ANNO LV -N. l GENNAIO-MARZO 2003 PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.p.A. ROMA 2003 ComitatO scientifico: Presidente:�Luigi Mazzella. Componenti:�Franco Coppi ^Giuseppe Guarino ^Natalino Irti ^Eugenio Picozza ^Franco Gaetano Scoca. DirettorE responsabile: Oscar Fiumara ^Condirettore:�Giuseppe Fiengo. ComitatO dI redazione: Giacomo Aiello ^Federico Basilica ^Vittorio Cesaroni ^Roberto de Felice ^Maurizio Fiorilli ^Massimo Giannuzzi ^ Antonio Palatiello ^Giovanni Paolo Polizzi ^Mario Antonio Scino ^ Francesco Sclafani ^Tito Varrone. HannO collaboratO inoltrE aL presentE numero: Emanuela Brugiotti ^ Ignazio Francesco Caramazza ^Fernando Carangelo ^Giuseppe Nerio Carugno ^Sabino Cassese ^Ermanno De Francisco ^Alberto de Roberto ^ Maria Gentile ^Cristina Giorgiantonio ^Pasquale Giuliano ^Maria Letizia Guida ^Maria Vittoria Lumetti ^Ilaria Sanasi ^Gennaro Terracciano ^ Sandro Tizzi. SegreteriA dI redazione: Francesca Pioppi. Telefono:�066829431�^E-mail:�rassegna@avvocaturastato.it ABBONAMENTI�ANNO�2003� ITALIA�ESTERO� ABBONAMENTO�ANNUO�....................�. 41,00 . 77,00 UNNUMEROSEPARATO�.....................�. 12,00 . 21,00 Prezzi�doppi,�tripli,�quadrupli�ecc.�per�tutti�quei�fascicoli�che,� stampati�in�unico�volume,�sostituiscono�altrettanti�numeri� della�prevista�periodicita�annuale.� Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO�POLIGRAFICO�E�ZECCA�DELLO�STATO�S.p.A.� Funzione�Editoria� P.zza�Verdi,�10�^00198�Roma Tel.�0685082207�^0685084124 Fax�0685084117 E-mail:�venditeperiodici@ipzs.it c/c�postale�n.�387001 Stampato inItalia^PrintedinItaly Autorizzazione�Tribunale�di�Roma�^Decreto�n.�11089�del�13�luglio�1966� (6999999/029)�Roma,�2003��Istituto�Poligrafico�e�Zecca�dello�Stato�S.p.A.^S.� INDICE^SOMMARIO TemI istituzionalI La�difesa�delle�amministrazioni�pubbliche�nel�giudizio�amministrativo�(attidel seminariodiaperturadelMasterpressolaScuolaSuperioredell'Economia edelleFinanze)............................................ Pag.�1 Interventidi: GennaroTerracciano ..................................... � 1,22 LuigiMazzella.......................................... � 3 IgnazioFrancescoCaramazza .............................. � 6 PasqualeGiuliano ....................................... � 14 AlbertodeRoberto ...................................... � 18 GiuseppeNerioCarugno .................................. � 23 FedericoBasilica........................................ � 25 MariaGentile .......................................... � 27 ErmannoDeFrancisco ................................... � 28 IL contenziosO comunitariO eD internazionalE Le�Regioni�e�le�relazioni�internazionali�e�comunitarie,�diMaurizioFiorilli .... � 31 1.�Le�decisioni:� Il�monito�della�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo�sulla��legge�Pinto�,�Corte EuropeadeiDirittidell'Uomo,sez.1.,27marzo-20maggio2003,di AntonioPalatiello ....................................... � 41 Cioccolato�e�cioccolato�puro,�CortediGiustizia,sez.6.,16gennaio2003, causaC-14/00,diOscarFiumara ............................ � 48 2.�IgiudiziincorsoallaCortediGiustiziaCE�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 55 IL contenziosO nazionalE TitoVarrone(acuradi),dossier:Spoils�system:�la�giurisprudenza�comincia�a� pronunciarsi�sulle�questioni�insorte�a�seguito�della�legge�145/2002�........ � 120 AntonioPalatiello(acuradi),dossier,Il�termine�ragionevole�del�processo:�le� ultimepronunce,aspettandoleSezioniUnite�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 200 IlariaSanasi,Legittime�le��quote�rosa��nella�legge�elettorale�della�Regione� Valle�d'Aosta�............................................. � 210 IgnazioFrancescoCaramazza,Incidente�di�costituzionalita�e�giurisdizione�in� sede�di�giudizio�cautelare�amministrativo.�Un�dialogo�difficile�tra�complessita� edincomprensioni�...........................................�� 220 CristinaGiorgiantonio,Normativa�antitrust�e�settore�bancario:�l'eccezione�ita liana�.....................................................�� 228 IlariaSanasi,Obbligo�di�notifica�dell'atto�introduttivo�del�giudizio�all'Avvoca turadelloStato�.............................................�� 249 MariaVittoriaLumetti,Motivazione�successiva�in�giudizio:�il�TAR�Toscana�la� ammetteinsededisospensiva�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 253 MariaVittoriaLumetti,SandroTizzi,La�normativa�in�materia�di�stranieri,� novellata�dalla�legge�n.�189/2002�e�il��patteggiamento��.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 263 EmanuelaBrugiotti,Note�processuali�connesse�alla�tutela�dei�dati�personali,�ai� sensidell'art.29dellaleggen.675/1996�...........................�� 274 IpareridelcomitatoconsultivO ............................ � 285 ContributI dI dottrinA MarioAntonioScino,ContrattidellaP.A.�edinvalidita�procedimentali�(Premio� Sandulli6dicembre2002)�.....................................�� 317 FernandoCarangelo,Il�danno�da�dequalificazione�professionale�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 322 IndicI sistematicI ............................................ � 329 TemiIstituzionaliTemiIstituzionali La difesa delle Amministrazioni pubbliche nel giudizio amministrativo Seminario di apertura del Master della scuola superiore dell'economia e dellefinanze svoltosi a Roma, in data 13 marzo 2003 InterventI Prof. Gennaro Terracciano ^Rettore della Scuola superiore dell'economia e dellefinanze; Avv. Luigi Mazzella ^Ministro della Funzione Pubblica; Avv. Ignazio Francesco Caramazza ^Vice Avvocato Generale dello Stato; Sen. Pasquale Giuliano ^Presidente del Consiglio di Garanzia del Senato della Repubblica; Pres. Alberto de Roberto ^Presidente del Consiglio di Stato; Prof. Giuseppe Nerio Carugno ^Prorettore della Scuola superiore dell'eco- nomia e dellafinanze ^Avvocato dello Stato; Avv. Federico Basilica ^Avvocato dello Stato; Prof. Maria Gentile ^Professore Ordinario della Scuola superiore dell'eco- nomia e dellefinanze; Cons. Ermanno De Francisco ^Consigliere di Stato ^Vice capo dell'Uffi- cio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Roma,�l|�13�marzo�2003� DAL DIBATTITO Gennaro Terracciano. Ringrazio�tutti�voi�qui�presenti,�soprattutto�il� Ministro�della�Funzione�Pubblica,�avvocato�Luigi�Mazzella,�il�Presidente� del�Consiglio�di�Stato,�dott.�Alberto�De�Roberto�e�i�relatori�di�questa�mat- tina,�Ignazio�Francesco�Caramazza,�Vice�Avvocato�Generale�dello�Stato,� Pasquale�Giuliano,�Presidente�del�Consiglio�di�Garanzia�del�Senato�della� Repubblica.� Un�saluto�caloroso�anche�a�tutti�gli�amici,�magistrati,�avvocati�e,�natu- ralmente,�ai�giovani�avvocati�sia�dell'Amministrazione,�sia�liberi�professioni- sti�che�sono�qui�oggi�riuniti.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Abbiamo�qualche�minuto�di�ritardo,�quindi�saro�molto�veloce�per�con- sentire�che�entro�il�break i�relatori�possano�fare�gli�interventi�di�apertura�del� Master�come�previsto,�quindi�ci�sara�la�presentazione�in�concreto�delle�sin- gole�giornate�del�Master.� Come�sapete,�questo�Master�e�intitolato��Difesa�delle�Amministrazioni� Pubbliche�nel�giudizio�amministrativo�,�e�stato�fatto�in�collaborazione,�con� il�patrocinio�dell'Avvocatura�Generale�dello�Stato,�del�Consiglio�di�Stato,� della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri;�di�cio�voglio�ringraziare�natural- mente�l'Avvocato�Generale�dello�Stato�e�l'Avvocato�Generale�facente�fun- zione,�il�Presidente�del�Consiglio�di�Stato;�per�la�Presidenza�del�Consiglio� dei�Ministri,�in�particolare�un�ringraziamento�al�Consigliere�Catricala�che�ci� ha�aiutato�molto�nella�organizzazione�del�Master.� Perche�questo�Master?�Di�interventi�formativi,�corposi,�lunghi,�seri,�sul� processo�amministrativo�ve�ne�sono,�le�universita�cominciano�per�fortuna� ad�interessarsi�al�processo�amministrativo�anche�in�ragione�probabilmente� dell'estensione�a�seguito�della�legge�205�e�delle�materie�oggetto�della�giurisdi- zione�del�giudice�amministrativo.� E�una�giurisdizione�che�ormai�si�interessa�della�vita�dei�cittadini,�l'og- getto�vero�non�e�piu�l'atto,�probabilmente�e�la�regolazione�degli�assetti�di� interessi,�cioe�l'interesse�pubblico,�l'interesse�degli�amministrati.�Natural- mente�non�voglio�entrare�nel�merito,�ma�noi�pensiamo�che�sul�panorama� delle�offerte�formative�mancava�un�Master�che�fosse�diretto�specificamente� a�coloro�che�svolgono�una�funzione�molto�delicata,�quella�della�difesa�delle� amministrazioni�innanzi�al�giudice�amministrativo.� A�dire�il�vero�io�mi�trovo�con�molto�piacere�insieme�a�tante�persone�che� conosco�per�la�mia�esperienza�professionale,�sono�stato�avvocato�dello� Stato�e�magistrato�del�TAR,�quindi�ho�visto�da�tutte�e�due�le�parti�come�si� svolge,�quali�sono�le�dinamiche�del�processo.�Da�sempre�il�giudice�ammini- strativo�ha�naturalmente�una�sensibilita�particolare�per�la�posizione�del- l'Amministrazione,anche�naturale,�in�fondo�e�l'interesse�pubblico�l'oggetto� vero�del�giudizio.�E�ragionevole�pensare�che�la�parte�amministrazione,�pur� essendo�una�vera�e�propria�parte�del�processo,�tuttavia�difende�un�interesse� piu�elevato�rispetto�a�quello�della�singola�impresa,�del�singolo�cittadino� che�si�trovano�a�dover�difendere�interessi,�chiamiamoli�egoistici�^ma�non� c'e�nessuna�valutazione�negativa,�naturalmente,�con�questa�terminologia,� con�questa�allocuzione.� Pero�e�anche�vero�che,�comunque,�il�processo�visto�dal�difensore�ha�una� fisionomia�diversa�ed�e�per�questo�che�il�nostro�Master�e�costruito�specifica- mente�per�loro;�l'idea�e�quella�di�affrontare�tutti�gli�istituti�processuali,�non� dal�punto�di�vista�del�magistrato,�ma�dal�punto�di�vista�del�difensore�in� modo�da�garantire�allo�stesso�tutti�gli�strumenti�utili�per�poter�effettuare�al� meglio�la�propria�professione.�Ed�e�per�questo�che�siamo�molto�felici�che� poi�il�Master�abbia�avuto�un�successo�quanto�alle�aspettative�che�si�sono� create:�avevamo�bandito�in�Gazzetta Ufficiale un�concorso�per�coprire�trenta� posti�di�cui�5�con�borsa�di�studio�per�giovani�avvocati�al�di�sotto�di�28�anni,� ci�siamo�trovati�con�piu�di�800�domande,�abbiamo�raddoppiato�il�numero� degli�iscritti,�abbiamo�deciso�di�sdoppiare�il�Master,�quindi�ne�faremo�due,� TEMI�ISTITUZIONALI� identici�naturalmente;�abbiamo�voluto�fare�un�vero�e�proprio�concorso,�un� esame�sui�curricula presentati.�Devo�dire�che�tra�tutti�quelli�che�sono�qui,� provenienti�in�parte�dal�mondo�delle�Amministrazioni,�designati,�in�parte� dal�mondo�della�libera�professione,�ci�sono�anche�coloro�che�naturalmente� si�affacciano�per�la�prima�volta�a�queste�tematiche;�si�tratta�di�persone�che� hanno�necessariamente�110�e�lode,�hanno�necessariamente�l'abilitazione,� hanno�necessariamente�gia�fatto�dei�Master.�Insomma,�noi�speriamo�che,� naturalmente,�oltre�al�corpo�docente�che,�come�avete�potuto�notare,�e�il� meglio�che�si�possa�avere�in�questo�campo,�anche�tra�i�discenti�vi�sia�il� meglio.� Molto�spesso�i�Master,�per�funzionare,�per�necessita�devono�avere�anche� una�classe�discente�particolarmente�spinta,�motivata�ad�approfondire�gli� argomenti.� Il�corso�sara�molto�faticoso�perche�sono�previsti�all'interno�delle�gior- nate�(dura�piu�di�un�anno)�anche�dei�momenti�di�esercitazione�e�delle�simula- zioni�di�veri�e�propri�processi;�questo�rendera�la�cosa�abbastanza�complicata� nella�gestione,�ma�noi�speriamo�di�poter�fare�in�modo�che�queste�giornate� siano�molto�utili,�qualche�esperienza�l'abbiamo.� In�piu�,�vi�sono�anche�degli�inserti�riguardanti�la�comunicazione�in�que- sto�campo,�cioe�tecniche�di�persuasione�e�tutto�cio�che�in�qualche�modo� riguarda�la�capacita�e�le�tecniche�per�le�difese�scritte�ed�orali.�Naturalmente� non�e�sufficiente�un�Master�di�questo�genere�per�sostituire�l'esperienza�che� negli�anni�deve�essere�acquisita�in�questo�tipo�di�processo,�che�e�assoluta- mente�tecnico,�ma�noi�speriamo�di�poter�dare�un�nostro�contributo.� Infine,�sapete�che�questo�e�un�Master�che�rilascia�un�titolo�della� Scuola,�non�e�tra�quelli�previsti�nella�disciplina�universitaria;�noi�abbiamo� un�nostro�sistema�di�titoli�con�riconoscimenti�di�crediti�formativi�nostri,� non�universitari.�Naturalmente,�noi�speriamo�che�prima�o�poi�anche�in�Ita- liaspariscaquella�che�e�una�cosa�arcaica,�perche�non�esiste�negli�altri�ordi- namenti,�cioe�il�valore�legale�del�titolo.�Perche�un�titolo�vale�per�cio�che�in� qualche�misura�riesce�a�consentire�quanto�al�riconoscimento�dei�contenuti� dell'attivita�formativa.� Il�mio�compito�finisce�qui,�ringrazio�di�nuovo�il�Ministro�Mazzella�per� la�sua�presenza�qui�e�per�l'apertura�dei�lavori.� Luigi Mazzella. Esprimo�un�sincero�e�vivo�compiacimento�per�l'invito� che�mi�e�stato�rivolto�ad�intervenire�a�questo�seminario�di�apertura�di�un� Master�sulla�difesa�delle�Amministrazioni�Pubbliche�nel�giudizio�amministra- tivo.�Desidero�complimentarmi�con�il�prof.�Terracciano,�Rettore�della�Scuola� Superiore�dell'Economia�e�delle�Finanze,�che�ha�dato�avvio�a�questo�impor- tante�progetto�formativo.�Saluto�altres|�i�tanti�autorevoli�amici�che�sono�qui� intervenuti,�dal�Presidente�del�Consiglio�di�Stato�che�patrocina�con�il�suo� Istituto�questa�iniziativa�unitamente�alla�Presidenza�del�Consiglio�e�all'Avvo- catura�Generale�dello�Stato;�al�Presidente�del�Consiglio�di�Garanzia�del� Senato�della�Repubblica,�Senatore�Pasquale�Giuliano;�al�Vice�Avvocato� Generale�dello�Stato,�Ignazio�Francesco�Caramazza.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Il�tema�del�Master�presenta�un�angolo�prospettico�molto�significativo:� non�si�e�voluto�fare�un�Master�sulla�giustizia�amministrativa�tout court,� quanto�piuttosto�si�e�voluto�approfondire�l'aspetto�della�difesa�dello�Stato� e,�piu�in�generale,�delle�pubbliche�amministrazioni.�Le�profonde�trasforma- zioni�che�la�giustizia�amministrativa�ha�conosciuto�in�questi�ultimi�anni�ne� hanno,�infatti,�completamente�mutato�il�volto.�Il�Consiglio�di�Stato�prima� ed�il�legislatore�poi,�hanno�infatti�inciso�radicalmente,�profondamente�sul� sistema�di�tutela.�L'evoluzione�del�diritto�amministrativo�sostanziale�ha� fatto�il�resto,�condizionando�il�lavoro�di�chi�vi�e�quotidianamente�a�con- tatto,�gli�operatori�del�settore.�Il�principio�di�tutela�delle�posizioni�sogget- tive�non�si�esplica�piu�solo�nella�difesa�processuale,�ma�anche�nella�fase�pro- cedimentale,�cioe�quella�fase�finalizzata�all'adozione�dell'atto.�Cio�per�lo� scopo�di�evitare�o,�comunque,�di�prevenire�la�lesione�delle�posizioni�giuridi- che�soggettive�coinvolte�nel�procedimento;�evidentemente�si�tratta�di�un�ten- tativo�di�evitare�la�fase�contenziosa.� La�legge�1990�sul�procedimento�amministrativo�consente�al�privato�di� partecipare�al�procedimento,�l'accesso�agli�atti�gli�permette�di�orientare�gli� sviluppi�dell'azione�amministrativa,�tenendo�conto�di�tutti�gli�interessi�pub- blici�e�privati�da�essa�coinvolti.�Anche�la�difesa�delle�Amministrazioni�Pub- bliche,�per�effetto�di�questa�legge,�e�profondamente�mutata.� A�differenza�dei�sistemi�adottati�in�altri�Paesi,�nell'ordinamento�italiano� la�tutela�legale�degli�interessi�patrimoniali�e�non�patrimoniali�dello�Stato�e�,� come�noto,�istituzionalmente�attribuita�ad�un�corpo�di�giuristi�specializzati,� gli�avvocati�dello�Stato;�essi�sono�chiamati�a�svolgere�la�loro�attivita�quando� la�cura�dell'interesse�pubblico,�sia�nelle�forme�del�diritto�comune�che�attra- verso�l'esercizio�di�potesta�,�richieda�di�promuovere�o�sostenere�una�contro- versia�giudiziaria;�ovvero,�comporti�l'adozione�di�una�determinazione�che� implichi�l'applicazione�di�regole�giuridiche.� Non�vi�intratterro�sui�profili�storici�e�sugli�aspetti�piu�propriamente�tec- nici�di�tale�soluzione:�di�questo�si�occupera�diffusamente�il�collega�Cara- mazza,�che�svolgera�un�vero�e�proprio�intervento�sul�tema;�il�mio�e�soltanto� una�breve�introduzione�ed�un�cenno�di�saluto.�Quello�che�e�certo�e�che�tale� scelta�offre�innegabili�vantaggi�che�la�rendono�attuale:�considerazione�unita- ria�degli�interessi�dello�Stato�che�possono�trascendere�l'esito�della�singola� causa,�unita�di�indirizzo�nell'attivita�defensionale,�visione�complessiva�delle� problematiche�della�funzione�amministrativa,�costante�integrazione�tra�atti- vita�consultiva�e�contenziosa.�Infine,�circostanza�non�del�tutto�irrilevante,� notevole�riduzione�degli�oneri�di�assistenza�legale�per�il�bilancio�dello�Stato.� Certo,�quando�si�parla�delle�funzioni�dell'Avvocatura�dello�Stato�si� pensa�subito�alla�rappresentanza�e�alla�difesa�in�giudizio�dell'Amministra- zione�statale�in�tutte�le�sue�articolazioni,�quindi�anche�in�quelle�estere,lerap- presentanze�diplomatiche,�delle�organizzazioni�internazionali.�Ma�si�trascura� un�altro�aspetto�molto�rilevante�dell'attivita�dell'Avvocatura�dello�Stato,�cioe� la�sua�funzione�di�consulenza.�E�una�funzione�che�viene�prestata�in�favore� dell'Amministrazione�statale�e�degli�enti�ammessi�al�patrocinio;�il�parere� richiesto�all'Avvocatura�dello�Stato�ha�spesso�un�collegamento,�ma�talvolta� in�qualche�modo�prescinde�da�situazioni�potenzialmente�o�attualmente�liti- TEMI�ISTITUZIONALI� giose,�spazia�dalle�consultazioni�legali�sull'opportunita�di�promuovere�o� abbandonare�giudizi,�si�spinge�all'esame�di�regolamenti�o�capitolati,�alla�pre- disposizione�di�contratti�e�transazioni.�Quindi,�coinvolge�una�materia�molto� vasta�che�comprende�ogni�possibilita�di�esprimersi�sui�provvedimenti�da� adottare�in�ordine�a�questioni�da�definire�in�via�amministrativa.� La�funzione�consultiva�e�svolta�non�solo�e�non�tanto�nell'interesse�parti- colare�dell'organismo�che�se�ne�avvale,�proprio�per�il�caso�piu�specifico,� quello�di�prevenire�una�lite,�ma�anche�al�fine�di�garantire�l'interesse�generale� alla�legalita�dell'azione�amministrativa.�La�legge�assicura�all'Avvocatura� dello�Stato�autonomia�ed�indipendenza�rispetto�ai�soggetti�pubblici�che�frui- scono�dell'attivita�consultiva�e�della�difesa�giudiziale;�l'indipendenza�e�posta� a�presidio�dei�primari�valori�giuridici�dell'ordinamento�statuale�inteso�nella� sua�unitarieta�.� La�mancanza�di�un�collegamento�settoriale�con�singole�branche�del- l'Amministrazione�colloca�l'attivita�di�tutela�legale�affidata�all'Avvocatura� nella�dimensione�generale�dell'esercizio�della�funzione�pubblica,�piu�che�in� quella�del�singolo�giudizio�o�affare�amministrativo.�I�suoi�uffici,�posti�sotto� l'immediata�direzione�dell'Avvocato�Generale,�sono�inquadrati�nella�Presi- denza�del�Consiglio�dei�Ministri,�ma�tale�gerarchia�cosiddetta�esterna ^che� pure,�di�fatto,�non�interferisce�sull'autonomia�tecnico-professionale�dell'Isti- tuto�e�dei�singoli�avvocati�dello�Stato�^potrebbe�essere�anche,�piu�che�atte- nuata,�eliminata,�se�il�legislatore�nella�sua�sovrana�determinazione�volesse� utilizzare�per�l'avvocatura�lo�strumento�in�via�di�regolamentazione�delle�isti- tuzioni�pubbliche�indipendenti,�che�impropriamente�vengono�definite�authori- ties,�con�una�terminologia�tratta�dal�linguaggio�anglosassone.� In�un�quadro�cos|�variegato�si�colloca�il�Master�che�si�apre�oggi;�e�un� progetto�di�cui�si�sentiva�veramente�la�necessita�proprio�per�la�sistematicita� che�traspare�dal�calendario�delle�lezioni,�con�cui�si�intende�rispondere�alla� continua�evoluzione�ed�integrazione�del�diritto�amministrativo�interno�e� comunitario.� Mi�fa�piacere�constatare�che�la�brillante�idea�di�fornire�ai�partecipanti�a� questo�progetto�i�diversi�punti�di�vista�sulla�giustizia�amministrativa�sia�pie- namente�realizzata;�infatti�i�docenti,�tra�i�quali�numerosi�magistrati�ammini- strativi�ed�avvocati�dello�Stato,�saranno�in�grado�di�trasmettere�quello�che�e� il�processo�amministrativo�vissuto�nell'ottica�del�giudice,�del�difensore�dello� Stato�e�del�libero�professionista.� Sono�convinto�che�in�tal�modo�il�Master�raggiungera�l'obiettivo�di�for- nire�strumenti�reali�per�la�difesa�delle�Pubbliche�Amministrazioni�in�giudizio,� attuando�un�percorso�formativo�specialistico�che�vada�ben�oltre�le�astrazioni� teoriche�dei�manuali�e�della�dottrina�e�consenta�ai�partecipanti�di�vivere�e� condividere�il�processo�amministrativo.� Vi�ringrazio�per�l'attenzione�e�faccio�a�tutti�i�migliori�auguri�di�buon� lavoro.� Gennaro Terracciano. Grazie�signor�Ministro,�volevo�sottolineare�che� effettivamente�e�dovuto�un�ringraziamento�anche�a�tutti�i�docenti�che�hanno� dato�il�loro�assenso�per�la�realizzazione�di�questo�Master,�durante�le�giornate� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� saranno�sempre�presenti�almeno�un�magistrato,�almeno�un�avvocato�dello� Stato,�almeno�un�libero�professionista,�professori�universitari;�questo� appunto�per�garantire�che�sullo�stesso�argomento�vi�sia�anche�una�possibilita� di�dialettica�tra�le�diverse�componenti.� Se�possiamo�continuare�darei�la�parola�al�Vice�Avvocato�Generale,� Ignazio�Francesco�Caramazza.� Ignazio Francesco Caramazza. L'Avvocatura�dello�Stato�nella�storia�della� giustizia�amministrativa.� 1.�Uno�dei�nostri�maggiori�amministrativisti�ha�dedicato�l'�incipit�diun� suo�recente�articolo�ad�un�rinnovato�incontro�romano�con�il�marziano�di� Ennio�Flaiano,�un�marziano�stranamente�interessato,�questa�volta,�alla� nostra�giustizia�amministrativa.�Immaginava�ancora,�questo�nostro�ammini- strativista,�di�descrivere�le�difficolta�incontrate�nel�cercare�di�spiegare�l'argo- mento�all'amico�marziano�e�di�come�si�fosse�reso�conto�che,�nonostante�l'ele- vato�livello�intellettuale�del�suo�interlocutore,�non�era�in�grado�di�farlose� non�ricorrendo�alla�storia.� Questo�conferma�l'intuizione�di�Mario�Nigro,�che�nessun�istituto�del� diritto�amministrativo�e�comprensibile�se�non�ricorrendo�alla�sua�storia.� Orbene,�l'Avvocatura�dello�Stato�ha�un�posto�importante�nella�storia� della�giustizia�amministrativa�perche�del�giudice�amministrativo�italiano�essa� e�stata,�in�qualche�modo,�la�levatrice�ed�ha�influito,�e�non�poco,�sulla�sua� conformazione�e�sulla�sua�evoluzione.� Da�altro�punto�di�vista�va�osservato�che�quando�la�difesa�dello�Stato�in� giudizio�venga�affidata,�come�accade�nel�nostro�ordinamento,�ad�un�organo� tecnico�incardinato�nell'Amministrazione,�ma�distinto�dalle�singole�branche� dell'Amministrazione,�tale�organo�diventa�allora�un�osservatorio�privilegiato� del�variare�del�punto�di�equilibrio�tra�principio�di�liberta�e�principio�di�auto- rita�.�Punto�di�equilibrio�che�evolve�nel�tempo,�in�sintonia�con�le�grandi�crisi� di�trasformazione�della�societa�,�dello�Stato�e�del�diritto.� Si�tratta�di�crisi�che,�per�linee�generalissime,�possiamo�individuare�in� quattro�momenti:�il�passaggio�dall'ancien�re�gime�allo�Stato�liberal�borghese;� il�passaggio�dallo�Stato�liberal�borghese�allo�Stato�sociale�o,�per�usare�una� terminologia�gianniniana,�allo�stato�pluriclasse;�il�passaggio�dallo�Stato�plu- riclasse�allo�stato�cosiddetto�post-moderno.�L'ultima�crisi,�quella�attuale,� che�stiamo�vivendo�ai�giorni�nostri,�segna,�infine,�il�passaggio�dallo�Stato� post-moderno�allo�Stato�minimo.� Sono�tutti�cambiamenti�che,�semplificando�al�massimo,�possiamo�descri- vere�attraverso�un�diverso�bilanciamento�dei�punti�di�equilibrio�dei�tre�poteri� tradizionali,�legislativo,�esecutivo�e�giudiziario�che,�da�quando�nacquero�dal- l'indistinto�del�potere�assoluto�del�sovrano,�videro�mutare�(e�di�molto)�le� reciproche�valenze�nell'arco�di�due�secoli,�con�conseguente�intuitivo�riflesso� di�tale�mutamento�sia�sulla�giustizia�amministrativa�che�sui�compiti�e�le�fun- zioni�dell'avvocato�che�difende�lo�Stato�in�giudizio.� 2.�Dobbiamo,�ovviamente,�prendere�l'avvio�da�quella�che�e�tuttora�la� pietra�miliare�del�nostro�ordinamento�di�giustizia�amministrativa,�la�legge� abolitrice�del�contenzioso�amministrativo�del�1865,�legge�che,�come�e�noto,� TEMI�ISTITUZIONALI� soppresse�i�tribunali�speciali�del�contenzioso,�devolvendo�al�giudice�ordinario� tutte�le�cause,�anche�contro�l'Amministrazione,�in�cui�si�facesse�questione�di� un�diritto�civile�o�politico.�L'unico�limite�posto�al�giudice�ordinario�nei�con- fronti�dell'Amministrazione�fu�il�divieto�di�annullare�l'atto�amministrativo,� che�poteva�essere�soltanto�disapplicato.� Fu�una�scelta�di�civilta�liberale�coraggiosissima,�perche�si�modello�su� quella�che�era�l'esperienza�inglese,�mediata�attraverso�la�Costituzione�belga� del�1831�(dei�cui�articoli�92,�93�e�107,�gli�articoli�4�e�5�della�legge�italiana�abo- litrice�del�contenzioso�amministrativo�rappresentano�la�letterale�traduzione).� Si�tratto�pero�di�una�scelta�probabilmente�troppo�in�anticipo�sui�tempi,� tanto�vero�che�fior|�,�immediatamente�dopo�l'approvazione�della�legge�aboli- trice,�una�giurisprudenza�che,�sulla�falsariga�del�modello�belga,�concesse� aperture�estremamente�allarmanti�per�la�classe�dirigente�del�tempo,�inducen- dola�a�correre�ai�ripari�con�energiche�controspinte�conservatrici.�Nell'anno� 1876�era�pacifica�infatti,�una�giurisprudenza�delle�Cassazioni�italiane�che� consentiva�a�chi�fosse�stato�danneggiato�da�un�atto�amministrativo�(ad�esem- pio�da�un�provvedimento�prezzi)�di�chiedere�il�risarcimento�del�danno.�Era� un�riconoscimento�della�risarcibilita�dei�danni�da�lesione�di�interesse�legit- timo�ante litteram,�che�precorreva�i�tempi�di�ben�125�anni.� Tutto�questo�avveniva,�poi,�nonostante�l'arcigna�guardia�montata�dal� Consiglio�di�Stato,�all'epoca�incardinato�nell'esecutivo�e�pero�contraddittoria- mente�eretto�in�giudice�dei�conflitti�fra�potere�esecutivo�e�potere�giudiziario.� In�sintomatica�coincidenza�con�la�concessione�alla�Corte�di�Cassazione� romana�della�funzione�di�giudice�dei�conflitti,�la�classe�politica�ebbe�il�timore� di�spingersi�troppo�in�la�,�considerata�anche�la�larga�apertura�liberale�gia� effettuata�dalla�giurisprudenza.�Come�controspinta�ad�una�riforma�troppo� in�anticipo�sui�tempi�istitu|�,�quindi,�l'avvocatura�allora�chiamata�erariale,e� non�a�caso�perche�la�riduttiva�denominazione�dava�ragione�di�quella�che� sarebbe�stata�la�linea�di�difesa�commessa�al�nascente�istituto.� L'avvocatura�erariale�si�mosse,�ovviamente,�lungo�la�linea�di�contenere� al�massimo�possibile�l'ingerenza�del�giudiziario�nei�confronti�dell'esecutivo.� D'altra�parte�non�dobbiamo�dimenticare�quale�fosse�all'epoca�il�rispettivo� valore�dei�tre�poteri�tradizionali.�Lo�Stato�liberal-borghese�era�nato�con�una� supremazia�del�potere�legislativo�rispetto�agli�altri�due.�Era�quella�l'epoca� delle�grandi�codificazioni,�che�realizzarono�il�sogno�illuminista�di�una�rete� di�regole�generali�ed�astratte�che�imbrigliasse�tutta�la�variegata�dimensione� dell'operare�umano.�In�proposito�aveva�scritto�Napoleone:�Waterloo�sara� dimenticata,�ma�il�mio�codice�civile�vivra�per�sempre.� Il�potere�esecutivo,�forte�nella�sostanza,�aveva�pero�un�campo�di�azione� estremamente�limitato:�era�quello�il�tempo�dello��Stato�gendarme�,�che�si� limitava�sostanzialmente�a�difendere�le�frontiere�all'estero�e�l'ordine�pubblico� all'interno.�Il�potere�giudiziario,�poi,�era�veramente�figlio�di�un�dio�minore,� perche�dalla�rivoluzione�francese�era�nato�un�potere�giudiziario�guardato� con�sospetto�e�diffidenza,�soprattutto�quando�veniva�chiamato�a�sindacare� l'esecutivo,�perche�era�considerata�verita�di�fede�l'equazione:��giudicare�l'Am- ministrazione�equivale�ad�amministrare�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� L'Avvocatura�erariale�del�tempo,�al�fine�di�contenere�i�poteri�del�giudi- ziario�nei�confronti�dell'esecutivo�si�mosse�lungo�tre�direttrici:�quelladi� negare�la�natura�di�diritti�alle�situazioni�nascenti�da�leggi�amministrative;� quella�di�negare�la�possibilita�per�i�giudici�di�disapplicare�l'atto�amministra- tivo�che�avesse�direttamente�recato�un�pregiudizio;�infine,�quella�piu�grave,� di�negare�giurisdizione�al�giudice�quando�l'Amministrazione�avesse�operato� jure imperi.�Ecco,�quindi,�perche�l'Avvocatura�si�denominava�erariale:�perche� lo�Stato�intendeva�assoggettarsi�al�giudizio�soltanto�quando�avesse�operato� nella�sua�veste�di�diritto�privato.�Quando�avesse�operato,�invece,�come�auto- rita�esso�doveva�ritenersi�sottratto�al�sindacato�giurisdizionale.� La�giurisprudenza�accolse�le�tesi�dell'avvocatura�e�si�giunse�quindi�al� bizzarro�paradosso�che�da�una�riforma�liberale�che�equiordinava�l'Ammini- strazione�all'amministrato�dinanzi�al�suo�unico�giudice,�nasceva�in�realta� un'Amministrazione�senza�giudice.� 3.�Di�qui�il�profondo�scontento�e�le�proteste�della�societa�civile�e�dei�suoi� piu�illuminati�rappresentanti,�fra�i�quali�spiccava�Silvio�Spaventa,�dalle�cui� iniziative�nacque,�nel�1889,�la�Quarta�Sezione�del�Consiglio�di�Stato.�La�rela- tiva�legge�e�nota�anche�come��controriforma�Crispi��e�va�notato,�pero�,che� essa�non�nacque�affatto�in�spirito�controriformistico,�perche�si�continuava�a� pensare�che�unico�giudice,�unica�giurisdizione,�fosse�quella�del�giudice�ordi- nario.�La�Quarta�Sezione�del�Consiglio�di�Stato�veniva�investita�quindi,� secondo�le�intenzioni�del�legislatore�del�tempo,�di�un�compito�amministrativo� di�giustizia�interna�all'Amministrazione,�con�la�funzione�di�sindacare�la�legit- timita�degli�atti�amministrativi�attraverso�una�valutazione�di�tipo�esclusiva- mente�cassatorio.� L'Avvocatura�erariale,�per�bocca�del�suo�Avvocato�Generale,�fu�tra�i� grandi�sostenitori�della�legge�Crispi�e�per�questo�ho�parlato�dell'Avvocatura� dello�Stato�come�levatrice�del�giudice�amministrativo.�Con�il�formarsi�della� restrittiva�giurisprudenza�di�cui�ho�detto,�causata�dalla�vittoriosa�linea�difen- siva�dell'Avvocatura,�si�creo�infatti�la�necessita�della�Quarta�Sezione�del�Con- siglio�di�Stato�come�organo�di�giustizia�interna�all'Amministrazione.�Fu,� poi,�ancora�l'Avvocatura�erariale,�con�un�ricorso�alle�sezioni�unite�della� Cassazione�romana,�a�provocare�nel�1893�quella�sentenza�che�riconobbe�al� Consiglio�di�Stato�natura�giurisdizionale,�determinando�quindi,�il�passaggio,� nell'arco�di�appena�quattro�anni,�del�Consiglio�di�Stato,�da�organo�di�giusti- zia�interna,�ad�organo�giurisdizionale.�Questo,�pero�,�determinava�anche�una� promozione�dell'Avvocatura,�che�non�era�piu�soltanto�il�difensore�della�per- sonalita�patrimoniale�dello�Stato,�ma�diventava�difensore�del�potere�esecu- tivo�e�delle�sue�prerogative�e�quindi�avvocato�a�tutto�tondo��dello�Stato��e� non�piu�soltanto�dello�Stato�come�persona�privata.� Il�disegno�si�doveva�completare�negli�Anni�'20�e�'30�del�secolo�scorso� con�l'unificazione�della�Cassazione�a�Roma,�con�l'incardinamento�dell'Avvo- catura�dello�Stato,�del�Consiglio�di�Stato�e�della�Corte�dei�Conti�nella�Presi- denza�del�Consiglio,�con�l'istituzione�del�Foro�erariale�e�con�il�mutamento,� anche�formale,�della�denominazione�da�Avvocatura�erariale�in�Avvocatura� dello�Stato.� TEMI�ISTITUZIONALI� Tale�mutazione�corrisponde�al�passaggio�dallo�Stato�liberal-borghese� allo�Stato�sociale,�o�pluriclasse,�in�cui�l'equilibrio�dei�tre�poteri�si�modifica;� il�potere�esecutivo�abbandona�le�dimesse�vesti�di�guardiano�notturno�e� comincia�ad�occuparsi�di�edilizia,�di�sanita�,�di�istruzione,�di�credito,�di�assi- curazioni.�Aumenta�anche�l'importanza�del�potere�giudiziario�che�finalmente� puo�sindacare�l'esecutivo�mentre�arretra�il�legislativo.� Dominante,�in�questa�fase,�appare�dunque�il�potere�esecutivo,�tant'e� vero�che�tra�le�due�grandi�guerre�del�secolo�scorso,�allignarono�le�peggiori� dittature�che�la�storia�ricordi.� In�questo�periodo�l'Avvocatura�dello�Stato�divento�il�difensore�delle� prerogative�del�potere�pubblico,�e�questo�sia�nel�giudizio�civile,�nel�quale� allora�le�prerogative�del�potere�pubblico�erano�molte�ed�importanti�(basti� ricordare�il�solve et repete),�sia�dinanzi�al�giudice�amministrativo,�dove�l'av- vocato�dello�Stato�deduceva�in�giudizio�la�presunzione�di�legittimita�del- l'atto�amministrativo.� Cos|�come�nella�fattoria�degli�animali�tutti�gli�animali�sono�uguali,�ma� alcuni�sono�piu�uguali�degli�altri�^diceva�acutamente�Piccardi�^ci�sono� giudizidiparti�in�cuiuna�partee�un�po�meno�parte�dell'altra.�Questo�era� il�caso�del�giudizio�amministrativo�in�cui,�anche�simbolicamente,�la�fun- zione�dell'avvocato�dello�Stato�era�raffigurata�in�posizione�diversa�da�quella� dell'avvocato�difensore�della�parte�privata,�perche�l'avvocato�dello�Stato� siede�alla�destra�del�giudice,�sul�banco�che�nei�giudizi�penali�compete�al� Pubblico�Ministero.� Oggigiorno,�probabilmente,�questo�e�soltanto�un�retaggio�del�passato,� un�simbolo,�cos|�come�e�un�simbolo�la�parrucca�bianca�dell'avvocato�inglese,� perche�,�come�e�noto,�al�tempo�attuale�le�prerogative�della�difesa�pubblica� non�esistono�praticamente�piu�.� 4.�Terza�crisi�di�trasformazione�e�quella�del�passaggio�dallo�Stato�sociale� allo�Stato�post-moderno�o�Stato�di�giurisdizione.�Essa�intercorre�nel�periodo� che,�per�semplificare,�va�dalla�Costituzione�repubblicana�fino,�grosso�modo,� al�1990.�La�Costituzione�repubblicana,�per�quanto�riguarda�la�giustizia� amministrativa,�si�e�limitata�a�recepire�con�puntualita�e�precisione�notarile� quella�che�era�stata�la�grande�costruzione�giurisprudenziale�del�Consiglio�di� Stato.�Quindi�a�recepire�anche�tutte�le�intime,�anche�se�eleganti,�contraddi- zioni�del�nostro�diritto�amministrativo:�basti�pensare�a�quella�che�vede�con- trapporre,�da�un�lato,�la�qualificazione�dell'interesse�legittimo�come�situa- zione�giuridica�soggettiva�sostanziale�(art.�24),�dall'altro�la�qualificazione� del�giudizio�amministrativo�come�giudizio�sull'atto�e�quindi�come�giudizio� cassatorio,�inidoneo�a�garantire�il�perseguimento�del�bene�della�vita� (art.�113).� Unica�novita�introdotta�in parte qua dalla�Costituzione�repubblicana�fu� il�doppio�grado�di�giurisdizione.�Novita�in�se�modesta�ma�che�portera�a�risul- tati�importanti�nella�storia�della�giustizia�amministrativa�italiana,�attraverso� la�sommatoria�di�tutta�una�serie�di�fattori�che�trascendono�il�dato�normativo,� attenendo�piu�al�momento�sociologico,�e�che�cerchero�di�elencare�senza�nes- suna�pretesa�di�completezza.� 1O RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� L'avvento�di�una�nuova�classe�di�giudici,�non�legata�in�modo�particolare� alle�pubbliche�amministrazioni�anzitutto;�la�trasformazione,�poi,�di�una� domanda�di�giustizia,�da�elitaria�qual'era,�in�domanda�di�massa,�conseguente� al�miglioramento�del�tenore�di�vita�e�ad�un�maggiore�acculturamento.� L'affacciarsi,�ancora,�di�nuovi�soggetti�sulla�scena�del�giudizio,�sia�pub- blici�che�privati:�da�un�lato�gli�enti�esponenziali�di�interessi�diffusi,�dall'altro� gli�enti�locali,�con�progressiva�sostituzione�di�centri�di�potere:�organi�di� governo�elettivi�in�luogo�di�organi�burocratici�periferici.� Si�e�,�poi,�verificato�un�eccesso�di�produzione�normativa�foriero�di�incer- tezze.�Un�eccesso�tale�da�portare�la�Corte�Costituzionale�a�cancellare�quella� che�era�una�delle�regole�piu�ferme�della�nostra�tradizione:�l'errore�di�diritto� non�scusa.�Vi�era,�infine,�la�richiesta,�sempre�montante�dal�corpo�sociale,di� una�giustizia�sostanziale�che�riconoscesse�o�disconoscesse�il�bene�della�vita,� richiesta�a�cui�la�giustizia�amministrativa�di�quel�torno�di�anni�ha�dato�una� risposta�attraverso�strumenti�indiretti,�potenziando�lo�strumento�cautelare,� potenziando�il�giudizio�di�ottemperanza,�adottando�la�pratica�delle�sentenze� ad�effetto�conformativo�e�cos|�via.� Novita�estremamente�importante�fu,�da�ultimo,�l'aumento�dei�casi�di� giurisdizione�esclusiva�per�effetto�dell'opera�sinergica�del�legislatore�e�del�giu- dice�tanto�ordinario�che�amministrativo.�I�casi�di�giurisdizione�esclusiva� diventarono,�infatti,�alla�fine�del�periodo�in�considerazione,�prevalenti�su� quelli�di�giurisdizione�generale�di�legittimita�,�con�conseguente�inversione�del� modello�di�giudizio.�Se�tradizionalmente�era�il�giudizio�generale�di�legittimita� che�informava�di�se�il�giudizio�di�giurisdizione�esclusiva,�accadde�in�progres- sione�il�contrario,�essendo�invece�quello�di�giurisdizione�esclusiva�(quindi�il� giudizio�sul�rapporto),�che�comincia�ad�informare�di�se�il�giudizio�generale� di�legittimita�.�In�pari�tempo�mutava�il�criterio�discriminatore�fra�le�giurisdi- zioni,�non�piu�(o�non�piu�solo)�ancorato�alle�situazioni�soggettive�tutelate�e� sempre�piu�volto�alle�materie�giudicabili.� Ancora�una�volta�la�crisi�di�trasformazione�della�giustizia�ammini- strativa�corrispondeva,�naturalmente,�ad�una�piu�generale�trasformazione� dello�Stato.� Ricorrendo�al�criterio�del�bilanciamento�dei�poteri�tradizionali,�consta- tiamo�come�il�potere�che�avanza�impetuosamente�nella�seconda�meta�del� secolo�scorso�e�il�giudiziario,�tant'e�vero�che�il�relativo�tipo�di�Stato�e�stato� anche�autorevolmente�chiamato��Stato�di�giurisdizione�.�La�mano�pubblica,� non�solo�in�Italia,�in�quel�torno�di�anni,�aveva�dilatato�enormemente�la�sua� sfera�di�influenza,�quindi�i�punti�di�crisi,�di�contatto�e�conflitto�tra�Ammini- strazione�e�cittadino�erano�andati�aumentando.�Si�diceva�che�un�bravo�citta- dino�inglese,�prima�della�prima�guerra�mondiale,�non�si�sarebbe�mai�accorto� della�presenza�dello�Stato�se�non�fosse�stato�per�gli�uffici�postali�e�per�i�poli- ziotti.�Certo�questo�non�avrebbe�piu�potuto�essere�detto�in�nessun�paese�del- l'occidente�negli�anni�'70�o�negli�anni�'80�del�secolo�scorso.�Vi�era�quindi� un'esigenza�accresciuta�di�domanda�di�giustizia�e�di�partecipazione,�sintoma- tizzata�in�tutto�il�mondo�da�una�serie�di�dati�caratteristici,�come�l'irraggia- mento�dell'istituto�dell'ombudsman,�che,�se�non�e�istituto�giurisdizionale,�e� pero�uno�strumento�di�giustizia�nell'Amministrazione;�il�progredire�delle� TEMI�ISTITUZIONALI� regole�sul�procedimento�ed�una�maggior�attenzione�alle�esigenze�partecipa- tive�del�cittadino;�l'introduzione�nei�procedimenti�amministrativi�di�regole� quasi�giudiziali;�un�aumento�dei�poteri�del�giudiziario�nei�confronti�dell'ese- cutivo.�In�una�parola,�un�aumento�della�domanda�di�giustizia,�un�aumento� della�risposta�di�giustizia,�un�aumento�della�incisivita�della�risposta�di�giusti- zia,�soprattutto�nei�confronti�della�Pubblica�Amministrazione.�Questo�sia� nei�paesi�a�regime�amministrativo,�come�il�nostro,�sia�nei�paesi�di�common law come�ad�esempio,�l'Inghilterra.� In�Italia�l'avanzata�impetuosa�del�potere�giudiziario�e�andata�addirit- tura�al�di�la�,�perche�quella�che�ormai�viene�chiamata�comunemente�la��rivo- luzione�dei�giudici�,�alle�soglie�dell'ultimo�decennio�del�secolo�scorso,ha� spazzato�via�un'intera�classe�politica,�agendo�come�punta�avanzata�di�una� marea�montante�di�lungo�respiro�che�aveva�interessato�l'intero�occidente� industrializzato.� Come�e�mutata�in�questo�periodo�la�natura�della�difesa�dello�Stato?�E� mutata�nel�senso�che�l'Avvocatura�ha�assunto�un'altra�dimensione,�ulteriore rispetto�a�quelle�precedenti.�E�rimasta,�certo,�la�difesa�dello�Stato�sia�come� persona�pubblica�che�come�persona�privata�dinanzi�agli�organi�di�giustizia� ordinaria�e�amministrativa,�(difesa�depurata,�pero�,�di�quelli�che�erano�stati�i� privilegi�del�passato).�Ma�ad�essa�si�e�aggiunta�una�nuova�dimensione,�quella� di�una�rappresentanza�e�difesa�dello�Stato�non�soltanto�come�potere�esecu- tivo,�ma�nella�sua�unitarieta�,�segnatamente�di�soggetto�di�diritto�internazio- nale�o�sopranazionale.�Cio�ad�esempio�dinanzi�alla�Corte�di�Giustizia�delle� Comunita�europee,�o�dinanzi�alla�Corte�internazionale�di�giustizia�dell'Aja;� ed�ancora,�rappresentanza�e�difesa�dello�Stato�non�come�potere�esecutivo� ma�come�ordinamento,�ad�esempio�nei�giudizi�incidentali�dinanzi�alla�Corte� Costituzionale�sulla�legittimita�delle�leggi.�Questa�appare�indubbiamente� come�l'assunzione�di�una�dimensione�ulteriore�e�direi�di�non�poco�momento.� 5.�Veniamo�adesso�alla�parte�piu�difficile�della�nostra�analisi,�piu�diffi- cile�perche�attiene�alla�crisi�di�trasformazione�che�stiamo�vivendo�adesso,�ed� il�contemporaneo�e�il�meno�privilegiato�degli�osservatori.�Si�tratta�del�passag- gio�dallo�Stato�di�giurisdizione�allo�Stato�in�cui�attualmente�stiamo�vivendo� e�che�e�stato�chiamato�in�molti�modi.�Forse�la�denominazione�piu�suggestiva� e�pero�quella�di��Stato�minimo�.�Il�pendolo�della�storia�ha�cambiato�dire- zione�a�seguito�di�molti�avvenimenti,�primo�fra�tutti�la�caduta�del��muro�di� Berlino�,�simbolo�della�crisi�di�un'ideologia�collettivistica�che�aveva�realiz- zato�il�massimo�dell'intervento�della�mano�pubblica.�L'implosione�dell'im- pero�che�ne�rappresentava�l'inveramento�in�terra�ed�il�consolidarsi�a�livello� continentale�dei�valori�guida�dell'Unione�europea�^la�concorrenza�ed�il�mer- cato�^hanno�innescato�quella�che�e�stata�definita�la�corsa�verso�il�privato�e� quindi�verso�lo�Stato�minimo,�in�uno�scenario�in�cui�i�valori�del�mercato�si� sostituiscono�a�quelli�della�politica.� Il�quadro�non�e�privo,�naturalmente,�di�singolari�contraddizioni,�perche�,� come�insegnava�un�liberista�della�statura�di�Einaudi,�la�prima�necessita�di� un�mercato�sono�i�carabinieri�che�ne�fanno�osservare�le�regole�ed�i�nuovi� carabinieri�di�questo�nuovo�Stato�gendarme�sono�le�Autorita�Indipendenti� che�debbono�far�osservare�le�regole�del�mercato.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Sennonche�le�Autorita�indipendenti�sono,�dal�punto�di�vista�formale,� autorita�amministrative,�che�operano�attraverso�atti�amministrativi.�La�loro� attivita�ricade,�quindi,�in�via�generale�sotto�il�sindacato�del�giudice�ammini- strativo,�cos|�come�sotto�il�sindacato�del�giudice�amministrativo�viene�a�rica- dere�l'attivita�svolta�con�procedure�ad�evidenza�pubblica�di�soggetti�che,�in� realta�,�non�sono�pubblici�ma�privati.�La�privatizzazione�dello�Stato�si�e� risolta,�quindi,�contraddittoriamente�in�Italia�in�un�ampliamento�della�com- petenza�del�giudice�amministrativo.� A�cio�si�e�aggiunta�la�rivoluzione�di�fine�millennio�nella�giustizia�ammi- nistrativa.�Rivoluzione�che�ha�due�caratteristiche:�la�prima�e�quella�di�avere� realizzato�nell'arco�di�tre�anni,�dal�1997�al�2000,�attraverso�un'accelerazione� improvvisa,�i�risultati�finali�di�linee�di�tendenza�che�si�erano�venute�faticosa- mente�dipanando�nel�corso�dei�precedenti�cinquant'anni.� La�seconda�caratteristica�e�di�aver�visto�operare,�in�sintonia�tra�loro�e� per�la�prima�volta�nella�storia�italiana,�legislativo,�esecutivo�e�giudiziario.� La�storia�della�giustizia�amministrativa�italiana�somiglia�un�po�,�infatti,�alla� storia�di�quella�famiglia�regnante�che�non�usciva�mai�da�una�guerra�dalla� stessa�parte�da�cui�era�entrata.�La�giustizia�amministrativa�italiana�e�sempre� uscita,�infatti,�dalle�riforme�in�una�direzione�diversa�da�quella�voluta�dal�legi- slatore.�Nel�1865�abbiamo�visto�che�da�una�legge�che�voleva�assoggettare� l'Amministrazione�al�giudice�ordinario,�suo�giudice�naturale,�nacque�^per� sinergico�operare�di�esecutivo�e�giudiziario�^un'Amministrazione�senza�giu- dice.�Da�una�legge�del�1889�che�intendeva�istituire�un�organo�di�giustizia� interno�all'Amministrazione�nacque�un�giudice�amministrativo,�sempre�per� effetto�di�quel�sinergico�operare.�Da�una�Costituzione�che�voleva�cristalliz- zare�questo�sistema,�nacque�una�spinta�evolutiva�assai�complessa�che�porto� il�sistema�di�giustizia�amministrativa�italiano�da�una�situazione�molto�simile� al�modello�francese,�ad�una�situazione�molto�piu�simile�al�modello�tedesco.� Per�contro,�alle�soglie�del�millennio,�fra�1997�e�2000,�legislativo,�esecu- tivo,�giudiziario,�si�trovarono�in�piena�sintonia.�Dette�l'avvio�il�legislatore� delegante�del�'97,�che�estese�la�competenza�del�giudice�amministrativo�ai� diritti�patrimoniali�consequenziali,�ivi�compreso�il�risarcimento�del�danno,� cos|�violando�un�tabu�che�era�esistito�per�oltre�cento�anni.� L'esecutivo�^legislatore�delegato�forzo�la�mano�nella�stessa�direzione�ed� amplio�anche�le�competenze�del�giudice�amministrativo,�affidandogli�i�servizi� pubblici,�l'urbanistica�e�l'edilizia�(praticamente�il�diritto�dell'economia).� Intervennero�poi�le�sezioni�unite�della�Cassazione�con�la�famosa�sentenza� sulla�risarcibilita�del�danno�da�lesione�di�interesse�legittimo,�infrangendo�un� altro�tabu�secolare.� Infine�il�legislatore�ordinario,�con�la�legge�205�del�2000,�che�rimedio� all'eccesso�di�delega�sanzionato�dalla�Corte�Costituzionale�e�con�l'occasione� affido�al�giudice�amministrativo�anche�la�tutela�risarcitoria�in�tutte�le�aree� in�cui�avesse�giurisdizione.� Se,�in�questa�occasione,�per�la�prima�volta�nella�storia,�i�poteri�dello� Stato�cooperarono�fra�loro�senza�dissociazioni,�va�pero�aggiunto�che�la�schi- zofrenia�anche�questa�volta�fece�la�sua�comparsa,�essendo�evidentemente� coessenziale�con�ogni�riforma�della�giustizia�amministrativa.�Questa�volta� TEMI�ISTITUZIONALI� pero�la�schizofrenia�fu�interna�al�legislatore,�cioe�propria�di�quel�Parlamento� che�se�nella�sua�epifania�di�legislatore�costituzionale�^piu�esattamente�come� Commissione�Bicamerale�^aveva�espresso�nel�corso�della�legislatura�la�ferma� e�decisa�volonta�di�sopprimere�il�Consiglio�di�Stato�nella�sua�veste�di�vertice� della�giustizia�amministrativa,�sul�finire�di�quella�stessa�legislatura�approvo�,� invece,�^in�sede�ordinaria�^una�riforma�che�attribuisce�al�giudice�ammini- strativo�italiano,�nella�sua�tradizionale�struttura,�con�al�vertice�il�Consiglio� di�Stato,�poteri�istruttori,�cautelari�e�decisori�ed�ampiezza�di�competenze� quali�mai�si�erano�viste�nella�storia,�affidandogli�addirittura�quel�formidabile� strumento�di�controllo�sociale�che�e�la�tutela�risarcitoria.� Strumento�di�controllo�sociale�non�solo�potente�nell'attualita�,�ma�poten- tissimo�in�prospettiva,�in�relazione�a�quella�linea�di�tendenza�che�il�Ministro� Mazzella�ha�chiamato��l'irresistibile�vento�dell'Ovest�.� Da�qualche�tempo�a�questa�parte�assistiamo,�infatti,�ad�una�importa- zione�attraverso�l'atlantico�di�istituti�caratteristici�della�potenza�mondiale� egemone.�Finora�si�e�trattato�soprattutto�delle�Autorita�indipendenti,�ma� non�e�escluso,�e�gia�qualche�segnale�si�intravede,�che�possiamo�adottare�un� altro�istituto�giuridico�statunitense,�quello�dei�cosiddetti��danni�punitivi�.� Istituto,�questo,�secondo�il�quale,�in�particolari�situazioni,�il�risarcimento� del�danno�non�e�commisurato�alla�lesione�dell'interesse�ma�a�valori�multipli� dell'equivalente�di�quella�lesione,�calcolati�al�fine�di�punire�il�responsabile� del�torto.�Questo�darebbe�un'ulteriore�freccia�alle�corde�di�una�gia�potentis- sima�giustizia�amministrativa�italiana,�il�che�potrebbe�essere�preoccupante� se�non�fossero�ben�note�le�doti�di�equilibrio�e�lungimiranza�del�nostro�giudice� amministrativo.� Cosa�muta�in�questo�quadro�nel�rapporto�tra�poteri�dello�Stato?�Qual�e� la�posizione�dell'Avvocatura�dello�Stato�in�questo�nuovo�assetto?�L'osserva- tore�contemporaneo,�lo�ripeto,�e�il�meno�privilegiato,�in�quanto�e�estrema- mente�difficile�cogliere�una�realta�in�divenire,�ed�un�divenire,�per�di�piu�,�cos|� rapido.�Ho�l'impressione�che�il�progresso�tecnologico�velocissimo�abbia�supe- rato�quelle�che�sono�le�nostre�realta�istituzionali,�attualmente�inadeguate�a� contenerlo.� De�Rita�ha�parlato�di�deistituzionalizzazione,�di�destrutturazione�del- l'Amministrazione�Pubblica�e�sicuramente�i�punti�di�equilibrio�e�di�bilancia- mento�dei�tre�poteri�dello�Stato�non�sono�piu�quelli�del�passato,�mentre,�per� l'Avvocatura�si�va�accentuando�un�dualismo�gia�constatato�nello�Stato�di�giu- risdizione.�Essa�e�,�infatti,�da�un�lato,�difensore�dello�Stato,�soprattutto� dinanzi�al�giudice�amministrativo�(recessive�apparendo�le�funzioni�del�giudice� ordinario�nei�giudizi�con�lo�Stato)�con�una�posizione�da�avvocato�tendenzial- mente�equiordinata�a�quella�del�difensore�privato.�Essa�acquista�e�potenzia,� poi,�una�dimensione�diversa�e�piu�squisitamente�pubblicistica�in�quelli�che� sono�i�giudizi�di�costituzionalita�(in�cui�opera�sia�come�amicus curiae che� come�avvocato)�ed�i�giudizi�dinanzi�alle�corti�internazionali�e�sovranazionali,� per�non�parlare�delle�cause�in�cui�difende�le�Autorita�indipendenti,�in�cui� ruoli�e�funzioni�sono�ancora�da�definire�anche�legislativamente.� Dal�punto�di�vista�della�natura�della�crisi�che�lo�Stato,�la�societa�eil� diritto�stanno�attraversando,�forse�si�sta�avverando�la�profezia�che�Giannini� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� faceva�piu�di�vent'anni�fa,�quando�parlava�della�crisi�dello�Stato�nazionale� nella�sua�configurazione�seicentesca�teorizzata�da�Jean�Bodin.�Stato�nazio- nale�che,�dopo�quattro�secoli�di�storia,�sarebbe�giunto�alla�fine�del�suo�ciclo� vitale�e�sarebbe�pronto�a�cedere�il�passo�ad�una�nuova�Repubblica�delle� genti,�ad�una�nuova�societa�transnazionale�regolata�da�una�unica�lex merca- toria ed�al�cui�assetto�definitivo,�pero�,�si�arrivera�soltanto�dopo�un�profondo� travaglio�di�rivoluzioni�e�di�guerre.� Questa�era�la�profezia�di�Giannini,�una�profezia�che�mi�pare�si�stia�avve- rando�perche�di�quel�travaglio�di�rivoluzioni�e�di�guerre�siamo�nel�bel�mezzo.� Speriamo�che�il�travaglio�non�duri�troppo.� Gennaro Terracciano. Grazie�avvocato�Caramazza,�certo�non�e�facile� cavalcare�due�secoli�di�storia�in�cos|�poco�tempo,�ma�devo�dire�che�sono�stati� messi�in�luce�tutti�gli�aspetti�essenziali�per�cogliere�l'evoluzione�^effettiva- mente�a�volte�per saltum e�con�poca�coerenza�^che�certamente�oggi�viviamo:� un�momento�di�grande�modificazione�del�modo�di�sentire�il�giudice.� Mi�permetto�solo�di�dire�una�cosa�che�mi�sembra�molto�coerente�con� quanto�si�diceva�prima.�E�vero,�forse�si�puo�assistere�ad�una�destrutturazione� del�modo�di�intendere�tradizionale�delle�Pubbliche�Amministrazioni,�ma� credo�che�gia�il�Consiglio�di�Stato�in�particolare�abbia�messo�in�luce�come� poi,�in�fondo,�il�giudice�amministrativo�non�sia�il�giudice�dell'Amministra- zione�Pubblica,�piuttosto�il�giudice�dell'interesse�collettivo,�indipendente- mente�dagli�strumenti�privatistici,�pubblicistici�utilizzati�per�perseguire�quel- l'interesse�collettivo.�Forse�questa�e�una�nuova�frontiera�che�potrebbe�essere� approfondita�ed�esaminata.� Comunque�non�voglio�prendere�tempo,�ringrazio�per�essere�qui�il�Presi- dente�del�Consiglio�di�Garanzia�del�Senato�della�Repubblica,�onorevole� Giuliano.� Pasquale Giuliano. Un�saluto�a�voi�tutti,�ai�relatori�ed�un�saluto�e�un�rin- graziamento�al�professor�Gennaro�Terracciano,�Rettore�di�una�scuola�cos|� prestigiosa�che�e�un�punto�di�riferimento�ineludibile�nel�settore.� Non�dovro�fare�una�cavalcata�cos|�lunga�nei�due�secoli,�come�ha�fatto� in�maniera�egregia�quel�nobile�cavaliere�che�e�l'avvocato�Caramazza,�anche� perche�gli�organi�contenziosi�di�cui�brevemente�voglio�parlarvi,�e�della�cui� esperienza�mi�voglio�rendere�portatore,�quale�presidente�del�Consiglio�di� garanzia�del�Senato,�hanno�una�vita�brevissima,�anche�travagliata,�tant'e� che�non�c'e�stata�ancora�una�loro�esatta�definizione;�insomma�non�e�stata� ancora�puntualmente�esercitata,�con�riferimento�ad�essi,�una�actio finium regundorum. Anche�perche�fino�alla�nona�Legislatura�essi�non�esistevano,�non�ancora� erano�costituiti:�la�tutela�dei�diritti�dei�dipendenti�era�sino�ad�allora�tutta� affidata�all'Ufficio�di�Presidenza�e�quella�che�non�era�ancora�una�vera�e�pro- pria�giurisdizione�domestica,�in�quanto�non�ancora�attingeva,�seppure�con� le�modalita�che�vedremo,�ad�alcune�regole�fondamentali�dello�ius dicere,era� affidata,�con�norme�regolamentari�assai�generiche,�e�percio�approssimative,� al�buon�senso,�all'equilibrio�ed�a�quelle�che�erano�prassi�centenarie.� TEMI�ISTITUZIONALI� I�primi�punti�fondamentali�furono,�in�effetti,�posti�dalla�Corte�di�Cassa- zione�e�dalla�Corte�Costituzionale�in�una�azione�sincrona�che�si�attuo�nel� momento�in�cui�un�ex�dipendente�del�Senato,�nel�1977,�quindi�in�epoca�abba- stanza�recente,�convenne�davanti�al�giudice�ordinario,�per�diritti�che�riteneva� essergli�stati�lesi,�il�Senato�della�Repubblica.�Il�quale�eccep|�il�difetto�di�giuri- sdizione,�assumendo�che�la�questione�appartenesse�alla�competenza�del�Con- siglio�di�Presidenza.� La�Corte�di�Cassazione,�con�una�sentenza�molto�elaborata,�ritenne,�d'uf- ficio,�di�sollevare�la�questione�di�costituzionalita�,�motivando�sostanzialmente� che�erano�due�le�soluzioni�e�i�percorsi�ipotizzabili:�uno�che�riconoscesse�una� limitazione�della�portata�generale�delle�norme�sulla�tutela�giurisdizionale,� nel�senso�dell'inesistenza�di�un�giudice�nell'ordinamento�comune�capace�di� dirimere�le�controversie�in�materia�di�impiego�dei�dipendenti�del�Senato;�il� secondo�che�riconoscesse�una�sorta�di�attenuazione�rispetto�ai�principi�gene- rali�della�giurisdizione,�e�quindi�la�possibilita�di�riconoscere�la�giurisdizione� speciale�dello�stesso�Senato,�l'autodichia,�e�di�regolamentarla�secondo�quelle� che�sono�le�regole�sue�proprie.� La�Corte�Costituzionale�ritenne,�anch'essa,�non�manifestamente�infon- data�la�questione,�riconobbe�nella�parte�espositiva�la�correttezza�delle�ragioni� illustrate�dalla�Cassazione�e�pero�si�pose�un�problema�di�ordine�pregiudiziale,� ai�sensi�ed�ai�fini�dell'art.�134�della�Costituzione:�la�possibilita�di�sindacare�i� regolamenti�del�Senato,�perche�,�appunto,�era�stato�impugnato�l'art.�12�del� relativo�regolamento.�Alla�fine,�li�ritenne,�contrariamente�a�quella�che�allora� era�una�dottrina�dominante,�che�considerava�i�regolamenti�delle�Camere� come�atti�di�normazione�con�forza�di�legge,�non�sindacabili�anche�perche� emanati�da�un�organo�che�e�espressione�diretta�ed�immediata�della�sovranita� popolare�e�pertanto�intolleranti�di�qualsiasi�controllo�e�di�qualsiasi�possibi- lita�di�censura.�Quindi�dichiaro�,�la�Corte�Costituzionale,�inammissibile�la� questione�e�la�ripose�di�nuovo�dinanzi�alla�Corte�di�Cassazione.�La�quale� ripropose�l'originario�ragionamento�riconoscendo�sostanzialmente�la�possibi- lita�dell'esistenza�di�un�sistema�di�autodichia,�di�una�speciale�giurisdizione� domestica�del�Senato�e�dichiaro�non�il�difetto�assoluto�di�giurisdizione,�ma� il�difetto�di�giurisdizione�con�riferimento�al�giudice�ordinario�e�al�giudice� amministrativo.� Il�Senato�e�la�Camera,�direi,�apprezzarono�quella�che�era�stata�un'indi- cazione�cos|�autorevole�da�parte�della�Cassazione�e�della�Corte�Costituzio- nale�e�si�ingegnarono�nell'intento�di�creare�un�sistema�attendibile,�che�condu- cesse�fuori�da�regole�improntate�a�linee�assai�generali,�di�buon�senso�e�di� equilibrio,�con�un�atto�di�normazione�che�potesse�disciplinare�in�maniera� piu�precisa�ed�efficiente�le�questioni�relative�ai�diritti�ed�agli�interessi�legittimi� dei�dipendenti�delle�Camere.� Da�qui�nacque�la�costituzione�di�questi�organi�di�contenzioso�interno,�la� cui�natura�non�e�ancora�sostanzialmente�ben�definita:�sono�stati�a�volte�con- siderati�veri�e�propri�organi�di�giurisdizione,�a�volte�organi�amministrativi,� a�volte�organi�politici.�Con�particolare�riferimento�al�Senato,�poi,�una�sorta� di�quindicesima�commissione�che�aveva�come�punto�di�riferimento�anche� delle�regole�cosiddette�politiche,�o�perlomeno�pseudo-politiche.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO All'interno della Camera furono cos|� istituiti la Commissione giurisdi- zionale e l'Ufficio di Presidenza, mentre all'interno del Senato la Commis- sione per il contenzioso ed il Consiglio di garanzia, quindi due gradi in un ramo del Senato con due gradi anche nella Camera dei Deputati. Le regole procedimentali davanti a tali organi sono, grosso modo, quelle del processo amministrativo, che viene visto come rito di riferimento, conla difesa del Senato affidata, appunto, all'Avvocatura dello Stato. C'e� pero� da rilevare che sono regole ancora generiche, non precise, a volte non facilmente individuabili, che pertanto obbligano, all'interno del Senato, i componenti del Consiglio di garanzia e della Commissione per il contenzioso a degli sforzi notevoli per cercare di dare alle decisioni, al proce- dimento, al rito un'impronta quanto piu� possibile giurisdizionale, anche se, ripeto, sul punto non vi e� assoluta concordia e spesso i contrasti si accaval- lano offrendo difficilmente delle indicazioni univoche. Ma ci sono stati di recente dei fatti nuovi che fanno ripensare a que- sto inquadramento anche del Consiglio di Garanzia, il quale e� composto da cinque senatori, scelti dal Presidente del Senato tra parlamentari esperti in diritto. Sono state le ultime, recenti decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo e della stessa Corte di Giustizia delle Comunita� europee, le quali hanno ritenuto che le disposizioni, le prassi interne degli Stati nazionali non possono costituire una eccezione rispetto a quelli che sono i diritti fondamen- tali, specie nel momento in cui si fa riferimento ad organi di natura costitu- zionale non nell'espletamento di funzioni proprie parlamentari. Di recente ^gennaio 2003 ^e� stata infatti pronunciata a Strasburgo la sentenza relativa ad un caso che ha avuto anche una notevole eco sulla stampa ^Cordova contro lo Stato italiano ^nella quale si e� in particolare affermato che e� ammissibile il sacrificio del diritto del cittadino di poter ricorrere ad un tribunale, pertanto alla giurisdizione ordinaria, ma si e� al contempo ritenuto che questo possa e debba accadere laddove ^quello in esame era caso di diffamazione ^le opinioni espresse dal parlamentare siano direttamente connesse all'esercizio di una funzione parlamentare in senso stretto e non ad atti compiuti nel contesto di dispute personali. In effetti, e� stato questo l'ultimo spunto che ha di nuovo agitato tutta la problematica e che induce ad un ripensamento della stessa natura degli organi di contenzioso nel momento in cui si rivolgono ad essi i dipendenti dello stesso Senato per ottenere il riconoscimento di diritti ed interessiche si assume essere stati lesi. Quindi, sul punto, questi organi che hanno, come dicevo, una vita breve, una vita sostanzialmente di poco piu� di venti anni, stanno subendo una evoluzione apprezzabile, anche sulla scorta delle que- stioni che vengono poste davanti ad essi, ultima delle quali ^questo e� stato un ulteriore passo ^quella che attiene alla procedura concorsuale per le assunzioni ed alla procedura degli appalti che, per quanto riguarda in parti- colare la Camera, e� di grande rilevanza, di un consistente impatto di ordine finanziario e che sta trovando spazi di giurisdizionalita� sempre piu� ampi. Certo e� singolare che cio� sia accaduto con un certo ritardo proprio all'interno di organi costituzionali che hanno, s|� l'esigenza di tutelare la pro- TEMI�ISTITUZIONALI� pria�autonomia�in�quanto�espressioni�dirette�della�sovranita�popolare,�ma� che�hanno�al�contempo�in�se�il�contenuto,�il�seme�proprio�di�quei�principi� fondamentali�di�una�sana�e�corretta�giurisdizione�riconosciuti�da�tutte�le� Carte�di�ogni�stato�democratico,�che�certamente�non�vedono�con�favore�un� sistema�di�giurisdizione�domestica.� Si�pensi�che,�in�ordine�alla�natura�degli�organi�di�autodichia,�si�e�parlato,� in�maniera�forse�suggestiva,�anche�di�una�sorta�di�camere�arbitrali�di�tipo� obbligatorio,�presenti�nel�diritto�internazionale,�che,�pur�non�seguendo�regole� proprie�della�giurisdizione,�sicuramente�fanno�riferimento�ampio�e�preciso� alla�stessa�giurisdizione.� C'e�,�pertanto,�tutto�uno�studio�in�corso�da�parte�dell'Ufficio�di�Presi- denza,�sia�della�Camera�che�del�Senato,�per�dare�non�un�volto�nuovo,�ma� sicuramente�un�incasellamento�piu�affidabile�che�lasci�meno�discrezionalita�,� se�cos|�possiamo�dire,�meno�spazi�di�autodichia�o�di�giurisdizione�domestica,� con�regole�piu�certe�e�piu�garantiste.� Una�cosa�e�chiara,�nel�momento�in�cui�si�dovesse�affermare�il�principio� solennemente�pronunciato�dalla�Corte�Europea,�si�potrebbe�formalmente� aprire�anche�la�strada�davanti�al�giudice�ordinario,�cos|�come�era�in�epoca� grosso�modo�post�statutaria�ed�anche�prerepubblicana,�quando�era�possibile� ricorrere�all'autorita�giudiziaria�ordinaria�per�i�diritti�soggettivi�degli�impie- gati�degli�organi�costituzionali.� Sara�un�processo�lungo,�per�il�quale�occorre�coraggio�e�decisione;�ma� sara�anche�necessaria�una�sorta�di�rinuncia�a�condotte�che�hanno�radici�in� prassi�inveterate�nonche�una�disponibilita�ad�abbandonare�privilegi�intra- murari�anche�da�parte�dei�dipendenti�che,�sul�punto�della�tutela�giurisdizio- nale,�hanno�indubbiamente�le�loro�ragioni�e�stanno�organizzandosi�anche� a�livello,�non�dico�sindacale,�ma�sicuramente�di�sensibilizzazione�di�una� coscienza�sindacale�che�porta�all'attenzione�sempre�piu�frequentemente�pro- blemi�di�tal�fatta.� Un�problema�si�e�posto�di�recente�anche�all'interno�del�Consiglio�di�Pre- sidenza�del�Senato�per�casi�particolari�che�attengono�alla�esecuzione�delle� decisioni�degli�organi�di�autodichia,�che�in�genere�spetta�direttamente�al�Pre- sidente�del�Senato,�ma�sulle�cui�modalita�,�sulla�cui�estensione�si�prospettano� dubbi�e�ulteriori�margini�di�discrezionalita�che�sicuramente�non�tutelano�al� meglio�quello�che�e�un�aspetto�finale�ma�fondamentale�del�diritto�del�singolo.� Per�la�Camera�dei�Deputati�la�situazione�e�parzialmente�diversa,�nel� senso�che�questo�processo�riformatore�si�e�forse�attutito,�anche�perche�all'in- terno�della�stessa�Camera�e�attivato�un�Consiglio�di�Presidenza�che�spazia� sicuramente�in�maniera�piu�ampia�rispetto�al�Senato�sulla�riconoscibilita�di� questi�diritti,�con�l'ammissione�di�un�contraddittorio�che�ha�regole�piu�forti,� piu�ferme,�rispetto�a�quella�del�Senato.� Se�dovessi�fare�un�auspicio,�mi�augurerei�che,�contrariamente�a�quanto� avviene�in�molti�temi�sulle�notevoli�differenze�regolamentari�tra�Senato�e� Camera,�sull'argomento�vi�possa�essere�una�disciplina�univoca�che�riconosca� una�maggiore�giurisdizionalita�del�procedimento�e�una�possibilita�di�ricorrere� a�giudici�che�siano�veramente�terzi�e,�soprattutto,�imparziali.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� La�terzieta�,ede�questo�il�punto�fondamentale�perche�ovviamente�essa�e� nemica�dell'autodichia,�e�la�domesticita�sono�le�questioni�di�maggiore�diffi- colta�sulle�quali�sara�non�agevole�trovare�soluzioni�condivise�o�bene�accette,� perche�,�ovviamente,�sulle�stesse�fanno�sentire�fortemente�il�loro�peso�condi- zionante�il�principio�dell'autonomia�degli�organi�costituzionali�ed�il�principio� della�sovranita�popolare.�Quindi,�e�prevedibile�che,�quanto�meno�a�breve,� non�sara�facile�individuare�una�soluzione�appagante.� Indubbiamente�i�passi�in�avanti�rispetto�al�recente�passato,�in�cui�nulla� era�certo,�nulla�era�chiaro,�nulla�era�puntualmente�e�chiaramente�scritto,� sono�stati�e�sono�notevoli�e�confido�che�questa�progressione�non�si�arresti.� Per�quanto�riguarda�la�difesa�di�Camera�e�Senato,�poi,�si�puo�dire�che� l'Avvocatura�dello�Stato�nel�momento�del�contenzioso�interno�delle�Camere� espleta�le�sue�funzioni�come�difensore�di�un�organo�costituzionale.�Anche� qui�le�questioni�che�non�di�rado�ha�posto�e�pone�l'Avvocatura�sono�state�e� sono�di�grande�rilievo,�anche�se�trovano,�appunto�per�i�problemi�cui�prima� si�faceva�cenno,�margini�e�spazi�di�sollecitazione�e�di�discussione�non� troppo�ampi.� C'e�da�augurarsi�che�una�riforma�in�questo�campo,�nel�momento�in�cui� soprattutto�e�avvenuta�quella�modifica�dell'art.�111�della�nostra�Carta�con�il� giusto�processo�che�ha�costituzionalizzato�i�principi�che�erano�gia�in�nuce nel�nostro�ordinamento�per�quanto�riguarda�la�terzieta�del�giudice�e�la�parita� delle�parti,�possa�trovare�piu�agevolmente�spazio�e�possa�avere�un'influenza� beneficamente�rinnovatrice�anche�su�questi�organi.� Alberto de Roberto. La nuova giurisdizione del giudice amministrativo. Ho�ascoltato�con�attenzione�chi�mi�ha�preceduto�in�questa�giornata�di� lavoro.� Ho�apprezzato�le�parole�del�Ministro�Mazzella,�del�senatore�Giuliano�e� dell'avvocato�dello�Stato�Caramazza.� L'ampiezza�dell'indagine�condotta�da�Caramazza�mi�dispensa�dall'an- dare�troppo�a�ritroso�nella�ricostruzione�degli�istituti�del�processo�ammini- strativo:�Caramazza�ha,�infatti,�esaminato�in�lungo�e�in�largo�la�storia�della� giustizia�amministrativa�a�partire�da�quel�fatidico�1889,�l'anno�di�istituzione� della�gloriosa�IV�Sezione�del�Consiglio�di�Stato�di�Silvio�Spaventa.� Condurrei,�percio�,�il�mio�discorso�affacciandomi�sull'attuale�modo�d'es- sere�del�sistema.� Noi�oggi�siamo�in�presenza�^come�ha�rilevato�bene�Caramazza�^di�un� sistema�nuovo:�molti�valori�antichi�vengono,�e�vero,�conservati�ma�anche� profonde�innovazioni�vengono�apportate�al�sistema�il�quale�risulta,�oggi,� costituito,�quindi,�da�una�singolare�miscela�di�elementi�nuovi�e�di�elementi� antichi.� Da�dove�posso�partire?� Vorrei�parlare,�anzitutto,�della�giurisdizione�del�giudice�amministrativo.� Resta�ferma�^anche�dopo�le�riforme�^la�clausola�generale�di�investitura� del�giudice�amministrativo�configurato�dall'ordinamento�come�giudice�degli� interessi�legittimi.� TEMI�ISTITUZIONALI� Ed�invero�questa�investitura�trae�origine�da�una�proposizione�costituzio- nale,�suscettibile�di�essere�modificata�solo�con�legge�di�revisione�costituzionale.� Il�giudice�amministrativo�e�,�dunque,�oggi�come�ieri,�giudice�dell'interesse� legittimo:�l'interesse�legittimo�di�cui�il�giudice�amministrativo�e�chiamato,� oggi,�a�conoscere�si�manifesta�^dopo�le�recenti�modifiche�(e�soprattutto� dopo�la�svolta�giurisprudenziale�di�cui�alla�sentenza�n.�500�del�1999�della� Cassazione)�^come�un�interesse�legittimo�profondamente�trasformato:�non� piu�un�interesse�individuale�subalterno�all'interesse�pubblico�capace�di�vivere� soltanto�in�simbiosi�con�l'interesse�maggiore�ma�un�interesse�individuale� dotato�anche�di�una�sua�autonomia�che�resta�in�campo�pure�quando�l'anello� di�congiunzione�tra�interesse�pubblico�e�privato�si�sia�interrotto.� Ritornero�su�questo�punto�piu�avanti.� Rilevo�per�intanto�che�significativi�mutamenti�hanno�riguardato�l'area� della�giurisdizione esclusiva del�giudice�amministrativo�(l'area�identificata� con�riferimento�non�alla�posizione�soggettiva�dedotta�in�causa�ma�con� riguardo�alla�materia�sulla�quale�incide�la�controversia).� Anzitutto�le�attribuzioni�in�materia�di�pubblico�impiego�sono,�in�larga� parte,�venute�meno.�Resta,�infatti,�nella�nostra�giurisdizione�amministrativa,� solo�il�pubblico�impiego�relativo�a�particolari�categorie�di�personale�chia- mato�a�gestire,�in�maniera�diretta,�la�funzione�pubblica:�i�diplomatici,�i�fun- zionari�dell'amministrazione�dell'interno,�i�militari,�i�magistrati,�gli�avvocati� dello�Stato�ecc.� Due�i�nuovi�ambiti�caduti�nella�giurisdizione�esclusiva.� Il�primo�e�di�piu�agevole�comprensione:�il�nostro�sistema�si�caratterizza� per�la�presenza�dell'atto�degradatorio,�un�atto�che�non��lede��il�diritto�sog- gettivo�sul�quale�si�abbatte,�ma�lo�estingue�e�lo�trasferisce�secundum legem in�altre�mani�ecc.� Una�vicenda�^quella�della�degradazione�^che�trova�la�sua�spiegazione� nell'annullabilita�dell'atto�degradatorio�illegittimo�e,�percio�,�nell'attitudine�di� esso�a�produrre�secundum legem ^fino�a�quando�non�rimosso�^i�propri� effetti�(si�pensi�all'atto�che�dispone�la�demolizione;�che�contempla�il�trasferi- mento�del�bene�in�altre�mani�ecc).� Il�che�puo�anche�esprimersi�rilevando�^proprio�per�la�presenza�di�un� atto�amministrativo�produttivo�di�effetti�secundum legem fino�a�quando�non� annullato�^la�lesione�di�un�interesse�legittimo�deducibile�innanzi�al�giudice� amministrativo.� Spetta,�dunque,�in�questa�situazione,�al�giudice�amministrativo�pronun- ciare�l'annullamento�dell'atto�degradatorio�illegittimo.� Una�volta,�pero�,�che�tale�annullamento�sara�stato�pronunciato�il�diritto� soggettivo�ritorna�alle�sue�antiche�fattezze�riconquistando�il�primigenio� rango�di�diritto�soggettivo.� Nel�quadro�del�precedente�assetto�^ritornato�in�campo�il�diritto�sogget- tivo�^occorreva,�a�questo�punto,�andare�innanzi�al�giudice�ordinario�e� domandare�il�ristoro�del�danno�patito.� A�questa�disciplina�ci�ha�abituato�la�degradazione�che�ha�avuto�una� applicazione�quasi�secolare�pur�se�contrassegnata�da�qualche�oscillazione� giurisprudenziale�(specie�nella�prima�meta�del�secolo�teste�decorso).� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Dopo�la�legge�n.�205/2000,�e�divenuto�operante�un�regime�di�segno� opposto�rivolto�ad�appagare�un'esigenza�indifferibile�e�antica:�assicurare�che� la�riparazione�del�diritto�soggettivo�trovi�luogo�di�fronte�allo�stesso�giudice� dell'annullamento,�evitandosi�cos|�un�contenzioso�frazionato�tra�il�giudice� dell'annullamento�dell'atto�e�il�giudice�del�ristoro�del�danno�(con�inevitabili� ritardi�sul�sistema�di�tutela).� Non�e�soltanto�quella�or�ora�ricordata�la�nuova�area�della�giurisdizione� esclusiva.�Si�e�attribuito,�infatti,�alla�giurisdizione�esclusiva,�anche�l'ampio� settore�dei�servizi�pubblici.� Va�detto�subito�che�la�linea�secondo�cui�il�giudice�amministrativo�risul- terebbe�investito�oggi�di�una�universale�competenza�nel�campo�dei�servizi� pubblici,�e�chiaramente�smentita�dal�tenore�della�stessa�legge.� Quest'ultima�ha,�infatti,�previsto�che�le�controversie�in�materia�di�singoli� contratti�di�utenza�e�tutta�la�materia�dell'illecito�aquiliano�prodotto�nell'espli- cazione�del�servizio,�restano�nelle�mani�del�giudice�ordinario.� Rimane�certo�un�delicato�quesito�al�quale�occorre�dare�risposta:�stabi- lire�se�^al�di�fuori�delle�aree�direttamente�conferite�al�giudice�ordinarioo� al�giudice�amministrativo�^debba�ritenersi�sussistente�una�generale�investi- tura�residuale�come�giudice�dei�servizi�pubblici�a�favore�del�giudice�ammini- strativo�o�se�^per�i�settori�ricadenti�nei�servizi�pubblici�ma�non�conferiti� nominatim ne�al�giudice�ordinario�ne�al�giudice�amministrativo�^riprenda� vigenza�la�clausola�generale�diritto-interesse�che�e�alla�base�del�nostro� riparto�di�giurisdizione.� A�questo�riguardo�non�combatterei��guerre�sante�:�lascerei�alla�Corte�di� Cassazione�giudice�regolatore�della�giurisdizione�il�compito�di�definire�quale� sia�la�interpretazione�da�seguire. E�sempre�la�Cassazione�che�dovra�aiutarci�poi�a�sciogliere�anche�qual- che�altro�nodo:�ricadono�nella�giurisdizione�dei�servizi�pubblici�(e�sono,�per- cio�,�di�spettanza�del�giudice�amministrativo),�i�casi�nei�quali�il�gestore�di�ser- vizi�pubblici�^spesso�operando�come�soggetto�privato�^si�approvvigiona� sul�mercato�di�quanto�occorre�per�lo�svolgimento�del�servizio�pubblico?� Un�certo�orientamento�giurisprudenziale,�soprattutto�dei�tribunali� amministrativi�di�primo�grado,�ipotizza�che�tali�negozi�ricadano�nella�giuri- sdizione�del�giudice�amministrativo.� La�Cassazione,�invece,�nelle�due�o�tre�pronunce�che�si�sono�avute�in� materia,�perviene�a�conclusioni�opposte.� Sarei�francamente�convinto�che�anche�a�questo�proposito�debba�far�sen- tire�la�sua�voce�il�giudice�regolatore�della�giurisdizione.� Esauriti�i�problemi�in�tema�di�giurisdizione�mi�fermerei,�ancora,�su� taluni�aspetti�concernenti�gli�atti�degradatori.� Credo�che�si�consideri�correttamente�come�ipotesi�di�fatto�illecito�aqui- liano�la�condotta�produttiva�di�danno�nello�svolgimento�del�potere�pubblico.� Restano,�pero�,�marcate�differenze�tra�il�modo�di�concepire�l'illecito� quando�di�questo�conosceva�il�giudice�ordinario�e�oggi,�quando�a�conoscere� della�stessa�fattispecie�e�il�giudice�amministrativo.� TEMI�ISTITUZIONALI� In�primo�luogo,�piu�incisiva�che�in�passato�risulta�la�riparazione�suscet- tibile�oggi�di�trovar�luogo�anche�nella�via�della�reintegrazione�in�forma�speci- fica,�non�incontrando�il�giudice�amministrativo�i�limiti�ai�quali�soggiace,� invece,�il�giudice�ordinario�nei�confronti�della�Pubblica�Amministrazione.� Anche�sul�piano�sostanziale�qualche�modificazione�puo�essere�colta:�l'il- lecito�consumato�attraverso�lo�svolgimento�del�potere�pubblico�non�si�lascia� inquadrare,�puramente�e�semplicemente,�nell'illecito�aquiliano.� Vi�sono�almeno�due�peculiarita�che�vanno�segnalate:� a) si�sarebbe�molto�incerti�anzitutto�nel�ritenere�che�l'illecito�del�giu- dice�amministrativo�presupponga�l'elemento�psicologico:�le�difficolta�quasi� insuperabili�che�si�incontrano�nella�ricostruzione�di�tale�elemento�inducono� a�preferire�una�soluzione�interpretativa�in�fondo�non�diversa�da�quella� sostenuta�dallo�stesso�giudice�ordinario�prima�della�svolta�degli�anni�'90:� dell'illecito�l'Amministrazione�risponde�anche�senza�elemento�soggettivo.�E� cio�in�quanto�la�responsabilita�fondata�sulla�mera�illegittimita�dell'azione� amministrativa�costituisce�un�ragionevole�bilanciamento�voluto�dall'ordina- mento�per�far�da�contrappeso�al�carattere�autoritativo�del�provvedimento� amministrativo.� Non�e�irragionevole,�poi,�ipotizzare�(come�pure�si�e�affermato)�che� l'art.�2058�del�codice�civile�possa�^in�presenza�dell'interesse�pubblico�^con- sentire�al�giudice�di�lasciare�immodificati�gli�eventi�pur�reversibili�che�si�sono� prodotti�se�l'interesse�pubblico�lo�suggerisce�assicurando�al�danneggiato� una�somma�che�tenga�luogo�della�riparazione�in�forma�specifica.� Su�di�un�ultimo�punto�debbo�richiamare�ancora�l'attenzione.� E�sicuro�che�a�livello�di�giurisdizione�il�giudice�amministrativo�resta,� ancora,�il�giudice�dell'interesse�legittimo:�ma�di�quale�interesse�legittimo?� L'interesse�legittimo�ci�viene�restituito�dall'ordinamento�^come�si�accen- nava�^con�diverse�fattezze�e�connotazioni.� In�sostanza,�l'interesse�legittimo�non�e�piu�la�posizione�subalterna� capace�di�ottenere�realizzazione�solo�in�quanto�l'interesse�individuale�coin- cide�con�l'interesse�pubblico:�quando�la�saldatura�si�spezza�e�cessa�il�connu- bio�tra�interesse�individuale�e�interesse�pubblico,�l'interesse�individuale�non� e�piu�abbandonato�al�suo�destino�sprovvisto�di�ogni�tutela.� Ad�esempio,�se�un�atto�amministrativo�vantaggioso�avrebbe�dovuto� essere�adottato�in�un�certo�momento�e�non�lo�e�stato,�il�ritardo�puo�ottenere,� d'ora�in�poi,�un�suo�ristoro,�a�favore�del�soggetto�che�e�stato�colpito�nel�suo� interesse�(incapace,�ormai,�per�questo�aspetto,�di�vivere�in�simbiosi�con�l'inte- resse�pubblico).� Si�aprono,�pero�,�a�questo�punto�percorsi�irti�di�difficolta�che�la�giuri- sprudenza�va�tracciando�(pur�se�con�le�cautele�che�la�situazione�richiede).� Incerta�anzitutto�la�natura�della�lesione�dell'interesse�legittimo�preten- sivo:�responsabilita�aquiliana�(come�ha�affermato�la�Cassazione�con�la�sen- tenza�500�del�'99)�^o�responsabilita�contrattuale?� Una�presa�di�posizione�a�questo�riguardo�e�scelta�non�priva�di�pratiche� conseguenze:�una�cosa�e�,�ad�esempio,�il�regime�della�responsabilita�contrat- tuale,�altra�e�quella�della�responsabilita�extracontrattuale�di�cui�pur�potrebbe� ipotizzarsi�l'applicazione.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� E�ancora,�il�mistero�dell'interesse�legittimo�sostanziale��sperato��(le�ipo- tesi�in�cui,�sostanzialmente,�l'atto�colpito�da�un�vizio�formale,�non�puo��essere� ripetuto:�si�pensi�ad�una�aggiudicazione�annullata�per�un�vizio�formale,�ma� con�un�contratto�che�e��stato�ormai�gia��aggiudicato�e�addirittura�eseguito).� Certo,�se�il�soggetto�aveva�titolo�a�diventare�aggiudicatario,�il�pro- blema�si�semplifica:�si�potra��risarcire�il�danno�conseguente�alla�mancata� aggiudicazione.� Ma�se�il�vizio�e��formale,�la�procedura�dovrebbe�essere�ripetuta:�ma�come� si�puo��ripetere�una�procedura�che�non�puo��trovare�sbocco�in�un�contratto,� perche�il�contratto�e��stato�ormai�aggiudicato�e�addirittura�eseguito?� Ecco�allora�comparire�sulla�scena�quest'altra�figura�alla�quale�il�giudice� amministrativo�si�va�avvicinando�con�titubanza�e�prudenza:�quella�responsa- bilita��per�perdita�di�chances, mutuata�dall'ordinamento�civilistico.� Gennaro Terracciano. Chiaramente�il�clima�adesso�e��meno�formale�del- l'altro,�come�sara��nel�corso�del�Master,�anche�perche�il�lavoro�e��tanto,�quindi� non�pensiate�che�in�questo�momento�vogliamo�fare�del�terrorismo�psicolo- gico,�ma�la�verita��e��che�l'impegno�per�costruire�un�Master�di�questo�genere� e��gia��stato�tanto.�C'e��una�grande�aspettativa�e,�soprattutto,�voi�siete�stati� scelti�all'interno�di�richieste�che�hanno�superato�le�ottocento,�per�cui�c'e��una� certa�pressione�sulla�Scuola�per�fare�altre�iniziative,�anche�per�consentire�a� tutti�coloro�che�sono�rimasti�fuori�di�poterne�approfittare.�E�doveroso�da� parte�nostra�e�vostra�condurre�tutte�le�attivita��in�modo�serio,�continuativo,� in�modo�tale�che�le�finalita��didattiche�vengano�perseguite.� Detto�questo,�naturalmente�passero��la�parola�a�coloro�che�certamente� meglio�di�me�vi�possono�spiegare�l'organizzazione,�entrare�anche�nel�merito� di�come�proseguire.�Voglio�dire�una�sola�cosa�perche�vi�sono�state�alcune� domande�riferite�ad�una�mia�affermazione�fatta�all'inizio.�La�Scuola�e��pub- blica,�molti�di�voi�lo�sanno�perche�provengono�dall'Amministrazione�dell'E- conomia�e�delle�Finanze,�agenzie�e�cos|��via,�ma�e��bene�dire�che�la�Scuola� nasce�nel�1957,�ex�Scuola�Centrale�Tributaria,�oggi�ha�una�fisionomia�diversa� perche�e��aperta�all'esterno�tant'e��che�siete�qui,�nel�senso�che�una�volta�la�fre- quenza�era�limitata�solamente�ai�funzionari�del�Ministero�delle�Finanze.� Oggi�ha�un�nuovo�ordinamento�che�nasce�nel�2000,�ne�fa�una�scuola�post� universitaria,�si�dice�di�alta�formazione;�il�concetto�di�alta�formazione�non�e�� valutativo,�di�merito,�ma�formale,�nel�senso�che�le�scuole�di�alta�formazione� hanno�una�fisionomia�diversa�dalle�altre�scuole.�Ha�dei�regolamenti�in� quanto,�per�fortuna,�approfittando�della�legislazione�Bassanini�c'e��stata�una� forte�delegificazione�sulla�base�del�decreto�legislativo�n.�287�del�'99,�ha�una� regolamentazione�che�e��abbastanza�vicina�a�quella�universitaria.�In�partico- lare�-chi�volesse�puo��naturalmente�accedere�sul�sito�e�scaricarsi�tutta�la�disci- plina�-noi�abbiamo�dei�regolamenti�ministeriali,�in�particolare�il�regola- mento�didattico�e�di�ricerca�della�scuola,�che�fissa�alcuni�principi,�natural- mente�in�pieno�accordo�con�il�M.I.U.R.,�che�e��il�ministero�vigilante�con�il� quale�naturalmente�ci�confrontiamo�giornalmente.�Il�regolamento�che�pre- vede�tra�i�principi�all'art.�2,�che�la�scuola�conforma�la�propria�attivita��anche� alla�vigente�normativa�in�materia�universitaria,�alla�disciplina�generale�delle� TEMI�ISTITUZIONALI� attivita�didattiche�prevista�ai�sensi�del�decreto�del�Ministro�dell'Universita�e� della�ricerca�scientifica�e�tecnologica,�n.�500�del�30�novembre�1999;�nonche� al�regolamento�generale�sull'autonomia�degli�atenei,�pubblicato�nella�Gaz- zetta Ufficiale del�4�gennaio�2000.� Nel�regolamento�troverete�poi�anche�quelli�che�sono�i�settori�scientifico� disciplinari,�universitari,�attivati�presso�la�scuola.�Troverete�il�regolamento� dei�masters,�il�funzionamento�delle�aree�omogenee�e�in�particolare�anche� tutta�la�disciplina�sulle�ulteriori�attivita�a�sostegno�del�sistema�universitario,� quindi�la�descrizione�dei�titoli,�dei�corsi�di�studio�in�collaborazione�conle� universita�degli�studi.� Detto�questo,�ribadisco�quanto�ho�detto�prima:�la�scuola�non�e�ne�una� facolta�,ne�una�universita�,�quindi�rilascia�un�titolo�di�studio�che�viene�deno- minato��Master�,�che�ha�la�valenza�del�titolo�di�studio�universitario�perche� e�costruito�esattamente�dal�punto�di�vista�regolamentare�come�un�Master� universitario,�ma�non�e�titolo�universitario.�Questo�per�estrema�chiarezza,� perche�i�titoli�universitari�sono�quelli�previsti�nel�decreto�del�M.I.U.R.�e�che� possono�essere�rilasciati�solo�dalle�universita�,�ovvero�dalle�scuole�speciali� universitarie�che�sono�due�in�Italia.� Questo�significa�che�il�Master�e�comunque�rilasciato�ai�sensi�della�nor- mativa�come�avete�visto�sicuramente�sul�bando,�ma�nel�senso�che�la�norma- tiva�viene�pienamente�rispettata�con�riferimento�al�riconoscimento�dei�crediti� formativi,�con�riferimento�alla�graduazione�delle�ore�di�lezione�e�delle�ore�di� studio�a�casa,�con�riferimento�al�rispetto�dei�settori�scientifico-disciplinari�e� dell'attribuzione�delle�docenze.�(omissis). Giuseppe Nerio Carugno. Il�progetto�formativo,�che�viene�oggi�presen- tato,�rappresenta�una�novita�nel�panorama�dei�Master�ideati�negli�ultimi� tempi�da�varie�realta�organizzative�nel�settore�del�diritto�amministrativo�e� del�diritto�processuale.� La�prima�peculiarita�sta�proprio�nell'impostazione�e�nella�logica�che� anima�tutto�il�programma�del�Master.� Essa�costituisce�il�risultato�di�una�profonda�riflessione,�di�un�confrontoe� di�un�affinamento�che�ha�preso�le�mosse�dalla�consapevolezza�di�dover�ten- dere�a�costruire�un�modello�formativo�che�non�si�limitasse�ad�offrire�trasferi- menti�di�conoscenze�di�base,�ma�costituisse�un�progetto�specialistico�in�grado� di�assicurare�il�perseguimento�di�obiettivi�di�livello�superiore.� Del�resto,�l'esigenza�di�specializzazione�derivava�dalla�essenza�stessa� della�iniziativa,�nella�misura�in�cui�verteva�sulla�difesa�in�giudizio�di�Pub- bliche�Amministrazioni�e�quindi�su�un�tema�che�si�prestava�a�dover� essere�analizzato�non�soltanto�sotto�il�profilo�della�illustrazione�teorica� degli�istituti�o�attraverso�l'esame�delle�questioni�dibattute�in�dottrinae� in�giurisprudenza,�ma�anche�e�soprattutto�attraverso�lo�studio�delle�tecni- che�defensionali.� Trattasi,�evidentemente,�di�un�segmento�di�azione�formativa�che� richiede,�per�poter�essere�sviluppato,�la�collaborazione�attiva�di�coloroche� sono�chiamati�a�partecipare�al�Master.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Di�qui,�l'attenzione�e�la�cura,�oltre�che�per�i�contenuti,�anche�dei�profili� metodologici,�articolati�non�soltanto�sulla�tecnica�della��lezione�frontale�,� caratterizzata�da�un�ruolo�attivo�del�docente�e�da�discenti�che,�nel�loro� insieme,�funzionano�da�corpo�ricettore�delle�conoscenze�trasmesse�unilateral- mente�e�dunque�rivestono�tendenzialmente�una�posizione�di�partecipazione� passiva,�ma�anche�sulla�tecnica�della��lezione�interattiva�,�nella�quale�il� gruppo�discente�assume�il�dominio�della�conduzione�delle�attivita��d'aula,�par- tecipando�attivamente�alle�stesse,�organizzandole�o�comunque�orientandole� in�maniera�determinante�sotto�la�guida,�la�direzione�e�il�coordinamento�del� docente�o�di�piu��docenti.� Proprio�per�favorire�tale�interazione,�sono�state�inserite�all'interno�del� programma�del�Master�una�serie�di�linee�di�intervento�formativo�che�atten- gono,�da�un�lato,�alla��comunicazione�forense��e,�quindi,�al�modo�di�comuni- care�e�di�esprimersi�nel�momento�in�cui�si�imposta�e�si�sviluppa�l'attivita�� defensionale.� Pertanto,�proprio�in�relazione�al�momento�propriamente�operativo,�e�� stata�prestata�attenzione�all'esigenza�di�prospettare�delle�tecniche�di�reda- zione�degli�atti�processuali�che�tengano�conto,�sia�della�particolare�tipologia� dello�schema�che�si�va�costruendo,�sia,�soprattutto,�della�necessita��che�sia� rispettato�un�adeguato�e�corretto�livello�tecnico�nel�linguaggio�utilizzato.� Del�resto,�non�poteva�certo�essere�trascurato�che�nell'atto�processuale� debba�essere�garantito�tendenzialmente�anche�un�minimo�di�selezione�del�lin- guaggio�utilizzato.� Questo�presuppone�che�si�acquisisca�o,�quanto�meno,�si�discuta�della� tecnica�per�la�redazione�di�un�atto�processuale.� Una�volta�appresa�la�tecnica�di�redazione�dell'atto�e�compresa�la�rile- vanza�del�metodo�di�comunicazione,�si�giunge�alla�fase�finale,�e�dunque�al� momento�della�concreta�realizzazione�dell'atto�defensionale,�in�cui�esso�si�svi- luppa�e�verifica�la�sua�efficacia�ed�operativita��.� Di�qui,�l'idea�di�prevedere�incontri�dedicati�alla��simulazione�di�casi� processuali�,�in�cui�l'aula�verra��suddivisa�in�gruppi�a�ciascuno�dei�quali� dovrebbe�essere�assegnato�un�ruolo�all'interno�del�processo�sul�caso�prospet- tato.�L'idea,�dunque,�e��quella�di�simulare�un�vero�e�proprio�processo,�discu- tendo,�se�del�caso�a�margine�della�simulazione,�delle�questioni�teoriche�e�delle� difficolta��pratiche�incontrate�nell'impostare�e�sviluppare�la�parte�assegnata� a�ciascuno.� Ovviamente,�un�progetto�formativo�cos|��articolato,�in�cui�si�combinano� lezioni�teoriche,�analisi�di�casi�pratici,�le�tecniche�di�comunicazione�e�di�reda- zione�degli�atti�processuali,�la�simulazione�di�un�processo,�rappresenta�una� iniziativa�particolarmente�impegnativa�sia�nella�fase�della�ideazione,�che� nella�impostazione,�nello�sviluppo,�e�nella�sua�realizzazione,�lo�diventa� ancora�di�piu��quando�la�partecipazione�al�risulta�particolarmente�massiccia.� E�noto,�infatti,�che�l'iniziativa�ha�avuto�un�successo�enorme,�come�e�� testimoniato�dal�numero�delle�domande�di�partecipazione,�che�ci�ha�sugge- rito�di�prospettare�due�edizioni,�ciascuna�peraltro�con�la�partecipazionedi� un�elevato�numero�di�discenti.� TEMI�ISTITUZIONALI� E�chiaro�che�organizzare�simulazioni�o�tecniche�di�redazione�di�atti,� esercitazioni,�attivita�di�comunicazione�per�un'aula�media�di�venti�persone,�e� una�cosa;�organizzarla�per�cento�persone�e�altra�cosa.� Lo�sforzo�organizzativo,�dunque,�e�enorme�e�mira�ad�assicurare�che� tutto�possa�riuscire�nel�migliore�dei�modi.� A�tal�fine,�e�stata�prevista�anche�l'assistenza�di�tre�tutors, che�coadiuve- ranno�il�personale�della�Scuola�nella�gestione�del�Master.� Sara�consegnato�del�materiale�didattico�di�base,�quale�strumentazione� minima�utile�per�impostare�il�lavoro.� Saranno�i�singoli�docenti�a�valutare,�di�volta�in�volta,�l'opportunita�di� distribuire�ulteriore�materiale�didattico�integrativo,�in�relazione�al�tema�trat- tato�nel�proprio�intervento.� Ovviamente,�sia�chi�vi�parla,�nella�sua�qualita�di�Precettore,�che�tutta�la� struttura�dell'ufficio�Rettorato,�e�a�vostra�disposizione�per�qualsiasi�necessita�.� Grazie�e�buon�lavoro�a�tutti.� Federico Basilica. Sono�un�Avvocato�dello�Stato�e�mi�sono�occupato�del� coordinamento�di�questa�iniziativa�di�formazione�avanzata.�Si�tratta�di�un'i- niziativa�difficile:�voi�oggi�vedete�che�qui�e�tutto�pronto�e�ben�organizzato;� in�realta�noi�stiamo�lavorando�da�mesi�a�questa�particolare�idea,�addirittura� da�marzo�dello�scorso�anno.� Si�era�pensato�inizialmente�di�fare�un�classico�Master�sulla�giustizia� amministrativa,�nel�quale�avremmo�coinvolto�una�cinquantina�di�parteci- panti�e�nel�quale,�naturalmente,�avremmo�chiamato�i�migliori�docenti�a�svol- gere�delle�relazioni�sui�singoli�argomenti,�un�po'�come�si�fa�nelle�universita�.� Poi�con�il�passare�del�tempo�ci�siamo�chiesti�a�cosa�potesse�servire�un� approccio�di�questo�tipo�e�man�mano�e�venuta�fuori�un'idea�diversa.� Se�mi�consentite,�direi�che�siamo�passati�da�una�impostazione�di�tipo� stoico�ad�una�impostazione�socratica.�Sapete�che�gli�stoici�furono�i�primi�ad� insegnare�la�filosofia�ed�i�primi�a�farsi�pagare�per�l'attivita�d'insegnamento.� Socrate,�invece,�aveva�un'impostazione�diversa,�coinvolgeva�le�persone,� faceva�parlare�i�suoi�interlocutori�sollecitandoli�con�le�domande,�in�pratica� il�suo�insegnamento�si�incentrava�sul�dialogo,�per�cui�aveva�un��taglio��com- pletamente�diverso�dall'impostazione�stoica.� Ecco,�noi�abbiamo��sposato��questa�seconda�impostazione,�eliminando� la�classica�lezione�che�ha�lasciato�il�posto�ad�una�serie�di�tavole�rotonde,� anche�perche�sostanzialmente�di�un�master�di�tipo�classico�non�se�ne�sentiva� alcun�bisogno;�naturalmente�ci�siamo�impegnati�in�un�progetto�difficile,�un� progetto�che�deve�essere�in�grado�di�coinvolgervi,�di�interessarvi�e�di�farvi� crescere,�perche�altrimenti�diventerebbe�un'iniziativa�sostanzialmente�inutile.� Siamo�incoraggiati�nei�nostri�propositi�dall'altissimo�numero�di�adesioni� che�conferma�in�maniera�inequivocabile�il�grande�interesse�per�un�Master�di� questo�tipo:�ogni�giornata�di�lezione�sara�,�dunque,�tenuta�non�dal�professore� che�si�mette�in�cattedra�e�vi�fa�la�lezione�di�tipo�stoico,�ma�da�un�pool,e� quindi�da�un�gruppo�di�docenti.�Avrete�a�vostra�disposizione,�sul�singolo� tema,�i�diversi�punti�di�vista,�quello�del�giudice,�quello�dell'avvocato�dello� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Stato,�dell'avvocato�di�ente�pubblico�in�genere�e�quello�del�difensore�del� libero�foro.�A�queste�voci�molto�spesso�si�aggiungera��quella�del�professore� universitario.� Tutto�cio��e��utilissimo�e�se�ne�e��avuta�prova�oggi:�mi�ero�preparato�un�bel� discorso�introduttivo,�ma�e��forse�piu��importante�puntualizzare�alcuni�aspetti� toccati�dalle�relazioni�che�mi�hanno�preceduto.� L'utilita��di�questo�approccio,�del�resto,�e��dimostrata�proprio�da�quanto� abbiamo�sentito�oggi�nell'intervento�autorevolissimo�del�Presidente�De� Roberto,�il�quale,�in�particolare,�ha�fatto�una�serie�di�osservazioni�che�solleci- tano�un�approfondimento,�a�proposito�dell'annoso�problema�della�risarcibi- lita��del�danno�per�lesioni�di�interesse�legittimo.� Si�e��sostenuto�che�la�P.A.�non�puo��piu��avere�una�posizione�di�privilegio,� poiche�dopo�la�sentenza�500�del�'99�delle�Sezioni�Unite�della�Cassazione�e�� caduto�il�mito�della�irrisarcibilita��del�danno�per�lesioni�di�interesse�con�la� conseguente�imputazione�della�relativa�responsabilita��a�carico�della�pubblica� amministrazione.� Come�addossare�alla�P.A.�questa�responsabilita��?�Ora�che�la�giurisdi- zione�e��passata�al�Consiglio�di�Stato,�a�seguito�della�legge�n.�205/2000,� cominciano�i�primi�problemi�interpretativi,�che�riguardano�in�particolare�i� criteri�di�imputazione�della�responsabilita�.�Il�Presidente�De�Roberto�ci� ricorda�che�la�sentenza�500�del�`99�afferma�che�e��necessario�l'elemento�sog- gettivo.�A�me�sembra�che�la�Cassazione�non�potesse�dire�altro,�avendo�argo- mentato�la�sua�ricostruzione�in�base�all'art.�2043�c.c.�che�e��,�appunto,�la� norma�generale�sull'illecito�aquiliano�e�che�dispone�che�non�si�puo��prescin- dere�dalla�colpa�per�l'imputazione�della�responsabilita��extracontrattuale.�Il� Presidente�De�Roberto�ha,�pero��,�aggiunto�che,�se�per�le�Sezioni�Unite�sono� necessari�dolo�e�colpa,�forse�si�dovrebbe�arrivare�ad�immaginare�un�meccani- smo�diverso�di�imputazione�soggettiva�della�responsabilita��,�cioe��una�sorta�di� colpa�presunta.� Vedevo�i�miei�colleghi�dell'Avvocatura,�tra�loro�l'avv.�Fiumara,�l'avv.� Linguiti,�che�sono�letteralmente�saltati�sulla�sedia.� E�chiaro�infatti�che�la�P.A.�deve�perdere�la�sua�posizione�di�privilegio,� ma�non�si�puo��arrivare�all'opposto�riservandole�una�posizione�di�svantaggio:� non�si�puo��e�non�si�deve�passare�dal�privilegio�allo�svantaggio.�Per�il�comune� cittadino�l'imputazione�della�responsabilita��si�modella�secondo�il�classico�cri- terio�dell'imputazione�per�colpa�e�l'art.�2043�c.c.�e��una�norma�che�pone�dei� presupposti�imprescindibili,�in�virtu��dei�quali�si�ha�imputazione�per�colpa,� per�qualunque�fatto�che�produca�ad�altri�un�danno�ingiusto.�Ma�la�norma� specifica:�qualunque�fatto�doloso�o�colposo.�Non�dice�qualunque�fatto�e� basta.�Se�non�c'e��la�colpa,�pertanto,�non�si�risponde�del�danno.� E�dunque�discutibile�la�tesi�della�colpa�presunta.�Chiaramente�qui�l'ap- proccio,�il�punto�di�vista�del�difensore�della�parte�pubblica�puo��essere�utile� a�spiegare�che�non�si�tratta�di�bilanciare�una�posizione�di�supremazia�spe- ciale.�Il�Presidente�dice�che�la�P.A.�agiva�in�posizione�di�supremazia�speciale,� ma,�come�molti�di�voi�sapete�bene,�non�e��che�agiva�in�posizione�di�suprema- zia�speciale�perche�lo�aveva�scelto�o�gli�conveniva:�ma�quella�posizione�gli� era�riconosciuta�dall'ordinamento�a�tutela�di�un�interesse�pubblico.� TEMI�ISTITUZIONALI� Ergo:�se�la�P.A.�ha�esercitato�una�posizione�di�supremazia�speciale�a� tutela�di�un�interesse�pubblico,�l'imputazione�della�responsabilita�comunque� non�puo�prescindere�dal�presupposto�della�colpa.�Vedete�come�i�punti�di�vista� sono�diversi�e�com'e�utile�che�su�singoli�argomenti�si�ascoltino�piu�voci,�per- che�il�dibattito�si�arricchisce�e�sicuramente�i�risultati�sono�per�voi�piu�utili.� Noi�abbiamo�preferito�offrirvi�sui�singoli�argomenti�una�visione�piu� ampia,�una�visione�d'insieme�e�siamo�sicuri�che,�con�le�forze�che�abbiamo� messo�in�campo�ci�riusciremo.�Se�andate�a�scorrere�l'elenco�dei�docenti�c'e� quasi�tutto�il�ruolo�del�Consiglio�di�Stato�e�quasi�tutto�il�ruolo�dell'Avvoca- tura�dello�Stato,�tanti�professori�universitari,�i�migliori,�tanti�avvocati�ammi- nistrativisti�autorevoli.� In�definitiva�e�a�vostra�disposizione�uno�sforzo�enorme.�Siamo�sicuri�che� i�risultati�verranno.� Maria Gentile. Aggiungero�poco�rispetto�a�quanto�e�stato�detto�durante� la�mattinata.�E�sicuramente�vero�quanto�ha�detto�l'avvocato�Basilica,�cioe� che�vi�e�stato�da�parte�nostra�lo�sforzo�per�concepire�un�qualche�cosa�di� diverso�da�quanto�gia�viene�offerto�in�questa�materia;�ci�siamo,�infatti,�voluti� soffermare�sul�punto�di�vista�di�chi�debba�difendere�la�Pubblica�Amministra- zione,�sia�esso�dipendente�pubblico�o�libero�professionista.�Si�e�cercato� quindi�di�pensare,�anche�in�sede�di�redazione�del�programma,�ad�un�qualche� cosa�che�si�potesse�concepire�e�vedere�dal�punto�di�vista�del�difensore�del- l'Amministrazione.� Gia�questo�e�sintomatico�del�tipo�di�percorso�che�voi�andrete�a�fare;� naturalmente�da�parte�nostra�l'auspicio�e�che�non�siano�deluse�le�nostre�e�le� vostre�aspettative�perche�,�come�dicevano�i�miei�colleghi,�noi�crediamo�ferma- mente�in�questa�iniziativa�ed�abbiamo�ragione�di�confidare�nel�suo�successo� in�quanto�siamo�assistiti�e�confortati�in�cio�sia�dai�qualificati�docenti�di�cui� si�faceva�menzione,�sia�da�voi�stessi�e�dalla�vostra�attiva�partecipazione�e�dal- l'impegno�che�profonderete�durante�questo�percorso.� Assai�significativo�quanto�stamattina�ci�hanno�rappresentato�gli�autore- voli�relatori;�in�particolare�mi�hanno�colpito�le�parole�del�Presidente�De� Roberto,�il�quale�ha�evidenziato�i�grandissimi�cambiamenti�che�hanno�carat- terizzato�la�materia�in�questi�ultimi�anni.�L'esigenza�di�questo�Master�viene� fuori�proprio�dalla�necessita�di�un�aggiornamento�della�materia,�ma�fac- ciamo�attenzione�agli�ulteriori�cambiamenti�che�ci�potranno�ancora�essere;� si�tratta,�ripeto,�di�una�materia�in�continua�evoluzione�per�cui�e�difficile,�da� parte�di�chi�dovra�tenere�le�relazioni,�mantenere�il�passo,�per�esempio,�con� una�giurisprudenza�che�e�in�costante�evoluzione.� Stamattina�il�Presidente�De�Roberto,�illustrando�il�caso�dell'aggiudica- zione�e�della�successiva�stipula�del�contratto�in�materia�di�appalto,�si�poneva� il�problema�di�quanta�effettivita�ci�potesse�essere�in�quel�tipo�di�tutela�che� non�riconosceva�ante causam la�possibilita�di�impedire�la�stipula�del�con- tratto.�Proprio�lo�scorso�10�marzo,�cioe�solo�pochi�giorni�fa,�e�stato�emanato� un�decreto�presidenziale�dal�TAR�Lombardia,�sezione�di�Brescia,�con�il�quale� e�stato�accordato�un�provvedimento�cautelare�in�questa�materia�ex art.�669� sexies c.p.p.�E�vero:��una�rondine�non�fa�primavera�,�pero�c'e�,�quindi�in�qual- RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� che�modo�se�ne�deve�pure�parlare�e�tenere�conto,�e�,�in�sostanza,�una�tematica� che�deve�essere�affrontata.�In�questo�senso�noi�abbiamo�voluto,�nella�scelta� del�materiale�didattico,�lasciare�un�margine�ampio�ai�docenti�che�man�mano� verranno�a�parlare�dei�singoli�argomenti;�essi�ci�proporranno�le�ultime�novita� in�materia�sia�della�dottrina�che�della�giurisprudenza.� L'idea�e�stata,�quindi,�quella�di�fornirvi�come�materiale�didattico�di�base� il�minimo�indispensabile,�perche�abbiamo�ritenuto�che�non�vi�serva�il� manuale�classico,�istituzionale,�che�sicuramente�tutti�avrete�e�che�certo�cono- scete�perche�siete�tutti�laureati�in�giurisprudenza;�distribuiremo,�invece,�man� mano�materiale�su�quelle�che�potranno�essere�le�novita�dell'�ultimora,�perche� purtroppo�non�c'e�nulla�di�scontato�ormai�in�questa�materia,�e�tutto�un�con- tinuo�riflettere,�un�continuo�doversi�aggiornare�e�anche�capire�quello�che� accade�intorno�a�noi.� Come�presentazione�del�Master�mi�pare�che�abbiamo�affrontato�tutti�gli� aspetti,�ora�e�il�tempo�di�dare�spazio�alle�vostre�domande.� Ermanno De Francisco. Vorrei�semplicemente�dire�pubblicamente�una� cosa�che�altrimenti�avrei�detto�privatamente�agli�organizzatori�alla�finedi� questo�incontro.�I�Masters�hanno�profili�prevalentemente�procedurali,�oltre� ai�molti�sostanziali,�bisognerebbe�tenere�in�qualche�misura�conto�del�fatto� che�e�stato�gia�approvato�in�via�definitiva�e�pubblicato�in�Gazzetta�un� decreto�legislativo�che�riforma�completamente�il�processo�societario;�ilche� rileverebbe�assai�poco�ai�nostri�fini,�se�non�sapessimo�che�questa�e�,�verosimil- mente,�l'anticipazione�di�quella�generale�riforma�del�processo�civile,�che� dovrebbe�approdare�in�Parlamento�nei�prossimi�mesi,�nota�come��progetto� Vaccarella�.� Tutto�questo,�se�si�guarda�ad�un�futuro�non�dico�a�brevissimo,�ma�a� medio�termine�ha�sicuramente�dei�riflessi�anche�sul�giudizio�amministrativo� in�quanto�sappiamo�che�in�misura�controversa,�potremmo�forse�dire��supple- tiva�,�il�codice�di�procedura�civile�trova�ampia�applicazione�anche�nel�pro- cesso�amministrativo,�laddove�quest'ultimo�non�abbia�una�propria�disciplina� specifica�nelle�leggi�speciali�che�lo�riguardano,�e�cioe�,�essenzialmente,�la�legge� n.�1034�del�1971,�nonche�il�regolamento�di�procedura�n.�642�del�1907�e�quelle� poche�altre�norme�ancora�applicabili�del�Testo�Unico�1054�del�1924,�tutto� come�integrato�e�modificato,�parzialmente,�dalla�legge�n.�205�del�2000;�pero� non�c'e�dubbio�^ripeto�^che�un�grosso�ambito,�o�analogico�o�semplicemente� suppletivo,�e�svolto�dal�codice�di�procedura�civile.�Se�noi�pensiamo�che�la� riforma,�che�e�gia�legge�dello�Stato,�sebbene�con�applicazione�rinviata�al�pri- mo�gennaio�2004,�del�processo�societario�preludera�,�si�suppone,�alla�riforma� generale�del�processo�civile,�segnalo�l'opportunita�che�tutto�questo�costituisca� oggetto�di�una�marginale,�piccola,�ma�forse�non�del�tutto�assente�trattazione� del�corso�di�questo�nostro�futuro�lavoro�nell'ambito�del�Master.� Per�dire�il�rilievo�di�questa�futura�modifica,�con�specifico�riferimento� alle�amministrazioni�pubbliche,�mi�viene�in�mente�un�esempio:�il�nuovo�rito� prevede�che�la�contumacia,�o�addirittura�la�tardiva�costituzione�(salvo�il� potere�del�giudice�di�rimettere�in�termini�la�parte),�implica�la�piena�prova� TEMI�ISTITUZIONALI� dei�fatti�affermati�dall'attore.�Questo�per�la�difesa�delle�amministrazioni�pub- bliche,�almeno�rispetto�agli�attuali�assetti�(piu�culturali�che�processuali),� secondo�me�e�dirompente.� E�notorio�che�spesso�le�amministrazioni�si�costituiscono�non�propria- mente�in�modo�ultratempestivo,�seppure�si�costituiscono,�quando�il�giudice� non�si�trova�costretto�a�svolgere�un�improprio�ruolo�di�supplenza�della�difesa� della�parte�che�ancora�non�si�e�costituita.� Tutto�questo,�in�presenza�di�una�norma�del�genere,�(ferma�ovviamente�la� possibilita�di�remissione�in�termini,�che�e�espressamente�prevista�e�che�potra� probabilmente�essere�applicata�in�un�numero�maggiore�di�casi),�non�potra� non�avere�un�impatto��forte��sulla�difesa�delle�amministrazioni.� E�solo�un�dettaglio,�questo�della�disciplina�della�contumacia;�peraltro,�il� processo�che�si�introduce�in�quell'ambito�e�molto�diverso�dal�processo�che� conosciamo�ed�e�molto�piu�simile�al�processo�romano�classico�per formulas.� Non�e�ovviamente�questo�l'oggetto�del�seminario,�tuttavia�volevo�segnalare,� con�l'occasione,�che�questo�e�un�settore�del�quale�forse�non�sarebbe�oppor- tuno�dimenticarsi�completamente.� Giuseppe Nerio Carugno. Ringraziamo�il�Consigliere�di�Stato�De�Franci- sco�che,�come�avete�capito,�si�e�candidato�a�tenere�la�lezione�in�qualita�di� interprete�autentico�di�questa�riforma,�visto�che�fa�parte�della�commissione� Vaccarella,�ovviamente�sia�nella�veste�di�Consigliere�di�Stato,�ma�anche�in� rappresentanza�dell'Ufficio�legislativo�della�Presidenza�del�Consiglio�dei� Ministri,�di�cui�e�vice-capo.� Cogliamo�sicuramente�questo�preziosissimo�contributo�e�lo�investiamo� pubblicamente�di�questo�impegno�per�cui�lo�ringraziamo�anticipatamente.� Ilcontenzioso comunitario edinternazionale Ilcontenzioso comunitario edinternazionale Le Regioni e le relazioni internazionali e comunitarie (*)� 1.�Il�presente�contributo�sulla�riforma�del�Titolo�V�della�Costi- tuzione�italiana�si�colloca�nel�rapporto�tra�l'ordinamento�nazionale� e�quello�comunitario�in�relazione�all'adempimento�degli�obblighi�che� derivano�dal�Trattato.�In�sintesi,�i�temi�sono�quello�della�competenza� per�la��fase�ascendente��e�la��fase�discendente��in�materia�comunita- ria�e�quello�degli�strumenti�di�sostituzione�alle�inadempienze�delle� Regioni�agli�obblighi�comunitari.� Le�disposizioni�costituzionali�che�assumono�rilievo�sono�gli�arti- coli�117,�relativo�alla�potesta�normativa�e�alla�competenza�delle� Regioni�e�degli�altri�enti�territoriali,�e�l'articolo�120,�comma�2,�che� disciplina�il�potere�sostitutivo�nei�confronti�di�Regioni,�Citta�metro- politane,�Province�e�Comuni.� 2.�L'articolo�117�ripartisce�i�poteri�legislativi�ordinari�tra�lo� Stato�e�le�Regioni,�prescrivendo�che�spetta�alla�Regione�la�potesta� legislativa�in�tutte�le�materie�nelle�quali�la�Costituzione�non�preveda� una�potesta�legislativa�statale.� Lo�Stato,�in�linea�di�principio,�ha�potesta�legislativa�ordinaria� solo�nelle�materie�nelle�quali�tale�potesta�e�espressamente�ricono- sciuta�ad�esso,�mentre�le�Regioni�hanno�potesta�legislativa�in�tutte� le�rimanenti�materie,�in�esclusiva�o�in�concorrenza�con�la�legislazione� statale.� (*)�Relazione�tenuta�dall'avvocato�dello�Stato�Maurizio�Fiorilli�al�Convegno� sull'Ordinamento comunitario e ordinamento interno dopo il nuovo Titolo V della Costituzione italiana, tenutosi�a�Roma,�Palazzo�Spada,�il�14�luglio�2003.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Tuttavia,�poiche�la�potesta�legislativa�ordinaria�in�relazione�alle� parti�maggiori�dell'ordinamento�giuridico�(diritto�civile,�diritto� penale,�diritto�processuale)�spetta�allo�Stato,�piu�precisamente�si� dovrebbe�dire�che�alle�Regioni�spetta�la�potesta�legislativa�residuale,� ma�solo�in�relazione�a�quella�che�a�sua�volta�potrebbe�chiamarsi� �parte�residua��dell'ordinamento,�cioe�in�relazione�a�quello�che�resta� tolti�(oltre�alle�materie�connesse�alla�sovranita�)�quelli�che�tradizional- mente�ed�ovunque�sono�i�grandi�settori�dell'ordinamento�giuridico,� costituiti�dal�diritto�civile,�dal�diritto�penale�e�dal�diritto�processuale.� Inoltre,�alcune�delle��materie��assegnate�in�esclusiva�allo�Stato� sono,�in�realta�,�clausole�che�autorizzano�il�legislatore�statale�ad�inter- venire�in�qualunque�materia�per�le�finalita�indicate�dalla�norma,�ad� esempio,�per�fissare�livelli�minimi�di�prestazione�a�tutela�dei�diritti� civili�e�sociali.� Conclusivamente,�si�deve�registrare�in�tema�di�potesta�legislativa� una�tripartizione.�Da�una�parte�stanno�le�materie�ed�in�genere�gli� oggetti,�i�compiti�e�le�finalita�in�relazione�ai�quali�la�Costituzione� ravvisa�un�interesse�nazionale�conformato�in�modo�da�richiedere� che�il�potere�legislativo�sia�esercitato�dal�solo�legislatore�nazionale;� in�una�seconda�stanno�le�materie�per�le�quali�la�Costituzione�ravvisa� un�interesse�regionale�intrecciato�ad�un�interesse�nazionale,�che�giu- stifica�una�competenza�legislativa�statale�di�principio;�nella�terza� stanno�le�altre�materie,�affidate�alla�legislazione�regionale.�La�com- petenza�comunitaria�si�spalma�su�tutti�e�tre�i�settori,�e�quindi�l'inda- gine�deve�essere�condotta�unitariamente.� Nel�recepimento�della�norma�comunitaria,�o�comunque�nell'a- dempimento�degli�obblighi�che�discendono�dal�Trattato,�dovra� tenersi�conto�dell'assetto�e�del�significato�delle�attribuzioni�di�compe- tenza�legislativa,�anche�se�non�sussiste�un�esatto�parallelismo�tra� potere�legislativo�e�potere�amministrativo�di�esecuzione.� 3.�Sono�di�competenza�esclusiva�dello�Stato:� a) le�competenze�collegate�ai�poteri�sovrani�e�alla�identita�sta- tale:�si�tratta�di�materie�che�riguardano�lo�Stato,�come�soggetto�di� diritto�internazionale�o,�comunque,�riguardano�l'identificazione�dei� suoi�elementi�essenziali,�ed�in�particolare�l'elemento�personale�(i�rap- porti�internazionali�e�comunitari,�la�politica�di�difesa,�la�moneta�e�il� sistema�valutario,�i�tributi�e�la�contabilita�,�l'ordine�pubblico�e�sicu- rezza,�la�politica�locale,�i�rapporti�con�le�comunita�religiose);� b) le�competenze�relative�ad�organismi�statali�e�competenze� relative�agli�enti�locali;� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE c) le competenze relative alle fondamentali materie costitu- tive dell'ordinamento giuridico (codici e materie connesse, restano pero� da risolvere i problemi delle interferenze con materie di compe- tenza regionale); d) competenze collegate a compiti di garanzia del sistema economico e dello Stato sociale (tutela della concorrenza; perequa- zione delle risorse finanziarie; livelli essenziali di prestazioni ^si tratta di una competenza trasversale per eccellenza: infatti, in virtu� di essa la legge statale puo� intervenire in qualunque materia, quando siano in gioco prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui debbono essere stabiliti livelli da garantire a tutti in condizioni di uguaglianza; tutela dell'ambiente). 4. In particolare, per quanto concerne la competenza esclusiva in materia di rapporti internazionali e comunitari, si tratta della poli- tica estera e dei rapporti dello Stato con l'Unione Europea, tale espressione viene assunta per indicare, sinteticamente, l'insieme delle istituzioni comunitarie, e non nel senso specifico proprio del diritto comunitario. L'espressione �Stato� nella disposizione si riferisce all'intero ordinamento inteso nella sua unita� , e non allo Stato, come soggetto giuridico, indicato nell'articolo 114; si vuol dire, insomma, che in questo tipo di rapporti il legislatore statale opera per l'intera �Repubblica�. Prima della riforma costituzionale l'ordinamento italiano era improntato al principio della attribuzione in via esclusiva allo Stato del potere estero. La soggettivita� internazionale dello Stato e� consi- derata una componente essenziale della sovranita� . Solo lo Stato puo� assumere obblighi giuridici attraverso i trattati, solo lo Stato e� responsabile delle conseguenze di eventuali inadempimenti o infra- zioni agli obblighi assunti, e quindi solo lo Stato puo� emanare atti diretti all'esecuzione dell'obbligo. L'eventuale pertinenza dell'obbligo assunto a materia di compe- tenza di enti a soggettivita� interna non limita la competenza dello Stato nell'esercizio del potere estero. La vigenza di questo principio ha comportato una compressione alle competenze della Regione, che pure e� ente costituzionalmente garantito quanto all'esistenza e alla competenza. Le Regioni non potevano assumere alcuna inizia- tiva che interferisse con la politica estera del Governo e qualsiasi impegno assunto dallo Stato con gli strumenti del diritto internazio- nale comportava un limite tassativo per l'attivita� della regione, cui era negato anche il potere di emanare atti rivolti all'adempimento dell'obbligo. RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Anche�l'appartenenza�dell'Italia�alla�Comunita�europea�era�(e� forse�in�parte�resta�ancora)�rubricata�come��rapporti�internazionali�� e�ad�essa�formalmente�e�sostanzialmente�assimilata�ai�fini�del�rela- tivo�potere�di�iniziativa�e�le�conseguenti�responsabilita�o�per�inadem- pimento,�con�la�conseguenza�che�in�proporzione�all'aumento�delle� competenze�comunitarie�si�e�avuta�una�compressione�delle�compe- tenze�regionali.� Il�quadro�stabilizzato�prima�della�riforma�costituzionale�puo� essere�riassunto�nei�termini�seguenti:� ^Lo�Stato�ha�il�monopolio�della�politica�estera.�La�Regione,� nell'ambito�della�propria�competenza,�puo�svolgere�all'estero�attivita� promozionali�(per�esempio,�dei�prodotti�tipici,�dell'offerta�turistica� ecc.:�il�c.d.�marketing�territoriale)�e�attivita�di�rilievo�internazionale� (ossia�quelle�attivita�di�studio,�di�scambio�di�informazioni,�di�collabo- razione�transfrontaliera,�di�proposta�ed�iniziativa�congiunte�che�pero� non�comportino�l'assunzione�di�impegni�dai�quali�derivino�obblighi� per�lo�Stato).�L'attivita�estera�della�Regione�e�soggetta�al�principio� di�leale�collaborazione,�cioe�di�previa�informazione�o�previo�assenso� (in�relazione�alla�rilevanza�della�programmata�attivita�)�del�Governo.� ^L'esecuzione�degli�obblighi�internazionali�e�attribuita�allo� Stato�a�livello�nazionale,�Regioni�ed�enti�locali�possono,�invece,� dare�esecuzione�ai�trattati�nelle�materie�di�rispettiva�competenza.� ^E�stata�riconosciuta�alla�Regione�una�limitata�possibilita�di� intervento�nella�formazione�delle�politiche�comunitarie�e�degli�atti� normativi.�A�parte�la�presenza�istituzionale�a�livello�comunitario�nel� Comitato�delle�Regioni,�dal�1994�e�consentito�alla�Regione�di�intrat- tenere,�senza�obblighi�di�intesa�o�di�previa�informazione,�rapporti� diretti�con�le�istituzioni�comunitarie�e�dal�1996�di�aprire�uffici�di�col- legamento�a�Bruxelles�e�dal�1998�la�Rappresentanza�permanente�ita- liana�a�Bruxelles�e�integrata�da�quattro�funzionari,�designati�dalla� Conferenza�Stato-Regioni.�Le�Regioni�possono�segnalare�alla� Rappresentanza�italiana�affari�di�loro�interesse�e�poi�sono�coinvolte� nella�formazione�della�volonta�italiana�nella�elaborazione�degli�atti� comunitari�attraverso�le��sessioni�comunitarie��semestrali�della�Con- ferenza�Stato-Regione.� ^Quanto�alla�fase�discendente�delle�politiche�comunitarie,�dal� 1998�e�previsto�che�tutte�le�Regioni�possano�(e�debbano)�dare�attua- zione�immediata�alle�direttive,�oltre�che�ai�regolamenti�comunitari,� potendo�scegliere�se�procedere�per�via�legislativa�o�per�via�ammini- strativa;�salvo,�comunque,�l'obbligo�di�adeguare�le�proprie�norme�alle� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE� successive�leggi�statali�di�attuazione�secondo�le�regole�costituzionali.� Proprio�in�relazione�ad�eventuali�inadempienze�delle�Regioni�nell'at- tuazione�degli�obblighi�comunitari,�la�Corte�Costituzionale�ha�rico- nosciuto�allo�Stato�forti�poteri�di�intervento�in�via�preventiva,�attra- verso�la�emanazione�di�atti�di�indirizzo�e�coordinamento�e�di�norme� legislative�di�dettaglio�con�valore�suppletivo;�sia�successivo,�con�l'atti- vazione�del�potere�sostitutivo.� 5.�Con�la�formula�della�potesta�legislativa�concorrente�(arti- colo�117,�comma�3)�la�Costituzione�indica�materie�in�relazione�alle� quali�assegna�bens|�potesta�legislativa�alle�Regioni,�ma�nelle�quali� individua�speciali�esigenze�di�unitarieta�da�soddisfare�mediante�una� legislazione�statale�che�tracci�i�principi�fondamentali.� Tra�le�materie�di�competenza�ripartita�vi�e�quella�dei�rapporti� internazionali�e�con�l'Unione�Europea�delle�Regioni.�Il�parallelismo� con�la�competenza�statale�di�cui�alla�lettera�a) del�comma�2�^peral- tro�con�la�significativa�esclusione�della�politica�estera�dalla�compe- tenza�regionale�^non�puo�nascondere�la�fondamentale�diversita�della� posizione�regionale.� La�potesta�legislativa�regionale�per�quanto�riguarda�i�rapporti� internazionali�potra�riguardare�da�un�lato�gli�aspetti�organizzativi�e� procedimentali�della�propria�attivita�,�dall'altro�le�norme�eventual- mente�necessarie�per�recepire�nell'ordinamento�regionale�il�contenuto� degli�accordi�stipulati,�in�conformita�a�quanto�disposto�dal�comma�9� dell'articolo�117,�secondo�il�quale��nelle�materie�di�sua�competenza� la�Regione�puo�concludere�accordi�con�Stati�e�intese�con�enti�territo- riali�interni�ad�altro�Stato,�nei�casi�e�con�le�forme�disciplinati�da�leggi� dello�Stato�.�La�disciplina�dei�casi e�delle�forme di�possibile�conclu- sione�di�tali�accordi�dovrebbe�essere�l'oggetto�specifico�delle�norme� di��principio��della�legge�statale.� Analogamente,�anche�per�la�competenza�legislativa�in�materia�di� rapporti�con�l'Unione�Europea�si�tradurra�principalmente�in�norme� organizzative�e�procedimentali.�La�mancata�attribuzione�di�un� potere��comunitario��esclude,�peraltro,�che�la�Regione�possa�assu- mere�direttamente�obblighi�con�l'Unione�Europea�che�implichino�l'e- sercizio�di�attivita�normativa.�Nei�limiti�in�cui�possono�assumere� direttamente�obblighi�giuridici�con�l'Unione�Europea,�peraltro,�e�da� verificare�se�si�estenda�allo�Stato�la�responsabilita�per�l'inadempi- mento.�La�risposta,�in�via�generale,�sembra�essere�positiva�e,�quindi,� in�presenza�di�un�inadempimento�della�Regione,�lo�Stato�e�legitti- mato�ad�agire�in�sostituzione�della�Regione�inadempiente.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 6.�L'articolo�117,�primo�comma,�pone�all'esercizio�del�potere� legislativo�il�vincolo�del�rispetto�dell'ordinamento�comunitario�e�degli� obblighi�internazionali.�La�disposizione,�da�interpretarsi�in�connes- sione�con�l'obbligo�del�rispetto�della�Costituzione�(non�solo�per� quanto�concerne�le�norme�costituzionali,�ma�anche�per�quanto�con- cerne�il�rispetto�delle�competenze),�sta�ad�indicare�che�lo�Stato,�in� quanto�investito�del�potere�legislativo�per�assicurare�l'unitarieta�del- l'ordinamento�giuridico�nazionale,�e�competente�ad�ogni�intervento� che�si�renda�necessario�per�assicurare�le�finalita�unitarie�proprie�di� ciascuna�norma�comunitaria�o�di�ciascuna�disposizione�convenzio- nale�internazionale�che�imponga�un�obbligo�da�soddisfare�in�modo� unitario.�Tanto�attribuisce�al�legislatore�nazionale�il�potere�di�dettare� tutte�le�disposizioni�che�sono�necessarie�ad�assicurare�il�rispetto�di� tali�obblighi�comunitari�e�internazionali�anche�nelle�materie�di�com- petenza�residuale�regionale.� Complessivamente,�per�quanto�riguarda�i�rapporti�con�gli�orga- nismi�comunitari,�la�riforma�si�colloca�su�di�una�linea�di�continuita� con�cio�che�la�legislazione�ordinaria�e�la�giurisprudenza�precedenti� avevano�tracciato.�E�sistematico�il�rinvio�alla�legge�ordinaria�per� tutto�cio�che�riguardi�la�disciplina�dei�rapporti�delle�Regioni�con�l'U- nione�Europea�(art.�117,�comma�3),�la�partecipazione�delle�regioni� alla�fase�ascendente�e�all'attuazione�degli�atti�comunitari�(art.�117,� comma�5).�La�legge�5�giugno�2003,�n.�131,�a�prima�lettura,�pone�il� problema�di�una�revisione�della�legge�n.�86/1999,�che�disciplina�le� modalita�di�attuazione�degli�impegni�comunitari,�regolando�i�rap- porti�tra�Governo,�Parlamento�e�Regioni,�e�promette�di�rafforzare�il� ruolo�della�Conferenza�Stato-Regioni�nella��fase�ascendente�,�preve- dendo�che�in�quella�sede�si�raggiungano��posizioni�comuni��circa�i� progetti�di�atti�comunitari�che�interessano�le�materie�di�competenza� regionale.�Sui�progetti�di�maggiore�rilievo�il�Governo�italiano� dovrebbe,�inoltre,�porre�in�sede�comunitaria�la��riserva�di�esame��in� attesa�di�raggiungere�l'accordo�in�sede�di�Conferenza�Stato-Regioni,� ma�il�mancato�raggiungimento�della�intesa�non�impedirebbe�al� Governo�di�procedere�da�solo:�in�cio�si�trova�conferma�della�conside- razione�costituzionale�dell'interesse�comunitario�come�interesse�uni- tario.�La�legge�prevede,�inoltre,�che�le�Regioni�concorrano�diretta- mente,�nelle�materie�di�loro�competenza,�alla�formazione�degli�atti� comunitari,�partecipando,�nell'ambito�della�delegazione�del�Governo,� alle�attivita�dei�gruppi�di�lavoro�e�dei�comitati�del�Consiglio�e�della� Commissione�europea,�secondo�modalita�da�concordare�in�sede�di� Conferenza�Stato-Regioni,�che�devono�comunque�garantire�la�unita- IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE� rieta�della�rappresentazione�della�posizione�italiana�da�parte�del� Capo�delegazione�designato�dal�Governo.�Nel�testo�approvato�dal� Senato�si�prevede�che�nelle�materie�di�competenza�residuale�delle� Regioni,�la�designazione�del�Capo�della�delegazione�italiana�sia� frutto�di�una�intesa�raggiunta�in�sede�di�Conferenza�Stato-Regione,� e�che��sulla�base�di�un�accordo�di�cooperazione��tra�Governo�e� Regioni�si�individuino��i�criteri�per�la�individuazione�delle�materie�.� La�disposizione�e�sufficientemente�ambigua�da�lasciare�aperta�la� possibilita�che�il�Capo�della�delegazione�italiana�possa�essere,�in�que- sti�casi,�un�rappresentante�delle�Regioni,�sia�pure�designato�dal� Governo.� Anche�in�relazione�alla��fase�discendente��dell'attuazione�della� normativa�comunitaria,�la�legge�non�contiene�novita�di�rilievo.�Va� pero�notato�che,�confermata�la�competenza�delle�Regioni�a�recepire� immediatamente�le�direttive�comunitarie�e�a�dettare�la�eventuale� disciplina�integrativa�e�attuativa�dei�regolamenti,�e�confermato�il� potere�dello�Stato�di�emanare�leggi�di�attuazione�delle�norme�comu- nitarie�anche�in�materie�di�competenza�regionale,�non�limitandosi�ai� soli�principi,�ma�introducendo�anche�disposizioni�di�dettaglio,�con� valore�suppletivo�(si�applicano�cioe�sino�alla�emanazione�delle�norme� attuative�regionali).� 7.�La�riforma�del�Titolo�V�introduce�due�previsioni�costituzio- nali�del�potere�sostitutivo.� L'articolo�117,�comma�5,�nell'ambito�della�ripartizione�dei�poteri� normativi,�ed�in�particolare�laddove�indica�la�competenza�delle� Regioni�a�partecipare�alla�formazione�degli�atti�comunitari,�nonche� all'attuazione�di�essi�e�degli�accordi�internazionali,�rinvia�alla�legge� statale�la�disciplina�delle��modalita�di�esercizio�del�potere�sostitutivo� in�caso�di�inadempienza�.� Di�diverso�tenore�e�l'articolo�120,�comma�2,�che�contiene�la�pre- visione�di�un�piu�generale�potere�sostitutivo�dello�Stato.�A�differenza� dell'articolo�117,�comma�5,�la�sostituzione�e�estesa,�oltre�che�alle� Regioni�anche�agli�altri�enti�territoriali,�e�attribuisce�un�tale�potere� al�governo,�mentre�l'articolo�117,�comma�5,�non�fa�riferimento�ad� un�organo�specifico.�Manca�poi�un�riferimento�esplicito�alla��ina- dempienza��come�presupposto�necessario,�poiche�le�ipotesi�che�pos- sono�legittimare�la�sostituzione�sono:� ^mancato�rispetto�di�norme�e�trattati�internazionali�o�della� normativa�comunitaria;� ^pericolo�grave�per�l'incolumita�e�la�sicurezza�pubblica;� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� ^tutela�dell'unita�giuridica�o�della�unita�economica�e,�in�parti- colare,�tutela�dei�livelli�essenziali�delle�prestazioni�concernenti�i�diritti� civili�e�sociali.� Si�fa�rinvio�ad�una�legge�ordinaria�per�la�disciplina�procedu- rale�con�il�vincolo�di�assicurare�che�l'esercizio�del�potere�sostitutivo� rispetti�i�principi�di�sussidiarieta�e�di�leale�collaborazione.� Il�quadro�e�alquanto�complesso�e�lascia�adito�ad�interpreta- zioni�molto�diverse.�Non�e�chiaro�se�la�differente�formulazione� dell'articolo�117,�comma�5,�e�120,�comma�2,�siano�dovute�a�man- cato�coordinamento�legislativo,�oppure�abbiano�una�differente�por- tata�normativa:�l'uno,�si�riferisca�esclusivamente�alla�sostituzione� nella�produzione�normativa,�mentre�il�secondo�si�riferisca�ad�ogni� tipo�di�attivita�.Non�e�chiaro,�infatti,�se�questa�ultima�disposizione� possa�legittimare�la�sostituzione�anche�degli�organi�legislativi�della� Regione:�in�questa�ipotesi�suonerebbe�del�tutto�stonato�averne� attribuito�il�potere�al�Governo,�anziche�al�Parlamento.�Non�e� chiaro,�inoltre,�se�la�sostituzione�abbia�sempre�uno�specifico�carat- tere�di�sanzione�a�fronte�di�vere�e�proprie�inerzie,�inadempimenti� o�atti�lesivi�dell'ordinamento,�oppure�possa�essere�ispirata�da� ragioni�politiche,�legate�all'urgenza�di�provvedere�o�da�valutazioni� attinenti�agli�interessi�unitari,�quasi�si�ponesse�quale�clausola�di� chiusura�del�sistema�che�autorizza�il�Governo�ad�intervenire�in� casi�straordinari�a�salvaguardia�dell'unita�del�Paese�e�dei�sui�inte- ressi�unitari.� 8.�La�procedimentalizzazione�della�partecipazione�regionale�alla� c.d.��fase�ascendente��non�assume�rilievo�sul�piano�comunitario,�nel� senso�che�la�sua�inosservanza�non�determina�un�difetto�di�capacita� giuridica�del�Governo�di�partecipare�alla�formazione�e�alla�approva- zione�degli�atti�comunitari.� Parimenti�non�delegittima�lo�Stato�a�esercitare�la�sua�funzione� di�indirizzo�e�coordinamento�e�a�fissare�i�principi�generali�per�l'eser- cizio�delle�scelte�discrezionali�politiche�in�sede�di�recepimento�della� normativa�comunitaria.� L'esercizio�di�tali�poteri�in�fase�di�recepimento�potrebbe�dare� luogo�ad�ipotesi�di�sindacato�di�legittimita�costituzionale�ad�inizia- tiva�dello�Stato�e�delle�Regioni,�ipotesi�nelle�quali�non�si�potrebbe� escludere�anche�la�necessita�di�risolvere�in�via�preventiva�una�que- stione�pregiudiziale�ai�sensi�dell'articolo�234�del�Trattato.�La�que- stione�pregiudiziale�di�interpretazione�assume�rilievo�per�la�verifica� del�corretto�esercizio�dei�poteri�discrezionali�da�parte�del�legislatore� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE� nazionale�e�di�quello�Regionale,�posto�che�il�conflitto�in�tale�ipotesi� sorge�proprio�in�relazione�alla�legittimita�comunitaria�della�adottata� soluzione�di�armonizzazione.�Si�tratta,�invero,�di�una�questione�che� sta�a�monte�di�quella�del�rispetto�dei�limiti�della�competenza�legisla- tiva�attribuita�dalla�Costituzione�rispettivamente�allo�Stato�e�alla� Regione,�che�deve�essere�risolta�in�base�alla�interpretazione�della� Costituzione.� Il�giudice�naturale�italiano,�quindi,�si�deve�porre�entrambe�le� questioni�e�procedere�in�conformita�al�Trattato�e�alla�Costituzione.� Da�ultimo,�e�opportuno�sottolineare�il�rilievo�che�in�tema�di� adeguamento�dell'ordinamento�giuridico�interno,�generato�dall'eser- cizio�dei�rispettivi�poteri�legislativi�da�parte�dello�Stato�e�della� Regione,�all'ordinamento�comunitario�e�a�quello�internazionale� potra�assumere�l'attuazione�dell'articolo�11�della�legge�costituzio- nale�n.�3/2001�del�seguente�tenore:��1.�Sino�alla�revisione�delle� norme�del�titolo�I�della�parte�seconda�della�Costituzione,�i�regola- menti�della�Camera�e�del�Senato�della�Repubblica�possono�preve- dere�la�partecipazione�dei�rappresentanti�delle�Regioni,�delle�Pro- vince�autonome�e�degli�enti�locali�alla�Commissione�parlamentare� per�le�questioni�regionali.�2.�Quando�un�progetto�di�legge�riguar- dante�le�materie�di�cui�al�terzo�comma�dell'articolo�117�(e�perche� non�anche�del�quarto�comma�nelle�ipotesi�in�cui�ci�sia�l'obbligo�comu- nitario�o�internazionale�della�trasposizione�unitaria�della�norma� comunitaria�o�internazionale?)�e�all'articolo�119�della�Costituzione� contenga�disposizioni�sulle�quali�la�Commissione�parlamentare�per� le�questioni�regionali,�integrata�ai�sensi�del�comma�1,�abbia� espresso�parere�contrario�o�parere�favorevole�condizionato�all'in- troduzione�di�modificazioni�specificamente�formulate,�e�la�Com- missione�che�ha�svolto�l'esame�in�sede�referente�non�vi�si�sia�ade- guata,�sulle�corrispondenti�parti�del�progetto�di�legge�l'assemblea� delibera�a�maggioranza�assoluta�dei�componenti�.�La�costrizione� della�maggioranza�assoluta�nel�caso�di�parere�contrario�e�stata� molto�criticata�perche�impone�un�vincolo�assai�forte�nell'approva- zione�di�importanti�categorie�di�leggi�e,�comunque,�e�un�forte� incentivo�a�non�attivare�la�procedura�di�integrazione�della�Commis- sione�stessa,�che�si�risolverebbe�nella�imposizione�di�un�vincolo�par- ticolarmente�stretto�sul�Parlamento.�Sono�del�parere�che,�invece,� la�previsione�regolamentare�permettera�di�raggiungere�preventiva- mente�un'intesa�sul�recepimento�unitario�della�norma�comunitaria� assicurando�anche�a�livello�interno�quella�leale�collaborazione�che� si�deve�ricercare�nella�fase�ascendente.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�sede�di�infrazioni�comunitarie,�ai�fini�dell'osservanza�degli� obblighi�posti�dall'articolo�10�del�Trattato,�il�cui�contenuto�concreto� dipende,�di�volta�in�volta,�dalle�disposizioni�del�Trattato�o�dai�prin- cipi�che�si�desumono�dalla�sua�struttura�complessiva,�dovra�apprez- zarsi�anche�il�mancato�esercizio�del�potere�sostitutivo�ora�ricono- sciuto�e�dall'articolo�117,�comma�5,�e�dall'articolo�12,�comma�2�della� Costituzione.� Avv. Maurizio Fiorilli LEDECISIONILEDECISIONI Il monito della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sulla �legge Pinto� (*) Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, prima sezione, 27 marzo -20 maggio 2003 La�sentenza�in�rassegna�lascia�perplessi,�ma�probabilmente�non�merita�lo� �strepitus� che�ha�suscitato,�e�tanto�meno�le�preoccupazioni�che�ha�sollevato,� al�punto�da�provocare�la�remissione�alle�Sezioni�Unite�Civili�della�Cassazione� di�alcuni�ricorsi�del�tutto�simili�ai�molti�pacificamente�ed�uniformemente�decisi� in�applicazione�della�legge�n.�89/2001.�Sul�piano�istituzionale�e�stata�la�rappre- sentanza�permanente�d'Italia�presso�il�Consiglio�d'Europa�a��lanciare�l'al- larme�contelespresso�14�marzo2003�inviato,�oltrecheaiMinisteridegliAffari� Esteri�e�della�Giustizia,�anche�alla�Procura�Generale�della�Repubblica�presso� la�Corte�Suprema�di�Cassazione;�l'allarme�e�stato�immediatamente�raccolto� dalla�Procura�Generale�che,�con�nota�del�3�maggio�2003�dell'ufficio�Relazioni� Internazionali,�ha�segnalato��la�grave�situazione�che�puo�determinarsi�nel�con- tenzioso�in�tema�di�non�ragionevole�durata�dei�procedimenti�in�conseguenza� dell'esame,�da�parte�della�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo,�dei�ricorsi�S.� (n.�36813/97)eC.eC.(n.�35360/00)�.LanotadellaProcuraGeneralee�indiriz- zata,�oltre�che�ai�due�Ministeri,�alla�Corte�Suprema�di�Cassazione�^Segreteria� Generale�e�al�Consiglio�Superiore�della�Magistratura�^Comitato�di�Presidenza;� ed�illustrando�puntualmente�quelli�che�sarebbero�poi�stati�i�contenuti�della�sen- tenza�in�esame,�cos|�conclude:��L'evidente�situazione�di�disagio�sembra�imporre� una�attenta�riflessione,�con�ricerca�di�misure�idonee�ad�individuare�le�cause� della�crisi�ed�a�progressivamente�eliminare�l'attuale�condizione�di�sostanziale� contrasto.�Tra�tali�misure�possono�essere�suggerite,�ad�esempio,�l'esame�urgente� delle�modifiche�gia�dal�Governo�ritenute�necessarie�per�la�legge�Pinto�(e�per�le� quali�era�stato�presentato�un�decreto-legge);�l'ulteriore�formazione�deimagi- strati�in�materia�con�visite�di�studio�a�Strasburgo;�la�rimessione�delle�piu�rile- vanti�questioni�alle�Sezioni�Unite�della�Corte.�.� Nelle�pubbliche�udienze�che�immediatamente�seguirono�il�deposito�della� decisione�in�argomento,�peraltro,�non�tutti�i�protagonisti�della�discussione� orale�manifestarono�identiche�preoccupazioni;�e�tra�gli�stessi�sostituti�del� P.G.�in�udienza�non�tutti�sostennero�l'esigenza�di�una�rilettura�della�legge� Pinto�in�termini�coerenti�con�il�richiamo�della�CEDU.� E�probabile�che�la�decisione�dica�assai�di�meno�di�quello�che�i�primi�pre- occupati�lettori�vi�hanno�intravisto;�certo�e�,�pero�,�che�il�nostro�art.�101�Cost.� (*)�Nella�parte�Contenzioso Nazionale,�pag.�200,�pubblichiamo�il�dossier�dell'Avvocato� dello�Stato�Antonio�Palatiello:��Iltermineragionevoledelprocesso: leultimepronunce, aspett ando le Sezioni unite�. RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� ^questo�certamente�contenente�un�principio�supremo�dell'ordinamento�i mpedisce�al�monito�della�CEDU�di�penetrare�nelle�aule�della�Corte�di�Cas- sazione,�ed�anzi�fa�obbligo�a�qualunque�giudice�di�non�accettarlo�come�tale:� l'Avvocatura�dello�Stato�ha�dunque�sostenuto�che�non�sarebbe�stata�corretta� una�remissione�dei�ricorsi�alle�Sezioni�Unite�per�cio�solo�che�la�CEDU�avesse� lamentato�l'incoerenza�del�sistema�italiano�con�la�Convenzione�e�con�la�giu- risprudenza�del�giudice�europeo.�La�remissione�alle�Sezioni�Unite�v'e�stata,� ma�opportunamente�e�avvenuta�su�istanza�di�una�delle�parti�private�con�la� motivazione�dell'esistenza�di�questioni�di�massima�di�particolare�importanza� (art.�374,�2.�comma,�u.p.�C.P.C.).� Ma�la�pronunzia�della�CEDU,�dicevo,�contiene�forse�meno�di�quello�che� sembra.�Intanto�il��monito��che�essa�reca�non�si�rivolge�ai�nostri�giudici,�ai� quali,�anzi,�con�corretta�sensibilita�,�la�Corte�Europea�da�atto�di�dover��inter- pretare�ed�applicare�il�diritto�interno�,�perche��gli�Stati�contraenti�non� hanno�l'obbligazione�formale�di�recepire�la�Convenzione�nel�sistema�giuri- dico�interno�;�l'interpretazione�e�l'applicazione�del�diritto�interno�va�fatta,� �per�quanto�possibile�...�in�modo�conforme�alla�Convenzione�.� E�infatti�la�nostra�Corte�di�Cassazione,�fin�dalle�prime�sentenze�in�argo- mento,�ha�sempre�ribadito�che�della�Convenzione�e�della�giurisprudenza� CEDU�va�tenuto�conto�nei�limiti,�ovviamente,�consentiti�dal�diritto�vigente� in�Italia,�che�il�giudice�italiano�non�puo�non�applicare�(ad�es.,�Cass.�26�luglio� 2002,�n.�11046,�in�questa�Rassegna aprile-giugno�2002,�111;�id. 2�agosto� 2002,�n.�11592,�ivi, 117:�l'affermazione�e�consolidata).� Vi�e�stato,�invece,�un�fraintendimento�del�merito�delle�decisioni�giuri- sprudenziali�adottate�in�applicazione�della�legge�n.�89/01,�donde�il�monito� all'Italia�di�adeguare�il�proprio�sistema�normativo:�la�CEDU�infatti�sostiene� che�in�Italia��manca�il�riconoscimento�del�diritto�ad�un�processo�in�tempi� ragionevoli�quale�diritto�fondamentale�dell'uomo�.� Bisogna�intendersi�sul�concetto�di��diritto�fondamentale�dell'uomo�:�la� nozione�della�CEDU�non�coincide�certo�con�quella�di�diritto�inviolabile,�in� via�immediata�ed�esclusiva�accordato�e�tutelato�dalla�Costituzione�(come�il� diritto�alla�vita,�alla�scelta�religiosa�etc.),�perche�altrimenti�non�avrebbe� avuto�senso�la�decisione�della�stessa�CEDU�12�luglio�2001,�F.�c.�Italia,�in� questa�Rassegna, 2001,�II,�124,�dove�si�nega�che�nel�processo�tributario�valga� il�principio�della�durata�ragionevole�(eppure�anche�quello�tributario�e�un�giu- dizio,�dove�il�giudice�deve�essere�terzo�e�imparziale).�Diritto�fondamentale,� nella�logica�della�CEDU,�e�quello�che�non�puo�non�essere�accordato,�secondo� il�sistema�di�produzione�normativa�dei�singoli�Stati;�e�da�noi�e�stata�la�legge� ordinaria�a�disciplinare�quel�diritto�(cos|�come�e�la�legge�ordinaria�a�discipli- nare�la�maggior�parte�dei�diritti�riconosciuti�dalla�Convenzione).� Ed�era�ben�noto�alla�CEDU�che�in�Italia�occorresse�una�legge�introdut- tiva�del�diritto�alla�durata�ragionevole�del�processo,�pur�conoscendo�benela� nostra�Costituzione�i�diritti�inviolabili�(se�tra�questi�vi�fosse�stato�il�diritto� in�esame�la�CEDU�avrebbe�da�sempre�preteso�il�previo�ricorso�al�giudice� nazionale);�fu,�invero,�salutata�con�favore�dalla�stessa�CEDU�la�legge� 24�marzo�2001,�n.�89,�come�quella�che�per�prima�ha�reso��efficace�a�livello� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni� interno�il�principio�della�ragionevole�durata�inserito�nella�costituzione�ita- liana�dopo�la�riforma�dell'art.�111��(sent.�in�ric.�69789/01,�B.�c.�Italia,�in�que- sta�Rassegna, 2001,�II,�130).� Ora,�e�sfuggito�alla�CEDU�che�la�nostra�Corte�di�Cassazione�non�ha� mai�negato�che�il�ripetuto�diritto�sia�fondamentale;�ha�invece�osservato,�ben� diversamente,�che�esso�non�trova�diretta�tutela�nella�Costituzione�(da�ult.� Cass�3�aprile�2003,�n.�5128,�che�paragona�quel�diritto�a�quello�alla�salute� nel�suo�aspetto�pretensivo).�Non�mi�pare�invece�che�la�CEDU�rimproveri� all'Italia�di�non�fare��applicazione�diretta�della�Convenzione�e�della�giuri- sprudenza�di�Strasburgo�in�materia�di�equa�soddisfazione�:�l'espressione� serve�alla�CEDU�per�dire�che�in�Italia�si�e�scelta�la�via�della�legge�interna,� ma�questa�legge�e�insufficiente�perche�non�e�in�linea�con�la�Convenzione�e� con�la�giurisprudenza�CEDU.� Non�corretta�appare�invece�l'osservazione�secondo�cui��pur�nel�rispetto� del�margine�di�discrezionalita�di�cui�dispongono�i�giudici�nazionali,�essi�si� debbono�conformare�alla�giurisprudenza�della�Corte�anche�concedendo�un� risarcimento�adeguato�:�nella�sua�assolutezza�questo�invito�non�puo�condivi- dersi;�qui,�forse,�la�CEDU�vuol�dire�soltanto�che�la�legge�italiana�consente,� attraverso�la�discrezionalita�che�lascia�al�giudice,�di�operare�liquidazioni� meno�lontane�da�quelle�europee.�Ma�allora�il�problema�si�fa,�evidentemente,� diverso;�e�d'altra�parte�pure�a�parita�di�situazioni�processuali�non�e�affatto� detto�che�la�ricaduta�della�durata�irragionevole�del�processo�sul�patrimonio� o�sulle�persone�sia�eguale�per�tutti.� In�quanto�ai�rapporti�tra�la�Convenzione�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo,� recepita�con�la�legge�4�agosto�1955,�n.�848,�e�l'ordinamento�interno,�va�ricor- dato�il�consolidato�orientamento�che�distingue�tra�norme�sufficientemente� determinate,�le�quali�sono�di�immediata�applicazione�nel�nostro�ordina- mento,�e�quelle�generiche�per�le�quali�occorrono�successivi�atti�normatividi� adattamento,�distinzione�che�si�fonda�sui�principi�generali�della�materia� (cfr.,�ad�esempio,�Cass.,�S.U.,�8�maggio�1989,�n.�15);�per�lo�specifico�tema� della�durata�ragionevole�del�processo�si�e�osservato�che��la�Convenzione� introduce�un�mero�principio�di�comportamento�per�il�legislatore�nazionale� senza�prefissione�di�termini�o�di�sanzioni�e,�pertanto,�non�puo�essere�invocata� per�far�valere�l'invalidita�di�un�procedimento�condotto�nella�osservanza�delle� leggi�che�lo�contemplano��(Cass.,�S.U.,�21�gennaio�1985,�n.�365;�id. 25�marzo� 1988,�n.�251;�da�ultimo,�Cass.,�Sez.�I,�14�giugno�2002�n.�8503;�per�la�parallela� vicenda�della�pubblicita�dell'udienza,�della�precostituzione�del�giudice,�e�del� diritto�dell'incolpato�di�parlare�per�ultimo�si�vedano,�rispettivamente:�Cass.,� S.U.,�1.�ottobre�1986,�n.�5827,�id. 5�febbraio�1999,�n.�39,�tutte�nel�senso�della� non�diretta�applicazione�della�Convenzione;�contra, per�un�caso�di�procedi- mento�disciplinare�a�porte�chiuse,�si�e�fatta�diretta�applicazione�dell'art.�6� della�Convenzione,�cos|�ritenendosi�abrogata�la�norma�che�prevedeva�l'u- dienza�riservata:�Cass.,�S.U.,�10�luglio�1991,�n.�7662).�La�Corte�Costituzio- nale,�dal�canto�suo,�ha�negato�la�preminenza�della�Convenzione�sulla�legge� in�varie�occasioni,�pur�riconoscendo�la�specialita�del�sistema�ivi�contenuto� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (Corte Cost. n. 10/93) e con l'avvertenza che l'adeguamento automatico del- l'ordinamento italiano alle norme di diritto internazionale generalmente rico- nosciute (art. 10 Cost.) si riferisce soltanto alle norme di carattere consuetu- dinario, e non anche a quelle di carattere pattizio quali sono comunque le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte Cost., n. 153/87; n. 75/93 A; n. 75/93 B). Avv.�Antonio�Palatiello� Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sez. I, 27 marzo -20 maggio 2003 -Presidente�Rozakis -G.�ad�hoc�del Tufo -S. c. Italia La�regola�dell'esaurimento�delle�vie�interne�di�ricorso,�posta�dall'art.�35�della�Convenzione� Europea�dei�Diritti�dell'Uomo,�non�opera�quando�il�ricorso�interno�non�sia�ne�adeguato�ne� effettivo.� Lagiurisprudenzadelle�Cortiitalianeedinparticolaredella�CortediCassazioneintemadi� equa�riparazioneperla�violazionedeldirittoadunprocesso�in�tempiragionevolinone�coerente� coniprincipidella�Convenzionenellaparteincuinegalanaturadidirittofondamentaledel- l'uomo�al�diritto�in�questione,�nega�l'applicazione�diretta�della�Convenzione�e�della�giurispru- denza�di�Strasburgo�in�materia�di�equa�soddisfazione,�accorda�riparazioni�pecuniarie�insuffi- cienti.� (Latraduzionedaltestofrancesee��degliavv.tiW.FerranteeA.�Palatiello).� �(omissis)�Il Governo solleva due eccezioni. In primo luogo, il Governo sostiene che le vie di ricorso interne non sono state esaurite dato che i ricorrenti non hanno proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d'appello di Reggio Calabria. Il Governo argomenta a favore dell'efficacia del ricorso per cassazione e cio� per diverse ragioni. Innanzitutto, il Governo fa osservare che la competenza della Corte di Cassazione in materia di legge Pinto e� la stessa che in tutti gli altri casi di ricorsi ordinari proposti innanzi alla Suprema Corte ai sensi dell'art. 360 c.p.c. Se e� dunque vero che l'ammontare dell'indennizzo in quanto tale non puo� formare oggetto di ricorso per cassazione, i ricorrenti avrebbero comunque potuto dedurre innanzi alla Corte di Cassazione che il decreto della Corte d'appello non era logicamente o coerente- mente motivato o avrebbero potuto contestare l'ammontare della riparazione riconosciuta in primo grado sotto il profilo della conformita� alla legge dei criteri utilizzati. Il Governo precisa inoltre che la Corte di Cassazione ha il potere di annullare una deci- sione e di rinviare la causa ad un nuovo giudice di merito. Il Governo sostiene che i ricorrenti hanno contestato l'efficacia dei rimedi senza for- nirne dimostrazione e che gli stessi fondano le loro pretese esclusivamente su due sentenze della Corte di Cassazione. A tale proposito, il Governo fa osservare che la giurisprudenza della Corte di Cassa- zione in materia e� assai vasta e non ancora definitivamente consolidata in assenza di una decisione a Sezioni Unite. Quanto all'applicazione, da parte della Corte di Cassazione, dei criteri della giurispru- denza di Strasburgo, il Governo ritiene che si tratti di un falso problema dato che si tratta di ``pretesi criteri''. A tale proposito, il governo osserva che la giurisprudenza di Strasburgo non indica dei ``criteri'' per il calcolo dell'equa riparazione, atteso che si puo� parlare di cri- teri solo in presenza di una base di calcolo che si possa tradurre in una formula matematica e che sia espressa e chiaramente identificabile. Inoltre, il Governo osserva che l'equa ripara- zione riconosciuta dalla Corte ha carattere facoltativo dato che puo� non essere accordata quando l'affermazione della violazione e� considerata come sufficiente e considerato che la decisione concernente l'equa riparazione e� adottata ``secondo equita� '' e non necessita di un'approfondita motivazione. In conclusione, il Governo ritiene che non vi e� luogo di dolersi del non rispetto dei ``criteri'' che, da un lato, non esistono, e, dall'altro, non potrebbero esistere in quanto la natura stessa dell'apprezzamento al quale sono destinati non si presta ad una loro predeterminazione. IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni� Inoltre,�il�Governo�sostiene�che�la�questione�relativa�al�valore�riconosciuto�alla�Conven- zione�nell'ordinamento�giuridico�italiano�e�irrilevante.�A�tale�proposito,�il�Governo�osserva� che�una�via�di�ricorso�interna�e�da�considerarsi�efficace�se,�nella�sostanza,�le�violazioni� dedotte�dall'interessato�possono�essere�rimosse.�Non�e�necessario�che�si�applichino�formal- mente�le�norme�della�Convenzione�e�la�giurisprudenza�di�Strasburgo.� In�ordine�al�quantum, il�Governo�ritiene�che�la�Corte�di�Cassazione�avrebbe�potuto� apprezzare�se�l'ammontare�della�riparazione�ottenuta�dai�ricorrenti�fosse�adeguato�o�meno.� Sul�punto,�il�Governo�fa�osservare�che�le�due�decisioni�della�Corte�di�cassazione�citate� dai�ricorrenti�sono�conformi�all'orientamento�giurisprudenziale�ormai�consolidato,�secondo� il�quale�l'esistenza�di�un�danno�morale�non�viene�riconosciuto�automaticamente�per�effetto� dell'affermazione�del�superamento�della�durata�ragionevole.�Il�Governo�ammette�che�la�pos- sibilita�di�ottenere�la�riparazione�e�sottoposta�alla�condizione�che�l'interessato�fornisca�la� prova�del�danno�o,�quanto�meno,�degli�elementi�di�prova�che�permettano�al�giudice�un�ragio- namento�per�presunzione.�A�tale�proposito,�il�Governo�sottolinea�che,�in�certe�decisioni,�la� Corte�di�Cassazione�ha�rigettato�le�impugnazioni�fondate�proprio�sull'insufficienza�dell'equa� riparazione�perche�troppo�generiche�e�basate�su�semplici�allegazioni.� In�conclusione,�il�Governo�ritiene�che�i�ricorrenti�avrebbero�dovuto�proporre�ricorso� per�cassazione�e�chiede�alla�corte�il�rigetto�del�ricorso�per�effetto�del�non�esaurimento�delle� vie�di�ricorso�interne.� Il�Governo�solleva�una�seconda�eccezione�fondata�sull'assenza�della�qualita�di�vittime� dei�ricorrenti.� A�tale�riguardo,�fa�osservare�che,�riconoscendo�una�somma�ai�ricorrenti,�la�Corte�d'ap- pello�di�Reggio�Calabria�ha�non�solo�riconosciuto�la�violazione�del�diritto�ad�una�durata� ragionevole�ma�ha�anche�riparato�il�danno�subito.�Secondo�il�Governo,�l'ammontare�liqui- dato�a�titolo�di�equa�riparazione�non�puo�essere�rimesso�in�causa�dalla�Corte�dato�che�il� Giudice�nazionale�ha�deciso�secondo�equita�e�nell'ambito�dei�margini�di�apprezzamento�che� sottendono�alla�materia�di�equa�riparazione.� Il�Governo�fa�osservare�che�l'art.�41�della�Convenzione�non�impone�alla�Corte�di�liqui- dare�un'equa�riparazione.�Secondo�il�Governo,�la�Corte�sarebbe�dunque�libera�di�non�ricono- scere�l'equa�riparazione�e�senza�obbligo�di�motivazione,�atteso�che�la�decisione�e�adottata� secondo�equita�;�inoltre,�il�ricorrente�insoddisfatto�dell'ammontare�riconosciuto�non�potrebbe� agire�innanzi�alla�Grande�Chambre.� La�Corte�deve�preliminarmente�stabilire�se�i�ricorrenti�abbiano�esaurito,�giusta�l'art.�35,� ��1�della�Convenzione,�le�vie�interne�di�ricorso�offerte�dal�diritto�italiano.�Si�tratta�in�partico- lare�di�verificare�se�essi�erano�tenuti�a�ricorrere�in�Cassazione�contro�la�decisione�resa�dalla� Corte�d'Appello�in�materia�di�Legge�Pinto.� La�Corte�rammenta�che,�per�cio�che�attiene�ai�ricorsi�davanti�alle�Corti�d'Appello,�in� recenti�decisioni�(Brusco c. Italia, n.�69789/01,�6�settembre�2001,�in�corso�di�pubblicazione� in�CEDH�2001;�Di Cola c. Italia, n.�44897/98,�11�ottobre�2001),�ha�ritenuto�che�il�rimedio� introdotto�dalla�Legge�Pinto�deve�essere�considerato�praticabile�e�che�nulla�fa�dubitare�della� sua�efficacia.�La�Corte�ha�poi�ritenuto�che,�in�considerazione�della�natura�della�Legge�Pinto� e�del�contesto�nel�quale�essa�e�intervenuta,�era�giustificata�la�deroga�al�criterio�generale� secondo�cui�la�sussistenza�del�presupposto�dell'esaurimento�deve�essere�accertata�al� momento�della�proposizione�del�ricorso.� La�Corte�ricorda�che�la�regola�dell'esaurimento�delle�vie�interne�di�ricorso�enunciata� dall'art.�35�della�Convenzione�impone�a�coloro�che�intendono�proporre�un�ricorso�contro� uno�Stato�davanti�ad�un�organo�giudiziario�o�arbitrale�internazionale�l'onere�di�esperire� prima�i�ricorsi�offerti�dall'ordinamento�di�tale�Stato.�Questa�regola�si�basa�sul�presupposto� ^che�costituisce�l'oggetto�dell'art.�13�della�Convenzione,�con�il�quale�presenta�uno�stretto� collegamento�^che�il�sistema�interno�offra�un�ricorso�effettivo�contro�la�violazione�dedotta,� indipendentemente�dalla�incorporazione�o�meno�delle�disposizioni�della�Convenzione�nel� sistema�giuridico�nazionale.�In�particolare�quella�regola�costituisce�un�corollario�del�princi- pio�in�base�al�quale�il�meccanismo�di�salvaguardia�istituito�dalla�Convenzione�riveste�un� carattere�sussidiario�rispetto�ai�sistemi�nazionali�di�garanzia�dei�diritti�dell'uomo�(sentenza� Akdivar ed altri c. Turchia, Recueil�1996�-IV,�p.�1210,�65).� Anche�se�gli�Stati�contraenti�non�hanno�l'obbligazione�formale�di�recepire�la�Conven- zione�nel�sistema�giuridico�interno�(sentenza�James ed altri c. Regno Unito del 21febbraio RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 1986,�serie�A�n.�98,�p.�48,���86;�Christine�Goodwin�c.�Regno�Unito�(GC),�n.�28957/95,�CEDH� 2002,�par.�113),�dal�suddetto�principio�di�sussidiarieta�deriva�che�i�giudici�nazionali�devono,� per�quanto�possibile,�interpretare�ed�applicare�il�diritto�interno�in�modo�conforme�alla�Con- venzione.�Infatti,�pur�essendo�vero�che�tocca�alle�autorita�nazionali�interpretare�ed�applicare� il�diritto�interno,�la�Corte�e�comunque�chiamata�a�verificare�se�la�maniera�in�cui�il�diritto� interno�e�interpretato�ed�applicato�produce�effetti�conformi�ai�principi�della�Convenzione� (Carbonara�e�Ventura�c.�Italia,�n.�24638/94,�CEDH�2000-VI,�par.�68;�Streletz,�Kessler�e�Krenz� c.�Germania,�(GC),�numeri�34044/96,�35532/97,�44801/98,�par.�49,�CEDH�2001-II)�di�cui�la� giurisprudenza�della�Corte�costituisce�parte�integrante.� In�proposito,�la�Corte�ricorda�infine�che,�nel�sostituire�la�parola�``reconnaissant''�alle� parole�``s'engagent�a�reconna|�tre''�nel�testo�dell'art.�1,�i�redattori�della�Convenzione�hanno� inoltre�voluto�evidenziare�che�i�diritti�e�le�liberta�del�Titolo�I�sono�direttamente�ricono- sciuti�a�chiunque�dipenda�dalla�giurisdizione�degli�Stati�contraenti�(documento�H�(61)�4,� pp.�664-703,�733�e�927).�Tale�loro�intenzione�trova�particolare�fedelta�la�dove�la�Conven- zione�e�stata�recepita�nell'ordine�giuridico�interno�(sentenza�De�Wilde,�Ooms�e�Versyp�del� 18�giugno�1971,�serie�A�n.�12,�p.�43,�par.�82;�sentenza�Sindacato�svedese�dei�macchinisti�di� locomotive�del�6�febbraio�1976,�serie�A,�n.�20,�p.�18,�par.�50;�sentenza�Irlanda�c.�Regno� Unito�del�18�gennaio�1978�serie�A,�n.�25,�par.�239).�Peraltro�la�Convenzione,�che�vive�attra- verso�la�giurisprudenza�della�Corte,�ha�ormai�applicabilita�diretta�praticamente�in�tutti�gli� Stati�contraenti.� Giusta�l'art.�35,�il�ricorrente�deve�avvalersi�dei�ricorsi�che�sono�normalmente�disponibili� e�sufficienti�per�permettergli�di�ottenere�la�riparazione�delle�violazioni�che�deduce.�Tali� ricorsi�devono�avere�un�grado�di�sufficiente�certezza,�sia�in�pratica�che�in�teoria,�ed�essere� dotati�di�effettivita�ed�accessibilita�.�Tuttavia,�nulla�obbliga�a�sperimentare�ricorsi�che�non� siano�ne�adeguati�ne�effettivi.�Inoltre,�secondo�i�``principi�di�diritto�internazionale�general- mente�riconosciuti'',�alcune�situazioni�particolari�possono�esonerare�il�ricorrente�dall'obbliga- zione�di�esaurire�i�rimedi�interni�disponibili.�Questa�regola,�in�particolare,�non�si�applica� piu�quando�e�dimostrata�una�prassi�amministrativa�consistente�nella�ripetizione�di�atti�vie- tati�dalla�Convenzione�con�tolleranza�ufficiale�dello�Stato,�di�modo�che�tutte�le�procedure� risultino�inutili�o�inefficaci�(sentenza�gia�citata�Akdivar�ed�altri,�p.�1210,�parr.�66�e�67)� (omissis).� La�Corte�ha�effettuato�un�esame�ragionato�delle�cento�sentenze�della�Corte�di�Cassa- zione�ad�oggi�disponibili.�Ha�potuto�constatare�che�i�principi�stabiliti�nelle�due�sentenze� citate�dai�ricorrenti�sono�stati�costantemente�applicati,�e�cioe�:�mancato�riconoscimento�del� diritto�ad�un�processo�in�tempi�ragionevoli�quale�diritto�fondamentale�dell'uomo;�negazione� della�applicabilita�diretta�della�Convenzione�e�della�giurisprudenza�di�Strasburgo�in�materia� di�equa�soddisfazione.� La�Corte�non�ha�rinvenuto�alcun�caso�in�cui�la�Corte�di�Cassazione�abbia�presoin�con- siderazione�il�dedotto�vizio�di�insufficienza�delle�somme�accordate�dalla�Corte�d'Appello� rispetto�al�pregiudizio�allegato�o�di�loro�inadeguatezza�rispetto�alla�giurisprudenza�di� Strasburgo.� La�Corte�ricorda�che�l'art.�6,�par.�1,�garantisce�a�chiunque�il�diritto�a�che�un�giudice� conosca�di�tutte�le�contestazioni�relative�ai�suoi�diritti�ed�obbligazioni�di�carattere�civile� (Golder�c.�Regno�Unito�del�21�febbraio�1975,�serie�A,�n.�18,�p.�18,�par.�36�e�Waite�e�Kennedy� c.�Germania�(GC),�n.�6083/94,�CEDH�1999-I,�par.�50).�Esso�consacra,�quindi,�il�diritto�di� chiunque�``a�che�la�sua�causa�sia�esaminata�...�entro�un�termine�ragionevole''.� Il�diritto�ad�un�``termine�ragionevole''�riconosciuto�dall'art.�6,�par.�1,�della�Convenzione,� e�un�diritto�fondamentale�ed�un�imperativo�per�tutte�le�procedure�contemplate�dall'art.�6:� la�Convenzione�sottolinea�con�cio�l'importanza�che�e�attribuita�al�principio�per�cui�la�giusti- zia�non�deve�essere�resa�con�ritardi�idonei�a�comprometterne�l'efficacia�e�la�credibilita�(Pelis- sier�e�Sassi�c.�Francia,�(GC),�n.�25444/94,�CEDH�1999-II,�par.�74)�(omissis).� In�conclusione,�la�Corte�ritiene�che,�nella�fattispecie,�i�ricorrenti�non�erano�tenuti,�al� fine�di�esaurire�i�rimedi�interni,�a�ricorrere�in�Cassazione.�Di�conseguenza,�la�prima�ecce- zione�del�Governo�deve�essere�rigettata.�(omissis).� La�Corte�deve�poi�esaminare�la�seconda�eccezione�del�Governo,�che�e�basata�sul- l'art.�34�della�Convenzione.�L'accertamento�se�un�soggetto�possa�ancora�considerarsi�vit- tima�di�una�violazione�della�Convenzione�implica�necessariamente�che�la�Corte�esamini� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni� ex postfacto la�situazione�della�persona�interessata.�A�questo�riguardo,�riveste�importanza� accertare�se�tale�persona�abbia�ottenuto,�a�titolo�di�risarcimento�del�danno,�una�ripara- zione�equiparabile�all'equa�soddisfazione�di�cui�parla�l'art.�41�della�Convenzione.�Dalla� giurisprudenza�costante�della�Corte�risulta�che�qualora�le�autorita�nazionali�abbiano�accer- tato�una�violazione�e�la�loro�decisione�costituisca�una�riparazione�appropriata�e�sufficiente� di�tale�violazione,�la�parte�interessata�non�puo�piu�considerarsi�vittima�nei�termini�di�cui� all'art.�34�della�Convenzione.� La�Corte�considera�inoltre�che�lo�status di�vittima�del�ricorrente�puo�cessare�per�il�risar- cimento�che�gli�sia�stato�accordato�a�livello�nazionale�per�la�situazione�della�quale�si�lamenta� davanti�alla�Corte�(Andersen c. Danimarca, ricorso�n.�12860/87�e�Frederiksen ed altri c. Dani- marca, ricorso�n.�12719/87,�decisioni�della�Commissione�del�3�maggio�1988;�Normann c. Danimarca, ricorson.�44704/98,decisione�14giugno2001;�Jensen e Rasmussen c. Danimarca, ricorso�n.�52620/99,�decisione�20�marzo�2003)�e�per�il�fatto�che�le�autorita�nazionali�abbiano� riconosciuto,�esplicitamente�o�nella�sostanza,�la�violazione�della�Convenzione.�Quindi,�solo� nel�caso�in�cui�queste�due�condizioni�siano�realizzate,�la�natura�sussidiaria�del�meccanismo� di�protezione�della�Convenzione�impedisce�l'esame�da�parte�della�Corte�(Eckle c. Germania, sentenza�del�15�luglio�1982,�serie�A�n.�51,�p.�32,�parr.�69�ss.;�Jensen c. Danimarca, decisione� n.�48470/99,�20�settembre�2001).�(omissis).� Nella�specie,�la�Corte�d'Appello�di�Reggio�Calabria�ha�riconosciuto,�con�il�suo�provve- dimento�dell'1.�luglio�2002,�che�la�procedura�instaurata�dai�ricorrenti�aveva�avuto�una� durata�eccessiva�ed�ha�loro�accordato,�complessivamente,�la�somma�di�Euro�2.450�a�titolo� di�danno�morale,�e�pertanto�circa�Euro�600�ciascuno.� Secondo�questa�Corte,�il�riconoscimento,�da�parte�della�Corte�d'Appello,�della�eccessiva� durata�della�procedura�soddisfa,�in�sostanza,�la�prima�delle�condizioni�enunciate�dalla�giuri- sprudenza�della�Corte:�il�riconoscimento,�da�parte�delle�autorita�,�della�lesione�di�un�diritto� tutelato�dalla�Convenzione.� Per�quanto�concerne�la�seconda�condizione,�cioe�il�ristoro�appropriato�da�parte�delle� autorita�della�violazione�subita�dai�ricorrenti,�la�Corte�rileva�che�essi�hanno�lamentato,� davanti�alla�Corte�medesima,�che�la�somma�accordata�dalla�Corte�d'Appello�non�puo�essere� considerata�adeguata�per�riparare�il�pregiudizio�e�la�violazione�dagli�stessi�dedotta.� La�Corte�ricorda�che,�in�relazione�ai�casi�italiani�di�eccessiva�durata�dei�giudizi,�un'am- pia�giurisprudenza�ritiene�che�la�riparazione�appropriata�per�questo�genere�di�ipotesi�consi- sta�sempre�nell'indennizzo�pecuniario.�In�questo�contesto,�in�casi�simili�a�quello�in�esame�a d�esempio�De Pilla c. Italia, n.�49372/99,�sentenza�del�25�ottobre�2001;�Tartaglia c. Italia, n.�48402/99,�sentenza�del�23�ottobre�2001�^la�Corte�ha�riconosciuto�somme�decisamente� piu�consistenti.�Nei�due�casi�ricordati,�infatti,�la�Corte�ha�riconosciuto,�rispettivamente,� Lit.�10.000.000�circa�Euro�5.000)�e�Lit.�14.000.000�(circa�Euro�7.000).� E�incontestabile�che�l'apprezzamento�circa�la�durata�della�procedura�e�le�sue�ripercus- sioni,�in�particolare�per�quanto�riguarda�il�danno�morale,�non�si�presta�ad�una�quantifica- zione�esatta�e�che�esso,�per�sua�natura,�da�luogo�ad�una�valutazione�equitativa.�Dunque,�la� Corte�ammette�che�le�autorita�giudiziarie�o�di�altro�tipo�possano�calcolare�il�risarcimento,� in�un�caso�di�eccessiva�durata�della�procedura,�in�modo�tale�da�distaccarsi�da�una�applica- zione�stretta�e�formalistica�dei�criteri�adottati�dalla�Corte.�Tuttavia,�nelcaso�dispecie,�la� somma�accordata�ai�ricorrenti�dalla�Corte�d'Appello�di�Reggio�Calabria�non�presenta�un� rapporto�ragionevole�con�la�somma�accordata�dalla�Corte�negli�analoghi�casi�sopra�ricordati� ^somma�che�e�dieci�volte�superiore�a�quella�liquidata�ai�ricorrenti�dalla�Corte�d'Appello.� Pur�nel�rispetto�del�margine�di�discrezionalita�di�cui�dispongono�i�giudici�nazionali,�essi� si�debbono�conformare�alla�giurisprudenza�della�Corte�anche�concedendo�unrisarcimento� adeguato.� Tenuto�conto�degli�elementi�che�emergono�dal�fascicolo,�la�Corte�ritiene�che�un�tale� divario�tra�la�giurisprudenza�di�Strasburgo�da�una�parte�e�l'applicazione�nelcaso�dispecie� della�Legge�Pinto�dall'altra�non�sia�giustificato.�Pertanto,�ritiene�che�la�somma�accordata�ai� ricorrenti�non�possa�considerarsi�adeguata�e�idonea�a�riparare�la�violazione�dedotta.� Ne�segue�che�i�ricorrenti�possono�tuttora�considerarsi�vittime�ai�sensi�dell'art.�34�della� Convenzione�e�che�anche�la�seconda�eccezione�del�Governo�deve�essere�rigettata�(omissis).� Per�questi�motivi�la�Corte,�all'unanimita�,�dichiara�il�ricorso�ricevibile�(omissis)�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Cioccolato e cioccolato puro (CortediGiustizia�delle�Comunita�Europee,�6.sez.,�16gennaio�2003,�nella�causa�C-14/00)� Nel�regime�della�direttiva�n.�73/241/CEE�del�Consiglio�del�24�luglio�1973,� relativa�al�ravvicinamento�delle�legislazioni�degli�Stati�membri�concernenti�i� prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�destinati�all'alimentazione�umana,�e�della�legge� nazionale�di�attuazione�30�aprile�1976�n.