligenza del singolo giudice, potendo la violazione ascriversi a carico dello Stato anche per insufficienza oggettiva dei mezzi predisposti per lesercizio della giurisdizione, non esime linterprete della norma dalla necessità di una disamina, a tutto tondo, degli elementi integrativi della fattispecie: incluso, e anzi in primo piano, lambito di estensione del dovere dello Stato-ordinamento di assicurare una risposta sollecita e soddisfacente al bisogno primario di giustizia della società. Le questioni da trattare in sede ermeneutica riguardano quindi, nellordine, i limiti di ragionevolezza della durata di un processo con riferimento sia alla struttura generale di esso sia, in concreto, alla complessità e alla rilevanza economico-sociale del singolo caso il comportamento delle parti e del giudice, nonché i criteri di liquidazione del danno, in relazione alla sua natura giuridica e ai suoi rapporti con il risarcimento eventualmente a carico di altra parte processuale, soccombente. Il primo profilo da esaminare è la nozione stessa di termine ragionevole in rapporto alla struttura del processo. Premesso che né la legge italiana, né la Convenzione precisano i contorni della durata accettabile, limitandosi a porre un principio programmatico secondo una linea di tendenza imitata anche dal legislatore costituzionale nel recente emendamento allart. 111 Cost. si deve escludere, in un approccio preliminare di diritto comparato, che sia possibile tracciare un iter processuale tipico, valido in assoluto, e meccanicamente trasponibile allinterno di ciascun sistema che sia vincolato al rispetto della Convenzione. Ciò perché il termine ragionevole è principio di relazione, che va ricollegato al complesso di garanzie processuali che ogni Stato assicura; e devesser quindi verificato alla luce di esse, in concorso con tutti gli altri elementi strutturali che connotano la singola disciplina processuale. Poiché la Convenzione ha come destinatari gli Stati nazionali ed è ad essi che va imputata la violazione delle regole (con la conseguenza che non è causa esimente del ritardo loggettiva insufficienza delle strutture e degli organici: e quindi, in ultima analisi, lassenza di colpa del singolo giudice) la valutazione del termine ragionevole non può essere operata in termini astratti, validi indiscriminatamente per ogni ordinamento. È chiaro, infatti, che quanto maggiore sarà la libertà di accesso alla giurisdizione ordinaria e più ampia la gamma dei mezzi di impugnazione accordata, tanto più tutelato contro rischi di una decisione ingiusta sarà il cittadino; specialmente se restino contenuti i costi dellaccesso alla giustizia. Da questo contesto generale, non si può quindi prescindere per accertare sperimentalmente se la durata del processo sia, o no, legata a fattori patologici che menomino il diritto del singolo utente; o non sia linevitabile riflesso di una maggiore ricchezza di strumenti posti a sua disposizione, implicante una accresciuta domanda di giustizia anche nei gradi di impugnazione, ordinaria e straordinaria, che può compensare il pregiudizio da maggior durata del processo, se contenuta in limiti fisiologici. Entro questa cornice di principi, sarebbe dunque contrario alla ratio del termine ragionevole sanzionare la durata, prima facie eccessiva, di un processo di appello o di cassazione, senza previamente considerare, in chiave comparatistica, se tale mezzo processuale sia riconosciuto in pari misura nei vari ordinamenti cui si applica la Convenzione; o non sia un quid pluris nella tutela giurisdizionale che sarebbe paradossale penalizzare, gravando lo Stato di un impegno di risorse di gran lunga maggiore di altri, assai più restrittivi in materia, in ossequio a canoni valutativi astratti, giustificabili solo a parità di condizioni. In concreto, viene in considerazione lesistenza, o no, di filtri di ammissibilità del mezzo dimpugnazione, nonché dellobbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale, con il correlato controllo di completezza e logicità oltre che della violazione di legge fino al più alto grado della giurisdizione. Sotto il primo profilo, non in tutti gli ordinamenti la parte può liberamente ricorrere in appello. In Inghilterra e Galles occorre, in molti casi ottenerne lautorizzazione (leave to appeal), con evidenti ed efficaci effetti deflattivi. Analoghe restrizioni sono ravvisabili in Germania per il terzo grado di giudizio (Revisione), dinanzi alla Corte suprema federale contro le sentenze definitive del tribunale superiore regionale: oltre ad essere consentita solo quando il valore della controversia superi limporto di 60.000 D.M. (paragrafo 546 Z.P.O.) la revisione è soggetta ad un ulteriore filtro di ammissibilità, da parte del giudice a quo (tribunale regionale superiore) e anche del giudice ad quem (corte suprema federale con la maggioranza dei due terzi: paragrafo 554 Z.P.O.), il cui esito è legato alla rilevanza giuridica della causa e alle sue prospettive di successo. Limiti di accesso alle impugnazioni si ravvisano anche nellordinamento finlandese e svedese,in forma di autorizzazioni: che, per il ricorso alla Corte suprema, sono concesse solo in casi eccezionali. Per contro, lordinamento italiano assicura piena libertà alle parti di appellare, in fatto ed in diritto, a sentenza di primo grado, anche per controversie di modesto ammontare, purch é pronunziate secondo diritto (art. 339, secondo e terzo comma c.p.c.), pur senzesservi obbligato da norma sovraordinata, interna (il doppio grado di merito non ha rilevanza costituzionale), né, tanto meno, convenzionale. Trattandosi di riesame, senza limiti dammissibilit à, di una sentenza già dotata di efficacia esecutiva (art. 282 c.p.c.) e dunque di per sé suscettibile di assicurare alla parte vittoriosa il bene della vita oggetto della controversia non appare dunque irragionevole, nella logica funzionale del sistema, un termine di durata maggiore di quello che, a parità di esigenze istruttorie, sarebbe giustificato in primo grado, o, a fortiori, in un procedimento sommario o cautelare. Viene poi in considerazione lelemento della complessità della specifica controversia. 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Ancora una volta, i canoni valutativi risentono, in tesi generale, della natura degli interessi coinvolti (la posta in giuoco secondo la terminologia della Corte di Strasburgo) che connota, in prima approssimazione, il dovere generale di una sollecita trattazione della causa. In questottica, il diritto del lavoro, o come nella specie previdenziale, al pari dei diritti della personalità, del diritto di famiglia ecc.) richiede una soluzione giudiziale in tempi più ristretti, che non lordinario contenzioso su beni disponibili: tale, da esigere un impegno particolare che può giungere sino alla diligence exceptionelle (cfr. sent. Corte di Strasburgo Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996; sent. 17 dicembre 1996, Duclos c. Francia). Dalla prima qualificazione in termini astratti, si passa poi alla valutazione dei dati epifenomenici della fattispecie concreta: numero delle parti e delle questioni, valore economico, laboriosità della prova, ecc. Applicando i predetti criteri al caso in esame, si deve concludere che, da un lato, la natura assistenziale della controversia decisa dal pretore e dal tribunale di Napoli richiedeva in effetti una particolare celerità (del resto presupposta dallo stesso legislatore in sede di rito) e dallaltro nessuna censura in tal senso si può muovere alla conduzione del processo in primo grado, conclusosi assai speditamente con una sentenza resa dal pretore di Napoli in meno di un anno. Per quanto riguarda la fase di gravame, invece, svoltosi dinanzi al tribunale di Napoli, le statuizioni di principio svolte in tema di appello portano ad escludere la rilevanza automatica, ai fini risarcitori, della violazione del termine di cui allarticolo 435, primo comma, per la fissazione delludienza di discussione dinanzi al collegio. Tenuto conto dellassenza di richieste istruttorie nellambito di una questione di puro diritto, si ritiene che la durata della causa non potesse essere superiore a tre anni: con la conseguente eccedenza di un anno e mezzo rispetto al termine ragionevole (art.2, terzo comma, lett. A legge 24 marzo 2001 n.89), decorrente dal deposito del ricorso dappello (aprile 1995). Viene ora allesame il problema della indennizzabilità del pregiudizio subito dalle parti. Il richiamo contenuto nellart. 2, terzo comma, alle modalità di liquidazione stabilite dallart. 2056 c.c. riconduce la fattispecie al risarcimento del danno da fatto illecito. Né vale ad escludere tale configurazione il rilievo, tralatizio nella giurisprudenza della corte di Strasburgo, che non costituisce elemento integrativo della fattispecie limputabilità del ritardo a responsabilità dellorgano giudicante: che, anzi, potrebbe essere del tutto immune da colpa nellipotesi, tuttaltro che infrequente, di congenite o sopravvenute carenze strutturali dorganico. Neanche in questo caso, peraltro, si potrebbe parlare di responsabilità oggettiva, giacché lelemento psicologico della colpa è pur sempre presupposto: solo che è riferito allo Stato-autorità, inadempiente allobbligo di risultato di garantire il puntuale assolvimento della funzione primaria di rendere giustizia. Con la 1egge 89/2001 è stato elevato al rango di diritto soggettivo quello che prima si poteva ritenere un interesse legittimo allesercizio corretto e conforme a canoni di efficienza di una potestà giurisdizionale, secondo una linea riformistica di fondo, di cui si potrebbe rinvenire un precedente in tema di responsabilità del giudice per errore inescusabile o denegata giustizia (legge 13 aprile 1988 n. 117). Si potrebbe perfino ritenere che la responsabilit à statale fosse in ogni caso in nuce, anche in assenza della novella legislativa; specie alla luce dei recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di risarcibilità dellinteresse legittimo. In ogni caso, quale che sia la configurazione dommatica della responsabilità in esame, resta il fatto che, per inequivoco dettato normativo, la riparazione è legata ad un danno da provare in concreto, sia pure per presunzioni, non costituendo una mera sanzione pecuniaria (multa o pena privata), dovuta per il solo fatto oggettivo del ritardo irragionevole. E di ciò è prova il richiamo di rimbalzo, tramite il menzionato art. 2056, degli articoli 1223 (danno emergen- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 167 168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO te e lucro cessante), 1226 (liquidazione equitativa) e 1227 (irrisarcibilità del danno evitabile con la comune diligenza e concorso di colpa). Il danno in questione, inoltre, non può coincidere con quello che la parte vittoriosa abbia diritto di vedersi risarcito dal soccombente, autore materiale della lesione del diritto che ha dato origine alla causa. Con la conseguenza, non di poco conto, che anche il ritardo irragionevole, qualora sia oggettivamente risarcito dal soccombente, mediante una somma aggiuntiva liquidata in base a criteri di legge (rivalutazione ed interessi), non giustifica una riparazione duplicativa a carico dello Stato. Questo, infatti, non diventa coobligato solidale; neppure in forma sussidiaria qualora il debitore privato si riveli, allesito della lite, insolvente. Unipotesi di responsabilità diretta, sotto questo profilo, potrebbe configurarsi solo nel caso in cui il danno fosse maturato nella fase, per così dire, della mora debendi dello Statoordinamento e cioè oltre il termine ragionevole applicabile al caso concreto e non fosse altrimenti prevenibile dalla parte mediante misure cautelari o anticipatorie. Fuori di questipotesi, evidentemente residuale e bisognosa di prova rigorosa, il pregiudizio patrimoniale deve consistere in un danno emergente o lucro cessante non altrimenti ripetibile: come è più agevolmente ipotizzabile per il ritardo nello svolgimento di un processo penale, amministrativo o rientrante in una giurisdizione speciale. Ne consegue che il terreno elettivo per la riparazione resta quello del danno non patrimoniale. La legge 89/2001 ha creato una nuova fattispecie disancorata dal presupposto del reato (sulla scia di precedenti leggi speciali: legge 13 aprile 1988 n. 117, sulla risarcibilità del danno non patrimoniale da privazione della libertà personale; legge 31 dicembre 1996 n. 675, art.29 per il trattamento illecito dei dati personali; legge 6 marzo 1998 n. 40, art. 42 per le discriminazioni razziali, etniche, religiose). Si deve ritenere che la previsione normativa contempli non solo la tradizionale nozione di danno morale (pecunia doloris, Schmerzgeld) ma anche la voce, di più recente elaborazione giurisprudenziale, del c.d. danno esistenziale: e cioè quel pregiudizio alla qualità della vita che può derivare dallo stato dincertezza, notoriamente penoso sotto il profilo psicologico (ogni processo è già di per sé una pena, ammoniva unautorevole dottrina), circa la sussistenza di un proprio diritto, protrattasi oltre il ragionevole per lungaggini processuali. Anche in questo caso peraltro non si è in presenza di un danno-evento (sul tipo del danno biologico) ricollegabile meccanicamente alla violazione dellart 6, par. 1, della Convenzione; né,tanto meno di una pena privata irrogabile per la sola infrazione oggettiva della norma. Occorre, per contro, anche la prova, eventualmente presuntiva, che questultima si sia davvero riverberata negativamente nella sfera privata di valori del soggetto, pregiudicandone la qualità della vita. Ciò avverrà quasi sempre quando la parte non veda riconosciuto entro un termine ragionevole il proprio diritto; e cioè, quando abbia ragione nella controversia. Ma non si può escludere sebbene si tratti di evenienza eccezionale da dimostrare rigorosamente per evitare facili iniziative di speculazione che un danno non patrimoniale possa essere sofferto anche da chi, allesito del giudizio, sia dichiarato responsabile e condannato,qualora abbia risentito, nella propria salute psico-fisica, delleccessiva durata del processo, da lui non evitabile con lordinaria diligenza (art. 1227 richiamato dallarticolo 2056 e mediatamente dallart. 2 legge 89/2001). È appena il caso di aggiungere,in chiusura dargomento, che lonere della prova non può essere surrogato dallesercizio, pur testualmente ammesso, della liquidazione equitativa, che presuppone, e non surroga, la dimostrazione del pregiudizio. Applicando i suesposti principi alla fattispecie concreta in esame, si deve concludere che, sebbene si sia verificata, come detto, uneffettiva violazione, per un anno e sei mesi, del IL CONTENZIOSO NAZIONALE 169 termine ragionevole che nellambito di un processo in materia assistenziale e di limitata complessità non poteva eccedere, nel grado di appello, la durata di tre anni (mentre nessuna censura può muoversi al processo di primo grado,esaurito sollecitamente entro un anno dalla proposizione del ricorso) essa non ha dato luogo ad alcun concreto pregiudizio a carico della parte. La domanda aveva, infatti, un limitatissimo rilievo economico e limpugnazione è risultata solo in piccola parte fondata. Trattandosi di una fattispecie obbligatoria in cui la legge riconosce il cumulo di rivalutazione ed interessi legali (interessi che, a loro volta, vengono determinati annualmente dal ministro del tesoro, tenuto conto della intercorsa perdita di valore della moneta e del rendimento dei titoli di stato con scadenza annua), non solo non è ravvisabile alcun danno in re ipsa, per effetto del decorso del tempo, ma si verifica per contro unipotesi eccezionale di riparazione sovraccompensativa riconosciuta ex lege. Neppure sussistono i presupposti per lindennizzo del danno non patrimoniale, atteso il limitatissimo valore della causa e la parziale infondatezza della pretesa. Il ricorso è dunque infondato e va respinto. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di giudizio. Roma, 17 settembre 2001». Corte Suprema di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 28 maggio 2004 n.10283 Pres. R. De Musis Rel. F. Tirelli C.M. (Avv. A.L. Marra) c/ Ministero della Giustizia. «(Omissis) Motivi della decisione Premesso che non può negarsi carattere di specialit à alle procedure che, come quella in esame,siano state conferite a margine del ricorso ed in favore del difensore che ha sottoscritto latto (C.Cass.2000/48), risulta dal decreto impugnato che in data 20 dicembre 1993, M. C. depositava ricorso, nella sua qualità di tutore di M. R., per ottenere la rivalutazione e gli interessi sui ratei dellassegno assistenziale corrisposto in ritardo dal Ministero dellInterno. Con sentenza del 25 ottobre 1994, il Pretore di Napoli accoglieva la domanda nei limiti delleccepita prescrizione quinquennale ed il Manna si gravava al giudice superiore con atto depositato il 10 aprile 1995. La Corte di appello di Napoli definiva il giudizio con sentenza pubblicata il 21 dicembre 1999 ed il M.C. si rivolgeva alla Corte di appello di Roma per conseguire la riparazione del pregiudizio derivato dallirragionevole durata del processo. Il giudice adito riconosceva che la fase di appello si era prolungata un anno e mezzo più del necessario, ma nonostante ciò rigettava ugualmente il ricorso, sottolineando in proposito che il M. non aveva dimostrato alcun danno patrimoniale e che per quel che concerneva il danno morale, si era trattato di unimpugnazione solo in parte fondata e di limitatissimo rilievo economico, che durando oltre misura, aveva per di più finito col favorire lappellante, cui aveva consentito di lucrare una riparazione sovracompensativa mediante il cumulo degli interessi sulla rivalutazione. Tanto ricordato in fatto, devesi rilevare che il Manna ha censurato lanzidetto decreto, deducendo con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 4 della legge 24 marzo 2001, n.89 in quanto una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la Corte di appello non avrebbe potuto rigettare la domanda di riparazione del danno morale, trattandosi di pregiudizio da liquidare magari in via simbolica, ma non certo da escludere. Con il secondo motivo, il M. ha ulteriormente lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 89/2001 oltre che dellart. 6 della CEDU, nonché il difetto di motivazione su punto decisivo della controversia in quanto sia la Convenzione europea che la legge Pinto prescindevano completamente dalla maggiore o minore fondatezza della domanda, com era daltronde dimostrato dal fatto che la richiesta di equa riparazione poteva essere presentata anche prima della fine del processo e, dunque, anche prima di conoscere chi aveva ragione e chi torto. Con il terzo motivo, il M. ha nuovamente insistito sulla violazione e falsa applicazione della suindicata norma nonché sul difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto i giudici a quo non avevano tenuto adeguatamente conto della particolare situazione economica, sociale e culturale dellavente diritto, che versando in gravi condizioni di disagio, era portata più di altri ad avvilirsi per la mancata soddisfazione dei suoi diritti. Così riassunto il contenuto dei tre motivi di ricorso, osserva il Collegio che con le recentissime sentenze nn. 1338, 1339, 1340 e 1341/2004, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno ripudiato la tesi secondo la quale la violazione del termine ragionevole determinerebbe di per sé un pregiudizio non patrimoniale allinteressato, osservando tuttavia che seppure non poteva parlarsi di un danno in re ipsa, doveva però quanto meno ammettersi un ribaltamento dellordinaria prospettiva, nel senso che verificatosi lo sforamento del tetto massimo di durata del processo, doveva normalmente presumersi che ciò avesse provocato un danno morale a meno che non risultassero circostanze tali da dimostrare che il richiedente non aveva subito alcun paterna danimo perché, ad esempio, immediatamente avvantaggiato dal prolungarsi del processo ovvero pienamente consapevole dellinfondatezza della sua pretesa. Nel caso di specie, la Corte di appello di Roma ha, come si è visto, escluso la sussistenza di qualsiasi danno morale non solo in ragione della parziale fondatezza della pretesa e del suo modestissimo rilievo economico, ma anche in considerazione del fatto che la parte aveva sostanzialmente finito con il trarre un vantaggio dalla durata del processo. Non contenendo alcuna specifica censura su tale autonoma ratio decidendi, perfettamente capace di giustificare il rigetto della richiesta di equa riparazione, il ricorso del M. risulta addirittura inammissibile in quanto anche ove condivise, le diverse argomentazioni in esso sviluppate non potrebbero mai condurre alla cassazione del decreto impugnato. Spese compensate, sussistendo giusti motivi al riguardo. P.Q.M. la Corte, dichiara il ricorso inammissibile e compensa integralmente le spese di lite fra le parti. Roma, li 9 febbraio 2004». 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO IL CONTENZIOSO NAZIONALE 171 Quale nomofilachia per il giudice contabile? (Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza 22 febbraio 2006) Le note che seguono non vogliono affrontare laspetto giuridico della questione, già ampiamente trattato negli atti difensivi sopra pubblicati, ma solo rilevare il particolare atteggiamento della magistratura contabile di primo grado allindomani della sentenza delle sezioni riunite. Pur di fronte alla seconda pronuncia dellorgano deputato a risolvere la controversa interpretazione di questioni di massima, le sezioni territoriali continuano a disconoscerne lautorità. Una volta, tra gli argomenti che larte retorica metteva a disposizione, quello ex auctoritate aveva un certo peso, non decisivo, ma comunque degno di rilievo ancillare. Lipse dixit si è tramandato per fini giudiziari nomofilattici: così le sezioni unite di Cassazione, ladunanza plenaria del Consiglio di Stato e le sezioni riunite della Corte dei Conti sulle questioni di massima. Nellesperienza, due sezioni unite di Cassazione conformi raramente vengono disattese dai giudici di merito; in ogni caso, pochi sono i giudici di merito che oserebbero. Nel caso della doppia indennità integrativa speciale su bititolare di pensione, il fenomeno eversivo raggiunge, invece, dimensioni nazionali: la maggior parte delle sezioni di primo grado continua a disattendere la seconda soluzione identica alla questione di massima, travisando coscientemente la natura additiva di prestazione (sulla quale cfr. RUGGERI-SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2004, 142) e non di principio di ben tre sentenze della Corte Costituzionale (n. 172/91; 494/93; 376/94) tutte affermanti che il divieto di cumulo persiste oltre il minimo INPS. Eppure cè poco da discutere quando la formula della Corte è del tenore dichiara lillegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che anche nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo limporto corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti: la sentenza è fuor di dubbio una additiva di prestazione e non di principio. Infatti, la soluzione normativa è logicamente necessitata perché lunico limite di riferimento nellordinamento pensionistico è il minimo INPS. Di fronte a quella che a buona ragione può ben definirsi la rivolta dei giudici i quali senzaltro hanno a cuore il pensionato, ma non le casse dello Stato a questo punto non serve nemmeno auspicarsi una interpretativa di rigetto della Consulta a petto dellennesima rimessione, ma un tempestivo intervento interpretativo del legislatore. Avv. Paolo Marchini Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza 22 febbraio 2006 Pres. F. Castiglione Morelli Rel. N. Mastropasqua. «(Omissis) Fatto La Seconda Sezione giurisdizionale centrale di appello con ordinanza n. 97/2005/A del 3 novembre 2005 ha deferito a queste Sezioni Riunite questione di mas172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO sima così formulata: se permane nel nostro ordinamento il divieto di cumulo dellindennità integrativa speciale nellipotesi di godimento di plurimi trattamenti pensionistici e, in caso di risposta affermativa, se la persistenza di tale divieto sia conforme a Costituzione. La questione è stata proposta in sede di giudizio di appello avverso la sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia n. 327/2001 del 29 marzo 2001 ( ). Nel gravame gli appellanti tra laltro hanno chiesto il riconoscimento del diritto alla percezione dellindennit à integrativa speciale su ambedue i trattamenti pensionistici di cui sono in godimento. La Sezione remittente espone che il problema della permanenza o meno del divieto di cumulo dellindennità integrativa speciale, nellipotesi di contemporaneo godimento di due o più trattamenti pensionistici ha lacerato la giurisprudenza di questa Corte. Sul punto le Sezioni Riunite si sono pronunziate con la sentenza n. 14/2003/QM, la quale ha affermato la persistenza del divieto, precisando che in ipotesi di fruizione di doppio trattamento di pensione è vietato il cumulo della indennità integrativa speciale; il titolare di due pensioni ha peraltro diritto a percepire la indennità integrativa speciale sulla seconda pensione nei limiti necessari per ottenere lintegrazione della pensione sino allimporto corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Nonostante la pronunzia delle Sezioni Riunite permane il contrasto giurisprudenziale: ed infatti la Terza Sezione giurisdizionale centrale con numerose sentenze, che hanno come capostipite la n. 403/2003, ha affermato linesistenza del divieto di cumulo. A sua volta la Sezione di appello per la Regione Sicilia ed altre Sezioni territoriali, pur aderendo formalmente alla tesi delle Sezioni Riunite sulla persistenza del divieto, hanno ritenuto che esso si pone in contrasto con i principi della Costituzione ed hanno sollevato la questione di legittimit à costituzionale dellart. 99, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in riferimento agli articoli 3 e 38 Costituzione. La questione di costituzionalità è stata dichiarata manifestamente inammissibile, con ordinanza n. 89 in data 8 marzo 2005. La Corte Costituzionale ha rilevato che, secondo un principio non discusso e più volte espressamente affermato, una normativa non è illegittima perché suscettibile di una interpretazione che ne comporta il contrasto con precetti costituzionali, ma soltanto perché non può essere interpretata in modo da essere in armonia con la Costituzione. La Corte, rilevato che i remittenti non hanno espressamente affermato che nessuna altra interpretazione della norma censurata è possibile se non quella che genera i dubbi di costituzionalit à da loro manifestati, e tantomeno hanno esposto le ragioni di tale esclusione, ha ritenuto che le veniva chiesto di dirimere un contrasto sulla interpretazione della legge ordinaria e, conseguentemente, ha dichiarato la questione manifestamente inammissibile. La pronunzia del giudice delle leggi ha determinato una riflessione da parte della Terza Sezione centrale la quale, con sentenza n. 210 in data 14 aprile 2005, riesaminando la propria posizione, ha ritenuto che lordinanza 89/2005 ha implicitamente confermato labrogazione del divieto di cumulo. In particolare la Terza Sezione ha svolto le seguenti considerazioni: il motivo che ha indotto alla rimessione (ancora una volta) della questione di legittimità costituzionale dellarticolo 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, risiede (come la stessa Corte Costituzionale ha chiaramente sintetizzato) nella domanda intesa a conoscere se larticolo 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 doveva considerarsi (continuare a considerarsi) costituzionalmente illegittimo anche dopo la sentenza n. 494 del 1993 della Corte Costituzionale. Trattasi della stessa domanda che si era posta da tempo questa Terza Sezione Giurisdizionale Centrale e alla quale, sempre da tempo, era stata data risposta nel senso IL CONTENZIOSO NAZIONALE 173 che larticolo in questione (99, secondo comma), anche a volerlo ritenere non totalmente espunto dallordinamento giuridico, non poteva più sospettarsi di illegittimità costituzionale in quanto, dopo la sentenza n. 494 del 1993 della Corte Costituzionale (e ancor più sicuramente dopo la sentenza n. 516 del 2000 e lOrdinanza n. 517 dello stesso anno) lo stesso, anche se lo si voleva considerare solo manipolato, poteva e, quindi, doveva essere letto in chiave costituzionale in quanto solo in quel senso il disposto di cui al secondo comma dellarticolo 99 (anche a volerlo ritenere puramente corretto dalla Corte Costituzionale) veniva a non collidere (nel senso che veniva ad allinearsi) non solo con i principi costituzionali indicati nella Carta Costituzionale (articoli 3. 36 e 38), ma anche con il fondamentale principio del divieto di qualsiasi non giustificata discriminazione quale, con tutta evidenza, conseguiva al fatto che, una volta andato definitivamente in pensione (con sicura crescita di bisogni da soddisfare), il lavoratore dipendente, già in godimento di doppia I.I.S., veniva a perdere (e spesso senza neanche il c.d. minimo I.N.P.S.) il beneficio finora goduto (doppia I.I.S. in misura intera). Orbene la Corte Costituzionale (secondo quanto assunto dalla Sezione Terza giurisdizionale) ha chiaramente condiviso limpostazione che alla questione era stata data da questa Terza Sezione giurisdizionale centrale nel momento in cui dopo aver ricordato ai Giudici remittenti che presso la Corte dei conti si era affermato lorientamento giurisprudenziale (poi qualificato come diritto vivente) che afferma la totale eliminazione del divieto di doppia percezione dellindennità integrativa speciale, anche in relazione al caso di doppia pensione è stata costretta a chiedere (e a chiedersi) perché in presenza di questo orientamento non erano state indicate le ragioni per le quali era stata ritenuto (si intende dai Giudici remittenti) di non adottare (o rectius: di non poter adottare) lopzione interpretativa che escludeva la persistenza del divieto di cumulo. E proprio tale osservazione della Corte Costituzionale che qui si assume non quale mero presupposto della dichiarazione di manifesta inammissibilità della proposta questione di legittimità costituzionale conferma ad avviso del Collegio la posizione assunta dalla Terza Sezione giurisdizionale centrale secondo la quale la questione del c.d. cumulo di I.I.S. non può avere soluzione diversa da quella da tempo ipotizzata, e ciò non tanto perché è possibile una doppia lettura dellarticolo 99, secondo comma, in questione (e già ciò solo sarebbe di per se risolutivo in quanto una delle due letture è stata ritenuta in armonia con i principi costituzionali) ma in quanto si può ora, con ancor più convinzione, sostenere, e proprio alla luce della motivazione dellOrdinanza n. 89/2005 della Corte Costituzionale, che il più volte citato articolo 99, secondo comma, come depurato del vizio di costituzionalità (sentenza n. 494 del 1993), è ormai suscettibile di una sola lettura e cioè, proprio, della lettura individuata da tempo da questa Terza Sezione Giurisdizionale centrale. La II Sezione centrale remittente, invece, con sentenza 337 in data 11 ottobre 2005, dopo aver affermato che la recente ordinanza della Corte Costituzionale n. 89/2005 ha lasciato immutati i termini del problema, ha ritenuto, nonostante le perplessità che possano sorgere dalla lettura della sentenza n. 516/2000, di poter aderire alle statuizioni contenute nella sentenza 14/2003/QM delle SS.RR., considerando tuttora vigente il divieto di cumulo di I.I.S. su due o più trattamenti di pensione, con il correttivo, posto nelle sentenze n. 172/1991 e 494/1993, di salvaguardia del trattamento minimo erogato dal fondo pensioni lavoratori dipendenti. A ciò induce la considerazione che la statuizione di incostituzionalità nelle richiamate sentenze, e per quel che interessa nella presente fattispecie, nella sentenza n. 494/1993, è preceduta dalla riconferma della permanenza del divieto di cumulo di I.I.S. su due o più trattamenti di pensioni (art. 99. secondo comma, del d.P.R. n. 1092/1973). 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Porta alla stessa conclusione anche la considerazione della differenziata ratio decidendi che è alla base delle due distinte serie di pronunce della Corte Costituzionale in tema di divieto di cumulo della I.I.S., individuata, per il cumulo relativo a pensione e retribuzione, nella salvaguardia della retribuzione, attingendosi il parametro del giudizio di costituzionalit à nellart. 36 Cost.; e per il cumulo relativo a plurimi trattamenti di pensione, nella salvaguardia di una delle pensioni in godimento, che non può ridursi al di sotto del minimo I.N.P.S., così da rendere del tutto irrazionale il divieto di cumulo in violazione dellart. 3 Cost., differenziato parametro di costituzionalità. Confutando, poi, largomentazione secondo la quale ove la giurisprudenza prevalente dovesse uniformarsi allorientamento espresso dalle SS.RR. con la sentenza n. 14/QM/2003, si determinerebbe una disparità di trattamento tra i collocati in pensione prima del 31 dicembre 1994, che subirebbero il divieto di cumulo, ed i collocati in pensione dopo tale data, che non sarebbero soggetti a tale divieto conglobandosi la I.I.S. nella nuova pensione (per effetto dellart. 15, comma 3°, della legge n. 724/1994 a decorrere dal 1° gennaio 1995 la I.I.S. perde il suo carattere di accessorio alla pensione) la Sezione osserva che è principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale quello secondo cui è il fluire stesso del tempo a giustificare un differenziato trattamento di situazioni giuridiche tra loro similari. Sulla base del rinnovato contrasto giurisprudenziale la II Sezione giurisdizionale centrale ha ritenuto di dover deferire la questione a queste Sezioni Riunite formulando il quesito innanzi esposto. Si sono costituiti in questa sede i sigg.( ) con memoria depositata in data 24 gennaio 2006. Nellatto scritto il difensore richiama la giurisprudenza della Corte dei conti favorevole al cumulo dellindennità integrativa speciale nonché i principi fissati in materia dalla Corte Costituzionale ed ha evidenziato taluni effetti distorsivi derivanti dalla permanenza del divieto di cumulo; conclusivamente ritiene che il divieto di cumulo sia stato espunto dallordinamento. In data 25 gennaio 2006 si è costituita in giudizio lAvvocatura Generale dello Stato. In pari data si è costituito anche lI.N.P.D.A.P., in persona del Presidente e legale rappresentante (...). Nelle memorie sia lAvvocatura Generale dello Stato che lI.N.P.D.A.P. aderiscono sostanzialmente alla tesi espressa da queste Sezioni Riunite con la sentenza n. 14/2003. Nello stesso senso si esprime con ampia ed approfondita motivazione il Procuratore Generale nella memoria depositata il 26 gennaio 2006. Nelludienza di discussione le parti hanno illustrato i rispettivi atti scritti. LAvvocatura dello Stato ha depositato note dudienza. Considerato in diritto Va, innanzitutto, dichiarata la ammissibilità della questione di massima proposta dalla Seconda Sezione giurisdizionale centrale di appello. Infatti sulla questione permane, pur dopo la sentenza di queste Sezioni Riunite n. 14/2003/QM, un contrasto giurisprudenziale orizzontale tra Sezioni di appello, contrasto accentuato dalla diversa lettura data dai giudici di appello alla recentissima ordinanza della Corte Costituzionale 8 marzo 2005 n. 89. La pronuncia del giudice delle leggi sulla base della prospettazione della questione di costituzionalità in ordine alla permanenza del divieto di cumulo di indennità integrativa speciale su più trattamenti pensionistici afferma lesistenza nella giurisprudenza della Corte dei conti di più opzioni interpretative dellart. 99, comma secondo, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 e dichiara la manifesta inammissibilità della questione sotto il profilo della mancata indicazione dei motivi che obbligano ad una lettura della norma che suscita dubbi di costituzionalità anziché una interpretazione costituzionalmente orientata. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 175 In sostanza nel rendere la pronuncia, la Corte Costituzionale sulla base delle prospettazioni delle ordinanze di remissione ha presupposto lesistenza nella giurisprudenza della Corte dei conti di due difformi interpretazioni dellart. 99, comma secondo, cit. d.P.R. n. 1092/1973. Questo giudice, prendendo in esame i citati indirizzi giurisprudenziali, rileva che esistono due diverse tesi in ordine alla permanenza del divieto di cumulo, ma non due diverse interpretazioni della norma citata. Il primo indirizzo giurisprudenziale sostiene che lart. 99, comma secondo, d.P.R. n. 1092/1973 permane nellordinamento nel testo manipolato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 172/1991, 307/1993, 494/1993 e 376/1994. Riassuntivamente in questultima sentenza, richiamando le precedenti, la Corte Costituzionale afferma che si è statuita, in primo luogo, la regola per cui al titolare di più pensioni lindennità integrativa speciale compete ad un solo titolo ed è costituzionalmente legittima solo se e nella misura in cui sia fatto salvo limporto di detta indennità eventualmente occorrente a non ridurre la prestazione pensionistica al di sotto del trattamento I.N.P.S.. In questi termini lindirizzo giurisprudenziale citato fa applicazione dellart. 99, secondo comma, d.P.R. n. 1092/1973, come integrato dalla Corte Costituzionale, dando al testo linterpretazione letterale quale unica possibile. Laltro indirizzo giurisprudenziale, che ha avuto il suo esordio con la sentenza della Sezione giurisdizionale Regione Marche n. 2873 del 2000, afferma che la sentenza della Corte Costituzionale n. 494/1993 è solo apparentemente additiva, mentre il giudice delle leggi aveva voluto, in realtà, emanare una sentenza ablatoria di tale disposizione. Viene in particolare affermato (vedi Sez. III n. 210/2005 del 14 aprile 2005) che la natura ablatoria deve riconoscersi dal fatto che la Corte Costituzionale, nel pronunciarsi, non aveva tenuto conto nel riferimento al parametro della sentenza n. 172/1991 della valenza provvisoria di questultima, dovuta alla sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità ed al conseguente effetto caducatorio dellart. 17 della legge n. 843 del 1978 (sentenza 204/1992) con lannullamento del quale non poteva che considerarsi venuto meno, allatto della dichiarata incostituzionalità del secondo comma dellart. 99 citato, anche quel principio, attinto dalla citata sentenza n. 172/1991, relativo allaffermato parallelismo tra la condizione del titolare di due pensioni e quelle del pensionato lavoratore. La tesi evidentemente afferma la natura demolitoria della sentenza n. 492/1993 della Corte Costituzionale, che avrebbe così espunto dallordinamento lart. 99, secondo comma, cit. d.P.R. 1092/1973. È del tutto evidente che una norma ormai inefficace non è suscettibile di interpretazione ai fini della sua applicazione. Per vero dopo la ordinanza della Corte Costituzionale n. 89/2005 la terza Sezione Giurisdizionale ha cercato di inquadrare la propria tesi come lettura costituzionalmente orientata della norma (e cioè come modo di interpretare la norma). La Sezione ha infatti affermato che alla luce della citata ordinanza della Corte Costituzionale il più volte richiamato art. 99, secondo comma, è ormai suscettibile di una sola lettura e cioè di quella individuata da tempo dalla Sezione stessa. In proposito queste Sezioni Riunite non possono non rilevare che solo norme vigenti, in quanto suscettibili di applicazione da parte del giudice, possono essere da questo interpretate. Le norme abrogate o comunque espunte dallordinamento non possono semplicemente essere applicate. Questo giudice rileva inoltre che, partendo dal presupposto della caducazione del divieto di cumulo, non è possibile dare alcuna lettura dellart. 99, secondo comma, che consenta 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO la sua permanenza nellordinamento dal momento che la norma ha il solo espresso scopo di stabilire il divieto. Va a questo punto esaminata la sostenibilità giuridica della tesi da ultimo esposta. In primo luogo va posto in evidenza che la tesi si fonda sulla affermazione che la Corte Costituzionale nellemanare la sentenza n. 494/1993 aveva dimenticato o rimosso dalla memoria di aver emanato lanno precedente una sentenza caducatoria della norma (art. 17 della legge n. 843 del 1978) dalla quale era stato tratto il parametro per manipolare lart. 99, secondo comma, con la conseguenza che la sentenza costituzionale apparentemente additiva doveva considerarsi ablativa per inesistenza del parametro preso a riferimento. Queste Sezioni Riunite non ritengono di poter in alcun modo condividere siffatta tesi. In proposito rilevano che il principio di integrazione delle pensioni per il raggiungimento del c.d. minimo I.N.P.S. è tuttora vigente nellordinamento ed assolve alla funzione di adeguare in ogni caso il trattamento pensionistico ad esigenze della vita ritenute essenziali ed incomprimibili. Non vi sono ostacoli pertanto nellordinamento vigente per integrare la pensione al minimo I.N.P.S. Inoltre la Corte Costituzionale dalla disposizione di cui allart. 17 della legge n. 843 del 1978 aveva tratto lo spunto per individuare un parametro reddituale certo, con il quale integrare, rendendo costituzionalmente legittimo, attraverso una sentenza manipolativa, lart. 99, se-condo comma. Va ancora ricordato che il parametro di che trattasi è stato utilizzato nella successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 376/1994 e mai ripudiato dal giudice delle leggi. Non vi è alcuna ragione, pertanto, per ritenere che la pronuncia n. 494/1993, ed in particolare il suo dispositivo, sia frutto di un errore del giudice delle leggi né vi è spazio per ritenere che a siffatto supposto errore possa dare rimedio il giudice dando alle sentenze della Corte Costituzionale un contenuto del tutto difforme da quello risultante dal testo della pronuncia. Una valenza decisiva, ancor più esplicativa e confermativa delle sentenze n. 494/1993 e n. 376/1994, queste Sezioni Riunite ritengono di dover dare alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 89/2005. Nel testo di detta ordinanza si legge infatti che sulla legittimità costituzionale di tale disposizione (art. 99, 2° co. cit.) la Corte Costituzionale si pronunciò con la sentenza n. 494 del 1993 con la quale ne dichiarò lillegittimità nella parte in cui non prevedeva che nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, dovesse comunque farsi salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti. La Corte rileva poi che la norma censurata dai giudici remittenti è quella del testo risultante dallintervento additivo, con la conseguenza che oggetto dellinterpretazione non può che essere detto testo (interpretazione che secondo i giudici remittenti avrebbe dato luogo a più indirizzi giurisprudenziali). Infatti nella ordinanza si legge ancora che i predetti giudici remittenti non spiegano le ragioni per le quali ritengono di non adottare lopzione interpretativa che siffatta persistenza esclude, non potendo la Corte derimere un contrasto sulla interpretazione della legge ordinaria. Dalle considerazioni esposte nella ordinanza risulta chiaro che la Corte Costituzionale ritiene tuttora vigente lart. 99, secondo comma, cit. d.P.R. n. 1092/1973. Daltro canto, ove il giudice delle leggi avesse ritenuto espunto dallordinamento lart. 99 secondo comma cit. avrebbe adottato una ben diversa formula di dichiarazione di inammissibilit à, riferendola alla attuale non vigenza delle norme. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 177 Va ancora rilevato che dopo la ordinanza della Corte Costituzionale da ultimo citata la Sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana, dopo una ricostruzione analoga a quella operata da queste Sezioni Riunite, ha affermato che la Corte Costituzionale non può non avere considerato che gli orientamenti giurisprudenziali contabili da essa stessa richiamati non erano il frutto di una interpretazione secundum costitutionem del testo normativo interessato. La Sezione siciliana ha letto linvito rivolto ai giudici di merito nellordinanza n. 89 del 2005 come unesortazione indiretta a seguire detti orientamenti giurisprudenziali procedendo ad una interpretazione praeter costitutionem delle norme in questione. La Sezione siciliana ha ritenuto, quindi, di dover direttamente valutare se la norma in questione sia in contrasto con la Costituzione, così come hanno già fatto in pratica molti altri giudici di merito. Nei termini ha dichiarato non conforme a Costituzione e di conseguenza ha disapplicato il divieto di cumulo. Come ha rilevato la stessa Sezione di appello la costante giurisprudenza costituzionale ha sempre affermato che non è consentita al giudice di merito la diretta disapplicazione di norme ritenute incostituzionali, ma che occorre comunque, anche in ipotesi di norme meramente riproduttive di altre dichiarate incostituzionali, una specifica pronuncia della Corte Costituzionale. Invero il nostro ordinamento non prevede un potere diffuso tra i giudici di disapplicazione di norme ritenute incostituzionali (salvo la diretta applicazione di norme costituzionali immediatamente precettive in quanto di rango superiore rispetto alle leggi ordinarie con esse contrastanti) ma ha concentrato in un apposito organo (la Corte Costituzionale) la verifica di costituzionalit à delle leggi, con conseguente annullamento erga omnes. Questo principio è un cardine essenziale del nostro ordinamento costituzionale, che non può in nessun caso essere derogato. Anche questa opzione va, pertanto, disattesa. Va ancora rilevata lanomalia di dichiarare con una pronuncia del giudice ordinario la incostituzionalità di una norma che è stata integrata dalla Corte Costituzionale con intervento manipolativo proprio per renderla conforme a Costituzione. Va in proposito ricordato che il giudice delle leggi nelle pronunce in materia ha ritenuto non conforme a costituzione il divieto generalizzato di cumulo delle indennità integrative speciali, consentito invece quando sia fissato un limite minimo o trattamento complessivo al di sotto del quale non debba operare il divieto di cumulo, a salvaguardia della situazione reddituale del lavoratore o del pensionato rispondente ai principi di tutela posti dagli artt. 36 e 38 Cost. In questottica le Sezioni riunite non si nascondono che, nellevolversi della legislazione, dopo le sentenze della Corte Costituzionale innanzi richiamate si sono verificati dei mutamenti che hanno modificato la situazione nella quale le pronunce sono state rese. In particolare va tenuto presente che lindennità integrativa speciale è venuta nel tempo ad essere per una larga categoria di pensioni la parte economicamente più rilevante del trattamento pensionistico, perdendo completamente la sua natura di assegno accessorio per diventare sostanzialmente parte integrante della pensione. Dalla sopravvenienza può sorgere la domanda se sia ancora valido un parametro reddituale minimo come riferimento del divieto di cumulo o se invece debba prendersi in considerazione lentità del trattamento pensionistico, per configurare oggi la possibilità per il legislatore di addivenire alla decurtazione della pensione, scegliendo tra diverse soluzioni che comunque rispettino lesigenza di un equilibrio del sistema retributivo e pensionistico (cfr. Corte Cost. sent. n. 516/2000). La riflessione è avvalorata dallentrata in vigore della legge n. 724 del 1994, che ha conglobato lindennità integrativa speciale nella base pensionabile. 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il diverso trattamento dellI.I.S. per le pensioni liquidate fino al 31 dicembre 1994 è essenzialmente una norma di salvaguardia di miglior trattamento per le situazioni pregresse e non un voluto effetto diacronico tra trattamenti pensionistici. Si tratta peraltro di considerazioni che non possono trovare applicazione in questa sede. Va, infine, dichiarato inammissibile il quesito relativo alla costituzionalità del divieto di cumulo. Come è giurisprudenza costante queste Sezioni Riunite sono chiamate ad interpretare la normativa vigente e non possono pertanto proporre questioni di costituzionalità né pronunciarsi su dubbi di costituzionalità, se non nei limiti di conformare la loro pronuncia sulle norme vigenti ad una lettura costituzionalmente orientata. I dubbi di costituzionalità, in quanto funzionali alla rimessione della questione alla Corte Costituzionale, eccedono lambito della pronuncia da rendersi da queste Sezioni Riunite. Nei termini va, pertanto, risolta la questione di massima proposta. P. Q. M. La Corte dei conti a Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, pronunciando sulla questione di massima proposta dalla Seconda sezione centrale di appello con ordinanza n. 097/2005/A: 1. afferma che, per il titolare di due pensioni, resta fermo il divieto di cumulo delle indennità integrative speciali di cui dallart. 99, comma secondo, del d.P.R. 1092/1973, con lintegrazione operata con la sentenza manipolativa della Corte Costituzionale n. 494/1993 e cioè con salvezza comunque dellimporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti; 2. dichiara inammissibile il quesito relativo alla conformità a Costituzione di detto divieto; 3. dispone la restituzione degli atti al giudice remittente a cura della Segreteria delle Sezioni Riunite. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio dell8 febbraio 2006». Avvocatura Generale dello Stato Memoria del 16 gennaio 2006 nel giudizio instaurato di fronte alla Corte dei Conti, Sezioni Riunite, dalla Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale, con ord. n. 097/2005/A, depositata il 3 novembre 2005 e notificata il 7 novembre 2005, emessa ai sensi degli artt. 4, comma 1, legge n. 161/1953 e 1, comma 7, d.l. n. 453/1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 19/1994, sullappello iscritto al n. 15283 del registro di segreteria, proposto da C.P. ed altri (Avv. P. Guerra) c/ I.N.P.D.A.P., nonché contro i dipartimenti provinciali del Ministero dellEconomia e delle Finanze, Direzione provinciale servizi vari di Como, Milano e Brescia (AL 7819/02, Avv. dello Stato P. Marchini). Se permane nel nostro ordinamento il divieto di cumulo dellindennità integrativa speciale nellipotesi di godimento di plurimi trattamenti pensionistici ed, in caso di risposta affermativa, se la persistenza di tale divieto sia conforme a Costituzione. «Da anni ormai le pronunce della Corte dei Conti incrociano quelle della Corte Costituzionale nellinterpretazione delle norme che disciplinano i rapporti tra le indennità integrative speciali spettanti ai lavoratori sulla base di più titoli, nel tentativo di individuare se ed in quali casi possa dirsi tuttora sussistente un divieto di cumulo nella percezione di dette indennità, ove per lappunto un soggetto abbia in astratto il diritto di percepirle in virtù di una pluralità di situazioni giuridiche legittimanti. Ebbene, se da un lato può considerarsi definitivamente raggiunto un sostanziale accordo sullinesistenza del divieto di cumulo laddove il medesimo soggetto benefici di più IL CONTENZIOSO NAZIONALE 179 indennità essendo nel contempo titolare di pensione e di retribuzione per attività prestata alle dipendenza di una P.A. (cfr. C. Cost., sent. n. 566/1989), ovvero alle dipendenze di terzi (cfr. C. Cost., sent. n. 204/1992), sono ancora molte le incertezze che circondano la sussistenza del divieto in questione laddove il diritto alla doppia indennità insorga in quanto il soggetto che le reclama sia titolare di plurimi trattamenti pensionistici. E si tratta di incertezze e dubbi interpretativi a ben vedere ingiustificati. Codeste Sezioni Riunite vengono infatti sollecitate ad assumere nuovamente posizione su una questione che solo poco più di due anni or sono hanno già affrontato e chiarito in modo netto (cfr. SS. RR., sent. n. 14/2003/QM), senza peraltro indulgere a soluzioni intermedie che potessero lasciare adito ad ulteriori complicazioni esegetiche. La difesa erariale è del tutto orientata nel senso di ribadire la propria opinione, conforme a quanto espresso da codeste Sezioni Riunite nel loro ultimo arresto in materia e consistente nel considerare tuttora esistente ed operante il divieto di cumulo tra più indennità integrative speciali, nellipotesi di godimento di plurimi trattamenti pensionistici, purché nel complesso il soggetto titolare della doppia erogazione previdenziale riesca comunque ad ottenere lintegrazione della pensione sino allimporto corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (c.d. minimo I.N.P.S.). Né lAvvocatura dello Stato ritiene che questa impostazione meriti di essere modificata a seguito della recente ordinanza della Corte Costituzionale n. 89/2005 che in nulla sembra aver mutato i termini della questione, come meglio si dimostrerà nel prosieguo della presente memoria. È duplice lordine di ragioni per cui si ritiene di aderire allorientamento espresso dall ultima sentenza che codeste Sezioni Riunite hanno emanato sul punto, investendosi da un lato laspetto giuridico-formale della questione e daltro canto quello sostanziale. 1. Interpretazione costituzionalmente orientata dellart. 99, comma 2, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092. Lart. 99, comma 2, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 prevede che al titolare di più pensioni o assegni lindennità integrativa speciale compete a un solo titolo. La Corte Costituzionale si è pronunciata in ordine alla legittimità di detta disposizione con la sentenza n. 494 del 1993, stabilendone inequivocabilmente lillegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti: si tratta senza dubbio di una tipica ipotesi di sentenza additiva, idonea pertanto a lasciare in vita una norma aggiungendovi una parte che ne renda costituzionalmente legittima la lettura. Ebbene, a dispetto della chiarezza del quadro giuridico in esame, sia la terza Sezione Giurisdizionale Centrale della Corte dei Conti, che alcune Sezioni Regionali continuano ancora oggi ad interpretare la sentenza 494 non come additiva ma come una pronuncia di mero annullamento, in quanto avrebbe ad oggetto una norma che meriterebbe la completa espunzione dallordinamento al fine di evitare indebite discriminazioni tra lavoratori e pensionati. Secondo questa impostazione, infatti, la Consulta nella pronuncia del 1993 avrebbe sostanzialmente errato nel rifarsi alla ratio decidendi della precedente sentenza n. 172 da essa stessa emessa nel 1991 con la quale era stata affermata lillegittimità costituzionale dell art. 17, legge 21 dicembre 1978, n. 843, nella parte in cui non prevedeva che, in sede di calcolo della spettante I.I.S., anche nei confronti del titolare di due pensioni dovesse comunque farsi salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, posto che tale norma si preoccupava di salvaguardare il cosiddetto minimo I.N.P.S. per il solo caso del lavoratore che oltre a percepire il trattamento pensionistico fosse altresì titolare di retribuzione per attività prestata presso terzi. Al contrario, secondo questo orientamento, il Giudice delle leggi avrebbe dovuto recuperare la ratio che aveva ispirato la successiva sentenza n. 204 del 1992 con la quale, il suddetto art. 17, legge n. 843/1978 sarebbe stato meramente annullato in quanto il legislatore aveva omesso di determinare la misura della retribuzione, oltre la quale diventasse operante il divieto di cumulo delle indennità integrative speciali spettanti sul trattamento pensionistico e su quello retributivo. Se davvero dunque si dovesse ritenere non più sussistente il divieto di cumulo tra indennità integrative nellipotesi di plurimi trattamenti pensionistici percepiti da lavoratori che avevano prestato la loro opera presso datori di lavoro privati, allora dovrebbe darsi ragione a coloro i quali ritengono ingiustificata loperatività del divieto di cumulo nellambito del pubblico impiego ai sensi del d.P.R. 1092/1973 e, pertanto, la sentenza n. 494/1993 dovrebbe leggersi necessariamente alla stregua di una pronuncia di mero annullamento. Orbene, da questa breve esposizione risulta evidente lequivoco interpretativo in cui persistono nellincorrere coloro che non ritengono più operante il divieto di cumulo tra I.I.S. percepite sulla base di più trattamenti pensionistici: a fronte infatti di una sentenza (la n. 204/1992) con cui la Consulta ha eliminato il divieto di cumulo per il caso in cui il lavoratore percepisca lindennità integrativa relativa ad un trattamento pensionistico e ad uno retributivo, si pretende di vedere dichiarato soppresso il divieto di cumulo altresì per il diverso caso in cui le indennità integrative vengono percepite sulla base di una pluralità di trattamenti pensionistici, ancorché sul punto il Giudice delle Leggi con la sentenza 494 abbia nettamente previsto che il divieto di cumulo continua a sussistere, nei limiti della salvaguardia del cosiddetto minimo I.N.P.S. Si assiste dunque allingiustificato tentativo di equiparare due fattispecie che non sono giuridicamente equiparabili, come sottolineato più volte da una più che consapevole Corte Costituzionale. Lerroneità di questo approccio emerge in modo ancor più definito se si considerano due precisi elementi di criticità. Da un lato i sostenitori della tesi in esame lasciano intendere che nella sentenza n. 494 i giudici della Consulta per qualche ragione non esplicitata non avrebbero tenuto in alcuna considerazione la precedente sentenza n. 204. Eppure, nel considerato in diritto si fa espresso riferimento proprio a questultima pronuncia nel momento in cui si spiega come la Corte Costituzionale avesse precedentemente dichiarato lincostituzionalità dellart. 17, legge n. 843/1978, in quanto norma che imponeva il divieto di cumulo tra le indennità spettanti sulla pensione e sulla retribuzione senza determinare il limite patrimoniale al di là del quale detto divieto diventasse operante. Nel successivo passaggio della pronuncia n. 494, si fa inoltre riferimento alla sentenza n. 172/1991 che, prima della sentenza n. 204, aveva fatto salva la legittimità costituzionale dellart. 17, sul punto del divieto di cumulo tra indennità percepite questa volta sulla base di una pluralità di trattamenti pensionistici, aggiungendovi la salvaguardia del cosiddetto minimo I.N.P.S. Da ciò emerge inequivocabilmente che la Corte Costituzionale, a differenza di quanto supposto dai sostenitori della tesi in esame, già al momento della stesura della sentenza n. 494 aveva assoluta contezza sia della pronuncia n. 172 che della n. 204 e scientemente ha scelto di rifarsi alla ratio decidendi della prima, distinguendo con precisione le due diverse fattispecie esaminate in precedenza. Costituisce, 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO IL CONTENZIOSO NAZIONALE 181 pertanto, unindebita illazione immaginare che la Consulta nel giudizio di legittimità costituzionale inerente lart. 99, comma 2, abbia emesso una sentenza additiva che però andrebbe interpretata come una pronuncia di mero annullamento. Il confine tra le due tipologie di provvedimenti è notoriamente segnato, né appare sostenibile che la Corte nel pronunciarsi in senso additivo abbia errato nella scelta della ratio decidendi, laddove dalla sentenza n. 494 si evince in modo netto che ha tenuto nella debita considerazione lintero quadro giurisprudenziale che aveva preceduto la decisione nel caso di specie. In secondo luogo, anche qualora la lettura della sentenza n. 494 non dovesse ritenersi sufficiente ai fini della risposta alla presente questione di diritto, un punto di vista privilegiato sulle posizioni che la Consulta ha espresso in materia può comunque ricavarsi dalla successiva sentenza n. 376/1994. In essa, nella più coerente forma che si potesse ipotizzare, il Giudice delle Leggi distingue nettamente la fattispecie relativa al cumulo tra I.I.S. derivanti da un trattamento pensionistico e da uno retributivo, da quella concernente il cumulo frutto della percezione di più trattamenti pensionistici, ribadendo una volta di più che nel primo caso il divieto di cumulo deve ritenersi soppresso per lo meno fino a quando il legislatore non avrà individuato un limite patrimoniale al di là del quale dovrà ritenersi illegittimo il godimento della doppia I.I.S., mentre nel secondo caso il divieto è da considerarsi tuttora operante, purché venga comunque salvaguardato il minimo I.N.P.S. La motivazione della pronuncia è peraltro corredata da una corretta e completa esegesi delle precedenti sentenze, ivi compresa la n. 204/1992 e, ciò posto, risulta davvero arduo tentare di comprendere le ragioni per cui una certa parte della giurisprudenza si ostini ad interpretare forzatamente lorientamento della Consulta. Un ulteriore argomento con cui i sostenitori della tesi relativa allavvenuta soppressione del divieto di cumulo tra I.I.S. tentano di corroborare la propria posizione è costituito da più recenti pronunce della Corte Costituzionale, tra cui la sentenza n. 516/2000 e lordinanza n. 517/2000. Su di esse peraltro codeste Sezioni Riunite hanno già espresso la propria opinione con la sentenza n. 14/2003/QM, ma giova pur tuttavia riaffermare talune considerazioni. Con la prima delle due pronunce richiamate, la Consulta ha dichiarato lillegittimità costituzionale della tabella O, lettera B), terzo comma, della legge della Regione Siciliana 29 ottobre 1985, n. 41, nella parte in cui non determina la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi operante, per i titolari di pensioni ed assegni vitalizi, il divieto di cumulo della indennità di contingenza ed indennità similari. Ebbene, come noto, a parere dei sostenitori della tesi contraria, la sentenza appena citata, non effettuando alcuna distinzione in ordine alle diverse fattispecie della doppia pensione e della pensione cui si somma la retribuzione ed annullando di conseguenza il comma in questione della suddetta legge siciliana, costituirebbe una riprova fondamentale a sostegno del proprio orientamento. Ma anche in questo caso si ravvisa una macroscopica forzatura del pensiero della Consulta. A ben vedere infatti, anche nella motivazione della sentenza n. 516 il Giudice delle leggi non dà affatto limpressione di volersi svincolare dalla pregressa giurisprudenza costituzionale formatasi sul punto, tanto da richiamare in più momenti le altre pronunce emesse ed attinenti alla questione in esame. Tra di esse, in particolare, viene ricordata in senso adesivo la già citata sentenza n. 376/1994 nella quale si era peraltro giudicato della legittimit à costituzionale di unaltra legge regionale che aveva disciplinato la medesima materia sempre in Sicilia, ossia lart. 4, l. reg. Sicilia, 24 luglio 1978, n. 17. Come visto in precedenza, in quelloccasione la Consulta aveva da un lato annullato detto art. 4 nella parte in cui vietava il cumulo tra I.I.S. derivanti da trattamenti pensionistici e retributivi senza 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO determinare un limite minimo di operatività del divieto, mentre, daltro canto, lo aveva manipolato in senso additivo nella parte in cui vietava il cumulo tra I.I.S. derivanti da plurimi trattamenti pensionistici senza salvaguardare il minimo I.N.P.S.: di conseguenza al momento dellemissione della sentenza n. 516, il vecchio art. 4 doveva ritenersi ancora in vigore nella forma risultante dallintervento della Consulta del 1994. Nel richiamare il suo precedente arresto la Corte sembra assolutamente darsi conto di ciò, tanto che in punto di diritto avverte la necessità di giustificare la nuova pronuncia demolitoria che si appresta a depositare specificando che la norma contestata (ossia la tabella O, lettera B), terzo comma, l. reg. Sicilia 29 ottobre 1985, n. 41) è contenuta in una disposizione formalmente distinta da quella su cui è già intervenuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale, per cui anche se ha un contenuto equivalente , deve ritenersi efficace ed operante fino a che non sia abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima. Questo riferimento implica un necessario coordinamento tra le norme oggetto dei due giudizi di legittimità costituzionale e, atteso che la Corte non sembra in alcun modo prendere le distanze dalla propria posizione del 1994, occorre gioco forza ritenere che una volta annullata la Tabella O), riprenda vigore sul territorio siciliano lart. 4, l. reg. Sicilia, n. 17/1978, come manipolato dalla precedente sentenza n. 376/1994. Ciò per lappunto risulta confermato tanto da considerazioni meramente giuridico-formali, quanto dal tenore della sentenza n. 516 nella quale, come detto, la Corte inequivocabilmente riprende la propria posizione espressa nel 1994, senza rinnegarla e, soprattutto, dando conto della sussistenza della diversa norma su cui aveva già espresso il proprio intervento in senso additivo e che, pertanto, deve necessariamente considerarsi ancora efficace. Anche nellordinanza n. 517/2000, non sembrano ravvisarsi elementi degni di nota che possano rafforzare la tesi della cessazione del divieto di cumulo tra I.I.S. in ipotesi di pluralit à di trattamenti pensionistici. Da essa infatti, come già sottolineato da codeste Sezioni Riunite, si ricava un mero riferimento al fatto ormai pacifico che lopzione del divieto di cumulo generalizzato senza la previsione di un limite al di sotto del quale sia preclusa loperativit à del divieto non può più essere scelta dal legislatore, in ragione delle censure più volte ribadite dalla Consulta stessa. Ma si tratta evidentemente di un assunto che dal 1989 non viene più messo in discussione ma che daltra parte è assolutamente compatibile con la distinzione effettuata dalla stessa Corte Costituzionale tra lipotesi dei plurimi trattamenti pensionistici e quella della pensione cui si somma una retribuzione. Nel primo caso infatti il divieto di cumulo si giustifica da un punto di vista costituzionale attraverso il limite costituito dalla salvaguardia del minimo I.N.P.S., mentre nel secondo non è più da ritenersi operativo, per lo meno finché il legislatore non decida di porre un limite alla sua efficacia che lo renda conforme ai principi espressi dal Giudice delle Leggi. Un ultimo cenno, nella disamina giuridico-formale della questione, lo merita la recente ordinanza n. 89/2005 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dellart. 99, comma 2, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, assumendo che le era stato richiesto di dirimere un contrasto sull interpretazione della legge ordinaria. Anche questultima decisione è stata trasformata in un ulteriore argomento che dimostrerebbe lasserita insussistenza del divieto di cumulo tra I.I.S. nellipotesi di plurimi trattamenti pensionistici. In particolare, come ricordato dalla Seconda Sezione nellordinanza di remissione della questione a codeste Sezioni Riunite, è stata la terza Sezione Giurisdizionale Centrale nella recente sentenza n. 210/2005 a riprendere con convinzione, a sostegno della propria tesi, quanto detto dalla Consulta nellordinanza n. 89 in ordine alla notoria susIL CONTENZIOSO NAZIONALE 183 sistenza di un filone giurisprudenziale in seno alla magistratura contabile che esclude la persistenza del divieto di cumulo tra I.I.S. in caso di percezione di più trattamenti pensionistici. Orbene, almeno sotto due profili appaiono difficilmente spiegabili le ragioni per cui anche questa recente pronuncia della Consulta viene inserita tra gli elementi che rafforzerebbero la tesi che in questa sede si sta contrastando. Innanzitutto, appare evidente che il Giudice delle Leggi nella sua ordinanza ha scelto di non prendere alcuna posizione nel merito della questione sottopostagli, limitandosi a constatare la sussistenza in dottrina e in giurisprudenza di una pluralità di interpretazioni che insistono sulla norma oggetto del giudizio sollevato innanzi ad essa. Peraltro, nulla avrebbe vietato alla Corte di annullare lart. 99, comma 2, altresì nella forma risultante a seguito della sentenza n. 494/1993, ove avesse ravvisato un chiaro contrasto con la Costituzione. Al contrario, evidentemente, viene difesa lopzione interpretativa scelta tredici anni or sono e che aveva condotto alla sentenza additiva, la quale aveva apportato alla disposizione le modifiche necessarie al fine di renderla conforme al parametro costituzionale. Ciò posto, appare corretto aderire allimpostazione che la Seconda Sezione ha conferito alla questione nella recente sentenza n. 337/2005, laddove ha giustamente constatato che lordinanza n. 89/2005 della Corte Costituzionale ha lasciato immutati i termini del problema. In secondo luogo, in relazione alla citata sentenza n. 337/2005 della terza Sezione Giurisdizionale Centrale, non appare affatto chiaro a cosa alludano i giudici contabili quando affermano in ordine allart. 99, comma 2, che anche a volerlo ritenere non totalmente espunto dallordinamento giuridico, non poteva più sospettarsi di illegittimità costituzionale in quanto, dopo la sentenza n. 494 del 1993 della Corte Costituzionale (e ancor più sicuramente dopo la sentenza n. 516 del 2000 e lOrdinanza n. 517 dello stesso anno) lo stesso, anche se lo si voleva considerare solo manipolato, poteva e, quindi, doveva essere letto in chiave costituzionale. Pertanto, a ben vedere la terza Sezione pretenderebbe che il divieto di cumulo tra I.I.S. spettanti sulla base di una pluralità di trattamenti pensionistici sarebbe da ritenersi non più operante, altresì laddove lart. 99, comma 2 venisse considerato tuttora in vigore nella forma risultante a seguito della sentenza n. 494/1993. A questo punto appare opportuno ricordare che a seguito di questultima pronuncia additiva la norma in questione deve essere così letta: al titolare di più pensioni o assegni lindennità integrativa speciale compete ad un solo titolo, fatto salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti: orbene, di fronte ad una disposizione di questo tenore, come si può affermare che oggi il divieto di cumulo tra I.I.S. spettanti sulla base di più pensioni non sia operante? Si tratta di unevidente salto logico che la terza Sezione si è trovata costretta a dover effettuare per giustificare la propria posizione anche a seguito dellintervento dellordinanza n. 89/2005: come detto infatti, questa pronuncia non modifica i termini della questione, ma lascia intatta la vigenza nel nostro ordinamento dellart. 99, comma 2, nella formulazione risultante dalla sentenza additiva del 1993 e semplicemente prende atto della circostanza che intorno alla norma sussistono una serie di interpretazioni contrastanti. 2. Natura giuridica del divieto di cumulo tra indennità integrative speciali spettanti sulla base di una pluralità di trattamenti pensionistici. Fermo restando tutto quanto detto sotto il profilo giuridico-formale, appare ora opportuno spendere talune considerazioni circa gli aspetti sostanziali che colorano la questione al fine di dimostrare che la sussistenza del divieto di cumulo tra I.I.S. nellipotesi di plurimi 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO trattamenti pensionistici, come circoscritto nella sua operatività dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 494/1993, continua ad apparire più che giustificabile. In primo luogo occorre ribadire che in più occasioni la Corte Costituzionale ha affermato che pur non essendo più presente nel nostro ordinamento un divieto di cumulo generalizzato tra indennità integrative spettanti sulla base di una pluralità di titoli legittimanti, comunque il divieto di cumulo in sé non è da ritenersi costituzionalmente illegittimo. Il principio che semmai si ricava dalla costante giurisprudenza costituzionale è che detto divieto diventa non più conforme a Costituzione in tutti quei casi in cui non sia fissato un limite patrimoniale alla sua operatività. A questo punto linterpretazione della Consulta subisce unevidente divaricazione: da un lato, nei casi in cui la duplice I.I.S. spetti sulla base della percezione sia di un trattamento pensionistico che di una retribuzione per attività prestata presso privati o Pubbliche Amministrazioni, non viene ravvisato nellordinamento alcun limite di operatività applicabile, né nel corso degli anni il legislatore ha provveduto a stabilirlo e, di conseguenza, la Corte non ha potuto fare altro che constatare il venir meno del divieto di cumulo, in quanto non più conforme al dettato costituzionale. Daltro canto, per i casi in cui il divieto di cumulo riguardi indennità integrative spettanti sulla base di una pluralit à di trattamenti pensionistici, il Giudice delle Leggi ha ravvisato nella salvaguardia del cosiddetto minimo I.N.P.S. un parametro adeguato per valutare di volta in volta in che misura il divieto di cumulo debba ritenersi operante ed in questi termini ha dunque difeso la sua permanenza nel sistema. A fronte di questo assetto normativo e giurisprudenziale ci si è chiesti se nei fatti nell ordinamento non si producesse una irragionevole disparità di trattamento tra i pluripensionati ed i pensionati che percepiscono altresì una retribuzione per lopera lavorativa prestata. Ebbene alla difesa erariale appare incontestabile da un punto di vista prettamente costituzionale la ragionevolezza del differente trattamento: il parametro da utilizzarsi nei due casi è infatti diverso, dovendosi avere riguardo allart. 36, comma 1, Cost. in tutte le circostanze in cui debba essere salvaguardata la sufficienza della retribuzione ed allart. 38, comma 2, Cost. ove oggetto di tutela sia il trattamento pensionistico. È dunque corretta la distinzione effettuata dalla Corte Costituzionale (e fatta propria da codeste Sezioni Riunite nel 2003) la quale da un lato rimette alla discrezionalità del legislatore il compito di fissare il limite entro il quale la retribuzione di chi è già pensionato debba ritenersi sufficiente al fine di escludere che egli possa beneficiare di una doppia indennità integrativa speciale, mentre reperisce nei parametri che lo stesso legislatore ha già stabilito nella materia previdenziale (il cosiddetto minimo I.N.P.S.) i limiti necessari per dosare loperativit à del divieto di cumulo tra più I.I.S. spettanti sulla base di una pluralità di trattamenti pensionistici. Alla luce di quanto sopra dedotto, lAvvocatura Generale dello Stato così conclude: Vogliano le Ill.me Sezioni Riunite della Corte dei Conti affermare che: 1) in ipotesi di fruizione di doppio trattamento di pensione non è consentito il cumulo delle indennità integrative speciali; 2) il titolare di due pensioni ha diritto a percepire la indennità integrativa speciale sulla seconda pensione soltanto nei limiti necessari per ottenere lintegrazione della pensione sino allimporto corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (c.d. minimo I.N.P.S.). Roma, lì 16 gennaio 2006 Avvocato dello Stato Paolo Marchini». IL CONTENZIOSO NAZIONALE 185 Avvocatura Generale dello Stato Corte dei Conti, Sezioni Riunite Nota dudienza 6 febbraio 2006. «In questa sede, nel riportarsi integralmente a quanto già dedotto nella memoria previamente depositata nellambito del giudizio instaurato di fronte a codeste Sezioni Riunite della Corte dei Conti, la difesa erariale intende ribadire e meglio articolare le ragioni di diritto che con tutta evidenza ostano allaccoglimento della tesi sostenuta sia dalle parti private costituitesi nel presente procedimento, nonché dalla terza Sezione Giurisdizionale Centrale della Corte dei Conti, alla cui giurisprudenza dette parti costantemente si richiamano. 1. Natura giuridica ed interpretazione costituzionalmente orientata dellart. 99, comma 2, d.P.R. 1092/1973. Fondamentalmente, nellimpostazione fatta propria da coloro che ritengono non più sussistente il divieto di cumulo tra indennità integrative speciale spettanti sulla base di una pluralit à di trattamenti pensionistici si nota il persistente tentativo di forzare linterpretazione delle norme in materia e delle pronunce della Corte Costituzionale che su di esse sono intervenute. Lassunto da cui prende le mosse detto orientamento è errato, così come errati ne sono i presupposti e la logica conseguenza di ciò si produce nella necessità di leggere i molteplici interventi della Consulta in una chiave del tutto fuorviata. Il filo conduttore della tesi opposta è rappresentato dallasserita equiparazione tra la fattispecie della doppia indennità integrativa speciale percepita sulla base del titolo retributivo e di quello pensionistico e del diverso caso in cui il duplice beneficio astrattamente spetti in virtù di una pluralità di trattamenti pensionistici. In entrambi i casi la Corte Costituzionale, a parere dei sostenitori di detta tesi, avrebbe censurato la scelta del legislatore di vietare il cumulo tra I.I.S., senza preventivamente stabilire un tetto patrimoniale al di là del quale il divieto dovrebbe ritenersi operante. Tale lettura si giustificherebbe alla luce del principio di eguaglianza ed altresì in virtù della non pertinenza della comparazione dal punto di vista costituzionale tra pensione e retribuzione nellambito del contrasto in esame. Inoltre, a parere delle controparti, difendere il divieto di cumulo tra I.I.S. limitatamente ai pluripensionati implicherebbe la lesione del loro costituzionale diritto ad unesistenza libera e dignitosa. Orbene, ciò che colpisce in siffatta impostazione è la pervicace non considerazione dei principi che la Corte Costituzionale ha dettato in materia nella loro interezza e con tutte le conseguenze giuridiche che implicano. È noto infatti che il Giudice delle Leggi in ogni singola occasione in cui si è trovato a valutare la legittimità del divieto di cumulo tra I.I.S. ha coerentemente ribadito che tale scelta legislativa è da ritenere costituzionalmente illegittima nella misura in cui il legislatore non prestabilisca limiti alla sua operatività. Ma è altresì noto che nelle medesime singole occasioni la Consulta ha riaffermato comunque che tale principio di diritto provoca due distinti effetti a seconda che si versi nella fattispecie del plurimo trattamento pensionistico legittimante la plurima erogazione dellI.I.S., ovvero in quella costituita dalla concorrenza tra pensione e retribuzione: nel primo caso il divieto di cumulo opera nei limiti in cui il pluripensionato benefici comunque di un trattamento complessivo che sia quanto meno pari al cosiddetto minimo I.N.P.S., mentre nel secondo spetta al legislatore individuare il tetto al di là del quale circoscrivere lefficacia del divieto che pertanto, in assenza di detta determinazione legislativa, non può ritenersi operante. Ciò significa evidentemente che il Giudice delle Leggi in un caso ha individuato nell ordinamento vigente un limite patrimoniale da poter estendere altresì alla materia in que186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO stione attraverso pronunce additive che non fanno altro che esplicitare un principio che il legislatore non avrebbe potuto non esprimere: in sostanza nel caso del plurimo trattamento pensionistico la Consulta ha delimitato uno spazio in cui il legislatore non avrebbe potuto beneficiare della ragionevole discrezionalità che gli spetta e lo ha, di conseguenza, colmato con lunica disposizione che il legislatore avrebbe potuto e dovuto emanare. Le pronunce in esame rappresentano dunque tipici casi di sentenze additive cosiddette di prestazione in cui la soluzione normativa fatta propria dalla Corte è logicamente necessitata e spesso implicita nel contesto normativo (C.Cost., nn. 109/1986, 125-328/1988) e, dunque, si offre allinterprete come univoca e costituzionalmente obbligata (C. Cost., nn. 8-205-435/1987, 349-398/1998, 283-310-341/1999): è proprio questa univocità nelle scelte prospettabili che consente alla Corte, peraltro, di incidere nellordinamento senza comunque usurpare la funzione legislativa propria del Parlamento. Al contrario, questa possibilità non è stata ravvisata in ordine alla diversa fattispecie costituita dalla doppia I.I.S. spettante sulla base di un titolo retributivo ed uno pensionistico, essendosi in questo caso ritenuto che nellordinamento non fosse reperibile alcun riferimento ad un minimo retributivo legislativamente prefissato che potesse assumere la valenza del limite di operatività del divieto di cumulo. La divaricazione per la quale opta la Corte non è dunque frutto di schizofrenia o di malintese sviste giuridiche ma si fonda semmai sulla constatazione per cui il legislatore già si è preoccupato di tutelare i pensionati in sede di individuazione di un minimo patrimoniale al di sotto del quale il trattamento di quiescenza non può scendere nel momento in cui venga vietato il cumulo tra diversi benefici indennitari. Lassenza dallordinamento invece di una soglia di retribuzione minima che valga una volta per tutte, per ogni categoria di lavoratori, se da un lato si giustifica alla luce della scelta di salvaguardare lautonomia sindacale, daltro canto vieta al legislatore di decurtare i benefici patrimoniali dei lavoratori, per lo meno finché non provveda a stabilire qual è la soglia patrimoniale al di sopra della quale tali benefici divengano decurtabili. Ciò posto, se la Corte avesse motu proprio individuato arbitrariamente detto limite patrimoniale avrebbe significativamente violato la sfera di discrezionalità politica del legislatore, a differenza di quanto accaduto nellambito previdenziale, nel quale il Parlamento già da tempo si è preoccupato di valutare la soglia al di sotto della quale il trattamento pensionistico non può inderogabilmente scendere. Questa è lunica ed effettiva elaborazione sottesa a tutte le pronunce che la Corte Costituzionale ha emanato in materia e non si intravedono le ragioni per cui i sostenitori della tesi opposta si ostinino a negare lefficacia additiva delle sentenze con cui è stata corretta loperatività del divieto di cumulo tra I.I.S. astrattamente spettanti ai pluripensionati: talvolta a tali pronunce è stata assegnata una mera valenza caducatoria come se il riferimento al cosiddetto minimo I.N.P.S. fosse il frutto del mero capriccio del giudice costituzionale; talaltra è stata scomodata la categoria delle sentenze additive di principio, senza intenzionalmente considerare che la Corte, in tutte le pronunce in questione, ha costantemente utilizzato la tipica tecnica delle additive di prestazione. In ogni occasione infatti il dispositivo conteneva la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non e ciò non lascia nessun dubbio in merito alla natura delle pronunce, atteso che laddove laggiunta legislativa sia espressa in forma di mero principio ovvero di auspicio la suddetta clausola non viene inserita nel dispostivo. Quanto finora detto si può facilmente evincere dal seguente prospetto riassuntivo in cui si richiameranno le più eloquenti parole utilizzate dalla Corte nelle sue pronunce: IL CONTENZIOSO NAZIONALE 187 SENT. N. 566/1989: si giudica della legittimità costituzionale dellart. 99, comma 5, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 che fissava il divieto di cumulo tra I.I.S. spettanti sulla base di pensione e retribuzione, nellambito del pubblico impiego. Sul punto la Corte afferma: Lart. 99, quinto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, va quindi dichiarato illegittimo in quanto non ha stabilito il limite dellemolumento per le attività alle quali si riferisce, dovendosi ritenere ammissibile, al di sotto di tale limite, il cumulo integrale fra trattamento pensionistico e retribuzione, senza che sia sospesa la corresponsione dellindennit à integrativa: la norma viene dunque annullata; SENT. N. 172/1991: si giudica della legittimità costituzionale dellart. 17, legge n. 843/1978 ai sensi del quale a fronte del divieto di cumulo tra I.I.S. astrattamente spettanti al pluripensionato, nellambito del lavoro privato, non veniva fatto salvo il cosiddetto minimo I.N.P.S. Ebbene, la Corte dichiara lillegittimità costituzionale dellart. 17 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria), nella parte in cui non prevede che anche nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti: la norma viene evidentemente manipolata e resa conforme al parametro costituzionale mediante laggiunta di un riferimento patrimoniale reperito nella legislazione previdenziale (il c.d. minimo I.N.P.S.), sulla base di un meccanismo che, come detto, la Corte ritiene di poter utilizzare ogni qual volta la vigenza di una norma possa essere salvata con una modifica coerente con i principi che i legislatori costituzionale e ordinario hanno inserito nellordinamento e che in quanto tale non cagiona una lesione né una limitazione alla discrezionalità politica del Parlamento; SENT. N. 204/1992: si giudica della legittimità costituzionale dellart. 17, comma 1, legge n. 843/1978 che fissava il divieto di cumulo tra I.I.S. spettanti sulla base di un trattamento pensionistico ed uno retributivo, nellambito del lavoro privato. La Corte dichiara lillegittimità costituzionale degli artt. 17, primo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria) e 15 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663 (Finanziamento del servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile), conv. nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti lesclusione e il congelamento dellindennità integrativa speciale: in questo caso la norma viene annullata; SENT. N. 494/1993: si giudica della legittimità costituzionale dellart. 99, comma 2, d.P.R. 1092/1973 che vietava il cumulo tra più I.I.S. spettanti astrattamente sulla base di più titoli pensionistici. La Corte, inequivocabilmente, dichiara lillegittimità costituzionale dell articolo 99, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti: al pari di quanto disposto con la precedente sent. n. 172/1991, viene emanata una sentenza tipicamente additiva con cui viene fatto salvo il divieto di cumulo nei limiti del rispetto del cosiddetto minimo I.N.P.S. Ebbene, ancora oggi si tenta di qualificare tale fondamentale arresto come una pronuncia additiva di principio, senza però motivare tale illazione mediante alcun fondamento giuridico, tanto che nella memoria depositata nel pre188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO sente giudizio dalle parti private, laddove si tenta di scardinare la portata manipolativa della sentenza in esame, ci si rifà a parole che la Corte ha espresso incidentalmente in una diversa pronuncia di 6 anni successiva (!). Unulteriore, infondata, critica che continua ad essere esposta avverso gli effetti prodotti dalla sent. n. 494/93 risiede nellasserito errore che avrebbe compiuto la Corte nel rifarsi alla ratio decidendi della sent. n. 172/1991, che, a parere dei sostenitori della tesi opposta, si sarebbe dovuta ritenere inefficace a seguito della sent. n. 204/1992. Costoro insistono però nel non considerare che nelle motivazioni di questultima pronuncia i Giudici costituzionali fanno esplicito riferimento alla sentenza n. 172, dimostrando di fondare il loro giudizio nella piena consapevolezza del precedente quadro giurisprudenziale. Ed ancora, nella successiva sent. n. 376/1994 si riafferma per lennesima volta la sussistenza della duplice ratio decidendi che tra il 1989 ed il 1994 ha guidato le decisioni della Corte, senza in alcun modo rinnegare quanto espresso nel recente passato e con le precedenti pronunce. Queste argomentazioni appaiono difficilmente contrastabili, tanto che le parti private nella memoria depositata nel presente giudizio, come detto, ogni qual volta tentano di leggere in chiave caducatoria sia la sent. n. 494/1993 che la n. 376/1994 non possono fare altro che affidarsi ad affermazioni di principio, non dimostrate, in quanto non dimostrabili. Peraltro, lo stesso limite interpretativo ostacola altresì la linearità dellorientamento fatto proprio dalla terza Sezione Giurisdizionale Centrale: nella recente sentenza n. 337/2005, si afferma, a proposito dellart. 99, comma 2, d.P.R. 1092/1973, che anche a volerlo ritenere non totalmente espunto dallordinamento giuridico, non poteva più sospettarsi di illegittimità costituzionale in quanto, dopo la sentenza n. 494 del 1993 della Corte Costituzionale (e ancor più sicuramente dopo la sentenza n. 516 del 2000 e lOrdinanza n. 517 dello stesso anno) lo stesso, anche se lo si voleva considerare solo manipolato, poteva e, quindi, doveva essere letto in chiave costituzionale. Pertanto, a ben vedere la terza Sezione pretenderebbe che il divieto di cumulo tra I.I.S. spettanti sulla base di una pluralità di trattamenti pensionistici sarebbe da ritenersi non più operante, altresì laddove lart. 99, comma 2 venisse considerato tuttora in vigore nella forma risultante a seguito della sentenza n. 494/1993. A questo punto appare opportuno ricordare che in virtù di questultima pronuncia additiva la norma in questione deve essere così letta: al titolare di più pensioni o assegni lindennità integrativa speciale compete ad un solo titolo, fatto salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti: orbene, di fronte ad una disposizione di questo tenore, come si può ragionevolmente affermare che oggi il divieto di cumulo tra I.I.S. spettanti sulla base di più pensioni non sia operante? Si tratta di unevidente salto logico che la terza Sezione, al pari delle parti private, si trova costretta a dover effettuare al fine di sostenere linsussistenza del divieto di cumulo tra I.I.S. pur in presenza di una norma, tuttora in vigore nella forma risultante dalla manipolazione costituzionale, che espressamente continua a prevederlo. Finché tale disposizione non sarà del tutto espunta dallordinamento, non si potrà fondatamente sostenere che il divieto di cumulo in ipotesi di pluralità di trattamenti pensionistici non sia più operante, a meno che non si intenda conferire a codeste Sezioni Riunite il potere di abrogare ovvero di annullare una norma dellordinamento giuridico statale. A ciò si aggiunga che neppure un poderoso sforzo interpretativo potrebbe indurre a ritenere che la norma attualmente in vigore con il chiaro contenuto sopra richiamato debba in realtà leggersi alla stregua di una disposizione che legittimi tout court il cumulo tra I.I.S. spettanti sulla base di plurimi trattamenti pensionistici; SENT. N. 376/1994: si giudica della legittimità costituzionale dellart. 