�351,�secondo�la�quale�la�denomina- zione��cioccolato��non�poteva�essere,�in�generale,�attribuita�a�prodotti�in�cui�si� fossero�utilizzate�materie�grasse�diverse�dal�burro�di�cacao,�le�autorita�italiane,� pur�non�impedendo�l'importazione�e�la�commercializzazione�in�Italia�di�pro- dotti�legittimamente�fabbricati�in�altri�paesi�comunitari,�contenenti�una�certa� percentuale�di�materie�grasse�diverse�dal�burro�di�cacao,�consentiva�la�messa� in�commercio�di�essi�solo�con�la�denominazione��surrogato�di�cioccolato�.� La�Corte�ha�ritenuto�incompatibile�con�l'attuale�art.�28�del�trattato�CE� l'imposizione�di�un�siffatto�cambio�di�denominazione.�Essa,�nella�scia�della� giurisprudenza�Dassonville, CassiS dE Dijon, Deserbais, Smanor, Mars, ha�enunciato�il�principio�generale�secondo�cui,�in�assenza�di�una�nor- mativa�comunitaria�di�armonizzazione�completa�(la�suddetta�direttiva�conte- neva�solo�una�armonizzazione�parziale),�gli�Stati�membri�sono�competenti�a� disciplinare�la�denominazione�delle�merci,�ma�pur�sempre�nel�quadro�del� regime�fondamentale�del�trattato�CE�che�prevede�la�libera�circolazione�delle� merci�e�il�divieto�di�restrizioni�quantitative�o�di�misure�di�effetto�equivalente.� Il�mutamento�di�denominazione�di�un�prodotto�legalmente�fabbricato�in�un� altro�Stato�membro�e�legittimo�solo�se�le�caratteristiche�del�prodotto�si�disco- stano�da�quelle�di�merci�generalmente�conosciute�sotto�la�stessa�denomina- zione�nella�Comunita�in�misura�tale�che�il�prodotto�in�questione�non�puo� essere�considerato�come�rientrante�nella�medesima�categoria.� La�Corte�ha�quindi�disatteso�anche�l'argomento�del�Governo�italiano� secondo�cui�l'applicazione�dell'art.�28�del�Trattato�dovrebbe�essere�esclusa�in� quanto�condurrebbe�ad�una�discriminazione�a�danno�delle�imprese�nazionali,� le�quali�dovrebbero�osservare�la�legislazione�italiana�^che�vieta�l'aggiunta�di� sostanze�grasse�diverse�dal�burro�di�cacao�^mentre�le�imprese�che�producono� in�altri�Stati�membri�potrebbero�commercializzare�in�Italia,�con�la�denomina- zione��cioccolato�,�prodotti�contenenti�anche�grassi�vegetali�diversi�dal�burro� di�cacao.�Richiamando�la�propria�giurisprudenza�precedente,�MathoT e�Gui- monT la�Corte�ha�affermato�che��l'art.�30�del�Trattato�non�e�inteso�a�garantire� che�le�merci�di�origine�nazionale�fruiscano,�in�tutti�i�casi,�dello�stesso�tratta- mento�delle�merci�importate��e�che��una�differenza�di�trattamento�tra�merci� che�non�sia�tale�da�ostacolare�l'importazione�o�sfavorire�la�distribuzione�delle� merci�importate�non�ricade�sotto�il�divieto�stabilito�dal�suddetto�articolo�.� L'inserimento�nell'etichetta�di�un'indicazione�neutra�ed�obiettiva�che� informasse�i�consumatori�della�presenza,�nel�prodotto,�di�sostanze�grasse� vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�sarebbe�sufficiente�a�garantire�una�infor- mazione�corretta�dei�consumatori.� Oggi,�con�efficacia�dal�3�agosto�2003,�il�problema�concreto�e�superato,� ferma�rimanendo�l'enunciazione�di�principio�della�Corte,�valida�certamente� per�altre�circostanze�similari.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni� LanuovaDirettiva2000/36/CEdelParlamentoedelConsigliodel23�giu- gno�2000,�relativa�ai�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�destinati�all'alimentazione� umana,�ammette�in�linea�generale�l'aggiunta�di�grassi�vegetali�in�misura�non� superiore�al�5%,�ma�subordina�l'immissione�in�commercio�alla�condizione�che� l'etichettatura�rechi�la�menzione�ben�visibile�e�chiaramente�leggibile��contiene� altri�grassi�vegetali�oltre�il�burro�di�cacao�,�a�partire,�appunto,�dal�3�agosto� 2003.�E�cos|�il�decreto�legislativo�italiano�12�giugno�2003�n.�178,�emesso�in�base� alla�delega�di�cui�all'art.�28�della��legge�comunitaria��1.�marzo�2002�n.�39,ha� consentito�^a�partire�dal�3�agosto�2003,�anche�ovviamente�ai�fabbricanti�ita- liani,�di�utilizzare�grassi�vegetali�diversi�dal�burro�di�cacao�nelle�percentuali�pre- viste,�ma�ha�precisato�che�l'etichettatura�di�tali�prodotti�deve�contenere,�in� modo�evidente,�la�menzione��contienealtrigrassivegetalioltre�ilburro�dicacao�� (art.�5,�commi�6�e�7)�mentre�i�prodotti�che�non�contengono�grassi�vegetali� diversi�dal�burro�di�cacao,�possono�^essi�solo�^riportare�nell'etichettatura�la� dizione��cioccolato�puro��(articoli�6�e�7�comma�8).� Avv.�Oscar�Fiumara� Corte�di�Giustizia�delle�Comunita�Europee,�sezione�6.,�16�gennaio�2003,�nella�causa�C-14/00�- Pres.�Puissochet�-Rel.�Skouris�-Avv.�Gen.�Alber�-Commissione�delle�C.E.�(ag.�Valero� Jordana�e�Bisogni)�c/�Repubblica�Italiana�(avv.�Stato�O.�Fiumara).� Vietando�che�i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�rispettano�i�contenuti�minimi�fissati� all'allegato�I,�n.�1,�punto�1.16,�della�direttiva�del�Consiglio�24�luglio�1973,�73/241/CEE,�relativa� alravvicinamento�dellelegislazionidegliStatimembriconcernentiiprodottidicacao�edicioc- colato�destinati�all'alimentazione�umana,�ai�quali�sono�state�aggiunte�sostanze�grasse�vegetali� diverse�dal�burro�di�cacao�e�che�sono�legalmentefabbricati�negli�Stati�membri�che�autorizzano� l'aggiunta�di�tali�sostanze,�possano�essere�commercializzati�in�Italia�con�la�denominazione� impiegatanello�Statomembro�diproduzioneeprevedendo�che�taliprodottipossano�esserecom- mercializzati�solo�con�la�denominazione��surrogato�di�cioccolato�,�la�Repubblica�italiana�e� venuta�meno�agli�obblighi�ad�essa�incombenti�inforza�dell'art.�30�del�Trattato�CE�(divenuto,�in� seguito�a�modifica,�art.�28�CE).� (Direttiva�73/241/CEE�del�Consiglio�del�24�luglio�1973;�direttiva�2000/36/CE�del�Consiglio�del�23�luglio�2000;� direttiva�79/112/CEE�del�Consiglio�del�18�dicembre�1978;�legge�30�aprile�1976�n.�351).� �(omissis)�Giudizio�della�Corte�^Sulla�portata�dell'armonizzazione�realizzata�dalla�diret- tiva�73/241.� 43.�^In�via�preliminare,�occorre�constatare�che�l'addebito�della�Commissione�attinente� al�fatto�che�la�normativa�italiana�e�incompatibile�con�il�diritto�comunitario,�in�quanto� impone�restrizioni�alla�libera�circolazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti� sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�solleva�il�problema�della�portata�dell'ar- monizzazione�realizzata�dalla�direttiva�n.�73/241.� 44.�^Infatti,�sebbene�le�parti�concordino�sul�fatto�che�il�problema�dell'utilizzazione�di� tali�sostanze�grasse�vegetali�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�non�e�stato�armonizzato� dalla�detta�direttiva,�esse�dissentono�quanto�alle�conseguenze�che�ne�derivano�per�la�com- mercializzazione�dei�prodotti�contenenti�tali�sostanze.� 45.�^Cos|�,�ritenendo�che�l'assenza�di�armonizzazione�riguardante�l'utilizzazionedi� sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�non� possa�escludere�la�commercializzazione�dei�prodotti�contenenti�tali�sostanze�grasse�dall'ap- plicazione�del�principio�della�libera�circolazione�delle�merci,�la�Commissione�conclude�che� le�eventuali�misure�restrittive�della�libera�circolazione�dei�detti�prodotti�devono�essere�valu- tate�alla�luce�dell'art.�30�del�Trattato.� 46.�^Ilgovernoitalianosostieneinvececheladirettiva73/241disciplinainmodocom- pleto�il�problema�della�commercializzazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�ne�for- mano�oggetto,�escludendo�cos|�l'applicazione�dell'art.�30�del�Trattato�in�quanto�essa,�da�un� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� lato,�sancisce�il�principio�del�divieto�di�utilizzazione�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal� burro�di�cacao�nella�fabbricazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�e,�dall'altro,�instaura� un�regime�di�libera�circolazione�con�la�denominazione�``cioccolato''�solo�per�i�prodotti�di� cacao�e�di�cioccolato�che�non�contengono�tali�sostanze�grasse�vegetali.� 47.�^Ilgovernoitalianonededucecheladirettiva73/241consenteagliStatimembrila� cui�normativa�nazionale�vieta�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di� cacao�ai�prodotti�fabbricati�nel�loro�territorio�di�vietare�altres|�la�commercializzazione�sul� loro�territorio,�con�la�denominazione�``cioccolato'',�di�prodotti�la�cui�fabbricazione�non�e� conforme�alla�loro�normativa�nazionale.� 48.�^Occorre�al�riguardo�rammentare�che,�secondo�una�giurisprudenza�costante,�ai� fini�dell'interpretazione�di�una�norma�di�diritto�comunitario,�si�deve�tener�conto�non�solo� della�lettera�della�stessa,�ma�anche�del�suo�contesto�e�degli�scopi�perseguiti�dalla�normativa� di�cui�essa�fa�parte�(v.,�in�particolare,�sentenze�19�settembre�2000,�causa�C-156/98,�Germa- nia/Commissione,�Racc., I-6857,�punto�50,�e�14�giugno�2001,�causa�C-191/99,�Kvaerner,� Racc., I-4447,�punto�30).� 49.�^Per�quanto�riguarda,�anzitutto,�gli�scopi�perseguiti�dalle�disposizioni�di�cui�trat- tasi�ed�il�contesto�in�cui�esse�sono�inserite,�occorre�constatare�che�la�direttiva�73/241�non� era�diretta�a�disciplinare�definitivamente�il�problema�dell'utilizzazione�di�sostanze�grasse� vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�ne�formano�l'og- getto.� 50.�^Occorre�al�riguardo�ricordare�che�la�detta�direttiva�e�stata�adottata�dal�Consiglio,� deliberando�all'unanimita�,�sulla�base�dell'art.�100�del�Trattato�CEE�(divenuto,�in�seguito�a� modifica,�art.�100�del�Trattato�CE,�a�sua�volta�divenuto�art.�94�CE),�relativo�al�ravvicina- mento�delle�disposizioni�legislative,�regolamentari�e�amministrative�degli�Stati�membri�che� abbiano�un'incidenza�diretta�sull'instaurazione�o�sul�funzionamento�del�mercato�comune.� 51.�^In�particolare,�adottando�la�direttiva�73/241,�il�legislatore�comunitario�ha�voluto� stabilire,�come�risulta�dal�quarto�``considerando''�di�quest'ultima,�definizioni�e�norme� comuni�per�la�composizione,�le�caratteristiche�di�fabbricazione,�il�condizionamento�e�l'eti- chettatura�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato,�al�fine�di�garantirne�la�libera�circolazione� all'interno�della�Comunita�.� 52.�^Tuttavia,nelsettimo``considerando''delladirettiva73/241,illegislatorecomuni- tario�ha�chiaramente�indicato�che,�alla�luce�delle�disparita�tra�le�normative�degli�Stati�mem- bri�e�dell'insufficienza�delle�informazioni�economiche�e�tecniche�di�cui�disponeva,�esso�non� era�in�grado,�al�momento�dell'adozione�della�direttiva�stessa,�di�stabilire�una�posizione�defi- nitiva�sul�problema�dell'impiego�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�nei� prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato.� 53.�^Si�deve�ancora�precisare�che,�come�emerge�dal�fascicolo,�il�riferimento,�contenuto� nello�stesso�``considerando'',�a�taluni�Stati�membri�nei�quali�l'impiego�di�tali�sostanze�grasse� vegetali�era�all'epoca�non�solo�autorizzato�ma�addirittura�largamente�diffuso�riguardava�tre� Stati�membri�che�avevano�aderito�alla�Comunita�poco�tempo�prima�dell'adozione�della�diret- tiva�73/241,�cioe�il�Regno�di�Danimarca,�l'Irlanda�ed�il�Regno�Unito,�e�che�tradizionalmente� autorizzavano�l'aggiunta�di�tali�sostanze�grasse�vegetali�fino�al�5%�del�pesototaleaiprodotti� di�cacao�e�di�cioccolato�fabbricati�nel�loro�territorio.� 54.�^Di�conseguenza,�il�Consiglio,�per�quanto�riguarda�l'utilizzazione�di�sostanze� grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�si�e�limitato�ad�instaurare�un�regime�provvisorio,� destinato�ad�essere�riesaminato,�conformemente�all'art.�14,�n.�2,�lett.�a), seconda�frase,�della� direttiva�73/241,�alla�scadenza�di�un�termine�di�tre�anni�dalla�notifica�di�quest'ultima.� 55.�^E�alla�luce�di�tali�elementi�che�occorre�analizzare�tanto�il�testo�quanto�la�ratio delle�disposizioni�della�direttiva�73/241�relative�all'utilizzazione�di�sostanze�grasse�vegetali� diverse�dal�burro�di�cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�ne�formano�l'oggetto.� 56.�^Si�deve�anzitutto�rilevare�che�il�divieto�di�aggiungere,�ai�diversi�prodotti�di�cacao� e�di�cioccolato�definiti�all'allegato�I�della�direttiva�73/241,�sostanze�grasse�e�loro�preparati� non�derivanti�esclusivamente�dal�latte,�divieto�previsto�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a), di�que- st'ultima,�vige�``senza�pregiudizio�delle�disposizioni�dell'art.�14,�n.�2,�lett.�a)''.� 57.�^Ora,�il�detto�art.�14,�n.�2,�lett.�a), prevede�espressamente�che�la�direttiva�73/241� non�pregiudica�le�normative�nazionali�che�consentono�o�vietano�l'aggiunta�di�sostanze�grasse� vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni� 58.�^Da�tale�ultima�disposizione�risulta�quindi�chiaramente�che,�per�quanto�riguarda� l'utilizzazione�delle�dette�sostanze�grasse�vegetali,�la�direttiva�73/241�non�e��volta�a�realizzare� un�regime�di�armonizzazione�totale,�in�cui�norme�comuni�si�sostituirebbero�interamente�alle� norme�nazionali�esistenti�in�materia,�poiche�essa�autorizza�esplicitamente�gli�Stati�membri� a�prevedere�norme�nazionali�diverse�dalla�regola�comune�da�essa�stessa�prevista.� 59.�^Inoltre,�dato�il�suo�tenore�letterale,�tale�disposizione�non�puo��essere�interpretata� nel�senso�che�prevede�esclusivamente�una�mera�deroga�al�principio�del�divieto�di�aggiungere� ai�prodotti�di�cui�trattasi�grassi�vegetali�diversi�dal�burro�di�cacao�riportate�dall'allegato�I,� n.�7,�lett.�a),�della�direttiva�73/241.� 60.�^Infatti,�da�un�lato,�la�disposizione�dell'art.�14,�n.�2,�lett.�a),�della�direttiva�73/241� non�si�riferisce�solo�alle�normative�nazionali�che�ammettono�l'aggiunta�di�sostanze�grasse� vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�ma�altres|��a�quelle�che�vietano�tale�aggiunta.� 61.�^Dall'altro,�tale�disposizione�stabilisce�che�il�Consiglio�dovra��successivamente� decidere�sulle�possibilita��e�sulle�modalita��dell'estensione�dell'impiego�di�tali�sostanze�grasse� a�tutta�la�Comunita�,�il�che�dimostra�come�il�legislatore�comunitario�considerasse�solo�la�poss ibilita��di�ammettere�o�negare�una�siffatta�estensione�e�non�di�vietare�la�detta�utilizzazione� in�tutta�la�Comunita��.� 62.�^Risulta�quindi,�tanto�dal�testo�quanto�dalla�ratio�della�direttiva�73/241,�che�essa� stabilisce�una�norma�comune,�cioe��il�divieto�previsto�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a),�e�instaura,� con�il�suo�art.�10,�n.�1,�la�liberta��di�circolazione�per�i�prodotti�conformi�a�tale�norma�pur� riconoscendo�agli�Stati�membri,�con�il�suo�art.�14,�n.�2,�lett.�a),�la�facolta��di�prevedere� norme�nazionali�che�autorizzano�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di� cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�fabbricati�nel�loro�territorio.� 63.�^Ne�risulta�altres|��che�non�puo��essere�accolta�l'interpretazione�proposta�dal� governo�italiano�secondo�cui�la�direttiva�73/241�vieterebbe�agli�Stati�membri�di�modificare� le�loro�normative�nazionali�sul�problema�dell'utilizzazione�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse� dal�burro�di�cacao�fino�al�momento�dell'armonizzazione�della�materia�a�livello�comunitario.� 64.�^Infatti,�oltre�a�non�trovare�alcun�sostegno�nel�tenore�letterale�delle�disposizioni�di� tale�direttiva,�una�siffatta�interpretazione�non�tiene�conto�ne�del�carattere�provvisorio�ne� della�finalita��stessa�del�regime�instaurato�dalla�direttiva,�come�descritta�ai�punti�48-62�della� presente�sentenza.� 65.�^Neanche�l'art.�8�della�direttiva�2000/36�puo��essere�fatto�valere�a�sostegno�di�tale� interpretazione.� 66.�^Al�riguardo,�e��sufficiente�ricordare�che,�come�risulta�da�una�giurisprudenza�cons olidata,�una�regolamentazione�di�diritto�derivato,�come�l'art.�8�della�direttiva�2000/36,� non�puo��essere�interpretata�nel�senso�che�autorizza�gli�Stati�membri�a�introdurre�oamanten ere�in�vigore�requisiti�che�sarebbero�contrari�alle�norme�del�Trattato�relative�alla�libera�circ olazione�delle�merci�(v.,�in�tal�senso,�segnatamente,�sentenze�9�giugno�1992,�causa�C-47/� 90,�Delhaize�e�Le�Lion,�Racc.,�I-3669,�punto�26;�2�febbraio�1994,�causa�C-315/92,�Verband� Sozialer�Wettbewerb,�cosiddetta�``Clinique'',�Racc.,�I-317,�punto�12,�e�11�luglio�1996,�cause� riunite�C-427/93,�C-429/93�e�C-436/93,�Bristol-Myers�Squibb�e�a.,�Racc.,�I-3457,�punto�27).� ^Sull'applicabilita�dell'art.�30�del�Trattato.� 67.�^Dall'analisi�che�precede�risulta�che,�contrariamente�all'argomentazione�sostenuta� dal�governo�italiano,�i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti�sostanze�grasse�non�menz ionate�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a),�della�direttiva,�ma�la�cui�fabbricazione�e�commercializzaz ione�con�la�denominazione�``cioccolato''�sono�consentite�in�taluni�Stati�membri�nel�rispetto� della�stessa�direttiva,�non�possono�essere�privati�del�beneficio�della�libera�circolazione�delle� merci�garantita�dall'art.�30�del�Trattato�per�il�solo�fatto�che�altri�Stati�membri�impongono� nel�loro�territorio�la�fabbricazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�secondo�la�norma� di�composizione�comune�prevista�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a),�di�tale�direttiva�(v.,�per�analog ia,�sentenza�12�ottobre�2000,�causa�C-3/99,�Ruwet,�Racc.,�I-8749,�punto�44).� 68.�^Infatti,�come�risulta�da�una�giurisprudenza�costante,�l'art.�30�del�Trattato�e��inteso� a�vietare�ogni�normativa�degli�Stati�membri�che�possa�ostacolare�direttamente�o�indirettam ente,�in�atto�o�in�potenza,�gli�scambi�intracomunitari�(sentenza�11�luglio�1974,�causa�8/� 74,�Dassonville,�Racc.,�837,�punto�5).� 69.�^In�particolare,�conformemente�alla�sentenza�20�febbraio�1979,�causa�120/78,� Rewe-Zentral,�cosiddetta�``Cassis�de�Dijon''�(Racc.,�649),�l'art.�30�del�Trattato�vieta�gli�osta RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� coli�alla�libera�circolazione�delle�merci�derivanti,�in�assenza�di�armonizzazione�delle�legisla- zioni�nazionali,�dall'assoggettamento�delle�merci�provenienti�da�altri�Stati�membri,�in�cui� sono�legalmente�fabbricate�e�immesse�in�commercio,�a�norme�che�dettino�requisiti�ai�quali� le�merci�stesse�devono�rispondere�(come�quelle�riguardanti�la�denominazione,�la�forma,�le� dimensioni,�il�peso,�la�composizione,�la�presentazione,�l'etichettatura,�il�confezionamento),� anche�qualora�tali�norme�siano�indistintamente�applicabili�ai�prodotti�nazionali�ed�ai�pro- dotti�importati�(v.,�segnatamente,�sentenze�24�novembre�1993,�cause�riunite�C-267/91�e�C- 268/91,�Keck�e�Mithouard,�Racc.,�I-6097,�punto�15;�6�luglio�1995,�causa�C-470/93,�Mars,� Racc.,�I-1923,�punto�12,�e�Ruwet,�cit., punto�46).� 70.�^Ne�discende�che�tale�divieto�si�applica�anche�agli�ostacoli�alla�commercializza- zione�dei�prodotti�la�cui�fabbricazione�non�e��oggetto�di�un'armonizzazione�integrale,�ma� che�sono�fabbricati�conformemente�a�norme�nazionali�la�cui�esistenza�e��espressamente�con- sentita�dalla�direttiva�di�armonizzazione.�In�questo�caso�una�diversa�interpretazione�porte- rebbe�ad�autorizzare�nuovamente�gli�Stati�membri�a�compartimentare�i�rispettivi�mercati� nazionali�per�quanto�riguarda�i�prodotti�non�contemplati�dalle�norme�comunitarie�di�armo- nizzazione,�in�contrasto�con�l'obiettivo�della�libera�circolazione�delle�merci�perseguito�dal� Trattato�(v.,�per�analogia,�sentenza�Ruwet,�cit.,punto�47).� 71.�^Non�puo��essere�accolto�neanche�l'argomento�del�governo�italiano�secondo�cui� dovrebbe�essere�esclusa�l'applicazione�dell'art.�30�del�Trattato,�in�quanto�condurrebbe�ad� una�discriminazione�a�svantaggio�dei�produttori�nazionali.� 72.�^Infatti,�la�Corte�ha�gia��dichiarato�che�l'art.�30�del�Trattato�non�e��inteso�a�garan- tire�che�le�merci�di�origine�nazionale�fruiscano,�in�tutti�i�casi,�dello�stesso�trattamento�delle� merci�importate�e�che�una�differenza�di�trattamento�tra�merci�che�non�sia�tale�da�ostacolare� l'importazione�o�sfavorire�la�distribuzione�delle�merci�importate�non�ricade�sotto�il�divieto� stabilito�dal�suddetto�articolo�(v.,�segnatamente,�sentenze�18�febbraio�1987,�causa�98/86,� Mathot,�Racc.,�809,�punto�7,�e�5�dicembre�2000,�causa�C-448/98,�Guimont,�Racc.,�I-10663,� punto�15).� 73.�^E�quindi�irrilevante�che�l'obbligo�imposto�dall'art.�30�del�Trattato�ad�uno�Stato� membro�che�vieta�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�ai�prodotti� di�cacao�e�di�cioccolato�fabbricati�nel�suo�territorio�di�autorizzare�la�commercializzazione� con�la�denominazione�``cioccolato''�di�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti�siffatte� sostanze�grasse,�legalmente�fabbricati�in�altri�Stati�membri,�possa�svantaggiare�i�prodotti� nazionali�di�tale�Stato.� 74.�^Occorre�pertanto�esaminare�se�ed�entro�quali�limiti�l'art.�30�del�Trattato�osti�alla� normativa�italiana�che�vieta�la�commercializzazione�in�Italia�di�prodottidicacao�e�di�ciocco- lato�contenenti�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�con�la�denominazione�di� vendita�``cioccolato'',�con�la�quale�essi�sono�legalmente�fabbricati�e�commercializzati�nello� Stato�membro�di�produzione,�e�che�prevede�che�tali�prodotti�possano�essere�commercializ- zati�solo�con�la�denominazione�``surrogato�di�cioccolato''.� 75.�^Si�deve�al�riguardo�rilevare�che,�come�risulta�dalla�giurisprudenza�della�Corte,� sebbene�un�divieto�come�quello�derivante�dalla�normativa�italiana,�che�comporta�l'obbligo� di�impiegare�una�denominazione�di�vendita�diversa�da�quella�impiegata�nello�Stato�membro� di�produzione,�non�impedisca�in�modo�assoluto�l'importazione�nello�Stato�membro�interes- sato�di�prodotti�originari�di�altri�Stati�membri,�essa�e��nondimeno�atta�a�renderne�piu��difficile� lo�smercio�e,�di�conseguenza,�ad�ostacolare�gli�scambi�fra�gli�Stati�membri�(v.,�in�tal�senso,� segnatamente,�sentenze�26�novembre�1985,�causa�182/84,�Miro,�Racc.,�3731,�punto�22;� 14�luglio�1988,�causa�298/87,�Smanor,�Racc.,�4489,�punto�12;�22�settembre�1988,�causa�286/� 86,�Deserbais,�Racc.,�4907,�punto�12,�e�Guimont,�cit.,�punto�26).� 76.�^Si�deve�infatti�constatare�che,�nel�caso�di�specie,�il�divieto�di�impiegare�la�denomina- zione�di�vendita�``cioccolato'',�con�cui�i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti�sostanze� grassevegetali�diverse�dal�burro�dicacao�sono�legalmente�fabbricatinello�Stato�membro�di�pro- duzione,puo��costringereglioperatoriinteressatiaconfezionaretaliprodottiinmanieradiversa� a�seconda�del�luogo�della�loro�commercializzazione�ed�a�sopportare,�conseguentemente,�spese� supplementari�di�confezionamento.�Sembra�quindi�che�essa�sia�idonea�ad�ostacolare�gli�scambi� intracomunitari�(v.,�in�tal�senso,�sentenze�citate�Mars,�punto�13,�e�Ruwet,�punto�48).� 77.�^Tale�constatazione�e��tanto�piu��veritiera�in�quanto�la�denominazione�``surrogato�di� cioccolato'',�il�cui�impiego�e��reso�obbligatorio�dalla�normativa�italiana,�puo��avere�un'in- IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni� fluenza�negativa�sul�modo�in�cui�i�prodotti�di�cui�trattasi�sono�percepiti�dal�consumatore,�in� quanto�essa�implica�che�si�tratta�di�prodotti�sostitutivi,�conducendo�cos|�alla�loro�svaluta- zione�(v.,�in�tal�senso,�sentenze�citate�Miro,�punto�22;�Smanor,�punti�12�e�13,�e�Guimont,� punto�26).� 78.�^Circa�la�questione�se�una�normativa�siffatta�possa�tuttavia�essere�conforme�al� diritto�comunitario,�occorre�ricordare�la�giurisprudenza�costante�secondocui�gli�ostacoliagli� scambi�intracomunitari�che�scaturiscono�da�discrepanze�tra�le�normative�nazionali�devono� essere�accettati�nei�limiti�in�cui�dette�normative,�indistintamente�applicabili�ai�prodotti� nazionali�e�ai�prodotti�importati,�possano�giustificarsi�in�quanto�necessarie�per�soddisfare� esigenze�tassative�inerenti,�tra�l'altro,�alla�tutela�dei�consumatori.�Tuttavia,�per�essere�tolle- rate,�e�necessario�che�dette�normative�siano�proporzionate�all'obiettivo�perseguito�e�che�lo� stesso�obiettivo�non�possa�essere�raggiunto�con�provvedimenti�che�ostacolino�in�misura� minore�gli�scambi�intracomunitari�(v.,�in�particolare,�sentenze�Mars,�cit.,�punto�15;� 26�novembre�1996,�causa�C-313/94,�Graffione,�Racc.,�I-6039,�punto�17;�Ruwet,�cit.,� punto�50,�e�Guimont,�cit.,punto�27).� 79.�^In�tale�contesto�la�Corte�ha�gia�dichiarato�che�uno�Stato�membro�e�legittimato�a� far�s|�che�i�consumatori�siano�correttamente�informati�sui�prodotti�che�vengono�loro�offerti� e�che�sia�quindi�loro�data�la�possibilita�di�scegliere�in�base�a�questa�informazione�(v.,�segna- tamente,�sentenze�23�febbraio�1988,�causa�216/84,�Commissione/Francia,�Racc.,�793,� punto�11,�e�Smanor,�cit.,�punto�18).� 80.�^In�particolare,�secondo�la�giurisprudenza�della�Corte,�allo�scopo�di�assicurare�la� difesa�dei�consumatori,�gli�Stati�membri�possono�esigere�dagli�interessati�la�modifica�della� denominazione�di�una�derrata�alimentare�quando�un�prodotto�presentato�con�una�data� denominazione�sia�talmente�differente,�dal�punto�di�vista�della�sua�composizione�o�della� sua�fabbricazione,�dalle�merci�generalmente�conosciute�con�la�stessa�denominazione�nella� Comunita�da�non�poter�essere�considerato�appartenente�alla�medesima�categoria�(v.,in�par- ticolare,�sentenze�Deserbais,�cit.,�punto�13;�12�settembre�2000,�causa�C-366/98,�Geffroy,� Racc.,�I-6579,�punto�22,�e�Guimont,�cit.,punto�30).� 81.�^Viceversa,�nel�caso�di�una�differenza�meno�netta,�un'etichettatura�adeguata� dev'essere�sufficiente�a�fornire�all'acquirente�o�al�consumatore�le�informazioni�necessarie� (v.,�segnatamente,�sentenze�13�novembre�1990,�causa�C-269/89,�Bonfait,�Racc.,I-4169,� punto�15;�9�febbraio�1999,�causa�C-383/97,�Van�der�Laan,�Racc.,�I-731,�punto�24;�Geffroy,� cit.,�punto�23,�e�Guimont,�cit.,�punto�31).� 82.�^Occorre�quindi�verificare�se�l'aggiunta�ai�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�di� sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�comporti�una�modifica�sostanziale�della� loro�composizione,�di�modo�che�essi�non�presentano�piu�le�caratteristiche�che�i�consumatori� si�aspettano�acquistando�prodotti�recanti�la�denominazione�``cioccolato''�e�che�un'etichetta- tura�che�fornisce�un'informazione�adeguata�circa�la�loro�composizione�nonpuo�essere�consi- derata�sufficiente�a�evitare�qualsiasi�confusione�nella�mente�dei�consumatori.� 83.�^Si�deve�constatare�al�riguardo�che�l'elemento�caratteristico�dei�prodotti�di�cacao�e� di�cioccolato�ai�sensi�della�direttiva�73/241�consiste�nella�presenza�di�taluni�contenuti�minimi� di�cacao�e�di�burro�di�cacao.� 84.�^In�particolare�occorre�ricordare�che,�conformemente�all'allegato�I,n.�1,� punto�1.16,�della�direttiva�73/241,�i�prodotti�rientranti�nella�definizione�di�cioccolato�ai�sensi� di�tale�direttiva�devono�contenere�almeno�il�35%�di�sostanza�secca�totale�dicacao,almeno� il�14%�di�cacao�secco�sgrassato�e�il�18%�di�burro�di�cacao.� 85.�^Infatti,�le�percentuali�fissate�dalla�direttiva�73/241�rappresentano�contenuti� minimi�che�devono�essere�rispettati�per�qualsiasi�prodotto�di�cioccolato�fabbricato�e�com- mercializzato�con�la�denominazione�``cioccolato''�nella�Comunita�,�indipendentemente�dal� problema�di�sapere�se�la�normativa�dello�Stato�membro�di�produzione�autorizziomenol'ag- giunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao.� 86.�^Occorre�inoltre�sottolineare�che,�poiche�la�direttiva�73/241�consente�espressa- mente�agli�Stati�membri�di�autorizzare�nella�fabbricazione�di�prodotti�di�cacao�e�di�ciocco- lato�l'impiego�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�non�si�puo�asserire�che� i�prodotti�ai�quali�tali�sostanze�sono�state�aggiunte�nel�rispetto�di�tale�direttiva�siano�snatu- rati�al�punto�di�non�rientrare�nella�stessa�categoria�cui�appartengono�quelli�che�non�conten- gono�tali�sostanze.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 87.�^Si�deve�quindi�ammettere�che�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal� burro�di�cacao�a�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�rispettano�i�contenuti�minimi�previsti� dalla�direttiva�73/241�non�puo�avere�l'effetto�di�modificare�sostanzialmente�la�natura�di�tali� prodotti,�al�punto�di�trasformarli�in�prodotti�diversi.� 88.�^Ne�consegue�che�l'inserimento�nell'etichetta�di�un'indicazione�neutra�ed�obiettiva� che�informa�i�consumatori�della�presenza,�nel�prodotto,�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse� dal�burro�di�cacao�sarebbe�sufficiente�a�garantire�un'informazione�corretta�dei�consumatori.� 89.�^Di�conseguenza,�l'obbligo�di�modificare�la�denominazione�di�vendita�di�tali�pro- dotti�imposto�dalla�normativa�italiana�non�sembra�necessario�a�soddisfare�l'esigenza�impera- tiva�attinente�alla�tutela�dei�consumatori.� 90.�^Da�quanto�precede�risulta�che�la�detta�normativa,�poiche�impone�l'obbligo�di� modificare�la�denominazione�dei�prodotti�legalmente�fabbricati�e�commercializzati�in�altri� Stati�membri�con�la�denominazione�di�vendita�``cioccolato''�per�il�solo�fatto�che�contengono� sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�e�incompatibile�con�l'art.�30�del�Trattato.� 91.�^Alla�luce�delle�considerazioni�che�precedono,�si�deve�concludere�che,�vietando�che� i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�rispettano�i�contenuti�minimi�fissati�all'allegato�I,� n.�1,�punto�1.16,�della�direttiva�73/241,�ai�quali�sono�state�aggiunte�sostanze�grasse�vegetali� diverse�dal�burro�di�cacao�e�che�sono�legalmente�fabbricati�negli�Stati�membri�che�autoriz- zano�l'aggiunta�di�tali�sostanze,�possano�essere�commercializzati�in�Italia�con�la�denomina- zione�impiegata�nello�Stato�membro�di�produzione�e�prevedendo�che�tali�prodotti�possano� essere�commercializzati�solo�con�la�denominazione�``surrogato�di�cioccolato'',�la�Repubblica� italiana�e�venuta�meno�agli�obblighi�ad�essa�incombenti�in�forza�dell'art.�30�del�Trattato� (omissis)�.� IGIUDIZIINCORSO ALLACORTEDIGIUSTIZIACEE(*)� IGIUDIZIINCORSO ALLACORTEDIGIUSTIZIACEE(*)� Causa C-482/01 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Provvedimento di espulsione di cittadino dell'Unione ^Artt.�18�e�39�CE�e�art.�9,�n.�1�diret- tiva�64/221/CEE�^Art.�7�Carta�diritti�fondamentali�e�art.�8�CEDU�^ Verwaltungsgericht�Stuttgart�(Germania)�del�20�novembre�2001�-Iscritta� il�13�dicembre�2001�(cons.�5308/02,�avv.�M.�Fiorilli).� IL fattO Il�ricorso�e�proposto�da�Orfanopoulos�Georgios�e�familiari�contro�il� provvedimento�di�espulsione�dal�territorio�federale�con�minaccia�di�allonta- namento�forzato�in�Grecia�conseguente�a�reiterate�condanne�penali�conse- guenti�al�suo�status di�dipendenza�dall'alcool�e�da�droghe.� IquesitI 1.�^Se�la�limitazione�di�circolazione�imposta,�a�causa�di�un�reato�com- messo�in�violazione�della�legge�federale�sugli�stupefacenti,�ad�uno�straniero� cittadino�dell'Unione�soggiornante�da�molti�anni�nel�territorio�del�Paese� ospitante�ai�sensi�dell'art.�39,�n.�3,�CE,�per�motivi�di�ordine�pubblico,�pub- blica�sicurezza�e�sanita�pubblica�sia�conforme�al�diritto�comunitario�qualora,� a�causa�del�suo�comportamento�personale,�sia�lecito�ritenere�che�egli�com- mettera�altri�reati�in�futuro�e�qualora�non�si�possa�pretendere�che�il�coniuge� del�medesimo�ed�i�suoi�figli�tornino�nello�Stato�di�origine.� 2.�^Se�l'art.�9,�n.�1,�della�direttiva�del�Consiglio�64/221/CEE,�osti�ad� una�normativa�nazionale�che�non�prevede�piu�un�provvedimento�di�opposi- zione�^in�cui�ha�luogo�anche�un�esame�di�merito�^ad�una�decisione�di� un'autorita�amministrativa�sull'allontanamento�del�titolare�di�un�permesso� di�soggiorno�dal�territorio�nazionale,�mentre�non�viene�istituita�un'apposita� autorita�indipendente�dall'autorita�amministrativa�che�decide.� LA posizionE assuntA daL GovernO italianO Il�Governo�italiano�ha�presentato�le�seguenti�osservazioni.� �SecondounacostantegiurisprudenzadellaCorte, ilprincipiodellalibera circolazione delle persone deve essere interpretato estensivamente (sentenze 26febbraio 1991, in C-292/1989, punto 11, e 20febbraio 1997, in C-344/1995, punto14), mentrelederogheataleprincipiodevonoessere, alcontrario, interp retate restrittivamente (sentenze 4 dicembre 1974, in C-41/1974, punto 18; 26febbraio 1975, in C-67/1974, punto 6, e 3 giugno 1986, in C-139/1985, punto 13). Analogamente, le disposizioni a tutela dei cittadini comunitari che eserci (*)�Con il primo fascicolo del 2003 si conclude la rassegna dei giudizi introdotti nel 2002. A partire del prossimo numero saranno indicati i nuovi giudizi dell'anno in corso. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tano�questa�liberta�fondamentale�devono�essere�interpretate�in�loro�favore.� Occorre,�peraltro,�ricordare�che�tanto�l'applicazione�del�diritto�comunitario,� quanto�ilprincipio�di�uguaglianza�esigono�che�una�disposizione�del�diritto�comu- nitario�che�non�contenga�alcun�espresso�richiamo�al�diritto�degli�Stati�membri� (quale�quella�relativa�al�limite�dello��ordinepubblico�)�per�quanto�riguarda�la� determinazione�delsuo�senso�e�dellasuaportata�deve�normalmente�dare�luogo,� nell'intera�Comunita�,�ad�una�interpretazione�autonoma�ed�uniforme�da�effet- tuarsi�tenendo�conto�del�contesto�della�disposizione�e�dello�scopo�perseguito� dalla�normativa�(sentenze�18�gennaio�1984,�in�C-327/1982,�punto�11,�e�19�set- tembre�2000,�in�C-287/1998,�punto�43).� Lagiurisprudenzadella�Corteeuropeadeidirittidell'Uomo,�sulpuntodel� limite�dell'�ordine�pubblico��in�materia�di�espulsione�di�un�cittadino�straniero� (cittadino�algerino,�nato�in�Francia�e�quivi�maritato,�resosi�colpevole�di�nume- rosi�reati)�considerato�in�relazione�al�rispetto�del�diritto�della�vita�familiare� (art.�8,���1,�della�C.E.D.U.)�ha�precisato:��(..)�78.�La�Cour�reconnait�qu'il� incombe�aux�e�tats�contractants�d'assurer�l'ordre�public,�en�particulier�dans�l'e- xercice�de�leur�droit�de�controler,�en�vertu�d'un�principe�de�droit�international� biene�tablietsanspre�judicedesengagementsde�coulantpoureuxdu�traite�e,�l'en- tre�e,�le�se�jour�et�l'e�loignement�des�non-nationaux�(...).�Toutefois,�leurs�de�cisions� en�la�matie�re,�dans�la�mesure�ou�elles�porteraient�atteinte�a�un�droit�prote�ge� par�le���1�de�l'article�8,�doivent�se�re�ve�ler�ne�cessaires�dans�une�socie�te�de�mocra- tique,�c'est-a�-direjustifie�esparunbesoinsocialimpe�rieuxet,�notamment,pro- portionne�es�au�but�le�gitime�poursuivi��(Beldjoudi�c/�France,�26�mars�1992�s e�rie�A,�n.�234-A).� Secondo�consolidata�giurisprudenza�della�Corte�le�liberta�fondamentali� sancite�dal�Trattato�costituiscono�un�limite�all'azione�dei�governi�nazionali� ancheincampopenale,�settoreincuigliStaticonservanopienapotesta�(v.�sen- tenza�Corte�di�giustizia�del�2febbraio�1989,�causa�186/1987,�Cowan).�Tale� consolidata�impostazione�giurisprudenziale�e�confortata�dalla�presenza�della� disposizione�contenuta�nel�sopra�citato�art.�3�n.�2�della�direttiva�64/221,che� anzi�esclude�qualsiasi�ipotesi�di�immediata�connessione�tra�una�condanna�di� natura�penale�e�un�provvedimento�d'espulsione�nei�confronti�di�un�cittadino� comunitario.� Cio�posto,�risulta�in�evidente�contrasto�con�la�libera�circolazione�dei�citta- dini�comunitari�e,�in�particolare,�con�la�direttiva�64/221/CEE,�una�qualsiasi� disciplina�nazionale�che,�in�virtu�dell'eccezione�relativa�alla�tutela�delproprio� ordine�pubblico,�predisponga�un�meccanismo�di�espulsione�automatica�a�seguito� di�condanna�penale.�Infatti,�l'eccezione�di�ordine�pubblico,�che�venga�posta�alla� base�di�una�simile�normativa�nazionale,��come�tutte�le�deroghe�a�un�principio� fondamentale�del�Trattato,�deve�essere...�interpretata�in�modo�restrittivo��(sen- tenza�19�gennaio�1999,�causa�C-348/1996,�Calfa).�In�termini�piu�generali,�la� Cortedigiustiziahaprecisatocheilprincipiodellalibera�circolazionedelleper- sone�deve�essere�interpretato�estensivamente�(sentenza�26febbraio�1991,� C-292/1989,�Antonissen�e�sentenza�20febbraio�1997,�C-344/1995,� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 57 Commissione/Belgio), mentre le deroghe a tale principio devono essere al con- trario interpretate restrittivamente (sentenza 4 dicembre 1974, causa 41/1974, Van Duvt; sentenza 26febbraio 1975, 67/1974, Bonsignore; sentenza 3 giugno 1986, 139/1985, Kempf) . La nozione di ordine pubblico, come contenuta nell'art. 39 n. 3 TCE, puo� essere richiamata solamente in caso di una minaccia effettiva ed abbastanza graveperunodegliinteressifondamentalidellacollettivita� (v.sentenza27otto- bre 1977, causa 30/1977, Boucherau), �di guisa che la sua portata non puo� essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni comunitarie� (causa Rutili, citata). Proprio la difesa dei diritti dei cittadini comunitari e l'accezione restrittiva della nozione di ordine pubblico portano la Corte di giustizia ad esplicitare quanto gia� chiaramente previsto nell'art. 3 della Direttiva 64/221/CEE, san- cendoche�lalegittimita� deiprovvedimentiatuteladell'ordinepubblicovavalu- tata alla luce dell'intera normativa comunitaria avente ad oggetto, in primo luogo, di limitare il potere discrezionale degli Stati membri in materia e,in secondo luogo, di garantire la difesa dei diritti dei singoli, nei cui confronti ven- gono applicatiprovvedimenti restrittivi� (causa Bonsignore, citata), in un'ottica, quindi, esclusivamente di prevenzione speciale, cui devono rimanere estranee le finalita� deterrentigeneralidellanormapenale.�Consideratenellorocomplesso, tali restrizioni dei poteri degli Stati membri in materia di polizia relativa agli stranieriappaionocomelamanifestazionespecificadiunprincipiopiu� generale, sancito dagli articoli 8, 9, 10 e II della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta� fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata da tutti gli Stati membri, e dall'art. 2 del protocollo n. 4 della stessa Convenzione, firmata a Strasburgo il 16 settembre 1963, i quali stabili- scono, in termini identici, che le restrizioni apportate, in nome delle esigenze di ordinepubblico e di sicurezzapubblica, ai diritti tutelati dagli articoli teste� citati nonpossonoandareoltrecio� chee� necessarioperilsoddisfacimentoditaliesi- genze in una societa� democratica� (causa Rutili, citata). Riassuntivamente, con riguardo ai cittadini comunitari cui si applichi exse la disciplina derivante congiuntamente dall'art. 39 TCE e dalla direttiva 64/221, le premesse generali per affrontare la questione sono le seguenti: a) per valutare se una disposizione nazionale, restrittiva della libera cir- colazione dei cittadini/lavoratori comunitari, sia riconducibile a una delle dero- ghe contemplate dall'art. 39 n. 3 TCE, la nozione di ordine pubblico che sia posta a fondamento di tale disposizione deve essere conforme alla corrispon- dente interpretazione che di tale nozione viene data a livello comunitario; b) i mezzi restrittivi della circolazione che colpiscano un singolo citta- dino comunitario non possono essere giustificati da motivi di ordine generale rinvenibili in norme di natura penale; c) le restrizioni della libera circolazione dei cittadini comunitari nonpos- sono superare i limiti di proporzionalita� ricavabili dalla disciplina comunitaria e valutabili dal giudice comunitario. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Stando�a�tali�generali�premesse,�sembra�doversi�concludere�che�la�norma- tiva�tedesca�in�materia�di�stranieri�non�risulta�conforme�al�diritto�comunitario� nella�misura�in�cui�dispone�l'espulsione�automatica�di�un�cittadino�di�un�altro� Stato�membro�sulla�base�della�sola�condanna�penale�(art.�3,�Direttiva� 64/221/CEE).� Per�quanto�attiene�ai�mezziproceduralipredisposti�dal�legislatore�tede- sco,�si�ricorda�che�la�Corte�di�giustizia�ha�gia�indicato�che�il�mezzo�prefigu- rato�nell'art.�9�della�direttiva�64/221�e�di�natura�complementare�rispetto�al� ricorso�giurisdizionale�previsto�dal�precedente�art.�8�della�stessa�direttiva,� specificando�le�minime�garanzie�procedurali�che�con�tale�mezzo�ciascuno� Stato�membro�deve�comunque�assicurare�ai�cittadini�comunitari�sottoposti�a� unprovvedimento�restrittivo�della�loro�liberta�di�circolare.�Piu�inparticolare,� il�mezzo�procedurale�contemplato�dall'art.�9�deve�prevedere�un�esame�com- pletodeifatti,�compresiimotividiopportunita�sucuisifondailprovvedi- mento�considerato,�prima�che�esso�venga�definitivamente�adottato�(sentenze� 22�maggio�1980,�causa�131/1979,�Santillo;�18�maggio�1982,�cause�riunite� 115/1981�e�116/1981,�Adoui�e�Cornuaille;�30�novembre�1995,�causa� C-175/1994;�17�giugno�1997,�C-65/1995�e�C-111/1995,�Mann�Singh�Shingara� e�Abbas�Radiom).�Pertanto,�la�questione�pregiudiziale�attinente�all'interpre- tazione�dell'art.�9�della�direttiva�64/221�sembra�doversi�risolvere�nel�senso� che,�poiche�il�rinvio�e�stato�proposto�nell'ambito�di�un�ricorso�giurisdizionale� (anche�se�amministrativo),�il�diritto�tedesco�prevede�comunque�un�mezzo� riconducibile�all'art.�8�della�direttiva,�posto�che�ogni�altro�mezzo�predisposto� ai�sensi�dell'art.�9�della�stessa�si�presenta�quale�opzione�procedurale� �minima��imposta�agli�Stati�a�tutela�del�diritto�di�difesa�del�cittadino�comu- nitario�sottoposto�a�provvedimenti�restrittivi�della�liberta�di�circolare�sul�ter- ritorio�di�uno�Stato�membro.�Cio�che�eventualmente�andrebbe�valutato�dal� giudice�comunitario�e�se�il�ricorso�in�sede�giurisdizionale�amministrativa,�ai� sensidell'art.�8dir.�64/221,�consentaunavalutazionedimeritodelprovvedi- mento�di�espulsione:�in�caso�contrario,�vale�a�dire�di�esclusivo�sindacato�di� legittimita�dell'atto�da�parte�del�giudice,�dovrebbe�trovare�applicazione�la� garanzia�di�tutela�minima�dell'art.�9�dir.�64/221.� Su�tali�presupposti,�si�propone�di�rispondere�ai�quesiti�interpretativi� sottoposti�alla�Corte�dal�giudice�amministrativo�tedesco�nei�seguenti� termini:� A)�non�e�conforme�al�diritto�comunitario�una�normativa�nazionale�che� disponga�l'espulsione�automatica�di�un�cittadino�di�un�altro�Stato�membro�sulla� base�della�sola�condanna�penale;� B)�non�e�conforme�all'ordinamento�comunitario�una�normativa�nazionale� che�non�consenta�in�caso�di�ricorso�avverso�un�provvedimento�di�espulsione�di� un�cittadino�di�un�altro�Stato�membro�un�controllo�del�provvedimento�sotto�il� profilo�del�merito�e�della�proporzionalita�rispetto�alla�situazione�personale�e� familiare�dell'espulso.�(f.to�Avv.�Maurizio�Fiorilli).� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�59 Causa C-182/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Annullamento del decreto n. 2000-754 del 1 agosto 2000, concernente le date di apertura e chiusura della caccia agli uccelli acquatici e alla selvaggina di passaggio ^ Violazione�dell'articolo�7,�n.�4�della�direttiva�79/409/CEE�del�Consiglio� del�2�aprile�1979�-Ordinanza�del�Conseil�d'Etat�(Francia)�del�25�gennaio� 2002�^Iscritta�il�16�maggio�2002�(cons.�12350/02,�avv.�M.�Fiorilli).� IL fattO I�ricorrenti�chiedono�l'annullamento�per�eccesso�di�potere�di�un�decreto� concernente�le�date�per�la�caccia�agli�uccelli�selvatici,�assumendo�la�viola- zione�dell'art.�7,�n.�4,�della�direttiva�n.�79/409/CEE.� IquesitI 1.�^Se�l'art.�9,�n.�1,�lett.�c)�della�direttiva�del�Consiglio�2�aprile�1979,� n.�79/409,�permetta�ad�uno�Stato�membro�di�derogare�alle�date�di�apertura� e�chiusura�della�caccia�fissate�in�considerazione�degli�obiettivi�menzionati� all'art.�7,�n.�4,�della�medesima.� 2.�^In�caso�di�risposta�affermativa,�quali�siano�i�criteri�che�permettono� di�determinare�i�limiti�di�tale�deroga.� NotA Secondo�quanto�disposto�dall'art.�7,�n.�4,�della�direttiva�n.�79/409/CEE� �Gli�Stati�membri�si�accertano�che�l'attivita�venatoria,�compresa�eventualmente� la�caccia�colfalco,�quale�risulta�dalla�applicazione�delle�disposizioni�nazionali� invigore,�rispettiiprincipidiunasaggiautilizzazioneediunaregolazioneeco- logicamente�equilibrata�delle�specie�di�uccelli�interessate�e�sia�compatibile�per� quanto�riguarda�il�contingente�numerico�delle�medesime,�in�particolare�delle� specie�migratrici,�con�le�disposizioni�derivanti�dall'art.�2.�Essi�provvedono�in� particolare�a�che�le�specie�a�cui�si�applica�la�legislazione�della�caccia�non�siano� cacciate�durante�il�periodo�della�nidificazione�ne�durante�le�varie�fasi�della� riproduzioneedelladipendenza.�Quandositrattadispeciemigratrici,essiprov- vedono�in�particolare�a�che�le�specie�soggette�alla�legislazione�della�caccia�non� vengano�cacciate�durante�il�periodo�della�riproduzione�e�durante�il�ritorno�al� luogo�di�nidificazione.�Gli�Stati�membri�trasmettono�alla�Commissione�tutte�le� informazioni�utili�sull'applicazione�pratica�della�loro�legislazione�sulla�caccia�.� L'art.�9,�n.�1,�lett.�C),�dispone�che,�sempre�che�non�vi�siano�altre�solu- zioni�soddisfacenti,�gli�Stati�membri�possono�derogare�agli�art.�5,�6,�7�e�8� per�consentire,�in�condizioni�rigidamente�controllate�e�in�modo�selettivo,�la� cattura,�la�detenzione�o�altri�impieghi�misurati�di�determinati�uccelli�in�pic- cole�quantita�.� Per�valutare�la�legittimita�delle�disposizioni�introdotte�dal�decreto� riguardo�alle�date�di�apertura�e�chiusura�della�caccia�agli�uccelli�introdotte� dal�decreto�riguardo�alle�date�di�apertura�e�chiusura�della�caccia�agli�uccelli� di�passaggio�e�alla�selvaggina�acquatica,�occorre�fare�riferimento�alla�inter- pretazione�dell'art.�7,�n.�4,�della�direttiva�n.�79/409/CEE�data�dalla�Corte�di� Giustizia,�in�particolare�nelle�sentenze�19�gennaio�1994�in�C-435/1992�e� 7�dicembre�2000�in�C-39/1999.�Da�esse�risulta,�in�particolare,�che�la�tutela� prevista�per�tali�specie,�sia�per�il�periodo�di�nidificazione�e�le�varie�fasi�della� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� riproduzione�e�della�dipendenza,�sia�per�il�tragitto�di�ritorno�delle�specie� migratorie�al�proprio�luogo�di�nidificazione,�deve�concretizzarsi�in�una�prote- zione�completa,�che�escluda�i�rischi�di�confusione�tra�specie�differenti.�La� determinazione�di�date�scaglionate�in�funzione�delle�diverse�specie,�inoltre,�e� legittima�solo�se�si�puo�dimostrare,�alla�luce�di�dati�scientifici�e�tecnici,�che� tale�scaglionamento�e�compatibile�con�l'obiettivo�della�protezione�completa.� Causa C-203/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Tutela banca dati d iritto sui generis ^Utilizzo di banca dati ^Estrazione e coimpiego di parti sostanziali e non sostanziali della banca dati ^Direttiva�96/199�CE� ^Ordinanza�della�Court�of�Appeal�^Civil�Division�^England�&�Wales� ^Iscritta�il�3�giugno�2002.�(Cons.�14629/02,�avv.�M.�Fiorilli).� IL fattO L'ordinanza�e�stata�pronunciata�nel�corso�di�un�procedimento�promosso� da�tre�societa�inglesi�che�svolgono�varie�funzioni�amministrative�nell'ambito� dell'industria�delle�corse�ippiche�nel�Regno�Unito�^la�BHB,la�Jockey Club ela�Weatherbys ^nei�confronti�della�societa�William Hill, uno�dei�principali� allibratori�fuori�ippodromo�che�opera�nel�Regno�Unito�ed�in�altri�Paesi.�Le� ricorrenti�svolgono�funzioni�concernenti�la�sovraintendenza,�la�regolamenta- zione,�il�controllo�sulla�regolarita�,�sulla�concessione�delle�licenze,�sulla�disci- plina�e�sulla�sicurezza�delle�corse�ippiche,�nonche�la�raccolta�e�la�gestione� dei�relativi�dati,�mentre�la�convenuta,�con�le�sue�consociate,�offre�quotazioni� per�un�gran�numero�di�eventi�fornendo�servizi�di�scommesse�ai�suoi�clienti,� inglesi�ed�internazionali,�attraverso�una�rete�a�livello�nazionale�di�agenzie� autorizzate�di�scommesse,�un�servizio�di�scommesse�per�telefono�e�attraverso� internet.�Le�ricorrenti�sostengono�di�essere�titolari�di�un�diritto�sui generis sulla�banca�dei�dati�da�essi�costituita�(banca�dati�elettronica�BHB�in�cui,�a� partire�dal�1999,�sono�confluiti�tutti�i�dati�raccolti�e�gestiti�dalle�tre�societa� ricorrenti)�ed�accusano�la�convenuta�di�fare�un�uso�non�autorizzato�di�questi� dati�nella�sua�attivita�via�internet,�asserendo,�altres|�,�che�le�attivita�della�Wil- liam Hill violano�il�loro�diritto�sui generis sotto�un�duplice�profilo:�in�primo� luogo�perche�l'uso�quotidiano�dei�dati�tratti�dai�giornali�o�da�altri�mezzi�di� informazioni�predisposti�dalle�ricorrenti�costituisce�una�estrazione�odun� reimpiego�di�una�parte�sostanziale dei�contenuti�della�loro�banca�dati�(in�con- trasto�con�quanto�disposto�dall'art.�7,�n.�1,�della�direttiva�n.�96/9)�e,�in� secondo�luogo,�perche�,�anche�se�i�singoli�estratti�non�costituiscono�una�parte� sostanziale�della�banca�dati�BHB,�tuttavia�l'insieme�delle�attivita�della�conve- nuta�equivale�ad�una�ripetuta�e�sistematica�estrazione�od�un�reimpiego�di� parti�non sostanziali dei�contenuti�della�loro�banca�dati�(in�contrasto�con� l'art.�7,�n.�5,�della�precitata�direttiva).�Al�contrario,�la�William Hill,�a�soste- gno�del�proprio�diritto�di�utilizzare�i�dati�in�oggetto,�asserisce�che�il�diritto� sui generis non�tutela�l'informazione�o�l'uso�di�informazioni�in�quanto�tali� bens|�quelle�caratteristiche�di�una�banca�di�dati�che�la�rendono,�appunto,� una�banca�di�dati.�Queste�caratteristiche,�come�indicato�nell'art.�1.2�della� direttiva�n.�96/6,�sono�il�fatto�che�gli�elementi�di�informazione�sono��siste- maticamente�o�metodicamente�disposti�ed�individualmente�accessibili�grazie� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�61 a�mezzi�elettronici�o�in�altro�modo�.�La�convenuta�sostiene,�altres|�^tra�l'al- tro�^di�aver�utilizzato�una�minima�quantita�delle�informazioni�contenute� nella�banca�dati�BHB�e�non�una�parte�sostanziale�o�rilevante�della�banca�dati� BHB,�e�che,�per�lo�stesso�motivo,�non�vi�sarebbe�stato�alcun�investimento� rilevante�delle�ricorrenti�nella�parte�della�banca�dati�BHB�da�essa�usata.� IquesitI 1.�^Se�l'una�o�l'altra�delle�espressioni:� (a)��parte�sostanziale�del�contenuto�di�una�banca�di�dati�;�o� (b)��parte�non�sostanziale�del�contenuto�di�una�banca�di�dati�,� di�cui�all'art.�7�della�direttiva�possa�includere�opere,�dati�o�altri�elementi� ricavati�dalla�banca�di�dati,�ma�che�non�sono�sistematicamente�o�metodica- mente�disposti�come�nella�banca�di�dati�e�che�non�offrono�le�stesse�possibilita� di�accesso�individuale�che�presenta�la�banca�di�dati.� 2.�^Che�cosa�si�intenda�con�il�termine��conseguimento��di�cui�all'art.�7,� n.�1,�della�direttiva.�In�particolare,�se�i�fatti�e�le�circostanze�descritti�ai�punti� 24-31�supra, possano�costituire�un�simile�conseguimento.� 3.�^Se�la��verifica��di�cui�all'art.�7,�n.�1,�della�direttiva�sia�limitata�a� garantire�a�intervalli�di�tempo�che�l'informazione�contenuta�in�una�banca�di� dati�sia,�o�continui�a�essere,�corretta.� 4.�^Che�cosa�si�intenda�all'art.�7,�n.�1,�della�direttiva,�con�le�espressioni:� (a)��una�parte�sostanziale�(del contenuto di una banca dati) valutata�in� termini�qualitativi��e� (b)��una�parte�sostanziale�(del contenuto di una banca di dati) valutata� in�termini�quantitativi�.� 5.�^Che�cosa�si�intenda�all'art.�7,�n.�5,�della�direttiva,�con�l'espressione� �parti�non�sostanziali�del�contenuto�della�banca�dati�.� 6.�^In�particolare�in�ciascun�caso:� (a)�se��sostanziale��significhi�qualcosa�di�piu�di��insignificante��e,�in� caso�affermativo,�che�cosa;� (b)�se��non�sostanziale��significhi�implicitamente�che�non�e� �sostanziale�.� 7.�^Se�il�termine��estrazione��di�cui�all'art.�7�della�direttiva�si�riferisca� solo�al�trasferimento�di�contenuti�di�una�banca�di�dati�direttamente�dalla� banca�di�dati�ad�un�supporto�o�se�riguardi�anche�il�trasferimento�di�opere,� dati�o�altri�elementi�che�sono�indirettamente�ricavati�dalla�banca�di�dati,� senza�avere�accesso�diretto�alla�banca�dati.� 8.�^Se�il�termine��reimpiego��di�cui�all'art.�7�della�direttiva�si�riferisca� solo�alla�messa�a�disposizione�del�pubblico�dei�contenuti�della�banca�di�dati� direttamente�a�partire�dalla�stessa�o�se�comprenda�anche�la�messa�a�disposi- zione�del�pubblico�di�opere,�dati�o�altri�elementi�che�sono�ricavati�indiretta- mente�dalla�banca�di�dati,�senza�accesso�diretto�alla�stessa.� 9.�^Se�il�termine��reimpiego��di�cui�all'art.�7�della�direttiva�sia�limitato� al�primo�atto�con�cui�il�contenuto�della�banca�di�dati�e�messo�a�disposizione� del�pubblico.� 10.�^Che�cosa�si�intenda�all'art.�7,�n.�5,�della�direttiva�con��operazioni� contrarie�alla�normale�gestione�della�banca�di�dati�o�che�arrechino�un�pregiu- RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dizio ingiustificato ai legittimi interessi del costitutore della banca di dati�. In particolare se i fatti e le circostanze descritti ai punti 40-47 supra, considerati alla luce dei fatti e delle circostanze di cui ai punti 32-35 supra, possano costituire operazioni di tale natura. 11. ^Se l'articolo 10 n. 3 della direttiva significhi che, in ogni caso di �modifica sostanziale� del conteuto di una banca di dati, che consenta di attribuire alla banca di dati, risultante da tale modifica, una propria specifica durata di protezione, la banca di dati risultante debba essere considerata come una nuova e distinta banca di dati in relazione all'obiettivo dell'art. 7, n. 5. Causa�C-239/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Prodotti�del�caffe�^ Raccomandazioni�mediche�^Pubblicita�ed�etichettatura�^Direttive del Consiglio n. 99/4/CE e 2000/13/CE ^Art. 28 Trattato (cons. 16272/02, avv. M. Fiorilli). IL fattO La societa� Douwe Egberts NV (parte ricorrente) produce e smercia caffe� sul mercato belga; la societa� Westrom Pharma NV produce un supplemento alimentare denominato �DynaSvelte Koffie�; tale prodotto e� composto da caffe� solubile, fruttosio e cromo (parte convenuta). La societa� Souranis Christophe ha distribuito tale prodotto sul mercato belga fino al 31 dicembre 2001. La societa� Bvba Fics-World, a partire dal 1O gennaio 2002, e� la nuova distributrice del medesimo prodotto di cui sopra. La parte ricorrente lamenta che le menzioni figuranti sul boccale, sulla con- fezione e sulle avvertenze d'uso del �DynaSvelte Koffie� violano le norme sulla pubblicita� e sull'etichettatura di tale tipo di prodotti: la pubblicita� effet- tuata dalle convenute e le confezioni e le avvertenze d'uso da loro utilizzate hanno la potenzialita� di indurre i consumatori in errore circa l'identita� ,il tipo, la composizione, l'origine del prodotto e circa l'identita� e le qualita� del venditore. Inoltre, i riferimenti alla �diminuzione dell'eccesso di grasso� e alla �formula brevettata negli USA per mano del dott. Ann de Wees Allen, membro del Glycemie Research Institute�, che compaiono sul boccale, sulla confezione, sulle avvertenze e sulla pubblicita� , costituiscono rinvii illeciti al dimagrimento e a raccomandazioni mediche, certificati, citazioni, pareri, o a dichiarazioni di approvazione. La parte ricorrente chiede pertanto la decla- ratoria di colpevolezza nei confronti delle societa� convenute per aver svolto un'attivita� in contrasto con le oneste pratiche commerciali e chiede la cessa- zione d'uso degli elementi equivoci presenti nella pubblicita� e nell'offerta in vendita del prodotto. La parte chiamata nell'intervento coatto risponde con domanda riconvenzionale con cui chiede la declaratoria che la ricorrente si e� resa colpevole di atti in contrasto con le oneste pratiche commerciali utiliz- zando il termine �caffe� � nella pubblicita� di propri prodotti venduti in forma macinata e nell'offerta in vendita degli stessi e chiede la cessazione dell'uso di tale denominazione. Inoltre, chiede che venga sottoposta questione pregiu- diziale alla Corte di Giustizia europea circa la corretta trasposizione nel IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�63 diritto�belga�della�direttiva�n.�1999/4/CE,�riguardante�gli�estratti�di�caffe�e� gli�estratti�di�cicoria,�e�della�direttiva�n.�2000/13/CE�riguardante�l'etichetta- tura�e�la�presentazione�dei�prodotti�alimentari�e�la�relativa�pubblicita�.� IquesitI Quanto alla direttiva del Consiglio n. 99/4/CE: 1.�^Se�l'art.�2�della�direttiva�n.�1999/4/CE�concernente�estratti�di� caffe�ed�estratti�di�cicoria�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�per�i�pro- dotti�menzionati�nell'allegato�della�direttiva�possono�essere�utilizzate�soltanto� le�denominazioni�commerciali�menzionate�nell'allegato�stesso,�senza�che�oltre� a�tali�denominazioni�possano�essere�utilizzate�anche�altre�denominazioni� (per�esempio,�un'espressione�di�fantasia�o�commerciale),�oppure se�l'art.�2� debba�essere�interpretato�nel�senso�che�soltanto�per�i�prodotti�menzionati� nell'allegato�della�direttiva�possono�essere�utilizzate�le�denominazioni�com- merciali�menzionate�nello�stesso�allegato,�anche�se�oltre�a�dette�denomina- zioni�per�gli�stessi�prodotti�possono�essere�utilizzate�anche�altre�denomina- zioni�(per�esempio,�un'espressione�di�fantasia�o�commerciale).� 2.�^Qualora�la�Corte�di�Giustizia�delle�Comunita�europee�consideri� che�l'art.�2�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio� n.�1999/4/CE,�concernente�estratti�di�caffe�ed�estratti�di�cicoria,�deve�essere� interpretato�nel�senso�che�per�i�prodotti�menzionati�nell'allegato�di�detta� direttiva�possono�essere�utilizzate�soltanto�le�denominazioni�commerciali� menzionate�nell'allegato�stesso,�senza�che�oltre�a�tali�denominazioni�possano� essere�utilizzate�anche�altre�denominazioni�(per�esempio,�un'espressione�di� fantasia�o�commerciale),�se�da�cio�discenda�che�detta�direttiva�e�in�contrasto� con�l'art.�28�del�Trattato�CE,�che�stabilisce�un�divieto�di�restrizioni�quantita- tive�all'importazione�e�di�misure�di�effetto�equivalente�fra�gli�Stati�membri� della�Comunita�europea,�per�il�motivo�che�tale�direttiva,�in�applicazione�della� suddetta�interpretazione,�per�i�prodotti�che�rispondono�alla�definizione�degli� estratti�di�caffe�contenuta�nel�suo�allegato:�^esclude�l'uso�di�denominazioni� diverse�da��estratto�di�caffe���o�da��caffe�istantaneo�,�come�la�denominazione� �caffe���;�^conseguentemente�riserva�l'uso�della�denominazione��caffe��ad� un'unica�forma�di��caffe�,�vale�a�dire�al�caffe�in�grani;�^e�pertanto�protegge� artificialmente�il�mercato�del�caffe�dai�prodotti�concorrenti�composti�da�tipi� di�caffe�diversi�dal�caffe�in�grani,�come�fra�l'altro�gli�estratti�di�caffe�e�il�caffe� istantaneo.� Quanto alla direttiva del Consiglio n. 2000/13/CE: 1.�^Se�l'art.�18,�n.�I,�e�18,�n.�2,�della�direttiva�n.�2000/13/CE�debbano� essere�interpretati�nel�senso�che�disposizioni�nazionali�in�materia�di�etichetta- tura�e�di�presentazione�di�prodotti�alimentari,�nonche�in�materia�di�pubbli- cita�effettuata�al�riguardo,�non�armonizzate,�le�quali�vietano�determinate� menzioni�come�i�riferimenti��al�dimagrimento�,�e�i��riferimenti�a�raccoman- dazioni�mediche,�certificati,�citazioni,�pareri�o�a�dichiarazioni�di�approva- zione�,�nell'etichettatura�e/o�nella�presentazione�di�prodotti�alimentari�e/o� nella�relativa�pubblicita�,�mentre�tali�menzioni�non�vengono�vietate�dalla� direttiva,�costituiscano�violazioni�della�stessa�direttiva,�tenendo�conto�del� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� fatto�che�nell'ottavo�considerando�della�direttiva�si�afferma�che�l'etichettatura� piu�adeguata�e�quella�che�meno�ostacola�gli�scambi�commerciali�e�del�fatto� che�pertanto�dette�disposizioni�nazionali�non�possono�essere�applicate.� 2.�^Se�l'art.�18,�n.�2,�della�direttiva�n.�2000/13/CE�debba�essere�inter- pretato�nel�senso�che�devono�essere�intese�volte�alla��tutela�della�salute�delle� persone��le�disposizioni�nazionali�in�materia�di�etichettatura�e�di�presenta- zione�di�prodotti�alimentari,�nonche�in�materia�di�pubblicita�effettuata�al� riguardo,�non�armonizzate,�che�vietano�determinate�menzioni�come�i��riferi- menti�al�dimagrimento�,�e�i��riferimenti�a�raccomandazioni�mediche,�certifi- cati,�citazioni,�pareri�o�a�dichiarazioni�di�approvazione�.� 3.�^Se�l'art.�28�del�Trattato�CE�debba�essere�interpretato�nel�senso�che� disposizioni�nazionali�in�materia�di�etichettatura�e�di�presentazione�di�pro- dotti�alimentari,�nonche�in�materia�di�pubblicita�effettuata�al�riguardo,�non� armonizzate�a�livello�comunitario�e�che�si�discostano�dalla�direttiva� n.�2000/13/CE,nellaparteincuivietanodeterminatemenzioninell'etichetta- tura�e/o�nella�presentazione�dei�prodotti�alimentari�e/o�nella�pubblicita�quali� i��riferimenti�al�dimagrimento��e�i��riferimenti�a�raccomandazioni�mediche,� certificati,�citazioni,�pareri�o�a�dichiarazioni�di�approvazione�,�debbano� essere�considerate�come�misure�di�effetto�equivalente�e/o�come�restrizioni� quantitative�all'importazione�fra�gli�Stati�membri�della�Comunita�europea,� in�quanto�dette�disposizioni�nazionali:�^da�un�lato,�stabiliscono�un�onere� supplementare�all'importazione�di�prodotti�alimentari�per�rendere�tali�pro- dotti�conformi�alla�normativa�nazionale�e�conseguentemente�ostacolano�gli� scambi�commerciali�fra�gli�Stati�membri;�e�^dall'altro,�non�si�applicano�a� tutti�gli�operatori�commerciali�interessati�che�svolgono�la�loro�attivita�sul�ter- ritorio�nazionale,�nel�senso�che�vi�sono�prodotti�del�tutto�analoghi�(per�esem- pio,�i�prodotti�cosmetici),�cui�non�si�applicano�tali�disposizioni,�ne�altre� disposizioni�analoghe,�e�se,�di�conseguenza,�le�stesse�disposizioni�non�pos- sano�essere�applicate�dal�giudice�nazionale.� Causa C-309/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Imballaggio per bibite ^ Imballaggi a perdere o recuperabili ^Sistema di restituzione e smaltimento ^Art.�1,�n.�2;�art.�7�e�art.�18�direttiva�94/62/CE�(direttiva�del�Parlamento� europeo�e�del�Consiglio�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio)�^ Art.�28�CE�^Ordinanza�del�Verwaltungsgericht�Stuttgart�(Germania)�del� 21�agosto�2002�^Iscritta�il�3�settembre�2002�(avv.�M.�Fiorilli).� IL FattO Il�caso�di�specie�riguarda�due�ditte�austriache�produttrici�di�bibite�che� esportano�i�loro�prodotti�in�Germania.�Come�previsto�dalla�normativa�tede- sca�esse�hanno�beneficiato�di�un�sistema�che�^a�condizione�che�risultasse� assicurato�in�misura�sufficiente�un�regolare�ritiro�degli�imballaggi�di�vendita� presso�il�consumatore�privato�finale�^le�esonerava�dall'obbligo�del�deposito� previsto�per�il�commercio�delle�bibite�confezionate�in�imballaggi�a�perdere,� nonche�dall'obbligo�di�provvedere�al�ritiro�ed�al�recupero�degli�imballaggi� utilizzati.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�65 Una�rilevazione�sulla�quota�degli�imballaggi�reimpiegabili�di�bibite�effet- tuata�nel�periodo�maggio�2000�-aprile�2001�evidenziava�che�la�percentuale� degli�imballaggi�reimpiegati�era�scesa�al�di�sotto�del�livello�di�riferimento� (72%),�circostanza�questa�che�faceva�scattare�la�revoca�dall'esenzione�cauzio- nale�a�partire�dal�gennaio�2003.�Tale�modifica�ha�per�effetto�che�le�ricorrenti� sarebbero�obbligate,�a�partire�dal�gennaio�2003,�ad�imporre�sulla�maggior� parte�dei�loro�imballaggi�per�bibite�vendute�in�Germania,�la�cauzione�pre- scritta�dalla�normativa�ed�a�ritirare�e�recuperare�gli�imballaggi�utilizzati.� IQuesitI 1.�^Se�l'art.�1,�n.�2,�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consi- glio�20�dicembre�1994�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GU CE L�365,�pag.�10)�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�faccia�divieto�agli� Stati�membri�di�favorire�sistema�di�riutilizzo�di�imballaggi�per�bibite�nei�con- fronti�degli�imballaggi�a�perdere�recuperabili�prescrivendo�che,�se�la�quota�a� livello�federale�degli�imballaggi�reimpiegabili�scenda�al�di�sotto�del�72%,� viene�meno�la�possibilita�di�esecuzione�dall'obbligo�di�ritiro,�di�smaltimento� e�di�imporre�una�cauzione�sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotati�e� subentra�la�partecipazione�ad�un�sistema�di�restituzione�e�smaltimento�peri� settori�delle�bibite,�nei�quali�la�quota�degli�imballaggi�reimpiegabili�e�scesa� al�di�sotto�della�quota�stabilita�nell'anno�1991.� 2.�^Se�l'art.�18�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio� 20�dicembre�1994,�n.�94/62,�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GU CEL�365,�pag.�10),�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�faccia�divieto�agli� Stati�membri�di�ostacolare�la�messa�in�circolazione�di�bibite�confezionatein� imballaggi�a�perdere�prescrivendo�che,�se�la�quota�a�livello�federale�di�imbal- laggi�reimpiegabili�scende�al�di�sotto�del�72%,�viene�meno�la�possibilita�di� esenzione�dall'obbligo�di�ritiro,�di�smaltimento�e�di�imporre�una�cauzione� sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotati�e�subentra�la�partecipazione� ad�un�sistema�di�restituzione�e�smaltimento�per�settori�delle�bibite,�nei�quali� la�quota�degli�imballaggi�reimpiegabili�e�scesa�al�di�sotto�della�quota�stabilita� nell'anno�1991.� Se�l'art.�7�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio� 20�dicembre�1994,�n.�94/62,�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GU CE L�365,�pag.�10),�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�al�produttore�e� al�venditore�di�bevande�confezionate�in�imballaggi�a�perdere�recuperabili� venga�assicurata�la�partecipazione�ad�un�sistema�di�ritiro�e�di�smaltimento� di�imballaggi�per�bibite�usati�gia�istituito�affinche�venga�cos|�soddisfatto�un� obbligo�imposto�per�legge�di�imporre�cauzioni�sugli�imballaggi�per�bibite�a� perdere�e�di�restituire�gli�imballaggi�per�bibite�usati.� Se�l'art.�28�del�Trattato�CE�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�tale� disposizione�faccia�divieto�agli�Stati�membri�di�adottare�norme,�secondo�le� quali,�nel�caso�in�cui�la�quota�a�livello�federale�di�imballaggi�per�bibite�reim- piegabili�scende�al�di�sotto�del�72%,�venga�meno�la�possibilita�di�esenzione� dall'obbligo�di�restituzione,�di�smaltimento�e�di�imporre�una�cauzione�sugli� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� imballaggi�per�bibite�a�perdere�svuotati�e�subentra�la�partecipazione�ad�un� sistema�di�ritiro�e�smaltimento�per�i�settori�delle�bibite,�nei�quali�la�quota� degli�imballaggi�reimpiegabili�e�scesa�al�di�sotto�della�quota�stabilita� nell'anno�1991.� NotA Si�riportano�le�osservazioni�predisposte�dall'Avvocatura�dello�Stato:� �...�(...)�2.�^E�pregiudiziale�all'esame�dei�quesiti�posti�dal�giudice� amministrativo�tedesco�la�ricostruzione�della�disciplina�degli�imballaggi�det- tata�dal�Regolamento�in�chiave�concorrenziale,�che�costituisce�oggetto�del� quarto�quesito�posto�alla�Corte.�Il�regolamento�distingue�tra�imballaggi�reim- piegabili,�non�soggetti�a�cauzione,�ed�imballaggi�a�perdere�recuperabili,sog- gettiacauzione.�Disponel'esonerodalpagamentodellacauzionesugliimbal- laggiaperdererecuperabilinelcasoincuil'operatoreeconomico�cheliutilizza� aderisca�ad�un�sistema�che�si�estende�su�tutto�il�territorio�servito�dal�venditore� obbligato�che�assicuri�in�misura�sufficiente�un�regolare�ritiro�degli�imballaggi� divenditapresso�ilconsumatoreprivatofinaleo�nellesue�vicinanzee�che�inte- gri�i�requisiti�elencati�nell'allegato�I�del�Regolamento.�L'esonero�vienea�ces- sare�ove�il�sistema�di�adesione�perda�le�qualita�richieste�o�l'utilizzo�di�imbal- laggiriutilizzabiliscenda�aldisotto�dellapercentualedel72%delquantitativo� previsto�dal�Regolamento.� Le�ricorrenti�assumono�la�illegittimita�della�imposizione�della�cauzione� sugli�imballaggi�a�perdere�recuperabili,�in�quanto�discriminante�rispetto�agli� importatori�nella�Repubblicafederale.�Tanto�sostengono�con�due�ordini�diargo- mentazioni.�In�primo�luogo,�questi�deducono�di�dovere�affrontare�costi�piu�ele- vati�rispetto�ai�produttori�nazionali�se�smerciano�i�loro�prodotti�in�Germania�in� imballaggi�reimpiegabili,�da�cio�il�loro�interesse�commerciale�all'utilizzo�degli� imballaggiaperdererecuperabili.�Ecio�,�inquantonelcasodiutilizzodiimbal- laggi�non�a�perdere�devono�affrontare�maggiori�spese�per�il�ritiro�degli�imbal- laggiin�Germaniae�iltrasporto�alluogo�diproduzioneperilriempimento,�oltre� allespeseperl'utilizzodidue�tipidiimballaggiperimedesimiprodotti�(``aper- dere''�e�``a�reimpiego'')�in�relazione�al�luogo�di�commercializzazione.�In�secondo� luogo,�sostengonochelaprevisionenormativadiunapercentualediimballaggi� riutilizzabili�che�se�non�raggiunta�determina�l'obbligo�di�pagare�una�cauzione� per�ogni�imballaggio�a�perdere�recuperabile,�indipendentemente�dalla�adesione� ad�un�sistema�di�raccolta�e�recupero,�determina�le�imprese�operanti�nel�commer- cio�tedesco�delle�bibite�a�non�far�scendere�al�di�sotto�della�prescritta�quota�del� 72%�il�quantitativo�degli�imballaggi�reimpiegabili,�con�la�conseguenza�che�ipro- dotti�che�vengono�commercializzati�esclusivamente�in�imballaggi�a�perdere�non� verrebbero�acquistati.� L'impostazione�del�problema�non�e�corretta�e�le�argomentazioni�dedotte� sono�inconferenti.� L'imposizione�di�una�cauzione�per�ogni�imballaggio�a�perdere�recuperabile� non�comporta�un�costo�aggiuntivo,�in�quanto�la�cauzione�viene�restituita�allorche� l'imballaggio�viene�restituito�(par.�8,�art.�1�del�Regolamento:��...�La�cauzione� deve�essere�imposta�a�ogni�successivo�venditore�in�ogni�stadio�del�commercio,� fino�alla�consegna�al�consumatore�finale.�La�cauzione�deve�essere�restituita�di� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�67 volta�in�volta�al�momento�della�restituzione�dell'imballaggio,�ai�sensi�del�para- grafo�6,�artt.�6�e�2�).�L'imposizione�della�cauzione�non�comporta�uno�svantag- gio�concorrenziale�in�termini�di�costo�del�prodotto,�in�quanto�il�mancato�rim- borso�e��frutto�di�una�scelta�discrezionale�del�consumatore�finale.�La�mancata� restituzione�comporta�che�l'imballaggio�a�perdere�non�sia�recuperabile�e,�quindi,� un�aggravio�del�carico�dei�rifiuti�smaltiti,�con�l'effetto�che�legittimamente�il� costo�dell'aggravio�del�carico�complessivo�di�rifiuti�rimane�a�carico�del�consu- matore�finale,�autore�dell'inquinamento.�E�cio��in�applicazione�del�principio:� �chi�inquina�paga�.� La�previsione�di�una�cauzione�a�garanzia�del�rispetto�delle�norme�armoniz- zate�in�materia�di�rifiuti�resiste�ad�ogni�valutazione�di�compatibilita��con�i�prin- cipi�generali�di�logicita��delle�disposizioni�normative�nazionali�di�recepimento.� E�la�qualita��del��rifiuto��che�viene�gravata�della�cauzione�a�garanzia�del� suo�corretto�trattamento�e�in�cio��non�vi�e��alcun�aspetto�anticoncorrenziale,�in� quantolaprevisionenone��selettiva.�Ilcostodell'imballaggioaperdererecupera- bile�e��inferiore�rispetto�a�quello�dell'imballaggio�riutilizzabile,�per�il�che�il�suo� utilizzo�non�e��privo�di�conseguenze�economiche.� Si�puo��quindi�concludere�che�il�regime�normativo�degli�imballaggi�del� Regolamento�non�contrasta�con�l'articolo�28�C.E.�e�non�e�,�quindi,�censurabile� sotto�ilprofilo�concorrenziale.� 3.�^IlprimoquesitopostoallaCortee�delseguentetenore:� �Se�l'art.�1,�n.�2�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio� 20�dicembre�1994�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GUCE�L�365,� pag.�10)�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�faccia�divieto�agli�Stati�mem- bri�di�favorire�il�sistema�di�riutilizzo�di�imballaggi�per�bibite�nei�confronti� degli�imballaggi�a�perdere�recuperabili�prescrivendo�che�se�la�quota�a�livello� federale�degli�imballaggi�reimpiegabili�scende�la�di�sotto�del�72%�della�quota� stabilita�nel�1991,�viene�meno�la�possibilita�di�esecuzione�dell'obbligo�a�carico� del�venditore�di�ritiro�e�smaltimento�mediante�la�partecipazione�ad�un� sistema�di�restituzione�e�smaltimento�per�i�settori�delle�bibite�e�l'esenzione� dalla�cauzione�sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotate�.� Ilquesitonone��correttamenteformulato,inquantoda�perpresuppostoche� la�cessazione�dell'esonero�dal�pagamento�della�cauzione�a�garanzia�del�ritiro� dell'imballaggio�edelsuo�corretto�recupero�osmaltimento�costituiscastrumento� di�discriminazione�tra�tipi�diversi�di�imballaggi.�Tanto�appare�ilfrutto�di�una� non�corretta�interpretazione�dell'atto�normativo�di�recepimento�della�Direttiva.� Il�sistema�del�Regolamento�e��nel�senso�che�il�venditore�deve�ritirare�gratui- tamente�gli�incarti�di�vendita�usati�e�svuotati�dal�consumatorefinale�nel�luogo� dell'effettivaconsegnaonelle�immediatevicinanze,�equindiprocederealrecu- pero�dell'incarto�conformemente�alle�prescrizioni�elencate�nell'allegato�I� (par.�6,�artt.�1e2).�Lecondizioniprescritteperilrecuperopossonoesseresod- disfatte�anche�con�il�reimpiego.� L'obbligo�di�ritiro�e�di�recupero�non�sussistono�in�caso�di�imballaggiper�i� quali�ilproduttore�o�il�venditore�e��associato�a�un�sistema�che�si�estende�su�tutto� il�territorio�servito�dal�venditore�obbligato,�che�assicura�in�misura�sufficiente� un�regolare�ritiro�degli�imballaggi�di�venditapresso�il�consumatoreprivatofinale� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO onellesuevicinanzeecheintegrairequisitisoggettiviprescritti.�L'adesioneal� sistema�e�volontaria�e�non�obbligatoria.�Il�sistema�deve�essere�autorizzato�e� armonizzato�con�i�sistemi�di�raccolta�e�di�recupero�del�soggetto�di�diritto�pub- blico�incaricatodellosmaltimentodeirifiutinelcuiambito�territorialevieneisti- tuito�(par.�6,�art.�3).�L'autorizzazione�e�revocata�se�si�accerti�che�il�sistema� nonmantieneirequisitiorganizzativiedioperativita�prescritti.�(par.6,art.4).� I�venditori�che�pongono�in�commercio�alimenti�allo�stato�liquido�in�imbal- laggi�per�bibite�che�non�sono�reimpiegabili�sono�obbligati�a�imporre�ai�clienti� che�ritirano�presso�di�loro�le�dette�confezioni�una�cauzione�che�sara�restituita�al� momento�della�restituzione�dell'imballaggio�(par.�8,�art.�1).�Vi�e�esenzione�dal- l'obbligo�dicauzionese�ilvenditoreo�ilproduttorepartecipaadunsistemadi� ritiro�e�recupero.�L'esenzione�e�collegata�alla�operativita�del�sistema�di�raccolta� e�recupero,�per�il�che�nei�casi�in�cui�il��sistema��venga�revocato�per�sopravve- nuta�perdita�dei�requisiti�prescritti�dal�Regolamento�o�nel�caso�in�cui��nelcorso� diunannocivile,�laquotadellebevandeconfezionateinimballaggireimpiegabili� per�birra,�acqua�minerale�(...),�bevande�addizionate�con�anidride�carbonica,� succhi�difrutta�(...)�scenda�complessivamente�al�di�sotto�del�72%��di�quella� accertata�nel�1991�(par.�9,�art.�2).� I�ricorrenti�sostengono�che�la�direttiva�pone�una�pari�importanza�gerar- chica�tra�il��riutilizzo��degli�imballaggi�per�le�bevande�ed�il�loro��recupero�,� mentre�il�Regolamento�privilegia�il��riutilizzo��rispetto�al��recupero��impo- nendo�per�gli�imballaggi�a�perdere�recuperabili�una�cauzione�oltre�all'obbligo� del�ritiro�e�del�recupero�comune�a�tutti�i�tipi�di�imballaggi.� L'imposizione�della�cauzione�(per�sua�natura�temporanea)�non�e�discrimi- nante�in�quanto�strumentoperassicurare�ilcontenimento�delcarico�ambientale� dello�smaltimento�dei�rifiuti.�Invero,�mentre�per�gli�imballaggi�reimpiegabili� puo�fondatamente�farsi�affidamento�che�non�vengano�abbandonati�dal�vendi- tore-produttore,�che�ha�tutto�l'interesse�in�relazione�al�costo�dell'imballaggio�a� ritirarlo�dal�consumatore�finale�e�reimpiegarlo,�per�gli�imballaggi�a�perdere� recuperabili�puo�,�alcontrario,�supporsi�che�il�venditore-produttore�non�abbia� alcun�interesse�al�ritiro�e�al�recupero,�in�quanto�tali�operazioni�comportano�un� costo�aggiuntivo�conglobato�nel�prezzo�di�vendita,�che�diviene�una�sopravve- nienza�attiva�in�caso�di�violazione�dell'obbligo�di�ritiro�e�di�smaltimentoo�recu- perodelrifiuto�(etalee�perche�ilconsumatorefinale�vuoledisfarsi�dell'involu- cro�dopo�l'utilizzo).�In�tale�ultima�ipotesi�l'imposizione�della�cauzione�annulla� glieffettipositividellaviolazionedell'obbligo.�L'obbligodicorresponsionedella� cauzione�ed�il�diritto�alla�sua�restituzione�incide�anche�sul�comportamento�del� consumatorefinale,�inducendolo�a�non�disperdere�nell'ambiente�l'involucro�della� bibita�dopo�lo�svuotamento.� L'obbligo�di�ritiro�e�recupero�e�imposto�dalla�Direttiva�per�tutti�i�tipi�di� imballaggi�ed�e�imposto�indiscriminatamente�ai�venditori�e�produttori�dei�pro- dotti�imballati:�e�l'osservanza�dell'obbligo�assicura�il�conseguimento�delle�fina- lita�dellamedesima.�Laprescrizionecheabbiapereffettoutilel'osservanzadel- l'obbligoe�legittima.�Seuneffettodidiscriminazionetraglistrumentiprescritti� dallaDirettivaperconseguire�lafinalita�delcontenimento�dellaproduzionedi� imballaggiaifinidiprevenzioneambientalederivada�unadisposizione�chepre- IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�69 scriva�un�quantitativo�minimo�di�imballaggi�per�consentire�l'esonero�dalla�costi- tuzione�di�un�deposito�cauzionale�presso�il�venditore-produttore�al�momento� della�consegna�della�confezione,�questo�non�e�illegittimo,�in�quanto�si�puo�par- lare�di�discriminazione�solo�nelle�ipotesi�di�trattamento�diverso�per�situazioni� identiche.�Gli�imballaggi�reimpiegabili�e�gli�imballaggi�a�perdere�recuperabili� sono�ontologicamente�diversi�e�sono�sottoposti�ad�un�trattamento�normativo� diverso.� L'imballaggio�reimpiegabile�non�deve�necessariamente�essere�reimpiegato,� madevenecessariamente,�alparidell'imballaggio�aperdere�recuperabile,�essere� raccolto�e�recuperato.�Il�reimpiego�e�,�invero,�considerato�dal�Regolamento�alter- nativamente�rispetto�al�recupero.� Su�tali�premesse,�si�suggerisce�di�rispondere�al�quarto�quesito�dichiarando� che�l'articolo�1�della�direttivanon�e�diostacolo�adunanormativanazionale�che� prescriva�per�il�caso�di�utilizzo�di�imballaggi�a�perdere�recuperabili�la�presta- zione�di�una�cauzione�restituibile�al�momento�della�restituzione�dell'imballaggio� svuotato�e�che�subordini�la�sospensione�dell'obbligo�diprestazione�della�cauzione� alla�adesione�ad�un�sistema�di�raccolta�e�recupero�autorizzato�e,�in�ogni�caso,� alla�utilizzazione�nel�territorio�dello�Stato�membro�di�un�determinato�quantita- tivo�annuo�di�imballaggi�reimpiegabili.� 4.�^Il�secondo�quesito�posto�alla�Corte�e�del�seguente�tenore:� �Se�l'articolo�18�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio� 20�dicembre�1994,�n.�94/62,�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio,�debba� essere�interpretata�nel�senso�che�faccia�divieto�agli�Stati�membri�di�ostacolare� la�messa�in�circolazione�di�bibite�confezionate�in�imballaggi�a�perdere�pre- scrivendo�che�se�la�quota�a�livello�federale�di�imballaggi�reimpiegabili�scende� al�di�sotto�del�72%�della�quota�stabilita�nel�1991�viene�meno�la�possibilita�di� esenzione�dall'obbligo�di�ritiro,�di�smaltimento�partecipando�ad�un�sistema� di�restituzione�e�smaltimento�per�i�settori�delle�bibite�ed�imposto�l'obbligo� di�prestazione�di�una�cauzione�sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotati�. E�dapremettereche�tra�lefinalita�dellaDirettivavie�quelladellariduzione� dei�rifiuti�da�imballaggi�attraverso�la�riduzione�degli�imballaggi�(�secondo�con- siderando�).�Lamisurapiu�appropriataperottenereun�taleef ffettoe�quelladi� incentivare�la�produzione�e�l'uso�di�imballaggi��riutilizzabili�.�Il��riutilizzo��e� il��recupero��incidono�sul�carico�complessivo�di�rifiutiprodotti�dal�commercio� da�smaltire,�ma�in�misura�del�tutto�differenziata.�Il��riutilizzo��abbatte�nella� misura�in�cui�si�realizza�in�assoluto�lo�smaltimento,�in�quanto�riduce�ancheil� carico�di�rifiuti�prodotto�dal�recupero.�La�parita�tra��riutilizzo��e��recupero�� non�rileva,�dunque,�nemmeno�con�riferimento�allo�smaltimento:�questo�trova� conferma�esplicita�nell'ottavo��considerando��della�Direttiva,�laddove�si�legge:� �...�chevalutazionidelciclodivitadevonoessereportateatermineilpiu�presto� possibile�per�giustificare�una�precisa�gerarchia�tra�gli�imballaggi�riutilizzabili,� riciclabili�e�recuperabili''�da�leggere�in�parallelo�con�il�secondo��considerando�� (�...�il�modo�migliore�per�prevenire�la�creazione�dei�rifiuti�di�imballaggio�e� quello�di�ridurre�la�quantita�globale�di�imballaggi�).�A�sostegno�della�interpre- tazione,�si�puo�ulteriormente�argomentare�dal�nono�(�considerando�che�la�pre- venzione�deirifiuti�di�imballaggio�deve�essere�attuata�mediante�adeguate�misure,� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO comprese�le�iniziative�adottate�nell'ambito�degli�Stati�membri�conformemente� agli�obiettivi�della�presente�direttiva�)�e�decimo�(�considerando�che�gli�Stati� membripossonofavorire,�in�conformita��con�il�Trattato,�sistemi�di�reimpiego�di� imballaggi�che�possono�essere�reimpiegati�in�modo�ecologicamente�sano,�alfine� di�avvalersi�del�contributo�di�tali�sistemi�alla�tutela�ambientale�)��conside- rando��da�leggere�in�parallelo�con�la�disposizione�contenuta�nell'art.�176del� Trattato.�Sotto�questo�ultimo�profilo�manca�la�prova�che�la�cauzione�dovuta� sugli�involucri�non�riutilizzabili,�ma�recuperabili�incida�sulle�esportazioni�nella� Repubblica�Federale.�La�esenzione�collegata�alla�partecipazione�al��sistema�� non�e��significativa,�in�quanto�comporta�unicamente�una�partita�di�giro�che�non� incide�astrattamente�sulla�redditivita��delproduttore.� Ladisposizionecontenutanell'art.18dellaDirettiva,nonpuo��essereinter- pretatanelsenso�che�l'espressione��imballaggi�conformiallapresentedirettiva�� copra�non�solo�la�composizione�e�la�conformazione,�ma�anche�la�loro�qualita��in� relazione�allo�smaltimento.�La�direttiva�non�e��discriminante�sulpunto�della�riu- tilizzabilita��o�meno�dell'imballaggio,�mira�unicamente�al�contenimento�della� suaproduzioneinrelazioneallafinalita��dicontenereilcaricocomplessivodei� rifiuti�di�imballaggio�sull'ambiente,ponendo�un�limite�alla�adozione�diprovvedi- menti�per�una�protezione�ancora�maggiore�rispetto�a�quella�dei�provvedimenti� adottati�dalla�Comunita��ai�sensi�dell'art.�175�del�Trattato�per�il�conseguimento� degliobiettividellapoliticacomunitariainmateriaambientale,�unicamenteper� �garantire�ilfunzionamento�delmercato�interno�eprevenire�l'insorgere�diosta- coli�agli�scambi�nonche�distorsioni�e�restrizioni�alla�concorrenza�nella�Comu- nita����(primo��considerando�).�Se�la�imposizione�di�una��cauzione��non�e�� discriminatoria�degli�imballaggi�a�perdere�recuperabili,�in�quanto�ragionevol- mente�e��strumentale�a�permettere�la��ricuperabilita���dell'involucro�usato�e,� quindi,�la�realizzazione�delle�finalita��della�direttiva,�la�revoca�della�esenzione� connessa�allapartecipazione�adun��sistema�per�ilritiro�e�ilrecupero,�nonpiu�� autorizzato�in�presenza�dell'accertamento�della�mancata�realizzazione�del�quan- titativo�di�riferimento�di�imballaggi�riutilizzabili,�non�costituisce�un�elemento�di� discriminazione�che�incide�sul�corretto�funzionamento�del�mercato�interno.� Invero,�la�partecipazione�al��sistema��e��volontaria�e,�quindi,�la�scelta�dell'im- prenditore�che�utilizza�involucri�aperdere�e��gia��discriminante�nell'interno�della� categoria,�per�cui�illogicamente�si�oppone�la�sussistenza�di�una�discriminazione� (non�dimostrata)�nella�ipotesi�in�cui�venga�meno�per�fatti�oggettivi,�previsti� dalla�legge,�la�possibilita��di�una�scelta�imprenditoriale�(la�partecipazione�al� �sistema�)�che�gia��e��produttiva�di�discriminazione�nell'ambito�di�una�categoria� di�imprenditori.� Si�suggerisce,�pertanto,�di�rispondere�al�quesito�dichiarando�che�l'art.�18�e�� dainterpretarsinelsenso�chel'obbligo�imposto�agliStatimembrihariferimento� unicamente�agli�imballaggi�che�soddisfino�tutti�i�requisiti�essenziali�di�cui� all'art.�9,�compreso�l'allegato�II�(�Requisiti�essenziali�concernenti�la�composi- zione�e�la�riutilizzabilita��e�la�ricuperabilita��^in�particolare�la�riciclabilita��^degli� imballaggi�) della Direttiva. 5.�^Il�terzo�quesito�posto�alla�Corte�e��del�seguente�tenore:��Se l'art. 7 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�71 n.�94/62�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�al�produttore�e�al�venditore� di�bevande�confezionate�in�imballaggi�a�perdere�recuperabili�venga�assicurata� la�partecipazione�ad�un�sistema�di�ritiro�e�di�smaltimento�di�imballaggi�per� bibite�usati�gia�istituito.� La direttiva prescrive che vengano istituiti �sistemi� �affinche�venga�cos|� soddisfatto�un�obbligo�imposto�per�legge�di�imporre�cauzioni�sugli�imballaggi� per�bibite�a�perdere�e�di�restituire�gli�imballaggi�per�bibite�usati�.� La direttivaprescrive che vengano istituiti�sistemi ad�hoc� relativamente alle operazioni inerenti gli �imballaggi usati e/o dei rifiuti di imballaggio� anche se importati, e che tali �sistemi� siano aperti alla �partecipazione degli operatorieconomicideisettoriinteressatieallapartecipazionedelle competenti autorita� pubbliche, non che la partecipazione agli stessi sia obbligatoria e incon- dizionata. Il senso della disposizione e� che devono essere apprestati sistemi rela- tivo ai rifiuti che tengano conto della considerazione particolare prestata agli imballaggi usati e/o dei rifiuti di imballaggio. Tanto non e� strumentale all'inte- resse del produttore o venditore di prodotti contenuti in involucri, ma alla gestione degli involucri medesimi. Vi sarebbe, dunque, infrazione comunitaria unicamente nel caso in cui non venissero assicurati dal sistema nazionale rela- tivo ai rifiuti i risultati che la direttiva si prefigge. Questo non e� il caso della Repubblica Federale, per il che la revoca della sospensione dalla prestazione della cauzione sugli involucri �a perdere� recuperabili per bibite connessa alla inibizione di accedere all'apprestato �sistema ad�hoc� di iniziativa privata per dettirifiutinonpuo� essereritenutocontrarioallefinalita� delladirettiva,quali sono garantite dalla previsione normativa in esame. Si suggerisce, pertanto, di rispondere al quesito dichiarando che l'interpre- tazione dell'art. 7 della direttiva e� che la disposizione impone agli Stati membri digarantireunsistemadifferenziato ditrattamento del�rifiuto�da imballaggio rispetto a quello generale relativo ai �rifiuti�, aperto alla partecipazione degli operatori dei settori interessati, in quanto utilizzatori di imballaggi efinalizzato alla gestione dei rifiutipiu� appropriata e al reimpiego o recupero, incluso il rici- claggio degli imballaggi e/o dei rifiuti di imballaggio raccolti. (f.to avv. Mauri- zio Fiorilli)�.� Causa C-338/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Calendari di incontri sportivi ^Banca dati ^Tutela ^Direttiva�96/9/CE^Ordinanza�del�Hog- sta�Domstolen�di�Stoccolma�(Svezia)�del�10�settembre�2002�^Registrata� il�23�settembre�2002�(avv.�M.�Fiorilli).� IL FattO Il�calcio�professionistico�a�livello�di�divisioni�superiori�e�organizzato�in� Inghilterra�da�The F.A. Premier League Limited eda�The Football League Limited e�in�Scozia�da�The Scottish Football League. Prima�dell'inizio�di�ogni� stagione�calcistica�vengono�predisposti�i�calendari�degli�incontri�che�saranno� disputati�in�ciascuna�divisione�nel�corso�della�stagione.�I�dati�vengono�regi- strati�elettronicamente�e�sono�individualmente�accessibili.�I�calendari�degli� incontri�sono�presentati,�tra�l'altro,�in�opuscoli�stampati,�sia�in�ordine�crono- logico�sia�con�riferimento�ad�ogni�squadra�compresa�nelle�diverse�serie.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�Inghilterra�ogni�divisione�comprende�una�ventina�di�squadre.�Ogni� squadra�gioca�contro�ciascuna�delle�altre�squadre�due�volte.�Nel�corso�di� una�stagione�calcistica�sono�disputate�piu�di�2000�partite.�In�Scozia�le�divi- sioni�comprendono�un�numero�inferiore�di�squadre.�Queste�ultime�si�incon- trano�quattro�volte�per�stagione.�In�totale�vengono�disputate�circa�700�par- tite.�L'attivita�di�raccolta�dei�dati�che�saranno�contenuti�nei�calendari�degli� incontri�si�protrae�per�oltre�un�anno�prima�che�venga�decisa�la�versione�defi- nitiva�degli�stessi.� Gli�organizzatori�del�calcio�inglese�e�scozzese�hanno�designato�la�societa� scozzese�Football�Fixures�Lirnited�a�gestire�lo�sfruttamento�dei�calendari�degli� incontri,�tra�l'altro�attraverso�la�concessione�di�licenze.�La�Fixures�Marketing� Limited,�a�sua�volta,�e�titolare�di�un�diritto�contrattuale�di�rappresentanza� dei�titolari�dei�diritti�di�proprieta�intellettuale�sui�calendari�degli�incontri.� La�societa�AB�Svenska�Spel�gestisce�in�Svezia�alcuni�giochi�d'azzardo�in� cui�si�puo�scommettere�sui�risultati�di�partite�di�calcio,�tra�l'altro�del�campio- nato�di�calcio�inglese�e�scozzese.�Le�partite�dei�campionati�sono�riportate� su�schedine�nei�giochi�Stryktips�e�Maltips�e�in�un�programma�specifico�nel� gioco�Odds.� La�Fixtures�Marketing�Limited�afferma�che�le�due�banche�di�dati�^una� per�tutte�le�divisioni�in�Inghilterra�e�l'altra�per�tutte�le�divisioni�in�Scozia�c ontenenti�dati�su�cui�sono�basati�i�calendari�degli�incontri,�sono�tutelate�dal- l'art.�49�della�lag(1960:729)�omupphovsratttilllitteraraochkonstnarligaverk� ��� [legge�sul�diritto�d'autore�su�opere�letterarie�e�artistiche]�e�che�l'impiego�da� parte�della�AB�Svenska�Spel�di�dati�tratti�dai�calendari�degli�incontri�costitui- sce�una�violazione�dei�diritti�di�proprieta�intellettuale�di�cui�sono�titolari�le� societa�The�F.A.�Premier�League�Limited,�The�Football�League�Limited�e�The� Scottish�Football�League.� IQuesitI 1.�^Se,�per�valutare�se�una�banca�di�dati�sia�il�risultato�di�un��notevole� investimento��ai�sensi�dell'art.�7,�n.�1,�della�direttiva�del�Parlamento�europeo� e�del�Consiglio�11�marzo�1996,�96/9/CE,�relativa�alla�tutela�giuridica�delle� banche�di�dati�(direttiva�sulle�banche�di�dati)�debba�essere�preso�in�considera- zione�un�investimento,�compiuto�dal�costitutore�di�una�banca�di�dati�che� mira�principalmente�alla�costituzione�di�qualcosa�che�e�autonomo�rispetto� alla�banca�di�dati�e�che�di�conseguenza�non�riguarda�esclusivamente�il��con- seguimento,�la�verifica�e�la�presentazione��del�contenuto�di�una�banca�di� dati.�Se,�in�tal�caso,�abbia�una�qualche�importanza,�il�fatto�che�l'investimento� o�parti�di�esso�costituiscano�cio�nondimeno�un�presupposto�della�banca�di� dati.� 2.�^Se�una�banca�di�dati�goda�della�tutela�della�direttiva�sulle�banche� di�dati�esclusivamente�per�attivita�che�rientrano�nello�scopo�che�il�costitutore� della�banca�di�dati�voleva�conseguire�con�la�costituzione�della�stessa.� 3.�^Che�cosa�si�intenda�con�la�nozione�di��parte�sostanziale�del�conte- nuto�[di�una�banca�di�dati]�valutata�in�termini�qualitativi�o�quantitativi�di� cui�all'art.�7,�n.�1?� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�73 4.�^Se�la�tutela�della�direttiva�ai�sensi�dell'art.�1,�n.�1�e�dell'art.�7,�n.�5,� contro�l'�estrazione�e/o�reimpiego��del�contenuto�di�una�banca�dati�sia�limi- tata�a�quegli�impieghi�che�implicano�uno�sfruttamento�diretto�della�banca� di�dati�oppure�se�la�tutela�riguardi�anche�una�forma�di�impiego�in�cui�il�con- tenuto�si�trova�in�un'altra�fonte�(fonte�secondaria)�oppure�e�reso�accessibile� al�pubblico.� 5.�^Come�debbano�essere�interpretare�le�nozioni�di��normale� gestione�,�di��pregiudizio�ingiustificato��di�cui�all'art.�7,�n.�5.� NotA Circa�la�normativa�applicabile�occorre�riferirsi�alla�legge�sul�diritto�di� autore,�che�accorda,�all'articolo�49,�una�tutela�specifica�alle�raccolte�di�dati�che� siano�quantitativamente�significanti�(comprendano�cioe�un�gran�numero�di�dati)� o�che�abbiano�richiesto�un�notevole�investimento.�La�tutela�si�sostanzia�nell'at- tribuire�all'autore�un�diritto�esclusivo�di�riprodurre�esemplari�del�lavoro�e�di�dif- fonderli�in�pubblico.� La�disposizione�in�parola�risulta�il�frutto�delle�modifiche�intervenute�nel� 1998per�adeguare�la�normativa�alla�direttiva�dell'11�marzo�1996,�96/9/CE,ed� e�percio�alla�luce�di�quest'ultima�che�essa�va�interpretata.� La�direttiva�dell'11�marzo�1996,�adottata�in�materia�di�diritto�di�autore,� riguarda�nello�specifico�le�banche�dati.�Essa�tutela�tutte�le�banche�dati,�qualun- que�ne�sia�la�forma,�che�per�la�scelta�o�la�disposizione�del�materiale�costitui- scono�una�creazionedell'ingegnopropria�delloro�autore.� La�direttiva�attribuisce�al�costitutore�di�una�banca-dati�un�diritto�sui�gene- ris�^a�prescindere�dalla�tutelabilita�della�banca�stessa�o�del�suo�contenuto�a� titolo�del�diritto�autore�^che�si�sostanzia�nel��vietare�operazioni�di�estrazione� o�reimpiego�della�totalita�o�di�parte�sostanziale�del�contenuto,�valutata�in�ter- mini�quantitativi�o�qualitativi,�qualora�il�conseguimento,�la�verifica�e�la�pre- sentazione�dello�stesso�attestino�un�investimento�rilevante�sotto�il�profilo� quantitativo�o�qualitativo�.� Tale�diritto�speciale�si�atteggia�quale�diritto�esclusivo,�paragonabile�ad�una� forma�di�monopolio�legale�simile�a�quello�costituito�con�il�brevetto�dell'inven- zione.E�infacolta�deltitolaretrasferirlo,�cederlooconcederelicenzarelativa- mente�allo�stesso.� Appare�chiara�la�voluntas�legis�sottesa�alla�menzionata�previsione,�consi- stentenelcontemperare,�daunlato,�l'interessedeiproduttoridibanchedatiad� essere�tutelati�dalla�estrazione�di�copie�e,�dall'altro,�l'interesse�degli�utilizzatori� ad�avere�accesso�ad�adeguate�infrastrutture�di�informazione�globale.� Se�quindi�si�consente�il�libero�accesso�alpubblico,�contestualmente�sipreci- sano�ilimitidellostesso�edinparticolaresivietano�l'estrazionee/o�ilreimpiego� ripetuti�e�sistematici�diparti�sostanziali�del�contenuto�di�una�banca�di�dati,�non- che�(art.�7�n.�5�della�direttiva)��di�parti�non�sostanziali�che�presuppongano� operazioni�contrarie�alla�normale�gestione�della�banca-dati�o�arrechino�un� pregiudizio�ingiustificato�agli�interessi�legittimi�del�costitutore�.� Iproblemi�interpretativi�sollevati�dalla�normativa�concernono�rispettiva- mente�la�definizione�di��notevole�investimento�,��parte�sostanziale�,�di��nor- male�gestione��e�di��pregiudizio�ingiustificato�.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Con�riguardo�al�primo�problema�interpretativo,�in�assenza�di�una�apposita� esplicitazione�normativa,�non�e�dato�ritenere�che�il��notevole�investimento��di�cui� sifa�menzioneall'articolo�7della�direttiva�sulle�banchedidati,�richieda�unafinaliz- zazionespecifica,�eche,pertanto,�essopossaesserefinalizzato�tanto�alconsegui- mento,�alla�verifica�e�alla�presentazione�del�contenuto�della�banca,�quanto�alla� costituzione�di�qualcosa�che�e�autonomo�rispetto�alla�banca�stessa�e�che�nellafatti- specie�risulta�consistere�nell'elaborazione�dei�calendari�degli�incontri�di�calcio.� In�ordine�alla�seconda�questione,�atteso�che�per�valutare�se�l'utilizzo�della� banca�dati�investa�una��parte�sostanziale��della�stessa�occorrono�parametri�sia� di�tipo�quantitativo�che�qualitativo,�si�ritiene�che�si�ricada�nell'ambito�del�dispo- sto�normativo�non�soltanto�quando�i�dati�utilizzati�siano�quantitativamente� significanti�rispetto�alla�totalita�di�quelli�raccolti,�ma�altres|�quando�si�sfrutti� da�un�punto�di�vista�qualitativo�l'elaborazione�che�e�alla�base�della�raccolta.� Nel�caso�di�specie�non�soltanto�sembra�integrato�ilprimo�requisito,�vista�la� consistente�percentuale�dei�dati�utilizzati,�ma�viene�altres|�sfruttata�l'elabora- zione�dei�calendari�degli�incontri�calcistici,�che�ha�comportato�un�lavoroe�un� investimentopecuniario�notevole.� Nellafattispecie�che�ha�dato�luogo�alle�questioni�in�esame,�la�societa�sve- dese�non�sembra�procedere�ad�uno�sfruttamento�una�tantum�di una parte sostanziale della banca-dati, pur tuttavia, reiterando nel tempo l'utilizzo di parti non sostanziali finisce per raggiungere il medesimo risultato. Sembra�pertanto�corretta�l'impostazione�fornita�dal�progetto�di�legge�sul� diritto�di�autore�laddove�lo�stesso,�nell'adeguarsi�alla�direttiva,�assimila�l'impiego� reiterato�dipartidiperse�nonsostanzialidiun'opera�all'impiego�diunaparte� sostanziale�della�stessa.�Non�basta�evidentementefrazionare�nel�tempo�le�opera- zionidiestrazionee�reimpiegoperritenersiesclusidallasferadiapplicazionedella� normativa�di�tutela.�L'intento�esclusivo�sarebbe�palese�e�pertanto�non�avallabile.� L'organizzazione�ad�opera�di�soggetti�diversi�dal�costitutore�della�banca� dati�(unico�titolare�del�diritto�esclusivo)�di�una�attivita�lucrativa�che�si�avvalga,� presupponendola,�dell'elaborazione�dei�dati�contenuta�nella�banca,�difficilmente� puo�essere�fatta�rientrare�nella��normale�gestione��della�stessa,�ed�inevitabil- mente�reca�un��pregiudizio�ingiustificato�,�ovvero�non�giustificato�mediante�cor- responsione�di�un�equo�compenso�dovuto�in�ragione�dello�sfruttamento.� Quanto�all'incidenza�delfattore��scopo�,�non�sembrapotersi�correttamente� ritenerecheladirettiva,�cos|�comelaleggesuldirittodiautore,�apprestinounatutela� in�considerazione�dello�scopo�per�il�quale�si�realizza�la�banca-dati:�i�due�requisiti� richiestiaifinidella�tutela,�consistentinella�raccolta�diun�gran�numero�didatio�nel- l'effettuazione�di�un�notevole�investimento,�sono�indicativi�di�una�precisa�volonta� legislativadivolerproteggererispettivamenteillavoro�(impiegodienergiefisichee� mentali)�e�l'impegno�pecuniario�che�sono�investiti�nell'elaborazione�di�una�banca- dati,�qualunquesialoscopo�contingenteperilqualesiprocedeallastessa.� E�percio�da�ritenere�che�ulteriori�e�diversi�reimpieghi�che�altri�vogliano� porre�in�essere�non�possano�avvenire�in�assenza�di�apposita�licenza�concessa� dal�costitutore�della�banca-dati,�a�meno�di�non�voler�veder�sostanzialmente�svuo- tato�il�diritto�sui�generis�ad esso accordato dalla direttiva. Per�lo�stesso�ordine�di�motivi,�infine,�a�nulla�rileva�che�i�dati�siano�stati� ricavatidafontidiverse,�allorche�,�comenelcasodispecie,�lafonteoriginariao� comunque�lafonteprincipalee�costituita�dallabanca�dati�de qua. IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�75 Causa�C�^372/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Prestazioni�di�disoc- cupazione�^Servizio�militare�obbligatorio�svolto�in�Paese�d'origine�^Equi- parazione�ad�attivita�lavorativa�in�Paese�di�residenza�^Regolamento� n.�1408/1971/CEE�^Ordinanza�del��Bundessozialgericht��(Germania)� emessa�il�15�agosto�2002�e�notificata�il�14�gennaio�2003�(cons.746/03,� avv.�A.�Cingolo).� IL fattO L'attore,�cittadino�spagnolo�residente�fin�dalla�nascita�in�Germania,� dove�abitualmente�lavorava,�dopo�avere�assolto�in�Spagna�il�servizio�militare� di�leva,�rientrava�in�Germania�chiedendo�le�prestazioni�di�disoccupazione� del�sistema�tedesco,�essendosi�iscritto�nelle�liste�di�collocamento�locali�per�la� ricerca�di�un�nuovo�lavoro.� L'Ente�federale�competente,�convenuto�e�ricorrente�per�riesame,�aveva� rifiutato�le�prestazioni�suddette�per�difetto�dei�requisiti,�sia�ai�sensi�delle�leggi� tedesche�che�del�diritto�comunitario.� Le�legislazioni�di�ciascuno�Stato�membro�prevedono�condizioni�partico- lari�per�l'accesso�alle�prestazioni�nazionali�di�disoccupazione�involontaria� dei�lavoratori�dipendenti.�La�regolamentazione�comunitaria�di�sicurezza� sociale,�a�sua�volta,�stabilisce�regole�di�ordine�generale�e�particolari�regole� di�coordinamento�di�tali�legislazioni.� IquesitI 1.�^A�quale�legislazione�debba�essere�soggetta�una�persona�che,�succes- sivamente�all'espletamento�del�servizio�militare�obbligatorio�in�Spagna,�rien- tri�in�Germania�e�chieda�prestazioni�al�sistema�tedesco�di�assicurazione�con- tro�la�disoccupazione;� 2.�^Se�il�servizio�militare�obbligatorio�assolto�in�Spagna�sia�equipara- bile,�ai�fini�del�diritto�a�dette�prestazioni,�all'ultima�occupazione�svolta�nel� territorio�di�altro�Stato�membro�ai�sensi�del�regolamento�comunitario� n.�1408/1971;� 3.�^Se�l'ultima�occupazione�svolta�nel�territorio�di�altro�Stato�membro� debba�essere�presa�in�considerazione�e�a�quali�condizioni,�sempre�al�fine�di� stabilire�il�diritto�a�dette�prestazioni�di�disoccupazione.� Causa�C-377/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Banane�^Organizza- zione�comune�del�mercato�^Contingente�di�importazione�^Regolamenti� nn.�404/1993/CEE,�1637/1998/CE,�2362/1998/CE,�2806/1998/CE,� 102/1999/CE�^Artt.�I�e�XIII�dell'Accordo�GATT�(1994)�^Ordinanza� del�Raad�Van�State,�Afdeling�Administratie�(Belgio)�emessa�il�7�ottobre� 1999�^Iscritta�il�21�ottobre�2002.�(cons.�3270/03,�avv.�M.�Fiorilli).� IL fattO I�ricorsi�sono�diretti�contro�decisioni�con�cui�sono�stati�negati�alla�ricor- rente�titoli�d'importazione�per�un�diverso�trimestre�del�1999.�La�ricorrente� in�entrambe�le�cause�fonda�l'illegittimita�delle�decisioni�impugnate�sull'invali- RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� dita�dei�regolamenti�europei�che�disciplinano�l'importazione�di�banane�nella� Comunita�europea.�Le�parti�invocano�nella�presente�fattispecie�le�seguenti� disposizioni�di�diritto�internazionale:� ^l'Accordo�generale�sulle�tariffe�e�il�commercio�15�aprile�1994�(abbre- viato�GATT�1994),�che�costituisce�l'allegato�1A�dell'Accordo�che�istituisce� l'Organizzazione�mondiale�del�commercio�(OMC)�sottoscritto�a�Marrakech� il�15�aprile�1994�e�approvato�con�legge�23�dicembre�1994,�costituito,�tra�l'al- tro,�dall'Accordo�generale�sulle�tariffe�doganali�e�sul�commercio�30�ottobre� 1947�(abbreviato�in�GATT),�i�cui�art.�I�e�XIII,�sono�del�seguente�tenore:� ^Articolo�1� �Trattamento�generale�della�nazionepiu�favorita.� 1.�Tutti�i�vantaggi,�benefici,�privilegi�o�immunita�accordati�da�una�parte� contraente�ad�un�prodotto�originario�di�o�destinato�a�qualsiasi�altro�paese� saranno�immediatamente�e�senza�condizioni,�estesi�a�tutti�i�prodotti�similari� originali�del�o�destinati�al�territorio�di�tutte�le�altre�parti�contraenti.�Questa� disposizione�riguarda�i�dazi�doganali�e�le�imposizioni�di�qualsiasi�genereche� colpiscono�le�importazioni�o�le�esportazioni,�o�che�sono�percepiti�in�occa- sione�di�importazioni�o�di�esportazioni,�cos|�come�quelli�che�colpiscono�i�tra- sferimenti�internazionali�di�fondi�effettuati�in�regolamento�delle�importazioni� o�delle�esportazioni,�nonche�,�per�cio�che�concerne�il�modo�di�percezione�di� tali�dazi�ed�imposizioni,�l'insieme�della�regolamentazione�e�delle�formalita� afferenti�alle�importazioni�o�alle�esportazioni,�come�pure�tutte�le�questioni� oggetto�dei�paragrafi�2�e�4�dell'art.�III.� 2�(...)> ^Articolo�XIII �Applicazione�non�discriminatoria�delle�restrizioni�quantitative.� 1.�Nessun�divieto�o�restrizione�sara�applicato�da�una�parte�contraente� all'importazione�del�prodotto�originario�del�territorio�di�un'altra�parte�con- traente�(...)�a�meno�che�divieti�o�restrizioni�simili�non�siano�applicati�all'im- portazione�del�prodotto�similare�originario�da�qualsiasi�paese�terzo�(...).� 2.�Nell'applicazione�delle�restrizioni�all'importazione�di�un�prodotto� qualsiasi,�le�parti�contraenti�si�sforzeranno�di�pervenire�ad�una�ripartizione� del�commercio�di�tale�prodotto�che�si�avvicini�nella�massima�misura�possibile� a�quella�che,�in�assenza�di�restrizioni,�le�diverse�parti�contraenti�avrebbero�il� diritto�di�attendersi�ed�osserveranno�a�tal�fine�le�seguenti�disposizioni:� a)�ogniqualvolta�sara�possibile,�saranno�stabiliti�dei�contingenti�che� rappresentino�l'ammontare�totale�delle�importazioni�autorizzate�(suddivise�o� meno�tra�i�paesi�fornitori)�e�tale�ammontare�sara�pubblicato�conformemente� alla�lettera�b)�del�paragrafo�3�del�presente�articolo;� b)�quando�non�sara�possibile�stabilire�dei�contingenti�globali,�le�restri- zioni�potranno�essere�applicate�mediante�licenze�o�permessi�di�importazione� senza�contingente�globale;� c)�a�meno�che�non�si�tratti�di�mettere�in�opera�i�contingenti�ripartiti� conformemente�alla�lettera�d)�del�presente�paragrafo,�le�parti�contraenti� non�stabiliranno�l'utilizzo�di�licenze�o�permessi�d'importazione�per�l'importa- zione�del�prodotto�considerato�proveniente�da�una�fonte�di�rifornimento�o� da�un�paese�determinato;� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�77 d) qualora�un�contingente�venga�suddiviso�tra�i�paesi�fornitori,�la� parte�contraente�che�applica�le�restrizioni�potra�accordarsi�circa�la�riparti- zione�del�contingente�con�qualsiasi�altra�parte�contraente�che�abbia�un�inte- resse�sostanziale�alla�fornitura�del�prodotto�considerato.�Laddove�non�fosse� effettivamente�possibile�applicare�tale�metodo,�la�parte�contraente�in�que- stione�attribuira�alle�parti�contraenti�che�abbiano�un�interesse�sostanziale� alla�fornitura�del�prodotto,�delle�quote�in�proporzione�al�contributo�appor- tato�da�dette�parti�contraenti�al�volume�totale�od�al�valore�totale�delle�impor- tazioni�del�prodotto�in�questione�nel�corso�di�un�periodo�di�riferimento�pre- cedente,�tenuto�debitamente�conto�di�tutti�i�fattori�speciali�che�hanno�potuto� o�possono�influenzare�il�commercio�di�tale�prodotto.� 3.e4.�(omissis) 5.�Le�disposizioni�di�questo�articolo�non�saranno�applicate�a�qualsiasi� quota�tariffaria�istituita�o�mantenuta�in�vigore�da�una�qualsiasi�parte�con- traente�(...)�.� ^Accordo�quadro�di�cooperazione�tra�la�Comunita�economica�europea� e�l'accordo�di�Cartagena�e�i�suoi�paesi�membri,�la�Repubblica�della�Bolivia,� la�Repubblica�della�Colombia,�la�Repubblica�dell'Ecuador,�la�Repubblica� del�Peru�e�la�Repubblica�del�Venezuela,�firmato�il�23�aprile�1993�a�Copena- ghen,�il�cui�art.�a�e�del�seguente�tenore:� �Nelle�loro�relazioni�commerciali,�le�parti�contraenti�si�concedono�il� trattamento�della�nazione�piu�favorita,�in�conformita�delle�disposizioni�del- l'accordo�generale�sulle�tariffe�doganali�e�sul�commercio�(GATT).�Le�due� parti�ribadiscono�inoltre�la�loro�volonta�di�effettuare�gli�scambi�commerciali� conformemente�a�detto�accordo�.� IquesitI 1.�^Se�il�regolamento�(CEE)�del�Consiglio�13�febbraio�1993,�n.�404,� relativo�all'organizzazione�comune�dei�mercati�nel�settore�della�banana,�come� modificato�dal�regolamento�(CE)�del�Consiglio�20�luglio�1998,�n.�1637,�il� regolamento�(CE)�della�Commissione�28�ottobre�1998,�n.�2362,�recante� modalita�d'applicazione�del�regolamento�(CEE)�n.�404/1993�del�Consiglio,� con�riguardo�al�regime�d'importazione�delle�banane�nella�Comunita�,�il�rego- lamento�(CE)�della�Commissione�del�23�dicembre�1998,�n.�2806,�relativo�al� rilascio�dei�titoli�d'importazione�per�le�banane�nel�quadro�dei�contingenti� tariffari�e�delle�banane�tradizionali�ACP�per�il�primo�trimestre�del�1999�e�alla� presentazione�di�nuove�domande,�il�regolamento�(CE)�della�Commissione� 15�gennaio�1999,�n.�102,�relativo�al�rilascio�di�titoli�d'importazione�di�banane� nel�quadro�dei�contingenti�tariffari�e�delle�banane�ACP�tradizionali�per�il� primo�trimestre�del�1999�(secondo�periodo)�e�il�regolamento�(CE)� n.�608/1999�della�Commissione�del�19�marzo�1999�relativo�al�rilascio�dei� titoli�d'importazione�di�banane�nel�quadro�dei�contingenti�tariffari�e�delle� banane�ACP�tradizionali�per�il�secondo�trimestre�del�1999�e�alla�presenta- zione�di�nuove�domande,�violano�gli�artt.�I,�XIII,�nn.�1�e�2,�lett.�d),�del� GATT�1994,�letti�separatamente�o�in�combinato�disposto,�in�quanto�essi:� ^istituiscono�a�favore�di�dodici�paesi�nominati�nell'allegato�del�regola- mento�n.�1637/1998,�un�contingente�comune�per�un�massimo�di�857.700�kg� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� di�banane�(�banane�ACP�tradizionali�)�e,�in�subordine,�in�quanto�tale�con- tingente,�nei�limiti�in�cui�e�inteso�nel�sistema�attuato�dal�regolamento� n.�1637/1998�nel�quale�l'importazione�di�banane�viene�disciplinata�solo�in� base�al�contingente�tariffario,�non�e�conforme�ad�una�ripartizione�che�si�avvi- cina�al�commercio�senza�restrizioni:� ^costituiscono�un�contingente�tariffario�per�un�quantitativo�totale�di� 2.535.000�tonnellate�per�gli�stati�terzi�e�per�le�banane�ACP�non�tradizio- nali�e�successivamente�ripartiscono�percentualmente�tale�contingente� tariffario�in�base�ad�un�periodo�non�rappresentativo,�considerato�che�il� commercio�di�banane�negli�anni�1994^1996�era�gia�assoggettato�a�talune� condizioni�limitative;� 2.�^Se�i�regolamenti�menzionati�supra,�al�n.�1,�violino�l'art.�4�dell'Ac- cordo�quadro�23�aprile�1993�tra�la�Comunita�economica�europea�e�l'accordo� di�Cartagena�e�i�suoi�paesi�membri,�in�quanto�con�tale�disposizione�la�Comu- nita�europea�si�e�impegnata�a�far�regolare�le�sue�relazioni�con�l'Ecuador�dalle� disposizioni�del�GATT�e�a�riconoscere�a�tale�paese�il�trattamento�di�nazione� piu�favorita;� 3.�^Se�i�regolamenti�della�Comunita�menzionati�supra,�al�n.�1,�violino�il� principio�del�legittimo�affidamento�e�il�principio�di�buona�fede�nel�diritto� pubblico�internazionale�e�nel�diritto�consuetudinario�internazionale,�in� quanto�la�Commissione�non�ottempera�agli�obblighi�derivanti�alla�Comunita� dal�GATT�1994,�in�quanto�la�Commissione�ha�abusato�di�procedure�giuridi- che�e�non�tiene�conto�della�pronuncia�di�un�organo�internazionale�di�conci- liazione�e�in�quanto�essa,�nonostante�le�dichiarazioni�rilasciate�all'atto�dell'a- dozione�del�regolamento�n.�1637/1998,�non�ha�elaborato�un�regime�in�cui�le� licenze�d'importazione�sono�concesse�ai��veri�importatori�.� ^Se�la�Commissione�abbia�ecceduto�le�competenze�attribuitele�dal�rego- lamento�del�Consiglio�n.�404/1990,�modificato�dal�regolamento� n.�1637/1998,�stabilendo�un�contingente�tariffario�per�l'importazione�di� banane�senza�tener�conto�degli�obblighi�che�derivano�alla�Comunita�dal� GATT�1994�e�dal�GATS,�o�che�devono�essere,�eventualmente,�considerati� una�norma�giuridica�positiva�integrata�nel�diritto�comunitario�in�conse- guenza�dell'intenzione�manifestata�di�adeguare�ai�vigenti�accordi�O.M.C.il� regime�per�l'importazione�delle�banane.� Le�norme�dell'O.M.C.�non�hanno�effetto�diretto�nell'ordinamento�giuri- dico�comunitario�e,�pertanto,�non�possono�essere�invocate�dai�singoli.�Da� una�giurisprudenza�costante�risulta�che�le�disposizioni�del�GATT�del�1947� erano�sprovviste�di�carattere�incondizionato�e�che�non�si�poteva�riconoscere� loro�il�valore�di�norme�di�diritto�internazionale�direttamente�applicabili�negli� ordinamenti�giuridici�interni�dei�contraenti�(v.�sentenza�della�Corte�5�ottobre� 1994,�causa�C-280/1993,�Germania/Consiglio.�Tale�giurisprudenza�potrebbe� essere�applicata�anche�all'Accordo�O.M.C.�e�ai�suoi�allegati�giacche�tali�testi� presentano�le�stesse�particolarita�che�hanno�indotto�a�negare�l'effetto�diretto� alle�disposizioni�del�GATT�del�1947.� In�ogni�caso,�cos|�come�si�legge�nel�dispositivo�della�citata�sentenza� C-280/1993:��Leparticolarita�dell'Accordo�generalesulle�tariffe�doganalie�sul� commercio,�chesicaratterizzaperunagrandeflessibilita�dellesuedisposizioni,� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�79 in�particolare�di�quelle�che�riguardano�le�possibilita�di�deroga,�i�provvedimenti� che�possono�essere�presi�in�presenza�di�difficolta�eccezionali�e�la�composizione� di�controversie�tra�i�contraenti�(...)�mostrano�che�le�norme�dell'Accordo�generale� sono�sprovviste�di�carattere�incondizionato�e�che�l'obbligo�di�riconoscere�loro�il� valore�di�norme�di�diritto�internazionale�direttamente�applicabili�negli�ordina- mentigiuridiciinternideicontraentinonpuo�esserefondatosullospirito,�sulla� struttura�o�sulla�lettera�dell'Accordo.�In�assenza�di�un�siffatto�obbligo�derivante� dall'Accordo�stesso,�solo�nell'ipotesi�in�cui�la�Comunita�abbia�inteso�dare�esecu- zione�adun�obbligoparticolare�assunto�nell'ambito�del�GATTo�in�quella�in�cui� l'atto�comunitario�rinvii�espressamente�a�precise�disposizioni�dell'Accordo�gene- rale�la�Corte�e�tenuta�a�controllare�la�legittimita�dell'atto�comunitario�di�cui� trattasi�alla�luce�delle�norme�del�GATT�.�(v.�sentenze�22�giugno�1989,�causa� 70/1987,�Fediol,�e�7�maggio�1991,�causa�C-69/1989,�Nakajima/Consiglio).� Causa C-381/02 (domanda pregiudiziale) ^Agricoltura ^Organizzazione comune dei mercati ortofrutticoli ^Fiera biologica ^Organizzazioni di produttori ^Imposizioni di contributi a produttori non aderenti ^Regola- menti�n.�72/1035�CEE�e�n.�83/3284/CEE�^Ordinanza�della�Cour�d'Ap- pel�de�Caen�^Sezioni�Riunite�del�17�ottobre�2002�(cons.�643/03,�avv.� M.�Fiorilli).� IL fattO La�causa�riguarda�il�pagamento�dei�contributi�alle�organizzazioni�agri- cole�da�parte�di�produttori�non�aderenti�che�operano�nel�mercato�biologico.� Nella�fattispecie�il�ricorrente,�un'organizzazione�di�produttori�francese,�agisce� in�giudizio�contro�due�produttori�di�ortaggi�provenienti�dall'agricoltura�bio- logica�per�il�pagamento�dei�contributi�relativi�alla�produzione�di�cavolfiori� degli�anni�1992-1993.�Il�Tribunale�di�primo�grado�di�Morlaix�respinge�le� richieste�del�ricorrente,�ma�la�Corte�d'Appello�di�Rennes,�annullando�tale� decisione,�condanna�i�convenuti�al�pagamento�dei�contributi�maggiorati�del� tasso�di�interesse.� IL quesitO Se�uno�Stato�membro�puo�,�senza�violare�il�principio�di�non�discrimina- zione,�applicare�le�disposizioni�dell'art.�15�ter,�nn.�1�e�8�del�regolamento� (CEE)�del�Consiglio�18�maggio�1972,�n.�1035,�rendendo�talune�norme�sulla� produzione�e�sulla�commercializzazione�obbligatorie�per�i�produttori�stabiliti� nella�circoscrizione�di�un�Comitato�economico�e�non�aderenti�a�quest'ultimo,� ed�assoggettandoli�al�pagamento�di�tutti�o�parte�dei�contributi�versati�dai� produttori�aderenti,�senza�distinguere�a�seconda�che�detti�produttori�non� aderenti�partecipino�o�meno�ad�una�filiera�regolamentata�a�norma�di�legge� che,�quale�la�filiera�biologica,�renderebbe�l'attivita�del�Comitato�economico,� per�quanto�li�riguarda,�priva�d'interesse,�o�di�interesse�soltanto�occasionale� e�marginale.� NotA Icomitati�economici,�riconosciuti�dal�Ministero�dell'Agricolturafrancese,� hanno�come�obiettivo�l'armonizzazione�nell'ambito�di�una�determinata�regione� e�per�un�medesimo�settore�produttivo�delle�regole�stabilite�dalle�associazioni�di� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO produttori.|Essi|hanno|ilpotere|di|emanare|norme|vincolantiper|le|organizza- zioni|che|ne|sono|membri|e|per|i|loro|aderenti|e|sono|autorizzati,|da|un|lato,|al| prelievo,|nei|confronti|dei|membri,|di|un|diritto|di|iscrizione|e|dall'altro|a|chie- dere|aipropri|aderenti|diversi|contributialfine|di|assicurare|ilpropriofunziona- mento,|il|sostegno|dei|mercati|e|le|azioni|di|interesse|generale.| Il|regolamento|18|maggio|1972,|n.|1035,|riguardante|l'organizzazione| comune|dei|mercati|nel|settore|degli|ortofrutticoli,|cos|�|come|modificato|e|com- pletatodalregolamento|(CEE)delConsiglio14novembre1983,n.|3284,stabili- sce,|all'art.|15|ter,|che|gli|Stati|membri|possono,|a|talune|condizioni,|estendere| all'insieme|deiproduttorinon|aderentistabiliti|in|una|circoscrizione|economica| determinata|talune|norme,|quali|le|disposizioni|in|materia|di|ritiro|dal|mercato,| di|conoscenza|della|produzione,|di|produzione|e|di|commercializzazione,|adot- tateper|i|suoimembri|da|un'organizzazione|diproduttori|considerata|rappresen- tativa|della|produzione|e|dei|produttori|di|questa|circoscrizione.|Il|n.|8|di|tale| articoloprevedeche,perquantoriguardal'applicazionedelparagrafo1,loStato| membro|interessato|puo�|decidere|che|i|produttori|non|aderenti|sono|debitori| verso|l'organizzazione|o,|all'occorrenza,|verso|l'associazione,|del|totale|o|di|una| parte|delle|quote|versate|daiproduttori|aderenti,|nella|misura|in|cui|queste|siano| destinate|a|coprire.| Il|regolamento|del|Consiglio|(CEE)|14|novembre|1983,|n.|3285,fissa,|inol- tre,|le|norme|generali|relative|all'estensione,|elencando|le|condizioni|preliminari| e|le|regolesuscettibilidiessereesteseaiproduttorinonaderenti.| Investita|diuna|domandapregiudiziale,|nell'ambito|diuna|distinta|contro- versia|tra|lo|stesso|ricorrente|ed|un|diverso|convenuto,|la|Corte|di|giustizia|ha| dichiarato|(sentenza|13|luglio|2000,|UNILET|e|CERAFEL,|causa| C-117/1999),|che|l'art.|15|ter n.|8,|del|regolamento|1035/1972/CEE,|deve|essere| interpretato|nel|senso|che,|qualora|uno|Stato|membro|che|abbia|applicato|il| n.|1|di|questa|norma|rendendo|talune|norme|di|produzione|e|di|commercializza- zione|emanate|da|un'organizzazione|di|produttori,|obbligatorie|per|produttori| stabiliti|nella|circoscrizione|e|non|aderenti|a|tale|organizzazione,|essoha|il| diritto,perunmedesimoprodotto,|dinonassoggettare|taluniditaliproduttori| non|aderenti|all'obbligo|di|versare|contributi,|ove|la|loro|produzione|non|sia| destinata|al|mercato|del|prodotto|fresco,|ma|alla|trasformazione|industriale.| Perlesueconcretepeculiarita�,l'agricolturabiologicae�|soggettaaregoledi| produzione|e|commercializzazione|specifiche.|L'attivita�|del|ricorrente|non|e�| rivolta|agli|agricoltori|che|partecipano|alla|filiera|biologica,|anche|seessipos- sono|beneficiare,|occasionalmente|e|marginalmente,|delle|sue|azioni.|Le|norme| emanate|dal|ricorrente|hanno,|sostanzialmente,|il|fine|di|sostenere|il|mercato,| fortemente|eccedentario,|dei|prodotti|derivanti|dall'agricoltura|convenzionale.| Alcontrario,ilmercatodeiprodottiderivantidall'agricolturabiologicae�|defici- tarioe,|diconseguenza,|iproduttorichehannosceltoilmetododiproduzione| biologico|non|beneficiano|delle|iniziative|condotte|dal|ricorrente|relativamente| al|sostegno|dei|mercati,|alle|modalita�|d'intervento|e|all'applicazione|del|prezzo| diritiro.|Iconvenuti,pertanto,|sostengono|che|imporre|loro|unobbligo|dicontri- buzione|nei|confronti|dell'ente|ricorrente,|comporterebbe|la|conseguenza|che|essi| dovrebbero|sopportare|i|costi|del|sostegno|e|della|regolamentazione|di|un|mer- cato|sul|quale|non|intervengono.| IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�81 In tale caso sarebbe, dunque, ravvisabile una violazione del principio di non discriminazionedicuiall'art.34,n. 2delTrattatodiRoma. Taleprincipioimpone, infatti,dinontrattaresituazionianalogheinmanieradifferenziataesituazionidiverse inmanierauguale,amenocheuntaletrattamentononsiaobiettivamentegiustificato. Causa�C-396/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Tariffa�Doganale� Comune�^Veicoli�destinati�al�trasporto�e�scarico�di�materiali�^Qualifica� di�dumper ^Voce�8704�TDC�regolamento�92/396/CEE�^Ordinanza�del� �Gerechtshof��(Paesi�Bassi)�emessa�l'8�novembre�2002,�notificata�il� 14�gennaio�2003�(cons.�4135/03,�avv.�A.�Cingolo).� IL fattO La�societa�Maveco�Maschinel�Hendelsgesellschaft�mbh�di�Fend�(D)�nel� periodo�1995/1996�ha�presentato�all'Ufficio�doganale�di�Rotterdam�due� dichiarazioni�doganali�di�immissione�in�libera�pratica�per�i��minitrac� tipi� 709,�1005�e�1302,�le�merci�in�questione�sono�state�dichiarate�dalla�ditta� importatrice�sotto�la�voce�8704�10�19�della�Tariffa�doganale�Comune,�mentre� la�dogana�le�ha�classificate�alla�voce�Doganale�8704�21�91.� La�parte�ricorrente�sostiene�che,�secondo�la�tariffa�vengono�classificati� come��dumper��veicoli�costruiti�con�materiali�robusti�e�solidi�(a�prescindere� dalle�loro�dimensioni)�che�servono�per�il�trasporto�di�sabbia,�ghiaia,�pietra,� terra�e�simili�e�sono�provvisti�di�cassone�ribaltabile�oppure�apribile�dal�basso.� Nel�caso�di�specie�si�tratta�dei�cosiddetti��Minitrac�.� Tuttavia�la�parte�ricorrente�sostiene�che�esistono�versioni�leggere�per� trasporti�leggeri�e�versioni�pesanti�per�lavori�di�movimento�di�terra.�Gli�auto- carri�ribaltabili�oggetto�della�controversia�sono�destinati�a�lavori�pesanti�che� pero�hanno�una�funzione�analoga�ai��dumper� e�quindi�e�errato�ritenere�che� un�autocarro�ribaltabile�debba�avere�una�determinata�struttura�e�forma,�e� che�il�ribaltamento�del�cassone�debba�avvenire�mediante�un�apparato�sem- plice�(meccanico�e�manuale).� IL quesitO Se�sia�o�meno�possibile�utilizzare�la�qualifica�di�dumper ^di�cui�alla�voce� 8704�10�della�Tariffa�doganale�Comune�^per�autoveicoli�progettati�per�essere� usati�fuori�della�rete�stradale,�destinati�al�trasporto�e�allo�scarico�di�materiale� e�provvisti,�in�particolare,�a�tal�fine�di�un�meccanismo�di�ribaltamento�com- plesso,�flessibile�e�preciso.� Causa�C-400/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Indennita�di�transiz ione�erogata�da�Stato�membro�diverso�da�quello�di�residenza�^Base�di� calcolo�^Imposta�sul�reddito�fittizia�^Art.�39�Trattato�CE�^Ordinanza� del��Bundesarbeitsgericht��(Germania)�emessa�il�27�giugno�2002,�notifi- cata�il�28�gennaio�2003�(cons.�4309/03,�Avv.�A.�Cingolo).� IL fattO Il�ricorrente�e�cittadino�francese�e�risiede�in�Alsazia,�fino�al�30�novem- bre�1999�e�stato�dipendente�delle�forze�armate�di�stazionamento�francesi�a� Baden-Baden.�Il�suo�rapporto�di�lavoro�e�cessato�nella�predetta�data,�a� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO seguito dello scioglimento delle forze armate di stazionamento. Il ricorrente, lavoratore transfrontaliero, e� esentato dal versamento dell'imposta sui redditi tedesca in quanto i suoi redditi sono soggetti alla relativa imposta in Francia con l'aliquota ivi prevista. A seguito della cessazione del rapporto di lavoro, egli percepisce le pre- stazioni di disoccupazione francese dal febbraio 2000. Inoltre percepisce dalla Repubblica Federale di Germania, ai sensi del contratto collettivo del 31 agosto 1971 relativo alla previdenza sociale dei lavoratori delle forze armate di stazionamento sul territorio della RFT, una �indennita� di transi- zione� il cui scopo e� quello di favorire l'inserimento nel mercato del lavoro tedesco dei lavoratori non occupati, in modo da realizzare la parita� di tratta- mento di tutti i lavoratori legittimati. Ai fini della determinazione dell'indennita� suddetta, il competente Ente tedesco ha dettato dalla base di calcolo l'imposta dei redditi fittizia prevista dalla legge tedesca ed ha aggiunto all'indennita� di transizione il sussidio di disoccupazione francese. Il ricorrente sostiene che i calcoli effettuati dalla parte resistente si sono illegittimamente basati unicamente sulla legge tedesca senza tener conto del fatto che egli risiede in Francia dove e� gia� soggetto ad imposta. In virtu� della convenzione contro le doppie imposizioni, il ricorrente risulta esentato dal- l'imposta sui redditi in Germania, pertanto, la detrazione fittizia dell'imposta sui redditi operata per la determinazione dell'indennita� di transizione sarebbe illegittima. Il ricorrente, a seguito dei calcoli cos|� effettuati, sarebbe soggetto ad un doppio onere impositivo e cio� comporterebbe una violazione del diritto comunitario (art. 39 CE). IL quesitO Se costituisca violazione dell'art. 39 CE il fatto che ai fini della determi- nazione della base di calcolo dell'indennita� di transizione di cui al paragrafo 4, n. 1, lettera b) TV SozSich, occorra fare riferimento all'imposta sui redditi tedesca fittizia (ai sensi del paragrafo 4, n. 3, lettera b), secondo capoverso, TV SozSich), quando l'ex lavoratore risieda all'estero e sia ivi soggetto ad imposta. Causa C ^425/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Trasferimento d'im- presa ^Diritti dei lavoratori ^Passaggio da cedente privato a cessionario pubblico ^Direttive numeri 77/187/CEE e 2001/23/CE ^Ordinanza della �Cour Administrative� (Lussemburgo) del 21 novembre 2002, noti- ficata il 14 gennaio 2003 (cons. 2938/03, avv. A. Cingolo). IL fattO La sig.ra Delahaye, dipendente della societa� Foprogest, ceduta dal socio privato ad un acquirente pubblico, ha impugnato un provvedimento ammini- strativo volto a mutare lo status giuridico ed economico di cui era preceden- temente titolare, al fine di omologarlo al diverso (e ritenuto pregiudizievole) status giuridico ed economico degli altri dipendenti pubblici spettante alle societa� controllate dall'acquirente pubblico. IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�83 L'acquirente�pubblico�ha�fondato�tale�modifica�delle�condizioni�della� lavoratrice�Delahaye�sulla�eccezione�di�cui�all'art.�36�della�legge�24�maggio� 1989�(attuativa�della�direttiva�n.�77/187�come�modificata),�la�quale�consente� di�attuare�il�trasferimento�di�diritti�ed�obblighi�del�personale��solo�nei�limiti� della�compatibilita�delle�norme�di�diritto�pubblico�.�Poiche�il�trattamento� economico�dei�lavoratori�in�Lussemburgo�e�dettato�da�inderogabili�norme� di�legge,�il�Granducato�ha�ritenuto�di�dover�cos|�adeguare�anche�il�tratta- mento�della�ricorrente�Delahaye.� IL quesitO Se,�alla�luce�delle�disposizioni�delle�direttive�numeri�77/187/CEE,� 98/50/CE�e�2001/23/CE,�in�caso�di�trasferimenti�di�impresa�da�un'associa- zione�senza�fini�di�lucro,�persona�giuridica�di�diritto�privato,�verso�lo�Stato,� quest'�ultimo,�in�qualita�di�cessionario,�possa�essere�ammesso�a�realizzare� l'assunzione�dei�diritti�e�degli�obblighi�del�cedente�solo�nei�limiti�in�cui�questi� siano�compatibili�con�le�sue�norme�di�diritto�pubblico,�in�particolare�in�mate- ria�di�retribuzione,�in�cui�le�modalita�e�gli�importi�degli�assegni�sono�fissati� mediante�regolamento�granducale,�considerato�peraltro�che�dallo�status�di� impiegato�pubblico�derivano,�per�i�dipendenti�di�cui�trattasi,�vantaggi�giuri- dici,�segnatamente�in�materia�di�sviluppo�di�carriera�e�di�stabilita�dell'im- piego,�e�che�gli�agenti�di�cui�trattasi,�in�caso�di�dissenso�sulle��modifiche� sostanziali��del�rapporto�di�lavoro�ai�sensi�dell'art.�4,�n.�2,�delle�direttive,� conservano�il�diritto�di�chiedere�la�rescissione�di�tale�rapporto�secondo�le� modalita�menzionate�al�testo�in�questione.� LA posizionE assuntA daL GovernO italianO �Il�Governo�Italiano�ritiene�che�le�questioni�pregiudiziali�poste�dal�giudice� lussemburghesedebbano�essere�risoltenelsenso�che,fermo�ilprincipiogenerale� per�cui�il�trasferimento�o�la�cessione�di�azienda�da�un�titolare�all'altro�non�puo� determinare�una�modifica�peggiorativa�del�trattamento�economico�e�giuridico� per�i�lavoratori�ceduti,�nel�caso�di�passaggio�a�datore�di�lavoro�statale�con�inse- rimento�nella�relativa�organizzazione,�l'acquisizione�dello�status�di�pubblico� dipendente�costituisce�diper�se�stessa�adeguata�garanzia�di�un�trattamento�com- plessivamentenon�deteriorerispetto�a�quello�diprovenienza.� Secondo�la�giurisprudenza�della�Corte�di�Giustizia�(sentenza�26�settembre� 2000�C-175/1999�e�del�15�ottobre�1996�C-298/1994)�gli�articoli�1,�n.�i�e�2,� lett.�b),�della�direttiva�n.�77/187/CEE�e�successive�modifiche�si�riferiscono� espressamente�alla�ipotesi�del�trasferimento�di�un'attivita�economica�da�una� societa�privata�ad�unapersona�giuridica�di�dirittopubblico.�Esulano�invece�dalla� sfera�di�applicazione�della�direttiva�le�ipotesi�di�riorganizzazione�di�strutture� della�Pubblica�Amministrazione�o�il�trasferimento�di�funzioni�amministrative� tra�Pubbliche�Amministrazioni.� L'applicabilita�delle�direttive�numeri�77/187/CEE,�9850CE�e�2001/23/CE� aicasiditrasferimento�da�impreseprivateasoggettipubblicie�espressamente� contemplato�nell'art.�1,�n.�1,�lett.�c),�della�direttiva�n.�9850/CE,�laddove�si�pre- vede�che��la�presente�direttiva�si�applica�alle�imprese�pubbliche�o�privateche� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO esercitano un'attivita� economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasfe- rimento difunzioni amministrative tra enti amministrativipubblici non costitui- sce trasferimento aisensidellapresentedirettiva. Inoltre l'art. 2 definisce il cessionario come �ognipersonafisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell'art. 1,paragrafo i, acquisi- sce la veste di imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dello stabilimento. In linea generale, dunque, secondo il diritto comunitario le disposizioni volte a garantire la continuita� dei rapporti di lavoro per i lavoratori ceduti sono applicabili anche nel caso di trasferimento o di cessione di azienda da soggetto privato a soggetto pubblico. Peraltro, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella ricordata sentenza 26settembre2000(C-175/1999Mayeur) ilprincipiostessotrovaapplicazione solo allorquando �l'entita� ceduta conservi la propria identita� �, rimanendo quindi autonoma e distinta, sul piano oggettivo, rispetto all'attivita� pubblica in generale. Cio� comportachese,invece,l'attivita�precedentementesvoltainformapri- vatistica viene riorganizzata attraverso un procedimento di �pubblicizzazione�, in esito alquale essa viene afarparte deicompitiistituzionalidell'aziendasta- tale, non vi e� ragione di ritenere applicabile il principio di continuita� in questione. Tale conseguenza non deriva da una esenzione soggettiva dello Stato dal principio stesso ^esenzione che non troverebbe alcuna accettabile giustifica- zione ^quanto invece dalla diversa natura assunta dall'attivita� precedentemente esercitata informa privatistica, nel momento in cui essa viene ad essere assor- bita nell'organizzazione generale dello Stato. Da un lato, infatti, cio� significa che si tratta di attivita� ritenuta essenzial- mentepubblica, dall'altro ilsuo inserimentonell'organizzazionestatualeesclude che il trattamento dei dipendenti provenienti dall'impresa privata possa restare in qualche modo differenziato, e cio� per evidenti ragioni di parita� sia soggettiva che oggettiva rispetto agli altri dipendenti statali. Tale conclusione coincide, del resto, con quanto affermato nella richiamata direttiva n. 98/50/CE laddove precisa che la riorganizzazione amministrativa non costituisce trasferimento agli effetti della direttiva stessa: non vie� ragione logicaperdoversiescluderel'applicabilita� ditalederoganelcasodipassaggio di un'attivita� dalprivato allo Stato. In ragione di quanto sin qui considerato e dedotto, il Governo Italiano sug- gerisce di rispondere al quesito posto dal giudice lussemburghese nei seguenti termini. �Non e� incompatibile con l'ordinamento comunitario una normativa nazio- nale che, in ipotesi di trasferimento dell'attivita� svolta da una impresa privata allo Stato, consenta al medesimo di assumere i diritti e gli obblighi del cedente verso i lavoratori solo nei limiti delle norme sullo status generale dei pubblici dipendenti. (f.to avv. Antonio Cingolo)�. IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�85 Causa�C-428/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^IVA�^Locazione� posti�barca�^Nozione�di�locazione�beni�immobili�^Art.�13,�parte�B,� lett.�b),�n.�2�direttiva�n.�77/388/CEE�^Ordinanza�del��Vestre�Landsre�� (Danimarca)�emessa�il�15�novembre�2002�(cons.�1811/03,� avv.�A.�Cingolo).� IL fattO Con�la�predetta�ordinanza�e�stato�chiesto�alla�Corte�di�Giustizia�delle� Comunita�Europee�di�pronunciarsi,�ai�sensi�dell'art.�234�del�Trattato,�sull'in- terpretazione�dell'art.�13,�parte�B,�lett.�b),�n.�2�della�sesta�direttiva�IVA� (Consiglio�77/377/CEE),�con�successive�modifiche.� Il�caso�concerne�due�cause�riunite�riguardanti�la�questione�se�i�proventi� della�locazione�di�posti�barca�in�un�porto�per�imbarcazioni�da�diporto,�non- che�di�posti�a�terra�per�la�rimessa�invernale�di�imbarcazioni�da�diporto,�deb- bano�essere�inclusi�nella�base�imponibile�per�il�calcolo�dell'IVA.� IquesitI 1�^Se�l'espressione��locazione�di�beni�immobili��comprende�la�loca- zione�di�un�posto�barca;� 2�^Se�il�termine��koretojer� comprende�le�barche.� Causa�C-429/02�(domanda�di�pronunzia�pregiudiziale)�^Pubblicita�di�bevande� alcoliche�attraverso�il�mezzo�televisivo�^Direttiva�89/522/CEE�detta� �Televisione�senza�frontiere��^Art.�49�trattato�C.E.�^Ordinanze�della� Cour�de�Cassation�(Francia)�del�19�novembre�2002�^Iscritta�il� 27�novembre�2002�(cons.�2942/03,�avv.�M.�Fiorilli).� IL fattO La�questione�de qua risulta�nata�nell'ambito�di�una�controversia�legale� tra�la�societa�Bracardi-Martini�che,�per�la�promozione�delle�bevande�alcoli- che�dalla�stessa�commercializzate,�decideva�di�avvalersi�di�pannelli�pubblici- tari�ubicati�in�particolare�intorno�agli�stadi�sportivi�e�la�societa�TF1�nonche� quelle�che�per�conto�di�questa�negoziano�i�diritti�di�ritrasmissione�televisiva� delle�partite�di�calcio,�per�avere�queste�ultime�esercitato�pressioni�sui�club� stranieri�inducendoli�a�rifiutare�l'accesso�dei�marchi�Bacardi-Martini�ai�pan- nelli�pubblicitari�situati�intorno�agli�stadi.� La�normativa�francese�(cosiddetta�legge�Evian)�proibisce�la�pubblicita� televisiva�di�bevande�alcoliche,�per�ragioni�legate�alla�protezione�della�salute.� IquesitI 1.�^Se�la�direttiva�3�ottobre�1989,�89/552/CEE,�detta��Televisione� senza�frontiere�,�nella�versione�anteriore�a�quella�risultante�dalla�direttiva� 30�giugno�1997,�97/36/CE,�si�opponga�a�che�una�normativa�interna�come� gli�articoli�L.�17�^L.�21�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande�e� l'art.�8�del�decreto�27�marzo�1992,�n.�92280�proibisca,�per�ragioni�legate�alla� protezione�della�salute�e�con�la�minaccia�di�sanzioni�penali,�la�pubblicita�alla� televisione�per�le�bevande�alcoliche,�siano�esse�di�origine�nazionale�o�proven- RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� gano�da�altri�Stati�membri�dell'Unione,�sia�che�si�tratti�di�spot�pubblicitari�ai� sensi�dell'art.�10�della�direttiva�o�di�pubblicita�indiretta�risultante�dall'appari- zione�in�televisione�di�pannelli�che�promuovono�bevande�alcoliche�senza� costituire�tuttavia�la�pubblicita�clandestina�di�cui�all'art.�1,�lettera�c),�della� direttiva.� 2.�^Se�l'art.�49�del�Trattato�CE�e�il�principio�di�libera�circolazione�delle� emissioni�televisive�all'interno�dell'Unione�debbano�essere�interpretati�nel� senso�che�essi�si�oppongono�a�che�una�normativa�nazionale,�come�quella�di� cui�agli�artt.�L.�17�^L.�21�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande�e� all'art.�8�del�decreto�27�marzo�1992,�n.�92280,�che�proibisca,�per�ragioni� legate�alla�protezione�della�salute�e�con�la�minaccia�di�sanzioni�penali,�la� pubblicita�alla�televisione�per�le�bevande�alcoliche,�siano�esse�di�origine� nazionale�o�provengano�da�altri�Stati�membri�dell'Unione,�sia�che�si�tratti� di�spot�pubblicitari�ai�sensi�dell'art.�10�della�direttiva�o�di�pubblicita�indiretta� risultante�dall'apparizione�in�televisione�di�pannelli�che�promuovono�bevande� alcoliche�senza�costituire�tuttavia�la�pubblicita�clandestina�di�cui�all'art.�1,� lettera�c),�della�direttiva,�abbia�come�effetto�che�gli�operatori�incaricati�della� diffusione�e�della�distribuzione�dei�programmi�televisivi:� a)�si�astengano�dal�procedere�alla�diffusione�di�programmi�televisivi,� quali,�in�particolare,�la�ritrasmissione�di�incontri�sportivi,�che�abbiano�luogo� in�Francia�o�in�altri�Paesi�dell'Unione,�poiche�vi�figurano�pubblicita�proibite� ai�sensi�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande;� b)�o�vi�procedano�alla�condizione�che�non�appaiano�le�pubblicita�proi- bite�ai�sensi�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande,�impedendo�cos|�la� conclusione�di�contratti�pubblicitari�relativi�alle�bevande�alcoliche,�siano�esse� di�origine�nazionale�o�provengano�da�altri�Stati�membri�dell'Unione.� NotA La�normativafrancese�(c.d.�legge�Evian)�proibisce�lapubblicita�televisiva� dibevande�alcolicheperragionilegate�allaprotezione�dellasalute.� In�linea�diprincipio�detta�normativa�non�sipone�in�contrasto�con�ildiritto� comunitario,�atteso�che�in�una�sentenza�del�25�luglio�1991�la�Corte�di�giustizia,� adita�in�forza�dell'art.�177�del�Trattato,�dichiarava�che��la�libera�prestazione� dei�servizi,�in�quanto�principio�fondamentale�del�Trattato,�puo�essere�limitata� soltanto�da�norme�giustificate�da�motivi�imperativi�di�pubblico�interesse�,�e,� che�la�stessa�Corte�ha�annoverato�tra�ipredetti�motivi�imperativi�la�lotta�contro� l'alcolismo,sottotuttelesueforme,�elaprotezionedellasalute.� Tuttavia,�adunaanalisipiu�attentadeldiritto�comunitario�chesull'argomento� prendeposizione�attraverso�la�direttiva�89/552/CEE,�la�soluzione�della�questione� potrebbenonesserecos|�lineare.�Ladirettivainparola,�infatti,�attraversoformula- zioni�sufficientemente�precise�e�incondizionate,�tali�pertanto�da�produrre�effetto� diretto,�dopoavereenunciatoalivellodiprincipio�gliStatimembriassicuranola� liberta�diricezione�e�non�ostacolano�la�ritrasmissionesulproprio�territorio�di�tra- smissioni�televisive�provenienti�da�altri�Stati�membri��precisa�le�condizioni�alle� quali�e�ammissibile�la�pubblicita�televisiva�di�bevande�alcoliche,�condizioni�che� sembrano�rispettate�dallasocieta�Bacardinellapromozione�deisuoiprodotti.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�87 Alla�luce�di�quanto�innanzi�esposto�sarebbe�da�affermare�che�alla�Francia,� comeadognialtroStatomembrodell'Unione,�e�concessapienaliberta�dilimi- tare�opiuttosto�vietare�in�modo�assoluto�ognisorta�dipubblicita�afferente�alle� bevande�alcoliche,�inserendosi�una�simile�scena�nell'ambito�di�una�politica�di� protezione�della�salute�e�lotta�all'alcolismo.� Sennonche��,�se�risultasse,�conforme�a�verita�che�parallelamente�si�e�consen- tito�ad�altre�societa�interessate�nella�commercializzazione�di�bevande�alcoliche� lamedesimapubblicita�vietata�allaBacardi,�nonsipotrebbe�che�concludereper� una�violazione�dell'art.�49�del�Trattato�CE�nonche��della�direttiva�sopra�richia- mata,�non�sorretta�dalla�giustificazione�della�sussistenza�di�motivi�imperativi�di� interesse�pubblico,�e�quindi�non�avallabile�alla�stregua�del�diritto�comunitario.� Ilproblemadellaliberaprestazionedeiservizi,�conriferimentoalrifiutodi� affiggere�messaggipubblicitariper�bevande�alcoliche�nel�corso�di�eventi�sportivi� oggetto�di�trasmissione�televisiva�in�un�altro�Stato�membro,�e�gia�stato�sottopo- sto�all'attenzione�della�Corte�nel�corso�di�un�procedimento�contenzioso�sorto� nelRegno�UnitofraBacardi-MartiniS.a.s.�&CollierdeDauphinc/Newcastle� U.�FootballCompanyLtd^causaC-318/00^aventeadoggettolacompatibi- lita�dellac.d.�leggeCompanyLtd�^causaC-318/00^aventeadoggettolacom- patibilita�della�c.d.�legge�Evin�con�l'art.�49�TCE.�La�relativa�sentenza,�tuttavia,� non�hafornito�elementi�utili�alla�soluzione�del�caso�in�esame�in�quanto�la�Corte� ha�dichiarato�irricevibile�la�domanda�di�pronuncia�pregiudiziale�a�suo�tempo� formulata�dal�giudice�inglese�poiche�:���si�deve�constatare�che�la�Corte�non� dispone�dielementi�da�cuiemerga�la�necessita�dipronunciarsisulla�compatibi- lita�con�il�Trattato�di�una�normativa�di�uno�Stato�membro�(la�Francia)�diverso� da�quello�del�giudice�del�rinvio��(punto�53�della�sentenza�21�gennaio�2003).� Causa�C-435/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Libero�esercizio�di� attivita�professionale�ed�imprenditoriale�^S.a.s.�editrice�di�giornali�^Pubb licita�dei�bilanci�^Soggetti�legittimati�^Direttiva�90/605/CEE�^ Art.�47�della�direttiva�78/660/CEE�^Ordinanza�del��Landegericht�� (Germania)�emessa�il�25�novembre�2002,�notificata�il�5�febbraio�2003� (cons.�3809/03,�avv.�O.�Fiumara)� IL fattO Nel�caso�di�specie�la�ricorrente�^una�s.a.s.�editrice�di�giornali�avente� quale�socio�personalmente�responsabile�una�s.r.l.�^ha�proposto�appello�con- tro�la�decisione�della�pretura�di�Essen�che,�su�istanza�di�un'altra�casa�editrice,� le�ha�inflitto�una�pena�pecuniaria�per�la�mancata�pubblicazione�dei�bilanci.� Il�codice�di�commercio�tedesco�(cd.�HGB)�impone�ai�legali�rappresen- tanti�della�societa�di�capitali�di�redigere�un�bilancio�annuale,�accompa- gnato�da�una�relazione�sulla�gestione,�e�di�depositarlo�presso�il�Registro� del�commercio�(cfr.���325,�n.�1,�prima�frase,�HGB).�La�disposizione�si� applica�anche�alle�s.n.c.�e�alle�s.a.s.�in�cui�nessuno�dei�soci�personalmente� responsabili�sia�una�persona�fisica�o�una�s.n.c.,�una�s.a.s.,�o�qualsiasi�altra� societa�di�persone�che�preveda�una�persona�fisica�quale�socio�personal- mente�responsabile�(cfr.���264a,�n.�1,�HGB).�Da�qui�l'estensione�della�disci- RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO plina al ricorrente. Pertanto, in tale normativa, non e� prevista alcuna limi- tazione della legittimazione di accesso all'informazione, sicche� chiunque sarebbe legittimato in tal senso. L'art. 47, n. 1, della direttiva 78/660/CEE dispone: �Iconti�annuali�rego- larmente�approvati�e�la�relazione�sulla�gestione,�nonche�la�relazione�redatta� dallapersona�incaricatadallarevisionediconti,formano�oggetto�diunapubbli- cita�effettuata�neimodiprescritti�dalla�legislazione�di�ogni�Stato�membro�con- formemente�all'art.�3�della�direttiva�68/151/CEE�.� IquesitI Sono state sottoposte le seguenti questioni pregiudiziali: 1. ^Se la direttiva 90/605/CEE (che modifica le direttive 78/660/CE e 83/349/CEE, relative rispettivamente ai conti annuali e ai conti consolidati per quanto riguarda il loro campo d'applicazione), in combinato disposto con l'art. 47 della direttiva 78/660/CEE, sia compatibile con le norme comu- nitarie in materia di libero esercizio di attivita� professionale e imprendito- riale, nonche� con quelle sulla liberta� di stampa e sulla libera diffusione di programmi radiofonici e televisivi. La normativa in questione infatti non pre- vede alcuna limitazione relativamente all'ambito dei soggetti legittimati a prendere visione dei bilanci. 2. ^Seladirettiva 90/605/CEE siacompatibile conil principio di uguaglianza. La s.a.s. avente per accomandatario una s.r.l. sarebbe infatti pregiudicata rispetto alla s.a.s. il cui socio accomandatario e� una persona fisica. C-440/02�(Commissione�c/o.�Repubblica�Italiana)�^Ricorso�per�inadempim ento�Attivita�professionali�disciplinate�da�direttive�di�liberalizzazione�e� da�direttive�recanti�misure�transitorie�^Meccanismi�di�riconoscimento� delle�qualifiche�^Sistema�generale�di�riconoscimento�qualifiche�^Diret- tiva 99/42/CEE (cont. 663/03, avv. A. Cingolo). IL fattO La Commissione delle Comunita� europee ha proposto ricorso, a termini dell'art. 226 CE, diretto a far constatare che la Repubblica italiana, non avendo adottato, o comunque notificato le disposizioni legislative, regola- mentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 1999/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 giugno 1999, che istituisce un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attivita� professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure transitorie e che completa il sistema generale di riconosci- mento delle qualifiche, e� venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in virtu� di tale direttiva. LA posizionE assuntA daL governO italianO �L'asserito�inadempimento�all'obbligo�di�attuazione�dell'articolo�14�della� direttiva�n.�1999/42/CE�non�sussiste,�avendo�il�legislatore�italiano�provveduto� all'adeguamento�(trentagiorniprimadellaproposizionedelricorsodapartedella� CommissioneCE)conildecretolegislativo20settembre2002,n.�229,pubblicato� nella�Gazzetta Ufficiale della�Repubblica�Italiana�del�22�ottobre�2002,�n.�248.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�89 Con�l'emissione�di�tale�decreto�legislativo�^il�cui�testo�siproduce�in�alle- gato�al�presente�atto�^e�stato�ultimato�il�complesso�iter�per�la�recezione�della� direttiva,�gia�peraltro�intrapreso�e�comunicato�fin�nel�corso�del�2001,�come� risulta�dalla�corrispondenza�intercorsa�in�proposito�con�la�Commissione,�e�che� pure�siproduce�in�atti.� Essendo�stata�data�attuazione�alla�direttiva�ed�essendo�cos|�venuta�meno,� nella�sostanza,�la�materia�del�contendere,�il�Governo�Italiano�invita�la�Commis- sionearinunciarealricorsoproposto,nelconsuetospiritodicollaborazione.�In� diversa�ipotesi�conclude�chiedendo�che�il�ricorso�stesso�sia�respinto,�perche�non� fondato.�(f.to�avv.�Antonio�Cingolo)�.� Causa C-444/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Banche dati ^Calend ari di campionato di calcio ^Diritto sui generis ^Estrazione e reimpiego di parti sostanziali e non sostanziali della banca dati ^Art.�7�direttiva� 96/99/CE�^Ordinanza�del�Monomeles�Protodixeio�(Grecia)�dell'11�lu- glio�2002�^Iscritta�il�9�dicembre�2002�(cons.�5028/03,�avv.�M.�Fiorilli).� IL fattO Le�questioni�sollevate�traggono�origine�dal�ricorso�proposto�dalla� societa��Football�Fixtures�Limited��^concessionaria�del�diritto�di�gestione�e� sfruttamento,�al�di�fuori�della�Gran�Bretagna,�dei�diritti�di�proprieta�intellet- tuale�sui�calendari�dei�campionati�di�calcio�delle�leghe�calcistiche�britanniche� ^avverso�la�societa�greca�OPAP,�che�avrebbe�senza�autorizzazione�estratto� ripetutamente�un�gran�numero�di�dati�riportandoli�in�bollettini�dalla�stessa� pubblicati.� IquesitI 1.�^Che�cosa�si�intende�per�banca�di�dati�e�qual'e�l'ambito�di�applica- zione�della�direttiva�96/99/CEE,�e�in�particolare�del�suo�art.�7,�che�fa�riferi- mento�al�diritto�sui�generis.� 2.�^Alla�luce�della�delimitazione�dell'ambito�di�applicazione�della� direttiva,�se�i�calendari�dei�campionati�di�calcio�meritino�tutela�in�quanto� banche�di�dati�sulle�quali�vi�e�un�diritto�sui�generis�del�costitutore,�e�a�quali� condizioni.� 3.�^In�che�modo�esattamente�viene�leso�il�diritto�sulla�banca�di�dati�e�se� tale�diritto�sia�tutelato�in�caso�di�modifica�del�contenuto�della�banca�di�dati.� NotA La�direttiva�96/99/CEE�tutela�(artt.�1�e�3)�tutte�le�banche�di�dati,�qualun- que�ne�sia�laforma�^purche�consistenti�in��una�raccolta�di�opere,�dati�o�ele- menti�indipendenti�sistematicamente�o�metodicamente�disposti�ed�individual- mente�accessibili�grazie�a�metodi�elettronici�o�in�altro�modo��che�per�la� scelta�o�la�disposizione�del�materiale�costituiscono�una�creazione�dell'ingegno� del�proprio�autore.� Parallelamentealdirittodiproprieta�intellettuale,�eaprescinderedallostesso,� la�direttiva�attribuisce�al�costitutore�di�una�banca�di�dati�un�diritto�sui�generis� (art.�7)chesisostanzianelvietarel'estrazioneeilreimpiegoripetutiesistematici� di�parti�sostanziali,�da�un�punto�di�vista�quantitativo�o�qualitativo,�del�contenuto� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� della�banca�di�dati,�qualora�a�fronte�della�sua�elaborazione�sia�intervenuto�un� investimento�notevole�di�energie�fisiche,�mentali�e/o�di�risorse�economiche,�non- che�di��parti�non�sostanziali��qualora�ne�derivi�un��pregiudizio�ingiustificato�� per�il�suo�costitutore.�In�altri�termini,�si�vieta�l'organizzazione,�adopera�di�soggetti� diversidalcostitutore,�diun'attivita�lucrativachesiavvalga,presupponendola,�dell'e- laborazione�dei�dati�contenuta�nella�banca�laddove�essa�comporti�un��pregiudizio� ingiustificato�,�ovvero�non�giustificato�dalla�corresponsione�di�un�equo�compenso� dovuto�in�ragione�dello�sfruttamento.� Il�diritto�sui�generis�previsto�dalla�direttiva�si�atteggia,�infatti,�quale�diritto� esclusivo,paragonabile�adunaforma�dimonopolio�legale�simile�a�quello�costi- tuito�con�il�brevetto�dell'invenzione,�diritto�che�in�quanto�tale�verrebbe�sostan- zialmente�snaturato�se�chiunque�potesse�trarre�profitto�da�un�suo�sfruttamento� in�assenza�di�apposita�autorizzazione�del�titolare.� Causa C-450/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Lavoratori distaccati sul territorio di altro Stato membro ^Ritenuta alla fonte ^Esenzione ^ Art.�40�CE�^Ordinanza�del��Bundesfinanzhof��(Germania)�emessa� il�4�settembre�2002,�notificata�l'11�febbraio�2003�(cons.�4825/03,� avv.�A.�Cingolo).� IL fattO La�ricorrente�(e�resistente�in�Cassazione)�e�una�societa�di�capitali�con� sede�in�Gran�Bretagna�che�ha�distaccato�sul�territorio�tedesco�lavoratori�bri- tannici�a�seguito�di�regolare�autorizzazione�ottenuta�dall'Ufficio�del�lavoro� competente�in�base�alla�legge�tedesca�relativa�al�distacco�dei�lavoratori.La� ricorrente,�tuttavia,�non�possiede�un�proprio�stabilimento�sul�territorio� nazionale�tedesco.� In�ordine�ad�uno�dei�propri�dipendenti,�residente�in�Gran�Bretagna�e� distaccato�in�Germania�nel�periodo�compreso�tra�il�30�ottobre�ed�il� 16�novembre�1996,�la�ricorrente�ha�chiesto�la�certificazione�di�esenzione�dal- l'imposta�ai�sensi�della�legge�tedesca�in�materia�di�imposte�sui�redditi�e�della� Convenzione�contro�le�doppie�imposizioni�conclusa�tra�Regno�Unito�e� Repubblica�Federale�di�Germania�(Convenzione�RFT-G.B.).� Il�competente�Ufficio�delle�imposte�tedesco�ha�respinto�la�richiesta�rite- nendo�che�i�lavoratori�distaccati�in�Germania�fossero�soggetti�all'obbligo�di� ritenuta�alla�fonte�delle�imposte�sui�redditi.� Ai�sensi�della�Convenzione�RFT-G.B.�^articolo�XI,�secondo�comma�^il� reddito�e�imponibile�unicamente�nello�Stato�di�residenza,�mentre�qualora�l'at- tivita�di�lavoro�venga�svolta�nel�territorio�dell'altro�Stato�contraente�a�titolo� non�transitorio�e�imponibile�nel�suddetto�Stato.�Il�lavoratore�svolge�attivita� lavorativa�a�titolo�transitorio�quando�il�suo�soggiorno�sul�territorio�dell'altro� Stato�contraente�non�supera�i�183�giorni.� Nel�caso�di�specie,�il�soggiorno�e�stato�inferiore�a�183�giorni�e�la�retribu- zione�non�e�stata�erogata�da�uno�stabilimento�o�da�una�sede�fissa�della�ricor- rente�in�Germania;�risulta,�pertanto,�rilevante�accertare�quale�soggetto�sia� da�considerare�datore�di�lavoro�del�lavoratore�distaccato�in�Germania.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�91 Il�Bundesfinanzhof,�secondo�la�propria�giurisprudenza�ha�ritenuto�di� dover�interpretare�la�nozione�di�datore�di�lavoro�alla�luce�della�Convenzione� RFT-G.B.;�ai�sensi�di�tale�Convenzione,�si�puo��considerare�quale�datore�di� lavoro�il�soggetto�che�provveda,�sotto�il�profilo�economico,�alla�retribuzione� per�l'attivita��di�lavoro�dipendente�svolta,�sia�che�la�retribuzione�venga�diret- tamente�versata�al�lavoratore�interessato,�sia�che�un'altra�impresa�provveda� ad�anticiparla�al�lavoratore�per�conto�del�datore�stesso.�Nel�caso�di�specie,� quindi,�il�datore�di�lavoro�e��da�considerare�la�ricorrente.� IL quesitO Se�costituisca�violazione�dell'art.�49�del�Trattato�CE�(divenuto�art.�40� CE)�il�fatto�che,�nel�caso�in�cui�la�retribuzione�versata�ad�un�lavoratore� dipendente�debba�essere�esentata�dalle�imposte�sui�redditi�in�base�ad�una� Convenzione�contro�le�doppie�imposizioni,�uno�Stato�membro�esenti�dall'ob- bligo�di�effettuazione�della�ritenuta�alla�fonte�il�datore�di�lavoro�nazionale� ma�non�il�datore�di�lavoro�straniero�che�distacchi�propri�lavoratori�sul�terri- torio�dello�Stato�medesimo.� Causa C-456/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) -Diritto di soggiorno l ibera circolazione -Cittadinanza dell'Unione -Diritto al minimex - Art.�39,�49�e�49�CE�-Regolamento�1612/68�-Direttiva�90/364/CE�- Ordinanza�del��Tribunal�du�travail��(Belgio)�emessa�il�21�novembre� 2002,�notificata�il�28�gennaio�2003�(cons.�3313/03,�Avv.�A.�Cingolo).� IL fattO Un�cittadino�francese,�residente�legalmente�in�Belgio,�si�e��visto�negare� dal�Centre�public�d'aide�sociale�(di�seguito�CPAS)�di�Bruxelles,�la�conces- sione�di�un�minimex (cioe��un�minimo�di�mezzi�di�sussistenza).�L'attore�esegue� delle�prestazioni�a�vantaggio�della�casa�d'accoglienza�presso�cui�dimora,�rice- vendo�in�cambio�delle�controprestazioni�in�natura�che�soddisfano�i�suoi�biso- gni�vitali.�Tali�controprestazioni�non�legittimano,�a�giudizio�del�convenuto� CPAS,�la�concessione�del�diritto�di�soggiorno,�e�di�conseguenza,�nemmeno� l'attribuzione�del�minimex. Il�convenuto�infatti�eccepisce�che�il�diritto�di�sog- giorno�non�e��assoluto:�coloro�che�non�sono�o�non�sono�piu��lavoratori�subor- dinati�devono�disporre�di�risorse�sufficienti�per�non�risultare�un�onere�per�il� Paese�ospitante.� L'attore,�impugnando�la�decisione�del�CPAS,�sostiene�la�violazione�delle� norme�del�Trattato�ed,�in�particolare,�una�violazione�dell'art.�12�CE�che�vieta� ogni�discriminazione�effettuata�in�base�alla�cittadinanza,�nonche�degli�arti- coli�17�e�18�CE�relativi�alla�cittadinanza�dell'Unione�ed�ai�diritti�di�libera�cir- colazione�e�di�soggiorno�riconosciuti�ai�cittadini�dell'Unione�stessa.� IquesitI 1.�^Se�un�cittadino�dell'Unione�che�soggiorni�legalmente�in�un�altro� Stato�membro,�che�non�disponga�di�risorse�sufficienti�ma�che�esegua�delle� prestazioni�per�le�quali�riceve�delle�controprestazioni�in�natura,�possa�riven- dicare�un�diritto�di�soggiorno:� a) in�qualita��di�lavoratore�ai�sensi�dell'art.�39�del�trattato�CEE�o�del- l'art.�7�del�Regolamento�n.�1912/68,�o� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� b) in�qualita�di�lavoratore�che�esercita�un'attivita�non�salariata�ai� sensi�dell'art.�43�del�Trattato�CEE,�o� c) in�qualita�di�prestatore�o�di�destinatario,�beneficiario�di�prestazioni� di�servizi,�ai�sensi�dell'art.�49�del�Trattato�CE,�o� d) semplicemente�per�il�fatto�che�egli�partecipi�ad�un�progetto�finaliz- zato�al�suo�inserimento�professionale.� 2.�^In�caso�di�risposta�negativa�al�precedente�quesito,�se�egli�possa� invocare�direttamente�l'art.�18�del�Trattato,�in�quanto�cittadino�europeo,�e� in�tal�caso:� a) come�vadano�interpretate�le�limitazioni�imposte�dalla�direttiva�90/� 364/CE,�che�subordina�la�concessione�del�diritto�di�soggiorno�al�possesso�di� un'assicurazione�malattia�e�di�risorse�sufficienti.� 3.�^Se,�ritenendo�il�diritto�di�soggiorno�automaticamente�acquisito�sulla� base�della�cittadinanza�dell'Unione,�lo�Stato�ospitante�possa�revocare�tale� diritto�per�la�mancanza�di�risorse�sufficienti.� 4.�^Se,�nel�valutare�la�mancanza�di�risorse�sufficienti,�lo�Stato�ospitante� possa�limitarsi�a�desumere�tale�mancanza�dalla�richiesta�di�un�minimex, oppure�debba�tener�conto,�per�esempio,�del�principio�di�proporzionalita�.� Causa C-457/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Materiale ferroso destinato al recupero ^Nozione di rifiuto ^Direttiva�75/442/CEE�e� Direttiva�91/156/CEE�^Tribunale�penale�di�Terni�^Ordinanza� 20�novembre�2002�^Iscritta�il�18�dicembre�2002�(cons.7269/03,�avv.�M.� Fiorilli).� IL fattO Il�Nucleo�Operativo�e�Radiomobile�dei�Carabinieri�della�Compagnia�di� Terni�in�data�18�luglio�2000,�procedeva�in�Terni�al�sequestro�di�un�semirimor- chio�di�proprieta�della�I.L.F.E.R.�S.p.a.�in�quanto�lo�stesso�al�momento�del� controllo,�risultava�sprovvisto�del�formulario�di�identificazione�dei�rifiuti,� come�previsto�dal�d.lgs.�n.�22/1997�articoli�15�e�52,�nonche�la�mancata�iscri- zione�all'Albo�articoli�33�e�51�dello�stesso�decreto�poiche�i�rifiuti�trasportati� consistevano�in�materiali�ferrosi�destinati�al�recupero.�Della�ILFER�risultava� legale�responsabile�Niselli�Antonio.�Dall'esame�delle�iscrizioni�all'Albo� Nazionale�delle�Imprese�che�effettuano�la�gestione�dei�rifiuti,�sezione�regio- nale�dell'Umbria,�n.�PG/130/S�del�17�aprile�2000�emergeva�che�il�suddetto� rimorchio�non�era�iscritto�allo�stesso�Albo.� Lo�stesso�mezzo�si�presentava�in�condizioni�fatiscenti,�con�fuoriuscita�di� olio�nella�parte�posteriore,�sversandolo�sulla�carreggiata.� Il�mezzo�con�i�rifiuti�trasportati�veniva�affidato�in�giudiziale�custodia�a� Niselli�Antonio,�legale�rappresentante�della�ditta�ILFER�che�lo�avrebbe� tenuto�nel�deposito�sito�in�Strada�Maratta�Bassa�al�civico�53�nel�Comune�di� Narni�su�un�area�impermeabilizzata�per�la�messa�in�sicurezza.� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 93 IquesitI 1. ^Se e� possibile che la nozione di rifiuto dipenda tassativamente dalla seguente condizione: che le parole: �si disfi�, �abbia deciso� o �abbia l'ob- bligo di disfarsi� recepite in Italia dall'art. 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, siano interpretate come segue: a) �si disfi�: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sotto- posti ad attivita� di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22; b) �abbia deciso�: la volonta� di destinare ad operazioni di smalti- mento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni; c) �abbia l'obbligo di disfarsi�: l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorita� o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22. 2. ^Se e� possibile che tassativamente non ricorre la nozione di rifiuto per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sus- sista una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di con- sumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di con- sumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda neces- saria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22/1997 vigente in Italia (che ha trasposto pedissequa- mente l'allegato lII B alla direttiva 91/156/Cee). LA posizionE deL GovernO italianO Il Governo italiano ha presentato le infrascritte osservazioni. �I.^La domanda dipronunciapregiudiziale mira adottenere la interpreta- zione della direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, relativa ai rifiuti e, specificamente, cosa debba intendersi per �rifiuto�. ^(omissis). V. DisaminA dellE questionI pregiudizialI 1. ^Il giudice remittente in buona sostanza nella forma della questione pregiudiziale propone alla Corte una questione principale di inadempimento del Governo Italiano. Pervero, duplica laprocedura di infrazione n. 2002/2213, richiamata nella motivazione della ordinanza dirimessione delle questionipregiudizialiinterpre- tative che nellaformulazione coincidono letteralmente con l'articolato dell'arti- colo 14 del decreto-legge 138/2002. La domanda deve essere dichiarata inammissibile. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO A�titolo�informativo,�a�dimostrazione�delfatto�che�la�giurisprudenza�di� legittimita��italiananon�ravvisa�ledifficolta��interpretativerappresentatedalgiu- dice�remittente,�che�conseguentemente�ha�proposto�questioni�di�rilievo�pura- mente�teorico,�si�produce�copia�della�sentenza�della�Corte�Suprema�di�Cassa- zione�^sezione�terza�penale�^12�dicembre�2002-24febbraio�2003.� 2.�^La�definizione�di��rifiuto��e��presupposto�per�la�applicazione�della� normativa�comunitaria�in�termini�di�controllo�e�di�smaltimento�di��sostanze��o� �oggetti��che�presentino�un�accertato�pericolo�per�la�salute�umana�e�l'ambiente,� intesocomeecosistemaecomepaesaggio.Lapotenzialita��delpericolosiconcre- tizza�quando�la��sostanza��o�l'�oggetto��esca�dal�controllo�del�soggetto�che�la� utilizza�nel�proprio�interesse.�L'interesse�del�soggetto�detentore�per�la� �sostanza��o�l'�oggetto��attribuisce�ad�essi�la�connotazione�di��beni�.�Questi,� nella�considerazione�della�coscienza�sociale�fatta�propria�dal�diritto,�vengono� valutati�sempre�con�riferimento�ai�soggetti�e�con�riguardo�alla�loro�specifica� attitudineasoddisfarebisognidellavitadirelazione.�Sipuo�,quindi,�conespres- sione�sintetica,�affermare�che�la��sostanza��o�il��prodotto�perde�la�qualita��di� �bene��e�diviene��cosa��allorche�si�esaurisce�la�sua�specifica�caratteristica�di� soddisfare�un�interesse�economicamente�apprezzabile�e�cessa�di�necessita��l'ap- prezzamento�del�suo�detentore.�L'azione�conseguente�a�tale��consumazione�� della�utilita��intrinseca�del�bene�e��quella�dell'abbandono.�L'abbandono�si�connota� come��non��trasferimento�volontario�della�cosa�(divenuta��rifiuto��perche�ha� esaurito�la�propria�specifica�attitudine�a�soddisfare�interessi)�o�del��bene��(cioe�� della�cosa�che�mantenga�in�tutto�o�inparte�lapropria�concreta�especifica�qua- lita��di�soddisfare�bisogni�della�vita�di�relazione)�ad�altro�soggetto.�La��cosa�� abbandonata�e���rifiuto��e�contestualmente�trova�applicazione�la�normativa�che� garantisce�che�l'astratto�pericolo�per�la�salute�umana�e/o�l'ambiente�costituito� dalla�sua�condizione�di�abbandono�non�si�concretizzi�in�un�vulnus effettivo�alla� salute�umana�e/o�all'ambiente.� Nell'ambito�di�tale�ricostruzione�trovano�collocazione�tutte�le�ipotesi�in�cui� il�detentore�si�disfi�della�cosa�o�debba�disfarsene,�cioe��deve�affidarla�allafiliera� dei�rifiuti,�pena�la�comminazione�di�sanzioni,�in�quanto�il�bene�e��considerato�ex lege come��cosa��in�relazione�al�livello�di�sfruttamento�cui�e��stato�sottoposto.� La�categoria�residuale�contenuta�nell'elenco�dei�rifiuti�di�cui�alla�decisione� 94/3�e��riempibile�applicando�il�criterio�sopra�delineato.� 3.�^Il�Governo�italiano�ritiene�che�dinanzi�ad�ogni�fattispecie�occorra� verificare�se�sussistanoproprio�i�requisiti�del��disfarsi,�di�avere�deciso�di�disfarsi� o�di�avere�l'obbligo�di�disfarsi��per��includere��tale�materiale�nell'ambito�dei� rifiuti.�Inoltre,�si�e��dell'avviso,�che�un�materiale�destinato�allo�smaltimento�dal� detentore�e��sempre�e�comunque�un�rifiuto�proprio�in�quanto�il�detentore�sicura- mente�se�ne�disfa.� 4.�^L'assuntodiunapresunzionegeneraledirifiuto,salvodimostrazione� contraria�in�ordine�all'assenza�dell'atto�del�disfarsi�da�parte�del�detentore,�non� e��neppure�supportata�dalla�dizione�letterale�della�definizione�di�rifiuto.� In�base�a�tale�definizione�infatti�rifiuto�e���qualsiasi�sostanza�od�oggetto�che� rientra�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A della�direttiva�91/156�e�di�cui�il� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 95 detentore�si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsi�.�Le�con- dizioni�quindi�sono�due�strettamente�connesse�tra�loro�e�non�alternative�in� quanto�la�preposizione�tra�loro�interposta�e��e��e�non��o��e�consistono�nel:� rientrare�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A della�direttiva�91/156:� tale�condizione�peraltro,�come�rilevato�ripetutamente�anche�dalla�stessaCorte� digiustizia,�e�deltuttopleonasticainquanto,�comenoto,�ilpunto�Q16dell'alle- gato�I�della�direttiva�91/156�appare�omnicomprensivo�e�ricomprende��qualsiasi� sostanza,�materia�o�prodotto�che�non�rientri�nelle�categorie�sopra�elencate�;� sussistere�in�capo�al�detentore�del�requisito�del��si�disfi�o�abbia�deciso�o� abbia�l'obbligo�di�disfarsi�. E�evidente�che�le�due�condizioni�devono�entrambe�sussistere�perche�un� materiale�possa�definirsi�un�rifiuto;�va�peraltro�dimostrato�in�base�al�secondo� requisito�citato�che�il�detentore�del�materiale�si�sia�disfatto�o�abbia�deciso�di� disfarsi�o�abbia�avuto�l'obbligo�di�disfarsi.� Oveesistesse�unapresunzionegeneraleefosseposto�a�carico�deldetentore� l'onere�della�prova�di�dimostrare�di�non�essersi�disfatto,�di�non�aver�deciso�o� non�avere�l'obbligo�di�disfarsi,�la�direttiva�avrebbe�dovuto�esprimersi�in�modo� diverso.�Inoltre,�ove�in�materia�fosse�stata�posta�una�presunzione�di��rifiuto�� perognimateriaooggetto�impiegato�concretamente,�sicostringerebbeogniope- ratore�economico�detentore�di�un�materiale�a�dimostrare�per�qualsiasi�materia� impiegatanelprocessoproduttivo,�casopercaso,�chenonvisial'attodidisfarsi� o�la�decisione�di�disfarsi�o�l'obbligo�di�disfarsi�del�materiale�stesso.�Tutto�questo� appare�eccessivo�eforse�non�sarebbe�neppure�sufficiente.�Va�infatti�considerato� che�l'atto�di�disfarsi�e�collegato�nella�direttiva�91/156�al�detentore:�tale�soggetto� che�nella�direttiva�originaria�75/442�coincideva�con�il�produttore�iniziale�dei� rifiuti,�ai�sensi�della�91/156�^che�ha�integrato�la�prima�^viene�ad�identificarsi� non�solo�con�il�produttore�iniziale�ma�anche�con�la��persona�fisica�o�giuridica� che�li�detiene�,�successivamente.�Poiche�la�nozione�di�rifiuto�fa�riferimento�al� �detentore��(termine�usato�al�singolare),�si�deve�dedurre�che,�nel�caso�si�succe- dano�diversi�detentori,�il��detentore��la�cui�azione/decisione�incide�sulla�defini- zione,�e�colui�che�detiene�il�materiale�nel�momento�in�cui�si�deve�valutare�la�qua- lifica�di�rifiuto�o�meno.� In�altri�termini,�un�primo�detentore�puo�compiere�l'atto�di�disfarsene�ma�un� altro�detentore�che�ne�venga�in�possesso�successivamente�puo�non�avere�l'inten- zionedidisfarsene.�Taleipotesisicomplicaancoradipiu�quandocisitroviin� presenza�di�volta�in�volta�di�piu�detentori�susseguentisi�l'uno�all'altro:�a�quale� dei�detentori�occorrerebbe�allora�fare�riferimento�al�primo�detentore�o�a�quale� dei�successivi?� Ed�in�quale�misura,�nell'ipotesi�del�succedersi�di�vari�detentori,�i�detentori� subentranti�sono�responsabili�del�comportamento�dei�precedenti�detentori�ed�in� particolarediquelli,�semprenelcasodipiu�detentorinelciclodiutilita�delmate- riale,�con�i�quali�non�vi�e�stato�alcun�diretto�rapporto?� 5.�^Le�questionipregiudizialiproposte�mirano,�alpari�della�contestazione� della�Commissione,�a�sostenere�che�la�legge�italiana�sia�volta�ad�escludere�dalla� normativa�sui�rifiuti�dei�materiali�gia�definibili�come�rifiuti�in�quanto�dei�mede- simi�il�detentore�si�e�disfatto�o�ha�deciso�di�disfarsi�o�ha�l'obbligo�di�disfarsi.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 6.�^Contrariamente�a�quanto�acriticamente�ritenuto,�la�norma�italiana�in� esameintervieneinveceinunafaseprecedente,�interpretandopropriolanozione� sottesaall'atto�deldetentore,�espressadallelocuzioni�sidisfi�o��abbiadeciso�� didisfarsio�``abbial'obbligo''didisfarsi�.Ilsussistereditalepresuppostoe��l'e- lementodecisivopercapiresesie��inpresenzadiunrifiutoomeno.� 7.�^Si�sostiene�che�la�norma�contenuta�nell'articolo�14�del�decreto-legge� n.�138�del�2002�avrebbe�l'effetto�di�restringere�l'ambito�di�applicazione�della� direttiva,�inquantosiporrebbe�in�contrasto�con�ilnotoorientamento�della�Corte� di�Giustizia:��il�verbo�``disfarsi''��deve�essere�interpretato�anche�alla�luce�dell'ar- ticolo�174,�n.�2,�CE,�secondo�il�quale�la�politica�della�Comunita��in�materia� ambientale�mira�a�un�elevato�livello�di�tutela�ede��fondata�inparticolare�suiprin- cipi�della�precauzione�e�dell'azione�preventiva.�Ne�consegue�che�la�nozione�di� rifiuto�non�puo��essere�interpretata�in�senso�restrittivo�.�Questa�impostazione�e�� nota�al�Governo�italiano,�che�la�condivide.�Il�Governo�italiano�ritiene�pero��che� l'orientamentodella�Cortenonpossaessereusatoperstatuirecheunmateriale� e��rifiuto�fino�a�prova�contraria,�a�prescindere�dal�fatto�che�il�detentore�se�ne� disfi,�abbia�deciso�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsene.� 8.�^La�tesi�dello�Stato�italiano�anzidetta�trova�riscontro�certo�nella�let- tura�della�norma�di�legge�che,�lungi�dall'introdurre�il�concetto�di��non�rifiuto�� per�materiali�di�cui�il�detentore�si�disfa,�precisa�invece�che�l'impiego�di�un�mate- riale�in�un�processo�produttivo,�senza�che�intervengano�operazioni�di�recupero,� non�corrisponde�a�quell'azione�del�disfarsi��chee��condizione�essenzialeperche�� il�materiale�sia�considerato��rifiuto�.�Questa�interpretazione�appare�del�tutto� conformeallagiurisprudenzadella�CortediGiustizia,�comeillustratodiseguito.� 9.�^E�fuori�discussione�che�la�norma�italiana�non�ha�in�alcun�modo�inteso� restringere�non�solo�la�nozione�di�rifiuto�ma�neppure�l'�applicabilita��di�tale� nozione:�vero�e��invece�che�con�la�norma�si�indicano�dei�criteri�per�verificare�se,� nelcaso�concreto,�ildetentoresisiadisfattodelmateriale,�abbiadecisodidisfar- sene�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsene.�E�tali�criteri�non�sono�limitati�alla�solafase� preliminare�di�destinazione�del�materiale�ma�anche�alla�riprova�successiva�della� �effettiva�e�oggettiva��utilizzazione�del�medesimo.�La�ratio legis quindi�non�e�� di�dettare�criteri�che�non�riguardano�le�condizioni�di�esistenza�di�un�rifiuto,�ma� si�riferisce�proprio�a�tali�condizioni.�Non�si�tratta,�in�altri�termini,�di�escludere� dalla�normativa�inerente�la�gestione�dei�rifiuti�alcuni�rifiuti�gia��riconosciuti� come�tali,�ma�di�accertare�in�via�preliminare�se�esistono�le�condizioni�previste� dall'art.�6�comma�1�lett.�a) del�D.lgs�22/1997�(che�ha�ripreso�integralmente� l'art.�6�comma�1�lett.�a) della�direttiva�91/156)�per�qualificare�una�sostanza� come�rifiuto�.� 10.�^L'art.�14�della�legge�178/2002�va�letto�nel�suo�complesso�e�in�rela- zione�alcombinato�disposto�dei�commi1�e2�in�base�alqualeproprio�ilcomma� 2fornisce�icriteriinterpretativiperaiutarea�verificaresesussistono�le�tre�con- dizioni�alternative�del��disfarsi��di�cui�al�comma�1,�secondo�i�correttiprincipi� dell'ermeneuticagiuridica;�le�condizioniposte�neldispositivo�dell'interpretazione� autentica�si�realizzano�e�si�completano�definitivamente�solo�all'atto�dell'ef ffettivo� riutilizzo�in�un�ciclo�produttivo,�che�costituisce�quindi�l'evidenza�della�mancata� intenzione�/decisione�del��disfarsi��da�parte�del�detentore.�Al�contrario�quindi� di�quanto�assunto�del�tutto�immotivatamente�dal�giudice�remittente�circa�un� asserito�carattere�di�presunzione��iuris et de iure� della�norma�italiana.� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 97 11.�^Tale�ultima�considerazione,�non�e�infattipertinente�alla�natura�e�allo� scopo�della�norma�posta�dall'art.�14,�la�quale�non�ha�inteso�introdurre�ne�ha� introdotto�una�disciplina�processuale�sui�mezzi�di�prova�circa�la�ricorrenza�o� meno,�in�concreto,�della�nozione�di�rifiuto�(ovvero,�piu�specificamente,�delle� prove�logiche�presuntive,�in�senso�relativo�o�assoluto,�per�ammettere�o�escludere,� nella�singola�fattispecie�storica,�la�sussistenza�di�un�residuo/rifiuto�odi�un� residuo/non�rifiuto).� 12.�^Neppure�ha�previsto�per�la�prima�volta�^come�risulta�evidente�dal� suo�tenore�^prove�legali�e/o�tipiche�dalla�cui�applicazione,�nell'ordinamento� interno,�risulterebbe�ristretto�l'ambito�di�applicazione�della�direttiva�ofrustrate� le�suefinalita�.� Diversamente,�l'art.�14,�pur�autoqualificandosi�norma�interpretativa,�opera� su�un�piano�sostantivo�e�definitorio�della�nozione�giuridica�di�rifiuto.�Trattasi� quindi�di�norma�definitoria�^di�natura�sostanziale�e�non�processuale�^che� demarca�automaticamente�i�confini�giuridici�e�la�portata�della�nozione�del� residuo/rifiuto�e�del�residuo/non�rifiuto�.� 13.�^In�definitiva,�quindi,�il�legislatore�italiano�ha�cercato�di�individuare� �l'ambito�di�applicazione�della�nozione�di�rifiuto��che�secondo�ormai�una�conso- lidata�giurisprudenza�della�Corte�di�Giustizia�europea�(v.�da�ultimo�sentenza� 18�dicembre�1997,�causa�C-129/1996,�InterEnviromment,�punto�26�e�18�aprile� 2002,�C-9/00,PalinGranitOYedaltri,punto22)�....dipendedalsignificato� del�termine�<disfarsi>�.� 14.�^Resta�da�rimarcare�che�la�contestazione�fatta�propria�dal�giudice� remittente�troverebbe�applicazione�nei�confronti�di�qualsiasi�interpretazione�del� termine�disfarsi�a�prescindere�dai�suoi�contenuti�e�avrebbe�quindi�l'ef ffetto�di� impedire�qualsiasi�azione�degli�Stati�membri�volta�afornire�agli�operatori�e�alle� autorita�di�controllo,�le�necessarie�specificazioni�normative�del�termine�disfarsi,� con�il�risultato�di�limitare�lafacolta�di�questi�ultimi�^stabilita�nel�Trattato�^di� definire�le�modalita�di�applicazione�delle�direttive.� 15.�^Per�completezza�di�argomentazione,�necessaria�per�evitare�che�la� limitatezza�dello�apprezzamento�del�giudice�remittente�della�questione�della� compatibilita�comunitaria�della�norma��esplitativa��della�secca�definizione�con- tenuta�nella�normativa�comunitaria�comprometta�una�considerazione�globale� della�dibattuta�questione�e�opportuno�sottolineare�che�la�legislazione�italiana� non�esclude�dall'applicazione�della�nozione�di�rifiuto�le�operazioni�di�smalti- mento�e�di�recupero�non�ricomprese�negli�allegati�II�A�e�II�B�della�direttiva� 91/156.�La�norma�in�esame�invece�ha�inteso�precisare�che,�relativamente�alle� attivita�dicuiagliallegatiIIAeIIBdelladirettiva91/156,�icriteriinterpretativi� per�verificare�la�sussistenza�delle�condizioni�del��disfarsi��di�cui�alla�nozione�di� rifiuto,�sono�quelli�contenuti�nel�comma�2.� 16.�^Va�sottolineato�che�la�Commissione�UE�nel�corso�degli�11�anni�tra- scorsi�dall'emanazione�della�direttiva�91/156�non�ha�mai�esemplificato�nessun� altro�caso�aggiuntivo�alle�attivita�di�cui�agli�allegati�IIA�e�IIB:�questo�ancheper- che�tali�attivita�negli�anzidetti�allegati�sono�espresse�in�termini�del�tutto�generici� e�tali�da�ingenerare�rilevanti�incertezze�tra�le�operazioni�di�recupero�dei�rifiuti� verieproprie�ilnormale�trattamento�deimaterialinonqualificabilicomerifiuti� (v.�sentenza�della�Corte�della�Giustizia�18�dicembre�1997,�punto�33�e�sentenza� 17�luglio�2002,�punto�27).� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 17.�^Tale�carenza�di�indicazioni�e�ne�e��riprova�evidente�lo�svolgimento�del� ragionamento�piu��volte�condotto�dalla�Corte�di�giustizia�(v.�in�particolare�nel- l'ultima�sentenza�18�aprile�2002)�^ha�portato�la�Corte�stessa�ad�avvertire�la� necessita��difornire�taluni�criteri�del�tutto�esemplificativi�e�limitati�e�mai�esau- stivi,�casopercasoeriferibilialcomplessodellecircostanze.�Vaancheaggiunto� che�la�Corte�stessa�^e�non�la�Commissione�^pare�maggiormente�rendersi�conto� della�necessita��per�ogni�Stato�membro�di�applicare�in�pratica�una�norma�che� �non�propone�alcun�criterio�per�individuare�la�volonta��del�detentore�di�disfarsi� di�una�sostanza�o�di�un�determinato�oggetto��(v.�sentenza�18�aprile�2002�in� C-9/00�punto�25).�E�proprio�la�Corte�giunge�a�conclusioni�spesso�sostanzial- mentediversedaquelleprospettatedalla�Commissionenellememoried'udienza.� Cos|��adesempiomentreperla�Commissionenonsonosignificativiaifinidella� qualifica�di�un�materiale�come�rifiuto�l'assenza�di�una�trasformazione�prelimi- nare�ovvero�la�natura�o�meno�di�residuo�di�produzione�di�una�sostanza�ovvero� il�valore�economico�di�tale�residuo,�per�la�Corte�(v.�sentenza�18�luglio�2002in� C-9/00�punto�37)��appare�quindi�evidente�che�oltre�al�criterio�derivante�dalla� natura�o�meno�di�residuo�di�produzione�di�una�sostanza,�il�grado�di�probabilita�� di�riutilizzo�di�tale�sostanza�senza�operazioni�di�trasformazione�preliminare� costituisce�un�secondo�criterio�utile�ai�fini�di�valutare�se�essa�sia�o�meno�un� rifiuto�ai�sensi�della�direttiva�75/442.�Se,�oltre�alla�mera�possibilita��di�riutiliz- zarelasostanza,�ildetentoreconsegueunvantaggioeconomiconelfarlo,�lapro- babilita�ditaleriutilizzoe�alta.�Inun'ipotesidelgenerelasostanzainquestione� nonpuo�piu��essereconsideratauningombrodicuiildetentorecerchididisfarsi,� bens|��un�autenticoprodotto�.� 18.�^Deve�giungersi�ad�identica�conclusione�per�il�caso�ancor�piu��ecla- tante�di�un�detentore�che�abbia�acquisito�un�materiale�a�titolo�oneroso�(e�cioe�� con�un�esborso�economico)�e,�credibilmente,�non�per�disfarsene.�Si�ricordaal� riguardo�che�a�quanto�risulta�dalla�normativa�del�Lussemburgo�(legge�17�giu- gno�1994�art.�3�lett.�a) �i�rifiuti�recuperati�sono�considerati�rifiutifinche�essi� non�sono�reintrodotti�nel�circuito�economico�;�similmente�la�disciplina�inglese� considera�rifiuto�solo�cio��che�esce�dal�circuito�di�utilita��.� 19.�^Va�anche�aggiunto�che�non�appare�ne�dal�testo�della�direttiva�ne� dalle�indicazioni�della�Commissione�la�volonta��di�individuare�altre�operazioni� da�inserire�negli�Allegati�IIA�e�IIB�della�direttiva�stessa,�in�relazione�alle�quali� si�possa�verificare�la�sussistenza�dei�requisiti�del��disfarsi��propri�della�defini- zione�di�rifiuto.� 20.�^Quanto�al�primo�aspetto�(testo�letterale),�si�ricorda�che�art.�3� comma�1�lett.�b) della�direttiva�prevede�che�gli�Stati�membri�debbano�adottare� le�misure�appropriate�per�promuovere��il�recupero�dei�rifiuti�mediante�riciclo,� reimpiego,�riutilizzo�o�ogni�altra�azione�intesa�ad�ottenere�materie�prime�secon- darie�.�Aparteilfattochelanozionedimaterieprimesecondariechiaramente� distinguibile�da�quella�dirifiuto,�siaperla�letteradella�direttiva�cheper�l'orien- tamento�della�Corte,�non�e��mai�stata�chiarita�dalla�Commissione�malgrado�le� numerose�richieste�avanzate,�la�norma�della�direttiva�teste��citata�indica�chiara- mente�che�qualsiasi��altra�azione��condotta�sui�rifiuti�non�puo��che�essere�ricom- presa�nell'ambito�del�recupero�e�quindi�ricondotta�nell'ambito�dell'allegato�IIB� della�direttiva.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�99 21.�^Infatti��ogni�altra�azione��e�una�delle�modalita�del�recupero�nell'am- bito�dell'art.�3�comma�1�lettera�b):�poiche�la�definizione�di�recupero�di�cui� all'art.�1�comma�1�lettera�f)�della�direttiva�comprende�solo��tutte�le�opera- zioni�previste�dall'allegato�IIB��per�un�evidente�semplice�sillogismo��ogni� altra�azione��non�puo�che�essere�ricondotta�nell'ambito�dell'allegato�IIB,� che�allo�stato,�deve�essere�quindi�considerato�esaustivo.�E�cio�,�a�meno�di� chiarimenti,�ancora�mai�forniti�e�tutti�da�dimostrare,�che�pervengano�da� parte�della�Commissione,�la�quale�deve�anche�chiarire�la�ragione�della�defini- zione�diversa�dei�termini�di��riutilizzo��e��riciclaggio��utilizzata�nella�diret- tiva�91/156�CEE�sui�rifiuti�e�nella�direttiva�94/62CEE�sugli�imballaggi�e�sui� rifiuti�di�imballaggio:�forme�di�recupero�nella�prima�e�figure�autonome�e� distinte�dal�recupero�nella�seconda.� 22.�^La�direttiva�94/62�CEE�inoltre�esclude�dalla�tradizionale�nozione�di� rifiuto�anche��i�residui�diproduzione�:forse�aifinidel�computo�delraggiungi- mento�o�meno�degli�obiettivi�di�recupero�e�di�riciclaggio�secondo�le�intenzioni� di�taluno�ma�proprio�dalla�nozione�di�rifiuto�secondo�la�lettera�della�norma.� Tutto�cio�malgrado�i�rifiuti�di�imballaggio�siano�chiaramente�una�tipologia�di� rifiuto.�E�l'ulteriore�riprova�che�alle�presunte�intenzioni�del�legislatore�non�ha� fatto�seguito�una�chiara�formulazione�e�tale�circostanza�non�potra�che�ingene- rare�ulteriore�contenzioso.� 23.�^E�opportuno�rammentare�che�la�Decisione�del�Parlamento�Europeo�e� del�Consiglio�del�22�luglio�2002,che�istituisce�il�sesto�programma�comunitario� di�azione�in�materia�di�ambiente,�all'art.�8�indica�tra�le�azioni�prioritarie�da� attuare�nell'ambito�della�disciplina�dei�rifiuti�la��..precisazione�della�distinzione� fra�cio�che�e�rifiuto�e�cio�che�non�lo�e�e�lo�sviluppo�di�criteri�adeguati�per�l'ulte- riore�elaborazione�degli�allegati�IIA�e�IIB�della�Direttiva�quadro�sui�rifiuti�.�E� chiaro�quindi�che�la�stessa�Commissione�non�mostra�alcuna�intenzione�di�ope- rare,�aifini�di�distinguerefra�cio�che�e�rifiuto�e�cio�che�non�lo�e�,�al�difuori�degli� allegati�IIA�e�IIB,�almeno�a�quanto�indicato�nella�frase�teste�citata.�Si�chiede� alla�Commissione�in�relazione�a�tanto,�quali�azioni�siano�state�intraprese�nei� riguardi�di�norme�di�recepimento�della�direttiva�che�contengono��sic�et�simplici- ter��la�stessa�disposizione�con�riferimento�esclusivo�agli�allegati�IIA�e�IIB�della� direttiva�(v.�decreto�sui�rifiuti�tedesco�del�27�settembre�1994�art.�3�lett.i),� norma�tuttora�vigente�nonostante�la�condanna�pronunciata�dalla�Corte�a�carico� dellaGermaniail10maggio1995).�Sisottolinea,�conl'occasione,�chepiu�oltre,� al�successivo�sottopunto�b),�la�stessa�norma�stabilisce�che��l'opinione�del�deten- tore�deve�essere�usata�come�base�per�valutare�lafinalita�dell'impiego�del�mate- riale�tenendo�conto�dell'accettazione�del�mercato�.� 24.�^Ovviamente�lo�Stato�italiano�e�disponibilissimo�a�cooperare�con�la� Commissione�per�individuare�eventuali�operazioni��estranee��a�quelle�ricom- prese�negli�allegati�IIA�e�IIB�a�cui�ovviamente,�ove�individuate,�andra�applicata� senza�eccezione�alcuna�la�nozione�di�rifiuto,�per�verificare�se�sussista�per�esse� l'atto�del��disfarsi�.�E�chiaro�pero�,�sin�d'ora,�che�qualsiasi�regola�in�materia� come�qualsiasi�criterio�interpretativo�in�ordine�alla�non�chiara�definizione�di� rifiuto^unavolta�concordaticon�tuttigliStatimembridovranno�essererecepiti� e�applicati�alla�lettera�e�senza�eccezione�alcuna�in�tutti�gli�Stati�membri�alfine� di�non�creare�distorsioni�di�concorrenza�e�sotto�il�profilo�ambientale�e�sotto� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO quello�economico�anche�in�relazione�alla�necessita�di�garantire�una�uniforme� applicazione�del�regolamento�transfrontaliero�dei�rifiuti�di�cui�al�Regolamento� 259/1993�e�successive�modifiche�ed�integrazioni�che�si�basa�sulla�stessa�defini- zionefornita�dalla�direttiva�ma�ha�naturagiuridica�ben�diversa�ede�moltopiu� strettamente�vincolante�rispetto�alla�direttiva�stessa.�Allo�stato�attuale�nonpuo� che�ragionarsi�in�termini�di�operazioni�ricomprese�negli�allegati�IIA�e�IIB.� 25.�^Conl'attonormativocuifariferimentoilgiudiceremittenteperarti- colare�le�questioni�pregiudiziali,�il�legislatore�italiano�ha�inteso�riferire�la� nozione�di��disfarsi�:�a) a�tutte�quelle��operazioni�di�recupero�o�smaltimento�� che�siano�elencate�^o�non��esplicitamente�elencate�^negli�allegati�B�e�C�,� conoscendo�e�condividendo�il�convincimento�della�Commissione�secondo�cui� detti�elenchisono�notoriamente�aperti�e��non�esaustivi�di�tutte�lepossibili�opera- zioni�di�smaltimento�o�di�recupero�;�b) fondando�l'eventuale�esclusione�dei�resi- dui�produttivi�o�di�consumo,�dall'area�dei�rifiuti,�non�sulla�mancata,�esplicita� previsione�di�determinate�operazioni�(di�recupero�o�smaltimento)�negli�allegati� citati,�ma�sulfatto�che�i�residui�siano��effettivamente�ed�oggettivamente�riutiliz- zati�nel�medesimo�o�in�analogo�o�diverso�ciclo�produttivo�o�di�consumo��senza� essere��disfatti��(cioe�senza�essere���avviati�o�sottoposti�ad�attivita�di�smalti- mento�o�di�recupero,�secondo�gli�allegati�B�e�C�cit.�,�ai�sensi�del�comma�1,� lett.�a),dell'art.�14).� 26.�^Tanto�si�desume,�infatti,�con�sufficiente�chiarezza,�anche�dal� comma�2,�dell'art.�14,�dove�le�esclusioni�della�fattispecie�del��disfarsi��sono� subordinate�alle�seguenti,�esclusive�evenienze�condizioni:� ^lett.�a):�della assenza di qualsiasi operazione di trattamento di recu- pero,�in�senso�proprio,�di�cui�all'allegato�C�(inteso�in�senso�aperto,�secondo�la� prassi)�ilqualeriproducel'AllegatoIIB,�delladirettiva156cit.;� ^lett.�b):�della�possibile�presenza�di��trattamenti preliminari� che�non� assurgono�pero�a�vere�e�proprie��operazioni di recupero completo�, come�sub� a��dopo�aver�subito�un�trattamento preventivo senza�che�si�renda�necessaria� alcuna�operazione�di�recupero�tra�quelle�individuate�nell'allegato�C�del�decreto� legislativo�n.�22�.� 27.�^Alla�luce�di�quanto�sopra�detto�non�sono�condivisibili:� ^gli�asseriti�e�non�dimostrati�intenti�della�norma�italiana�di�escludere�gran� parte�dei�rifiuti�recuperabili�dall'ambito�di�applicazione�della�direttiva;� ^l'intento�di�ricondurre�nella�categoria�dei�rifiuti�tutta�una�serie�di�mate- riali,�a�prescindere�dalla�dimostrazione�che�dei�medesimi�il�detentore�si�disfi�o� abbiadeciso�didisfarsio�abbia�l'obbligo�didisfarsi.� La�norma�italiana�interviene�nella�fase�precedente�alla�catalogazione� delsingolo�materialeper�indicare�criteridiprova�dellasussistenza�deirequi- siti�del�disfarsi�assolutamente�necessari�epropedeuticiper�configurarel'esi- stenza�di�un�rifiuto.� Lo�Stato�italiano�ritiene�che�dinanzi�ad�ognifattispecie�occorra�verifi- care�se�sussistano�proprio�i�requisiti�del��disfarsi,�di�avere�deciso�di�disfarsi� o�di�avere�l'obbligo�di�disfarsi��per��includere��tale�materiale�nell'ambito� deirifiuti.�Inoltre,sie�dell'avviso,�che�un�materiale�destinato�allo�smalti- mento�dal�detentore�e�sempre�e�comunque�un�rifiuto�proprio�in�quanto�il� detentore�sicuramente�se�ne�disfa.� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�101 28.�^L'art.14valettonelsuoinsieme.Conquestanormasie�intesofor- nire�criteri�interpretativipositiviper�l'inclusione�tra�i�rifiuti�dimateriali�dei�quali� il�detentore��si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsi�.�La� lista�normalizzata�non�esaurisce�la�categoria�dei�rifiuti,�in�quanto�saranno�rite- nuti�tali�quei�materiali�nei�confronti�dei�qualiper�se�stessi�oper�essere�assogget- tati�ad�attivita�diverse�da�quelle�indicate�dalle�operazioni�di�recupero�di�cui� all'allegato�CdelD.lgs22/1997�(allegatoIIBdelladirettiva91/156),�sipossa� dimostrare�che�il�detentore��si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo� di�disfarsi�.�In�questo�contesto,�ove�sussistano�tali�articolazioni�normative�del� �disfarsi�,�qualsiasi�prodotto�o�materia�prima�o�sottoprodotto�diventa�rifiuto.� In�altri�termini�e�necessario�anche�attraverso�criteri�interpretativi�certi�fornire� una�lista�positiva�dei�rifiuti�e�non�partire�dal�presupposto�che�tutto�e�rifiuto� trannequellopercuisipossadimostrareche�ildetentorenonsidisfiononabbia� deciso�di�disfarsi�o�non�abbia�l'obbligo�di�disfarsi.�Occorre�pero�che�tali�mate- riali�e�tali�attivita�siano�individuati.� 29.�^L'assuntodiunapresunzionegeneraledirifiuto,salvodimostrazione� contraria�in�ordine�all'assenza�dell'atto�del�disfarsi�da�parte�del�detentore,�non� e�neppure�supportata�dalla�dizione�letterale�della�definizione�di�rifiuto.� In�base�a�tale�definizione�infatti�rifiuto�e��qualsiasi�sostanza�od�oggetto� che�rientra�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A�della�direttiva�91/156�e� di�cui�il�detentore�si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo�di� disfarsi�.�Le�condizioni�quindi�sono�due�strettamente�connesse�tra�loro�e� non�alternative�in�quanto�la�preposizione�tra�loro�interposta�e��e��e�non� �o��e�consistono�nel:� rientrare�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A�della�direttiva� 91/156:�tale�condizione�peraltro,�come�rilevato�ripetutamente�anche�dalla� stessa�Cortedigiustizia,�e�deltuttopleonasticainquanto,�comenoto,�ilpunto� Q16�dell'allegato�I�della�direttiva�91/156�appare�omnicomprensivo�e�ricom- prende��qualsiasi�sostanza,�materia�o�prodotto�che�non�rientri�nelle�categorie� sopra�elencate�;� sussistere�in�capo�al�detentore�del�requisito�del��si�disfi�o�abbia�deciso�o� abbia�l'obbligo�di�disfarsi�. E�evidente�che�le�due�condizioni�devono�entrambe�sussistere�perche�un� materiale�possa�definirsi�un�rifiuto;�va�peraltro�dimostrato�in�base�al�secondo� requisito�citato�che�il�detentore�del�materiale�si�sia�disfatto�o�abbia�deciso�di� disfarsi�o�abbia�avuto�l'obbligo�di�disfarsi.� Ove�invece�fosse�esistita�una�presunzione�generale�e�fosse�stato�posto�a� carico�del�detentore�l'onere�della�prova�di�dimostrare�di�non�essersi�disfatto,�di� non�aver�deciso�o�non�avere�l'obbligo�di�disfarsi,�la�direttiva�avrebbe�dovuto� esprimersi�in�modo�diverso.� 30.�^A�conferma�di�quanto�dedotto�appare�utile�richiamare�le�linee�ten- denziali�della�giurisprudenza�comunitaria�in�materia.�La�sentenza�18�dicembre� 1997�in�C-129/1996�contiene�una�prima�messa�a�punto�dei�problemi�esistenti�in� tema�di�definizione�di�rifiuto.�Sostanzialmente�la�Corte�afferma�che�l'esistenza� di�un�rifiuto�e�collegata�al�concetto�di�disfarsi�e�che�tale�concetto�trova�realizza- zione�in�presenza�di�operazioni�di�smaltimento�o�di�recupero�di�una�sostanza� odoggetto�(punti26e27).Dopoaverribaditoche,inlineadiprincipio,non� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� puo�escludersi�dalla�nozione�di�rifiuto�alcun�tipo�di�materiali�di�scarto�(punto� 28)�aggiunge�pero�che��tale�conclusione�non�pregiudica�la�distinzione�che� occorre�effettuare,�come�giustamente�hanno�sostenuto�i�Governi�belga�tedesco,� olandese�e�del�Regno�Unito�tra�il�recupero�dei�rifiuti�ai�sensi�della�direttiva� 75/442�Cee�come�modificata�ed�il�normale�trattamento�industriale�dei�prodotti� che�non�costituiscono�rifiuti�a�prescindere�dalla�difficolta�di�tale�distinzione��e� cheperprodottinonsidevono�intendere�imanufattifinalima�lematerieprime.� Pur�nel�linguaggio�complesso�pare�orientarsi�nella�conclusione�^d'altro� canto�contenuta,�come�gia�rilevato,�nello�stesso�art.�3�comma�1�lettera�b)�della� Direttiva�91/156�^che�occorre�sincerarsi�se�vi�sia�la�necessita�per�l'impiego� nel�processo�produttivo�di�una�azione�di�recupero�o�meno.� Con�sentenza�15�giugno�2000�in�C-418/1997�e�C-419/1997�e�stata�esami- nata�la�questione�della�classificazione�di�sostanze�destinate�ad�essere�usate�come� combustibile�nell'industria�cementiera�o�per�produrre�energia�elettrica.�Va�preli- minarmente�osservato�che�secondo�un�orientamento�relativamente�consolidato�e� a�livello�giurisprudenziale�e�a�livello�di�Commissione�europea�e�di�Stati�membri,� sembrava�sinora�abbastanza�pacifico�che�dovesse�trattarsi�di�rifiuti�atteso�che� mentre�dalle�altre�operazionidirecupero�siottiene�unamateriaprimaseconda- ria,�lacategoriaR9dell'allegatoBdellaDirettiva91/156hacometitolo^rife- ribileadunrifiuto^�Utilizzazioneprincipale�come�combustibile�o�altromezzo� per�produrre�energia�.�Le�conclusioni�della�Corte�sono�invece�diverse�da�quelle� sino�ad�ora�espresse,�secondo�le�quali�si�doveva�presumere�l'atto�del�disfarsi�ove� sifosseresanecessariaunapreventivaoperazionedirecupero�(cheparevasussi- stere�automaticamente�in�caso�di�combustione�come�vistoper�la�lettera�delpunto� R9�citato,�anzi�si�ricorda�che�la�Commissione�piu�volte�ha�cercato�inutilmente� di�trasferire�tale�voce��combustione��dall'ambito�delle�operazioni�di�recupero�a� quelle�di�smaltimento).� Secondo�la�Corte�infatti�(v.�punti�45,�49,�50,�51,82�8�e�conclusione�riassun- tiva�n.�1�per�la�causa�418/1997)�dal�semplice�fatto�che�su�una�sostanza�venga� eseguita�l'operazione�secondaria�menzionata�dagli�allegati�IIA�e�IIB�della�Diret- tiva�del�Consiglio�15�giugno�1975,�75/442/Cee,�relativa�ai�rifiuti�come�modifi- cata�dalla�Direttiva�18�marzo�1991,�91/156/Cee,�non�discende�che�l'operazione� consiste�nel�disfarsene�e�che�pertanto�la�detta�sostanza�va�considerata�rifiuto�ai� sensi�della�Direttiva.�L'esistenza�di�tale�operazione�di�recupero�e�solo�uno�degli� elementi�che�vanno�presi�in�considerazione�per�stabilire�se�tale�sostanza�sia� ancora�un�rifiuto�ma�non�consente�di�trarre�una�conclusione�definitiva.�L'esi- stenza�di�un�rifiuto�deve�essere�accertata�sulla�scorta�del�complesso�delle�circo- stanze,alla�luce�della�definizione�di�cui�all'art.�l�a)�della�Direttiva,�cioe�dal� fatto�che�il�detentore�della�sostanza�se�ne�disfi,�ovvero�abbia�deciso�o�abbia� l'obbligo�di�disfarsene,�tenendo�conto�della�direttiva�ed�in�modo�da�non�pre- giudicarne�l'efficacia�(punti�83,�88�).� A�tali�conclusioni�la�Corte�principalmente�arriva�in�quanto:� ^�l'ambito�di�applicazione�della�nozione�di�rifiuto�dipende�dal�significato� del�termine�disfarsi��(v.�punto�36,�46�e�52�).� ^nell'ambito�dell'allegato�IIB�della�Direttiva��..�benche�le�descrizioni�di� taluni�deimetodifacciano�riferimento�esplicito�ai�rifiuti,altre�invece�sonoformu- late�in�termini�piu�astratti,�potendo�essere�applicate�a�materie�prime�che�non� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 103 sono�rifiuti�.�Ecco�perche�secondo�la�Corte,�non�e�automaticamente�deducibile� l'atto�deldisfarsiperlapresenzadiunadelleoperazionidirecuperodicuiall'al- legato�IIB��(v.�punto�50).� Vengono�alriguardopoievidenziate�ledeltutto�distonichefradiloroprese� di�posizione�dei�vari�Stati�membri�intervenuti�al�dibattimento�^punti�60,�76�e� 80�Danimarca,�Austria�e�Commissione�^punti�61�e�77�Germania,�punti�62�e� 78�Inghilterra�punto�62�e�Olanda�punti�63�e�79.� Tale�elencazione�di�diversita�normative�comprova�la�contraddittorieta�della� tesi�della�Commissione�circa�la�chiarezza�della�definizione�di�rifiuto�e�laneces- sita�di�una�armonizzata�applicazione�della�definizione�in�ambito�europeo�(in� esatta�contrapposizione�con�quanto�poi�affermato�nella�memoria�presentata� dalla�Commissione�stessa�nella�Causa�C-103).�Segue�a�questopunto�una�elenca- zione�delle�circostanze�indicative�ma�che�non�possono�essere�considerate�deter- minantiper�risolvere�in�via�definitiva�il�dilemma�se�una�cosa�sia�rifiuto�o�meno)� fra�le�quali�si�ricordano:� ^la�destinazionefutura�del�materiale�(punto�64�);� ^lapotenzialeriutilizzabilita�del�materiale�anche�in�modo�compatibile� con�leesigenzeditutela�ambientaleesenza�trasformazioni�radicali� (punti�65�e�68);� ^l'impatto�ambientale�e�sanitario�derivante�dalla�trasformazione�di�tale� sostanza�(punti�66�e�67);� ^l'esistenza�di�una�completa�operazione�di�recupero�di�cui�all'allegato�IIB� ovvero�di�previe�operazioni�di�cernita�e�di�trasformazione�(punto�93).� Non�vengono�date�nozioni�positive�sulle�precise�e�puntuali�circostanze�che� possonofarritenerepresentel'attodeldisfarsioalmenopresumerlo.�Siconclude� infatti�anche�nelpunto�2�terzo�comma�della�sentenza�419/1997�che��L'effettiva� esistenza�di�un�rifiuto�aisensi�della�direttiva�va�accertata�alla�luce�del�complesso� delle�circostanze�tenendo�conto�delle�finalita�della�direttiva�ed�in�modo�da�non� pregiudicarne�l'efficacia�.� Occorre�quindi�cercare�di�capire�quali�siano�i�passi�della�sentenza�che�in� qualche�modo�consentano�di�dedurre�le�regole�relative�all'individuazionedel- l'atto�deldisfarsi,puntodidiscriminefrarifiuto�enonrifiuto.�Alpunto41�e�pre- cisato�che,�in�mancanza�di�disposizioni�comunitarie�(�si�rileva�quindi�tale�non� esistenza�di�regole�uguali�per�tutti)�gli�Stati�membri�sono�liberi�di�scegliere�le� modalita�diprova�di�diversi�elementi�definiti�dalle�direttive�da�essi�traspostepur- che�cio�nonpregiudichil'efficaciadeldiritto�comunitario;unodeicasidipregiu- dizio�dell'efficacia�e�individuato�nel�punto�42�in�una�eventuale�norma�nazionale� che�escluda�dall'applicazione�della�direttiva�sostanze�che�invece�rispondono�alla� definizione�di�rifiuti�ai�sensi�della�direttiva�(e�si�ritorna�alla�necessita�di�chiarire� quale�sia�il�significato�di�disfarsi)�in�base�a�presunzioni��iuris et de iure�.�Nel� punto�70�si�ribadisce�che,�in�mancanza�di�disposizioni�comunitarie�specifiche� relative�alla�esistenza�di�un�rifiuto,�spetta�al�giudice�nazionale�applicare�le� norme�in�materia�del�proprio�ordinamento�giuridico�in�modo�da�non�pregiudi- care�lafinalita�e�l'efficacia�della�direttiva.� Applicando�tali�principi�al�caso�in�discussione�se�ne�ricava�quindi�che�il� legislatore�italiano�e�legittimato�^proprioper�l'assenza�di�indicazioni�comunita- rie�in�merito�^a�fornire�indicazioni�sulle�modalita�di�prova�per�accertare�se�vi� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO sia�o�meno�il�disfarsi�ma�nonpuo���sic et simpliciter��operare�esclusioni�dall'am- bito�della�direttiva�per�quei�materiali�che�comunque�rientrano�sulla�base�delle� regole�interpretative�dettate,�nella�definizione�di�rifiuto.�Alpunto�94,�si�rileva� che�un�materiale�che�sottoposto�ad�una�operazione�di�recupero�completo�acquisi- sce�le�caratteristiche�della�materia�prima�rimane�rifiuto�se�il�detentore�se�ne� disfa.�Anche�tale�assunto�conferma�la�legittimita��comunitaria�della�norma�ita- liana�che�richiede�come�requisito�necessario��l'effettivo�ed�oggettivo�utilizzo�del� materiale�;�e�cio��,�in�quanto�qualsiasi�prodotto�o�materia�prima�puo��diventare� rifiuto�se�il�detentore�se�ne�disfa�non�utilizzandolo�o�abbandonandolo.� Come�si�vede�il�quadro�che�emerge�dalla�sentenza�fornisce�i�seguenti� spunti:� esiste�in�Europa�una�varieta��sostanziale�di�posizioni;� none��certolapresenzadiun'operazionedirecuperoafardedurrecon� certezza�che�vi�sia�un�rifiuto;� non�ci�si�puo��basare�per�dare�un�giudizio�definitivo�sull'esistenza�o�meno� diunrifiutosull'originedelmateriale,�sulsuo�trattamento�o�lasuadestinazione;� si�deve�vedere�caso�per�caso,�circostanza�per�circostanza,�sulla�base�di� modalita��di�prova�dettate�dagli�Stati�membri�chiamati�a�fornire�i�criteri�che� dovrannopoi�essere�applicati�daigiudici,�per�assicurare�l'applicazione�delprinci- pio�di�legalita��.� Viene�a�questopunto�da�chiedersiilperche�siapra�lastrada�a�differenti� interpretazioni�della�definizione�di�rifiuto�nell'ambito�dei�vari�Stati�membri�con� ovviepesanti�e�negative�conseguenze�in�campo�di�concorrenzialita��e�conseguente� instaurarsidiunadistorsioned|�concorrenzaaparita��difattispecie.� La�chiave�di�lettura�paradossalmente�viene�fornita�da�alcuni�spunti�della� successiva�sentenza�del�22�giugno�2000�in�C-318/1998.� Contrariamente�a�quanto�sostenuto�sinora�dalla�Commissione�circa�la� necessita��di�una�uniforme�applicazione�della�normativa�in�tutta�Europa�alfine� di�armonizzare�il�perseguimento�dei�risultati�la�Corte�(v.�punto�46)�sostiene� chelanormativacomunitarianonmira,nelsettoredell'ambiente,�adunaarmo- nizzazione�completa,�ma�che�la�politica�della�Comunita��europea�mira�ad�un�ele- vato�livello�di�tutela,�tenendo�conto�della�diversita��delle�situazioni�nelle�varie� regioni�della�Comunita��.� Tale�concetto�e��rafforzato�dall'assunto�di�cui�ai�punti�41�e�42�laddove�si� aggiunge�che�la�direttiva�non�precisa�il�contenuto�concreto�delle�misure�che� devono�essere�adottate�per�assicurare�che�i�rifiuti�siano�smaltiti�senza�pericolo� per�la�salute�dell'uomo�e�senza�recare�pregiudizio�all'ambiente:�cio��non�toglie� che�essa�vincola�gli�Stati�membri�circa�l'obiettivo�da�raggiungere�pur�lasciando� agli�stessi�un�potere�discrezionale�nella�valutazione�della�necessita��di�tali�misure� (punti�47�e�48).� Questo�conferma�la�necessita��per�ciascuno�Stato�di�darsi�proprie�regole� interpretative(cioe��lemisuredaadottareperperseguirelefinalita�generalidella� politica�comunitaria)�anche�se�poi�in�caso�di�diversita��appare�del�tutto�oscuro� come�possa�applicarsi�il�Regolamento�del�trasporto�transfrontaliero�di�rifiuti�in� caso�di�diversita��di�vedutefra�Stato�e�Stato.� Tale�principio�per�cosi�dire�di�sussidiarieta��ha�le�conseguenze�che�sono�poi� elencate�nella�sentenza�di�cui�trattasi�relativa�alla�definizione�di�rifiutipericolosi.� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 105 Disattendendo�le�conclusioni�del�Governo�olandese�e�della�Commissione�che� avevaconsideratotassativol'elencodeirifiutidicuialladirettiva91/689ealladecisione� 94/904�(punto35)�edaccogliendoinparteleargomentazionideigoverniaustriacoe� tedesco�(punto36)�siprecisachelaDirettiva91/689relativaairifiutipericolosinon� impedisce�agli�Stati�membri,�ivi�comprese�(nell'ambito�dei�loro�poteri)�le�rispettive� autorita�giudiziarie,�di�qualificare�come�rifiutipericolosi�rifiuti�diversi�da�quelli�che� compaiononelcatalogoCERdicuialladecisione94/904del22�dicembre1994.� Lo�Stato�membro�interessato�dovra�darne�notifica�alla�Commissione�e�la� decisione�avra�valore�solo�nei�territori�dello�Stato�che�avra�proceduto�a�tale�qua- lificazione.�Criterio�determinante�per�tale�qualifica�e�la�presenza�di�una�delle� caratteristiche�indicate�nell'allegato�III�della�direttiva�91/689�e�l'origine�del� rifiuto�e�solo�uno�deifattoridi�cuil'elenco�deirifiutipericolosisilimita�a�tener� conto�elementi�(punti48,�51,�56epunto�1�delladecisione).� La�Corte�di�Giustizia�ha�effettuato�un�ulteriore�approfondimento�della�giu- risprudenza�in�materia�con�la�sentenza�18�aprile�2002,�in�Causa�C-9/00.� La�sentenza,�pur�trattando�di�materiali�provenienti�dalla�lavorazione�del� granito�e�non�essendo�quindi�esaustiva,�riassume�gli�orientamenti�della�Corte,� espressi�nel�tempo,facendo�ilpunto�della�situazione�in�questi�termini:� a) L'ambito�di�applicazione�della�nozione�di�rifiuto�dipende�dal�signifi- cato�del�termine��disfarsi�,�che�deve�essere�interpretato�alla�luce�sia�dellafina- lita�della�direttiva�75/442�(la�tutela�della�salute�umana�e�dell'ambiente�contro� gli�effetti�nocivi�della�raccolta,�del�trasporto,�del�trattamento,�dell'ammasso�e� deldeposito�deirifiuti),�sia�delprincipio�secondo�ilquale�lapoliticaambientale� comunitariamiraadunelevato�livelloditutelaede�fondatainparticolaresui� principidiprecauzioneedell'azionepreventiva.�Neconseguechelanozionedi� rifiuto�nonpuo�essere�interpretata�insenso�restrittivo.� b) La�Corte,�dopo�aver�rilevato�che�la�direttiva�75/442�non�propone� alcun�criterio�per�individuare�la�volonta�del�detentore�di�disfarsi�di�una�sostanza� o�diun�determinato�oggetto,forniscealcune�indicazionia�questofine:�mentre� la�Commissione�considera�le�operazioni�di�smaltimento�e�recupero�di�una� sostanza�alla�stregua�di�manifestazioni�della�volonta�di��disfarsene�,�la�Corte� osserva�che�la�distinzione�tra�operazioni�di�smaltimento�o�recupero�di�rifiuti�e� iltrattamento�dialtriprodottie�spesso�difficileda�cogliere�estatuisce�chedalla� circostanza�che�su�una�sostanza�venga�eseguita�un'operazione�di�smaltimento�o� di�recupero�menzionata�negli�allegati�della�direttiva�non�discende�che�l'opera- zione�consista�nel�disfarsene.�L'esecuzione�di�queste�operazioni�non�permette� quindi,�di�per�se�,�di�qualificare�una�sostanza�come�rifiuto.� c) D'altraparte,�secondo�la�Corte�la�nozione�di�rifiuto�e�comprensiva�delle� sostanze�suscettibili�di�riutilizzo�economico.�La�Corte�ha�infatti�specificato�che�la� direttiva�75/442�intende�riferirsi�a�tutti�gli�oggetti�di�cui�il�proprietario�si�disfa,� anche�se�essi�hanno�un�valore�commerciale�e�sono�raccolti�a�titolo�commerciale�a� fini�di�riciclo,�di�recupero�e�di�riutilizzo.�Ne�consegue�che�ne�ilfatto�che�i�materiali� siano�oggetto�di�un'operazione�dismaltimento�o�di�recupero�ne�la�circostanza�che� essi�siano�riutilizzabili�consentono�di�stabilire�se�tali�materiali�siano�o�meno�rifiuti.� SecondolaCorte�(punto23)��ilsistemadisorveglianzaedigestioneistituitodalla� Direttiva�75/442intenderiferirsiatuttiglioggettielesostanzedicuiilproprietario� si�disfa,�anche�se�essi�hanno�un�valore�commerciale�e�sono�raccoltia�titolo�commer- cialeafinidiriciclo,�direcuperoediriutilizzo�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� d)�Ma secondo la stessa Corte, cipossono essere dei �sottoprodotti�, il cuiriutilizzononsiasolo eventuale, ma certo, senza trasformazionepreliminare enelcorsodelprocessodiproduzione (punto36),acuinonsiapplicalanorma- tiva in materia di rifiuti. e)�Argomenta quindi, la Corte che, oltre al criterio derivante dalla natura omenodiresiduodiproduzionediunasostanza,�ilgradodiprobabilita� diriu- tilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costitui- sce un secondo criterio utile�. (..) Se, poi, il detentore consegue un vantaggio economico nelfarlo, laprobabilita� di tale riutilizzo e� alta. �In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non puo� piu� essere considerata un ingombro di cuidetentorecerchididisfarsi, bens|� unautenticoprodotto� (punto37). Alla luce delle considerazioni che precedono, si suggerisce alla Corte di risolvere i quesiti pregiudiziali sollevati dal giudice italiano dichiarando quanto segue: A)�quanto al quesito n. 1: la nozione di rifiuto, per la parte relativa al necessario elemento soggettivo che deve caratterizzare l'azione compiuta dal detentorerispettoallamateriaooggettodicuisiainpossessopuo� inconformita� allo articolo 14 della legge 138/2002, essere integrata da qualsiasi comporta- mento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attivita� di smaltimento o di recupero con le modalita� indicate dagli allegati IIA e II B della direttiva 75/444/CEE. B)�quanto al quesito n. 2: puo� legittimamente escludersi dalla nozione di rifiuto il bene o la sostanza residuali di produzione o di consumo ove gli stessi, in conformita� all'articolo 14, comma 2, della legge 138/2002possono e siano effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso cicloproduttivo o diconsumo, senzasubirealcun interventopreventivo ditrattamentoesenzarecarepregiudizioall'ambiente(Iipotesi) oseglistessi possano essere e siano effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel mede- simo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo avere subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazionedi recupero tra quelle indicate nell'allegato II B della direttiva 91/156/CEE. (f.toavv. MaurizioFiorilli).�. Causa�C-460/02�^Commissione�C.E.�c�Repubblica�italiana�^Ricorso�per�ina- dempimento�^Accesso�ai�mercati�dei�servizi�di�assistenza�a�terra�negli�aero- porti�della�Comunita�^Direttiva�96/67/CE�(ct.4981/03,�avv.�O.�Fiumara).� MateriA deL contenderE La�Commissione�delle�comunita�europee�ha�adito�la�Corte,�ai�sensi�del- l'art.�226�comma�2,�del�Trattato�CE,�al�fine�di�far�constatare�che�la�Repub- blica�italiana��e� venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva 96/67/CE del Consiglio, del 15 ottobre 1996, relativa all'accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunita� nella misura in cui il decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18: ^non ha stabilito il periodo di durata massima di sette anni per la sele- zionediprestatoridiservizidiassistenzaaterra,dicuiall'art. 11,par. 1,lett. d), della direttiva in questione; IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 107 ^haintrodotto,�colsuoart.�14,�unamisurasocialeconl'art.�18delladetta� direttiva;� ^ha�previsto�nel�suo�art.�20�disposizioni�di�carattere�transitorio�non�con- sentite�dalla�suddetta�direttiva.� LA posizionE assuntA daL GovernO italianO Il Governo italiano nega gli addebiti osservando in particolare: �La�disciplina�instaurata�attraverso�l'emanazione�in�Italia�del�decreto�legi- slativo�18/1999�ed�in�particolare�dell'articolo�14,�si�e�posta�proprio�nell'ottica� della�consapevolezza�che�il�libero�accesso�al�mercato�puo�risultare�compatibile� con�il�buonfunzionamento�degli�aeroporti�comunitari�(nono�considerando�della� direttiva�96/67)�sempre�che�venga�realizzato�in�maniera�progressiva�ed�ade- guata�alle�esigenze�del�settore�(decimo��considerando��della�direttiva�97/67).� Le�misure�di�protezione�sociale�previste�dall'articolo�14,�non�ostacolanola� liberalizzazione�del�settore�dell'assistenza�a�terra�e�appaiono�l'espressione�di�un� potere�attribuito�allo�Stato�membro�dall'art.�18�della�direttiva.� Va,�al�riguardo,�considerato�il�momento�storico�in�cui�e�entrata�in�vigore�la� normativa�nazionale,�connotato�da�un�altissimo�tasso�di�disoccupazione,�con� indotta�un'enorme�vischiosita�ad�attuare�tout court misure�di�liberalizzazione,� pur�auspicabili�in�un�assetto�ottimale�della�gestione�aeroportuale.� Tuttavia,proprionellaprospettivadipervenireadunagraduale,�masicurarea- lizzazione�della�liberalizzazione�delmercato�dellavoro�sie�ritenuto�diadottare�una� normativatesaarealizzare�ilgradualepassaggiodallavecchiaallanuovanorma- tiva,�senza�interruzione�traumatica�di�situazioni�lavorative�consolidatesi�nel�tempo.� Vi�era,�altres|�,�il�timore�di�perdere�un�patrimonio�di�professionalita�edi� esperienzamaturatoneltempo,�connocumentopergliutenti,�ovesifossecon- sentita,inforzadellemisureliberalizzatrici,�l'espulsionedalmercatodiopera- tori�qualificati�e�l'ingresso�di�personale�inesperto�e�non�qualificato,�specie�nei� settoripiu�delicati�quali�l'accesso�alla�rampa�e�il�centraggio�dei�bagagli.� Ne�puo�trascurarsi�l'aspetto�della��sicurezza��che,�notoriamente,�e�priorita- rio�ad�ogni�altro�elemento,�in�particolare�in�ambito�aeroportuale,�come�dimo- strano�esperienze�anche�recenti�di�danni�o�di�pericolo�di�danni�conseguentiad� una�non�accurata�selezione�delpersonale�destinato�all'attivita�aeroportuale.� Taleaspettodellasicurezzanegliaeroporti,�ancorpiu�oggi,�rappresentaun� forte�elemento�condizionante�alfine�dell'acquisizione�delpersonale�da�adibire�a� settori�operativi�in�costante�contatto�con�ilpubblico�e�con�i�bagagli,�pur�nell'ot- tica�di�un�razionale�processo�di�liberalizzazione�.� �(omissis) ^L'art.�18�della�direttiva�lascia�agli�Stati�membri�un�ampio� potere�di��adottare le misure necessarie per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori� anche�se�deve�essere��fatta�salva�l'applicazione�delle�disposizioni� dellapresente�direttiva,�nelrispetto�dellealtredisposizionideldiritto�comunita- rio�.�Orbene,�la�salvezza�delle�disposizioni�della�direttiva�stessa�e�il�rispetto� delle�altre�norme�di�diritto�comunitario�(e�in�particolare�delle�norme�sul�mante- nimento�del�diritto�dei�lavoratori�in�caso�di�trasferimento�di�azienda)�non�signi- fica�certo�che�il�grado�di�tutela�accordabile�dagli�Stati�membri�debba�essere� espresso�solo�nei�limiti�consentiti�dalla�armonizzazione�del�diritto�comunitario:� se�cos|�fosse�l'art.�18�sarebbe�una�norma�del�tutto�inutile,�perche�non�lascerebbe� RASSEGNAxAVVOCATURAxDELLOxSTATOx allo|Stato|membro|alcun|margine|per|of ffrire|una|garanzia|ai|lavoratori|che|gia�| non|discenda|da|una|norma|comunitaria.|La|verita�|e�|che|la|norma|va|interpre- tata|nel|senso|che|tale|garanzia,|che|non|puo�|non|essere|�aggiuntiva�,|non|deve| tradursi|in|una|violazione|delle|norme|comunitarie|specificatamente|dettate|per| ilsettorenelladirettivastessaopiu�|ingeneraleinaltrefontinormativecomuni.| Epoiche�una|effettivagaranziaperilavoratorinonpuo�|chetradursiinunvin- colo,|un|onere,|un|impegno|per|il|datore|di|lavoro,|e�|chiaro|che|l'ammissibilita�| di|essa|va|valutata|attraverso|un|equo|contemperamento|degli|interessi|in| giuoco.| Cio�|precisato|in|premessa,|sui|singoli|rilievi|della|Commissione|si|puo�| osservare|quanto|segue.| a)xLa|nozione|di|trasferimento|di|azienda|richiamata|dalla|Commissione| non|appare|esaustiva|della|giurisprudenza|della|Corte|in|materia.| Non|puo�|invero|trascurarsi|quell'orientamento|secondo|cui,|alfine|di|deli- nearelafattispeciedeltrasferimentodiazienda|(odiramo),fermarestandol'i- dentita�|o|almeno|l'analogia|del|serviziofornito|dal|cessionario,|non|occorre|un| trasferimentodielementimaterialiepatrimoniali,|rientrandonellospecchiopre- cettivo|delle|direttive|sul|mantenimento|dei|diritti|dei|lavoratori|in|caso|di|trasfe- rimento|d'azienda|anche|il|mero|subentro|in|una|attivita�|di|pulizia|(caratteriz- zata|dalla|assoluta|marginalita�|dell'impiego|di|mezzi|materiali:|sentenza| 14|aprile|1994,|nella|causa|C-392/1992,|Schmidt,|in|Racc.,|I,|1311)|nonche�in| un|contratto|di|franchising|(sentenzax7xmarzox1996xnellexcausexriunitexC-171x ex172/1994,xMerckx,|in|Racc.,|I,|1253).|Non|appare,|quindi,|sempre|e|in|ogni| caso|necessario|ancorare|rigorosamente,|ai|fini|in|questione,|il|concettodi| azienda|o|di|ramo|alla|presenza|di|una|consistente|oggettivita�|strumentale|e| patrimoniale,|ritenendosisufficiente^ancheinsintoniaconaggiornateprospet- tive|dismaterializzazione|della|nozione|di|azienda|^l'organizzazione|di|una|atti- vita�|idonea|ad|assumere|uno|specifico|rilievo|economico.|Anche|le|sentenze| citate|dalla|Commissione|(18|marzo|1986|nella|causa|C-24/1985,|Spijkers;| l|�|marzo|1997|nella|causa|13/1995,|Suzen;|10|dicembre|1998|nelle|cause|riunite| C-17/1996|e|C-247/1996|SanchezxHidalgo)|sembrano|improntate|a|criteri|di| relativismoempirico,ovelapeculiarita�|delsettoreinteressatoedellaorganizza- zione|aziendale|svolge|un|ruolo|rilevante|nell'accentuare|o|meno|la|necessita�|di| presupposti|strutturali|e|materiali|dell'entita�|aziendale|ceduta.| Iltrasferimentodi�attivita��aeroportualipotrebbedunquegia�|rientrarein| questa|piu�|latafattispecie|di|�trasferimento|di|azienda�|e|il|ricorso|della|Com- missione|potrebbe|esaurirsi|gia�|a|questo|punto.| b)xAnchexpero�volendosixcollocarexnellaxprospettivaxdefinitoriaxprivileg iataxdallaxCommissione,xche|valorizza|elementi|ulteriori|rispetto|alla|trasla- zione|della|mera|�attivita�|�,|e�|possibile,|nella|specie,pervenire|a|soluzioni|diverse| da|quelle|della|stessa|Commissione.| E�noto,|infatti,|che|il|prestatore|di|servizi|aeroportuali,|che|subentra|nella| gestione|di|alcune|attivita�|,|normalmente|stipula|contratti|o|convenzioni,|di|varia| natura|giuridica,|volti|a|garantirgli|la|proprieta�|o|comunque|la|disponibilita�|di| una|serie|di|mezzi|e|strutture,|quali|carrelli|trasportatori,|mezzi|di|sollevamento| abordo|dicarichidistiva,|mezziaddettiallospostamento|degliaereisullepiste,| accompagnati|dal|relativo|know-howxtecnico|e|organizzativo,|nonche�dalla| IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�109 manodoperaaddetta.�Ecio�senzacontarel'acquisizionedapartedelprestatore� dei�servizi�della�disponibilita�delle�c.d.�infrastrutture�centralizzate,�quali�i�nastri� di�smistamento�bagagli,�i�registratori�di�imbarco,�i�pontili�di�attracco�ecc..�Il� tutto,�in�un�insieme�unitario�che�certo�delinea�una�autonoma�attivita�di�impresa.� Inoltre�certamente�ricorrono�nella�specie�queipresupposti�(enucleati�dalla�Com- missione�dalle�sentenze�Spijkers�e�Suzen)��di�trasferimento�della�clientela�� ovvero�dei�fruitori�dei�servizi,�nonche�di��analogia�delle�attivita�esercitate� prima�e�dopo�la�cessione�,�senza�alcuna�sospensione�della�attivita�.� E�pur�vero�che�l'art.�14�del�decreto�legislativo�n.�18/1999�allude�specifica- tamente�al��trasferimento�di�attivita�concernente�una�o�piu�categorie�di�ser- vizi�di�assistenza�a�terra�,ma�e�altrettanto�evidente�che�nella�prassi�tale�tra- sferimento�si�accompagna�inevitabilmente�alpassaggio�di�un�certo�numero�di� beniestrutturenecessarieallosvolgimento�della�attivita�dapartedelsoggetto� subentrante.� Standocos|�lecose,�lafattispeciequiesaminataconfiguraapienotitoloun� trasferimento�di�ramo�aziendale,o�quantomeno�una�successione�tra�aziende� sostanzialmente�assimilabile�ad�un�trasferimento,�la�cui�sottrazione�alle�garanzie� in�tema�di�continuita�del�rapporto�di�lavoro�alle�dipendenze�del�nuovo�gestore� del�servizio�configurerebbe�una�ingiustificata�discriminazione�proprio�a�danno� dei�dipendenti�delle�societa�che�gestiscono�servizi�aeroportuali�rispetto�a�tutti� gli�altri�dipendenti�di�settori�diversi.�A�pieno�titolo,�quindi,�la�normativa�nazio- nale�si�e�data�carico�di�garantire�la�tutela�di�lavoratori�in�un�ragionevole�dosag- gio�degli�opposti�interessi,�nello�spirito�dell'art.�18�della�direttiva.� c)�Enellostessospiritovaconsideratocheladirettivan.�96/67/CEmiraa� favorire�la�progressiva�liberalizzazione�delle�prestazioni�dei�servizi�di�assistenza� a�terra�degli�aeroporti,�ma�non�trascura�le�conseguenze�sociali�dell'intervento� comunitario.� Sotto�ilprimoprofiloleprestazionideiservizia�terraappaiono�indispensa- biliper�(efunzionalial)�buonfunzionamentodeltrasportoaereoeall'utilizza- zione�efficiente�delle�infrastrutture�di�questo�tipo�di�trasporto�(�considerando� 4�):�l'obiettivoprimarioe�difavorireunaeffettivariduzionedeicostidigestione� delle�compagnie�aeree�e�il�miglioramento�della�qualita�dei�servizi�offerti�all'u- tenza�(�considerando�5�)�e�lo�strumento�normativo�prescelto�consente�di�coniu- gare�le�istanze�di�armonizzazione�della�disciplina�del�settore,�con�le�esigenze�di� specificazione�regolativa�avvertite�dai�singoli�Stati�membri,�in�una�prospettiva� di�valorizzazione�del�principio�di�sussidiarieta�(�considerando�6�).�Sotto�il� secondoprofilo,�sin�dalpreambolo�della�direttivasi�coglie�la�volonta�delConsi- glio�di�monitorare�tali�effetti.�In�sintonia�con�tale�impegno,�nel�`considerando�8,� sirichiama�larisoluzionedelParlamentoeuropeosull'aviazionecivile�inEuropa� (14febbraio�1995),�ove�si�sollecitano�le�istituzioni�comunitarie�a�tenere�conto� �dell'impatto�dell'accesso�al�mercato�dei�servizi�di�assistenza�sulle�condizioni�di� lavoro�e�di�sicurezza�negli�aeroporti�della�Comunita��,�mentre,�nel�considerando� 24,�si�dispone,�in�modo�chiaro�e�diretto�che��gli�Stati�membri�devono�conservare� ilpoteredigarantire�un�adeguato�livello�diprotezionesociale�alpersonaledelle� imprese�cheforniscono�servizi�di�assistenza�a�terra�.� Proprio�in�relazione�a�tali�impegni�programmatici,�l'art.�18�nella�direttiva� haprevisto,�comeabbiamorilevatoinpremessa,�che,��fattasalval'applicazione� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO delle�disposizioni�dellapresente�direttiva�e�nelrispetto�delle�altre�disposizioni�del� diritto�comunitario�,�gli�Stati�membri�possono�adottare�le�misure�necessarie� per�garantire�la�tutela�dei�diritti�dei�lavoratori.� Pare�dunque�evidente�che�le�disposizioni�nazionali�attuative�della�direttiva� debbano�necessariamente�realizzare�un�compromesso�tra�le�due�istanze�fonda- mentali,�salvaguardando�prioritariamente�gli�obiettivi�di�liberalizzazione�dello� specifico�mercato�dei�servizi�aeroportuali,�ma�non�fino�al�punto�da�ignorare�o� schiacciare�le�istanze�garantistiche�dei�lavoratori�ad�essi�addetti.� La�Commissione,�viceversa,�nel�nome�di�una�rigida�gerarchia�degli�interessi� perseguiti�dalla�direttiva,�sembra�proporre�un�azzeramento�delle�preoccupazioni� �sociali��riguardanti�le�sorti�dei�numerosissimi�lavoratori�addetti�ai�servizi�aero- portuali�da�liberalizzare,�mentre�non�e�affatto�chiara�la�ragione�per�la�quale�le� cosiddette��clausole�di�salvaguardia��contenute�nelle�direttive�debbano�essere� interpretate�nel�senso�della�preminenza�assoluta�delle�istanze�liberalistiche�su� quellediprotezionesociale,�trattandosidel�confrontofraiprincipifondamen- tali�dell'Unione�europea,�ambedue�ugualmente�meritevoli�di�tutela.� d) Va�infine�contestato�l'assunto�della�Commissione�secondo�cui�la�traspo- sizione�nella�legislazione�italiana�della�direttiva�sarebbe�idonea�a�distorcere�la� concorrenzasulmercato�deiserviziaeroportualiinfavoredelleimpresegia�inse- diate�e�a�danno�dei�concorrentipotenziali.�Invero:� ilprincipio�della�liberta�di�concorrenza�implica�che�gli�operatori�(nazio- nali�e�comunitari)�godono�di�una�effettiva�eguaglianza�di�opportunita�nell'am- bito�delle�condizioni�anche�limitative,�previste�dalla�normativa�sociale;�cio�non� puo�costituire,percontro,�ilpretestoperliberareimedesimidaivincoliinmate- ria�di�legislazione�sociale�e�del�lavoro�relativi�a�quel�settore�di�attivita�.Come� osservato�nella�sentenza�della�Corte�di�giustizia�27�gennaio�2001,�nella�causa� C-172/1999,�Oy Liikenne Ab,�le�normative�comunitarie�tese�alla�apertura�dei� mercati�dei�servizi�non�liberano�affatto�i�soggetti�che�si�aggiudicano�i�relativi� appalti�dalle�normative�di�tutela�e�dai�vincoli�di�natura�sociale:�esse�sonosolo� dirette�adottenere�che�glioperatorifruiscano�dell'uguaglianza�delle�opportunita�,� in�particolare�per�attuare�i�loro�diritti�alla�liberta�di�stabilimento�ed�alla�libera� prestazione�dei�servizi.�Del�resto,�a�voler�aderire�alle�conclusioni�della�Commis- sione,�sifinirebbeperlegittimareunapotenzialita�concorrenziale�infavoredei� nuovi�concorrenti,�giocata�sul�dumping sociale�e�sulla�possibilita�per�questi� ultimi�di�ridurre�gli�organici�e�il�costo�del�lavoro.� Il�costo�derivante�dalla�operativita�delle�cosiddette��clausole�sociali�,�lungi� dal�ritenersi�lesivo�della�libera�concorrenza,�va�invece�considerato�nel�contesto� globale�dell'operazione�economica,�costituendo�uno�dei�parametri�o�delle�varia- bili�che,�nel�libero�gioco�della�competizione,�inducono�l'impresa�ad�effettuare� talunevalutazionipiuttostochealtre.�Detto�inaltritermini,�glioneripostialle� imprese�a�tutela�del�lavoro�dipendente�non�possono�essere�considerati�^entro� limiti�ragionevoli�^lesivi�dei�principi�della�concorrenza�tra�imprese,�in�quanto� costituiscono�dati�neutri�riferiti�al�mercato�e�alle�precondizioni.�Pertanto�la� clausola�sociale�contenuta�nell'art.�14�co.�2,�del�d.�lgs.�n.�18/1999�non�puo�confi- gurarsi�come�misura�restrittiva�della�prestazione�dei�servizi,�costituendo�questa,� per�contro,�una�legittima�misura�diprotezione�sociale,�contestualmente�definito- IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�111 ria�di�vincoli�per�i�soggetti�subentranti�riconoscibili�a�priori�e�non�implicanti� alcuna�condizione�di�disuguaglianza�delle�opportunita�ai�fini�dell'attuazione� della�richiamata�liberta�(oltre�che�della�liberta�di�stabilimento).� Seppure�si�volesse�dar�credito�all'opinione�che�segnala�lo�svantaggio�dei� nuovi�concorrenti,�consistente�nell'impossibilita�al�momento�del�subingresso�di� scegliere�il�proprio�personale�e�le�dimensioni�dell'organico,�non�si�potrebbe� dimenticare�che�il�soggetto�subentrante�potrebbe�pur�sempre�ricorrere�a�proce- dure�di�esodo�collettivo�o�individuale,�imposto�o�concordato,�onde�adeguare�l'or- ganico�alle�proprie�esigenze�organizzative�e�ai�costi�concorrenziali.�(omissis)� (f.toavv.�OscarFiumara)�.� Causa C-467/02 (domanda di pronuncia pregiudiziale) ^Associazione CEE ^ Turchia ^Familiare di lavoratore ^Espulsione ^Diritto di soggiorno ^ Art.�7,�primo�comma�e�art.�14�ARB�1/80�^Ordinanza�del��Verwaltung- sgericht��(Germania)�emessa�il�19�dicembre�2002,�notificata�il�4�marzo� 2003�(cons.�5679/03,�avv.�A.�Cingolo).� IL fattO Il�signor�Cetinkaya,�nato�il�24�gennaio�1979,�e�cittadino�turco�ma�e�cre- sciuto�in�territorio�federale�insieme�alla�sua�famiglia.� Dal�1995�il�Cetinkaya�e�in�possesso�di�permesso�di�soggiorno�a�tempo� indeterminato.�A�partire�dal�1996�lo�stesso�risulta�destinatario�di�una�serie� di�condanne�per�delitti�di�minore,�cos|�integrando�le�condizioni�richieste�dalla� �legge�sugli�stranieri��tedesca�per�l'espulsione�(che�di�fatto�viene�comminata� il�3�novembre�2000).�Il�7�gennaio�2000�viene�arrestato�e�inizia�a�scontare�la� pena�nella�casa�di�detenzione�per�minorenni�fino�a�che,�il�22�gennaio�2001,� viene�rilasciato�per�seguire�una�terapia�per�tossicodipendenti.�Dopo�averla� interrotta�per�due�volte�di�seguito,�la�terapia�viene�portata�a�termine�con�suc- cesso�tanto�che�il�tribunale�decide�di�disporre�la�sospensione�condizionale� della�pena�residua.�A�partire�da�quella�data�il�sig.�Cetinkaya�segue�a�Berlino� dei�corsi�di�recupero�per�conseguire�un�diploma�di�scuola�media�superiore.� L'interessato�ha�proposto�ricorso�avverso�l'espulsione�invocando�la�decisione� 1/80�del�Consiglio�di�Associazione�CEE/Turchia,�i�principi�affermati�nella� Convenzione�europea�di�salvaguardia�dei�diritti�dell'uomo�e�delle�liberta�fon- damentali�e,�non�ultimo,�i�principi�affermati�in�materia�dalla�giurisprudenza� della�Corte�Europea�dei�diritti�dell'uomo.� IquesitI 1.�^Se�rientri�nel�campo�di�applicazione�dell'art.�7,�primo�comma,�della� decisione�1/80�del�Consiglio�di�associazione�CEE-Turchia�(ARB),�la�condi- zione�di�una�persona�che�sia�figlio�di�lavoratore�turco,�qualora�il�suo�sog- giorno�sino�al�compimento�della�maggiore�eta�sia�stato�autorizzato�solo�per� motivi�di�conservazione�dell'unita�familiare.� 2.�^Se�il�diritto�dei�familiari�all'accesso�al�mercato�del�lavoro,�nonche� alla�concessione�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�ai�sensi�dell'art.�7,� primo�comma�(secondo�trattino),�possa�essere�limitato�solo�per�motivi�ine- renti�all'ordine�pubblico,�alla�pubblica�sicurezza�e�alla�salute,�in�conformita� dell'art.�14�della�decisione�richiamata.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 3.�^Se�la�condanna�ad�una�pena�detentiva�di�tre�anni�per�delitto�di� minore�conduca�all'uscita�definitiva�dal�mercato�del�lavoro�e�quindi�alla�per- dita�dei�diritti�ex art.�7,�primo�comma�(secondo�trattino)�anche�quando�sussi- stano�concrete�possibilita�che�venga�del�tutto�scontata�solo�una�parte�della� pena,�ma�quando�peraltro�si�deve�seguire�in�una�prima�fase,�in�concomitanza� con�la�scarcerazione�provvisoria,�una�terapia�contro�la�droga�ed�in�questo� frattempo�l'interessato�non�sia�disponibile�per�il�mercato�del�lavoro.� 4.�^Se�la�perdita�di�lavoro�provocata�da�una�pena�privativa�della�liberta� e�l'impossibilita�di�fare�domanda�per�un�impiego�conduca�eo ipso ad�una� �volontaria�disoccupazione��ai�sensi�dell'art.�6�n.�2�della�decisione,�che�non� impedisce�la�perdita�dei�diritti�ex art.�6�n.�1�e�art.�7�primo�comma.� 5.�^Se�cio�valga�anche�qualora�sia�prevedibile�un�rilascio�in�tempi�brevi,� sia�pure�concomitante�con�una�terapia�contro�la�droga,�e�qualora�una�succes- siva�attivita�lavorativa�sia�subordinata�al�conseguimento�di�una�qualifica- zione�molto�elevata.� 6.�^Se,�infine,�il�precipitato�art.�14�ARB�1/1980�vada�interpretato�nel� senso�che�debba�essere�presa�in�considerazione�nel�corso�del�procedimento� giudiziario�una�sopravvenuta�modifica�favorevole�all'interessato�da�parte� delle�competenti�autorita�.� Causa C-472-02 (domanda pregiudiziale) ^Rifiuti ^Classificazione ^Spedi zioni intracomunitarie ^Documenti di accompagnamento ^Regolamento� (CEE)�259/1993�^Ordinanza�della�Cour�d'appel�di�Bruxelles�(Belgio)�^ Iscritta�il�31�dicembre�2002�(cons.�3312/03,�avv.�M.�Fiorilli).� IL fattO La�societa�Siomab�e�titolare�di�un�impianto�di�incenerimento�in�Bruxel- les,�che�tratta�i�rifiuti�domestici�e�i�prodotti�equiparati.�Questa�attivita�com- porta�la�produzione�di�residui,�principalmente�di�rosticci�e�di�sali.�Nel�2001� ha�stipulato�un�contratto�con�una�societa�tedesca�per�il�sotterramento�dei�sali� nelle�gallerie�delle�miniere�di�sale�del�Teutschenthal,�in�Germania.�Per�effet- tuare�il�trasferimento�del�materiale�in�Germania�la�Siomab�ha�presentato�un� fascicolo�di�notifica�allo�Institut�Bruxellois�Pour�La�Gestione�De�L'Environ- nement�(in�prosieguo:�IBGE)�classificando�la�finalita�della�progettata�spedi- zione�come��recupero�R�5�,�che�corrisponde�al�riciclo/recupero�di�sostanze� inorganiche.�L'autorita�belga�ha�riqualificato�la�finalita�della�progettata�spe- dizione�come��smaltimento�di�rifiuti�,�vale�a�dire�classificandola�come� D�12,�che�corrisponde�al��deposito�permanente�(ad�esempio,�sistemazione�di� contenitori�in�una�miniera)�,�conseguentemente�ha�rettificato�la�dichiara- zione�della�Siomab.�L'autorita�di�destinazione�non�ha�dato�il�proprio�assenso� alla�spedizione�in�quanto��La�casella�9�del�documento�di�notifica�contiene�il� codice�D�12�(deposito�permanente,�ad�esempio�sistemazione�di�contenitori� in�una�miniera)�a�seguito�di�modificazione�della�iscrizione�iniziale.�In�tal� caso,�si�tratta�di�un�procedimento�di�smaltimento�di�rifiuti.�Vi�si�oppone�il� fatto�che,�secondo�le�autorizzazioni�di�diritto�minerario�in�vigore,�nella� miniera�Teutschenthal�e�consentito�unicamente�il�recupero�di�rifiuti�e�non� IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�113 gia�il�loro�smaltimento�(decisione�8�gennaio�2002)�.�L'IBGE�ha�restituito�la� notifica�alla�Siomab�precisando�che�la�medesima�poteva�presentare�una� nuova�notifica�classificando�lo�scopo�della�spedizione�con�il�codice�di�tratta- mento�D�12��oppure�proporre�adeguato�ricorso�contro�la�nostra�decisione�.� Tanto�ha�dato�causa�a�due�iniziative�giudiziarie,�l'una�per�contestare�la� legittimita�della�decisione,�l'altra�per�la�condanna�della�IBGE�a�trasmettere� all'autorita�competente�di�destinazione�in�Germania�la�notifica�senza�modifi- care�la�qualificazione�della�finalita�della�spedizione,�e�cioe��recupero�R�5,� riciclaggio/recupero�di�sostanze�inorganiche�.� IquesitI In�relazione�alle�rispettive�prospettazioni�difensive,�tutte�basate�sulla� interpretazione�del�regolamento�(CEE)�n.�259/1993,�l'una�che�in�materia� di�spedizione�dei�rifiuti�per�il�riciclo�non�sarebbe�possibile�all'autorita�di� spedizione�di�non�trasmettere�la�notifica�alla�autorita�competente�di�ricevi- mento,�e�l'altra�che�la�autorita�di�spedizione�ha�il�potere�e�il�dovere�di�veri- ficare�la�classificazione�del�progetto�di�spedizione�e�non�e�quindi�tenuta� alla�notifica�in�caso�di�frode�al�regolamento,�la�Cour�d'Appel�di�Bruxelles� sezione�IX�con�sentenza�20�dicembre�2002�sottopone�a�codesta�Corte�i� seguenti�quesiti:� �Nel�caso�in�cui�uno�Stato�membro�ricorra�al�sistema�di�notifica�del� documento�di�accompagnamento�da�parte�della�autorita�competente�di�spe- dizione�ai�sensi�dell'art.�3�n.�8�e�dell'art.�6�n.�8�del�regolamento�(CEE)�1.�feb- braio�1998,�n.�259,�relativo�alla�sorveglianza�e�al�controllo�delle�spedizioni� di�rifiuti�all'interno�della�Comunita�europea,�nonche�in�entrata�e�in�uscita� dal�suo�territorio,�se�gli�articoli�3�n.�8,�4�n.�3,�6�n.�8,�7�n.�4�e�26�del�regola- mento�debbano�essere�interpretati�nel�senso�che:� A) l'autorita�competente�di�spedizione�ai�sensi�di�tale�regolamento,�legit- timata�a�verificare�se�un�progetto�di�spedizione�classificato�nella�notifica� come��spedizione�rifiuti�a�fini�di�recupero��corrisponda�effettivamente�a�tale� classificazione,�puo�,�qualora�la�ritenga�errata:� 1.�rifiutare�la�trasmissione�del�documento�che�accompagna�lo�svolgi- mento�della�pratica�a�causa�di�tale�classificazione�errata�invitando�il�notifica- tore�a�trasmetterle�un�nuovo�documento�di�accompagnamento;� 2.�procedere�alla�trasmissione�del�documento�di�accompagnamento� previa�riclassificazione�del�progetto�di�spedizione�come��trasferimentodi� rifiuti�a�fini�di�smaltimento�;� 3.�procedere�alla�trasmissione�del�documento�di�accompagnamento� contenente�la�classificazione�errata�accompagnando�immediatamente�tale� trasmissione�con�una�obiezione�basata�su�tale�errore�di�classificazione;� B) o,�al�contrario,�nel�senso�che�l'autorita�competente�di�spedizione�e� tenuta�ad�inviare�la�notifica�cos|�classificata�dal�notificatore�alla�autorita� competente�di�destinazione�pur�conservando�la�facolta�,�qualora�essa�ritenga� che�la�finalita�della�spedizione�sia�erroneamente�classificata,�di�sollevare� peraltro�simultaneamente�o�a�posteriori�una�obiezione�motivata�da�tale� errore�di�classificazione�.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO NotA Il Governo italiano ha presentato le seguenti osservazioni. �1.^3.(omissis).�4.�^L'obiettivofondamentaledellapoliticacomunitaria� in�materia�di�rifiuti�e��la�drastica�riduzione�dei�rifiuti�destinati�allo�smaltimento� (l'art.�1,�lettera�e) della�direttiva�75/442/CEE�modificata�dalla�direttiva� 91/156/CEE-definisce�lo��smaltimento��come���tutte�le�operazionipreviste�nel- l'All:�II�A�)�in�discarica�attraverso�una�loro�riduzione�allafonte�e�il��recupero�� dei�medesimi��mediante�riciclo,�reimpiego,�riutilizzo�e�ogni�altra�azione�intesa� a�ottenere�materie�prime�secondarie�o�l'uso�di�rifiuti�come�fonti�di�energia�� (art.�3�della�direttiva�75/442/CEE).� 5.�^Per�conseguire�un�tale�scopo�e��indispensabile�una�gestione�integrata� dei�rifiuti,�che�non�puo��prescindere�dalla�loro�raccolta�differenziata.� 6.�^Il�sistema�di�gestione�integrata�dei�rifiuti�comporta�la�adozione�di� differenti�modalita��di�trattamento�al�fine�di�garantire�che�la�gestione�dei� rifiuti�sia�ambientalmente�ed�economicamente�sostenibile.�Significa,�dunque,� che�la�gestione�dei�rifiuti�deve�ridurre�al�minimo�l'impatto�ambientale�e�com- portare�un�costo�globale�accettabile�per�gli�operatori�economici,�i�consuma- tori�e�le�istituzioni.�In�definitiva,�si�puo��dire�che�gli�unici�rifiuti�destinati�alla� discarica�dovranno�essere�quelli�non�utilizzabili�ne�come�materiali,�ne�come� fonte�energetica.� 7.�^Il�regolamento�259/1993/CE�disciplina�la�sorveglianza�e�il�controllo� delle�spedizioni�di�rifiuti�all'interno�della�Comunita��europea,�nonche�in�entrata� e�uscita�dal�suo�territorio.�Il�titolo�II�del�regolamento,�intitolato��Spedizione�di� rifiuti�all'interno�della�Comunita����si�articola�in�due�capitoli�distinti�che�trattano,� ilprimo,�dellaproceduraapplicabileallespedizionidirifiutidestinatiadessere� smaltiti�(capitolo�A,�artt.�3�^5)�e,�il�secondo,�della�procedura�applicabile�alle� spedizioni�di�rifiuti�destinati�ad�essere�recuperati�(capitolo�B,�articoli�6�^11).� La�procedura�prevista�per�questa�seconda�categoria�di�rifiuti�e��meno�onerosa� rispetto�a�quella�applicabileallaprima�categoria.� 8.�^La�disciplina�dettata�per�il�trasporto�dei�rifiuti�da�uno�Stato�membro� all'altroe/oafarlitransitareattraversounoopiu��Statimembrie��improntata� almantenimentodeilivellidiresponsabilita��edigaranziaperilperseguimento� degli�scopi�della�politica�ambientale�come�concretizzati�nella�direttiva� 75/442/CEE.�La�direttiva�impone�l'attuazione�di�un�regime�di�controllo�e�disor- veglianza�dell'attivita��degli�agenti�economici�che�intervengono�nel�ciclo�dei� rifiuti.� 9.�^Dal�momento�che�la�disciplina�applicabile�alle�operazioni�di�smalti- mento�e�alle�operazioni�di�recupero�dei�rifiuti�sono�diverse,�la�qualificazione� data�alla�operazione�e��rilevante.�L'art.�30�n.�1�dispone:��Gli�Stati�membri�adot- tano�le�disposizioni�necessarie�per�assicurare�che�la�spedizione�di�rifiuti�abbia� luogo�in�conformita��del�presente�regolamento.�Tali�disposizioni�possono�preve- dere�ispezioni�degli�stabilimenti�e�delle�imprese�in�conformita��dell'art.�13�della� direttiva�74/442/CEEe�controllipercampionedellespedizioni�� 10.�^Per�la�spedizione,�e�quindi�per�l'eventuale�attraversamento�del�terri- torio�di�altro�Stato�membro,�il�produttore�o�il�detentore�di�rifiuti�(�notifica- tore�)�invia�una�notifica�all'autorita��competente�di�destinazione�trasmettendone� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 115 copia|alle|autorita�|competenti|di|spedizione|e|di|transito|nonche�al|destinatario| (art.|6|n.|1).|La|notifica|puo�|essere|inoltrata,|se|cos|�|dispone|la|legislazione| nazionale,|dalla|autorita�|di|spedizione|a|quella|di|destinazione.|La|notifica|si| effettua|mediante|il|documento|di|accompagnamento|rilasciato|dalla|autorita�| dispedizione|(art.|6n.|3)L'art.|6n.|5precisaqualiinformazionidevonoessere| fornite|dal|notificatore|sul|documento|di|accompagnamento,|concernenti|in|par- ticolare|le|operazioni|relative|al|recupero|menzionate|nell'allegato|II|B della| direttiva.|Il|notificatore|deve|stipulare|con|il|destinatario|un|contratto|per|il| recuperodeirifiutiedunacopiadelcontrattodeveesserefornita,|arichiesta,| all'autorita�|competente|(art.|6|n.|6).|All'art.|7|n.|2|si|stabiliscono|il|termine,|le| condizioni|e|le|modalita�|che|devono|rispettare|le|autorita�|competenti|di|destina- zione,|dispedizioneeditransitoperformulareobiezionisulprogettonotificato| di|spedizione|di|rifiuti|destinati|ad|essere|recuperati.| 11.|^Tali|obiezioni,|sinteticamente,|sono|tutte|relative|a|garantire|la|sicu- rezzadeltrasportosottoilprofilodellaprotezionedell'ambiente,|dell'ordinepub- blico,|della|sicurezza|pubblica|o|della|tutela|della|salute|pubblica,|l'ef ffettivo| recupero|del|rifiuto|e|la|sua|economicita�|e|compatibilita�|ambientale.| 12.|Il|procedimento|applicabile|ai|rifiuti|destinati|allo|smaltimento|si| distingue|da|quello|relativo|ai|rifiuti|destinati|al|recupero.|L'art.|3.8|dispone| chel'autorita�|dispedizionecheharicevutolanotificaperl'inoltroallaautorita�| di|spedizione|ai|fini|del|preventivo|assenso|puo�|decidere|di|non|procedere|ad| alcuna|notifica|qualora|intenda|essa|stessa|sollevare|obiezioni|immediate|al|tra- sferimento|dei|rifiuti|destinati|allo|smaltimento.|Altra|particolarita�|e�|che|la|spe- dizionepuo�|essereeffettuatasolodopocheilnotificatoreharicevutolaautoriz- zazione|rilasciata|dalla|autorita�|competente|di|destinazione|(art.|5|n.|1).|Tale| autorizzazione|viene|rilasciata|solo|qualora|non|siano|state|sollevate|obiezioni| ne�da|parte|dell'autorita�|competente|di|destinazione|ne�da|parte|delle|altre|auto- rita�|competenti|(art.|4|n.|2).| Sulle|questioni|pregiudiziali.| 13.|^Lequestionipostedalgiudicebelgasonodisostanzaenondiforma,| pure|rilevanteper|una|corretta|applicazione|della|normativa|comunitaria|adeffi- cacia|diretta.| 14.|^La|spedizione|afini|di|smaltimento|o|di|recupero|costituisce|eserci- zio|del|diritto|alla|libera|iniziativa|economica|e,|quindi,|la|spedizione|va|valutata| alla|luce|delprincipio|della|libera|circolazione|delle|merci.| 15.|^Si|tratta|di|decidere|quale|sia|la|responsabilita�|degli|Stati|membri|in| relazione|alla|sorveglianza|e|al|controllo|sui|rifiuti|che|sono|spediti|all'interno| della|Comunita�|in|relazione|alla|corretta|gestione|dei|rifiuti|medesimi.| 16.|^Unico|ostacolo|legittimo|alla|spedizione|e�|quello|dell'accertamento| che|la|medesima|comporti|la|violazione|dei|principi|di|precauzione|e| prevenzione.| 17.|^Controllo|e|sorveglianza|sono|attribuiti|in|funzione|della|salvaguar- diadell'ambiente,|dell'ordinepubblico,|dellasicurezzapubblica,|dellasalutepub- blica|o|della|gestione|ottimale|del|rifiuto.| RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 18.�^SideveritenerechetalipoterisianoattribuitialsingoloStatomem- bro�unicamente�in�relazione�allapresenza�nel�territorio�nazionale�del�rifiuto�spe- cifico.� 19.�^Inaltritermini,ilpoteredelsingoloStatomembrosiestendefinoal� limite�in�cui�la�gestione�del�singolo�rifiuto�leda�interessi�localizzati�nel�territorio� di�competenza.� 20.�^Il�rilievo�che�dal�sistema�istituito�dal�regolamento�discende�^che� tutte�le�autorita�competenti�destinatarie�della�detta�notifica�devono�verificare� se�la�classificazione�adottata�dal�notificatore�sia�conforme�alle�disposizioni�del� regolamento�stesso�ed�opporsi�alla�spedizione�nel�caso�in�cui�tale�classificazione� sia�errata�(punto�40�della�sentenza�27febbraio�2002�in�C-6/00)�^deve�essere� correttamente�inteso�come�potere�inerente�limitata�verifica�della�spedizione�in� relazione�alproprio�ambito�territoriale�di�responsabilita�ambientale.� 21.�^La�obiezione�alla�spedizione�ha�l'effetto�di�impedire�il�trasferimento,� ma�unicamente�al�territorio�in�cui�si�accerti�la�sussistenza�delle�circostanze�spe- cificate�nell'art.�7�del�regolamento�per�quanto�concerne�il�rifiuto�da�recuperare� e�nell'art.�4�n.�3�del�regolamento�per�lo�smaltimento.� 22.�^Conseguentemente�questi�avra�il�potere�di�negare�la�spedizione,�il� transito,�lo�smaltimento�o�il�recupero�unicamente�se�spedizione,�transito,�smalti- mento�o�recupero�avvengono�nel�territorio�di�competenza�e�tali�operazioni�pos- sano�ledere�o�mettere�in�pericolo�interessi�ambientali,�sanitari,�di�sicurezza�o�di� trasparenza�della�gestione�ivi�localizzati.�Fuori�di�tale�limite�territoriale�scatta� il�dovere�di�informazione�nei�confronti�degli�altri�Stati,�affinche�siano�messi�in� condizione�di�verificare�a�loro�volta�l'impatto�sul�territorio�di�competenza�della� gestione�del�singolo�rifiuto.� 23.�^Il�diniego�apposto�alla�spedizione,�al�transito,�all'ingresso�hanno�una� diversa�intensita�inibitoria,�che�e�collegata�alla�incidenza�della�operazione�sul� territorio�di�spedizione,�di�transito�o�di�destinazionefinale.� 24.�^In�ultima�analisi,�la�responsabilita�della�corretta�gestione�finale�del� singolo�rifiuto�oggetto�della�spedizione,�sotto�ogniprofilo�indicato�dalla�direttiva� n.�75/444/CEE,�come�modificata�dalla�direttiva�del�Consiglio�18�marzo�1991,� 91/156/CEE�e�dalla�decisione�della�Commissione�24�maggio�1996,�96/350/CE,� spetta�allo�Stato�di�destinazione.�E�lo�Stato�di�destinazione�finale,�quindi,�che� deve�verificare�la�correttezza�della�spedizione�e�la�legittimita�,�in�relazione�alle� qualita�intrinsechedelsingolorifiutoprovenientedaaltroStato,�delsuosmalti- mento�o�recupero,�e�conseguentemente�negare�o�permettere�il�trasferimento.� 25.�Le�disposizioni�circa�il�contenuto�del�documento�di�accompagnamento� egliobblighidiinformazionecontenutenegliarticoli3�(spedizioneperlosmal- timento)�e�8�(spedizione�per�il�recupero)�del�regolamento�confermano�le�dedu- zioni�svolte.�Merita�altres|�richiamare�l'attenzione�sul�contenuto�obbligatorio� delcontrattotranotificatoreedestinatario�(articoli3n.�6,�e8n.�6)�e,�inparti- colare,�sull'obbligo�del�notificatore�di�riprendere�i�rifiuti�qualora�la�spedizione� non�sia�stata�effettuata�come�previsto�o�sia�stata�effettuata�in�violazionedel� regolamento,�e�del�destinatario�difornire�al�notificatore�non�oltre�180�giorni� dal�ricevimento�dei�rifiuti�un�certificato�che�attesti�che�lo�smaltimento�o�il�recu- pero�dei�rifiuti�e�stato�effettuato�secondo�metodi�ecologicamente�corretti.� IL CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE ^I giudizi in corso alla Corte di Giustizia CEE 117 26.�^Tali�disposizioni�confermano�che�sia�lo�Stato�di�spedizione�che� quello�di�destinazione�finale�mantengono�il�controllo�sulla�gestione�del�singolo� rifiuto,�seppure�con�diversa�intensita�,�ma�sempre�con�riferimento�alla�normativa� comunitaria�di�riferimento�nella�specifica�materia.� 27.�^Alla�luce�delle�precedenti�considerazioni,�si�propone�di�risolvere�la� questione�A�come�segue:�dal�sistema�istituito�dal�regolamento�(CEE)� n.�259/1993�discende�che�l'autorita�competente�di�spedizione�e�legittimata�a� verificare�se�un�progetto�di�spedizione�classificato�nella�notifica�come��spedi- zione�di�rifiuti�afini�di�recupero��corrisponda�effettivamente�a�tale�classifica- zione�unicamente�per�gli�effetti�che�tale�classificazione�possa�avere�sul�territorio� su�cui�ha�giurisdizione�relativamente�alla�compromissione�della�tutela�ambien- tale�di�cui�alla�direttiva�75/444/CEE�o�degli�altri�valori�sottesi�alle�altre�specifi- che�cause�di�legittima�inibizione�previste�negli�articoli�4�n.�3�e�7�n.�4.�In�tal�caso� nonpuo�ne�rettificarelaclassificazioneindicatadalnotificatore,�ne�tantomeno� rifiutarsi�di�trasmettere�il�documento�di�notifica�alla�autorita�competente�di� destinazione,�madevelimitarsiasollevarecontestualmenteoneltermineprevi- sto�dal�regolamento�una�obiezione�alla�spedizione�motivata�con�riferimento�alla� erronea�classificazione.� 28.�^La�questione�B) e�assorbita�dalla�risposta�alla�questione�A)� (f.to�avv.�Maurizio�Fiorilli).�.� Ilcontenzioso nazionale Ilcontenzioso nazionale Dossier Spoils system: la giurisprudenza comincia a pronun- ciarsi sulle questioni insorte a seguito della legge n. 145/2002. Come�e�noto�con�la�legge�in�epigrafe�indicata�sono�state�apportate� rilevanti�modifiche�alla�disciplina�concernente�la�dirigenza�pubblica,� soprattutto�in�relazione�al�regime�degli�incarichi.�Contemporaneamente� alle�modifiche�riguardanti�l'art.�19�del�D.Lgs.vo�165/2001,�che�costituisce� la�fondamentale�norma�di�riferimento�per�tutto�quanto�attiene�agli�incari- chi�dirigenziali,�al�fine�di�consentire�l'immediata�attuazione�della�riforma� nell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�n.�145�del�2002,�e�stata�prevista�a� decorrere�dal�sessantesimo�giorno�dall'entrata�in�vigore�della�legge�la�ces- sazione�degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�(e�di� quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato)�e,�in� caso�di�mancata�riattribuzione�dell'incarico�in�precedenza�svolto,�il�confe- rimento�al�dirigente�cessato�di�un�incarico�di�livello�retributivo�equiva- lente�al�precedente�ovvero,�in�caso�cio�non�fosse�possibile,�per�carenza�di� disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche� qualita�professionali,�l'attribuzione�di�un�incarico�di�studio�con�il�mante- nimento�del�precedente�trattamento�economico.� L'attuale�Governo�nell'esercizio�delle�prerogative�attribuitegli�dal� legislatore�ha�effettuato�diversi�cambiamenti,�sia�all'interno�dei�singoli� Ministeri�sia�in�relazione�ad�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale� presso�enti�pubblici�controllati�e�vigilati�dallo�Stato�attribuiti�a�dirigenti� pubblici.�Molti�dei�dirigenti�che�non�si�sono�visti�riconfermare�(il�legisla- tore�ha�fra�l'altro�previsto�che�la�mancata�assunzione�di�qualsivoglia� provvedimento�nel�termine�di�sessanta�giorni�dalla�entrata�in�vigore�della� legge�avrebbe�significato�l'implicita�riconferma�del�dirigente�nell'incarico� gia�attribuitogli)�o�riattribuire�l'incarico�di�cui�erano�titolari�o�incarico� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� avente�ad�oggetto�funzioni�equivalenti�si�sono�rivolti�alla�magistratura� ordinaria�e�amministrativa,�contestando�sotto�molteplici�profili�l'operato� dei�singoli�Ministri�e�chiedendo�l'adozione�delle�misure�cautelari�ritenute� piu��idonee�a�salvaguardare�i�propri�interessi.� Mediante�la�presente�rassegna�ci�si�propone�di�dar�conto�delle�varie� questioni�dibattute�e�delle�posizioni�assunte�dalla�giurisprudenza�nel� corso�di�questa�prima�fase.�Posizioni�inevitabilmente�condizionate�dalle� caratteristiche�proprie�del�giudizio�cautelare�nel�quale�il�giudice�procede� ad�un�apprezzamento�comunque�non�completo�ed�esaustivo�delle�que- stioni�sottoposte�alla�sua�cognizione�ed�alla�sussistenza�della�gravita��ed� irreparabilta��del�pregiudizio�che�costituisce�presupposto�indefettibile�per� concedere�la�tutela�cautelare.� 1. ^L'ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della nuova legge. L'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�precisa�che�le�disposizioni�di�cui� al�predetto�articolo�in�materia�di�incarichi�dirigenziali�(e�di�ingresso� dei�funzionari�internazionali�nella�pubblica�amministrazione)�trovano� diretta�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale� di�livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigi- lati�dallo�Stato�ove�e��prevista�tale�figura.�Se�il�concetto�di�ente�vigilato� non�ha�creato�particolari�problemi,�ricomprendendo�tutti�quegli�Enti� che�in�vario�modo�sono��controllati��dai�singoli�Ministeri,�cosicche�le� disposizioni�della�nuova�legge�sono�state�ritenute�applicabili�all'I.N.P.S.,� all'I.N.A.I.L.,�all'I.S.F.O.L.�e�all'I.S.P.E.S.L.,�maggiori�problemi,�invece,� pone�la�delimitazione�dell'ambito�soggettivo�di�applicazione�della�nuova� disciplina�presso�i�suddetti�enti.�In�particolare�e��controverso�se�la�cessa- zione�generalizzata�dagli�incarichi�disposta�dall'art.�3,�comma�settimo,� della�legge�145/2002�riguardi�soltanto�l'incarico�di�Direttore�Generale� dell'Ente�(naturalmente�laddove�tale�figura�sia�prevista)�ovvero�anche� gli�altri�incarichi�che�per�effetto�di�apposita�disposizione�di�legge�deb- bono�essere�conferiti�a�Dirigenti�Generali�(si�pensi�ad�esempio�all'inca- rico�di�componente�del�Collegio�Sindacale�dell'I.N.P.S.�o�dell'I.- N.A.I.L.).�Soprattutto�il�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�ha� seguito�questa�seconda�interpretazione,�sostanzialmente�disattendendo� le�indicazioni�della�circolare�interpretativa�31�luglio�2000�del�Ministro� della�Funzione�Pubblica.�La�giurisprudenza�che�si�e��occupata�della�que- stione�si�e��mostrata�propensa�ad�interpretare�in�modo�assai�restrittivo� e�rigoroso�la�disposizione�(esemplificativa�al�riguardo�e��l'ordinanza� n.�2867/2003)�ma�vi�e��anche�una�pronuncia�che�ha�fatto�propria�la�tesi� sostenuta�dal�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�(ordinanza�del� 10�febbraio�2003).� 2. ^La giurisdizione. Una�delle�piu��importanti�novita��della�nuova� legge�e��costituita�dal�fatto�che,�al�contrario�di�quanto�accadeva�in�pre- cedenza,�l'incarico�dirigenziale�deve�essere�conferito�mediante�apposito� IL CONTENZIOSO NAZIONALE provvedimento amministrativo nel quale e� indicato anche il suo oggetto, mentre il contratto e� destinato esclusivamente a regolare gli aspetti di carattere patrimoniale del rapporto di lavoro connesso all'espletamento dello stesso. Tale cambiamento ha creato ancora maggiori incertezze in ordine alla individuazione del giudice competente a conoscere delle con- troversie concernenti il conferimento degli incarichi dirigenziali. In molti casi sono stati investiti della medesima controversia sia il giudice ordinario sia il giudice amministrativo, sostenendosi che rispetto ai provvedimenti assunti dall'Autorita� Politica il dirigente sarebbe titolare di posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo in ragione delle quali, nonostante quanto disposto dall'art. 63 del D.Lgs.vo 165/2001 (a norma del quale le controversie concernenti il conferimento o la revoca degli incarichi sono o devolute alla giurisdizione del G.O.), residuerebbe in materia anche la giurisdizione del G.A. Sulla questione dovranno pronunciarsi le Sezioni Unite della Cassazione, in quanto sono stati proposti numerosi regolamenti preventivi di giurisdizione, uno dei quali si e� ritenuto di inserire nella presente rassegna. Precisato che in tutte le difese svolte si e� sostenuto che la giurisdizione in ordine alle contro- versie in questione spetta al solo giudice ordinario, alla stregua di quanto previsto dalla norma sopra citata, va sottolineato che in molti casi e� stata sostenuta la giurisdizione del giudice amministrativo in con- siderazione del fatto che l'impugnativa non ha riguardato solo i provve- dimenti di volta in volta assunti dalla singola P.A., ma anche la circo- lare interpretativa del Ministro della Funzione Pubblica. 3.�^La�questione�della�costituzionalita�della�legge.�Praticamente in tutti i giudizi instaurati in relazione agli incarichi attribuiti in attua- zione della legge 145/2002. In primo luogo e� stata eccepita sotto molteplici profili l'illegittimita� costituzionale della disciplina concernente gli incarichi dirigenziali, e in particolare della norma con la quale e� stata disposta ex�lege�la cessa- zione automatica di tutti gli incarichi in essere. In molti casi sono state riprese e sviluppate argomentazioni alla luce delle quali era gia� stata eccepita l'illegittimita� costituzionale dell'intero impianto normativo in cui si sono innestati gli interventi effettuati con la legge 145/2002, in sostanza risalente al D.Lgs.vo 29/93 con il quale sono stati ridisegnati i rapporti fra l'Autorita� Politica e la Dirigenza, attribuendo un ruolo a se stante alla figura del direttore generale, cui si sono poi aggiunte osservazioni volte a dimostrare l'incostituzionalita� della disposta cessa- zione automatica degli incarichi. Nel rinviare a quanto dedotto sul punto nella memoria che si e� scelto di affiancare alle ordinanze piu� interessanti va evidenziato che la magistratura si e� dimostrata assoluta- mente compatta nel ritenere del tutto impossibile l'esame della que- stione di costituzionalita� di volta in volta prospettata in sede di giudizio cautelare. In una sola ordinanza del 3 febbraio 2003 il Giudice Adito RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO si sofferma sui vari profili di incostituzionalita� prospettati dalla parte istante evidenziandone, seppure con motivazione molto succinta, la manifesta infondatezza. 4.�^Le�altre�questioni�connesse�alle�modalita�procedurali�da�seguire� per�il�conferimento�degli�incarichi.�A prescindere dalle questioni di costitu- zionalita� , i provvedimenti assunti dai singoli Ministri sono stati contestati siccome ritenuti il frutto di una non corretta applicazione delle norme di legge. In particolare e� stato strenuamente sostenuto che il combinato disposto dell'art. 19, commi primo e secondo, nuovo testo, imponeva l'ef- fettuazione di una valutazione comparativa dei singoli aspiranti che tenesse conto delle attitudini e dei risultati da ciascuno conseguiti e soprattutto che andassero con chiarezza espresse e motivate le ragioni per le quali il singolo dirigente non si era visto riconfermare o riattribuire l'incarico da cui era cessato ex�lege.�In contrario si e� sostenuto che la norma che regola il conferimento degli incarichi impone esclusivamente di motivare in modo congruo la scelta del singolo, ovviamente in rela- zione alla professionalita� ed alle peculiari esperienze dal medesimo moti- vate, fermo restando che l'Autorita� Politica mantiene un margine di discrezionalita� in ragione del fatto che, a causa della particolare posizione che oggi riveste il Direttore Generale (cfr. art. 16 del D.Lgs.vo 165/2001 ove sono descritti funzioni e poteri del medesimo), il rapporto che lo lega all'Autorita� Politica ha sicuramente carattere fiduciario. La giurispru- denza, nei casi in cui si e� pronunciata su siffatte questioni, ha decisamente escluso la necessita� di valutazioni comparative o di motivare la mancata conferma o riattribuzione dell'incarico al dirigente cessato e condiviso anche le considerazioni sulla base delle quali si e� sostenuta la fiduciarieta� del rapporto. 5.�^L'incarico�avente�ad�oggettofunzioni�equivalenti.�In molti casi il dirigente cessato dall'incarico ha, seppure in via subordinata, contestato l'operato della P.A. per non essersi visto attribuire incarico avente ad oggetto funzioni come previsto dal gia� citato articolo 3, comma settimo, della legge 145/2002. Secondo la tesi adombrata in numerosi ricorsi il dirigente cessato dall'incarico ex�lege�che non si e� visto riconfermare (o riattribuire) l'incarico di cui era titolare aveva diritto a vedersi attribuire incarico avente ad oggetto funzioni equivalenti (ossia la titolarita� di altro ufficio di livello dirigenziale generale), con precedenza rispetto agli altri dirigenti che astrattamente potevano aspirare a vedersi conferire il mede- simo incarico, essendo in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi pre- visti dalla legge. In contrario, richiamando anche la circolare del Ministro della funzione Pubblica, si e� evidenziato che la legge ha tracciato una chiara sequenza procedimentale, in primo luogo attribuendo all'Autorita� Politica la possibilita� di provvedere al conferimento degli incarichi diri- genziali innovando rispetto alla situazione preesistente, cancellata dalla IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� cessazione�automatica�degli�stessi�e,�solo�in�seconda�battuta,�imponendo� alla�stessa�di�attribuire�la�titolarita�di�incarichi�concernenti�uffici�dirigen- ziali�non�affidati�ad�alcuno�ai�dirigenti�cessati�e�non�reincaricati.�In�tutte� le�ordinanze�in�cui�la�questione�e�stata�affrontata�e�stato�ribadito�che�il� conferimento�di�incarico�avente�ad�oggetto�funzioni�equivalenti�presuppo- neva�la�disponibilita�del�posto,�in�mancanza�del�quale�doveva�ritenersi� legittima�l'attribuzione�di�incarico�di�studio.� 6.�^L'incarico�di�studio.�A�proposito�di�quest'ultimo,�si�ritiene�di� richiamare�l'attenzione�su�di�un�gruppo�di�ordinanze�del�Tribunale�di� Roma�emesse�in�giudizi�instaurati�nei�confronti�del�Ministero�dell'Istru- zione,�dell'Universita�e�della�Ricerca,�nelle�quali�si�approfondiscono�le� caratteristiche�del�medesimo�al�fine�di�evidenziare�che�tale�tipo�di�incarico� in�realta�non�si�differenzia�dall'incarico�di�funzioni�(salvo�che�non�ne� venga�definito�il�contenuto�dalla�P.A.�ovvero�abbia�un�oggetto�tale�da�tra- sformarlo�in�incarico�insussistente�o�palesemente�inutile).�Trattasi�di�una� serie�di�puntualizzazioni�di�particolare�rilievo,�in�quanto�la�dirigenza� senza�dubbio�vive�l'attribuzione�dell'incarico�di�studio�come�una�vera�e� propria�deminutio�mentre�l'art.�19,�comma�decimo,�del�D.Lgs.vo�165/� 2001�con�chiarezza�elenca�una�serie�di�funzioni�(ispettive,�di�consulenza,� di�studio)�che�costituiscono�il�propium�della�qualifica�dirigenziale�ed� hanno�tutte�eguale�dignita�;�per�il�che�il�passaggio�dall'uno�all'altro�inca- rico�nell'ambito�di�un�sistema�che�il�legislatore�ha�voluto�improntato�al� rispetto�dei�principi�della�rotazione�e�delle�pari�opportunita�(cfr.�art.�19� nella�versione�risultante�dalle�modifiche�introdotte�con�la�legge�145/� 2002)�dovrebbe�essere�vissuto�in�modo�molto�meno�traumatico�di�quanto� nella�realta�accade.� Avv.�Tito�Varrone� Documenti e contributi: 1.�^la�circolare�della�Funzione�pubblica;� 2.�^la�questione�di�giurisdizione;� 3.�^la�difesa�di�merito�dell'amministrazione;� 4.�^le�ordinanze�cautelari�del�giudice�del�lavoro;� 5.�^la�sentenza�del�TAR�e�l'appello;� 6.�^una�autorevole�dissenting�opinion.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 1.�^LA circolarE dellA funzionE pubblicA ^31�luglio�2002� Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�^Modalita�applicative�della�legge�sul�riordino�della� dirigenza.�(Emanata�dalla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�della� funzione�pubblica.�Pubblicato�nella�Gazzetta�Ufficiale�5�agosto�2002,�n.�182).� 1.�^Premessa:�le�novita�della�legge.� La�legge�15�luglio�2002,�n.�145,�recante��Disposizioni�per�il�riordino�della�dirigenza�sta- tale�e�per�favorire�lo�scambio�di�esperienze�e�l'interazione�tra�pubblico�e�privato��pubblicata� nella�Gazzetta�Uf fficiale�della�Repubblica�italiana�-serie�generale�-n.�172�del�24�luglio�2002� che�entra�in�vigore�l'8�agosto�2002,�contiene�numerose�e�profonde�modifiche�dell'ordina- mento�del�lavoro�alle�dipendenze�delle�pubbliche�amministrazioni,�con�particolare�riguardo� all'assetto�complessivo�della�dirigenza�statale.� Tra�le�innovazioni�piu�significative,�direttamente�incidenti�sulle�disposizioni�del�decreto� legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�si�segnalano�le�nuove�regole�che�disciplinano�il�conferi- mento�degli�incarichi�dirigenziali.� In�questa�parte,�la�legge�valorizza�le�responsabilita�politiche�degli�organi�di�vertice�delle� amministrazioni�nella�scelta�dei�dirigenti�ritenuti�maggiormente�idonei�ad�attuare�gli�obiet- tivi�definiti�in�sede�programmatoria.� Nel�nuovo�sistema�normativo,�ferma�restando�la�natura�del�rapporto�di�lavoro�disci- plinato�dalle�disposizioni�di�diritto�comune�e�dai�contratti�collettivi,�il�provvedimento�di� conferimento�dell'incarico�assume�un�ruolo�centrale,�delineando�il�contenuto�dei�compiti� affidati�ai�dirigenti,�in�relazione�agli�scopi�fissati�negli�atti�di�indirizzo�politico-ammini- strativo.� In�questo�modo,�viene�attuato�coerentemente�il�principio,�fissato�dall'art.�4�del�decreto� legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�riguardante�il�necessario�collegamento�tra�la�definizione� dei�criteri�direttivi�dell'azione�amministrativa,�lo�svolgimento�dell'attivita�gestionale�e�la� verifica�dei�risultati�conseguiti,�secondo�parametri�oggettivi.� Al�tempo�stesso,�la�riforma�della�dirigenza�persegue�lo�scopo�di�accentuare�il�rilievo� del�merito�professionale�del�personale�pubblico�piu�qualificato,�allargando�le�opportunita� offerte�ai�dirigenti�di�seconda�fascia�per�accedere�agli�incarichi�di�livello�dirigenziale� generale.� Nella�stessa�logica�di�pieno�riconoscimento�delle�competenze�e�delle�doti�espresse�dai� singoli,�si�pongono�le�disposizioni�che�allargano�la�possibilita�di�attribuire�una�parte�degli� incarichi�ai�dirigenti�delle�altre�amministrazioni�pubbliche�e�degli�organi�costituzionali,�non- che�alle�persone,�estranee�all'amministrazione,�di�comprovata�professionalita�.� 2.�^Le�novita�concernenti�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali.� La�presente�circolare�intende�fornire�le�prime�indicazioni�interpretative�delle�nuove� norme,�con�particolare�riguardo�alle�disposizioni�interessanti�la�cessazione�e�l'attribuzione� degli�incarichi�dirigenziali�nella�fase�di�immediata�attuazione�della�riforma.� La�disciplina�prevista�dagli�articoli�19�e�23�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165�e� radicalmente�innovata�in�piu�punti,�riguardanti�le�modalita�di�assegnazione�degli�incarichi� e�la�definizione�dei�ruoli�dirigenziali�delle�amministrazioni:� a)�per�il�conferimento�degli�incarichi�vanno�ora�considerati,�insieme�alla�natura�e�alle� caratteristiche�dei�compiti�assegnati,�alle�attitudini�ed�alle�capacita�professionali�del�singolo� dirigente,�i�risultati�precedentemente�conseguiti�dall'interessato,�in�relazione�agli�obiettivi� fissati�nella�direttiva�annuale�e�negli�altri�atti�di�indirizzo�del�Ministro;� b)�in�ogni�caso,�i�criteri�di�conferimento�degli�incarichi�di�direzione�degli�uffici�di� livello�dirigenziale�tengono�conto�delle�condizioni�di�pari�opportunita�di�cui�all'art.�7,� comma�1,�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165;� c)�la�definizione�dell'oggetto�e�della�durata�dell'incarico�(insieme�agli�obiettivi�da� conseguire,�con�riferimento�alle�priorita�,�ai�piani�e�ai�programmi�definiti�dall'organo�di�ver- tice�nei�propri�atti�di�indirizzo�e�alle�eventuali�modifiche�degli�stessi�che�intervengano�nel� corso�del�rapporto,�nonche�alle�risorse�umane,�finanziarie�e�strumentali),�e�contenuta�nel� provvedimento�di�conferimento�dell'incarico�stesso;� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� d) per�gli�incarichi�previsti�dall'art.�19,�comma�3,�l'individuazione�del�contenuto�del- l'incarico,�che�e�attribuito�con�decreto�del�Presidente�della�Repubblica,�e�stabilita�in�separato� provvedimento�dell'organo�di�vertice�(Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri�o�Ministro�com- petente);� e) il�contratto�individuale,�che�accede�al�provvedimento�di�conferimento,�definisce�il� corrispondente�trattamento�economico;� f) la�durata�degli�incarichi,�fissata�nel�provvedimento�di�conferimento,�deve�essere� correlata�agli�obiettivi�prefissati,�e,�in�ogni�caso,�non�puo�eccedere,�per�gli�incarichi�di�fun- zione�dirigenziale�di�cui�ai�commi�3�e�4,�il�termine�di�tre�anni�e,�per�gli�altri�incarichi�di�fun- zione�dirigenziale,�il�termine�di�cinque�anni.�Non�e�prevista�una�durata�minima;� g) gli�incarichi�dirigenziali�possono�essere�conferiti�anche�ai�dirigenti�non�apparte- nenti�ai�ruoli�delle�amministrazioni�statali,�purche�dipendenti�delle�amministrazioni�pubbli- che�di�cui�all'art.�1,�comma�2,�del�decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ovvero�di�organi� costituzionali,�nei�limiti�del�10%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�prima�fascia�e� del�5%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�seconda�fascia.�Le�percentuali�indicate�non� incidono�piu�sul�contingente�previsto�dall'art.�19,�comma�6,�come�avveniva�nel�contestodella� precedente�disciplina;� h) il�nuovo�sistema�e�caratterizzato�da�maggiore�flessibilita�ed�apertura�in�ordine�alla� individuazione�dei�soggetti�idonei�a�ricoprire�gli�incarichi�dirigenziali.Inparticolare,�gli� incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�possono�essere�attribuiti�a�dirigenti�di� seconda�fascia,�fino�al�nuovo�e�piu�elevato�limite�del�cinquanta�per�cento�dei�posti�attribui- bili.�In�tal�modo�si�allarga�sensibilmente�l'originario�limite,�fissato�nella�misura�di�un�terzo� dei�posti�disponibili;� i) nella�stessa�prospettiva,�si�prevede�un�significativo�aumento�dei�posti�attribuibili�a� persone�di�comprovata�qualificazione�professionale�non�appartenenti�ai�ruoli�dirigenziali,� incrementando�detti�posti�dal�5%�al�10%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�prima� fascia�e�dal�5%�all'8%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�seconda�fascia;� j) tutti�gli�incarichi�di�Segretario�generale,�di�Capo�di�Dipartimento�e�di�livello�equi- valente,�previsti�dall'art.�19,�comma�3,�cessano�automaticamente�entro�novanta�giorni�dal� voto�sulla�fiducia�al�Governo,�considerando�la�stretta�connessione�di�tali�funzioni�con�gli� indirizzi�politico-amministrativi�espressi�dai�vertici�della�strutturastatale;� k) le�disposizioni�dell'art.�19�(cos|�come�riformulate�dalla�legge),�per�la�loro�peculiare� valenza�organizzativa,�vengono�espressamente�qualificate�come�norme�non�derogabili�dai� contratti�o�accordi�collettivi;� l) il�sistema�del�ruolo�unico�dei�dirigenti�statali�e�soppresso.�In�ogni�amministrazione� dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo,�e�istituito�un�separato�ruolo�dei�dirigenti,� che�si�articola�nella�prima�e�nella�seconda�fascia,�nel�cui�ambito�sono�definite�apposite� sezioni,�in�modo�da�garantire�la�eventuale�specificita�tecnica�del�personale;� m) peraltro,�l'abrogazione�del�regolamento�di�cui�al�d.P.R. 26febbraio 1999, n. 150 (che�disciplina�il�ruolo�unico�dei�dirigenti�statali)�e�differita�all'entrata�in�vigore�del�nuovo� regolamento,�previsto�dall'art.�10�della�legge,�destinato�a�disciplinare:�le�modalita�di�istitu- zione,�l'organizzazione�e�il�funzionamento�dei�ruoli�dei�dirigenti�delle�amministrazioni�dello� Stato�nonche�le�procedure�e�le�modalita�per�l'inquadramento,�nella�fase�di�prima�attuazione,� dei�dirigenti�di�prima�e�seconda�fascia�del�ruolo�unico�nei�ruoli�delle�singole�amministra- zioni.� 3. ^Le norme di immediata attuazione: la cessazione automatica degli incarichi nell'art. 3, comma 7, della legge. La�complessita�della�riforma�in�atto�richiede�alcuni�chiarimenti�interpretativi,�riferiti�al� periodo�di�immediata�attuazione�della�legge.�Si�tratta�di�una�fase�particolarmente�delicata,� perche�essa�comporta�il�superamento�del�precedente�assetto�normativo,�caratterizzato�dal� rilievo�centrale�del�contratto�individuale�di�lavoro�nella�definizione�dell'oggetto�e�degli�obiet- tivi�degli�incarichi�dirigenziali.� La�piena�attuazione�del�nuovo�modello�organizzativo�e�subordinata�alla�costituzione�dei� ruoli�dirigenziali�delle�singole�amministrazioni,�secondo�le�cadenze�temporali�stabilite�dal� regolamento�di�cui�all'art.�10�della�legge.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Anche�prima�di�tale�momento,�pero�,�le�nuove�disposizioni�sono�destinate�ad�assumere� piena�operativita�,�secondo�modalita�e�tempi�diversificati,�che�vanno�accuratamente�indivi- duati,�tenendo�conto�della�disciplina�espressamente�diretta�a�regolare�la�fase�transitoria.�In� particolare,�l'art.�3,�comma�7,�contiene�una�disposizione�di�immediata�applicazione�(che� individua�il�nucleo�essenziale�del�regime�transitorio�della�nuova�disciplina),�diretta�ad�inci- dere�su�due�tipi�di�incarichi,�in�corso�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge:� a) tutti�gli�incarichi�dirigenziali�concernenti�i�ruoli�delle�amministrazioni�dello�Stato,� anche�ad�ordinamento�autonomo;� b) tutti�gli�incarichi�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�ove�e� prevista�tale�figura.� 4.�^L'ambito di applicazione soggettivo della disciplina transitoria sugli incarichi in corso. L'ambito�soggettivo�di�applicazione�della�norma�transitoria�e�puntualmente�definito� dalla�legge:� a) l'operativita�della�norma�riguarda�le�amministrazioni�statali,�anche�ad�ordina- mento�autonomo,�per�quanto�concerne�gli�incarichi�dirigenziali;� b) per�gli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�la�norma�incide�solo�sugli�incarichi�di� direttore�generale�(secondo�quanto�precisato�in�seguito),�senza�toccare�l'assetto�della� dirigenza;� c) la�norma�transitoria�non�tocca�le�altre�amministrazioni�pubbliche,�salvo�quanto� precisato�al�punto�19.� A�tale�riguardo�si�sottolinea�che�la�legge�di�riforma�(legge 15 luglio 2002, n. 145), all'art.�1,�modificando�l'art.�1,�comma�2,�del�decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ridefi- nisce�l'ambito�soggettivo�delle�amministrazioni�disciplinate�dallo�stesso�testo�unico,�inclu- dendovi:��l'Agenzia�per�la�rappresentanza�negoziale�delle�pubbliche�amministrazioni�(Aran)� e�le�Agenzie�di�cui�al�decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300�.� Dall'ambito�applicativo�dell'art.�3,�comma�7,�della�legge�sono�esclusi�i�dirigenti�delle� istituzioni�scolastiche�che�hanno�acquisito�la�qualifica�dirigenziale�aisensi�del�decreto legisla- tivo 6 marzo 1998, n. 59, atteso�il�peculiare�meccanismo�di�reclutamento,�la�disciplina�speci- fica�che�li�riguarda,�l'applicabilita�solo�parziale�del�complesso�normativo�definito�dagli�arti- coli�19�e�segg.�del�decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche�i�contenuti�e�le�specificita� della�funzione�dirigenziale�dei�capi�di�istituto.� 5.�^La disciplina transitoria e ilpersonale dirigenziale non contrattualizzato. Circa�l'applicazione�della�norma�transitoria�di�cui�all'art.�3,�comma�7,�alle�amministra- zioni�sottoposte�a�discipline�speciali�ed�in�particolare�agli�incarichi�di�livello�dirigenziale� conferiti�a�personale�non�contrattualizzato,�si�fa�riserva�di�specifiche�istruzioni�non�appena� sara�pervenuto�il�parere�richiesto�al�riguardo�al�Consiglio�di�Stato.� 6.�^La cessazione automatica degli incarichi statali di livello dirigenziale generale. La�disciplina�contenuta�nell'art.�3,�comma�7,�prende�in�considerazione�diverse�fattispe- cie,�assoggettandole�a�regole�operative�differenziate.� In�primo�luogo,�si�prevede�una�regola�comune,�riferita�agli�incarichi�statali�di�livello� dirigenziale�generale�ed�agli�incarichi�di�direttore�generale�degli�enti�vigilati�dallo�Stato:� �Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�le�disposizioni�di�cui�al� presente�articolo�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione� dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo� Stato�ove�e�prevista�tale�figura.�I�predetti�incarichi�cessano�il�sessantesimo�giornodalla�data� di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�esercitando�i�titolari�degli�stessi�in�tale�periodo� esclusivamente�le�attivita�di�ordinaria�amministrazione�.� La�disposizione�introduce�un�termine�legale�finale�di�durata�degli�incarichi�dirigenziali� di�livello�generale�e�di�quelli�di�direttore�generale�in�atto.�In�tal�modo,�la�regola�imperativa� di�rango�legislativo�sostituisce�con�efficacia�immediata�ogni�diversa�previsione�contenuta� nei�contratti�individuali�o�nei�provvedimenti�di�attribuzione�degli�incarichi�in�corso,�preva- lendo�anche�sulle�(eventualmente)�diverse�previsioni�della�contrattazione�collettiva.� L'effetto�giuridico�della�cessazione�dell'incarico�e�direttamente�fissato�dalla�norma�ed�e� correlato�al�mero�decorso�del�tempo�(sessanta�giorni�dall'entrata�in�vigore�della�legge).�Di� conseguenza,�la�scadenza�legale�dell'incarico�in�corso�non�richiede�necessariamente�un�atto� esplicito�dell'amministrazione,�la�cui�adozione�e�dunque�solo�opportuna�a�fini�meramente� dichiarativi.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 7.�^La posizione del dirigente generale cessato dall'incarico. Cio�chiarito,�va�peraltro�evidenziato�che�la�cessazione�legale�della�durata�dell'incarico� comporta,�per�l'amministrazione,�l'obbligo�di�adottare�un�ulteriore�provvedimento�esplicito,� riguardante�la�posizione�del�dirigente�cessato�dall'incarico,�avente�uno�dei�seguenti�conte- nuti:� a) l'attribuzione�al�dirigente�dello�stesso�incarico�cessato,�eventualmente�modificato� in�relazione�a�singoli�profili�contenutistici�(durata,�aggiornamento�degli�obiettivi);� b) l'attribuzione�di�un�incarico�funzionale�equivalente;� c) l'attribuzione�di�un�incarico�di�studi,�con�il�mantenimento�del�trattamento�econo- mico�precedente,�della�durata�massima�di�un�anno.� Nel�nuovo�assetto�normativo�della�dirigenza,�l'atto�di�conferimento�dell'incarico�assume� connotazione�provvedimentale,�ponendosi�come�determinazione�conclusiva�di�un�apposito� procedimento�amministrativo,�nel�quale�si�manifesta�l'interesse�pubblico�correlato�al�perse- guimento�degli�obiettivi�definiti�dall'organo�di�indirizzo�politico-amministrativo.�La�legge� qualifica�espressamente�l'atto�di�assegnazione�delle�funzioni�dirigenziali�come�provvedi- mento,�ponendo�in�rilievo�il�carattere�unilaterale�della�determinazione.� Il�carattere�provvedimentale�degli�atti�va�riconosciuto�anche�alle�determinazioni�riguar- danti�la�fase�di�immediata�applicazione�della�legge,�considerata�dall'art.�3,�comma�7.� Ne�deriva�che�l'attivita�riguardante�il�conferimento�degli�incarichi,�anche�in�mancanza� di�apposita�disciplina�di�dettaglio,�e�assoggettata�ai�princ|�pi�generali�del�procedimento� amministrativo,�con�particolare�riguardo�alle�regole�partecipative�ed�all'obbligo�dell'ammini- strazione�di�comunicare�l'avvio�del�procedimento�ai�soggetti�destinatari�dell'atto�conclusivo.� Si�intende,�peraltro,�che�la�comunicazione�e�riferita�esclusivamente�alla�fase�procedi- mentale�concernente�la�determinazione�riguardante�l'incarico�da�affidare�al�dirigente�cessato� dalle�originarie�funzioni.�Le�regole�procedimentali,�invece,�non�possono�operare�in�relazione� all'automatica�cessazione�dell'incarico,�trattandosi�di�un�effetto�legale,�che�prescinde�dallo� svolgimento�di�un�autonomo�procedimento.� Non�si�puo�trascurare,�poi,�che�la�ristrettezza�dei�termini�previsti�dall'art.�3,�comma�7,�e� l'esigenza�di�definire�in�tempi�rapidi�l'assetto�organizzativo�dei�vertici�dirigenziali�dell'ammi- nistrazione�consente�di�adottare�forme�semplificate�di�comunicazione�partecipativa.� 8.�^Itempidiadozionedeiprovvedimentidiconferimento deinuoviincarichidilivello dirigen- ziale generale. L'art.�3,�comma�7,�fissa�il�termine�di�cessazione�dell'incarico�senza�regolare�i�tempi�per� l'adozione�dei�provvedimenti�concernenti�l'assegnazione�dei�nuovi�incarichi.� Al�riguardo,�si�ritiene�che�la�decisione�di�riattribuire�al�dirigente�lo�stesso�incarico�in� atto�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge�puo�essere�senz'altro�adottata�(secondo�le� nuove�disposizioni�previste�dal�riformato�art.�19)�anche�prima�della�scadenza�del�sessante- simo�giorno.� Infatti,�la�norma�che�prevede�la�cessazione�degli�incarichi�al�sessantesimo�giorno�dalla� data�di�entrata�in�vigore�della�legge�sembra�assumere�una�valenza�essenzialmente�organizza- tiva:�essa�mira�a�garantire�che,�nel�termine�finale�di�sessanta�giorni,�siano�realizzati�tutti�gli� adempimenti�necessari�per�assegnare�tempestivamente�i�nuovi�incarichi.�Cio�anche�allo� scopo�di�ridurre�al�minimo�il�periodo�in�cui�il�dirigente�puo�svolgere�solo�attivita�di�ordina- ria�amministrazione.� Il�provvedimento�formale�di�conferma,�quindi,�puo�legittimamente�intervenire�anche� prima�della�scadenza�del�sessantesimo�giorno,�nel�rispetto�delle�garanzie�procedimentali�del� dirigente.� Al�contrario,�le�decisioni�di�attribuire�al�dirigente�un�incarico�equivalente�ovvero�un� incarico�di�studio,�non�potrebbero�essere�adottate�prima�della�scadenza�del�sessantesimo� giorno.� In�ogni�caso,�sembra�sempre�possibile�stabilire�immediatamente�(nel�rispetto�delle�indi- cate�garanzie�partecipative)�l'assegnazione�dei�dirigenti�cessati�ai�nuovi�incarichi�dirigenziali,� fissandone�la�decorrenza�al�sessantunesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge.� Peraltro,�con�specifico�riferimento�ai�tempi�per�l'adozione�dei�provvedimenti�concer- nenti�l'assegnazione�dei�nuovi�incarichi,�si�fa�riserva�di�ulteriori�indicazioni�non�appena�sara� pervenuto�il�parere�del�Consiglio�di�Stato�appositamente�richiesto�sull'argomento.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Sotto altro profilo, si osserva che la norma non stabilisce un termine perentorio entro cui deve essere adottato il provvedimento concernente l'attribuzione di un nuovo incarico equivalente o di un incarico di studio al dirigente cessato. Tuttavia, si sottolinea che il ritardo dell'amministrazione potrebbe costituire fonte di responsabilita� nei riguardi del dirigente. Infatti, occorre considerare che la parte variabile della retribuzione e� strettamente connessa all'effettivo svolgimento dell'incarico. Pertanto, si raccomanda alle amministrazioni di assegnare i dirigenti ai nuovi incarichi, evitando soluzioni di continuita� con i precedenti. 9. ^L'ambito�di�applicazione�della�norma�sulla�cessazione�di�efficacia�degli�incarichi.� La disposizione si riferisce, in modo puntuale, a tutti gli incarichi di livello dirigenziale generale, ossia ad una categoria chiaramente individuata di incarichi dirigenziali in senso ampio. Pertanto, la norma riguarda anche gli incarichi di cui all'art. 19, comma 3 del decreto� legislativo�30�marzo�2001,�n.�165:�incarichidiSegretario generalediMinisteri,incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e incarichi di livello equivalente. Questi tipi di incarico vanno considerati, sul piano sistematico, come uffici dirigenziali generali. Del resto, risulta coerente con le linee generali della riforma che l'effetto della cessa- zione automatica degli incarichi in atto riguardi anche le posizioni di vertice dell'ammini- strazione, per le quali e� piu� marcato il carattere fiduciario del rapporto. Detta conclusione e� rafforzata dalla circostanza che la legge ha riformulato l'art. 19, comma 8, stabilendo la nuova regola secondo cui gli incarichi di piu� elevato livello, previsti dal comma 3, cessano automaticamente allo scadere di novanta giorni dalla fiducia sul governo, imponendo l'adozione di un provvedimento espresso di conferma. 10. ^L'ambito�diapplicazionedellanormativa:gliincarichiincorsoaf ffidatiasoggettiestranei� al�ruolo�unico.� La norma transitoria si riferisce, indistintamente, a tutti gli incarichi di livello dirigen- ziale generale. Pertanto, essa comprende nel proprio ambito anche gli incarichi disciplinati dall'art. 19, comma 6, del decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165.� Infatti, la regola transitoria prende in considerazione il profilo oggettivo e funzionale dell'assegnazione dell'incarico, e non quello meramente soggettivo riguardante l'apparte- nenza del dirigente al ruolo unico. Ai fini dell'operativita� della norma, poi, non assume alcun rilievo la circostanza che la fonte dei rapporti di questo tipo sia essenzialmente contrattuale. Anzi, proprio la circostanza che in questi incarichi e� accentuato il rilievo del profilo fiduciario e dell'accertamento delle specifiche qualita� professionali dell'interessato impone di verificare, secondo le modalita� attuative contenute nell'art. 3, comma 7, la coerenza del- l'incarico con i nuovi obiettivi delineati dall'organo di direzione politica dell'amministra- zione. 11. ^L'attivita�di�ordinaria�amministrazione�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge.� La norma prevede che dall'entrata in vigore della legge e fino alla scadenza del sessante- simo giorno (ovvero fino all'atto di conferma, eventualmente adottato prima di tale sca- denza) i titolari degli incarichi di livello dirigenziale generale esercitano �esclusivamente le attivita� di ordinaria amministrazione�. La definizione di �ordinaria amministrazione� va ricavata dal raffronto tra i princ|�pi civilistici e le funzioni proprie che l'ordinamento attribuisce ai dirigenti generali per il rego- lare funzionamento della amministrazione, tenendo conto anche delle indicazioni conte- nute nella direttiva generale del Ministro sull'attivita� amministrativa e sulla gestione per l'anno 2002. In tal senso, assume un valore indicativo l'elencazione, non tassativa, contenuta nel- l'art. 16 del decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� A�titolo�esemplificativo,�eccedono,�di�norma,�l'ordinaria�amministrazione�i�seguenti�tipi� di�atti:� la�stipulazione�di�contratti�passivi�diversi�da�quelli�riguardanti�le�forniture�di�beni�e� servizi�necessari�per�il�funzionamento�dell'organizzazione;� l'affidamento�degli�incarichi�dirigenziali�di�livello�non�generale;� l'approvazione�di�progetti,�programmi,�piani;� la�promozione�di�liti�(fatte�salve�le�iniziative�necessarie�per�garantire�il�recupero�dei� crediti�dell'Amministrazione�nei�confronti�dei�terzi,�oppure�per�impedire�il�decorso�di�ter- mini�di�prescrizione�o�di�decadenza);� gli�atti�di�conciliazione�e�di�transazione�giudiziale�e�stragiudiziale;� le�convenzioni,�gli�accordi�di�programma,�gli�accordi�procedimentali�e�gli�accordi� sostitutivi�di�provvedimenti,�conclusi�ai�sensi�dell'art.�11�della�legge 7 agosto 1990, n. 241; in�generale,�tutti�gli�atti�che�impegnano�l'amministrazione�verso�l'esterno,�non�stretta- mente�necessari�per�garantire�il�regolare�andamento�della�stessa.� Possono,�invece,�sempre�di�norma�e�a�titolo�esemplificativo,�ritenersi�comprese�nell'ordi- naria�amministrazione,�alla�luce�anche�della�giurisprudenza�della�Corte�deiconti,leseguenti� attivita�:�gestione�dei�residui;�spese�per�le�quali�esista�una�specifica�e�precostituita�destina- zione�normativa�che�renda�non�necessaria�la�determinazione�di�priorita�o�l'adozione�di�speci- ficazioni�programmatiche;�attivita�gestoria�diretta�a�soddisfare�diritti�o�corrispettivi�dovuti� a�terzi�se�all'adempimento�debba�farsi�luogo�per�scadenza�di�termini�o�perche�richiesto�dal� creditore�in�base�alla�legge�o�al�contratto;�pagamenti�mediante�ruoli�di�spesa�fissa;�spese� obbligatorie�e�d'ordine.� Nel�periodo�considerato,�i�dirigenti�possono�comunque�adottare�gli�atti�urgenti�e�indif- feribili,�con�indicazione�specifica�dei�motivi�di�urgenza�e�indifferibilita�,�in�applicazione�dei� princ|�pi�generali�in�materia�di�proroga�degli�organi�scaduti.�Detti�atti�saranno�successiva- mente�sottoposti�a�ratifica�da�parte�del�dirigente�assegnato�all'incarico.� Gli�organi�di�governo�di�ciascuna�amministrazione�potranno,�comunque,�assumere� eventuali�ulteriori�determinazioni�volte�ad�individuare�^in�relazione�alle�specificita�dei�set- tori�e�alle�indicazioni�della�direttiva�generale�sull'azione�amministrativa�e�sulla�gestione�da� essi�adottata�per�il�2002�^atti�da�considerare�di�ordinaria�o�di�straordinaria�amministra- zione.� La�legge�non�stabilisce�in�modo�espresso�quali�conseguenze�derivino�dall'adozione�di� atti�eccedenti�l'ordinaria�amministrazione.� In�base�ai�princ|�pi�generali,�tuttavia,�l'atto�puo�costituire�fonte�di�responsabilita�per�il� dirigente�ed�incide�negativamente�sulla�sua�valutazione.� In�ogni�caso,�per�evitare�situazioni�di�incertezza,�una�volta�esaurita�la�fase�transitoria,�il� dirigente�nuovo�titolare�dell'incarico�dirigenziale,�nel�piu�breve�tempo�possibile,�puo�proce- dere�al�riesame�degli�atti�eccedenti�l'ordinaria�amministrazione,�provvedendo�a�revocarli�o� a�confermarli.� Peraltro,�fino�a�quando�non�interviene�l'annullamento�(in�sede�amministrativa�o�giuri- sdizionale),�il�provvedimento�continua�a�produrre�i�propri�effetti�giuridici,�secondo�i�princ|�pi� generali�concernenti�gli�atti�amministrativi�illegittimi.� 12.�^Gli incarichi dirigenziali di livello non generale in atto all'entrata in vigore della legge. Per�gli�incarichi�di�livello�dirigenziale�non�generale,�l'art.�3,�comma�7,�prevede�una�disci- plina�specifica,�diversa�da�quella�riferita�agli�altri�incarichi:�fermo�restando�il�numero�com- plessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�non� generale,�puo�procedersi,�entro�novanta�giorni�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente� legge,�all'attribuzione�di�incarichi�ai�sensi�delle�disposizioni�di�cui�al�presente�articolo,� secondo�il�criterio�della�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse�procedure�previste�dagli�arti- coli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il�quadriennio�1998-2001�del�per- sonale�dirigente�dell'Area�1.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi�si�intendono�confermati,� ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.� La�legge�non�determina�la�cessazione�automatica�degli�incarichi�in�atto.�Lo�scopo�della� norma�e�quello�di�consentire�alle�amministrazioni�di�effettuare�una�anticipata�valutazione� dei�dirigenti�assegnati�ai�posti�di�livello�non�generale,�in�relazione�alle�soluzioni�organizza- tive�prescelte�ed�alla�nuova�definizione�degli�obiettivi�e�dei�programmi�riguardanti�gli�incari- chi�di�livello�generale.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO In questa prospettiva, si evidenziano i tratti che caratterizzano la disciplina di imme- diata attuazione: a) l'attivita� di valutazione degli incarichi in atto va considerata meramente facolta- tiva per tutte le amministrazioni; b) la rotazione va effettuata nell'ambito dell'amministrazione presso cui il dirigente presta servizio; c) la natura provvedimentale della eventuale determinazione di assegnare il dirigente ad un incarico diverso rispetto a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge, comporta la piena applicazione delle regole partecipative di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241. In particolare, le amministrazioni competenti sono tenute ad applicare gli articoli 7 e seguenti della citata legge, assicurando l'effettiva partecipazione dei soggetti coinvolti nei processi di rotazione degli incarichi; d) peraltro, la breve durata del termine previsto per l'adozione del provvedimento finale consente di evidenziare eventuali ragioni di urgenza e di semplificare le modalita� di attuazione del contraddittorio con gli interessati; e) il provvedimento di attribuzione di un nuovo incarico va adeguatamente motivato, in relazione ai diversi parametri considerati dal riformulato art. 19, ed agli elementi indicati dalla contrattazione collettiva, con riguardo alla rotazione degli incarichi; f) in mancanza di espliciti provvedimenti, adottati nel termine di novanta giorni dal- l'entrata in vigore della legge, gli incarichi si intendono confermati. Lasceltalegislativa e� chiaramente indirizzata nel senso di ritenere superfluo un esplicito provvedimento che disci- plini il contenuto dell'incarico dirigenziale; g) si sottolinea che il termine legale entro il quale le amministrazioni devono adot- tare il provvedimento di attribuzione dell'incarico ha natura perentoria; h) detta soluzione interpretativa e� coerente, del resto, con le esigenze di semplifica- zione e di funzionalita� della struttura organizzativa delle singole amministrazioni. Essa si connette, razionalmente, all'impostazione gradualista della legge che, sul piano cronologico, prevede differenziate modalita� di attuazione; i) fino alla scadenza del termine di novanta giorni (o comunque, fino all'adozione del provvedimento di attribuzione di un nuovo incarico), il dirigente resta investito della pie- nezza delle attribuzioni; j) gli incarichi confermati restano regolati dal contratto individuale di lavoro, in rela- zione a tutti i profili considerati, compresi quelli della durata e della individuazione dei com- piti. Peraltro, trova immediata applicazione la nuova norma sulla durata massima dell'inca- rico, che non puo� essere superiore ai cinque anni; k) per esigenze organizzative e di coerenza complessiva del sistema, tuttavia, e� neces- sario che, per tutti i rapporti confermati, si proceda alla sostituzione dei contratti con i cor- rispondenti provvedimenti di conferimento dell'incarico, accompagnati dai contratti acces- sivi per la disciplina della parte economica. Ogni amministrazione attuera� gradualmente questo processo di adeguamento, anche oltre il termine dei novanta giorni, che riguarda esclusivamente la procedura di rotazione degli incarichi. 13. ^La determinazione di attribuire al dirigente generale un incarico diversodaquello in corso. L'art. 3, comma 7, prevede che �In sede di prima applicazione dell'art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal comma 1 del presente articolo, ai diri- genti ai quali non sia riattribuito l'incarico in precedenza svolto e� conferito un incarico di livello retributivo equivalente al precedente. Ove cio� non sia possibile, per carenza di dispo- nibilita� di idonei posti di funzione o per la mancanza di specifiche qualita� professionali, al dirigente e� attribuito un incarico di studio, con il mantenimento del precedente trattamento economico, di durata non superiore ad un anno. La relativa maggiore spesa e� compensata rendendo indisponibile, ai fini del conferimento, un numero di incarichi di funzione dirigen- ziale equivalente sul piano finanziario, tenendo conto prioritariamente dei posti vacanti presso l'amministrazione che conferisce l'incarico�. La norma, pur riferendosi, genericamente, agli incarichi previsti dall'art. 19, non si applica agli incarichi di livello dirigenziale non generale: la disciplina transitoria sulla rota- zione degli incarichi e� , infatti, completa ed incompatibile con le particolari regole in esame. IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� In�via�prioritaria,�l'amministrazione�conferisce�al�dirigente�cessato�dalla�precedente�fun- zione�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente.� Al�riguardo,�si�sottolinea�che�per�incarico�equivalente�si�intende,�ai�sensi�dell'art.�13� del�C.C.N.L.�per�il�quadriennio�1998-2001�del�personale�dirigente�dell'Area�1,�quello�cui� corrisponde�una�retribuzione�di�posizione�complessiva�di�pari�fascia�ovvero�una�retribu- zione�di�posizione�il�cui�importo�non�sia�inferiore�del�10%�rispetto�a�quelloprecedente- mente�percepito.� Cio�non�impedisce,�peraltro,�che�al�dirigente�possa�essere�attribuito�un�incarico�di�mag- giore�livello�retributivo.� In�ogni�caso,�la�possibilita�di�attribuire�l'incarico�equivalente�e�subordinata�ad�una� duplice�condizione:� a) la�disponibilita�di�un�posto�con�queste�caratteristiche�oggettive;� b) il�possesso�di�specifiche�qualita�professionali.� Con�riguardo�al�primo�requisito,�si�osserva�che�la�disponibilita�va�verificata�all'esito� delle�altre�assegnazioni�agli�uffici�di�livello�dirigenziale�generale,�non�essendo�configurabile� una�sorta�di�prelazione�del�dirigente�cessato�dall'incarico�sui�posti�vacanti�alla�data�di� entrata�in�vigore�della�legge.� Il�secondo�presupposto�(possesso�di�specifiche�qualita�professionali)�va�anzitutto�rife- rito,�oggettivamente,�alle�intrinseche�caratteristiche�dell'incarico,�valutato�nella�sua�even- tuale�specificita�professionale�e�tecnica.�Peraltro,�nella�scelta�di�non�assegnare�al�dirigente� l'incarico�equivalente�possono�assumere�rilievo�anche�considerazioni�riguardanti�le�attitudini� professionali�dell'interessato,�debitamente�evidenziate�ed�accertate.� Occorre�considerare,�in�ogni�caso,�che�anche�l'attribuzione�del�nuovo�incarico�e�subordi- nata�alla�valutazione�degli�elementi�indicati�nel�riformulato�art.�19.� Cio�posto,�si�sottolinea�la�necessita�di�esprimere�una�congrua�motivazione�in�merito�alla� decisione�di�non�attribuire�al�dirigente�cessato�un�incarico�di�livello�equivalente.� Si�intende,�poi,�che�l'incarico�funzionalmente�equivalente�deve�essere�di�livello�dirigen- ziale�generale.�Pertanto�esso�e�valutabile�per�il�computo�del�periodo�quinquennale�necessario� per�il�passaggio�dalla�seconda�alla�prima�fascia�del�ruolo�dirigenziale,�ai�sensi�dell'art.�23,� comma�1,�del�decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. La�durata�dell'incarico�va�determinata�secondo�le�regole�generali,�stabilite,�a�regime,�dal� riformulato�art.�19.�Pertanto,�non�opera�il�limite�massimo�di�un�anno,�previsto�solo�per�gli� incarichi�di�studio.� La�regola�concernente�l'attribuzione�di�un�incarico�equivalente�vale�anche�per�i�cessati� incarichi�previsti�dall'art.�19,�comma�6.�In�tal�caso,�tuttavia,�occorrera�considerare�con�parti- colare�attenzione�il�requisito�del�possesso�di�specifiche�qualita�professionali,�espressamente� previsto�dalla�norma.� L'incarico�esterno�e�legato,�all'origine,�ad�una�apposita�valutazione�delle�caratteristiche� soggettive�dell'interessato�ed�alle�sue�particolari�doti,�viste�in�stretta�relazione�con�il�conte- nuto�delle�funzioni.� Pertanto,�una�volta�cessato�l'incarico�esterno,�senza�riattribuzione�all'originario�titolare,� l'individuazione�di�un�eventuale�incarico��equivalente�,�va�compiuta�tenendo�conto�dei�sud- detti�connotati.� 14.�^Il conferimento di un incarico di studio. Nelle�ipotesi�in�cui�non�sia�possibile�attribuire�un�incarico�di�livello�equivalente,�l'ammi- nistrazione�conferisce�al�dirigente�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�precedente� trattamento�economico,�per�la�durata�massima�di�un�anno.� La�possibilita�di�fissare�una�durata�dell'incarico�inferiore�all'anno�va�circoscritta�alle� sole�ipotesi�in�cui�il�periodo�residuo�dell'originario�rapporto�sia,�a�sua�volta,�inferiore� all'anno.�E�evidente�che�la�durata�dell'incarico�di�studio�non�potrebbe�eccedere�la�scadenza� naturale�del�rapporto.� Nel�caso�dell'incarico�di�studio,�la�previsione�normativa�e�diversa�da�quella�concernente� il�conferimento�dell'incarico�equivalente,�poiche�la�garanzia�economica�prevista�riguarda� l'intero�ammontare�del�trattamento�economico�precedentemente�percepito,�compresa,� quindi,�la�retribuzione�di�risultato�e�senza�alcuna�percentuale�di�riduzione.� La�scelta�legislativa�deriva�dalla�circostanza�che�l'incarico�ha�una�durata�ridotta,�fino�al� limite�massimodi�unanno.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Si�sottolinea�che�gli�incarichi�di�studio�in�questione�sono�comunque�da�considerarsi� aggiuntivi�rispetto�a�quelli�di�cui�all'art.�19,�comma�10,�del�decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, poiche�questi�ultimi�corrispondono�a�posti�di�funzione.La�norma�di�garanzia� si�applica�anche�agli�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale�assegnati�ai�sensi�dell'art.�19,� comma�6.� Infatti,�la�regola�non�e��riferita�allo�specifico�status del�dirigente,�ma�al�dato�oggettivo� della�cessazione�dell'incarico.� Del�resto,�la�ratio della�disposizione�e��quella�di�ristorare�il�pregiudizio�economico�subito� dal�titolare�dell'incarico�cessato�automaticamente.� Questa�esigenza�si�manifesta�in�modo�analogo�tanto�per�i�dirigenti�del�ruolo�unico,� quanto�per�i�soggetti�estranei�all'amministrazione.�Anzi,�per�questi�ultimi,�la�cessazione�anti- cipata�del�rapporto�e��idonea�a�determinare�effetti�patrimoniali�piu��gravi,�proprio�per�la� carenza�dello�status dirigenziale�e�per�l'impossibilita��di�applicare�le�ulteriori�norme�di�garan- zia�previste�dall'ordinamento�e�dalla�contrattazione�collettiva.� Per�le�stesse�ragioni,�la�norma�di�garanzia�opera�anche�a�vantaggio�dei�dirigenti�cessati� da�uno�degli�incarichi�conferiti�ai�sensi�dell'art.�19,�comma�3.� L'incarico�di�studio�ha�un'equivalenza�meramente�economica,�e�non�funzionale,�con� quella�di�livello�dirigenziale�generale:�pertanto,�l'incarico�non�e��valutabile�per�i�dirigenti� iscritti�alla�seconda�fascia,�ai�fini�del�passaggio�alla�prima.� Da�ultimo,�si�sottolinea�l'esigenza�di�corredare�il�provvedimento�di�conferimento�dell'in- carico�di�studi�con�un'adeguata�motivazione,�secondo�i�princ|�pi�fissati�dall'art.�3�della�legge 7 agosto 1990, n. 241. 15. ^La coperturafinanziaria degli incarichi di studio. La�norma�di�garanzia,�concernente�l'assegnazione�del�dirigente�ad�un�incarico�di�studi� di�livello�retributivo�equivalente,�non�deve�comportare�aggravi�di�spese.� A�tale�scopo,�l'art.�3,�comma�7,�prevede�un�apposito�meccanismo�di�compensazione.�La� coperturadellamaggiorespesasieffettua�rendendoindisponibile�...unnumerodiincarichi� di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario�.� La�norma�impone�di�assicurare�un�equilibrio�finanziario,�riferito�a�tutti�(e�solo)�gli�inca- richi�di�livello�dirigenziale.�Pertanto,�la�compensazione�ben�potrebbe�essere�effettuata�ren- dendo�indisponibili�posti�di�livello�dirigenziale�non�generale.�Al�contrario,�non�e��possibile� la�compensazione�con�posti�di�carattere�non�dirigenziale.� La�legge�individua,�poi,�un�meccanismo�tassativo�di�copertura.�Pertanto,�l'aggravio�eco- nomico�non�puo��essere�compensato�mediante�altre�forme�di�risparmio�o�da�altre�entrate� dellastessaamministrazione.� Il�calcolo�economico�della�compensazione�va�effettuato�in�concreto�da�ciascuna�ammi- nistrazione,�sulla�base�del�raffronto�tra�il�trattamento�economico�del�dirigente�assegnato�ad� incarico�di�studio�e�quello�attribuibile�per�i�posti�di�dirigente�di�prima�e�di�seconda�fascia�resi� indisponibili.� La�diversa�articolazione�della�misura�dei�trattamenti�economici�complessivi�vigenti�nel- l'ambito�di�ogni�singola�amministrazione,�e�nell'intero�apparato�statale,�impedisce�di�ipotiz- zare�rapporti�fissi�ed�astratti.� L'equivalenza�finanziaria�va�formalmente�dimostrata�con�apposito�provvedimento�diri- genziale�del�responsabile�del�trattamento�economico,�da�assumere�contestualmente�al�confe- rimento�di�ciascun�incarico�di�studio.�Si�intende,�quindi,�che�ogni�provvedimento�di�attribu- zionediunincaricodistudi�dovra��indicare�con�chiarezza�le�modalita��della�copertura�econo- mica�dell'atto,�mediante�un�puntuale�riferimento�agli�incarichi�resi�indisponibili�per�attuare� la�prevista�compensazione.� Quest'ultima�va,�quindi,�effettuata�tenendo�conto�che�l'importo�dell'effettiva�maggiore� spesa�relativa�alle�retribuzione�complessiva�conservata�dall'interessato,�in�applicazione�della� vigente�contrattazione�collettiva,�deve�trovare�corrispondenza�con�l'economia�complessiva� realizzata�dalla�indisponibilita��di�uno�o�piu��posti�di�funzione�(di�livello�dirigenziale�generale� enon�generale).� Qualora�il�rapporto�tra�l'importo�oggetto�di�compensazione�e�quello�connesso�all'indi- sponibilita��dell'incarico�risulti�superiore�all'unita��,�l'equivalenza�sul�piano�finanziario�va�rea- lizzata�prolungando�l'indisponibilita��di�un�posto�dirigenziale�per�la�frazione�di�anno�necessa- ria�a�coprire�la�differenza�di�spesa.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 16.�^L'indisponibilita�deipostidirigenzialipresso�altreamministrazioni.� La�disposizione�stabilisce�che�il�meccanismo�di�compensazione�finanziaria�si�effettua� �tenendo�conto�prioritariamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce� l'incarico�.� La�norma�afferma�il�principio�secondo�cui�il�meccanismo�della�compensazione�puo�ope- rare,�sia�pure�in�via�del�tutto�eccezionale,�anche�tra�amministrazioni�diverse,�purche�sia�assi- curata,�nel�complesso,�la�copertura�finanziaria�dell'incarico�stesso.� La�concreta�attuazione�del�principio�della�compensazione�tra�amministrazioni�diverse� presuppone,�peraltro,�la�definizione,�effettuata�dal�Governo�in�sede�collegiale�e�programma- toria,�dei�criteri�e�dei�princ|�pi�in�base�ai�quali�determinate�amministrazioni�debbano�tenere� indisponibili�i�propri�posti�dirigenziali,�per�consentire�la�copertura�degli�incarichi�di�studio,� nell'interesse�di�altre�amministrazioni.� Allo�stesso�scopo,�resta�ferma,�in�ogni�caso,�la�possibilita�di�realizzare�appositi�accordi� tra�amministrazioni�statali�diverse.�Allo�scadere�dell'incarico�di�studio,�la�posizione�dell'inte- ressato�sara�definita�in�modo�diverso,�in�considerazione�dello�status�in�concreto�rivestito.� Al�riguardo�possono�indicarsi�le�tre�principali�ipotesi:� per�gli�incarichi�di�cui�all'art.�19,�comma�6,�al�termine�dell'anno�(o�del�piu�breve� periodo�eventualmente�previsto),�il�rapporto�con�l'amministrazione�presso�la�quale�si�presta� servizio�si�deve�considerare�cessato;� per�gli�incarichi�attribuiti�a�dirigenti�iscritti�alla�prima�fascia�del�ruolo,�l'amministra- zione�procedera�ad�assegnare�all'interessato�un�nuovo�incarico,�secondo�le�regole�ordinarie� previste�dall'art.�19,�come�riformulato�dalla�legge�di�riforma;� per�gli�incarichi�di�livello�generale�attribuiti�a�dirigenti�della�seconda�fascia,�l'ammini- strazione�procedera�ad�assegnare�l'interessato�ad�un�incarico�di�livello�non�generale,�salva� la�possibilita�di�attribuire�un�incarico�di�livello�generale,�nei�limiti�dell'aliquota�del�cinquanta� per�cento�dei�posti.� 17.�^Laproceduraper�ilconferimento�degliincarichinellafase�transitoria.� Le�nuove�procedure�per�i�conferimenti�degli�incarichi�vanno�immediatamente�applicate,� anche�nella�fase�transitoria,�indipendentemente�dalla�piena�operativita�dei�singoli�ruoli�diri- genziali�delle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo.� Per�evitare�l'eccessiva�durata�dei�tempi�riservati�alla�gestione�amministrativa�ordinaria�e� per�consentire�alla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�la�tempestiva�formalizzazione�dei� decreti�di�conferimento�dei�nuovi�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�e� opportuno�che�le�singole�amministrazioni�attivino�con�immediatezza�i�relativi�procedimenti:� l'organo�di�governo�dell'amministrazione�interessata�formula�la�proposta�di�incarico,� indirizzandola�alla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�^Dipartimento�della�funzione�pub- blica;� la�proposta�contiene�l'indicazione�del�soggetto�proposto�per�l'incarico,�insieme�alla� indicazione�dei�compiti�e�delle�funzioni�assegnate,�comprese�quelle�di�carattere�aggiuntivo� rispetto�al�posto�considerato;� la�proposta�da�conto,�in�modo�succinto,�degli�elementi�indicati�dall'art.�19,�conside- rando�anche�le�prescrizioni�dell'art.�3,�comma�7,�nelle�ipotesi�in�cui�non�si�intenda�riattri- buire�lo�stesso�incarico�al�dirigente�cessato;� la�proposta�deve�indicare�il�tipo�di�incarico,�nel�rispetto�delle�percentuali�previste�dal- l'art.�19,�commi�4,�5-bis,�5-ter�e�6,�anche�allo�scopo�di�verificare�il�limite�delle�nuove�misure� percentuali�stabilite�dall'ordinamento�per�ciascun�ambito�di�capienza�in�relazione�alla�dota- zione�organica�di�ciascuna�amministrazione�(dirigenti�di�seconda�fascia;�dirigenti�di�altre� amministrazioni�pubbliche,�estranei);� la�proposta�e�corredata�dal�curriculum�vitae�e�professionale�del�soggetto�proposto�per� l'incarico,�nonche�dal�contratto�individuale�accessivo,�per�la�parte�economica�del�rapporto,� stipulato�tra�l'organo�di�vertice�ed�il�dirigente,�redatto�secondo�lo�schema�allegato�(Alle- gato�1).�Il�trattamento�economico,�sia�principale�che�accessorio,�del�personale�dirigenziale� in�regime�di�diritto�pubblico�risulta�direttamente,�oltre�che�da�eventuali�norme�legislative�o� regolamentari,�dal�provvedimento�di�incarico�o�da�separato�ma�connesso�provvedimento;� la�proposta�di�incarico�e�accompagnata�anche�da�una�bozza�di�decreto�del�Presidente� del�Consiglio�dei�Ministri,�predisposta�secondo�lo�schema�allegato�(Allegato�2);� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� il�Dipartimento�della�funzione�pubblica�inserira�in�rete,�secondo�le�consuete�modalita� di�sicurezza�ed�accesso�per�ciascuna�amministrazione,�gli�schemi�di�decreto�del�Presidente� del�Consiglio�dei�Ministri�e�di�contratto�individuale�predisposti�in�modo�uniforme.� 18.�^L'applicazione immediata delle nuove norme concernenti le aliquote per l'attribuzione degli incarichi dirigenziali. L'art.�3�della�legge�ha�modificato,�in�piu�parti,�la�determinazione�delle�aliquote�riguar- danti�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali:� a) gli�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale�possono�essere�attribuiti,�fino�alla� misura�massima�del�cinquanta�per�cento�della�dotazione�organica,�a�dirigenti�appartenenti� alla�seconda�fascia;� b) gli�incarichi�dirigenziali�possono�essere�assegnati�a�dirigenti�di�altre�amministra- zioni�pubbliche�o�di�organi�costituzionali,�nella�percentuale�massima�del�dieci�per�cento�della� dotazione�organica�di�prima�fascia�e�nella�percentuale�massima�del�cinque�per�cento�della� dotazione�organica�di�seconda�fascia;� c) gli�incarichi�dirigenziali�possono�essere�attribuiti�a�persone�di�comprovata�qualifi- cazione�professionale,�non�appartenente�ai�ruoli�dirigenziali,�nel�limite�massimo�del�dieci� per�cento�(prima�fascia)�e�dell'otto�per�cento�(seconda�fascia).� Le�nuove�percentuali�sono�riferite�alla�dotazione�organica�dei�posti�di�ciascuna�ammini- strazione.�Pertanto,�la�disciplina�in�esame�e�pienamente�applicabile�dalla�data�di�entrata�in� vigore�della�legge,�tenendo�conto�dei�posti�dirigenziali�previsti,�e�non�e�condizionata�dalla� istituzione�dei�ruoli�delle�singole�amministrazioni.� In�attesa�della�determinazione�dei�ruoli�organici�dirigenziali�delle�singole�amministra- zioni,�la�base�di�calcolo�delle�percentuali�va�individuata�considerando�le�dotazioni�organiche� in�atto,�nonche��i�posti�di�funzione�previsti�istituzionalmente�dai�singoli�ordinamenti,�per�lo� svolgimento�in�posizione�di�fuori�ruolo�di�funzioni�connesse�all'interesse�dell'amministra- zione.� Ai�fini�dell'esatto�calcolo�delle�percentuali,�restano�fermi�i�criteri�generali�gia�applicati� dall'Ufficio�del�ruolo�unico�della�dirigenza�del�Dipartimento�della�funzione�pubblica.� In�particolare,�qualora�l'applicazione�percentuale�determini�come�risultato�un�numero� con�decimali,�si�procedera�agli�arrotondamenti�di�seguito�indicati:� per�eccesso,�all'unita�superiore,�se�il�numero�supera�il�limite�dello�0,50;� per�difetto,�all'unita�inferiore,�se�il�numero�e�uguale�o�inferiore�al�limite�dello�0,50.� E�comunque�opportuno�che,�a�fini�conoscitivi,�ciascuna�amministrazione�trasmetta�al� Dipartimento�della�funzione�pubblica�un�prospetto�aggiornato�da�cui�risultino,�distinta- mente:� le�dotazioni�organiche�degli�incarichi�di�prima�e�seconda�fascia;� il�calcolo�delle�percentuali�in�relazione�alle�diverse�ipotesi.� 19.�^La cessazione degli incarichi di direttore generale degli enti pubblici vigilati dallo Stato. L'art.�3,�comma�7,�sottopone�gli�incarichi�di�direttore�generale�degli�enti�vigilati�dallo� Stato,�in�atto�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge,�alla�stessa�regola�prevista�per�i�diri- genti�di�livello�generale�delle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo:� la�cessazione�dell'incarico�alla�scadenza�del�sessantesimo�giorno.� Anche�in�questa�ipotesi,�dunque,�valgono,�in�linea�di�principio,�le�stesse�indicazioni� interpretative�riguardanti�gli�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale�nelle�amministrazioni� statali,�salve�le�precisazioni�di�seguito�esposte.� Innanzitutto,�e�necessario�definire�l'esatto�ambito�oggettivo�e�soggettivo�di�applicazione� della�norma,�in�ragione�della�sua�formulazione�che�comporta�un'applicazione�notevolmente� ampia.� La�disposizione�comprende�tutti�gli�enti�pubblici,�seppure�diversamente�denominati� (istituto,�consiglio,�istituzione,�centro�e�simili),�comunque�sottoposti�alla�vigilanza�dello� Stato.� Non�rientrano�nell'ambito�operativo�della�norma�le�societa�partecipate�dallo�Stato,� ancorche��qualificabili,�ad�altri�fini,�come�organismi�di�diritto�pubblico.� Ciascuna�amministrazione�deve�procedere�ad�effettuare�la�completa�ricognizione�degli� enti�vigilati,�allo�scopo�di�verificare�l'esistenza�della�figura�del��direttore�generale�,�quale� definita�dall'ordinamento�di�ciascun�ente,�ed�assicurare�dunque�la�corretta�applicazione�della� norma.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� A�tale�proposito,�sono�necessarie�alcune�precisazioni�in�merito�al�contenuto�dell'art.�3,� comma�7.� In�particolare,�la�norma�circoscrive�il�proprio�ambito�applicativo�alla�sola�posizione� apicale�della�struttura�amministrativa�dell'ente.�La�cessazione�dell'incarico�non�riguarda,� pertanto,�gli�eventuali�altri�dirigenti�generali�degli�enti,�inseriti�nelle�relative�strutture�ammi- nistrative.�Restano�salve�specifiche�situazioni�ordinamentali�concernenti�personale�dirigen- ziale�appartenente,�al�momento�dell'entrata�in�vigore�della�legge,�a�ruoli�afferenti�anche�tran- sitoriamente�alle�amministrazioni�dello�Stato.� La�norma�comprende�tanto�le�ipotesi�in�cui�l'ordinamento�qualifica�espressamente�la� posizione�apicale�con�il�nomen di�direttore�generale,�quanto�le�ipotesi�in�cui�la�struttura� organizzativa�individua�comunque�una�figura�sovraordinata�a�quella�degli�uffici�di�livello� dirigenziale�generale,�utilizzando�altre�espressioni,�quali�segretario�generale�o�analoghe.� La�valutazione�circa�l'applicabilita�della�disposizione�transitoria�di�cui�all'art.�3,� comma�7,�piuttosto�che�di�quella�contenuta�nel�comma�2�dell'art.�6�(�Norme�inmateria�di� incarichi�presso�enti,�societa�e�agenzie�)�va�effettuata�da�ciascuna�amministrazione�vigilante,� tenuto�conto�delle�specifiche�situazioni�ordinamentali�dell'ente,�nonche�della�connotazione� dell'incarico�di�direttore�generale,�con�particolare�riferimento�alla�sua�eventuale�configura- zione�di��organo��dell'ente.�In�tal�caso,�infatti,�trattandosi�di�posizione�apicale,�occorre�fare� riferimento�alle�disposizioni�previste�dal�citato�art.�6,�che�riguardano�anche�i�componenti� dei�Consigli�di�amministrazione�o�degli�organi�equiparati.� D'altra�parte,�occorre�specificare�che,�nel�caso�di�applicazione�della�norma�transitoria�di� cui�al�citato�art.�6,�comma�2,�ai�fini�dell'individuazione�dell'ambito�di�applicazione�della� stessa,�l'espressione��nomine�rese�operative��e�da�intendersi�con�riferimento�a�quelle�nomine� la�cui�data�di�decorrenza�e�successiva�alla�data�di�conferimento�dell'incarico.�A�tale�ipotesi� va�senz'altro�equiparato�il�caso�in�cui�la�nomina,�pur�sortendo�alcuni�effetti�immediata- mente,�spiega�la�pienezza�dei�suoi�effetti�giuridici�(si�pensi�alle�questioni�relative�alle�incom- patibilita�)�ed�economici�(in�relazione�al�definitivo�trattamento�economico�previstoper�la� funzione�oggetto�della�nomina),�soltanto�in�un�momento�successivo.� Si�ritiene,�da�ultimo,�che�per�il�direttore�generale�non�confermato�nell'incarico�ai�sensi� dell'art.�3,�comma�7,�non�operino�le�norme�di�garanzia�previste�dalla�medesima�disposizione.� Si�osserva,�al�riguardo,�che�tale�disposizione�e�,�infatti,�congegnata�sul�presupposto�che�il� dirigente�cessato�possa�ottenere�un�incarico�equivalente�ovvero�un�incarico�di�studio�presso� l'amministrazione�ove�presta�servizio�al�momento�di�entrata�in�vigore�della�legge.�Per�quanto� concerne�i�direttori�generali�degli�enti,�e�evidente�la�circostanza,�da�un�lato,�che,�all'interno� dell'ente,�non�possono�rinvenirsi�posizioni�equivalenti;�dall'altro,�che,�per�la�specificita�della� figura�e�per�la�particolare�natura�delle�funzioni�svolte,�non�appare�configurabile�il�conferi- mento�all'interessato�di�un�incarico�di�studio.� Il Ministro: Frattini RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 2.�^LA questionE dI giurisdizione. Corte di Cassazione, Sezioni Unite ^Ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione del 7 febbraio 2003 per�G.D.S.�(Avv.�M.�Chiti)�c/Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita� e�della�Ricerca,�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�della�Funzione� Pubblica,nei�ricorsi�pendenti�dinanzialT.A.R.del�Lazio^Roma,sez.�terza-bis. �1.�^(omissis) I�ricorrenti,�dirigenti�generali�del�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Univer- sita�edella�Ricerca,hanno�impugnato�dinanzi�alT.A.R.del�Lazio^Roma,Sez.terza-bis, i� provvedimenti�assunti�dal�Ministero�medesimo�e�dalla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri� in�attuazione�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002,�nonche�la�circolare�del�Diparti- mento�della�Funzione�Pubblica�del�31�luglio�2002.�La�Camera�di�Consiglio�perla�discussione� dell'istanza�cautelare�e�fissata�per�la�data�del�20�gennaio�2003.� Tuttavia,imedesimiricorrentihanno�altres|�proposto�distinti�ricorsi�d'urgenza�dinanzi� al�Giudice�Ordinario�(Tribunale�di�Roma�^Sez.�Lavoro),�tutti�ad�oggi�pendenti.