4, legge Reg. Sicilia, 24 luglio 1978, n. 17 che vietava il cumulo tra I.I.S. sia in ipotesi di plurimi trattamenti pensionistici, senza salvaguardare il minimo I.N.P.S., sia in caso di contemporanea percezione di una pensione e di una retribuzione. Anche in questo caso la Corte, nella più totale coerenza con i suoi precedenti arresti dichiara lillegittimità costituzionale dellarticolo 4 della legge della Regione Sicilia 24 luglio 1978 n. 17 (Nuove norme per ladeguamento delle retribuzioni al costo della vita e per le prestazioni di lavoro straordinario dei dipendenti dellAmministrazione regionale) nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di più pensioni o assegni vitalizi, ferma restando la spettanza ad un solo titolo dellindennità di contingenza e di ogni altra maggiorazione dipendente dalladeguamento al costo della vita, debba comunque farsi salvo limporto corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, nonché nella parte in cui, riguardo al pensionato che presta attività retribuita, non determina la misura della retribuzione complessiva oltre la quale diventi operante il divieto di cumulo dellindennità di contingenza relativa al trattamento pensionistico con le indennità dirette alladeguamento al costo della vita del trattamento di attività. Di nuovo dunque una decisione in materia riconferma lassetto ormai consolidato della doppia ratio decidendi e leggendo le motivazioni della pronuncia ci si può agevolmente rendere conto di come il giudice costituzionale abbia anche questa volta optato per la divaricazione interpretativa nella più piena consapevolezza tanto del quadro giurisprudenziale precedente, quanto delle conseguenze che si sarebbero prodotte in seguito. Ed anche in questo caso, ovviamente, le parti private tentano di definire come ablatoria una sentenza che in una sua parte è evidentemente additiva, senza peraltro fornire alcuna plausibile spiegazione in termini giuridici; ORD. N. 438/1998: incidentalmente la Corte afferma che lart. 2, sesto e settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324, attualmente sottoposto a scrutinio è da ritenersi espunto dal sistema, siccome sostanzialmente trasfuso in altra norma, la quale è già stata colpita da declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua (v. lart. 99, secondo e quinto comma, d.P.R. n. 1092 del 1973, dichiarato costituzionalmente illegittimo con le sentenze n. 566 del 1989 e n. 494 del 1993. Ebbene, di nuovo la Consulta, richiamando la clausola in parte qua, conferma la natura additiva della precedente sent. n. 494/1993: è infatti noto che detta formula sta di norma ad indicare proprio le pronunce di tipo manipolativo e non le sentenze che annullano solo alcuni commi di una disposizione, come sostengono le parti private; SENT. N. 516/2000: si giudica della legittimità costituzionale della Tabella O), lett. B), terzo comma, legge Reg. Sicilia 29 ottobre 1985, n. 41. Sul punto la Corte dichiara lillegittimit à costituzionale della tabella O, lettera b), terzo comma, della legge della Regione Siciliana 29 ottobre 1985, n. 41 (Nuove norme per il personale dellamministrazione regionale), nella parte in cui non determina la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi operante, per i titolari di pensioni ed assegni vitalizi, il divieto di cumulo della indennità di contingenza ed indennità similari. In questo caso la Corte ha optato per una pronuncia ablatoria che, espungendo dallordinamento una norma intervenuta a disciplinare la medesima materia oggetto della precedente legge Reg. Sicilia, n. 17/1978 già manipolata con la precedente sent. n. 376/1994, consente a questultimo corpus normativo di riacquisire la sua efficacia, nella forma risultante a seguito dellintervento della Consulta. Anche in questo caso la Corte in motivazione si riporta alle sue precedenti pronunce, prima fra tutte a quella del 1994, tanto che in punto di diritto avverte la necessità di giustificare la nuova pronuncia demolitoria che si appresta a depositare specificando che la norma contestata (ossia la tabella O, lettera B), terzo comma, l. reg. Sicilia 29 ottobre 1985, n. 41) è contenuta in una disposizione formalmente distinta da quella su cui è già intervenuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale, per cui anche se ha un contenuto equivalente, deve IL CONTENZIOSO NAZIONALE 189 ritenersi efficace ed operante fino a che non sia abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima. Questo riferimento implica un necessario coordinamento tra le norme oggetto dei due giudizi di legittimità costituzionale e, atteso che la Corte non sembra in alcun modo prendere le distanze dalla propria posizione del 1994, occorre gioco forza ritenere che una volta annullata la Tabella O), riprenda vigore sul territorio siciliano lart. 4, legge reg. Sicilia, n. 17/1978, come manipolato dalla precedente sentenza n. 376/1994. Ciò per lappunto risulta confermato tanto da considerazioni meramente giuridico-formali, quanto dal tenore della sentenza n. 516 nella quale, come detto, la Corte inequivocabilmente riprende la propria posizione espressa nel 1994, senza rinnegarla e, soprattutto, dando conto della sussistenza della diversa norma su cui aveva già espresso il proprio intervento in senso additivo e che, pertanto, deve necessariamente considerarsi ancora efficace. Anche in questo caso, peraltro, laddove le parti private si trovano a doversi confrontare con questo dato di fatto, non possono fare altro che protestare una presunta e non dimostrata natura meramente caducatoria della sent. n. 376/1994, senza ovviamente offrire alcun sostegno giuridico a tale ipotesi; ORD. N. 517/2000: si tratta di una delle tante pronunce che i sostenitori della tesi opposta persistono nel citare, sebbene in essa non si riesca comunque a ravvisare alcunché che possa giustificare tali insistiti riferimenti. Dallordinanza infatti, come già sottolineato da codeste Sezioni Riunite, si ricava un mero richiamo al fatto ormai pacifico che lopzione del divieto di cumulo generalizzato senza la previsione di un limite al di sotto del quale sia preclusa loperatività del divieto non può più essere scelta dal legislatore, in ragione delle censure più volte ribadite dalla Consulta stessa. Ma si tratta evidentemente di un assunto che dal 1989 non solo non viene più messo in discussione, ma che, daltra parte, è assolutamente compatibile con la distinzione effettuata dalla stessa Corte Costituzionale tra lipotesi dei plurimi trattamenti pensionistici e quella della pensione cui si somma una retribuzione; ORD. N. 89/2005: un ultimo cenno nella disamina giuridico-formale della questione merita la recente ordinanza n. 89/2005 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dellart. 99, comma 2, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, assumendo che le era stato richiesto di dirimere un contrasto sullinterpretazione della legge ordinaria. Anche da questultima decisione si è voluto, a nostro modo di vedere erroneamente, inferire un ulteriore argomento a favore della insussistenza del divieto di cumulo tra I.I.S. nellipotesi di plurimi trattamenti pensionistici. In particolare, come ricordato dalla Seconda Sezione nellordinanza di remissione della questione a codeste Sezioni Riunite, è stata la terza Sezione Giurisdizionale Centrale nella recente sentenza n. 210/2005 a riprendere con convinzione, a sostegno della propria tesi, quanto detto dalla Consulta nellordinanza n. 89 in ordine alla notoria sussistenza di un filone giurisprudenziale in seno alla magistratura contabile che esclude la persistenza del divieto di cumulo tra I.I.S. in caso di percezione di più trattamenti pensionistici. Orbene, appaiono difficilmente spiegabili le ragioni per cui anche questa recente pronuncia della Consulta viene inserita tra gli elementi che rafforzerebbero la tesi che in questa sede si va confutando. Innanzitutto, appare evidente che il Giudice delle Leggi nella sua ordinanza ha scelto di non prendere alcuna posizione nel merito della questione sottopostagli, limitandosi a constatare la sussistenza in dottrina e in giurisprudenza di una pluralità di interpretazioni che insistono sulla norma oggetto del giudizio sollevato innanzi ad essa. Peraltro, nulla avrebbe vietato alla Corte di annullare lart. 99, comma 2, altresì nella forma risultante a seguito della sentenza n. 494/1993, ove avesse ravvisato un chiaro contrasto con la Costituzione. Al contrario, evidentemente, viene difesa lopzione interpretativa scelta tredici anni or sono e 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO IL CONTENZIOSO NAZIONALE 191 che aveva condotto alla sentenza additiva, la quale aveva apportato alla disposizione le modifiche necessarie al fine di renderla conforme al parametro costituzionale. Ciò posto, appare corretto aderire allimpostazione che la Seconda Sezione ha impresso alla questione nella recente sentenza n. 337/2005 laddove ha giustamente constatato che lordinanza n. 89/2005 della Corte Costituzionale ha lasciato immutati i termini del problema. Inoltre, è la stessa terza Sezione Giurisdizionale Centrale a rendersi conto di come lordinanza n. 89 in realtà non modifichi in nulla lattuale assetto normativo, laddove nella sentenza n. 337/2005, successiva allultimo arresto della Consulta, si è trovata costretta ad operare levidente salto logico in precedenza descritto. 2. Eventuali problematiche prodotte dallintervento della legge n. 724/1994. Appare infine opportuno spendere alcune considerazioni intorno alla asserita discriminazione tra i fruitori di plurime pensioni che le parti private denunciano nella propria memoria e che, a loro parere, si produrrebbe alla luce delle innovazioni introdotte dalla legge n. 724/1994 aderendo allultimo orientamento espresso in materia di divieto di cumulo tra I.I.S. in ipotesi di plurimi trattamenti pensionistici da codeste Sezioni Riunite nella sentenza n. 14/QM/03. In particolare, secondo tale tesi, si assisterebbe ad una illegittima sperequazione tra titolari di pensioni pubbliche precedenti il 31 dicembre 1994 e fruitori di plurime pensioni dal 1 gennaio 1995. Questi ultimi infatti, a seguito dei nuovi meccanismi di calcolo previsti dalla legge n. 724/1994 beneficerebbero di due indennità integrative speciali, ove uno dei due trattamenti pensionistici comprendesse una I.I.S. conglobata, a differenza di coloro che hanno maturato il diritto prima del 1995 i quali, in ossequio dellimpostazione fatta propria da codeste Sezioni Riunite nel 2003, hanno diritto alla seconda I.I.S. solo nei limiti della salvaguardia del cosiddetto minimo I.N.P.S. Orbene, si stenta a comprendere come tali constatazioni e considerazioni possano risultare utili al fine della risoluzione del presente contrasto di diritto. Infatti, anche a voler evidenziare una disparità di trattamento tra le due categorie di pensionati sopra richiamate, non si comprende come questo dato dovrebbe indurre codeste Sezioni Riunite a modificare la propria interpretazione relativa al divieto di cumulo tra I.I.S. Se così fosse, ogni qual volta si esaminasse una disciplina che modificandosi nel tempo produce differenti trattamenti a seconda dei suoi destinatari, allora ogni norma meno favorevole dovrebbe automaticamente ritenersi abrogata. Le norme, evidentemente, possono avere un proprio ambito temporale di efficacia prestabilito dal legislatore ed entro questo limite vanno applicate. Si intende pertanto sostenere che lassenza di una compiuta normativa transitoria che salvaguardi maggiormente le posizioni di coloro che hanno maturato i propri diritti prima del 1995 può costituire un problema prettamente politico ma non una ragione di diritto che dovrebbe convincere codesto Giudice a ritenere abrogata o annullata una norma tuttora in vigore. Peraltro, a questa conclusione erano già giunte codeste Sezioni Riunite nel 2003 quando avevano correttamente addebitato al fluire del tempo la radice del differente trattamento fra pluripensionati. Alla luce di quanto sopra dedotto, lAvvocatura Generale dello Stato così conclude: Vogliano le Ill.me Sezioni Riunite della Corte dei Conti affermare il seguente principio: il titolare di due pensioni ha diritto a percepire la indennità integrativa speciale anche sulla seconda pensione sino allimporto corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (c.d. minimo I.N.P.S.). Roma, lì 06 febbraio 2006 Avvocato dello Stato Paolo Marchini». 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Caso SFIR: la parola al Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 21 marzo 2005, n. 1113) Il fatto I fatti allorigine della controversia sono ben noti: la Sfir, società attiva sul mercato nazionale della produzione dello zucchero, ricorreva, chiedendone lannullamento, contro un provvedimento dellAutorità garante della concorrenza e del mercato (1) che aveva autorizzato, ai sensi dellarticolo 6, co. 2, della legge n. 287/1990, una concentrazione consistente nellacquisizione della totalità del capitale della Eridania S.p.A. allepoca il principale operatore del mercato italiano dello zucchero da parte di Finbieticola, Coprob e Seci-Divisione Sadam Zuccherifici, attraverso limpresa comune Sacofin S.p.A., nonché nella successiva suddivisione di questultima in due società, una (Newco C, lattuale Eridania Sadam, controllata da Seci) e laltra (Newco D, lattuale Italia Zuccheri) partecipata pariteticamente da Coprob e Finbieticola (2). In particolare, la Sfir allegava di subire un pregiudizio diretto, immediato ed attuale dalla decisione impugnata che, autorizzando la concentrazione, avrebbe ridotto ancora di più il già esiguo numero di operatori attivi nel mercato nazionale dello zucchero, aggravando in tal modo la posizione della ricorrente, destinata a rimanere lunica impresa di una certa dimensione a competere con il polo di imprese risultante dalloperazione. Concludeva, pertanto, che la relativa legittimazione ad agire contro il provvedimento dellAutorità poteva non esserle riconosciuta solo negando al detto interesse sostanziale la dignità di interesse giuridicamente rilevante, con grave violazione dei principi costituzionali, del Trattato CE e della stessa ratio della legge n. 287/90, finalizzata alla tutela della concorrenza (3). (1)AGCM provvedimento del 1° agosto 2002 n. 11040, Società Esercizi Commerciali Industriali S.e.c.i./Co.Pro.B./Finbieticola/Eridania, in Boll. 31/2002. (2) LAutorità ha ritenuto che loperazione comunicata avrebbe determinato una posizione dominante collettiva in capo ai due poli risultanti dalla concentrazione, Sadam-Newco C e Coprob-Newco D nel mercato italiano dello zucchero suscettibile di produrre effetti anticompetitivi anche sui mercati a monte dellapprovigionamento delle barbabietole e della distribuzione del seme. Nel corso del procedimento, le parti avevano presentato taluni impegni volti a modificare alcuni aspetti della concentrazione onde circoscriverne limpatto anticoncorrenziale; impegni che lAutorità aveva considerato nel complesso misure correttive idonee a rimuovere il pericolo della creazione di una posizione dominante collettiva, autorizzando, pertanto, loperazione ai sensi dellart. 6, co. 2 della legge n. 287/1990. (3) A riprova della rilevanza giuridica riconosciuta dallordinamento al proprio interesse ad operare in un contesto economico concorrenziale, la Sfir sosteneva che dalla lettura combinata di alcune disposizioni della legge n. 287/1990 e del regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dellAutorità fosse chiaramente deducibile la volontà del legislatore di attribuire una qualificazione normativa allinteresse dei concorrenti, posti nella condizione di tutelare in sede procedimenta le la loro posizione. La configurabilità di un interesse legittimo in capo alla ricorrente sarebbe deriva ta pertanto dalla circostanza che essa si trova, rispetto allattività istituzionale dellAutorità, in una IL CONTENZIOSO NAZIONALE 193 Il T.A.R. Lazio dichiarava inammissibile il ricorso (4), per carenza di legittimazione ad agire, avvalorando, con riferimento alle fattispecie di concentrazione, lorientamento giurisprudenziale consolidato alla stregua del quale i poteri dellAutorità ai sensi della legge n. 287/1990 sono preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nellambito del libero mercato, e non alla garanzia di posizioni, individuali o associate, di soggetti fruitori del mercato. Di conseguenza, a fronte dellesplicazione di detti poteri, tutti i soggetti diversi da quelli direttamente incisi, imprese concorrenti (5) o consumatori, sono titolari di un mero interesse indifferenziato rispetto alla posizione di pretesa della generalità dei cittadini a che le autorità preposte alla repressione dei comportamenti illeciti esercitino correttamente e tempestivamente i poteri loro conferiti dallordinamento (6). Nel dettaglio, il Tribunale riteneva che, diversamente da quanto ravvisabile in materia di intese restrittive e abusi di posizione dominante, in tema di concentrazioni tra imprese, le norme regolatrici dei procedimenti di controllo non contengono alcuna previsione che autorizzi a cogliere una volontà legislativa circa la qualificazione giuridica di interessi in capo a soggetti terzi concorrenti (7). posizione differenziata cioè diversa e più intensa di quella della generalità dei cittadini e nel contempo qualificata in quanto sancita e tutelata dallordinamento. (4) T.A.R. Lazio, sez. I, 5 maggio 2003, n. 3861 con nota di L. ZANETTINI, La legittimazione dei terzi ad impugnare i provvedimenti antitrust: il caso Sfir, nota a sentenza pubblicata su Foro amm. T.A.R., n. 6/2003, 1952 ss. (5) Propriamente è concorrente chi si trova ad operare su un medesimo mercato. Da questo punto di vista il concetto cui si deve collegare la legittimazione è quello di mercato. (6) Siffatta posizione trae fondamento dal più generale principio secondo cui in tutti i procedimenti antitrust riconducibili alla categoria dei procedimenti repressivi, tra cui rientra anche quello diretto a reprimere le operazioni di concentrazioni, il soggetto denunciante è portatore di un mero interesse di fatto che, al limite, lo abilita ad intervenire nel procedimento avviato dal reale interessato, ossia il destinatario dellattività sanzionatoria, lunico legittimato ad essere parte necessaria del giudizio amministrativo. Cfr., tra le prime: Cons. di Stato, sez. VI, 30 dicembre 1996 n. 1972, Assicurazione rischi di massa, relativa ad unipotesi di intesa vietata in Foro it., 1997, III, 213ss., con nota di R. Pardolesi; T.A.R. Lazio, sez. I, 23 dicembre 1997, n. 2216, Accordo Concessionario Pubblicità; T.A.R. Lazio, sez. I, 29 settembre 1998, n. 2746, ASSISTAL/SIP; T.A.R. Lazio, sez. I, 15 ottobre1998, n. 2952, San Nicola ISFINA e altri. Nello stesso senso, più recenti, anche T.A.R. Lazio, sez. I, 7 settembre 2001 n. 7286, Seat Pagine Gialle/Cecchi Gori Communications e 26 settembre 2001 n. 7797, Telecom Italia/Seat pagine Gialle, con nota di R. CARANTA, Una lacuna nel sistema della tutela giurisdizionale dei singoli: provvedimenti dellAntitrust e (carenza di) legittimazione ad agire di fronte al giudice amministrativo del concorrente, in Giuris. it., I, 2002, 625 ss., che spiega tali indirizzi giurisprudenziali restrittivi con il tradizionale sospetto nei confronti dellazione popolare, come se, di fronte alla generalizzata partecipazione in favore di portatori di interessi collettivi e diffusi sancita dalla l. 241/90, i giudici amministrativi volessero evitare, attraverso la partecipazione, lo scardinarsi dei delicati limiti alla legittimazione al ricorso giurisdizionale, sfociando nellactio popularis. (7) Secondo i giudici di prima istanza, dato che la qualificazione normativa dellinteresse del terzo passa attraverso lanalisi del livello di partecipazione che la legge accorda ad esso nel corso del 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Con la decisone in commento, la sesta sezione del Consiglio di Stato, pronunciandosi sul ricorso in appello della Sfir, ha riformato la sentenza di primo grado riconoscendo, in via preliminare, la legittimazione ad impugnare dellimpresa concorrente; nel merito, poi, ha ritenuto le misure cui lAutorità aveva subordinato lautorizzazione della concentrazione non idonee a scongiurare gli effetti anticoncorrenziali paventati nel provvedimento, sul piano dellintegrazione verticale tra i produttori di zucchero e gli approvvigionatori della materia prima bieticola. In particolare, il Collegio ha ritenuto fondata la censura con cui la società appellante denunciava, sul piano delleccesso di potere per illogicità e per difetto di motivazione, lo iato tra la parte del provvedimento nella quale si sottolinea la gravità dei rischi anticompetitivi derivanti dallintegrazione verticale [...] e la successiva parte nella quale si considera alluopo idonea la misura correttiva data dallimpegno di Finbieticola a non esercitare uninfluenza nelle scelte societarie della suddetta società (8). Sulla scorta di tali considerazioni, quindi, il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento limitatamente al profilo dellinsufficienza delle misure comportamentali al fine di scongiurare lingerenza di Finbieticola nella gestione di Italia zuccheri e di evitare il rischio di integrazione verticale anticompetitiva, facendo salvo il potere dellAutorità di adottare nuove misure compensative in sede di riesercizio del potere di cui allarticolo 6 della legge n. 287/1990, anche con la revisione collegata di quelle che hanno superato il vaglio del controllo giurisdizionale (9). In conformità al giudicato amministrativo, lAutorità ha tempestivamente riprovveduto (10), stabilendo nuove misure volte ad evitare uningerenza di Finbieticola S.p.A. nella gestione di Italia Zuccheri S.p.A. (statuendo lobbligo di modificare, entro un breve termine, lo Statuto sociale di Italia procedimento, la posizione dei terzi concorrenti va differenziata a seconda del procedimento in cui sono coinvolti, disconoscendo loro la titolarità di interessi legittimi in materia di concentrazioni dove la loro posizione nel procedimento sarebbe paragonabile a quella di meri interventori passeggeri (sent. T.A.R., punto 5 b) -, ma riconoscendola implicitamente in materia di intese e di abusi, dove lo standard partecipativo procedimentale è particolarmente elevato, sì da equiparare la posizione del terzo-segnalante a quella del diretto destinatario della decisione; con la conseguenza che il denunciante assumerebbe la legittimazione ad essere parte necessaria del giudizio amministrativo. Sullinsostenibilità di tale impostazione, cfr. A. MAZZILLI, Verso un pieno riconoscimento della tutela giurisdizionale dei terzi contro le pronunce dellAntitrust , nota alla sentenza del T.A.R. Lazio, sez. I, 24 febbraio 2004, n. 1715, Sagit Contratti di distribuzione e vendita gelati, in Foro amm. T.A.R., 2004, 1422 ss.; osserva lAutore: Linconveniente è palese! Una volta ammesso che quella del terzo concorrente è sempre e comunque una posizione differenziata, legare la sua tutela al solo dato formale della qualificazione normativa significa differenziare e discriminare la posizione dei terzi a seconda del procedimento in cui sono coinvolti e, finanche, a seconda del ruolo che hanno avuto nel procedimento. (8) Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2005, n. 1113, punto 7. (9) Ivi, punto 8. (10) AGCM, provvedimento del 6 luglio 2005 n. 14477, Società Esercizi Commerciali Industriali S.e.c.i.-Co.Pro.B.-Finbieticola/Eridania-Eribrand in Boll. n. 27/2005. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 195 Zuccheri S.p.A. in modo da stabilire che nelle deliberazioni dellAssemblea ordinaria e del Consiglio di Amministrazione non siano più previste le maggioranze qualificate tali da attribuire un potere di veto ai rappresentanti di Finbieticola S.p.A., nonché lobbligo di questultima di cedere una parte della sua partecipazione al capitale sociale di Italia Zuccheri S.p.A. entro 18 mesi dalla data di notifica del provvedimento de quo), con limpegno di monitorare landamento del mercato italiano dello zucchero fino alla scadenza del termine assegnato per lattuazione di tali misure. Ed infatti, in ottemperanza a siffatto impegno, con il provvedimento n. 15230 del 1° marzo 2006 (11) lAutorità ha disposto, su istanza di Finbieticola SpA, lavvio di un riesame per accertare se la recente riforma della regolamentazione comunitaria del settore dello zucchero, varata dal Consiglio dei Ministri dellAgricoltura dellUnione europea il 10 febbraio 2006, abbia sortito mutamenti delle condizioni del mercato italiano dello zucchero tali da comportare la revoca o la riforma delle misure stabilite con il provvedimento del 1° agosto 2002, n. 11040 ed in parte ridefinite con il provvedimento del 6 luglio 2005, n. 14477. I principi della sentenza Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sulla vexata questio relativa alla legittimazione dei terzi (imprese concorrenti o consumatori) a ricorrere avverso i provvedimenti assolutori (12) dellAutorità. Questione strettamente connessa a quella dellindividuazione della portata del sindacato giurisdizionale sul c.d. potere negativo dellAutorità di archiviare una certa denuncia, di non vietare o di autorizzare con prescrizioni o operazioni di concentrazione ad essa comunicate. Si tratta di provvedimenti che, sebbene non incidano in senso sfavorevole sulle imprese che hanno posto in essere il comportamento o laccordo esaminato che viene riconosciuto lecito , tuttavia possono incidere sulle posizioni di soggetti terzi controinteressati rispetto al comportamento consentito (tra cui le imprese concorrenti sullo stesso mercato, che si ritengono lese dalla concentrazione o dallintesa ammessa dallAutorità, ovvero le associazioni dei consumatori, che denunciano gli effetti lesivi per la platea dei consumatori colpiti dalla non stigmatizzazione di condotte anticompetitive). Scopo dichiarato della decisione in commento è discostarsi definitivamente dallorientamento giurisprudenziale prevalente che in precedenza aveva negato il riconoscimento della legittimazione a ricorrere in capo ai (11) AGCM, provvedimento del 1°marzo 2006, n. 15230, Società Esercizi Commerciali Industriali S.e.c.i.-Co.Pro.B.-Finbieticola/Eridania-Eribrand, in Boll. n. 9/2006. (12) Tali sono i provvedimenti di archiviazione di una denuncia di condotte rilevanti in termini antitrust ovvero quelli con cui lAutorità ritenga di non vietare o di autorizzare con prescrizioni altri comportamenti imprenditoriali pure incidenti sul mercato (ad es. intese volontariamente comunicate o operazioni di concentrazione). 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO soggetti terzi in forza del noto sillogismo per cui essendo i poteri di cui alla legge n. 287/1990, in materia di legislazione antitrust, ed al decreto legislativo n. 74/1992, in tema di pubblicità ingannevole, preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nellambito del libero mercato e non alla garanzia di posizioni, individuali o associate, di soggetti fruitori del mercato, la norma attributiva del potere allAutorità non sarebbe in grado di qualificare in modo significativo linteresse del terzo rispetto alla situazione vantata dal quivis de populo. La sentenza merita di essere segnalata per tre snodi fondamentali. Innanzitutto perché, attraverso una rivisitazione delle categorie tradizionali, equipara la posizione del terzo a quella del destinatario diretto dellatto di autorizzazione a concentrazioni, con la conseguente confutazione della sua qualificazione in termini di interesse diffuso e indifferenziato, pervenendo ad una ricostruzione del sistema delle prerogative istituzionali dellAGCM e del connesso judicial review certamente più aderente alla realt à delle relazioni economiche. In secondo luogo, per la dovuta preminenza che viene attribuita alle pronunce delle corti comunitarie, oggi più che mai funzionale alla integrazione dellattività delle autorità europee della concorrenza che cooperano allinterno del sistema a rete (European Competition Network, ECN) creato dal nuovo regolamento del Consiglio n. 1/2003. In terzo luogo, perché la fattispecie oggetto di controversia ha fornito unoccasione ai massimi giudici amministrativi per approfondire il tema del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti di autorizzazione con condizioni, chiarendo alcuni aspetti del procedimento di controllo sulle operazioni di concentrazione e sui poteri che in quella sede lAutorità può esercitare. La legittimazione ad agire dellimpresa concorrente Nel censurare in via preliminare linammissibilità del ricorso dichiarata dal primo Giudice, il Consiglio di Stato, mosso da finalità di giustizia sostanziale, introduce un importante elemento di discontinuità rispetto alla precedente giurisprudenza, suggerendo una diversa qualificazione dellinteresse del terzo concorrente, non destinatario di una decisione di clearance ex art. 6, co.2 della legge n. 287/1990, ai fini del riconoscimento di un titolo di legittimazione. Tale risultato è conseguito tramite uninedita applicazione estensiva alla materia delle concentrazioni dei principi connotati da un alto tasso di democraticit à già fissati dai giudici amministrativi in tema di intese restrittive. In prima battuta, vengono ripresi e valorizzati i contenuti della sentenza relativa al caso Motorola (13) che, confutando laffermazione centrale del risalen- (13) Cons. di Stato, sez. VI, 14 giugno 2004, n. 3865 Motorola SpA c. AGCM ed altri, in Giornale di diritto amm., n. 1/2005, 33ss. con nota di M. MACCHIA, Il commento, 37ss. Il caso de quo trae origine da unautorizzazione del Garante del mercato in deroga di unintesa, ex art. 4, comma 1, IL CONTENZIOSO NAZIONALE 197 te indirizzo contrario, aveva per prima aperto prudentemente la strada del ricorso giurisdizionale alle imprese concorrenti (escludendovi, però, le associazioni di categoria) avverso un provvedimento di autorizzazione in deroga rilasciata dallAntitrust ex art. 4 della legge n. 287/1990. Attraverso puntuali richiami agli snodi fondamentali di detta pronuncia, si ribadisce che legittimato allimpugnazione è solo colui che possa vantare unindividuata, o individuabile, situazione di vantaggio normativamente qualificata; donde la necessità di verificare la titolarità di un interesse legittimo in base ai due criteri cumulativi, della differenziazione e della qualificazione normativa (14) che, già in quelloccasione, avevano condotto a includere tra i soggetti legittimati ad impugnare anche le imprese concorrenti (nel medesimo settore merceologico), titolari di un interesse personale e individuale al rispetto della normativa antitrust, in quanto dalle determinazioni dellAutorità, dirette ad altri, possono derivare uno svantaggio (in presenza di deliberazioni di natura autorizzatoria), o un vantaggio (come nel caso di provvedimenti inibitori e sanzionatori) chiaramente riferibile alla loro sfera individuale (15). Ma se il terzo è titolare di una posizione giuridica sostanziale differenziata (da quella della generalit à dei cittadini) e qualificata (dallordinamento giuridico tramite gli artt. 81 e 82 Trattato Ce, lart. 41 Cost., la legge n. 287/1990 e il d.P.R. n. 217/1998 (16)), e la posizione subisce una lesione personale, attuale e legge. n. 287/90 (AGCM, 28 marzo 2002, Nokia Italia/Marconi Mobile OTE, in Boll. n. 13/2002), conclusa dalle società Marconi Mobile SpA e Nokia Italia SpA per la costituzione di un consorzio dedito principalmente alla fornitura alle pubbliche amministrazioni di apparati di radiocomunicazione mobile. Motorola, in qualità di concorrente fornitore di prodotti analoghi, aveva ritenuto lintesa autorizzata pregiudizievole per la concorrenza ed aveva pertanto impugnato il provvedimento dellAutorità dinanzi al giudice amministrativo. Il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 868/2003, aveva dichiarato linammissibilit à del ricorso di Motorola avverso la richiamata decisione dellautorità per carenza di interesse e difetto di legittimazione processuale, ribadendo lorientamento giurisprudenziale restrittivo consolidato nelle pronunce precedenti. (14) Linteresse si deve cioè differenziare da quello generico della collettività a preservare il bene comune della concorrenza in forza di determinate qualità personali, e si deve qualificare attraverso il riconoscimento della norma attributiva del potere amministrativo. In senso conforme si era espresso anche il T.A.R. Lazio nella sentenza poi riformata dalla decisione in commento, concludendo tuttavia che, senza unapposita qualificazione normativa, ovvero di una o più norme che attribuissero in sede procedimentale una qualche forma di tutela ai terzi interessati dal provvedimento dellAutorità, anche linteresse individuale [del terzo concorrente], ancorché differenziato, sarebbe rimasto un interesse di mero fatto, e come tale un dato pre-giuridico(T.A.R. Lazio, sez. I, cit., punto 5). (15) Così Cons. di Stato, sentenza in commento, citando testualmente Cons. di Stato, caso Motorola, cit. (16) In proposito, nella sentenza si richiama una serie di garanzie procedurali espressamente previste a favore dei terzi, quali la partecipazione procedimentale (art. 12, co.1, della l. 287/1990), lammissione allistruttoria (art. 7, co. 1, del d.P.R. n. 217/1998), la notifica dellapertura dellistruttoria (art. 14, co. 2, della l. 287/1990), il diritto di essere sentiti in sede di audizione finale (art. 14, commi 5 e 6, del d.P.R. n. 218/1998). 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO concreta (17) dallesercizio dei poteri dellAutorità, non può escludersi a priori la sua legittimazione allimpugnativa del provvedimento. E ciò anche se, come più volte sottolineato dalla dottrina (18) e dalla giurisprudenza unanimi (19), la partecipazione del terzo al procedimento, e comunque la previsione di garanzie procedurali in suo favore, di per sè non fa acquisire la legittimazione a ricorrere. Né può sostenersi che la partecipazione procedimentale prevista dallordinamento escluda, assorbendola, la tutela giurisdizionale avverso il provvedimento conclusivo (20). Siffatta interpretazione, oltre a non essere consentita dal sistema, contrasterebbe con il principio delleffettività della tutela giurisdizionale. La preordinazione dei poteri dellAutorità alla tutela oggettiva della concorrenza, fondamento dellindirizzo restrittivo dominante, non va interpretata nel senso dellinsindacabilità giurisdizionale dei suoi provvedimenti da chi, pur subendone diretto pregiudizio non ne risulti formalmente destinatario o non abbia partecipato (ancorché interessato in quanto titolare di una posizione differenziata da quella della generalità dei cittadini) al procedimento; o, sotto altro aspetto, nel senso che i soggetti che si trovino a subire gli effetti pregiudizievoli di decisioni dellAutorità di cui non siano formali destinatari (o di decisioni adottate in esito a procedimenti cui non abbiano partecipato), debbano essere privati di legittimazione ad agire e, dunque, di tutela giurisdizionale. Sostenendo aprioristicamente il contrario, si sottrarrebbero ampi segmenti di azione amministrativa al sin- (17) E del resto lesistenza di un pregiudizio immediato e diretto è richiesta anche per la stessa partecipazione al procedimento amministrativo, dovendosi trattare in ogni caso di soggetti su cui il provvedimento finale incide in via diretta e non semplicemente in via riflessa e derivata. Così, Cons. di Stato, sez. VI, 1° febbraio 2006, caso Comportamenti abusivi di Telecom Italia, punto 5, che ha escluso la necessità di estendere la partecipazione al procedimento amministrativo ai clienti GCA dell impresa sanzionata, stante il loro interesse meramente riflesso e derivato. (18) R. VILLATA, Riflessioni in tema di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale, in Dir. proc. amm., 1992, 171ss. (19) Cfr. ex multis Cons. di Stato, sez. VI, 29 agosto 2002, n. 4343 e n. 2185 del 12 aprile 2000; T.A.R. Lazio, sez. I, 13 luglio 1999 n. 1558. (20) Lapertura del procedimento amministrativo alle istanze partecipative e collaborative, sancita dalla legge n. 241/1990, non vale a riconoscere ex se la legittimazione ad impugnare lesito finale del procedimento a quanti sono legittimati a parteciparvi o di fatto vi prendono parte, dato che la natura delle situazioni giuridiche soggettive sottese non muta per effetto dellintervento nel procedimento amministrativo. In difetto della titolarità di una posizione di interesse legittimo, il mero fatto della partecipazione al procedimento non può costituire titolo acquisitivo di legittimazione attiva al ricorso avverso il suo provvedimento conclusivo, dovendosi distinguere tra legittimazione procedimentale e legittimazione processuale. Il dato formale della partecipazione di un soggetto al procedimento non è sufficiente ad alterare la relazione di costui con il bene inciso dal provvedimento, né esime chi propone il ricorso dallonere di dimostrare la titolarità di un interesse sostanziale leso dal provvedimento. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 199 dacato giurisdizionale, violando il principio costituzionale che accorda alle persone fisiche e giuridiche tutela giurisdizionale nei confronti dei pubblici poteri (21). Lassetto della concorrenza su un mercato, infatti, riguarda tutti gli operatori in esso presenti, nella loro individualità e personalità e non solo le singole imprese che abbiano avuto un ruolo attivo allinterno dei procedimenti che vengono in rilievo. Di conseguenza, la circostanza che lAutorità sia tenuta a perseguire linteresse pubblico alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica non esclude che anche soggetti terzi rispetto ai destinatari dei provvedimenti finali possano vantare interessi legittimi, pretensivi o oppositivi, suscettibili di adeguata protezione giurisdizionale (22), in aggiunta alla possibilità dintervenire nel procedimento in corso o di esperire, ricorrendone i presupposti, lazione risarcitoria o di nullità ai sensi dellart. 33 della legge n. 287/1990. E tanto specie in un settore, quello della normativa in tema di tutela della concorrenza di derivazione comunitaria, nel quale leffetto essenziale del provvedimento dellAutorità (si pensi alle autorizzazioni in deroga, alle sanzioni ripristinatorie ed allimposizione di prescrizioni conformative in tema di concentrazioni) è lincisione autoritativa di relazioni economiche con la conseguente configurazione di un determinato assetto concreto; incisione che postula un interesse qualificato e concreto degli attori a vario titolo (imprese e consumatori) delle relazioni economiche conformate, plasmate o tollerate nonostante la loro illiceità, pur se non Chi ha esercitato il potere di iniziativa ex art. 12 della legge n. 287/1990 non può dunque fondare la propria legittimazione ad impugnare lesito (negativo) del procedimento di accertamento dellabuso concorrenziale sul solo dato formale della propria partecipazione al procedimento, ma è pur sempre tenuto a provare lesistenza di un proprio interesse sostanziale leso. Quindi, salvo che per la tutela dei diritti che gli spettano in quanto parte del procedimento, il denunciante non era , in tale veste, legittimato a proporre ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento dellautorità che neghi la rilevanza anticoncorrenziale di un comportamento o il carattere ingannevole di una determinata forma di pubblicità: lunica esigenza di tutela che [...] può far valere innanzi al giudice amministrativo riguarda linteresse a che lAutorità prenda in esame e si pronunci sulla denuncia. Così, in materia di intese restrittive della concorrenza, T.A.R. Lazio, sez. I, 11 febbraio 2003, n. 868. (21) Cfr. A. MAZZILLI, cit., in commento alla sentenza n. 1715/2004 del T.A.R. Lazio sul caso Sagit, che per prima ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere ad un gruppo di imprese (i produttori minori di gelato sul mercato) che non erano dirette destinatarie della decisione e che non avevano partecipato al procedimento, se non a titolo meramente informativo, parificando sotto il profilo processuale la posizione dei terzi a quella dei diretti destinatari dei provvedimenti autorizzatori dellAutorità. (22) Il potere repressivo e quello sanzionatorio sono, infatti, rivolti alla tutela di un interesse generale al rispetto delle regole che tuttavia ben può intersecarsi con posizioni differenziate di singoli soggetti titolari di un interesse specifico al ripristino della legalità vulnerata. I principi generali in tema di legittimazione ad agire comportano la configurazione di una posizione di controinteresse qualificato e differenziato in capo a quanti dimostrino di avere subito (o di versare in una situazione di rischio concreto) pregiudizio dalla condotta sanzionabile e, per leffetto, di patire unincisione per effetto dellomesso o inadeguato esercizio del potere sanzionatorio. In Cons. di Stato, sentenza in commento, cit. 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO qualificabili come destinatari in senso stretto del provvedimento, a reagire in sede giurisdizionale (23). Tale ragionamento appare oggi ancora più dovuto anche alla luce della recente pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione (24) relativa al caso Unipol/Ricciardelli di cui il Consiglio di Stato riprende testualmente alcuni passaggi significativi che, superando il proprio precedente orientamento espresso nella decisione n. 17475/2002, ha ammesso per la prima volta la legittimazione dei consumatori e delle relative associazioni a far valere la nullità di unintesa restrittiva illecita in materia assicurativa e a richiedere il risarcimento del danno conseguentemente cagionato, fondandosi direttamente sulla legge antitrust n. 287/1990 (25), sancendo così il completamento nel sistema nazionale del private enforcement del diritto antitrust. La ratio della diretta applicazione di tale legge risiede proprio nel considerare il consumatore uno dei soggetti del mercato (26), i cui interessi (23) Cons. di Stato, n. 1113/2005, ivi, punto 4.4. Tali conclusioni recepiscono a pieno lindirizzo della dottrina che si è occupata del problema (A. SCOGNAMIGLIO, Profili della legittimazione a ricorrere avverso gli atti delle autorità amministrative indipendenti, in Foro Amm., IX, 2002, 2245), secondo cui la configurabilità di un interesse giuridicamente rilevante in capo ai soggetti diversi dai destinatari diretti di una decisione dellAutorità trova supporto in specifiche previsioni della normativa nazionale in materia della concorrenza, che individuano una determinata categoria di soggetti qualificati, lasciando presumere lattribuzione ad essi di una garanzia giurisdizionale nei confronti dellesplicazione dei poteri di competenza dellAutorità. Quindi, benché il riconoscimento di poteri di iniziativa e di intervento nella fase procedimentale non sia automaticamente assimilabile al conferimento di un diritto di azione, la previsione delle facoltà di cui allart. 12 della legge n. 287/1990 ed allart. 7 del d.P.R. n. 217/1998 lascia tuttavia intendere che anche in capo a soggetti non direttamente destinatari del provvedimento finale dellAutorità possa individuarsi di volta in volta e nel caso concreto lesistenza di un interesse sostanziale leso, che consenta di attivare la tutela giurisdizionale. (24) Corte di Cass., sez. unite, 4 febbraio 2005, n. 2207 in Giur. It., 2005, 5, 967. (25) Le sezioni unite hanno preso le mosse dalla considerazione che la legge antitrust ha come oggetto di tutela un bene giuridico ampio, qual è il mantenimento di una struttura concorrenziale del mercato, senza escludere tuttavia che unintesa vietata possa ledere anche il patrimonio del singolo, concorrente o meno, dellautore o degli autori dellintesa. Cfr. AGCM, Principali sviluppi giurisprudenziali in materia di concorrenza in Relazione Annuale dellAGCM 30 aprile 2004, reperibile sul sito internet http://www.agcm.it. (26) La legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere. Il consumatore, che è lacquirente finale del prodotto offerto al mercato, chiude la filiera che inizia con la produzione del bene. Pertanto la funzione illecita di una intesa si realizza per lappunto con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile . Cons. di Stato, sent. in commento, punto 4.5. Ciò in perfetta sintonia con quanto affermato nel celebre caso Courage (C. giust. CE, 20 settembre 2001, causa C-453/1999, in Foro It., 2002, IV, 75) già da tempo dallAvvocato Generale presso la Corte di Giustizia europea aveva affermato che coloro che possono beneficiare di tale tutela sono IL CONTENZIOSO NAZIONALE 201 giuridicamente rilevanti trovano riconoscimento (27) e adeguata tutela nelle norme sulla concorrenza. Accertata una violazione, infatti, il legislatore conferisce, in linea di principio, ad ogni impresa e, secondo linterpretazione estensiva della Suprema Corte, anche al singolo consumatore (28) il diritto ad ottenere un risarcimento del danno qualora la condotta di unimpresa integri una violazione delle norme antitrust (comunitarie o nazionali) e tale condotta abbia cagionato, in modo immediato, diretto ed attuale, un danno ingiusto al patrimonio di unimpresa ovvero di un consumatore. Tali principi hanno trovato applicazione anche in tema di pubblicità ingannevole in virtù del rinvenuto parallelismo tra interesse delle imprese terze rispetto ad un provvedimento negativo dellAGCM (ammesse, appunto, ad impugnare anche le delibere che sanciscono la liceità di atti o comportamenti scrutinati ai sensi della disciplina antitrust) ed interesse del consumatore a non essere ingannato da messaggi pubblicitari. Infatti, in sincronia con la summenzionata decisione della Corte di Cassazione, la VI sezione del Consiglio di Stato (29), allineandosi alla giurisprudenza comunitaria da tempo favorevole a riconoscere la legittimazione dei terzi ad impugnare i cd. provvedimenti assolutori della Commissione ha esteso alle associazioni dei consumatori la legittimazione ad impugnare le decisioni dellAntitrust, accentuando il loro ruolo di custodi della correttezza pubblicitaria (30). certamente in primo luogo i terzi, vale a dire i consumatori e i concorrenti. Sul punto, cfr. R. INCARDONA e C. PONCIBÒ, The Corte di Cassazione takes Courage: a recent ruling opens limited rights for consumers in competition cases, in European Competition Law Review, v. 27, VIII, August 2005, 445ss. (27) Ne sia riprova il fatto che lart. 4 della legge antitrust, nel prevedere il potere discrezionale della AGCM di autorizzare unintesa che possiede i caratteri che giustificherebbero il divieto, indica tra i presupposti della discrezionalità che fonda proprio il beneficio del consumatore, il cui interesse, non a caso, può essere tutelato per un periodo limitato addirittura da un allentamento del divieto del più classico comportamento anticoncorrenziale. (28) Emblematico il caso allorigine della controversia oggetto della sentenza della Suprema Corte riguardante, appunto, un cartello che provocava un artificiale aumento dei prezzi a danno dei consumatori parti di contratti di assicurazione. (29) Cons. di Stato, sez. VI, 4 febbraio 2005, n. 280. La controversia era sorta a seguito di uno spot pubblicitario che, secondo unassociazione dei consumatori, esaltava imprudentemente le prestazioni di unautovettura. Chiamata a pronunciarsi sulla pericolosità ed ingannevolezza del messaggio, lAutorità non ha ravvisato alcuna violazione del decreto legislativo n. 74 del 1992 (Norme in materia di pubblicità ingannevole, oggi in parte modificato dalla legge n. 49 del 6 aprile 2005, G.U. n. 86 del 14 aprile 2005 recante Modifiche allarticolo 7 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, in materia di messaggi pubblicitari diffusi attraverso mezzi di comunicazione), disponendo larchiviazione del relativo procedimento. Impugnata tale deliberazione, il T.A.R. rigettava il ricorso perché inammissibile per difetto di legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori. In senso contrario si è poi espresso il Consiglio di Stato con la pronuncia di cui sopra. (30) In tema di legittimazione ad agire in capo ad unassociazione di consumatori, va detto che, successivamente alla sentenza in commento, la I sezione del T.A.R. Lazio, con una decisione del 22 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Senza contare che già in precedenza i giudici di Palazzo Spada (31) avevano ritenuto, in capo ad unassociazione di categoria di imprese, la legittimazione a ricorrere avverso un provvedimento che dichiarava un messaggio pubblicitario non decettivo, fondando tale legittimazione proprio sulla potenziale lesività del messaggio pubblicitario con contenuto ingannevole sulla sfera giuridica di consumatori e concorrenti; e ciò anche se le norme di cui al decreto legislativo n. 74 del 1992 sono principalmente poste a tutela di interessi generali. Per giustificare la traslazione di questi importanti principi giurisprudenziali alla disciplina delle concentrazioni tra imprese, la sentenza in commento, richiamandosi alla decisione concernente il caso Edizione Holding (32), equipara nella sostanza la fattispecie di autorizzazione di operazioni di concentrazione con misure ex art. 6, co. 2 della legge 287/1990, ai provvedimenti vetitori, pur se non nella formula secca dellinterdizione perentoria ma in quella attenuata del divieto delloperazione in mancanza dellaccoglimento e dellattuazione delle misure correttive reputate indispensabili ai fini dellelisione degli effetti anticoncorrenziali (33). Più precisamente, nella specie, il potere interdittivo dellAmministrazione viene integrato dalla contestuale esplicazione di un potere conformativo con il quale vengono impartite le prescrizioni correttive idonee ad elidere in modo efficace i profili di anticompetitività apprezzati dallAutorità onde neutralizzare sul piano concorrenziale la concentrazione altrimenti inammissibile. Ciò implica, sul piano sostanziale, che la cd. autorizzazione condizionata al rispetto delle prescrizioni sia qualificabile come divieto di unoperazione valutata come inammissibilmente anticompetitiva in assenza delle misufebbraio 2006, n. 1371, chiamata a pronunciarsi sullannullamento del provvedimento n. 32686/2004 di archiviazione della segnalazione inviata dal Codacons in merito allintroduzione di una tariffazione del traffico SMS da parte di alcuni gestori di reti di telefonia mobile , ha dichiarato linammissibilit à del ricorso per difetto di legittimazione ad agire, segnando un inatteso reviverment dellindirizzo giurisprudenziale restrittivo in materia. Partendo dal presupposto pacifico secondo cui la legittimazione a ricorrere di unassociazione di consumatori sia una quaestio facti, da verificare caso per caso, alla luce dei provvedimenti effettivamente impugnati e della loro concreta attitudine a ledere, in rapporto di diretta congruità, gli interessi di cui lente è portatore, i giudici di I grado, attraverso uninterpretazione letterale di alcune norme (in particolare lart. 2, co. 2) del Codice del Consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) hanno statuito come la pur ampia legittimazione ad agire in giudizio del Codacons non sia tuttavia così vasta da ricomprendere qualsiasi attività di tipo pubblicistico che si rifletta economicamente sui cittadini, dovendo al contrario essere commisurata solo a quegli atti che siano idonei ad interferire con specificità ed immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli utenti. Resterebbe invece ferma la possibilità per consumatori e relative associazioni, di per sé prive di un interesse differenziato, di utilizzare la strada della tutela procedimentale con atti dimpulso e di intervento ovvero esperire, ove ne ricorrano i presupposti lazione risarcitoria o di nullità innanzi al giudice civile ai sensi dellart. 33 della l. 287/1990 (punto 2.4.4). (31) Cons. di Stato, sez.VI, 1 marzo 2002, n. 1258 in Cons. Stato, 2002, I, 494. (32) Cons. di Stato, sez.VI, 26 luglio 2004 n. 5288. (33) Sentenza in commento, cit., punto 4.7.1 IL CONTENZIOSO NAZIONALE 203 re adottate nellesercizio del collegato potere prescrittivo; sul piano processuale, che lazione proposta dallimpresa concorrente non mira a stigmatizzare la concentrazione ex se intesa ma a censurare lintermediazione pubblicistica data dallesercizio del potere conformativo di carattere discrezionale teso ad enucleare le misure reputate efficaci onde rimuovere le ragioni del divieto. Quindi anche con riferimento a tali provvedimenti è ammissibile in linea astratta il ricorso avanti al giudice amministrativo da parte di imprese terze portatrici di una situazione differenziata nel mercato di riferimento che contestino lefficacia delle misure e, quindi, mirino a stigmatizzare il cattivo uso a loro danno di un potere conformativo speso in modo non idoneo a rimuovere efficacemente le connotazione anticompetitive delloperazione (34). La rilevanza del diritto comunitario nel caso di specie Ad avviso della Sezione, una siffatta interpretazione estensiva che sposta lattenzione sulle situazioni concretamente coinvolte dallesercizio del potere piuttosto che sulla natura astratta della funzione esercitata scaturisce anche da un inquadramento sistematico dellinteresse dei terzi allinterno della cornice giurisprudenziale comunitaria. Pertanto, nella sua motivazione, il Consiglio di Stato ammonisce sulla necessità di operare una rilettura delle ordinarie regole del diritto antitrust nazionale in tema di legittimazione a ricorrere contro i provvedimenti assolutori dellAutorità alla luce del diritto comunitario (35), in ossequio sia al canone interpretativo di cui allart 1, co. 4, della legge n. 287/1990 (36), sia al regolamento del Consiglio n. 1/2003 (37), che qualifica lAntitrust come organo nazionale operante in funzione comunitaria , nellambito di quello che è stato efficacemente definito, in dottrina (38), un processo di armonizzazione circolare, in cui il confronto tra i diversi modelli, vigenti negli Stati membri, contribuisce a creare la regola comunitaria, che a sua volta influisce sullinterpretazione delle norme interne(39). (34) Ivi, punto 4.7.2. (35) I cui principi, come ricorda lo stesso Consiglio di Stato, sez. IV, 1 febbraio 2001,n. 3999, hanno forza cogente nellordinamento interno. (36) Secondo cui linterpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dellordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza. Pur se limitata al titolo della legge che disciplina le forme discorsive della concorrenza, si tratta di una chiara indicazione del legislatore italiano rivolta a tutte le istituzioni ad interpretare la normativa antitrust, colmandone eventuali lacune, anche negli aspetti prettamente processuali (come la legittimazione a ricorrere del terzo concorrente), alla luce dei principi comunitari, favorendo così una maggiore integrazione normativa. (37) Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, concernente lapplicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, in GUCE L1, del 4 gennaio 2003, 1 ss. (38) M. DALBERTI, La rete europea di concorrenza e la costruzione del diritto antitrust, in Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario, VI convegno Treviso, 13-14 maggio 2004, 51ss. (39) Cons. di Stato, sentenza in commento, cit., punto 4.7.3. 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Per effetto di questa circolarità, i principi del diritto comunitario non nascono dal nulla, ma provengono dai diritti nazionali, con la conseguenza che i medesimi principi nazionali, riformulati nel nuovo e più ampio contesto del diritto comunitario, vengono poi reintrodotti in tutti i diritti nazionali, dando luogo ad un quid novi. Il diritto comune europeo della concorrenza che ne scaturisce ha così unefficacia di ritorno sui diritti nazionali, tanto che la convergenza di questi ultimi porta appunto alla costruzione di un diritto comunitario formato e applicato coralmente e di diritti nazionali sempre più convergenti (40). Di conseguenza, se la tutela offerta a livello nazionale non consentisse di raggiungere unintensità paragonabile a quella offerta a livello comunitario, il decentramento apporterebbe una consistente deminutio di efficacia delle garanzie, rendendo più difficoltosa lapplicazione uniforme e coerente del diritto comunitario (41). Ora, se si considera che già prima dellemanazione del regolamento Ce n. 1/2003, la dottrina (42) evidenziava la necessità di uniformare le procedure, comprese le modalità dimpugnazione delle decisioni, garantendo agli operatori del mercato gli stessi diritti, e che il nuovo regolamento decentralizza lintera attività di enforcement disciplinata dallart. 81 Trattato Ce, alle Autorità nazionali competenti, appare chiaro come lapplicazione di principi uniformi sia particolarmente utile per una disciplina, sia sostanziale che processuale, coerente con la regolamentazione comunitaria, soprattutto in tema di tutela giurisdizionale da accordare al privato coinvolto nellattività amministrativa (43). Pertanto, considerando che la maggior parte dei diritti riconosciuti a denuncianti e a terzi sono il portato della copiosa giurisprudenza comunitaria in materia e che la Corte di giustizia svolge una rilevante funzione nomofilattica nel settore (44), appare più che opportuno il rinvio effettuato dalla sentenza del Consiglio di Stato in esame ai principi elaborati dai giudici comunitari in casi simili, in cui la tutela è invocata sempre da un operatore attivo nel mercato di riferimento, che assume di esser stato leso dalla determinazione assolutoria e di trovarsi in situazione di concorrenza rispetto alle imprese assoggettate alla procedura antitrust. (40) M. DALBERTI, cit, 51ss. (41) Se poi si considera che dal regolamento 1/2003 non scaturisce alcuna armonizzazione delle norme che disciplinano i procedimenti di fronte alle autorità nazionali, appare concreto il rischio che i diritti dei denuncianti assumano una geometria variabile, con tutte le immaginabili conseguenze in termini di disparità di trattamento o di forum shopping. Sul punto, cfr. M. SIRAGUSA, E. GUERRI, Lapplicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato CE in seguito allintroduzione del Regolamento 1/2003, in Il diritto industriale, n. 4/2004, 348ss. (42) Cfr. A. PERA e P. CASSINIS, Applicazione decentrata del diritto comunitario della concorrenza: la recente esperienza italiana e le prospettive della modernizzazione, in Dir. comm. int., 1999, 723. (43) Cfr. A. MAZZILLI, cit., 1444ss. (44) Tale funzione le è stata riconosciuta anche dalla nostra Corte di Cassazione, sez. I, sentenza 30 giugno 2001, n. 8887. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 205 Tali giudici, pur non sganciandosi tout court da una visione formalistica onde riconoscere tutela giurisdizionale al terzo ricorrente, hanno adattato il criterio astratto di cui allart. 230 TCE alle esigenze di giustizia sostanziale, utilizzando una valutazione di tipo casistico ogniqualvolta secondo la nota formula Plaumann (45) la decisione dellautorità amministrativa abbia colpito il terzo a causa di determinate qualità sue particolari ovvero di situazioni di fatto che lo contraddistinguano rispetto a chiunque altro (46). Si tratta di indicazioni preziose di cui non è possibile oggi non tener conto in sede di applicazione del diritto antitrust nazionale, data linfluenza determinante dispiegata dal nuovo regolamento e dalla rete anche in quest ambito. Così statuendo, il Consiglio di Stato si attesta su posizioni già esplorate dalla dottrina nel ritenere gli orientamenti del network idonei ad incidere anche sullapplicazione dei diritti nazionali a casi domestici relativi ad illeciti di rilievo essenzialmente interno, privi di impatto sugli scambi fra Stati membri; casi che non vengono immessi nella rete, ma riguardano vicende analoghe a quelle di rilievo comunitario e che perciò richiedono valutazioni e qualificazioni simili a quelle utilizzate nelle fattispecie che incidono sugli scambi fra Stati. Il potere dellAutorità di riprovvedere Risolto in senso positivo il nodo della legittimazione a ricorrere da parte dei controinteressati, la sentenza in commento passa a confutare lobiezione mossa dalla società appellante secondo cui il sindacato sui provvedimenti conformativi in materia di concentrazione comporterebbe lincisione di processi trasformativi irreversibili. La pronuncia de qua, nellammettere il riesercizio del potere di cui allart. 6 della legge n. 287/1990 da parte dellAutorità, va inserita nel solco della giurisprudenza, ormai consolidata, secondo cui i provvedimenti dellAutori-tà sono sindacabili in giudizio per vizi di legittimità (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere) e non di merito (47). Più precisamente, nellambito dello scrutinio di legittimità, il giudice amministrativo è tenuto soltanto alla verifica della logicità, congruità e ragionevolezza (45) C. giust. CE, 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann c. Commissione, Racc., 199. (46) C. giust. CE, 25 ottobre 1977, C-26/76, sentenza Metro SB c. Commissione; C. giust. CE, 22 ottobre 1986, causa C-75/84, Metro II; Trib. I grado, 24 marzo 1994, causa T-3/93, Società anonime à partecipation ouvriere Compagnie nazionale Air France. (47) Lorientamento è stato esplicitamente delineato dal Consiglio di Stato nella decisione del 14 marzo 2000 n. 1348, Tekal/Italcementi, e poi successivamente confermato in una serie di pronunce, tra cui quella relativa al caso RCAUTO (Cons. di Stato, 26 febbraio 2002 n. 2199, in Foro amm. CdS, 2002, 1007) e quella relativa al caso Enel/Infostrada (Cons. di Stato, 18 giugno 2002, n. 5156). Per una più ampia disamina del tema, cfr. A. LALLI, La sindacabilità giurisdizionale del potere neutrale dellautorit à garante della concorrenza e del mercato ed il procedimento di controllo in materia di concentrazioni, in Foro amm. CdS, 2003, 232 ss. 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dellatto impugnato, senza alcuna possibilità di estendere la propria cognizione allopportunità delle scelte amministrative. Come noto, secondo limpianto modellato dallart. 33 della legge n. 287/1990, il procedimento che si svolge davanti al giudice amministrativo si sostanzia in un giudizio di tipo impugnatorio, nellambito del quale il ruolo del giudice è quello, appunto, di verificare ex post se il potere spettante allAutorità sia stato correttamente esercitato sotto il profilo dellaccertamento dei fatti (48), estendendo se necessario il proprio controllo persino allanalisi economica compiuta dallAGCM (49). Resta però il limite generale che fa divieto allorgano giudicante di sostituirsi ad un potere già esercitato, potendo esso stabilire solo se la valutazione complessa operata nellesercizio del potere da parte della competente Autorità debba essere ritenuta corretta sotto il profilo delle regole applicate. In caso di risposta positiva, il provvedimento amministrativo dovrà essere confermato; in caso contrario, spetterà allAGCM, e a questa soltanto, definire la fattispecie oggetto del provvedimento impugnato in sede di riesercizio del proprio potere, nel rispetto dei vincoli derivanti dal giudicato amministrativo. Ed infatti, nella decisione in parola, il Consiglio di Stato ha esaminato lanalisi economica compiuta nel provvedimento impugnato, annullando, nella logica di un giudizio di prognosi postuma, talune misure correttive prescritte dallAutorità, sulla base di un penetrante sindacato sulla loro inadeguatezza ed insufficienza ad evitare il paventato rischio sotteso allintegrazione verticale tra produttori di zucchero e approvigionatori della materia prima bieticola (50). Ha così dimostrato di non incontrare alcun limite nellesercizio del proprio sindacato di tipo debole, mentre lassenza di poteri sostitutivi ha implicato solamente che non fosse il Consiglio stesso a rideterminare le prescrizioni cui condizionare lassenso alloperazione di concentrazione, ma lAutorità cui il (48) Soprattutto ora con la possibilità di utilizzare lo strumento della consulenza tecnica capace di agevolare il giudice nel valutare, in chiave di legittimità, anche complesse questioni tecniche. (49) Tuttavia nei confronti delle valutazioni tecniche complesse, risultanti dallapplicazione di concetti giuridici indeterminati e basate sullapplicazione di regole proprie di scienze inesatte ed opinabili come quelle economiche, non è possibile esercitare un sindacato giurisdizionale di tipo forte, volto a sostituire la valutazione del giudice a quella dellamministrazione, risultando ammissibile, nei confronti di esse, soltanto un sindacato di tipo debole, in punta di ragionevolezza e di coerenza dove con lespressione sindacato debole si vuole porre unicamente un limite finale alla statuizione dellorgano giudicante il quale in nessun caso deve sostituire la propria valutazione tecnica opinabile .alloperato dellautorità. Cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 10 aprile 2002, n. 3070, Foro it., 2002, III, 487. (50) Già nel caso ENEL/Infostrada il Consiglio di Stato aveva riammesso lAutorità allesercizio del potere di controllo di una concentrazione a seguito di una sentenza di parziale annullamento di una decisione di autorizzazione condizionata. Pur riformando la pronuncia di annullamento del giudice di prima istanza, il Consiglio di Stato ha accolto in parte la doglianza del ricorrente circa lirragionevolezza della misura dismissiva imposta dal Garante come condizione per la clearance ed ha rimesso in termini lAutorità perché decidesse sulloperazione tenendo conto delle risultanze dell accertamento giurisdizionale. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 207 legislatore ha demandato lesercizio di tali delicati poteri (allinterno di un procedimento amministrativo, con particolari garanzie di contraddittorio)-, in sede di riesercizio del potere e con i vincoli derivanti dal giudicato, in coerenza con i principi sanciti dal regolamento del Consiglio in materia di concentrazioni n. 139/2004 (51) e dallart. 26 della legge n. 1034/1971 (52). In tale contesto, ha precisato il Collegio, leventuale accoglimento del ricorso non comporta unautomatica deconcentrazione, ma innesca il riesercizio del potere dellAutorità di dettare nuove e più efficaci prescrizioni finalizzate a rendere compatibile loperazione con le regole antitrust. Lo scopo è evidentemente quello di consentire che la potestà amministrativa in ipotesi mal esercitata sotto un profilo di legittimità possa essere riesercitata proprio per favorire, in ottemperanza ai vincoli conformativi dellannullamento giurisdizionale, la definizione integrale del rapporto controverso (53). Anzi, è proprio la possibilità di riesame da parte dellAutorità di una concentrazione correttamente a rendere fruttuosa per il terzo controinteressato lannullamento della decisione di clearance. Sulla base di tali principi, il Consiglio di Stato ha ritenuto ammissibile il ricorso della società SFIR, in quanto principale competitore delle imprese interessate dalla concentrazione e quindi portatore di un interesse specifico ad evitare il rafforzamento anticompetitivo di diretti concorrenti in un mercato estremamente ristretto come quello saccarifero (54). Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 21 marzo 2005, n.1113 Pres. C. Varrone Est. F. Caringella Fondiaria Industriale Romagnola S.p.A. (Avv.ti D. Pannicelli, F. Vassalli, V. Cerulli Irelli) c. Autorità Garante della concorrenza e del mercato (Avvocatura dello Stato) ed altri. «(Omissis) Fatto e diritto 1. Le società S.e.c.i. s.p.a., Co.Pro.B. s.c.a.r.l. e Finbieticola s.p.a. con atto trasmesso in data 12 marzo 2002 sottoponevano allesame dellAutorità Garante della Concorrenza e (51) Nellambito della disciplina comunitaria delle concentrazioni, lart. 10.5 del regolamento n. 139 del 2004 esplicitamente consente alla Commissione il riesame di una concentrazione qualora la relativa decisione sia stata in tutto o in parte annullata dalla Corte di Giustizia, prevedendo, in tale ipotesi, una deroga alle disposizioni tassative che regolano i termini di conclusione del procedimento. (52) In applicazione dellarticolo 26 della legge 1034/1971 resta salvo il potere dellamministrazione di adottare nuove misure compensative in sede di riesercizio del potere di cui allart. 6 della legge n. 287/1990, anche con la revisione collegata di quelle che hanno superato il vaglio del controllo giurisdizionale, escludendo, in tal caso la sanzionabilità delle condotte tenute dalle parti fino allimposizione delle nuove misure, in quanto poste in essere in buona fede in esecuzione delle prescrizioni impartite dallAutorità. Inoltre, la Sezione osserva che, sul piano sostanziale, la situazione non è dissimile da quella in cui, a fronte di una concentrazione posta in essere senza la preventiva valutazione dellAutorità, questultima sia per la prima volta chiamata ad esercitare il potere prescrittivo/ conformativo di sua pertinenza. Cons. di Stato, sentenza in commento, cit., punto 4.7.4. (53) Cfr A. LALLI, cit., 239. (54) Del resto, chi mai più dellunico concorrente che rischia , a causa della concentrazione, di essere espulso dal mercato, può essere titolare di interesse differenziato rispetto alla totalità degli altri soggetti che partecipano alla vita economica? del Mercato, ai sensi dellart. 16 della legge n. 287 del 1990, loperazione di concentrazione da loro concepita. Loperazione consisteva nellacquisizione congiunta da parte delle predette, attraverso la comune impresa Sacofin s.p.a., cui partecipavano in parti uguali, del 100 % delle azioni di Eridania s.p.a. (principale operatore nella produzione nazionale di zucchero con una quota del 46,13 %), messe in vendita dalla società controllante di diritto francese Beghin Say. Gli accordi tra le parti prevedevano, inoltre, che in una seconda fase si sarebbe proceduto alle seguenti operazioni: la costituzione di unimpresa comune, denominata Newco B, destinata alla liquidazione delle attività di Eridania non strettamente saccarifere; la suddivisione della Sacofin, entro un periodo massimo di 18-24 mesi, in favore di due ulteriori costituende società: Newco C, controllata dalla Seci/Sadam, e Newco D, partecipata pariteticamente da Coprob e Finbieticola. A conclusione di detto iter si sarebbero perciò realizzati due distinti effetti concentrativi, consistenti nellacquisto del controllo esclusivo di parte delle attività Eridania in testa a Seci\Sadam, e nellacquisto congiunto della parte restante in capo a Coprob e Finbieticola attraverso unimpresa comune, e pertanto due concentrazioni, ai sensi dellart. 5, comma 1, lettere b) e c), della legge n. 287/1990. LAutorità Garante, raggiunta nel frattempo anche da segnalazioni della società SFIR s.p.a. (titolare di una quota di produzione nazionale di zucchero del 21,1 %) del 13 maggio e 3 giugno del 2002, nonché dellAssociazione Bieticultori Marsicani, con delibera del 20 giugno 2002 avviava listruttoria di cui allart. 16, comma 4, della legge n. 287/1990 sulloperazione che le era stata notificata. Presentava istanza di partecipazione al procedimento anche la società SFIR, che vi veniva ammessa con provvedimento del 9 luglio. In base allanalisi complessiva di tutti gli elementi raccolti lAutorità valutava negativamente loperazione, sottolineando: che questa ridefiniva la struttura dellindustria nazionale dello zucchero, comportando una riduzione del numero delle imprese ed il rafforzamento delle aziende Sadam e Coprob; che queste ultime, con quote finali rispettivamente del 35 % e del 39 % (laddove in partenza detenevano il 19,65 % ed il 7,72 %), avrebbero raggiunto la leadership di un mercato divenuto ancora più concentrato; che le medesime avrebbero altresì beneficiato di unintegrazione verticale con il mercato dellapprovvigionamento di barbabietole grazie alla partecipazione alloperazione di Finbieticola (rispettivamente, nel capitale di alcune imprese del gruppo Sadam e in Newco D), espressione delle associazioni dei bieticultori, le quali apparivano in grado di condizionare ed orientare i flussi di approvvigionamento della materia prima in modo tale da poter favorire le due imprese risultanti dalla concentrazione rispetto agli altri produttori nazionali; che loperazione avrebbe aumentato, altresì, il grado di concentrazione nel mercato della distribuzione del seme di barbabietola (nel quale agivano, attraverso società controllate, gli stessi zuccherifici e le medesime associazioni di bieticultori). LAutorità riteneva quindi che loperazione, nei termini concepiti, fosse in grado di determinare la creazione di una posizione dominante collettiva in capo a Sadam e a Coprob/Finbieticola nel mercato italiano dello zucchero (con una quota del 73,5 %), suscettibile di produrre effetti anticompetitivi anche sul mercato a monte dellapprovvigionamento delle barbabietole, ed infine su quello della distribuzione del seme. Le parti presentavano, peraltro, in data 26 giugno e 1° agosto 2002, talune dichiarazioni di impegno intese a modificare alcuni aspetti della concentrazione onde circoscriverne limpatto anticoncorrenziale. E lAutorità, valutati analiticamente i nuovi termini della fat- 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tispecie sottopostale (paragr. 117 del provvedimento), riteneva che i detti impegni risultassero nel loro complesso adeguati a rimuovere il pericolo della creazione di una posizione dominante collettiva tale da ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. In conclusione, pertanto, con la deliberazione in epigrafe loperazione veniva autorizzata ai sensi dellart. 6, comma 2, della legge, con la prescrizione del pieno rispetto degli impegni assunti dalle imprese che ad essa davano vita. Avverso questo provvedimento veniva proposto dalla società SFIR ricorso con il quale si deducevano i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dellart. 6, comma 2, della legge 10 ottobre 1990 n. 287; motivazione perplessa e contraddittoria; irragionevolezza manifesta; travisamento dei fatti; difetto di presupposti in fatto e in diritto; eccesso di potere: con tale motivo, richiamandosi alle valutazioni compiute dallAutorità in merito alle conseguenze anticompetitive della concentrazione quale fonte di una posizione dominante collettiva, la ricorrente operava una disamina analitica degli impegni proposti dalle parti e recepiti dal provvedimento impugnato e deduceva la loro inidoneità a fugare le preoccupazioni espresse dalla stessa Autorità circa gli effetti della concentrazione e a ricondurre questa al rispetto del diritto antitrust, da ciò desumendo lincongruenza ed irragionevolezza del provvedimento; 2) carenza istruttoria, difetto assoluto di motivazione; eccesso di potere: con tale mezzo si assumeva che la stessa deliberazione, in disparte i suoi profili di merito, era carente di istruttoria sullaffidabilità dei suddetti impegni e circa la loro idoneità a rendere loperazione accettabile, istruttoria che lAutorità non aveva avuto il tempo materiale di espletare (dato il momento in cui tali impegni le erano stati sottoposti); latto non conteneva poi neppure alcuna valutazione circa la effettiva bontà delle misure correttive proposte dalle interessate (che pure la SFIR nel procedimento aveva puntualmente contestato). 2. Il Giudice di prime cure ha dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo valido, con riferimento alle fattispecie di concentrazione, lorientamento giurisprudenziale consolidato alla stregua del quale i poteri spesi dallAutorità ai sensi della legge n. 287 del 1990 sono preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nellambito del libero mercato, e non alla garanzia di posizioni, individuali o associate, di soggetti fruitori del mercato. Donde la conclusione a tenore della quale, a fronte dellesplicazione dei detti poteri, tutti i soggetti diversi da quelli direttamente incisi sono titolari di un mero interesse indifferenziato rispetto alla posizione di pretesa fattuale della generalità dei cittadini a che le autorità preposte alla repressione dei comportamenti illeciti esercitino correttamente e tempestivamente i poteri loro conferiti a tale specifico fine. Il Tribunale ha in particolare ritenuto che, diversamente da quanto ravvisabile in materia di intese restrittive e di abusi di posizione dominante (Titolo II, Capo II, della legge), in tema di concentrazioni le norme regolatrici dei procedimenti di controllo non contengono alcuna previsione che autorizzi a cogliere una volontà legislativa in punto di qualificazione giuridica di interessi in capo a soggetti terzi concorrenti. La società originariamente ricorrente appella contestando le argomentazioni svolte dal Tribunale e riproponendo le censure di merito. Resistono lAutorità e le società interessate alla concentrazione. Sono altresì intervenuti i soggetti in epigrafe indicati. Le parti hanno affidato al deposito di memorie lulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive. Alludienza del 18 gennaio 2005 la causa è stata trattenuta per la decisione. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 209 3. Si deve preliminarmente dare atto che lAssociazione Nazionale Bieticultori, in qualità di socio della Finnbieticola s.p.a., soggetto questultimo costituente parte della concentrazione di che trattasi, non costituisce controinteressato in senso tecnico. Trattasi tuttavia di soggetto portatore di un interesse nella vicenda, evidenziato dalle difese di merito spiegate, che consente la riqualificazione dellatto di costituzione in termini di intervento volontario ad opponendum. 4. Con il primo motivo di appello parte ricorrente contesta la declaratoria di inammissibilit à del ricorso pronunciata dal primo Giudice in relazione alla reputata deficienza, in capo ad impresa non destinataria del provvedimento, della legittimazione ad impugnare il provvedimento dellAutorità 4.1. La questione sottoposta allesame della Sezione rientra nel tema generale della legittimazione dei terzi controinteressati a proporre limpugnazione avverso i provvedimenti dellAutorità. La questione riguarda il sindacato del giudice sul c.d. potere negativo dellAutorità di archiviare una determinata denuncia, di non vietare o di autorizzare con prescrizioni determinati comportamenti comunicati dalle imprese o le operazioni di concentrazione notificate. Si tratta di provvedimenti (o fattispecie di silenzio-rifiuto a questi equiparati) che non incidono in senso sfavorevole sulle imprese che hanno posto in essere il comportamento o laccordo esaminato, che viene riconosciuto, espressamente o implicitamente, lecito, ma che possono incidere sulle posizioni di soggetti terzi, che assumono la veste di controinteressati rispetto al comportamento consentito (tra cui le imprese concorrenti sullo stesso mercato, che si ritengono lese dalla concentrazione o dallintesa non ritenuta illecita dallAutorità ovvero le associazioni dei consumatori che denunciano gli effetti lesivi per la platea dei consumatori sortiti dalla non stigmatizzazione di condotte anticompetitive). 4.2. Il tradizionale orientamento giurisprudenziale ha escluso il riconoscimento della legittimazione a ricorrere, in capo a detti soggetti terzi. Tale orientamento affonda le sue radici nel rilievo che i poteri di cui alla legge n. 287/1990 in materia di legislazione antitrust ed al D.Lgs. n. 74/1992, in tema di pubblicità ingannevole, sono preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nellambito del libero mercato e non alla garanzia di posizioni, individuali o associate, di soggetti fruitori del mercato. Al cospetto dellesplicazione dei detti poteri, tutti i soggetti diversi da quelli direttamente incisi (e menzionati nellatto) degraderebbero, allora, a titolari di un mero interesse indifferenziato rispetto alla generalità dei cittadini a che le autorità deputate alla repressione dei comportamenti illeciti esercitino correttamente e tempestivamente i poteri alluopo conferiti. 4.3. Questa Sezione ha di recente ritenuto di non condividere detto orientamento, riconoscendo la legittimazione ad agire in capo ad una impresa concorrente avverso un provvedimento di autorizzazione in deroga rilasciata dallAutorità antitrust ai sensi dellarticolo 4 della legge n. 287/1990 (Cons. Stato, 14 giugno 2004 n. 3865, caso Motorola). Con tale decisione, questa Sezione ha ricondotto la questione della legittimazione ad agire avverso i provvedimenti assolutori dellAutorità garante nellambito dei principi in tema di condizioni dellazione e di requisiti necessari per individuare una situazione di interesse legittimo, qual è la posizione di colui il quale si contrappone allesercizio del potere dellamministrazione, essendo titolare di una posizione giuridica sostanziale lesa ad opera del potere amministrativo, sempre che la lesione abbia i caratteri della personalità, dellattualit à e della concretezza. 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO I criteri utilizzati ai fini di tale verifica sono quelli della differenziazione e della qualificazione: in quel caso è stato ritenuto che le imprese concorrenti (nel medesimo settore economico) non si trovano sullo stesso piano degli altri appartenenti alla collettività, dato che non sono portatrici di un interesse indifferenziato alla concorrenza nel mercato. Esse vantano invece un interesse personale e individuale al rispetto della normativa antitrust, in quanto dalle determinazioni dellAutorità, dirette ad altri, possono derivare uno svantaggio (in presenza di deliberazioni di natura autorizzatoria, o un vantaggio (come nel caso di provvedimenti inibitori e sanzionatori) chiaramente riferibile alla loro sfera individuale. La circostanza che lAutorità sia tenuta a perseguire linteresse pubblico alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica non è in grado di escludere, in linea di principio, che anche soggetti terzi rispetto ai destinatari diretti dei provvedimenti finali possono vantare interessi, pretensivi o oppositivi, suscettibili di ricevere protezione giuridica. E linteresse delle imprese terze rispetto a unintesa restrittiva della libertà di concorrenza è oggetto di valutazione positiva da parte dellordinamento. Lordinamento, in particolare, già nella fase antecedente allemanazione del provvedimento dellAutorità: a) garantisce ai terzi la partecipazione procedimentale (art. 12, comma 1, della legge n. 287/1990), prevedendo che chiunque vi abbia interesse può portare degli elementi a conoscenza dellAutorità, e sancisce lobbligo di comunicare il provvedimento di avvio dellistruttoria, non solo alle imprese e agli enti interessati, ma anche ai soggetti che ai sensi dell articolo 12, comma 1, della legge, avendo un interesse diretto, immediato e attuale, hanno presentato denunce o istanze utili allavvio dellistruttoria (art. 6, comma 4, del d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217); b) ammette allistruttoria i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché le associazioni rappresentative dei consumatori, cui possa derivare un pregiudizio diretto, immediato e attuale dalle infrazioni oggetto dellistruttoria o dai provvedimenti adottati in esito alla stessa, e che facciano motivata richiesta di intervenire entro un dato termine (art. 7, comma 1, lett. b, del d.P.R. n. 217/1998); c) stabilisce che lAutorità notifica lapertura dellistruttoria alle imprese ed agli enti interessati (art. 14, comma 1, della legge n. 287/1990) e che la stessa, in ogni momento dell istruttoria, può richiedere alle imprese, enti o persone che ne siano in possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti utili ai fini dellistruttoria (art. 14, comma 2, della legge n. 287/1990); d) riconosce poi il diritto di essere sentiti in sede di audizione finale ai soggetti ai quali è stato notificato il provvedimento di avvio (art. 14, commi 5 e 6, del d.P.R. n. 217/1998). La Costituzione (art. 41), il diritto comunitario (art. 81, ex art. 85, del Trattato CE) e il diritto interno (legge n. 287/1990 e d.P.R. n. 217/1998) tutelano il principio della libertà di concorrenza, e non consentono, se non in casi eccezionali e limitati, accordi o intese che abbiano per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza. Secondo la detta decisione, nei procedimenti in materia di intese e di autorizzazioni in deroga, i terzi possono configurarsi come soggetti tutelati, il cui intervento è funzionale alla protezione degli interessi dei quali sono portatori e che sono suscettibili di essere lesi dalle determinazioni dellAutorità. Essi, anzi, possono assumere una posizione contrapposta e speculare rispetto a quella dellimpresa destinataria del provvedimento finale (a sé favorevole). È vero che la partecipazione del terzo al procedimento, e comunque la previsione di garanzie procedurali in suo favore, non fa solo per questo acquisire la legittimazione a ricor- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 211 rere. Il Consiglio di Stato ha più volte affermato che la natura delle situazioni giuridiche soggettive non muta per effetto dellintervento nel procedimento amministrativo (questa sezione, 29 agosto 2002, n. 4343 e sez. IV, n. 2185/2000). Ma se il terzo è titolare di una posizione giuridica sostanziale differenziata (da quella della generalità degli appartenenti alla collettivit à) e qualificata (dallordinamento giuridico), e la posizione subisce una lesione personale, attuale e concreta dallesercizio del potere amministrativo, non può non ammettersi la legittimazione allimpugnativa del provvedimento; atto, questo, che costituisce la manifestazione dellesercizio del potere. Né può ritenersi che la partecipazione procedimentale prevista dallordinamento escluda, assorbendola, la tutela giurisdizionale avverso il provvedimento conclusivo. Siffatta interpretazione non è consentita dal sistema e contrasterebbe anche con il principio delleffettivit à della tutela giurisdizionale. Va anche evidenziato che, qualora il provvedimento emesso risulti espressione di una vera e propria discrezionalità amministrativa, come accade per lipotesi disciplinata dallart. 4 della legge n. 287/1990, in cui unintesa di per sé illecita viene temporaneamente assentita in considerazione della sua idoneità a perseguire finalità di natura pubblicistica espressamente contemplate dalla norma e che debbono essere adeguatamente evidenziate nel provvedimento, la determinazione dellAutorità nasce dalla comparazione di interessi, pubblici e privati; comparazione che è in grado di dare rilievo alla posizione di imprese concorrenti, le quali divengono pienamente legittimate a pretendere che, in sede giurisdizionale, venga verificata, sia pure sotto il profilo della sola legittimità, la correttezza delloperato dellAutorità. 4.4. In definitiva con la citata decisione è stato revocato in dubbio lassunto centrale del tradizionale orientamento contrario, secondo il quale la posizione del soggetto leso dal comportamento anticoncorrenziale di altra impresa o dalloperazione di concentrazione non assumerebbe una rilevanza giuridica autonoma rispetto allesercizio dei poteri dellAutorità garante, in quanto tali poteri sono preordinati ad una tutela oggettiva della concorrenza e non alla tutela di posizioni individuali dei soggetti fruitori del mercato; così come a questo punto assai fragile si rivela il collegato principio secondo cui, rispetto a poteri repressivi affidati ad unautorità amministrativa, non sarebbero mai configurabili specifiche situazioni protette diverse da quelle dei soggetti incisi dallesercizio del potere. Prima ancora del cambio di orientamento, la dottrina aveva criticato tale tesi, evidenziando che la stessa giurisprudenza amministrativa è costante nel riconoscere al terzo danneggiato da un altrui intervento edificatorio la titolarità di un interesse differenziato al corretto esercizio del potere repressivo dellautorità preposta alla vigilanza e la legittimazione ad impugnare latto con cui lamministrazione rifiuta, espressamente o implicitamente, di esercitare i propri poteri e sottolineando che il criterio da seguire è quello dellinteresse sostanziale leso per determinare la sfera dei legittimati al ricorso (vedi, per tutte, Ad Plen decisione n. 14 del 24 novembre 1962). Il potere repressivo e quello sanzionatorio sono rivolti alla tutela di un interesse generale al rispetto delle regole, che non è sordo ma ben può intersecarsi con posizioni differenziate di singoli soggetti titolari di un interesse specifico al ripristino della legalità vulnerata. Si pensi, a titolo solo esemplificativo, ai terzi proprietari di immobili vicini ed alla stesse associazioni esponenziali di interessi diffusi legittimate ad impugnare, in presenza dei presupposti soggettivi qualificanti, il silenzio dellamministrazione nellesercizio del potere repressivo-sanzionatorio in materia edilizia. Ancora, in materia di sanzioni, è consolidata la distinzione tra sanzioni meramente punitive (quali le ordinanze ingiunzione ex art. 23 legge 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO n. 689/1981 o le sanzioni disciplinari), di norma dirette a regolare un rapporto esclusivo tra autorità procedente e soggetto esposto alla sanzione; e sanzioni ripristinatorie (appunto in materia edilizia e di normativa antitrust), a mezzo delle quali lamministrazione ordina un comportato correttivo e la cessazione di un contegno lesivo, così potenzialmente incidendo sullinteresse dei soggetti pregiudicati dal contegno illegale stigmatizzato. I principi generali in tema di legittimazione ad agire comportano, in dette ipotesi, la configurazione di una posizione di controinteresse qualificato e differenziato in capo a quanti dimostrino di avere subito (o di versare in una situazione di rischio concreto) pregiudizio dalla condotta sanzionabile e, per leffetto, di patire unincisione per effetto dellomesso o inadeguato esercizio del potere sanzionatorio. Laffidamento allAutorità della concorrenza di una tutela oggettiva della concorrenza non esclude allora che la salvaguardia dellinteresse generale ad un assetto concorrenziale del mercato si traduca, sul piano concreto, in misure adottate a salvaguardia anche di singoli operatori o dei consumatori, lesi dal comportamento anticoncorrenziale posto allesame dellAutorità. La considerazione secondo cui i poteri dellAutorità sono volti alla tutela obiettiva del diritto di impresa, se mette in luce la tensione dellazione amministrativa al mantenimento dellequilibrio concorrenziale generale piuttosto che alla ponderazione di interessi, non costituisce quindi un impedimento concettuale al riconoscimento della rilevanza giuridica degli interessi concretamente incisi dallesercizio (o dallomesso esercizio ritualmente stigmatizzato) di quei poteri. La tensione dellazione amministrativa alla tutela dellinteresse della collettività indistinta non esclude cioè lemersione di situazioni soggettive individuali direttamente pregiudicate. E tanto specie in un settore, quello della normativa in tema di tutela della concorrenza di derivazione comunitaria, nel quale leffetto essenziale del provvedimento dellAutorità (si pensi alla autorizzazioni in deroga, alle sanzioni ripristinatorie ed allimposizione di prescrizioni conformative in tema di concentrazioni) è lincisione autoritativa di relazioni economiche con la conseguente configurazione di un determinato assetto concreto; incisione che postula un interesse qualificato e concreto degli attori a vario titolo (imprese e consumatori) delle relazioni economiche conformate, plasmate o tollerate nonostante la loro illiceità, pur se non qualificabili come destinatari in senso stretto dei provvedimento, a reagire in sede giurisdizionale. In sostanza non si appalesa convincente nel suo schematismo una ricostruzione che, muovendo dallassunto della preordinazione del potere autoritativo alla definizione dellinteresse generale, limiti alle sole imprese destinatarie dei provvedimenti repressivi la legittimazione ad impugnare; e costringa i terzi controinteressati incisi dallassetto di mercato creato o tollerato dallautorità, siano essi imprese concorrenti o organizzazioni dei consumatori, a utilizzare la strada della tutela procedimentale con atti di impulso e di intervento ovvero a battere la non sempre equivalente via, ove ne ricorrano i presupposti, dellazione risarcitoria o di nullità innanzi al Giudice civile ai sensi dellarticolo 33 della legge n. 287/1990. E tanto alla stregua di unopzione che deroga al tradizionale metodo giurisprudenziale amministrativo di selezione casistica degli interessi giuridicamente rilevanti, tali dovendo intendersi le posizioni differenziate incise concretamente dal dispiegarsi dellazione amministrativa, indipendentemente dalla loro coincidenza con i fini primari perseguiti dalla norma attributiva del potere. 4.5. Non appare infine un fuor dopera rammentare che nel senso dellestensione della legittimazione a far valere la violazione delle norme antitrust in capo a tutti i soggetti portatori di interessi giuridicamente rilevanti aventi natura differenziata e qualificata, e non solo IL CONTENZIOSO NAZIONALE 213 delle imprese pregiudicate da provvedimenti expressis verbis afflittivi o sanzionatori ad esse rivolti, depone il recente decisum delle sezioni unite della Corte di Cassazione 4 febbraio 2005, n. 2207; decisum, che ha ammesso la legittimazione dei consumatori e delle relative associazioni a far valere la nullità di intesa restrittiva illecita in materia assicurativa ed a richiedere il risarcimento del danno conseguentemente cagionato. La Corte Suprema ha nella specie osservato che la diversità di ambito e di funzione tra la tutela codicistica dalla concorrenza sleale e quella innanzi detta della legge antitrust esclude si possa negare la legittimazione alla azione davanti al Giudice ordinario ai sensi dellart. 33, n. 2, della legge 287/1990, al consumatore, terzo estraneo alla intesa anticompetitiva. Contrariamente a quanto ritenuto da Cassazione 17475/2002, la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere. Pare opportuno notare peraltro che mentre siffatta esclusione della legittimazione in parola non è prevista espressamente dalla legge, questa peraltro, allart. 