� Attesa�la�sostanziale�identita�(sia�di�petitum che�di�causa petendi)�degli�atti�di�ricorso� proposti�dinanzi�alle�due�giurisdizioni,�miranti�all'annullamento�ovvero�alla�disapplicazione� degli�identici�atti�di�cui�si�assume�la�illegittimita�,�con�richiesta�di�reintegra�nelle�funzioni,� se�del�caso�previo�ordine�all'amministrazione�di�procedere�alla�valutazione�comparativa�dei� curricula degli�aspiranti,�questa�difesa�ritiene�sussistere�una�evidente�contraddittorieta�delle� azioni�in�punto�di�giurisdizione.� L'importanza�della�controversia�e�tale�da�imporre�la�necessita�immediata�di�una�preven- tiva�definizione�della�giurisdizione�competente.�Sussiste�infatti�un�convergente�interesse�pub- blico�e�privato�a�che�siano�definite�le�posizioni�giuridiche�dei�titolari�di�ruoli�di�cos|�alto� grado�gerarchico�all'interno�dell'organizzazione�del�M.I.U.R.� E�pertanto�interesse�dei�ricorrenti�chiedere�che�sia�definita,�in�via�preventiva,�la�que- stione�di�giurisdizione�che�si�solleva�ai�sensi�dell'art.�41�c.p.c.�nelle�forme�di�cui�all'art.�367� c.p.c.,�e�proporre�il�presente�ricorso.� MOTIVI ^Sulla giurisdizione avente cognizione in ordine alla controversia attinente il conferimento e la revoca di incarichi dirigenziali, anche a seguito della L. n. 145/2002. 1.�^La�materia�controversa�sembra�devoluta�alla�cognizione�della�giurisdizione� ordinaria�in�virtu�del�disposto�dell'art.�63�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�e�degli�indirizzi� espressi�sul�punto�da�Codesta�Ecc.ma�Corte,�oltre�che�dal�Consiglio�di�Stato�e�dalla� Corte�Costituzionale.� Tra�le�altre�decisioni�rilevanti�sulla�questione,�anche�al�fine�di�non�appesantire�l'esposi- zione,�si�richiamano�per�l'essenziale�le�seguenti:� ^Corte Costituzionale, n. 193 del 16 maggio 2002 (punto 3 in motiv.): ``anche�aifinidi� una�interpretazione�delle�norme�conforme�a�Costituzione,�che�la�distinzione�tra�attivita�di� indirizzo�politico-amministrativo�e�l'attivita�gestionale�con�propria�autonomia�e�responsabi- lita�dei�dirigenti�generali�nonche�la�progressiva�estensione�della�privatizzazione�del�rapporto,� dando�risalto�alla�qualificazione�di�diritto�soggettivo�delle�relative�posizioni�(sentenza� n.�275�del�2001),�comporta,�da�un�canto,�un�maggiore�rigore�nella�responsabilita�degli�stessi.� Nello�stesso�tempo�vi�e�un'esigenza�di�rafforzamento�della�posizione�dei�medesimi�dirigenti� generali�attraverso�la�specificazione�delle�peculiari�responsabilita�dirigenziali,�la�tipicizza- zione�delle�misure�sanzionatorie�adottabili,�nonche�la�previsione�di�adeguate�garanzie�proce- dimentali�nella�valutazione�dei�risultati�e�dell'osservanza�delle�direttive�ministeriali;�inoltre,� il�modo�ed�i�tempi�in�cui�si�possa�pervenire�non�solo�alla�revoca�delle�funzioni�ma�anche�alla� risoluzione�definitiva�del�rapporto�di�impiego�...''.� ^Corte Costituzionale, 23 luglio 2001, n. 275: ``Non�e�fondata�la�q.l.c.�dell'art.�18�d.lg.� 29�ottobre�1998�n.�387,�nella�parte�in�cui�devolve�al�giudice�ordinario�la�giurisdizione�sulle� controversie�riguardanti�il�conferimento�e�la�revoca�degli�incarichi�dirigenziali,�sollevata� con�riferimento�agli�articoli�76�e�77�cost.�per�supposto�eccesso�di�delega,�con�riferimento� all'art.�11,�comma�4,�lett.�g), legge�15�marzo�1997�n.�59�ove�prevede�di�devolvere,�entro�il� 30�giugno�1998,�al�giudice�ordinario,�tenuto�conto�di�quanto�previsto�dallalettera�a), tutte� le�controversie�relative�ai�rapporti�di�lavoro�dei�dipendenti�delle�P.A.,�ancorche�concernenti� in�via�incidentale�atti�amministrativi�presupposti,�ai�fini�della�disapplicazione'';� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� ^Cassazione Civile, SS.UU., 26 giugno 2002, n. 9332: ``In�tema�di�impiego�pubblico� privatizzato,�ai�sensi�dell'art.�68�d.lg.�3�febbraio�1993�n.�29,�come�sostituito�dall'art.�29�d.lg.� 31�marzo�1998�n.�80�(oggi�art.�63�d.lg.�30�marzo�2001�n.�165),�sono�attribuite�alla�giurisdi- zione�del�giudice�ordinario�tutte�le�controversie�inerenti�ad�ogni�fase�del�rapporto�di�lavoro,� incluse�le�controversie�concernenti�l'assunzione�al�lavoro�e�il�conferimento�di�incarichi�diri- genziali,�mentre�la�riserva�in�via�residuale�alla�giurisdizione�amministrativa,�contenuta�nel� comma�4�del�citato�art.�68�(ora�art.�63),�concerne�esclusivamente�le�procedure�concorsuali� strumentali�alla�costituzione�del�rapporto�con�la�p.a.,�che�si�sviluppano�fino�all'approvazione� della�graduatoria�dei�vincitori�e�degli�eventuali�idonei,�ma�non�riguardano�il�successivo�atto� di�nomina.�Pertanto,�appartiene�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario�la�cognizione�della� controversia�concernente�il�provvedimento�di�conferimento�dell'incarico�di�dirigente�di� secondo�livello�del�ruolo�sanitario�ex art.�15�d.lg.�30�dicembre�1992�n.�502,�provvedimento� avente�natura�negoziale�e�^in�quanto�tale�^sindacabile�dal�giudice�ordinario�sotto�il�profilo� dell'osservanza�delle�regole�di�correttezza�e�buona�fede�nell'esercizio�dei�poteri�privati� (regole,�queste,�applicabili,�con�riguardo�all'attivita�anche�privatistica�della�P.A.,�alla�stregua� dei�principi�di�imparzialita�e�di�buon�andamento�di�cui�all'art.�97�cost.'';� ^Cassazione Civile, SS.UU., 24 aprile 2002, n. 6041: ``La�controversia�promossa�dal� dirigente�pubblico,�gia�iscritto�nel�ruolo�unico�dei�dirigenti�delle�amministrazioni�dello�Stato,� per�ottenere�l'affidamento�di�un�incarico�di�direzione�di�un�ufficio�di�livello�dirigenziale�e� l'annullamento�della�determinazione�ministeriale�di�temporanea�sua�messa�a�disposizione� della�Presidenza�del�Consiglio�dei�ministri�ai�sensi�dell'art.�6�del�regolamento�approvato� con�d.P.R.�26�febbraio�1999�n.�150,�e�devoluta,�ancorche�presupponga�la�conoscenza�inciden- tale�di�atti�amministrativi�presupposti,�alla�cognizione�del�giudice�ordinario,�atteso�che,�ai� sensi�dell'art.�29�d.lg.�3�febbraio�1993�n.�29�(nel�testo�risultante�dalla�modifica�allo�stesso� apportata�dall'art.�29�d.lg.�31�marzo�1998�n.�80�nonche�dall'art.�18�d.lg.�29�ottobre�1998� n.�387),�ad�esso�spetta�la�giurisdizione�anche�sulle�controversie�concernenti�il�conferimento� e�la�revoca�degli�incarichi�dirigenziali�(con�esclusione�soltanto�di�quelle�in�materia�di�proce- dure�concorsuali�per�l'assunzione�di�dipendenti�della�P.A.),�senza�che�rilevi,�in�senso�ostativo,� la�mancanza�del�decreto�di�assegnazione�del�dirigente�alle�relative�funzioni'';� ^Cassazione Civile, SS.UU., 27febbraio 2002, n. 2954: ``In�tema�di�impiego�pubblico� privatizzato,�ai�sensi�dell'art.�63�d.lg.�30�marzo�2001�n.�165,�sono�attribuite�alla�giurisdizione� del�giudice�ordinario�tutte�le�controversie�inerenti�ad�ogni�fase�del�rapporto�di�lavoro,�dalla� sua�instaurazione�fino�all'estinzione,�compresa�ogni�fase�intermedia,�relativa�a�qualsiasi� vicenda�modificativa,�anche�se�finalizzata�alla�progressione�in�carriera�e�realizzata�attraverso� una�selezione�di�tipo�concorsuale,�mentre�la�riserva�in�via�residuale�alla�giurisdizione�ammi- nistrativa,�contenuta�nel�comma�4�del�citato�art.�63,�concerne�esclusivamente�le�procedure� concorsuali�strumentali�alla�costituzione�del�rapporto�con�la�P.A.�e�non�riguarda�i�casi�in� cui�il�concorso�sia�diretto,�non�gia�ad�assumere,�ma�a�promuovere�il�personale�gia�assunto.� Pertanto,�la�cognizione�della�controversia�concernente�il�conferimento�dell'incarico�di�diri- gente�di�secondo�livello�del�ruolo�sanitario�ex art.�15�d.lg.�30�dicembre�1992�n.�502,�appar- tiene�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�cui�spetta�il�potere�di�disapplicare�l'atto�ammi- nistrativo�presupposto�in�cui�si�estrinsecano�le�valutazioni�dell'apposita�commissione'';� ^Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 maggio 2002, n. 2849: ``In�tema�di�impiego�pubblico� privatizzato,�ai�sensi�dell'art.�63�d.lg.�30�marzo�2001�n.�165,�sono�attribuite�alla�giurisdizione� del�giudice�ordinario�tutte�le�controversie�inerenti�ad�ogni�fase�del�rapporto�di�lavoro,�dalla� sua�instaurazione�fino�all'estinzione,�compresa�ogni�fase�intermedia,�relativa�a�qualsiasi� vicenda�modificativa,�anche�se�finalizzata�alla�progressione�in�carriera�e�realizzata�attraverso� una�selezione�di�tipo�concorsuale,�mentre�la�riserva�in�via�residuale�alla�giurisdizione�ammi- nistrativa,�contenuta�nel�comma�4�del�citato�art.�63,�concerne�esclusivamente�le�procedure� concorsuali�strumentali�alla�costituzione�del�rapporto�con�la�P.A.�e�non�riguarda�i�casi�in� cui�il�concorso�sia�diretto,�non�gia�ad�assumere,�ma�a�promuovere�il�personale�gia�assunto;� esulano,�pertanto,�dalla�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�le�controversie�relative�al� conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�di�II�livello�del�personale�sanitario�(ed�alle�revoche� degli�stessi)''.� 2.�^La�vicenda�in�esame�trae�origine�dall'attuazione�della�legge�15�luglio�2002,�n.�145� di�riforma�della�dirigenza�statale,�ed�in�particolare�del�regime�transitorio�introdotto�dal- l'art.�3,�comma�7�della�legge�citata.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Ai�sensi�di�quest'ultima�disposizione,�``Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli� incarichi�attribuibili,�le�disposizioni�di�cui�al�presente�articolo�trovano�immediata�applica- zione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di� direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e�prevista�tale�figura.�I�predetti� incarichi�cessano�il�sessantesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,� esercitando�i�titolari�degli�stessi�in�tale�periodo�esclusivamente�le�attivita�di�ordinaria�ammi- nistrazione.�Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incari- chi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�non�generale,�puo�procedersi�entro�novanta�giorni�dalla� data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�all'attribuzione�di�incarichi�ai�sensi�delle�dispo- sizionidicui�al�presente�articolo,secondoilcriteriodella�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse� procedure�previste�dagli�articoli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il� quadriennio�1998-2001�del�personale�dirigente�dell'Area�1.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi� si�intendono�confermati,�ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.�In�sede�di�prima� applicazione�dell'articolo�19�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�come�modificato� dal�comma�1�del�presente�articolo,�ai�dirigenti�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�pre- cedenza�svolto�e�conferito�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove� cio�non�sia�possibile,�per�carenza�di�disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�man- canza�di�specifiche�qualita�professionali�al�dirigente�e�attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il� mantenimento�del�precedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno.� La�relativa�maggiore�spesa�e�compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,� un�numero�di�incarichi�di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo� conto�prioritariamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico''.� 3.�^I�ricorrenti�dinanzi�al�T.A.R.�del�Lazio�hanno�ritenuto:� ^sussistente�la�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�in�quanto�``mentre�dinanzi� al�giudice�del�lavoro�si�e�invocato�il�sindacato�sulla�sussistenza�del�diritto�all'incarico�diri- genziale�e�degli�eventuali�danni�derivanti�dalla�violazione�di�questo�diritto,�sostanziando�il� petitum nella�richiesta�di�reintegra�e�di�risarcimento�dei�danni�provocati,�completamente� diversa�e�invece�la�richiesta�di�tutela�che�sostanzia�il�petitum nel�presente�ricorso,�in�quanto� essa�e�relativa�alla�violazione�degli�interessi�del�ricorrente�che�si�e�realizzata�nel�corso�dei� procedimenti�mediante�i�quali�l'amministrazione�ha�dato�attuazione�alla�norma�di�cui� all'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�e�in�conseguenza�dei�provvedimenti�qui�impu- gnati,�con�i�quali�si�e�illegittimamente�precostituita�una�indisponibilita�di�incarichi�di�livello� equivalente�al�solo�fine�di�escludere�il�ricorrente�e�di�attribuirgli�invece,�un�incarico�di�studio.� I�provvedimenti�con�i�quali�sono�stati�coperti�e�resi�indisponibili,�senza�alcuna�istruttoria�e� in�assenza�di�motivazione,�i�posti�di�funzione�equivalente�ai�quali�il�ricorrente�poteva�legitti- mamente�aspirare,�non�potrebbero,�certo,�essere�sottoposti�al�vaglio�del�giudice�ordinario,� che�non�dispone�neanche�degli�strumenti�per�apprestare�un�adeguata�tutela...'';� ^illegittimi�i�provvedimenti�impugnati�per�i�seguenti�motivi:�``2.�Invalidita�derivata� dall'incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�per�violazione�degli� artt.�3,�97�e�98�Cost.'';�``3.�Illegittimita�della�mancata�conferma�dell'incarico�dirigenziale� ricoperto�per�violazione�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�e�dell'art.�19�del� D.Lgs.�n.�165/2001.�Eccesso�di�potere�per�assoluta�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�motiva- zione.�Violazione�di�circolare'';�``4.�Illegittimita�del�diniego�di�incarico�equivalente�per� carenza�di�istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�violazione�di�legge.�Illegittimita�dell'attribu- zione�di�incarichi�equivalenti�ai�controinteressati�per�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�moti- vazione.�Illegittimita�della�circolare�31�luglio�2002�per�violazione�di�legge'';�``5.�Illegittimita� della�mancata�conferma�dell'incarico�ricoperto�per�mancata�comunicazione�dell'avvio�del� procedimento.�Illegittimita�del�diniego�di�incarico�equivalente�per�violazione�degli�articoli�7� e�seguenti�della�legge�n.�241/1990�e�violazione�del�principio�del�giusto�procedimento'';� ``6.�Illegittimita�dei�provvedimenti�di�conferimento�di�incarico�dirigenziale�ai�controinteres- sati�per�violazione�dell'art.�3�della�legge�n.�241/1990�per�assoluta�carenza�di�motivazione�e� difetto�di�motivazione'';�``7.�Eccesso�di�potere�per�illogicita�,disparita�di�trattamento�e�svia- mento�di�potere.�Violazione�del�principio�di�buon�andamento�dell'attivita�amministrativa''.� 5.�^Contemporaneamente,�i�Sigg.ri�(omissis) hanno�adito�il�Tribunale�di�Roma�^Sez.� Lavoro,�avendo�ritenuto:� ^sussistente�la�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�ed�in�particolare�che�``La�giurisdi- zione�dell'a.g.o.�e�pacifica.�Infatti�l'art.�63�del�testo�unico�n.�165/2001�prevede�che:�1.�Sono� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� devolute�al�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giudice�del�lavoro,�tutte�le�controversie�relative� ai�rapporti�di�lavoro�alle�dipendenze�delle�pubbliche�amministrazioni�di�cui�all'articolo�1,� comma�2,�ad�eccezione�di�quelle�relative�ai�rapporti�di�lavoro�di�cui�al�comma�4,�incluse�le� controversie�concernenti�l'assunzione�al�lavoro,�il�conferimento�e�la�revoca�degli�incarichi� dirigenziali�e�la�responsabilita��dirigenziale,�nonche�quelle�concernenti�le�indennita��di�fine� rapporto,�comunque�denominate�e�corrisposte,�ancorche�vengano�in�questione�atti�ammini- strativi�presupposti.�Quando�questi�ultimi�siano�rilevanti�ai�fini�della�decisione,�il�giudice�li� disapplica,�se�illegittimi.�L'impugnazione�davanti�al�giudice�amministrativo�dell'atto�ammi- nistrativo�rilevante�nella�controversia�non�e��causa�di�sospensione�del�processo�.�Detta� norma,�attributiva�della�giurisdizione,�consente�la�possibilita��che�in�ordine�allo�stesso�atto� possano�sussistere�tanto�la�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�quanto�la�giurisdizione� del�giudice�ordinario,�e�comunque�prevede�espressamente�la�giurisdizione�dell'a.g.o.�per�ogni� questione�attinente�al�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali,�a�prescindere�dalla�natura� giuridica�degli�incarichi�medesimi.�La�legge�n.�145/02�non�ha�disposto�alcunche�di�nuovo� sul�riparto�delle�materie�di�spettanza�dell'a.g.o.;�la�quale�dunque�resta�competente�anche� nel�nuovo�contesto...'';� ^illegittimi�i�provvedimenti�impugnati,�per�invalidita��derivata�dall'incostituzionalita�� dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�per�contrasto�con�gli�artt.�3,�97�e�98�Cost.,�oltre� che�per�vizi�propri�a) della�mancata�conferma�dell'incarico�dirigenziale�ricoperto�^per�vio- lazione�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�e�dell'art.�19�del�D.Lgs.�n.�165/2001,� per�assoluta�carenza�di�istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�violazione�di�circolare�^,�b) del� diniego�di�incarico�equivalente�^per�carenza�di�istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�viola- zione�di�legge�^,�c) dell'attribuzione�di�incarichi�equivalenti�ai�controinteressati�^per� carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�motivazione�^,�nuovamente�del�diniego�di�incarico�e�dell'in- carico�ai�controinteressati�di�cui�ai�punti�b) e�c) che�precedono�^per�violazione�degli�arti- coli�7�e�seguenti�della�legge�n.�241/1990�e�violazione�del�principio�del�giusto�procedimento,� nonche�per�eccesso�di�potere�per�illogicita��,�disparita��di�trattamento�e�sviamento�di�potere,�e� violazione�del�principio�di�buon�andamento�dell'attivita��amministrativa.� 6.�^Secondo�il�consolidato�indirizzo�di�Codesta�Ecc.ma�Corte,�confermato�nelle� recenti�pronunce�in�argomento�sopra�ricordate,�la�controversia�proposta�dai�Sigg.ri�(omissis) sembra�pertenere�alla�cognizione�dell'a.g.o.,�sulla�base�del�criterio�di�riparto�per�materie�pre- visto�dal�ricordato�art.�63�del�D.Lgs.�n.�165/2001.� La�legge�n.�145/2002,�nella�parte�in�cui�ha�modificato�l'art.�19�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�a� detta�dei�ridetti�ricorrenti�al�T.A.R.�avrebbe�implicato�una�``ripubblicizzazione'" del�rapporto� ed�un�consequenziale�mutamento�della�giurisdizione�competente. E�a�questo�punto�opportuno�richiamare�che,�a�mente�del�novellato�comma�2�dell'art.�19,� (ex art.�3,�comma�1,�lett.�b della�legge�n.�145/2002)�``Tutti�gli�incarichi�di�funzione�dirigen- ziale�nelle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo,�sono�conferiti� secondo�le�disposizioni�del�presente�articolo.�Con�il�provvedimento�di�conferimento�dell'in- carico,�ovvero�con�separato�provvedimento�del�Presidente�del�Consiglio�dei�ministriodel� Ministro�competente�per�gli�incarichi�di�cui�al�comma�3,�sono�individuati�l'oggetto�dell'inca- rico�e�gli�obiettivi�da�conseguire,�con�riferimento�alle�priorita��,�ai�piani�e�ai�programmi�defi- niti�dall'organo�di�vertice�nei�propri�atti�di�indirizzo�e�alle�eventuali�modifiche�degli�stessi� che�intervengano�nel�corso�del�rapporto,�nonche�la�durata�dell'incarico,�che�deve�essere�cor- relata�agli�obiettivi�prefissati�e�che,�comunque,�non�puo��eccedere,�per�gli�incarichi�di�fun- zione�dirigenziale�di�cui�ai�commi�3�e�4,�il�termine�di�tre�anni�e,�per�gli�altri�incarichi�di�fun- zione�dirigenziale,�il�termine�di�cinque�anni.�Gli�incarichi�sono�rinnovabili.�Al�provvedi- mento�di�conferimento�dell'incarico�accede�un�contratto�individuale�con�cui�e��definito�il� corrispondente�trattamento�economico,�nel�rispetto�dei�principi�definiti�dall'articolo�24.�E� sempre�ammessa�la�risoluzione�consensuale�del�rapporto''.� Ebbene,�la�ritrovata�centralita��del�``provvedimento'" di�incarico,�valevole�in�sede�di�confe- rimento�degli�incarichi�sia�a�regime�che�in�via�transitoria,�non�sembra�rappresentare�un�ele- mento�realmente�rilevante�ai�fini�della�individuazione�della�giurisdizione�competente,�atteso� il�chiaro�tenore�dell'art.�63�sopra�ricordato,�che�accorda�giurisdizione�esclusiva�e�piena� all'a.g.o.�su�tutti�gli�atti�di�gestione�del�rapporto�di�pubblico�impiego,�inclusi�gli�eventuali�atti� amministrativi�presupposti.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Da�quanto�sopra�consegue�che�la�pretesa�specifica�agita�dinanzi�al�T.A.R.�del�Lazio� parrebbe�competere�anch'essa�alla�giurisdizione�ordinaria,�non�a�caso�contemporaneamente� adita�dai�medesimi�ricorrenti�in�ossequio�all'orientamento�di�Codesta�Ecc.ma�Corte�sopra� riferito.� Ad�ogni�buon�conto,�solo�l'Ecc.ma�Corte�regolatrice�della�giurisdizione�potra�dirimere� la�questione,�in�ordine�alla�quale�non�e�opportuno�che�permangano�dubbi�ne�si�verifichi�il� rischio�di�contrasti.� Tanto�premesso�G.D.F.,�come�sopra�rappresentato�e�difeso,�ricorre�a�Codesta�Ecc.ma� Corte�di�Cassazione�-Sezioni�Unite�affinche�,�in�accoglimento�del�presente�ricorso,�regoli�la� giurisdizione�dichiarando�che�la�controversia�instaurata�dai�Sigg.ri�(omissis) dinanzi�al�Tri- bunale�Amministrativo�Regionale�del�Lazio�^Roma,�Sez.�terza-bis, nei�confronti�delle�parti� indicate�in�epigrafe,�spetta�alla�giurisdizione�dell'autorita�giudiziaria�ordinaria�(omissis). Firenze ^Roma, 7febbraio 2003�. Corte Suprema di Cassazione ^Avvocatura generale dello Stato ^Controricorso per�la�Presi- denza�del�Consiglio�dei�Ministri�e�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�edella� Ricerca(Avv.�dello�StatoT.Varrone,cont.�8078/03)inrelazionearegolamentopreven- tivo�di�giurisdizione�proposto�da�B.P.�(Avv.�M.�Chiti)�e�nei�confronti�di�S.R.�ed�altri.� �Fatto ^Con�ricorso�ritualmente�notificato�S.R.�ha�impugnato�i�seguenti�atti:� nota�prot.�n.�11275/MR�del�24�settembre�2002,�nella�parte�in�cui�il�Ministero�dell'I- struzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�ha�disposto�la�mancata�conferma�di�essa�ricorrente� nell'incarico�dirigenziale�precedentemente�ricoperto�e�nella�parte�in�cui�ha�disposto�la�non� attribuzione�alla�medesima,�di�un�incarico�di�funzione�e�di�livello�retributivo�equivalente;� decreto�del�Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri�datato�8�ottobre�2002,�con�il�quale�e� stato�conferito�a�B.P.�l'incarico�di�funzione�dirigenziale�generale�(della�Direzione�Generale,� per�l'organizzazione�dei�Servizi�nel�Territorio�del�Ministero�dell'Istruzione,�Universita�e� Ricerca;� decreti�del�Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri,�tutti�datati�8�ottobre�2002,�con�i� quali�sono�stati�conferiti�a�(omissis) incarichi�dirigenziali�di�livello�funzionale�e�retributivo� equivalente�a�quello�precedentemente�svolto�dalla�ricorrente;� la�circolare�del�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica�del�31�luglio�2002,�nella�parte� in�cui�prevede,�in�merito�all'attribuzione�al�dirigente�generale�di�un�incarico�diverso�da� quello�in�corso,�che�``la�disponibilita�va�verificata�all'esito�delle�altre�assegnazioni�agli�uffici� di�livello�dirigenziale�generale,�non�essendo�configurabile�una�sorta�di�prelazione�del�diri- gente�cessato�dall'incarico�sui�posti�vacanti�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge'';� ogni�altro�atto�ad�essi�connesso,�presupposto�e/o�consequenziale.� Con�ricorso�notificato�il�24�febbraio�2003�il�controinteressato�B.P.�ha�proposto�regola- mento�preventivo�di�giurisdizione�sottolineando�la�sostanziale�identita�di�petitum fra�il� ricorso�proposto�innanzi�il�giudice�amministrativo�e�quello�proposto�innanzi�al�giudice�ordi- nario�ed�in�ogni�caso�la�sussistenza�della�giurisdizione�di�quest'ultimo�rispetto�a�ciascuna� delle�domande�avanzate�dall'istante,�alla�stregua�del�chiaro�disposto�dell'art.�63�del�D.Lgs.vo� 165/2001,�nonche�dei�principi�desumibili�dalla�giurisprudenza�della�Corte�Costituzionalee� di�codeste�SS.UU.,�gia�intervenute�in�diverse�occasioni�in�subiecta materia (conferimento�e� revoca�degli�incarichi�dirigenziali�nell'ambito�del�pubblico�impiego�privatizzato).� Mediante�il�presente�atto�le�Amministrazioni�resistenti�nel�giudizio�pendente�innanzi�al� giudice�amministrativo�intendono�costituirsi�ed�associarsi�a�quanto�sostenuto�dal�ricorrente� in�questa�sede�in�punto�di�giurisdizione�ed�all'uopo�deducono�quanto�segue.� Diritto ^Pare�opportuno�premettere�che�nella�memoria�difensiva�predisposta�in�vista� della�discussione�dell'istanza�cautelare�di�sospensione�dell'esecutivita�degli�atti�impugnati,� avanzata�da�S.R.�contestualmente�alla�proposizione�del�ricorso,�le�Amministrazioni�inti- mate�hanno�in�via�pregiudiziale�eccepito�il�difetto�di�giurisdizione�del�giudice�amministra- tivo�sulla�base�di�considerazioni�sostanzialmente�analoghe�a�quelle�che�sorreggono�il�pre- sente�regolamento.� In�aggiunta�a�quanto�gia�diffusamente�esposto�nel�ricorso�con�il�quale�si�e�provveduto� ad�investire�codeste�Sezioni�Unite�della�questione�di�giurisdizione�si�reputa�opportuno�svol- gere�alcune�brevi�considerazioni.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� La�controversia�pendente�innanzi�al�TAR�e�originata,�come�si�accennava,�dai�provvedi- menti�assunti�dalla�Presidenza�del�Consiglio�e�dal�Ministero�dell'Istruzione,�dell'universita� e�della�Ricerca�successivamente�alla�entrata�in�vigore�della�legge�n.�145/2002�con�la�quale� sono�state�apportate�rilevanti�modifiche�al�D.Lgs.�n.�165/2002�soprattutto�in�materia�di�con- ferimento,�oggetto,�durata�degli�incarichi�dirigenziali�nell'ambito�delle�amministrazioni�e,� per�quanto�qui�da�vicino�rileva,�e�stata�prevista�la�cessazione�ex lege degli�incarichi�aventi� ad�oggetto�la�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�(art.�3,�comma�settimo,�della�legge� 145/2002).� La�ricorrente�nel�giudizio�pendente�innanzi�al�TAR,�titolare�di�consimile�incarico� presso�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�al�momento�della� entrata�in�vigore�della�predetta�legge,�non�essendosi�visto�riattribuire�l'incarico�preceden- temente�ricoperto,�ne�incarico�avente�ad�oggetto�funzioni�e�livello�retributivo�equivalenti,� e�insorta�avverso�tutti�gli�atti�adottati�dalla�Presidenza�del�Consiglio�e�dal�Ministero�del- l'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�e,�piu�in�particolare,�avverso�quelli�aventi�ad� oggetto�il�conferimento�dell'incarico�di�cui�ella�era�titolare�ad�altro�dirigente,�nonche� quelli�aventi�ad�oggetto�il�conferimento�di�incarichi�equivalenti�per�funzioni�e�retribu- zione�presso�il�medesimo�dicastero�(nonche�presso�altri�dicasteri,�cfr.�punto�7�del�ricorso� introduttivo�del�giudizio).� Il�complesso�ed�articolato�gravame�portato�all'attenzione�del�giudice�amministrativo� muove�oltreche�dalla�pretesa�incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge� 145/2002,�nellaparte�incui�e�previstala�cessazione�ex lege degli�incarichi�aventi�ad�oggetto� le�funzioni�di�livello�dirigenziale�generale,�dalla�premessa�di�fondo�che�l'inversione�del�rap- porto�fra�provvedimento�di�conferimento�dell'incarico�e�contratto�(nel�sistema�previgente� quest'ultimo�precedeva�il�primo�mentre�la�nuova�legge�fa�seguire�la�stipula�del�contratto�d estinato�essenzialmente�a�regolare�gli�aspetti�economici�del�rapporto�^al�provvedimento� di�conferimento�dell'incarico)�ha�comportato�una�ripubblicizzazione�della�materia�degli� incarichi�dirigenziali,�con�la�marginalizzazione�del�contratto�a�favore�della�riespansione� del�procedimento�e�del�provvedimento�amministrativo.�Di�qui�la�necessita�di�riconsiderare� l'applicabilita�dell'art.�63�del�D.Lgs.�165/2001�alle�controversie�correlate�all'espletamento� della�procedura�volta�al�conferimento�di�ciascun�incarico�e�al�provvedimento�finale�adot- tato�all'esito�della�stessa.� In�buona�sostanza�si�viene�teorizzando�una�doppia�natura�del�provvedimento�di�inca- rico�quale�atto�datoriale�e�quale�atto�organizzativo,�di�natura�politico-amministrativa�(e� quindi�sottoposto�al�controllo�della�Corte�dei�Conti),�con�cui�si�individua�un�ufficio�pub- blico�e�si�fissano�gli�obiettivi�per�la�sua�azione,�la�quale�richiederebbe�di�distinguere�fra�la� tutela�riferita�al�rapporto�di�lavoro�e�la�tutela�riferita�alla�legittimita�e�alla�regolarita�del- l'attivita�amministrativa�svolta�in�vista�del�conferimento�del�medesimo.�In�questo�secondo� tipo�di�tutela,�che�non�potrebbe�essere�negata�se�non�disconoscendo�le�garanzie�minime�di� tutela�spettanti�ai�dirigenti,�ricadrebbero�tutti�i�profili�di�legittimita�degli�atti�che�discen- dono�dal�mancato�rispetto�dei�principi�di�corretto�e�regolare�svolgimento�del�procedi- mento,�quale�che�sia�la�natura�e�l'effetto�del�provvedimento�che�viene�adottato�alla�conclu- sione�del�medesimo.� Procedimento�che�al�fine�di�garantire�il�reale�rispetto�degli�interessi�dell'istante�innanzi� al�TAR�avrebbe�dovuto,�a�suo�avviso,�articolarsi�secondo�una�particolare�sequenza�che�si� puo�cos|�riassumere:� a) in�primo�luogo�si�sarebbe�dovuto�aprire�un�subprocedimento�finalizzato�all'ado- zione�di�un�provvedimento�esplicativo�delle�ragioni�di�mancata�conferma�(opiu�corretta- mente�della�mancata�riattribuzione)�dell'incarico�di�cui�la�medesima�era�titolare;� b) in�secondo�luogo�si�sarebbe�dovuto�aprire�altro�subprocedimento�nell'ambito�del� quale�si�sarebbe�dovuto�procedere�ad�una�valutazione�comparativa�del�curriculum vantato� da�essa�istante�con�quello�vantato�dal�controinteressato�al�fine�di�stabilire�alla�stregua�dei� criteri�indicati�dal�novellato�art.�19,�comma�primo�e�comma�secondo�del�D.Lgs.vo�165/2001� chi�fosse�il�soggetto�piu�meritevole�di�vedersi�attribuire�l'incarico�avente�ad�oggetto�le�fun- zioni�di�livello�dirigenziale�generale�da�cui�ella�era�cessata.� In�prima�applicazione�della�legge�145/2002,�stante�la�previsione�di�cui�all'art.�3,�comma� settimo,�secondo�la�quale�il�dirigente�cessato�ex lege dall'incarico�ha�diritto�al�conferimento� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� di�un�incarico�equivalente�per�funzioni�e�retribuzione�(e�in�subordine�ad�unincaricodi�stu- dio),�in�caso�di�mancata�riattribuzione�dell'incarico�dal�quale�e��cessato�al�precedente�titolare� allo�stesso�modo�occorreva�procedere�nel�conferimento�degli�altri�incarichi�di�livello�dirigen- ziale�generale�che�in�applicazione�della�nuova�legge�occorreva�riattribuire.� Naturalmente,�secondo�le�prospettazioni�dell'istante�innanzi�al�TAR,�che�fondano�le� censure�su�cui�il�predetto�giudice�si�dovrebbe�pronunziare,�ciascun�subprocedimento�andava� svolto�garantendole�la�possibilita��di�partecipazione,�previo�espletamento�di�adeguata�istrut- toria�e�doveva�concludersi�con�provvedimento�congruamente�motivato,�nel�rispetto�di� quanto�previsto�dal�D.Lgs.�165/2001�e�dalla�legge�n.�241/90.� Orbene,�ribadito�che�la�ricostruzione�operata�nel�ricorso�proposto�innanzi�al�giudice� amministrativo�(peraltro�alla�base�anche�del�ricorso�proposto�innanzi�al�Tribunale�Civile�- Sezione�Lavoro)�confligge�palesemente�con�la�lettera�e la�ratio dell'art.�19�del�D.Lgs.vo� 165/2001,�cos|��come�integrato�e�modificato�dal�D.Lgs.vo�145/2002,�che�in�piena�coerenza� con�la�disciplina�caratterizzante�la�privatizzazione�del�rapporto�di�lavoro�intercorrente�fra� P.A.�e�dirigenti�e,�soprattutto,�a�quella�regolante�la�relazione�intercorrente�fra�l'Autorita�� politica�e�la�dirigenza,�caratterizzata�dall'accentramento�di�tutti�a�poteri�gestionali�nella� seconda,�sicche�,�almeno�per�quello�che�riguarda�gli�uffici�di�livello�dirigenziale�generale,�la� prima�nel�procedere�al�conferimento�degli�incarichi�puo��discrezionalmente�scegliere�il�sog- getto�ritenuto�piu��idoneo�a�garantirgli�il�rispetto�e�l'attuazione�dei�propri�piani�e�programmi,� purche�nel�provvedimento�amministrativo�in�cui�la�scelta�e��formalizzata�si�dia�conto�del�fatto� che�il�medesimo�sia�in�possesso�dei�requisiti�oggettivi�e�soggettivi�indicati�nell'art.�19,�comma� secondo,�del�D.Lgs.�165/2001�nuovo�testo,�gli�avversi�assunti�urtano�inesorabilmente�contro� l'espressa�previsione�dell'art.�63,�comma�primo,�del�D.Lgs.vo�165/2001�a�norma�del�quale� sono�devolute�al�giudice�ordinario�fra�le�altre�le�controversie�aventi�ad�oggetto�``il�conferi- mento�e�la�revoca�degli�incarichi''.�Tra�le�controversie�concernenti�il�conferimento�degli�inca- richi�vanno�ovviamente�annoverate�tanto�quelle�controversie�nelle�quali�l'istante�lamenti�il� mancato�conferimento�dell'incarico�cui�ritenga�a�buon�diritto�di�poter�aspirare,�quanto� quelle�relative�al�conferimento�dell'incarico�cui�l'istante�aspiri�ad�un�terzo,�come�e��sostan- zialmente�nel�caso�qui�considerato.� Rispetto�al�riparto�di�giurisdizione�effettuato�dal�legislatore�non�puo��avere�alcuna�inci- denza�la�recente�normativa�con�la�quale�e��stato�rovesciato�il�rapporto�fra�provvedimento�e� contratto.�La�ripubblicizzazione�della�materia�degli�incarichi,�per�restare�fedeli�alla�termino- logia�e�alle�prospettazioni�di�cui�al�ricorso�proposto�da�S.R.,�non�e��niente�altro�che�un� aspetto�della�complessa�disciplina�normativa�riguardante�la�dirigenza�pubblica�per�la�quale� e��stata�fatta�la�medesima�scelta�di�fondo�che�caratterizza�ormai�la�gran�parte�dei�rapporti� di�impiego�alle�dipendenze�della�Pubblica�Amministrazione:�cioe��quella�di�estendere�il�piu�� possibile�la�normativa�privatistica�regolante�i�rapporti�di�lavoro.�In�presenza�di�siffatta�scelta� di�fondo�e��ovvio�e�naturale�che�ogni�e�qualsiasi�controversia�concernente�i�c.d.�rapporti�pri- vatizzati�sia�stata�attribuita�al�giudice�ordinario.� Qui�preme�brevemente�ricordare�che�in�merito�al�criterio�di�riparto�della�giurisdizione�in� subiecta materia e��intervenuta�gia��in�numerose�occasioni�la�Corte�Costituzionale�la�quale� da�un�lato�ha�in�linea�di�principio�ritenuto�compatibile�con�i�precetti�desumibili�dalla�Carta� fondamentale�il�modello�prescelto�dal�legislatore�quanto�al�conferimento�degli�incarichi� (c.d.�spoil system)�e�dall'altro�ha�sempre�ribadito�che�l'attribuzione�delle�relative�controversie� al�giudice�ordinario�non�confligge�con�alcun�precetto�costituzionale,�anche�quando�si�tratti� di�liti�che�abbiano�ad�oggetto�atti�amministrativi�presupposti,�rispetto�ai�quali�il�G.O.�e�� munito�esclusivamente�dallo�strumento�della�disapplicazione�(cfr.�da�ultimo�Corte�Costitu- zionale,�ordinanza�n.�525/2002).� Anzi,�proprio�in�considerazione�del�fatto�che�tale�eventualita��e��tutt'altro�che�remota�la� Corte�Costituzionale�ha�chiarito�che�``la�cognizione�del�giudice�del�lavoro�comprende�tutti�i� vizi�di�legittimita��,�senza�che�sia�possibile�operare�distinzioni�tra�norme�sostanziali�e�procedu- rali,�di�modo�che�allo�stesso�Giudice�Ordinario�resta�affidata�la�pienezza�della�tutela,�estesa� a�tutte�le�garanzie�procedimentali�del�rapporto�previste�dalla�legge�e�dai�contratti�e,�quindi,� comprendente�anche�i�vizi�formali''�(Corte�Costituzionale,�sentenza�n.�275/2001,�cui�ci�si� richiama�ampiamente�nella�gia��ricordata�ordinanza�n.�525/2002).� E�di�tutta�evidenza,�pertanto,�alla�luce�della�ricordata�giurisprudenza�della�Corte�Costi- tuzionale,�che�si�e��formata�in�perfetta�sintonia�con�la�giurisprudenza�di�codeste�Sezioni�Unite� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� ampiamente�richiamata�nel�regolamento�preventivo�di�giurisdizione,�cui�qui�si�omette�di�far� cenno�al�fine�di�evitare�inutili�ripetizioni,�che�se�anche�si�volesse�riconoscere�in�relazione�al� procedimento�mediante�il�quale�l'Autorita��Politica�perviene�alla�``scelta''�del�dirigente�cui� attribuire�un�determinato�incarico�e�al�suo�conferimento�la�sussistenza�di�un�interesse�legit- timo�in�capo�a�colui�il�quale�era�in�precedenza�titolare�dello�stesso�nonche�a�tutti�coloro�i� quali�astrattamente�potevano�aspirare�a�quello�stesso�incarico�(il�che�in�verita��si�contesta� recisamente�alla�luce�di�quanto�gia��detto�e�di�quanto�ulteriormente�si�esporra��nelle�successive� difese�orali�e�scritte)�in�ogni�caso�la�cognizione�a�conoscere�delle�controversie�connesse�alla� prospettata�lesione�di�tale�interesse�spetterebbe�al�giudice�ordinario.� Come�si�e��gia��accennato�nelle�difese�svolte�innanzi�al�TAR,�rispetto�alla�scelta�operata� dal�legislatore�si�potrebbe�soltanto�astrattamente�porre�un�problema�di�costituzionalita��solo� se�si�dimostrasse�che�lo�strumentario�di�cui�il�giudice�ordinario�dispone�non�e��in�grado�di� offrire�una�tutela�piena�e�completa�ai�titolari�dei�suddetti�interessi�(sempre�ammettendo�la� sussistenza�di�tali�interessi)�ma�sotto�``questo�profilo,�cui�l'istante�innanzi�al�TAR�pure� accenna�proprio�al�fine�di�dimostrare�la�bonta��della�propria�scelta�di�aver�adito�(anche)�il� predetto�giudice�amministrativo,�nulla�viene�poi�in�concreto�dedotto''.� Il�discorso�ovviamente�non�cambia�in�relazione�a�tutti�gli�adempimenti�procedimentali� connessi�alla�prima�attuazione�della�legge�145/2002�che�appunto�hanno�dato�adito�al�giudi- zio�nell'ambito�del�quale�e��stato�proposto�il�presente�regolamento�di�giurisdizione.� Costituisce,�anzi,�circostanza�assai�significativa�che�il�legislatore�pur�essendo�interve- nuto�per�modificare�notevolmente�alcune�delle�norme�piu��importanti�in�tema�di�dirigenza� pubblica�e,�pur�avendo�optato�per�la�c.d.�ripubblicizzazione�della�materia�degli�incarichi,� non�ha�inteso�apportare�alcuna�modifica�al�ricordato�art.�63�ove�e��stato�effettuato�il�riparto� di�giurisdizione�delle�controversie�in�materia�di�pubblico�impiego.� In�virtu��di�quanto�sin�qui�esposto,�dedotto�ed�eccepito�la�Presidenza�del�Consiglio�dei� Ministri�e�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita��e�della�Ricerca�riservandosi�ogni�ulte- riore�deduzione�nelle�successive�difese�scritte�ed�orali�insistono�per�l'accoglimento�delle� seguenti�conclusioni:�Piaccia�a�codesta�Ecc.ma�Corte�di�Cassazione�a�Sezioni�Unite�regolare� la�giurisdizione�dichiarando�che�la�controversia�instaurata�da�B.P.�dinanzi�al�TAR�del�Lazio,� Roma,�sezione�terza-bis,�nei�confronti�di�tutte�le�parti�indicate�in�epigrafe�spetta�all'Autorita�� Giudiziaria�Ordinaria�con�ogni�conseguente�statuizione�in�ordine�a�spese,�diritti�ed�onorari.� Roma,�6�febbraio�2003� Avv.�Tito�Varrone�� Corte Suprema di Cassazione ^Controricorso dell'Avvocatura generale dello Stato per�il� Ministero�per�i�beni�e�le�attivita��culturali�e�per�la�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri� (Avv.�dello�Stato�G.�Fiengo,�cont.�41925/02)�c/R.R.�(Avv.ti�L.�Torchia,�V.�Angiolini,� A.�Andreoni�e�T.�Di�Nitto)�e�nei�confronti�di�G.C.P.�(Avv.�N.�Palantonio).� �(omissis)�In�pendenza�di�tale�ricorso�dinanzi�al�TAR�per�il�Lazio�G.C.P.�ha�proposto� a�codesta�ecc.ma�Suprema�Corte�di�Cassazione�ricorso�per�regolamento�preventivo�di�giuri- sdizione�al�fine�di�far�dichiarare�la�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giudice� del�lavoro.� A�tale�ricorso�l'Amministrazione�intimata�aderisce�per�i�seguenti�motivi:� esiste�oramai�nell'ordinamento�un'espressa�disposizione�di�legge,�l'art.�68�del�decreto� legislativo�3�febbraio�1993�n.�29,�ed�ora�art.�63�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001�n.�165,� che�attribuisce�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giudice�del�lavoro,� ``tutte�le�controversie�relative�ai�rapportidilavoro�alle�dipendenze�dellepubbliche�amministra- zioni,�incluse�le�controversie�concernenti�l'assunzione�al�lavoro,�il�conferimento�e�la�revoca�degli� incarichi�dirigenziali...,�ancorche�vengano�in�questione�gli�atti�amministrativi�presupposti��e� dispone�che��quando�questi�ultimi�siano�rilevanti�aifini�della�decisione,�il�giudice�li�disapplica,� se�illegittimi.''.� Con�tale�disposizione�il�legislatore�ha�quindi�inteso�adottare�un�riparto�della�giurisdi- zione�fondato�sul�criterio�della�materia,�e�l'attribuzione�al�giudice�ordinario�in�funzione�di� giudice�del�lavoro,�di�tutte�le�controversie�relative�ai�rapporti�di�lavoro�alle�dipendenze�delle� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� pubbliche�amministrazioni,�incluse�quelle�relative�al�conferimento�e�alla�revoca�degli�incari- chi�dirigenziali,�si�configura�come�una�giurisdizione�piena�ed�esclusiva,�motivata�da�esigenze� di�unitarieta�della�materia,�a�prescindere�dalla�natura�degli�atti�che�intervengono�a�definire� la�fattispecie�e�delle�situazioni�giuridiche�da�essi�prodotte,�cos|�come�e�stato�anche�affermato� dalla�Corte�Costituzionale�nella�sentenza�del�23�luglio�2001,�n.�275.� Tale�riparto�di�giurisdizione�che�non�viene�ad�essere�minimamente�modificato�dalla� legge�15�luglio�2002�n.�145�di�riordino�della�dirigenza�statale;�ne�puo�essere�tentato,�proprio� ostandovi�la�espressa�disciplina�del�riparto�della�giurisdizione,�un�reinserimento�del�giudice� amministrativo�nella�materia�degli�incarichi�dirigenziali�basandosi�sull'affermazione�della� natura�provvedimentale�degli�atti�di�conferimento�degli�incarichi.�E�d'altronde�dottrina�tra- dizionale�che�gli�atti�di�gestione�del�personale,�dirigente�o�non,�non�rappresentano�espres- sione�di�un�potere�amministrativo�(di�cura�concreta�degli�interessi�della�collettivita�)�ma�atti� neutri,�di�natura�organizzativa,�la�cui�disciplina�giuridica�e�nella�totale�disponibilita�del�legi- slatore,�che�puo�configurare�gli�stessi�secondo�modalita�non�consensuali,�tipiche,�d'altronde,� degli�atti�di�organizzazione�dell'imprenditore�privato.�In�altri�termini�unilateralita�dell'atto� non�e�indice�di�sicura�pubblicita�dello�stesso.� Quanto�al�profilo�sostanziale�della�posizione�giuridica�che�R.R.�intende�far�valere�nel� giudizio�innanzi�al�TAR�e�indubbio�che�la�stessa�mira�ad�ottenere�l'incarico�di�dirigente�gia� ricoperto,�con�la�conseguenza�che�si�tratta�comunque�di�un�diritto�soggettivo�connesso�al� rapporto�di�lavoro�che�la�prospettazione�del�ricorso�proposto�innanzi�al�TAR�mira�inammis- sibilmente�a�trasformare�in�un�interesse�legittimo�da�far�ritenere�connesso�ad�un�interesse� pubblico�generale�relativo�alla�gestione�dello�Stato�-Amministrazione,�in�realta�si�tratta� comunque�di�una�posizione�giuridica�che,�per�la�scelta�del�legislatore,�in�relazione�alla�cosid- detta�privatizzazione,�non�puo�ragionevolmente�differire�da�quella�di�un�dirigente�privato.� Se�tale�e�la�posizione�giuridica�soggettiva�fatta�valere�da�R.R.,�sotto�il�profilo�processuale,� dell'interesse�ad�agire�(art.�100�c.p.c),�non�e�dato�comprendere�quale�vantaggio�ottiene�la� ricorrente�dall'eventuale�annullamento/disapplicazione�degli�atti�di�nomina�e�di�conferi- mento�degli�incarichi�ai�nuovi�dirigenti�nominati�dal�Governo.� P.Q.M.: Voglia�codesta�ecc.ma�Suprema�Corte�di�Cassazione�dichiarare�la�giurisdizione� del�giudice�ordinario,�con�consequenziali�statuizioni�di�legge.� Roma�l|�14�gennaio�2002� Avv. Giuseppe Fiengo�� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 3.�^LA difesA dI meritO dell'amministrazionE Tribunale Civile di Roma, Sezione lavoro ^Avvocatura generale dello Stato -Memoria per�la� Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�ed�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e� della�Ricerca�(Contenzioso�245/2003)�c/�E.B.�(Avv.ti�L.�Forchia,�V.�Angiolini,� A.�Andreoni�e�T.�Di�Nitto)�e�nei�confronti�di�L.S.� �(Omissis) Il�presente�gravame�e�rivolto�contro�tutti�gli�atti�posti�in�essere�dal�Mini- stero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�in�attuazione�dell'art.�3,�comma�settimo,� della�legge�165/2002.� Tale�norma�nell'ambito�della�recente�riforma�concernente�le�norme�riguardanti�la�diri- genza�statale�(anche�per�favorire�lo�scambio�di�esperienze�e�l'interazione�tra�pubblico�e�pri- vato)�ha�previsto�a�decorrere�dal�sessantesimo�giorno�dalla�sua�entrata�della�legge�la�cessa- zione�degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�(e�di�quelli�di�direttore�gene- rale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato)�e�in�caso�di�mancata�riattribuzione�dell'incarico� in�precedenza�svolto�il�conferimento�dirigente�interessato�di�un�incarico�di�livello�retributivo� equivalente�al�precedente�ovvero,�in�caso�cio�non�sia�possibile,�per�carenza�di�disponibilita� di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qualita�professionali,�l'attribu- zione�di�un�incarico�di�studio�con�il�mantenimento�del�precedente�trattamento�economico.� Nel�caso�qui�considerato�l'istante�non�si�e�vista�riattribuire�l'incarico�precedentemente� svolto�e�nemmeno�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�per�mancanza�di�posti�di�fun- zione�presso�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�edella�Ricerca�ede�insorta�contro� gli�atti�con�i�quali�si�e�provveduto�al�conferimento�di�altri�incarichi�di�funzioni�dirigenziali� di�livello�generale�a�soggetti�diversi�dai�precedenti�titolari.� Nella�convinzione�che�la�tutela�apprestatagli�dal�legislatore�avverso�gli�atti�della�P.A.� riguarderebbe�situazioni�soggettive�diverse�(di�diritto�e�di�interesse)�l'istante�si�e�risolta�ad� adire�tanto�codesto�giudice�ordinario�quanto�il�giudice�amministrativo�(segnatamente�il� TAR�Lazio).� Nel�primo�caso�con�ricorso�ex art.�700�c.p.c.�e�stata�chiesta�la�reintegra�nell'incarico� precedentemente�ricoperto�prospettando�l'incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo�della� legge�145/2002�nella�parte�in�cui�dispone�la�cessazione�di�tutti�gli�incarichi�dirigenziali�a� decorrere�dal�sessantesimo�giorno�dalla�entrata�in�vigore�della�legge�e�configurando�l'attri- buzione�della�direzione�di�uffici�di�livello�dirigenziale�generale�come�atto�conclusivo�di�una� selezione�di�natura�sostanzialmente�se�non�formalmente�concorsuale.�Nell'altra�sede�invece,� ``la�richiesta�di�tutela�che�sostanzia�il�petitum del�ricorso,�e�relativa�alla�violazione�degli�inte- ressi�della�ricorrente�che�si�sarebbe�realizzata�nel�corso�dei�procedimenti�mediante�i�quali� l'amministrazione�ha�dato�attuazione�alla�norma�di�cui�all'art.�3,�comma�settimo,�della�legge� 145/2002,�e,�in�conseguenza�dei�provvedimenti�qui�impugnati,�con�i�quali�sie�illegittima- mente�precostituita�una�indisponibilita�di�incarichi�di�livello�equivalente�al�solo�fine�di�esclu- dere�l'istante�e�di�attribuirgli�invece,�un�incarico�di�studio''.� Secondo�questo�esposto�nell'articolato�e�complesso�gravame�l'operato�delle�Ammini- strazioni�resistenti�sarebbe�in�primo�luogo�viziato�per�invalidita�derivata�dall'incostituziona- lita�dell'art.�3,�comma�settimo,�legge�145/2002�ravvisata:� 1)�nell'asserita�irragionevolezza�della�previsione,�per�una�sola�volta,�all'atto�della� entrata�in�vigore�della�legge�145/2002,�della�cessazione�``de legis'" di�tutti�gli�incarichi�di� livello�dirigenziale�generale,�e�non�solo,�secondo�il�regime�ordinario,�diquelli�diSegretario� Generale�e�Capo�dipartimento,�il�che�discriminerebbe�i�dirigenti�generali�``di�secondo�livello''� in�servizio�alla�data�dell'8�agosto�2002;� 2)�all'asserita�violazione�del�principio�di�stabilita�dei�contratti�individuali�di�lavoro;� 3)�all'asserita�violazione�degli�art.�97�e�98�Cost.�(principio�di�buon�andamento�e� imparzialita�dell'Amministrazione).�Sotto�altro�e�distinto�profilo�viene�poi�dedotta�la�viola- zione�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002�e�dell'art.�19�del�D.Lgs.�165/2001�non- che�eccesso�di�potere�per�assoluta�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�motivazione�e�violazione� della�circolare�della�P.C.M.�31�luglio�2002�in�quanto�i�provvedimenti�adottati�sarebbero�stati� assunti�senza�l'espletamento�di�alcun�tipo�di�istruttoria�e�insufficientemente�motivati.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�subordine�si�afferma�l'illegittimita�del�diniego�di�incarico�equivalente�per�carenza�di� istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�violazione�di�legge�e,�per�converso,�l'illegittimita�dell'at- tribuzione�di�incarichi�equivalenti�ai�controinteressati�per�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di� motivazione,�nonche�illegittimita�della�circolare�31�luglio�2002�per�violazione�di�legge,�con� ulteriore�censura�si�sostiene�poi�l'illegittimita�della�mancata�conferma�dell'incarico�ricoperto� per�mancata�comunicazione�dell'avvio�del�procedimento,�illegittimita�del�diniego�di�incarico� equivalente�per�violazione�degli�art.�7�e�ss. della�legge�n.�241/90�e�violazione�del�principio� del�giusto�procedimento.�Infine�si�afferma�l'illegittimita�dei�provvedimenti�di�conferimento� di�incarico�dirigenziale�ai�controrinteressati�per�violazione�dell'art.�3�della�legge�241/90�per� assoluta�carenza�di�motivazione�e�difetto�di�presupposti.� Tanto�premesso,�mediante�il�presente�atto�si�costituiscono�le�Amministrazioni�resistenti� ribadendo�la�piena�legittimita�del�proprio�operato�come�risultera�da�quanto�di�seguito�si� esporra�a�confutazione�delle�avverse�asserzioni�ed�affermazioni.� Come�si�e�accennato�la�principale�censura�su�cui�si�incentra�la�presente�impugnativa� concerne�la�dedotta�incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002,�nella� parte�in�cui�prevede�la�cessazione�automatica�degli�incarichi�dirigenziali�a�decorrere�dal�ses- santesimo�giorno�dall'entrata�in�vigore�della�legge�che�darebbe�corpo�ad�una�versione� estrema�e�inedita�dello�spoils system che�consente�solo�al�governo�in�carica�^e�non�anche�ai� governi�successivi�^di�scegliere�per�tutti�gli�uffici�dirigenziali,�personale�di�propria�fiducia,� mentre�la�stessa�legge�n.�145/2002�prevede,�come�regola�ordinaria,�che�i�soli�segretari�gene- rali�e�i�capi�dipartimento�e�quindi�un�numero�assai�limitato�di�persone,�pochissime�unita� per�ogni�ministero,�decadono�dopo�novanta�giorni�dalla�fiducia�al�nuovo�governo,�in�ragione� della�loro�``continuita�''�con�il�potere�``politico''.� Trattasi�di�affermazioni�prive�di�fondamento�se�si�considera�che�la�previsione�si�e�resa� necessaria�per�consentire�l'immediata�attuazione�della�riforma.�Invero�solo�attraverso�la�ces- sazione�generalizzata,�per�effetto�di�legge,�di�tutti�gli�incarichi�preesistenti�si�e�potuto�dare� corso,�in�tempi�e�con�modalita�certi�e�uguali�per�tutti,�alle�nuove�disposizioni�con�le�quali�e� stata�ridisegnata�la�disciplina�del�rapporto�dell'Autorita�politica�con�la�dirigenza,�ad�un� livello�strategico�per�la�realizzazione�degli�indirizzi�politico-amministrativi.� Detta�scelta,�dunque,�non�ha�nulla�a�che�vedere�con�valutazioni�necessariamente�indivi- duali,�sulle�qualita�professionali�e�sui�risultati�dei�dirigenti�cessati.� Il�ricorso�allo�strumento�della�revoca�caso�per�caso,�oltre�a�comportare�procedure�defa- tiganti�e�finora�sostanzialmente�mai�poste�in�essere,�con�corredo�di�inevitabile�e�generaliz- zato�contenzioso,�nonche�con�effetti�di�confusione�e�precarieta�gravissimi�in�posti�chiave�del- l'amministrazione�dello�Stato,�avrebbe�comportato�rischi�di�arbitrio�ben�maggiori�di�una�ces- sazione�``ope legis'" e�generalizzata�dagli�incarichi.� Un�drastico�intervento�sulla�situazione�preesistente�del�tutto�incompatibile�con�il�nuovo� assetto�si�imponeva�anche�considerando�che�la�maggioranza�degli�incarichi�dirigenziali�in� essere�al�momento�dell'entrata�in�vigore�della�nuova�legge�aveva�una�duratadi�granlunga� superiore�rispetto�a�quella�massima�consentita�dall'art.�19�del�D.Lgs.�165/2001�come�modifi- cato�dall'art.�1,�comma�primo,�lett.�b) della�legge�145/2002�(quest'ultima�norma�infatti�ha� apportato�una�forte�riduzione,�da�sette�a�tre�anni,�della�durata�massima�degli�incarichi�di� funzione�dirigenziale�da�conferirsi�nel�nuovo�regime).�Per�restare�al�caso�del�Ministero�dell'I- struzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�tutti�i�precedenti�incarichi�erano�stati�conferiti�nel� 2001�per�un�periodo�non�inferiore�a�cinque�anni,�sicche�il�rispetto�della�scadenza�naturale� del�precedente�contratto,�invocato�da�parte�attrice,�avrebbe�comportato�non�solo�il�manteni- mento�di�rapporti�di�durata�incompatibile�con�la�disciplina�in�vigore,�ma�altres|�la�situazione� paradossale�per�cui�gli�incarichi�precedenti�sarebbero�venuti�a�scadenza�addirittura�poste- riormente�a�quelli�affidati�in�conformita�al�nuovo�regime�normativo.�E�superfluo�precisare� quanto�una�siffatta�situazione,�oltre�a�violare�la�legge,�avrebbe�dilazionato�nel�tempo�e� sostanzialmente�vanificato�l'attuazione�del�disegno�di�riforma�della�dirigenza,�per�tacere�del� danno�arrecato�al�raggiungimento�degli�obiettivi�di�governo.� Nemmeno�nel�segno�le�considerazioni�con�le�quali�controparte�prospetta�una�presunta� disparita�di�trattamento�fra�la�dirigenza�generale�e�la�dirigenza�di�secondo�livello�per�la� quale�e�prevista�la�conferma�automatica�nell'incarico.�A�ben�considerare�la�disciplina�con- cernente�la�dirigenza�(sia�quella�previgente�che�quella�introdotta�con�la�legge�145/2002)�ci� si�avvede�facilmente�come�un�posto�a�se�stante�e�riservato�agli�incarichi�di�livello�sovradiri- genziale�e�agli�incarichi�di�direzione�degli�uffici�di�livello�dirigenziale�generale.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Per�gli�incarichi�di�livello�sovra�dirigenziale�generale�(segretario�generale�di�Ministero,� ragioniere�generale�dello�Stato�ecc.)�viene�introdotto�un�meccanismo�di�conferimento�che�si� avvicina�allo�spoils.system.puro�e�semplice.�Difatti�detti�incarichi�sono�conferiti�con�decreto� del�Presidente�della�Repubblica,�previa�deliberazione�del�Consiglio�dei�Ministri�su�proposta� del�Ministro�competente�a�dirigenti�di�prima�fascia�oppure,�mediante�lo�strumento�del�con- tratto�a�tempo�determinato�a�soggetti�esterni�di�particolare�e�comprovata�qualificazione�pro- fessionale.�Nell'uno�come�nell'altro�caso�si�tratta�di�incarichi�ad�elevatissimo�tono�fiduciario� in�quanto,�fermo�restando�il�loro�naturale�termine�di�durata�sono�oggetto�diriesame�da� parte�del�governo�subentrato;�infatti�nel�termine�di�novanta�giorni�dal�voto�parlamentare� di�fiducia,�il�Governo�puo�confermare,�rinnovare,�modificare�e�revocare�detti�incarichi.� Cio�significa,�in�altri�termini,�che�essendo�il�``nuovo''�Governo�libero�di�azzerare�tutti�gli� incarichi�in�atto�e�di�scegliere�persone�ritenute�fiduciariamente�piu�idonee�ad�organizzare� l'attuazione�dei�programmi�governativi,�i�titolari�degli�incarichi�conferiti�dal�Governo�deca- duto�non�sono�portatori�di�alcun�interesse�qualificato�e�differenziato�alla�loro�conservazione.� Ne�emerge,�dunque,�la�differenziazione�della�posizione�di�coloro�i�quali�sono�titolari�di�inca- richi�sovradirigenziali�dalla�posizione�di�coloro�i�quali�sono�invece�titolari�di�incarichi�di� direzione�degli�uffici�di�livello�dirigenziale.�(omissis).� I�tentativi�di�controparte�di�dimostrare�l'equiparabilita�delle�due�posizioni�urtano�pero� contro�il�chiaro�disposto�normativo�che�riserva�ai�titolari�degli�uffici�di�livello�dirigenziale� generale�un�trattamento�diverso�in�ragione�della�profonda�differenza�tra�i�predetti�incarichi� e�gli�altri�incarichi�conferibili�ai�dirigenti�di�seconda�fascia.� Non�casualmente�le�funzioni�degli�uni�e�degli�altri�sono�analiticamente�indicate�negli� articoli�16�e�17�del�D.Lgs.vo�165/2001�dai�quali�si�ricava�con�chiarezza�che�i�dirigenti�degli� uffici�dirigenziali�generali�svolgono�un�ruolo�chiave�per�la�concreta�attuazione�delle�linee� politiche�del�Ministro,�in�consonanza�con�i�principi�fissati�nell'art.�4�e�operata�una�netta� distinzione�fra�l'indirizzo�politico-amministrativo�dell'attivita�di�governo,�riservato�al�Mini- stro�(e�agli�altri�organi�dell'Esecutivo)�cui�spetta�la�definizione�di�obiettivi�e�programmi�da� attivare,�e�l'attivita�gestionale,�riservata�in�via�esclusiva�alla�dirigenza�cui�compete�l'adozione� degli�atti�e�provvedimenti�amministrativi,�compresi�tutti�gli�atti�che�impegnano�l'amministra- zione�verso�l'esterno,�nonche�la�gestione�finanziaria,�tecnica�e�amministrativa�mediante� autonomi�poteri�di�spesa,�di�organizzazione�delle�risorse�umane,�strumentali�e�di�controllo.� All'interno�dell'assetto�tracciato�dalla�norma�di�carattere�generale,�come�si�diceva,�assu- mono�carattere�peculiare�gli�uffici�dirigenziali�generali�che�costituiscono�il�vertice�dell'appa- rato�amministrativo�chiamato�a�dare�concreta�attuazione�ai�piani�e�programmi�in�cui�si�con- creta�la�funzione�di�indirizzo�politico�del�Ministro�e�si�collocano�in�una�posizione�di�cerniera� fra�il�primo�e�il�secondo.�Cio�non�senza�considerare�che�proprio�in�quanto�organi�di�vertice� della�struttura�burocratica�sono�titolari�di�funzioni�e�poteri�il�cui�corretto�e�tempestivo�eser- cizio�costituisce�presupposto�necessario�per�la�buona�riuscita�dell'azione�di�governo.� Collocandosi�in�siffatta�prospettiva�ben�si�comprende�che�il�legislatore,�consapevole�del� particolare�rilievo�che�tali�incarichi�assumono�per�l'Esecutivo,�abbia�operato�una�netta� distinzione�fra�i�medesimi�e�gli�altri�incarichi�conferibili�ai�dirigenti�di�seconda�fascia.�Non� casualmente�d'altronde�gli�incarichi�in�questione�``sono�conferiti�con�decreto�del�Presidente� del�Consiglio�dei�Ministri,�su�proposta�del�Ministro�competente,�a�dirigenti�della�prima� fascia�dei�ruoli�di�cui�l'art.�23,�o�in�misura�non�superiore�al�50�per�cento�della�relativa�dota- zione�agli�altri�dirigenti�appartenenti�ai�medesimi�ruoli�ovvero�con�contratto�a�tempo�inde- terminato,�a�persone�in�possesso�delle�specifiche�qualita�professionali�richieste�dal�comma�6� (art.�19,�comma�quarto�come�modificato�dalla�legge�165/2002)�mentre�gli�incarichi�di�dire- zione�degli�altri�uffici�di�livello�dirigenziale�generale,�sono�conferiti�dal�dirigente�di�livello� dirigenziale�generale�ai�dirigenti�assegnati�al�suo�ufficio�ai�sensi�dell'art.�4,�comma�primo,� lettera�c)''. Le�avverse�prospettazioni�sono,�dunque,�destituite�di�fondamento�in�quanto�si�fondano� su�una�lettura�della�disciplina�riguardante�la�dirigenza�pubblica�che�non�considera�in�alcun� modo�la�peculiarita�della�posizione�dei�titolari�di�uffici�dirigenziali�di�livello�generale�che� caratterizzava�il�nuovo�assetto�anche�prima�dell'ultimo�intervento�del�legislatore.� Vi�e�da�aggiungere�che�il�legislatore�nel�proprio�ultimo�intervento�in�materia,�che�qui� viene�in�considerazione,�movendosi�in�perfetta�coerenza�con�le�distinzioni�gia�in�precedenza� tracciate�in�relazione�alla�elevatezza�e�importanza�degli�incarichi�dirigenziali,�si�e�mostrato� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� particolarmente�avveduto�della�posizione�del�titolare�di�ufficio�dirigenziale�generale�poiche� se�al�fine�di�consentire�l'immediata�attuazione�della�nuova�disciplina�ha�ritenuto�di�far�ces- sare�automaticamente�tutti�gli�incarichi�dirigenziali�in�essere,�creandocos|��una�situazione� suscettibile�di�incidere�negativamente�su�coloro�i�quali�non�si�sarebbero�visti�confermare�l'in- carico�in�precedenza�svolto�o�addirittura�altri�incarichi,�ha�in�ogni�caso�cercato�di�tutelare� questi�ultimi�consentendo�comunque�l'attribuzione�di�incarico�avente�ad�oggetto�funzioni�di� carattere�equivalente�ovvero�un�incarico�di�studio.� Si�vuole,�cioe�,�dire�che�non�soltanto�la�posizione�dei�titolari�di�incarichi�di�livello�diri- genziale�generale�e��stata�correttamente�distinta�tanto�da�quella�dei�titolari�degli�incarichidi� cui�all'art.�18,�comma�terzo,�quanto�da�quella�degli�altri�dirigenti�di�seconda�fascia�ma�ope- rando�un�piu��che�equo�bilanciamento�degli�interessi�in�gioco,�la�medesima�e��stata�oggetto� di�apposita�ed�adeguata�tutela�in�relazione�alle�modifiche�e�ai�cambiamenti�introdotti,� suscettibili�di�incidere�in�modo�risolutivo�sugli�incarichi�in�corso�di�svolgimento.� Cio��dovrebbe�fugare�anche�gli�altri�dubbi�di�costituzionalita��della�norma�ex adverso prospettati,�con�riferimento�alla�violazione�del�principio�di�stabilita��dei�contratti.�Non�e�� chi�non�veda,�infatti,�che�la�tutela�apprestata�i�titolari�di�incarichi�di�livello�dirigenziale� generale�mediante�la�previsione�di�conferimento�ai�medesimi�di�incarichi�aventi�ad�oggetto� funzioni�di�carattere�equivalente�ovvero�incarichi�di�studio�serve�a�garantire�i�medesimi� delle�negative�conseguenze�connesse�alla�possibile�mancata�riattribuzione�dell'incarico�in� precedenza�ricoperto.� Si�consideri,�del�resto,�che�il�legislatore�e��intervenuto�sostanzialmente�modificando� anche�la�posizione�dei�titolari�di�incarichi�sovra�dirigenziali�per�i�quali�il�nuovo�testo�del� comma�otto�dell'art.�19�prevede�la�decadenza�automatica�decorsi�novanta�giorni�dal�voto� sulla�fiducia�al�governo�senza�alcuna�delle�garanzie�apprestate�in�favore�dei�titolari�di�incari- chi�di�livello�dirigenziale�generale.� Le�argomentazioni,�dunque,�fondate�sul�richiamo�alla�norma�in�questione�alfine�di� sostenere�che�la�cessazione�dell'incarico�presuppone�sempre�e�comunque�una�apposita�valu- tazione�del�dirigente�appaiono�prive�di�pregio.� Cos|��come�del�tutto�fuori�di�luogo�appaiono�i�riferimenti�ai�principi�desumibilidalla� legislazione�interna�e�internazionale�che�impedirebbero�in�modo�assoluto�al�datore�di�lavoro� di�recedere�ad mutum dal�rapporto.�Del�resto�nel�caso�di�specie�non�si�e��in�alcun�modo�di� fronte�ad�ipotesi�di�licenziamenti�poiche�se�si�eccettua�la�posizione�degli�esperti�esterni�(e� qui�si�intende�esclusivamente�ai�c.d.�esterni�all'Amministrazione�in�genere�e�non�esterni�al� Dicastero�presso�il�quale�era�svolto�l'incarico�dirigenziale�non�riattribuito)�nessuno�dei�diri- gentiche�non�sie��visto�riconfermare�o�meglio�riattribuire�l'incarico�dal�quale�era�cessato� ex lege vede�in�alcun�modo�compromessa�la�stabilita��del�proprio�rapporto�d'impiego.� Sul�punto�si�e��espressa�con�chiarezza�la�Corte�Costituzionale�nella�recente�ordinanza� n.�11/2002�che�controparte,�pur�non�risparmiandosi�in�citazioni�dottrinali�e�giurispruden- ziali,�omette�completamente�di�considerare.�Ebbene�il�giudice�delle�leggi,�chiamato�a�pro- nunciarsi�in�merito�alla�legittimita��costituzionale�delle�norme�di�cui�alla�legge�delega�59/97� e�del�decreto�legislativo�n.�80/98�nelle�quali,�come�si�accennava,�sono�state�tracciate�le�scelte� strutturali�attraverso�le�quali�si�e��provveduto�a�completare�la�privatizzazione�del�rapporto� di�pubblico�impiego�anche�con�riferimento�alla�dirigenza�che,�come�viene�anche�ex adverso riconosciuto,�sono�state�ribadite�nella�legge�145/2002�(attraverso�la�quale�si�e��voluto�esclusi- vamente�intervenire�per�integrare�e�modificare�la�disciplina�della�dirigenza�mantenendosi� fedeli�al�modello),�dopo�aver�esattamente�sottolineato�che�la�suddetta�disciplina�era�stata� trasfusa�nel�testo�del�D.Lgs.�165/2001,�di�talche�le�questioni�di�costituzionalita��dovevano� intendersi�trasferite�sulle�disposizioni�del�suddetto�testo�unico�(e�segnatamente�art.�15,� comma�primo,�19,�21,�22,�23�e�24�comma�secondo),�ha�con�nettezza�affermato�che�la�privatiz- zazione�del�rapporto�di�impiego�pubblico�(intesa�quale�applicazione�della�disciplina�giusla- voristica�di�diritto�privato)�non�rappresenta�di�per�se��un�pregiudizio�per�l'imparzialita��del� dipendente�pubblico,�posto�che�per�questi�(dirigente�o�no)�non�vi�e��,�come�accade�per�i�magi- strati�una�garanzia�costituzionale�di�autonomia�da�attuarsi�necessariamente�con�legge�attra- verso�uno�stato�giuridico�particolare�che�assicuri,�ad�es.�stabilita��ed�inamovibilita��,�per�cui� rientra�nella�discrezionalita��del�legislatore�di�segnare�l'ambito�di�estensione�di�tale�privatiz- zazione,�con�il�limite�del�rispetto�dei�principi�di�imparzialita��e�buon�andamento�della�pub- blica�amministrazione�e�della�non�irragionevolezza�della�disciplina�differenziata;�che,�per- IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� tanto,�l'estensione�della�privatizzazione�anche�ai�dirigenti�generali�rientra�nella�rilevata� discrezionalita�del�legislatore�in�materia,�il�cui�ambito�consente�di�escludere�che�dalla�non� irragionevolezza�di�una�disciplina�originariamente�differenziata�automaticamente�discenda� l'ingiustificatezza�dell'eventuale�successiva�assimilazione;�che,�pur�nel�contesto�della�genera- lizzata�privatizzazione�del�rapporto�di�impiego�dei�dirigenti,�la�posizione�del�dirigente�gene- rale�rimane�in�ogni�caso�differenziata�anche�all'interno�del�ruolo�unico,�considerando�che� esso�contempla�comunque�due�distinte�``fasce''�(art.�23�del�D.Lgs.�29�del�1993,�ed�ora� art.�23�del�D.Lgs.�165�del�2001),�e�che�la�disciplina�di�significativi�momenti�del�rapporto� (come�il�conferimento�degli�incarichi�art.�19�d.lgs.�n.�29�del�1993,�ed�ora�l'art.�19�d.lgs.� n.�165�del�2001)�riserva�ai�dirigenti�di�prima�fascia�uno�speciale�e�piu�favorevole�trattamento;� che�piu�in�generale�la�disciplina�del�rapporto�di�lavoro�dirigenziale�nei�suoi�aspetti�qualifi- canti�^in�particolare�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�(assegnati�tenendo�conto,� tra�l'altro,�delle�attitudini�e�delle�capacita�professionali�del�dirigente)�e�la�loro�eventuale� revoca�(per�responsabilita�dirigenziale),�nonche�la�procedimentalizzazione�dell'accertamento� di�tali�responsabilita�(art.�19�e�21�del�d.lgs.�n.�29�del�1993,�ed�ora�art.�19,�21�e�22�del�d.lgs.� n.�165�del�2001)�^e�connotata�da�specifiche�garanzie,�mirate�a�presidiare�il�rapporto�di� impiego�dei�dirigenti�generali,�la�cui�stabilita�non�implica�necessariamente�anche�stabilita� dell'incarico,�che,�proprio�al�fine�di�assicurare�il�buon�andamento�e�l'efficienza�dell'ammini- strazione�pubblica,�puo�essere�soggetto�alla�verifica�dell'azione�svolta�e�dei�risultati�perse- guiti,�che�i�dirigenti�generali�sono�quindi�posti�in�condizione�di�svolgere�le�loro�funzioni�nel� rispetto�del�principio�di�imparzialita�e�di�buon�andamento�della�pubblica�amministrazione,� tanto�piu�che�il�legislatore�delegato�^nel�riformulare�gli�articoli�3�e�14�del�D.Lgs.�29�del� 1993,�con�gli�articoli�4�e�14�del�d.lgs.�n.�165�del�2001�^ha�accentuato�il�principio�della�distin- zione�tra�funzione�di�indirizzo�politico-amministrativo�degli�organi�di�governo�e�funzione� di�gestione�e�attuazione�amministrativa�dei�dirigenti,�escludendo,�tra�l'altro,�che�il�Ministro� possa�revocare,�riformare,�riservare�o�evocare�a�se�o�altrimenti�adottare�provvedimenti�o�atti� di�competenza�dei�dirigenti�``(e�ribadito�la�legittimita�,�in�materia,�della�giurisdizione�del�giu- dice�ordinario�proprio�con�riferimento�ai�dirigenti�Generali�sul�presupposto�dell'intervenuta� privatizzazione�del�rapporto�di�impiego)'',�considerando,�pertanto,�manifestamente�infon- date�le�questioni�di�costituzionalita�fondate�invocando�i�medesimi�parametri�(articoli�9,�97,� 98�della�Costituzione)�e�le�medesime�argomentazioni�svolte�in�ricorso.� Conclusivamente�e�da�notare�che�le�argomentazioni�cui�controparte�si�affida�per�soste- nere�l'incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002�costituiscono�il� frutto�di�una�non�corretta�e�completa�lettura�ed�interpretazione�del�corpus normativo�concer- nente�la�riforma�della�dirigenza�pubblica.�Se,�al�contrario,�si�rimane�fedeli�alla�ratio che�ha� indotto�il�legislatore�ad�intervenire�effettuando�una�riforma�radicale�e�si�considera�quanto� la�Corte�Costituzionale�ha�gia�avuto�modo�di�precisare,�ci�si�avvede�facilmente�della�manife- sta�infondatezza�di�quanto�ex adverso sostenuto.�(omissis). Non�esiste�e�non�puo�esistere�alcun�obbligo�della�P.A.�di�attuare�un�procedimento�volto� alla�non�conferma�del�dirigente�generale�cessato.�Come�si�evince�con�chiarezza�dal�testo�del- l'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002�la�cessazione�dell'incaricoe�automatica�allo� scadere�del�sessantesimo�giorno�dall'entrata�in�vigore�della�legge�e,�a�questo�punto�ad�ogni� singolo�Ministro�erano�consentite�solo�ed�esclusivamente�due�possibilita�:�o�lasciare�decorrere� infruttuosamente�il�termine�di�novanta�giorni�dalla�cessazione�dell'incarico,�cos|�semplice- mente�riconfermando�il�dirigente�cessato�o�procedere�alla�attribuzione�di�incarichi�ai�sensi� delle�disposizioni�di�cui�all'art.�19�del�D.Lgs.�165/2001.� Come�e�ben�chiarito�nella�circolare�esplicativa�del�31�luglio�2001�la�cessazione�della� durata�dell'incarico�comporta�per�l'amministrazione�l'obbligo�di�adottare�un�ulteriore�prov- vedimento�esplicito,�riguardante�la�posizione�del�dirigente�cessato�dall'incarico,�avente�uno� dei�seguenti�contenuti:� a) l'attribuzione�al�dirigente�dello�stesso�incarico�cessato,�eventualmente�modificato� in�relazione�a�singoli�profili�contenutistici;� b) l'attribuzione�di�un�incarico�funzionale�equivalente;� c) l'attribuzione�di�un�incarico�di�studi,�con�il�mantenimento�del�trattamento�econo- mico�precedente�della�durata�minima�di�un�anno.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�siffatta�prospettiva�e�di�tutta�evidenza�che�la�comunicazione�di�avvio�del�procedi- mento,�l'istruttoria�e�la�motivazione,�nel�che�si�sostanzia�l'attivita�pubblicistica�volta�al�con- ferimento�dell'incarico,�costituiscono�adempimenti�correlati�alla�scelta�del�tutto�discrezio- nale�del�tipo�di�incarico�che�si�intende�attribuire�al�dirigente�cessato.� Cos|�se�l'opzione�e�per�la�riconferma�dell'�incarico�con�modifiche�concernenti�aspetti� contenutistici�dello�stesso�e�dell'avvio�di�tale�procedimento�che�il�medesimo�deve�essere�avvi- sato�e�rispetto�a�tale�scelta�che�va�effettuata�l'istruttoria�e�che�il�successivo�provvedimento� andra�motivato.� La�tesi�sviluppata�da�controparte�la�quale,�come�detto,�teorizza�la�sussistenza�di�un� diritto�o�interesse�del�dirigente�a�vedere�attivato�un�procedimento�volto�alla�propria�non�con- ferma�e,�soprattutto,�a�consentire�che�la�scelta�di�conferimento�dell'incarico�ricada�sulle�per- sone�piu�capaci�in�base�a�criteri�razionali�e�trasparenti�e�non�venga�effettuata�secondo�il� capriccio�o�peggio,�le�convenienze�del�soggetto�decisore�e�il�frutto�di�una�lettura�assoluta- mente�distorta�e�fuorviante�delle�norme�regolanti�la�materia.� Come�si�arguisce�chiaramente�dalla�lettera�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge� 145/2002,�una�volta�cessati�ex lege gli�incarichi�dirigenziali�in�essere,�essendo�immediata- mente�operativo�il�nuovo�regime�tutti�gli�incarichi�devono�intendersi�conferiti�``ex novo'" anche�in�caso�di�attribuzione�al�medesimo�dirigente.�E�pertanto�inesatto�parlare�di�``con- ferma''�poiche�,�alla�stregua�di�quanto�previsto�dal�legislatore,�il�silenzio�della�P.A.�va�inteso� nel�senso�che�mediante�esso�si�e�inteso�implicitamente�procedere�al�conferimento�dell'inca- rico�gia�ricoperto�dal�dirigente�avente�ad�oggetto�il�medesimo�contenuto.� Contestualmente�e�consentita�l'attribuzione�di�nuovi�incarichi�o�meglio�l'attribuzione� degli�incarichi�riguardanti�i�dirigenti�generali�cessati�ad�altri�dirigenti�e�tale�scelta�deve� essere�il�frutto�di�un'attivita�da�espletarsi�nel�rispetto�di�quanto�previsto�dall'art.�19,�comma� primo�e�secondo�del�D.Lgs.vo�165/2001,�nel�testo�novellato.� Ora,�a�ben�leggere�le�disposizioni�contenute�nelle�due�norme�appena�ricordate,�che�sono� state�oggetto�piu�di�modifiche�formali�che�sostanziali,�ci�si�avvede�facilmente�che�la�verifica� rispetto�alla�natura�e�alle�caratteristiche�degli�obiettivi�prefissati,�delle�attitudini�e�delle�capa- cita�professionali�del�singolo�dirigente,�valutate�anche�in�considerazione�dei�risultati�conse- guiti�con�riferimento�agli�obiettivi�fissati�nella�direttiva�annuale�e�negli�altri�atti�di�indirizzo,� va�condotta�con�riferimento�al�soggetto�su�cui�ricade�la�scelta�del�Ministro�e�non�con�riferi- mento�al�soggetto�che�in�precedenza�rivestiva�l'incarico�da�conferire�ed�e�di�cio�che�occorre� dar�conto�nella�motivazione�del�provvedimento�di�attribuzione�dell'incarico.� Queste�e�solo�queste�(oltre�naturalmente�il�diritto�ad�avere�mezzi,�risorseed�uomini� occorrenti�per�il�raggiungimento�degli�obiettivi�e�la�rigorosa�limitazione�della�possibilita�di� revoca�dell'incarico)�sono�le�garanzie�che�debbono�essere�apprestate�al�dirigente�all'interno� del�nuovo�modello�e�cio�in�considerazione�del�fatto�che�l'attribuzione�degli�incarichi�di�carat- tere�dirigenziale�generale�implica�una�scelta,�che�se�non�e�di�carattere�esclusivamente�fiducia- rio,�come�nel�caso�degli�incarichi�sovradirigenziali,�certamente�per�l'importanza�strategica� che�rivestono�gli�uffici�di�vertice�presuppone�anche�la�sussistenza�di�un�rapporto�fiduciario� fra�Ministro�e�dirigente�prescelto.�Cio�quindi�comporta�che�si�tratta�di�una�scelta�nella�accet- tazione�della�quale�il�Ministro�conserva�ampi�margini�di�discrezionalita�.� Come�e�stato�recentemente�osservato�in�dottrina�``uno�degli�aspetti�piu�delicati�della� riforma�della�dirigenza�pubblica�e�costituito�dalla�determinazione�delle�modalita�di�conferi- mento�degli�incarichi�dirigenziali''.� Difatti�una�volta�che�sia�stato�posto�il�confine�fra�l'area�della�politica�e�l'area�della� gestione,�si�tratta�di�stabilire,�in�buona�sostanza,�se�e�come�l'organo�di�governo�politico� possa�scegliere�i�dirigenti�cui�affidare�la�gestione.� I�modelli�proponibili�sono�molteplici:�si�va�dalla�scelta�fiduciaria�``resa''�da�parte�dell'or- gano�politico�alla�designazione,�sulla�base�di�criteri�oggettivi�predeterminatiorientatioad� una�verifica�di�titoli�formali�ovvero�di�requisiti�sostanziali,�da�parte�di�un�organismo�indi- pendente�rispetto�all'amministrazione�interessata.� Tra�queste�due�posizioni�estreme�si�possono�individuare�soluzioni�intermedie,�di�carat- tere�inevitabilmente�compromissorio,�espressive�di�un�determinato�punto�di�equilibrio�fra�l'e- sigenza�del�politico�di�essere�sopportato�da�dirigente�di�cui�possa�``fidarsi'',�l'esigenza�dei� dirigenti�di�poter�operare�senza�condizionamenti�politici�e,�infine,�la�necessita�ordinamen- tale,�soprattutto,�a�che�la�scelta�dei�dirigenti,�indipendentemente�dall'essere�o�meno�espres- IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� sione�di�potere�amministrativo�come�tale�funzionalizzato�(art.�97�e�98�Cost.),�risulti�comun- que�conforme�ai�principi�di�trasparenza�ed�imparzialita�nonche�orientata�all'efficienza�ed� alla�efficacia�dell'azione�amministrativa�che�i�prescelti�devono�prospetticamente�garantire;� laddove�quest'ultimo�stesso�contestuale�richiamo�a�principi�garantistici�ed�a�regole�efficienti- stiche�puo�risultare�fisiologicamente�contraddittorio,�dato�che�l'amministrazione�piu�impar- ziale�non�e�detto�che�sia�anche�la�piu�efficiente.� Difatti�i�principi�garantistici�di�legalita�,�imparzialita�e�trasparenza�implicano,�applicati� alla�fattispecie�in�esame�il�rispetto�di�parametri�di�valutazione�predeterminati,�la�puntuale� esternazione�del�processo�valutativo�effettuato�da�esprimersi,�necessariamente�in�un�giudizio� comparativo�fra�i�candidati,�la�verificabilita�ex�post�dell'iter�valutativo�seguito,�infine�e�cor- relativamente�la�sindacabilita�anche�in�sede�giurisdizionale�della�scelta�effettuata�ove�questa� risulti�non�conforme�ai�parametri�prefissati�ovvero�non�adeguatamente�motivata�o�traspa- rente.�Tale�assetto�puo�riflettersi�in�una�certa�rigidita�e�macchinosita�delle�procedure�e�del� necessario�fondamento�del�processo�valutativo�sui�titoli�curriculari�posseduti�dai�candidati� in�quanto�piu�facilmente�misurabili,�con�correlative�possibili�negative�inesperienze�sul�piano� dell'efficienza�sia�in�termini�di�analisi�costi-benefici�delle�procedure�seguite,�sia�di�effettiva� congruenza�di�queste�ultime�rispetto�all'obiettivo�di�assegnare�la�specifica�responsabilita�diri- genziale�al�soggetto�effettivamente�potenzialmente�piu�idoneo�ad�assumerla.� Il�punto�di�equilibrio�cercato�dal�legislatore�attraverso�la�riformulazione�dell'art.�19�trae� essenziale�fondamento�nella�considerazione�che�proprio�la�estraneizzazione�dell'organo�poli- tico�dall'attivita�di�gestione,�del�cui�corretto�esercizio�rimane�pero�comunque�pacificamente� responsabile�nei�confronti�della�collettivita�,�impone�una�sua�ingerenza�nella�scelta�di�coloro�che� detta�attivita�direzionale�burocratica�devono�svolgere.�In�sostanza�risulta�coerente�con�la�logica� della�circolarita�democratico-rappresentativa�che�l'organo�politico�esecutivo�(Governo,�Sindaco� ecc;)�possa�cercare�di�attuare�le�proprie�politiche�avvalendosi�di�manager�di�sua�fiducia,�salvo� poi�rispondere�della�eventuale�erroneita�delle�designazioni�operate�sia�innanzi�all'organopolitico� rappresentativo�(Parlamento,�Consiglio�Comunale�etc.)�sia�difronte�all'elettorato.� D'altronde�anche�in�una�logica�aziendalistica�non�appare�certo�incongruo�che�colui�che� pone�gli�obiettivi�strategici�abbia�il�potere�di�individuare�le�persone�piu�adatte�per�perse- guirli.� Il�sistema�si�fonda,�dunque,�sulla�tendenziale�fiduciarieta�della�scelta�del�management� pubblico;�tendenziale�perche�detta�fiduciarieta�risulta�assoggettata�ad�una�serie�di�tempera- menti�per�cos|�dire�``garantistici''�in�quanto�rivolti�ad�attenuare�la�soggettivita�delle�scelte.� Tali�temperamenti�attengono�alla�procedura�di�affidamento,�alla�durata�degli�incarichi�ed� alle�modalita�di�rinnovo�o�di�revoca�degli�stessi�(cfr.�La�riforma�del�pubblico�impiego,�III� ed.,�Maggioli,�186�e�ss.).� I�temperamenti�garantistici�cui�la�citata�dottrina�ha�inteso�alludere�si�riferiscono�alle� previsioni�di�cui�agli�art.�19,�comma�primo�e�secondo,�del�D.Lgs.�165/2001,�che�anche�nella� nuova�versione�(peraltro�nella�sostanza�coincidente�con�la�vecchia)�riguardano,�come�dinanzi� si�ricordava,�soltanto�la�necessita�che�dal�provvedimento�di�conferimento�dell'incarico,�il� quale�nel�nuovo�assetto�precede�la�stipula�del�contratto�individuale,�emerga�essenzialmente� che�nella�scelta�sono�stati�rispettati�i�parametri�fissati�nel�primo�comma�ovviamente�con�rife- rimento�al�soggetto�destinatario�dell'incarico�e�non�a�quello�dal�medesimo�cessato.� In�sintesi�cio�di�cui�l'autorita�politica�deve�dar�conto�e�di�aver�orientato�la�propria�scelta� verso�dirigente�che�per�attitudini�e�capacita�professionali�si�possa�considerare�all'altezza�del- l'incarico�conferitogli�(id�est�dei�contenuti�del�posto-funzione�dirigenziale�e�degli�obiettivi� perseguiti)�e�cio�anche�considerate�le�sue�esperienze�pregresse.�Al�contrario�non�vi�e�alcun� obbligo�e�nell'ambito�del�sistema�per�le�ragioni�dette�nemmeno�vi�puo�essere,�di�esternare�le� ragioni�per�le�quali�non�si�e�sperato�di�conferire�l'incarico�ovvero�di�non�conferire�nuovo� incarico�al�dirigente�cessato.�Ipotizzare�l'obbligo�della�P.A.�di�avviare�un�procedimento� destinato�a�sfociare�in�un�provvedimento�di�non�conferma�ovvero�che�il�conferimento�dell'in- carico�debba�configurarsi�come�l'atto�conclusivo�di�una�selezione�di�natura�sostanzialmente� (se�non�formalmente)�concorsuale,�frutto�di�una�valutazione�comparativa�dei�titoli�degli� aspiranti,�condotta�secondo�criteri�predeterminati,�dei�quali�l'amministrazione�debba�dare� contezza�con�modalita�analoghe�a�quelle�previste�nelle�ordinarie�procedure�concorsuali,� significa�invocare�una�applicazione�delle�nuove�regole�che�va�contro�la�lettura�e�lo�spirito� della�nuova�disciplina.�Si�consideri�inoltre�che�gia�prima�che�intervenisse�la�legge�145/2002� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� uno�dei�criteri�fondamentali�posti�a�garanzia�della�dirigenza�nel�suo�complesso�era�quello� della�rotazione�che�e�stato�sicuramente�rafforzato�dalla�previsione�con�la�quale�e�stata� ridotta�la�durata�massima�degli�incarichi�e�dal�comma�4-bis dell'art.�19�D.Lgs:�165/2001� aggiunto�dall'art.�3,�comma�primo,�lett.�e) della�legge�145/2002�il�quale�prevede�che:�``i�cri- teri�di�conferimento�degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�conferiti�ai� sensi�del�comma�4�del�presente�articolo,�tengono�conto�delle�condizioni�di�pari�opportunita� di�cui�all'art.�7''.� Tutto�cio�sta�a�significare�che�non�puo�pretendersi�dall'Organo�politico�di�motivare�il� mancato�rinnovo,�la�non�conferma�ovvero�la�scelta�di�un�dirigente�non�titolare�di�ufficio�di� livello�dirigenziale�piuttosto�che�di�dirigente�gia�titolare�di�ufficio�di�livello�dirigenziale�ver- rebbe�a�creargli�inevitabili�problemi�segnalati�dalla�dottrina,�ben�poco�si�potrebbe�armoniz- zare�con�l'impalcatura�complessiva�della�riforma�concernente�i�rapporti�fra�Autorita�politica� e�dirigenza�e�finirebbe�inevitabilmente�per�creare�una�inevitabile�posizione�di�vantaggio�per� il�dirigente�venuto�a�cessare�rispetto�a�coloro�i�quali�non�sono�titolari�di�ufficio�di�livello� dirigenziale�generale,�in�contrasto�con�quanto�chiaramente�disposto�dal�legislatore�in�attua- zione�dei�precetti�costituzionali�a�torto�ex adverso invocati�(art.�3,�97�e�98�della�Costitu- zione).�Le�esposte�considerazioni�valgono�anche�a�confutare�le�censure�di�cui�ai�punti�del� ricorso�con�cui�vengono�prospettate�violazioni�di�carattere�procedurale�richiamando�la�legge� 241/1990�che�poggiano�su�una�ricostruzione�del�tutto�erronea�e�distorta�del�procedimento� di�conferimento�dell'incarico.� Per�concludere�sul�punto�si�soggiunge�soltanto�che�quanto�si�e�andato�esponendo�a�con- futazione�degli�avversi�assunti�trae�conforto�dalla�ricordata�ordinanza�n.�11/2002�della� Corte�Costituzionale�nella�quale�in�modo�assai�perentorio�sono�stati�respinti�i�dubbi�di�costi- tuzionalita�del�sistema�fondato�sulla�tendenziale�fiduciarieta�della�scelta�dei�titolari�degli� uffici�di�livello�dirigenziale�generale�prospettati�dal�codesto�Tribunale�Amministrativo� Regionale�per�il�Lazio.� Cio�chiarito�dalla�motivazione�con�la�quale�si�e�ritenuto�di�conferire�ad�altro�dirigente�la� titolarita�dell'ufficio�in�precedenza�attribuito�al�ricorrente�si�evince�con�chiarezza�che�le� Amministrazioni�resistenti�hanno�proceduto�nel�pieno�rispetto�del�dettato�normativo.�Del� resto�tutto�cio�che�controparte�riesce�a�contestare�e�la�rapidita�dell'azione.�In�contrario�e� appena�il�caso�di�osservare�che�la�necessita�di�procedere�rapidamente�(il�piu�rapidamente� possibile)�si�imponeva�al�fine�di�evitare�vacanze�o�reggenze�nelle�strutture�apicali�dell'appa- rato�amministrativo�che�ne�avrebbero�potuto�paralizzare�o�quanto�meno�pregiudicare�il�fun- zionamento.�(omissis). Avv. Tito Varrone� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 4.�^LE ordinanzE cautelarI deL giudicE deL lavorO Tribunale di Roma, Sezione lavoro, primo grado ^Ordinanza 15 gennaio 2003 ^Giudice: Casari�^Procedimento�cautelare�intentato�da�C.E.�(Avv.�A.�Androni)�c/�ISFOL�^Isti- tuto�per�lo�sviluppo�della�formazione�professionale�dei�lavoratori�(Avv.�V.�Bencivenga)� ec/�A.F.(Avv.ti�T.�De�Flaviis�eL.�Bertini). �(omissis) Ritiene�l'ufficio�di�dover�esaminare�congiuntamente�le�eccezioni�pregiudiziali di�inammissibilita��(correlata�ad�istanza�di�sospensione�del�presente�giudizio)�e�di�difetto�di� giurisdizione�dell'adito�tribunale,�sollevate�entrambe�in�memoria�difensiva�dall'ISFOL,�poi- che�strettamente�connesse.� Sostiene�l'Istituto�l'inammissibilita��dell'azione�cautelare�intentata�innanzi�a�questo�giu- dice�per�essere�stato�convenuto�solo�l'ISFOL�pur�essendo�coinvolta�la�Presidenza�del�Consi- glio,�per�contemporanea�pendenza�innanzi�al�TAR�Lazio�di�ricorsi�intentati�da�altri�dirigenti generali�di�altre�pubbliche�amministrazioni�e�per�la�necessita��di�una�trattazione�omogenea�e nell'ambito�della�stessa�sede�delle�problematiche�di�costituzionalita��ivi�e�qui�sollevate.� Sostiene�altres|��il�resistente�la�giurisdizione�del�giudice�amministrativo�atteso�il�rovescia- mento�operato�dall'art.�19�D.Leg.vo�165/01,�come�modificato�dalla�legge�145/02,�del�rap- porto�esistente�tra�provvedimento�di�incarico�e�contratto�individuale�e�l'attuale�assoluta�pre- valenza�del�primo,�cui�e��demandata�la�determinazione�di�tutti�gli�elementi�del�rapporto�del� dirigente,�ad�eccezione�della�sola�quantificazione�del�trattamento�economico.� Rileva�il�Tribunale�che�a�seguito�della�devoluzione�al�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giu- dice�del�lavoro,�``delle�controversie�relative�ai�rapporti�di�lavoro�alle�dipendenze�delle�pubbliche� amministrazioni�...�inclusequellerelativealconferimentoedallarevocadegliincarichidirigen- ziali�...''�(vedi�art.�63�T.U.�legge�n.�165/2001)�il�Legislatore�ha�chiaramente�previsto�un�discri- mine�tra�giurisdizione�del�giudice�ordinario�e�giurisdizione�del�giudice�amministrativo�che�pre- scinde�totalmente�dalle�posizioni�soggettive�(di�diritto�soggettivo�o�di�interesse�legittimo)�inipo- tesi�lese�dalla�pubblica�amministrazione,�fondando�viceversa�la�distinzione�a�seconda�della� materia�oggetto�di�controversia�(ad�es.�revoca�o�conferimento�di�incarico).� Se�cos|��e��lo�sbilanciamento�operato�dall'art.�19�tra�provvedimento�amministrativoe� contratto�ed�il�conseguente�scivolamento�da�posizioni�di�diritto�soggettivo�a�posizioni�di� mero�interesse�legittimo,�non�sono�situazioni�in�grado�di�incidere�sulla�giurisdizione�del�giu- dice�ordinario�nella�materia�al�medesimo�attribuita�espressamente.� Se�ne�deduce�che�qualora�il�ricorrente,�come�nel�caso�di�specie,�chieda�la�tutela�della� propria�situazione�soggettiva�lesa�(sia�essa�di�diritto�o�di�interesse)�il�giudice�ordinario�potra�� comunque�statuire�in�ordine�alla�medesima�disponendo,�se�del�caso,�la�disapplicazione�del- l'atto�amministrativo.� Qualora�viceversa�l'istante�chieda�a�monte�l'annullamento�dell'atto�amministrativo�che� a�tale�lesione�ha�dato�luogo,�la�giurisdizione�permane�in�capo�al�TAR.� Ne�il�legislatore�ha�previsto�che�la�sussistenza�di�tale�doppio�binario�di�tutela�implichi pregiudizialita��del�giudizio�amministrativo�e�la�conseguente�necessita��di�sospensione�del�giu- dizio�ordinario.� Essendo�tale�l'attuale�sistema�normativo,�pur�con�gli�aggiustamenti�che�si�renderebbero� necessari,�devono�essere�disattese�entrambe�le�eccezioni�sollevate,�avendo�in�questa�sede�il� ricorrente�concluso�per�il�ripristino�del�lavoratore�nelle�proprie�funzioni.� Si�rileva�altres|��che,�cos|��definito�l'oggetto�del�presente�giudizio�cautelare,�ben�poteva� essere�il�medesimo�intentato�nei�confronti�dei�soli�resistenti�convenuti.� Passando�quindi�all'esame�delle�doglianze�dell'istante,�ricorda�il�Tribunale�che�ai�fini� dell'invocata�tutela�ex art.�700�c.p.c.�del�diritto�vantato�dal�ricorrente�occorre�verificare�la� contestuale�sussistenza�dei�presupposti�del�fumus boni iuris edel�periculum in mora. In�particolare,�riguardo�al�periculum, l'art.�700�c.p.c.�richiede�la�sussistenza�nella�fatti- specie�del�fondato�timore�di�subire�un�pregiudizio�imminente�ed�irreparabile:�l'imminenza� ricorre�quando�il�danno�appare�immediato�ed�implica�la�necessita��di�provvedere�urgente- mente;�l'irreparabilita��ricorre�quando�non�e��possibile�una�reintegrazione�del�diritto�neanche� a�mezzo�del�risarcimento�essendo�idonei�gli�effetti�dannosi�a�durare�nel�tempo.� Ad�avviso�di�quest'Ufficio,�parte�ricorrente�non�ha�dato�prova�della�sussistenza�nel�caso� di�specie�di�tale�requisito.� Adduce�la�difesa�del�ricorrente�sul�punto:�1)�``la�sussistenza�di�un�danno�economico''� derivante�dalla�``defenestrazione�senza�alcun�incarico�compensativo'';�2)�``il�danno�derivante� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� alla�carriera�ed�all'immagine�dell'istante�dall'intrinseca�valutazione�negativa�che�la�mancata� conferma�e�la�mancata�attribuzione�di�un�incarico�equivalente�esprimono�in�ordineallesue capacita��ed�attitudini''.� Riguardo�al�primo�aspetto�rileva�il�giudicante�che�il�danno�economico�e��per�definizione risarcibile,�salvo�che,�per�il�suo�concreto�atteggiarsi�e�per�le�condizioni�particolari�del�sin- golo,�non�mini�il�diritto�ad�una�esistenza�libera�e�dignitosa.�Tale�ultima�circostanza�non�e�� stata�neppure�dedotta�e�deve�quindi�ritenersi�nella�fattispecie�inesistente.� Riguardo�al�danno�alla�carriera�ed�all'immagine�derivante�dalla�mancata�conferma�nel- l'incarico,�occorre�rilevare�che�il�ricorso�non�deduce�in�alcun�modo�un�pericolo�relativo�alla professionalita��del�lavoratore�derivante�dal�mancato�esercizio�di�fatto�delle�precedenti�man- sioni�ma�lamenta�esclusivamente�la�lesione�dell'immagine�dell'istante�derivante�dal�giudizio� negativo�insito�nel�mancato�reincarico.� Non�saremmo�quindi�in�presenza�di�una�lesione�delle�capacita��professionali�del�lavora- tore�ma,�immutate�queste�ultime,�assisteremmo�ad�un�discredito�gettato�sul�ricorrente,�con� ripercussioni�negative,�sia�nell'ambito�dell'Istituto�di�appartenenza�sia�all'esterno,�tali�da� minarne�l'immagine�e�le�possibilita��di�carriera.� In�altre�parole,�non�viene�posto�un�problema�di�sostanza�ma,�come�chiarito�anche�in� sede�di�discussione�dalla�difesa�dell'istante,�di�``visibilita��''.� Se�questi�sono�i�termini�del�lamentato�pericolo,�non�si�conviene�con�la�difesa�di�parte ricorrente�in�ordine�alla�sussistenza�di�una�``intrinseca�valutazione�negativa''�sulle�capacita�� del�ricorrente�espressa�dalla�pubblica�amministrazione�nel�suo�operare.� Nessuna�onta�o�macchia�puo��derivare�dal�venir�meno�dell'incarico�precedente,�atteso� che�la�``decapitazione''�e��avvenuta�per�legge,�automaticamente,�ed�ha�interessato�la�generalita�� degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�dei�direttori�generali�degli�enti pubblici�vigilati�dallo�Stato,�a�prescindere�quindi�dalle�caratteristiche�e�capacita��personali� dei�singoli�interessati�e�dalla�volonta��delle�amministrazioni�ed�enti�medesimi�cui�non�e��stato� dato�alcun�vaglio�di�opportunita��.� Ne�si�puo��ritenere�di�per�se�che�la�mancata�conferma�del�ricorrente�nel�medesimo�inca- rico�sia�indice�di�un�giudizio�negativo�sulle�sue�capacita��professionali.�Non�vi�e��chi�non�veda� come�la�volonta��espressa�dalla�maggioranza�del�parlamento�nella�riforma�in�questione,�pre- scinde,�nella�realizzazione�di�quello�che�e��stato�significativamente�chiamato�meccanismo� dello�``spoils,system'',dalle�capacita��professionali�dei�malcapitati�interessati.� Cio��e��palesato�dalla�prevista�decadenza�automatica�dall'incarico�a�prescindere�anche� dai�piu��favorevoli�risultati�raggiunti�nello�svolgimento�del�proprio�operato.� Preso�atto�di�tale�caratteristica�del�sistema�adottato,�non�si�puo��che�prendere�atto�della� rilevanza�data�dal�legislatore�ad�altri�fattori�che�giocano�sulla�possibilita��di�reincarico�quale,� precipuamente,�la�sussistenza�di�uno�stretto�rapporto�fiduciario�con�il�Ministro�e�la�ritenuta� affidabilita��politica�del�soggetto�incaricando.� In�altre�parole,�se�la�dirigenza�generale�diviene�staffdel�Ministro�(come�osservato�dalla� dottrina),�non�basta�possedere�comprovate�capacita��tecniche,�ma�occorre�anche�essere�rite- nuti�dal�Ministro�politicamente�affidabili�e�quindi�affini�agli�obiettivi�politici�che�il�governo� in�carica�si�propone�di�raggiungere.� Che�questo�sia�stato�l'intento�della�maggioranza�parlamentare�e��altres|��evidenziato�dal� tenore�della�memoria�di�costituzione�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministriinanalogo procedimento�prodotto�dalla�resistente�in�atti,�ove�a�chiare�lettere�e��detto�che�``la�scelta�in� questione�nulla�ha�a�che�vedere�con�valutazioni�sulla�qualita��professionale�e�sui�risultati�dei� dirigenti�cessati''�(pagina�7).� Ma�se�cos|��e��,�l'unico�giudizio�derivante�da�un�mancato�reincarico�e��di�non�ritenuto�alli- neamento�del�C.�``alle�strategie�dell'autorita��politica''�(vedi�sempre�pagina�7),�valutazione� quindi�totalmente�avulsa�dai�risultati�raggiunti,�dal�bagaglio�culturale,�di�capacita��ediespe- rienze�del�dirigente�in�questione�(come�degli�altri).� Occorre�poi�rilevare�che�il�mancato�conferimento�di�incarico�equivalente�od�incarico�di studi�e��dipeso�sia�da�divieto�espressamente�sancito�dall'art.�19�della�circolare�del�31�luglio� 2002�del�Ministero�della�Funzione�Pubblica�recante�le�modalita��applicative�della�legge�sul� riordino�della�dirigenza�sia,�per�quanto�riguarda�il�solo�incarico�equivalente,�all'insussi- stenza�di�tale�posizione�nell'ambito�dell'ISFOL.� Quanto�sopra�dedotto�in�ordine�al�periculum,esime�dall'esame�delfumus., Sussistono�giusti�motivi�per�la�compensazione�delle�spese�di�giudizio.� P.Q.M.:,Rigetta�il�ricorso�ex,art.�700�c.p.c.�(omissis)., Roma,�13�gennaio�2003�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Tribunale di Roma, Sezione lavoro, primo grado ^Ordinanza 23 gennaio 2003 ^Giudice: M.G.�Marocco�^D.G.M.�c/Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze,�INAIL.� �(omissis) E�dato�pacifico�in�causa�che�il�ricorrente�e�pubblico�dipendente�con�qualifica� di�dirigente�generale�e�con�incarico�di�sindaco�del�collegio�dei�Sindaci�dell'INAIL;�e�altres|� pacifico�che�il�D.G.�e�stato�rimosso�da�detto�incarico�in�applicazione�dell'art.�3,�comma�7,� 1egge�145/00.� La�Legge�in�esame,�intitolata�``Disposizioni�per�il�riordino�della�dirigenza�statale�e�per� favorire�lo�scambio�di�esperienze�e�l'interazione�tra�pubblico�e�privato'',�detta�all'art.�3�le� norme�in�materia�di�incarichi�dirigenziali�e�di�ingresso�dei�funzionari�internazionali�nella� pubblica�amministrazione,�disponendo�al�comma�7�che�le�disposizioni�poste�nell'articolo�in� esame�trovano�diretta�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di� livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e� prevista�tale�figura�e�che�i�predetti�incarichi�cessano�al�sessantesimo�giorno�dalla�data�di� entrata�in�vigore�della�legge.� La�lettera�della�norma,�cos|�chiara�da�non�necessitare�di�alcuna�interpretazione,�mostra� agevolmente�che�la�disciplina�della�cessazione�ope legis degli�incarichi�dirigenziali�e�prevista� esclusivamente�per�i�dirigenti�cui�siano�stati�attribuiti�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di� livello�generale�e�di�direttore�generale.� La�ricerca�della�ratio legis, operata�alla�stregua�dei�noti�canoni�ermeneutici�predisposti� dall'ordinamento,�consente�peraltro�di�affermare�che�il�legislatore�ha�con�cio�inteso�garantire� la�sussistenza�di�un�concreto�vincolo�di�fiduciarieta�tra�il�Governo�e�la�figura�apicale�delle� varie�articolazioni�amministrative,�nell'ottica�comprensibile�della�migliore�gestione�della� cosa�pubblica.� Dunque,�cos|�come�sostenuto�dalla�difesa�di�parte�ricorrente�in�sede�di�discussione,� deve�dirsi�che�l'inapplicabilita�della�norma�de qua alla�fattispecie�per�cui�e�causa�deriva� direttamente�dalla�previsione�legislativa,�altra�essendo�l'ipotesi�che�il�legislatore�ha�inteso� disciplinare.� Ed�infatti,�rammentate�le�superiori�premesse,�e�evidente�che�il�ricorrente�non�svolgeva�i n�quanto�non�gli�era�stato�attribuito�^ne�un�incarico�di�funzione�dirigenziale�di�livello�gene- rale�ne�di�direttore�generale�di�un�ente�pubblico�vigilato�dallo�Stato,�essendo�stato�invece� addetto�al�mero�controllo�di�legittimita�degli�atti�dell'INAIL,�in�uno�con�gli�altri�componenti� del�collegio�sindacale.� Dunque�deve�dirsi�che�il�provvedimento�con�cui�il�ricorrente�e�stato�rimosso�dall'inca- rico�in�parola�e�stato�adottato�in�palese�violazione�dei�presupposti�di�legge�richiamati�invece� dall'Amministrazione�convenuta�per�giustificare�la�sua�azione,�posto�che�al�momento�dell'a- dozione�del�provvedimento�in�esame�il�ricorrente�non�era,�in�concreto,�dirigente�apicale�ne� nell'amministrazione�dello�Stato�ne�in�un�ente�pubblico�vigilato�dallo�Stato.� Risulta�pertanto�soddisfatto�il�requisito�del�fumus boni iuris normativamente�richiesto� per�l'adozione�dell'invocato�provvedimento�cautelare.� Ritiene�pero�questo�Giudice�che�nel�caso�di�specie�non�puo�dirsi�soddisfatto�anche�l'al- tro�requisito�necessario�per�giustificare�l'intervento�in�via�d'urgenza�dell'ufficio�adito,�ovvero� il�periculum in mora. Al�riguardo�va�precisato�che�il�periculum in mora e�integrato�dal�rischio�che�in�pendenza� del�procedimento�ordinario�il�diritto�che�si�intende�affermare�in�via�d'azione�sia�leso�in�modo� irreversibile�ovvero�in�modo�tale�che�la�sua�risarcibilita�sia�oggettivamente�impossibile�o� quanto�meno�estremamente�difficile,�di�talche�si�giustifica�l'adozione�di�un�provvedimento� che�inibisca�la�realizzazione�della�lesione�paventata�e�anticipi�la�decisione�adottanda�nella� fase�di�merito.� Tanto�precisato,�dal�tenore�del�ricorso�emerge�che�il�ricorrente�ha�prospettato�in�prima� battuta,�in�ordine�al�danno�che�teme�di�poter�subire�nelle�more�a�seguito�dell'asserita�illegit- tima�pretermissione�dal�posto�di�lavoro,�la�sussistenza�di�una�lesione�al�suo�diritto�alla�pro- fessionalita�,�alla�carriera�e�alla�reputazione�sociale,�ritenendo�il�pregiudizio�in�parola�icto oculi evidente.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Orbene,�va�preliminarmente�osservato�che�la�domanda�azionata�in�via�d'urgenza�dal� ricorrente�e�quella�relativa�alla�sola�reintegrazione�nel�posto�di�lavoro,�mentre�mancaqual- siasi�specificazione�delle�conclusioni�che�si�intende�introdurre�nella�successiva�fase�di�merito.� A�rigore�l'omissione�in�parola�renderebbe�di�per�se��sola�inaccoglibile�in�rito�la�domanda� ex art.�700�c.p.c.�che�qui�interessa,�non�essendo�dato�ne��ai�contraddittori�ne��al�Giudice�cono- scere�puntualmente�il�petitum di�cui�si�chiede�siano�anticipati�gli�effetti;�pur�tuttavia,�nella� doverosa�interpretazione�conservativa�dell'atto�introduttivo�del�presente�giudizio,�e�tenuto� conto�che�nella�^successiva�^fase�di�merito�non�potrebbe�essere�introdottoalcun�petitum ulteriore,�deve�concludersi�che�i�diritti�che�in�questa�sede�si�indicano�lesi�dalla�condotta�ille- gittima�di�parte�datoriale,�introducendoli�come�espressione�tangibile�del�periculum in mora, non�potrebbero�ricevere�tutela�in�via�d'urgenza,�mancando�la�chiara�ed�inequivoca�dedu- zione�della�specifica�domanda�di�risarcimento�del�relativo�danno.� La�tesi�sostenuta�e�poi�corroborata�dalla�ulteriore�considerazione�che�la�soluzione�con- traria�a�quella�prospettata�si�tradurrebbe�in�una�sostanziale�negazione�degli�oneri�allegatori� che�incombono�al�ricorrente�ex art.�414�c.p.c.,�qui�ancor�piu�pressanti�se�solo�si�tiene�conto� del�fatto�che�^come�si�e�detto�^le�circostante�dedotte�nel�giudizio�ex art.�700�c.p.c.�devono� coincidere�con�la�materia�che�sara�oggetto�del�contendere�in�sede�ordinaria.� Peraltro,�pur�a�non�volere�condividere�le�superiori�ragioni�^ma�non�si�vede�come�^vi�e� comunque�da�dire�che�in�ogni�caso�non�potrebbe�considerarsi�sussistente�il�requisito�del�peri- culum in mora. Ed�infatti,�si�osserva�che�l'affermazione�della�esistenza�del�pregiudizioe�allo�stato�degli� atti�apodittica,�proprio�perche�,�per�ammissione�dello�stesso�ricorrente,�il�danno�deve�consi- derarsi�sussistente�in re ipsa. Orbene�questo�Giudice�non�ignora�i�principi�affermati�anche�di�recente�dalla�S.C.�in� materia�^benche��elaborati�in�esito�alla�riflessione�sulla�diversa�fattispecie�del�danno�da� errato�esercizio�dello�ius variandi datoriale�^in�forza�dei�quali�il�paventato�danno�non�patri- moniale�alla�vita�professionale�lederebbe�anche�il�diritto�fondamentale�alla�libera�esplica- zione�della�personalita�del�lavoratore�nel�luogo�di�lavoro,�comportando�un�pregiudizio�che� incide�sulla�vita�professionale�e�di�relazione�dell'interessato,�e�che�tale�lesione�produrrebbe� automaticamente�un�danno�(non�economico�ma)�comunque�rilevante�sul�piano�patrimoniale,� per�la�sua�attinenza�agli�interessi�patrimoniali�del�lavoratore�e�determinabile�anche�in�via� equitativa�(cfr.�Cass.�10/2002;�Cass.�11727/99;�Cass.�1443/2000).� Tuttavia�ritiene�questo�Giudice�^ribadendo�la�propria�giurisprudenza�sul�punto�^che� anche�questo�ulteriore�aspetto�del�danno�(all'immagine�o�alla�vita�professionale�o�di�rela- zione),�proprio�in�ossequio�ai�principi�informatori�dell'ordinamento,�deve�essere�allegato� (art.�414�c.p.c.)�e�provato�(art.�2697�cc),�quanto�meno�in�via�presuntiva�(e,�per�quanto�qui� rileva,�con�la�sommarieta�consentita�dalla�natura�del�mezzo�azionato),�nella�sua�ontologica� esistenza.� In�caso�contrario,�invero,�si�introdurrebbe�una�sorta�di�presunzione�dell'esistenza�del� danno�che�non�trova�giustificazione�in�alcuna�norma�positiva.� Ne�deriva�pertanto�che,�allo�stato�degli�atti,�si�dispone�del�solo�riscontro�della�condotta� colpevole�datoriale,�ma�non�si�dispone�di�alcun�dato�univoco,�di�sicuro�riscontro�oggettivo,� della�sussistenza�attuale�e�concreta�di�una�lesione�irreversibile�della�sfera�soggettiva�del� ricorrente,�ovvero�di�una�lesione�la�cui�risarcibilita�futura�sia�oggettivamente�impossibile�o� estremamente�difficile.� Ne��a�conclusioni�diverse�si�puo�giungere�tenendo�conto�che,�accanto�ai�profili�di�danno� in�parola�il�ricorrente�ha�lamentato�anche�un�danno�di�natura�meramente�patrimoniale,�sca- turente�dal�mancato�ricevimento�della�retribuzione�e�dall'assenza�di�altre�fonti�di�reddito� che�garantiscano,�a�lui�e�al�suo�nucleo�familiare,�di�far�fronte�alle�esigenze�di�vita.� Ed�infatti,�pur�a�voler�trascurare�il�fatto�che�il�ricorrente�non�ha�neppure�dimostrato� qual�e�la�composizione�della�sua�famiglia�e�l'eventuale�stato�di�disoccupazione�dei�compo- nenti�(con�le�evidenti�conseguenze�ai�fini�del�decidere),�vi�e�comunque�da�dire�che�l'interesse� a�percepire�la�retribuzione,�attesa�l'indiscussa�funzione�alimentare�del�corrispettivo�della� prestazione�lavorativa,�e�presente�in�inadempimento�delle�obbligazioni�scaturenti�dal�con- tratto�di�lavoro,�ed�ha�riguardo�alla�sola�fattispecie�di�recesso�datoriale�ingiustificato�in�area� assistita�da�tutela�reale.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Il�carattere�eccezionale�della�norma�(che�invero�impone�al�datore�di�lavorounfacere^altri- menti^infungibile)nevieta,pacificamente,�l'applicazioneoltrel'ipotesiprevista,�conlaconse- guenza�che�nel�caso�di�specie�unpetitum di�tal�tenore�deve�considerarsi�inammissibile.� A�conclusioni�diverse�non�puo�giungersi�neppure�tenendo�conto�del�fatto�che�la�norma- tiva�positiva�in�materia�di�pubblico�impiego�prevede�attualmente�la�possibilita�di�rendere� anche�una�pronuncia�di�condanna�della�P.A.� Ed�invero,�ritiene�questo�Giudice�che�l'ampiezza�dei�poteri�individuati�in�capo�al�G.O.� dall'art.�68�d.lg.�29/93,�come�successivamente�modificato,�puo�porre�il�dubbio�se�possano� considerarsi�derogati�i�limiti�fissati�dalla�legge�abolitiva�del�contenzioso�in�relazione�alla� possibilita�per�il�G.O.�di�condannare�l'amministrazione�ad�un�facere specifico�consistente� nella�emanazione�o�eliminazione�di�un�provvedimento�amministrativo�^analogamente�ai� poteri�del�G.A.�^ma�certo�non�consente�comunque�^in�ossequio�ai�principi�generali�del�pro- cesso�civile,�qui�applicato�^che�si�pronunci�una�condanna�ad�un�facere infungibile,�dunque� non�passibile�di�esecuzione�forzata.� Ne�varrebbe�opporre�che�il�privato�ben�potrebbe�far�ricorso�al�giudizio�di�ottemperanza� (articoli�27,�n.�4�T.U.�C.d.S.�e�37�legge�istitutiva�del�TAR)�e�dunque�conseguire�il�risultato� prefissatosi:�ed�infatti,�ai�fini�che�qui�interessano�e�sufficiente�dire,�in�via�assorbente�rispetto� ad�ogni�altra�considerazione,�che�presupposto�processuale�per�attivare�il�procedimento�in� questione�e�la�sussistenza�di�una�sentenza�passata�in�giudicato�e�non�semplicemente�dotata� di�forza�esecutiva.� Pertanto,�il�carattere�meramente�provvisorio�del�dictum che�puo�essere�reso�in�questa� sede�preclude,�in�modo�incontestabile�e�a�maggior�ragione,�la�possibilita�di�utilizzare�il�giudi- zio�de quo, con�le�evidenti�conseguenze�ai�fini�del�decidere.� Si�potrebbe�obiettare,�a�ben�vedere,�che�anche�la�pronuncia�^positivamente�disciplinata� ^della�reintegrazione�ex art.�18�1egge�300/70�non�e�comunque�passibile�di�esecuzione�for- zata�ma�che�cio�non�ha�comunque�ostato�alla�previsione�positiva�della�relativa�norma�e�da� cio�desumere�l'ammissibilita�della�domanda�azionata.� Tale�argomento,�pero�,�non�appare�offrire�spunti�validi�per�inficiare�la�conclusione� assunta;�ritiene�infatti�questo�Giudice�che�una�norma�eccezionale,�quale�l'art.�18�cit., non� possa�^in�ossequio�a�principi�logici,�prima�ancora�che�giuridici�^consentire�di�astrarre�una� regola�generale,�valevole�cioe�per�ogni�fattispecie,�questa�potendosi�invece�desumere�solo� da�norme�che�regolano�le�ipotesi�che�alla�fattispecie�generale�sono�rapportabili�in�forza�del� ^diverso�^rapporto�di�genere�a�specie.� Riprendendo�il�discorso�piu�sopra�iniziato,�vi�e�comunque�da�dire�che,�pur�non�potendo� essere�reso�l'ordine�di�reintegrazione�richiesto,�in�ossequio�ai�principi�generali�sarebbe� comunque�ammissibile�la�pronuncia�meramente�dichiarativa�del�diritto�del�ricorrente�a�con- servare�il�posto�previamente�occupato�in�seno�al�collegio�sindacale�dell'Inail;�ed�infatti,�poi- che�un�dictum di�tal�tenore�e�presupposto�della�condanna�invocata,�e�dunque�implicito�nel� petitum formulato,sudiesso�benpuo�intervenire�la�pronuncia�dell'Ufficio�adito,�cio�non� comportando�violazione�del�disposto�degli�articoli�99�e�112�c.p.c.� Pur�tuttavia,�va�ribadito�che�la�declaratoria�del�diritto�e�forma�di�tutela�non�passibile,� strutturalmente,�di�tutela�anticipata,�sicche�sono�ovvie�le�conseguenze�ai�fini�del�decidere.� Riassuntivamente,�quindi,�deve�dirsi�che�nella�fattispecie�portata�al�vaglio�di�questo� Giudice�e�sicuramente�certo�il�buon�diritto�del�ricorrente,�essendo�risultata�palese�la�viola- zione�di�legge�da�parte�della�P.A.�datore�di�lavoro;�pur�tuttavia,�il�mancato�accoglimento� della�domanda�in�questa�sede�deriva�da�ostacoli�di�ordine�processuale�connessi�sia�alla�non� riconosciuta�ricorrenza�di�tutti�i�presupposti�per�la�concessione�del�provvedimento�di� urgenza�sia�al�tipo�di�pronuncia�invocata.� Da�ultimo,�con�riguardo�alla�eccezione�di�carenza�di�legittimazione�passiva�sollevata� dall'INAIL�nella�memoria�di�costituzione,�osserva�questo�Giudice�che�effettivamente�il�ricor- rente�non�ha�ne�esposto�ragioni�di�diritto�a�fondamento�della�chiamata�in�giudizio�dell'Isti- tuto�ne�ha�concluso�nei�confronti�dello�stesso;�da�cio�deriva�che,�allo�stato�degli�atti,�l'ecce- zione�in�parola�deve�considerarsi�fondata.� Alla�luce�delle�svolte�considerazioni�il�ricorso�deve�essere�integralmente�respinto�(omissis). P.Q.M.: Respinge�il�ricorso.� Roma,�21�gennaio�2003�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Tribunale di Roma, sezione lavoro, primo grado ^Ordinanza 3 febbraio 2003 n. 4392 ^G.U. M.�Tucci�^R.�(Avv.�Androni)�c/�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento� Funzione�Pubblica,�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita�culturali�e�P.�(Avv.�Paolantonio).� �(omissis) Letti�gli�atti,�sciogliendo�la�riserva�assunta�all'esito�dell'udienza�del27�gen- naio�2003,�ritenuto�in via preliminare: che�sussista�la�giurisdizione�del�giudice�adito�ex art.�63�d.lgs.�n.�65�del�2001;� che�parimenti�appare�sussistere�compatibilita�tra�ilgiudiziocautelare�e�la�questione�di� legittimita�costituzionale�in�quanto�nel�caso�in�cui�il�Giudice�ritenga�tale�questione�non� manifestamente�infondata�e�rilevante,�in�presenza�del�squisito�del�periculum in mora, ben� puo�regolamentare�l'assetto�di�interessi�in�questione�in�modo�da�fare�s|�che�l'attesa�del�giudi- zio�di�costituzionalita�,�laddove�abbia�esito�positivo,�non�pregiudichi�irreparabilmente�il� diritto�del�ricorrente.� Riguardo alfumus boni iuris: che�lo�stesso�non�sussiste�in�base�alle�seguenti�considera- zioni:� 1)�la�norma�applicata�(art.�7�legge�n.�145�del�2002)�effettivamente�riguarda�un�ambito� di�soggetti�piu�ampio�(tutti�i�dirigenti�generali)�rispetto�a�quello�di�cui�al�comma�3�art.�9� (dirigenti�generali�nominati�con�d.P.R.�e�automaticamente�decaduti�dopo�novanta�giorni� dal�voto�di�fiducia�al�nuovo�Governo�ex comma�8�art.�19)�comprendono�anche�quelli�di�cui� al�comma�4�(nominati�con�D.P.C.M.�e�non�coinvolti�nella�decadenza�automatica�di�cui�al� comma�8�citato)�ed�effettivamente�la�ricorrente�rientra�in�tale�seconda�ipotesi.� Si�rileva�tuttavia�che,�al�contrario�di�quanto�sostenuto�dalla�difesa�R.,�la�nuova�legge�ha� effettuato�radicali�innovazioni�in�quanto,�tra�l'altro,�ha�soppresso�il�ruolo�unico�dei�dirigenti,� ha�ridotto�sensibilmente�il�termine,�da�quinquennale�a�triennale,�degli�incarichi�dirigenziali,� ha�collegato�il�mancato�rinnovo�del�contratto�o�la�revoca�dell'incarico,�o�addirittura�il� recesso�dal�rapporto�di�lavoro�non�solo�al�mancato�raggiungimento�degli�obiettivi�ma,�alter- nativamente,�anche�all'inosservanza�delle�direttive�date�al�dirigente�(mentre�invece�nell'im- postazione�precedente�il�mancato�raggiungimento�degli�obiettivi�comportava�l'assegnazione� ad�altro�incarico�e�solo�alla�grave�inosservanza�delle�direttive�o�al�ripetuto�mancato�raggiun- gimento�degli�obiettivi�erano�collegate�sanzioni�piu�gravi)�con�conseguente�maggiore�vincolo� tra�il�Ministro�e�il�dirigente�generale.�Dette�innovazioni�costituiscono�elementi�che�rendono� razionale�la�disposizione�ritenuta�illegittima�dalla�ricorrente�(rientrando�quindi�la�stessa�nel- l'ambito�di�scelte�politiche�demandate�al�legislatore),�perche�finalizzata�a�consentire�l'appli- cazione�di�fatto�immediata�di�tutto�il�nuovo�sistema.� 2)�proprio�per�le�osservazioni�sopra�effettuate�la�deroga�all'asserito�principio�di�stabi- lita�dei�rapporti�di�lavoro�(cosa�che�comunque�per�i�dirigenti�generali�non�e�garantita�dalla� stessa�legge)�e�comunque�giustificata�dal�diverso�assetto�normativo�ne�appare�violato�il�pre- cetto�di�cui�all'art.�97�e�98�Cost.�in�quanto�nel�caso�di�specie�di�fatto�si�e�provveduto�ad� una�tempestiva�nomina�del�nuovo�dirigente;� 3)�essendo�la�decadenza�stabilita�ex lege, non�era�necessaria�alcuna�motivazione�da� parte�della�P.A;� 4)�Il�provvedimento�di�conferimento�di�incarico�al�controinteressato�appare�comun- que�motivato�anche�il�relazione�al�cospicuo�curriculum in�atti;� 5)�l'assenza�presso�il�Ministero�dei�Beni�Culturali�di�funzioni�di�livello�dirigenziale� generale�disponibili�e�considerato�pacifico�dalla�stessa�ricorrente�mentre�per�i�posti�vacanti� in�altri�Ministeri,�atteso�il�venir�meno�del�ruolo�unico�dei�dirigenti,�ben�la�ricorrente� potrebbe�ottenere�un�nuovo�incarico�laddove�chieda�di�accedere�alla�procedura�di�mobilita� di�cui�all'art.�23,�secondo�comma�D.Lgs.�n.�16�del�2001�come�modificato�dalla�legge�n.�145� del�2002.� Riguardo al periculum in mora: che�l'esame�dello�stesso�e�superfluo�non�sussistendo�il� fumus boni iuris. Riguardo alle spese: che�la�complessita�e�la�novita�della�fattispecie�ne�giustifica�la�com- pensazione�integrale.� P.Q.M.: Rigetta�il�ricorso;�compensa�le�spese�di�lite.� Roma,�3�febbraio�2003�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Tribunale di Roma, primo grado ^Ordinanza 3 febbraio 2003 ^Giudice:fP.�Giovene�di�Gira- sole�^E.M.�c/Ministero�dell'Istruzione,�Universita�e�Ricerca.� �(omissis)fVa�preliminarmente�rilevata�l'incompatibilita�tra�la�tutela�in�via�d'urgenza� garantita�dal�ricorso�exfart.�700�c.p.c.�e�la�prospettata�questione�di�illegittimita�costituzio- nale�dell'art.�3,�comma�7,�d.lgs.�145/02,�che�ha�disposto�la�cessazione�opeflegisfdegli�incarichi� di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�dal�sessantesimo�giorno�dalla�entrata�in�vigore� della�legge.�L'analisi�della�questione�nella�presente�sede�presupporrebbe�che�il�giudice�della� cautela,�qualora�ne�ravvisasse�la�ammissibilita�e�rilevanza,�o�dovrebbe�sospendere�il�procedi- mento�e�rimettere�gli�atti�alla�Corte�Costituzionale,�oppure�dovrebbe�concedere�il�provvedi- mento�all'esito�di�un�giudizio�prognostico�di�presumibile�accoglimento�della�questione�da� parte�della�Corte�Costituzionale,�con�successiva�rimessione�degli�atti�alla�Corte.�Entrambe� le�soluzioni�non�appaiono�tuttavia�percorribili,�alla�stregua�del�diritto�positivo.�La�prima,� perche�l'attesa�di�una�eventuale�pronuncia�di�incostituzionalita�,�richiedente�termini�notoria- mente�lunghi,�vanificherebbe�l'esigenza�di�immediatezza�della�tutela,�che�caratterizza�il� ricorso�all'art.�700�c.p.c.�La�seconda,�perche�darebbe�luogo�ad�un'abnorme�disapplicazione� della�legge,�preclusa�al�giudice�ordinario,�come�ben�evidenziato�dalla�giurisprudenza�di�legit- timita�,�laddove�ha�sancito,�in�caso�di�anticipazione�del�giudizio�di�incostituzionalita�di�una� legge�da�parte�del�giudice�adito�in�sede�cautelare,�l'esorbitanza�dai�suoi�poteri�e�la�violazione� delle�norme�che�regolano�l'intervento�dell'organo�di�controllo�costituzionale,�dunque�la�vio- lazione�del�dovere�di�applicare�le�leggi�vigenti,�``che�solo�la�Corte�Costituzionale�o�lo�stesso� potere�legislativo�possono�rendere�inoperanti''�(Cass.�civ.,�sez.�lav.,�7�dicembre�1989,� n.�13415;�Cass.�civ.,�SS.UU.,�7�luglio�1988�n.�4476).�Ed�invero,�il�giudizio�prognostico�favore- vole�sull'esito�della�causa�di�merito,�in�cui�si�sostanzia�l'esame�del�``fumusfbonijuris'',fva� necessariamente�effettuato�alla�stregua�del�diritto�vigente.� Le�considerazioni�innanzi�svolte,�cui�questo�giudice�ritiene�di�conformarsi,�escludono�la� possibilita�di�esaminare�il�ricorso,�per�la�parte�fondata�sulla�asserita�illegittimita�costituzio- nale�della�norma�in�esame.� Tanto�premesso,�va�rilevato�come�la�ricorrente�abbia�prospettato�l'illegittimita�dell'ope- rato�del�Ministero�dell'Istruzione,�anche�in�riferimento�al�vigente�assetto�legislativo.� In�particolare,�deduce�la�E.M.�che�gli�atti�di�revoca�e�di�successivo�conferimento�degli� incarichi�ai�direttori�generali�sarebbero�stati�adottati�dall'Amministrazione�senza�effettuare� alcun�tipo�di�istruttoria,�in�violazione�dell'art.�19�del�t.u.�165/01,�secondo�cui�``per�il�conferi- mento�di�ciascun�incarico�di�funzione�dirigenziale�si�tiene�conto,�in�relazione�alla�natura�ed� alle�caratteristiche�degli�obiettivi�prefissati,�delle�attitudini�e�delle�capacita�professionali�del� singolo�dirigente...''.�E�che�cio�avrebbe�impedito�alla�ricorrente�di�partecipare�al�procedi- mento,�e�di�essere�sottoposta�a�valutazione�comparativa,�sia�in�ordine�alla�possibile�con- ferma�dell'incarico�precedentemente�rivestito,�sia�per�quanto�riguarda�l'eventuale�attribu- zione�di�un�incarico�equivalente.�Tale�affermazione,�peraltro�in�contrasto�con�la�differente� interpretazione�della�norma�in�esame�fornita�dalla�stessa�ricorrente,�laddove�ne�ha�prospet- tato�per�vari�versi�l'incostituzionalita�,�non�trova�riscontro�nella�disciplina�introdotta�dal� d.lgs.�145/02,�che�ha�invece�innanzitutto�sancito,�all'art.�3,�comma�7,�l'automatica�deca- denza,�opeflegis,fda�tutti�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�e�da�quelli� di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�i�quali��cessano�al�sessantesimo� giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge�.�Sicche�il�tenore�della�disposi- zione�non�lascia�spazio�ad�alcuna�possibilita�di�valutazione,�e�tanto�meno�prevede�un� obbligo�di�motivazione,�in�ordine�alla�cessazione�da�siffatti�incarichi,�che�opera�di�diritto.� La�stessa�disposizione�prosegue�prevedendo�che��...�In�sede�di�prima�applicazione�del- l'art.�19�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001�n.�165,�come�modificato�dal�comma�1�del�pre- sente�articolo,�ai�dirigenti,�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto,�e�con- ferito�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio�non�sia�possibile,� per�carenza�di�disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qua- lita�professionali,�al�dirigente�e�attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�pre- cedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno''.�E�evidente�la�volonta� legislativa�manifestata�con�siffatta�disposizione,�ovvero�quella�di�riconoscere�natura�fiducia- ria�agli�incarichi�dirigenziali�in�questione,�con�la�conseguenza�che�le�relative�nomine,�succes- RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� sive�al�decadere�dei�precedenti�incarichi,�implicano�non�solo�una�valutazione�di�natura�tec- nica,�ma�innanzitutto�una�valutazione�sull'affidabilita�politica�delle�persone.�A�tale�conclu- sione�induce�in�primo�luogo�la�summenzionata�previsione�della�automatica�decadenza�da� tutti�gli�incarichi�dirigenziali,�a�prescindere�dalla�valutazione�dei�risultati�raggiunti,�che�altro� non�significa�che�volonta�di�garantire�una�dirigenza�totalmente�nuova,�dunque�in�linea�con� l'orientamento�politico�governativo.�In�tale�ottica�va�dunque�interpretato�anche�il�successivo� disposto�della�norma,�che�invero�prevede�come�meramente�eventuale�la�possibilita�di�ricon- ferma�del�dirigente�nell'incarico�precedentemente�svolto,�o�di�attribuzione�di�un�incarico� equivalente,�garantendo�in�definitiva�al�dirigente�decaduto�esclusivamente�il�diritto�a�vedersi� almeno�attribuito�un�incarico�di�studio�di�durata�non�superiore�ad�un�anno,�conilmanteni- mento�del�precedente�trattamento�economico.�Alcuna�diversa�interpretazione�appare�invero� possibile,�a�fronte�della�previsione�della�semplice�possibilita�di�conferimento�di�incarico�di� livello�retributivo�equivalente,�ovvero�subordinata�alla�disponibilita�(evidentemente�dipen- dente�dalle�scelte�governative)�di�posti�idonei,�ed�alla�sussistenza�di�specifiche�qualita�profes- sionali.�Ed�in�proposito,�la�stessa�ricorrente�ha�riconosciuto�la�mancanza,�presso�il�Ministero� dell'Istruzione,�di�posti�liberi�aventi�ad�oggetto�funzioni�equivalenti,�mentre�non�competeva� al�Ministro�dell'Istruzione�ed�alla�Presidenza�del�Consiglio,�odierni�resistenti,�proporre�il� conferimento�di�incarichi�presso�altri�Ministeri,�attesa�la�scelta�legislativa,�emergente�dal- l'art.�23�d.lgs.�165/01,�di�sopprimere�il�ruolo�unico�della�dirigenza.� Da�tutto�quanto�innanzi�premesso�discende�la�insussistenza�del�fumus boni juris in� ordine�alle�pretese�di�parte�ricorrente.� La�mancanza�del�fumus rende�superfluo�l'esame�della�eventuale�esistenza�del�periculum in mora. Motivi�di�equita�suggeriscono�la�compensazione�delle�spese�di�lite.� P.Q.M.: Rigetta�il�ricorso.�Compensa�tra�le�parti�le�spese�di�lite.� Roma,�3�febbraio�2003�.� Tribunale di Roma, seconda sezione lavoro ^Reclamo ^Ordinanza 4 febbraio 2003 ^Presi- dente:D.Cortesani�^Relatore:�A.M.�Luna�^N.G.�c/Ministero�della�salute,�Presidenza� del�Consiglio�dei�Ministri,�Istituto�Superiore�per�la�Prevenzione�e�la�sicurezza�del� lavoro.� �(omissis) Il�ricorrente,�quindi,�agendo�nei�confronti�del�Ministero�della�salute,�della� Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�e�dell'Istituto�Superiore,�ha�chiesto�che,�previa�even- tuale�declaratoria�di�illegittimita�della�comunicazione�del�4�ottobre�2002,�sia�ordinata�la� sua�reintegrazione�nell'incarico�e�nelle�funzioni�di�direttore�del�Dipartimento�per�la�pro- grammazione�e�la�gestione�delle�risorse�economico-finanziarie�e�del�personale.� Il�Ministero�della�salute,�la�Presidenza�del�Consiglio�e�l'Istituto,�costituitisi�in�giudizio,� hanno�contestato�fondatezza�della�domanda�cautelare�affermando�che�la�disposizione�di� cui�all'art.�3,�comma�7�della�1egge�n.�145/02�si�applica�a�tutti�i�dirigenti�generali,�irrilevanti� essendo,�a�fronte�del�dato�normativo,�le�interpretazioni�contenute�in�circolari�amministra- tive.�Hanno�poi�contestato�la�sussistenza�del�periculum in mora essendo�stato�offerto�un�inca- rico�di�studio,�di�livello�equivalente�all'incarico�in�precedenza�affidato,�che�dimostra�la�vo- lonta�dell'amministrazione�di�non�escludere�il�ricorrente�dal�conferimento�di�nuovi�incarichi� dirigenziali.� Il�Giudice,�con�ordinanza�25�novembre�2002,�n.�41233�reg.�cron.,�ha�accolto�il�ricorso�ed� ordinato�la�reintegrazione�del�dirigente�nelle�funzioni.� Con�atto�depositato�il�7�dicembre�2002,�ha�proposto�reclamo�il�Ministero�della�salute� affermando�che,�in�realta�,�l'Istituto�non�e�un�ente�pubblico,�bens|�un�organo�del�servizio� sanitario�nazionale,�mentre�la�disposizione�dell'art.�9�del�d.lgs.�29�ottobre�1999,�n.�419,�il� quale�riconduce�l'Istituto�alla�categoria�degli�enti,�non�sarebbe�in�concreto�operativa�giacche� non�e�stata�ancora�emanata�la�normativa�per�la�ristrutturazione�e�la�riorganizzazione�dell'I- stituto�stesso.�Ribadisce,�poi,�la�infondatezza�della�domanda�cautelare�per�difetto�di�pericu- lum in mora. IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Il�lavoratore�si�e�costituito�confermando�le�proprie�posizioni�difensive�e�prospettando� anche�l'inammissibilita�del�reclamo�in�quanto�l'argomentazione�avanzata�dal�Ministero�e� del�tutto�nuova�ed�anzi�in�contrasto�con�la�posizione�assunta�nella�prima�fase.� Tanto�premesso,�questo�Collegio�reputa�infondato�il�reclamo,�benche�non�inammissi- bile.� Si�osserva,�infatti,�preliminarmente,�che�non�sono�applicabili�al�giudizio�cautelare�le� preclusioni�di�cui�agli�art.�416�e�437�c.p.c.�in�quanto�non�richiamate�espressamente�da�alcuna� delle�disposizioni�di�cui�agli�artt.�669-bis e�segg.�c.p.c.;�ne�le�stesse�appaiono�compatibili� con�il�sistema�legislativo�del�procedimento�cautelare,�nel�quale,�anzi,�e�consentito�portare� alla�cognizione�del�giudice�del�reclamo,�ai�fini�di�chiedere�la�sospensione�dell'esecuzione�del� provvedimento,�fatti�e�circostanze�nuove�sopravvenuti�(art.�669-terdecies,�quinto�comma� c.p.c.)�e,�quindi,�a�maggior�ragione,�possono�essere�dedotti,�anche�come�motividireclamo,� tali�fatti�e�motivi�nuovi�ed�anche�preesistenti,�ma�non�dedotti�nella�prima�fase,�secondo� quanto�si�desume�anche�dalla�possibilita�di�proporre�nuovamente�domanda�cautelare,�lad- dove�la�prima�sia�stata�respinta,�allegando�mutamenti�delle�circostanze�o�deducendo�nuove� ragioni�di�fatto�o�di�diritto�(art.�669-septies c.p.c.).� Ben�puo�quindi�il�reclamante,�per�contrastare�l'avversa�pretesa,�prospettare�nuove� ragioni�di�diritto.� Nel�merito,�tuttavia,�gli�argomenti�prospettati�dal�Ministero�della�salute�non�appaiono� condivisibili.� Secondo�il�d.lgs.�30�giugno�1993,�n.�268,�l'Istituto�superiore�per�la�prevenzioneela�sicu- rezza�del�lavoro�(I.S.P.E.S.L.)�era�definito�come�organo�tecnico-scientifico�del�Servizio�sani- tario�nazionale,�dipendente�dal�Ministro�della�sanita�,�pur�avendo�autonomia�scientifica,� organizzativa,�amministrativa�e�contabile.� Tale�situazione�e�mutata�a�seguito�dell'emanazione�del�d.lgs.�n.�419/99,�adottato�in�ese- cuzione�della�delega�di�cui�agli�articoli�11,�comma�1,�lettera�b),�prima�parte,�e�14�della�legge� 15�marzo�1997,�n.�59,�e�successive�modificazioni�e�integrazioni,�concernente�ilriordinodegli� enti�pubblici�nazionali�non�svolgenti�attivita�di�previdenza.� In�particolare,�l'art.�9�del�d.lgs.�n.�419/99,�disciplina�l'Istituto�superiore�di�sanita�e�l'I- SPESL�prevedendo�che�essi�esercitano,�nelle�materie�di�competenza�del�Ministero�della� sanita�,�funzioni�e�compiti�tecnico-scientifici�e�di�coordinamento�tecnico.�L'Istituto,�che�con- tinua�ad�essere�dotato�di�autonomia�scientifica,�organizzativa,�amministrativa�e�contabile,�e� sottoposto�alla�vigilanza�del�Ministro�della�sanita�(e�non�e�piu�quindi�da�questo�dipendente)� e�costituisce�organo�tecnico-scientifico�del�Servizio�sanitario�nazionale,�del�quale�il�Mini- stero,�le�regioni�e,�tramite�queste,�le�aziende�sanitarie�locali�e�le�aziende�ospedaliere�si�avval- gono�nell'esercizio�delle�attribuzioni�conferite�loro�dalla�normativa�vigente.� L'Istituto,�quindi,�e�in�senso�improprio�un�organo�poiche�e�tale�rispetto�al�servizio�sani- tario�nazionale�che�non�e�un�soggetto,�ma�e�il�complesso�delle�funzioni,�delle�strutture,�dei� servizi�e�delle�attivita�destinati�alla�promozione,�al�mantenimento�ed�al�recupero�della�salute� fisica�e�psichica�di�tutta�la�popolazione�(art.�1�1egge�n.�833/78).� Esso�e�invece�un�ente�per�ragioni�innanzi�tutto�di�interpretazione�sistematica,�essendo� disciplinato�specificamente�con�un�provvedimento�normativo�sub-primario�finalizzato� espressamente�al�riordino�degli�enti�pubblici�nazionali.�Come�detto,�del�resto,�non�sarebbe� appropriata�un'attivita�di�mera�vigilanza,�da�parte�dell'amministrazione�statale�competente,� su�un�proprio�organo,�piu�propriamente�essendo�la�vigilanza�una�funzione�che�appunto�puo� esercitarsi�nei�confronti�di�altro�soggetto,�sottoposto�a�controllo.� Il�reclamante�stesso,�invero,�riconosce�che�l'Istituto�debba�avere�natura�di�ente�pubblico� in�base�al�d.lgs.�n.�419/99;�afferma�tuttavia�che�l'operativita�delle�nuove�norme�e�condizio- nata�alla�futura�adozione�del�provvedimento�normativo�necessario�per�ristrutturazione�e� riorganizzazione�dell'Istituto,�cos|�come�e�avvenuto,�per�l'analogo�Istituto�superiore�di�sanita� (d.P.R.�n.�70/01).� L'art.�9,�comma�3,�del�d.lgs.�n.�419/99,�invero,�dispone�che�sono�organi�dell'Istituto� (come�anche�del�``gemello''�Istituto�superiore�di�sanita�)�il�presidente,�il�consiglio�di�ammini- strazione,�il�direttore�generale,�il�comitato�scientifico�e�il�collegio�dei�revisori.�La�medesima� disposizione�stabilisce�che�all'organizzazione�dell'Istituto�deve�provvedersi�con�i�regolamenti� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� di�cui�all'art.�13�del�medesimo�d.lgs.�n.�419/99,�che�devono�anche�recare�disposizioni�di�rac- cordo�con�la�disciplina�prevista�dal�decreto�legislativo�5�giugno�1998,�n.�204,�e�dalle�altre� disposizioni�vigentiper�glientidiricerca.� Il�successivo�art.�13�rimette�ad�una�successiva�attivita�normativa�la�concreta�definizione� degli�statuti�degli�enti�oggetto�dello�stesso�decreto�legislativo;�tuttavia,�il�medesimo�art.�13,� al�comma�3,�detta�le�disposizioni�da�osservare�comunque,�a�decorrere�dal�10�gennaio�2002,� nel�caso�in�cui�la�revisione�statutaria�non�sia�intervenuta�entro�il�30�giugno�2001.� Tale�disposizione,�quindi,�indicando�quali�debbano�essere,�a�decorrere�dal�10�gennaio� 2002,�le�strutture�degli�enti,�anche�in�assenza�della�normativa�di�attuazione,�fa�s|�che�gli�enti� oggetto�di�riordino�siano�posti�ugualmente�in�condizione�di�``funzionare''�anche�concreta- mente,�pur�in�assenza�della�normativa�di�attuazione,�essendo�peraltro�possibile�comunque� applicare,�in�attesa�della�revisione�statutaria�le�norme�in�precedenza�vigenti,�giusta�quanto� dispone�l'art.�14�del�d.lgs.�n.�419/99.� Posto�che,�quindi,�l'Istituto�e�autonomo�soggetto�di�diritti�quanto�meno�a�decorrere�dal� 10�gennaio�2002,�ad�esso�si�applica�la�disposizione�di�cui�all'art.�3,�comma�7,�della�1egge�n.� 145/02�solo�per�quanto�riguardail�direttore�generale�e�non�anche�agli�altri�dirigenti�generali,� dal�primo�dipendenti,�secondo�la�interpretazione�offerta�dal�Ministro�della�funzione�pub- blica,�con�circolare�del�31�luglio�2000,�che�appare�sul�punto�pienamente�condivisibile.� Non�essendo�N.G.�destinatario�della�citata�norma�transitoria�sulla�cessazione�automa- tica�degli�incarichi,�la�sua�posizione�giuridica�non�ha�subito�mutamento�di�sorta�per�effetto� della�innovazione�legislativa.� Quanto�al�periculum in mora, le�considerazioni�espresse�dal�primo�Giudice�possono� essere�confermate�giacche�l'incarico�che�viene�offerto�appare�quasi�del�tutto�privo�di�conte- nuto�tenuto�conto�che,�come�documentalmente�provato,�il�medesimo�incaricoe�stato�quasi� contemporaneamente�affidato�ad�una�societa�(v.�nota�del�25�settembre�2002�dell'ISPESL),� sicche�il�dirigente,�privato�delle�funzioni,�dovrebbe�svolgere�un'attivita�che,�allo�stato,�sem- brerebbe�quanto�meno�non�immediatamente�utile�e�dunque�non�idonea�a�consentire�la�pro- secuzione�del�naturale�processo�di�arricchimento�ed�affinamento�professionale,�con�conse- guente�depauperamento�delle�capacita�professionali�che,�proprio�ai�maggiori�livelli�di�quali- ficazione,�richiedono�un�costante�lavoro�di�aggiornamento�ed�una�concreta�operativita�.� Le�spese�di�questa�fase�saranno�disciplinate�all'esito�del�giudizio�di�merito.� P.Q.M.: Il�Tribunale,�pronunciando�sul�reclamo�proposto�dal�Ministero�della�salute,� avverso�l'ordinanza�del�Giudice�del�Lavoro�di�Roma�25�novembre�2002,�n.�41233�reg.�cron.,� cos|�provvede:� 1.�^rigetta�il�reclamo;� 2.�^spese�all'esito�del�giudizio�di�merito. Roma,�30�gennaio�2003�. Tribunale di Roma, quarta sezione lavoro, primo grado ^Ordinanza 18 febbraio 2003 ^Giu- dice: A.�Coluccio�^G.C.�c/�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca,� Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica�e�c/�A.M.� �(omissis) preliminarmente�deve�essere�dichiarata�inammissibile,�in�sede�cautelare,�la� proponibilita�della�questione�di�legittimita�costituzionale.� Infatti,�con�la�sospensione�del�procedimento�cautelare�e�la�remissione�della�questione� alla�Corte�Costituzionale,�il�giudice�adito�emetterebbe�un�provvedimento�in�palese�contrasto� con�le�finalita�del�giudizio�de quo,�che�e�finalizzato�alla�concessione�di�un�provvedimento�in� via�provvisorio�e�d'urgenza.� Ne�appare�ammissibile�emettere�il�provvedimento�cautelare�e�contemporaneamente� sospendere�il�procedimento,�posto�che�con�l'emanazione�del�provvedimentocautelare�il�giu- dice�adito�si�``spoglia''�definitivamente�del�procedimento�cautelare�e�nessuna�ulteriore�deci- sione�potrebbe�assumere�all'esito�della�decisione�della�Corte.� Dunque,�senza�poter�entrare�nel�merito�della�rilevanza�della�questione�sollevata,�per�i� motivi�sopra�esposti,�occorre�esaminare�l'esistenza�dei�requisiti�per�la�concessione�dei�prov- vedimento�richiesto.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Quanto�al�fumus�boni�iuris�si�osserva�che�la�domanda�principale,�inerente�la�richiesta�di� ripristino�delle�funzioni�di�Direttore�dell'Ufficio�scolastico�regionale�per�la�Liguria,� potrebbe,�in�astratto,�essere�accolta�solo�ove�la�Corte�Costituzionale�ritenesse�incostituzio- nale�l'art.�3,�comma�7,�legge�n.�145/2002,�nella�parte�in�cui�dispone�la�cessazione�ex�lege� degli�incarichi�dirigenziali�in�essere.� In�assenza�di�tale�pronuncia�la�cessazione�dell'incarico�ante�tempus�risulta�legittimo,�in� quanto�disposto�in�forza�di�legge.� Il�fumus�bonis�iuris�appare,�pertanto,�allo�stato,�assolutamente�insussistente.� Quanto�alla�domanda�subordinata,�volta�ad�ottenere�una�funzione�equivalente�di�Diri- gente�Generale�su�posti�vacanti�o�assegnati�ad�interim�alla�data�di�notifica�del�ricorso�o�in� data�successiva,�e��da�dire�che�la�stessa�risulta�carente�del�requisito�del�periculum�in�mora.� Il�lamentato�danno�economico�e��,�per�consolidata�giurisprudenza,�risarcibile�e,�dunque,� non�e��sufficiente�per�la�concessione�del�provvedimento�richiesto;�cos|��come�risarcibile,�ove� accertato,�all'esito�della�cognizione�piena,�e��quello�per�il�lamentato�demansionamento.� Si�osserva,�ancora,�che�per�individuare�il�danno�alla�professionalita��non�e��sufficiente� una�verifica�in�astratto,�dovendosi�invece�accertare�l'esistenza�di�un�concreto�danno�subito� dal�lavoratore;�cio��comporta�l'onere�a�carico�del�ricorrente�di�specifiche�e�puntuali�allega- zioni�in�merito�al�pregiudizio�lamentato;�solo�in�presenza�di�una�particolare�professionalita�� o�tecnicita��delle�mansioni�svolte,�soggette�a�rapida�obsolescenza�si�potrebbe�ravvisare�il�pre- giudizio�dedotto;�diversamente�argomentandosi�giungerebbe�a�ritenere�legittimo�l'intervento� dello�strumento�cautelare�per�qualsiasi�mutamento�di�situazioni�lavorative�e�si�consentirebbe� l'utilizzo�di�tale�strumento�cautelare�ogni�qualvolta�si�ritenesse�lesa�una�propria�posizione� soggettiva.� Nel�caso�concreto�la�professionalita��acquisita�dal�ricorrente�nel�corso�della�sua�espe- rienza�lavorativa�non�puo��certo�risultare�minata�dal�conferimento�dell'incarico�studi�affidato� dalla�P.A.,�che�per�stessa�volonta��legislativa�viene�equiparato�alla�attivita��di�dirigenza.� Per�quanto�attiene�al�pregiudizio�alla�salute,�invocato�in�sede�di�discussione�e�solo�inci- dentalmente�dedotto�in�ricorso,�e��,�invece,�da�dire�che�le�deduzioni�e�produzioni�in�merito� appaiono�sprovviste�di�concreti�elementi�diretti�ad�accertare�il�nesso�di�causalita��tra�compor- tamento�dell'amministrazione�convenuta�e�la�patologia�sofferta.� Ne�,�infine,�puo��ritenersi�che�il�ricorrente�abbia�subito�un�danno�all'immagine,�posto�che� la�revoca�dell'incarico�e��avvenuta�automaticamente�per�legge�ed�ha�interessato�un�alto� numero�di�dirigenti,�a�prescindere�dalle�capacita��professionali�dei�dirigenti�estromessi.� Nessuna�lesione�all'immagine�professionale�del�ricorrente�appare�pertanto�perpetrata.� P.Q.M.:�Respinge�il�ricorso.�Compensa�le�spese.� Roma,�17�febbraio�2003�.� Tribunale di Roma, sezione lavoro, primo grado ^Ordinanza 19 febbraio 2003 ex art. 700 ^ Giudice:�F.�Baraschi�^E.B.�c/�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita��e�Ricerca,�Pre- sidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�e�c/�L.S.� �(omissis)�L'art.�700�c.p.c.�testualmente�recita:�``chi�ha�fondato�motivo�di�temere�che� durante�il�tempo�occorrente�per�far�valere�il�suo�diritto�in�via�ordinaria�questo�sia�minacciato� daunpregiudizio�imminenteedirreparabile,puo�chiederecon�ricorsoalgiudice�iprovvedimenti� d'urgenza�(...)�per�assicurare�provvisoriamente�gli�effetti�della�decisione�di�merito'';�come�e�� noto,�la�tutela�cautelare�ex�art.�700�puo��essere�accordata�solo�ove�ricorrano�i�requisiti�del:� ^fumus�boni�iuris,�verosimile�fondatezza�della�domanda,�accertata�in�una�prima�som- maria�valutazione,� ^periculum�in�mora,�pericolo�che�nel�tempo�necessario�per�far�valere�il�diritto�in�via� ordinaria�questo�possa�subire�un�pregiudizio�grave�ed�irreparabile;� nel�caso�in�esame�la�prima�questione�da�valutare�riguarda�la�compatibilita��,teorica�e� pratica,�tra�la�procedura�d'urgenza,�attivata�da�E.B.,�ed�il�ricorso�incidentale�alla�Corte� Costituzionale�che�lo�stesso�ricorrente�chiede�al�Giudice�di�attivare;� la�questione�ha�carattere�definitivo�in�quanto,�come�detto,�la�cessazione�del�ricorrente� dall'incarico�e��avvenuta�in�applicazione�della�legge�n.�145/2002�ed�in�particolare�dell'art.�3� comma�7�della�legge�stessa;� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� orbene,�tale�norma�prevede�che�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e� quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�cessino�automaticamente� entro�il�sessantesimo�giorno�successivo�alla�entrata�in�vigore�della�legge;� la�norma�quindi�nel�prevedere�la�cessazione�automatica�degli�incarichi�dirigenziali,�con� riferimento�alle�posizioni�c.d.�apicali�delle�Amministrazioni�e�degli�Enti,�si�pone�come�``osta- colo''�alla�concessione�della�tutela�invocata�da�E.B.;� in�altre�parole,�sembra�al�Giudice�che�nel�vigore�della�norma�citata�la�cessazione�dell'in- carico�di�E.B.�non�possa�che�ritenersi�legittima;� ne�puo�essere�condivisa�la�censura�relativa�alla�mancanza�di�attivita�istruttoria�e�di� motivazione�in�quanto�la�legge,�nel�prevedere�un�meccanismo�di�cessazione�automatica,� salva�la�possibilita�di�conferma�entro�un�termine�stabilito,�evidentemente�esclude�la�necessita� che�alla�revoca�dell'incarico�dirigenziale�si�giunga�attraverso�un�procedimento�amministra- tivo�di�verifica�dei�risultati�conseguiti�con�adozione�di�un�provvedimento,�di�revoca�appunto� o�di�conferma,�che�certamente�non�potrebbe�che�essere�(necessariamente) motivato;� il�legislatore,�con�la�norma�in�esame,�ha�invece�adottato�un�meccanismo�automatico�e� generalizzato�di�cessazione�degli�incarichi�(e�non�di�revoca) prevedendo�come�derogatoria� la�possibilita�della�conferma�entro�il�termine�prefissato;�tale�meccanismo,�appunto�per�la� sua�generalita�ed�automaticita�,�non�richiede�l'adozione�di�un�atto�di�volonta�da�parte�della� P.A.�ai�fini�della�cessazione�dell'incarico,�cessazione�che�avviene�automaticamente�se�non� impedita�tempestivamente�con�la�conferma;� la�norma�quindi�rende,�a�parere�del�Giudice,�legittima�la�cessazione�dell'incarico�di�E.B.� e,�in�questo�senso,�si�pone�come�``ostacolo''�alla�concessione�della�invocata�tutela�restitutoria;� si�consideri,�al�riguardo,�che�la�``disapplicazione''�di�una�norma�di�legge,�anche�se�rite- nuta�illegittima�per�contrasto�con�la�Carta�Costituzionale,�esula�dai�poteri�concessi�al�G.O.� il�quale�e�tenuto�ad�applicare�la�legge�in�vigore�fino�a�quando�la�stessa�non�sia�espulsadal- l'ordinamento�ad�opera�dei�soggetti�istituzionali�cui�tale�potere�appartiene;� nel�caso�in�cui,�dunque,�questo�Giudice�ritenesse�``non�manifestamente�infondata'',�oltre� che�``rilevante'',�la�questione�di�costituzionalita�come�proposta�dal�ricorrente,�altro�non� potrebbe�fare�che�sollevare�la�questione�stessa�davanti�alla�Corte�Costituzionale�sospen- dendo,�nelle�more�del�giudizio�della�Corte,�la�procedura�d'urgenza;� tale�meccanismo,�pur�giuridicamente�ammissibile,�appare�concretamente�inidoneo�ad� assicurare�a�E.B.�la�tutela�che�egli�oggi�invoca;� sulla�giuridica�ammissibilita�del�suddetto�meccanismo�si�osserva�che�il�ricorso�inciden- tale�alla�Corte�Costituzionale�puo�essere�attivato,�come�noto,�in�ogni�giudizio�che�si�svolga� davanti�ad�una�autorita�avente�natura�giurisdizionale�e�dotata�di�competenza�decisoria;� la�Corte,�peraltro,�ha�adottato�in�materia�criteri�piuttosto�estensivi�riconoscendo�carat- teri�di�``giudizio''�a�procedimenti�che,�quale�che�sia�la�loro�natura�e�modalita�di�svolgimento,� si�compiano�alla�presenza�e�sotto�la�direzione�del�titolare�di�un�ufficio�giurisdizionale�come,� ad�esempio,�in�materia�di�``volontaria�giurisdizione''�(decisioni�4/56, 129/57�e�24/58) edi� provvedimenti�del�giudice�istruttore�in�sede�civile�(n.�73/81) oltre�che�ai�procedimenti�davanti� al�magistrato�di�sorveglianza�sull'esecuzione�della�pena�e�sulla�applicazione�delle�misure�di� sicurezza,�o�anche�nel�caso�del�procedimento�penale�per�decreto;� in�questo�senso�non�sembra�che�possa�negarsi�al�procedimento�cautelare�che�si�svolge,� nel�contraddittorio�delle�parti,�davanti�al�Giudice�civile�natura�di�``giudizio''�nell'ambito�del� quale�ben�puo�essere�sollevata�una�questione�incidentale�di�costituzionalita�;� tuttavia,�come�detto,�tale�meccanismo�non�appare�concretamente�idoneo�ad�assicurare�a� E.B.�la�tutela�dei�sui�diritti,�almeno�nei�termini�nei�quali�egli�l'ha�invocata;� facendo�ricorso�al�procedimento�cautelare�egli�infatti�ha�sostenuto�di�non�poter�atten- dere�il�tempo�necessario�per�un�ordinario�giudizio�di�merito�in�quanto,�nelle�more�dello� stesso,�il�suo�diritto�avrebbe�subito�un�danno�grave�ed�irreparabile�(c.d.�periculum in mora);� orbene,�non�essendo�possibile,�per�quanto�esposto,�concedere�al�ricorrente�la�tutela� invocata�fino�alla�rimozione�(eventuale) della�norma�di�legge�che�legittima�l'azione�della� P.A.�convenuta,�l'eventuale�accoglimento�della�sua�domanda�potrebbe�essere�pronunziato� solo�a�seguito�della�decisione�favorevole�della�Corte�Costituzionale�e�quindi�adistanzadi� un�tempo�ben�maggiore�rispetto�a�quello�necessario�per�un�ordinario�giudizio�di�merito�cele- brato�secondo�il�rito�del�lavoro;� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� anche�in�riferimento�alla�domanda�relativa�al�mancato�conferimento�di�incarico�equiva- lente�deve�ripetersi�quanto�gia�esposto�in�tema�di�non�necessita�di�istruttoria�e�motivazione� da�parte�della�P.A.;� si�consideri,�comunque,�che�l'attuale�sistema�normativo�in�materia�di�dirigenza�pubblica� espressamente�prevede�la�temporaneita�degli�incarichi�e�la�possibilita�che�il�dirigente,�privo� di�incarico,�sia�adibito�a�compiti�di�studio,�consulenza,�ricerca�o�ispezione�(art.�19,�comma� 10,�d.lvo�n.�165�del�2001);�in�questo�senso�la�doglianza�di�E.B.�non�sempra�condivisibile� almeno�con�riguardo�al�requisito�del�periculum in mora posto�che,�come�detto,�ne�la�titolarita� di�uno�specifico�incarico�ne�la�possibilita�di�accedere�a�nuovi�incarichi�possono�considerasi� diritti�stabili�ed�acquisiti�per�il�dirigente�pubblico;� in�conclusione�la�domanda�di�E.B.�deve�essere�respinta�in�quanto,�allo�stato,�la�norma�di� legge�in�vigore�esclude�la�fondatezza�della�sua�pretesa�ed�il�procedimento�necessario�ai�fini� della�(possibile)�abrogazione�della�norma�stessa�non�sarebbe�in�grado�di�tutelare�``immedia- tamente''�le�sue�ragioni,�cos|�come�presupposto�dalla�procedura�alla�quale�egli�ha�fatto� ricorso;� le�spese�vanno�compensate�per�evidenti�ragioni�di�equita�ed�attesa�la�mancata�pronunzia� nel�merito�degli�aspetti�decisivi�della�domanda;� P.Q.M.: Respinge�il�ricorso.�Spese�compensate�(omissis).� Roma,�19�febbraio�2003�.� Tribunale di Roma, Sezione lavoro, primo grado ^Ordinanza 25 febbraio 2003 ex art. 700 c.p.c. ^C.M.�c/�Ministero�dell'Istruzione,�Universita�e�Ricerca,�Presidenza�del�Consi- glio�dei�Ministri,�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica�e�c/�D.S.G.� �(omissis) La�questione�all'esame�di�questo�giudice�involge�in�primo�luogo�la�possibilita� di�invocare�con�domanda�principale�^ed�avanzata�in�un�ricorso�d'urgenza�^la�questione�di� legittimita�costituzionale�della�norma�rilevante�nella�fattispecie.�L'art.�3,�comma�VII,�della� legge�n.�145/2002�dispone�infatti�la�cessazione�dell'incarico�di�funzione�dirigenziale�di�livello� generale�ovvero�di�quello�di�direttore�generale�degli�Enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�entro� il�sessantesimo�giorno�dalla�sua�entrata�in�vigore�nonche�la�riattribuzione�di�un�incarico�di� livello�retributivo�equivalente,�ovvero�ancora,�ove�cio�non�sia�possibile,�un�incarico�di�studio,� sempre�con�il�mantenimento�del�trattamento�economico�precedente:�e�in�applicazione�di�tale� disposizione,�infatti,�che�il�ricorrente�ha�visto�revocare�il�proprio�incarico�di�direzione�gene- rale�con�attribuzione�di�un�incarico�di�studio�della�durata�di�un�anno.�Recita�la�disposizione� in�questione:�``Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�le�disposi- zioni�di�cui�al�presente�articolo�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi� di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici� vigilati�dallo�Stato�ove�e�prevista�tale�figura.�I�predetti�incarichi�cessano�il�sessantesimo� giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�esercitando�i�titolari�degli�stessi� in�tale�periodo�esclusivamente�le�attivita�di�ordinaria�amministrazione.�Fermo�restando�il� numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di� livello�non�generale�puo�procedersi,�entro�novanta�giorni�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della� presente�legge,�all'attribuzione�di�incarichi�ai�sensi�delle�disposizioni�di�cui�al�presente�arti- colo,�secondo�il�criterio�della�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse�procedure�previste�dagli� articoli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il�quadriennio�1998-2001�del� personale�dirigente�dell'Area�1.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi�si�intendono�confermati,� ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.�In�sede�di�prima�applicazione�dell'articolo�19� del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�come�modificato�dal�comma�1�del�presente�arti- colo,�ai�dirigenti�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto�e�conferito�un� incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio�non�sia�possibile,�per� carenza�di�disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qualita� professionali,�al�dirigente�e�attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�prece- dente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno.�La�relativa�maggiore� spesa�e�compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,�un�numero�diincarichi� di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo�conto�prioritariamente� dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico''.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Questo�Tribunale�afferma�a�riguardo�l'inammissibilita�di�un�provvedimento�di�urgenza� a�tutela�di�una�posizione�soggettiva�compressa�o�condizionata�da�una�legge�ordinaria�sospet- tata�di�incostituzionalita�ecio�in�quanto�si�anticiperebbero�gli�effetti�di�una�dichiarazione� di�incostituzionalita�e�si�sconfinerebbe�nelle�prerogative�riservate�al�giudice�delle�leggi�e�dello� stesso�legislatore�quando�il�preciso�dettato�costituzionale�^art.�101,�comma�2,�Cost.�^che� assoggetta�il�giudice�alla�legge,�ne�impone�la�stretta�applicazione�(in�tal�senso�v.�anche�la� recente�Ord.�Trib.�sez.�IV�Lavoro�di�Roma�del�5�febbraio�2003)�R.�c/�Ministero�dell'Istru- zione�^A,�agli�atti).�Il�procedimento�giurisdizionale,�per�altro�verso,�non�puo�che�costituire� l'occasione�per�investire�il�giudice�delle�leggi�del�sindacato�di�legittimita�costituzionale,�lo� strumento�attraverso�il�quale�il�giudice�a quo opera�una�valutazione�esclusivamente�volta�a� stabilire�la�rilevanza�e�non�manifesta�infondatezza�della�lamentata�dissonanza�della�norma� applicata�nel�caso�di�specie,�rispetto�ai�principi�costituzionali,�ma�non�puo�riguardare�diret- tamente�ed�immediatamente�la�fondatezza�della�relativa�questione.�Va�ribadita�quindi�la� impossibilita�di�disapplicare�la�norma�di�legge,�e�cio�anche�in�via�provvisoria�ed�in�conside- razione�del�carattere�strumentale,�contingibile�ed�urgente�del�procedimento�che�ci�occupa.� Ne�appare�compatibile�con�i�principi�ispiratori�della�tutela�cautelare�la�sospensione�(ex art.� 23,�comma�2,�della�legge�11�marzo�1953,�n.�87)�che�la�remissione�della�questione�alla�Corte� Costituzionale�implica,�senza�contare�che,�emesso�il�provvedimento�finale�della�relativa�fase,� il�giudice�dell'urgenza�si�spoglia�di�ogni�potere�in�relazione�al�caso�deciso�(mentre�l'eventuale� giudizio�positivo�sulla�rilevanza�della�questione,�sarebbe�comunque�condizionato�dalla�con- ferma�del�provvedimento�ex art.�700�c.p.c.�da�parte�del�giudice�del�reclamo).� In�ogni�caso�si�ritengono�necessarie�alcune�precisazioni.� In�primo�luogo�non�puo�non�rilevarsi�che�il�nuovo�assetto�normativo�ha�ridisegnato�la� disciplina�della�dirigenza�valorizzando�il�rapporto�strettamente�fiduciario�dei�dirigenti�di� piu�alto�grado�con�l'autorita�governativa�(v.�fra�l'altro�la�riduzione�del�termine�massimo�di� durata�dell'incarico�e,�per�i�dirigenti�di�vertice,�la�cessazione�automatica�dopo�novanta� giorni�dalla�fiducia�al�governo�ex art.�19,�comma�8,�d.lgv.�165/2001,�come�novellato)�mentre� anche�la�disciplina�transitoria,�in�questa�sede�oggetto�di�censure,�si�spiega�proprio�in�ragione� della�necessita�di�creare�un�raccordo�con�il�nuovo�modello�previsto�nella�legge�n.�145/2002� (la�quale,�all'art.�3,�commaVII,�precisaancheche�``...�le�disposizionidicuialpresente�arti- colo�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di� livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e� prevista�tale�figura'').� Come�chiarito�anche�con�la�circolare�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipar- timento�Funzione�Pubblica,�richiamata�da�tutte�le�parti�costituite,�la�legge�n.�145/2002�sul� riordino�della�dirigenza,�ha�profondamente�mutato�l'assetto�complessivo�della�dirigenza�sta- tale,�con�particolare�riguardo�al�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�(direttamente�inci- dendo�sul�D.Lgv.�165/2001)�valorizzando�le�responsabilita�politiche�degli�organi�di�vertice� delle�amministrazioni�nella�scelta�dei�dirigenti�ritenuti�maggiormente�idonei�ad�attuare�gli� obiettivi�programmatici�(confr.�circ.�all.�n.�7�di�parte�ricorrente).�E�stato,�in�particolare,� ribaltato�il�criterio�cui�era�ispirato�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�dello�Stato,� con�la�abrogazione�del�ruolo�unico�e�della�successiva�facolta�di�procedere�al�conferimento� dell'incarico�mediante�stipula�di�contratto�di�diritto�privato.� Per�quanto�interessa�in�questa�sede�la�Funzione�Pubblica�fornisce�anche�dei``chiari- menti�interpretativi,�riferiti�al�periodo�di�immediata�attuazione�della�legge''�in�ragione�della� delicatezza�della�fase�di�superamento�del�precedente�assetto�normativo�caratterizzato�dal� rilievo�centrale�del�contratto�individuale�di�lavoro�nella�definizione�dell'oggetto�e�degli�obiet- tivi�degli�incarichi�dirigenziali�ed�in�cui�la�piena�attuazione�del�nuovo�modello�organizzativo� e�subordinata�alla�costituzione�dei�ruoli�dirigenziali�delle�singole�amministrazioni.�L'art.�3,� comma�7,�si�legge,�individua�il�nucleo�essenziale�del�regime�transitorio�della�nuova�disciplina� diretta�ad�incidere�su�due�tipi�di�incarichi,�in�corso�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge� (dirigenziali�dei�ruoli�delle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo�e� di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato).�Quanto�alla�cessazione�la�regola� comune�e�l'introduzione�del�termine�legale�entro�i�sessanta�giorni�dalla�data�di�entrata�in� vigore�della�legge�(per�cui�l'incarico�cessa�in�ragione�del�mero�decorso�del�tempo�e�l'even- tuale�provvedimento�ha�solo�effetti�dichiarativi).�Quanto�alla�posizione�del�dirigente�cessato� l'amministrazione�dovra�:�attribuire�lo�stesso�incarico�cessato,�attribuire�un�incarico�di�livello� IL CONTENZIOSO NAZIONALE retributivo equivalente ovvero un incarico di studi, con il mantenimento del trattamento eco- nomico precedente, della durata massima di un anno. Il provvedimento di conferimento del- l'incarico anche nella fase di immediata applicazione della legge ha carattere provvedimen- tale (il contratto accessivo ha contenuto meramente economico) e quindi si ponecomedeter- minazione conclusiva di un procedimento amministrativo nel quale si manifesta l'interesse pubblico correlato al perseguimento degli obiettivi definiti dall'organo di indirizzo politico- amministrativo. Il riferimento ai principi generali del procedimento amministrativo (regole partecipative e comunicazioni di avvio del procedimento) si riferisce, quindi, alla fase proce- dimentale concernente la determinazione riguardante l'incarico di affidare al dirigente ces- sato, ma non opera in relazione alla automatica cessazione dell'incarico (il quale discende da un effetto legale). Del resto, e� questa considerazione che permette di ritenere che il presupposto per la attribuzione dell'incarico equivalente e� la disponibilita� ``di un posto con queste caratteristi- che oggettive'' e che tale disponibilita� va verificata ``... all'esito delle altre assegnazioni agli uffici di livello dirigenziale generale ..'', mentre e� chiaro che l'ulteriore valutazione relativa al possesso delle specifiche qualita� , ovvero la valutazione comparativa, si rende necessaria solo in caso di esito positivo della prima verifica (V. circ. richiamata, pag. 15). Nella fattispecie pertanto la doglianza relativa alla mancata istruttoria non puo� riguar- dare la indisponibilita� di ``funzione equivalente'' (sub. 1-ter conclusioni di cui al ricorso), mentre solo alla positiva verifica di incarichi disponibili avrebbe potuto conseguire una atti- vita� di valutazione e/o comparazione. Del resto anche la nozione di equivalenza appare condizionata dalla esclusione ad opera dell'art. 19 del d.lgv. 165/2001 non modificato dalla legge n. 145/2002 sul punto della operativita� dell'art. 2103 c.c. nel caso de quo (``Alconferimento degli incarichie alpassaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile''), residuando un riferimento alla sola equiparazione retributiva (art. 13 CNL 98-01), come in effetti sottolineato anche dall'art. 3, comma VII (... ai dirigenti ai quali non sia riattribuito l'incarico in precedenza svolto e� conferito un incarico di livello retributivo equivalente al precedente). Non appare sostenibile, di poi, che la verifica degli incarichi retributivi di livello equiva- lente debba essere effettuata anche nell'ambito delle altre amministrazioni in quanto se e� vero che la abrogazione del regolamento del ruolo unico di cui al d.P.R. n. 150/99 e� differita all'entrata in vigore del nuovo regolamento, e� anche vero che la ormai nota circolare precisa che ``Le nuove procedure per i conferimenti degli incarichi vanno immediatamente applicate, anche nella fase transitoria, indipendentemente dalla piena operativita� dei singoli ruoli diri- genziali delle amministrazioni dello Stato'' e cio� in quanto le nuove percentuali concernenti le aliquote riguardanti il conferimento degli incarichi di cui si discute, sono riferite alla dota- zione organica dei posti di ciascuna amministrazione (come dimostra il fatto che nel pro- porre l'incarico di funzione dirigenziale di livello generale le singole amministrazioni deb- bono formulare la loro proposta, con l'indicazione del tipo di incarico, ``nel rispetto delle percentuali previste dall'art. 19, commi 4, 5-bis,5-ter e 6, anche allo scopo di verificare il limite delle nuove misure eventuali stabilite dall'ordinamento per ciascun ambito di capienza in relazione alla dotazione organica di ciascuna amministrazione ..'' (il comma IV dell'art. 19 del d.lgv. 165/2001 impone al Ministro di orientare la sua scelta fra i dirigentidiprima fascia dei ruoli di cui all'art. 23, oppure in misura non superiore al 50% della relativa dota- zione, glialtri dirigentiappartenentiaimedesimiruoli;ruoli che anorma dell'art. 23 nuovo testo del d.lgv. 165/2001 sono quelli esistenti presso ogni singolo Ministero ^I e II fascia). Risultando, in definitiva, il comportamento della Amministrazione in diretta applica- zione della legge e non potendo spingersi il sindacato di questo giudice, per le ragioni dette, nel merito del sospetto di incostituzionalita� ,non puo� non affermarsi la insussistenza dei pre- supposti della tutela azionata. La natura del comportamento della Amministrazione, sostan- zialmente attuativo del dettato di legge non permette, peraltro, di riconnettere al provvedi- mento con il quale il ricorrente e� stato privato del suo originario incarico, ovvero alla man- cata attribuzione di incarico di livello retributivo equivalente, quella valenza negativa a cui il C.M. collega la esistenza del pregiudizio quanto al danno lamentato alla sua professiona- lita� ed immagine professionale (al di la� del pregiudizio relativo alla perdita del trattamento economico che lo stesso avrebbe percepito sino alla originaria scadenza dell'incarico, pregiu- dizio quest'ultimo, tuttavia, suscettibile di riparazione per equivalente). Si vuol dire, in altre RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO parole, che non puo� essere considerata ingiusta la diminuzione riguardante una posizione soggettiva quando la stessa, come nella fattispecie, deriva direttamente dalla legge e che quelli che possono essere vissuti come atti prevaricatori e discriminanti (in sede di discus- sione orale la parte ricorrente ha evidenziato soprattutto il pregiudizio derivategli dalla intrinseca valutazione negativa), non possono assumere tali connotazioni qualora si consi- deri il loro collegamento al mero fattore temporale e non ad una valutazione di merito (ovvero disciplinare), dell'operato del dirigente. Nondimeno anche nella specificita� della vicenda processuale che ci occupa ed in consi- derazione del tempo di deposito del ricorso, non puo� sottacersi la prospettazione del con- trointeressato (sviluppata anche nella discussione orale), secondo la quale l'asserito pregiudi- zio, qualora esistente, ormai risulterebbe verificatosi, con riflessi sulla effettiva incidenza della tutela invocata in questa sede. Del resto le Amministrazioni resistenti evidenziano anche che la Corte dei Conti ha gia� provveduto alla registrazione di tutti i D.L.C.M. impu- gnati con la conseguenza della decisiva rilevanza, in termini di effettivita� , esclusivamente di una pronuncia, inibita in sede di g.o., direttamente incidente sull'atto (rectius: di annulla- mento). Alla stregua delle esposte considerazioni pertanto il ricorso non puo� trovare accogli- mento. Sussistono tuttavia giusti motivi, attesa la novita� della questione trattata, per disporre la integrale compensazione fra le parti delle spese processuali. Roma, 24 febbraio 2003�. Tribunale Civile di Roma, terza sezione lavoro, primo grado ^Ordinanza del 4 marzo 2003 e x art. 669-ter e 700 c.p.c. -(Avv. dello Stato G.P.de Figueiredo, cont. 1370/03). �(omissis) Tutto quanto premesso va osservato che il ricorso e� in parte fondato e va accolto, per quanto di ragione. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di carenza di inte- resse del ricorrente per intervenuta acquiescenza. Invero dal carteggio intercorso tra il ricorrente ed il Gabinetto del Ministro si evince con chiarezza che D.G. proponeva il possibile oggetto dell'incarico di studio, da indivi- duarsi nell'ambito della ``devolution'' alle Regioni, solo dopo che il Ministro si era deter- minato, a non riconfermare in capo al predetto l'incarico dirigenziale precedentemente da lui ricoperto. Cio� si desume dalla stessa lettera citata anche dalla difesa della Pubblica amministra- zione, risalente al 4 ottobre 2002 nella quale il ricorrente ``suggerisce'' alcune modifiche da apportare al testo del contratto di attribuzione di incarico di studio. Nella missiva del 4 ottobre 2002 (cfr. all. 7 di parte resistente) nella quale egli dichiara di aderire all'invito rivoltogli in data 7 ottobre 2002 per la stipula del contratto di incarico di studio, il ricorrente precisa che ``in nessun caso la sottoscrizione del contratto di cui trattasi potra� considerarsi come acquiescenza alle determinazioni che l'Amministrazione ha assunto nei miei confronti in sede di applicazione della legge n. 145/2002. Preciso anzi che mi riservo di tutelare, nelle sedi competenti, i miei dirittiedinteressi connessi al mancato conferimento dell'incarico in precedenza svolto o di un incarico di livello retributivo equivalente al precedente''. Da quanto esposto puo� affermarsi che se la dimostrata conoscenza del ricorrente in ordine alla determinazione della P.A. di non riconfermargli l'incarico dirigenziale precedente svolto vale ad escludere che egli possa dolersi di non essere stato informato in ordine all'av- vio del procedimento relativo alla mancata sua riconferma e alla mancata attribuzione di incarico equivalente non puo� altres|� affermarsi che egli abbia prestato acquiescenza alle determinazioni della Pubblica amministrazione di attribuirgli l'incarico di studio. Parimenti non puo� affermarsi che il ricorso, depositato il 18 dicembre 2002, e� stato tar- divamente proposto, come affermato dalla controinteressata, ovvero circa 3 mesi dopo la nomina di quest'ultima (20 settembre 2002) nell'incarico da lui precedentemente svolto. Va infatti ricordato che solo ai primi di novembre del 2002 il ricorrente ha avuto accesso ai documenti amministrativi e quindi solo all'esito di tale esame ha potuto svolgere compiutamente le proprie difese. IL CONTENZIOSO NAZIONALE Cio� posto ritiene il giudicante che nella presente sede cautelare non possa sollevarsi la prospettata questione di legittimita� costituzionale. Invero pur essendo questo giudice consapevole dell'esistenza di contrari orientamenti, si ritiene che le esigenze di celerita� e sommarieta� che connotano il presente procedimento cau- telare, presentato peraltro ante causam, quindi a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito al quale accede, sia del tutto contrastante con i tempi necessariamente lunghi che conseguono alla eventuale rimessione della questione alla Corte Costituzionale ed alla sospensione del presente giudizio. Inoltre il giudizio di verosimiglianza del diritto vantato, quindi il fumus boni iuris, non puo� essere riferito al possibile accoglimento da parte della Corte Costituzionale della ecce- zione d'incostituzionalita� della norma censurata ma va vagliato in relazione alla situazione di diritto positivo esistente secondo l'ordinamento vigente. Una soluzione contraria impor- rebbe all'odierno giudicante, in assenza di qualunque norma a riguardo, di anticipare il giu- dizio della Corte costituzionale appropriandosi del potere di disapplicare ante tempo una norma giuridica che invece deve ritenersi vigente sino alla eventuale pronuncia di accogli- mento della eccezione da parte della Corte Costituzionale. In caso diverso verrebbe violato il principio positivo nel nostro ordinamento, secondo cui il sindacato di legittimita� della legge e� accentrato in capo al Giudice delle leggi, ovvero alla Corte Costituzionale mentre al giudice a quo e� solo consentito di rimettere la questione, su istanza di parte o d'ufficio, alla Corte medesima. In sostanza o si dovrebbe sollevare la questione di legittimita� costituzionale in questa sede, senza emettere tuttavia alcun provvedimento cautelare, al fine di evitare ``anticipa- zioni'' rispetto al giudizio del giudice delle leggi, cos|� tuttavia frustrando la finalita� della tutela cautelare, oppure occorrerebbe verificare se, a prescindere dal giudizio della Corte Costituzionale, sussistono profili di illegittimita� nella condotta della P.A. rispetto alla legge n. 1145/2002 secondo quanto comunque prospettato dal ricorrente. Invero a prescindere dai profili di eccepita incostituzionalita� della legge, va osservato che il ricorrente ha dedotto che in ordine al mancato reincarico e/o attribuzione di incarico equivalente la P.A. ha omesso qualunque motivazione. La norma di cui all'art. 3, comma 7 della legge n. 145/2002 a riguardo disponeche: ``fermo restando il numero complessivo degli incarichi attribuibili, le disposizioni di cui al presente articolo trovano immediata applicazione relativamente agli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale, e a quelli di direttore generale degli enti pubblici vigilati dallo Stato ove e� prevista tale figura. I predetti incarichi cessano il sessantesimo giornodalla data di entrata in vigore della presente legge, esercitando i titolari degli stessi in tale periodo esclusivamente le attivita� di ordinaria amministrazione. In sede di prima applicazione del- l'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, come modificato dal comma 1 del presente articolo, ai dirigenti ai quali non sia riattribuito l'incarico in precedenza svolto e� conferito un incarico di livello retributivo equivalente al precedente. Ove cio� non sia possi- bile per carenza di disponibilita� di idonei posti di funzione o per la mancanza di specifiche qualita� professionali, al dirigente e� attribuito un incarico di studio, con il mantenimento del precedente trattamento economico, di durata non superiore ad un anno''. La norma teste� richiamata individua, quindi, una scansione temporale di passaggi gra- duali: dopo la scadenza ex lege di tutti gli incarichi di dirigenza generale con il decorso dei 60 giorni dall'entrata in vigore della legge (8 agosto 2002), al dirigente al quale non viene riconfermato il medesimo incarico viene attribuito o ``in via prioritaria'' un incarico equiva- lente, o, in via di mero subordine, in mancanza di funzioni equivalenti o delle specifiche qua- lita� professionali, viene attribuito un incarico di studio. Nel caso di specie, scaduto l'incarico di dirigente della Direzione generale della pro- grammazione sanitaria in capo al ricorrente, la P.A. si e� limitata a non attribuire alcun inca- rico di natura equivalente a D.G. senza effettuare, come invece imposto dalla norma, alcuna indagine in merito alla esistenza di altri incarichi di natura equivalente o, in alternativa, ad operare una valutazione in termini di mancanza di specifiche qualita� professionali del ricor- rente, assegnando invece tout court al medesimo l'incarico di studio. Appare sul punto opportuno rammentare che la stessa circolare della funzione pubblica del 31 luglio 2002 applicativa della legge 15 luglio 2002 n. 145, in linea di principio, pur sot- tolineando il carattere provvedimentale ^e quindi unilaterale ^della determinazione della RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� P.A.�del�conferimento�dell'incarico�dirigenziale�al�dirigente�cessato�dalle�originarie�funzioni,� specifica�che�l'attivita�in�questione�e�comunque�assoggettata�ai�principi�generali�del�procedi- mento�amministrativo;�nel�contempo,�al�punto�13,�nel�sottolineare�che�in�via�prioritaria�deve� essere�attribuito�al�dirigente�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�a�quello�preceden- temente�ricoperto�(ovvero�di�pari�fascia�o�di�retribuzione�complessiva�non�inferiore�al�10%� rispetto�a�quella�precedentemente�percepita)�specifica�l'obbligo�per�la�P.A.�di�verificare�la� disponibilita�materiale�di�posti�con�le�medesime�caratteristiche�oggettive�ed�il�possesso�di� specifiche�qualita�professionalita�richiamando�tutti�i�principi�di�cui�all'art.�19�del�D.lgs.� n.�165/2001.� La�circolare�inoltre�sottolinea�``la�necessita�di�esprimere�una�congrua�motivazione�in� merito�alla�decisione�di�non�attribuire�al�dirigente�cessato�un�incarico�di�livello�equivalente''.� Orbene�il�ricorrente�ha�anche�individuato�quale�potesse�essere�l'oggetto�dell'incarico� equivalente,�ovvero�di�preposizione�all'ufficio�di�controllo�interno,�incarico�tra�l'altro�gia� dal�medesimo�ricoperto�per�due�anni�sino�al�marzo�2000,�come�specificato�da�lui�(cfr.�pag.� 51�del�ricorso),�o,�in�alternativa,�di�incarichi�vacanti�presso�l'Ispesl.� Va�osservato�che�sul�punto�l'Amministrazione�non�ha�svolto�alcuna�specifica�difesa� limitandosi�ad�affermare�che�il�conferimento�dell'incarico�dirigenziale�costituisce�espres- sione,�e�questo�non�e�dubitabile,�di�attivita�discrezionale�e�quindi�per�cio�solo�senza�obbligo� di�motivazione.� Sotto�tale�profilo�il�comportamento�della�P.A.�deve�essere�censurato�in�quanto�non� rispettoso�della�disposizione�di�legge�sopra�richiamata.� Sussiste�anche�il�periculum in mora consistente�nel�danno�all'immagine�e�alla�professio- nalita�acquisita�dal�ricorrente�ed�attestata�dalla�copiosa�documentazione�prodotta,�che� potrebbe�subire�un�pregiudizio�irreparabile�dal�mancato�esercizio�delle�funzioni�per�un�lasso� di�tempo�non�inferiore�a�minimo�due�anni,�tenuto�conto�dei�realistici�tempi�di�durata�di�un� processo,�occorrente�a�far�valere�il�proprio�diritto�in�via�ordinaria.� Va�pertanto�ordinato�alla�Pubblica�Amministrazione,�in�persona�del�ministro�pro tem- pore del�Ministero�della�salute,�di�attribuire�al�dott.�D.G.�l'incarico�del�serviziodicontrollo� interno�del�Ministero�o�comunque�di�altro�incarico�di�livello�equivalente�in�essere�alla�data� dell'8�ottobre�2002.� Il�governo�delle�spese�del�presente�giudizio�va�rimesso�all'esito�del�giudizio�di�merito�da� instaurarsi�entro�30�giorni�dalla�comunicazione�della�presente�ordinanza,�come�per�legge.� P.Q.M.: ordina�al�Ministero�della�Salute,�in�persona�del�Ministro�pro tempore,�di�attri- buire�a�D.G.�l'incarico�equivalente�di�Direttore�del�Servizio�di�controllo�interno�del�Mini- stero�suddetto,�o�di�altro�incarico�equivalente;� fissa�il�termine�di�giorni�trenta�per�l'instaurazione�del�giudizio�di�merito�all'esito�del� quale�rimette�il�governo�delle�spese�del�presente�procedimento.� Roma,�4�marzo�2003�.� Tribunale di Roma, primo grado ^Ordinanza del 13 marzo 2003 ^M.P.�c/�Ministero�dell'I- struzione,�Universita�e�Ricerca,�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento� della�Funzione�Pubblica�e�c/�C.A.� �(omissis) Tanto�premesso,�osserva�il�giudice�che�va�preliminarmente�rilevata�la�incom- patibilita�tra�la�tutela�in�via�d'urgenza�garantita�dal�ricorso�ex art.�700�c.p.c.�e�la�prospettata� questione�di�illegittimita�costituzionale�dell'art.�3,�comma�7,�d.lgs�154/2002,�che�ha�disposto� la�cessazione�ope legis degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�dal�sessante- simo�giorno�dalla�entrata�in�vigore�della�legge.�Come�gia�osservato�dal�Tribunale�di�Roma,� nell'ordinanza�del�3�febbraio�2003,�emessa�in�questione�assolutamente�identica,�``L'analisi� della�questione�nella�presente�sede�presupporrebbe�che�il�giudice�della�cautela,�qualora�ne� ravvisasse�la�ammissibilita�e�rilevanza,�o�dovrebbe�sospendere�il�procedimento�e�rimettere� gli�atti�alla�Corte�Costituzionale,�oppure�dovrebbe�concedere�il�provvedimento�all'esito�di� un�giudizio�prognostico�di�presumibile�accoglimento�della�questione�da�parte�della�Corte� Costituzionale,�con�successiva�rimessione�degli�atti�alla�Corte.�Entrambe�le�soluzioni�non� appaiono�tuttavia�percorribili,�alla�stregua�del�diritto�positivo.�La�prima,�perche�l'attesa�di� una�eventuale�pronuncia�di�incostituzionalita�,�richiedente�termini�notoriamente�lunghi,�vani- ficherebbe�l'esigenza�di�immediatezza�della�tutela,�che�caratterizza�il�ricorso�all'art.�700� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� c.p.c.�La�seconda,�perche�darebbe�luogo�ad�una�abnorme�disapplicazione�della�legge,�pre- clusa�al�giudice�ordinario,�come�ben�evidenziato�dalla�giurisprudenza�di�legittimita�,�laddove� ha�sancito,�in�caso�di�anticipazione�del�giudizio�di�incostituzionalita�di�una�legge�da�parte� del�giudice�adito�in�sede�cautelare,�l'esorbitanza�dai�suoi�poteri�e�la�violazione�delle�norme� che�regolano�l'intervento�dell'organo�di�controllo�costituzionale,�dunque�la�violazione�del� dovere�di�applicare�le�leggi�vigenti,�``che�solo�la�Corte�Costituzionale�o�lo�stesso�potere�legi- slativo�possono�rendere�inoperanti''�(Cass.civ.�sez.�lav.�7�dicembre�1989�n.�13415;�Cass.civ.� SS.UU�7�luglio�1988�n.�4476).�Ed�invero,�il�giudizio�prognostico�favorevole�sull'esito�della� causa�di�merito,�in�cui�si�sostanzia�l'esame�delfumus boni iuris,�va�necessariamente�effettuato� alla�stregua�del�diritto�vigente''.� Per�le�considerazioni�esposte,�va�esclusa�la�possibilita�di�esaminare�il�ricorso�relativa- mente�alla�parte�fondata�sulla�lamentata�illegittimita�costituzionale�della�norma�in�esame.� Passando�all'esame�dei�profili�di�illegittimita�con�riferimento�al�vigente�assetto�norma- tivo,�il�giudice�osserva�che�il�ricorso�e�infondato�per�mancanza�di�entrambi�i�presupposti.� Sotto�il�profilo�del�fumus boni iuris,�va�fatto�rilevare�che�l'art.�3�della�legge�n.�154/2002� ha�introdotto�una�sostanziale�modifica�in�materia�di�incarichi�di�funzioni�dirigenziali,�con� l'abrogazione�del�ruolo�unico�e�della�successiva�facolta�di�procedere�al�conferimento�dell'in- carico�mediante�stipula�di�un�contratto�di�diritto�privato,�con�la�espressa�previsione�(cfr.� comma�1,�art.�19,�cos|�come�modificato�dall'art.�3,�c.l.,�lett.�A,�legge�n.�145/2002) della�inap- plicabilita�dell'art.�2103�c.c.�(non�derogabile�da�contratti�o�accordi�collettivi), con�l'accentua- zione�del�carattere�fiduciario�delle�nomine�dirigenziali.� Con�l'art.�3�legge�n.�415/2002,�il�legislatore�ha�espressamente�previsto�che�le�nuove� disposizioni�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�di� livello�generale''�e�che�gli�incarichi�dirigenziali�di�livello�generale�in�essere�cessano�il�sessan- tesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge''�e�che�``ai�dirigenti�ai�quali� non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto�e�conferito�un�incarico�di�livello�retribu- tivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio�non�sia�possibile,�per�carenza�di�disponibilita�di�posti� di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qualita�professionali,�al�dirigente�e�attribuito� un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�precedente�trattamento�economico,�di�durata� non�superiore�ad�un�anno''. Orbene,�con�tale�nuova�disciplina�il�legislatore,�cos|�come�chiarito�nella�circolare� 31�luglio�2002�del�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica,�allegata�agli�atti,�ha�introdotto� ``un�termine�legale�finale�di�durata�degli�incarichi�dirigenziali�di�livello�generale�e�di�quelli� di�direttore�generale�in�atto'',�con�la�conseguenza�che�l'effetto�della�cessazione�dell'incarico� va�ricondotta�direttamente�alla�legge�e�basata�esclusivamente�sul�decorso�del�tempo,�con� cio�escludendo�un�obbligo�di�motivazione.� Tale�circolare�ha�chiarito�inoltre,�che�l'attribuzione�del�nuovo�incarico�costituisce�l'atto� conclusivo�di�un�procedimento�(essendo�la�cessazione�dell'incarico�un�effetto�legale),�volto� ad�assicurare�il�perseguimento�dei�programmi�e�degli�obiettivi�ministeriali.� In�tale�procedimento�non�e�stata�individuata�alcuna�posizione�di�favore�in�capo�a�coloro� che�ricoprivano�gli�incarichi�dirigenziali,�ma�riservata�loro�una�speciale�garanzia,�in�caso�di� mancata�riassegnazione�nella�medesima�posizione�o�in�incarico�equivalente.� Cos|�delineato�il�meccanismo�introdotto�dalla�legge�n.�145/2002,�bisogna�prendere�atto� della�rilevanza�data�dal�legislatore�ad�altri�fattori�che�possono�determinare�la�possibilita�di� reincarico,�quale�la�sussistenza�di�uno�stretto�rapporto�fiduciario�con�il�Ministro�e�la�rite- nuta�affidabilita�politica�del�soggetto�incaricato.�Con�il�nuovo�sistema�i�dirigenti�generali� vengono�chiamati�a�svolgere,�come�opportunamente�messo�in�rilievo�dalle�parti�convenute,� un�ruolo�chiave�per�1a�concreta�attuazione�delle�linee�politiche�del�Ministro,�ferma�restando� la�distinzione�fra�l'attivita�di�governo�che�e�di�indirizzo�politico�^amministrativo�e�come�tale� riservata�al�Ministro,�e�l'attivita�gestionale,�riservata�in�via�esclusiva�alla�dirigenza.� Va�al�riguardo�fatto�rilevare�che�il�convenuto�C.A.�ha�dedotto,�senza�che�sul�punto�sia� intervenuta�smentita�da�parte�del�ricorrente,�che�nel�caso�M.I.U.R.�a�fronte�di�trenta�incari- chi�di�livello�dirigenziale�conferiti�dall'allora�Ministro�De�Mauro,�a�due�mesi�dalla�fine�della� legislatura,�si�sono�avute�20�conferme.� In�ordine�alla�dedotta�illegittimita�della�mancata�conferma�per�mancata�comunicazione� dell'avvio�del�procedimento�e�del�diniego�di�incarico�equivalente,�va�richiamato�quanto�gia� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� sopra�detto�in�merito�alla�cessazione�dell'incarico�quale�effetto�della�nuova�legge.�Cio�posto,� non�vi�era�alcuna�necessita�di�comunicazione�di�avvio�del�procedimento,�proprio�perche�la� cessazione�non�accedeva�ad�un�provvedimento�amministrativo�assunto�nel�corso�di�un�proce- dimento,�ma�essa�costituiva�l'effetto�immediato�della�legge.� La�circolare�del�31�luglio�2002�ha�poi�chiarito:�``...�Si�intende�peraltro�che�la�comunica- zione�e�riferita�esclusivamente�alla�fase�procedimentale�concernente�la�determinazione� riguardante�l'incarico�da�affidare�al�dirigente�cessato�dalle�originarie�funzioni.�Le�regole� procedimentali,�invece,�non�possono�operare�in�relazione�alla�automatica�cessazione�dell'in- carico,�trattandosi�di�un�effetto�legale,�che�prescinde�dallo�svolgimento�di�un�autonomo�pro- cedimento....''.� In�ordine�alla�doglianza�relativa�alla�mancata�istruttoria,�occorre�rilevare�che�secondo� lo�schema�procedimentale�delineato�dal�legislatore�con�la�legge�qui�in�esame,�nel�caso�de quo occorreva�soltanto�verificare�la�sussistenza�di�posti�aventi�ad�oggetto�funzioni�equiva- lenti;�e�tale�verifica�ha�avuto�esito�negativo.� Per�quanto�riguarda�poi�le�vacanze�esistenti�presso�altri�Ministeri,�tale�possibilita� appare�in�radice�esclusa�dalla�volonta�del�legislatore�di�sopprimere�il�ruolo�unico�della�diri- genza;�la�circolare�piu�volte�richiamata�ha�inoltre�precisato�che�``Le�nuove�procedure�per�i� conferimenti�degli�incarichi�vanno�immediatamente�applicate,�anche�nella�fase�transitoria,� indipendentemente�dalla�piena�operativita�dei�singoli�ruoli�dirigenziali�delle�amministrazioni� dello�Stato�...''e�cio�in�quanto�le�nuove�percentuali�concementile�aliquote�riguardanti�il�con- ferimento�degli�incarichi�di�cui�si�discute,�sono�riferite�alla�dotazione�organica�dei�posti�di� ciascuna�amministrazione.� Apparendo�il�comportamento�della�Amministrazione�in�linea�con�la�nuova�legge,�deve� dichiararsi�la�insussistenza�delfumus boni iuris.� La�mancanza�di�tale�presupposto�rende�superfluo�l'esame�dell'eventuale�periculum in mora;�al�riguardo,�va�fatto�rilevare�che�l'attuale�sistema�normativo,�in�materia�di�dirigenza� pubblica�espressamente�prevede�all'art.�19�legge�165/2001,�la�temporaneita�degli�incarichi�e� la�possibilita�che�il�dirigente�sia�adibito�a�compiti�di�studio,�consulenza,�ricerca�o�ispezione,� con�la�conseguenza�che�la�possibilita�di�accedere�a�nuovi�incarichi�o�la�titolarita�di�uno�spe- cifico�incarico�non�possono�considerarsi�diritti�stabili�ed�acquisiti�per�il�dirigente�pubblico.� Per�le�ragioni�sin�qui�esposte�il�ricorso�va�respinto.� La�particolarita�delle�questioni�trattate�giustifica�la�compensazione�delle�spese�di�lite.� P.Q.M.: Respinge�il�ricorso.�Compensa�le�spese�di�lite.� Roma,�13�marzo�2003�.� Tribunale di Roma, Sezione seconda lavoro ^Reclamo ^Ordinanza 2 aprile 2003 ^Presi- dente: D.�Cortesani�^Relatore: G.�Corsetti�^C.E.E.�(Avv.ti�L.�Torchia,�V.�Angiolini,� A.�Andreoni,�T.�Di�Nitto)�c/�ISFOL�(Avv.�V.�Bencivenga)�e�F.A.�(Avv.ti�T.�De�Flaviis� eL.�Bertini).� �(omissis) Sentite�le�parti�in�interrogatorio�libero,�il�Tribunale,�primo�grado,�con�ordi- nanza�in�data�13�gennaio�2003�respingeva�il�ricorso�per�difetto�del�``periculum in mora''.� Con�ricorso�ex art.�669�bis�c.p.c.�depositato�il�30�gennaio�2003�C.E.E.�proponeva� reclamo�avverso�l'ordinanza�di�cui�sopra�riproponendo�le�argomentazioni�e�le�conclusioni� gia�indicate�nel�ricorso�introduttivo.� Anche�in�questa�sede�si�costituivano�l'ISFOL�e�F.A.�ribadendo�il�primo�le�medesime� conclusioni�avanzate�in�primo�grado�e�chiedendo�il�secondo�il�rigetto�del�reclamo.� All'udienza�del�13�marzo�2003�il�ricorrente�dichiarava�di�avere�ricevuto�una�raccoman- data�con�la�quale�gli�si�comunicava�la�liquidazione�di�8.000�euro�a�titolo�di�t.f.r.�ma�di�non� averli�ricevuti.�Il�Tribunale�si�riservava�quindi�la�decisione.� All'esito�dell'esame�degli�atti�e�avviso�del�Collegio�che,�pregiudizialmente,�debba�essere� respinta�l'eccezione�di�difetto�di�giurisdizione,�in�quanto,�come�ha�confermato�la�Corte� Costituzionale�nella�sentenza�23�luglio�2001�n.�275�(con�la�quale�e�stata�dichiarata�infondata� la�questione�di�legittimita�costituzionale�dell'art.�18�D.Lgs.�29�ottobre�1998�n.�387�che�ha� modificato�l'art.�68,�1�co.,�D.Lgs.�3�febbraio�1993�n.�29�nella�parte�in�cui�ha�devoluto�al�giu- dice�ordinario�la�giurisdizione�in�ordine�alle�controversie�concernenti�il�conferimento�e�la� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� revoca�degli�incarichi�dirigenziali�nelle�pubbliche�amministrazioni,�in�riferimento�agli�artt.�76�e� 77�Cost.),�``quale�che�sia�la�configurazione�del�rapporto�di�lavoro�dei�pubblici�dipendenti�ed�in� particolare�quello�dei�dirigenti�(per�i�quali�puo��riscontrarsi�un�elemento�concorrente�di�preposi- zione�adunufficio�pubblico),�certamente�il�legislatore�delegante�e�quello�delegato,�in�attuazione� della�delega,�hanno�voluto�modellare�e�fondare�tutti�i�rapporti�dei�dipendenti�dell'amministra- zione�pubblica�(compresi�i�dirigenti)�secondo�il��regime�di�diritto�privato�del�rapporto�di�lavoro� traendone�le�conseguenze�anche�sul�piano�del�riparto�della�giurisdizione,�a�tutela�degli�stessi� dipendenti,�in�base�ad�una�esigenza�di�unitarieta��della�materia�.� Ne�puo��rilevare�in�questa�sede,�anche�sotto�il�profilo�della�eccepita�inammissibilita��del� ricorso,�la�circostanza�che�il�C.E.E.�abbia�agito�anche�in�sede�amministrativa�chiedendo�l'an- nullamento�delle�delibere�sopra�menzionate,�dal�momento�che,�come�stabilisce�l'art.�63,� 1.�comma,�ultima�parte�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�quando�vengono�in�questione�atti�ammini- strativi�presupposti�che�sono�rilevanti�ai�fini�della�decisione�``il�giudice�li�disapplica,�se�ille- gittimi.�L'impugnazione�davanti�al�giudice�amministrativo�dell'atto�amministrativo�rilevante� nella�controversia�non�e��causa�di�sospensione�del�processo''.� Nel�merito,�sotto�il�profilo�del�``fumusfbonijuris'',e��avviso�del�Collegio�che�il�ricorso�non� sia�fondato.� L'art.�7,�3.�co.�della�legge�n.�145/2002�(Disposizioni�per�il�riordino�della�dirigenza�sta- tale...)�stabilisce�che:�``...�le�disposizioni�di�cui�al�presente�articolo�trovano�immediata�appli- cazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di� direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e��prevista�tale�figura.�I�predetti� incarichi�cessano�il�sessantesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,� esercitando�i�titolari�degli�stessi�in�tale�periodo�esclusivamente�le�attivita��di�ordinaria�ammi- nistrazione.�Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incari- chi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�non�generale,�puo��procedersi,�entro�90�giorni�dalla�data� di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�all'attribuzione�degli�incarichi�secondo�le�disposi- zioni�del�presente�articolo,�secondo�il�criterio�della�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse�proce- dure�previste�dagli�articoli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il�qua- driennio�1998-2001�del�personale�dirigente�dell'Area.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi�si� intendono�confermati�ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.�In�sede�di�prima�appli- cazione�dell'art.�19�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001�n.�165,�come�modificato�dal�comma� 1�del�presente�articolo,�ai�dirigenti�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto� e��conferito�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio��non�sia�possi- bile,�per�carenza�di�disponibilita��di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche� qualita��professionali,�al�dirigente�e��attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del� precedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno.�La�relativa�mag- giore�spesa�e��compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,�un�numero�di� incarichi�di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo�conto�priorita- riamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico''.� Ora,�atteso�che�al�ricorrente�e��stata�fatta�applicazione�di�tale�disposizione,�sicche�il�suo� incarico�e��venuto�a�cadere�exflegefdecorso�il�60.�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della� legge,�deve�innanzitutto�premettersi�che,�secondo�il�tenore�letterale�della�norma,�l'ISFOL,� ente�pubblico�di�ricerca,�exfD.Lgs.�n.�419/1999�e��sottoposto�alla�vigilanza�dello�Stato�(in� particolare�del�Ministero�del�Lavoro)�ed�e��tra�le�Amministrazioni�destinatarie�della�nuova� disciplina�legislativa.� Cio��chiarito,�deve�respingersi,�in�quanto�inammissibile�in�questa�fase�cautelare,�la� richiesta�di�remissione�degli�atti�alla�Corte�Costituzionale�(per�non�manifesta�infondatezza� delle�questioni�sollevate�circa�la�legittimita��della�norma�sopra�riportata)�con�contestuale� emissione�dei�provvedimenti�ritenuti�piu��idonei�ad�assicurare�provvisoriamente�gli�effetti� della�decisione�sul�merito.� La�compatibilita��tra�la�concessione�della�tutela�d'urgenza�e�la�remissione�degli�atti�alla� Corte,�come�noto,�ha�formato�oggetto�di�ampia�discussione�in�dottrina�ed�in�giurisprudenza,� con�varie�soluzioni,�tra�le�quali�vi�e��quella,�posta�a�base�della�sentenza�della�Corte�Costitu- zionale�n.�4/2000,�in�atti,�nella�quale�e��stata�ritenuta�rilevante�una�questione�di�legittimita�� Costituzionale�che,�in�sede�di�giustizia�amministrativa,�era�stata�sollevata�scindendo�la�pro- nuncia�cautelare�in�due�fasi:�un�primo�accoglimento,�interinale�e�provvisorio,�e�poi�un� secondo,�definitivo,�provvedimento�da�emettersi�all'esito�della�pronuncia�della�Corte.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Senonche�,�pur�dando�atto�della�valutazione�di�rilevanza�espressa�dal�Giudice�delle�leggi,� tale�soluzione�non�appare�estensibile�al�procedimento�exfart.�700�c.p.c.� Ed�infatti,�l'unica�scissione�che�il�nostro�codice�prevede�nell'ambito�del�procedimento� d'urgenza,�e��quella�tra�l'emissione�del�decreto�``inauditafalteraparte''fe�quella�dell'ordinanza� di�conferma,�che�deve�essere�emessa�in�una�udienza�fissata�in�un�termine�non�superiore�a� 15�giorni�(v.�art.�669�sexiesfc.p.c.).� Al�di�la��di�questa�ipotesi,�dunque,�non�e��consentito�emettere�un�provvedimento�d'ur- genza�``non�definitivo''�in�attesa�di�un�altro�``definitivo''�all'esito�del�giudizio�della�Corte.� Esclusa,�dunque,�tale�possibilita��,e��avviso�del�Collegio�che�il�Giudice�ordinario,�pur�nel- l'ipotesi�che�sospenda�il�giudizio,�non�puo��emettere�un�provvedimento�che�anticipi�la�deci- sione�della�Corte,�nemmeno�facendo�una�valutazione�di�probabilita��,�posto�che,�in�questo� caso,�non�si�tratta�di�valutare�il�``fumusfbonijuris''fdi�un�diritto,�in�astratto�esistente,�di�cui� si�chiede�l'applicazione�al�caso�concreto,�bens|��di�riconoscere�un�diritto�che,�in�quel� momento,�non�esiste�nemmeno�nell'ordinamento.� Ne�deriva�che,�allorche�viene�richiesta�l'emissione�di�un�provvedimento�che�presuppone� un�giudizio�di�illegittimita��costituzionale�della�norma�(ovvero,�nel�caso�in�esame,�la�reimmis- sione�nell'incarico�dirigenziale),�la�relativa�domanda�non�e��ammissibile�e�la�eventuale� sospensione�del�giudizio�diventa�irrilevante.� Ugualmente�inammissibile,�peraltro,�e��la�ulteriore�domanda�del�C.E.E.�di�essere�valu- tato�per�il�conferimento�dell'incarico�comparativamente�con�F.A.,�dal�momento�che,�sia�pure� ad�un�sommario�esame,�l'art.�19�del�D.Lgs.�n.�165/2001�(cos|��come�modificato�dalla�legge� n.�145/2002)�non�pone�un�obbligo�in�tal�senso,�ne�risulta�che�la�nominaF.A.,�peraltro�moti- vata,�non�sia�stata�emessa�nel�rispetto�delle�condizioni�di�legge.� Inoltre,�anche�nell'ipotesi�di�illegittimita��della�nomina,�cio��non�potrebbe�comportare�ne� la�reviviscenza�dell'incarico�del�C.E.E.�ne�il�suo�diritto�di�essere�valutato�in�luogo�del�con- trointeressato.� Resta�da�esaminare,�infine,�la�domanda�di�assegnazione�di�un�incarico�secondo�il�dispo- sto�dell'art.�7,�3�comma,�legge�n.�145/2002.� Ora�la�norma�prevede�effettivamente�che,�ove�non�sia�possibile�conferire�un�incarico�di� livello�retributivo�equivalente�(come�nel�caso�in�esame),�al�dirigente�debba�essere�attribuito� un�incarico�di�studio.� Dalla�circolare�del�Ministero�della�Funzione�Pubblica,�poi,�si�evince�che�la�norma�puo�� applicarsi�anche�ai�dirigenti�nominati�exart.�19,�comma�6,�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�ovvero�reclu- tati�tra�persone�esterne,�posto�che�``la�regola�non�e��riferita�allo�specifico�status�del�dirigente,� ma�al�dato�oggettivo�della�cessazione�dell'incarico'',�e�che�inoltre�la�stessa�e��intesa�a�limitare� gli�effetti�patrimoniali�della�norma�sulla�decadenza,�trattandosi�di�un�incarico�che�``ha�un'equi- valenza�meramente�economica�e�non�funzionale�come�quello�di�livello�dirigenziale�generale''.� Senonche�,�a�prescindere�dal�fatto�che�la�stessa�circolare,�anche�se�piuttosto�genericamente,� esclude�l'applicazione�di�tale�norma�di�garanzia�ai�direttori�generali�degli�enti�in�quanto�``per� la�specificita��della�figura�e�per�la�particolare�natura�delle�funzioni�svolte,�non�appare�configura- bile'',�vi�e��da�osservare�che�lo�stesso�art.�7�prevede,�come�gia��riportato,�che�la�maggiore�spesa� per�l'incarico�di�studio�sia�compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,�un� numero�di�incarichi�di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo�conto� prioritariamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico.� Ne�deriva�che,�essendo�quello�conferito�al�C.E.E.�un�incarico�apicale,�per�poter�ammet- tere�la�configurabilita��di�un�incarico�di�studio,�almeno�ad�un�sommario�esame,�bisognerebbe� presupporre�l'esistenza�di�un�incarico�dirigenziale�equivalente�sotto�il�profilo�finanziario,� vacante,�che�dovrebbe�rimanere�indisponibile�per�lo�stesso�periodo,�potendo�giungere�alla� conseguenza�dell'impossibilita��di�conferire�lo�stesso�incarico�di�Direttore�Generale.� Anche�ammesso,�comunque,�che�potesse�configurarsi�la�ammissibilita��di�un�incarico�di� studio�in�una�situazione�come�quella�in�esame,�resta�comunque�il�fatto�che,�nella�fattispecie,� non�e��stata�fornita�adeguata�dimostrazione�del�``periculum''.� Ed�infatti,�anche�se�il�ricorrente�non�risulta�avere�ancora�percepito�il�``t.f.r.'',�comunque� di�modesta�entita��dato�il�breve�periodo�di�lavoro,�si�rileva�che�nulla�di�concreto�e��stato� dedotto�circa�la�complessiva�situazione�economica�del�C.E.E.�il�cui�precedente�rapporto�di� lavoro,�iniziato�nel�1974,�e��stato�definito�con�un�verbale�di�conciliazione�in�data�10�aprile� 2001�(v.�all.�n.�5)�in�ordine�al�quale�non�e��stato�nemmeno�precisato�quale�sia�stato�l'importo� percepito�dal�ricorrente.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Ne�d'altra�parte,�e��ipotizzabile�che�dal�mancato�conferimento�di�tale�incarico�di�studio� potrebbe�derivare�un�danno�alla�professionalita��o�alla�salute�del�ricorrente,�sia�per�la�brevita�� del�periodo�che�per�il�contenuto�non�necessariamente�equivalente�alle�mansioni�svolte.� Non�emergendo,�dunque,�motivi�di�accoglimento�della�domanda�cautelare,�il�reclamo� deve�essere�respinto.� Sussistono�peraltro�giusti�motivi,�ravvisabili�nella�novita��della�materia�e�per�la�partico- larita��delle�questioni�affrontate,�per�dichiarare�compensate�anche�le�spese�del�giudizio�di� reclamo.�Respinge�il�reclamo�(omissis).� Roma,�31�marzo�2003�.� Tribunale di Roma, Sezione seconda lavoro ^Reclamo ^Ordinanza dell'8 aprile 2003 ^ Presidente: D.�Cortesani�^Relatore:�A.�Nunziata�^Ministero�della�Salute,�ISPESL�^ Istituto�superiore�prevenzione�infortuni�sul�lavoro�(reclamanti) c/�O.C.�(reclamato) eP.F.�(intervenuto).� �(omissis) Ritenuto:� ^che�l'intervenuto,�al�quale�e��stato�attribuito�dall'amministrazione�l'incarico�in�prece- denza�conferito�ad�O.C.,�ha�eccepito�la�nullita��del�procedimento�cautelare�e�del�relativo� provvedimento�conclusivo�per�la�mancata�partecipazione�di�esso�controinteressato;� ^che�tale�eccezione�e��infondata;� ^che,�infatti,�attraverso�l'istituto�del�reclamo,�il�legislatore�ha�inteso�introdurre�un� generale�mezzo�di�controllo�dell'operato�del�giudice�della�cautela,�affidato�a�un�giudice� diverso�e�collegiale;� ^che�quest'ultimo�e��investito�del�complessivo�contenuto�della�domanda�cautelare,�e�� titolare�dei�medesimi�poteri�conferiti�al�primo�giudice,�emette�una�pronuncia�che�sostituisce� quella�reclamata,�non�e��limitato,�nella�propria�cognizione�e�nella�dotazione�degli�strumenti� decisori,�dai�motivi�dedotti�dalla�parte�reclamante;� ^che�contrasta,�pertanto,�con�la�logica�stessa�dell'istituto�qualsiasi�intervento�che�lo� pieghi�alle�caratteristiche�del�doppio�grado,�distogliendolo�da�quelle�sue�tipiche,�che�lo�con- notano�come�sviluppo�ulteriore,�seppure�in�sede�diversa,�dell'unico�procedimento�cautelare� (Corte�Cost.�n.�421/96,�Corte�Cost.�n.�65/98);� ^che,�di�conseguenza,�la�costituzione�dell'intervenuto�in�sede�di�reclamo�sana,� comunque,�qualsiasi�carenza�del�contraddittorio,�non�potendosi�configurare�in�alcun�modo� la�perdita�di�un�grado�del�giudizio;� ^che,�nel�merito,�l'art.�700�c.p.c.�dispone�che�chi�ha�fondato�motivo�di�temere�che,� durante�il�tempo�occorrente�per�far�valere�in�via�ordinaria�il�suo�diritto,�questo�sia�minac- ciato�da�un�pregiudizio�imminente�e�irreparabile,�puo��chiedere,�con�ricorso�al�giudice,�i�prov- vedimenti�di�urgenza�che�appaiano,�secondo�le�circostanze,�piu��idonei�ad�assicurare�provvi- soriamente�gli�effetti�della�decisione�sul�merito;� ^che,�per�l'accoglimento�della�istanza,�occorre�pertanto�la�presenza�di�due�requisiti:� la�verosimiglianza�circa�la�esistenza�del�diritto�azionato�(fumus boni iuris)�e�la�sussistenza�di� un�pericolo�imminente�e�irreparabile�al�quale�il�ritardo�puo��esporre�il�medesimo�diritto�(peri- culum in mora);� ^che�la��irreparabilita����del�pregiudizio�va�ravvisata�nella�irreversibilita��della�lesione�del� dirittodaassoggettareacautelae-onellaimpossibilita��oestremadifficolta��dideterminareesat- tamente�la�misura�del�risarcimento,�ove�gli�effetti�pregiudizievoli�persistessero�nel�tempo;� ^cheincombesull'istantel'onerediallegareefornireelementialriguardo(art.�2697cc);� ^che�l'O.C.�deduce,�sotto�il�profilo�in�esame,�un�danno�alla�professionalita��acquisita�ed� alla�sua�immagine�a�seguito�del�demansionamento�operato�dalla�amministrazione�in�suo�danno� con�il�conferimento�del�nuovo�incarico,�a�suo�dire��quasi��del�tutto�privo�di�contenuto;� ^che�la�astensione�dall'�esercizio�della�attivita��lavorativa�in�precedenza�svolta,�anche� quando�trattasi�di�attivita��ad�alto�contenuto�professionale,�non�comporta�sempre�e�necessa- riamente�il�fondato�timore�di�un�pregiudizio�imminente�e�irreparabile�alla�professionalita��,� essendo�invece�richiesta�la�presenza��in�concreto��di�specifici�connotati�del�contenuto�dell'at- tivita��stessa,�che�la�rendano�soggetta�a�rapida�obsolescenza,�anche�in�relazione�alla�struttura� in�cui�si�inserisce,�o�ad�eventi�particolari,�che�rendano�verosimile�e�ragionevole�il�menzionato� pericolo;� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� ^che�nessun�elemento�concreto�e�specifico�e�stato�dedotto�ne�,�tanto�meno,�offerto�per� far�ritenere�che�l'incarico�di�Direttore�del�Dipartimento�delle�relazioni�esterne�e�servizi� comuni�di�supporto�delle�aree�di�ricerca��C.��e��M.��dell'Ispesl,�in�precedenza�ricoperto,� avesse�un�contenuto�particolare,�cos|�da�potersi�apprezzare�la�valenza�della�relativa�profes- sionalita�come�non�recuperabile�ovvero�come�irrimediabilmente�compromessa�nelle�more� del�giudizio�di�merito�in�forza�del�mancato�esercizio�delle�relative�mansioni;� ^che,�peraltro,�proprio�lo�spessore�elevato�della�professionalita�acquisita�nel�corso�di� moltiannidiservizio�(v.�curriculum in�atti)�non�rende�verosimile�la�possibilita�di�una�sua� repentina�e�irrimediabile�dispersione�nelle�more�del�giudizio;� ^che�l'O.C.�non�e�stato�lasciato�inattivo,�bens|�gli�e�stato�conferito�incarico�avente�ad� oggetto�lo�studio�e�la�predisposizione�di�progetto�finalizzato�al�completamento�della�infor- matizzazione�complessiva�del�sistema�gestionale�amministrativo�dell'�Istituto;� ^che�questi�ha�prontamente�accettato�l'incarico�in�data�8�ottobre�2002,�con�la�sotto- scrizione�del�relativo�contratto,�ed�ha�concretamente�iniziato�a�svolgere�la�nuova�attivita� lavorativa�affidatagli�(circostanza�pacifica;�v.�anche�lettera�23�dicembre�2002�di�invio�di�rela- zione�trimestrale),�proponendo�la�domanda�cautelare�soltanto�il�14�gennaio�2003,�e�cioe� dopo�oltre�tre�mesi�dalla�accettazione�predetta;� ^che�il�suddetto�comportamento�della�parte�costituisce,�seppure�nell'ambito�del�qua- dro�teste�esposto,�un�ulteriore�elemento�in�senso�contrario�alla�sussistenza�di�una�situazione� di�pericolo�imminente�e�irreparabile;� ^che,�per�quanto�concerne�il�profilo�personalistico,�occorre�valutare�il�contesto�e�il� modo�in�cui�viene�posto�in�essere�il�comportamento�della�Amministrazione,�nel�senso�che� esso�deve�essere�produttivo�di�una�situazione�offensiva�della�dignita�ed�immagine�del�lavora- tore��in�concreto�,�e�cioe�in�relazione�alla�sua�specifica�situazione�e/o�alle�specifiche�moda- lita�adottate;� ^che,�nel�caso�in�esame,�non�viene�offerto�alcun�e�lemento�circa�la�valenza�offensiva,� nel�senso�sopra�esposto,�del�comportamento�della�Amministrazione�con�riferimento�alla� concreta�ed�effettiva�posizione�professionale,�sociale,�familiare�di�O.C.;� ^che,�anzi,�l'amministrazione�si�e�limitata�a�proporgli�un�incarico�di�studio�e�ad�invi- tarlo,�qualora�intendesse�accettare�la�proposta,�ad�attivarsi�per�la�sottoscrizione�del�relativo� contratto,�la�qual�cosa�e�poi�avvenuta;� ^che�il�conferimento�di�siffatto�incarico�e�espressamente�previsto�dalla�normativa�del� settore�nell'�ambito�del�sistema�ivi�delineato�(art.�3�legge�145/2002);� ^che,�alla�luce�delle�considerazioni�esposte,�non�sussiste�il�requisito�del�c.d.�periculum in mora;� ^che,�pertanto,�va�revocato�il�provvedimento�cautelare�emesso�tra�le�parti�dal�Tribu- nale�di�Roma�primo�grado�in�data�5�febbraio�2003;� ^che�restano�assorbite�le�ulteriori�deduzioni�delle�parti,�ivi�comprese�quelle�attinenti� al��fumus boni iuris�;� ^che�sussistono�giusti�motivi�per�dichiarare�compensate�le�spese�del�procedimento� cautelare�e�della�fase�di�reclamo;� P.Q.M.: Revoca�il�provvedimento�emesso�tra�le�parti�dal�Tribunale�di�Roma,�primo� grado,�il�5�febbraio�2003;�dichiara�compensate�le�spese�del�procedimento�cautelare�e�della� fase�di�reclamo.� Roma,�3�aprile�2003�.� Tribunale di Roma, Seconda sezione lavoro ^Reclamo ^Ordinanza del 29 aprile 2003 ^ Presidente: D.�Blasutto�^Relatore: F.�Perra�^S.P.G.�c/�Ministero�dell'Economia�e�delle� Finanze,�INPS.� �(omissis) Presupposti�indefettibili�della�tutela�cautelare�sono�il�fumus boni iuris ed�il� periculum in mora;�non�e�,�infatti,�sufficiente�che,�sulla�base�della�sommaria�delibazione�pro- pria�del�procedimento�d'urgenza,�appaia�la�sussistenza�di�elementi�idonei�a�far�ritenere�la� fondatezza�della�pretesa�azionata,�ma�occorre�la�esistenza�di�un�pregiudizio�imminente�ed� irreparabile�al�quale�il�diritto�puo�essere�esposto�a�causa�della�durata�del�giudizio�di�merito,� le�cui�esigenze�di�tutela�immediata�prevalgono�sul�diritto�di�difesa�della�controparte�che� viene�sicuramente�menomato�dalla�celerita�propria�della�fase�cautelare.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� L'esame�del�presupposto�del�periculum in mora si�rende,�quindi,�preliminare�rispetto�a� quello�della�valutazione�della�fondatezza�della�pretesa�che�e�resa�superflua�dalla�inesistenza� del�primo.� Il�Collegio�ritiene�che�nel�caso�in�esame�tale�presupposto,�l'onere�della�cui�sussistenza�e� a�carico�di�chi�invoca�la�tutela�cautelare,�manchi.� Risulta�dai�documenti�di�causa�che�e�stato�proposto�a�S.P.G.�l'incarico�di�Capo�del� Dipartimento�Provinciale�del�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�di�Napoli,�pacifica- mente�di�livello�dirigenziale�generale�e,�quindi,�equivalente�a�quello�revocato�di�componente� del�Collegio�sindacale�dell'INPS�(lettera�del�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�del� 21�novembre�2002),�e�che�tale�incarico�e�stato�rifiutato�dal�reclamante�in�quanto�la�retribu- zione�di�posizione�era�per�tale�incarico�inferiore�rispetto�a�quella�precedentemente�percepita� di�Euro�37.532,94,�nonche�per�motivi�personali�e�di�salute�che�impedivano�il�trasferimento� del�dirigente�a�Napoli.� L'equivalenza�di�tale�incarico,�in�particolare,�e�stata�riconosciuta�dallo�stesso�dott.� S.P.G.�nella�lettera�del�27�novembre�2002,�con�la�quale,�nel�far�presente�le�predette�circo- stanze,�rinunziava�all'incarico�offertogli�ma�ammetteva�che�era��seppure�equivalente�sul� piano�funzionale��e�chiedeva,�in�sua�sostituzione,��l'incarico�di�studio�che�verra�proposto�e� che�assicura,�quantomeno,�l'intero�importo�del�precedente�trattamento�economico� percepito�.� Il�Ministero�convenuto�ha,�quindi,�attribuito�allo�S.P.G.,�con�decreto�20�gennaio�2003,� l'incarico�di�studio�della�durata�di�un�anno,�con�determinazione�all'art.�2�degli�obiettivi�ine- renti�alla�sua�professionalita�(capacita�informativa�dei�bilanci�degli�Enti�pubblici�istituzio- nali,�principi�e�regole�di�redazione�dei�documenti�contabili,�aspetti�giuridici,�contabili�ed� organizzativi)�e�pattuizione,�nel�contratto�individuale�stipulato�il�13�dicembre�2002,�di�un� trattamento�economico�analogo,�se�non�maggiore,�a�quello�gia�percepito�come�membro�del� collegio�sindacale�INPS�(v.�in�particolare�la�retribuzione�di�posizione�variabile�stabilita�in� Euro�100.553,18�a�fronte�di�quella�del�contratto�stipulato�con�l'INPS�di�L.�160.000.000,�una� retribuzione�di�risultato�di�E.�24.789,93�a�fronte�di�quella�percepita�dall'Inps�di�L.� 48.000.000,�oltre�lo�stipendio�tabellare,�la�retribuzione�di�posizione�fissa�e�la�R.I.A.).� Risulta�altres|�che,�contrariamente�a�quanto�sostenuto�in�ricorso,�sia�il�contratto�che�il� decreto�sono�stati�firmati�dal�Ministro�(in�atti),�mancando�solo�la�registrazione�da�parte� della�Corte�dei�Conti,�e�che�il�Ministero�convenuto�ha�corrisposto�al�reclamantelesue�spet- tanze�economiche�con�le�mensilita�di�dicembre,�gennaio,�febbraio�.e�marzo�(v.�prospetti�paga� in�atti).�Non�e�,�quindi,�configurabile�alcun�pregiudizio�economico�in�capo�al�dott.�S.P.G.�a� seguito�della�revoca�del�precedente�incarico�e�della�attribuzione�del�nuovo�incarico�di�studio.� Relativamente�alla�dedotta�lesione,�alla�professionalita�,�alla�reputazione�sociale�e�familiare,�si� rileva�che,�aprescindere�da�tale�generica�indimostrata�allegazione,�la�configurabilita�del�pregiu- dizio�imminente�ed�irreparabile�in�sede�cautelare�deve�essere�fondata�su�specifici�elementi�di� fattoinrelazioneaulaparticolaresituazioneconcretadicoluichelarichiede,�enonsullanatura� intrinseca�del�diritto�fatto�valere�o�sull'oggetto�della�controversia.� Cio�premesso�si�osserva�che.�nel�caso�in�esame,�secondo�la�prospettazione�del�Ministero� dell'Economia�e�delle�Finanze,�la�cessazione�anticipata�dell'incarico�di�componente�del�colle- gio�dei�sindaci�dell'INPS�e�avvenuta�non�su�iniziativa�e�per�volonta�dell'Amministrazione,� ne�tanto�meno�sulla�base�di�una�valutazione�negativa�dell'operato�del�dirigente,�ma�ex lege per�il�disposto�di�cui�al�comma�7�dell'art.�3�della�legge�n.�145/2002�che�ha�previsto�per�gli� incarichi�di�livello�dirigenziale�la�cessazione�entro�il�sessantesimo�giorno�successivo�alla�sua� entrata�in�vigore.�Orbene,�tale�considerazione�e�sufficiente�per�escludere,�ai�fini�della�valuta- zione�del�periculum in mora e�senza�che�possa�rilevare�agli�stessi�limitati�fini�il�reale�fonda- mento�giuridico�delle�ragioni�addotte�a�sostegno�della�disposta�revoca,�la�probabilita�di�un� giudizio�di�disvalore�nei�confronti�del�dirigente�nell'ambito�lavorativo,�sociale�e�familiare.� Peraltro,�sempre�con�valutazione�limitata�al�periculum,�va�rilevato�come�la�norma�invo- cata�dall'Amministrazione,�di�natura�transitoria,�preveda�l'attribuzione�ai�dirigenti�ai�quali� non�sia�stato�riconfermato�l'incarico�in�precedenza�attribuito�di��un�incarico�di,�livello�retri- buito�equivalente�al�precedente��ovvero,�ove�cio�non�sia�possibile�per�mancanza�di�idonei� posti�di�funzione,�di��un�incarico�di�studio�con�mantenimento�del�precedente�trattamento� economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno�;�richiedendo�cos|�la�norma�una�equivalenza� meramente�economica�e�non�di�tipologia�dell'incarico�e�stabilendo,�inoltre,�implicitamente,� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� la�equipollenza�quanto�a�contenuto�professionale,�dell'incarico�di�studio�a�quello�dirigenziale� non�confermato;�equipollenza,�comunque,�stabilita�in�via�generale�dalla�nuova�disciplina� degli�incarichi�nella�dirigenza�pubblica�(art.�191�D.Lgs.�n.�165/2001�come�modificato�dalla� legge�n.�145/2002),�al�cui�conferimento�(e�passaggio�da�un�incarico�all'altro)�neppure�puo� trovare�applicazione�l'art.�2103�c.c.�(art.�19,�comma�1,�cit.).� Si�deve�ulteriormente�precisare�al�riguardo�che�allo�S.P.G.�e�stato�offerto�l'incarico�di� Capo�dipartimento�provinciale�di�Napoli�che�egli�stesso,�come�prima�si�e�visto,�ha�giudicato� �equivalente��professionalmente,�pur�avendolo�rifiutato�per�motivi�economici�e�personali� connessi�al�trasferimento�di�sede,�e�che�quello�di�studio�gli�e�stato�affidato�su�sua�esplicita� richiesta;�per�cui�non�si�vede�come�possa�configurarsi�una�lesione�della�sua�reputazione�pro- fessionale�in�relazione�alla�importanza�degli�incarichi�precedentemente�svolti.� Non�sussistendo,�pertanto,�il�periculum in mora la�domanda�del�reclamante�non�puo�tro- vare�accoglimento,�per�cui�e�superfluo�l'esame�del�presupposto�delfumus boni iuris.La�com- plessita�della�questione�giustifica�la�compensazione�delle�spese�di�lite.� P.Q.M.: Respinge�il�reclamo,�compensa�le�spese�del�giudizio.� Roma,�24�aprile�2003�.� Tribunale di Roma, Seconda sezione lavoro ^Ordinanza 12 maggio 2003 ^Presidente D.�Cor- tesani�^Relatore:�A.�M.�Luna�^R.R.�c/�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita�culturali.� �(omissis) Il�Giudice�designato,�con�ordinanza�3�febbraio�2003,�n.�4392�reg.�cron.,�ha� respinto�l'istanza�ritenendo�insussistente�ilfumus boni iuris.� La�R.R.�ha�quindi�proposto�reclamo,�con�atto�depositato�in�data�21�marzo�2003,�riba- dendo,�con�dovizia�di�argomentazioni,�le�proprie�tesi�e�contestando�la�motivazione�esposta� dal�primo�Giudice.� Si�e�costituito,�con�memoria�depositata�il�23�aprile�2003,�il�controinteressato�ribadendo� la�propria�opposizione�alla�domanda�cautelare.� Si�sono�costituiti�anche�il�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita�culturali,�la�Presidenza�del� Consiglio�dei�Ministri�ed�il�Dipartimento�della�funzione�pubblica�per�resistere�al�reclamo.� Tanto�premesso,�il�Collegio�reputa�infondato�il�reclamo�per�difetto�dell'indispensabile� presupposto�del�periculum in mora.� La�reclamante�deduce,�invero,�che�dai�provvedimenti�contestati�derivano�a�lei�gravi� danni�sia�di�carattere�economico�sia�anche�di�diversa�natura.� In�particolare,�lamenta�il�pericolo�della�perdita�di�retribuzione�giacche�sostiene�nell'au- tunno�del�corrente�anno,�al�cessare�dell'incarico�di�studio,�ella�sara�collocata�a�disposizione� con�la�perdita�del�50%�della�retribuzione�ovvero�sara�licenziata�per�giustificato�motivo� oggettivo.� Tale�prospettiva�non�appare�conforme�alla�disciplina�legislativa.� Cessato�l'incarico�di�studio�conferito�con�provvedimento�dell'8�ottobre�2002,�registrato� alla�Corte�dei�Conti�il�27�novembre�2002,�non�vi�e�alcuna�concreta�prospettiva�di�un�colloca- mento�a�disposizione�del�dirigente�con�una�riduzione�di�retribuzione,�ne�addirittura�di�licen- ziamento�per�giustificato�motivo�oggettivo,�giacche�il�dirigente�si�trovera�in�situazione�del� tutto�analoga�a�quella�di�normale�scadenza�di�incarico�e,�quindi,�dovra�farsi�luogo�a�nuova� procedura�di�conferimento�di�incarico�secondo�le�disposizioni�di�cui�all'art.�19�del�d.lgs.� n.�165/2001,�come�modificato�dall'art.�3�della�legge�n.�145/2002.�Tale�appare�anche�l'inter- pretazione�offerta�dal�Dipartimento�della�funzione�pubblica�con�la�circolare�31�luglio�2002� (in�G.U. 5�agosto�2002,�n.�182)�secondo�cui,�appunto,�allo�scadere�dell'incarico�di�studio� per�i�dirigenti�iscritti�alla�prima�fascia�del�ruolo�l'amministrazione�deve�provvedere�ad�asse- gnare�all'interessato�un�nuovo�incarico�secondo�le�regole�ordinarie�previste�dal�citato� art.�19,�e�per�i�dirigenti�iscritti�alla�seconda�fascia,�l'amministrazione�deve�assegnare�un�inca- rico�di�livello�non�generale,�salva�la�possibilita�di�attribuire�un�incarico�di�livello�generale,� nei�limiti�dell'aliquota�del�50%�dei�posti.� Allo�stato,�quindi,�appare�del�tutto�escluso�il�pericolo�di�un�concreto�pregiudizio�di� carattere�economico.� La�reclamante,�poi,�richiamati�i�principi�costituzionali�sulla�tutela�del�lavoro,�deduce� che�il�periculum in mora dovrebbe�ritenersi�in re ipsa poiche�il�lavoratore�e�titolare�non�solo� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� di�diritti�legati�alla�sfera�patrimoniale�ma�anche�di�situazioni�soggettive�attinenti�a�lui�come� persona.�In�particolare,�un�danno�non�risarcibile�sarebbe�ravvisabile�in�ogni�declassamento� essendo�configurabile�un�depauperamento�delle�capacita��professionali�derivante�dal�mancato� quotidiano�esercizio�delle�mansioni�spettanti,�in�quanto�la�deroga�all'art.�2103�c.c.,�stabilita� dall'art.�19�d.lgs.�n.�165/01,�varrebbe�soltanto�in�caso�di�nuovo�incarico,�ma�non�anche�in� caso�di�revoca�anticipata�del�precedente.�Nella�fattispecie,�il�mancato�esercizio�dell'incarico� di�direttore�generale�pregiudica�il�patrimonio�professionale�della�reclamante�poiche�la�disci- plina�del�settore�audiovisivo�e��in�continua�evoluzione�e�l'allontanamento�anche�per�pochi� mesi�implica�la�perdita�progressiva�del�mestiere.�Inoltre,�le�nuove�funzionidistudio,�concer- nenti�la��disciplina�della�censura�sugli�audiovisivi�nei�paesi�europei�,�appaiono�relative�ad� un�tema�di�rilievo�marginale�e�scollegato�da�qualsiasi�obbiettivo�strategico�del�Ministero.�I� provvedimenti�censurati,�poi,�inciderebbero�negativamente�sulle�aspettative�di�carriera�poi- che�la�R.R.�si�trova�improvvisamente�privata�della�possibilita��di�accumulare�esperienza�e�di� dimostrare�la�propria�professionalita��nell'esercizio�delle�funzioni�di�vertice,�tanto�piu��che�la� mancata�conferma�implica�una�valutazione�negativa�sulle�capacita��professionali�e�sulle� attitudini.� Tali�argomenti�non�appaiono�condivisibili.� Innanzi�tutto�non�puo��ritenersi�che�nel�demansionamento�sia�insito�il�pericolo�di�un� grave�pregiudizio,�laddove�non�siano�allegate�e�provate�specifiche�circostanze�di�fatto�da� cui�possa�desumersi�il�concreto�rischio�che,�nel�tempo�occorrente�per�l'espletamento�del�pro- cesso�di�merito,�la�professionalita��del�lavoratore�possa�effettivamente�depauperarsi�ovvero� che�siano�perse�o�possano�perdersi�concrete�occasioni�di�progressione�di�carriera�(ad�esem- pio�la�preclusione�della�partecipazione�ad�imminenti�procedure�selettive).� In�secondo�luogo,�appare�valida,�anche�nella�presente�fattispecie,�la�esclusione�della� applicazione�dell'art.�2103�c.c.�in�forza�di�quanto�prevede�l'art.�19�d.lgs.�n.�165/01�giacche� l'incarico�gia��conferito�alla�reclamante�e��cessato�ex lege e,�pertanto,�la�dirigente�e��venuta�a� trovarsi�nella�stessa�posizione�in�cui�si�sarebbe�trovata�ove�l'incarico�fosse�cessato�in�forza� del�termine�convenzionalmente�apposto.� In�terzo�luogo,�il�mero�fatto�della�cessazione�delle�specifiche�mansioni�non�appareprima facie tale�da�pregiudicare�il�raggiunto�livello�di�professionalita��tenuto�conto�che,�come�detto,� il�pericolo�di�pregiudizio�non�e��in re ipsa e�che�non�sono�state�allegate�specifiche�circostanze� per�corroborare�l'affermazione�che�la�disciplina�del�settore�audiovisivo�sia�di�tale�rapida�evo- luzione�da�rendere�in�breve�tempo�obsoleto�il�bagaglio�di�conoscenze�acquisito�dalla�recla- mante,�in�considerazione�anche�del�fatto�che�il�curriculum della�stessa�denuncia�una�notevole� versatilita��e�non�gia��una�esclusiva�specialistica�competenza�nel�detto�settore.� In�quarto�luogo,�non�sembra�che�l'incarico�di�studio�sia�del�tutto�inconsistente�o�lon- tano�dagli�obbiettivi�del�Ministero�giacche�appunto�lo�stesso�e��stato�attribuito�dal�Ministro� per�la�funzione�pubblica�su�proposta�del�Ministro�per�i�beni�e�le�attivita��culturali�che�ha�in� tal�modo�palesato�la�propria�intenzione�di�acquisire�un�studio�specifico�sudetta�materia� rientrante�certamente�nella�competenza�dell'Amministrazione.� In�ultimo,�si�osserva�che�la�privazione�delle�mansioni�di�direttore�generale�non�e��di�per� se�tale�da�pregiudicare�le�aspettative�di�carriera�innanzi�tutto�perche�il�tempodiallontana- mento�da�incarichi�funzionali�dovrebbe�essere�appunto�limitato�ad�un�anno�epoi�perche� anche�l'attivita��si�studio�svolta�sara��oggetto�di�valutazione�ai�fini�del�conferimento�di�nuovi� incarichi.� Quanto�al�danno�all'immagine�la�reclamante�riporta�alcuni�brani�di�interviste�rilasciate� da�esponenti�politici�da�cui�si�desumerebbe�che�coloro�che�non�sono�stati�confermati�nei�pre- cedenti�incarichi�sarebbero�soltanto�quelli�che�erano�reputati�scarsamente�capaci�o�poco� motivati.� A�prescindere�dalle�dichiarazioni�che�possono�essere�state�rese�alla�stampa,�peraltro� variamente�interpretabili,�resta�il�fatto�oggettivo�che�la�cessazione�dell'incarico�e��la�mera� automatica�conseguenza�di�una�disposizione�di�legge,�sicche�ad�esso�non�e��ricollegabile�alcun� giudizio�negativo�sull'operato�dei�singoli�dirigenti.�Quanto�alla�mancata�conferma,�sembra� emergere�dalla�legge�la�volonta��di�consentire�al�Governo�di�realizzare,�immediatamente,�un� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� piu��stretto�vincolo�fiduciario�con�coloro�che�sono�i�primi�responsabili�dell'attuazione�delle� scelte�politiche,�sicche�dalla�mancata�conferma�non�puo��desumersi�altro�se�non�che,�con� ampia�valutazione�discrezionale,�il�vertice�politico�ha�ritenuto�che�i�propri�obbiettivi�pote- vano�essere�piu��opportunamente�realizzati�mediante�altro�dirigente.� Considerata�la�particolarita��della�vicenda,�appare�equo�compensare�interamente�le� spese�tra�le�parti.� Rigetta�il�reclamo�proposto;�dichiara�interamente�compensate�tra�le�partile�spese�di� questa�fase�del�procedimento�(omissis). Roma,�8�maggio�2003�� Tribunale di Roma, Sezione seconda lavoro ^Reclamo ^Ordinanza 18 giugno 2003 -Presi- dente: D.�Cortesani�-Relatore: M.�Leone�-Ministero�dell'Istruzione,�Universita��e� Ricerca�e�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�c/�R.S,�(Avv.ti�Andreoni�^Torchia�^ Di�Nitto)�e�P.B.�(Avv.�Chiti-Angotti).� �(omissis) I�reclami�venivano�riuniti�e�trattati�congiuntamente�con�la�presente� decisione.� Preliminarmente,�deve�respingersi,�in�quanto�inammissibile�ed�incompatibile�nel�pre- sente�procedimento�cautelare,�la�richiesta�di�rimessione�degli�atti�alla�Corte�Costituzionale� (per�non�manifesta�infondatezza�delle�questioni�sollevate�circa�la�legittimita��dell'art.�3,� comma�7�1egge�n.�145/02)�con�contestuale�emissione�dei�provvedimenti�ritenuti�piu��idonei� ad�assicurare�provvisoriamente�gli�effetti�della�decisione�sul�merito.� La�compatibilita��tra�la�concessione�della�tutela�d'urgenza�e�la�remissione�degli�atti�alla� Corte,�come�noto,�ha�formato�oggetto�di�ampia�discussione�in�dottrina�ed�in�giurisprudenza,� con�varie�soluzioni,�tra�le�quali�vi�e��quella,�posta�a�base�della�sentenza�della�Corte�Costitu- zionale�n.�4/2000,�in�atti,�nella�quale�e��stata�ritenuta�rilevante�una�questione�di�legittimita�� costituzionale�che,�in�sede�di�giustizia�amministrativa,�era�stata�sollevata�scindendo�la�pro- nuncia�cautelare�in�due�fasi:�un�primo�accoglimento,�cautelare�e�provvisorio,�e�poi�un� secondo,�definitivo,�provvedimento�da�emettersi�all'esito�della�pronuncia�della�Corte.� Senonche�,�pur�dando�atto�della�valutazione�di�rilevanza�espressa�dal�Giudice�delle�leggi,� tale�soluzione�non�appare�estensibile�al�procedimento�ex art.�700�c.p.c..� Ed�infatti,�l'unica�scissione�che�il�nostro�codice�prevede�nell'ambito�del�procedimento� d'urgenza�e��quella�tra�l'emissione�del�decreto�inaudita altera parte e�quella�dell'ordinanza�di� conferma,�che�deve�essere�emessa�in�una�udienza�fissata�in�un�termine�non�superiore�a�15� giorni�(v.�art.�669�sexies c.p.c.).� Al�di�la��di�questa�ipotesi,�dunque,�non�e��consentito�emettere�un�provvedimento�d'ur- genza��non�definitivo��in�attesa�di�un�altro��definitivo��all'esito�del�giudizio�della�Corte.� Esclusa,�dunque,�tale�possibilita��,e��avviso�del�Collegio�che�il�Giudice�ordinario,�pur�nel- l'ipotesi�che�sospenda�il�giudizio,�non�puo��emettere�un�provvedimento�che�anticipi�la�deci- sione�della�Corte,�nemmeno�facendo�una�valutazione�di�probabilita��,�posto�che,�in�questo� caso,�non�si�tratta�di�valutare�il�fumus boni iuris di�un�diritto,�in�astratto�esistente,�di�cui�si� chiede�l'applicazione�al�caso�concreto,�bens|��di�riconoscere�un�diritto�che,�in�quel�momento,� non�esiste�nemmeno�nell'ordinamento.� Ne�deriva�che,�allorche�viene�richiesta�l'emissione�di�un�provvedimento�che�presuppone� un�giudizio�di�illegittimita��costituzionale�della�norma�(ovvero,�nel�caso�in�esame,�la�reimmis- sione�nell'incarico�dirigenziale),�la�relativa�domanda�non�e��ammissibile�e�la�eventuale� sospensione�del�giudizio�diventa�irrilevante.� Nel�caso�di�specie,�peraltro,�la�transitorieta��della�disciplina�di�cui�si�invoca�la�illegitti- mita��e��elemento�di�ulteriore�inopportunita��nella�scelta�di�rimessione�al�Giudice�delle�leggi,� non�essendo,�i�tempi�dell'eventuale�giudizio,�compatibili�con�la�vigenza�della�detta�disciplina� transitoria.� Tanto�premesso,�il�Collegio�reputa�infondato�il�reclamo�per�difetto�dell'indispensabile� presupposto�del�periculum in mora. La�reclamante�R.S.�deduce,�invero,�che�dal�provvedimento�contestato�derivano�a�lei� gravi�danni�sia�di�carattere�economico�sia�anche�di�diversa�natura.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Innanzitutto,�si�osserva�che�nel�caso�in�esame�la�cessazione�anticipata�dell'incarico�e� avvenuta�non�su�iniziativa�e�per�volonta�del�Ministero,�ne�tanto�meno�sulla�base�di�una�valu- tazione�negativa�dell'operato�del�dirigente,�ma�ex lege per�il�disposto�di�cui�al�comma�7�del- l'art.�3�dellaleggen.�145/2002chehaprevistopergliincarichidilivellodirigenzialelacessa- zione�entro�il�sessantesimo�giorno�successivo�alla�sua�entrata�in�vigore.� Tale�considerazione�e�di�rilievo�determinante�ed�assorbente�per�escludere,�ai�fini�della� valutazione�del�periculum in mora, la�probabilita�di�un�giudizio�di�disvalore�nei�confronti� del�dirigente�nell'ambito�lavorativo,�sociale�e�familiare.� Ed�invero�e�la�stessa�citata�disposizione�legislativa,�di�natura�transitoria,�a�prevedere� l'attribuzione�ai�dirigenti,�ai�quali�non�sia�stato�riconfermato�l'incarico�in�precedenza�attri- buito,�di��un�incarico�di�livello�retribuito�equivalente�al�precedente��ovvero,�ove�cio�non� sia�possibile�per�mancanza�di�idonei�posti�di�funzione,�di��un�incarico�di�studio�con�manteni- mento�del�precedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno�,�in�tal� modo�provvedendo�a�fissare�un'equivalenza�economica�in�relazione�alle�diverse�tipologie�di� incarico,�nonche�^indirettamente�^un'equipollenza�quanto�a�contenuto�professionale,�tra� incarico�di�studio�e�incarico�dirigenziale�non�confermato.� Invero,�l'attribuzione�dell'incarico�di�studio�operata�dalla�disciplina�transitoria�non�puo� considerarsi�in�alcun�modo�depauperante�o�dequalificante�o�comunque�connotata�da�un�qualsi- voglia�disvalore�rispetto�all'incarico�di�funzione;�cio�tanto�nel�contesto�di�una�valutazione�ex ante (in�fase�di�suo�conferimento),�stante�l'equipollenza�tra�le�due�diverse�specie�di�incarico�che il�legislatore�ha�previsto,�quanto�in�una�valutazione�che�dovesse�essere�operata�expost (alla�sca- denza�dell'incarico),�nella�fase�in�cui�l'operato�del�dirigente�e�valutato�ai�fini�dell'eventuale�con- ferma,�non�sussistendo�alcuna�norma�^nell'ambito�del�sistema�delineato�dalla�legge�n.�145/02� ^che�impedisca�una�positiva�valutazione�^ove�il�dirigente�se�ne�sia�dimostrato�meritevole�nel concreto�ed�effettivo�svolgimento�dell'incarico�di�studio�^dei�risultati�conseguiti.� Invero,�in�una�interpretazione�sistematica�dell'intera�disciplina,�dove�l'affidamento�del- l'incarico�di�studio�^si�ripete�^e�equiparato�non�solo�a�fini�economici,�ma�anche�giuridici,� all'incarico�di�funzione,�deve�ritenersi�che�i�parametri�che�entrano�in�considerazione,�ai�fini� di�una�successiva�attribuzione�o�conferma�di�incarico�dirigenziale,�ossia�il��raggiungimento� degli�obiettivi��e�l'�osservanza�della�direttive�,�siano�applicabili�anche�ai�fini�della�valuta- zione�dell'operato�del�dirigente�che�abbia�assunto�un�incarico�di�studio,�pur�ovviamente tenendo�conto�delle�peculiarita�che�connotano�tale�genere�di�attivita�professionale,�dove�piu� spiccatamente�assume�rilievo�il�dato�intellettuale�e�dove�l'attivita�richiesta�implica�l'analisi� di�dati,�l'approfondimento�scientifico,�l'elaborazione�e�la�ricerca�di�soluzioni,�in�funzione� anche�propositiva,�per�lo�sviluppo�o�il�miglioramento�organizzativo�di�determinati�settori� amministrativi.� Neppure�e�condivisibile�la�tesi�secondo�cui�vi�sarebbe�una�diversita�tra�l'incarico�di�studio� di�funzione�previsto��regime��dal�sistema�(art.�19,�comma�10:��i�dirigenti�ai�quali�non�sia�affi- data�la�titolarita�di�uffici�dirigenziali�svolgono,�su�richiesta�degli�organi�di�vertice�della�ammini- strazioni�che�ne�abbiano�interesse,�funzioni�ispettive,�di�consulenza,�studio�e�ricerca�o�altri�inca- richi�specifici�previsti�dall'ordinamento....�)�e�quello,�analogo�ma�diverso,�previsto�dalla�disci- plina�transitoria.�Secondo�tale�tesi,�l'incarico�di�studio�conferito�in�sede�di�disciplina� transitoria�sarebbe�una��scatola�vuota�,�priva�di�effettivi�contenuti,�tale�cioe�da�determinare� un�futuro�pregiudizio�per�il�dirigente�che�vi�sia�stato�investito,�in�quanto�atto�ad�arrecare,�al�ter- mine�dell'incarico,�nella�fase�di�confronto�e�comparazione�con�i�dirigenti�immessi�nell'effettivo� esercizio�dell'incarico�di�funzioni,�una�perdita�delle�chances di�ottenere�una�conferma.� Osserva�il�Tribunale�che,�dal�confronto�delle�relative�discipline,�non�si�rinviene�alcuna� differenza�sostanziale�tra�l'incarico�di�studio�nel�sistema�a�regime�e�quello�conferito�nel� sistema�transitorio,�di�talche�non�si�vede�come�il�secondo�possa�essere�valutato�diversamente� dal�primo�ai�fini�della�conferma�dell'incarico�dirigenziale.�L'unico�tratto�differenziale�e�dato� dall'essere�l'incarico,�nel�primo�caso,�richiesto�dall'amministrazione�che�ne�abbia�interesse,� evidentemente�a�fronte�di�una�specifica�esigenza�manifestatasi,�e,�nel�secondo�caso,�imposto ope legis, a�prescindere�dall'esistenza,�nel�momento�del�suo�conferimento,�di�un'effettiva� necessita�.�Ma�tale�aspetto�(che�puo�rilevare�unicamente�per�i�riflessi�economici�che�siffatta� generalizzata�operazione�potrebbe�comportare�per�la�collettivita�)�non�puo�rilevare�diretta- mente�per�il�singolo�dirigente,�se�non�nel�caso�in�cui�il�difetto�di�interesse�per�la�pubblica� amministrazione�si�dovesse�tradurre�nella�mancata�definizione�del�contenuto�dell'incarico�o� in�una�definizione�solo�fittizia�e�apparente�di�un�incarico�in�realta�insussistente�o�palese- mente�inutile.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Trattasi�di�aspetti�che,�per�avere�rilievo�in�giudizio,�avrebbero�dovuto�tradursi�in�altret- tante�censure�specifiche,�svolte�dal�dirigente�con�riguardo�alle�caratteristiche�dell'incarico� effettivamente�conferito,�e�non�gia�sulla�base�di�assunti�astratti,�privi�di�fondamento�nella� disciplina�legale.� Ben�puo�,�al�contrario,�argomentarsi�come�l'innovazione�introdotta�dalla�disciplina�tran- sitoria�sia�potenzialmente�intesa�a�consentire,�ed�anzi�ad�imporre,�la�trattazione�di�approfon- dimenti�scientifici�finalizzati�a�rendere�piu�efficienti�l'organizzazione�e�il�funzionamento�dei� diversi�apparati�della�pubblica�amministrazione,�non�potendo�di�certo�ipotizzarsi�che�il�legi- slatore�abbia�voluto�congegnare�un�sistema�in�cui,�a�fronte�di�un�trattamento�economico� rimasto�inalterato,�il�dirigente�sia�mantenuto�inoperoso.� Ove�poi�un'applicazione�della�legge�non�conforme�ai�riferiti�principi�di�efficienza�e�buon� andamento�dovesse�arrecare�concretamente�un�pregiudizio�al�dirigente,�che�non�vedesse� riconfermato�l'incarico�non�gia�per�carenze�o�negligenze�manifestate�durante�lo�svolgimento� dell'incarico�di�studio,�ma�per�difetto�di�un�utile�conferimento,�carente�di�oggetto�o�di�utilita�,� ben�potrebbe�tale�danno�essere�fatto�valere�nella�opportuna�sede.�Trattasi�-all'evidenza�-di� un�pregiudizio�allo�stato�non�attuale.� Nessun�rilievo�puo�essere�prestato�alla�circolare�interpretativa�in�atti�che,�non�solo�non� e�vincolante�per�il�giudice,�ma�si�discosta�dall'interpretazione�della�legge�che�questo�Tribu- nale�ha�inteso�fornire�con�la�motivazione�sopra�riportata.� Ne�sussistono�gli�altri�dubbi�paventati�dal�dirigente.� Cessato�l'incarico�di�studio,�non�vi�e�alcuna�concreta�prospettiva�di�un�collocamento�a� disposizione�del�dirigente�con�una�riduzione�di�retribuzione,�ne�addirittura�di�licenziamento� per�giustificato�motivo�oggettivo,�giacche�il�dirigente�si�trovera�in�situazione�del�tutto�ana- loga�a�quella�di�normale�scadenza�di�incarico�e,�quindi,�dovra�farsi�luogo�^come�gia�detto� ^ad�una�nuova�procedura�di�conferimento�di�incarico�secondo�le�disposizioni�di�cui� all'art.�19�del�d.lgs.�n.�165/01,�come�modificato�dall'art.�3�della�1egge�n.�145/02.� Allo�stato,�quindi,�appare�del�tutto�escluso�il�pericolo�di�un�concreto�pregiudizio�di� carattere�economico�e�relativo�al�rapporto�di�servizio,�mentre�quanto�al�rapporto�di�fun- zione,�questo�non�puo�che�essere�oggetto�di�valutazione�alla�stregua�di�ogni�altra�posizione� equivalente.� Richiamati�i�principi�costituzionali�sulla�tutela�del�lavoro,�il�dirigente�deduce�che�il�peri- culum in mora dovrebbe�ritenersi�insito�nel�depauperamento�delle�capacita�professionali�deri- vante�dal�mancato�quotidiano�esercizio�delle�mansioni�spettanti,�in�quanto�la�deroga� all'art.�2103�c.c.,�stabilita�dall'art.�19�d.lgs.�n.�165/01,�varrebbe�soltantoin�casodinuovo� incarico,�ma�non�anche�in�caso�di�revoca�anticipata�del�precedente.�Nella�fattispecie,�il�man- cato�esercizio�dell'incarico�di�direttore�generale�pregiudicherebbe�il�patrimonio�professionale� del�dirigente,�poiche�la�disciplina�del�settore�e�in�continua�evoluzione�e�l'allontanamento� anche�per�pochi�mesi�implica�la�perdita�progressiva�della�professionalita�acquisita.� Neanche�tale�argomento�e�condivisibile.� Il�mero�fatto�della�cessazione�delle�specifiche�mansioni�non�puo�ritenersi�tale�da�pregiu- dicare�il�raggiunto�livello�di�professionalita�,�tenuto�conto�che�il�pericolo�di�pregiudizio�non� e�in re ipsa e�che�non�sono�state�allegate�specifiche�circostanze�atte�a�corroborare�l'afferma- zione�secondo�cui�la�disciplina�di�settore�sarebbe�soggetta�a�rapida�evoluzione�da�rendere� in�breve�tempo�obsoleto�il�bagaglio�di�conoscenze�gia�acquisito;�tutto�cio�senza�considerare� che�l'attivita�di�studio�e�,�per�sua�natura,�volta�a�consentire�^ed�anzi�ad�agevolare�^l'aggior- namento�professionale�in�un�determinato�settore.� Non�puo�comunque�configurarsi�il�pericolo�di�un�grave�pregiudizio�laddove�non�siano� allegate�e�provate�specifiche�circostanze�di�fatto�da�cui�possa�desumersi�il�concreto�rischio� che,�nel�tempo�occorrente�per�l'espletamento�del�processo�di�merito,�la�professionalita�del� lavoratore�possa�effettivamente�depauperarsi�ovvero�che�siano�perse�o�possano�perdersi�con- crete�occasioni�di�sviluppo�di�carriera.� Inoltre,�appare�valida,�anche�nella�presente�fattispecie,�l'esclusione�della�applicazione� dell'art.�2103�c.c.�in�forza�di�quanto�prevede�l'art.�19�d.lgs.�n.�165/01,�giacche�l'incarico�gia� conferito�e�cessato�ex lege e,�pertanto,�il�dirigente�e�venuto�a�trovarsi�nella�stessa�posizione� in�cui�si�sarebbe�trovato�ove�l'incarico�fosse�cessato�in�forza�del�termine�convenzionalmente� apposto.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� In�conclusione,�si�osserva�che�la�privazione�delle�mansioni�di�direttore�generale�non�e�di� per�se�tale�da�pregiudicare�le�aspettative�di�carriera�innanzi�tutto�perche�anche�l'attivita�di� studio�svolta�sara�oggetto�di�valutazione�ai�fini�del�conferimento�di�nuovi�incarichi.� Non�sussistendo�il�periculuminmora la�domanda�del�reclamante�non�puo�trovare�acco- glimento�ed�e�ultroneo�l'esame�del�presupposto�delfumus boni iuris. Considerata�la�particolarita�della�vicenda,�appare�equo�compensare�interamente�le� spese�tra�le�parti.� P.Q.M.: Accoglie�il�reclamo�proposto�dal�Ministero�dell'istruzione�e�dalla�Presidenza� del�Consiglio,�e�per�l'effetto�rigetta�l'originaria�domanda�azionata�da�R.S.�Rigetta�il�reclamo� proposto�da�R.S.�(omissis). Roma,�4�giugno�2003�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 5.�^LA pronunicA deL TaR LaziO sullA commissionE VIA. Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione seconda ^Sentenza 21 maggio 2003 n. 4443 ^Presidente: D.�La�Medica�^Estensore: G.�Sapone�^F.R.�ed�altri�(Avv.ti� M.A.�Sandulli,�P.�Dell'Anno,�M.R.�Damizia)�c/�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,� Ministero�dell'Ambiente�e�del�Territorio�(avv.�dello�Stato�M.L.�Guida,�cont.�1081/03)� e�nei�confronti�di�M.M.�(avv.ti�G.M.�Cogo,�S.M.�Specchia),�ed�altri.� (omissis) Diritto ^Con�il�proposto�gravame�e�stato�impugnato�il�D.P.C.M.�in�epigrafe� indicato,�in�forza�del�quale�e�stata�disposta,�ai�sensi�dell'art.�6,�2.�comma,�della�legge� n.�145/2002,�la�revoca�della�nomina�degli�odierni�ricorrenti�a�componenti�della�Commis- sione�per�le�Valutazioni�di�Impatto�Ambientale,�istituita�presso�il�Ministero�dell'Ambiente�e� della�Tutela�del�Territorio.� Preliminarmente�il�Collegio�e�chiamato�ad�esaminare�l'eccezione�con�cui�le�resistenti� amministrazioni�hanno�prospettato�il�difetto�di�giurisdizione�dell'adito�Tribunale�alla�luce� dell'art.�63�del�D.lgvo�n.�165/2001,�il�quale�devolve�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario� le�controversie�relative�al�conferimento�ed�alla�revoca�degli�incarichi�dirigenziali,�ed�in�consi- derazione�della�circostanza�che�gli�incarichi�dei�ricorrenti,�relativamente�ai�profili�economici� e�giuridici,�sarebbero�stati�disciplinati�come�incarichi�dirigenziali.� L'eccezione�non�e�suscettibile�di�favorevole�esame.� Al�riguardo,�premesso�che�le�norme�attributive�della�giurisdizione�sono�di�stretta�inter- pretazione�e�possono�essere�estese�a�fattispecie�non�espressamente�previste�soltanto�qualora� tali�fattispecie�presentino�i�medesimi�elementi�costitutivi�di�quelle�indicate�nelle�citate� norme,�deve�essere�osservato�che�la�fattispecie�in�esame�non�puo�essere�in�alcun�modo�equi- parata�alla�revoca�di�un�incarico�dirigenziale�per�la�palese�circostanza�che�gli�attuali�istanti� in�virtu�della�revocata�nomina�non�hanno�mai�acquisito�la�qualifica�dirigenziale,�presuppo- sto�essenziale�per�riconoscere�la�giurisdizione�del�G.O.� La�circostanza,�sulla�quale�ha�insistito�la�Difesa�Erariale,�che�la�prestazione�espletata� dai�ricorrenti�nell'ambito�della�citata�Commissione�doveva�essere�almeno�pari�a�quella� minima�prevista�per�i�Dirigenti�dello�Stato�e�che�il�relativo�trattamento�economico�era�equi- parato�a�quello�dei�Direttori�generali�di�livello��C�,�non�risulta�conferente�ad�avallare�la�tesi� in�questione,�atteso�che�i�suddetti�elementi�sono�stati�previsti�solamente�per�individuare� l'ambito�dei�diritti�e�degli�obblighi�in�capo�agli�interessati,�ma,�sicuramente,�non�possono�in� alcun�modo�essere�considerati�in�grado�di�dimostrare�l'avvenuta�formazione�di�un�rapporto� di�pubblico�impiego�di�qualifica�dirigenziale.� A�tal�fine,�avuto�presente�che�lo�status giuridico�dei�componenti�della�Commissione�de qua,�in�forza�del�rinvio�effettuato�dalla�legge�n.�67/1988,�e�quello�previsto�dall'art.�5�della� legge�n.�878/1986�per�i�componenti�del�Nucleo�di�Valutazione�degli�investimenti�pubblici,�il� Collegio�osserva�che�la�suddetta�disposizione�prevede�l'estensione�ai�componenti�della�Com- missione�in�questione�delle�norme�sui�diritti�e�doveri�degli�impiegati�civili�dello�stato�in� quanto�compatibili,�per�cui�si�deduce,�che�il�rapporto�in�questione�non�e�stato�in�alcun�modo� considerato�dal�legislatore�come�un�rapporto�di�pubblico�impiego.� In�tale�quadro�normativo,�quindi,�l'impugnato�provvedimento�non�puo�in�alcun�modo� essere�considerato�come�un�atto�di�gestione�di�un�rapporto�di�pubblico�impiego,�e,�conse- guentemente,�deve�essere�affermata�la�giurisdizione�dell'adito�Tribunale�in�ordine�alla�pre- sente�controversia.� Nel�merito�risultano�fondati�il�terzo�ed�il�quarto�motivo�di�doglianza�prospettanti�la� violazione�degli�artt.�3�e�7�della�legge�n.�241/1990.� Al�riguardo�i�ricorrenti�hanno�fatto�presente�che:� 1)�la�comunicazione�dell'avvio�del�procedimento�conclusosi�con�la�gravata�determi- nazione�era�richiesta�in�osservanza�del�consolidato�e�notorio�orientamento�giurisprudenziale� che�impone�il�rispetto�della�suddetta�formalita�per�gli�atti�di�secondo�grado,�quale�e�sicura- mente�la�revoca;� 2)�il�rispetto�dell'obbligo�di�motivazione�era�richiesto�in�considerazione�della�portata� generale�dell'art.�3�della�legge�n.�241/1990.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� La�prospettazione�ricorsuale�e�stata�contestata�da�entrambe�le�parti�resistenti�le�quali� hanno�escluso�l'applicabilita�nella�fattispecie�in�esame�delle�richiamate�disposizioni�sul�pre- supposto�che�nel�caso�di�specie�la�revoca�non�si�atteggia�come�un�provvedimento�autorita- tivo�avente�effetti�costitutivi,�ma�ha�natura�meramente�dichiarativa�in�quanto�si�limita�ad� accertare�un�effetto�derivante�direttamente�dalla�legge.� In�particolare,�sulla�base�del�richiamo�della�normativa�in�materia�di�revoca�degli�incari- chi�a�segretario�comunale�(legge�n.�75/1999),�e�stato�sottolineato�che�nel�sistema�introdotto� dalla�legge�n.�145/2002�le�nomine�effettuate�nel�periodo�sospetto�sono�ontologicamente�con- formate�come�caducabili,�nel�senso�che��la�legge�non�attribuisce�al�neo�Ministro�un�potere� autoritativo�di�revoca�di�precedenti�incarichi,�ma�rende�semplicemente�caducabili�le�nomine� intervenute�in�un�periodo�che�rende�le�stesse�amministrativamente�sconvenienti�o�politica- mente�sospette��(pag.�9�della�memoria�conclusionale�del�controinteressato).� Cio�premesso,�occorre�evidenziare�che�la�norma�applicata�nella�vicenda�in�trattazione�e� il�secondo�comma�dell'art.�6�della�legge�n.�145/2002,�il�quale�stabilisce�che��le�nomine�di� cui�al�presente�articolo�conferite�o�comunque�rese�operative�negli�ultimi�seimesiantecedenti� la�fine�naturale�della�tredicesima�legislatura,�nonche�quelle�conferite�o�comunque�rese�opera- tive�nel�corso�della�quattordicesima�legislatura�fino�alla�data�di�insediamento�del�nuovo� Governo,�possono�essere�confermate,�revocate,�modificate�o�rinnovate�entro�sei�mesi�dalla� data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge�.� Relativamente�alla�fattispecie�in�trattazione,�il�Collegio�osserva:� 1)�sulla�base�del�tenore�della�citata�disposizione�(�possono�essere�...�revocate�),�il� potere�attribuito�al�Governo�o�al�singolo�Ministro�e�un�potere�discrezionale�ed�autoritativo� e�non�un�mero�potere�accertativo�di�un�effetto�gia�verificatosi�in�forza�delle�predetta�legge;� 2)�se�non�fosse�stata�adottata,�nel�termine�di�cui�alla�richiamata�disposizione,�la�con- testata�revoca,�l'originario�provvedimento�di�nomina�dei�ricorrenti�avrebbe�continuato�ad� essere�efficace�nonostante�l'entrata�in�vigore�della�citata�disposizione.� A�supporto�di�tale�tesi�deve�essere�osservato�che�per�gli�altri�componenti�della�Com- missione�in�questione,�nominati�nel�periodo��sospetto��ma�non�revocati,�non�e�stato�adot- tato�alcun�provvedimento�formale�di�conferma�nell'incarico�de quo, provvedimento�che,� invece,�doveva�essere�adottato�in�quanto,�seguendo�la�tesi�dell'amministrazione,�le�prece- denti�nomine�avevano�cessato�di�essere�efficaci�in�forza�dell'entrata�in�vigore�della�legge� n.�145/2002.� In�ordine�alla�prospettata�affermazione�circa�l'ontologica�conformazione�legislativa�in� merito�alla�caducabilita�delle�nomine�effettuate�nel�periodo�sospetto,�il�Tribunale�non�puo� non�osservare�che�la�caducabilita�non�puo�essere�intesa�come�automatica�caducazione,�atteso� che�tale�effetto�non�e�in�alcun�modo�stabilito�espressamente�dal�legislatore,�ma�deve�essere� interpretata�come�attribuzione�alle�competenti�autorita�di�un�potere�discrezionale�in�grado� di�incidere�sui�precedenti�provvedimenti�di�nomina.� In�sostanza�la�finalita�perseguita�con�la�legge�n.�145/2002�di�impedire�che�il�nuovo� Governo�si�trovi�ad�operare�in�un�rapporto�istituzionale�non�sereno�con�l'apparato�burocra- tico�e�che�nella�realizzazione�del�suo�programma�politico�in�conformita�agli�impegni�presi� con�gli�elettori�incontri�difficolta�e�ostacoli�frapposti�dall'azione�di�funzionari��infedel- mente��fedeli�alla�parte�politica�che�a�suo�tempo�li�aveva�nominati,�e�stata�perseguita�con� l'attribuzione�al�nuovo�Governo�di�un�amplissimo�potere�discrezionale�di�intervenire,�nei� tempi�e�con�le�modalita�ivi�previsti,�sulle�nomine�effettuate�nei�periodo�sospetto�dal�Governo� uscente,�le�quali,�peraltro,�in�assenza�di�qualsiasi�determinazione�al�riguardo,�continuano� ad�essere�nondimeno�efficaci.� Deve�essere�sottolineato,�infine,�che�in�un�simile�quadro�normativo�risulta�inconferente,� il�richiamo,�effettuato�da�entrambe�le�parti�resistenti�al�fine�di�evidenziare�l'identita�della� disciplina�giuridica,�alla�normativa�(legge�n.�75/1999)�in�materia�di�revoca�degli�incarichi�di� segretario�comunale�o�provinciale,�in�quanto�la�normativa�richiamata,�a�differenza�del�citato� art.�6�della�legge�n.�145/2002�che�nulla�dispone�al�riguardo,�prevede�esplicitamente�la�cessa- zione�automatica�dell'incarico�con�la�cessazione�del�mandato�del�sindaco�e�del�presidente� della�provincia.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Alla luce delle argomentazioni di cui sopra, pertanto, atteggiandosi la contestata revoca come un tipico provvedimento autoritativo di secondo grado, non poteva non trovare appli- cazione, giusta il consolidato e notorio orientamento giurisprudenziale, l'art. 7 della legge n. 241/1990. Per quanto concerne, poi, l'altro profilo di doglianza, prospettante il difetto di motiva- zione, il Collegio, uniformandosi a quanto recentemente statuito dalla sentenza n. 3277/ 2003 della Sezione II-ter,�osserva che anche se appare plausibile che la nomina effettuata nel periodo rilevante di cui al secondo comma del citato art. 6 possa ingenerare il sospetto che il Governo uscente abbia voluto in qualche modo condizionare l'azione del nuovo Governo, e� , tuttavia, evidente che una tale situazione di per se� non possa giustificare l'ado- zione di un provvedimento di revoca, necessitando a tal fine una puntuale motivazione, effet- tuata sulla base di un accurato riscontro di elementi certi ed oggettivi, in ordine all'inido- neita� , anche tecnica, del nominato ad espletare correttamente le proprie funzioni in sintonia con gli indirizzi politici del nuovo Governo. Conseguentemente, poiche� la contestata revoca, in ordine a tale aspetto, non contiene alcuna motivazione, la stessa risulta essere adottata in palese contrasto con il disposto del- l'art. 3 della legge n. 241/1990. L'acclarata fondatezza della doglianza in trattazione, comporta l'accoglimento della proposta impugnativa, con assorbimento delle altre censure dedotte. Per quanto riguarda, invece, la proposta azione risarcitoria, la stessa deve essere rigettata. Al riguardo il Collegio osserva che con l'annullamento con efficacia ex�tunc�della gra- vata revoca, la situazione soggettiva degli odierni ricorrenti deve essere ripristinata da un punto di vista patrimoniale sempre con efficacia ex�tunc,�con il conseguente riconoscimento agli stessi, con rivalutazione ed interessi, di tutte le indennita� che dovevano essere loro corri- sposte in relazione al periodo in cui la contestata determinazione ha avuto efficacia. Poiche� la corresponsione dei citati emolumenti e� la conseguenza diretta ed immediata degli effetti ripristinatori prodotti dall'annullamento della gravata determinazione, e� evi- dente che la stessa non puo� atteggiarsi come autonoma pretesa risarcitoria. In base alle pregresse considerazioni, il ricorso deve essere accolto nei limiti e nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, va annullato l'impugnato provvedimento. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio (omissis).� Avvocatura generale dello Stato ^Appello incidentale adesivo �Fatto�^Con la sentenza indicata in epigrafe il Tar Lazio ha annullato il d.p.c.m. 19 set- tembre 2002, con il quale i Sig.ri F. R. ed altri sono stati revocati, ex�art. 6, commi 1 e 2, legge n. 145/2002, dall'incarico di componenti della Commissione V.I.A., nonche� gli atti ad essi connessi e conseguenti. Il Tar ha ritenuto che gli atti impugnati fossero illegittimi per il mancato avviso dell'avvio del procedimento e per difetto di motivazione. Contro tale decisione ha proposto appello il controinteressato M. M. Le intestate Amministrazioni aderiscono all'impugnazione e propongono ricorso inci- dentale, nella parte in cui e� stato annullato il d.p.c.m. impugnato, per le seguenti considera- zioni di Diritto�^Violazione�e�falsa�applicazione�dell'art.�6,�secondo�comma,�legge� n.�145/2002,�nonche�degli�artt.�3�e�7,�legge�241/1990.� Il Tar ha ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato nel presuppostoche esso fosse contrario alla disciplina ordinaria stabilita dagli artt. 3 e 7 della legge n. 241/1990, in tema di comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento e di obbligo di motivazione. Il giudice di primo grado non ha tenuto conto del fatto che il provvedimento impugnato e� stato adottato in base ad una normativa di carattere speciale ed eccezionale, per le specifi- che esigenze correttamente individuate nella sentenza impugnata di impedire che l'attivita� del nuovo Governo fosse pregiudicata ovvero ostacolata dalla azione di funzionari nominati dalla parte politica avversa al termine del proprio mandato. Sembra chiaro che non vi sarebbe stato bisogno di emanare la disposizione normativa sopra richiamata, qualora fosse stato necessario applicare comunque le ordinarie regole sulla IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� revoca�degli�atti�amministrativi�dinomina.�E�invece�evidente�che�la�normativa�speciale�consente� di�disporre�la�revoca�senza�particolari�formalita�,�per�le�ragioni�gia�insite�nella�disposizione�di� legge.�In�pratica,�il�legislatore�ha�tipizzato�una�fattispecie�particolare�(la�nomina�di�alti�funzio- nari�da�parte�del�Governo�in�scadenza)�in�presenza�della�quale�il�nuovo�Governo�puo�,�entro� un�termine�prestabilito,�rimuovere�i�funzionari�predetti.�La�discrezionalita�che�caratterizza�l'e- sercizio�di�tale�azione�consiste�nella�valutazione�della�opportunita�o�meno�di�procedere�alla� rimozione�delfunzionario�dall'incarico�aluiconferito�in�quel�particolare�contesto.�Allorquando� il�Governo�abbia�deciso�di�avvalersi�di�tale�potesta�,�tuttavia,�non�occorre�esprimere�nessuna� particolare�motivazione,�in�quanto�essa�e�gia�contenuta�nel�richiamo�alle�ragioni�che�hanno�giu- stificato�l'emanazione�della�norma�di�legge,�e�che�lo�stesso�Tar�ha�perfettamente�individuato.� D'altra�parte,�una�specifica�motivazione�del�provvedimento�di�revoca�poteva�essere�in�ipo- tesi�richiesta,�solo�qualora�lo�stesso�provvedimento�di�nomina�avesse�esplicitato�le�ragioni�della� scelta�operata�dal�precedente�Esecutivo.�Infatti,�solo�l'esplicitazione�di�tali�ragioni�avrebbe� potuto�richiedere�la�esternazione�di�motivi�ad�esse�contrari.�Viceversa,�le�nomine�adottate�nel� periodo�``sospetto''�e�non�sorrette�da�specifica�motivazione�(come�quelle�in�contestazione),� devono�ritenersi�logicamente�basate�sul�solo�rapporto�fiduciario�con�il�precedente�Governo.�In� base�alla�ratio della�legge,�e�sufficiente�tale�rapporto�(che�implica�la�mancanza�di�un�rapporto� analogo�con�il�nuovo�Governo)�a�giustificare�il�provvedimento�di�revoca.�In�tali�casi,�la�motiva- zione�e�implicita�nella�circostanza�che�il�funzionario�esprime�le�tendenze�della�compagine�poli- ticacontrapposta,�e�non�gia�^come�deve�essere^del�Governo�incarica.�Neppure�rilevalacirco- stanza�che�non�tutti�gli�incarichi�sono�stati�revocati,�perche�^come�si�e�detto�^il�Governo,�nel� valutare�l'opportunita�di�adottare�il�provvedimento�di�revoca,�puo�ben�ritenere�che�possa� instaurarsi�un�rapporto�fiduciario,�pur�in�mancanza�di�una�nomina�diretta.� Ugualmente�errata�e�la�tesi�secondo�cui�occorreva�iniziare�uno�specifico�procedimento,�del� cui�inizio�era�necessario�dare�avviso�all'interessato.�E�infatti�la�stessa�legge�a�prevedere�il�proce- dimento�di�riesame�delle�nomine,�fissando�i�relativi�termini,�sicche�la�conoscenza�dell'avvio�del� procedimento�e�fornito�dalla�stessa�pubblicazione�della�legge.�Peraltro,�considerato�che�l'ob- bligodell'avvisodell'avviodelprocedimentorispondeadesigenzesostanziali,�enonmeramente� formalistiche,�gli�interessati�erano�perfettamente�in�grado�di�conoscere�la�sussistenza�delle�con- dizioni�per�disporre�la�loro�rimozione�dall'incarico�e,�quindi,�di�formulare�le�proprie�eventuali� osservazioni,�per�effetto�della�sola�conoscibilita�della�legge�in�questione.� P.T.M.: Si�conclude�per�l'accoglimento�del�ricorso�principale�e�del�presente�ricorso�inci- dentale,�nonche�dell'istanza�cautelare�di�sospensione�della�esecutivita�dell'impugnata�sen- tenza,�con�ogni�consequenziale�statuizione�anche�in�ordine�alle�spese.� Roma,�22�luglio�2003� L'Avv. Maria Letizia Guida�� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 7.�^UnA autorevolE dissentinG opinioN Il nuovo regime dei dirigenti pubblici italiani: una modificazione costituzionale (1) di Sabino Cassese Sommario: 1.�^I�governi�restano,�le�burocrazie�passano.�2�^Il�nuovo�regime� della�dirigenza�posto�a�raffronto�con�quello�precedente.�3�^Le�cause:�la� �passion�des�places�.�4�^Gli�effetti:�il�dominio�dei�politici�sui�burocrati.�5� ^Continuita�efratturenell'altafunzionepubblica.�6^Ilnuovoregimealla� prova�di�costituzionalita�.�7�^Conclusioni.� 1.�^I�governi�restano,�le�burocrazie�passano.� Negli�anni�tra�la�fine�del�ventesimo�secolo�e�gli�inizi�di�quello�successivo,� nella�storia�della�costituzione�italiana,�caratterizzata�da�una�grande�conti- nuita�,sie�prodotta�una�frattura:�prima�si�poteva�dire�che,�come�in�tutti�i� principali�Stati,�i�governi�passano,�la�burocrazia�resta;�in�Italia,�ora�le�parti� si�sono�invertite,�perche�i�governi�sono�diventati�stabili,�la�burocrazia�tran- seunte.�Due�norme,�una�del�governo�di�centro�sinistra�(1998),�una�del� governo�di�centro�destra�(2002)�hanno,�da�un�lato,�fatto�cessare�i�dirigenti� pubblici�in�carica;�dall'altro,�stabilito�che�i�dirigenti�pubblici�durano�in�carica� per�una�durata�inferiore�a�quella�dei�governi�(2).�Se,�prima,�l'alta�funzione� pubblica�era�poco�sensibile�alla�politica�e�formalistica,�ora�essa�e�posta�alla� merce�della�politica,�quindi�indebolita.� Il�cambiamento�indicato�e�molto�importante.�Riguarda�l'assetto�dei� poteri�al�vertice�dello�Stato�e,�quindi,�la�costituzione��materiale�.�Richiede,� quindi,�un�giudizio�sulla�sua�corrispondenza�alla�costituzione��formale��del� 1948.�Modifica�un�equilibrio�stabilito�fin�dall'unificazione�politica�(1861).� Va,�quindi,�posta�a�raffronto�con�un�modello�formatosi�sul�lungo�periodo.� Risponde�ad�un'esigenza�politica�della�fase�aperta�nel�1993,�con�l'introdu- zione�del�metodo�elettorale�maggioritario.�Di�conseguenza,�comporta�un�giu- dizio�sulle�attuali�vicende�politiche�italiane.� In�questo�scritto�il�tema�e�affrontato�illustrando�prima�il�regime�della� dirigenza�e�ponendolo�a�raffronto�con�quello�precedente;�successivamente� elencando�le�cause�e�gli�effetti�del�nuovo�regime�sull'equilibrio�dei�rapporti� (1)�Lezione�per�gli�allievi�della��Ecole�Normale�Superieure��di�Parigi,�14�novembre�2002.� Ringrazio�il�professor�Stefano�Battini,�il�consigliere�Gaetano�D'Auria,�il�dottor�Luigi�Fiorentino,� la�dottoressa�Elisabetta�Midena�e�il�dottor�Valerio�Talamo�per�i�loro�commenti�a�una�prima�ver- sione�di�questo�scritto,�che�e�in�corso�di�pubblicazione�nel��Giornale�di�diritto�amministrativo�,� 2002,�n.�12.� (2)�Va�precisato�che�la�riforma�del�1998,�contemplando�una�durata�degli�incarichi�da�2�a�7� anni,�ammetteva�la�possibilita�che�un�incarico�si�svolgesse�per�un�periodo�superiore�alla�durata� del�governo�nominante.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� tra�governo�e�alta�funzione�pubblica;�poi�allargando�lo�sguardo�alle�conti- nuita�e�alle�fratture�nella�storia�dell'alta�funzione�pubblica;�infine,�facendo� una�verifica�di�costituzionalita�del�nuovo�regime.� 2.�^Il nuovo regime della dirigenza posto a raffronto con quello precedente. Si�inizia�dal�nuovo�regime�della�dirigenza.�Questo�e�stato�disposto�da� due�norme�(1998�e�2002),�la�seconda�piu�radicale�della�prima.�Esse�sono�il� frutto�della�stessa�tendenza,�ma�sono�dovute�a�governi�di�orientamento� diverso.�Vanno,�quindi,�esaminate�separatamente.� Nel�1998-1999,�e�stata�stabilita,�in�primo�luogo,�la�cessazione�degli�inca- richi�dirigenziali�esistenti,�che�dovevano�essere�confermati�entro�novanta� giorni�(3).�In�secondo�luogo,�che�i�quaranta�incarichi�dirigenziali�piu�alti� (segretari�generali�dei�ministeri�e�capi�di�dipartimento)�potevano�essere�con- fermati,�revocati,�modificati�o�rinnovati�entro�novanta�giorni�dal�voto�sulla� fiducia�al�governo.�In�terzo�luogo,�che�tutti�gli�incarichi�dirigenziali�dovevano� essere�conferiti�a�tempo�determinato,�per�una�durata�non�inferiore�a�due�e� non�superiore�a�sette�anni.�In�quarto�luogo,�che�per�il�5�per�cento�dei�posti� sia�di�dirigente�generale,�sia�di�dirigente,�i�ministri�potevano�nominare� persone�scelte�dall'esterno.� Nel�2002�e�stata�stabilita,�in�primo�luogo,�la�cessazione�degli�incarichi� dirigenziali�generali�(direttori�generali),�che�vanno�attribuiti��ex novo��(alla� stessa�persona�o�ad�altri),�e�di�quelli�dirigenziali�non�generali�(capi�divisione),� che�sono�confermati�se�non�sono�attribuiti�ad�altra�persona�entro�novanta� giorni.�In�secondo�luogo,�che�i�quaranta�incarichi�dirigenziali�piu�alti�cessano� dopo�novanta�giorni�dal�voto�sulla�fiducia�al�governo.�In�terzo�luogo,�che� tutti�gli�incarichi�dirigenziali�sono�a�tempo�determinato,�per�una�durata�mas- sima�di�tre�anni�per�i�dirigenti�generali�e�di�cinque�per�gli�altri.�In�quarto� luogo,�che�per�il�10�per�cento�dei�posti�di�dirigente�generale�e�per�l'8�per�cento� di�quelli�di�dirigente�possono�essere�nominati�esterni�all'amministrazione.� (3)�Si�tratta�di�un�effetto�determinato�dalla�norma�transitoria�contenuta�nel�secondo�comma� dell'art.�8�del�d.P.R.�n.�150�del�1999,�che�disciplina�la�prima�attuazione�del�regime�della�contratta- zione�individuale�degli�incarichi�di�dirigenza�generale.�Per�effetto�di�questa�norma,�il�dirigente� generale�che�non�aveva�ricevuto�un�incarico�per�la�direzione�di�un�ufficio�di�livello�dirigenziale� generale,�poteva�perdere�le�funzioni�fino�a�quel�momento�esercitate,�senza�che�l'amministrazione� fosse�tenuta�a�seguire�le�procedure�di�garanzia�previste�dalla�normativa.�Questa�norma�(sulla� quale�si�possono�leggere�le�circolari�del�Dipartimento�della�funzione�pubblica�n.�7�del�5�agosto� 1999�e�del�Sottosegretario�alla�Presidenza�del�Consiglio�dei�ministri�17�gennaio�2000)�e�stata� impugnata�davanti�al�Tribunale�amministrativo�regionale�del�Lazio�che,�nell'ordinanza�19�luglio� 2000,�di�rimessione�alla�Corte�Costituzionale,�ha�riconosciuto�la�rilevanza�e�la�non�manifesta� infondatezza�della�questione�di�costituzionalita�,�in�riferimento�agli�arti.�3,�97�e�98�Cost.�La�Corte� costituzionale,�con�l'ordinanza�n.�11�del�2002,�ha�giudicato�manifestamente�infondata�la�relativa� questione�di�costituzionalita�.�Secondo�i�ricorrenti,�tale�norma�introduceva,�per�tutti�i�dirigenti� generali,�un�meccanismo�di�tipo��spoil system�,�che�il�legislatore�delegato�aveva�previsto�all'art.� 19,�comma�8,�de.�d.�lgs.�n.�165�del�2001�solo�per�gli�incarichi�dei�segretari�generali�e�capi�di�dipar- timento,�i�quali�possono�essere�revocati�senza�particolare�motivazione,�in�base�al�gradimento� politico.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Si�noti�che�il�primo�tipo�di�disposizione�e��una tantum�,�e�si�e�applicato� all'inizio�del�centro-sinistra�(1996-2001)�e�all'inizio�del�centro-destra�(2002).� Le�altre�disposizioni�sono�permanenti.� L'unica�differenza�di�qualche�rilievo�tra�il�regime�del�1998-1999�e�quello� del�2002�sta�nel�fatto�che�il�primo�stabiliva�una�durava�minima�di�2�anni,� mentre�il�secondo�consente�incarichi�anche�mensili�e�semestrali.� Per�comprendere�queste�norme�e�la�loro�portata�innovativa�vanno�ricor- dati�alcuni�aspetti�del�contesto.�In�primo�luogo,�tutti�i�dirigenti,�dal�1998,� sono�sottoposti�al�regime�privatistico:�non�hanno,�piu�lo�statuto�della�fun- zione�pubblica.�Essi�sono,�quindi,�regolati,�da�contratti�di�lavoro�subordi- nato.�E�i�contratti�sono�separati�dagli�incarichi.�Se�l'incarico�cessa,�non�ter- mina�il�contratto�di�lavoro.�Il�dipendente�che�perde�l'incarico�resta�per�il� massimo�di�un�anno�con�altro�incarico.�Che�cosa�accada�dopo�l'anno,�se�cioe� cessi�anche�il�rapporto�di�lavoro,�non�e�chiaro�(4).� In�secondo�luogo,�disposizioni�precedenti�(del�1992-1993)�avevano�stabi- lito�una�distinzione�tra�governo�ed�alta�funzione�pubblica,�assegnando�al� primo�l'indirizzo�e�il�controllo�e�alla�seconda�la�gestione.�Si�disse,�quindi,� che�i�dirigenti�avevano�compiti�propri�di�cui�dovevano�essere�responsabili;� che�i�ministri�dovevano�stabilire�obiettivi�e�direttive,�poi�valutare�alla�loro� stregua�la�gestione�fatta�dai�dirigenti,�ed�essere,�quindi,�liberi�di�dismettere�i� dirigenti�che�non�avessero�raggiunto�gli�obiettivi�o�rispettato�le�direttive.� Tutto�cio�,�pero�,�non�spiegava�ne�la�cessazione�generalizzata,�ne�la�durata� determinata�dell'incarico.�Infatti,�sarebbe�bastato�stabilire�l'obbligo�di�valuta- zione�dell'attivita�e�la�dismissione�dei�dirigenti�per�mancato�raggiungimento� degli�obiettivi�o�inosservanza�delle�direttive.�Che�la�spiegazione�non�tenesse� e�dimostrato�dal�fatto�che�i�ministri�non�hanno�fissato�obiettivi,�ne�dato� direttive,�ne�,�infine,�fatto�controlli.� Molto�istruttiva�la�comparazione�con�la�situazione�precedente,�configu- rata�fin�dal�1861,�e�regolata�da�ultimo�nel�1972�(con�la�norma�che�ha�intro- dotto�e�regolato�la�dirigenza,�distinguendola�dalla�carriera�direttiva)�e�nel� 1992�(con�la�norma�che�ha�sottratto�gli�impiegati�pubblici,�compresi�i�diri- genti,�ma�con�esclusione�dei�dirigenti�generali,�allo�statuto�del�pubblico� impiego�e�li�ha�sottoposti�ai�contratti�collettivi�di�lavoro).� Nel�regime�precedente�non�si�distingueva,�tra�rapporto�di�lavoro�ed� incarico�e�non�vi�erano�cesure�tra�un�governo�e�l'altro.�Sia�i�dirigenti�generali,� sia�i�dirigenti�erano�nominati�a�tempo�indeterminato,�i�primi�dal�Consiglio� dei�ministri,�i�secondi�dai�singoli�ministri.�I�primi�erano�scelti,�di�regola,�tra� i�dirigenti�piu�anziani�di�carriera;�i�secondi�per�concorso�interno.�Sia�i�primi� (4)�Il�regime�dei�2002�ha�lasciato�nell'ambito�privatistico�solo�la�definizione�del�trattamento� economico,�prevedendo�che�con�provvedimento�amministrativo�siano�determinati�durata,�oggetto� ed�obiettivi,�del�contratto�individuale.�Resta�da�individuare�l'effettivo�residuo�spazio�negoziale� della�contrattazione�collettiva.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� sia�i�secondi�potevano�essere�dismessi,�ma�per�gravi�motivi,�con�provvedi- mento�motivato�o�con�ragioni�disciplinari�o�con�gravi�inadempienze,�e�dopo,� contestazione�degli�addebiti�ed�esercizio�del�diritto�di�difesa�(5).� Dunque,�il�nuovo�regime�della�dirigenza�si�differenzia�molto�da�quello� precedente.�Prima�l'alta�funzione�pubblica�era�indifferente�al�passaggio�dei� governi.�Questi�potevano�scegliere�le�persone�da�nominare�ai�vertici�burocra- tici�alla�scadenza�della�carica�di�ciascuna�persona,�quando�il�dirigente� andava�in�pensione,�o�veniva�nominato�consigliere�di�Stato�o�della�Corte� dei�conti.�Ma�si�trattava�di�decisioni�prese�una�per�una,�a�seconda�dell'eta� delle�persone.�E�venivano�prese,�specialmente�nei�ministeri�maggiori,�rispet- tando�l'ordine�di�anzianita�.�Per�il�livello�immediatamente�inferiore,�quello� dei�dirigenti,�la�nomina�avveniva,�invece,�in�base�a�concorsi�interni�al�quali� potevano�accedere�i�dipendenti�con�almeno�cinque�anni�di�servizio.� Ora,�invece,�i�vertici�burocratici�sono�azzerati�con�il�passaggio�da�un� governo�all'altro.�E�il�nuovo�governo�puo�nominare�liberamente,�senza�dover� nulla�spiegare,�ai�posti�piu�alti,�dipendenti�pubblici�o,�nella�misura�del�10� per�cento,�privati.� Prima�i�dirigenti�erano�nominati�senza�vincolo�di�durata�fino�alla�data� di�cessazione�del�rapporto�di�lavoro�(65�anni,�poi�67),�ma�potevano�essere� dismessi�con�procedura�in�contraddittorio�e�motivazione,�per�fatti�disciplinari� o�gravi�inadempienze.� Ora�c'e�la�possibilita�di�dismissione�per�non�avere�realizzato�gli�obiettivi� e�rispettato�le�direttive,�ma�la�nomina�ha�durata�determinata�sin�dall'inizio� in�un�massimo�di�tre�anni�per�i�dirigenti�generali�e�di�cinque�per�i�dirigenti.� 3.�^Le cause: la �passion�des�places�.� Quali�sono�i�fattori�che�hanno�provocato�un�cambiamento�cos|�radicale?� La�spiegazione�data�inizialmente�in�sede�ufficiale�e�la�seguente:�la�buro- crazia�italiana�e�un�mondo�cristallizzato,�poco�mobile,�scarsamente�sensibile� all'innovazione,�interessato�alla�carriera�e�ai�piccoli�privilegi�interni�piu�che� al�rendimento.�Dunque,�occorre�introdurre�mobilita�e�responsabilita�.� Questa�spiegazione�non�regge:�essa�parte�da�una�diagnosi�giusta�e�pro- pone�un�obiettivo�anch'esso�giusto:�Ma�il�mezzo�prescelto,�e�cioe�il�ricambio� per�nomina�politica�dei�dirigenti�e�la�loro�precarizzazione�non�e�l'unico�stru- mento�per�raggiungere�l'obiettivo,�e�neppure�quello�piu�efficace.�Infatti,�piu� mobilita�e�maggiori�rendimenti�si�sarebbero�potuti�ottenere�con�la�selezione� sulla�base�del�merito�e�non�dell'anzianita�(e,�quindi,�istituendo�un��fast stream��per�l'accesso,�anche�dall'esterno,�dei�piu�meritevoli�al�vertice�ammini- strativo)�piuttosto�che��azzerando��la�dirigenza�e�rimettendo�la�sostituzione� a�un�giudizio�del�governo,�e�con�un�sistema�imparziale�di�valutazione�perio- dica,�seguito�dalla�dismissione�in�caso�di�giudizio�negativo,�piuttosto�che� limitando�dall'inizio�la�durata�nella�carica�dei�dirigenti.� Il�vero�fattore�del�cambiamento�va�cercato�altrove,�nei�mutamenti�pro- dottisi�nel�sistema�politico.�Negli�anni�'90�del�ventesimo�secolo,�vi�e�stata� (5)�Ma�si�ricordano�pochissimi�casi�di�applicazione�di�questa�norma.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� una�generale�stabilizzazione�degli�esecutivi.�Al�centro,�questa�e�stata�prodotta� dalla�introduzione�del�metodo�elettorale.�In�periferia�(regioni,�province�e� comuni),�la�stabilizzazione�e�stata�prodotta�dalla�introduzione�della�elezione� diretta�dei�presidenti�delle�giunte�regionali�e�provinciali�e�dei�sindaci.� Il�nuovo�sistema�politico�italiano�non�ha�solo�rafforzato�i�governi;�ha� anche�portato,�per�la�prima�volta,�al�governo�le�due�forze�politiche�estreme,� comunisti�e�fascisti,�che�non�avevano�precedentemente�avuto�accesso�al� potere�centrale.� Questo�rafforzamento�della�politica,�nel�senso�di�stabilizzazione�dei�par- titi�nei�governi�e�della�loro�durata,�e�avvenuto�in�un�decennio�di��quarantena� della�politica�,�di�privatizzazioni�(che�hanno�fortemente�diminuito�il�settore� pubblico�industriale�e�le�amministrazioni��parallele��dominate�dal�patronato� politico)�e�di�affidamento�di�compiti�prima�governativi�ad�autorita�ammini- strative�indipendenti�dal�governo.� Le�conseguenze�di�questi�cambiamenti�concomitanti�si�sono�subito�fatte� sentire.�La�durata�media�dei�governi,�prima�di�un�anno,�e�divenuta�(tenden- zialmente)�quella�della�legislatura,�quindi�quinquennale.�I�partiti�al�governo� si�sono�finalmente�sentiti�sicuri�e�padroni,�perche�hanno�alle�spalle�una�soli- da�maggioranza�parlamentare.�E�sono�stati�subito�ripresi�dalla��passion des places�,�piu�forte�per�la�cura�dimagrante�fatta�in�precedenza�e�piu�difficile� da�soddisfare�per�essersi�i�governi�degli�anni�'90�spogliati�di�posti�e�di�poteri,� con�le�privatizzazioni�e�la�istituzione�di�autorita�indipendenti.�Infine,�le�due� forze�politiche�che�prima�non�erano�state�al�governo�non�avevano�consuetu- dine�con�l'alta�burocrazia.�Le�altre�forze�politiche�avevano,�nel�lungo�periodo� dagli�anni�'60�agli�anni�'80,�contribuito�a�scegliere�gli�alti�burocrati,�sia�pur� uno�ad�uno,�alla�scadenza�del�loro�rapporto�di�lavoro.�Comunisti�e�fascisti� erano�stati�esclusi�da�questa�scelta.�Erano,�quindi,�particolarmente�interessati� a�far�sentire�la�propria�voce.� Dunque,�la�classe�politica�e�giunta�a�consolidarsi�ed�e�arrivata�a�questo� punto�affamata�di�posti,�ma�con�difficolta�a�soddisfare�tale�fame�nei�campi� solitamente�riservati�alla�politica,�le�nomine�negli�enti�pubblici�economici�e� la�negoziazione�dei�controlli�sui�servizi�pubblici�(telecomunicazioni,�energia� elettrica,�gas,�trasporti).�Ha�dovuto,�dunque,�rivolgersi�altrove,�cambiando� le��regole�del�gioco��del�campo�posto�alle�sue�dirette�dipendenze,�quello� burocratico.� La�rapida�successione�del�governo�di�centro-destra�ad�uno�di�centro- sinistra�ha�peggiorato�la�situazione,�perche�,�avendo�i�governi�del�primo�orien- tamento�nominato�un�certo�numero�di�dirigenti,�quello�del�secondo�orienta- mento�ha�ritenuto�suo�diritto�di�fare�ancora�di�piu�.� Il�cambiamento�e�stato�condito�con�qualche�esercizio�di�retorica,�usando� l'argomento�che�un�governo,�per�fare�una�sua�politica,�deve�disporre�di� uomini�di�sua�fiducia.�Questo�argomento�e�stato�nutrito�a�sinistra�dal�con- sueto�sospetto�per�la�burocrazia,�considerata�con�diffidenza�perche�ritenuta� legata�ai�governi�precedenti�(nei�confronti�dei�quali,�la�sinistra�era�all'opposi- zione)�e�perche�vista�come�un�esercito�di�sabotatori.�Ed�e�stato�nutrito�a� destra�dalla�concezione�dello�Stato�come�azienda,�dove�il�nuovo��capo�� porta�la�sua��squadra�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Dunque,�il�ricambio�per�nomina�politica�e�la�precarizzazione�non� rispondono�ad�esigenze�funzionali�della�gestione�dello�Stato,�bens|�ad�esi- genze�interne�di�un�corpo�politico,�come,�quello�italiano,�che�ha�sempre� avuto�fame�di�posti�per�sistemare�propri�clienti�e�che�vuole�per�questa�strada� assicurarsi�la�fedelta�politica�della�burocrazia.�E�paradossale�che�quello�che� ne�il�fascismo�ne�il�lungo��regno��della�Democrazia�cristiana�avevano�fatto,� sia�stato,�invece,�fatto,�in�cos|�breve�tempo�e�con�tanta�coerenza,�dai�due� governi�di�opposta�tendenza�del�maggioritario.� 4.�^Gli effetti: il dominio deipolitici sui burocrati. Numerosi�gli�effetti�dei�provvedimenti�illustrati.�Il�primo�e�quello�di� porre�in�una�condizione�istituzionale�di�debolezza�l'alta�funzione�pubblica.� Questa�sa�che�deve�avere�il�gradimento�dei�diversi�governi,�se�vuole�conser- vare�il�posto.�Sa�che�cio�e�completamente�discrezionale,�nel�senso�che�la�ces- sazione�e�automatica,�prodotta�direttamente�dalla�legge�e,�quindi,�che�il� governo�non�deve�dare�alcuna�giustificazione�del�proprio�operato.�Sa�che,�se� nominata�o�confermata,�l'aspetta�almeno�un'ulteriore�conferma�da�parte� dello�stesso�governo�(infatti,�la�durata�massima�dell'incarico�e�di�tre�anni,� mentre�la�durata�massima�del�governo�e�di�cinque�anni).�Sa,�infine,�che�la� sua�precarizzazione�impone�fedelta�al�governo�in�carica.� A�loro�volta,�i�governi�sanno�di�avere�un�potere�enorme,�perche�possono� decidere,�inizialmente,�tutto�in�una�volta,�sulla�sorte�della�dirigenza,�mentre� prima�si�poteva�solo�volta�per�volta,�alla�scadenza�per�fine�dell'impiego�di� ciascuno.�E�perche�possono�fare�le�nuove�nomine�o�le�conferme�per�periodi� anche�piu�brevi�dei�tre�anni,�al�limite�anche�per�un�anno�o�sei�mesi,�cos|� rafforzando�il�grado�di�dipendenza�della�funzione�pubblica�dal�governo.� Oltre�a�questo�primo�effetto�(debolezza,�dipendenza,�precarizzazione,� fidelizzazione),�ve�n'e�un�secondo,�indiretto.�Un�meccanismo�come�quello� congegnato�e�suscettibile�di�avere�una�grande�forza�espansiva.�Una�volta� nominate�persone�di�fiducia�in�posizioni�chiave�(per�esempio,�le�direzioni� del�personale),�queste�potranno,�a�loro�volta,�fare�lo�stesso�con�i�livelli�infe- riori,�non�dirigenziali,�promovendo�o�collocando�nei�posti�importanti�i� dipendenti�dello�stesso�orientamento�politico.� Il�terzo�aspetto�di�questa�generale�subordinazione�dei�dirigenti�ai�politici� e�quello�di�ridare�nuovi�poteri�ai�ministri,�pur�conservandone�l'immunita�.� Infatti,�da�un�lato,�i�ministri�possono�indirizzare�e�controllare,�non�compiere� singoli�atti�di�gestione.�Dall'altro,�questi�ultimi�sono�affidati�a�dirigenti�resi� dipendenti�e�precari�e�quindi�facilmente�manipolabili�e�persino�ricattabili.� La�conseguenza�e�che�il�vertice�politico�riprende�in�mano�la�gestione,�ma� senza�assumerne�le�responsabilita�,�perche�i�singoli�atti�di�gestione�saranno� dei�dirigenti.�Cio�costituisce�un�indubbio�vantaggio,�specialmente�sotto�il� profilo�penale�e�della�responsabilita�amministrativa�(davanti�alla�Corte�dei� conti):�il�dirigente�si�addossa�la�responsabilita�,�il�ministro�prende�la�deci- sione.�La�separazione�tra�compiti�politici�di�direzione�e�controllo�e�compiti� amministrativi�di�gestione�comporta�una�certa�indipendenza�dei�dirigenti.� Questi,�se�sono�deboli�e�precari,�faranno�quello�che�il�vertice�politico�dice� loro,�con�l'ulteriore�beneficio,�per�quest'ultimo,�di�esercitare�poteri�senza� addossarsene�le�relative�responsabilita�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Questo�modo�per�assicurarsi�almeno�il�conformismo,�se�non�l'affilia- zione�politica�della�funzione�pubblica�(e�non�solo�di�quella�alta,�come�si�e� visto),�produce�un�ulteriore�effetto,�quello�di�portare�alle�ultime�conseguenze� l'assetto�monistico�dello�Stato.�Questo,�finche��c'era�il�metodo�elettorale� proporzionale,�trovava�in�esso�la�garanzia�principale�di�equilibrio.�La�preca- rieta�dei�governi�suppliva�all'assenza�di�contrappesi�e�di�garanzie.�Introdotto� il�metodo�maggioritario,�che�si�e�innestato�su�un�sistema�parlamentare,�si�e� rafforzato�il��continuum��maggioranza�elettorale-maggioranza�parlamen- tare-governo.�Con�le�nuove�disposizioni�sulla�dirigenza,�il��continuum�si� estende�alla�pubblica�amministrazione,�per�cui�chi�vince�le�elezioni�piglia� tutto,�potere�legislativo,�governo�e�amministrazione;�rafforzando�quella� �tirannide�della�maggioranza��nei�confronti�della�quale�un'alta�funzione� pubblica�neutrale�avrebbe�potuto�funzionare�da�contrappeso.� Non�vanno,�da�ultimo,�sottovalutate�le�conseguenze�economiche�del� nuovo�regime.�Infatti,�da�un�lato,�con�il�passare�del�tempo,�vi�saranno�sem- pre�piu�dipendenti�che�conservano�^per�il�massimo�di�un�anno,�perche��la� sorte�successiva�e�incerta�(6)�^lo�stipendio,�con�compiti�di�studio,�ma�non� l'incarico.�Quindi,�nonostante�gli�accorgimenti�presi�per�contenere�le�spese,� vi�sara�un�aggravio�di�bilancio,�perche��si�dovranno�pagare�due�stipendi,� quello�del�dirigente�non�confermato�e�quello�del�suo�successore.�Dall'altro,� la�politicizzazione�della�funzione�pubblica�e�la�ricerca�che�questa�inesorabil- mente�fara�di��santi�in�Paradiso��e�cioe�di�protettori,�produrra�moltiplica- zione�di�posti,�gonfiamento�di�organici,�aggravi�ulteriori�di�bilancio(7).�L'in- conveniente�era�gia�stato�notato,�nell'immediato�secondo�dopoguerra,� quando�era�stato�proposto�(e�scartato)�un�regime�analogo,�dall'economista� Ernesto�Rossi,�che�aveva�criticato�questo��sistema�delle�spoglie�all'italiana�.� I�primi�segni�di�questo�radicale�mutamento�di�registro�si�possono�leggere� sui�quotidiani.�In�uno�Stato�fortemente�dominato�dalla�politica�dei�partiti,�il� mondo�un�po�polveroso�della�burocrazia�era�rimasto�parzialmente�immune� dalla�lottizzazione.�Esso�era,�quindi,�ignoto�ai�mezzi�di�comunicazione�di� massa.�I�nomi�dei�dirigenti�amministrativi�non�comparivano�sui�giornali� (salvo�quelli�dei�prefetti,�fino�agli�anni�'70,�quando�vi�era�l'uso�di�presentarli,� all'atto�della�nomina,�al�Presidente�della�Repubblica,�in�un'apposita�cerimo- nia).�Ora,�i�giornali�sono�pieni�delle�notizie�di�chi�sara�confermato�e�di�chi� non�lo�sara�,�con�tutto�il�corredo�di�notizie�circa�le�loro�affiliazioni,�amicizie� e�simpatie�politiche.� (6)�Si�noti�che�quella�dell'anno�di�studio�e�una�regola�che�vale,�nel�caso�di�mancata�con- ferma�degli�incarichi,�solo�per�i�dirigenti�generali�e�solo�in�sede�di�prima�attuazione�della�legge�n.� 145�del�2002;�in�seguito,�a�regime,�e�controversa�la�sorte�dei�dirigenti�non�confermati,�nel�senso� che�non�e�prevista�dalla�legge�nemmeno�la�garanzia�minima�dell'anno.� (7)�La�corsa�al�conformismo�non�vale�solo�per�dirigenti�generali,�ma,�indirettamente,�coin- volge�anche�i�dirigenti,�interessati�ad�ottenere�l'incarico�di�dirigente�generale.�Anzi,�per�questi,�la� pressione�sara�maggiore�perche��la�conferma�nel�ruolo�dei�dirigenti�generali�dipende�dall'esercizio� dell'incarico�per�un�periodo�quinquennale.�Quindi,�poiche��l'incarico�dura�al�massimo�per�3�anni,� i�dirigenti,�per�essere�inquadrati�nel�livello�superiore,�devono�necessariamente�ottenere�almeno� una�conferma.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 5.�^Continuita�efratturenell'altafunzionepubblica.� Allarghiamo,�ora,�l'esame�dalla�recente�ridefinizione�dei�rapporti�tra� politici�e�burocrati�al�piu��generale�modello�dell'alta�funzione�pubblica.� Nella�sua�storia�si�registrano�continuita��e�fratture.� Tre�sono�i�fattori�di�continuita��.�Il�primo�e��costituito�dalla�separazione� tra�politici�e�burocrati.�Dopo�un�primo�periodo,�dopo�l'unificazione�politica� e�amministrativa�dell'Italia,�di�osmosi,�per�cui�vi�erano�burocrati�che�diveni- vano�politici,�successivamente,�le�due��carriere��sono�rimaste�separate.�Sono� rari�i�casi�di�passaggio�dall'uno�all'altro�campo,�come�quelli�che�si�registrano,� ad�esempio,�in�Francia.� Il�secondo�fattore�di�continuita��e��costituito�dalla�presenza�dei�gabinetti.� I�ministri�hanno�propri�collaboratori�di�fiducia,�da�essi�stessi�scelti,�secondo� il�modello�francese�e�a�differenza�da�quello�britannico,�che�non�conosce�i� gabinetti�(assumendo�che�i�burocrati�siano��face-less�figures�,�leali�servitori� di�qualunque�maggioranza).�Ma�gia��qui�si�puo��registrare�un�cambiamento:� mentre�nel�periodo�1948-78�circa�la�meta��dei�capi�di�gabinetto�e�dei�capi�degli� uffici�legislativi�era�costituita�da�dirigenti�dello�stesso�ministero,�nel�periodo� 1979-1994�il�numero�dei�dirigenti�e��sceso�a�circa�un�quinto,�prevalendo�netta- mente�consiglieri�di�Stato�e�della�Corte�dei�conti�e�avvocati�dello�Stato.� Il�terzo�fattore�di�continuita��e��quello�culturale,�di�cui�sono�indizio�la� provenienza�territoriale�e�la�formazione�universitaria�dei�dirigenti.�Nel�terzo� quarto�del�secolo,�il�62�per�cento�dei�dirigenti�proveniva�dal�Sud.�Nell'ultimo� quarto,�il�51�per�cento�(ma�la�diminuzione�dei�meridionali�e��compensata�dal- l'aumento�dei�romani).�Dunque,�la�dirigenza�e��scarsamente�rappresentativa� sotto�il�profilo�territoriale,�perche�il�numero�dei�dirigenti�meridionali�e��quasi� doppio�rispetto�alla�popolazione�e�al�numero�di�politici�eletti�nel� Mezzogiorno.� A�questo�si�aggiunge�la�formazione�universitaria,�che�e��quella�giuridica� per�ben�due�terzi�dei�dirigenti.� Piu��forti�le�fratture,�principale�delle�quali�e��la�seguente.�Per�gran�parte� della�storia�italiana,�e�comunque�per�tutto�il�dopoguerra,�l'equilibrio�tra�poli- tica,�e�amministrazione�e��stato�tenuto�da�uno�scambio�nel�quale�la�dirigenza� si�e��accontentata�di�avere�stipendi�modesti�e�poco�potere,�pur�di�avere,�in� contraccambio,�aspettative�di�carriera�rette�dall'anzianita��e�stabilita��del� posto.� Questo�scambio�salari�e�potere�contro�stabilita��era�funzionale�al�sistema� e�anche�alla�cultura�dei�dirigenti.�Al�sistema,�perche�la�stabilita��della�diri- genza�bilanciava�la�instabilita��dei�governi.�Alla�cultura�dei�dirigenti,�perche� questi,�provenendo�da�una�zona�povera�e�affamata�di�impieghi,�erano�parti- colarmente�sensibili�alle�interferenze�nella�loro�posizione�e�carriera�e�inclini� a�non�assumersi�responsabilita��.� Alla�fine�del�ventesimo�secolo�sono�cambiati�tutti�e�tre�questi�fattori.�In� primo�luogo,�come�gia��notato,�ai�dirigenti�sono�stati�attribuiti�i�poteri�di� gestione:�non�c'e��decisione,�anche�importante,�dei�ministeri�che�non�sia�presa� dai�dirigenti,�nell'ambito�degli�obiettivi�e�delle�direttive�del�ministro.�In� secondo�luogo,�proprio�quando�veniva�scelto�il�nuovo�regime,�i�dirigenti�otte- nevano�un�raddoppio�del�loro�stipendio,�passato�da�62-72�mila�euro�annui�a� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 114-124�mila�euro�per�anno�(questo�spiega�perche�i�dirigenti�abbiano�accolto� il�nuovo�regime�senza�protestare,�accettando�il�baratto�precarizzazione�^piu� alte�retribuzioni).�In�terzo�luogo,�i�governi�si�sono�stabilizzati�ed�hanno�reso� instabile�e�precaria�la�posizione�dei�dirigenti.� 6.�^Il�nuovo�regime�alla�prova�di�costituzionalita�.� Regge�il�nuovo�regime�alla�verifica�di�costituzionalita�?�La�Corte�costitu- zionale,�con�grande�superficialita�,�ha�deciso,�di�recente�(ordinanza�n.�11�del� 2002)�che�per�i�dirigenti�pubblici,�a�differenza�dei�magistrati,��non�vi�e�[...]� una�garanzia�costituzionale�di�autonomia�da�attuarsi�necessariamente�con� legge�attraverso�uno�stato�giuridico�particolare�che�assicuri,�ad�esempio,�sta- bilita�ed�inamovibilita��.�Essa,�ha,�cos|�,�accettato�il�nuovo�regime�(8).� La�Corte�costituzionale�si�e�limitata,�pero�,�a�porre�a�confronto�l'art.�107� della�Costituzione,�secondo�cui��i�magistrati�sono�inamovibili�,�con�gli�arti- coli�97�e�98,�dove�non�c'e�norma�analoga�sulla�pubblica�amministrazione.� Ma�questi�articoli�impongono�l'imparzialita�,�l'accesso�mediante�concorso� (salvo�i�casi�stabiliti�dalla�legge),�l'obbligo�del��servizio�esclusivo�della� nazione�,�il�divieto�di�conseguire�promozioni�non�per�anzianita�per�i�dipen- denti�pubblici�membri�del�Parlamento�e�la�possibilita�di�porre�limiti�con� legge�all'iscrizione�ai�partiti�politici�per�alcune�categorie�di�dipendenti�pub- blici.�Dunque,�la�posizione�complessiva�del�dipendente�pubblico�e�regolata� per�sottrarla�ai�condizionamenti�dei�partiti�(e�dei�governi).�Precarizzare�la� dirigenza�e�rendere�completamente�discrezionale�la�scelta�dei�dirigenti,�com- porta�l'introduzione�del�criterio�della�fiducia�nel�rapporto�ministro�^diri- gente,�criterio�che�e�estraneo,�anzi�contrario�al�disegno�costituzionale.�Non�di� inamovibilita�si�tratta,�ma�di�nomina�per�durata�determinata�(e�breve).� Si�aggiunga�che�l'art.�92�della�Costituzione�dispone�che�il�Presidente� della�Repubblica��nomina,�nei�casi�indicati�dalla�legge,�i�funzionari�dello� Stato�.�Questa�norma�e�stata�dettata�per�sottoporre�la�nomina�dei�funzio- nari,�operata�dal�governo,�al�controllo�di�un�potere��neutro��o�imparziale,� quale�e�il�Presidente�della�Repubblica.�Quindi,�per�limitare�la�politicita� indotta�dall'organo�che�opera�la�scelta�(il�governo).�Ma,�alla�fine�del�vente- simo�secolo,�contemporaneamente�al�nuovo�regime,�questo�potere�e�stato� eroso�ed�e�ora�limitato�ai�capi�dipartimento�e�ai�segretari�generali,�e�cioe�a� non�piu�di�40�alti�funzionari.� Il�secondo�motivo�per�cui�il�nuovo�regime�e�in�contrasto�con�la�Costitu- zione�e�il�seguente:�l'automatica�cessazione�per�legge�dall'incarico�(�una�tan- tum��di�tutti�i�dirigenti�e�permanente�per�i�dirigenti�generali�piu�importanti)� viola�i�principi�del�giusto�procedimento�(contestazione�degli�addebiti,�diritto� di�difesa,�obbligo�di�motivazione)�e�del�controllo�giurisdizionale�sulle�deci- sioni�amministrative.�La�distinzione�tra�incarico�e�rapporto�e�,�in�realta�,�arti- (8)�Ed�ha�eluso�il�quesito�posto�dal�Tribunale�amministrativo�regionale�del�Lazio,�con�l'or- dinanza�n.�6060�del�2000,�che�aveva�sollevato�le�questioni�dell'effetto�della�precarieta�sull'impar- zialita�e�dell'assenza�dell'obbligo�di�giustificare�il�mancato�rinnovo.�Si�veda�anche�la�sentenza�della� Corte�Costituzionale�n.�313�del�1996.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� ficiosa,�sia�perche�l'incarico�definisce�il�contenuto�della�prestazione�lavora- tiva,�sia�perche�non�si�sa�che�cosa�accada�del�rapporto�di�lavoro�dopo�l'anno� dalla�cessazione�dell'incarico�sia,�principalmente,�perche�,�nella�prassi,�con- tratto�e�incarico�sono�stati�indissolubilmente�legati�(il�contratto�definisce�il� trattamento�economico�correlato�all'incarico�e�la�sua�efficacia�e�subordinata� al�conferimento�dell'incarico�(9).�Se�dovesse�cessare�il�rapporto�di�lavoro,�vi� sarebbe�un�licenziamento�senza�giusta�causa.�Ed�e�proprio�quello�che�e�acca- duto�nel�caso,�perche�si�e�stabilito�un�rapporto�tra�durata�del�contratto�di� lavoro�e�durata�dell'incarico.� Il�terzo�motivo�di�illegittimita�costituzionale�della�norma�che�prevede,�per� tutti�i�dirigenti�generali��una tantum��e�per�140�piu�alti�dirigenti�sempre,�la�ces- sazione�automatica,�per�legge,�dall'incarico�(e�^come�si�e�detto�^anche�dal�con- tratto)�al�cambio�del�governo,�riguarda�la�divisione�del�lavoro�tra�Parlamento� ed�esecutivo.�Anche�senza�giungere�ad�affermare�che�vi�e�una��riserva�di�fun- zione�amministrativa�,�infatti,�non�vi�e�dubbio�che�il�Parlamento,�in�questo� caso,�ha�adottato�una�legge�con�effetti�che�sono�quelli�propri�di�un�atto�ammini- strativo�(il�licenziamento)�e,�quindi,�che�vi�e�un�eccesso�di�potere�legislativo.� Infine,�non�va�trascurato�che�la�cessazione�per�legge�dall'incarico�ha� fatto�terminare�contratti�esistenti,�che�assicuravano�una�piu�lunga�durata� del�rapporto�di�lavoro.�Ci�si�puo�chiedere�se�questa�invasione�legislativa�nella� sfera�contrattuale�sia�legittima,�oppure�non�rappresenti�un�intervento�del� Parlamento�in�un�ambito�riservato�ormai�all'autonomia�privata�e,�quindi,�da� regolare�con�contratto.� 7.�^Conclusioni. Con�le�norme�del�1998-99,�sono�stati�dismessi�dall'incarico�69�dirigenti� generali�(circa�il�16�per�cento�del�totale)�e�91�dirigenti�(circa�il�2�per�cento).� I�circa�quaranta�dirigenti�di�grado�piu�elevato,�che�cessano�ogni�volta�che� cade�un�governo,�quando�confermati,�hanno�avuto�una�conferma�per�ognuno� dei�cinque�governi�che�si�sono�succeduti,�con�effetti�comici,�per�cui�i�piu�alti� gradi�dello�Stato,�in�pochi�anni,�hanno�collezionato�cinque�decreti�di�incarico� (da�parte�del�governo�Prodi,�dei�due�governi�D'Alema,�del�governo�Amato�e� del�governo�Berlusconi),�con�relativi�contratti.� La�norma�del�2002�ha�prodotto�effetti�ancor�maggiori�perche�ha�riguar- dato,�mediamente,�il�40�per�cento�dei�posti�di�dirigenti�generali�(10)�e�perche� il�governo�ha�affidato,�in�molti�casi,�incarichi�di�durata�inferiore�a�quelle� massime�(3�e�5�anni),�spesso�di�5-6�mesi.� (9)�Sul�legame�tra�incarico�e�contratto,�si�veda�la�gia�citata�circolare�del�Sottosegretario�alla� Presidenza�del�Consiglio�dei�ministri�del�17�gennaio�2000,�per�cui�i�contratti�dei�dirigenti�generali� dovevano�contenere�una�clausola�che�subordinava�l'efficacia�del�contratto�al�conferimento�dell'in- carico.�Questo�legame�e�stato�confermato�dal�regime�del�2002.�La�conseguenza�e�che�un�nuovo� governo�puo�disattendere�i�contratti�gia�stipulati,�dando�provvedimento�di�incarico�e�contratto�a� favore�di�una�diversa�persona.� (10)�I�posti�di�dirigente�generale�sono�387.�Di�questi�232�sono�stati�confermati,�85�dati�ad� altre�persone;�41�dirigenti�sono�stati�assegnati�ad�altri�incarichi,�di�livello�equivalente�e�29�hanno� avuto�incarichi�di�studio�di�durata�massima�annuale.�Non�si�dispone�di�dati�sui�dirigenti.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Una�situazione�di�questo�tipo�non�si�registra�in�nessun�paese�industria- lizzato:�l'alta�funzione�pubblica�puo�quasi�ovunque�essere�rimossa,�non� essendo�inamovibile;�deve�esserlo�con�una�giusta�causa;�ma�non�e�nominata� per�un�tempo�determinato�(per�cui,�alla�scadenza,�cessa�dall'ufficio�senza� alcuna�spiegazione).� Questa�forma�di�licenziamento�senza�giusta�causa�e�peggiore�del�sistema� definito�delle�spoglie.�Questo�proviene�dall'espressione�americana��spoils� system�,�che,�a�sua�volta,�proviene�dalla�frase��to�the�victors�belong�the� spoils�:�al�vincitore�le�spoglie.�E�un�sistema�sperimentato�negli�Stati�Uniti� dal�1820�al�1883�in�modo�sistematico�e�poi�in�forma�attenuata.�Aveva�una� giustificazione�nobile�(la�rotazione�negli�uffici�e�la�rottura�della�struttura�di� casta�della�burocrazia)�e�una�meno�nobile�(la�ricompensa�di�servizi�partigiani� resi�ai�candidati�alle�elezioni).�Ma�questo�sistema�prevedeva�la�cessazione� del�rapporto�di�lavoro,�quando�un�nuovo�partito�andava�al�potere,�portando� i�suoi�fedeli.�Invece,�il�regime�italiano�non�solo�consente�ad�ogni�governo�di� nominare�i�propri�fedeli,�ma�permette�ai�ministri�di�sfruttare�la�breve�durata� nella�carica�per�tenere�soggiogato�il�dirigente.� Un'ultima�osservazione�riguarda�le�politiche�legislative.�Nel�breve�giro� di�quattro�anni,�due�diverse�maggioranze�si�sono�dotate�di�leggi�per�regolare� la�dirigenza.�Ogni�governo�si�e�fornito�di�poteri��ad�hoc�,�lungo�la�stessa� direzione,�ma�con�accenti�diversi.�Questa�generale��manipolabilita��di�un� assetto�che�dovrebbe�essere�stabile,�induce�a�previsioni�pessimistiche�sul� futuro,�che�potrebbe�essere�ancora�peggiore,�rafforzando�il�dominio�della� politica�sull'amministrazione.�La�continuita�dello�Stato�sara�,�dunque,�assicu- rata�meno�da�un�corpo�di�professionisti�scelti�sulla�base�dei�loro�meriti,�che� da�una�classe�politica�di��amateurs��selezionati�secondo�il�criterio�del�suc- cesso�elettorale.� Bibliografia� 1.�^Il�profilo�generale�dell'alta�funzione�pubblica,�i�dati�quantitativi�eleipo- tesi�di�fondo�sono�in�S. Cassese, Grandezza�e�miserie�dell'alta�burocrazia�italiana,� in��Politica�del�diritto�,�1981,�settembre,�n.�2-3,�p.�219;�S. Cassese, L'alta�dirigenza� italiana:�un�mondo�cristallizzato,�in��Politica�del�diritto�,�1998,�marzo,�n.�1,�p.�155;� S. Cassese-A. Mari, L'oscuro�ruolo�dell'alta�dirigenza�italiana,�in��Politica�del� diritto�,�2001,�marzo,�n.�1,�p.�3;�S.�Sepe, L'alta�burocrazia�dello�Stato�tra�compe- tenza�e�subalternita�;�G. Vetritto, Il�monopolio�della�cultura�giuridica�tra�i�direttori� generali�dei�Ministeri;�L. Mazzone, Due�generazioni�di�direttori�generali�a�con- fronto;�I.�Portelli, Le�nomine�esterne�dei�direttori�generali;�H. Rocchio-N. Belve- dere, Geografia�dell'alta�burocrazia�nelle�amministrazioni�centrali�dello�Stato,�tutti� in��Rivista�trimestrale�di�Scienza�dell'Amministrazione�,�2002,�n.�1.� 2.�^La�piu�accurata�trattazione�sistematica�della�materia�e�quella�di�S. Bat- tini, Il�rapporto�di�lavoro�con�le�pubbliche�amministrazioni,�Padova,�Cedam,� p.�605�ss.� 3.�^Gli�scritti�giuridici�di�maggiore�importanza�sul�problema�della�dirigenza� sono:�M. D'AlbertI (a�cura�di),�La�dirigenza�pubblica,�Bologna,�Il�Mulino,�1990�e� L'alta�burocrazia,�Il�Mulino,�1994�(dal�punto�di�vista�del�diritto�pubblico);�A. Zop- poli, Dirigenza,�contratto�di�lavoro�e�organizzazione,�Napoli,�Edizioni�Scientifiche� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Italiane,�2000�e�il��Forum�di�LPA�su�La�riforma�della�dirigenza�pubblica:�attua- zione�eproblemiapplicativi�,�con�scritti�di�G. D'Auria, G. D'Alessio, B. DentE E C. D'OrtA e�molti�altri�interventi�in��Illavoro�nellepubblicheamministrazioni�,� 2001,�gennaio-febbraio,�n.�1,�p.�15�ss.�(dal�punto�di�vista�del�diritto�privato).�Piu� recente,�ma�incompleto,�L. Rinaldi, Autonomia,poteri�e�responsabilita�deldirigente� pubblico:�un�confronto�con�ilmanagerprivato,�Torino,�Giappichelli,�2002.� 4.�^Per�comprendere�le�incertezze�e�le�oscillazioni�della�cultura�giuridica� rispetto�al�nuovo�regime�della�dirigenza,�si�possono�leggere:�G. D'Alessio, La�con- troriforma�della�dirigenza�pubblica�nel�Disegno�di�legge�del�governo,�in��Quale� Stato�,�2001,�n.�4,�p.�132;�B. Dente, Riforme�(e�controriforme)�amministrative,�in� �Il�Mulino�,�2001,�n.�6,�p.�1050;�F. Carinci, La�dirigenza�nelle�amministrazioni� dello�Stato�ex�Capo�II,�Titolo�II,�d.lgs.�n.�29�del�1993�(il�modello��Universale�),�in� �ADL-Argomentidi�diritto�dellavoro�,�2001,�n.�1,�p.�27;�P. Tosi, Dirigenzepubbliche� e�private,�in��ADL-Argomenti�di�diritto�del�lavoro�,�2001,�n.�1,�p.�59;�G. DI Gaspare, Miti�e�paradossi�della�riforma�amministrativa�tra�asimmetria�informativa� e�indirizzo�politico�amministrativo,�verso�un�modello�neocavouriano�di�amministra- zione�pubblica?,�in��Diritto�pubblico�,�2001,�n.�2,�p.�653;�G. D'Alessio, La�legge�di� riordino�della�dirigenza:�nostalgie,�antilogie�ed�amnesie,�in��Il�lavoro�nelle�pubbliche� amministrazioni�,�2002,�marzo-aprile,�n.�2,�p.�213.� 5.�^Il�dibattito�preparatorio�della�norma�del�2002�e�raccolto�in��Funzionepub- blica�,�2002,�n.�1-2.� 6.�^Sulla�norma�del�2002,�G. D'Auria, Ancora�una�riforma�della�dirigenza� pubblica,�in��Giornale�di�diritto�amministrativo�,�2002.�Non�e�ancora�pubblicato� l'ottimo�studio�di�V. Talamo, La�terza�volta�della�dirigenza�pubblica,�redatto�per� la�Scuola�superiore�della�pubblica�amministrazione.� 7.�^Sulla�diversa�problematica�della�dirigenza�locale,�il�cui�assetto�e�stato� dominato�(e�in�parte�continua�ad�esserlo)�dalla�statizzazione�del�periodo�fascista,� R. LewanskI -S. Vassallo, Inuovidirigenticomunali.�Internioesterni:fadiffe- renza?,�in��Rivista�italiana�dipolitichepubbliche�,�2002,n.�1,p.�99,icui�dati�vanno,� pero�,�valutati�con�cautela,�sia�per�l'estensione�e�la�natura�della�indagine,�siaper�i� rispondenti,�sia�per�l'assenza�di�metri�di�paragone.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Dossier Il termine ragionevole del processo: le ultime pronunce, aspettando le Sezioni Unite Mentre�la�giurisprudenza�della�Corte�di�Cassazione�si�andava�consoli- dando�nelle�soluzioni�offerte�ai�principali�quesiti�posti�dalla�legge� n.�89/2001,�la�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo�ha�criticato�la�scelta�ita- liana�con�la�pronuncia�di�ricevibilita�che�pubblichiamo�a�pag.41�di�questo� fascicolo.�In�sostanza,�osserva�la�CEDU,�il�sistema�italiano�non�offre�stru- menti�reali�ed�efficaci�di�riparazione�in�favore�della�vittima�della�durata�irra- gionevole�del�processo�sia�perche�non�riconosce�al�diritto�ad�un�giudizio�dai� tempi�ragionevoli�la�qualita�di�diritto�fondamentale�dell'uomo,�sia�perche� non�si�adegua�perfettamente�ai�principi�elaborati�dalla�giurisprudenza�euro- pea�in�tema�di�ristoro�effettivo�del�danno.�La�decisione�ha�molto�preoccupato� la�stessa�Procura�Generale�della�Corte�di�Cassazione,�che�ha�ritenuto�di� richiamare,�sul�tema,�non�solo�l'attenzione�del�Ministero�degli�Esteri,�ma� anche�della�stessa�Corte�di�Cassazione.�Fatto�sta�che�il�primo�Presidente�ha� rimesso�alle�Sezioni�Unite�Civili�alcuni�ricorsi�per�l'esame�dei�temi�di�fondo,� sinora�costantemente�ed�uniformemente�risolti�(cfr.�in�questa�Rassegna,� aprile-giugno�2002,�le�sentenze�pubblicate�alle�pagg.�111�segg.�e�ivi,�luglio- dicembre�2002,�pagg.�254�segg.).� E�bene�ricordare�che�la�remissione�alle�Sezioni�Unite�e�avvenuta�a� norma�dell'art.�374,�2.�comma,�u.p.,�il�che�rende�ingiustificata�la�perplessita� di�chi�dovesse�vedere�in�tale�provvedimento�una�scelta�poco�coerente�con�il� principio�supremo�della�soggezione�del�giudice��soltanto�alla�legge��che,�tra� l'altro,�impone�sia�di�ignorare�le�critiche,�provengano�pur�esse�da�chi�riveste� carichi�rilevanti�o�svolge�ruoli�istituzionali,�sia�di�rivendicare�con�ogni�fer- mezza�alla�Magistratura�il�monopolio�dell'interpretazione�della�legge�nel� processo.� Non�resta�che�aspettare�se�verranno�o�meno�confermate�le�approfondite� considerazioni�di�cui�a�Cassazione,�Sezione�Unite,�14�giugno�2002�n.�8503,� sullo�stesso�tema�della�posizione�della�CEDU�nel�sistema�delle�fonti.� Avv.�Antonio�Palatiello� Corte di cassazione, Sez. I, 11 dicembre 2002, n. 17650 Presidente�Saggio�^Relatore�Graziadei�^B.�(avv.�G.�Romano) c/�Ministero�della�Giustizia�(Avv.�dello�Stato�A.�Palatiello,�cont.�AGS�6714/09) e�viceversa Il�diritto�all'equa�riparazione�dei�danni�derivanti�dalla�irragionevole�durata� del�processo�e�stato�introdotto�nel�nostro�ordinamento�dalla�legge�n.�89/2001�e� riguarda�le�violazioni�verificatesi�anteriormente;�tuttavia�la�morte�della�vittima� di�tempi�irragionevoli�della�lite�intervenuta�prima�dell'entrata�in�vigore�di�tale� legge�e�ostativa�alla�nascita�del�diritto,�che�dunque�gli�eredi�non�hanno�potuto� trovare�nelpatrimonio�del�de�cuius�(1).� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� �(omissis).�^I�ricorsi�devono�essere�riuniti,�ai�sensi�dell'art.�335�cod.�proc.�civ.� Il�primo�motivo�del�ricorso�principale�ed�il�primo�motivo�del�ricorso�incidentale,�da�esa- minarsi�congiuntamente,�pongono�la�questione�dell'applicabilita�della�legge�n.�89�del�2001� alle�violazioni�del�principio�della�ragionevole�durata�del�processo�verificatesi�anteriormente� alla�data�della�sua�entrata�in�vigore,�ed�inoltre,�in�caso�di�risposta�positiva,�l'ulteriore�que- stione�dell'invocabilita�della�legge�medesima�da�parte�dell'erede,�in�relazione�al�pregiudizio� determinatosi�a�carico�del�dante�causa,�quando�il�decesso�preceda�quella�data.� L'Amministrazione�propugna�la�soluzione�negativa�del�primo�dei�riportati�quesiti,�con�il� superamento�del�secondo,�sul�rilievo�che�la�legge�n.�89�del�2001,�avendo�introdotto�nell'ordi- namento�un�diritto�nuovo,�opererebbe�esclusivamente�per�le�vicende�processuali�successive� alla�sua�entrata�in�vigore,�non�dunque�per�fatti�pregressi,�con�la�sola�eccezione�prevista�dal- l'art.�6�per�il�caso�in�cui�su�tali�fatti�anteriori�sia�pendente�istanza�di�riparazione�davanti�alla� Corte�Europea;�di�conseguenza�sostiene�che�la�Corte�di�Genova�avrebbe�dovuto�negare�fon- damento�anche�alla�pretesa�avanzata�da�G.B.� Iricorrentiprincipali�assumonoinvecechedettaleggee�innovativa�soltanto�sotto�ilprofilo�del- l'attribuzione�di�azione�davanti�al�giudice�nazionale,�mentre,�recependo�un�accordo�internazionale� gia�precettivoevincolante,abbracciaidannianteriori,riconoscendoancheperessiildirittoaripara- zione;�netraggonoilcorollariochetaledirittoe�stato�acquisitodaG.B.�perilnocumentosubitofino� algiorno�del�decesso,�ed�eradunque�azionabile�daisuoi�eredi,�subentratinel�diritto�stesso.� I�riportati�motivi�vanno�respinti,�sulla�scorta�delle�seguenti�considerazioni.� L'art.�2�della�legge�n.�89�del�2001,�contrariamente�a�quanto�afferma�l'Amministrazione,� contempla,�senza�limitazioni�temporali,�le�violazioni�dell'art.�6�paragrafo�1�della�Conven- zione,�e,�quindi,�riguarda�le�inosservanze�del�canone�della�ragionevole�durata�del�processo� verificatesi�dopo�la�ratifica�di�detta�Convenzione�da�parte�dell'Italia,�anche�se�prima�dell'en- trata�in�vigore�della�legge�medesima.� Questo�ambito�di�applicazione�non�tocca�pero�l'efficacia�ex�nunc�della�disposizione,�in� quanto�costitutiva�del�diritto�a�riparazione�in�dipendenza�di�quelle�inosservanze,�tenendosi� conto�che�l'insorgenza�di�detto�diritto�in�un�momento�anteriore�non�potrebbe�prescindere� da�un'espressa�previsione�di�retroattivita�.� La�carenza�di�siffatta�previsione�comporta,�a�confutazione�della�tesi�dei�ricorrenti�princi- pali,chelamortedellavittimaditempiirragionevolidellalite,�seintervenutaprimadell'entrata� invigoredellaleggen.�89del2001,e�ostativaallanascitadeldirittoindiscorso(edallasuatra- smissione�agli�eredi),�in�base�alla�regola�generale�secondo�cui�un�soggetto�non�piu�esistente� non�puo�diventare�titolare�di�posizioni�contemplate�da�norma�posteriore�al�suo�venir�meno.� Ai�predetti�criteri�si�e�conformato�il�provvedimento�impugnato,�negando�in�radice�la� facolta�degli�eredi�di�F.B.�di�reclamare�un'equa�riparazione�iure�successionis,�ed�esaminando� le�loro�istanze�con�riferimento�solo�al�pregiudizio�dedotto�iure�proprio,�con�riguardo�al�pro- trarsi�del�giudizio�d'appello�dopo�la�riassunzione�nei�loro�confronti�(omissis)�.� Corte di Cassazione, Sez. I, 14 gennaio 2003, n. 360 Presidente�Saggio�^Relatore�Morelli�^Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri� (Avv.�delloStatoA.�Palatiello,�cont.�AGS14883/02)�c/M.�(n.c.)� Il�diritto�all'equa�riparazione�introdotto�dalla�legge�n.�89�del�2001�non� poteva�essere�acquisito�da�chi,�al�momento�della�sua�entrata�in�vigore,�non� era�piu�in�vita�e�dunque�nulla�al�riguardo�possono�avere�ereditato�i�suoi� successori(2).� (1-2)�LasoluzioneoffertadallaCortediCassazionee�dacondividere,ede�inlineaconlagiurispru- denza�della�Corte�Europea:�questa,�infatti,�sino�al�momento�dell'entrata�in�vigore�della��legge�Pinto�� riteneva�ricevibili�i�ricorsi�proposti�direttamente,�senza�il�previo�esperimento�dei�rimedi�interni�perche� riteneva�che�in�Italia�non�fosse�data�riparazione�alla�vittima�della�durata�irragionevole�del�processo.� Dunque�anche�alla�luce�della�giurisprudenza�CEDU,�la�quale�va�indubbiamente�considerata,�come� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� �(omissis).^Considerato�in�diritto�che,�secondo�la�stessa�prospettazione�del�richie- dente,�la�premessa�giuridica�della�domanda�da�lui�azionata�nella�dichiarata�qualita�di��erede� del�fratello��defunto�(nel�1981),�e�il�previo�acquisto,�da�parte�di�quest'ultimo,�del�diritto�ad� equa�riparazione�ex�lege�n.�89�del�2001�(diritto,�in�tesi,�poi�trasmessogli�iure�successionis),� in�relazione�al�danno�che�si�assume�conseguente�all'eccessiva�durata�di�un�processo�a�suo� tempo�instaurato�dal�de�cuius�innanzi�alla�Corte�dei�Conti;� che�proprio�tale�premessa�^come�denunciato�dall'Amministrazione�(ora�ricorrente�con�i� primi�connessi�due�motivi�della�impugnazione)�^e�effettivamente�viziata�in�radice;� che�infatti�il�diritto�all'equa�riparazione�introdotto�dalla�legge�n.�89�del�2001�non�poteva� evidentemente�essere�acquisito�da�persona�che,�al�momento�della�sua�entrata�in�vigore,�non� era�piu�in�vita�e,�in�quanto�per�tal�ragione�priva�di�soggettivita�giuridica,�non�poteva�^per� definizione�^assumere�la�titolarita�di�alcuna�posizione�giuridica�soggettiva;� che,�pertanto,�il�diritto�al�preteso�indennizzo�ex�lege�n.�89/01�cit.,�non�esistente�nel� patrimonio�del�defunto�al�momento�del�suo�decesso,�non�poteva,�conseguentemente,�essere� trasmesso�all'erede�che�a�torto,�dunque�ora�la�rivendica;� che�il�ricorso�della�Presidenza�del�Consiglio�e�quindi�fondato�nei�due�suoi�primi�com- messi�mezzi,�con�assorbimento�della�terza�e�residua�censura�subordinata;� che,�per�l'effetto�va�cassato�il�decreto�impugnato;� che�la�causa�puo�decidersi�nel�merito�ai�sensi�del�novellato�art.�384�c.p.c.�discendendo� immediatamente,�dall'applicazione�del�principio�di�diritto�come�sopra�enunciato,�l'infonda- tezza�della�pretesa�avanzata�iure�hereditario�dal�M.�(omissis)�.� Corte di Cassazione, Sez. I, 3 aprile 2003, n. 5118 Presidente�Saggio�^Relatore�Morelli�^P.�(avv.�R.�Scarnati)� c/�Ministero�della�Giustizia�(Avv.�dello�Stato�A.�Palatiello� cont.�AGS�26029/02)�e�viceversa� Nella�valutazione�della�irragionevole�durata�delprocesso�vanno�considerate� le�attivita�deceleratorie�da�qualsiasi�organo�statale�provenienti�perche�,�comun- que,�oggettivamente�incidenti�sulla�definitiva�risposta,�in�termini�di�effettivita�,� ad�una�domanda�di�giustizia�del�cittadino�(nella�specie,�si�trattava�del�ritardo� con�cui�una�Conservatoria�dei�Registi�Immobiliari�aveva�rilasciato�un�certificato� necessario�aifini�dell'esecuzione�immobiliare)�(3).� �(omissis)�^E�viceversa�fondato�l'unico�complesso�motivo�della�impugnazione�princi- pale,�che�si�rivolge�propriamente�alla�statuizione�di�esclusa�compatibilita�,�ai�fini�dell'inden- hadasubitosottolineatolagiurisprudenzadellaCassazione(cfr.�ades.�Cass.�2agosto2002,n.�11592,in� questa�Rassegna,�aprile-giugno�2002,�117),�e�esatto�affermare�che�prima�della�legge�Pinto�il�diritto�all'e- qua�riparazione�(ed�a�maggior�ragione�al�risarcimento�del�danno)�non�esisteva�nel�nostro�ordinamento� (salvo,�ovviamente,leipotesidelfattoillecito).�E�coerente,�dunque,�escludereildirittodell'eredeallaripa- razione�per�l'epoca�in�cui�tale�diritto�non�poteva�esistere�nel�patrimonio�del�de�cuius,�il�quale,�deceduto� prima�della�nascita�di�quel�diritto,�non�poteva�certo�averlo�acquistato.� (3)�La�soluzione�qui�adottata�e�coerente�con�la�rilevanza�delle��violazioni�di�sistema��gia� affermata,�ad�esempio,�da�Cass.�26�luglio�2002,�n.�11046�(in�questa�Rassegna,�aprile-giugno�2002,� 111)�nel�senso�che,�nell'accertare�la�violazione,�il�giudice�deve�considerare,�tra�l'altro,�il��comporta- mento�di�ogni�altra�autorita�chiamata�a�concorrere�o�a�contribuire�alla�definizione�del�procedi- mento��(Cass.�n.�11046/02�cit.),�l'autorita�del�tutto�estranea�all'apparato�giurisdizionale.�Non�e� chiaro,�pero�,�quale�sia,�in�quest'ultima�ipotesi,�il�fondamento�della�legittimazione�passiva�del� Ministero�della�Giustizia,�piu�coerentemente�negata�in�favore�della�Presidenza�del�Consiglio�dei� Ministri,�quale�soggetto��residuale�,�dalla�ricordata�sentenza�n.�11046/02.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� nizzoper�cuie�causa,�del�ritardo�verificatosi�nel�giudizio�a�quo,�avente�ad�oggetto�esecuzione� immobiliare,�in�dipendenza�del�tardivo�rilascio�della�documentazione�(prevista�dall'art.�567� c.p.c.)�da�parte�della�Conservatoria�dei�Registri�Immobiliari.� In�tesi�della�Corte�territoriale,�i�tempi�dovuti�alle�disfunzioni�di�tale�Organo�ammini- strativo,�a�suo�avviso�non�annoverabile�tra�quelli�chiamati�a�concorrere�o�contribuire�alla� definizione�del�procedimento�ex�art.�2�legge�n.�89/01,�andrebbero�conseguentemente� appunto�detratti�dalla�complessiva�durata�del�processo,�ai�fini�della�correlativa�valutazione� di�ragionevolezza.� Ma,�anche�per�tal�profilo,�l'interpretazione�restrittiva�del�citato�art.�2�legge�89/01,�che� l'Avvocatura�cos|�propone,�in�contrasto�con�la�stessa�lettera�e�soprattutto�con�le�finalita�della� legge�Pinto,�va�superato�in�coerenza�ai�principi�da�questa�Corte�gia�enunciati�nelle�innanzi� richiamate�sentenze�n.�14885,�n.�13768�e�(per�obiter)�n.�13987/02,�a�proposito�della�computa- bilita�,�in�procedure�in�particolare�di�sfratto�per�rilascio�di�alloggio,�del�ritardo�ascrivibile�a� provvedimenti�dell'Autorita�Amministrativa�(dinieghi�prefettizi�di�assistenza�della�forza�pub- blica)�e�della�stessa�autorita�legislativa�(sequenze�di�normative�di�proroga)�^(principio)�per� cui�l'indennizzo�ex�art.�2�legge�n.�89/01�e�destinato�a�porre�riparo�alle��disfunzioni�del� sistema�,�venendo�a�tal�fine�in�rilievo�l'attivita�(deceleratoria)�da�qualsiasi�organo�dello�Stato� proveniente�purche�,�comunque,�oggettivamente�incidente�sulla�definitiva�risposta,�in�termini� di�effettivita�,�ad�una�domanda�di�giustizia�del�cittadino�(omissis)�.� Corte di cassazione, Sez. I, 17 febbraio 2003, n. 2309 Presidente�Olla�^Relatore�Adamo D.�S.�ed�altri�(Avv.ti�A.�Miglino�e�F.�Miglino)�c/�Ministero�della�Giustizia (Avv.�delloStatoA.�Palatiello,�cont.�A.G.S.35472/01)�eviceversa Il�danno�economico�puo�essere�ricollegato�al�ritardo�nella�definizione�del� processo�solo�se�sia�l'effetto�immediato�di�tale�ritardo�e�a�condizione�che�si�ricol- leghi�al�ritardo�stesso�sulla�base�di�una�normale�sequenza�causale:�pertanto� nonpuo�considerarsidanno�dovuto�alla�irragionevoleduratadelprocessoquello� consistente�nella�minore�entita�del�risarcimento�da�accessione�invertita�disposta� dalla�sopravvenuta�legge�n.�662/1996(4).� Sulla�somma�dovuta�a�titolo�di�equa�riparazione�dei�danni�derivati�dalla� irragionevole�durata�del�processo�spettano�gli�interessi�legali�solo�dalla�data� della�domanda(5).� (4)�Il�principio�e�sicuramente�corretto.�La�stessa�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo� affrontando�il�tema�proprio�della�sopravvenienza�della�legge�n.�662/1996,�ha�soffermato�l'atten- zione�sull'aspetto�riguardante�il�diritto�di�proprieta�,�cos|�ritenendo�non�rilevante�il�tema�della� durata�del�processo�e�della�sua�ricaduta�sulla�quantificazione�dell'indennita�di�espropriazione�o� del�ristoro�per�l'accessione�invertita:�cfr.�CEDU,�20�maggio�2003,�S.�c/�Italia,�in�questo�fascicolo,� pag.�44.� (5)�Fra�le�possibili�soluzioni�del�tema�della�decorrenza�degli�interessi�(dalla�data�del�fatto�e� cioe�dal�momento�in�cui�la�durata�del�processo�si�e�fatta�irragionevole�determinando�danni;�o� dalla�data�della�domanda;�o�dalla�data�della�liquidazione)�la�Corte�di�Cassazione�ha�optato�moti- vatamente�per�la�soluzione�intermedia.�E�da�ricordare,�tuttavia,�che�per�l'analogo�problema�della� riparazione�dell'ingiusta�detenzione�la�scelta�fu�nel�senso�della�decorrenza�dalla�data�del�decreto� di�liquidazione:�si�veda�Cass.,�S.U.,�14�giugno�2001,�n.�24287,�in�questa�Rassegna�2002,�II,�465,� con�nota�di�C.�Pluchino,e�le�mie�Brevi�osservazioni�sulle�soluzioni�adottate�dalla�Corte�di�Cassa- zione,�in�questa�Rassegna,�aprile-giugno�2002,�140.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� �(omissis) ^Assume�il�ricorrente�che�erronea�deve�ritenersi�la�statuizione�contenutanel- l'impugnata�sentenza�in�base�alla�quale�la�concatenazione�causale�fra�l'irragionevole�durata� del�processo�ed�il�preteso�danno�patrimoniale�subito�sarebbe�stata�interrotta�dall'emana- zione�della�legge�n.�662/1996.� Infatti�l'adottata�definizione�del�nesso�di�causalita��contrasta�con�i�principi�desumibili� dal�vigente�ordinamento�sia�che�si�voglia�adottare�la�teoria�della�conditio sine qua non,sia� che�si�voglia�far�ricorso�al�principio�della�causalita��adeguata,�posto�che�per�entrambe�le�teo- rie�cio��che�interrompe�il�nesso�di�causalita��e��solo�il�fatto�imprevedibile�e�come�tale�non�ricon- ducibile�nell'iter�causale�ordinario�(id quodplerumque accidit).� Nella�specie�proprio�il�fatto�che�il�processo�fosse�ancora�pendente�oltre�i�limiti�della� ragionevole�durata,�e��stato�messo�a�profitto�dallo�Stato�con�l'emanazione�della�legge� n.�662/1996�che�ha�ridotto�l'ammontare�del�risarcimento�dovuto�in�caso�di�accessione�inver- tita,�sicche�l'emanazione�della�legge�stessa�lungi�dal�costituire�un�fatto�imprevedibile�e��stata� resa�possibile�proprio�dalla�durata�del�processo.� Inoltre�la�Corte�territoriale�non�ha�tenuto�conto�che�ogni�fatto�che�accade�nel�periodo� di�irragionevole�durata�del�processo�e�determina�danno�deve�ritenersi�causativo,�unitamente� alla�durata�del�giudizio,�del�pregiudizio�prodottosi.� Il�ricorso�e��infondato�e�va�pertanto�respinto.� Invero�il�vigente�ordinamento�giuridico,�come�si�desume�dall'art.�41�comma�2�c.p.�ha� adottato�il�principio�della�c.d.�causalita��adeguata�distaccandosi�dalla�concezione�condiziona- listica�della�conditio sine qua non, propria�del�diritto�romano,�sicche�deve�escludersi�che�ogni� accadimento�che�si�inserisca�nella�concatenazione�causale�sia�per�cio��stesso�causa�dell'evento.� Devono�ritenersi�infatti�causa�dell'evento�solo�quegli�accadimenti�che�sono�la�causa� diretta�dell'evento�con�la�conseguenza�che�i�fatti�sopravvenuti�interrompono�il�nesso�di�cau- salita��,�quando�siano�di�per�se�sufficienti�a�determinare�l'evento.� Pertanto�il�danno�economico�puo��essere�ricollegato�al�ritardo�nella�definizione�del�pro- cesso�solo�se�sia�l'effetto�immediato�di�tale�ritardo�e�a�condizione�che�si�ricolleghi�al�ritardo� stesso�sulla�base�di�una�normale�sequenza�causale�(id quodplerumque accidit).� Nel�caso�in�esame�il�danno�economico�lamentato�dal�ricorrente,�costituito�dalla�diffe- renza�fra�quanto�incassato�e�quanto�avrebbe�potuto�incassare,�non�e��correlato�direttamente� al�ritardo�nella�definizione�del�giudizio�sulla�base�di�una�normale�sequenza�causale,�prevedi- bile�ed�evitabile,�in�quanto�trova�la�sua�causa�nell'emanazione�di�una�legge�che�ha�alterato� la�normale�sequenza�causale�e�che�non�era�prevedibile,�in�quanto�frutto�di�una�decisione� discrezionale�e�politica�del�legislatore.� Suffragaquantofinquiespostolaconsiderazioneche,indifettodellaleggen.�662/1996,� il�ritardo�nella�definizione�del�processo�non�avrebbe�comportato�di�per�se�il�danno�lamentato� dal�D.�S.�che�avrebbe�visto�liquidarsi�il�risarcimento�per�l'accessione�invertita�subito�sulla� base�della�previgente�normativa,�per�lui�piu��favorevole,�sicche�il�danno�in�questione�va�ricol- legato�ad�un�fatto�sopravvenuto�di�per�se�solo�sufficiente,�costituito�appunto�dalla�promulga- zione�della�legge�n.�662/1996.� Giova�infine�rilevare�che,�fermo�quanto�gia��precisato�in�ordine�al�nesso�di�causalita��fra� il�danno�lamentato�dalla�ricorrente�ed�il�ritardo�nella�definizione�del�processo,�non�e��in� radice�giuridicamente�possibile�ricollegare�un�evento�dannoso�alla�promulgazione�di�una� legge,�essendo�l'emanazione�delle�leggi�espressione�di�un�potere�politico�del�legislatore�che,� di�fatto,�puo��anche�incidere�negativamente�sulle�posizioni�di�singoli�cittadini�ma�mai�radi- care�un�danno�giuridicamente�risarcibile,�posto�che�una�tale�ipotesi�verrebbe�ad�incidere�gra- vemente�sul�potere�libero�e�discrezionale�di�formazione�delle�leggi�che�la�Costituzione�rico- nosce�al�Parlamento�e�configura�libero�da�ogni�condizionamento�(omissis).� (omissis) Con�il�secondo�motivo�l'Amministrazione,�ricorrente�incidentale,�lamenta�vio- lazione�e�falsa�applicazione�degli�artt.�1224�e�1228�comma�1�c.c.,�nonche�omessa�o�insuffi- ciente�motivazione�su�un�punto�rilevante�della�controversia.� Deduce�l'Amministrazione�che�sulla�somma�riconosciuta�a�titolo�di�danno�morale�non� dovevano�essere�liquidati�gli�interessi�a�decorrere�dal�superamento�della�ragionevole�durata� del�giudizio�e�cio��perche�:� a) il�termine��equa�riparazione��usato�dal�legislatore�denota�che�non�si�tratta�di�un� integrale�risarcimento�ma�di�un�semplice�indennizzo,�come�evidenziato�anche�dalla�circo- stanza�che�l'art.�3�comma�7�della�legge�n.�89/2001�stabilisce�che�l'equa�riparazione�potra�� essere�erogata�nell'ambito�delle�risorse�messe�a�disposizione�dallo�Stato;� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� b)�trattandosi�di�un�equo�indennizzo�non�e�possibile�determinarne�l'ammontare�prima� della�liquidazione�decisa�del�giudice�sicche�,�a�tutto�concedere,�gli�interessi�avrebbero�potuto� essere�liquidati�solo�a�decorrere�dalla�decisione�che�assume�carattere�costitutivo�del�diritto� alla�percezione�della�somma.� Il�motivo�e�fondato�per�quanto�di�ragione�e�va�pertanto�accolto�nei�limiti�in�prosieguo� precisati.� Va�in�ordine�logico�per�primo�evidenziato�che,�come�precisato�dalla�Corte�di�Cassazione� con�la�sentenza�n.�11987/2002,�il�superamento�della�ragionevole�durata�del�processo�non�da� luogo�ad�un'obbligazione�ex�delictu�ma�ad�un'obbligazione�ex�lege,�riconducibile�nell'ambito� della�previsione�di�cui�all'art.�1173�c.c.�ed�avente�natura�indennitaria.� La�natura�indennitaria�dell'equa�riparazione�comporta�che�la�stessa�non�ha�una�finalita� interamente�compensativa�che�non�potrebbe�ritenersi�realizzata�se�la�somma�liquidata�non� fosse�corredata�dagli�interessi,�a�decorrere�dall'insorgere�delle�obbligazioni�cos|�come� avviene�per�le�obbligazioni�ex�delictu.� Pertanto�gli�interessi�in�esame,�tenuto�conto�della�natura�dell'obbligazione�alla�quale�acce- dono�e�non�avendo�gli�stessi�finalita�compensativa,�dovranno�necessariamente�decorrere�dalla� domanda�di�equa�riparazione,�proposta�avanti�alla�Corte�di�appello�di�Roma,in�base�alprinci- pio�secondo�cui�gli�effetti�della�pronunzia�retroagiscono�alla�domanda,�nonostante�il�carattere� di�incertezza�e�illiquidita�del�credito,�prima�della�pronunzia�giudiziaria�(omissis)�.� Corte di Cassazione, Sez. I, 6 febbraio 2003, n. 1740 PresidenteOlla^RelatoreTirelli^G.�(Avv.tiT.LaroccaeG.Campanini)� c/�Ministero�della�Giustizia�(Avv.�dello�Stato�A.�Palatiello� cont.�AGS�20838/02)� Il�processo�penale,�ai�fini�del�calcolo�della�durata�il�cui�eccesso�da�luogo� all'equa�riparazione�dei�conseguenti�danni,�inizia�per�l'indagato�nel�momento�in� cui�egli�abbia�notizia�delle�indagini�a�suo�carico(6).� �(omissis)�Motivi�della�decisione�^Osserva�innanzitutto�il�Collegio�che�a�seguito�di�un� nutrito�contenzioso�che�aveva�portato�la�Corte�europea�dei�diritti�dell'uomo�(CEDU)�a�con- dannare�piu�volte�lo�Stato�italiano,�la�legge�n.�89/2001�ha�riconosciuto�a�ciascun�interessato� il�diritto�di�richiedere�anche�ai�giudici�nazionali�la�concessione�di�un'equa�riparazione�in�caso� di�violazione�del�termine�ragionevole�del�processo.� Il�testo�normativo�non�chiarisce,�pero�,�quand'e�che�inizia�quest'ultimo,�ponendo�cos|� all'interprete�il�problema�di�colmare�la�relativa�lacuna.� A�questo�proposito�e�per�quanto�riguarda�piu�in�particolare�il�giudizio�penale,�conviene� premettere�che�nel�sistema�dell'attuale�codice�di�procedura,�occorre�distinguere�tra�una�fase� procedimentale,�che�inizia�con�l'acquisizione�della�notitia�criminis,�ed�una�fase�processuale,� che�comincia�con�l'esercizio�dell'azione�penale�da�parte�del�P.M.� Dalcantosuo,laleggen.�89/2001parlaavoltediprocessoedavoltediprocedimento,ma� se�anziche�fermarsi�al�dato�letterale�si�passa�ad�esaminare�le�motivazioni�e�le�finalita�della� norma,�risulta�evidente�che�il�Legislatore�ha�voluto�riconoscere�ad�ogni�soggetto�il�diritto�ad� una�sollecita�definizione�delle�procedure�avviate�da�lui�o�contro�di�lui�sia�in�materia�civile�che� amministrativa�o�penale,�dove�la�pendenza�di�un�giudizio�a�carico�costituisce�per�l'interessato� un�fatto�capace�di�provocargli�turbamento�e�comprometterne�l'immagine�presso�i�terzi.� Tenuto�conto�di�quanto�sopra�e�considerato�che�tale�potenzialita�lesiva�non�postula� necessariamente�il�promovimento�dell'azione�penale�in�quanto,�come�l'esperienza�insegna,� anche�la�semplice�consapevolezza�dell'iscrizione�nel�registro�di�cui�all'art.�335�c.p.p.�puo� essere�fonte�di�gravi�sofferenze�e�pregiudizi,�deve�di�conseguenza�affermarsi�che�non�occorre� in�ogni�caso�attendere�la�chiusura�delle�indagini�preliminari,�perche�per�l'indagato,�il��pro- cesso��puo�iniziare�fin�dal�loro�avvio�e,�piu�precisamente,�nel�momento�in�cui�il�medesimo� ne�abbia�avuto�conoscenza�per�effetto,�ad�esempio,�dell'accoglimento�di�un'apposita�istanza� in�tal�senso�(art.�335/3�c.p.p.)�ovvero�del�compimento�di�un�atto�a�rilevanza�esterna�quale� l'invio�dell'informazione�di�garanzia�oppure�l'esecuzione�di�una�perquisizione�domiciliare�o,� peggio,�di�una�misura�cautelare.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Prima�di�tale�momento�e,�cioe�,�fino�a�quando�l'apertura�del�procedimento�e�lo�svolgi- mento�delle�indagini�preliminari�rimangano�effettivamente�segrete,�non�puo�invece�ancora� parlarsi�di��processo��neppure�nella�piu�ampia�accezione�di�cui�alla�legge�n.�89/2001,�trat- tandosi�di�una�fase�assolutamente�inidonea�ad�incidere�sulla�psiche�o�sul�patrimonio�dell'in- teressato�(v.,�nella�stessa�direzione,�anche�la�giurisprudenza�della�CEDU,�che�in�piu�occa- sioni�ha�fissato�l'inizio�del�processo�nel�momento�in�cui�i�sospetti�avevano�cominciato�ad� avere�delle��ripercussioni�importanti��sulla�persona�coinvolta)�(omissis)�.� Corte di Cassazione, Sez. I, 30 gennaio 2003, n. 1405 PresidenteDelliPriscoli^RelatoreRordorf^M.�(Avv.�G.�L.�Massa)� c/MinisterodellaGiustizia(Avv.�delloStatoA.Palatiello,cont.AGS9908/02)� Aifini�del�calcolo�della�durata,�il�cui�eccesso�da�luogo�all'equa�riparazione� deiconseguentidanni,�ilprocessopenaleinizia,perlapartecivile,nelmomento� in�cui�vi�e�la�costituzione,�non�essendo�significativo,�al�riguardo,�il�momento� della�querela�o�della�denuncia,�che�nonfanno�assumere�la�qualita�di�parte�(7).� �(omissis)�^Con�il�primo�motivo�di�ricorso�l'avv.�M.�lamenta�l'errore�in�cui�sarebbe� incorsa�la�Corte�d'Appello�affermando�che�non�v'e�processo�penale�fin�quando�l'accusa�non� si�materializzi�in�una�richiesta�di�citazione�a�giudizio,�o�direttamente�in�una�citazione�a�giu- dizio�dell'imputato.�Viceversa,�a�giudizio�del�ricorrente,�sin�dal�momento�che�una�querela� viene�iscritta�nella�rubrica�dell'ufficio�del�pubblico�ministero�prende�avvio�un�procedimento,� in�relazione�al�quale�la�legge�stabilisce�termini,�diritti�e�facolta�delle�parti,�adempimenti�da� compiere�e�requisiti�di�validita�degli�atti.�Ragion�per�cui�anche�l'eccessiva�ed�irragionevole� durata�di�tale�fase�del�procedimento�ricade�nella�previsione�dell'art.�6,�paragrafo�1,�della� Convenzione�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo�(richiamato�dall'art.�2,�comma�1.,�della�legge� n.�89�del�2001),�che�del�resto�si�riferisce�alla�nozione�di��causa��e�non�di��processo�.� 2.1.�^Il�secondo�motivo�di�ricorso�si�appunta�invece�sull'affermazione�della�corte�d'ap- pello�secondo�cui�al�querelante�non�potrebbe�esser�riconosciuta�la�qualita�di�parte�del�pro- (6-7)�Coerente�con�l'impostazione�generale�del�tema�relativo�alla�natura�dell'obbligazione� indennitaria�di�cui�trattasi�e�del�danno�quale�conseguenza�della�violazione�seguita�fin�dalla�prima� sentenza�in�argomento�(si�vedano�i�miei�due�dossier�su�Il�termine�ragionevole�delprocesso�e�l'equa� riparazione,�e�Profili�processuali�dell'equa�riparazione�ex�lege�n.�89/2001:�i�contenuti�minimi�del� decreto�e�del�ricorso�per�cassazione,�in�questa�Rassegna,�rispettivamente�aprile-giugno�2002,�111�e� luglio-dicembre�2002,�255)�e�la�soluzione�data�con�la�sentenza�in�esame�con�riguardo�ai�protagoni- sti�del�procedimento�penale:�intanto�occorre�che�vi�sia�un�processo�giurisdizionale�ed�una� domanda�ivi�proposta�(tale�non�e�,�ad�esempio,�la�querela�o�la�denuncia)�e�poi�intanto�puo�aversi� un�danno�morale�dalla�durata�irragionevole�del�processo�in�quanto�della�pendenza�si�abbia�noti- zia.�E�rimasto�in�ombra,�perche�nella�specie�non�direttamente�rilevante,�il�delicato�problema�del� possibile�conflitto�di�interessi�tra�la�parte�civile,�che�insista�per�una�rapida�conclusione�del�pro- cesso,�e�l'imputato,�che�cerchi�ogni�occasione�per�ottenere�differimenti,�magari�in�attesa�di�un� provvedimento�di�clemenza�o�del�maturarsi�della�prescrizione.�Credo�che�l'interesse�dell'imputato� debba�essere�ritenuto�prevalente�su�quello�della�parte�civile,�diversi�essendo�i�valori�coinvolti�(la� liberta�,�per�l'imputato,�il�risarcimento�del�danno,�sia�pure�di�altissimo�valore�morale,�per�la�parte� civile),�sicche�non�potrebbe,�nella�specie,�introdursi�il�dubbio�circa�una��violazione�di�sistema��ai� danni�della�parte�civile:�la�legge�del�processo�penale�e�infatti�pensata�e�voluta�in�funzione�preva- lente�di�garanzia�dell'imputato�secondo�i�principi,�peraltro,�della�stessa�Convenzione�Europea�dei� Diritti�dell'Uomo.�Sul�tema�dei�rapporti�tra�la�parte�civile�e�l'imputato,�ed�in�genere�sulla�posi- zione�della�parte�civile�nel�processo�penale�si�veda�La�costituzione�di�parte�civile�nel�processo� penale.�Atti�della�tavola�rotonda�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato�del�7�giugno�2002,�in�que- sta�Rassegna,�gennaio-marzo�2002,�1.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� cesso�penale,�onde�egli�non�sarebbe�neppure�titolare�del�diritto�alla�ragionevole�durata�di� tale�processo.�Affermazione�errata�^a�parere�del�ricorrente�^in�quanto�la�persona�offesa�e�� il�titolare�dell'interesse�penale�tutelato�dalla�norma�violata�e�la�querela�costituisce�lo�stru- mento�processuale�di�cui�egli�si�avvale.�La�previsione�di�numerosi�diritti�efacolta��proces- suali,�attribuiti�appunto�alla�persona�offesa�nel�corso�del�processo�penale,�dimostrerebbero� che�le�compete�a�pieno�titolo�la�qualita��di�parte�in�quel�processo.� 2.2.�^Con�il�terzo�motivo�di�doglianza�il�ricorrente�torna�a�ribadire�che,�nel�nostro� sistema�processuale�ed�in�ossequio�ai�principi�stabiliti�dalla�costituzione,�la�persona�offesa� ha�diritto�ad�una�risposta�di�giustizia�in�tempi�ragionevoli.�Il�fatto�che,�per�ottenere�il�risar- cimento�del�danno�cagionato�dal�reato,�essa�possa�anche�scegliere�la�vita�del�giudizio�civile� non�significa�in�alcun�modo�che,�ove�abbia�invece�prescelto�quella�della�querela�penale,�tale� suo�diritto�venga�meno.� 2.3.�^L'ultimo�motivo�di�ricorso�censura�la�decisione�del�giudice�di�merito�di�condan- nare�il�ricorrente�al�pagamento�delle�spese�di�lite.�Condanna�che�sarebbe�contraria�allo�spi- rito�della�Convenzione�Europea�dei�diritti�dell'uomo�ed�alla�prassi�al�riguardo�costantemente� seguita�dalla�Corte�europea�di�Strasburgo.�Inoltre�sarebbe�eccessiva�ed�immotivata�la�liqui- dazione�degli�onorari,�dei�diritti�e�delle�spese�operata�in�favore�dell'Avvocatura�dello�Stato.� 3.�^I�primi�tre�motivi�possono�essere�esaminati�congiuntamente,�poiche�i�temi�con�essi� sollevati�sono�tra�loro�strettamente�intrecciati.� 3.1.�^Deve�senz'altro�convenirsi�con�il�ricorrente�che�non�si�possa,�in�via�generale�ed� assoluta,�escludere�la�fase�delle�indagini�preliminari�del�processo�penale�dall'ambito�di�tutela� previsto�dall'art.�6,�paragrafo�1,�della�citata�Convenzione�europea�e,�nel�nostro�ordinamento� nazionale,�dalla�legge�n.�89�del�2001.� La�nozione�di�causa,�o�di�processo,�considerata�dalla�Convenzione�dei�Diritti�del- l'Uomo,�cui�ha�riguardato�l'art.�2,�comma�1.,�della�citata�legge�nazionale,�s'identifica,� infatti,�con�qualsiasi�procedimento�si�svolga�dinanzi�agli�organi�pubblici�di�giustizia�per�l'af- fermazione�o�la�negazione�di�una�posizione�giuridica�di�diritto�o�di�soggezione�facente�capo� a�chi�il�processo�promuova�o�subisca.�Processo,�in�tal�senso,�e��dunque�anche�la�fase�delle� indagini�che�precedono�il�vero�e�proprio�esercizio�dell'azione�penale,�le�quali�percio��,�ove�irra- gionevolmente�si�siano�protratte�nel�tempo,�ben�possono�assumere�rilievo,�ai�fini�dell'equa� riparazione,�a�partire�dal�momento�in�cui�sia�possibile�identificare�uno�o�piu��soggetti�che�di� quel�procedimento�siano�effettivamente�divenuti�parte�per�essere�stati�informati�della�pen- denza�del�procedimento�medesimo�e�posti�in�grado�di�parteciparvi.� 3.2.�^Resta�pero��da�stabilire�chi,�nell'ambito�di�tale�fase�processuale,�possa�propria- mente�considerarsi�parte,�ai�fini�che�qui�interessano,�ed�in�particolare�se�lo�siano�il�quere- lante�e,�piu��in�generale,�la�persona�offesa�dal�reato.� A�tal�riguardo�conviene�premettere�che�le�figure�di�danneggiato�e�di�persona�offesa�dal� reato�spesso�^ma�non�necessariamente�^coincidono.� Il�danneggiato�e��colui�al�quale�il�reato�ha�recato�un�danno�risarcibile,�anche�dal�punto� di�vista�civile,�e�come�e��tale�legittimato�a�costituirsi�parte�civile.�Se�cio��non�faccia�(o�fintan- toche�non�lo�faccia)�egli�e��completamente�estraneo�al�processo�penale�e,�quindi,�indifferente� alla�durata�di�esso.� La�persona�offesa,�cui�e��esclusivamente�e�specificamente�dedicato�il�Titolo�VI�del� Libro�I�del�codice�di�procedura�penale,�e��invece�la�vittima�del�reato�dal�punto�di�vista�penale:� ossia�il�titolare�dello�specifico�interesse�di�volta�in�volta�tutelato�dalla�singola�norma�penale,� indipendentemente�dalle�conseguenze�che�la�violazione�di�detta�norma�possano�effettiva- mente�avere�avuto�sulla�sfera�dei�suoi�diritti�morali�o�patrimoniali.�La�persona�offesa�puo�� anche�assumere�la�veste�di�querelante,�in�caso�di�reati�la�cui�procedibilita��sia�subordinata� appunto�alla�proposizione�della�querela.�Infatti�il�diritto�di�querela�contemplato�dall'art.�120� c.p.�compete,�appunto,�alla�persona�offesa�e�la�querela,�per�i�reati�che�la�richiedono,�confi- gura�una�condizione�di�procedibilita��e�dunque,�secondo�autore�e�dottrina,�un�presupposto� di�validita��del�processo�penale.� Cio��premesso,�la�questione�se�alla�persona�offesa�^che�non�si�sia�costituita�parte�civile�p ossa�o�meno�essere�riconosciuta�la�veste�di�parte�nel�processo�penale�deve�ricevere�risposta� negativa.�E�vero�che�le�disposizioni�del�codice�di�procedura�penale,�ed�in�specie�quelledel� citato�Titolo�VI,�attribuiscono�alla�persona�offesa�anche�un�ruolo�attivo�nel�processo�penale,� al�punto�che�si�e��parlato�di�un'accusa�privata,�in�posizione�accessoria�a�quella�pubblica�e,� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� per�certi�aspetti,�con�funzioni�anche�di�sollecitazione�e�controllo�sull'operato�di�quest'ultima.� Ma�resta�il�fatto�che�il�processo�penale,�in�quanto�tale,�non�e�volto�ad�accertare�nessuna� posizione�di�diritto�o�di�soggezione�facente�capo�alla�persona�offesa,�la�quale�non�puo�dun- que�essere�assimilata�ad�una�delle�parti�private�di�cui�si�occupano�altre�disposizioni�del� medesimo�codice.� Alle�medesime�conclusioni�(sia�pure�ad�altri�fini)�sono�pervenute�anche�le�Sezioni�unite� penali�di�questa�corte,�con�la�sentenza�16�dicembre�1998,�ric.�M.�ed�altri,�affermando� appunto�che�alla�persona�offesa,�la�quale�non�si�sia�costituita�parte�civile,�non�compete�la� veste�di�parte,�ne�in�fase�di�indagini�preliminari�ne�in�fase�giudiziale.�E�cio�in�quanto�il�pro- cesso�penale�e�pur�sempre�di�per�se�finalizzato�unicamente�all'esercizio�dell'azione�penale,� di�cui�e�solo�titolare�il�pubblico�ministero,�onde�i�poteri�e�le�facolta�che�sono�autonomamente� riconosciuti�alla�persona�offesa�sin�dalle�indagini�preliminari�si�risolvono�in�una�mera�antici- pazione�di�quanto�ad�essa�spettera�una�volta�che,�ricorrendone�le�condizioni,�ella�abbia�for- malizzato�la�costituzione�di�parte�civile.�Le�garanzie�apprestate�in�favore�della�persona� offesa�nella�fase�delle�indagini�preliminari�^come�espressamente�riconosciuto�anche�da� Corte�cost.�28�dicembre�1990,�n.�559�^sono�infatti�caratterizzate�da�un�rapporto�di�comple- mentarieta�con�quelle�che�le�spetteranno,�se,�essendo�anche�danneggiata�dal�reato,�essa�si� costituira�poi�parte�civile�per�far�valere�nell'ambito�del�processo�penale�la�sola�specifica�pre- tesa�da�essa�azionabile�dinanzi�al�giudice.� Detto�in�altre�parole,�con�terminologia�piu�vicina�a�quella�adoperata�dal�citato�para- grafo�1.�dell'art.�6�della�Convenzione�Europea,�per�la�persona�offesa,�in�quanto�tale,�il�proce- dimento�penale�non�puo�essere�definito�come�una��propria�causa�,�in�relazione�alla�quale� le�possa�percio�essere�direttamente�e�personalmente�riconosciuto�il�diritto�alla�ragionevole� durata�di�tale�causa.�La�persona�offesa�e�,s|�,�il�titolare�dell'interesse�tutelato�dalla�norma� penale�violata,�ma�la�causa�penale�ha�pur�sempre�unicamente�ad�oggetto�l'accertamento� della�fondatezza�della�pretesa�punitiva�dello�Stato,�e�non�di�una�situazione�giuridica�che�a� detta�persona�offesa�faccia�capo,�attivamente�o�passivamente�(almeno�fin�quando�essa�non� sia�anche�danneggiata�e�non�si�sia�eventualmente�costituita�in�quel�processo�parte�civile,� introducendo�cos|�una�diversa�ed�ulteriore�azione�che�allora�diviene�^ma�quella�soltanto�l a��sua�causa�).� 3.3.�^Ad�una�conclusione�diversa�si�potrebbe�pervenire,�forse,�soltanto�qualora�la�costi- tuzione�di�parte�civile�rappresentasse�l'unico�strumento�a�disposizione�della�persona�offesa� (nonche�danneggiata)�per�far�valere�in�giudizio�il�proprio�diritto�al�risarcimento.�Se�cos|� fosse,�le�indagini�preliminari�svolte�nell'ambito�del�processo�penale�assumerebbero�il�carat- tere�di�un�vero�e�proprio�presupposto�necessario�per�l'esercizio�di�quel�diritto:�come�tali,� potrebbero�allora�assumere�rilievo�al�fine�di�determinare�la�durata�processuale�complessiva- mente�occorrente�per�il�concreto�soddisfacimento�di�detta�pretesa�risarcitoria.� Ma�cos|�non�e�,�perche�quel�presupposto�non�e�affatto�necessario,�dal�momento�che�il� danneggiato�ben�puo�azionare�autonomamente�il�proprio�diritto�in�sede�civile;�e�se�le�even- tuali�interferenze�con�il�procedimento�penale�dovessero�ritardarne�il�corso�sarebbe�pur�sem- pre�in�relazione�a�detto�processo�civile�che�si�configurerebbe�un'eventuale�lesione�del�diritto� della�parte�alla�ragionevole�durata�di�quel�giudizio.� Non�coglie�dunque�nel�segno,�con�riferimento�al�caso�in�esame,�il�rilievo�del�ricorrente� secondo�cui�la�possibilita�per�il�danneggiato�dal�reato�di�scegliere�la�via�del�risarcimento�in� sede�civile�non�varrebbe�di�per�se�ad�escludere�il�suo�diritto�alla�ragionevole�durata�del�pro- cesso�penale,�quando�essa�abbia�invece�scelto�di�far�valere�in�esso�i�propri�diritti.�Rilievo� esatto,�ma�^per�le�ragioni�gia�dianzi�illustrate�^solo�a�condizione�che�(ed�a�partire�dal� momento�in�cui)�la�scelta�si�sia�gia�concretizzata�in�un�atto�di�costituzione�di�parte�civile,� da�cui�discenda�l'assunzione�per�il�danneggiato�della�qualita�di�parte�nel�processo�penale.� 3.4.�^La�risposta�non�muta�per�il�fatto�che�la�persona�offesa�abbia�assunto�anche�il� ruolo�di�querelante.� La�querela,�infatti,�rileva�unicamente�ai�fini�della�possibilita�di�instaurare�un�idoneo� processo�penale,�ma�non�interferisce�sull'oggetto�di�tale�processo,�che�resta�focalizzato�sul� solo�accertamento�del�reato,�a�prescindere�dalle�conseguenze�che�ne�siano�derivate�per�il�que- relante;�ne�attribuisce�a�costui�una�posizione�nel�processo�diversa�da�quella�spettante�alla� persona�offesa�nei�procedimenti�ad�impulso�d'ufficio.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Anche�la�circostanza�che�il�querelante,�in�caso�di�un�esito�del�giudizio�penale�totalmente� favorevole�all'imputato,�possa�essere�condannato�al�pagamento�delle�spese�del�procedimento� anticipate�dallo�Stato�e�dall'imputato�medesimo,�a�norma�degli�artt.�427�e�542�c.p.p.,�non� dimostra�che�egli�sia�parte�del�procedimento�cui�quelle�spese�si�riferiscono.� Il�fondamento�di�tale�condanna,�come�emerge�chiaramente�anche�dalle�pronunce�della� Corte�Costituzionale�n.�180�del�1993�e�n.�423�del�1993,�non�riposa�infatti�su�un�principio�di� soccombenza�processuale�(che,�altrimenti,�avrebbe�implicato�la�necessita�di�legittimare�il� querelante�ad�impugnare�la�pronuncia�di�proscioglimento�anche�per�il�merito,�e�non�solo� eventualmente�per�le�spese),�bens|�nella�colpa�di�detto�querelante�per�avere�incautamente� cagionato�ad�altri�danni�che,�con�doveroso�maggior�grado�di�avvedutezza,�avrebbero�potuto� essere�evitati.�Anche�a�tal�riguardo,�in�altri�termini,�la�sua�posizione�rileva�per�l'iniziativa� di�aver�proposto�la�querela�e�per�le�conseguenze�dannose�eventualmente�derivatene,�non� per�la�partecipazione�al�procedimento�penale�e�per�le�attivita�in�esso�svolte:�prescinde,�dun- que,�da�una�pretesa�(ma�inesistente)�sua�veste�di�parte�in�detto�procedimento�(omissis)�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Legittime le �quote rosa� nella legge elettorale della regione Val d'Aosta Corte�Costituzionale,�sentenza�10�febbraio�2003,�n.�49� Quadro�di�riferimento.�Con�ricorso�notificato�il�2�settembre�2002�il�Pre- sidente�del�Consiglio�dei�ministri�ha�sollevato�^in�riferimento�agli�articoli� 3,�primo�comma,�e�51,�primo�comma,�della�Costituzione�^questione�di�legit- timita�costituzionale�dell'art.�7,�comma�1,�e�^ove�la�norma�non�sia�ritenuta� di�carattere�meramente�propositivo�e�non�cogente�^dell'art.�2,�comma�1� (nella�parte�in�cui�introduce�l'art.�3-bis,�comma�2,�nella�legge�regionale� 12�gennaio�1993,�n.�3),�della�legge�della�Regione�Valle�d'Aosta,�adottata�ai� sensi�dell'art.�15,�secondo�comma,�dello�Statuto�speciale,�approvata�dal�Con- siglio�regionale�nella�seduta�del�25�luglio�2002�con�la�maggioranza�dei�due� terzi�dei�suoi�componenti�e�pubblicata�nel�Bollettino�Ufficiale�2�agosto� 2002,�recante��Modificazioni�alla�legge�regionale�12�gennaio�1993�n.�3�(Norme� per�l'elezione�del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta),�gia�modificata�dalle� leggi�regionali�11�marzo�1993,�n.�13�e�1�settembre�1997,�n.�31,�e�alla�legge�regio- nale�19�agosto�1998,�n.�47�(Salvaguardia�delle�caratteristiche�e�tradizioni�lingui- stiche�e�culturali�delle�popolazioni�walser�della�valle�del�Lys)��(1).�Invero,�tale� testo�di�legge�contiene,�nel�capo�I,�varie�disposizioni�di�modificazione�della� normativa�per�l'elezione�del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta�dettata� dalla�legge�regionale�12�gennaio�1993,�n.�3.�In�particolare,�l'art.�2�inserisce,� dopo�l'art.�3�della�suddetta�legge,�un�art.�3-bis,�sotto�la�rubrica��condizioni� di�parita�fra�i�sessi�,�a�termini�del�quale�ogni�lista�di�candidati�all'elezione� del�Consiglio�regionale�deve�prevedere�la�presenza�di�candidati�di�entrambi� i�sessi.� Inoltre,�l'art.�7,�contenente�modificazioni�dell'art.�9�della�suddetta�legge,� al�comma�1�prevede�che�vengano�dichiarate�non�valide�dall'ufficio�elettorale� regionale�le�liste�presentate�che�non�corrispondano�alle�condizioni�stabilite,� tra�le�quali�quella��che�nelle�stesse�siano�presenti�candidati�di�entrambi� i�sessi�.� All'udienza�del�28�gennaio�2003,�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato�ha� sostenuto�che�il�disposto�dell'art.�7,�comma�1,�della�legge�impugnata,�nella� parte�in�cui�prevede�detta�invalidita�,�e�l'art.�2,�comma�1,�nella�parte�in�cui,� introducendo�l'art.�3-bis,�comma�2,�nel�testo�della�legge�regionale�n.�3�del� 1993,�dispone�che�ogni�lista�deve�prevedere�la�presenza�di�candidati�di� entrambi�i�sessi�^ove�questa�norma�non�fosse�ritenuta�meramente�proposi- tiva�e�priva�di�valore�cogente�^sono�in�contrasto�con�gli�artt.�3,�primo� comma,�e�51,�primo�comma,�della�Costituzione,�in�quanto�limitano�di�fatto� il�diritto�di�elettorato�passivo.� (1)�Inoltre,�successivamente�alla�proposizione�del�ricorso�la�legge�regionale�impugnata�u na�volta�decorso�il�termine�per�la�richiesta�di�referendum�^e�stata�promulgata�e�pubblicata�come� legge�regionale�13�novembre�2002,�n.�21.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Infatti,�secondo�l'Avvocatura,�si�e�riproposta�la�stessa�situazione�di�cui� all'art.�5,�comma�2,�ultimo�periodo,�della�legge�25�marzo�1993,�n.�81,�sulla�ele- zione�diretta�del�sindaco,�del�presidente�della�provincia,�del�consiglio�comunale� e�del�consiglio�provinciale,�la�quale�prevedeva�che��nelle�liste�dei�candidati�nes- suno�dei�due�sessi�puo�essere�di�norma�rappresentato�in�misura�superiore�a� due�terzi�.�Di�tale�disposizione�gia�la�Corte�costituzionale,�con�la�sentenza� n.�422�del�1995,�aveva�dichiarato�l'illegittimita�per�contrasto�con�gli�artt.�3�e�5l� della�Costituzione,�unitamente,�per�conseguenza,�ad�altre�norme�statali�eregio- nali�similari�(fra�le�quali�anche�l'art.�32,�commi�3�e�4,�della�legge�regionale�della� Valle�d'Aosta�9�febbraio�1995,�n.�4,�relativa�alla�elezione�diretta�del�sindaco,� del�vice�sindaco�e�del�consiglio�comunale).�Tali�considerazioni�si�ritengono�per- fettamente�pertinenti�al�caso�de quo, in�quanto�nessuna�differenza�sostanziale� puo�sussistere�tra�la�previsione�di�una�quota�di�riserva�(pari�ad�una�percentuale� delle�presenze)�e�la�previsione�di�una�presenza�minima�quale�che�sia,�anche�di� un�solo�candidato,�di�uno�dei�due�sessi�nelle�liste�elettorali.� In�particolare�il�Governo�^rappresentato�in�giudizio�dall'Avvocatura� Generale�dello�Stato�^ha�osservato�che�l'appartenenza�all'uno�o�all'altrosesso� non�puo�mai�essere�assunta�come�requisito�di�eleggibilita�,ne�quindi�come�requi- sito�di��candidabilita��,�poiche�questa�sarebbe�presupposto�della�eleggibilita�;e� che�pertanto�contrasta�con�il�principio�di�eguaglianza�nell'accesso�alle�cariche� elettive,�sancito�dall'art.�3,�primo�comma,�e�dall'art.�51,�primo�comma,�della� Costituzione,�una�norma�di�legge�che�imponga�nella�presentazione�delle�candi- dature��qualsiasi�forma�di�quote�in�ragione�del�sesso�dei�candidati�.�Pertanto� ^ha�ribadito�il�Governo�^persino�la�semplice�previsione,�come�contenuta�nella� legge�impugnata,�della�necessaria�presenza�in�ogni�lista�di�candidati�dei�due� sessi�non�si�differenzia�sostanzialmente,�da�questo�punto�di�vista,�dalla�previ- sione�di�una��quota��di�riserva�di�candidature�all'uno�e�all'altro�sesso.� Si�e�costituita�in�giudizio�la�Regione�Valle�d'Aosta,�chiedendo�il�rigetto�del� ricorso�governativo�in�quanto,�a�seguito�delle�piu�recenti�norme�costituzionali,� si�e�passati�dal�semplice�riconoscimento�alle�donne�dei�diritti�elettorali�attivi�e� passivi�all'affermazione�del�diritto�delle�donne�ad�avere�comunque�la�possibilita� di�vedere�rappresentato�il�proprio�sesso�nell'ambito�delle�competizioni�eletto- rali.�Infatti�ai�sensi�del�vigente�testo�dell'art.�117�della�Costituzione�(come�rifor- mato�dalla�legge�costituzionale�18�ottobre�2001,�n.�3)�le�leggi�regionali�non�si� devono�limitare�a�riconoscere�una�eguale�possibilita�ai�due�sessi�di�accedere�alle� cariche�elettive,�ma�debbono�altres|�promuovere�la�parita�di�accesso,�introdu- cendo�in�conseguenza�meccanismi�che�valgano�a�controbilanciare�lo�svantaggio� che�tuttora�caratterizza�la�posizione�delle�donne�nell'accesso�a�tali�cariche.� Inoltre,�in�tale�occasione,�la�difesa�regionale�ha�altres|�ricordato�l'iter di� approvazione�del�disegno�di�legge�di�modifica�dell'art.�51�della�Costituzione,� il�quale�prevede�che�venga�aggiunto�al�medesimo,�con�previsione�di�portata� generale,�il�seguente�periodo:��a�tal�fine�la�Repubblica�promuove�con�appo- siti�provvedimenti�le�pari�opportunita�tra�donne�e�uomini��(2).� (2)�Tale�testo�di�legge�e�stato,�in�prosieguo,�approvato�definitivamente�al�Senato�il�20� febbraio�2003�e�si�e�tradotto�nella�Legge�Cost.�n.�1/2003�(pubblicata�in�Gazzetta Ufficiale n.�134�del�12�giugno�2003)�di�modifica�dell'art.�51�Cost.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Infine,�la�legge�regionale�impugnata�^cos|�ha�proseguito�la�difesa�regio- nale�^e�stata�adottata�ai�sensi�dell'art.�15�dello�statuto�speciale,�il�cui� secondo�comma,�introdotto�dall'art.�2�della�legge�costituzionale�31�gennaio� 2001,�n.�2,�espressamente�prevede�fra�l'altro�che,��al�fine�di�conseguire�l'equi- librio�della�rappresentanza�dei�sessi�,�la�legge�regionale,�approvata�con� la�maggioranza�assoluta�dei�consiglieri�assegnati,�che�determina�la�formadi� governo�della�Regione,��promuove�condizioni�di�parita�per�l'accesso�alle�con- sultazioni�elettorali��(3).� A�parere�della�difesa�regionale,�allora,�sarebbe�la�stessa�norma�di�rango� costituzionale�a�prevedere�che�il�legislatore�regionale�debba�adottare�una� disciplina�volta�a�garantire�l'equilibrio�della�rappresentanza�dei�sessi�nella� competizione�elettorale,�trattandosi�afortiori�di�norma�del�tutto�coerente� anche�con�la�previsione�del��nuovo��testo�dell'art.�117�della�Costituzione.� Pertanto,�le�disposizioni�impugnate�non�sarebbero�in�contrasto�con�i�principi� costituzionali;�al�contrario,�darebbero�attuazione�alle�precise�indicazioni�di� norme�costituzionali�di�recente�intervenute.� Di�piu�.�Si�tratterebbe,�infatti,�anche�di�previsioni�conformi�ai�vincoli�che� derivano�da�una�serie�di�strumenti�di�diritto�internazionale,�cui�l'Italiaha� aderito,�e�che�ribadiscono�l'esigenza�di�una�tutela�anche�attiva�della�posizione� della�donna,�in�particolare�per�quanto�concerne�la�rappresentanza�elettorale� (in�questo�senso,�cfr.�la�convenzione�sull'eliminazione�di�ogni�forma�di�discri- minazione�nei�confronti�della�donna,�aperta�alla�firma�a�New�York�il� 18�dicembre�1979,�e�ratificata�dall'Italia�il�10�giugno�1985,�ai�sensi�della�legge� n.�132�del�14�marzo�1985);�nonche�di�previsioni�coerenti�alle�nuove�prospet- tive�emergenti�dalla�Carta�dei�diritti�fondamentali�dell'Unione�europea,�adot- tata�a�Nizza�il�7�dicembre�2000,�il�cui�art.�23,�secondo�comma,�proclama� che��ilprincipio�dellaparita�nonosta�almantenimento�o�all'adozione�dimisure� cheprevedano�vantaggispecificiafavoredelsessosottorappresentato�.� Da�cio�^sempre�secondo�la�difesa�regionale�^si�trarrebbe�come�ulte- riore�conseguenza�che�il�quadro�di�riferimento�costituzionale,�rispetto�al� quale�vanno�collocate�le�norme�regionali�all'esame�della�Corte,�non�coincide- rebbe�con�quello�vigente�al�momento�della�famosa�sentenza�di�illegittimita� costituzionale�n.�422�del�1995,�invocata�anche�dal�Governo.�D'altro�canto�e� notorio�che�anche�in�Francia�sia�accaduta�una�vicenda�simile�di�successione� nel�tempo�di�parametri�costituzionali�nella�medesima�materia.� (3)�Per�la�verita�,�anche�il�ricorrente�ha�richiamato�bens|�la�norma,�contenuta�nell'arti- colo�15,�secondo�comma,�secondo�periodo,�dello�statuto�della�Valle�d'Aosta�(come�modifi- cato�dall'art.�2�della�legge�costituzionale�n.�2�del�2001),�secondo�cui,��al�fine�di�conseguire� l'equilibrio�della�rappresentanza�dei�sessi�,�la�legge�che�stabilisce�le�modalita�di�elezione�del� Consiglio�regionale��promuove�condizioni�di�parita�per�l'accesso�alle�consultazioni�eletto- rali�,�ma�ritenendo�che�si�tratti�di�una��enunciazione�programmatica�;�sicche�la�norma�di� legge�regionale,�secondo�cui�ogni�lista�di�candidati�all'elezione�del�Consiglio�regionale�deve� prevedere�la�presenza�di�candidati�di�entrambi�i�sessi,�puo�ritenersi�legittima�e�conforme�allo� spirito�della�disposizione�statutaria�solo�se�intesa�come��norma�meramente�propositiva,� quasi�un�auspicio�,�laddove�sarebbe�irrimediabilmente�illegittima�la�norma�che�condiziona� a�tale�presenza�la�validita�delle�liste.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� La�Corte�Costituzionale,�con�decisione�n.�49/2003�del�10�febbraio�2003� (dep.�13�febbraio�2003),�ha�dichiarato�infondata�la�questione�di�legittimita� costituzionale�degli�artt.�2,�comma�1,�e�7,�comma�1,�della�legge�regionale� della�Val�d'Aosta�del�13�novembre�2002,�n.�21,�sollevata�in�riferimento�agli� artt.�3,�primo�comma,�e�5,�primo�comma,�della�Costituzione,�dal�Governo� con�il�ricorso�suindicato�principalmente�in�quanto:� le�disposizioni�contestate�non�pongono�l'appartenenza�all'uno�o�all'al- tro�sesso�come�requisito�ulteriore�di�eleggibilita�,�e�nemmeno�di��candidabi- lita���dei�singoli�cittadini;�infatti,�l'obbligo�imposto�dalla�legge,�nonche�la�con- seguente�sanzione�di�invalidita�,�concernono�solo�le�liste�e�i�soggetti�che�le� presentano;� la�misura�prevista�dalla�legge�impugnata�non�puo�qualificarsi�come� una�di�quelle��misure�legislative,�volutamente�diseguali�,�che��possono�certa- mente�essere�adottate�per�eliminare�situazioni�di�inferiorita�sociale�ed�econo- mica,�o,�piu�in�generale,�per�compensare�e�rimuovere�le�disuguaglianze�mate- riali�tra�gli�individui�,�ma�che�questa�Corte�ha�ritenuto�non�possano� �incidere�direttamente�sul�contenuto�stesso�di�quei�medesimi�diritti,�rigorosa- mente�garantiti�in�eguale�misura�a�tutti�i�cittadini�in�quanto�tali�,�tra�cui,�in� particolare,�il�diritto�di�elettorato�passivo�(cfr.�sentenza�n.�422�del�1995).� Infatti,�non�puo�parlarsi�di�una�incidenza�su�un�ipotetico�diritto�di�aspiranti� candidati�ad�essere�inclusi�in�lista,�posto�che�la�formazione�delle�liste�rimane� interamente�rimessa�alle�libere�scelte�dei�presentatori�e�degli�stessi�candidati� in�sede�di�necessaria�accettazione�della�candidatura.�Le�disposizioni�in� esame,�invece,�stabiliscono�un�vincolo�non�gia�all'esercizio�del�voto�o�all'e- splicazione�dei�diritti�dei�cittadini�eleggibili,�ma�soltanto�alla�formazione� delle�libere�scelte�dei�partiti�e�dei�gruppi�che�formano�e�presentano�le�liste� elettorali,�precludendo�loro�la�possibilita�di�presentare�liste�formate�da�candi- dati�tutti�dello�stesso�sesso.�Tale�vincolo�(�legale�)�negativo�opera�soltanto� nella�fase�anteriore�alla�vera�e�propria�competizione�elettorale,�non�incidendo� su�di�essa.� Inoltre,�la�Consulta�ha�altres|�sostenuto�che�tale�vincolo�(negativo)�alla� liberta�dei�partiti�che�presentano�le�liste�deve�essere�valutato�oggi�anche�alla� luce�di�un�quadro�costituzionale�di�riferimento�che�si�e�evoluto�rispetto�a� quello�in�vigore�all'epoca�della�pronuncia�n.�422/1995�della�medesima�Corte,� invocata�dal�Governo�a�sostegno�della�questione�di�legittimita�costituzionale� della�normativa�impugnata�(la�Corte,�in�particolare,�ha�richiamato�expressis verbis le�leggi�costituzionali�nn.�2�e�3�del�2001);�ha,�infine,�osservato,�che�il� vincolo�imposto�non�appare�nemmeno�tale�da�incidere�significativamente� sulla�realizzazione�dell'obiettivo�di�un�riequilibrio�nella�composizione�per� sesso�della�rappresentanza.�Infatti�esso�si�esaurisce�nell'impedire�che,�nel� momento�in�cui�si�esplicano�le�libere�scelte�di�ciascuno�dei�partiti�e�dei�gruppi� in�vista�della�formazione�delle�liste,�si�attui�una�discriminazione�sfavorevole� ad�uno�dei�due�sessi,�attraverso�la�totale�esclusione�di�candidati�ad�esso� appartenenti.�Le��condizioni�di�parita���fra�i�sessi,�in�altri�termini,�sono�qui� imposte�nella�misura�minima�di�una��non�discriminazione�,�ai�fini�della�can- didatura,�a�sfavore�dei�cittadini�di�uno�dei�due�sessi.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 2.�^La�precedente�giurisprudenza�della�Corte�Costituzionale.�Anche�in� passato�non�sono�mancati�i�tentativi�volti�a�consentire�una�maggiore�pre- senza�delle�donne�nelle�assemblee�elettive.�Infatti,�alcune�norme�contenute� nella�legge�25�marzo�1993�n.�81�^relativa�all'elezione�diretta�del�Sindaco�i ntroducevano�un�criterio�di�proporzione�tra�i�due�sessi�nella�composizione� delle�liste�dei�candidati�alle�elezioni�dei�consigli�comunali,�stabilendo�che�nei� comuni�con�popolazione�fino�ed�oltre�i�15.000�abitanti�nessuno�dei�due�sessi� potesse�essere�rappresentato�in�misura�superiore�ai�tre�quarti�(nel�primo� caso)�ed�ai�due�terzi�(nel�secondo�caso)�dei�consiglieri�assegnati.�Inoltre,� anche�una�norma�della�legge�n.�277�del�1993,�relativa�all'elezione�della� Camera�dei�deputati,�disponeva�che�le�liste�presentate�ai�fini�dell'attribuzione� dei�seggi�in�ragione�proporzionale,�ove�recassero�piu�di�un�nome,�fossero�for- mate�da�candidati�e�candidate�in�ordine�alternato.� Sull'art.�5,�comma�2,�ultimo�periodo�della�prima�legge,�e�poi�anche�sulla� norma�della�seconda,�e�intervenuta�la�Corte�costituzionale,�la�quale�con�deci- sione�n.�422�del�1995�richiamata�ha�dichiarato�la�illegittimita�costituzionale� delle�norme�succitate�perche�in�contrasto�con�gli�articoli�3�e�51�della�Costitu- zione�(il�cd.�principio�di�eguaglianza�formale�e�sostanziale).� In�particolare,�la�Corte�Costituzionale�^che,�pure,�nella�medesima�sen- tenza�ribadiva�il�giudizio�positivo�per�le�misure�volte�a�promuovere�l'ugua- glianza�dei�punti�di�partenza�(4)�^ha�giudicato�le�norme�sottoposte�al�suo� giudizio�non�coerenti�con�il�secondo�comma�dell'art.�3�Cost.,�in�quanto�tali� norme��non�si�propongono�di�rimuovere�gli�ostacoli�che�impediscono�alle� donne�di�raggiungere�determinati�risultati,�bens|�di�attribuire�loro�diretta- mente�quei�risultati�;�pertanto,�la�disparita�di�condizioni�^secondo�la�Corte� ^non�viene�rimossa�ma�costituisce�solo��il�motivo�che�legittima�una�tutela� preferenziale�in�base�al�sesso�;�tuttavia�^prosegue�la�Corte�^misure�legisla- tive��volutamente�disuguali��non�possono�incidere�sul�contenuto�dei�diritti� fondamentali�(quale�il�diritto�di�elettorato,�attivo�e�passivo).� 3.�^La�giurisprudenza�della�Corte�di�Giustizia�della�Comunita�.�Osserva- zioni�conclusive.�Ragionamento�analogo�si�ritrova�in�una�significativa�deci- sione�della�Corte�di�Giustizia�comunitaria�^del�17�ottobre�1995�^riguar- dante�una�legge�del�Land�di�Brema�relativa�all'uguaglianza�fra�uomini�e� donne�nei�servizi�pubblici.� (4)�In�realta�,gia�nella�sentenza�n.�109�del�1993�la�Corte�Costituzionale�manifestava�un� grande�favore�per�le�cd.�azioni�positive.�Invero,�esaminando�la�legge�n.�215/1992�a�sostegno� dell'imprenditoria�femminile,�ne�giustificava�gli�interventi�in�quanto��diretti�a�colmare,�o� comunque�ad�attenuare�un�evidente�squilibrio�a�sfavore�delle�donne,�che,�a�causa�di�discrimi- nazioni�accumulatesi�nel�corso�della�storia�passata�per�il�dominio�di�determinati�comporta- menti�sociali�o�modelli�culturali,�ha�portato�a�favorire�le�persone�di�sesso�maschile�nell'occu- pazione�delle�posizioni�di�imprenditore�o�di�dirigente�d'azienda.�Gli�interventi�di�favore�pre- visti�dalla�legge,�che�rispondono�al�dovere�di�rimuovere�gli�ostacoli�assegnato�alla� Repubblica�dall'art.�3,�comma�2,�della�Cost.,�sono�legittimi�in�quanto�diretti�ad�agevolare� l'imprenditoria�femminile,�a�promuovere�la�formazione�e�qualificare�la�professionalita�,e,� dunque,�ad�introdurre�le�misure�necessarie�per�un'effettiva�uguaglianza�di�chances�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� In�tale�circostanza,�la�Corte�ha�esaminato�se�la�norma�per�la�quale�^a� parita��di�condizioni�^le�donne�beneficiano�automaticamente�della�priorita�� (il�che�comporta�una�discriminazione�fondata�sul�sesso)�possa�giustificarsi� in�base�all'art.�2,�par.�4�della�Direttiva�che�consente��misure,�apparentemente� discriminatorie,�quando�dirette�a�promuovere�l'uguaglianza�di�possibilita��,di� chances,�tra�uomini�e�donne�.�La�conclusione�della�Corte�di�Giustizia� rispetto�al�caso�prospettato�e��stata�negativa:�infatti,�una�disciplina�statale� che�garantisca�la�priorita��assoluta,�incondizionata,�alle�donne�in�occasione� di�una�nomina�o�promozione�va�al�di�la��della�promozione�dell'eguaglianza� di�chances,�in�quanto�sostituisce�alla�promozione�dell'eguaglianza�di�opportu- nita��,il�risultato�al�quale�l'applicazione�di�quell'eguaglianza�di�chances� potrebbe�condurre.� Il�fulcro�dell'iter�argomentativo�seguito�sia�dalla�giurisprudenza�costitu- zionale�(recente�o�meno)�sia�dalla�giurisprudenza�comunitaria�al�fine�di�fon- dare�le�proprie�decisioni�in�materia�di�previsione�di�quote�per�le�donne�e��,� dunque,�imperniato�sulla�profonda�differenza�tra�misure�dirette�a�promuo- vere�l'uguaglianza�di�chances�o�opportunita��(le�cd.�norme�antidiscriminato- rie)�e�misure�rivolte�a�raggiungere�direttamente�il�risultato.�Mentre�le�prime� sono�sempre�consentite,�le�seconde�sono�addirittura�vietate�(5).� Ad�onore�del�vero,�nel�tempo�tutte�queste�argomentazioni�sono�divenute� sempre�meno�consistenti�alla�luce�dell'approvazione,�in�Europa,�della�Carta� dei�diritti�fondamentali,�la�quale�non�soltanto�legittima�le�misure�di�parita��,� ma�anche�le�cd.�azioni�positive�forti�(cioe��quelle�misure�e�norme�dirette�a� favorire�le�donne�attribuendo�vantaggi�speciali�e�diversi).� Invero,�dopo�avere�affermato,�al�primo�comma,�che�la�parita��tra�uomini�e� donne��deve�essere�assicurata�in�tutti�i�campi�,�l'art.�23,�al�secondo�comma,� precisa:��Il�principio�della�parita�non�osta�al�mantenimento�o�all'adozione�di� misurecheprevedano�vantaggispecificiafavoredelsessosottorappresentato�.� Benche�e��indubbio�che�la�Carta�di�Nizza�del�6�dicembre�2000�non�abbia� valore�giuridicamente�vincolante,�ciononostante�e��opinione�concorde�in�dot- trina�(6)�che�essa�eserciti�una�sicura�influenza�sull'interpretazione�di�tutte�le� norme�interne�e�dei�principi�costituzionali.� 4.�^Prospettive�future.�Come�anticipato�(7),�e��stata�di�recente�appro- vata�^a�larga�maggioranza�^una�nuova�modifica�costituzionale.�Si�tratta� di�una�integrazione�all'art.�51,�che�adesso,�nel�suo�primo�comma,�recita�cos|�:� �Tutti�i�cittadinidell'uno�o�dell'altro�sessopossono�accedere�agliufficipubblici� (5)�Per�la�distinzione�tra�norme�antidiscriminatorie�ed�azioni�positive,�tra�misure�che� assicurano�la�parita��dei�punti�di�partenza�e�misure�che�garantiscono�eguaglianza�di�risultati,� cfr.�il�Parere�sulla�legittimita�costituzionale�della�legge�elettorale�della�Provincia�autonoma�di� Bolzano�di�LorenzA CarlassarE in�Riforme�e�vita�quotidiana,�Regioni:�quali�statuti�e�quali� leggi�elettoriali,�75�ss.�(edito�dalla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�-Commissione� Nazionale�per�la�Parita��e�le�Pari�Opportunita��tra�Uomo�e�Donna).� (6)�Per�tutti,�A. Loiodice, A. Ruggeri, G. F. Ferrari,in�Idirittifondamentali�dopo�la� Carta�di�Nizza,�a�cura�di�G. F. Ferrari,�Milano,�2001.� (7)�Cfr.�par.�1,�nota�2).� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunita� tra donne e uomini�.�E�questa�una�modifica-integrazione� della�Costituzione,�predisposta�al�fine�di�dare�copertura�costituzionale�a�tutte� quelle�future�norme�elettorali�nelle�quali�venissero�garantite,�in�modo�eguale� a�entrambi�i�sessi,�condizioni�pari�di�accesso�alle�cariche�elettive,�vale�a�dire� un'eguaglianza�nei��punti�di�partenza�.�In�tal�modo,�le�future�norme�non� sarebbero�assimilabili�alle��azioni�positive��(cioe�norme�dirette�a�favorire�le� donne�attribuendo�ad�esse�vantaggi�speciali�e�diversi),�piuttosto�sarebbero� norme�con�funzione�antidiscriminatoria,�miranti�cioe�a�regolare�in�modo� eguale�la�posizione�di�donne�e�uomini.�Quindi:�norme�dirette�a�promuovere� l'eguaglianza�di�chances e�non�misure�rivolte�a�raggiungere�direttamente�il� risultato�(come,�per�esempio,�garantire�dei�seggi�parlamentari�direttamente� alle�donne).� Probabilmente�la�prima�riforma�legislativa�da�realizzare�e�quella�sulla� legge�elettorale�per�il�Parlamento�europeo�(in�quanto�prevede�un�sistema�pro- porzionale��puro��basato�su�liste�di�partito�e�voto�di�preferenza).� Dott.ssa Ilaria Sanasi Corte Costituzionale, sentenza 10 febbraio 2003, n. 49 ^Pres. Chieppa�^Rel. Onida�^ Ricorrente:�Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri�(Avv.�dello�Stato�O.�Fiumara)� c/Regione�Val�d'Aosta.� La Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimita� costituzionale degli articoli 2, comma 1, e 7, comma 1, della legge regionale della Valle d'Aosta 13 novembre 2002, n. 21, recante �Modificazioni alla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3 (Norme per l'ele- zione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta), gia� modificata dalle leggi regionali 11 marzo 1993, n. 13 e 1 settembre 1997, n. 31, e alla legge regionale 19 agosto 1998, n. 47 (Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys)�,sollevata, inriferimentoagliarticoli3,primocomma,e51,primocomma,dellaCostitu- zione, dal Governo con il ricorso in via principale n. 53/2002, in quanto le disposizioni impu- gnate della legge elettorale della Valle d'Aosta introducono un vincolo �legale> rispetto alle sceltedichiforma epresenta leliste. �(Omissis) Considerato in diritto 1.�^Il�Governo,�con�ricorso�proposto�ai�sensi�dell'arti- colo�15,�terzo�comma,�dello�statuto�speciale�per�la�Valle�d'Aosta/Valle�e�d'Aoste,�come�modi- ficatodall'art.�2dellaleggecostituzionalen.�2del2001,hapromossoquestionedilegittimita� costituzionale�degli�articoli�2,�comma�2,�e�7,�comma�1,�dellalegge�regionale�dellaValle�d'Ao- sta�recante��Modificazioni�alla�legge�regionale�12�gennaio�1993,�n.�3�(Norme�per�l'elezione� del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta),�gia�modificata�dalle�leggi�regionali�11�marzo� 1993,�n.�13�e�1�settembre�1997,�n.�31,�e�alla�legge�regionale�19�agosto�1998,�n.�47�(Salvaguar- dia�delle�caratteristiche�e�tradizioni�linguistiche�e�culturali�delle�popolazioni�walser della� valle�del�Lys)�,�approvata�dal�Consiglio�regionale�a�maggioranza�di�due�terzi�dei�compo- nenti�il�25�luglio�2002,�e�pubblicata�per�notizia�nel�Bollettino�Ufficiale�della�Regione�del� 2�agosto�2002.�Successivamente�alla�proposizione�del�ricorso�la�legge�regionale�impugnata� ^una�volta�decorso�il�termine�per�la�richiesta�di�referendum�^e�stata�promulgata�e�pubbli- cata�come�legge�regionale�13�novembre�2002,�n.�21.� Le�disposizioni�impugnate,�rispettivamente,�inseriscono�l'art.�3-bis e�sostituiscono� l'art.�9,�comma�1,�lettera�a,�nella�legge�regionale�12�gennaio�1993,�n.�3�(Norme�per�l'elezione� del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta).� Precisamente,�il�nuovo�art.�3-bis della�legge�sull'elezione�del�Consiglio,�inserito�dal- l'art.�2�della�legge�impugnata,�stabilisce,�al�comma�2,�che�le�liste�elettorali�devono�compren- IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� dere��candidati�di�entrambi�i�sessi�;�a�sua�volta�il�nuovo�art.�9,�comma�1,�lettera�a�della� legge�elettorale,�sostituito�dall'art.�7,�comma�1,�della�legge�impugnata,�prevede�che�vengano� dichiarate�non�valide�dall'ufficio�elettorale�regionale�le�liste�presentate�che�non�corrispon- dano�alle�condizioni�stabilite,�fra�cui�quella��che�nelle�stesse�siano�presenti�candidati�di� entrambi�i�sessi�.� Tali�disposizioni�sono�censurate�dal�ricorrente�per�contrasto�con�gli�articoli�3,�primo� comma,�e�51,�primo�comma,�della�Costituzione.� Sostiene�il�Governo�che�le�predette�disposizioni�^l'art.�7�in�quanto�espressamente�con- diziona�la�validita�delle�liste�alla�presenza�di�candidati�di�entrambi�i�sessi,�l'art.�2�in�quanto� venga�interpretato�non�come�semplice�indicazione�programmatica,�ma�come�disposizione� vincolante�in�sede�di�controllo�della�validita�delle�liste�presentate�^limitano�di�fatto�il�diritto� di�elettorato�passivo.�Richiamandosi�alla�sentenza�di�questa�Corte�n.�422�del�1995�(che� dichiaro�l'illegittimita�costituzionale�di�diverse�disposizioni�di�legge�prevedenti�l'obbligo�di� riservare�a�candidati�di�ciascuno�dei�due�sessi�quote�minime�di�posti�nelle�liste�per�le�elezioni� delle�Camere�e�dei�Consigli�regionali�e�comunali),�il�Governo�osserva�che�l'appartenenza� all'uno�o�all'altro�sesso�non�puo�mai�essere�assunta�come�requisito�di�eleggibilita�,ne�quindi� come�requisito�di��candidabilita��,�poiche�questa�sarebbe�presupposto�della�eleggibilita�;e� che�pertanto�contrasterebbe�con�il�principio�di�eguaglianza�nell'accesso�alle�cariche�elettive,� sancito�dall'art.�3,�primo�comma,�e�dall'art.�51,�primo�comma,�della�Costituzione,�una� norma�di�legge�che�imponga�nella�presentazione�delle�candidature��qualsiasi�forma�di�quote� in�ragione�del�sesso�dei�candidati�.�Ad�avviso�del�ricorrente,�anche�la�semplice�previsione�c ome�contenuta�nella�legge�impugnata�^della�necessaria�presenza�in�ogni�lista�di�candidati� dei�due�sessi�non�si�differenzierebbe�sostanzialmente,�da�questo�punto�di�vista,�dalla�previ- sione�di�una��quota��di�riserva�di�candidature�all'uno�e�all'altro�sesso.� Il�ricorrente�richiama�bens|�la�norma,�contenuta�nell'articolo�15,�secondo�comma,� secondo�periodo,�dello�statuto�della�Valle�d'Aosta�(come�modificato�dall'art.�2�della�legge� costituzionale�n.�2�del�2001),�secondo�cui,��al�fine�di�conseguire�l'equilibrio�della�rappresen- tanza�dei�sessi�,�la�legge�che�stabilisce�le�modalita�di�elezione�del�Consiglio�regionale��pro- muove�condizioni�di�parita�per�l'accesso�alle�consultazioni�elettorali�:�ma�ritiene�che�si�tratti� di�una��enunciazione�programmatica�,�onde�la�norma�di�legge�regionale,�secondo�cui�ogni� lista�di�candidati�all'elezione�del�Consiglio�regionale�deve�prevedere�la�presenza�di�candidati� di�entrambi�i�sessi,�potrebbe�ritenersi�legittima�e�conforme�allo�spirito�della�disposizione�sta- tutaria�solo�se�intesa�come��norma�meramente�propositiva,�quasi�un�auspicio�;�mentre� sarebbe�irrimediabilmente�illegittima�la�norma�che�condiziona�a�tale�presenza�la�validita� delle�liste.� 2.�^Deve�essere,�anzitutto,�dichiarato�inammissibile�l'intervento�spiegato�in�giudizio� dalle�Consulte�femminili�della�Campania�e�della�Valle�d'Aosta:�nei�giudizi�di�legittimita� costituzionale�promossi�in�via�principale�non�e�prevista�la�possibilita�di�intervento�di�soggetti� diversi�dal�titolare�delle�competenze�legislative�in�contestazione�o�con�queste�comunque�con- nesse�(cfr.�sentenze�n.�353�del�2001�e�n.�533�del�2002).� 3.�^Laquestione�e�infondata.� 3.1.�^In�primo�luogo,�deve�osservarsi�che�le�disposizioni�contestate�non�pongono�l'ap- partenenza�all'uno�o�all'altro�sesso�come�requisito�ulteriore�di�eleggibilita�,�e�nemmeno�di� �candidabilita���dei�singoli�cittadini.�L'obbligo�imposto�dalla�legge,�e�la�conseguente�sanzione� di�invalidita�,�concernono�solo�le�liste�e�i�soggetti�che�le�presentano.� In�secondo�luogo,�la�misura�prevista�dalla�legge�impugnata�non�puo�qualificarsi�come� una�di�quelle��misure�legislative,�volutamente�diseguali�,�che��possono�certamente�essere� adottate�per�eliminare�situazioni�di�inferiorita�sociale�ed�economica,�o,�piu�in�generale,�per� compensare�e�rimuovere�le�disuguaglianze�materiali�tra�gli�individui�(quale�presupposto�del� pieno�esercizio�dei�diritti�fondamentali)�,�ma�che�questa�Corte�ha�ritenuto�non�possano� �incidere�direttamente�sul�contenuto�stesso�di�quei�medesimi�diritti,�rigorosamente�garantiti� in�egual�misura�a�tutti�i�cittadini�in�quanto�tali�,�tra�cui,�in�particolare,�il�diritto�di�elettorato� passivo�(sentenza�n.�422�del�1995).� Non�e�qui�prevista,�infatti,�alcuna�misura�di��disuguaglianza��allo�scopo�di�favorire� individui�appartenenti�a�gruppi�svantaggiati,�o�di��compensare��tali�svantaggi�attraverso� vantaggi�legislativamente�attribuiti.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Non�vi�e��,�insomma,�nessuna�incidenza�diretta�sul�contenuto�dei�diritti�fondamentali�dei� cittadini,�dell'uno�o�dell'altro�sesso,�tutti�egualmente�eleggibili�sulla�base�deisoliedeguali� requisiti�prescritti.� Nemmeno�potrebbe�parlarsi�di�una�incidenza�su�un�ipotetico�diritto�di�aspiranti�candidati� ad�essere�inclusi�in�lista,�posto�che�la�formazione�delle�liste�rimane�interamente�rimessa�alle� libere�scelte�dei�presentatori�e�degli�stessi�candidati�in�sede�di�necessaria�accettazione�della�can- didatura�(cfr.�sentenza�n.�203�del�1975).�Non�si�realizza,�in�tale�sede,�alcun�metodo��concor- suale��in�relazione�al�quale�un�soggetto�non�incluso�nelle�liste�possa�vantare�una�posizione�giu- ridica�di�priorita��ingiustamente�sacrificata�a�favore�di�un�altro�soggetto�in�essa�incluso.� In�altri�termini,�le�disposizioni�in�esame�stabiliscono�un�vincolo�non�gia��all'esercizio�del� voto�o�all'esplicazione�dei�diritti�dei�cittadini�eleggibili,�ma�alla�formazione�delle�libere�scelte� dei�partiti�e�dei�gruppi�che�formano�e�presentano�le�liste�elettorali,�precludendo�loro�(solo)� la�possibilita��di�presentare�liste�formate�da�candidati�tutti�dello�stesso�sesso.� Tale�vincolo�negativo�opera�soltanto�nella�fase�anteriore�alla�vera�e�propria�competizione� elettorale,�e�non�incide�su�di�essa.�La�scelta�degli�elettori�tra�le�liste�e�fra�i�candidati,�e�l'elezione� di�questi,�non�sono�in�alcun�modo�condizionate�dal�sesso�dei�candidati:�tanto�meno�in�quanto,� nel�caso�di�specie,�l'elettore�puo��esprimere�voti�di�preferenza,�e�l'ordine�di�elezione�dei�candidati� di�una�stessa�lista�e��determinato�dal�numero�di�voti�di�preferenza�da�ciascuno�ottenuti�(cfr.�arti- coli�34�e�51�della�legge�regionale�n.�3�del�1993).�A�sua�volta,�la�parita��di�chances fra�le�liste�e�fra� i�candidati�della�stessa�lista�non�subisce�alcuna�menomazione.� 3.2.�^Non�puo��,�d'altronde,�dirsi�che�la�disciplina�cos|��imposta�non�rispetti�la�parita��dei� sessi,�cioe��introduca�differenziazioni�in�relazione�al�sesso�dei�candidati�o�degli�aspiranti�alla� candidatura:�sia�perche�la�legge�fa�riferimento�indifferentemente�a�candidati��di�entrambi�i� sessi�,�sia�perche�da�essa�non�discende�alcun�trattamento�diverso�di�un�candidato�rispetto� all'altro�in�ragione�del�sesso.� 3.3.�^Neppure,�infine,�e��intaccato�il�carattere�unitario�della�rappresentanza�elettiva�che� si�esprime�nel�Consiglio�regionale,�non�costituendosi�alcuna�relazione�giuridicamente�rile- vante�fra�gli�elettori,�dell'uno�e�dell'altro�sesso�e�gli�eletti�dello�stesso�sesso.� 4.�^Il�vincolo�che�la�normativa�impugnata�introduce�alla�liberta��dei�partiti�e�dei�gruppi� che�presentano�le�liste�deve�essere�valutato�oggi�anche�alla�luce�di�un�quadro�costituzionale� di�riferimento�che�si�e��evoluto�rispetto�a�quello�in�vigore�all'epoca�della�pronuncia�di�questa� Corte�invocata�dal�ricorrente�a�sostegno�dell'odierna�questione�di�legittimita��costituzionale.� La�legge�costituzionale�n.�2�del�2001,�integrando�gli�statuti�delle�Regioni�ad�autonomia�dif- ferenziata,�ha�espressamente�attribuito�alle�leggi�elettorali�delle�Regioni�il�compito�di�promuo- vere��condizioni�di�parita��per�l'accesso�alle�consultazioni�elettorali�,�e�cio��proprio��al�fine�di� conseguire�l'equilibrio�della�rappresentanza�dei�sessi��(art.�15,�secondo�comma,�secondo� periodo,�statuto�Valle�d'Aosta;�e�nello�stesso�senso,�anche�testualmente,art.�3,primo�comma,� secondo�periodo,�statuto�speciale�per�la�Sicilia,�modificato�dall'art.�1�della�legge�costituzionale� n.�2del2001;art.�15,secondocomma,secondoperiodo,statutospecialeperlaSardegna,modi- ficato�dall'art.�3�della�legge�costituzionale�n.�2�del�2001;�art.�47,�secondo�comma,�secondo� periodo,�statuto�speciale�per�il�Trentino-Alto�Adige/Su�dtirol,�modificato�dall'art.�4�della�legge� costituzionale�n.�2�del�2001;�art.�12,�secondo�comma,�secondo�periodo,�statuto�speciale�per�il� Friuli-Venezia�Giulia,�modificato�dall'art.�5�della�legge�costituzionale�n.�2�del�2001).� Le�nuove�disposizioni�costituzionali�(cui�si�aggiunge�l'analoga,�anche�se�non�identica,� previsione�del�nuovo�art.�117,�settimo�comma,�della�Costituzione,�come�modificato�dalla� legge�costituzionale�n.�3�del�2001)�pongono�dunque�esplicitamente�l'obiettivo�del�riequilibrio� e�stabiliscono�come�doverosa�l'azione�promozionale�per�la�parita��di�accesso�alle�consulta- zioni,�riferendoli�specificamente�alla�legislazione�elettorale.� Questa�Corte�ha�riconosciuto�che�la�finalita��di�conseguire�una��parita��effettiva��(sentenza� n.�422�del�1995)�fra�uomini�e�donne�anche�nell'accesso�alla�rappresentanza�elettiva�e��positiva- menteapprezzabiledalpuntodivistacostituzionale.Sitratta,invero,diunafinalita��^chetrova� larghi�riconoscimenti�e�realizzazioni�in�molti�ordinamenti�democratici,�e�anche�negli�indirizzi� espressidagliorganidell'Unioneeuropea�^collegataallaconstatazione,�storicamenteincontro- vertibile,�di�uno�squilibrio�di�fatto�tuttora�esistente�nella�presenza�dei�due�sessi�nelle�assemblee� rappresentative,�asfavoredelledonne.�Squilibrioriconducibilesiaalpermaneredeglieffettisto- ricidelperiodonelqualealledonneeranonegatiolimitatiidirittipolitici,�siaalpermanere,tut- tora,�di�ben�noti�ostacoli�di�ordine�economico,�sociale�e�di�costume�suscettibili�di�impedirne� una�effettiva�partecipazione�all'organizzazione�politica�del�Paese.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Un�aspetto,�se�non�decisivo,�certo�assai�influente�del�fenomeno�e�costituito�dai�compor- tamenti�di�fatto�prevalenti�nell'ambito�dei�partiti�e�dei�gruppi�politici�che�operano�per�orga- nizzare�la�partecipazione�politica�dei�cittadini,�anche�e�principalmente�attraverso�la�selezione� e�la�indicazione�dei�candidati�per�le�cariche�elettive.�Cos|�che,�gia�in�passato,�la�Corte�ha� espresso�una�valutazione�positiva�di�misure�^tendenti�ad�assicurare��l'effettiva�presenza� paritaria�delle�donne�(...)�nelle�cariche�rappresentative��^�liberamente�adottate�da�partiti� politici,�associazioni�o�gruppi�che�partecipano�alle�elezioni,�anche�con�apposite�previsioni� dei�rispettivi�statuti�o�regolamenti�concernenti�la�presentazione�delle�candidature��(sentenza� n.�422�del�1995),�sul�modello�di�iniziative�diffuse�in�altri�paesi�europei.� Le�disposizioni�impugnate�della�legge�elettorale�della�Valle�d'Aosta�operano�su�questo� terreno,�introducendo�un�vincolo�legale�rispetto�alle�scelte�di�chi�forma�e�presenta�le�liste.� Quello�che,�insomma,�gia�si�auspicava�potesse�avvenire�attraverso�scelte�statutarie�o�rego- lamentari�dei�partiti�(i�quali�pero�,�finora,�in�genere�non�hanno�mostrato�grande�propen- sione�a�tradurle�spontaneamente�in�atto�con�regole�di�autodisciplina�previste�ed�effettiva- mente�seguite)�e�qui�perseguito�come�effetto�di�un�vincolo�di�legge.�Un�vincolo�che�si�giusti- fica�pienamente�alla�luce�della�finalita�promozionale�oggi�espressamente�prevista�dalla� norma�statutaria.� 4.1.�^Deve�peraltro�osservarsi�che,�nella�specie,�il�vincolo�imposto,�per�la�sua�portata� oggettiva,�non�appare�nemmeno�tale�da�incidere�propriamente,�in�modo�significativo,�sulla� realizzazione�dell'obiettivo�di�un�riequilibrio�nella�composizione�per�sesso�della�rappresen- tanza.�Infatti�esso�si�esaurisce�nell'impedire�che,�nel�momento�in�cui�si�esplicano�le�libere� scelte�di�ciascuno�dei�partiti�e�dei�gruppi�in�vista�della�formazione�delle�liste,�si�attui�una� discriminazione�sfavorevole�ad�uno�dei�due�sessi,�attraverso�la�totale�esclusione�di�candidati� ad�esso�appartenenti.�Le��condizioni�di�parita���fra�i�sessi,�che�la�norma�costituzionale� richiede�di�promuovere,�sono�qui�imposte�nella�misura�minima�di�una�non�discriminazione,� ai�fini�della�candidatura,�a�sfavore�dei�cittadini�di�uno�dei�due�sessi.� 5.�^In�definitiva�^ribadito�che�il�vincolo�resta�limitato�al�momento�della�formazione� delle�liste,�e�non�incide�in�alcun�modo�sui�diritti�dei�cittadini,�sulla�liberta�di�voto�degli�elet- tori�e�sulla�parita�di�chances delle�liste�e�dei�candidati�e�delle�candidate�nella�competizione� elettorale,�ne�sul�carattere�unitario�della�rappresentanza�elettiva�^la�misura�disposta�puo� senz'altro�ritenersi�una�legittima�espressione�sul�piano�legislativo�dell'intento�di�realizzare� la�finalita�promozionale�espressamente�sancita�dallo�statuto�speciale�in�vista�dell'obiettivo� di�equilibrio�della�rappresentanza�(Omissis)�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Incidente�di�costituzionalita�e�giurisdizione in�sede�di�giudizio�cautelare�amministrativo. Un�dialogo�difficile�tra�complessita�ed�incomprensioni Corte�Suprema�di�Cassazione,�Sezioni�Unite,�ordinanza�27febbraio-6�maggio�2003�n.�6889� E�nota�la�tendenza�delle�Sezioni�Unite�della�Corte�Suprema�di�Cassa- zione�a�trasformare�i�motivi�di�giurisdizione,�che�sorreggono�il�regolamento� preventivo�di�giurisdizione�ovvero�lo�specifico�rimedio�previsto�dall'arti- colo�360�n.�1�c.p.c.�(o�dell'art.�111�della�Costituzione),�in�semplici�errores�in� procedendo,�non�sindacabili�in�sede�di�regolazione�della�giurisdizione.�La� mancanza�di�potere�giurisdizionale�si�trasforma�per�questa�via�in�un�cattivo� uso�del�potere�giurisdizionale,�in�quanto�tale�non�denunciabile�come�motivo� di�violazione�del�riparto�di�giurisdizione.� Il�problema�si�pone,�tuttavia,�allorche�la�cognizione�del�giudice�ammini- strativo�interferisce�con�altri�procedimenti�giurisdizionali�ovvero�conil� merito�(nel�senso�dell'opportunita�)�amministrativo,�riservato�di�norma�all'e- sclusiva�disponibilita�dell'amministrazione�attiva.� La�Corte�di�Cassazione�a�Sezione�Unite�ha�ritenuto�tale�interferenza�ed� ha�ammesso�il�giudizio�sulla�giurisdizione�in�occasione�del�tentativo�di�far� valere�con�il�giudizio�di�ottemprenza�una�decisione�su�ricorso�straordinario� al�capo�dello�Stato�(Cass.,�Sez.�Unite�n.�16270�del�19�novembre�2002),�ma�lo� ha�escluso�nei�casi�in�cui�il�giudice�amministrativo�assuma�in�sede�di�legitti- mita�statuizioni��estese�anche�al�merito��(Cass.,�Sez.�Unite,�n.�15978�del� 18�dicembre�2001).� Questa�volta�e�toccato�al�giudizio�di�costituzionalita�delle�leggi,�nei�cui� confronti�finoscono�per�prevalere�esigenze�specifiche�della�fase�cautelare�del� giudizio�amministrativo.� Corte�di�Cassazione,�Sezioni�Unite,�ordinanza�27�febbraio-6�maggio�2003�n.�6889�^Pres.�V.� Carbone�^Rel.�S.�Evangelista�^P.G.�A.�Martone�^Consiglio�di�Presidenza�per�la�Giusti- zia�Amministrativa�c/P.T.�(cont.�47050/01,�Avv.�dello�Stato�I.F.Caramazza).� Ancorche�sia�insorta�questione�incidentale�di�legittimita�costituzionale,�il�ricorsoper�motivi� digiurisdizioneavverso�decisioneconclusiva�diprocedimento�cautelare�incidentalee�inammissi bile�qualora�la�questione�di�giurisdizione�venga�riferita�inequivocabilmente�al�soloprocedimento� cautelare�e�per�ragioni�che�ad�esso�attengono�in�via�esclusiva.� �(omissis)�Ritenuto�in�fatto�^Con�ricorso�notificato�il�6�dicembre�2000,�il�consigliere� di�Stato�P.T.�chiedeva�che�il�Tribunale�amministrativo�regionale�per�la�Sicilia�annullasse,�pre- via�sospensione�in�via�cautelare,�la�delibera�del�Consiglio�di�presidenza�della�Giustizia� Amministrativa�del�30�marzo�2000,�dichiarativa�dell'inammissibilita�dell'istanza�da�lui�pre- sentata�per�ottenere�il�trasferimento�presso�il�Tribunale�amministrativo�regionale�per�la� Sardegna.� Il�giudice�adito,�con�ordinanza�22�marzo�2001,�n.�127,�rimetteva�alla�Corte�costituzio- nale�la�questione�di�legittimita�degli�articoli�14�e�15�della�legge�27�aprile�1982,�n.�186,�nella� parte�in�cui�precludono�al�magistrato�amministrativo�con�funzioni�di�consigliere�di�Stato�di� essere�assegnato�a�funzioni�di�merito.�Sospendeva�quindi�il�giudizio�senza�provvedere�sull'i- stanza�cautelare.� Il�provvedimento�di�sospensione�era�impugnato�davanti�al�Consiglio�di�Giustizia� Amministrativa�della�Regione�Sicilia,�il�quale,�con�ordinanza�13�giugno�2001,�n.�458,�inter- pretandolo�come�una�pronuncia�di�diniego�dell'istanza�cautelare�e�ritenendolo�illegittimo� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� sull'assunto�che�la�pregiudiziale�costituzionale�e�la�conseguente�sospensione�del�giudizio�pre- giudicato�non�escludono�il�potere�^dovere�del�giudice�di�provvedere�in�sede�cautelare,�rimet- tendo�alla�successiva�fase�di�merito�la�valutazione�degli�effetti�della�decisione�resa�dal�giu- dice�delle�leggi,�accordava�la�cautela�richiesta.� Il�Consiglio�di�presidenza�per�la�giustizia�amministrativa�proponeva,�quindi,�ricorso�per� regolamento�preventivo�di�giurisdizione,�sostenendo�che�la�sospensione�del�processo�davanti� al�giudice�di�primo�grado,�derivante�da�incidente�di�costituzionalita�da�questi�proposto�in� sede�di�esame�dell'istanza�cautelare,�determina�un�temporaneo�difetto�assoluto�di�giurisdi- zione,�cos|�precludendo�al�giudice�del�grado�superiore,�eventualmente�richiesto�della�rinno- vazione�dell'esame�suddetto,�di�provvedere�al�riguardo.� L'intimato�non�si�costituiva�nel�susseguente�giudizio�davanti�a�questa�Corte.� Il�Procuratore�generale�concludeva�nel�senso�dell'inammissibilita�del�ricorso.� Considerato in diritto ^Ai�fini�dello�scrutinio�di�ammissibilita�delricorso,laCorte� osserva�che�esso,�come�riferito�in�narrativa,�e�stato�proposto�con�precipuo�riferimento�alla� fase�cautelare�del�giudizio�pendente�davanti�al�giudice�amministrativo.� Al�riguardo�si�impone�un�primo�rilievo,�in�quanto,�pur�non�potendosi�dubitare�che� quelle�di�Consigliere�di�Stato�e�di�Consigliere�di�Tribunale�amministrativo�regionale�siano,� alla�stregua�dell'art.�14�della�legge�27�aprile�1982,�n.�186,�ed�in�coerenza�con�gli�assetti�deli- neati�dagli�articoli�100,�103�e�125�della�Costituzione,�due�qualifiche�diverseedistinte^salvo� quanto�disposto�dall'art.�13�della�legge�6�dicembre�1971,�n.�1034,�ove�ritenuto�ancora�inte- gralmente�vigente�a�seguito�dell'entrata�in�vigore�del�citato�art.�14�della�legge�n.�186�del� 1982�^,�nel�caso�di�specie�deve�tuttavia�ritenersi�precluso�a�queste�Sezioniunite,per�le� ragioni�di�cui�appresso,�l'esame�della�prospettata�questione�di�giurisdizione.� La�riforma�dei�procedimenti�cautelari,�attuata�con�la�legge�26�novembre�1990,�n.�353,� ha�determinato�il�definitivo�abbandono�dell'orientamento�giurisprudenziale�che�consentiva� l'esperibilita�del�regolamento�preventivo�di�giurisdizione�nell'ambito�dei�procedimenti�stessi.� A�seguito�della�sentenza�delle�Sezioni�unite�22�marzo�1996�n.�2465,�costituisce�ormaijus receptum che,�essendo,�a�norma�dell'art.�669�terdecies cod.�proc.�civ.,�nel�testo�risultante�della� sentenza�della�Corte�costituzionale�n.�253�del�1994,�ammesso,�anche�per�motivi�attinenti�alla� giurisdizione,�il�reclamo�al�giudice�processualmente�sovrordinato�avverso�i�provvedimenti�di� accoglimento�o�di�rigetto�della�misura�cautelare,�ne�consegue�l'esclusione,�rispetto�ai�medesimi,� del�ricorso�per�regolamento�preventivo�di�giurisdizione,�sia�perche�trattasi�di�provvedimenti�di� natura�provvisoria�e�strumentale�contro�i�quali,�non�essendo�consentito�il�ricorso�ex art.�111� Cost.,�non�puo�neppure�ammettersi�quello�per�regolamento,�non�potendo�logicamente�ritenersi� che�il�giudice�di�legittimita�possa�per�tal�via�risolvere�la�stessa�questione�di�giurisdizione�della� qualenonpuo�essereinvestitoanormadelcitatoart.�111Cost;siaperche�ladefinizionedelrela- tivo�procedimento�nei�tempi�brevi�fissati�dall'art.�739�cod.�proc.�civ.�fa�venir�meno�l'esigenza�di� una�pronta�decisione�sulla�questione�della�giurisdizione�al�di�fuori�di�tale�procedimento.� Argomentandosi,�poi,�l'inammissibilita�del�regolamento�anche�dalla�natura�provvisoria�e� strumentale�del�provvedimento�conclusivo�della�fase�cautelare,�se�ne�e�altres|�dedotta�la�sua� estensione�dal�provvedimento�reclamabile�a�quello�reso�sul�reclamo,�con�orientamento� anch'essoormaiconsolidato(v.,daultimaepertutte,Cass.,sez.unite,15�marzo2002,n.�3878).� Peraltro,�il�descritto�corso�della�giurisprudenza�si�e�formato�con�riguardo�precipuo�al�pro- cedimento�cautelare�instaurato�ante causam, mentre�piu�complessi�problemi�sorgono�allorche� l'istanza�di�regolamento�preventivo�prenda�bens|�occasione�dallo�svolgimento�del�procedimento� cautelare,�ma�questo�si�atteggi�come�una�fase�incidentale�del�gia�pendente�giudizio�di�merito.� In�tali�casi,�invero,�il�rapporto�di�strumentalita�che�lega�merito�e�cautela�pone�il�pro- blema�se�l'inammissibilita�del�regolamento�possa�desumersi�puramente�e�semplicemente�dal- l'occasione�suddetta�o�se,�invece,�quest'ultima,�rilevando�soltanto�come�momento�di�insor- genza�della�questione,�non�ne�escluda�la�riferibilita�immediata�e�diretta�al�giudizio�di�merito,� con�conseguente�cessazione�delle�ragioni�ostative�del�regolamento�stesso.� La�seconda�alternativa,�in�effetti,�e�quella�sottesa�al�fermo�orientamento�giurispruden- ziale�(v.,�da�ultima�a�per�tutte,�Cass.,�sez.�un.,�26�giugno�2002,�n.�9332)�per�cui,�essendo�il� regolamento�di�giurisdizione�proponibile�finche�la�causa�non�sia�decisa�nel�merito�in�primo� grado,�se�ne�desume�la�persistente�ammissibilita�anche�qualora�il�giudice�adito�si�sia�pronun- ciato�sull'istanza�cautelare,�atteso�che�il�provvedimento�reso�sulla�richiesta�di�tutela�d'ur- genza�non�costituisce,�per�la�sua�efficacia�provvisoria,�sentenza�agli�effetti�suddetti.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�effetti,�il�principio�secondo�il�quale,�atteso�il�rapporto�di�strumentalita�esistente�tra�il� provvedimento�cautelare�a�quello,�successivo,�di�merito,�non�e�possibile�contestare�la�giuri- sdizione�in�relazione�al�primo�e�riconoscerla�per�il�secondo,�ha�la�sua�radice�nella�identita� della�posizione�soggettiva�che�forma�oggetto�della�tutela�cautelare�e�di�quella�che�si�invoca� in�via�definitiva:�e�evidente�che,�se�la�giurisdizione�deve�determinarsi�con�riferimento�all'i- dentica�posizione�soggettiva�dedotta,�essa�non�potrebbe�(con�riguardo�a�due�momenti�dello� stesso�processo)�ricevere�tutela�da�parte�di�giudici�appartenenti�a�ordini�diversi.� Puo�,�quindi,�concludersi�osservando�che�la�pendenza�del�giudizio�di�merito�impedisce,� di�norma,�la�declaratoria�di�inammissibilita�del�regolamento�preventivo�proposto�nel�corso� dell'incidente�cautelare.� Possono�nondimeno�ricorrere�situazioni�eccezionali�al�cui�cospetto�l'incidente�stesso� costituisce�non�la�semplice�occasione,�ma�la�causa�di�una�questione,�rispetto�alla�quale�cessi� di�rilevare�il�normale�nesso�di�strumentalita�di�cuisie�fatto�cenno.� Un'eccezione�siffatta�puo�verificarsi�(cfr.�Cass.,�sez.�un.,�26�gennaio�1988,�n.�634)�allor- che�la�questione�di�giurisdizione�^pur�prospettata�nei�consueti�termini�di�invasione�della� sfera�riservata�all'azione�della�pubblica�amministrazione�o�di�eserciziodi�unpoteregiurisdi- zionale�di�cui�quel�giudice,�ovvero�qualsiasi�altro�giudice,�sia�del�tutto�sfornito�^venga�rife- rita�inequivocabilmente�al�solo�procedimento�cautelare�e�per�ragioni�che�ad�esso�attengono� in�via�esclusiva,�senza�che�sia�posta�in�discussione�la�giurisdizione�relativamente�al�procedi- mento�principale�in�corso.� In�questa�ipotesi�l'istanza�di�regolamento�non�tende�a�fare�accertare�se�ed�a�quale�giu- dice�appartenga�la�giurisdizione�sul�procedimento�principale�(e�solo�di�riflesso�sul�procedi- mento�incidentale),�ne�,�ai�suoi�fini,�viene�in�rilievo�l'identificazione�della�posizione�soggettiva� che�possa�riconoscersi�in�capo�al�privato�di�fronte�al�potere�esercitato�dall'Amministrazione.� E�,�invece,�sollecitato�l'accertamento�se�il�provvedimento�sia�viziato�per�difetto�del�potere� giurisdizionale�al�riguardo,�cos|�ponendosi�una�questione�che�attiene�non�all'intero�procedi- mento,�nel�quale�sia�innesta�quello�incidentale,�ma�limitatamente�a�quest'ultimo�e�con� riguardo�ai�motivi�dedotti,�senza�pregiudizio�di�altra�e�diversa�questione�di�giurisdizione� eventualmente�proponibile�in�relazione�alla�natura�della�posizione�soggettiva�dedotta�nella� causa�principale�ed�estensibile�al�procedimento�cautelare�atteso�il�vincolo�di�strumentalita� che�lo�lega�alla�decisione�definitiva.� Ma�una�questione�di�giurisdizione�cos|�prospettata�ossia�in�termini�di�esclusiva�riferibi- lita�al�procedimento�incidentale,�sortisce�l'effetto�di�una�sostanziale�equiparazione,�ai�fini� dello�scrutinio�di�ammissibilita�dell'istanza�di�regolamento,�di�questo�procedimento�a�quello� introdotto�ante causam, non�essendo�utilizzabile�in�nessuno�dei�due�casi�l'efficacia�legittima- mente�alla�proposizione�del�regolamento�che�e�propria�della�pendenza�del�giudizio�di�merito� e�venendo,�per�contro,�in�rilievo�in�entrambi�i�casi�le�gia�esposte�ragioni�ostative�dell'ammis- sibilita�che�si�ricollegano�alla�struttura�del�procedimento�cautelare�ed�alla�natura�del�suo� provvedimento�conclusivo.� In�buona�sostanza,�una�volta�stabilito�che�la�proposizione�del�regolamento�non�puo� essere�legittimata�dalla�pendenza�del�giudizio�di�merito,�riprendono�vigore�le�sopra�descritte� preclusioni�nascenti�dalle�peculiarita�del�procedimento�cautelare:�cio�che�la�giurisprudenza� non�ha�tardato�a�riconoscere�allorche�ha�affermato�che�esse�operano�anche�con�riguardo�al� procedimento�cautelare�instaurato�in�pendenza�del�processo�di�merito,�o�contestualmente�a� questo�(Cass.,�sez.�un.�10�aprile�1997,�n.�3125),�osservando�che�anche�in�tal�caso�sussistono� identiche�ragioni�ostative,�individuate,�con�la�sentenza�appena�richiamata,�nell'immediata� reclamabilita�del�provvedimento�cautelare,�ai�sensi�dell'art.�669�terdecies cod.�proc.�civ.;� mentre�qui�puo�aggiungersi�il�richiamo�alle,�ugualmente�riferite,�ragioni�ostative�dell'istanza� di�regolamento�rispetto�al�provvedimento�cautelare�reso�in�sede�di�reclamo.� Questa�situazione�si�presenta�nel�caso�in�esame�in�cui�il�ricorrente�non�disconosce�il� potere�del�giudice�amministrativo�di�emettere�il�provvedimento�definitivo�di�annullamento� dell'atto�impugnato�in�relazione�all'interesse�del�quale�la�parte�istante�ha�invocato�la�tutela� (che,�percio�,�non�forma�oggetto�del�presente�regolamento�e�della�decisione�che�questa�Corte� e�chiamata�ad�emettere),�ma�deduce�che,�in�ordine�al�provvedimento�cautelare,�il�Consiglio� di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione�Sicilia�era�del�tutto�privo�di�potere�giurisdizio- nale,�a�causa�della�sospensione�disposta�dal�giudice�di�primo�grado�come�conseguenza�del� sollevato�incidente�di�costituzionalita�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� In�tale�situazione,�deve,�dunque,�provvedersi�alla�declaratoria�di�inammissibilita�del� ricorso.� La�mancata�costituzione�dell'intimato�esclude�la�condanna�del�ricorrentealrimborsodi� spese�processuali.� P.Q.M.: La�Corte�dichiara�l'inammissibilita�dell'istanza�di�regolamento.�Nulla�per�le� spese�(omissis)�.� Si�pubblicano�qui�di�seguito�il�ricorso�per�regolamento�di�giurisdizione�e� la�memoria�dell'Avvocatura,�contenenti�argomenti�ai�quali�non�sembra�che� la�Suprema�Corte�abbia�dato�soddisfacente�risposta.� Avvocatura generale dello Stato ^Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite ^Ricorso per regolamento di giurisdizione per�il�Consiglio�di�Presidenza�per�la�Giustizia�Amministrativa� (cs.�13105/01,�Avv.�dello�Stato�I.F.�Caramazza)�c/�P.T.�(Avv.�G.�Pitruzzella).� �FATTO ^Con�ricorso�notificato�il�6�dicembre�2000�il�consigliere�di�Stato�P.T.�impu- gnava�davanti�al�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Sicilia�la�delibera�del�Consiglio� di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�del�30�marzo�2000�con�la�quale�era�dichiarata� inammissibile�l'istanza�da�lui�presentata�per�ottenere�il�trasferimento�al�Tribunale�Ammini- strativo�per�la�Sardegna,�dove�attualmente�risiede.� Il�provvedimento�era�stato�emesso�sul�rilievo�che�nell'attuale�assetto�del�ruolo�della� magistratura�amministrativa,�rigidamente�diviso�per�qualifiche,�risulta�impossibile�applicare� analogicamente�quelle�norme�che,�nell'ordinamento�giudiziario,�consentono�invece�al�magi- strato�ordinario,�gia�investito�di�funzioni�di�legittimita�,�di�tornare�ad�espletare�funzioni�di� merito.� Il�T.A.R.�Sicilia,�sez.�I�di�Palermo,�con�ordinanza�n.�127�del�18�gennaio�^22�marzo� 2001�sospendeva�il�giudizio�cautelare�e�rimetteva�alla�Corte�Costituzionale�la�questione�di� costituzionalita�del�combinato�disposto�dagli�articoli�14�e�15�della�legge�27�aprile�1982� n.�186,�senza�pronunciarsi�sull'istanza�di�sospensione.� Con�l'ordinanza�impugnata�il�Consiglio�di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione� Siciliana,�investito�in�appello�dal�cons.�T.,�ha�preliminarmente�rilevato�come�l'omessa�pro- nuncia�sulla�richiesta�cautelare�da�parte�del�Giudice�di�primo�grado�si�risolveva�sostanzial- mente�in�un�diniego�di�tutela�cautelare;�ravvisava,�quindi,�nella�fattispecie�il�pregiudizio� grave�per�il�ricorrente�e�sospendeva�gli�effetti�del�provvedimento�impugnato,�lasciando�ferma� la�sospensione�del�giudizio�a�seguito�della�disposta�remissione�degli�atti�alla�Corte�Costitu- zionale�ed�ordinando�al�Consiglio�di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�di�riesami- nare�la�domanda�di�trasferimento�dell'appellante.� Tanto�ritenuto�in�fatto,�il�Consiglio�in�epigrafe�ricorre�a�codesta�SupremaCorte�peril� seguente�unico�motivo�di� DIRITTO ^Difetto assoluto (ancorche� temporaneo) di giurisdizione ^Sono�note�le�molte� delicate�questioni�che�involge�il�problema�dell'incidente�di�costituzionalita�in�fase�cautelare.� Si�tratta�di�un�problema�la�cui�soluzione�presuppone�la�composizione�a�sistema�di�tre� principi�del�nostro�ordinamento.�Tali�principi�sono:� 1)�il�diritto�alla�difesa�in�giudizio�di�cui�e�momento�essenziale�la�fase�cautelare,�indi- spensabile�per�evitare�che�il�tempo�necessario�ad�avere�ragione�torni�a�danno�di�chi�ha� ragione;� 2)�il�principio�del�sindacato�accentrato�di�costituzionalita�,�riservato�alla�Corte�Costi- tuzionale�in�sede�di�incidente�pregiudiziale�sollevato�dal�giudice�a quo;� 3)�il�principio�della�indipendenza�del�giudice,�soggetto�solo�alla�legge,�con�il�conse- guente�corollario�dell'impossibilita�per�il�giudice�di�applicare�una�norma�che�egli�sospetti�di� incostituzionalita�.� Attesa�la�compresenza�nel�nostro�ordinamento�di�questi�tre�principi,�fra�le�molte�possi- bili�alternative�che�si�prospettano�al�giudice�della�cautela�quando�l'accoglimento�della� domanda�presuppone�la�declaratoria�di�incostituzionalita�di�una�norma�ed�il�giudice�stesso� ritenga�la�questione�non�manifestamente�infondata,�una�sola�e�percorribile.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il giudice della cautela non puo� infatti rigettare la domanda per difetto di fumus�boni� iuris�in vigenza della norma che ostacola la pretesa del ricorrente, atteso il difetto in capo a se� del potere di sindacato diffuso, perche� cos|� facendo violerebbe il principio della sua indi- pendenza (sopra rubricato sub 3); non puo� accoglierla per la opposta ragione: rispetterebbe il principio di indipendenza ma violerebbe quello di sindacato accentrato(sopra sub�2), ne� acio� potrebbe rimediarsi con una contestuale (o successiva) remissione della questione in Corte Costituzionale perche�con�l'ordinanza�di�sospensiva�il�giudice�della�cautela�avrebbe�esau- rito�i�suoipoteri,�e�la�questione�sarebbe�dunque�inammissibile�(Corte Costituzionale 22 dicem- bre 1989 n. 579). Il giudice della cautela potra� quindi sollevare questione di costituzionalita� soltanto se non esaurisce il giudizio sulla cautela, adottando un provvedimento soprassessorio o mera- mente provvisorio ed interinale, rimettendo quindi la questione alla Corte Costituzionale e riservando all'esito del giudizio la definitiva pronuncia sulla cautela, salve sempre le ulteriori definitive determinazioni di merito (Corte Cost. 12 ottobre 1990, n. 444), in ordine alle quali la questione di costituzionalita� potra� assumere distinta ed autonoma rilevanza. Cos|� aveva operato nella specie il T.A.R., con assoluta correttezza dal punto di vista processuale. Assai meno correttamente ha operato invece il giudice di appello. La pronuncia di secondo grado e� intervenuta infatti quando la fase incidentale cautelare di primo grado non era ancora stata conclusa: il T.A.R. aveva, invero, sospeso il giudizio incidentale rile- vando come per pronunciarsi sull'istanza cautelare avesse necessita� di conoscere le valuta- zioni della Corte Costituzionale sulla rilevata questione di legittimita� costituzionale. Il Giudice di appello ha, invece, accolto definitivamente (e non �ad�tempus�) l'istanza cautelare, esaurendo, in tal modo, la fase cautelare stessa e finendo cos|� per confliggere con l'ordinanza di rimessione del T.A.R. alla Corte Costituzionale (notoriamente insindacabile) sul momento del requisito della rilevanza per esaurimento della fase cautelare(CorteCost. 574/1989 cit.). Il Giudice Amministrativo si era infatti provvisoriamente spogliato della propria giuri- sdizione in fase cautelare, e nessuna pronuncia ^se non viziata da difetto di giurisdizione p oteva essere legittimamente emessa dal Giudice di secondo grado. Diversamente opinando occorrerebbe riconoscere al giudice di appello il potere di privare ^con effetto retroattivo d el requisito della rilevanza una questione di costituzionalita� rimessa all'esame della Corte dal giudice di primo grado. Il che e� palesemente in contrasto con i principi base dell'ordina- mento. Sara� ancora appena il caso di rilevare che trattasi nella specie di questione che non inve- ste semplicemente vizi in��procedendo�, come era nel caso risolto dalle Sezioni Unite di code- sta Corte di Cassazione con sentenza 26 gennaio 1988, n. 634, che pure ha ammesso la con- testabilita� di ordinanze cautelari emesse in secondo grado, bens|� che incide sulla sussistenza stessa del potere giurisdizionale, seppure limitatamente alla fase cautelare e con riguardo al motivo dedotto, sicche�,comee� stato statuito da codesta Corte nella sentenza ora citata, la questione appare pienamente ammissibile. Sembra evidente, infatti, che il provvedimento di rimessione degli atti alla Corte Costi- tuzionale ai sensi dell'art. 23, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87,infase caute- lare da parte del giudice di primo grado non puo� essere messo in discussione in secondo grado, per temporaneo difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Diversamente opinando, come gia� accennato, occorrerebbe riconoscere al giudice di appello, il potere di privare retroattivamente il giudice di primo grado, quale giudice a� quo, del potere di promuovere un giudizio incidentale di costituzionalita� .Potereche e� invece gelosa prerogativa di ogni giusdicente quale paradigmatica espressione di �potere diffuso�. Tutto quanto sopra ritenuto, si conclude perche� piaccia alla Suprema Corte cassare l'impugnata ordinanza per difetto di giurisdizione con ogni conseguenziale statuizione. Roma,�14�novembre�2001�^f.to:�Avv.�Ignazio�Francesco�Caramazza�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Avvocatura generale dello Stato ^Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite ^Memoria nel�regolamento�di�giurisdizione�proposto�per�il�Consiglio�di�Presidenza�per�la� Giustizia�Amministrativa�(cont.�47050/01,�Avv.�dello�Stato�I.F.�Caramazza)�c/�P.T.� (Avv.�G.�Pitruzzella).� �(omissis) 1.�^Con�ricorso�notificato�il�6�dicembre�2000�il�consigliere�di�Stato�P.T.� impugnava�davanti�al�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Sicilia�la�delibera�del�Con- siglio�di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�del�30�marzo�2000�con�la�quale�era� dichiarata�inammissibile�l'istanza�da�lui�presentata�per�ottenere�il�trasferimento�al�Tribunale� Amministrativo�per�la�Sardegna,�dove�attualmente�risiede.� Il�provvedimento�era�stato�emesso�sul�rilievo�che�nell'attuale�assetto�del�ruolo�della� magistratura�amministrativa,�rigidamente�diviso�per�qualifiche,�risulta�impossibile�applicare� analogicamente�quelle�norme�che,�nell'ordinamento�giudiziario,�consentono�invece�al�magi- strato�ordinario,�gia�investito�di�funzioni�di�legittimita�,�di�tornare�ad�espletare�funzioni�di� merito.� Il�T.A.R.�Sicilia,�sez.�I�di�Palermo,�con�ordinanza�n.�127�del�18�gennaio�^22�marzo� 2001�sospendeva�il�giudizio�cautelare�e�rimetteva�alla�Corte�Costituzionale�la�questione�di� costituzionalita�del�combinato�disposto�dagli�articoli�14�e�15�della�legge�27�aprile�1982� n.�186,�senza�pronunciarsi�sull'istanza�di�sospensione.� Con�l'ordinanza�impugnata�il�Consiglio�di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione� Siciliana,�investito�in�appello�dal�cons.�P.T.,�ha�preliminarmente�rilevato�come�l'omessa�pro- nuncia�sulla�richiesta�cautelare�da�parte�del�Giudice�di�primo�grado�si�risolvesse�sostanzial- mente�in�un�diniego�di�tutela�cautelare;�ravvisava,�quindi,�nella�fattispecie�il�pregiudizio� grave�per�il�ricorrente�e�sospendeva�gli�effetti�del�provvedimento�impugnato,�lasciando�ferma� la�sospensione�del�giudizio�a�seguito�della�disposta�remissione�degli�atti�alla�Corte�Costitu- zionale�ed�ordinando�al�Consiglio�di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�di�riesami- nare�la�domanda�di�trasferimento�dell'appellante.� 2.�^Tanto�ritenuto,�in�fatto,�il�Consiglio�in�epigrafe�ricorreva�a�codesta�Suprema�Corte� deducendo�un�difetto�assoluto�(ancorche�temporaneo)�di�giurisdizione.� Osservava�il�Consiglio�come�in�sede�cautelare�in�tanto�possa�sollevarsi�incidente�di� costituzionalita�in�quanto�il�giudice�della�cautela�non�esaurisca�i�suoi�poteri�cautelari,�pena,� in�difetto,�la�inammissibilita�della�questione�per�irrilevanza,�diversa�essendo�la�rilevanza� della�questione�in�sede�cautelare�rispetto�alla�sede�di�merito�(Corte�Costituzionale�22�dicem- bre�1989�n.�579).� Il�giudice�della�cautela,�quindi,�puo�sollevare�questione�di�costituzionalita�soltanto�se� non�esaurisce�il�giudizio�sulla�cautela,�adottando�un�provvedimento�soprassessorio�o�mera- mente�provvisorio�ed�interinale,�rimettendo�quindi�la�questione�alla�Corte�Costituzionale�e� riservando�all'esito�del�giudizio�la�definitiva�pronuncia�sulla�cautela,�salve�sempre�le�ulteriori� definitive�determinazioni�di�merito�(Corte�Cost.�12�ottobre�1990,�n.�444),�in�ordine�alle�quali� la�questione�di�costituzionalita�potra�assumere�distinta�ed�autonoma�rilevanza.� 3.�^Cos|�aveva�operato�nella�specie�il�T.A.R.,�con�assoluta�correttezza�dal�punto�di� vista�processuale.� Assai�meno�correttamente�ha�operato,�invece,�il�giudice�di�appello.�La�pronuncia�di� secondo�grado�e�intervenuta�infatti�quando�la�fase�incidentale�cautelare�di�primo�grado�non era ancora conclusa: il�T.A.R.�aveva,�invero,�sospeso�il�giudizio�incidentale�rilevando�come� per�pronunciarsi�sull'istanza�cautelare�avesse�necessita�di�conoscere�le�valutazioni�della� Corte�Costituzionale�sulla�rilevata�questione�di�legittimita�costituzionale.� Il�Giudice�di�appello�ha,�invece,�accolto�definitivamente�(e�non��ad tempus�)�l'istanza� cautelare,�esaurendo,�in�tal�modo,�la�fase�cautelare�stessa�e�finendo�cos|�per�confliggere�con� l'ordinanza�di�rimessione�del�T.A.R.�alla�Corte�Costituzionale�(notoriamente�insindacabile)� sul�momento�del�requisito�della�rilevanza�per�esaurimento�della�fase�cautelare(CorteCost.� 574/1989�cit.).� 4.�^Con�richiesta�scritta�del�25�novembre�2002�il�Procuratore�Generale�ha�concluso� per�la�declaratoria�di�inammissibilita�del�ricorso�sulla�scorta�di�due�considerazioni.�La�prima� attiene�alla�non�ricorribilita�per�cassazione�neanche�in�via�preventiva�delle�misure�cautelari;� la�seconda�si�basa�sulla�affermazione�che�il�giudizio�incidentale�di�costituzionalita�non�deter- minerebbe�l'esaurimento�del�potere�cautelare�del�giudice�amministrativo�e�quindi�non� sarebbe�preclusivo�del�successivo�giudizio�di�appello.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� La�prima�considerazione�e�esatta�ma�incompleta�ed�ininfluente�ai�fini�del�presente�giudi- zio;�la�seconda�e�fuorviante�in�quanto�viziata�da�un��usteron�proteron�,�come�si�confida�di� dimostrare.� 4-1.�Sulricorsopermotividigiurisdizione�infasecautelare.� E�ben�nota�a�questa�difesa�la�giurisprudenza�di�codesta�Corte�in�ordine�alla�non�auto- noma�contestabilita�della�giurisdizione�in�sede�cautelare�atteso�il�rapporto�di�strumentalita� esistente�fra�provvedimento�cautelare�e�provvedimento�^successivo�^di�merito�(Cass.� SS.UU.�22�luglio�1983�n.�5063).� Diversa�e�pero�la�questione,�quando,�come�nella�specie,�venga�contestato�non�gia�il� potere�giurisdizionale�di�un�certo�giudice,�bens|�l'esistenza�dipotere�giurisdizionale�nella�ema- nazione�del�provvedimento�cautelare,�con�la�conseguenza�che�piu�non�rileva�il�rapporto�di� strumentalita�fra�cautela�e�merito�in�quanto�il�potere�giurisdizionale�che�si�contesta�none� quello�generale�spettante�a�quel�giudice�ma�lo�specifico�potere�di�adottare�quel�provvedi- mento�cautelare.� In�tal�senso,�molto�puntualmente,�hanno�deciso�codeste�Sezioni�Unite�con�la�sentenza� n.�634�del�26�gennaio�1988,�della�quale�si�riporta�il�seguente�illuminante�passo:� �In�relazione�a�questo�secondo�aspetto,�espressamente�esaminato�con�la�sentenza� 5063/1983,�si�e�osservato�cheilprincipiosecondo�ilquale,�atteso�ilrapporto�distrumentalita�esi- stente�tra�il�provvedimento�cautelare�e�quello,�successivo,�di�merito,�none��possibile�contestare�la� giurisdizioneinrelazionealprimoericonoscerlaperilsecondo,halasuaradicenellaidentita��della� posizione�soggettiva�cheforma�oggetto�della�tutela�cautelare�e�di�quella�che�si�invoca�in�via�defini- tiva.�E�evidenteche,selagiurisdizionedevedeterminarsiconriferimentoallaposizionesoggettiva� dedotta,�essa�non�potrebbe�(con�riguardo�a�due�momenti�dello�stesso�processo)�ricevere�tutela�da� partedigiudiciappartenentiaordinidiversi.�Elostessopuo��dirsiquandolacontestazionedellagiu- risdizionesifondi,�semprecon�riferimento�allaposizionesoggettiva�dedotta,�sulpresupposto�che� questa,�per�sua�natura,�non�riceva�tutela�giurisdizionale�da�parte�dell'ordinamentoper�non�essere� ne�differenziatane�qualificatarispettoallaposizionedellageneralita��deicittadini.� Diverso,�pero��,e��il�caso�in�cui�questione�di�giurisdizione�venga�prospettata�come�invasione,� nellaemanazionedelprovvedimentocautelaredapartedelgiudiceamministrativo,�dellasfera� riservata�all'azione�della�pubblica�amministrazione�(come�si�sosteneva�nel�ricorso�esaminato� dalla�menzionata�sentenza)�o�come�esercizio�di�un�potere�giurisdizionale�di�cui�quel�giudice,� come�qualsiasi�altro�giudice,�era�del�tutto�sfornito,�come�si�sostiene�nel�ricorso�in�esame,�nel� qualelaquestionedigiurisdizionevieneprospettatasolo�conriguardoalprovvedimento�inciden- tale�per�ragioni�che�ad�esso�attengono�in�via�esclusiva�e�senza�che�sia�posta�in�discussione�la�giu- risdizionerelativamentealprocedimentoprincipaleincorso:nelquale,�cioe�,sichiedechelagiu- risdizione�venga�regolata�non�solo�con�esclusivo�riguardo�al�provvedimento�cautelare,�ma�per� ragionipropriediquest'ultimo.�Inquesta�ipotesinonsitrattadistabilireseeaqualegiudice� appartiene�la�giurisdizione�sul�procedimento�principale,�e�(solo)�di�riflesso�sul�procedimento� incidentale;�e�non�assume�rilievo�la�identificazione�della�posizione�soggettiva�che�possa�ricono- scersiincapoalprivatodifrontealpotereesercitatodall'amministrazione,�masitrattadiaccer- tarese�ilprovvedimento�delgiudicesia�viziato�nelsenso�cheeglidifettassedipoteregiurisdizio- nalealriguardo,conlaconseguenzache,purammessal'istanzaperche�ilgiudicenonsie��ancora� pronunciatonelmeritodellacontroversia,�lagiurisdizionevieneregolatanonsull'interoprocedi- mento,�nel�quale�ilprocedimento�incidentale�si�innesta,�ma�limitatamente�a�quest'ultimo�e�con� riguardo�ai�motivi�dedotti,�senza�pregiudizio�della�questione�di�giurisdizione�la�cui�soluzione� dipende�dalla�natura�dellaposizionesoggettiva�dedotta�nella�causaprincipale�esi�estende�alpro- cedimento�cautelare�atteso�il�vincolo�di�strumentalita��che�lo�lega�alla�decisione�definitiva.� Il�problema�di�giurisdizione�cos|��prospettato,�che�ricade�anch'esso�nella�previsione�del- l'art.�37�c.p.c.,�investe�dunque�non�gia��la�tutela�giurisdizionale,�o�il�tipo�di�tale�tutela,�che�ad� unadeterminataposizionesoggettivasiaaccordatadall'ordinamento,bens|��l'esistenzadipotere� giurisdizionale�nella�emanazione�del�provvedimento�cautelare.�In�questo�caso,�e��tale�singolo� provvedimento,�in�se�stesso,�ad�essere�investito�di�esame�e,�trattandosi�di�un�provvedimento� aventenaturaincidentalecautelare,�aprescinderedallaposizionesoggettivadedotta,�conlacon- seguenza�che�il�rapporto�di�strumentalita��di�tale�provvedimento�con�il�provvedimento�definitivo� (rispetto�alqualenon�sicontestilagiurisdizione)�nessun�ruolo�hapiu�,�aifinidell'ammissibilita�� della�istanza�di�regolamento,�e�non�influisce�sulla�contestabilita��della�giurisdizione�per�motivi� che�non�attengono�alla�natura�dell'interesse�dedotto.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Questasituazionesipresentanelcasoinesameincuilaricorrentenondisconosceilpoteredelgiu- dice�amministrativo�di�emettere�ilprovvedimento�definitivo�di�annullamento�dell'atto�impugnato�in� relazioneall'interessedelqualelaparteistantehainvocatolatutela�(che,percio�,�nonformaoggetto� delpresente�regolamento�e�della�decisioneche�questa�cortee�chiamata�ademettere),�ma�deduce�che,� inordinealprovvedimentocautelare,ilConsigliodiStatoeradeltuttoprivodipoteregiurisdizionale�.� 4.2�^Fin�qui�codesta�Suprema�Corte.� Orbene,�il�principio�di�diritto�enunciato�si�attaglia�perfettamente�al�caso�di�specie,�in�cui� e�stato�dedotto�dall'Amministrazione�ricorrente�che�il�giudice�amministrativo�di�appello�c ome�qualsivoglia�altra�autorita�giusdicente�^e�assolutamente�carente�di�giurisdizione�sulla� cautela�quando�il�giudice�amministrativo�di�primo�grado�abbia�rinviato�la�decisione�conclu- siva�della�fase�cautelare�all'esito�di�una�questione�incidentale�di�costituzionalita�da�esso�giu- dice�di�primo�grado�sollevata.� Risulta�quindi�dimostrato�che�la�prima�considerazione�del�Procuratore�Generale�era� incompleta�e�quindi�ininfluente�ai�fini�della�decisione�del�presente�giudizio.� 4.3�^Quanto�alla�seconda�affermazione,�essa�e�viziata�da�una�inversione�logica.� Non�e�vero,�infatti,�come�dedotto�dal�Procuratore�Generale�che�l'incidente�di�costituziona- lita�non�determina�l'esaurimento�del�potere�cautelare�del�giudice�amministrativo�(e�conseguen- temente�non�puo�ritenersi�preclusivo�dell'appello).�E�vero�invece�il�contrario!�Soltanto�se�il�giu- dice�amministrativo�non�esaurisce�la�fase�cautelare�del�giudizio�e�ammissibile�l'incidente�di� costituzionalita�:�che�se,�invece,�il�giudice�amministrativo�concedesse�la�sospensione,�esaurendo� cos|�la�cautela,�determinerebbe�la�inammissibilita�per�irrilevanza�della�questione�incidentale.� Sia�consentito�richiamare�sul�punto�il�seguente�passaggio�della�sentenza�444/1990�della� Corte�Costituzionale,�gia�citata.� �Premesso�che�l'indicata�vicenda�processuale�si�e�verificata�in�tre�dei�quattro�giudizi�aqui- bus,�come�meglio�specificato�in�narrativa,�e�che�pertanto�la�questione�andrebbe�comunque�esa- minata�nel�merito�in�relazione�all'altro�giudizio�(in�cui�la�stessa�e�stata�sollevata�nella�fase�di� merito),�va�osservato�che�questa�Corte�ha�dichiarato�(v.�da�ultimo�sent.�n.�579�del�1989)�l'inam- missibilita�di�questioni�sollevate�in�sede�di�giudizio�cautelare�dopo�l'accoglimento�della�relativa� istanza�da�parte�del�giudice,�e�cio�per�l'avvenuto�esaurimento�di�ogni�sua�potesta�in�quella�sede,� con�conseguente�irrilevanzadellaquestioneaifinidiquelgiudizio.� Ma�nei�casi�in�esame�la�situazione�e�diversa.�Accertata�la�rilevanza�(e�la�non�manifesta� infondatezza)�della�questione�di�costituzionalita�aifini�della�decisione�sulla�sospensiva,�il�TAR,� contemporaneamente�alla�emissione�dell'ordinanza�di�rimessione�a�questa�Corte,�ha�disposto,� con�separatoprovvedimento,�la�sospensione�degli�atti�impugnati�in�via�provvisoria�e�temporanea� fino�alla�ripresa�del�giudizio�cautelare�dopo�l'incidente�di�costituzionalita�:�tale�pronuncia�non� ha�determinato,per�la�sua�natura�meramente�tecnica�ed�interinale,�l'esaurimento�delpotere�cau- telare�del�giudice�amministrativo,�con�la�conseguenza�che�la�proposta�questione�deve�ritenersi� tuttorafornita�del�requisito�della�rilevanza�.� Nella�specie�il�Tar,�ben�conscio�di�tale�giurisprudenza,�aveva�riservato�la�sua�pronuncia� all'esito�della�sollevata�questione�di�costituzionalita�,cos|�restando�investito�del�potere�cautelare� utilizzato�solo�strumentalmente�ai�fini�della�risoluzione�della�pregiudiziale�costituzionale.� Pronunciandosi�in�grado�di�appello�con�una�decisione�esaustiva�del�potere�cautelare�del� giudice�amministrativo�il�Consiglio�di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione�Siciliana� ha,�invece,�violato�(o,�ci�si�augura,�tentato�di�violare)�due�prerogative�giurisdizionali�altis- sime:�quella�della�Corte�Costituzionale,�quale�giudice�delle�leggi�e�quella�del�Tar�Sicilia�quale� giudice�remittente.� Con�la�sua�pronuncia,�infatti�^ove�essa�non�dovesse�essere�riconosciuta�come�pronunciata�in� carenza�assoluta,�benche�temporanea,�di�giurisdizione�^il�Consiglio,�esaurendo�la�fase�cautelare,� avrebbe�privato�la�Corte�Costituzionale�del�potere�di�entrare�nel�merito�della�questione,�costrin- gendolaadunapronunciadiinammissibilita�perirrilevanza(vedesigia�cit.sent.�444/1990).� Con�la�stessa�pronuncia�avrebbe�contemporaneamente�privato�il�Tar�Sicilia�del�potere� di�promuovere�un�giudizio�incidentale�di�costituzionalita�.Diquelpotere,�cioe�,che�e�gelosa� prerogativa�di�ogni�giudicante�quale�paradigmatica�espressione�di��potere�diffuso��e�che�e� garanzia�dell'indipendenza�di�ogni�magistrato,�arbitro�di�sottoporre�al�vaglio�della�Corte� Costituzionale�ogni�norma�di�legge�che�egli�debba�applicare�e�della�cui�legittimita�dubiti.� Si�confida�pertanto�nell'accoglimento�del�ricorso.� Roma,�6febbraio�2003�^Avv.�Ignazio�Francesco�Caramazza�.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Normativa antitrust e settore bancario: l'eccezione italiana Consiglio di Stato, Sezione sesta, sentenza 16 ottobre 2002, n. 5640 Premessa ^Con�la�sentenza�in�commento�il�Consiglio�di�Stato�(in�par- ticolare�la�Sez.�sesta,�che�ormai,�in�uno�con�la�Sez.�prima�del�Tribunale� Amministrativo�Regionale�del�Lazio,�sta�diventando�il�giudice�specializzato� in�materia�antitrust)�prende�posizione,�rispetto�all'intricata�materia�del� riparto�di�competenze�tra�la�Banca�d'Italia�e�l'Autorita�garante�della�concor- renza�e�del�mercato�circa�l'applicazione�della�disciplina�antitrust (legge� 10�ottobre�1990,�n.�287).� La�vicenda�trae�origine�dall'intesa�intercorsa�tra�una�banca�e�una�com- pagnia�di�assicurazioni�avente�ad�oggetto�la�distribuzione�di�polizze�mediante� il�canale�bancario�(1).� L'Autorita�garante�(nel�prosieguo,�anche�AGCM)�aveva,�infatti,�ritenuto� che�tale�accordo�integrasse�gli�estremi�di�un'intesa�vietata�ai�sensi�dell'art.�2,� secondo�comma,�della�legge�n.�287/1990,�non�meritevole�di�autorizzazione� in�deroga�ai�sensi�dell'art.�4�del�citato�atto�normativo�(2).� Il�provvedimento,�annullato�dal�TAR�del�Lazio�(3),�e�stato�invece�con- fermato�dal�Consiglio�di�Stato,�che,�con�quella�che�e�stata�definita�una� �sentenza-trattato��(4),�ha�dettato,�in�via�interpretativa,�i�criteri�per�il�riparto� di�competenze�tra�l'AGCM�e�la�Banca�d'Italia,�di�fatto�restringendo�le�com- petenze�di�quest'ultima�(5).�Si�tratta�di�un'operazione�ermeneutica�che�inun� certo�qual�modo��valica��i�limiti�della�controversia�portata�all'attenzione� dei�Giudici�del�Supremo�Consesso,�ma�che�tuttavia�e�funzionale�al�riordino� di�una�materia�che�sin�dall'entrata�in�vigore�della�disciplina�nazionale�anti- trust e�stata�foriera�di�molteplici�incertezze�esegetiche�e�accesi�dibattiti. �������� (1)�L'accordo,�intercorso�tra�A.G.�S.p.A.�ed�U.�S.p.A.,�prevedeva�una�futura�collaborazione� in�campo�assicurativo-bancario,�da�realizzarsi�anche�attraverso�l'acquisto�da�parte�di�A.G.�del� 50%�del�capitale�sociale�di�Q.V.�S.p.A.,�societa�inattiva�e�in�precedenza�interamente�controllata� da�U.�La�societa�Q.V.�S.p.A.�(la�cui�denominazione�era�mutata�in�Casse�e�G.V.�S.p.A.)�avrebbe� dovuto�esercitare�la�propria�attivita�nel�settore�dell'assicurazione,�nel�ramo�vita,�e�provvedere�alla� distribuzione�dei�propri�prodotti�attraverso�gli�sportelli�del�gruppo�bancario�U.�Originariamente,� era�stata�anche�prevista�una�clausola�di�esclusiva�a�favore�di�Casse�e�G.V.�S.p.A.� (2)�Cfr.�provvedimento�del�28�maggio�1997,�n.�5048,�in�Boll. n.�22/1997.� (3)�Cfr.�TAR�del�Lazio,�Sez.�prima,�1.�luglio1999,�n.�1485,�in�ITAR 1999,�3022,�che�ha�annul- lato�il�provvedimento�de quo,�ritenendo�decorso�il�termine�perentorio�di�centoventi�giorni�(di�cui� all'art.�13�della�legge�n.�287/1990)�per�la�chiusura�dell'istruttoria.� (4)�Cfr.�M. Ramajoli, Il Consiglio di Stato restringe in via interpretativa la competenza anti- trust della Banca d'Italia,in�Giornale di diritto amministrativo 3/2003,�258.� (5)�La�sentenza�in�commento�si�segnala�anche�per�altri�profili�di�grande�rilevanza.�In�primo� luogo,�da�un�punto�di�vista�strettamente�processuale,�la�decisione�interviene�sia�sulla�nozione�di� interesse�a�ricorrere�sia�su�quella�di�interesse�ad�appellare.�Nelle�more�del�giudizio�di�secondo�grado,� Generali�aveva�venduto�la�propria�partecipazione�nell'impresa�comune�e,�a�seguito�di�tale�cessione,� Unicredito�ne�aveva�acquisito�il�controllo�esclusivo.�Pertanto,�le�suddette�imprese�avevano�ritenuto� fosse�venuto�meno�l'interesse�ad�appellare.�Al�contrario,�l'Avvocatura�dello�Stato�aveva�ritenuto� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 1 ^Normativa antitrust e settore bancario. Il�problema�relativo�all'appli- cazione�del�diritto�antitrust nel�settore�bancario�si�colloca�nella�piu�ampia� questione�inerente�l'applicazione�di�tale�normativa�in�quei�settori�nei�quali� tradizionalmente,�in�ragione�della�natura�dell'attivita�e�dell'importanza�che� essi�rivestono�per�il�sistema�economico,�i�comportamenti�degli�operatori� sono,�in�maggiore�o�minore�misura,�regolamentati�dalla�legge:�si�pensi,�ad� esempio,�al�settore�assicurativo�o�a�quello�dei�mezzi�di�comunicazione�di� massa(6).� Il�settore�bancario�e�tipicamente�sottoposto�ad�una�normativa�di�regola- mentazione�dell'attivita�diretta,�tra�l'altro,�ad�assicurare�al�sistema�un�carat- tere�di�stabilita�e�alle�banche�il�mantenimento�della�solvibilita�finanziaria.� Cio�in�considerazione�dell'importanza�del�sistema�bancario�per�l'economia� nel�suo�complesso�e�del�rilevante�numero�di�interessi�che�il�valore�della�stabi- lita�tende�a�proteggere�(clienti�dei�servizi�di�deposito,�beneficiari�dei�servizi� di�credito,�ecc.). �������� che�la�vicenda�sopravvenuta�incidesse�sull'interesse�a�ricorrere,�con�il�conseguente�venir�meno� della�sentenza�di�primo�grado�e�la�necessita�di�dichiarare�l'improcedibilita�con�riferimento�al� ricorso�proposto�in�primo�grado.�Tuttavia,�il�Consiglio�di�Stato�ha�affermato�la�persistenza� dell'interesse�a�ricorrere,��non�essendo�intervenuti�atti�di�autotutela�in�via�amministrativa�e� [...]�quantomeno�in�relazione�alla�necessita�di�risolvere�l'incertezza�sul�regime�giuridico�al� quale�sottoporre�gli�atti�privatistici�dell'esecuzione�dell'intesa�.�D'altra�parte,�e�stato�reputato� sussistente�anche�l'interesse�ad�appellare,�poiche�la�sentenza�di�primo�grado�ha�annullato� l'atto�dell'AGCM,��che�non�ha�mai�ritenuto�di�fare�acquiescenza�al�decisum giudiziale�adot- tando�atti�di�autotutela�e�che�ha�ritenuto�di�poter�leggere�il�successivo�venir�meno�della� concentrazione�come�evento�incidente�al�piu�sull'interesse�a�ricorrere�in�relazione�al�ricorso� originario�.� In�secondo�luogo,�per�quanto�attiene�piu�propriamente�al�diritto�antitrust,�la�pronunzia,�con- trariamente�a�quanto�stabilito�dal�giudice�di�primo�grado,�chiarisce�che�l'eliminazione�della�clausola� di�esclusiva�reciproca�costituisce�una�modificazione�essenziale�dell'accordo�comunicato�inizial- mente�e,�come�tale,�idonea�ad�interrompere�il�decorso�del�termine�perentorio�di�cui�all'art.�13�della� legge�n.�287/1990.� Ancora,�la�decisione�precisa�che�al�termine�di�120�giorni�entro�il�quale�l'AGCM�deve�provve- dere�sulla�richiesta�di�autorizzazione�in�deroga�e�che�decorre�dalla�presentazione�della�richiesta� stessa��non�consegue�alcun�silenzio-assenso��e�che�tale�termine��non�consuma�il�potere�di�provve- dere,�ne�rende�invalido�il�provvedimento�adottato�oltre�il�termine,�ma�fornisce�solo,�con�il�suo�inu- tile�decorso,�l'innesco�della�tutela�per�il�silenzio-inadempimento�.� Inoltre,�ribadisce�il�consolidato�orientamento�secondo�il�quale�il�pareredell'ISVAPha�un� valore�meramente�consultivo�e�non�vincolante:�pertanto,�purche�motivatamente,�ben�puo� essere�disatteso�dall'AGCM�(cfr.�gia�TAR�Lazio�15�febbraio�1995,�n.�1474,�in�Riv. Dir. Ind. 1996,�II,�50�ss.,�sulla�quale�v.�F. Ghezzi,in�F.�GhezzI ^P. MagnanI ^M. Siri,�L'applica- zione della disciplina antitrust nei settori speciali: banche, assicurazioni e mass media. Questioni procedurali e sostanziali alla luce dell'art. 20, cit.,�187.�Da�ultimo,�v.�Cons.�St.�26�febbraio� 2002,�n.�2199).� (6)�Cfr.�AA.VV.,�Industria bancaria e concorrenza a�cura�di�M.�Polo,�Bologna,�2000,� 385�ss.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Il�diritto�antitrust�persegue�obiettivi�che�per�loro�natura�appaiono�astrat- tamente�idonei�a�confliggere,�in�alcuni�casi,�con�quello�della�stabilita��del- stema�bancario(7).�Da�questo�primo�punto�di�vista�si�puo��porre�il�problema� se�le�norme�antitrust�debbano�trovare�piena�applicazione�in�questo�settore� oppure�debbano�subire�qualche�limitazione(8).� Al�riguardo,�l'esegesi�dell'art.�20�della�legge�n.�287/1990�(norma�cardine� del�sistema)�si�e��rivelata�decisamente�problematica,�data�l'ambiguita��del�det- tato�legislativo(9).�In�particolare,�ha�sollevato�notevoli�perplessita��il�quinto� comma�della�disposizione�de�qua,�in�tema�di�autorizzazioni�in�deroga,�in� virtu��dell'espresso�richiamo�al�conflitto�tra�norme�antitrust�e�obiettivi�di�sta- bilita��del�sistema�bancario(10).� Non�e��,�infatti,�mancato�chi�ha�sostenuto�che,�con�tale�previsione,�il�legisla- tore�italiano�avesse�inteso�dare�ingresso,�nel�sistema,�alla�filosofia�della�vigilanza� regolamentare,�sottoponendo�l'applicazione�delle�norme�antitrust�al�settore�ban- carioallimitedegliobiettivitradizionalidistabilita��cheloconnotano(11).� Tuttavia,�al�di�la��di�queste�isolate�opzioni�ermeneutiche,�l'opinione�della� maggioranza�della�dottrina�e��in�senso�decisamente�contrario,�ritenendo�che,� ad�esclusione�della�deroga�in�esame,�le�norme�sostanziali�a�tutela�della�con- correnza�siano�le�medesime�norme�vigenti�negli�altri�mercati�(12). �������� (7)�Cfr.,�in�proposito,�per�una�ricostruzione�generale,�B.�Shull, The�OriginsofAntitrust�inBan- king:�An�Historical�Perspective,in�Antitrust�Bull.,�1996,�255.�L'Autore�osserva�come�l'applicazione� delle�norme�antitrust�alle�banche�abbia�rappresentato�storicamente�un�problema�a�tratti�drammatico� per�l'ordinamento�statunitense,�e�come�un'effettiva�applicazione�del�diritto�antitrust�in�questo�settore� sia�cominciata�solo�intorno�agli�anni�'80,�a�ben�cinquant'anni�dallo�Sherman�Act.�Cfr.�altres|��L.J.� White,�Banking,�Mergers,�and�Antitrust:�Historical�Perspectives,�and�the�Research�Tasks�ahead,in� Antitrust�Bull.,�1996,�323;�A.S.�Blinder,�Antitrust�and�Banking,in�Antitrust�Bull.,�1996,�447;�A.K.� Bingaman,�Antitrust�andBanking,in�Antitrust�Bull.�1996,�465�ss.� (8)�La�soluzione�di�questo�primo�problema�e��naturalmente�in�gran�parte�frutto�di�una�scelta�di� natura�politico-economica�circa�l'importanza�che�si�intenda�conferire�a�ciascuno�degli�interessi�in� gioco�(obiettivi�di�stabilita��e�obiettivi�concorrenziali)�e�al�ruolo�che�in�ciascun�ordinamento�si�scelga� di�attribuire�al�valore�della�concorrenza�come�strumento�di�attuazione�del�sistema�economico.� (9)�Si�pensi�al�secondo�comma�dell'art.�20�della�legge�n.�287/1990.�Il�fatto�che�il�legislatore�abbia� richiamatoisoliartt.�2,3,4e6implicachelealtrenormedellaleggenontrovinoapplicazioneinrelazione� al�settore�bancario?�L'opinione�prevalente�in�dottrina�e��quella�di�ritenere�che�il�richiamo�parziale�sia�da� attribuire�adunasceltaditecnicaredazionale:�sia,�cioe�,unrichiamoperfattispecierilevanti(intese,�abuso� di�posizione�dominante,�concentrazioni).�Pertanto�esso�deve�ritenersi�esteso�anche�alle�altre�norme�del� titoloprimo�della�legge,�nonche�allenormediprocedura:�cfr.�F. Denozza^A. Stabilini,�Rapportiepos- sibiliconflittitraleAutorita�preposteall'applicazionedellanormativasullaconcorrenzaconriferimentoalset- torebancario,in�IndustriabancariaeconcorrenzaacuradiM.�Polo,�Bologna,2000,391.� (10)�Si�deve�peraltro�osservare�che�in�questo�caso�il�riferimento�non�e��alla�stabilita��del�sistema� bancario,�bens|��a�quella�monetaria.�Il�richiamo�a�tale�ultimo�valore�rimanda�evidentementeal�ruolo� di�banca�centrale�della�Banca�d'Italia,�piu��che�alla�sua�funzione�di�autorita��di�vigilanza�sugli�istituti� creditizi.�Gli�obiettivi�perseguiti�in�sede�di�eventuale�applicazione�della�norma�in�commento�sono� quindi�parzialmente�diversi�da�quelli�di��stabilita��del�sistema�bancario�.�Tuttavia,�ai�fini�della�pre- sente�indagine,�tali�diversita��appaiono�del�tutto�trascurabili.� (11)�Questa�e��l'opinione�di�G.�Bernini,�Un�secolo�difilosofia�antitrust,�Bologna,�1991,�391.� (12)�Cfr.,�explurimis,�G. Rossi,�Ilconflitto�diobiettivinell'esperienza�decisionale�delleautorita�,� in�Riv.�soc.�1997,�271;�P. MarchettI ^F. Ghezzi,�Irapportidell'Autorita�garante�della�concorrenza� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 2.�^Autorita�competente:�la�scelta�del�legislatore�italiano.�Sotto�un� secondo�profilo,�l'applicazione�del�diritto�antitrust�al�settore�pone�l'ulteriore� problema�della�scelta�dell'autorita�cui�affidare�tale�competenza.�General- mente,�infatti,�il�settore�de�quo�e�sottoposto�al�controllo�di�un'apposita� autorita�di�vigilanza.�Si�puo�quindi�porre�il�dubbio�circa�l'opportunita�di�affi- dare�a�quest'ultima�anche�la�competenza�ad�applicare�le�norme�antitrust,o� di�demandarla�all'autorita�investita�del�potere�generale�di�applicare�tale� normativa(13). �������� e�del�mercato�con�le�autorita�di�vigilanza�settoriali,�in�Concorrenza�e�mercato�1993,�205�ss.,�in� part.�205;�L.C.�Ubertazzi,�Diritto�nazionale�antitrust�e�imprese�bancarie,in�Diritto�antitrust�ita- liano�a�cura�di�A.�Frignani,�R.�Pardolesi,�U.�Petroni�Griffi�e�L.C.�Ubertazzi,�Bologna,�1993,� vol.�II,�1054�ss.;�F. DenozzA A. Stabilini,�Rapporti�e�possibili�conflitti�tra�le�Autorita�preposte� all'applicazione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al�settore�bancario,�cit.,�392.� E�stato�infatti�osservato�che�tale�norma�dovrebbe�essere�intesa�come�norma�di�carattere�ecce- zionale�e�dunque�da�interpretarsi�in�maniera�restrittiva�(cfr.�M. Siri,�Commento�sub�art.�20,in�Con- correnza�e�mercato,�a�cura�di�V.�Afferni,�Padova,�1994,�524�ss.;�P. MarchettI ^F. Ghezzi, Irap- porti�dell'Autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato�con�le�autorita�di�vigilanza�settoriali,�cit.,� 185;�F. DenozzA ^A. Stabilini,�Rapporti�e�possibili�conflitti�tra�le�Autorita�preposte�all'applica- zione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al�settore�bancario,�cit.,�392).� Qualche�considerazione�deve�essere�fatta�infine�in�relazione�all'ultimo�comma�dell'art.�20,�a� norma�del�quale��[l]e�disposizioni�della�presente�legge�in�materia�di�concentrazione�non�costituiscono� deroga�alle�norme�vigenti�nei�settori�bancario,�assicurativo,�della�radiodiffusione�e�dell'editoria�.�In� relazione�al�settore�bancario,�vengono�in�considerazione�le�norme�di�cui�al�D.�Lgs.�356/1990�(Disposi- zioniperla�ristrutturazioneeperla�disciplina�delgruppo�creditizio)�in�tema�di�fusioni�tra�enti�creditizi� (cfr.,inparticolare,l'art.�3delD.�Lgs.�n.�356/1990),nonche�lediversedisposizionicontenuteneltesto� unico�bancario�(D.�Lgs.�n.�385/1993:�nel�prosieguo,�testo�unico�bancario.�Cfr.,�in�particolare,�gli� artt.�19,�31,�36�e�57)�le�quali,�come�e�noto,�subordinano�la�possibilita�di�mettere�in�atto�alcuni�tipi�di� operazione�tra�banche�al�rilascio�di�un'autorizzazione�della�Banca�d'Italia�(del�Ministro�del�Tesoro� nel�caso�delle�operazioni�di�cui�al�D.�Lgs.�n.�386/1990)�basata�sulle�tradizionali�considerazioni�in� ordine�alle�esigenze�di�stabilita�del�sistema�bancario�e�della�gestione�prudenziale�delle�banche.� L'introduzione�di�questa�disposizione�nel�testo�della�legge�da�adito�a�nonpochi�dubbi.�Anzitutto,� e�difficilmente�comprensibile�il�principio�in�base�al�quale�la�legge�antitrust�dovrebbe�derogare�alle� norme�settoriali.�Come�e�stato�autorevolmente�osservato�in�dottrina�(cfr.�R. Alessi,�Commento�sub� art.�20,�in�R.�Alessi�e�G.�Olivieri,�La�disciplina�della�concorrenza�e�del�mercato,�Torino,�1991,�127),� infatti,��lacapacita�di�derogare�adunprincipio�e�solitamente�caratteristica�di�una�normativa�speciale.� Ma�tale�non�e�la�presente�legge�a�tutela�della�concorrenza�[...].�Piuttosto�discipline�speciali,�rectius�set- toriali,�sono�proprio�quella�bancaria,�assicurativa,�della�radiodiffusione�e�dell'editoria.�Sono�dunque� queste�discipline�a�costituire�eventualmente�deroga�alla�disciplina�generale�di�cui�alla�legge�n.�287�.� In�secondo�luogo,�e�soprattutto,�la�disposizione�in�esame�non�risolve�in�alcun�modo�il�problema� dell'eventuale�(e�ben�possibile)�conflitto�tra�la�norma�antitrust�e�la�norma�speciale�nel�caso�in�cui� entrambe�dovessero�trovare�applicazione�in�relazione�ad�una�medesima�fattispecie.�Ne�alcuna� disposizione�in�tal�senso�si�rinviene�nel�testo�unico�bancario.� Il�mancato�coordinamento�tra�le�due�normative�crea�un�problema�interpretativo�di�notevole� complessita�.�In�assenza�di�indicazioni�da�parte�del�legislatore,�dovrebbero�probabilmente�trovare� applicazione�i�criteri�generali�di�risoluzione�del�conflitto�tra�leggi.�Se�il�risultato�fosse�la�prevalenza� della�legge�speciale,�questo�comporterebbe�un'ulteriore�deroga�agli�standard�delle�norme�generali� (in�tema�di�concentrazioni).� (13)�L'autorita�di�vigilanza�potrebbe�garantire�un�enforcement�con�minori�costi:�essa�e�infatti� istituzionalmente�in�una�posizione�privilegiata�sotto�il�profilo�della�conoscenza�del�settore�rispetto� all'autorita�antitrust�con�competenza�generale;�d'altra�parte,�pero�,�essa�potrebbe�essere� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Il�legislatore�italiano�ha�sciolto�l'alternativa�affidando�l'applicazione� della�normativa�antitrust�nel�settore�bancario�alla�competente�autorita��di� vigilanza�(art.�20,�secondo�comma,�della�legge�n.�287/1990),�mantenendo,� tuttavia,�in�capo�all'AGCM,�un�potere�consultivo�(art.�20,�secondo�comma)� e�di�segnalazione�(art.�20,�sesto�comma).�Infine,�una�competenza�concorrente� spetta�alle�due�autorita��in�relazione�alle�fattispecie�c.d.�miste�(vale�a�dire,� che�coinvolgano�imprese�operanti�in��settori�sottoposti�alla�vigilanza�di�piu�� autorita���),�che�devono�ciascuna�adottare�i�provvedimenti�di�propria�compe- tenza�(art.�20,�settimo�comma).� Il�sistema�delineato�dal�legislatore�italiano,�criticato�dalla�dottrina�quasi� unanime(14),�ha�suscitato�un'inusitata�congerie�di�perplessita��esegetiche�in� ordine�ai�rapporti�tra�le�due�autorita��e�all'estensione�dei�rispettivi�poteri.� In�particolare,�circa�i�poteri�consultivi�dell'AGCM,�erano�sorte�notevoli� incertezze�relativamente�all'individuazione�dei�provvedimenti�in�gradodi�far� scattare�l'obbligo�per�la�Banca�d'Italia�di�sentire�il�parere�dell'Autorita�� garante,�problema�oggi�risolto�(almeno�parzialmente)�dall'Accordo�del� 4�marzo�1996,�intervenuto�fra�le�due�Autorita��(15). �������� maggiormente��catturabile�,�cioe��piu��soggetta�alle�pressioni�degli�interessi�dei�soggetti�che�deve� controllare,�proprio�in�virtu��del�suo�ruolo�di�vigilanza�regolamentare�(c.d.�capture�theory).�Su�que- ste�problematiche�cfr.�T.W. Merryl,�Capture�Theory�and�the�Courts:�1967-1983,in�Chi.-Kent�L.� Rev.�1997,�72,�1039�e�R.A. Posner,�The�Rise�andFall�ofAdministrative�Law,in�Chi.-Kent�L.�Rev.� 1997,�72,�953.�Per�un'elaborazione�della��capture�theory��nel�campo�specifico�del�diritto�antitrust� cfr.�J.S. WileY Jr.,�A�Capture�Theory�ofAntitrust�Federalism,in�Harvard�L.�Rev.�1986,�99,�713.� Cfr.�infine,�per�un'analisi�critica�del�ruolo�di��political�decisionmakers��assunto�da�molte�agenzie� federali,�M. Seidenfeld,�A�Civic�Republican�Justification�for�the�Bureaucratic�State,in�Harvard� L.�Rev.�1992,�105,�1511.� Questo�secondo�problema,�da�un�lato,�e��distinto�da�quello�(che�potremmo�definire��sostan- ziale�)�dell'applicazione�integrale�o�meno�della�normativa�antitrust�al�settore�bancario,�nel�senso� che�esso�si�pone�qualunque�sia�la�scelta�fatta�in�ordine�al�primo.�Dall'altro�lato,�tuttavia,�i�due�pro- blemi�appaiono�strettamente�legati,�poiche�le�ragioni�che�fondano�la�scelta�di�attribuire�l'applica- zione�della�legge�ad�una�o�all'altra�autorita��si�intersecano�con�l'assetto�degli�interessi�in�gioco�che� la�scelta�di�natura�sostanziale�comporta.�Se�le�norme�antitrust�da�applicare�alle�banche�si�discostano� da�quelle�generali�per�prendere�in�considerazione�l'obiettivo�della�stabilita��del�sistema,�l'autorita��di� vigilanza�potrebbe�trovarsi�nella�posizione�migliore�per�valutare�ed�assicurare�il�contemperamento� ed�il�coordinamento�dei�diversi�obiettivi.�Viceversa,�l'attribuzione�dell'applicazione�delle�norme� antitrust�ad�un'autorita��diversa�da�quella�di�vigilanza�potrebbe�esser�preferibile�laddove�tali�norme� prevedano�uno�standardidentico�a�quello�generale�anche�in�relazione�al�settore�bancario.�L'autorita�� di�vigilanza,�infatti,�potrebbe�essere��naturalmente��incline�a�dare�ingresso,�nell'esercizio�dei�com- piti�di�tutela�della�concorrenza,�alle�esigenze�di�stabilita��del�sistema�bancario�e�del�rafforzamento� delle�banche�(cfr.�su�questo�punto�G. Rossi,�Il�conflitto�di�obiettivi�nell'esperienza�decisionale�delle� autorita�,�cit.,�265�ss.).�Inoltre,�lo�sdoppiamento�delle�autorita��deputate�all'applicazione�delle�norme� antitrust�favorirebbe�un'applicazione�potenzialmente�non�uniforme�dei�criteri�normativi.� (14)�Cfr.,�tra�gli�altri,�F. Ghezzi,in�F.�GhezzI ^P. MagnanI ^M. Siri,�L'applicazione�della� disciplina�antitrust�nei�settori�speciali:�banche,�assicurazioni�e�mass�media.�Questioni�procedurali�e� sostanziali�alla�luce�dell'art.�20,�cit.,�182;�G. Rossi,�Il�conflitto�di�obiettivi�nell'esperienza�decisionale� delle�autorita�,�cit.,�271,�il�quale�si�oppose�all'introduzione�della�norma�nella�legge�anche�in�sede�par- lamentare.�Contra�M. Lamandini,�La��seconda�volta��del�Banco�di�Sardegna�(nuovi�spunti�in�tema� di�antitrust�bancario),�in�Banca,�borsa�e�tit.�cred.�1995,�110�ss.� (15)�In�relazione�a�questo�profilo,�si�e��assistito,�nel�corso�dei�primi�anni�di�applicazione�della� legge,�al�progressivo�consolidamento�delle�posizioni�dottrinali�in�argomento,�nel�senso�di�ritenere� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Senza�contare�il�problema,�ancora�aperto,�delle�fattispecie�miste,�in�rela- zione�alle�quali�la�legge�prevede�una�competenza�parallela�delle�due�autorita�� nei�rispettivi�ambiti�di�intervento.�La�norma�ha�creato�non�pochi�dubbi�inter- pretativi�sulle�possibili�conseguenze�di�una�valutazione�discordante�sulla� stessa�fattispecie(16).� 3.�^Segue:�Irapporti�tra�autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato� e�Banca�d'Italia.�Venendo�all'applicazione�concreta�della�normativa�in� parola,�la�casistica�di�questi�anni�da��atto�di�una�duplice�tendenza:�da�un�lato,� il�rispetto�da�parte�della�Banca�d'Italia�di�standard�di�valutazione�meno� rigorosi�e�stringenti�di�quelli�seguiti�dall'Autorita��garante,�dall'altro,�l'ado- zione�da�parte�delle�due�autorita��di�criteri�differenti�ai�fini�del�riparto�di� competenze. �������� necessario�il�parere�dell'Autorita��in�relazione�ad�ogni�provvedimento�che��abbia�un'efficacia�di� accertamento�non�solo�positivo,�ma�anche�negativo��(cfr.,�in�particolare,�P. MarchettI ^F. Ghezzi,�Irapporti�dell'Autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato�con�le�autorita�di�vigilanza� settoriali,�cit.,�166).�Questo�e��stato�anche�l'orientamento�da�subito�espresso�dall'Autorita��garante,� che�riteneva,�contrariamente�alla�Banca�d'Italia,�necessario�esprimere�il�parere�non�solo�sulla� chiusura,�ma�anche�sulla�non�apertura�dell'istruttoria�(Cfr.�I. Calboli,�La�concorrenza�bancaria� neipareridell'Autorita�garantedella�concorrenza�e�delmercato,in�Banca,�borsa�e�tit.�cred.�1995,�I,� 299�ss.).�Il�problema�ha�poi�trovato�una�parziale�soluzione,�come�e��noto,�nell'Accordo�tra�l'Autorita� garante�della�concorrenza�e�del�mercato�e�la�Banca�d'Italia�in�merito�alle�procedure�applicative�del- l'art.�20�della�legge�10�ottobre�1990,�n.�287,(in�Boll.�n.�10/1996,�117)�nel�quale,�sostanzialmente,� sembra�aver�prevalso�l'orientamento�dell'Autorita��garante,�secondo�la�quale�il�parere�deve�essere� necessariamente�espresso�non�solo�sulla�chiusura,�ma�anche�sulla�non�apertura�dell'istruttoria.� Questo�documento�e��stato�giustamente�salutato�con�favore�da�tutti�i�commentatori�(cfr.�F. Ghezzi,in�F. GhezzI ^P. MagnanI ^M. Siri,�L'applicazione�della�disciplina�antitrust�nei�settori� speciali:�banche,�assicurazioni�e�mass�media.�Questioniproceduraliesostanzialiallalucedell'art.�20,� in�Concorrenza�e�mercato�1996,�179�ss.),�non�solo�in�quanto�risolve�un�dubbio�interpretativo�che� avrebbe�rischiato�di�non�avere�mai�fine,�ma�anche�per�le�opportune�disposizioni�in�materia�di�pub- blicazione�dei�pareri�dell'Autorita��e�dei�relativi�provvedimenti�della�Banca�d'Italia.� Ulteriori�dubbi�potrebbero�sorgere�in�ordine�alla�natura�vincolante�del�parere�dell'Autorita��.La� posizione�unanime�dei�commentatori�(ne�le�autorita��hanno�mostrato�di�essere�di�diverso�avviso)�e�� nel�senso�della�natura�non�vincolante�del�parere�stesso,�che�quindi�non�e��certamente�idoneo�a�condi- zionare�la�decisione�della�Banca�d'Italia�circa�la�valutazione�della�fattispecie.�Piu��problematico�e��,� invece,�stabilire�se�sussista,�e�in�che�misura,�un�obbligo�di�motivazione�in�capo�alla�Banca�d'Italia�in� caso�questa�si�discosti�dalla�posizione�espressa�dall'Autorita��garante�nel�parere�medesimo.�La�que- stione�e��stata�affrontata�in�relazione�al�parere�dell'ISVAP�dal�TAR�Lazio�(v.�nota�5),�che�ha�parlato� dichiarimento,�sinteticomachiaroepuntuale,deimotivichehannoportatoalladiversavalutazione.� Cisipotrebbeancoradomandareseundiscorsodianalogotenorepossafarsiinrelazionealpotere�di� impulsocheilcommaVIdell'art.�20assegnaall'AGCMneiconfrontidellaBancad'Italia.Secioe�,difronte� al�ricevimento�della�segnalazione�dell'esistenza�di�un'ipotesi�diviolazione�da�parte�dell'Autorita��,la�Banca� d'Italia,qualoranonravvisasseglielementiperaprireun'istruttoria,debbainqualchemodoformalizzare� emotivaretaledecisione.Parechelarispostadebbaesserenegativa,anchesecertamentelacontrariasolu- zionesarebbepiu��coerenteconlaratiocheispiraladisciplinaepiu��trasparentesottoilprofilodellavisibilita�� dell'operato�della�Banca�d'Italia�del�grado�di�intervento�sulle�fattispecie�potenzialmente�rilevanti.� (16)�Si�pensi�in�particolare�alle�concentrazioni.�L'Accordo�del�1996�non�ha�risolto�il�problema.� Esso�prevede,�infatti,�la�costituzione�di�un�gruppo�di�lavoro�composto�dai�rappresentanti�delle�due� istituzioni�al�fine�di�risolvere�il�problema�della�ripartizione�delle�competenze,�ma�attualmente�non� e��stata�formalizzata�alcuna�soluzione.�L'Accordo�si�limita�ad�affermare�che��le�imprese�potranno� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Quanto�al�primo�profilo,�merita�rilievo�la�tendenza�della�Banca�d'Italia� ad�autorizzare�operazioni�di�concentrazione,�nonostante�risultino�lesive�della� concorrenza,�invocando�principalmente�l'argomento�della�necessita��di�risana- mento�della�banca�acquisita�(17),�dando�cos|��spazio�alla�c.d.failingfirm�doc- trine,�tutt'altro�che�pacifica�nel�nostro�ordinamento�(18). �������� inviare�le�comunicazioni�ad�una�delle�due�istituzioni,�che�provvedera��a�trasmetterle�all'altra�per�le� opportune�valutazioni�nell'ambito�delle�rispettive�competenze�.�Ai�fini�pratici,�la�questione�non� assume�particolare�rilevanza,�qualora�le�due�Autorita��,�ritenutesi�entrambe�competenti,�concor- dino�nelle�valutazioni�ed�emettano�provvedimenti�di�analogo�tenore.�E,�fino�ad�ora,�(come�si�avra�� modo�di�precisare�nel�prossimo�paragrafo)�si�sono�verificati�solo�ipotesi�di�questo�tipo.�Ma�quid� iuris�in�caso�di�duplicazione�di�procedimenti�che�portino�ad�esiti�difformi�(in�un�caso�positivo�e� autorizzatorio,�nell'altro�negativo�e�denegatorio)?�Si�potrebbe,�in�tal�caso,�parlare�di�conflitto�di� attribuzioni,�alla�cui�risoluzione�e��deputata�la�Corte�Costituzionale?�Salva�una�revisione�costitu- zionale,�la�tesi�appare�ardua�da�sostenere,�considerato�che�il�conflitto�di�attribuzioni�e��prospetta- bile�tra�poteri�dello�Stato,�mentre�le�Authority�non�sono�nemmeno�citate�in�Costituzione.�Il�nostro� legislatore�sembra,�dunque,�essersi�completamente�disinteressato�delle�modalita��di�risoluzione�di� tali�conflitti.�Sul�punto�v.�piu��approfonditamente�il�paragrafo�n.�6.� (17)�Cfr.�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�1�del�5�aprile�1993,�Banco�di�Sardegna�SPA/- Banca�Popolare�di�Sassari�SCRL/Cassa�Comunale�di�Credito�Agrario�di�Samatzai/Cassa�Comunale� di�Credito�Agrario�di�Pimentel,in�Boll.�n.�6/1993,�44�ss.;�Provvedimento�dell'AGCM�n.�1051�del� 31�marzo�1993,�Banco�di�Sardegna/Banca�Popolare�di�Sassari,in�Boll.�n.�6/1993,�108�ss.�La�Banca� d'Italia,�disattendendo�completamente�le�valutazioni�dell'ACGM,�autorizzo��l'operazione�di�concen- trazione,�ritenendo�inevitabile�l'uscita�dal�mercato�della�Banca�Popolare�di�Sassari�in�assenza�del- l'acquisizione�autorizzata,�con�conseguente��perdita�di�benessere�sociale�per�gli�utenti�del�servizio� bancario�.�La�decisione�dell'autorita��di�vigilanza�e��stata�oggetto�di�critiche�in�dottrina�sotto�molte- plici�profili�(cfr.�G. Rossi,�Il�conflitto�di�obiettivi�nell'esperienza�decisionale�delle�autorita�,�cit.,�273� ss.).�In�particolare,�e��stata�criticata�l'effettiva�idoneita��degli�impegni�proposti�dalla�Banca�d'Italia� (limitazioni�all'apertura�di�nuovi�sportelli�da�parte�del�Banco�di�Sardegna�e�all'ingerenza�di�que- st'ultimo�nel�consiglio�di�amministrazione�della�Banca�Popolare�di�Sassari)�a�rappresentare�un�reale� correttivo�sul�piano�concorrenziale,�e�l'eccessiva�considerazione�del�fattore�della�concorrenza� potenziale�(la�cui�ricorrenza,�in�effetti,�appare�inconsistente�con�le�osservazioni�dell'Autorita��circa� l'esistenza�di�elevate�barriere�all'ingresso).�Cfr.,�inoltre,�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�21� del�17�gennaio�1998,�Gruppo�Banco�di�Sardegna/Casse�Comunali�di�Credito�Agrario,in�Boll.,� n.�6/1998�del�23�febbraio�1998,�57�ss.;�Provvedimento�dell'AGCM�n.�5578�del�18�dicembre�1997,� Gruppo�Banco�di�Sardegna/Casse�Comunali�di�Credito�Agrario,in�Boll.�n.�6/1998,�19�ss.�In�questo� caso�le�divergenze�di�valutazione�delle�due�autorita��hanno�avuto�ad�oggetto�la�stessa�qualificazione� della�fattispecie�(concentrazione,�secondo�l'AGCM,�e�abuso�di�posizione�dominante,�secondo�la� Banca�d'Italia).�Stranamente,�in�quest'occasione,�si�e��dimostrato�piu��severo�il�giudizio�della�Banca� d'Italia:�cfr.�M. Lamandini,�La��seconda�volta��delBanco�di�Sardegna�(nuovi�spunti�in�tema�di�anti- trust�bancario),�cit.,�110�ss.,�che�rileva�come��tanta�severita��di�enforcement�si�sia�avuta�proprio�in� un�nuovo�caso��Banco�di�Sardegna�:�quasi�che�il�nuovo�intervento��fosse��dovuto�[...]�alle�inade- guatezze�proprie�del�primo��Banco�di�Sardegna/Banco�di�Sassari��del�1993��(p.�110).� Cfr.,�inoltre,�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�22�del�3�aprile�1998,�Banco�di�Sicilia/- Sicilcassa/Mediocredito�Centrale,in�Boll.�n.�15/1998�del�27�aprile�1998;�Provvedimento�dell'AGCM� n.�5657�del�29�gennaio�1998,�in�Boll.�n.�15/1998.�In�quell'occasione,�l'autorita��bancaria�ebbe�modo� di�affermare:��la�Commissione�Europea�ha�recepito�il�modello�elaborato�dalla�giurisprudenza�statu- nitense�[...]�nel�caso�Boeing/McDonnel�Douglas��(cfr.�decisione�del�30�luglio�1997,�Caso�IV/M.877,� in�G.U.C.E.,�legge�n.�336/16�dell'8�dicembre�1997.�V.�pero��E.M. Fox,�International�Antitrust:� Against�Minimum�Rules;for�Cosmopolitan�Principles,in�Antitrust�Bull.�1998,�5�ss.,�in�part.�6,�che� rileva�come,�nel�caso�di�specie,�avessero�avuto�un�peso�decisivo�sull'esito�del�giudizio,�considerazioni� di�natura�politica�e�politico-economica),�e�tale�principio�deve�essere�tenuto�in�considerazione��per� effettodelrichiamoprevistodall'art.�1,commaIV,dellaleggen.�287/1990�.� (18)�Secondo�lafailingfirm�defense�prevista�nell'ordinamento�statunitense,�una�concentrazione� anticoncorrenziale�puo��essere�autorizzata�qualora,�in�assenza�di�essa,�l'impresa�oggetto�di�acquisi- zione�andrebbe�incontro�al�fallimento,�e�sempre�che�la�concentrazione�rappresenti�l'unico�mezzo� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� In�altre�circostanze�le�divergenze�di�valutazioni�(piu�severe�quelle�del- l'Autorita�garante,�piu��blande��quelle�della�Banca�d'Italia)�hanno�avuto�ad� oggetto�pratiche�di�uniformazione�delle�condizioni�contrattuali(19)�o�gli� impegni�cui�subordinare�operazioni�di�concentrazione(20). �������� per�evitarlo.�Cfr.�F. DenozzA ^A. Stabilini,�Rapporti�epossibili�conflitti�tra�le�Autorita�preposte� all'applicazione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al�settore�bancario,�cit.,�406,�nota� 31.�Quello�della�rilevanza�della�failingfirm�doctrine�nell'ordinamento�(comunitario�e)�nazionale�e� problema�a�tutt'oggi�discusso.�Tale�dottrina�ha�ricevuto,�sino�ad�ora,�una�timida�applicazione�in� sede�comunitaria�(cfr.�decisione�del�30�luglio�1997,�Caso�IV/M.877,�cit.),�mentre�non�risulta�essere� stata�mai�applicata�dall'Autorita�garante�che,�anzi,�non�ha�per�ora�preso�una�chiara�posizione� sul�punto�(cfr.�il�parere�reso�alla�Banca�d'Italia�sul�caso�Banco�di�Sicilia�(Provvedimento�n.�5657� del�29�gennaio�1998,�cit.),�ove�l'autorita�(ivi�in�part.�al�par.�17),�oltre�ad�affermare�che�nel�caso�di� specie�non�ne�sono�presenti�i�presupposti,�afferma�che�resta�comunque��impregiudicata�la�que- stione�relativa�alla�rilevanza,�in�sede�di�applicazione�della�legge�n.�287/1990,�del�principio�in� favore�del�salvataggio�delle�imprese�in�crisi.� (19)�Cfr.�Banca�d'Italia,�Provvedimenti�nn.�10,�11�e�12,�Associazione�Bancaria�Italiana�(ABI),� in�Boll.,�nn.�32-33,�40�e�48/1994;�AGCM,�Provvedimenti�nn.�2138,�2342�e�2341,�in�Boll.,�nn.�28-29,� 40�e�48/1994.�L'istruttoria�riguardava�un'ipotesi�di�violazione�dell'art.�2�della�legge�287/1990�da� parte�dell'ABI,�in�relazione�alle�norme�uniformi�di�regolamentazione�del�servizio�Bancomat�da�essa� predisposte.�I�profili�di�violazione�riguardavano,�da�un�lato,�la�fissazione�della�commissione�inter- bancaria�legata�al�servizio�e,�dall'altra,�l'adozione�di�uno�schema�contrattuale�comune�con�i�clienti.� Per�una�puntuale�analisi�del�caso�in�esame�cfr.�P. Marchetti,�Accordiinterbancari�e�disciplina�anti- trust.�Note�suiprovvedimenti�emessi�nel�1994,in�Concorrenza�e�mercato�1995,�371�ss.�Cfr.,�inoltre,� sul�complesso�problema�degli�accordi�interbancari�e�delle�commissioni�interbancarie�uniformi,� A.S. Frankel,�MonopolyandCompetition�in�theSupplyandExchangeofMoney,in�Antitrust�L.J.� 1998,�66,�p.�313.�Benche�le�conclusioni�delle�due�autorita�,�nel�merito,�fossero�allineate�nel�senso�del- l'autorizzazione,�tuttavia�l'AGCM�rilevava�l'effetto�tendenzialmente�anticoncorrenziale�dell'unifor- mazione�delle�pratiche�contrattuali�(eliminazione�della�concorrenza�sulla�differenziazione�del�pro- dotto);�al�contrario,�la�Banca�d'Italia�ne�sosteneva�la�valenza�proconcorrenziale�(maggiore�confron- tabilita�delle�offerte).�Cfr.,�inoltre,�Provvedimento�(parere)�dell'AGCM�n.�10094�del�31�ottobre� 2001,�Abi/Co.Ge.Ban,in�Boll.�48/2001;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�38�del�27�novembre� 2001,�Abi/Co.Ge.Ban,in�Boll.�48/2001;�e�successivamente�Provvedimento�(parere)�dell'AGCM� n.�11006,�del�24�luglio�2002,�Abi/Co.Ge.Ban,in�Boll.�30/2002;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia� n.�42,�del�30�luglio�2002,�in�Boll.�30/2002.�Si�trattava�di�rivedere�quanto�gia�disposto�alcuni�anni� prima�in�ordine�ad�un'autorizzazione�in�deroga�ex�art.�4dellaleggen.�287/1990conriferimentoagli� accordi�relativi�alle�procedure�RIBA/RIB,�Bancomat�(autorizzati�nel�1994,�con�il�provvedimento� precedentemente�richiamato)�e�Pagobancomat�(autorizzati�nel�1998),�che�contenevano�la�previsione� di�una�commissione�interbancaria�uniforme.�Nell'autunno�del�2001�la�Banca�d'Italia�ha�deciso�di� confermare�l'autorizzazione�concessa,�ritenendo�le�commissioni�fino�ad�allora�praticate�sostanzial- mente�congrue�rispetto�ai�costi�sostenuti�dalle�banche.�Al�contrario�il�parere�dell'AGCM�propen- deva�per�conclusioni�diverse,�specie�in�ragione�di�alcune�considerazioni�sul�mercato�a�valle�del�con- venzionamento�degli�esercenti,�rispetto�al�quale�veniva�evidenziato�il�pericolo�dell'innalzamento� del�merchantfee,�causato�dall'incremento�della�commissione�interbancaria.�Per�una�disamina�del� caso�cfr.�S. Valaguzza,�Principi�concorrenziali�e�tutela�delcredito,in�Concorrenza�e�mercato.�Rasse- gna�degli�orientamenti�dell'Autorita�Garante,�10/2002,�303�ss.� (20)�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�18�del�7�febbraio�1997,�Cariplo/Carinord,in�Boll.� n.�7/1997;�Provvedimento�dell'AGCM�n.�4597�del�16�gennaio�1997,�Cariplo/Carinord�Holding,in� Boll.�n.�7/1997.�In�quell'occasione�la�Banca�d'Italia�autorizzo�un'operazione�di�concentrazione�da� cui�scaturiva�il�rafforzamento�della�posizione�dominante,�subordinandola�al�rispetto�di�impegni� che�peraltro�non�erano�in�grado�di�annullare�l'effetto�che�fa�scattare�il�divieto�di�cui�all'art.�6�della� legge�287/1990�(come,�invece,�auspicato�nel�suo�parere�dall'AGCM).� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Quanto�al�secondo�aspetto,�la�Banca�d'Italia�si�ritiene�competente�a� valutare,�sotto�un�profilo�antitrust,�le�operazioni�che�interessano�gli�istituti� di�credito�indipendentemente�dai�mercati�in�cui�le�stesse�producono�effetti,� quanto,�piuttosto,�in�relazione�ai�soggetti�coinvolti�nell'operazione�(c.d.�com- petenza�per�soggetti)(21).�Laddove,�infatti,�anche�solo�una�delle�parti�sia�un� soggetto�rientrante�nella�sfera�di�controllo�e�regolamentazione�della�Banca� d'Italia,�la�stessa�decide�dell'operazione�anche�quando�questa�non�interessi� mercati�bancari(22).� Al�contrario,�invece,�l'AGCM�segue�un�riparto�di�competenze�c.d.�per� effetti:�vale�a�dire�che�essa�si�ritiene�competente�ad�applicare�la�normativa� antitrust�laddove�l'operazione�interessi�mercati�non�bancari,�benche�la�stessa� veda�coinvolti�soggetti�sottoposti�alla�vigilanza�della�Banca�d'Italia(23). �������� (21)�Rileva�tale�tendenza�M.L. MontagnanI ^M. Siri,�L'applicazione�del�diritto�antitrust� nei�settori��speciali�:�l'evoluzione�normativa�e�i�principali�interventi�dell'Autorita�Garante�e�della� Banca�d'Italia�nel�1999,in�Concorrenza�e�mercato.�Rassegna�degli�orientamenti�dell'Autorita� Garante,�8/2000,�95;�M.L. MontagnanI ^M. Siri,�L'applicazione�del�diritto�antitrust�nei�settori� speciali��tradizionali��(bancario�e�assicurativo)�e�nel�mercato�delle�comunicazioni,�in�Concorrenza�e� mercato.�Rassegna�degli�orientamenti�dell'Autorita�Garante,�10/2002,�94.� (22)�Il�riferimento�va�ovviamente�all'art.�10�del�testo�unico�bancario,�a�mente�del�quale�e��riser- vata�alle�banche��la�raccolta�del�risparmio�tra�il�pubblico�e�l'esercizio�del�credito�.�Per�un'applica- zione�del�criterio�della�competenza�per�soggetti�cfr.�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�160/A� del�5�settembre�2001,�Banco�Sella/Wind,in�Boll.�n.�37/2001;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia� n.�172/A�del�4�febbraio�2002,�Banca�IntesaBCI/Epsilon�Associati�SGR,in�Boll.�n.�6/2002;�Provvedi- mento�della�Banca�d'Italia�n.�171/A�del�31�gennaio�2002,�Riscoservice/Sorit�Ravenna,in�Boll.� n.�6/2002;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�165/A,�Gruppo�IntesaBCI/Serit�Picena,in�Boll.� n.�48/2001;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�156/A�del�1.�agosto�2001,�Finemiro�Banca� (Gruppo�Cardine)/Servizi,in�Boll.�n.�32/2001.�Gli�ultimi�tre�casi�citati,�poi,�non�riguardano�piu��i� mercati�dei�servizi�e�dei�prodotti�finanziari�tradizionalmente�estranei�alla�competenza�della�Banca� d'Italia,�tuttavia�indirettamente�connessi�ai�mercati�strettamente�bancari�in�ragione�della�pluralita�� di�servizi�offerti�dagli�istituti�di�credito�ma�settori�quali�quello�della�riscossione�dei�tributi� (Riscoservice/Sorit�Ravenna�e�IntesaBCI/Serit�Picena)�e�dei�servizi�informatici�(Finemiro�Banca� (Gruppo�Cardine)/Servizi),�nei�quali�non�si�vede�quale�vantaggio�informativo�possa�vantare�la� Banca�d'Italia,�tale�da�giustificare�la�sua�competenza�nell'applicazione�della�normativa�antitrust.� (23)�L'AGCM,�gia��a�partire�dal�Provvedimento�n.�222�del�20�novembre�1991,�Istituto�Bancario� S.�Paolo�di�Torino/Crediop,in�Boll.�n.�12/1991,�ha�affermato�la�sua�competenza�nei�confronti�degli� effetti�di�un'operazione�realizzata�unicamente�da�imprese�bancarie,�che�pero��determini�effetti�relati- vamente�a�mercati�diversi�da�quello�creditizio,�come,�nel�caso�di�specie,�sul�mercato�della�gestione� fiduciaria�di�patrimoni.�Sul�punto�cfr.�la�ricostruzione�operata�da�M. Siri,�Art.�20�della�legge�anti- trust,�in�Commentario�breve�al�codice�civile.�Leggi�complementari,�II�ed.,�Padova,�1995,�258�ss.,�in� cui,�alla�luce�dei�numerosi�provvedimenti�dell'AGCM,�si�chiarisce�che�sussiste�la�competenza�del- l'Autorita��sulle�concentrazioni,�anche�se�realizzate�da�enti�creditizi,�se�il�settore�di�attivita��si�riferi- sce:�alle�attivita��meramente�strumentali�a�quella�propriamente�bancaria;�ai�prodotti�e�servizi�del� c.d.�parabancario,�quali�leasing,factoring,�concessione�di�finanziamenti�alle�imprese,�mutui�immo- biliari;�ai�prodotti�e�servizi�dell'intermediazione�finanziaria,�ancorche�collocati�da�societa��inserite� in�un�gruppo�creditizio,�e�cos|��nei�confronti�delle�societa��di�intermediazione�mobiliare,�delle�societa�� fiduciarie�di�gestione�di�patrimoni�mobiliari,�delle�societa��di�gestione�dei�fondi�comuni�di�investi- mento,�delle�societa��di�intermediazione�finanziaria�e�delle�finanziarie�di�partecipazione.� Piu��di�recente,�per�una�duplicazione�di�procedimenti,�cfr.�provvedimento�della�Banca�d'Italia� n.�44�del�5�settembre�2002,�Banca�di�Roma/Bipop-Carire,in�Boll.�nn.�35-36/2002;�provvedimento� dell'AGCM�n.�11175�del�5�settembre�2002,�Banca�di�Roma/Bipop-Carire,in�Boll.�nn.�35-36/2002� (mercati�interessati:�fondi�comuni�d'investimento,�gestioni�su�basi�individuali�di�portafogli�d'investi- mento,�polizze�vita);�provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�30�del�2�dicembre�1999,�Banca� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� 5.�^La�sentenza�del�Consiglio�di�Stato.�Di�fronte�ad�una�situazione�di� tal�fatta,�ove�l'incertezza�regna�sovrana�e�la�duplicazione�dei�procedimenti� sembra�ormai�divenuta�la�regola,�il�Consiglio�di�Stato,�con�la�pronunzia�in� epigrafe,�cerca�di�ristabilire�una�parvenza�di�ordine.� Il�Supremo�Consesso,�al�termine�di�una�diffusa�analisi�delle�possibili� ragioni�^storiche,�economiche,�sociali�^che�hanno�condotto�al�particolare� quadro�normativo�in�materia,�dei�numerosi�fattori�che�hanno�prodotto�una� trasformazione�nel�settore�bancario�(quali��le�modificazioni�avvenute�nel� comparto�creditizio,�l'emanazione�della�nuova�legge�bancaria,�l'influsso�del� diritto�comunitario,�il�riconoscimento�della�natura�imprenditoriale�dell'atti- vita�creditizia�),�criticando�la�scelta�normativa�di�attribuire�alla�Banca�d'Ita- lia�la�competenza�antitrust,�esplicita�la�sua�opzione�interpretativa�a�favore� del�criterio�della�competenza�per�effetti�o�per�mercati�(24). �������� Intesa/Banca�Commerciale�Italiana,�in�Boll.�n.�48/1999;�provvedimento�dell'AGCM�n.�7771�del� 2�dicembre�1999,�Banca�Intesa/Banca�Commerciale�Italiana,in�Boll.�n.�48/1999�(mercati�interes- sati:�depositi,�impieghi,�mercati�della�gestione�e�distribuzione�dei�fondi�comuni�d'investimento,� gestione�e�distribuzione�dei�patrimoni�mobiliari,�produzione�e�distribuzione�dei�servizi�di�facto- ring);�provvedimento�dell'AGCM�di�avvio�d'istruttoria�n.�9191�del�7�febbraio�2001,�Carte�dipaga- mento�bancarie,in�Boll.�n.�5/2001;�provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�41�dell'11�luglio�2002,� Carte�dipagamento�bancarie,in�Boll.�n.�28/2002;�parere�dell'AGCM�del�27�giugno�2002,�Carte�di� pagamento�bancarie,in�Boll.�n.�26/2002.�In�quest'ultimo�caso�le�valutazioni�delle�due�autorita�si� sono�nettamente�divaricate.�L'AGCM�ha,�infatti,�ritenuto�che�il�mercato�delle�carte�di�credito� fosse�distinto�da�quello�delle�carte�di�pagamento,�mentre�la�Banca�d'Italia�ha�ritenuto�costituissero� un�unico�mercato.�Tuttavia,�l'AGCM�non�procede�piu�alla�costante�adozione�del�provvedimento� di�non�avvio�per�tutte�le�operazioni�di�cui�viene�a�conoscenza�^a�seguito�della�richiesta�di�parere� trasmessogli�dalla�Banca�d'Italia�^,�le�quali�siano�produttive�di�effetti�nei�mercati�di�propria�com- petenza�(cfr.,�in�tema�di�concentrazioni,�provvedimento�dell'AGCM�n.�9389,�Banque�Cortal/Cortal� Financial�Advisor�SIM,in�Boll.�n.�14/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�9458,�Banca�Lombardia� e�Piemontese/Veneta�Factoring,in�Boll.�nn.�16-17/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�9738,�Car- dine�Banca/Servizi,in�Boll.�nn.�27/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�9915,�Wind� Telecomunicazioni/Mobilmat,in�Boll.�nn.�35-36/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�10101,�Cassa� di�Risparmio�di�Ravenna-Bipop-Carire/Sorit�Ravenna,in�Boll.�n.�45/2001;�provvedimento�del- l'AGCM�n.�10367,�Banca�IntesaBCI/Epsilon�Associati�SGR,in�Boll.�n.�4/2002;�provvedimento�del- l'AGCM�n.�10461,�Gruppo�Intesa/Serit�Picena,in�Boll.�n.�9/2002).�L'atteggiamento�dell'AGCM�e� imputabile�alla�consapevolezza�dell'inutilita�di�una�duplicazione�di�valutazione�per�le�operazioni� la�cui�incidenza�sulla�concorrenzialita�del�mercato�sia�a�tal�punto�irrisoria�da�non�destare�il�ben- che�minimo�sospetto�di�un�pregiudizio�alla�concorrenza�nel�mercato�interessato.� Quanto�alle�intese,�(solo�nel�corso�del�2001)�in�ben�due�casi�l'AGCM�ha�proceduto�ad�emettere� un�autonomo�provvedimento�di�non�avvio�d'istruttoria�a�seguito�della�richiesta�di�parere�effettuata� dalla�Banca�d'Italia�(cfr.�provvedimento�dell'AGCM�n.�9750,�Assofin-contratto�di�finanziamento� revolvingecarta,in�Boll.�n.�28/2001;provvedimentodell'AGCMn.�9825,�Banca�diRoma/ToroAssi- curazioni,in�Boll.�n.�32/2001).�Il�duplicarsi�di�provvedimenti�nelle�ipotesi�considerate�e�indotto�dal� comportamento�stesso�delle�parti�che�hanno�comunicato�l'intesa,�le�quali,�in�ragione�sia�della�mol- teplicita�di�attivita�svolte,�sia�dell'incertezza�che�regna�nella�suddivisione�della�competenza�antitrust� tra�l'AGCM�e�la�Banca�d'Italia,�hanno�provveduto�a�comunicare�la�stessa�ad�entrambe�le�autorita�.� (24)�Cfr.�gia�gli�auspici�di�F. BuglionI ^V. MelI ^A. Rocchietti,�Linee�direttrici�dell'inter- vento�antitrust�nel�settore�bancario,in�Concorrenza�e�mercato:�Rassegna�degli�orientamenti�dell'Auto- rita�Garante,�9/2001,�335�ss.�(in�particolare�p.�349).�Da�ultimo�v.�AGCM,�Relazione�annuale� per�il�2002.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�applicazione�di�tale�criterio�sono�configurabili�tre�distinte�ipotesi:�nel�caso� di�fattispecie�omogenee�dal�lato�soggettivo�(in�quanto�realizzate�solo�da�soggetti� bancari),�e�competente�la�Banca�d'Italia,�purche�si�tratti�di�attivita�normativa- mente�riservate�alle�banche;�ancora,�nel�caso�di�fattispecie�omogenee�dal�lato� soggettivo,�ma�produttive�di�effetti�anche�su�mercati�non�normativamente�riser- vati�alle�banche,�accanto�alla�competenza�della�Banca�d'Italia�per�gli�effetti�sui� mercati�riservati,�sussiste�la�competenza�dell'AGCM,�per�gli�effetti�sui�mercati� non�riservati;�infine,�nel�caso�di�fattispecie�miste�dal�lato�soggettivo�(in�quanto� realizzate�sia�da�soggetti�bancari,�sia�da�soggetti�non�bancari),�se�gli�effetti�dell'o- perazione�si�producono�su�un�mercato�non�riservato�agli�enti�creditizi,�la�compe- tenza�spetta�all'AGCM.�Di�conseguenza,�nel�caso�di�specie,�relativo�ad�un'intesa� tra�un'impresa�bancaria�e�un'impresa�assicurativa,�produttiva�di�effettisolo�sul� mercato�assicurativo,�e�ritenuta�sussistente�la�competenza�dell'AGCM.� La�competenza�della�Banca�d'Italia�in�materia�antitrust viene�in�questa� maniera�interpretata�restrittivamente:�l'organo�di�vigilanza�settoriale�non�e� l'unico�soggetto�competente�all'applicazione�delle�regole�della�concorrenza� nei�confronti�delle�aziende�e�degli�istituti�di�credito�^come�avverrebbe,� invece,�adottando�un�criterio�di�competenza�c.d.�per�soggetti�^ma�divide�tale� competenza�con�l'ACGM.� Con�tale�opzione�ermeneutica,�implicitamente�il�Consiglio�di�Stato� prende�posizione�a�favore�di�un'estensione�quanto�piu�ampia�possibile�degli� standard di�valutazione�adottati�dall'Autorita�garante�e�quindi�di�un'applica- zione�uniforme�della�disciplina�concorrenziale,�anche�quando�ad�essere�coin- volti�siano�soggetti�bancari.�Difatti,�la�decisione�in�commento�non�solo�ha� ribadito�la�centralita�del�criterio�di�riparto�per�effetti,�conformemente�alla� consolidata�prassi�dell'AGCM,�ma�ne�ha�ulteriormente�ampliato�i�confini:� un'applicazione�coerente�dell'anamnesi�interpretativa�effettuata�dal�Consiglio� di�Stato�vede�sussistere�la�competenza�dell'AGCM�anche�in�casi�in�cui�la� stessa�Autorita�garante�si�e�dichiarata�incompetente�(ad�esempio,�in�tema�di� carte�di�pagamento)(25).� Militano�a�favore�di�tale�ricostruzione�non�solo�gli�argomenti�di�natura� sistematica�cui�si�e�fatto�riferimento�in�precedenza,�ma�anche�le�piu�recenti� innovazioni�introdotte�dal�legislatore�relativamente�agli�istituti�creditizi�e�gli� sviluppi�dei�mercati�finanziari.� All'uopo�giova�precisare�come,�ai�fini�dell'individuazione�dell'ambito�di� competenza�della�Banca�d'Italia,�l'art.�20,�secondo�comma,�adotta�un�criterio� di�tipo�soggettivo,�riferendosi�testualmente�alle��aziende�ed�istituti�di�cre- dito�.�Utilizzando�tale�criterio�la�legge�intendeva�far�riferimento�ad�una�ben� determinata�categoria�di�soggetti,�e�cioe�a�quelli�indicati�agli�artt.�5�e�41 �������� (25)�Infatti�il�settore�delle�carte�di�pagamento�non�rientra�fra�quelli�riservati�agli�istituti�di� credito�ai�sensi�dell'art.�10�del�testo�unico�bancario.�Cfr.�Segnalazione-parere�dell'AGCM�del� 9�maggio�2002,�Carte di pagamento bancarie, cit.;�provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�185/A� dell'11�luglio�2002,�cit.,�con�cui�la�Banca�d'Italia�ha�disposto�l'avvio�dell'istruttoria;�provvedi- mento�della�Banca�d'Italia�n.�200/A�del�23�gennaio�2003,�cit.,�con�cui�la�Banca�d'Italia�ha�proro- gato�il�termine�per�la�conclusione�del�procedimento�dal�31�gennaio�2003�al�31�maggio�2003.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� della�legge�bancaria�del�1936�e�agli�istituti�successivamente�abilitati�all'esercizio� del�credito�speciale,�operanti�con�compiti�specifici�in�un�determinato�settore� (�raccolta�del�risparmio�tra�il�pubblico�ed�esercizio�del�credito�)(26).�Ma,�a� seguito�di�alcune�fondamentali�modifiche�normative�(art.�1,�secondo�comma,�e� art.�5,�primo�comma,�del�D.�Lgs.�n.�481/1992;�art.�1,�secondo�comma,�e� art.�10,�terzo�comma,�del�testo�unico�bancario),�agli�enti�creditizi�e��ora�consen- tito�di�svolgere�non�solo�l'attivita��bancaria�ad�essi�riservata�in�via�esclusiva,�ma� anche�ogni�altra�attivita��finanziaria,�che�parimenti�puo��essere�esercitata�da�enti� non�creditizi.�Conseguentemente,�il�criterio�della�competenza�per�soggetti�non� coincide�piu��con�la�competenza�per�settore�di�attivita��(27).� In�secondo�luogo,�il�criterio�di�competenza�per�soggetti�non�e��l'unico�ad� essere�stato�previsto�nella�legge�antitrust.�Il�controverso�settimo�comma,�del- l'art.�20,�a�mente�del�quale�sussiste�una�competenza�parallela�delle�due�auto- rita��nelle�fattispecie�c.d.�miste,�va�inteso�e�cos|��e��stata�costantemente�inteso� dall'AGCM�nel�senso�che�di�fronte�a�tali�operazioni�si�debba�adottare�un�cri- terio�di�competenza�per�effetti,�in�base�al�quale�le�autorita��settoriali�dispon- gono�della�competenza�antitrust�se�e�in�quanto�l'operazione�esplichi�effetti� sul�mercato�sottoposto�alla�propria�vigilanza,�indipendentemente�dall'iden- tita��del�soggetto�che�realizza�l'operazione�(28). �������� (26)�Cfr.,in�tal�senso,ACGM,�Relazione�annuale�per�il�1991,�57ss.,secondo�cui�laderogadi� competenza�a�favore�della�Banca�d'Italia�e��da�intendersi�limitata�alle�imprese�cui�e��riservata�l'atti- vita��congiunta�di�raccolta�del�risparmio�presso�il�pubblico�e�di�erogazione�del�credito.� (27)�All'epoca�della�redazione�della�legge�antitrust��il�riferimento�alle�aziende�ed�istituti�di�cre- dito�equivaleva,�nella�mens�legislatoris,�all'attivita��bancaria�tout�court�:�cfr.�A. PatronI Griffi,� Antitrust�e�concentrazioni�bancarie,in�Giur.�comm.�1996,�395�ss.,�in�part.�400.�Sul�punto�cfr.�altres|�� L. Torchia,�Ilcontrollopubblico�dellafinanzaprivata,�Padova,�1992,�250;�F. GhezzI ^P. Mar- chetti,�Irapportidell'Autorita�garantedella�concorrenzaedelmercato�con�leautorita�divigilanzaset- toriali,in�Concorrenza�e�mercato�1993,�205�ss.,�in�part.�216�ss.�Del�resto,�sotto�un�diverso�profilo,� gia��al�momento�dell'emanazione�della�legge�antitrust�era�possibile�affermare�che�l'ambito�soggettivo� della�competenza�antitrust�attribuita�alla�Banca�d'Italia�non�coincidesse�con�i�suoi�piu��estesi�poteri� di�vigilanza�(basti�pensare�ai�poteri�conferiti�alla�Banca�d'Italia�ai�sensi�della�legge�23�marzo�1983,� n.�77,�sulla�disciplina�dei�fondi�comuni�d'investimento�mobiliare).�La�divaricazione�tra�l'ambito�sog- gettivo�dei�compiti�antitrust�della�Banca�d'Italia�e�quello�dei�suoi�compiti�di�controllo�di�stabilita��si� e��via�via�accentuata�a�partire�dai�poteri�attribuiti�all'istituto�con�la�legge�2�gennaio�1991,�n.�1,�istitu- tiva�delle�SIM,�nonche�con�la�legge�21�febbraio�1991,�n.�52,�sull'attivita��difactoring.� (28)�In�dottrina�aderiscono�a�siffatta�interpretazione�F. GhezzI ^P. Marchetti,�Irapporti� dell'Autorita�garantedellaconcorrenzaedelmercatoconleautorita�divigilanzasettoriali,�cit.,�225�e� 226;�Id.,�L'Autorita�garantedellaconcorrenzaeleautorita�divigilanzasettoriali:�iprincipieleproce- dure�di�applicazione�della�legge�n.�287/1990�nei�settori�speciali,in�Concorrenza�e�mercato�1994,�163� ss.;�R. AlessI ^G. Olivieri,�La�disciplina�della�concorrenza�e�del�mercato,�Torino,�1991,�124;�A. Bettin,�Art.�20�della�legge�antitrust,�in�Commentario�breve�al�diritto�della�concorrenza�acuradi�P.� Marchetti�e�L.�C.�Ubertazzi,�Padova,�1997,�452�ss.,�in�part.�456.�L'interpretazione�accolta�nel�testo� non�e��l'unica�ad�essere�stata�prospettata.�Secondo�alcuni�Autori,�sussiste�la�competenza�esclusiva� della�Banca�d'Italia�anche�quando�l'operazione�esplica�effetti�al�di�fuori�del�settore�creditizio,�pro- spettando�una�diversa�interpretazione�del�comma�VII�che�dovrebbe�essere�riferito�ai�provvedimenti� delle�autorita��di�settore�diversi�da�quelli�di�applicazione�della�legge�sulla�concorrenza:�cfr.�R. Costi,� Le�concentrazioni�bancarie�e�la�legge�antitrust,�in�Banca�impresa�e�societa�1991,�399�ss.;�P. Mar- chettI ^M. Monti,�Ilsistemafinanziarionelladisciplina�dellaconcorrenza:�ilquadro�internazionale� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Tale�criterio�conduce,�per�una�medesima�operazione,�ad�un�sistema� binario�di�competenze�antitrust nel�caso�di�operazioni�miste�in�senso�ogget- tivo,�intese�come�operazioni�che�producono�effetti�su�mercati�diversi:�la�com- petenza�della�Banca�d'Italia�si�limita�alla�valutazione�degli�effetti�delle�opera- zioni�sui�mercati�riservati�agli�enti�creditizi;�quella�dell'AGCM�riguarda�gli� effetti�che�tali�operazioni�producono�su�altri�mercati,�venendo�cos|�ad�effet- tuare�una�scomposizione�degli�effetti�economici�dell'operazione(29).� Infatti,�il�criterio�della�competenza�per�effetti�viene�applicato�non�solo� nell'ipotesi�di�operazioni�miste�dal�punto�di�vista�soggettivo,�ossia�di�opera- zioni�alle�quali�partecipino�imprese�sottoposte�al�controllo�antitrust da�parte� di�piu�autorita�,�ma�anche�nell'ipotesi�di�operazioni�omogenee�dal�punto�di� vista�soggettivo,�qualora�un'operazione�posta�in�essere�solo�da�soggetti�ban- cari�spieghi�i�suoi�effetti�sia�su�mercati�riservati,�sia�su�mercati�non�riservati� (operazioni�miste�dal�punto�di�vista�oggettivo).� In�altri�termini,�a�causa�del�mutamento�del�contesto�di�riferimento,�si� rovescia�quello�che�era�l'originario�impianto�della�norma,�venendosi�ad�adot- tare�un�criterio�di�riparto�di�competenze�funzionale�agli�effetti�prodotti�sui� vari�mercati,�assorbendo�di�fatto�il�criterio�della�competenza�per�soggetti.� 6. ^Conclusioni. La�delicata�disciplina�che�si�e�cercato�di�illustrare�pre- senta�due�principali�aspetti��critici�:�le�divergenze�esistenti�nei�canoni�valuta- tivi�delle�due�autorita�e�l'adozione�di�differenti�criteri�nel�riparto�delle�rispet- tive�competenze.� Quanto�al�primo�profilo,�la�constatazione�e�allarmante�giacche�non�solo,� come�si�e�detto,�si�ritiene�che�la�normativa�antitrust debba�trovare�un'applica- zione�tendenzialmente�piena�anche�nel�settore�bancario,�ma�soprattutto�per- che�l'AGCM�non�dispone�di�alcun�poter�di�impugnativa�verso�un�provvedi- mento�della�Banca�d'Italia�di�cui�non�condivida�le�motivazioni.�Al�contrario,� nell'ordinamento�statunitense,�che�e�normalmente�indicato�come�l'unico�altro� sistema,�oltre�a�quello�italiano,�che�abbia�optato�per�la�(peraltro�parziale)� sottrazione�della�competenza�relativamente�al�settore�bancario�all'autorita� deputata�all'applicazione�delle�norme�antitrust in�via�generale(30),�la �������� e�la�normativa�italiana,�in�AA.VV.,�L'integrazione europea e la regolamentazione dei mercatifinan- ziari,�Milano,�1992,�56);�a�detta�di�altri,�invece,�sussiste�la�competenza�esclusiva�dell'AGCM�anche� quando�un'operazione�esplica�effetti�sul�mercato�propriamente�creditizio,�se�all'operazione�prenda� parte�almeno�un�soggetto�diverso�dalle�imprese�bancarie:�cfr.�L.C. Ubertazzi,�Diritto nazionale antitrust�ed imprese bancarie,in�Diritto antitrust�italiano,�a�cura�di�A.�Frignani,�R.�Pardolesi,�A.� Patroni�Griffi,�L.C.�Ubertazzi,�Bologna,�1993,�vol.�II,�1053�ss.� (29)�Il�criterio�e�stato�fatto�proprio�dall'AGCM�fin�dalle�prime�applicazioni�della�legge�anti- trust:�cfr.�Provvedimento�dell'AGCM�n.�136�del�6�agosto�1991,�Banca Manusardi/Fideuram,in�Boll.� n.�6/1991.� (30)�La�Federal Trade Commission,�infatti,�non�ha�azione�sulle�concentrazioni�bancarie.�L'ap- plicazione�delle�norme�rilevanti�spetta�alle�apposite�agencies che�esercitano�la�vigilanza�regolamen- tare�(la�ripartizione�delle�competenze�e�alquanto�complessa;�essa�segue�sostanzialmente�quella�pre- vista�per�la�vigilanza,�che�prevede�diverse�agenzie�federali�a�seconda�del�tipo�di�banca�e�del�tipo�di� attivita�esercitata.�L'autorita�che�ha�la�competenza�nei�confronti�della�maggior�parte�delle�fattispe- cie�e�comunque�il�Federal Reserve Board,�ovvero�l'autorita�di�vigilanza�su�tutte�le�banche�che� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� posizione�del�Department�of�Justice�(nel�prosieguo,�DOJ)�in�relazione�alle� concentrazioni�bancarie�non�e�solo�consultiva,�come�quella�chiaramente� attribuita�all'Autorita�garante�dalla�legge�n.�287/1990.�Il�DOJ�ha�il�potere�di� impugnare�i�provvedimenti�presi�dalle�agencies�di�settore�e�di�iniziare�un'a- zione�legale�di�opposizione�alle�operazioni�che�esso�ritiene�in�violazione�delle� norme�antitrust.�Potere�che�e�stato�in�effetti�utilizzato,�almeno�come�arma� per�costringere�le�parti�ad�adeguarsi�agli�standard�seguiti�dal�DOJ(31).� Conflitto,�quindi,�ma�che�trova�la�sua�soluzione�non�nella�prevalenza�di� un'autorita�sull'altra�o,�peggio,�dell'autorita�bancaria�su�quella�della�concor- renza,�ma�in�un�giudizio�davanti�ad�una�corte�indipendente(32). �������� aderiscono�al�Federal�Reserve�System).�Peraltro�la�competenza�dell'autorita�settoriale�non�e�esclu- siva,�ma�concorrente:�l'autorita�di�volta�in�volta�competente�deve�infatti�consultare�l'Attorney� General,�che�ha�comunque�il�potere�di�impugnare�sempre�la�decisione�di�autorizzazione�della�con- centrazione�presa�dall'agenzia�competente.� Sull'applicazione�della�disciplina�antitrust�al�settore�bancario�negli�U.S.A.�cfr.�E.W. Kintner,� Federal�Antitrust�Law.�IX:�Antitrust�Exemptions,�Specific�Industries�and�Activities,�Cincinnati,�Oh.,� Anderson,�1989-96,�105�ss.;,�B. Shull,�The�OriginsofAntitrustinBanking:�AnHistoricalPerspective,� cit.,255;�L. J. White,�Banking,Mergers,�andAntitrust:HistoricalPerspectives,�andtheResearchTasks� ahead,�cit.,�323�e�A.S. Blinder,�AntitrustandBanking,�cit.,�1996,�447;�B. ShulL ^L.J. White,�Asym- posium�on�the�changes�in�banking,�with�implicationsfor�antitrust:�introduction,in�Antitrust�Bull.�2000,� II,�553�ss.;�M. Monti,�International�cooperation�in�antitrust:�US/EU�and�beyond,in�Antitrust�Law� Journal�2001,�vol.�69,�361�ss.�Per�una�disamina�comparativa�tra�l'esperienza�statunitense,�quella� comunitaria�e�quella�italiana�v.�G. Rossi,�Governo,�Magistraturae�Autorita�Garante:�tre�diversefiloso- fie�dell'antitrust,�in�Riv.�soc.�2000,�II,�1081�ss.,�che�auspica�una�riforma�dell'art.�20�(p.�1097).� (31)�Ad�esempio,�nel�caso�dell'acquisizione�da�parte�del�Fleet/Nortstar�Financial�Group�della� BankofNew�England(sulla�quale�cfr.�D.I. Baker,�Searchingfor�an�Antitrust�Beacon�in�the�BankMer- ger�Fog,in�Antitrust�Bull.�1992,�651),�il�Board�si�apprestava�ad�autorizzare�l'acquisizione�della�Bank� ofNew�Englandda�parte�di�un�gruppo�bancario�con�una�notevole�posizione�di�mercato.�Il�DOJprese� posizione�sull'operazione,�affermando�che�questa�avrebbe�comportato�una�grave�restrizione�della� concorrenza�su�una�serie�di�piccoli�mercati�locali�nello�stato�del�Maine,�e�chiedendo�al�Board�di� imporre�all'acquirente�di�attenuare�gli�effetti�anticompetitivi�dell'operazione�mediante�l'impegno�di� vendere�le�filiali�situate�in�Maine�ad�un�concorrente�estraneo�all'acquisizione.