4, laddove prevede il potere discrezionale della Agcm di autorizzare unintesa che possiede i caratteri che giustificherebbero il divieto, indica tra i presupposti della discrezionalità che fonda il beneficio del consumatore. La legge dunque non ignora, nella materia della intesa, linteresse del consumatore al punto da prevedere una ipotesi in cui esso,alla cui tutela la ideologia antitrust è funzionale, può essere tutelato per un periodo limitato addirittura da un allentamento del divieto del più classico comportamento anticoncorrenziale. Il consumatore, che è lacquirente finale del prodotto offerto al mercato, chiude la filiera che inizia con la produzione del bene. Pertanto la funzione illecita di una intesa si realizza per lappunto con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile. Va detto pure, atteso il rilievo interpretativo dei principi dellordinamento comunitario nella materia, che la sentenza della Corte di Giustizia, Courage, (453/1999) tende ad ampliare lambito dei soggetti tutelati dalla normativa sulla concorrenza, in una prospettiva, sembra al collegio, che valorizza proprio le azioni risarcitorie, quali mezzi capaci di mantenere effettività alla struttura competitiva del mercato. Sempre in tema di consumatori, con la decisione n. 280/2005 questa Sezione ha reputato, in tema di pubblicità ingannevole, che così come linteresse delle imprese terze rispetto a un intervento repressivo di unintesa restrittiva della libertà di concorrenza è oggetto di valutazione positiva da parte dellordinamento, allo stesso modo tale valutazione positiva riguarda linteresse del consumatore a non essere ingannato da messaggi pubblicitari. La Sezione ha quindi confermato lorientamento precedentemente espresso dalla decisione n. 1258/2002, favorevole ad affermare la legittimazione a ricorrere avverso un provvedimento con cui un messaggio pubblicitario era stato ritenuto non ingannevole, in capo ad unassociazione di categoria di imprese, osservando che la disciplina sulla pubblicità ingannevole mira alla tutela di interessi compositi, costituiti non solo dalla corretta informazione del consumatore, ma anche dal rispetto delle regole di libera e corretta concorrenza tra le imprese (la pubblicità ingannevole può incidere sulle scelte del consumatore e determinare distorsioni della concorrenza). 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 4.7. Le conclusioni esposte, volte ad ammettere la legittimazione anche di controinteressati allimpugnativa di provvedimenti lesivi resi dallAutorità, sono suscettibili di estensione alla fattispecie in parola, nella quale viene in rilievo un provvedimento di autorizzazione condizionata al rispetto di talune prescrizioni in materia di concentrazioni. 4.7.1. Con la precedente decisione n. 5288/2004 la Sezione ha reputato che la cd. fattispecie di autorizzazione condizionata, di cui allarticolo 6, comma 2, parte finale, della legge n. 287/1990 costituisce una species del genus dei provvedimenti vetitori, pur se non nella formula secca dellinterdizione perentoria ma in quella attenuata del divieto delloperazione in mancanza dellaccoglimento e dellattuazione delle misure correttive reputate indispensabili ai fini dellelisione degli effetti anticoncorrenziali che altrimenti renderebbero la fattispecie, nella sua versione primitiva, intrinsecamente illecita. Indagine che, secondo consolidate coordinate pretorie, deve lumeggiare lo spessore sostanziale del potere e delle posizioni soggettive antagoniste, senza essere influenzata in termini decisivi dal nomen juris utilizzato dal legislatore. A sostegno dellassunto si è osservato nelloccasione che al fine di stabilire la natura giuridica della cd. autorizzazione condizionata, occorre verificare se, in subiecta materia, lAutorità sia dotata di un potere autorizzatorio al cospetto del quale venga in rilievo un diritto in attesa di espansione secondo lo schema del rapporto amministrativo di stampo autorizzatorio. Lanalisi sistematica della disciplina interna e comunitaria consente di dare risposta negativa al quesito, ricavandosi con nettezza che la realizzazione di una concentrazione non necessita di un provvedimento autorizzatorio capace di espandere un diritto sospensivamente condizionato o fievole ma costituisce espressione libera di un diritto di iniziativa economica privata, suscettibile di incorrere nel potere inibitorio-repressivo. Non diritto condizionato necessitante di espansione autorizzatoria dunque; ma espressione di libertà suscettibile di incisione mercé lesercizio di un potere di divieto nelle due accezioni prima ricordate. Lassunto è confermato dai seguenti rilievi: a) il procedimento non prende avvio da unistanza autorizzatoria ma da una mera comunicazione preventiva delloperazione (articolo 18, comma 1); b) lesito positivo dellistruttoria non sbocca in un titolo abilitante ma ha le forme del mero riscontro dellassenza dei presupposti per lesercizio del potere di divieto (articolo 18, comma 2); c) loperazione è suscettibile di attuazione anche prima della definizione dellistruttoria, salve le misure cautelari di cui allarticolo 17 e ferma restando ladozione di misure correttive in caso di verifica postuma di effetti anticompetitivi (articolo 18, comma 3); d) linfruttuoso decorso del termine assegnato, ai sensi dellarticolo 16, comma 4, per la definizione della procedura, non vale a radicare un silenzio-assenso, ossia una fattispecie di provvedimento tacito di accoglimento dellistanza, ma si limita a consumare il potere interdittivo per intuibili ragioni di certezza. I convergenti elementi di cui sopra, letti alla luce dellomogenea disciplina comunitaria, consentono allora di concludere che leffettuazione delle operazioni di concentrazione costruisce espressione della libertà di iniziativa economica suscettibile di esplicazione senza avere necessità di titoli autorizzatori preventivi; i poteri in capo allAutorità si risolvono pertanto nel divieto, a seconda dei casi suscettibile di intervenire a monte o a valle del concreto dispiegarsi delliniziativa economica, di unoperazione considerata idonea a determinare una permanente deformazione della struttura del mercato in chiave anticompetitiva. La stessa comunicazione preventiva non vale allora a radicare un inesistente potere autorizzatorio, IL CONTENZIOSO NAZIONALE 215 estraneo al sistema dei controlli di cui alla legge n. 287/1990 con lunica eccezione delle autorizzazioni deroga ex art. 4, ma si spiega con lesigenza di consentire un controllo ove possibile preventivo rispetto ad unoperazione che, per la sua strutturalità, presenta significative difficoltà in termini di deconcentrazione. Le considerazioni fin qui svolte circa linesistenza di un potere autorizzatorio, consentono allora di reputare che se lamministrazione non detiene il potere di autorizzare loperazione, non ha a fortiori neanche il potere di rendere unautorizzazione condizionata in senso stretto. Nonostante latecnico utilizzo, in seno allarticolo 6, comma 2, del nomen autorizzazione , la cd. autorizzazione condizionata al rispetto delle prescrizioni va pertanto qualificata in termini sostanzialistici come divieto di unoperazione valutata come inamissibilmente anticompetitiva in assenza misure correttive adottate nellesercizio di un collegato potere prescrittivo. Identico è infatti il ricordato presupposto delle due misure di cui allarticolo 6, comma 2, ossia la valutazione in termini di illiceità delloperazione congegnata, da cui discende lesplicazione del potere interdittivo. 4.7.2. Più precisamente, nella specie, il potere interdittivo allo stato degli atti viene integrato dalla contestuale esplicazione di un potere conformativo, espressione di lata discrezionalità tecnica, con il quale vengono enucleate le prescrizioni correttive idonee ad elidere in modo efficace i profili di anticompetitività apprezzati dallAutorità e da rendere accettabile sul piano concorrenziale la concentrazione rebus sic stantibus inammissibile. Appare allora concettualmente chiaro che lazione proposta dallimpresa concorrente non mira a stigmatizzare la concentrazione ex se intesa ma a censurare lintermediazione pubblicistica data dallesercizio del potere conformativo di carattere discrezionale teso ad enucleare le misure reputate efficaci onde rimuovere le ragioni del divieto. Alla fattispecie sono quindi traslabili le coordinate prima esposte in tema di intese restrittive, dovendosi sistematicamente reputare ammissibile in linea astratta il ricorso avanti al giudice amministrativo da parte di imprese terze portatrici di una situazione differenziata nel mercato di riferimento che contestino lefficacia delle misure e, quindi, mirino a stigmatizzare il cattivo uso a loro danno di un potere conformativo speso in modo non idoneo a rimuovere efficacemente le connotazione anticompetitive delloperazione. Soggetti che, altrimenti opinando, non godrebbero nella sostanza di alcuna tutela giurisdizionale, con correlativa violazione dei parametri costituzionali e comunitari in materia. 4.7.3. Lassunto è suffragato dallorientamento favorevole alla legittimazione assunto, anche con riferimento alle concentrazioni, dalla Corte di giustizia;orientamento da valutare con particolare attenzione alla luce dellarticolo 1, comma 4, della legge n. 287/1990, secondo cui linterpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dellordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza; e del regolamento UE n. 1/2003, che qualifica a tutti gli effetti lautorità nazionale come organo nazionale operante in funzione comunitaria. E tanto nellambito di quello che è stato efficacemente definito, in dottrina, un processo di integrazione, o meglio di armonizzazione, circolare, in cui il confronto tra i diversi modelli, vigenti negli Stati membri, contribuisce a creare la regola comunitaria, che a sua volta influisce sullinterpretazione delle norme interne. In una decisione avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione della Commissione 21 marzo 2000, che aveva dichiarato compatibile con il mercato comune e con lAccordo sullo spazio economico europeo loperazione di concentrazione con la quale la BSkyB ha acquisito il controllo comune della KirchPayTV, ai sensi dellart. 6, n. 1, lett. b), del regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO IL CONTENZIOSO NAZIONALE 217 delle operazioni di concentrazione tra imprese, la legittimazione al ricorso è stata riconosciuta dalla sentenza Tribunale (Terza Sezione), 30 settembre 2003, causa T-158/00, in capo ad una emittente televisiva operante in Germania sul mercato della televisione gratuita, in relazione ad una concentrazione riguardante il settore della televisione a pagamento, ma idonea a produrre talune ripercussioni anche sul mercato della televisione gratuita. Il Tribunale di primo grado ha riconosciuto la legittimazione ad agire in capo a chi, pur non essendo nominativamente indicato nel provvedimento come destinatario, ne ha subito direttamente gli effetti e richiama la sentenza del Tribunale di primo grado Air France, che è proprio in materia di concentrazioni (sentenza 24 marzo 1994, causa T-3/93, Società anonime à partecipation ouvriere Compagnie nazionale Air France, in cui viene valorizzata anche, ma non solo, la partecipazione di Air France al procedimento).In tale occasione la Corte di primo grado ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere in capo ad Air France avverso unoperazione tramite cui British Airways aveva acquistato la Dan Air, riscontrando in capo alla compagnia aerea francese un interesse differenziato in quanto loperazione avrebbe prodotto specifici effetti sulle rotte tra la Francia e la Gran Bretagna con un effetto pregiudizievole immediato e diretto sulla posizione di Air France. Più in generale, a partire dalla decisione Metro, la Corte di Giustizia, adita in quel caso da unimpresa autrice di un reclamo per unipotesi di violazione degli artt. 85 ed 86 che la Commissione aveva respinto, ha affermato che Nellinteresse di una sana amministrazione della giustizia e di una corretta applicazione degli artt. 85 e 86, è opportuno che le persone fisiche o giuridiche che in forza dellart. 3, n. 2, lett. b), del regolamento n. 17, hanno facolt à di adire la Commissione per far rilevare le infrazioni dei suddetti artt. 85 e 86, siano legittimate, se la loro domanda viene respinta, totalmente o parzialmente, ad esperire unazione a tutela dei loro legittimi interessi (Corte Giust., 25 ottobre 1977, C-26/76, Metro SB/Commissione, punto 13). La Corte di Giustizia ha anche affermato che le lettere di archiviazione che rigettano definitivamente una denuncia e che chiudono la pratica sono impugnabili, poiché esse hanno il contenuto di una decisione e ne producono gli effetti, in quanto pongono fine alle indagini, contengono una valutazione degli accordi e impediscono alle ricorrenti di chiedere la riapertura delle indagini a meno che esse non forniscano elementi nuovi (Sentenze della Corte di Giustizia 11 ottobre 1983, causa 210/81, Demo-Studio Schmidt/Commissione, Racc. pag. 3045, punti 14 e 15, 28 marzo 1985, causa 298/83, CICCE/Commissione, Racc. pag. 1105, punto 18 e 17 novembre 1987, BAT e Reynolds, cause riunite 142/84 e 156/84, pag. 4487, punto 12; sentenza del Tribunale (Quarta Sezione), 17 febbraio 2000, T-241/97, Stork Amsterdam BV, punto 53). Più in generale la Corte di Giustizia ed il Tribunale di primo grado hanno rifiutato schematismi astratti utilizzando un metodo casistico che subordina la legittimazione al ricorso alla dimostrazione di un interesse concreto giuridicamente rilevante. Il tutto sulla base di un ordito concettuale che sposta lattenzione sulle situazioni concretamente coinvolte dallesercizio del potere piuttosto che sulla natura astratta della funzione esercitata. A partire dalla sentenza Plaumann c. Commissione (Corte di giustizia, 15 luglio 1963, causa C-25/62), è stato più volte ribadito che soggetti diversi dai destinatari di una decisione possono sostenere di essere individualmente interessati, ai sensi del citato art. 230, comma 4, solo se detta decisione li riguarda a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari circostanze atte a distinguerli dalla generalità e a identificarli alla stessa stregua dei destinatari (Corte di giustizia, 10 dicembre 1969, cause riunite 10/68 e 18/68, Eridania e altri c. Commissione; Tribunale di primo grado: 28 ottobre 1993, causa T-83/92, Zunis Holding e altri c. Commissione; 13 dicembre 1995, cause T-481/93 e 484/93, Vereniging Van Exporteurs in Levende Varkens e altri c. Commissione). La giurisprudenza comunitaria, ai fini dellindividuazione del requisito dellinteresse individuale, tende ad attribuire rilevanza non solo al fatto che il ricorrente sia espressamente nominato nellatto (Corte di giustizia, 29 ottobre 1980, cause 138/79 e 139/79, Roquette Frères e Maizena), ma anche ad elementi estrinseci rispetto allatto, quali lappartenenza del ricorrente ad una cerchia ristretta di persone, sulla quale il provvedimento incide eliminando vantaggi o diritti (Corte di giustizia: 26 giugno 1990, causa C-152/88, Sofrimport; 27 novembre 1984, causa 232/81, Agricola commerciale Olio), o la circostanza che, nelladozione del provvedimento, le istituzioni comunitarie abbiano tenuto in considerazione la posizione giuridica specifica nella quale si trova il ricorrente (Corte di giustizia: 13 maggio 1971, causa 41-44/70, International Fruit; 6 novembre 1990, causa C-354/87, Weddel). Il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia, in diverse sentenze, hanno considerato rilevante, ai fini della ricevibilità del ricorso dei terzi, il fatto che questi fossero assistiti da precise garanzie procedurali e che avessero effettivamente partecipato al procedimento. Tuttavia, gli stessi giudici comunitari (Tribunale di primo grado: 11 luglio 1996, cause riunite T-528/93, T-542/93, T-543/93, T-546/93, Metro e altri c. Commissione; 27 aprile 1995, causa T-96/92, Comité central dentreprise de la Société générale des grandes sources e altri c. Commissione, e causa T-12/93, Comité central dentreprise de la société anonime Vittel e altri c. Commissione), hanno avuto occasione di affermare che subordinare linteresse ad agire dei terzi qualificati che beneficiano di diritti procedurali nel corso di un procedimento amministrativo alla loro effettiva partecipazione a tale procedimento equivarrebbe ad introdurre un elemento di ricevibilità aggiuntivo, in forma di un procedimento precontenzioso obbligatorio che non è previsto dallart. 173 del Trattato (attuale art. 230). La Corte di giustizia ha riconosciuto direttamente interessato ad agire, avverso le decisioni della Commissione, non solo chi ne ha sollecitato lintervento con una denuncia, ma anche colui il quale lamenta di subirne pregiudizio a motivo di sue particolari qualità o di situazioni di fatto che lo contraddistinguono rispetto a chiunque altro (sentenza 22 ottobre 1986, causa C-75/84, Metro II). La sentenza Corte Giust. 20 settembre 2001, causa C- 453/99, riconosce poi addirittura il diritto dellimpresa partecipe di unintesa illecita a richiedere il risarcimento del danno, ove la stessa non abbia avuto un ruolo significativo nella distorsione della concorrenza. 4.7.4. Da quanto sopra detto si ricava che non può essere esclusa la legittimazione di altre imprese operanti sul mercato ad impugnate il provvedimento di autorizzazione condizionata di una concentrazione, nella parte in cui dette prescrizioni vengano denunciate asseritamente inidonee ad elidere il vulnus al giuoco concorrenziale. Anche nella specie si deve quindi risolvere in senso positivo il nodo della legittimazione a ricorrere da parte dei terzi controinteressati. Lapplicazione dei noti criteri giurisprudenziali della differenziazione e della qualificazione della posizione fatta valere dal ricorrente, non può che condurre ad un risultato positivo: la società ricorrente, lungi dal collocarsi sullo stesso piano degli altri appartenenti alla collettività, costituisce infatti il principale competitore delle imprese interessate dalla concentrazione, e quindi, è portatore di un interesse specifico ad evitare il rafforzamento anticompetitivo di diretti concorrenti in un mercato estremamente ristretto come quello saccarifero. Quanto, infine, allobiezione secondo cui il sindacato sui provvedimenti conformativi in materia di concentrazione comporterebbe lincisione di processi trasformativi irreversibili, si deve opporre che laccoglimento dei ricorsi non comporta unautomatica deconcen- 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO trazione ma innesca il riesercizio, in coerenza con i principi sanciti dal regolamento del Consiglio n. 139/2004 del 20 gennaio 2004 ed allo stesso principio processuale di cui allart. 26 legge n. 1034/1971, del potere dellautorità di dettare nuove e più efficaci prescrizioni finalizzate a rendere compatibile loperazione con le regole antitrust. In sostanza, la situazione non è dissimile da quella in cui, a fronte di una concentrazione posta in essere senza la preventiva valutazione dellAutorità, questultima sia per la prima volta chiamata ad esercitare il potere prescrittivo/conformativo di una pertinenza. In ogni caso le difficolt à di attuazione della statuizione giudiziaria devono cedere il passo allesigenza di evitare il vuoto di tutela che deriverebbe dallesclusione di un sindacato giurisdizionale finalizzata ad una tutela di interessi di terzi non conseguibile con le vie dellazione civile in quanto implicante un sindacato diretto e principale sul proprium del potere conformativo discrezionale speso dallAutorità. 5. Risolto in senso positivo il problema della legittimazione a ricorrere in primo grado da parte dellodierna appellante, con conseguente riforma della sentenza di primo grado, si deve procedere ora allesame dei motivi del ricorso originario non esaminati dal Tribunale. 5.1. Si sono prima ricordati i termini essenziali delloperazione di concentrazione. Loperazione consisteva nellacquisizione congiunta, da parte delle società S.e.c.i. s.p.a. (che, attraverso la divisione Sadam, è assegnataria di una quota di produzione del 19,65%), Co.Pro.B. s.c.a.r.l. (società cooperativa con una quota di produzione nazionale dello zucchero a 7,72%) e Finbieticola s.p.a. (società i cui soci sono rappresentati dalle principali associazioni bieticole operanti in Italia), attraverso la comune impresa Sacofin s.p.a., cui partecipavano in parti uguali, del 100 % delle azioni di Eridania s.p.a. (principale operatore nella produzione nazionale di zucchero con una quota del 46,13 %), messe in vendita dalla società controllante di diritto francese Beghin Say. Gli accordi tra le parti prevedevano, inoltre, che in una seconda fase si sarebbe proceduto alle seguenti operazioni: la costituzione di unimpresa comune, denominata Newco B), destinata alla liquidazione delle attività di Eridania non strettamente saccarifere; la suddivisione della Sacofin, entro un periodo massimo di 18-24 mesi, in favore di due ulteriori costituende societ à: Newco C, controllata dalla Seci/Sadam (poi costituita con il nome Sadam Zuccherifici SPA), e Newco D (poi Italia zuccheri s.p.a), partecipata pariteticamente da Coprob e Finbieticola. A conclusione di detto iter si sarebbero perciò realizzati due distinti effetti concentrativi, consistenti nellacquisto del controllo esclusivo di parte delle attività Eridania in testa a Seci/Sadam, e nellacquisto congiunto della parte restante in capo a Coprob e Finbieticola attraverso unimpresa comune, e pertanto due concentrazioni, ai sensi dellart. 5, comma 1, lettere b) e c), della legge n. 287/1990. LAutorità ha rilevato che la concentrazione così come concepita era potenzialmente idonea a determinare una posizione dominante collettiva in capo a Sadam e Coprob bieticola nel mercato italiano della produzione dello zucchero con il conseguimento di quote di mercato pari rispettivamente al 35% ed al 39% e la detenzione complessiva di un quota pari al 73,5% in un mercato che risulterà più concentrato; nonché a creare effetti restrittivi sul mercato a monte dellapprovvigionamento della materia prima per effetto dei legami verticali derivanti dalla presenza di Finbieticola, rispettivamente, nel capitale di alcune imprese del gruppo Sadam ed in Newco D (poi Italiazuccheri s.p.a.). Infine, in considerazione del fatto che gli zuccherifici e le associazioni dei bieticoltori svolgono anche attività di distribuzione del seme attraverso società controllate, loperazione in esame veniva considerata idonea ad aumentare la concentrazione nel mercato della distribuzione del seme della barbabietola e su quello della distribuzione del seme. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 219 LAutorità ha tuttavia reputato che detti effetti potessero essere elisi in caso di rispetto dei seguenti impegni alla stregua dei quali è stata resa unautorizzazione condizionata: a) procedere alla divisione delle attività saccarifere del Gruppo Eridania, con attribuzione delle stesse in via esclusiva a Newco C e Newco D, entro il 31 dicembre 2002, e comunque non oltre il 31 gennaio 2003; b) escludere qualsiasi tipo di influenza da parte di Finbieticola sulle attività dimpresa della Newco D e delle società saccarifere del gruppo Sadam nonché conferire in via esclusiva la commercializzazione dello zucchero prodotto dalla società Sadam Abruzzo e Sadam Castiglionese alla controllante Sadam-Ceci; c) assicurare incondizionata disponibilità a sottoscrivere il prossimo accordo interprofessionale (che avrà decorrenza dalla campagna 2004), prevedendo lintroduzione per le aree del Nord e del centro del prezzo bietole misto per società in luogo dellattuale prezzo bietole unico per area; d) dismettere o cessare le attività di commercializzazione del seme (ad esclusione delle attività che interessano direttamente i soci della cooperativa Coprob), confermando la dismissione della partecipazione nella società Aurora; e) mettere a disposizione di un trader concorrente ed indipendente dalle parti quantitativi di zucchero pari a 68.00 tonnellate al prezzo di 681,9 euro ton nel caso in cui le importazioni di zucchero in Italia dellanno precedente siano risultate inferiori a 350.000 ton, espresse in zucchero bianco. 6. Ora, la Sezione, premesso che le censure proposte devono ritenersi ammissibili nella misura in cui non impingono nel merito amministrativo ma sottopongono il provvedimento ad un controllo di legittimità anche sul piano delleccesso di potere, reputa che le misure correttive in parola, nel mentre si appalesano idonee, nella logica di un giudizio di prognosi postuma, a scongiurare i divisati effetti anticompetitivi sul piano dellintegrazione orizzontate e del connesso mercato della distribuzione del seme, non sortiscano il medesimo effetto per quel che riguarda il paventato rischio sotteso allintegrazione verticale tra produttori di zucchero e approvigionatori della materia prima bieticola. 6.1. In merito al profilo dellintegrazione orizzontale nel mercato della produzione dello zucchero, il Collegio osserva che le prescrizioni adottate dallautorità siano idonee, sulla base di un giudizio prognostico, a fronteggiare il rischio di condotte commerciali parallele tra Sadam e Coprob-Finbeticola. Le stesse prescrizioni sfuggono del pari alle censure mosse sul piano delladeguatezza dellistruttoria e della motivazione oltre che dei principi in materia di giusto procedimento. A sostegno dellassunto depone in primo luogo la considerazione che la riduzione a poco più di sei mesi (da computarsi delladozione del provvedimento) del periodo di gestione comune delle attività saccarifere del gruppo Eridania è tale la ridurre in modo significativo la possibilità dello sviluppo di una collaborazione commerciale ed industriale tale da dare la stura a strategie di mercato capaci di valicare il momento della divisione delle attivit à. Trattasi, peraltro, di periodo non ulteriormente assottigliabile in considerazione dei tempi tecnici evidentemente necessari al fine di espletare procedure complesse sul piano societario e finanziario. Si deve poi aggiungere, in punto di fatto, che la suddetta prescrizione è stata adempiuta con le delibere assunte dalle società interessate il 22 novembre 2002, le quali, con effetto dal 1° gennaio 2003, ossa in anticipo di un mese rispetto alla scadenza assegnata, hanno sancito la suddivisione delle attività di Eridania (a seguito della fusione per incorporazione di Eridania ed ISI in Sacofin) tra la Newco C (ora Sadam 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Zuccherifici SPA), controllata da Seci/Sadam e la Newco D (ora Italia Zuccheri S.P.A.) partecipata pariteticamente da Coprob e Finbieticola. Non è poi senza significato, anche ai fini dellanalisi del rischio di integrazione orizzontale anticoncorrenziale, che sia stata effettuata, con contratto in atti datato 15 novembre 2004, la cessione, da parte di Finbieticola in favore di Eridania SNAM, delle partecipazioni azionarie in Sadam Abruzzo e Sadam Castiglionese. Detta cessione, che va al di là delle prescrizioni imposte con la statuizione dellAutorità, elimina in radice ogni connessione societaria tra la Finbieticola e Sadam e, quindi, ogni cointeressenza tra Seci Sadam e Italia Zuccheri di cui Finbieticola è socia al 50%. Non risulta poi significativa la compartecipazione delle due società in Newco B, trattandosi di società destinata alla liquidazione delle attività non saccarifere di Eridania, come tale non idonea a dare adito ad alcuna comunanza significativa di interessi nei mercati attinti dalloperazione. Al medesimo fine di mantenere un sufficiente livello concorrenziale della produzione dello zucchero ed evitare ladozione, da parte di Sadam e Coprob-Finbieticola, di parallele politiche di prezzo, lAutorità ha subordinato la propria autorizzazione allulteriore condizione sub e) del provvedimento impugnato in prime cure. Detta condizione è volta a fissare, dal punto di vista economico, un livello soglia delle prestazioni che possa assicurare la permeabilità del mercato, ossia un livello di importazioni in grado di esercitare una pressione sui prezzi interni dello zucchero in Italia. E tanto sulla ragionevole premessa che le importazioni dai Balcani registratesi nel 2001 hanno effettivamente prodotto un forte impatto concorrenziale sul mercato nazionale con effetti sui prezzi di cessione e sui volumi di vendita (par. 111 del provvedimento); e che la relativa flessione porrebbe lesigenza di una misura compensativa, al fine di produrre analogo effetto calmierante, nella specie ravvisata nella messa a disposizione di un trader indipendente di un consistente quantitativo di zucchero a prezzi inferiori al mercato nazionale (par. 118 de provvedimento). Ladeguatezza di detta misura non è scalfita dallapodittica asserzione svolta dalla parte appellante circa la difficoltà di reperimento di un trader dotato delle necessarie caratteristiche di indipendenza e competenza. Il notevole divario tra prezzo di vendita stabilito e prezzo di intervento da un alto, e prezzo di vendita negli altri paesi europei dallaltro, non consente poi di reputare fondato lassunto secondo cui il prezzo di vendita imposto impedirebbe al trader medesimo la realizzazione di un congruo margine di profitto. Afferisce poi al merito non sindacabile dellazione amministrativa la contestazione della misura quantitativa della soglia di importazioni; così come è evidente che la plausibile non necessità del ricorso alla misura in ragione del persistere di flussi elevati di importazione non dimostrerebbe la illegittimità della misura ma solo, su di un ben diverso piano, la non necessità del ricorso allo strumento compensativo in relazione alle dinamiche procompetitive innescate da detti livelli di circolazione. Non si appalesa infine convincente il riferimento comparativo svolto in modo insistito dalla parte appellante al caso Suedzucker (Commissione, 20 dicembre 2001, COMP/M.2530). La diversità della misura comportamentale imposta nella specie si spiega con la circostanza che essa rispondeva alla necessità di scongiurare il rafforzamento della posizione dominate di unimpresa che, nei mercati dello zucchero industriale e domestico della Germania meridionale, deteneva, prima delloperazione scrutinata,quote rispettivamente pari al 75-85% ed all80-90%. In sostanza, la diversità del contesto di mercato, la diversa posizione in esso assunta dallimpresa acquirente e, soprattutto, la pluralità delle altre misure compensative nella vicenda sottoposta allAutorità nazionale, rende ragione IL CONTENZIOSO NAZIONALE 221 della diversità quantitativa tra le 90.000 ton di cui al precedente comunitario e le 68.000 ton che riguardano la presente fattispecie. 6.2. In ordine al pericolo di ripercussioni sul mercato della distribuzione del seme di barbabietola, il Collegio non ravvisa profili di irragionevolezza nella valutazione compiuta dallAutorità secondo cui limpegno di Coprob e Sadam, a dimettere o cessare le attività di commercializzazione del seme di bietola e la conferma del programma (poi portato a compimento, come da documentazione in atti, il 26 gennaio 2004) di dismissione della partecipazione in Aurora scongiurerebbero i rischi sottesi alla rilevata circostanza che le imprese saccarifere e le associazioni bieticole abbiano nel tempo sviluppato interessi diretti nel mercato della distribuzione del seme. 7. Il Collegio osserva che le misure correttive imposte non sono invece proporzionate allesigenza di scongiurare i divisati effetti anticompetitivi sul piano dellintegrazione verticale tra produttori di zucchero e approvvigionatori della materia prima bieticola. Segnatamente, la Sezione reputa fondata la censura con cui parte appellante denuncia, sul piano delleccesso di potere per illogicità e per difetto di motivazione, lo iato tra la parte del provvedimento nella quale si sottolinea la gravità dei rischi anticompetitivi derivate dallintegrazione verticale insita nellingresso di Finbieticola (società i cui soci sono rappresentati dalle principali associazioni bieticole operanti in Italia nel capitale sociale di Italia Zuccheri s.p.a., nella qualità di socio al 50%), e la successiva parte nella quale si considera alluopo idonea la misura correttiva data dallimpegno di Finbieticola a non esercitare uninfluenza nelle scelte societaria della suddetta società. 7.1. Giova ricordare che, ai paragrafi 94 e seguenti del provvedimento impugnato in prime cure, lAutorità aveva nei seguenti termini messo in luce i rischi collegati al ruolo di Finbieticola nelloperazione. In aggiunta alla sopra descritta modifica strutturale del mercato dello zucchero, loperazione determina altresì unintegrazione verticale con il mercato dellapprovvigionamento di barbabietole, derivante dalla partecipazione di Finbieticola, espressione delle associazioni di bieticoltori. Tale integrazione verticale, unitamente alle partecipazioni di minoranza detenute da Finbietiola in alcune imprese del gruppo Sadam, che permarranno anche seguito delloperazione, rafforza il legame verticale tra la parte agricola e gli zuccherifici in quanto ANB e le altre associazioni rappresentate in Finbieticola appaiono in grado di condizionare ed orientare i flussi di approvvigionamento della materia prima in termini sia quantitativi che qualitativi, in modo tale da poter favorire, in un primo tempo direttamente e poi indirettamente, le due imprese risultanti dalla concentrazione rispetto agli altri produttori nazionali di zucchero. Nei successivi paragrafi 95 e seguenti lAutorità rimarcava come segue gli elementi fattuali idonei a sostanziare detto pericolo : In primo luogo, la recente contrazione della superficie coltivata in Italia che si è registrata nel 2001 potrebbe realisticamente rappresentare il trend del prossimo futuro, in considerazione del ridimensionamento degli aiuti comunitari alla produzione che hanno ridotto il prezzo di vendita delle barbabietole negli ultimi anni e dunque la convenienza a coltivare in Italia. Tale rischio pare più elevato laddove si riscontra la presenza dei cd. bieticoltori promiscui , ossia di agricoltori che sottoscrivono dei contratti di coltivazione con più di uno sugherificio (la cd. multicontrattualità). Tale fenomeno è presente essenzialmente in quelle aree bieticole (Nord Italia) in cui si ha una alta densità di impianti di trasformazione appartenenti più imprese saccarifere. La multicontrattualità si traduce infatti in un vantaggio per il bieticoltore, il quale può confron- 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tare, di volta in volta, le offerte di acquisto prospettate di vari zuccherifici e conferire il suo prodotto dove riscontri una maggiore convenienza: fermo restando che la natura di tali vantaggi non riguarda il prezzo, già definito in sede di accordo interprofessionale, ma altri parametri,quali, ad esempio, il momento della consegna delle bietole. Infine, si deve rilevare lesistenza di uno specifico interesse di Finbieticola e delle associazioni ad essa aderenti, a orientare i flussi di approvvigionamento delle bietole. Infatti, a seguito delloperazione in esame Finbieticola acquisirà una partecipazione del 50% del capitale della costituta società Newcod (poi divenuta Italiazuccheri s.p.a.) che va ad aggiungersi alle partecipazioni di minoranza che permarranno anche seguito delloperazione. Tali partecipazioni, determinando una fisiologica condivisione di interessi tra la parte agricola e gli zuccherifici partecipati, appaiono idonee ad incentivare il dirottamento della materia prima da parte di Finbieticola al fine di favorire le imprese risultanti dalla concentrazione rispetto agli altri produttori nazionali dello zucchero. In sostanza lAutorità ha posto a sostegno della sua valutazione del rischio di integrazione verticale i seguenti elementi: a) rarefazione della coltivazione di bietole e inidoneità delle superfici coltivate a soddisfare le esigenze delle imprese produttrici; b) dinamiche comportamentali dei produttori promiscui, portati a scegliere lacquirente in forza di intuibili logiche di convenienza; c) sviluppo di una fisiologica condivisione di interessi tra la parte agricola e gli zuccherifici partecipati, tale da incentivare il dirottamento della materia prima da parte di Finbieticola alle imprese interesse dalla concentrazione. Si deve poi aggiungere che la rarefazione della produzione nazionale non si appalesa compensata dal flusso delle importazioni, reputato dalla stessa autorità non stabile in prospettiva futura. 7.2. Ebbene, mentre il rischio dellintegrazione verticale tra Finbieticola e Sadam è stato nei fatti fugato dalla ricordata cessione delle partecipazioni azionarie relative, le misure imposte dallAutorità non si appalesano invece idonee, secondo una verifica di proporzionalit à e congruenza propria del giudizio amministrativo di legittimità, a scongiurare il rischio di integrazione verticale sotteso alla partecipazione paritetica di Finbieticola ad Italiazuccheri s.p.a. Si deve osservare al riguardo che lAutorità ha avvertito la necessità di una misura finalizzata ad assicurare che Finbieticola non influenzi la gestione commerciale delle società saccarifere partecipate e della correlata insufficienza delle misure comportamentali concernenti la fissazione del prezzo delle bietole in occasione dei futuri accordi interprofessionali e la ricordata vendita ad un trader indipendente di determinati quantitativi di zucchero in caso di contrazione del livello delle importazioni (par. 117). Ha a tal fine ha reputato tuttavia sufficiente che, a conferma delle scritture private a suo tempo stipulate e prodotte, Finbieticola si astenga da qualsiasi tipo di influenza ai sensi della normativa antitrust sull attività di impresa di Newcod (poi Italiazuccheri). 7.3. Ebbene, già sul piano motivazionale, il provvedimento impugnato non si sforza di specificare le considerazioni alla stregua delle quali una mera dichiarazione di intenti delle parti possa confortare una prognosi positiva in merito allastensione di Finbieticola dal condizionamento delle politiche commerciali della società costituenda. E tanto specie se si considera, da un lato, la serietà dei rischi di integrazione verticale anticompetitiva innescati dalla progressiva riduzione delle aree coltivate a bietola e dagli orientamenti operativi IL CONTENZIOSO NAZIONALE 223 dei coltivatori promiscui; e dallaltro, la posizione strutturalmente decisiva assunta da Finbieticola nella nuova società nella qualità di socio al 50%, posizione che rende a tutta prima implausibile unastensione dal condizionamento della politica commerciale della società medesima anche ai fini della remunerazione dellinvestimento effettuato al momento della sottoscrizione delle quote societarie. Sul versante sostanziale, poi, non sono convincenti le argomentazioni svolte dalle parti appellate interessate in merito alla linea di sostanziale continuità di tale assetto rispetto alla situazione precedente nella quale Finbieticola era già socia di società del gruppo Eridania; nonché al carattere istituzionale della partecipazione alla società Italiazuccheri, tale da eliminare in radice il rischio di condizionamento delle politiche commerciali di detto nuovo soggetto. In ordine al primo aspetto, è sufficiente rimarcare la differenza sostanziale della partecipazione attuale pari al 50% rispetto alle precedenti quote azionarie detenute in ISI nonch é nelle società del gruppo Sadam. Segnatamente, la detenzione del 33% di ISI non era tale da comportare il rischio di un ruolo gestionale primario quale quello potenzialmente sotteso alla partecipazione al capitale azionario di Italiazuccheri nella misura del 50%. Quanto al suddetto significato istituzionale della partecipazione azionaria legata al fine di salvaguardare i bacini bieticoli nel quadro dei più complessivi obiettivi della politica agricola comune, si deve osservare che lassunto della astensione dallinterferenza dal condizionamento delle politiche commerciali, da un lato, è difficilmente armonizzabile con la naturale tensione di un socio strategico allesercizio delle sue prerogative al fine del condizionamento delle scelte commerciali nellottica della remunerazione massima del capitale; dallaltro lato, che le stesse dichiarazioni rese dallANB successivamente alloperazione, come riportate al par. 89 della relazione di fine istruttoria, evidenziano con nettezza la modificazione strutturale del ruolo che sarà svolto dalle associazioni bieticole nel mercato della produzione e commercializzazione dello zucchero. Si cita a titolo esemplificativo il comunicato stampa ANB del 17 aprile 2002. Sul piano sindacale, il mondo bieticolo, tramite Finbieticola, entra così da protagonista nella maggiore società saccarifera del paese Spetta ora ai dirigenti delle associazioni (di fatto i reali attori della vicenda, di cui Finbieticola rappresenta solo laspetto unitario) fornire un contributo di uomini e di idee al rilancio dellEridania, che già oggi esige una ristrutturazione finalizzata a migliorare gli equilibri di bilancio. Una difficile sfida che impegnerà i partner a lavorare di comune accordo, non solo nella salvaguardi di risultati di impresa, ma anche nella tutela degli interessi generali del mondo agricolo, seguendo indirizzi di ristrutturazione complessiva della filiera che dovranno al più presto essere tracciati di comune accordo tra le categorie produttive ed il Governo. Detti elementi evidenziano con nettezza che la finalità della partecipazione societaria è al tempo stesso imprenditoriale ed istituzionale; con leffetto di indurre una modificazione del ruolo delle associazioni di bieticoltori socie di Finbieticola nei rapporti con gli zuccherifici nei quali avranno una fisiologica condivisione di interessi con il correlato rischio di dirottamento dei flussi di approvvigionamento. Ne deriva linsufficienza della predetta misura comportamentale, se non accompagnata da altre misure integrative, anche se del caso di carattere strutturale, al fine di scongiurare in modo proporzionale e plausibile detto rischio anticompetitivo. Si consideri al riguardo (par. 80 delle risultanze di fine istruttoria), a riprova del suddetto rischio di condizionamento e orientamento della materia prima in termini sia quantitativi che qualitativi, che le associazioni dei bieticoltori svolgono una funzione di primo 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO piano nella conclusione e gestione dei contratti di coltivazione tra bieticoltori e zuccherifici. Le associazioni, infatti, raccolgono le domande di coltivazione degli agricoltori per presentarle alle industrie e controllano la correttezza delle operazioni di assegnazione del saccarosio. Esse partecipano poi ai controlli alla produzione conferita allo zuccherificio, alla definizione dei controlli di produzione conferita allo zuccherificio, alla definizione dei criteri di campionatura e di analisi del prodotto, partecipando direttamente alle operazioni di pesa del carico, scarico e campionamento, lavorazione in laboratorio, analisi polarimetria. Ancora, la scelta dellassociazione da parte dei bieticoltori appare condizionata da alcuni fattori, fra i quali il rapporto con gli zuccherifici. A questo riguardo si osserva che i bieticoltori sono obbligati ad indicare il nome dellassociazione già dal momento in cui sottoscrivono lofferta di coltivazione allindustria saccarifera. Il passaggio da unassociazione allaltra è inoltre ostacolato da previsioni statutarie che di regola impediscono la revoca prima di alcuni anni (par. 81). Non risultano infine decisive, al fine di fugare il paventato rischio, le misure societarie adottate (patti sociali e modifiche statutarie); così come non si appalesano risolutivi i dati relativi alle campagne saccarifere successive alloperazione. Quanto al primo punto le modifiche statutarie (vedi nota 20 dicembre 2004, n. 33697/04 del segretario generale dellautorità), pur ridimensionando il ruolo di Finbieticola, non ne eliminano il ruolo decisivo con riferimento alle delibere fondamentali che, determinando le politiche e la strategia della società, appaiono decisive al fine di verificare il rischio di integrazione verticale anticoncorrenziale di cui si è detto; parimenti i dati relativi alle campagne successive riguardano un periodo troppo limitato al fine di evidenziare dati significativi sulla idoneità della misura. 8. In definitiva il ricorso in appello merita accoglimento, con conseguente annullamento del provvedimento gravato in prime cure, limitatamente al profilo dellinsufficienza delle misure comportamentali al fine di scongiurare uningerenza di Finbietcola nella gestione di Italiazuccheri e di evitare il rischio di integrazione verticale anticompetitiva. In applicazione dellarticolo 26 della legge n. 1034/1971 resta salvo il potere dellamministrazione di adottare nuove misure compensative in sede di riesercizio del potere di cui allarticolo 6 della legge n. 287/1990, anche con la revisione collegata di quelle che hanno superato il vaglio del controllo giurisdizionale. Resta intesa la non valutabilità a fini sanzionatori della condotta tenuta dalle parti delle operazioni fino allimposizione delle nuove misure, in quanto poste in essere in buona fede in esecuzione delle esecutive prescrizioni impartite dallautorità. Sussistono infine giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso nei sensi in motivazione specificati. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dallAutorità amministrativa. Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2005 (omissis)». IL CONTENZIOSO NAZIONALE 225 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Dossier Competenza territoriale del giudice amministrativo in materia di risarcimento del danno e recenti sviluppi in tema di giurisdizione. (Consiglio di Stato, decisione del 28 ottobre-20 dicembre 2005 n. 7197; Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 23 gennaio 2006 n. 1207; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 9 febbraio 2006 n. 2). Con la prima delle decisioni in esame resa su ricorso per regolamento preventivo di competenza nellambito di un giudizio che vede contrapposti il Ministero della Difesa ad un appartenente allArma dei Carabinieri il Consiglio di Stato ha statuito in ordine alla competenza territoriale sul giudizio risarcitorio azionato in un momento successivo allannullamento definitivo del provvedimento illegittimo. La pronuncia pertanto, oltre ad essere esaminata sotto lo specifico angolo di visuale della competenza territoriale, si presta quale utile spunto per una generale ricognizione dello stato dellarte della giurisdizione amministrativa in materia risarcitoria, in particolare con riferimento alla questione del riparto di giurisdizione recentemente affrontata da due pronunce di carattere opposto, luna della Cassazione, laltra dellAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato. È noto come la legge n. 205/2000 ha modificato lart. 35 comma 4 del D.Lgs. 80 del 1998, a sua volta modificativo dellart. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, stabilendo che il tribunale amministrativo regionale, nell ambito della sua giurisdizione conosce anche di tutte le questioni relative alleventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e gli altri diritti patrimoniali consequenziali. Con la riscrittura dellart. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il legislatore, in unottica di concentrazione della tutela giurisdizionale del cittadino avverso i provvedimenti della Pubblica Amministrazione, ha inteso estendere alle ipotesi di giurisdizione di legittimità la possibilità per il giudice amministrativo di concedere il risarcimento del danno, a fronte della precedente normativa che la prevedeva nelle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva. Lintero impianto risarcitorio come strutturato dalla legge n. 205/00 e la correlativa completezza ed efficacia della giurisdizione amministrativa risultanti dalla modifica legislativa, non sono stati direttamente interessati dalla nota pronuncia della Corte costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004, in quanto la questione specifica non era stata sollevata dai giudici remittenti. La Corte ha tuttavia incidentalmente precisato che il risarcimento del danno ingiusto, lungi dal costituire una nuova materia attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo, rappresenta invero uno strumento di tutela ulteriore che va ad aggiungersi a quello classico demolitorio (nonché a IL CONTENZIOSO NAZIONALE 227 quello ripristinatorio), con la precipua funzione di rendere completa giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Afronte delle chiare affermazioni di principio di cui allart. 7 della legge TAR, la carenza di norme di carattere prettamente processuale in materia di risarcimento del danno se si eccettuano i commi 2 e 3 dellart. 35 del D.Lgs. 80/1998, relativi rispettivamente ai mezzi istruttori ed alla quantificazione in materia di risarcimento del danno ha comportato non poche incertezze in ordine allindividuazione del rito da seguire nellambito del giudizio risarcitorio, ed in particolare, per quello che qui interessa, in materia di competenza territoriale. A fronte, infatti, di un articolato sistema di norme che regola minuziosamente il giudizio impugnatorio artt. 2 e 3 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 nulla la legge stabilisce per quello risarcitorio. La tematica ha di recente formato oggetto di unordinanza di remissione della sesta Sezione del Consiglio di Stato (la n. 137 del 19 gennaio 2004) allAdunanza Plenaria, che, con decisione n. 10 del 18 ottobre 2004, si è pronunciata sulla questione. In via preliminare, deve distinguersi, per un corretto inquadramento della problematica, tra la domanda risarcitoria proposta nel corso dello stesso giudizio impugnatorio, e la domanda avanzata in via autonoma, ovvero separatamente, una volta ottenuto il definitivo annullamento del provvedimento amministrativo . Nella prima evenienza, risulta pacifico che il giudizio volto ad ottenere il risarcimento venga attratto dalla competenza del giudizio di annullamento del provvedimento amministrativo, per evidenti ragioni di ordine logico, oltre che di economia processuale. Per quanto invece concerne la richiesta di ristoro del danno in un separato giudizio successivo allannullamento del provvedimento amministrativo, che costituisce la fattispecie oggetto della pronuncia del Coniglio di Stato annotata, sono due gli orientamenti emersi nella giurisprudenza amministrativa ai fini della individuazione della competenza territoriale (peraltro successivamente composti dallAdunanza Plenaria). Secondo un primo indirizzo, condiviso in giurisprudenza dalla sentenza del Consiglio di Stato, quarta sezione, n. 400 del 1° febbraio 2001, deve aversi riguardo ai criteri sostanziali individuati in merito dal codice di procedura civile. Secondo unaltra opzione ricostruttiva, devono trovare applicazione, in mancanza di norme espresse, le disposizioni di cui agli artt. 2 e 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. La questione, come si diceva, è stata portata dinanzi allAdunanza Plenaria, con lOrdinanza di remissione della sezione sesta del Consiglio di Stato, n. 137. Nel ripercorrere i due orientamenti esegetici, i Giudici della sesta sezione precisano che, qualora si seguissero i criteri delineati dal c.p.c., dovrebbero trovare applicazione gli artt. 19 e 20 del c.p.c.. Ai sensi dellart. 19, il giudizio si propone dinnanzi al giudice del luogo in cui ha sede lente giuridico convenuto in giudizio, mentre ai sensi dellart. 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 20, che disciplina la competenza per le cause relative a diritti di obbligazione, è anche competente il giudice del luogo in cui lobbligazione è sorta ovvero deve eseguirsi. I giudici della sesta sezione, puntualizzano tuttavia che il richiamo alle norme sopra citate costituisce una extrema ratio alla quale deve farsi ricorso solo in assenza di una soluzione ricavabile dalle norme sul processo amministrativo, ponendo altresì in evidenza come lapplicazione delle norme del codice di procedura civile comporti in realtà il rischio concreto di fenomeni di forum shopping, stante lalternatività delle molteplici soluzioni previste nei sopramenzionati articoli. In definitiva, nella ordinanza di remissione, i Giudici mostrano di prediligere lopzione interpretativa che individua la competenza territoriale facendo riferimento alle norme contenute nella legge T.A.R. Secondo tale indirizzo, che ad oggi è confermato dallavallo dellAdunanza Plenaria, reso con la decisione n. 10 del 2004, tra giudizio impugnatorio e risarcitorio si verificherebbe una attrazione per connessione, ravvisabile non solo laddove le questioni di illegittimità dellatto e della responsabilità per i danni arrecati siano proposte in un unico giudizio, ma anche nelleventualità di due separati procedimenti, giacché lart. 7 novellato della legge 6 dicembre 1971 non prevede una necessaria contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale. In altri termini, il legame tra lillegittimità del provvedimento e la correlativa responsabilità dellEnte, non subisce alcun affievolimento in presenza di due autonomi giudizi. Pertanto, nella ricostruzione ad oggi dominante in giurisprudenza, il giudice legittimato a conoscere delle domande risarcitorie, in applicazione delle norme sul processo amministrativo, è il medesimo al quale spetta di conoscere i profili di illegittimità del provvedimento. La decisione del Consiglio di Stato n. 7197 del 28 ottobre 2005 si conforma pienamente a quanto statuito dallAdunanza Plenaria. Nella vicenda processuale allorigine della pronuncia in oggetto, il Carabiniere A.T. proponeva ricorso al T.A.R. del Lazio avanzando una pretesa risarcitoria, articolata nelle voci di danno morale ed esistenziale, relativa al congedo illimitato disposto a carico dellinteressato con provvedimenti adottati dal Comando Generale dellArma dei Carabinieri e dal Comando Regionale Carabinieri Veneto. In precedenza, i provvedimenti in questione erano stati impugnati dinnanzi al T.A.R. Venezia che li aveva annullati, con decisione poi confermata dal Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 4218 del 31 luglio 2000), a cui era seguito il reintegro in servizio del dipendente. Nel proporre istanza per regolamento preventivo di competenza nellambito del giudizio risarcitorio, lAmministrazione convenuta rilevava come in un primo tempo il Carabiniere, in servizio presso il Comando della Regione Carabinieri Veneto e residente in Friuli Venezia Giulia, per ottenere lannullamento del provvedimento di congedo, avesse correttamente adito il T.A.R. Venezia in osservanza del dettato dellart. 3 comma II della legge 1034/71 che delinea i criteri del Foro dei pubblici dipendenti, e della efficacia limitata territorialmente; trattatavasi, infatti, di un provvedimento destinato ad esplicare i suoi effetti nella circoscrizione del T.A.R. Venezia, relativo ad un dipendente in servizio entro lambito territoriale della circoscrizione del medesimo T.A.R., pertanto rientrante senza dubbio nella competenza di questultimo. In un secondo tempo, tuttavia, il ricorrente agiva per la soddisfazione delle pretese risarcitorie, in rapporto di consequenzialità rispetto allannullamento dei provvedimenti amministrativi, non più dinanzi al T.A.R. Venezia, bensì al T.A.R. Lazio, peraltro non adducendo alcuna argomentazione in favore della scelta di tale foro. Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi nei limiti di quanto esposto, con la decisione de qua, statuisce, accogliendo la prospettiva assunta dal Ministero della Difesa, che competente a conoscere del ristoro per equivalente è il medesimo giudice che ha titolo a conoscere della legittimità dellatto allorigine della pretesa, id est, nel caso specifico, il T.A.R. Venezia. Invero, nel caso concreto, in alcun modo era possibile delineare una competenza territoriale del T.A.R. Lazio, sia in virtù delle norme del processo amministrativo, sia in applicazione dei criteri indicati dal codice di procedura civile. Alla domanda risarcitoria consegue infatti un giudizio di cognizione che ha ad oggetto un diritto soggettivo ad ottenere ristoro del danno cagionato da un atto amministrativo, di modo che non vengono in considerazione né atti emessi da organi centrali dello Stato o di enti pubblici a carattere ultraregionale, la cui efficacia è limitata territorialmente alla circoscrizione del tribunale amministrativo regionale, né tantomeno atti statali per i quali negli altri casi sussisterebbe la competenza del T.A.R. Lazio. Daltro canto, anche nelleventualità in cui si fosse configurata lapplicazione delle norme del codice di procedura civile, una corretta interpretazione delle disposizioni di riferimento avrebbe escluso che potesse essere il T.A.R. Lazio competente a ius dicere nel giudizio de quo. Trattandosi di un processo in cui era parte unamministrazione, ai sensi dellart. 25 del c.p.c, disciplinante per lappunto il Foro della Pubblica Amministrazione, nelle controversie in cui questa è convenuta, il giudice competente è quello del luogo in cui ha sede lufficio dellAvvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi lobbligazione. In ossequio alla norma richiamata, applicando la fattispecie generale al caso particolare che ne occupa, la competenza sarebbe in ogni caso spettata al T.A.R. Venezia, in ragione del fatto che lobbligazione in questione sarebbe sorta in Veneto, in quanto latto di congedo, poi annullato, aveva esplicato i suoi effetti con riferimento ad un dipendente in servizio in quella regione. Qualora, poi, si fosse dato rilievo non al luogo in cui era sorta lobbligazione, bensì a quello in cui essa doveva eseguirsi, parimenti la scelta del ricorrente di adire il T.A.R. Lazio sarebbe risultata incompatibile con le norme dettate dal codice di procedura civile. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 229 In proposito si rileva infatti come, in caso di responsabilità per fatto illecito della Pubblica Amministrazione, lart. 25 c.p.c. indichi quale foro competente in alternativa al forum commissi delicti il forum destinatae solutionis. La Corte di Cassazione, sez. terza, n. 5270 del 9 aprile 2001 ha poi, a sua volta, riempito di concreto significato la previsione in parola, identificando il locus destinatae solutionis nel luogo in cui ha sede lufficio di Tesoreria tenuto ad eseguire il pagamento, che, in base alle norme di contabilità pubblica, è quello della provincia in cui il creditore ha il proprio domicilio. In accoglimento del criterio enunciato, pertanto, la competenza sarebbe spettata, in alternativa al T.A.R. Venezia, al T.A.R. del luogo in cui il creditore risiedeva al momento del pagamento, nella specie il T.A.R. Friuli Venezia Giulia. Il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso per regolamento preventivo di competenza, afferma che la pretesa risarcitoria, anche quando azionata in un separato giudizio, rappresenta un ulteriore completamento incidente a livello patrimoniale della tutela apprestata alla posizione giuridica soggettiva dellinteressato. In sostanza, i giudici di Palazzo Spada ravvisano un intimo legame tra la tutela di tipo impugnatorio e la tutela risarcitoria, vale a dire tra illegittimità dellatto e conseguente responsabilità dellEnte che lo ha posto in essere. Le conclusioni raggiunte dal Consiglio di Stato nella presente pronuncia, in sintonia con i più recenti indirizzi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, mirano dunque ancora una volta ad evidenziare come la concentrazione dei giudizi dinanzi ad un unico giudice, in unottica di tutela del cittadino a fronte di un provvedimento già dichiarato illegittimo, risponda allo spirito che informa la novella del 2000, ed in particolare ad esigenze di coerenza ed economicità processuale, in forza delle quali il giudice che ha conosciuto della legittimità dellatto è ritenuto il più idoneo ad individuarne le conseguenze sul piano patrimoniale nella sfera giuridica dellinteressato. Tale idoneità, in definitiva, emerge con chiarezza ove si consideri che latto dalla cui illegittimità deriva la domanda di riparazione monetaria, si pone quale momento essenziale, in uno con la valutazione degli effetti dello stesso, in ordine alla individuazione delleventuale pregiudizio di carattere economico asseritamente derivato allinteressato. Quanto esposto nella breve panoramica sulla questione della competenza territoriale in materia di ristoro del danno, tuttavia, è oggi messo in dubbio nel suo stesso presupposto (la spettanza certa, cioè, della cognizione su domande risarcitorie del genere al giudice amministrativo) da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 1207 del 23 gennaio 2006, che ha affrontato il problema della giurisdizione sul giudizio risarcitorio avviato in via autonoma a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento di un procedimento espropriativo per pubblica utilità, giungendo a conclusioni opposte rispetto a quelle di lì a poco espresse da una decisione dellAdunanza Plenaria, la n. 2 del 9 febbraio 2006, concernente una fattispecie del tutto analoga. 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Se, infatti, il Consiglio di Stato ha affermato che, in presenza di unazione risarcitoria intentata autonomamente, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, dallaltro le Sezioni Unite della Cassazione hanno negato la sussistenza di una connessione legale tra giudizio impugnatorio e risarcitorio, riconducendo nellambito della giurisdizione del Giudice ordinario lazione per il ristoro del danno avviata separatamente. Lindirizzo interpretativo inaugurato dalla pronuncia a Sezioni Unite, presenta caratteri di assoluta novità, sol che si consideri come la stessa Cassazione in una controversia avente ad oggetto una richiesta di condanna al risarcimento dei danni relativa a provvedimenti amministrativi annullati in via definitiva dal Consiglio di Stato proposta dinanzi al Tribunale civile aveva recentemente statuito, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, che fosse competente a ricevere la domanda il giudice amministrativo (Ordinanza della Cassazione Civile, sez. Unite, 24 febbraio 2005, n. 3822; per la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie risarcitorie, cfr. anche Cass. Civ. Sez. Unite, ordinanza n. 6745 del 2005). Si tratta ovviamente di una tematica che per ampiezza e complessità necessiterebbe di autonoma trattazione. Siano consentite, tuttavia, alcune osservazioni. La motivazione resa dai giudici dellAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato, si manifesta esauriente nella parte motiva e coerente con i precedenti orientamenti assunti in precedenza dal giudice amministrativo. Il Collegio ritiene, in definitiva, che la proposizione della domanda consequenziale in un momento successivo, non giustifica una diversa competenza giurisdizionale, rilevando in primo luogo come dalle norme di riferimento (art. 7 novellato della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, né lart. 34, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80) non risulti una prescrizione di contestualità tra il giudizio demolitorio e quello risarcitorio; in secondo luogo, come sia inaccettabile lasciare al ricorrente, attraverso la presentazione contestuale o separata delle domande, la scelta sul giudice da adire. Una conclusione diversa, affermano infine i membri del Collegio, risulterebbe in contraddizione con le ragioni di concentrazione e tutela piena dinanzi allAutorità giudiziaria amministrativa prefigurate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004. A supporto del percorso argomentativo, i membri del Collegio, riportandosi ad altra decisione della stessa Adunanza Plenaria (18 ottobre 2004, n. 10) precisano ancora una volta che il nesso intercorrente fra illegittimità dell atto e responsabilità dellautorità amministrativa che lo ha emanato, non è di minore intensità nellipotesi in cui siano proposti due separati giudizi. Per quanto concerne invece la sentenza della Corte di Cassazione, non può non rilevarsi come la motivazione della pronuncia, articolata in una serie di considerato, non fornisca un solido impianto argomentativo alle importanti ed innovative conclusioni raggiunte, limitandosi sostanzialmente ad affermare che qualora non venga in considerazione il legittimo esercizio dell attività amministrativa, la giurisdizione sullazione risarcitoria spetta al Giudice ordinario. I giudici delle sezioni Unite, in altri termini, ritengono IL CONTENZIOSO NAZIONALE 231 che, salva lesclusione della giurisidizione del giudice ordinario sullazione risarcitoria relativa ad un atto non tempestivamente impugnato, negli altri casi quali annullamento o revoca da parte dellamministrazione stessa in sede di autotutela, annullamento giudiziale definitivo, ovvero esaurimento degli effetti per decorso del termine assegnato dalla legge lazione per il ristoro del danno rientri nella giurisidizione generale del g.o. Altro passo rilevante della sentenza, seppur non analiticamente motivato ed invero non scevro di elementi di contraddittorietà con quanto sostenuto dalla Corte in punto di giurisdizione, è quello in cui si afferma che la connessione tra giudizio demolitorio e giudizio per la riparazione del danno rimane comunque subordinata alliniziativa del ricorrente, il quale è libero di proporre entrambe le azioni in un unico contesto, vale a dire dinnanzi al giudice amministrativo, attraverso il ricorso allo strumento del giudizio di ottemperanza successivamente allannullamento dellatto. Il richiamo al ricorso per lesecuzione del giudicato, tuttavia, anziché essere risolutivo, appare invece foriero di problematiche ulteriori. Difatti, nellassetto proposto dai giudici della Suprema Corte, allinteressato si aprono due distinti percorsi processuali: una volta ottenuto dal giudice amministrativo lannullamento del provvedimento illegittimo, potrebbe ricorrere allo strumento del giudizio di ottemperanza per ottenere il risarcimento del danno; in alternativa, potrebbe, a seguito dellannullamento del provvedimento, rivolgersi per il ristoro del danno al giudice ordinario. Il rischio concreto insito nella ricostruzione della Corte, consiste nel rimettere alla parte la scelta di attuare o meno, verosimilmente in base agli interessi e valutazioni particolari della stessa, la concentrazione dei giudizi demolitorio e risarcitorio in capo al giudice amministrativo. In sostanza, quel rischio di forum shopping che lAdunanza plenaria n. 10/04 paventava a livello di individuazione del giudice competente (nel presupposto che quanto meno lappartenenza della giurisdizione ai T.A.R. fosse certa), rischia ora di riprodursi a più alto livello nella scelta fra giudice civile ed amministrativo. Desta altresì non poche perplessità il fatto che la Corte di Cassazione si limiti ad ammettere tout court lammissibilità di una domanda risarcitoria in sede di ottemperanza, senza fornire alcun supporto motivazionale a riguardo. La proponibilità di una domanda risarcitoria con ricorso per ottemperanza, non trova infatti espliciti riferimenti normativi, né la giurisprudenza appare in merito uniforme (cfr., per la soluzione negativa, Cons.di Stato, sez. IV, 1° febbraio 2001, n. 396, nonché Cons. di Stato, sez. IV, 20 luglio 2003, n. 4352; contra, Cons. di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290). In via del tutto preliminare è opportuno notare come, a dire il vero, una previsione normativa che richiama il giudizio di ottemperanza in materia risarcitoria (pure con forti elementi di atipicità rispetto allottemperanza strictu sensu intesa) è costituita dallart 35 comma 2 del D.Lgs. n.80 del 1998, che prevede che nei casi di giurisidizione esclusiva, il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali lamministrazione pubblica 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO deve formulare unofferta allinteressato; se laccordo non viene raggiunto, la determinazione della somma dovuta può essere richiesta a norma dellart 27 comma I numero 4) del Regio decreto 1054 del 1924. Dalla semplice lettura della norma, tuttavia, si evince come si tratti di un caso del tutto particolare, in cui il giudice amministrativo di cognizione ha già statuito in merito allan del risarcimento, ed al giudizio di ottemperanza viene lasciata esclusivamente la determinazione del quantum del risarcimento. Se dunque il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere in una particolare ipotesi risarcitoria il giudizio di ottemperanza, non sembra peregrino sostenere, in virtù del principio ubi lex voluti dixit, ubi noluit tacuit, che nella normalità dei casi ciò non sia ammesso. Le ragioni per le quali il giudizio di ottemperanza veniva ritenuto inidoneo ad essere la sede naturale per il promuovimento dellazione risarcitoria, stigmatizzate soprattutto in sede giurisprudenziale, erano essenzialmente due: il giudizio di ottemperanza, in quanto giudizio di esecuzione è caratterizzato da un basso contenuto cognitivo, che mal si concilia con la necessità di accertare i presupposti del danno ex art. 2043 e la misura dello stesso; la domanda risarcitoria introdotta per la prima volta nel giudizio di esecuzione travalica senza dubbio i limiti del giudicato ottenuto in sede di cognizione, con la conseguenza che, in caso di accoglimento dellistanza, linteressato si vedrebbe riconosciuto più di quanto ottenuto con il giudizio annullatorio. Trattandosi peraltro di una domanda nuova, la giurisprudenza ha precisato che essa è soggetta allordinario vaglio, articolato su due gradi di giudizio, del giudice della cognizione (cfr. Cons.di Stato, sez. IV, I febbraio 2001, n. 396, Cons. di Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6078), escludendo conseguentemente la proponibilità della stessa dinanzi al Consiglio di Stato per la prima volta. In definitiva, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria, riteneva inammissibile la pretesa risarcitoria avanzata per la prima volta in sede di ottemperanza, in considerazione del fatto che la cognizione della suddetta domanda, articolata su due gradi di giudizio, dovesse avvenire in maniera piena dinanzi al giudice della cognizione. Tuttavia, già a partire dalla richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 396/01, non erano mancate aperture alla richiesta risarcitoria nel giudizio di esecuzione, purché avanzata nel rispetto del principio del doppio grado di giudizio e del contraddittorio. Recentemente poi, con la decisione n. 290 del 30 gennaio 2006, il Consiglio di Stato, sez. IV ha statuito che nel giudizio di ottemperanza (inteso come naturale prosecuzione del precedente) sono in linea di principio ammissibili sia la domanda restitutoria che quella risarcitoria proposte successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. In tale ottica, i giudici hanno sottolineato come Con la nuova formulazione dellart. 7, comma 3 legge TAR, la funzione del processo di ottemperanza di realizzare lassetto di interessi delineato dalla pronuncia irrevocabile di annullamento di provvedimenti illegittimi, è stata arricchita e completata dal potere attribuito al giudice amministrativo di condannare IL CONTENZIOSO NAZIONALE 233 lamministrazione al risarcimento del danno, sia attraverso la reintegrazione in forma specifica che per equivalente. Tuttavia, anche dopo le decise aperture del Consiglio di Stato in ordine alla possibilità di richiedere il risarcimento del danno in sede di esecuzione del giudicato aperture astrattamente idonee ad evitare lestromissione del giudice amministrativo dalle controversie risarcitorie permangono tuttavia seri dubbi in merito alla scelta operata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1207 del 2006, di attribuire, da un lato, la giurisdizione sulle domande consequenziali al giudice ordinario, e, dallaltro, di prefigurare unalternativa azione in sede di ottemperanza secondo le norme del processo amministrativo. Ad ogni buon fine, lassenza al momento di ulteriori sviluppi giurisprudenziali in merito, induce quantomeno a cautela nel parlare di un revirement in materia di giurisdizione sulle controversie risarcitorie relative ad un provvedimento della Pubblica Amministrazione dichiarato illegittimo. La pronuncia dellAdunanza Plenaria che avoca a sé la giurisdizione e quella di tenore diametralmente opposto della Cassazione costituiscono un indubbio punto di partenza per ulteriori analisi da parte degli operatori del diritto. Tuttavia, saranno, o quantomeno è auspicabile che lo siano, le successive pronunce del giudice di legittimità a fare chiarezza sugli aspetti lasciati irrisolti dalla sentenza n. 1207 del 2006. Dott. Luca Spaziani Consiglio di Stato, sezione quarta, decisione del 20 dicembre 2005 n. 7197 Pres. f. f. C. Saltelli Ministero della Difesa (cont.22992/05, Avv. dello Stato M. Russo) c/ T. F. «(Omissis) Fatto. Con ricorso notificato il 27 aprile 2005 il signor F. T. ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio la condanna del Ministero della Difesa Comando Generale dellArma dei Carabinieri al risarcimento dei danni morali ed esistenziali sofferti a causa dellillegittimo congedo illimitato disposto nei suoi confronti dal Comando Generale dellArma dei Carabinieri con decorrenza dall8 marzo 1996, giusta determinazione del 7 marzo 1997, annullata dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con la sentenza n. 1523 del 6 novembre 1997, confermata dal Consiglio di Stato con decisione della IV Sezione n. 4218 del 31 luglio 2000, solo allesito della quale è stato reintegrato in servizio ( ). Il Ministero della Difesa, nel costituirsi in giudizio, con atto notificato in data 18 maggio 2005, depositato il successivo 31 maggio 2005, ha proposto istanza per regolamento di competenza, adducendo che, essendo la pretesa risarcitoria avanzata direttamente connessa e derivata da un atto già correttamente impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, si radicherebbe la competenza di detto giudice, non essendovi alcun elemento di collegamento a far ritenere competente ladito Tribunale amministrativo regionale del Lazio. A tale conclusione, secondo lamministrazione ricorrente, si giungerebbe, in mancanza di qualsiasi normativa positiva in materia, anche applicando la disposizione dellarticolo 25 del codice di procedura civile, trattandosi di obbligazione sorta in Veneto, ove si sono prodotti gli effetti del provvedimento impugnato. 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO In via subordinata, sempre secondo lamministrazione ricorrente, sarebbe competente il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, risiedendo lattore a Trieste. Mancando ladesione della parte intimata alla formulata eccezione di incompetenza del giudice adito, questi, con ordinanza n. 932 del 15/30 giugno 2005, ritenuta la non manifesta inammissibilità e infondatezza della predetta istanza di regolamento, ha ordinato la trasmissione degli atti al Consiglio di Stato, per la pronunzia sulla competenza. Lintimato non si è costituito nella fase innanzi a questo Consiglio di Stato. Diritto. Il ricorso è fondato e deve essere accolto, sussistendo nel caso di specie la competenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto. Come emerge dallesposizione in fatto e dalla documentazione in atti, la controversia instaurata innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dal signor F. T. concerne la richiesta del risarcimento dei danni morali ed esistenziali asseritamente sofferti a causa del provvedimento di collocamento in congedo illimitato disposto nei suoi confronti dal Comando Generale dellArma dei Carabinieri, ritenuto illegittimo dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto con la sentenza n. 1523 del 6 novembre 1997, confermata dal Consiglio di Stato con decisione della IV Sezione n. 4218 del 31 luglio 2000, solo allesito della quale è stato reintegrato in servizio ( ). Tale pretesa risarcitoria (indipendentemente dalla sua fondatezza, indagine che non spetta neppure incidentalmente al giudice regolatore della competenza), mirando sostanzialmente ad ottenere la più completa ed integrale riparazione possibile della posizione giuridica soggettiva incisa dallattività amministrativa illegittima posta in essere dallamministrazione, rappresenta lulteriore completamento della tutela sul piano patrimoniale. Sussiste, pertanto, in relazione alla completezza e alla integralità della tutela, un intimo legame fra illegittimità dellatto e responsabilità dellamministrazione che lo ha posto in essere, legame che non è meno stretto o meno intenso per il fatto che la questione di illegittimit à e quella di responsabilità siano proposte, come nel caso di specie in separati giudizi (in tal senso A.P. 18 ottobre 2004, n. 10). La domanda risarcitoria deve essere pertanto proposta allo stesso giudice che ha conosciuto la questione di legittimità dellatto, in relazione alla cui accertata illegittimità viene avanzata la richiesta di risarcimento del danno ed in questo caso, quindi, al Tribunale amministrativo regionale del Veneto, come ritualmente e tempestivamente eccepito dallamministrazione della difesa. In conclusione, il ricorso per regolamento di competenza deve essere accolto, dichiarandosi la competenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto a conoscere la domanda risarcitoria proposta innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dal signor F. T. La novità della questione giustifica la compensazione tra le parti delle spese della presente fase di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, accoglie listanza di regolamento di competenza proposto dal Ministero della Difesa e, per leffetto, dichiara competente a conoscere la controversia instaurata innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dal signor F. T. il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto. Dichiara compensate le spese della presente fase di giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dallAutorità amministrativa. Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio (omissis)». IL CONTENZIOSO NAZIONALE 235 Corte suprema di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 23 gennaio 2006, n.1207. «(Omissis) Premesso in fatto che con decisione del 16 febbraio 2000 il Consiglio di Stato confermava la pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria che aveva annullato la deliberazione della Giunta del Comune di S. n. 1005 del 1998 avente a oggetto lespropriazione, tra altri, di un fabbricato appartenente a L. R. ( ), destinato alla demolizione per la realizzazione del progetto di arredo urbano della frazione di C.; che con ricorso notificato il 29 gennaio 2003 L. R. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria il Comune di S. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni per la demolizione del fabbricato in misura di E. 452.355,00; che il ricorrente ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione sostenendo che nella specie la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario; considerato in diritto che il giudice amministrativo, tanto nellesercizio della giurisdizione generale di legittimità quanto nellesercizio della giurisdizione esclusiva, conosce di tutte le questioni relative alleventuale risarcimento dei danni ai sensi dellart. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dallart. 35 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80; che la giurisdizione esclusiva in materia di edilizia ed urbanistica di cui allart. 34 del predetto D.Lgs. n. 80 del 1998 va interpretata allesito degli interventi della Corte costituzionale non già come istituzione di una nuova figura di giurisdizione esclusiva e piena con riferimento allintero ambito delle controversie relative ad atti, provvedimenti e comportamenti delle amministrazioni pubbliche, bensì come mera estensione dellambito della giurisdizione già spettante alle controversie aventi a oggetto i diritti patrimoniali consequenziali, con lattribuzione al privato di un ulteriore strumento di tutela nei suoi rapporti con la Pubblica Amministrazione (sent. n. 281 del 2004); che nelle materie suddette la giurisdizione amministrativa si configura come giurisdizione sugli atti e sui provvedimenti, restando esclusa dal suo ambito la cognizione sui meri comportamenti della Pubblica Amministrazione (sent. n. 204 del 2004); che la connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria è peraltro subordinata alliniziativa del ricorrente il quale resta libero di esercitare in un unico contesto entrambe le azioni passando attraverso il giudizio di ottemperanza per ottenere il risarcimento del danno, ovvero di riservarsi lesercizio separato dellazione risarcitoria dopo aver ottenuto lannullamento dellatto o del provvedimento illegittimo, proponendo la sua domanda al giudice ordinario, cui compete in via generale la cognizione sulle posizioni di diritto soggettivo; che pertanto, salva restando lattribuzione al giudice ordinario della cognizione incidentale sullatto amministrativo e del potere di disapplicazione dellatto illegittimo nei casi in cui esso venga in rilievo non già come causa della lesione del diritto soggettivo dedotto in giudizio, ma solo come mero antecedente sicché la questione della sua legittimità venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico (Cass. 22 febbraio 2002, n. 2588; SS.UU. 10 settembre 2004, n. 18263), resta esclusa dalla sua giurisdizione lazione risarcitoria avente a oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo per difetto di tempestiva impugnazione, essendogli precluso il sindacato in via principale sullatto o sul provvedimento amministrativo; che, conseguentemente, qualora non venga in contestazione il legittimo esercizio dellattività amministrativa come avviene nel caso in cui latto amministrativo sia stato annullato o revocato dallAmministrazione nellesercizio del suo potere di autotutela, ovvero sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo, ovvero ancora abbia esaurito i suoi effetti per il decorso del termine di efficacia ad 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO esso assegnato dalla legge lazione risarcitoria rientra nella giurisdizione generale del giudice ordinario, non operando nella specie la connessione legale fra tutela demolitoria e tutela risarcitoria; che, facendo applicazione di tali principi alla fattispecie in esame devessere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario; che la natura delle questioni sottoposte allesame della Corte costituisce giusta causa di compensazione delle spese giudiziali tutto ciò considerato; P.Q.M. la Corte, decidendo a sezioni unite, dichiara la giurisdizione dellautorità giudiziaria ordinaria e dispone la compensazione totale delle spese giudiziali. Così deciso in Roma, il 24 novembre 2005». Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 9 febbraio 2006 n. 2 Pres. A. de Roberto Rel. Est. G. Farina C. B. e F. M. s.n.c. c/ Comune di B. «(Omissis) Fatto. 1. Con sentenza n. 736 del 27 dicembre 1991, il T.A.R. di Catania ha pronunciato lannullamento: 1.1. della deliberazione, n. 888 del 9 dicembre 1983, della Giunta municipale di B., di approvazione del progetto per la costruzione di una scuola in unarea prevista da un piano per ledilizia economica e popolare; 1.2. della deliberazione consiliare n. 10 del 3 maggio 1984 di riapprovazione del p.e.e.p., già annullato con precedente sentenza dal T.A.R. del 15 marzo 1984, n. 144; 1.3. della deliberazione consiliare n. 162 del 25 agosto 1987, di riapprovazione del progetto della scuola; e, infine, 1.4. per illegittimità derivata, dallordinanza sindacale n. 39 del 2 aprile 1990, per loccupazione temporanea e durgenza del terreno dalla società ora appellante, insieme a tutti gli atti della relativa procedura. Loccupazione era stata eseguita il 26 giugno 1990. 2. Con decisione n. 200 del 21 giugno 1996, il Consiglio di Giustizia A.R.S. ha respinto lappello del Comune, confermando gli annullamenti. 3. La società proprietaria della parte di fondo occupata, e sulla quale, nel frattempo, è stato costruito ledificio scolastico, ha proposto ricorso, dinanzi al T.A.R. di Catania, depositato il 31 maggio 2000, per la condanna del Comune al risarcimento dei danni, derivanti dalla perdita della disponibilità di mq. 1510, su unarea più vasta (mq. 6078), ed insieme dalle conseguenze negative prodottesi per le attività industriali produzione di manufatti di cemento e lavorazione del legno condotte su quel fondo e che erano state pregiudicate. 4. Il T.A.R. adito ha, dapprima, in via istruttoria, disposto consulenza tecnica, per la precisa definizione dei danni lamentati. Con la sentenza ora appellata ha, poi, respinto il ricorso dellimpresa. Ha accolto leccezione del Comune di maturata prescrizione del diritto risarcitorio, con laffermazione che il termine quinquennale era decorso dal giorno in cui il diritto stesso poteva farsi valere, individuato nella data di pubblicazione 27 dicembre 1991 dalla sentenza di primo grado di annullamento dei provvedimenti ablatori (sub 1), perché decisione esecutiva e non sospesa in appello. 5. Contro questa sentenza la società ha proposto tempestivo appello. Ha sostenuto: 5.1. che non era maturata la prescrizione alla data della proposizione del ricorso per il risarcimento maggio 2000 rispetto alla data di pubblicazione della sentenza dappello giugno 1996; 5.2. che il risarcimento spetta ed in misura maggiore di quella indicata nella consulenza tecnica disposta dal primo giudice. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 237 Diritto 1. Lordinanza pronunziata dal CGARS, per rimettere laffare allesame dellAdunanza plenaria, propone la verifica della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo su una domanda di risarcimento dei danni dopo lannullamento di provvedimenti amministrativi, che li hanno causati. Espone in sintesi: 1.1. -che è controversia introdotta esclusivamente su una domanda risarcitoria, che assume a presupposto lillegittima occupazione di una porzione del fondo dellappellante. Lillegittimità è coperta da giudicato; 1.2. che la questione della giurisdizione va esaminata alla luce delle note decisioni della Corte costituzionale n. 204 e n. 281 del 2004. E che essa va riguardata sotto i due profili che seguono: 1.2.1. Il primo è quello dellazione risarcitoria che ha per presupposto una decisione del giudice amministrativo passata in giudicato: a) secondo la C. cost. 204/2004, la giurisdizione in tema di risarcimento costituisce uno strumento di tutela ulteriore del cittadino nei confronti dellamministrazione, mediante concentrazione della cognizione delle questioni; b) se però laccento è posto sullo stretto legame esistente fra leffetto conformativo o demolitorio della pronunzia giurisdizionale ed i suoi riflessi sul piano patrimoniale, lesigenza di concentrazione viene meno, allorché lillegittimità sia stata riconosciuta con decisione passata in giudicato. In questo caso non vè possibilità di rivalutazione del presupposto da parte di qualsiasi altro giudice; c) per altro verso, nellazione risarcitoria vengono in rilievo anche altri elementi, quali la colpa, il nesso causale, il danno, sicché il giudizio potrebbe egualmente concentrarsi dinanzi al giudice che ha riconosciuto lillegittimità dellazione amministrativa; d) se, poi, il risarcimento può disporsi anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, la possibile imposizione di un facere allamministrazione si può attuare, in non poche evenienze, attraverso il giudizio di ottemperanza; e) la cognizione di domande risarcitorie autonome, da parte del giudice amministrativo, sembra porsi in armonia con le precedenti decisioni dellAdunanza plenaria n. 4/2003 e n. 10/2004. 1.2.2. Il secondo profilo della questione di giurisdizione è quello riguardante lazione risarcitoria in fattispecie come quella in esame di irreversibile trasformazione del fondo, come conseguenza di una occupazione dichiarata illegittima. Si pone il problema se sussista la giurisdizione amministrativa in alcune controversie risarcitorie, riconducibili al concetto di occupazione usurpativa, se collegate con richieste di annullamento di atti posti in essere dallamministrazione. 2. Gli elementi, sui quali si innesta la controversia in esame, sono: 2.1. lannullamento di provvedimenti autoritativi della P.A. 2.2. gli effetti pregiudizievoli che i provvedimenti annullati hanno prodotto, in capo allimpresa incisa, sin dallinizio della loro esecuzione (26 maggio 1990 data delleseguita occupazione durgenza). È palese che il Comune resistente ha emanato provvedimenti che si configurano come esercizio di attività discrezionali quali lapprovazione di un progetto di opera pubblica, lapprovazione di un piano per ledilizia economica e popolare, con i noti effetti dichiarativi di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere previste (art. 9 legge 18 aprile 1962, n. 167) e quale è ladozione del provvedimento di occupazione durgenza. È anche da porre in rilievo che i danni, dei quali si chiede il ristoro, non sono soltanto quelli consistenti nella perdita della porzione di fondo di mq. 1510, per avvenuta costruzio- 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ne delledificio pubblico, ma anche quelli, in tempo anteriore prodotti, riguardanti lattività dellimpresa, condotta sullintero fondo di oltre 6.000 mq., e concernenti: a) il valore dell azienda; b) la spesa per spostare, in parte o no, limpianto produttivo; c) la spesa di adattamento dellarea comunale, concessa in via precaria alla società, di mq. 1524, contro i 1510 occupati dautorità; d) il fermo degli investimenti progettati; e) gli ulteriori oneri per leventuale restituzione al Comune dellarea consegnata in via precaria (le domande sono poste col ricorso introduttivo). Si tratta di conseguenze patrimoniali negative per limpresa, sorte immediatamente per effetto dello spossessamento, ben prima perciò, in ordine di tempo, ed indipendentemente dalleffetto ulteriore dellintervenuto compimento dellopera, e senza richiesta (non importa se ex lege o per scelta del creditore) della restituzione del bene. 3. Sia con riguardo allun tipo di danni, sia con riguardo allaltro, si può affermare che è stato correttamente adito il giudice amministrativo, perché fornito di giurisdizione. 3.1. Il sindacato sulla legittimità di provvedimenti autoritativi, quali sono quelli sopra indicati, appartiene alla giurisdizione amministrativa e sono state messe in discussione, col ricorso ora in esame, questioni risarcitorie ed altre questioni patrimoniali conseguenziali alla illegittimità di atti già riconosciuta. Lart. 34, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 quale va letto a seguito della pronunzia di parziale incostituzionalità (C. cost. 28 luglio 2004, n. 281) ha esteso la cognizione del giudice amministrativo alle controversie, in materia di urbanistica ed edilizia, che hanno per oggetto diritti patrimoniali conseguenziali alle pronunzie di illegittimità, ivi comprese quelle di risarcimento dei danni. La domanda in esame è stata proposta sotto il vigore della disposizione menzionata, prima della sua sostituzione stabilita con lart. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205. Ma anche questa norma tiene ferma lestensione della giurisdizione amministrativa alle controversie in esame. In breve, dei danni derivanti da provvedimenti autoritativi, riconosciuti illegittimi in sede di giurisdizione generale di illegittimità nel caso specifico, misure emanate in esplicazione del potere espropriativo negli anni 1984/1990 conosce, in via consequenziale, il giudice amministrativo. 3.2. Il venir meno, per annullamento giurisdizionale, di atti che sono espressione di una posizione di autorità, non rende rilevanti soltanto come comportamenti gli effetti medio tempore prodottisi in loro esecuzione. Ma ne fa concentrare la cognizione dinanzi allo stesso giudice amministrativo, che verifica il corretto esercizio del potere (in senso conforme, per il principio: Cass. SS. UU. 31 marzo 2005, n. 6745; 9 marzo 2005, n. 5078; 17 novembre 2004, n. 21710, in particolare, in tema di domanda di restituzione di suoli occupati, in forza di un provvedimento del 7 gennaio 1998, con contestazione della legittimità dellatto e connessa domanda risarcitoria). 3.3. Né appare decisivo, a fini di giurisdizione, il fatto che la pretesa sia stata avanzata separatamente da quella che ha dato corso al sindacato di legittimità. La scelta di un momento successivo, per prospettare la domanda consequenziale, non giustifica una diversa competenza giurisdizionale. Né sul piano testuale, giacché nessuna delle due norme in discorso lart. 7 novellato della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e lart. 34, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 introduce una prescrizione di contestualit à fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale. Né sul piano logico-sistematico, perché si mostra inaccettabile, in via di principio, una tesi che lasci al ricorrente la scelta del giudice competente, proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano. E, in defi- IL CONTENZIOSO NAZIONALE 239 nitiva, in contraddizione con lo strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e/o conformativo, riconosciuto dal giudice costituzionale (sentenza n. 204 del 2004) a giustificazione della concentrazione nel giudizio amministrativo della cognizione delle questioni conseguenziali di ordine patrimoniale. 3.4. Per altro verso, e con ciò si riprende un argomento già esposto da questa Adunanza plenaria (18 ottobre 2004, n. 10), la regola della concentrazione, davanti al giudice dellimpugnazione, anche della cognizione della pretesa riparatoria, non conduce ad una diversa soluzione, quando la controversia sul risarcimento sia prospettata con autonomo, e successivo, ricorso, ossia dopo che il giudizio sul provvedimento si sia concluso e la relativa decisione sia passata in giudicato. Ed, invero, il nesso fra illegittimità dellatto e responsabilità dellautorità amministrativa che lo ha posto in essere, non ha diversa natura, né è meno stretto o di diversa intensità se le due questioni dibattute quella di non conformit à a legge della misura autoritativa e quella di responsabilità per i danni che ne sono derivati sono esaminate e risolte in unico o in separati giudizi. Perciò, è stato sottolineato (cit. Ad. plen. n. 10 del 2004), che latto dalla cui illegittimit à si origina la domanda di riparazione, si manifesta come momento essenziale per la cognizione della ulteriore vicenda di ripristino della situazione del soggetto che ne è stato leso, perch é è la causa diretta o perché deve verificarsi se è stato la causa diretta delle conseguenze negative lamentate. Sicché, sia in sede di ottemperanza, sia in sede di esame della domanda risarcitoria-reintegrativa, può sorgere lesigenza di verificare in implicazioni ulteriori riguardanti la responsabilità, il nesso causale o la misura del danno derivatone lo stesso provvedimento ed il procedimento dal quale è scaturito. Questa verifica spetta al giudice che già ne ha riconosciuto, o che è chiamato a conoscere, lillegittimità dellazione amministrativa. 4. Può ora essere esaminata la censura, avanzata nei riguardi della sentenza impugnata, per la statuizione di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento. Il primo giudice ha affermato che il termine, dal quale poteva farsi valere il diritto, era quello della pronuncia della sentenza di accoglimento del ricorso introduttivo 27 dicembre 1991, n. 736 , perché non sospesa dal giudice dappello e quindi immediatamente esecutiva a norma dellart. 33 l. n. 1034/71. Da questo momento, ha sottolineato il T.A.R., lamministrazione era tenuta ad adeguarsi pienamente a quanto disposto dalla sentenza. La parte privata sostiene che invece il momento iniziale del decorso della prescrizione va individuato nel passaggio in giudicato della decisione sullappello, intervenuto il 14 novembre 1996. Il giudizio di risarcimento, proposto con ricorso notificato il 24 maggio 2000, è stato iniziato perciò prima della scadenza del termine quinquennale. La censura merita adesione. Le regole da applicare sono le seguenti: a) la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere: art. 2935 c.c.; b) se linterruzione è avvenuta mediante un atto che dà inizio ad un giudizio o con una domanda proposta nel corso di un giudizio, il nuovo periodo di prescrizione non decorre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio:art. 2945, secondo comma, c.c.. Ne segue che condizione necessaria per la domanda di risarcimento è la pronuncia che riconosce lillegittimità di provvedimenti dalla cui esecuzione sorgono i danni lamentati e che, in caso di atti autoritativi, è pronuncia che spetta al giudice amministrativo (cfr. Ad. pl. n. 4 del 2003, nella parte in cui si aderisce allindirizzo secondo il quale è pregiudiziale, rispetto alla richiesta di risarcimento, la decisione di annullamento, sì che lazione di risar- 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO cimento ben può essere proposta sia unitamente allazione di annullamento, sia in via autonoma, ma che è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento). Ed è perciò dal passaggio in giudicato della decisione del giudice amministrativo che può avere inizio il decorso del periodo di prescrizione. Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza della.g.o., la quale, per i casi di domande risarcitorie proposte anteriormente allentrata in vigore delle norme attributive della giurisdizione sul risarcimento al giudice amministrativo, ha stabilito che, rispetto al diritto al risarcimento del danno derivato dall esecuzione di provvedimenti illegittimi della pubblica amministrazione, la domanda di annullamento di tali atti determina linterruzione della prescrizione, fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce quel giudizio: cfr. Cass. 14 luglio 2004, n. 13065; n. 9987 del 2004; n. 17940 del 2003; n. 16032 del 2002 e n. 3726 del 2000, nelle quali si accoglie la premessa che, ai fini risarcitori, si esige il previo accertamento della illegittimit à dei provvedimenti da parte del giudice competente. Il riferimento fatto dal T.A.R. al solo carattere esecutivo della sentenza di primo grado sancito nellart. 33, co. 1, legge 1034 del 1971 non può, di conseguenza, essere condiviso per ancorare a quel momento il decorso del quinquennio di prescrizione. In riforma della sentenza impugnata, va, quindi, riconosciuto che, nella specie, il diritto al risarcimento non era prescritto nel maggio 2000, data di proposizione della domanda. 5. Può trovare ingresso, perciò, lesame della domanda di risarcimento dei singoli danni lamentati (omissis). P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza plenaria) accoglie lappello e compensa le spese, come da motivazione. Ordina che la presente decisione sia eseguita dallAutorità amministrativa. Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in Adunanza plenaria nella camera di consiglio del 20 giugno 2005 (omissis)». Sul rapporto tra pregiudizialità amministrativa e autotutela (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 23 gennaio 2006, n. 1207) Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Cassazione tornano sul delicato ed attuale tema della c.d. pregiudizialità amministrativa ovvero della relazione tra azione di annullamento dellatto amministrativo, soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni, ed azione di risarcimento dei danni, esperibile entro cinque o dieci anni a seconda che si propenda per la natura giuridica extracontrattuale o da contatto sociale della responsabilit à della P.A., con particolare riguardo allipotesi in cui questa abbia esercitato il proprio potere di autotutela. Nel famoso precedente del 1999 i giudici di legittimità sostenevano la tesi dellautonomia tra le suddette azioni proponibili, quella caducatoria, dinanzi al g.a., e quella risarcitoria, al cospetto del g.o., anche in correlazione alla distinzione tra illegittimità dellatto amministrativo e illiceità del comportamento della P A. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 241 Tale assunto, peraltro, veniva messo in discussione alla luce del mutato quadro normativo realizzatosi con lapprovazione della legge n. 205 del 2000 di riforma del processo amministrativo, che ha concentrato la proposizione di entrambe le azioni dinanzi al giudice amministrativo. Volgendo lo sguardo, poi, alla giurisprudenza comunitaria, dalla stessa si evince, sotto il profilo processuale lautonomia dellazione risarcitoria, salvo verificare, da un punto di vista sostanziale, se i danni si sarebbero realizzati nel caso in cui il privato avesse chiesto lannullamento dellatto. Nello stesso senso si esprime anche lart. 839 del codice civile tedesco. Al contrario, nel nostro Paese, pare sempre più prendere piede la tesi della pregiudizialità (1) tra le due azioni i cui sostenitori osservano che: 1) il g.a. non ha il potere di disapplicare gli atti amministrativi non potendoli sindacare in via incidentale secondo quanto previsto per il g.o. dallart. 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, 2) diversamente opinando si aggirerebbero i termini decadenziali posti a presidio dellesigenza di certezza delle situazioni giuridiche soggettive di diritto pubblico, 3) la P.A. potrebbe annullare latto in via di autotutela o mantenerlo in vita ma non potrebbe ritenere legittimo latto posto a base della condanna risarcitoria. I fautori della tesi dellautonomia obiettano che: 1) il giudizio incidentale diverge dal potere disapplicativo ove il giudice considera latto tamquam non esset e che il g. a., esaurito il giudizio incidentale, pone latto illegittimo a fondamento della sentenza di condanna al risarcimento, 2) con lautonoma domanda risarcitoria non si incide sullatto amministrativo che continua a rimanere in vita e a produrre effetti. Senonché a tali argomentazioni si è obiettato che: 1) occorre evitare di ledere la posizione dei controinteressati a causa del giudizio incidentale sull illegittimità dellatto amministrativo, 2) si avrebbero riflessi anche sul procedimento di autotutela, posto che il mantenimento dellatto amministrativo contrasterebbe con il principio di economicità dellazione amministrativa, 3) si correrebbe il rischio di un contrasto di giudicati (il che però non è più attuale essendo oggi le due azioni concentrate dinanzi al g.a.), 4) mancherebbe lingiustizia del danno se latto amministrativo non impugnato fosse legittimo. In dottrina, inoltre, non è mancata una posizione intermedia che sostanzialmente mutuava la soluzione suindicata elaborata dalla giurisprudenza comunitaria e dal legislatore tedesco, in base alla quale lazione risarcitoria sarebbe autonoma, ma il giudice dovrebbe valutare il concorso colposo del danneggiato, ex art. 1227 c.c., alla causazione del danno che non si sarebbe verificato (o si sarebbe verificato in forma ridotta) se il privato avesse impugnato latto o almeno ne avesse chiesto la sospensione. Ma, secondo alcuni, non potrebbe integrare unipotesi di concorso colposo da parte del privato la mancata proposizione di unazione giudiziale che comporterebbe per lo stesso un sacrificio eccessivo. 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (1) Si vedano C.d.S., Ad. Plen. n. 4 del 2003, in questa Rassegna, ottobre-dicembre 2003, 225; e C.d.S., n. 4538/2003. Secondo altri, invece, tale ultima considerazione varrebbe solo nei rapporti tra privati e non in quelli con la P.A.. Va infine dato conto, per completezza, di una isolata posizione dottrinale in base alla quale vi sarebbe autonomia tra le due azioni a condizione che lazione risarcitoria venga esperita nel termine decadenziale di sessanta giorni. Per quanto riguarda il profilo della giurisdizione può chiedersi quali effetti possa determinare la sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale sulla pregiudizialità amministrativa. Può osservarsi che il giudice delle leggi non consideri il risarcimento come una nuova e particolare materia che il legislatore ordinario avrebbe attribuito alla giurisdizione esclusiva del g. a., ma esso viene inteso come strumento di tutela ulteriore e, secondo linterpretazione che parte della dottrina dà della sentenza, come rimedio sussidiario esperibile solo se il danno non viene eliminato con la tutela caducatoria. Veniamo, ora, al rapporto tra la pregiudizialità ed il nuovo art. 21-octies della legge n. 241/90, come novellata dalla legge n. 15 del 2005. Posto che, secondo tale previsione normativa in caso di violazioni procedimentali latto può non essere annullato, sembra opportuno chiedersi come operi in tal caso la pregiudizialità. Potrebbe sostenersi che laddove operi la norma in questione non si ha annullamento ma il g.a. potrebbe comunque conoscere della domanda risarcitoria. Senonchè, il risarcimento degli interessi legittimi pretesivi presuppone il buon esito del giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita, con la conseguenza che allora la responsabilità della P.A. in tale ipotesi sembra semmai prospettabile ove si aderisse alla tesi della natura contrattuale della medesima. Una considerazione merita anche il secondo comma dellart. 14 del D.Lgs. n. 190 del 2002, riguardante gli appalti aventi ad oggetto infrastrutture strategiche, ai sensi del quale il privato può chiedere solo il risarcimento del danno per equivalente e non lannullamento dellatto di aggiudicazione. Qui potrebbero avanzarsi dubbi di legittimità costituzionale di una siffatta previsione in relazione allart. 24 della Cost., atteso che il privato aspira ad ottenere laggiudicazione, rilevando tale interesse anche ai fini di acquisire titoli spendibili in successive gare, cosa che viene certamente frustrata dalla norma. Per quanto attiene, infine, allo specifico profilo del rapporto tra pregiudizialit à e autotutela occorre chiedersi se la prima abbia ancora ragion dessere nel caso in cui la P.A. eserciti la propria potestà di ritiro degli atti amministrativi. Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza (2) in tale ipotesi leliminazione del provvedimento da parte dellamministrazione renderebbe superflua la previa impugnazione nei termini di decadenza. IL CONTENZIOSO NAZIONALE 243 (2) Si veda nella giurisprudenza amministrativa di primo grado T.A.R. Campania, n. 10256 del 2004. Infatti, si osserva che se la ratio della pregiudizialità sia da ravvisarsi nella salvaguardia del termine decadenziale e del principio di stabilità dei provvedimenti amministrativi, questa non avrebbe più senso nel caso in cui sia la stessa P. A. ad annullare latto in via di autotutela. Pertanto, secondo questa impostazione, anche laddove siano scaduti i termini decadenziali per impugnare latto, il privato potrebbe nondimeno esperire lazione risarcitoria, fungendo lautotutela come una sorta di rimessione in termini a favore dello stesso. Può peraltro obiettarsi, sotto il profilo processuale, che il difetto di una condizione originaria di carattere processuale relativa allammissibilità dell azione risarcitoria, verrebbe così sanato in base ad un fattore sopravvenuto alla verificazione della causa di inammissibilità. Ancora, in senso contrario allautonomia, si afferma (3) che se venisse meno la pregiudizialità, la P. A. eviterebbe lautotutela per non esporsi a richieste di risarcimenti, ancorché sarebbe probabilmente applicabile lart. 1227 c.c. al fine di circoscriverne il quantum. A ciò si aggiunge che il termine decadenziale opererebbe anche a tutela dellinteresse della P. A. alla programmazione della propria attività e, quindi, a conoscere entro un termine ragionevole se le proprie determinazioni siano contestabili dinanzi al giudice ancorché sotto il profilo risarcitorio. E, infine, si sostiene che il diritto di difesa non sia assolutamente incomprimibile potendo essere anche compatibile con i termini decadenziali, e che il decorso di questi estingua la pretesa e tutti i possibili rimedi a sua tutela, ivi compreso il risarcimento del danno, non potendo nemmeno lesercizio da parte della P. A. dellautotutela rimuovere tale effetto estintivo e far rivivere la possibilità di chiedere i danni allamministrazione. Ma non sembrano pensarla in questi termini i giudici della Cassazione nellultimo decisum in commento. Essi, infatti, per un verso, escludono la giurisdizione del g.o. nel caso in cui lazione risarcitoria abbia per oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo per difetto di tempestiva impugnazione, essendo precluso allo stesso giudice il sindacato in via principale sul provvedimento amministrativo, recependo così in pieno il nucleo della tesi della pregiudizialit à amministrativa. Ma, per altro verso, precisano che laddove latto amministrativo sia stato rimosso dalla P.A. in via di autotutela, cioè sia stato revocato o annullato (ovvero esso sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo o abbia esaurito i suoi effetti per il decorso del termine di efficacia), non soltanto non avrebbe più ragion dessere la pregiudizialità, con conseguente possibile condanna della P.A. al risarcimento, ma, sotto il profilo processuale, si radicherebbe anche la giurisdizione del giudice ordinario, venendo meno la connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria. 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (3) CINTIOLI, Diritto e formazione, n.1/2005. Tale soluzione, peraltro, non può non destare perplessità, posto che lintenzione del legislatore del 2000 è quella di concentrare la tutela nelle mani di un solo giudice, quello amministrativo, in relazione a tutte le controversie risarcitorie legate ad atti e comportamenti lesivi di interessi legittimi, dovendosi intendere la nozione di consequenzialità legata a quella di pregiudizio derivante dalla lesione di un interesse legittimo, a prescindere dalla connessione con lannullamento di un atto amministrativo. E, sotto il profilo sostanziale, non possono che riproporsi le suddette considerazioni che giustificherebbero la non esposizione della P.A. a pretese risarcitorie conseguenti allannullamento dellatto amministrativo in via di autotutela. Dott. Giuseppe Baldanza IL CONTENZIOSO NAZIONALE 245 A.G.S. Parere 19 gennaio 2006, n. 7032. Ricongiungimento familiare a favore di minori affidati, ai sensi dellart. 29 comma 2 D.L. 286/98 (consultivo 47833/05, avvocato G. Aiello). «(Omissis) La questione concerne la problematica della rilevanza in Italia dei provvedimenti stranieri di affidamento di minori ai fini dellottenimento del ricongiungimento familiare ai sensi dellart. 29 comma 2 del D.Lgs. n. 286/1998 come modificato dalla Legge n. 189/2002. Lart. 29 co. 2 del predetto T.U. sullimmigrazione e sulla condizione dello straniero, disciplina il ricongiungimento familiare dei cittadini extracomunitari residenti in Italia e dispone che ai fini di tale ricongiungimento i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli. Con specifico riguardo alla rilevanza dei provvedimenti stranieri in materia di affidamento dei minori si deve ricorrere alle disposizioni della legge n. 218/1995 contenente la disciplina del sistema italiano di diritto internazionale privato. Più in particolare i parametri normativi rilevanti per la questione de qua sono gli artt. 65 e 66 concernenti il riconoscimento automatico, senza quindi la necessità della procedura di delibazione da parte del Giudice italiano, di provvedimenti stranieri, di natura autoritativa e non giurisdizionale ed il riconoscimento di provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria. In base al combinato disposto delle disposizioni predette si evince che se è vero che i provvedimenti concernenti lesistenza di rapporti di famiglia, quali appunto i provvedimenti di affidamento o di sottoposizione a tutela dei minori, hanno effetto nellordinamento italiano senza che sia necessaria alcuna verifica del Giudice italiano, è altrettanto vero che sono previsti alcuni presupposti di diretta applicabilità tra i quali assumono particolare rilievo: a) ladozione da parte di unautorità competente. Tale parametro deve essere valutato in base a criteri corrispondenti a quelli propri dellordinamento italiano se si tratta di provvedimenti di giurisdizione volontaria; b) la conformità ai principi di ordine pubblico italiano. La diretta efficacia del provvedimento straniero è dunque subordinata alla verifica di aspetti di ordine procedimentale e di carattere sostanziale. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 247 I P A R E R I D E L C O M I TAT O C O N S U LT I V O Sotto il primo profilo si ritiene che la verifica della competenza dellorgano che ha adottato il provvedimento debba essere compiuta alla stregua delle disposizioni vigenti nellordinamento giuridico di appartenenza. Per quanto attiene al distinto aspetto sostanziale, che presuppone la verifica della conformità del provvedimento straniero attestante lo status del soggetto che aspira al rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare ai principi dellordine pubblico, occorre individuare le linee guida essenziali poste alla base dellistituto dellaffidamento familiare. Laffidamento dei minori nellordinamento italiano risponde allesigenza di garantire il mantenimento, listruzione e leducazione ad un minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo. Laffidamento familiare è necessariamente temporaneo e nel relativo provvedimento devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dellesercizio dei poteri riconosciuti allaffidatario. Deve essere, inoltre, indicato il periodo di presumibile durata dellaffidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia di origine. Laffidamento familiare cessa quando sia venuta meno la difficoltà temporanea della famiglia di origine ovvero quando lo pretenda linteresse del minore. Laffidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al mantenimento, educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori esercenti la potestà o del tutore. Il servizio sociale deve agevolare i rapporti tra il minore ed suoi genitori e favorirne il reinserimento nella famiglia di origine. È chiaro, dunque, come nel nostro ordinamento listituto dellaffidamento familiare consegue ad una temporanea carenza di ambiente familiare ed è finalizzato ad un progressivo reinserimento nella famiglia di origine, laddove la carenza definitiva o non provvisoria si configura come stato di abbandono e quindi conduce alla dichiarazione di adottabilità. È quindi da condividere lorientamento del Tribunale di Alessandria che valuta la condizione del minore straniero che aspira al ricongiungimento familiare alla luce dei principi portanti dellistituto dellaffidamento familiare come concepito nellordinamento interno ex lege 4 maggio 1983 n. 184. Non trovano spazio nel nostro ordinamento istituti ibridi come la Kefala o altri assimilabili, in quanto non sono riconducibili ad un corrispondente istituto di diritto interno. Non sono infatti inquadrabili nellambito dellaffidamento familiare, secondo quanto sopra chiarito, posto che sono disposti a tempo indeterminato, non presuppongono necessariamente la mancanza di un nucleo familiare idoneo, non prevedono il mantenimento di contatti con la famiglia di origine, non contemplano alcuna indicazione dei doveri dell affidatario nei confronti del minore, non specificano la sussistenza di residui doveri in capo alla famiglia di origine, non prevedono alcuna audizione del minore. Né tantomeno tali istituti possono essere assimilati ad una adozione dato che non comportano la costituzione di un vincolo parentale tra colui che 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO assume la custodia ed il minore, non risulta che venga effettuata alcuna preventiva indagine sulla idoneità della persona che assume la custodia, lautorit à cui è demandata la funzione di certificare tali dichiarazioni non appare munita di alcun potere se non quella di una semplice presa datto della volont à di colui che assume la custodia del minore. Tutto ciò si traduce nella violazione dei più elementari principi posti a fondamento della normativa in tema di adozioni. Del resto lo stesso articolo 41 della legge n. 218/1995 al secondo comma fa salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione di minori. Da ricordare a titolo esemplificativo che la Suprema Corte ha confermato la declaratoria di inammissibilità pronunciata della Corte di merito in ordine ad una richiesta di riconoscimento e dichiarazione di efficacia, ex art. 797 c.p.c., di una sentenza emessa dal Potere giudiziario dello Stato brasiliano del Minas Gerais con la quale era stata accolta la richiesta di adozione di un minore ivi residente, sulla premessa, condivisa dalla Corte di legittimità, che il procedimento per la dichiarazione di efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri di adozione non è assimilabile allordinario procedimento di delibazione riconoscimento delle sentenze straniere, restando attribuita al tribunale dei minorenni una competenza funzionale esclusiva per tutti i procedimenti in materia. (Sez. I, sent. n. 1155 del 23 gennaio 2004). Con riferimento al successivo articolo 42 della predetta legge, richiamato da alcune pronunce giurisdizionali, che rimanda alla Convenzione dellAja del 1961 in materia di tutela di minori stranieri, bisogna replicare innanzitutto che se è vero che viene riconosciuta la competenza dellautorit à giudiziaria del paese di residenza del minore, è anche vero che tra gli Stati contraenti tale Convenzione non figurano Cina, Albania e Marocco e cioè quei paesi dei cui provvedimenti di affidamento si tratta. Inoltre larticolo 7 della legge n. 742/1980 di ratifica della Convenzio-ne dellAja del 1961 prevede espressamente che se le misure adottate dalle autorit à competenti dello Stato di cui il minore è cittadino implicano atti di esecuzione in uno Stato diverso da quelle in cui esse sono state adottate, il loro riconoscimento e la loro esecuzione sono regolati sia dal diritto interno dello Stato in cui è richiesta lesecuzione, sia dalle Convenzioni internazionali. Il richiamo allart. 20 co.3 della Convenzione di New York del 1989 sui Diritti del Fanciullo, secondo il quale la Kefala è unidonea forma di protezione dei minori, non implica che tale istituto possa costituire un facile strumento di elusione non solo della normativa in materia di immigrazione, ma anche della disciplina in materia di adozioni dei minori e dellaffidamento familiare. Del resto ciò trova unimplicita conferma nella successiva disciplina del sistema italiano di diritto internazionale privato di cui alla legge n. 218/1995 che è intervenuta allo scopo di armonizzare e coordinare normative eterogenee nel rispetto dei principi di ordine pubblico internazionale e in particolare delle disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori (artt. 16 e 41 co. 2). Anche al diverso istituto della sottoposizione a tutela evocato nell art.29 comma 2 del T.U. n.286/98 devono applicarsi i richiamati criteri di I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 249 carattere sostanziale per lo scrutinio di conformità del provvedimento straniero ai principi dellordine pubblico, i quali ultimi devono essere rintracciati negli artt.343-389 c.c. che appunto subordinano la tutela dei minori a ben precisi presupposti. Per le considerazioni che precedono si ritiene pertanto che le Rappresentanze diplomatiche e consolari allestero debbano valutare i provvedimenti di affidamento e tutela esibiti dagli interessati nel quadro degli aspetti di indole procedimentale e sostanziale fin qui tracciati dandone debito riscontro dal punto di vista motivazionale. Infine con riferimento allipotesi di contestazione del riconoscimento del provvedimento straniero di volontaria giurisdizione è vero che lart. 67 della legge 218/1995 prevede la possibilità per linteressato di adire con ricorso la Corte di Appello competente ai fini dellaccertamento dei requisiti del riconoscimento. È altrettanto vero però che al mancato riconoscimento della validità del documento consegue necessariamente il diniego del visto e che tale provvedimento negativo deve essere poi impugnato avanti al Tribunale competente, sicchè tale passaggio giurisdizionale sembra suscettibile di assorbire nei fatti quello di competenza della Corte dAppello». A.G.S. Parere del 19 gennaio 2006 n.7036. Istituto di Patronato Cessione di crediti (consultivo n. 29267/05, avvocato M. Mari). «È stato richiesto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il parere di questo G.U. in merito allefficacia nei confronti dello stesso Ministero dellatto pubblico a rogito, stipulato in data 6 ottobre 1999 e notificato in data 18 ottobre 1999, con il quale lEnte nazionale per lassistenza coltivatori (ENPAC) ha ceduto pro solvendo alla Banca di Roma S.p.A. i suoi «crediti derivanti da contributi maturati e maturandi previsti dalle vigenti disposizioni di legge ai sensi del Decreto Ministeriale 13 dicembre 1994 n. 794 da esso vantati nei confronti del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Direzione Generale della Previdenza e Assistenza Sociale Div. 4 con sede in Roma Via Flavia n. 6 istituito con legge n. 804/1947 e successive modificazioni ». Atal proposito, codesta Direzione generale sottolinea di aver fatto presente, in data 28 ottobre 1999, al Presidente dellENPAC (creditore cedente), nonch é alla Banca di Roma (cessionaria dei crediti), che la cessione in parola, notificata al detto Ministero in data 12 ottobre 1999, non appariva «assecondabile », attesa lattuale incertezza e inesigibilità dei crediti oggetto di trasferimento, avuto altresì riguardo alla normativa vigente in materia, disponente, per lerogazione di finanziamenti degli istituti di patronato, un sistema a posteriori in cui lattribuzione del contributo è da intendersi condizionata alleffettivo svolgimento di attività assistenziali da parte dei patronati stessi, a seguito di verifica ad opera dei competenti servizi ispettivi del Ministero del Lavoro. 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Nella nota che si riscontra, codesta Direzione generale specifica, inoltre, le ragioni del suo dissenso in relazione alla efficacia della cessione, indicando nella previsione di cui allart. 4, comma 3, D.Lgs. C.P.S. 804/1947 (abrogata, ma sostanzialmente riprodotta nel contesto dell art. 13, comma 1, legge 152/2001), laddentellato normativo giustificativo dellimpedimento alla cessione. In tali disposizioni è, infatti, previsto che le somme annualmente versate dagli enti previdenziali ai fini dellerogazione del sopradetto finanziamento siano a destinazione vincolata ed interamente da ripartirsi fra tutti gli istituti di patronato riconosciuti ed operanti nell anno considerato. Orbene, al fine di esprimere un parere in ordine allefficacia della cessione avvenuta tra lENPAC e la Banca di Roma, occorre preliminarmente determinare la situazione giuridica soggettiva che ha formato oggetto della cessione, così da individuare con esattezza le implicazioni effettuali conseguenti alloperazione economica concretamente posta in essere. Come noto, la cessione di credito è un contratto con efficacia traslativa immediata tra cedente e cessionario, che determina la successione del secondo al primo nel medesimo rapporto obbligatorio. La natura consensuale del contratto di cessione di credito importa che esso si perfezioni per effetto del solo consenso dei contraenti cedente e cessionario , ma non importa altresì che al perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario, per modo che, nel caso in cui oggetto del contratto di cessione sia un credito futuro, il trasferimento del credito dal cedente al cessionario si verifica soltanto nel momento in cui il credito venga ad esistenza. Prima di allora, il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria (v. Cass., sent. n. 3099/95). Si ritiene, infatti, pacificamente che, allorquando oggetto del contratto sia un credito futuro, esso esplichi efficacia meramente obbligatoria e, in tale ipotesi, leffetto reale si verifichi soltanto se (e quando) il credito ceduto venga ad esistenza (v. Cass., sentt. nn. 184/66 e 3421/77). Va anche considerato che la cessione del credito non è un tipo contrattuale a sé stante, ma è inquadrabile tra i negozi a causa variabile, nel senso che, al pari di tutti gli atti traslativi, può rientrare, di volta in volta, nelluno o nellaltro tipo contrattuale (vendita, donazione, contratto solutorio, negozio di garanzia, etc.), a seconda del titolo e della causa che lo giustifica. La disciplina cui essa verrà assoggettata sarà, caso per caso, quella propria del tipo di contratto adottato, rispetto alla quale le norme speciali sulla cessione (artt. 1260 c.c. e ss.), che ne regolano soprattutto gli effetti, sono meramente integrative (v. Cass., sentt. nn. 3004/73 e 1396/74). Ciò premesso, a seguito dellanalisi delle clausole di cui si compone il contratto in oggetto, in particolare degli artt. 1 e 6, sembra possibile affermare che quella conclusa sia una cessione a titolo oneroso di crediti presenti e futuri, in funzione reintegrativa dei prelievi effettuati dallENPAC a seguito di un apertura di credito bancaria ad esso accordata dalla Banca di Roma (e I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 251 quindi solvendi causa) ovvero finalizzata a garantire siffatta reintegrazione (e quindi cavendi causa). Ora, come sopra accennato, per costante giurisprudenza il credito ceduto può anche essere non determinato nell ammontare o non esigibile, perché condizionato o a termine o futuro, sempreché, in tal caso, sia già venuto ad esistenza il rapporto da cui esso originerà: leffetto reale viene conseguentemente rinviato al momento in cui il credito verrà ad esistenza, avendo la cessione, prima di tale momento, efficacia solo obbligatoria inter partes (v. Cass., sentt. mm. 979/02, 7083/01, 8333/01). Dal che discende la piena validità ed efficacia, sotto questo punto di vista, della cessione in parola, la quale, relativamente ai crediti presenti, è direttamente produttiva di effetti traslativi, laddove, con riferimento ai crediti maturandi, è destinata a spiegare efficacia meramente obbligatoria. La cessione è pure da ritenersi efficace con riferimento allosservanza della norma dellart. 69, R.D. 2440/1923, nella parte in cui essa prevede che le cessioni di credito relative a somme dovute dallo Stato debbano essere «notificate allamministrazione centrale ovvero allente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento» e siano efficaci solo se poste in essere con atto pubblico o con scrittura privata autenticata. Sennonché, loperazione realizzata si presenta viziata sotto altro, rilevante profilo. Come noto, la trasferibilità è, per definizione, esclusa per quelle situazioni soggettive creditorie la cui prestazione, per ragioni relative al titolo o alloggetto dellobbligazione, inerisce a persone determinate, nonché per quelle ipotesi creditorie rientranti in un esplicito divieto di legge, tanto per particolari qualità o rapporti dei titolari delle situazioni soggettive di cui consta lobbligazione, quanto per la speciale natura del credito (art. 1260, comma 1, c.c.). Lincedibilità legale può, peraltro, anche essere implicita e dipendere dalla natura del credito, vuoi per la caratterizzazione personale della prestazione e della cooperazione dovute, vuoi per la specialità del credito, che, sebbene non strutturalmente personale, si considera intrasferibile per ragioni meritevoli di rilevanza giuridica. Se si ha riguardo al percorso argomentativo sin qui brevemente illustrato, si comprende come a reagire negativamente sulla validità e sullefficacia della cessione in parola non è, in ultima analisi, la circostanza che essa abbia ad oggetto (anche) crediti non ancora maturati al momento della stipulazione, bensì lapprezzamento, nella pienezza del suo valore deontico, dell art. 4, comma 3, D.Lgs. C.P.S. 804/1947, ora trasmesso, come detto, nell art. 13, comma 1, legge 152/2001. Può, cioè, ritenersi sufficiente, per giustificare limpedimento alla cessione, il vincolo di destinazione, inderogabilmente gravante, nei riflessi obbligatori, sulle somme dovute dal Ministero del Lavoro allENPAC a titolo di finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale. Deve, quindi, ritenersi che la cessione in questione sia nulla, in quanto avente ad oggetto un credito speciale, la cui incedibilità ex lege è desumi- 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO bile dal fatto che il relativo trasferimento importerebbe violazione di un vincolo di destinazione impresso nel superiore interesse al sostentamento degli istituti di patronato, con conseguente sottrazione della posizione creditoria stessa alla sua naturale vocazione circolatoria. In aggiunta a quanto sopra esposto, si rileva che, comunque, la banca cessionaria del Credito nel caso di specie non può pretendere alcun pagamento al di fuori delle regole dellapposito procedimento di liquidazione, di cui alla legge n. 1404/1956». A.G.S. Parere del 19 gennaio 2006 n. 7268. Questione sulla competenza del giudice ordinario nelle controversie insorte con la P.A. (consultivo 17889/05, avvocato G. DAvanzo). «Si chiedono chiarimenti circa lindividuazione del giudice competente a conoscere delle controversie in materia di concessione di contributi alle imprese, tenuto conto del recente insegnamento della giurisprudenza che afferma la sussistenza, rispettivamente, di un interesse legittimo, allorché si controverte del potere dellAmministrazione di annullare per vizi di legittimit à i provvedimenti di attribuzione dei benefici, o di un diritto soggettivo del richiedente ad ottenere la concreta erogazione del finanziamento o alla conservazione degli importi a tale titolo corrisposti. Al riguardo deve osservarsi che secondo il consolidato (ed immutato) insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, anche nelle controversie relative a contributi e sovvenzioni pubbliche, la ripartizione di competenze fra lautorità giudiziaria ordinaria e la giurisdizione amministrativa è basata sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi, posizioni giuridiche sostanziali del privato, distinguendosi cioè il caso in cui linteresse di questultimo sia tutelato dallordinamento in via immediata e diretta, da quello in cui ciò avvenga subordinatamente allinteresse pubblico prevalente (SS.UU., ord. 19 febbraio 2004, n. 3342). In sostanza, se il contributo o la sovvenzione sono riconosciuti direttamente dalla legge ed alla P.A. è demandato esclusivamente il controllo in ordine alleffettiva sussistenza dei presupposti puntualmente indicati dalla legge, (senza, dunque, alcuno spazio per un eventuale apprezzamento discrezionale) la posizione del destinatario del finanziamento è tutelata innanzi al giudice ordinario; se, invece il finanziamento presuppone una deliberazione della P.A., allesito di una valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati, in relazione allinteresse pubblico primario alla cui tutela la normativa è finalizzata, è configurabile in capo al privato soltanto una posizione di interesse legittimo, come tale devoluta alla giurisdizione amministrativa. Ricorre la prima ipotesi nel caso, ad esempio, di erogazione ai privati dei contributi previsti dalla legge 14 maggio 1981, n. 219 e succ. mod. per la ricostruzione degli immobili danneggiati da eventi sismici, giacché lattività dellAmministrazione è qui rigorosamente vincolata dai criteri predisposti dalla legge a tutela delle posizioni dei singoli danneggiati, (v. artt. 9 e 10) le I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 253 quali hanno consistenza di diritto soggettivo, senza che su di esse incidano le questioni in ordine alla regolarità del procedimento amministrativo volto a stabilire la priorità dellerogazione (Cass. SS.UU. ord. 1 aprile 2004, n. 6486). Nel caso, invece, di concessioni delle agevolazioni di cui alla legge 488/92 il finanziamento presuppone una valutazione discrezionale dellamministrazione degli interessi pubblici circa lan, il quid ed il quomodo dellerogazione, sicchè nella fase precedente ladozione del provvedimento di concessione non è ravvisabile una posizione di diritto soggettivo del richiedente. Per quanto riguarda, invece, la fase successiva al provvedimento attributivo del beneficio, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo deve essere effettuato considerando che linteresse del beneficiario alla conservazione della disponibilità delle somme erogate assume la consistenza di diritto soggettivo, di fronte alla contraria posizione assunta dalla P.A., tutte le volte in cui tale posizione si puntualizzi in provvedimenti che, quale che sia la loro configurazione formale, trovino fondamento (non già in una ponderazione tra linteresse pubblico e quello privato ma) nellasserito inadempimento, da parte del beneficiario dellerogazione, degli obblighi derivanti dal provvedimento attributivo. (Così Cass. SS.UU., Sent. 10 aprile 2003, n. 5617). In sostanza, una volta adottato latto, la posizione del beneficiario allerogazione effettiva dei contributi si configura sempre di diritto soggettivo e la relativa controversia spetterà al giudice ordinario il quale potrà anche condannare lamministrazione ad emettere latto concreto di erogazione (Cass. SS.UU., Sent. 25 ottobre 2004, n. 20645). Occorre però precisare che se lerogazione dei contributi è annullata dallamministrazione per vizi di legittimità delloriginaria concessione (es. violazione di legge, incompetenza dellAutorità che emanò latto e/o eccesso di potere nelle sue diverse figure sintomatiche, quali lo sviamento dellatto, contraddittorietà con precedenti manifestazioni di volontà, travisamento dei fatti ecc.) o per contrasto sin dallorigine con il pubblico interesse e, dunque, non si contesti alcun comportamento inadempiente del beneficiario degli obblighi assunti o imposti, la nuova determinazione amministrativa è idonea ad affievolire i diritti soggettivi costituiti con il precedente provvedimento, i quali, restando degradati ad interessi legittimi, sono come tali tutelabili davanti al giudice amministrativo (Cass. SS.UU. sent. 20 settembre 2004, n. 18844; id., 23 aprile 1996, n. 3818). In conclusione, lindividuazione del giudice competente a conoscere dell eventuale gravame azionato dal privato avverso il provvedimento amministrativo che egli assuma lesivo della propria posizione giuridica sostanziale va fatta tenendo presente la fase, anteriore o successiva al riconoscimento del finanziamento, in cui latto che si censura viene ad esistenza. Nella fase anteriore alla concessione del finanziamento possono, infatti, aversi due diverse situazioni: a) se lautorità amministrativa dispone di una libertà di scelta sia sullan che sul quid, del finanziamento (che è poi lipotesi più frequente) il privato 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dovrà rivolgersi al Giudice amministrativo, quale giudice di legittimità, per la tutela del proprio interesse legittimo (pretensivo) ad un comportamento positivo dellamministrazione, comportamento che laspirante beneficiario assume, invece, reso in violazione dei tre classici vizi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere; b) soltanto nel caso in cui lautorità sia tenuta ad emanare gli atti con il contenuto già predeterminato dalla legge, nellaccertata ricorrenza dei presupposti e dei requisiti ivi prescritti, la competenza a conoscere delleventuale illegittimità dellazione amministrativa è rimessa al Giudice ordinario (lipotesi, peraltro residuale, è quella indicata, ad esempio, nel caso sopraindicato relativo alla legge n. 219/81, recante interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1981 e del febbraio 1982). Nella fase successiva, e cioè, allorché il contributo erogato venga annullato e/o revocato possono aversi le seguenti due diverse ipotesi: a) la nuova determinazione dellAmministrazione consegue allaccertato comportamento inadempiente del beneficiario agli obblighi posti a fondamento del riconoscimento: in tal caso la soluzione della controversia è rimessa allAutorità giudiziaria ordinaria; b) con la nuova determinazione lAmministrazione annulla latto di riconoscimento del contributo non per ragioni imputabili al comportamento del beneficiario, ma attinenti a riscontrati vizi di legittimità dellatto concessivo (perché in contrasto con precetti normativi, incompetenza dellAutorità che riconobbe il contributo, eccesso di potere nelle diverse figure sintomatiche sopra descritte): in tal caso la competenza a conoscere della legittimità dell atto sarà, secondo le regole ordinarie, rimessa alla giurisdizione di legittimit à del Giudice amministrativo. Tenendo, dunque, presente la suindicata distinzione temporale, avuto cioè riguardo alla fase in cui il provvedimento amministrativo viene adottato, occorrerà indicare, nel medesimo provvedimento, quale Autorità giudiziaria competente a conoscere delleventuale impugnazione: il Giudice amministrativo se si tratta di provvedimento che, allesito della disposta istruttoria, abbia negato la concessione del finanziamento: siamo in presenza, infatti di una valutazione discrezionale dellamministrazione a fronte della quale la posizione del privato richiedente si configura come di interesse legittimo (in questa prima fase, anteriore, cioè, al riconoscimento della sovvenzione, la competenza del Giudice ordinario è rinvenibile nelle sole ipotesi in cui il finanziamento sia imposto dalla legge, come, ad esempio, lo si è sopra rilevato, allorchè si tratti di erogazione ai privati, ex lege n. 219/81, dei contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati da eventi sismici; il Giudice ordinario se il provvedimento adottato abbia annullato o revocato il finanziamento già erogato al privato per motivi riguardanti il ritenuto inadempimento di questultimo agli obblighi derivanti dalla concessione. Siamo nella fase esecutiva del rapporto, nella quale lamministrazione non fa più valere un potere discrezionale alla concessione del finanziamento, ma contesta al concessionario lesatta osservanza delle obbligazioni I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 255 assunte, con conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione ordinaria. Appare opportuno che codesta Amministrazione, nellindicare nel provvedimento il Giudice ordinario, faccia testuale riferimento allultima giurisprudenza della Cassazione sul punto: SS. UU. 25 ottobre 2004, n. 20645; id. 20 settembre 2004, n. 18844; il Giudice amministrativo se si tratta di provvedimenti che annullino il già concesso finanziamento per vizi di legittimità o per contrasto sin dallorigine con linteresse pubblico: la posizione del soggetto, pur trovandoci, anche qui, nella fase esecutiva del rapporto, torna ad essere di interesse legittimo, come tale tutelabile dinanzi al giudice amministrativo». A.G.S. Parere del 21 gennaio 2006 n.7933 Autotutela Compensazione spese di lite Art. 46 D.Lgs. 546/92 (consultivo 61234/05, avvocato G. Albenzio). «Codesta Agenzia chiede con quali modalità possono essere perfezionate eventuali conciliazioni con la parte contribuente in pendenza di giudizio, al fine di evitare la condanna alle spese, in seguito alla sentenza Corte Cost. 274/05 (che ha dichiarato illegittimo lart. 46 D.Lgs. 546/92 nella parte in cui impone la compensazione delle spese di lite nel caso di revoca del provvedimento impugnato da parte dellAmministrazione). Ad avviso di questa Avvocatura Generale occorre, preliminarmente, distinguere il caso in cui, in ossequio alle disposizioni in materia di autotutela (D.M. 11 febbraio 1997 n. 37) il ritiro/revoca/annullamento dellatto impugnato risulti dovuto indipendentemente dalla considerazione del vantaggio derivante dalla compensazione delle spese di lite, dal caso in cui quest ultima valutazione assume una qualche rilevanza ai fini della decisione (residuando qualche margine di dubbio sulla illegittimità dellatto o sullopportunit à del suo ritiro immediato); nella prima ipotesi, potranno essere presi contatti per le vie brevi con la Controparte al fine di ottenere un suo formale impegno alla rinunzia alle spese di lite ma non potrà essere subordinato lintervento in autotutela a quella rinunzia (che deve restare nellambito della libera determinazione della parte); nella seconda ipotesi potrà, invece, essere posto formalmente il vincolo fra laliquid datum e laliquid retentum condizionando il ritiro dellatto alla rinunzia alle spese. Il ritiro dellatto in autotutela (contestualmente allacquisizione della eventuale rinunzia alle spese, secondo la prima ipotesi sopra contemplata) avverrà fuori del processo, con successiva comunicazione al Giudice per la declaratoria di cessazione della materia del contendere (con pronunzia sulle spese nel caso di mancanza della rinunzia della parte); la seconda ipotesi potrà essere perfezionata in sede stragiudiziale (e successiva comunicazione al Giudice, come testé detto) o in sede giudiziale; in questultimo caso, la conciliazione giudiziale che ne consegue rientra nellistituto generale processuale contemplato dallart. 183 c.p.c., applicabile anche nel processo tributario ove esplica i medesimi effetti della conciliazione regolata dallart. 48 D.Lgs. 546/92. 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Non si pone, quindi, alcun problema di scelta fra le due fattispecie processuali che costituiscono applicazione del medesimo principio generale e conseguono il medesimo effetto, indipendentemente dagli estremi della fattispecie conciliativa e dalle forme utilizzate per la sua proposizione in giudizio (si ricorda che la Cassazione ha indicato quale unico presupposto indispensabile per la conciliazione giudiziale la pendenza del processo tributario, conseguente al deposito del ricorso nella segreteria della Commissione: Cass. 26 marzo 2002 n. 4320; 6 ottobre 2001 n. 12314)». A.G.S. Parere del 21 gennaio 2006 n. 7934. Proposta di transazione (consultivo 38054/05, avvocato G. Albenzio). «Valutate le considerazioni esposte da codesta Avvocatura Distrettuale dello Stato, la Scrivente non può che ribadire la posizione espressa con il parere 29 agosto 2005; in tale ambito, solo ai sensi dellart. 232 CDC, qualora si tratti di risorse proprie della Comunità, si potrà procedere allauspicata transazione; è di tutta evidenza che la rinunzia agli interessi di mora consentita dal comma 2, lett. a), della citata norma potrà ben essere parziale, rientrando tale ipotesi in quella più ampia contemplata dal testo della disposizione; alladozione della detta soluzione non osta neppure leventuale intervento di terzi che garantiscono od effettuano direttamente il pagamento della somma non rinunziata. Al di fuori dellipotesi normativa testé ribadita, non appaiono utilmente invocabili altre disposizioni dettate per settori, materie o fattispecie diverse (peraltro, lart. 3, comma 3, d.l. 138/02, conv. in legge 178/02, é stato abrogato dallart. 151 D.Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, in G.U. 16 gennaio 2006 n. 12, suppl. ord. n. 13), per le ragioni già esposte nella precedente nota; una diversa soluzione non è ipotizzabile neppure con il richiamo al generalissimo principio del necessario perseguimento, da parte della P.A., di finalità di pubblico interesse invocato da codesta Avvocatura, atteso che, secondo linsegnamento della Corte Costituzionale: occorre considerare che, in via di principio, il momento discrezionale del potere della Pubblica Amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale. Lo strumento dellautotutela deve sempre essere valutato nel quadro dei principi di imparzialità, di efficienza e, soprattutto, di legalità dellazione amministrativa, espressi dallart. 97 Cost. (sent. n. 75/2000), quindi senza una generalizzazione della potestà di procedere a contrattazioni con un privato in forme non previste dalle norme in vigore; a tale riguardo deve notarsi che lattività contrattuale della P.A. è specificamente disciplinata da diverse normative che prevedono limiti e condizioni a garanzia dellimparzialità nonché del buon andamento dellamministrazione stessa e, daltro canto, in materia tributaria è particolarmente forte lesigenza di rispettare rigorosamente il disposto delle norme, essendo il settore fiscale particolarmente delicato ad esposto ad abusi e, quanto ai dazi, soggetto alla normativa comunitaria». I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 257 A.G.S. Parere del 27 gennaio 2006, n. 10847. Concorso a posti di professore universitario di ruolo di prima fascia bandito con DD.MM. 16 aprile 1992 e 6 agosto 1992 Gruppo n. 10535 criminologia Ricusazione dei componenti della Commissione giudicatrice (contenzioso 4967/95, avv. dello Stato A. De Stefano). «Codesta Amministrazione ha rappresentato per le vie brevi che la richiesta di parere rivolta a questa Avvocatura si riferiva non solo alle modalit à di rinnovazione del concorso, nel caso di impossibilità di procedere con le regole vigenti al momento del bando, ma anche ai provvedimenti da adottare a seguito delle istanze di ricusazione avanzate dalla prof. G. nei confronti di alcuni Commissari (e si riferiva quindi, in definitiva, alla obiettiva esistenza di una ipotesi di impossibilità di concludere la procedura concorsuale in base alla normativa allepoca vigente). Sulla prima questione questa Avvocatura si è espressa con nota del 7 settembre u.s., prot. n. 118214. Con riguardo al secondo quesito (logicamente prioritario), si rappresenta che, per comune giurisprudenza, le disposizioni sulla astensione e sulla ricusazione del giudice contenute negli artt. 51 e 52 c.p.c., sono estensibili per analogia ai procedimenti amministrativi che comportano lespletamento dì una attività di giudizio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2001, n. 2589; Cons. Stato, Sez. II, parere 12 novembre 1997, n. 2598). Tale estensione deve tuttavia avvenire in modo rigoroso e per i soli casi espressamente previsti dalle norme invocate, onde evitare che attraverso di esse i candidati possano precostituirsi un mezzo per ostacolare lo svolgimento dellattività amministrativa o, addirittura, per selezionare i componenti della Commissione di concorso e per orientare a proprio favore la sua attivit à di giudizio (in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 1995, n. 269; Cons. Stato, Sez. II, parere 12 novembre 1997, n. 2437; Cons. Stato, Sez. II, 29 marzo 1995, n. 841; Cons. Stato, Sez. II, parere 23 febbraio 1994, n. 1335; Cons. Stato, Sez. II, parere del 3 luglio 1991, n. 625). Alla luce di questo principio di carattere generale, si deve escludere il fondamento della istanza di ricusazione formulata dalla professoressa nei confronti dei professori B. e N. per il fatto che essi hanno già fatto parte di una Commissione giudicatrice costituita in precedenza per lespletamento dello stesso concorso, i cui atti sono stati annullati dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale con decisione n. 2027/2000. La regola stabilita dallart. 51 c.p.c., che consente di ricusare il giudice che abbia espresso la propria opinione sul fondamento della pretesa azionata, deve essere rigorosamente riferita al caso in cui il magistrato adito (o il componente della Commissione giudicatrice) abbia anticipato in una sede non istituzionale il proprio giudizio sul fondamento delle contrapposte pretese. Essa non può essere riferita invece ad una ipotesi come quella in esame, in cui occorre procedere alla rinnovazione delle operazioni concorsuali annullate in sede giurisdizionale per un vizio meramente formale del procedimento, intervenuto nella fase di costituzione della Commissione, e che non 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO abbia in alcun modo comportato un apprezzamento negativo dellattività svolta dai Commissari. È evidente che in questo caso la rinnovazione delle operazioni già compiute costituisce soltanto un supplemento di quelle espletate in precedenza e non modifica in nessun modo la posizione di terzietà, imparzialità ed autonomia dei singoli componenti della Commissione giudicatrice (in tale senso, Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 1990, n. 512). Il richiamo agli artt. 51 e 52 c.p.c. appare più pertinente con riferimento alla posizione dei proff. A.M. e C.M., che quali componenti dei coordinamento nazionale dei docenti universitari di discipline sociologiche denominato Terza componente hanno sottoscritto un documento a favore di uno dei concorrenti. In tale documento si ricorda in particolare che il concorrente prof. S. fu proposto come candidato della Componente per la copertura del posto messo a concorso e si rappresenta ai componenti della Commissione allepoca costituita la stima unitaria ed unanime per lo stesso concorrente, che si è trovato in una situazione di drammatico stress per le lunghe traversie giudiziarie, ascrivibili a vizi di carattere puramente procedurale. La sottoscrizione di questo documento sarebbe certamente causa di ricusazione di tutti i suoi firmatari, ove si ritenga che in tal modo si volesse influenzare lesito del concorso, manifestando la superiorità di un concorrente rispetto agli altri o cercando di favorire la sua candidatura per solo effetto dellappartenenza ad una scuola. In questultima prospettiva, la partecipazione alla Commissione giudicatrice potrebbe integrare addirittura gli estremi dellinteresse privato in atti di ufficio. Si ritiene tuttavia che il documento interpretato secondo buona fede, in base al significato letterale delle parole adoperate e nel contesto in cui è stato redatto non abbia queste implicazioni e non ricada nello stretto ambito di applicazione degli artt. 51 e 52 c.p.c. per le ragioni già congruamente espresse dal prof. C.M. nelle proprie controdeduzioni. Il documento collettivo non contiene nessuna valutazione comparativa che possa essere considerata come unanticipazione dellesito del confronto concorrenziale tra i candidati, ma lasciando impregiudicato ogni possibile giudizio sui meriti degli altri contendenti si limita ad esprimere una attestazione di stima ed una manifestazione di solidarietà per il candidato che, pur essendo risultato vincitore per non contraddette qualità di studioso, è stato pregiudicato da lunghe e complesse vicende procedurali e giudiziarie. Si tratta dunque di un documento che si inserisce nella dialettica esistente nel mondo accademico e che esteriorizza i tradizionali rapporti tra le varie scuole operanti nellambito universitario, senza implicare necessariamente la preferenza per il candidato segnalato allorché si debba valutare la sua prevalenza o meno rispetto ad altri candidati che possono vantare, in ipotesi, qualit à e titoli migliori. Il documento in questione, pur esprimendo una valutazione lusinghiera per il prof. S., è infatti svincolato da parametri di riferimento e da elementi di paragone, che possono costituire un utile criterio per esprimere un giudizio di relazione, quale è quello che tipicizza una precedenza concorsuale. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 259 La situazione, anche se esteriorizzata attraverso un documento collettivo, non è dunque sostanzialmente diversa da quella che si registra abitualmente per effetto dei rapporti intercorrenti tra docenti ed allievi e tra appartenenti ad una stessa comunità scientifica. Questi rapporti, del tutto comuni nellambito universitario, non sono normalmente sufficienti a giustificare laccoglimento di una istanza di ricusazione, contro il già richiamato principio di eccezionalità e di tassatività delle ipotesi stabilite dagli artt. 51 e 52 del c.p.c. e contro lesigenza di assicurare la continuità e lefficienza dellazione amministrativa (arg. ex Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 1996, n. 488; Cons. Stato, Sez. VI, 25 settembre 1995, n. 988; Cons. Stato, Sez. II, parere 23 febbraio 1994, n. 157). Lesistenza di siffatti rapporti tra componenti di una stessa scuola accademica è daltronde presupposta dallo stesso legislatore, che ha affidato la soluzione dei conseguenti problemi alla disciplina sulle incompatibilità ed ai meccanismi di elezione e sorteggio che regolano la composizione della Commissione giudicatrice. Tali disposizioni trovano infatti la propria ratio proprio nellesigenza di bilanciare i rapporti tra le varie Componenti del corpo docente e di assicurare una adeguata rappresentatività agli appartenenti alle diverse scuole di pensiero. Questi equilibri verrebbero chiaramente alterati, qualora si introducesse un sistema di veti incrociati sui docenti appartenenti ad indirizzi contrapposti, per effetto della loro affinità con altri concorrenti. Nel caso di specie, una simile eventualità condurrebbe a risultati chiaramente abnormi, perché escludendo dalla Commissione tutti i sottoscrittori del documento in questione finirebbe verosimilmente per condurre alla formazione di una Commissione di gradimento della concorrente che ha proposto listanza di ricusazione, in contrasto con le finalità proprie dellistituto e con lesigenza di assicurare il rispetto del pluralismo esistente nella comunit à dei docenti. Ne consegue che non appare fondata neppure la ricusazione dei commissari A.M. e C.M. Occorre a tal punto considerare che due Componenti della nuova Commissione, i proff. A.M. e N., hanno nel contempo presentato le proprie dimissioni, nel dichiarato intento di evitare probabili futuri contenziosi in materia, che si sicuramente ritarderebbero la chiusura del concorso, e di garantire che la Commissione , sia del tutto svincolata da ogni coinvolgimento emotivo. Questa Avvocatura ritiene che si debba aderire allorientamento giurisprudenziale secondo cui le dimissioni del componente di una commissione di concorso siano subordinate allaccettazione da parte della Amministrazione, la quale deve valutare comparativamente alla luce della motivazione addotta dallinteressato le ragioni che giustificano lesonero dalla funzione con linteresse pubblico alla definizione del procedimento concorsuale (T.A.R. Sicilia, 10 gennaio 1994, n. 3; Corte Conti, Sez. Controllo, 26 novembre 197, n. 1850). Nel caso di specie, le ragioni delle dimissioni non sono riconducibili a cause di forza maggiore né a preminenti problemi di carattere personale, ma 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO costituiscono piuttosto una conseguenza del comportamento litigioso dei concorrenti e delle difficoltà di carattere psicologico derivanti dalla lunga contesa giudiziaria. Tali ragioni, per quanto comprensibili, non appaiono prevalenti rispetto alla esigenza, più volte sottolineata da questa Avvocatura, di portare a compimento il procedimento intrapreso. Qualora condivida questi rilievi, codesta Amministrazione potrà dunque rifiutare le dimissioni e riaffermare la propria fiducia alla Commissione designata, invitandola a concludere doverosamente i lavori concorsuali ed a procedere con la necessaria imparzialità alla valutazione dei titoli dei candidati, fornendo congrua e logica giustificazione del proprio operato attraverso la formulazione di analitici giudizi (omissis)». A.G.S. Parere del 17 febbraio 2006, n.20209. Interpretazione ed applicazione del D.L. n. 203 del 30 settembre 2005 conv. con legge 248 del 2 dicembre 2005 in materia di invalidità civile (consultivo 56149/05, avvocato M. Russo). «Con legge 248 del 2 dicembre 2005, è stato convertito il d.l. 203 del 30 settembre 2005, contenente allart. 10, commi da 1 a 5, norme sostanziali e processuali in materia di invalidità civile. Si osserva che il suddetto art. 10, che desta perplessità sotto il profilo della coerenza, pone seri problemi applicativi, in relazione ai quali si forniscono le seguenti indicazioni. In primo luogo, la norma prevede, al comma 1°, con norma di diritto sostanziale, il subingresso dellINPS nellesercizio delle funzioni residuate allo Stato in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità, già di competenza del Ministero dellEconomia e Finanze, salvo rinviare (comma 2°) allemanazione di appositi D.P.C.M. lindividuazione della data di effettivo esercizio da parte dellINPS delle funzioni trasferite, nonché delle risorse da trasferire alluopo. Per quanto riguarda invece il regime processuale delle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità, lart. 10 individua ai successivi commi da 4 a 6 tre distinte fattispecie, stabilendo: Comma IV: fino alla data stabilita con i decreti di cui al comma 2°, resta fermo, in materia processuale, quanto stabilito dallart. 42 comma 1° del d.l. 30 settembre 2003, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003 n. 326. Comma V: per le controversie instaurate nel periodo compreso fra la data di entrata in vigore del presente decreto [4 ottobre 2005] e la data di effettivo esercizio da parte dellINPS delle funzioni trasferite, la difesa in giudizio del Ministero dellEconomia e Finanze è assunta, ai sensi del predetto art. 42 comma 1° del citato d.l. 269/03, da propri funzionari ovvero da avvocati dipendenti dellINPS Comma VI: a decorrere dalla data di effettivo esercizio da parte dellINPS delle funzioni trasferite, gli atti introduttivi dei procedimenti giu- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 261 risdizionali in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità, nonché le sentenze ed ogni provvedimento resi in detti giudizi devono essere notificati anche allInps. La notifica va effettuata sia presso gli uffici dellavvocatura dello Stato ai sensi dellart. 11 r.d. 1611/33, sia presso le sedi provinciali dellINPS. Nei procedimenti giurisdizionali di cui al presente comma, lINPS è litisconsorte necessario ai sensi dellart. 102 del c.p.c. e, limitatamente al giudizio di primo grado è difeso da propri dipendenti. Il quadro così delineato prospetta, quindi, differenti regimi processuali, a seconda del momento in cui viene incardinato il giudizio rispetto allentrata in vigore del d.l. ovvero rispetto alleffettivo esercizio da parte dellINPS delle funzioni trasferite. 1. In particolare, ai giudizi iniziati (intendendosi per data dinizio quella di deposito del ricorso di primo grado in cancelleria) in epoca antecedente allentrata in vigore del d.l. 203/05, continua ad applicarsi il regime delineato dallart. 42 d.l. 269/03. Ciò comporta che il patrocinio debba essere svolto dallAvvocatura dello Stato o direttamente dallAmministrazione, a seconda delle intese intercorse tra ciascuna Avvocatura (Generale o Distrettuale a seconda dei casi) e lAmministrazione stessa, secondo le indicazioni a suo tempo fornite con parere della Scrivente approvato dal Comitato Consultivo, reso con nota prot. 45670 del 26 marzo 2003. . 2. Viene poi individuata una fase transitoria, che comprende i giudizi iniziati a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.l. 203/05 (cioè dal 4 ottobre 2005), e fino alleffettivo esercizio da parte dellINPS delle funzioni trasferite. La Scrivente, poiché in sede di conversione la norma di cui al comma 5° non ha subito modifiche, non può che confermare le indicazioni già rese con la Comunicazione di servizio n. 148/05, diffusa con circolare n. 43/05 in occasione della prima applicazione del d.l. 203, salve le precisazioni di cui infra. Si ribadisce, innanzitutto, quanto comunicato nella sopra richiamata Comunicazione di Servizio 148/05, circa il fatto che nessuna comunicazione in relazione agli atti notificati presso la Scrivente sarà fatta allAmministrazione, cui pure in base allart. 42, 1° comma d.l. 269/03 deve continuare a farsi la notifica degli atti. Inoltre si osserva che stante lunicità dellalternativa prospettata dalla norma tra affidamento del patrocinio dellAmministrazione ai funzionari, ovvero ad Avvocati dipendenti dellINPS alla difesa del Ministero dellEconomia e Finanze il medesimo dovrà provvedere o direttamente, attraverso propri funzionari, ovvero attraverso avvocati dipendenti dellINPS. Peraltro atteso il tenore della norma (La difesa è assunta da avvocati dipendenti dellINPS), che prevede in via ordinaria lalternativa tra laffidamento del patrocinio ai funzionari del Ministero ovvero ad avvocati dellINPS si reputa sufficiente, ai fini dellaffidamento del patrocinio del Ministero a detti avvocati, il raggiungimento di unintesa in tal 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO senso tra Amministrazione ed INPS, mentre non appare più necessaria la stipula della convenzione, già prevista dallart. 42 d.l. 269/03. Quanto al patrocinio dellAmministrazione in grado di appello nella fase transitoria individuata dal comma 5° dellart. 10 d.l. 203/05, tenuto conto sia dellalternativa posta dalla norma esclusivamente tra patrocinio dei funzionari dellAmministrazione e patrocinio di avvocati dipendenti dellINPS, sia dei principi processualcivilistici di cui allart. 82 c.p.c. (necessità del ministero o assistenza di un difensore, salvo diversa previsione di legge), si ritiene che il patrocinio dellAmministrazione nei giudizi di appello vada affidato esclusivamente ad Avvocati dipendenti dellINPS. Per quanto attiene poi alleventuale terzo grado di giudizio (cioè il ricorso per cassazione), avuto riguardo allart. 365 c.p.c., che recita: il ricorso è sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in apposito albo, munito di procura speciale, nonché allart 82 III comma c.p.c. le parti debbono stare in giudizio ...davanti alla Corte di Cassazione con il ministero di un avvocato iscritto nell apposito albo, il patrocinio in sede di giudizio di legittimità dovrà essere affidato ad avvocati cassazionisti, dipendenti dellINPS. 3. Si viene, ora, alla norma di cui al comma VI dellart. 10 d.l. 203/05, con la quale viene dettata la disciplina delle controversie in materia per il periodo successivo alleffettivo esercizio da parte dellINPS delle funzioni trasferite. Trattasi di norma assolutamente non chiara, fonte di numerosi dubbi ermeneutici, della quale nelle more di un auspicato intervento chiarificatore del legislatore sembra debba darsi uninterpretazione restrittiva, identificando in essa una norma transitoria, riferibile esclusivamente ai giudizi introdotti dopo il passaggio delle funzioni allINPS, ma relativi a provvedimenti precedentemente adottati dallAmministrazione statale, fermo rimanendo tuttavia che a regime, per i giudizi concernenti unicamente provvedimenti dellINPS, sarà questo lunico legittimato processuale e destinatario delle notifiche». A.G.S. Parere del 20 febbraio 2006, n.20930. Validità delle graduatorie dei concorsi per laccesso alla dirigenza. (AL 39576/05, avvocato P. Palmieri). «Con nota del 19 luglio 2005 prot. 27798 class. 16.13.01/2.1 codesto Ministero ha richiesto il parere della Scrivente in merito ad un duplice ordine di questioni al fine di verificare la possibilità di attingere a graduatorie relative a concorsi precedentemente indetti per laccesso alla qualifica di dirigente dellAmministrazione dei Beni Culturali. Nella esposizione delle questioni codesta Amministrazione non precisa alcuni dati di fatto relativi allesatto svolgersi delle procedure concorsuali cui la richiesta di parere sembra riferirsi. Con successiva comunicazione dellU.L. in data 13 febbraio 2006, peraltro, risultano indicate le tipologie di concorsi interessati con le relative date di approvazione delle graduatorie. 1. Nellesaminare i quesiti secondo un ordine opposto a quello di cui alla richiesta di parere si osserva che lAmministrazione chiede di conosce- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 263 re se, oltre alle graduatorie dei concorsi per esami ovvero per corso-concorso di cui allart. 28 commi secondo e terzo del D.Lgs. n. 29/1993, possano considerarsi ancora utilizzabili le graduatorie dei concorsi per titoli e colloquio di cui allart. 28 ult. comma (disposizione successivamente abrogata). A sostegno di una risposta positiva al suesposto quesito la Direzione Generale per gli affari generali Dipartimento per la ricerca, linnovazione e lorganizzazione richiama un parere risalente della Funzione pubblica facendo altresì presente che sono già stati emanati provvedimenti di nomina di idonei a concorsi per titoli e colloquio e che detti provvedimenti sono già stati regolarmente registrati dallorgano di controllo. Nella nota emarginata, peraltro, si dà altresì atto di un opposto orientamento del Dipartimento per i Beni archivistici e librari, contrario allulteriore scorrimento della graduatoria, nonché del sorgere di un contenzioso innanzi al T.A.R. da parte di aspiranti alla nomina in attesa di concorso. Con riferimento a detto quesito osserva la Scrivente che laccesso alla dirigenza quale delineato nel sistema introdotto dal D.Lgs. n. 29/93 avviene in via ordinaria attraverso due forme di reclutamento: il concorso per esame (art 28 comma 2) ed il corso-concorso presso la Scuola superiore della P.A.(art. 28 comma 3). Principio ispiratore della materia è dunque, allo stato della vigente normativa, la valorizzazione del concorso per esami, cui viene riservata la maggioranza dei posti, rispondente alla chiara finalità di creare una nuova classe dirigenziale connotata da una professionalità sempre più elevata, obiettivo questo da raggiungere proprio attraverso una selezione rigorosa fondata su requisiti di capacità e competenza. Ratio ispiratrice della disciplina in esame è, invero, ravvisabile nellesigenza di tendere alla piena efficienza della P.A. attraverso un sistema di reclutamento che assicuri il reperimento dei soggetti più capaci e meritevoli (in tal senso anche Cons. di St. Sez. IV, 11 marzo 1999 n. 260). In tale quadro lultimo comma dellart. 28 prevedeva, tuttavia, che nei primi tre anni di applicazione del decreto legislativo la metà dei posti destinati al concorso per esami venissero assegnati mediante concorso interno per soli titoli di servizio professionali e culturali integrato da colloquio. In attuazione di detta disposizione il D.P.C.M. n. 439 del 21 aprile 1994, allart. 19, ulteriormente specificava che la possibilità di derogare al sistema generale del concorso per esami sussisteva esclusivamente in sede di prima applicazione del regolamento, per una sola volta e per non oltre tre anni dalla sua entrata in vigore. Tali disposizioni, introducendo una deroga al sistema di cui ai primi commi del D. Lgs. n. 29/93, improntati al diverso principio della regola concorsuale, dettavano la fase transitoria relativa alla prima fase di applicazione della nuova disciplina in materia di pubblica dirigenza ed erano dirette a selezionare le migliori professionalità allinterno dellAmministrazione allo scopo che non le stesse non venissero disperse o lasciate inutilizzate. La lettura della norma e lapposizione di limiti temporali ben precisi sono tali, tuttavia, da dimostrare la palese eccezionalità della previsione, limitata sia in termini di efficacia temporale che di possibilità di applicazione ( una tantum, specifica la norma). 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Ritiene, pertanto, la Scrivente che lutilizzo della graduatoria relativa ad un concorso per titoli e colloquio bandito circa otto anni addietro mediante assunzione di idonei sarebbe contrario allo spirito tanto del citato art. 28, quanto dello stesso D.P.C.M. n. 439/94, il cui art. 19 limitava tale eccezionale forma di reclutamento alla fase di prima applicazione della normativa che a regime, dovrebbe vedere utilizzate solo le due forme di reclutamento canoniche limitando anche temporalmente tale sistema di selezione (per tre anni dallentrata in vigore e per una sola volta). Si ritiene, pertanto, che lattribuzione di ulteriori posti da dirigente in base alla graduatoria approvata per detta procedura concorsuale non risponda alla ratio della normativa sopra esaminata oltretutto esponendo codesta Amministrazione ad una serie di ricorsi (alcuni dei quali a quanto è dato sapere già notificati) da parte di quanti legittimamente aspirino al bando di posti mediante regolari procedure per esami o per corso concorso. Allo scopo di contraddire alla tesi qui sostenuta non si ritiene che possa essere utilmente richiamato il parere espresso dal Dipartimento per la Funzione pubblica di cui allallegata nota del 6 settembre 2001 in risposta ad un analogo quesito posto dal Ministero in data 4 aprile 2001. Con detta nota il Dipartimento giustificava la possibilità per le Amministrazioni che avessero formalmente comunicato i posti messi a disposizione per le relative procedure concorsuali, di utilizzare le graduatorie degli idonei ancora vigenti (sulla base delle previsioni di cui allart. 51 comma 8 della l. n. 388 del 2000) nei limiti di un terzo ex art. 3, comma secondo, del d.P.R 30 marzo 2001. A prescindere dai dubbi sulla reale applicabilità di detta normativa al caso di specie (considerato che lart. 51 sopra citato espressamente si riferisce unicamente alle graduatorie di cui allart. 28 comma secondo del D. Lgs. n. 29/93 determinando la proroga dellefficacia delle sole graduatorie relative a concorsi per esami), in ogni caso si tratta di disposizione che ormai ha visto esaurito il suo ambito temporale di efficacia. Nel rispondere al quesito in esame si ritiene, pertanto, che le graduatorie dei concorsi per titoli e colloquio banditi ai sensi dellart. 19 del D.P.C.M. 439/94 non siano attualmente utilizzabili ai fini dellassunzione di candidati dichiarati idonei. 2. Resta da verificare se residui la possibilità di attingere a graduatorie relative a concorsi per esami indetti ai sensi dellart. 2 del D.Lgs. n. 29/1993. Codesto Ministero chiede pertanto, se dette graduatorie conservino validità per un periodo di diciotto mesi decorrente dalla data della loro approvazione, come testualmente statuito dallart. 39, comma 13, della legge n. 449/97 ovvero, come sostenuto dal Dipartimento per i Beni archivistici, dalla data della loro pubblicazione secondo i generali principi in materia di pubblico impiego. Questultima tesi consentirebbe di ritenere tuttora valida la graduatoria del concorso per dirigente nei ruoli degli Archivi di stato bandito con D.D. 16 giugno 1997 e con D.D. 12 febbraio 1998, non ancora sottoposta a pubblicazione contrariamente alle previsioni di cui al relativo bando. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 265 Si osserva, al riguardo, che non sembra possa derogarsi a quanto espressamente previsto dallart. 39 della legge finanziaria da ultimo menzionata ove si dispone che Le graduatorie dei concorsi per esami, indetti ai sensi dellart. 28 comma 2 del D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modificazioni conservano validità per un periodo di diciotto mesi dalla data della loro approvazione. Detta norma, destinata a disciplinare esclusivamente i concorsi per esami per il reclutamento di qualifiche dirigenziali sembra assumere, pertanto, carattere speciale rispetto alla disposizione generale di cui al d.P.R. 487 del 1994 (Regolamento recante norme sullaccesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi) il cui art. 15 comma 7 fa riferimento alla data di pubblicazione per il decorso del termine generale di efficacia delle graduatorie ed appare probabilmente ispirata dalla ratio di limitare nel tempo lefficacia delle graduatorie relative ai concorsi per laccesso alle qualifiche dirigenziali, anche nell ottica di porre un limite alle nuove assunzioni riscontrabile in altre disposizioni della medesima legge finanziaria. Linterpretazione sistematica della disposizione, pertanto, sembra confermare quella letterale della norma in esame. Daltra parte, non sembrano accoglibili le istanze di quanti, dichiarati idonei sulla scorta di graduatorie approvate ma non ancora pubblicate invochino la perdurante efficacia di tali graduatorie rivendicando il proprio diritto allassunzione. Tali istanze, oltre ad essere contrarie alla previsione dellart. 39 sopra richiamato, non sembrano trovare tutela nellordinamento. Né nelle previsioni del d.P.R. 487 del 1994, destinato a disciplinare categorie di dipendenti pubblici diverse dal personale dirigenziale per il quale, come sopra osservato, sussiste una norma speciale, né tanto meno nei generali principi della materia. Lapprovazione della graduatoria di concorsi di pubblico impiego, al di là dellimproprio nomen iuris (lapprovazione in senso tecnico essendo un atto di controllo attinente alla fase di efficacia del provvedimento), è un provvedimento di natura costitutiva che ha carattere centrale e conclusivo nellambito del procedimento concorsuale, con il quale lAmministrazione fa proprio loperato della Commissione (in tal senso anche Cons. di St., Sez. IV, 31 gennaio 2005 n. 221). La pubblicazione della graduatoria, daltro canto, attiene alla diversa esigenza della partecipazione agli interessati quanto alla conclusione della procedura concorsuale in modo da consentire ai candidati esclusi o comunque pregiudicati dalla graduatoria approvata leventuale tutela giudiziaria ed è pertanto tale da determinare il decorso dei termini per limpugnativa della stessa in sede giudiziaria. Nel caso richiamato da codesta Amministrazione con la richiesta di parere in atti, la pubblicazione non è seguita immediatamente allapprovazione della graduatoria come previsto dalla normativa generale (art. 15, commi 5 e 6 del d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487) e dal bando di concorso, determinando un particolare scostamento temporale tra i due atti. 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Tale situazione particolare, tuttavia, non sembra poter far concludere per la soluzione opposta a quella condivisa dalla Scrivente. Che lomessa pubblicazione non condizioni la decorrenza del termine di validità della graduatoria sembra, del resto, trovare conferma in quella giurisprudenza che, in mancanza di una espressa previsione normativa, fa decorrere il termine iniziale di efficacia di una graduatoria, rilevante ai fini del computo di validità complessiva, dalla data dellapprovazione della graduatoria stessa da parte dellAmministrazione, anche indipendentemente dalla successiva approvazione da parte dellorgano tutorio. Già in questa fase, afferma detta giurisprudenza, sussiste in capo agli interessati una posizione di interesse legittimo alla conservazione dellatto e, nei confronti dellAmministrazione, linteresse concreto ad ovviare a vacanze sopravvenute in organico mediante ricorso alla procedura di c.d. scorrimento della medesima (Cons. di St., Sez. IV, 31 gennaio 2005 n. 238). Se, in effetti, da tale momento lAmministrazione, in mancanza di una diversa previsione legislativa è legittimata ad assumere i candidati idonei nei limiti previsti dalla normativa applicabile al concorso di riferimento sembra ininfluente la circostanza dellavvenuta pubblicazione (per contro rilevante ad altri fini), avuto riguardo allindividuazione del dies a quo del periodo di validità utile ai fini del ricorso allo scorrimento. Si ritiene, pertanto che il termine di validità delle graduatorie in argomento possa considerarsi legittimamente compiuto alla data dello scadere dei diciotto mesi dallapprovazione della graduatoria come testualmente indicato dallart. 39 comma 13 della legge n. 449 del 1997, scadenza che nel caso di specie, sulla base delle date di approvazione da ultimo indicate dallU.L. di codesto Ministero, deve ritenersi ormai verificata. Tali conclusioni non sembrano assoggettabili a ripensamento alla luce dellappunto fatto pervenire per le vie brevi dallUfficio Legislativo a sostegno della tesi contraria. Sostiene innanzitutto lU.L. di codesto Ministero che lart. 28 comma 2 del decr. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 risulta abrogato dallart. 72 del D.Lgs. 20 marzo 2001, n. 165. Si sostiene pertanto, che poiché tale disposizione non può considerarsi una modifica bensì una innovazione del precedente art. 28 del D.Lgs. n. 29/93, la previsione di cui al citato art. 39 comma 13, troverebbe applicazione solo per le procedure concorsuali bandite sotto la vigenza del decreto n. 29/93 e che, pertanto, per i concorsi banditi in tempi successivi tornerebbe ad operare il regime generale della decorrenza dalla pubblicazione. A tale riguardo si osserva che, nel caso di specie, il concorso per esame di cui si chiede di valutare la perdurante efficacia della graduatoria a quanto risulta dalla documentazione esaminata risulta essere stato bandito con D.D. 16 giugno 1997 e successivo D.D. 12 febbraio 1998 (come si evince dalla nota del 27 giugno 2005 del Dipartimento dei Beni archivistici e librari prot. 7722) e che, pertanto, lo stesso rientra nel periodo di vigenza dellart. 28 comma secondo del D.Lgs. n. 29 del 1993. Con ulteriori argomentazioni, inoltre, lUfficio Legislativo fa presente che in base allinterpretazione letterale dellart. 39, comma 13 sopra richia- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 267 mato, si dovrebbe ipotizzare un duplice ordine di effetti nascenti dalla graduatoria, di cui alcuni insorgenti a far data dalla approvazione, distinti da altri decorrenti dalla data di pubblicazione. Sarebbe infatti possibile per lAmministrazione attingere immediatamente dalla graduatoria secondo lordine degli idonei là dove non sarebbero iniziati a decorrere i termini per limpugnativa stante la mancata pubblicazione. Tuttavia, a ben vedere, fermo restando che dallapprovazione e dalla pubblicazione discendono effetti diversi, ricollegabili alla diversa natura dei due atti come sopra chiarita, una vera e propria distorsione del sistema si verifica proprio là dove alla approvazione non segue nei tempi tecnici la pubblicazione della graduatoria, secondo le previsioni generali di legge e degli stessi bandi di concorso. (Nel caso sottoposto allattenzione di questo G.U. in relazione al concorso bandito con D.D. 16 giugno 1997 integrato con D.D. 12 febbraio 1998, la graduatoria approvata nel 1998 non risulta che sia stata ancora pubblicata). Losservazione sopra esposta, dunque, a parere di questo G.U. sembra piuttosto confermare la tesi qui accolta nel senso che, leggendo il termine approvazione di cui testualmente allart. 39, comma 13 della legge n. 447/97 come equivalente a pubblicazione con la conseguenza che solo da quest ultimo atto della procedura concorsuale decorra il termine di efficacia della graduatoria detta efficacia finirebbe con lessere protratta sine die proprio nei casi in cui lAmministrazione non provveda allobbligo di pubblicazione in tal modo vanificando il senso e la portata precettiva della disposizione in esame. Si ritiene, pertanto, di dover dare risposta negativa anche al quesito da ultimo esaminato». A.G.S. Parere del 20 febbraio 2006, n.20934. Rimborso spese di difesa in relazione a procedimenti penali per i dipendenti e associati dellIstituto Nazionale di Fisica Nucleare (consultivo n.50685/05, avvocato C. Sica). «Questa Avvocatura Generale ritiene che la soluzione dl problema posto non vada ricercata nella fattispecie nellart. 73 del C.C.N.L. del 1998, né nellart. 18 del d.l. n. 67 del 1997 (conv. con legge n. 135 del 1997), ma nell art. 19 del d.P.R. n. 509 del 1979 da ritenere tuttora applicabile in quanto non soppresso esplicitamente né implicitamente (neppure dal citato art. 73, questo aggiungendo la copertura assicurativa collettiva per responsabilità civile verso i terzi e ivi prevedendo nellambito di tale copertura anche gli oneri di assistenza legale, in tal modo sgravando lIstituto del relativo obbligo di rimborso). Il problema è, quindi, verificare se il termine dipendenti, di cui al citato art. 19, possa essere esteso anche ai soggetti che operano in favore dellINFN quali associati con incarico. La risposta è positiva, in quanto si è sempre data (relativamente alla tematica in esame) equiparazione tra dipendente (inteso quale personale assunto) e agente ovvero incaricato in via onoraria ovvero e comunque 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO soggetto che opera nellinteresse dellEnte o Amministrazione con titolo legittimante (in tale categoria rientrano certamente gli associati). Inoltre, nella fattispecie, lart. 3 del Regolamento dellINFN comprende espressamente tra il personale dellEnte anche il personale dipendente da mediante incarico di ricerca o di collaborazione tecnica, nel quale vanno inquadrati gli associati». A.G.S. Parere del 20 febbraio 2006, n. 20947. ICE Costituzione di una società mista a prevalente capitale pubblico cui affidare in via diretta lappalto per il servizio di progettazione e realizzazione di stands fieristici (consultivo 17895/05, avvocato C. Sica). «Codesto Istituto, perseguendo la finalità di una maggiore flessibilità operativa e convenienza economica, ha rappresentato la volontà di costituire una società mista a prevalente capitale ICE e minusvalente capitale enti fieristici cui affidare la realizzazione e la gestione di vari tipi di iniziative promozionali che la interessano, nonché la gestione concorsuale delle eventuali procedure ad evidenza pubblica per laffidamento a soggetti terzi di dette iniziative. Questa Avvocatura Generale ritiene consentito laffidamento ipotizzato nella nota in riscontro nei limiti che seguono. Lart. 3, comma 2, della legge n. 68 del 1997 e lart. 29, comma 1 lett. b), della legge n. 448 del 2001 consentono a codesto Ente di poter costituire soggetti di diritto privato per il miglior conseguimento dei fini istituzionali, anche in termini di razionalizzazione organizzativa. In tema, la giurisprudenza comunitaria (in particolare la sentenza della Corte di Giustizia Europea, Sez. I, dell11 gennaio 2005, in Causa C-26/03) ha riconosciuto la possibilità per unAutorità pubblica, che sia unAmministrazione aggiudicatrice, di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante proprie strutture amministrative, tecniche o di altro tipo; ovvero, attraverso unentità giuridicamente distinta sulla quale, però, lAmministrazione aggiudicatrice eserciti un controllo analogo a quello che essa esercita sulle proprie strutture e tale entità realizzi la parte più importante della propria attività con lAutorità o le Autorità pubbliche che la partecipano e la controllano. Per contro, secondo diverso orientamento comunitario, la partecipazione, anche minoritaria, di unimpresa privata o di un privato al capitale di una società alla quale partecipi anche lAmministrazione aggiudicatrice esclude che tale Amministrazione possa esercitare un controllo analogo a quello che essa esercita sulle proprie strutture. Infatti, qualunque investimento privato in unimpresa obbedisce allinteresse privato e persegue obiettivi che non sono di interesse pubblico, laddove il rapporto tra unAutorità pubblica e le sue strutture sottostà esclusivamente ad esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Limpostazione di cui alla citata sentenza in Causa C-26/03 appare allo stato prevalere nel recente orientamento comunitario sulla questione; né esso I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 269 appare inciso (con particolare riguardo alla fattispecie oggetto del presente parere) dalla più recente sentenza della medesima Corte di Giustizia Europea, Sez. I, del 13 ottobre 2005, in Causa C-458/03, poiché questa sentenza è relativa ad un caso assai particolare ed effettivamente contrastante con i principi della concorrenza. Infatti, in tale caso si trattava della costituzione di una società per azioni nata dalla trasformazione di unazienda speciale di un comune che contestualmente aveva mutato oggetto sociale e ambito territoriale di attivit à (esteso anche allestero), nonché priva di controllo gestionale da parte dell ente territoriale e aperta nellimmediato futuro alla partecipazione incondizionata di altri soggetti giuridici privati. Cioè, in realtà, di una societ à svolgente pura attività imprenditoriale nel libero mercato. Nella giurisprudenza nazionale, un consolidato orientamento (in particolare, per tutte, Consiglio di Stato, sentenza n. 3672/05) ritiene soddisfatto il requisito del controllo analogo anche in presenza di partecipazioni societarie tra più enti pubblici o tra enti pubblici e soci privati di minoranza, purché questi ultimi siano selezionati con procedure ad evidenza pubblica. Lultima ipotesi, cioè la costituzione di una società di tipo misto partecipata da enti pubblici e soci privati, è ammessa espressamente nel caso in cui a tale società venga affidata la gestione di un servizio che possa costituire oggetto di concessione di pubblico servizio. Peraltro, identica ratio è possibile rinvenire anche nel caso di appalto di servizi. Infatti, ove latto costitutivo e lo statuto della costituenda società mista prevedano riserve o meccanismi di nomina degli organi di amministrazione e controllo (che consentano il rispetto del principio comunitario di controllo analogo a quello sulle strutture amministrative), nonché limmodificabilità delloggetto sociale determinato in coerenza con la finalità pubblica dellAmministrazione interessata, la quale deve ovviamente detenere più del 50% del capitale sociale e rappresentare per la società mista la destinataria principale se non esclusiva dellattività societaria, appare consentita la partecipazione di soggetti privati, ferma la loro scelta a mezzo di procedura a evidenza pubblica. Appare, tuttavia, prudente allo stato e tenuto conto che non si è ancora formata una giurisprudenza comunitaria consolidata che la partecipazione (come detto necessariamente minoritaria) al capitale della società venga consentita solo ad enti pubblici e/o fieristici. Da ultimo, resta a dire che, nel caso la costituenda società abbia a svolgere per espressa limitazione statutaria solo la funzione di stazione appaltante per conto di codesto Ente e, quindi, bandisca gare ad evidenza pubblica relative ai servizi e ai beni per cui è corrispondenza, nulla quaestio. A.G.S. Parere del 2 marzo 2006, n.25994. Croce Rossa Italiana Nomine dirigenziali Rappresentanza processuale Poteri del Direttore Generale e del Commissario liquidatore (consultivo n. 36705/05, avvocato M. Russo). 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO «(Omissis) Il quesito proposto dal Direttore Generale della Croce Rossa Italiana si articola, a ben vedere, in due distinti aspetti. Il primo attiene allindividuazione del soggetto legittimato, fra lo stesso Direttore Generale ed il Commissario Straordinario, al conferimento di incarichi dirigenziali ed alla stipula dei relativi contratti nella vigenza dello Statuto approvato con D.P.C.M. 208/02; trattasi di questione emersa in occasione di alcuni ricorsi giurisdizionali ex art. 700 c.p.c. (proposti con distinti atti dalla dott. F. e dal dott. C. ct 34255/05, avv. dello Stato DElia e ct. 37664/05, avv. dello Stato M. Russo), definiti in sede cautelare in senso sfavorevole ai ricorrenti; il secondo attiene, invece, allindividuazione del soggetto titolare della rappresentanza processuale dellAssociazione Croce Rossa Italiana. Per quanto attiene al primo dei suesposti profili, ci si limita a rilevare che la tesi ritenuta corretta dalla Scrivente, e come tale sostenuta in giudizio, è nel senso che il conferimento degli incarichi dirigenziali rientri fra le competenze del Commissario Straordinario. Ed infatti, con D.P.C.M. del 18 aprile 2003, lAvv. Maurizio Scelli è stato nominato Commissario Straordinario dellAssociazione Italiana della Croce Rossa, con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, ai sensi dellart. 