�Il�Board,�discostandosi� dall'opinione�del�DOJ,�emise�un�provvedimento�autorizzatorio�della�concentrazione,�sulla�basedi� motivazioni�che�dimostravano�in�modo�eloquente�il�diverso�approccio�agli�antitrustconcerns�rispetto� a�quello�del�DOJ.�Applicazione�della�convenience�and�needs�defense�attraverso�argomentazioni�di� carattere�generale.�In�effetti�il�DOJnon�si�dichiaro�soddisfatto�delle�argomentazioni�del�Board,�e�insi- stette�sul�carattere�anticompetitivo�dell'operazione�e�sulla�necessita�di�imporre�dei�rimedi.�La�conclu- sione�della�storia,�che�offre�non�pochi�spunti�di�riflessione,�e�che�l'impresa�acquirente�decise�di�sotto- porsi�alle�misure�correttive�indicate�dal�DOJper�evitare�che�questo,�in�base�al�potere�conferitogli�dalle� norme�federali,�impugnasse�il�provvedimento�del�Boardin�sede�giudiziale.� (32)�Come�e�stato�giustamente�rilevato�(cfr.�F. DenozzA ^A. Stabilini,�Rapporti�epossibili� conflitti�tra�le�autorita�preposte�all'applicazione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al� settore�bancario,�cit.,�427�e�428),��Nulla�impone�che�la�liberta�di�concorrenza�sia�l'unico�o�il�preva- lente�valore�tutelato�dall'ordinamento�nella�disciplina�dei�rapporti�economici.�[...]�Tuttavia,�nell'o- perare�questo�tipo�di�scelte,�alcuni�principi�appaiono�irrinunciabili:�1)�il�legislatore,�e�non�una�o� piu�autorita�amministrative,�deve�farsi�carico�di�scegliere�se�e�in�che�misura�comprimere�gli�obiettivi� di�tutela�della�concorrenza�a�favore�di�obiettivi�differenti,�fornendo�alle�autorita�incaricate�di�appli- care�la�disciplina�criteri�di�valutazione�chiari,�trasparenti�e�predeterminati;�2)�qualora�il�legislatore� scegliesse,�per�attuare�il�contemperamento�tra�i�diversi�obiettivi,�di�affidare�l'applicazione�delle� norme�a�piu�autorita�,�esso�avrebbe�il�dovere�di�definire�in�modo�inequivocabile�le�rispettive�compe- tenze�e�in�ogni�caso�di�affidare�la�soluzione�degli�eventuali�conflitti�ad�un'istituzione�terza�rispetto� ad�esse�che,�ci�pare,�altro�non�deve�essere�se�non�un�giudice�che�abbia�come�obiettivo�quello�della� tutela�dei�diritti�soggettivi�degli�individui�.�Cfr.,�anche,�F. Denozza,�Il�disegno�di�legge�antitrust:� qualcheproblema��tecnico�,in�Giur.�comm.�1988,�I,�756�ss.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Quanto�al�secondo�profilo,�non�e�solo�la�conflittualita�esistente�tra�i�cri- teri�adottati�dalle�due�Autorita�ai�fini�del�riparto�di�competenze�a�venire�in� questione�(relativamente�alla�quale�il�Consiglio�di�Stato�e�intervenuto�^si� auspica�^risolutivamente�con�la�decisione�in�epigrafe),�ma�la�stessa�ragion� d'essere�di�tale�riparto.� In�primo�luogo,�nel�sistema�attuale,�non�e�piu�avvertita�quella�conflig- genza�tra�obiettivi�di�stabilita�e�tutela�della�concorrenza,�prima�tanto�temuta� dagli�operatori.�Si�e�verificata�un'evoluzione�nel�modo�di�intendere�la�stabi- lita�del�settore,�ritenendosi�che�quest'ultima�tragga�vigore�anche�da�un'effet- tiva�concorrenza�(33).�Siffatta�evoluzione�si�e�verificata�anche�sul�piano�legi- slativo�e�regolamentare,�segnato,�appunto,�dal�passaggio�dalla��indifferenza� della�vecchia�legge�bancaria�[...]�ad�un�cauto�e�per�alcuni�versi�preoccupato� riconoscimento�del�valore�concorrenza��(34).� Inoltre,�il�sistema�attuale�determina�una�frantumazione�e�una�sovrappo- sizione�di�competenze�che,�a�loro�volta,�conducono�a�duplicazioni�ed�aggra- vamenti�procedimentali.� Tutto�cio�risulta�difficilmente�giustificabile�sia�in�via�generale,�stante�la� consapevolezza�sempre�piu�radicata�della�necessita�di�semplificare�i�procedi- menti�amministrativi,�sia�nello�specifico,�vista�la�rilevanza�del�fattore�tempo- rale�e�della�certezza�procedurale�nel�diritto�antitrust,�che�non�sopporta�lun- gaggini�e�complicazioni.� Inoltre,�in�prospettiva,�le�competenze�dell'AGCM�si�estenderanno�sem- pre�piu�,�essendo�poche�le�attivita�riservate�agli�enti�creditizi�e,�di�contro,�mol- teplici�le�attivita�che�gli�enti�creditizi�possono�svolgere�in�concorrenza�con� altri�soggetti.� La�scelta�di�affidare�in�un�dato�settore�ritenuto�speciale�la�competenza� decisoria�all'autorita�di�vigilanza�settoriale,�previo�parere�dell'autorita�gene- ralmente�competente�in�materia�antitrust,�appare�recessiva,�dal�momento� che�e�stata�superata�anche�nel�settore�delle�comunicazioni�di�massa,�in�cui� inizialmente�era�stata�parimenti�prevista.�Attualmente,�in�tutti�i�settori�repu- tati�particolari�sotto�il�profilo�antitrust�(assicurazioni,�comunicazioni�di� massa),�in�quanto�caratterizzati�dalla�presenza�di�interessi�pubblici�ulteriori �������� (33)�Cfr.�I. Musu,�Il�valore�della�concorrenza�nella�teoria�economica,in�La�concorrenza�tra� economia�e�diritto,�a�cura�di�N.�Lipari�e�I.�Musu,�Milano,�2000,�5�ss.;�G. MinervinI ^M. Onado,� Efficienza�dei�sistemifinanziari�e�tutela�del�risparmio:�disciplina�o�deregolamentazione?,�ivi,�235�ss.� (34)�Cos|�A. Antonucci,�La�concorrenza�bancaria,in�Dir.�banc.�merc.finanz.�1997,�527�ss.,�che� prospetta�anche�la�ricostruzione�della�stratificata�normativa�in�materia.�Parla�di�spostamento�del� baricentro�da�un�sistema�normativo�oligopolistico�ad�un�sistema�concorrenziale�N. Salanitro,� La�concorrenza�nel�settore�bancario,in�Banca,�borsa�e�tit.�cred.�1996,�757�ss..�In�senso�analogo�cfr.� pure�Banca�d'Italia,�La�tutela�della�concorrenza�nel�settore�del�credito,�Roma,�1992,�36�ss.�e�315�ss..� Sulla�Direttiva�CE�20�marzo�2000,�n.�12/2000,��testo�unico��in�materia�bancaria,�a�seguito�della� quale��compito�dell'autorita�di�vigilanza�bancaria�della�Comunita�,�e�pertanto�anche�della�Banca� d'Italia,�e�di�garantire�la�concorrenzialita�delle�imprese�bancarie,�compatibilmente�con�la�stabilita� del�sistema,�esercitando�una�vigilanza�prudenziale�,�cfr.�F. MerusI ^M. Passaro,�voce�Autorita� indipendenti,in�Enc.�dir.,�Aggiorn.,�vol.�VI,�2002,�p.�147.�In�tema�cfr.�altres|�F. Merusi,�Democrazia� e�autorita�indipendenti,�Bologna,�2000,�48�ss.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� rispetto�a�quello�concorrenziale,�il�modello�di�competenza�adottato�si�arti- cola�su�una�competenza�decisoria�dell'autorita��generale�antitrust,�sia�pure� previo�parere�dell'autorita��di�vigilanza�del�settore,�quest'ultimo�inteso�a�valo- rizzare�le�peculiarita��del�settore(35).�Il�mancato�completo�accentramento� dei�poteri�antitrust�in�capo�ad�un'unica�autorita��generale�non�solo�costituisce� un�modello�ormai�in�via�di�superamento�in�Italia,�ma�rappresenta�anche� un'eccezione�se�posto�a�confronto�sia�con�quello�esistente�nel�diritto�comuni- tario,�in�cui�le�imprese�bancarie�soggiacciono�al�regime�comune�antitrust� applicato�dalla�Commissione,�sia�con�quello�fatto�proprio�da�tutti�gli�altri� paesi�occidentali(36).� Tutto�cio��porta�a�ritenere�sempre�piu��pressanti�le�ragioni�favorevoli�ad� un�mutamento�radicale�del�sistema�di�competenze�antitrust�nel�settore�banca- rio,�che�attribuisca�all'AGCM�la�competenza�esclusiva�nell'applicazione�della� disciplina�generale�della�concorrenza(37).� Dott.ssa�Cristina�Giorgiantonio� Consiglio di Stato, Sezione sesta, sentenza 16 ottobre 2002, n. 5640 ^Presidente�Ruoppolo� Estensore�Montedoro�^Autorita��garante�della�concorrenza�e�del�mercato�(Avv.�dello� Stato�I.M.�Braguglia,�ct.22503/1997)�c/o�A.G.�S.p.A.,�U.�S.p.A.�ed�altri.� Qualora�in�un�mercato�operino�sia�aziende�ed�istituti�di�credito�sia�altri�soggetti,�la�valuta- zione�degli�effetti�concorrenziali�dell'operazione�sul�mercato�interessato,�non�riservato�agli�enti� creditizi,�compete�all'Autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato.� Qualora�in�unafattispecie�siano�coinvolte�solo�aziende�o�istituti�creditizi�la�Banca�d'Italia�e� competente�ad�applicare�la�disciplina�antitrust�sempre�che�si�tratti�di�attivita�riservate�per�legge� alle�banche. �������� (35)�Infatti,�l'art.�20,�comma�I,�della�legge�antitrust,�che�demandava�l'applicazione�della�legge� medesima�al�Garante�per�la�radiodiffusione�e�l'editoria�nei�confronti�delle�imprese�operanti�in�tali� settori,�e��stato�abrogato�dall'art.�1,�sesto�comma,�lett.�c),�nn.�9�e�11,�della�legge�31�luglio�1997,� n.�249,�venendosi�ad�assoggettare�anche�le�imprese�operanti�nei�settori�della�radiodiffusione�e�del- l'editoria�alla�competenza�dell'AGCM,�previo�parere�dell'autorita��di�vigilanza�settoriale.�Lo� schema�da�ultimo�adottato�nel�settore�delle�comunicazioni�di�massa�ricalca�lo�schema�gia��esistente� fin�dall'origine�nel�settore�assicurativo,�in�cui�la�competenza�ad�applicare�la�legge�n.�287/1990� spetta�all'AGCM,�mentre�l'autorita��di�vigilanza�del�settore,�ossia�l'ISVAP,�e��coinvolta�nel�procedi- mento�antitrust�solo�quale�organo�consultivo�(art.�20,�quarto�comma).� (36)�Nel�diritto�comunitario�si�applicano�integralmente�gli�artt.�81�e�82�del�Trattato�nel�settore� creditizio,�senza�alcuna�possibilita��di�considerare�le�banche�imprese�incaricate�della�gestione�di�ser- vizi�di�interesse�generale�ex�art.�86,�secondo�comma;�cio��a�partire�dalla�nota�sentenza�della�Corte� di�Giustizia�14�luglio�1981,�C�172/1980,�Zuchner,�in�Foro�it.�1982,�IV,�c.�473�ss.,�con�nota�di�V. Sinini;�sul�punto�cfr.�O. Morello,�Le�banche�e�le�regole�comunitarie�sulla�concorrenza,in�Il�dir.� com.�scambi�intern.�1997,�7�ss.;�M.T. D'Alessio,�Art.�81�Tr.,�in�F.�Pocar�(a�cura�di),�Commentario� breve�ai�Trattati�della�Comunita�e�dell'Unione�europea,�Padova,�2001,�370�e�371.� (37)�In�tal�senso�si�vedano�le�numerose�proposte�di�legge�dell'attuale�legislatura:�art.�15,�quinto� comma,�d.d.l.�n.�2224,�Camera,�di�iniziativa�Tabacci�e�altri;�art.�14,�quinto�comma,�d.d.l.�n.�956,� Senato,�di�iniziativa�Amato�e�altri;�art.�14,�quinto�comma,�d.d.l.�n.�2052,�Camera,�di�iniziativa�Letta� e�altri.�In�dottrina�si�sono�espressi�a�favore�dell'abolizione�dell'art.�20.�A. PatronI Griffi,Anti- trust�e�concentrazioni�bancarie,�cit.,�397;�M. Siri,�Art.�20,�cit.,�569;�G. Rossi,�Il�conflitto,�cit.,52e� 53;�Id.,�Governo,�Magistratura,�Autorita�garante:�tre�diversefilosofie�dell'antitrust,�in�Riv.�soc.�2000,� 1081�ss.�Cfr.�altres|��AGCM,�Relazioneannualeper�il2001,�26�e�27.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Se�un'operazione�produce�effetti�su�piu�mercati,�bancari�e�non�bancari,�sussistera�,�unita- menteallacompetenzadellaBancad'Italia,�lacompetenzadell'Autorita�perglieffettisuimer- cati�non�bancari�(nel�caso�di�specie,�la�competenza�spetta�all'Autorita�,�trattandosi�di�un�accordo� per�la�distribuzione�diprodottiassicurativifra�un'impresa�bancaria�e�un'impresa�assicurativa:� il�mercato�rilevante�e�quello�assicurativo�e�l'intesa�non�esplica�i�suoi�effetti,�ne�diretti,�ne�indiretti� sul�mercato�bancario).� (Legge�10�ottobre�1990,�n.�287,�art.�20).� �(Omissis)�Deve�in�primo�luogo�essere�delibato�il�primo�motivo�di�ricorso,�relativo� all'incompetenza�dell'Autorita�Antitrust.� L'art.�20�della�legge�n.�287/1990�titolato�Aziende�ed�istituti�di�credito,�imprese�assicura- tive�e�dei�settori�della�radiodiffusione�e�dell'editoria�individua�e�disciplina�le�fattispecie�alle� qualisiapplicanole�disposizionispecialidicuialCapoIVdellaleggen.�287/1990.� Ilricorsodiprimo�gradosostienecheinparticolare,�perquanto�attiene�agliistituti�dicredito,� i�commi�2�e�3�del�suddetto�articolo,�stabiliscono�che�nei�confronti�delle�aziende�e�degli�istituti�di� credito�l'applicazione�degli�articoli�2,�3,�4,�e�6�spetta�alla�competente�autorita�di�vigilanza� (art.�20comma2)echei�provvedimentidelleAutorita�divigilanzadicuiaicommi1e2inappli- cazione�degli�artt.�2,�3,�4�e�6�sono�adottati�sentito�il�parere�dell'Autorita�Garante�della�concor- renza�e�del�mercato�di�cui�all'art.�10,�che�si�pronuncia�entro�trenta�giorni�dal�ricevimento�della� documentazione�posta�a�fondamento�del�provvedimento.�Decorso�inutilmente�tale�termine�l'Au- torita�di�vigilanza�puo�adottare�il�provvedimento�di�sua�competenza�(art.�20�comma�3)�.� Il�legislatore�^secondo�l'impostazione�del�ricorso�di�primo�grado�^avrebbe�sottratto� inequivocabilmente�alla�competenza�generale�in�materia�di�intese�restrittive�della�concor- renza�e�del�mercato�dell'Autorita�Garante�ogni�potere�ispettivo,�autorizzatorio�e/o�sanziona- torio�in�ordine�ad�ipotesi�restrittive�che�interessino�aziende�o�istituti�di�credito.� A�riprova�dell'assunto�si�considera�il�comma�3�dell'art.�20�che,�invertendoilprincipio� generale�per�cui�l'Autorita�debba�richiedere�il�parere�dell'organo�tecnico�di�volta�in�volta� competente,�qualora�i�provvedimenti�finali�siano�destinati�a�spiegare�i�loro�effetti�nei�con- fronti�di�aziende�di�credito,�prevede�che�sia�l'Istituto�di�Vigilanza�a�richiedere�il�parere�del- l'Autorita�,�la�quale�ultima�agisce,�quindi�nel�caso,�non�piu�nell'esercizio�dei�suoi�poteri�deci- sionali�ma�solo�ed�esclusivamente�con�funzioni�consultive.� Si�rileva�che�U.�e�un�noto�istituto�bancario�e�si�eccepisce�l'incompetenza�dell'Autorita� Garante.� Quanto�alla�circostanza�che�nell'intesa�sia�coinvolta�poi�un'impresa�assicuratrice�essa� non�farebbe�venir�meno�la�competenza�di�Banca�d'Italia�come�comprovato�anche�dall'ac- cordo�in�merito�alle�procedure�applicative�dell'art.�20�della�legge�10�ottobre�1990�n.�287�sot- toscritto�in�data�4�marzo�1996�fra�Autorita�e�Banca�d'Italia.� L'accordo�non�pregiudica�l'applicazione�delle�norme�primarie�e�poi�prevede�interscambio� informativo�stabilendo�che�quando�l'operazione�coinvolga�enti�creditizi�l'adozione�del�provve- dimento�di�avvio�dell'istruttoria�spetti�alla�Banca�d'Italia,�organo�di�vigilanza�del�settore.� In�particolare�poi�la�disciplina�convenzionale�prevederebbe�nelle�ipotesi�in�cui�le�quote� di�mercato�detenute�dalle�parti�coinvolte�nell'operazione�di�concentrazione�sui�mercati�rile- vanti�risultino�superiori�al�15%:� che�le�imprese�possano�inviare�la�comunicazione�di�cui�all'art.�13�legge�n.�287/1990�ad� una�delle�due�istituzioni�che�provvedera�a�trasmetterla�all'altra�per�le�opportune�valutazioni� nell'ambito�delle�relative�competenze;� che�le�due�istituzioni�si�scambino�le�informazioni�in�loro�possesso;� che,�qualora�non�emergano�ad�un�primo�esame�elementi�per�l'avvio�dell'istruttoria�la� Banca�d'Italia�solleciti�il�parere�all'Autorita�Garante�che�lo�redige�nella�formulazione�sinte- tica�ovvero�articolata�qualora�invece�ritenga�che,�dalla�valutazione�dell'operazione,�emer- gano�sufficienti�elementi�per�l'avvio�dell'istruttoria;� che�la�Banca�d'Italia�nel�caso�in�cui�ravvisi�gli�estremi�per�l'avvio�dell'istruttoria� emette�il�relativo�provvedimento;� che,�finita�l'istruttoria,�la�Banca�d'Italia�trasmetta�all'Autorita�tutte�le�ulteriori�infor- mazioni�pervenute�in�suo�possesso;� che,�acquisite�le�informazioni,�la�Banca�d'Italia�richieda�il�parere�all'Autorita�;� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� che,�infine�la�Banca�d'Italia�emetta�il�provvedimento�di�cui�all'art.�20�e�diconcerto� con�l'Autorita�valuti�l'opportunita�di�pubblicarlo�sul�Bollettino�dell'Autorita�.� Si�lamenta�l'obliterazione�totale�della�procedura�consensualmente�stabilita.� La�doglianza�e�infondata.� La�norma�di�cui�all'art.�20�della�legge�n.�287/1990�e�stata�^come�e�noto�^oggetto�di� una�vivace�dialettica�fra�le�autorita�entrambe�impegnate,�nei�loro�diversi�livelli�di�responsabi- lita�,�a�fornire�il�contributo�alla�completa�attuazione�del�sistema�di�tutela�della�concorrenza� nell'ambito�nazionale.� La�peculiarita�del�settore�bancario�e�riconosciuta�normativamente�dal�legislatore�nazio- nale�antitrust.� Essa�deriva�da�una�lunga�storia,�istituzionale�ed�economica,�dall'alveo�e�dal�crogiuolo�di� avvenimenti�da�cui�e�sorta�la�vecchia�legge�bancaria,�la�cui�presenza,�unitamente�alla�qualifi- cazione�dell'impresa�bancaria�come�impresa�pubblica,�faceva�ritenere�che�nel�settore�la�con- correnza�dovesse�giocare�un�ruolo�residuale.� Si�affermava�che�il�settore�bancario�era�cos|�pesantemente�regolato,�sottoposto�ad�una� disciplina�tanto�stretta�e�pregnante�che�le�regole�del�gioco�concorrenziale�finivano�per�essere� svisate�in�radice.� Tuttavia�nel�tempo,�le�modificazioni�avvenute�nel�comparto�creditizio,�l'emanazione� della�nuova�legge�bancaria,�l'influsso�del�diritto�comunitario,�il�riconoscimento�della�natura� imprenditoriale�dell'attivita�creditizia,�hanno�condotto�all'applicabilita�al�settore�bancario� della�normativa�comunitaria�antitrust,�non�convincendo�la�riconduzione�degli�enti�creditizi� nell'ambito�delle�imprese�di�interesse�generale�di�cui�all'ex art.�90�comma�2�del�Trattato�CE� (Corte�di�Giustizia�nel�caso�Zuchner Corte�giustizia�Comunita�europee,�14�luglio�1981,� n.�172/1980).� In�sede�comunitaria�non�e�prevista�alcuna�distinta�regolamentazione�per�il�settore�ban- cario,�esso�risulta�pienamente�attratto�ad�un�regime�comune,�amministratonella�suainte- rezza�dalla�Commissione�CE.� Elementi�specifici�di�diretta�pertinenza�tecnico-bancaria�sono�in�quella�sede�recuperati� sul�piano�procedimentale�attraverso�la�valorizzazione�di�sub-procedimenti�consultivi.� Le�scelte�del�legislatore�nazionale�appaiono�orientate�in�modo�diverso.� Non�accogliendo�la�prospettiva�piu�radicale�che�mirava�a�fare�del�comparto�bancario�un� esempio�paradigmatico�di�politica�delle�eccezioni�in�materia�antitrust ed�in�considerazione� della�maturata�consapevolezza�che�le�regole�della�concorrenza�hanno�assunto�un'importanza� cruciale�nell'allocazione�delle�risorse�finanziarie�e�nel�mondo�economico,�tanto�che�nessun� agente�economico�dovrebbe�essere�loro�sottratto,�il�legislatore�nazionale�ha�salvato�le�esi- genze�di�specificita�dell'attivita�bancaria�e�la�riconducibilita�degli�interessi�pubblici�ad�essa� connessi�all'art.�47�della�Costituzione�e�non�solo�all'art.�41�della�Carta,�derogando�alla�com- petenza�generale�dell'Autorita�Garante�e�prevedendo�l'attribuzione�di�poteri�antitrust alla� Banca�d'Italia.� La�scelta�effettuata�non�e�stata�tuttavia�formulata�in�modo�chiaro�ed�inequivoco,�ha� dato�luogo�a�rilievi�sul�piano�tecnico�ed�e�tuttora�foriera�di�incertezze�applicative,�per�la� frantumazione�delle�competenze�che�e�spesso�causa�di�conflitti�nei��casi�di�confine�.� In�particolare�vi�e�una�netta�differenziazione�di�competenze�e�moduli�organizzativi�e� procedimentali�dei�controlli�antitrust�nel�settore�assicurativo�ed�in�quello�bancario.� Il�raccordo�istituzionale�e�diversamente�regolato�dall'art.�20:�nel�caso�del�settore�assicu- rativo�il�potere�decisorio�resta�radicato�presso�l'Autorita�Antitrust�di�cui�all'art.�10�della� legge�n.�287/1990�e�l'Autorita�di�settore�e�implicata�nella�vicenda�procedimentale�quale� organo�consultivo,�mentre�nel�caso�del�settore�bancario�si�assiste�ad�uno�spostamento�di� competenza�in�capo�alle�amministrazioni�tutorie�ed�e�il�Garante�della�concorrenza�ad�inter- venire�questa�volta�mediante�l'espressione�di�pareri�facoltativi�ma�non�vincolanti�ai�sensi�del- l'art.�20�comma�3�della�legge�n.�287/1990.� Non�appare�chiara�la�ragione�di�siffatta�differenziazione:�essa�si�deve�ritenere�il�frutto�di� configurazioni�istituzionali�formatesi�storicamente.� Critiche,�sul�piano�della�coerenza,�al�modello�che�ha�concentrato�in�un'unica�autorita�,� per�il�settore�bancario,�le�funzioni�di�vigilanza�e�di�controllo�antitrust sono�venute�anche� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� dalla�dottrina�che�ha�notato�come�le�finalita��di�un'azione�di�vigilanza�diretta�alla�stabilita�� complessiva�del�sistema�finanziario�(art.�5�della�nuova�legge�bancaria)�divergano�dalle�fina- lita��del�controllo�dei�comportamenti�anticoncorrenziali.� Nel�primo�caso�si�mira�ad�uno�sviluppo�armonico�e�senza�traumi�del�mercato,�accor- dando�importanza�relativa�al�numero�degli�operatori,�mentre�la�disciplina�della�concorrenza� ha�la�finalita��di�conservare�le�condizioni�di�un�mercato�dinamico,�efficiente�e�vivace,�animato� da�una�pluralita��di�competitori,�nel�quale�vengano�tutelati�in�primo�luogo�gli�interessi�dei� consumatori.� Si�evidenzia�per�questo�verso�il�rischio�(che�per�certi�versi�per�taluni�sarebbe�piuttosto� un�obiettivo�del�sistema)�che�nelle�concrete�scelte�di�intervento�l'autorita��di�settore�possa�per- seguire�(o�tener�conto)�anche�(del)le�finalita��di�tutela�degli�interessi�pubblici�ulteriori�affidati� alla�sia�cura,�cos|��modulando�in�modo�peculiare�l'antitrust bancario�nell'effettivita��delle� scelte�amministrative�di�regolazione.� Ese�e��vero�che�l'art.�20�non�definisce�ne�introduce�una�disciplina�differenziata�della�con- correnza�nei�settori�speciali,�ai�quali�sono�riferite�le�stesse�regole�applicabili�agli�altri�settore� economici,�deve�ribadirsi�che�l'art.�20�comma�5�pur�prevedendo�un'autorizzazione�in�deroga� per�esigenze�di�stabilita��del�sistema�monetario,�tuttavia�non�determina,�(con�il�complesso� della�restante�disciplina�che�pure�prevede�alcune�peculiari�regole�di�calcolo�del�fatturato�in� occasione�delle�concentrazioni�bancarie)�per�la�sua�portata,�la�costruzione�di�un�sistema�a� se�stante�dell'antitrust bancario.� Potenziale�conflitto�e�complementarieta��degli�interessi�coinvolti�delineano�in�ogni�caso� la�complessita��della�materia.� Si�e��notato�altres|�,�sul�piano�della�ricerca�comparatistica,�che�il�nostro�sistema�costrui- sce�una�peculiarita��fra�i�Paesi�dell'OCSE,�ove�non�risultano�altri�Stati�che�abbiano�attribuito� un'esclusiva�competenza�antitrust in�capo�all'organo�preposto�anche�alla�vigilanza�delle� imprese�bancarie,�e�che�affinita��sussistono�con�il�modello�statunitense,�ove�l'applicazione� della�legge�in�materia�di�concentrazioni�bancarie�e��affidata�alle�autorita��di�settore,�ma�all'er- rata�applicazione�della�legge�potra��reagire�il�Dipartimento�di�Giustizia�Divisione�Antitrust� (che�ha�competenze�di�tipo�diverso�da�quelle�amministrative�della�nostra�autorita��piu��simili� a�quelle�di��un�pubblico�ministero�antitrust�),�portando�le�autorita��di�settore�innanzi�all'au- torita��giudiziaria.� Cio��premesso�in�via�generale�sulla�complessita��del�quadro�legislativo�italiano�occorre,� sotto�il�profilo�esegetico,�individuare�il�criterio�discretivo�di�ripartizione�della�competenza� nel�settore�bancario�ed�assicurativo.� La�compressione�della�generale�competenza�dell'Autorita��e�la�corrispondente�speciale� competenza�della�Banca�d'Italia�determinano�in�concreto�la�necessita��che�siano�individuate� le�operazioni�che�rimangono�nel�modulo�ordinario�e�quelle�che�sono�attratteal�regime�spe- ciale.� L'art.�20�definisce�la�competenza�della�Banca�d'Italia�con�riguardo�ai�provvedimenti�di� applicazione�degli�artt.�2,�3,�4�e�6�nei�confronti�di�aziende�ed�istituti�di�credito.� Si�e��subito�notato�che�l'area�di�competenza�cos|��definita�coesiste�con�altre�regole�di� competenza�antitrust e�deve�essere�quindi�riletta�nell'ambito�e�nel�contesto�dell'intero�sistema� di�regole�della�concorrenza�(da�un�lato)�e�della�disciplina�dei�mercati�mobiliare,�finanziario,� bancario�e�valutario�(dall'altro).� In�questo�ambito�e��stato�segnalato�che�Banca�d'Italia�ed�Antitrust�hanno�inizialmente� avuto�opinioni�divergenti�(evidenziatesi�nella�nota�vicenda�della�ricapitalizzazione�delle�Assi- curazioni�Generali�di�Venezia�ad�opera�di�un�consorzio�di�collocamento�capeggiato�da� Mediobanca),�e�poi�sempre�risolte,�per�l'alto�senso�istituzionale�che�connota�le�autorita��in� questione,�per�via�di�prassi�amministrative�concordate.� Una�prima�tesi�(che�potremmo�definire�della��competenza�per�soggetti�)�ha�sostenuto� la�competenza�esclusiva�dell'autorita��di�vigilanza�all'applicazione�delle�regole�italiane�di�con- correnza�nei�confronti�delle�aziende�e�degli�istituti�di�credito�avuto�riguardo�solo�alla�natura� dei�soggetti,�ed�indipendentemente�dalla�presenza�di�altri�diversi�operatori�economici.� All'opposto�^e�nella�prassi�applicativa�dell'Autorita��Garante�^si�e��ritenuta�la�compe- tenza�dell'Autorita��Antitrust�anche�nei�confronti�delle�aziende�di�credito�quando�l'opera- IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� zione�di�concentrazione�o�l'intesa�abbia�effetti�su�mercati�non�bancari�come�il�mercato�dei� mutui�immobiliari�(omissis) del�leasing (omissis), delfactoring (omissis),�immobiliare�(omis- sis),�assicurativo�(omissis),�del�brokeraggio�assicurativo�e�del�mercato�mobiliare.� Si�tratta�della�tesi�della�competenza �per effetti� o �per mercati�.� Configurando�la�competenza�non�per�soggetti�si�risolvono�agevolmente�le�c.d.�fattispe- cie�miste�dal�lato�soggettivo�(perche�agiscono�soggetti�bancari�e�non�bancari)�od�oggettivo� (perche�producono�effetti�su�diversi�mercati�non�solo�sul�mercato�creditizio).� Il�Collegio�ritiene�che�la�competenza�debba�essere�determinata�secondo�un�criterio�che� tenga�ferme,�per�quanto�possibile�e�non�espressamente�derogate,�le�competenze�antitrust pre- viste�in�via�generale,�riducendo�il�rischio�di�conflitti�di�competenza�su��fattispecie�miste�.� Si�ritiene�quindi�piu��conforme�alla�ratio�della�normativa�di�cui�alla�legge�n.�287/1990,� l'adozione�di�un'interpretazione�restrittiva�della�competenza�della�Banca�d'Italia,�quale�ecce- zione�rispetto�alla�generale�competenza�demandata�all'Autorita��Garante.� In�primo�luogo�occorre�evidenziare�che�una�serie�di�norme�confermano�la�competenza� in�via�generale�dell'Autorita��ad�applicare�il�diritto�antitrust anche�nei�confronti�delle�aziende� e�degli�istituti�di�credito,�assegnando�con�cio��alla�regola�di�cui�all'art.�20�un�ruolo�limitato� di�norma�attributiva�di�una�competenza�speciale,�circoscritta,�da�non�enfatizzare.� Si�pensi�alle�attivita��di�intermediazione�finanziaria�consentite�ad�aziende�di�credito�e� sottoposte�alla�vigilanza�funzionale�della�diarchia�Consob-Banca�d'Italia�(art.�5�del�d.lgs.� 24�febbraio�1998�n.�58):�si�e��dubitato�in�dottrina�della�riferibilita��dell'art.�20�al�caso�delle� attivita��di�intermediazione�finanziaria�perche�la�vigilanza�per�finalita��non�consente�di�ripar- tire�il�controllo�antitrust fra�Consob�e�Banca�d'Italia�e,�d'altronde,�si�e��rilevato�che�l'art.�20� fa�riferimento�ad�un'autorita��(non�a�piu��autorita�)�che,�nell'impossibilita��di�un�riparto�delle� competenze�in�tema�di�concorrenza�conforme�ai�criteri�di�vigilanza�funzionale�fra�Consob� e�Banca�d'Italia,�non�puo��che�essere�quella�competente�in�via�generale�ossia�l'Autorita�� Garante�per�la�concorrenza.� Ma�al�di�la��di�questa�ipotesi,�vi�sono�altre�fattispecie�per�le�quali�la�stessa�legge� n.�287/1990�prevede�l'intervento�dell'Autorita��Garante�nonostante�la�presenza�di�aziende�di� credito.� Si�pensi�al�caso�delle�concentrazioni�polisettoriali�(ed�e��proprio�la�fattispecie�in�discus- sione),�ove�non�sono�coinvolti�solo�aziende�ed�istituti�di�credito�ma�anche�imprese�di�altro� genere�(ad�es.�assicurative),�ossia�concentrazioni�riguardanti�imprese�sottoposte�alla�vigi- lanza�di�piu��autorita��:�in�questi�casi�si�deve�ritenere�riprenda�vigore�la�disciplina�generale� (tantochel'art.�20comma7dellaleggen.�287/1990prevedeintalcasocheciascunaautorita�� puo��adottare�i�provvedimenti�di�propria�competenza).� Cio��ha�fatto�ritenere�che�la�competenza�della�Banca�d'Italia�sia�doppiamente�circo- scritta,�essa�riguarda�solo�le�aziende�e�gli�istituti�di�credito�ed�e��limitata�all'applicazione�delle� regole�di�concorrenza�nazionale�con�riferimento�esclusivamente�ai�mercati�riservati�alle� aziende�ed�agli�istituti�di�credito�dalla�normativa�bancaria.� Inoltre�si�deve�considerare,�al�fine�di�avvalorare�l'approdo�ermeneutico�raggiunto,�che� l'art.�20�comma�2�restringe�la�competenza�stabilita�in�via�generale�dell'Autorita��Garante� della�concorrenza�e�del�mercato�attribuendo�in�sostanza�una�competenza�speciale�all'auto- rita��di�vigilanza�del�settore.� Nel�diritto�amministrativo�le�regole�di�competenza�speciale�non�possono�essere�interpre- tate�analogicamente�cos|��come�nel�diritto�processuale�civile�le�deroghe�alla�competenza�ordi- naria,�come�quelle�stabilite�dalle�parti�con�una�clausola�compromissoria.� Questi�criteri�generali�di�interpretazione�possono�essere�applicati�nella�ricostruzione�del� sistema�di�riparto�delle�competenze�fra�Banca�d'Italia�ed�Autorita��Garante�della�concor- renza�e�del�mercato.� Inoltre�l'intero�sviluppo�della�disciplina�in�tema�di�vigilanza�e��stato�letto�come�un�pas- saggio�dalla�cittadella�della�vigilanza�istituzionale�(o�per�soggetti)�alla�piu��aperta�e�flessibile� vigilanza�funzionale�(o�per�attivita��e�mercati).�Tutta�la�legge�n.�287/1990�e��basata�sul� modello�della�vigilanza�funzionale,�in�quanto�assegna�la�competenza�al�controllo�antitrust ad�un'autorita��con�competenza�generale,�ed�e��vero�che�in�tale�ambito�e��prevista�una�compe- tenza�speciale�ispirata�al�modello�della�vigilanza�per�soggetti,�ma�essa�interviene�nell'ambito� di�un�provvedimento�connotato�dalla�presenza�di�un�modello�di�vigilanza�funzionale�e�in� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� un�sistema�(d.lgs.�n.�58/1998)�ispirato�ormai�dal�predetto�modello:�ne�consegue�la�piena� legittimita�di�operazioni�ermeneutiche�che�interpretino�la�competenza�speciale�con�riferi- mento�all'attivita�riservata�alle�banche.� Ed�allora�si�deve�ritenere�che�il�sistema�di�riparto�di�competenze�sia�cos|�delineato:� 1)�qualora�in�un�mercato�operino�sia�aziende�ed�istituti�di�credito�sia�altri�soggetti,�la� valutazione�degli�effetti�concorrenziali�dell'operazione�sul�mercato�interessato,�non�riservato� agli�enti�creditizi,�compete�al�Garante�della�concorrenza�e�del�mercato;� 2)�quando�in�una�fattispecie�siano�coinvolte�solo�aziende�od�istituti�creditizi�la�Banca� d'Italia�e�competente�ad�applicare�la�disciplina�antitrust sempre�che�si�tratti�di�attivita�che� sono�riservate�per�legge�alle�banche;� 3)�se�un'operazione�produce�effetti�su�piu�mercati�bancari�e�non�bancari�sussistera�,� unitamente�alla�competenza�della�Banca�d'Italia,�la�competenza�dell'Autorita�per�gli�effetti� sui�mercati�non�bancari.� La�riserva�di�competenza�speciale�a�Banca�d'Italia�si�giustifica�se�ed�in�quanto�i�soggetti� �aziende�ed�istituti�di�credito��operino�con�omogenea�qualifica�su�un�unico�mercato�di�rife- rimento�(assoggettato�alla�vigilanza�dell'autorita�di�settore)�altrimenti�la�competenza�di� Banca�d'Italia�si�estenderebbe�su�mercati�non�da�essa�vigilati.� Nella�specie�vi�e�un�accordo�per�la�distribuzione�di�prodotti�assicurativi�fra�un'impresa� assicurativa�ed�un'impresa�bancaria:�il�mercato�rilevante�e�quello�assicurativo�e�l'intesa�non� esplica�i�suoi�effetti,�ne�diretti�ne�indiretti�(che�siano�quantomeno�prospettati�o�richiamati� dal�motivo�di�ricorso),�sul�mercato�bancario.� Quanto�al�richiamo�all'accordo�per�la�valutazione�delle�c.d.�operazioni�miste�occorre� ribadire�che�esso�attiene�a�procedure�applicative,�sui�casi�di�incerta�competenza,�in�attesa� della�definizione�delle�competenze�a�seguito�di�un'analisi�delle�attivita�da�parte�di�un�gruppo� di�lavoro�(e�quindi�conferma�che�il�criterio�di�riparto�e�non�solo�per�soggetti�ma�per�attivita� e�mercati).�Tale�accordo�presuppone�e�non�fonda�la�regola�di�competenza,�contiene�regole� definitorie�relative�solo�ai�mercati�della�raccolta�e�degli�impieghi�bancari�per�gli�altri�casi� rinviando�all'approfondimento�del�gruppo�di�lavoro,�e�impone�per�il�resto,�doveri�di�scambio� informativo�il�cui�mancato�rispetto�non�ha�di�per�se�effetto�invalidante�dei�provvedimenti� amministrativi�poiche�le�comunicazioni�fra�le�autorita�ivi�fissate�hanno�solo�lo�scopo�di�con- sentire�a�ciascuna�autorita�le�valutazioni�di�propria�competenza�(peraltro�secondo�l'assunto� dell'Autorita�non�specificamente�smentito�dalla�avversa�difesa�la�Banca�d'Italia�sarebbe�stata� informata�del�procedimento�fornendo�elementi�utili).� Deve�inoltre�rilevarsi�che�non�sono�stati�segnalati�gli�approdi�del�gruppo�di�lavoro�e�che� la�dottrina�ha�segnalato�che�l'accordo�in�tema�di�operazioni�miste�non�ha�avuto�seguito.� In�ultimo,�per�completezza,�si�deve�rilevare�che�le�imprese�ricorrenti�in�primo�grado� hanno�comunicato�l'intesa�all'Autorita�Garante�della�concorrenza�e�del�mercato�evidente- mente�sul�presupposto�della�esistenza�di�una�competenza�di�quest'ultima�in�materia.� Ne�consegue�il�rigetto�del�primo�motivo�del�ricorso�originario�riemerso�in�appello�a� seguito�della�dichiarazione�delle�imprese�appellate�(omissis)�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Obbligo di notifica dell'atto introduttivo del giudizio all'Avvocatura dello Stato Consiglio di Stato (in sede giurisdizionale), Sezione quarta, sentenza n. 257/2003 nella Camera di Consiglio del 17 dicembre 2002 Quadro di riferimento. ^Nel�caso�de quo il�sig.�F.L.,�ufficiale�nel�Corpo� della�Guardia�di�Finanza,�avendo�proposto�ricorso�straordinario�al�Presi- dente�della�Repubblica�in�data�25�settembre�1999�avverso�la�mancata�iscri- zione�per�l'anno�1999�nel�quadro�di�avanzamento�al�grado�superiore,�aveva� richiesto,�con�istanza�presentata�il�26�febbraio�2001,�al�Comando�Generale� della�Guardia�di�Finanza,�e�in�ossequio�al�diritto�di�accesso�riconosciutogli� per�legge�n.�241/1990,�di�poter�estrarre�copia�dello�stato�di�servizio�e�del� libretto�personale�di�alcuni�colleghi�risultati�promossi�nell'occasione.� Ciononostante,�poiche�il�Comando�Generale�del�Corpo�gli�aveva�dene- gato�l'accesso,�l'interessato�proponeva�ricorso�notificato�presso�lo�stesso� Comando�generale�al�TAR�del�Lazio,�che�con�sentenza�n.�7075/01�ha�accolto� il�gravame,�ordinando�cos|�all'Amministrazione�di�rilasciare�copia�dei�docu- menti�richiesti.� Ma�l'Amministrazione�ha�impugnato�la�decisione�dell'A.G.A.,�principal- mente�deducendone�la�nullita�conseguente�all'omessa�notifica�del�ricorso� introduttivo�presso�l'Avvocatura�erariale:�nulla�ogni�altra�notificazione� diversa�da�quella�non�effettuata;�nulli�gli�atti�processuali;�nulla�la�sentenza� (anch'essa�nel�caso�in�esame�non�notificata�alla�competente�Avvocatura�di� Stato).�E�il�Supremo�Consesso�in�sede�giurisdizionale�(Sez.�IV),�nella�Camera� di�Consiglio�del�17�dicembre�2002,�con�decisione�n.�257/2003�ha�accolto�l'ap- pello�e,�per�l'effetto,�ha�annullato�senza�rinvio�la�sentenza�impugnata.�Cos|� ha�deciso�sulla�base�delle�considerazioni�di�diritto�qui�sotto�riportate,�disat- tendendo,�peraltro,�le�conclusioni�alle�quali�era�pervenuta�la�Sezione�conla� decisione�n.�5636�del�29�ottobre�2001.�Tale�difformita�di�decisioni,�tuttavia,� e�stata�necessitata,�a�giudizio�del�Collegio,�dalla�diversita�di�fattispecie:�nel- l'una,�decisa�con�la�sentenza�de qua,�il�ricorrente�si�e�avvalso�della�difesa�ed� assistenza�tecnica�di�un�peritus;�nell'altra�il�ricorrente�stava�in�giudizio�perso- nalmente,�sfornito�dell'assistenza�di�un�avvocato�(1).� Dott.ssa Ilaria Sanasi (1)�Per�una�disamina�completa�sulla�questione�ab initio cfr.�Cass.�civ.,�Sez.�I,�del�20�gennaio� 1978,�n.�250,�in�C.E.D.�Cass.,�rv.�389540�(secondo�la�quale��A�seguito�della�sentenza�della�Corte� Cost.�n.�97�dell'8�luglio�1967,�la�quale�ha�dichiarato�l'illegittimita�dell'art.�11,�terzo�comma�del� regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611,�nella�parte�in�cui�esclude�la�sanatoria�delle�nullita�delle� notificazioni�effettuate�alle�Amministrazioni�dello�Stato�in�violazione�del�primo�e�secondo�comma� dello�stesso�articolo,�non�puo�dichiararsi�l'inammissibilita�del�ricorso�per�Cassazione�notificato� ad�un'Amministrazione�dello�Stato�presso�l'Avvocatura�Distrettuale,�anziche�presso�quella�Gene- rale,�quando�l'Amministrazione�stessa�si�sia�costituita�mediante�controricorso,�trovando,�anche� in�tale�ipotesi,�applicazione�il�principio�di�cui�all'art.�156,�terzo�comma�c.p.c.,�in�base�al�quale�la� nullita�di�un�atto�non�puo�essere�pronunciata�se�esso�ha�raggiunto�il�suo�scopo�);�Cass.�civ.,� SS.UU.,�del�5�luglio�1982,�n.�4010,�ivi,�rv.�421969�(secondo�la�quale��La�nullita�della�notificazione� del�ricorso�per�Cassazione�nei�confronti�della�P.A.,�perche�effettuata�presso�l'Avvocatura�Distret- tuale�anziche�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato,�resta�sanata�ex tunc per�effetto�della�costi- RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, sentenza n. 257/2003 nella Camera di Consiglio del 17 dicembre 2002 ^Presidente�P.�Salvatore�^Relatore�Cons.�A.�Anastasi� ^L.F.�c/o�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�(ct.�36549/01,�Avv.�dello�Stato�V.� Russo).� La�acclarata�nullita�della�notificazione�del�ricorso�introduttivo�rende�il�gravame�inam- missibile.� �(Omissis).�^L'appello�e�fondato.� Con�il�primo�motivo�l'Amministrazione�deduce�la�nullita�della�sentenza�conseguente� all'omessa�notifica�del�ricorso�introduttivo�presso�l'avvocatura�erariale.� Il�mezzo�e�fondato.� Come�e�noto,�l'art.�11�primo�comma�regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611�^nel�testo� modificato�dall'art.�1�della�legge�25�marzo�1958,�n.�260�^stabilisce�che��Tutte�le�citazioni,�i� ricorsi�e�qualsiasi�altro�atto�di�opposizione�giudiziale,�nonche�le�opposizioni�ad�ingiunzione� e�gli�atti�istitutivi�di�giudizi�che�si�svolgono�innanzi�alle�giurisdizioni�amministrative�o�spe- tuzione�in�giudizio�dell'Amministrazione�medesima�a�mezzo�di�detta�Avvocatura�generale,�ancor- che�avvenuta�dopo�la�scadenza�del�termine�di�impugnazione�);�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�12�settembre� 1983,�n.�5542,�ivi,�rv.�430482�(�La�notifica�del�ricorso�per�Cassazione,�nei�confronti�di�un'Ammini- strazione�dello�Stato�o�di�un�ente�pubblico�rappresentato�e�difeso�dall'Avvocatura�dello�Stato,� presso�l'Avvocatura�Distrettuale,�anziche�presso�quella�Generale,�come�prescritto�dagli�artt.�11� del�regio�decreto-legge�30�ottobre�1933�n.�1611�e�9�della�legge�3�aprile�1979�n.�103,�comporta,�ove� la�relativa�nullita�non�sia�sanata�dalla�costituzione�dell'intimato,�l'inammissibilita�del�ricorso� medesimo�).� Cfr.,�in�prosieguo,�Cass.�civ.,�Sez.�I,�del�30�maggio�1984,�n.�3295,�ivi,�rv.�435326:��La�notifi- cazione�della�sentenza�resa�nei�riguardi�di�una�Amministrazione�dello�Stato,�pure�se�rimasta�con- tumace�nel�relativo�giudizio,�che�venga�effettuata�presso�gli�uffici�dell'Amministrazione�stessa,� anziche�presso�la�competente�Avvocatura�dello�Stato,�come�prescritto�dall'art.�11�secondo�comma� del�regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611,�non�e�idonea�a�far�decorrere,�nei�confronti�di�detta� Amministrazione,�il�termine�breve�per�l'impugnazione�;�anche�Cass.�civ.,�del�17�aprile�1986,� n.�2739,�ivi,�rv.�445787�secondo�la�quale��Il�termine�perentorio�di�sessanta�giorni�per�la�notifica� del�ricorso�per�Cassazione,�previsto�dall'art.�325,�ultimo�comma,�c.p.c.�dalla�notificazione�della� sentenza�impugnata,�decorre�ove�controparte�sia�l'Amministrazione�dello�Stato�dalla�notificazione� della�sentenza�presso�l'Avvocatura�dello�Stato�nel�cui�distretto�ha�sede�l'Autorita�Giudiziaria�che� l'ha�pronunciata,�a�norma�della�prescrizione�contenuta�nell'art.�11,�secondo�comma,�del�testo� unico�delle�leggi�sulla�rappresentanza�e�difesa�in�giudizio�dello�Stato�in�ordine�alla�notifica�delle� sentenza�;�ancora�Cass.�civ.,�Sez.�III,�del�16�maggio�1994,�n.�4755,�ivi,�rv.�486624:��La�nullita�della� notificazione�del�ricorso�per�Cassazione�nei�confronti�di�un'Amministrazione�dello�Stato�eseguita� presso�l'Avvocatura�Distrettuale�nella�cui�circoscrizione�si�trova�il�giudice�che�ha�emesso�la�sen- tenza�impugnata�anziche�presso�l'Avvocatura�Generale,�a�norma�dell'art.�11�del�regio�decreto� 30�ottobre�1933,�n.�1611�e�sanata�dalla�costituzione�dell'Amministrazione�medesima,�con�la�noti- fica�ed�il�deposito�del�controricorso�che�e�validamente�compiuta�anche�dopo�il�decorso�del�termine� di�cui�all'art.�370�c.p.c.�.� Cfr.�recentemente�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�2�maggio�1996,�n.�4000,�ivi,�rv.�497321�(secondo�la� quale��La�notifica,�ai�fini�del�decorso�dei�termini�per�la�sua�impugnazione,�della�sentenza�pronun- ciata�in�un�giudizio�nel�quale�sia�parte�un'Amministrazione�dello�Stato�e�nel�quale�l'Avvocatura� dello�Stato�abbia�delegato�per�la�rappresentanza�della�Amministrazione�unprocuratore�legale�eser- cente�nel�circondario�dove�si�e�svolto�il�giudizio�come�consentitole�dall'art.�2,�comma�1,�regio� decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611,�deve�essere�effettuata�all'Avvocatura�dello�Stato�presso�i�suoi� uffici,�secondo�il�regime�dettato�dall'art.�11�dello�stesso�regio�decreto�n.�1611/1933;�pertanto�la� notifica�effettuata�al�procuratore�legale�delegato�e�radicalmente�nulla,�con�la�conseguente�inido- neita�di�tale�notifica�a�far�decorrere�il�termine�breve�per�l'impugnazione�della�sentenza�e�impugna- bilita�della�stessa�sentenza�entro�il�termine�lungo�di�cui�all'art.�327�c.p.c.�).�In�senso�difforme�cfr.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� ciali,�od�innanzi�ad�arbitri,�devono�essere�notificati�alle�Amministrazioni�dello�Stato�presso� l'ufficio�dell'Avvocatura�dello�Stato�nel�cui�distretto�ha�sede�l'Autorita��giudiziaria�innanzi� alla�quale�e��portata�la�causa,�nella�persona�del�Ministro�competente�.� A�sua�volta�il�comma�terzo�dello�stesso�articolo�prevede�che�le�notificazioni�di�cui�sopra� devono�essere�fatte�presso�la�competente�Avvocatura�dello�Stato�a�pena�di�nullita��da�pro- nunciarsi�anche�d'ufficio.� L'applicabilita��della�richiamata�normativa�nei�giudizi�avanti�al�Consiglio�di�Stato�ed�ai� Tribunali�amministrativi�regionali�^revocata�in�dubbio�per�l'effetto�dell'entrata�in�vigore� della�legge�6�dicembre�1971,�n.�1034�il�cui�art.�21�prevede�che�il�ricorso�va�notificato�all'or- gano che ha emesso l'atto impugnato ^e��stata�espressamente�ribadita�dall'art.�10,�comma� terzo,�della�legge�3�aprile�1979,�n.�103,�di�talche�la�Giurisprudenza�e��oramai�consolidata�nel� ritenere�l'inammissibilita��del�ricorso�proposto�nei�confronti�dell'Amministrazione�statale� che�non�sia�stato�ad�essa�notificato�presso�l'Avvocatura�dello�Stato�(ad�es.�IV�Sez.�17�luglio� 1996,�n.�862)�salvi�gli�effetti�di�sanatoria�determinati�dall'eventuale�costituzione�in�giudizio� dell'Amministrazione�stessa,�ai�sensi�della�sentenza�della�Corte�Cost.�26�giugno�1967,�n.�97.� Ne�deriva�che�nel�caso�in�esame,�in�cui�il�gravame�non�e��stato�notificato�presso�l'Avvo- catura�e�non�si�e��verificata�la�sanatoria�di�cui�sopra,�il�ricorso�di�primo�grado�risulta,�come� eccepito�dall'appellante,�effettivamente�inammissibile.� A�giudizio�del�Collegio�^che�ritiene�a�seguito�di�una�approfondita�riflessione�sulla�que- stione�di�dover�adottare�delle�conclusioni�di�segno�opposto�a�quella�cui�era�pervenuta�la� Sez.�con�la�decisione�29�ottobre�2001,�n.�5636�^le�considerazioni�ora�svolte�non�sono�infi- ciate�per�effetto�delle�innovazioni�introdotte�dalla�legge�21�luglio�2000,�n.�205�nel�rito�spe- ciale�concernente�la�materia�dell'accesso.� Come�e��noto,�il�citato�art.�4�della�legge�n.�205�(rubricato��Disposizioni�particolari�sul� processo�in�determinate�materie�),�cos|��recita�al�comma�3:��Nei�giudizi�ai�sensi�dell'art.�25,� commi�5�e�ss.,�della�legge�7�agosto�1990,�n.�241�il�ricorrente�puo��stare�in�giudizio�personal- mente�senza�l'assistenza�del�difensore.�L'amministrazione�puo��essere�rappresentata�e�difesa� da�un�proprio�dipendente,�purche�in�possesso�della�qualifica�di�dirigente,�autorizzato�dal� rappresentante�legale�dell'ente�.� In�sostanza�la�nuova�disciplina,�al�fine�di�rendere�piu��semplice�e�spedito�il�processo�spe- ciale�per�le�controversie�in�materia�di�accesso,�ha�eliminato�l'obbligo�della�difesa�tecnica�sia� per�il�ricorrente�che�per�l'Amministrazione.� Ad�avviso�del�Collegio,�peraltro,�convergenti�ragioni�di�indole�sia�testuale�che�sistema- tica�inducono�a�ritenere�che�le�nuove�disposizioni�non�abbiano�inciso�sul�regime�delle�notifi- che�degli�atti�introduttivi�del�giudizio.� Cass.�civ.,�Sez.�I,�del�3�aprile�1992,�n.�4078,�ivi,�rv.�476569�e�Cass.�civ.,�del�19�gennaio�1993,�n.�608,� ivi,�rv.�480323;�entrambe�superate�dall'imprimatur della�sentenza�n.�4000/1996�delle�SS.UU.�sul� punto.� Infine,�e�piu��di�recente,�cfr.�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�6�febbraio�1998,�n.�1275,�ivi,�rv.�512343:� �Con�riguardo�al�ricorso�per�Cassazione�proposto�nei�confronti�dell'Amministrazione,�la�nullita�� della�notificazione,�in�quanto�eseguita�presso�l'Avvocatura�Distrettuale�anziche�l'Avvocatura� Generale�dello�Stato,�resta�sanata,�con�effetto�ex tunc dalla�rinnovazione�della�notificazione�stessa� presso�detta�Avvocatura�Generale,�ancorche�posteriormente�alla�scadenza�del�detto�termine�.�Sic- che�cfr.�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�6�maggio�1998,�n.�4573,�ivi,�rv.�515156:��In�caso�di�notificazione� del�ricorso�per�Cassazione�affetta�da�nullita��perche�effettuata�presso�l'Avvocatura�Distrettuale� dello�Stato�anziche�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato,�il giudice deve ordinare la rinnova- zione della notificazione che�ha�l'effetto�di�sanare�tale�nullita��impedendo�la�decadenza�dall'impu- gnazione�.� Conformi�a�questi�precedenti�sono�poi�le�ultime�pronunce�della�Suprema�Corte�(Cass.�civ.,� Sez.�I,�del�3�marzo�1999,�n.�1774,�ivi,�rv.�523784;�Cass.�civ.,�Sez.�III,�del�24�marzo�2000,�n.�3540,� ivi,�rv.�535049;�Cass.�civ.,�Sez.�III,�del�2�febbraio�2001,�n.�1512,�ivi,�rv.�543621;�infine�Cass.�civ.,� Sez.�I,�del�13�febbraio�2003,�n.�2148,�ivi,rv.�561021).� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�primo�luogo�va�infatti�osservato,�sotto�il�profilo�testuale�e�per�quanto�qui�rileva,�che� la�norma�in�rassegna�^nel�momento�in�cui�configura�la�rinuncia�della�Parte�statale�al�patro- cinio�tecnico�come�facoltativa�e�dunque�come�frutto�di�una�scelta�discrezionale�formulabile� solo�successivamente�all'introduzione�del�giudizio�da�parte�del�ricorrente�^e�compiutamente� compatibile�col�regime�ordinario�delle�notifiche,�che�non�risulta�da�essa�tacitamente�abro- gato�o�derogato.� In�secondo�luogo,�dal�punto�di�vista�sistematico,�occorre�rilevare�che�la�normativa�in� rassegna�trova�uno�specifico�antecedente�nell'art.�417-bis del�c.p.c.�(introdotto�dall'art.�42� del�D.�L.vo�31�marzo�1998,�n.�80�e�modificato�dall'art.�19�del�D.�L.vo�29�ottobre�1998,� n.�387)�il�quale�al�primo�comma�prevede�che��Nelle�controversie�relative�ai�rapporti�di� lavoro�dei�dipendenti�delle�pubbliche�amministrazioni�di�cui�al�quinto�comma�dell'art.�413,� limitatamente�al�giudizio�di�primo�grado�le�amministrazioni�stesse�possono�stare�in�giudizio� avvalendosi�direttamente�di�propri�dipendenti�.� Come�chiarito�dal�successivo�comma�secondo,�per�le�amministrazioni�statalioadesse� equiparate,�ai�fini�della�rappresentanza�e�difesa�in�giudizio,�la�disposizione�sopra�trascritta� si�applica�solo�nel�caso�in�cui�l'Avvocatura�dello�Stato�competente�per�territorio,�ove�ven- gano�in�rilievo�questioni�di�massima�o�aventi�notevoli�riflessi�economici,�non�determini�di� assumere�direttamente�la�trattazione�della�causa�mentre,�in�ogni�altro�caso,�l'Avvocatura� stessa�trasmette�immediatamente,�e�comunque�non�oltre�sette�giorni�dalla�notifica�degli�atti� introduttivi,�gli�atti�stessi�ai�competenti�uffici�dell'amministrazione�interessata�per�gli�adem- pimenti�di�competenza.� Come�si�vede,�la�disciplina�contenuta�nell'art.�417-bis c.p.c.�(pur�contemplando�nel�rito� del�lavoro�una�facolta�di�rinuncia�della�parte�statale�alla�difesa�tecnica�analoga�a�quella� introdotta�nel�rito�per�l'accesso�dall'art.�4�della�legge�n.�205)�presuppone�espressamente�il� permanere,�a�pena�di�nullita�,�dell'obbligo�di�notifica�del�ricorso�al�Giudice�del�lavoro�presso� l'Avvocatura�erariale:�il�che,�in�difetto�di�diversa�previsione�nel�contesto�del�ridetto�art.�4,� induce�in�via�analogica�a�ritenere�che�tuttora�anche�i�ricorsi�al�Giudice�amministrativo�ex art.�25,�legge�n.�241�siano�tuttora�soggetti�al�regime�delle�notifiche�dettato�dall'art.�11,�primo� comma�regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611�e�successive�modificazioni.� Sulla�scorta�delle�considerazioni�che�precedono,�la�acclarata�nullita�della�notificazione� del�ricorso�introduttivo�rende�il�gravame�inammissibile:�ne�d'altra�parte�sussistono�nel�caso� in�esame�^in�cui�il�ricorrente�non�stava�in�giudizio�personalmente,�come�invece�verificatosi� nella�controversia�decisa�dalla�citata�IV�Sez.�n.�5636�del�2001�^i�presupposti�per�la�conces- sione�dell'errore�scusabile.� In�conclusione,�l'accoglimento�dell'appello�comporta,�ai�sensi�dell'art.�34�della�legge� n.�1034�del�1971,�l'annullamento�senza�rinvio�della�sentenza�impugnata�(Omissis)�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Motivazione successiva in giudizio: il Tar Toscana la ammette in sede di sospensiva Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Firenze, Sezione prima, Ordinanza 9 aprile 2003 (nella Camera di Consiglio dell'8 aprile 2003) n. 353; Tribunale Amministrativo per la Toscana, Sezione prima, sentenza nella Camera di Consiglio dell'8 aprile 2003 L'ordinanza�del�T.A.R.�Toscana�n.�353/2003�respinge�la�domanda�cau- telare�con�cui�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso� di�soggiorno.�Il�diniego�risultava�motivato�con�il�carattere�ostativo�dell'arre- sto�in�flagranza�di�uno�dei�delitti�previsti�dall'art.�73,�commi�1,�2�e�5�mentre� il�ricorrente�risultava�condannato�ex art.�444�c.p.p.�per�la�fattispecie�meno� grave�contemplata�dal�comma�4,�dell'art.�73�cit. Considerato�l'errore�materiale�in�cui�l'Amministrazione�era�incorsa,� l'Avvocatura�dello�Stato�chiedeva�di�poter�integrare�in�corso�di�giudizio�la� motivazione.� Il�T.A.R.�concedeva�il�rinvio�al�fine�di�rinnovare�il�provvedimento�e� sanare�il�vizio�della�motivazione.� La�Questura�revocava�il�provvedimento�originario�ed�emetteva�il�nuovo� provvedimento�di�rifiuto�per�ragioni�attinenti�alla�mancanza�di�reddito.� Parte�ricorrente�proponeva�motivi�aggiunti�avverso�il�nuovo�provvedi- mento,�che�i�giudici�ritengono�inammissibili�per�difetto�di�giurisdizione� riguardo�al�provvedimento�di�espulsione�impugnato�ed�infondati�riguardo�al� diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�in�quanto�il�reddito�non�risul- tava�documentato�e�risulta�comunque,�insufficiente.� La�domanda�cautelare�viene,�dunque,�respinta�in�quanto�il�ricorso�non�e� provvisto�di�fumus boni iuris. La�pronuncia�si�configura�come�innovativa�in�quanto�accoglie�il�princi- pio�della�motivazione�successiva�in�giudizio.� Poco�tempo�prima�la�pronuncia�del�T.A.R.�Lazio,�Sez.�prima,�del� 16�gennaio�2002,�n.�398�aveva�aperto�uno�spiraglio�in�ordine�alla�vexata que- stio della�integrazione�successiva�della�motivazione�del�provvedimento�impu- gnato.� Nei�casi�di�motivazione�carente,�insufficiente�e�illogica�si�offre�alla�P.A.,� infatti,�la�possibilita�di�fornire�in�sede�di�giudizio�riscarcitorio�argomenta- zioni�e�produzioni�difensive�atte�ad�integrare�e�chiarire�il�proprio�operato.� Tale�possibilita�,�definita�gia�in�dottrina�come�dequotazione�giudiziale� della�motivazione�(Giannini),�deriva�dalla�legge�241�del�1990:�gli�articoli�2�e� 3�introducono,�infatti,�novita�rilevantissime�nei�riguardi�della�motivazione�e� della�sua�patologia.� Sanciscono�l'obbligo�di�conclusione�del�procedimento�amministrativo� con�un�provvedimento�espresso�entro�un�determinato�termine�nonche�l'ob- bligo�generale�di�motivazione�del�provvedimento,�ossia�due�obblighi�che�in� precedenza�erano�ricavati�in�via�interpretativa�(ai�medesimi�principi�si�ispira� l'art.�3�della�legge�regionale�siciliana�30�aprile�1991,�n.�10).� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Appare�corretto�il�corollario�al�principio�della�trasparenza�dell'iter moti- vazionale,�cos|�come�prescritto�e�regolamentato�dalla�legge�241�del�2002:�se� l'Amministrazione�ha�l'obbligo�di�evidenziare�gli�atti�afferenti�alle�fasi�in�cui� si�articola�il�provvedimento,�e�giocoforza�che�tale�emersione�risulti�idonea�a� supportare�l'eventuale�mancata�esplicitazione�della�motivazione�stessa�nel� provvedimento�conclusivo.� Il�ragionamento�si�snoda�a�partire�proprio�dalla�funzione�della�motiva- zione,�che�e�quella�di�consentire�la�possibilita�di�valutare�ed�eventualmente� contestare�la�ragionevolezza�delle�scelte�dell'Amministrazione.� Senza�dimenticare,�peraltro,�il�congegno�legale�di�cui�all'art.�3�comma�3� legge�7�agosto�1990�n.�241�il�quale,�prevedendo�la�facolta�per�l'Amministra- zione�di�utilizzare�la�motivazione�oh relationem,�offre�linfa�vitale�a�tale� schema.� Esplicito�al�riguardo�C.d.S.,�Sez.�quarta,�1998,�n.�1866�(1).� Nella�fattispecie�in�esame,�infatti,�l'avvio�del�procedimento�notificatoal� ricorrente�faceva�riferimento�alla�mancata�produzione�del�reddito,�mentre�il� provvedimento�finale�al�fatto�che�il�cittadino�extracomunitario�aveva�ripor- tato�delle�condanne.� Era�evidente�l'errore�posto�in�essere�dalla�Questura,�ma�era�altres|�evi- dente�come,�dall'esame�degli�atti�endoprocedimentali�del�provvedimento,� fosse�possibile�individuare�la�corretta�volonta�della�P.A.� In�tal�modo�e�stato�possibile�trovare�un�punto�di�equilibrio�e�di�contatto� tra�l'esigenza�di�garantire�un�provvedimento�legittimo�e�giusto�al�cittadino�e� l'esigenza,�altrettanto�sentita,�di�valorizzare�i�principi�di�conservazione�degli� atti,�di�celerita�e�di�efficienza�della�P.A.� Relativamente�alla�questione�oggetto�dell'ordinanza�si�evidenzia�quanto� segue.� Com'e�noto,�la�normativa�concernente�le�condizioni�soggettive�dello� straniero�che�chiede�di�ottenere�un�permesso�di�soggiorno�per�entrare�e/o� permanere�nel�territorio�della�Repubblica,�e�stata�modificata�dalla�legge� 30�luglio�2002,�n.�189.� L'art.�4,�terzo�comma,�del�testo�unico�di�cui�al�decreto�legislativo�n.�286� del�1998,�e�stato�sostituito�nel�senso�che�non�e�ammesso�in�Italia�lo�straniero� che�risulti�condannato�anche�a�seguito�di�applicazione�della�pena�su�richiesta� ex art.�444�c.p.p.�per�i�reati�inerenti�gli�stupefacenti,�la�liberta�sessuale,�il� favoreggiamento�dell'immigrazione�clandestina�verso�l'Italia�o�dell'emigra- zione�clandestina�dall'Italia�verso�altri�Stati�o�per�reati�diretti�al�recluta- mento�di�persone�da�destinare�alla�prostituzione�od�allo�sfruttamento�della� prostituzione�o�di�minori�da�impiegare�in�attivita�illecite.� (1)�La�sentenza�e�pubblicata�in�Foro Amm. 1998,�3072.�La�motivazione�di�un�provvedimento� amministrativo�puo�anche�ricavarsi�per relationem dagli�atti�istruttori�(pareri,�proposte,�rapporti� tecnici)�richiamati�nel�preambolo�del�provvedimento�stesso,�T.A.R.�Calabria,�Reggio�Calabria,� 27�maggio�1999,�n.�705,�in�Trib. Ammm. Reg.,�1999,�I,�2948,�oppure�puo�essere�legittimamente� desunta�da�atti�collegati�al�procedimento,�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�6�aprile�1999,�n.�534,�in�Foro amm.,1999,�648.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� La�normativa�come�sopra�ricostruita,�modifica�notevolmente�il�quadro� legislativo,�cos|�da�palesare�che,�ad�oggi,�non�e�necessario�in�alcun�modo� valutare�la�pericolosita�sociale�del�richiedente�che�abbia�riportato�una�con- danna,�seppur�condizionalmente�sospesa,�per�i�reati�in�materia�di�stupefa- centi,�sfruttamento�della�prostituzione,�ecc.� Si�potrebbe�prospettare,�dunque,�la�possibilita�,�da�parte�dell'Ammini- strazione,�di�integrare�la�motivazione�in�giudizio,�offrendole�l'opportunita�di� riformularla�sulla�base�del�nuovo�assetto�normativo.� Cio�al�fine�di�evitare�un�defatigante�rinnovo�dell'attivita�provvedimen- tale�che�si�risolverebbe�comunque�nell'emanazione�di�un�atto�di�rifiuto�del� rinnovo�del�permesso�di�soggiorno.� L'esigenza�di�garantire�un�provvedimento�legittimo�e�giusto�al�cittadino� e�altrettanto�sentita,�infatti,�come�quella�di�valorizzare�i�principi�di�conserva- zione�degli�atti,�di�celerita�e�di�efficienza�della�P.A.� 2.�^La motivazione successiva e la legge 241/90. Come�gia�detto,�il� ruolo�della�motivazione�risulta�modificato�dagli�artt.�2�e�3�della�legge�241� del�1990�e�dall'accentuazione�dello�stretto�legame�tra�procedimento�e�provve- dimento,�laddove�si�rende�necessario�fornire�un'adeguata�rappresentazione� dell'iter logico-giuridico�attraverso�cui�l'Amministrazione�si�e�determinata� ad�adottare�un�provvedimento.� Il�rispetto�di�tali�principi�non�si�pone,�tuttavia,�in�contrasto�con�la�rico- struzione�effettuata�dalla�recente�giurisprudenza,�orientata�nel�senso�di�non� pretendere�una�visione�meramente�formale�dell'obbligo�di�motivazione,�coe- rentemente�con�i�principi�di�trasparenza�e�lealta�desumibili�dall'art.�97�della� Costituzione�(2).� Il�principio�di�conservazione�degli�atti,�libero�da�condizionamenti�mera- mente�formali,�potrebbe�trovare�applicazione,�riguardo�alla�possibilita�di� integrazione�successiva�della�motivazione�del�provvedimento�impugnato,� proprio�nella�denegata�ipotesi�che�la�motivazione�venga�ritenuta�carente,� insufficiente�e�illogica,�attraverso�le�argomentazioni�e�le�produzioni�difensive� poste�in�essere�dalla�P.A.�in�sede�di�giudizio. E�proprio�la�presenza,�nel�nostro�sistema�giuridico,�del�principio�di�con- servazione�degli�atti�ed,�in�particolare,�del�criterio�del�raggiungimento�dello� scopo,�che�permette�una�notevole�apertura�in�tal�senso.� In�base�a�tali�principi,�l'annullamento�dell'atto�formalmente�viziato� diventerebbe�l'estrema�ratio,�da�utilizzarsi�legittimamente�solo�laddove�non� esista�la�possibilita�di�ricostruire�altrimenti�l'iter logico�giuridico�seguito�dal- l'amministrazione.� L'efficacia�di�tale�soluzione�si�ravvisa�nel�fatto�che�verrebbe�evitato�il� rinnovo�dell'attivita�procedimentale�che,�peraltro,�non�si�pone�come�solu- zione�soddisfacente�per�le�ragioni�sostanziali�del�privato�ricorrente(3).� (2)�C.d.S.,�Sez.�quarta,�n.�2281�del�29�aprile�2002.� (3)�T.A.R.�Lazio,�Sez.�prima,�16�gennaio�2002,�n.�398;�Caringella,�Corso di diritto ammi- nistrativo,�Giuffre�,�1430.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Soprattutto�oggi�le�esigenze�di�celerita��e�di�efficienza�si�pongono�come� presupposti�imprescindibili�volti�ad�abbattere�le�barriere�formali�che�impedi- scono�l'accertamento�giudiziale�della�realta��.� Il�divieto�per�l'amministrazione�di�integrare�nel�corso�del�giudizio�la� motivazione�del�provvedimento�impugnato,�imponendo�al�giudice�di�emet- tere�pronunce�meramente�formali�di�annullamento�per�difetto�di�motiva- zione,�non�preclude,�infatti,�all'Amministrazione,�di�reiterare�lo�stesso�prov- vedimento�annullato�in�sede�giurisdizionale�con�una�nuova�motivazione�(4).� La�nuova�visione�volta�ad�offrire�una�modifica�sostanziale�dell'oggetto� del�processo,�inteso�non�piu��come�giudizio�sull'atto�impugnato,�bens|��come� pretesa�sostanziale�fatta�valere�da�parte�ricorrente�nel�processo�e,�quindi,� come�giudizio�sul�rapporto,�ha�come�conseguenza,�tra�i�vari�aspetti,�proprio� quella�di�consentire�l'integrazione�della�motivazione�dopo�la�proposizione� del�giudizio.� E�infatti,�venuto�meno�il�presupposto�sistematico�dell'immutabilita�� del�provvedimento�impugnato�cos|��come�rappresentato�nell'atto�che�lo� racchiude.� La�giurisprudenza�ha�in�passato�mostrato�delle�aperture�in�proposito� soprattutto�nei�casi�di�procedimento�riservato�ex�art.�24�legge�241�del�1990� (diritto�d'accesso),�consentendo�all'Amministrazione�di�intervenire�valida- mente�anche�in�corso�del�giudizio�ad�integrare�la�motivazione�del�provvedi- mento�impugnato,�con�conseguente�eventuale�cessazione�della�materia�del� contendere�in�ordine�al�dedotto�vizio�di�difetto�di�motivazione�(5).� Ulteriore�apertura�e��stata�attuata�in�merito�alla�cosiddetta�motivazione� plurima,�che�si�configura�qualora�l'atto�amministrativo�si�fondi�su�una�plura- lita��di�ragioni�di�per�se�autonome:�il�provvedimento�e��considerato�legittimo� anche�nel�caso�in�cui�sia�esplicitata�una�sola�di�queste�ragioni,�idonea�a�soste- nere�l'atto�intero�(6).� Il�superamento�di�una�visione�meramente�demolitoria,�cos|��come�da�piu�� parti�in�dottrina�si�auspica,�non�puo��non�avere�come�corollario�la�legittima� possibilita��di�identificare�l'oggetto�reale�del�giudizio�nella�pretesa�sostanziale� del�ricorrente.� Si�puo��dunque�sostenere�che�il�legislatore�del�2000�ha�rimodellato�l'og- getto�del�processo�amministrativo�relativamente�alla�pretesa�sostanziale�fatta� valere�dal�ricorrente�(e�questo�anche�a�seguito�dell'estensione�dell'impugna- tiva�ai�provvedimenti�sopravvenuti�mediante�semplici�motivi�aggiunti�all'in- terno�del�giudizio�gia��pendente).� (4)�Cfr.�in�dottrina�GiovannI Virga, Integrazione�della�motivazione�nel�corso�del�giudizio�e� tutela�dell'interesse�alla�legittimita�sostanziale�del�provvedimento�impugnato,in�Dir.�proc.�amm.,� 1993,�516.� (5)�Cons.�Giust.�Amm.�20�aprile�1993,�n.�149,�in�Dir.�Proc.�Amm.,�1994;�577,�Cons.�Stato,� Sez.�V,�13�novembre�1990,�n.�776,�in�Cons.�St.,�1990,�I,�1235;�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�20�maggio� 1992,�n.�546,�in�Cons.�St.,�1992,�I,�716.� (6)�T.A.R.�Salerno,�19�aprile�2000,�n.�275,�in�ITAR,�2000,�I,�3384).� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Nel�caso�oggetto�dell'ordinanza�sussistono,�pertanto,�i�presupposti�per� consentire�all'Amministrazione�l'integrazione�della�motivazione�in�giudizio,� nonche�l'esigenza�di�evitare�inutili�sprechi�sia�dell'attivita�processuale�sia�del� successivo�esercizio�meramente�confermativo�dell'attivita�amministrativa.� Il�T.A.R.,�accogliendo�l'istanza�avanzata�dall'Amministrazione,�conce- deva�il�rinvio�al�fine�di�provvedere�a�quanto�richiesto.� L'Amministrazione�con�nuovo�provvedimento,�previo�annullamento�del� precedente,�provvede�a�redigere�ulteriore�motivazione.� Il�nuovo�provvedimento�si�fonda�sulla�mancata�dimostrazione�da�parte� dello�straniero�dei�concreti�mezzi�di�sostentamento�in�Italia:�il�cittadino�senega- lese�non�ha�fornito�la�prova�di�possedere�il�requisito�dell'esercizio�di�lavoro� autonomo�o�subordinato�che�consente�il�rilascio�o�il�rinnovo�del�permesso�di� soggiorno�a�mente�dell'art.�5�commi�5�e�8,�legge�28�febbraio�1990,�n.�39�(7).� Nel�mentre�la�Prefettura�di�Firenze�emette�decreto�di�espulsione�nei�con- fronti�del�ricorrente.� In�ogni�caso,�essendo�venuti�meno�gli�eventuali�vizi�del�provvedimento� impugnato,�e�avendo�l'Amministrazione�proceduto�alla�integrazione�della� motivazione,�il�provvedimento�di�rifiuto�di�rinnovo�del�permesso�di�sog- giorno�e�da�ritenersi�valido.� Come�tale,�anche�configurandolo�come�provvedimento�presupposto�del� recente�decreto�di�espulsione,�non�sarebbe�in�grado�di�produrre�effetti�invali- danti�su�quest'ultimo.� Comunque�sia,�si�ritiene�che�i�due�provvedimenti�non�siano�l'uno�dell'al- tro�consequenziali.� In�tal�senso�si�e�,�infatti,�espressa�la�Cassazione�civ.,�Sez.�prima,�5�dicem- bre�2001,�n.�15414:�l'opposizione�al�decreto�di�espulsione�davanti�al�giudice� ordinario�non�puo�fondarsi�su�motivi�attinenti�al�mancato�rilascio�o�al�man- cato�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�(8).� 3.�^La motivazione successiva e i motivi aggiunti di cui alla legge 205/ 2000. Il�ricorrente,�con�la�proposizione�di�motivi�aggiunti�si�duole,�sostan- zialmente,�dell'integrazione�della�motivazione�posta�in�essere�dal�Questore� e,�a�quanto�pare,�delle�modalita�con�cui�questa�e�stata�attuata.� Su�quest'ultimo�punto�giova�evidenziare�che�l'integrazione�della�motiva- zione�e�stata�concessa,�su�istanza�dell'Amministrazione,�dallo�stesso�giudice� amministrativo�adito,�il�quale,�peraltro,�non�ha�posto�condizioni�e�modalita� particolari�in�ordine�alla�attuazione�di�quanto�richiesto.� Ne�d'altronde�e�da�sottacersi�che,�proprio�la�possibilita�,introdottadalla� legge�n.�205�del�2000,�di�impugnare�con�motivi�aggiunti�eventuali�altri�provvedi- menti�connessi�a�quello�originariamente�impugnato,�permette�di�ritenere�ammis- sibile�che�la�P.A.,�al�fine�di�emendare�un�proprio�precedente�provvedimento,� provveda�ad�emanarne�un�altro,�ove�risultino�eliminati�i�vizi�originari�(9).� (7)�In�tal�senso�la�giurisprudenza�e�costante:�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�31�maggio�1999,� n.�932,�in�Foro Amm.,�1999,�987.� (8)�In�Mass. Giur. It.,�2001�e�CED Cassazione.� (9)�In�tal�senso�molto�chiaramente�T.A.R.�Lazio,�Sez.�prima,�16�gennaio�2002,�n.�398.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Tale�possibilita�,�gia�peraltro�ipotizzata�da�tempo�in�dottrina,�ed�appli- cata�da�una�parte�della�giurisprudenza,�trova�ora�la�sua�consacrazione�pro- prio�nella�nuova�configurazione�impressa�dalla�legge�21�luglio�2000,�n.�205� all'istituto�dei�motivi�aggiunti,�che�si�ispira�al�diverso�fine�di�garantire�la�con- centrazione�in�unico�giudizio�di�impugnazioni�fra�loro�oggettivamente� connesse.� La�presentazione�di�motivi�aggiunti�al�ricorso�giurisdizionale�implica�s|� un�ampliamento�del��thema�decidendum��rispetto�alla�domanda�originaria,� arricchendo�il�ricorso�giurisdizionale,�ma�nel�senso�che�essa�si�configura� come�uno�strumento�idoneo�a�soddisfare�esigenze�di�economia�processuale.� Il�suddetto�principio�di�concentrazione�processuale�si�applica�anche�nel� caso�di�atti�ulteriori�oltre�a�quello�impugnato,�purche�i�primi�siano�diretta- mente�connessi�a�quest'ultimo�(10).� I�motivi�aggiunti�sono�proponibili�anche�per�impugnare�i�nuovi�provve- dimenti�amministrativi�successivamente�conosciuti�o�intervenuti,�purche�stru- mentalmente�collegati�al�provvedimento�impugnato�originariamente(11).� Il�concetto�di�integrazione�della�motivazione�si�sostanzia,�tendenzial- mente,�in�quattro�modalita�principali:� emissione�di�un�nuovo�provvedimento�che�si�sostituisce�al�precedente;� emissione�di�un�provvedimento�di�convalida�del�precedente,�che�si� sostituisce�al�precedente�e�ne�integra�la�motivazione�originariamente�carente;� la�possibilita�per�l'amministrazione�di�integrare,�mediante�scritti�dei� suoi�difensori,�la�motivazione�del�provvedimento�impugnato;� la�possibilita�per�il�giudice�amministrativo�di�fondare�il�proprio�con- vincimento,�circa�l'esistenza�e/o�l'esatta�estensione�della�motivazione�del� provvedimento�impugnato,�sulla�base�di�atti,�quantunque�non�richiamati� nella�motivazione�del�provvedimento�impugnato,�che�siano�ricavabili�dal�pro- cedimento�di�formazione�dell'atto�e�siano�stati�prodotti�dalle�parti�o�comun- que�acquisiti�al�processo�(12).� La�soluzione�adottata�dall'Amministrazione�e�stata�l'adozione�di�un� nuovo�provvedimento,�in�sostituzione�del�precedente,�con�conseguente�sua� revoca.� Ne�,�d'altra�parte,�l'Amministrazione�poteva,�nel�caso�de�quo,�ricorrere�al� procedimento�di�convalida,�essendo�questo�contraddittorio�rispetto�al�vizio� che�inficiava�l'originario�provvedimento�impugnato:�a�causa�di�una�mera� �svista��l'Amministrazione�aveva�motivato�il�provvedimento�finale�facendo� riferimento�ad�un�articolo�invece�che�ad�un�altro,�in�evidente�contrasto�con� la�comunicazione�iniziale�dell'avvio�del�procedimento�(che�menzionava�invece� l'esigenza�di�verificare�i�mezzi�di�sussistenza�del�K.).� (10)�Cons.�Stato,�Sez.V,�26�settembre�2000,�n.�5098.� (11)�T.A.R.�Calabria,�Reggio�Calabria,�28�aprile�1999,�n.�519.� (12)�Cfr.�per�tutti�G. Virga, Integrazione�della�motivazione�nel�corso�del�giudizio�e�tutela�del- l'interesse�alla�legittimita�sostanziale�del�provvedimento�impugnato,in�Dir.�proc.�amm.,�1993,�529.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Pertanto,�la�convalida�si�prospettava�inconferente�in�merito�al�caso� de quo.� Lo�schema�difensivo�della�controparte�si�snoda�anche�in�relazione�alla� presunta�violazione�degli�artt.�3,�10�nonche�,�incidentalmente,�anche�dell'art.�7� della�legge�n.�241�del�1990.� In�realta�,�anche�qui,�non�si�ravvisa�alcuna�violazione�di�legge.� La�motivazione�del�provvedimento�impugnato�si�configura�legittima,� chiara�e�per�nulla�compromissoria�del�diritto�alla�difesa�(tanto�piu�che�parte� avversa�ha�potuto�impugnare�immediatamente�il�nuovo�provvedimento�in� costanza�di�giudizio).� Risulta�agli�atti�che�l'avviso�di�inizio�del�procedimento�faceva�riferi- mento�alla�verifica�dei�mezzi�di�sussistenza,�requisito�poi,�non�ritenuto�sussi- stente�e�posto�alla�base�dell'odierno�provvedimento�impugnato�con�i�motivi� aggiunti.� Peraltro,�proprio�in�seguito�alla�comunicazione�di�inizio�del�procedi- mento�del�23�gennaio�2001,�il�K.�produceva�la�copia�dell'autorizzazione� comunale,�cos|�ottenendo,�a�suo�tempo,�la�proroga�del�permesso�di� soggiorno.� Il�ricorrente�era�perfettamente�a�conoscenza�di�cio�che�gli�necessitava� per�ottenere�il�chiesto�provvedimento,�in�quanto�egli�si�era�rivolto�a�ben�due� avvocati,�i�quali�avevano�inoltrato�alla�Questura�di�Pisa�richieste�di�informa- zioni�cui,�tuttavia,�nessuna�produzione�in�merito�era�seguita.� Il�K.,�pertanto,�era�gia�stato��avvertito��del�contenuto�dell'eventuale� provvedimento�finale,�con�la�comunicazione�del�vecchio�procedimento�il�cui� provvedimento�finale�e�stato�ora�sostituito.� Non�si�tratta,�peraltro,�di�una�sostituzione��normale�,�essendo�tale� provvedimento�stato�emanato�allo�scopo�di�integrare�la�motivazione�dell'atto� precedente�e�ponendosi,�dunque,�come�atto�consequenziale�a�questo.� E�innegabile�che�il�procedimento�consegue�ad�un�preciso�nesso�di�deriva- zione�necessaria�da�una�precedente�attivita�amministrativa�gia�conosciuta� dall'interessato�e�che,�pertanto,�non�sia�necessario�procedere�alle�formalita� di�cui�all'art.�7�(13).� Non�e�da�sottacersi,�tuttavia,�che�la�disciplina�dell'art.�7�della�legge� 241/1990�non�si�applica�ai�procedimenti�ad�istanza�di�parte:�nel�qual�caso� l'avviso�d'avvio�sarebbe�una�mera�duplicazione�di�formalita�,�in�quanto�l'inte- ressato�e�evidentemente�a�conoscenza�della�pendenza�del�procedimento� avviato�da�lui�stesso�(14).� Oltretutto,�la�formalita�di�cui�all'art.�7�e�superflua�qualora�l'interessato� consegua�aliunde la�conoscenza�del�procedimento�(in�questo�caso,�addirit- (13)�Cons.�Stato,�Sez.�V,�22�maggio�2001,�n.�2823,�in�Foro Amm.,�2001,�1204;�Cons.�Stato,� Sez.�quarta,�16�marzo�2001,�n.�1578,�in�Foro Amm.,�2001,�384.� (14)�Giurisprudenza�costante,�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�23�maggio�2001,�n.�2849,�in�Foro Amm. 2001,�1141;�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�12�marzo�2001,�n.�1381,�in�Foro Amm.,�2001,�366.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� tura,�anche�a�mezzo�dell'attivita�defensionale�posta�in�essere�con�i�sacri�cri- smi�di�un�processo�amministrativo):�la�comunicazione�di�avvio�del�procedi- mento�ha�infatti�finalita�sostanziali�e�non�meramente�formali�(15).� Le�esigenze�di�celerita�,�inoltre,�non�consentivano,�comunque,�l'applica- zione�della�formalita�di�cui�all'art.�7.� Lo�stesso�art.�7�prevede�una�deroga�nel�caso�di�esigenze�di�celerita�e� urgenza.� Nel�caso�de quo tali�esigenze�sussistevano�in�quanto�il�provvedimento� riguarda�un�soggetto�senza�fissa�dimora,�(come�dimostrano,�tra�le�tante�altre� cose,�le�difficolta�incontrate�dalla�Questura�per�notificare�i�vari�atti�al�K.)�e,� dunque,�un�soggetto�in�grado�di�arrecare�pericolo�per�l'interesse�pubblico� alla�sicurezza(16).� Non�solo:�la�Questura�ha�piu�volte�richiesto�all'interessato�la�produ- zione�di�ulteriore�documentazione,�rispettando�cos|�il�principio�della�parte- cipazione�(17).� Non�si�nasconde,�infine,�che�l'orientamento�giurisprudenziale�piu� recente�ritiene�che�l'art.�7,�come�tutte�le�altre�regole�sulla�partecipazione� stabilite�dalla�legge�n.�241�del�1990,�non�debba�essere�interpretato�in� maniera�rigidamente�formalistica,�letterale�e�acritica,�bens|�secondo�logica� e�buon�senso�(18).� E�essenziale,�infatti,�fornire�una�lettura�di�tali�regole,�alla�luce�dei�criteri� generali�che�governano�l'azione�amministrativa,�individuando�i�contenuti� essenziali�del�rapporto�tra�esercizio�del�pubblico�potere�e�tutela�della�posi- zione�del�privato�(ragionevolezza,�proporzionalita�,�logicita�ed�adeguatezza).� E�innegabile,�pertanto,�che�il�contatto�procedimentale�tra�il�ricorrente�e� l'Amministrazione�procedente�vi�sia�stato.� Da�ultimo�si�evidenzia�che�e�stata�chiesta,�dalla�difesa�dell'Avvocatura� dello�Stato,�relativamente�all'originario�decreto�questorio�originariamente� impugnato,�il�dichiararsi�della�cessazione�della�materia�del�contendere,� essendo�stato�esso�eliminato�dal�mondo�giuridico,�con�consequenziale� impossibilita�di�ledere�un'eventuale�situazione�giuridica�soggettiva�di�parte� ricorrente.� Conclusioni. In�conclusione,�e�da�rilevarsi�la�tendenza�recente�della�giu- risprudenza�ad�applicare�e�ad�avvalorare�i�principi�innovativi�della�legge� 241/90�non�solo�in�riferimento�alle�istanze�del�privato,�ma�anche�a�quelle� della�parte�pubblica,�troppo�spesso�sacrificata�in�angusti�schematismi�e�for- malismi;�il�risultato�e�quello,�sicuramente�positivo,�di�garantire�ed�incoreg- (15)�Cfr.�sul�punto�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�20�febbraio�2002,�n.�1003,�in�Foro Amm. CDS,� 2002,�395;�Cons.�Stato,�sez.�V,�28�maggio�2001,�n.�2884,�in�Foro Amm.,�2001,�1222.� (16)�Cass.�civ.,�Sez.�prima,�9�aprile�2002,�n.�5050,�in�Mass. Giur. it.,�2002;�T.A.R.�Abruzzo,� L'Aquila,�20�maggio�2002,�n.�296,�in�Foro Amm. T.A.R.,�2002,�1660.� (17)�Cfr.�sul�punto�T.A.R.�Toscana,�Sez.�prima,�17�luglio�2002,�n.�1464,�in�Foro Amm. T.A.R.,� 2002.� (18)�T.A.R.�Campania,�Napoli,�Sez.�quarta,�4�gennaio�2002,�n.�88,�in�Foro Amm. TAR,�2002,� 208;�T.A.R.�Lazio,�Latina,�23�maggio�2001,�n.�527,�in�Foro Amm.,2001.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� giare�una�corretta�attivita�amministrativa,�tralasciando�una�impostazione�di� tipo�punitivo�a�favore�di�una�piu�moderna�tendenza�del�giudice�dell'Ammini- strazione,�deputato�ad�orientarla�e�a�correggerla,�senza�tuttavia�ostacolarla� o�imbavagliarla.�Vi�era�questa�concezione,�d'altronde,�nel�disegno�originario� del�lontano�Legislatore�ottocentesco.� Avv.�Maria�Vittoria�Lumetti� Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Firenze, Sezione prima, ordinanza del 9 aprile 2003 (Camera di Consiglio dell'8 aprile 2003), n. 353 ^Presidente�Relatore�G.� Vacirca�^K.I.�(Avv.ti�F.�Caravano,�C.�Pollera,�D.�Billetta)�c/o�Ministero�dell'Interno� (Avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti,�contenzioso�78/03).� E�ammissibilelapossibilita�perl'Amministrazionedirevocare�insedecautelareilprovvedi- mento�originario�di�diniego�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�e�di�emetterne�uno�nuovo,� modificandonelamotivazioneedeliminandoneivizioriginari.�Cio�allalucedellafacolta�,intro- dotta�dalla�legge�n.�205/2000,�di�impugnare�con�motivi�aggiunti�eventuali�altri�provvedimenti� connessi�a�quello�originario,�nonche�dell'esigenza�di�valorizzazione�deiprincipi�di�conservazione� degliatti,dicelerita�edef fficienzadellaP.A.�Sievitaintalmodoundefatiganterinnovodell'at- tivita�provvedimentalechesirisolverebbecomunquenell'emanazionediunatto�dirifiuto�delrin- novo�delpermesso�di�soggiorno.� �(Omissis).�Ordinanza�(Omissis)�per�l'annullamento,�previa�sospensione�dell'esecu- zione,�del�decreto�CAT�A12/2002�IMM�n.�94�emanato�dal�Questore�della�Provincia�di�Pisa� il�19�ottobre�2002,�notificato�al�ricorrente�il�18�novembre�2002,�di�rifiuto�del�permesso�di� soggiorno�n.�D691002;�nonche�di�ogni�atto�amministrativo�connesso,�presupposto�o�conse- guente.� Visti�gli�atti�e�i�documenti�depositati�con�il�ricorso;� Vista�la�domanda�di�sospensione�della�esecuzione�del�provvedimento�impugnato,�pre- sentata�in�via�incidentale�dal�ricorrente;� Visto�l'atto�di�costituzione�in�giudizio�di:�Ministero�dell'Interno;� Udito�il�relatore�Pres.�Giovanni�Vacirca�e�uditi�altres|�,�per�le�parti�D.Billetta�e�M.V.Lu- metti�(Avv.�Stato);� Considerato�che�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�sog- giorno,�diniego�motivato�con�il�carattere�ostativo�dell'arresto�in�flagranza�di�uno�dei�delitti� previsti�dall'art.�73�d.P.R.�n.�309�del�1990;� Considerato�che�l'art.�86,�comma�3,�d.P.R.�n.�309�del�1990�prevede�l'espulsione�per�gli� stranieri�colti�nella�flagranza�di�uno�dei�delitti�di�cui�all'art.�73,�commi�1,�2�e5,mentreil� ricorrente�risultava�imputato�ed�e�stato�condannato�con�il�suo�consenso�ex�art.�444�c.p.p.� (prima�dell'entrata�in�vigore�dell'art.�4�legge�30�luglio�2002)�per�la�fattispecie�meno�grave� contemplata�dal�comma�4�dell'art.�73,�cit.;� Vista�la�revoca�del�provvedimento�originario;� Visto�il�nuovo�provvedimento�di�rifiuto�per�ragioni�attinenti�alla�mancanza�di�reddito;� Considerato�che�sono�stati�proposti�motivi�aggiunti�avverso�il�nuovo�provvedimento;� Considerato�che�essi�appaiono�inammissibili�per�difetto�di�giurisdizione�riguardo�al� provvedimento�di�espulsione;� Considerato�che�il�reddito�non�e�stato�documentato�e�risulta�comunque�insufficiente;� Ritenuto�che�il�ricorso�non�sia�provvisto�di�fumus�boni�iuris;� Considerato�pertanto�che,�in�relazione�agli�elementi�di�causa,�non�sussistono�i�presup- postiperl'accoglimentodelladomandaincidentaleinesame,�aisensidell'art.�21,�dellalegge� 6�dicembre�1971�n.�1034,�come�modificato�dall'art.�3�della�legge�n.�205�del�2000�coordinato� con�l'art.�1�della�legge�stessa.� P.Q.M.:�Respinge�la�suindicata�domanda�cautelare.� La�presente�ordinanza�sara�eseguita�dalla�Amministrazione�ed�e�depositata�presso�la� Segreteria�della�Sezione�I�che�provvedera�a�darne�comunicazione�alle�parti�(Firenze,�8�aprile� 2003�(Omissis)�.� Di�seguito�si�pubblica�la�sentenza�conclusiva�del�processo.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione prima, sentenza nella Camera di Consiglio dell'8 aprile 2003 ^Presidente�Estensore�G.�Vacirca�^K.I.�(Avv.ti�F.�Cara- vano,�C.�Pollera,�D.�Billetta)�c/o�Ministero�dell'Interno�(Avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti,� contenzioso�78/03).� �(Omissis)�ricorso�(omissis)�per�l'annullamento�del�decreto�CAT�A12/2002�IMM�n.�94� emanato�dal�Questore�della�Provincia�di�Pisa�il�19�ottobre�2002,�di�rifiuto�del�permesso�di� soggiorno�n.�D691002;�nonche�di�ogni�atto�amministrativo�connesso,�presupposto�o�conse- guente.� Visti�gli�atti�e�documenti�presentati�con�il�ricorso;� Vista�la�domanda�di�sospensione�dell'esecuzione�del�provvedimento�impugnato,�presen- tata�in�via�incidentale�dalla�parte�ricorrente;� Visto�l'atto�di�costituzione�in�giudizio�del�Ministero�intimato;� Designato�relatore�alla�Camera�di�Consiglio�dell'8�aprile�2003,�il�Presidente�dott.�Gio- vanni�Vacirca;� Uditi,�altres|�,�per�le�parti�l'avv.�D.�Billetta�e�l'avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti;� Avvisate�le�stesse�parti�ai�sensi�dell'art.�21,�nono�comma,�della�legge�n.�1034/1971,�come� introdotto�dalla�legge�n.�204/2000;� Considerato�che,�in�relazione�agli�elementi�della�causa,�sussistano�i�presupposti�per�l'a- dozione�di�una�decisione�in�forma�semplificata;� Considerato�che�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�sog- giorno,�diniego�motivato�con�il�carattere�ostativo�dell'arresto�in�flagranza�di�uno�dei�delitti� previsti�all'art.�73�d.P.R.�n.�309�del�1990;� Considerato�che�l'art.�86,�comma�3,�d.P.R.�309�del�1990�prevede�l'espulsione�per�gli�stra- nieri�colti�nella�flagranza�di�uno�dei�delitti�di�cui�all'art.�73,�commi�1,�2�e5,�mentreil�ricor- rente�risultava�imputato�ed�e�stato�condannato�con�il�suo�consenso�ex�art.�444�c.p.p.�(prima� dell'entrata�in�vigore�dell'art.�4�legge�30�luglio�2002)�per�la�fattispecie�meno�grave�contem- plata�dal�comma�4�dell'art.�73,�cit.;� Vista�la�revoca�del�provvedimento�originario;� Visto�il�nuovo�provvedimento�di�rifiuto�per�ragioni�attinenti�alla�mancanza�di�reddito;� Considerato�che�sono�stati�proposti�motivi�aggiunti�avverso�il�nuovo�provvedimento;� Considerato�che�essi�appaiono�inammissibili�per�difetto�di�giurisdizione�riguardo�al� provvedimento�di�espulsione;� Considerato�che�il�reddito�non�e�stato�documentato,�non�essendo�sufficiente�la�produ- zione�di�un�riepilogo�dei�ricavi,�a�fronte�dei�quali�non�risulta�esposta�alcuna�spesa�per�acqui- sto�dei�beni�che�si�assumono�venduti;� Considerato�che�l'utile�di�. 4.407,00�risulta�comunque�insufficiente;� Considerato�che�l'art.�7�legge�n.�241�del�1990�non�si�applica�ai�procedimentisu�istanza� dell'interessato;� Ritenuto�che�il�ricorso�originario�sia�improcedibile�per�sopravvenuto�difetto�di�interesse� e�che�l'impugnazione�proposta�con�motivi�aggiunti�sia�inammissibile�per�quanto�concerne� l'espulsione�e�infondata�per�quanto�concerne�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno;� P.Q.M.:�Il�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Toscana,�Sez.�prima,�dichiara� il�ricorso�in�parte�improcedibile,�in�parte�inammissibile�ed�in�parte�infondato.�Spese� compensate.� Cos|�deciso�in�Firenze�l'8�aprile�2003�(omissis)�.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� La normativa in materia di stranieri, novellata dalla legge n. 189/2002 e il �patteggiamento� Tribunale Amministrativo regionale per la Toscana Sez. prima, sentenza nella Camera di Consiglio 8 aprile 2003 n. 1498 Premessa. La�sentenza�del�T.A.R�Toscana�n.�1498/2003,�respinge�il� ricorso�con�cui�era�stato�impugnato�il�diniego�del�rinnovo�del�permesso�di� soggiorno.� Tale�diniego�risultava�essere�motivato�in�forza�della�condanna�per� rapina�riportata�dal�ricorrente�in�relazione�con�l'art.�4�d.lgs.�n.�286/1998�cos|� come�novellato�dalla�legge�n.�189/2002.� A�tale�motivo,�la�Questura�aggiungeva�a�fondamento�dell'impugnato� diniego,�l'appartenenza�del�ricorrente�ad�una�delle�categorie�indicate�nel- l'art.�1�della�legge�n.�1423/1956,�richiamata�all'art.�13�comma�2,�lett.�c),�del� d.lgs.�n.�286/1998.� Il�T.A.R.�Toscana�nel�dichiarare�che�le�condanne�riportate�dal�ricorrente� in�data�22�novembre�2002�per�rapina,�per�la�quale�ad�oggi�pende�giudizio� d'appello,�e�in�data�2�gennaio�2001�per�favoreggiamento�personale,�sorreg- gono�adeguatamente�la�valutazione�del�Questore�riguardo�l'appartenenza� del�ricorrente�ad�una�delle�categorie�di�cui�all'art.�1,�legge�n.�1423/1956,�svi- luppa,�incidentalmente,�un�discorso�interessante�riguardo�alla�valutazione� della�condanna��patteggiata��ai�fini�del�rilascio�e�del�rinnovo�del�permesso� di�soggiorno.� Infatti,�il�T.A.R.�Toscana�nel�ribadire�che�l'art.�4�d.lgs.�n.�286/1998�cos|� come�modificato�dalla�legge�n.�189/2002�non�si�applica�retroattivamente,� afferma�che�da�una�pregressa�richiesta�di�applicazione�della�pena�su�accordo� delle�parti�unita�ad�altri�elementi�di�valutazione,�l'Amministrazione�possa� legittimamente�trarre�elementi�ai�fini�della�valutazione�di�cui�all'art.�1�legge� n.�1423/1956,�che�fa�riferimento�alla�categoria�delle�persone�che�vivono� anche�in�parte�con�i�proventi�di�attivita�delittuose.� Nel�caso�de quo,�va�evidenziato�che�i�fatti�oggetto�della�sentenza�di�pat- teggiamento�non�risultano�essere�in�alcun�modo�contestati�e�che,�al�contra- rio,�trovavano�il�loro�stesso�fondamento�nelle�ammissioni�del�ricorrente�sia� per�quanto�concerne�il�reato�di�rapina�che�quello�di�ricettazione.� In�generale,�alla�luce�di�questo�spiraglio�aperto�dalla�giurisprudenza�del� T.A.R.�della�Toscana�in�materia�di�valutazione�della�condanna��patteggiata�� ai�fini�dell'applicazione�del�testo�unico�sull'immigrazione�si�impone�una� riflessione�sugli�effetti�della�novella�introdotta�con�la�legge��Bossi-Fini�.� La�normativa�in�materia�di�stranieri,�novellata�dalla�legge�n.�189�del� 2002�contempla,�all'art.�4,�terzo�comma,�fra�le�cause�di�legittimo�diniego�del� rilascio�del�permesso�di�soggiorno�a�favore�dello�straniero,�l'aver�riportato� sentenza�di�condanna�ai�sensi�dell'art.�444�e�445�c.p.p.� La�legge�introduce,�dunque,�fra�i�fatti�impeditivi�del�rilascio�del�titolo�di� soggiorno�sul�territorio�della�Repubblica�il�cosiddetto��patteggiamento�,� ponendo�un�problema�interpretativo�che�merita�un'analisi�approfondita�in� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� merito�all'applicazione�della�normativa�stessa,�cos|�come�essa�risulta�modifi- cata�in�presenza�di�sentenze�di�patteggiamento�intervenute�precedentemente� il�vigore�della�modifica.� 1.�^La natura giuridica del patteggiamento e il negozio giuridico. Nes- suno�nega�che�la�novella�sia�sicuramente�peggiorativa�della�condizione�dello� straniero�che�chieda�il�permesso�di�soggiorno,�nella�necessita�di�garantire� l'ordine�pubblico.� In�realta�,�occorre�tenere�ben�presente�che�si�definisce�la�pendenza�con� richiesta�di�applicazione�della�pena�anche�nei�casi�di�reati�che�non�possono� certamente�essere�annoverati�fra�quelli�minori.� Basti�pensare�che,�in�presenza�di�un�concorso�fra�attenuanti�generiche,� possono�utilizzare�questo�rito�gli�imputati�per�reati�come�la�violenza�sessuale� (art.�609-bis c.p.),�la�rapina�aggravata�(art.�628,�3�c.p.)�e�l'estorsione� (art.�629�c.p.).� La�pena�su�richiesta�delle�parti�si�pone�come�meccanismo�in�cui�l'ac- cordo�delle�parti�del�processo,�pubblico�ministero�ed�imputato,�svolge�una� funzione�propulsiva�ed�acceleratoria�dell'affermazione�della�giustizia.� L'accordo�in�parola�si�pone�come�condizione�meramente�necessaria�per� attivare�l'iter semplificato,�essendo�obbligo�del�giudice�verificare�i�presuppo- sti�di�applicabilita�dell'accordo�raggiunto�alla�luce�dei�parametri�sostanziali� e�processuali�che�devono�essere�rispettati.� Nel��patteggiamento��si�hanno�due�manifestazioni�unilaterali�di� volonta�,�provenienti�dalle�parti�principali,�il�cui�incontro�non�puo�in�alcun� modo�essere�assimilato�alla�categoria�dei�negozi�giuridici�bilaterali�di�diritto� pubblico�o�privato.� L'accordo�determinato�in�questo�senso�dall'incontro�delle�volonta�con- vergenti�di�pubblico�ministero�e�imputato�costituisce�il�presupposto�giuridico� per�l'applicabilita�della�pena(1).� Su�tale�accordo,�infatti,�interviene�la�valutazione�del�giudice�che,�lungi� dall'essere��il�convitato�di�pietra�,�deve�valutare�non�solo�la�corrispondenza� della�qualificazione�giuridica�del�fatto�e�l'esattezza�della�determinazione�della� pena,�ma�anche,�e�forse�soprattutto,�che�non�sussistano�i�requisiti�per�una� sentenza�ex art.�129�c.p.p.�(2)� Di�piu�,�spetta�al�giudice�valutare�se,�allo�stato�degli�atti,�(il�giudizio�in� parola�ha�infatti�come�caratteristica�essenziale�la�sua�definizione�in�base�alle� risultanze�istruttorie�del�fascicolo�del�p.m.),�la�qualificazione�giuridica�sia� esatta,�ben�potendo�contestare�sul�punto�le�dichiarazioni�di�volonta�delle� parti.� (1)�Cass.�pen.,�Sez.�un.,�9�maggio�2001,�n.�14,�in�Cass. Pen.,�2001,�2674.� (2)�Il��patteggiamento�,�infatti,�mai�puo�trasformarsi�su�di�un�accordo�in�merito�alle�impu- tazioni�contestate.�Su�questo�punto�diffusamente�PulzonE in�Crit. Dir.,�1991,�n.�4,�37�e�ss.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Scendendo�ad�analizzare�l'intima�natura�dell'istituto�in�parola�occorre� ribadire�che�la�non�riconducibilita�dell'accordo�delle�parti�ad�un�negozio�giu- ridico,�e�collegata�alla�presenza�a�monte�di�una�pretesa�punitiva�dello�Stato,� esercitata�dal�pubblico�ministero,�che�non�e�rinunciabile.� Il�costituente�ha�previsto�all'art.�112�della�Carta�costituzionale�l'obbliga- torieta�dell'azione�penale.� Il�suo�esercizio,�affidato�al�p.m.,�prescinde�dalla�volonta�dell'organo,� essendo�non�un�diritto�disponibile�in�mano�al�legale�rappresentante�pro tem- pore,�ma�un�obbligo�di�natura�costituzionale�che�non�risulta�in�alcun�modo� soggetto�a�negozi�in latu sensu di�natura�transattiva�(3).� In�altri�termini,�nel��patteggiamento��l'incontro�delle�volonta�delle�parti� processuali�rappresenta�una�condizione�necessaria�all'attivazione�di�un�proce- dimento�speciale,�condizione�che,�per�quanto�necessaria�all'attivazione,�e�tut- t'altro�che�sufficiente.� Non�e�un�caso�che�l'oggetto�del�procedimento�in�parola�sia�solo�ed� esclusivamente�la�pena,�e�non�certo�l'assoluzione,�rappresentando�questaun� diritto�dell'imputato�indisponibile�ed,�ove�ne�sussistano�i�presupposti,un� obbligo�del�giudice�di�pronunciarla.� Per�quanto�le�parti�concordino�la�pena,�l'interprete�non�puo�in�alcun� modo�spingersi�a�ritenere�il��patteggiamento��come�un�accordo�assimilabile,� se�non�speculare,�ad�accordi�in�materia�di�diritti�disponibili�o,�quanto�meno,� soggetti�a�transazione.� Punto�nodale�della�disciplina�de qua non�e�,�infatti,�l'ammissione�della� colpevolezza�da�parte�dell'imputato,�bens|�la�sua�rinuncia�ad�avvalersi�della� presunzione�di�non�colpevolezza,�in�guisa�che�anche�la�non�menzione�della� condanna�nel�casellario�giudiziale�discende�quale�effetto�automatico�della� pronuncia�ai�sensi�e�per�gli�effetti�dell'art.�689,�2�c.p.p.� Il��patteggiamento��si�presenta�quindi,�come�espressione�di�un��nego- zio��cui�sono�da�collegarsi�altri�accidentalia negotii che�esulano�dal�suo� nucleo�centrale�legislativamente�previsto.� Il�negozio�giuridico�in�senso�generale�non�puo�ricomprendere�il��patteg- giamento�.� In�tale�istituto,�anche�a�voler�individuare�elementi�rimessi�alla�disponibi- lita�delle�parti,�questi�sono�rappresentati�solo�ed�unicamente�dal�requisito� presupposto�ed�essenziale�della�richiesta�rivolta�al�giudice�di�applicazione� della�pena,�cos|�come�determinata�dall'incontro�delle�volonta�unilaterali�e� non�negoziabili.� L'istituto�in�oggetto�si�palesa,�quindi,�come�un�meccanismo�premiale�di� natura�processuale,�non�essendo�sufficiente�l'accordo�a�qualificarlo�come�isti- (3)�Deve�sottolinearsi�come�la�dottrina�riconosca,�fra�gli�elementi�necessari�per�la�creazione� della�struttura�di�contratto�e�di�negozio�di�natura�transattiva,�un�carattere�di�patrimonialita�,che� nel�caso�de quo,non�e�possibile�rintracciare.�Per�tutti�Bianca.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� tuto�di�diritto�sostanziale,�con�l'effetto�di�ricondurre�nell'alveo�della�disponi- bilita�delle�parti�i�termini�dell'accordo�che�concernono�diritti�non�disponibili� (pretesa�punitiva�dello�Stato,�da�un�lato,�assoluzione,�dall'altro).� La�premialita�dell'istituto�e�facilmente�inferibile�dagli�effetti�immediati�e� mediati�del��patteggiamento��stesso�rappresentati�innanzitutto�da�una�cospi- cua�diminuzione�della�pena,�corrispondente�ad�un�terzo,�di�quella�che�risulte- rebbe�applicabile�all'esito�di�un�normale�dibattimento;�poi,�dall'affranca- mento�dalle�spese�di�giudizio�per�l'imputato,�dall'applicazione�di�pene�acces- sorie�e�misure�di�sicurezza�salvo�la�confisca�obbligatoria�dei�corpora delicti ex art.�240,�comma�2�c.p.p.� A�cio�si�aggiungono�effetti�importanti�sotto�il�profilo�della�mancanza�di� pubblicita�del�processo�penale�a�carico.� Infatti,�pur�non�essendo�tali�effetti�oggetto�di�patteggiamento,�il�legisla- tore�ha�voluto�riconoscere,�sempre�in�funzione�incentivante�e�premiale,�la� non�menzione�della�condanna�nel�casellario�giudiziale�nonche�il�mancato� pregiudizio�dell'imputato�in�sede�di�giudizio�civile�ed�amministrativo,�non� essendo�idoneo�il��patteggiamento��a�far�stato�(art.�445,�comma�2�c.p.p.).� Di�piu�va�aggiunto�un�ulteriore�effetto�molto�importante�che�e�quello� della�possibilita�della�sospensione�della�pena�sub condicione,�oltre�la�possibi- lita�che�il�procedimento�possa�sfociare�in�una�declaratoria�di�estinzione�del� reato�(art.�445,�comma�2�c.p.p.).� L'importanza�degli�effetti�favorevoli�del�rito�speciale�inducono�a�rite- nere,�data�anche�la�specialita�del�rito�in�parola,�non�estensibili�ulteriori�effetti� premiali�oltre�quelli�previsti�dal�legislatore.� L'istituto�del��patteggiamento�,�sorto�per�il�diritto�penale,�dato�atto�che� la�natura�di�accordo�sussiste�solo�ed�unicamente�quale�attivita�di�natura�pro- pulsiva�e�necessaria�per�l'attivazione�di�un�istituto�processuale�premiale,� riverbera�effetti�unicamente�nell'ordinamento�limitatamente�all'ambito� penale.� In�altri�termini,�attesa�la�natura�speciale�dell'istituto,�esso�ha�riflessi�pre- miali�unicamente�per�la�branca�del�diritto�in�cui�nasce�e�sviluppa.� Qualora�si�intenda�estendere�i�benefici�processuali�derivanti�dal�patteg- giamento,�una�tale�estensione�non�puo�e�non�deve�condurre�l'interprete�a� valutare�la�specialita�del�procedimento�all'interno�dei�presupposti�ammini- strativi�e�civili.� La�giurisprudenza,�costante�nel�negare�la�natura�condannatoria�della� sentenza�che�applichi�la�pena�su�richiesta�delle�parti,�basa�il�proprio�impianto� argomentativo�sulla�considerazione�del�fatto�che�essa�non�e�idonea�a�pro- durre�gli�effetti�propri�di�una�sentenza�di�condanna�che�contenga�l'accerta- mento�incontrastabile�della�responsabilita�penale.� Cio�non�elimina,�tuttavia,�che�la�sentenza�di�applicazione�della�pena�su� richiesta�delle�parti,�a�parere�della�giurisprudenza�largamente�maggioritaria,� sia�in�grado�di�produrre�effetti�propri�di�una�sentenza�di�condanna�a�cogni- zione�piena�qualora�essa�si�presenti�come�titolo�per�l'esecuzione�della�pena.� Premesso�quanto�sopra�in�merito�agli�effetti�del��patteggiamento�,� infatti,�la�sentenza�in�oggetto�e�,�per�espresso�volere�del�legislatore,�in�forza� di�una�ratio di�ordine�pubblico�e�di�prevenzione�dei�fattori�criminogeni� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� sociali,�ritenuta�in�tutti�i�suoi�effetti�equiparabile�ed�equiparata�alla�sentenza� di�condanna�a�cognizione�piena,�anche�in�alcune�situazioni�in�cui�dovrebbe� aver�rilievo�il�vero�e�proprio�accertamento�della�responsabilita�penale�(come� ad�esempio,�nella�normativa�antimafia,�ove�si�equipara�tale�pronuncia�alla� sentenza�di�condanna�con�tutte�le�conseguenze�che�ne�discendono).� In�realta�l'art.�445�c.p.p.�a�suffragio�di�una�tale�affermazione�afferma�al� secondo�comma,�che�salve�altre�disposizioni�di�legge,�la�sentenza�emessa�ex art.�444�c.p.p.�e�equiparata�a�sentenza�di�condanna.� Premesso�quindi�che�il�patteggiamento,�in�quanto�procedimento�speciale� di�carattere�premiale,�presenta�delle�particolarita�che�non�consentono�di�rico- noscere�all'accordo�che�ne�e�base�e�momento�propulsivo,�un�carattere�assimi- labile�ad�un�negozio�giuridico�bilaterale�di�natura�pubblicistica�e,�tanto� meno,�privatistica�occorre�limitare�il�suo�campo�applicativo�rispetto�ai�casi� in�cui�l'esistenza�di�un�tale�provvedimento�si�presenti�quale�limite�ostativo�al� riconoscimento�di�determinate�facolta�del�soggetto.� Va�sottolineato�in�questo�senso�che��l'accordo��soggiacente�il��patteg- giamento��in�quanto��accordo��processuale�ha�un�carattere�formale�che� rende�irrilevanti�le�eventuali�divergenze�tra�la�volonta�del�dichiarante�e�la� dichiarazione�come�risulta�riversata�in�atti�processuali,�cosa�che�vale�ad� escludere�ulteriormente�un�carattere�negoziale�in�senso�dispositivo�dell'isti- tuto�in�parola.� Per�quanto�riguarda�la�questione�de qua,�in�merito�alla�novellata�norma- tiva�in�tema�di�rilascio�di�permessi�di�soggiorno,�appare�evidente�un�pro- blema�di�coordinamento�fra�i�principi�sopra�illustrati,�concernenti�l'istituto� dell'applicazione�della�pena�su�richiesta,�e�l'applicazione�della�normativa.� Il��patteggiamento�,�sotto�il�vigore�della�nuova�legge,�si�pone�come�ele- mento�ostativo�del�rilascio�del�permesso�di�permanere�in�Italia�da�parte�del- l'Autorita�competente,�la�quale�e�chiamata�ad�assicurarsi�che�lo�straniero� extracomunitario�che�richieda�il�permesso�di�soggiorno�non�risulti�condan- nato�ai�sensi�dell'art.�444�c.p.p.� Il�fatto�di�aver��patteggiato��la�pena�per�i�reati�in�materia�di�prostitu- zione,�sfruttamento�della�prostituzione�connessi�allo�spaccio�di�sostanze�stu- pefacenti�ed�altro�si�presenta,�oggi,�come�presupposto�impedente�il�rilascio� del�titolo�di�soggiorno.� La�nuova�normativa�che�certamente�risulta�deteriore�per�la�posizione� dello�straniero,�ha�inteso�cos|�evitare�che�vi�fosse�una�palese�disparita�di�trat- tamento�fra�i�soggetti�che�erano�riusciti�ad�ottenere�il��patteggiamento��(il� quale,�giova�ricordarlo,�non�e�automatico)�ed�altri�che�non�avevano�adito�tale� beneficio,�pur�nella�commissione�di�medesime�fattispecie�di�reato.� Non�sfugge�certamente�che,�d'altro�lato,�il�legislatore�ha�limitato�l'equi- parazione�del��patteggiamento��alla�sentenza�di�condanna�vera�e�propria,� solo�per�i�reati,�quali�quello�di�sfruttamento�della�prostituzione�o�quelli� legati�all'immigrazione�clandestina�da�e�per�l'Italia,�che�rappresentano� il�maggior�motivo�di�allarme�sociale�in�quanto�abitualmente�commessi�da� soggetti�legati�alle�organizzazioni�criminali�che�sfruttano�le�masse�di�clan- destini�a�fini�delittuosi.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�diritto,�deve�considerarsi�che�il�presupposto�di�applicazione�di�una� legge�che�non�sia�penale,�come�e�quella�di�cui�si�discorre,�non�deve�necessa- riamente�venire�ad�esistenza�sotto�il�vigore�della�legge�che�gli�riconosca�tale� valore.� 2.�^Ilprincipiodiirretroattivita�delleleggeedil``patteggiamento''.^In� effetti,�il�principio�di�irretroattivita�della�legge�di�cui�all'art.�11�delle�preleggi� puo�essere�derogato,�permettendo�cos|�allo�ius.superveniens.di�regolare�fatti- specie�che�hanno�avuto�la�loro�origine�precedentemente,�salvo�il�caso�dell'ir- retroattivita�assoluta�della�legge�penale,�valore�costituzionalmente�ricono- sciuto�all'art.�25�della�Costituzione.� Nel�caso�della�normativa�in�esame�deve�escludersi�un�problema�di�una� applicazione�retroattiva�della�legge�in�materia�di�rilascio�di�permesso�di�sog- giorno,�dal�momento�che�essa�non�si�applica�alle�richieste�inoltrate�all'Auto- rita�competente�precedentemente�all'entrata�in�vigore�della�novella.� L'inclusione�fra�i�requisiti�impeditivi�all'ottenimento�del�rilascio�del� permesso�di�soggiorno�della�sentenza��patteggiata�,�integra�l'inclusione�di� un�nuovo�presupposto�ostativo�del�quale�non�rileva�la�data�della�venuta�ad� esistenza.� Il�legislatore�non�e�in�alcun�modo�intervenuto�sulla�disciplina�del� �patteggiamento�,�talche�sotto�il�vigore�della�vecchia�normativa,�la�giuri- sprudenza�aveva�ritenuto�che,�attesa�la�natura�di�accertamento�negativo� della�non�punibilita�della�sentenza�ex.art�444�c.p.p.,�essa�non�fosse�ostativa� al�rilascio�del�permesso�di�soggiorno�in�favore�degli�stranieri,�procedendosi� al�diniego�della�richiesta�solo�ed�unicamente�in�caso�di�sentenza�di�con- danna.� Il�principio�di�irretroattivita�della�legge�penale�non�rileva�nel�caso�in� esame,�infatti,�ai�sensi�dell'art�445�c.p.p.�la�sentenza�applicativa�della�pena� su�richiesta�delle�parti,�salvo�diversa�disposizione�di�legge,�e�equiparata�a� sentenza�di�condanna.� Le�diverse�disposizioni�di�legge�cui�si�riferisce�il�disposto�in�parola�sono� quelle�che�sopra�sono�state�evidenziate�come�effetti�premiali�dell'utilizzo�del� rito�speciale.� Premesso�questo,�solo�grazie�ad�un'interpretazione�giurisprudenziale�che� si�pone�come�suppletiva�della�volonta�del�legislatore,�se�non�parzialmente� praeter.legem,�nei�confronti�del�disposto�dell'art.�445�c.p.p.,�durante�il�vigore� della�vecchia�legge,�si�era�ritenuto�di�non�dover�valutare�l'intervenuto�patteg- giamento�come�requisito�ostativo�al�rilascio�del�permesso�di�soggiorno.� Anche�qualora�si�debba�valutare�la�posizione�del�cittadino�straniero�che� si�sia�determinato�a�patteggiare�la�pena�al�fine�di�poter�usufruire�del�rinnovo� del�permesso�di�soggiorno,�non�si�intravvede�come�tale�eventuale�rinnovo� possa�esser�stato�collegato�quale�effetto�premiale�sic.et.sempliciter.discen- dente�dall'utilizzo�del�procedimento�speciale.� Il�mutamento�della�normativa�non�pone�quindi�problemi�di�retroattivita� della�legge,�nel�momento�in�cui�cio�che�e�stato�realmente�modificato�e�un� presupposto�del�rilascio�di�provvedimento�amministrativo�di�permesso.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Nessun�principio�ad�oggi�vigente�nell'ordinamento�italiano�impone�al� legislatore�di�non�intervenire�nella�determinazione�dei�presupposti�nuovi�ed� ulteriori�per�il�rilascio�di�un�provvedimento�sia�anche�abilitativo�o�in�materia� di�status.� E�anche�vero,�come�si�e�detto,�che�il�principio�d'irretroattivita�,�il�quale� pure�costituisce�regola�generale�dell'ordinamento�giuridico�ai�sensi�dell'art.�11� disp.�prel.�c.c.,�espresso�dall'antico�brocardo�tempus regit actum,�secondo�il� quale�ciascun�fatto�deve�essere�assoggettato�alla�normativa�vigente�al� momento�in�cui�esso�si�e�verificato,�assume�rango�costituzionale�solo�in�rife- rimento�alle�norme�penali�incriminatrici�ed�alle�altre�norme�penali�di�carat- tere�afflittivo.� Il�principio�di�irretroattivita�della�legge�non�si�dovrebbe�applicare,� invece,�nei�riguardi�dei�provvedimenti�restrittivi�riguardanti�lo�straniero,�trat- tandosi�di�misure�non�afferenti�alla�materia�penale.� E�da�escludersi,�pertanto,�che�il�principio�di�irretroattivita�della�legge� penale�possa�trovare�applicazione�nei�riguardi�delle�misure�amministrative� di�competenza�dell'autorita�amministrativa,�in�quanto�si�tratta�di�provvedi- menti�emessi�sulla�base�di�leggi�civili�e�amministrative�che�non�riguardano� certo�la�materia�penale�(4).� La�volonta�del�legislatore�di�derogare�al�principio�della�irretroattivita� della�legge,�ove�non�sia�esplicitamente�affermata,�puo�essere�ricavata�dall'in- terprete�qualora�il�significato�letterale�della�norma�sia�incompatibile�con�la� normale�destinazione�della�legge�di�disporre�esclusivamente�per�il�futuro(5)� e,�comunque,�puo�ricavarsi�in�via�implicita�dal�dato�normativo�nonche�dallo� spirito�della�legge.� In�ogni�caso,�anche�a�voler�escludere�che�la�suddetta�revoca,�esplicita�o� implicita,�sia�intervenuta,�non�puo�disconoscersi�che�costituisce�principio� consolidato�nel�nostro�ordinamento�il�fatto�che�lo�ius superveniens,�pur�non� applicandosi�ai�fatti�compiuti�(vale�a�dire�a�quei�fatti�che�il�legislatore�ha� considerato�come�totalmente�passati�e�che�si�sono�svolti�sotto�la�vigenza� della�legge�anteriore),�e�pur�sempre�applicabile�ai�fatti�pregressi�(presuppo- sti),�che�il�legislatore�stesso�consideri�nei�loro�effetti�futuri�allo�scopo�di�attri- buire�loro�rilevanza�o�modificarli.� Orbene,�l'irretroattivita�della�legge�non�implica�l'impossibilita�che�essa,� benche�successiva,�regoli�fatti�e�provvedimenti�anteriori�quando�operino�su� situazioni�suscettibili�di�permanere�nel�tempo,�qualora�tali�situazioni�non� siano�esaurite�al�momento�dell'emanazione�della�nuova�normativa�(6).� Nell'ipotesi�che�la�novita�normativa�intervenga�prima�che�il�rapporto� giuridico�sorto�anteriormente�abbia�esaurito�i�suoi�effetti�e�non�sia�diretta� (4)�Ne�consegue�che�il�suddetto�principio�e�da�ritenersi�inderogabile�solo�nella�materia� penale:�fuori�da�tale�ambito,�essendo�esso�posto�da�una�norma�di�legge�ordinaria�e�risultando� privo�di�valenza�costituzionale,�puo�legittimamente�essere�derogato.� (5)�TAR�Toscana,�Sez.�prima,�26�maggio�1998,�n.�271,�in�Trib. Amm. Reg.,�1998,�I,�2572.� (6)�T.A.R.�Campania�Napoli,�Sez.�seconda,�23�febbraio�1998,�n.�659.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� proprio�ad�incidere�sul�fatto�o�atto�genetico�di�quel�rapporto,�essa�deve�essere� comunque�applicata,�senza�che�cio�comporti�alcuna�violazione�del�principio� di�irretroattivita�della�legge�(7).� Ne�consegue�che�il�principio�di�irretroattivita�non�preclude�l'applicabilita� della�nuova�legge�agli�effetti�non�esauriti�di�un�rapporto�giuridico,�sorto�ante- riormente�(8).� Lo�stesso�principio�comporta,�invece,�che�la�legge�nuova�possa�essere� applicata�ai�fatti,�allo��status��(quale�e�quello�dello�straniero)�e�alle�situazioni� esistenti�o�sopravvenute�alla�data�della�sua�entrata�in�vigore,�ancorche�conse- guenti�ad�un�fatto�passato.� Tutti�questi�elementi�(in�particolare�lo�status),�ai�fini�della�disciplina� disposta�dalla�nuova�legge,�debbano�essere�presi�in�considerazione�in�se� stessi,�prescindendo�totalmente�dal�collegamento�con�il�fatto�che�li�ha� generati.� Cio�al�fine�di�scongiurare�che,�attraverso�tale�applicazione,�sia� modificata�la�disciplina�giuridica�che�il�legislatore�ha�inteso�introdurre�nel- l'ordinamento.� E�,�pertanto,�la�condizione�stessa,�ovvero�lo�status di�straniero�(che�costi- tuisce�una�minaccia�per�la�sicurezza�dei�cittadini),�che�rileva�ai�fini�dell'appli- cazione�della�legge�de qua.� Molto�esplicito�il�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�18�novembre�1999,� n.�1718�(9):�il�principio�di�irretroattivita�di�disposizioni�normative�sopravve- nute�su�situazioni�coperte�da�giudicato,�non�comporta�la�loro�piena�operati- vita�per�il�periodo�successivo,�atteso�che�il�giudicato�non�puo�ipotecare�il� futuro�prevalendo�su�nuove�disposizioni�di�legge�che�sopravvengano�a�rego- lare�la�stessa�materia,�in�quanto�altrimenti,�si�verrebbe�a�compromettere�il� pieno�esercizio�della�funzione�legislativa.� E�evidente,�pertanto,�che�l'irretroattivita�della�legge�non�implichi�l'im- possibilita�che�essa,�benche�successiva,�regoli�fatti�e�provvedimenti�anteriori,� qualora�operino�su�situazioni�suscettibili�di�permanere�nel�tempo,�purche�tali� situazioni�non�siano�esaurite�al�momento�dell'emanazione�della�nuova�nor- mativa�(10).� Salva�la�materia�penale�in�cui�sovrano�ed�inderogabile�vige�il�principio� del�tempus regit actum,�negli�altri�rami�dell'ordinamento�non�si�rintracciano� principi�in�grado�di�limitare�il�legislatore�in�materia�di�modifica�o�richiesta� di�nuovi�presupposti�idonei�al�rilascio�di�un�provvedimento�accrescitivo�della� sfera�giuridica�dei�cittadini�richiedenti.� (7)�Cass.�pen.,�Sez.�un.,�9�maggio�2001,�n.�14,�in�Cass. Pen.,�2001,�2674.� (8)�Cfr.,�in�materia�lavoristica,�Cass.�civ.,�Sez.�Lav.,�5�aprile�2000,�n.�4221,�in�Mass. Giur. It.,� 2000.� (9)�In�Cons. Stato,�1999,�I,�1830.� (10)�T.A.R.�Campania,�Napoli,�Sez.�seconda,�23�febbraio�1998,�n.�659,�in�Trib. Amm. Reg.,� 1998,�I,�1513�e�in�Cons. Stato,�1998,�I,�398;�cfr.�inoltre�in�dottrina�Giuliani,�Le disposizioni sulla legge in generale: gli artt. da 1 a 15,in�Trattato di diritto privato,�diretto�da�Rescigno,�I,�1,�Torino,� 1984,�243�e�segg.;�R. Caponi,�In tema di �ius superveniens� sostanziale nel corso delprocesso civile: orientamenti giurisprudenziali,in�Foro It.,�1992,�I,�132�e�segg.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�271 Il�rinnovo�od�il�rilascio�ex novo del�permesso�di�soggiorno�in�presenza�di� sentenza��patteggiata��rappresenta,�dunque,�non�una�prerogativa�quesitada� tutti�coloro�che�abbiano�deciso�di�adire�il�rito�speciale,�bens|�una�mera� opportunita�che�era�utilizzabile�sotto�il�vigore�della�vecchia�legge�ed�irrile- vante�sotto�il�vigore�della�attuale.� Conclusioni. La�sentenza�del�TAR�Toscana,�pur�stabilendo�l'irre- troattivita�dell'art.�4,�argomentando�sulla�natura�di�accordo�intervenuto� tra�le�parti�in�sede�di�patteggiamento,�offre,�tuttavia,�importanti�spunti� per�una�nuova�interpretazione�della�norma�volta�a�non�escluderne�la�por- tata�e,�dunque,�a�non�svuotarla�di�contenuto�perdendo�di�vita�la�ratio della�legge.� L'interpretazione�offerta,�infatti,�salva�da�eventuali�censure�di�incostitu- zionalita�la�norma,�anche�alla�luce�dell'orientamento�della�Corte�costituzio- nale�in�merito�al��patteggiamento�,�ma�nello�stesso�tempo�ne�garantisce� una�lettura�compatibile�con�la�ratio della�legge,�volta�a�tutelare�la�sicurezza� nazionale�e�dei�cittadini.� Le�tappe�argomentative�della�sentenza�consentono�di�non�considerare� vana�la�sentenza�ex 444�c.p.c.�Quest'ultima�ben�puo�essere�utilizzata�dall'Am- ministrazione�al�fine�di�valutare�se�lo�straniero�e�socialmente�pericoloso�e� appartiene�ad�una�delle�categorie�di�cui�all'art.�11�legge�n.�1423/1956,�ossia� se�si�tratti�di�persona�che�vive,�anche�in�parte,�dei�proventi�delle�proprie�atti- vita�delittuose.� Non�solo,�ma�si�precisa�che�questo�tipo�di�valutazione�puo�ricarvarsi� anche�da�altri�elementi,�che�non�siano�quelli�desumibili�dalla�stessa�sentenza� di�patteggiamento.� Altra�novita�importante�e�quella�inaugurata�dal�TAR�Toscana�relativa� alla�possibilita�di�trarre�dal�contenuto�stesso�della�suddetta�sentenza,�cos|� come�da�altri�provvedimenti�giurisdizionali,�ulteriori�elementi�utili.� Ci�si�riferisce�alla�rilevanza�conferita�alla�mancata�contestazione�dei�fatti� oggetto�del�patteggiamento,�all'accertamento�dei�fatti�di�reati�comunque� effettuato�in�quella�sede,�o�all'ipotesi�che�l'eventuale�appello�proposto�non� tende�a�negare�il�fatto.� L'equilibrio�che�la�sentenza�ha�inteso�garantire�offre�un�brillante�esem- pio�di�come�sia�possibile,�utilizzando�gli�strumenti�giuridici�e�il�quadro�nor- mativo�vigente,�salvaguardare�i�principi�di�tutela�costituzionale�nonche�i� diritti�alla�sicurezza�dei�cittadini,�troppo�spesso�sacrificati�in�nome�di�una�tal- volta�astratta�quanto�vaga�tutela�dei�diritti�umani.� Avv. Maria Vittoria Lumetti Dott. Sandro Tizzi RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. prima, sentenza nella Camera di Consiglio 8 aprile 2003, n. 1498 ^Presidente�Estensore�G.�Vacirca�^B.S.�(Avv.ti�F.� D'Ambrosio�e�F.�Borselli)�c/�Questura�di�Firenze�(cont.�374/03,�Avv.�dello�Stato�M.V.� Lumetti).� L'art.�4�del�decreto�legislativo�n.�286/98,�come�modificato�dalla�legge�186/02,�non�puo� applicarsi�retroattivamente�ad�una�condanna�emessa�su�accordo�delle�parti�(patteggiamento),� che�abbia�tenuto�conto�degli�effetti�previsti�dall'art.�445�c.p.p.�Tuttavia,�dalla�predetta�sentenza� ex�art.�444�c.p.p.�come�da�altri�episodi,�l'Amministrazione�puo�legittimamente�trarre�elementi� aifini�della�valutazione�di�cui�all'art.�1�della�legge�27�dicembre�1956�n.�1423�(persona�che�vive,� anche�inparte,�con�iproventidiattivita�delittuose).� �(Omissis)�Ricorso�(omissis)�per�l'annullamento�del�decreto�del�Questore�della�Provin- cia�di�Firenze�del�10�gennaio�2003,�notificato�il�successivo�24�gennaio�2003,�che�decreta�il� rifiuto�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno,�nonche�di�ogni�altro�atto�pregresso,�successivo� e�comunque�connesso�anche�se�di�estremi�ignoti.� Visti�gli�atti�e�documenti�presentati�con�il�ricorso;� Vista�la�domanda�di�sospensione�dell'esecuzione�del�provvedimento�impugnato,�presen- tata�in�via�incidentale�dalla�parte�ricorrente;� Visto�l'atto�di�costituzione�in�giudizio�della�Questura�intimata;� Designato�relatore,�alla�Camera�di�Consiglio�del�8�aprile�2003,�il�Presidente�dott.�Gio- vanni�Vacirca;� Uditi,�altres|�,�per�le�parti�l'Avv.�F.�D'Ambrosio�e�l'Avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti;� Avvisate�le�parti�ai�sensi�dell'art.�21,�nono�comma,�della�legge�n.�1034/1971,�come�intro- dotto�dalla�legge�n.�205/2000;� Considerato�che,�in�relazione�agli�elementi�della�causa,�sussistano�i�presupposti�per�l'a- dozione�di�una�decisione�in�forma�semplificata;� Considerato�che�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�sog- giorno,�autonomamente�motivato�con:� a)�la�condanna�per�un�reato�(rapina)�previsto�dall'art.�380�c.p.,�in�relazioneall'art.�4� d.lgs.�n.�286/1998,�come�modificato�dalla�legge�n.�189/2002;� b)�l'appartenenza�del�ricorrente�ad�una�delle�categorie�di�cui�all'art.�1�della�legge� 27�dicembre�1956,�n.�1423,�richiamata�dall'art.�13,�comma�2,�lett.�c),�d.lgs.�n.�286�del�1998� (persona�che�viva�anche�in�parte�con�i�proventi�di�attivita�delittuose).� Vista�l'ordinanza�presidenziale�istruttoria�del�18�marzo�2003,�con�cui�sono�stati�richiesti:� 1)�copia�della�sentenza�di�condanna�per�il�reato�sub�a);� 2)�un�certificato�di�pendenza�del�procedimento�di�appello�avverso�la�condanna� 22�novembre�2002�per�ricettazione;� 3)�notizie�sull'eventuale�pendenza�presso�la�Prefettura�di�un�procedimento�per�espul- sione�ex�art.�13,�comma�2,�lett.�c),�d.lgs.�n.�286�del�1998.� Vista�la�sentenza�27�marzo�2001�del�G.U.P.�Trib.�Firenze,�con�cui�il�ricorrente�e�stato� condannato�ex�art.�444�c.p.p.�per�tentata�rapina�in�concorso�nei�confronti�di�un�cittadino� cinese�(6�aprile�2000)�e�per�ricettazione,�in�quanto�trovato�in�possesso�di�un�libretto�di�asse- gni,�compendio�di�rapina�subita�da�altro�cittadino�cinese�il�21�marzo�2000;� Considerato�che�l'art.�4�d.lgs�n.�286�del�1998,�come�modificato�dalla�legge�n.�189�del� 2002,�non�puo�applicarsi�retroattivamente�a�una�condanna�emessa�su�accordo�delle�parti,� che�abbiano�tenuto�conto�degli�effetti�previsti�dall'art.�445�c.p.p.;� Ritenuto,�tuttavia,�che�dalla�predetta�sentenza�ex�art.�444�c.p.p.�e�da�altri�episodi�l'Am- ministrazione�possa�legittimamente�trarre�elementi�ai�fini�della�valutazione�di�cui�all'art.�1� della�legge�27�dicembre�1956,�n.�1423;� Considerato�che�nel�caso�in�esame�i�fatti�oggetto�della�sentenza�su�patteggiamento�non� sono�contestati�(per�quanto�concerne�la�tentata�rapina�si�precisa�nella�sentenza�che��gli�ele- menti�che�hanno�portato�all'identificazione�degli�imputati�come�autori�del�fatto�criminoso� hanno�trovato�sostanziale�ed�inequivocabile�conferma�nelle�loro�stesse�ammissioni�;�per� quanto�concerne�la�ricettazione,�si�riferisce�nella�stessa�sentenza�che��la�disponibilita�del� libretto�di�assegni�di�provenienza�delittuosa�da�parte�del�medesimo�e�stata�accertata�a� seguito�della�perquisizione�eseguita�nei�suoi�confronti�);� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Considerato�che�per�quanto�concerne�l'altro�episodio�di�ricettazione,�percui�il�ricor- rente�e�stato�condannato�con�sentenza�22�novembre�2002�del�Tribunale�di�Firenze,�l'appello� proposto�tende�non�a�negare�il�fatto�(detenzione�di�un�ciclomotore�con�evidenti�segni�di� scasso�al�dispositivo�di�accensione),�ma�a�farlo�qualificare�come�furto;� Considerato�che�tutti�questi�episodi,�a�cui�si�aggiunge�una�condanna�in�data2�giugno� 2001�del�tribunale�di�Firenze�per�favoreggiamento�personale,�sorreggono�adeguatamente�la� valutazione�del�Questore�sull'appartenenza�del�ricorrente�a�taluna�delle�categorie�di�cui� all'art.�1�legge�n.�1423�del�1956�ai�fini�del�diniego�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno,� salva�diversa�valutazione�del�Prefetto�ad�adottare�il�provvedimento�di�espulsione;� Ritenuto�che�il�ricorso�non�sia�fondato�e�che�sussistano�giuste�ragioni�per�dichiarare� compensate�tra�le�parti�le�spese�del�giudizio; P.Q.M.:�il�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Toscana,�Sez.�prima,�respinge�il ricorso.�Spese�compensate. Cos|�deciso�in�Firenze�l'8�aprile�2003�(omissis)�.� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Note processuali connesse alla tutela dei dati personali, ai sensi dell'art. 29 della legge n. 675/1996 Tribunale di Roma, sezione seconda civile, ordinanza del 3-5febbraio 2003 La questione oggetto del provvedimento del giudice e che costituisce lo spunto per le considerazioni di seguito esposte puo� essere cos|� riassunta: con ricorso (ct. 5875/02, Avv. dello Stato G. Albenzio) depositato il 28 gennaio 2002, l'Agenzia delle Entrate chiedeva l'annullamento ex art. 29 legge n. 675/1996 ^previa sospensiva ^ex art. 700 c.p.c. ^del provvedimento emesso il 5 dicembre 2001 con cui il Garante per la protezione dei dati perso- nali ha inibito di fatto la raccolta di dati personali riguardanti gli acquirenti di apparecchi televisivi, da parte della suddetta Agenzia e della RAI S.p.a., ai fini della riscossione del canone di abbonamento radiotelevisivo. Successivamente l'Agenzia delle entrate rinunciava alla domanda caute- lare, insistendo per l'accoglimento della domanda di merito, proposta ai sensi dell'art 29 legge n. 675/1996. Il giudice delegato, con ordinanza del 15 maggio 2002 riservava la deci- sione al collegio in sede camerale, ai sensi degli art. 737 e segg. c.p.c.; rile- vata, pero� la pendenza, davanti al giudice monocratico, di un altro giudizio (ct. 3374/02) promosso dalla RAI S.p.a., avente ad oggetto l'impugnativa del medesimo provvedimento del garante, il collegio rimetteva gli atti al Pre- sidente della seconda sezione del tribunale di Roma segnalando i profili di connessione oggettiva e soggettiva tali da consigliare la trattazione unitaria. Il Presidente della seconda sezione, con decreto del 5 febbraio 2003, disponeva la riunione dei due procedimenti e la prosecuzione secondo le norme del rito ordinario. La questione sommariamente esposta offre un interessante punto di par- tenza per un'analisi della tutela apprestata dall'ordinamento, nell'ambito del trattamento dei dati personali. Il sistema della tutela dei diritti rispetto all'attivita� di trattamento dei dati personali, delineato dalla legge n. 675/1996, e� incentrato sull'alternati- vita� tra la richiesta di tutela in via amministrativa al Garante e l'invocazione della tutela giurisdizionale; quest'ultima puo� essere invocata direttamente, in alternativa appunto a quella amministrativa, oppure dopo l'esaurimento del procedimento davanti al Garante e nei casi disciplinati dagli articoli 21, comma 3 e 31, comma 1 lettera l). Il ricorso al Garante non puo� essere pro- posto se fra le medesime parti ed il medesimo oggetto sia stata gia� adita con ricorso o citazione l'autorita� ordinaria, mentre, viceversa, l'avvenuta pre- sentazione del ricorso rende improponibile di fronte al giudice ordinario una domanda tra le medesime parti ed avente il medesimo oggetto. In particolare, l'art. 29 legge n. 675/1996 detta la disciplina processuale per le azioni giudiziarie concernenti la materia disciplinata dalla stessa legge; nei primi cinque commi viene regolato il procedimento amministrativo di fronte al Garante e nei commi sei, sei bis e sette il procedimento giurisdizio- nale di impugnazione dei provvedimenti del Garante; per evitare una fram- IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� mentazione�e�incertezza�del�quadro�giurisprudenziale�il�comma�ottavo,�con� norma�di�chiusura,�ha�devoluto�tutte�le�controversie�che�riguardano�l'applica- zione�della�legge�alla�competenza�del�giudice�ordinario,�da�individuarsi� secondo�le�regole�comuni,�nelle�forme�del�processo�di�ordinaria�cognizione.� Sembrerebbe�delineato�un�modello�di�riparto�di�giurisdizione�che�estro- mette�in�apparenza�il�giudice�amministrativo,�ma�come�si�vedra��in�seguito,� sembra�ricomparire�in�alcune�proposte�interpretative� Il ricorso amministrativo contenzioso davanti al Garante ha�inizio�su� ricorso�proposto�dall'interessato�che�vanti�uno�dei�diritti�di�cui�all'art.�13� legge�n.�675/1996.� Si�ritiene�che�il�ricorso�possa�essere�presentato�anche,�su�procura�per� iscritto�dell'interessato,�da�associazioni�rappresentative�(ex art.�13,�comma�4� della�legge)�(cfr.�la tutela dei dati personali, commentario alla legge n. 675/1996�,�II�edizione,�Cedam,�375).� Costituisce�espressamente�condizione�di�ammissibilita��del�ricorso�l'espe- rimento�di�un�tentativo�di�conciliazione�tra�le�parti,�che�deve�essere�promosso� a�cura�dello�stesso�ricorrente,�con�richiesta�al�responsabile�del�provvedimento� (art.�29�comma�2),�decorsi�cinque�giorni�da�tale�richiesta�l'interessato�puo�� adire�il�garante;�questo��filtro��(che�non�sussiste�per�le�domande�presentate� direttamente�all'autorita��giudiziaria)�viene�meno�quando�il�decorso�dei�cin- que�giorni�esporrebbe�l'interessato�o�un�terzo�ad�un�pregiudizio�imminente� ed�irreparabile�nonche�nel�caso�l'interessato�si�limiti�a�far�pervenire�al� Garante�una��segnalazione��o�un��reclamo�.� La�disciplina�del�procedimento�e��meramente�delineata�dall'art.�29,� essendo�demandata�alle�determinazioni�del�regolamento�d'esecuzione� (decreto�del�Presidente�della�Repubblica�31�marzo�1998,�n.�501)�l'individua- zione�delle�modalita��idonee�a�garantire�una�tutela�celere�nel�rispetto�del�prin- cipio�del�contraddittorio.�E�,�comunque,�stabilito�espressamente�dalla�legge�il� diritto�delle�parti�di�essere�sentiti�e�di�produrre�le�proprie�allegazioni�e�difese� attraverso�memorie�e�documenti.�Il�Garante�puo��disporre�anche�d'ufficio� perizie�e�la�dottrina�ritiene�che�possa�essere�validamente�utilizzato�anche�in� tale�sede�l'intero�complesso�dei�poteri�ispettivi,�di�accertamento�e�di�controllo� attribuiti�dalla�legge�all'Autorita��.(cfr.�la tutela dei dati personali, commenta- rio alla legge n. 675/1996�,�II�edizione,�Cedam,�376).� Il�procedimento�deve�concludersi�entro�venti�giorni�liberi�dalla�data�di� presentazione�del�ricorso,�decorsi�i�quali�il�ricorso�si�intende�rigettato� (art.�29�comma�4).�La�celerita��del�procedimento�e��legata�alla�necessita��di� tutelare�situazioni�concernenti�diritti�della�personalita��che�richiedono�tempe- stivita��d'intervento�(es.�inibizione�della�pubblicazione�di�un�articolo�su�un� quotidiano)�nonche�alla�circostanza�che�il�procedimento�stesso,�attivato� facoltativamente�dell'interessato,�finisce�per�essere�imposto,�per�il�principio� dell'alternativita��su�esposto,�a�tutte�le�parti�coinvolte,�compresi�il�titolare�ed� il�responsabile�(cfr. il�ricorso�straordinario�al�Capo�dello�Stato�in�cui,�diver- samente,�i�controinteressati�possono�far�valere�la�preferenza�per�la�via�giuri- sdizionale)�(cfr.�Mazzamuto,�Foro It.,�1998,�V,�49�ss.).� Proprio�per�la�possibile�necessita��di�interventi�immediati�di�tutela�il�legi- slatore�ha�innestato�nel�procedimento�di��merito��davanti�al�Garante�un� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� provvedimento��cautelare��giustificato�dalla��particolarita��del�caso��e�con- cretizzato�nella�sospensione�di�una�o�piu��operazioni,�oppure�in�un�blocco� anche�parziale�dei�dati.�L'efficacia�della�misura�cautelare,�benche�provvisoria,� e��assistita�dalla�medesima�sanzione�penale�prevista�per�l'inosservanza�del� provvedimento�definitivo�(art.�37);�come�giustamente�si�e��osservato,�potrebbe� suscitare�perplessita��il�ricorso�alla�sanzione�penale�per�l'inosservanza�di�un� provvedimento�soggetto�a�riforma�o�a�caducazione�(�Banche dati e tutela della riservatezza�,�Buttarelli,�Giuffre��).�Il�provvedimento�cautelare�e�� impugnabile�unitamente�a�quello�di�merito�entro�trenta�giorni�dalla�data�di� comunicazione�del�provvedimento�o�dalla�data�del�rigetto�tacito�davanti�al� giudice�civile.� Per�quanto�riguarda�le�decisioni�di�accoglimento�del�ricorso,�la�prove- nienza�da�un�organo�non�giurisdizionale�impedisce�che�queste�possano�costi- tuire�titolo�esecutivo,�pertanto�la�loro�effettivita��e��rimessa�esclusivamente�alla� previsione�di�una�sanzione�penale�in�caso�di�inadempimento�delle�stesse� (art.�37)�(cfr.�Mazzamuto,�Foro It.,�1998,�V,�49�ss.;��la tutela dei dati perso- nali, commentario alla legge n. 675/1996�,�II�edizione,�Cedam).� Altra�perplessita��suscita�l'attribuzione�al�solo�titolare�della�legittima- zione�a�proporre�opposizione�nei�confronti�del�provvedimento�del�Garante� ed�a�chiederne�la�sospensione�e�non�anche�al�responsabile,�sebbene�anche� quest'ultimo�sia�destinatario�dell'ordine�inibitorio�e�dalla�relativa�sanzione� penale.� Per�quanto�riguarda�la�tutela giurisdizionale,�questa�puo��essere�invocata� o�immediatamente,�in�alternativa�a�quella�amministrativa,�oppure�dopo�l'e- saurimento�del�procedimento�di�fronte�al�Garante,�senza�dimenticare�la�com- petenza�generale�e�residuale�del�giudice�ordinario�prevista�dal�comma�8�del- l'art.�29.� Nei�confronti�della�tutela�cautelare�ante causam ed�in�special�modo�di� quella�atipica�la�dottrina�ha�osservato�che�la�legge�n.�675/1996�tende�a�favo- rire�la�tutela�cautelare�ottenibile�in�via�amministrativa�e�cio��per�una�serie�di� considerazioni:� 1.�il�riferimento�contenuto�al�secondo�comma�dell'art.�29�di�un�pre- giudizio�imminente�ed�irreparabile,�che�indica�la�possibilita��di�una�tutela�cau- telare�amministrativa�anche�in�via�preventiva�per�un�diritto�non�ancora�leso;� 2.�la�previsione�di�misure�cautelari�tipiche�applicabili�dal�Garante� senza�la�sussistenza�di�specifici�presupposti�(``quando�la�particolarita��del�caso� lo�richiede'');� 3.�il�regime�di�stabilita��che�assiste�tali�misure,�queste�infatti�non�sono� sottoposte�a�controlli�endoprocedimentali,�perdendo�efficacia�solo�se�nei�suc- cessivi�venti�giorni�non�venga�adottato�il�provvedimento�defintivo;� 4.�la�previsione�di�una�sanzione�penale�in�caso�di�non�ottemperanza� (art.�37);� 5.�la�possibilita��che,�sia�pure�previa�autorizzazione�del�tribunale,� anche�il�Garante�svolga�accertamenti�istruttori�analoghi�quelli�che�il�giudice� puo��direttamente�disporre�(es.�accessi,�ispezioni,�verifiche);� 6.�la�celerita��,�i�bassi�costi�e�la�qualita��della�tutela�stessa,�proveniente� da�un�soggetto�altamente�specializzato.� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Tuttavia�a�favore�della�tutela�cautelare�giurisdizionale�militano:� 1.�l'atipicita�del�contenuto�dei�provvedimenti�adottabili�dal�giudice�ai� sensi�dell'art.�700�c.p.c.�^la�dottrina�si�riferisce�in�special�modo�a�misure�a� contenuto�anticipatorio�della�successiva�decisione�di�merito;� 2.�la�possibilita�di�ottenere�una�misura�esecutiva,�in�grado�di�essere� attuata�immediatamente�anche�senza�o�contro�la�volonta�del�destinatario,� laddove,�come�si�e�visto,�i�provvedimenti�del�Garante�non�costituiscono�titolo� esecutivo�(Arieta,�La tutela dei dati personali, commentario alla legge n. 675/1996,�II�ediz,�Cedam).� Per�quanto�riguarda�la�tutela�ordinaria�del�giudice,�prevista�dal�primo�e�dal� secondo�comma�dell'art.�29�in�alternativa�a�quella�amministrativa,�questa�segue� le�regole�generali�sulla�competenza�ed�avviene�nelle�forme�ordinarie�del�pro- cesso�di�ordinaria�cognizione,�ottenendo�in�tale�sede�la�stessa�tutela�inibitoria�e� cautelare�di�spettanza�del�Garante�(Mazzamuto,�Foro It.�98,�V,�49�ss.),�anche� se,�una�volta�ammessa�una�tutela�cautelare�atipica�(ex art.�700�c.p.c.)�ante cau- sam,�non�puo�negarsi�la�stessa�possibilita�in�corso�di�causa.�Davanti�al�giudice� ordinario�e�,�inoltre,�possibile�chiedere�il�risarcimento�dei�danni�subiti.� Per�quanto�concerne,�invece,�la�tutela�giurisdizionale�successiva�al�proce- dimento�amministrativo�di�fronte�all'Autorita�indipendente�si�tratta�di�giudi- zio�contenzioso�regolato�dagli�articoli�737�e�ss.,�che�si�conclude�con�decreto,� avverso�il�quale�e�ammesso�unicamente�il�ricorso�in�cassazione.� Il�primo�problema�che�si�presenta�e�quello�dello�stabilire�se�il�tribunale,� in�sede�di�opposizione�svolga�una�funzione�meramente�cassatoria�del�provve- dimento�del�Garante�o�anche�di�somministrazione�di�tutela.�La�dottrina� ritiene�che��Tale�rimedio�oppositorio�e�diretto�a�sottoporre�direttamente�al� controllo�del�giudice�ordinario�il�diritto�soggettivo�senza�limite�alcuno�e�non� gia�al�mero�controllo�di�legittimita�e�di�opportunita�del�provvedimento� amministrativo�,�in�altri�termini��il�giudice�ordinario�e�chiamato�a�dare� piena�tutela�al�o�ai�diritti�che�si�assumono�lesi,�ivi�compresa�quella�risarcito- ria�conseguente�al�gia�sanzionato�(o�meno)�comportamento�illegittimo�da� parte�del�titolare�e�del�responsabile��(Arieta,�La tutela dei dati personali, commentario alla legge n. 675/1996,�II�ediz.,�Cedam).�Tale�impostazione� risulta,�inoltre,�coerente�con�quella�che�sembra�essere�una�caratteristica�gene- rale�dell'intero�sistema�in�materia�di�riservatezza�e�trattamento�dei�dati�per- sonali,�cioe�la�rapidita�.�Diversamente,�in�caso�di�una�decisone�di�rigetto�del� Garante�e�la�pronuncia�di�annullamento�del�giudice�che�accoglie�l'opposi- zione�si�dovrebbe�attendere�una�successiva�decisione�satisfattiva�del�Garante� ovvero�un�giudizio�di�ottemperanza�(Mazzamuto,�Foro It.,�1998,�V,�49�ss.).� Tornando�alle�richiamate�forme�dei�procedimenti�in�camera�di�consiglio,� che�il�legislatore,�con�sempre�maggiore�frequenza�ed�in�funzione�della�mag- giore�celerita�del�procedimento,�utilizza�per�disciplinare�giudizi�contenziosi� su�diritti�soggettivi�(che�tale�sia�la�natura�dei�diritti�in�questione�non�pare� oggetto�di�dubbio�alcuno)�si�osserva�che�tale�scelta�nasce�dall'esigenza�di� mettere�a�disposizione�delle�parti�che�si�sono�rivolte�previamente�al�garante� uno�strumento�di�tutela�piu�agile�e�piu�celere,�in�grado�di�consentire�il��con- trollo��giurisdizionale�sulla�decisone�amministrativa�e�di�ottenere�un�provve- dimento,�il�decreto�camerale,�sottoposto�alla�sola�verifica�da�parete�della� Corte�di�cassazione.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� La�questione�sollevata�nei�processi�di�cui�e�causa,�riuniti�con�il�provvedi- mento�del�Presidente�della�seconda�sezione�del�tribunale�di�Roma�riportato� in�epigrafe�concerne�l'individuazione�dell'ambito�di�operativita�del�procedi- mento�camerale:�se,�cioe�,�debba�intendersi�esteso�all'impugnazione�di�tutti�i� provvedimenti�del�Garante�(come�sostenuto�dalla�convenuta�Agenzia�delle� entrate)�o�se,�invece,�sia�limitato�a�quelli�emessi�a�seguito�del�procedimento� aperto�su�ricorso�di�parte�(come�disposto�nel�suddetto�provvedimento�del� giudice)� Tuttavia,�se�e�oggetto�di�numerose�perplessita�la�cosiddetta�cameralizza- zione�dei�diritti,�per�la�non�sufficiente�garanzia��del�dovuto�processo�legale�,� imposto�dalla�Costituzione�(artt.�3�e�24),�qualora�si�verta�in�materia�di�diritti� contenziosi,�anche�quando�il�procedimento�di�fronte�al�Garante,�benche�di� natura�amministrativa,�presuppone�un'istruttoria�approfondita�condotta� nella�pienezza�del�contraddittorio,�sicuramente�maggiore�e�il�rischio�paven- tato�quando�un�simile�procedimento�non�e�previsto�a�base�del�provvedimento� impugnato�in�sede�di�opposizione,�ad�esempio�ai�sensi�del�comma�4�del- l'art.�31,�ovvero�nel�caso�di�specie.�D'altra�parte,�anche�se�con�tali�perplessita� potrebbe,�comunque,�ritenersi�questo�il�rito�applicabile�nei�confronti�diprov- vedimenti�amministrativi�che�potrebbero�avere�identico�contenuto�sostan- ziale,�non�potendo�di�conseguenza,�anche�a�tacer�della�legge,�essere�soggetti� ad�un'impugnativa�differente�a�seconda�che�siano�il�risultato�di�un�procedi- mento�promosso�dal�ricorso�di�un�interessato�o�dei�poteri�ufficiosi�del� Garante�o�di�segnalazione�o�reclamo�ex art.�31�lettera�d).� Ulteriore�conseguenza�e�la�necessita�che�il�procedimento�amministrativo,� diverso�da�quello�regolato�dalla�legge�su�ricorso�dell'interessato,�ma�che�puo� condurre�ad�un�provvedimento�di�identico�contenuto�sostanziale�e�di�identi- che�sanzioni�penali�in�caso�di�inosservanza,�sia�comunque�sorretto�dai�prin- cipi�del�contraddittorio�o�quanto�meno�della�partecipazione�prevista�della� legge�n.�241�del�1990,�che�e�norma�generale�sui�procedimenti�amministrativi.� E�necessario�osservare,�inoltre,�che�la�dottrina�ritiene�necessario,�al�di�la� dei�dati�letterali,�un�adattamento�della�suddetta�procedura�camerale�al�com- plesso�della�fonte�normativa�che�la�richiama�e,�soprattutto,�alle�situazioni� soggettive�ivi�disciplinate,�che�richiedono�una�tutela�la�cui�natura�non�puo� considerarsi�camerale.�Di�conseguenza�il�richiamo�alle�forme�camerali�deve� limitarsi�a�comportare��l'applicazione�di�quelle�regole�procedimentali�che� non�siano�incompatibili�con�i�principi�e�le�garanzie�della�tutela�normale�� (Arieta,�op. cit.),�anche�perche�si�ricorda�che�la�decisione�di�adire�il�Garante� in�alternativa�al�giudice�ordinario�e�imposta�al�soggetto�passivo�il�quale,�a� seguito�della�decisione�amministrativa,�non�puo�che�ricorrere�all'opposizione� camerale.�Tale�questione�assume�rilevanza�anche�nel�valutare�se�la�pronuncia� del�tribunale�ai�sensi�degli�art.�737�c.p.c.�dia�luogo�alla�formazione�del�titolo� esecutivo�e�della�cosa�giudicata,�laddove�questa�costituisce�presupposto� necessario�del�giudizio�d'ottemperanza�(ritorna�sotto�quest'aspetto�la�compe- tenza�del�giudice�amministrativo)�(Arieta,�La tutela dei dati personali, com- mentario alla legge n. 675/1996,�II�ediz.,�Cedam;�Mazzamuto,�Foro It.,� 1998,�V,�49�ss.).� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Quanto�poi�alla�competenza�generale�e�residuale�del�giudice�ordinario,� prevista�dal�comma�8�dell'art.�29,�l'originaria�versione�del�progetto�Mirabelli� conteneva�il�frammento��anche�in�deroga�al�divieto�di�cui�all'art.�4�legge� 20�marzo�1965,�n.�2248,�allegato�E��ora�trasfuso�dalla�competenza�generale� a�quella�speciale�del�procedimento�di�opposizione�avverso�i�provvedimenti� del�Garante;�si�pone,�quindi,�il�dubbio�se�questo�assetto�sia�la�conseguenza� di�una�precisa�intenzione�del�legislatore�oppure�di�un�difetto�di�coordina- mento�interno�allo�stesso�art.�29,�il�quale�prevede�una�deroga�al�disposto�del- l'art.�4�della�legge�del�1865�nel�comma�7,�ma�non�nel�comma�8.� Se�si�ritiene�valida�la�prima�soluzione,�si�deve�convenire�che�il�legislatore� abbia�voluto�semplicemente�affermare�il�principio�secondo�cui�il�tribunale,� provvedendo�in�sede�di�opposizione�al�provvedimento�del�Garante,�potrebbe� sospenderne�l'esecuzione�e,�in�caso�di�accoglimento�dell'opposizione,�annul- larlo�o�modificarlo.�Ma�in�questo�modo�il�comma�7�avrebbe�una�portata� ridotta,�ad abundantiam,�perche�il�meccanismo�di�opposizione�davanti�al�tri- bunale�comporta�di�per�se�,�rispetto�ai�provvedimenti�del�Garante,�necessaria- mente�e�non��anche��una�deroga�alla�legge�del�1865�(cfr.�Mazzamuto,�Foro It.,�V,�49�ss.);�se,�infatti,�il�tribunale�non�potesse�intervenire�sull'atto� l'opponente�non�disporrebbe�di�altro�rimedio,�se�non�forse�quello�del�giudizio� di�ottemperanza� Questa�impostazione,�per�cui�il�tribunale�potrebbe�intervenire�sul�prov- vedimento�del�Garante,�ma�non�potrebbe�revocare�o�modificare�l'atto�ammi- nistrativo�eventualmente�sottostante�alla�controversia�(di�competenza�del� giudice�amministrativo,�con�inevitabile�accavallamento�di�tutela�giurisdizio- nale�ordinaria�e�amministrativa�e�di�tutela�amministrativa�di�fronte�all'auto- rita�indipendente,�salvo�considerare,�comunque,�precluso�un�intervento�in� materia�del�giudice�amministrativo�da�parte�dell'attribuzione�della�compe- tenza�generale�in�materia�al�giudice�ordinario�ex art.�29�comma�8,)�e�quella� che�si�allontana�di�meno�dai�principi�generali,�ma�si�discosta,�invece�da� quanto�sostenuto�da�parte�della�dottrina�(cfr.�Buttarelli,�Banche dati e tutela della riservatezza,�Giuffre�editore)�e�da�quanto�sembrerebbe�emergere� dai�lavori�parlamentari,�secondo�cui�il�legislatore�avrebbe�inteso�permettere� al�giudice�ordinario�di�intervenire�sull'atto�amministrativo�adottato�dal� responsabile�o�dal�titolare�del�trattamento.�Modello�questo�gia�presente�nel� nostro�ordinamento,�per�esempio�con�i�poteri�attribuiti�al�giudice�nel�giudizio� di�opposizione�avverso�le�sanzioni�amministrative,�ai�sensi�dell'art.�23�legge� n.�689/1981.�Si�porrebbe�casomai�il�problema�dei�poteri�del�Garante�sugli� stessi�atti�amministrativi�onde�evitare�un'asimmetria�sequenziale.� Se�si�conviene�con�questa�seconda�impostazione�si�deve�concludere�che�il� tribunale�puo�revocare�o�modificare�l'atto�amministrativo�adottato�dal�tito- lare�o�dal�responsabile�del�trattamento,�ma�solo�nel�caso�in�cui�si�adito�con� un'opposizione�avverso�un�provvedimento�del�Garante.� Il�giudice�ordinario�disporrebbe,�quindi,�di�maggiori�o�minori�poteri� rispetto�all'atto�amministrativo�in�base�ad�una�circostanza�(giudicare�dopo� un�provvedimento�del�Garante)�che�non�giustifica�una�tale�differenziazione� (cfr.Buttarelli, op cit.).�Potrebbe�allora�ritenersi�che�la�legge�abbia�confe- RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� rito�al�giudice�ordinario�tutti�i�poteri�necessari�ad�affrontare�le�violazioni� delle�disposizioni�in�essa�contenute,�anche�in�presenza�di�un�provvedimento� amministrativo,�considerando�erronea�la�citazione�della�legge�del�1895�nel� comma�7�anziche�nel�comma�8.� A�conclusione�dell'analisi�della�tutela�dei�diritti�connessi�al�trattamento� dei�dati�personali,�ai�sensi�della�legge�n.�675/1996,�e�delle�problematichedi� ordine�sostanziale,�processuale�e�sistematico�che�maggiormente�ruotano� intorno�ad�essa�si�osserva,�infine,�che�l'art.�29�al�comma�9�prevede�il�risarci- mento�del�danno�non�patrimoniale�anche�nei�casi�di�violazione�dell'art.�9�e,� quindi,�anche�al�di�fuori�delle�ipotesi�previste�dalla�legge�come�reato�(arti- coli�34�^37).� Come�si�e�osservato,�la�formulazione�legislativa�implicitamente�rimanda� al�dibattito�mai�sopito�sulla�categoria�del�danno�non�patrimoniale�e�sull'in- terpretazione�dell'art.�2059�c.c.,�secondo�cui�il�danno�non�patrimoniale�e� risarcibile�solo�nei�casi�determinati�dalla�legge�(cfr.�SalvatorE Sica, La tutela dei dati personali, commentario alla legge 675/96,�seconda�ed.,� Cedam).� Sotto�questo�profilo�l'art.�29�comma�9�ha�senza�dubbio�il�pregio�di�eli- minare�a�monte�ogni�incertezza�sull'ammissibilita�del�risarcimento�dei�danni� non�patrimoniali�conseguenti�alla�violazione�delle�regole�sulle�modalita�di� raccolta�e�sui�requisiti�dei�dati�personali�ai�sensi�dell'art�9.�E�dall'analisi�della� formulazione�di�quest'ultimo�articolo�sembra�difficile�ipotizzare�fattispecie� di�lesione�dei�diritti�della�personalita�legati�al�trattamento�dei�dati�personali� che�non�siano�contenute�nell'articolo�suddetto.� Tuttavia�si�e�osservato�che�e�opinione�giurisprudenziale�consolidata�che� se�la�responsabilita�viene�affermata�sulla�base�di�una�presunzione,�di�un�crite- rio�di�imputazione�oggettivo�o�in�assenza�dell'accertamento�di�una�condotta� qualificata�come�reato�il�danneggiante�non�e�tenuto�a�risarcire�il�danno� morale�(Cass.�n.�3278/1986).�In�particolare,�e�considerato�non�ammissibile�il� risarcimento�del�danno�morale�quando�la�responsabilita�del�suo�autore�e� stata�affermata��secondo�i�criteri�d'imputazione�previsti�dall'art.�2059�c.c.�� (Cass.�n.�5799/1980).� Potrebbe,�pertanto,�almeno�in�linea�teorica,�ravvisarsi�una�responsabilita� da�trattamento��ai�sensi�dell'art.�2050�del�codice�civile��(ex art.�18�legge� n.�675/1996),�tuttavia,�non�venendo�accertata�una�concreta�condotta�colposa,� in�violazione�dell'art.�9,�il�danno�morale�non�dovrebbe�essere�riparato.�Diffi- colta�ancora�piu�accentate�si�hanno�con�riferimento�ai�soggetti�pubblici�o� comunque�soggetti�a�disciplina�pubblicistica,�difficolta�che�si�riassumono�nel- l'efficacia�esimente�della�circostanza�di�aver�comunque�osservato�tutte�le�norme� di�legge�e�di�regolamento�e,�persino,�il�controllo�preventivo�del�Garante.� Questo�ragionamento�potrebbe�essere�esteso�anche�al�danno�patrimo- niale,�perche�,�sebbene�l'art.�18�rinvii�alla�disciplina�dell'art.�2050��Quale�giu- dice�pretendera�dalla�pubblica�amministrazione�la�prova�di�aver�fatto�tutto� il�possibile,�bel�al�di�la�dei�comportamenti�specificatamente�prescritti�a�suo� carico�da�apposite�normative?��(cfr.�Mazzamuto,�Foro It.,V,�49�ss.).� Dott.ssa Emanuela Brugiotti IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� Tribunale Ordinario di Roma, sezione seconda ^Provvedimento di scioglimento di riserva del 13 maggio 2002 ^16 giugno 2002 -Giudice: A.P.�Lamorgese�-Agenzia�delle�Entrate� (Avvocato�dello�Stato�G.�Albenzio,�contenzioso�5875/02)�e/Autorita��Garante�per�la� protezione�dei�dati�personali�(Avvocati�G.�Alpa�e�G.�Conte)�e�CODACON�(Avvocato� C.�Rienzi).� �Il�giudice,�a�scioglimento�della�riserva,�premesso�che�l'Agenzia�ricorrente�ha�rinunciato� alla�domanda�ex art.�700�c.p.c.�e,�per�contro,�insistito�in�quella�ex art.�29�co.�6�della�legge� 675/96�(v.�verb.�ud.�21.02.2002);� Lette�le�note�della�ricorrente�di�chiarimento�sui�profili�processuali�della�domanda�ex cito art.�29�della�legge�n.�675/96,�co.�6,�nonche�le�memorie�autorizzate�di�replica�delle�altre�parti;� consideratocheilprovvedimentodelGarantedel5dicembre2001e��statoformalmenteadottato� ai�sensi�dell'art.�31�della�legge�n.�675/97,�co.�1�lett.�b)�,�poi�corretta,�con�successivo�provvedi- mento�del�30�gennaio�2002,�nella�lett.�c);�tale�ultima�disposizione�prevede�esclusivamente�un'at- tivita��di��segnalazione��delle��modificazioni�opportune�al�fine�di��rendere�il�trattamento�con- forme�alle�disposizioni�vigenti�;�che,�in�vero,�il�provvedimento�impugnato�non�contiene�alcuna� segnalazione�di�modifiche�opportune,�ma�si�risolve�(come�chiarito�dallo�stesso�Garante�nel�suc- cessivo�provvedimento�integrativo�del�30�gennaio�2002)�in�una�sospensione,�sia�pure�temporal- mente�limitata,�del�trattamento�dei�dati�in�possesso�della�Rai�(afferenti�gli�acquirenti�di�appa- recchi�radiotelevisivi)�;�che�tale�sospensione�e��da�considerarsi�sostanzialmente�un��divieto�� (per�quanto�temporaneo)�di�trattamento�dei�dati�(come�ritenuto�dallo�stesso�tribunale�nell'ordi- nanza�emessa�in�data�30�gennaio�2002)�,�piu��correttamente�riconducibile�ai�provvedimenti�che� l'Autorita��Garantepuo��adottareaisensidell'art.31ce.1,lett.�1,legge675/97(�vietare,intutto� o�in�parte,�il�trattamento�dei�dati�o�disporne�il�blocco�);� Chetaleconclusione�none��scalfita�dall'ambiguo�tenore�letterale�dei�provvedimenti�adot- tati,�posto�che�le�espressioni�utilizzate,�solo�prima facie��segnalatorie�,�tradiscono�una�sostan- ziale�imposizione�di�non facere,�accompagnata�dalla�fissazione�di�un�termine�perentorio�entro� quale�il�responsabile�ed�il�titolare�sono�tenuti�ad�adeguarsi�(provvedimento�del�5�gennaio� 2001:�...vasegnalatalanecessita��dicessarelaraccoltaincorsodeidati...ediastenersidaltrat- tamentodeidatisinoraraccolti...�,�segnalalanecessita��diinterrompereiltrattamento...for- nendoentroil31�gennaio2002copiadeiprovvedimentiadottati...�;provvedimentodel30gen- naio�2002:��...�il�titolare�ed�il�responsabile�sono�invitati�a�sospendere�il�trattamento�dei�dati...�);� Ritenuto�che�siffatta�domanda,�ai�sensi�del�combinato�disposto�degli�artt.�29,�co.�6,�e�31,� co.�4�della�legge�675/96,�va�proposta�al�tribunale,�che�provvede�nelle�forme�di�cui�all'art.� 737�ess.�c.p.c.�ein�composizionecollegiale�ex art.�50-bis, co.�2,�c.p.c.;� Ritenuto,�peraltro,�che�i�dedotti�profili�attinenti�ai�rapporti�tra�la�presente�causa�e� quella�pendente�innanzi�al�Tribunale�di�Roma�(sez.�I)�tra�la�Rai,�il�Garante�el'Agenzia�delle� Entrate,�avente�ad�oggetto�la�richiesta�di�annullamento�dello�stesso�provvedimento�dell'Au- torita��(giudizio,�questo,�azionato�in�via�cautelare�dalla�Rai�e�nel�quale�il�giudice,�con�ordi- nanza�del�30�gennaio�2002,�ha�sospeso�il�provvedimento�de�quo, fissando�il�termine�di�giorni� 30�per�l'inizio�della�causa�di�merito),�non�potranno�che�essere�oggetto�di�valutazione�del� competente�giudice�collegiale;� Dispone�l'invio�del�fascicolo�di�causa�al�Presidente�per�gli�adempimenti�di�cui�all'art.� 738�c.p.c..� Si�comunichi.�^Roma,�13�maggio�2002�� Tribunale di Roma, sezione seconda civile ^Ordinanza del 3 -5 febbraio 2003 -Agenzia�delle� Entrate�(Avvocato�dello�Stato�G.�Albenzio,�contenzioso�5875/02)�c/Autorita��Garante� Protezione�Dati�Personali�(Avvocati�C.�Alpa�e�G.�Conte)�e�CODACONS�(Avvocato� C.�Rienzi).� �Il�Giudice,�letti�gli�atti�del�procedimento�n.�6268/2002�r.g.m.c.;� Rilevatocheilgiudizioe��statointrodottoconricorsodepositatoil28gennaio2002,concui� l'Agenzia�delle�Entrate�ha�chiesto�l'annullamento�(ex art.�29�della�legge�n.�675�del�1996),�previa� sospensiva�(ex art.�700�c.p.c.),�del�provvedimento�emesso�il�5�dicembre�2001�con�cui�il�Garante� per�la�protezione�dei�dati�personali�ha�di�fatto�inibito�la�raccolta�di�dati�personali�relativi�agli� acquirenti�di�apparecchi�televisivi,�da�parte�dell'Agenzia�ricorrente�e�della�RAI�S.p.A.,�ai�fini� della�riscossione�del�cosiddetto�canone�di�abbonamento�al�servizio�radiotelevisivo;� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Che�^successivamente�^la�ricorrente�ha�rinunciato�alla�domanda�cautelare,�insi- stendo�per�l'accoglimento�della�domanda�di�merito,�avente�ad�oggetto�l'annullamento� del�provvedimento�del�Garante,�proposta�ai�sensi�dell'articolo�29�della�legge�31�dicem- bre�1996,�n.�675;� Che�il�giudice�delegato,�dopo�aver�rilevato�che�a�norma�dell'articolo�29�della�citata� legge�n.�675/1996�il�tribunale�provvede�nei�modi�di�cui�agli�articoli�737�e�seguenti�del� codice�di�procedura�civile,�ha�riservato�la�decisione�al�Collegio�in�sede�camerale�con� ordinanza�del�15�maggio�2002;�che,�tuttavia,�il�Collegio,�con�decreto�del�24ottobre� 2002,�ha�rilevato�la�pendenza�^davanti�al�giudice�monocratico�^di�altro�giudizio�avente� ad�oggetto�l'impugnativa�proposta�dalla�RAI�S.p.A.�contro�il�medesimo�provvedimento� del�Garante,�ed�ha�rimesso�pertanto�gli�atti�ai�presidente�di�sezione�segnalando�i� profili�di�connessione�oggettiva�e�soggettiva�che�consigliano�la�trattazione�unitaria�dei� procedimenti;� Che,�pervenuti�i�due�procedimenti�in�trattazione�col�rito�ordinario,�il�procuratore�dell'A- genzia�delle�entrate�ha�chiesto�procedersi,�previa�riunione,�col�rito�speciale�(camerale)�ed�il� Giudice�s'e�riservato�la�decisione�con�separata�ordinanza;� Considerato:�1.�^che�^come�recentemente�osservato�dalla�Corte�di�cassazione�con�la� sentenza�20�maggio�2002,�n.�7341�^il�procedimento�davanti�al�Garante�per�la�protezione� dei�dati�personali,�previsto�dall'articolo�29�della�legge�n.�675�del�1996,�pur�caratterizzato� dalla�decisione�in�contraddittorio�su�diritti�soggettivi,�si�inquadra�pur�sempre�nel�novero� dei�procedimenti�amministrativi�contenziosi�(in�cui�lo�svolgimento�di�funzioni�amministra- tive�e�affidato�all'Autorita�in�posizione�di�indipendenza)�poiche�tra�funzioni�amministrative� e�funzioni�giurisdizionali�tertium non datur; 2.�^Che,�pertanto,�l'esercizio�dei�poteri�attribuiti�al�Garante,�in�funzione�dell'interesse� pubblico�tutelato�dalle�norme�in�argomento,�si�realizza�attraverso�un�complesso�meccanismo� di�interventi�d'ufficio�o�^su�istanza�di�parte�a�cui�non�e�estraneo,�nel�procedimento�ammini- strativo�delineato�dall'articolo�29�citato,�il�contraddittorio�tra�l'interessato�e�il�titolare�del� trattamento;� 3.�^Che,�in�particolare,�le�attivita�del�Garante�per�il�perseguimento�dei�compiti�fissati� dalla�legge�(art.�31)�comprendono�numerose�iniziative�d'ufficio,�assistite�dai�poteri�istruttori� conferiti�dall'articolo�32�e�finalizzate�all'emissione�di�provvedimenti�di�segnalazione�e�divieto� di�cui�all'articolo�31�part.�lett.�c�ed�I, tra�le�quali�il�procedimento�delineato�dall'articolo�29� si�caratterizza�per�l'impulso�di�parte�(istanza�del�soggetto�interessato) e�per�l'oggetto�(il�rico- noscimento�dei�diritti�al�corretto�trattamento�dei�propri dati�personali,�come�elencati�dall'ar- ticolo�13);�che,�per�questi�motivi,�la�legge�consente�la�partecipazione�dei�soggetti�interessati� alla�formazione�dell'atto�amministrativo;� 4.�^Che,�in�altri�termini,�mentre�tutti�i�provvedimenti�amministrativi�adottati�dall'Au- torita�suddetta�sono�impugnabili�davanti�all'a.g.o.�(art.�29�comma�8),�avendo�ad�oggetto�la� tutela�di�diritti�soggettivi�perfetti,�solo�le�controversie�hanno�ad�oggetto�i�diritti�del�cd.�sog- getto�interessato (cioe�la�persona�a�cui�i�dati�personali�si�riferiscono)�alla�corretta�informa- zione,�al�corretto�trattamento,�alla�cancellazione�o�alla�rettifica,�come�previsti�dall'articolo� 13�della�legge�citata,�danno�luogo�al�particolare�procedimento�amministrativo�contenzioso� di�cui�s'e�detto,�culminante�nel�provvedimento�del�Garante�di�accoglimento�o�rigetto�(anche� tacito)�del�ricorso;� 5.�^Che,�pertanto,�il�riferimento�alla�procedura�degli�articoli�737�e�seguenti�del�c.p.c.� contenuto�nel�comma�settimo�dell'articolo�29�appare�riferito�soltanto�alla�opposizione� rivolta�contro�il�provvedimento�del�Garante�richiesto�dall'interessato�ed�emesso�dall'Auto- rita��assunte�le�necessarie�informazioni��e��a�tutela�del�diritti�dell'interessato��di�cui�al�pre- cedente�comma�6;�non�anche�alla�impugnazione�di�tutte�le�altre�attivita�dispiegate�dal� Garante�ex�Officio;� 6.�^Che,�dunque,�considerato�che�il�provvedimento�impugnato�non�e�stato�adottato�in� esito�al�procedimento�contenzioso�iniziato�su�ricorso�dell'interessato;bens|�in�esito�ad�una� IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE� complessa�istruttoria�iniziata�il�12�febbraio�2001�e�riconducibile�ai�poteri�di�vigilanza�del� Garante�disciplinati�dall'articolo�31�lett.�b)�e�c)�della�legge,�si�ritiene�che�il�giudizio�di�impu- gnazione�debba�seguire�il�rito�ordinario;� Ritenuto�inoltre,�che�in�esito�al�procedimento�cautelare�iniziato�con�ricorso�della�RAI� S.p.A.�e�concluso�con�l'accoglimento�della�domanda�di�sospensione�in�via�d'urgenza�del� provvedimento�impugnato,�si�e�instaurato�tra�le�medesime�parti�(oltre�all'associazione� CODACONS)�il�giudizio�a�cognizione�ordinaria�avente�ad�oggetto�l'annullamento�dello� stesso�provvedimento�impugnato�dall'Agenzia�delle�entrate;� Che�appare�opportuno,�per�evidenti�ragioni�di�economia�processuale,�che�i�procedi- menti�siano�riuniti�per�essere�trattati�dal�medesimo�giudice;�che�^in�ogni�caso�^la�giu- risprudenza�della.�suprema�Corte�ha,�in�casi�simili,�affermato�il�principio�secondo�cui�a nche�quando�i�procedimenti�riuniti�seguono�riti�diversi�^le�regole�del�processo�conten- zioso�devono�prevalere�su�quelle�camerali�per�le�piu�ampie�garanzie�di�contraddittorio� e�di�difesa�consentite�dal�rito�ordinario�(Cass.�19�aprile�1995,�n.�4395�e�Cass.�29�marzo� 1994,�n.�3002);� P.Q.M.:�sciogliendo�fuori�udienza�la�riserva�assunta�nel�verbale�di�causa,�sulle�istanze� delle�parti,�cos|�provvede:� 1.�^dispone�la�riunione�del�procedimento�n.�6268/2002�r.g.a.c.�a�procedimento�n.� 17437/2002�per�ragioni�di�connessione;� 2.�^dispone�procedersi�col�rito�contenzioso�ordinario.�Si�comunichi�alle�parti�a�cura� della�cancelleria.� Roma,�3�febbraio�2003�� Tribunale Civile di Roma ^Note difensive riepilogative dell'Avvocatura generale dello Stato ^ Giudice:�Buonuomo�^Agenzia�delle�Entrate�(Avvocato�dello�Stato�G.�Albenzio)�c/� Autorita�Garante�per�la�protezione�dei�dati�personali�e�nei�confronti�della�RAI�s.p.a.� Procedimenti�riuniti�ex�art.�700�C.P.C.�e�art.�29.�L.�675/9�6�^Annullamento,�previa� sospensione,�del�provvedimento�dell'Autorita�Garante�per�la�protezione�dei�dati�personali�del�5� dicembre�2001.� �Nel�giudizio�di�merito�instaurato�dalla�RAI�con�atto�di�citazione�25�febbraio�2002�l'A- genzia�delle�Entrate�ha�concluso�perche�:��il�Tribunale�adito,�previa�conferma�del�provvedi- mento�cautelare�impugnato,�voglia�annullare�il�provvedimento�del�Garante�in�epigrafe�indi- cato�emesso�il�5�dicembre�2001,�unitamente�a�quello�correttivo-integrativo�del�30�gennaio� 2002;�con�ogni�conseguente�pronunzia�e�con�vittoria�di�spese�.� Nel�giudizio�cautelare�promosso�dalla�comparente�Agenzia,�all'udienza�del�21�febbraio� 2002�l'Agenzia�stessa�ha�rinunziato�all'istanza�cautelare�proposta�ex�art.�700�c.p.c.�ed�ha� insistito�perche�il�Giudice�adottasse�i�provvedimenti�necessari�per�la�prosecuzione�del�giudi- zio�ai�sensi�dell'art.�29�legge�675/96,�concludendo�perche�,�ferma�l'istanza�processuale�ai�sensi� dell'art.�29�legge�675/96,�da�intendersi�riferita�alla�procedura�speciale�di�cui�ai�commi�6-7,�il� Giudice�adito,�previa�adozione�dei�provvedimenti�necessari�per�assicurare�la�prosecuzione� del�giudizio�secondo�il�rito�speciale,�si�pronunzi�sulla�domanda�di�annullamento�proposta� dall'Agenzia�delle�Entrate.� Riuniti�i�procedimenti�con�provvedimento�3�febbraio�2003,�non�resta�che�richiamare�le� difese�di�merito�articolate�negli�atti�difensivi�depositati�nei�giudizi�riuniti�(in�particolare,� memoria�di�costituzione�15�maggio�2002�nel�giudizio�di�merito�R.G.�17437/02�e�note�difen- sive�15�luglio�2002�nel�giudizio�ex�art.�29,�legge�675/96,�R.G.6268/02,�che�si�allegano�in� copia)�e�ribadire�le�conclusioni�sopra�precisate,�insistendo�perche�il�Tribunale,�fermi� restando�i�provvedimenti�cautelari�adottati,�voglia�annullare�gli�atti�impugnati,�con�ogni� consequenziale�pronunzia�e�con�vittoria�di�spese.� Roma,�25febbraio�2003� Avv.�Giuseppe�Albenzio�� Ipareri delcomitato consultivo Ipareri delcomitato consultivo A.G.S. ^10 gennaio 2003, n. 2470 ^Classi delle sostanze dopanti. Convenzione�di�Strasburgo�anti-doping�(ratificata�con�legge�29�novembre� 1995�n.�522)�^Lista��aperta��di�farmaci,�sostanze�e�pratiche�mediche�c.d.� dopanti�^Normativa�interna�di�recepimento�(legge�14�dicembre�2000�n.�376)� contenente�rinvio�a�decreto�ministeriale�individuativo�^Fattispecie�penalmente� sanzionata�(art.�9�legge�cit.)^Compatibilita�colprincipiopenale,�costituzional- mente�garantito�(art.�25�Cost.),�del�nullum�crimen�sine�lege�(consultivo� n.�6954/02,�avvocato�P.�Cosentino).� �Con�la�nota�sopra�indicata,�codesta�Amministrazione�ha�sottoposto� alla�Scrivente�parere�in�merito�alla�congruenza�e�conformita�ai�principi�di� diritto�penale�del�recepimento,�tramite�produzione�normativa�con�decreto� ministeriale,�di�una��lista�aperta��di�farmaci,�sostanze�e�pratiche�mediche� c.d.�dopanti�vietate,�lista�allegata�alla�Convenzione�di�Strasburgo�contro�il� doping,�ratificata�con�legge�29�novembre�1995,�n.�522.� La�legge�14�dicembre�2000,�n.�376�contiene�infatti�all'art.�9�una�fatti- specieincriminatricealla�cui�stregua�e�punita�come�reato�la�condotta�di� �chiunque�procura�ad�altri,�somministra,�assume�o�favorisce�comunque�l'u- tilizzo�di�farmaci�o�sostanze�biologicamente�o�farmacologicamente�attive� ricomprese�nelle�classi�previste�all'art.�2,�comma�I��della�stessa�legge.�La� norma�da�ultimo�citata,�rubricata�Classi�delle�sostanze�dopanti�opera�in� due�direzioni:�essa�stabilisce�infatti,�da�un�lato,�che�le�predette�sostanze�e� pratiche�mediche�il�cui�impiego�e�considerato�doping�siano�ripartite�in�classi� �anche�nel�rispetto�delle�disposizioni�della�Convenzione�di�Strasburgo��e� delle�indicazioni�del�CIO�e�degli�organismi�internazionali�sportivi�e,�dall'al- tro,�che�tali�classi�siano�approvate�con�decreto�del�Ministero�della�Salute,� gia�Ministero�della�Sanita�,�d'intesa�con�il�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita� culturali�su�proposta�della�Commissione�di�cui�all'art.�3�della�stessa�legge.� Il�citato�art.�3�precisa�che�la�Commissione�istituita�presso�il�Ministero�della� Salute�fra�l'altro�predispone�le�classi�di�farmaci�e�sostanze�e�pratiche�medi- che�vietate�e�procede�alla�relativa�revisione�con�cadenza�periodica�non�supe- riore�a�sei�mesi.� Giova�in�primo�luogo�premettere�che�il�quadro�normativo�dianzi�espo- sto�non�sembra�porsi�in�collisione�con�il�principio�costituzionale�della�riserva� di�legge,�consacrato�dall'art.�25�Cost.,�e�che�da�questo�punto�di�vista�le� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� norme�della�legge�n.�376/2000�sono�pienamente�legittime.�Infatti�se�e�vero� che�il�combinato�disposto�dell'art.�2�e�dell'art.�9�opera�un�rinvio�ad�una� norma�di�rango�inferiore�cio�invero�concreta�una�ipotesi�di�integrazione�sul� solo�versante�tecnico�di�una�fattispecie�incriminatrice�che�nei�suoi�elementi� essenziali�(soggetto�attivo,�condotta,�elemento�psicologico)�e�gia�definita� dalla�legge.�In�dottrina�e�stato�infatti�sottolineato�che,�soprattutto�in�quelle� materie�che�richiedono�un�alto�grado�di�competenze�specialistiche�per�la�loro� complessita�,e�pienamente�legittimo�che�il�legislatore,�conservando�la�propria� sovranita�nell'individuazione�delle�condotte�caratterizzate�da�disvalore� sociale�e�nella�qualificazione�di�esse�come�reati,�affidi�poi�alla�normazione� di�rango�subordinato�di�integrare,�ove�necessario,�le�fattispecie�legali� mediante�elementi�di�specificazione�tecnica.�Espressioni�di�tale�politica�legi- slativa�in�ambito�penale�si�rinvengono�ad�es.�nelle�materie�degli�stupefacenti� e�degli�additivi�chimici�vietati�nella�produzione�alimentare.� Problematica�si�presenta�invece�la�soluzione�del�quesito�relativo�alla� legittimita�del�recepimento�nel�decreto�ministeriale�di�una�lista�che,�accanto� alla�enumerazione�casistica,�contenga,�a�mo'�di�clausola�aperta,�la�dizione� di��sostanze�affini�.� Sul�punto�la�Scrivente�condivide�le�perplessita�prospettate�da�codesta� Amministrazione�sull'effettiva�rispondenza�di�una�norma�cos|�formulata�ai� principi�costituzionalizzati�della�sufficiente�determinatezza�e�del�divieto�di� analogia�della�fattispecie�penale.�Alla�stregua�del�nostro�ordinamento,� infatti,�assume�cogenza�^cio�desumendosi�dall'art.�1�c.p.�e�dall'art.�14�delle� c.d.�preleggi�letti�alla�luce�dell'art.�25�Cost.�cos|�come�interpretato�dalla� dottrina�piu�autorevole�e�come�vigente�del�diritto�applicato�^quanto� espresso�nel�brocardo�nullum�crimen,�nulla�poena�sine�praevia�lege�poenali� (scripta�et�stricta).�Con�tale�direttrice�si�intende�garantire�sia�la�certezza� della�legge�penale�sia�la�conoscibilita�da�parte�dei�consociati�dei�comporta- menti�vietati�epuniti�con�sanzionipenali,�esigenze�tanto�piu�forti�se�confron- tate�con�un�sistema�di�diritto�positivo�che,�per�rispondere�alle�istanze�di� tutela�emergenti�dalla�societa�,�va�accrescendo�la�propria�complessita�finan- che�sul�piano�quantitativo,�mediante�una�intensa�attivita�di�produzione�nor- mativa�extra�codicem.� Il�principio�di�certezza�che,�ad�un�primo�avvicinamento,�sembrerebbe� teso�soltanto�ad�evitare�abusi�di�discrezionalita�da�parte�del�giudice�nell'atti- vita�di�interpretazione�e�applicazione�delle�norme�penali�alle�fattispecie�con- crete,�costituisce�invero�una�indicazione�precettiva�anche�per�il�legislatore,� affinche��sia�bandita�dall'ordinamento,�in�quanto�costituzionalmente�illegit- tima,�la�analogia�anticipata,�ossia�la�formulazione�di�norme�penali�che�gia� di�per�se��aprano�la�strada�a�letture�analogiche.� La�dottrina�piu�attenta�ha�denunciato�l'illegittimita�di�quelle�fattispecie� legali�contenenti�clausole�aperte,�come�le�diciture�di��casi�simili/analoghi��o� espressioni�di�chiusura,�le�quali�non�solo�autorizzano�ma�addirittura�richie- dono�come�necessario�lo�strumento�analogico.�Tali�considerazioni�sono�state� espresse�^talora�anche�in�contrasto�con�talune�pronunce�della�Corte�Costitu- zionale�^in�relazione�all'art.�121�depenalizzato�del�testo�unico�delle�leggi�di� pubblica�sicurezza,�il�quale,�dopo�l'elencazione�casistica�di�mestieri�il�cui�eser- I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� cizio�non�autorizzato�e�vietato,�si�chiude�con�l'estensione�del�divieto�ai� �mestieri�analoghi�;�o�in�relazione�all'art.�705�c.p.,�che�punisce�a�titolodi� commercio�di�cose�non�autorizzate�anche�l'esercizio�di��altre�simili�indu- strie�,�oltre�a�quelle�gia�descritte�dalla�stessa�norma.� Per�completezza�giova�ricordare�che�una�parte�della�dottrina�(Manto- vani)�ha�limitato�le�censure�di�illegittimita�aquellesolenorme�penali�conte- nenti�una�lista�aperta�ai��casi�simili/analoghi��in�cui�l'enumerazione�casi- stica,�proprio�come�negli�esempi�sopra�richiamati,�riguardi�ipotesi�eteroge- nee�fra�loro�che�non�consentano�di�individuare�un�criterio�tipizzante� unitario.�Diversamente,�invece,�dovrebbe�dirsi�di�quelle�norme�che�conten- gono�un'esemplificazione�omogenea�unitaria�(es.�art.�711�c.p.:��chiunque,� esercitando�il�mestiere�di�fabbro�o�chiavaiuolo�ovvero�altro�simile�mestiere,� apre�serrature�o�altri�congegni�analoghi�apposti�a�difesa�di�un�luogo�o�di� un�oggetto)�assieme�ad�altri�elementi�che�nel�complesso�valgono�ad�indivi- duare�delle�fattispecie�sufficientemente�determinate,�evitando�il�rischio�di� forzature�analogiche.� La�verita�e�che�nella�formulazione�di�norme�penali�di�tal�genere�e�neces- sario�trovare�un�punto�di�equilibrio�fra�l'elencazione�casistica�e�tassativa,� posta�a�salvaguardia�del�principio�di�certezza,�da�un�lato,�e�l'esigenza�di�effet- tivita�della�tutela�penale�dall'altro�^esigenza�che�si�puo�manifestare�anche� rispetto�a�quelle�ipotesi�che�possono�sfuggire�alla�previsione�astratta�del�legi- slatore�e�che�tuttavia�sono�espressione�del�medesimo�disvalore�sociale.� A�titolo�esemplificativo�appare�in�tale�direzione�legittima�la�previsione� di�cui�al�decreto�ministeriale�27�luglio�1992,�tabella�I,�in�materia�di�stupefa- centi,�che,�dopo�un'elencazione�di�sostanze�vietate,�detta�dei�criteri precisi e ben determinati di estensione della fattispecie penale.�La�tabella�I�del�citato� decreto�ministeriale�27�luglio�1992�prevede�infatti��(...)�Qualsiasi�forma�ste- reoisomeria�delle�sostanze�iscritte�nella�tabella,�in�tutti�i�casi�in�cui�esse�pos- sono�esistere,�salvo�che�ne�sia�fatta�espressa�eccezione.�Gli�esteri�e�gli�eteri� delle�sostanze�iscritte�nella�presente�tabella,�a�meno�che�essi�non�figurino� gia�in�altre�tabelle,�in�tutti�i�casi�in�cui�questi�possono�esistere.�I�sali�delle� sostanze�scritte�nella�presente�tabella,�compresi�i�sali�dei�suddetti�isomeri,� esteri�ed�eteri�in�tutti�i�casi�in�cui�questi�possono�esistere.�Le�preparazioni� contenenti�le�sostanze�di�cui�alla�presente�tabella.�(...)�.� In�tale�tabella,�come�e�evidente,�non�appare�un�generico�rinvio�alle� �sostanze�affini�,�ma�si�richiamano�nozioni�chimiche�aventi�un�significato� specifico�ed�univoco:�cos|�e�sia�per�il�riferimento�al�fenomeno�della�stereoiso- meria,�per�cui,�a�parita�di�formula�bruta,�le�sostanze�differiscono�per�una� diversa�posizione�spaziale�degli�atomi;�sia�per�il�riferimento�ai�composti�delle� sostanze�indicate�(gli�esteri,�gli�eteri,�i�sali�delle�sostanze�enumerate�in�tabella� e�degli�isomeri�di�esse).� Con�riguardo�al�quesito�sottoposto�la�Scrivente�e�dunque�sostanzial- mente�in�linea�con�le�osservazioni�espresse�da�codesta�Amministrazione�nella� nota�in�riscontro�e�percio�inviata,�dubita�della�legittimita�della�dizione�tout court di��sostanze�affini��e�suggerisce�alla�Commissione�^viste�le�attribu- RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� zioni�ad�essa�spettanti�in�base�agli�articoli�2�e�3�della�legge�n.�376/2000�^di� tentare�una�formulazione�piu�rispettosa�del�principio�di�sufficiente�determi- natezza�della�fattispecie�penale.� Non�si�disconosce�che�la�previsione�di�classi�atteggiantesi�a�numero� chiuso�non�consentirebbe�di�vietare�tutte�le�sostanze��dopanti��ugualmente� pericolose�ma�non�ancora�comprese�in�esse,�in�quanto�non�ancora�diffuse�o� farmacologicamente�testate,�e�finirebbe�per�attenuare�l'effettivita�della�tutela� penale�anti-doping.�Tuttavia�tale�obiettivo�potrebbe�essere�raggiunto,�nel� rispetto�del�principio�sancito�dall'art.�25�Cost.,�evitando�il�mero�impiego�di� aggettivi�come��affini/simili�,�che�appaiono�inappaganti�rispetto�all'esigenza� di�certezza�e�che�si�prestano�al�rischio�di�analogia�sul�piano�applicativo.�Per� contro,�la�Commissione�potrebbe�predisporre�le�classi�di�farmaci�e�sostanze� vietate,�avvalendosi�di�clausole�di�chiusura�che�consentano�effettivamente� l'individuazione�di�ipotesi�sufficientemente�determinate.�Infine�non�va�trascu- rato�che�il�paventato�rischio�di�cristallizzazione�nel�tempo�delle�fattispecie� penali�in�esame�non�pare�sussista,�ove�si�consideri�che�l'art.�2,�comma�3,� della�legge�n.�376/2000�impone�un�costante�aggiornamento�semestrale�delle� classi�di�cui�al�decreto�ministeriale.� Nelle�more�della�stesura�del�suesteso�parere�e�stato�pubblicato�(in� Gazzetta Ufficiale 27�novembre�2002�n.�217)�il�decreto�ministeriale�15�otto- bre�2002�recante�approvazione�della�lista�dei�farmaci,�sostanze�biologica- mente�o�farmacologicamente�attive�e�delle�pratiche�mediche,�il�cui�impiego� e�considerato�doping,�ai�sensi�della�legge�14�dicembre�2000�n.�376.�Nel� prenderneatto,�enel�rilevare�cheleconclusioni�delpresenteparerenon�si� pongono�in�contrasto�con�il�tenore�del�citato�CM,�la�Scrivente�ritiene,�data� la�rilevanza�della�questione�e�la�possibilita�di�ulteriore�sua�riproposizione,� di�dover�ugualmente�esprimere�il�proprio�avviso,�quale�contenuto�nelle� considerazioni�suesposte�.� A.G.S. ^Parere del 31 gennaio 2003, n. 9965 ^Transazione Telecom S.p.a. c/Interno. Convenzione transattiva -evolutiva (consultivo�9325/02,�avvocato� G.�Fiengo).� �Con�la�nota�in�epigrafe�indicata�codesta�Direzione�centrale�ha�sottopo- sto�all'avviso�della�scrivente�lo�schema�di�convenzione�transattiva�che� dovrebbe�regolare,�per�il�prossimo�novennio,�la�totalita�dei�rapporti�gia� instaurati�dal�Dipartimento�della�pubblica�sicurezza�con�la�Telecom�S.p.a.� in�relazione�a�servizi�di�fonia�e�di�trasmissione�dati.� Nelle�more�della�stesura�del�parere�e�pervenuto�da�parte�del�Diparti- mento�di�pubblica�sicurezza�un�nuovo�schema�di�contratto,�nel�quale�ven- gono,�d'intesa�con�la�controparte�privata,�ulteriormente�chiariti�e�sottolineati� gli�aspetti�transattivi�dell'accordo�raggiunto.� Nel�corso�dell'istruttoria�dell'affare�l'Amministrazione�ha�chiarito,�in� sede�di�Comitato�consultivo,�che�la�situazione�esistente�alla�vigilia�della�sti- pulazione�della�transazione�era�caratterizzata�da�una�molteplicita�di�rap- I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� porti�^nati�per�effetto�dei�contratti�indicati�nella�premessa�dello�schema�con- venzionale,�o�germinati�quasi�spontaneamente�o�di�fatto�quale�sviluppo�delle� vicende�contrattuali�con�il�concessionario�statale�dei�servizi�telefonici�^inter- secantisi�l'un�l'altro,�a�volte�in�contraddizione,�spesso�con�duplicazioni,�ambi- guita�e�sprechi;�ed�inoltre,�data�la�rapida�evoluzione�del�settore,�molte�delle� prestazioni�originariamente�previste�nei�contratti�si�rivelarono�^nella�nego- ziale�dimensione�^obsolete�o�comunque�assai�meno�utili�che�non�all'origine.� La�situazione�di�confusione�e�di�inadeguatezza�aveva�dato�luogo�al- l'accumulo�di�una�pesante�situazione�debitoria�dell'Amministrazione�ed�a� frequenti�accuse�di�inadempimento�a�carico�della�Telecom,�la�quale�invo- cava�a�propria�giustificazione�il�contenuto�delle�prestazioni�come�previsto� in�contratto,�in�sostanza�attribuendo�l'inadeguatezza�dei�risultati�a�tali�cir- costanze,�alle�sovrapposizioni�frequenti�di�ruoli�nonche�alla�confusione� determinata�anche�dalla�pluralita�dei�soggetti�incaricati�della�manutenzione.� L'odierna�stipulazione�e�rivolta�a�dare�chiarezza�al�complesso�rapporto� con�la�Telecom,�a�razionalizzare,�a�togliere��il�troppo�e�il�vano�,�a�conse- guire,�insomma,�il�risultato�^fin�dagli�originari�contratti�perseguito�^in� modo�razionale�ed�economico.� A�questo�scopo�la�stipulazione�copre�tutta�e�solo�l'area�gia�riguardata� dai�contratti�in�corso;�affida�a�Telecom�tutta�l'attivita�strumentale�al�risul- tato�(in�particolare�le�si�affida�la�manutenzione�del�sistema�e�del�partena- riato�funzionale�nell'ambito�della�convenzione,�che�pefaltro�gia�esiste�per� le�sale�operative).� L'Amministrazione�ha�al�riguardo�sottolineato�che�i�nuovi�ordinativi� andranno�a�gara�e�che�pur�nell'ambito�del�partenariato�si�procedera�con�il� confronto�pubblico�concorrenziale�e�che�resteranno�gli�altri�operatori,�in� ordine�ad�altre�fasce�o�attivita�.� Insomma,�e�del�tutto�escluso�che�la�concorde�intenzione�e�volonta�delle� parti�siano�rivolte�a�raggiungere�risultati�(di��esclusiva��per�il�futuro�odi� �posizione�dominante�)�incompatibili�con�le�ben�note�norme�interne�o� comunitarie:�ed�in�tal�senso�devono�interpretarsi�le�singole�norme�della�con- venzione,�giusta�la�concorde�volonta�delle�parti,�che�hanno�voluto�transi- gere�sul�debito�accertato�e�presunto�al�31�dicembre�2002�con�atto�di�tipo� metodologico�e�gestionale�per�il�migliore�conseguimento�dei�risultati�di�cui� ai�vigenti�rapporti.� L'aspetto�economico�della�stipulazione�e�stato�infine�attentamente�valu- tato�dall'Amministrazione,�che�lo�ritiene�assai�conveniente:�il�Ministero� otterra�uno�sconto�del�debito�pregresso�da�. 103�milioni�a�. 48�milioni,� rateizzato�in�quattro�anni�per�la�situazione�esistente�al�31�dicembre�2001;� per�il�2002�si�ha�uno�sconto�da�. 78�milioni�circa�ad�. 60,5�milioni�ed�il� livello�dei�servizi�aumenta�ad�invarianza�di�costi.� Tanto�premesso�si�osserva�che�il�possibile�contenzioso�sui�contratti�pre- cedenti�e,�per�le�prestazioni�gia�eseguite,�per�la�loro�rispondenza�ai�patti,� manifesta�la�natura�certamente�transattiva�della�stipulazione,�nel�cui�contesto� gli�accordi�rivolti�alla�razionalizzazione�dell'esistente�con�il�necessario�aggior- namento,�e�il�quid novi che�nell'atto�appare�sono�del�tutto�coerenti�con�la� natura�del�negozio,�ivi�compresa�la�proroga�che,�in�tale�quadro,�appare� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� secondaria�e�solo�strumentale�alla�riduzione�dei�costi.�Tanto�piu�che,�non� solo�il�novum�caratterizza�il�contratto�di�transazione,�tale�necessariamente� essendo��le�reciproche�concessioni�,�ma�addirittura�con�queste�ultime�si�pos- sono�creare�rapporti�diversi�da�quelli�che�hanno�formato�oggetto�della�lite,� insorta�o�insorgenda�come�si�legge�nel�secondo�comma�dell'art.�1965�del� codice�civile.� In�conclusione�si�esprime�parere�favorevole,�in�linea�di�diritto�al�divi- sato�accordo,�in�quanto�avente�natura�transattiva,�suggerendo�a�codesta� Amministrazione�dell'interno�l'opportunita�che�i�chiarimenti�ora�forniti�in� sede�di�esame�da�parte�di�quest'Avvocatura�generale�entrino�nello�schema� dell'atto,�ad�esempio�nelle�premesse,�che�vi�sia�clausola�di�chiusura�per�il� �null'altro�a�pretendere�;�e�siano�chiarite�alcune�delle�norme�della�conven- zione�^e�segnatamente�gli�articoli�1,�p.�3;�art.�4;�art.�5;�art.�7;�art.�10;� art.�11;�art.�12�^con�conseguente�armonizzazione�dell'insieme�^il�cui� tenore�letterale�non�accompagnato�dai�detti�chiarimenti,�potrebbe�risultare� non�coerente�con�il�vero�significato�della�stipulazione�che�ha�natura�transat- tiva�anche�negli�elementi�di�novita�checontienee�cheespressamente�vanno� dichiarati�rientrare�nella�transazione,�di�cui�costituiscono�parti�integranti� (anche�nelle�clausole�appena�ricordate),�con�conseguente�modifica,�in�parti- colare�dell'art.�9�(che�sembra�considerare�transattivo�il�solo�accordo�di�cui� all'art.�2)�.� A.G.S. ^Parere del 19 febbraio 2003, n. 17130. Compenso�aggiuntivo�per�festivita�coincidenti�con�la�giornata�domenicale� (consultivo�13635/01,�avvocato�A.�Linguiti).� �Con�il�foglio�in�riscontro�viene�richiesto�parere�in�ordine�agli�effetti� giuridici�legati�alla�ipotesi�di�coincidenza�di�giorni�di�festivita�normalmente� infrasettimanali�con�giornate�domenicali�per�i�dipendenti�della�P.A.�a�pre- scindere�dalla�effettiva�prestazione�lavorativa.� Al�riguardo�viene�in�considerazione�l'art.�2�lett.�e)�della�legge�90/1954� ove�e�dettato�che��il�trattamento�stabilito�dall'art.�5�della�legge�260/1949� dovra�essere�ugualmente�corrisposto�per�intero�al�lavoratore,�anche�se�risulti� assente�dal�lavoro�per�sospensione�dal�lavoro�dovuta�a�coincidenza�della� festivita�con�la�domenica�od�altro�giorno�festivo�considerato�tale�dai�con- tratti�collettivi,�compresa�la�celebrazione�del�Santo�Patrono�della�localita� ove�si�svolge�il�lavoro�.� Va�preliminarmente�precisato�che�la�disciplina�che�viene�in�esame�si�rife- risce�alle�sole�festivita�nazionali�indicate�nel�primo�comma�dell'art.�5�della� legge�260/1949.� La�lettera�della�disposizione�ora�riportata�sembra�far�propendere�per�la� soluzione�piu�favorevole�ai�lavoratori,�dal�momento�che�quel�che�appare� voluto�e�proprio�l'estensione,�anche�in�caso�di�sospensione�del�lavoro�in�gior- nata�domenicale�con�cui�coincida�anche�la�giornata�festiva�e�cioe�in�giornata� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� di�normale�riposo�settimanale,�del�trattamento�economico�previsto�per�il� lavoro�prestato�in�giornata�domenicale�in�cui�sia�caduta�la�giornata�festiva,� tale�essendo�l'ipotesi�cui�l'art.�2�lett.�e) legge�90/1954�fa�richiamo.� La�ragione�del�particolare�e�favorevole�trattamento,�rivendicato�dai� dipendenti�e�concretantesi�nel�riconoscimento,�oltre�al�normale�trattamento� di�retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni�elemento�accesso- rio,�di�una�ulteriore�aliquota�di�retribuzione�giornaliera,�viene�individuato� nel�fatto�che,�in�caso�di�coincidenza�della�giornata�festiva�con�quella�domeni- cale�il�lavoratore�si�troverebbe�privato�del�godimento�di�una�giornata�ulte- riore�di�esenzione�dalla�prestazione�lavorativa,�sicche�gli�spetterebbe�il�tratta- mento�economico�sostitutivo�del�godimento�di�riposo�e�cioe�l'aliquota�di� retribuzione�giornaliera.� Senonche�,�mentre�appare�razionale�che�venga�riconosciuta�per�il�lavoro� prestato�in�giornata�festiva�(e�quindi�di�maggiore�penosita�)�una�maggiora- zione�per�lavoro�festivo,�non�appare�razionale�il�riconoscimento�dalla�pretesa� attribuzione�di�una�aliquota�giornaliera�di�retribuzione�(ulteriore�rispetto�a� quella�normalmente�spettante)�quando�la�giornata�festiva�comunque�non�sia� stata�impegnata�nella�prestazione�lavorativa,�ma�sia�stata�invece�di�asten- sione�dal�lavoro,�in�quanto,�nel�caso�di�dipendenti�a�retribuzione�fissa�come� non�ha�rilevanza�la�durata�dell'anno�(365�o�366�gg.)�o�del�mese�(28�-29�-30� o�31�gg.)�o�la�distribuzione�delle�domeniche�nel�mese�(4�o�5�domeniche),�cos|� non�sembra�possa�avere�rilevanza�la�aleatoria�coincidenza�della�festivita�con� la�domenica�per�farne�discendere�un�incremento�della�retribuzione�fissa.� La�ragionevolezza�di�tale�prospettazione�non�appare�smentita�dal�det- tato�normativo�che�viene�richiamato�dall'art.�2�lett.�e) legge�90/1954�e�che� sopra�si�e�riportato.� Infatti�nell'art.�5�della�legge�260/1949�e�possibile�individuare�varie� disposizioni�tra�loro�distinte�ed�autonome�per�ambito�soggettivo�e�per� oggetto.� Il�primo�comma�dell'art.�5�legge�260/1949�(come�modificato�dall'art.�1� legge�90/1954)�si�riferisce�ai�lavoratori�dipendenti�(di�qualsiasi�natura:�impie- gati�ed�operai)�retribuiti�non�in�misura�fissa�e�stabilisce�che�ad�essi�spetta� per�i�giorni�di�festivita�solo�la�normale�retribuzione�globale�di�fatto�giorna- liera,�compreso�ogni�elemento�accessorio.� Poiche�non�e�fatto�riferimento,�come�e�invece�nei�commi�seguenti,�alle� ipotesi�di�prestazione�di�lavoro�in�dette�festivita�,�deve�convenirsi�che�la�disci- plina�ivi�dettata�si�riferisce�all'ipotesi�di�astensione�dal�lavoro.� Il�secondo�comma�si�riferisce�sempre�ai�lavoratori�dipendenti�di�cui�al� primo�comma�(impiegati�ed�operai�retribuiti�non�in�misura�fissa)�ma�disci- plina�il�caso�della�prestazione�di�lavoro�nelle�giornate�di�festivita�e�stabilisce� che�ad�essi�spetta,�oltre�la�normale�retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera� compreso�ogni�elemento�accessorio�(di�cui�al�primo�comma),�anche�la�retri- buzione�per�le�ore�di�lavoro�effettivamente�prestate�con�la�maggiorazione� per�il�lavoro�festivo.� Il�terzo�comma�si�riferisce�invece�ai�salariati�retribuiti�in�misura�fissa�che� prestino�il�lavoro�nelle�giornata�festiva�che�non�cada�di�domenica�o�cada�di� domenica.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� In�questo�caso�(festivita��lavorata�non�caduta�di�domenica)�la�disposi- zione�attribuisce�al�salariato�retribuito�in�misura�fissa,�oltre�alla�normale� retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni�elemento�accessorio,� anche�la�retribuzione�per�le�ore�di�lavoro�effettivamente�prestate�con�la�mag- giorazione�per�lavoro�festivo.� Nel�caso�invece�di�festivita��non�lavorata�cadente�di�domenica�la�disposi- zione�attribuisce�al�salariato�retribuito�in�misura�fissa,�oltre�alla�normale� retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni�elemento�accessorio,� anche�una�ulteriore�retribuzione�corrispondente�all'aliquota�giornaliera.� Discende�da�cio��che�a�tutti�i�dipendenti�non�inquadrabili�tra�i�salariati� retribuiti�in�misura�fissa�non�puo��,�per�il�giorno�festivo�non�lavorato�coinci- dente�con�la�domenica,�riconoscersi�il�trattamento�aggiuntivo�della�ulteriore� retribuzione�corrispondente�all'aliquota�giornaliera�e�restera��applicabile�il� solo�primo�comma�dell'art.�5�legge�260/1949�con�la�conseguente�spettanza� della�sola�normale�retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni� elemento�accessorio,�dal�momento�che�questo�e��il��trattamento�stabilito�dal- l'art.�5�della�legge�27�maggio�1949,�n.�260��richiamato�dall'art.�2�legge� 90/1954�per�il�caso�in�questione.� Tale�soluzione,�oltre�ad�avere�ragionevole�fondamento�in�quanto� osservato�piu��sopra�e�nella�piana�lettura�delle�disposizioni�ora�svolta,� e��stata�recentemente�condivisa�dalla�Suprema�Corte�con�sentenza� 10�gennaio�2001,�n.�258.� Il�maggior�favore�della�disciplina�ora�esaminata�verso�i�salariati�puo�� ricondursi�ad�una�sorta�di�compensazione,�attraverso�l'attribuzione�del�trat- tamento�economico�di�maggior�favore�nel�caso�di�perdita�di�una�giornata�di� riposo�per�coincidenza�della�festivita��con�la�domenica,�della�maggiore�peno- sita��del�lavoro�affidato�ai�salariati�ed�all'origine�storica�della�loro�categoria� (lavoratori�a�giornata).� Le�conclusioni�cui�si�e��sopra�pervenuti�non�trovano�smentita�nel�testo� unico�3/1957�per�i�dipendenti�statali�ne�nelle�successive�discipline�contrattuali� collettive�fin�qui�intervenute.� Resta�ovviamente�salva�diversa�disciplina�collettiva�che�dovesse�even- tualmente�essere�adottata�.� A.G.S. ^Parere del 28 febbraio 2003, n. 21146. Prosecuzione delrapporto di lavoro dipersonale ausiliario assunto con con- tratto a tempo determinatopreviaselezioneoperata tramite l'Ufficio dicolloca- mento (consultivo�1310/03,�avvocato�E.�Figliolia).� �La�corretta�interpretazione�compiuta�dalla�circolare�del�Ministero�del� Lavoro�e�delle�Politiche�Sociali�n.�42/2002�dell'art.�4�D.Lg.vo�368/2001,�sulla� base�della�quale�la�proroga�del�contratto�di�lavoro�a�termine�puo��avere� durata�diversa�rispetto�a�quella�iniziale,�non�consente,�una�volta�intervenuta� la�scadenza�del�termine�recato�nell'atto�di�proroga,�di�prorogare�ulterior- mente�il�rapporto�lavorativo�sia�pure�nel�limite�triennale�previsto�dal�citato� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� art.�4.�Ed�invero�e�difficilmente�contestabile,�stante�il�pertinente�dettato�legi- slativo,�che�l'Amministrazione�non�e�legittimata�a�procedere�a�piu�di�una�pro- roga�anche�se�nell'ambito�temporale�del�triennio�di�cui�si�e�detto.� Per�quanto�concerne�poi�la�questione�della�giuridica�praticabilita�del�rin- novo,�osserva�questo�Gazzetta Ufficiale che�la�possibilita�,�in�termini�di� diritto,�di�perpetuare�il�rapporto�lavorativo�con�gli�stessi�soggetti�rispetto�a� cui�siano�oramai�venuti�meno�i�presupposti�di�legge�per�concedere�ulteriori� proroghe,�potrebbe�risultare�possibile�solo�procedendo�ad�una�riassunzione,� ovviamente�nel�rispetto�delle�procedure�di�legge.� In�altre�parole,�non�potendosi�certamente�approvare�iniziative�elusive� delle�rigorose�condizioni�di�legge�disciplinanti�il�contratto�a�tempo�determi- nato,�potrebbe�risultare�consentito,�tuttavia,�sempreche�ovviamente�possano� riscontrarsi�l'indispensabile�quadro�esigenziale�unitamente�alle�altre�condi- zioni�di�legge,�la�stipula�di�ulteriori�contratti�aventi�oggetto�diverso;�ed� invero,�dal�pertinente�contesto�normativo,�si�desume�che�la�rigorosa�disci- plina�normativa�del�contratto�a�tempo�determinato�e�applicabile�soltanto� quando�alla�identita�dei�soggetti�contraenti�corrisponda�anche�la�medesi- mezza�delle�condizioni�essenziali�del�rapporto�convenzionale,�sicche�,�ove�que- ste�ultime�subiscono�sostanziali�variazioni,�nulla�osta�a�che�l'Amministra- zione�addivenga�alla�conclusione,�appunto,�di�un�ulteriore�nuovo�contratto� a�tempo�determinato,�privo,�come�tale,�di�correlazioni�di�sorta�con�il�prece- dente�definitivamente�scaduto�e�non�piu�praticabile.� Per�converso�non�sembra�praticabile�in�linea�di�diritto�l'ipotesi�prospet- tata�di�procedere�a�piu�rinnovi�nell'ambito�temporale�del�triennio�del�mede- simo�rapporto�contrattuale,�quindi�con�gli�stessi�contenuti,�sia�pure�con�le� indicate�soluzioni�di�continuita�,�posto�che�cio�realizzerebbe�una�possibile� non�consentita�elusione�del�divieto�normativo�di�concedere�piu�di�una�pro- roga�del�contratto�a�tempo�determinato�.� A.G.S. ^Parere del 1O aprile 2003, n. 39682. Azienda Universitaria Policlinico �Umberto I� di Roma in liquidazione ^ Pagamento dei debiti nei confronti delpersonale (consultivo�5071/03,�avvocato� E.�Figliolia).� �Ai�sensi�del�comma�6�dell'art.�2�del�decreto-legge�n.�341/1999,�conver- tito�con�modificazioni�con�legge�n.�453/1999,�il�commissario�liquidatore�e� tenuto�a�predisporre�un�piano�di�estinzione�delle�passivita�che�deve�essere� sottoposto�all'approvazione�del�Ministro�del�Tesoro,�del�bilancio�e�della� programmazione�economica�(ora�Ministro�dell'economia�e�delle�finanze),� ed�a�seguito�di�detta�approvazione�si�provvede�al�pagamento�sulla�base�di� quanto�disposto�dall'art.�90-bis comma�3�del�decreto�legislativo�n.�77�del� 25�febbraio�1995.� Orbene,�trattasi,�all'evidenza,�di�una�disposizione�di�carattere�organiz- zatorio,�nell'ambito�della�quale�sono�previsti�taluni�termini�per�consentire� il�compimento�accelerato�delle�attivita�solutorie,�con�modalita�e�sulla�base� di�criteri�coerenti�con�l'interesse�pubblico�ad�un'�estinzione�sollecita�delle� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� situazioni�debitorie�che�tiene�conto�dei�principi�generali�dell'ordinamento� giuridico�in�materia�di�soddisfazione�delle�pretese�creditorie�aventi�titola- zione�privilegiata.�Ed�infatti,�il�citato�comma�3�dell'art.�90-bis del�decreto� legislativo�n.�77/1995,�richiamato�dal�comma�6�dell'art.�2�del�decreto-legge� n.�341/1999,�esclude�espressamente�la�possibilita�di�praticare�decurtazioni� di�sorta�ai�crediti�inerenti�a�retribuzioni�per�prestazioni�di�lavoro�subordi- nato�che,�pertanto,�debbono�necessariamente�trovare,�nell'ambito�del�defini- tivo�accertamento�della�massa�attiva�e�passiva�da�parte�del�Commissario� liquidatore,�soddisfazione�integrale,�come�d'altronde�gli�eventuali�crediti�di� natura�previdenziale.� Per�quanto�precede,�stante�il�suddetto�quadro�normativo�di�riferi- mento,�non�si�ravvisano�elementi�ostativi�alla�rappresentata�eventuale� �anticipata�liquidazione�dei�debiti��concernenti�le�retribuzioni�dei�lavora- tori�subordinati,�una�volta�che�si�siano�compiutamente�praticate�le�verifiche� del�caso�in�ordine�alla�certezza�ed�all'ammontare�dei�crediti�in�discorso,� potendosi,�tra�l'altro,�per�assicurare�una�migliore�e�piu�prudente�attivita� gestoria�dei�prefati�incombenti�solutori,�provvedere�ai�conseguenti�paga- menti�esplicitando�espressa�riserva�di�ripetizione�all'atto�dell'erogazione,�s|� da�escludere�in�radice�ogni�sia�pur�minima�possibilita�di�ritenzione�degli� importi�da�parte�dei�creditori�de quibus nell'ipotesi,�peraltro�teorica,�di� mancata�approvazione�ministeriale.� Va�altres|�rilevato,�a�conforto�dei�superiori�convincimenti,�che�a�fronte� di�tali�crediti�privilegiati�non�sembra,�anche�per�quanto�e�dato�desumere�dal� quesito�di�cui�alla�nota�che�si�riscontra,�ipotizzabile�la�possibilita�di�un'even- tuale�incapienza�delle�provviste�finanziarie�da�destinare�ai�pagamenti�dei� citati�crediti�privilegiati,�posto�che�la�pertinente�normativa�da�applicarsi�alla� fattispecie�non�contempla�una�tale�evenienza�idonea�a�determinare,�per�i�cre- diti�stessi,�decurtazioni�di�sorta;�peraltro�tale�verifica�della�sufficienza�delle� provviste�finanziarie�deve�concernere�anche�gli�ulteriori�crediti�privilegiati�di� carattere�previdenziale.� D'altronde�e�appena�il�caso�di�rilevare�che�tale�anticipata�esigibilita� dei�crediti�in�discorso�sembrerebbe�affatto�coerente�con�l'interesse�pub- blico�a�che�le�risorse�finanziarie�disponibili�restino�esenti�da�ulteriori� eventuali�iniziative�esecutive�individuali�estranee�al�procedimento�liquida- torio�concorsuale�normato�dal�decreto-legge�n.�341/1999�e�dalla�succes- siva�legge�di�conversione.� Si�resta�comunque�a�disposizione�per�ogni�eventuale�ulteriore�chiari- mento�anche�rispetto�ad�eventuali�problematiche�interpretative�connesse�alla� conseguente�azione�solutoria�di�cui�trattasi,�con�riferimento,�in�particolare,� alla�inderogabile�necessita�che�tale�procedura�solutoria�anticipata�sia�rigoro- samente�circoscritta�a�quei�crediti�privilegiati�che,�a�mente�dell'art.�90-bis,� 3�comma,�del�decreto�legislativo�n.�77/1995,�debbono�essere�integralmente� soddisfatti�.� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� A.G.S.�^Parere�del�3�maggio�2003,�n.�52737�^Indennizzabilita�opere�realiz- zate�in�ispregio�da�servitu�militari.� Autorizzazione�(ex�art.�8�legge�898/76)�del�Comandante�territoriale�ad� eseguire�opere�in�deroga�alle�limitazioni�imposte�suifondi�gravati�da�servitu� militari:�natura�ed�effetti�(consultivo�6564/1999,�avvocato�G.�Lancia).� �In�risposta�alle�note�4�dicembre�2002,�n.�6978/5152�e�4�dicembre�2002� n.�6977/5187,�si�rappresenta�che�la�Scrivente�non�ravvisa,�nelle�fattispecie� segnalate�con�gli�anzidetti�fogli,�elementi�tali�da�indurre�a�derogare�alla� regola�indicata�nella�nota�19�settembre�2001�n.�101233�(le�opere�realizzate�in� ispregio�ai�vincoli�di�servitu�militare�non�vanno�considerate�ai�fini�della� determinazione�dell'indennizzo),�sicche�condivide�gli�intendimenti�espressi� da�codesto�Ufficio.� Per�quanto�concerne,�poi,�il�quesito�posto�con�la�nota�31�gennaio�2003� n.�12/360/318�si�nota�che�ne�nel�decreto�ministeriale�Difesa�603/1993�ne�nel� decreto�ministeriale�Difesa�690/1996�(entrambi�emanati�in�attuazione�del� disposto�dell'art.�2�della�legge�n.�241/1990)�viene�fissato�un�termine�per�l'e- missione�del�provvedimento�che�determina�l'indennizzo�da�corrispondere�ai� proprietari�degli�immobili�assoggettati�a�servitu�militare�e�ne�ordina�il�paga- mento;�sicche�detto�termine�deve�essere�ritenuto�di�trenta�giorni�decorrenti� dalla�ricezione�da�parte�dell'Amministrazione�Militare�della�domanda�dell'in- teressato�(art.�2�legge�n.�241/1990�e�art.�7�legge�n.�898/1976�il�quale�prevede� che�la�corresponsione�dell'indennizzo�avvenga�a�domanda�dell'interessato).� Per�quanto�concerne,�poi,�i�quesiti�posti�con�la�nota�31�maggio�2002� n.�12/3342/3123,sinotachelaservitu�militaresisostanziainunveroeproprio� ius�in�re�aliena�dell'Amministrazione�della�Difesa�comportante�limitazioni�al� diritto�di�proprieta�sulla�cosa�gravata�di�servitu�;�e�l'autorizzazione�a�compiere� opere�in�deroga�a�siffatte�limitazioni�non�e�assimilabile�alle�normali�autorizza- zioni�richieste�dall'esistenza�di�un�mero�vincolo,�e�va�intesa,�invece,�come�prov- vedimento�che�fa�venire�meno�(in�tutto�o�in�parte)�le�limitazioni�gia�imposte,� riduttivo�(o�perfin�eliminatore)�quindi�del�diritto�dell'Amministrazione�e�quindi� delvincoloaquestoconseguente(v.art.9leggen.�898/1976).Dunquel'autoriz- zazione�non�e�un�provvedimento�che�permette�l'opera�in�presenza�di�vincolo� che�permane�nonostante�l'autorizzazione,�quanto�piuttosto�un'eliminazione� (totale�o�parziale)�del�vincolo�(dall'art.�8�legge�898/1976�si�evince�chiaramente� che�l'�autorizzazione��del�comandante�territoriale�fa�venir�meno�in�tuttoin� parte�le�limitazioni�imposte,�il��vincolo�).� Giusta�quanto�precede�pare�da�escludere�che�per�le�opere�costruite�in� ispregio�alle�limitazioni�derivanti�dalle�servitu�militari�trovi�applicazione� l'art.�32�legge�47/1985�e�ad�affermare�che�debba�applicarsi�(anche�conforme- mente�al�tenore�letterale�della�norma�appresso�citata)�il�disposto�dell'art.�33� legge�cit.�(difatti�se�l'autorizzazione�fa�venir�meno�in�tutto�o�in�parte�la�limi- tazione,�il�vincolo�derivante�dalla�servitu�,�senza�di�questa�il�vincolo�esiste� incondizionato;�come�si�e�detto�l'autorizzazione�del�comandante�territoriale� non�consente�un'opera�pur�in�presenza�di�vincolo;�ma�fa�s|�che�l'opera�stessa� venga�a�porsi�fuori�dall'ambito�di�operativita�della�servitu�che�^per�effetto� dell'autorizzazione�^viene�estinta�o�ridotta�nel�contenuto).� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Per�quanto�concerne�gli�ulteriori�quesiti�posti�con�la�summenzionata� nota�31�maggio�2002,�si�osserva�che�ove�un�immobile�sia�stato�costruito�in� ispregio�delle�limitazioni�imposte�da�servitu�militare�e�non�sia�stata�concessa� e�non�si�voglia�concedere�autorizzazione�in�sanatoria�per�detto�abuso,�pare� da�escludere�che�possa�concedersi�autorizzazione�in�sanatoria�di�opera�realiz- zata�sul�ridetto�immobile�e�concretante�a�sua�volta�un'ulteriore�violazione� (sia�pur�minore)�della�limitazione�derivante�dalla�ridetta�servitu�.�Difatti�l'ille- gittimita�(che�sussiste�anche�se�non�sia�mai�stata�contestata)�rappresentata� dall'abuso�consistito�nel�realizzare�l'immobile�(che�non�e�stata�sanata�e�non� si�vuole�sanare)�osta�alla�possibilita�di�autorizzare�in�sanatoria�l'ulteriore� (minore)�abuso�che�cade�su�oggetto�gia�di�per�se�abusivo�ed�e�condizione�suf- ficiente�per�denegare�siffatta�autorizzazione�in�sanatoria.�Ne�va�sottaciuto�il� rischio�che�stante�l'incompatibilita�della�sanatoria�dell'ulteriore�abuso� (minore)�con�la�volonta�di�non�sanare�l'abuso�(principale)�consistito�nella� realizzazione�dell'immobile,�l'autorizzazione�in�sanatoria�per�l'opera�abusiva� realizzata�su�immobile�abusivamente�edificato�venga�ad�essere�ritenuta�^da� un�giudice�che�venga�ad�occuparsi�della�vicenda�^come�comportante�auto- rizzazione�in�sanatoria�implicita�dell'immobile�abusivamente�realizzato�sul� quale�e�stata�realizzata�l'ulteriore�opera�abusiva.� Appare�dunque�opportuno�che�le�domande�di�autorizzazione�in�sanato- ria�di�opere�realizzate�abusivamente�su�immobile�abusivamente�realizzato� (per�il�quale�non�e�stata�rilasciata�^e�non�si�intenda�rilasciare�^autorizza- zione�in�sanatoria)�vengano�rigettate�(e,�cautelativamente,�appare�opportuno� che�a�cio�si�proceda�nel�termine�di�centottanta�giorni�dalla�richiesta�di�cui� all'art.�32�legge�n.�47/1985).� Da�ultimo�si�nota�che�le�opere�realizzate�abusivamente�per�le�quali�sia� stata�concessa�autorizzazione�in�sanatoria�rilevano�sicuramente�ai�fini� della�riduzione�dell'indennizzo�ex art.�8�legge�n.�898/1976�e�parrebbe� debbano�assumere�rilievo�ai�fini�della�determinazione�dell'indennizzo�per� il�rinnovo�della�servitu�(arg.�ex art.�7,�quartultimo�comma,�legge� n.�898/1976).� Per�completezza�si�ribadisce�che�e�senz'altro�possibile�che�l'autorizza- zione�ex art.�8�legge�n.�898/1976�venga�concessa�in�sanatoria�di�opera�gia� realizzata�e�si�sottolinea�la�necessita�(al�fine�di�evitare�spese�superflue)�che� si�proceda�all'immediata�revoca�di�servitu�militari�allorche�ci�si�avveda�che� esse�non�rispondono�piu�ad�alcun�interesse�di�codesta�Amministrazione�.� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� A.G.S. ^Parere del 26 agosto 2002, n. 87135 ^Procedura espropriativa (*).� Valutazione�estimativa�dell'indennita�di�esproprio.�(consultivo�2388/02,� Avvocato�T.�Varrone).� �In�riscontro�alla�nota�del�28�gennaio�u.s.�con�la�quale�codesta�Avvo- catura�distrettuale�ha�interessato�questo�G.U.�in�merito�alle�questioni�sot- tese�alla�richiesta�dell'A.N.A.S.�circa�la�congruita�dell'indennita�che�inten- derebbe�corrispondere�alle�societa�del�gruppo�X�per�l'espropriazione�delle� aree�di�proprieta�di�alcune�di�esse�(omissis)�occorrenti�per�la�realizzazione� della�nuova�S.S.�125��Orientale�Sarda��Tronco�S.�Priamo�Capo�Boi�si�rileva� quanto�segue.� In�fatto�risulta�pacificamente,�come�ricordato�da�codesta�Avvocatura,� che�sulle�aree�in�questione�e�stato�allocato�un�insediamento�produttivo�costi- tuito�da�un�impianto�di�produzione�di�conglomerato�bituminoso�(di�proprieta� della�S.p.a.�(d)),�di�un�impianto�di�produzione�di�conglomerato�(di�proprieta� della�(b)�S.r.l.)�e�di�un�impianto�di�frantumazione�inerti�(di�proprieta�della� (c)�S.r.l.).�Per�quanto�qui�rileva�occorre�altres|�ricordare�che�a�seguito�dei� chiarimenti�richiesti�da�codesta�Avvocatura�distrettuale�all'A.N.A.S.�e� emerso�che�l'impianto�di�produzione�dei�conglomerati�cementizi�di�proprieta� della�(b)�S.r.l.�e�l'impianto�di�produzione�dei�conglomerati�bituminosi�di�pro- prieta�della�(d)�S.p.a.�sono�entrambi�ubicati�su�terreni�concessi�in�locazione� dalla�(a)�S.r.l.�(omissis),�mentre�gli�impianti�di�estrazione�e�di�frantumazione� degli�inerti�di�proprieta�della�(c)�S.r.l.�sono�ubicati�su�terreni�di�proprieta� della�stessa�societa�(omissis).� Siffatta�situazione�ha�evidentemente�creato�notevoli�difficolta�all'Ente� nel�momento�in�cui�si�e�trattato�di�determinare�il�dovuto�per�l'ablazione�delle� aree�occorrenti�per�la�realizzazione�dell'opera�pubblica. E�indubbio�infatti�che�in�conseguenza�del�programmato�esproprio�non� solo�la�(c)�S.r.l.�e�la�(a)�S.r.l.�verranno�a�perdere�la�proprieta�delle�aree�di� sedime�di�loro�proprieta�ma�diverra�impossibile�la�prosecuzione�delle�attivita� imprenditoriali�svolte�dalla�(c)�S.r.l.�dalla�(b)�S.r.l.�e�dalla�(d)�S.p.a.,�per�di� piu�in�stretta�interconnessione�fra�loro�(il�complesso�infatti�e�strutturato�in� modo�tale�che�le�tre�societa�contribuiscono�ciascuna�in�una�ben�precisa�e� distinta�fase�alla�realizzazione�di�un�unico�ciclo�produttivo). E�chiaro,�pertanto,�che�le�predette�societa�si�vedranno�costrette�a�spo- stare�i�propri�impianti�in�altro�sito,�cio�che�comportera�evidentemente�note- voli�costi�sia�per�quanto�attiene�al�reperimento�di�un'area�adatta�allo�scopo� e�allo�spostamento�su�di�essa�del�complesso�industriale,�sia�in�ragione�del� fatto�che�a�causa�del�trasferimento�occorrera�comunque�cessare�per�un�certo� lasso�di�tempo�l'attivita�produttiva�continuando�a�sostenere�notevoli�costi� fissi�(manodopera�ecc.).� Per�tali�motivi�l'Ente�dopo�una�prima�estimazione�dell'indennita�che�era� stata�reputata�assolutamente�insufficiente�dalle�controparti�ha�provveduto�a� ricalcolare�il�dovuto.� (*)�Parere�di�rilievo�reso�dall'Avvocatura�generale�in�via�ordinaria.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� A�quanto�e��dato�desumere�dalla�documentazione�trasmessa�da�codesta� Avvocatura�le�risultanze�della�seconda�relazione�di�stima�(L.�3.062.975.304)� sono�di�gran�lunga�superiori�a�quanto�inizialmente�si�era�inteso�offrire�alle� controparti�(L.�932.039.100).�In�merito�alla�suddetta�seconda�estimazione�si� e��chiesto�di�conoscere�l'avviso�di�codesta�Avvocatura�distrettuale�che�ha�rite- nuto�di�interessare�la�scrivente.� Cio��premesso,�il�problema�che�essenzialmente�pone�nel�caso�di�specie� concerne�la�determinazione�dell'indennita��di�espropriazione�quando�sugli� immobili�che�ne�fossero�oggetto�sia�stata�insediata�una�azienda,�problema� che�si�risolve�in�quello�se�l'indennita��debba�tenere�conto�ed�in�che�termini� anche�del�pregiudizio�che�l'espropriazione�arreca�per�il�fatto�di�rendere� impossibile�l'ulteriore�esercizio�dell'attivita��commerciale�o�industriale�gia�� svolta�negli�immobili�spropriati.� Orbene�in�via�di�principio�e��da�osservare�che�eccettuata�la�specifica�ipo- tesi�contemplata�dall'art.�17,�comma�secondo,�della�legge�n.�865/1971�(con- cernente�i�suoli�su�cui�sono�insediati�i�coltivatori�diretti)�non�prevede�in�alcun� modo�che�all'imprenditore�spetti�un'indennita��per�il�fatto�di�vedere�dissolta� l'organizzazione�aziendale�di�cui�costituiva�elemento�il�diritto�di�godimento� sull'immobile�espropriato.� La�questione,�dunque,�va�affrontata�e�risolta�esclusivamente�alla�luce�di� quanto�desumibile�dai�principi�generali�in�tema�di�espropriazione�per�causa� di�pubblica�utilita��desumibili�dalla�legge�n.�2359/1865.� Orbene,�come�esattamente�osserva�codesta�Avvocatura�distrettuale�dagli� art.�27�e�32�della�suddetta�legge�si�ricava�la�regola�generale�che�l'indennita�� di�espropriazione�e��unica,�con�cio��intendendosi�che�su�questa�(e�solo�su�que- sta)�deve�trovare�soddisfazione�la�pretesa�di�coloro�che,�gia��titolari�di�un� diritto�di�godimento�sul�bene�espropriato,�vengono�a�risentire�un�pregiudizio� per�effetto�dell'estinzione�di�quel�diritto,�pure�provocata�dall'espropriazione.� Altra�regola�generale,�pure�ricordata�da�codesta�Avvocatura,�e��che�l'inden- nita��e��destinata�a�tener�luogo�del�bene�espropriato,�si�che�non�puo��superare�il� valore�che�esso�presenta,�in�considerazione�della�sua�concreta�destinazione,�cioe�� il�valore�che�il�proprietario�ne�ritrarrebbe�se�decidesse�di�porlo�sul�mercato� (art.�39�legge�n.�2359/1865).�In�ragione�di�cio��,come�e��stato�piu��volte�ribadito� in�giurisprudenza,��l'unica�indennita��va�rapportata�a�come�il�bene�si�presenta,� prescindendo�dalla�considerazione�dei�soggetti�aventi�diritto�a�soddisfarsi�su�di� essa�per�il�pregiudizio�che�l'espropriazione�arreca�loro,�mentre�la�parte�di�inden- nita��dovuta�ai�titolari�di�diritti�di�godimento,�in�quanto�incide�sull'unica�inden- nita��,�diminuisce�la�parte�di�questa�di�pertinenza�del�bene�(confr.�Corte�cost.,� 9�novembre�1988,�n.�1022�e�Cass.,�SS.UU.,�sent.�n.�5609/1998).� Come�e��stato�acutamente�osservato�dalla�miglior�dottrina�formatasi�in� subiecta�materia�(�il�riferimento�esclusivo�fatto�dalla�norma�suddetta�al� valore�dell'immobile�espropriato�non�consente�valutazioni�diverse�da�quelle� che�ineriscono�strettamente�al�suolo�o�alla�costruzione:�quindi,�non�possono� computarsi�nell'indennita��il�danno�derivato�dalla�perdita�dell'attivita��svolta� su�(o�in)�essi,�ne�altri�pregiudizi�di�carattere�personale�e�indiretto�subiti�dall'e- spropriato�(cfr.Vignale,Espropriazione�per�pubblica�utilita�e�occupazione� illegittima,�Napoli,�IV�ed.�1998,�265�e�s.s.).� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� Alla�stregua�di�quanto�dottrina�e�giurisprudenza�hanno�avuto�modo�di� precisare�e�possibile�dunque�formulare�una�prima�conclusione�che�assume� particolare�rilievo�con�riferimento�al�caso�di�specie.�La�valutazione�estima- tiva�dell'indennita�di�esproprio�da�corrispondere�alla�(c)�S.r.l.�e�alla�(a)�S.r.l.,� societa�proprietarie�delle�aree�che�l'ANAS�intende�espropriare,�va�fatta�con- siderando�il�valore�venale�dei�terreni�in�ordine�ai�quali�in�verita�dalla�docu- mentazione�trasmessa�a�questo�G.U.�nulla�e�dato�desumere,�atteso�che�i�cal- coli�effettuati�dall'ANAS�riguardano�tutti�la�consistenza�dei�vari�compendi� aziendali�insediati�su�di�esse,�il�fatturato�medio�annuo�da�ciascuna�impresa� realizzato,�l'utile�medio�annuo,�l'ammortamento�medio�annuo,�le�spese�gene- rali�medie�e�l'indennizzo�per�lo�spostamento�degli�impianti�della�(c)�S.r.l.�e� dell'(d)�S.p.a.�(suddiviso�in�tre�distinte�sottovoci:�acquisizione�delle�aree,� opere�di�scavo�e�civili,�progettazione�esecutiva�direzione�dei�lavori� coordinamento�decreto�legislativo�n.�494/1996,�e�delle�costruzioni�che�stabil- mente�sussistono�sui�terreni�da�espropriare�(cfr.�in�tal�senso�anche� SS.UU.�n.�1465/1977).� In�ordine�a�queste�ultime,�la�Scrivente�non�e�in�grado�di�esprimere� alcuna�valutazione�atteso�che�dalla�documentazione�fatta�pervenire�non�e� dato�ricostruire�le�caratteristiche�di�ciascun�compendio�aziendale�al�fine�di� verificare�se�sulle�aree�insistono�costruzioni�che�le�societa�non�potranno�spo- stare�nella�nuova�area�in�cui�dovra�essere�situato�il�complesso�industriale.� Ad�ogni�buon�conto�si�reputa�opportuno�segnalare�che�le�SS.UU.�della� Suprema�Corte�proprio�nella�sentenza�n.�5609/1998,�che�i�legali�del�gruppo� citano�a�sostegno�delle�pretese�avanzate�dalle�loro�assistite,�hanno�chiarito� che��quando�sull'immobile�espropriato�siano�stati�costruiti�edifici�ed�instal- late�attrezzature,�al�fine�di�imprimergli�^in�tutto�o�in�parte�^una�destina- zione�industriale,�l'espropriazione�dell'immobile�si�estende�anche�a�tutto� quanto�vi�si�presenti�stabilmente�impiantato;�e,�per�la�parte�in�cui�gli�immo- bili�espropriati�presentano�destinazione�industriale,�essi�debbono�essere�in� tal�modo�valutati,�per�stabilirne�il�valore�venale,�nell'ambito�in�cui�cio�rilevi� ai�fini�del�criterio�indennitario�applicabile��mentre��il�fatto�che,�estinto�il� diritto�di�proprieta�,�e�quindi�il�minore�diritto�di�godimento,�risulti�impedito� sul�luogo�l'ulteriore�svolgimento�dell'impresa�che�utilizzava�gli�immobili�per� fornire�i�propri�servizi,�non�comporta�che�l'espropriazione�si�estenda�al� diritto�dell'imprenditore,�ne�comporta�che�sia�acquisita�all'espropriante� l'azienda�organizzata�dall'imprenditore,�si�che�il�valore�del�bene�espropriato� debba�comprendere�quello�dell'azienda�.� Ad�avviso�della�Scrivente�le�indicazioni�offerte�dalle�SS.UU.�appaiono� chiarissime:�l'indennita�di�esproprio�deve�ristorare�la�perdita�sofferta�in�con- seguenza�dell'ablazione�da�parte�della�P.A.�dell'area�sulla�quale�dovra�essere� realizzata�l'opera�pubblica�e�dei�beni�insistenti�su�di�essa,�che�non�e�possibile� rimuovere�e/o�asportare,�senza�che�possa�assumere�alcun�rilievo�il�fatto�che� gli�stessi�costituiscono�parte�di�un�complesso�aziendale�che�in�conseguenza� dell'esproprio�dovra�cessare�integralmente�ovvero�per�un�determinato�lasso� di�tempo,�la�propria�attivita�.�Naturalmente�nel�calcolare�il�valore�commer- ciale�dei�predetti�beni�occorrera�tener�conto�delle�loro�caratteristiche�intrinse- che�e,�sotto�tale�profilo,�la�circostanza�che�si�tratta�di�beni�strumentali�all'e- sercizio�di�attivita�produttiva�assumera�ovviamente�valore�decisivo.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Ad�avviso�della�Scrivente,�al�fine�di�provvedere�all'esatto�computo�del- l'indennita�dovuta�dall'ANAS,�occorrera�procedere�a�una�completa�ricogni- zione�delle�caratteristiche�degli�impianti�della�(c)�S.r.l.�e�della�(d)�S.p.a.�(che� occorrera�spostare)�onde�verificare�se�gli�stessi�siano�composti�anche�di� costruzioni�che�non�possono�essere�rimosse�ed�asportate�e�che�in�quanto�tali,� devono�considerarsi�ricomprese�nell'oggetto�del�provvedimento�ablatorio�e� devono�essere�computate�nel�dovuto�a�titolo�di�indennita�.� In�relazione�a�tale�specifico�profilo�si�ricorda�che,�come�e�stato�chiarito� in�dottrina�e�in�giurisprudenza,�la�valutazione�degli�impianti�industriali�puo� essere�fatta�in�base�al�costo�di�ricostruzione�degli�impianti�stessi,�diminuito� di�una�percentuale�di�deprezzamento�commisurata�allo�stato�di�conserva- zione�dei�beni�(cfr.�Vignale, Espropriazione�per�pubblica�utilita�e� occupazione�illegittima,�Napoli�IV�ed.,�1998,�266;�e�Cons.�Stato,�Sez.�II,� 23�gennaio�1980,�n.�212).� Alla�stregua�di�quanto�sin�qui�si�e�andati�osservando�la�Scrivente�non� puo�che�esprimersi�in�modo�parzialmente�negativo�in�merito�alla�valutazione� estimativa�effettuata�dall'ANAS�e�cio�in�relazione�alla�metodologia�seguita� per�il�computo�del�dovuto.�Infatti�dall'esame�dei�parametri�adoperati,�chesi� sono�in�precedenza�ricordati,�si�evince�con�estrema�chiarezza�che�si�e�inteso� calcolare�l'indennita�considerando�anche�il�pregiudizio�che�le�societa�del� gruppo�avranno�a�soffrire�a�causa�della�temporanea�inattivita�aziendale.� Invero�come�la�Suprema�corte�ha�avuto�modo�di�precisare��dalla�regola� dettata�dall'art.�40�della�legge�n.�2359�del�1865�in�tema�di�espropriazione�par- ziale�si�desume�il�principio�per�cui�nell'indennita�va�ricompresso�il�ristoro� del�pregiudizio�che�l'espropriazione�arreca,�in�rapporto�ad�attrezzaturee� macchinari�ed�in�genere�alle�cose�non�comprese�nell'espropriazione,�per�il� fatto�che�non�possono�essere�in�altro�modo�utilizzati�.� In�ragione�di�cio�ritiene�la�scrivente�che�se�da�un�lato�nell'indennita�da� corrispondersi�occorrera�computare�le�spese�che�le�societa�(rectius�alcune�di� esse)�dovranno�affrontare�per�lo�spostamento�degli�impianti,�nell'ambito� delle�quali�si�possono�far�rientrare�anche�le�quote�di�ammortamento�degli� impianti�e�le�spese�fisse,�trattandosi�indubbiamente�di�costi�connessi�all'im- possibilita�di�utilizzare�apparecchiature,�macchinari�e�mano�d'opera�nel�lasso� di�tempo�occorrente�al�trasferimento�dei�compendi�aziendali,�non�sembra� invece�possa�tenersi�conto�dell'utile�medio�annuo�e�dell'indennita�di�avvia- mento.�Invero�le�predette�voci�attengono�ai�riflessi�indiretti�dell'espropria- zione�che�imponendo�lo�spostamento�del�complesso�industriale�(o�meglio�di� parte�di�esso)�determinera�il�fermo�per�l'arco�di�tempo�occorrente�a�rico- struire�gli�insediamenti�produttivi�accessori�per�l'espletamento�dell'attivita� industriale.�Come�si�intuisce�trattasi�di�un�pregiudizio�ulteriore�e�diverso� rispetto�a�quello�derivante�dall'ablazione�della�proprieta�dell'area,�del�sopras- suolo,�inteso�come�insieme�di�beni�non�asportabili�e/o�rimuovibili�e�dei�costi� connessi�alle�operazioni�di�trasferimento�degli�impianti�e�all'impossibilita� della�loro�utilizzazione.� Di�cio�d'altronde�le�controparti�sembrano�consapevoli�se�e�vero�che�a� fondamento�delle�loro�pretese�richiamano�non�tanto�e�non�solo�il�disposto� del�ricordato�art.�40�legge�n.�2359/1865�quanto�la�regola�desumibile�dal- l'art.�46�della�medesima�legge.� I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Ma tale richiamo, ad avviso di questo G.U., si appalesa del tutto incon- ferente rispetto alla fattispecie qui considerata. Invero la suddetta norma prevede che la P.A. espropriante deve cor- rispondere �una indennita� ai proprietari dei fondi, i quali dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilita� vengano gravati di servitu� , o vengano a sof- frire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto. Come si desume agevolmente e come e� stato chiarito dalla giurispru- denza formatasi in applicazione della stessa la norma in questione concerne solo ed esclusivamente l'ipotesi del pregiudizio sofferto dal proprietario di un fondo limitrofo all'area espropriata in conseguenza della perdita ovvero della limitazione di alcune delle facolta� connesse al suo diritto dominicale (cfr. ex multis Cass. 7210/1998 ove e� precisato che �ai fini del riconoscimento dell'indennizzo in oggetto, devono sussistere le tre condizioni, consistenti nel- l'attivita� lecita dalla P.A., nell'imposizione di una servitu� o nella produzione di un danno avente carattere permanente (che si concreti nella perdita o diminuzione di un diritto), del senso di causalita� tra l'esecuzione dell'opera pubblica ed il danno (Cass., 12 dicembre 1996, n. 11080). Quanto, poi, alla posizione soggettiva cui deve avere riguardo per individuare il diritto all'in- dennizzo ai sensi del e citato art. 46 essa e� quella che deriva dal rapporto tra il proprietario ed il bene contiguo all'opera pubblica realizzata (Cass., 16 maggio 1996, n. 4561). Prescindendo da ogni questione afferente alla permanenza del danno che pure, come si e� visto, la Suprema Corte include fra le condizioni che devono sussistere per riconoscere l'indennita� di cui alla norma in questione, e� di tutta evidenza che la fattispecie qui considerata riguarda solo ed esclusi- vamente i pregiudizi derivati o beni contigui all'area oggetto dell'esproprio in vista della realizzazione dell'opera pubblica, e tutela solo ed esclusiva- mente i proprietari di detti beni. Nel caso qui considerato, invece, i beni che avrebbero a soffrire il pregiu- dizio di cui si reclama l'indennizzo si trovano sulle aree da espropriare e per giunta solo una delle tre societa� e� proprietaria dell'area su cui e� situatoilpro- prio complesso aziendale. Non sembra, dunque, sussistere alcuna delle con- dizioni in presenza delle quali la suddetta norma puo� trovare applicazione. Conclusivamente ritiene la Scrivente che la valutazione estimativa effet- tuata dall'ANAS non sia congrua almeno nella parte in cui ricomprende fra voci da considerare ai fini del computo del dovuto l'utile medio e l'indennita� di avviamento�. RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� A.G.S. ^Parere del 19 marzo 2003, n. 31394. ^Danno ambientale (*).� Danno ambientale ^Ripristini e risarcimenti conseguenti (consultivo� n.�10261/02,�avvocato�A.�De�Stefano).� �1.�^(omissis) codesta�Amministrazione�rappresenta�di�aver�avviato�un� articolato�studio�sulle�tematiche�riguardanti�il�danno�ambientale�e�le�conse- guenti�azioni�risarcitorie,�e�di�aver�individuato�i�seguenti�filoni�di�ricerca�fon- damentali:� a) definizione�della�nozione�di�danno�ambientale,�alla�stregua�della� normativa�vigente;� b) criteri�di�quantificazione�del�danno�ambientale;� c) determinazione�delle�procedure�da�adottare,�tenendo�conto�della� ripartizione�delle�competenze�amministrative�tra�Stato,�Regioni�ed�Enti� locali;�dell'organizzazione�interna�del�Ministero�e�del�rapporto�con�i�suoi� Enti�strumentali;�dell'esigenza�di�raccordare�le�iniziative�e�le�attivita�della� Pubblica�Amministrazione�con�l'azione�delle�Procure�della�Repubblica�nel� caso�in�cui�il�fatto�illecito�dannoso�assuma�rilevanza�penale.� Dopo�aver�individuato�le�principali�fonti�normative�(internazionali,�comu- nitarie�e�nazionali)�che�disciplinano�varie�tipologie�di�danni�ambientali,�codesta� Amministrazione�ha�chiesto�a�questa�Avvocatura�di�suggerire�le�metodologie�ed� i�procedimenti�che�possano�assicurare,�nel�quadro�di�una�generale�riorganizza- zione�di�codesto�Ministero�ed�attraverso�il�confronto�con�tutti�gli�Enti�pubblici� interessati,�il�piu�efficiente�monitoraggio�delle�situazioni�in�atto�e�la�promozione� delle�piu�opportune�azioni�risarcitorie,�in�sinergia�con�tutte�le�altre�Amministra- zioni�ed�Enti�(Ente�Parchi,�Regioni,�Ministeri�della�Sanita�,�dei�Beni�Culturali�e� Ambientali,�Ministero�delle�Infrastrutture)�aventi�competenza�in�materia�ed� attraverso�la�cooperazione�di�tutti�gli�Organi�ausiliari�e�di�tutte�le�strutture�opera- tive�presenti�sul�territorio�(Agenzia�Nazionale�per�la�Protezione�dell'Ambiente;� Corpo�Forestale�dello�Stato,�articolato�in�Coordinamenti�Territoriali�per�l'Am- biente;�Agenzie�regionali�per�l'ambiente;�Dipartimento�dei�Servizi�Tecnici�Nazio- nali�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�cui�afferiscono�in�particolar� modo�il�Servizio�Idrografico�Nazionale�ed�il�Servizio�Geologico�Nazionale).� A�corredo�della�richiesta�di�parere,�codesta�Amministrazione�ha�fatto� pervenire�una�copia�delle�relazioni�elaborate�da�un�gruppo�di�lavoro�apposi- tamente�costituito�per�approfondire�le�tematiche�fondamentali�della�materia,� con�specifico�riferimento�ai�tre�filoni�di�ricerca�innanzi�specificati�(nozione� di�danno�ambientale;�criteri�di�quantificazione�del�danno;�determinazione� delle�procedure�da�adottare�per�il�perseguimento�delle�responsabilita�).� 2.�^L'ampiezza�delle�questioni�prospettate�impone�a�questa�Avvoca- tura�di�limitarsi�allo�svolgimento�di�alcuni�sintetici�spunti�di�riflessione,�in� un'ottica�strettamente�giuridica.� I�temi�prospettati�potranno�costituire�oggetto�di�successivo�approfondi- mento,�su�specifica�richiesta�di�codesta�Amministrazione.� (*)�Parere�di�rilievo,�reso�dall'Avvocatura�generale�in�via�ordinaria.� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� Rimangono�invece�estranee�alle�competenze�ed�alle�valutazioni�di�questa� Avvocatura�le�considerazioni�che�prescindono�dall'analisi�delle�norme�che� disciplinano�la�materia�e�che�potrebbero�interessare�scienze�ausiliarie�o�con- correnti,�come�la�biologia,�la�sanita�,�la�sociologia,�l'urbanistica�e�l'edilizia.� Infatti,�la�tutela�ambientale,�pur�trovando�in�queste�discipline�il�proprio� presupposto�ed�il�proprio�fondamento,�assume�rilievo�giuridico�nella�misura� in�cui�si�traduce�in�norme�di�legge�che�definiscono�le�facolta�,�i�divieti�ed�i� limiti�dell'azione�umana,�in�funzione�della�protezione�degli�elementi�naturali� in�cui�essa�si�svolge�ed�al�fine�di�favorire�il�piu�armonico�esercizio�delle�varie� possibili�attivita�ed�il�piu�equilibrato�utilizzo�delle�risorse�disponibili.� Rimangono�altres|�estranee�alla�presente�trattazione�le�questioni�che� riguardano�l'organizzazione�dell'apparato�pubblico�e�l'organizzazione� interna�di�codesto�Ministero,�allo�scopo�di�assicurare�l'efficienza�degli� interventi,�il�coordinamento�degli�interventi�ed�il�rispetto�delle�autonomie� locali.�L'individuazione�dei�moduli�organizzatori�piu�idonei�al�raggiungi- mento�degli�obiettivi�prefissati�rientra�infatti�nell'ambito�dell'attivita� amministrativa�e�di�governo,�che�peraltro�potra�essere�esercitata�piu�effica- cemente,�ove�meglio�si�chiariscano�le�problematiche�suscitate�nell'attuale� contesto�normativo.� 3.�^Giova�preliminarmente�precisare,�anche�se�per�brevi�cenni,�la� nozione�di��ambiente��offerta�dalla�legislazione�vigente.�Cio�consentira�di� meglio�individuare�gli�specifici�settori�interessati�dalle�problematiche�ambien- tali,�l'ambito�di�estensione�dei�principi�generali�della�materia,�le�fonti�norma- tive�di�interesse,�le�esigenze�di�coordinamento�tra�gli�Enti,�le�Amministra- zioni�e�gli�Uffici�competenti�su�tematiche�investite�dai�problemi�ambientali,� e�la�tipologia�delle�situazioni�di�pericolo�o�di�danno�che�possano�giustificare� il�ricorso�a�strumenti�amministrativi�o�giurisdizionali�di�tutela.� L'analisi�terminologica�consentira�di�rilevare�la�complessita�del�sistema� di�tutela�ambientale�previsto�dall'attuale�ordinamento�giuridico�e�la�difficolta� dei�problemi�di�coordinamento�che�si�determinano�sul�piano�amministrativo.� L'uso�del�termine��ambiente��nella�legislazione�vigente�manifesta�infatti� una�pluralita�di�aspetti�semantici�e�di�profili�contenutistici,�ai�quali�corri- sponde�una�molteplicita�di�interessi�ed�esigenze�pubbliche,�di�interventi�e�di� competenze.� Il�termine��ambiente��viene�inizialmente�utilizzato�per�indicare�una�bel- lezza�paesaggistica�avente�valenza�estetico-culturale,�che�per�un�verso�costi- tuisce�oggetto�di�valorizzazione,�nell'ambito�della�piu�ampia�categoria�dei� beni�di�interesse�storico�ed�artistico�(artt.�9�e�16,�r.d.�3�giugno�1940,�n.�1443;� d.l.�14�dicembre�1974,�n.�657,�conv.�con�legge�29�gennaio�1975,�n.�5;�d.P.R.� 3�dicembre�1975,�n.�805;�art.�82,�d.P.R.�24�luglio�1977,�n.�616;�d.l.�3�agosto� 1985,�n.�431,�conv.�nella�legge�3�agosto�1985,�n.�431),�e�per�un�altro�verso�rap- presenta�un�limite�ad�un�parametro�di�riferimento�per�lo�svolgimento�dell'at- tivita�edilizia�ed�urbanistica�(art.�3,�legge�6�agosto�1967,�n.�765;�art.�1,�legge� 19�novembre�1968,�n.�1187;�art.�9,�d.P.R.�15�gennaio�1972,�n.�8).� Altrove�il�termine��ambiente��e�utilizzato�come�sinonimo�di�luogo� salubre,�che�garantisca�il�rispetto�della�salute�dei�cittadini�(artt.�6�e�13,� d.P.R.�14�gennaio�1972,�n.�4;�art.�27�ed�artt.�101�d.P.R.�24�luglio�1977,� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� n.�616;�artt.�2,�4,�14,�20,�21,�22�e�24,�legge�23�dicembre�1978,�n.�833).�In�altri� casi�ancora�esso�indica�i�diversi�elementi�naturali�(atmosfera,�acqua,�suolo),� nei�quali�si�sviluppano�forme�di�vita�dell'uomo�e�delle�diverse�specie�ano- mali�e�vegetali�(d.P.R.�13�febbraio�1964,�n.�185;�legge�1�aprile�1968,�n.�503;� artt.�66,�71�e�83,�d.P.R.�24�luglio�1977,�n.�616;�d.P.R.�10�settembre�1982,� n.�915,�attuativo�della�direttiva�CEE�15�luglio�1975,�n.�442;�legge�31�dicem- bre�1982,�n.�979).� Analoga�varieta�di�significati�si�rinvengono�negli�Statuti�regionali,�nei� quali�si�evidenzia�talvolta�l'aspetto�paesaggistico-culturale�(art.�5�St.�Basili- cata;�art.�5�St.�Campania;�art.�45�St.�Lazio;�art.�3�St.�Emilia-Romagna;� art.�4�St.�Veneto),�talvolta�quello�igienico-sanitario�(art.�3�St.�Lombardia;� art.�7�St.�Marche),�talvolta�quello�ecologico�e�naturalistico�(art.�5�St.�Cam- pania;�art.�3�St.�Emilia-Romagna;�art.�4�St.�Puglia;�art.�4�St.�Liguria;� art.�4�St.�Veneto).� Alla�pluralita�degli�aspetti�semantici�corrisponde�una�notevole�diversita� di�problematiche�e�di�competenze.� Da�essi�si�evince�che�le�questioni�ambientali�interessano�una�grande� varieta�di�materie�e�di�discipline,�come�le�attivita�culturali,�l'urbanistica�e�l'e- dilizia,�la�sanita�,�il�turismo,�l'agricoltura,�la�caccia�e�la�pesca,�le�attivita�pro- duttive,�i�lavori�pubblici�e�le�infrastrutture,�le�comunicazioni.� In�alcuni�casi�gli�interessi�ambientali�si�conciliano�armonicamente�con� altre�politiche�di�settore�(si�pensi,�ad�esempio,�alla�tutela�dei�beni�culturali,� allo�sviluppo�turistico,�alla�sanita�pubblica,�che�normalmente�esigono�la� tutela�dell'ambiente,�nelle�varie�accezioni�sopra�richiamate).�In�altri�casi,� invece,�le�esigenze�di�tutela�ambientale�si�pongono�in�termini�antagonistici� rispetto�ad�altri�interessi,�pubblici�o�privati,�e�costituiscono�percio�un�limite� al�godimento�dei�diritti�patrimoniali�ed�all'esercizio�di�altre�attivita�economi- che�e�produttive,�legittimando�vincoli�allo�sviluppo�urbanistico,�limitazioni� allo�sversamento�di�emissioni�inquinanti,�regolamentazioni�dello�smalti- mento�dei�rifiuti,�imposizione�di�misure�di�salvaguardia�nell'esecuzione�dei� lavori�pubblici�e�nel�rilascio�di�concessioni.� Risulta�evidente,�da�questi�brevi�cenni,�che�le�tematiche�ambientali�inve- stono�trasversalmente�ampi�settori�della�vita�civile�ed�incidono�variamente� talvolta�in�funzione�concorrente,�talvolta�in�termini�antagonistici�e�conflit- tuali�sulle�loro�dinamiche.� Le�relative�materie�rientrano�peraltro�in�parte�nelle�sfere�di�competenza� di�diverse�Amministrazioni�statali,�ed�in�parte�delle�Regioni�e�degli�Enti� locali,�in�base�ai�principi�costituzionali�(cfr.�artt.�117�e�118�Cost.)�ed�alle�leggi� di�decentramento�autonomistico�emanate�nel�tempo.� Da�cio�deriva�la�dedotta�frammentarieta�delle�norme�di�tutela�ambien- tale�contenute�nelle�varie�leggi�di�settore�e�la�difficolta�a�ricondurre�in�una� dimensione�unitaria�e�coerente�l'attivita�amministrativa�diretta�a�salvaguar- dare�l'ambiente,�nelle�varie�accezioni�e�significati�innanzi�delineati.� 4.�^La�legge�istitutiva�di�codesto�Ministero�(legge�8�luglio�1986,�n.�349)� esprime�la�tendenza�legislativa�a�superare�la�logica�degli�interventi�parziali�e� settoriali�per�la�protezione�del�paesaggio,�per�la�salubrita�dei�luoghi�e�per�la� salvaguardia�degli�elementi�naturalistici,�e�ad�assumere�una�visione�globale� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� ed�unificante�delle�tematiche�ambientali�(in�questo�senso,�Corte�Cost.,� 28�maggio�1987,�n.�210,�in�Foro it.,�1988,�I,�330;�Cass.,�sez.�III�penale,� 28�ottobre�1993,�n.�9727).�In�questo�contesto,�maturato�in�seguito�ai�crescenti� dissesti�provocati�dalla�espansione�urbana�e�dallo�sviluppo�industriale�e�favo- rito�dalla�maggiore�sensibilita�sociale�per�i�temi�che�incidono�sulla�qualita� della�vita,�l'ambiente�e�considerato�sempre�piu�come�l'insieme�degli�elementi� nei�quali�si�esplicano�le�attivita�dell'uomo�ed�individua�un�bene�pubblico� immateriale�(in�tal�senso,�Corte�cost.,�30�dicembre�1987,�n.�641;�Cass.,�Sez.� Unite,�25�gennaio�1989,�n.�440,�in�Foro it.,�1990,�I,�232�ss.),�con�il�quale� devono�compararsi�e�confrontarsi�le�singole�utilita�derivanti�dal�progresso� tecnologico�e�dalle�esigenze�dell'economia.� La�tutela�di�tale�bene�consiste�nella�conservazione�dei�caratteri�naturali� che�consentono�il�piu�equilibrato�rapporto�della�persona�con�il�mondo�circo- stante�ed�il�piu�armonico�sviluppo�delle�varie�specie�animali�e�vegetali,�e� nella�preservazione�dei�fattori�inquinanti�ed�aggressivi�che�possono�compro- mettere�il�suo�equilibrio,�con�pregiudizio�dei�suoi�valori�estetico-culturali,� delle�condizioni�igienico-sanitarie�nei�luoghi�di�vita�e�di�lavoro,�del�patrimo- nio�biologico,�delle�utilita�economiche�derivanti�dall'amenita�paesaggistica�e� della�salubrita�del�territorio,�la�tutela�dell'ambiente�consiste�percio�nella�indi- viduazione�delle�compatibilita�tra�lo�svolgimento�delle�varie�attivita�antropi- che�e�la�protezione�della�natura,�nel�rispetto�dei�principi�generali�desumibili� dagli�artt.�2,�3,�9,�32,�41�e�42�della�Costituzione�e�secondo�le�particolari� disposizioni�che�disciplinano�gli�specifici�settori�interessati�dalle�problemati- che�ecologiche�(su�tali�punti,�cfr.�A.�Gustapane,�Tutela ambiente,in�E.d.D.,� vol.�XLV,�Giuffre�,�Milano,�1992,�416�ss.).� Attraverso�l'istituzione�di�codesto�Dicastero,�la�legge�n.�349/1986�ha� inteso�affidare�allo�Stato�il�compito�di�dare�un�indirizzo�unitario�agli�inter- venti�che�incidono�sull'�ambiente�,�considerato�nel�suddetto�significato� ampio�ed�onnicomprensivo,�e�di�coordinare�quindi�mediante�opportuni�atti� di�concerto�o�di�intesa,�ovvero�anche�mediante�l'esercizio�di�poteri�sostitutivi� le�attivita�amministrative�dei�Ministeri,�delle�Regioni�e�degli�altri�Enti�terri- toriali�che�esercitano�competenze�su�materie�incidenti�sull'uso�del�suddetto� bene�pubblico�immateriale.� Per�l'espletamento�delle�funzioni�di�protezione�la�legge�ha�altres|�previsto�la� costituzione�di�Enti�ausiliari,�quali�l'Agenzia�Nazionale�per�la�protezione�del- l'ambiente�(ANPA)�di�cui�al�d.l.�4�dicembre�1993,�n.�496,�conv.�con�modifica- zioni�della�legge�21�gennaio�1994,�n.�61;�la�Agenzia�per�la�protezione�dell'am- biente�e�per�i�servizi�tecnici�di�cui�all'art.�38�del�d.lgs.�30�luglio�1999,�n.300,�o� le�Agenzie�costituite�dalle�Regioni,�per�l'espletamento�dei�compiti�loro�asse- gnati,olaCommissioneV.I.A.dicuiall'art.�18,quintocomma,n.67.� Svolgono�parimenti�funzioni�ausiliari�gli�Enti�parchi,�operanti�nell'am- bito�della�legge�quadro�delle�aree�protette�(legge�6�dicembre�1991,�n.�394).� Nel�rispetto�del�principio�costituzionale�della�partecipazione�democra- tica�dei�cittadini�e�delle�loro�associazioni�alla�vita�di�relazione�ed�alla�cura� degli�interessi�pubblici,�l'art.�13�della�citata�legge�349/1986�e�l'art.�9�della� legge�7�agosto�1990,�n.�241,�riconoscono�altres|�il�diritto�di�concorrere�alle� azioni�di�tutela�dell'ambiente�e�di�valorizzazione�delle�risorse�naturali�anche� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� alle�formazioni�sociali�per�statuto�portatrici�dei�correlativi�interessi�diffusi,�a� condizione�che�siano�territorialmente�radicate�con�un�certo�grado�di�rappre- sentativita��.� 5.�^Queste�considerazioni�di�carattere�generale�consentono�di�inqua- drare�le�problematiche�concernenti�il��danno�ambientale�,�che�costituiscono� oggetto�specifico�della�presente�consultazione.� Da�esse�si�desume,�in�primo�luogo,�che�il�danno�ambientale�giuridica- mente�rilevante�non�si�identifica�in�linea�di�massima�con�un�evento�fenome- nico�che�possa�alterare�in�qualsiasi�modo�lo�stato�dei�luoghi�o�le�componenti� dell'eco-sistema,�e�neppure�si�risolve�in�una�soggettiva�valutazione�^fondata� su�canoni�estetici,�su�analisi�scientifiche�e�considerazioni�sociologiche�^in� merito�all'impatto�positivo�o�negativo�di�un�qualunque�intervento�umano� che�modifichi�gli�equilibri�naturali.� Poiche�la�tutela�ambientale�si�risolve�in�una�serie�di�opzioni�sui�possibili� usi�delle�limitate�risorse�naturali�disponibili�per�soddisfare�una�pluralita��di� interessi�diversi,�cos|��da�risolversi�nella�determinazione�delle�compatibilita�� (o�dei�limiti�di�compatibilita�)�tra�piu��uso�alternativi,�occorre�considerare� quali�regole�e�quali�prescrizioni�il�legislatore�abbia�dettato�in�relazione�ai�vari� comportamenti�che�possano�in�qualche�modo�incidere�sul�paesaggio,�sugli� agenti�atmosferici�o�sugli�equilibri�biologici.�Il�concetto�di�danno�ambientale� si�deve�dunque�individuare�sul�piano�giuridico,�prima�che�su�quello�sociolo- gico,�estetico�o�naturalistico,�e�possiede�un�carattere�relativo,�essendo�corre- lato�alla�disciplina�che�regola�lo�specifico�settore�di�intervento.� Il�carattere�dannoso�o�meno�di�un�comportamento�o�di�una�attivita��che� abbia�un�impatto�sull'ambiente�deve�essere�percio��verificato�non�gia��in� astratto,�ma�in�rapporto�alle�norme�di�carattere�legislativo�e/o�amministra- tivo�che�regolano�la�materia,�consentendo�o�vietando�la�condotta�in�esame.� In�linea�di�massima,�il�legislatore�si�preoccupa�di�dettare�nei�singoli�settori� una�puntuale�normativa�tecnica,�facendo�spesso�ricorso�a�strumenti�di�misu- razione�fondati�sulle�unita��di�misura�del�mondo�fisico�o�dettando�una�serie� di�vincoli�e�prescrizioni�che�stabiliscono�i�modelli�ed�i�termini�di�esercizio�di� determinate�attivita��.� Il�carattere�dannoso�o�meno�di�un�comportamento�o�di�una�attivita��che� abbia�un�impatto�sull'ambiente�deve�essere�percio��normalmente�verificato� con�riferimento�alle�specifiche�norme�di�carattere�legislativo�e/o�amministra- tivo�che�regolano�la�materia,�consentendo�o�vietando�la�condotta�in�esame.� Cos|�,�ad�esempio,�le�emissioni�di�sostanze�inquinanti�nelle�acque�e�nell'a- ria�non�sono�sanzionate�di�per�se�,�e�neppure�in�base�ad�un�giudizio�di�valore� a�carattere�soggettivo,�ma�in�quanto�eccedono�i�limiti�di�tollerabilita��fissati� dalle�leggi�o�dai�regolamenti�vigenti,�sulla�base�di�una�valutazione�di�carat- tere�generale�preventivamente�operata�dalla�norma;�ovvero,�la�realizzazione� di�una�lottizzazione�o�di�una�costruzione�puo��dirsi�offensiva�per�la�natura� ed�il�paesaggio�non�in�base�a�personali�valutazioni�estetiche,�artistiche�o� architettoniche,�ma�in�quanto�risulti�contraria�alle�norme�urbanistiche�ed�edi- lizie�che�disciplinano�l'intervento.� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� Possono�pero��verificarsi�situazioni�che�non�trovano�puntuale�riscontro� nella�disciplina�vigente,�in�quanto�il�legislatore�non�si�sia�preoccupato�di�det- tare�precisi�standard normativi�per�misurare�la�liceita��o�meno�di�una�determi- nata�condotta.� In�questi�casi,�la�liberta��di�comportamento�di�ciascun�individuo�trovera�� sempre�un�limite�nella�regola�generale�del�neminem laedere,�codificata�nel- l'art.�2043�c.c.,�per�la�quale�qualunque�fatto�doloso�o�colposo�che�arrechi� danno�a�terzi�obbliga�l'autore�al�risarcimento�del�danno�prodotto.�Pertanto,� la�liberta��di�azione�in�settori�non�dotati�di�una�disciplina�specifica�potra�� essere�espletata�solo�nella�misura�in�cui�non�determini�lo�sconfinamento�nelle� sfere�giuridiche�di�altri�soggetti�o�della�generalita��degli�altri�soggetti;�situa- zione,�questa,�che�potra��trovare�opportuno�rimedio�con�il�ricorso�ai�comuni� canoni�dell'illecito�extra-contrattuale.� Qualora�poi�il�legislatore�si�limiti�a�vietare�ed�a�reprimere�una�determi- natacondottaconl'usoditerminigenerici(ades.:��chiinquina...�,�chidan- neggia�...�,�etc.),�senza�nel�contempo�fornire�precisi�criteri�di�misurazione� per�identificare�gli�specifici�fatti�ad�essa�riferibili,�il�precetto�normativo�dovra�� essere�integrato�con�l'ausilio�delle�comuni�regole�di�esperienza�che�possano� meglio�definire�e�precisare�il�significato�dei�termini�adoperati.�Si�tratta�di� una�operazione�ermeneutica�assai�frequente,�che�si�verifica�ogni�qual�volta�il� legislatore�utilizzi�parole�desunte�dal�linguaggio�comune�e�che�affida�all'inter- prete�la�funzione�di�definire�l'ambito�di�operativita��della�norma,�sulla�base� dei�prevalenti�(e�spesso�mutevoli)�valori�della�coscienza�sociale�(si�pensi,�ad� esempio,�ai�concetti�di��pudore�,�di��giusta�causa��nei�licenziamenti,�di� �maggiore�rappresentativita����dei�sindacati,�etc.).� Anche�in�questi�casi�la�nozione�di�danno�non�deriva�da�valutazioni�sog- gettive�o�meta-giuridiche,�ancorche�la�nozione�giuridica�debba�essere�indivi- duata�attraverso�elementi�acquisiti�da�altre�discipline�ausiliarie.� La�valutazione�di�questi�elementi�non�costituisce�dunque�un�mero�giudi- zio�di�fatto,�ma�rappresenta�una�forma�di�integrazione�del�precetto�astratto� della�norma,�mediante�l'uso�di�parametri,�regole�e�giudizi�di�valore�desunti� dall'esperienza�e�dal�comune�buon�senso,�ed�attribuisce�alla�norma�stessa�il� suo�significato�attuale�e�concreto;�con�la�conseguenza,�ritenuta�dalla�piu�� recente�giurisprudenza�della�Cassazione,�che�il�giudizio�espresso�incide�sui� presupposti�di�diritto,�e�non�di�fatto,�della�commessa�violazione�ed�e��come� tale�sindacabile�nel�merito�in�sede�di�legittimita��.� Si�osserva�altres|��che�dall'art.�844�c.c.,�dettato�in�tema�di�immissioni� moleste,�e��possibile�ricavare�un�criterio�normativo�di�ordine�generale�che� deve�ispirare�la�valutazione�dei�suddetti��elementi�normativi�del�fatto�.Da� tale�disposizione�codicistica�si�trae�infatti�il�principio�generale�secondo�cui� la�valutazione�del�carattere�dannoso�o�meno�di�una�condotta�idonea�ad�inci- dere�sull'assetto�ambientale�deve�essere�condotta�alla�stregua�del�criterio� della��normale�tollerabilita���,�e�cioe��in�base�al�parametro�delle�comuni�regole� di�comportamento�mediamente�accettate.� In�definitiva,�dunque,�allorche�il�legislatore�non�si�preoccupi�di�definire� la�liceita��di�una�condotta�in�base�a�precise�unita��di�misura�del�mondo�fisico,� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO non si potra� prescindere da un giudizio di valore che integra il precetto nor- mativo, da condurre secondo il metro della �normalita� � offerto dalla coscienza diffusa tra la generalita� dei cittadini. 6. ^Al fine di individuare il genere di lesioni provocate dalle anzidette violazioni, giova richiamare le considerazioni gia� in precedenza svolte in merito al rapporto relazionale tra l'ambiente e la persona umana, che in tale ambito esplica le sue attitudini ed i suoi interessi di vita. Da questa relazione si evince che l'�ambiente� non costituisce un bene fine a se stesso, e non forma oggetto di tutela per astratte finalita� naturalistiche ed estetizzanti. Esso assume invece rilevanza in funzione della primaria esigenza della per- sona umana di esprimere in un contesto adeguato i suoi interessi ad un rap- porto armonico con la natura e con il mondo circostante. Da cio� consegue, in definitiva, che il danno ambientale assume rilevanza, in quanto si traduce in un danno alla persona (in tal senso, Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641, cit.). Si e� altres|� evidenziato come l'ambiente puo� essere inteso in varie acce- zioni, con riferimento ad una pluralita� di interessi e di esigenze della persona. Puo� essere considerato, in particolare, sotto il profilo estetico-culturale, con riguardo al bisogno dell'uomo di godere delle bellezze naturalistiche e dell'a- menita� del paesaggio, ovvero di conservare le testimonianze di precedenti epoche storiche o di pregresse realta� economiche o abitudini di vita, ovvero di mantenere inalterato il contesto di importanti reperti archeologici o di significativi complessi monumentali; ovvero puo� essere considerato sotto l'a- spetto igienico-sanitario, in relazione all'esigenza di assicurare all'uomo le condizioni per una vita salubre e per la tutela della salute, contro gli agenti inquinanti che possono determinare l'insorgenza di malattie, malformazioni o decessi; puo� essere considerato infine ^sotto il profilo ecologico ^naturali- stico, ^come il complesso degli elementi fisici (atmosfera, acqua, suolo)che consentono condizioni di benessere fisico e psicologico e favoriscono l'armo- nioso ed equilibrato sviluppo della flora e della fauna. A seconda della sua tipologia, la violazione delle norme in materia ambientale puo� ledere ciascuno dei beni specificamente protetti, in relazione ai diversi significati del termine. Puo� danneggiare dunque il paesaggio, e cioe� il bene della bellezza e dell'amenita� dei luoghi, con i suoi valori estetici, sto- rici, culturali ed artistici (ad es.: costruzione abusiva in localita� panoramica); puo� esporre a rischio la salute, espressamente tutelata dall'art. 32 della Costi- tuzione (ad es.: diffusione di sostanze nocive); puo� pregiudicare il patrimonio indisponibile dello Stato (ad es.: uccisione di animali selvatici); puo� ledere gli elementi fisici che costituiscono l'habitat naturale della vita dell'uomo e delle varie specie animali e vegetali. Oltre alla lesione di questi specifici beni, materiali o immateriali, alla cui cura sono preposte le varie Amministrazioni ed Enti che hanno competenza nelle materie ad essi inerenti, si puo� oggigiorno configurare l'autonoma lesione dell'ambiente considerato nel proprio complesso, come l'universalita� indistinta di tutte le sue componenti particolari, secondo l'accezione unitaria e globale cui si e� innanzi accennato e che ha giustificato l'istituzione di code- sto Ministero, al fine di assicurare il coordinamento e l'armonizzazione delle I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� varie�politiche�di�settore.�A�questo�tipo�di�lesione,�che�assume�il�massimo� livello�di�immaterialita�,�di�generalita�ed�astrattezza,�sembra�opportuno�riser- vare�la�nozione�di��danno�ambientale�,�introdotta�dall'art.�18�della�citata� legge�349/1986,�onde�distinguerla�dalle�specifiche�tipologie�di�danno�arrecato� ad�altri�beni�dalla�stessa�condotta�illecita�(paesaggio�e�bellezze�naturali;� salute�pubblica;�atmosfera,�acqua�e�suolo,�con�l'insieme�delle�specie�vegetali� ed�animali�viventi).� Oltre�a�questi�beni�di�natura�pubblicistica,�il�comportamento�dannoso� puo�pregiudicare�anche�la�posizione�giuridica�individuale�di�singole�persone,� che�si�trovino�in�una�relazione�particolare�^distinta�da�quella�della�generalita� dei�cittadini�^con�il�bene�su�cui�ricade�il�fatto�lesivo.�Cos|�,�ad�esempio,�lo� spargimento�di�sostanze�nocive�puo�ledere�il�diritto�alla�salute�di�colui�che,� per�effetto�di�cio�,�sia�colpito�da�una�affezione�morbosa;�il�deturpamento�di� un�paesaggio�puo�danneggiare�il�proprietario�di�un�immobile�che�poteva� fruire�della�bellezza�naturale�panoramica�deturpata�(in�tal�senso,�Cass.,2.� sez.�civile,�23�febbraio�1999,�n.�1513);�l'inquinamento�marino�che�determini� il�depauperamento�dell'ecosistema�puo�causare�danno�all'attivita�di�impresa� collegate�alla�pesca�o�al�turismo.� In�definitiva,�si�puo�affermare�che�il�danno�all'ambiente�ha�in�genere�un� carattere�plurioffensivo�ed�e�idoneo�a�ledere�un�indeterminato�numero�di� interessi�specifici,�sia�pubblici�che�privati,�ed�una�molteplicita�di�diritti�sog- gettivi,�di�carattere�sia�reale�che�personale.� 7.�^Le�considerazioni�relative�alla�natura�degli�interessi�protetti�e�dei� danni�prodotti�consentono�di�risolvere�il�problema�della�legittimazione�ad� agire�giudizialmente�per�la�prevenzione�dei�fatti�lesivi�o�per�il�loro�ristoro,� sia�in�forma�specifica�che�per�equivalente.� Il�diritto�all'azione�potra�essere�riconosciuto�ai�soggetti�portatori�di�un� interesse�qualificato�alla�conservazione�di�tali�beni�o�che�abbiano�subito�uno� specifico�pregiudizio�dei�propri�diritti�per�effetto�della�condotta�contestata.� Una�generale�ed�autonoma�legittimazione�dovra�essere�poi�riconosciuta� a�codesto�Ministero,�per�la�sua�funzione�istituzionale�di�assicurare�la�tutela� dell'ambiente�nel�suo�insieme�e�di�titolare�del�diritto�al�risarcimento�delcd.� �danno�ambientale�.� Allorche�la�lesione�riguarda�beni�pubblici�o�interessi�diffusi,�apparte- nenti�alla�generalita�dei�cittadini,�la�legittimazione�dovra�essere�altres|�rico- nosciuta�alle�Amministrazioni�ed�agli�Enti�competenti�nella�specifica�materia� (cfr.,�ad�es.,�Cass.,�sez.�III�pen.,�13�maggio�1981,�n.�4438,�che�riconosce�la� legittimazione�di�un�Ente�parco�alla�costituzione�di�parte�civile�per�una� costruzione�realizzata�nel�territorio�del�parco�senza�la�propria�autorizza- zione;�Cass.,�sez.�unite,�12�febbraio�1988,�n.�1491,�che�riconosce�ad�un� Comune�la�facolta�di�agire�per�i�pregiudizi�derivanti�ad�un�acquedotto�comu- nale;�Cass.,�sez.�III�penale,�25�maggio�1992,�n.�6297,�sulla�legittimazionead� agire�di�un�Comune�in�relazione�alle�sue�funzioni�di�controllo�e�gestione�nel� settore�ecologico).� Le�associazioni�saranno�anch'esse�legittimate�ad�agire�per�la�salvaguar- dia�dell'ambiente,�in�conformita�con�le�proprie�finalita�statutarie�e�nel� rispetto�dei�principi�costituzionali�sulla�promozione�delle�organizzazioni� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO attraverso i quali la persona esplica i propri interessi sociali, in quanto dotate di un sufficiente grado di rappresentativita� , individuato ai sensi dell'art. 13 della legge 349/1986 (cfr. Cass., sez. III penale, 11 aprile 1992 n. 4487; Cass., 19 gennaio 1994, n. 439. Sulla legittimazione delle associazioni ambientaliste a ricorrere innanzi agli organi della giustizia amministrativa per soddisfare gli interessi sostanziali di cui sono titolari, cfr. Cons. Stato, sez. 6., 14 ottobre 1992, n. 756; Cons. St., sez. 4., 28 febbraio 1992, n. 223; Cons. St., 13 marzo 1991, n. 181). Analoga legittimazione deve riconoscersi agli Enti territoriali, per l'e- spresso disposto dell'art. 18, primo comma, legge 349/1986, cit., in quanto esponenziali della collettivita� da essa amministrata, in relazione ai fatti che incidano sugli interessi propri della medesima collettivita� (v., ad es., Cass., sez. unite, 21 settembre 1990, n. 12133, che riconosce ad un Comune la legitti- mazione ad agire in via cautelare ed urgente con riguardo ai lavori di costru- zione di una centrale termoelettrica, a tutela della salute dei cittadini e della salubrita� dell'ambiente). Infine, saranno legittimati ad agire in conseguenza degli stessi fatti i sin- goli cittadini che possono vantare uno specifico titolo di legittimazione, distinto dall'interesse della generalita� dei cittadini, per effetto della partico- lare relazione esistente tra il fatto lesivo ed i propri diritti soggettivi, di natura sia reale che personale (in tal senso, Cass., 28 ottobre 1992, n. 10337, secondo cui �in�tema�di�danno�ambientale,�e�legittimato�a�costituirsiparte�civile� il�cittadino�che�non si dolga del degrado dell'ambiente, ma faccia�valere�una� specifica�pretesa�in�relazione�a�determinati�beni, quali cespiti, attivita� , diritti soggettivi individuali (come quello alla salute), in conformita� alla regola generale posta dall'art. 2043 cod. civ.). Anche in mancanza di elaborazioni giurisprudenziali sul tema, sembra altres|� possibile sostenere che nelle azioni proposte da Enti, Associazioni e privati cittadini in materie di interesse ambientale, codesta Amministrazione abbia veste di parte necessaria, quale titolare di una generale funzione di coordinamento e di controllo e del diritto esclusivo al risarcimento del danno prodotto non a singolo beni, ma all'ambiente nel proprio complesso. Sembra percio� che in tali giudizi debba essere sempre disposta l'integrazione del con- traddittorio, ai sensi dell'art. 101 c.p.c., nei confronti di codesta Amministra- zione, in ogni caso avra� sempre diritto di intervenire a sostegno delle domande attrici ed a tutela delle proprie autonome ragioni (arg. ex�Cass., sez. III pen., 16 aprile 1998, n. 4727, secondo cui ^tenuto conto delle fun- zioni attribuite a codesto Ministero dalla legge 8 luglio 1986, n. 349, in mate- ria di tutela ambientale e di risarcimento del danno ambientale ^�il dovere di collaborazione impone alla Corte di Cassazione di disporre che la copia della sentenza sia trasmessa ad esso Ministero per fini conoscitivi e per l'ado- zione dei provvedimenti di sua competenza miranti al recupero dell'area dan- neggiata dagli imputati�). 8. ^L'azione di protezione ambientale si articola in diverse forme e si avvale di strumenti di carattere sia amministrativo (ordini, divieti, imposi- zione di vincoli, etc.), sia giurisdizionali. I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� L'azione�giurisdizionale,�alla�quale�specificamente�si�rivolge�la�richiesta� di�consultazione�formulata�da�codesta�Amministrazione,�si�puo�svolgere�sul� piano�sia�penale�che�civile.� Nella�nota�in�riferimento�e�nelle�relazioni�allegate�si�osserva�che�gli� interventi,�che�hanno�carattere�alquanto�frammentario,�risultano�attualmente� concentrati�sul�piano�penale�e�dipendono�per�lo�piu�dalle�iniziative�di�alcune� Procure�della�Repubblica.� Si�evidenzia�altres|�l'opportunita�di�individuare�percorsi�procedurali�che� consentono�la�partecipazione�ai�processi�in�corso�e�l'acquisizione�di�datie� notizie�sul�loro�svolgimento,�anche�al�fine�di�far�valere�le�pretese�risarcitorie� della�Amministrazione.� Tali�considerazioni�non�riguardano�specificamente�la�materia�ambien- tale,�ma�si�inquadrano�nel�piu�ampio�contesto�dei�rapporti�tra�il�processo� penale�e�l'azione�della�Pubblica�Amministrazione.� Fatte�salve�le�ipotesi�che�dovessero�registrarsi�in�alcune�situazioni�o� momenti�particolari,�si�ritiene�dunque�che�gli�orientamenti�operativi�si�deb- bano�conformare�agli�indirizzi�generali�assunti�a�tal�riguardo�da�questa� Avvocatura,�con�lo�scopo�di�assicurare�il�piu�proficuo�impiego�delle�risorse� disponibili�ed�il�piu�efficiente�perseguimento�dei�risultati�prefissi.� Sotto�tale�profilo,�si�osserva�che�il�processo�penale,�assolvendo�a�gene- rali�esigenze�di�tutela�dell'ordinamento�giuridico�ed�essendo�affidato�all'ini- ziativa�officiosa�del�Pubblico�Ministero,�presenta�caratteri�di�indipendenza� ed�autonomia�rispetto�alla�attivita�di�tutela�degli�interessi�pubblici�affidata� alle�cure�dell'Amministrazione.�Cio�non�toglie�che,�al�fine�di�assolvere�nel� migliore�dei�modi�a�questa�funzione,�e�opportuno�operare�uno�stretto�colle- gamento�tra�l'attivita�amministrativa�e�l'azione�penale,�ed�e�percio�utile� acquisire�tempestivamente�i�dati�e�le�notizie�riguardanti�i�fatti�che,�essendo� riconducibili�ad�ipotesi�di�reato,�costituiscono�oggetto�di�indagine�da�parte� della�magistratura.�Cio�consentira�di�assumere�le�iniziative�occorrenti�per�eli- minare�le�conseguenze�del�fatto�dannoso,�e�di�conseguire�il�ristoro�dei�danni� subiti,�indipendentemente�dall'esercizio�della�potesta�punitiva�dell'ordina- mento�statuale�nei�confronti�dei�responsabili.� Allorquando�il�fatto-reato�sia�rilevato�da�funzionari�o�agenti�di�polizia� giudiziaria�alle�dipendenze�di�codesta�Amministrazione�o�dai�propri�Enti� ausiliari,�tenuti�all'obbligo�del�rapporto�ai�sensi�dell'art.�331�c.p.p.,e�percio� opportuno�che�copia�del�rapporto�di�denuncia�(ovvero,�ove�si�ritenga�che� questo�sia�coperto�dal�segreto�istruttorio,�un�separato�p.v.�di�constatazione)� sia�inviato�anche�agli�Uffici�di�codesta�Amministrazione�competente�a�prov- vedere�o�a�vigilare�sulla�materia.�Qualora�il�processo�penale�sia�attivato�da� fonti�diverse,�la�notizia�della�sua�pendenza�dovrebbe�essere�sempre�assicurata� dalla�comunicazione�dell'udienza�preliminare�che�il�giudice�e�tenuto�a�far� notificare�alle�parti�offese�ai�sensi�dell'art.�419,�primo�comma,�c.p.p.� In�tutti�questi�casi,�sara�opportuno�acquisire�periodiche�notizie�sugli�svi- luppi�del�processo�e�si�potra�provvedere�alla�acquisizione�degli�atti�non�piu� coperti�dal�segreto,�nelle�forme�previste�dall'art.�116�c.p.p.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Lo�strumento�piu�semplice�per�seguire�le�vicende�del�processo�penale� sembra�costituito�dall'intervento�come�parte�offesa,�cui�codesta�Amministra- zione�e�direttamente�abilitata,�con�facolta�di�presentare�memorie�ed�indicare� mezzi�di�prova,�ai�sensi�dell'art.�90�c.p.p.� La�notizia�di�reato�abilitera�ovviamente�codesta�Amministrazione,�non- che�le�altre�Amministrazioni�ed�Enti�offesi�dai�fatti�contestati,�ad�adottare�i� provvedimenti�amministrativi�di�loro�competenza�(ingiunzioni,�ordini,� divieti,�irrogazione�di�sanzioni)�eventualmente�previsti�dall'ordinamento�per� simili�situazioni.� Qualora�sia�necessario�adottare�ulteriori�rimedi�ed�assumere�ulteriori� iniziative�di�carattere�giurisdizionale,�si�vorra�opportunamente�interessare� questa�Avvocatura�Generale�o�le�Avvocature�Distrettuali�territorialmente� competenti�ai�fini�della�costituzione�di�parte�civile�nel�processo�ovvero,� in�alternativa,�della�proposizione�di�una�parallela�azione�risarcitoria�in� sede�civile.� L'attuale�ordinamento�processuale,�caratterizzato�dal�sistema�del�cosid- detto��doppio�binario�,�pone�i�due�strumenti�su�un�piano�di�equivalenza�ed� equiordinazione�ed�esclude�che�il�giudicato�formatosi�in�una�sede�possa�espli- care�efficacia�vincolante�nell'altra.�Conseguentemente,�la�scelta�dell'una�o� dell'altra�via�dovra�essere�basata�su�un�giudizio�di�opportunita�che�tenga� conto�soprattutto�del�rapporto�tra�la�loro�onerosita�ed�i�risultati�concreta- mente�perseguibili.� La�partecipazione�al�processo�penale�si�rivela�in�genere�piu�onerosa� rispetto�all'esercizio�della�concorrente�causa�civile,�sia�per�inapplicabilita� delle�norme�sul�foro�erariale,�sia�per�i�lunghi�tempi�imposti�dal�rito� accusatorio.� La�focalizzazione�del�processo�sulla�penale�responsabilita�dell'impu- tato�non�favorisce�inoltre�l'istruttoria�sull'ammontare�dei�danni,�la�cui� liquidazione�e�sovente�rimessa�ad�una�separata�sede.�L'azione�e�altres|� limitata�al�risarcimento�dei�danni�e�non�consente�di�introdurre�diverse� domande�di�tipo�inibitorio.� Si�rammenta�che�la�costituzione�di�parte�civile�e�subordinata�al�rilascio� di�una�espressa�autorizzazione�da�parte�del�Presidente�del�Consiglio�dei� Ministri,�ai�sensi�dell'art.�1,�quarto�comma,�legge�3�gennaio�1991,�n.�3,�sulla� base�di�una�valutazione�di�tipo�eminentemente�politica.� Deve�tuttavia�ritenersi�che,�in�caso�di�urgenza�e�per�processi�di�parti- colare�rilevanza,�l'Avvocatura�territorialmente�competente�potra�provve- dere�a�costituirsi,�evitando�decadenze,�anche�in�base�alla�sola�richiesta�di� autorizzazione.� Tale�autorizzazione�puo�essere�ritenuta�infatti�un�atto�interno,�e�non�un� vero�e�proprio�presupposto�dell'azione,�richiesto�a�pena�di�inammissibilita�;� ma�se�pure�si�ritenesse�che�essa�condiziona�la�legittimita�della�costituzione,� si�puo�ritenere�che�essa�possa�intervenire�anche�nel�corso�del�processo,�salvo� che�il�giudice�non�ne�abbia�gia�rilevato�la�mancanza,�traendone�le�debite�con- seguenze.� Ovviamente,�qualora�l'autorizzazione�dovesse�essere�successivamente� denegata,�o�qualora�il�giudice�dovesse�ritenere�inammissibile�la�costituzione� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� per�mancanza�di�una�previa�autorizzazione,�sara�sempre�possibile�convertire� l'azione�proposta�in�sede�penale�in�una�autonoma�azione�civile,�ai�sensi�del- l'art.�82,�u.c.,�c.p.p.� Le�considerazioni�sopra�svolte�(maggiore�onerosita�del�processo�penale;� focalizzazione�della�causa�sui�profili�della�responsabilita�penale�e�della�tutela� dei�valori�astratti�dell'ordinamento;�esigenza�di�una�autorizzazione�fondata� su�valutazioni�di�natura�politica)�inducono�a�ritenere�che�la�costituzione� come�parte�civile�nel�processo�penale�debba�essere�riservata�prevalentemente� a�vicende�che�abbiano�particolare�rilevanza�economica�e�sociale,�prospettino� situazioni�nuove�o�complesse,�o�interessino�le�ampie�fasce�di�territorio�o�di� popolazione.�Negli�altri�casi,�potra�risultare�piu�conveniente�ed�incisiva�l'a- zione�svolta�sul�piano�civile,�restando�ferma�la�facolta�di�trarre�elementi�di� prova�dal�parallelo�svolgimento�del�processo�penale,�al�quale�si�potra�sempre� partecipare�nella�qualita�di�parte�offesa.� L'azione�civile,�a�sua�volta,�potra�avere�funzione�inibitoria,�in�quanto� diretta�a�prevenire�ed�impedire�la�causazione�di�un�danno,�o�funzione�risarci- toria,�in�quanto�diretta�ad�eliminare�le�conseguenze�dannose�di�illeciti�gia� compiuti�o�ad�ottenere�il�ristoro�del�danno�per�equivalente�pecuniario.� 9.�^Il�carattere�plurioffensivo�del�fatto�illecito�commesso�contro�l'am- biente�comporta�non�solo�^come�si�e�gia�considerato�^la�configurabilita�di� un�litisconsorzio�attivo�tra�tutti�i�soggetti�a�vario�titolo�danneggiati,�ma� anche�la�possibilita�di�formulare�una�serie�di�distinte�domande�risarcitorie,� in�forma�sia�specifica�che�per�equivalente,�in�relazione�ai�diversi�beni�giuri- dici,�materiali�o�immateriali,�che�si�ritengono�lesi.� In�viaesemplificativa,sipuo�ritenere�che�l'emissione�di�sostanze� inquinanti�oltre�i�limiti�consentiti,�che�sia�fonte�di�danno�per�la�salute�delle� persone,�puo�determinare�un�danno�fisico�alle�persone�che�subiscano�una� patologia�in�dipendenza�del�fatto;�danno�che�potra�altres|�articolarsi�s econdo�una�ormai�consolidata�elaborazione�giurisprudenziale�^in�un� danno�patrimoniale�per�la�perdita�di�capacita�lavorative,�inundanno�bio- logico,�in�un�danno�alla�vita�di�relazione,�etc.�Lo�stesso�fatto�potra�causare� danni�sia�alle�pubbliche�Amministrazioni�specificamente�competenti�in� materia�sanitaria�per�i�maggiori�oneri�di�spesa�necessari�per�attivita�di� ricerca�e�cura,�sia�agli�Enti�esponenziali�delle�comunita�investite�dal�feno- meno,�sia�alle�Associazioni�debitamente�riconosciute�che�statutariamente� perseguono�la�tutela�del�bene�offeso.�In�aggiunta,�il�fatto�illecito�determi- nera�pregiudizio�per�l'ambiente�in�se�eper�se�considerato,�e�cioe�all'am- biente�globalmente�e�complessivamente�inteso�quale�bene�comune�immate- riale,�e�provochera�quindi�uno�specifico��danno�ambientale��del�quale� codesta�Amministrazione�potra�chiedere�il�ristoro.� Parimenti,�una�costruzione�abusiva�in�un�luogo�panoramico�potra�offen- dere�sia�la�bellezza�del�paesaggio,�con�i�suoi�valori�estetici�e�culturali,�sia� l'ambiente�nel�suo�complesso,�specialmente�se�il�fatto�si�sia�verificato�in�zona� soggetta�a�specifico�vincolo�paesaggistico�o�ambientale.�Ancora,�l'uccisione� di�un�animale�appartenente�ad�una�specie�protetta�potra�offendere�sia�l'inte- resse�patrimoniale�della�Amministrazione�statale�cui�la�fauna�selvatica� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� appartiene,�ai�sensi�dell'art.�1�della�legge�11�febbraio�1992,�n.�157,�sia�l'inte- resse�morale�di�codesta�Amministrazione�alla�conservazione�dell'ambiente,� comprensivo�di�tutte�le�sue�forme�di�vita�vegetali�ed�animali.� In�definitiva�possono�configurarsi�una�molteplicita�di�situazioni�e�di� eventi�specifici,�difficilmente�definibili�apriori,�che�possono�giustificare�una� multiforme�serie�di�domande�risarcitorie�di�vario�genere,�in�relazione�alle� offese�arrecate�ai�diversi�beni�giuridici�tutelati.�L'offesa�arrecata�all'ambiente� nel�suo�complesso�giustifichera�poi�la�richiesta�di�risarcimento�del��danno� ambientale�,�autonomo�e�distinto�rispetto�agli�altri�possibili�pregiudizi.� Afferma�in�proposito�la�giurisprudenza�della�Suprema�Corte�che��l'am- biente�in�senso�giuridico�costituisce�un�insieme�che,�pur�comprendente�vari�beni� ovalori�^qualilaflora,�lafauna,�ilsuolo,�leacqueecc.�^sidistingueontologica- mente�da�questi�e�si�identifica�in�una�realta�,�priva�di�consistenza�materiale,�ma� espressiva�di�un�autonomo�valore�collettivo�costituente,�come�tale,�specifico� oggetto�di�tutela�da�parte�dell'ordinamento,�con�la�legge�8�luglio�1986�n.�349,� rispetto�ad�illeciti,�la�cui�idoneita�lesiva�va�valutata�con�specifico�riguardo�a�sif- fatto�valore�ed�indipendentemente�dalla�particolare�incidenza�verificatasi�su� una�o�piu�delle�dette�singole�componenti,�secondo�un�concetto�di�pregiudizio� che,�sebbene�riconducibile�a�quello�di�danno�patrimoniale,�si�caratterizza�tutta- via�per�una�piu�ampia�accezione��(Cass.,�sez.�I�civile,�9�aprile�1992,�n.�4362).� Ed�ancora,��con�riguardo�ad�azione�di�risarcimento�del�danno�ambientale� nella�prova�dell'indicato�danno�bisogna�distinguere�tra�danno�ai�singoli�beni�di� proprieta�pubblica�o�privata,�o�a�posizioni�soggettive�individuali,�che�trovano� tutela�nelle�regole�ordinarie,�e�danno�all'ambiente�considerato�in�senso�unitario,� in�cui�ilprofilo�sanzionatorio,�nei�confronti�delfatto�lesivo�del�bene�ambientale,� comporta�un�accertamento�che�non�e�quello�del�mero�pregiudizio�patrimoniale,� bens|�della�compromissione�dell'ambiente,�vale�a�dire�della�lesione�``in�se�''�del� bene�ambientale��(Cass.,�sez.�I�civile,�1.�settembre�1995,�n.�9211.�In�senso�ana- logo,�v.�pure�Cass.,�sez.�III�civile,�3�febbraio�1998,�n.�1087;�Cass.,�sez.�III� penale,�27�giugno�1992,�n.�7567).� Come�si�e�gia�accennato,�la�domanda�risarcitoria�del�danno�ambientale� potra�avere�ad�oggetto�sia�la�reintegrazione�in�forma�specifica,�sia�la�corre- sponsione�di�un�equivalente�pecuniario.� In�via�generale,�dovra�essere�privilegiato�il�primo�tipo�di�azione,�sia�per- che�ha�maggiore�carattere�dissuasivo,�sia�perche�consente�il�ripristino�dello� status�quo�ante�e�la�conseguente�eliminazione�degli�effetti�della�commessa�vio- lazione�(in�tal�senso,�cfr.�Cons.�Stato;�sez.�6.,�14�aprile�1993,�n.�930,�riguar- dante�un'ipotesi�di�lesione�di�bellezze�naturali).�La�priorita�del�risarcimento� in�forma�specifica�e�peraltro�affermata�in�via�generale�dall'art.�2058�c.c.�e�si� deduce�pure�^nello�specifico�settore�del�danno�ambientale�^sia�dall'art.�18,� ottavo�comma,�legge�8�luglio�1986,�n.�349,�sia�dall'art.�58,�primo�comma,� d.lgs.�11�maggio�1999,�n.�152�(che,�pur�riguardando�specificamente�il�risarci- mento�del�danno�da�inquinamento�delle�acque,�appare�espressione�di�un� principio�di�carattere�generale,�estensibile�ad�ogni�altra�ipotesi�di�danno� ambientale).� Dovranno�essere�percio�privilegiate�le�domande�rivolte�ad�unfacere�spe- cifico,�che�elimini�del�tutto�le�cause�del�danno�o�riconduca�la�situazione� I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO� ambientale�entro�i�prescritti�limiti�di�compatibilita�,�come�le�domande�di� demolizione�del�manufatto�abusivamente�edificato,�o�l'eliminazione�delle� immissioni�nocive,�o�l'adozione�di�strumenti�tecnologici�che�consentano�il� rispetto�degli�standard�e�dei�parametri�fissati�dalla�vigente�legislazione�(sul- l'ammissibilita�di�una�domanda�di�rimessione�in�pristino�da�parte�di�un�Ente� Parco�e�nei�confronti�di�chi�abbia�costruito�in�zona�vincolata�ed�in�base�a� concessione�edilizia,�ma�senza�lo�speciale�permesso�dell'Ente�medesimo,�cfr.� Cass.,�sez.�unite,�14�aprile�1994,�n.�1934;�nello�stesso�senso,�Cass.,�16�gennaio� 1992,�n.�455).�Non�possono�escludersi�domande�ancor�piu�specifiche,�sugge- rite�dalla�particolarita�dell'evento�o�dalla�singolarita�del�caso,�come�quelle� dirette�a�realizzare�particolari�interventi�di�recupero�ambientale�(esecuzione� di�interventi�di�bonifica,�riforestazione�di�una�zona�devastata�da�un�incendio,� ricomposizione�di�un�sito�adibito�a�discarica�abusiva,�etc.).� Il�ricorso�al�risarcimento�per�equivalente�pecuniario�dovra�avere�dunque� carattere�subordinato.�Esso�potra�avvenire�quando�sia�preferibile�intervenire� direttamente�per�il�recupero�dell'ambiente�compromesso�dal�fatto�illecito,�o� quando�il�danno�prodotto�sia�ormai�irreversibile�e�non�suscettibile�di�un� effettivo�ristoro�in�natura.� La�quantificazione�del�risarcimento�per�equivalente�pecuniario�non�pre- senta�eccessive�difficolta�,�ove�trattasi�di�recuperare�i�costi�sostenuti�o�da� sostenere�per�determinate�opere�di�ripristino.�In�tali�casi,�il�risarcimento� dovra�essere�commisurato�al�costo�dei�lavori�necessari�per�la�esecuzione�delle� opere,�secondo�un�principio�desumibile�in�via�generale�dall'art.�1223�c.c.ein� modo�specifico�dall'art.�18,�sesto�comma,�legge�8�luglio�1986,�n.�349.� La�questione�si�presenta�piu�incerta�e�disagevole�per�i�danni�gia�prodotti� in�passato�o�per�il�caso�in�cui�non�sia�affatto�possibile�la�reintegrazione�in� forma�specifica�e�si�debba�necessariamente�far�ricorso�ad�ampi�criteri�equita- tivi,�ai�sensi�degli�artt.�1226�e�2056�c.c.� La�traduzione�di�un�bene�immateriale�e�collettivo�qual�e�l'ambiente�c he�riassume�una�pluralita�di�valori�distintivi�della�qualita�della�vita�^in� una�determinata�quantita�di�denaro,�costituisce�il�frutto�di�una�equazione� eseguibile�sul�piano�naturalistico�e�che�si�giustifica�sul�piano�giuridicosolo� per�l'esigenza�di�dare�concretezza�alla�obbligazione�risarcitoria�secondo�i� canoni�della�patrimonialita�stabiliti�in�via�generale�dall'art.�1174�c.c.�Si� tratta�dunque�di�una�operazione�di�tipo�squisitamente�tecnico-giuridico,� che�risponde�all'esigenza�dell'ordinamento�di�compensare�nel�modo� migliore�possibile,�attraverso�una�transazione�monetaria,�una�perdita�di� carattere�immateriale,�per�sua�natura�non�misurabile,�ne�quantificabile,� ne�ristorabile,�ma�tuttavia�traducibile�nell'indeterminata�serie�di�utilita� che�il�danneggiato�potrebbe�acquisire�attraverso�la�somma�di�denaro�attri- buita�a�titolo�risarcitorio.� Ovviamente,�la�determinazione�di�tale�ammontare�si�fonda�su�criteri� ampiamente�equitativi,�empirici�e�convenzionali,�collegati�alla�coscienza�sociale� ed�al�comune�sentire�e�tradotti�in�massime�di�esperienza�ad�opera�della�giuri- sprudenza�o�dello�stesso�legislatore�(cfr.�Cons.�Stato,�sez.�V,�1�ottobre�1999,� n.�1225,�secondo�cui�la�valutazione��non�puo�che�essere�equitativa�e�collegata� ad�una�stima�tecnica�di�carattere�generale,�insuscettibile�di�una�dimostrazione� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� articolata�e�analitica,�sfuggendo�il�danno�paesistico,�per�la�sua�natura�intrin- seca,�ad�una�indagine�dettagliata�e�minuta�;�Cass.,�sez.�III,�31�luglio�1990,� n.�10900,�secondo�cui�nel�caso�di�infiltrazione�di�falde�acquifere��una�prova� completa�e�minuziosa�del�danno�puo�essere�obiettivamente�impossibile�,�(in� guisa�che)�in�tal�caso�e�possibile�soltanto�la�liquidazione�equitativa�del�danno)�.� A.G.S. ^Parere del 21 marzo 2003, n. 32719 ^Rimborso spese forfettarie (*).� (consultivo�20168/02,�avvocato�A.�Soldani).� �Con�la�nota�che�si�riscontra�codesta�Amministrazione�ha�chiesto�parere� in�ordine�alla�rimborsabilita�delle�spese�generali�forfetarie�(10%)�non�espres- samente�liquidate�nella�sentenza�TAR�Lombardia�n.�5019/00,�atteso�che�l'av- vocato�di�controparte�avrebbe�richiamato�la�giurisprudenza�della�Cassazione� dalla�quale�si�evincerebbe�la�debenza�di�tali�somme�in�ogni�caso.� Al�riguardo�la�Scrivente�esprime�parere�di�avviso�contrario.�La�sentenza�di� Cassazione�invocata�dal�difensore�di�controparte,�analoga�del�resto�all'orienta- mento�piu�recente�della�Suprema�Corte�sul�punto,�stabilisce�semplicemente�il� principio�che�il�rimborso�forfetario�del�10%�spetta�anche�se�non�e�stato�oggetto� di�specifica�richiesta�nel�corso�del�Giudizio,�con�cio�intendendo�che�e�il�Giudice� a�doverle�liquidare�d'ufficio�in�guanto�implicite�nella�domanda�di�condanna�al� pagamento�degli�onorari�giudiziali.�Se�il�Giudice�non�opera�in�tal�senso,�come� sembrerebbe�avvenuto�nel�caso�di�specie,�lo�strumento�a�disposizione�del�difen- sore�e�quello�dell'impugnazione�della�statuizione�della�sentenza�riguardante�le� spese�(e�infatti�e�proprio�su�cio�che�si�e�pronunciata�la�Cassazione�invocata�dal� difensore�di�controparte),�con�la�conseguenza�che�fino�a�quando�non�intervenga� una�riforma�della�sentenza,�il�dispositivo�costituisce�titolo�esecutivo�cos|�come� e�,�senza�alcuna�possibilita�di�farne�discendere�per�la�parte�soccombente�presta- zioni�che�non�vi�siano�espressamente�ricomprese�.� (*)�Parere�di�rilievo,�reso�dall'Avvocatura�generale�in�via�ordinaria.� DottrinaDottrina Contratti�della�P.A.�ed�invalidita�procedimentali� Premio Sandulli 6 dicembre 2002 Avvocatura Generale dello Stato di Mario Antonio Scino Il�recente�convegno�svoltosi�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato,� nella�prestigiosa�Sala�Vanvitelli�in�occasione�della�consegna�del�Premio�San- dulli�all'avv.�Selvaggi,�ha�evidenziato�un�recente�orientamento�del�giudice� nazionale�che�ha�anticipato�alcune�linee�di�tendenza�della�Commissione�euro- pea�in�tema�di�tutela�giuridica�in�materia�di�appalti�pubblici.� Gli�interventi�dei�relatori�hanno�invero�tracciato,�con�mirabile�ricostru- zione�storica,�le�linee�di�tendenza�del�giudice�amministrativo�e�del�giudice� civile�in�relazione�alla�problematica�tutela�in�forma�specifica�dei�soggetti�pri- vati�in�relazione�ai�contratti�stipulati�dalla�P.A.�con�altri�soggetti�ai�primi� preferiti.�La�tematica�e�connessa�ai�recenti�sviluppi�della�Giurisprudenza� Amministrativa�in�ordine�alla�invalidita�dei�contratti�stipulati�dalle�Ammini- strazioni�pubbliche�in�relazione�a�violazioni�di�norme�poste�a�tutela�dellatra- sparenza�e�dell'evidenza�pubblica.� Si�rileva,�in�proposito,�che�nell'ordinamento�italiano�la�giurisprudenza� amministrativa�(TAR Campania, Napoli, sez. I, 20 agosto 2001, n. 3865)e� civile�(Cass. civ. 9 gennaio 2001, n. 193)�ha�recentemente�rivisitato�la�elabora- zione�delle�invalidita�procedimentali�connesse�alla�stipula�di�un�contratto� della�Pubblica�Amministrazione,�pervenendo�alla�conclusione�che�i�vizi�pro- cedimentali�dell'evidenza�pubblica,�disciplinata�dalla�normativa�comunitaria� e�nazionale,�indipendentemente�dallo�svolgersi�sopra�o�sotto�soglia�comuni- taria,�in�quanto�esercizio�della�funzione�amministrativa�in�contrasto�conle� norme�imperative�che�regolano�tutte�le�fasi�del�procedimento�di�evidenza� pubblica,�non�danno�luogo�alla�semplice�annullabilita�del�provvedimento� amministrativo�impugnato�(nel�caso�di�specie�l'aggiudicazione)�e�conseguen- temente�del�contratto,�ma�ad�una�ipotesi�di�nullita�anche�del�contratto.�In� tal�senso�si�segnalano,�tra�le�altre,�la�sentenza�del�Consiglio di Stato, Vsez., del 13 novembre 2002, n. 6281 che�ha�ritenuto�la�nullita�di�un�contratto�gia� stipulato�di�appalto�di�forniture�e�di�servizi,�per�effetto�dell'annullamento� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO giurisdizionale dell'atto di aggiudicazione. Ma ancora piu� decise sono le con- siderazioni del TAR Campania, Isez., 29 maggio2002, n. 3177,e TAR Reggio Calabria, 18 dicembre 2002, n. 2030. In tal caso il giudice amministrativo ha ritenuto la nullita� del contratto di appalto di servizio idrico in conseguenza della declaratoria di nullita� dell'aggiudicazione. A tale conclusione si e� perve- nuti attraverso la considerazione che le violazioni delle regole dell'evidenza pubblica, fondate sulle regole comunitarie (previste dalla direttiva o diretta- mente discendenti dal Trattato CE, in tal senso ex multis Cons. St., IVsez., 15 febbraio 2002, n. 934) e/o su quelle di diritto nazionale, (ove non si tradu- cano in singoli vizi del procedimento di formazione della volonta� determi- nante solo l'annullabilita� del contratto stipulato) sono configurabili alla stre- gua di violazione di norme imperative e non derogabili sulla capacita� con- trattuale dell'ente in modo tale da ipotizzare una ipotesi di nullita� del contratto posto in essere, con la conseguente inidoneita� a produrre effetti giuridici nei confronti dell'Amministrazione stipulante. D'altra parte i giudici amministrativi, con le citate sentenze, hanno accolto le tesi della Cassazione (Cass., sez. 2, 8 gennaio 2000, n. 123) in ordine alla rilevabilita� d'ufficio della nullita� del contratto. Si e� , in altre parole, ritenuto che le regole di evidenza pubblica, mirando a tutelare interessi obiettivi dell'ordinamento anche in prospettiva comunitaria, assumono la fisionomia propria di un presupposto o di una condizione legale di efficacia del contratto, con la conseguenza che l'an- nullamento dell'aggiudicazione fa venir meno, in via retroattiva, uno dei presupposti di efficacia del contratto successivamente stipulato, che per- tanto resta definitivamente privo dei suoi effetti giuridici. (Cons. St., sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332). Secondo i giudici di Palazzo Spada i precetti comunitari darebbero vita ad una gara europea da svolgersi in attuazione di principi inderogabili del Trattato tra cui, in particolare ma senza pretesa di esaustivita� , le norme di carattere imperativo che vietano qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalita� . Le norme sull'evidenza pubblica, interna e comunitaria, plasme- rebbero allora un complesso rapporto amministrativo in seno al quale l'amministrazione aggiudicatrice e� soggetto in qualche misura passivo, obbli- gato all'osservanza di norme poste a tutela non solo dell'interesse pubblico ma anche e soprattutto di un interesse trascendente e ultroneo rispetto a que- st'ultimo in quanto collegato al valore imperativo della concorrenza. In ragione di tali considerazioni, la violazione di norme funzionalizzate, come si e� detto, alla tutela soprattutto dell'interesse delle imprese comportera� non l'annullabilita� solo su iniziativa del contraente pubblico, ma la nullita� vir- tuale del contratto per violazione di norme imperative ai sensi dell'art. 1418 c.c. (in questo senso cfr. Cons. St., sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218). La Commissione europea, dal canto suo, ha sollevato dubbi di compati- bilita� comunitaria del nostro ordinamento processuale amministrativo con particolare riguardo alla tutela in forma specifica. Si osserva comunque che sia la direttiva 89/665/CEE (art. 2, paragrafo 6, comma 2) del Consiglio del 21 dicembre 1989, sia la direttiva 92/13/CEE del Consiglio del 25 febbraio 1992 ammettono la discrezionalita� degli Stati membri di consentire, in luogo DOTTRINA�319 della�tutela�in�forma�specifica,�la�tutela�risarcitoria.�In�ossequio�a�tale� espressa�deroga�comunitaria,�il�legislatore�nazionale�con�l'art.�14�del�d.lgs.� n.�190/2002�ha�stabilito�che�la�tutela�per�equivalente�prevalga�sulla�tutela�in� forma�specifica,�salva�la�tutela�giurisdizionale�reale�avverso�l'atto�di�aggiudi- cazione�mediante:�a) la�previsione�dell'onere�di�comunicazione�dell'atto�di� aggiudicazione�a�carico�del�soggetto�aggiudicatore�in�favore�del�partecipante� alla�gara;�b) la�previsione�di�una�vacatio tra�la�aggiudicazione�e�la�stipula� del�contratto�(ultimo�comma�art.�14�cit.)�e�l'estensione�in�sostanza�di�una� tutela�in�forma�specifica�per�il�particolare�settore�dei�lavori�pubblici�discipli- nato�dal�d.lgs.�n.�190/2002.� Si ricava,pertanto, a contrario che dall'effetto caducante del contratto con- seguente all'annullamento del provvedimento di aggiudicazione discende per il ricorrente vittorioso, ove ne sussistano i presupposti, il diritto ad ottenere la tutela risarcitoria informa specifica, coincidente�con�la�condanna�dell'ammi- nistrazione�ad�un�facere specifico�consistente�nella�stipula�del�contratto�con� il�ricorrente�vittorioso�in�giudizio.� E�,�dunque,�assicurata�nell'ordinamento�italiano�una�tutela�risarcitoria� piu�ampia�di�quella�prevista�dalla�direttiva�89/665/CEE,�gia�partire�dalla� sentenza�500�e�501�del�1999�della�Suprema�Corte�di�Cassazione�a�Sezioni� Unite,�mentre�l'art.�35�del�d.lgs.�n.�80/1998�ammetteva�una�tutela�risarcitoria� in�forma�specifica�e�per�equivalente�solo�nelle�materie�di�giurisdizione�esclu- siva�del�giudice�amministrativo�(sono�le�materie�in�cui�la�giurisdizione�si� fonda�per�materia�e�non�per�tipo�di�situazione�soggettiva�lesa).� Con�l'entrata�in�vigore�poi�dell'art.�7�della�legge�n.�205/2000�la�tutela� risarcitoria�sia�nella�forma�specifica�sia�per�equivalente�e�stata�estesa,�senza� necessita�del�previo�annullamento�dell'atto�amministrativo�illegittimo,�a�tutte� le�ipotesi�di�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�cioe�anche�alla�giurisdi- zione�generale�di�legittimita�(quella�degli�interessi�legittimi).� La�Commissione�europea,�invero,�con�lettera�del�16�ottobre�2002,� avviava�una�procedura�di�infrazione�comunitaria�nei�confronti�della�Repub- blica�Italiana�ai�sensi�dell'art.�226�del�Trattato�CE�in�relazione�alla�procedure� di�aggiudicazione�di�appalti�pubblici,�di�forniture�e�servizi.� La�Commissione,�invero,�considerava�che�la�Repubblica�italiana,�non� avendo�previsto�un�sistema�di�informazione�obbligatoria�da�parte�delle� Amministrazioni�aggiudicatrici�degli�appalti�pubblici�di�cui�alle�direttive� 93/36/CEE,�93/37/CEE,�e�92/50/CEE,�delle�decisioni�di�aggiudicazione� degli�stessi�appalti,�ed�inoltre�non�avendo�previsto�un�sistema�di�tutela�giuri- sdizionale�nella�materia�degli�appalti�pubblici�di�cui�alle�direttive�summen- zionate�che�consenta�ai�candidati�e�agli�offerenti�interessati�di�presentare�in� ogni�caso�un�ricorso�contro�la�decisione�di�aggiudicazione�dell'appalto�prima� della�conclusione�del�relativo�contratto�e,�di�conseguenza,�in�una�fase�in�cui� le�violazioni�possono�essere�ancora�sanate,�sarebbe�venuta�meno�agli�obbli- ghi�che�le�incombono�in�virtu�dell'art.�7,�paragrafo�2,�della�Direttiva� 93/36/CEE,�dell'art.�8,�paragrafo�2,�della�Direttiva�93/37/CEE,�dell'art.�12,� paragrafo�2,�della�direttiva�92/50/CEE,�ed�inoltre�dall'art.�2,�paragrafo1,� lettera�b),�della�direttiva�89/665/CEE.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� 1.�^Con�riferimento�all'informazione�dei�partecipanti�alla�procedura�di� aggiudicazione�dell'appalto�si�osserva�che,�con�l'entrata�in�vigore�del�decreto� legislativo�20�agosto�2002,�n.�190,�recante�norme�di�attuazione�e�di�esercizio� della�delega�di�cui�alla�legge�21�dicembre�2001,�n.�443�(legge�delega�al� Governo�in�materia�di�infrastrutture�ed�insediamenti�produttivi�strategici�ed� altri�interventi�per�il�rilascio�delle�attivita�produttive)�sono�state�introdotte� nuove�norme�in�materia�processuale.� L'art. 14 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, al�terzo�comma,� prevede�espressamente�che�il��soggetto aggiudicatore comunica il provvedi- mento di aggiudicazione ai controinteressati almeno trenta giorni prima della firma del contratto�. I�controinteressati�sono�coloro�che�hanno�interesse�con- trario�all'adottando�atto�di�aggiudicazione�e�cioe�i�partecipanti�alla�proce- dura�di�aggiudicazione�stessa.� Tale�onere�di�pubblicita�imposto�al�soggetto�aggiudicatore�e�idoneo,�a� superare�i�rilievi�sollevati�dalla�Commissione�in�ordine�alla�supposta�carente� informazione�dei�partecipanti�alle�procedure�di�aggiudicazione�proprio�in� relazione�alla�decisione�di�aggiudicazione.� Esso,�inoltre,�previsto�solo�per�la�realizzazione�di�infrastrutture�e�degli� insediamenti�produttivi�strategici�e�di�interesse�nazionali,�e�stato�generaliz- zato�nell'ordinamento�tramite�apposita�circolare,�che�ha�reso�obbligatoria�la� comunicazione�del�provvedimento�di�aggiudicazione�a�tutti�i�controinteres- sati�anche�negli�appalti�di�servizi�e�di�forniture.�E,�infatti,�il�Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con Circolare n. B1/2109 del 10 marzo 2003 ha� raccomandato�a�tutte�le�amministrazioni�l'applicazione�del�meccanismo�pre- visto�dall'art.�14�d.lgs�n.�190/2002�a�tutte�le�procedure�di�aggiudicazionedi� appalti�pubblici�di�lavori,�di�forniture�e�servizi.� In�relazione�alla�seconda�problematica�evidenziata�dalla�Commissione� europea,�concernente�la�supposta�inesistenza�nell'ordinamento�italianodi�un� termine�ragionevole�tra�la�decisione�di�aggiudicazione�e�la�conclusione�del� contratto�tale�da�permettere�agli�offerenti�di�proporre�un�ricorso�contro�la� procedura�di�aggiudicazione,�si�rileva�che�il�terzo�comma�dell'art.�14�del� d.lgs.�n.�190/2002�prevede�un�idoneo�meccanismo�di�tutela�laddove�non�con- sente�al�soggetto�aggiudicatore�di�stipulare�il�contratto�prima�del�decorso�di� trenta�giorni�dal�provvedimento�di�aggiudicazione�ai�partecipanti�alla�gara.� D'altra�parte�l'art.�4�della�legge�21�luglio�2000,�n.�205�(recante�disposi- zioni�in�materia�di�giustizia�amministrativa)�ha�introdotto,�dopo�l'art.�23� della�legge�6�dicembre�1971,�n.�1034,�l'art.�23-bis (disposizioni�particolari�sul� processo�in�determinate�materie)�che�ha�previsto�una�procedura�di�tutela�giu- risdizionale�accelerata�con�riferimento�a�materie�cd.�sensibili,�tra�le�quali�la� procedura�di�aggiudicazione,�affidamento�ed�esecuzione�di�opere�pubbliche� o�di�pubblica�utilita�.� L'art.�23-bis,�al�secondo�comma,�ha�previsto�la�riduzione�a�meta�dei�ter- mini�processuali�anche�con�riferimento�al�grado�di�appello�ed�ha�individuato� meccanismi�rapidi�di�definizione�della�fase�di�tutela�cautelare�e�della�tutela� di�merito�attraverso�una�scansione�temporale�che�imponga�al�giudice�ammi- nistrativo�di�fissare�l'udienza�di�trattazione�del�merito�con�sollecitudine.�In� tale�ottica�acceleratoria�devono�essere�collocate�le�disposizioni�di�cui�al� DOTTRINA�321 1.�comma�dell'art. 14 del d.lgs. n. 190/2002.�Tali�particolari�disposizioni� processuali�trovano�il�loro�precedente�nell'art.�19�della�legge�n.�135/1997.� Orbene,�risulta�certamente�assicurato�agli�offerenti�di�promuovere�la�tutela� reale�dei�propri�interessi�attraverso�l'impugnativa�dell'aggiudicazione�gia� prima�della�conclusione�del�relativo�contratto�e,�quindi,�in�una�fase�in�cuile� violazioni�possono�essere�ancora�sanate.�Invero�la�subordinazione�della�sti- pula�del�contratto�di�appalto�ad�una�fase�di�preventiva�pubblicita�del�provve- dimento�di�aggiudicazione�(art.�14,�3.�comma,�d.lgs.�n.�190/2002)�e�la�effet- tiva�conoscenza�del�provvedimento�di�aggiudicazione�consente�ai�controinte- ressati�partecipanti�di�promuovere�ed�eventualmente�conseguire�la�tutelain� forma�specifica�delle�proprie�ragioni,�in�prima�battuta�ottenendo�^ricor- rendo�i�presupposti�^in�via�cautelare�a�mezzo�del�provvedimento�di�sospen- sione�dell'atto�impugnato�e,�allegando�ragioni�di�indifferibilita�ed�urgenza�tali� da�non�poter�attendere�nemmeno�l'udienza�cautelare,�addirittura�a�mezzo�di� un�provvedimento�reso�dal�Presidente�del�Tribunale�Amministrativo� Regionale�anche�inaudita altera parte (art.�21�legge�n.�1034/1971,�come� modificato�dall'art.�3�della�legge�n.�205/2000).� Conclusioni Le�considerazioni�che�precedono�possono�guidare�l'operatore�in�rela- zione�alle�piu�recenti�tendenze�evolutive�del�sistema�giurisprudenziale� italiano,�che�ha�in�parte�anticipato�le�risposte�ai�dubbi�sollevati�dalla�Com- missione�europea.� Appare�dunque�doveroso,�in�attesa�di�apposita�riforma�legislativa,�atte- nersi�alle�direttive�indicate�dalla�Circolare�ministeriale�summenzionata�in� ordine�all'opportunita�di�far�precedere�la�stipula�del�contratto�aggiudicato� non�prima�di�un�idoneo�termine,�utilizzato�per�la�comunicazione�formale�del- l'aggiudicazione�ai�contro�interessati.� D'altra�parte�il�rispetto�del�principio�di�una�adeguata�pubblicita�etra- sparenza�degli�affidamenti�pubblici,�al�di�la�della�soglia�di�valore�dell'ap- palto,�in�quanto�discendente�dal�trattato�(sent. C. Giustizia CE, Teleaustria, 7 dicembre 2000, C-324; idem, C-225/1998; Ord. C. Giustizia CE, 3 dicembre 2001, n. 59; Circolare Ministroper le Politiche Comunitarie 66/2002 n. 8756 - G.U. 31 luglio 2002 n. 178),�si�impone�anche�in�considerazione�delle�implica- zioni�che�derivano�dalla�ricordata�giurisprudenza�amministrativa�nazionale.� In�altre�parole�la�stipula�del�contratto�non�e�mai�stata�di�ostacolo�nel� nostro�ordinamento�alla�tutela�in�forma�specifica�per�effetto�dell'annulla- mento�dell'atto�di�aggiudicazione,�e�cio�vieppiu�dopo�l'entrata�in�vigore�del� citato�articolo�14�del�d.lgs.�n.�190/2002.� Il�ricordo�dell'insigne�prof.�Sandulli�ha�consentito�agli�illustri�relatori� e�allo�scrivente�importati�riflessioni�su�un�nodo�essenziale�della�tutela� giurisdizionale.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Il danno da dequalificazione professionale di Fernando Carangelo Le�mansioni�e�lojus�variandi.�Per�introdurre�il�discorso�sulla�dequalifica- zione�professionale,�e�opportuno�accennare�alle�mansioni�e�allo�jus�variandi� nel�rapporto�di�lavoro�subordinato�(1).� Le�mansioni�consistono�nei��vari�compiti�per�lo�svolgimento�dei�quali�il� lavoratore�viene�assunto�e�nei�quali,�a�sua�volta,�e�scomponibile�l'organizza- zione�del�lavoro�di�una�data�impresa�(2)�.�In�altri�termini,�sono�gli�adempi- menti�professionali�del�lavoratore,�che,�dal�punto�di�vista�dell'organizzazione� del�lavoro,�si�identificano�nella�posizione�di�lavoro,�mentre,�dal�punto�di�vista� della�struttura�dell'obbligazione�di�lavoro,�rappresentano�l'oggetto�della�pre- stazione�di�lavoro�(3).� Nell'ambito�del�rapporto�di�lavoro,�quindi,�la�prestazione�di�lavoro�che� il�lavoratore�e�tenuto�a�garantire,�viene�identificata�in�base�alle�mansioni� assegnate�allo�stesso.�Tuttavia,�nel�corso�dell'esecuzione�del�contrattodi� lavoro,�la�prestazione�di�lavoro�e�soggetta�a�variazioni�rispetto�a�quella�ini- ziale,�modifiche�che�possono�essere�dovute�o�ad�esigenze�organizzative�del- l'impresa�o�a�modifiche�unilaterali�del�datore�di�lavoro,�e�questo�e�il�c.�d.� jus�variandi.� Lo�ius�variandi�e�disciplinato�dall'art.�2103�c.c.,�che�e�stato�peraltro� oggetto�di�una�modifica�ad�opera�dell'art.�13�dello�Statuto�dei�Lavo- ratori.� Nel�suo�testo�originario�prevedeva�che��Ilprestatore�di�lavoro�deve�essere� adibito�alle�mansioniper�cui�e�stato�assunto.�Tuttavia,�se�non�e�convenuto�diver- samente,�l'imprenditore�puo�,�in�relazione�alle�esigenze�dell'impresa,�adibire�il� prestatore�di�lavoro�ad�una�mansione�diversa,�purche�essa�non�importi�una�dimi- nuzione�nella�retribuzione�o�un�mutamento�sostanziale�nella�posizione�di�lui.� Nelcasoprevistodalcommaprecedente,�ilprestatoredilavorohadirittoal� trattamento�corrispondenteall'attivita�svolta,�see�a�luipiu�vantaggioso�.� Il�lavoratore�poteva�svolgere�quelle�mansioni�per�cui�era�stato�assunto� ma,�allo�stesso�tempo,�il�potere�datoriale�di�disporre�del�mutamento�delle� mansioni�del�lavoratore�era�molto�ampio,�soprattutto�perche�il�limite�delle� �esigenze�dell'impresa��riguardava�solo�il�caso�di�mutamento�unilaterale� (1)�Su�questo�tema�specifico,�vd.�CardarellO C., Mansioni�e�rapporto�di�lavoro�subordi- nato,�Milano,�2001.� (2)�Cos|�GherA E., Diritto�del�lavoro,�Bari,�1998,�134.�Interessante,�nonche�piu�articolata,�e� la�definizione�di�CardarellO C.,�op.�cit.,�60,�per�cui�la�mansione�e�``quel�complesso�di�attivita�,� compiti�e�funzioni�che�il�lavoratore,�in�relazione�al�suo�inquadramento�derivante�dalla�legge�e� dalla�contrattazione,�collettiva�e/o�individuale,�e�obbligato�a�svolgere�a�favore�del�datore�di� lavoro''.� (3)�Vd.�GherA E.,�Diritto�del�lavoro,�Bari,�1998,�134.� DOTTRINA�323 delle�mansioni�stesse�e�spesso,�anche�a�seguito�della�teoria�della�c.�d.�acquie- scenza�(o�comportamento�concludente�tacito�del�lavoratore),�era�difficile� distinguere�tra�mutamento�consensuale�e�mutamento�unilaterale�(4).� L'art.�2103,�nella�sua�nuova�formulazione�dopo�la�modifica�operata� dallo�Statuto�dei�Lavoratori,�e�abbastanza�chiaro�ed�esplicito:��Il�prestatore� di�lavoro�deve�essere�adibito�alle�mansioniper�le�quali�e�stato�assunto�o�a�quelle� corrispondenti�alla�categoria�superiore�che�abbia�successivamente�acquisito� ovvero�a�mansioni�equivalenti�alle�ultime�ef ffettivamente�svolte,�senza�alcuna� diminuzione�della�retribuzione�;�al�comma�2,�viene�poi�sancita�la�nullita�di� ogni�patto�contrario.� E�riconosciuta�e�permessa�una�certa�mobilita�al�lavoratore�all'interno� dell'azienda,�ed�emerge�la�possibilita�di�un'adibizione�del�lavoratore�a�man- sioni�diverse,�anche�per�disposizione�unilaterale�del�datore�(5),�in� sostanza,�di�un��transitorio�diritto�di�mobilita�interna��(6).�La�mobilita� �endoaziendale(7)��consentita�e�solo�quella�orizzontale�o�verso�l'alto.�La� mobilita�orizzontale�e�identificata�soprattutto�in�base�al�concetto�di�equiva- lenza�delle�mansioni;�in�base�al�prevalente�orientamento�giurisprudenziale,� sono�da�considerarsi�equivalenti�quelle�mansioni�che��consentono�al�lavora- tore�l'utilizzo�del�complessivo�bagaglio�di�nozioni,�esperienza�e�perizia�acqui- sito�nella�fase�pregressa�del�rapporto,�nonche�l'eventuale�affinamento�e�arric- chimento�del�patrimonio�professionale�gia�acquisito�(8).� La�mobilita�verso�l'alto�e�riconosciuta�poi�dallo�stesso�art.�2103�c.c.,�che� recita��nel�caso�di�assegnazione�a�mansioni�superiori�il�prestatore�ha�diritto�al� trattamento�corrispondente�all'attivita�svolta,�e�l'assegnazione�stessa�diventa� (4)�Secondo�la�giurisprudenza,�se�il�lavoratore�accettava�di�svolgere�le�nuove�mansioni,�il� suo�comportamento�era�da�considerarsi�concludente�in�senso�adesivo,�con�la�conseguente�accetta- zione�delle�nuove�condizioni.�Vd.�su�questo�punto�GherA E.,�op.�cit.,�147.�Vd.�anche�LanottE M., Ildanno�allapersona�nelrapporto�di�lavoro,�1998,�206,�dove�richiama�la�sentenza�Cass.�12�otto- bre�1968,�n.�3243,�in�Mass.�giur.�lav.,�1969,�205.� (5)�Da�segnalare�come�alcuni�autori�non�ritengono�piu�esistente�lo�jus�variandi�per�volonta� unilaterale�del�datore,�e�richiedono�necessariamente�la�consensualita�per�qualsiasi�mutamento�di� mansioni,�sia�orizzontali�che�verticali.�Questo�orientamento�tuttavia�non�e�seguito�dalla�maggio- ranza�di�giurisprudenza�e�dottrina.�Vd.�per�un�approfondimento�sul�tema�LanottE M., op.�cit.,� 206,�e�i�riferimenti�bibliografici�ivi�richiamati.� (6)�Cos|�BonarettI L., Danno�biologico�nel�rapporto�di�lavoro,�79,�che�delinea�una�ampia� panoramica�di�inadempienze.� (7)�Cos|�CardarellO C., op.�cit.,�67,�che�approfondisce�accuratamente�i�concetti�e�divide� questa�mobilita�endoaziendale,�con�specifico�riferimento�alle�mansioni,�in�quattro�gruppi:�mobi- lita�orizzontale�(mansioni�equivalenti�e�promiscue);�mobilita�verticale�migliorativa�(mansioni� superiori);�mobilita�verticale�sostitutiva�(mansioni�vicarie);�mobilita�verticale�peggiorativa�(man- sioni�inferiori).� (8)�Cos|�LanottE M., op.�cit.,�208,�che�richiama�Cass.�4�ottobre�1995,�n.�10405,�in�Riv.�it.� dir.�lav.,�1996,�II,�578,�insieme�ad�altra�giurisprudenza.�Vd.�anche�GherA E., op.�cit.,�149,�e�piu� approfonditamente�sul�tema�CardarellO C., op.�cit.,�69.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� definitiva,�ove�la�medesima�non�abbia�avuto�luogo�per�sostituzione�di�lavoratore� assentecondirittoallaconservazionedelposto,�dopounperiodofissatodaicon- tratti�collettivi,�e�comunque�non�superiore�a�tre�mesi(9)�.� In�particolare,�e�espresso,�di�regola,�un�divieto�di�adibizione�a�mansioni� inferiori,�divieto�che�da�parte�della�dottrina�e�considerato�in�modo�assoluto� e�non�ammetterebbe�eccezioni.� Tuttavia,�la�rigida�interpretazione�dell'art.�2103�c.c.,�in�alcuni�casi,�puo� determinare�un�eccesso�di�tutela�ed�essere�un�pregiudizio�per�il�lavoratore,� soprattutto�in�considerazione�dell'ipotesi�in�cui�l'assegnazione�a�mansioni� inferiori�si�configura�come�un'alternativa�(l'unica�a�volte)�per�evitare�la�per- dita�del�posto�di�lavoro.� Alla�luce�di�queste�considerazioni�si�spiega�l'apertura�della�giurispru- denza�che�ha�operato�una�interpretazione�piu�elastica�di�questo�divieto,�con� riferimento�ai�casi�in�cui�il�lavoratore,�in�seguito�a�infortunio�o�malattiapro- fessionale,�non�sia�piu�in�grado�di�svolgere�il�proprio�lavoro�(10).� Altra�deroga�e�posta�poi�dall'art.�4,�comma�11,�legge�n.�223/1991�in� tema�di�licenziamenti�collettivi,�in�base�al�quale,�in�ipotesi�di�riduzione�del� personale,�gli�accordi�sindacali�che�prevedono�il�riassorbimento�totale�o�par- ziale�dei�lavoratori�eccedenti,�possono�anche�derogare�all'art.�2103�c.c.,� comma�2,�potendo�prevedere�l'assegnazione�a�mansioni�diverse�(quindi�anche� inferiori)�rispetto�a�quelle�svolte.� Da�segnalare�poi�che�la�Corte�di�Cassazione�ha�ampliato�le�ipotesi�dero- gatorie,�affermando,�con�decisioni�che�lasciano�perplessi,�che�le�limitazioni� allo�jus�variandi�operano�solo�in�riferimento�agli�atti�unilaterali�del�datore� disposti�contro�la�volonta�del�lavoratore�e�in�suo�danno,�e�non�anche�il�muta- mento�peggiorativo�di�mansioni�operato�dal�datore�con�il�consenso�del�lavo- ratore�o�a�seguito�della�richiesta�dello�stesso�(11).� Il�contenuto�del�danno�alla�professionalita�e�i�danni�risarcibili.�Una�volta� definiti�i�contorni�del�fenomeno,�si�devono�esaminare�gli�effetti�del�comporta- mento�illegittimo,�che�tipo�di�tutela�e�come�reagisce�l'ordinamento�nel�caso� di�dequalificazione�professionale�o�anche�nell'ipotesi�di�un�sostanziale�svuo- tamento�delle�mansioni�del�lavoratore.� Bisogna�preliminarmente�dire�che,�secondo�una�nuova�visione��parteci- pativa��del�rapporto�di�lavoro,�il�lavoratore�non�puo�piu�essere�considerato� (9)�Vd�per�maggiore�completezza�CardarellO C., op.�cit.,�95.� (10)�Ammesso�per�la�prima�volta�da�Cass.�12�gennaio�1984,�n.�266,�in�Mass.�giur.�lav.,�1984,� 175.�Vd.�LanottE M., op.�cit.,�215,�dove�l'autore�richiama�sentenze�e�riferimenti�bibliografici�sul� mutamento�peggiorativo�delle�mansioni�a�seguito�della�inidoneita�fisica�o�psichica�del�lavoratore,� sottolineando�peraltro�come�l'impossibilita�a�svolgere�le�mansioni�originariamente�assegnate� costituisce�un�giustificato�motivo�di�licenziamento.� (11)�Su�questo�punto�vd.�la�critica�e�i�riferimenti�riportati�in�LanottE M., op.�cit.,�217.� DOTTRINA�325 come�un�soggetto�che�cede�la�propria�forza-lavoro�in�cambio�della�retribu- zione�del�datore.�In�realta�,�il�lavoratore�si�pone�con�il�suo�bagaglio�di�espe- rienze�e�conoscenze�tecniche�che�deve�anche�poter�sviluppare�e�approfondire,� e,�al�giorno�d'oggi,�e�tenuto�ad�integrare�e�coordinare�la�propria�attivita�con� tutti�coloro�che�fanno�parte�dell'impresa�stessa,�al�fine�dello�svolgimento�di� una�attivita�comune�(12).� La�struttura�del�contratto�di�lavoro�subordinato�si�arricchisce,�quindi,�di�un� ulteriore�contenuto�che�e�dato�dal�diritto�alla�formazione�professionale,�visto�e� considerato�che�il�lavoratore,�che�porta�con�se�all'interno�dell'impresa�il�suo�baga- glio�professionale,�non�puo�vivere�con�le�sole�conoscenze�teoriche�e�le�capacita�tec- niche�acquisite,�ma�deve�avere�anche�il�modo�di�crescere�insieme�all'impresa�stessa.� Ecco�che�allora�si�percepisce�e�si�riesce�a�cogliere�meglio�la�reale�portata� del�diritto�alla��professionalita�del�lavoratore��(13):�da�un�lato,�in�un�aspetto� statico,�vi�sono�l'insieme�delle�conoscenze�teoriche�e�delle�capacita�pratiche� acquisite�dal�lavoratore�tramite�la�sua�attivita�lavorativa,�dall'altro,�in�un� aspetto�dinamico,�deve�esserci��la�capacita�di�evolversi�di�pari�passo�con�i� processi�di�modificazione�dell'impresa(14)�.� In�tema�di�danni�risarcibili,�la�lesione�di�questo��bene�(15)��della�profes- sionalita�,�porta�quindi�a�conseguenze�irreversibili�sul�lavoratore,�e�il�deman- sionamento�stesso�incide�notevolmente�sia�sull'andamento�del�rapporto�tra� lavoratore�e�azienda�che�sulla�sua�personalita�,�arrivando�fino�a�pregiudicare� anche�la�sua�dignita�personale,�il�suo�diritto�all'immagine�e�alla�reputazione� professionale,�alla�vita�di�relazione�e�alla�sua�capacita�di�concorrenza(16),� ponendosi�quindi�ben�oltre�i�confini�del�mero�inadempimento�contrattuale,� come�anche�emerge�da�un�orientamento�della�Corte�di�Cassazione(17).� (12)�Vd.�LanottE M., op. cit., 218�ss.�con�approfondimenti�e�riferimenti�bibliografici�sul� tema�della�configurazione�dell'interesse�oggettivo�dell'organizzazione�di�lavoro�distinto�dagli�inte- ressi�soggettivi�del�datore�di�lavoro�e�del�lavoratore.� (13)�Questo�diritto�alla�professionalita�rappresenta�ormai�un�principio�consolidato�nella�piu� recente�giurisprudenza,�che�considera�che�la�professionalita�stessa�di�un�lavoratore�non�puo�ne� deve�limitarsi�alle�sue�sole�conoscenze�teoriche,�ma�deve�essere�stimolata�e�incrementata,�quasi� come�ci�fosse�una�interazione�tra�impresa�e�lavoratore.� (14)�Vd.�su�questo�punto�MalzanI F., L'ambiente di lavoro quale terreno elettivo di applica- zionedelc.d. dannobiologico,Riv. Giur.Lav. ePrev. Soc., 2000,�385.� (15)��Bene�dai�confini�sfuggent��come�viene�definito�da�MalzanI F., op. cit., 385.� (16)�Vd.�LanottE M., op. cit., 231,�che�cita�Pret.�Milano,�7�gennaio�1997,�in Orient. giur. lav., 1997,�59;�Trib.�Milano�16�dicembre�1995,�in�Riv. crit. Dir. lav., 1996,�458,�per�la�configurazione�di� un�danno�alla�notorieta�,�esperienza�e�immagine�professionale�di�un�giornalista�vittima�di�dequali- ficazione;�Pret.�Milano,�11�marzo�1996,�in�Riv. crit. dir. lav., 1996,�677,�che�distingue�e�ritiene�auto- nomamente�risarcibili�i�danni�alla�personalita�(concernenti�la�vita�di�relazione�e�la�dignita�del� lavoratore),�e�il�danno�alla�professionalita�,�intesa�come�sviluppo�di�carriera�o�possibilita�di�ulte- riori�ricollocazioni.�Interessante�anche�segnalare�la�sent.�Cass.�13�agosto�1991,�n.�8835,�che,�oltre� ad�estendere�l'art.2103�c.c.�anche�ai�dirigenti,�considera�il�lavoro�non�solo�come�un�mezzo�di�gua- dagno,�ma�anche�come�un�mezzo�di�estrinsecazione�della�personalita�del�soggetto.�Vd.�Carda- rello, op. cit., 152.�Vd.�PajardI D., Il danno psicologico in materia di lavoro: considerazioni teori- che, analisi giurisprudenziale ed esperienze peritali, in�Dir. lav., 1991, 354. (17)�Vd�Cardarello, op. cit., 153.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Come�e�stato�osservato�(18),��la�qualifica�promessa�con�il�contratto�di� assunzione,�lo�e�stata�proprio�in�considerazione�di�una�qualificazione�professio- nale�sostanziale�che�e�patrimonio�della�persona�del�dipendente.�[...]�Il�fatto�di� essere�stato�dequalificato�(violazione�art.�2103�c.c.)�comporta�una�riduzione� (permanente�o�temporanea)�del�patrimonio�professionale�e�dunque�in�una�certa� o�altamente�probabile�diminuzione�delle�possibilita�lavorative�del�soggetto� stesso.�Questa�perdita�o�riduzione�puo�essere�vista�sia�nei�riflessi�esterni�(possi- bilita�di�reimpiego)�sia�nei�riflessi�interni�(chances�di�carriera�aziendale)�.� La�condotta�illecita�del�datore�di�lavoro�puo�quindi�configurarsi�come�pluriof- fensiva,�cioe�lesiva�di�piu�interessi�e�valori�primari�e,�come�ha�sottolineato�la�Corte� diCassazione,�sent.�8835del�1991,glieffettichescaturisconodaunillecitodeman- sionamento�(di�un�dirigente,�nel�caso�di�specie)�possono�essere�diversi:�danno�alla� professionalita�ex�art.�2087�c.c.,�sofferenza�psichica�ex�art.�2059�c.c.,�pregiudizio� patrimoniale�ex�art.�2043�c.c.,�danno�biologico�ex�art.�2043�c.c.�e�32�Cost(19).� Il�mutamento�in�pejus�delle�mansioni�comporta�quindi�innanzitutto�il� risarcimento�dei�danni�patrimoniali,�e�il�lavoratore�ha�diritto�a�percepire�tutti� i�compensi�che�avrebbe�ricevuto�qualora�avesse�continuato�a�prestare�la�pro- pria�attivita�lavorativa�nelle�originarie�mansioni�(20),�e�il�risarcimento�spet- tante,�quindi,�consiste�nella�perdita�di�quella�parte�di�retribuzione�superiore� non�percepita�a�causa�della�dequalificazione.� Stando�al�tenore�letterale�dell'art.�2103,�ultimo�comma,�che�sanziona� con�la�nullita�gli�accordi�modificativi�tra�datore�e�lavoratore,�l'acquiescenza� del�lavoratore,�l'accettazione�tacita�delle�mansioni�inferiori,�non�vale�a�legitti- mare�il�comportamento�del�datore�di�lavoro�(21).� Danni�patrimoniali�scaturiscono�poi�dalla�lesione�del�diritto�alla�car- riera,�con�la�risarcibilita�dei�mancati�guadagni�causati�dalla�perdita�di�chan- ces�lavorative.�Qui�si�va�ad�incidere�sulle�capacita�e�le�prospettive�di�sviluppo� del�soggetto,�e�a�una�sorta�di�compromissione�delle�potenzialita�di�consegui- mento�di�un�risultato.� (18)�Vd.�MannacciO G., Danno�da�dequalificazione�professionale,in�Il�lavoro�nella� giurisprudenza,�244.� (19)�Vd.�VenerI L., Il�danno�alla�persona�nel�rapporto�di�lavoro,in�Lavoro�e�Previdenza�Oggi,� 1999,�1112.�Il�problema�della�definizione�del�contenuto�del�danno�da�dequalificazione�professio- nale�(come�sottolineato�da�LanottE M., op.�cit.,�232)�non�costituisce�tuttavia�l'unica�problematica� tuttora�irrisolta,�in�quanto�sono�abbastanza�dibattute�anche�le�questioni�riguardanti�l'onere�della� prova�del�pregiudizio�sofferto�dal�lavoratore�e�i�possibili�criteri�di�quantificazione�del�danno.�Vd.� su�queste�discussioni�anche�MeuccI M., Ancora�sul�risarcimento�del�danno�alla�professionalita�e� del�danno�biologico,�Lav.�Prev.�Oggi,�1999,�1742�ss.� (20)�Vd.�LanottE M., op.�cit.,�236.� (21)�Abbiamo�prima�sottolineato�che�alcune�decisioni�della�Corte�di�Cassazione,�che�legitti- mano�il�mutamento�peggiorativo�di�mansioni�sulla�base�del�consenso,�lasciano�perplessi,�In�questa� sede�preferiamo�dissentire�da�tale�opinione,�visto�che,�come�anche�sottolineato�da�Pret.�Roma,�17� aprile�1992,�in�Lav.�Prev.�Oggi,�1992,�1172,��il�demansionamento�non�puo�essere�considerato�legit- timo�solo�perche�il�lavoratore�ritenga�di�prestare�obbedienza�alle�disposizioni�del�datoredi� lavoro�.� DOTTRINA�327 Un�soggetto�che�viene�dequalificato,�in�pratica,�subisce�danni�per�quanto� riguarda�le�sue�potenzialita�di�sviluppo,�sia�come�progressione�automatica� di�carriera�all'interno�dell'impresa�(ecco�quindi�leso�l'aspetto�dinamico�del� rapporto),�sia�come�riduzioni�di�probabilita�di�reperire�ulteriori�occasioni�di� lavoro�al�di�fuori�di�essa.� Tuttavia�qui,�in�tema�di�prova,�trattandosi�di�un�danno�patrimoniale� futuro,�e�sufficiente�una�prova�probabilistica�della�lesione,�a�seguito�dell'ille- gittima�dequalificazione,�delle�aspettative�di�promozione�e�guadagno�del� lavoratore�(22),�unita�alla�prova�dell'esistenza�di�alcuni�presupposti�che,�in� assenza�della�condotta�illegittima�del�datore,�avrebbero�consentito�allo�stesso� il�conseguimento�del�vantaggio�della�promozione�di�carriera�(23).� Altro�aspetto�che�puo�essere�leso�dalla�dequalificazione�professionale�e� l'equilibrio�psicologico�del�lavoratore,�portando�a�un�risarcimento�del�danno� biologico�allo�stesso.� Questo�aspetto�della�risarcibilita�delle�lesioni�dell'integrita�psichica�del� lavoratore,�e�del�risarcimento�del�conseguente�danno�biologico,�scaturiscono� dalla�considerazione�che�il�disconoscimento�delle�proprie�capacita�lavorative,� e�l'assegnazione�di�compiti�di�minore�importanza�possa�causare�al�lavoratore� una�patologia�nevrotica,�con�sindromi�nervose�e�depressive,�dovute�ad�uno� stato�di�frustrazione,�insoddisfazione�professionale,�perdita�di�interesse�e� stress,�che�portano�ad�una�alterazione�della�personalita�dell'individuo.� Tuttavia,�in�tema�di�danno�biologico�psichico,�anche�qui,�le�maggiori� difficolta�si�incontrano�in�punto�di�prova.�L'onere�della�prova�dell'avvenuta� lesione�psichica�incombe�sul�lavoratore,�e,�come�sappiamo,�vi�e�una�intrin- seca�difficolta�nel�provare�un�pregiudizio�di�tipo�psicologico�(maggiore� rispetto�alla�prova�di�una�lesione�fisica):�il�lavoratore�non�riesce�semprea� ricevere�tutela,�in�quanto�i�giudici�negano�la�liquidazione�del�danno�per�man- canza�di�nesso�causale�tra�comportamento�illegittimo�e�lesione�psichica,�attri- buendo�i�lamentati�disturbi�del�lavoratore�a�una�particolare�costituzione�del� soggetto,�a�una�congenita�predisposizione�del�soggetto�a�turbe�di�natura� psicologica,�o�risarciscono�il�danno�biologico�psichico�semplicemente�come� danno�morale,�come�sofferenza�e�turbamento,�entro�i�limiti�dell'art.�2059�c.�c.� (22)�Vd.�LanottE M., op.�cit.,�237.�Bisogna�far�notare,�inoltre,�come�nel�caso�di�perdita�di� chances�lavorative,�il�danno�non�sia�patrimoniale�in�senso�stretto,�ma�sia�una�sorta�di�danno�che� incide�negativamente�sulla�dimensione�personale,�professionale�e�sociale�del�lavoratore,�con�conse- guenze�a�carattere�patrimoniale,�cioe�,�come�viene�definito��danno�patrimoniale�indiretto�.�Vd.� piu�approfonditamente�RaffI A., in�PedrazzolI M. (a�cura�di),�Danno�biologico�e�oltre:�la�risar- cibilita�deipregiudiziallapersona�del�lavoratore,�1995,�73.� (23)��Pertanto�il�lavoratore�-qualora�in�seguito�a�dequalificazione�professionale,�promuova� un'azione�per�ottenere�il�risarcimento�del�danno�per�mancato�conseguimento�di�un�vantaggio�di� carriera�-deve�dimostrare�che�egli,�se�non�fosse�intervenuto�l'illegittimo�mutamento�di�mansioni,� avrebbe�avuto�possibilita�non�distanti�da�quelle�degli�altri�candidati�positivamente�valutati�.�Cos|� LanottE M., op.�cit.,�238,�che�riprende�Cass.�2�dicembre�1996,�n.�10748,�in�Mass.giust.civ,�1996,� 1656.� RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� Da�segnalare,�poi,�come�a�volte�venga�risarcita�la�compromissione�della� professionalita�del�lavoratore,�anche�in�assenza�di�una�lesione�dell'integrita� fisica�o�psichica�del�lavoratore,�come�danno�biologico�in�se�rilevante.� In�questi�casi�si�stacca�dal�danno�biologico�psichico�il�danno�alla�profes- sionalita�e�gli�viene�affidato�un�proprio�e�autonomo�risarcimento,�intendendo� quindi�il�danno�alla�professionalita�come�lesione�alla�dignita�professionale�e� personale�del�lavoratore�da�cui�scaturisce�un�danno�biologico�autonomo.� Detto�in�altri�termini:�il�danno�alla�professionalita�porta�al�risarcimento�del� danno�biologico�non�in�quanto�lesione�dell'integrita�psichica�del�lavoratore,� ma�in�quanto�lesione�della�dignita�professionale�dello�stesso,�con�tutte�le�con- seguenze�che�si�traggono�in�materia�di�prova�del�danno�(24).� Colpendo�questi�aspetti�piu�specifici�della�professionalita�,�in�pratica,�si� puo�notare�che�si�va�ad�incidere�sugli�aspetti�della�personalita�morale�e�della� dignita�in�se�considerata�e�per�questo�gia�di�per�se�fonte�di�risarcimento�del� danno�biologico.� Per�concludere,�si�deve�aggiungere�che,�per�evitare�confusioni�a�livello� interpretativo,�appare�opportuno�e�piu�corretto�distinguere�il�danno�biolo- gico�psichico�dal�danno�alla�professionalita�in�se�,�sempre�piu�spesso�oggetto� di�un�autonomo�risarcimento.� (24)�Vd.�su�questo�punto�i�riferimenti�contenuti�in�LanottE M., op. cit., 241.� IndicisistematiciIndicisistematici 1 -ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI La difesa delle amministrazioni pubbliche nel giudizio amministrativo. Atti1del1 Seminario1di1apertura1del1Master1presso1la1Scuola1Superiore1dell'Econom ia1e1delle1Finanze.1Interventi1di:1GennarO Terracciano, LuigI Maz- zella, IgnaziO FrancescO Caramazza, PasqualE Giulano, AlbertO dE Roberto, GiuseppE NeriO Carugno, FedericO Basilica, MariA Gentile, ErmannoDeFranciscO ..................... ..... pag.1 EmanuelA Brugiotti, Noteprocessuali connesse alla tutela dei datipersonali, ai sensi dell'art. 29 della legge n. 675/1996 . . . ... .. .. .. ... .. .. ... .. . �127141 IgnaziO FrancescO Caramazza, Incidente di costituzionalita� e giurisdizione in sede di giudizio cautelare amministrativo. Un dialogo dif ff icile tra compless ita� ed incomprensioni .. .. ... .. .. ... .. .. ... .. .. .. ... .. .. ... .. . �12201 FernandO Carangelo, Il danno da dequalificazioneprofessionale . . . . . . . . . �13261 SabinO Cassese, Il nuovo regime dei dirigenti pubblici italiani: una modificaz ione costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �18181 MauriziO Fiorilli, Le Regioni e le relazioni internazionali e comunitarie �131 OscaR Fiumara, Cioccolato e cioccolatopuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �1481 CristinA Giorgiantonio, Normativa antitrust e settore bancario: l'eccezione italiana . ... .. .. ... .. .. ... .. .. ... .. .. ... .. .. .. ... .. .. ... .. . �12281 MariA VittoriA Lumetti, Motivazione successiva in giudizio: il TAR Toscana la ammette in sede di sospensiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �12531 MariA VittoriA Lumetti, SandrO Tizzi, La normativa in materia di stranieri, novellata dalla legge n. 189/2002 e il �patteggiamento� . . . . . .. . �12631 AntoniO Palatiello, Il monito della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sulla �legge Pinto� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �141 AntoniO PalatiellO (a1cura1di),1dossier,1Il termine ragionevole delprocesso: le ultime pronunce, aspettando le Sezioni Unite ... .. .. .. ... .. .. ... .. . �12001 330 RASSEGNAAVVOCATURADELLOSTATO� IlariA Sanasi, Legittime�le��quote�rosa��nella�legge�elettorale�della�Regione� Valled'Aosta�..............................................�pag.�210� IlariA Sanasi, Obbligo�di�notifica�dell'atto�introduttivo�del�giudizio�all'Avvocat uradelloStato�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�..�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�..�.���249� MariO AntoniO Scino, Contratti�della�P.A.�ed�invalidita�procedimentali� (PremioSandulli6dicembre2002)�..............................���321� TitO VarronE (acuradi),dossier,Spoils�system:�la�giurisprudenza�comincia�a� pronunciarsi�sulle�questioni�insorte�a�seguito�della�legge�145/2002�.�.�.�.�..�..���119� 2 -INDICE DELLE SENTENZE CORTEEUROPEADEIDIRITTIDELL'UOMO� Sez.1.,27marzo-20maggio2003................................pag.�41� CORTEDIGIUSTIZIADELLECOMUNITA�EUROPEE� Sez.6.,16gennaio2003,nellacausaC-14/00.�.......................���48� CORTECOSTITUZIONALE� 10febbraio2003,n.49........................................���216� CORTEDICASSAZIONE Sez.1.,11dicembre2002,n.17650�...............................���200 Sez.1.,14gennaio2003,n.360..................................���201 Sez.1.,30gennaio2003,n.1405.................................���206 Sez.1.,6febbraio2003,n.1740�.................................���205 Sez.1.,17febbraio2003,n.2309.................................���203 Sez.Unite,ord.27febbraio-6maggio2003,n.6889...................���220 Sez.1.,3aprile2003,n.5118�...................................���202 CONSIGLIODISTATO� Sez.6.,16ottobre2002,n.5640�.................................���243� Sez.4.,CameradiConsiglio17dicembre2002,n.257/2003�.............���250� TRIBUNALEAMMINISTRATIVOREGIONALEPERILLAZIO� Sez.2.,21maggio2003,n.4443�.................................���184� TRIBUNALEAMMINISTRATIVOREGIONALEPERLATOSCANA� Sez.1.,CameradiConsiglio8aprile2003..........................���262� Sez.1.,CameradiConsiglio8aprile2003,n.1498....................���272� Sez.1.,CameradiConsiglio8aprile2003,ord.9aprile2003,n.353.......���261� TRIBUNALECIVILEDIROMA� Sez.2.,provv.todiscioglimentodiriserva13maggio-16giugno2002�......���281� Sez.Lavoro,ord.15gennaio2003................................���153� Sez.Lavoro,ord.23gennaio2003................................���155� Sez.Lavoro,ord.3febbraio2003,n.4392..........................���158� INDICISISTEMATICI�331 Sez.Lavoro,ord.3febbraio2003�................................pag. 159� Sez.2.,ord.3-5febbraio2003...................................���281� Sez.Lavoro,ord.4febbraio2003�................................���160� Sez.Lavoro,ord.18febbraio2003�...............................���162� Sez.Lavoro,ord.19febbraio2003�...............................���163� Sez.Lavoro,ord.25febbraio2003�...............................���165� Sez.Lavoro,ord.4marzo2003..................................���168� Sez.Lavoro,ord.13marzo2003.................................���170� Sez.Lavoro,ord.2aprile2003�..................................���172� Sez.Lavoro,ord.8aprile2003�..................................���175� Sez.Lavoro,ord.29aprile2003�.................................���176� Sez.Lavoro,ord.12maggio2003�................................���178� Sez.Lavoro,ord.18giugno2003�................................���180� 3 -INDICE DEGLI ARGOMENTI Atto�amministrativo�^Integrazionedellamotivazione^Suaammissibilita� insededisospensiva(TAR Toscana, sez. 1., ord. 9 aprile 2003, n. 353 e sent. Cam. Cons. 8 aprile 2003) ......................................pag. 261,262� Comunita�europee�^InadempimentodiunoStato^Prodottidelcacaoedi� cioccolatocontenentisostanzegrassediversedalburrodicacao^Prodotti� legalmentefabbricatiecommercializzatinelloStatomembrodiproduzione� conladenominazione�cioccolato�^Obbligodicommercializzazioneinaltro� Statoconladenominazione�surrogatodicioccolato�^Incompatibilita�con� ildirittocomunitario(Corte di Giustizia CE, sez. 6., sent. 16 gennaio 2003 nella causa C-14/00 ..............................................���49� Concorrenza�^Banche^Mercatoriservatoononriservatoadenticreditizi� ^Competenzaantitrust ^Autorita�garantedellaconcorrenzaedelmercatoB ancad'Italia(Consiglio di Stato, sez. 6., sent. 16 ottobre 2002, n. 5640) ....���243� Corte�Europea�dei�diritti�dell'Uomo�^Ragionevoleduratadeiprocessi� (�leggePinto�)^Equariparazione^Presupposti(CEDU, sez. 1., 27 marzo2 0 maggio 2003) ............................................���44� Diritto�processuale�^AvvocaturadelloStato^Notifica(obbligodi)^ Inammissibilita�delricorso(Consiglio di Stato, sez. 4., sent. 257/2003) .....���250� Diritto�processuale�^Ragionevoleduratadeiprocessi(�leggePinto�)E quariparazione^Presupposti(sentenze in dossier) ..................���200ss.� Elezioni�^Giudiziodilegittimita�costituzionaleinviaprincipale^Regione� Valled'Aosta^Elezioni^ElezionedelConsiglioregionale^Formazionedelle� listedeicandidati^Condizionedellanecessariapresenzanelleliste,apena� diinvalidita�,di�candidatidientrambiisessi�^RicorsodelPresidentedel� Consigliodeiministri^Prospettatalimitazionedeldirittodielettoratopass ivo,conviolazionedelprincipiodiparita�deisessinell'accessoallecariche� elettive^Nonfondatezzadellaquestione(Corte Costituzionale, sent. 10 febb raio 2003, n., 49) ...........................................���216� 332 RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO� GarantE leggE privacY ^Attivita�del�garante�^Provvedimenti�ex�ufficio�e� provvedimenti�su�richiesta�del�soggetto�interessato�^Ricorso�^Forme�del�pro- cedimento�^Riunione�di�giudizi�che�seguono�riti�divesi�^Prevalenza�del�rito� ordinario�(Tribunale di Roma, sez. 2., ord. 3-5 febbraio 2003) ..�.....�.....�pag. 281� GarantE leggE privacY ^Ricorso�al�Garante�ai�sensi�degli�artt.�29,�co.�6,�e� 31,�co.�4,�della�L.�675/96�^Competenze�del�tribunale�^Svolgimento�del�pro- cesso�nelle�forme�di�cui�agli�artt.�737�e�segg.�c.p.c.�(Tribunale di Roma, sez. 2., provv.to di scioglimento di riserva del 13 maggio-16 giugno 2002) .....���281� GiurisdizionE ^Ricorso�per�motivi�di�giurisdizione�^Procedimento�cautelare� incidentale�in�giudizio�amministrativo�^Questione�incidentale�di�costituziona- lita�insorta�in�detto�procedimento�cautelare�^Ordinanza�di�remissione�alla� Corte�Costituzionale,�sospesa�ogni�decisione�cautelare�^Appello�e�decisione� cautelare�definitiva�in�secondo�grado�^Ricorso�per�motivi�di�giurisdizione�^ Inammissibilita�(Corte di Cassazione, Sez. Un., ord. 27febbraio-6 maggio 2003, n. 6889) ....�.....�.....�......�.....�......�.....�.....�.....���220� LavorO ^Dirigenza�pubblica�^Spoils system ^Giurisdizione�^Legittimita� costituzionale�^Non�ricorrenza�del�danno�grave�e�irreparabile�in�caso�di�man- cata�conferma�(Ordinanze in dossier; TAR Lazio, sez. 2., sent. 21 maggio 2003, n. 4443) ....�.....�.....�......�.....�......�.....�.....�.....���153�ss.� PatteggiamentO ^Irretroattivita�dell'art.�4�D.Lgs.�n.�286/1998,�come�modi- ficato�dalla�L.�189/02�riguardo�ad�una�condanna�emessa�su�accordo�delle� parti�^Possibilita�per�l'Amministrazione�di�trarre�elementi�dalla�sentenza�ex� art.�444�e�da�altri�episodi,�per�la�valutazione�ai�sensi�dell'art.�1�della� L.�27�dicembre�1956,�n.�1423�(TAR Toscana, sez. 1., sent. Cam. Cons. 8 aprile 2003, n. 1498) ....�.....�.....�......�.....�......�.....�.....�.....���272� 4 -P ARERI A.G.S. ^Parere del 26 agosto 2002, n. 87135 ^Procedura espropriativa. Valutazione�estimativa� Avvocato T. Varrone) dell'indennita�di�esproprio�(consultivo 2388/02, ..�.....�......�.....�......�.....�.....�.....�pag. 297� A.G.S. ^10 gennaio 2003, n. 2470 ^Classi delle sostanze dopanti. Convenzione�di�Strasburgo�anti-doping (ratificata�con�legge�29�novembre�1995� n.�522)�^Lista��aperta��di�farmaci,�sostanze�e�pratiche�mediche�c.d.� dopanti�^Normativa�interna�di�recepimento�(legge�14�dicembre�2000� n.�376)�contenente�rinvio�a�decreto�ministeriale�individuativo�^Fattispecie� penalmente�sanzionata�(art.�9�legge�cit.)�^Compatibilita�col�principio� penale,�costituzionalmente�garantito�(art.�25�Cost.),�del�nullum crimen sine lege (consultivo n. 6954/02, avvocato P. Cosentino). . . . . . . . . . . . . . . . . . . ��2�8�5� A.G.S. ^Parere del 31 gennaio 2003, n. 9965 ^Transazione Telecom S.p.a. c/Interno. Convenzione�transattiva�(consultivo 9325/02, avvocato G. Fiengo). . . . . . . . . . ��2�8�8� INDICI3SISTEMATICI3 A.G.S.�^Parere�del�19�febbraio�2003,�n.�17130.� Compenso3aggiuntivo3per3festivita�coincidenti3con3la3giornata3domenicale3 (consultivo 13635/01, avvocato A. Linguiti). .. ... .. .. .. ... .. .. ... .. . pag. 2903 A.G.S.�^Parere�del�28�febbraio�2003,�n.�21146.� Prosecuzione3del3rapporto3di3lavoro3di3personale3ausiliario3assunto3con3con- tratto3a3tempo3determinato3previa3selezione3operata3tramite3l'Ufficio3di3 collocamento3(consultivo 1310/03, avvocato E. Figliolia). . . . . . . . . . . . . . . �3239323 A.G.S.�^Parere�del�19�marzo�2003,�n.�31394.�^Danno�ambientale.� Danno3ambientale3^Ripristini3e3risarcimenti3conseguenti3(consultivo n. 10261/02, avvocato A. De Stefano). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �30323 A.G.S.�^Parere�del�21�marzo�2003,�n.�32719�^Rimborso�spese�forfettarie.� (Consultivo 20168/02, avvocato A. Soldani). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �3163 A.G.S.�^Parere�del�1.�aprile�2003,�n.�39682.� Azienda3Universitaria3Policlinico3�Umberto3I�3di3Roma3in3liquidazione3^ Pagamento3dei3debiti3nei3confronti3del3personale3(consultivo 5071/03, avvoc ato E. Figliolia). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �32393 A.G.S.�^Parere�del�3�maggio�2003,�n.�52737�^Indennizzabilita�opere�realizzate� in�ispregio�a�servitu�militari.� Autorizzazione3(ex art.383legge3898/76)3del3Comandante3territoriale3ad3ese- guire3opere3in3deroga3alle3limitazioni3imposte3sui3fondi3gravati3da3servitu� militari:3natura3ed3effetti3(consultivo 6564/99, avvocato G. Lancia) . . . . . . �32395