57, dellallora vigente Statuto che, testualmente, prevedeva:in caso di impossibilit à di funzionamento dellEnte, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Salute, è nominato un commissario che assume poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. Ai sensi del sopra menzionato decreto, durante tale periodo il Commissario straordinario provvederà dintesa con i Ministeri vigilanti , alla riorganizzazione della struttura centrale e territoriale della Croce Rossa Italiana, anche attraverso le necessarie modifiche del vigente Statuto. Insomma, ai sensi dellart. 57 dello Statuto della CRI vigente allepoca dei fatti oggetto del contendere, è in caso di impossibilità di funzionamento dellEnte che viene nominato un Commissario straordinario che assume i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. In assenza di qualsiasi limitazione desumibile da tale norma, si deve ritenere, pertanto, anche a voler prescindere dallipotesi di unassunzione da parte del Commissario di tutte le funzioni statutariamente attribuite agli organi della Croce Rossa Italiana, che il Commissario non operi solo in sostituzione degli organi di governo dellEnte, ma assuma, virtualmente, tutte le competenze (quali che ne siano ordinariamente gli organi titolari) necessarie per la realizzazione dello scopo per il quale i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione sono conferiti; ossia quello di assicurare il funzionamento dellEnte in condizioni eccezionali, mediante lesercizio di tutti i poteri attribuiti agli organi della C.R.I., in vista e per il tempo necessario al ripristino dellordinaria vita statutaria. In coerenza con tale impostazione, la distinzione tra i poteri sopra specificati, prevista dallart. 16 dello Statuto (indirizzo e controllo, da una parte, e gestione dallaltra) e dallart. 4, d.lgs. 165/2001 è da ritenersi, pertanto, derogata dallart. 57 dello Statuto (norma formalmente equiparata allart. 16, I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 271 ma a carattere speciale), in ragione delleccezionalità del regime commissariale ed attesa comunque la prevalenza del superiore interesse al buon funzionamento dellEnte. Né vè contraddizione fra quanto fin qui esposto e quanto osservato dalla Scrivente alla pag. 9 della memoria depositata al T.A.R. nel ricorso n. reg. 5362, richiamata dal Direttore Generale nella nota in riferimento a sostegno di posizioni opposte a quelle riportate sopra. Ed invero, la circostanza che al Direttore Generale non sia stata revocata la nomina e, quindi, le funzioni in materia di spesa e rappresentanza di cui allart. 27, non preclude comunque al Commissario Straordinario in presenza di una contingente difficile situazione gestionale di riassumere, nell interesse dellEnte, in capo a sé i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. La titolarità del Commissario Straordinario nel conferire incarichi dirigenziali ai sensi dellart. 19 del D.Lgs. 165/2001 è stata, del resto, confermata da condivisibile, esaustivo parere reso con nota prot. 23863 del 22 giugno 2005 dalla Presidenza dei Consigli dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica, già noto alla Croce Rossa Italiana ed in particolare al Direttore Generale. In ogni caso, la posizione sostenuta al riguardo dalla Scrivente, sarà sottoposta al vaglio dei giudici quando saranno trattati nel merito i ricorsi preceduti dalle istanze cautelari sopra richiamate (beninteso, sempre che i ricorrenti si determinino nel senso di coltivarli). Venendo, ora, al secondo aspetto del quesito, sul quale si è altresì acquisito lavviso del Ministero della Salute in qualità di organo vigilante, si svolgono le seguenti osservazioni. La problematica dellindividuazione del soggetto titolare della rappresentanza processuale della Croce Rossa Italiana rileva nel suo duplice aspetto di: Individuazione del titolare del potere deliberativo in ordine alla proposizione di azione od alla resistenza in sede giudiziale; Individuazione del soggetto titolare della legittimazione processuale, vale a dire competente a rappresentare nel procedimento giurisdizionale la Croce Rossa Italiana; e deve essere affrontata alla luce del nuovo Statuto, approvato con D.P.C.M. n. 97 del 6 maggio 2005, attualmente in vigore. In particolare, vengono in considerazione le seguenti norme del citato Statuto: art. 23 lettera h: [il Consiglio Direttivo nazionale] detta gli indirizzi per lAmministrazione del patrimonio, delibera laccettazione di lasciti, e donazioni immobiliari, dispone lacquisto e lalienazione dei beni immobili, la proposizione di azioni e la costituzione nei procedimenti giudiziari; art. 26 n. 3: il Direttore Generale esercita i poteri di gestione dellAssociazione nel rispetto delle direttive del Consiglio Nazionale e le rappresenta in giudizio e nei rapporti con i terzi . Secondo la proposta interpretativa del Direttore Generale, le norme sopra richiamate dovrebbero intendersi nel senso che il Direttore Generale 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO medesimo sia titolare, nella generalità dei casi, sia del potere deliberativo in ordine alla condotta da tenere in relazione ad eventuali procedimenti giurisdizionali, sia della rappresentanza dellAssociazione in sede processuale. Lart. 23 lett. h) riserverebbe infatti, a suo dire, al Consiglio Direttivo Nazionale solo la delibera di azioni giudiziarie (o della resistenza in azioni attivate da altri in danno della Croce Rossa Italiana) in materia di amministrazione patrimoniale. A sostegno della propria posizione, il Direttore evidenzia che il tenore letterale del citato art. 23 lett.h) deporrebbe nel senso di una precisa contestualizzazione del potere deliberativo consiliare alla sola materia dellamministrazione del patrimonio; inoltre, la norma finirebbe, ove non interpretata nel senso da lui proposto, con il realizzare una singolare quanto inaccettabile duplicazione di competenze. La tesi così sintetizzata non persuade. Innanzi tutto, la ritenuta contestualizzazione dellart. 23 lett. h) alla sola amministrazione del patrimonio non trova adeguato sostegno né nel dato letterale (come evidenziato anche dal Ministero della Salute nellavviso espresso alla Scrivente con nota del 4 agosto 2005), né tanto meno nella ratio legis. Non nel dato letterale, in quanto in realtà lart. 23 fa riferimento ad una pluralità di compiti eterogenei individuati da ciascuna lettera, dalla A) alla N) attribuiti al Consiglio Direttivo Nazionale nei più svariati settori, così che non si giustifica lopinione che ritiene contestualizzata alla sola materia amministrazione del patrimonio la proposizione di azioni e la costituzione nei procedimenti giudiziari. Non nella ratio legis, posto che, alla lettera H), la norma ha inteso fare chiaramente riferimento non già solo e genericamente all(ordinaria) amministrazione del patrimonio (circa la quale attribuisce al Consiglio un potere di indirizzo, salvo quanto si dirà oltre sullaffidamento della relativa gestione, nel rispetto di detto indirizzo, al Direttore Generale), ma più precisamente anche alle attività di straordinaria amministrazione (tali sono, appunto, laccettazione di lasciti o donazioni immobiliari, gli atti di disposizione o di acquisto di immobili, ed infine, anche la partecipazione a giudizi sia con ruolo attivo che passivo), che al Consiglio viene riservata in via esclusiva. La norma, inoltre, appare del tutto coerente con il successivo art. 26, che al n. 3, attribuisce, come accennato sopra, al Direttore Generale lesercizio dei poteri di gestione (sintende, ordinaria), dellAmministrazione, nel rispetto di quei poteri di indirizzo (nel rispetto delle direttive del Consiglio direttivo nazionale ) conferiti al Consiglio direttivo nazionale dallart 23 lett. H), nonché gli affida la rappresentanza in giudizio (beninteso, previa delibera sulla proposizione dellazione o a seconda dei casi sulla resistenza, da parte del Consiglio direttivo ex art. 23 lett. H). Né deve meravigliare linterpretazione, ritenuta invece singolare dal Direttore Generale, delle norme di cui allart. 23 lett. H) e 26 n. 3 dello Statuto, come sopra ricostruita. Infatti, essa non realizza a ben considerare alcuna duplicazione di competenze, quanto piuttosto una distinzione fra il soggetto titolare del pote- I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 273 re di deliberare circa la partecipazione a giudizi, ed il soggetto titolare della rappresentanza in giudizio di un ente, situazione questa che nellordinamento è tuttaltro che atipica. Al contrario, per le persone giuridiche (si pensi, a titolo di esempio, alla materia societaria od anche a quanto accade nel caso degli enti locali), tale distinzione è la norma. Anomalo sarebbe, piuttosto, scindere sia la legittimazione a deliberare circa la partecipazione ad un giudizio, sia la rappresentanza processuale dellEnte, in base alla materia oggetto del contendere, a seconda che essa attenga allamministrazione del patrimonio o ad altro (con tutte le difficoltà connesse alla qualificazione di ogni singola fattispecie concreta). Le suesposte considerazioni inducono a ritenere che se, nella vigenza del nuovo Statuto, la rappresentanza processuale appartiene al Direttore Generale, il potere deliberativo in materia appartiene piuttosto al Consiglio Direttivo Nazionale, alle cui determinazioni il Direttore pertanto si dovrà attenere. Va da sé che, in presenza di una situazione di commissariamento, ex art. 51 D.P.C.M. 97/05, stante lassunzione da parte del Commissario Straordinario dei poteri di ordinaria (art. 26 n. 3) e straordinaria (art. 23 lett. H) amministrazione, sia il potere deliberativo circa la partecipazione al giudizio, sia quello di rappresentanza dellente in sede giudiziale si concentrano in capo al Commissario Straordinario cui, quindi, competerà stabilire se intraprendere unazione giudiziale o resistervi, nonché assumere la legale rappresentanza dellAssociazione in sede processuale». A.G.S. Parere del 13 marzo 2006, n.30096. Se in materia di rimborso delle spese legali richiesto da dipendente andato esente da condanna in giudizi inerenti a fatti ed atti connessi con il servizio debba farsi riferimento alla normativa che sarebbe stata applicabile al momento dei fatti ovvero a quella applicabile al momento della sentenza definitiva (Consultivo AC 48814/05, avvocato F.Greco). Codesta Amministrazione ha qui trasmesso con il proprio parere contrario la richiesta di rimborso delle spese legali sostenute da dipendenti imputati del reato di cui agli artt. 476, 479, 351 c.p., distinti in tre diversi capi di imputazione, nellambito di procedimento penale (RG 40285 not. di reato). Più in particolare il Tribunale di Roma con decisione n. 10157/03, depositata il 14 giugno 2003, ha mandato assolti gli imputati. Detta decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 2430/04, depositata il 15 maggio 2004 che ha rigettato lappello del P.M. proposto solo contro lassoluzione relativa ai primi due capi di imputazione. La Corte di Cassazione, 5° sez., con sentenza non ancora depositata, a tal proposito è stato trasmesso il solo dispositivo del 20 aprile 2005 (R.G. 36574/04) ha dichiarato inammissibile il ricorso del P.G. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Osserva lAmministrazione che dal tenore delle sentenze (cfr. pag. 21 decisione di I° grado e pagg. 5 e 7 sentenza di appello) assolutorie traspare un conflitto di interessi con lAmministrazione dato che è stato stigmatizzato il comportamento dei dipendenti che, seppur non è stato ritenuto apprezzabile sotto il profilo penale, lo è sotto quello disciplinare. Codesta Amministrazione ha altresì effettuato una serie di osservazioni sulle singole voci delle fatture pro forma redatte dai difensori. Ancora si segnala che, per i fatti di cui è causa, lAmministrazione è stata destinataria di una sentenza di condanna in sede civile (cfr. sent. 1669/04 Trib. Roma) a favore del soggetto danneggiato. Tutto ciò determina il sorgere di quel conflitto di interessi ostativo al rimborso ai sensi dellart. 23 Regolamento di Amministrazione dellAgenzia, che recita: lAgenzia, nella tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifìchi lapertura di un procedimento di responsabilità civile, penale o amministrativa-contabile nei confronti del dipendente, per fatti o atti compiuti nell espletamento del servizio e nell adempimento dei compiti dufficio eroga al dipendente stesso, su sua richiesta e previo parere di congruità dellAvvocatura dello Stato, il rimborso e, tenuto conto della sua situazione economica, eventuali anticipazioni per gli oneri di difesa, a condizione che non sussista conflitto di interesse. Fatte tali premesse osserva la Scrivente che gli interessati potrebbero invocare lart. 18 del D.L. 67/97, norma che prevede che le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con lespletamento del servizio e con 1assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dallAvvocatura dello Stato essendo i fatti accaduti prima della istituzione dellAgenzia di cui al D.Lvo 300/2000. Ancora la Scrivente ha sempre ritenuto che la sussistenza di profili di responsabilità in diversi ambiti processuali e/o sostanziali non è di ostacolo al rimborso delle spese, dovendo essere apprezzata lattività defensionale solo nellambito processuale di riferimento della sentenza liberatoria stessa (cfr. nota 7 giugno 1998 n. 7620 cui per brevità si rinvia). Ciò premesso, ritenuto pertanto che la questione rientra nella previsione beneficiante, nulla osta a che venga dato corso al richiesto rimborso, previa presentazione di fattura quietanzata, della somma di . 10.000,00 (diecimila, 00) per ognuno dei dipendenti oltre gli accessori di legge, che nel complesso appare essere congrua secondo quanto generalmente praticato. Ed infatti da un lato il procedimento penale appare essere stato connotato da questioni di ordinario rilievo giuridico fattuale e nullo allarme sociale; dallaltro lassoluzione non ha nemmeno portato in capo all Amministrazione apprezzabili conseguenze, risultando anzi al contrario una sentenza di condanna in sede civile. Non possono pertanto essere presi in considerazione ai fini del rimborso, che i minimi della tariffa professionale. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 275 A questo proposito si rileva ancora che sono indicati una serie di attivit à affatto riscontrabili e comunque in relazione alla vicenda non compiutamente valutabili allo stato degli atti, afferendo poi a profili non connessi al procedimento penale. È comunque necessario che i fatti vista la decisione del Tribunale Civile siano rappresentati alla Procura della Corte dei Conti competente e che sulle somme dovute a titolo di rimborso sia comunque effettuato il fermo sino al completo ristoro di quanto pagato alla ditta». A.G.S. Parere del 15 marzo 2006, n.30864. Se il regime di impignorabilità disposto dallart. 1, comma 294, L. 266/05 per i fondi destinati, mediante aperture di credito, a favore di funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della Salute, a servizi e finalità di sanità pubblica, nonchè al pagamento di emolumenti di qualsiasisi tipo comunque dovuti al personale amministrativo o di spese per servizi e forniture prestati agli uffici medesimi, sia applicabile alle procedure esecutive intraprese prima dellentrata in vigore della norma; condotta processuale da tenere nei casi in cui un atto di pignoramento presso terzi abbia vincolato somme ricadenti nella previsione di cui allart. 1, comma 294, L. 266/05; indicazioni circa le modalità secondo cui la Sezione di Tesoreria Provinciale dello Stato debba, in tale ipotesi, rendere la dichiarazione di cui allart. 547 c.p.c. (consultivo n. 4718/06, avvocato M. Russo). «Si fa riferimento al quesito ( ) avente ad oggetto la norma di cui allart. 1 comma 294 legge 266/05, con la quale è stato stabilito: I fondi destinati, mediante aperture di credito, a favore di funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della Salute, a servizi e finalit à di sanità pubblica, nonché al pagamento di emolumenti di qualsiasi tipo comunque dovuti al personale amministrato o di spese per servizi e forniture prestati agli uffici medesimi, non sono soggetti ad esecuzione forzata. In relazione alla problematica inerente lapplicabilità o meno della norma in oggetto ai pignoramenti notificati in epoca antecedente allentrata in vigore della stessa, si osserva che il tenore letterale della disposizione (i fondi ... non sono soggetti ad esecuzione forzata) autorizza a ritenerne lapplicabilit à anche ai pignoramenti notificati antecedentemente, per i quali la procedura di esecuzione non sia ancora terminata. Di conseguenza, in relazione a tali procedure, sarà opportuno proporre opposizione avverso il primo atto di esecuzione posto in essere in epoca successiva alla data di entrata in vigore della norma in questione, rispettando comunque per cautela, ove possibile, il termine previsto dallart. 617 c.p.c. Nel caso in cui venga emessa unordinanza di assegnazione che presenti contenuto decisorio di segno sfavorevole allAmministrazione, la stessa dovrà, invece, essere impugnata nei termini e modi ordinari. 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Quanto alla rilevabilità dufficio dellimpignorabilità disposta dallart. 1, 294° comma, legge 266/05, nonché della conseguente nullità del pignoramento, si osserva quanto segue. La tesi è senzaltro sostenibile in giudizio, ed anzi si raccomanda di sfruttarla in tutti i casi in cui ciò si renda opportuno. Tuttavia, non pare opportuno affidare esclusivamente al rilievo dufficio della nullità dellatto impeditivo la tutela dellinteresse dellAmministrazione esecutata. Infatti se è vero che la sentenza della Corte di Cassazione n. 5761/99, richiamata da codesta Avvocatura, ha affermato il principio per cui limpignorabilit à di somme normativamente stabilita nellinteresse pubblico è rilevabile ex officio tuttavia, non può trascurarsi la considerazione che trattasi di pronuncia isolata, non constando altri casi in cui la Suprema Corte sia stata chiamata a pronunciarsi su analoga questione. A ciò si aggiunga che la Corte di Cassazione ha ritenuto (sez. I n. 1150 dell11 febbraio 1999) che il rimedio dellopposizione allesecuzione relativa alla pignorabilità dei beni è legittimamente proponibile ex art 615 c.p.c., soltanto fino al momento in cui lazione esecutiva si sia consumata, per effetto dellavvenuta espropriazione (e senza che il termine per la sua proposizione possa prolungarsi con riferimento al diverso termine stabilito per lopposizione di cui allart. 617 c.p.c. instaurata avverso la medesima ordinanza). A tal proposito, strutturandosi lordinanza di assegnazione del bene pignorato come latto conclusivo del procedimento espropriativo, deve ritenersi che lopposizione allesecuzione possa proporsi soltanto fino a che non risulti pronunciato detto provvedimento allesito del quale nessuna opposizione che riguardi il profilo dellimpignorabilità dei beni risulterà più legittimamente proponibile. Tale affermazione di principio è indicativa del rischio che ove il giudice non dovesse rilevare dufficio la nullità del pignoramento (sul che non esiste ancora un consolidato orientamento della giurisprudenza, come detto sopra) risulti di fatto precluso ogni rimedio per fare valere limpignorabilità come motivo di opposizione allesecuzione nelle forme previste dal c.p.c. Ne discende che onde prevenire leventualità che il giudice non rilevi dufficio limpignorabilità delle somme è opportuno che lAvvocatura, nell interesse dellAmministrazione esecutata, si attivi tempestivamente, nelle forme di rito, per formulare opposizione allesecuzione, eccependo così limpignorabilit à delle somme sottoposte a vincolo. Alla Banca dItalia che rende la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. nellesercizio delle funzioni di Tesoreria provinciale dello Stato si raccomanda ad ogni buon fine di evidenziare, nei casi in cui ricorra tale eventualità, la circostanza che le somme presso di essa esistenti ricadono nellambito di previsione dellart. 1, 294° comma, legge 266/05». A.G.S. Parere del 16 marzo 2006, n.31293. Regime IVA applicabile alle operazioni di cessione di incarichi contestuali alla cessione dazienda o marchi dazienda (consultivo n.6121/06, avvocato G. De Bellis). I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 277 «Codesta Agenzia ha chiesto il parere della Scrivente in ordine alla corretta interpretazione della disposizione contenuta nellart. 3 comma 2 n. 2 del d.P.R. n. 633/72 in forza del quale Costituiscono inoltre prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo: 1) . 2) le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti dautore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti . In particolare si è posto il problema dellassoggettabilità o meno ad IVA della cessione di un marchio allorché venga ceduto unitamente ad unazienda o ramo di azienda, operazione questa esclusa dal campo di applicazione dellIVA. Al riguardo questa Avvocatura osserva quanto segue. Lart. 2 comma 3 del d.P.R. n. 633/72 prevede che Non sono considerate cessioni di beni: a) ..; b) le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda. La disposizione trova il suo fondamento nellart. 5 n. 8 della direttiva 77/388/CEE, in forza del quale In caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare loperazione come non avvenuta e che il beneficiario continua la persona del cedente. Gli Stati membri adottano, se del caso, le disposizioni necessarie ad evitare distorsioni di concorrenza, qualora il beneficiario non sia un soggetto passivo totale. Il legislatore nazionale si è quindi avvalso della facoltà concessa dal citato art. 5 n. 8 escludendo la cessione dazienda dal campo di applicazione dellIVA. La ratio della disposizione è stata individuata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nellesigenza di consentire agli Stati membri di agevolare i trasferimenti di imprese o di parti di imprese, semplificandoli ed evitando di gravare la tesoreria del beneficiario di un onere fiscale smisurato, che sarebbe, in ogni caso, recuperato ulteriormente mediante detrazione dell IVA versata a monte (sentenza 27 novembre 2003 in causa C- 497/01 Zita, punto 39). Orbene, dal raffronto tra le due disposizioni del d.P.R. n. 633/72 sopra citate, si evince come la prima (art. 2 comma 3 lett. b) che esclude la natura di cessione di beni dei conferimenti o delle cessioni di azienda, sia da ritenersi speciale, tutte le volte in cui queste ultime siano ricomprese nell ambito di una cessione (o di un conferimento) dazienda, rispetto alla seconda (art. 3 comma 2 n. 2) che qualifica le cessioni di opere dellingegno come prestazioni di servizi. La volontà del legislatore espressa nella prima norma è infatti quella di sottrarre del tutto dal campo di applicazione dellIVA (escludendone la natura di cessione di beni) il trasferimento di una azienda, cioè di quel 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO complesso dei beni organizzati dallimprenditore per lesercizio dellimpresa (art. 2555 c.c.). E proprio la citata sentenza della Corte di Giustizia 27 novembre 2003 ha anche chiarito che la nozione di «trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni» [art. 5 n. 8 direttiva 77/388/CEE] deve essere interpretata nel senso che in essa rientra il trasferimento di unazienda o di una parte autonoma di unimpresa, compresi gli elementi materiali e, eventualmente, immateriali che, complessivamente, costituiscono unimpresa o una parte di impresa idonea a svolgere unattività economica autonoma, ma non vi rientra la mera cessione di beni, quale la vendita di uno stock di prodotti. (punto 40). La Corte chiarisce ancora in via generale che la discrezionalità degli Stati sussiste solo nella scelta di avvalersi dellart. 5 n. 8 della direttiva 77/388/CEE, ma che una volta esercitata tale scelta lo Stato membro deve applicare la regola della non avvenuta cessione a qualsiasi trasferimento di una universalità totale o parziale di beni e non può quindi limitare lapplicazione della detta regola solo ad alcuni dei detti trasferimenti, tranne che alle condizioni previste nella seconda frase dello stesso numero (punto 31). È opportuno ricordare che per giurisprudenza ormai costante della Suprema Corte, la direttiva n. 77/388/CEE deve essere considerata il testo fondamentale in materia di IVA e le cui disposizioni prevalgono, ove incondizionate e sufficientemente precise, sul diritto nazionale o, comunque, forniscono indicazioni vincolanti per linterpretazione di tale diritto (Cass. Sez. Trib. 15 ottobre 2001 n. 12547). In conclusione si ritiene che la disposizione contenuta nellart. 3 comma 2 n. 2. b) del d.P.R. n. 633/72 debba trovare applicazione nei soli casi in cui la cessione di opere dellingegno avvenga al di fuori della cessione (o conferimento) di unazienda o di un ramo dazienda. A tale conclusione non si ritiene possano essere di ostacolo le sentenze n. 4452 e 4974/2003 (peraltro di contenuto pressochè identico) della Suprema Corte in quanto, al di là della motivazione delle stesse, risultano essere state emesse in epoca anteriore alla citata sentenza 27 novembre 2003 della Corte di Giustizia». A.G.S. Parere del 24 aprile 2006, n. 45911. Incidenza sulle disposizioni degli artt. 17 quinques, 86 e 115 TULPS della legislazione in materia di trasferimento delle competenze amministrative dallo Stato alle Regioni ed agli Enti Locali (L. 59/97; D.Lgs 112/98; L.cost. 3/2001 e L. 131/2003). Se la competenza per lirrogazione delle sanzioni amministrative previste per la violazione degli artt. 86 e 115 TULPS e 186 del relativo regolamento di esecuzione sia rimasta allo Stato, ovvero sia trasferita agli Enti Locali (consultivo n. 2031/05, avvocato Quattrone). I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 279 «La questione sottoposta al vaglio di questa Avvocatura consiste nellindividuazione dellautorità competente ad irrogare le sanzioni amministrative per la violazione delle disposizioni contenute negli artt. 86 (in relazione pure allart. 186 del Reg. di esecuzione) e 115 del TULPS. La questione si pone poiché lart. 17 quinques, introdotto nel TULPS dallart. 3 del D.Lgs. 480/94, prevede, in combinato-disposto con lart. 17 bis, che per le violazioni di cui si tratta il rapporto è presentato al Prefetto; la norma (in relazione allart. 17 legge 689/81, richiamato dallart. 17 ter TULPS) individua, cioè, nel Prefetto lautorità competente allirrogazione delle sanzioni, laddove la competenza amministrativa nelle materie di cui agli artt. 86 e 115 sarebbe stata dismessa dallo Stato a favore delle Autonomie locali. Il Ministero dellInterno richiama sul punto la Corte Costituzionale, la quale, intervenuta sullart. 17 quinques con la sentenza n. 115 del 7 aprile 1995, nellambito delle norme di riferimento sottoposte al suo vaglio, in rapporto ad alcune, ha dichiarato lincostituzionalità del ridetto art. 17 quinques nella parte in cui prevede che sia presentato al Prefetto anziché allufficio regionale competente il rapporto sulla violazione; in rapporto ad altre, invece, ha dichiarato la questione di legittimità infondata. Fra le norme dedotte nella questione di legittimità costituzionale non rientrano quelle in esame, sicché, per gli artt. 86 e 115 TULPS, la questione della spettanza della competenza sanzionatoria è rimasta impregiudicata e si pone tuttora come oggetto di studio. Sembra a questa Avvocatura che la disamina del quesito posto non possa che prendere le mosse dal principio generale, riaffermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 115 del 1995, ed asse portante della decisione, del parallelismo, nellambito della funzione amministrativa, della competenza sanzionatoria e della competenza nella materia che la previsione sanzionatoria presidia, attesa 1 accessorietà della sanzione rispetto alla norma primaria e, quindi, della funzione sanzionatoria rispetto alla competenza amministrativa cui la sanzione si riferisce. Tale principio si rinviene nellaffermazione, contenuta nella richiamata sentenza, secondo cui la ripartizione fra Stato e regioni del potere di irrogare sanzioni amministrative ricalca perfettamente la ripartizione delle competenze in relazione alle materie cui le sanzioni si riferiscono. Si tratta allora di verificare del resto seguendo il modus procedendi della stessa Corte se le competenze nelle materie di cui agli artt. 86 e 115 TULPS siano state trasferite dallo Stato alle regioni (o agli enti locali), oppure no. In tale quadro si osserva che 1, art. 86 TULPS si occupa delle licenze per gli esercizi pubblici, mentre lart. 115 delle licenze in materia di agenzie, le cui relative tipologie sono indicate dalle stesse norme in via meramente esemplificativa e non esaustiva dellambito materiale che le ricomprende. Nella versione originaria del TULPS la competenza al rilascio di tali licenze è attribuita al Questore. Sul versante sanzionatorio, 1 art. 17 bis prevede una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione delle disposizioni di cui (fra gli altri) agli artt. 86 e 115 TULPS. 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Lart. 17 ter contempla, per le violazioni di cui si tratta, due distinti procedimenti: uno essenzialmente finalizzato allirrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, cui è funzionale il rapporto previsto allart. 17 legge 689/81; un altro diretto alladozione di un ordine inibitorio della condotta trasgressiva o dellattività autorizzata (3° comma), da parte dellautorit à competente al rilascio dellautorizzazione. Lart. 17 quinques individua nel Prefetto 1 autorità cui va trasmesso il rapporto per le violazioni di che trattasi (ai fini, deve ritenersi, dellirrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui allart. 17 bis). Tale ultima norma, riconoscendo una competenza sanzionatoria generale al Prefetto per le violazioni di cui allart. 17 bis, a prescindere dalla competenza nella specifica materia, si sovrappone allart. 17 legge 689/81, il quale tende ad attribuire la competenza sanzionatoria allo Stato, ovvero alle regioni, alle province o ai comuni secondo, tendenzialmente, la competenza in materia. Occorre allora verificare come sullassetto normativo concernente il profilo dellallocazione delle competenze amministrative di cui al ridetto TULPS, per le materie oggetto della presente disamina, abbia inciso la legislazione successiva, riguardante il trasferimento di competenze amministrative dallo Stato alle Autonomie locali. Il Ministero dellInterno, nella nota in riferimento, richiama 1 art. 158 del D.Lgs. 112/98, il quale, com è noto, ha attuato i principi della devoluzione amministrativa posti dalla legge 59/97. Lart. 158, al 2° comma, stabilisce che le regioni e gli enti locali sono titolari delle funzioni di polizia amministrativa nelle materie ad essi trasferite o attribuite, e che la delega delle funzioni dallo Stato alle regioni (e da queste agli enti locali) comprende anche lesercizio delle connesse funzioni di polizia amministrativa. Il principio estrapolabile da tale norma è che le funzioni di polizia amministrativa si accompagnano sempre, allo stesso titolo di competenza, alle funzioni amministrative nelle materie alle quali si riferiscono. Deve, tuttavia, osservarsi che la funzione di polizia amministrativa, come peraltro definita dallart. 159 D.Lgs. 112/98, non esaurisce lambito della funzione sanzionatoria; in particolare, non pare che la funzione di polizia amministrativa, che è diretta essenzialmente a prevenire e a reprimere i danni e i pregiudizi che ai terzi possono derivare dallo svolgimento delle attivit à autorizzate, possa ricomprendere la funzione sanzionatoria stricto sensu, ovvero la funzione con cui, nellesercizio del proprio potere di autotutela, 1 amministrazione punisce 1infrazione amministrativa in sé considerata, con una misura che, mutuando una terminologia penalistica, assume, secondo i casi, funzione retributiva e generalpreventiva (es. sanzione pecuniaria), ovvero specialpreventiva (es. sanzione interdittiva). È, quindi, ad un diverso criterio di ricerca che deve farsi riferimento per la soluzione della questione posta. Tale criterio è offerto, unitamente al principio del parallelismo di cui s è detto in premessa, dallart. 1, 2° comma del D.Lgs. 112/98, il quale fissa, quale principio orientativo della c.d. devolution, quello della completezza e dellintegralità delle funzioni amministrative trasferite: I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 281 Salva diversa disposizione del presente decreto legislativo, il conferimento comprende anche le funzioni di organizzazione e le attività connesse e strumentali allesercizio delle funzioni e dei compiti conferiti, quali fra gli altri, quelli di programmazione, di vigilanza, di accesso al credito, di polizia amministrativa. Si appalesa allora determinante, ai fini della definizione della questione posta, verificare se le funzioni di cui agli artt. 86 e 115 TULPS siano state trasferite dallo Stato alle regioni o agli enti locali e se, in ipotesi, siano state previste, in tali materie, deroghe esplicite riguardo alla funzione sanzionatoria. Art. 86 Per quanto concerne il rilascio delle licenze per i pubblici esercizi risultano trasferite ai comuni, per effetto dellart. 19, 1 comma, n. 8 del d.P.R. 616/77, le competenze in materia di rilascio di licenze per alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè ed altri esercizi in cui si vendono o si consumano bevande non alcoliche, sale pubbliche per biliardi o per altri giochi leciti, stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture e simili. Art. 115 Con riferimento alle competenze previste dallart. 115 in materia di agenzie, 1art. 163, 2° comma, lett. b) e d) del D.Lgs. 112/98 ha trasferito ai comuni le competenze amministrative in materia di rilascio delle licenze concernenti le agenzie daffari nel settore delle esposizioni, mostre e fiere campionarie, di cui allart. 115 TULPS (b), e le agenzie daffari di cui allart. 115 TULPS, ad esclusione di quelle relative allattività di recupero crediti, pubblici incanti,agenzie matrimoniali e di pubbliche relazioni (d). Come è possibile vedere dal confronto delle norme richiamate, non tutti i settori di materie collocabili negli artt. 86 e 115 TULPS possono dirsi dismessi dallo Stato a favore delle Autonomie locali. In particolare, debbono ritenersi rimaste in capo allo Stato le competenze nelle materie di seguito indicate. Con riferimento allart. 86, le competenze in materia di rilascio delle licenze per gli esercizi in cui si vendono o si consumano bevande alcoliche (1° e 2° comma dellart. 86), nonché per 1 attività di distribuzione e di gestione di apparecchi automatici, semiautomatici, ecc..., e per 1 esercizio di sale da gioco pubbliche in cui siano installati tali apparecchi (3° comma dellart. 86, introdotto dallart. 37, 2°comma, legge 23 dicembre 2000, n. 388). Con riferimento allart. 115 debbono ritenersi rimaste in capo allo Stato le competenze in materia di rilascio delle licenze per lesercizio delle agenzie d affari relative allattività di recupero crediti, pubblici incanti, agenzie matrimoniali e di pubbliche relazioni, rimanendo, altresì, incardinate in capo allo Stato, in materia di esposizioni e fiere, le competenze di cui allart. 40 del D.Lgs. 112/98. Pertanto, nei casi concreti riconducibili a tali categorie materiali, il Prefetto dovrà trattenere il rapporto sulle trasgressioni sanzionabili. Rimane salvo il potere statale in materia, la cui connessa funzione di tutela, definita come cura dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza, e che si esplica 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO mediante 1 adozione di misure preventive e repressive (art. 159 del D.Lgs. 112/98), viene conservata allo Stato dallart. 1, comma 3, lett.l), legge 59/97. Resta da far cenno, a soli fini di completezza, venendo in rilievo essenzialmente questioni de iure condendo, allincidenza sullassetto normativo appena ricostruito della riforma del Titolo V della Costituzione di cui alla L.C. 3/2001, la quale segna, sul piano della funzione amministrativa, la costituzionalizzazione dei principi posti dalla c.d. Legge Bassanini. Vè da registrare, in tale ambito, lo spostamento del centro della funzione amministrativa dallo Stato (e dalle regioni) ai comuni, i quali diventeranno, nella futura attuazione normativa, e sulla falsariga dei principi di sussidiariet à, differenziazione ed adeguatezza, titolari della funzione amministrativa lato sensu considerata. Nelle more dellattuazione della riforma costituzionale, tuttavia, lAmministrazione potrà far leva sullart. 7, 6° comma, legge 131/2003, il quale stabilisce che le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle leggi vigenti, fatti salvi gli effetti delle eventuali pronunce della Corte costituzionale». A.G.S. Parere del 24 aprile 2006, n.45924. Se i dipendenti dellEnte Parco Val Grande e, in generale, i dipendenti degli Enti Parco nazionali siano soggetti a contribuzione obbligatoria nei confronti dellINPS o dellINPDAP (consultivo n.63276/05, avvocato M.E. Scaramucci). «Codesta Avvocatura ha chiesto di conoscere se i dipendenti dellEnte Parco Val Grande siano assoggettati a contribuzione nei confronti dellINPS o dellINPDAP. In particolare il quesito è stato posto in riferimento ad una dipendente, trasferita al Parco dal Comune di V. mediante procedure di mobilità, che aveva chiesto il mantenimento della posizione contributiva presso lINPDAP. Interpellato in proposito, detto Istituto ha fatto presente al Parco la necessità di apertura della posizione contributiva per tutti i dipendenti, fin dalla data della sua costituzione (19 febbraio 1994), e la necessità di trasferire i contributi fino al mese di dicembre 2002 versati allINPS. Questultimo ha, invece, rifiutato il rimborso dei contributi versati per il periodo 19 febbraio 1994 30 novembre 2002, affermando che la contribuzione dei dipendenti dellEnte Parco nazionale Val Grande deve restare legittimamente acquisita allINPS, non essendo gli Enti parco nazionali annoverabili tra gli enti pubblici locali. Quanto sopra premesso, si osserva quanto segue. La legge 6 dicembre 1991, n. 394, Legge quadro sulle aree protette, in attuazione degli artt. 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, ha dettato i principi fondamentali per listituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale (art.1). I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 283 Il Titolo II della legge, intitolato Aree Naturali Protette Nazionali, allart. 8, prevede che i parchi nazionali individuati e delimitati secondo le modalità di cui allart. 4 sono istituiti e delimitati in via definitiva con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dellAmbiente, sentita la Regione. Lart. 9, n.1, prevede che lEnte parco ha personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del parco ed è sottoposto alla vigilanza del Ministro dellAmbiente. Il n. 13 della stessa norma dispone che agli Enti parco si applicano le disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70; essi si intendono inseriti nella tabella IV allegata alla medesima legge. Lart. 34 dispone: Sono istituiti i seguenti parchi nazionali: a)Cilento e Vallo di Diano; b) Gargano; c) Gran Sasso e Monti della Laga; d)Maiella; e) Val Grande; f) Vesuvio. LEnte parco nazionale della Val Grande è stato istituito e delimitato in via definitiva con d.P.R. 23 novembre 1993, pubblicato nella G.U. 19 febbraio 1994, al cui art. 1 è ribadito che allEnte si applicano le disposizioni di cui alla legge 70/1975, ed è inserito nella tabella IV allegata alla predetta legge, ovvero tra gli Enti preposti a servizi di pubblico interesse. Lart 1, comma 2, del D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165, infine, così definisce le amministrazioni pubbliche: Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, lAgenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Per quanto riguarda gli Enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali menzionati nel predetto comma, un elenco degli stessi, anche se non esaustivo, è contenuto nella tabella allegata alla legge 70/1975 che, per lappunto, comprende anche i parchi istituiti ai sensi della legge 394/1991, e tra di essi, il parco della Val Grande. Alla luce delle soprarichiamate disposizioni normative può dunque affermasi che lEnte Parco Val grande è un ente pubblico, senza finalità di lucro, avendo per scopo la salvaguardia delle bellezze naturali del territorio, che beneficia del finanziamento pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero dellAmbiente. 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il rapporto di lavoro con il parco, per le finalità proprie dellente e linserimento nellorganizzazione dei servizi di persone idonee retribuite a scadenze mensili, costituisce a tutti gli effetti un rapporto di pubblico impiego. Ne consegue che lassicurazione obbligatoria dei dipendenti dellEnte parco Val Grande non può che essere di competenza dellINPDAP, anzitutto in quanto lart. 1 del D.Lvo 30 giugno 1994, n. 479, adottato in attuazione della delega conferita dallart. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza ed assistenza, dispone (art.1) che: Il presente decreto legislativo determina principi comuni e generali per la gestione delle forme di previdenza e assistenza obbligatorie, le cui funzioni sono esercitate dai seguenti enti pubblici: a) listituto nazionale di previdenza per i dipendenti dellamministrazione pubblica (INPDAP), istituito ai sensi dellart. 4 del presente decreto, per quanto attiene alla previdenza dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche; b) lIstituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per quanto attiene alla previdenza dei lavoratori dipendenti del settore privato e dei lavoratori autonomi;.... Inoltre, lart. 14 della legge 70/1975 aveva disposto che finchè non sarà provveduto con apposito provvedimento di legge al riordinamento con criteri unitari del trattamento pensionistico del personale degli enti contemplati nella presente legge, il trattamento stesso è disciplinato dalla legge sulla assicurazione obbligatoria o dalle speciali disposizioni di legge che prevedono trattamenti pensionistici sostitutivi o che comportano lesclusione o lesonero dallassicurazione stessa. A tale riguardo appaiono condivisibili le osservazioni formulate dallo stesso INPDAP e dalla Ragioneria generale dello Stato, nel senso che il personale degli Enti parco debba essere iscritto al regime pensionistico (gestione ex CPDEL). Infatti, gli Enti parco, per la loro tipologia, oltre che funzionali al Ministero dellAmbiente, possono essere considerati anche Enti strumentali della Regione, considerato che lart. 1, n. 5, della legge 394/1991 dispone che : nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le Regioni e gli Enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa ai sensi dellart. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e dellart. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (cui si aggiungono oggi gli artt. 3 e 4 del d.P.R. 383/1994) e lart. 2, n. 7 della stessa legge recita: la classificazione e listituzione dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali terrestri, fluviali e lacunali, sono effettuate dintesa con le regioni. Per completezza di esposizione si fa, peraltro, rilevare che gli Enti parco sono assoggettati alla iscrizione presso lINPDAP in relazione allassicurazione per invalidità, vecchiaia e superstiti, mentre la c.d. contribuzione residua, quale il contributo di malattia e di maternità, resta di competenza dellINPS. Infatti, a seguito della riforma sanitaria attuata con la legge 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, lINPS è subentrato a tutti i precedenti Enti mutualistici nella gestione della assicurazione malattia, sicchè I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 285 allINPS (ex art. 74 legge 833/1978 e 14 legge 155/1981) è demandata la riscossione del contributo di malattia già spettante ai soppressi enti mutualistici e alle gestioni per lassistenza di malattia degli enti previdenziali (cfr. Cass., sez. Lav., Sent. n. 10042 del 10 luglio 2002). LINPS deve quindi restituire allINPDAP solo i contributi sinora versati ai fini della assicurazione generale. Poichè non sembra possibile definire bonariamente la vicenda, si render à necessario adire le vie giudiziarie per ottenere la condanna dellINPS alla restituzione dei contributi illegittimamente percepiti». A.G.S. Comunicazione di servizio 20 aprile 2006, n. 68 Circolare n.24/2006 prot. 45294, 45295. Regolamento di competenza Sentenza del Consiglio di Stato del 20 dicembre 2005 n.7199. «Si trasmette lallegata decisione del Consiglio di Stato che ha dichiarato inammissibile il ricorso per regolamento di competenza proposto dallAvvocatura Distrettuale dello Stato, con condanna alle spese, in quanto non notificato al controinteressato (non costituito) e notificato prima del deposito del ricorso introduttivo. Tale pronuncia è intervenuta nonostante lAvvocatura Generale avesse evidenziato, in sede di discussione, che né nellepigrafe del ricorso introduttivo del giudizio, né nella relata di notifica vi era alcuna indicazione circa lesistenza di un controinteressato, tanto più che la notifica a quest ultimo era avvenuta solo dopo quella allamministrazione statale. In attesa di un auspicabile ripensamento del Consiglio di Stato in ordine alla questione risolta dalla citata decisione peraltro non conforme ad una precedente pronuncia della stessa Sezione che aveva accolto analogo ricorso per regolamento di competenza considerato che lomessa notifica del regolamento di competenza al controinteressato non vale a determinarne linammissibilit à, posto che nellepigrafe dellatto introduttivo del giudizio non risulta indicato il soggetto controinteressato e che, dunque, il Ministero non poteva conoscere lesistenza di quella parte (peraltro non necessaria) (C.d.S., sez. quarta, n. 252 del 20 gennaio 2004) i ricorsi per regolamento di competenza andranno sempre proposti dopo il deposito del ricorso introduttivo e previa verifica (anche presso la Segreteria del T.A.R., ove non dovesse risultare dalla copia notificata del ricorso stesso) circa lesistenza di uno o più controinteressati. LAvvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara». Consiglio di Stato, Sezione Quarta, decisione 20 dicembre 2005 n.7199 Ministero della Giustizia (cont.51361/05, Avv. dello Stato W. Ferrante) c/ A.S. (Avv.ti F. Lanocita, G. Paladino, M. Annunziata) Fatto Il dott. A. S., che aveva partecipato alla prova di selezione informatica propedeutica al concorso per duecento posti di notaio indetto con decreto n. 71 del 30 settembre 2004 del Direttore Generale della Giustizia Civile del Ministeri della Giustizia, con 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ricorso giurisdizionale notificato il 26 maggio 2005 ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania lannullamento: a) del provvedimento implicito di non idoneità relativo alla prova di selezione informatica; b) del provvedimento implicito di esclusione dalla partecipazione alla prova scritta del medesimo concorso; c) della graduatoria dei candidati; d) di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale ivi compreso, per quanto di ragione, del bando di concorso sopra indicato. Limpugnativa è incentrata su di un solo articolato motivo, rubricato violazione e falsa applicazione di legge (artt. 2, 3 e ss., legge 241/90; D.M. Giustizia 24 dicembre 1997 n. 74) eccesso di potere (carenza del presupposto ingiustizia ed irrazionalità manifesta travisamento dei fatti sviamento della funzione tipica disparità di trattamento). Il Ministero della giustizia, nel costituirsi in giudizio, ha proposto regolamento di competenza, con atto notificato alla controparte in data 3 giugno 2005, deducendo che è stato impugnato un atto emesso da unautorità centrale dello Stato (decreto dirigenziale del Ministero) valevole per tutto il territorio nazionale, la cui cognizione è riservata alla competenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma. In mancanza delladesione della controparte, ladito Tribunale, sez. I, con ordinanza n. 154 del 23 giugno 2005, stante la non manifesta infondatezza delleccezione formulata, ha disposto la trasmissione degli atti al Consiglio di Stato per la definizione del regolamento di competenza. Il dott. A.S. si è costituito in giudizio, deducendo linammissibilità del regolamento di competenza per non essere stato notificato al controinteressato ritualmente evocato nel giudizio innanzi al Tribunale amministrativo regionale asseritamente incompetente, sia per essere stato notificato prima ancora del deposito del ricorso introduttivo del giudizio. Diritto Il ricorso è inammissibile. Larticolo 31, comma 3, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, dispone che listanza per regolamento di competenza si propone con ricorso notificato a tutte le parti in causa, che non vi abbiano aderito. È stato precisato dalla giurisprudenza che con lespressione tutte le parti in causa si intende fare riferimento a tutte le parti evocate in giudizio, anche se non costituite, o comunque presenti in giudizio fino al momento della costituzione di colui che propone listanza di regolamento competenza (ex pluribus, C.d.S. sez. IV, 7 maggio 2001, n. 2556; 7 settembre 2000, n. 4375; 6 marzo 1996, n. 294; 13 novembre 1995, n. 908; 22 gennaio 1991, n. 27); le peculiari esigenze di celerità del procedimento incidentale previsto per la risoluzione della questione di competenza e la perentorietà del termine fissato allarticolo 31 in questione escludono, daltra parte, che il Collegio possa disporre lintegrazione del contraddittorio (C.d.S., sez. IV, 21 giugno 2001, n. 3332; 2 febbraio 2000, n. 541; 12 novembre 1996, n. 1559; 5 giugno 1991, n. 479). Orbene, nel caso allesame della Sezione, risulta che il Ministero della Giustizia ha notificato listanza di regolamento di competenza solo al ricorrente dott. A.S. e non anche alla dott.ssa L. C., cui invece il ricorrente aveva regolarmente notificato latto introduttivo del giudizio, quale controinteressata. Né vale sostenere, come propugnato nel corso della odierna discussione dallavvocato dello Stato, che né nellepigrafe del ricorso introduttivo del giudizio, né nella relata di notifica vi era alcuna indicazione circa un controinteressata, tanto più che la notifica a questultima sarebbe avvenuta solo dopo quella allamministrazione statale. È sufficiente rilevare al riguardo poiché il ricorso per regolamento di competenza può essere proposto dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio, lamministrazione avrebbe ben potuto verificare la effettiva circostanza della intervenuta notifica del ricorso anche ad un controinteressata. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 287 In conclusione, laccertata violazione del disposto di cui al terzo comma dellarticolo 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, determina linammissibilità del regolamento di competenza. Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando, sul ricorso per regolamento di competenza proposto dal Ministero della Giustizia, lo dichiara inammissibile. Condanna lamministrazione statale al pagamento in favore della parte costituita in questa fase di giudizio (dott. A. S.) delle spese e degli onorari, che liquida in complessivi . 1.500,00 ( euro millecinquecento). Ordina che la presente decisione sia eseguita dallautorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 ottobre 2005. A.G.S. - Comunicazione di servizio 24 aprile 2006, n. 69 Circolare n.26/06, Prot. 46276, 46283. Contenzioso in materia di beni culturali e paesaggistici. «Si trasmette lallegata Direttiva n. 2/2006 del Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici che impartisce disposizioni agli uffici centrali e periferici per lefficace trattazione del contenzioso in materia, anche in relazione ai rapporti con lAvvocatura Generale e le Avvocature Distrettuali. Lelenco degli uffici periferici e dei relativi preposti, corredati di indirizzo e recapiti telefonici e telematici, viene allegato per le Avvocature Distrettuali e per i componenti della IV sezione dellAvvocatura Generale. I dati relativi alle Direzioni Generali e alle Soprintendenze sono comunque disponibili sul sito del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (www.beniculturali.it), cliccando su ministero e poi su organigramma. LAvvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara». Ministero per i Beni e le Attività Culturali Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici Servizio IV giuridico contenzioso e attività didattica - Direttiva n. 2/2006 Prot. BCPS04/34.01.10/5455 del 24 marzo 2006. Trattazione del contenzioso da parte degli uffici centrali e periferici del Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici. Al fine di omogeneizzare e semplificare lattività degli uffici dipartimentali centrali e periferici in materia di contenzioso, si ritiene dimpartire le seguenti disposizioni, alla luce del riparto di competenze delineato nella detta materia dal sistema normativo previsto dalle disposizioni recate dal codice dei beni culturali e del paesaggio, dal regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, di cui al d.P.R. n. 173/2004, nonché dal D.M. 24 settembre 2004, modificato da ultimo dal D.M. 17 febbraio 2006, in corso di registrazione presso la Corte dei Conti. Gli uffici territoriali in indirizzo vorranno, pertanto, procedere secondo le disposizioni qui emanate. E fatta salva, naturalmente, la facoltà dei Direttori regionali di impartire ai Soprintendenti di settore ulteriori disposizioni in merito, in coerenza con la presente direttiva. 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Uffici dipartimentali competenti alla trattazione del contenzioso. Le competenti Avvocature dello Stato, per la difesa in giudizio di questa Amministrazione, hanno richiesto di individuare con chiarezza gli uffici competenti alla trattazione del contenzioso. Al riguardo si ribadisce che la trattazione dei ricorsi giurisdizionali avverso provvedimenti afferenti le materie di attribuzione di questo Dipartimento è di competenza degli uffici che hanno esperito listruttoria, anche nei casi in cui i ricorsi stessi siano stati presentati agli organi Centrali. Agli Uffici che hanno emanato il provvedimento impugnato è comunque riservata la facoltà di integrare il rapporto informativo, in qualsiasi momento, fornendo alla competente Avvocatura gli atti e gli ulteriori elementi ritenuti eventualmente necessari. Come più avanti diffusamente esplicitato, i relativi rapporti informativi dovranno essere trasmessi contemporaneamente alla competente Avvocatura, alle Direzioni regionali e sempre ai competenti Servizi delle Direzioni generali. Le Direzioni regionali e/o le Direzioni generali valuteranno lopportunità di fornire integrazioni a riguardo. Per quanto attiene specificatamente al contenzioso in materia di paesaggio, è opportuno rammentare il contenuto della circolare n. DIP. GU/02.113/1429 del 21 febbraio 2005, comunque nuovamente acclusa (allegato 1), nella quale è stato chiarito che, dal dettato delle disposizioni contenute nel Capo IV della Parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio, deriva la competenza delle Soprintendenze in materia di gestione dei beni paesaggistici, fatte salve, naturalmente, le previsioni dellarticolo 20, comma 4, lettere q), r), s) t) del citato d.P.R. n. 173 del 2004. Al Servizio IV del Dipartimento sono affidati i seguenti compiti in materia di ricorsi in sede giurisdizionale e di ricorsi straordinari al Capo dello Stato: coordinamento delle attività poste in essere dalle Direzioni Generali e regionali; trattazione delle problematiche comuni e/o particolari segnalate dalle Direzioni generali e regionali; trattazione delle problematiche comuni segnalate dalle Direzioni generali e/o da Direzioni regionali; trattazione dei quesiti; verifica degli orientamenti giurisprudenziali e segnalazione di pronunce di rilievo; segnalazione di testi di dottrina di particolare interesse; redazione e diffusione di una bibliografia e di una sitografia con aggiornamento biennale; organizzazione di incontri di informazione per il personale sulla nuova legislazione e/o su particolari tematiche di comune interesse. Modalità di trattazione dei ricorsi giurisdizionali. Nella trattazione dei ricorsi si dovranno osservare le seguenti modalità: 1) Ricorsi al TAR. al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, appelli al Consiglio di Stato, atti di citazione in sede civile. LUfficio dipartimentale che ha curato listruttoria del provvedimento impugnato dovrà inviare alla competente Avvocatura quanto dalla stessa richiesto e comunque: copia dellatto impugnato; copia di tutti gli atti correlati, ivi compresa la documentazione grafica e fotografica; una relazione articolata sulla fattispecie che contenga puntuali elementi di controdeduzione con riferimento ad ogni singolo motivo di ricorso. Gli stessi atti dovranno essere trasmessi alla Direzione Regionale e sempre al Servizio della Direzione Generale competente per materia. I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 289 Ordinanze e sentenze: La ricezione di ordinanze o di sentenze inviate dai competenti tribunali o dalle Avvocature, ovvero dai Servizi delle Direzioni generali del Dipartimento comporta i seguenti adempimenti: a) ordinanze che accolgono la richiesta di sospensione del provvedimento ministeriale impugnato. In questo caso devono essere tempestivamente forniti alla competente Avvocatura tutti gli atti e gli elementi utili a valutare lopportunità di impugnare lordinanza, informando contestualmente la Direzione regionale e sempre il Servizio della Direzione Generale competente per materia. b) ordinanze che respingono la richiesta di sospensione del provvedimento ministeriale impugnato. Copia della ordinanza, deve essere inviata anche alla Direzione regionale e al Servizio della Direzione generale competente per materia, se non già informati dallAvvocatura. Nel caso in cui sia coinvolta la competenza degli Enti locali, copia dellordinanza deve essere immediatamente inoltrata a tali Enti, al fine di evitare che, nella more dellemanazione della sentenza, siano consentiti interventi, opere o azioni che incidano sul bene vincolato. c) ordinanze o sentenze di tutti gli organi giurisdizionali indicati al punto 1 che dispongano incombenti istruttori a carico di uffici ministeriali. In questo caso lufficio dipartimentale al quale la vigente normativa affida la competenza deve inoltrare con la massima urgenza gli atti e/o gli elementi indicati nella stessa ordinanza, trasmettendoli contestualmente anche alla competente Avvocatura e tenendo sempre informati degli sviluppi la Direzione regionale ed il Servizio della Direzione generale competente per materia. d) sentenze di merito favorevoli a questa Amministrazione. In questo caso copia della decisione, deve essere inviata anche alla Direzione regionale e al Servizio della Direzione generale competente per materia, se non già informati dallAvvocatura. AllAvvocatura devono comunque anche essere richieste notizie sul passaggio in giudicato della sentenza. Nel caso in cui sia coinvolta la competenza degli Enti locali, copia dellordinanza deve essere immediatamente inoltrata a tali Enti, al fine di evitare che nelle more delleventuale impugnativa di controparte con richiesta di sospensione della decisione, siano consentiti interventi, opere o azioni che incidano sul bene vincolato. e) sentenze sfavorevoli a questa Amministrazione. In questo caso devono essere tempestivamente forniti allAvvocatura tutti gli atti e gli elementi utili a valutare lopportunità di impugnare la sentenza. Copia della nota di trasmissione deve essere contestualmente indirizzata alla Direzione regionale e sempre al Servizio della Direzione generale, competente per materia. Per quanto attiene alle ordinanze ed alle sentenze del Consiglio di Stato si dovrà così procedere: 1) le ordinanze e le sentenze favorevoli a questa Amministrazione devono essere inviate anche alla Direzione regionale e al competente Servizio della Direzione generale, se non già informati dallAvvocatura. Nel caso in cui sia coinvolta la competenza degli Enti locali, copia dellordinanza deve essere immediatamente inoltrata a tali Enti, al fine di evitare che siano consentiti interventi, opere o azioni che incidano sul bene vincolato. 2) le sentenze sfavorevoli a questa Amministrazione devono essere inserite nel rispettivo fascicolo. Copia della decisione deve essere inviata anche alla Direzione regionale e al Servizio della Direzione generale competente per materia, se non già informati dallAvvocatura. 2) Ricorsi amministrativi ex articolo 16 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (cfr. anche gli articoli 47. 69 e 128) 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Al riguardo, nel richiamare il contenuto della direttiva n. 3 prot. 2589 del 17 marzo 2005 e della delega attribuita con circolare n. GIU/02.106/6670 dell8 giugno 2005 comunque nuovamente accluse (allegati n. 2 e 3), si ribadisce alle Direzioni generali che lo schema di decisione deve essere inoltrato alla firma del Capo del Dipartimento per il tramite del Servizio IV. Lo stesso Servizio provvederà alla notifica dellatto, trasmettendone copia conforme anche alla Direzione generale competente. 3) Ricorsi al Presidente della Repubblica (d.P.R. n.1199/1971) Listruttoria dei ricorsi al Capo dello Stato spetta agli uffici che hanno emanato latto impugnato. Pertanto tali uffici provvederanno a trasmettere al Servizio della Direzione generale competente per materia: loriginale del ricorso straordinario laddove ricevuto; latto impugnato e tutti gli atti correlati, ivi compresa la documentazione grafica e fotografica; puntuali controdeduzioni con riferimento ai motivi di ricorso, previa integrazione, ove necessario, del contraddittorio con i controinteressati e/o i cointeressati, ove individuabili. La Direzione generale provvederà a predisporre, a firma del Direttore generale, la relazione al Ministro, inviandone copia anche al Servizio IV del Dipartimento. Acquisito il parere del Consiglio di Stato, la Direzione generale curerà i successivi adempimenti, fino alla notifica del d.P.R.. Copia del d.P.R. e del relativo parere del Consiglio di Stato dovranno essere inoltrati anche al Servizio IV del Dipartimento. Spese di giudizio In merito alle spese di giudizio indicate in sentenza, o comunque derivanti da un contenzioso, ivi compresi i danni in qualunque sede giudiziaria richiesti ed ottenuti da controparte, si rammenta quanto più volte chiarito per iscritto e per le vie brevi. a) Le spese indicate a favore del ricorrente devono essere tempestivamente pagate dall ufficio che ha emanato latto, utilizzando la procedura del conto sospeso, con riserva di ripetizione allesito delleventuale appello. La tempestività del pagamento è indispensabile ad evitare che la controparte proceda ad atti di precetto, con un aggravio di spese per lAmministrazione. La nota di trasmissione del titolo di pagamento alla competente Tesoreria dovrà essere indirizzata anche al creditore. Dopo la quietanza da parte del creditore, lufficio provvederà a trasmettere al Servizio della Direzione generale indicato come competente nel citato decreto ministeriale 17 febbraio 2006: copia della sentenza; copia del titolo di pagamento quietanzato; ogni ulteriore atto ritenuto utile; la dichiarazione che per la medesima spesa non sono stati richiesti fondi. Le Direzioni generali provvederanno ad emettere i dovuti ordini di accreditamento. La stessa procedura dovrà essere seguita per i pagamenti indicati dallAutorità giudiziaria a favore di periti nominati dalla stessa. b) Le richieste di pagamento di onorario formulate dalle Avvocature dello Stato e pervenute direttamente allufficio periferico dovranno invece essere inoltrate al Servizio della Direzione generale indicato come competente nel citato decreto ministeriale 17 febbraio 2006, corredate dei seguenti atti: Copia della nota di richiesta dellAvvocatura Copia della sentenza I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 291 Loriginale della parcella dellAvvocatura debitamente firmata e vistata Il Servizio competente provvederà ad emettere gli ordinativi di pagamento a favore delle Avvocature, fino ad esaurimento della somma assegnata complessivamente alla Direzione generale sul capitolo 2294. Esaurita la disponibilità di cassa, la Direzione generale provvederà a predisporre periodicamente le dovute richieste a firma del Ministro di assegnazione in termini di competenza e di cassa delle somme necessarie. Le richieste verranno inoltrate alla firma del Ministro dal Servizio II del Dipartimento. Le richieste firmate dal Ministro saranno trasmesse al Ministero delleconomia e delle finanze dal Servizio II del Dipartimento per il tramite dellUfficio Centrale del bilancio. Lo stesso Servizio II provvederà ad inoltrare alle Direzioni Generali le note di assegnazione delle somme da parte del Ministero delleconomia e delle finanze, affinché provvedano ai successivi adempimenti secondo la procedura sopradescritta. c) Le parcelle di consulenti tecnici nominati dallAmministrazione saranno a carico dellufficio che ha emanato latto impugnato. d) Richieste di rifusione per spese legali da parte di dipendenti dellAmministrazione prosciolti allesito di procedimenti giudiziari, (ivi compresi i procedimenti svoltisi dinanzi alla Corte dei conti) Preliminarmente, si rammenta come lAvvocatura Generale dello Stato abbia più volte chiarito che il rimborso non è dovuto laddove lAutorità giudiziaria rilevi lavvenuta scadenza dei termini. Nel sottolineare la necessità di garantire la riservatezza degli atti, si indica la procedura da seguire. Linteressato dovrà produrre allufficio di appartenenza apposita richiesta di rifusione corredata dai seguenti atti: Copia della sentenza passata in giudicato, ovvero dellatto di archiviazione Originale della parcella del legale compilata in ogni parte e debitamente quietanzata. Lufficio che riceve listanza provvederà ad inoltrare tutta la documentazione in copia conforme allAvvocatura competente per ottenere il visto di congruità sulla parcella legale. Acquisito il visto, lufficio inoltrerà tutti gli atti sopraelencati ed il visto stesso al Servizio della Direzione generale indicato come competente nel citato decreto ministeriale 17 febbraio 2006. Il Servizio provvederà ad emettere i dovuti ordinativi di Pagamento nella misura indicata dallAvvocatura nel proprio visto. Infine si rammenta che la materia del contenzioso del lavoro afferisce al Dipartimento per la ricerca, linnovazione e lorganizzazione- Direzione generale per gli affari generali, il bilancio, le risorse umane e la formazione- Servizio IV. e) Atti di precetto Lufficio competente al pagamento della somma per la quale è stato prodotto atto di precetto deve provvedere ad acquisire il visto di congruità dellAvvocatura dello Stato inviando alla stessa: copia della sentenza o comunque dellatto dal quale deriva il credito della controparte; loriginale dellatto di precetto con carico di restituzione. Acquisito il visto, lufficio provvederà ad emettere i dovuti ordinativi di pagamento nella misura indicata dallAvvocatura. f) Decreti ingiuntivi Laddove gli uffici ricevano decreti ingiuntivi di pagamento, devono procedere a con- 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO sultare lAvvocatura dello Stato competente al riguardo, fornendo tutti gli atti e gli elementi utili alla difesa dellAmministrazione. g) Atti di pignoramento Lufficio competente al pagamento della somma per la quale è stato prodotto atto di pignoramento dovrà compiere i dovuti adempimenti, mentre lufficio presso il quale sono state reperite le somme dovute, se diverso dal primo, sarà tenuto a rendere la dichiarazione alludienza disposta dallAutorità giudiziaria. Atale riguardo si evidenzia che per gli atti di pignoramento la competente procura della Corte dei conti, provvede ad avviare le indagini per laccertamento delle eventuali responsabilit à in materia di danno allerario. Infine si evidenzia che, in carenza di fondi, per i pagamenti urgenti anche le Direzioni generali possono emettere ordinativi di pagamento secondo la procedura in conto sospeso. Atti di citazione per procedimenti penali nei quali lAmministrazione è ritenuta parte offesa dal reato ipotizzato dallAutorità giudiziaria. Alle udienze per i procedimenti penali sono chiamati a partecipare i Soprintendenti ai quali è affidata la tutela del territorio, ovvero i Direttori regionali laddove identificabili quali organi competenti alla fattispecie. Per la partecipazione alle udienze possono essere delegati i funzionari, preferibilmente quelli di zona, con delega piena a manifestare lavviso dellAmministrazione. Laddove particolari evenienze o impegni sopraggiunti impediscano di essere presenti in udienza, è indispensabile relazionare allAutorità giudiziaria ed alla competente Avvocatura dello Stato sulla situazione vincolistica dellarea e/o del bene tutelato, fornendo ogni elemento eventualmente conosciuto sulla vicenda. Casi particolari e peraltro rari sono invece quelli per i quali la competente Avvocatura, ovvero lo stesso ufficio ministeriale rinvengono danni talmente gravi causati ad un bene protetto dalle azioni dei soggetti imputati, da richiedere la costituzione di parte civile di questa Amministrazione per ottenere la rifusione del danno. Sarà cura dellUfficio periferico competente far pervenire allAvvocatura ed al Servizio della Direzione generale competente tutti gli atti ed elementi utili per richiedere lautorizzazione alla costituzione di parte civile ai sensi della legge n. 3 del 1991. Richieste di patrocinio erariale formulate da dipendenti dellAmministrazione per essere difesi in giudizio. Come è noto i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche indagati in procedimenti penali per presunti reati commessi nellesercizio delle funzioni, possono formulare istanza per essere difesi in giudizio dalle Avvocature dello Stato. Anche per questa fattispecie si sottolinea la necessità di garantire la riservatezza degli atti. Gli interessati devono procedere secondo le seguenti modalità: Laddove gli indagati siano dipendenti o dirigenti di seconda fascia degli uffici periferici dovranno inviare alla Direzione regionale o generale competente per materia, per il tramite del Soprintendente, i seguenti atti: istanza di patrocinio erariale; copia dellatto di citazione dellAutorità giudiziaria; copia di tutti gli atti inerenti la fattispecie ed i reati contestati nellatto di citazione; puntuale relazione rispetto alle contestazioni mosse. La Direzione regionale o generale competente provvederà ad esprimere il proprio avviso, inoltrando, per tempestività dazione, gli stessi atti contestualmente al Dipartimento per la I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 293 ricerca, linnovazione e lorganizzazione- Direzione generale per gli affari generali, il bilancio, le risorse umane e la formazione - Servizio IV ed allAvvocatura Generale dello Stato. Laddove le indagini coinvolgano Dirigenti di prima fascia del Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici, gli stessi produrranno listanza sopracitata ed i relativi atti al Capo Dipartimento che provvederà ad esprimere il proprio avviso ai Capo del Dipartimento per la ricerca, linnovazione e lorganizzazione, inoltrando per tempestività dazione, gli stessi atti contestualmente allAvvocatura Generale dello Stato. Atti di diffida In merito si evidenzia la necessità di fornire puntuali e tempestive risposte al diffidante, nelle quali vengano indicati i provvedimenti eventualmente adottati, le procedure, le competenze, nonché i parametri normativi di riferimento relativi alloggetto della diffida. Alla presente direttiva vengono acclusi modelli di lettere da utilizzare dagli uffici territoriali in indirizzo per espletare le procedure sopradescritte (omissis). Tanto si comunica, allAvvocatura Generale ed alle Avvocature Distrettuali dello Stato alle quali si inoltra in allegato lelenco degli uffici incardinati in questo Dipartimento, contenente i recapiti di ogni struttura. Tanto si comunica altresì agli organi di collaborazione del Ministro, al Capo del Dipartimento per la ricerca, linnovazione e lorganizzazione ed al Servizio Controllo Interno, per opportuna conoscenza. Il Capo Dipartimento Prof. Francesco Sicilia. 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Levoluzione della tutela cautelare nel processo amministrativo di Giuseppe Baldanza SOMMARIO: 1. La tutela cautelare del privato nei confronti della P. A. nel processo amministrativo: dal principio romanistico del mittite ambo rem alla funzione assicurativa della misura cautelare. 2. Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale, influenzato dalle istanze comunitarie, sulla possibile interpretazione evolutiva delloriginario dettato dellart. 21 della legge n. 1034/1971. In particolare, la sospensiva nei confronti degli atti negativi e dei comportamenti inerti della P. A. 3. La tutela atipica e propulsiva viene positivizzata con la legge n. 205/2000 di riforma del processo amministrativo e, in particolare, dellart. 21 della legge n. 1034/1971, così modellato sulla falsariga dellart. 700 c.p.c. 4. La nuova frontiera del giudizio cautelare: la tutela cautelare ante causam da assicurare anche nel processo amministrativo secondo la giurisprudenza comunitaria. 5. Considerazioni conclusive. 1. La tutela cautelare del privato nei confronti della P. A. nel processo amministrativo: dal principio romanistico del mittite ambo rem alla funzione assicurativa della misura cautelare. Il fine cui è preordinato lo strumento cautelare in seno al processo amministrativo è quello di porre impedimento a possibili danni non riparabili, derivanti dal tempo occorrente per la definizione del giudizio, di fronte allimmediata produzione di effetti del provvedimento o del comportamento dellAmministrazione (1). D O T T R I N A (1) In tal senso si è espresso di recente il Consiglio di Stato, sez. V, 27 settembre 2004, n. 6301. Atteso che limpugnazione di un provvedimento amministrativo non sospende, almeno automaticamente, lesecutività del medesimo, è fortemente sentita, nel nostro ordinamento, lesigenza di garantire che il privato ricorrente, il quale possa vantare una pretesa fondata, quantomeno in termini probabilistici, non abbia a soffrire del tempo necessario per addivenire ad una pronuncia satisfattiva, in omaggio al principio della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost., nonché al principio del giusto processo di cui allart. 111 Cost., mutuato dallordinamento comunitario, in base al quale, tra laltro, occorre assicurare ai cittadini una durata ragionevole dei giudizi. Ne consegue una particolare rilevanza del processo cautelare che diviene il momento centrale della causa perché in tale sede si riesce ad avere quellanticipo di giustizia che poi diventerà definitiva quando vi sarà la sentenza sul merito. Lordinanza cautelare rappresenta lo strumento che tradizionalmente la giustizia amministrativa ha utilizzato, fin dalla sua nascita, per sospendere lefficacia di un provvedimento amministrativo impugnato davanti al giudice amministrativo. Non è una coincidenza che la giustizia amministrativa sia nata nel nostro Paese nel 1889 con listituzione della IV Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato perché, allepoca, vi fu la necessità impellente di creare uno Stato liberale che considerasse rilevante il principio di legalità nelloperato della P. A. Dalla lontana legge istitutiva della giustizia amministrativa (legge n. 5992/1889) fino ai giorni nostri, il giudizio cautelare amministrativo è stato interessato da poche norme: infatti, dal 1889 dobbiamo attendere il 1924, quando venne redatto il T.U. 1054 che, allart. 39, prevedeva le gravi ragioni come presupposto per sospendere in sede cautelare il provvedimento amministrativo impugnato; dobbiamo giungere al 1948, quando si stabilì che la decisione cautelare dovesse vestire i panni dellordinanza e pervenire al 1950 perché venisse stabilito normativamente che, in sede di discussione delle domande incidentali cautelari, davanti al collegio, gli avvocati difensori potessero essere ascoltati, qualora ne avessero fatto richiesta. Avvicinandoci a tempi più recenti, la legge n. 1034/1971, istitutiva dei T.A.R., ha previsto, tra laltro, lobbligo di motivare lordinanza di sospensiva ed ha sostituito il presupposto del danno grave e irreparabile alle gravi ragioni, di cui al citato art. 39 del T.U. 1054/1924. Comè noto, per ottenere la concessione di una misura cautelare, debbono ricorrere i due tradizionali presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris. Il primo concerne il rischio che, nelle more del giudizio, dallesecuzione dellatto impugnato derivino danni gravi ed irreparabili per il ricorrente, per cui la valutazione del giudice riguarderà la verosimiglianza del pericolo, che può sopravvenire e rendere più difficile o impossibile la tutela del diritto (2). 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (2) Si veda, ad esempio, CAIANIELLO V., Diritto processuale amministrativo, 2004, 698-699. Il secondo attiene ad un giudizio positivo, in termini probabilistici, circa lesistenza del diritto controverso, sulla base di una sommaria delibazione (3). Lordinanza cautelare presenta il carattere della strumentalità al giudizio di merito in quanto evita che gli effetti dello stesso possano essere vanificati dal decorso del tempo ma, allo stesso tempo, è caducata se lazione principale è ritenuta infondata o anche quando i provvedimenti principali non sfocino in una pronuncia di merito (4). È, altresì, provvisoria, posto che, se vengono meno i presupposti originari della stessa, essa può essere successivamente revocata o modificata dal giudice amministrativo, ed anche interinale perché si ha la cessazione dei suoi effetti con la pronuncia della sentenza di merito, non essendo ammesse misure cautelari con effetti irreversibili. Va precisato che, ad ogni modo, la decisione cautelare, anche ove concessa, non pregiudica la decisione del ricorso, che può anche essere poi ritenuto infondato. Può affermarsi che lordinanza di sospensiva, come tradizionalmente intesa ed applicata, cioè finalizzata a paralizzare gli effetti dellatto amministrativo impugnato, con conseguente nullità e inefficacia dei successivi atti amministrativi rispetto ai quali latto impugnato si pone come presupposto (5), può ricondursi al principio romanistico del mittite ambo rem: aspettiamo la sentenza di merito e, nel frattempo, congediamo la controversia. Ma è chiaro che ciò poteva andare bene quando il processo cautelare aveva come oggetto interessi legittimi di tipo oppositivo, come nel caso di espropriazione per pubblica utilità. Oggi, invece, sono divenuti prevalenti, nella nostra società, gli interessi legittimi pretensivi, la cui lesione comporta un pregiudizio ritenuto ormai risarcibile, a partire dalla storica sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite della Cassazione, ed idoneo ad integrare il presupposto del grave e irreparabile danno necessario per la concessione della sospensiva. Questa, pertanto, in tali ultime ipotesi, se consistente nella mera sospensione dellatto impugnato mediante il congelamento dei relativi effetti, non riesce più a tutelare a pieno il privato, che, ad esempio, nel caso di atti di diniego, avrà bisogno di unordinanza di tipo propulsivo in grado di anticipare gli effetti della successiva sentenza di merito. DOTTRINA 297 (3) Si veda, ad esempio, CARINGELLA F., Corso di diritto processuale amministrativo, 2003 nonch è CAIANIELLO V., Diritto processuale amministrativo, cit., 698 ss. Tale secondo presupposto non era espressamente previsto nelloriginario dettato dellart. 21 legge T.A.R., ma è stato il frutto dellelaborazione giurisprudenziale del giudice amministrativo fino a venire codificato per la prima volta nellart. 3, comma I, della l. 205/2000, che richiede la motivazione anche sui profili che, ad un sommario esame, inducono una ragionevole previsione sullesito del ricorso. (4) Così ANDRIOLI V., Lezioni, ed. 1973, 287 e ss. (5) In tal senso RICCI E. F., Profili della nuova tutela cautelare del privato nei confronti della pubblica amministrazione, in Diritto processuale amministrativo, 2002, 276 ss.; PALEOLOGO G., Il giudizio cautelare amministrativo, Padova, 1971, 241 ss.; FOLLIERI E., La cautela tipica e la sua evoluzione, 1989, 646 ss.; TRAVI A., Sospensione dellatto amministrativo, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIV, Torino, 1999, 363 ss.; TRAVI, A., La tutela cautelare nei confronti dei dinieghi di provvedimenti e delle omissioni della P.A., in Diritto processuale amministrativo, 1999, 329 ss. Si apre allora il dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, sulla necessità che la sospensiva passi da strumento esclusivamente di tipo conservativo a mezzo assicurativo, modellato sulla falsariga dellart. 700 c.p.c. e volto a preservare, in vista della statuizione di merito, tutti gli interessi legittimi sindacabili dal G.A. anche mediante la propulsione dellazione amministrativa verso una certa direzione, del quale si dirà nel paragrafo che segue. 2. Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale, influenzato dalle istanze comunitarie, sulla possibile interpretazione evolutiva delloriginario dettato dell art. 21 della legge n. 1034/1971. In particolare, la sospensiva nei confronti degli atti negativi e dei comportamenti inerti della P.A. La limitazione alla sola sospensiva della tutela cautelare nel processo amministrativo si presentava notevolmente angusta ed intollerabilmente asfittica(6) in quanto, come detto, non era in grado di assicurare adeguata tutela agli interessi legittimi pretesivi del privato. Tuttavia, negli anni 70 la giurisprudenza e buona parte della dottrina erano ancora fermi nellescludere rigorosamente lammissibilità della sospensione degli atti negativi o di rifiuto. A sostegno di tale assunto si affermava che la finalità del provvedimento cautelare era di paralizzare lattività della P.A., obbligando la stessa a non dare esecuzione, nelle more del giudizio, al provvedimento impugnato, per cui, ove con la sospensiva si volesse imporre alla P.A. di tenere un certo comportamento positivo, costringendola ad emanare il provvedimento rifiutato, si sarebbe determinata una sostituzione, non consentita dal nostro ordinamento fondato sul principio della separazione dei poteri, del giudice amministrativo nelle scelte discrezionali riservate alla P.A. In secondo luogo, si sosteneva che con la misura cautelare il privato non potesse ottenere qualche cosa di più di quanto avrebbe conseguito con laccoglimento del ricorso che, invece, poi, avrebbe necessitato anche delladeguamento della P.A. o del giudizio di ottemperanza (7). In altri termini, le prospettive di allargamento erano ostacolate dai due principi sovrastanti ai provvedimenti cautelari: quelli della strumentalità e della provvisorietà degli effetti, destinati ad essere sostituiti dalla sentenza finale, entrambi riconducibili ad una necessaria continenza dei primi nella seconda. 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (6) In tali termini si esprime A. ROMANO, Tutela cautelare nel processo amministrativo e giurisdizione di merito, in Foro Italiano, 1985, I, 2491 ss. (7) In questo senso si veda: TOMMASEO F., I provvedimenti durgenza, 113 ss; C. MANDRIOLI, I provvedimenti durgenza: deviazioni e proposte, in Rivista di diritto processuale, 1985, 657 ss.; MONTESANO L., La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 256 ss.; CINTIOLI, F., Osservazioni sul nuovo processo cautelare amministrativo, in Urbanistica e Appalti, 2001, III, 237 ss. In senso contrario A. ROMANO, Tutela cautelare, cit., 2499 ss., il quale tende ad attribuire al giudice, in occasione della concessione della tutela cautelare, i poteri propri del giudice nel procedimento di ottemperanza; F. G. SCOCA, Provvedimento cautelare provvedimento di merito, in AA.VV., I provvedimenti cautelari ed urgenti in materia di energia, Milano, 1991,160, secondo il quale nel processo amministrativo la misura cautelare non corrisponde mai alla misura di merito, cioè alla sentenza di merito, ma è sempre qualcosa di più. Nel corso degli anni 80 tale impostazione viene rivisitata e superata da una meritoria evoluzione pretoria sfociante nellampliamento del novero delle misure cautelari ottenibili, attribuendo al G.A. in sede cautelare, in omaggio al principio di piena ed effettiva tutela giurisdizionale di cui agli artt. 24 e 113 Cost., un ventaglio di strumenti analogo a quello offerto dall art. 700 c.p.c., fino alla possibilità di sospendere un provvedimento negativo, inizialmente solo nei casi in cui non era indispensabile lemanazione di un atto amministrativo (8). Lobiezione della violazione del principio di separazione dei poteri non veniva più ritenuta decisiva, in quanto la sindacabilità dellattività amministrativa è stata alla base dellistituzione della giustizia amministrativa, affinch é lazione della pubblica amministrazione si mantenesse nellambito della legalità e poiché si considerava necessario non ledere laltro fondamentale principio costituzionale della piena ed effettiva tutela giurisdizionale che non può soccombere puntualmente, ma che va bilanciato con il primo secondo le circostanze del caso concreto e, quindi, secondo il tipo di atto che la P.A. deve emanare. La cautelabilità degli interessi legittimi pretensivi è affermata anche precisandosi che la strumentalità della misura cautelare vada intesa in senso ampio (9), cioè con riferimento agli effetti derivanti dalle determinazioni della P.A. recettive della sentenza di merito, anche laddove si rendesse necessaria lottemperanza. La decisione finale del processo amministrativo, infatti, non produce solo leliminazione dellatto impugnato, ma anche un effetto di ripristinazione ed un effetto conformativo, che vincola la successiva attività dellamministrazione nellesercizio del potere. Infine, si evidenziava che la funzione anticipatoria della sospensiva andasse riferita allutilità finale del provvedimento conclusivo, e non a quella meramente strumentale derivante della sentenza caducatoria di merito. Va dato conto che a dare impulso allesigenza di ampliare larea del giudizio cautelare ha concorso la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 190 del 1985 (10), nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego (allepoca appartenenti alla giurisdizione esclusiva del G.A. e, poi, DOTTRINA 299 (8) In questo senso C.d.S., Ad. Pl. n. 17/1982 e Cass. S. U., n. 5063/1983 che ritengono che leffettivit à della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost. sarebbe rimasta frustrata qualora si fosse impedito al privato lottenimento della sospensione di un provvedimento negativo la cui esecuzione, nelle more del giudizio, avrebbe potuto arrecargli un danno irreparabile, vanificando uneventuale sentenza di accoglimento. (9) Si parla, al riguardo, di «strumentalità allargata» secondo la definizione di S. TARULLO, La tutela cautelare nel processo amministrativo tra vicende interne, vicende comunitarie e prospettive di riforma, in Foro amministrativo, 2000, 2488 ss., spec. 2526 ss. (10) Cfr. la sentenza in Foro italiano, 1985, I, c. 1881, con nota senza titolo di A. PROTO PISANI; in Foro italiano, 1985, I, 2492 ss., con nota di A. ROMANO, Tutela cautelare, cit.; in Giurisprudenza italiana, 1985, I, 1297 ss., con nota di M. NIGRO, Lart. 700 c.p.c. conquista anche il processo amministrativo; in Foro amministrativo, 1986, 1 ss., con nota di FIORILLO L., La Corte costituzionale introduce nel processo amministrativo la tutela cautelare atipica. devolute, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro, alla cognizione del G. O.) aveva dichiarato lillegittimità costituzionale dellart. 21 della legge T.A.R., nella sua originaria formulazione, per contrasto con gli artt. 113 e 3 Cost., nella parte in cui, limitando la tutela cautelare alla sola sospensione del provvedimento impugnato, non prevedeva ladozione di provvedimenti cautelari più idonei (11). Tale intervento trapiantava uno strumento cautelare modellato sulla falsariga dellart. 700 c.p.c., ma costituiva ancora una novità limitata rationae materiae. Per effetto di tale sentenza il giudice amministrativo ha potuto disporre, in via provvisoria e cautelare, a carico della pubblica amministrazione il pagamento di somme di denaro di cui il dipendente risultasse prima facie creditore (12). Di qui è sorto il problema, se analoghe misure volte ad assicurare gli effetti del ricorso fossero possibili anche nelle altre controversie su diritti soggettivi (13). Lesigenza di una tutela cautelare più ampia, infatti, si è poi manifestata con maggiore evidenza con la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di nuove materie per effetto degli artt. 33 e 34 del D.Lgs. n. 80/1998, come novellato dalla legge n. 205/2000, che, peraltro, hanno visto ristretto il loro ambito applicativo con lintervento della Corte costituzionale (sentt. nn. 204 e 281 del 2004) volto a chiarire i corretti criteri di riparto tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa, respingendo il criterio, utilizzato dal legislatore, dellattribuzione della giurisdizione per blocchi di materie (14). Ma, tornando ora allavvertita esigenza di una piena ed effettiva tutela degli interessi legittimi pretesivi, lesi da atti di diniego o dal silenzio rifiuto serbato dalla P.A., come accennato, anche la giurisprudenza amministrativa ha teorizzato la possibilità di adottare misure cautelari atipiche anche di fronte a provvedimenti di diniego. 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (11) Si veda sul punto DI BENEDETTO U., La tutela cautelare nel pubblico impiego e nel giudizio amministrativo, in Foro Amministrativo, 1989, 1625. (12) DI BENEDETTO U., Diritto amministrativo, giurisprudenza e casi pratici, Maggioli, 960 ss. (13) Cfr. sul punto A. ROMANO, Tutela cautelare, cit., 2505 ss., M. Nigro, Lart. 700 c.p.c. conquista anche il processo amministrativo, cit., 1300 ss.; I. F. CARAMAZZA e F. BASILICA, Appunti sulla tutela cautelare nel processo amministrativo, in Rassegna Avvocatura Stato, 1992, II, 1ss.; M. SICA, Provvedimenti durgenza e giudizio cautelare amministrativo, in Giurisprudenza Italiana, 1986, IV, 69 ss.; E. M. BARBIERI, Sulla strumentalità del processo cautelare amministrativo, in Foro amministrativo, 1987, 3173 ss. (14) La Consulta si è espressa con riferimento allambito della giurisdizione esclusiva ma ha espresso dei principi aventi una portata più ampia, affermando la giurisdizione amministrativa ogni qual volta la P.A. agisca in veste di autorità, cioè esercitando un potere autoritativo funzionale, di cui è indice la sussistenza di un procedimento amministrativo, residuando, invece, la giurisdizione ordinaria nelle ipotesi in cui lAmministrazione abbia posto in esere comportamenti meramente materiali. Sul punto si veda, ex plurimis, BENINI S., nota a Corte cost. n. 204/2004, A. TRAVI, La giurisdizione esclusiva prevista dagli artt. 33 e 34 d. lg. 80/98, dopo la sentenza della Corte cost. 204/2004, F. FRACCHIA, La parabola del potere di disporre il risarcimento: dalla giurisdizione «esclusiva» alla giurisdizione del giudice amministrativo, tutti in Foro italiano, ottobre 2004, 2594 ss. A partire dagli anni 30 si sono dilatate al massimo le possibilità offerte dalla mera sospensione, inizialmente cercando di individuare allinterno della categoria degli atti negativi, quelli assimilabili, dal punto di vista degli effetti, ai provvedimenti positivi. Venne prospettata la distinzione tra provvedimenti meramente negativi, non cautelabili, e provvedimenti negativi con effetti positivi (15), passibili di tutela cautelare, come, ad esempio, il diniego di esonero dal servizio militare o il diniego di ammissione a concorsi. Si riteneva che questi provvedimenti non esaurissero lazione amministrativa, ma fossero il preludio alladozione di altri provvedimenti (nella specie positivi), come la chiamata alle armi. Quindi, la loro sospensione avrebbe così impedito ladozione di questi ulteriori atti, producendo la paralisi della successiva attività dellAmministrazione, cioè dellattività che sarebbe conseguita se non ci fosse stato il provvedimento cautelare. La giurisprudenza ha successivamente ampliato la gamma dei provvedimenti di diniego sospendibili, ricomprendendovi anche quelli meramente negativi, come, ad esempio, gli atti negativi di controllo, i provvedimenti di esclusione alla partecipazione a procedure concorsuali per laffidamento di appalti, i dinieghi di iscrizione di albi professionali, oltre che i dinieghi di provvedimenti ampliativi, fino ad affermare, in alcuni casi, il potere del G.A. di adottare misure durgenza di contenuto positivo a tutela di interessi pretesivi (16). Tale evoluzione giurisprudenziale ha sicuramente subito una spinta decisiva dalla giurisprudenza comunitaria. In primo luogo, va ricordata la sentenza «Factortame» (17) del 19 giugno 1990 che ha stabilito lobbligo per il giudice interno di disapplicare le norme nazionali che ostino alladozione di misure cautelari a protezione di situazioni soggettive riconosciute dal diritto comunitario. Nella sentenza «Zuckerfabrick» (18) del 21 febbraio 1991, la Corte ha affermato che al giudice nazionale che abbia proposto alla Corte di Giustizia domanda di pronuncia giudiziale per laccertamento di validità di un regola- DOTTRINA 301 (15) Di recente tale distinzione è sostenuta in GAROFOLI, R., La tutela cautelare degli interessi negativi. Le tecniche del remand e dellordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in Diritto processuale amministrativo, 2002, 857 ss. (16) Per queste aperture si veda C.d.S., sez. V, n. 116/81, in Foro italiano, 1981,III, 609 ss.; C.d.S., Ad. Pl., n. 14/83, in Foro italiano, 1984, III, 72 ss. Più di recente cfr. C.d.S., sez. V, n. 1210/1996, in Diritto Processuale amministrativo, 1997, 167 ss., dove, peraltro, si affermava che la tutela cautelare non poteva spingersi ad imporre alla P.A. lobbligo di rivalutare listanza non accolta. Si è così giunti a disporre lammissione con riserva sino allesito del concorso; la possibilità di sospendere lesito negativo della prova scritta allesame di procuratore legale, con affidamento a diversa sottocommissione della correzione dei compiti del ricorrente (T.A.R. Lazio, ord. n. 2532/1995; C.d.S., sez IV, ord. n. 1332/1996). (17) Causa 213/89, in Raccolta giuridica Corte di Giustizia, 1990, 2433 ss, in Diritto Processuale Amministrativo, 1991, 255 ss., con nota di C. Consolo. (18) Cause riunite c. 143/88 e C. 92/89, in Raccolta giur. della Corte di Giustizia, 1991, 415. mento comunitario, va riconosciuto il potere di sospendere cautelarmente lesecuzione di un provvedimento nazionale amministrativo fondato sul regolamento di cui si contesta la legittimità. Ma nel caso «Atlanta» (19) la Corte si è spinta oltre, stabilendo il potere del giudice nazionale di concedere qualunque misura cautelare, sia di natura sospensiva che concessiva di provvedimenti provvisori che creino a favore del singolo una nuova situazione di diritto, sancendosi così espressamente latipicità della misura cautelare, il suo carattere interinale e la possibilit à di provvedimenti cautelari positivi, in omaggio al principio supremo della effettività e completezza della tutela giurisdizionale del singolo. Ne consegue la necessaria eliminazione delle norme nazionali contrarie al diritto comunitario che impediscono o rendono eccessivamente difficoltoso lesercizio di diritti riconosciuti e sanciti dalla normativa comunitaria (20). Anche nel settore cautelare le influenze comunitarie hanno accelerato levoluzione normativa interna sfociante nellemanazione della legge n. 205 del 2000. 3. La tutela atipica e propulsiva viene positivizzata con la legge n. 205/2000 di riforma del processo amministrativo e, in particolare, dellart. 21 della legge n. 1034/1971, così modellato sulla falsariga dellart. 700 c.p.c. Come si è visto, lammissibilità della tutela cautelare rispetto agli atti negativi è stato il risultato della reazione giurisprudenziale finalizzata a far sì che il processo stesso soddisfi effettivamente linteresse del privato. Tale evoluzione viene cristallizzata nella legge 205 del 2000 (21) con levidente intento di colmare le lacune riscontrate nella realtà concreta e di equiparare la tutela tra diritti soggettivi e interessi legittimi (22). Dal tenore letterale dellart. 3 della legge in parola, in base al quale al G.A. è consentito, in sede cautelare, adottare le misure che risultino più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti sulla decisione del ricorso, emerge ictu oculi lidentità di formula normativa con lart. 700 c.p.c. 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (19) Sentenza «Atlanta», causa 465/93, in Raccolta giur . della Corte di Giustizia, 1995, 3799. Questa vicenda ha, peraltro, dimostrato che, in alcune ipotesi, leffettività della tutela giurisdizionale può essere garantita solo a discapito della piena efficacia del diritto comunitario, posto che, nel caso di specie, si è concesso un provvedimento cautelare positivo nei confronti di un atto amministrativo interno che attuava un regolamento comunitario sub iudice. (20) Si vedano le c.d. direttive ricorsi n. 665 del 1989 e n. 13 del 1992, a mente delle quali lautorit à investita del ricorso deve adottare con la massima sollecitudine e con procedura durgenza i provvedimenti provvisori intesi a riparare la violazione denunciata e impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, nonché quei provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere una procedura di aggiudicazione di un appalto o lesecuzione di qualsiasi decisione assunta dallente aggiudicatore. (21) Cfr. AA.VV., Verso il nuovo processo amministrativo. Commento alla l. 21 luglio 2000 n. 205, a cura di V. Cerulli Irelli, Torino, 2000. (22) Così L. MONTESANO, Provvedimenti durgenza «ante causam» nei giudizi amministrativi, in Rivista di diritto processuale, 1998, 1192 ss., il quale scrive che sembrano opportune, e direi necessarie, rimozioni . di disparità irragionevoli tra le tutele cautelari davanti alla giurisdizione amministrativa (p. 1193). Ma vi è una differenza di rilievo: lart. 700 c.p.c. nel processo civile costituisce una norma di chiusura del sistema cautelare, permettendo al giudice ordinario ladozione di misure cautelari atipiche ed elastiche in aggiunta a quelle tipizzate nelle precedenti disposizioni; nel giudizio amministrativo la misura cautelare introdotta con la riforma del 2000 è lunica contemplata ma permette lutilizzo di un ampio ventaglio di soluzioni a tutela anche degli interessi pretesivi del privato o avverso il silenzio rifiuto serbato dalla P.A. Va precisato, peraltro, che nelle ipotesi di comportamento inerte tenuto dalla P.A. la possibilità di sospendere in via cautelare il silenzio deve essere raccordata con la previsione di cui allart. 2 della medesima legge in esame concernente il particolare rito sfociante, in tempi sufficientemente brevi, in una decisione, con la conseguenza che potrà residuare eventualmente la richiesta di misure cautelari provvisorie, di cui si dirà più avanti. Sembra così indiscutibilmente codificato il principio della atipicità ed elasticità della cautela, con lunico limite della necessità che le misure concesse siano finalizzate ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione finale (23). Tuttavia non si è placato il dibattito sui limiti delle misure propulsive, posto che alcuni autori, prendendo le mosse dalla ribadita strumentalità della tutela cautelare presente nella legge di riforma, continuano ad accentuare tale carattere della misura cautelare, ritenendo che allampliamento delle misure durgenza si contrapponesse una visione quasi recessiva del provvedimento cautelare rispetto al giudizio di merito, riproponendo, nella sostanza, le obiezioni che si muovevano alla tendenza ampliativa nella fase ante legge 205. La soluzione del problema sembra potersi rinvenire, operando un bilanciamento tra principio di separazone dei poteri e principio della piena ed effettiva tutela giurisdizionale, nelladozione diretta da parte del giudice amministrativo delle misure sostitutive del provvedimento negato dalla P.A. per gli atti vincolati o a bassa discrezionalità e nella richiesta, del giudice allAmministrazione, mediante la tecnica del remand , di riesaminare il provvedimento negativo per gli atti discrezionali (24). Si tratta di una soluzione che ricalca quella in tema di risarcibilità degli interessi legittimi pretesivi, condizionata, secondo i dettami delle Sezioni Unite di Cassazione (sentenza n. 500 del 1999) ad un giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita cui aspira il privato. Pertanto, attualmente, per esempio, risulta possibile, nelle more di un processo volto a contestare la fondatezza dellesclusione da un concorso o da una gara dappalto, esservi ammessi con riserva. Iniziamo, ora, ad analizzare le principali novità introdotte dalla riforma. DOTTRINA 303 (23) In tal senso si veda C.d.S., sez. VI, n. 1054/2003, ove si sottolinea limportanza della funzione propulsiva della misura cautelare (24) Da notare che il T.A.R. Lazio con sentenza n. 7551 del 2001 ha riconosciuto ampi effetti alle operazioni in esecuzione di un provvedimento cautelare in tema di giudizi ampiamente discrezionali come le prove scritte di un concorso notarile. Balza agli occhi la possibilità attribuita al G.A. di disporre, in via cautelare, lingiunzione a pagare una somma di denaro. In seguito alla devoluzione di unampia area di contenzioso al giudice amministrativo, in sede esclusiva, a partire dal D.Lgs. n. 80/1998, specialmente nei settori dei servizi pubblici ma anche dellurbanistica e delledilizia, si erano avvertite in modo più pressante le esigenze di tutela del privato titolare di diritti di credito nei confronti della pubblica amministrazione, che, in alcuni casi, poteva subire un danno anche grave e irreparabile dal ritardo dei pagamenti. È così sorto quel fenomeno definito tribunalizzazione dei T.A.R. ovvero civilizzazione o sommarizzazione del giudice amministrativo, consistente nel trapianto di molti strumenti di matrice civilistica allinterno del processo amministrativo, come, ad esempio, la consulenza tecnica dufficio o le ordinanze di cui agli artt. 186bis, 186-ter, 186 quater, e il procedimento monitorio di cui allart. 633 c.p.c. e ss. (25) introdotte dallart. 8 della legge 205/2000. Tuttavia si afferma in dottrina che, a seguito dellintervento della Corte costituzionale (sent. 204/2004), si sia determinato un ridimensionamento del fenomeno in questione, attesi gli effetti restrittivi derivanti dal rigetto del criterio dellattribuzione di giurisdizione al G.A. per materie e dallespunzione dei comportamenti dal novero delle controversie di competenza del giudice amministrativo, parlandosi, infatti, al riguardo di tribunalizzazione evitata (26). Ne consegue che, stante la sottrazione delle controversie paritarie aventi ad oggetto normali rapporti obbligatori e di quelle involgenti meri comportamenti materiali, larmamentario processuale attribuito dalla legge 205 del 2000 al G.A., al cui maneggio i giudici amministrativi erano già abbastanza restii, sarà verosimilmente destinato a cadere in desuetudine. Tra le più significative innovazioni apportate dalla legge di riforma vi è anche quella di consentire lemissione di un provvedimento cautelare inaudita altera parte nella forma del decreto presidenziale, ricorrendone i presupposti di gravità e urgenza, permettendosi così di non dover attendere nemmeno il tempo necessario allo svolgimento della camera di consiglio che deciderà con ordinanza sullistanza cautelare (27). La relativa istanza non può prescindere dalla presentazione del ricorso cautelare di cui si chiede lanticipazione, dallinstaurazione della causa prin- 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (25) In un primo tempo la giurisprudenza amministrativa (C.d.S., Ad. Pl., n. 1/2000) aveva nettamente bocciato lutilizzo di tali strumenti, sul presupposto della impossibilità di ricorrere al codice di rito per integrare la disciplina del processo amministrativo, ritenendo idonea la misura cautelare delineata dallart. 21 della legge T.A.R. a garantire uneffettiva tutela cautelare anche per i crediti aventi ad oggetto somme di denaro. (26) In questi termini si esprime M. CLARICH, La tribunalizzazione del giudice amministrativo evitata: commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004, su Il Giornale di diritto amministrativo, 2004 e comunque su www.giustizia-amministrativa.it. (27) Si veda in dottrina E. FOLLIERI, Il nuovo giudizio cautelare: art. 3, L. 21 luglio n. 205, in Cons. St., 2001,II, 490 ss. cipale e dalla valutazione in ordine alla non manifesta infondatezza del ricorso ed al pericolo di pregiudizio grave e irreparabile. Si tratta di un rimedio di chiusura del sistema (28) destinato a operare in casi eccezionali, per la cui concessione occorre fornire rigorosamente la prova della estrema gravità ed urgenza, e comunque avente efficacia limitata nel tempo, cioè fino alla pronuncia del collegio, cui listanza cautelare è proposta, nella prima camera di consiglio utile. Occorre, poi, chiarire, in relazione a tale previsione, in quale modo sia garantito il principio del contraddittorio. Da segnalare, sul punto, lorientamento del T.A.R.Catania (29), che, al fine di salvaguardare leffettività della tutela cautelare, ha talvolta ritenuto la non necessità della notifica della domanda preliminare di sospensione del provvedimento impugnato, valorizzando il dato normativo per cui il presidente provvede con decreto motivato anche in assenza di contraddittorio. Lintegrità del principio del contraddittorio si ritiene assicurata in un momento successivo alla pronuncia giurisdizionale, secondo il modello del c.d. contraddittorio differito o posticipato (30). Quanto alla disciplina del procedimento cautelare, cioè alle modalità e ai termini, non si registrano modificazioni di rilievo (31), mentre latipicità delle misure ottenibili sembra comportare lonere per il ricorrente di indicare quelle misure anticipatorie che egli ritiene più idonee ad assicurare gli effetti della decisione finale. Si ribadisce la necessità che il giudice motivi in ordine ai due tradizionali presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris, ma il legislatore non stabilisce alcuna sanzione implicante linvalidità della misura cautelare emanata in violazione di tale disposizione. La novella legislativa ha anche previsto che, nellipotesi in cui lesecuzione della misura cautelare sia produttiva di effetti non eliminabili, il giudice amministrativo possa subordinarne la concessione o il diniego al versamento di una cauzione (anche tramite polizza fideiussoria), salvo che tale misura investa beni di primario interesse, che, come tali, non possono subire pregiudizio alcuno. Pur apprezzando le ragioni che hanno indotto il legislatore a limitare la sfera di incidenza oggettiva della cauzione, la dottrina ha manifestato serie riserve e critiche sia per la genericità della previsione di cui allart. 3 della legge 205 (a differenza dellart. 669 undecies c.p.c., in cui sono precisati funzioni e obiettivi) sia per la scarsa incidenza pratica di tale istituto in un procedimento cautelare che, non solo può essere definito con immediatezza uni- DOTTRINA 305 (28) Cfr. T.A.R. Lombardia, sez. I, decr. pres. n. 1192/2001. (29) Decreti presidenziali n. 32/2001 e n. 997/2002. (30) Tale orientamento sembra condiviso da MIGNONE, Il giudizio di primo grado, in Diritto amministrativo, a cura di Mazzarolli-Pericu-Romano-Roversi Monaco-Scoca, Bologna 2001, 2000 ss. e da JUSO, Lineamenti di giustizia amministrativa, Milano, 2001, 357 ss. (31) La procedura per la trattazione della domanda cautelare non è stata interamente mutata dalla novella del 2000, per cui occorre sempre fare riferimento allart. 36 del reg. di proc. del 1907, n. 642. tamente al merito, ma che deve essere deciso con ordinanza specificamente motivata, anche con riguardo al prevedibile esito del ricorso. Ne consegue che, se il provvedimento cautelare deve essere il risultato di una adeguata ponderazione dei presupposti fino a far emergere un certo grado di attendibilità dei motivi del ricorso o se è addirittura possibile (come in caso di completezza di contraddittorio e di istruttoria) decidere, in fase cautelare, il merito o, comunque, fissare in tempi brevi la trattazione definitiva della controversia (art. 21 nono comma e art. 23 bis terzo comma), è difficile intendere quali potrebbero essere gli spazi operativi dellistituto della cauzione nel processo amministrativo. Ulteriori significative previsioni sono la revocabilità e modificabilità delle ordinanze (32), lammissibilità della riproposizione dellistanza sulla base di fatti sopravvenuti, lappellabilità della misura cautelare, la possibilit à di mandare ad esecuzione lordinanza cautelare, qualora lamministrazione non ottemperi, o ottemperi solo in parte, alle misure cautelari concesse. In relazione a questultima facoltà, va rilevato che non si tratta di un nuovo caso di giudizio di ottemperanza, che richiede comunque un giudicato, posto che il legislatore ha inteso soltanto rinviare al potere attribuito al G.A. di nominare un commissario ad acta. Quanto alla ricorribilità in Cassazione (33) per difetto di giurisdizione la giurisprudenza è orientata per la soluzione negativa, mentre parte della dottrina ritiene diversamente, facendo leva sul carattere sostanziale di sentenza da attribuirsi allordinanza, ed invocando, perciò, lart. 111 Cost. 4. La nuova frontiera del giudizio cautelare: la tutela cautelare ante causam da assicurare anche nel processo amministrativo secondo la giurisprudenza comunitaria. Il dato normativo di cui allart. 21, comma IX della legge T. A. R., come novellato dalla legge n. 205/2000, non si spinge fino alla concessione di una tutela cautelare ante causam, quale quella offerta dallart. 669-bis e ss. c.p.c. Nondimeno, il T.A.R.Lombardia, con ordinanza n. 814/1997, sulla scia della decisione della Corte di Giustizia nei confronti della Grecia (34), dalla cui motivazione si evince che gli Stati membri sono tenuti a conferire ai loro organi competenti a conoscere dei ricorsi la facoltà di adottare, indipendentemente da ogni azione previa, qualsiasi provvedimento provvisorio, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (32) La giurisprudenza da tempo aveva affermato che gli effetti del giudizio cautelare sono ritrattabili ad ogni mutamento della situazione di fatto. Così, C.d.S., Ad. Pl., n. 17/1984. (33) Si veda sul punto Cass. S. U., n. 7628/1987. In dottrina cfr. C. M. BARONE, «Sospensive» dei giudizi amministrativi e ricorso in Cassazione, in Foro italiano, 1988, I, 100 ss. (34) Corte Giust. Ce, 19 settembre 1996 (in causa C-236/95), Commissione/Grecia, in Raccolta, 1996,I, 4459; in Urbanistica e Appalti , 1997, 241 ss, con osservazioni di F. CARINGELLA, La Corte di Giustizia censura il mancato adeguamento della Grecia alla direttiva n. 89/665/CEE, e in Foro amministrativo, 1996, 381 con nota di SCOGNAMIGLIO, Ancora un intervento della Corte di Giustizia in materia cautelare. aggiudicazione pubblica di un appalto, aveva ritenuto ammissibile un ricorso ex art. 700 c.p.c. per ottenere una tutela cautelare prima dellinstaurazione della causa di merito, discostandosi dalla disciplina processuale italiana che ammette i rimedi durgenza solo contestualmente o in seguito alla impugnazione del provvedimento assunto come lesivo. Inoltre, il medesimo giudice di prime cure, reagendo allannullamento dellordinanza operato dal Consiglio di Stato, sollevava questione di legittimit à costituzionale. Ma la Consulta, con sent. n. 179/2002, ne ha dichiarato addirittura la manifesta infondatezza, affermando la discrezionalità del legislatore, purch è non esercitata irragionevolmente, nel disciplinare in modo eventualmente diverso i rimedi processuali nelle diverse giurisdizioni e la corrispondenza al principio di effettività della tutela cautelare come riformata dalla legge n. 205/2000. Si è così ribadita anche lautonomia del processo amministrativo anche con riguardo alla fase cautelare, escludendo lapplicabilità dei principi processualcivilistici in subiecta materia (35). Ancora, il T.A.R.Lombardia, sezione Brescia, con ordinanza presidenziale n. 76 del 26 aprile 2003, chiedeva, mediante rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 234 del Trattato CE, se la mancata previsione di una tutela cautelare ante causam nel novellato art. 21 della legge T.A.R.costituisse inadempimento della direttiva 89/665/CEE in tema di appalti pubblici di rilevanza comunitaria, che impone agli Stati membri di adottare norme che consentano di ottenere misure cautelari anche indipendentemente dalla proposizione di un ricorso. La Corte si era già espressa su un caso analogo, con la sentenza del 15 maggio 2003 (36) relativa ad una procedura di infrazione contro la Spagna, affermando che la possibilità di concedere misure cautelari in relazione agli atti adottati dalle amministrazioni aggiudicatici non può essere subordinata alla necessità di esperire preventivamente un ricorso contro gli atti stessi (37). Ne consegue che, in materia di appalti, non solo deve poter essere introdotta la domanda di provvedimenti provvisori, ma essa deve anche poter essere accolta dal giudice adito prima di qualsiasi ricorso di merito contro la decisione illegittima dellamministrazione aggiudicatrice. Lobbligo del previo ricorso di merito, in altri termini, osterebbe alla necessità di adottare provvedimenti urgenti ed efficaci. DOTTRINA 307 35 Contra MONTANARI, Giurisdizione amministrativa e misure cautelari tipiche del diritto civile, in Diritto processuale amministrativo, 2003, 35 ss., che ritiene esportabili nel processo amministrativo misure cautelari tipiche del diritto civile come, ad esempio, il sequestro conservativo o listruzione preventiva. 36 Cfr. QUERZOLA L., La Corte di Giustizia ancora come il Benvenuto Cellini dei diritti processuali nazionali: tutela cautelare e processo amministrativo spagnolo (o europeo?), in Diritto processuale amministrativo, 2004, 266 ss. 37 Si veda CARANTA R., La tutela cautelare «ante causam» contro gli atti adottati dalle amministrazioni aggiudicatrici, in Urbanistica e Appalti, 2003, 885 ss. E la Corte di Giustizia, con ordinanza del 29 aprile 2004 (38), ha confermato questa impostazione con una interpretazione manipolativo-additiva, ribadendo che la mancata previsione di una tutela cautelare ante causam non è compatibile con la direttiva 89/665/CEE, anche in omaggio al principio delleffetto utile delle direttive comunitarie ex art. 249 del Trattato CE (39). Secondo autorevole dottrina, le caratteristiche strutturali (indipendenza dalla presentazione di un ricorso principale) e funzionali (attitudine del provvedimento provvisorio a dirimere la controversia) si attagliano più alla tutela sommaria che non a quella cautelare (40). Secondo Lazzara, la pronuncia della Corte di Giustizia imporrebbe, in realtà, rimedi durgenza autonomi, non strumentali alla tutela principale né collegati ad uno specifico periculum in mora. In altri termini, lautore afferma che la Corte immaginerebbe un provvedimento provvisorio con lattitudine, se non impugnato, a definire la questione controversa. È evidente, daltro canto, che la Corte di Giustizia ha seguito un approccio pragmatico, senza preoccuparsi più di tanto degli schemi di teoria generale dei singoli Stati membri. Se è vero che, allo stato attuale, la nostra normativa non pare sufficiente a recepire le istanze comunitarie in tema di lavori pubblici, che, peraltro, non impongono un sistema di tutela necessariamente giurisdizionale, potendo gli Stati membri anche prevedere procedure contenziose anche di carattere amministrativo (41), è anche vero che la tutela cautelare preventiva o pura pare suscettibile di estensione ad altre materie, in omaggio sia al principio della piena ed effettiva tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost. sia agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dellUomo (42). 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (38) Cfr. A. BARONE, Appalti pubblici comunitari e tatela cautelare ante causam, Osservazioni a Corte di Giustizia, ord., 29 aprile 2004, in Foro italiano, n. 11, novembre 2004, 541 ss.; R. LEOPARDI, La Corte di Giustizia interviene nel controverso dibattito italiano in materia di tutela cautelare ante causam, in Foro amministrativo TAR, vol. III, maggio 2004, 1223 ss; LAZZARA P., nota a Corte di Giustizia, ord. 29 aprile 2004, in Foro amministrativo - C.d.S., vol. III, aprile 2004, 1000 ss. (39) A dire il vero linterpretazione della Corte mira ad inserire nellambito del precetto di cui allart. 2, n. 1, lett. a) della direttiva del Consiglio 1989 n. 89/665/CEE, linciso indipendentemente da ogni azione previa esorbitante dalla formulazione testuale del richiamato art. 2, al fine di non frustrare la ratio della direttiva. (40) Così LAZZARA P., Tutela cautelare e misure durgenza nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Diritto processuale amministrativo, 2003, 1169 ss. e spec. 1178. Secondo lautore, la pronuncia della Corte di Giustizia imporrebbe, in realtà, rimedi durgenza autonomi, non strumentali alla tutela principale né collegati ad uno specifico periculum in mora. (41) Alcuni paesi europei, come la Germania e lAustria, hanno recepito la direttiva ricorsi rafforzando i procedimenti amministrativi contenziosi. Il nostro legislatore, invece, non ha dotato lAutorità di vigilanza sui lavori pubblici di competenze contenziose, mostrando un favor per la giurisdizione e per larbitrato (L. 109/94). Si veda P. LAZZARA, LAutorità di vigilanza sui lavori pubblici, in Manuale del diritto dei Lavori Pubblici, a cura di A. BARONE e P. STELLA RICHTER, Milano, 2001, 71 ss. (42) Nondimeno, il rimedio è stato escluso dal T.A.R. Lazio, Roma, n. 7550/2004 in tema di accertamento del diritto alliscrizione ad un torneo di calcio da parte di una società sportiva. A questo punto, appare opportuno sottolineare quali potrebbero essere, nel nostro ordinamento, le conseguenze di tale ultimo intervento della Corte di Giustizia (43). In primo luogo, come detto, è evidente che la portata applicativa della tutela cautelare ante causam va ben oltre il settore degli appalti assumendo una valenza decisamente generale. Certo, appare paradossale che tale rimedio imposto agli Stati membri non sia espressione di un principio generale comune né che sia uno strumento esistente in ambito comunitario. Infatti, come ricordava nelle proprie difese il governo spagnolo, né le disposizioni del Trattato sui rimedi giurisdizionali, né il regolamento di procedura né la stessa giurisprudenza cautelare della Corte di Giustizia prevedono una tutela cautelare ante causam. Inoltre, ammettendo la cautelabilità ante causam vi sarebbe da risolvere il problema della normativa da applicare da parte del G.A.: una estensione analogica delle norme processuali civili sembra mal conciliarsi con il carattere organico della disciplina introdotta dalla legge 205/2000. Va, poi, considerata anche laltra faccia della medaglia, nel senso di tutelare lamministrazione e gli eventuali controinteressati dal rischio di una tutela ante litem non seguita dallimmediata proposizione del ricorso con istanza di sospensione (44). Ancora, la Corte di Giustizia sembra voler suggerire un sistema di coamministrazione tra giudice e pubblica amministrazione che è, però, assai lontana dalla nostra tradizione. Si può, infine, concludere, che anche tale tema conferma una tendenza recente alla erosione del principio dellautonomia degli Stati membri in materia processuale a fronte dellaffermarsi a livello comunitario del principio di uniformazione delle regole di tutela destinato a confluire nella creazione di uno jus commune nel campo della giustizia amministrativa. 5. Considerazioni conclusive Senza dubbio, la riforma del processo amministrativo va salutata con favore avendo puntualmente cristallizzato la meritoria elaborazione soprattutto giurisprudenziale sfociante nellintroduzione di una tutela cautelare atipica e propulsiva sul modello dellart. 700 c.p.c. Tuttavia, mentre nel codice di rito civile tale ultima norma è posta come rimedio di chiusura rispetto alle ulteriori misure cautelari tipiche, nel proces- DOTTRINA 309 (43) Nel diritto italiano la tutela cautelare ante causam è stata oggetto di profondi contrasti giurisprudenziali. Per unanalisi approfondita del dibattito si vedano F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2003, 1070 ss.; D. DE CAROLIS, La tutela cautelare: le misure cautelari e collegiali tra atipicità ed effettività della tutela, in F. CARINGELLA M. PROTTO, Il nuovo processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Milano, 2002, 279 ss. (44) Cfr. M. A. SANDULLI, La giustizia cautelare sugli interessi legittimi «apre» allart. 700 c.p.c., cit., 235 ss. so amministrativo essa, sia pur intesa in senso ampio ben al di là della mera sospensione degli effetti del provvedimento amministrativo impugnato, assume un ruolo centrale nellintero segmento cautelare. Peraltro, comune ad entrambi i sistemi cautelari è il necessario requisito del periculum in mora, che, ad avviso di ci scrive, deve, però, essere inteso in modo diverso. Infatti, atteso che la giurisprudenza civile ha spesso valutato in modo rigoroso la sussistenza dello stesso, ravvisando un danno grave e irreparabile per lo più nelle ipotesi di obbligazioni di carattere alimentare o comunque legate alla sopravvivenza del creditore (come salari o stipendi), è auspicabile che il giudice amministrativo, superato anche il dogma dellirrisarcibilit à degli interessi legittimi, segua una strada propria nella valutazione di tale presupposto secondo una direzione più estensiva affinché la tutela cautelare anticipatoria, come introdotta dalla riforma, mantenga le sue promesse. Questevoluzione normativa è stata certamente il risultato dellinfluenza di vari fattori. In primo luogo, come detto, il moltiplicarsi di fattispecie di interesse legittimo pretensivo e la necessità di una tutela effettiva nei confronti dei comportamenti inerti tenuti dalla P.A. ha reso impellente il bisogno di rimedi più elastici e propulsivi. Inoltre, hanno inciso nel determinare il passaggio verso misure cautelari con funzione assicurativa, sia levoluzione del contenzioso di annullamento, il cui oggetto si è ampliato fino ad investire anche il rapporto che per effetto dellannullamento sorge tra privato e P.A., sia lacquisita risarcibilità non solo degli interessi legittimi oppostivi, inizialmente ammessa mediante il mascheramento barocco della riespansione del diritto soggettivo, ma soprattutto di quelli di tipo pretensivo a seguito del buon esito del giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita. Ancora, la spinta della giurisprudenza comunitaria ha stimolato i nostri giudici amministrativi a porre laccento sullimportanza del principio costituzionale e comunitario della piena ed effettiva tutela giurisdizionale che non può sistematicamente soccombere dinanzi al principio della separazione dei poteri (tradizionale argomento utilizzato dagli oppositori della tutela cautelare propulsiva) e che, al contrario va bilanciato con questo, secondo il tipo di atto dei cui effetti si richiede la sospensione ovvero di cui si chiede lemanazione in sede cautelare, in relazione al potere discrezionale o vincolato residuante in capo alla P.A. Infine, il proliferare di nuove aree di giurisdizione esclusiva del G.A. ha posto i giudici amministrativi dinanzi al problema di dover soddisfare esigenze di tutela cautelare e sommaria, per il cui fine il legislatore ha loro attribuito mezzi di prova e strumenti processuacivilistici, il cui ambito di operativit à, peraltro, sembra oggi ridimensionato a seguito della sottrazione delle controversie meramente patrimoniali e comportamentali, operata dalla Corte costituzionale, per la gioia dei fautori dellautonomia tra processo amministrativo e processo civile. 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Ma la Corte di Giustizia ci dice che tutto questo sforzo non è ancora sufficiente a tutelare pienamente il privato. Serve una tutela ante litem anche nel processo amministrativo anche per non svilire leffetto utile della normativa comunitaria. Cadono sotto la scure della giurisprudenza comunitaria i sistemi cautelari in sequenza della Grecia, della Spagna e nel 2004 anche del nostro Paese. Così, in tema di appalti, viene censurata la subordinazione dellistanza cautelare al previo esperimento del ricorso nel merito, venendo palesemente smentito il contrario orientamento della Consulta e dei giudici di Palazzo Spada che ritenevano sufficienti a garantire leffettività della tutela le disposizioni previste dal nostro sistema cautelare, come riformato dalla legge 205/2000. È vero che la famosa direttiva ricorsi non richiedeva espressamente una tutela cautelare ante causam, ma è anche vero, secondo la Corte di Giustizia, che, diversamente opinando, non si assicurerebbero né leffetto utile della normativa comunitaria né leffettività della tutela giurisdizionale. Resta da vedere, allora, come risolvere il problema di come far operare listituto della tutela ante litem anche nel nostro processo amministrativo. Si potrebbe sostenere lesportazione, in via analogica, delle disposizioni sul processo civile in parte qua, ma, oltre al fatto che tale soluzione sembra mal conciliabile con lorganicità della riforma del 2000, potrebbero insorgere difficoltà di coordinamento ed incertezze sul piano applicativo. Ad avviso di chi scrive, res hic stantibus, non resta che interpretare lespressione con separata istanza, di cui al comma IX dellart. 21 legge T.A.R., nel senso della proponibilità di unazione autonoma, oppure utilizzare lo strumento della disapplicazione, facendo discendere dallart. 10 del Trattato CE lobbligo per i giudici degli Stati membri di interpretare il diritto nazionale alla luce della normativa comunitaria. Sembra comunque auspicabile, per garantire il necessario adeguamento della disciplina del processo amministrativo ai dettami della giurisprudenza comunitaria, un intervento legislativo che, ad esempio, riservi al Presidente del Collegio il potere cautelare ante causam (in quanto meglio vi si attaglia per esigenze di celerità che non potrebbero essere soddisfatte dai macchinosi tempi costitutivi del collegio), e che abbia una portata generale e non rationae materiae per non creare situazioni di disparità comportanti lesioni ingiustificate dellart. 3 della Costituzione (come può sostenersi sia avvenuto nel caso della negata sospensiva del T.A.R. Lazio n. 7550/2004). E per il futuro, ci si augura che il nostro legislatore (a volte, purtroppo, politico in veste di legislatore) funga da stimolo per levoluzione del diritto comunitario e non sia sempre costretto a riformare ciò che lEuropa ci richiede. 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DOTTRINA 313 314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO I nuovi criteri di applicazione dell’art. 228 TCE: quali sanzioni per linadempimento? di Benedetto Brancoli Busdraghi Il 4 luglio 2000, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha condannato la Grecia al pagamento di 20000 per ogni giorno di ritardo nelladozione delle misure necessarie per ottemperare ad una sentenza del 1992 (1). Tre anni dopo, il 13 novembre, il governo spagnolo si vedeva notificare una sentenza che condannava la Spagna a pagare 624.150 lanno per ogni punto percentuale di costa per il quale non fosse stata data ottemperanza a quanto precedentemente stabilito dalla Corte. Ma questo non con effetto immediato: solo a partire dalla stagione balneare successiva (2). Il 12 luglio 2005 è stata la volta della Francia ad essere condannata: 57.761.250 per ogni semestre di ritardo, oltre a 20.000.000 di euro a titolo di somma forfettaria (3). Tre sanzioni molto diverse. Un filosofo di fine Settecento, illuminato ma anche un po superficiale, nelludire questi dati potrebbe gridare allo scandalo, inveire contro una giustizia iniqua. Ma avrebbe torto. Le sanzioni, come noto, non sono frutto dellarbitrio della Corte e della Commissione. Lungi dallessere estratte casualmente da unurna, rispondono a numerosi criteri di qualificazione e determinazione. Lart. 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea prevede che quando la Corte di giustizia riconosca che uno Stato membro ha mancato agli obblighi ad esso incombenti in virtù del presente trattato, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che lesecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta. Se ciò non avviene, la Commissione ne chiede le ragioni ed eventualmente intima di adempiere. Se tuttavia lo Stato membro non prende entro il termine fissato dalla Commissione i provvedimenti che lesecuzione della sentenza comporta, la Commissione può adire la Corte di giustizia. In questa azione essa precisa limporto della somma forfettaria o della penalità da versare da parte dello Stato membro in questione, che consideri adeguato alle circostanze. La Corte giudica poi sulla vertenza, e, in caso, dopo aver ricevuto le conclusioni e i suggerimenti dell Avvocato Generale competente, può comminare allo Stato il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità. Emergono subito le peculiarità dellistituto: si tratta di un meccanismo volto a sanzionare non tanto immediatamente il mancamento ad un obbligo, quanto piuttosto linottemperanza ad una sentenza che abbia previamente (1) Causa C-387/97, Commissione c. Repubblica Ellenica. (2) Causa C-278/01, Commissione c. Regno di Spagna. (3) Causa C-304/02, Commissione c. Repubblica Francese. DOTTRINA 315 dichiarato la mancata conformazione a tale obbligo (emanata ai sensi dell art. 226 del medesimo trattato). La procedura per sanzionare le violazioni al diritto comunitario si rivela così bifasica. I criteri per determinare limporto sono stati suggeriti dalla Commissione con Comunicazioni nel 1996 e nel 1997. Una nuova Comunicazione del 14 dicembre 2005 ha tuttavia novellato limpianto e recepito alcuni orientamenti giurisprudenziali la giurisprudenza europea è sempre molto attiva. Vengono inoltre introdotte alcune novità per rendere le sanzioni il più adeguate alle necessità dellunione, anche in considerazione dellallargamento. In cosa si sostanziano tali criteri? Sono adeguati o alcuni di essi sono pleonastici ed inefficaci? Il progetto di relazione provvisorio della Commissione giuridica del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2006 fa notare che i maggiori limiti alla procedura di infrazione sono costituiti dalle lungaggini e dal limitato uso dell art. 228 (4) saluta con favore la nuova comunicazione, rilevando la (finora) insufficiente ed inadeguata applicazione dellart. 228 TCE, ed auspica la sua immediata applicazione ai casi non ancora oggetto di giudizio per inadempimento a sentenza. In quindici anni, tuttavia, a fronte di centinaia di infrazioni persistenti, lart. 228 è stato applicato solamente tre volte (5). Anche considerando la discrezionalità della Commissione nella scelta dei casi da perseguire, è evidente che nel sistema cè qualcosa che non funziona. Vari sono i meccanismi per arginare linadempimento al diritto comunitario. Il sistema stabilito dagli artt. 226-228 è tuttavia quello dotato di maggior tecnicismo e di maggior autonomia da valutazioni e decisioni di carattere politico. È probabilmente il meccanismo principe di tutela del diritto comunitario, visto che non si tratta di un mero istituto di pressione internazionale. In ragione del suo carattere tecnico e del suo potere sanzionatorio concreto, lapplicazione della sanzione può (dovrebbe?) conseguire automaticamente allaccertamento della violazione. Ha tutto per essere il vero guardiano del trattato. La nuova dotazione sarà sufficiente a garantirgli tale funzione? 1. Le tipologie di sanzioni Le sanzioni possono consistere nella condanna al pagamento ad una somma forfettaria o ad una somma per ogni giorno di ritardo. Dopo lunghi dibattiti circa la possibilità di comminare entrambe le sanzioni, la giurisprudenza ha risolto il problema in senso affermativo (6). Mentre nella comunicazione del 1996 la Commissione aveva indicato nella penalità di mora lo strumento migliore per ottenere ladempimento nel (4) Parlamento europeo, Progetto di relazione, Proposta di risoluzione del parlamento europeo 21° e 22° relazione annuale della Commissione (2003 e 2004) sul controllo dellapplicazione del diritto comunitario (1005/1250(INI) ), § 5. (5) Di conseguenza la giurisprudenza a cui appigliarsi per la comprensione dellistituto è scarsa. (6) Sent. causa C-304/02, Commissione c. Repubblica francese, del 12 luglio 2005, § 80-86. 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO più breve tempo possibile, essa recepisce lorientamento della Corte e si spinge addirittura oltre. Non solo viene precisato che la pena forfettaria e la penalità di mora per ogni periodo di ritardo possono essere cumulate, ma lesecutivo europeo addirittura dichiara che per i nuovi procedimenti richieder à entrambe le sanzioni. Ricorrere esclusivamente alla penalità di mora potrebbe a dire della Commissione significare accettare che linadempimento perduri incontrollato anche nei confronti della sentenza di cui allart. 228. La Commissione palesa pertanto la sua intenzione di accompagnare alla minaccia una prima sanzione in quanto la prolungata violazione di quanto stabilito dalla Corte concreterebbe di per sé una violazione del principio di legalità (7). E la cosa non è priva di rilevanza, in quanto ciò mostra che linadempimento verrà considerato come intrinsecamente grave in quanto disobbedienza espressa al dettato del giudice di Lussemburgo, la qual cosa diverrebbe il vero centro del giudizio. I fatti, tuttavia, mostrano che non è così (8). In secondo luogo, nella comunicazione viene precisato che lo Stato inadempiente potrebbe affrancarsi da ogni sanzione adempiendo in fretta e furia in pendenza del giudizio. In tali casi, sarebbe il caso di infliggere singolarmente almeno la pena forfettaria. Da qui non solo la possibilità, ma anche la necessità di richiedere i due strumenti congiuntamente. 2. La proporzionalità Quattro criteri vengono enunciati per garantuire il c.d. principio di proporzionalit à della sanzione. La Commissione contempla la possibilità di presentare separatamente vari capi di imputazione di inadempimento nello stesso giudizio, in modo da poter ottenere in alcuni casi anche un «volume globale maggiore». Qualora sullo Stato gravi unobbligazione di risultato, sarà possible infliggere una sanzione anche in relazione alla pecentuale di adempimento posta in essere. Linadempimento, come nella causa C-278/01, potrà essere preso in considerazione per periodi annuali o semestrali, qualora sia necessario un tempo tecnico per provvedere allottemperanza della sentenza. Infine, la penalità potrà esser sospesa per valutare gli effetti del provvedimento eventualmente posto in essere (9). 3. La determinazione delle sanzioni: i vecchi criteri e la loro applicazione Nel sistema risultante dalla comunicazione del 1996, le sanzioni si ottenevano moltiplicando il valore base di 500 per il coefficiente di gravità del- (7) Every instance of prolonged failure to comply with a ruling of the Court of Justice in itself seriously undermines the principle of legality and legal certainty in a Community based on the rule of law (Commission communication on the application of article 228 EC Treaty, 14 dicembre 2005, § 10.1). (8) Vd. infra. (9) Comunicazione della commissione, cit., § 13. DOTTRINA 317 linfrazione (da una scala da 1 a 15), per la durata dellinfrazione (arrotondata al mezzo punto su una scala da 0,5 a 3) e per il coefficiente di solvibilit à dello Stato (determinato dal suo prodotto interno lordo). Gli elementi sono tuttavia leggermente mutati, a cominciare dalla somma base, portata a 600 . Il coefficiente di gravità Viene sottolineata la discrezionalità di cui gode la Commissione nella valutazione della gravità dellinfrazione (10). Viene precisato che si deve tener conto dellimportanza della norma violata e dellimpatto della violazione sugli interessi tutelati. Già da questo primo punto emergono chiari indizi su quello che è loggetto del giudizio. Obiettivo dichiarato dalla Commissione è quello di punire la violazione del principio di legalità e linadempimento ad una sentenza della Corte di Giustizia. In realtà, i criteri di applicazione dellart. 228 sembrano mirare soprattutto al primo obiettivo, e tendere a punire la violazione del diritto comunitario. Nella considerazione dellinadempimento ad una sentenza della Corte, la gravità dovrebbe essere allora in re ipsa, ma la presenza di un moltiplicatore che va a guardare solamente il merito, senza prevedere alcun tipo di moltiplicatore collegato alla sentenza toglie parzialmente rilevanza allinadempimento in sé e per sé considerato. Da qui sorge un dubbio: la previa sentenza di cui allart. 226, lungi dall essere loggetto del giudizio, non sarà piuttosto un mero passaggio processuale, un appesantimento di dubbia utilità di una procedura che mira a colpire la violazione dellobbligo comunitario? Losservazione dei criteri e della loro evoluzione è interessante anche per comprendere la reale natura dellistituto. La natura della norma. Per quanto riguarda il merito dei criteri seguiti per la valutazione della gravità, la Commissione dichiara di ispirarsi ad un criterio sostanzialistico. Non si avrà riguardo tanto al grado gerarchico della norma violata, quanto piuttosto alla sua natura. Prime fra tutte saranno le norme a difesa del principio di non discriminazione e dei diritti fondamentali. Ancora, il fatto che ad essere violata sia una norma già sancita e spiegata precedentemente dalla Corte costituisce circostanza di cui tenere conto. È in questo contesto che entra anche la valutazione della chiarezza delle norme violate. Conscia della difficoltà tecnica di avere una norma che non sia oscura, la Commissione mostra un atteggiamento benevolo. Verrebbe così tutelata la buona fede dello Stato. Questo aspetto porta tuttavia acqua al mulino della teoria processualistica (che vede nellart. 226 un mero passaggio processuale). Se cè stata una sentenza della Corte, come è possibile discutere ancora circa la sua chiarez- (10) Comunicazione della commissione, cit., §§ 15 ss. 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO za, se non con limitato riferimento a poche puntualizzazioni? È proprio qui che emerge la contraddittorietà del giudizio ex art. 228, che valuta ancora elementi già valutati nel giudizio precedente, tanto da rafforzare il sospetto che esso non costituisca che un doppione più forte dellart. 226. Limpatto dellinfrazione sugli interessi tutelati dalla norma. Verranno considerati la perdita di risorse della Comunità; limpatto sulle modalità di funzionamento della Comunità; la gravità e leventuale irreparabilità del danno alla salute delluomo o allambiente; le somme coinvolte nella violazione e altri elementi. Sarebbe interessante sapere anche quale peso viene attribuito ai singoli elementi, ma la comunicazione è lacunosa al riguardo. La Commissione sottolinea che non rileva il danno subito dal singolo, che dovrà invece essere fatto valere davanti ai giudici interni. Sarà invece dato rilievo alla portata del provvedimento controgiuridico adottato: se soggetto leso dallinadempimento è unintera categoria, le sanzioni saranno maggiori rispetto al caso in cui ad essere leso sia stato un singolo. La gravità dellinadempimento è valutata su una scala da uno a venti punti: una forbice molto ampia, che consente alla Commissione di bilanciare le richieste con un bel grado di arbitrarietà. Ecco allora che la determinatezza della sanzione sbiadisce. La durata dellinfrazione Già previsto nelle precedenti comunicazioni, il criterio della durata rimane anche nella nuova comunicazione (11). Più a lungo è perdurata linfrazione, più aspra dovrà essere la sanzione. Viene confermata la valutazione su una scala da uno a tre punti. Viene stabilita laggiunta di un decimo di punto per ogni mese di ritardo nelladempimento dalla data indicata nella sentenza ex art. 226. In due anni e mezzo, pertanto, si può arrivare allapice della gravità. Anche da qui viene confermata limpressione secondo cui oggetto del giudizio non è tanto linadempimento alla sentenza quanto la violazione del diritto comunitario, visto che il termine non decorre dalla sentenza stessa il che sarebbe logico se la sanzione fosse contro linottemperanza ma dalla data in essa contenuta. Tale criterio lascia tuttavia delle perplessità. Se è la Commissione ad adire la Corte ex art. 228, pare chiaro che la durata dellinadempimento viene a dipendere anche dal momento in cui essa promuove lazione, con lunico limite del termine minimo eventualmente assegnato dal giudice. La sanzione potrebbe pertanto variare a seconda del momento in cui la Commissione decida di procedere? Anche nel caso in esame emergono problemi connessi allambiguità dell istituto. Se oggetto del giudizio è la violazione del diritto comunitario, allora non ha senso stabilire un ulteriore termine: perché concedere ulteriore (11) Comunicazione della commissione, cit., §§ 17 ss. DOTTRINA 319 tempo allo Stato che non si è conformato alla precedente sentenza ex art. 226? Non era forse già in tale fase che doveva conformarsi? Se invece si guarda allart. 228 come ad un procedimento volto a far rispettare una decisione della Corte di giustizia cosa che, come visto, sembra contraddetta dalla realtà dei fatti , diventa indispensabile stabilire un termine in presenza del quale la Commissione può (deve?) procedere. Assurdo, comunque, che la parte attrice possa provocare un aumento della sanzione agendo in ritardo. Si dirà che lo Stato membro potrebbe evitarlo ottemperando tempestivamente alla sentenza. Ma quid iuris se il paese inadempiente è in buona fede, e convinto di aver posto in essere quanto di necessario, come nella causa C-119/04, che vede convenuta la Repubblica italiana? In simili condizioni, il ritardo sarebbe assolutamente privo di capacit à indicativa circa la reticenza dello Stato a porre in essere gli adempimenti, e come tale non suscettibile di aggravare le sanzioni. È pur vero che la Commissione comunica agli Stati il suo parere di presunta inottemperanza prima del giudizio, ma proprio perché cè un giudizio da compiere, perché lo Stato membro non è obbligato a conformarsi immediatamente a quanto richiesto dalla Commissione, il ritardo non può essere sanzionato. Il criterio della durata ha peraltro natura oggettiva, e quindi, nel caso in esame, esso non potrebbe in alcun modo essere mitigato. Al più si potrebbe correggere il tiro agendo sullelemento della gravità, ma questo renderebbe vani gli sforzi compiuti per rendere la sanzione automatica e certa. Lambiguità del valore giuridico tutelato dalla norma diritto comunitario o sentenza e autorità della Corte porta pertanto alla contraddittorietà del coefficiente della durata. Tale moltiplicatore avrebbe senso solo in sede di accertamento della violazione del diritto comunitario e a condizione di farlo decorrere dal momento in cui fosse sorto lobbligo di conformarsi al diritto comunitario (vale a dire dallentrata in vigore del regolamento, della direttiva o quantaltro) e sempre in presenza consapevolezza dellantigiuridicità del comportamento (che sarebbe comunque quasi sempre presente in caso di inerzia). Lunico rimedio contro simili incoerenze sembra essere la soppressione del criterio della durata o la sua riconduzione a termini certi (12). La Comunicazione della Commissione ha inteso rendere il criterio addirittura più elastico. La Commissione manifesta infatti lintenzione di concedere allo Stato un ragionevole termine per agire ex 228 (13). Fortunatamente, il giudizio di ragionevolezza viene rimesso alla Corte: la Commissione comunica infatti che questa potrebbe rigettare listanza qualora il ricorso venisse esperito troppo presto. Il giudice stesso può fissare un termine minimo. (12) Limportanza del disbrigo quantomeno delle procedure di cui allart. 226 entro termini tassativi viene sostenuta anche al § 22 del Progetto di relazione del Parlamento europeo. Al § 27 del medesimo documento la Commissione viene invitata ad inviare le lettere di costituzione in mora [ ] entro un breve periodo dalla registrazione della denuncia. (13) Comunicazione, cit., § 22. 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO La possibilità di concedere un ulteriore termine porterebbe a configurare il giudizio come volto alla tutela della sentenza di primo grado, altrimenti ci si chiederebbe perché venga concessa unulteriore dilazione. Loggetto del diritto non sarebbe così linadempimento al diritto comunitario, bensì linadempimento a quanto stabilito da una sentenza della Corte di giustizia. In questa fase del giudizio, è lì che si trova il nodo della normativa. Alla luce di ciò, è fuori luogo parlare di gravità dellinfrazione. Linfrazione (grave) sarebbe in re ipsa per linottemperanza a quanto stabilito dalla Corte. Essa dovrebbe essere uguale per ogni inottemperanza, in sé e per sé considerata. Lefficacia deterrente La sanzione deve essere tale da indurre lo Stato inadempiente a porre fine allinfrazione ed a dissuadere lo stesso ma anche gli altri dal porre in essere la stessa infrazione. È evidente che gli Stati membri non hanno tutti la stessa forza economica e la stessa capacità di pagamento. La stessa sanzione può risultare enorme per uno Stato di piccole dimensioni e dal basso prodotto interno lordo, ma insignificante per un altro. Per tale motivo, la somma risultante dalla moltiplicazione della somma base per il coefficiente di gravità e per quello di durata viene moltiplicata per un ulteriore coefficiente, questa volta fisso e predeterminato per ogni Stato membro. Il coefficiente, rispetto a quanto previsto dalla Commissione nel 1997, è cambiato. Esso non considera più solamente il prodotto interno lordo, ma guarda anche il numero di voti che lo Stato ha in Parlamento. I valori di ciascuno Stato vengono proporzionati rispetto a quelli previsti per il Lussemburgo (laddove il coefficiente del Lussemburgo è assunto come pari ad 1). Le eventuali oscillazioni del PIL sono compensate dallaggiornamento triennale dei parametri. Lelemento più interessante oltre che di maggior novità , risiede tuttavia nellinserimento di una valutazione del peso politico degli Stati membri in seno alleuroparlamento. Non bisogna tuttavia sopravvalutare il dato. Non sembrano da accogliere considerazioni secondo le quali la normativa sarebbe volta a sanzionare maggiormente chi conta di più e quindi dovrebbe dare lesempio. Una simile rivoluzione è tuttavia solamente apparente. A parte la relativa limitatezza dei poteri del Parlamento europeo sede probabilmente non idonea a far emergere il peso politico degli Stati membri lattribuzione del numero di voti stesso è determinata per la maggior parte dal numero degli abitanti di ciascuno Stato. Non si vorrebbe pertanto colpire chi dà il cattivo esempio, bensì solamente adattare linfrazione sulla base del numero di persone coinvolte, ossia della sua potenziale estensione (14). (14) Anche qui sorgono, purtroppo, delle perplessità. Tale secondo parametro non troverebbe una collocazione più adatta nellambito della gravità dove pure è presente una certa valutazione del numero di soggetti coinvolti -? Un inadempimento può infatti riguardare una sola categoria (come nel caso recentemente prospettato C-119/04, Commissione c. Repubblica italiana, che riguarda i lettori di lingua straniera), che in un paese più popolato può essere molto più ristretta che in uno Stato meno popolato. DOTTRINA 321 4. La determinazione della somma forfettaria. Le modalità di determinazione dellentità delle sanzioni mettono in luce la loro familiarità. La Commissione, prima di suggerire una somma minima, per ciascuno Stato, dichiara di calcolare la somma forfettaria moltiplicando leventuale pena giornaliera per i giorni di inadempimento, a decorrere dalla sentenza ex art. 226 (15). La somma base viene quantificata in 200 . Pena forfetaria e pena giornaliera sono due lati della stessa medaglia: uno è rivolto al futuro penalità giornaliera, funzione preventiva , e uno al passato somma forfettaria, funzione sanzionatoria. La sanzione minima prevista dalla Commissione fino al termine del 2008 a carico della Repubblica Italiana è di 9.920.000 . Considerando il coefficiente fisso di 19.84 (capacità stimata di pagamento considerati anche i voti in Parlamento) e assumendo parametri intermedi di durata e gravità pari a 1,5 e 10, emerge come la somma forfettaria minima sia uguale ad una penalità di mora media inflitta per meno di due mesi (16). 5. La sentenza nella causa C-278/01 La sentenza nella causa C-278/01 è piuttosto interessante. Questa pronuncia emanata nei confronti della Spagna ha messo in evidenza un atteggiamento particolare della Corte di Giustizia. Nel caso in esame, il giudice ha modellato la sanzione, ritardandola e concedendo un ulteriore termine per lottemperanza (17). La Corte, innanzi tutto precisa che le sanzioni ed i parametri richiesti dalla Commissione sono meramente indicativi, e possono essere ridotti dufficio (18). Di questo potere dufficio i giudizi di Lussemburgo fanno ampio uso. In primo luogo correggendo i parametri di gravità e di durata richiesti dalla Commissione (19). In secondo luogo, visto che linadempimento riguardava il 20,1 % delle coste, la Corte fraziona la (15) Comunicazione, cit., § 19. (16) [ (9.920.000 / 19,84 ) / 1.5 ] / 10 = 600 () à [ (9.920.000 / 19,84 ) / 1.5 ] / 10 = 55.55 (gg) gg 600 (17) Sentenza causa C-278/01, Commissione c. Regno di Spagna, del 25 novembre 2003. Nella fattispecie, il governo spagnolo non aveva provveduto ad attuare completamente quanto stabilito dall art. 3 della direttiva 76/160/CEE circa i controlli della acque balenabili, accertato con sentenza il 16 febbraio 1998 nella causa C-92/96. (18) Ibidem, § 41. (19) Quanto alla durata, è opportuno ricordare che non era ancora entrata in vigore la comunicazione che tentava di attribuirle un valore fisso. Quanto alla gravità, il principio enunciato è fortemente indicativo della grande quantità di parametri che rientravano (e verosimilmente rientreranno anche sotto lattuale Comunicazione) nella determinazione del coefficiente. Al § 57 la Corte afferma che linadempimento riveste una certa importanza, in quanto mette in pericolo vite umane, tanto da meritare (§58) un coefficiente di 4/20. Per contro nella pendente causa C-119/04, in cui è in discussione il riconoscimento del trattamento retributivo dei lettori di lingua straniera ritenuto discriminatorio rispetto a quello concesso agli omologhi nazionali -, lAvvocato Generale Poiares Maduro ha invece ritenuto da suggerire il coefficiente di 14/20, in 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO somma in punti percentuali di inadempimento da pagare eventualmente dopo lesito del rapporto annuale, sulla base della percentuale di costa che risulter à ancora priva dei controlli imposti dal diritto comunitario. Allo Stato inadempiente viene così riconosciuto il diritto a beneficiare di un ulteriore anno di tempo, con la possibilità di vedere che la sanzione veniva poi ridotta a seconda dei progressi dello Stato membro nellesecuzione della sentenza! Se il Regno di Spagna avesse ottemperato interamente nei dodici mesi successivi, non avrebbe incontrato alcuna sanzione per un ritardo ultradecennale (20). Adempiere interamente alla direttiva non è tuttavia stato necessario. Pur in presenza di una buona percentuale di coste non controllate, la Commissione ha deciso nel dicembre 2005 di non infliggere affatto la sanzione alla Spagna, meritevole di essere premiata per aver fatto sensibili progressi nellattuazione della direttiva! Alla luce di ciò è da salutare con estremo favore lintenzione della Commissione di richiedere sempre una pena forfettaria: sarà utile per ovviare a simili fenomeni, vale a dire alleventualità che lo Stato membro sfugga da ogni tipo di sanzione. Dalla decisione della Corte di giustizia possono essere tratti numerosi spunti, di cui due sono particolarmente meritevoli di essere sottolineati. Innanzi tutto, traspare comunque nettamente la confusione che dimora sovrana circa loggetto del giudizio di cui allart. 228. Nella concessione di un termine dilatorio e nel frazionamento dellinadempimento, il giudice non solo mostra di non considerare la sentenza ex art. 226 come oggetto del giudizio, ma arriva ad ignorarla completamente. Egli omette di considerare che il Regno di Spagna aveva già avuto parecchi anni ed una sentenza di accertamento per conformarsi. Sanzionare per lintero e senza dilazioni sarebbe stata una mossa più comprensibile, e più rispettosa degli altri Stati che avevano invece adempiuto spontaneamente e tempestivamente alla direttiva. In secondo luogo, emerge la differenza esistente fra le due sanzioni prevista dallart. 228 TCE, che sembrano mirare a colpire obiettivi diversi. La penalità di mora sembra essere rivolta a colpire linadempimento nel futuro, inducendo lo Stato a conformarsi. La somma forfettaria, invece, pare essere misura di carattere più prettamente sanzionatorio per fronteggiare linadempimento precedente alla sentenza. considerazione del carattere discriminatorio dellinfrazione. Sembra che non abbia enorme rilevanza il fatto che una violazione provochi danni rimediabili (i lettori di lingua straniera possono infatti essere efficacemente risarciti tramite il versamento degli arretrati con gli interessi, mentre lo stesso effetto è precluso nel caso di perdita della vita). È comunque difficile capire come vadano bilanciati i vari interessi, beni ed elementi contemplati per la determinazione del coefficiente di gravità. In assenza di certezze, molte considerazioni sul valore giuridico di alcuni beni potrebbero rivelarsi decisamente affrettate. (20) Tale previsione stride peraltro con la previsione di cui al paragrafo 56 della sentenza, in cui viene respinta uneccezione della Spagna che dichiarava di non aver beneficiato del termine decennale già concesso ad altri Stati per conformarsi alla direttiva. Largomento viene respinto perché il termine non era stato chiesto a suo tempo. La dilazione, tuttavia, con dubbia coerenza, rientra nella sentenza, laddove viene sancito che linadempimento sarà controllato solo dopo il primo anno. DOTTRINA 323 6. Conclusione I nuovi parametri suscitano alcune perplessità. Lasciano alla Commissione un forte margine di discrezionalità, che potrà tuttavia essere corretto dufficio dal giudice. Rimane comunque un problema di fondo: il valore tutelato. Dal tenore dellart. 228 ci si aspetterebbe un procedimento volto a tutelare lautorità di una decisione presa dalla Corte di giustizia. Pochi spunti bastano, comunque, a far intuire come tale funzione passi tuttavia in secondo piano a fronte della sanzione per la lesione del diritto comunitario. Lo strano connubio di due oggetti che potrebbero e dovrebbero restare distinti provoca un sensibile appesantimento delle procedure, a danno della celere conclusione della vertenza ed a vantaggio degli Stati che non adempiono prontamente a quanto prescritto dal diritto comunitario (21). Lo stesso Parlamento europeo, nel suo progetto di relazione, afferma che sono numerose le procedure avviate per non conformità delle misure avviate e che talora esse vengono reiterate senza conseguire lobiettivo di persuadere gli Stati membri a modificare i propri atti legislativi di recepimento e sottolinea che in tali casi i ritardi procedurali sono fortemente pregiudizievoli per i cittadini , in quanto non riguardano casi singoli ma riflettono piuttosto un problema generale(22). Se oggetto del giudizio è laccertamento dellinadempimento al diritto comunitario, allora non è chiaro da dove sorga la necessità di un secondo giudizio. Se oggetto del giudizio è invece linottemperanza alla sentenza delle Corte, non sembrano coerenti i criteri di irrogazione delle sanzioni, che danno grande rilevanza allaccertamento del tipo di diritto violato, invece di considerare la presenza di una grave infrazione in re ipsa nellinottemperanza a una sentenza. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione (23), linadempimento alla sentenza, più che loggetto del giudizio, è diventato il presupposto per lapplicazione della sanzione. È possibile correggere qualche tiro? Si potrebbe cautamente tentare di configurare una riforma partendo dall osservazione delle tipologie di pena previste dal trattato: pena forfettaria e penalità di mora. Queste due diverse misure sembrano essere rivolte a fenomeni diversi. La somma forfettaria sembra essere rivolta al passato, mentre la penalità di mora guarda al futuro. La prima è volta alla sanzione di quanto non è stato fatto e morde, mentre la seconda mira ad indurre alladempimento e minaccia, pur non aggredendo direttamente. Ladozione della pena giornaliera sta allinadempimento come lart. 228 sta allart. 226: si tratta della minaccia di un mezzo di coercizione. Se pertanto si tenta di dissuadere gli Stati dallinottemperanza con la minaccia di un ulteriore giudizio (21) Opportuno ricordare che la sentenza della causa C-387/97 del 14 luglio 2000, Commissione c. Repubblica Ellenica, è subentrata ben tredici anni dopo linstaurazione della procedura con il reclamo dei comuni che denunciavano lo smaltimento incontrollato dei rifiuti nella acque del fiume Kourou-pitos! (22) Progetto, cit., § 22. (23) Comunicazione, cit., § 15. 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO con (pesanti) conseguenze pecuniarie, non si potrebbe ottenere lo stesso risultato minacciando direttamente le sanzioni pecuniarie nel giudizio di cui allart. 226? Se è legittimo ritenere che il primo giudizio sia una fase precoce per infliggere una pesante pena pecuniaria, non si vede perché non possa venire adottata una condanna condizionata. La Corte di Giustizia ha già dimostrato di saper modulare le sanzioni a seconda dei casi, e di saper creare una vasta casistica per renderle più eque. Nella causa C-278/01, ha infatti imposto una penalità di mora ad efficacia differita ed eventuale. Differita, perché nel caso de qua la sanzione scattava dopo il decorso del termine tecnico necessario per dare adempimento alla decisione. Eventuale, perché condizionata alla persistenza del mancato adempimento. Con una sanzione condizionata verrebbe tutelata la buona fede dello Stato sfortunato, che sarebbe comunque prontamente sanzionata qualora non desse una solerte prova di buona volontà. Lo Stato inadempiente avrebbe così su di sé lombra di una condanna in caso di inottemperanza, eventualmente nel termine stabilito dalla sentenza stessa. A quel punto, la sentenza di condanna a pagamento di somma oggettivamente determinabile permetterebbe alla Commissione di esigere il pagamento dagli Stati membri ancora inadempienti e di introdurre un ulteriore giudizio di cui alart. 228. Questo sarebbe meramente eventuale e oltre a confermare e liquidare le somme maturate fino a quel momento, sanzionerebbe linadempimento in sé e per sé considerato, con la condanna ad una pena forfettaria in aggiunta alla penalità di mora. Astrattamente, rimarrebbe il secondo giudizio, ma le sentenze di cui allart. 226 godrebbero di una maggiore efficacia, che ridurrebbe tuttavia il contenzioso ed aumenterebbero la percentuale di adempimento al diritto comunitario. Larticolo 228 nella sua configurazione, invece, attuale ha solo parzialmente ragione di esistere. La sensazione è pertanto quella di essere di fronte ad un istituto ancora inadatto, o, rectius, non ancora messo a punto e sedimentato per tutelare lapplicazione del dirito comunitario. È chiaro che una giustizia pronta ed efficace consente di accelerare il processo di conformazione a quanto stabilito dagli organi di governo europei e di esercitare una maggiore efficacia deterrente, ed è altrettanto evidente migliorare in tale direzione è possibile. È tuttavia necessario avere la volontà di farlo. A poco vale gridare a gran voce la gravità delle violazioni del principio di non discriminazione e stabilire (presunti) trasparenti principi per la determinazione della pene se non esiste una giustizia pronta. Sembra ancora presente un forte connotato politico, anche e soprattutto nella scelta, da parte della Commissione, dellopportunità di avviare il procedimento. Malgrado lapparenza di un profilo istituzionale, emerge fortemente la vicinanza con altri istituti coercitivi previsti dal Trattato di Maastricht, quali, ad esempio, la sospensione di parte dei diritti partecipativi alla gestione della Comunità ex art. 7 TCE. Sarebbe necessario istituzionalizzare un obbligo di provvedere in determinati casi. Ancora il Parlamento europeo, nel suo recente progetto di relazione, ha affermato che il potere discrezionale assoluto, abbinato ad unassoluta mancanza di trasparenza, è sostanzialmente contrario al principio della preminenza del diritto (24). Lo stato della normativa di cui agli artt. 226 e 228 pare peraltro riflettere lo stato dellUnione europea: è ancora in fase di formazione. Se anche il Trattato di Maastricht ha inserito un meccanismo coercitivo meno politico di quello previsto nel Trattata CECA, era forse troppo presto per dare alla corte di giustizia i poteri necessari per sanzionare liberamente già nella sentenza ex art. 226. Ulteriore prova dellacerbità dellistituto, lo scarsissimo numero di pronunce della Corte, a fronte dellelevatissimo numero di inadempimenti posti in essere dagli Stati membri. Al guardiano del trattato manca ancora una cosa: ununiforme che gli dia credibilità ed ufficialità. Probabilmente, con il suo rafforzamento lUE vedrà anche il potenziamento dei suoi strumenti coercitivi. DOTTRINA 325 (24) Progetto, cit., Motivazione, p. 17. Linconfigurabilità della tutela autoristica su idee e/o schemi di gioco è principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto (art. 10 Cost.) di Pasquale Fava Accanto al diffuso contenzioso seriale relativo alla prestazione transfrontaliera di servizi di raccolta, anche a mezzo Internet, di scommesse su eventi sportivi destinate a consumatori italiani per conto (o da parte) di operatori stabiliti allestero e ivi legittimamente autorizzati (1), si affaccia il rischio di emersione di una nuova tipologia di litigation temeraria (in quanto macroscopicamente infondata) proposta da soggetti che affermano dessere gli inventori di schemi di gioco utilizzati dallAmministrazione finanziaria. 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (1) In materia di raccolta delle scommesse (anche a mezzo Internet) per conto (o da parte) di operatori stabiliti allestero e ivi legittimamente autorizzati la giurisprudenza interna maggioritaria sia penale (da ultimo Cass., S.U., sent. 18 maggio 2004, n. 23272, Poce; in precedenza Cass., Sez. III, sent. 16 novembre 1995, n. 2947, Santangelo; Cass., Sez. III., sent. 8 marzo 1997, n. 519, Scalfari; Cass., Sez. III, sent. 1 ottobre 1997, n. 2530, Cacace; Cass., Sez. III, sent. 1 luglio 1999, n. 1999, De Giulio; Cass. Sez. III, sent. 29 luglio 1999, n. 1963, Barbati; Cass., Sez. III, sent. 27 marzo 2000, n. 124, Foglia; Cass., Sez. III, 4 luglio 2000, n. 7764, Vicentini, che affermano come sia punito come abusivo dallart. 4 della legge 401/1989 lesercizio non autorizzato di scommesse su competizioni sportive, anche se detto esercizio si svolge solo in parte in territorio italiano per conto di operatori stranieri; Trib. Viterbo riesame, ord 5 giugno 2003, in D&G, n. 36/2003) che amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 2002, n. 4905; Cons. Stato, Sez. IV, 22 aprile 2004, n. 2330; Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 5203; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 20 ottobre 2005, n. 5898; TAR Friuli-Venezia- Giulia, sent. 9 marzo 2001, n. 189; TAR Liguria, Sez. II, 30 gennaio 2003, n. 319; Id., sent. 28 giugno 2001, n. 823; Id., sent. 13 aprile 2001, n. 376; TAR Valle dAosta, sent. 19 luglio 2000, n. 176; TAR Puglia, Bari, Sez. II, 13 aprile 2005, n. 1508 e Id., sent. 2 novembre 2005, n. 4630) ha espressamente ritenuto conforme con il diritto comunitario la regolamentazione nazionale che prevede la necessità di ottenere una licenza di polizia dellAutorità di pubblica sicurezza accanto alla concessione amministrativa del CONI o dellUNIRE (competenti in materia di concorsi a pronostici su eventi sportivi) e che punisce con sanzioni penali lattività svolta in carenza dei menzionati titoli abilitativi anche in via meramente telematica e informatica (per le fonti normative cfr. lart. 88, R.d. 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dalla legge finanziaria 23 dicembre 2000, n. 388, che stabilisce come la licenza di polizia può essere rilasciata solo a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione nonché gli art. 4 e 4 bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401, come modificato dallart. 37 della legge finanziaria 23 dicembre 2000, n. 388, che sanzionano penalmente lattività di raccolta delle scommesse effettuata in Italia da operatori sprovvisti dei necessari titoli abilitativi; lart. 1, comma 536, della legge finanziaria 23 dicembre 2005, n. 266, ha poi previsto un potere di ordinare la cessazione dellattivit à di raccolta delle scommesse via internet ove il fatto costituisca reato). Lorientamento maggioritario si colloca nel solco di una serie di pronunce della Corte di Giustizia (sentenza. 24 marzo 1994, Schindler, C-275/92, in Foro It., 1994, IV, 521, con nota di M. COCCIA, Rien ne va plus: la Corte di giustizia pone un freno alla libera circolazione dei giochi dazzardo; sent. 21 settembre 1999, Läärä, C-124/97; sent. 21 ottobre 1999, Zenatti, C-67/98, in Foro It., 2000, IV, 217, con La questione di fondo non è nuova (numerosi sono i precedenti sia interni che internazionali di segno contrario alle pretese accampate nei confronti dellA.F.), pur se gli elementi di novità risiedono nella innovativa strutturazione della linea defensionale attorea che si caratterizza rispetto al passato per la proposizione di uneccezione di incostituzionalità della legge sul diritto dau- DOTTRINA 327 nota di A. Barone; sent. 11 settembre 2003, Anomar, C-6/01, sent. 6 novembre 2003, Gabelli, C- 243/2001) che riconoscono al giudice nazionale la competenza a valutare se il sistema nazionale sia idoneo a perseguire i fini di interesse generale (tutela dei consumatori, prevenzione della criminalità e delle frodi, limitazione della pratica del gioco dazzardo e utilizzo dei proventi per fini sociali) che consentono, conformemente alle disposizioni del Trattato, deroghe alle libertà fondamentali di stabilimento o di prestazione di servizi nonché se tali restrizioni (sussumibili astrattamente nel concetto di misura restrittiva ad effetto equivalente indiretto) siano proporzionali alle finalità perseguite. Tuttavia, specie in relazione allattività di booking (in cui un soggetto italiano opera per conto di un soggetto straniero, caso Internet Caffè-Stanley International Betting TAR Abruzzo, lAquila, sent. 30 luglio 2005, n. 661 in Foro Amm. TAR, 2005, 3648 e Albione TAR Abruzzo, lAquila, sent. 5 maggio 2006, n. 337, in www.lexitalia.it) e di sollecitazione diretta di consumatori italiani da parte di operatori stranieri attraverso siti web di proprietà di soggetti stabilizzati allestero (nel caso Astrabet lordinanza del Trib di Roma del 10 aprile 2006, in www.ictlex.net, adottata in palese carenza di giurisdizione, censura il provvedimento amministrativo impugnato con un ricorso ex art. 700 c.p.c. per motivi diversi, quindi andando ultra petita, rispetto a quelli indicati dalla società ricorrente che aveva richiesto la disapplicazione della norma interna), una certa parte della giurisprudenza (nettamente minoritaria) ha ritenuto che lautorizzazione ricevuta allestero debba necessariamente valere anche in Italia che non avrebbe alcun potere di assoggettare ad ulteriore autorizzazione il soggetto straniero. Il regime interno, si afferma, dovrebbe essere disapplicato in quanto contrastante con le libertà fondamentali previste dal Trattato per le quali lautorizzazione estera varrebbe anche in Italia. Sempre nellambito di questo orientamento minoritario si è, altresì, sostenuto che lattività di booking si sostanzierebbe in un diverso servizio al più assoggettabile al rilascio dellautorizzazione di pubblica sicurezza prescindendo da qualsiasi concessione o autorizzazione preventiva (TAR Sardegna, sent. 26 gennaio 2001, n. 28 e TAR Sicilia, Catania, Sez. III, sent. 15 maggio 2001, n. 928). La posizione del menzionato orientamento minoritario della giurisprudenza oltre ad essere inopportuna (perché non pone nella dovuta considerazione la necessità, di ordine pubblico e sicurezza, di controllare fenomeni malavitosi collegati al giro delle scommesse) appare anche giuridicamente insostenibile e addirittura contrastante con i principi generali del diritto comunitario espressi proprio dal Trattato perché non considera che il principio del mutuo riconoscimento presuppone unarmonizzazione delle regolazioni degli Stati membri attuata attraverso un intervento del diritto comunitario derivato (direttive) che consenta di omogeneizzare i requisiti di accesso allesercizio di attività non liberalizzate e gli standards di controllo delle autorità nazionali (a parte il rilievo che il diritto di stabilimento è consentito alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, art. 43, par. 2, Tratt. e che è comunque impregiudicata lapplicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica , art. 46 Tratt, si rileva che gli art. 44 e 47 del Trattato prevedono che il c.d. principio del mercato interno, che postula la validità dellautorizzazione ricevuta nel paese dorigine nonché dei controlli ivi esercitati dallAmministrazione straniera (c.d. Home country control), possa essere applicato solo in presenza di direttive negoziate secondo le procedure previste dal Trattato; in materia di libera prestazione di servizi si rileva similmente che essa deve avvenire alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini, art. 50, par. 2, Tratt., e che una piena liberalizzazione delle attività possa intervenire solo previa adozione delle direttive di cui allart. 52 del Trattato). Solo in questo modo labilitazione ricevuta nello Stato di appartenenza del prestatore del servizio (c.d. Home country) può consentire a questultimo di svolgere la propria attività anche nellHost country senza necessità di richiedere ed ottenere le autorizzazioni quivi previste (c.d. principio del mercato interno). tore per violazione dellarticolo 3 Cost. (nella parte in cui non si prevede che le idee relative a schemi di gioco non beneficiano della protezione autoristica). Dallesame e dallanalisi della regolazione internazionale, sovranazionale, comparata e interna e dalle pronunce della giurisprudenza delle Corti supreme dei principali Stati membri dellUnione, risulta, per converso, lesistenza di una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta che esclude la protezione autoristica in relazione alle idee e gli schemi di gioco, scommesse, lotterie e concorsi a pronostici, sussistendo al riguardo tutti gli elementi costitutivi della norma consuetudinaria internazionale enucleati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (consolidata giurisprudenza dei giudici interni, testi legislativi dei singoli ordinamenti, concorde dottrina internazionalistica) (2). Per tale ragione le scelte discrezionali del Legislatore nazionale che escludono la protezione autoristica delle idee afferenti a schemi di gioco non solo si presentano assolutamente ragionevoli ma sono anche pienamente conformi alle linee di politica legislativa emergenti a livello internazionale e comparato. È noto, peraltro, che il diritto consuetudinario internazionale a differenza di quello pattizio entra automaticamente nellordinamento interno in virtù del rinvio mobile di cui allart. 10 (1°co.) Cost. e che allo stesso il Giudice delle leggi riconosce valore superprimario e/o costituzionale, salvo i controlimiti (principi fondamentali) (3). 328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO In mancanza di direttive di armonizzazione, la liberalizzazione non è conseguenza automatica delle previsioni del Trattato e la prestazione dei servizi (come il diritto di stabilimento) è regolata direttamente e in via esclusiva dalle disposizioni del Trattato che, per converso, prevedono che lattività si svolga in conformità alla disciplina nazionale applicabile anche ai cittadini, sempre che siffatte autorizzazioni non siano discriminatorie e non costituiscano deroga giustificabile alla luce delle previsioni del Trattato (analisi che la Corte di giustizia rimette al giudice nazionale e che non può essere omessa accampando un generico mutuo riconoscimento nella realtà dei fatti inesistente in materia). Né il giudizio di equivalenza dei titoli abilitativi potrebbe essere effettuato dal giudice interno senza la predeterminazione a livello normativo di criteri certi e sicuri cui ancorare il proprio giudizio. A ciò si aggiunga che i menzionati intermediari sono assoggettati nel Regno Unito e a Malta ad uno specifico regime autorizzatorio/concessorio (business permits) che conferma come lattività di raccolta e gestione delle scommesse non sia ivi liberalizzata nonché ove le menzionate attività siano svolte attraverso lutilizzo di strumenti informatici e telematici esse sono espressamente escluse dalla copertura della direttiva relativa alla liberalizzazione dei servizi della società dellinformazione (lart. 1, par. 5, lett. d), della Direttiva 2000/31/CE, esclude espressamente dal c.d scope, cioè il campo di applicazione della stessa, i giochi dazzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse) e univocamente destinate ai consumatori italiani (circa il principio sviluppato dalle autorità di regolazione finanziarie in relazione alle sollecitazioni allinvestimento cfr. Comunicazione CONSOB 7 luglio 1999, n. DI/99052838 e lo Statement SEC del 23 marzo 1998 citate in FAVA, Questioni problematiche sulle tecniche di negoziazione negli Stock Exchanges e negli Alternative Trading Systems e sullintermediazione finanziaria on line, in Ciberspazio e diritto, Vol 3/2002). (2) C. Cost., sent. 67/71, 96/73, 48/79, 54/79. (3) Nellambito della gerarchia delle fonti del diritto interno, la consolidata e conforme giurisprudenza della Consulta riconosce ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti rango Dimostrata, pertanto, lesistenza di un principio generalmente condiviso a livello internazionale che esclude la tutela autoristica per le idee relative a schemi di gioco, la dichiarazione di improponibilità dellazione per difetto assoluto di giurisdizione, attesa linesistenza della situazione giuridica soggettiva attivata, costituisce conseguenza ineluttabile, peraltro già affermata per altre ragioni in casi analoghi dalla giurisprudenza interna (di legittimità e di merito), proprio per limpossibilità di derogare al diritto consuetudinario internazionale e per la ragionevolezza della scelta discrezionale del legislatore essendo generalmente condivisa negli altri contesti ordinamentali a livello mondiale. Nellambito dell ordinamento interno, non solo la legge sul diritto dautore esclude la protezione delle mere idee (accanto a quelle afferenti ai sistemi di gioco), ma addirittura la legge invenzioni pone un espresso divieto allart. 12, comma 2°, lettera a), alla brevettabilità dei piani, principi e metodi per attività intellettuali, per gioco e per attività commerciali. La dottrina più autorevole ha osservato che lespressione gioco è latissima comprendendo giochi di società, quiz, enigmi, giochi sportivi(4). La giurisprudenza della Suprema Corte ha costantemente negato la tutelabilit à ai sensi della legislazione che protegge il diritto dautore alle mere idee afferenti a sistemi di gioco non solo in relazione a giochi del tutto nuovi ma anche a modifiche di giochi preesistenti. La Suprema Corte ha sancito limproponibilità dellazione nei confronti dellAmministrazione finanziaria proposta da un privato che, affermando di essere linventore dellEnalotto, aveva chiesto i danni per la violazione del proprio diritto dautore ex art. 2575 c.c. (5). La Suprema Corte ha chiaramente affermato che la situazione soggettiva attivata non è giuridicamente esistente nellordinamento perché lelaborazione di sistemi e metodi di gioco non è considerata opera dellingegno dallordinamento, considerazione da cui discende la dichiarazione di improponibilità della domanda per difetto assoluto di giurisdizione (6). Analogo orientamento è stato manifestato in relazione ad un caso di idee modificative di giochi a pronostici già esistenti: poiché i cosiddetti progetti di lavoro tecnico-scientifici possono formare oggetto di diritti connessi con il diritto di autore e godere di un tipo diverso di protezione ex art 72 e seguenti legge n. 633 del 1941 e 2758 cod. civ., soltanto quando comportino la soluzione originale di problemi tecnici, presentando lapplicazione di regole tecniche nuove ed aggiornate a problemi già conosciuti, ovvero lapplicazione di regole già note a settori nuovi con estensione delle conoscenze tecnologiche, ne deriva che deve negarsi la tutela del diritto dautore DOTTRINA 329 costituzionale con il solo controlimite dei principi fondamentali dellordinamento costituzionale (C. Cost. sent. 67/71, 96/73, 48/79, 54/79 in dottrina BIN R., Commento allart. 10 Cost., in CRISAFULLIPALADIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, CEDAM, Padova, 1990, 63). (4) VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, 2000, 825. (5) Cass., Sez. I, sent. 1 ottobre 1975, n. 3097. (6) Cass., Sez. I, sent. 1 ottobre 1975, n. 3097. allinventore di un gioco per pronostici che non concreti né unopera dellingegno, né la soluzione originale di un problema tecnico, ma che, al contrario, si colleghi ai concorsi a pronostici già noti, come quello del Totocalcio e del Totip, mutandone i triplici eventi da pronosticare, i relativi simboli (1, x, 2) e la schedina (7). Successivamente anche il Tribunale di Roma ha condiviso lorientamento del giudice di legittimità (Questo Tribunale ha più volte rilevato che il progetto di sistema di giuoco a pronostici non è suscettibile di protezione sotto il profilo del diritto dautore e ciò in quanto il regolamento del gioco, avendo natura tipicamente tecnico-esecutiva, non esprime una idea intellettualmente apprezzabile e non è destinata a soddisfare interessi culturali e artistici(8). Il principio, generalmente condiviso dalla giurisprudenza interna sia di legittimità che di merito e positivizzato dal Legislatore con inequivoche norme di legge assolutamente ragionevoli, si conforma, peraltro, ad una regola di diritto internazionale generalmente riconosciuto (art. 10 Cost.). A livello internazionale e sovranazionale è pacificamente condiviso e comunemente riconosciuto nellambito delle varie legislazioni che proteggono il diritto dautore il principio fondamentale per cui può essere protetta tramite la tutela autoristica unicamente la forma espressiva dellopera dellingegno restando esclusi le idee, i principi teorici eventualmente sottesi allopera stessa, gli schemi, le procedure e i metodi di funzionamento che, in quanto tali, nullaltro sono se non idee. Tale principio è pacificamente accettato a livello internazionale, ed è ad esempio ribadito nel trattato WIPO, cui lItalia aderisce, in materia di diritto dautore, di cui sono firmatari numerosissimi Paesi stranieri tra cui Gran Bretagna, Francia e Germania (9). Anche gli accordi TRIPS sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio approvati dalla Comunità Europea con decisione del Consiglio del 22 dicembre 1994 ribadiscono che la protezione del diritto dautore copre le espressioni e non le idee, i procedimenti o i concetti matematici in quanto tali (10). Del resto, anche la normativa comunitaria in materia di diritto dautore ha sempre confermato tale principio. La Direttiva relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore, ad esempio, stabilisce che le idee e i principi alla base di qualsiasi elemento di un programma per elaboratore, compresi quelli alla base delle sue interfacce, non sono tutelati dal diritto dautore a norma della presente direttiva(11). Lo scenario internazionale e sovranazionale, pertanto, conferma il principio positivizzato dal Legislatore nazionale e condiviso dalla giurisprudenza. 330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (7) Cass., Sez. I, sent. 27 ottobre 1977, n. 4625. (8) Trib. Roma, sent. n. 30611/34038 del 9-25 luglio 2001. (9) WIPO Copyright Treaty adottato a Ginevra in data 20 dicembre 1996 cfr., in particolare, art. 2. (10) Accordi TRIPS, art. 9, 2° co. (11) Direttiva 91/250/CEE, art. 1, par. 2. Si vedano anche i considerando n. 13 e 14. Alivello comparato tanto le legislazioni quanto la consolidata giurisprudenza nazionale delle Corti Supreme dei principali Paesi firmatari dei menzionati accordi (e membri della Comunità Europea) condividono il principio che le idee e gli schemi di gioco non possono ricevere la protezione riconosciuta allautore di opere dellingegno non integrando alcuna situazione soggettiva che lordinamento assoggetta a protezione. Con particolare riferimento al sistema inglese, il Copyright, Design and Patents Act del 1988 prevede un regime di tutela delle opere dellingegno che si allinea al principio, riconosciuto tanto a livello comunitario quanto a livello internazionale, secondo cui la tutela sorge nel momento in cui lopera acquisisce una forma espressiva permanente e concreta e si estende esclusivamente alla forma espressiva dellopera (12). Nella disciplina del Copyright, Design and Patents Act del 1988 non è presente alcuna tutela per le idee afferenti i sistemi di gioco che non possono in alcun modo essere qualificate come opera dellingegno tutelabile tramite il diritto dautore. Il principio cristallizzato dal Legislatore britannico è stato condiviso dalla costante giurisprudenza delle corti inglesi, che hanno espressamente negato tutela anche a forme elaborate e complesse di schemi di gioco quali i format aventi ad oggetto schemi di giochi televisivi. La decisione più recente in questo senso è relativa al caso James Miles vs. ITV Network Limited del dicembre 2003 (13), a proposito di pretesi diritti dautore sul gioco-programma televisivo Dreams Street. In quella sede la High Court ha negato che fosse possibile tutelare lo schema di gioco inventato/elaborato dallattore. La High Court ha negato che il progetto di gioco di James Miles potesse accedere alla tutela autoristica per ragioni sistematiche, e ciò pur se tale progetto di gioco presentasse nel concreto elaborazione e complessità maggiori di un semplice schema di gioco. A maggior ragione un semplice schema di gioco non potrebbe (nemmeno solo astrattamente) accedere alla tutela offerta dal diritto dautore, non essendo questultimo anzi neppure qualificabile come opera dellingegno. Laccesso alla tutela del copyright in relazione a schemi di gioco anche se relativi a programmi televisivi (Opportunity Knocks), peraltro, era stato già negato nel 1989 nel caso Hugie Green vs. Broadcasting Corporation of New Zealand (14). In quella sede era stato chiaramente affermato che poichè non può esistere tutela dautore su unidea, neppure può essere riconosciuta DOTTRINA 331 (12) Per quanto riguarda le opere letterarie, ad esempio, è richiesto come requisito minimo di protezione che lopera sia registrata, fissata, per iscritto o in altra forma, (art. 3 della Parte I, Cap.I del Copyright, Design and Patents Act del 1988). (13) High Court of Giustice Chancery Division, 8 dicembre 2003, James Miles vs. ITV Network Ltd, Dream Street Productions Ltd, in westlaw 2003, WL 23192242 (Ch D), [2003], EWHC 3134. (14) Privy Council, 18 luglio 1989, Hugie Green vs. Broadcasting Corporation of New Zealand, in westlaw, 1989, WL649322 (Privy Council), [1989], R.P.C. 700. Come risulta dal testo della decisione dell autorevole collegio giudicante composto da Lord Bridge, Lord Ackner, Lord Goff, Lord Jauncey e Lord Lowry, peraltro, lazione era stata già rigettata dal trial judge e dalla Court of appeal della Nuova Zelanda. tutela dautore sul format televisivo in contestazione che si limitava a prevedere uno schema di gioco, come tale, quindi, non tutelabile. Dallesame della legislazione e della giurisprudenza inglese risulta in modo inequivoco lesistenza di un principio fondamentale che esclude che uno schema di gioco possa accedere alla tutela autoristica così come prevista dalla legislazione inglese. Pertanto, in Inghilterra, conosciuto come il Paese tra quelli dellUnione in cui è maggiormente avvertita la necessità di proteggere il diritto dautore e le invenzioni conformemente ad una tradizione ultracentenaria che ha implementato un sistema di enforcement allavanguardia a livello mondiale, non solo lattività di privati che asseriscano di essere inventori di nuovi schemi di gioco, lotterie, concorsi a pronostici non sarebbe astrattamente tutelabile ai sensi del diritto dautore (È comunemente affermato che il diritto dautore non protegge le idee ma lespressione delle stesse Le idee possono, tuttavia, formare oggetto di protezione ai sensi della disciplina sui brevetti industriali o come informazioni confidenziali) (15) ma, del pari, le menzionate idee non sarebbero neanche brevettabili come invenzione industriale (la Section 1(2) del Patent Act esclude la brevettabilità di uno schema, una regola o un metodo per svolgere un gioco o unattività commerciale (16). Nellordinamento francese la disciplina in materia di diritto dautore (Code de la proprieté intellectuelle, art. L111 s.s.) esclude che un sistema di gioco o unidea di gioco possano essere tutelate con la tutela autoristica in quanto non sussumibili nella nozione di opera dellingegno. Larticolo L112-1 del Codice sulla proprietà intellettuale limita la protezione alle opere dellingegno aventi forma espressiva, escludendo che la mera idea o il concetto, o il metodo, o il semplice schema di un gioco possano essere qualificati opera dellingegno (uvre de lesprit) con conseguente inconfigurabilità di tutela autoristica. Lart. L112-2, peraltro, prevede un elenco di opere protette che non comprende né schemi di gioco né elementi ad essi in qualche modo assimilabili. Daltronde la consolidata giurisprudenza francese ha espressamente escluso che un semplice schema o un metodo possano essere tutelati tramite il diritto dautore. La Corte di Cassazione francese ha, tra laltro, escluso che un metodo, seppur astrattamente innovativo, di commercializzazione di sistemi dallarme potesse accedere alla protezione autoristica, in quanto tale metodo non è unopera dellingegno, ma unidea, un mero concetto (17). 332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (15) Traduzione del testo di MARETT, Intellectual Property Law, 1996, 37 recante It is commonly said that copyright does not protect ideas, but only the espression of ideas. Ideas may be the subject of other kinds of intellectual property protection, by patent in some cases or confidential information. (16) Traduzione della Section 1(2) del Patent Act recante scheme, rule or method for playing a game or doing business. (17) Cour de Cassation, Chambre civile 1, Audience publique du 11 février 1997 Cassation, n° de pourvoi 95-13176, Président M. Lemontey. (18) Cour dappel de Versailles , Audience publique du 19 juin 1997, n° de pourvoi: 1995-7483. Conformemente, sul punto, la Corte dappello di Versailles (18) precisa come dalla tutela sia escluso non solo il metodo, ma anche lidea ad esso sottostante. Anche la giurisprudenza più risalente (19) parimenti esclude che, seppur innovativo, uno schema di commercializzazione di libri possa accedere alla tutela autoristica. Più recentemente, la Cassazione francese ha escluso che un metodo consistente nella semplice messa in opera di una logica automatica possa considerasi tutelabile ai sensi della disciplina sul diritto dautore, ed ha altresì precisato che tale schema non può di per sé costituire unopera dellingegno (20). Anche dallesame della normativa e dalla giurisprudenza francese risulta, pertanto, lesistenza del principio che esclude che le idee o i metodi di gioco possano accedere in quanto tali alla tutela autoristica così come prevista dalla legislazione francese. Similmente nellordinamento tedesco la Corte Suprema (BGH) ha espressamente escluso la tutela autoristica in favore di uno schema di gioco (21). Per quanto sopra e senza alcuna pretesa di esaustività, la mole di citazioni circa la consolidata e conforme giurisprudenza delle Corti di numerosi Stati, il contenuto omogeneo dei testi legislativi dei singoli ordinamenti nazionali, dei primari accordi internazionali in materia e del diritto comunitario derivato, nonché la concorde dottrina internazionalistica, vanno inequivocamente nella direzione volta ad escludere che le idee relative a schemi di gioco possano ricevere tutela ai sensi e per gli effetti della protezione autoristica, con conseguente improponibilità, per difetto assoluto di giurisdizione, di ogni domanda avente ad oggetto la protezione di situazioni soggettive inesistenti perché non riconosciute né riconoscibili dallordinamento giuridico. DOTTRINA 333 (19) Cour de Cassation, Audience publique du 15 octobre 1969 n° de pourvoi : 69-90059. (20) Cour de Cassation, Audience publique du 21 juin 2000, n° de pourvoi: 99-85154, Presidente Gomez. (21) BGH, sent. 21 gennaio 1993, in ZUM 1994, p. 186 (187) e sent. 17 ottobre 1961, in GRUR 1962, p. 51 (52), caso lotteria dei numeri. 334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il rapporto tra antico e moderno nel nuovo Codice dei beni culturali. La verifica e l’accertamento dell’interesse culturale. La problematica del restauro di Maria Vittoria Lumetti SOMMARIO: 1. Il modello italiano di gestione e tutela del patrimonio; 2. Modalità di individuazione dellinteresse culturale: legge, limiti temporali, territoriali, qualitativi, provvedimento (artt. 10, comma 4, 30, comma 4, art. 41, artt. 88 e 94, art. 142, art. 12, art. 13); 3. La novità del procedimento di verifica dellinteresse culturale dei beni demaniali (art. 12). Il venir meno della presunzione di culturalità del bene pubblico; 4. Il sistema precedente; 5. Le deroghe al principio della demanialità; 6. Beni culturali pubblici previa verifica; 7. Liter procedimentale della verifica; 8. Il silenzio previsto dallart. 12, comma 10; 9. Esito negativo della verifica art. 12, comma 4. La sdemanializzazione (art. 12, comma 5 e 6); 10. Verifica con esito positivo. Linizio del procedimento di interesse culturale. La trascrizione (art. 15); 11. Beni culturali pubblici ex lege non sottoposti a verifica; 12. Laccertamento dellinteresse culturale dei beni privati (art. 13); 13. Il procedimento di dichiarazione dellinteresse culturale particolarmente importante o eccezionale; 14. La comunicazione dellavvio del procedimento ex art. 14; 15. La notificazione e trascrizione dellatto finale; 16. La motivazione del provvedimento impositivo e il sindacato del giudice sullattività tecnico discrezionale dellamministrazione. Il confine tra eccesso di potere e vizio di merito; 17. La formazione di una nuova mentalit à del privato: onlus, fondazioni e trust; 18. La mutevole nozione di bene culturale e i rapporti con la valorizzazione. Lesigenza di una nozione elastica; 19. Le sfide strategiche dei musei. La misurazione dellimmagine; 20. La cultura del bello: gli studi dartista; 21. Larcheologia del cinema art. 10, comma 4, l. e; art. 11, comma 1, l. f); 22. Lesempio dellarcheologia industriale e rurale (art. 10, comma 4, l. l); 23. Lestensione oggettiva della tutela: pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico o storico (art. 10, comma 4, lett. G); 24. Il problema della tutela dellecosistema urbano; 25. Collezionare il presente. Larchitettura contemporanea (art. 11 e 51). Lesempio delle sale cinematografiche e degli strumenti musicali; 26. Il modernariato o antiquariato del futuro; 27. La conservazione dellantico; 28. La decontestualizzazione del bene culturale. Il divieto di distacco di beni culturali (art. 50); 29. Lantica idea dellopera darte totale e il museo. La politica delle acquisizioni; 30.- Linternazionalismo culturale e il ritenzionismo. Il dominio dellarcheologia; 31. Gli strumenti della conservazione attiva: prevenzione, manutenzione e restauro. Gli obblighi di facere in capo ai privati; 32. Il restauro come extrema ratio; 33. Progettare il passato. Il restauro del restauro. Lesempio della Court dAppel administrative a Parigi. Il dibattito sullopera darte storicizzata e il debatijonage della cattedrale di Catania; 34. Il DOTTRINA 335 restauro e il recupero delle opere contemporanee. Lesempio dellEx Forno del Pane a Bologna; 35. La tutela dei beni culturali in stato di degrado o di pessima conservazione: lindipendenza del vincolo rispetto alla conservazione; 36. La musealizzazione allaperto come componente essenziale della conservazione. 1. Il modello italiano di gestione e tutela del patrimonio Il Consiglio dei Ministri del 16 gennaio 2004 ha varato il codice per i beni culturali e Paesaggistici, sulla base della delega prevista dallart. 10 della legge n. 137 del 6 luglio 2002. Il nuovo codice, entrato in vigore il 1 maggio 2004, contiene disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali ed è volto a riordinare e organizzare la materia al fine di conferirle un assetto di precisa sistemazione logico giuridica. I principali istituti in cui si articola contribuiscono a formare ciò che oggi definiamo il diritto dei beni culturali. Con i decreti legislativi 24 marzo 2006 n. 156 e 157, giusta la legge delega n. 137/2002 (art. 10 comma 4°) sono state introdotte numerose modifiche al Codice. La ratio del codice dei beni culturali è, innanzi tutto, la semplificazione legislativa della materia, che aveva già ricevuto una prima sistemazione, a livello di compilazione, con il testo unico di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. Il codice reca di per sé una disciplina di grande importanza, in linea con i recenti interventi normativi. Infatti, a seguito della crescente complessit à dello sviluppo del territorio italiano e al cambiamento del quadro istituzionale con la modifica del Titolo V della Costituzione, è stato necessario aggiornare le norme riguardanti la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico nazionale, risalenti al 1939 (1). Nel settore dei beni culturali si registrano, negli ultimi anni, alcuni interventi legislativi che hanno modificato laspetto organizzativo e normativo della materia senza tuttavia aggiornarne i contenuti, ancora fermi alla disciplina del 1939 (2). Il codice persegue lesigenza di riordino della materia disciplinando gli istituti base, fornendo la definizione della nozione di bene culturale, occupandosi della conservazione nel contesto del bene culturale, regolando il commercio illecito di opere (1) Art. 10 legge n.137 del 6 luglio 2002 (Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto dautore): ferma restando la delega di cui allarticolo 1, per quanto concerne il Ministero per i beni e le attività culturali il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e, limitatamente alla lettera a), la codificazione delle disposizioni legislative in materia di: a) beni culturali e ambientali; b) cinematografia; c) teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; d) sport; e) proprietà letteraria e diritto dautore. (2) Sul punto S. CASSESE, Problemi attuali dei beni culturali, in Gior. Dir. amm., n. 10/2001, 64. Lautore lamenta lassenza in Italia di unopera sistematica, quando in Francia esiste una trattazione generale sul diritto del patrimonio culturale, cfr. PIERRE-LAURENT FRIER, Droit du patrimonie culturel, così come nei paesi anglosassoni, J. H. MERRYMAN, A. E. ELSEN, Law, Ethics and the Visual Arts. In questa ultima opera sono raccolti casi e materiali riguardanti la tassazione, il commercio illecito internazionale, la conservazione e la valorizzazione dei beni. 336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO darte e gli aspetti legati alla valorizzazione e alla fruizione (3). Anche il concetto di paesaggio, infatti, muta: esso non è più inteso come entità da proteggere, bensì come territorio da gestire e promuovere complessivamente nel suo divenire. Il paesaggio non è più considerato come monumento, ma come idea stessa di uno sviluppo sostenibile, fatto di un rapporto equilibrato tra ambiente, bisogni sociali e attività economiche, in linea con i principi affermati anche dalla Convenzione europea del paesaggio. Attualmente il territorio regionale sottoposto a vincolo paesaggistico è pari a circa il 40% del totale e chi vuole costruire in queste zone deve richiedere unautorizzazione specifica al Comune. Il paesaggio, dunque, viene riconosciuto come risorsa fondamentale per promuovere uno sviluppo di qualità del territorio. Dalla nuova normativa si ricava il principio che i beni culturali non possono essere isolati luno dallaltro e che devono essere preservati unitamente al paesaggio e ai contesti storici in cui si collocano. Unaltra novità rilevante della nuova normativa è da rinvenirsi nella definizione del concetto di bene culturale come risorsa. In Italia i beni culturali ricoprono anche un rilevo economico, è innegabile limportanza del turismo culturale nelleconomia del Paese ed è in tale contesto che i beni culturali sono considerati e disciplinati come una grande ricchezza. Gli artt. 5 e 6 della Parte Prima (Disposizioni Generali) sono stati modificati: con il primo è chiarita la competenza della Regione in materia di tutela dei c.d. Beni Librari; con il secondo si precisa che la valorizzazione del patrimonio culturale comprende la riqualificazione degli immobili e la tutela di aree degradate con la creazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. Nella Parte Seconda (Beni Culturali artt. 10-130) di particolare rilievo sono le modifiche concernenti i beni di interesse numismatico, con un rafforzamento della tutela; le monete antiche vengono differenziate, quanto alla tutela, dagli altri beni culturali; inoltre non sarà più possibile giudicare il valore delle monete antiche solo in base alla serialità o ripetitività degli esemplari. Viene aggiunta la importante precisazione che la normativa di tutela degli archivi si riferisce sia a quelli pubblici che a quelli privati, sempre che sia già intervenuta la dichiarazione di interesse culturale (art. 20, comma 2). Importante lintervento relativo allart. 12 concernente la Verifica dell interesse culturale. Altre modifiche riguardano lart. 21 (Interventi soggetti ad autorizzazione), che subordina alla preventiva autorizzazione del MiBAC, tutte le operazioni: di demolizione anche con successiva ricostruzione di beni culturali, di spostamento anche temporaneo dei predetti beni, di smembramento di collezioni, di scarto di documenti di archivi pubblici ed archivi privati sottoposti (3) Cfr. G. MANFREDI, Standard ambientali di fonte statale e poteri regionali in tema di governo del territorio, in Urb. e App. n. 3/2004 sul riparto di competenze, ai sensi del riformato titolo V, tra Stato e Regioni in tema di elettromagnetismo e di ambiente. DOTTRINA 337 a vincolo, di trasferimento ad altre persone giuridiche di complessi organici di documentazione di archivi pubblici e privati se vincolati. Al di fuori di queste ipotesi tipiche lesecuzione di opere o lavori di qualsiasi genere, su beni vincolati necessita della preventiva autorizzazione del soprintendente: ad esempio una modifica della destinazione duso del bene immobile va prodromicamente autorizzata dalla soprintendenza competente. Anche lart. 29 è stato modificato. La figura del restauratore viene legata alla acquisizione di un apposito titolo di studio rilasciato dalle scuole di alta specializzazione (più precisamente lIstituto nazionale di restauro, lOpificio delle pietre dure e lIstituto di patologia del libro). Il titolo di studio viene equiparato ad una laurea breve (laurea di secondo livello). Viene data attuazione al D.M. n.294/2000 che aveva a suo tempo definito le figure del restauratore e del collaboratore restauratore. Vengono inoltre coinvolte le università nelle dinamiche di insegnamento del Restauro, che a tal fine dovranno creare centri di ricerca e di sperimentazione. Per spingere i privati alla applicazione delle misure di conservazione del patrimonio culturale vengono previste provvidenze economiche anche se gli interventi riguardano beni mobili (modifica artt. 30 ss.). Il regime del comodato di bene culturale (art. 44), subisce una modifica con riferimento alle ipotesi in cui i direttori degli archivi e degli istituti che abbiano in amministrazione o in deposito, raccolte o collezioni artistiche, possono ricevere in comodato da privati beni mobili previo assenso del MiBAC allo scopo di destinarli alla fruizione collettiva, sempre che lonere della conservazione e della custodia dei predetti beni non risulti particolarmente costoso. Tra le altre novità lintroduzione di un elenco per i restauratori e lelevazione del loro diploma al rango di laurea. 2. Modalità di individuazione dellinteresse culturale: legge, limiti temporali, territoriali, qualitativi, provvedimento (artt. 10, comma 5, 30, comma 4, art. 41, artt. 88 e 94, art. 142, art. 12, art. 13). Una rilevante novità del codice è quella di aver abolito la presunzione di culturalità del bene: il procedimento è modificato mediante leliminazione del sistema degli elenchi per i soggetti pubblici. I procedimenti per giungere alla individuazione dellinteresse culturale di un bene possono essere di tre tipi. Innanzi tutto è possibile che lindividuazione venga effettuata con una legge. Lo Stato può infatti stabilire per legge quando attribuire ad un bene uno spiccato interesse culturale. Tale procedura era adottata alla fine dell 800 e allinizio del 900, ma anche successivamente: basti pensare alle Foibe di Basovizza, la risiera di San Sabba, la città di Venezia, Todi e Orvieto (4). (4) A. MANSI, La tutela dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2004 , 62, il quale fa riferimento al Parpagliolo, che fornisce un elenco completo. 338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Lart. 129, infatti, fa salve le leggi riguardanti Venezia e la sua laguna o aventi ad oggetto singole città, complessi architettonici, siti o aree di interesse storico, artistico od archeologico. Di recente la legge 7 marzo 2001 n. 78 recante disposizioni sulla tutela del patrimonio storico della Prima Guerra mondiale ha creato una nuova categoria di beni culturali (5). Si riscontra anche un secondo metodo che non è di diretta individuazione del valore culturale di un bene, ma che pone dei limiti temporali, territoriali e qualitativi in merito allindividuazione. Se un bene è stato prodotto tanti anni addietro o ad opera di un autore defunto, lart. 10 comma 5 stabilisce che non sono soggette alla disciplina del presente titolo... le opere di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni prima. Lart. 30, comma 4 in tema di beni archivistici dispone che i privati proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di archivi hanno lobbligo di disporre la loro inventariazione se gli affari sono esauriti da oltre quaranta anni. Il D.L. 156 del 2006 ha aggiunto al quarto comma la precisazione che allattuazione del presente comma si provvede nellambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Lart. 41 dispone che gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato versano allarchivio centrale dello Stato e agli archivi di Stato i documenti relativi agli affari già esauriti da oltre quaranta anni. Hanno inoltre rilevanza i limiti territoriali: tutto ciò che si trova in un determinato territorio (il centro storico delle città, le sponde dei fiumi e dei laghi, i territori siti ad una determinata altezza, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431). Lart. 142 (Aree tutelate per legge) ha recepito il d.l. 27 giugno 1985, n. 312 e recita: Fino allapprovazione del piano paesaggistico ai sensi dellart. 156, sono sottoposti alle disposizioni del codice per il loro interesse paesaggistico: i territori costieri..., i fiumi, i torrenti...le montagne per la parte eccedente i 1600 metri sul livello del mare , le zone umide...i vulcani, le zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del codice... ecc. Infine il carattere dell oggetto può avere carattere archivistico o archeologico (artt. 88-94) o può rivestire un interesse religioso attuale, o appartenere a enti e istituzioni della Chiesa cattolica (art. 9). Il terzo metodo è invece quello dellindividuazione, volta per volta, con singoli provvedimenti, del bene di interesse culturale. Tale compito viene attribuito in via permanente ad una struttura dello Stato che ha lincarico di provvedere a tale compito. La normativa italiana, sintetizzata dal nuovo codice, utilizza tutti e tre i sistemi, anche se un maggiore interesse è conferito al riconoscimento dellinteresse culturale mediante ladozione di un atto amministrativo. Si tratta della dichiarazione ex art. 13, qualora si tratti di un bene di proprietà privata, e la verifica della sussistenza dellinteresse culturale ex art. 12, per i beni (5)A. MANSI, op. cit., 67. DOTTRINA 339 di proprietà dello Stato, degli altri enti pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro. Da ultimo è opportuno precisare che è entrato nel nostro ordinamento un sistema di valutazione economica del bene culturale, di origine anglosassone recepito con la legge 30 marzo 1998 n. 88 in forza della direttiva CEE 93/7 del Consiglio del 15 marzo 1993 (6). La legge è stata abrogata dallart. 166, D.L. 29 ottobre 1999, n. 490. 3. La novità del procedimento di verifica dellinteresse culturale dei beni demaniali (art. 12). Il venir meno della presunzione di culturalità del bene pubblico Una delle innovazioni più rilevanti del codice è infatti lintroduzione del procedimento di verifica dellinteresse culturale di alcuni beni demaniali e precisamente quelli di cui allart. 10, comma 1, e il conseguente mutamento del regime di alienazione dei beni. Lindividuazione del bene culturale, ossia il momento in cui il bene viene sottoposto alle leggi di tutela, è diverso a seconda della qualità del proprietario del bene: se di spettanza di Enti pubblici o di persone giuridiche private senza fine di lucro, oppure di proprietà dei privati. Il comma 1 dellart. 10 stabilisce che Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Il suddetto comma va coordinato con il comma 1 dellarticolo 12, il quale prevede che Le cose immobili e mobili indicate allarticolo 10 comma 1 che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2 (7). Fino alla verifica, dunque, i suddetti beni sono da considerarsi beni culturali a tutti gli effetti. Si passa da un regime di generale sottoposizione di tutti i beni pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro, ad un regime di tutela indifferenziata, ad un regime di verifica caso per caso, ad un continuo monitoriaggio della vigenza dei soli beni di interesse culturale (8). I beni pubblici vengono, dunque, sottoposti alla verifica puntuale della presenza dellinteresse culturale, che non è più presunto, ex lege. Vengono esclusi dalla verifica i beni di cui al comma 2 art. 10, ossia le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato e degli altri enti pubblici, gli archivi, le biblioteche. Lart. 12 del codice si allinea alla disposizione dettata dallart. 27 della legge 326/2003, legge finanziaria per il 2004, che aveva introdotto un procedimento di verifica circa la sussistenza dellinteresse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nei beni di (6) A. MANSi, op. cit., 67. (7) Il D.L. 156 del 2006 ha sostituito le parole del presente Titolo con della presente Parte. (8) A. MANSI, op. cit., 43. 340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO cui allart. 2 del D.Lgs. n. 490/1999, con effetto di sdemanializzazione per gli immobili nel caso di esito negativo (9). Si ravvisa, comunque, una differenza di rilievo tra il procedimento disciplinato dalla legge finanziaria e quello introdotto dal codice: il primo attribuisce valore significativo allinerzia e la mancata comunicazione nel termine complessivo di centoventi giorni dalla ricezione della scheda equivale ad esito negativo della verifica (comma 10 come riformato dalla legge n. 326/2003), mentre il secondo non prevede termini per la conclusione della verifica, ma rinvia a un D.M. adottato dintesa con lAgenzia del demanio. La previsione del silenzio assenso ex art. 12, ult. comma è considerata per la dottrina incongrua rispetto alla ratio dellintero art. 12 (10). La relazione illustrativa del codice afferma, infatti, che la verifica è prevista solo in via successiva e senza lintroduzione di alcun termine per il suo compimento. Il D.L. 156 del 2006 ha abrogato tale disposizione disponendo che il procedimento di verifica si concluda entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta. Il nuovo procedimento di verifica reca il superamento del sistema degli elenchi e la conseguente dichiarazione di interesse culturale che comporta singole declaratorie per i singoli beni. La perplessità è che le riforme poste in essere non siano adeguatamente supportate dalle soluzioni organizzative e dai mezzi: il rischio è quello di alterare il preesistente tessuto normativo e che i problemi logistici rendano inoperanti le disposizioni legislative (11). 4. Il sistema precedente Il sistema precedente, previsto dallart. 5 del T.U. riconfermava quanto già statuito dagli artt. 4 e 58 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, ossia lobbligo per gli enti pubblici diversi dallo Stato e le persone giuridiche private senza scopo di lucro di presentare al ministero lelenco descrittivo delle cose di loro appartenenza aventi un presunto interesse artistico e storico. Tali soggetti, concorrevano allindividuazione e allidentificazione dei beni culturali anche se i suddetti elenchi costituivano una mera segnalazione e, anche quando convalidati dal ministero, avevano un valore meramente dichiarativo: la non inclusione in tali elenchi non era di ostacolo allapplicazione della disciplina di tutela, nel caso che le cose presentassero interesse culturale e, di autore non più vivente, risalissero a oltre cinquantanni (art. 5, comma 5 e art. 2, comma 6, D.L. 490). (9) S. FOÀ, La tutela dei beni culturali, in Giorn. Dir. amm., n. 5/2004, 474; S. FOÀ, Il patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti territoriali come strumento correttivo della finanza pubblica, in Gior. Dir. Amm., 2004, 358. (10) Cfr. M. CAMMELLI, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: dallanalisi allapplicazione, in www.aedon.mulino.it/archivio/2004/2/cammelli.htm. Lautore ritiene che la previsione del silenzio risulti probabilmente illegittima rispetto ai principi costituzionali sanciti dallart. 9 e comunque limitata alla fase di avvio. (11) M. CAMMELLI, Il Codice op. cit. DOTTRINA 341 Questo sistema era fonte di non poche incertezze e per i beni culturali di appartenenza pubblica operava una presunzione generale di culturalità, solo in parte eliminata dagli atti c.d. di declaratoria, recanti la dichiarazione di interesse storico, artistico, talora emessi dal ministero (12). Il primo intervento di novità fu introdotto dal d.P.R. 27 settembre 2000, n. 283. Lart. 6, comma 2 stabilì linalienabilità degli immobili culturali, non inseriti, appartenenti al demanio degli enti minori. In secondo luogo fu esteso lobbligo della compilazione degli elenchi, con lindicazione dei dati identificativi degli immobili interessati alle amministrazioni statali coinvolte in processi di dismissione o valorizzazione di beni. Si stabilì, inoltre, che il ministero, ricevuti gli elenchi, provvedesse ad individuare gli immobili che non rivestissero interesse storico e artistico e quelli la cui alienazione e conferimento in concessione o in convenzione erano soggetti ad autorizzazione. In questultimo caso, evidentemente, sulla base della riconosciuta presenza dellinteresse artistico e storico (art. 19, commi, 1, 2 e 4). Lart. 12 dello schema del codice oggetto della delibera preliminare del 29 settembre 2003 riprende e perfeziona le previsioni del d.P.R. 283/2000. Lesito della verifica, promossa dufficio o su richiesta dellente proprietario, se positivo, comporta la definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di tutela, se negativo, la fuoriuscita da detta disciplina, la sdemanializzazione, nel caso di bene demaniale, e la libera alienabilità (13). 5. Le deroghe al principio della demanialità Lart. 822, comma 1, del codice civile considera tutti i beni dello Stato beni inalienabili, in quanto facenti parte del demanio culturale. Il principio assoluto della demanialità è stato criticato da una parte della dottrina, sia per un motivo pratico, perché non tutti i beni di proprietà dello Stato possiedono un interesse culturale, sia per un motivo giuridico: lart. 822 non prevede lequiparazione automatica del bene dello Stato al bene demaniale, ma sottopone al regime proprio del demanio solo gli immobili riconosciuti dinteresse storico, archeologico e artistico (14). Inoltre, è opportuno osservare che ogni anno vengono automaticamente sottoposti alla tutela anche i beni costruiti oltre i cinquantanni precedenti. Si tratta di una immensa categoria di beni di tanti enti (dagli edifici di servizio dei Carabinieri o per la Guardia di finanza, ai magazzini, agli edifici sanitari), i quali non possono essere classificati in blocco come beni aventi una valenza culturale, senza (12) Cfr. relazione al codice riportata da G. SCIULLO, La verifica..., op. cit.. Cfr. anche dello stesso autore Commento allart. 5, a cura di M. Cammelli, in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, 2000, 40 ss., e I beni, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2003, 34 ss. (13) G. SCIULLO, La verifica dellinteresse culturale, in www.aedon.it, n. 2, 2004. (14) A. MANSI, La tutela op. cit., 132. 342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO essere esaminati volta per volta se si vuole dare un senso e serietà alla tutela (15). La innovazione introdotta dal codice sul procedimento di verifica della sussistenza dellinteresse culturale di un bene appartenente al demanio artistico...ha constatato che non sempre e non tutto il patrimonio dello Stato e degli enti pubblici territoriali e non, riveste quellinteresse culturale semplice che ne impone la tutela; ma che, soprattutto nei casi dubbi o di evidente mancanza di quellinteresse occorre effettuare una ricognizione e/o riconoscimento (16). 6. Beni culturali pubblici previa verifica Come già accennato, non tutti i beni pubblici devono essere sottoposti a verifica: lart. 12 specifica che solo le cose immobili e mobili indicate dall art. 10 sono i destinatari della dichiarazione di verifica. La verifica si configura come condizione risolutiva, e deve risultare positiva, altrimenti il bene non può più essere considerato culturale. Tale procedura rinviene la sua ratio nellesigenza di evitare che la complessità della materia possa essere risolta o ridotta in una semplificazione unitaria: il processo di accelerazione storica, sociale e culturale richiede una risposta differenziata e non una schema unitario e onnivalente. Il limite della pretesa unitariet à del concetto di bene culturale era evidente anche nel testo unico del 1999 il quale, pur nascendo come testo compilativo, nei primi quattro articoli distingueva tra beni a regime pieno e beni a regime parziale (17). Gli articoli 2 e 3 del testo unico specificavano il contenuto dellart. 1, che si riferisce testualmente al solo patrimonio storico e artistico nazionale, e realizzano un ampliamento tipologico che va dal patrimonio demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico, librario alle categorie speciali di beni culturali. Non si trattava di un ampliamento realmente innovativo, perché avveniva sia grazie alla funzione ricognitiva di norme sparse già esistenti, propria del Testo Unico, sia grazie alla già originaria non tassatività dellelencazione dellart. 1 della legge n. 1089 del 1939. 7. Liter procedimentale della verifica Il procedimento di verifica dellinteresse culturale viene attivato sulla base di indirizzi generali stabiliti dal Ministero, dufficio o su richiesta dei soggetti proprietari. La richiesta deve essere corredata dai relativi dati conoscitivi (art. 12, comma 2) e se riguarda beni immobili dello Stato da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive (art. 12, comma 3). Il Ministero dei beni culturali adotta, di concerto con lAgenzia del demanio, un decreto contenente i criteri per la predisposizione degli elenchi, (15) Così A. MANSI, La tutela...op. cit., 133. Lautore precisa che Le considerazioni soprariportate ci fanno meglio comprendere come laprioristica ed aspra critica rivolta verso lalienabilità dei beni culturali inserita nel Codice appare dettata da sentimenti emozionali e contingenti. (16) A. MANSI, La tutela...op. cit., 133. (17) G. SEVERINI, La nozione di bene culturale, op. cit., 3. DOTTRINA 343 le modalità di redazione delle schede descrittive e di trasmissione di elenchi e schede (art. 12, comma 3). Le richieste di verifica sono predisposte e presentate sulla base di criteri e modalità fissati con decreto, così come la documentazione conoscitiva. Se laccertamento è positivo il procedimento si conclude con un provvedimento di interesse culturale. Il provvedimento ha la stessa natura della dichiarazione dellinteresse culturale di cui allarticolo 13 e, pertanto, deve essere trascritto ai sensi dellart. 15 comma 2, ove si tratti di cose soggette a pubblicità immobiliare o mobiliare. 8. Il silenzio previsto dallart. 12, comma 10, ora modificato dal D.L. n. 156 del 2006. Viene negato nella nuova stesura, il silenzio assenso, con la conferma del termine perentorio di 120 giorni per la conclusione del procedimento di verifica curato secondo i parametri fissati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, al fine di garantire una uniformità di valutazione su tutto il territorio nazionale. Era rimasto in vigore, anche se limitatamente ad alcuni commi, lart. 27 d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (cd. maxi decreto finanziario) convertito nella legge 24 novembre 2003 n. 326, che riproduce integralmente il contenuto dellart. 12 dello schema di Codice deliberato dal Consiglio dei Ministri il 29 settembre 2003. Viene introdotta una tempisticaper lo svolgimento del procedimento di verifica relativa a immobili che nel corso dei lavori parlamentari di conversione in legge del decreto è stata perfezionata con lintroduzione del silenzio significativo (silenzio assenso): la mancata comunicazione dellesito della verifica da parte della soprintendenza regionale allagenzia del demanio nel termine complessivo di centoventi giorni dalla ricezione della scheda descrittiva contenente i dati conoscitivi relativi ai singoli immobili inseriti negli elenchi equivale ad esito negativo della verifica (art. 27, comma 10, d.l. 269 conv. con mod. nella legge 24 novembre 2003, n. 326). La disposizione è stata ora abrogata dal D.L. 156 del 2006, che prevede la conclusione del procedimento entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta (art. 12, comma 3 del D.L. 156/2006) La versione definitiva dellart. 12 conferma molte previsioni della precedente normativa (commi 1, 2, 4-7), mutua alcune disposizioni di carattere procedurale contenute nellart. 27 del d.l. 269 convertito in legge (commi 3 e 8), anche se ora, dopo lintervento del D.L. 156/2006 non mantiene ferme le disposizioni relative al silenzio assenso dello stesso decreto (comma 10) (18). Listituto del silenzio costituisce una novità in materia di individuazione dei beni culturali. Il d.P.R. 283/2000, pur prevedendo dei termini per la (18) G. SCIULLO, La verifica, op. cit. Lautore precisa che Con una certa approssimazione, ma badando alla sostanza, può affermarsi che lart. 12 del codice è entrato in vigore anticipatamente, insieme cioè alla l. 326/2003, di conversione del decreto legge. 344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO conclusione del procedimento volto ad accertare la presenza o meno dellinteresse culturale (art. 4, commi 2 e 3, art. 19, comma 2), non qualificava il silenzio prestato dallamministrazione, con la conseguenza che linerzia poteva valere come silenzio inadempimento (19). Il meccanismo, inoltre, opera non solo in via di prima applicazione del d.l. 269, ma anche a regime, con lentrata in vigore del codice. Nessuna indicazione in senso diverso emerge, infatti, né dallart. 27 del decreto legge né dallart. 12 del codice. È opportuno precisare che il procedimento coinvolge (ai sensi del comma 12 dellart. 27 del D.L. 269 richiamato dallart. 12, comma 10 in esame) gli immobili non solo dello Stato, ma anche degli altri enti pubblici, territoriali e non (20). 9. Esito negativo della verifica art. 12, comma 4. La sdemanializzazione (art. 12, comma 5 e 6) La verifica, promossa dufficio o su richiesta dellente proprietario comporta, se positiva, la definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di tutela e, se negativa, la fuoriuscita da detta disciplina, la sdemanializzazione, nel caso di bene demaniale, e la libera alienabilità. La verifica, dunque, si configura come condizione risolutiva della natura di bene culturale: il bene affinché sia culturale, deve costituire oggetto di verifica con esito negativo. Il comma 4 dellart. 12 stabilisce, infatti, che Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato linteresse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dallapplicazione delle disposizioni del presente Titolo. Il comma 5 prosegue statuendo che Nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dellamministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse. Presupposti della sdemanializzazione sono, dunque, lesito negativo della verifica e lassenza di ragioni di interesse pubblico in merito al bene culturale. Conseguenza della sdemanializzazione è la libera alienabilità dei beni. La verifica negativa, pertanto, si pone come presupposto della sdemanializzazione, configurandosi come vera e propria condizione negativa. 10. Verifica con esito positivo. Linizio del procedimento di interesse culturale La trascrizione (art. 15) La verifica positiva dà inizio al procedimento di dichiarazione dellinteresse culturale. (19) Cfr. G. DE GIORGI CEZZI, Verifica dellinteresse culturale e meccanismo del silenzio assenso, in Aedon, 2003, n. 3. (20) G. SCIULLO, La verifica dellinteresse...op. cit. Cfr. anche contra M. TORSELLO, Silenzioassenso? No problem, in Il Sole 24 ore, 8 febbraio 2004, 37, cit. dallo stesso autore. DOTTRINA 345 In caso di verifica positiva, infatti, le schede descrittive degli immobili di proprietà dello Stato, integrate con il provvedimento di accertamento dell interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico effettuate in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, confluiscono in un archivio informatico per finalità di monitoraggio (v. cap. sullinformatica). Lart. 4 D.M. 6 febbraio 2004 stabilisce, con una certa flessibilità procedurale, che le soprintendenze regionali definiscono i tempi di trasmissione e la consistenza numerica degli elenchi con le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni e ogni altro ente pubblico, tramite accordi sottoposti allappropriazione del Ministero. Conseguenza della verifica positiva è la sottoposizione del bene alla disciplina del codice in quanto bene culturale. 11. Beni culturali pubblici ex lege non sottoponibili a verifica Larticolo 13 comma 2 stabilisce che per i beni di cui allarticolo 10, comma 2, la dichiarazione non è richiesta: tali beni rimangono sottoposti a tutela anche qualora i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica. Per questi beni è interdetta qualsiasi verifica dellinteresse culturale, con la conseguenza che essi non possono essere sdemanializzati in alcun modo. Si tratta di beni culturali tout court, da considerarsi tali a prescindere da verifiche. Come già specificato, i suddetti beni sono costituiti da: le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle Regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonch é di ogni altro ente ed istituto pubblico; gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; le raccolte librarie delle bilbioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico. 12. Laccertamento dellinteresse culturale dei beni privati (art. 13) Il Testo unico aveva introdotto una significativa novità: la razionalizzazione della scansione procedimentale il cui schema era finora opera dellinterpretazione e della prassi. Era stata tradotta in norma positiva lindicazione a suo tempo fatta con la Dichiarazione IV della Commissione Franceschini (1967), dedicata alla dichiarazione di bene culturale(la qualità di bene culturale è accertata mediante dichiarazione), che a sua volta era stata ripresa dallart. 2 dello schema di disegno di legge Papaldo del 1970 (21). La eccessiva sinteticità lessicale della legge del 1939... è stata poi aggravata dalla combinazione con la legge del 1990 sul procedimento amministrativo ...La mancanza di procedimentalizzazione era ravvisata nellassenza di acquisizioni di interessi diversi da quello della tutela culturale: quale espressione di una discreziona- (21) M. FILIPPI, Il procedimento di dichiarazione di bene culturale, in Il Testo unico sui beni culturali e ambientali, a cura di G.Caia, Milano, 2000, 21. 346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO lità tecnica anziché amministrativa, il provvedimento di vincolo non consentiva in via di principio una ponderazione di questo interesse con altri interessi, pubblici o privati, con esso concorrenti o confliggenti (22). Ed invero, la giurisprudenza, sin dallavvento della legge 241 del 1990, era intervenuta a sancire lapplicabilità dei principi generali della suddetta legge anche ai procedimenti impositivi di vincoli. Ad esempio, si era statuito che la mancanza di titolari privati del bene cui effettuare la notifica di cui allart. 3 non esclude che essa sia compiuta da quelle amministrazioni titolari di potestà sul bene stesso, secondo una applicazione delle disposizioni della legge n. 1089 del 1939 aggiornata in funzione delle concomitanti disposizioni della legge n. 241 del 1990 (23). Peraltro, il principio di nominatività e di tipicità del provvedimento amministrativo esige che ad ogni interesse pubblico vada correlato uno specifico potere in capo allamministrazione in modo da determinare, in esito al procedimento, un giudizio di coerenza tra potere esercitato e risultato concretamente perseguito (24). La giurisprudenza, inoltre, ritiene che il bene debba presentare unattitudine naturale e strutturale ad esprimere un interesse culturale (25). Ciò pone la necessità che la valutazione discrezionale ricognitiva del suddetto interesse sia esplicitata mediante un atto amministrativo tipico che segnali alla comunità la volontà pubblica di tutela. Linteresse culturale, dunque, non viene creato dal provvedimento: questo si limita a riconoscerlo ed ha efficacia dichiarativa e non costitutiva (26). La costituzione di un vincolo indiretto presuppone la previa adozione di un vincolo sul bene oggetto della tutela principale, mediante formale dichiarazione dellinteresse culturale, anche qualora lo stesso, non rientrante in una delle tipologie nominate dallart. 1 legge 1 giugno 1939 n. 1089, ma nella (22) M. FILIPPI, Il procedimento..., op. cit., 25. Ed infatti cfr. Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2001, n.42291, in Cass. Pen., 2002, 3857: Ai fini della configurabilità del reato di impossessamento di beni archeologici o artistici, già previsto dallart. 67 legge 1 giugno 1939, n. 1089 ed ora sanzionato dallart. 125 D.L. 29 ottobre 1999, n. 490, non è necessaria una indagine tecnico-peritale per laccertamento dellinteresse culturale del bene che può risultare sulla base di quanto accertato e dichiarato dai competenti organi della P.A.. (23) Cons. Stato, Sez.VI, 2 novembre 1998, n.1479, in Riv. Giur. Edil., 1999, I, 323 e in Giust. Civ., 1999, I, 2223. (24) Si è, ad esempio, ritenuto illegittimo per violazione dei principi di nominatività e di tipicit à, il provvedimento di variante urbanistica adottato non già al fine di consentire la realizzazione di unopera pubblica bensì per la finalità di tutelare un immobile di interesse storico artistico, ai sensi della l. 1 giugno 1939 n. 1089, in quanto alla realizzazione di siffatto fine di salvaguardia dimmobile vincolato, ai sensi della l. 1 giugno 1939 n. 1089, che versi in gravi condizioni di degrado per la colpevole inerzia del proprietario, sono preordinati altri strumenti giuridici ed in particolare i poteri espropriativi conferiti al Ministero per i beni e le attività culturali dagli art. 54 e 55 legge 1 giugno 1939 n. 1089 proprio in relazione allesigenza di conservazione del patrimonio culturale nazionale, in Cons. Stato, Sez.IV, 1 febbraio 2000, n.530, in Foro Amm., 2000, 369. (25) Cons. Stato, Sez.VI, 2 novembre 1998, n.1479, in Riv. Giur. Edil., 1999, I, 323, in Giust. Civ., 1999, I, 2223 e in Dir. e Giur. Agr., 1999, 316. (26) Corte cost. 26 aprile 1971, n. 79, in Foro It., 1971, I, 1, 1164; 20 febbraio 197 n. 9 in Foro It. 1973, I, 971; 4 luglio 1974 n. 202, in Foro It. 1974, I, 2245. DOTTRINA 347 categoria aperta delle cose aventi riferimento con la storia della cultura di cui allart. 2, sia di proprietà pubblica e già assoggettato a regime demaniale (27). È illegittimo il provvedimento del Ministero dei beni culturali impositivo del vincolo di cui allart. 1 legge 1 giugno 1939 n. 1089 allorquando questo si riferisca soltanto formalmente ai locali, ma nella sostanza sia diretto piuttosto a valorizzare la testimonianza delle attività culturali svoltesi nei locali in questione. Infatti, allorquando limmobile e i mobili costituenti larredamento e le attrezzature dellesercizio commerciale non presentino interesse artistico autonomo, e tale da giustificare il vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939 (art. 1 e 5), la protezione della destinazione del bene stesso si deve fondare, ai sensi dellart. 2, sulla dimostrazione del valore culturale del bene protetto in relazione agli accadimenti della storia, della civiltà, della cultura e del costume, aventi rilievo storico-culturale (28). In sede di imposizione dei vincoli su beni di interesse storico e artistico ai sensi degli art. 1, 2 e 3 legge 1 giugno 1939 n. 1089, lAmministrazione è tenuta a valutare gli interessi secondari coinvolti, compresi quelli privati, il cui sacrificio va commisurato in relazione allintensità di tutela del bene culturale obiettivamente presente (29). Come già detto, il procedimento di accertamento dellinteresse culturale può essere di due tipi, a seconda dei soggetti pubblici o privati cui i beni appartengono: il procedimento di verifica dellinteresse culturale sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero e procedimento di dichiarazione sulla base della identificazione e valutazione. 13. Il procedimento di dichiarazione dellinteresse culturale particolarmente importante o eccezionale (13) Il procedimento di dichiarazione dellinteresse culturale di beni appartenenti a privati sulla base della identificazione e valutazione, è strutturato in maniera diversa da quello che verifica linteresse culturale dei beni pubblici. Einfatti avviato dufficio dal soprintendente, oppure su richiesta motivata della regione o di ogni altro ente territoriale interessato (art. 14). Il soprintendente fissa il termine per la conclusione del procedimento ai sensi dellart. 2, comma 2, della legge 241 del 1990 (art. 14, comma 4). Il procedimento, qualora la verifica sia positiva, si conclude con il provvedimento di dichiarazione dellinteresse culturale, adottato dal Ministro (art. 14, comma 6). Nella parte dispositiva del provvedimento il Ministero dichiara il particolare tipo di interesse che ha ritenuto di ravvisare nel bene e una compiuta descrizione idonea alla trascrizione nei registri immobiliari secondo gli artt. 2643 ss. (27) Cons. Stato, Sez.VI, 2 novembre 1998, n.1479, in Foro It., 1999, III, 174, in Dir. e Giur. Agr., 1999, 447 e in Giur. It., 1999, 1752. (28) T.A.R. (Ord.) Campania Napoli, 21 aprile 1999, in Urbanistica e appalti, 2000, 187, con nota di Tarasco. (29) Cons. Stato, Sez.VI, 2 settembre 1998, n.1179, in Cons. Stato, 1998, I, 1311. 348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 14. La comunicazione dellavvio del procedimento ex art. 14 Lart. 14 comma 1 prevede lobbligo in capo al soprintendente di comunicare lavvio del procedimento di dichiarazione dellinteresse culturale al proprietario, al possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto. Se il procedimento riguarda complessi immobiliari, la comunicazione è inviata anche al comune o alla città metropolitana. Il comma 2 indica anche il contenuto della comunicazione: questultima deve contenere innanzi tutto gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini. Inoltre contiene il termine, non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni, al fine di garantire il contraddittorio procedimentale. Infine, la comunicazione deve contenere lindicazione degli effetti che scaturiscono dal comma 4, ossia lapplicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II, dalla sezione I del Capo III e dalla sezione I del capo IV del titolo I. I suddetti effetti cessano alla scadenza del termine del procedimento di dichiarazione, che il Ministero stabilisce a norma dellarticolo 2, comma 2 della legge n. 241 del 1990. Se lamministrazione non provvede a fissare un termine, si applica il comma 3 il quale stabilisce che il termine è di trenta giorni. Lobbligo di dare comunicazione dellavvio del procedimento ex art. 7 legge n. 241 del 1990 si applica anche ai procedimenti impositivi dei vincoli storico artistici diretti ed indiretti. La necessità e lutilità dellapporto partecipativo del privato, in chiave difensiva e collaborativa, sono resi evidenti dal carattere sacrificativo della determinazione vincolistica e dalla significativa componente di discrezionalità tecnica che connota lazione della P.A. in sede di verifica del pregio culturale del bene (30). Lart. 14 prevede espressamente lobbligo di comunicazione in capo alla soprintendenza. Lavvenuta comunicazione consente al Ministero di adottare le misure cautelari previste dagli artt. 20-44 (Protezione e conservazione) e lart. 69 per quanto riguarda la circolazione in ambito nazionale. 15. La notificazione e trascrizione dellatto finale Il provvedimento contenente la dichiarazione dellinteresse culturale di cui allart. 13, è notificata al proprietario, possessore, o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto. La notifica viene effettuata tramite messo comunale o a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento. Qualora si tratti di cose soggette a pubblicità immobiliare o mobiliare, il provvedimento viene trascritto nei relativi registri. La richiesta di trascrizione è inoltrata dal soprintendente. (30) Cons. Stato, Sez.VI, 3 gennaio 2000, n.29, in Urbanistica e appalti, 2000, 161, nota di Sempreviva. DOTTRINA 349 La trascrizione ha luogo secondo le disposizioni contenute negli articoli da 2643 a 2696 e ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo. 16. La motivazione del provvedimento impositivo e il sindacato del giudice sullattività tecnico discrezionale dellamministrazione. Il confine tra eccesso di potere e vizio di merito La motivazione del provvedimento impositivo del vincolo deve evidenziare il tipo di interesse che giustifica il provvedimento, ossia lespressione di un giudizio tecnico-discrezionale. È inoltre fondamentale che venga fornita la descrizione del bene, della sua rarità o eccezionalità. Lespressione interesse culturale, già presente nel T.U del 1999, fornisce il criterio per lindividuazione della motivazione, anche se limposizione del vincolo è frutto di una attività tecnico-discrezionale dellamministrazione, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della congruit à e logicità, per travisamento dei fatti o per manifesta illogicità. Le valutazioni di merito sono inammissibili e il giudice amministrativo non ha la facoltà di sostituirsi a quelle fatte dal ministero (31). Il discrimine nella pratica non è tuttavia agevole, anche perché investe la delicata distinzione tra eccesso di potere e vizio di merito. Il legislatore, infatti, qualora intenda conferire al giudice poteri estesi al merito lo dice chiaramente, come è avvenuto nellart. 16, comma 1 del codice, ora ritoccato dal D.L. 156 del 2006, in cui si prevede che «avverso il provvedimento conclusivo della verifica di cui allart. 12 o la dichiarazione di cui allart. 13 (dichiarazione dellinteresse culturale) è ammesso ricorso al Ministero, per motivi di legittimità e di merito, entro trenta giorni dalla notifica della dichiarazione». Quanto poi allinvasione della sfera di discrezionalità tecnica della P.A., è sufficiente qui riportarsi a quanto di recente osservato dal Consiglio di Stato: il giudizio tecnico cui è chiamata la Commissione giudicatrice sfugge, in base a costante giurisprudenza, al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità, laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere (32). Giova in particolare osservare che il potenziamento dei mezzi istruttori utilizzabili dal giudice amministrativo ai fini del sindacato sulle valutazioni di stampo tecnico-specialistico, sancito dallinnesto della consulenza tecnica ai sensi dellart.16 legge 205/2000, consente certo il pieno e diretto accertamento dei fatti presi in esame dallamministrazione, ma non la sostituzione del giudice amministrativo, per il tramite del consulente tecnico, ai giudizi di tipo tecnico formulati dallAmministrazione. (31) A. MANSI, La tutela op. cit., 97 ss. (32) Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 2002 n. 6004; Cons Stato, Sez. VI, 23 aprile 2002 n. 2199. 350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il controllo del giudice amministrativo sul giudizio tecnico dellorgano amministrativo è rimasto un controllo debole, nel rammentato senso dellinammissibilità di una logica sostitutiva che consenta al giudice di sostituire la sua opinione allopinione, non condivisa, ma non risultante erronea, della P.A. (33). In base a tali considerazioni, la consulenza tecnica dufficio potrebbe determinare che i quesiti proposti non mirano ad accertare lerronea applicazione dei criteri tecnici ma, piuttosto, a fondare in via di fatto i presupposti su cui poi arbitrariamente proporre una logica di valutazione sostitutiva di quella adottata dallAmministrazione. La problematica, peraltro, era già stata affrontata da tempo, allindomani della sentenza della Corte costituzionale del 23 aprile 1987 n. 352, che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimi, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., gli art. 44, co. 1 R.D. 1924 n. 1054, 26 R.D. 642 del 1907, 7 comma 1, legge 1034 del 1971, in merito ai limiti dei mezzi istruttori del giudice amministrativo nelle controversie di pubblico impiego. Si erano, infatti, mostrate perplessità e timori circa il rispetto della discrezionalità amministrativa. 17. La formazione di una nuova mentalità del privato: onlus, fondazioni e trust. Il punto di equilibrio tra proprietà pubblica e privata. Il codice è caratterizzato anche da un favor nei confronti dellattività e delliniziativa privata. I proprietari delle cose darte devono essere ritenuti i protagonisti principali dellattività di tutela dei beni che gli appartengono. La nuova normativa ridisegna i rapporti tra Beni culturali e cittadino, valorizzando laspetto concernente i servizi e le opportunità offerte dal privato. I privati possono partecipare alla valorizzazione del patrimonio culturale pubblico, ricavandone i benefici, fiscali ed economici (art. 111, comma 2). (33) Cons. Stato Sez. IV, 4 novembre 2002 n. 6004; Cons Stato, Sez. VI, 23 aprile 2002 n. 2199. Cons. Stato, Sez.VI, 5 dicembre 2002, n.6652, in Foro Amm. CDS, 2002, 3242. Il potere di annullamento del nullaosta paesaggistico attribuito al Ministero per i beni culturali dallart. 82 d.P.R. n. 616 non comporta un riesame complessivo delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dalla Regione, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio del titolo autorizzativo, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità che peraltro può riguardare tutti i possibili vizi delleccesso di potere. Nellambito dei poteri di governo dei vincoli paesaggistici il merito, che non può essere oggetto di sostituzione, è un giudizio estetico di natura tecnico-discrezionale, demandato alle regioni ed agli altri enti sub-regionali. Ciò, tuttavia, non comporta alcuna insindacabilità delle valutazioni operate dalle autorità locali, essendo lannullamento per vizi di legittimità comprensivo di tutti i profili delleccesso di potere; non vè dubbio, poi, sulla circostanza della riconduzione allarea della legittimità del vizio domessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante o dellinsufficienza della motivazione, Cons. Stato, Sez.VI, 6 settembre 2002, n.4561, in Foro Amm. CDS, 2002, f. 9. In sede di pianificazione urbanistica, le scelte dellAmministrazione concernenti la destinazione di singole zone costituiscono apprezzamento di merito e per ciò sono sottratte al sindacato di legittimità, salvo che la nuova destinazione sia inficiata da errori di fatto o vizi di illogicità e contraddittorietà, Cons. Stato, Sez.IV, 9 luglio 2002, n.3817, in Foro Amm. CDS, 2002, f. 7. DOTTRINA 351 I privati proprietari hanno, ad esempio, la possibilità di attivarsi per primi nellopera di manutenzione e di restauro dei beni, senza attendere inviti e sollecitazioni del Ministero. Liniziativa può essere premiata sia con il contributo statale alle spese sostenute per tutti gli interventi di conservazione, sia con lammissione delle spese sostenute (salve quelle coperte dal contributo statale) agli sgravi fiscali previsti dalla normativa in materia (art. 15 D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344). Lart. 113 prevede, inoltre, limpegno dellAmministrazione al fine di favorire e sostenere liniziativa privata in materia di valorizzazione del patrimonio culturale, anche privato. Il privato proprietario puo, inoltre, cedere qualunque bene culturale di proprietà privata in prestito duso (comodato) a strutture museali statali. In tal modo si attribuisce al Ministero la possibilità di offrire il bene alla fruizione pubblica, sollevando il privato per almeno cinque anni, rinnovabili tacitamente, da ogni onere di custodia e restauro del bene, che è ancora coperto da assicurazione a carico del Ministero. Il patrimonio culturale assume in tal modo una notevole funzione civile, laddove il concetto di patrimonio culturale evoca un significato complesso, come insieme di beni appartenenti non solo allo Stato ma anche al privato, anche se nello stesso tempo si pone allopposto di ogni individualismo proprietario, esprimendo invece valori collettivi e interesse pubblico (34). 18. La mutevole nozione di bene culturale e i suoi rapporti con la valorizzazione. Lesigenza di una nozione elastica. La nozione di bene culturale, dunque, è mutata: per essere funzionale deve presentare un carattere aperto, in modo che si possa adattare alle mutevoli esigenze e concezioni della storiografia, dellevoluzione della società culturale, dellinternazionalismo culturale. Ad esempio, non sarebbe più accettabile una nozione di bene culturale così ristretta da non consentire la fruizione di un bene collettivo a chi, in futuro, si porrà domande diverse da quelle che ci poniamo oggi (35). Si corre, infatti, il rischio di distruggere testimonianze oggi percepite come cose e che domani potrebbero essere concepite come beni culturali. Tale aspetto non è considerato dalla legislazione del 1939 e da quella successiva, perché la testimonianza avente valore di civiltà non contempla le potenzialit à di utilizzazione del bene culturale (36). Tuttavia, alla legge n. 1089 è (34) S. SETTIS, Italia...op. cit.: È a questa concezione, che implica una forte e mirata azione dello Stato, che dobbiamo se Siena è ancora, riconoscibilmente, una città medievale, se a Venezia non ci sono grattacieli, se la Torre di Pisa (che non appartiene allo Stato) non è stata abbandonata al suo destino ma curata e raddrizzata a spese dello Stato in modo da assicurarle ancora secoli e secoli di vita. I provvedimenti a favore della torre di Pisa risalgono al 1969 (13 ottobre 1969, n. 750), e sono proseguiti negli anni successivi (legge 3 febbraio 1982 n. 29; D.M. 1 dicembre 1989 rispettivamente per le opere di consolidamento della Torre e per linterdizione dellaccesso del pubblico). (35) S. CASSESE, Problemi attuali..., op. cit., 64. (36) S. CASSESE, Problemi attuali..., op. cit., 64. 352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO stata riconosciuta una notevole capacità espansiva e di adeguamento, determinata anche dallinsindacabilità giurisdizionale delle valutazioni tecniche espresse dallamministrazione circa il valore culturale dei beni da sottoporre a tutela (37). Lart. 1, infatti, contiene un riferimento di per sé elastico ed adattabile ai mutamenti della sensibilità e del gusto, allinteresse storico, artistico ecc., tale da rendere il suo contenuto onnicomprensivo (38). Certo, il legislatore del 1939 era fortemente ancorato ad una concezione elitaria della cultura, celebrativa, a tratti, di riferimenti tradizionali spesso connotati da elementi retorici, piuttosto che dalla consapevolezza del patrimonio spirituale e dei valori della civiltà (39). Daltronde, allepoca, il presupposto della tutela del settore culturaleambientale era leccezionalità storica, estetica o patrimoniale del bene che ne diveniva oggetto, in base alla concezione estetizzante che voleva i beni tutelati dotati in egual misura degli attributi del pregio e della rarità. La connotazione determinante della cosa da sottoporre a tutela si individuava in un giudizio di valore estetico che concettualmente si sintetizzava in una nozione strettamente estetico-idealistica (40). Anche a livello internazionale si è assistito ad un sensibile ampliamento del concetto di patrimonio culturale dellumanità, recepito dalle norme della Convenzione UNESCO del 1972: ora è diventato patrimonio culturale ed orale (41). Une delle numerose novità del codice è la disciplina della valorizzazione: il testo unico si occupava esclusivamente di tutela e solo in termini nominalistici trattava della valorizzazione. Cè una incerta linea di demarcazione tra tutela, gestione e valorizzazione del bene culturale e la riforma attuata non è una semplice riforma di struttura (42): è lintervento pubblico che viene innovato. La gestione è ogni attività diretta, mediante lorganizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e di valorizzazione (37) G. COFRANCESCO (a cura di), I beni culturali. Profili di diritto comparato, Roma, 1999, 20 (38) V. CERULLI IRELLI, I beni culturali nellordinamento italiano vigente, in M. P. CHITI (a cura di), Beni culturali e comunità europea, Milano, 1994, 9. (39) G. COGO, I beni culturali e ambientali tra ordinamento e istituzioni, in L. MEZZETTI (a cura di), I beni culturali. Esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamento, Padova, 1995, 31, nota 4. (40) N. GRECO, Stato di cultura e gestione dei beni culturali, Bologna, 1981, 24; M. AINIS, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova, 1991, 83; T. ALIBRANDI e P. G. FERRI, I beni culturali, 24 ss. (41) A titolo esemplificativo si osserva che tra i primi 19 capolavori del patrimonio orale ed immateriale è stata inserita lopera dei pupi, gestita dal Museo delle Marionette di Palermo. Aspirano ed essere ricomprese nella lista anche il centro storico di Ferrara, Siracusa e la necropoli di Pantalica, Noto, il tardo barocco della Sicilia orientale, Taormina e lIsola bella, Mozia e le isole Egadi, Segesta, Selinunte. A livello mondiale si ricordano il centro storico di Tallin in Estonia, la città storica di Trogir in Croazia, i Giardini di Suzhon in Cina, W. CORTESE, I beni culturali e ambientali, Padova, 2002, 87. (42) S. CASSESE, I nuovi beni culturali, in La Repubblica, 3 agosto 1998. DOTTRINA 353 (lett. D dellart. 148). Si tratta di un concetto nuovo che fa riferimento ad attività non previste dal legislatore. La valorizzazione è ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali ed ambientali ed ad incrementarne la fruizione (art. 148, lett. A del vecchio T.U. e art. 6 dellattuale codice). Le attività previste dal legislatore che già nel T.U. allargavano in maniera decisiva gli interventi della pubblica amministrazione sui beni, trovano ora un ulteriore impulso. I beni diventano oggetto di attività di studio e di ricerca e la pubblica fruizione non si traduce più solo nellapertura al pubblico, ma anche in attivit à rivolte a far conoscere alla collettività il significato e il valore loro proprio. I beni culturali diventano attività che richiedono limpiego di risorse umane e materiali e che devono essere gestite in forma organizzata (43). Lart. 6 del codice precisa, infatti, che la valorizzazione comprende anche la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. Ciò risulta anche dalla funzione educativa prevista dalle Convenzioni internazionali per i beni culturali. Il progetto di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico ha come obiettivo quello di abituare gli uffici pubblici al calcolo economico, alla valutazione dei costi, allesame delle entrate, al fine di garantire una più generale efficienza del settore pubblico e per risanare i conti pubblici (44). Lo scopo è quello di avviare una gestione economica del patrimonio immobiliare pubblico, per evitare gli sprechi dei poteri pubblici delle proprie risorse patrimoniali (che consistono in usi abusivi dei beni, facendo pagare canoni irrisori per luso di terreni ed edifici e altri diritti e pagando a loro volta alti canoni per la locazione di uffici, spendendo troppo per la manutenzione di edifici dai quali ricavano troppo poco). I tentativi fatti in questi ultimi quarantanni per rendere più fruttuosa la proprietà pubblica si sono tutti arenati nelle difficoltà conoscitive, resistenze burocratiche, reazioni dei beneficiari dellattuale situazione. Lart. 2 specifica che il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. La nozione di patrimonio esprime il concetto di una aggregazione consolidatasi nel tempo, di una nozione eminentemente storicizzata, che sottende un rapporto di fatto tendenzialmente idoneo a perdurare e a consolidarsi, indipendentemente dai titoli originari di legittimazione (45). (43) A. CATELANI, Definizione e disciplina dei beni culturali nellordinamento vigente, in I beni e le attività culturali, a cura di A.Catelani e S. Cattaneo, 2002, 109, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G.Santaniello. (44) S. CASSESE, La Patrimonio s.p.a., unoccasione da non sprecare, in Il sole 24 ore del 16 maggio 2002. (45) Così T. ALIBRANDI, Beni culturali, I Beni culturali e ambientali, voce Enc. Giur., Roma, 1988, 5: Apparterrà perciò al patrimonio culturale di una Nazione quellopera che, comunque vi sia stata aggregata, abbia poi nel decorso del tempo espresso la influenza culturale entro i confini territoriali della Nazione di aggregazione. Ciò che conta, insomma, è la funzione esplicata in correlazione al luogo e al tempo, nel quale e durante il quale lesplicazione si è realizzata. 354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Emerge, così, anche nei rapporti internazionali e nella recente legislazione codicistica, la prevalenza del momento funzionale rispetto a quello (strumentale) della regolamentazione. Ciò che individua la categoria giuridica del bene culturale è, ora, una considerazione teleologica che consente una reductio ad unitatem altrimenti impossibile (46). La moderna definizione di bene culturale è incentrata sul bene culturale e paesaggistico considerati anche come risorsa. La novità si rinviene nel fatto che nella nozione di bene culturale anche il paesaggio è stato inglobato: i beni culturali non possono essere isolati luno dallaltro né essere staccati dai contesti storici, paesaggistici o naturali in cui si collocano. Limpianto codicistico viene impostato sul concetto di bene culturale, laddove il bene culturale viene protetto per ragioni non solo o non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche: con ciò si sottolinea limportanza dell opera o del bene per la storia delluomo e per il progresso della scienza (47). Sono considerati beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropoligico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà (art. 2, comma 2). Lart. 10 definisce beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropoligico (rispetto al T.U. viene meno il prefisso « demo »). Il bene culturale viene protetto in via primaria dalla stessa Carta fondamentale (art. 9), non soltanto sotto laspetto estetico-culturale, ma anche di risorsa economica. Allinterno del patrimonio culturale nazionale, si inscrivono due tipologie di beni culturali: i beni culturali in senso stretto, coincidenti con le cose dinteresse storico, artistico, archeologico etc., di cui alla legge 1089 del 1939, e quellaltra specie di bene culturale, in senso più ampio, che è costituita dai paesaggi italiani (già regolati dalla legge 1497 del 1939 e dalla legge Galasso del 1985), frutto della millenaria antropizzazione e stratificazione storica del nostro territorio, un unicum nellesperienza europea e mondiale tale da meritare tutto il rilievo e la protezione dovuti. Il codice ribadisce, comunque, anche il tradizionale concetto di bene pubblico come servizio pubblico. (46) Sul punto la dottrina concorda, T. ALIBRANDI, Beni culturali, ...op. cit, 5. Cfr. anche N. GRECO, Stato di cultura e gestione dei beni culturali, Bologna, 1981; A. ANZON, Il regime dei beni culturali nellordinamento vigente e nelle prospettive di riforme, in Ricerca sui beni culturali, a cura della Camera dei Deputati, Roma, 1975, 91 ss.; T. DE MAURO, Qualche premessa teorica alla nozione di cultura e bene culturale, in Il Comune democratico, 1978, 15 ss.; P.GERACI, La tutela del patrimonio dantichità e darte, Napoli, 1956; M. S. GIANNINI, I beni pubblici, Roma, 1963; M. S. GIANNINI, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 20 ss. (47) Cons. Stato, Sez.VI, 4 settembre 2002, n.4429, in Foro Amm. CDS, 2002, f. 9. Cfr. anche Pufendorf, cui si deve, presumibilmente, la prima teorizzazione di cultura come rappresentazione di DOTTRINA 355 19. Le sfide strategiche dei musei. La misurazione dellimmagine Un esempio di bene culturale divenuto vera e propria risorsa, è costituito sicuramente dal museo. I musei, organizzati con collezioni, missioni e obiettivi differenti, negli ultimi tempi si sono trasformati. I musei darte, ad esempio, sono divenute istituzioni aperte al pubblico, anche se più lentamente di quanto non abbiano fatto i musei della scienza o i musei storici. I canoni dellestetica, i requisiti della competenza e del gusto e le restrizioni allentrata avevano concorso a limitare la partecipazione del pubblico, ma attualmente i musei darte si stanno evolvendo nel senso di una maggiore apertura e tolleranza nonché di una accentuata enfasi sullistruzione (48). Anche il museo, nellottica di una ottimizzazione nel senso di risorsa, è stato studiato da un punto di vista dellimmagine a fini di marketing. Limmagine, infatti, può essere definita come la somma delle credenze, delle idee e delle impressioni che le persone si fanno di unentità. Le mostre, permanenti e non, consistono in esposizioni di oggetti per vari fini culturali, scientifici o commerciali: viene accentuato laspetto di strumento di fruizione. I musei utilizzano in misura sempre maggiore vari tipi di ricerche di mercato sotto forma di studi sul visitatore e valutazione delle esposizioni. Le ricerche di marketing sono costituite dal progetto, la raccolta, lanalisi e il rapporto sistematici di dati e risultati per la comprensione del consumatori in merito ad una organizzazione (museale), ai fattori ambientali che la influenzano e ai modi per migliorare la soddisfazione del consumatore nonché ai risultati. Le ricerche di marketing sono diverse da unosservazione semplice e casuale in quanto sono sistematiche, complete e continuamente critiche nei valori spirituali, in quanto hanno acquistato un valore sociale e istituzionale e, quindi, come progresso e come contrapposizione tra lo stato naturale e lo stato della cultura quae vitae humanae ex auxilio, industria et inventis aliorum hominum propria meditatione et ope aut divino monitu accessit, in Speciem controversiarum, cap., in Eris Scandica, Francoforte, 1686. Cfr. anche E. HIRSCH, Der Kulturbegriff, in Deutsche Vierteljahrsschrift, III, 1925, 398-400. Nelluso comune la parola bene significa tutto ciò che può giovare ai bisogni o ai desideri umani, e quindi beni di fortuna oltre che di utile o vantaggio. Per le fonti del diritto romano cfr. ULPIANO, (Dig., L, 16, de verborum significatione, 49), bona ex eo dicuntur, quod beant, hoc est beatos faciunt: beare est prodesse. Il concetto di bene che si ricollega direttamente ai rapporti giuridici patrimoniali ha la base legislativa nellart. 406 c.c.: tutte le cose che possono formare oggetto di proprietà pubblica o privata, sono beni immobili o mobili . In tale definizione si parla di proprietà non secondo il concetto proprio del diritto, ma nel senso largo di appartenenza. Il concetto giuridico di beni viene a risultare dalla coesistenza di un doppio carattere: dellutilità, che è propria dei beni in genere, e dellattitudine, che deve caratterizzare i beni nel campo del diritto, entrambe deputate a formare oggetto di rapporti giuridici. Sono quindi beni nel senso giuridico, che richiamano il concetto economico, le cose utili, o utilizzabili, e suscettibili di essere sottoposte, mediante rapporti giuridici, alla volontà e allazione umana, o appropriabili, in senso lato (voce Bene, in Enc. Italiana, Treccani, 600-601). Cfr. anche A. BERIO, Beni e Cosa, in Dizionario pratico del diritto privato, Milano, I, 505. (48) N. KOTLER, P. KOTLER, Marketing dei musei, Torino, 2004, 23. 356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO confronti del metodi utilizzati. Il processo di ricerca comporta lattento esame della dimensione del campione, degli strumenti della ricerca e delle possibili aree di divulgazione. Poiché le ricerche di marketing sono costose, il primo passo che il management del museo che i ricercatori di marketing devono compiere consiste nel definire i temi di cui la ricerca deve occuparsi e gli obiettivi che i dirigenti hanno in mente. Negli ultimi anni i responsabili del museo e gli staff che vi lavorano hanno sviluppato maggiore sensibilità nei confronti del ruolo del museo come erogatore di esperienze nonchè della posizione che riveste allinterno della comunità (49). È proprio attraverso la valutazione e il miglioramento del propri processi di ricerca che i musei possono trarre i migliori benefici dagli investimenti, talora ingenti, intrapresi. 20. La cultura del bello: gli studi dartista (art. 51) Lart. 51 stabilisce che è vietato modificare la destinazione duso degli studi dartista, nonché rimuoverne il contenuto, costituito da opere, documenti, cimeli e simili, qualora esso, considerato nel suo insieme ed in relazione al contesto in cui è inserito, sia dichiarato di interesse particolarmente importante per il suo valore storico, ai sensi dellart. 13. Il comma 2 fa inoltre espresso divieto di modificare la destinazione duso degli studi dartista rispondenti alla tradizionale tipologia a lucernario e adibiti a tale funzione da almeno ventanni. La tutela degli studi dartista era già presente nella normativa precedente (costituivano già oggetto di una disciplina precisa nel testo unico). Già precedentemente le disposizioni vigenti erano scaturite da un processo congiunto ad opera della dottrina e della giurisprudenza. La legge n. 15 del 1987 allart. 4 bis prevede la tutela degli studi dartista non solo per quanto riguarda il divieto di mutamento della destinazione di uso dopo 20 anni che un artista li ha occupati, ma stabilisce che possono essere vincolati e notificati se contengono opere, cimeli, documenti importanti per la figura dellartista. La conseguenza è la inamovibilità dello studio e delle opere e del divieto di mutamento della destinazione di uso (50). La Corte costituzionale è intervenuta in merito allart. 52 del vecchio testo unico stabilendo che è costitu- (49) Le offerte di un museo sono costituite principalmente da cinque elementi: lambiente del museo, (larchitettura esterna ed interna, la disposizione dello spazio), gli oggetti, le collezioni, le esposizioni, il materiale necessario allinterpretazione (pannelli, testi, cataloghi), i programmi (conferenze, spettacoli), i servizi (predisposizione di luoghi ove sedersi, ristorazione, accoglimento e orientamento del visitatori). G. Donald Adams, direttore del marketing e dei programmi per i visitatori dellAutomotive Hall of Fame di Dearborn, in Michigan, ritiene che visitare un museo non significhi solo ammirare unesposizione. Lesperienza vissuta da chi visita un museo è qualcosa di più ampio, che include luscire di casa, il tragitto al museo, il posteggio, laccoglienza allentrata, la visita vera e propria e il ritorno a casa. Un museo non può controllare ogni momento di questa uscita, ma può ampliare il raggio della propria responsabilità, includendovi i servizi e le diverse esperienze che accompagnano la visita, N. KOTLER, P. KOTLER, Marketing dei musei, Torino, 2004, 223. (50) Si trattava di una disposizione poco conosciuta e applicata: si possono citare gli esempi dello studio di Assen Peikov e Francesco Trombadori a Roma, oppure della sede degli Eroli, tessitori e DOTTRINA 357 zionalmente illegittimo lart. 52 comma 1, D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, nella parte in cui prevede che non sono soggetti a provvedimenti di rilascio gli studi dartista di riconosciuto valore storico e artistico ivi contemplati (51). Si è anche affrontato il problema di individuare le forme migliori per un collezionista o proprietario di opere o artista o mecenate al fine di assicurare il futuro di ciò che con passione e tenacia si è scelto, studiato, apprezzato e valorizzato (52). Vi sono donazioni e lasciti rimasti nei depositi e mai messi a disposizione degli studiosi e appassionati: si rende necessario assicurare che il donatore utilizzi congrue forme giuridiche, come le successioni, le donazioni e altre forme emergenti ispirate al diritto comparato, come le fondazioni e i trust. Lart. 4 bis della legge 15/87 tutela gli studi dartisti non solo quando presentavano la classica tipologia a lucernaio e sono occupati da almeno 20 anni da un artista, con divieto di mutamento di destinazione duso, ma soprattutto quando contengono cimeli, documenti ed opere. In tale ultimo caso sono protetti da un vincolo così penetrante che può arrivare a comportare linamovibilità dello studio e di tutte le testimonianze in esso contenute dallo stabile che li ospita (53). 21. Larcheologia del cinema (art. 10, comma 4, l. e; art. 11, comma 1, l. f). Lart. 10, comma 4, l. e, definisce bene culturale, quando siano di propriet à pubblica o sia intervenuta la dichiarazione prevista dallart. 13, le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere aventi carattere di rarità e pregio Lart. 11, comma 1, l. f include tra i beni culturali, in quanto oggetto di specifiche disposizioni di tutela le fotografie, con relativi negativi e matrirestauratori di arazzi a Roma. La suddetta disposizione poteva riguardare anche la conservazione degli studi e degli archivi degli artisti che rischiano di essere dispersi, costituendo il nucleo di piccoli musei di indubbio interesse (si pensi, alla casa di Giosuè Carducci a Bologna, di Guglielmo Marconi a Sasso Marconi o di Verga a Catania o alla casa di Victor Hugo o allo studio di Delacroix a Parigi o allo studio di Brancusi smontato e ricostruito accanto al Centre Pompidou). Cfr. M. B. MIRRI, La cultura...op. cit., 104. (51) Infatti, a seguito dellinserimento degli studi dartista nelle categorie speciali di beni culturali indicate nellart. 3 del medesimo decreto legislativo, agli stessi sono applicabili particolari e incisive forme di tutela atte a mantenere integro il loro dichiarato valore storico-artistico. In particolare i vincoli di inamovibilità e immutabilità di destinazione del bene, la disciplina censurata risulta lesiva del canone della ragionevolezza, in quanto eccedente la finalità di tutela perseguita, e lesiva del diritto di proprietà del locatore, costretto a subire la protrazione nel tempo, persino in assenza di un corrispettivio, sino a perdere indefinitamente la disponibilità dellimmobile. Corte cost., 4 giugno 2003, n.185, in Foro Amm. CDS, 2003, 1816 e in Corriere Giur., 2003, 954. (52) Così M. B. MIRRI, La cultura del bello, op. cit., 103. (53) Basti pensare allo studio laboratorio degli arazzieri e restauratori Eroli nel centro di Roma, che è stato ritenuto valido dal Consiglio di Stato al termine di una lunga e tormentata vicenda giudiziaria. Non vè dubbio che la protezione che questa tipologia di immobili riceve è principalmente collegata al valore storico e alle caratteristiche materiali (tipologia a lucernario) ed è finalizzata alla salvaguardia della destinazione duso anche in ragione della collocazione, in essi, di documenti che il legislatore dichiara inamovibili. 358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ci, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni, di cui allart. 65. Per i suddetti beni lart. 65 vieta luscita definitiva dal territorio nazionale. Il codice attribuisce, dunque, valore ed importanza anche alla raccolta di rassegne delle scoperte archeologiche documentate con filmati che hanno, poi, in seguito influenzato il cinema di finzione. Dai primi utilizzi del cinema come strumento di documentazione agli inizi del Novecento si arriva a un cinema archeologico di finzione (54). 22. Lesempio dellarcheologia industriale e rurale (art. 10, comma 4, l. l.). Ora anche larcheologia industriale riveste una importanza e una rilevanza un tempo impensabili: basti pensare che il villaggio di Crespi dAdda è stato inserito nella lista del patrimonio mondiale dellUnesco. Sono stati di recente restaurati complessi industriali dei primi del 900 e adibiti a musei o a strutture per rappresentazioni di carattere culturale (ad esempio, il complesso delle Ciminiere di Catania). Si sente anche lesigenza di avvalorare larcheologia rurale: se non è possibile tutelare lattività agricola in sé e per sé, si potrebbe farlo in chiave di attività culturale da conservare. Si è parlato, ad esempio, dellimportanza delle fiere del bestiame e in particolare della fiera delle civette a Crespina, vicino a Pisa, che oggi non si può più tenere per lintervento della Protezione animali che non tollera che si catturino animali protetti: è una tradizione molto antica che si perde (55). Ed ancora: perché non ricorrere al vincolo indiretto per tutti i fabbricati agricoli che circondano ville, masserie e fattorie fortificate, borghi o complessi agricoli edificati anche durante il fascismo?(56). Una risposta può anche venire dallagriturismo, come modo di utilizzare, valorizzare e riusare edifici e terreni agricoli destinati allabbandono (57). Una novità del codice è proprio quella di inserire nellart. 10, comma 4, l. l, per la prima volta tra i beni culturali pubblici, le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze delleconomia rurale tradizionale . Il D.L. 156 del 2006 ha opportunamente sostituito il termine tipologie di architettura rurale con quello più chiaro di architetture rurali. I trulli di Alberobello, ad esempio, sono stati inseriti nella lista del patrimonio mondiale dellUnesco (1996). Larticolo si riferisce allagriturismo, che in questi ultimi anni ha avuto un notevole impulso in Italia. Limportante è, infatti, cercare, nel momento attuale, di conservare le trac- (54) Cfr. D. DI BLASI, Il cinema nellarcheologia, in Gli atti del 2° incontro nazionale di archeologia viva, 1999, 38; M.BECATTINI, Larcheologia nel cinema, in Gli atti del 2° incontro nazionale di archeologia viva, 1999, 38. (55) M. B. MIRRI, La cultura , op. cit. (56) M. B. MIRRI, La cultura..op. cit. (57) In tal senso M. B. MIRRI, La cultura op. cit., che cita F. ALBISINNI, Giudici e Agriturismo, Napoli, 1993. DOTTRINA 359 ce del passato, non perdere la memoria e le tradizioni, altrimenti si rischia la perdita di identità per abbandono delle radici (58). Per questo è importante adottare una nozione elastica di bene culturale, che si possa adattare a qualsiasi evoluzione e mutamento rilevanti ai fini della conservazione per le generazioni future. E, comunque, un dato di fatto che, rispetto allimpostazione generale delle leggi di tutela del 1939, fondata su una concezione centralizzata e staticamente conservativa, il codice modifica lorientamento verso una politica nuova di acquisizione, valorizzazione e incremento del patrimonio artistico e culturale, anche di proprietà privata, oltre che pubblica. 23. Lestensione oggettiva della tutela: pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico o storico (art. 10, comma 4, lett. G) Una novità del codice riguarda le piazze, le vie, le strade e altri spazi urbani aperti di interesse storico od etnoantropoligo. Lart. 10, comma 4, lett. G specifica che tali beni Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera A. Laggiunta permette di inserire, senza dover ricorrere ad attività di interpretazione del sistema normativo vigente, elementi della città originati o dall allargamento di una via, con funzione di nodo nella rete stradale, o da tratti spianati che permettono la comunicazioni tra più luoghi, o da strade urbane, oppure da altre estensioni di luogo variamente limitate. Si tratta di beni che per la loro caratteristica peculiare si identificano in aree e spazi liberi e che presentano svariate funzioni urbanistiche, ricoprendendo importanza architettonica. Non di rado rivestono anche un notevole interesse storico e artistico: in tal caso la nuova norma offre la possibilità di inserirli nel novero dei beni culturali. Costituiscono, pertanto, oggetto di tutela e, qualora appartengano allo Stato o a enti pubblici, si applica il comma 1 dellart. 10. Qualora invece, appartengano a soggetti diversi, rientrano nella categoria dei beni culturali dopo la dichiarazione dellinteresse culturale prevista dallart. 13, ossia a seguito dellaccertamento della sussistenza dellinteresse culturale particolarmente importante richiesto dallart. 10, comma 3 effettuato dalla Soprintendenza e concluso dal Ministero con ladozione del provvedimento finale. 24. Il problema della tutela dellecosistema urbano La norma di cui allart. 10, comma 4, grazie al riferimento agli spazi urbani, alle strade, le vie e le piazze permette di ricomprendere anche linsieme degli elementi architettonici che costituiscono la struttura portante dei centri storici urbani. (58) M. B. MIRRI, La cultura op. cit, 96. 360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Lecosistema da tutelare è anche di tipo urbano: la riqualificazione è effettiva solo se le opere di restauro non si fermano alladeguamento dei singoli edifici. Molti beni artistici, storici, archeologici ed architettonici sono siti entro la cerchia dei centri urbani. Talvolta sono così numerosi, così fitti e così compenetrati luno allaltro e nellinsieme, tanto da poter costituire, essi soli, il centro storico; altre volte sono così numerosi e significativi sicché tutto il centro storico si identifica con loro o si limita a farne da cornice e da completamento; altre volte, anche quando sono più circoscritti di numero, hanno però condizionato la crescita e la vita del centro storico tanto che questo si identifica in quelli. Insomma in tali casi non è concepibile una seria ed efficace tutela delle cose immobili di particolare pregio se non inserita in una tutela complessiva dell insieme; né è concepibile la tutela del tutto senza tener conto delle singole realtà di specifico e peculiare pregio (59). È stato sostenuto che il nuovo codice non contenga in alcun modo definizioni di centro storico o di città darte e che mai lo prenda in considerazione come bene unitario ma opera in qua e in là qualche richiamo a norme che paiono evocare il concetto di un vasto agglomerato pregevole, anche se si riconosce che sarebbe stato arduo fornire una definizione, sia a causa della complessità, sia per la presenza di una normativa, quella urbanistica, che verrebbe a sovrapporsi con quella dei tutela dei beni culturali (60). In realtà norme che possano ricondursi alla tutela dellecosistema urbano è possibile rinvenirle proprio nellart. 10, comma 4, lett. G che si riferisce alle pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico. Per fare un esempio, la città di Matera, scavata nella roccia calcarea, meglio conosciuta come i Sassi di Matera, costituisce un sistema abitativo primordiale abbarbicato lungo i pendii di un profondo vallone dalle caratteristiche naturali singolari: la gravina. Dal 1993 questo complesso trogloditico è stato inserito nella Lista del Patrimonio mondiale dellUnesco, divenendo città simbolo della gestione comunitaria e sostenibile delle risorse (61). (59) A. MANSI, La tutela... , 368. (60) A. MANSI, La tutela..., 368 (61) Grazie al finanziamento di una legge speciale del 1986, i Sassi sono oggetto di un programma di recupero sempre più attento alle necessità di conservazione e vengono nuovamente abitati. Tuttavia la riqualificazione sarà effettiva solo se le operazioni di restauro non si fermano alladeguamento dei singoli edifici. I Sassi, infatti, non sono semplici abitazioni, ma un ecosistema urbano basato sulla raccolta idrica, la lotta allerosione dei pendii, la gestione dellecologia della gravina nonché la lotta contro la desertificazione. Anche Sperlinga, in Sicilia (Enna) presenta caratteristiche peculiari: il castello è composto da ambienti scavati allinterno della rupe e da strutture architettoniche che si dispongono sui fianchi a in cima. Labitato più antico fu ricavato sulle pendici della rupe con numerosi ambienti scavati: si può ipotizzare unarea di arroccamento delle popolazioni locali sviluppatasi intorno al IX secolo d.C., in parte sfruttando antiche necropoli pre e protostoriche, anche a fini di difesa. Sono più di 600 i siti inseriti dallUnesco nel Patrimonio mondiale dellumanità, a partire dal 1972. Tra questi i beni culturali o naturali italiani sono più di trenta. DOTTRINA 361 Nel 1998 anche il centro storico di Urbino e il Parco del Cilento sono entrati nellelenco dellUnesco (62). La tutela dei vecchi centri abitati non implica che sia preclusa la costruzione di nuovi centri abitati in zone limitrofe: limportante è salvaguardare larmonioso contesto in cui si collocano. Ad esempio il centro direzionale di Bologna Nord (Fiera District) eretto nei primi anni 80 e progettato dallarch. Giapponese Kenzo Tange, è pienamente integrato nel tessuto cittadino, in quanto dista solo 1000 metri dalle mura medievali, in unarea che alterna spazi di verde a complessi urbani segnalati per la rilevante qualificazione delle caratteristiche architettoniche (63). In Francia, il restauro urbano nel suo complesso è stato oggetto di interventi specifici (circolari n. 77-83 del 1 giugno 1977, n. 80-89 del 10 luglio 1980), che hanno avuto lobiettivo di promuovere il miglioramento de lhabitat ancien attraverso una nuova procedura di intervento più semplice con un campo di applicazione più ampio denominata opérations programmées dam élioration de lhabitat, che sostituisce la vecchia opérations groupées de restauration immobiliére légères dinitiative publique. Da ultimo si osserva come anche il sottosuolo del centri urbani necessiti di essere considerato alla stregua di un documento storico. Esso conserva stratificata la memoria delle innumerevoli trasformazioni fisiche e antropiche che ne hanno nel tempo condizionato lassetto apparente. La possibilità di garantirne la tutela appare oggi principalmente affidata ad un processo di pianificazione (64). 25. Collezionare il presente. Larchitettura contemporanea. Lesempio delle sale cinematografiche e degli strumenti musicali. Le opere di architettura contemporanea sono tenute in debita considerazione dal codice (artt. 11 e 51) (65). Lart. 37, comma 4 prevede la possibilità per lo Stato di erogare i contributi per la conservazione dei beni culturali anche in relazione alle opere di architettura contemporanea cui il soprintendente abbia riconosciuto, su richiesta del proprietario, il particolare valore artistico. Il D.L. 156 del 2006 ha soppresso il termine immobilidopo beni culturali , con ciò facendo venir meno la limitazione in ordine al tipo di bene. (62) La vita nelle città, che probabilmente ha avuto origine nelle valli del Tigri e dellEufrate almeno 6000 anni fa, è una delle più vecchie invenzioni del mondo. Gli abitanti delle città producono più sapere e più arte e godono di sufficiente benessere per dedicarsi allesplorazione di ciò che è ancora ignoto. (63) M. PORTA, Teconologia e design, in Larchitettura cronache e storia, 1983, n. 2, 149 ss. Cfr. sul punto anche F. PECCI, Reportage da Bologna: il Fiera District di Kenzo Tange, la storia di un nuovo centro direzionale, in Larchitettura cronache e storia, 1983, n. 2, 150 ss: larchitetto giapponese... è riuscito ad immedesimarsi nella vita e nellarte della città di Bologna; gli abbiamo affidato un compito affascinante: sviluppare in termini moderni una delle più belle città medievali del mondo. (64) M. MARINI CALVANI, Il sottosuolo del centri storici: quale futuro? Atti della giornata di studio (Forlì 22 giungo 2000) in Quaderni di Restauro. (65) Mario Luzi in una prefazione a Spender: il contemporaneo è colui che partecipa immediatamente alle ragioni del tempo, sposa tutte la cause, si fa coinvolgere in pieno ed accetta le ragioni del 362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO È stato, infatti, affrontato il problema di tutelare le opere contemporanee per salvarle dalla distruzione o dalla trasformazione (66). Unaltra categoria in pericolo è quella delle sale cinematografiche, tipologia relativamente recente e soggetta alle trasformazioni più rapide connesse allevoluzione della tecnologia e al dilagare delle multisale: solo in pochi casi le Soprintendenze sono riuscite ad intervenire e a salvaguardare almeno gli elementi decorativi delle sale, spesso realizzati da famosi artisti ed architetti (67). Grande attenzione è rivolta anche per gli strumenti musicali del nostro tempo appena passato, come le pianole a rulli o particolari strumenti elettrici degli anni 40 (68). A proposito si ricorda la catalogazione e la tutela degli organi antichi ad opera del bolognese Luigi F. Tagliavini, organista e musicologo docente dell università svizzera di Friburgo. Lo studioso è riuscito a creare nel nostro paese una nuova sensibilità storica in merito alla filologia nel settore organistico: è stato il primo a lottare contro lorgano elettrico in unepoca in cui si ritenevano superati gli organi a trasmissione meccanica ed uno dei fondatori della prima vera Commissione per la tutela degli organi artistici in Italia (69). Lo stesso interesse è dimostrato per le pellicole e i filmati vecchi: lIstituto Luce, ad esempio, raccoglie filmati sulle trasformazioni della città di Roma nel periodo compreso fra il 1919 e il 1945. Si insiste anche sui pericoli della trasformazione delle opere e degli apparati decorativi, che si inseriscono in un contesto o un contenitore ormai storicizzati, con strascichi per quanto riguarda le polemiche sulla sistemazione di Via dei Fori imperiali e dellAra Pacis. Riguardo allarchitettura contemporanea gli Stati uniti hanno da tempo cominciato a valorizzare le opere moderne e a considerarle bene culturale, suo tempo alla stessa stregua di coloro che agiscono...Il moderno sarebbe colui che ha coscienza critica di ciò che è andato perduto, così come di ciò che ci troviamo a vivere, chi possiede la coscienza critica ed anche drammatica della trasformazione che il mondo, che si evolve, comporta. (66) Il prof. G. Muratore dellUniversità di Roma La Sapienza ha portato lesempio dei capannoni realizzati da P.L.Nervi, che stavano per essere smantellati per far posto ad un parcheggio, sottratti allultimo momento dalle ruspe, cfr. sul punto M.B.MIRRI, La cultura...op. cit., 145. (67) Si ricorda il caso del cinema Arlecchino a Roma con decorazioni colorate in ceramica di Leoncillo, aiutato dal giovane Ceroli, chiuso da anni per essere trasformato in un lussuoso residence alle porte di piazza del Popolo. (68) Il dott. Antonio Latanza del Museo degli strumenti musicali a Roma ha illustrato lattività svolta per assicurare allistituzione la chitarra e uno strumento futurista di Balla col relativo disegno, e si è poi rammaricato di non essere riuscito ad evitare la dispersione delle studio del musicista Sgambati, luogo di incontri importanti e ricco di opere, documenti e testimonianze preziose, non solo musicali ma anche culturali, cfr. sul punto le notizie riportate da M. B. MIRRI, La cultura del bello...145. (69) Nellimmediato dopoguerra Tagliavini ricompone un organo demolito, scoperto presso una confraternita soppressa: è linizio della sua prestigiosa collezione di tastiere storiche, di strumenti a fiato e automatici. Egli salva e restaura numerosi esemplari. È fautore della progettazione e costruzione di un nuovo organo per la Chiesa dei Servi a Bologna, nonché del restauro della coppia dorgani di san Petronio, sempre a Bologna. Le notizie sono tratte dallarticolo di M. R. ZEGNA, La ricerca della verità, pubblicato sulla rivista Amadeus, n. 7, 1995, 37 ss. DOTTRINA 363 anche a causa di ragioni storiche e del passato relativamente recente. In particolare viene data molta importanza all architettura sul pacifico (Los Angeles, San Diego, San Francisco): ledilizia residenziale di Richard Neutra (1892-1970), la originale costruzione di F.L.Wright, the Millard House (1920), Gamble House dei fratelli Charles and Henry Greene, costruita tutta in legno senza chiodi a Pasadena, la foresta delle sequoie giganti, The Salk Institute costruito da Kahn nel 1960, famoso istituto di ricerca nella Jolla, località di San Diego, Lombard Street a San Francisco. Così come molta attenzione è rivolta nei confronti degli studi di famosi architetti, come lo Studio Frank Gehry, di Owen Moss a Culver city, vicino a Los Angeles. In Francia, già nel 1961 André Malraux (ministro della cultura del governo gollista) aveva sollevato il problema della protezione dei monumenti moderni e nel 1963 una commissione redige un primo elenco di immobili da tutelare, opera di architetti importanti e testimonianza delluso di mezzi tecnici specifici, come il cemento. Inizialmente gli edifici protetti appartengono allart nouveau, come la sinagoga e la casa dellarchitetto Hector Guimard. Nel 1978 le uscite del métro disegnate dallo stesso Guimard sono considerate elementi importanti del patrimonio di Parigi, soprattutto dopo la rivalutazione effettuata da Salvator Dalì, che ne aveva collocata una nel suo museo-teatro di Figueras. Venti anni più tardi diventa monumento storico una casa chiusa del primo dopoguerra, sita in un quartiere centrale di Parigi, attualmente occupata da un grossista di abbigliamento: vengono vincolati la facciata, il tetto, il salone al pianterreno, latrio e la scala interna (70). La nozione di luogo della memoria diventa dunque criterio selettivo. Riguardo allarchitettura della prima metà del secolo XX il tempo trascorso garantisce un sufficiente distacco per poter apprezzare limportanza delledificio e fino a questo punto la situazione italiana coincide con quella francese, in quanto si rispetta la condizione che lopera di interesse storico o artistico da tutelare sia stata eseguita da almeno 50 anni (disposizione già prevista dallart. 1 della legge 1089 del 1939). 26. Il modernariato o antiquariato del futuro. Diversa è la situazione del dopoguerra, in quanto spesso si tratta di cose di modernariato guardate con diffidenza. Attualmente in Francia (ma anche in Italia) si fa strada la coscienza del valore del patrimonio immobiliare moderno e si è creato un inventario supplementare dei monumenti storici, in cui sino ad ora sono stati inseriti e protetti 1000 monumenti del XX secolo. Stoccolma sta diventando la meta prediletta dei collezionisti di modernariato : il fenomeno, chiamato neominimalismo o neofunzionalismo, attinge al (70) Le notizie sono tratte da M. B. MIRRI, La cultura del bello...op. cit., 113. La stessa sorte tocca al Le café du commerce, in Rue du Commerce a Parigi, originariamente pregiato negozio di stoffe. 364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO patrimonio di forme e virtù della storia del design scandinavo, quello che nel ventennio successivo alla seconda guerra mondiale ha creato centinaia di mobili, oggetti, elementi darredo, e che ora viene rivisitato in chiave contemporanea. Già si parla di antiquariato del futuro a proposito del modernariato scandinavo: il fenomeno nasce negli Stati Uniti, proprio dove nel 1939 a New York, durante la World Fair, fu coniata lespressione Swedish Modern (71). 27. La conservazione dellantico La conservazione dellantico è imprescindibilmente legata al concetto di bene culturale e di patrimonio artistico fin dallantichità e trova le sue radici in tempi remoti. Liniziativa per tutelare i beni culturali spetta allo Stato. Non è prevista liniziativa di altri soggetti e nemmeno dei privati: solo la mera segnalazione, senza alcun obbligo per lamministrazione di rispondere. Questo non sminuisce, tuttavia, il ruolo di estrema rilevanza che il codice ha conferito ai privati, soprattutto in materia di valorizzazione, in quanto il pluralismo di competenze non deve far venir meno il potere dello Stato. Nella tutela possiamo individuare quattro forme di estrinsecazione: la conservazione, la ritenzione, la conservazione nel contesto, laccessibilità e la fruizione delle opere darte da parte della collettività. Gli articoli da 18 a 44 riguardano vigilanza, ispezioni, protezione, conservazione, ritenzione, conservazione nel contesto, accessibilità e fruizione delle opere darte da parte della collettività La tutela pone problemi non indifferenti a causa del conflitto che può sorgere tra luna e laltra modalità o tecnica di tutela. Se tutela vuol dire conservazione nel contesto, può accadere che sorga un conflitto tra lo scopo della preservazione e quello della conservazione nel contesto (72). Si collega alla conservazione tutto ciò che risale ad epoche precedenti, che è connaturato alla evoluzione della civiltà: il rapporto può essere di sopraffazione e cancellazione della testimonianza della cultura precedente (71) Ci si riferisce in particolare alla produzione tra gli anni cinquanta e settanta dei finlandesi Alvar Aalto, Eero Saarinen, Tapio Wirkkala, degli svedesi Bruno Mathsson, dei danesi Hans J.Wegner, Arne Jacobsen, Finn Juhl, Verner Panton. A titolo esemplificativo, il mobile Arabesque, di Folke Jansson, un pezzo raro del 1955, è ora esposto anche al Museo Vitra di Basilea, le lampade danesi anni cinquanta e sessanta, le sedie numero 7 di Jacobsen depoca, la Y-Stole Chair di Wegner e anche qualche pezzo originale Ikea, come la poltroncina in pelle del 1961, sono oggetti ora molto ricercati dai cultori (www.arkitekturmuseet.se, www.svenskform.se, www.modernamuseet.se, www.kulturhuset.stockholm. se, www.stockholmtown.com.). (72) S. CASSESE, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giornale dir. Amm., n. 7/1998. Lautore indica come esempio un totem Kwakiutl: il principio della conservazione nel contesto suggerirebbe di restituire il totem alla tribù a cui appartiene, che lo esporrebbe allaperto. Tuttavia, esposto alle intemperie, il totem alla fine sarebbe distrutto. È bene preservarlo in un museo, così violando il principio della conservazione del bene culturale nel suo contesto. Il problema fu sollevato sin dallOttocento da Byron, quando Lord Elgin portò i marmi del Partenone in Inghilterra; problema sollevato nuovamente, di recente, dal ministro greco della cultura Melina Mercouri, che ha richiesto la restituzione dei marmi del Partenone alla Grecia. DOTTRINA 365 oppure di assimilazione e armonizzazione con la propria (si pensi al rituale del trionfo del vincitore oppure ai rapporti fra Romani, Etruschi e Greci). La situazione italiana, comè noto, è caratterizzata da una estrema ricchezza e da una incredibile varietà, diffusione e stratificazione di testimonianze culturali e ambientali (73). 28. La decontestualizzazione del bene culturale. Il divieto di distacco di beni culturali (art. 50) Lart. 50 vieta il distacco di beni culturali: È vietato, senza lautorizzazione del soprintendente,disporre ed eseguire il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista. Il D.L. 156 del 2006 ha sostituito il termine ornamento con elemento decorativo di edifici, precisando che lornamento si riferisce allelemento decorativo delledificio. Un rilevante problema inerente la conservazione riguarda proprio il contesto del bene culturale. Soprattutto in passato si è registrata la tendenza a decontestualizzare le opere darte con il risultato, poco lusinghiero, di distruggere valori artistici che riguardano le dimensioni, le prospettive e lambiente dellopera darte. Lopera darte è bene culturale in sé e per sé o è bene culturale nel suo contesto? È più importante preservarla e portarla in un museo o conservarla nel luogo in cui lartista aveva voluto che fosse ubicata? (74). Quando Giuseppina Bonaparte chiese ad Antonio Canova di realizzare Le tre Grazie, linglese John Russel ne rimase a tal punto colpito che cercò di avere la statua. Tuttavia, essa era stata commissionata da Giuseppina Bonaparte e Canova non poteva venir meno alla promessa fatta e ne fece fare una copia, con alcune varianti, che ora si trova in Inghilterra. Originariamente, fu collocata a Woburn Abbey, luogo indicato dal Canova stesso; poi, per svariati motivi lopera è stata portata al Victoria and Albert Museum di Londra, dove ancora oggi si può ammirare. Altro esempio si può individuare a proposito dei bronzi di Riace, rinvenuti nelle acque limitrofe alla Calabria e collocate, dopo anni, nel museo di Reggio Calabria, dopo che le statue erano state esposte a Firenze (dove, peraltro, sono state restaurate). Si è discusso del fatto che due capolavori come i Bronzi di Riace, siano conservati in una località di difficile accesso al turismo come Reggio Calabria. Anche in campo culturale la conservazione dei reperti archeologici in prossimità del loro luogo di ritrovamento risponde agli stessi principi di salvaguardia e tutela del bene culturale. Un caso analogo, ma con esiti diversi, è quello, meno noto, delle navi di Nemi. I bellissimi bronzi che arredavano gli interni delle navi, bruciate in seguito a vicende belliche della seconda guerra mondiale, sono oggi conservati presso il Museo Nazionale Romano, (73) M. B. MIRRI, La cultura del bello Le ragioni della tutela, Roma, 2000, 51. (74) S. CASSESE, Problemi attuali...op. cit., 1065. 366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO a Roma appunto. Questa scelta non è stata dettata da considerazioni di natura economica, ma solo del fatto che negli anni cinquanta il tetto del Museo di Nemi lasciava filtrare acqua, costringendo ad un ricovero dei bronzi a Roma. Dovrebbe valere dunque, il principio che, nel rispetto della cultura delle diverse regioni e delle diverse popolazioni, gli oggetti rimangano vicini al luogo in cui sono stati rinvenuti (75). Ci si chiede se la legislazione sui beni culturali si debba occupare anche di questo attualissimo problema di contestualizzazione del bene culturale. È vero, tuttavia, che se lopera darte è in grado di attirare affluenza di pubblico in una zona non particolarmente turistica o ancora economicamente in stato ottimale, dovrebbe prevalere il principio della maggiore fruibilità del bene (76). 29. Lantica idea dell opera darte totale e il museo. La politica delle acquisizioni Nel 1830 con la costruzione del Museo Antico ad opera di C.F. Schinkel di fronte al castello di Berlino su Lustgarten, viene creato il primo nucleo museale pubblico che avrebbe ospitato la collezione di opere antiche. Nella rotonda che accoglie il visitatore sono collocate statue antiche: lidea è quella di edificare una sala costruzione con una funzione analoga a quella del Pantheon di Roma, concependola come luogo di meditazione e riflessione. Lidea dell «opera darte totale» racchiude in sé la concezione di una esposizione in grado di offrire una visione complessiva delle civiltà antiche con quella di unattività didattica e di studio da associare al Museo: viene esaltata la politica delle acquisizioni. Nel 1875 ad Olimpia, nellattuale Grecia, iniziano gli scavi finalizzati proprio allacquisto (o trafugamento) di reperti archeologici per i Musei di Berlino. La concezione, nuova per lepoca, trova la sua consacrazione proprio nel Museo di Pergamo, come la più importante esposizione di opere architettoniche del mondo. Levoluzione dei musei pubblici viene senza dubbio favorita dal Musée Napoléon di Parigi nato dalle guerre napoleoniche e frutto delle gigantesche razzie di opere darte effettuate dal generale francese in Europa. La politica delle acquisizioni registrò un incremento nell800 anche ad opera di Eduard Gerhard a causa dei suoi numerosi soggiorni in Italia, la sua vasta conoscenza dei monumenti e la dimestichezza con il mercato darte italiano (basti pensare ai reperti etruschi come gli acroteri fittili di Cere, i corredi funebri completi delle tombe di Tarquinia, di Malacena e di Poggio Buco). Di contro, lesperienza italiana, di poco succes- (75) P. A. GIANFROTTA, Mediterraneo e dintorni, in 2° Incontro nazionale di archeologia viva, 1999, 28. (76) Un esempio paradigmatico è costituito dal Museum Insel (complesso museale che sorge su un antico isolotto della Sprea a Berlino in cui si trova il Pergamon Museum costruito tra il 1909 e il 1930: in esso sono esposti importanti collezioni o ricostruzioni dellantichità greco-romana (Altes Museum, Lustgarten und Pergamonmuseum, Am Kupergraben Berlin-Mitte, Museum Insel). DOTTRINA 367 siva, registra, invece, una sensibilità differente. Ad esempio, gli scavi di Sabràtha in Tripolitania, importante sito archeologico dellattuale Libia, sono stati, per la parte essenziale, iniziati dagli italiani dopo loccupazione. Vi si trova, ora, una cittadina interamente creata dagli italiani dal 1923 (Sabràtha Vùlpia, cosiddetta in omaggio al conte Volpi) e si può ammirare il teatro (fine II e inizio III sec.d.C.), il monumento più importante, completamente ricostruito dagli archeologi italiani (Guidi, Caputo) con una colossale impresa di restauro voluta, negli anni trenta, dal Governatore della Libia, Italo Balbo (77). I grandiosi scavi di Leptis Magna e della Tripolitania in generale sono stati uno dei meriti maggiori dellarcheologia italiana tra le due guerre: a Leptis Magna è stato restaurato uno dei teatri romani in muratura più antico del mondo. Più recente, invece, il restauro del tempio di Zeus a Cirene (1967), costruito, secondo la testimonianza di Erodoto, già prima del 515 a.C. e definitivamente distrutto da un terremoto nel 365 d.C.: il tempio ha dimensioni notevoli, superiori a quelle del tempio di Zeus ad Olimpia e del Partenone ad Atene. Ancora più recente, ed effettuata stavolta da archeologi e tecnici libici nel 1995, il restauro della necropoli di Ghirza (III-IV d.C.), del centro romano- libyo, che sorge tra le dune desertiche del sud est a 250 km da Tripoli, a cura del Dipartimento delle Antichità della Libia, che ha deciso di sottrarla al suo isolamento e di inserirla nellitinerario archeologico. Ciò dimostra che la sensibilità per le opere darte può essere assimilata anche da quei Paesi in cui, per tradizione, essa era ben poca cosa. Ma il restauro appartiene anche allantichità: basti pensare al Ginnasio pubblico delletà ellenistica del II sec. a.C. denominato Ptolemaeum (dal nome del sovrano Tolomeo), danneggiato gravemente a seguito della rivolta giudaica e restaurato dallimperatore Adriano, come ricorda una iscrizione. Si pensi allepoca rinascimentale: Papa Leone X diede incarico a Raffaello Sanzio, « primo Soprintendente alle antichità », di ricomporre la pianta di Roma antica nellintento di salvare dalla distruzione importanti monumenti le cui pietre venivano spesso utilizzate per farne materiale di costruzione. O allepoca barocca, in cui i monumenti vennero arricchiti con le decorazioni tipiche di quel momento storico, o a quella illuminista, in cui si afferma la concezione del museo come luogo di conservazione, di studio e di ricerca (78). Oggigiorno, dunque, il restauro e la conservazione dei monumenti (77) Per la ricostruzione delle parti mancanti è stata utilizzata la stessa pietra arenaria con cui fu edificato il monumento, ma laltezza dei blocchi usati per il restauro (cm 22.5) è metà di quella dei blocchi originali (cm 45), cosicché sono facilmente distinguibili le parti antiche e le integrazioni moderne della struttura. Nelle parti nascoste del monumento si è fatto largo uso del cemento armato. Vi si può ammirare, anche, la Basilica di Apuleio (440 cc), che prima di diventare Chiesa fu il tribunale in cui, nel 157 d.C., si adunarono i giudici che assolsero Apuleio, il noto scrittore satirico dellAsino doro e famoso oratore di Medaura (Numidia) che, accusato di stregoneria in quanto aveva sposato Emilia Pudentilla, madre del suo amico Pontano, pronunciò con grande efficacia la propria difesa (giunta a noi con il titolo di Apologia). (78) È del 1700 il museo di Vienna, di Dresda, lErmitage a San Pietroburgo, il Louvre derivato dalla raccolta di Francesco I a Fontainebleau, costruito da Luigi XIV, Il British Museum a Londra, del 368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO fanno parte del patrimonio culturale di quasi tutti i paesi, anche quelli del terzo mondo o quelli martoriati da recenti massacri, come il monumentale complesso di Ankor Wat in Cambogia o Luang Prabang in Laos (con dolorose eccezioni come lo scempio operato dai cinesi in Tibet, che ha distrutto quasi tutti i seimila templi e lintera città di Lhasa, lantica capitale in cui è rimasto il Jokhang, il Potala e poco altro, o le antiche statue dei Buddha di Bamyan (III-V secolo d.C.) in Afganistan ad opera del talebani) (79). 30. Linternazionalismo culturale e il ritenzionismo. Il dominio dellarcheologia La legislazione del 1939 fu voluta da uno Stato che dava grande importanza alla nazione e, quindi al nazionalismo. Allepoca, in Europa prevaleva il cosiddetto ritenzionismo, corrente culturale la quale riteneva che lopera darte appartenesse ad una particolare nazione. Si discute, infatti, sulla scia di tale scuola di pensiero, se i marmi di Elgin debbano restare a Londra o tornare ad Atene o se gli oggetti dei furti darte di Napoleone debbano rimanere al Louvre o tornare nei luoghi di origine (80). Si comprende allora perché le prime misure di tutela del patrimonio culturale italiano risalgano agli stati preunitari e siano caratterizzate da una preoccupazione univoca e costante: contrastare la spoliazione dei beni artistici ed archeologici (essenzialmente dipinti e sculture) impedendone, o almeno limitandone, il trasferimento allestero (81). In Lombardia il 13 aprile 1745 fu adottato dal Governatore Lobkowitz un provvedimento contenente il divieto di esportazione di opere darte, mentre nel regno di Napoli Carlo di Borbone emanò il 24 luglio 1755, la prammatica LVII, al fine di salvaguardare dalle predazioni gli scavi di Pompei, Stabia, Ercolano, appena iniziati e già oggetto di 1808, il Prado a Madrid (1809) per iniziativa di N.Bonaparte, il Museo egizio di Torino (voluto da Gregorio XVI nel 1821). Cfr. altre notizie in W. CORTESE, I beni culturali e ambientali, Padova, 2002, 27. (79) Gli stili architettonici sono le parole di un testo nel quale si può leggere lesistenza simultanea di molteplici Lhasa, che oggi affollano per conquistarsi spazio e predominio allinterno della città in evoluzione... stili e prospettive che ..furono creati dai nuovi padroni del Tibet in risposta alle condizioni coloniali. Essi rappresentano il bisogno di manifestare il loro ruolo e i loro intenti, in una costante oscillazione fra lidea di sopprimere il dissenso e quella di essere portatori di civiltà. Sotto questa prospettiva il comportamento della Cina non è molto diverso da quello di altri governanti nei confronti dei paesi occupati. Ciò che invece differenzia la Cina è il suo impegno a favore del brutto...È ben vero che a quel tempo il potere era impoverito ed era guidato da unideologia, quella sovietica, che rifiutava la coscienza artistica, R. BARNETT, Storie narrate dalle strade di Lhasa. La città illeggibile, Torino, 1999, 133 ss. (80) Charles de Montesquieu nel 1728 giungendo a Firenze annotava nel suo diario di viaggio che tra quadri statue e ritratti, dallItalia gli inglesi si portano via tutto, C. DE MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, 1738, trad. a cura di M.Colesanti, Roma-Bari, 1990, 128, cit. da M. AINIS, I Beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo, diritto amministrativo speciale, II, a cura di S.Cassese, Milano, 2003, 1449. Cfr. anche F. HASKELL e N. PENNY, Lantico nella storia del gusto, 1981, trad. a cura di R.Pedio, Torino, 1984, 78 ss. (81) AINIS, I Beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo...op. cit., 1449. DOTTRINA 369 notevoli commerci negli stati europei. A Napoli fu aperto il museo di Capodimonte e nel 1778 fu creato il servizio di tutela monumentale per la Sicilia, con listituzione di due sovrintendenze nella parte orientale e occidentale dellisola e numerose disposizioni particolari a tutela dei ritrovamenti archeologici nel territorio di Noto. E non è un caso se, nel deprimente quadro di tutela dei beni artistici delletà post-rinascimentale, la Toscana abbia goduto di una posizione di assoluta avanguardia rispetto a tutti gli altri Stati italiani. In ciò fu determinante latteggiamento dei Medici, che perseguirono sino alla fine della loro dinastia una politica di conservazione e salvaguardia dei beni artistici locali (82). 31. Gli strumenti della conservazione attiva: prevenzione, manutenzione e restauro. Gli obblighi di facere in capo ai privati Le norme sulla conservazione e le disposizioni riguardanti la tutela indiretta dei beni culturali sono racchiuse in due intere sezioni: le prime, contenute nella sezione II del capo III, riguardano gli obblighi degli enti alla custodia coattiva, le seconde, inserite nella III sezione dello stesso capo, delineano le prescrizioni dettate dal Ministero al commercio nelle aree di valore culturale. Gli articoli da 29 a 44 disciplinano la conservazione del patrimonio culturale attraverso una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro. Il Ministero definisce, anche con il concorso delle Regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti, linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di protezione dei beni culturali. Gli strumenti di conservazione individuati sono la prevenzione, la manutenzione ed il restauro. Le norme affermano una nuova filosofia dellintervento, una nuova logica complessiva di conservazione del bene culturale, non più incentrata sul restauro, ma articolata in una serie di interventi attivi come la prevenzione e la manutenzione (83). Il restauro, pertanto, costituisce un momento eventuale, cui si ricorre sono nel caso in cui non siano efficaci gli strumenti della prevenzione e della manutenzione, in una sorta di successione logico-cronologica da un intervento allaltro, via via più incisivo: prevenzione come (82) Infatti lultima granduchessa di Toscana, Anna Maria, oltre a destinare le raccolte granducali degli Uffizi a funzioni museali, lasciò per testamento (5 aprile 1739) a Firenze le sue opere darte sotto la condizione espressa che non ne sarà nulla trasportato e levato fuori della capitale e dello Stato del granducato Il documento è riportato in L. PARPAGLIOLO, Codice della antichità e degli oggetti darte, I, Roma, Morpurgo, 1932, 306. Ed inoltre, si evidenzia come il declino della centralità del papato determinò la dispersione di numerose collezioni artistiche in Roma e come la straordinaria raccolta darte di Mantova fu ceduta nel 1629 dalla famiglia Gonzaga al re dInghilterra a causa degli ingenti debiti. In proposito si è parlato del più massiccio trasferimento di capolavori mai verificatosi nellantichità, F. HASKELL, La dispersione e la conservazione del patrimonio artistico, in Storia dellArte italiana, X, Torino, 1985, 9. (83) S. MEZZACAPO, Restauro: extrema ratio delle misure conservative, in Guida al dir.n. 4/2004, Dossier, 88. 370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO limitazione delle situazioni di rischio, manutenzione come attività e interventi destinati al controllo delle condizioni (84). 32) Il restauro come extrema ratio Una delle novità rilevanti del codice è rappresentata dalla considerazione del restauro come extrema ratio, cui ricorrere solo nei casi gli altri interventi di tutela siano falliti. La prevenzione consiste nel complesso delle attivit à idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto (comma 2 art. 29). La manutenzione è il complesso delle attivit à idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale e al mantenimento dellintegrità, dellefficienza funzionale e dellidentità del bene e delle sue parti (comma 3 art. 29). Il restauro, invece, è caratterizzato dallintervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate a garantire lintegrità materiale e al recupero del bene, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali (comma 4 art. 29). Il comma 4 ultima parte precisa che, nelle zone dichiarate a rischio sismico, il restauro comprende lintervento di miglioramento strutturale: ciò al fine di meglio preservare lintegrità dei beni culturali dagli eventi calamitosi, anche alla luce delle esperienze passate (alluvione di Firenze, eventi sismici nella Val di Noto, in Umbria ecc.). Lart. 29 delinea la figura del restauratore e ne disciplina la sua formazione. Listituto centrale per il restauro, creato nel 1939 contemporaneamente alla legge n. 1089 esplica funzioni di ricerca scientifica finalizzata agli interventi di preservazione, tutela e restauro dei beni culturali di interesse archeologico e storico artistico e provvede allinsegnamento del restauro ed effettua restauri per interventi di particolare complessit à. AllICR si è affiancata nel 1992 la scuola di restauro presso lOpificio delle pietre dure a Firenze. Già nel 1895 lOpificio delle pietre dure a Firenze era regolato da legge per continuare a svolgere opera di restauro di antiche opere di commessi di pietre dure ed altre opere simili. 33. Progettare il passato. Il restauro del restauro. Lesempio della Court dAppel administrative a Parigi. Il dibattito sullopera darte storicizzata e il debatijonage della cattedrale di Catania La materia del restauro non è scevra da discussioni e dal profilarsi di diverse scuole di pensiero. Alexandre Gady, storico dellarte francese, ha criticato il restauro dellHotel de Beauvaus, ora sede della Corte dAppello amministrativa di Parigi, costruita nel 1655 vicino al palazzo reale (ora Place de Vosges). Il palazzo, eretto nel 1655 è stato cambiato, a causa del mutamento della moda, nel 1705: gli attuali restauri gli hanno restituito la volumetria originale del (84) S. MEZZACAPO, Restauro: extrema ratio delle misure...op.cit., 88. DOTTRINA 371 1600, sicuramente meno severa di quella settecentesca, ma tale scelta non è andata esente da critiche ed è stata accusata di creare una pastiche che obbedisce più alla logica della ricostruzione che del restauro. Restaurer un monument, ce nest pas le réparer ou lentretenir, mais le rétabilir dans un état qui peut ne jamais avoir existé. La disputa è sorta in merito allinterpretazione di alcune disposizioni contenute nella Carta internazionale del restauro, detta anche carta Venezia, elaborata dal congresso internazionale degli architetti e tecnici del monumenti, tenutosi a Venezia dal 25 al 31 maggio 1964, e contenente un documento volto a garantire la salvaguardia del bene tenendo conto anche del contesto urbano. In tale documento si delinea una nozione più ampia di monumento storico, comprendente sia la creazione architettonica isolata, sia lambiente urbano e paesaggistico, che costituiscono testimonianza di una civiltà particolare, di unevoluzione significativa o di un avvenimento storico. Se restaurare significa intervenire compiutamente su unopera per prolungarne la vita, letimologia del termine (dal latino monere, ricordare) ricorda la funzione di trasmettere ai posteri la memoria delle epoche passate. In ogni caso, il restauro consiste nellattività diretta a provocare una modificazione fisica della cosa, allo scopo specifico di migliorarne la condizione e di restituirla al suo stato originario (85). Al di là dei delicati problemi scientifici e tecnici che il restauro suscita, è preminente, anche per questo, linteresse pubblico alla conservazione del patrimonio artistico. Lo stesso dibattito si sviluppò a proposito della cattedrale di Catania, edificata dal conte Ruggero negli anni 1078-93: fu rifatta una prima volta nel 1169 e, successivamente dopo il terremoto del 1693 (il prospetto principale è stato realizzato tra il 1733 e il 1761 da G. B. Vaccarini) (86). Il retro, visibile dal cortile dellArcivescovado, mantiene le strutture originarie normanne della costruzione religiosa fortificata, costruita con materiale lavico a grossi blocchi. Negli anni dal 1958 al 1960 larchitetto Raffaele Leone ha riportato alla luce le parti medievali della Cattedrale di S.Agata di Catania obliterate dagli stucchi barocchi, operando un vero e proprio debatijonage (letteralmente: scorticamento) della cattedrale barocca. Allepoca si fece dunque la scelta di non rispettare la riconfigurazione barocca del dopo terremoto e di evidenziare le vestigia appartenenti ad epoche passate. La tendenza si configurava allora come una novità, visto che nei secoli trascorsi la distruzione delle testimonianze del passato si poneva come una regola (il medioevo distrutto dal rinascimento, questo dal barocco ecc.) (87). (85) T. ALIBRANDI e P. FERRI, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, 304. (86) La Chiesa fu edificata sui resti delle terme achilleane, di cui lingresso è visibile sullangolo destro della facciata, che si stendono sotto la chiesa, il seminario e lantistante piazza, areate da grate a terra. (87) Basti leggere i giornali dellepoca a proposito della cattedrale: la facciata, in tutto moderna, riedificata cioè dopo il terremoto del 1693 è a tre ordini: composito, corinzio ed attico... Linterno 372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 34. Il restauro delle opere contemporanee. Lesempio dellex Forno del Pane a Bologna Dalla ricognizione e catalogazione compiuta dalle soprintendenze si è passati al problema più scottante del restauro dellopera contemporanea. I restauratori di opere degli anni 60/70 hanno avuto la fortuna di trovare la collaborazione degli artisti viventi o gli schemi di installazione dellopera, o ancora gli operai che al tempo lavevano montata. Essi sono riusciti ad intervenire in modo efficace, mentre più problematico si presenta lintervento in merito allopera darte concettuale (88). Il problema riguarda la difficoltà di applicare i criteri e i canoni tradizionali che guidano i restauratori nei loro interventi sulle pitture o sculture: si tratta di oggetti di uso comune o industriale, che lartista utilizza in modo originale, attribuendo ad essi una idea o un significato del tutto nuovi. Anzi, nel caso dellarte povera o concettuale, i materiali utilizzati erano destinati dallartista al deperimento o disfacimento naturale e quindi alla loro sostituzione con nuovi materiali (89). Un altro esempio è fornito dallesperienza bolognese in merito allex forno del pane nel comparto Manifattura Tabacchi. Il Comune di Bologna recentemente (2003) ha predisposto un piano di Recupero Urbano dellArea dellEx Manifattura Tabacchi, area di circa 10 ettari situata nel centro cittadino e caratterizzata da decenni di abbandono ma anche da importanti emergenze architettoniche, ricordo di un passato che affonda le sue radici nel secolo XVI. Tale piano prevede, tramite il recupero e la rifunzionalizzazione di edifici ed aree esistenti e linserimento di nuovi interventi edilizi, il recupero delledificio denominato Ex Forno del pane, risalente ai primi decenni del secolo XX, per linsediamento della galleria darte Moderna. Gli della chiesa, di stile baroccheggiante, è scompartito in tre navate...Gli archi grandiosi dellabside, a sesto acuto, stonano col rimanente delledificio: ma son là ad attestare la primitiva purezza di stile dell edificio, cui i terremoti da una parte e gli artisti del seicento e settecento dallaltra come pure fecero della cattedrale di Palermo colla cupola orribilmente stonante. Ora si tende ad accettare lopera darte storicizzata, ossia a mantenerla così comè senza evidenziare le parti di essa appartenenti alle epoche passate. Lo stesso dicasi per la Cattedrale di Nicosia, rifacimento ottocentesco di una piccola chiesa del trecento della quale restano il portale maggiore e il campanile, che presenta il tetto ligneo e nel presbiterio stalli lignei intagliati del secolo XVII. Lo stesso dicasi per il tempio di Minerva ad Ortigia (Siracusa), eretto dai Geomori tra il 596 e 495 a.c. con architettura dorica... Questo capolavoro di architettura fu deturpato, consacrandolo in tempio cristiano da Zosimo, vescovo di Siracusa. Vi fu aggiunto un alto campanile, ma il terremoto del giorno di Pasqua del 110 lo abbatté. Il tempio aveva trentasei colonne...nove se ne possono osservare ancora dal lato sud e dodici al nord, tutte incastonate nel muro della moderna chiesa. Questo tempio è la migliore reliquia non solo ad Ortigia, ma di tutta lantica Siracusa. Lessere stato in gran parte ridotto a cattedrale, lo ha salvato da totale distruzione. (88) M. B. MIRRI, La cultura..., op. cit., 146: è proprio sul recente restauro del Mare di Pino Pascali (30 vasche di acciaio da riempire con acqua colorata) si è scatenata la polemica tra i restauratori della Galleria dArte moderna, che pure hanno cercato di condurre il restauro delle vasche nel modo più corretto e filologico possibile, e gli interventi. Cfr. anche dello stesso autore Per un inquadramento sistematico del restauro, in Annali Università della Tuscia, 1998-1999, n. 4, Viterbo, 2000, 79. (89) Così M. B. MIRRI, La cultura..., 146 ss. DOTTRINA 373 spazi espositivi si sviluppano per circa 1.100 m2 di superficie seguendo la struttura tipologica del salone principale del Forno del Pane. Il piano di recupero intende, dunque, restaurare e recuperare ledificio che, nel 1917 fu costruito come panificio comunale e, successivamente ampliati, nelle attuali forme, nellanno 1929, quale sede fino a metà degli anni 30, dellente autonomo dei consumi di Bologna, istituzione voluta dal sindaco Zanardi negli anni della prima guerra mondiale, a tutela del livello di vita della popolazione bolognese. Il progetto prevede leliminazione di tutte le superfetazioni operate nel corso della vita delledificio, ma riduce al minimo i nuovi interventi di tipo murario onde rispettare loriginale impostazione edilizia delledificio. Il restauro e il risanamento, infatti, tendono a realizzare un ripristino conservativo, finalizzato alla conservazione delle caratteristiche morfologiche e al mantenimento dei materiali originari. 35. La tutela dei beni culturali in stato di degrado o di pessima conservazione: lindipendenza del vincolo rispetto alla conservazione Una ultima importante notazione: lo stato di conservazione delle cose storiche o artistiche e il loro eventuale degrado o fatiscenza non rileva ai fini della imposizione del vincolo (90). Lo scopo delle leggi è stato sempre quello di impedire la distruzione e le perdite nel nostro patrimonio culturale, anche se abbisognano di restauri (91). Esistono numerose sentenze che forniscono una nutrita casistica in merito alla tutela, in ogni caso di manufatti fatiscenti, tutte con la motivazione che lo stato di conservazione non è elemento che possa incidere, in maniera determinante, sulla valutazione particolarmente importante su cui si fonda limposizione del vincolo (92). Ariprova di ciò si segnala la recente vicenda che ha interessato il Fortino della Sparavalle (93). La Soprintendenza per i Beni Ambientali e (90) A. MANSI, La tutela dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2004, 101. (91) Lo stato di degrado non è di ostacolo alla sua sottoposizione a vincolo perché, sopratutto oggi il sistema, tutto allitaliana, è quello di cercare di rimuovere il vincolo, eliminando la cosa vincolata; il che può avvenire sia in maniera dirompente (si pensi agli incendi boschivi) sia come normalmente avviene in maniera subdola, lasciando che il bene completi la propria esistenza, accelerandone la fine, facendo mancare ogni manutenzione, A. MANSI, La tutela... , 102. Cfr. anche L. MARINO, Degrado e dissesto delle strutture architettoniche allo stato di rudere, in F. MANISCALCO, La tutela del beni culturali in Italia, Napoli, 47-56, 2002. (92) T.A.R. Liguria, 15 novembre 1986, n. 594 a proposito dellhotel Savoia a Sanremo. (93) Il fortilizio, eretto nel 1846 per ordine del Duca di Modena Francesco V dAustria DEste nellAppennino reggiano, nei pressi di Cervarezza Terme (Reggio Emilia), è sito su una piccola altura a 985 m, e aveva la funzione di difesa della strada militare del Cerreto lungo il valico appenninico, che era stata edificata pochi anni prima. Le condizioni del Fortino, dal 1960 al 2000, erano notevolmente peggiorate a causa del crollo di ampie parti delle murature perimetrali e linvasione di vegetazione allinterno del manufatto. Nel 1999 i cittadini di Cervarezza, promotori e sottoscrittori di una petizione, denunciavano alla stampa locale lo stato di degrado in cui versava il fortino sollecitando la pubblica amministrazione a farsi carico del problema e ad intervenire concretamente per la tutela. 374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Architettonici dellEmilia tuttavia, già nel 1980 ha inserito il Fortino della Sparavalle di proprietà del Comune, negli elenchi descrittivi prescritti dall art. 4 della legge 1 giugno 1939 n. 1089, per il notevole interesse storico, artistico e ambientale che riveste e la struttura risulta soggetta a tutte le disposizioni relative al vincolo. Nonostante tale importante riconoscimento la roccaforte non era stata restaurata e lo stato di abbandono causava lacerazioni dalla sommità alle fondamenta. Nel 2003 grazie ai finanziamenti del programma APE (Appennino Parco dEuropa) hanno avuto inizio i lavori di restauro conservativo sulla base di un progetto finalizzato alla conservazione dei ruderi della roccaforte esistente e la ricostruzione di una sua leggibilit à attraverso ricostruzioni di brani della muratura supportati da fotografie e documentazione certa. Linaugurazione è avvenuta il 10 aprile 2004, nonostante già da 24 anni il bene fosse vincolato dalla Soprintendenza (94). Gli esempi, naturalmente, sono numerosissimi (95). Ad essi, purtroppo, si aggiungono quelli delle opere restaurate ma distrutte da interventi vandalici (96). Larchitettura italiana degli anni trenta, ispirata da Futurismo e Razionalismo, ora risulta per la gran parte vincolata come bene storico-artistico. In alcuni casi tuttavia, essa versa in stato di degrado. È lipotesi delle c.d. ex colonie che sono state erette lungo gli 80 km di spiaggia tra Cattolica e Marina di Ravenna, in Romagna. Sono ben 246: tre risalgono al 1915, 36 negli anni tra le due guerre, e 207 dopo il 1945 e tutte sono espressione del panorama variegato e complesso che caratterizza la cultura architettonica dellepoca. Ciò che ha consentito di fermare le demolizioni è stato, alla metà degli anni ottanta, il vincolo sullhabitat dunoso del litorale su cui le colonie insistono, cui è seguito il vincolo di bene storico e artistico posto dal piano paesistico regionale su questi edifici (97). Riguardo allarchitettura contemporanea gli Stati uniti hanno, invece, da tempo cominciato a valorizzare le opere moderne e a considerarle bene culturale, anche a causa di ragioni storiche e del passato relativamente recente. (94) Le notizie sono tratte da P.GHINOI, G. L. GALASSI, Il fortino dello Sparavalle, 2004, Reggio Emilia, 10 ss. (95) Si cita come altro esempio, un antico abbeveratoio nei pressi di Catania (Barriera del Bosco) eretto dallallora intendente Manganelli, al quale era stato affidato il progetto della strada dellEtna da Ferdinando di Borbone, per consentire agli equini di rinfrancarsi prima della faticosa salita. La fontana è stata più volte restaurata, ma i tentativi sono rimasti vani ed essa non è che un rudere che non figura neanche tra le mete turistiche della provincia (E. MICCICHÉ N. DI FRANCO LINO, Catania allo specchio, Catania, 1996, 319 ss). (96) Ad esempio il Caffehaus del giardino Bellini eretto a Catania nel 1882, una struttura lignea decorata esempio artigianale dellarte del legno, della terracotta e del ferro: il recente restauro, voluto dallamministrazione comunale è stato violato quasi immediatamente dai vandali (258-259), E. MICHICCHÉ,..op. cit., 258, 259. (97) Le notizie sono tratte dalla rivista Dove, febbraio 2001, dallarticolo Relitti sulle spiagge di M. MULAZZANI, 81 ss. 36. La musealizzazione allaperto come componenente essenziale della conservazione Da ultimo si vuole concludere evidenziando che il concetto di bene culturale si è evoluto a tal punto che anche la presentazione e fruizione dei siti archeologici emerge sempre più come una componenente essenziale del processo di conservazione e gestione delle risorse culturali. Il concetto di musealizzazione allaperto, infatti, si basa sullidea che il sito archeologico non debba essere solo messo in condizione di essere conservato ed aperto al pubblico, ma anche interpretato e gestito in modo da costituire risorsa educativa e di studio. Lidea di parco archeologico (98) è in realtà una sconfitta del concetto di tutela, in quanto mette in evidenza lincapacit à di gestire il territorio in modo globale, ricorrendo alla creazione di riserve culturali. È vero anche che il fatto che un sito o un monumento sia visto in un contesto più vasto al di là dei suoi perimetri fisici è da considerare con favore: offre lopportunità di presentare il sito ed educare il pubblico a temi e argomenti solitamente non trattati, come luso del territorio, il rapporto uomo ambiente nellantichità, il concetto di paesaggio culturale. Si ritorna alla diatriba relativa alla decontestualizzazione del bene: linterpretazione del bene nel sito naturale di origine come parte integrale del processo di gestione del bene culturale e come fattore essenziale alla conservazione. Ciò al fine di sfruttare al meglio le potenzialità del sito ed evitare che il bene da conservare sia condannato ad un benign neglect o addirittura al degrado (99). DOTTRINA 375 (98) In Italia basti pensare al Parco Archeologico minerario di San Silvestro (Livorno) o alle miniere del sale nei pressi di Petralia Soprana e Petralia Sottana in provincia di Palermo. (99) Sul punto cfr. L. MARINO, Dizionario di restauro archeologico, Firenze, 2003, 144. Il superamento del principio societas delinquere non potest nella disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 231 del 2001 di Francesco Vignoli SOMMARIO: 1. Dallincapacità penale alla responsabilità dipendente da reato dellente collettivo: premesse storico-teoriche alla riforma. 2. La controversa natura della responsabilità dellente ex D.Lgs. n. 231/01 fra autonomia e accessorietà al reato presupposto. 3. Gli elementi costitutivi dellillecito dellente: a) dimensione oggettiva; b) colpevolezza: volontà sociale, colpa dorganizzazione. 4. La responsabilità da reato dellente pubblico: difficili equilibri, controverse soluzioni. 1. Dallincapacità penale alla responsabilità dipendente da reato dellente collettivo: premesse storico-teoriche alla riforma Si attribuisce a Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo de Fieschi, professore dellUniversità di Bologna, la paternità del fortunato brocardo societas delinquere non potest, introdotto per evitare che le scomuniche papali colpissero le corporazioni, civili o mercantili, per i fatti commessi dai loro membri. La nota massima, che dunque non appartiene alla cultura giuridica romana, ha costituito uno dei principi primi del nostro diritto penale; un punto fermo, e irretrattabile, fino allapprovazione del D.Lgs. n.231 del 2001 che ha previsto e disciplinato una responsabilità dellente collettivo dipendente da reato. La novella del 2001, nel proporre un organico modello normativo dellillecito dellimpresa, è il frutto di un compromesso fra il superamento dellirresponsabilit à punitiva delle persone giuridiche e la tradizionale concezione del reato come fatto tipico, antigiuridico, colpevole e umano, secondo la più classica delle definizioni. Più precisamente, il provvedimento introdotto è il risultato del bilanciamento fra lormai insopportabile costo sociale dellimmunità penale dellimpresa e lesigenza di rispettare il dettato dellart. 27 della Costituzione, tradizionalmente considerato un ostacolo insormontabile alla capacità al reato delle persone giuridiche. Ne è conseguenza un modello ibrido, quasi contraddittorio, dal momento che lillecito dellente dipende da reato, ma dà origine a una responsabilità, almeno nominalmente, amministrativa. La scelta nominalistica non ha convinto la maggior parte degli studiosi di diritto penale che hanno evidenziato la profonda portata innovativa del decreto legislativo citato non astenendosi dallindividuare espressamente, nella disciplina introdotta, un ampliamento dellambito della responsabilità penale (1). 376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (1) Per tutti PALIERO, Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. gir., 2001, 845, il quale rileva come il sistema di responsabilità definita amministrativa sia in realtà penale a tutti gli effetti. Nellintrodurre un illecito dipendente da reato il legislatore ha superato quelle che erano parse le proposte più rispettose della concezione di un sistema punitivo costruito esclusivamente per luomo, individuate nel ricorso alle misure di sicurezza (2), o nel potenziamento dellart. 197 c.p. (3), proposto come una sorta di espediente per aggirare lostacolo insormontabile dellart. 27 Cost. La norma costituzionale è stata il principale elemento impeditivo allabdicazione del principio societas delinquere non potest (4). Per il vero lattributo personale non sembrerebbe escludere una responsabilità da reato degli enti collettivi e la circostanza che, storicamente, lart. 27 sia stato scritto solo per luomo non risulterebbe, di per sé, preclusiva a un ampliamento della gamma dei soggetti potenziali autori di un reato. Non cè traccia nei lavori preparatori che i Costituenti si fossero posti il problema di una responsabilità penale per un soggetto che non fosse luomo. Ciò, tuttavia, non significa che una mutata esigenza di tutela avverso la criminalit à dimpresa possa indurre a una interpretazione evolutiva della disposizione menzionata. Come è stato efficacemente rilevato, è pacifico che il contesto storico-politico nel quale venne approvata la norma è tuttaffatto diverso. Va inoltre rilevato che, nellintrodurre la norma de qua, il Costituente volle essenzialmente bandire la responsabilità collettiva per rappresaglia, triste retaggio della seconda guerra mondiale (5). Non è stato il, pur valente, contributo dottrinale a indurre il legislatore alla riforma. Sono stati gli impegni di diritto internazionale a determinare lintroduzione del decreto legislativo in esame. Nel contesto della legge 29 settembre 2000, n. 300 sulla tutela penale degli interessi finanziari dellUnione, il Governo viene delegato a emanare una disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica. La legge n. 300 del 2000 recepisce nel nostro ordinamento una pluralità eterogenea di Convenzioni internazionali (6). Nellambito di un provvedimento di armonizzazione legislativa della tutela dei beni giuridici comunita- DOTTRINA 377 (2) BRICOLA, Il costo del principio societas delinquere non potest nellattuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, 951 s. (3) ALESSANDRI, Reati dimpresa e modelli sanzionatori, Milano, 1984, 108 s. LAutore, tuttavia, sembra non riproporre, in un suo più recente scritto (ID., Note penalistiche sulla responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2002, 33 s.), le tesi de lege ferenda proposte nel passato. (4) Si può in questa sede soltanto fare rinvio al dibattito che, in particolare negli anni settanta, ha impegnato la dottrina penalistica nel tentativo di rispondere alla criminalità dimpresa. Cfr. BRICOLA, op. ult. cit., 951 s.; ROMANO, Societas delinquere non potest (nel ricordo di Franco Bricola), in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 1038 s. (5) CARACCIOLI, La responsabilità penale delle persone morali, in AA.VV., Possibilità e limiti di un diritto penale dellUnione europea, a cura di Picotti 179. (6) Si tratta della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee stipulata a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27 settembre 1996, del Protocollo concernente linterpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, stipulato a Bruxelles il 29 novembre 1996, nonché della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono ri agli interessi nazionali, il Governo è delegato a emanare un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 11, legge n. 300 del 2000). La norma citata prevede un ampio catalogo di reati che comprende i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.; i delitti relativi alla tutela dellincolumità pubblica previsti dal titolo VI del libro II del codice penale; le ipotesi di omicidio colposo e lesioni personali colpose commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative alla tutela delligiene e della salute sul lavoro; i reati in materia di tutela ambientale o del territorio. La delega viene esercitata dal Governo solo parzialmente. Il legislatore delegato limita sostanzialmente la responsabilità amministrativa della persona giuridica alla concussione, corruzione, truffa e frodi ai danni dello Stato e della Comunità, i soli reati per i quali lo Stato era vincolato da impegni internazionali a introdurre un sistema punitivo dellimpresa. Viene così a delinearsi unimpalcatura sovradimensionata al cospetto dei pochi illeciti previsti (7). Come è stato notato, la scelta di emanare il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 privo delle fattispecie criminose di maggiore incidenza pratica viene dettata non da preoccupazioni giuridiche, ma da una ragione meno nobile (8) di carattere politico (9). Gli interventi legislativi successivi hanno corretto in senso ampliativo lo scarno catalogo dei reati-presupposto della responsabilità dellente estendendo il principio societas puniri potest a una ulteriore,e in via di progressiva espansione, gamma di illeciti penali che più recentemente ha interessato le fattispecie criminose in materia di abusi di mercato (10). 2. La controversa natura della responsabilità dellente ex D.Lgs. n. 231/01 fra autonomia e accessorietà al reato presupposto Gli impegni internazionali contratti dallItalia pongono il legislatore di fronte a unalternativa: adottare una forma di responsabilità autonoma 378 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dellUnione europea, contratta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997. Per unanalisi del contenuto degli Accordi internazionali che hanno dato origine allattuale disciplina della responsabilità dellente collettivo, si rinvia a LATTANZI, Introduzione a AA.VV., Responsabi-lità degli enti per i reati commessi nel loro interesse, in Cass. pen. Suppl. n. 6/03, Atti del Convegno di Roma 30 novembre-1° dicembre 2001, 2003, 3. (7) PIERGALLINI, op. ult. cit., 1355. (8) PIERGALLINI, Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, in Dir. pen. proc, 2001, 1356. (9) Il Governo si è trovato a dover decidere in un periodo preelettorale e ha ritenuto che il miglior partito fosse quello di esercitare solo parzialmente la delega, LATTANZI, op. ult. cit., 2003,2. (10) A tal proposito si rinvia a PALIERO, Market abuse e legislazione penale: un connubio tormentato, in Corr. mer., 809 s. della persona giuridica oppure optare per un sistema indiretto di stampo francese. Nel modello autonomo si realizza quella anonimizzazione della responsabilità individuale (11) che porta a punire limpresa anche se lautore materiale dellillecito rimane sconosciuto o non è punibile o addirittura non ha commesso il reato perché levento offensivo si è verificato in conseguenza di una pluralità di condotte, riconducibili a individui differenti, che singolarmente considerate non presentano profili di rilevanza penale e soltanto sommate integrano il reato. Nel meccanismo a rimbalzo, invece, allaccertamento in capo alla persona fisica dei requisiti, oggettivo e soggettivo, del reato consegue la responsabilit à dellente. Alla luce delle moderne tendenze evolutive sembra prevalere a livello internazionale una configurazione autonoma della responsabilità dellente (12). Il modello di tipo indiretto pecca di antropomorfismo e sembra risentire delle critiche tradizionali che escludono un coefficiente psicologico in soggetti diversi dalluomo. Lopzione operata dal D.Lgs. n. 231/01 sembra risentire del controverso dibattito sui modelli di responsabilità. Viene, in definitiva, introdotto un sistema di regole che non abbraccia in toto alcuna delle soluzioni teoriche prospettate. Ne emerge un modello ibrido che associa una responsabilità, in via di principio (art. 1 D.Lgs. cit.), dipendente dal reato a una disciplina che, nellipotesi di mancata individuazione del reo, prescinde dalla persona fisica senza rinunciare a punire la societas (art. 8 D.Lgs. cit.). 3. Gli elementi costitutivi dellillecito dellente: a) dimensione oggettiva Il D.Lgs. n. 231/01 fonda una differente responsabilità della persona giuridica a seconda che il reato sia stato commesso da un soggetto che ricopra, anche di fatto, una funzione direttiva ovvero un ruolo subalterno. DOTTRINA 379 (11) VOLK, la responsabilità penale di enti collettivi nellordinamento tedesco, in AA.VV., Societas puniri potest La responsabilità da reato degli enti collettivi, Atti del Convegno organizzato dalla Facoltà di giurisprudenza e dal Dipartimento di diritto comparato e penale dellUniversità di Firenze (15-16 marzo 2002), a cura di Palazzo, Padova, 2003, 201. (12) Il nuovo codice penale francese, entrato in vigore il 1° marzo 1994, ha introdotto la responsabilit à penale delle personnes morales. Il sistema si caratterizza per un modello definito a rimbalzo (par ricochet). Se il reato sussiste, e se il comportamento del colpevole è riconducibile allinsieme delle attività che contraddistinguono la societas, la persona giuridica risponde (cfr. DE MAGLIE, Letica e il mercato La responsabilità penale delle società, Milano, 2002, 187 s.). Tuttavia, per garantire leffettività della riforma, la giurisprudenza di merito non ha esitato a condannare lente, prescindendo dallaccertamento del reato del singolo. Levolutiva tendenza del diritto vivente, confermata dalla dottrina transalpina maggioritaria, non è stata confortata dalla Corte di Cassazione francese che ha ribadito il meccanismo a rimbalzo malgrado anche a livello normativo, con la legge 2000-647 si sia proceduto ad una revisione della responsabilità par ricochet. Sul punto, si rinvia a DE MAGLIE, op. ult. cit., 226; DUCOULOUX FAVARD, Un primo tentativo di comparazione della responsabilità penale delle persone giuridiche francese con la cosiddetta responsabilità amministrativa delle persone giuridiche italiana, in AA.VV., Societas puniri potest La responsabilità da reato degli enti colNel primo caso, la normativa prevede una sorta di inversione dellonus probandi. La pubblica accusa viene dispensata dal dimostrare la responsabilit à dellente, cui grava la dimostrazione della estraneità allillecito dellapice infedele. Se, viceversa, il reato è stato commesso dai dipendenti spetterà allaccusa provare la colpa organizzativa dellente. Si colpisce limpresa per il fatto non solo del suo vertice, ma anche del suo sottoposto, sulla base della considerazione che è compito dellente scegliere con cura non solo i soggetti che rivestono una posizione dirigenziale (13). Per una evidente maggiore incidenza applicativa, occorre soffermarsi sulle posizioni apicali. Nel caso di reato commesso da un suo vertice, lente non risponde se prova, fra laltro, di aver adottato un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire il reato. Lintroduzione dei modelli organizzativi, sulla base dellesperienza americana dei compliance programs (14), segna un punto di svolta nella politica sanzionatoria del legislatore italiano. Il D.Lgs. n. 231/01 recepisce le istanze provenienti dal mondo scientifico che individuavano nelladozione dei compliance programs la strada maestra per risolvere il problema degli illeciti societari (15). Ladozione di un modello organizzativo effettivo può assumere una duplice funzione. Se viene efficacemente attuato prima della commissione del fatto illecito, può avere una portata esimente della responsabilità (art. 6, lett. a). Se, invece, è reso operativo dopo la commissione dellillecito, e prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, presenta unefficacia attenuante della responsabilità (art. 12, II c., lett. b). Può accadere che il reo sia organicamente inserito nellorganizzazione della società rivestendo una funzione di rappresentanza. Tuttavia, non sempre a formali investiture corrispondono reali funzioni. Così la riforma equipara a colui che è formalmente investito della direzione dellazienda il soggetto che, pur non strutturato nellimpresa, esercita de facto un ruolo apicale. Da una attenta lettura della disciplina, limpatto di applicazione concreta del provvedimento esce, tuttavia, ridimensionato. Lart. 5 del D.Lgs. n. 231/01 è, infatti, esplicito nel richiedere in capo al vertice di fatto lesercizio della gestione e del controllo limitando così la responsabilità a colui che di fatto ha esercitato un vero e proprio dominio sullimpresa. La pur parziale equiparazione fra vertici di fatto e apici dellente non trova corrispondenza relativamente ai soggetti in posizione dipendente. 380 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO lettivi, cit., 89 s. Sembra peraltro prevalere, a livello internazionale, una configurazione autonoma della responsabilità dellente. Depone in tal senso lesperienza dei sistemi anglosassoni e, fra gli ordinamenti a tradizione continentale, la normativa dei Paesi Bassi. (13) V. ROSSI, Responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche (profili sostanziali), in Dig. ipertest., Torino, 2003, 8 s. (14) Per unattenta ricognizione sui codici di comportamento nordamericani, anche per i numerosi riferimenti dottrinali, si rinvia a DE MAGLIE, op. ult. cit., 102 s. (15) STELLA, Criminalità dimpresa: nuovi modelli di intervento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 1270 Il meccanismo di attribuzione, sul piano obiettivo, del fatto allente non si fonda sulla figura del reo, e sulla relazione organica che intercorre fra il reo e la persona morale, bensì sul tipo di attività esercitata e, più precisamente, sulla connotazione finalistica della condotta illecita commessa dal colpevole nellinteresse o a vantaggio dellente (art. 5, I c.). Interesse e vantaggio non costituiscono uninutile ridondanza, ma vengono a designare concetti differenti. La distinzione ha il preciso scopo di coprire una più vasta gamma di condotte criminose. Il significato dei due termini, ben lungi dal costituire una tautologia, è indicato dalla stessa Relazione al D.Lgs. n. 231/01. Linteresse viene a presupporre una verifica ex ante, mentre il vantaggio richiede sempre un accertamento a posteriori (16). La duplice previsione presenta un importante impatto pratico, la cui più rilevante conseguenza attiene alla mancata necessità di una realizzazione materiale del beneficio per limpresa dallattività criminosa del reo. b) colpevolezza: volontà sociale, colpa dorganizzazione. Ai fini dellimputazione della responsabilità il legislatore non sostituisce al criterio della riprovevolezza il canone del rischio, che ha natura oggettiva e non soggettiva. Lintroduzione dei modelli organizzativi comprova lopzione interpretativa per una ineludibile dimensione di rimprovero da individuare in capo allente ai fini dellirrogazione giudiziale della sanzione. È la Relazione accompagnatoria al D.Lgs. n. 231/01 ad assumere esplicita posizione nel ritenere superata lantica obiezione legata al presunto sbarramento dellart. 27 Cost. e cioè allimpossibilità di adattare il principio di colpevolezza alla responsabilità degli enti (17). Pare dunque imprescindibile una rimeditazione della categoria della colpevolezza che, priva di legami psicologici, viene a perdere quelle caratteristiche di natura essenzialmente etica che la rendevano adatta alla sola persona fisica. Lesperienza insegna come la colpevolezza non costituisca una categoria immutabile, ma risulti storicamente il frutto di scelte più ampie di politica criminale legate al contesto storico del momento. Non può essere, quindi, aprioristicamente esclusa lindividuazione di quella che può definirsi colpevolezza dellorganizzazione. Non ostano, a tal proposito, studi aziendalistici ormai consolidati tesi a riconoscere nellimpresa unentità autonoma rispetto ai soggetti che ne fanno parte a vario titolo, un organismo vitale capace di esprimere una propria attività, un proprio indirizzo strategico e operativo (18). Lelemento soggettivo, anche nel contesto di una responsabilità dellente, assume una precisa e ineludibile funzione preventiva. DOTTRINA 381 (16) Relazione al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di Gartuti, Padova, 2002, Appendice I, 42. (17) Relazione al D.Lgs. n. 231/01, cit., 435. (18) Per tutti, BASTIA, Imputazioni organizzative e gestionali della responsabilità amministrativa delle aziende, in AA.VV., Societas puniri potest, cit., 35 s. Lesistenza di una volontà dellimpresa trova conferma nella realtà economica del nostro tempo e si manifesta nella vita dellente (nelle sue riunioni, nelle deliberazioni ecc.) (19). Il riferimento a una colpa organizzativa, intesa come difetto di funzionamento dellapparato, non è ignoto al nostro ordinamento. Secondo linsegnamento della storica pronuncia a Sezioni unite n. 500 del 1999, nellipotesi di responsabilità dellAmministrazione da atto illegittimo, il rimprovero mosso allAutorità non è riferibile al singolo funzionario che ha materialmente adottato il provvedimento bensì allapparato. La prospettata dicotomia volontà sociale-colpa di organizzazione pare, tuttavia, non trovare piena realizzazione nella lettera del D.Lgs. n. 231/01. È incontroverso che nel caso di reato-presupposto commesso dal dipendente la societas risponda per una sorta di culpa in vigilando. Appare analogo il rimprovero per limpresa nellipotesi in cui un soggetto in posizione apicale si sia reso responsabile dellillecito. Il legislatore non fa richiamo al principio dellidentificazione, ma concede allente una possibilità di salvezza. La responsabilità del soggetto collettivo si presume, tuttavia la presunzione è vincibile se limpresa dimostra, fra laltro, di avere adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo e se lorganismo di vigilanza alluopo preposto ha adeguatamente vigilato. Il legislatore nazionale offre così una soluzione garantista e originale che, in definitiva, si risolve in unipotesi di colpa dorganizzazione, per omessa vigilanza dei propri vertici, che, in qualche modo, si collega alla dimensione di rimprovero prevista per lente in caso di illecito commesso dal dipendente. Rimane il dilemma di quale delle due ipotesi normativamente previste possa applicarsi nel caso in cui non sia stato identificato il reo, ossia allorquando non si riesca a individuare lautore materiale dellillecito malgrado sia dimostrato in maniera inequivocabile che levento offensivo è, al di là di ogni ragionevole dubbio, per menzionare la fortunata espressione oggi legge, da ricondurre allattività di impresa e a un mal funzionamento dellorganizzazione della stessa. 4. La responsabilità da reato dellente pubblico: difficili equilibri, controverse soluzioni Le ipotesi in cui, con maggior frequenza, può non essere individuato il braccio umano pur nella sussistenza di un evento di reato riguardano i soggetti collettivi di più grandi dimensioni nellambito dei quali la parcellizzazione del lavoro è più spiccata e i controlli più difficili. Il riferimento non può non andare, in particolare, agli enti pubblici. Ancora prima di esaminare le soluzioni offerte dal legislatore italiano, giova rilevare che non è ignota a ordinamenti di tradizione napoleonica, quale il nostro, la problematica circa i limiti di applicabilità alle organizza- 382 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (19) PECORELLA, Societas delinquere non potest, in Riv. Giur. Lav., 1977, IV, 367. zioni pubbliche della responsabilità penale. Nei Paesi Bassi, ad esempio, il dibattito prende spunto da un fatto di cronaca relativo allinquinamento di kerosene verificatosi nella zona dellaeroporto militare di Volkel. Da aeromobili militari in volo era, a più riprese, uscito del gasolio che aveva inquinato il terreno sottostante. Una prima volta il Ministro della Difesa aveva evitato il procedimento penale con una transazione economica. Successivamente, in ragione del prosieguo dei fatti di inquinamento, il pubblico ministero aveva esercitato lazione penale contro il Ministero e ciò in ragione dellart. 51 del codice penale olandese che non pone limiti alla gamma di soggetti collettivi possibili autori della violazione (20). Il richiamo al sistema giuridico dei Paesi Bassi, seppur solo sommario (21), ci pare dimostri che una discussione sulla responsabilità dellente pubblico va al di là di unapparente provocazione. Si tratta di una tematica ancora in buona parte sconosciuta alla nostra letteratura. Emergono però spunti interessanti dalla dottrina straniera (22) che ha messo in luce le argomentazioni più ricorrenti a favore dellimmunità dei soggetti pubblici, e in particolar modo dello Stato, ravvisate nel rispetto della separazione dei poteri, nel primato della democrazia o del controllo politico-amministrativo nonché nella perdita da parte della cittadinanza della fiducia nelle Autorità pubbliche se queste venissero sottoposte a processo penale. Di contro, si lamenta che unesclusione aprioristica della responsabilità dello Stato potrebbe venire a costituire una violazione del principio di eguaglianza. Ci si chiede per quale motivo se un ente pubblico taglia illegittimamente delle piante non può essere sottoposto a processo penale per lillecito ambientale consumato, mentre invece se lo stesso comportamento è attuato da un soggetto privato lagente incorre in una sanzione. Lente pubblico si sostiene (23) deve dare lesempio al cittadino. Il legislatore italiano consapevole dei profili di compatibilità teorica, ancorché problematica, fra la responsabilità punitiva e i soggetti pubblici, al DOTTRINA 383 (20) Nel caso di specie il giudice di prime cure dichiarava penalmente responsabile il Ministero, ma non irrogava alcuna sanzione. Della vicenda veniva interessata la Hoge Graad, la Corte di Cassazione olandese che, sulla base della considerazione che gli atti dello Stato non potessero che essere ritenuti come posti nellinteresse generale, riconosceva allAmministrazione, come significativamente ha rilevato VERVAELE, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, in AA.VV., Verso un codice penale modello per lEuropa Offensività e colpevolezza, a cura di A.Cadoppi, Padova, 2002, 28, unassoluta immunità penale. Allautorevole autore, professore nellUniversità di Utrecht, si fa rinvio per una puntuale ricostruzione della responsabilit à penale dellente collettivo nel sistema olandese. (21) Giova rilevare che la problematica circa la responsabilità penale dellente, in particolare per quanto concerne i soggetti pubblici, era così sentita in Olanda che nel maggio del 2001 il Ministero della Giustizia investiva della controversa questione la Commissione Roelvink, così denominata dal nome del suo Presidente, composta da quattro giuristi. I lavori del gruppo di studiosi sono tuttavia rimasti, allo stato, interessanti prospettive de jure condendo. (22) Si segnala particolarmente PLANQUE, La détermination de la persone morale pénalment responsabile, LHarmattan, Parigi, 2003, 93 s. (23) VERVAELE, op. ult. cit., 32 sintetizza efficacemente tale presunta violazione del principio di eguaglianza censurando la posizione della giurisprudenza olandese tesa a negare la responsabilità momento di delineare le linee direttrici di un modello punitivo di un soggetto diverso dalluomo, ha escluso lapplicazione della disciplina allo Stato e agli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri (art. 11, legge n. 300 del 2000). Con scelta ulteriormente restrittiva il D.Lgs. n.231/01, ex art.1, III c., ha precluso la portata applicativa della riforma allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (partiti politici, sindacati) e agli altri enti pubblici non economici. De jure condito vengono così a essere sottoposti alla novella i soli enti pubblici economici. Lopzione di ridimensionare la gamma degli enti pubblici per i quali sia invocabile la responsabilità da reato discende dalla concezione tradizionale dellillecito penale unita a una certa diffidenza nellammettere una responsabilit à di tipo afflittivo in capo a un soggetto pubblico. Emerge, per altro verso, un intento semplificatorio atteso che non risultava di immediata percezione la categoria degli enti che esercitano pubblici poteri e, nel testo della Relazione accompagnatoria al D.Lgs. n.231/01, si temeva che potessero soggiacere allambito applicativo del provvedimento di riforma enti quali la Croce rossa italiana, le Università, le Aziende Ospedaliere, lACI (24). Il legislatore delegato opta per una soluzione minimalista che, però, rischia di eludere il problema dellapplicabilità della normativa de qua ai soggetti pubblici. La soluzione normativa appare più rivolta a modelli del passato che proiettata a una concezione moderna dellorganizzazione pubblica e al progressivo operare dellAmministrazione tramite soggetti non organicamente inseriti nellapparato. La figura dellente pubblico economico che persegue finalità pubbliche utilizzando strumenti di diritto privato risulta in gran parte superata dalladozione di modelli societari ritenuti più snelli e duttili nel perseguimento dell interesse della collettività. Rimane linterrogativo di fondo circa lapplicabilità della disciplina de qua a quei soggetti che, pur rifacendosi a schemi di derivazione privatistica, perseguono uno scopo non di profitto. Ci si chiede quali siano i profili di compatibilit à fra la gamma soggettiva di applicazione del D.Lgs. n.231/01 e la figura dellorganismo di diritto pubblico, inteso come soggetto in possesso di personalità giuridica, teso al soddisfacimento di interesse generale non avente carattere industriale o commerciale e sottoposto a una influenza pubblica. In particolare, lattenzione si concentra su soggetti formalmente privati che prestano un pubblico servizio quali ad esempio le società miste che a tutti 384 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO penale dellente pubblico. Giova riproporre un breve inciso dellillustre studioso secondo cui non si può più, per esempio, fare accettare ad unimpresa agricola, sottoposta a pesanti obblighi in materia ambientale, sanzionati sul piano penale, il fatto che il comune o il ministero che pongono in essere attentati allambiente beneficino dellimmunità. In fin dei conti, non si può certo fare accettare oltre ai cittadini una simile situazione. Per tal motivo la dottrina e gli uffici del pubblico ministero hanno insistito per leliminazione dellimmunità penale delle autorità decentrate. (24) Relazione al D.Lgs. n. 231/01, cit., 437. Cfr. altresì FARES, la responsabilità dellente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse in Cass.pen., 2004, 2207. gli effetti sono società, peraltro contraddistinte da peculiari elementi: i conferimenti sono effettuati contestualmente da soggetti pubblici e privati; i soci sono scelti dovendo seguire procedure a evidenza pubblica; esistono particolari tipi di controllo fra cui quello della Corte dei conti (25); loggetto sociale deve essere finalizzato al perseguimento di interessi pubblici (26). Linterprete si interroga se, ai fini dellapplicazione del D.Lgs. n. 231/01, assuma prevalenza la forma societaria, con conseguente applicazione del provvedimento di riforma, oppure la sostanza, così neutralizzando lo schema privatistico e limitando lapplicazione al decreto legislativo citato ai soli soggetti collettivi che perseguono una finalità di profitto (27). Non rimane che attendere un intervento della giurisprudenza anche se è ragionevole aspettarsi, da parte dellautorità inquirente, una stretta osservanza della lettera del provvedimento di riforma che non fa distinzioni fra societ à e preclude lapplicazione della novella ai soli enti pubblici non economici. Concludendo, riteniamo che un mero richiamo letterale allart.1 del provvedimento di riforma non possa essere soddisfacente se non nel rispetto delle ragioni giustificatrici del decreto legislativo citato, efficacemente sintetizzate dal recente intervento della Suprema Corte, Sez. II pen., con sentenza emessa alludienza del 20 dicembre 2005 e pubblicata il 30 gennaio 2006 (28). La Cassazione ha rilevato che nella ratio ispiratrice della profonda innovazione introdotta dalla legge 231/2001, lente collettivo, al di là di grossolane concezioni antropomorfiche, è considerato il vero istigatore, esecutore o beneficiario della condotta criminosa materialmente commessa dalla persona fisica in esso inserita. Non basterà dunque individuare un illecito penale nel comportamento dellagente-persona fisica. Sarà altresì indispensabile che la condotta criminosa sia stata commessa nellinteresse o a vantaggio dellente, id est avendo apportato o con lintento di arrecare un beneficio al soggetto collettivo che dovrà essere oggettivamente apprezzato, non potendosi tradurre in una mera intenzione del vertice o dipendente dellente. DOTTRINA 385 (25) Hanno recentemente enunciato le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 1 marzo 2006, n. 4511 che ormai il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato od un ente pubblico economico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato incida negativamente sul modo dessere del programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamata partecipare con latto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguito, egli realizza un danno per lente pubblico. (26) Cfr. MANACORDA, La responsabilità amministrativa delle società miste, in Resp. amm. soc. enti, Torino, 2006 153 s. (27) Depone in favore della prevalenza della sostanza sulla forma e cioè per una maggiore rilevanza del tipo di attività esercitata rispetto alla natura giuridica del soggetto, la nozione di pubblica amministrazione dettata, ai fini dellaccesso, dallart. 22 della legge n. 241 del 1990 come novellata dalla legge n. 15/05 che comprende tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. (28) La sentenza è pubblicata sul sito in rete della Rivista della responsabilità amministrativa delle società e degli enti www.rivista231.it. Il superamento dellimmunità penale della persona giuridica non è diretto ad ampliare indiscriminatamente le ipotesi di responsabilità a tutte le organizzazioni collettive, bensì è volto a punire il vero artefice della violazione, il beneficiario dellillecito, il soggetto che effettivamente trae profitto dalla condotta criminale. Il D.Lgs. n. 231 del 2001 è stato introdotto per migliorare il sistema di applicazione della legge penale e venire a colmare un vuoto di tutela. Una sua interpretazione meramente basata sulla forma e non sul profitto dellattivit à criminosa rischierebbe di porsi in contrasto con le ragioni storico-giuridiche che hanno portato allapprovazione di un provvedimento legislativo così atteso e importante. Diversamente, verrebbe a essere snaturato lintento della sanzione punitiva che è volta a colpire lente collettivo (beneficiario della condotta criminosa materialmente commessa, destinatario di un autonomo rimprovero) e non può tradursi in una formula solidaristica. Per essa già sussiste la responsabilità civile. 386 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 1 ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI GIUSEPPE BALDANZA, Levoluzione della tutela cautelare nel processo amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIUSEPPE BALDANZA, Sul rapporto tra pregiudizialità amministrativa e autotutela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . BENEDETTO BRANCOLI BUSDRAGHI, I nuovi criteri di applicazione dellart. 228 TCE: quali sanzioni per linadempimento?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA, WALLY FERRANTE, Cenni storici, funzioni ed organizzazione dellAvvocatura dello Stato: relazione allincontro tenutosi il 1° marzo 2006 a Rabat (Marocco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA, dossier, Concessione della grazia, conflitto tra poteri dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . PIERPAOLO CARBONE, Caso SFIR: la parola al Consiglio di Stato . . . . . . . . . . FABIO COLAVECCHI, Servizi pubblici locali: lillegittimità costituzionale degli affidamenti diretti prorogati oltre i termini previsti dalla legislazione statale. PASQUALE FAVA, Linconfigurabilità della tutela autoristica su idee e/o schemi di gioco è principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto (art.10 Cost.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . WALLY FERRANTE, Il ruolo dellAvvocatura dello Stato nellevoluzione della giustizia amministrativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . OSCAR FIUMARA, Intervento nella Cerimonia per la relazione sullamministrazione della giustizia (Roma, 27 gennaio 2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MARIA VITTORIA LUMETTI, Il rapporto tra antico e moderno nel nuovo codice dei beni culturali. La verifica e laccertamento dellinteresse culturale. La problematica del restauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . PAOLO MARCHINI, Quale nomofilachia per il giudice contabile? . . . . . . . . . . . I N D I C I S I S T E M A T I C I pag. 295 » 241 » 314 » 10 » 109 » 192 » 142 » 326 » 4 » 1 » 334 » 171 CRISTINA MIRTI, dossier, La giurisprudenza comunitaria in tema di in house providing insiste sullinterpretazione rigorosa dei requisiti Teckal . . . . . LISA NORI, Una ricostruzione possibile alla luce della riforma del Titolo V . . . MARIKA PISCITELLI, Foro erariale e giudice naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LUCA SPAZIANI, dossier, Competenza territoriale del giudice amministrativo in materia di risarcimento del danno e recenti sviluppi in tema di giurisdizione LUCA SPAZIANI, Il danno non patrimoniale nei giudizi in materia di equa riparazione: quando la lunga durata del giudizio non fa soffrire . . . . . . . . . . . . FRANCESCO VIGNOLI, Il superamento del principio societas delinquere non potest nella disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 231 del 2001 . . . . . . . . . . . . GIOVANNI ZAMPETTI, La Corte e i vincoli derivanti dallordinamento comunitario : obbligo di procedure ad evidenza pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 INDICE DELLE SENTENZE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE Sez. 1°, sent. 6 aprile 2006 nella causa C-410/04. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. 1°, sent. 11 maggio 2006 nella causa C-340/04. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE COSTITUZIONALE Ord. 28 settembre 2005, n. 354 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ord. 20-24 febbraio 2006, n. 71 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sent. 3 marzo 2006, n. 80 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sent. 28 marzo 2006, n. 129 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sent. 18 maggio 2006, n. 200 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE DI CASSAZIONE Sez. 1° civ., sent. 28 maggio 2004 n. 10283 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. un., sent. 23 gennaio 2006, n. 1207 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE DAPPELLO DI ROMA Decreto 30 ottobre 2001, n. 4227 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE DEI CONTI Sez. riunite, sent. 22 febbraio 2006, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONSIGLIO DI STATO Sez. 4°, sent. 28 ottobre -20 dicembre 2005, n. 7197 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. 4°, sent. 22 dicembre 2005, n. 7199 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ad.plen., sent. 9 febbraio 2006, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sez. 6°, sent. 21 marzo 2005 n. 1113 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 388 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO pag. 19 » 38 » 138 » 146 » 160 » 121 » 109 » 169 » 164 » 171 » 207 » 234 » 286 » 237 » 236 pag. 33 » 130 » 137 » 226 » 162 » 376 » 152 3 INDICE DEGLI ARGOMENTI COMUNITÀ EUROPEE Affidamento diretto (in house providing) Affidamento quasi in house . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONCORRENZA Concentrazione Ricorso giurisdizionale Legittimazione ad impugnare - Interesse del terzo concorrente operante nel medesimo settore Autorizzazione condizionata ai sensi dellart.6, co.2, l. n. 287/1990 Rilevanza della giurisprudenza comunitaria Misure correttive Potere dellAutorità di riprovvedere Ammissibilità della domanda . . . . . . . . . . . CORTE COSTITUZIONALE Affidamento diretto (in house providing) - Enti locali Procedure di affidamento di servizi di trasporto pubblico locale . . . . . . CORTE COSTITUZIONALE Conflitto di attribuzione Potere di concedere la grazia Spetta in via esclusiva al Capo dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE COSTITUZIONALE Conflitto di attribuzione Potere di concedere la grazia Competenza ministeriale del guardasigilli (art. 110 Cost.) . . . . . . . . . . CORTE COSTITUZIONALE Conflitto di attribuzione Legittimazione dellAvvocatura dello Stato a rappresentare e difendere il Presidente della Repubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE COSTITUZIONALE Foro erariale e giudice naturale Art. 25 Cost. Art. 6, 2 co., R.D. 1611/33: manifesta inammissibilità della questione di legittimit à costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CORTE COSTITUZIONALE Incostituzionalità di disposizioni di legge regionale Art. 117, 1 co., Cost. Vincoli derivanti dallordinamento comunitario Obbligo di procedure ad evidenza pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . EQUA RIPARAZIONE Danno non patrimoniale Non sussiste, in caso di mancanza di consequenzialità tra violazione del termine ragionevole e danno non patrimoniale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . PENSIONI Trattamenti pensionistici plurimi Indennità integrativa speciale Divieto di cumulo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RISARCIMENTO DEL DANNO Competenza territoriale del G.A . . . . . . . . . . . . . . 4 PARERI, COMUNICAZIONI, CIRCOLARI A.G.S.- Parere del 19 gennaio 2006, n. 7032. Ricongiungimento familiare a favore di minori affidati, ai sensi dellart.29, co.2, d.l. 286/98 (cs.47833/05, avv. G. Aiello) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 19 gennaio 2006, n. 7036. Istituto di patronato Cessione di crediti (cs. 29267/05, avv. M. Mari) . . . . . . A.G.S.- Parere del 19 gennaio 2006, n. 7268. Competenza del giudice ordinario nelle controversie insorte con la P.A. (cs. 17889/05, avv. G. DAvanzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICI SISTEMATICI 389 » 207 » 146 » 109 » 109 » 109 » 138 » 160 » 164 » 171 » 250 » 253 » 234 pag. 33 pag. 247 A.G.S.- Parere del 21 gennaio 2006, n. 7933. Autotutela Compensazione spese di lite Art.46 d.lgs.546/92 (cs. 61234/05, avv. G. Albenzio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 21 gennaio 2006, n. 7934. Agenzia delle Dogane - Proposta di transazione (cs. 38054/05, avv. G. Albenzio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 27 gennaio 2006, n. 10847. Concorso a posti di professore universitario di ruolo di prima fascia: ricusazione dei componenti della Commissione giudicatrice (ct. 4967/95, avv. A. De Stefano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 17 febbraio 2006, n. 20209. Interpretazione ed applicazione del d.l. n. 203/05, conv. con L. 248/05 in materia di invalidità civile (cs. 56149/05, avv. M. Russo) .. . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 20 febbraio 2006, n. 20930. Validità delle graduatorie dei concorsi per laccesso alla dirigenza Possibilità di considerare ancora utilizzabili le graduatorie di concorsi per titoli e colloquio e in ordine allinterpretazione del co. 13 art.39 L. 449/97 (a.l. 39576/05, avv. P. Palmieri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 20 febbraio 2006, n. 20934. Rimborso spese di difesa in relazione a procedimenti penali per i dipendenti e associati dellIstituto Nazionale di Fisica Nucleare (cs. 50685/05, avv. C. Sica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 20 febbraio 2006, n. 20947. I.C.E. Costituzione di una società a prevalente capitale pubblico cui affidare in via diretta lappalto per il servizio di progettazione e realizzazione di stands fieristici (cs.17895/05, avv. C. Sica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 2 marzo 2006, n. 25994. Croce Rossa Italiana Nomine dirigenziali Rappresentanza processuale Poteri del Direttore Generale e del Commissario liquidatore (cs. 36705/05, avv. M. Russo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 13 marzo 2006, n. 30096. Se in materia di rimborso delle spese legali richiesto da dipendente andato esente da condanna in giudizi inerenti a fatti ed atti connessi con il servizio debba farsi riferimento alla normativa che sarebbe stata applicabile al momento dei fatti ovvero a quella applicabile al momento della sentenza definitiva (cs. 48814/05, avv. F. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 15 marzo 2006, n. 30864. Se il regime di impignorabilità disposto allart.1, co.294, L. 266/05 per i fondi destinati, mediante aperture di credito, a favore di funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della Salute, a servizi e finalità di sanità pubblica, nonché al pagamento di emolumenti di qualsiasi tipo 390 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO pag. 256 » 257 » 258 » 261 » 263 » 268 » 269 » 270 » 274 comunque dovuti al personale amministrativo o di spese per servizi e forniture prestati agli uffici medesimi, sia applicabile alle procedure esecutive intraprese prima dellentrata in vigore della norma Condotta processuale da tenere nei casi in cui un atto di pignoramento presso terzi abbia vincolato somme ricadenti nella previsione di cui allart. 1, co. 294, L. 266/05 Indicazioni circa le modalità secondo cui la Sezione di Tesoreria provinciale dello Stato debba, per tale ipotesi, rendere la dichiarazione di cui allart. 547 c.p.c. (cs. 4718/06, avv. M. Russo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 16 marzo 2006, n. 31293. Regime IVA applicabile alle operazioni di cessione di incarichi contestuali alla cessione di azienda o marchi di azienda (cs. 6121/06, avv. G. de Bellis) . . . . A.G.S.- Parere del 24 aprile 2006, n. 45911. Incidenza sulle disposizioni degli artt. 17 quinques, 86 e 115 TULPS della legislazione in materia di trasferimento delle competenze amministrative dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali (L. 59/97; decr. lgs.vo 112/98; L. cost. 3/2001 e L. 131/03). Se la competenza per lirrogazione delle sanzioni amministrative previste per la violazione degli artt. 86 e 115 TULPS e 186 del relativo regolamento di esecuzione sia rimasta allo Stato, ovvero sia stata trasferita agli Enti locali (ct.29331/05, avv. Quattrone) . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S.- Parere del 24 aprile 2006, n. 45924. Se i dipendenti dellEnte Parco Val Grande e, in generale, i dipendenti degli Enti Parco nazionali siano soggetti a contribuzione obbligatoria nei confronti dellINPS o dellINPDAP (cs. 63276/05, avv. E. Scaramucci) . . . . . . . . . A.G.S. Comunicazione di servizio del 20 aprile 2006, n. 68 - Circolare n. 24/2006 Prot. 45294/5. Regolamento di competenza, - Sentenza del Consiglio di Stato n. 7199 del 20 dicembre 2005 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A.G.S. Comunicazione di servizio del 24 aprile 2006, n. 69 - Circolare n. 26/2006 Prot. 46276/83. Contenzioso in materia di beni culturali e paesaggistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICI SISTEMATICI 391 pag. 276 » 277 » 279 » 283 » 286 » 288 Finito di stampare nel mese di settembre 2006 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma