ANNO 
LV 
-N. 
l 
GENNAIO-MARZO 
2003 



PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE 
DI 
SERVIZIO 


ISTITUTO 
POLIGRAFICO 
E 
ZECCA 
DELLO 
STATO 
S.p.A. 
ROMA 
2003 



ComitatO 
scientifico: 
Presidente:�Luigi 
Mazzella. 
Componenti:�Franco 
Coppi 
^Giuseppe 
Guarino 
^Natalino 
Irti 
^Eugenio 
Picozza 
^Franco 
Gaetano 
Scoca. 


DirettorE 
responsabile: 
Oscar 
Fiumara 
^Condirettore:�Giuseppe 
Fiengo. 


ComitatO 
dI 
redazione: 
Giacomo 
Aiello 
^Federico 
Basilica 
^Vittorio 
Cesaroni 
^Roberto 
de 
Felice 
^Maurizio 
Fiorilli 
^Massimo 
Giannuzzi 
^
Antonio 
Palatiello 
^Giovanni 
Paolo 
Polizzi 
^Mario 
Antonio 
Scino 
^
Francesco 
Sclafani 
^Tito 
Varrone. 


HannO 
collaboratO 
inoltrE 
aL 
presentE 
numero: 
Emanuela 
Brugiotti 
^
Ignazio 
Francesco 
Caramazza 
^Fernando 
Carangelo 
^Giuseppe 
Nerio 
Carugno 
^Sabino 
Cassese 
^Ermanno 
De 
Francisco 
^Alberto 
de 
Roberto 
^
Maria 
Gentile 
^Cristina 
Giorgiantonio 
^Pasquale 
Giuliano 
^Maria 
Letizia 
Guida 
^Maria 
Vittoria 
Lumetti 
^Ilaria 
Sanasi 
^Gennaro 
Terracciano 
^
Sandro 
Tizzi. 


SegreteriA 
dI 
redazione: 
Francesca 
Pioppi. 


Telefono:�066829431�^E-mail:�rassegna@avvocaturastato.it 


ABBONAMENTI�ANNO�2003�

ITALIA�ESTERO�
ABBONAMENTO�ANNUO�....................�. 
41,00 
. 
77,00 


UNNUMEROSEPARATO�.....................�. 
12,00 
. 
21,00 


Prezzi�doppi,�tripli,�quadrupli�ecc.�per�tutti�quei�fascicoli�che,�
stampati�in�unico�volume,�sostituiscono�altrettanti�numeri�
della�prevista�periodicita�annuale.�

Per 
abbonamenti 
e 
acquisti 
rivolgersi 
a: 


ISTITUTO�POLIGRAFICO�E�ZECCA�DELLO�STATO�S.p.A.�
Funzione�Editoria�

P.zza�Verdi,�10�^00198�Roma 
Tel.�0685082207�^0685084124 
Fax�0685084117 
E-mail:�venditeperiodici@ipzs.it 
c/c�postale�n.�387001 


Stampato 
inItalia^PrintedinItaly 


Autorizzazione�Tribunale�di�Roma�^Decreto�n.�11089�del�13�luglio�1966�

(6999999/029)�Roma,�2003��Istituto�Poligrafico�e�Zecca�dello�Stato�S.p.A.^S.�


INDICE^SOMMARIO 


TemI 
istituzionalI 


La�difesa�delle�amministrazioni�pubbliche�nel�giudizio�amministrativo�(attidel 
seminariodiaperturadelMasterpressolaScuolaSuperioredell'Economia 
edelleFinanze)............................................ 
Pag.�1 
Interventidi: 


GennaroTerracciano 
..................................... 
� 
1,22 
LuigiMazzella.......................................... 
� 
3 
IgnazioFrancescoCaramazza 
.............................. 
� 
6 
PasqualeGiuliano 
....................................... 
� 
14 
AlbertodeRoberto 
...................................... 
� 
18 
GiuseppeNerioCarugno 
.................................. 
� 
23 
FedericoBasilica........................................ 
� 
25 
MariaGentile 
.......................................... 
� 
27 
ErmannoDeFrancisco 
................................... 
� 
28 


IL 
contenziosO 
comunitariO 
eD 
internazionalE 


Le�Regioni�e�le�relazioni�internazionali�e�comunitarie,�diMaurizioFiorilli 
.... 
� 
31 


1.�Le�decisioni:�

Il�monito�della�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo�sulla��legge�Pinto�,�Corte 
EuropeadeiDirittidell'Uomo,sez.1.,27marzo-20maggio2003,di 
AntonioPalatiello 
....................................... 
� 
41 


Cioccolato�e�cioccolato�puro,�CortediGiustizia,sez.6.,16gennaio2003, 
causaC-14/00,diOscarFiumara 
............................ 
� 
48 
2.�IgiudiziincorsoallaCortediGiustiziaCE�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 
55 


IL 
contenziosO 
nazionalE 


TitoVarrone(acuradi),dossier:Spoils�system:�la�giurisprudenza�comincia�a�

pronunciarsi�sulle�questioni�insorte�a�seguito�della�legge�145/2002�........ 
� 
120 
AntonioPalatiello(acuradi),dossier,Il�termine�ragionevole�del�processo:�le�

ultimepronunce,aspettandoleSezioniUnite�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 
200 
IlariaSanasi,Legittime�le��quote�rosa��nella�legge�elettorale�della�Regione�
Valle�d'Aosta�............................................. 
� 
210 
IgnazioFrancescoCaramazza,Incidente�di�costituzionalita�e�giurisdizione�in�

sede�di�giudizio�cautelare�amministrativo.�Un�dialogo�difficile�tra�complessita�

edincomprensioni�...........................................�� 
220 
CristinaGiorgiantonio,Normativa�antitrust�e�settore�bancario:�l'eccezione�ita


liana�.....................................................�� 
228 
IlariaSanasi,Obbligo�di�notifica�dell'atto�introduttivo�del�giudizio�all'Avvoca


turadelloStato�.............................................�� 
249 
MariaVittoriaLumetti,Motivazione�successiva�in�giudizio:�il�TAR�Toscana�la�

ammetteinsededisospensiva�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 
253 
MariaVittoriaLumetti,SandroTizzi,La�normativa�in�materia�di�stranieri,�

novellata�dalla�legge�n.�189/2002�e�il��patteggiamento��.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 
263 
EmanuelaBrugiotti,Note�processuali�connesse�alla�tutela�dei�dati�personali,�ai�

sensidell'art.29dellaleggen.675/1996�...........................�� 
274 


IpareridelcomitatoconsultivO 
............................ 
� 
285 


ContributI 
dI 
dottrinA 


MarioAntonioScino,ContrattidellaP.A.�edinvalidita�procedimentali�(Premio�

Sandulli6dicembre2002)�.....................................�� 
317 
FernandoCarangelo,Il�danno�da�dequalificazione�professionale�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� 
322 


IndicI 
sistematicI 
............................................ 
� 
329 



TemiIstituzionaliTemiIstituzionali
La 
difesa 
delle 
Amministrazioni 
pubbliche 
nel 
giudizio 
amministrativo 


Seminario 
di 
apertura 
del 
Master 
della 
scuola 
superiore 
dell'economia 
e 
dellefinanze 
svoltosi 
a 
Roma, 
in 
data 
13 
marzo 
2003 


InterventI 


Prof. 
Gennaro 
Terracciano 
^Rettore 
della 
Scuola 
superiore 
dell'economia 
e 
dellefinanze; 


Avv. 
Luigi 
Mazzella 
^Ministro 
della 
Funzione 
Pubblica; 


Avv. 
Ignazio 
Francesco 
Caramazza 
^Vice 
Avvocato 
Generale 
dello 
Stato; 


Sen. 
Pasquale 
Giuliano 
^Presidente 
del 
Consiglio 
di 
Garanzia 
del 
Senato 
della 
Repubblica; 


Pres. 
Alberto 
de 
Roberto 
^Presidente 
del 
Consiglio 
di 
Stato; 


Prof. 
Giuseppe 
Nerio 
Carugno 
^Prorettore 
della 
Scuola 
superiore 
dell'eco-
nomia 
e 
dellafinanze 
^Avvocato 
dello 
Stato; 


Avv. 
Federico 
Basilica 
^Avvocato 
dello 
Stato; 


Prof. 
Maria 
Gentile 
^Professore 
Ordinario 
della 
Scuola 
superiore 
dell'eco-
nomia 
e 
dellefinanze; 


Cons. 
Ermanno 
De 
Francisco 
^Consigliere 
di 
Stato 
^Vice 
capo 
dell'Uffi-
cio 
legislativo 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri. 


Roma,�l|�13�marzo�2003�

DAL 
DIBATTITO 


Gennaro 
Terracciano. 
Ringrazio�tutti�voi�qui�presenti,�soprattutto�il�
Ministro�della�Funzione�Pubblica,�avvocato�Luigi�Mazzella,�il�Presidente�
del�Consiglio�di�Stato,�dott.�Alberto�De�Roberto�e�i�relatori�di�questa�mat-
tina,�Ignazio�Francesco�Caramazza,�Vice�Avvocato�Generale�dello�Stato,�
Pasquale�Giuliano,�Presidente�del�Consiglio�di�Garanzia�del�Senato�della�
Repubblica.�

Un�saluto�caloroso�anche�a�tutti�gli�amici,�magistrati,�avvocati�e,�natu-
ralmente,�ai�giovani�avvocati�sia�dell'Amministrazione,�sia�liberi�professioni-
sti�che�sono�qui�oggi�riuniti.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Abbiamo�qualche�minuto�di�ritardo,�quindi�saro�molto�veloce�per�con-
sentire�che�entro�il�break 
i�relatori�possano�fare�gli�interventi�di�apertura�del�
Master�come�previsto,�quindi�ci�sara�la�presentazione�in�concreto�delle�sin-
gole�giornate�del�Master.�

Come�sapete,�questo�Master�e�intitolato��Difesa�delle�Amministrazioni�
Pubbliche�nel�giudizio�amministrativo�,�e�stato�fatto�in�collaborazione,�con�
il�patrocinio�dell'Avvocatura�Generale�dello�Stato,�del�Consiglio�di�Stato,�
della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri;�di�cio�voglio�ringraziare�natural-
mente�l'Avvocato�Generale�dello�Stato�e�l'Avvocato�Generale�facente�fun-
zione,�il�Presidente�del�Consiglio�di�Stato;�per�la�Presidenza�del�Consiglio�
dei�Ministri,�in�particolare�un�ringraziamento�al�Consigliere�Catricala�che�ci�
ha�aiutato�molto�nella�organizzazione�del�Master.�

Perche�questo�Master?�Di�interventi�formativi,�corposi,�lunghi,�seri,�sul�
processo�amministrativo�ve�ne�sono,�le�universita�cominciano�per�fortuna�
ad�interessarsi�al�processo�amministrativo�anche�in�ragione�probabilmente�
dell'estensione�a�seguito�della�legge�205�e�delle�materie�oggetto�della�giurisdi-
zione�del�giudice�amministrativo.�

E�una�giurisdizione�che�ormai�si�interessa�della�vita�dei�cittadini,�l'og-
getto�vero�non�e�piu�l'atto,�probabilmente�e�la�regolazione�degli�assetti�di�
interessi,�cioe�l'interesse�pubblico,�l'interesse�degli�amministrati.�Natural-
mente�non�voglio�entrare�nel�merito,�ma�noi�pensiamo�che�sul�panorama�
delle�offerte�formative�mancava�un�Master�che�fosse�diretto�specificamente�
a�coloro�che�svolgono�una�funzione�molto�delicata,�quella�della�difesa�delle�
amministrazioni�innanzi�al�giudice�amministrativo.�

A�dire�il�vero�io�mi�trovo�con�molto�piacere�insieme�a�tante�persone�che�
conosco�per�la�mia�esperienza�professionale,�sono�stato�avvocato�dello�
Stato�e�magistrato�del�TAR,�quindi�ho�visto�da�tutte�e�due�le�parti�come�si�
svolge,�quali�sono�le�dinamiche�del�processo.�Da�sempre�il�giudice�ammini-
strativo�ha�naturalmente�una�sensibilita�particolare�per�la�posizione�del-
l'Amministrazione,anche�naturale,�in�fondo�e�l'interesse�pubblico�l'oggetto�
vero�del�giudizio.�E�ragionevole�pensare�che�la�parte�amministrazione,�pur�
essendo�una�vera�e�propria�parte�del�processo,�tuttavia�difende�un�interesse�
piu�elevato�rispetto�a�quello�della�singola�impresa,�del�singolo�cittadino�
che�si�trovano�a�dover�difendere�interessi,�chiamiamoli�egoistici�^ma�non�
c'e�nessuna�valutazione�negativa,�naturalmente,�con�questa�terminologia,�
con�questa�allocuzione.�

Pero�e�anche�vero�che,�comunque,�il�processo�visto�dal�difensore�ha�una�
fisionomia�diversa�ed�e�per�questo�che�il�nostro�Master�e�costruito�specifica-
mente�per�loro;�l'idea�e�quella�di�affrontare�tutti�gli�istituti�processuali,�non�
dal�punto�di�vista�del�magistrato,�ma�dal�punto�di�vista�del�difensore�in�
modo�da�garantire�allo�stesso�tutti�gli�strumenti�utili�per�poter�effettuare�al�
meglio�la�propria�professione.�Ed�e�per�questo�che�siamo�molto�felici�che�
poi�il�Master�abbia�avuto�un�successo�quanto�alle�aspettative�che�si�sono�
create:�avevamo�bandito�in�Gazzetta 
Ufficiale 
un�concorso�per�coprire�trenta�
posti�di�cui�5�con�borsa�di�studio�per�giovani�avvocati�al�di�sotto�di�28�anni,�
ci�siamo�trovati�con�piu�di�800�domande,�abbiamo�raddoppiato�il�numero�
degli�iscritti,�abbiamo�deciso�di�sdoppiare�il�Master,�quindi�ne�faremo�due,�


TEMI�ISTITUZIONALI�

identici�naturalmente;�abbiamo�voluto�fare�un�vero�e�proprio�concorso,�un�
esame�sui�curricula 
presentati.�Devo�dire�che�tra�tutti�quelli�che�sono�qui,�
provenienti�in�parte�dal�mondo�delle�Amministrazioni,�designati,�in�parte�
dal�mondo�della�libera�professione,�ci�sono�anche�coloro�che�naturalmente�
si�affacciano�per�la�prima�volta�a�queste�tematiche;�si�tratta�di�persone�che�
hanno�necessariamente�110�e�lode,�hanno�necessariamente�l'abilitazione,�
hanno�necessariamente�gia�fatto�dei�Master.�Insomma,�noi�speriamo�che,�
naturalmente,�oltre�al�corpo�docente�che,�come�avete�potuto�notare,�e�il�
meglio�che�si�possa�avere�in�questo�campo,�anche�tra�i�discenti�vi�sia�il�
meglio.�

Molto�spesso�i�Master,�per�funzionare,�per�necessita�devono�avere�anche�
una�classe�discente�particolarmente�spinta,�motivata�ad�approfondire�gli�
argomenti.�

Il�corso�sara�molto�faticoso�perche�sono�previsti�all'interno�delle�gior-
nate�(dura�piu�di�un�anno)�anche�dei�momenti�di�esercitazione�e�delle�simula-
zioni�di�veri�e�propri�processi;�questo�rendera�la�cosa�abbastanza�complicata�
nella�gestione,�ma�noi�speriamo�di�poter�fare�in�modo�che�queste�giornate�
siano�molto�utili,�qualche�esperienza�l'abbiamo.�

In�piu�,�vi�sono�anche�degli�inserti�riguardanti�la�comunicazione�in�que-
sto�campo,�cioe�tecniche�di�persuasione�e�tutto�cio�che�in�qualche�modo�
riguarda�la�capacita�e�le�tecniche�per�le�difese�scritte�ed�orali.�Naturalmente�
non�e�sufficiente�un�Master�di�questo�genere�per�sostituire�l'esperienza�che�
negli�anni�deve�essere�acquisita�in�questo�tipo�di�processo,�che�e�assoluta-
mente�tecnico,�ma�noi�speriamo�di�poter�dare�un�nostro�contributo.�

Infine,�sapete�che�questo�e�un�Master�che�rilascia�un�titolo�della�
Scuola,�non�e�tra�quelli�previsti�nella�disciplina�universitaria;�noi�abbiamo�
un�nostro�sistema�di�titoli�con�riconoscimenti�di�crediti�formativi�nostri,�
non�universitari.�Naturalmente,�noi�speriamo�che�prima�o�poi�anche�in�Ita-
liaspariscaquella�che�e�una�cosa�arcaica,�perche�non�esiste�negli�altri�ordi-
namenti,�cioe�il�valore�legale�del�titolo.�Perche�un�titolo�vale�per�cio�che�in�
qualche�misura�riesce�a�consentire�quanto�al�riconoscimento�dei�contenuti�
dell'attivita�formativa.�

Il�mio�compito�finisce�qui,�ringrazio�di�nuovo�il�Ministro�Mazzella�per�
la�sua�presenza�qui�e�per�l'apertura�dei�lavori.�

Luigi 
Mazzella. 
Esprimo�un�sincero�e�vivo�compiacimento�per�l'invito�
che�mi�e�stato�rivolto�ad�intervenire�a�questo�seminario�di�apertura�di�un�
Master�sulla�difesa�delle�Amministrazioni�Pubbliche�nel�giudizio�amministra-
tivo.�Desidero�complimentarmi�con�il�prof.�Terracciano,�Rettore�della�Scuola�
Superiore�dell'Economia�e�delle�Finanze,�che�ha�dato�avvio�a�questo�impor-
tante�progetto�formativo.�Saluto�altres|�i�tanti�autorevoli�amici�che�sono�qui�
intervenuti,�dal�Presidente�del�Consiglio�di�Stato�che�patrocina�con�il�suo�
Istituto�questa�iniziativa�unitamente�alla�Presidenza�del�Consiglio�e�all'Avvo-
catura�Generale�dello�Stato;�al�Presidente�del�Consiglio�di�Garanzia�del�
Senato�della�Repubblica,�Senatore�Pasquale�Giuliano;�al�Vice�Avvocato�
Generale�dello�Stato,�Ignazio�Francesco�Caramazza.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Il�tema�del�Master�presenta�un�angolo�prospettico�molto�significativo:�
non�si�e�voluto�fare�un�Master�sulla�giustizia�amministrativa�tout 
court,�
quanto�piuttosto�si�e�voluto�approfondire�l'aspetto�della�difesa�dello�Stato�
e,�piu�in�generale,�delle�pubbliche�amministrazioni.�Le�profonde�trasforma-
zioni�che�la�giustizia�amministrativa�ha�conosciuto�in�questi�ultimi�anni�ne�
hanno,�infatti,�completamente�mutato�il�volto.�Il�Consiglio�di�Stato�prima�
ed�il�legislatore�poi,�hanno�infatti�inciso�radicalmente,�profondamente�sul�
sistema�di�tutela.�L'evoluzione�del�diritto�amministrativo�sostanziale�ha�
fatto�il�resto,�condizionando�il�lavoro�di�chi�vi�e�quotidianamente�a�con-
tatto,�gli�operatori�del�settore.�Il�principio�di�tutela�delle�posizioni�sogget-
tive�non�si�esplica�piu�solo�nella�difesa�processuale,�ma�anche�nella�fase�pro-
cedimentale,�cioe�quella�fase�finalizzata�all'adozione�dell'atto.�Cio�per�lo�
scopo�di�evitare�o,�comunque,�di�prevenire�la�lesione�delle�posizioni�giuridi-
che�soggettive�coinvolte�nel�procedimento;�evidentemente�si�tratta�di�un�ten-
tativo�di�evitare�la�fase�contenziosa.�

La�legge�1990�sul�procedimento�amministrativo�consente�al�privato�di�
partecipare�al�procedimento,�l'accesso�agli�atti�gli�permette�di�orientare�gli�
sviluppi�dell'azione�amministrativa,�tenendo�conto�di�tutti�gli�interessi�pub-
blici�e�privati�da�essa�coinvolti.�Anche�la�difesa�delle�Amministrazioni�Pub-
bliche,�per�effetto�di�questa�legge,�e�profondamente�mutata.�

A�differenza�dei�sistemi�adottati�in�altri�Paesi,�nell'ordinamento�italiano�
la�tutela�legale�degli�interessi�patrimoniali�e�non�patrimoniali�dello�Stato�e�,�
come�noto,�istituzionalmente�attribuita�ad�un�corpo�di�giuristi�specializzati,�
gli�avvocati�dello�Stato;�essi�sono�chiamati�a�svolgere�la�loro�attivita�quando�
la�cura�dell'interesse�pubblico,�sia�nelle�forme�del�diritto�comune�che�attra-
verso�l'esercizio�di�potesta�,�richieda�di�promuovere�o�sostenere�una�contro-
versia�giudiziaria;�ovvero,�comporti�l'adozione�di�una�determinazione�che�
implichi�l'applicazione�di�regole�giuridiche.�

Non�vi�intratterro�sui�profili�storici�e�sugli�aspetti�piu�propriamente�tec-
nici�di�tale�soluzione:�di�questo�si�occupera�diffusamente�il�collega�Cara-
mazza,�che�svolgera�un�vero�e�proprio�intervento�sul�tema;�il�mio�e�soltanto�
una�breve�introduzione�ed�un�cenno�di�saluto.�Quello�che�e�certo�e�che�tale�
scelta�offre�innegabili�vantaggi�che�la�rendono�attuale:�considerazione�unita-
ria�degli�interessi�dello�Stato�che�possono�trascendere�l'esito�della�singola�
causa,�unita�di�indirizzo�nell'attivita�defensionale,�visione�complessiva�delle�
problematiche�della�funzione�amministrativa,�costante�integrazione�tra�atti-
vita�consultiva�e�contenziosa.�Infine,�circostanza�non�del�tutto�irrilevante,�
notevole�riduzione�degli�oneri�di�assistenza�legale�per�il�bilancio�dello�Stato.�

Certo,�quando�si�parla�delle�funzioni�dell'Avvocatura�dello�Stato�si�
pensa�subito�alla�rappresentanza�e�alla�difesa�in�giudizio�dell'Amministra-
zione�statale�in�tutte�le�sue�articolazioni,�quindi�anche�in�quelle�estere,lerap-
presentanze�diplomatiche,�delle�organizzazioni�internazionali.�Ma�si�trascura�
un�altro�aspetto�molto�rilevante�dell'attivita�dell'Avvocatura�dello�Stato,�cioe�
la�sua�funzione�di�consulenza.�E�una�funzione�che�viene�prestata�in�favore�
dell'Amministrazione�statale�e�degli�enti�ammessi�al�patrocinio;�il�parere�
richiesto�all'Avvocatura�dello�Stato�ha�spesso�un�collegamento,�ma�talvolta�
in�qualche�modo�prescinde�da�situazioni�potenzialmente�o�attualmente�liti-


TEMI�ISTITUZIONALI�

giose,�spazia�dalle�consultazioni�legali�sull'opportunita�di�promuovere�o�
abbandonare�giudizi,�si�spinge�all'esame�di�regolamenti�o�capitolati,�alla�pre-
disposizione�di�contratti�e�transazioni.�Quindi,�coinvolge�una�materia�molto�
vasta�che�comprende�ogni�possibilita�di�esprimersi�sui�provvedimenti�da�
adottare�in�ordine�a�questioni�da�definire�in�via�amministrativa.�

La�funzione�consultiva�e�svolta�non�solo�e�non�tanto�nell'interesse�parti-
colare�dell'organismo�che�se�ne�avvale,�proprio�per�il�caso�piu�specifico,�
quello�di�prevenire�una�lite,�ma�anche�al�fine�di�garantire�l'interesse�generale�
alla�legalita�dell'azione�amministrativa.�La�legge�assicura�all'Avvocatura�
dello�Stato�autonomia�ed�indipendenza�rispetto�ai�soggetti�pubblici�che�frui-
scono�dell'attivita�consultiva�e�della�difesa�giudiziale;�l'indipendenza�e�posta�
a�presidio�dei�primari�valori�giuridici�dell'ordinamento�statuale�inteso�nella�
sua�unitarieta�.�

La�mancanza�di�un�collegamento�settoriale�con�singole�branche�del-
l'Amministrazione�colloca�l'attivita�di�tutela�legale�affidata�all'Avvocatura�
nella�dimensione�generale�dell'esercizio�della�funzione�pubblica,�piu�che�in�
quella�del�singolo�giudizio�o�affare�amministrativo.�I�suoi�uffici,�posti�sotto�
l'immediata�direzione�dell'Avvocato�Generale,�sono�inquadrati�nella�Presi-
denza�del�Consiglio�dei�Ministri,�ma�tale�gerarchia�cosiddetta�esterna 
^che�
pure,�di�fatto,�non�interferisce�sull'autonomia�tecnico-professionale�dell'Isti-
tuto�e�dei�singoli�avvocati�dello�Stato�^potrebbe�essere�anche,�piu�che�atte-
nuata,�eliminata,�se�il�legislatore�nella�sua�sovrana�determinazione�volesse�
utilizzare�per�l'avvocatura�lo�strumento�in�via�di�regolamentazione�delle�isti-
tuzioni�pubbliche�indipendenti,�che�impropriamente�vengono�definite�authori-
ties,�con�una�terminologia�tratta�dal�linguaggio�anglosassone.�

In�un�quadro�cos|�variegato�si�colloca�il�Master�che�si�apre�oggi;�e�un�
progetto�di�cui�si�sentiva�veramente�la�necessita�proprio�per�la�sistematicita�
che�traspare�dal�calendario�delle�lezioni,�con�cui�si�intende�rispondere�alla�
continua�evoluzione�ed�integrazione�del�diritto�amministrativo�interno�e�
comunitario.�

Mi�fa�piacere�constatare�che�la�brillante�idea�di�fornire�ai�partecipanti�a�
questo�progetto�i�diversi�punti�di�vista�sulla�giustizia�amministrativa�sia�pie-
namente�realizzata;�infatti�i�docenti,�tra�i�quali�numerosi�magistrati�ammini-
strativi�ed�avvocati�dello�Stato,�saranno�in�grado�di�trasmettere�quello�che�e�
il�processo�amministrativo�vissuto�nell'ottica�del�giudice,�del�difensore�dello�
Stato�e�del�libero�professionista.�

Sono�convinto�che�in�tal�modo�il�Master�raggiungera�l'obiettivo�di�for-
nire�strumenti�reali�per�la�difesa�delle�Pubbliche�Amministrazioni�in�giudizio,�
attuando�un�percorso�formativo�specialistico�che�vada�ben�oltre�le�astrazioni�
teoriche�dei�manuali�e�della�dottrina�e�consenta�ai�partecipanti�di�vivere�e�
condividere�il�processo�amministrativo.�

Vi�ringrazio�per�l'attenzione�e�faccio�a�tutti�i�migliori�auguri�di�buon�
lavoro.�

Gennaro 
Terracciano. 
Grazie�signor�Ministro,�volevo�sottolineare�che�
effettivamente�e�dovuto�un�ringraziamento�anche�a�tutti�i�docenti�che�hanno�
dato�il�loro�assenso�per�la�realizzazione�di�questo�Master,�durante�le�giornate�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

saranno�sempre�presenti�almeno�un�magistrato,�almeno�un�avvocato�dello�
Stato,�almeno�un�libero�professionista,�professori�universitari;�questo�
appunto�per�garantire�che�sullo�stesso�argomento�vi�sia�anche�una�possibilita�
di�dialettica�tra�le�diverse�componenti.�

Se�possiamo�continuare�darei�la�parola�al�Vice�Avvocato�Generale,�
Ignazio�Francesco�Caramazza.�

Ignazio 
Francesco 
Caramazza. 
L'Avvocatura�dello�Stato�nella�storia�della�

giustizia�amministrativa.�

1.�Uno�dei�nostri�maggiori�amministrativisti�ha�dedicato�l'�incipit�diun�
suo�recente�articolo�ad�un�rinnovato�incontro�romano�con�il�marziano�di�
Ennio�Flaiano,�un�marziano�stranamente�interessato,�questa�volta,�alla�
nostra�giustizia�amministrativa.�Immaginava�ancora,�questo�nostro�ammini-
strativista,�di�descrivere�le�difficolta�incontrate�nel�cercare�di�spiegare�l'argo-
mento�all'amico�marziano�e�di�come�si�fosse�reso�conto�che,�nonostante�l'ele-
vato�livello�intellettuale�del�suo�interlocutore,�non�era�in�grado�di�farlose�
non�ricorrendo�alla�storia.�
Questo�conferma�l'intuizione�di�Mario�Nigro,�che�nessun�istituto�del�
diritto�amministrativo�e�comprensibile�se�non�ricorrendo�alla�sua�storia.�

Orbene,�l'Avvocatura�dello�Stato�ha�un�posto�importante�nella�storia�
della�giustizia�amministrativa�perche�del�giudice�amministrativo�italiano�essa�
e�stata,�in�qualche�modo,�la�levatrice�ed�ha�influito,�e�non�poco,�sulla�sua�
conformazione�e�sulla�sua�evoluzione.�

Da�altro�punto�di�vista�va�osservato�che�quando�la�difesa�dello�Stato�in�
giudizio�venga�affidata,�come�accade�nel�nostro�ordinamento,�ad�un�organo�
tecnico�incardinato�nell'Amministrazione,�ma�distinto�dalle�singole�branche�
dell'Amministrazione,�tale�organo�diventa�allora�un�osservatorio�privilegiato�
del�variare�del�punto�di�equilibrio�tra�principio�di�liberta�e�principio�di�auto-
rita�.�Punto�di�equilibrio�che�evolve�nel�tempo,�in�sintonia�con�le�grandi�crisi�
di�trasformazione�della�societa�,�dello�Stato�e�del�diritto.�

Si�tratta�di�crisi�che,�per�linee�generalissime,�possiamo�individuare�in�
quattro�momenti:�il�passaggio�dall'ancien�re�gime�allo�Stato�liberal�borghese;�
il�passaggio�dallo�Stato�liberal�borghese�allo�Stato�sociale�o,�per�usare�una�
terminologia�gianniniana,�allo�stato�pluriclasse;�il�passaggio�dallo�Stato�plu-
riclasse�allo�stato�cosiddetto�post-moderno.�L'ultima�crisi,�quella�attuale,�
che�stiamo�vivendo�ai�giorni�nostri,�segna,�infine,�il�passaggio�dallo�Stato�
post-moderno�allo�Stato�minimo.�

Sono�tutti�cambiamenti�che,�semplificando�al�massimo,�possiamo�descri-
vere�attraverso�un�diverso�bilanciamento�dei�punti�di�equilibrio�dei�tre�poteri�
tradizionali,�legislativo,�esecutivo�e�giudiziario�che,�da�quando�nacquero�dal-
l'indistinto�del�potere�assoluto�del�sovrano,�videro�mutare�(e�di�molto)�le�
reciproche�valenze�nell'arco�di�due�secoli,�con�conseguente�intuitivo�riflesso�
di�tale�mutamento�sia�sulla�giustizia�amministrativa�che�sui�compiti�e�le�fun-
zioni�dell'avvocato�che�difende�lo�Stato�in�giudizio.�

2.�Dobbiamo,�ovviamente,�prendere�l'avvio�da�quella�che�e�tuttora�la�
pietra�miliare�del�nostro�ordinamento�di�giustizia�amministrativa,�la�legge�
abolitrice�del�contenzioso�amministrativo�del�1865,�legge�che,�come�e�noto,�

TEMI�ISTITUZIONALI�

soppresse�i�tribunali�speciali�del�contenzioso,�devolvendo�al�giudice�ordinario�
tutte�le�cause,�anche�contro�l'Amministrazione,�in�cui�si�facesse�questione�di�
un�diritto�civile�o�politico.�L'unico�limite�posto�al�giudice�ordinario�nei�con-
fronti�dell'Amministrazione�fu�il�divieto�di�annullare�l'atto�amministrativo,�
che�poteva�essere�soltanto�disapplicato.�

Fu�una�scelta�di�civilta�liberale�coraggiosissima,�perche�si�modello�su�
quella�che�era�l'esperienza�inglese,�mediata�attraverso�la�Costituzione�belga�
del�1831�(dei�cui�articoli�92,�93�e�107,�gli�articoli�4�e�5�della�legge�italiana�abo-
litrice�del�contenzioso�amministrativo�rappresentano�la�letterale�traduzione).�

Si�tratto�pero�di�una�scelta�probabilmente�troppo�in�anticipo�sui�tempi,�
tanto�vero�che�fior|�,�immediatamente�dopo�l'approvazione�della�legge�aboli-
trice,�una�giurisprudenza�che,�sulla�falsariga�del�modello�belga,�concesse�
aperture�estremamente�allarmanti�per�la�classe�dirigente�del�tempo,�inducen-
dola�a�correre�ai�ripari�con�energiche�controspinte�conservatrici.�Nell'anno�
1876�era�pacifica�infatti,�una�giurisprudenza�delle�Cassazioni�italiane�che�
consentiva�a�chi�fosse�stato�danneggiato�da�un�atto�amministrativo�(ad�esem-
pio�da�un�provvedimento�prezzi)�di�chiedere�il�risarcimento�del�danno.�Era�
un�riconoscimento�della�risarcibilita�dei�danni�da�lesione�di�interesse�legit-
timo�ante 
litteram,�che�precorreva�i�tempi�di�ben�125�anni.�

Tutto�questo�avveniva,�poi,�nonostante�l'arcigna�guardia�montata�dal�
Consiglio�di�Stato,�all'epoca�incardinato�nell'esecutivo�e�pero�contraddittoria-
mente�eretto�in�giudice�dei�conflitti�fra�potere�esecutivo�e�potere�giudiziario.�

In�sintomatica�coincidenza�con�la�concessione�alla�Corte�di�Cassazione�
romana�della�funzione�di�giudice�dei�conflitti,�la�classe�politica�ebbe�il�timore�
di�spingersi�troppo�in�la�,�considerata�anche�la�larga�apertura�liberale�gia�
effettuata�dalla�giurisprudenza.�Come�controspinta�ad�una�riforma�troppo�
in�anticipo�sui�tempi�istitu|�,�quindi,�l'avvocatura�allora�chiamata�erariale,e�
non�a�caso�perche�la�riduttiva�denominazione�dava�ragione�di�quella�che�
sarebbe�stata�la�linea�di�difesa�commessa�al�nascente�istituto.�

L'avvocatura�erariale�si�mosse,�ovviamente,�lungo�la�linea�di�contenere�
al�massimo�possibile�l'ingerenza�del�giudiziario�nei�confronti�dell'esecutivo.�
D'altra�parte�non�dobbiamo�dimenticare�quale�fosse�all'epoca�il�rispettivo�
valore�dei�tre�poteri�tradizionali.�Lo�Stato�liberal-borghese�era�nato�con�una�
supremazia�del�potere�legislativo�rispetto�agli�altri�due.�Era�quella�l'epoca�
delle�grandi�codificazioni,�che�realizzarono�il�sogno�illuminista�di�una�rete�
di�regole�generali�ed�astratte�che�imbrigliasse�tutta�la�variegata�dimensione�
dell'operare�umano.�In�proposito�aveva�scritto�Napoleone:�Waterloo�sara�
dimenticata,�ma�il�mio�codice�civile�vivra�per�sempre.�

Il�potere�esecutivo,�forte�nella�sostanza,�aveva�pero�un�campo�di�azione�
estremamente�limitato:�era�quello�il�tempo�dello��Stato�gendarme�,�che�si�
limitava�sostanzialmente�a�difendere�le�frontiere�all'estero�e�l'ordine�pubblico�
all'interno.�Il�potere�giudiziario,�poi,�era�veramente�figlio�di�un�dio�minore,�
perche�dalla�rivoluzione�francese�era�nato�un�potere�giudiziario�guardato�
con�sospetto�e�diffidenza,�soprattutto�quando�veniva�chiamato�a�sindacare�
l'esecutivo,�perche�era�considerata�verita�di�fede�l'equazione:��giudicare�l'Am-
ministrazione�equivale�ad�amministrare�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

L'Avvocatura�erariale�del�tempo,�al�fine�di�contenere�i�poteri�del�giudi-
ziario�nei�confronti�dell'esecutivo�si�mosse�lungo�tre�direttrici:�quelladi�
negare�la�natura�di�diritti�alle�situazioni�nascenti�da�leggi�amministrative;�
quella�di�negare�la�possibilita�per�i�giudici�di�disapplicare�l'atto�amministra-
tivo�che�avesse�direttamente�recato�un�pregiudizio;�infine,�quella�piu�grave,�
di�negare�giurisdizione�al�giudice�quando�l'Amministrazione�avesse�operato�
jure 
imperi.�Ecco,�quindi,�perche�l'Avvocatura�si�denominava�erariale:�perche�
lo�Stato�intendeva�assoggettarsi�al�giudizio�soltanto�quando�avesse�operato�
nella�sua�veste�di�diritto�privato.�Quando�avesse�operato,�invece,�come�auto-
rita�esso�doveva�ritenersi�sottratto�al�sindacato�giurisdizionale.�

La�giurisprudenza�accolse�le�tesi�dell'avvocatura�e�si�giunse�quindi�al�
bizzarro�paradosso�che�da�una�riforma�liberale�che�equiordinava�l'Ammini-
strazione�all'amministrato�dinanzi�al�suo�unico�giudice,�nasceva�in�realta�
un'Amministrazione�senza�giudice.�

3.�Di�qui�il�profondo�scontento�e�le�proteste�della�societa�civile�e�dei�suoi�
piu�illuminati�rappresentanti,�fra�i�quali�spiccava�Silvio�Spaventa,�dalle�cui�
iniziative�nacque,�nel�1889,�la�Quarta�Sezione�del�Consiglio�di�Stato.�La�rela-
tiva�legge�e�nota�anche�come��controriforma�Crispi��e�va�notato,�pero�,che�
essa�non�nacque�affatto�in�spirito�controriformistico,�perche�si�continuava�a�
pensare�che�unico�giudice,�unica�giurisdizione,�fosse�quella�del�giudice�ordi-
nario.�La�Quarta�Sezione�del�Consiglio�di�Stato�veniva�investita�quindi,�
secondo�le�intenzioni�del�legislatore�del�tempo,�di�un�compito�amministrativo�
di�giustizia�interna�all'Amministrazione,�con�la�funzione�di�sindacare�la�legit-
timita�degli�atti�amministrativi�attraverso�una�valutazione�di�tipo�esclusiva-
mente�cassatorio.�
L'Avvocatura�erariale,�per�bocca�del�suo�Avvocato�Generale,�fu�tra�i�
grandi�sostenitori�della�legge�Crispi�e�per�questo�ho�parlato�dell'Avvocatura�
dello�Stato�come�levatrice�del�giudice�amministrativo.�Con�il�formarsi�della�
restrittiva�giurisprudenza�di�cui�ho�detto,�causata�dalla�vittoriosa�linea�difen-
siva�dell'Avvocatura,�si�creo�infatti�la�necessita�della�Quarta�Sezione�del�Con-
siglio�di�Stato�come�organo�di�giustizia�interna�all'Amministrazione.�Fu,�
poi,�ancora�l'Avvocatura�erariale,�con�un�ricorso�alle�sezioni�unite�della�
Cassazione�romana,�a�provocare�nel�1893�quella�sentenza�che�riconobbe�al�
Consiglio�di�Stato�natura�giurisdizionale,�determinando�quindi,�il�passaggio,�
nell'arco�di�appena�quattro�anni,�del�Consiglio�di�Stato,�da�organo�di�giusti-
zia�interna,�ad�organo�giurisdizionale.�Questo,�pero�,�determinava�anche�una�
promozione�dell'Avvocatura,�che�non�era�piu�soltanto�il�difensore�della�per-
sonalita�patrimoniale�dello�Stato,�ma�diventava�difensore�del�potere�esecu-
tivo�e�delle�sue�prerogative�e�quindi�avvocato�a�tutto�tondo��dello�Stato��e�
non�piu�soltanto�dello�Stato�come�persona�privata.�

Il�disegno�si�doveva�completare�negli�Anni�'20�e�'30�del�secolo�scorso�
con�l'unificazione�della�Cassazione�a�Roma,�con�l'incardinamento�dell'Avvo-
catura�dello�Stato,�del�Consiglio�di�Stato�e�della�Corte�dei�Conti�nella�Presi-
denza�del�Consiglio,�con�l'istituzione�del�Foro�erariale�e�con�il�mutamento,�
anche�formale,�della�denominazione�da�Avvocatura�erariale�in�Avvocatura�
dello�Stato.�


TEMI�ISTITUZIONALI�

Tale�mutazione�corrisponde�al�passaggio�dallo�Stato�liberal-borghese�
allo�Stato�sociale,�o�pluriclasse,�in�cui�l'equilibrio�dei�tre�poteri�si�modifica;�
il�potere�esecutivo�abbandona�le�dimesse�vesti�di�guardiano�notturno�e�
comincia�ad�occuparsi�di�edilizia,�di�sanita�,�di�istruzione,�di�credito,�di�assi-
curazioni.�Aumenta�anche�l'importanza�del�potere�giudiziario�che�finalmente�
puo�sindacare�l'esecutivo�mentre�arretra�il�legislativo.�

Dominante,�in�questa�fase,�appare�dunque�il�potere�esecutivo,�tant'e�
vero�che�tra�le�due�grandi�guerre�del�secolo�scorso,�allignarono�le�peggiori�
dittature�che�la�storia�ricordi.�

In�questo�periodo�l'Avvocatura�dello�Stato�divento�il�difensore�delle�
prerogative�del�potere�pubblico,�e�questo�sia�nel�giudizio�civile,�nel�quale�
allora�le�prerogative�del�potere�pubblico�erano�molte�ed�importanti�(basti�
ricordare�il�solve 
et 
repete),�sia�dinanzi�al�giudice�amministrativo,�dove�l'av-
vocato�dello�Stato�deduceva�in�giudizio�la�presunzione�di�legittimita�del-
l'atto�amministrativo.�

Cos|�come�nella�fattoria�degli�animali�tutti�gli�animali�sono�uguali,�ma�
alcuni�sono�piu�uguali�degli�altri�^diceva�acutamente�Piccardi�^ci�sono�
giudizidiparti�in�cuiuna�partee�un�po�meno�parte�dell'altra.�Questo�era�
il�caso�del�giudizio�amministrativo�in�cui,�anche�simbolicamente,�la�fun-
zione�dell'avvocato�dello�Stato�era�raffigurata�in�posizione�diversa�da�quella�
dell'avvocato�difensore�della�parte�privata,�perche�l'avvocato�dello�Stato�
siede�alla�destra�del�giudice,�sul�banco�che�nei�giudizi�penali�compete�al�
Pubblico�Ministero.�

Oggigiorno,�probabilmente,�questo�e�soltanto�un�retaggio�del�passato,�
un�simbolo,�cos|�come�e�un�simbolo�la�parrucca�bianca�dell'avvocato�inglese,�
perche�,�come�e�noto,�al�tempo�attuale�le�prerogative�della�difesa�pubblica�
non�esistono�praticamente�piu�.�

4.�Terza�crisi�di�trasformazione�e�quella�del�passaggio�dallo�Stato�sociale�
allo�Stato�post-moderno�o�Stato�di�giurisdizione.�Essa�intercorre�nel�periodo�
che,�per�semplificare,�va�dalla�Costituzione�repubblicana�fino,�grosso�modo,�
al�1990.�La�Costituzione�repubblicana,�per�quanto�riguarda�la�giustizia�
amministrativa,�si�e�limitata�a�recepire�con�puntualita�e�precisione�notarile�
quella�che�era�stata�la�grande�costruzione�giurisprudenziale�del�Consiglio�di�
Stato.�Quindi�a�recepire�anche�tutte�le�intime,�anche�se�eleganti,�contraddi-
zioni�del�nostro�diritto�amministrativo:�basti�pensare�a�quella�che�vede�con-
trapporre,�da�un�lato,�la�qualificazione�dell'interesse�legittimo�come�situa-
zione�giuridica�soggettiva�sostanziale�(art.�24),�dall'altro�la�qualificazione�
del�giudizio�amministrativo�come�giudizio�sull'atto�e�quindi�come�giudizio�
cassatorio,�inidoneo�a�garantire�il�perseguimento�del�bene�della�vita�
(art.�113).�
Unica�novita�introdotta�in 
parte 
qua 
dalla�Costituzione�repubblicana�fu�
il�doppio�grado�di�giurisdizione.�Novita�in�se�modesta�ma�che�portera�a�risul-
tati�importanti�nella�storia�della�giustizia�amministrativa�italiana,�attraverso�
la�sommatoria�di�tutta�una�serie�di�fattori�che�trascendono�il�dato�normativo,�
attenendo�piu�al�momento�sociologico,�e�che�cerchero�di�elencare�senza�nes-
suna�pretesa�di�completezza.�


1O 
RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

L'avvento�di�una�nuova�classe�di�giudici,�non�legata�in�modo�particolare�
alle�pubbliche�amministrazioni�anzitutto;�la�trasformazione,�poi,�di�una�
domanda�di�giustizia,�da�elitaria�qual'era,�in�domanda�di�massa,�conseguente�
al�miglioramento�del�tenore�di�vita�e�ad�un�maggiore�acculturamento.�

L'affacciarsi,�ancora,�di�nuovi�soggetti�sulla�scena�del�giudizio,�sia�pub-
blici�che�privati:�da�un�lato�gli�enti�esponenziali�di�interessi�diffusi,�dall'altro�
gli�enti�locali,�con�progressiva�sostituzione�di�centri�di�potere:�organi�di�
governo�elettivi�in�luogo�di�organi�burocratici�periferici.�

Si�e�,�poi,�verificato�un�eccesso�di�produzione�normativa�foriero�di�incer-
tezze.�Un�eccesso�tale�da�portare�la�Corte�Costituzionale�a�cancellare�quella�
che�era�una�delle�regole�piu�ferme�della�nostra�tradizione:�l'errore�di�diritto�
non�scusa.�Vi�era,�infine,�la�richiesta,�sempre�montante�dal�corpo�sociale,di�
una�giustizia�sostanziale�che�riconoscesse�o�disconoscesse�il�bene�della�vita,�
richiesta�a�cui�la�giustizia�amministrativa�di�quel�torno�di�anni�ha�dato�una�
risposta�attraverso�strumenti�indiretti,�potenziando�lo�strumento�cautelare,�
potenziando�il�giudizio�di�ottemperanza,�adottando�la�pratica�delle�sentenze�
ad�effetto�conformativo�e�cos|�via.�

Novita�estremamente�importante�fu,�da�ultimo,�l'aumento�dei�casi�di�
giurisdizione�esclusiva�per�effetto�dell'opera�sinergica�del�legislatore�e�del�giu-
dice�tanto�ordinario�che�amministrativo.�I�casi�di�giurisdizione�esclusiva�
diventarono,�infatti,�alla�fine�del�periodo�in�considerazione,�prevalenti�su�
quelli�di�giurisdizione�generale�di�legittimita�,�con�conseguente�inversione�del�
modello�di�giudizio.�Se�tradizionalmente�era�il�giudizio�generale�di�legittimita�
che�informava�di�se�il�giudizio�di�giurisdizione�esclusiva,�accadde�in�progres-
sione�il�contrario,�essendo�invece�quello�di�giurisdizione�esclusiva�(quindi�il�
giudizio�sul�rapporto),�che�comincia�ad�informare�di�se�il�giudizio�generale�
di�legittimita�.�In�pari�tempo�mutava�il�criterio�discriminatore�fra�le�giurisdi-
zioni,�non�piu�(o�non�piu�solo)�ancorato�alle�situazioni�soggettive�tutelate�e�
sempre�piu�volto�alle�materie�giudicabili.�

Ancora�una�volta�la�crisi�di�trasformazione�della�giustizia�ammini-
strativa�corrispondeva,�naturalmente,�ad�una�piu�generale�trasformazione�
dello�Stato.�

Ricorrendo�al�criterio�del�bilanciamento�dei�poteri�tradizionali,�consta-
tiamo�come�il�potere�che�avanza�impetuosamente�nella�seconda�meta�del�
secolo�scorso�e�il�giudiziario,�tant'e�vero�che�il�relativo�tipo�di�Stato�e�stato�
anche�autorevolmente�chiamato��Stato�di�giurisdizione�.�La�mano�pubblica,�
non�solo�in�Italia,�in�quel�torno�di�anni,�aveva�dilatato�enormemente�la�sua�
sfera�di�influenza,�quindi�i�punti�di�crisi,�di�contatto�e�conflitto�tra�Ammini-
strazione�e�cittadino�erano�andati�aumentando.�Si�diceva�che�un�bravo�citta-
dino�inglese,�prima�della�prima�guerra�mondiale,�non�si�sarebbe�mai�accorto�
della�presenza�dello�Stato�se�non�fosse�stato�per�gli�uffici�postali�e�per�i�poli-
ziotti.�Certo�questo�non�avrebbe�piu�potuto�essere�detto�in�nessun�paese�del-
l'occidente�negli�anni�'70�o�negli�anni�'80�del�secolo�scorso.�Vi�era�quindi�
un'esigenza�accresciuta�di�domanda�di�giustizia�e�di�partecipazione,�sintoma-
tizzata�in�tutto�il�mondo�da�una�serie�di�dati�caratteristici,�come�l'irraggia-
mento�dell'istituto�dell'ombudsman,�che,�se�non�e�istituto�giurisdizionale,�e�
pero�uno�strumento�di�giustizia�nell'Amministrazione;�il�progredire�delle�


TEMI�ISTITUZIONALI�

regole�sul�procedimento�ed�una�maggior�attenzione�alle�esigenze�partecipa-
tive�del�cittadino;�l'introduzione�nei�procedimenti�amministrativi�di�regole�
quasi�giudiziali;�un�aumento�dei�poteri�del�giudiziario�nei�confronti�dell'ese-
cutivo.�In�una�parola,�un�aumento�della�domanda�di�giustizia,�un�aumento�
della�risposta�di�giustizia,�un�aumento�della�incisivita�della�risposta�di�giusti-
zia,�soprattutto�nei�confronti�della�Pubblica�Amministrazione.�Questo�sia�
nei�paesi�a�regime�amministrativo,�come�il�nostro,�sia�nei�paesi�di�common 
law 
come�ad�esempio,�l'Inghilterra.�

In�Italia�l'avanzata�impetuosa�del�potere�giudiziario�e�andata�addirit-
tura�al�di�la�,�perche�quella�che�ormai�viene�chiamata�comunemente�la��rivo-
luzione�dei�giudici�,�alle�soglie�dell'ultimo�decennio�del�secolo�scorso,ha�
spazzato�via�un'intera�classe�politica,�agendo�come�punta�avanzata�di�una�
marea�montante�di�lungo�respiro�che�aveva�interessato�l'intero�occidente�
industrializzato.�

Come�e�mutata�in�questo�periodo�la�natura�della�difesa�dello�Stato?�E�
mutata�nel�senso�che�l'Avvocatura�ha�assunto�un'altra�dimensione,�ulteriore
rispetto�a�quelle�precedenti.�E�rimasta,�certo,�la�difesa�dello�Stato�sia�come�
persona�pubblica�che�come�persona�privata�dinanzi�agli�organi�di�giustizia�
ordinaria�e�amministrativa,�(difesa�depurata,�pero�,�di�quelli�che�erano�stati�i�
privilegi�del�passato).�Ma�ad�essa�si�e�aggiunta�una�nuova�dimensione,�quella�
di�una�rappresentanza�e�difesa�dello�Stato�non�soltanto�come�potere�esecu-
tivo,�ma�nella�sua�unitarieta�,�segnatamente�di�soggetto�di�diritto�internazio-
nale�o�sopranazionale.�Cio�ad�esempio�dinanzi�alla�Corte�di�Giustizia�delle�
Comunita�europee,�o�dinanzi�alla�Corte�internazionale�di�giustizia�dell'Aja;�
ed�ancora,�rappresentanza�e�difesa�dello�Stato�non�come�potere�esecutivo�
ma�come�ordinamento,�ad�esempio�nei�giudizi�incidentali�dinanzi�alla�Corte�
Costituzionale�sulla�legittimita�delle�leggi.�Questa�appare�indubbiamente�
come�l'assunzione�di�una�dimensione�ulteriore�e�direi�di�non�poco�momento.�

5.�Veniamo�adesso�alla�parte�piu�difficile�della�nostra�analisi,�piu�diffi-
cile�perche�attiene�alla�crisi�di�trasformazione�che�stiamo�vivendo�adesso,�ed�
il�contemporaneo�e�il�meno�privilegiato�degli�osservatori.�Si�tratta�del�passag-
gio�dallo�Stato�di�giurisdizione�allo�Stato�in�cui�attualmente�stiamo�vivendo�
e�che�e�stato�chiamato�in�molti�modi.�Forse�la�denominazione�piu�suggestiva�
e�pero�quella�di��Stato�minimo�.�Il�pendolo�della�storia�ha�cambiato�dire-
zione�a�seguito�di�molti�avvenimenti,�primo�fra�tutti�la�caduta�del��muro�di�
Berlino�,�simbolo�della�crisi�di�un'ideologia�collettivistica�che�aveva�realiz-
zato�il�massimo�dell'intervento�della�mano�pubblica.�L'implosione�dell'im-
pero�che�ne�rappresentava�l'inveramento�in�terra�ed�il�consolidarsi�a�livello�
continentale�dei�valori�guida�dell'Unione�europea�^la�concorrenza�ed�il�mer-
cato�^hanno�innescato�quella�che�e�stata�definita�la�corsa�verso�il�privato�e�
quindi�verso�lo�Stato�minimo,�in�uno�scenario�in�cui�i�valori�del�mercato�si�
sostituiscono�a�quelli�della�politica.�
Il�quadro�non�e�privo,�naturalmente,�di�singolari�contraddizioni,�perche�,�
come�insegnava�un�liberista�della�statura�di�Einaudi,�la�prima�necessita�di�
un�mercato�sono�i�carabinieri�che�ne�fanno�osservare�le�regole�ed�i�nuovi�
carabinieri�di�questo�nuovo�Stato�gendarme�sono�le�Autorita�Indipendenti�
che�debbono�far�osservare�le�regole�del�mercato.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Sennonche�le�Autorita�indipendenti�sono,�dal�punto�di�vista�formale,�
autorita�amministrative,�che�operano�attraverso�atti�amministrativi.�La�loro�
attivita�ricade,�quindi,�in�via�generale�sotto�il�sindacato�del�giudice�ammini-
strativo,�cos|�come�sotto�il�sindacato�del�giudice�amministrativo�viene�a�rica-
dere�l'attivita�svolta�con�procedure�ad�evidenza�pubblica�di�soggetti�che,�in�
realta�,�non�sono�pubblici�ma�privati.�La�privatizzazione�dello�Stato�si�e�
risolta,�quindi,�contraddittoriamente�in�Italia�in�un�ampliamento�della�com-
petenza�del�giudice�amministrativo.�

A�cio�si�e�aggiunta�la�rivoluzione�di�fine�millennio�nella�giustizia�ammi-
nistrativa.�Rivoluzione�che�ha�due�caratteristiche:�la�prima�e�quella�di�avere�
realizzato�nell'arco�di�tre�anni,�dal�1997�al�2000,�attraverso�un'accelerazione�
improvvisa,�i�risultati�finali�di�linee�di�tendenza�che�si�erano�venute�faticosa-
mente�dipanando�nel�corso�dei�precedenti�cinquant'anni.�

La�seconda�caratteristica�e�di�aver�visto�operare,�in�sintonia�tra�loro�e�
per�la�prima�volta�nella�storia�italiana,�legislativo,�esecutivo�e�giudiziario.�
La�storia�della�giustizia�amministrativa�italiana�somiglia�un�po�,�infatti,�alla�
storia�di�quella�famiglia�regnante�che�non�usciva�mai�da�una�guerra�dalla�
stessa�parte�da�cui�era�entrata.�La�giustizia�amministrativa�italiana�e�sempre�
uscita,�infatti,�dalle�riforme�in�una�direzione�diversa�da�quella�voluta�dal�legi-
slatore.�Nel�1865�abbiamo�visto�che�da�una�legge�che�voleva�assoggettare�
l'Amministrazione�al�giudice�ordinario,�suo�giudice�naturale,�nacque�^per�
sinergico�operare�di�esecutivo�e�giudiziario�^un'Amministrazione�senza�giu-
dice.�Da�una�legge�del�1889�che�intendeva�istituire�un�organo�di�giustizia�
interno�all'Amministrazione�nacque�un�giudice�amministrativo,�sempre�per�
effetto�di�quel�sinergico�operare.�Da�una�Costituzione�che�voleva�cristalliz-
zare�questo�sistema,�nacque�una�spinta�evolutiva�assai�complessa�che�porto�
il�sistema�di�giustizia�amministrativa�italiano�da�una�situazione�molto�simile�
al�modello�francese,�ad�una�situazione�molto�piu�simile�al�modello�tedesco.�

Per�contro,�alle�soglie�del�millennio,�fra�1997�e�2000,�legislativo,�esecu-
tivo,�giudiziario,�si�trovarono�in�piena�sintonia.�Dette�l'avvio�il�legislatore�
delegante�del�'97,�che�estese�la�competenza�del�giudice�amministrativo�ai�
diritti�patrimoniali�consequenziali,�ivi�compreso�il�risarcimento�del�danno,�
cos|�violando�un�tabu�che�era�esistito�per�oltre�cento�anni.�

L'esecutivo�^legislatore�delegato�forzo�la�mano�nella�stessa�direzione�ed�
amplio�anche�le�competenze�del�giudice�amministrativo,�affidandogli�i�servizi�
pubblici,�l'urbanistica�e�l'edilizia�(praticamente�il�diritto�dell'economia).�
Intervennero�poi�le�sezioni�unite�della�Cassazione�con�la�famosa�sentenza�
sulla�risarcibilita�del�danno�da�lesione�di�interesse�legittimo,�infrangendo�un�
altro�tabu�secolare.�

Infine�il�legislatore�ordinario,�con�la�legge�205�del�2000,�che�rimedio�
all'eccesso�di�delega�sanzionato�dalla�Corte�Costituzionale�e�con�l'occasione�
affido�al�giudice�amministrativo�anche�la�tutela�risarcitoria�in�tutte�le�aree�
in�cui�avesse�giurisdizione.�

Se,�in�questa�occasione,�per�la�prima�volta�nella�storia,�i�poteri�dello�
Stato�cooperarono�fra�loro�senza�dissociazioni,�va�pero�aggiunto�che�la�schi-
zofrenia�anche�questa�volta�fece�la�sua�comparsa,�essendo�evidentemente�
coessenziale�con�ogni�riforma�della�giustizia�amministrativa.�Questa�volta�


TEMI�ISTITUZIONALI�

pero�la�schizofrenia�fu�interna�al�legislatore,�cioe�propria�di�quel�Parlamento�
che�se�nella�sua�epifania�di�legislatore�costituzionale�^piu�esattamente�come�
Commissione�Bicamerale�^aveva�espresso�nel�corso�della�legislatura�la�ferma�
e�decisa�volonta�di�sopprimere�il�Consiglio�di�Stato�nella�sua�veste�di�vertice�
della�giustizia�amministrativa,�sul�finire�di�quella�stessa�legislatura�approvo�,�
invece,�^in�sede�ordinaria�^una�riforma�che�attribuisce�al�giudice�ammini-
strativo�italiano,�nella�sua�tradizionale�struttura,�con�al�vertice�il�Consiglio�
di�Stato,�poteri�istruttori,�cautelari�e�decisori�ed�ampiezza�di�competenze�
quali�mai�si�erano�viste�nella�storia,�affidandogli�addirittura�quel�formidabile�
strumento�di�controllo�sociale�che�e�la�tutela�risarcitoria.�

Strumento�di�controllo�sociale�non�solo�potente�nell'attualita�,�ma�poten-
tissimo�in�prospettiva,�in�relazione�a�quella�linea�di�tendenza�che�il�Ministro�
Mazzella�ha�chiamato��l'irresistibile�vento�dell'Ovest�.�

Da�qualche�tempo�a�questa�parte�assistiamo,�infatti,�ad�una�importa-
zione�attraverso�l'atlantico�di�istituti�caratteristici�della�potenza�mondiale�
egemone.�Finora�si�e�trattato�soprattutto�delle�Autorita�indipendenti,�ma�
non�e�escluso,�e�gia�qualche�segnale�si�intravede,�che�possiamo�adottare�un�
altro�istituto�giuridico�statunitense,�quello�dei�cosiddetti��danni�punitivi�.�

Istituto,�questo,�secondo�il�quale,�in�particolari�situazioni,�il�risarcimento�
del�danno�non�e�commisurato�alla�lesione�dell'interesse�ma�a�valori�multipli�
dell'equivalente�di�quella�lesione,�calcolati�al�fine�di�punire�il�responsabile�
del�torto.�Questo�darebbe�un'ulteriore�freccia�alle�corde�di�una�gia�potentis-
sima�giustizia�amministrativa�italiana,�il�che�potrebbe�essere�preoccupante�
se�non�fossero�ben�note�le�doti�di�equilibrio�e�lungimiranza�del�nostro�giudice�
amministrativo.�

Cosa�muta�in�questo�quadro�nel�rapporto�tra�poteri�dello�Stato?�Qual�e�
la�posizione�dell'Avvocatura�dello�Stato�in�questo�nuovo�assetto?�L'osserva-
tore�contemporaneo,�lo�ripeto,�e�il�meno�privilegiato,�in�quanto�e�estrema-
mente�difficile�cogliere�una�realta�in�divenire,�ed�un�divenire,�per�di�piu�,�cos|�
rapido.�Ho�l'impressione�che�il�progresso�tecnologico�velocissimo�abbia�supe-
rato�quelle�che�sono�le�nostre�realta�istituzionali,�attualmente�inadeguate�a�
contenerlo.�

De�Rita�ha�parlato�di�deistituzionalizzazione,�di�destrutturazione�del-
l'Amministrazione�Pubblica�e�sicuramente�i�punti�di�equilibrio�e�di�bilancia-
mento�dei�tre�poteri�dello�Stato�non�sono�piu�quelli�del�passato,�mentre,�per�
l'Avvocatura�si�va�accentuando�un�dualismo�gia�constatato�nello�Stato�di�giu-
risdizione.�Essa�e�,�infatti,�da�un�lato,�difensore�dello�Stato,�soprattutto�
dinanzi�al�giudice�amministrativo�(recessive�apparendo�le�funzioni�del�giudice�
ordinario�nei�giudizi�con�lo�Stato)�con�una�posizione�da�avvocato�tendenzial-
mente�equiordinata�a�quella�del�difensore�privato.�Essa�acquista�e�potenzia,�
poi,�una�dimensione�diversa�e�piu�squisitamente�pubblicistica�in�quelli�che�
sono�i�giudizi�di�costituzionalita�(in�cui�opera�sia�come�amicus 
curiae 
che�
come�avvocato)�ed�i�giudizi�dinanzi�alle�corti�internazionali�e�sovranazionali,�
per�non�parlare�delle�cause�in�cui�difende�le�Autorita�indipendenti,�in�cui�
ruoli�e�funzioni�sono�ancora�da�definire�anche�legislativamente.�

Dal�punto�di�vista�della�natura�della�crisi�che�lo�Stato,�la�societa�eil�
diritto�stanno�attraversando,�forse�si�sta�avverando�la�profezia�che�Giannini�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

faceva�piu�di�vent'anni�fa,�quando�parlava�della�crisi�dello�Stato�nazionale�
nella�sua�configurazione�seicentesca�teorizzata�da�Jean�Bodin.�Stato�nazio-
nale�che,�dopo�quattro�secoli�di�storia,�sarebbe�giunto�alla�fine�del�suo�ciclo�
vitale�e�sarebbe�pronto�a�cedere�il�passo�ad�una�nuova�Repubblica�delle�
genti,�ad�una�nuova�societa�transnazionale�regolata�da�una�unica�lex 
merca-
toria 
ed�al�cui�assetto�definitivo,�pero�,�si�arrivera�soltanto�dopo�un�profondo�
travaglio�di�rivoluzioni�e�di�guerre.�

Questa�era�la�profezia�di�Giannini,�una�profezia�che�mi�pare�si�stia�avve-
rando�perche�di�quel�travaglio�di�rivoluzioni�e�di�guerre�siamo�nel�bel�mezzo.�
Speriamo�che�il�travaglio�non�duri�troppo.�

Gennaro 
Terracciano. 
Grazie�avvocato�Caramazza,�certo�non�e�facile�
cavalcare�due�secoli�di�storia�in�cos|�poco�tempo,�ma�devo�dire�che�sono�stati�
messi�in�luce�tutti�gli�aspetti�essenziali�per�cogliere�l'evoluzione�^effettiva-
mente�a�volte�per 
saltum 
e�con�poca�coerenza�^che�certamente�oggi�viviamo:�
un�momento�di�grande�modificazione�del�modo�di�sentire�il�giudice.�

Mi�permetto�solo�di�dire�una�cosa�che�mi�sembra�molto�coerente�con�
quanto�si�diceva�prima.�E�vero,�forse�si�puo�assistere�ad�una�destrutturazione�
del�modo�di�intendere�tradizionale�delle�Pubbliche�Amministrazioni,�ma�
credo�che�gia�il�Consiglio�di�Stato�in�particolare�abbia�messo�in�luce�come�
poi,�in�fondo,�il�giudice�amministrativo�non�sia�il�giudice�dell'Amministra-
zione�Pubblica,�piuttosto�il�giudice�dell'interesse�collettivo,�indipendente-
mente�dagli�strumenti�privatistici,�pubblicistici�utilizzati�per�perseguire�quel-
l'interesse�collettivo.�Forse�questa�e�una�nuova�frontiera�che�potrebbe�essere�
approfondita�ed�esaminata.�

Comunque�non�voglio�prendere�tempo,�ringrazio�per�essere�qui�il�Presi-
dente�del�Consiglio�di�Garanzia�del�Senato�della�Repubblica,�onorevole�
Giuliano.�

Pasquale 
Giuliano. 
Un�saluto�a�voi�tutti,�ai�relatori�ed�un�saluto�e�un�rin-
graziamento�al�professor�Gennaro�Terracciano,�Rettore�di�una�scuola�cos|�
prestigiosa�che�e�un�punto�di�riferimento�ineludibile�nel�settore.�

Non�dovro�fare�una�cavalcata�cos|�lunga�nei�due�secoli,�come�ha�fatto�
in�maniera�egregia�quel�nobile�cavaliere�che�e�l'avvocato�Caramazza,�anche�
perche�gli�organi�contenziosi�di�cui�brevemente�voglio�parlarvi,�e�della�cui�
esperienza�mi�voglio�rendere�portatore,�quale�presidente�del�Consiglio�di�
garanzia�del�Senato,�hanno�una�vita�brevissima,�anche�travagliata,�tant'e�
che�non�c'e�stata�ancora�una�loro�esatta�definizione;�insomma�non�e�stata�
ancora�puntualmente�esercitata,�con�riferimento�ad�essi,�una�actio 
finium 
regundorum. 


Anche�perche�fino�alla�nona�Legislatura�essi�non�esistevano,�non�ancora�
erano�costituiti:�la�tutela�dei�diritti�dei�dipendenti�era�sino�ad�allora�tutta�
affidata�all'Ufficio�di�Presidenza�e�quella�che�non�era�ancora�una�vera�e�pro-
pria�giurisdizione�domestica,�in�quanto�non�ancora�attingeva,�seppure�con�
le�modalita�che�vedremo,�ad�alcune�regole�fondamentali�dello�ius 
dicere,era�
affidata,�con�norme�regolamentari�assai�generiche,�e�percio�approssimative,�
al�buon�senso,�all'equilibrio�ed�a�quelle�che�erano�prassi�centenarie.�


TEMI�ISTITUZIONALI�

I�primi�punti�fondamentali�furono,�in�effetti,�posti�dalla�Corte�di�Cassa-
zione�e�dalla�Corte�Costituzionale�in�una�azione�sincrona�che�si�attuo�nel�
momento�in�cui�un�ex�dipendente�del�Senato,�nel�1977,�quindi�in�epoca�abba-
stanza�recente,�convenne�davanti�al�giudice�ordinario,�per�diritti�che�riteneva�
essergli�stati�lesi,�il�Senato�della�Repubblica.�Il�quale�eccep|�il�difetto�di�giuri-
sdizione,�assumendo�che�la�questione�appartenesse�alla�competenza�del�Con-
siglio�di�Presidenza.�

La�Corte�di�Cassazione,�con�una�sentenza�molto�elaborata,�ritenne,�d'uf-
ficio,�di�sollevare�la�questione�di�costituzionalita�,�motivando�sostanzialmente�
che�erano�due�le�soluzioni�e�i�percorsi�ipotizzabili:�uno�che�riconoscesse�una�
limitazione�della�portata�generale�delle�norme�sulla�tutela�giurisdizionale,�
nel�senso�dell'inesistenza�di�un�giudice�nell'ordinamento�comune�capace�di�
dirimere�le�controversie�in�materia�di�impiego�dei�dipendenti�del�Senato;�il�
secondo�che�riconoscesse�una�sorta�di�attenuazione�rispetto�ai�principi�gene-
rali�della�giurisdizione,�e�quindi�la�possibilita�di�riconoscere�la�giurisdizione�
speciale�dello�stesso�Senato,�l'autodichia,�e�di�regolamentarla�secondo�quelle�
che�sono�le�regole�sue�proprie.�

La�Corte�Costituzionale�ritenne,�anch'essa,�non�manifestamente�infon-
data�la�questione,�riconobbe�nella�parte�espositiva�la�correttezza�delle�ragioni�
illustrate�dalla�Cassazione�e�pero�si�pose�un�problema�di�ordine�pregiudiziale,�
ai�sensi�ed�ai�fini�dell'art.�134�della�Costituzione:�la�possibilita�di�sindacare�i�
regolamenti�del�Senato,�perche�,�appunto,�era�stato�impugnato�l'art.�12�del�
relativo�regolamento.�Alla�fine,�li�ritenne,�contrariamente�a�quella�che�allora�
era�una�dottrina�dominante,�che�considerava�i�regolamenti�delle�Camere�
come�atti�di�normazione�con�forza�di�legge,�non�sindacabili�anche�perche�
emanati�da�un�organo�che�e�espressione�diretta�ed�immediata�della�sovranita�
popolare�e�pertanto�intolleranti�di�qualsiasi�controllo�e�di�qualsiasi�possibi-
lita�di�censura.�Quindi�dichiaro�,�la�Corte�Costituzionale,�inammissibile�la�
questione�e�la�ripose�di�nuovo�dinanzi�alla�Corte�di�Cassazione.�La�quale�
ripropose�l'originario�ragionamento�riconoscendo�sostanzialmente�la�possibi-
lita�dell'esistenza�di�un�sistema�di�autodichia,�di�una�speciale�giurisdizione�
domestica�del�Senato�e�dichiaro�non�il�difetto�assoluto�di�giurisdizione,�ma�
il�difetto�di�giurisdizione�con�riferimento�al�giudice�ordinario�e�al�giudice�
amministrativo.�

Il�Senato�e�la�Camera,�direi,�apprezzarono�quella�che�era�stata�un'indi-
cazione�cos|�autorevole�da�parte�della�Cassazione�e�della�Corte�Costituzio-
nale�e�si�ingegnarono�nell'intento�di�creare�un�sistema�attendibile,�che�condu-
cesse�fuori�da�regole�improntate�a�linee�assai�generali,�di�buon�senso�e�di�
equilibrio,�con�un�atto�di�normazione�che�potesse�disciplinare�in�maniera�
piu�precisa�ed�efficiente�le�questioni�relative�ai�diritti�ed�agli�interessi�legittimi�
dei�dipendenti�delle�Camere.�

Da�qui�nacque�la�costituzione�di�questi�organi�di�contenzioso�interno,�la�
cui�natura�non�e�ancora�sostanzialmente�ben�definita:�sono�stati�a�volte�con-
siderati�veri�e�propri�organi�di�giurisdizione,�a�volte�organi�amministrativi,�
a�volte�organi�politici.�Con�particolare�riferimento�al�Senato,�poi,�una�sorta�
di�quindicesima�commissione�che�aveva�come�punto�di�riferimento�anche�
delle�regole�cosiddette�politiche,�o�perlomeno�pseudo-politiche.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


All'interno 
della 
Camera 
furono 
cos|� 
istituiti 
la 
Commissione 
giurisdi-
zionale 
e 
l'Ufficio 
di 
Presidenza, 
mentre 
all'interno 
del 
Senato 
la 
Commis-
sione 
per 
il 
contenzioso 
ed 
il 
Consiglio 
di 
garanzia, 
quindi 
due 
gradi 
in 
un 
ramo 
del 
Senato 
con 
due 
gradi 
anche 
nella 
Camera 
dei 
Deputati. 


Le 
regole 
procedimentali 
davanti 
a 
tali 
organi 
sono, 
grosso 
modo, 
quelle 
del 
processo 
amministrativo, 
che 
viene 
visto 
come 
rito 
di 
riferimento, 
conla 
difesa 
del 
Senato 
affidata, 
appunto, 
all'Avvocatura 
dello 
Stato. 


C'e� 
pero� 
da 
rilevare 
che 
sono 
regole 
ancora 
generiche, 
non 
precise, 
a 
volte 
non 
facilmente 
individuabili, 
che 
pertanto 
obbligano, 
all'interno 
del 
Senato, 
i 
componenti 
del 
Consiglio 
di 
garanzia 
e 
della 
Commissione 
per 
il 
contenzioso 
a 
degli 
sforzi 
notevoli 
per 
cercare 
di 
dare 
alle 
decisioni, 
al 
proce-
dimento, 
al 
rito 
un'impronta 
quanto 
piu� 
possibile 
giurisdizionale, 
anche 
se, 
ripeto, 
sul 
punto 
non 
vi 
e� 
assoluta 
concordia 
e 
spesso 
i 
contrasti 
si 
accaval-
lano 
offrendo 
difficilmente 
delle 
indicazioni 
univoche. 


Ma 
ci 
sono 
stati 
di 
recente 
dei 
fatti 
nuovi 
che 
fanno 
ripensare 
a 
que-
sto 
inquadramento 
anche 
del 
Consiglio 
di 
Garanzia, 
il 
quale 
e� 
composto 
da 
cinque 
senatori, 
scelti 
dal 
Presidente 
del 
Senato 
tra 
parlamentari 
esperti 
in 
diritto. 


Sono 
state 
le 
ultime, 
recenti 
decisioni 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo 
e 
della 
stessa 
Corte 
di 
Giustizia 
delle 
Comunita� 
europee, 
le 
quali 
hanno 
ritenuto 
che 
le 
disposizioni, 
le 
prassi 
interne 
degli 
Stati 
nazionali 
non 
possono 
costituire 
una 
eccezione 
rispetto 
a 
quelli 
che 
sono 
i 
diritti 
fondamen-
tali, 
specie 
nel 
momento 
in 
cui 
si 
fa 
riferimento 
ad 
organi 
di 
natura 
costitu-
zionale 
non 
nell'espletamento 
di 
funzioni 
proprie 
parlamentari. 


Di 
recente 
^gennaio 
2003 
^e� 
stata 
infatti 
pronunciata 
a 
Strasburgo 
la 
sentenza 
relativa 
ad 
un 
caso 
che 
ha 
avuto 
anche 
una 
notevole 
eco 
sulla 
stampa 
^Cordova 
contro 
lo 
Stato 
italiano 
^nella 
quale 
si 
e� 
in 
particolare 
affermato 
che 
e� 
ammissibile 
il 
sacrificio 
del 
diritto 
del 
cittadino 
di 
poter 
ricorrere 
ad 
un 
tribunale, 
pertanto 
alla 
giurisdizione 
ordinaria, 
ma 
si 
e� 
al 
contempo 
ritenuto 
che 
questo 
possa 
e 
debba 
accadere 
laddove 
^quello 
in 
esame 
era 
caso 
di 
diffamazione 
^le 
opinioni 
espresse 
dal 
parlamentare 
siano 
direttamente 
connesse 
all'esercizio 
di 
una 
funzione 
parlamentare 
in 
senso 
stretto 
e 
non 
ad 
atti 
compiuti 
nel 
contesto 
di 
dispute 
personali. 


In 
effetti, 
e� 
stato 
questo 
l'ultimo 
spunto 
che 
ha 
di 
nuovo 
agitato 
tutta 
la 
problematica 
e 
che 
induce 
ad 
un 
ripensamento 
della 
stessa 
natura 
degli 
organi 
di 
contenzioso 
nel 
momento 
in 
cui 
si 
rivolgono 
ad 
essi 
i 
dipendenti 
dello 
stesso 
Senato 
per 
ottenere 
il 
riconoscimento 
di 
diritti 
ed 
interessiche 
si 
assume 
essere 
stati 
lesi. 
Quindi, 
sul 
punto, 
questi 
organi 
che 
hanno, 
come 
dicevo, 
una 
vita 
breve, 
una 
vita 
sostanzialmente 
di 
poco 
piu� 
di 
venti 
anni, 
stanno 
subendo 
una 
evoluzione 
apprezzabile, 
anche 
sulla 
scorta 
delle 
que-
stioni 
che 
vengono 
poste 
davanti 
ad 
essi, 
ultima 
delle 
quali 
^questo 
e� 
stato 
un 
ulteriore 
passo 
^quella 
che 
attiene 
alla 
procedura 
concorsuale 
per 
le 
assunzioni 
ed 
alla 
procedura 
degli 
appalti 
che, 
per 
quanto 
riguarda 
in 
parti-
colare 
la 
Camera, 
e� 
di 
grande 
rilevanza, 
di 
un 
consistente 
impatto 
di 
ordine 
finanziario 
e 
che 
sta 
trovando 
spazi 
di 
giurisdizionalita� 
sempre 
piu� 
ampi. 


Certo 
e� 
singolare 
che 
cio� 
sia 
accaduto 
con 
un 
certo 
ritardo 
proprio 
all'interno 
di 
organi 
costituzionali 
che 
hanno, 
s|�
l'esigenza 
di 
tutelare 
la 
pro-


TEMI�ISTITUZIONALI�

pria�autonomia�in�quanto�espressioni�dirette�della�sovranita�popolare,�ma�
che�hanno�al�contempo�in�se�il�contenuto,�il�seme�proprio�di�quei�principi�
fondamentali�di�una�sana�e�corretta�giurisdizione�riconosciuti�da�tutte�le�
Carte�di�ogni�stato�democratico,�che�certamente�non�vedono�con�favore�un�
sistema�di�giurisdizione�domestica.�

Si�pensi�che,�in�ordine�alla�natura�degli�organi�di�autodichia,�si�e�parlato,�
in�maniera�forse�suggestiva,�anche�di�una�sorta�di�camere�arbitrali�di�tipo�
obbligatorio,�presenti�nel�diritto�internazionale,�che,�pur�non�seguendo�regole�
proprie�della�giurisdizione,�sicuramente�fanno�riferimento�ampio�e�preciso�
alla�stessa�giurisdizione.�

C'e�,�pertanto,�tutto�uno�studio�in�corso�da�parte�dell'Ufficio�di�Presi-
denza,�sia�della�Camera�che�del�Senato,�per�dare�non�un�volto�nuovo,�ma�
sicuramente�un�incasellamento�piu�affidabile�che�lasci�meno�discrezionalita�,�
se�cos|�possiamo�dire,�meno�spazi�di�autodichia�o�di�giurisdizione�domestica,�
con�regole�piu�certe�e�piu�garantiste.�

Una�cosa�e�chiara,�nel�momento�in�cui�si�dovesse�affermare�il�principio�
solennemente�pronunciato�dalla�Corte�Europea,�si�potrebbe�formalmente�
aprire�anche�la�strada�davanti�al�giudice�ordinario,�cos|�come�era�in�epoca�
grosso�modo�post�statutaria�ed�anche�prerepubblicana,�quando�era�possibile�
ricorrere�all'autorita�giudiziaria�ordinaria�per�i�diritti�soggettivi�degli�impie-
gati�degli�organi�costituzionali.�

Sara�un�processo�lungo,�per�il�quale�occorre�coraggio�e�decisione;�ma�
sara�anche�necessaria�una�sorta�di�rinuncia�a�condotte�che�hanno�radici�in�
prassi�inveterate�nonche�una�disponibilita�ad�abbandonare�privilegi�intra-
murari�anche�da�parte�dei�dipendenti�che,�sul�punto�della�tutela�giurisdizio-
nale,�hanno�indubbiamente�le�loro�ragioni�e�stanno�organizzandosi�anche�
a�livello,�non�dico�sindacale,�ma�sicuramente�di�sensibilizzazione�di�una�
coscienza�sindacale�che�porta�all'attenzione�sempre�piu�frequentemente�pro-
blemi�di�tal�fatta.�

Un�problema�si�e�posto�di�recente�anche�all'interno�del�Consiglio�di�Pre-
sidenza�del�Senato�per�casi�particolari�che�attengono�alla�esecuzione�delle�
decisioni�degli�organi�di�autodichia,�che�in�genere�spetta�direttamente�al�Pre-
sidente�del�Senato,�ma�sulle�cui�modalita�,�sulla�cui�estensione�si�prospettano�
dubbi�e�ulteriori�margini�di�discrezionalita�che�sicuramente�non�tutelano�al�
meglio�quello�che�e�un�aspetto�finale�ma�fondamentale�del�diritto�del�singolo.�

Per�la�Camera�dei�Deputati�la�situazione�e�parzialmente�diversa,�nel�
senso�che�questo�processo�riformatore�si�e�forse�attutito,�anche�perche�all'in-
terno�della�stessa�Camera�e�attivato�un�Consiglio�di�Presidenza�che�spazia�
sicuramente�in�maniera�piu�ampia�rispetto�al�Senato�sulla�riconoscibilita�di�
questi�diritti,�con�l'ammissione�di�un�contraddittorio�che�ha�regole�piu�forti,�
piu�ferme,�rispetto�a�quella�del�Senato.�

Se�dovessi�fare�un�auspicio,�mi�augurerei�che,�contrariamente�a�quanto�
avviene�in�molti�temi�sulle�notevoli�differenze�regolamentari�tra�Senato�e�
Camera,�sull'argomento�vi�possa�essere�una�disciplina�univoca�che�riconosca�
una�maggiore�giurisdizionalita�del�procedimento�e�una�possibilita�di�ricorrere�
a�giudici�che�siano�veramente�terzi�e,�soprattutto,�imparziali.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

La�terzieta�,ede�questo�il�punto�fondamentale�perche�ovviamente�essa�e�
nemica�dell'autodichia,�e�la�domesticita�sono�le�questioni�di�maggiore�diffi-
colta�sulle�quali�sara�non�agevole�trovare�soluzioni�condivise�o�bene�accette,�
perche�,�ovviamente,�sulle�stesse�fanno�sentire�fortemente�il�loro�peso�condi-
zionante�il�principio�dell'autonomia�degli�organi�costituzionali�ed�il�principio�
della�sovranita�popolare.�Quindi,�e�prevedibile�che,�quanto�meno�a�breve,�
non�sara�facile�individuare�una�soluzione�appagante.�

Indubbiamente�i�passi�in�avanti�rispetto�al�recente�passato,�in�cui�nulla�
era�certo,�nulla�era�chiaro,�nulla�era�puntualmente�e�chiaramente�scritto,�
sono�stati�e�sono�notevoli�e�confido�che�questa�progressione�non�si�arresti.�

Per�quanto�riguarda�la�difesa�di�Camera�e�Senato,�poi,�si�puo�dire�che�
l'Avvocatura�dello�Stato�nel�momento�del�contenzioso�interno�delle�Camere�
espleta�le�sue�funzioni�come�difensore�di�un�organo�costituzionale.�Anche�
qui�le�questioni�che�non�di�rado�ha�posto�e�pone�l'Avvocatura�sono�state�e�
sono�di�grande�rilievo,�anche�se�trovano,�appunto�per�i�problemi�cui�prima�
si�faceva�cenno,�margini�e�spazi�di�sollecitazione�e�di�discussione�non�
troppo�ampi.�

C'e�da�augurarsi�che�una�riforma�in�questo�campo,�nel�momento�in�cui�
soprattutto�e�avvenuta�quella�modifica�dell'art.�111�della�nostra�Carta�con�il�
giusto�processo�che�ha�costituzionalizzato�i�principi�che�erano�gia�in�nuce 
nel�nostro�ordinamento�per�quanto�riguarda�la�terzieta�del�giudice�e�la�parita�
delle�parti,�possa�trovare�piu�agevolmente�spazio�e�possa�avere�un'influenza�
beneficamente�rinnovatrice�anche�su�questi�organi.�

Alberto 
de 
Roberto. 
La 
nuova 
giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo. 


Ho�ascoltato�con�attenzione�chi�mi�ha�preceduto�in�questa�giornata�di�
lavoro.�

Ho�apprezzato�le�parole�del�Ministro�Mazzella,�del�senatore�Giuliano�e�
dell'avvocato�dello�Stato�Caramazza.�

L'ampiezza�dell'indagine�condotta�da�Caramazza�mi�dispensa�dall'an-
dare�troppo�a�ritroso�nella�ricostruzione�degli�istituti�del�processo�ammini-
strativo:�Caramazza�ha,�infatti,�esaminato�in�lungo�e�in�largo�la�storia�della�
giustizia�amministrativa�a�partire�da�quel�fatidico�1889,�l'anno�di�istituzione�
della�gloriosa�IV�Sezione�del�Consiglio�di�Stato�di�Silvio�Spaventa.�

Condurrei,�percio�,�il�mio�discorso�affacciandomi�sull'attuale�modo�d'es-
sere�del�sistema.�

Noi�oggi�siamo�in�presenza�^come�ha�rilevato�bene�Caramazza�^di�un�
sistema�nuovo:�molti�valori�antichi�vengono,�e�vero,�conservati�ma�anche�
profonde�innovazioni�vengono�apportate�al�sistema�il�quale�risulta,�oggi,�
costituito,�quindi,�da�una�singolare�miscela�di�elementi�nuovi�e�di�elementi�
antichi.�

Da�dove�posso�partire?�

Vorrei�parlare,�anzitutto,�della�giurisdizione�del�giudice�amministrativo.�

Resta�ferma�^anche�dopo�le�riforme�^la�clausola�generale�di�investitura�
del�giudice�amministrativo�configurato�dall'ordinamento�come�giudice�degli�
interessi�legittimi.�


TEMI�ISTITUZIONALI�

Ed�invero�questa�investitura�trae�origine�da�una�proposizione�costituzio-
nale,�suscettibile�di�essere�modificata�solo�con�legge�di�revisione�costituzionale.�

Il�giudice�amministrativo�e�,�dunque,�oggi�come�ieri,�giudice�dell'interesse�
legittimo:�l'interesse�legittimo�di�cui�il�giudice�amministrativo�e�chiamato,�
oggi,�a�conoscere�si�manifesta�^dopo�le�recenti�modifiche�(e�soprattutto�
dopo�la�svolta�giurisprudenziale�di�cui�alla�sentenza�n.�500�del�1999�della�
Cassazione)�^come�un�interesse�legittimo�profondamente�trasformato:�non�
piu�un�interesse�individuale�subalterno�all'interesse�pubblico�capace�di�vivere�
soltanto�in�simbiosi�con�l'interesse�maggiore�ma�un�interesse�individuale�
dotato�anche�di�una�sua�autonomia�che�resta�in�campo�pure�quando�l'anello�
di�congiunzione�tra�interesse�pubblico�e�privato�si�sia�interrotto.�

Ritornero�su�questo�punto�piu�avanti.�

Rilevo�per�intanto�che�significativi�mutamenti�hanno�riguardato�l'area�
della�giurisdizione 
esclusiva 
del�giudice�amministrativo�(l'area�identificata�
con�riferimento�non�alla�posizione�soggettiva�dedotta�in�causa�ma�con�
riguardo�alla�materia�sulla�quale�incide�la�controversia).�

Anzitutto�le�attribuzioni�in�materia�di�pubblico�impiego�sono,�in�larga�
parte,�venute�meno.�Resta,�infatti,�nella�nostra�giurisdizione�amministrativa,�
solo�il�pubblico�impiego�relativo�a�particolari�categorie�di�personale�chia-
mato�a�gestire,�in�maniera�diretta,�la�funzione�pubblica:�i�diplomatici,�i�fun-
zionari�dell'amministrazione�dell'interno,�i�militari,�i�magistrati,�gli�avvocati�
dello�Stato�ecc.�

Due�i�nuovi�ambiti�caduti�nella�giurisdizione�esclusiva.�

Il�primo�e�di�piu�agevole�comprensione:�il�nostro�sistema�si�caratterizza�
per�la�presenza�dell'atto�degradatorio,�un�atto�che�non��lede��il�diritto�sog-
gettivo�sul�quale�si�abbatte,�ma�lo�estingue�e�lo�trasferisce�secundum 
legem 
in�altre�mani�ecc.�

Una�vicenda�^quella�della�degradazione�^che�trova�la�sua�spiegazione�
nell'annullabilita�dell'atto�degradatorio�illegittimo�e,�percio�,�nell'attitudine�di�
esso�a�produrre�secundum 
legem 
^fino�a�quando�non�rimosso�^i�propri�
effetti�(si�pensi�all'atto�che�dispone�la�demolizione;�che�contempla�il�trasferi-
mento�del�bene�in�altre�mani�ecc).�

Il�che�puo�anche�esprimersi�rilevando�^proprio�per�la�presenza�di�un�
atto�amministrativo�produttivo�di�effetti�secundum 
legem 
fino�a�quando�non�
annullato�^la�lesione�di�un�interesse�legittimo�deducibile�innanzi�al�giudice�
amministrativo.�

Spetta,�dunque,�in�questa�situazione,�al�giudice�amministrativo�pronun-
ciare�l'annullamento�dell'atto�degradatorio�illegittimo.�

Una�volta,�pero�,�che�tale�annullamento�sara�stato�pronunciato�il�diritto�
soggettivo�ritorna�alle�sue�antiche�fattezze�riconquistando�il�primigenio�
rango�di�diritto�soggettivo.�

Nel�quadro�del�precedente�assetto�^ritornato�in�campo�il�diritto�sogget-
tivo�^occorreva,�a�questo�punto,�andare�innanzi�al�giudice�ordinario�e�
domandare�il�ristoro�del�danno�patito.�

A�questa�disciplina�ci�ha�abituato�la�degradazione�che�ha�avuto�una�
applicazione�quasi�secolare�pur�se�contrassegnata�da�qualche�oscillazione�
giurisprudenziale�(specie�nella�prima�meta�del�secolo�teste�decorso).�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Dopo�la�legge�n.�205/2000,�e�divenuto�operante�un�regime�di�segno�
opposto�rivolto�ad�appagare�un'esigenza�indifferibile�e�antica:�assicurare�che�
la�riparazione�del�diritto�soggettivo�trovi�luogo�di�fronte�allo�stesso�giudice�
dell'annullamento,�evitandosi�cos|�un�contenzioso�frazionato�tra�il�giudice�
dell'annullamento�dell'atto�e�il�giudice�del�ristoro�del�danno�(con�inevitabili�
ritardi�sul�sistema�di�tutela).�

Non�e�soltanto�quella�or�ora�ricordata�la�nuova�area�della�giurisdizione�
esclusiva.�Si�e�attribuito,�infatti,�alla�giurisdizione�esclusiva,�anche�l'ampio�
settore�dei�servizi�pubblici.�

Va�detto�subito�che�la�linea�secondo�cui�il�giudice�amministrativo�risul-
terebbe�investito�oggi�di�una�universale�competenza�nel�campo�dei�servizi�
pubblici,�e�chiaramente�smentita�dal�tenore�della�stessa�legge.�

Quest'ultima�ha,�infatti,�previsto�che�le�controversie�in�materia�di�singoli�
contratti�di�utenza�e�tutta�la�materia�dell'illecito�aquiliano�prodotto�nell'espli-
cazione�del�servizio,�restano�nelle�mani�del�giudice�ordinario.�

Rimane�certo�un�delicato�quesito�al�quale�occorre�dare�risposta:�stabi-
lire�se�^al�di�fuori�delle�aree�direttamente�conferite�al�giudice�ordinarioo�
al�giudice�amministrativo�^debba�ritenersi�sussistente�una�generale�investi-
tura�residuale�come�giudice�dei�servizi�pubblici�a�favore�del�giudice�ammini-
strativo�o�se�^per�i�settori�ricadenti�nei�servizi�pubblici�ma�non�conferiti�
nominatim 
ne�al�giudice�ordinario�ne�al�giudice�amministrativo�^riprenda�
vigenza�la�clausola�generale�diritto-interesse�che�e�alla�base�del�nostro�
riparto�di�giurisdizione.�

A�questo�riguardo�non�combatterei��guerre�sante�:�lascerei�alla�Corte�di�
Cassazione�giudice�regolatore�della�giurisdizione�il�compito�di�definire�quale�
sia�la�interpretazione�da�seguire.

E�sempre�la�Cassazione�che�dovra�aiutarci�poi�a�sciogliere�anche�qual-
che�altro�nodo:�ricadono�nella�giurisdizione�dei�servizi�pubblici�(e�sono,�per-
cio�,�di�spettanza�del�giudice�amministrativo),�i�casi�nei�quali�il�gestore�di�ser-
vizi�pubblici�^spesso�operando�come�soggetto�privato�^si�approvvigiona�
sul�mercato�di�quanto�occorre�per�lo�svolgimento�del�servizio�pubblico?�

Un�certo�orientamento�giurisprudenziale,�soprattutto�dei�tribunali�
amministrativi�di�primo�grado,�ipotizza�che�tali�negozi�ricadano�nella�giuri-
sdizione�del�giudice�amministrativo.�

La�Cassazione,�invece,�nelle�due�o�tre�pronunce�che�si�sono�avute�in�
materia,�perviene�a�conclusioni�opposte.�

Sarei�francamente�convinto�che�anche�a�questo�proposito�debba�far�sen-
tire�la�sua�voce�il�giudice�regolatore�della�giurisdizione.�

Esauriti�i�problemi�in�tema�di�giurisdizione�mi�fermerei,�ancora,�su�
taluni�aspetti�concernenti�gli�atti�degradatori.�

Credo�che�si�consideri�correttamente�come�ipotesi�di�fatto�illecito�aqui-
liano�la�condotta�produttiva�di�danno�nello�svolgimento�del�potere�pubblico.�

Restano,�pero�,�marcate�differenze�tra�il�modo�di�concepire�l'illecito�
quando�di�questo�conosceva�il�giudice�ordinario�e�oggi,�quando�a�conoscere�
della�stessa�fattispecie�e�il�giudice�amministrativo.�


TEMI�ISTITUZIONALI�

In�primo�luogo,�piu�incisiva�che�in�passato�risulta�la�riparazione�suscet-
tibile�oggi�di�trovar�luogo�anche�nella�via�della�reintegrazione�in�forma�speci-
fica,�non�incontrando�il�giudice�amministrativo�i�limiti�ai�quali�soggiace,�
invece,�il�giudice�ordinario�nei�confronti�della�Pubblica�Amministrazione.�

Anche�sul�piano�sostanziale�qualche�modificazione�puo�essere�colta:�l'il-
lecito�consumato�attraverso�lo�svolgimento�del�potere�pubblico�non�si�lascia�
inquadrare,�puramente�e�semplicemente,�nell'illecito�aquiliano.�

Vi�sono�almeno�due�peculiarita�che�vanno�segnalate:�

a) 
si�sarebbe�molto�incerti�anzitutto�nel�ritenere�che�l'illecito�del�giu-
dice�amministrativo�presupponga�l'elemento�psicologico:�le�difficolta�quasi�
insuperabili�che�si�incontrano�nella�ricostruzione�di�tale�elemento�inducono�
a�preferire�una�soluzione�interpretativa�in�fondo�non�diversa�da�quella�
sostenuta�dallo�stesso�giudice�ordinario�prima�della�svolta�degli�anni�'90:�
dell'illecito�l'Amministrazione�risponde�anche�senza�elemento�soggettivo.�E�
cio�in�quanto�la�responsabilita�fondata�sulla�mera�illegittimita�dell'azione�
amministrativa�costituisce�un�ragionevole�bilanciamento�voluto�dall'ordina-
mento�per�far�da�contrappeso�al�carattere�autoritativo�del�provvedimento�
amministrativo.�

Non�e�irragionevole,�poi,�ipotizzare�(come�pure�si�e�affermato)�che�
l'art.�2058�del�codice�civile�possa�^in�presenza�dell'interesse�pubblico�^con-
sentire�al�giudice�di�lasciare�immodificati�gli�eventi�pur�reversibili�che�si�sono�
prodotti�se�l'interesse�pubblico�lo�suggerisce�assicurando�al�danneggiato�
una�somma�che�tenga�luogo�della�riparazione�in�forma�specifica.�

Su�di�un�ultimo�punto�debbo�richiamare�ancora�l'attenzione.�

E�sicuro�che�a�livello�di�giurisdizione�il�giudice�amministrativo�resta,�
ancora,�il�giudice�dell'interesse�legittimo:�ma�di�quale�interesse�legittimo?�

L'interesse�legittimo�ci�viene�restituito�dall'ordinamento�^come�si�accen-
nava�^con�diverse�fattezze�e�connotazioni.�

In�sostanza,�l'interesse�legittimo�non�e�piu�la�posizione�subalterna�
capace�di�ottenere�realizzazione�solo�in�quanto�l'interesse�individuale�coin-
cide�con�l'interesse�pubblico:�quando�la�saldatura�si�spezza�e�cessa�il�connu-
bio�tra�interesse�individuale�e�interesse�pubblico,�l'interesse�individuale�non�
e�piu�abbandonato�al�suo�destino�sprovvisto�di�ogni�tutela.�

Ad�esempio,�se�un�atto�amministrativo�vantaggioso�avrebbe�dovuto�
essere�adottato�in�un�certo�momento�e�non�lo�e�stato,�il�ritardo�puo�ottenere,�
d'ora�in�poi,�un�suo�ristoro,�a�favore�del�soggetto�che�e�stato�colpito�nel�suo�
interesse�(incapace,�ormai,�per�questo�aspetto,�di�vivere�in�simbiosi�con�l'inte-
resse�pubblico).�

Si�aprono,�pero�,�a�questo�punto�percorsi�irti�di�difficolta�che�la�giuri-
sprudenza�va�tracciando�(pur�se�con�le�cautele�che�la�situazione�richiede).�

Incerta�anzitutto�la�natura�della�lesione�dell'interesse�legittimo�preten-
sivo:�responsabilita�aquiliana�(come�ha�affermato�la�Cassazione�con�la�sen-
tenza�500�del�'99)�^o�responsabilita�contrattuale?�

Una�presa�di�posizione�a�questo�riguardo�e�scelta�non�priva�di�pratiche�
conseguenze:�una�cosa�e�,�ad�esempio,�il�regime�della�responsabilita�contrat-
tuale,�altra�e�quella�della�responsabilita�extracontrattuale�di�cui�pur�potrebbe�
ipotizzarsi�l'applicazione.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

E�ancora,�il�mistero�dell'interesse�legittimo�sostanziale��sperato��(le�ipo-
tesi�in�cui,�sostanzialmente,�l'atto�colpito�da�un�vizio�formale,�non�puo��essere�
ripetuto:�si�pensi�ad�una�aggiudicazione�annullata�per�un�vizio�formale,�ma�
con�un�contratto�che�e��stato�ormai�gia��aggiudicato�e�addirittura�eseguito).�

Certo,�se�il�soggetto�aveva�titolo�a�diventare�aggiudicatario,�il�pro-
blema�si�semplifica:�si�potra��risarcire�il�danno�conseguente�alla�mancata�
aggiudicazione.�

Ma�se�il�vizio�e��formale,�la�procedura�dovrebbe�essere�ripetuta:�ma�come�
si�puo��ripetere�una�procedura�che�non�puo��trovare�sbocco�in�un�contratto,�
perche�il�contratto�e��stato�ormai�aggiudicato�e�addirittura�eseguito?�

Ecco�allora�comparire�sulla�scena�quest'altra�figura�alla�quale�il�giudice�
amministrativo�si�va�avvicinando�con�titubanza�e�prudenza:�quella�responsa-
bilita��per�perdita�di�chances, 
mutuata�dall'ordinamento�civilistico.�

Gennaro 
Terracciano. 
Chiaramente�il�clima�adesso�e��meno�formale�del-
l'altro,�come�sara��nel�corso�del�Master,�anche�perche�il�lavoro�e��tanto,�quindi�
non�pensiate�che�in�questo�momento�vogliamo�fare�del�terrorismo�psicolo-
gico,�ma�la�verita��e��che�l'impegno�per�costruire�un�Master�di�questo�genere�
e��gia��stato�tanto.�C'e��una�grande�aspettativa�e,�soprattutto,�voi�siete�stati�
scelti�all'interno�di�richieste�che�hanno�superato�le�ottocento,�per�cui�c'e��una�
certa�pressione�sulla�Scuola�per�fare�altre�iniziative,�anche�per�consentire�a�
tutti�coloro�che�sono�rimasti�fuori�di�poterne�approfittare.�E�doveroso�da�
parte�nostra�e�vostra�condurre�tutte�le�attivita��in�modo�serio,�continuativo,�
in�modo�tale�che�le�finalita��didattiche�vengano�perseguite.�

Detto�questo,�naturalmente�passero��la�parola�a�coloro�che�certamente�
meglio�di�me�vi�possono�spiegare�l'organizzazione,�entrare�anche�nel�merito�
di�come�proseguire.�Voglio�dire�una�sola�cosa�perche�vi�sono�state�alcune�
domande�riferite�ad�una�mia�affermazione�fatta�all'inizio.�La�Scuola�e��pub-
blica,�molti�di�voi�lo�sanno�perche�provengono�dall'Amministrazione�dell'E-
conomia�e�delle�Finanze,�agenzie�e�cos|��via,�ma�e��bene�dire�che�la�Scuola�
nasce�nel�1957,�ex�Scuola�Centrale�Tributaria,�oggi�ha�una�fisionomia�diversa�
perche�e��aperta�all'esterno�tant'e��che�siete�qui,�nel�senso�che�una�volta�la�fre-
quenza�era�limitata�solamente�ai�funzionari�del�Ministero�delle�Finanze.�
Oggi�ha�un�nuovo�ordinamento�che�nasce�nel�2000,�ne�fa�una�scuola�post�
universitaria,�si�dice�di�alta�formazione;�il�concetto�di�alta�formazione�non�e��
valutativo,�di�merito,�ma�formale,�nel�senso�che�le�scuole�di�alta�formazione�
hanno�una�fisionomia�diversa�dalle�altre�scuole.�Ha�dei�regolamenti�in�
quanto,�per�fortuna,�approfittando�della�legislazione�Bassanini�c'e��stata�una�
forte�delegificazione�sulla�base�del�decreto�legislativo�n.�287�del�'99,�ha�una�
regolamentazione�che�e��abbastanza�vicina�a�quella�universitaria.�In�partico-
lare�-chi�volesse�puo��naturalmente�accedere�sul�sito�e�scaricarsi�tutta�la�disci-
plina�-noi�abbiamo�dei�regolamenti�ministeriali,�in�particolare�il�regola-
mento�didattico�e�di�ricerca�della�scuola,�che�fissa�alcuni�principi,�natural-
mente�in�pieno�accordo�con�il�M.I.U.R.,�che�e��il�ministero�vigilante�con�il�
quale�naturalmente�ci�confrontiamo�giornalmente.�Il�regolamento�che�pre-
vede�tra�i�principi�all'art.�2,�che�la�scuola�conforma�la�propria�attivita��anche�
alla�vigente�normativa�in�materia�universitaria,�alla�disciplina�generale�delle�


TEMI�ISTITUZIONALI�

attivita�didattiche�prevista�ai�sensi�del�decreto�del�Ministro�dell'Universita�e�
della�ricerca�scientifica�e�tecnologica,�n.�500�del�30�novembre�1999;�nonche�
al�regolamento�generale�sull'autonomia�degli�atenei,�pubblicato�nella�Gaz-
zetta 
Ufficiale 
del�4�gennaio�2000.�

Nel�regolamento�troverete�poi�anche�quelli�che�sono�i�settori�scientifico�
disciplinari,�universitari,�attivati�presso�la�scuola.�Troverete�il�regolamento�
dei�masters,�il�funzionamento�delle�aree�omogenee�e�in�particolare�anche�
tutta�la�disciplina�sulle�ulteriori�attivita�a�sostegno�del�sistema�universitario,�
quindi�la�descrizione�dei�titoli,�dei�corsi�di�studio�in�collaborazione�conle�
universita�degli�studi.�

Detto�questo,�ribadisco�quanto�ho�detto�prima:�la�scuola�non�e�ne�una�
facolta�,ne�una�universita�,�quindi�rilascia�un�titolo�di�studio�che�viene�deno-
minato��Master�,�che�ha�la�valenza�del�titolo�di�studio�universitario�perche�
e�costruito�esattamente�dal�punto�di�vista�regolamentare�come�un�Master�
universitario,�ma�non�e�titolo�universitario.�Questo�per�estrema�chiarezza,�
perche�i�titoli�universitari�sono�quelli�previsti�nel�decreto�del�M.I.U.R.�e�che�
possono�essere�rilasciati�solo�dalle�universita�,�ovvero�dalle�scuole�speciali�
universitarie�che�sono�due�in�Italia.�

Questo�significa�che�il�Master�e�comunque�rilasciato�ai�sensi�della�nor-
mativa�come�avete�visto�sicuramente�sul�bando,�ma�nel�senso�che�la�norma-
tiva�viene�pienamente�rispettata�con�riferimento�al�riconoscimento�dei�crediti�
formativi,�con�riferimento�alla�graduazione�delle�ore�di�lezione�e�delle�ore�di�
studio�a�casa,�con�riferimento�al�rispetto�dei�settori�scientifico-disciplinari�e�
dell'attribuzione�delle�docenze.�(omissis). 


Giuseppe 
Nerio 
Carugno. 
Il�progetto�formativo,�che�viene�oggi�presen-
tato,�rappresenta�una�novita�nel�panorama�dei�Master�ideati�negli�ultimi�
tempi�da�varie�realta�organizzative�nel�settore�del�diritto�amministrativo�e�
del�diritto�processuale.�

La�prima�peculiarita�sta�proprio�nell'impostazione�e�nella�logica�che�
anima�tutto�il�programma�del�Master.�

Essa�costituisce�il�risultato�di�una�profonda�riflessione,�di�un�confrontoe�
di�un�affinamento�che�ha�preso�le�mosse�dalla�consapevolezza�di�dover�ten-
dere�a�costruire�un�modello�formativo�che�non�si�limitasse�ad�offrire�trasferi-
menti�di�conoscenze�di�base,�ma�costituisse�un�progetto�specialistico�in�grado�
di�assicurare�il�perseguimento�di�obiettivi�di�livello�superiore.�

Del�resto,�l'esigenza�di�specializzazione�derivava�dalla�essenza�stessa�
della�iniziativa,�nella�misura�in�cui�verteva�sulla�difesa�in�giudizio�di�Pub-
bliche�Amministrazioni�e�quindi�su�un�tema�che�si�prestava�a�dover�
essere�analizzato�non�soltanto�sotto�il�profilo�della�illustrazione�teorica�
degli�istituti�o�attraverso�l'esame�delle�questioni�dibattute�in�dottrinae�
in�giurisprudenza,�ma�anche�e�soprattutto�attraverso�lo�studio�delle�tecni-
che�defensionali.�

Trattasi,�evidentemente,�di�un�segmento�di�azione�formativa�che�
richiede,�per�poter�essere�sviluppato,�la�collaborazione�attiva�di�coloroche�
sono�chiamati�a�partecipare�al�Master.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Di�qui,�l'attenzione�e�la�cura,�oltre�che�per�i�contenuti,�anche�dei�profili�
metodologici,�articolati�non�soltanto�sulla�tecnica�della��lezione�frontale�,�
caratterizzata�da�un�ruolo�attivo�del�docente�e�da�discenti�che,�nel�loro�
insieme,�funzionano�da�corpo�ricettore�delle�conoscenze�trasmesse�unilateral-
mente�e�dunque�rivestono�tendenzialmente�una�posizione�di�partecipazione�
passiva,�ma�anche�sulla�tecnica�della��lezione�interattiva�,�nella�quale�il�
gruppo�discente�assume�il�dominio�della�conduzione�delle�attivita��d'aula,�par-
tecipando�attivamente�alle�stesse,�organizzandole�o�comunque�orientandole�
in�maniera�determinante�sotto�la�guida,�la�direzione�e�il�coordinamento�del�
docente�o�di�piu��docenti.�

Proprio�per�favorire�tale�interazione,�sono�state�inserite�all'interno�del�
programma�del�Master�una�serie�di�linee�di�intervento�formativo�che�atten-
gono,�da�un�lato,�alla��comunicazione�forense��e,�quindi,�al�modo�di�comuni-
care�e�di�esprimersi�nel�momento�in�cui�si�imposta�e�si�sviluppa�l'attivita��
defensionale.�

Pertanto,�proprio�in�relazione�al�momento�propriamente�operativo,�e��
stata�prestata�attenzione�all'esigenza�di�prospettare�delle�tecniche�di�reda-
zione�degli�atti�processuali�che�tengano�conto,�sia�della�particolare�tipologia�
dello�schema�che�si�va�costruendo,�sia,�soprattutto,�della�necessita��che�sia�
rispettato�un�adeguato�e�corretto�livello�tecnico�nel�linguaggio�utilizzato.�

Del�resto,�non�poteva�certo�essere�trascurato�che�nell'atto�processuale�
debba�essere�garantito�tendenzialmente�anche�un�minimo�di�selezione�del�lin-
guaggio�utilizzato.�

Questo�presuppone�che�si�acquisisca�o,�quanto�meno,�si�discuta�della�
tecnica�per�la�redazione�di�un�atto�processuale.�

Una�volta�appresa�la�tecnica�di�redazione�dell'atto�e�compresa�la�rile-
vanza�del�metodo�di�comunicazione,�si�giunge�alla�fase�finale,�e�dunque�al�
momento�della�concreta�realizzazione�dell'atto�defensionale,�in�cui�esso�si�svi-
luppa�e�verifica�la�sua�efficacia�ed�operativita��.�

Di�qui,�l'idea�di�prevedere�incontri�dedicati�alla��simulazione�di�casi�
processuali�,�in�cui�l'aula�verra��suddivisa�in�gruppi�a�ciascuno�dei�quali�
dovrebbe�essere�assegnato�un�ruolo�all'interno�del�processo�sul�caso�prospet-
tato.�L'idea,�dunque,�e��quella�di�simulare�un�vero�e�proprio�processo,�discu-
tendo,�se�del�caso�a�margine�della�simulazione,�delle�questioni�teoriche�e�delle�
difficolta��pratiche�incontrate�nell'impostare�e�sviluppare�la�parte�assegnata�
a�ciascuno.�

Ovviamente,�un�progetto�formativo�cos|��articolato,�in�cui�si�combinano�
lezioni�teoriche,�analisi�di�casi�pratici,�le�tecniche�di�comunicazione�e�di�reda-
zione�degli�atti�processuali,�la�simulazione�di�un�processo,�rappresenta�una�
iniziativa�particolarmente�impegnativa�sia�nella�fase�della�ideazione,�che�
nella�impostazione,�nello�sviluppo,�e�nella�sua�realizzazione,�lo�diventa�
ancora�di�piu��quando�la�partecipazione�al�risulta�particolarmente�massiccia.�

E�noto,�infatti,�che�l'iniziativa�ha�avuto�un�successo�enorme,�come�e��
testimoniato�dal�numero�delle�domande�di�partecipazione,�che�ci�ha�sugge-
rito�di�prospettare�due�edizioni,�ciascuna�peraltro�con�la�partecipazionedi�
un�elevato�numero�di�discenti.�


TEMI�ISTITUZIONALI�

E�chiaro�che�organizzare�simulazioni�o�tecniche�di�redazione�di�atti,�
esercitazioni,�attivita�di�comunicazione�per�un'aula�media�di�venti�persone,�e�
una�cosa;�organizzarla�per�cento�persone�e�altra�cosa.�

Lo�sforzo�organizzativo,�dunque,�e�enorme�e�mira�ad�assicurare�che�
tutto�possa�riuscire�nel�migliore�dei�modi.�

A�tal�fine,�e�stata�prevista�anche�l'assistenza�di�tre�tutors, 
che�coadiuve-
ranno�il�personale�della�Scuola�nella�gestione�del�Master.�

Sara�consegnato�del�materiale�didattico�di�base,�quale�strumentazione�
minima�utile�per�impostare�il�lavoro.�

Saranno�i�singoli�docenti�a�valutare,�di�volta�in�volta,�l'opportunita�di�
distribuire�ulteriore�materiale�didattico�integrativo,�in�relazione�al�tema�trat-
tato�nel�proprio�intervento.�

Ovviamente,�sia�chi�vi�parla,�nella�sua�qualita�di�Precettore,�che�tutta�la�
struttura�dell'ufficio�Rettorato,�e�a�vostra�disposizione�per�qualsiasi�necessita�.�

Grazie�e�buon�lavoro�a�tutti.�

Federico 
Basilica. 
Sono�un�Avvocato�dello�Stato�e�mi�sono�occupato�del�
coordinamento�di�questa�iniziativa�di�formazione�avanzata.�Si�tratta�di�un'i-
niziativa�difficile:�voi�oggi�vedete�che�qui�e�tutto�pronto�e�ben�organizzato;�
in�realta�noi�stiamo�lavorando�da�mesi�a�questa�particolare�idea,�addirittura�
da�marzo�dello�scorso�anno.�

Si�era�pensato�inizialmente�di�fare�un�classico�Master�sulla�giustizia�
amministrativa,�nel�quale�avremmo�coinvolto�una�cinquantina�di�parteci-
panti�e�nel�quale,�naturalmente,�avremmo�chiamato�i�migliori�docenti�a�svol-
gere�delle�relazioni�sui�singoli�argomenti,�un�po'�come�si�fa�nelle�universita�.�
Poi�con�il�passare�del�tempo�ci�siamo�chiesti�a�cosa�potesse�servire�un�
approccio�di�questo�tipo�e�man�mano�e�venuta�fuori�un'idea�diversa.�

Se�mi�consentite,�direi�che�siamo�passati�da�una�impostazione�di�tipo�
stoico�ad�una�impostazione�socratica.�Sapete�che�gli�stoici�furono�i�primi�ad�
insegnare�la�filosofia�ed�i�primi�a�farsi�pagare�per�l'attivita�d'insegnamento.�
Socrate,�invece,�aveva�un'impostazione�diversa,�coinvolgeva�le�persone,�
faceva�parlare�i�suoi�interlocutori�sollecitandoli�con�le�domande,�in�pratica�
il�suo�insegnamento�si�incentrava�sul�dialogo,�per�cui�aveva�un��taglio��com-
pletamente�diverso�dall'impostazione�stoica.�

Ecco,�noi�abbiamo��sposato��questa�seconda�impostazione,�eliminando�
la�classica�lezione�che�ha�lasciato�il�posto�ad�una�serie�di�tavole�rotonde,�
anche�perche�sostanzialmente�di�un�master�di�tipo�classico�non�se�ne�sentiva�
alcun�bisogno;�naturalmente�ci�siamo�impegnati�in�un�progetto�difficile,�un�
progetto�che�deve�essere�in�grado�di�coinvolgervi,�di�interessarvi�e�di�farvi�
crescere,�perche�altrimenti�diventerebbe�un'iniziativa�sostanzialmente�inutile.�

Siamo�incoraggiati�nei�nostri�propositi�dall'altissimo�numero�di�adesioni�
che�conferma�in�maniera�inequivocabile�il�grande�interesse�per�un�Master�di�
questo�tipo:�ogni�giornata�di�lezione�sara�,�dunque,�tenuta�non�dal�professore�
che�si�mette�in�cattedra�e�vi�fa�la�lezione�di�tipo�stoico,�ma�da�un�pool,e�
quindi�da�un�gruppo�di�docenti.�Avrete�a�vostra�disposizione,�sul�singolo�
tema,�i�diversi�punti�di�vista,�quello�del�giudice,�quello�dell'avvocato�dello�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Stato,�dell'avvocato�di�ente�pubblico�in�genere�e�quello�del�difensore�del�
libero�foro.�A�queste�voci�molto�spesso�si�aggiungera��quella�del�professore�
universitario.�

Tutto�cio��e��utilissimo�e�se�ne�e��avuta�prova�oggi:�mi�ero�preparato�un�bel�
discorso�introduttivo,�ma�e��forse�piu��importante�puntualizzare�alcuni�aspetti�
toccati�dalle�relazioni�che�mi�hanno�preceduto.�

L'utilita��di�questo�approccio,�del�resto,�e��dimostrata�proprio�da�quanto�
abbiamo�sentito�oggi�nell'intervento�autorevolissimo�del�Presidente�De�
Roberto,�il�quale,�in�particolare,�ha�fatto�una�serie�di�osservazioni�che�solleci-
tano�un�approfondimento,�a�proposito�dell'annoso�problema�della�risarcibi-
lita��del�danno�per�lesioni�di�interesse�legittimo.�

Si�e��sostenuto�che�la�P.A.�non�puo��piu��avere�una�posizione�di�privilegio,�
poiche�dopo�la�sentenza�500�del�'99�delle�Sezioni�Unite�della�Cassazione�e��
caduto�il�mito�della�irrisarcibilita��del�danno�per�lesioni�di�interesse�con�la�
conseguente�imputazione�della�relativa�responsabilita��a�carico�della�pubblica�
amministrazione.�

Come�addossare�alla�P.A.�questa�responsabilita��?�Ora�che�la�giurisdi-
zione�e��passata�al�Consiglio�di�Stato,�a�seguito�della�legge�n.�205/2000,�
cominciano�i�primi�problemi�interpretativi,�che�riguardano�in�particolare�i�
criteri�di�imputazione�della�responsabilita�.�Il�Presidente�De�Roberto�ci�
ricorda�che�la�sentenza�500�del�`99�afferma�che�e��necessario�l'elemento�sog-
gettivo.�A�me�sembra�che�la�Cassazione�non�potesse�dire�altro,�avendo�argo-
mentato�la�sua�ricostruzione�in�base�all'art.�2043�c.c.�che�e��,�appunto,�la�
norma�generale�sull'illecito�aquiliano�e�che�dispone�che�non�si�puo��prescin-
dere�dalla�colpa�per�l'imputazione�della�responsabilita��extracontrattuale.�Il�
Presidente�De�Roberto�ha,�pero��,�aggiunto�che,�se�per�le�Sezioni�Unite�sono�
necessari�dolo�e�colpa,�forse�si�dovrebbe�arrivare�ad�immaginare�un�meccani-
smo�diverso�di�imputazione�soggettiva�della�responsabilita��,�cioe��una�sorta�di�
colpa�presunta.�

Vedevo�i�miei�colleghi�dell'Avvocatura,�tra�loro�l'avv.�Fiumara,�l'avv.�
Linguiti,�che�sono�letteralmente�saltati�sulla�sedia.�

E�chiaro�infatti�che�la�P.A.�deve�perdere�la�sua�posizione�di�privilegio,�
ma�non�si�puo��arrivare�all'opposto�riservandole�una�posizione�di�svantaggio:�
non�si�puo��e�non�si�deve�passare�dal�privilegio�allo�svantaggio.�Per�il�comune�
cittadino�l'imputazione�della�responsabilita��si�modella�secondo�il�classico�cri-
terio�dell'imputazione�per�colpa�e�l'art.�2043�c.c.�e��una�norma�che�pone�dei�
presupposti�imprescindibili,�in�virtu��dei�quali�si�ha�imputazione�per�colpa,�
per�qualunque�fatto�che�produca�ad�altri�un�danno�ingiusto.�Ma�la�norma�
specifica:�qualunque�fatto�doloso�o�colposo.�Non�dice�qualunque�fatto�e�
basta.�Se�non�c'e��la�colpa,�pertanto,�non�si�risponde�del�danno.�

E�dunque�discutibile�la�tesi�della�colpa�presunta.�Chiaramente�qui�l'ap-
proccio,�il�punto�di�vista�del�difensore�della�parte�pubblica�puo��essere�utile�
a�spiegare�che�non�si�tratta�di�bilanciare�una�posizione�di�supremazia�spe-
ciale.�Il�Presidente�dice�che�la�P.A.�agiva�in�posizione�di�supremazia�speciale,�
ma,�come�molti�di�voi�sapete�bene,�non�e��che�agiva�in�posizione�di�suprema-
zia�speciale�perche�lo�aveva�scelto�o�gli�conveniva:�ma�quella�posizione�gli�
era�riconosciuta�dall'ordinamento�a�tutela�di�un�interesse�pubblico.�


TEMI�ISTITUZIONALI�

Ergo:�se�la�P.A.�ha�esercitato�una�posizione�di�supremazia�speciale�a�
tutela�di�un�interesse�pubblico,�l'imputazione�della�responsabilita�comunque�
non�puo�prescindere�dal�presupposto�della�colpa.�Vedete�come�i�punti�di�vista�
sono�diversi�e�com'e�utile�che�su�singoli�argomenti�si�ascoltino�piu�voci,�per-
che�il�dibattito�si�arricchisce�e�sicuramente�i�risultati�sono�per�voi�piu�utili.�

Noi�abbiamo�preferito�offrirvi�sui�singoli�argomenti�una�visione�piu�
ampia,�una�visione�d'insieme�e�siamo�sicuri�che,�con�le�forze�che�abbiamo�
messo�in�campo�ci�riusciremo.�Se�andate�a�scorrere�l'elenco�dei�docenti�c'e�
quasi�tutto�il�ruolo�del�Consiglio�di�Stato�e�quasi�tutto�il�ruolo�dell'Avvoca-
tura�dello�Stato,�tanti�professori�universitari,�i�migliori,�tanti�avvocati�ammi-
nistrativisti�autorevoli.�

In�definitiva�e�a�vostra�disposizione�uno�sforzo�enorme.�Siamo�sicuri�che�
i�risultati�verranno.�

Maria 
Gentile. 
Aggiungero�poco�rispetto�a�quanto�e�stato�detto�durante�
la�mattinata.�E�sicuramente�vero�quanto�ha�detto�l'avvocato�Basilica,�cioe�
che�vi�e�stato�da�parte�nostra�lo�sforzo�per�concepire�un�qualche�cosa�di�
diverso�da�quanto�gia�viene�offerto�in�questa�materia;�ci�siamo,�infatti,�voluti�
soffermare�sul�punto�di�vista�di�chi�debba�difendere�la�Pubblica�Amministra-
zione,�sia�esso�dipendente�pubblico�o�libero�professionista.�Si�e�cercato�
quindi�di�pensare,�anche�in�sede�di�redazione�del�programma,�ad�un�qualche�
cosa�che�si�potesse�concepire�e�vedere�dal�punto�di�vista�del�difensore�del-
l'Amministrazione.�

Gia�questo�e�sintomatico�del�tipo�di�percorso�che�voi�andrete�a�fare;�
naturalmente�da�parte�nostra�l'auspicio�e�che�non�siano�deluse�le�nostre�e�le�
vostre�aspettative�perche�,�come�dicevano�i�miei�colleghi,�noi�crediamo�ferma-
mente�in�questa�iniziativa�ed�abbiamo�ragione�di�confidare�nel�suo�successo�
in�quanto�siamo�assistiti�e�confortati�in�cio�sia�dai�qualificati�docenti�di�cui�
si�faceva�menzione,�sia�da�voi�stessi�e�dalla�vostra�attiva�partecipazione�e�dal-
l'impegno�che�profonderete�durante�questo�percorso.�

Assai�significativo�quanto�stamattina�ci�hanno�rappresentato�gli�autore-
voli�relatori;�in�particolare�mi�hanno�colpito�le�parole�del�Presidente�De�
Roberto,�il�quale�ha�evidenziato�i�grandissimi�cambiamenti�che�hanno�carat-
terizzato�la�materia�in�questi�ultimi�anni.�L'esigenza�di�questo�Master�viene�
fuori�proprio�dalla�necessita�di�un�aggiornamento�della�materia,�ma�fac-
ciamo�attenzione�agli�ulteriori�cambiamenti�che�ci�potranno�ancora�essere;�
si�tratta,�ripeto,�di�una�materia�in�continua�evoluzione�per�cui�e�difficile,�da�
parte�di�chi�dovra�tenere�le�relazioni,�mantenere�il�passo,�per�esempio,�con�
una�giurisprudenza�che�e�in�costante�evoluzione.�

Stamattina�il�Presidente�De�Roberto,�illustrando�il�caso�dell'aggiudica-
zione�e�della�successiva�stipula�del�contratto�in�materia�di�appalto,�si�poneva�
il�problema�di�quanta�effettivita�ci�potesse�essere�in�quel�tipo�di�tutela�che�
non�riconosceva�ante 
causam 
la�possibilita�di�impedire�la�stipula�del�con-
tratto.�Proprio�lo�scorso�10�marzo,�cioe�solo�pochi�giorni�fa,�e�stato�emanato�
un�decreto�presidenziale�dal�TAR�Lombardia,�sezione�di�Brescia,�con�il�quale�
e�stato�accordato�un�provvedimento�cautelare�in�questa�materia�ex 
art.�669�
sexies 
c.p.p.�E�vero:��una�rondine�non�fa�primavera�,�pero�c'e�,�quindi�in�qual-


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

che�modo�se�ne�deve�pure�parlare�e�tenere�conto,�e�,�in�sostanza,�una�tematica�
che�deve�essere�affrontata.�In�questo�senso�noi�abbiamo�voluto,�nella�scelta�
del�materiale�didattico,�lasciare�un�margine�ampio�ai�docenti�che�man�mano�
verranno�a�parlare�dei�singoli�argomenti;�essi�ci�proporranno�le�ultime�novita�
in�materia�sia�della�dottrina�che�della�giurisprudenza.�

L'idea�e�stata,�quindi,�quella�di�fornirvi�come�materiale�didattico�di�base�
il�minimo�indispensabile,�perche�abbiamo�ritenuto�che�non�vi�serva�il�
manuale�classico,�istituzionale,�che�sicuramente�tutti�avrete�e�che�certo�cono-
scete�perche�siete�tutti�laureati�in�giurisprudenza;�distribuiremo,�invece,�man�
mano�materiale�su�quelle�che�potranno�essere�le�novita�dell'�ultimora,�perche�
purtroppo�non�c'e�nulla�di�scontato�ormai�in�questa�materia,�e�tutto�un�con-
tinuo�riflettere,�un�continuo�doversi�aggiornare�e�anche�capire�quello�che�
accade�intorno�a�noi.�

Come�presentazione�del�Master�mi�pare�che�abbiamo�affrontato�tutti�gli�
aspetti,�ora�e�il�tempo�di�dare�spazio�alle�vostre�domande.�

Ermanno 
De 
Francisco. 
Vorrei�semplicemente�dire�pubblicamente�una�
cosa�che�altrimenti�avrei�detto�privatamente�agli�organizzatori�alla�finedi�
questo�incontro.�I�Masters�hanno�profili�prevalentemente�procedurali,�oltre�
ai�molti�sostanziali,�bisognerebbe�tenere�in�qualche�misura�conto�del�fatto�
che�e�stato�gia�approvato�in�via�definitiva�e�pubblicato�in�Gazzetta�un�
decreto�legislativo�che�riforma�completamente�il�processo�societario;�ilche�
rileverebbe�assai�poco�ai�nostri�fini,�se�non�sapessimo�che�questa�e�,�verosimil-
mente,�l'anticipazione�di�quella�generale�riforma�del�processo�civile,�che�
dovrebbe�approdare�in�Parlamento�nei�prossimi�mesi,�nota�come��progetto�
Vaccarella�.�

Tutto�questo,�se�si�guarda�ad�un�futuro�non�dico�a�brevissimo,�ma�a�
medio�termine�ha�sicuramente�dei�riflessi�anche�sul�giudizio�amministrativo�
in�quanto�sappiamo�che�in�misura�controversa,�potremmo�forse�dire��supple-
tiva�,�il�codice�di�procedura�civile�trova�ampia�applicazione�anche�nel�pro-
cesso�amministrativo,�laddove�quest'ultimo�non�abbia�una�propria�disciplina�
specifica�nelle�leggi�speciali�che�lo�riguardano,�e�cioe�,�essenzialmente,�la�legge�

n.�1034�del�1971,�nonche�il�regolamento�di�procedura�n.�642�del�1907�e�quelle�
poche�altre�norme�ancora�applicabili�del�Testo�Unico�1054�del�1924,�tutto�
come�integrato�e�modificato,�parzialmente,�dalla�legge�n.�205�del�2000;�pero�
non�c'e�dubbio�^ripeto�^che�un�grosso�ambito,�o�analogico�o�semplicemente�
suppletivo,�e�svolto�dal�codice�di�procedura�civile.�Se�noi�pensiamo�che�la�
riforma,�che�e�gia�legge�dello�Stato,�sebbene�con�applicazione�rinviata�al�pri-
mo�gennaio�2004,�del�processo�societario�preludera�,�si�suppone,�alla�riforma�
generale�del�processo�civile,�segnalo�l'opportunita�che�tutto�questo�costituisca�
oggetto�di�una�marginale,�piccola,�ma�forse�non�del�tutto�assente�trattazione�
del�corso�di�questo�nostro�futuro�lavoro�nell'ambito�del�Master.�
Per�dire�il�rilievo�di�questa�futura�modifica,�con�specifico�riferimento�
alle�amministrazioni�pubbliche,�mi�viene�in�mente�un�esempio:�il�nuovo�rito�
prevede�che�la�contumacia,�o�addirittura�la�tardiva�costituzione�(salvo�il�
potere�del�giudice�di�rimettere�in�termini�la�parte),�implica�la�piena�prova�


TEMI�ISTITUZIONALI�

dei�fatti�affermati�dall'attore.�Questo�per�la�difesa�delle�amministrazioni�pub-
bliche,�almeno�rispetto�agli�attuali�assetti�(piu�culturali�che�processuali),�
secondo�me�e�dirompente.�

E�notorio�che�spesso�le�amministrazioni�si�costituiscono�non�propria-
mente�in�modo�ultratempestivo,�seppure�si�costituiscono,�quando�il�giudice�
non�si�trova�costretto�a�svolgere�un�improprio�ruolo�di�supplenza�della�difesa�
della�parte�che�ancora�non�si�e�costituita.�

Tutto�questo,�in�presenza�di�una�norma�del�genere,�(ferma�ovviamente�la�
possibilita�di�remissione�in�termini,�che�e�espressamente�prevista�e�che�potra�
probabilmente�essere�applicata�in�un�numero�maggiore�di�casi),�non�potra�
non�avere�un�impatto��forte��sulla�difesa�delle�amministrazioni.�

E�solo�un�dettaglio,�questo�della�disciplina�della�contumacia;�peraltro,�il�
processo�che�si�introduce�in�quell'ambito�e�molto�diverso�dal�processo�che�
conosciamo�ed�e�molto�piu�simile�al�processo�romano�classico�per 
formulas.�
Non�e�ovviamente�questo�l'oggetto�del�seminario,�tuttavia�volevo�segnalare,�
con�l'occasione,�che�questo�e�un�settore�del�quale�forse�non�sarebbe�oppor-
tuno�dimenticarsi�completamente.�

Giuseppe 
Nerio 
Carugno. 
Ringraziamo�il�Consigliere�di�Stato�De�Franci-
sco�che,�come�avete�capito,�si�e�candidato�a�tenere�la�lezione�in�qualita�di�
interprete�autentico�di�questa�riforma,�visto�che�fa�parte�della�commissione�
Vaccarella,�ovviamente�sia�nella�veste�di�Consigliere�di�Stato,�ma�anche�in�
rappresentanza�dell'Ufficio�legislativo�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�
Ministri,�di�cui�e�vice-capo.�

Cogliamo�sicuramente�questo�preziosissimo�contributo�e�lo�investiamo�
pubblicamente�di�questo�impegno�per�cui�lo�ringraziamo�anticipatamente.�


Ilcontenzioso
comunitario
edinternazionale
Ilcontenzioso
comunitario
edinternazionale
Le 
Regioni 
e 
le 
relazioni 
internazionali 
e 
comunitarie 
(*)�

1.�Il�presente�contributo�sulla�riforma�del�Titolo�V�della�Costi-
tuzione�italiana�si�colloca�nel�rapporto�tra�l'ordinamento�nazionale�
e�quello�comunitario�in�relazione�all'adempimento�degli�obblighi�che�
derivano�dal�Trattato.�In�sintesi,�i�temi�sono�quello�della�competenza�
per�la��fase�ascendente��e�la��fase�discendente��in�materia�comunita-
ria�e�quello�degli�strumenti�di�sostituzione�alle�inadempienze�delle�
Regioni�agli�obblighi�comunitari.�
Le�disposizioni�costituzionali�che�assumono�rilievo�sono�gli�arti-
coli�117,�relativo�alla�potesta�normativa�e�alla�competenza�delle�
Regioni�e�degli�altri�enti�territoriali,�e�l'articolo�120,�comma�2,�che�
disciplina�il�potere�sostitutivo�nei�confronti�di�Regioni,�Citta�metro-
politane,�Province�e�Comuni.�

2.�L'articolo�117�ripartisce�i�poteri�legislativi�ordinari�tra�lo�
Stato�e�le�Regioni,�prescrivendo�che�spetta�alla�Regione�la�potesta�
legislativa�in�tutte�le�materie�nelle�quali�la�Costituzione�non�preveda�
una�potesta�legislativa�statale.�
Lo�Stato,�in�linea�di�principio,�ha�potesta�legislativa�ordinaria�
solo�nelle�materie�nelle�quali�tale�potesta�e�espressamente�ricono-
sciuta�ad�esso,�mentre�le�Regioni�hanno�potesta�legislativa�in�tutte�
le�rimanenti�materie,�in�esclusiva�o�in�concorrenza�con�la�legislazione�
statale.�

(*)�Relazione�tenuta�dall'avvocato�dello�Stato�Maurizio�Fiorilli�al�Convegno�
sull'Ordinamento 
comunitario 
e 
ordinamento 
interno 
dopo 
il 
nuovo 
Titolo 
V 
della 
Costituzione 
italiana, 
tenutosi�a�Roma,�Palazzo�Spada,�il�14�luglio�2003.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Tuttavia,�poiche�la�potesta�legislativa�ordinaria�in�relazione�alle�
parti�maggiori�dell'ordinamento�giuridico�(diritto�civile,�diritto�
penale,�diritto�processuale)�spetta�allo�Stato,�piu�precisamente�si�
dovrebbe�dire�che�alle�Regioni�spetta�la�potesta�legislativa�residuale,�
ma�solo�in�relazione�a�quella�che�a�sua�volta�potrebbe�chiamarsi�
�parte�residua��dell'ordinamento,�cioe�in�relazione�a�quello�che�resta�
tolti�(oltre�alle�materie�connesse�alla�sovranita�)�quelli�che�tradizional-
mente�ed�ovunque�sono�i�grandi�settori�dell'ordinamento�giuridico,�
costituiti�dal�diritto�civile,�dal�diritto�penale�e�dal�diritto�processuale.�

Inoltre,�alcune�delle��materie��assegnate�in�esclusiva�allo�Stato�
sono,�in�realta�,�clausole�che�autorizzano�il�legislatore�statale�ad�inter-
venire�in�qualunque�materia�per�le�finalita�indicate�dalla�norma,�ad�
esempio,�per�fissare�livelli�minimi�di�prestazione�a�tutela�dei�diritti�
civili�e�sociali.�

Conclusivamente,�si�deve�registrare�in�tema�di�potesta�legislativa�
una�tripartizione.�Da�una�parte�stanno�le�materie�ed�in�genere�gli�
oggetti,�i�compiti�e�le�finalita�in�relazione�ai�quali�la�Costituzione�
ravvisa�un�interesse�nazionale�conformato�in�modo�da�richiedere�
che�il�potere�legislativo�sia�esercitato�dal�solo�legislatore�nazionale;�
in�una�seconda�stanno�le�materie�per�le�quali�la�Costituzione�ravvisa�
un�interesse�regionale�intrecciato�ad�un�interesse�nazionale,�che�giu-
stifica�una�competenza�legislativa�statale�di�principio;�nella�terza�
stanno�le�altre�materie,�affidate�alla�legislazione�regionale.�La�com-
petenza�comunitaria�si�spalma�su�tutti�e�tre�i�settori,�e�quindi�l'inda-
gine�deve�essere�condotta�unitariamente.�

Nel�recepimento�della�norma�comunitaria,�o�comunque�nell'a-
dempimento�degli�obblighi�che�discendono�dal�Trattato,�dovra�
tenersi�conto�dell'assetto�e�del�significato�delle�attribuzioni�di�compe-
tenza�legislativa,�anche�se�non�sussiste�un�esatto�parallelismo�tra�
potere�legislativo�e�potere�amministrativo�di�esecuzione.�

3.�Sono�di�competenza�esclusiva�dello�Stato:�
a) 
le�competenze�collegate�ai�poteri�sovrani�e�alla�identita�sta-
tale:�si�tratta�di�materie�che�riguardano�lo�Stato,�come�soggetto�di�
diritto�internazionale�o,�comunque,�riguardano�l'identificazione�dei�
suoi�elementi�essenziali,�ed�in�particolare�l'elemento�personale�(i�rap-
porti�internazionali�e�comunitari,�la�politica�di�difesa,�la�moneta�e�il�
sistema�valutario,�i�tributi�e�la�contabilita�,�l'ordine�pubblico�e�sicu-
rezza,�la�politica�locale,�i�rapporti�con�le�comunita�religiose);�

b) 
le�competenze�relative�ad�organismi�statali�e�competenze�
relative�agli�enti�locali;�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


c) 
le 
competenze 
relative 
alle 
fondamentali 
materie 
costitu-
tive 
dell'ordinamento 
giuridico 
(codici 
e 
materie 
connesse, 
restano 
pero� 
da 
risolvere 
i 
problemi 
delle 
interferenze 
con 
materie 
di 
compe-
tenza 
regionale); 


d) 
competenze 
collegate 
a 
compiti 
di 
garanzia 
del 
sistema 
economico 
e 
dello 
Stato 
sociale 
(tutela 
della 
concorrenza; 
perequa-
zione 
delle 
risorse 
finanziarie; 
livelli 
essenziali 
di 
prestazioni 
^si 
tratta 
di 
una 
competenza 
trasversale 
per 
eccellenza: 
infatti, 
in 
virtu� 
di 
essa 
la 
legge 
statale 
puo� 
intervenire 
in 
qualunque 
materia, 
quando 
siano 
in 
gioco 
prestazioni 
concernenti 
i 
diritti 
civili 
e 
sociali, 
di 
cui 
debbono 
essere 
stabiliti 
livelli 
da 
garantire 
a 
tutti 
in 
condizioni 
di 
uguaglianza; 
tutela 
dell'ambiente). 


4. 
In 
particolare, 
per 
quanto 
concerne 
la 
competenza 
esclusiva 
in 
materia 
di 
rapporti 
internazionali 
e 
comunitari, 
si 
tratta 
della 
poli-
tica 
estera 
e 
dei 
rapporti 
dello 
Stato 
con 
l'Unione 
Europea, 
tale 
espressione 
viene 
assunta 
per 
indicare, 
sinteticamente, 
l'insieme 
delle 
istituzioni 
comunitarie, 
e 
non 
nel 
senso 
specifico 
proprio 
del 
diritto 
comunitario. 
L'espressione 
�Stato� 
nella 
disposizione 
si 
riferisce 
all'intero 
ordinamento 
inteso 
nella 
sua 
unita� 
, 
e 
non 
allo 
Stato, 
come 
soggetto 
giuridico, 
indicato 
nell'articolo 
114; 
si 
vuol 
dire, 
insomma, 
che 
in 
questo 
tipo 
di 
rapporti 
il 
legislatore 
statale 
opera 
per 
l'intera 
�Repubblica�. 
Prima 
della 
riforma 
costituzionale 
l'ordinamento 
italiano 
era 
improntato 
al 
principio 
della 
attribuzione 
in 
via 
esclusiva 
allo 
Stato 
del 
potere 
estero. 
La 
soggettivita� 
internazionale 
dello 
Stato 
e� 
consi-
derata 
una 
componente 
essenziale 
della 
sovranita� 
. 
Solo 
lo 
Stato 
puo� 
assumere 
obblighi 
giuridici 
attraverso 
i 
trattati, 
solo 
lo 
Stato 
e� 
responsabile 
delle 
conseguenze 
di 
eventuali 
inadempimenti 
o 
infra-
zioni 
agli 
obblighi 
assunti, 
e 
quindi 
solo 
lo 
Stato 
puo� 
emanare 
atti 
diretti 
all'esecuzione 
dell'obbligo. 


L'eventuale 
pertinenza 
dell'obbligo 
assunto 
a 
materia 
di 
compe-
tenza 
di 
enti 
a 
soggettivita� 
interna 
non 
limita 
la 
competenza 
dello 
Stato 
nell'esercizio 
del 
potere 
estero. 
La 
vigenza 
di 
questo 
principio 
ha 
comportato 
una 
compressione 
alle 
competenze 
della 
Regione, 
che 
pure 
e� 
ente 
costituzionalmente 
garantito 
quanto 
all'esistenza 
e 
alla 
competenza. 
Le 
Regioni 
non 
potevano 
assumere 
alcuna 
inizia-
tiva 
che 
interferisse 
con 
la 
politica 
estera 
del 
Governo 
e 
qualsiasi 
impegno 
assunto 
dallo 
Stato 
con 
gli 
strumenti 
del 
diritto 
internazio-
nale 
comportava 
un 
limite 
tassativo 
per 
l'attivita� 
della 
regione, 
cui 
era 
negato 
anche 
il 
potere 
di 
emanare 
atti 
rivolti 
all'adempimento 
dell'obbligo. 



RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Anche�l'appartenenza�dell'Italia�alla�Comunita�europea�era�(e�
forse�in�parte�resta�ancora)�rubricata�come��rapporti�internazionali��
e�ad�essa�formalmente�e�sostanzialmente�assimilata�ai�fini�del�rela-
tivo�potere�di�iniziativa�e�le�conseguenti�responsabilita�o�per�inadem-
pimento,�con�la�conseguenza�che�in�proporzione�all'aumento�delle�
competenze�comunitarie�si�e�avuta�una�compressione�delle�compe-
tenze�regionali.�

Il�quadro�stabilizzato�prima�della�riforma�costituzionale�puo�
essere�riassunto�nei�termini�seguenti:�

^Lo�Stato�ha�il�monopolio�della�politica�estera.�La�Regione,�
nell'ambito�della�propria�competenza,�puo�svolgere�all'estero�attivita�
promozionali�(per�esempio,�dei�prodotti�tipici,�dell'offerta�turistica�
ecc.:�il�c.d.�marketing�territoriale)�e�attivita�di�rilievo�internazionale�
(ossia�quelle�attivita�di�studio,�di�scambio�di�informazioni,�di�collabo-
razione�transfrontaliera,�di�proposta�ed�iniziativa�congiunte�che�pero�
non�comportino�l'assunzione�di�impegni�dai�quali�derivino�obblighi�
per�lo�Stato).�L'attivita�estera�della�Regione�e�soggetta�al�principio�
di�leale�collaborazione,�cioe�di�previa�informazione�o�previo�assenso�
(in�relazione�alla�rilevanza�della�programmata�attivita�)�del�Governo.�

^L'esecuzione�degli�obblighi�internazionali�e�attribuita�allo�
Stato�a�livello�nazionale,�Regioni�ed�enti�locali�possono,�invece,�
dare�esecuzione�ai�trattati�nelle�materie�di�rispettiva�competenza.�

^E�stata�riconosciuta�alla�Regione�una�limitata�possibilita�di�
intervento�nella�formazione�delle�politiche�comunitarie�e�degli�atti�
normativi.�A�parte�la�presenza�istituzionale�a�livello�comunitario�nel�
Comitato�delle�Regioni,�dal�1994�e�consentito�alla�Regione�di�intrat-
tenere,�senza�obblighi�di�intesa�o�di�previa�informazione,�rapporti�
diretti�con�le�istituzioni�comunitarie�e�dal�1996�di�aprire�uffici�di�col-
legamento�a�Bruxelles�e�dal�1998�la�Rappresentanza�permanente�ita-
liana�a�Bruxelles�e�integrata�da�quattro�funzionari,�designati�dalla�
Conferenza�Stato-Regioni.�Le�Regioni�possono�segnalare�alla�
Rappresentanza�italiana�affari�di�loro�interesse�e�poi�sono�coinvolte�
nella�formazione�della�volonta�italiana�nella�elaborazione�degli�atti�
comunitari�attraverso�le��sessioni�comunitarie��semestrali�della�Con-
ferenza�Stato-Regione.�

^Quanto�alla�fase�discendente�delle�politiche�comunitarie,�dal�
1998�e�previsto�che�tutte�le�Regioni�possano�(e�debbano)�dare�attua-
zione�immediata�alle�direttive,�oltre�che�ai�regolamenti�comunitari,�
potendo�scegliere�se�procedere�per�via�legislativa�o�per�via�ammini-
strativa;�salvo,�comunque,�l'obbligo�di�adeguare�le�proprie�norme�alle�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�

successive�leggi�statali�di�attuazione�secondo�le�regole�costituzionali.�
Proprio�in�relazione�ad�eventuali�inadempienze�delle�Regioni�nell'at-
tuazione�degli�obblighi�comunitari,�la�Corte�Costituzionale�ha�rico-
nosciuto�allo�Stato�forti�poteri�di�intervento�in�via�preventiva,�attra-
verso�la�emanazione�di�atti�di�indirizzo�e�coordinamento�e�di�norme�
legislative�di�dettaglio�con�valore�suppletivo;�sia�successivo,�con�l'atti-
vazione�del�potere�sostitutivo.�

5.�Con�la�formula�della�potesta�legislativa�concorrente�(arti-
colo�117,�comma�3)�la�Costituzione�indica�materie�in�relazione�alle�
quali�assegna�bens|�potesta�legislativa�alle�Regioni,�ma�nelle�quali�
individua�speciali�esigenze�di�unitarieta�da�soddisfare�mediante�una�
legislazione�statale�che�tracci�i�principi�fondamentali.�
Tra�le�materie�di�competenza�ripartita�vi�e�quella�dei�rapporti�
internazionali�e�con�l'Unione�Europea�delle�Regioni.�Il�parallelismo�
con�la�competenza�statale�di�cui�alla�lettera�a) 
del�comma�2�^peral-
tro�con�la�significativa�esclusione�della�politica�estera�dalla�compe-
tenza�regionale�^non�puo�nascondere�la�fondamentale�diversita�della�
posizione�regionale.�

La�potesta�legislativa�regionale�per�quanto�riguarda�i�rapporti�
internazionali�potra�riguardare�da�un�lato�gli�aspetti�organizzativi�e�
procedimentali�della�propria�attivita�,�dall'altro�le�norme�eventual-
mente�necessarie�per�recepire�nell'ordinamento�regionale�il�contenuto�
degli�accordi�stipulati,�in�conformita�a�quanto�disposto�dal�comma�9�
dell'articolo�117,�secondo�il�quale��nelle�materie�di�sua�competenza�
la�Regione�puo�concludere�accordi�con�Stati�e�intese�con�enti�territo-
riali�interni�ad�altro�Stato,�nei�casi�e�con�le�forme�disciplinati�da�leggi�
dello�Stato�.�La�disciplina�dei�casi 
e�delle�forme 
di�possibile�conclu-
sione�di�tali�accordi�dovrebbe�essere�l'oggetto�specifico�delle�norme�
di��principio��della�legge�statale.�

Analogamente,�anche�per�la�competenza�legislativa�in�materia�di�
rapporti�con�l'Unione�Europea�si�tradurra�principalmente�in�norme�
organizzative�e�procedimentali.�La�mancata�attribuzione�di�un�
potere��comunitario��esclude,�peraltro,�che�la�Regione�possa�assu-
mere�direttamente�obblighi�con�l'Unione�Europea�che�implichino�l'e-
sercizio�di�attivita�normativa.�Nei�limiti�in�cui�possono�assumere�
direttamente�obblighi�giuridici�con�l'Unione�Europea,�peraltro,�e�da�
verificare�se�si�estenda�allo�Stato�la�responsabilita�per�l'inadempi-
mento.�La�risposta,�in�via�generale,�sembra�essere�positiva�e,�quindi,�
in�presenza�di�un�inadempimento�della�Regione,�lo�Stato�e�legitti-
mato�ad�agire�in�sostituzione�della�Regione�inadempiente.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

6.�L'articolo�117,�primo�comma,�pone�all'esercizio�del�potere�
legislativo�il�vincolo�del�rispetto�dell'ordinamento�comunitario�e�degli�
obblighi�internazionali.�La�disposizione,�da�interpretarsi�in�connes-
sione�con�l'obbligo�del�rispetto�della�Costituzione�(non�solo�per�
quanto�concerne�le�norme�costituzionali,�ma�anche�per�quanto�con-
cerne�il�rispetto�delle�competenze),�sta�ad�indicare�che�lo�Stato,�in�
quanto�investito�del�potere�legislativo�per�assicurare�l'unitarieta�del-
l'ordinamento�giuridico�nazionale,�e�competente�ad�ogni�intervento�
che�si�renda�necessario�per�assicurare�le�finalita�unitarie�proprie�di�
ciascuna�norma�comunitaria�o�di�ciascuna�disposizione�convenzio-
nale�internazionale�che�imponga�un�obbligo�da�soddisfare�in�modo�
unitario.�Tanto�attribuisce�al�legislatore�nazionale�il�potere�di�dettare�
tutte�le�disposizioni�che�sono�necessarie�ad�assicurare�il�rispetto�di�
tali�obblighi�comunitari�e�internazionali�anche�nelle�materie�di�com-
petenza�residuale�regionale.�
Complessivamente,�per�quanto�riguarda�i�rapporti�con�gli�orga-
nismi�comunitari,�la�riforma�si�colloca�su�di�una�linea�di�continuita�
con�cio�che�la�legislazione�ordinaria�e�la�giurisprudenza�precedenti�
avevano�tracciato.�E�sistematico�il�rinvio�alla�legge�ordinaria�per�
tutto�cio�che�riguardi�la�disciplina�dei�rapporti�delle�Regioni�con�l'U-
nione�Europea�(art.�117,�comma�3),�la�partecipazione�delle�regioni�
alla�fase�ascendente�e�all'attuazione�degli�atti�comunitari�(art.�117,�
comma�5).�La�legge�5�giugno�2003,�n.�131,�a�prima�lettura,�pone�il�
problema�di�una�revisione�della�legge�n.�86/1999,�che�disciplina�le�
modalita�di�attuazione�degli�impegni�comunitari,�regolando�i�rap-
porti�tra�Governo,�Parlamento�e�Regioni,�e�promette�di�rafforzare�il�
ruolo�della�Conferenza�Stato-Regioni�nella��fase�ascendente�,�preve-
dendo�che�in�quella�sede�si�raggiungano��posizioni�comuni��circa�i�
progetti�di�atti�comunitari�che�interessano�le�materie�di�competenza�
regionale.�Sui�progetti�di�maggiore�rilievo�il�Governo�italiano�
dovrebbe,�inoltre,�porre�in�sede�comunitaria�la��riserva�di�esame��in�
attesa�di�raggiungere�l'accordo�in�sede�di�Conferenza�Stato-Regioni,�
ma�il�mancato�raggiungimento�della�intesa�non�impedirebbe�al�
Governo�di�procedere�da�solo:�in�cio�si�trova�conferma�della�conside-
razione�costituzionale�dell'interesse�comunitario�come�interesse�uni-
tario.�La�legge�prevede,�inoltre,�che�le�Regioni�concorrano�diretta-
mente,�nelle�materie�di�loro�competenza,�alla�formazione�degli�atti�
comunitari,�partecipando,�nell'ambito�della�delegazione�del�Governo,�
alle�attivita�dei�gruppi�di�lavoro�e�dei�comitati�del�Consiglio�e�della�
Commissione�europea,�secondo�modalita�da�concordare�in�sede�di�
Conferenza�Stato-Regioni,�che�devono�comunque�garantire�la�unita-


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�

rieta�della�rappresentazione�della�posizione�italiana�da�parte�del�
Capo�delegazione�designato�dal�Governo.�Nel�testo�approvato�dal�
Senato�si�prevede�che�nelle�materie�di�competenza�residuale�delle�
Regioni,�la�designazione�del�Capo�della�delegazione�italiana�sia�
frutto�di�una�intesa�raggiunta�in�sede�di�Conferenza�Stato-Regione,�
e�che��sulla�base�di�un�accordo�di�cooperazione��tra�Governo�e�
Regioni�si�individuino��i�criteri�per�la�individuazione�delle�materie�.�
La�disposizione�e�sufficientemente�ambigua�da�lasciare�aperta�la�
possibilita�che�il�Capo�della�delegazione�italiana�possa�essere,�in�que-
sti�casi,�un�rappresentante�delle�Regioni,�sia�pure�designato�dal�
Governo.�

Anche�in�relazione�alla��fase�discendente��dell'attuazione�della�
normativa�comunitaria,�la�legge�non�contiene�novita�di�rilievo.�Va�
pero�notato�che,�confermata�la�competenza�delle�Regioni�a�recepire�
immediatamente�le�direttive�comunitarie�e�a�dettare�la�eventuale�
disciplina�integrativa�e�attuativa�dei�regolamenti,�e�confermato�il�
potere�dello�Stato�di�emanare�leggi�di�attuazione�delle�norme�comu-
nitarie�anche�in�materie�di�competenza�regionale,�non�limitandosi�ai�
soli�principi,�ma�introducendo�anche�disposizioni�di�dettaglio,�con�
valore�suppletivo�(si�applicano�cioe�sino�alla�emanazione�delle�norme�
attuative�regionali).�

7.�La�riforma�del�Titolo�V�introduce�due�previsioni�costituzio-
nali�del�potere�sostitutivo.�
L'articolo�117,�comma�5,�nell'ambito�della�ripartizione�dei�poteri�
normativi,�ed�in�particolare�laddove�indica�la�competenza�delle�
Regioni�a�partecipare�alla�formazione�degli�atti�comunitari,�nonche�
all'attuazione�di�essi�e�degli�accordi�internazionali,�rinvia�alla�legge�
statale�la�disciplina�delle��modalita�di�esercizio�del�potere�sostitutivo�
in�caso�di�inadempienza�.�

Di�diverso�tenore�e�l'articolo�120,�comma�2,�che�contiene�la�pre-
visione�di�un�piu�generale�potere�sostitutivo�dello�Stato.�A�differenza�
dell'articolo�117,�comma�5,�la�sostituzione�e�estesa,�oltre�che�alle�
Regioni�anche�agli�altri�enti�territoriali,�e�attribuisce�un�tale�potere�
al�governo,�mentre�l'articolo�117,�comma�5,�non�fa�riferimento�ad�
un�organo�specifico.�Manca�poi�un�riferimento�esplicito�alla��ina-
dempienza��come�presupposto�necessario,�poiche�le�ipotesi�che�pos-
sono�legittimare�la�sostituzione�sono:�

^mancato�rispetto�di�norme�e�trattati�internazionali�o�della�
normativa�comunitaria;�
^pericolo�grave�per�l'incolumita�e�la�sicurezza�pubblica;�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

^tutela�dell'unita�giuridica�o�della�unita�economica�e,�in�parti-
colare,�tutela�dei�livelli�essenziali�delle�prestazioni�concernenti�i�diritti�
civili�e�sociali.�

Si�fa�rinvio�ad�una�legge�ordinaria�per�la�disciplina�procedu-
rale�con�il�vincolo�di�assicurare�che�l'esercizio�del�potere�sostitutivo�
rispetti�i�principi�di�sussidiarieta�e�di�leale�collaborazione.�

Il�quadro�e�alquanto�complesso�e�lascia�adito�ad�interpreta-
zioni�molto�diverse.�Non�e�chiaro�se�la�differente�formulazione�
dell'articolo�117,�comma�5,�e�120,�comma�2,�siano�dovute�a�man-
cato�coordinamento�legislativo,�oppure�abbiano�una�differente�por-
tata�normativa:�l'uno,�si�riferisca�esclusivamente�alla�sostituzione�
nella�produzione�normativa,�mentre�il�secondo�si�riferisca�ad�ogni�
tipo�di�attivita�.Non�e�chiaro,�infatti,�se�questa�ultima�disposizione�
possa�legittimare�la�sostituzione�anche�degli�organi�legislativi�della�
Regione:�in�questa�ipotesi�suonerebbe�del�tutto�stonato�averne�
attribuito�il�potere�al�Governo,�anziche�al�Parlamento.�Non�e�
chiaro,�inoltre,�se�la�sostituzione�abbia�sempre�uno�specifico�carat-
tere�di�sanzione�a�fronte�di�vere�e�proprie�inerzie,�inadempimenti�

o�atti�lesivi�dell'ordinamento,�oppure�possa�essere�ispirata�da�
ragioni�politiche,�legate�all'urgenza�di�provvedere�o�da�valutazioni�
attinenti�agli�interessi�unitari,�quasi�si�ponesse�quale�clausola�di�
chiusura�del�sistema�che�autorizza�il�Governo�ad�intervenire�in�
casi�straordinari�a�salvaguardia�dell'unita�del�Paese�e�dei�sui�inte-
ressi�unitari.�
8.�La�procedimentalizzazione�della�partecipazione�regionale�alla�
c.d.��fase�ascendente��non�assume�rilievo�sul�piano�comunitario,�nel�
senso�che�la�sua�inosservanza�non�determina�un�difetto�di�capacita�
giuridica�del�Governo�di�partecipare�alla�formazione�e�alla�approva-
zione�degli�atti�comunitari.�
Parimenti�non�delegittima�lo�Stato�a�esercitare�la�sua�funzione�
di�indirizzo�e�coordinamento�e�a�fissare�i�principi�generali�per�l'eser-
cizio�delle�scelte�discrezionali�politiche�in�sede�di�recepimento�della�
normativa�comunitaria.�

L'esercizio�di�tali�poteri�in�fase�di�recepimento�potrebbe�dare�
luogo�ad�ipotesi�di�sindacato�di�legittimita�costituzionale�ad�inizia-
tiva�dello�Stato�e�delle�Regioni,�ipotesi�nelle�quali�non�si�potrebbe�
escludere�anche�la�necessita�di�risolvere�in�via�preventiva�una�que-
stione�pregiudiziale�ai�sensi�dell'articolo�234�del�Trattato.�La�que-
stione�pregiudiziale�di�interpretazione�assume�rilievo�per�la�verifica�
del�corretto�esercizio�dei�poteri�discrezionali�da�parte�del�legislatore�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�

nazionale�e�di�quello�Regionale,�posto�che�il�conflitto�in�tale�ipotesi�
sorge�proprio�in�relazione�alla�legittimita�comunitaria�della�adottata�
soluzione�di�armonizzazione.�Si�tratta,�invero,�di�una�questione�che�
sta�a�monte�di�quella�del�rispetto�dei�limiti�della�competenza�legisla-
tiva�attribuita�dalla�Costituzione�rispettivamente�allo�Stato�e�alla�
Regione,�che�deve�essere�risolta�in�base�alla�interpretazione�della�
Costituzione.�

Il�giudice�naturale�italiano,�quindi,�si�deve�porre�entrambe�le�
questioni�e�procedere�in�conformita�al�Trattato�e�alla�Costituzione.�

Da�ultimo,�e�opportuno�sottolineare�il�rilievo�che�in�tema�di�
adeguamento�dell'ordinamento�giuridico�interno,�generato�dall'eser-
cizio�dei�rispettivi�poteri�legislativi�da�parte�dello�Stato�e�della�
Regione,�all'ordinamento�comunitario�e�a�quello�internazionale�
potra�assumere�l'attuazione�dell'articolo�11�della�legge�costituzio-
nale�n.�3/2001�del�seguente�tenore:��1.�Sino�alla�revisione�delle�
norme�del�titolo�I�della�parte�seconda�della�Costituzione,�i�regola-
menti�della�Camera�e�del�Senato�della�Repubblica�possono�preve-
dere�la�partecipazione�dei�rappresentanti�delle�Regioni,�delle�Pro-
vince�autonome�e�degli�enti�locali�alla�Commissione�parlamentare�
per�le�questioni�regionali.�2.�Quando�un�progetto�di�legge�riguar-
dante�le�materie�di�cui�al�terzo�comma�dell'articolo�117�(e�perche�
non�anche�del�quarto�comma�nelle�ipotesi�in�cui�ci�sia�l'obbligo�comu-
nitario�o�internazionale�della�trasposizione�unitaria�della�norma�
comunitaria�o�internazionale?)�e�all'articolo�119�della�Costituzione�
contenga�disposizioni�sulle�quali�la�Commissione�parlamentare�per�
le�questioni�regionali,�integrata�ai�sensi�del�comma�1,�abbia�
espresso�parere�contrario�o�parere�favorevole�condizionato�all'in-
troduzione�di�modificazioni�specificamente�formulate,�e�la�Com-
missione�che�ha�svolto�l'esame�in�sede�referente�non�vi�si�sia�ade-
guata,�sulle�corrispondenti�parti�del�progetto�di�legge�l'assemblea�
delibera�a�maggioranza�assoluta�dei�componenti�.�La�costrizione�
della�maggioranza�assoluta�nel�caso�di�parere�contrario�e�stata�
molto�criticata�perche�impone�un�vincolo�assai�forte�nell'approva-
zione�di�importanti�categorie�di�leggi�e,�comunque,�e�un�forte�
incentivo�a�non�attivare�la�procedura�di�integrazione�della�Commis-
sione�stessa,�che�si�risolverebbe�nella�imposizione�di�un�vincolo�par-
ticolarmente�stretto�sul�Parlamento.�Sono�del�parere�che,�invece,�
la�previsione�regolamentare�permettera�di�raggiungere�preventiva-
mente�un'intesa�sul�recepimento�unitario�della�norma�comunitaria�
assicurando�anche�a�livello�interno�quella�leale�collaborazione�che�
si�deve�ricercare�nella�fase�ascendente.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�sede�di�infrazioni�comunitarie,�ai�fini�dell'osservanza�degli�
obblighi�posti�dall'articolo�10�del�Trattato,�il�cui�contenuto�concreto�
dipende,�di�volta�in�volta,�dalle�disposizioni�del�Trattato�o�dai�prin-
cipi�che�si�desumono�dalla�sua�struttura�complessiva,�dovra�apprez-
zarsi�anche�il�mancato�esercizio�del�potere�sostitutivo�ora�ricono-
sciuto�e�dall'articolo�117,�comma�5,�e�dall'articolo�12,�comma�2�della�
Costituzione.�

Avv. 
Maurizio 
Fiorilli 



LEDECISIONILEDECISIONI
Il 
monito 
della 
Corte 
Europea 
dei 
Diritti 
dell'Uomo 
sulla 
�legge 
Pinto� 
(*) 


Corte 
Europea 
dei 
Diritti 
dell'Uomo, 
prima 
sezione, 
27 
marzo 
-20 
maggio 
2003 


La�sentenza�in�rassegna�lascia�perplessi,�ma�probabilmente�non�merita�lo�
�strepitus� 
che�ha�suscitato,�e�tanto�meno�le�preoccupazioni�che�ha�sollevato,�
al�punto�da�provocare�la�remissione�alle�Sezioni�Unite�Civili�della�Cassazione�
di�alcuni�ricorsi�del�tutto�simili�ai�molti�pacificamente�ed�uniformemente�decisi�
in�applicazione�della�legge�n.�89/2001.�Sul�piano�istituzionale�e�stata�la�rappre-
sentanza�permanente�d'Italia�presso�il�Consiglio�d'Europa�a��lanciare�l'al-
larme�contelespresso�14�marzo2003�inviato,�oltrecheaiMinisteridegliAffari�
Esteri�e�della�Giustizia,�anche�alla�Procura�Generale�della�Repubblica�presso�
la�Corte�Suprema�di�Cassazione;�l'allarme�e�stato�immediatamente�raccolto�
dalla�Procura�Generale�che,�con�nota�del�3�maggio�2003�dell'ufficio�Relazioni�
Internazionali,�ha�segnalato��la�grave�situazione�che�puo�determinarsi�nel�con-
tenzioso�in�tema�di�non�ragionevole�durata�dei�procedimenti�in�conseguenza�
dell'esame,�da�parte�della�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo,�dei�ricorsi�S.�

(n.�36813/97)eC.eC.(n.�35360/00)�.LanotadellaProcuraGeneralee�indiriz-
zata,�oltre�che�ai�due�Ministeri,�alla�Corte�Suprema�di�Cassazione�^Segreteria�
Generale�e�al�Consiglio�Superiore�della�Magistratura�^Comitato�di�Presidenza;�
ed�illustrando�puntualmente�quelli�che�sarebbero�poi�stati�i�contenuti�della�sen-
tenza�in�esame,�cos|�conclude:��L'evidente�situazione�di�disagio�sembra�imporre�
una�attenta�riflessione,�con�ricerca�di�misure�idonee�ad�individuare�le�cause�
della�crisi�ed�a�progressivamente�eliminare�l'attuale�condizione�di�sostanziale�
contrasto.�Tra�tali�misure�possono�essere�suggerite,�ad�esempio,�l'esame�urgente�
delle�modifiche�gia�dal�Governo�ritenute�necessarie�per�la�legge�Pinto�(e�per�le�
quali�era�stato�presentato�un�decreto-legge);�l'ulteriore�formazione�deimagi-
strati�in�materia�con�visite�di�studio�a�Strasburgo;�la�rimessione�delle�piu�rile-
vanti�questioni�alle�Sezioni�Unite�della�Corte.�.�
Nelle�pubbliche�udienze�che�immediatamente�seguirono�il�deposito�della�
decisione�in�argomento,�peraltro,�non�tutti�i�protagonisti�della�discussione�
orale�manifestarono�identiche�preoccupazioni;�e�tra�gli�stessi�sostituti�del�

P.G.�in�udienza�non�tutti�sostennero�l'esigenza�di�una�rilettura�della�legge�
Pinto�in�termini�coerenti�con�il�richiamo�della�CEDU.�
E�probabile�che�la�decisione�dica�assai�di�meno�di�quello�che�i�primi�pre-
occupati�lettori�vi�hanno�intravisto;�certo�e�,�pero�,�che�il�nostro�art.�101�Cost.�

(*)�Nella�parte�Contenzioso 
Nazionale,�pag.�200,�pubblichiamo�il�dossier�dell'Avvocato�
dello�Stato�Antonio�Palatiello:��Iltermineragionevoledelprocesso: 
leultimepronunce, 
aspett
ando 
le 
Sezioni 
unite�. 



RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

^questo�certamente�contenente�un�principio�supremo�dell'ordinamento�i
mpedisce�al�monito�della�CEDU�di�penetrare�nelle�aule�della�Corte�di�Cas-
sazione,�ed�anzi�fa�obbligo�a�qualunque�giudice�di�non�accettarlo�come�tale:�
l'Avvocatura�dello�Stato�ha�dunque�sostenuto�che�non�sarebbe�stata�corretta�
una�remissione�dei�ricorsi�alle�Sezioni�Unite�per�cio�solo�che�la�CEDU�avesse�
lamentato�l'incoerenza�del�sistema�italiano�con�la�Convenzione�e�con�la�giu-
risprudenza�del�giudice�europeo.�La�remissione�alle�Sezioni�Unite�v'e�stata,�
ma�opportunamente�e�avvenuta�su�istanza�di�una�delle�parti�private�con�la�
motivazione�dell'esistenza�di�questioni�di�massima�di�particolare�importanza�
(art.�374,�2.�comma,�u.p.�C.P.C.).�

Ma�la�pronunzia�della�CEDU,�dicevo,�contiene�forse�meno�di�quello�che�
sembra.�Intanto�il��monito��che�essa�reca�non�si�rivolge�ai�nostri�giudici,�ai�
quali,�anzi,�con�corretta�sensibilita�,�la�Corte�Europea�da�atto�di�dover��inter-
pretare�ed�applicare�il�diritto�interno�,�perche��gli�Stati�contraenti�non�
hanno�l'obbligazione�formale�di�recepire�la�Convenzione�nel�sistema�giuri-
dico�interno�;�l'interpretazione�e�l'applicazione�del�diritto�interno�va�fatta,�
�per�quanto�possibile�...�in�modo�conforme�alla�Convenzione�.�

E�infatti�la�nostra�Corte�di�Cassazione,�fin�dalle�prime�sentenze�in�argo-
mento,�ha�sempre�ribadito�che�della�Convenzione�e�della�giurisprudenza�
CEDU�va�tenuto�conto�nei�limiti,�ovviamente,�consentiti�dal�diritto�vigente�
in�Italia,�che�il�giudice�italiano�non�puo�non�applicare�(ad�es.,�Cass.�26�luglio�
2002,�n.�11046,�in�questa�Rassegna 
aprile-giugno�2002,�111;�id. 
2�agosto�
2002,�n.�11592,�ivi, 
117:�l'affermazione�e�consolidata).�

Vi�e�stato,�invece,�un�fraintendimento�del�merito�delle�decisioni�giuri-
sprudenziali�adottate�in�applicazione�della�legge�n.�89/01,�donde�il�monito�
all'Italia�di�adeguare�il�proprio�sistema�normativo:�la�CEDU�infatti�sostiene�
che�in�Italia��manca�il�riconoscimento�del�diritto�ad�un�processo�in�tempi�
ragionevoli�quale�diritto�fondamentale�dell'uomo�.�

Bisogna�intendersi�sul�concetto�di��diritto�fondamentale�dell'uomo�:�la�
nozione�della�CEDU�non�coincide�certo�con�quella�di�diritto�inviolabile,�in�
via�immediata�ed�esclusiva�accordato�e�tutelato�dalla�Costituzione�(come�il�
diritto�alla�vita,�alla�scelta�religiosa�etc.),�perche�altrimenti�non�avrebbe�
avuto�senso�la�decisione�della�stessa�CEDU�12�luglio�2001,�F.�c.�Italia,�in�
questa�Rassegna, 
2001,�II,�124,�dove�si�nega�che�nel�processo�tributario�valga�
il�principio�della�durata�ragionevole�(eppure�anche�quello�tributario�e�un�giu-
dizio,�dove�il�giudice�deve�essere�terzo�e�imparziale).�Diritto�fondamentale,�
nella�logica�della�CEDU,�e�quello�che�non�puo�non�essere�accordato,�secondo�
il�sistema�di�produzione�normativa�dei�singoli�Stati;�e�da�noi�e�stata�la�legge�
ordinaria�a�disciplinare�quel�diritto�(cos|�come�e�la�legge�ordinaria�a�discipli-
nare�la�maggior�parte�dei�diritti�riconosciuti�dalla�Convenzione).�

Ed�era�ben�noto�alla�CEDU�che�in�Italia�occorresse�una�legge�introdut-
tiva�del�diritto�alla�durata�ragionevole�del�processo,�pur�conoscendo�benela�
nostra�Costituzione�i�diritti�inviolabili�(se�tra�questi�vi�fosse�stato�il�diritto�
in�esame�la�CEDU�avrebbe�da�sempre�preteso�il�previo�ricorso�al�giudice�
nazionale);�fu,�invero,�salutata�con�favore�dalla�stessa�CEDU�la�legge�
24�marzo�2001,�n.�89,�come�quella�che�per�prima�ha�reso��efficace�a�livello�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni�

interno�il�principio�della�ragionevole�durata�inserito�nella�costituzione�ita-
liana�dopo�la�riforma�dell'art.�111��(sent.�in�ric.�69789/01,�B.�c.�Italia,�in�que-
sta�Rassegna, 
2001,�II,�130).�

Ora,�e�sfuggito�alla�CEDU�che�la�nostra�Corte�di�Cassazione�non�ha�
mai�negato�che�il�ripetuto�diritto�sia�fondamentale;�ha�invece�osservato,�ben�
diversamente,�che�esso�non�trova�diretta�tutela�nella�Costituzione�(da�ult.�
Cass�3�aprile�2003,�n.�5128,�che�paragona�quel�diritto�a�quello�alla�salute�
nel�suo�aspetto�pretensivo).�Non�mi�pare�invece�che�la�CEDU�rimproveri�
all'Italia�di�non�fare��applicazione�diretta�della�Convenzione�e�della�giuri-
sprudenza�di�Strasburgo�in�materia�di�equa�soddisfazione�:�l'espressione�
serve�alla�CEDU�per�dire�che�in�Italia�si�e�scelta�la�via�della�legge�interna,�
ma�questa�legge�e�insufficiente�perche�non�e�in�linea�con�la�Convenzione�e�
con�la�giurisprudenza�CEDU.�

Non�corretta�appare�invece�l'osservazione�secondo�cui��pur�nel�rispetto�
del�margine�di�discrezionalita�di�cui�dispongono�i�giudici�nazionali,�essi�si�
debbono�conformare�alla�giurisprudenza�della�Corte�anche�concedendo�un�
risarcimento�adeguato�:�nella�sua�assolutezza�questo�invito�non�puo�condivi-
dersi;�qui,�forse,�la�CEDU�vuol�dire�soltanto�che�la�legge�italiana�consente,�
attraverso�la�discrezionalita�che�lascia�al�giudice,�di�operare�liquidazioni�
meno�lontane�da�quelle�europee.�Ma�allora�il�problema�si�fa,�evidentemente,�
diverso;�e�d'altra�parte�pure�a�parita�di�situazioni�processuali�non�e�affatto�
detto�che�la�ricaduta�della�durata�irragionevole�del�processo�sul�patrimonio�

o�sulle�persone�sia�eguale�per�tutti.�
In�quanto�ai�rapporti�tra�la�Convenzione�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo,�
recepita�con�la�legge�4�agosto�1955,�n.�848,�e�l'ordinamento�interno,�va�ricor-
dato�il�consolidato�orientamento�che�distingue�tra�norme�sufficientemente�
determinate,�le�quali�sono�di�immediata�applicazione�nel�nostro�ordina-
mento,�e�quelle�generiche�per�le�quali�occorrono�successivi�atti�normatividi�
adattamento,�distinzione�che�si�fonda�sui�principi�generali�della�materia�
(cfr.,�ad�esempio,�Cass.,�S.U.,�8�maggio�1989,�n.�15);�per�lo�specifico�tema�
della�durata�ragionevole�del�processo�si�e�osservato�che��la�Convenzione�
introduce�un�mero�principio�di�comportamento�per�il�legislatore�nazionale�
senza�prefissione�di�termini�o�di�sanzioni�e,�pertanto,�non�puo�essere�invocata�
per�far�valere�l'invalidita�di�un�procedimento�condotto�nella�osservanza�delle�
leggi�che�lo�contemplano��(Cass.,�S.U.,�21�gennaio�1985,�n.�365;�id. 
25�marzo�
1988,�n.�251;�da�ultimo,�Cass.,�Sez.�I,�14�giugno�2002�n.�8503;�per�la�parallela�
vicenda�della�pubblicita�dell'udienza,�della�precostituzione�del�giudice,�e�del�
diritto�dell'incolpato�di�parlare�per�ultimo�si�vedano,�rispettivamente:�Cass.,�
S.U.,�1.�ottobre�1986,�n.�5827,�id. 
5�febbraio�1999,�n.�39,�tutte�nel�senso�della�
non�diretta�applicazione�della�Convenzione;�contra, 
per�un�caso�di�procedi-
mento�disciplinare�a�porte�chiuse,�si�e�fatta�diretta�applicazione�dell'art.�6�
della�Convenzione,�cos|�ritenendosi�abrogata�la�norma�che�prevedeva�l'u-
dienza�riservata:�Cass.,�S.U.,�10�luglio�1991,�n.�7662).�La�Corte�Costituzio-
nale,�dal�canto�suo,�ha�negato�la�preminenza�della�Convenzione�sulla�legge�
in�varie�occasioni,�pur�riconoscendo�la�specialita�del�sistema�ivi�contenuto�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


(Corte 
Cost. 
n. 
10/93) 
e 
con 
l'avvertenza 
che 
l'adeguamento 
automatico 
del-
l'ordinamento 
italiano 
alle 
norme 
di 
diritto 
internazionale 
generalmente 
rico-
nosciute 
(art. 
10 
Cost.) 
si 
riferisce 
soltanto 
alle 
norme 
di 
carattere 
consuetu-
dinario, 
e 
non 
anche 
a 
quelle 
di 
carattere 
pattizio 
quali 
sono 
comunque 
le 
norme 
della 
Convenzione 
Europea 
dei 
Diritti 
dell'Uomo 
(Corte 
Cost., 


n. 
153/87; 
n. 
75/93 
A; 
n. 
75/93 
B). 
Avv.�Antonio�Palatiello�

Corte 
Europea 
dei 
Diritti 
dell'Uomo, 
Sez. 
I, 
27 
marzo 
-20 
maggio 
2003 
-Presidente�Rozakis 
-G.�ad�hoc�del 
Tufo 
-S. 
c. 
Italia 


La�regola�dell'esaurimento�delle�vie�interne�di�ricorso,�posta�dall'art.�35�della�Convenzione�

Europea�dei�Diritti�dell'Uomo,�non�opera�quando�il�ricorso�interno�non�sia�ne�adeguato�ne�

effettivo.�

Lagiurisprudenzadelle�Cortiitalianeedinparticolaredella�CortediCassazioneintemadi�

equa�riparazioneperla�violazionedeldirittoadunprocesso�in�tempiragionevolinone�coerente�

coniprincipidella�Convenzionenellaparteincuinegalanaturadidirittofondamentaledel-

l'uomo�al�diritto�in�questione,�nega�l'applicazione�diretta�della�Convenzione�e�della�giurispru-

denza�di�Strasburgo�in�materia�di�equa�soddisfazione,�accorda�riparazioni�pecuniarie�insuffi-

cienti.�

(Latraduzionedaltestofrancesee��degliavv.tiW.FerranteeA.�Palatiello).�

�(omissis)�Il 
Governo 
solleva 
due 
eccezioni. 


In 
primo 
luogo, 
il 
Governo 
sostiene 
che 
le 
vie 
di 
ricorso 
interne 
non 
sono 
state 
esaurite 
dato 
che 
i 
ricorrenti 
non 
hanno 
proposto 
ricorso 
per 
cassazione 
avverso 
la 
decisione 
della 
Corte 
d'appello 
di 
Reggio 
Calabria. 


Il 
Governo 
argomenta 
a 
favore 
dell'efficacia 
del 
ricorso 
per 
cassazione 
e 
cio� 
per 
diverse 
ragioni. 
Innanzitutto, 
il 
Governo 
fa 
osservare 
che 
la 
competenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
in 
materia 
di 
legge 
Pinto 
e� 
la 
stessa 
che 
in 
tutti 
gli 
altri 
casi 
di 
ricorsi 
ordinari 
proposti 
innanzi 
alla 
Suprema 
Corte 
ai 
sensi 
dell'art. 
360 
c.p.c. 


Se 
e� 
dunque 
vero 
che 
l'ammontare 
dell'indennizzo 
in 
quanto 
tale 
non 
puo� 
formare 
oggetto 
di 
ricorso 
per 
cassazione, 
i 
ricorrenti 
avrebbero 
comunque 
potuto 
dedurre 
innanzi 
alla 
Corte 
di 
Cassazione 
che 
il 
decreto 
della 
Corte 
d'appello 
non 
era 
logicamente 
o 
coerente-
mente 
motivato 
o 
avrebbero 
potuto 
contestare 
l'ammontare 
della 
riparazione 
riconosciuta 
in 
primo 
grado 
sotto 
il 
profilo 
della 
conformita� 
alla 
legge 
dei 
criteri 
utilizzati. 


Il 
Governo 
precisa 
inoltre 
che 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
il 
potere 
di 
annullare 
una 
deci-
sione 
e 
di 
rinviare 
la 
causa 
ad 
un 
nuovo 
giudice 
di 
merito. 


Il 
Governo 
sostiene 
che 
i 
ricorrenti 
hanno 
contestato 
l'efficacia 
dei 
rimedi 
senza 
for-
nirne 
dimostrazione 
e 
che 
gli 
stessi 
fondano 
le 
loro 
pretese 
esclusivamente 
su 
due 
sentenze 
della 
Corte 
di 
Cassazione. 


A 
tale 
proposito, 
il 
Governo 
fa 
osservare 
che 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassa-
zione 
in 
materia 
e� 
assai 
vasta 
e 
non 
ancora 
definitivamente 
consolidata 
in 
assenza 
di 
una 
decisione 
a 
Sezioni 
Unite. 


Quanto 
all'applicazione, 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
Cassazione, 
dei 
criteri 
della 
giurispru-
denza 
di 
Strasburgo, 
il 
Governo 
ritiene 
che 
si 
tratti 
di 
un 
falso 
problema 
dato 
che 
si 
tratta 
di 
``pretesi 
criteri''. 
A 
tale 
proposito, 
il 
governo 
osserva 
che 
la 
giurisprudenza 
di 
Strasburgo 
non 
indica 
dei 
``criteri'' 
per 
il 
calcolo 
dell'equa 
riparazione, 
atteso 
che 
si 
puo� 
parlare 
di 
cri-
teri 
solo 
in 
presenza 
di 
una 
base 
di 
calcolo 
che 
si 
possa 
tradurre 
in 
una 
formula 
matematica 
e 
che 
sia 
espressa 
e 
chiaramente 
identificabile. 
Inoltre, 
il 
Governo 
osserva 
che 
l'equa 
ripara-
zione 
riconosciuta 
dalla 
Corte 
ha 
carattere 
facoltativo 
dato 
che 
puo� 
non 
essere 
accordata 
quando 
l'affermazione 
della 
violazione 
e� 
considerata 
come 
sufficiente 
e 
considerato 
che 
la 
decisione 
concernente 
l'equa 
riparazione 
e� 
adottata 
``secondo 
equita� 
'' 
e 
non 
necessita 
di 
un'approfondita 
motivazione. 


In 
conclusione, 
il 
Governo 
ritiene 
che 
non 
vi 
e� 
luogo 
di 
dolersi 
del 
non 
rispetto 
dei 
``criteri'' 
che, 
da 
un 
lato, 
non 
esistono, 
e, 
dall'altro, 
non 
potrebbero 
esistere 
in 
quanto 
la 
natura 
stessa 
dell'apprezzamento 
al 
quale 
sono 
destinati 
non 
si 
presta 
ad 
una 
loro 
predeterminazione. 



IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni�

Inoltre,�il�Governo�sostiene�che�la�questione�relativa�al�valore�riconosciuto�alla�Conven-
zione�nell'ordinamento�giuridico�italiano�e�irrilevante.�A�tale�proposito,�il�Governo�osserva�
che�una�via�di�ricorso�interna�e�da�considerarsi�efficace�se,�nella�sostanza,�le�violazioni�
dedotte�dall'interessato�possono�essere�rimosse.�Non�e�necessario�che�si�applichino�formal-
mente�le�norme�della�Convenzione�e�la�giurisprudenza�di�Strasburgo.�

In�ordine�al�quantum, 
il�Governo�ritiene�che�la�Corte�di�Cassazione�avrebbe�potuto�
apprezzare�se�l'ammontare�della�riparazione�ottenuta�dai�ricorrenti�fosse�adeguato�o�meno.�

Sul�punto,�il�Governo�fa�osservare�che�le�due�decisioni�della�Corte�di�cassazione�citate�
dai�ricorrenti�sono�conformi�all'orientamento�giurisprudenziale�ormai�consolidato,�secondo�
il�quale�l'esistenza�di�un�danno�morale�non�viene�riconosciuto�automaticamente�per�effetto�
dell'affermazione�del�superamento�della�durata�ragionevole.�Il�Governo�ammette�che�la�pos-
sibilita�di�ottenere�la�riparazione�e�sottoposta�alla�condizione�che�l'interessato�fornisca�la�
prova�del�danno�o,�quanto�meno,�degli�elementi�di�prova�che�permettano�al�giudice�un�ragio-
namento�per�presunzione.�A�tale�proposito,�il�Governo�sottolinea�che,�in�certe�decisioni,�la�
Corte�di�Cassazione�ha�rigettato�le�impugnazioni�fondate�proprio�sull'insufficienza�dell'equa�
riparazione�perche�troppo�generiche�e�basate�su�semplici�allegazioni.�

In�conclusione,�il�Governo�ritiene�che�i�ricorrenti�avrebbero�dovuto�proporre�ricorso�
per�cassazione�e�chiede�alla�corte�il�rigetto�del�ricorso�per�effetto�del�non�esaurimento�delle�
vie�di�ricorso�interne.�

Il�Governo�solleva�una�seconda�eccezione�fondata�sull'assenza�della�qualita�di�vittime�
dei�ricorrenti.�

A�tale�riguardo,�fa�osservare�che,�riconoscendo�una�somma�ai�ricorrenti,�la�Corte�d'ap-
pello�di�Reggio�Calabria�ha�non�solo�riconosciuto�la�violazione�del�diritto�ad�una�durata�
ragionevole�ma�ha�anche�riparato�il�danno�subito.�Secondo�il�Governo,�l'ammontare�liqui-
dato�a�titolo�di�equa�riparazione�non�puo�essere�rimesso�in�causa�dalla�Corte�dato�che�il�
Giudice�nazionale�ha�deciso�secondo�equita�e�nell'ambito�dei�margini�di�apprezzamento�che�
sottendono�alla�materia�di�equa�riparazione.�

Il�Governo�fa�osservare�che�l'art.�41�della�Convenzione�non�impone�alla�Corte�di�liqui-
dare�un'equa�riparazione.�Secondo�il�Governo,�la�Corte�sarebbe�dunque�libera�di�non�ricono-
scere�l'equa�riparazione�e�senza�obbligo�di�motivazione,�atteso�che�la�decisione�e�adottata�
secondo�equita�;�inoltre,�il�ricorrente�insoddisfatto�dell'ammontare�riconosciuto�non�potrebbe�
agire�innanzi�alla�Grande�Chambre.�

La�Corte�deve�preliminarmente�stabilire�se�i�ricorrenti�abbiano�esaurito,�giusta�l'art.�35,�
��1�della�Convenzione,�le�vie�interne�di�ricorso�offerte�dal�diritto�italiano.�Si�tratta�in�partico-
lare�di�verificare�se�essi�erano�tenuti�a�ricorrere�in�Cassazione�contro�la�decisione�resa�dalla�
Corte�d'Appello�in�materia�di�Legge�Pinto.�

La�Corte�rammenta�che,�per�cio�che�attiene�ai�ricorsi�davanti�alle�Corti�d'Appello,�in�
recenti�decisioni�(Brusco 
c. 
Italia, 
n.�69789/01,�6�settembre�2001,�in�corso�di�pubblicazione�
in�CEDH�2001;�Di 
Cola 
c. 
Italia, 
n.�44897/98,�11�ottobre�2001),�ha�ritenuto�che�il�rimedio�
introdotto�dalla�Legge�Pinto�deve�essere�considerato�praticabile�e�che�nulla�fa�dubitare�della�
sua�efficacia.�La�Corte�ha�poi�ritenuto�che,�in�considerazione�della�natura�della�Legge�Pinto�
e�del�contesto�nel�quale�essa�e�intervenuta,�era�giustificata�la�deroga�al�criterio�generale�
secondo�cui�la�sussistenza�del�presupposto�dell'esaurimento�deve�essere�accertata�al�
momento�della�proposizione�del�ricorso.�

La�Corte�ricorda�che�la�regola�dell'esaurimento�delle�vie�interne�di�ricorso�enunciata�
dall'art.�35�della�Convenzione�impone�a�coloro�che�intendono�proporre�un�ricorso�contro�
uno�Stato�davanti�ad�un�organo�giudiziario�o�arbitrale�internazionale�l'onere�di�esperire�
prima�i�ricorsi�offerti�dall'ordinamento�di�tale�Stato.�Questa�regola�si�basa�sul�presupposto�
^che�costituisce�l'oggetto�dell'art.�13�della�Convenzione,�con�il�quale�presenta�uno�stretto�
collegamento�^che�il�sistema�interno�offra�un�ricorso�effettivo�contro�la�violazione�dedotta,�
indipendentemente�dalla�incorporazione�o�meno�delle�disposizioni�della�Convenzione�nel�
sistema�giuridico�nazionale.�In�particolare�quella�regola�costituisce�un�corollario�del�princi-
pio�in�base�al�quale�il�meccanismo�di�salvaguardia�istituito�dalla�Convenzione�riveste�un�
carattere�sussidiario�rispetto�ai�sistemi�nazionali�di�garanzia�dei�diritti�dell'uomo�(sentenza�
Akdivar 
ed 
altri 
c. 
Turchia, 
Recueil�1996�-IV,�p.�1210,�65).�

Anche�se�gli�Stati�contraenti�non�hanno�l'obbligazione�formale�di�recepire�la�Conven-
zione�nel�sistema�giuridico�interno�(sentenza�James 
ed 
altri 
c. 
Regno 
Unito 
del 
21febbraio 



RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

1986,�serie�A�n.�98,�p.�48,���86;�Christine�Goodwin�c.�Regno�Unito�(GC),�n.�28957/95,�CEDH�
2002,�par.�113),�dal�suddetto�principio�di�sussidiarieta�deriva�che�i�giudici�nazionali�devono,�
per�quanto�possibile,�interpretare�ed�applicare�il�diritto�interno�in�modo�conforme�alla�Con-
venzione.�Infatti,�pur�essendo�vero�che�tocca�alle�autorita�nazionali�interpretare�ed�applicare�
il�diritto�interno,�la�Corte�e�comunque�chiamata�a�verificare�se�la�maniera�in�cui�il�diritto�
interno�e�interpretato�ed�applicato�produce�effetti�conformi�ai�principi�della�Convenzione�
(Carbonara�e�Ventura�c.�Italia,�n.�24638/94,�CEDH�2000-VI,�par.�68;�Streletz,�Kessler�e�Krenz�

c.�Germania,�(GC),�numeri�34044/96,�35532/97,�44801/98,�par.�49,�CEDH�2001-II)�di�cui�la�
giurisprudenza�della�Corte�costituisce�parte�integrante.�
In�proposito,�la�Corte�ricorda�infine�che,�nel�sostituire�la�parola�``reconnaissant''�alle�
parole�``s'engagent�a�reconna|�tre''�nel�testo�dell'art.�1,�i�redattori�della�Convenzione�hanno�
inoltre�voluto�evidenziare�che�i�diritti�e�le�liberta�del�Titolo�I�sono�direttamente�ricono-
sciuti�a�chiunque�dipenda�dalla�giurisdizione�degli�Stati�contraenti�(documento�H�(61)�4,�
pp.�664-703,�733�e�927).�Tale�loro�intenzione�trova�particolare�fedelta�la�dove�la�Conven-
zione�e�stata�recepita�nell'ordine�giuridico�interno�(sentenza�De�Wilde,�Ooms�e�Versyp�del�
18�giugno�1971,�serie�A�n.�12,�p.�43,�par.�82;�sentenza�Sindacato�svedese�dei�macchinisti�di�
locomotive�del�6�febbraio�1976,�serie�A,�n.�20,�p.�18,�par.�50;�sentenza�Irlanda�c.�Regno�
Unito�del�18�gennaio�1978�serie�A,�n.�25,�par.�239).�Peraltro�la�Convenzione,�che�vive�attra-
verso�la�giurisprudenza�della�Corte,�ha�ormai�applicabilita�diretta�praticamente�in�tutti�gli�
Stati�contraenti.�

Giusta�l'art.�35,�il�ricorrente�deve�avvalersi�dei�ricorsi�che�sono�normalmente�disponibili�
e�sufficienti�per�permettergli�di�ottenere�la�riparazione�delle�violazioni�che�deduce.�Tali�
ricorsi�devono�avere�un�grado�di�sufficiente�certezza,�sia�in�pratica�che�in�teoria,�ed�essere�
dotati�di�effettivita�ed�accessibilita�.�Tuttavia,�nulla�obbliga�a�sperimentare�ricorsi�che�non�
siano�ne�adeguati�ne�effettivi.�Inoltre,�secondo�i�``principi�di�diritto�internazionale�general-
mente�riconosciuti'',�alcune�situazioni�particolari�possono�esonerare�il�ricorrente�dall'obbliga-
zione�di�esaurire�i�rimedi�interni�disponibili.�Questa�regola,�in�particolare,�non�si�applica�
piu�quando�e�dimostrata�una�prassi�amministrativa�consistente�nella�ripetizione�di�atti�vie-
tati�dalla�Convenzione�con�tolleranza�ufficiale�dello�Stato,�di�modo�che�tutte�le�procedure�
risultino�inutili�o�inefficaci�(sentenza�gia�citata�Akdivar�ed�altri,�p.�1210,�parr.�66�e�67)�
(omissis).�

La�Corte�ha�effettuato�un�esame�ragionato�delle�cento�sentenze�della�Corte�di�Cassa-
zione�ad�oggi�disponibili.�Ha�potuto�constatare�che�i�principi�stabiliti�nelle�due�sentenze�
citate�dai�ricorrenti�sono�stati�costantemente�applicati,�e�cioe�:�mancato�riconoscimento�del�
diritto�ad�un�processo�in�tempi�ragionevoli�quale�diritto�fondamentale�dell'uomo;�negazione�
della�applicabilita�diretta�della�Convenzione�e�della�giurisprudenza�di�Strasburgo�in�materia�
di�equa�soddisfazione.�

La�Corte�non�ha�rinvenuto�alcun�caso�in�cui�la�Corte�di�Cassazione�abbia�presoin�con-
siderazione�il�dedotto�vizio�di�insufficienza�delle�somme�accordate�dalla�Corte�d'Appello�
rispetto�al�pregiudizio�allegato�o�di�loro�inadeguatezza�rispetto�alla�giurisprudenza�di�
Strasburgo.�

La�Corte�ricorda�che�l'art.�6,�par.�1,�garantisce�a�chiunque�il�diritto�a�che�un�giudice�
conosca�di�tutte�le�contestazioni�relative�ai�suoi�diritti�ed�obbligazioni�di�carattere�civile�
(Golder�c.�Regno�Unito�del�21�febbraio�1975,�serie�A,�n.�18,�p.�18,�par.�36�e�Waite�e�Kennedy�

c.�Germania�(GC),�n.�6083/94,�CEDH�1999-I,�par.�50).�Esso�consacra,�quindi,�il�diritto�di�
chiunque�``a�che�la�sua�causa�sia�esaminata�...�entro�un�termine�ragionevole''.�
Il�diritto�ad�un�``termine�ragionevole''�riconosciuto�dall'art.�6,�par.�1,�della�Convenzione,�
e�un�diritto�fondamentale�ed�un�imperativo�per�tutte�le�procedure�contemplate�dall'art.�6:�
la�Convenzione�sottolinea�con�cio�l'importanza�che�e�attribuita�al�principio�per�cui�la�giusti-
zia�non�deve�essere�resa�con�ritardi�idonei�a�comprometterne�l'efficacia�e�la�credibilita�(Pelis-
sier�e�Sassi�c.�Francia,�(GC),�n.�25444/94,�CEDH�1999-II,�par.�74)�(omissis).�

In�conclusione,�la�Corte�ritiene�che,�nella�fattispecie,�i�ricorrenti�non�erano�tenuti,�al�
fine�di�esaurire�i�rimedi�interni,�a�ricorrere�in�Cassazione.�Di�conseguenza,�la�prima�ecce-
zione�del�Governo�deve�essere�rigettata.�(omissis).�

La�Corte�deve�poi�esaminare�la�seconda�eccezione�del�Governo,�che�e�basata�sul-
l'art.�34�della�Convenzione.�L'accertamento�se�un�soggetto�possa�ancora�considerarsi�vit-
tima�di�una�violazione�della�Convenzione�implica�necessariamente�che�la�Corte�esamini�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni�

ex 
postfacto 
la�situazione�della�persona�interessata.�A�questo�riguardo,�riveste�importanza�
accertare�se�tale�persona�abbia�ottenuto,�a�titolo�di�risarcimento�del�danno,�una�ripara-
zione�equiparabile�all'equa�soddisfazione�di�cui�parla�l'art.�41�della�Convenzione.�Dalla�
giurisprudenza�costante�della�Corte�risulta�che�qualora�le�autorita�nazionali�abbiano�accer-
tato�una�violazione�e�la�loro�decisione�costituisca�una�riparazione�appropriata�e�sufficiente�
di�tale�violazione,�la�parte�interessata�non�puo�piu�considerarsi�vittima�nei�termini�di�cui�
all'art.�34�della�Convenzione.�

La�Corte�considera�inoltre�che�lo�status 
di�vittima�del�ricorrente�puo�cessare�per�il�risar-
cimento�che�gli�sia�stato�accordato�a�livello�nazionale�per�la�situazione�della�quale�si�lamenta�
davanti�alla�Corte�(Andersen 
c. 
Danimarca, 
ricorso�n.�12860/87�e�Frederiksen 
ed 
altri 
c. 
Dani-
marca, 
ricorso�n.�12719/87,�decisioni�della�Commissione�del�3�maggio�1988;�Normann 
c. 
Danimarca, 
ricorson.�44704/98,decisione�14giugno2001;�Jensen 
e 
Rasmussen 
c. 
Danimarca, 
ricorso�n.�52620/99,�decisione�20�marzo�2003)�e�per�il�fatto�che�le�autorita�nazionali�abbiano�
riconosciuto,�esplicitamente�o�nella�sostanza,�la�violazione�della�Convenzione.�Quindi,�solo�
nel�caso�in�cui�queste�due�condizioni�siano�realizzate,�la�natura�sussidiaria�del�meccanismo�
di�protezione�della�Convenzione�impedisce�l'esame�da�parte�della�Corte�(Eckle 
c. 
Germania, 
sentenza�del�15�luglio�1982,�serie�A�n.�51,�p.�32,�parr.�69�ss.;�Jensen 
c. 
Danimarca, 
decisione�

n.�48470/99,�20�settembre�2001).�(omissis).�
Nella�specie,�la�Corte�d'Appello�di�Reggio�Calabria�ha�riconosciuto,�con�il�suo�provve-
dimento�dell'1.�luglio�2002,�che�la�procedura�instaurata�dai�ricorrenti�aveva�avuto�una�
durata�eccessiva�ed�ha�loro�accordato,�complessivamente,�la�somma�di�Euro�2.450�a�titolo�
di�danno�morale,�e�pertanto�circa�Euro�600�ciascuno.�

Secondo�questa�Corte,�il�riconoscimento,�da�parte�della�Corte�d'Appello,�della�eccessiva�
durata�della�procedura�soddisfa,�in�sostanza,�la�prima�delle�condizioni�enunciate�dalla�giuri-
sprudenza�della�Corte:�il�riconoscimento,�da�parte�delle�autorita�,�della�lesione�di�un�diritto�
tutelato�dalla�Convenzione.�

Per�quanto�concerne�la�seconda�condizione,�cioe�il�ristoro�appropriato�da�parte�delle�
autorita�della�violazione�subita�dai�ricorrenti,�la�Corte�rileva�che�essi�hanno�lamentato,�
davanti�alla�Corte�medesima,�che�la�somma�accordata�dalla�Corte�d'Appello�non�puo�essere�
considerata�adeguata�per�riparare�il�pregiudizio�e�la�violazione�dagli�stessi�dedotta.�

La�Corte�ricorda�che,�in�relazione�ai�casi�italiani�di�eccessiva�durata�dei�giudizi,�un'am-
pia�giurisprudenza�ritiene�che�la�riparazione�appropriata�per�questo�genere�di�ipotesi�consi-
sta�sempre�nell'indennizzo�pecuniario.�In�questo�contesto,�in�casi�simili�a�quello�in�esame�a
d�esempio�De 
Pilla 
c. 
Italia, 
n.�49372/99,�sentenza�del�25�ottobre�2001;�Tartaglia 
c. 
Italia, 


n.�48402/99,�sentenza�del�23�ottobre�2001�^la�Corte�ha�riconosciuto�somme�decisamente�
piu�consistenti.�Nei�due�casi�ricordati,�infatti,�la�Corte�ha�riconosciuto,�rispettivamente,�
Lit.�10.000.000�circa�Euro�5.000)�e�Lit.�14.000.000�(circa�Euro�7.000).�
E�incontestabile�che�l'apprezzamento�circa�la�durata�della�procedura�e�le�sue�ripercus-
sioni,�in�particolare�per�quanto�riguarda�il�danno�morale,�non�si�presta�ad�una�quantifica-
zione�esatta�e�che�esso,�per�sua�natura,�da�luogo�ad�una�valutazione�equitativa.�Dunque,�la�
Corte�ammette�che�le�autorita�giudiziarie�o�di�altro�tipo�possano�calcolare�il�risarcimento,�
in�un�caso�di�eccessiva�durata�della�procedura,�in�modo�tale�da�distaccarsi�da�una�applica-
zione�stretta�e�formalistica�dei�criteri�adottati�dalla�Corte.�Tuttavia,�nelcaso�dispecie,�la�
somma�accordata�ai�ricorrenti�dalla�Corte�d'Appello�di�Reggio�Calabria�non�presenta�un�
rapporto�ragionevole�con�la�somma�accordata�dalla�Corte�negli�analoghi�casi�sopra�ricordati�
^somma�che�e�dieci�volte�superiore�a�quella�liquidata�ai�ricorrenti�dalla�Corte�d'Appello.�

Pur�nel�rispetto�del�margine�di�discrezionalita�di�cui�dispongono�i�giudici�nazionali,�essi�
si�debbono�conformare�alla�giurisprudenza�della�Corte�anche�concedendo�unrisarcimento�
adeguato.�

Tenuto�conto�degli�elementi�che�emergono�dal�fascicolo,�la�Corte�ritiene�che�un�tale�
divario�tra�la�giurisprudenza�di�Strasburgo�da�una�parte�e�l'applicazione�nelcaso�dispecie�
della�Legge�Pinto�dall'altra�non�sia�giustificato.�Pertanto,�ritiene�che�la�somma�accordata�ai�
ricorrenti�non�possa�considerarsi�adeguata�e�idonea�a�riparare�la�violazione�dedotta.�

Ne�segue�che�i�ricorrenti�possono�tuttora�considerarsi�vittime�ai�sensi�dell'art.�34�della�
Convenzione�e�che�anche�la�seconda�eccezione�del�Governo�deve�essere�rigettata�(omissis).�
Per�questi�motivi�la�Corte,�all'unanimita�,�dichiara�il�ricorso�ricevibile�(omissis)�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Cioccolato 
e 
cioccolato 
puro 


(CortediGiustizia�delle�Comunita�Europee,�6.sez.,�16gennaio�2003,�nella�causa�C-14/00)�

Nel�regime�della�direttiva�n.�73/241/CEE�del�Consiglio�del�24�luglio�1973,�
relativa�al�ravvicinamento�delle�legislazioni�degli�Stati�membri�concernenti�i�
prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�destinati�all'alimentazione�umana,�e�della�legge�
nazionale�di�attuazione�30�aprile�1976�n.�351,�secondo�la�quale�la�denomina-
zione��cioccolato��non�poteva�essere,�in�generale,�attribuita�a�prodotti�in�cui�si�
fossero�utilizzate�materie�grasse�diverse�dal�burro�di�cacao,�le�autorita�italiane,�
pur�non�impedendo�l'importazione�e�la�commercializzazione�in�Italia�di�pro-
dotti�legittimamente�fabbricati�in�altri�paesi�comunitari,�contenenti�una�certa�
percentuale�di�materie�grasse�diverse�dal�burro�di�cacao,�consentiva�la�messa�
in�commercio�di�essi�solo�con�la�denominazione��surrogato�di�cioccolato�.�

La�Corte�ha�ritenuto�incompatibile�con�l'attuale�art.�28�del�trattato�CE�
l'imposizione�di�un�siffatto�cambio�di�denominazione.�Essa,�nella�scia�della�
giurisprudenza�Dassonville, 
CassiS 
dE 
Dijon, 
Deserbais, 
Smanor, 
Mars, 
ha�enunciato�il�principio�generale�secondo�cui,�in�assenza�di�una�nor-
mativa�comunitaria�di�armonizzazione�completa�(la�suddetta�direttiva�conte-
neva�solo�una�armonizzazione�parziale),�gli�Stati�membri�sono�competenti�a�
disciplinare�la�denominazione�delle�merci,�ma�pur�sempre�nel�quadro�del�
regime�fondamentale�del�trattato�CE�che�prevede�la�libera�circolazione�delle�
merci�e�il�divieto�di�restrizioni�quantitative�o�di�misure�di�effetto�equivalente.�
Il�mutamento�di�denominazione�di�un�prodotto�legalmente�fabbricato�in�un�
altro�Stato�membro�e�legittimo�solo�se�le�caratteristiche�del�prodotto�si�disco-
stano�da�quelle�di�merci�generalmente�conosciute�sotto�la�stessa�denomina-
zione�nella�Comunita�in�misura�tale�che�il�prodotto�in�questione�non�puo�
essere�considerato�come�rientrante�nella�medesima�categoria.�

La�Corte�ha�quindi�disatteso�anche�l'argomento�del�Governo�italiano�
secondo�cui�l'applicazione�dell'art.�28�del�Trattato�dovrebbe�essere�esclusa�in�
quanto�condurrebbe�ad�una�discriminazione�a�danno�delle�imprese�nazionali,�
le�quali�dovrebbero�osservare�la�legislazione�italiana�^che�vieta�l'aggiunta�di�
sostanze�grasse�diverse�dal�burro�di�cacao�^mentre�le�imprese�che�producono�
in�altri�Stati�membri�potrebbero�commercializzare�in�Italia,�con�la�denomina-
zione��cioccolato�,�prodotti�contenenti�anche�grassi�vegetali�diversi�dal�burro�
di�cacao.�Richiamando�la�propria�giurisprudenza�precedente,�MathoT 
e�Gui-
monT 
la�Corte�ha�affermato�che��l'art.�30�del�Trattato�non�e�inteso�a�garantire�
che�le�merci�di�origine�nazionale�fruiscano,�in�tutti�i�casi,�dello�stesso�tratta-
mento�delle�merci�importate��e�che��una�differenza�di�trattamento�tra�merci�
che�non�sia�tale�da�ostacolare�l'importazione�o�sfavorire�la�distribuzione�delle�
merci�importate�non�ricade�sotto�il�divieto�stabilito�dal�suddetto�articolo�.�

L'inserimento�nell'etichetta�di�un'indicazione�neutra�ed�obiettiva�che�
informasse�i�consumatori�della�presenza,�nel�prodotto,�di�sostanze�grasse�
vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�sarebbe�sufficiente�a�garantire�una�infor-
mazione�corretta�dei�consumatori.�

Oggi,�con�efficacia�dal�3�agosto�2003,�il�problema�concreto�e�superato,�
ferma�rimanendo�l'enunciazione�di�principio�della�Corte,�valida�certamente�
per�altre�circostanze�similari.�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni�

LanuovaDirettiva2000/36/CEdelParlamentoedelConsigliodel23�giu-
gno�2000,�relativa�ai�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�destinati�all'alimentazione�
umana,�ammette�in�linea�generale�l'aggiunta�di�grassi�vegetali�in�misura�non�
superiore�al�5%,�ma�subordina�l'immissione�in�commercio�alla�condizione�che�
l'etichettatura�rechi�la�menzione�ben�visibile�e�chiaramente�leggibile��contiene�
altri�grassi�vegetali�oltre�il�burro�di�cacao�,�a�partire,�appunto,�dal�3�agosto�
2003.�E�cos|�il�decreto�legislativo�italiano�12�giugno�2003�n.�178,�emesso�in�base�
alla�delega�di�cui�all'art.�28�della��legge�comunitaria��1.�marzo�2002�n.�39,ha�
consentito�^a�partire�dal�3�agosto�2003,�anche�ovviamente�ai�fabbricanti�ita-
liani,�di�utilizzare�grassi�vegetali�diversi�dal�burro�di�cacao�nelle�percentuali�pre-
viste,�ma�ha�precisato�che�l'etichettatura�di�tali�prodotti�deve�contenere,�in�
modo�evidente,�la�menzione��contienealtrigrassivegetalioltre�ilburro�dicacao��
(art.�5,�commi�6�e�7)�mentre�i�prodotti�che�non�contengono�grassi�vegetali�
diversi�dal�burro�di�cacao,�possono�^essi�solo�^riportare�nell'etichettatura�la�
dizione��cioccolato�puro��(articoli�6�e�7�comma�8).�

Avv.�Oscar�Fiumara�

Corte�di�Giustizia�delle�Comunita�Europee,�sezione�6.,�16�gennaio�2003,�nella�causa�C-14/00�-

Pres.�Puissochet�-Rel.�Skouris�-Avv.�Gen.�Alber�-Commissione�delle�C.E.�(ag.�Valero�
Jordana�e�Bisogni)�c/�Repubblica�Italiana�(avv.�Stato�O.�Fiumara).�

Vietando�che�i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�rispettano�i�contenuti�minimi�fissati�

all'allegato�I,�n.�1,�punto�1.16,�della�direttiva�del�Consiglio�24�luglio�1973,�73/241/CEE,�relativa�

alravvicinamento�dellelegislazionidegliStatimembriconcernentiiprodottidicacao�edicioc-

colato�destinati�all'alimentazione�umana,�ai�quali�sono�state�aggiunte�sostanze�grasse�vegetali�

diverse�dal�burro�di�cacao�e�che�sono�legalmentefabbricati�negli�Stati�membri�che�autorizzano�

l'aggiunta�di�tali�sostanze,�possano�essere�commercializzati�in�Italia�con�la�denominazione�

impiegatanello�Statomembro�diproduzioneeprevedendo�che�taliprodottipossano�esserecom-

mercializzati�solo�con�la�denominazione��surrogato�di�cioccolato�,�la�Repubblica�italiana�e�

venuta�meno�agli�obblighi�ad�essa�incombenti�inforza�dell'art.�30�del�Trattato�CE�(divenuto,�in�

seguito�a�modifica,�art.�28�CE).�

(Direttiva�73/241/CEE�del�Consiglio�del�24�luglio�1973;�direttiva�2000/36/CE�del�Consiglio�del�23�luglio�2000;�
direttiva�79/112/CEE�del�Consiglio�del�18�dicembre�1978;�legge�30�aprile�1976�n.�351).�

�(omissis)�Giudizio�della�Corte�^Sulla�portata�dell'armonizzazione�realizzata�dalla�diret-

tiva�73/241.�

43.�^In�via�preliminare,�occorre�constatare�che�l'addebito�della�Commissione�attinente�
al�fatto�che�la�normativa�italiana�e�incompatibile�con�il�diritto�comunitario,�in�quanto�
impone�restrizioni�alla�libera�circolazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti�
sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�solleva�il�problema�della�portata�dell'ar-
monizzazione�realizzata�dalla�direttiva�n.�73/241.�
44.�^Infatti,�sebbene�le�parti�concordino�sul�fatto�che�il�problema�dell'utilizzazione�di�
tali�sostanze�grasse�vegetali�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�non�e�stato�armonizzato�
dalla�detta�direttiva,�esse�dissentono�quanto�alle�conseguenze�che�ne�derivano�per�la�com-
mercializzazione�dei�prodotti�contenenti�tali�sostanze.�
45.�^Cos|�,�ritenendo�che�l'assenza�di�armonizzazione�riguardante�l'utilizzazionedi�
sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�non�
possa�escludere�la�commercializzazione�dei�prodotti�contenenti�tali�sostanze�grasse�dall'ap-
plicazione�del�principio�della�libera�circolazione�delle�merci,�la�Commissione�conclude�che�
le�eventuali�misure�restrittive�della�libera�circolazione�dei�detti�prodotti�devono�essere�valu-
tate�alla�luce�dell'art.�30�del�Trattato.�
46.�^Ilgovernoitalianosostieneinvececheladirettiva73/241disciplinainmodocom-
pleto�il�problema�della�commercializzazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�ne�for-
mano�oggetto,�escludendo�cos|�l'applicazione�dell'art.�30�del�Trattato�in�quanto�essa,�da�un�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

lato,�sancisce�il�principio�del�divieto�di�utilizzazione�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�
burro�di�cacao�nella�fabbricazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�e,�dall'altro,�instaura�
un�regime�di�libera�circolazione�con�la�denominazione�``cioccolato''�solo�per�i�prodotti�di�
cacao�e�di�cioccolato�che�non�contengono�tali�sostanze�grasse�vegetali.�

47.�^Ilgovernoitalianonededucecheladirettiva73/241consenteagliStatimembrila�
cui�normativa�nazionale�vieta�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�
cacao�ai�prodotti�fabbricati�nel�loro�territorio�di�vietare�altres|�la�commercializzazione�sul�
loro�territorio,�con�la�denominazione�``cioccolato'',�di�prodotti�la�cui�fabbricazione�non�e�
conforme�alla�loro�normativa�nazionale.�
48.�^Occorre�al�riguardo�rammentare�che,�secondo�una�giurisprudenza�costante,�ai�
fini�dell'interpretazione�di�una�norma�di�diritto�comunitario,�si�deve�tener�conto�non�solo�
della�lettera�della�stessa,�ma�anche�del�suo�contesto�e�degli�scopi�perseguiti�dalla�normativa�
di�cui�essa�fa�parte�(v.,�in�particolare,�sentenze�19�settembre�2000,�causa�C-156/98,�Germa-
nia/Commissione,�Racc., 
I-6857,�punto�50,�e�14�giugno�2001,�causa�C-191/99,�Kvaerner,�
Racc., 
I-4447,�punto�30).�
49.�^Per�quanto�riguarda,�anzitutto,�gli�scopi�perseguiti�dalle�disposizioni�di�cui�trat-
tasi�ed�il�contesto�in�cui�esse�sono�inserite,�occorre�constatare�che�la�direttiva�73/241�non�
era�diretta�a�disciplinare�definitivamente�il�problema�dell'utilizzazione�di�sostanze�grasse�
vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�ne�formano�l'og-
getto.�
50.�^Occorre�al�riguardo�ricordare�che�la�detta�direttiva�e�stata�adottata�dal�Consiglio,�
deliberando�all'unanimita�,�sulla�base�dell'art.�100�del�Trattato�CEE�(divenuto,�in�seguito�a�
modifica,�art.�100�del�Trattato�CE,�a�sua�volta�divenuto�art.�94�CE),�relativo�al�ravvicina-
mento�delle�disposizioni�legislative,�regolamentari�e�amministrative�degli�Stati�membri�che�
abbiano�un'incidenza�diretta�sull'instaurazione�o�sul�funzionamento�del�mercato�comune.�
51.�^In�particolare,�adottando�la�direttiva�73/241,�il�legislatore�comunitario�ha�voluto�
stabilire,�come�risulta�dal�quarto�``considerando''�di�quest'ultima,�definizioni�e�norme�
comuni�per�la�composizione,�le�caratteristiche�di�fabbricazione,�il�condizionamento�e�l'eti-
chettatura�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato,�al�fine�di�garantirne�la�libera�circolazione�
all'interno�della�Comunita�.�
52.�^Tuttavia,nelsettimo``considerando''delladirettiva73/241,illegislatorecomuni-
tario�ha�chiaramente�indicato�che,�alla�luce�delle�disparita�tra�le�normative�degli�Stati�mem-
bri�e�dell'insufficienza�delle�informazioni�economiche�e�tecniche�di�cui�disponeva,�esso�non�
era�in�grado,�al�momento�dell'adozione�della�direttiva�stessa,�di�stabilire�una�posizione�defi-
nitiva�sul�problema�dell'impiego�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�nei�
prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato.�
53.�^Si�deve�ancora�precisare�che,�come�emerge�dal�fascicolo,�il�riferimento,�contenuto�
nello�stesso�``considerando'',�a�taluni�Stati�membri�nei�quali�l'impiego�di�tali�sostanze�grasse�
vegetali�era�all'epoca�non�solo�autorizzato�ma�addirittura�largamente�diffuso�riguardava�tre�
Stati�membri�che�avevano�aderito�alla�Comunita�poco�tempo�prima�dell'adozione�della�diret-
tiva�73/241,�cioe�il�Regno�di�Danimarca,�l'Irlanda�ed�il�Regno�Unito,�e�che�tradizionalmente�
autorizzavano�l'aggiunta�di�tali�sostanze�grasse�vegetali�fino�al�5%�del�pesototaleaiprodotti�
di�cacao�e�di�cioccolato�fabbricati�nel�loro�territorio.�
54.�^Di�conseguenza,�il�Consiglio,�per�quanto�riguarda�l'utilizzazione�di�sostanze�
grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�si�e�limitato�ad�instaurare�un�regime�provvisorio,�
destinato�ad�essere�riesaminato,�conformemente�all'art.�14,�n.�2,�lett.�a), 
seconda�frase,�della�
direttiva�73/241,�alla�scadenza�di�un�termine�di�tre�anni�dalla�notifica�di�quest'ultima.�
55.�^E�alla�luce�di�tali�elementi�che�occorre�analizzare�tanto�il�testo�quanto�la�ratio 
delle�disposizioni�della�direttiva�73/241�relative�all'utilizzazione�di�sostanze�grasse�vegetali�
diverse�dal�burro�di�cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�ne�formano�l'oggetto.�
56.�^Si�deve�anzitutto�rilevare�che�il�divieto�di�aggiungere,�ai�diversi�prodotti�di�cacao�
e�di�cioccolato�definiti�all'allegato�I�della�direttiva�73/241,�sostanze�grasse�e�loro�preparati�
non�derivanti�esclusivamente�dal�latte,�divieto�previsto�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a), 
di�que-
st'ultima,�vige�``senza�pregiudizio�delle�disposizioni�dell'art.�14,�n.�2,�lett.�a)''.�
57.�^Ora,�il�detto�art.�14,�n.�2,�lett.�a), 
prevede�espressamente�che�la�direttiva�73/241�
non�pregiudica�le�normative�nazionali�che�consentono�o�vietano�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�
vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao.�

IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni�

58.�^Da�tale�ultima�disposizione�risulta�quindi�chiaramente�che,�per�quanto�riguarda�
l'utilizzazione�delle�dette�sostanze�grasse�vegetali,�la�direttiva�73/241�non�e��volta�a�realizzare�
un�regime�di�armonizzazione�totale,�in�cui�norme�comuni�si�sostituirebbero�interamente�alle�
norme�nazionali�esistenti�in�materia,�poiche�essa�autorizza�esplicitamente�gli�Stati�membri�
a�prevedere�norme�nazionali�diverse�dalla�regola�comune�da�essa�stessa�prevista.�
59.�^Inoltre,�dato�il�suo�tenore�letterale,�tale�disposizione�non�puo��essere�interpretata�
nel�senso�che�prevede�esclusivamente�una�mera�deroga�al�principio�del�divieto�di�aggiungere�
ai�prodotti�di�cui�trattasi�grassi�vegetali�diversi�dal�burro�di�cacao�riportate�dall'allegato�I,�
n.�7,�lett.�a),�della�direttiva�73/241.�
60.�^Infatti,�da�un�lato,�la�disposizione�dell'art.�14,�n.�2,�lett.�a),�della�direttiva�73/241�
non�si�riferisce�solo�alle�normative�nazionali�che�ammettono�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�
vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�ma�altres|��a�quelle�che�vietano�tale�aggiunta.�
61.�^Dall'altro,�tale�disposizione�stabilisce�che�il�Consiglio�dovra��successivamente�
decidere�sulle�possibilita��e�sulle�modalita��dell'estensione�dell'impiego�di�tali�sostanze�grasse�
a�tutta�la�Comunita�,�il�che�dimostra�come�il�legislatore�comunitario�considerasse�solo�la�poss
ibilita��di�ammettere�o�negare�una�siffatta�estensione�e�non�di�vietare�la�detta�utilizzazione�
in�tutta�la�Comunita��.�
62.�^Risulta�quindi,�tanto�dal�testo�quanto�dalla�ratio�della�direttiva�73/241,�che�essa�
stabilisce�una�norma�comune,�cioe��il�divieto�previsto�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a),�e�instaura,�
con�il�suo�art.�10,�n.�1,�la�liberta��di�circolazione�per�i�prodotti�conformi�a�tale�norma�pur�
riconoscendo�agli�Stati�membri,�con�il�suo�art.�14,�n.�2,�lett.�a),�la�facolta��di�prevedere�
norme�nazionali�che�autorizzano�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�
cacao�nei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�fabbricati�nel�loro�territorio.�
63.�^Ne�risulta�altres|��che�non�puo��essere�accolta�l'interpretazione�proposta�dal�
governo�italiano�secondo�cui�la�direttiva�73/241�vieterebbe�agli�Stati�membri�di�modificare�
le�loro�normative�nazionali�sul�problema�dell'utilizzazione�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�
dal�burro�di�cacao�fino�al�momento�dell'armonizzazione�della�materia�a�livello�comunitario.�
64.�^Infatti,�oltre�a�non�trovare�alcun�sostegno�nel�tenore�letterale�delle�disposizioni�di�
tale�direttiva,�una�siffatta�interpretazione�non�tiene�conto�ne�del�carattere�provvisorio�ne�
della�finalita��stessa�del�regime�instaurato�dalla�direttiva,�come�descritta�ai�punti�48-62�della�
presente�sentenza.�
65.�^Neanche�l'art.�8�della�direttiva�2000/36�puo��essere�fatto�valere�a�sostegno�di�tale�
interpretazione.�
66.�^Al�riguardo,�e��sufficiente�ricordare�che,�come�risulta�da�una�giurisprudenza�cons
olidata,�una�regolamentazione�di�diritto�derivato,�come�l'art.�8�della�direttiva�2000/36,�
non�puo��essere�interpretata�nel�senso�che�autorizza�gli�Stati�membri�a�introdurre�oamanten
ere�in�vigore�requisiti�che�sarebbero�contrari�alle�norme�del�Trattato�relative�alla�libera�circ
olazione�delle�merci�(v.,�in�tal�senso,�segnatamente,�sentenze�9�giugno�1992,�causa�C-47/�
90,�Delhaize�e�Le�Lion,�Racc.,�I-3669,�punto�26;�2�febbraio�1994,�causa�C-315/92,�Verband�
Sozialer�Wettbewerb,�cosiddetta�``Clinique'',�Racc.,�I-317,�punto�12,�e�11�luglio�1996,�cause�
riunite�C-427/93,�C-429/93�e�C-436/93,�Bristol-Myers�Squibb�e�a.,�Racc.,�I-3457,�punto�27).�
^Sull'applicabilita�dell'art.�30�del�Trattato.�

67.�^Dall'analisi�che�precede�risulta�che,�contrariamente�all'argomentazione�sostenuta�
dal�governo�italiano,�i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti�sostanze�grasse�non�menz
ionate�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a),�della�direttiva,�ma�la�cui�fabbricazione�e�commercializzaz
ione�con�la�denominazione�``cioccolato''�sono�consentite�in�taluni�Stati�membri�nel�rispetto�
della�stessa�direttiva,�non�possono�essere�privati�del�beneficio�della�libera�circolazione�delle�
merci�garantita�dall'art.�30�del�Trattato�per�il�solo�fatto�che�altri�Stati�membri�impongono�
nel�loro�territorio�la�fabbricazione�dei�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�secondo�la�norma�
di�composizione�comune�prevista�all'allegato�I,�n.�7,�lett.�a),�di�tale�direttiva�(v.,�per�analog
ia,�sentenza�12�ottobre�2000,�causa�C-3/99,�Ruwet,�Racc.,�I-8749,�punto�44).�
68.�^Infatti,�come�risulta�da�una�giurisprudenza�costante,�l'art.�30�del�Trattato�e��inteso�
a�vietare�ogni�normativa�degli�Stati�membri�che�possa�ostacolare�direttamente�o�indirettam
ente,�in�atto�o�in�potenza,�gli�scambi�intracomunitari�(sentenza�11�luglio�1974,�causa�8/�
74,�Dassonville,�Racc.,�837,�punto�5).�
69.�^In�particolare,�conformemente�alla�sentenza�20�febbraio�1979,�causa�120/78,�
Rewe-Zentral,�cosiddetta�``Cassis�de�Dijon''�(Racc.,�649),�l'art.�30�del�Trattato�vieta�gli�osta

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

coli�alla�libera�circolazione�delle�merci�derivanti,�in�assenza�di�armonizzazione�delle�legisla-
zioni�nazionali,�dall'assoggettamento�delle�merci�provenienti�da�altri�Stati�membri,�in�cui�
sono�legalmente�fabbricate�e�immesse�in�commercio,�a�norme�che�dettino�requisiti�ai�quali�
le�merci�stesse�devono�rispondere�(come�quelle�riguardanti�la�denominazione,�la�forma,�le�
dimensioni,�il�peso,�la�composizione,�la�presentazione,�l'etichettatura,�il�confezionamento),�
anche�qualora�tali�norme�siano�indistintamente�applicabili�ai�prodotti�nazionali�ed�ai�pro-
dotti�importati�(v.,�segnatamente,�sentenze�24�novembre�1993,�cause�riunite�C-267/91�e�C-
268/91,�Keck�e�Mithouard,�Racc.,�I-6097,�punto�15;�6�luglio�1995,�causa�C-470/93,�Mars,�
Racc.,�I-1923,�punto�12,�e�Ruwet,�cit., 
punto�46).�

70.�^Ne�discende�che�tale�divieto�si�applica�anche�agli�ostacoli�alla�commercializza-
zione�dei�prodotti�la�cui�fabbricazione�non�e��oggetto�di�un'armonizzazione�integrale,�ma�
che�sono�fabbricati�conformemente�a�norme�nazionali�la�cui�esistenza�e��espressamente�con-
sentita�dalla�direttiva�di�armonizzazione.�In�questo�caso�una�diversa�interpretazione�porte-
rebbe�ad�autorizzare�nuovamente�gli�Stati�membri�a�compartimentare�i�rispettivi�mercati�
nazionali�per�quanto�riguarda�i�prodotti�non�contemplati�dalle�norme�comunitarie�di�armo-
nizzazione,�in�contrasto�con�l'obiettivo�della�libera�circolazione�delle�merci�perseguito�dal�
Trattato�(v.,�per�analogia,�sentenza�Ruwet,�cit.,punto�47).�
71.�^Non�puo��essere�accolto�neanche�l'argomento�del�governo�italiano�secondo�cui�
dovrebbe�essere�esclusa�l'applicazione�dell'art.�30�del�Trattato,�in�quanto�condurrebbe�ad�
una�discriminazione�a�svantaggio�dei�produttori�nazionali.�
72.�^Infatti,�la�Corte�ha�gia��dichiarato�che�l'art.�30�del�Trattato�non�e��inteso�a�garan-
tire�che�le�merci�di�origine�nazionale�fruiscano,�in�tutti�i�casi,�dello�stesso�trattamento�delle�
merci�importate�e�che�una�differenza�di�trattamento�tra�merci�che�non�sia�tale�da�ostacolare�
l'importazione�o�sfavorire�la�distribuzione�delle�merci�importate�non�ricade�sotto�il�divieto�
stabilito�dal�suddetto�articolo�(v.,�segnatamente,�sentenze�18�febbraio�1987,�causa�98/86,�
Mathot,�Racc.,�809,�punto�7,�e�5�dicembre�2000,�causa�C-448/98,�Guimont,�Racc.,�I-10663,�
punto�15).�
73.�^E�quindi�irrilevante�che�l'obbligo�imposto�dall'art.�30�del�Trattato�ad�uno�Stato�
membro�che�vieta�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�ai�prodotti�
di�cacao�e�di�cioccolato�fabbricati�nel�suo�territorio�di�autorizzare�la�commercializzazione�
con�la�denominazione�``cioccolato''�di�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti�siffatte�
sostanze�grasse,�legalmente�fabbricati�in�altri�Stati�membri,�possa�svantaggiare�i�prodotti�
nazionali�di�tale�Stato.�
74.�^Occorre�pertanto�esaminare�se�ed�entro�quali�limiti�l'art.�30�del�Trattato�osti�alla�
normativa�italiana�che�vieta�la�commercializzazione�in�Italia�di�prodottidicacao�e�di�ciocco-
lato�contenenti�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�con�la�denominazione�di�
vendita�``cioccolato'',�con�la�quale�essi�sono�legalmente�fabbricati�e�commercializzati�nello�
Stato�membro�di�produzione,�e�che�prevede�che�tali�prodotti�possano�essere�commercializ-
zati�solo�con�la�denominazione�``surrogato�di�cioccolato''.�
75.�^Si�deve�al�riguardo�rilevare�che,�come�risulta�dalla�giurisprudenza�della�Corte,�
sebbene�un�divieto�come�quello�derivante�dalla�normativa�italiana,�che�comporta�l'obbligo�
di�impiegare�una�denominazione�di�vendita�diversa�da�quella�impiegata�nello�Stato�membro�
di�produzione,�non�impedisca�in�modo�assoluto�l'importazione�nello�Stato�membro�interes-
sato�di�prodotti�originari�di�altri�Stati�membri,�essa�e��nondimeno�atta�a�renderne�piu��difficile�
lo�smercio�e,�di�conseguenza,�ad�ostacolare�gli�scambi�fra�gli�Stati�membri�(v.,�in�tal�senso,�
segnatamente,�sentenze�26�novembre�1985,�causa�182/84,�Miro,�Racc.,�3731,�punto�22;�
14�luglio�1988,�causa�298/87,�Smanor,�Racc.,�4489,�punto�12;�22�settembre�1988,�causa�286/�
86,�Deserbais,�Racc.,�4907,�punto�12,�e�Guimont,�cit.,�punto�26).�
76.�^Si�deve�infatti�constatare�che,�nel�caso�di�specie,�il�divieto�di�impiegare�la�denomina-
zione�di�vendita�``cioccolato'',�con�cui�i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�contenenti�sostanze�
grassevegetali�diverse�dal�burro�dicacao�sono�legalmente�fabbricatinello�Stato�membro�di�pro-
duzione,puo��costringereglioperatoriinteressatiaconfezionaretaliprodottiinmanieradiversa�
a�seconda�del�luogo�della�loro�commercializzazione�ed�a�sopportare,�conseguentemente,�spese�
supplementari�di�confezionamento.�Sembra�quindi�che�essa�sia�idonea�ad�ostacolare�gli�scambi�
intracomunitari�(v.,�in�tal�senso,�sentenze�citate�Mars,�punto�13,�e�Ruwet,�punto�48).�
77.�^Tale�constatazione�e��tanto�piu��veritiera�in�quanto�la�denominazione�``surrogato�di�
cioccolato'',�il�cui�impiego�e��reso�obbligatorio�dalla�normativa�italiana,�puo��avere�un'in-

IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^le�decisioni�

fluenza�negativa�sul�modo�in�cui�i�prodotti�di�cui�trattasi�sono�percepiti�dal�consumatore,�in�
quanto�essa�implica�che�si�tratta�di�prodotti�sostitutivi,�conducendo�cos|�alla�loro�svaluta-
zione�(v.,�in�tal�senso,�sentenze�citate�Miro,�punto�22;�Smanor,�punti�12�e�13,�e�Guimont,�
punto�26).�

78.�^Circa�la�questione�se�una�normativa�siffatta�possa�tuttavia�essere�conforme�al�
diritto�comunitario,�occorre�ricordare�la�giurisprudenza�costante�secondocui�gli�ostacoliagli�
scambi�intracomunitari�che�scaturiscono�da�discrepanze�tra�le�normative�nazionali�devono�
essere�accettati�nei�limiti�in�cui�dette�normative,�indistintamente�applicabili�ai�prodotti�
nazionali�e�ai�prodotti�importati,�possano�giustificarsi�in�quanto�necessarie�per�soddisfare�
esigenze�tassative�inerenti,�tra�l'altro,�alla�tutela�dei�consumatori.�Tuttavia,�per�essere�tolle-
rate,�e�necessario�che�dette�normative�siano�proporzionate�all'obiettivo�perseguito�e�che�lo�
stesso�obiettivo�non�possa�essere�raggiunto�con�provvedimenti�che�ostacolino�in�misura�
minore�gli�scambi�intracomunitari�(v.,�in�particolare,�sentenze�Mars,�cit.,�punto�15;�
26�novembre�1996,�causa�C-313/94,�Graffione,�Racc.,�I-6039,�punto�17;�Ruwet,�cit.,�
punto�50,�e�Guimont,�cit.,punto�27).�
79.�^In�tale�contesto�la�Corte�ha�gia�dichiarato�che�uno�Stato�membro�e�legittimato�a�
far�s|�che�i�consumatori�siano�correttamente�informati�sui�prodotti�che�vengono�loro�offerti�
e�che�sia�quindi�loro�data�la�possibilita�di�scegliere�in�base�a�questa�informazione�(v.,�segna-
tamente,�sentenze�23�febbraio�1988,�causa�216/84,�Commissione/Francia,�Racc.,�793,�
punto�11,�e�Smanor,�cit.,�punto�18).�
80.�^In�particolare,�secondo�la�giurisprudenza�della�Corte,�allo�scopo�di�assicurare�la�
difesa�dei�consumatori,�gli�Stati�membri�possono�esigere�dagli�interessati�la�modifica�della�
denominazione�di�una�derrata�alimentare�quando�un�prodotto�presentato�con�una�data�
denominazione�sia�talmente�differente,�dal�punto�di�vista�della�sua�composizione�o�della�
sua�fabbricazione,�dalle�merci�generalmente�conosciute�con�la�stessa�denominazione�nella�
Comunita�da�non�poter�essere�considerato�appartenente�alla�medesima�categoria�(v.,in�par-
ticolare,�sentenze�Deserbais,�cit.,�punto�13;�12�settembre�2000,�causa�C-366/98,�Geffroy,�
Racc.,�I-6579,�punto�22,�e�Guimont,�cit.,punto�30).�
81.�^Viceversa,�nel�caso�di�una�differenza�meno�netta,�un'etichettatura�adeguata�
dev'essere�sufficiente�a�fornire�all'acquirente�o�al�consumatore�le�informazioni�necessarie�
(v.,�segnatamente,�sentenze�13�novembre�1990,�causa�C-269/89,�Bonfait,�Racc.,I-4169,�
punto�15;�9�febbraio�1999,�causa�C-383/97,�Van�der�Laan,�Racc.,�I-731,�punto�24;�Geffroy,�
cit.,�punto�23,�e�Guimont,�cit.,�punto�31).�
82.�^Occorre�quindi�verificare�se�l'aggiunta�ai�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�di�
sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao�comporti�una�modifica�sostanziale�della�
loro�composizione,�di�modo�che�essi�non�presentano�piu�le�caratteristiche�che�i�consumatori�
si�aspettano�acquistando�prodotti�recanti�la�denominazione�``cioccolato''�e�che�un'etichetta-
tura�che�fornisce�un'informazione�adeguata�circa�la�loro�composizione�nonpuo�essere�consi-
derata�sufficiente�a�evitare�qualsiasi�confusione�nella�mente�dei�consumatori.�
83.�^Si�deve�constatare�al�riguardo�che�l'elemento�caratteristico�dei�prodotti�di�cacao�e�
di�cioccolato�ai�sensi�della�direttiva�73/241�consiste�nella�presenza�di�taluni�contenuti�minimi�
di�cacao�e�di�burro�di�cacao.�
84.�^In�particolare�occorre�ricordare�che,�conformemente�all'allegato�I,n.�1,�
punto�1.16,�della�direttiva�73/241,�i�prodotti�rientranti�nella�definizione�di�cioccolato�ai�sensi�
di�tale�direttiva�devono�contenere�almeno�il�35%�di�sostanza�secca�totale�dicacao,almeno�
il�14%�di�cacao�secco�sgrassato�e�il�18%�di�burro�di�cacao.�
85.�^Infatti,�le�percentuali�fissate�dalla�direttiva�73/241�rappresentano�contenuti�
minimi�che�devono�essere�rispettati�per�qualsiasi�prodotto�di�cioccolato�fabbricato�e�com-
mercializzato�con�la�denominazione�``cioccolato''�nella�Comunita�,�indipendentemente�dal�
problema�di�sapere�se�la�normativa�dello�Stato�membro�di�produzione�autorizziomenol'ag-
giunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao.�
86.�^Occorre�inoltre�sottolineare�che,�poiche�la�direttiva�73/241�consente�espressa-
mente�agli�Stati�membri�di�autorizzare�nella�fabbricazione�di�prodotti�di�cacao�e�di�ciocco-
lato�l'impiego�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�non�si�puo�asserire�che�
i�prodotti�ai�quali�tali�sostanze�sono�state�aggiunte�nel�rispetto�di�tale�direttiva�siano�snatu-
rati�al�punto�di�non�rientrare�nella�stessa�categoria�cui�appartengono�quelli�che�non�conten-
gono�tali�sostanze.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

87.�^Si�deve�quindi�ammettere�che�l'aggiunta�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�
burro�di�cacao�a�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�rispettano�i�contenuti�minimi�previsti�
dalla�direttiva�73/241�non�puo�avere�l'effetto�di�modificare�sostanzialmente�la�natura�di�tali�
prodotti,�al�punto�di�trasformarli�in�prodotti�diversi.�
88.�^Ne�consegue�che�l'inserimento�nell'etichetta�di�un'indicazione�neutra�ed�obiettiva�
che�informa�i�consumatori�della�presenza,�nel�prodotto,�di�sostanze�grasse�vegetali�diverse�
dal�burro�di�cacao�sarebbe�sufficiente�a�garantire�un'informazione�corretta�dei�consumatori.�
89.�^Di�conseguenza,�l'obbligo�di�modificare�la�denominazione�di�vendita�di�tali�pro-
dotti�imposto�dalla�normativa�italiana�non�sembra�necessario�a�soddisfare�l'esigenza�impera-
tiva�attinente�alla�tutela�dei�consumatori.�
90.�^Da�quanto�precede�risulta�che�la�detta�normativa,�poiche�impone�l'obbligo�di�
modificare�la�denominazione�dei�prodotti�legalmente�fabbricati�e�commercializzati�in�altri�
Stati�membri�con�la�denominazione�di�vendita�``cioccolato''�per�il�solo�fatto�che�contengono�
sostanze�grasse�vegetali�diverse�dal�burro�di�cacao,�e�incompatibile�con�l'art.�30�del�Trattato.�
91.�^Alla�luce�delle�considerazioni�che�precedono,�si�deve�concludere�che,�vietando�che�
i�prodotti�di�cacao�e�di�cioccolato�che�rispettano�i�contenuti�minimi�fissati�all'allegato�I,�
n.�1,�punto�1.16,�della�direttiva�73/241,�ai�quali�sono�state�aggiunte�sostanze�grasse�vegetali�
diverse�dal�burro�di�cacao�e�che�sono�legalmente�fabbricati�negli�Stati�membri�che�autoriz-
zano�l'aggiunta�di�tali�sostanze,�possano�essere�commercializzati�in�Italia�con�la�denomina-
zione�impiegata�nello�Stato�membro�di�produzione�e�prevedendo�che�tali�prodotti�possano�
essere�commercializzati�solo�con�la�denominazione�``surrogato�di�cioccolato'',�la�Repubblica�
italiana�e�venuta�meno�agli�obblighi�ad�essa�incombenti�in�forza�dell'art.�30�del�Trattato�
(omissis)�.�

IGIUDIZIINCORSO
ALLACORTEDIGIUSTIZIACEE(*)�
IGIUDIZIINCORSO
ALLACORTEDIGIUSTIZIACEE(*)�
Causa 
C-482/01 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Provvedimento 
di 
espulsione 
di 
cittadino 
dell'Unione 
^Artt.�18�e�39�CE�e�art.�9,�n.�1�diret-
tiva�64/221/CEE�^Art.�7�Carta�diritti�fondamentali�e�art.�8�CEDU�^
Verwaltungsgericht�Stuttgart�(Germania)�del�20�novembre�2001�-Iscritta�
il�13�dicembre�2001�(cons.�5308/02,�avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
fattO 


Il�ricorso�e�proposto�da�Orfanopoulos�Georgios�e�familiari�contro�il�
provvedimento�di�espulsione�dal�territorio�federale�con�minaccia�di�allonta-
namento�forzato�in�Grecia�conseguente�a�reiterate�condanne�penali�conse-
guenti�al�suo�status 
di�dipendenza�dall'alcool�e�da�droghe.�

IquesitI 


1.�^Se�la�limitazione�di�circolazione�imposta,�a�causa�di�un�reato�com-
messo�in�violazione�della�legge�federale�sugli�stupefacenti,�ad�uno�straniero�
cittadino�dell'Unione�soggiornante�da�molti�anni�nel�territorio�del�Paese�
ospitante�ai�sensi�dell'art.�39,�n.�3,�CE,�per�motivi�di�ordine�pubblico,�pub-
blica�sicurezza�e�sanita�pubblica�sia�conforme�al�diritto�comunitario�qualora,�
a�causa�del�suo�comportamento�personale,�sia�lecito�ritenere�che�egli�com-
mettera�altri�reati�in�futuro�e�qualora�non�si�possa�pretendere�che�il�coniuge�
del�medesimo�ed�i�suoi�figli�tornino�nello�Stato�di�origine.�
2.�^Se�l'art.�9,�n.�1,�della�direttiva�del�Consiglio�64/221/CEE,�osti�ad�
una�normativa�nazionale�che�non�prevede�piu�un�provvedimento�di�opposi-
zione�^in�cui�ha�luogo�anche�un�esame�di�merito�^ad�una�decisione�di�
un'autorita�amministrativa�sull'allontanamento�del�titolare�di�un�permesso�
di�soggiorno�dal�territorio�nazionale,�mentre�non�viene�istituita�un'apposita�
autorita�indipendente�dall'autorita�amministrativa�che�decide.�
LA 
posizionE 
assuntA 
daL 
GovernO 
italianO 


Il�Governo�italiano�ha�presentato�le�seguenti�osservazioni.�

�SecondounacostantegiurisprudenzadellaCorte, 
ilprincipiodellalibera 
circolazione 
delle 
persone 
deve 
essere 
interpretato 
estensivamente 
(sentenze 
26febbraio 
1991, 
in 
C-292/1989, 
punto 
11, 
e 
20febbraio 
1997, 
in 
C-344/1995, 
punto14), 
mentrelederogheataleprincipiodevonoessere, 
alcontrario, 
interp
retate 
restrittivamente 
(sentenze 
4 
dicembre 
1974, 
in 
C-41/1974, 
punto 
18; 
26febbraio 
1975, 
in 
C-67/1974, 
punto 
6, 
e 
3 
giugno 
1986, 
in 
C-139/1985, 
punto 
13). 
Analogamente, 
le 
disposizioni 
a 
tutela 
dei 
cittadini 
comunitari 
che 
eserci


(*)�Con 
il 
primo 
fascicolo 
del 
2003 
si 
conclude 
la 
rassegna 
dei 
giudizi 
introdotti 
nel 
2002. 
A 
partire 
del 
prossimo 
numero 
saranno 
indicati 
i 
nuovi 
giudizi 
dell'anno 
in 
corso. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


tano�questa�liberta�fondamentale�devono�essere�interpretate�in�loro�favore.�
Occorre,�peraltro,�ricordare�che�tanto�l'applicazione�del�diritto�comunitario,�
quanto�ilprincipio�di�uguaglianza�esigono�che�una�disposizione�del�diritto�comu-
nitario�che�non�contenga�alcun�espresso�richiamo�al�diritto�degli�Stati�membri�
(quale�quella�relativa�al�limite�dello��ordinepubblico�)�per�quanto�riguarda�la�
determinazione�delsuo�senso�e�dellasuaportata�deve�normalmente�dare�luogo,�
nell'intera�Comunita�,�ad�una�interpretazione�autonoma�ed�uniforme�da�effet-
tuarsi�tenendo�conto�del�contesto�della�disposizione�e�dello�scopo�perseguito�
dalla�normativa�(sentenze�18�gennaio�1984,�in�C-327/1982,�punto�11,�e�19�set-
tembre�2000,�in�C-287/1998,�punto�43).�

Lagiurisprudenzadella�Corteeuropeadeidirittidell'Uomo,�sulpuntodel�
limite�dell'�ordine�pubblico��in�materia�di�espulsione�di�un�cittadino�straniero�
(cittadino�algerino,�nato�in�Francia�e�quivi�maritato,�resosi�colpevole�di�nume-
rosi�reati)�considerato�in�relazione�al�rispetto�del�diritto�della�vita�familiare�
(art.�8,���1,�della�C.E.D.U.)�ha�precisato:��(..)�78.�La�Cour�reconnait�qu'il�
incombe�aux�e�tats�contractants�d'assurer�l'ordre�public,�en�particulier�dans�l'e-
xercice�de�leur�droit�de�controler,�en�vertu�d'un�principe�de�droit�international�
biene�tablietsanspre�judicedesengagementsde�coulantpoureuxdu�traite�e,�l'en-
tre�e,�le�se�jour�et�l'e�loignement�des�non-nationaux�(...).�Toutefois,�leurs�de�cisions�
en�la�matie�re,�dans�la�mesure�ou�elles�porteraient�atteinte�a�un�droit�prote�ge�
par�le���1�de�l'article�8,�doivent�se�re�ve�ler�ne�cessaires�dans�une�socie�te�de�mocra-
tique,�c'est-a�-direjustifie�esparunbesoinsocialimpe�rieuxet,�notamment,pro-
portionne�es�au�but�le�gitime�poursuivi��(Beldjoudi�c/�France,�26�mars�1992�s
e�rie�A,�n.�234-A).�

Secondo�consolidata�giurisprudenza�della�Corte�le�liberta�fondamentali�
sancite�dal�Trattato�costituiscono�un�limite�all'azione�dei�governi�nazionali�
ancheincampopenale,�settoreincuigliStaticonservanopienapotesta�(v.�sen-
tenza�Corte�di�giustizia�del�2febbraio�1989,�causa�186/1987,�Cowan).�Tale�
consolidata�impostazione�giurisprudenziale�e�confortata�dalla�presenza�della�
disposizione�contenuta�nel�sopra�citato�art.�3�n.�2�della�direttiva�64/221,che�
anzi�esclude�qualsiasi�ipotesi�di�immediata�connessione�tra�una�condanna�di�
natura�penale�e�un�provvedimento�d'espulsione�nei�confronti�di�un�cittadino�
comunitario.�

Cio�posto,�risulta�in�evidente�contrasto�con�la�libera�circolazione�dei�citta-
dini�comunitari�e,�in�particolare,�con�la�direttiva�64/221/CEE,�una�qualsiasi�
disciplina�nazionale�che,�in�virtu�dell'eccezione�relativa�alla�tutela�delproprio�
ordine�pubblico,�predisponga�un�meccanismo�di�espulsione�automatica�a�seguito�
di�condanna�penale.�Infatti,�l'eccezione�di�ordine�pubblico,�che�venga�posta�alla�
base�di�una�simile�normativa�nazionale,��come�tutte�le�deroghe�a�un�principio�
fondamentale�del�Trattato,�deve�essere...�interpretata�in�modo�restrittivo��(sen-
tenza�19�gennaio�1999,�causa�C-348/1996,�Calfa).�In�termini�piu�generali,�la�
Cortedigiustiziahaprecisatocheilprincipiodellalibera�circolazionedelleper-
sone�deve�essere�interpretato�estensivamente�(sentenza�26febbraio�1991,�
C-292/1989,�Antonissen�e�sentenza�20febbraio�1997,�C-344/1995,�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
57 


Commissione/Belgio), 
mentre 
le 
deroghe 
a 
tale 
principio 
devono 
essere 
al 
con-
trario 
interpretate 
restrittivamente 
(sentenza 
4 
dicembre 
1974, 
causa 
41/1974, 
Van 
Duvt; 
sentenza 
26febbraio 
1975, 
67/1974, 
Bonsignore; 
sentenza 
3 
giugno 
1986, 
139/1985, 
Kempf) 
. 


La 
nozione 
di 
ordine 
pubblico, 
come 
contenuta 
nell'art. 
39 
n. 
3 
TCE, 
puo� 
essere 
richiamata 
solamente 
in 
caso 
di 
una 
minaccia 
effettiva 
ed 
abbastanza 
graveperunodegliinteressifondamentalidellacollettivita� 
(v.sentenza27otto-
bre 
1977, 
causa 
30/1977, 
Boucherau), 
�di 
guisa 
che 
la 
sua 
portata 
non 
puo� 
essere 
determinata 
unilateralmente 
da 
ciascuno 
Stato 
membro 
senza 
il 
controllo 
delle 
istituzioni 
comunitarie� 
(causa 
Rutili, 
citata). 


Proprio 
la 
difesa 
dei 
diritti 
dei 
cittadini 
comunitari 
e 
l'accezione 
restrittiva 
della 
nozione 
di 
ordine 
pubblico 
portano 
la 
Corte 
di 
giustizia 
ad 
esplicitare 
quanto 
gia� 
chiaramente 
previsto 
nell'art. 
3 
della 
Direttiva 
64/221/CEE, 
san-
cendoche�lalegittimita� 
deiprovvedimentiatuteladell'ordinepubblicovavalu-
tata 
alla 
luce 
dell'intera 
normativa 
comunitaria 
avente 
ad 
oggetto, 
in 
primo 
luogo, 
di 
limitare 
il 
potere 
discrezionale 
degli 
Stati 
membri 
in 
materia 
e,in 
secondo 
luogo, 
di 
garantire 
la 
difesa 
dei 
diritti 
dei 
singoli, 
nei 
cui 
confronti 
ven-
gono 
applicatiprovvedimenti 
restrittivi� 
(causa 
Bonsignore, 
citata), 
in 
un'ottica, 
quindi, 
esclusivamente 
di 
prevenzione 
speciale, 
cui 
devono 
rimanere 
estranee 
le 
finalita� 
deterrentigeneralidellanormapenale.�Consideratenellorocomplesso, 
tali 
restrizioni 
dei 
poteri 
degli 
Stati 
membri 
in 
materia 
di 
polizia 
relativa 
agli 
stranieriappaionocomelamanifestazionespecificadiunprincipiopiu� 
generale, 
sancito 
dagli 
articoli 
8, 
9, 
10 
e 
II 
della 
Convenzione 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell'uomo 
e 
delle 
liberta� 
fondamentali, 
firmata 
a 
Roma 
il 
4 
novembre 
1950 
e 
ratificata 
da 
tutti 
gli 
Stati 
membri, 
e 
dall'art. 
2 
del 
protocollo 
n. 
4 
della 
stessa 
Convenzione, 
firmata 
a 
Strasburgo 
il 
16 
settembre 
1963, 
i 
quali 
stabili-
scono, 
in 
termini 
identici, 
che 
le 
restrizioni 
apportate, 
in 
nome 
delle 
esigenze 
di 
ordinepubblico 
e 
di 
sicurezzapubblica, 
ai 
diritti 
tutelati 
dagli 
articoli 
teste� 
citati 
nonpossonoandareoltrecio� 
chee� 
necessarioperilsoddisfacimentoditaliesi-
genze 
in 
una 
societa� 
democratica� 
(causa 
Rutili, 
citata). 


Riassuntivamente, 
con 
riguardo 
ai 
cittadini 
comunitari 
cui 
si 
applichi 
exse 
la 
disciplina 
derivante 
congiuntamente 
dall'art. 
39 
TCE 
e 
dalla 
direttiva 
64/221, 
le 
premesse 
generali 
per 
affrontare 
la 
questione 
sono 
le 
seguenti: 


a) 
per 
valutare 
se 
una 
disposizione 
nazionale, 
restrittiva 
della 
libera 
cir-
colazione 
dei 
cittadini/lavoratori 
comunitari, 
sia 
riconducibile 
a 
una 
delle 
dero-
ghe 
contemplate 
dall'art. 
39 
n. 
3 
TCE, 
la 
nozione 
di 
ordine 
pubblico 
che 
sia 
posta 
a 
fondamento 
di 
tale 
disposizione 
deve 
essere 
conforme 
alla 
corrispon-
dente 
interpretazione 
che 
di 
tale 
nozione 
viene 
data 
a 
livello 
comunitario; 


b) 
i 
mezzi 
restrittivi 
della 
circolazione 
che 
colpiscano 
un 
singolo 
citta-
dino 
comunitario 
non 
possono 
essere 
giustificati 
da 
motivi 
di 
ordine 
generale 
rinvenibili 
in 
norme 
di 
natura 
penale; 


c) 
le 
restrizioni 
della 
libera 
circolazione 
dei 
cittadini 
comunitari 
nonpos-
sono 
superare 
i 
limiti 
di 
proporzionalita� 
ricavabili 
dalla 
disciplina 
comunitaria 
e 
valutabili 
dal 
giudice 
comunitario. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


Stando�a�tali�generali�premesse,�sembra�doversi�concludere�che�la�norma-
tiva�tedesca�in�materia�di�stranieri�non�risulta�conforme�al�diritto�comunitario�
nella�misura�in�cui�dispone�l'espulsione�automatica�di�un�cittadino�di�un�altro�
Stato�membro�sulla�base�della�sola�condanna�penale�(art.�3,�Direttiva�
64/221/CEE).�

Per�quanto�attiene�ai�mezziproceduralipredisposti�dal�legislatore�tede-
sco,�si�ricorda�che�la�Corte�di�giustizia�ha�gia�indicato�che�il�mezzo�prefigu-
rato�nell'art.�9�della�direttiva�64/221�e�di�natura�complementare�rispetto�al�
ricorso�giurisdizionale�previsto�dal�precedente�art.�8�della�stessa�direttiva,�
specificando�le�minime�garanzie�procedurali�che�con�tale�mezzo�ciascuno�
Stato�membro�deve�comunque�assicurare�ai�cittadini�comunitari�sottoposti�a�
unprovvedimento�restrittivo�della�loro�liberta�di�circolare.�Piu�inparticolare,�
il�mezzo�procedurale�contemplato�dall'art.�9�deve�prevedere�un�esame�com-
pletodeifatti,�compresiimotividiopportunita�sucuisifondailprovvedi-
mento�considerato,�prima�che�esso�venga�definitivamente�adottato�(sentenze�
22�maggio�1980,�causa�131/1979,�Santillo;�18�maggio�1982,�cause�riunite�
115/1981�e�116/1981,�Adoui�e�Cornuaille;�30�novembre�1995,�causa�
C-175/1994;�17�giugno�1997,�C-65/1995�e�C-111/1995,�Mann�Singh�Shingara�
e�Abbas�Radiom).�Pertanto,�la�questione�pregiudiziale�attinente�all'interpre-
tazione�dell'art.�9�della�direttiva�64/221�sembra�doversi�risolvere�nel�senso�
che,�poiche�il�rinvio�e�stato�proposto�nell'ambito�di�un�ricorso�giurisdizionale�
(anche�se�amministrativo),�il�diritto�tedesco�prevede�comunque�un�mezzo�
riconducibile�all'art.�8�della�direttiva,�posto�che�ogni�altro�mezzo�predisposto�
ai�sensi�dell'art.�9�della�stessa�si�presenta�quale�opzione�procedurale�
�minima��imposta�agli�Stati�a�tutela�del�diritto�di�difesa�del�cittadino�comu-
nitario�sottoposto�a�provvedimenti�restrittivi�della�liberta�di�circolare�sul�ter-
ritorio�di�uno�Stato�membro.�Cio�che�eventualmente�andrebbe�valutato�dal�
giudice�comunitario�e�se�il�ricorso�in�sede�giurisdizionale�amministrativa,�ai�
sensidell'art.�8dir.�64/221,�consentaunavalutazionedimeritodelprovvedi-
mento�di�espulsione:�in�caso�contrario,�vale�a�dire�di�esclusivo�sindacato�di�
legittimita�dell'atto�da�parte�del�giudice,�dovrebbe�trovare�applicazione�la�
garanzia�di�tutela�minima�dell'art.�9�dir.�64/221.�

Su�tali�presupposti,�si�propone�di�rispondere�ai�quesiti�interpretativi�
sottoposti�alla�Corte�dal�giudice�amministrativo�tedesco�nei�seguenti�
termini:�

A)�non�e�conforme�al�diritto�comunitario�una�normativa�nazionale�che�
disponga�l'espulsione�automatica�di�un�cittadino�di�un�altro�Stato�membro�sulla�
base�della�sola�condanna�penale;�

B)�non�e�conforme�all'ordinamento�comunitario�una�normativa�nazionale�
che�non�consenta�in�caso�di�ricorso�avverso�un�provvedimento�di�espulsione�di�
un�cittadino�di�un�altro�Stato�membro�un�controllo�del�provvedimento�sotto�il�
profilo�del�merito�e�della�proporzionalita�rispetto�alla�situazione�personale�e�
familiare�dell'espulso.�(f.to�Avv.�Maurizio�Fiorilli).�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�59 


Causa 
C-182/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Annullamento 
del 


decreto 
n. 
2000-754 
del 
1 
agosto 
2000, 
concernente 
le 
date 
di 
apertura 
e 


chiusura 
della 
caccia 
agli 
uccelli 
acquatici 
e 
alla 
selvaggina 
di 
passaggio 
^

Violazione�dell'articolo�7,�n.�4�della�direttiva�79/409/CEE�del�Consiglio�
del�2�aprile�1979�-Ordinanza�del�Conseil�d'Etat�(Francia)�del�25�gennaio�
2002�^Iscritta�il�16�maggio�2002�(cons.�12350/02,�avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
fattO 


I�ricorrenti�chiedono�l'annullamento�per�eccesso�di�potere�di�un�decreto�
concernente�le�date�per�la�caccia�agli�uccelli�selvatici,�assumendo�la�viola-
zione�dell'art.�7,�n.�4,�della�direttiva�n.�79/409/CEE.�

IquesitI 


1.�^Se�l'art.�9,�n.�1,�lett.�c)�della�direttiva�del�Consiglio�2�aprile�1979,�
n.�79/409,�permetta�ad�uno�Stato�membro�di�derogare�alle�date�di�apertura�
e�chiusura�della�caccia�fissate�in�considerazione�degli�obiettivi�menzionati�
all'art.�7,�n.�4,�della�medesima.�
2.�^In�caso�di�risposta�affermativa,�quali�siano�i�criteri�che�permettono�
di�determinare�i�limiti�di�tale�deroga.�
NotA 


Secondo�quanto�disposto�dall'art.�7,�n.�4,�della�direttiva�n.�79/409/CEE�

�Gli�Stati�membri�si�accertano�che�l'attivita�venatoria,�compresa�eventualmente�

la�caccia�colfalco,�quale�risulta�dalla�applicazione�delle�disposizioni�nazionali�

invigore,�rispettiiprincipidiunasaggiautilizzazioneediunaregolazioneeco-

logicamente�equilibrata�delle�specie�di�uccelli�interessate�e�sia�compatibile�per�

quanto�riguarda�il�contingente�numerico�delle�medesime,�in�particolare�delle�

specie�migratrici,�con�le�disposizioni�derivanti�dall'art.�2.�Essi�provvedono�in�

particolare�a�che�le�specie�a�cui�si�applica�la�legislazione�della�caccia�non�siano�

cacciate�durante�il�periodo�della�nidificazione�ne�durante�le�varie�fasi�della�

riproduzioneedelladipendenza.�Quandositrattadispeciemigratrici,essiprov-

vedono�in�particolare�a�che�le�specie�soggette�alla�legislazione�della�caccia�non�

vengano�cacciate�durante�il�periodo�della�riproduzione�e�durante�il�ritorno�al�

luogo�di�nidificazione.�Gli�Stati�membri�trasmettono�alla�Commissione�tutte�le�

informazioni�utili�sull'applicazione�pratica�della�loro�legislazione�sulla�caccia�.�

L'art.�9,�n.�1,�lett.�C),�dispone�che,�sempre�che�non�vi�siano�altre�solu-
zioni�soddisfacenti,�gli�Stati�membri�possono�derogare�agli�art.�5,�6,�7�e�8�
per�consentire,�in�condizioni�rigidamente�controllate�e�in�modo�selettivo,�la�
cattura,�la�detenzione�o�altri�impieghi�misurati�di�determinati�uccelli�in�pic-
cole�quantita�.�

Per�valutare�la�legittimita�delle�disposizioni�introdotte�dal�decreto�
riguardo�alle�date�di�apertura�e�chiusura�della�caccia�agli�uccelli�introdotte�
dal�decreto�riguardo�alle�date�di�apertura�e�chiusura�della�caccia�agli�uccelli�
di�passaggio�e�alla�selvaggina�acquatica,�occorre�fare�riferimento�alla�inter-
pretazione�dell'art.�7,�n.�4,�della�direttiva�n.�79/409/CEE�data�dalla�Corte�di�
Giustizia,�in�particolare�nelle�sentenze�19�gennaio�1994�in�C-435/1992�e�
7�dicembre�2000�in�C-39/1999.�Da�esse�risulta,�in�particolare,�che�la�tutela�
prevista�per�tali�specie,�sia�per�il�periodo�di�nidificazione�e�le�varie�fasi�della�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

riproduzione�e�della�dipendenza,�sia�per�il�tragitto�di�ritorno�delle�specie�
migratorie�al�proprio�luogo�di�nidificazione,�deve�concretizzarsi�in�una�prote-
zione�completa,�che�escluda�i�rischi�di�confusione�tra�specie�differenti.�La�
determinazione�di�date�scaglionate�in�funzione�delle�diverse�specie,�inoltre,�e�
legittima�solo�se�si�puo�dimostrare,�alla�luce�di�dati�scientifici�e�tecnici,�che�
tale�scaglionamento�e�compatibile�con�l'obiettivo�della�protezione�completa.�

Causa 
C-203/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Tutela 
banca 
dati 
d
iritto 
sui 
generis 
^Utilizzo 
di 
banca 
dati 
^Estrazione 
e 
coimpiego 
di 
parti 
sostanziali 
e 
non 
sostanziali 
della 
banca 
dati 
^Direttiva�96/199�CE�
^Ordinanza�della�Court�of�Appeal�^Civil�Division�^England�&�Wales�
^Iscritta�il�3�giugno�2002.�(Cons.�14629/02,�avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
fattO 


L'ordinanza�e�stata�pronunciata�nel�corso�di�un�procedimento�promosso�
da�tre�societa�inglesi�che�svolgono�varie�funzioni�amministrative�nell'ambito�
dell'industria�delle�corse�ippiche�nel�Regno�Unito�^la�BHB,la�Jockey 
Club 
ela�Weatherbys 
^nei�confronti�della�societa�William 
Hill, 
uno�dei�principali�
allibratori�fuori�ippodromo�che�opera�nel�Regno�Unito�ed�in�altri�Paesi.�Le�
ricorrenti�svolgono�funzioni�concernenti�la�sovraintendenza,�la�regolamenta-
zione,�il�controllo�sulla�regolarita�,�sulla�concessione�delle�licenze,�sulla�disci-
plina�e�sulla�sicurezza�delle�corse�ippiche,�nonche�la�raccolta�e�la�gestione�
dei�relativi�dati,�mentre�la�convenuta,�con�le�sue�consociate,�offre�quotazioni�
per�un�gran�numero�di�eventi�fornendo�servizi�di�scommesse�ai�suoi�clienti,�
inglesi�ed�internazionali,�attraverso�una�rete�a�livello�nazionale�di�agenzie�
autorizzate�di�scommesse,�un�servizio�di�scommesse�per�telefono�e�attraverso�
internet.�Le�ricorrenti�sostengono�di�essere�titolari�di�un�diritto�sui 
generis 
sulla�banca�dei�dati�da�essi�costituita�(banca�dati�elettronica�BHB�in�cui,�a�
partire�dal�1999,�sono�confluiti�tutti�i�dati�raccolti�e�gestiti�dalle�tre�societa�
ricorrenti)�ed�accusano�la�convenuta�di�fare�un�uso�non�autorizzato�di�questi�
dati�nella�sua�attivita�via�internet,�asserendo,�altres|�,�che�le�attivita�della�Wil-
liam 
Hill 
violano�il�loro�diritto�sui 
generis 
sotto�un�duplice�profilo:�in�primo�
luogo�perche�l'uso�quotidiano�dei�dati�tratti�dai�giornali�o�da�altri�mezzi�di�
informazioni�predisposti�dalle�ricorrenti�costituisce�una�estrazione�odun�
reimpiego�di�una�parte�sostanziale 
dei�contenuti�della�loro�banca�dati�(in�con-
trasto�con�quanto�disposto�dall'art.�7,�n.�1,�della�direttiva�n.�96/9)�e,�in�
secondo�luogo,�perche�,�anche�se�i�singoli�estratti�non�costituiscono�una�parte�
sostanziale�della�banca�dati�BHB,�tuttavia�l'insieme�delle�attivita�della�conve-
nuta�equivale�ad�una�ripetuta�e�sistematica�estrazione�od�un�reimpiego�di�
parti�non 
sostanziali 
dei�contenuti�della�loro�banca�dati�(in�contrasto�con�
l'art.�7,�n.�5,�della�precitata�direttiva).�Al�contrario,�la�William 
Hill,�a�soste-
gno�del�proprio�diritto�di�utilizzare�i�dati�in�oggetto,�asserisce�che�il�diritto�
sui 
generis 
non�tutela�l'informazione�o�l'uso�di�informazioni�in�quanto�tali�
bens|�quelle�caratteristiche�di�una�banca�di�dati�che�la�rendono,�appunto,�
una�banca�di�dati.�Queste�caratteristiche,�come�indicato�nell'art.�1.2�della�
direttiva�n.�96/6,�sono�il�fatto�che�gli�elementi�di�informazione�sono��siste-
maticamente�o�metodicamente�disposti�ed�individualmente�accessibili�grazie�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�61 


a�mezzi�elettronici�o�in�altro�modo�.�La�convenuta�sostiene,�altres|�^tra�l'al-
tro�^di�aver�utilizzato�una�minima�quantita�delle�informazioni�contenute�
nella�banca�dati�BHB�e�non�una�parte�sostanziale�o�rilevante�della�banca�dati�
BHB,�e�che,�per�lo�stesso�motivo,�non�vi�sarebbe�stato�alcun�investimento�
rilevante�delle�ricorrenti�nella�parte�della�banca�dati�BHB�da�essa�usata.�

IquesitI 


1.�^Se�l'una�o�l'altra�delle�espressioni:�
(a)��parte�sostanziale�del�contenuto�di�una�banca�di�dati�;�o�
(b)��parte�non�sostanziale�del�contenuto�di�una�banca�di�dati�,�
di�cui�all'art.�7�della�direttiva�possa�includere�opere,�dati�o�altri�elementi�
ricavati�dalla�banca�di�dati,�ma�che�non�sono�sistematicamente�o�metodica-
mente�disposti�come�nella�banca�di�dati�e�che�non�offrono�le�stesse�possibilita�
di�accesso�individuale�che�presenta�la�banca�di�dati.�

2.�^Che�cosa�si�intenda�con�il�termine��conseguimento��di�cui�all'art.�7,�
n.�1,�della�direttiva.�In�particolare,�se�i�fatti�e�le�circostanze�descritti�ai�punti�
24-31�supra, 
possano�costituire�un�simile�conseguimento.�
3.�^Se�la��verifica��di�cui�all'art.�7,�n.�1,�della�direttiva�sia�limitata�a�
garantire�a�intervalli�di�tempo�che�l'informazione�contenuta�in�una�banca�di�
dati�sia,�o�continui�a�essere,�corretta.�
4.�^Che�cosa�si�intenda�all'art.�7,�n.�1,�della�direttiva,�con�le�espressioni:�
(a)��una�parte�sostanziale�(del 
contenuto 
di 
una 
banca 
dati) 
valutata�in�
termini�qualitativi��e�
(b)��una�parte�sostanziale�(del 
contenuto 
di 
una 
banca 
di 
dati) 
valutata�
in�termini�quantitativi�.�
5.�^Che�cosa�si�intenda�all'art.�7,�n.�5,�della�direttiva,�con�l'espressione�
�parti�non�sostanziali�del�contenuto�della�banca�dati�.�
6.�^In�particolare�in�ciascun�caso:�
(a)�se��sostanziale��significhi�qualcosa�di�piu�di��insignificante��e,�in�
caso�affermativo,�che�cosa;�
(b)�se��non�sostanziale��significhi�implicitamente�che�non�e�
�sostanziale�.�
7.�^Se�il�termine��estrazione��di�cui�all'art.�7�della�direttiva�si�riferisca�
solo�al�trasferimento�di�contenuti�di�una�banca�di�dati�direttamente�dalla�
banca�di�dati�ad�un�supporto�o�se�riguardi�anche�il�trasferimento�di�opere,�
dati�o�altri�elementi�che�sono�indirettamente�ricavati�dalla�banca�di�dati,�
senza�avere�accesso�diretto�alla�banca�dati.�
8.�^Se�il�termine��reimpiego��di�cui�all'art.�7�della�direttiva�si�riferisca�
solo�alla�messa�a�disposizione�del�pubblico�dei�contenuti�della�banca�di�dati�
direttamente�a�partire�dalla�stessa�o�se�comprenda�anche�la�messa�a�disposi-
zione�del�pubblico�di�opere,�dati�o�altri�elementi�che�sono�ricavati�indiretta-
mente�dalla�banca�di�dati,�senza�accesso�diretto�alla�stessa.�
9.�^Se�il�termine��reimpiego��di�cui�all'art.�7�della�direttiva�sia�limitato�
al�primo�atto�con�cui�il�contenuto�della�banca�di�dati�e�messo�a�disposizione�
del�pubblico.�
10.�^Che�cosa�si�intenda�all'art.�7,�n.�5,�della�direttiva�con��operazioni�
contrarie�alla�normale�gestione�della�banca�di�dati�o�che�arrechino�un�pregiu-


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


dizio 
ingiustificato 
ai 
legittimi 
interessi 
del 
costitutore 
della 
banca 
di 
dati�. 
In 
particolare 
se 
i 
fatti 
e 
le 
circostanze 
descritti 
ai 
punti 
40-47 
supra, 
considerati 
alla 
luce 
dei 
fatti 
e 
delle 
circostanze 
di 
cui 
ai 
punti 
32-35 
supra, 
possano 
costituire 
operazioni 
di 
tale 
natura. 


11. 
^Se 
l'articolo 
10 
n. 
3 
della 
direttiva 
significhi 
che, 
in 
ogni 
caso 
di 
�modifica 
sostanziale� 
del 
conteuto 
di 
una 
banca 
di 
dati, 
che 
consenta 
di 
attribuire 
alla 
banca 
di 
dati, 
risultante 
da 
tale 
modifica, 
una 
propria 
specifica 
durata 
di 
protezione, 
la 
banca 
di 
dati 
risultante 
debba 
essere 
considerata 
come 
una 
nuova 
e 
distinta 
banca 
di 
dati 
in 
relazione 
all'obiettivo 
dell'art. 
7, 
n. 
5. 
Causa�C-239/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Prodotti�del�caffe�^
Raccomandazioni�mediche�^Pubblicita�ed�etichettatura�^Direttive 
del 
Consiglio 
n. 
99/4/CE 
e 
2000/13/CE 
^Art. 
28 
Trattato 
(cons. 
16272/02, 
avv. 
M. 
Fiorilli). 


IL 
fattO 


La 
societa� 
Douwe 
Egberts 
NV 
(parte 
ricorrente) 
produce 
e 
smercia 
caffe� 
sul 
mercato 
belga; 
la 
societa� 
Westrom 
Pharma 
NV 
produce 
un 
supplemento 
alimentare 
denominato 
�DynaSvelte 
Koffie�; 
tale 
prodotto 
e� 
composto 
da 
caffe� 
solubile, 
fruttosio 
e 
cromo 
(parte 
convenuta). 


La 
societa� 
Souranis 
Christophe 
ha 
distribuito 
tale 
prodotto 
sul 
mercato 
belga 
fino 
al 
31 
dicembre 
2001. 
La 
societa� 
Bvba 
Fics-World, 
a 
partire 
dal 
1O 
gennaio 
2002, 
e� 
la 
nuova 
distributrice 
del 
medesimo 
prodotto 
di 
cui 
sopra. 
La 
parte 
ricorrente 
lamenta 
che 
le 
menzioni 
figuranti 
sul 
boccale, 
sulla 
con-
fezione 
e 
sulle 
avvertenze 
d'uso 
del 
�DynaSvelte 
Koffie� 
violano 
le 
norme 
sulla 
pubblicita� 
e 
sull'etichettatura 
di 
tale 
tipo 
di 
prodotti: 
la 
pubblicita� 
effet-
tuata 
dalle 
convenute 
e 
le 
confezioni 
e 
le 
avvertenze 
d'uso 
da 
loro 
utilizzate 
hanno 
la 
potenzialita� 
di 
indurre 
i 
consumatori 
in 
errore 
circa 
l'identita� 
,il 
tipo, 
la 
composizione, 
l'origine 
del 
prodotto 
e 
circa 
l'identita� 
e 
le 
qualita� 
del 
venditore. 
Inoltre, 
i 
riferimenti 
alla 
�diminuzione 
dell'eccesso 
di 
grasso� 
e 
alla 
�formula 
brevettata 
negli 
USA 
per 
mano 
del 
dott. 
Ann 
de 
Wees 
Allen, 
membro 
del 
Glycemie 
Research 
Institute�, 
che 
compaiono 
sul 
boccale, 
sulla 
confezione, 
sulle 
avvertenze 
e 
sulla 
pubblicita� 
, 
costituiscono 
rinvii 
illeciti 
al 
dimagrimento 
e 
a 
raccomandazioni 
mediche, 
certificati, 
citazioni, 
pareri, 
o 
a 
dichiarazioni 
di 
approvazione. 
La 
parte 
ricorrente 
chiede 
pertanto 
la 
decla-
ratoria 
di 
colpevolezza 
nei 
confronti 
delle 
societa� 
convenute 
per 
aver 
svolto 
un'attivita� 
in 
contrasto 
con 
le 
oneste 
pratiche 
commerciali 
e 
chiede 
la 
cessa-
zione 
d'uso 
degli 
elementi 
equivoci 
presenti 
nella 
pubblicita� 
e 
nell'offerta 
in 
vendita 
del 
prodotto. 
La 
parte 
chiamata 
nell'intervento 
coatto 
risponde 
con 
domanda 
riconvenzionale 
con 
cui 
chiede 
la 
declaratoria 
che 
la 
ricorrente 
si 
e� 
resa 
colpevole 
di 
atti 
in 
contrasto 
con 
le 
oneste 
pratiche 
commerciali 
utiliz-
zando 
il 
termine 
�caffe� 
� 
nella 
pubblicita� 
di 
propri 
prodotti 
venduti 
in 
forma 
macinata 
e 
nell'offerta 
in 
vendita 
degli 
stessi 
e 
chiede 
la 
cessazione 
dell'uso 
di 
tale 
denominazione. 
Inoltre, 
chiede 
che 
venga 
sottoposta 
questione 
pregiu-
diziale 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
europea 
circa 
la 
corretta 
trasposizione 
nel 



IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�63 


diritto�belga�della�direttiva�n.�1999/4/CE,�riguardante�gli�estratti�di�caffe�e�
gli�estratti�di�cicoria,�e�della�direttiva�n.�2000/13/CE�riguardante�l'etichetta-
tura�e�la�presentazione�dei�prodotti�alimentari�e�la�relativa�pubblicita�.�

IquesitI 


Quanto 
alla 
direttiva 
del 
Consiglio 
n. 
99/4/CE: 


1.�^Se�l'art.�2�della�direttiva�n.�1999/4/CE�concernente�estratti�di�
caffe�ed�estratti�di�cicoria�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�per�i�pro-
dotti�menzionati�nell'allegato�della�direttiva�possono�essere�utilizzate�soltanto�
le�denominazioni�commerciali�menzionate�nell'allegato�stesso,�senza�che�oltre�
a�tali�denominazioni�possano�essere�utilizzate�anche�altre�denominazioni�
(per�esempio,�un'espressione�di�fantasia�o�commerciale),�oppure 
se�l'art.�2�
debba�essere�interpretato�nel�senso�che�soltanto�per�i�prodotti�menzionati�
nell'allegato�della�direttiva�possono�essere�utilizzate�le�denominazioni�com-
merciali�menzionate�nello�stesso�allegato,�anche�se�oltre�a�dette�denomina-
zioni�per�gli�stessi�prodotti�possono�essere�utilizzate�anche�altre�denomina-
zioni�(per�esempio,�un'espressione�di�fantasia�o�commerciale).�
2.�^Qualora�la�Corte�di�Giustizia�delle�Comunita�europee�consideri�
che�l'art.�2�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio�
n.�1999/4/CE,�concernente�estratti�di�caffe�ed�estratti�di�cicoria,�deve�essere�
interpretato�nel�senso�che�per�i�prodotti�menzionati�nell'allegato�di�detta�
direttiva�possono�essere�utilizzate�soltanto�le�denominazioni�commerciali�
menzionate�nell'allegato�stesso,�senza�che�oltre�a�tali�denominazioni�possano�
essere�utilizzate�anche�altre�denominazioni�(per�esempio,�un'espressione�di�
fantasia�o�commerciale),�se�da�cio�discenda�che�detta�direttiva�e�in�contrasto�
con�l'art.�28�del�Trattato�CE,�che�stabilisce�un�divieto�di�restrizioni�quantita-
tive�all'importazione�e�di�misure�di�effetto�equivalente�fra�gli�Stati�membri�
della�Comunita�europea,�per�il�motivo�che�tale�direttiva,�in�applicazione�della�
suddetta�interpretazione,�per�i�prodotti�che�rispondono�alla�definizione�degli�
estratti�di�caffe�contenuta�nel�suo�allegato:�^esclude�l'uso�di�denominazioni�
diverse�da��estratto�di�caffe���o�da��caffe�istantaneo�,�come�la�denominazione�
�caffe���;�^conseguentemente�riserva�l'uso�della�denominazione��caffe��ad�
un'unica�forma�di��caffe�,�vale�a�dire�al�caffe�in�grani;�^e�pertanto�protegge�
artificialmente�il�mercato�del�caffe�dai�prodotti�concorrenti�composti�da�tipi�
di�caffe�diversi�dal�caffe�in�grani,�come�fra�l'altro�gli�estratti�di�caffe�e�il�caffe�
istantaneo.�
Quanto 
alla 
direttiva 
del 
Consiglio 
n. 
2000/13/CE: 


1.�^Se�l'art.�18,�n.�I,�e�18,�n.�2,�della�direttiva�n.�2000/13/CE�debbano�
essere�interpretati�nel�senso�che�disposizioni�nazionali�in�materia�di�etichetta-
tura�e�di�presentazione�di�prodotti�alimentari,�nonche�in�materia�di�pubbli-
cita�effettuata�al�riguardo,�non�armonizzate,�le�quali�vietano�determinate�
menzioni�come�i�riferimenti��al�dimagrimento�,�e�i��riferimenti�a�raccoman-
dazioni�mediche,�certificati,�citazioni,�pareri�o�a�dichiarazioni�di�approva-
zione�,�nell'etichettatura�e/o�nella�presentazione�di�prodotti�alimentari�e/o�
nella�relativa�pubblicita�,�mentre�tali�menzioni�non�vengono�vietate�dalla�
direttiva,�costituiscano�violazioni�della�stessa�direttiva,�tenendo�conto�del�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

fatto�che�nell'ottavo�considerando�della�direttiva�si�afferma�che�l'etichettatura�
piu�adeguata�e�quella�che�meno�ostacola�gli�scambi�commerciali�e�del�fatto�
che�pertanto�dette�disposizioni�nazionali�non�possono�essere�applicate.�

2.�^Se�l'art.�18,�n.�2,�della�direttiva�n.�2000/13/CE�debba�essere�inter-
pretato�nel�senso�che�devono�essere�intese�volte�alla��tutela�della�salute�delle�
persone��le�disposizioni�nazionali�in�materia�di�etichettatura�e�di�presenta-
zione�di�prodotti�alimentari,�nonche�in�materia�di�pubblicita�effettuata�al�
riguardo,�non�armonizzate,�che�vietano�determinate�menzioni�come�i��riferi-
menti�al�dimagrimento�,�e�i��riferimenti�a�raccomandazioni�mediche,�certifi-
cati,�citazioni,�pareri�o�a�dichiarazioni�di�approvazione�.�
3.�^Se�l'art.�28�del�Trattato�CE�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�
disposizioni�nazionali�in�materia�di�etichettatura�e�di�presentazione�di�pro-
dotti�alimentari,�nonche�in�materia�di�pubblicita�effettuata�al�riguardo,�non�
armonizzate�a�livello�comunitario�e�che�si�discostano�dalla�direttiva�
n.�2000/13/CE,nellaparteincuivietanodeterminatemenzioninell'etichetta-
tura�e/o�nella�presentazione�dei�prodotti�alimentari�e/o�nella�pubblicita�quali�
i��riferimenti�al�dimagrimento��e�i��riferimenti�a�raccomandazioni�mediche,�
certificati,�citazioni,�pareri�o�a�dichiarazioni�di�approvazione�,�debbano�
essere�considerate�come�misure�di�effetto�equivalente�e/o�come�restrizioni�
quantitative�all'importazione�fra�gli�Stati�membri�della�Comunita�europea,�
in�quanto�dette�disposizioni�nazionali:�^da�un�lato,�stabiliscono�un�onere�
supplementare�all'importazione�di�prodotti�alimentari�per�rendere�tali�pro-
dotti�conformi�alla�normativa�nazionale�e�conseguentemente�ostacolano�gli�
scambi�commerciali�fra�gli�Stati�membri;�e�^dall'altro,�non�si�applicano�a�
tutti�gli�operatori�commerciali�interessati�che�svolgono�la�loro�attivita�sul�ter-
ritorio�nazionale,�nel�senso�che�vi�sono�prodotti�del�tutto�analoghi�(per�esem-
pio,�i�prodotti�cosmetici),�cui�non�si�applicano�tali�disposizioni,�ne�altre�
disposizioni�analoghe,�e�se,�di�conseguenza,�le�stesse�disposizioni�non�pos-
sano�essere�applicate�dal�giudice�nazionale.�
Causa 
C-309/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Imballaggio 
per 
bibite 
^
Imballaggi 
a 
perdere 
o 
recuperabili 
^Sistema 
di 
restituzione 
e 
smaltimento 


^Art.�1,�n.�2;�art.�7�e�art.�18�direttiva�94/62/CE�(direttiva�del�Parlamento�
europeo�e�del�Consiglio�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio)�^
Art.�28�CE�^Ordinanza�del�Verwaltungsgericht�Stuttgart�(Germania)�del�
21�agosto�2002�^Iscritta�il�3�settembre�2002�(avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
FattO 


Il�caso�di�specie�riguarda�due�ditte�austriache�produttrici�di�bibite�che�
esportano�i�loro�prodotti�in�Germania.�Come�previsto�dalla�normativa�tede-
sca�esse�hanno�beneficiato�di�un�sistema�che�^a�condizione�che�risultasse�
assicurato�in�misura�sufficiente�un�regolare�ritiro�degli�imballaggi�di�vendita�
presso�il�consumatore�privato�finale�^le�esonerava�dall'obbligo�del�deposito�
previsto�per�il�commercio�delle�bibite�confezionate�in�imballaggi�a�perdere,�
nonche�dall'obbligo�di�provvedere�al�ritiro�ed�al�recupero�degli�imballaggi�
utilizzati.�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�65 


Una�rilevazione�sulla�quota�degli�imballaggi�reimpiegabili�di�bibite�effet-
tuata�nel�periodo�maggio�2000�-aprile�2001�evidenziava�che�la�percentuale�
degli�imballaggi�reimpiegati�era�scesa�al�di�sotto�del�livello�di�riferimento�
(72%),�circostanza�questa�che�faceva�scattare�la�revoca�dall'esenzione�cauzio-
nale�a�partire�dal�gennaio�2003.�Tale�modifica�ha�per�effetto�che�le�ricorrenti�
sarebbero�obbligate,�a�partire�dal�gennaio�2003,�ad�imporre�sulla�maggior�
parte�dei�loro�imballaggi�per�bibite�vendute�in�Germania,�la�cauzione�pre-
scritta�dalla�normativa�ed�a�ritirare�e�recuperare�gli�imballaggi�utilizzati.�

IQuesitI 


1.�^Se�l'art.�1,�n.�2,�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consi-
glio�20�dicembre�1994�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GU 
CE 
L�365,�pag.�10)�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�faccia�divieto�agli�
Stati�membri�di�favorire�sistema�di�riutilizzo�di�imballaggi�per�bibite�nei�con-
fronti�degli�imballaggi�a�perdere�recuperabili�prescrivendo�che,�se�la�quota�a�
livello�federale�degli�imballaggi�reimpiegabili�scenda�al�di�sotto�del�72%,�
viene�meno�la�possibilita�di�esecuzione�dall'obbligo�di�ritiro,�di�smaltimento�
e�di�imporre�una�cauzione�sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotati�e�
subentra�la�partecipazione�ad�un�sistema�di�restituzione�e�smaltimento�peri�
settori�delle�bibite,�nei�quali�la�quota�degli�imballaggi�reimpiegabili�e�scesa�
al�di�sotto�della�quota�stabilita�nell'anno�1991.�
2.�^Se�l'art.�18�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio�
20�dicembre�1994,�n.�94/62,�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GU 
CEL�365,�pag.�10),�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�faccia�divieto�agli�
Stati�membri�di�ostacolare�la�messa�in�circolazione�di�bibite�confezionatein�
imballaggi�a�perdere�prescrivendo�che,�se�la�quota�a�livello�federale�di�imbal-
laggi�reimpiegabili�scende�al�di�sotto�del�72%,�viene�meno�la�possibilita�di�
esenzione�dall'obbligo�di�ritiro,�di�smaltimento�e�di�imporre�una�cauzione�
sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotati�e�subentra�la�partecipazione�
ad�un�sistema�di�restituzione�e�smaltimento�per�settori�delle�bibite,�nei�quali�
la�quota�degli�imballaggi�reimpiegabili�e�scesa�al�di�sotto�della�quota�stabilita�
nell'anno�1991.�
Se�l'art.�7�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio�
20�dicembre�1994,�n.�94/62,�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GU 
CE 
L�365,�pag.�10),�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�al�produttore�e�
al�venditore�di�bevande�confezionate�in�imballaggi�a�perdere�recuperabili�
venga�assicurata�la�partecipazione�ad�un�sistema�di�ritiro�e�di�smaltimento�
di�imballaggi�per�bibite�usati�gia�istituito�affinche�venga�cos|�soddisfatto�un�
obbligo�imposto�per�legge�di�imporre�cauzioni�sugli�imballaggi�per�bibite�a�
perdere�e�di�restituire�gli�imballaggi�per�bibite�usati.�

Se�l'art.�28�del�Trattato�CE�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�tale�
disposizione�faccia�divieto�agli�Stati�membri�di�adottare�norme,�secondo�le�
quali,�nel�caso�in�cui�la�quota�a�livello�federale�di�imballaggi�per�bibite�reim-
piegabili�scende�al�di�sotto�del�72%,�venga�meno�la�possibilita�di�esenzione�
dall'obbligo�di�restituzione,�di�smaltimento�e�di�imporre�una�cauzione�sugli�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

imballaggi�per�bibite�a�perdere�svuotati�e�subentra�la�partecipazione�ad�un�
sistema�di�ritiro�e�smaltimento�per�i�settori�delle�bibite,�nei�quali�la�quota�
degli�imballaggi�reimpiegabili�e�scesa�al�di�sotto�della�quota�stabilita�
nell'anno�1991.�

NotA 


Si�riportano�le�osservazioni�predisposte�dall'Avvocatura�dello�Stato:�

�...�(...)�2.�^E�pregiudiziale�all'esame�dei�quesiti�posti�dal�giudice�

amministrativo�tedesco�la�ricostruzione�della�disciplina�degli�imballaggi�det-

tata�dal�Regolamento�in�chiave�concorrenziale,�che�costituisce�oggetto�del�

quarto�quesito�posto�alla�Corte.�Il�regolamento�distingue�tra�imballaggi�reim-

piegabili,�non�soggetti�a�cauzione,�ed�imballaggi�a�perdere�recuperabili,sog-

gettiacauzione.�Disponel'esonerodalpagamentodellacauzionesugliimbal-

laggiaperdererecuperabilinelcasoincuil'operatoreeconomico�cheliutilizza�

aderisca�ad�un�sistema�che�si�estende�su�tutto�il�territorio�servito�dal�venditore�

obbligato�che�assicuri�in�misura�sufficiente�un�regolare�ritiro�degli�imballaggi�

divenditapresso�ilconsumatoreprivatofinaleo�nellesue�vicinanzee�che�inte-

gri�i�requisiti�elencati�nell'allegato�I�del�Regolamento.�L'esonero�vienea�ces-

sare�ove�il�sistema�di�adesione�perda�le�qualita�richieste�o�l'utilizzo�di�imbal-

laggiriutilizzabiliscenda�aldisotto�dellapercentualedel72%delquantitativo�

previsto�dal�Regolamento.�
Le�ricorrenti�assumono�la�illegittimita�della�imposizione�della�cauzione�

sugli�imballaggi�a�perdere�recuperabili,�in�quanto�discriminante�rispetto�agli�

importatori�nella�Repubblicafederale.�Tanto�sostengono�con�due�ordini�diargo-

mentazioni.�In�primo�luogo,�questi�deducono�di�dovere�affrontare�costi�piu�ele-

vati�rispetto�ai�produttori�nazionali�se�smerciano�i�loro�prodotti�in�Germania�in�

imballaggi�reimpiegabili,�da�cio�il�loro�interesse�commerciale�all'utilizzo�degli�

imballaggiaperdererecuperabili.�Ecio�,�inquantonelcasodiutilizzodiimbal-

laggi�non�a�perdere�devono�affrontare�maggiori�spese�per�il�ritiro�degli�imbal-

laggiin�Germaniae�iltrasporto�alluogo�diproduzioneperilriempimento,�oltre�

allespeseperl'utilizzodidue�tipidiimballaggiperimedesimiprodotti�(``aper-

dere''�e�``a�reimpiego'')�in�relazione�al�luogo�di�commercializzazione.�In�secondo�

luogo,�sostengonochelaprevisionenormativadiunapercentualediimballaggi�

riutilizzabili�che�se�non�raggiunta�determina�l'obbligo�di�pagare�una�cauzione�

per�ogni�imballaggio�a�perdere�recuperabile,�indipendentemente�dalla�adesione�

ad�un�sistema�di�raccolta�e�recupero,�determina�le�imprese�operanti�nel�commer-

cio�tedesco�delle�bibite�a�non�far�scendere�al�di�sotto�della�prescritta�quota�del�

72%�il�quantitativo�degli�imballaggi�reimpiegabili,�con�la�conseguenza�che�ipro-

dotti�che�vengono�commercializzati�esclusivamente�in�imballaggi�a�perdere�non�

verrebbero�acquistati.�
L'impostazione�del�problema�non�e�corretta�e�le�argomentazioni�dedotte�

sono�inconferenti.�
L'imposizione�di�una�cauzione�per�ogni�imballaggio�a�perdere�recuperabile�

non�comporta�un�costo�aggiuntivo,�in�quanto�la�cauzione�viene�restituita�allorche�

l'imballaggio�viene�restituito�(par.�8,�art.�1�del�Regolamento:��...�La�cauzione�

deve�essere�imposta�a�ogni�successivo�venditore�in�ogni�stadio�del�commercio,�

fino�alla�consegna�al�consumatore�finale.�La�cauzione�deve�essere�restituita�di�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�67 


volta�in�volta�al�momento�della�restituzione�dell'imballaggio,�ai�sensi�del�para-
grafo�6,�artt.�6�e�2�).�L'imposizione�della�cauzione�non�comporta�uno�svantag-
gio�concorrenziale�in�termini�di�costo�del�prodotto,�in�quanto�il�mancato�rim-
borso�e��frutto�di�una�scelta�discrezionale�del�consumatore�finale.�La�mancata�
restituzione�comporta�che�l'imballaggio�a�perdere�non�sia�recuperabile�e,�quindi,�
un�aggravio�del�carico�dei�rifiuti�smaltiti,�con�l'effetto�che�legittimamente�il�
costo�dell'aggravio�del�carico�complessivo�di�rifiuti�rimane�a�carico�del�consu-
matore�finale,�autore�dell'inquinamento.�E�cio��in�applicazione�del�principio:�

�chi�inquina�paga�.�

La�previsione�di�una�cauzione�a�garanzia�del�rispetto�delle�norme�armoniz-
zate�in�materia�di�rifiuti�resiste�ad�ogni�valutazione�di�compatibilita��con�i�prin-
cipi�generali�di�logicita��delle�disposizioni�normative�nazionali�di�recepimento.�

E�la�qualita��del��rifiuto��che�viene�gravata�della�cauzione�a�garanzia�del�
suo�corretto�trattamento�e�in�cio��non�vi�e��alcun�aspetto�anticoncorrenziale,�in�
quantolaprevisionenone��selettiva.�Ilcostodell'imballaggioaperdererecupera-
bile�e��inferiore�rispetto�a�quello�dell'imballaggio�riutilizzabile,�per�il�che�il�suo�
utilizzo�non�e��privo�di�conseguenze�economiche.�

Si�puo��quindi�concludere�che�il�regime�normativo�degli�imballaggi�del�
Regolamento�non�contrasta�con�l'articolo�28�C.E.�e�non�e�,�quindi,�censurabile�
sotto�ilprofilo�concorrenziale.�

3.�^IlprimoquesitopostoallaCortee�delseguentetenore:�
�Se�l'art.�1,�n.�2�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio�
20�dicembre�1994�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio�(GUCE�L�365,�
pag.�10)�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�faccia�divieto�agli�Stati�mem-
bri�di�favorire�il�sistema�di�riutilizzo�di�imballaggi�per�bibite�nei�confronti�
degli�imballaggi�a�perdere�recuperabili�prescrivendo�che�se�la�quota�a�livello�
federale�degli�imballaggi�reimpiegabili�scende�la�di�sotto�del�72%�della�quota�
stabilita�nel�1991,�viene�meno�la�possibilita�di�esecuzione�dell'obbligo�a�carico�
del�venditore�di�ritiro�e�smaltimento�mediante�la�partecipazione�ad�un�
sistema�di�restituzione�e�smaltimento�per�i�settori�delle�bibite�e�l'esenzione�
dalla�cauzione�sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotate�.�

Ilquesitonone��correttamenteformulato,inquantoda�perpresuppostoche�
la�cessazione�dell'esonero�dal�pagamento�della�cauzione�a�garanzia�del�ritiro�
dell'imballaggio�edelsuo�corretto�recupero�osmaltimento�costituiscastrumento�
di�discriminazione�tra�tipi�diversi�di�imballaggi.�Tanto�appare�ilfrutto�di�una�
non�corretta�interpretazione�dell'atto�normativo�di�recepimento�della�Direttiva.�
Il�sistema�del�Regolamento�e��nel�senso�che�il�venditore�deve�ritirare�gratui-
tamente�gli�incarti�di�vendita�usati�e�svuotati�dal�consumatorefinale�nel�luogo�

dell'effettivaconsegnaonelle�immediatevicinanze,�equindiprocederealrecu-
pero�dell'incarto�conformemente�alle�prescrizioni�elencate�nell'allegato�I�
(par.�6,�artt.�1e2).�Lecondizioniprescritteperilrecuperopossonoesseresod-
disfatte�anche�con�il�reimpiego.�

L'obbligo�di�ritiro�e�di�recupero�non�sussistono�in�caso�di�imballaggiper�i�
quali�ilproduttore�o�il�venditore�e��associato�a�un�sistema�che�si�estende�su�tutto�

il�territorio�servito�dal�venditore�obbligato,�che�assicura�in�misura�sufficiente�
un�regolare�ritiro�degli�imballaggi�di�venditapresso�il�consumatoreprivatofinale�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


onellesuevicinanzeecheintegrairequisitisoggettiviprescritti.�L'adesioneal�
sistema�e�volontaria�e�non�obbligatoria.�Il�sistema�deve�essere�autorizzato�e�
armonizzato�con�i�sistemi�di�raccolta�e�di�recupero�del�soggetto�di�diritto�pub-
blico�incaricatodellosmaltimentodeirifiutinelcuiambito�territorialevieneisti-
tuito�(par.�6,�art.�3).�L'autorizzazione�e�revocata�se�si�accerti�che�il�sistema�
nonmantieneirequisitiorganizzativiedioperativita�prescritti.�(par.6,art.4).�
I�venditori�che�pongono�in�commercio�alimenti�allo�stato�liquido�in�imbal-
laggi�per�bibite�che�non�sono�reimpiegabili�sono�obbligati�a�imporre�ai�clienti�
che�ritirano�presso�di�loro�le�dette�confezioni�una�cauzione�che�sara�restituita�al�
momento�della�restituzione�dell'imballaggio�(par.�8,�art.�1).�Vi�e�esenzione�dal-
l'obbligo�dicauzionese�ilvenditoreo�ilproduttorepartecipaadunsistemadi�
ritiro�e�recupero.�L'esenzione�e�collegata�alla�operativita�del�sistema�di�raccolta�
e�recupero,�per�il�che�nei�casi�in�cui�il��sistema��venga�revocato�per�sopravve-
nuta�perdita�dei�requisiti�prescritti�dal�Regolamento�o�nel�caso�in�cui��nelcorso�
diunannocivile,�laquotadellebevandeconfezionateinimballaggireimpiegabili�
per�birra,�acqua�minerale�(...),�bevande�addizionate�con�anidride�carbonica,�
succhi�difrutta�(...)�scenda�complessivamente�al�di�sotto�del�72%��di�quella�
accertata�nel�1991�(par.�9,�art.�2).�

I�ricorrenti�sostengono�che�la�direttiva�pone�una�pari�importanza�gerar-
chica�tra�il��riutilizzo��degli�imballaggi�per�le�bevande�ed�il�loro��recupero�,�
mentre�il�Regolamento�privilegia�il��riutilizzo��rispetto�al��recupero��impo-
nendo�per�gli�imballaggi�a�perdere�recuperabili�una�cauzione�oltre�all'obbligo�
del�ritiro�e�del�recupero�comune�a�tutti�i�tipi�di�imballaggi.�

L'imposizione�della�cauzione�(per�sua�natura�temporanea)�non�e�discrimi-
nante�in�quanto�strumentoperassicurare�ilcontenimento�delcarico�ambientale�
dello�smaltimento�dei�rifiuti.�Invero,�mentre�per�gli�imballaggi�reimpiegabili�
puo�fondatamente�farsi�affidamento�che�non�vengano�abbandonati�dal�vendi-
tore-produttore,�che�ha�tutto�l'interesse�in�relazione�al�costo�dell'imballaggio�a�
ritirarlo�dal�consumatore�finale�e�reimpiegarlo,�per�gli�imballaggi�a�perdere�

recuperabili�puo�,�alcontrario,�supporsi�che�il�venditore-produttore�non�abbia�
alcun�interesse�al�ritiro�e�al�recupero,�in�quanto�tali�operazioni�comportano�un�
costo�aggiuntivo�conglobato�nel�prezzo�di�vendita,�che�diviene�una�sopravve-
nienza�attiva�in�caso�di�violazione�dell'obbligo�di�ritiro�e�di�smaltimentoo�recu-
perodelrifiuto�(etalee�perche�ilconsumatorefinale�vuoledisfarsi�dell'involu-

cro�dopo�l'utilizzo).�In�tale�ultima�ipotesi�l'imposizione�della�cauzione�annulla�
glieffettipositividellaviolazionedell'obbligo.�L'obbligodicorresponsionedella�
cauzione�ed�il�diritto�alla�sua�restituzione�incide�anche�sul�comportamento�del�
consumatorefinale,�inducendolo�a�non�disperdere�nell'ambiente�l'involucro�della�
bibita�dopo�lo�svuotamento.�

L'obbligo�di�ritiro�e�recupero�e�imposto�dalla�Direttiva�per�tutti�i�tipi�di�
imballaggi�ed�e�imposto�indiscriminatamente�ai�venditori�e�produttori�dei�pro-
dotti�imballati:�e�l'osservanza�dell'obbligo�assicura�il�conseguimento�delle�fina-

lita�dellamedesima.�Laprescrizionecheabbiapereffettoutilel'osservanzadel-
l'obbligoe�legittima.�Seuneffettodidiscriminazionetraglistrumentiprescritti�
dallaDirettivaperconseguire�lafinalita�delcontenimento�dellaproduzionedi�
imballaggiaifinidiprevenzioneambientalederivada�unadisposizione�chepre-


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�69 


scriva�un�quantitativo�minimo�di�imballaggi�per�consentire�l'esonero�dalla�costi-
tuzione�di�un�deposito�cauzionale�presso�il�venditore-produttore�al�momento�
della�consegna�della�confezione,�questo�non�e�illegittimo,�in�quanto�si�puo�par-
lare�di�discriminazione�solo�nelle�ipotesi�di�trattamento�diverso�per�situazioni�
identiche.�Gli�imballaggi�reimpiegabili�e�gli�imballaggi�a�perdere�recuperabili�
sono�ontologicamente�diversi�e�sono�sottoposti�ad�un�trattamento�normativo�

diverso.�
L'imballaggio�reimpiegabile�non�deve�necessariamente�essere�reimpiegato,�
madevenecessariamente,�alparidell'imballaggio�aperdere�recuperabile,�essere�

raccolto�e�recuperato.�Il�reimpiego�e�,�invero,�considerato�dal�Regolamento�alter-
nativamente�rispetto�al�recupero.�
Su�tali�premesse,�si�suggerisce�di�rispondere�al�quarto�quesito�dichiarando�
che�l'articolo�1�della�direttivanon�e�diostacolo�adunanormativanazionale�che�

prescriva�per�il�caso�di�utilizzo�di�imballaggi�a�perdere�recuperabili�la�presta-
zione�di�una�cauzione�restituibile�al�momento�della�restituzione�dell'imballaggio�
svuotato�e�che�subordini�la�sospensione�dell'obbligo�diprestazione�della�cauzione�
alla�adesione�ad�un�sistema�di�raccolta�e�recupero�autorizzato�e,�in�ogni�caso,�
alla�utilizzazione�nel�territorio�dello�Stato�membro�di�un�determinato�quantita-

tivo�annuo�di�imballaggi�reimpiegabili.�

4.�^Il�secondo�quesito�posto�alla�Corte�e�del�seguente�tenore:�
�Se�l'articolo�18�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�e�del�Consiglio�
20�dicembre�1994,�n.�94/62,�sugli�imballaggi�e�i�rifiuti�di�imballaggio,�debba�
essere�interpretata�nel�senso�che�faccia�divieto�agli�Stati�membri�di�ostacolare�
la�messa�in�circolazione�di�bibite�confezionate�in�imballaggi�a�perdere�pre-
scrivendo�che�se�la�quota�a�livello�federale�di�imballaggi�reimpiegabili�scende�
al�di�sotto�del�72%�della�quota�stabilita�nel�1991�viene�meno�la�possibilita�di�
esenzione�dall'obbligo�di�ritiro,�di�smaltimento�partecipando�ad�un�sistema�
di�restituzione�e�smaltimento�per�i�settori�delle�bibite�ed�imposto�l'obbligo�
di�prestazione�di�una�cauzione�sugli�imballaggi�a�perdere�per�bibite�svuotati�.

E�dapremettereche�tra�lefinalita�dellaDirettivavie�quelladellariduzione�
dei�rifiuti�da�imballaggi�attraverso�la�riduzione�degli�imballaggi�(�secondo�con-
siderando�).�Lamisurapiu�appropriataperottenereun�taleef
ffettoe�quelladi�
incentivare�la�produzione�e�l'uso�di�imballaggi��riutilizzabili�.�Il��riutilizzo��e�
il��recupero��incidono�sul�carico�complessivo�di�rifiutiprodotti�dal�commercio�
da�smaltire,�ma�in�misura�del�tutto�differenziata.�Il��riutilizzo��abbatte�nella�
misura�in�cui�si�realizza�in�assoluto�lo�smaltimento,�in�quanto�riduce�ancheil�
carico�di�rifiuti�prodotto�dal�recupero.�La�parita�tra��riutilizzo��e��recupero��
non�rileva,�dunque,�nemmeno�con�riferimento�allo�smaltimento:�questo�trova�
conferma�esplicita�nell'ottavo��considerando��della�Direttiva,�laddove�si�legge:�
�...�chevalutazionidelciclodivitadevonoessereportateatermineilpiu�presto�
possibile�per�giustificare�una�precisa�gerarchia�tra�gli�imballaggi�riutilizzabili,�
riciclabili�e�recuperabili''�da�leggere�in�parallelo�con�il�secondo��considerando��

(�...�il�modo�migliore�per�prevenire�la�creazione�dei�rifiuti�di�imballaggio�e�
quello�di�ridurre�la�quantita�globale�di�imballaggi�).�A�sostegno�della�interpre-
tazione,�si�puo�ulteriormente�argomentare�dal�nono�(�considerando�che�la�pre-
venzione�deirifiuti�di�imballaggio�deve�essere�attuata�mediante�adeguate�misure,�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


comprese�le�iniziative�adottate�nell'ambito�degli�Stati�membri�conformemente�
agli�obiettivi�della�presente�direttiva�)�e�decimo�(�considerando�che�gli�Stati�
membripossonofavorire,�in�conformita��con�il�Trattato,�sistemi�di�reimpiego�di�
imballaggi�che�possono�essere�reimpiegati�in�modo�ecologicamente�sano,�alfine�
di�avvalersi�del�contributo�di�tali�sistemi�alla�tutela�ambientale�)��conside-
rando��da�leggere�in�parallelo�con�la�disposizione�contenuta�nell'art.�176del�
Trattato.�Sotto�questo�ultimo�profilo�manca�la�prova�che�la�cauzione�dovuta�
sugli�involucri�non�riutilizzabili,�ma�recuperabili�incida�sulle�esportazioni�nella�

Repubblica�Federale.�La�esenzione�collegata�alla�partecipazione�al��sistema��
non�e��significativa,�in�quanto�comporta�unicamente�una�partita�di�giro�che�non�
incide�astrattamente�sulla�redditivita��delproduttore.�

Ladisposizionecontenutanell'art.18dellaDirettiva,nonpuo��essereinter-
pretatanelsenso�che�l'espressione��imballaggi�conformiallapresentedirettiva��
copra�non�solo�la�composizione�e�la�conformazione,�ma�anche�la�loro�qualita��in�
relazione�allo�smaltimento.�La�direttiva�non�e��discriminante�sulpunto�della�riu-
tilizzabilita��o�meno�dell'imballaggio,�mira�unicamente�al�contenimento�della�

suaproduzioneinrelazioneallafinalita��dicontenereilcaricocomplessivodei�
rifiuti�di�imballaggio�sull'ambiente,ponendo�un�limite�alla�adozione�diprovvedi-
menti�per�una�protezione�ancora�maggiore�rispetto�a�quella�dei�provvedimenti�
adottati�dalla�Comunita��ai�sensi�dell'art.�175�del�Trattato�per�il�conseguimento�
degliobiettividellapoliticacomunitariainmateriaambientale,�unicamenteper�
�garantire�ilfunzionamento�delmercato�interno�eprevenire�l'insorgere�diosta-
coli�agli�scambi�nonche�distorsioni�e�restrizioni�alla�concorrenza�nella�Comu-
nita����(primo��considerando�).�Se�la�imposizione�di�una��cauzione��non�e��
discriminatoria�degli�imballaggi�a�perdere�recuperabili,�in�quanto�ragionevol-
mente�e��strumentale�a�permettere�la��ricuperabilita���dell'involucro�usato�e,�
quindi,�la�realizzazione�delle�finalita��della�direttiva,�la�revoca�della�esenzione�
connessa�allapartecipazione�adun��sistema�per�ilritiro�e�ilrecupero,�nonpiu��
autorizzato�in�presenza�dell'accertamento�della�mancata�realizzazione�del�quan-
titativo�di�riferimento�di�imballaggi�riutilizzabili,�non�costituisce�un�elemento�di�
discriminazione�che�incide�sul�corretto�funzionamento�del�mercato�interno.�
Invero,�la�partecipazione�al��sistema��e��volontaria�e,�quindi,�la�scelta�dell'im-
prenditore�che�utilizza�involucri�aperdere�e��gia��discriminante�nell'interno�della�
categoria,�per�cui�illogicamente�si�oppone�la�sussistenza�di�una�discriminazione�
(non�dimostrata)�nella�ipotesi�in�cui�venga�meno�per�fatti�oggettivi,�previsti�
dalla�legge,�la�possibilita��di�una�scelta�imprenditoriale�(la�partecipazione�al�
�sistema�)�che�gia��e��produttiva�di�discriminazione�nell'ambito�di�una�categoria�

di�imprenditori.�

Si�suggerisce,�pertanto,�di�rispondere�al�quesito�dichiarando�che�l'art.�18�e��
dainterpretarsinelsenso�chel'obbligo�imposto�agliStatimembrihariferimento�
unicamente�agli�imballaggi�che�soddisfino�tutti�i�requisiti�essenziali�di�cui�
all'art.�9,�compreso�l'allegato�II�(�Requisiti�essenziali�concernenti�la�composi-
zione�e�la�riutilizzabilita��e�la�ricuperabilita��^in�particolare�la�riciclabilita��^degli�
imballaggi�) 
della 
Direttiva. 


5.�^Il�terzo�quesito�posto�alla�Corte�e��del�seguente�tenore:��Se 
l'art. 
7 
della 
direttiva 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio 
20 
dicembre 
1994, 

IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�71 


n.�94/62�debba�essere�interpretato�nel�senso�che�al�produttore�e�al�venditore�
di�bevande�confezionate�in�imballaggi�a�perdere�recuperabili�venga�assicurata�
la�partecipazione�ad�un�sistema�di�ritiro�e�di�smaltimento�di�imballaggi�per�
bibite�usati�gia�istituito.�
La 
direttiva 
prescrive 
che 
vengano 
istituiti 
�sistemi� 
�affinche�venga�cos|�
soddisfatto�un�obbligo�imposto�per�legge�di�imporre�cauzioni�sugli�imballaggi�
per�bibite�a�perdere�e�di�restituire�gli�imballaggi�per�bibite�usati�.�

La 
direttivaprescrive 
che 
vengano 
istituiti�sistemi 
ad�hoc� 
relativamente 


alle 
operazioni 
inerenti 
gli 
�imballaggi 
usati 
e/o 
dei 
rifiuti 
di 
imballaggio� 


anche 
se 
importati, 
e 
che 
tali 
�sistemi� 
siano 
aperti 
alla 
�partecipazione 
degli 


operatorieconomicideisettoriinteressatieallapartecipazionedelle 
competenti 


autorita� 
pubbliche, 
non 
che 
la 
partecipazione 
agli 
stessi 
sia 
obbligatoria 
e 
incon-

dizionata. 
Il 
senso 
della 
disposizione 
e� 
che 
devono 
essere 
apprestati 
sistemi 
rela-

tivo 
ai 
rifiuti 
che 
tengano 
conto 
della 
considerazione 
particolare 
prestata 
agli 


imballaggi 
usati 
e/o 
dei 
rifiuti 
di 
imballaggio. 
Tanto 
non 
e� 
strumentale 
all'inte-

resse 
del 
produttore 
o 
venditore 
di 
prodotti 
contenuti 
in 
involucri, 
ma 
alla 


gestione 
degli 
involucri 
medesimi. 
Vi 
sarebbe, 
dunque, 
infrazione 
comunitaria 


unicamente 
nel 
caso 
in 
cui 
non 
venissero 
assicurati 
dal 
sistema 
nazionale 
rela-

tivo 
ai 
rifiuti 
i 
risultati 
che 
la 
direttiva 
si 
prefigge. 
Questo 
non 
e� 
il 
caso 
della 


Repubblica 
Federale, 
per 
il 
che 
la 
revoca 
della 
sospensione 
dalla 
prestazione 


della 
cauzione 
sugli 
involucri 
�a 
perdere� 
recuperabili 
per 
bibite 
connessa 
alla 


inibizione 
di 
accedere 
all'apprestato 
�sistema 
ad�hoc� 
di 
iniziativa 
privata 
per 


dettirifiutinonpuo� 
essereritenutocontrarioallefinalita� 
delladirettiva,quali 


sono 
garantite 
dalla 
previsione 
normativa 
in 
esame. 
Si 
suggerisce, 
pertanto, 
di 
rispondere 
al 
quesito 
dichiarando 
che 
l'interpre-

tazione 
dell'art. 
7 
della 
direttiva 
e� 
che 
la 
disposizione 
impone 
agli 
Stati 
membri 


digarantireunsistemadifferenziato 
ditrattamento 
del�rifiuto�da 
imballaggio 


rispetto 
a 
quello 
generale 
relativo 
ai 
�rifiuti�, 
aperto 
alla 
partecipazione 
degli 


operatori 
dei 
settori 
interessati, 
in 
quanto 
utilizzatori 
di 
imballaggi 
efinalizzato 


alla 
gestione 
dei 
rifiutipiu� 
appropriata 
e 
al 
reimpiego 
o 
recupero, 
incluso 
il 
rici-

claggio 
degli 
imballaggi 
e/o 
dei 
rifiuti 
di 
imballaggio 
raccolti. 
(f.to 
avv. 
Mauri-

zio 
Fiorilli)�.�

Causa 
C-338/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Calendari 
di 
incontri 
sportivi 
^Banca 
dati 
^Tutela 
^Direttiva�96/9/CE^Ordinanza�del�Hog-
sta�Domstolen�di�Stoccolma�(Svezia)�del�10�settembre�2002�^Registrata�
il�23�settembre�2002�(avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
FattO 


Il�calcio�professionistico�a�livello�di�divisioni�superiori�e�organizzato�in�
Inghilterra�da�The 
F.A. 
Premier 
League 
Limited 
eda�The 
Football 
League 
Limited 
e�in�Scozia�da�The 
Scottish 
Football 
League. 
Prima�dell'inizio�di�ogni�
stagione�calcistica�vengono�predisposti�i�calendari�degli�incontri�che�saranno�
disputati�in�ciascuna�divisione�nel�corso�della�stagione.�I�dati�vengono�regi-
strati�elettronicamente�e�sono�individualmente�accessibili.�I�calendari�degli�
incontri�sono�presentati,�tra�l'altro,�in�opuscoli�stampati,�sia�in�ordine�crono-
logico�sia�con�riferimento�ad�ogni�squadra�compresa�nelle�diverse�serie.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�Inghilterra�ogni�divisione�comprende�una�ventina�di�squadre.�Ogni�
squadra�gioca�contro�ciascuna�delle�altre�squadre�due�volte.�Nel�corso�di�
una�stagione�calcistica�sono�disputate�piu�di�2000�partite.�In�Scozia�le�divi-
sioni�comprendono�un�numero�inferiore�di�squadre.�Queste�ultime�si�incon-
trano�quattro�volte�per�stagione.�In�totale�vengono�disputate�circa�700�par-
tite.�L'attivita�di�raccolta�dei�dati�che�saranno�contenuti�nei�calendari�degli�
incontri�si�protrae�per�oltre�un�anno�prima�che�venga�decisa�la�versione�defi-
nitiva�degli�stessi.�

Gli�organizzatori�del�calcio�inglese�e�scozzese�hanno�designato�la�societa�
scozzese�Football�Fixures�Lirnited�a�gestire�lo�sfruttamento�dei�calendari�degli�
incontri,�tra�l'altro�attraverso�la�concessione�di�licenze.�La�Fixures�Marketing�
Limited,�a�sua�volta,�e�titolare�di�un�diritto�contrattuale�di�rappresentanza�
dei�titolari�dei�diritti�di�proprieta�intellettuale�sui�calendari�degli�incontri.�

La�societa�AB�Svenska�Spel�gestisce�in�Svezia�alcuni�giochi�d'azzardo�in�
cui�si�puo�scommettere�sui�risultati�di�partite�di�calcio,�tra�l'altro�del�campio-
nato�di�calcio�inglese�e�scozzese.�Le�partite�dei�campionati�sono�riportate�
su�schedine�nei�giochi�Stryktips�e�Maltips�e�in�un�programma�specifico�nel�
gioco�Odds.�

La�Fixtures�Marketing�Limited�afferma�che�le�due�banche�di�dati�^una�
per�tutte�le�divisioni�in�Inghilterra�e�l'altra�per�tutte�le�divisioni�in�Scozia�c
ontenenti�dati�su�cui�sono�basati�i�calendari�degli�incontri,�sono�tutelate�dal-

l'art.�49�della�lag(1960:729)�omupphovsratttilllitteraraochkonstnarligaverk�

���

[legge�sul�diritto�d'autore�su�opere�letterarie�e�artistiche]�e�che�l'impiego�da�
parte�della�AB�Svenska�Spel�di�dati�tratti�dai�calendari�degli�incontri�costitui-
sce�una�violazione�dei�diritti�di�proprieta�intellettuale�di�cui�sono�titolari�le�
societa�The�F.A.�Premier�League�Limited,�The�Football�League�Limited�e�The�
Scottish�Football�League.�

IQuesitI 


1.�^Se,�per�valutare�se�una�banca�di�dati�sia�il�risultato�di�un��notevole�
investimento��ai�sensi�dell'art.�7,�n.�1,�della�direttiva�del�Parlamento�europeo�
e�del�Consiglio�11�marzo�1996,�96/9/CE,�relativa�alla�tutela�giuridica�delle�
banche�di�dati�(direttiva�sulle�banche�di�dati)�debba�essere�preso�in�considera-
zione�un�investimento,�compiuto�dal�costitutore�di�una�banca�di�dati�che�
mira�principalmente�alla�costituzione�di�qualcosa�che�e�autonomo�rispetto�
alla�banca�di�dati�e�che�di�conseguenza�non�riguarda�esclusivamente�il��con-
seguimento,�la�verifica�e�la�presentazione��del�contenuto�di�una�banca�di�
dati.�Se,�in�tal�caso,�abbia�una�qualche�importanza,�il�fatto�che�l'investimento�
o�parti�di�esso�costituiscano�cio�nondimeno�un�presupposto�della�banca�di�
dati.�
2.�^Se�una�banca�di�dati�goda�della�tutela�della�direttiva�sulle�banche�
di�dati�esclusivamente�per�attivita�che�rientrano�nello�scopo�che�il�costitutore�
della�banca�di�dati�voleva�conseguire�con�la�costituzione�della�stessa.�
3.�^Che�cosa�si�intenda�con�la�nozione�di��parte�sostanziale�del�conte-
nuto�[di�una�banca�di�dati]�valutata�in�termini�qualitativi�o�quantitativi�di�
cui�all'art.�7,�n.�1?�

IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�73 


4.�^Se�la�tutela�della�direttiva�ai�sensi�dell'art.�1,�n.�1�e�dell'art.�7,�n.�5,�
contro�l'�estrazione�e/o�reimpiego��del�contenuto�di�una�banca�dati�sia�limi-
tata�a�quegli�impieghi�che�implicano�uno�sfruttamento�diretto�della�banca�
di�dati�oppure�se�la�tutela�riguardi�anche�una�forma�di�impiego�in�cui�il�con-
tenuto�si�trova�in�un'altra�fonte�(fonte�secondaria)�oppure�e�reso�accessibile�
al�pubblico.�
5.�^Come�debbano�essere�interpretare�le�nozioni�di��normale�
gestione�,�di��pregiudizio�ingiustificato��di�cui�all'art.�7,�n.�5.�
NotA 


Circa�la�normativa�applicabile�occorre�riferirsi�alla�legge�sul�diritto�di�

autore,�che�accorda,�all'articolo�49,�una�tutela�specifica�alle�raccolte�di�dati�che�

siano�quantitativamente�significanti�(comprendano�cioe�un�gran�numero�di�dati)�

o�che�abbiano�richiesto�un�notevole�investimento.�La�tutela�si�sostanzia�nell'at-
tribuire�all'autore�un�diritto�esclusivo�di�riprodurre�esemplari�del�lavoro�e�di�dif-

fonderli�in�pubblico.�
La�disposizione�in�parola�risulta�il�frutto�delle�modifiche�intervenute�nel�

1998per�adeguare�la�normativa�alla�direttiva�dell'11�marzo�1996,�96/9/CE,ed�

e�percio�alla�luce�di�quest'ultima�che�essa�va�interpretata.�
La�direttiva�dell'11�marzo�1996,�adottata�in�materia�di�diritto�di�autore,�

riguarda�nello�specifico�le�banche�dati.�Essa�tutela�tutte�le�banche�dati,�qualun-

que�ne�sia�la�forma,�che�per�la�scelta�o�la�disposizione�del�materiale�costitui-

scono�una�creazionedell'ingegnopropria�delloro�autore.�
La�direttiva�attribuisce�al�costitutore�di�una�banca-dati�un�diritto�sui�gene-

ris�^a�prescindere�dalla�tutelabilita�della�banca�stessa�o�del�suo�contenuto�a�

titolo�del�diritto�autore�^che�si�sostanzia�nel��vietare�operazioni�di�estrazione�

o�reimpiego�della�totalita�o�di�parte�sostanziale�del�contenuto,�valutata�in�ter-
mini�quantitativi�o�qualitativi,�qualora�il�conseguimento,�la�verifica�e�la�pre-
sentazione�dello�stesso�attestino�un�investimento�rilevante�sotto�il�profilo�
quantitativo�o�qualitativo�.�
Tale�diritto�speciale�si�atteggia�quale�diritto�esclusivo,�paragonabile�ad�una�

forma�di�monopolio�legale�simile�a�quello�costituito�con�il�brevetto�dell'inven-

zione.E�infacolta�deltitolaretrasferirlo,�cederlooconcederelicenzarelativa-

mente�allo�stesso.�
Appare�chiara�la�voluntas�legis�sottesa�alla�menzionata�previsione,�consi-

stentenelcontemperare,�daunlato,�l'interessedeiproduttoridibanchedatiad�

essere�tutelati�dalla�estrazione�di�copie�e,�dall'altro,�l'interesse�degli�utilizzatori�

ad�avere�accesso�ad�adeguate�infrastrutture�di�informazione�globale.�
Se�quindi�si�consente�il�libero�accesso�alpubblico,�contestualmente�sipreci-

sano�ilimitidellostesso�edinparticolaresivietano�l'estrazionee/o�ilreimpiego�

ripetuti�e�sistematici�diparti�sostanziali�del�contenuto�di�una�banca�di�dati,�non-

che�(art.�7�n.�5�della�direttiva)��di�parti�non�sostanziali�che�presuppongano�
operazioni�contrarie�alla�normale�gestione�della�banca-dati�o�arrechino�un�
pregiudizio�ingiustificato�agli�interessi�legittimi�del�costitutore�.�

Iproblemi�interpretativi�sollevati�dalla�normativa�concernono�rispettiva-

mente�la�definizione�di��notevole�investimento�,��parte�sostanziale�,�di��nor-

male�gestione��e�di��pregiudizio�ingiustificato�.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


Con�riguardo�al�primo�problema�interpretativo,�in�assenza�di�una�apposita�

esplicitazione�normativa,�non�e�dato�ritenere�che�il��notevole�investimento��di�cui�

sifa�menzioneall'articolo�7della�direttiva�sulle�banchedidati,�richieda�unafinaliz-

zazionespecifica,�eche,pertanto,�essopossaesserefinalizzato�tanto�alconsegui-

mento,�alla�verifica�e�alla�presentazione�del�contenuto�della�banca,�quanto�alla�

costituzione�di�qualcosa�che�e�autonomo�rispetto�alla�banca�stessa�e�che�nellafatti-

specie�risulta�consistere�nell'elaborazione�dei�calendari�degli�incontri�di�calcio.�

In�ordine�alla�seconda�questione,�atteso�che�per�valutare�se�l'utilizzo�della�

banca�dati�investa�una��parte�sostanziale��della�stessa�occorrono�parametri�sia�

di�tipo�quantitativo�che�qualitativo,�si�ritiene�che�si�ricada�nell'ambito�del�dispo-

sto�normativo�non�soltanto�quando�i�dati�utilizzati�siano�quantitativamente�

significanti�rispetto�alla�totalita�di�quelli�raccolti,�ma�altres|�quando�si�sfrutti�

da�un�punto�di�vista�qualitativo�l'elaborazione�che�e�alla�base�della�raccolta.�

Nel�caso�di�specie�non�soltanto�sembra�integrato�ilprimo�requisito,�vista�la�

consistente�percentuale�dei�dati�utilizzati,�ma�viene�altres|�sfruttata�l'elabora-

zione�dei�calendari�degli�incontri�calcistici,�che�ha�comportato�un�lavoroe�un�

investimentopecuniario�notevole.�

Nellafattispecie�che�ha�dato�luogo�alle�questioni�in�esame,�la�societa�sve-

dese�non�sembra�procedere�ad�uno�sfruttamento�una�tantum�di 
una 
parte 


sostanziale 
della 
banca-dati, 
pur 
tuttavia, 
reiterando 
nel 
tempo 
l'utilizzo 
di 
parti 
non 
sostanziali 
finisce 
per 
raggiungere 
il 
medesimo 
risultato. 


Sembra�pertanto�corretta�l'impostazione�fornita�dal�progetto�di�legge�sul�

diritto�di�autore�laddove�lo�stesso,�nell'adeguarsi�alla�direttiva,�assimila�l'impiego�

reiterato�dipartidiperse�nonsostanzialidiun'opera�all'impiego�diunaparte�

sostanziale�della�stessa.�Non�basta�evidentementefrazionare�nel�tempo�le�opera-

zionidiestrazionee�reimpiegoperritenersiesclusidallasferadiapplicazionedella�

normativa�di�tutela.�L'intento�esclusivo�sarebbe�palese�e�pertanto�non�avallabile.�

L'organizzazione�ad�opera�di�soggetti�diversi�dal�costitutore�della�banca�

dati�(unico�titolare�del�diritto�esclusivo)�di�una�attivita�lucrativa�che�si�avvalga,�

presupponendola,�dell'elaborazione�dei�dati�contenuta�nella�banca,�difficilmente�

puo�essere�fatta�rientrare�nella��normale�gestione��della�stessa,�ed�inevitabil-

mente�reca�un��pregiudizio�ingiustificato�,�ovvero�non�giustificato�mediante�cor-

responsione�di�un�equo�compenso�dovuto�in�ragione�dello�sfruttamento.�

Quanto�all'incidenza�delfattore��scopo�,�non�sembrapotersi�correttamente�

ritenerecheladirettiva,�cos|�comelaleggesuldirittodiautore,�apprestinounatutela�

in�considerazione�dello�scopo�per�il�quale�si�realizza�la�banca-dati:�i�due�requisiti�

richiestiaifinidella�tutela,�consistentinella�raccolta�diun�gran�numero�didatio�nel-

l'effettuazione�di�un�notevole�investimento,�sono�indicativi�di�una�precisa�volonta�

legislativadivolerproteggererispettivamenteillavoro�(impiegodienergiefisichee�

mentali)�e�l'impegno�pecuniario�che�sono�investiti�nell'elaborazione�di�una�banca-

dati,�qualunquesialoscopo�contingenteperilqualesiprocedeallastessa.�

E�percio�da�ritenere�che�ulteriori�e�diversi�reimpieghi�che�altri�vogliano�

porre�in�essere�non�possano�avvenire�in�assenza�di�apposita�licenza�concessa�

dal�costitutore�della�banca-dati,�a�meno�di�non�voler�veder�sostanzialmente�svuo-

tato�il�diritto�sui�generis�ad 
esso 
accordato 
dalla 
direttiva. 


Per�lo�stesso�ordine�di�motivi,�infine,�a�nulla�rileva�che�i�dati�siano�stati�

ricavatidafontidiverse,�allorche�,�comenelcasodispecie,�lafonteoriginariao�

comunque�lafonteprincipalee�costituita�dallabanca�dati�de 
qua. 



IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�75 


Causa�C�^372/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Prestazioni�di�disoc-
cupazione�^Servizio�militare�obbligatorio�svolto�in�Paese�d'origine�^Equi-
parazione�ad�attivita�lavorativa�in�Paese�di�residenza�^Regolamento�

n.�1408/1971/CEE�^Ordinanza�del��Bundessozialgericht��(Germania)�
emessa�il�15�agosto�2002�e�notificata�il�14�gennaio�2003�(cons.746/03,�
avv.�A.�Cingolo).�
IL 
fattO 


L'attore,�cittadino�spagnolo�residente�fin�dalla�nascita�in�Germania,�
dove�abitualmente�lavorava,�dopo�avere�assolto�in�Spagna�il�servizio�militare�
di�leva,�rientrava�in�Germania�chiedendo�le�prestazioni�di�disoccupazione�
del�sistema�tedesco,�essendosi�iscritto�nelle�liste�di�collocamento�locali�per�la�
ricerca�di�un�nuovo�lavoro.�

L'Ente�federale�competente,�convenuto�e�ricorrente�per�riesame,�aveva�
rifiutato�le�prestazioni�suddette�per�difetto�dei�requisiti,�sia�ai�sensi�delle�leggi�
tedesche�che�del�diritto�comunitario.�

Le�legislazioni�di�ciascuno�Stato�membro�prevedono�condizioni�partico-
lari�per�l'accesso�alle�prestazioni�nazionali�di�disoccupazione�involontaria�
dei�lavoratori�dipendenti.�La�regolamentazione�comunitaria�di�sicurezza�
sociale,�a�sua�volta,�stabilisce�regole�di�ordine�generale�e�particolari�regole�
di�coordinamento�di�tali�legislazioni.�

IquesitI 


1.�^A�quale�legislazione�debba�essere�soggetta�una�persona�che,�succes-
sivamente�all'espletamento�del�servizio�militare�obbligatorio�in�Spagna,�rien-
tri�in�Germania�e�chieda�prestazioni�al�sistema�tedesco�di�assicurazione�con-
tro�la�disoccupazione;�
2.�^Se�il�servizio�militare�obbligatorio�assolto�in�Spagna�sia�equipara-
bile,�ai�fini�del�diritto�a�dette�prestazioni,�all'ultima�occupazione�svolta�nel�
territorio�di�altro�Stato�membro�ai�sensi�del�regolamento�comunitario�
n.�1408/1971;�
3.�^Se�l'ultima�occupazione�svolta�nel�territorio�di�altro�Stato�membro�
debba�essere�presa�in�considerazione�e�a�quali�condizioni,�sempre�al�fine�di�
stabilire�il�diritto�a�dette�prestazioni�di�disoccupazione.�
Causa�C-377/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Banane�^Organizza-
zione�comune�del�mercato�^Contingente�di�importazione�^Regolamenti�
nn.�404/1993/CEE,�1637/1998/CE,�2362/1998/CE,�2806/1998/CE,�
102/1999/CE�^Artt.�I�e�XIII�dell'Accordo�GATT�(1994)�^Ordinanza�
del�Raad�Van�State,�Afdeling�Administratie�(Belgio)�emessa�il�7�ottobre�
1999�^Iscritta�il�21�ottobre�2002.�(cons.�3270/03,�avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
fattO 


I�ricorsi�sono�diretti�contro�decisioni�con�cui�sono�stati�negati�alla�ricor-
rente�titoli�d'importazione�per�un�diverso�trimestre�del�1999.�La�ricorrente�
in�entrambe�le�cause�fonda�l'illegittimita�delle�decisioni�impugnate�sull'invali-


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

dita�dei�regolamenti�europei�che�disciplinano�l'importazione�di�banane�nella�
Comunita�europea.�Le�parti�invocano�nella�presente�fattispecie�le�seguenti�
disposizioni�di�diritto�internazionale:�

^l'Accordo�generale�sulle�tariffe�e�il�commercio�15�aprile�1994�(abbre-
viato�GATT�1994),�che�costituisce�l'allegato�1A�dell'Accordo�che�istituisce�
l'Organizzazione�mondiale�del�commercio�(OMC)�sottoscritto�a�Marrakech�
il�15�aprile�1994�e�approvato�con�legge�23�dicembre�1994,�costituito,�tra�l'al-
tro,�dall'Accordo�generale�sulle�tariffe�doganali�e�sul�commercio�30�ottobre�
1947�(abbreviato�in�GATT),�i�cui�art.�I�e�XIII,�sono�del�seguente�tenore:�

^Articolo�1�

�Trattamento�generale�della�nazionepiu�favorita.�

1.�Tutti�i�vantaggi,�benefici,�privilegi�o�immunita�accordati�da�una�parte�
contraente�ad�un�prodotto�originario�di�o�destinato�a�qualsiasi�altro�paese�
saranno�immediatamente�e�senza�condizioni,�estesi�a�tutti�i�prodotti�similari�
originali�del�o�destinati�al�territorio�di�tutte�le�altre�parti�contraenti.�Questa�
disposizione�riguarda�i�dazi�doganali�e�le�imposizioni�di�qualsiasi�genereche�
colpiscono�le�importazioni�o�le�esportazioni,�o�che�sono�percepiti�in�occa-
sione�di�importazioni�o�di�esportazioni,�cos|�come�quelli�che�colpiscono�i�tra-
sferimenti�internazionali�di�fondi�effettuati�in�regolamento�delle�importazioni�
o�delle�esportazioni,�nonche�,�per�cio�che�concerne�il�modo�di�percezione�di�
tali�dazi�ed�imposizioni,�l'insieme�della�regolamentazione�e�delle�formalita�
afferenti�alle�importazioni�o�alle�esportazioni,�come�pure�tutte�le�questioni�
oggetto�dei�paragrafi�2�e�4�dell'art.�III.�
2�(...)> 
^Articolo�XIII 


�Applicazione�non�discriminatoria�delle�restrizioni�quantitative.�

1.�Nessun�divieto�o�restrizione�sara�applicato�da�una�parte�contraente�
all'importazione�del�prodotto�originario�del�territorio�di�un'altra�parte�con-
traente�(...)�a�meno�che�divieti�o�restrizioni�simili�non�siano�applicati�all'im-
portazione�del�prodotto�similare�originario�da�qualsiasi�paese�terzo�(...).�
2.�Nell'applicazione�delle�restrizioni�all'importazione�di�un�prodotto�
qualsiasi,�le�parti�contraenti�si�sforzeranno�di�pervenire�ad�una�ripartizione�
del�commercio�di�tale�prodotto�che�si�avvicini�nella�massima�misura�possibile�
a�quella�che,�in�assenza�di�restrizioni,�le�diverse�parti�contraenti�avrebbero�il�
diritto�di�attendersi�ed�osserveranno�a�tal�fine�le�seguenti�disposizioni:�
a)�ogniqualvolta�sara�possibile,�saranno�stabiliti�dei�contingenti�che�
rappresentino�l'ammontare�totale�delle�importazioni�autorizzate�(suddivise�o�
meno�tra�i�paesi�fornitori)�e�tale�ammontare�sara�pubblicato�conformemente�
alla�lettera�b)�del�paragrafo�3�del�presente�articolo;�

b)�quando�non�sara�possibile�stabilire�dei�contingenti�globali,�le�restri-
zioni�potranno�essere�applicate�mediante�licenze�o�permessi�di�importazione�
senza�contingente�globale;�

c)�a�meno�che�non�si�tratti�di�mettere�in�opera�i�contingenti�ripartiti�
conformemente�alla�lettera�d)�del�presente�paragrafo,�le�parti�contraenti�
non�stabiliranno�l'utilizzo�di�licenze�o�permessi�d'importazione�per�l'importa-
zione�del�prodotto�considerato�proveniente�da�una�fonte�di�rifornimento�o�
da�un�paese�determinato;�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�77 


d) 
qualora�un�contingente�venga�suddiviso�tra�i�paesi�fornitori,�la�
parte�contraente�che�applica�le�restrizioni�potra�accordarsi�circa�la�riparti-
zione�del�contingente�con�qualsiasi�altra�parte�contraente�che�abbia�un�inte-
resse�sostanziale�alla�fornitura�del�prodotto�considerato.�Laddove�non�fosse�
effettivamente�possibile�applicare�tale�metodo,�la�parte�contraente�in�que-
stione�attribuira�alle�parti�contraenti�che�abbiano�un�interesse�sostanziale�
alla�fornitura�del�prodotto,�delle�quote�in�proporzione�al�contributo�appor-
tato�da�dette�parti�contraenti�al�volume�totale�od�al�valore�totale�delle�impor-
tazioni�del�prodotto�in�questione�nel�corso�di�un�periodo�di�riferimento�pre-
cedente,�tenuto�debitamente�conto�di�tutti�i�fattori�speciali�che�hanno�potuto�

o�possono�influenzare�il�commercio�di�tale�prodotto.�
3.e4.�(omissis) 
5.�Le�disposizioni�di�questo�articolo�non�saranno�applicate�a�qualsiasi�
quota�tariffaria�istituita�o�mantenuta�in�vigore�da�una�qualsiasi�parte�con-
traente�(...)�.�
^Accordo�quadro�di�cooperazione�tra�la�Comunita�economica�europea�
e�l'accordo�di�Cartagena�e�i�suoi�paesi�membri,�la�Repubblica�della�Bolivia,�
la�Repubblica�della�Colombia,�la�Repubblica�dell'Ecuador,�la�Repubblica�
del�Peru�e�la�Repubblica�del�Venezuela,�firmato�il�23�aprile�1993�a�Copena-
ghen,�il�cui�art.�a�e�del�seguente�tenore:�

�Nelle�loro�relazioni�commerciali,�le�parti�contraenti�si�concedono�il�
trattamento�della�nazione�piu�favorita,�in�conformita�delle�disposizioni�del-
l'accordo�generale�sulle�tariffe�doganali�e�sul�commercio�(GATT).�Le�due�
parti�ribadiscono�inoltre�la�loro�volonta�di�effettuare�gli�scambi�commerciali�
conformemente�a�detto�accordo�.�

IquesitI 


1.�^Se�il�regolamento�(CEE)�del�Consiglio�13�febbraio�1993,�n.�404,�
relativo�all'organizzazione�comune�dei�mercati�nel�settore�della�banana,�come�
modificato�dal�regolamento�(CE)�del�Consiglio�20�luglio�1998,�n.�1637,�il�
regolamento�(CE)�della�Commissione�28�ottobre�1998,�n.�2362,�recante�
modalita�d'applicazione�del�regolamento�(CEE)�n.�404/1993�del�Consiglio,�
con�riguardo�al�regime�d'importazione�delle�banane�nella�Comunita�,�il�rego-
lamento�(CE)�della�Commissione�del�23�dicembre�1998,�n.�2806,�relativo�al�
rilascio�dei�titoli�d'importazione�per�le�banane�nel�quadro�dei�contingenti�
tariffari�e�delle�banane�tradizionali�ACP�per�il�primo�trimestre�del�1999�e�alla�
presentazione�di�nuove�domande,�il�regolamento�(CE)�della�Commissione�
15�gennaio�1999,�n.�102,�relativo�al�rilascio�di�titoli�d'importazione�di�banane�
nel�quadro�dei�contingenti�tariffari�e�delle�banane�ACP�tradizionali�per�il�
primo�trimestre�del�1999�(secondo�periodo)�e�il�regolamento�(CE)�
n.�608/1999�della�Commissione�del�19�marzo�1999�relativo�al�rilascio�dei�
titoli�d'importazione�di�banane�nel�quadro�dei�contingenti�tariffari�e�delle�
banane�ACP�tradizionali�per�il�secondo�trimestre�del�1999�e�alla�presenta-
zione�di�nuove�domande,�violano�gli�artt.�I,�XIII,�nn.�1�e�2,�lett.�d),�del�
GATT�1994,�letti�separatamente�o�in�combinato�disposto,�in�quanto�essi:�
^istituiscono�a�favore�di�dodici�paesi�nominati�nell'allegato�del�regola-
mento�n.�1637/1998,�un�contingente�comune�per�un�massimo�di�857.700�kg�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

di�banane�(�banane�ACP�tradizionali�)�e,�in�subordine,�in�quanto�tale�con-
tingente,�nei�limiti�in�cui�e�inteso�nel�sistema�attuato�dal�regolamento�

n.�1637/1998�nel�quale�l'importazione�di�banane�viene�disciplinata�solo�in�
base�al�contingente�tariffario,�non�e�conforme�ad�una�ripartizione�che�si�avvi-
cina�al�commercio�senza�restrizioni:�
^costituiscono�un�contingente�tariffario�per�un�quantitativo�totale�di�

2.535.000�tonnellate�per�gli�stati�terzi�e�per�le�banane�ACP�non�tradizio-
nali�e�successivamente�ripartiscono�percentualmente�tale�contingente�
tariffario�in�base�ad�un�periodo�non�rappresentativo,�considerato�che�il�
commercio�di�banane�negli�anni�1994^1996�era�gia�assoggettato�a�talune�
condizioni�limitative;�
2.�^Se�i�regolamenti�menzionati�supra,�al�n.�1,�violino�l'art.�4�dell'Ac-
cordo�quadro�23�aprile�1993�tra�la�Comunita�economica�europea�e�l'accordo�
di�Cartagena�e�i�suoi�paesi�membri,�in�quanto�con�tale�disposizione�la�Comu-
nita�europea�si�e�impegnata�a�far�regolare�le�sue�relazioni�con�l'Ecuador�dalle�
disposizioni�del�GATT�e�a�riconoscere�a�tale�paese�il�trattamento�di�nazione�
piu�favorita;�
3.�^Se�i�regolamenti�della�Comunita�menzionati�supra,�al�n.�1,�violino�il�
principio�del�legittimo�affidamento�e�il�principio�di�buona�fede�nel�diritto�
pubblico�internazionale�e�nel�diritto�consuetudinario�internazionale,�in�
quanto�la�Commissione�non�ottempera�agli�obblighi�derivanti�alla�Comunita�
dal�GATT�1994,�in�quanto�la�Commissione�ha�abusato�di�procedure�giuridi-
che�e�non�tiene�conto�della�pronuncia�di�un�organo�internazionale�di�conci-
liazione�e�in�quanto�essa,�nonostante�le�dichiarazioni�rilasciate�all'atto�dell'a-
dozione�del�regolamento�n.�1637/1998,�non�ha�elaborato�un�regime�in�cui�le�
licenze�d'importazione�sono�concesse�ai��veri�importatori�.�
^Se�la�Commissione�abbia�ecceduto�le�competenze�attribuitele�dal�rego-
lamento�del�Consiglio�n.�404/1990,�modificato�dal�regolamento�

n.�1637/1998,�stabilendo�un�contingente�tariffario�per�l'importazione�di�
banane�senza�tener�conto�degli�obblighi�che�derivano�alla�Comunita�dal�
GATT�1994�e�dal�GATS,�o�che�devono�essere,�eventualmente,�considerati�
una�norma�giuridica�positiva�integrata�nel�diritto�comunitario�in�conse-
guenza�dell'intenzione�manifestata�di�adeguare�ai�vigenti�accordi�O.M.C.il�
regime�per�l'importazione�delle�banane.�
Le�norme�dell'O.M.C.�non�hanno�effetto�diretto�nell'ordinamento�giuri-
dico�comunitario�e,�pertanto,�non�possono�essere�invocate�dai�singoli.�Da�
una�giurisprudenza�costante�risulta�che�le�disposizioni�del�GATT�del�1947�
erano�sprovviste�di�carattere�incondizionato�e�che�non�si�poteva�riconoscere�
loro�il�valore�di�norme�di�diritto�internazionale�direttamente�applicabili�negli�
ordinamenti�giuridici�interni�dei�contraenti�(v.�sentenza�della�Corte�5�ottobre�
1994,�causa�C-280/1993,�Germania/Consiglio.�Tale�giurisprudenza�potrebbe�
essere�applicata�anche�all'Accordo�O.M.C.�e�ai�suoi�allegati�giacche�tali�testi�
presentano�le�stesse�particolarita�che�hanno�indotto�a�negare�l'effetto�diretto�
alle�disposizioni�del�GATT�del�1947.�

In�ogni�caso,�cos|�come�si�legge�nel�dispositivo�della�citata�sentenza�
C-280/1993:��Leparticolarita�dell'Accordo�generalesulle�tariffe�doganalie�sul�
commercio,�chesicaratterizzaperunagrandeflessibilita�dellesuedisposizioni,�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�79 


in�particolare�di�quelle�che�riguardano�le�possibilita�di�deroga,�i�provvedimenti�

che�possono�essere�presi�in�presenza�di�difficolta�eccezionali�e�la�composizione�

di�controversie�tra�i�contraenti�(...)�mostrano�che�le�norme�dell'Accordo�generale�

sono�sprovviste�di�carattere�incondizionato�e�che�l'obbligo�di�riconoscere�loro�il�

valore�di�norme�di�diritto�internazionale�direttamente�applicabili�negli�ordina-

mentigiuridiciinternideicontraentinonpuo�esserefondatosullospirito,�sulla�

struttura�o�sulla�lettera�dell'Accordo.�In�assenza�di�un�siffatto�obbligo�derivante�

dall'Accordo�stesso,�solo�nell'ipotesi�in�cui�la�Comunita�abbia�inteso�dare�esecu-

zione�adun�obbligoparticolare�assunto�nell'ambito�del�GATTo�in�quella�in�cui�

l'atto�comunitario�rinvii�espressamente�a�precise�disposizioni�dell'Accordo�gene-

rale�la�Corte�e�tenuta�a�controllare�la�legittimita�dell'atto�comunitario�di�cui�

trattasi�alla�luce�delle�norme�del�GATT�.�(v.�sentenze�22�giugno�1989,�causa�

70/1987,�Fediol,�e�7�maggio�1991,�causa�C-69/1989,�Nakajima/Consiglio).�

Causa 
C-381/02 
(domanda 
pregiudiziale) 
^Agricoltura 
^Organizzazione 
comune 
dei 
mercati 
ortofrutticoli 
^Fiera 
biologica 
^Organizzazioni 
di 
produttori 
^Imposizioni 
di 
contributi 
a 
produttori 
non 
aderenti 
^Regola-
menti�n.�72/1035�CEE�e�n.�83/3284/CEE�^Ordinanza�della�Cour�d'Ap-
pel�de�Caen�^Sezioni�Riunite�del�17�ottobre�2002�(cons.�643/03,�avv.�

M.�Fiorilli).�
IL 
fattO 


La�causa�riguarda�il�pagamento�dei�contributi�alle�organizzazioni�agri-
cole�da�parte�di�produttori�non�aderenti�che�operano�nel�mercato�biologico.�
Nella�fattispecie�il�ricorrente,�un'organizzazione�di�produttori�francese,�agisce�
in�giudizio�contro�due�produttori�di�ortaggi�provenienti�dall'agricoltura�bio-
logica�per�il�pagamento�dei�contributi�relativi�alla�produzione�di�cavolfiori�
degli�anni�1992-1993.�Il�Tribunale�di�primo�grado�di�Morlaix�respinge�le�
richieste�del�ricorrente,�ma�la�Corte�d'Appello�di�Rennes,�annullando�tale�
decisione,�condanna�i�convenuti�al�pagamento�dei�contributi�maggiorati�del�
tasso�di�interesse.�

IL 
quesitO 


Se�uno�Stato�membro�puo�,�senza�violare�il�principio�di�non�discrimina-
zione,�applicare�le�disposizioni�dell'art.�15�ter,�nn.�1�e�8�del�regolamento�
(CEE)�del�Consiglio�18�maggio�1972,�n.�1035,�rendendo�talune�norme�sulla�
produzione�e�sulla�commercializzazione�obbligatorie�per�i�produttori�stabiliti�
nella�circoscrizione�di�un�Comitato�economico�e�non�aderenti�a�quest'ultimo,�
ed�assoggettandoli�al�pagamento�di�tutti�o�parte�dei�contributi�versati�dai�
produttori�aderenti,�senza�distinguere�a�seconda�che�detti�produttori�non�
aderenti�partecipino�o�meno�ad�una�filiera�regolamentata�a�norma�di�legge�
che,�quale�la�filiera�biologica,�renderebbe�l'attivita�del�Comitato�economico,�
per�quanto�li�riguarda,�priva�d'interesse,�o�di�interesse�soltanto�occasionale�
e�marginale.�

NotA 


Icomitati�economici,�riconosciuti�dal�Ministero�dell'Agricolturafrancese,�

hanno�come�obiettivo�l'armonizzazione�nell'ambito�di�una�determinata�regione�

e�per�un�medesimo�settore�produttivo�delle�regole�stabilite�dalle�associazioni�di�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


produttori.|Essi|hanno|ilpotere|di|emanare|norme|vincolantiper|le|organizza-

zioni|che|ne|sono|membri|e|per|i|loro|aderenti|e|sono|autorizzati,|da|un|lato,|al|

prelievo,|nei|confronti|dei|membri,|di|un|diritto|di|iscrizione|e|dall'altro|a|chie-

dere|aipropri|aderenti|diversi|contributialfine|di|assicurare|ilpropriofunziona-

mento,|il|sostegno|dei|mercati|e|le|azioni|di|interesse|generale.|
Il|regolamento|18|maggio|1972,|n.|1035,|riguardante|l'organizzazione|

comune|dei|mercati|nel|settore|degli|ortofrutticoli,|cos|�|come|modificato|e|com-

pletatodalregolamento|(CEE)delConsiglio14novembre1983,n.|3284,stabili-

sce,|all'art.|15|ter,|che|gli|Stati|membri|possono,|a|talune|condizioni,|estendere|

all'insieme|deiproduttorinon|aderentistabiliti|in|una|circoscrizione|economica|

determinata|talune|norme,|quali|le|disposizioni|in|materia|di|ritiro|dal|mercato,|

di|conoscenza|della|produzione,|di|produzione|e|di|commercializzazione,|adot-

tateper|i|suoimembri|da|un'organizzazione|diproduttori|considerata|rappresen-

tativa|della|produzione|e|dei|produttori|di|questa|circoscrizione.|Il|n.|8|di|tale|

articoloprevedeche,perquantoriguardal'applicazionedelparagrafo1,loStato|

membro|interessato|puo�|decidere|che|i|produttori|non|aderenti|sono|debitori|

verso|l'organizzazione|o,|all'occorrenza,|verso|l'associazione,|del|totale|o|di|una|

parte|delle|quote|versate|daiproduttori|aderenti,|nella|misura|in|cui|queste|siano|
destinate|a|coprire.|
Il|regolamento|del|Consiglio|(CEE)|14|novembre|1983,|n.|3285,fissa,|inol-
tre,|le|norme|generali|relative|all'estensione,|elencando|le|condizioni|preliminari|
e|le|regolesuscettibilidiessereesteseaiproduttorinonaderenti.|
Investita|diuna|domandapregiudiziale,|nell'ambito|diuna|distinta|contro-
versia|tra|lo|stesso|ricorrente|ed|un|diverso|convenuto,|la|Corte|di|giustizia|ha|
dichiarato|(sentenza|13|luglio|2000,|UNILET|e|CERAFEL,|causa|
C-117/1999),|che|l'art.|15|ter 
n.|8,|del|regolamento|1035/1972/CEE,|deve|essere|
interpretato|nel|senso|che,|qualora|uno|Stato|membro|che|abbia|applicato|il|

n.|1|di|questa|norma|rendendo|talune|norme|di|produzione|e|di|commercializza-
zione|emanate|da|un'organizzazione|di|produttori,|obbligatorie|per|produttori|

stabiliti|nella|circoscrizione|e|non|aderenti|a|tale|organizzazione,|essoha|il|

diritto,perunmedesimoprodotto,|dinonassoggettare|taluniditaliproduttori|

non|aderenti|all'obbligo|di|versare|contributi,|ove|la|loro|produzione|non|sia|

destinata|al|mercato|del|prodotto|fresco,|ma|alla|trasformazione|industriale.|
Perlesueconcretepeculiarita�,l'agricolturabiologicae�|soggettaaregoledi|

produzione|e|commercializzazione|specifiche.|L'attivita�|del|ricorrente|non|e�|

rivolta|agli|agricoltori|che|partecipano|alla|filiera|biologica,|anche|seessipos-

sono|beneficiare,|occasionalmente|e|marginalmente,|delle|sue|azioni.|Le|norme|

emanate|dal|ricorrente|hanno,|sostanzialmente,|il|fine|di|sostenere|il|mercato,|

fortemente|eccedentario,|dei|prodotti|derivanti|dall'agricoltura|convenzionale.|

Alcontrario,ilmercatodeiprodottiderivantidall'agricolturabiologicae�|defici-

tarioe,|diconseguenza,|iproduttorichehannosceltoilmetododiproduzione|

biologico|non|beneficiano|delle|iniziative|condotte|dal|ricorrente|relativamente|

al|sostegno|dei|mercati,|alle|modalita�|d'intervento|e|all'applicazione|del|prezzo|

diritiro.|Iconvenuti,pertanto,|sostengono|che|imporre|loro|unobbligo|dicontri-

buzione|nei|confronti|dell'ente|ricorrente,|comporterebbe|la|conseguenza|che|essi|

dovrebbero|sopportare|i|costi|del|sostegno|e|della|regolamentazione|di|un|mer-

cato|sul|quale|non|intervengono.|


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�81 


In 
tale 
caso 
sarebbe, 
dunque, 
ravvisabile 
una 
violazione 
del 
principio 
di 
non 


discriminazionedicuiall'art.34,n. 
2delTrattatodiRoma. 
Taleprincipioimpone, 


infatti,dinontrattaresituazionianalogheinmanieradifferenziataesituazionidiverse 


inmanierauguale,amenocheuntaletrattamentononsiaobiettivamentegiustificato. 


Causa�C-396/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Tariffa�Doganale�
Comune�^Veicoli�destinati�al�trasporto�e�scarico�di�materiali�^Qualifica�
di�dumper 
^Voce�8704�TDC�regolamento�92/396/CEE�^Ordinanza�del�
�Gerechtshof��(Paesi�Bassi)�emessa�l'8�novembre�2002,�notificata�il�
14�gennaio�2003�(cons.�4135/03,�avv.�A.�Cingolo).�

IL 
fattO 


La�societa�Maveco�Maschinel�Hendelsgesellschaft�mbh�di�Fend�(D)�nel�
periodo�1995/1996�ha�presentato�all'Ufficio�doganale�di�Rotterdam�due�
dichiarazioni�doganali�di�immissione�in�libera�pratica�per�i��minitrac� 
tipi�
709,�1005�e�1302,�le�merci�in�questione�sono�state�dichiarate�dalla�ditta�
importatrice�sotto�la�voce�8704�10�19�della�Tariffa�doganale�Comune,�mentre�
la�dogana�le�ha�classificate�alla�voce�Doganale�8704�21�91.�

La�parte�ricorrente�sostiene�che,�secondo�la�tariffa�vengono�classificati�
come��dumper��veicoli�costruiti�con�materiali�robusti�e�solidi�(a�prescindere�
dalle�loro�dimensioni)�che�servono�per�il�trasporto�di�sabbia,�ghiaia,�pietra,�
terra�e�simili�e�sono�provvisti�di�cassone�ribaltabile�oppure�apribile�dal�basso.�

Nel�caso�di�specie�si�tratta�dei�cosiddetti��Minitrac�.�

Tuttavia�la�parte�ricorrente�sostiene�che�esistono�versioni�leggere�per�
trasporti�leggeri�e�versioni�pesanti�per�lavori�di�movimento�di�terra.�Gli�auto-
carri�ribaltabili�oggetto�della�controversia�sono�destinati�a�lavori�pesanti�che�

pero�hanno�una�funzione�analoga�ai��dumper� 
e�quindi�e�errato�ritenere�che�
un�autocarro�ribaltabile�debba�avere�una�determinata�struttura�e�forma,�e�
che�il�ribaltamento�del�cassone�debba�avvenire�mediante�un�apparato�sem-
plice�(meccanico�e�manuale).�

IL 
quesitO 


Se�sia�o�meno�possibile�utilizzare�la�qualifica�di�dumper 
^di�cui�alla�voce�

8704�10�della�Tariffa�doganale�Comune�^per�autoveicoli�progettati�per�essere�
usati�fuori�della�rete�stradale,�destinati�al�trasporto�e�allo�scarico�di�materiale�
e�provvisti,�in�particolare,�a�tal�fine�di�un�meccanismo�di�ribaltamento�com-
plesso,�flessibile�e�preciso.�

Causa�C-400/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Indennita�di�transiz
ione�erogata�da�Stato�membro�diverso�da�quello�di�residenza�^Base�di�
calcolo�^Imposta�sul�reddito�fittizia�^Art.�39�Trattato�CE�^Ordinanza�
del��Bundesarbeitsgericht��(Germania)�emessa�il�27�giugno�2002,�notifi-
cata�il�28�gennaio�2003�(cons.�4309/03,�Avv.�A.�Cingolo).�

IL 
fattO 


Il�ricorrente�e�cittadino�francese�e�risiede�in�Alsazia,�fino�al�30�novem-
bre�1999�e�stato�dipendente�delle�forze�armate�di�stazionamento�francesi�a�
Baden-Baden.�Il�suo�rapporto�di�lavoro�e�cessato�nella�predetta�data,�a�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


seguito 
dello 
scioglimento 
delle 
forze 
armate 
di 
stazionamento. 
Il 
ricorrente, 
lavoratore 
transfrontaliero, 
e� 
esentato 
dal 
versamento 
dell'imposta 
sui 
redditi 
tedesca 
in 
quanto 
i 
suoi 
redditi 
sono 
soggetti 
alla 
relativa 
imposta 
in 
Francia 
con 
l'aliquota 
ivi 
prevista. 


A 
seguito 
della 
cessazione 
del 
rapporto 
di 
lavoro, 
egli 
percepisce 
le 
pre-
stazioni 
di 
disoccupazione 
francese 
dal 
febbraio 
2000. 
Inoltre 
percepisce 
dalla 
Repubblica 
Federale 
di 
Germania, 
ai 
sensi 
del 
contratto 
collettivo 
del 
31 
agosto 
1971 
relativo 
alla 
previdenza 
sociale 
dei 
lavoratori 
delle 
forze 
armate 
di 
stazionamento 
sul 
territorio 
della 
RFT, 
una 
�indennita� 
di 
transi-
zione� 
il 
cui 
scopo 
e� 
quello 
di 
favorire 
l'inserimento 
nel 
mercato 
del 
lavoro 
tedesco 
dei 
lavoratori 
non 
occupati, 
in 
modo 
da 
realizzare 
la 
parita� 
di 
tratta-
mento 
di 
tutti 
i 
lavoratori 
legittimati. 


Ai 
fini 
della 
determinazione 
dell'indennita� 
suddetta, 
il 
competente 
Ente 
tedesco 
ha 
dettato 
dalla 
base 
di 
calcolo 
l'imposta 
dei 
redditi 
fittizia 
prevista 
dalla 
legge 
tedesca 
ed 
ha 
aggiunto 
all'indennita� 
di 
transizione 
il 
sussidio 
di 
disoccupazione 
francese. 


Il 
ricorrente 
sostiene 
che 
i 
calcoli 
effettuati 
dalla 
parte 
resistente 
si 
sono 
illegittimamente 
basati 
unicamente 
sulla 
legge 
tedesca 
senza 
tener 
conto 
del 
fatto 
che 
egli 
risiede 
in 
Francia 
dove 
e� 
gia� 
soggetto 
ad 
imposta. 
In 
virtu� 
della 
convenzione 
contro 
le 
doppie 
imposizioni, 
il 
ricorrente 
risulta 
esentato 
dal-
l'imposta 
sui 
redditi 
in 
Germania, 
pertanto, 
la 
detrazione 
fittizia 
dell'imposta 
sui 
redditi 
operata 
per 
la 
determinazione 
dell'indennita� 
di 
transizione 
sarebbe 
illegittima. 
Il 
ricorrente, 
a 
seguito 
dei 
calcoli 
cos|� 
effettuati, 
sarebbe 
soggetto 
ad 
un 
doppio 
onere 
impositivo 
e 
cio� 
comporterebbe 
una 
violazione 
del 
diritto 
comunitario 
(art. 
39 
CE). 


IL 
quesitO 


Se 
costituisca 
violazione 
dell'art. 
39 
CE 
il 
fatto 
che 
ai 
fini 
della 
determi-
nazione 
della 
base 
di 
calcolo 
dell'indennita� 
di 
transizione 
di 
cui 
al 
paragrafo 
4, 
n. 
1, 
lettera 
b) 
TV 
SozSich, 
occorra 
fare 
riferimento 
all'imposta 
sui 
redditi 
tedesca 
fittizia 
(ai 
sensi 
del 
paragrafo 
4, 
n. 
3, 
lettera 
b), 
secondo 
capoverso, 
TV 
SozSich), 
quando 
l'ex 
lavoratore 
risieda 
all'estero 
e 
sia 
ivi 
soggetto 
ad 
imposta. 


Causa 
C 
^425/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Trasferimento 
d'im-
presa 
^Diritti 
dei 
lavoratori 
^Passaggio 
da 
cedente 
privato 
a 
cessionario 
pubblico 
^Direttive 
numeri 
77/187/CEE 
e 
2001/23/CE 
^Ordinanza 
della 
�Cour 
Administrative� 
(Lussemburgo) 
del 
21 
novembre 
2002, 
noti-
ficata 
il 
14 
gennaio 
2003 
(cons. 
2938/03, 
avv. 
A. 
Cingolo). 


IL 
fattO 


La 
sig.ra 
Delahaye, 
dipendente 
della 
societa� 
Foprogest, 
ceduta 
dal 
socio 
privato 
ad 
un 
acquirente 
pubblico, 
ha 
impugnato 
un 
provvedimento 
ammini-
strativo 
volto 
a 
mutare 
lo 
status 
giuridico 
ed 
economico 
di 
cui 
era 
preceden-
temente 
titolare, 
al 
fine 
di 
omologarlo 
al 
diverso 
(e 
ritenuto 
pregiudizievole) 
status 
giuridico 
ed 
economico 
degli 
altri 
dipendenti 
pubblici 
spettante 
alle 
societa� 
controllate 
dall'acquirente 
pubblico. 



IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�83 


L'acquirente�pubblico�ha�fondato�tale�modifica�delle�condizioni�della�
lavoratrice�Delahaye�sulla�eccezione�di�cui�all'art.�36�della�legge�24�maggio�
1989�(attuativa�della�direttiva�n.�77/187�come�modificata),�la�quale�consente�
di�attuare�il�trasferimento�di�diritti�ed�obblighi�del�personale��solo�nei�limiti�
della�compatibilita�delle�norme�di�diritto�pubblico�.�Poiche�il�trattamento�
economico�dei�lavoratori�in�Lussemburgo�e�dettato�da�inderogabili�norme�
di�legge,�il�Granducato�ha�ritenuto�di�dover�cos|�adeguare�anche�il�tratta-
mento�della�ricorrente�Delahaye.�

IL 
quesitO 


Se,�alla�luce�delle�disposizioni�delle�direttive�numeri�77/187/CEE,�
98/50/CE�e�2001/23/CE,�in�caso�di�trasferimenti�di�impresa�da�un'associa-
zione�senza�fini�di�lucro,�persona�giuridica�di�diritto�privato,�verso�lo�Stato,�
quest'�ultimo,�in�qualita�di�cessionario,�possa�essere�ammesso�a�realizzare�
l'assunzione�dei�diritti�e�degli�obblighi�del�cedente�solo�nei�limiti�in�cui�questi�
siano�compatibili�con�le�sue�norme�di�diritto�pubblico,�in�particolare�in�mate-
ria�di�retribuzione,�in�cui�le�modalita�e�gli�importi�degli�assegni�sono�fissati�
mediante�regolamento�granducale,�considerato�peraltro�che�dallo�status�di�
impiegato�pubblico�derivano,�per�i�dipendenti�di�cui�trattasi,�vantaggi�giuri-
dici,�segnatamente�in�materia�di�sviluppo�di�carriera�e�di�stabilita�dell'im-
piego,�e�che�gli�agenti�di�cui�trattasi,�in�caso�di�dissenso�sulle��modifiche�
sostanziali��del�rapporto�di�lavoro�ai�sensi�dell'art.�4,�n.�2,�delle�direttive,�
conservano�il�diritto�di�chiedere�la�rescissione�di�tale�rapporto�secondo�le�
modalita�menzionate�al�testo�in�questione.�

LA 
posizionE 
assuntA 
daL 
GovernO 
italianO 


�Il�Governo�Italiano�ritiene�che�le�questioni�pregiudiziali�poste�dal�giudice�
lussemburghesedebbano�essere�risoltenelsenso�che,fermo�ilprincipiogenerale�
per�cui�il�trasferimento�o�la�cessione�di�azienda�da�un�titolare�all'altro�non�puo�
determinare�una�modifica�peggiorativa�del�trattamento�economico�e�giuridico�
per�i�lavoratori�ceduti,�nel�caso�di�passaggio�a�datore�di�lavoro�statale�con�inse-
rimento�nella�relativa�organizzazione,�l'acquisizione�dello�status�di�pubblico�
dipendente�costituisce�diper�se�stessa�adeguata�garanzia�di�un�trattamento�com-
plessivamentenon�deteriorerispetto�a�quello�diprovenienza.�

Secondo�la�giurisprudenza�della�Corte�di�Giustizia�(sentenza�26�settembre�
2000�C-175/1999�e�del�15�ottobre�1996�C-298/1994)�gli�articoli�1,�n.�i�e�2,�
lett.�b),�della�direttiva�n.�77/187/CEE�e�successive�modifiche�si�riferiscono�
espressamente�alla�ipotesi�del�trasferimento�di�un'attivita�economica�da�una�
societa�privata�ad�unapersona�giuridica�di�dirittopubblico.�Esulano�invece�dalla�
sfera�di�applicazione�della�direttiva�le�ipotesi�di�riorganizzazione�di�strutture�
della�Pubblica�Amministrazione�o�il�trasferimento�di�funzioni�amministrative�
tra�Pubbliche�Amministrazioni.�

L'applicabilita�delle�direttive�numeri�77/187/CEE,�9850CE�e�2001/23/CE�
aicasiditrasferimento�da�impreseprivateasoggettipubblicie�espressamente�
contemplato�nell'art.�1,�n.�1,�lett.�c),�della�direttiva�n.�9850/CE,�laddove�si�pre-
vede�che��la�presente�direttiva�si�applica�alle�imprese�pubbliche�o�privateche�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


esercitano 
un'attivita� 
economica, 
che 
perseguano 
o 
meno 
uno 
scopo 
di 
lucro. 
Una 
riorganizzazione 
amministrativa 
di 
enti 
amministrativi 
pubblici 
o 
il 
trasfe-
rimento 
difunzioni 
amministrative 
tra 
enti 
amministrativipubblici 
non 
costitui-
sce 
trasferimento 
aisensidellapresentedirettiva. 


Inoltre 
l'art. 
2 
definisce 
il 
cessionario 
come 
�ognipersonafisica 
o 
giuridica 
che, 
in 
conseguenza 
di 
un 
trasferimento 
a 
norma 
dell'art. 
1,paragrafo 
i, 
acquisi-
sce 
la 
veste 
di 
imprenditore 
rispetto 
all'impresa, 
allo 
stabilimento 
o 
a 
parte 
dello 
stabilimento. 


In 
linea 
generale, 
dunque, 
secondo 
il 
diritto 
comunitario 
le 
disposizioni 
volte 
a 
garantire 
la 
continuita� 
dei 
rapporti 
di 
lavoro 
per 
i 
lavoratori 
ceduti 
sono 
applicabili 
anche 
nel 
caso 
di 
trasferimento 
o 
di 
cessione 
di 
azienda 
da 
soggetto 
privato 
a 
soggetto 
pubblico. 


Peraltro, 
come 
chiarito 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nella 
ricordata 
sentenza 
26settembre2000(C-175/1999Mayeur) 
ilprincipiostessotrovaapplicazione 
solo 
allorquando 
�l'entita� 
ceduta 
conservi 
la 
propria 
identita� 
�, 
rimanendo 
quindi 
autonoma 
e 
distinta, 
sul 
piano 
oggettivo, 
rispetto 
all'attivita� 
pubblica 
in 
generale. 


Cio� 
comportachese,invece,l'attivita�precedentementesvoltainformapri-
vatistica 
viene 
riorganizzata 
attraverso 
un 
procedimento 
di 
�pubblicizzazione�, 
in 
esito 
alquale 
essa 
viene 
afarparte 
deicompitiistituzionalidell'aziendasta-
tale, 
non 
vi 
e� 
ragione 
di 
ritenere 
applicabile 
il 
principio 
di 
continuita� 
in 
questione. 


Tale 
conseguenza 
non 
deriva 
da 
una 
esenzione 
soggettiva 
dello 
Stato 
dal 
principio 
stesso 
^esenzione 
che 
non 
troverebbe 
alcuna 
accettabile 
giustifica-
zione 
^quanto 
invece 
dalla 
diversa 
natura 
assunta 
dall'attivita� 
precedentemente 
esercitata 
informa 
privatistica, 
nel 
momento 
in 
cui 
essa 
viene 
ad 
essere 
assor-
bita 
nell'organizzazione 
generale 
dello 
Stato. 


Da 
un 
lato, 
infatti, 
cio� 
significa 
che 
si 
tratta 
di 
attivita� 
ritenuta 
essenzial-
mentepubblica, 
dall'altro 
ilsuo 
inserimentonell'organizzazionestatualeesclude 
che 
il 
trattamento 
dei 
dipendenti 
provenienti 
dall'impresa 
privata 
possa 
restare 
in 
qualche 
modo 
differenziato, 
e 
cio� 
per 
evidenti 
ragioni 
di 
parita� 
sia 
soggettiva 
che 
oggettiva 
rispetto 
agli 
altri 
dipendenti 
statali. 


Tale 
conclusione 
coincide, 
del 
resto, 
con 
quanto 
affermato 
nella 
richiamata 
direttiva 
n. 
98/50/CE 
laddove 
precisa 
che 
la 
riorganizzazione 
amministrativa 
non 
costituisce 
trasferimento 
agli 
effetti 
della 
direttiva 
stessa: 
non 
vie� 
ragione 
logicaperdoversiescluderel'applicabilita� 
ditalederoganelcasodipassaggio 
di 
un'attivita� 
dalprivato 
allo 
Stato. 


In 
ragione 
di 
quanto 
sin 
qui 
considerato 
e 
dedotto, 
il 
Governo 
Italiano 
sug-
gerisce 
di 
rispondere 
al 
quesito 
posto 
dal 
giudice 
lussemburghese 
nei 
seguenti 
termini. 


�Non 
e� 
incompatibile 
con 
l'ordinamento 
comunitario 
una 
normativa 
nazio-
nale 
che, 
in 
ipotesi 
di 
trasferimento 
dell'attivita� 
svolta 
da 
una 
impresa 
privata 
allo 
Stato, 
consenta 
al 
medesimo 
di 
assumere 
i 
diritti 
e 
gli 
obblighi 
del 
cedente 
verso 
i 
lavoratori 
solo 
nei 
limiti 
delle 
norme 
sullo 
status 
generale 
dei 
pubblici 
dipendenti. 
(f.to 
avv. 
Antonio 
Cingolo)�. 



IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�85 


Causa�C-428/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^IVA�^Locazione�
posti�barca�^Nozione�di�locazione�beni�immobili�^Art.�13,�parte�B,�
lett.�b),�n.�2�direttiva�n.�77/388/CEE�^Ordinanza�del��Vestre�Landsre��
(Danimarca)�emessa�il�15�novembre�2002�(cons.�1811/03,�
avv.�A.�Cingolo).�

IL 
fattO 


Con�la�predetta�ordinanza�e�stato�chiesto�alla�Corte�di�Giustizia�delle�
Comunita�Europee�di�pronunciarsi,�ai�sensi�dell'art.�234�del�Trattato,�sull'in-
terpretazione�dell'art.�13,�parte�B,�lett.�b),�n.�2�della�sesta�direttiva�IVA�
(Consiglio�77/377/CEE),�con�successive�modifiche.�

Il�caso�concerne�due�cause�riunite�riguardanti�la�questione�se�i�proventi�
della�locazione�di�posti�barca�in�un�porto�per�imbarcazioni�da�diporto,�non-
che�di�posti�a�terra�per�la�rimessa�invernale�di�imbarcazioni�da�diporto,�deb-
bano�essere�inclusi�nella�base�imponibile�per�il�calcolo�dell'IVA.�

IquesitI 


1�^Se�l'espressione��locazione�di�beni�immobili��comprende�la�loca-
zione�di�un�posto�barca;�
2�^Se�il�termine��koretojer� 
comprende�le�barche.�

Causa�C-429/02�(domanda�di�pronunzia�pregiudiziale)�^Pubblicita�di�bevande�
alcoliche�attraverso�il�mezzo�televisivo�^Direttiva�89/522/CEE�detta�
�Televisione�senza�frontiere��^Art.�49�trattato�C.E.�^Ordinanze�della�
Cour�de�Cassation�(Francia)�del�19�novembre�2002�^Iscritta�il�
27�novembre�2002�(cons.�2942/03,�avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
fattO 


La�questione�de 
qua 
risulta�nata�nell'ambito�di�una�controversia�legale�
tra�la�societa�Bracardi-Martini�che,�per�la�promozione�delle�bevande�alcoli-
che�dalla�stessa�commercializzate,�decideva�di�avvalersi�di�pannelli�pubblici-
tari�ubicati�in�particolare�intorno�agli�stadi�sportivi�e�la�societa�TF1�nonche�
quelle�che�per�conto�di�questa�negoziano�i�diritti�di�ritrasmissione�televisiva�
delle�partite�di�calcio,�per�avere�queste�ultime�esercitato�pressioni�sui�club�
stranieri�inducendoli�a�rifiutare�l'accesso�dei�marchi�Bacardi-Martini�ai�pan-
nelli�pubblicitari�situati�intorno�agli�stadi.�

La�normativa�francese�(cosiddetta�legge�Evian)�proibisce�la�pubblicita�
televisiva�di�bevande�alcoliche,�per�ragioni�legate�alla�protezione�della�salute.�

IquesitI 


1.�^Se�la�direttiva�3�ottobre�1989,�89/552/CEE,�detta��Televisione�
senza�frontiere�,�nella�versione�anteriore�a�quella�risultante�dalla�direttiva�
30�giugno�1997,�97/36/CE,�si�opponga�a�che�una�normativa�interna�come�
gli�articoli�L.�17�^L.�21�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande�e�
l'art.�8�del�decreto�27�marzo�1992,�n.�92280�proibisca,�per�ragioni�legate�alla�
protezione�della�salute�e�con�la�minaccia�di�sanzioni�penali,�la�pubblicita�alla�
televisione�per�le�bevande�alcoliche,�siano�esse�di�origine�nazionale�o�proven-

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

gano�da�altri�Stati�membri�dell'Unione,�sia�che�si�tratti�di�spot�pubblicitari�ai�
sensi�dell'art.�10�della�direttiva�o�di�pubblicita�indiretta�risultante�dall'appari-
zione�in�televisione�di�pannelli�che�promuovono�bevande�alcoliche�senza�
costituire�tuttavia�la�pubblicita�clandestina�di�cui�all'art.�1,�lettera�c),�della�
direttiva.�

2.�^Se�l'art.�49�del�Trattato�CE�e�il�principio�di�libera�circolazione�delle�
emissioni�televisive�all'interno�dell'Unione�debbano�essere�interpretati�nel�
senso�che�essi�si�oppongono�a�che�una�normativa�nazionale,�come�quella�di�
cui�agli�artt.�L.�17�^L.�21�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande�e�
all'art.�8�del�decreto�27�marzo�1992,�n.�92280,�che�proibisca,�per�ragioni�
legate�alla�protezione�della�salute�e�con�la�minaccia�di�sanzioni�penali,�la�
pubblicita�alla�televisione�per�le�bevande�alcoliche,�siano�esse�di�origine�
nazionale�o�provengano�da�altri�Stati�membri�dell'Unione,�sia�che�si�tratti�
di�spot�pubblicitari�ai�sensi�dell'art.�10�della�direttiva�o�di�pubblicita�indiretta�
risultante�dall'apparizione�in�televisione�di�pannelli�che�promuovono�bevande�
alcoliche�senza�costituire�tuttavia�la�pubblicita�clandestina�di�cui�all'art.�1,�
lettera�c),�della�direttiva,�abbia�come�effetto�che�gli�operatori�incaricati�della�
diffusione�e�della�distribuzione�dei�programmi�televisivi:�
a)�si�astengano�dal�procedere�alla�diffusione�di�programmi�televisivi,�
quali,�in�particolare,�la�ritrasmissione�di�incontri�sportivi,�che�abbiano�luogo�
in�Francia�o�in�altri�Paesi�dell'Unione,�poiche�vi�figurano�pubblicita�proibite�
ai�sensi�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande;�

b)�o�vi�procedano�alla�condizione�che�non�appaiano�le�pubblicita�proi-
bite�ai�sensi�del�codice�francese�delle�rivendite�di�bevande,�impedendo�cos|�la�
conclusione�di�contratti�pubblicitari�relativi�alle�bevande�alcoliche,�siano�esse�
di�origine�nazionale�o�provengano�da�altri�Stati�membri�dell'Unione.�

NotA 


La�normativafrancese�(c.d.�legge�Evian)�proibisce�lapubblicita�televisiva�

dibevande�alcolicheperragionilegate�allaprotezione�dellasalute.�

In�linea�diprincipio�detta�normativa�non�sipone�in�contrasto�con�ildiritto�
comunitario,�atteso�che�in�una�sentenza�del�25�luglio�1991�la�Corte�di�giustizia,�
adita�in�forza�dell'art.�177�del�Trattato,�dichiarava�che��la�libera�prestazione�
dei�servizi,�in�quanto�principio�fondamentale�del�Trattato,�puo�essere�limitata�
soltanto�da�norme�giustificate�da�motivi�imperativi�di�pubblico�interesse�,�e,�
che�la�stessa�Corte�ha�annoverato�tra�ipredetti�motivi�imperativi�la�lotta�contro�
l'alcolismo,sottotuttelesueforme,�elaprotezionedellasalute.�

Tuttavia,�adunaanalisipiu�attentadeldiritto�comunitario�chesull'argomento�
prendeposizione�attraverso�la�direttiva�89/552/CEE,�la�soluzione�della�questione�
potrebbenonesserecos|�lineare.�Ladirettivainparola,�infatti,�attraversoformula-
zioni�sufficientemente�precise�e�incondizionate,�tali�pertanto�da�produrre�effetto�
diretto,�dopoavereenunciatoalivellodiprincipio�gliStatimembriassicuranola�

liberta�diricezione�e�non�ostacolano�la�ritrasmissionesulproprio�territorio�di�tra-
smissioni�televisive�provenienti�da�altri�Stati�membri��precisa�le�condizioni�alle�

quali�e�ammissibile�la�pubblicita�televisiva�di�bevande�alcoliche,�condizioni�che�
sembrano�rispettate�dallasocieta�Bacardinellapromozione�deisuoiprodotti.�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�87 


Alla�luce�di�quanto�innanzi�esposto�sarebbe�da�affermare�che�alla�Francia,�

comeadognialtroStatomembrodell'Unione,�e�concessapienaliberta�dilimi-

tare�opiuttosto�vietare�in�modo�assoluto�ognisorta�dipubblicita�afferente�alle�

bevande�alcoliche,�inserendosi�una�simile�scena�nell'ambito�di�una�politica�di�

protezione�della�salute�e�lotta�all'alcolismo.�
Sennonche��,�se�risultasse,�conforme�a�verita�che�parallelamente�si�e�consen-

tito�ad�altre�societa�interessate�nella�commercializzazione�di�bevande�alcoliche�

lamedesimapubblicita�vietata�allaBacardi,�nonsipotrebbe�che�concludereper�

una�violazione�dell'art.�49�del�Trattato�CE�nonche��della�direttiva�sopra�richia-

mata,�non�sorretta�dalla�giustificazione�della�sussistenza�di�motivi�imperativi�di�

interesse�pubblico,�e�quindi�non�avallabile�alla�stregua�del�diritto�comunitario.�
Ilproblemadellaliberaprestazionedeiservizi,�conriferimentoalrifiutodi�

affiggere�messaggipubblicitariper�bevande�alcoliche�nel�corso�di�eventi�sportivi�

oggetto�di�trasmissione�televisiva�in�un�altro�Stato�membro,�e�gia�stato�sottopo-

sto�all'attenzione�della�Corte�nel�corso�di�un�procedimento�contenzioso�sorto�

nelRegno�UnitofraBacardi-MartiniS.a.s.�&CollierdeDauphinc/Newcastle�

U.�FootballCompanyLtd^causaC-318/00^aventeadoggettolacompatibi-
lita�dellac.d.�leggeCompanyLtd�^causaC-318/00^aventeadoggettolacom-

patibilita�della�c.d.�legge�Evin�con�l'art.�49�TCE.�La�relativa�sentenza,�tuttavia,�

non�hafornito�elementi�utili�alla�soluzione�del�caso�in�esame�in�quanto�la�Corte�

ha�dichiarato�irricevibile�la�domanda�di�pronuncia�pregiudiziale�a�suo�tempo�

formulata�dal�giudice�inglese�poiche�:���si�deve�constatare�che�la�Corte�non�

dispone�dielementi�da�cuiemerga�la�necessita�dipronunciarsisulla�compatibi-

lita�con�il�Trattato�di�una�normativa�di�uno�Stato�membro�(la�Francia)�diverso�

da�quello�del�giudice�del�rinvio��(punto�53�della�sentenza�21�gennaio�2003).�

Causa�C-435/02�(domanda�di�pronuncia�pregiudiziale)�^Libero�esercizio�di�
attivita�professionale�ed�imprenditoriale�^S.a.s.�editrice�di�giornali�^Pubb
licita�dei�bilanci�^Soggetti�legittimati�^Direttiva�90/605/CEE�^
Art.�47�della�direttiva�78/660/CEE�^Ordinanza�del��Landegericht��
(Germania)�emessa�il�25�novembre�2002,�notificata�il�5�febbraio�2003�
(cons.�3809/03,�avv.�O.�Fiumara)�

IL 
fattO 


Nel�caso�di�specie�la�ricorrente�^una�s.a.s.�editrice�di�giornali�avente�
quale�socio�personalmente�responsabile�una�s.r.l.�^ha�proposto�appello�con-
tro�la�decisione�della�pretura�di�Essen�che,�su�istanza�di�un'altra�casa�editrice,�
le�ha�inflitto�una�pena�pecuniaria�per�la�mancata�pubblicazione�dei�bilanci.�

Il�codice�di�commercio�tedesco�(cd.�HGB)�impone�ai�legali�rappresen-
tanti�della�societa�di�capitali�di�redigere�un�bilancio�annuale,�accompa-
gnato�da�una�relazione�sulla�gestione,�e�di�depositarlo�presso�il�Registro�
del�commercio�(cfr.���325,�n.�1,�prima�frase,�HGB).�La�disposizione�si�
applica�anche�alle�s.n.c.�e�alle�s.a.s.�in�cui�nessuno�dei�soci�personalmente�
responsabili�sia�una�persona�fisica�o�una�s.n.c.,�una�s.a.s.,�o�qualsiasi�altra�
societa�di�persone�che�preveda�una�persona�fisica�quale�socio�personal-
mente�responsabile�(cfr.���264a,�n.�1,�HGB).�Da�qui�l'estensione�della�disci-


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


plina 
al 
ricorrente. 
Pertanto, 
in 
tale 
normativa, 
non 
e� 
prevista 
alcuna 
limi-
tazione 
della 
legittimazione 
di 
accesso 
all'informazione, 
sicche� 
chiunque 
sarebbe 
legittimato 
in 
tal 
senso. 


L'art. 
47, 
n. 
1, 
della 
direttiva 
78/660/CEE 
dispone: 
�Iconti�annuali�rego-

larmente�approvati�e�la�relazione�sulla�gestione,�nonche�la�relazione�redatta�

dallapersona�incaricatadallarevisionediconti,formano�oggetto�diunapubbli-

cita�effettuata�neimodiprescritti�dalla�legislazione�di�ogni�Stato�membro�con-

formemente�all'art.�3�della�direttiva�68/151/CEE�.�

IquesitI 


Sono 
state 
sottoposte 
le 
seguenti 
questioni 
pregiudiziali: 


1. 
^Se 
la 
direttiva 
90/605/CEE 
(che 
modifica 
le 
direttive 
78/660/CE 
e 
83/349/CEE, 
relative 
rispettivamente 
ai 
conti 
annuali 
e 
ai 
conti 
consolidati 
per 
quanto 
riguarda 
il 
loro 
campo 
d'applicazione), 
in 
combinato 
disposto 
con 
l'art. 
47 
della 
direttiva 
78/660/CEE, 
sia 
compatibile 
con 
le 
norme 
comu-
nitarie 
in 
materia 
di 
libero 
esercizio 
di 
attivita� 
professionale 
e 
imprendito-
riale, 
nonche� 
con 
quelle 
sulla 
liberta� 
di 
stampa 
e 
sulla 
libera 
diffusione 
di 
programmi 
radiofonici 
e 
televisivi. 
La 
normativa 
in 
questione 
infatti 
non 
pre-
vede 
alcuna 
limitazione 
relativamente 
all'ambito 
dei 
soggetti 
legittimati 
a 
prendere 
visione 
dei 
bilanci. 
2. 
^Seladirettiva 
90/605/CEE 
siacompatibile 
conil 
principio 
di 
uguaglianza. 
La 
s.a.s. 
avente 
per 
accomandatario 
una 
s.r.l. 
sarebbe 
infatti 
pregiudicata 
rispetto 
alla 
s.a.s. 
il 
cui 
socio 
accomandatario 
e� 
una 
persona 
fisica. 
C-440/02�(Commissione�c/o.�Repubblica�Italiana)�^Ricorso�per�inadempim
ento�Attivita�professionali�disciplinate�da�direttive�di�liberalizzazione�e�
da�direttive�recanti�misure�transitorie�^Meccanismi�di�riconoscimento�
delle�qualifiche�^Sistema�generale�di�riconoscimento�qualifiche�^Diret-
tiva 
99/42/CEE 
(cont. 
663/03, 
avv. 
A. 
Cingolo). 


IL 
fattO 


La 
Commissione 
delle 
Comunita� 
europee 
ha 
proposto 
ricorso, 
a 
termini 
dell'art. 
226 
CE, 
diretto 
a 
far 
constatare 
che 
la 
Repubblica 
italiana, 
non 
avendo 
adottato, 
o 
comunque 
notificato 
le 
disposizioni 
legislative, 
regola-
mentari 
e 
amministrative 
necessarie 
per 
conformarsi 
alla 
direttiva 
1999/42/CE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio 
del 
7 
giugno 
1999, 
che 
istituisce 
un 
meccanismo 
di 
riconoscimento 
delle 
qualifiche 
per 
le 
attivita� 
professionali 
disciplinate 
dalle 
direttive 
di 
liberalizzazione 
e 
dalle 
direttive 
recanti 
misure 
transitorie 
e 
che 
completa 
il 
sistema 
generale 
di 
riconosci-
mento 
delle 
qualifiche, 
e� 
venuta 
meno 
agli 
obblighi 
che 
ad 
essa 
incombono 
in 
virtu� 
di 
tale 
direttiva. 


LA 
posizionE 
assuntA 
daL 
governO 
italianO 


�L'asserito�inadempimento�all'obbligo�di�attuazione�dell'articolo�14�della�

direttiva�n.�1999/42/CE�non�sussiste,�avendo�il�legislatore�italiano�provveduto�

all'adeguamento�(trentagiorniprimadellaproposizionedelricorsodapartedella�

CommissioneCE)conildecretolegislativo20settembre2002,n.�229,pubblicato�

nella�Gazzetta 
Ufficiale 
della�Repubblica�Italiana�del�22�ottobre�2002,�n.�248.�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�89 


Con�l'emissione�di�tale�decreto�legislativo�^il�cui�testo�siproduce�in�alle-

gato�al�presente�atto�^e�stato�ultimato�il�complesso�iter�per�la�recezione�della�

direttiva,�gia�peraltro�intrapreso�e�comunicato�fin�nel�corso�del�2001,�come�

risulta�dalla�corrispondenza�intercorsa�in�proposito�con�la�Commissione,�e�che�

pure�siproduce�in�atti.�
Essendo�stata�data�attuazione�alla�direttiva�ed�essendo�cos|�venuta�meno,�

nella�sostanza,�la�materia�del�contendere,�il�Governo�Italiano�invita�la�Commis-

sionearinunciarealricorsoproposto,nelconsuetospiritodicollaborazione.�In�

diversa�ipotesi�conclude�chiedendo�che�il�ricorso�stesso�sia�respinto,�perche�non�

fondato.�(f.to�avv.�Antonio�Cingolo)�.�

Causa 
C-444/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Banche 
dati 
^Calend
ari 
di 
campionato 
di 
calcio 
^Diritto 
sui 
generis 
^Estrazione 
e 
reimpiego 
di 
parti 
sostanziali 
e 
non 
sostanziali 
della 
banca 
dati 
^Art.�7�direttiva�
96/99/CE�^Ordinanza�del�Monomeles�Protodixeio�(Grecia)�dell'11�lu-
glio�2002�^Iscritta�il�9�dicembre�2002�(cons.�5028/03,�avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
fattO 


Le�questioni�sollevate�traggono�origine�dal�ricorso�proposto�dalla�
societa��Football�Fixtures�Limited��^concessionaria�del�diritto�di�gestione�e�
sfruttamento,�al�di�fuori�della�Gran�Bretagna,�dei�diritti�di�proprieta�intellet-
tuale�sui�calendari�dei�campionati�di�calcio�delle�leghe�calcistiche�britanniche�
^avverso�la�societa�greca�OPAP,�che�avrebbe�senza�autorizzazione�estratto�
ripetutamente�un�gran�numero�di�dati�riportandoli�in�bollettini�dalla�stessa�
pubblicati.�

IquesitI 


1.�^Che�cosa�si�intende�per�banca�di�dati�e�qual'e�l'ambito�di�applica-
zione�della�direttiva�96/99/CEE,�e�in�particolare�del�suo�art.�7,�che�fa�riferi-
mento�al�diritto�sui�generis.�
2.�^Alla�luce�della�delimitazione�dell'ambito�di�applicazione�della�
direttiva,�se�i�calendari�dei�campionati�di�calcio�meritino�tutela�in�quanto�
banche�di�dati�sulle�quali�vi�e�un�diritto�sui�generis�del�costitutore,�e�a�quali�
condizioni.�
3.�^In�che�modo�esattamente�viene�leso�il�diritto�sulla�banca�di�dati�e�se�
tale�diritto�sia�tutelato�in�caso�di�modifica�del�contenuto�della�banca�di�dati.�
NotA 


La�direttiva�96/99/CEE�tutela�(artt.�1�e�3)�tutte�le�banche�di�dati,�qualun-

que�ne�sia�laforma�^purche�consistenti�in��una�raccolta�di�opere,�dati�o�ele-
menti�indipendenti�sistematicamente�o�metodicamente�disposti�ed�individual-
mente�accessibili�grazie�a�metodi�elettronici�o�in�altro�modo��che�per�la�
scelta�o�la�disposizione�del�materiale�costituiscono�una�creazione�dell'ingegno�
del�proprio�autore.�

Parallelamentealdirittodiproprieta�intellettuale,�eaprescinderedallostesso,�

la�direttiva�attribuisce�al�costitutore�di�una�banca�di�dati�un�diritto�sui�generis�

(art.�7)chesisostanzianelvietarel'estrazioneeilreimpiegoripetutiesistematici�
di�parti�sostanziali,�da�un�punto�di�vista�quantitativo�o�qualitativo,�del�contenuto�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

della�banca�di�dati,�qualora�a�fronte�della�sua�elaborazione�sia�intervenuto�un�
investimento�notevole�di�energie�fisiche,�mentali�e/o�di�risorse�economiche,�non-
che�di��parti�non�sostanziali��qualora�ne�derivi�un��pregiudizio�ingiustificato��
per�il�suo�costitutore.�In�altri�termini,�si�vieta�l'organizzazione,�adopera�di�soggetti�
diversidalcostitutore,�diun'attivita�lucrativachesiavvalga,presupponendola,�dell'e-
laborazione�dei�dati�contenuta�nella�banca�laddove�essa�comporti�un��pregiudizio�
ingiustificato�,�ovvero�non�giustificato�dalla�corresponsione�di�un�equo�compenso�
dovuto�in�ragione�dello�sfruttamento.�

Il�diritto�sui�generis�previsto�dalla�direttiva�si�atteggia,�infatti,�quale�diritto�
esclusivo,paragonabile�adunaforma�dimonopolio�legale�simile�a�quello�costi-

tuito�con�il�brevetto�dell'invenzione,�diritto�che�in�quanto�tale�verrebbe�sostan-

zialmente�snaturato�se�chiunque�potesse�trarre�profitto�da�un�suo�sfruttamento�

in�assenza�di�apposita�autorizzazione�del�titolare.�

Causa 
C-450/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Lavoratori 
distaccati 
sul 
territorio 
di 
altro 
Stato 
membro 
^Ritenuta 
alla 
fonte 
^Esenzione 
^

Art.�40�CE�^Ordinanza�del��Bundesfinanzhof��(Germania)�emessa�
il�4�settembre�2002,�notificata�l'11�febbraio�2003�(cons.�4825/03,�
avv.�A.�Cingolo).�

IL 
fattO 


La�ricorrente�(e�resistente�in�Cassazione)�e�una�societa�di�capitali�con�
sede�in�Gran�Bretagna�che�ha�distaccato�sul�territorio�tedesco�lavoratori�bri-
tannici�a�seguito�di�regolare�autorizzazione�ottenuta�dall'Ufficio�del�lavoro�
competente�in�base�alla�legge�tedesca�relativa�al�distacco�dei�lavoratori.La�
ricorrente,�tuttavia,�non�possiede�un�proprio�stabilimento�sul�territorio�
nazionale�tedesco.�

In�ordine�ad�uno�dei�propri�dipendenti,�residente�in�Gran�Bretagna�e�
distaccato�in�Germania�nel�periodo�compreso�tra�il�30�ottobre�ed�il�
16�novembre�1996,�la�ricorrente�ha�chiesto�la�certificazione�di�esenzione�dal-
l'imposta�ai�sensi�della�legge�tedesca�in�materia�di�imposte�sui�redditi�e�della�
Convenzione�contro�le�doppie�imposizioni�conclusa�tra�Regno�Unito�e�
Repubblica�Federale�di�Germania�(Convenzione�RFT-G.B.).�

Il�competente�Ufficio�delle�imposte�tedesco�ha�respinto�la�richiesta�rite-
nendo�che�i�lavoratori�distaccati�in�Germania�fossero�soggetti�all'obbligo�di�
ritenuta�alla�fonte�delle�imposte�sui�redditi.�

Ai�sensi�della�Convenzione�RFT-G.B.�^articolo�XI,�secondo�comma�^il�
reddito�e�imponibile�unicamente�nello�Stato�di�residenza,�mentre�qualora�l'at-
tivita�di�lavoro�venga�svolta�nel�territorio�dell'altro�Stato�contraente�a�titolo�
non�transitorio�e�imponibile�nel�suddetto�Stato.�Il�lavoratore�svolge�attivita�
lavorativa�a�titolo�transitorio�quando�il�suo�soggiorno�sul�territorio�dell'altro�
Stato�contraente�non�supera�i�183�giorni.�

Nel�caso�di�specie,�il�soggiorno�e�stato�inferiore�a�183�giorni�e�la�retribu-
zione�non�e�stata�erogata�da�uno�stabilimento�o�da�una�sede�fissa�della�ricor-
rente�in�Germania;�risulta,�pertanto,�rilevante�accertare�quale�soggetto�sia�
da�considerare�datore�di�lavoro�del�lavoratore�distaccato�in�Germania.�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�91 


Il�Bundesfinanzhof,�secondo�la�propria�giurisprudenza�ha�ritenuto�di�
dover�interpretare�la�nozione�di�datore�di�lavoro�alla�luce�della�Convenzione�
RFT-G.B.;�ai�sensi�di�tale�Convenzione,�si�puo��considerare�quale�datore�di�
lavoro�il�soggetto�che�provveda,�sotto�il�profilo�economico,�alla�retribuzione�
per�l'attivita��di�lavoro�dipendente�svolta,�sia�che�la�retribuzione�venga�diret-
tamente�versata�al�lavoratore�interessato,�sia�che�un'altra�impresa�provveda�
ad�anticiparla�al�lavoratore�per�conto�del�datore�stesso.�Nel�caso�di�specie,�
quindi,�il�datore�di�lavoro�e��da�considerare�la�ricorrente.�

IL 
quesitO 


Se�costituisca�violazione�dell'art.�49�del�Trattato�CE�(divenuto�art.�40�
CE)�il�fatto�che,�nel�caso�in�cui�la�retribuzione�versata�ad�un�lavoratore�
dipendente�debba�essere�esentata�dalle�imposte�sui�redditi�in�base�ad�una�
Convenzione�contro�le�doppie�imposizioni,�uno�Stato�membro�esenti�dall'ob-
bligo�di�effettuazione�della�ritenuta�alla�fonte�il�datore�di�lavoro�nazionale�
ma�non�il�datore�di�lavoro�straniero�che�distacchi�propri�lavoratori�sul�terri-
torio�dello�Stato�medesimo.�

Causa 
C-456/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
-Diritto 
di 
soggiorno 
l
ibera 
circolazione 
-Cittadinanza 
dell'Unione 
-Diritto 
al 
minimex 
-

Art.�39,�49�e�49�CE�-Regolamento�1612/68�-Direttiva�90/364/CE�-
Ordinanza�del��Tribunal�du�travail��(Belgio)�emessa�il�21�novembre�
2002,�notificata�il�28�gennaio�2003�(cons.�3313/03,�Avv.�A.�Cingolo).�

IL 
fattO 


Un�cittadino�francese,�residente�legalmente�in�Belgio,�si�e��visto�negare�
dal�Centre�public�d'aide�sociale�(di�seguito�CPAS)�di�Bruxelles,�la�conces-
sione�di�un�minimex 
(cioe��un�minimo�di�mezzi�di�sussistenza).�L'attore�esegue�
delle�prestazioni�a�vantaggio�della�casa�d'accoglienza�presso�cui�dimora,�rice-
vendo�in�cambio�delle�controprestazioni�in�natura�che�soddisfano�i�suoi�biso-
gni�vitali.�Tali�controprestazioni�non�legittimano,�a�giudizio�del�convenuto�
CPAS,�la�concessione�del�diritto�di�soggiorno,�e�di�conseguenza,�nemmeno�
l'attribuzione�del�minimex. 
Il�convenuto�infatti�eccepisce�che�il�diritto�di�sog-
giorno�non�e��assoluto:�coloro�che�non�sono�o�non�sono�piu��lavoratori�subor-
dinati�devono�disporre�di�risorse�sufficienti�per�non�risultare�un�onere�per�il�
Paese�ospitante.�

L'attore,�impugnando�la�decisione�del�CPAS,�sostiene�la�violazione�delle�
norme�del�Trattato�ed,�in�particolare,�una�violazione�dell'art.�12�CE�che�vieta�
ogni�discriminazione�effettuata�in�base�alla�cittadinanza,�nonche�degli�arti-
coli�17�e�18�CE�relativi�alla�cittadinanza�dell'Unione�ed�ai�diritti�di�libera�cir-
colazione�e�di�soggiorno�riconosciuti�ai�cittadini�dell'Unione�stessa.�

IquesitI 


1.�^Se�un�cittadino�dell'Unione�che�soggiorni�legalmente�in�un�altro�
Stato�membro,�che�non�disponga�di�risorse�sufficienti�ma�che�esegua�delle�
prestazioni�per�le�quali�riceve�delle�controprestazioni�in�natura,�possa�riven-
dicare�un�diritto�di�soggiorno:�
a) 
in�qualita��di�lavoratore�ai�sensi�dell'art.�39�del�trattato�CEE�o�del-
l'art.�7�del�Regolamento�n.�1912/68,�o�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

b) 
in�qualita�di�lavoratore�che�esercita�un'attivita�non�salariata�ai�
sensi�dell'art.�43�del�Trattato�CEE,�o�

c) 
in�qualita�di�prestatore�o�di�destinatario,�beneficiario�di�prestazioni�
di�servizi,�ai�sensi�dell'art.�49�del�Trattato�CE,�o�

d) 
semplicemente�per�il�fatto�che�egli�partecipi�ad�un�progetto�finaliz-
zato�al�suo�inserimento�professionale.�

2.�^In�caso�di�risposta�negativa�al�precedente�quesito,�se�egli�possa�
invocare�direttamente�l'art.�18�del�Trattato,�in�quanto�cittadino�europeo,�e�
in�tal�caso:�
a) 
come�vadano�interpretate�le�limitazioni�imposte�dalla�direttiva�90/�
364/CE,�che�subordina�la�concessione�del�diritto�di�soggiorno�al�possesso�di�
un'assicurazione�malattia�e�di�risorse�sufficienti.�

3.�^Se,�ritenendo�il�diritto�di�soggiorno�automaticamente�acquisito�sulla�
base�della�cittadinanza�dell'Unione,�lo�Stato�ospitante�possa�revocare�tale�
diritto�per�la�mancanza�di�risorse�sufficienti.�
4.�^Se,�nel�valutare�la�mancanza�di�risorse�sufficienti,�lo�Stato�ospitante�
possa�limitarsi�a�desumere�tale�mancanza�dalla�richiesta�di�un�minimex, 
oppure�debba�tener�conto,�per�esempio,�del�principio�di�proporzionalita�.�
Causa 
C-457/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Materiale 
ferroso 
destinato 
al 
recupero 
^Nozione 
di 
rifiuto 
^Direttiva�75/442/CEE�e�
Direttiva�91/156/CEE�^Tribunale�penale�di�Terni�^Ordinanza�
20�novembre�2002�^Iscritta�il�18�dicembre�2002�(cons.7269/03,�avv.�M.�
Fiorilli).�

IL 
fattO 


Il�Nucleo�Operativo�e�Radiomobile�dei�Carabinieri�della�Compagnia�di�
Terni�in�data�18�luglio�2000,�procedeva�in�Terni�al�sequestro�di�un�semirimor-
chio�di�proprieta�della�I.L.F.E.R.�S.p.a.�in�quanto�lo�stesso�al�momento�del�
controllo,�risultava�sprovvisto�del�formulario�di�identificazione�dei�rifiuti,�
come�previsto�dal�d.lgs.�n.�22/1997�articoli�15�e�52,�nonche�la�mancata�iscri-
zione�all'Albo�articoli�33�e�51�dello�stesso�decreto�poiche�i�rifiuti�trasportati�
consistevano�in�materiali�ferrosi�destinati�al�recupero.�Della�ILFER�risultava�
legale�responsabile�Niselli�Antonio.�Dall'esame�delle�iscrizioni�all'Albo�
Nazionale�delle�Imprese�che�effettuano�la�gestione�dei�rifiuti,�sezione�regio-
nale�dell'Umbria,�n.�PG/130/S�del�17�aprile�2000�emergeva�che�il�suddetto�
rimorchio�non�era�iscritto�allo�stesso�Albo.�

Lo�stesso�mezzo�si�presentava�in�condizioni�fatiscenti,�con�fuoriuscita�di�
olio�nella�parte�posteriore,�sversandolo�sulla�carreggiata.�

Il�mezzo�con�i�rifiuti�trasportati�veniva�affidato�in�giudiziale�custodia�a�
Niselli�Antonio,�legale�rappresentante�della�ditta�ILFER�che�lo�avrebbe�
tenuto�nel�deposito�sito�in�Strada�Maratta�Bassa�al�civico�53�nel�Comune�di�
Narni�su�un�area�impermeabilizzata�per�la�messa�in�sicurezza.�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
93 


IquesitI 


1. 
^Se 
e� 
possibile 
che 
la 
nozione 
di 
rifiuto 
dipenda 
tassativamente 
dalla 
seguente 
condizione: 
che 
le 
parole: 
�si 
disfi�, 
�abbia 
deciso� 
o 
�abbia 
l'ob-
bligo 
di 
disfarsi� 
recepite 
in 
Italia 
dall'art. 
6, 
comma 
1, 
lettera 
a), 
del 
decreto 
legislativo 
5 
febbraio 
1997, 
n. 
22, 
siano 
interpretate 
come 
segue: 
a) 
�si 
disfi�: 
qualsiasi 
comportamento 
attraverso 
il 
quale 
in 
modo 
diretto 
o 
indiretto 
una 
sostanza, 
un 
materiale 
o 
un 
bene 
sono 
avviati 
o 
sotto-
posti 
ad 
attivita� 
di 
smaltimento 
o 
di 
recupero, 
secondo 
gli 
allegati 
B 
e 
C 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
22; 


b) 
�abbia 
deciso�: 
la 
volonta� 
di 
destinare 
ad 
operazioni 
di 
smalti-
mento 
e 
di 
recupero, 
secondo 
gli 
allegati 
B 
e 
C 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
22, 
sostanze, 
materiali 
o 
beni; 


c) 
�abbia 
l'obbligo 
di 
disfarsi�: 
l'obbligo 
di 
avviare 
un 
materiale, 
una 
sostanza 
o 
un 
bene 
ad 
operazioni 
di 
recupero 
o 
di 
smaltimento, 
stabilito 
da 
una 
disposizione 
di 
legge 
o 
da 
un 
provvedimento 
delle 
pubbliche 
autorita� 
o 
imposto 
dalla 
natura 
stessa 
del 
materiale, 
della 
sostanza 
e 
del 
bene 
o 
dal 
fatto 
che 
i 
medesimi 
siano 
compresi 
nell'elenco 
dei 
rifiuti 
pericolosi 
di 
cui 
all'allegato 
D 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
22. 


2. 
^Se 
e� 
possibile 
che 
tassativamente 
non 
ricorre 
la 
nozione 
di 
rifiuto 
per 
beni 
o 
sostanze 
e 
materiali 
residuali 
di 
produzione 
o 
di 
consumo 
ove 
sus-
sista 
una 
delle 
seguenti 
condizioni: 
a) 
se 
gli 
stessi 
possono 
essere 
e 
sono 
effettivamente 
e 
oggettivamente 
riutilizzati 
nel 
medesimo 
o 
in 
analogo 
o 
diverso 
ciclo 
produttivo 
o 
di 
con-
sumo, 
senza 
subire 
alcun 
intervento 
preventivo 
di 
trattamento 
e 
senza 
recare 
pregiudizio 
all'ambiente; 


b) 
se 
gli 
stessi 
possono 
essere 
e 
sono 
effettivamente 
e 
oggettivamente 
riutilizzati 
nel 
medesimo 
o 
in 
analogo 
o 
diverso 
ciclo 
produttivo 
o 
di 
con-
sumo, 
dopo 
aver 
subito 
un 
trattamento 
preventivo 
senza 
che 
si 
renda 
neces-
saria 
alcuna 
operazione 
di 
recupero 
tra 
quelle 
individuate 
nell'allegato 
C 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
22/1997 
vigente 
in 
Italia 
(che 
ha 
trasposto 
pedissequa-
mente 
l'allegato 
lII 
B 
alla 
direttiva 
91/156/Cee). 


LA 
posizionE 
deL 
GovernO 
italianO 


Il 
Governo 
italiano 
ha 
presentato 
le 
infrascritte 
osservazioni. 


�I.^La 
domanda 
dipronunciapregiudiziale 
mira 
adottenere 
la 
interpreta-

zione 
della 
direttiva 
75/442/CEE, 
come 
modificata 
dalla 
direttiva 


91/156/CEE, 
relativa 
ai 
rifiuti 
e, 
specificamente, 
cosa 
debba 
intendersi 
per 


�rifiuto�. 
^(omissis). 


V. 
DisaminA 
dellE 
questionI 
pregiudizialI 
1. 
^Il 
giudice 
remittente 
in 
buona 
sostanza 
nella 
forma 
della 
questione 
pregiudiziale 
propone 
alla 
Corte 
una 
questione 
principale 
di 
inadempimento 
del 
Governo 
Italiano. 


Pervero, 
duplica 
laprocedura 
di 
infrazione 
n. 
2002/2213, 
richiamata 
nella 
motivazione 
della 
ordinanza 
dirimessione 
delle 
questionipregiudizialiinterpre-

tative 
che 
nellaformulazione 
coincidono 
letteralmente 
con 
l'articolato 
dell'arti-
colo 
14 
del 
decreto-legge 
138/2002. 


La 
domanda 
deve 
essere 
dichiarata 
inammissibile. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


A�titolo�informativo,�a�dimostrazione�delfatto�che�la�giurisprudenza�di�
legittimita��italiananon�ravvisa�ledifficolta��interpretativerappresentatedalgiu-
dice�remittente,�che�conseguentemente�ha�proposto�questioni�di�rilievo�pura-
mente�teorico,�si�produce�copia�della�sentenza�della�Corte�Suprema�di�Cassa-
zione�^sezione�terza�penale�^12�dicembre�2002-24febbraio�2003.�

2.�^La�definizione�di��rifiuto��e��presupposto�per�la�applicazione�della�
normativa�comunitaria�in�termini�di�controllo�e�di�smaltimento�di��sostanze��o�
�oggetti��che�presentino�un�accertato�pericolo�per�la�salute�umana�e�l'ambiente,�
intesocomeecosistemaecomepaesaggio.Lapotenzialita��delpericolosiconcre-
tizza�quando�la��sostanza��o�l'�oggetto��esca�dal�controllo�del�soggetto�che�la�
utilizza�nel�proprio�interesse.�L'interesse�del�soggetto�detentore�per�la�
�sostanza��o�l'�oggetto��attribuisce�ad�essi�la�connotazione�di��beni�.�Questi,�
nella�considerazione�della�coscienza�sociale�fatta�propria�dal�diritto,�vengono�
valutati�sempre�con�riferimento�ai�soggetti�e�con�riguardo�alla�loro�specifica�
attitudineasoddisfarebisognidellavitadirelazione.�Sipuo�,quindi,�conespres-
sione�sintetica,�affermare�che�la��sostanza��o�il��prodotto�perde�la�qualita��di�
�bene��e�diviene��cosa��allorche�si�esaurisce�la�sua�specifica�caratteristica�di�
soddisfare�un�interesse�economicamente�apprezzabile�e�cessa�di�necessita��l'ap-
prezzamento�del�suo�detentore.�L'azione�conseguente�a�tale��consumazione��
della�utilita��intrinseca�del�bene�e��quella�dell'abbandono.�L'abbandono�si�connota�
come��non��trasferimento�volontario�della�cosa�(divenuta��rifiuto��perche�ha�
esaurito�la�propria�specifica�attitudine�a�soddisfare�interessi)�o�del��bene��(cioe��
della�cosa�che�mantenga�in�tutto�o�inparte�lapropria�concreta�especifica�qua-
lita��di�soddisfare�bisogni�della�vita�di�relazione)�ad�altro�soggetto.�La��cosa��
abbandonata�e���rifiuto��e�contestualmente�trova�applicazione�la�normativa�che�
garantisce�che�l'astratto�pericolo�per�la�salute�umana�e/o�l'ambiente�costituito�
dalla�sua�condizione�di�abbandono�non�si�concretizzi�in�un�vulnus 
effettivo�alla�
salute�umana�e/o�all'ambiente.�
Nell'ambito�di�tale�ricostruzione�trovano�collocazione�tutte�le�ipotesi�in�cui�
il�detentore�si�disfi�della�cosa�o�debba�disfarsene,�cioe��deve�affidarla�allafiliera�
dei�rifiuti,�pena�la�comminazione�di�sanzioni,�in�quanto�il�bene�e��considerato�ex 
lege 
come��cosa��in�relazione�al�livello�di�sfruttamento�cui�e��stato�sottoposto.�

La�categoria�residuale�contenuta�nell'elenco�dei�rifiuti�di�cui�alla�decisione�
94/3�e��riempibile�applicando�il�criterio�sopra�delineato.�

3.�^Il�Governo�italiano�ritiene�che�dinanzi�ad�ogni�fattispecie�occorra�
verificare�se�sussistanoproprio�i�requisiti�del��disfarsi,�di�avere�deciso�di�disfarsi�
o�di�avere�l'obbligo�di�disfarsi��per��includere��tale�materiale�nell'ambito�dei�
rifiuti.�Inoltre,�si�e��dell'avviso,�che�un�materiale�destinato�allo�smaltimento�dal�
detentore�e��sempre�e�comunque�un�rifiuto�proprio�in�quanto�il�detentore�sicura-
mente�se�ne�disfa.�
4.�^L'assuntodiunapresunzionegeneraledirifiuto,salvodimostrazione�
contraria�in�ordine�all'assenza�dell'atto�del�disfarsi�da�parte�del�detentore,�non�
e��neppure�supportata�dalla�dizione�letterale�della�definizione�di�rifiuto.�
In�base�a�tale�definizione�infatti�rifiuto�e���qualsiasi�sostanza�od�oggetto�che�
rientra�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A 
della�direttiva�91/156�e�di�cui�il�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
95 


detentore�si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsi�.�Le�con-
dizioni�quindi�sono�due�strettamente�connesse�tra�loro�e�non�alternative�in�
quanto�la�preposizione�tra�loro�interposta�e��e��e�non��o��e�consistono�nel:�

rientrare�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A 
della�direttiva�91/156:�
tale�condizione�peraltro,�come�rilevato�ripetutamente�anche�dalla�stessaCorte�
digiustizia,�e�deltuttopleonasticainquanto,�comenoto,�ilpunto�Q16dell'alle-
gato�I�della�direttiva�91/156�appare�omnicomprensivo�e�ricomprende��qualsiasi�
sostanza,�materia�o�prodotto�che�non�rientri�nelle�categorie�sopra�elencate�;�

sussistere�in�capo�al�detentore�del�requisito�del��si�disfi�o�abbia�deciso�o�

abbia�l'obbligo�di�disfarsi�.

E�evidente�che�le�due�condizioni�devono�entrambe�sussistere�perche�un�
materiale�possa�definirsi�un�rifiuto;�va�peraltro�dimostrato�in�base�al�secondo�
requisito�citato�che�il�detentore�del�materiale�si�sia�disfatto�o�abbia�deciso�di�
disfarsi�o�abbia�avuto�l'obbligo�di�disfarsi.�

Oveesistesse�unapresunzionegeneraleefosseposto�a�carico�deldetentore�
l'onere�della�prova�di�dimostrare�di�non�essersi�disfatto,�di�non�aver�deciso�o�
non�avere�l'obbligo�di�disfarsi,�la�direttiva�avrebbe�dovuto�esprimersi�in�modo�
diverso.�Inoltre,�ove�in�materia�fosse�stata�posta�una�presunzione�di��rifiuto��
perognimateriaooggetto�impiegato�concretamente,�sicostringerebbeogniope-
ratore�economico�detentore�di�un�materiale�a�dimostrare�per�qualsiasi�materia�
impiegatanelprocessoproduttivo,�casopercaso,�chenonvisial'attodidisfarsi�

o�la�decisione�di�disfarsi�o�l'obbligo�di�disfarsi�del�materiale�stesso.�Tutto�questo�
appare�eccessivo�eforse�non�sarebbe�neppure�sufficiente.�Va�infatti�considerato�
che�l'atto�di�disfarsi�e�collegato�nella�direttiva�91/156�al�detentore:�tale�soggetto�
che�nella�direttiva�originaria�75/442�coincideva�con�il�produttore�iniziale�dei�
rifiuti,�ai�sensi�della�91/156�^che�ha�integrato�la�prima�^viene�ad�identificarsi�
non�solo�con�il�produttore�iniziale�ma�anche�con�la��persona�fisica�o�giuridica�
che�li�detiene�,�successivamente.�Poiche�la�nozione�di�rifiuto�fa�riferimento�al�
�detentore��(termine�usato�al�singolare),�si�deve�dedurre�che,�nel�caso�si�succe-
dano�diversi�detentori,�il��detentore��la�cui�azione/decisione�incide�sulla�defini-
zione,�e�colui�che�detiene�il�materiale�nel�momento�in�cui�si�deve�valutare�la�qua-
lifica�di�rifiuto�o�meno.�

In�altri�termini,�un�primo�detentore�puo�compiere�l'atto�di�disfarsene�ma�un�
altro�detentore�che�ne�venga�in�possesso�successivamente�puo�non�avere�l'inten-
zionedidisfarsene.�Taleipotesisicomplicaancoradipiu�quandocisitroviin�
presenza�di�volta�in�volta�di�piu�detentori�susseguentisi�l'uno�all'altro:�a�quale�
dei�detentori�occorrerebbe�allora�fare�riferimento�al�primo�detentore�o�a�quale�
dei�successivi?�

Ed�in�quale�misura,�nell'ipotesi�del�succedersi�di�vari�detentori,�i�detentori�
subentranti�sono�responsabili�del�comportamento�dei�precedenti�detentori�ed�in�
particolarediquelli,�semprenelcasodipiu�detentorinelciclodiutilita�delmate-
riale,�con�i�quali�non�vi�e�stato�alcun�diretto�rapporto?�

5.�^Le�questionipregiudizialiproposte�mirano,�alpari�della�contestazione�
della�Commissione,�a�sostenere�che�la�legge�italiana�sia�volta�ad�escludere�dalla�
normativa�sui�rifiuti�dei�materiali�gia�definibili�come�rifiuti�in�quanto�dei�mede-
simi�il�detentore�si�e�disfatto�o�ha�deciso�di�disfarsi�o�ha�l'obbligo�di�disfarsi.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


6.�^Contrariamente�a�quanto�acriticamente�ritenuto,�la�norma�italiana�in�
esameintervieneinveceinunafaseprecedente,�interpretandopropriolanozione�

sottesaall'atto�deldetentore,�espressadallelocuzioni�sidisfi�o��abbiadeciso��

didisfarsio�``abbial'obbligo''didisfarsi�.Ilsussistereditalepresuppostoe��l'e-

lementodecisivopercapiresesie��inpresenzadiunrifiutoomeno.�

7.�^Si�sostiene�che�la�norma�contenuta�nell'articolo�14�del�decreto-legge�
n.�138�del�2002�avrebbe�l'effetto�di�restringere�l'ambito�di�applicazione�della�
direttiva,�inquantosiporrebbe�in�contrasto�con�ilnotoorientamento�della�Corte�

di�Giustizia:��il�verbo�``disfarsi''��deve�essere�interpretato�anche�alla�luce�dell'ar-

ticolo�174,�n.�2,�CE,�secondo�il�quale�la�politica�della�Comunita��in�materia�

ambientale�mira�a�un�elevato�livello�di�tutela�ede��fondata�inparticolare�suiprin-

cipi�della�precauzione�e�dell'azione�preventiva.�Ne�consegue�che�la�nozione�di�

rifiuto�non�puo��essere�interpretata�in�senso�restrittivo�.�Questa�impostazione�e��

nota�al�Governo�italiano,�che�la�condivide.�Il�Governo�italiano�ritiene�pero��che�

l'orientamentodella�Cortenonpossaessereusatoperstatuirecheunmateriale�

e��rifiuto�fino�a�prova�contraria,�a�prescindere�dal�fatto�che�il�detentore�se�ne�

disfi,�abbia�deciso�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsene.�

8.�^La�tesi�dello�Stato�italiano�anzidetta�trova�riscontro�certo�nella�let-
tura�della�norma�di�legge�che,�lungi�dall'introdurre�il�concetto�di��non�rifiuto��

per�materiali�di�cui�il�detentore�si�disfa,�precisa�invece�che�l'impiego�di�un�mate-

riale�in�un�processo�produttivo,�senza�che�intervengano�operazioni�di�recupero,�

non�corrisponde�a�quell'azione�del�disfarsi��chee��condizione�essenzialeperche��

il�materiale�sia�considerato��rifiuto�.�Questa�interpretazione�appare�del�tutto�

conformeallagiurisprudenzadella�CortediGiustizia,�comeillustratodiseguito.�

9.�^E�fuori�discussione�che�la�norma�italiana�non�ha�in�alcun�modo�inteso�
restringere�non�solo�la�nozione�di�rifiuto�ma�neppure�l'�applicabilita��di�tale�

nozione:�vero�e��invece�che�con�la�norma�si�indicano�dei�criteri�per�verificare�se,�

nelcaso�concreto,�ildetentoresisiadisfattodelmateriale,�abbiadecisodidisfar-

sene�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsene.�E�tali�criteri�non�sono�limitati�alla�solafase�

preliminare�di�destinazione�del�materiale�ma�anche�alla�riprova�successiva�della�

�effettiva�e�oggettiva��utilizzazione�del�medesimo.�La�ratio 
legis 
quindi�non�e��

di�dettare�criteri�che�non�riguardano�le�condizioni�di�esistenza�di�un�rifiuto,�ma�

si�riferisce�proprio�a�tali�condizioni.�Non�si�tratta,�in�altri�termini,�di�escludere�

dalla�normativa�inerente�la�gestione�dei�rifiuti�alcuni�rifiuti�gia��riconosciuti�

come�tali,�ma�di�accertare�in�via�preliminare�se�esistono�le�condizioni�previste�

dall'art.�6�comma�1�lett.�a) 
del�D.lgs�22/1997�(che�ha�ripreso�integralmente�

l'art.�6�comma�1�lett.�a) 
della�direttiva�91/156)�per�qualificare�una�sostanza�

come�rifiuto�.�

10.�^L'art.�14�della�legge�178/2002�va�letto�nel�suo�complesso�e�in�rela-
zione�alcombinato�disposto�dei�commi1�e2�in�base�alqualeproprio�ilcomma�

2fornisce�icriteriinterpretativiperaiutarea�verificaresesussistono�le�tre�con-

dizioni�alternative�del��disfarsi��di�cui�al�comma�1,�secondo�i�correttiprincipi�

dell'ermeneuticagiuridica;�le�condizioniposte�neldispositivo�dell'interpretazione�

autentica�si�realizzano�e�si�completano�definitivamente�solo�all'atto�dell'ef
ffettivo�

riutilizzo�in�un�ciclo�produttivo,�che�costituisce�quindi�l'evidenza�della�mancata�

intenzione�/decisione�del��disfarsi��da�parte�del�detentore.�Al�contrario�quindi�

di�quanto�assunto�del�tutto�immotivatamente�dal�giudice�remittente�circa�un�

asserito�carattere�di�presunzione��iuris 
et 
de 
iure� 
della�norma�italiana.�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
97 


11.�^Tale�ultima�considerazione,�non�e�infattipertinente�alla�natura�e�allo�
scopo�della�norma�posta�dall'art.�14,�la�quale�non�ha�inteso�introdurre�ne�ha�

introdotto�una�disciplina�processuale�sui�mezzi�di�prova�circa�la�ricorrenza�o�

meno,�in�concreto,�della�nozione�di�rifiuto�(ovvero,�piu�specificamente,�delle�

prove�logiche�presuntive,�in�senso�relativo�o�assoluto,�per�ammettere�o�escludere,�

nella�singola�fattispecie�storica,�la�sussistenza�di�un�residuo/rifiuto�odi�un�

residuo/non�rifiuto).�

12.�^Neppure�ha�previsto�per�la�prima�volta�^come�risulta�evidente�dal�
suo�tenore�^prove�legali�e/o�tipiche�dalla�cui�applicazione,�nell'ordinamento�

interno,�risulterebbe�ristretto�l'ambito�di�applicazione�della�direttiva�ofrustrate�

le�suefinalita�.�

Diversamente,�l'art.�14,�pur�autoqualificandosi�norma�interpretativa,�opera�

su�un�piano�sostantivo�e�definitorio�della�nozione�giuridica�di�rifiuto.�Trattasi�

quindi�di�norma�definitoria�^di�natura�sostanziale�e�non�processuale�^che�

demarca�automaticamente�i�confini�giuridici�e�la�portata�della�nozione�del�

residuo/rifiuto�e�del�residuo/non�rifiuto�.�

13.�^In�definitiva,�quindi,�il�legislatore�italiano�ha�cercato�di�individuare�
�l'ambito�di�applicazione�della�nozione�di�rifiuto��che�secondo�ormai�una�conso-

lidata�giurisprudenza�della�Corte�di�Giustizia�europea�(v.�da�ultimo�sentenza�

18�dicembre�1997,�causa�C-129/1996,�InterEnviromment,�punto�26�e�18�aprile�

2002,�C-9/00,PalinGranitOYedaltri,punto22)�....dipendedalsignificato�

del�termine�<disfarsi>�.�

14.�^Resta�da�rimarcare�che�la�contestazione�fatta�propria�dal�giudice�
remittente�troverebbe�applicazione�nei�confronti�di�qualsiasi�interpretazione�del�

termine�disfarsi�a�prescindere�dai�suoi�contenuti�e�avrebbe�quindi�l'ef
ffetto�di�

impedire�qualsiasi�azione�degli�Stati�membri�volta�afornire�agli�operatori�e�alle�

autorita�di�controllo,�le�necessarie�specificazioni�normative�del�termine�disfarsi,�

con�il�risultato�di�limitare�lafacolta�di�questi�ultimi�^stabilita�nel�Trattato�^di�

definire�le�modalita�di�applicazione�delle�direttive.�

15.�^Per�completezza�di�argomentazione,�necessaria�per�evitare�che�la�
limitatezza�dello�apprezzamento�del�giudice�remittente�della�questione�della�

compatibilita�comunitaria�della�norma��esplitativa��della�secca�definizione�con-

tenuta�nella�normativa�comunitaria�comprometta�una�considerazione�globale�

della�dibattuta�questione�e�opportuno�sottolineare�che�la�legislazione�italiana�

non�esclude�dall'applicazione�della�nozione�di�rifiuto�le�operazioni�di�smalti-

mento�e�di�recupero�non�ricomprese�negli�allegati�II�A�e�II�B�della�direttiva�

91/156.�La�norma�in�esame�invece�ha�inteso�precisare�che,�relativamente�alle�

attivita�dicuiagliallegatiIIAeIIBdelladirettiva91/156,�icriteriinterpretativi�

per�verificare�la�sussistenza�delle�condizioni�del��disfarsi��di�cui�alla�nozione�di�

rifiuto,�sono�quelli�contenuti�nel�comma�2.�

16.�^Va�sottolineato�che�la�Commissione�UE�nel�corso�degli�11�anni�tra-
scorsi�dall'emanazione�della�direttiva�91/156�non�ha�mai�esemplificato�nessun�

altro�caso�aggiuntivo�alle�attivita�di�cui�agli�allegati�IIA�e�IIB:�questo�ancheper-

che�tali�attivita�negli�anzidetti�allegati�sono�espresse�in�termini�del�tutto�generici�

e�tali�da�ingenerare�rilevanti�incertezze�tra�le�operazioni�di�recupero�dei�rifiuti�

verieproprie�ilnormale�trattamento�deimaterialinonqualificabilicomerifiuti�

(v.�sentenza�della�Corte�della�Giustizia�18�dicembre�1997,�punto�33�e�sentenza�
17�luglio�2002,�punto�27).�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


17.�^Tale�carenza�di�indicazioni�e�ne�e��riprova�evidente�lo�svolgimento�del�
ragionamento�piu��volte�condotto�dalla�Corte�di�giustizia�(v.�in�particolare�nel-

l'ultima�sentenza�18�aprile�2002)�^ha�portato�la�Corte�stessa�ad�avvertire�la�

necessita��difornire�taluni�criteri�del�tutto�esemplificativi�e�limitati�e�mai�esau-

stivi,�casopercasoeriferibilialcomplessodellecircostanze.�Vaancheaggiunto�

che�la�Corte�stessa�^e�non�la�Commissione�^pare�maggiormente�rendersi�conto�

della�necessita��per�ogni�Stato�membro�di�applicare�in�pratica�una�norma�che�

�non�propone�alcun�criterio�per�individuare�la�volonta��del�detentore�di�disfarsi�

di�una�sostanza�o�di�un�determinato�oggetto��(v.�sentenza�18�aprile�2002�in�

C-9/00�punto�25).�E�proprio�la�Corte�giunge�a�conclusioni�spesso�sostanzial-

mentediversedaquelleprospettatedalla�Commissionenellememoried'udienza.�

Cos|��adesempiomentreperla�Commissionenonsonosignificativiaifinidella�

qualifica�di�un�materiale�come�rifiuto�l'assenza�di�una�trasformazione�prelimi-

nare�ovvero�la�natura�o�meno�di�residuo�di�produzione�di�una�sostanza�ovvero�

il�valore�economico�di�tale�residuo,�per�la�Corte�(v.�sentenza�18�luglio�2002in�

C-9/00�punto�37)��appare�quindi�evidente�che�oltre�al�criterio�derivante�dalla�

natura�o�meno�di�residuo�di�produzione�di�una�sostanza,�il�grado�di�probabilita��

di�riutilizzo�di�tale�sostanza�senza�operazioni�di�trasformazione�preliminare�

costituisce�un�secondo�criterio�utile�ai�fini�di�valutare�se�essa�sia�o�meno�un�

rifiuto�ai�sensi�della�direttiva�75/442.�Se,�oltre�alla�mera�possibilita��di�riutiliz-

zarelasostanza,�ildetentoreconsegueunvantaggioeconomiconelfarlo,�lapro-

babilita�ditaleriutilizzoe�alta.�Inun'ipotesidelgenerelasostanzainquestione�

nonpuo�piu��essereconsideratauningombrodicuiildetentorecerchididisfarsi,�

bens|��un�autenticoprodotto�.�

18.�^Deve�giungersi�ad�identica�conclusione�per�il�caso�ancor�piu��ecla-
tante�di�un�detentore�che�abbia�acquisito�un�materiale�a�titolo�oneroso�(e�cioe��

con�un�esborso�economico)�e,�credibilmente,�non�per�disfarsene.�Si�ricordaal�

riguardo�che�a�quanto�risulta�dalla�normativa�del�Lussemburgo�(legge�17�giu-

gno�1994�art.�3�lett.�a) 
�i�rifiuti�recuperati�sono�considerati�rifiutifinche�essi�

non�sono�reintrodotti�nel�circuito�economico�;�similmente�la�disciplina�inglese�

considera�rifiuto�solo�cio��che�esce�dal�circuito�di�utilita��.�

19.�^Va�anche�aggiunto�che�non�appare�ne�dal�testo�della�direttiva�ne�
dalle�indicazioni�della�Commissione�la�volonta��di�individuare�altre�operazioni�

da�inserire�negli�Allegati�IIA�e�IIB�della�direttiva�stessa,�in�relazione�alle�quali�

si�possa�verificare�la�sussistenza�dei�requisiti�del��disfarsi��propri�della�defini-

zione�di�rifiuto.�

20.�^Quanto�al�primo�aspetto�(testo�letterale),�si�ricorda�che�art.�3�
comma�1�lett.�b) 
della�direttiva�prevede�che�gli�Stati�membri�debbano�adottare�

le�misure�appropriate�per�promuovere��il�recupero�dei�rifiuti�mediante�riciclo,�

reimpiego,�riutilizzo�o�ogni�altra�azione�intesa�ad�ottenere�materie�prime�secon-

darie�.�Aparteilfattochelanozionedimaterieprimesecondariechiaramente�

distinguibile�da�quella�dirifiuto,�siaperla�letteradella�direttiva�cheper�l'orien-

tamento�della�Corte,�non�e��mai�stata�chiarita�dalla�Commissione�malgrado�le�

numerose�richieste�avanzate,�la�norma�della�direttiva�teste��citata�indica�chiara-

mente�che�qualsiasi��altra�azione��condotta�sui�rifiuti�non�puo��che�essere�ricom-

presa�nell'ambito�del�recupero�e�quindi�ricondotta�nell'ambito�dell'allegato�IIB�

della�direttiva.�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�99 


21.�^Infatti��ogni�altra�azione��e�una�delle�modalita�del�recupero�nell'am-
bito�dell'art.�3�comma�1�lettera�b):�poiche�la�definizione�di�recupero�di�cui�

all'art.�1�comma�1�lettera�f)�della�direttiva�comprende�solo��tutte�le�opera-
zioni�previste�dall'allegato�IIB��per�un�evidente�semplice�sillogismo��ogni�
altra�azione��non�puo�che�essere�ricondotta�nell'ambito�dell'allegato�IIB,�
che�allo�stato,�deve�essere�quindi�considerato�esaustivo.�E�cio�,�a�meno�di�
chiarimenti,�ancora�mai�forniti�e�tutti�da�dimostrare,�che�pervengano�da�
parte�della�Commissione,�la�quale�deve�anche�chiarire�la�ragione�della�defini-
zione�diversa�dei�termini�di��riutilizzo��e��riciclaggio��utilizzata�nella�diret-
tiva�91/156�CEE�sui�rifiuti�e�nella�direttiva�94/62CEE�sugli�imballaggi�e�sui�
rifiuti�di�imballaggio:�forme�di�recupero�nella�prima�e�figure�autonome�e�
distinte�dal�recupero�nella�seconda.�

22.�^La�direttiva�94/62�CEE�inoltre�esclude�dalla�tradizionale�nozione�di�
rifiuto�anche��i�residui�diproduzione�:forse�aifinidel�computo�delraggiungi-

mento�o�meno�degli�obiettivi�di�recupero�e�di�riciclaggio�secondo�le�intenzioni�

di�taluno�ma�proprio�dalla�nozione�di�rifiuto�secondo�la�lettera�della�norma.�

Tutto�cio�malgrado�i�rifiuti�di�imballaggio�siano�chiaramente�una�tipologia�di�

rifiuto.�E�l'ulteriore�riprova�che�alle�presunte�intenzioni�del�legislatore�non�ha�

fatto�seguito�una�chiara�formulazione�e�tale�circostanza�non�potra�che�ingene-

rare�ulteriore�contenzioso.�

23.�^E�opportuno�rammentare�che�la�Decisione�del�Parlamento�Europeo�e�
del�Consiglio�del�22�luglio�2002,che�istituisce�il�sesto�programma�comunitario�

di�azione�in�materia�di�ambiente,�all'art.�8�indica�tra�le�azioni�prioritarie�da�

attuare�nell'ambito�della�disciplina�dei�rifiuti�la��..precisazione�della�distinzione�

fra�cio�che�e�rifiuto�e�cio�che�non�lo�e�e�lo�sviluppo�di�criteri�adeguati�per�l'ulte-

riore�elaborazione�degli�allegati�IIA�e�IIB�della�Direttiva�quadro�sui�rifiuti�.�E�

chiaro�quindi�che�la�stessa�Commissione�non�mostra�alcuna�intenzione�di�ope-

rare,�aifini�di�distinguerefra�cio�che�e�rifiuto�e�cio�che�non�lo�e�,�al�difuori�degli�

allegati�IIA�e�IIB,�almeno�a�quanto�indicato�nella�frase�teste�citata.�Si�chiede�

alla�Commissione�in�relazione�a�tanto,�quali�azioni�siano�state�intraprese�nei�

riguardi�di�norme�di�recepimento�della�direttiva�che�contengono��sic�et�simplici-

ter��la�stessa�disposizione�con�riferimento�esclusivo�agli�allegati�IIA�e�IIB�della�

direttiva�(v.�decreto�sui�rifiuti�tedesco�del�27�settembre�1994�art.�3�lett.i),�

norma�tuttora�vigente�nonostante�la�condanna�pronunciata�dalla�Corte�a�carico�

dellaGermaniail10maggio1995).�Sisottolinea,�conl'occasione,�chepiu�oltre,�

al�successivo�sottopunto�b),�la�stessa�norma�stabilisce�che��l'opinione�del�deten-

tore�deve�essere�usata�come�base�per�valutare�lafinalita�dell'impiego�del�mate-

riale�tenendo�conto�dell'accettazione�del�mercato�.�

24.�^Ovviamente�lo�Stato�italiano�e�disponibilissimo�a�cooperare�con�la�
Commissione�per�individuare�eventuali�operazioni��estranee��a�quelle�ricom-

prese�negli�allegati�IIA�e�IIB�a�cui�ovviamente,�ove�individuate,�andra�applicata�

senza�eccezione�alcuna�la�nozione�di�rifiuto,�per�verificare�se�sussista�per�esse�

l'atto�del��disfarsi�.�E�chiaro�pero�,�sin�d'ora,�che�qualsiasi�regola�in�materia�


come�qualsiasi�criterio�interpretativo�in�ordine�alla�non�chiara�definizione�di�

rifiuto^unavolta�concordaticon�tuttigliStatimembridovranno�essererecepiti�

e�applicati�alla�lettera�e�senza�eccezione�alcuna�in�tutti�gli�Stati�membri�alfine�

di�non�creare�distorsioni�di�concorrenza�e�sotto�il�profilo�ambientale�e�sotto�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


quello�economico�anche�in�relazione�alla�necessita�di�garantire�una�uniforme�

applicazione�del�regolamento�transfrontaliero�dei�rifiuti�di�cui�al�Regolamento�

259/1993�e�successive�modifiche�ed�integrazioni�che�si�basa�sulla�stessa�defini-

zionefornita�dalla�direttiva�ma�ha�naturagiuridica�ben�diversa�ede�moltopiu�

strettamente�vincolante�rispetto�alla�direttiva�stessa.�Allo�stato�attuale�nonpuo�

che�ragionarsi�in�termini�di�operazioni�ricomprese�negli�allegati�IIA�e�IIB.�

25.�^Conl'attonormativocuifariferimentoilgiudiceremittenteperarti-
colare�le�questioni�pregiudiziali,�il�legislatore�italiano�ha�inteso�riferire�la�

nozione�di��disfarsi�:�a) 
a�tutte�quelle��operazioni�di�recupero�o�smaltimento��

che�siano�elencate�^o�non��esplicitamente�elencate�^negli�allegati�B�e�C�,�

conoscendo�e�condividendo�il�convincimento�della�Commissione�secondo�cui�

detti�elenchisono�notoriamente�aperti�e��non�esaustivi�di�tutte�lepossibili�opera-

zioni�di�smaltimento�o�di�recupero�;�b) 
fondando�l'eventuale�esclusione�dei�resi-

dui�produttivi�o�di�consumo,�dall'area�dei�rifiuti,�non�sulla�mancata,�esplicita�

previsione�di�determinate�operazioni�(di�recupero�o�smaltimento)�negli�allegati�

citati,�ma�sulfatto�che�i�residui�siano��effettivamente�ed�oggettivamente�riutiliz-

zati�nel�medesimo�o�in�analogo�o�diverso�ciclo�produttivo�o�di�consumo��senza�

essere��disfatti��(cioe�senza�essere���avviati�o�sottoposti�ad�attivita�di�smalti-

mento�o�di�recupero,�secondo�gli�allegati�B�e�C�cit.�,�ai�sensi�del�comma�1,�

lett.�a),dell'art.�14).�

26.�^Tanto�si�desume,�infatti,�con�sufficiente�chiarezza,�anche�dal�
comma�2,�dell'art.�14,�dove�le�esclusioni�della�fattispecie�del��disfarsi��sono�

subordinate�alle�seguenti,�esclusive�evenienze�condizioni:�
^lett.�a):�della 
assenza 
di 
qualsiasi 
operazione 
di 
trattamento 
di 
recu-
pero,�in�senso�proprio,�di�cui�all'allegato�C�(inteso�in�senso�aperto,�secondo�la�
prassi)�ilqualeriproducel'AllegatoIIB,�delladirettiva156cit.;�

^lett.�b):�della�possibile�presenza�di��trattamenti 
preliminari� 
che�non�
assurgono�pero�a�vere�e�proprie��operazioni 
di 
recupero 
completo�, 
come�sub�
a��dopo�aver�subito�un�trattamento 
preventivo 
senza�che�si�renda�necessaria�
alcuna�operazione�di�recupero�tra�quelle�individuate�nell'allegato�C�del�decreto�

legislativo�n.�22�.�

27.�^Alla�luce�di�quanto�sopra�detto�non�sono�condivisibili:�
^gli�asseriti�e�non�dimostrati�intenti�della�norma�italiana�di�escludere�gran�

parte�dei�rifiuti�recuperabili�dall'ambito�di�applicazione�della�direttiva;�

^l'intento�di�ricondurre�nella�categoria�dei�rifiuti�tutta�una�serie�di�mate-

riali,�a�prescindere�dalla�dimostrazione�che�dei�medesimi�il�detentore�si�disfi�o�

abbiadeciso�didisfarsio�abbia�l'obbligo�didisfarsi.�

La�norma�italiana�interviene�nella�fase�precedente�alla�catalogazione�

delsingolo�materialeper�indicare�criteridiprova�dellasussistenza�deirequi-

siti�del�disfarsi�assolutamente�necessari�epropedeuticiper�configurarel'esi-

stenza�di�un�rifiuto.�

Lo�Stato�italiano�ritiene�che�dinanzi�ad�ognifattispecie�occorra�verifi-

care�se�sussistano�proprio�i�requisiti�del��disfarsi,�di�avere�deciso�di�disfarsi�

o�di�avere�l'obbligo�di�disfarsi��per��includere��tale�materiale�nell'ambito�
deirifiuti.�Inoltre,sie�dell'avviso,�che�un�materiale�destinato�allo�smalti-

mento�dal�detentore�e�sempre�e�comunque�un�rifiuto�proprio�in�quanto�il�

detentore�sicuramente�se�ne�disfa.�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�101 


28.�^L'art.14valettonelsuoinsieme.Conquestanormasie�intesofor-
nire�criteri�interpretativipositiviper�l'inclusione�tra�i�rifiuti�dimateriali�dei�quali�

il�detentore��si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo�di�disfarsi�.�La�

lista�normalizzata�non�esaurisce�la�categoria�dei�rifiuti,�in�quanto�saranno�rite-

nuti�tali�quei�materiali�nei�confronti�dei�qualiper�se�stessi�oper�essere�assogget-

tati�ad�attivita�diverse�da�quelle�indicate�dalle�operazioni�di�recupero�di�cui�

all'allegato�CdelD.lgs22/1997�(allegatoIIBdelladirettiva91/156),�sipossa�

dimostrare�che�il�detentore��si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo�

di�disfarsi�.�In�questo�contesto,�ove�sussistano�tali�articolazioni�normative�del�

�disfarsi�,�qualsiasi�prodotto�o�materia�prima�o�sottoprodotto�diventa�rifiuto.�

In�altri�termini�e�necessario�anche�attraverso�criteri�interpretativi�certi�fornire�

una�lista�positiva�dei�rifiuti�e�non�partire�dal�presupposto�che�tutto�e�rifiuto�

trannequellopercuisipossadimostrareche�ildetentorenonsidisfiononabbia�

deciso�di�disfarsi�o�non�abbia�l'obbligo�di�disfarsi.�Occorre�pero�che�tali�mate-

riali�e�tali�attivita�siano�individuati.�

29.�^L'assuntodiunapresunzionegeneraledirifiuto,salvodimostrazione�
contraria�in�ordine�all'assenza�dell'atto�del�disfarsi�da�parte�del�detentore,�non�

e�neppure�supportata�dalla�dizione�letterale�della�definizione�di�rifiuto.�

In�base�a�tale�definizione�infatti�rifiuto�e��qualsiasi�sostanza�od�oggetto�
che�rientra�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A�della�direttiva�91/156�e�
di�cui�il�detentore�si�disfi�o�abbia�deciso�di�disfarsi�o�abbia�l'obbligo�di�
disfarsi�.�Le�condizioni�quindi�sono�due�strettamente�connesse�tra�loro�e�
non�alternative�in�quanto�la�preposizione�tra�loro�interposta�e��e��e�non�

�o��e�consistono�nel:�
rientrare�nelle�categorie�riportate�nell'allegato�A�della�direttiva�

91/156:�tale�condizione�peraltro,�come�rilevato�ripetutamente�anche�dalla�

stessa�Cortedigiustizia,�e�deltuttopleonasticainquanto,�comenoto,�ilpunto�

Q16�dell'allegato�I�della�direttiva�91/156�appare�omnicomprensivo�e�ricom-

prende��qualsiasi�sostanza,�materia�o�prodotto�che�non�rientri�nelle�categorie�

sopra�elencate�;�

sussistere�in�capo�al�detentore�del�requisito�del��si�disfi�o�abbia�deciso�o�
abbia�l'obbligo�di�disfarsi�.

E�evidente�che�le�due�condizioni�devono�entrambe�sussistere�perche�un�
materiale�possa�definirsi�un�rifiuto;�va�peraltro�dimostrato�in�base�al�secondo�

requisito�citato�che�il�detentore�del�materiale�si�sia�disfatto�o�abbia�deciso�di�

disfarsi�o�abbia�avuto�l'obbligo�di�disfarsi.�

Ove�invece�fosse�esistita�una�presunzione�generale�e�fosse�stato�posto�a�

carico�del�detentore�l'onere�della�prova�di�dimostrare�di�non�essersi�disfatto,�di�

non�aver�deciso�o�non�avere�l'obbligo�di�disfarsi,�la�direttiva�avrebbe�dovuto�

esprimersi�in�modo�diverso.�

30.�^A�conferma�di�quanto�dedotto�appare�utile�richiamare�le�linee�ten-
denziali�della�giurisprudenza�comunitaria�in�materia.�La�sentenza�18�dicembre�

1997�in�C-129/1996�contiene�una�prima�messa�a�punto�dei�problemi�esistenti�in�

tema�di�definizione�di�rifiuto.�Sostanzialmente�la�Corte�afferma�che�l'esistenza�

di�un�rifiuto�e�collegata�al�concetto�di�disfarsi�e�che�tale�concetto�trova�realizza-

zione�in�presenza�di�operazioni�di�smaltimento�o�di�recupero�di�una�sostanza�

odoggetto�(punti26e27).Dopoaverribaditoche,inlineadiprincipio,non�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

puo�escludersi�dalla�nozione�di�rifiuto�alcun�tipo�di�materiali�di�scarto�(punto�
28)�aggiunge�pero�che��tale�conclusione�non�pregiudica�la�distinzione�che�
occorre�effettuare,�come�giustamente�hanno�sostenuto�i�Governi�belga�tedesco,�
olandese�e�del�Regno�Unito�tra�il�recupero�dei�rifiuti�ai�sensi�della�direttiva�
75/442�Cee�come�modificata�ed�il�normale�trattamento�industriale�dei�prodotti�
che�non�costituiscono�rifiuti�a�prescindere�dalla�difficolta�di�tale�distinzione��e�
cheperprodottinonsidevono�intendere�imanufattifinalima�lematerieprime.�

Pur�nel�linguaggio�complesso�pare�orientarsi�nella�conclusione�^d'altro�

canto�contenuta,�come�gia�rilevato,�nello�stesso�art.�3�comma�1�lettera�b)�della�
Direttiva�91/156�^che�occorre�sincerarsi�se�vi�sia�la�necessita�per�l'impiego�
nel�processo�produttivo�di�una�azione�di�recupero�o�meno.�

Con�sentenza�15�giugno�2000�in�C-418/1997�e�C-419/1997�e�stata�esami-

nata�la�questione�della�classificazione�di�sostanze�destinate�ad�essere�usate�come�

combustibile�nell'industria�cementiera�o�per�produrre�energia�elettrica.�Va�preli-

minarmente�osservato�che�secondo�un�orientamento�relativamente�consolidato�e�

a�livello�giurisprudenziale�e�a�livello�di�Commissione�europea�e�di�Stati�membri,�

sembrava�sinora�abbastanza�pacifico�che�dovesse�trattarsi�di�rifiuti�atteso�che�

mentre�dalle�altre�operazionidirecupero�siottiene�unamateriaprimaseconda-

ria,�lacategoriaR9dell'allegatoBdellaDirettiva91/156hacometitolo^rife-

ribileadunrifiuto^�Utilizzazioneprincipale�come�combustibile�o�altromezzo�

per�produrre�energia�.�Le�conclusioni�della�Corte�sono�invece�diverse�da�quelle�

sino�ad�ora�espresse,�secondo�le�quali�si�doveva�presumere�l'atto�del�disfarsi�ove�

sifosseresanecessariaunapreventivaoperazionedirecupero�(cheparevasussi-

stere�automaticamente�in�caso�di�combustione�come�vistoper�la�lettera�delpunto�

R9�citato,�anzi�si�ricorda�che�la�Commissione�piu�volte�ha�cercato�inutilmente�

di�trasferire�tale�voce��combustione��dall'ambito�delle�operazioni�di�recupero�a�

quelle�di�smaltimento).�

Secondo�la�Corte�infatti�(v.�punti�45,�49,�50,�51,82�8�e�conclusione�riassun-

tiva�n.�1�per�la�causa�418/1997)�dal�semplice�fatto�che�su�una�sostanza�venga�

eseguita�l'operazione�secondaria�menzionata�dagli�allegati�IIA�e�IIB�della�Diret-

tiva�del�Consiglio�15�giugno�1975,�75/442/Cee,�relativa�ai�rifiuti�come�modifi-

cata�dalla�Direttiva�18�marzo�1991,�91/156/Cee,�non�discende�che�l'operazione�

consiste�nel�disfarsene�e�che�pertanto�la�detta�sostanza�va�considerata�rifiuto�ai�

sensi�della�Direttiva.�L'esistenza�di�tale�operazione�di�recupero�e�solo�uno�degli�

elementi�che�vanno�presi�in�considerazione�per�stabilire�se�tale�sostanza�sia�

ancora�un�rifiuto�ma�non�consente�di�trarre�una�conclusione�definitiva.�L'esi-

stenza�di�un�rifiuto�deve�essere�accertata�sulla�scorta�del�complesso�delle�circo-

stanze,alla�luce�della�definizione�di�cui�all'art.�l�a)�della�Direttiva,�cioe�dal�
fatto�che�il�detentore�della�sostanza�se�ne�disfi,�ovvero�abbia�deciso�o�abbia�
l'obbligo�di�disfarsene,�tenendo�conto�della�direttiva�ed�in�modo�da�non�pre-
giudicarne�l'efficacia�(punti�83,�88�).�

A�tali�conclusioni�la�Corte�principalmente�arriva�in�quanto:�

^�l'ambito�di�applicazione�della�nozione�di�rifiuto�dipende�dal�significato�
del�termine�disfarsi��(v.�punto�36,�46�e�52�).�

^nell'ambito�dell'allegato�IIB�della�Direttiva��..�benche�le�descrizioni�di�
taluni�deimetodifacciano�riferimento�esplicito�ai�rifiuti,altre�invece�sonoformu-

late�in�termini�piu�astratti,�potendo�essere�applicate�a�materie�prime�che�non�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
103 


sono�rifiuti�.�Ecco�perche�secondo�la�Corte,�non�e�automaticamente�deducibile�

l'atto�deldisfarsiperlapresenzadiunadelleoperazionidirecuperodicuiall'al-

legato�IIB��(v.�punto�50).�

Vengono�alriguardopoievidenziate�ledeltutto�distonichefradiloroprese�

di�posizione�dei�vari�Stati�membri�intervenuti�al�dibattimento�^punti�60,�76�e�

80�Danimarca,�Austria�e�Commissione�^punti�61�e�77�Germania,�punti�62�e�

78�Inghilterra�punto�62�e�Olanda�punti�63�e�79.�

Tale�elencazione�di�diversita�normative�comprova�la�contraddittorieta�della�

tesi�della�Commissione�circa�la�chiarezza�della�definizione�di�rifiuto�e�laneces-

sita�di�una�armonizzata�applicazione�della�definizione�in�ambito�europeo�(in�

esatta�contrapposizione�con�quanto�poi�affermato�nella�memoria�presentata�

dalla�Commissione�stessa�nella�Causa�C-103).�Segue�a�questopunto�una�elenca-

zione�delle�circostanze�indicative�ma�che�non�possono�essere�considerate�deter-

minantiper�risolvere�in�via�definitiva�il�dilemma�se�una�cosa�sia�rifiuto�o�meno)�

fra�le�quali�si�ricordano:�

^la�destinazionefutura�del�materiale�(punto�64�);�

^lapotenzialeriutilizzabilita�del�materiale�anche�in�modo�compatibile�

con�leesigenzeditutela�ambientaleesenza�trasformazioni�radicali�

(punti�65�e�68);�

^l'impatto�ambientale�e�sanitario�derivante�dalla�trasformazione�di�tale�

sostanza�(punti�66�e�67);�

^l'esistenza�di�una�completa�operazione�di�recupero�di�cui�all'allegato�IIB�

ovvero�di�previe�operazioni�di�cernita�e�di�trasformazione�(punto�93).�

Non�vengono�date�nozioni�positive�sulle�precise�e�puntuali�circostanze�che�

possonofarritenerepresentel'attodeldisfarsioalmenopresumerlo.�Siconclude�

infatti�anche�nelpunto�2�terzo�comma�della�sentenza�419/1997�che��L'effettiva�

esistenza�di�un�rifiuto�aisensi�della�direttiva�va�accertata�alla�luce�del�complesso�

delle�circostanze�tenendo�conto�delle�finalita�della�direttiva�ed�in�modo�da�non�

pregiudicarne�l'efficacia�.�
Occorre�quindi�cercare�di�capire�quali�siano�i�passi�della�sentenza�che�in�
qualche�modo�consentano�di�dedurre�le�regole�relative�all'individuazionedel-
l'atto�deldisfarsi,puntodidiscriminefrarifiuto�enonrifiuto.�Alpunto41�e�pre-
cisato�che,�in�mancanza�di�disposizioni�comunitarie�(�si�rileva�quindi�tale�non�
esistenza�di�regole�uguali�per�tutti)�gli�Stati�membri�sono�liberi�di�scegliere�le�
modalita�diprova�di�diversi�elementi�definiti�dalle�direttive�da�essi�traspostepur-
che�cio�nonpregiudichil'efficaciadeldiritto�comunitario;unodeicasidipregiu-
dizio�dell'efficacia�e�individuato�nel�punto�42�in�una�eventuale�norma�nazionale�
che�escluda�dall'applicazione�della�direttiva�sostanze�che�invece�rispondono�alla�
definizione�di�rifiuti�ai�sensi�della�direttiva�(e�si�ritorna�alla�necessita�di�chiarire�
quale�sia�il�significato�di�disfarsi)�in�base�a�presunzioni��iuris 
et 
de 
iure�.�Nel�

punto�70�si�ribadisce�che,�in�mancanza�di�disposizioni�comunitarie�specifiche�

relative�alla�esistenza�di�un�rifiuto,�spetta�al�giudice�nazionale�applicare�le�

norme�in�materia�del�proprio�ordinamento�giuridico�in�modo�da�non�pregiudi-

care�lafinalita�e�l'efficacia�della�direttiva.�

Applicando�tali�principi�al�caso�in�discussione�se�ne�ricava�quindi�che�il�

legislatore�italiano�e�legittimato�^proprioper�l'assenza�di�indicazioni�comunita-

rie�in�merito�^a�fornire�indicazioni�sulle�modalita�di�prova�per�accertare�se�vi�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


sia�o�meno�il�disfarsi�ma�nonpuo���sic 
et 
simpliciter��operare�esclusioni�dall'am-

bito�della�direttiva�per�quei�materiali�che�comunque�rientrano�sulla�base�delle�

regole�interpretative�dettate,�nella�definizione�di�rifiuto.�Alpunto�94,�si�rileva�

che�un�materiale�che�sottoposto�ad�una�operazione�di�recupero�completo�acquisi-

sce�le�caratteristiche�della�materia�prima�rimane�rifiuto�se�il�detentore�se�ne�

disfa.�Anche�tale�assunto�conferma�la�legittimita��comunitaria�della�norma�ita-

liana�che�richiede�come�requisito�necessario��l'effettivo�ed�oggettivo�utilizzo�del�

materiale�;�e�cio��,�in�quanto�qualsiasi�prodotto�o�materia�prima�puo��diventare�

rifiuto�se�il�detentore�se�ne�disfa�non�utilizzandolo�o�abbandonandolo.�

Come�si�vede�il�quadro�che�emerge�dalla�sentenza�fornisce�i�seguenti�

spunti:�

esiste�in�Europa�una�varieta��sostanziale�di�posizioni;�

none��certolapresenzadiun'operazionedirecuperoafardedurrecon�

certezza�che�vi�sia�un�rifiuto;�

non�ci�si�puo��basare�per�dare�un�giudizio�definitivo�sull'esistenza�o�meno�

diunrifiutosull'originedelmateriale,�sulsuo�trattamento�o�lasuadestinazione;�

si�deve�vedere�caso�per�caso,�circostanza�per�circostanza,�sulla�base�di�

modalita��di�prova�dettate�dagli�Stati�membri�chiamati�a�fornire�i�criteri�che�

dovrannopoi�essere�applicati�daigiudici,�per�assicurare�l'applicazione�delprinci-

pio�di�legalita��.�

Viene�a�questopunto�da�chiedersiilperche�siapra�lastrada�a�differenti�

interpretazioni�della�definizione�di�rifiuto�nell'ambito�dei�vari�Stati�membri�con�

ovviepesanti�e�negative�conseguenze�in�campo�di�concorrenzialita��e�conseguente�

instaurarsidiunadistorsioned|�concorrenzaaparita��difattispecie.�

La�chiave�di�lettura�paradossalmente�viene�fornita�da�alcuni�spunti�della�

successiva�sentenza�del�22�giugno�2000�in�C-318/1998.�

Contrariamente�a�quanto�sostenuto�sinora�dalla�Commissione�circa�la�

necessita��di�una�uniforme�applicazione�della�normativa�in�tutta�Europa�alfine�

di�armonizzare�il�perseguimento�dei�risultati�la�Corte�(v.�punto�46)�sostiene�

chelanormativacomunitarianonmira,nelsettoredell'ambiente,�adunaarmo-

nizzazione�completa,�ma�che�la�politica�della�Comunita��europea�mira�ad�un�ele-

vato�livello�di�tutela,�tenendo�conto�della�diversita��delle�situazioni�nelle�varie�

regioni�della�Comunita��.�

Tale�concetto�e��rafforzato�dall'assunto�di�cui�ai�punti�41�e�42�laddove�si�

aggiunge�che�la�direttiva�non�precisa�il�contenuto�concreto�delle�misure�che�

devono�essere�adottate�per�assicurare�che�i�rifiuti�siano�smaltiti�senza�pericolo�

per�la�salute�dell'uomo�e�senza�recare�pregiudizio�all'ambiente:�cio��non�toglie�

che�essa�vincola�gli�Stati�membri�circa�l'obiettivo�da�raggiungere�pur�lasciando�

agli�stessi�un�potere�discrezionale�nella�valutazione�della�necessita��di�tali�misure�

(punti�47�e�48).�

Questo�conferma�la�necessita��per�ciascuno�Stato�di�darsi�proprie�regole�

interpretative(cioe��lemisuredaadottareperperseguirelefinalita�generalidella�

politica�comunitaria)�anche�se�poi�in�caso�di�diversita��appare�del�tutto�oscuro�

come�possa�applicarsi�il�Regolamento�del�trasporto�transfrontaliero�di�rifiuti�in�

caso�di�diversita��di�vedutefra�Stato�e�Stato.�

Tale�principio�per�cosi�dire�di�sussidiarieta��ha�le�conseguenze�che�sono�poi�

elencate�nella�sentenza�di�cui�trattasi�relativa�alla�definizione�di�rifiutipericolosi.�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
105 


Disattendendo�le�conclusioni�del�Governo�olandese�e�della�Commissione�che�

avevaconsideratotassativol'elencodeirifiutidicuialladirettiva91/689ealladecisione�

94/904�(punto35)�edaccogliendoinparteleargomentazionideigoverniaustriacoe�

tedesco�(punto36)�siprecisachelaDirettiva91/689relativaairifiutipericolosinon�

impedisce�agli�Stati�membri,�ivi�comprese�(nell'ambito�dei�loro�poteri)�le�rispettive�

autorita�giudiziarie,�di�qualificare�come�rifiutipericolosi�rifiuti�diversi�da�quelli�che�

compaiononelcatalogoCERdicuialladecisione94/904del22�dicembre1994.�
Lo�Stato�membro�interessato�dovra�darne�notifica�alla�Commissione�e�la�

decisione�avra�valore�solo�nei�territori�dello�Stato�che�avra�proceduto�a�tale�qua-

lificazione.�Criterio�determinante�per�tale�qualifica�e�la�presenza�di�una�delle�

caratteristiche�indicate�nell'allegato�III�della�direttiva�91/689�e�l'origine�del�

rifiuto�e�solo�uno�deifattoridi�cuil'elenco�deirifiutipericolosisilimita�a�tener�

conto�elementi�(punti48,�51,�56epunto�1�delladecisione).�
La�Corte�di�Giustizia�ha�effettuato�un�ulteriore�approfondimento�della�giu-

risprudenza�in�materia�con�la�sentenza�18�aprile�2002,�in�Causa�C-9/00.�
La�sentenza,�pur�trattando�di�materiali�provenienti�dalla�lavorazione�del�

granito�e�non�essendo�quindi�esaustiva,�riassume�gli�orientamenti�della�Corte,�

espressi�nel�tempo,facendo�ilpunto�della�situazione�in�questi�termini:�
a) 
L'ambito�di�applicazione�della�nozione�di�rifiuto�dipende�dal�signifi-

cato�del�termine��disfarsi�,�che�deve�essere�interpretato�alla�luce�sia�dellafina-

lita�della�direttiva�75/442�(la�tutela�della�salute�umana�e�dell'ambiente�contro�

gli�effetti�nocivi�della�raccolta,�del�trasporto,�del�trattamento,�dell'ammasso�e�

deldeposito�deirifiuti),�sia�delprincipio�secondo�ilquale�lapoliticaambientale�

comunitariamiraadunelevato�livelloditutelaede�fondatainparticolaresui�

principidiprecauzioneedell'azionepreventiva.�Neconseguechelanozionedi�

rifiuto�nonpuo�essere�interpretata�insenso�restrittivo.�
b) 
La�Corte,�dopo�aver�rilevato�che�la�direttiva�75/442�non�propone�

alcun�criterio�per�individuare�la�volonta�del�detentore�di�disfarsi�di�una�sostanza�

o�diun�determinato�oggetto,forniscealcune�indicazionia�questofine:�mentre�
la�Commissione�considera�le�operazioni�di�smaltimento�e�recupero�di�una�

sostanza�alla�stregua�di�manifestazioni�della�volonta�di��disfarsene�,�la�Corte�

osserva�che�la�distinzione�tra�operazioni�di�smaltimento�o�recupero�di�rifiuti�e�

iltrattamento�dialtriprodottie�spesso�difficileda�cogliere�estatuisce�chedalla�

circostanza�che�su�una�sostanza�venga�eseguita�un'operazione�di�smaltimento�o�

di�recupero�menzionata�negli�allegati�della�direttiva�non�discende�che�l'opera-

zione�consista�nel�disfarsene.�L'esecuzione�di�queste�operazioni�non�permette�

quindi,�di�per�se�,�di�qualificare�una�sostanza�come�rifiuto.�
c) 
D'altraparte,�secondo�la�Corte�la�nozione�di�rifiuto�e�comprensiva�delle�

sostanze�suscettibili�di�riutilizzo�economico.�La�Corte�ha�infatti�specificato�che�la�

direttiva�75/442�intende�riferirsi�a�tutti�gli�oggetti�di�cui�il�proprietario�si�disfa,�

anche�se�essi�hanno�un�valore�commerciale�e�sono�raccolti�a�titolo�commerciale�a�

fini�di�riciclo,�di�recupero�e�di�riutilizzo.�Ne�consegue�che�ne�ilfatto�che�i�materiali�

siano�oggetto�di�un'operazione�dismaltimento�o�di�recupero�ne�la�circostanza�che�

essi�siano�riutilizzabili�consentono�di�stabilire�se�tali�materiali�siano�o�meno�rifiuti.�

SecondolaCorte�(punto23)��ilsistemadisorveglianzaedigestioneistituitodalla�

Direttiva�75/442intenderiferirsiatuttiglioggettielesostanzedicuiilproprietario�

si�disfa,�anche�se�essi�hanno�un�valore�commerciale�e�sono�raccoltia�titolo�commer-

cialeafinidiriciclo,�direcuperoediriutilizzo�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

d)�Ma 
secondo 
la 
stessa 
Corte, 
cipossono 
essere 
dei 
�sottoprodotti�, 
il 


cuiriutilizzononsiasolo 
eventuale, 
ma 
certo, 
senza 
trasformazionepreliminare 


enelcorsodelprocessodiproduzione 
(punto36),acuinonsiapplicalanorma-

tiva 
in 
materia 
di 
rifiuti. 
e)�Argomenta 
quindi, 
la 
Corte 
che, 
oltre 
al 
criterio 
derivante 
dalla 
natura 


omenodiresiduodiproduzionediunasostanza,�ilgradodiprobabilita� 
diriu-
tilizzo 
di 
tale 
sostanza, 
senza 
operazioni 
di 
trasformazione 
preliminare, 
costitui-

sce 
un 
secondo 
criterio 
utile�. 
(..) 
Se, 
poi, 
il 
detentore 
consegue 
un 
vantaggio 


economico 
nelfarlo, 
laprobabilita� 
di 
tale 
riutilizzo 
e� 
alta. 
�In 
un'ipotesi 
del 


genere 
la 
sostanza 
in 
questione 
non 
puo� 
piu� 
essere 
considerata 
un 
ingombro 
di 


cuidetentorecerchididisfarsi, 
bens|� 
unautenticoprodotto� 
(punto37). 
Alla 
luce 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, 
si 
suggerisce 
alla 
Corte 
di 


risolvere 
i 
quesiti 
pregiudiziali 
sollevati 
dal 
giudice 
italiano 
dichiarando 


quanto 
segue: 
A)�quanto 
al 
quesito 
n. 
1: 
la 
nozione 
di 
rifiuto, 
per 
la 
parte 
relativa 
al 


necessario 
elemento 
soggettivo 
che 
deve 
caratterizzare 
l'azione 
compiuta 
dal 


detentorerispettoallamateriaooggettodicuisiainpossessopuo�
inconformita� 


allo 
articolo 
14 
della 
legge 
138/2002, 
essere 
integrata 
da 
qualsiasi 
comporta-

mento 
attraverso 
il 
quale 
in 
modo 
diretto 
o 
indiretto 
una 
sostanza, 
un 
materiale 


o 
un 
bene 
sono 
avviati 
o 
sottoposti 
ad 
attivita� 
di 
smaltimento 
o 
di 
recupero 
con 
le 
modalita� 
indicate 
dagli 
allegati 
IIA 
e 
II 
B 
della 
direttiva 
75/444/CEE. 
B)�quanto 
al 
quesito 
n. 
2: 
puo� 
legittimamente 
escludersi 
dalla 
nozione 


di 
rifiuto 
il 
bene 
o 
la 
sostanza 
residuali 
di 
produzione 
o 
di 
consumo 
ove 
gli 


stessi, 
in 
conformita� 
all'articolo 
14, 
comma 
2, 
della 
legge 
138/2002possono 
e 


siano 
effettivamente 
e 
oggettivamente 
riutilizzati 
nel 
medesimo 
o 
in 
analogo 
o 


diverso 
cicloproduttivo 
o 
diconsumo, 
senzasubirealcun 
interventopreventivo 


ditrattamentoesenzarecarepregiudizioall'ambiente(Iipotesi) 
oseglistessi 


possano 
essere 
e 
siano 
effettivamente 
e 
oggettivamente 
riutilizzati 
nel 
mede-

simo 
o 
in 
analogo 
o 
diverso 
ciclo 
produttivo 
o 
di 
consumo, 
dopo 
avere 
subito 


un 
trattamento 
preventivo 
senza 
che 
si 
renda 
necessaria 
alcuna 
operazionedi 


recupero 
tra 
quelle 
indicate 
nell'allegato 
II 
B 
della 
direttiva 
91/156/CEE. 


(f.toavv. 
MaurizioFiorilli).�. 


Causa�C-460/02�^Commissione�C.E.�c�Repubblica�italiana�^Ricorso�per�ina-
dempimento�^Accesso�ai�mercati�dei�servizi�di�assistenza�a�terra�negli�aero-
porti�della�Comunita�^Direttiva�96/67/CE�(ct.4981/03,�avv.�O.�Fiumara).�

MateriA 
deL 
contenderE 


La�Commissione�delle�comunita�europee�ha�adito�la�Corte,�ai�sensi�del-
l'art.�226�comma�2,�del�Trattato�CE,�al�fine�di�far�constatare�che�la�Repub-
blica�italiana��e� 
venuta 
meno 
agli 
obblighi 
derivanti 
dalla 
direttiva 
96/67/CE 


del 
Consiglio, 
del 
15 
ottobre 
1996, 
relativa 
all'accesso 
al 
mercato 
dei 
servizi 
di 


assistenza 
a 
terra 
negli 
aeroporti 
della 
Comunita�
nella 
misura 
in 
cui 
il 
decreto 


legislativo 
13 
gennaio 
1999, 
n. 
18: 
^non 
ha 
stabilito 
il 
periodo 
di 
durata 
massima 
di 
sette 
anni 
per 
la 
sele-

zionediprestatoridiservizidiassistenzaaterra,dicuiall'art. 
11,par. 
1,lett. 
d), 


della 
direttiva 
in 
questione; 



IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
107 


^haintrodotto,�colsuoart.�14,�unamisurasocialeconl'art.�18delladetta�

direttiva;�
^ha�previsto�nel�suo�art.�20�disposizioni�di�carattere�transitorio�non�con-

sentite�dalla�suddetta�direttiva.�

LA 
posizionE 
assuntA 
daL 
GovernO 
italianO 


Il 
Governo 
italiano 
nega 
gli 
addebiti 
osservando 
in 
particolare: 


�La�disciplina�instaurata�attraverso�l'emanazione�in�Italia�del�decreto�legi-

slativo�18/1999�ed�in�particolare�dell'articolo�14,�si�e�posta�proprio�nell'ottica�

della�consapevolezza�che�il�libero�accesso�al�mercato�puo�risultare�compatibile�

con�il�buonfunzionamento�degli�aeroporti�comunitari�(nono�considerando�della�

direttiva�96/67)�sempre�che�venga�realizzato�in�maniera�progressiva�ed�ade-

guata�alle�esigenze�del�settore�(decimo��considerando��della�direttiva�97/67).�
Le�misure�di�protezione�sociale�previste�dall'articolo�14,�non�ostacolanola�

liberalizzazione�del�settore�dell'assistenza�a�terra�e�appaiono�l'espressione�di�un�

potere�attribuito�allo�Stato�membro�dall'art.�18�della�direttiva.�
Va,�al�riguardo,�considerato�il�momento�storico�in�cui�e�entrata�in�vigore�la�

normativa�nazionale,�connotato�da�un�altissimo�tasso�di�disoccupazione,�con�

indotta�un'enorme�vischiosita�ad�attuare�tout 
court 
misure�di�liberalizzazione,�

pur�auspicabili�in�un�assetto�ottimale�della�gestione�aeroportuale.�
Tuttavia,proprionellaprospettivadipervenireadunagraduale,�masicurarea-

lizzazione�della�liberalizzazione�delmercato�dellavoro�sie�ritenuto�diadottare�una�

normativatesaarealizzare�ilgradualepassaggiodallavecchiaallanuovanorma-

tiva,�senza�interruzione�traumatica�di�situazioni�lavorative�consolidatesi�nel�tempo.�
Vi�era,�altres|�,�il�timore�di�perdere�un�patrimonio�di�professionalita�edi�

esperienzamaturatoneltempo,�connocumentopergliutenti,�ovesifossecon-

sentita,inforzadellemisureliberalizzatrici,�l'espulsionedalmercatodiopera-

tori�qualificati�e�l'ingresso�di�personale�inesperto�e�non�qualificato,�specie�nei�

settoripiu�delicati�quali�l'accesso�alla�rampa�e�il�centraggio�dei�bagagli.�
Ne�puo�trascurarsi�l'aspetto�della��sicurezza��che,�notoriamente,�e�priorita-

rio�ad�ogni�altro�elemento,�in�particolare�in�ambito�aeroportuale,�come�dimo-

strano�esperienze�anche�recenti�di�danni�o�di�pericolo�di�danni�conseguentiad�

una�non�accurata�selezione�delpersonale�destinato�all'attivita�aeroportuale.�
Taleaspettodellasicurezzanegliaeroporti,�ancorpiu�oggi,�rappresentaun�

forte�elemento�condizionante�alfine�dell'acquisizione�delpersonale�da�adibire�a�

settori�operativi�in�costante�contatto�con�ilpubblico�e�con�i�bagagli,�pur�nell'ot-

tica�di�un�razionale�processo�di�liberalizzazione�.�
�(omissis) 
^L'art.�18�della�direttiva�lascia�agli�Stati�membri�un�ampio�
potere�di��adottare 
le 
misure 
necessarie 
per 
garantire 
la 
tutela 
dei 
diritti 
dei 


lavoratori� 
anche�se�deve�essere��fatta�salva�l'applicazione�delle�disposizioni�

dellapresente�direttiva,�nelrispetto�dellealtredisposizionideldiritto�comunita-

rio�.�Orbene,�la�salvezza�delle�disposizioni�della�direttiva�stessa�e�il�rispetto�

delle�altre�norme�di�diritto�comunitario�(e�in�particolare�delle�norme�sul�mante-

nimento�del�diritto�dei�lavoratori�in�caso�di�trasferimento�di�azienda)�non�signi-

fica�certo�che�il�grado�di�tutela�accordabile�dagli�Stati�membri�debba�essere�

espresso�solo�nei�limiti�consentiti�dalla�armonizzazione�del�diritto�comunitario:�

se�cos|�fosse�l'art.�18�sarebbe�una�norma�del�tutto�inutile,�perche�non�lascerebbe�


RASSEGNAxAVVOCATURAxDELLOxSTATOx

allo|Stato|membro|alcun|margine|per|of
ffrire|una|garanzia|ai|lavoratori|che|gia�|

non|discenda|da|una|norma|comunitaria.|La|verita�|e�|che|la|norma|va|interpre-

tata|nel|senso|che|tale|garanzia,|che|non|puo�|non|essere|�aggiuntiva�,|non|deve|

tradursi|in|una|violazione|delle|norme|comunitarie|specificatamente|dettate|per|

ilsettorenelladirettivastessaopiu�|ingeneraleinaltrefontinormativecomuni.|

Epoiche�una|effettivagaranziaperilavoratorinonpuo�|chetradursiinunvin-

colo,|un|onere,|un|impegno|per|il|datore|di|lavoro,|e�|chiaro|che|l'ammissibilita�|

di|essa|va|valutata|attraverso|un|equo|contemperamento|degli|interessi|in|
giuoco.|

Cio�|precisato|in|premessa,|sui|singoli|rilievi|della|Commissione|si|puo�|
osservare|quanto|segue.|
a)xLa|nozione|di|trasferimento|di|azienda|richiamata|dalla|Commissione|
non|appare|esaustiva|della|giurisprudenza|della|Corte|in|materia.|

Non|puo�|invero|trascurarsi|quell'orientamento|secondo|cui,|alfine|di|deli-
nearelafattispeciedeltrasferimentodiazienda|(odiramo),fermarestandol'i-
dentita�|o|almeno|l'analogia|del|serviziofornito|dal|cessionario,|non|occorre|un|
trasferimentodielementimaterialiepatrimoniali,|rientrandonellospecchiopre-
cettivo|delle|direttive|sul|mantenimento|dei|diritti|dei|lavoratori|in|caso|di|trasfe-
rimento|d'azienda|anche|il|mero|subentro|in|una|attivita�|di|pulizia|(caratteriz-
zata|dalla|assoluta|marginalita�|dell'impiego|di|mezzi|materiali:|sentenza|
14|aprile|1994,|nella|causa|C-392/1992,|Schmidt,|in|Racc.,|I,|1311)|nonche�in|
un|contratto|di|franchising|(sentenzax7xmarzox1996xnellexcausexriunitexC-171x
ex172/1994,xMerckx,|in|Racc.,|I,|1253).|Non|appare,|quindi,|sempre|e|in|ogni|
caso|necessario|ancorare|rigorosamente,|ai|fini|in|questione,|il|concettodi|
azienda|o|di|ramo|alla|presenza|di|una|consistente|oggettivita�|strumentale|e|
patrimoniale,|ritenendosisufficiente^ancheinsintoniaconaggiornateprospet-
tive|dismaterializzazione|della|nozione|di|azienda|^l'organizzazione|di|una|atti-
vita�|idonea|ad|assumere|uno|specifico|rilievo|economico.|Anche|le|sentenze|
citate|dalla|Commissione|(18|marzo|1986|nella|causa|C-24/1985,|Spijkers;|
l|�|marzo|1997|nella|causa|13/1995,|Suzen;|10|dicembre|1998|nelle|cause|riunite|
C-17/1996|e|C-247/1996|SanchezxHidalgo)|sembrano|improntate|a|criteri|di|
relativismoempirico,ovelapeculiarita�|delsettoreinteressatoedellaorganizza-
zione|aziendale|svolge|un|ruolo|rilevante|nell'accentuare|o|meno|la|necessita�|di|

presupposti|strutturali|e|materiali|dell'entita�|aziendale|ceduta.|

Iltrasferimentodi�attivita��aeroportualipotrebbedunquegia�|rientrarein|
questa|piu�|latafattispecie|di|�trasferimento|di|azienda�|e|il|ricorso|della|Com-

missione|potrebbe|esaurirsi|gia�|a|questo|punto.|

b)xAnchexpero�volendosixcollocarexnellaxprospettivaxdefinitoriaxprivileg
iataxdallaxCommissione,xche|valorizza|elementi|ulteriori|rispetto|alla|trasla-

zione|della|mera|�attivita�|�,|e�|possibile,|nella|specie,pervenire|a|soluzioni|diverse|
da|quelle|della|stessa|Commissione.|

E�noto,|infatti,|che|il|prestatore|di|servizi|aeroportuali,|che|subentra|nella|
gestione|di|alcune|attivita�|,|normalmente|stipula|contratti|o|convenzioni,|di|varia|

natura|giuridica,|volti|a|garantirgli|la|proprieta�|o|comunque|la|disponibilita�|di|

una|serie|di|mezzi|e|strutture,|quali|carrelli|trasportatori,|mezzi|di|sollevamento|

abordo|dicarichidistiva,|mezziaddettiallospostamento|degliaereisullepiste,|

accompagnati|dal|relativo|know-howxtecnico|e|organizzativo,|nonche�dalla|


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�109 


manodoperaaddetta.�Ecio�senzacontarel'acquisizionedapartedelprestatore�

dei�servizi�della�disponibilita�delle�c.d.�infrastrutture�centralizzate,�quali�i�nastri�

di�smistamento�bagagli,�i�registratori�di�imbarco,�i�pontili�di�attracco�ecc..�Il�

tutto,�in�un�insieme�unitario�che�certo�delinea�una�autonoma�attivita�di�impresa.�

Inoltre�certamente�ricorrono�nella�specie�queipresupposti�(enucleati�dalla�Com-

missione�dalle�sentenze�Spijkers�e�Suzen)��di�trasferimento�della�clientela��
ovvero�dei�fruitori�dei�servizi,�nonche�di��analogia�delle�attivita�esercitate�
prima�e�dopo�la�cessione�,�senza�alcuna�sospensione�della�attivita�.�

E�pur�vero�che�l'art.�14�del�decreto�legislativo�n.�18/1999�allude�specifica-
tamente�al��trasferimento�di�attivita�concernente�una�o�piu�categorie�di�ser-
vizi�di�assistenza�a�terra�,ma�e�altrettanto�evidente�che�nella�prassi�tale�tra-

sferimento�si�accompagna�inevitabilmente�alpassaggio�di�un�certo�numero�di�

beniestrutturenecessarieallosvolgimento�della�attivita�dapartedelsoggetto�

subentrante.�
Standocos|�lecose,�lafattispeciequiesaminataconfiguraapienotitoloun�

trasferimento�di�ramo�aziendale,o�quantomeno�una�successione�tra�aziende�

sostanzialmente�assimilabile�ad�un�trasferimento,�la�cui�sottrazione�alle�garanzie�

in�tema�di�continuita�del�rapporto�di�lavoro�alle�dipendenze�del�nuovo�gestore�

del�servizio�configurerebbe�una�ingiustificata�discriminazione�proprio�a�danno�

dei�dipendenti�delle�societa�che�gestiscono�servizi�aeroportuali�rispetto�a�tutti�

gli�altri�dipendenti�di�settori�diversi.�A�pieno�titolo,�quindi,�la�normativa�nazio-

nale�si�e�data�carico�di�garantire�la�tutela�di�lavoratori�in�un�ragionevole�dosag-

gio�degli�opposti�interessi,�nello�spirito�dell'art.�18�della�direttiva.�
c)�Enellostessospiritovaconsideratocheladirettivan.�96/67/CEmiraa�

favorire�la�progressiva�liberalizzazione�delle�prestazioni�dei�servizi�di�assistenza�

a�terra�degli�aeroporti,�ma�non�trascura�le�conseguenze�sociali�dell'intervento�

comunitario.�
Sotto�ilprimoprofiloleprestazionideiservizia�terraappaiono�indispensa-

biliper�(efunzionalial)�buonfunzionamentodeltrasportoaereoeall'utilizza-

zione�efficiente�delle�infrastrutture�di�questo�tipo�di�trasporto�(�considerando�

4�):�l'obiettivoprimarioe�difavorireunaeffettivariduzionedeicostidigestione�

delle�compagnie�aeree�e�il�miglioramento�della�qualita�dei�servizi�offerti�all'u-

tenza�(�considerando�5�)�e�lo�strumento�normativo�prescelto�consente�di�coniu-

gare�le�istanze�di�armonizzazione�della�disciplina�del�settore,�con�le�esigenze�di�

specificazione�regolativa�avvertite�dai�singoli�Stati�membri,�in�una�prospettiva�

di�valorizzazione�del�principio�di�sussidiarieta�(�considerando�6�).�Sotto�il�

secondoprofilo,�sin�dalpreambolo�della�direttivasi�coglie�la�volonta�delConsi-

glio�di�monitorare�tali�effetti.�In�sintonia�con�tale�impegno,�nel�`considerando�8,�

sirichiama�larisoluzionedelParlamentoeuropeosull'aviazionecivile�inEuropa�

(14febbraio�1995),�ove�si�sollecitano�le�istituzioni�comunitarie�a�tenere�conto�

�dell'impatto�dell'accesso�al�mercato�dei�servizi�di�assistenza�sulle�condizioni�di�

lavoro�e�di�sicurezza�negli�aeroporti�della�Comunita��,�mentre,�nel�considerando�

24,�si�dispone,�in�modo�chiaro�e�diretto�che��gli�Stati�membri�devono�conservare�

ilpoteredigarantire�un�adeguato�livello�diprotezionesociale�alpersonaledelle�

imprese�cheforniscono�servizi�di�assistenza�a�terra�.�
Proprio�in�relazione�a�tali�impegni�programmatici,�l'art.�18�nella�direttiva�

haprevisto,�comeabbiamorilevatoinpremessa,�che,��fattasalval'applicazione�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


delle�disposizioni�dellapresente�direttiva�e�nelrispetto�delle�altre�disposizioni�del�
diritto�comunitario�,�gli�Stati�membri�possono�adottare�le�misure�necessarie�
per�garantire�la�tutela�dei�diritti�dei�lavoratori.�

Pare�dunque�evidente�che�le�disposizioni�nazionali�attuative�della�direttiva�
debbano�necessariamente�realizzare�un�compromesso�tra�le�due�istanze�fonda-
mentali,�salvaguardando�prioritariamente�gli�obiettivi�di�liberalizzazione�dello�
specifico�mercato�dei�servizi�aeroportuali,�ma�non�fino�al�punto�da�ignorare�o�
schiacciare�le�istanze�garantistiche�dei�lavoratori�ad�essi�addetti.�

La�Commissione,�viceversa,�nel�nome�di�una�rigida�gerarchia�degli�interessi�
perseguiti�dalla�direttiva,�sembra�proporre�un�azzeramento�delle�preoccupazioni�
�sociali��riguardanti�le�sorti�dei�numerosissimi�lavoratori�addetti�ai�servizi�aero-
portuali�da�liberalizzare,�mentre�non�e�affatto�chiara�la�ragione�per�la�quale�le�
cosiddette��clausole�di�salvaguardia��contenute�nelle�direttive�debbano�essere�

interpretate�nel�senso�della�preminenza�assoluta�delle�istanze�liberalistiche�su�
quellediprotezionesociale,�trattandosidel�confrontofraiprincipifondamen-

tali�dell'Unione�europea,�ambedue�ugualmente�meritevoli�di�tutela.�

d) 
Va�infine�contestato�l'assunto�della�Commissione�secondo�cui�la�traspo-
sizione�nella�legislazione�italiana�della�direttiva�sarebbe�idonea�a�distorcere�la�
concorrenzasulmercato�deiserviziaeroportualiinfavoredelleimpresegia�inse-

diate�e�a�danno�dei�concorrentipotenziali.�Invero:�

ilprincipio�della�liberta�di�concorrenza�implica�che�gli�operatori�(nazio-
nali�e�comunitari)�godono�di�una�effettiva�eguaglianza�di�opportunita�nell'am-
bito�delle�condizioni�anche�limitative,�previste�dalla�normativa�sociale;�cio�non�
puo�costituire,percontro,�ilpretestoperliberareimedesimidaivincoliinmate-
ria�di�legislazione�sociale�e�del�lavoro�relativi�a�quel�settore�di�attivita�.Come�
osservato�nella�sentenza�della�Corte�di�giustizia�27�gennaio�2001,�nella�causa�
C-172/1999,�Oy 
Liikenne 
Ab,�le�normative�comunitarie�tese�alla�apertura�dei�
mercati�dei�servizi�non�liberano�affatto�i�soggetti�che�si�aggiudicano�i�relativi�
appalti�dalle�normative�di�tutela�e�dai�vincoli�di�natura�sociale:�esse�sonosolo�
dirette�adottenere�che�glioperatorifruiscano�dell'uguaglianza�delle�opportunita�,�
in�particolare�per�attuare�i�loro�diritti�alla�liberta�di�stabilimento�ed�alla�libera�
prestazione�dei�servizi.�Del�resto,�a�voler�aderire�alle�conclusioni�della�Commis-
sione,�sifinirebbeperlegittimareunapotenzialita�concorrenziale�infavoredei�
nuovi�concorrenti,�giocata�sul�dumping 
sociale�e�sulla�possibilita�per�questi�
ultimi�di�ridurre�gli�organici�e�il�costo�del�lavoro.�

Il�costo�derivante�dalla�operativita�delle�cosiddette��clausole�sociali�,�lungi�
dal�ritenersi�lesivo�della�libera�concorrenza,�va�invece�considerato�nel�contesto�
globale�dell'operazione�economica,�costituendo�uno�dei�parametri�o�delle�varia-
bili�che,�nel�libero�gioco�della�competizione,�inducono�l'impresa�ad�effettuare�
talunevalutazionipiuttostochealtre.�Detto�inaltritermini,�glioneripostialle�
imprese�a�tutela�del�lavoro�dipendente�non�possono�essere�considerati�^entro�
limiti�ragionevoli�^lesivi�dei�principi�della�concorrenza�tra�imprese,�in�quanto�

costituiscono�dati�neutri�riferiti�al�mercato�e�alle�precondizioni.�Pertanto�la�
clausola�sociale�contenuta�nell'art.�14�co.�2,�del�d.�lgs.�n.�18/1999�non�puo�confi-
gurarsi�come�misura�restrittiva�della�prestazione�dei�servizi,�costituendo�questa,�
per�contro,�una�legittima�misura�diprotezione�sociale,�contestualmente�definito-


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�111 


ria�di�vincoli�per�i�soggetti�subentranti�riconoscibili�a�priori�e�non�implicanti�

alcuna�condizione�di�disuguaglianza�delle�opportunita�ai�fini�dell'attuazione�
della�richiamata�liberta�(oltre�che�della�liberta�di�stabilimento).�

Seppure�si�volesse�dar�credito�all'opinione�che�segnala�lo�svantaggio�dei�
nuovi�concorrenti,�consistente�nell'impossibilita�al�momento�del�subingresso�di�

scegliere�il�proprio�personale�e�le�dimensioni�dell'organico,�non�si�potrebbe�

dimenticare�che�il�soggetto�subentrante�potrebbe�pur�sempre�ricorrere�a�proce-

dure�di�esodo�collettivo�o�individuale,�imposto�o�concordato,�onde�adeguare�l'or-

ganico�alle�proprie�esigenze�organizzative�e�ai�costi�concorrenziali.�(omissis)�

(f.toavv.�OscarFiumara)�.�

Causa 
C-467/02 
(domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale) 
^Associazione 
CEE 
^
Turchia 
^Familiare 
di 
lavoratore 
^Espulsione 
^Diritto 
di 
soggiorno 
^

Art.�7,�primo�comma�e�art.�14�ARB�1/80�^Ordinanza�del��Verwaltung-
sgericht��(Germania)�emessa�il�19�dicembre�2002,�notificata�il�4�marzo�
2003�(cons.�5679/03,�avv.�A.�Cingolo).�

IL 
fattO 


Il�signor�Cetinkaya,�nato�il�24�gennaio�1979,�e�cittadino�turco�ma�e�cre-
sciuto�in�territorio�federale�insieme�alla�sua�famiglia.�

Dal�1995�il�Cetinkaya�e�in�possesso�di�permesso�di�soggiorno�a�tempo�
indeterminato.�A�partire�dal�1996�lo�stesso�risulta�destinatario�di�una�serie�
di�condanne�per�delitti�di�minore,�cos|�integrando�le�condizioni�richieste�dalla�
�legge�sugli�stranieri��tedesca�per�l'espulsione�(che�di�fatto�viene�comminata�
il�3�novembre�2000).�Il�7�gennaio�2000�viene�arrestato�e�inizia�a�scontare�la�
pena�nella�casa�di�detenzione�per�minorenni�fino�a�che,�il�22�gennaio�2001,�
viene�rilasciato�per�seguire�una�terapia�per�tossicodipendenti.�Dopo�averla�
interrotta�per�due�volte�di�seguito,�la�terapia�viene�portata�a�termine�con�suc-
cesso�tanto�che�il�tribunale�decide�di�disporre�la�sospensione�condizionale�
della�pena�residua.�A�partire�da�quella�data�il�sig.�Cetinkaya�segue�a�Berlino�
dei�corsi�di�recupero�per�conseguire�un�diploma�di�scuola�media�superiore.�
L'interessato�ha�proposto�ricorso�avverso�l'espulsione�invocando�la�decisione�
1/80�del�Consiglio�di�Associazione�CEE/Turchia,�i�principi�affermati�nella�
Convenzione�europea�di�salvaguardia�dei�diritti�dell'uomo�e�delle�liberta�fon-
damentali�e,�non�ultimo,�i�principi�affermati�in�materia�dalla�giurisprudenza�
della�Corte�Europea�dei�diritti�dell'uomo.�

IquesitI 


1.�^Se�rientri�nel�campo�di�applicazione�dell'art.�7,�primo�comma,�della�
decisione�1/80�del�Consiglio�di�associazione�CEE-Turchia�(ARB),�la�condi-
zione�di�una�persona�che�sia�figlio�di�lavoratore�turco,�qualora�il�suo�sog-
giorno�sino�al�compimento�della�maggiore�eta�sia�stato�autorizzato�solo�per�
motivi�di�conservazione�dell'unita�familiare.�
2.�^Se�il�diritto�dei�familiari�all'accesso�al�mercato�del�lavoro,�nonche�
alla�concessione�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�ai�sensi�dell'art.�7,�
primo�comma�(secondo�trattino),�possa�essere�limitato�solo�per�motivi�ine-
renti�all'ordine�pubblico,�alla�pubblica�sicurezza�e�alla�salute,�in�conformita�
dell'art.�14�della�decisione�richiamata.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

3.�^Se�la�condanna�ad�una�pena�detentiva�di�tre�anni�per�delitto�di�
minore�conduca�all'uscita�definitiva�dal�mercato�del�lavoro�e�quindi�alla�per-
dita�dei�diritti�ex 
art.�7,�primo�comma�(secondo�trattino)�anche�quando�sussi-
stano�concrete�possibilita�che�venga�del�tutto�scontata�solo�una�parte�della�
pena,�ma�quando�peraltro�si�deve�seguire�in�una�prima�fase,�in�concomitanza�
con�la�scarcerazione�provvisoria,�una�terapia�contro�la�droga�ed�in�questo�
frattempo�l'interessato�non�sia�disponibile�per�il�mercato�del�lavoro.�
4.�^Se�la�perdita�di�lavoro�provocata�da�una�pena�privativa�della�liberta�
e�l'impossibilita�di�fare�domanda�per�un�impiego�conduca�eo 
ipso 
ad�una�
�volontaria�disoccupazione��ai�sensi�dell'art.�6�n.�2�della�decisione,�che�non�
impedisce�la�perdita�dei�diritti�ex 
art.�6�n.�1�e�art.�7�primo�comma.�
5.�^Se�cio�valga�anche�qualora�sia�prevedibile�un�rilascio�in�tempi�brevi,�
sia�pure�concomitante�con�una�terapia�contro�la�droga,�e�qualora�una�succes-
siva�attivita�lavorativa�sia�subordinata�al�conseguimento�di�una�qualifica-
zione�molto�elevata.�
6.�^Se,�infine,�il�precipitato�art.�14�ARB�1/1980�vada�interpretato�nel�
senso�che�debba�essere�presa�in�considerazione�nel�corso�del�procedimento�
giudiziario�una�sopravvenuta�modifica�favorevole�all'interessato�da�parte�
delle�competenti�autorita�.�
Causa 
C-472-02 
(domanda 
pregiudiziale) 
^Rifiuti 
^Classificazione 
^Spedi


zioni 
intracomunitarie 
^Documenti 
di 
accompagnamento 
^Regolamento�

(CEE)�259/1993�^Ordinanza�della�Cour�d'appel�di�Bruxelles�(Belgio)�^

Iscritta�il�31�dicembre�2002�(cons.�3312/03,�avv.�M.�Fiorilli).�

IL 
fattO 


La�societa�Siomab�e�titolare�di�un�impianto�di�incenerimento�in�Bruxel-
les,�che�tratta�i�rifiuti�domestici�e�i�prodotti�equiparati.�Questa�attivita�com-
porta�la�produzione�di�residui,�principalmente�di�rosticci�e�di�sali.�Nel�2001�
ha�stipulato�un�contratto�con�una�societa�tedesca�per�il�sotterramento�dei�sali�
nelle�gallerie�delle�miniere�di�sale�del�Teutschenthal,�in�Germania.�Per�effet-
tuare�il�trasferimento�del�materiale�in�Germania�la�Siomab�ha�presentato�un�
fascicolo�di�notifica�allo�Institut�Bruxellois�Pour�La�Gestione�De�L'Environ-
nement�(in�prosieguo:�IBGE)�classificando�la�finalita�della�progettata�spedi-
zione�come��recupero�R�5�,�che�corrisponde�al�riciclo/recupero�di�sostanze�
inorganiche.�L'autorita�belga�ha�riqualificato�la�finalita�della�progettata�spe-
dizione�come��smaltimento�di�rifiuti�,�vale�a�dire�classificandola�come�
D�12,�che�corrisponde�al��deposito�permanente�(ad�esempio,�sistemazione�di�
contenitori�in�una�miniera)�,�conseguentemente�ha�rettificato�la�dichiara-
zione�della�Siomab.�L'autorita�di�destinazione�non�ha�dato�il�proprio�assenso�
alla�spedizione�in�quanto��La�casella�9�del�documento�di�notifica�contiene�il�
codice�D�12�(deposito�permanente,�ad�esempio�sistemazione�di�contenitori�
in�una�miniera)�a�seguito�di�modificazione�della�iscrizione�iniziale.�In�tal�
caso,�si�tratta�di�un�procedimento�di�smaltimento�di�rifiuti.�Vi�si�oppone�il�
fatto�che,�secondo�le�autorizzazioni�di�diritto�minerario�in�vigore,�nella�
miniera�Teutschenthal�e�consentito�unicamente�il�recupero�di�rifiuti�e�non�


IL�CONTENZIOSO�COMUNITARIO�ED�INTERNAZIONALE�^I�giudizi�in�corso�alla�Corte�di�Giustizia�CEE�113 


gia�il�loro�smaltimento�(decisione�8�gennaio�2002)�.�L'IBGE�ha�restituito�la�
notifica�alla�Siomab�precisando�che�la�medesima�poteva�presentare�una�
nuova�notifica�classificando�lo�scopo�della�spedizione�con�il�codice�di�tratta-
mento�D�12��oppure�proporre�adeguato�ricorso�contro�la�nostra�decisione�.�

Tanto�ha�dato�causa�a�due�iniziative�giudiziarie,�l'una�per�contestare�la�
legittimita�della�decisione,�l'altra�per�la�condanna�della�IBGE�a�trasmettere�
all'autorita�competente�di�destinazione�in�Germania�la�notifica�senza�modifi-
care�la�qualificazione�della�finalita�della�spedizione,�e�cioe��recupero�R�5,�
riciclaggio/recupero�di�sostanze�inorganiche�.�

IquesitI 


In�relazione�alle�rispettive�prospettazioni�difensive,�tutte�basate�sulla�
interpretazione�del�regolamento�(CEE)�n.�259/1993,�l'una�che�in�materia�
di�spedizione�dei�rifiuti�per�il�riciclo�non�sarebbe�possibile�all'autorita�di�
spedizione�di�non�trasmettere�la�notifica�alla�autorita�competente�di�ricevi-
mento,�e�l'altra�che�la�autorita�di�spedizione�ha�il�potere�e�il�dovere�di�veri-
ficare�la�classificazione�del�progetto�di�spedizione�e�non�e�quindi�tenuta�
alla�notifica�in�caso�di�frode�al�regolamento,�la�Cour�d'Appel�di�Bruxelles�
sezione�IX�con�sentenza�20�dicembre�2002�sottopone�a�codesta�Corte�i�
seguenti�quesiti:�

�Nel�caso�in�cui�uno�Stato�membro�ricorra�al�sistema�di�notifica�del�
documento�di�accompagnamento�da�parte�della�autorita�competente�di�spe-
dizione�ai�sensi�dell'art.�3�n.�8�e�dell'art.�6�n.�8�del�regolamento�(CEE)�1.�feb-
braio�1998,�n.�259,�relativo�alla�sorveglianza�e�al�controllo�delle�spedizioni�
di�rifiuti�all'interno�della�Comunita�europea,�nonche�in�entrata�e�in�uscita�
dal�suo�territorio,�se�gli�articoli�3�n.�8,�4�n.�3,�6�n.�8,�7�n.�4�e�26�del�regola-
mento�debbano�essere�interpretati�nel�senso�che:�

A) 
l'autorita�competente�di�spedizione�ai�sensi�di�tale�regolamento,�legit-
timata�a�verificare�se�un�progetto�di�spedizione�classificato�nella�notifica�
come��spedizione�rifiuti�a�fini�di�recupero��corrisponda�effettivamente�a�tale�
classificazione,�puo�,�qualora�la�ritenga�errata:�

1.�rifiutare�la�trasmissione�del�documento�che�accompagna�lo�svolgi-
mento�della�pratica�a�causa�di�tale�classificazione�errata�invitando�il�notifica-
tore�a�trasmetterle�un�nuovo�documento�di�accompagnamento;�
2.�procedere�alla�trasmissione�del�documento�di�accompagnamento�
previa�riclassificazione�del�progetto�di�spedizione�come��trasferimentodi�
rifiuti�a�fini�di�smaltimento�;�
3.�procedere�alla�trasmissione�del�documento�di�accompagnamento�
contenente�la�classificazione�errata�accompagnando�immediatamente�tale�
trasmissione�con�una�obiezione�basata�su�tale�errore�di�classificazione;�
B) 
o,�al�contrario,�nel�senso�che�l'autorita�competente�di�spedizione�e�
tenuta�ad�inviare�la�notifica�cos|�classificata�dal�notificatore�alla�autorita�
competente�di�destinazione�pur�conservando�la�facolta�,�qualora�essa�ritenga�
che�la�finalita�della�spedizione�sia�erroneamente�classificata,�di�sollevare�
peraltro�simultaneamente�o�a�posteriori�una�obiezione�motivata�da�tale�
errore�di�classificazione�.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


NotA 


Il 
Governo 
italiano 
ha 
presentato 
le 
seguenti 
osservazioni. 


�1.^3.(omissis).�4.�^L'obiettivofondamentaledellapoliticacomunitaria�
in�materia�di�rifiuti�e��la�drastica�riduzione�dei�rifiuti�destinati�allo�smaltimento�

(l'art.�1,�lettera�e) 
della�direttiva�75/442/CEE�modificata�dalla�direttiva�

91/156/CEE-definisce�lo��smaltimento��come���tutte�le�operazionipreviste�nel-

l'All:�II�A�)�in�discarica�attraverso�una�loro�riduzione�allafonte�e�il��recupero��

dei�medesimi��mediante�riciclo,�reimpiego,�riutilizzo�e�ogni�altra�azione�intesa�

a�ottenere�materie�prime�secondarie�o�l'uso�di�rifiuti�come�fonti�di�energia��

(art.�3�della�direttiva�75/442/CEE).�

5.�^Per�conseguire�un�tale�scopo�e��indispensabile�una�gestione�integrata�
dei�rifiuti,�che�non�puo��prescindere�dalla�loro�raccolta�differenziata.�

6.�^Il�sistema�di�gestione�integrata�dei�rifiuti�comporta�la�adozione�di�
differenti�modalita��di�trattamento�al�fine�di�garantire�che�la�gestione�dei�

rifiuti�sia�ambientalmente�ed�economicamente�sostenibile.�Significa,�dunque,�

che�la�gestione�dei�rifiuti�deve�ridurre�al�minimo�l'impatto�ambientale�e�com-

portare�un�costo�globale�accettabile�per�gli�operatori�economici,�i�consuma-

tori�e�le�istituzioni.�In�definitiva,�si�puo��dire�che�gli�unici�rifiuti�destinati�alla�

discarica�dovranno�essere�quelli�non�utilizzabili�ne�come�materiali,�ne�come�

fonte�energetica.�

7.�^Il�regolamento�259/1993/CE�disciplina�la�sorveglianza�e�il�controllo�
delle�spedizioni�di�rifiuti�all'interno�della�Comunita��europea,�nonche�in�entrata�

e�uscita�dal�suo�territorio.�Il�titolo�II�del�regolamento,�intitolato��Spedizione�di�

rifiuti�all'interno�della�Comunita����si�articola�in�due�capitoli�distinti�che�trattano,�

ilprimo,�dellaproceduraapplicabileallespedizionidirifiutidestinatiadessere�

smaltiti�(capitolo�A,�artt.�3�^5)�e,�il�secondo,�della�procedura�applicabile�alle�

spedizioni�di�rifiuti�destinati�ad�essere�recuperati�(capitolo�B,�articoli�6�^11).�

La�procedura�prevista�per�questa�seconda�categoria�di�rifiuti�e��meno�onerosa�

rispetto�a�quella�applicabileallaprima�categoria.�

8.�^La�disciplina�dettata�per�il�trasporto�dei�rifiuti�da�uno�Stato�membro�
all'altroe/oafarlitransitareattraversounoopiu��Statimembrie��improntata�

almantenimentodeilivellidiresponsabilita��edigaranziaperilperseguimento�

degli�scopi�della�politica�ambientale�come�concretizzati�nella�direttiva�

75/442/CEE.�La�direttiva�impone�l'attuazione�di�un�regime�di�controllo�e�disor-

veglianza�dell'attivita��degli�agenti�economici�che�intervengono�nel�ciclo�dei�

rifiuti.�

9.�^Dal�momento�che�la�disciplina�applicabile�alle�operazioni�di�smalti-
mento�e�alle�operazioni�di�recupero�dei�rifiuti�sono�diverse,�la�qualificazione�

data�alla�operazione�e��rilevante.�L'art.�30�n.�1�dispone:��Gli�Stati�membri�adot-

tano�le�disposizioni�necessarie�per�assicurare�che�la�spedizione�di�rifiuti�abbia�

luogo�in�conformita��del�presente�regolamento.�Tali�disposizioni�possono�preve-

dere�ispezioni�degli�stabilimenti�e�delle�imprese�in�conformita��dell'art.�13�della�

direttiva�74/442/CEEe�controllipercampionedellespedizioni��

10.�^Per�la�spedizione,�e�quindi�per�l'eventuale�attraversamento�del�terri-
torio�di�altro�Stato�membro,�il�produttore�o�il�detentore�di�rifiuti�(�notifica-

tore�)�invia�una�notifica�all'autorita��competente�di�destinazione�trasmettendone�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
115 


copia|alle|autorita�|competenti|di|spedizione|e|di|transito|nonche�al|destinatario|
(art.|6|n.|1).|La|notifica|puo�|essere|inoltrata,|se|cos|�|dispone|la|legislazione|
nazionale,|dalla|autorita�|di|spedizione|a|quella|di|destinazione.|La|notifica|si|
effettua|mediante|il|documento|di|accompagnamento|rilasciato|dalla|autorita�|
dispedizione|(art.|6n.|3)L'art.|6n.|5precisaqualiinformazionidevonoessere|
fornite|dal|notificatore|sul|documento|di|accompagnamento,|concernenti|in|par-
ticolare|le|operazioni|relative|al|recupero|menzionate|nell'allegato|II|B 
della|
direttiva.|Il|notificatore|deve|stipulare|con|il|destinatario|un|contratto|per|il|
recuperodeirifiutiedunacopiadelcontrattodeveesserefornita,|arichiesta,|
all'autorita�|competente|(art.|6|n.|6).|All'art.|7|n.|2|si|stabiliscono|il|termine,|le|
condizioni|e|le|modalita�|che|devono|rispettare|le|autorita�|competenti|di|destina-
zione,|dispedizioneeditransitoperformulareobiezionisulprogettonotificato|
di|spedizione|di|rifiuti|destinati|ad|essere|recuperati.|

11.|^Tali|obiezioni,|sinteticamente,|sono|tutte|relative|a|garantire|la|sicu-
rezzadeltrasportosottoilprofilodellaprotezionedell'ambiente,|dell'ordinepub-
blico,|della|sicurezza|pubblica|o|della|tutela|della|salute|pubblica,|l'ef
ffettivo|
recupero|del|rifiuto|e|la|sua|economicita�|e|compatibilita�|ambientale.|
12.|Il|procedimento|applicabile|ai|rifiuti|destinati|allo|smaltimento|si|
distingue|da|quello|relativo|ai|rifiuti|destinati|al|recupero.|L'art.|3.8|dispone|
chel'autorita�|dispedizionecheharicevutolanotificaperl'inoltroallaautorita�|
di|spedizione|ai|fini|del|preventivo|assenso|puo�|decidere|di|non|procedere|ad|
alcuna|notifica|qualora|intenda|essa|stessa|sollevare|obiezioni|immediate|al|tra-
sferimento|dei|rifiuti|destinati|allo|smaltimento.|Altra|particolarita�|e�|che|la|spe-
dizionepuo�|essereeffettuatasolodopocheilnotificatoreharicevutolaautoriz-
zazione|rilasciata|dalla|autorita�|competente|di|destinazione|(art.|5|n.|1).|Tale|
autorizzazione|viene|rilasciata|solo|qualora|non|siano|state|sollevate|obiezioni|
ne�da|parte|dell'autorita�|competente|di|destinazione|ne�da|parte|delle|altre|auto-
rita�|competenti|(art.|4|n.|2).|
Sulle|questioni|pregiudiziali.|

13.|^Lequestionipostedalgiudicebelgasonodisostanzaenondiforma,|
pure|rilevanteper|una|corretta|applicazione|della|normativa|comunitaria|adeffi-
cacia|diretta.|
14.|^La|spedizione|afini|di|smaltimento|o|di|recupero|costituisce|eserci-
zio|del|diritto|alla|libera|iniziativa|economica|e,|quindi,|la|spedizione|va|valutata|
alla|luce|delprincipio|della|libera|circolazione|delle|merci.|
15.|^Si|tratta|di|decidere|quale|sia|la|responsabilita�|degli|Stati|membri|in|
relazione|alla|sorveglianza|e|al|controllo|sui|rifiuti|che|sono|spediti|all'interno|
della|Comunita�|in|relazione|alla|corretta|gestione|dei|rifiuti|medesimi.|
16.|^Unico|ostacolo|legittimo|alla|spedizione|e�|quello|dell'accertamento|
che|la|medesima|comporti|la|violazione|dei|principi|di|precauzione|e|
prevenzione.|
17.|^Controllo|e|sorveglianza|sono|attribuiti|in|funzione|della|salvaguar-
diadell'ambiente,|dell'ordinepubblico,|dellasicurezzapubblica,|dellasalutepub-
blica|o|della|gestione|ottimale|del|rifiuto.|

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


18.�^SideveritenerechetalipoterisianoattribuitialsingoloStatomem-
bro�unicamente�in�relazione�allapresenza�nel�territorio�nazionale�del�rifiuto�spe-

cifico.�

19.�^Inaltritermini,ilpoteredelsingoloStatomembrosiestendefinoal�
limite�in�cui�la�gestione�del�singolo�rifiuto�leda�interessi�localizzati�nel�territorio�

di�competenza.�

20.�^Il�rilievo�che�dal�sistema�istituito�dal�regolamento�discende�^che�
tutte�le�autorita�competenti�destinatarie�della�detta�notifica�devono�verificare�

se�la�classificazione�adottata�dal�notificatore�sia�conforme�alle�disposizioni�del�

regolamento�stesso�ed�opporsi�alla�spedizione�nel�caso�in�cui�tale�classificazione�

sia�errata�(punto�40�della�sentenza�27febbraio�2002�in�C-6/00)�^deve�essere�

correttamente�inteso�come�potere�inerente�limitata�verifica�della�spedizione�in�

relazione�alproprio�ambito�territoriale�di�responsabilita�ambientale.�

21.�^La�obiezione�alla�spedizione�ha�l'effetto�di�impedire�il�trasferimento,�
ma�unicamente�al�territorio�in�cui�si�accerti�la�sussistenza�delle�circostanze�spe-

cificate�nell'art.�7�del�regolamento�per�quanto�concerne�il�rifiuto�da�recuperare�

e�nell'art.�4�n.�3�del�regolamento�per�lo�smaltimento.�

22.�^Conseguentemente�questi�avra�il�potere�di�negare�la�spedizione,�il�
transito,�lo�smaltimento�o�il�recupero�unicamente�se�spedizione,�transito,�smalti-

mento�o�recupero�avvengono�nel�territorio�di�competenza�e�tali�operazioni�pos-

sano�ledere�o�mettere�in�pericolo�interessi�ambientali,�sanitari,�di�sicurezza�o�di�

trasparenza�della�gestione�ivi�localizzati.�Fuori�di�tale�limite�territoriale�scatta�

il�dovere�di�informazione�nei�confronti�degli�altri�Stati,�affinche�siano�messi�in�

condizione�di�verificare�a�loro�volta�l'impatto�sul�territorio�di�competenza�della�

gestione�del�singolo�rifiuto.�

23.�^Il�diniego�apposto�alla�spedizione,�al�transito,�all'ingresso�hanno�una�
diversa�intensita�inibitoria,�che�e�collegata�alla�incidenza�della�operazione�sul�

territorio�di�spedizione,�di�transito�o�di�destinazionefinale.�

24.�^In�ultima�analisi,�la�responsabilita�della�corretta�gestione�finale�del�
singolo�rifiuto�oggetto�della�spedizione,�sotto�ogniprofilo�indicato�dalla�direttiva�

n.�75/444/CEE,�come�modificata�dalla�direttiva�del�Consiglio�18�marzo�1991,�
91/156/CEE�e�dalla�decisione�della�Commissione�24�maggio�1996,�96/350/CE,�

spetta�allo�Stato�di�destinazione.�E�lo�Stato�di�destinazione�finale,�quindi,�che�

deve�verificare�la�correttezza�della�spedizione�e�la�legittimita�,�in�relazione�alle�

qualita�intrinsechedelsingolorifiutoprovenientedaaltroStato,�delsuosmalti-

mento�o�recupero,�e�conseguentemente�negare�o�permettere�il�trasferimento.�

25.�Le�disposizioni�circa�il�contenuto�del�documento�di�accompagnamento�
egliobblighidiinformazionecontenutenegliarticoli3�(spedizioneperlosmal-

timento)�e�8�(spedizione�per�il�recupero)�del�regolamento�confermano�le�dedu-

zioni�svolte.�Merita�altres|�richiamare�l'attenzione�sul�contenuto�obbligatorio�

delcontrattotranotificatoreedestinatario�(articoli3n.�6,�e8n.�6)�e,�inparti-

colare,�sull'obbligo�del�notificatore�di�riprendere�i�rifiuti�qualora�la�spedizione�

non�sia�stata�effettuata�come�previsto�o�sia�stata�effettuata�in�violazionedel�

regolamento,�e�del�destinatario�difornire�al�notificatore�non�oltre�180�giorni�

dal�ricevimento�dei�rifiuti�un�certificato�che�attesti�che�lo�smaltimento�o�il�recu-

pero�dei�rifiuti�e�stato�effettuato�secondo�metodi�ecologicamente�corretti.�


IL 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
^I 
giudizi 
in 
corso 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
CEE 
117 


26.�^Tali�disposizioni�confermano�che�sia�lo�Stato�di�spedizione�che�
quello�di�destinazione�finale�mantengono�il�controllo�sulla�gestione�del�singolo�

rifiuto,�seppure�con�diversa�intensita�,�ma�sempre�con�riferimento�alla�normativa�

comunitaria�di�riferimento�nella�specifica�materia.�

27.�^Alla�luce�delle�precedenti�considerazioni,�si�propone�di�risolvere�la�
questione�A�come�segue:�dal�sistema�istituito�dal�regolamento�(CEE)�

n.�259/1993�discende�che�l'autorita�competente�di�spedizione�e�legittimata�a�
verificare�se�un�progetto�di�spedizione�classificato�nella�notifica�come��spedi-

zione�di�rifiuti�afini�di�recupero��corrisponda�effettivamente�a�tale�classifica-

zione�unicamente�per�gli�effetti�che�tale�classificazione�possa�avere�sul�territorio�

su�cui�ha�giurisdizione�relativamente�alla�compromissione�della�tutela�ambien-

tale�di�cui�alla�direttiva�75/444/CEE�o�degli�altri�valori�sottesi�alle�altre�specifi-

che�cause�di�legittima�inibizione�previste�negli�articoli�4�n.�3�e�7�n.�4.�In�tal�caso�

nonpuo�ne�rettificarelaclassificazioneindicatadalnotificatore,�ne�tantomeno�

rifiutarsi�di�trasmettere�il�documento�di�notifica�alla�autorita�competente�di�

destinazione,�madevelimitarsiasollevarecontestualmenteoneltermineprevi-

sto�dal�regolamento�una�obiezione�alla�spedizione�motivata�con�riferimento�alla�

erronea�classificazione.�

28.�^La�questione�B) 
e�assorbita�dalla�risposta�alla�questione�A)�
(f.to�avv.�Maurizio�Fiorilli).�.�


Ilcontenzioso
nazionale
Ilcontenzioso
nazionale
Dossier 


Spoils 
system: 
la 
giurisprudenza 
comincia 
a 
pronun-
ciarsi 
sulle 
questioni 
insorte 
a 
seguito 
della 
legge 


n. 
145/2002. 
Come�e�noto�con�la�legge�in�epigrafe�indicata�sono�state�apportate�
rilevanti�modifiche�alla�disciplina�concernente�la�dirigenza�pubblica,�
soprattutto�in�relazione�al�regime�degli�incarichi.�Contemporaneamente�
alle�modifiche�riguardanti�l'art.�19�del�D.Lgs.vo�165/2001,�che�costituisce�
la�fondamentale�norma�di�riferimento�per�tutto�quanto�attiene�agli�incari-
chi�dirigenziali,�al�fine�di�consentire�l'immediata�attuazione�della�riforma�
nell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�n.�145�del�2002,�e�stata�prevista�a�
decorrere�dal�sessantesimo�giorno�dall'entrata�in�vigore�della�legge�la�ces-
sazione�degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�(e�di�
quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato)�e,�in�
caso�di�mancata�riattribuzione�dell'incarico�in�precedenza�svolto,�il�confe-
rimento�al�dirigente�cessato�di�un�incarico�di�livello�retributivo�equiva-
lente�al�precedente�ovvero,�in�caso�cio�non�fosse�possibile,�per�carenza�di�
disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�
qualita�professionali,�l'attribuzione�di�un�incarico�di�studio�con�il�mante-
nimento�del�precedente�trattamento�economico.�

L'attuale�Governo�nell'esercizio�delle�prerogative�attribuitegli�dal�
legislatore�ha�effettuato�diversi�cambiamenti,�sia�all'interno�dei�singoli�
Ministeri�sia�in�relazione�ad�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale�
presso�enti�pubblici�controllati�e�vigilati�dallo�Stato�attribuiti�a�dirigenti�
pubblici.�Molti�dei�dirigenti�che�non�si�sono�visti�riconfermare�(il�legisla-
tore�ha�fra�l'altro�previsto�che�la�mancata�assunzione�di�qualsivoglia�
provvedimento�nel�termine�di�sessanta�giorni�dalla�entrata�in�vigore�della�
legge�avrebbe�significato�l'implicita�riconferma�del�dirigente�nell'incarico�
gia�attribuitogli)�o�riattribuire�l'incarico�di�cui�erano�titolari�o�incarico�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

avente�ad�oggetto�funzioni�equivalenti�si�sono�rivolti�alla�magistratura�
ordinaria�e�amministrativa,�contestando�sotto�molteplici�profili�l'operato�
dei�singoli�Ministri�e�chiedendo�l'adozione�delle�misure�cautelari�ritenute�
piu��idonee�a�salvaguardare�i�propri�interessi.�

Mediante�la�presente�rassegna�ci�si�propone�di�dar�conto�delle�varie�
questioni�dibattute�e�delle�posizioni�assunte�dalla�giurisprudenza�nel�
corso�di�questa�prima�fase.�Posizioni�inevitabilmente�condizionate�dalle�
caratteristiche�proprie�del�giudizio�cautelare�nel�quale�il�giudice�procede�
ad�un�apprezzamento�comunque�non�completo�ed�esaustivo�delle�que-
stioni�sottoposte�alla�sua�cognizione�ed�alla�sussistenza�della�gravita��ed�
irreparabilta��del�pregiudizio�che�costituisce�presupposto�indefettibile�per�
concedere�la�tutela�cautelare.�

1. 
^L'ambito 
oggettivo 
e 
soggettivo 
di 
applicazione 
della 
nuova 
legge. 
L'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�precisa�che�le�disposizioni�di�cui�
al�predetto�articolo�in�materia�di�incarichi�dirigenziali�(e�di�ingresso�
dei�funzionari�internazionali�nella�pubblica�amministrazione)�trovano�
diretta�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�
di�livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigi-
lati�dallo�Stato�ove�e��prevista�tale�figura.�Se�il�concetto�di�ente�vigilato�
non�ha�creato�particolari�problemi,�ricomprendendo�tutti�quegli�Enti�
che�in�vario�modo�sono��controllati��dai�singoli�Ministeri,�cosicche�le�
disposizioni�della�nuova�legge�sono�state�ritenute�applicabili�all'I.N.P.S.,�
all'I.N.A.I.L.,�all'I.S.F.O.L.�e�all'I.S.P.E.S.L.,�maggiori�problemi,�invece,�
pone�la�delimitazione�dell'ambito�soggettivo�di�applicazione�della�nuova�
disciplina�presso�i�suddetti�enti.�In�particolare�e��controverso�se�la�cessa-
zione�generalizzata�dagli�incarichi�disposta�dall'art.�3,�comma�settimo,�
della�legge�145/2002�riguardi�soltanto�l'incarico�di�Direttore�Generale�
dell'Ente�(naturalmente�laddove�tale�figura�sia�prevista)�ovvero�anche�
gli�altri�incarichi�che�per�effetto�di�apposita�disposizione�di�legge�deb-
bono�essere�conferiti�a�Dirigenti�Generali�(si�pensi�ad�esempio�all'inca-
rico�di�componente�del�Collegio�Sindacale�dell'I.N.P.S.�o�dell'I.-
N.A.I.L.).�Soprattutto�il�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�ha�
seguito�questa�seconda�interpretazione,�sostanzialmente�disattendendo�
le�indicazioni�della�circolare�interpretativa�31�luglio�2000�del�Ministro�
della�Funzione�Pubblica.�La�giurisprudenza�che�si�e��occupata�della�que-
stione�si�e��mostrata�propensa�ad�interpretare�in�modo�assai�restrittivo�
e�rigoroso�la�disposizione�(esemplificativa�al�riguardo�e��l'ordinanza�

n.�2867/2003)�ma�vi�e��anche�una�pronuncia�che�ha�fatto�propria�la�tesi�
sostenuta�dal�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�(ordinanza�del�
10�febbraio�2003).�
2. 
^La 
giurisdizione. 
Una�delle�piu��importanti�novita��della�nuova�
legge�e��costituita�dal�fatto�che,�al�contrario�di�quanto�accadeva�in�pre-
cedenza,�l'incarico�dirigenziale�deve�essere�conferito�mediante�apposito�

IL 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 


provvedimento 
amministrativo 
nel 
quale 
e� 
indicato 
anche 
il 
suo 
oggetto, 
mentre 
il 
contratto 
e� 
destinato 
esclusivamente 
a 
regolare 
gli 
aspetti 
di 
carattere 
patrimoniale 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
connesso 
all'espletamento 
dello 
stesso. 
Tale 
cambiamento 
ha 
creato 
ancora 
maggiori 
incertezze 
in 
ordine 
alla 
individuazione 
del 
giudice 
competente 
a 
conoscere 
delle 
con-
troversie 
concernenti 
il 
conferimento 
degli 
incarichi 
dirigenziali. 
In 
molti 
casi 
sono 
stati 
investiti 
della 
medesima 
controversia 
sia 
il 
giudice 
ordinario 
sia 
il 
giudice 
amministrativo, 
sostenendosi 
che 
rispetto 
ai 
provvedimenti 
assunti 
dall'Autorita� 
Politica 
il 
dirigente 
sarebbe 
titolare 
di 
posizioni 
di 
diritto 
soggettivo 
e 
di 
interesse 
legittimo 
in 
ragione 
delle 
quali, 
nonostante 
quanto 
disposto 
dall'art. 
63 
del 
D.Lgs.vo 
165/2001 
(a 
norma 
del 
quale 
le 
controversie 
concernenti 
il 
conferimento 
o 
la 
revoca 
degli 
incarichi 
sono 
o 
devolute 
alla 
giurisdizione 
del 
G.O.), 
residuerebbe 
in 
materia 
anche 
la 
giurisdizione 
del 
G.A. 
Sulla 
questione 
dovranno 
pronunciarsi 
le 
Sezioni 
Unite 
della 
Cassazione, 
in 
quanto 
sono 
stati 
proposti 
numerosi 
regolamenti 
preventivi 
di 
giurisdizione, 
uno 
dei 
quali 
si 
e� 
ritenuto 
di 
inserire 
nella 
presente 
rassegna. 
Precisato 
che 
in 
tutte 
le 
difese 
svolte 
si 
e� 
sostenuto 
che 
la 
giurisdizione 
in 
ordine 
alle 
contro-
versie 
in 
questione 
spetta 
al 
solo 
giudice 
ordinario, 
alla 
stregua 
di 
quanto 
previsto 
dalla 
norma 
sopra 
citata, 
va 
sottolineato 
che 
in 
molti 
casi 
e� 
stata 
sostenuta 
la 
giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo 
in 
con-
siderazione 
del 
fatto 
che 
l'impugnativa 
non 
ha 
riguardato 
solo 
i 
provve-
dimenti 
di 
volta 
in 
volta 
assunti 
dalla 
singola 
P.A., 
ma 
anche 
la 
circo-
lare 
interpretativa 
del 
Ministro 
della 
Funzione 
Pubblica. 


3.�^La�questione�della�costituzionalita�della�legge.�Praticamente 
in 
tutti 
i 
giudizi 
instaurati 
in 
relazione 
agli 
incarichi 
attribuiti 
in 
attua-
zione 
della 
legge 
145/2002. 
In 
primo 
luogo 
e� 
stata 
eccepita 
sotto 
molteplici 
profili 
l'illegittimita� 
costituzionale 
della 
disciplina 
concernente 
gli 
incarichi 
dirigenziali, 
e 
in 
particolare 
della 
norma 
con 
la 
quale 
e� 
stata 
disposta 
ex�lege�la 
cessa-
zione 
automatica 
di 
tutti 
gli 
incarichi 
in 
essere. 
In 
molti 
casi 
sono 
state 
riprese 
e 
sviluppate 
argomentazioni 
alla 
luce 
delle 
quali 
era 
gia� 
stata 
eccepita 
l'illegittimita� 
costituzionale 
dell'intero 
impianto 
normativo 
in 
cui 
si 
sono 
innestati 
gli 
interventi 
effettuati 
con 
la 
legge 
145/2002, 
in 
sostanza 
risalente 
al 
D.Lgs.vo 
29/93 
con 
il 
quale 
sono 
stati 
ridisegnati 
i 
rapporti 
fra 
l'Autorita� 
Politica 
e 
la 
Dirigenza, 
attribuendo 
un 
ruolo 
a 
se 
stante 
alla 
figura 
del 
direttore 
generale, 
cui 
si 
sono 
poi 
aggiunte 
osservazioni 
volte 
a 
dimostrare 
l'incostituzionalita� 
della 
disposta 
cessa-
zione 
automatica 
degli 
incarichi. 
Nel 
rinviare 
a 
quanto 
dedotto 
sul 
punto 
nella 
memoria 
che 
si 
e� 
scelto 
di 
affiancare 
alle 
ordinanze 
piu� 
interessanti 
va 
evidenziato 
che 
la 
magistratura 
si 
e� 
dimostrata 
assoluta-
mente 
compatta 
nel 
ritenere 
del 
tutto 
impossibile 
l'esame 
della 
que-
stione 
di 
costituzionalita� 
di 
volta 
in 
volta 
prospettata 
in 
sede 
di 
giudizio 
cautelare. 
In 
una 
sola 
ordinanza 
del 
3 
febbraio 
2003 
il 
Giudice 
Adito 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


si 
sofferma 
sui 
vari 
profili 
di 
incostituzionalita� 
prospettati 
dalla 
parte 
istante 
evidenziandone, 
seppure 
con 
motivazione 
molto 
succinta, 
la 
manifesta 
infondatezza. 


4.�^Le�altre�questioni�connesse�alle�modalita�procedurali�da�seguire�
per�il�conferimento�degli�incarichi.�A 
prescindere 
dalle 
questioni 
di 
costitu-
zionalita� 
, 
i 
provvedimenti 
assunti 
dai 
singoli 
Ministri 
sono 
stati 
contestati 
siccome 
ritenuti 
il 
frutto 
di 
una 
non 
corretta 
applicazione 
delle 
norme 
di 
legge. 
In 
particolare 
e� 
stato 
strenuamente 
sostenuto 
che 
il 
combinato 
disposto 
dell'art. 
19, 
commi 
primo 
e 
secondo, 
nuovo 
testo, 
imponeva 
l'ef-
fettuazione 
di 
una 
valutazione 
comparativa 
dei 
singoli 
aspiranti 
che 
tenesse 
conto 
delle 
attitudini 
e 
dei 
risultati 
da 
ciascuno 
conseguiti 
e 
soprattutto 
che 
andassero 
con 
chiarezza 
espresse 
e 
motivate 
le 
ragioni 
per 
le 
quali 
il 
singolo 
dirigente 
non 
si 
era 
visto 
riconfermare 
o 
riattribuire 
l'incarico 
da 
cui 
era 
cessato 
ex�lege.�In 
contrario 
si 
e� 
sostenuto 
che 
la 
norma 
che 
regola 
il 
conferimento 
degli 
incarichi 
impone 
esclusivamente 
di 
motivare 
in 
modo 
congruo 
la 
scelta 
del 
singolo, 
ovviamente 
in 
rela-
zione 
alla 
professionalita� 
ed 
alle 
peculiari 
esperienze 
dal 
medesimo 
moti-
vate, 
fermo 
restando 
che 
l'Autorita� 
Politica 
mantiene 
un 
margine 
di 
discrezionalita� 
in 
ragione 
del 
fatto 
che, 
a 
causa 
della 
particolare 
posizione 
che 
oggi 
riveste 
il 
Direttore 
Generale 
(cfr. 
art. 
16 
del 
D.Lgs.vo 
165/2001 
ove 
sono 
descritti 
funzioni 
e 
poteri 
del 
medesimo), 
il 
rapporto 
che 
lo 
lega 
all'Autorita� 
Politica 
ha 
sicuramente 
carattere 
fiduciario. 
La 
giurispru-
denza, 
nei 
casi 
in 
cui 
si 
e� 
pronunciata 
su 
siffatte 
questioni, 
ha 
decisamente 
escluso 
la 
necessita� 
di 
valutazioni 
comparative 
o 
di 
motivare 
la 
mancata 
conferma 
o 
riattribuzione 
dell'incarico 
al 
dirigente 
cessato 
e 
condiviso 
anche 
le 
considerazioni 
sulla 
base 
delle 
quali 
si 
e� 
sostenuta 
la 
fiduciarieta� 
del 
rapporto. 
5.�^L'incarico�avente�ad�oggettofunzioni�equivalenti.�In 
molti 
casi 
il 
dirigente 
cessato 
dall'incarico 
ha, 
seppure 
in 
via 
subordinata, 
contestato 
l'operato 
della 
P.A. 
per 
non 
essersi 
visto 
attribuire 
incarico 
avente 
ad 
oggetto 
funzioni 
come 
previsto 
dal 
gia� 
citato 
articolo 
3, 
comma 
settimo, 
della 
legge 
145/2002. 
Secondo 
la 
tesi 
adombrata 
in 
numerosi 
ricorsi 
il 
dirigente 
cessato 
dall'incarico 
ex�lege�che 
non 
si 
e� 
visto 
riconfermare 
(o 
riattribuire) 
l'incarico 
di 
cui 
era 
titolare 
aveva 
diritto 
a 
vedersi 
attribuire 
incarico 
avente 
ad 
oggetto 
funzioni 
equivalenti 
(ossia 
la 
titolarita� 
di 
altro 
ufficio 
di 
livello 
dirigenziale 
generale), 
con 
precedenza 
rispetto 
agli 
altri 
dirigenti 
che 
astrattamente 
potevano 
aspirare 
a 
vedersi 
conferire 
il 
mede-
simo 
incarico, 
essendo 
in 
possesso 
dei 
requisiti 
soggettivi 
ed 
oggettivi 
pre-
visti 
dalla 
legge. 
In 
contrario, 
richiamando 
anche 
la 
circolare 
del 
Ministro 
della 
funzione 
Pubblica, 
si 
e� 
evidenziato 
che 
la 
legge 
ha 
tracciato 
una 
chiara 
sequenza 
procedimentale, 
in 
primo 
luogo 
attribuendo 
all'Autorita� 
Politica 
la 
possibilita� 
di 
provvedere 
al 
conferimento 
degli 
incarichi 
diri-
genziali 
innovando 
rispetto 
alla 
situazione 
preesistente, 
cancellata 
dalla 

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

cessazione�automatica�degli�stessi�e,�solo�in�seconda�battuta,�imponendo�
alla�stessa�di�attribuire�la�titolarita�di�incarichi�concernenti�uffici�dirigen-
ziali�non�affidati�ad�alcuno�ai�dirigenti�cessati�e�non�reincaricati.�In�tutte�
le�ordinanze�in�cui�la�questione�e�stata�affrontata�e�stato�ribadito�che�il�
conferimento�di�incarico�avente�ad�oggetto�funzioni�equivalenti�presuppo-
neva�la�disponibilita�del�posto,�in�mancanza�del�quale�doveva�ritenersi�
legittima�l'attribuzione�di�incarico�di�studio.�

6.�^L'incarico�di�studio.�A�proposito�di�quest'ultimo,�si�ritiene�di�
richiamare�l'attenzione�su�di�un�gruppo�di�ordinanze�del�Tribunale�di�
Roma�emesse�in�giudizi�instaurati�nei�confronti�del�Ministero�dell'Istru-
zione,�dell'Universita�e�della�Ricerca,�nelle�quali�si�approfondiscono�le�
caratteristiche�del�medesimo�al�fine�di�evidenziare�che�tale�tipo�di�incarico�
in�realta�non�si�differenzia�dall'incarico�di�funzioni�(salvo�che�non�ne�
venga�definito�il�contenuto�dalla�P.A.�ovvero�abbia�un�oggetto�tale�da�tra-
sformarlo�in�incarico�insussistente�o�palesemente�inutile).�Trattasi�di�una�
serie�di�puntualizzazioni�di�particolare�rilievo,�in�quanto�la�dirigenza�
senza�dubbio�vive�l'attribuzione�dell'incarico�di�studio�come�una�vera�e�
propria�deminutio�mentre�l'art.�19,�comma�decimo,�del�D.Lgs.vo�165/�
2001�con�chiarezza�elenca�una�serie�di�funzioni�(ispettive,�di�consulenza,�
di�studio)�che�costituiscono�il�propium�della�qualifica�dirigenziale�ed�
hanno�tutte�eguale�dignita�;�per�il�che�il�passaggio�dall'uno�all'altro�inca-
rico�nell'ambito�di�un�sistema�che�il�legislatore�ha�voluto�improntato�al�
rispetto�dei�principi�della�rotazione�e�delle�pari�opportunita�(cfr.�art.�19�
nella�versione�risultante�dalle�modifiche�introdotte�con�la�legge�145/�
2002)�dovrebbe�essere�vissuto�in�modo�molto�meno�traumatico�di�quanto�
nella�realta�accade.�
Avv.�Tito�Varrone�

Documenti 
e 
contributi: 


1.�^la�circolare�della�Funzione�pubblica;�
2.�^la�questione�di�giurisdizione;�
3.�^la�difesa�di�merito�dell'amministrazione;�
4.�^le�ordinanze�cautelari�del�giudice�del�lavoro;�
5.�^la�sentenza�del�TAR�e�l'appello;�
6.�^una�autorevole�dissenting�opinion.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

1.�^LA 
circolarE 
dellA 
funzionE 
pubblicA 
^31�luglio�2002�
Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�^Modalita�applicative�della�legge�sul�riordino�della�

dirigenza.�(Emanata�dalla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�della�

funzione�pubblica.�Pubblicato�nella�Gazzetta�Ufficiale�5�agosto�2002,�n.�182).�

1.�^Premessa:�le�novita�della�legge.�
La�legge�15�luglio�2002,�n.�145,�recante��Disposizioni�per�il�riordino�della�dirigenza�sta-
tale�e�per�favorire�lo�scambio�di�esperienze�e�l'interazione�tra�pubblico�e�privato��pubblicata�
nella�Gazzetta�Uf
fficiale�della�Repubblica�italiana�-serie�generale�-n.�172�del�24�luglio�2002�
che�entra�in�vigore�l'8�agosto�2002,�contiene�numerose�e�profonde�modifiche�dell'ordina-
mento�del�lavoro�alle�dipendenze�delle�pubbliche�amministrazioni,�con�particolare�riguardo�
all'assetto�complessivo�della�dirigenza�statale.�

Tra�le�innovazioni�piu�significative,�direttamente�incidenti�sulle�disposizioni�del�decreto�
legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�si�segnalano�le�nuove�regole�che�disciplinano�il�conferi-
mento�degli�incarichi�dirigenziali.�

In�questa�parte,�la�legge�valorizza�le�responsabilita�politiche�degli�organi�di�vertice�delle�
amministrazioni�nella�scelta�dei�dirigenti�ritenuti�maggiormente�idonei�ad�attuare�gli�obiet-
tivi�definiti�in�sede�programmatoria.�

Nel�nuovo�sistema�normativo,�ferma�restando�la�natura�del�rapporto�di�lavoro�disci-
plinato�dalle�disposizioni�di�diritto�comune�e�dai�contratti�collettivi,�il�provvedimento�di�
conferimento�dell'incarico�assume�un�ruolo�centrale,�delineando�il�contenuto�dei�compiti�
affidati�ai�dirigenti,�in�relazione�agli�scopi�fissati�negli�atti�di�indirizzo�politico-ammini-
strativo.�

In�questo�modo,�viene�attuato�coerentemente�il�principio,�fissato�dall'art.�4�del�decreto�
legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�riguardante�il�necessario�collegamento�tra�la�definizione�
dei�criteri�direttivi�dell'azione�amministrativa,�lo�svolgimento�dell'attivita�gestionale�e�la�
verifica�dei�risultati�conseguiti,�secondo�parametri�oggettivi.�

Al�tempo�stesso,�la�riforma�della�dirigenza�persegue�lo�scopo�di�accentuare�il�rilievo�
del�merito�professionale�del�personale�pubblico�piu�qualificato,�allargando�le�opportunita�
offerte�ai�dirigenti�di�seconda�fascia�per�accedere�agli�incarichi�di�livello�dirigenziale�
generale.�

Nella�stessa�logica�di�pieno�riconoscimento�delle�competenze�e�delle�doti�espresse�dai�
singoli,�si�pongono�le�disposizioni�che�allargano�la�possibilita�di�attribuire�una�parte�degli�
incarichi�ai�dirigenti�delle�altre�amministrazioni�pubbliche�e�degli�organi�costituzionali,�non-
che�alle�persone,�estranee�all'amministrazione,�di�comprovata�professionalita�.�

2.�^Le�novita�concernenti�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali.�
La�presente�circolare�intende�fornire�le�prime�indicazioni�interpretative�delle�nuove�
norme,�con�particolare�riguardo�alle�disposizioni�interessanti�la�cessazione�e�l'attribuzione�
degli�incarichi�dirigenziali�nella�fase�di�immediata�attuazione�della�riforma.�

La�disciplina�prevista�dagli�articoli�19�e�23�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165�e�
radicalmente�innovata�in�piu�punti,�riguardanti�le�modalita�di�assegnazione�degli�incarichi�
e�la�definizione�dei�ruoli�dirigenziali�delle�amministrazioni:�

a)�per�il�conferimento�degli�incarichi�vanno�ora�considerati,�insieme�alla�natura�e�alle�
caratteristiche�dei�compiti�assegnati,�alle�attitudini�ed�alle�capacita�professionali�del�singolo�
dirigente,�i�risultati�precedentemente�conseguiti�dall'interessato,�in�relazione�agli�obiettivi�
fissati�nella�direttiva�annuale�e�negli�altri�atti�di�indirizzo�del�Ministro;�

b)�in�ogni�caso,�i�criteri�di�conferimento�degli�incarichi�di�direzione�degli�uffici�di�
livello�dirigenziale�tengono�conto�delle�condizioni�di�pari�opportunita�di�cui�all'art.�7,�
comma�1,�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165;�

c)�la�definizione�dell'oggetto�e�della�durata�dell'incarico�(insieme�agli�obiettivi�da�
conseguire,�con�riferimento�alle�priorita�,�ai�piani�e�ai�programmi�definiti�dall'organo�di�ver-
tice�nei�propri�atti�di�indirizzo�e�alle�eventuali�modifiche�degli�stessi�che�intervengano�nel�
corso�del�rapporto,�nonche�alle�risorse�umane,�finanziarie�e�strumentali),�e�contenuta�nel�
provvedimento�di�conferimento�dell'incarico�stesso;�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

d) 
per�gli�incarichi�previsti�dall'art.�19,�comma�3,�l'individuazione�del�contenuto�del-
l'incarico,�che�e�attribuito�con�decreto�del�Presidente�della�Repubblica,�e�stabilita�in�separato�
provvedimento�dell'organo�di�vertice�(Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri�o�Ministro�com-
petente);�

e) 
il�contratto�individuale,�che�accede�al�provvedimento�di�conferimento,�definisce�il�
corrispondente�trattamento�economico;�

f) 
la�durata�degli�incarichi,�fissata�nel�provvedimento�di�conferimento,�deve�essere�
correlata�agli�obiettivi�prefissati,�e,�in�ogni�caso,�non�puo�eccedere,�per�gli�incarichi�di�fun-
zione�dirigenziale�di�cui�ai�commi�3�e�4,�il�termine�di�tre�anni�e,�per�gli�altri�incarichi�di�fun-
zione�dirigenziale,�il�termine�di�cinque�anni.�Non�e�prevista�una�durata�minima;�

g) 
gli�incarichi�dirigenziali�possono�essere�conferiti�anche�ai�dirigenti�non�apparte-
nenti�ai�ruoli�delle�amministrazioni�statali,�purche�dipendenti�delle�amministrazioni�pubbli-
che�di�cui�all'art.�1,�comma�2,�del�decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
ovvero�di�organi�
costituzionali,�nei�limiti�del�10%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�prima�fascia�e�
del�5%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�seconda�fascia.�Le�percentuali�indicate�non�
incidono�piu�sul�contingente�previsto�dall'art.�19,�comma�6,�come�avveniva�nel�contestodella�
precedente�disciplina;�

h) 
il�nuovo�sistema�e�caratterizzato�da�maggiore�flessibilita�ed�apertura�in�ordine�alla�
individuazione�dei�soggetti�idonei�a�ricoprire�gli�incarichi�dirigenziali.Inparticolare,�gli�
incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�possono�essere�attribuiti�a�dirigenti�di�
seconda�fascia,�fino�al�nuovo�e�piu�elevato�limite�del�cinquanta�per�cento�dei�posti�attribui-
bili.�In�tal�modo�si�allarga�sensibilmente�l'originario�limite,�fissato�nella�misura�di�un�terzo�
dei�posti�disponibili;�

i) 
nella�stessa�prospettiva,�si�prevede�un�significativo�aumento�dei�posti�attribuibili�a�
persone�di�comprovata�qualificazione�professionale�non�appartenenti�ai�ruoli�dirigenziali,�
incrementando�detti�posti�dal�5%�al�10%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�prima�
fascia�e�dal�5%�all'8%�della�dotazione�organica�dei�dirigenti�di�seconda�fascia;�

j) 
tutti�gli�incarichi�di�Segretario�generale,�di�Capo�di�Dipartimento�e�di�livello�equi-
valente,�previsti�dall'art.�19,�comma�3,�cessano�automaticamente�entro�novanta�giorni�dal�
voto�sulla�fiducia�al�Governo,�considerando�la�stretta�connessione�di�tali�funzioni�con�gli�
indirizzi�politico-amministrativi�espressi�dai�vertici�della�strutturastatale;�

k) 
le�disposizioni�dell'art.�19�(cos|�come�riformulate�dalla�legge),�per�la�loro�peculiare�
valenza�organizzativa,�vengono�espressamente�qualificate�come�norme�non�derogabili�dai�
contratti�o�accordi�collettivi;�

l) 
il�sistema�del�ruolo�unico�dei�dirigenti�statali�e�soppresso.�In�ogni�amministrazione�
dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo,�e�istituito�un�separato�ruolo�dei�dirigenti,�
che�si�articola�nella�prima�e�nella�seconda�fascia,�nel�cui�ambito�sono�definite�apposite�
sezioni,�in�modo�da�garantire�la�eventuale�specificita�tecnica�del�personale;�

m) 
peraltro,�l'abrogazione�del�regolamento�di�cui�al�d.P.R. 
26febbraio 
1999, 
n. 
150 
(che�disciplina�il�ruolo�unico�dei�dirigenti�statali)�e�differita�all'entrata�in�vigore�del�nuovo�
regolamento,�previsto�dall'art.�10�della�legge,�destinato�a�disciplinare:�le�modalita�di�istitu-
zione,�l'organizzazione�e�il�funzionamento�dei�ruoli�dei�dirigenti�delle�amministrazioni�dello�
Stato�nonche�le�procedure�e�le�modalita�per�l'inquadramento,�nella�fase�di�prima�attuazione,�
dei�dirigenti�di�prima�e�seconda�fascia�del�ruolo�unico�nei�ruoli�delle�singole�amministra-
zioni.�

3. 
^Le 
norme 
di 
immediata 
attuazione: 
la 
cessazione 
automatica 
degli 
incarichi 
nell'art. 
3, 
comma 
7, 
della 
legge. 
La�complessita�della�riforma�in�atto�richiede�alcuni�chiarimenti�interpretativi,�riferiti�al�
periodo�di�immediata�attuazione�della�legge.�Si�tratta�di�una�fase�particolarmente�delicata,�
perche�essa�comporta�il�superamento�del�precedente�assetto�normativo,�caratterizzato�dal�
rilievo�centrale�del�contratto�individuale�di�lavoro�nella�definizione�dell'oggetto�e�degli�obiet-
tivi�degli�incarichi�dirigenziali.�

La�piena�attuazione�del�nuovo�modello�organizzativo�e�subordinata�alla�costituzione�dei�
ruoli�dirigenziali�delle�singole�amministrazioni,�secondo�le�cadenze�temporali�stabilite�dal�
regolamento�di�cui�all'art.�10�della�legge.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Anche�prima�di�tale�momento,�pero�,�le�nuove�disposizioni�sono�destinate�ad�assumere�
piena�operativita�,�secondo�modalita�e�tempi�diversificati,�che�vanno�accuratamente�indivi-
duati,�tenendo�conto�della�disciplina�espressamente�diretta�a�regolare�la�fase�transitoria.�In�
particolare,�l'art.�3,�comma�7,�contiene�una�disposizione�di�immediata�applicazione�(che�
individua�il�nucleo�essenziale�del�regime�transitorio�della�nuova�disciplina),�diretta�ad�inci-
dere�su�due�tipi�di�incarichi,�in�corso�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge:�

a) 
tutti�gli�incarichi�dirigenziali�concernenti�i�ruoli�delle�amministrazioni�dello�Stato,�
anche�ad�ordinamento�autonomo;�

b) 
tutti�gli�incarichi�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�ove�e�
prevista�tale�figura.�

4.�^L'ambito 
di 
applicazione 
soggettivo 
della 
disciplina 
transitoria 
sugli 
incarichi 
in 
corso. 
L'ambito�soggettivo�di�applicazione�della�norma�transitoria�e�puntualmente�definito�
dalla�legge:�
a) 
l'operativita�della�norma�riguarda�le�amministrazioni�statali,�anche�ad�ordina-
mento�autonomo,�per�quanto�concerne�gli�incarichi�dirigenziali;�
b) 
per�gli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�la�norma�incide�solo�sugli�incarichi�di�
direttore�generale�(secondo�quanto�precisato�in�seguito),�senza�toccare�l'assetto�della�
dirigenza;�

c) 
la�norma�transitoria�non�tocca�le�altre�amministrazioni�pubbliche,�salvo�quanto�
precisato�al�punto�19.�
A�tale�riguardo�si�sottolinea�che�la�legge�di�riforma�(legge 
15 
luglio 
2002, 
n. 
145), 


all'art.�1,�modificando�l'art.�1,�comma�2,�del�decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
ridefi-

nisce�l'ambito�soggettivo�delle�amministrazioni�disciplinate�dallo�stesso�testo�unico,�inclu-
dendovi:��l'Agenzia�per�la�rappresentanza�negoziale�delle�pubbliche�amministrazioni�(Aran)�
e�le�Agenzie�di�cui�al�decreto 
legislativo 
30 
luglio 
1999, 
n. 
300�.�

Dall'ambito�applicativo�dell'art.�3,�comma�7,�della�legge�sono�esclusi�i�dirigenti�delle�
istituzioni�scolastiche�che�hanno�acquisito�la�qualifica�dirigenziale�aisensi�del�decreto 
legisla-
tivo 
6 
marzo 
1998, 
n. 
59, 
atteso�il�peculiare�meccanismo�di�reclutamento,�la�disciplina�speci-
fica�che�li�riguarda,�l'applicabilita�solo�parziale�del�complesso�normativo�definito�dagli�arti-
coli�19�e�segg.�del�decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
nonche�i�contenuti�e�le�specificita�
della�funzione�dirigenziale�dei�capi�di�istituto.�

5.�^La 
disciplina 
transitoria 
e 
ilpersonale 
dirigenziale 
non 
contrattualizzato. 
Circa�l'applicazione�della�norma�transitoria�di�cui�all'art.�3,�comma�7,�alle�amministra-
zioni�sottoposte�a�discipline�speciali�ed�in�particolare�agli�incarichi�di�livello�dirigenziale�
conferiti�a�personale�non�contrattualizzato,�si�fa�riserva�di�specifiche�istruzioni�non�appena�
sara�pervenuto�il�parere�richiesto�al�riguardo�al�Consiglio�di�Stato.�

6.�^La 
cessazione 
automatica 
degli 
incarichi 
statali 
di 
livello 
dirigenziale 
generale. 
La�disciplina�contenuta�nell'art.�3,�comma�7,�prende�in�considerazione�diverse�fattispe-
cie,�assoggettandole�a�regole�operative�differenziate.�
In�primo�luogo,�si�prevede�una�regola�comune,�riferita�agli�incarichi�statali�di�livello�
dirigenziale�generale�ed�agli�incarichi�di�direttore�generale�degli�enti�vigilati�dallo�Stato:�
�Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�le�disposizioni�di�cui�al�
presente�articolo�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�
dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�
Stato�ove�e�prevista�tale�figura.�I�predetti�incarichi�cessano�il�sessantesimo�giornodalla�data�
di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�esercitando�i�titolari�degli�stessi�in�tale�periodo�
esclusivamente�le�attivita�di�ordinaria�amministrazione�.�

La�disposizione�introduce�un�termine�legale�finale�di�durata�degli�incarichi�dirigenziali�
di�livello�generale�e�di�quelli�di�direttore�generale�in�atto.�In�tal�modo,�la�regola�imperativa�
di�rango�legislativo�sostituisce�con�efficacia�immediata�ogni�diversa�previsione�contenuta�
nei�contratti�individuali�o�nei�provvedimenti�di�attribuzione�degli�incarichi�in�corso,�preva-
lendo�anche�sulle�(eventualmente)�diverse�previsioni�della�contrattazione�collettiva.�

L'effetto�giuridico�della�cessazione�dell'incarico�e�direttamente�fissato�dalla�norma�ed�e�
correlato�al�mero�decorso�del�tempo�(sessanta�giorni�dall'entrata�in�vigore�della�legge).�Di�
conseguenza,�la�scadenza�legale�dell'incarico�in�corso�non�richiede�necessariamente�un�atto�
esplicito�dell'amministrazione,�la�cui�adozione�e�dunque�solo�opportuna�a�fini�meramente�
dichiarativi.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

7.�^La 
posizione 
del 
dirigente 
generale 
cessato 
dall'incarico. 
Cio�chiarito,�va�peraltro�evidenziato�che�la�cessazione�legale�della�durata�dell'incarico�
comporta,�per�l'amministrazione,�l'obbligo�di�adottare�un�ulteriore�provvedimento�esplicito,�
riguardante�la�posizione�del�dirigente�cessato�dall'incarico,�avente�uno�dei�seguenti�conte-
nuti:�

a) 
l'attribuzione�al�dirigente�dello�stesso�incarico�cessato,�eventualmente�modificato�
in�relazione�a�singoli�profili�contenutistici�(durata,�aggiornamento�degli�obiettivi);�

b) 
l'attribuzione�di�un�incarico�funzionale�equivalente;�

c) 
l'attribuzione�di�un�incarico�di�studi,�con�il�mantenimento�del�trattamento�econo-
mico�precedente,�della�durata�massima�di�un�anno.�

Nel�nuovo�assetto�normativo�della�dirigenza,�l'atto�di�conferimento�dell'incarico�assume�
connotazione�provvedimentale,�ponendosi�come�determinazione�conclusiva�di�un�apposito�
procedimento�amministrativo,�nel�quale�si�manifesta�l'interesse�pubblico�correlato�al�perse-
guimento�degli�obiettivi�definiti�dall'organo�di�indirizzo�politico-amministrativo.�La�legge�
qualifica�espressamente�l'atto�di�assegnazione�delle�funzioni�dirigenziali�come�provvedi-
mento,�ponendo�in�rilievo�il�carattere�unilaterale�della�determinazione.�

Il�carattere�provvedimentale�degli�atti�va�riconosciuto�anche�alle�determinazioni�riguar-
danti�la�fase�di�immediata�applicazione�della�legge,�considerata�dall'art.�3,�comma�7.�

Ne�deriva�che�l'attivita�riguardante�il�conferimento�degli�incarichi,�anche�in�mancanza�
di�apposita�disciplina�di�dettaglio,�e�assoggettata�ai�princ|�pi�generali�del�procedimento�
amministrativo,�con�particolare�riguardo�alle�regole�partecipative�ed�all'obbligo�dell'ammini-
strazione�di�comunicare�l'avvio�del�procedimento�ai�soggetti�destinatari�dell'atto�conclusivo.�

Si�intende,�peraltro,�che�la�comunicazione�e�riferita�esclusivamente�alla�fase�procedi-
mentale�concernente�la�determinazione�riguardante�l'incarico�da�affidare�al�dirigente�cessato�
dalle�originarie�funzioni.�Le�regole�procedimentali,�invece,�non�possono�operare�in�relazione�
all'automatica�cessazione�dell'incarico,�trattandosi�di�un�effetto�legale,�che�prescinde�dallo�
svolgimento�di�un�autonomo�procedimento.�

Non�si�puo�trascurare,�poi,�che�la�ristrettezza�dei�termini�previsti�dall'art.�3,�comma�7,�e�
l'esigenza�di�definire�in�tempi�rapidi�l'assetto�organizzativo�dei�vertici�dirigenziali�dell'ammi-
nistrazione�consente�di�adottare�forme�semplificate�di�comunicazione�partecipativa.�

8.�^Itempidiadozionedeiprovvedimentidiconferimento 
deinuoviincarichidilivello 
dirigen-
ziale 
generale. 


L'art.�3,�comma�7,�fissa�il�termine�di�cessazione�dell'incarico�senza�regolare�i�tempi�per�
l'adozione�dei�provvedimenti�concernenti�l'assegnazione�dei�nuovi�incarichi.�

Al�riguardo,�si�ritiene�che�la�decisione�di�riattribuire�al�dirigente�lo�stesso�incarico�in�
atto�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge�puo�essere�senz'altro�adottata�(secondo�le�
nuove�disposizioni�previste�dal�riformato�art.�19)�anche�prima�della�scadenza�del�sessante-
simo�giorno.�

Infatti,�la�norma�che�prevede�la�cessazione�degli�incarichi�al�sessantesimo�giorno�dalla�
data�di�entrata�in�vigore�della�legge�sembra�assumere�una�valenza�essenzialmente�organizza-
tiva:�essa�mira�a�garantire�che,�nel�termine�finale�di�sessanta�giorni,�siano�realizzati�tutti�gli�
adempimenti�necessari�per�assegnare�tempestivamente�i�nuovi�incarichi.�Cio�anche�allo�
scopo�di�ridurre�al�minimo�il�periodo�in�cui�il�dirigente�puo�svolgere�solo�attivita�di�ordina-
ria�amministrazione.�

Il�provvedimento�formale�di�conferma,�quindi,�puo�legittimamente�intervenire�anche�
prima�della�scadenza�del�sessantesimo�giorno,�nel�rispetto�delle�garanzie�procedimentali�del�
dirigente.�

Al�contrario,�le�decisioni�di�attribuire�al�dirigente�un�incarico�equivalente�ovvero�un�
incarico�di�studio,�non�potrebbero�essere�adottate�prima�della�scadenza�del�sessantesimo�
giorno.�

In�ogni�caso,�sembra�sempre�possibile�stabilire�immediatamente�(nel�rispetto�delle�indi-
cate�garanzie�partecipative)�l'assegnazione�dei�dirigenti�cessati�ai�nuovi�incarichi�dirigenziali,�
fissandone�la�decorrenza�al�sessantunesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge.�

Peraltro,�con�specifico�riferimento�ai�tempi�per�l'adozione�dei�provvedimenti�concer-
nenti�l'assegnazione�dei�nuovi�incarichi,�si�fa�riserva�di�ulteriori�indicazioni�non�appena�sara�
pervenuto�il�parere�del�Consiglio�di�Stato�appositamente�richiesto�sull'argomento.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


Sotto 
altro 
profilo, 
si 
osserva 
che 
la 
norma 
non 
stabilisce 
un 
termine 
perentorio 
entro 
cui 
deve 
essere 
adottato 
il 
provvedimento 
concernente 
l'attribuzione 
di 
un 
nuovo 
incarico 
equivalente 
o 
di 
un 
incarico 
di 
studio 
al 
dirigente 
cessato. 


Tuttavia, 
si 
sottolinea 
che 
il 
ritardo 
dell'amministrazione 
potrebbe 
costituire 
fonte 
di 
responsabilita� 
nei 
riguardi 
del 
dirigente. 
Infatti, 
occorre 
considerare 
che 
la 
parte 
variabile 
della 
retribuzione 
e� 
strettamente 
connessa 
all'effettivo 
svolgimento 
dell'incarico. 


Pertanto, 
si 
raccomanda 
alle 
amministrazioni 
di 
assegnare 
i 
dirigenti 
ai 
nuovi 
incarichi, 
evitando 
soluzioni 
di 
continuita� 
con 
i 
precedenti. 


9. 
^L'ambito�di�applicazione�della�norma�sulla�cessazione�di�efficacia�degli�incarichi.�
La 
disposizione 
si 
riferisce, 
in 
modo 
puntuale, 
a 
tutti 
gli 
incarichi 
di 
livello 
dirigenziale 
generale, 
ossia 
ad 
una 
categoria 
chiaramente 
individuata 
di 
incarichi 
dirigenziali 
in 
senso 
ampio. 
Pertanto, 
la 
norma 
riguarda 
anche 
gli 
incarichi 
di 
cui 
all'art. 
19, 
comma 
3 
del 
decreto�
legislativo�30�marzo�2001,�n.�165:�incarichidiSegretario 
generalediMinisteri,incarichi 
di 
direzione 
di 
strutture 
articolate 
al 
loro 
interno 
in 
uffici 
dirigenziali 
generali 
e 
incarichi 
di 
livello 
equivalente. 
Questi 
tipi 
di 
incarico 
vanno 
considerati, 
sul 
piano 
sistematico, 
come 
uffici 
dirigenziali 
generali. 
Del 
resto, 
risulta 
coerente 
con 
le 
linee 
generali 
della 
riforma 
che 
l'effetto 
della 
cessa-
zione 
automatica 
degli 
incarichi 
in 
atto 
riguardi 
anche 
le 
posizioni 
di 
vertice 
dell'ammini-
strazione, 
per 
le 
quali 
e� 
piu� 
marcato 
il 
carattere 
fiduciario 
del 
rapporto. 
Detta 
conclusione 
e� 
rafforzata 
dalla 
circostanza 
che 
la 
legge 
ha 
riformulato 
l'art. 
19, 
comma 
8, 
stabilendo 
la 
nuova 
regola 
secondo 
cui 
gli 
incarichi 
di 
piu� 
elevato 
livello, 
previsti 
dal 
comma 
3, 
cessano 
automaticamente 
allo 
scadere 
di 
novanta 
giorni 
dalla 
fiducia 
sul 
governo, 
imponendo 
l'adozione 
di 
un 
provvedimento 
espresso 
di 
conferma. 


10. 
^L'ambito�diapplicazionedellanormativa:gliincarichiincorsoaf
ffidatiasoggettiestranei�
al�ruolo�unico.�

La 
norma 
transitoria 
si 
riferisce, 
indistintamente, 
a 
tutti 
gli 
incarichi 
di 
livello 
dirigen-
ziale 
generale. 


Pertanto, 
essa 
comprende 
nel 
proprio 
ambito 
anche 
gli 
incarichi 
disciplinati 
dall'art. 
19, 
comma 
6, 
del 
decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165.�

Infatti, 
la 
regola 
transitoria 
prende 
in 
considerazione 
il 
profilo 
oggettivo 
e 
funzionale 
dell'assegnazione 
dell'incarico, 
e 
non 
quello 
meramente 
soggettivo 
riguardante 
l'apparte-
nenza 
del 
dirigente 
al 
ruolo 
unico. 


Ai 
fini 
dell'operativita� 
della 
norma, 
poi, 
non 
assume 
alcun 
rilievo 
la 
circostanza 
che 
la 
fonte 
dei 
rapporti 
di 
questo 
tipo 
sia 
essenzialmente 
contrattuale. 


Anzi, 
proprio 
la 
circostanza 
che 
in 
questi 
incarichi 
e� 
accentuato 
il 
rilievo 
del 
profilo 
fiduciario 
e 
dell'accertamento 
delle 
specifiche 
qualita� 
professionali 
dell'interessato 
impone 
di 
verificare, 
secondo 
le 
modalita� 
attuative 
contenute 
nell'art. 
3, 
comma 
7, 
la 
coerenza 
del-
l'incarico 
con 
i 
nuovi 
obiettivi 
delineati 
dall'organo 
di 
direzione 
politica 
dell'amministra-
zione. 


11. 
^L'attivita�di�ordinaria�amministrazione�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge.�
La 
norma 
prevede 
che 
dall'entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
e 
fino 
alla 
scadenza 
del 
sessante-
simo 
giorno 
(ovvero 
fino 
all'atto 
di 
conferma, 
eventualmente 
adottato 
prima 
di 
tale 
sca-
denza) 
i 
titolari 
degli 
incarichi 
di 
livello 
dirigenziale 
generale 
esercitano 
�esclusivamente 
le 
attivita� 
di 
ordinaria 
amministrazione�. 
La 
definizione 
di 
�ordinaria 
amministrazione� 
va 
ricavata 
dal 
raffronto 
tra 
i 
princ|�pi 
civilistici 
e 
le 
funzioni 
proprie 
che 
l'ordinamento 
attribuisce 
ai 
dirigenti 
generali 
per 
il 
rego-
lare 
funzionamento 
della 
amministrazione, 
tenendo 
conto 
anche 
delle 
indicazioni 
conte-
nute 
nella 
direttiva 
generale 
del 
Ministro 
sull'attivita� 
amministrativa 
e 
sulla 
gestione 
per 
l'anno 
2002. 
In 
tal 
senso, 
assume 
un 
valore 
indicativo 
l'elencazione, 
non 
tassativa, 
contenuta 
nel-

l'art. 
16 
del 
decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

A�titolo�esemplificativo,�eccedono,�di�norma,�l'ordinaria�amministrazione�i�seguenti�tipi�
di�atti:�
la�stipulazione�di�contratti�passivi�diversi�da�quelli�riguardanti�le�forniture�di�beni�e�

servizi�necessari�per�il�funzionamento�dell'organizzazione;�

l'affidamento�degli�incarichi�dirigenziali�di�livello�non�generale;�

l'approvazione�di�progetti,�programmi,�piani;�

la�promozione�di�liti�(fatte�salve�le�iniziative�necessarie�per�garantire�il�recupero�dei�
crediti�dell'Amministrazione�nei�confronti�dei�terzi,�oppure�per�impedire�il�decorso�di�ter-
mini�di�prescrizione�o�di�decadenza);�

gli�atti�di�conciliazione�e�di�transazione�giudiziale�e�stragiudiziale;�

le�convenzioni,�gli�accordi�di�programma,�gli�accordi�procedimentali�e�gli�accordi�
sostitutivi�di�provvedimenti,�conclusi�ai�sensi�dell'art.�11�della�legge 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241; 


in�generale,�tutti�gli�atti�che�impegnano�l'amministrazione�verso�l'esterno,�non�stretta-
mente�necessari�per�garantire�il�regolare�andamento�della�stessa.�

Possono,�invece,�sempre�di�norma�e�a�titolo�esemplificativo,�ritenersi�comprese�nell'ordi-
naria�amministrazione,�alla�luce�anche�della�giurisprudenza�della�Corte�deiconti,leseguenti�
attivita�:�gestione�dei�residui;�spese�per�le�quali�esista�una�specifica�e�precostituita�destina-
zione�normativa�che�renda�non�necessaria�la�determinazione�di�priorita�o�l'adozione�di�speci-
ficazioni�programmatiche;�attivita�gestoria�diretta�a�soddisfare�diritti�o�corrispettivi�dovuti�
a�terzi�se�all'adempimento�debba�farsi�luogo�per�scadenza�di�termini�o�perche�richiesto�dal�
creditore�in�base�alla�legge�o�al�contratto;�pagamenti�mediante�ruoli�di�spesa�fissa;�spese�
obbligatorie�e�d'ordine.�

Nel�periodo�considerato,�i�dirigenti�possono�comunque�adottare�gli�atti�urgenti�e�indif-
feribili,�con�indicazione�specifica�dei�motivi�di�urgenza�e�indifferibilita�,�in�applicazione�dei�
princ|�pi�generali�in�materia�di�proroga�degli�organi�scaduti.�Detti�atti�saranno�successiva-
mente�sottoposti�a�ratifica�da�parte�del�dirigente�assegnato�all'incarico.�

Gli�organi�di�governo�di�ciascuna�amministrazione�potranno,�comunque,�assumere�
eventuali�ulteriori�determinazioni�volte�ad�individuare�^in�relazione�alle�specificita�dei�set-
tori�e�alle�indicazioni�della�direttiva�generale�sull'azione�amministrativa�e�sulla�gestione�da�
essi�adottata�per�il�2002�^atti�da�considerare�di�ordinaria�o�di�straordinaria�amministra-
zione.�

La�legge�non�stabilisce�in�modo�espresso�quali�conseguenze�derivino�dall'adozione�di�
atti�eccedenti�l'ordinaria�amministrazione.�

In�base�ai�princ|�pi�generali,�tuttavia,�l'atto�puo�costituire�fonte�di�responsabilita�per�il�
dirigente�ed�incide�negativamente�sulla�sua�valutazione.�

In�ogni�caso,�per�evitare�situazioni�di�incertezza,�una�volta�esaurita�la�fase�transitoria,�il�
dirigente�nuovo�titolare�dell'incarico�dirigenziale,�nel�piu�breve�tempo�possibile,�puo�proce-
dere�al�riesame�degli�atti�eccedenti�l'ordinaria�amministrazione,�provvedendo�a�revocarli�o�
a�confermarli.�

Peraltro,�fino�a�quando�non�interviene�l'annullamento�(in�sede�amministrativa�o�giuri-
sdizionale),�il�provvedimento�continua�a�produrre�i�propri�effetti�giuridici,�secondo�i�princ|�pi�
generali�concernenti�gli�atti�amministrativi�illegittimi.�

12.�^Gli 
incarichi 
dirigenziali 
di 
livello 
non 
generale 
in 
atto 
all'entrata 
in 
vigore 
della 
legge. 
Per�gli�incarichi�di�livello�dirigenziale�non�generale,�l'art.�3,�comma�7,�prevede�una�disci-
plina�specifica,�diversa�da�quella�riferita�agli�altri�incarichi:�fermo�restando�il�numero�com-
plessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�non�
generale,�puo�procedersi,�entro�novanta�giorni�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�
legge,�all'attribuzione�di�incarichi�ai�sensi�delle�disposizioni�di�cui�al�presente�articolo,�
secondo�il�criterio�della�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse�procedure�previste�dagli�arti-
coli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il�quadriennio�1998-2001�del�per-
sonale�dirigente�dell'Area�1.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi�si�intendono�confermati,�
ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.�

La�legge�non�determina�la�cessazione�automatica�degli�incarichi�in�atto.�Lo�scopo�della�
norma�e�quello�di�consentire�alle�amministrazioni�di�effettuare�una�anticipata�valutazione�
dei�dirigenti�assegnati�ai�posti�di�livello�non�generale,�in�relazione�alle�soluzioni�organizza-
tive�prescelte�ed�alla�nuova�definizione�degli�obiettivi�e�dei�programmi�riguardanti�gli�incari-
chi�di�livello�generale.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


In 
questa 
prospettiva, 
si 
evidenziano 
i 
tratti 
che 
caratterizzano 
la 
disciplina 
di 
imme-
diata 
attuazione: 
a) 
l'attivita� 
di 
valutazione 
degli 
incarichi 
in 
atto 
va 
considerata 
meramente 
facolta-
tiva 
per 
tutte 
le 
amministrazioni; 
b) 
la 
rotazione 
va 
effettuata 
nell'ambito 
dell'amministrazione 
presso 
cui 
il 
dirigente 
presta 
servizio; 


c) 
la 
natura 
provvedimentale 
della 
eventuale 
determinazione 
di 
assegnare 
il 
dirigente 
ad 
un 
incarico 
diverso 
rispetto 
a 
quello 
in 
corso 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
legge, 
comporta 
la 
piena 
applicazione 
delle 
regole 
partecipative 
di 
cui 
alla 
legge 
7 
agosto 
1990, 


n. 
241. 
In 
particolare, 
le 
amministrazioni 
competenti 
sono 
tenute 
ad 
applicare 
gli 
articoli 
7 
e 
seguenti 
della 
citata 
legge, 
assicurando 
l'effettiva 
partecipazione 
dei 
soggetti 
coinvolti 
nei 
processi 
di 
rotazione 
degli 
incarichi; 
d) 
peraltro, 
la 
breve 
durata 
del 
termine 
previsto 
per 
l'adozione 
del 
provvedimento 
finale 
consente 
di 
evidenziare 
eventuali 
ragioni 
di 
urgenza 
e 
di 
semplificare 
le 
modalita� 
di 
attuazione 
del 
contraddittorio 
con 
gli 
interessati; 


e) 
il 
provvedimento 
di 
attribuzione 
di 
un 
nuovo 
incarico 
va 
adeguatamente 
motivato, 
in 
relazione 
ai 
diversi 
parametri 
considerati 
dal 
riformulato 
art. 
19, 
ed 
agli 
elementi 
indicati 
dalla 
contrattazione 
collettiva, 
con 
riguardo 
alla 
rotazione 
degli 
incarichi; 


f) 
in 
mancanza 
di 
espliciti 
provvedimenti, 
adottati 
nel 
termine 
di 
novanta 
giorni 
dal-
l'entrata 
in 
vigore 
della 
legge, 
gli 
incarichi 
si 
intendono 
confermati. 
Lasceltalegislativa 
e� 
chiaramente 
indirizzata 
nel 
senso 
di 
ritenere 
superfluo 
un 
esplicito 
provvedimento 
che 
disci-
plini 
il 
contenuto 
dell'incarico 
dirigenziale; 


g) 
si 
sottolinea 
che 
il 
termine 
legale 
entro 
il 
quale 
le 
amministrazioni 
devono 
adot-
tare 
il 
provvedimento 
di 
attribuzione 
dell'incarico 
ha 
natura 
perentoria; 


h) 
detta 
soluzione 
interpretativa 
e� 
coerente, 
del 
resto, 
con 
le 
esigenze 
di 
semplifica-
zione 
e 
di 
funzionalita� 
della 
struttura 
organizzativa 
delle 
singole 
amministrazioni. 
Essa 
si 
connette, 
razionalmente, 
all'impostazione 
gradualista 
della 
legge 
che, 
sul 
piano 
cronologico, 
prevede 
differenziate 
modalita� 
di 
attuazione; 


i) 
fino 
alla 
scadenza 
del 
termine 
di 
novanta 
giorni 
(o 
comunque, 
fino 
all'adozione 
del 
provvedimento 
di 
attribuzione 
di 
un 
nuovo 
incarico), 
il 
dirigente 
resta 
investito 
della 
pie-
nezza 
delle 
attribuzioni; 


j) 
gli 
incarichi 
confermati 
restano 
regolati 
dal 
contratto 
individuale 
di 
lavoro, 
in 
rela-
zione 
a 
tutti 
i 
profili 
considerati, 
compresi 
quelli 
della 
durata 
e 
della 
individuazione 
dei 
com-
piti. 
Peraltro, 
trova 
immediata 
applicazione 
la 
nuova 
norma 
sulla 
durata 
massima 
dell'inca-
rico, 
che 
non 
puo� 
essere 
superiore 
ai 
cinque 
anni; 


k) 
per 
esigenze 
organizzative 
e 
di 
coerenza 
complessiva 
del 
sistema, 
tuttavia, 
e� 
neces-
sario 
che, 
per 
tutti 
i 
rapporti 
confermati, 
si 
proceda 
alla 
sostituzione 
dei 
contratti 
con 
i 
cor-
rispondenti 
provvedimenti 
di 
conferimento 
dell'incarico, 
accompagnati 
dai 
contratti 
acces-
sivi 
per 
la 
disciplina 
della 
parte 
economica. 
Ogni 
amministrazione 
attuera� 
gradualmente 
questo 
processo 
di 
adeguamento, 
anche 
oltre 
il 
termine 
dei 
novanta 
giorni, 
che 
riguarda 
esclusivamente 
la 
procedura 
di 
rotazione 
degli 
incarichi. 


13. 
^La 
determinazione 
di 
attribuire 
al 
dirigente 
generale 
un 
incarico 
diversodaquello 
in 
corso. 


L'art. 
3, 
comma 
7, 
prevede 
che 
�In 
sede 
di 
prima 
applicazione 
dell'art. 
19 
del 
decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
come 
modificato 
dal 
comma 
1 
del 
presente 
articolo, 
ai 
diri-
genti 
ai 
quali 
non 
sia 
riattribuito 
l'incarico 
in 
precedenza 
svolto 
e� 
conferito 
un 
incarico 
di 
livello 
retributivo 
equivalente 
al 
precedente. 
Ove 
cio� 
non 
sia 
possibile, 
per 
carenza 
di 
dispo-
nibilita� 
di 
idonei 
posti 
di 
funzione 
o 
per 
la 
mancanza 
di 
specifiche 
qualita� 
professionali, 
al 
dirigente 
e� 
attribuito 
un 
incarico 
di 
studio, 
con 
il 
mantenimento 
del 
precedente 
trattamento 
economico, 
di 
durata 
non 
superiore 
ad 
un 
anno. 
La 
relativa 
maggiore 
spesa 
e� 
compensata 
rendendo 
indisponibile, 
ai 
fini 
del 
conferimento, 
un 
numero 
di 
incarichi 
di 
funzione 
dirigen-
ziale 
equivalente 
sul 
piano 
finanziario, 
tenendo 
conto 
prioritariamente 
dei 
posti 
vacanti 
presso 
l'amministrazione 
che 
conferisce 
l'incarico�. 


La 
norma, 
pur 
riferendosi, 
genericamente, 
agli 
incarichi 
previsti 
dall'art. 
19, 
non 
si 
applica 
agli 
incarichi 
di 
livello 
dirigenziale 
non 
generale: 
la 
disciplina 
transitoria 
sulla 
rota-
zione 
degli 
incarichi 
e� 
, 
infatti, 
completa 
ed 
incompatibile 
con 
le 
particolari 
regole 
in 
esame. 



IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

In�via�prioritaria,�l'amministrazione�conferisce�al�dirigente�cessato�dalla�precedente�fun-
zione�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente.�

Al�riguardo,�si�sottolinea�che�per�incarico�equivalente�si�intende,�ai�sensi�dell'art.�13�
del�C.C.N.L.�per�il�quadriennio�1998-2001�del�personale�dirigente�dell'Area�1,�quello�cui�
corrisponde�una�retribuzione�di�posizione�complessiva�di�pari�fascia�ovvero�una�retribu-
zione�di�posizione�il�cui�importo�non�sia�inferiore�del�10%�rispetto�a�quelloprecedente-
mente�percepito.�

Cio�non�impedisce,�peraltro,�che�al�dirigente�possa�essere�attribuito�un�incarico�di�mag-
giore�livello�retributivo.�

In�ogni�caso,�la�possibilita�di�attribuire�l'incarico�equivalente�e�subordinata�ad�una�
duplice�condizione:�

a) 
la�disponibilita�di�un�posto�con�queste�caratteristiche�oggettive;�

b) 
il�possesso�di�specifiche�qualita�professionali.�

Con�riguardo�al�primo�requisito,�si�osserva�che�la�disponibilita�va�verificata�all'esito�
delle�altre�assegnazioni�agli�uffici�di�livello�dirigenziale�generale,�non�essendo�configurabile�
una�sorta�di�prelazione�del�dirigente�cessato�dall'incarico�sui�posti�vacanti�alla�data�di�
entrata�in�vigore�della�legge.�

Il�secondo�presupposto�(possesso�di�specifiche�qualita�professionali)�va�anzitutto�rife-
rito,�oggettivamente,�alle�intrinseche�caratteristiche�dell'incarico,�valutato�nella�sua�even-
tuale�specificita�professionale�e�tecnica.�Peraltro,�nella�scelta�di�non�assegnare�al�dirigente�
l'incarico�equivalente�possono�assumere�rilievo�anche�considerazioni�riguardanti�le�attitudini�
professionali�dell'interessato,�debitamente�evidenziate�ed�accertate.�

Occorre�considerare,�in�ogni�caso,�che�anche�l'attribuzione�del�nuovo�incarico�e�subordi-
nata�alla�valutazione�degli�elementi�indicati�nel�riformulato�art.�19.�

Cio�posto,�si�sottolinea�la�necessita�di�esprimere�una�congrua�motivazione�in�merito�alla�
decisione�di�non�attribuire�al�dirigente�cessato�un�incarico�di�livello�equivalente.�

Si�intende,�poi,�che�l'incarico�funzionalmente�equivalente�deve�essere�di�livello�dirigen-
ziale�generale.�Pertanto�esso�e�valutabile�per�il�computo�del�periodo�quinquennale�necessario�
per�il�passaggio�dalla�seconda�alla�prima�fascia�del�ruolo�dirigenziale,�ai�sensi�dell'art.�23,�
comma�1,�del�decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165. 


La�durata�dell'incarico�va�determinata�secondo�le�regole�generali,�stabilite,�a�regime,�dal�
riformulato�art.�19.�Pertanto,�non�opera�il�limite�massimo�di�un�anno,�previsto�solo�per�gli�
incarichi�di�studio.�

La�regola�concernente�l'attribuzione�di�un�incarico�equivalente�vale�anche�per�i�cessati�
incarichi�previsti�dall'art.�19,�comma�6.�In�tal�caso,�tuttavia,�occorrera�considerare�con�parti-
colare�attenzione�il�requisito�del�possesso�di�specifiche�qualita�professionali,�espressamente�
previsto�dalla�norma.�

L'incarico�esterno�e�legato,�all'origine,�ad�una�apposita�valutazione�delle�caratteristiche�
soggettive�dell'interessato�ed�alle�sue�particolari�doti,�viste�in�stretta�relazione�con�il�conte-
nuto�delle�funzioni.�

Pertanto,�una�volta�cessato�l'incarico�esterno,�senza�riattribuzione�all'originario�titolare,�
l'individuazione�di�un�eventuale�incarico��equivalente�,�va�compiuta�tenendo�conto�dei�sud-
detti�connotati.�

14.�^Il 
conferimento 
di 
un 
incarico 
di 
studio. 
Nelle�ipotesi�in�cui�non�sia�possibile�attribuire�un�incarico�di�livello�equivalente,�l'ammi-
nistrazione�conferisce�al�dirigente�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�precedente�
trattamento�economico,�per�la�durata�massima�di�un�anno.�

La�possibilita�di�fissare�una�durata�dell'incarico�inferiore�all'anno�va�circoscritta�alle�
sole�ipotesi�in�cui�il�periodo�residuo�dell'originario�rapporto�sia,�a�sua�volta,�inferiore�
all'anno.�E�evidente�che�la�durata�dell'incarico�di�studio�non�potrebbe�eccedere�la�scadenza�
naturale�del�rapporto.�

Nel�caso�dell'incarico�di�studio,�la�previsione�normativa�e�diversa�da�quella�concernente�
il�conferimento�dell'incarico�equivalente,�poiche�la�garanzia�economica�prevista�riguarda�
l'intero�ammontare�del�trattamento�economico�precedentemente�percepito,�compresa,�
quindi,�la�retribuzione�di�risultato�e�senza�alcuna�percentuale�di�riduzione.�

La�scelta�legislativa�deriva�dalla�circostanza�che�l'incarico�ha�una�durata�ridotta,�fino�al�
limite�massimodi�unanno.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Si�sottolinea�che�gli�incarichi�di�studio�in�questione�sono�comunque�da�considerarsi�
aggiuntivi�rispetto�a�quelli�di�cui�all'art.�19,�comma�10,�del�decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
poiche�questi�ultimi�corrispondono�a�posti�di�funzione.La�norma�di�garanzia�
si�applica�anche�agli�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale�assegnati�ai�sensi�dell'art.�19,�
comma�6.�

Infatti,�la�regola�non�e��riferita�allo�specifico�status 
del�dirigente,�ma�al�dato�oggettivo�
della�cessazione�dell'incarico.�

Del�resto,�la�ratio 
della�disposizione�e��quella�di�ristorare�il�pregiudizio�economico�subito�
dal�titolare�dell'incarico�cessato�automaticamente.�

Questa�esigenza�si�manifesta�in�modo�analogo�tanto�per�i�dirigenti�del�ruolo�unico,�
quanto�per�i�soggetti�estranei�all'amministrazione.�Anzi,�per�questi�ultimi,�la�cessazione�anti-
cipata�del�rapporto�e��idonea�a�determinare�effetti�patrimoniali�piu��gravi,�proprio�per�la�
carenza�dello�status 
dirigenziale�e�per�l'impossibilita��di�applicare�le�ulteriori�norme�di�garan-
zia�previste�dall'ordinamento�e�dalla�contrattazione�collettiva.�

Per�le�stesse�ragioni,�la�norma�di�garanzia�opera�anche�a�vantaggio�dei�dirigenti�cessati�
da�uno�degli�incarichi�conferiti�ai�sensi�dell'art.�19,�comma�3.�

L'incarico�di�studio�ha�un'equivalenza�meramente�economica,�e�non�funzionale,�con�
quella�di�livello�dirigenziale�generale:�pertanto,�l'incarico�non�e��valutabile�per�i�dirigenti�
iscritti�alla�seconda�fascia,�ai�fini�del�passaggio�alla�prima.�

Da�ultimo,�si�sottolinea�l'esigenza�di�corredare�il�provvedimento�di�conferimento�dell'in-
carico�di�studi�con�un'adeguata�motivazione,�secondo�i�princ|�pi�fissati�dall'art.�3�della�legge 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241. 


15. 
^La 
coperturafinanziaria 
degli 
incarichi 
di 
studio. 
La�norma�di�garanzia,�concernente�l'assegnazione�del�dirigente�ad�un�incarico�di�studi�
di�livello�retributivo�equivalente,�non�deve�comportare�aggravi�di�spese.�
A�tale�scopo,�l'art.�3,�comma�7,�prevede�un�apposito�meccanismo�di�compensazione.�La�
coperturadellamaggiorespesasieffettua�rendendoindisponibile�...unnumerodiincarichi�
di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario�.�

La�norma�impone�di�assicurare�un�equilibrio�finanziario,�riferito�a�tutti�(e�solo)�gli�inca-
richi�di�livello�dirigenziale.�Pertanto,�la�compensazione�ben�potrebbe�essere�effettuata�ren-
dendo�indisponibili�posti�di�livello�dirigenziale�non�generale.�Al�contrario,�non�e��possibile�
la�compensazione�con�posti�di�carattere�non�dirigenziale.�

La�legge�individua,�poi,�un�meccanismo�tassativo�di�copertura.�Pertanto,�l'aggravio�eco-
nomico�non�puo��essere�compensato�mediante�altre�forme�di�risparmio�o�da�altre�entrate�
dellastessaamministrazione.�

Il�calcolo�economico�della�compensazione�va�effettuato�in�concreto�da�ciascuna�ammi-
nistrazione,�sulla�base�del�raffronto�tra�il�trattamento�economico�del�dirigente�assegnato�ad�
incarico�di�studio�e�quello�attribuibile�per�i�posti�di�dirigente�di�prima�e�di�seconda�fascia�resi�
indisponibili.�

La�diversa�articolazione�della�misura�dei�trattamenti�economici�complessivi�vigenti�nel-
l'ambito�di�ogni�singola�amministrazione,�e�nell'intero�apparato�statale,�impedisce�di�ipotiz-
zare�rapporti�fissi�ed�astratti.�

L'equivalenza�finanziaria�va�formalmente�dimostrata�con�apposito�provvedimento�diri-
genziale�del�responsabile�del�trattamento�economico,�da�assumere�contestualmente�al�confe-
rimento�di�ciascun�incarico�di�studio.�Si�intende,�quindi,�che�ogni�provvedimento�di�attribu-
zionediunincaricodistudi�dovra��indicare�con�chiarezza�le�modalita��della�copertura�econo-
mica�dell'atto,�mediante�un�puntuale�riferimento�agli�incarichi�resi�indisponibili�per�attuare�
la�prevista�compensazione.�

Quest'ultima�va,�quindi,�effettuata�tenendo�conto�che�l'importo�dell'effettiva�maggiore�
spesa�relativa�alle�retribuzione�complessiva�conservata�dall'interessato,�in�applicazione�della�
vigente�contrattazione�collettiva,�deve�trovare�corrispondenza�con�l'economia�complessiva�
realizzata�dalla�indisponibilita��di�uno�o�piu��posti�di�funzione�(di�livello�dirigenziale�generale�
enon�generale).�

Qualora�il�rapporto�tra�l'importo�oggetto�di�compensazione�e�quello�connesso�all'indi-
sponibilita��dell'incarico�risulti�superiore�all'unita��,�l'equivalenza�sul�piano�finanziario�va�rea-
lizzata�prolungando�l'indisponibilita��di�un�posto�dirigenziale�per�la�frazione�di�anno�necessa-
ria�a�coprire�la�differenza�di�spesa.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

16.�^L'indisponibilita�deipostidirigenzialipresso�altreamministrazioni.�
La�disposizione�stabilisce�che�il�meccanismo�di�compensazione�finanziaria�si�effettua�
�tenendo�conto�prioritariamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�
l'incarico�.�

La�norma�afferma�il�principio�secondo�cui�il�meccanismo�della�compensazione�puo�ope-
rare,�sia�pure�in�via�del�tutto�eccezionale,�anche�tra�amministrazioni�diverse,�purche�sia�assi-
curata,�nel�complesso,�la�copertura�finanziaria�dell'incarico�stesso.�

La�concreta�attuazione�del�principio�della�compensazione�tra�amministrazioni�diverse�
presuppone,�peraltro,�la�definizione,�effettuata�dal�Governo�in�sede�collegiale�e�programma-
toria,�dei�criteri�e�dei�princ|�pi�in�base�ai�quali�determinate�amministrazioni�debbano�tenere�
indisponibili�i�propri�posti�dirigenziali,�per�consentire�la�copertura�degli�incarichi�di�studio,�
nell'interesse�di�altre�amministrazioni.�

Allo�stesso�scopo,�resta�ferma,�in�ogni�caso,�la�possibilita�di�realizzare�appositi�accordi�
tra�amministrazioni�statali�diverse.�Allo�scadere�dell'incarico�di�studio,�la�posizione�dell'inte-
ressato�sara�definita�in�modo�diverso,�in�considerazione�dello�status�in�concreto�rivestito.�

Al�riguardo�possono�indicarsi�le�tre�principali�ipotesi:�

per�gli�incarichi�di�cui�all'art.�19,�comma�6,�al�termine�dell'anno�(o�del�piu�breve�
periodo�eventualmente�previsto),�il�rapporto�con�l'amministrazione�presso�la�quale�si�presta�
servizio�si�deve�considerare�cessato;�

per�gli�incarichi�attribuiti�a�dirigenti�iscritti�alla�prima�fascia�del�ruolo,�l'amministra-
zione�procedera�ad�assegnare�all'interessato�un�nuovo�incarico,�secondo�le�regole�ordinarie�
previste�dall'art.�19,�come�riformulato�dalla�legge�di�riforma;�

per�gli�incarichi�di�livello�generale�attribuiti�a�dirigenti�della�seconda�fascia,�l'ammini-
strazione�procedera�ad�assegnare�l'interessato�ad�un�incarico�di�livello�non�generale,�salva�
la�possibilita�di�attribuire�un�incarico�di�livello�generale,�nei�limiti�dell'aliquota�del�cinquanta�
per�cento�dei�posti.�

17.�^Laproceduraper�ilconferimento�degliincarichinellafase�transitoria.�
Le�nuove�procedure�per�i�conferimenti�degli�incarichi�vanno�immediatamente�applicate,�
anche�nella�fase�transitoria,�indipendentemente�dalla�piena�operativita�dei�singoli�ruoli�diri-
genziali�delle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo.�

Per�evitare�l'eccessiva�durata�dei�tempi�riservati�alla�gestione�amministrativa�ordinaria�e�
per�consentire�alla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�la�tempestiva�formalizzazione�dei�
decreti�di�conferimento�dei�nuovi�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�e�
opportuno�che�le�singole�amministrazioni�attivino�con�immediatezza�i�relativi�procedimenti:�

l'organo�di�governo�dell'amministrazione�interessata�formula�la�proposta�di�incarico,�
indirizzandola�alla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�^Dipartimento�della�funzione�pub-
blica;�

la�proposta�contiene�l'indicazione�del�soggetto�proposto�per�l'incarico,�insieme�alla�
indicazione�dei�compiti�e�delle�funzioni�assegnate,�comprese�quelle�di�carattere�aggiuntivo�
rispetto�al�posto�considerato;�

la�proposta�da�conto,�in�modo�succinto,�degli�elementi�indicati�dall'art.�19,�conside-
rando�anche�le�prescrizioni�dell'art.�3,�comma�7,�nelle�ipotesi�in�cui�non�si�intenda�riattri-
buire�lo�stesso�incarico�al�dirigente�cessato;�

la�proposta�deve�indicare�il�tipo�di�incarico,�nel�rispetto�delle�percentuali�previste�dal-
l'art.�19,�commi�4,�5-bis,�5-ter�e�6,�anche�allo�scopo�di�verificare�il�limite�delle�nuove�misure�
percentuali�stabilite�dall'ordinamento�per�ciascun�ambito�di�capienza�in�relazione�alla�dota-
zione�organica�di�ciascuna�amministrazione�(dirigenti�di�seconda�fascia;�dirigenti�di�altre�
amministrazioni�pubbliche,�estranei);�

la�proposta�e�corredata�dal�curriculum�vitae�e�professionale�del�soggetto�proposto�per�
l'incarico,�nonche�dal�contratto�individuale�accessivo,�per�la�parte�economica�del�rapporto,�
stipulato�tra�l'organo�di�vertice�ed�il�dirigente,�redatto�secondo�lo�schema�allegato�(Alle-
gato�1).�Il�trattamento�economico,�sia�principale�che�accessorio,�del�personale�dirigenziale�
in�regime�di�diritto�pubblico�risulta�direttamente,�oltre�che�da�eventuali�norme�legislative�o�
regolamentari,�dal�provvedimento�di�incarico�o�da�separato�ma�connesso�provvedimento;�

la�proposta�di�incarico�e�accompagnata�anche�da�una�bozza�di�decreto�del�Presidente�
del�Consiglio�dei�Ministri,�predisposta�secondo�lo�schema�allegato�(Allegato�2);�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

il�Dipartimento�della�funzione�pubblica�inserira�in�rete,�secondo�le�consuete�modalita�
di�sicurezza�ed�accesso�per�ciascuna�amministrazione,�gli�schemi�di�decreto�del�Presidente�
del�Consiglio�dei�Ministri�e�di�contratto�individuale�predisposti�in�modo�uniforme.�

18.�^L'applicazione 
immediata 
delle 
nuove 
norme 
concernenti 
le 
aliquote 
per 
l'attribuzione 
degli 
incarichi 
dirigenziali. 


L'art.�3�della�legge�ha�modificato,�in�piu�parti,�la�determinazione�delle�aliquote�riguar-
danti�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali:�

a) 
gli�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale�possono�essere�attribuiti,�fino�alla�
misura�massima�del�cinquanta�per�cento�della�dotazione�organica,�a�dirigenti�appartenenti�
alla�seconda�fascia;�

b) 
gli�incarichi�dirigenziali�possono�essere�assegnati�a�dirigenti�di�altre�amministra-
zioni�pubbliche�o�di�organi�costituzionali,�nella�percentuale�massima�del�dieci�per�cento�della�
dotazione�organica�di�prima�fascia�e�nella�percentuale�massima�del�cinque�per�cento�della�
dotazione�organica�di�seconda�fascia;�

c) 
gli�incarichi�dirigenziali�possono�essere�attribuiti�a�persone�di�comprovata�qualifi-
cazione�professionale,�non�appartenente�ai�ruoli�dirigenziali,�nel�limite�massimo�del�dieci�
per�cento�(prima�fascia)�e�dell'otto�per�cento�(seconda�fascia).�

Le�nuove�percentuali�sono�riferite�alla�dotazione�organica�dei�posti�di�ciascuna�ammini-
strazione.�Pertanto,�la�disciplina�in�esame�e�pienamente�applicabile�dalla�data�di�entrata�in�
vigore�della�legge,�tenendo�conto�dei�posti�dirigenziali�previsti,�e�non�e�condizionata�dalla�
istituzione�dei�ruoli�delle�singole�amministrazioni.�

In�attesa�della�determinazione�dei�ruoli�organici�dirigenziali�delle�singole�amministra-
zioni,�la�base�di�calcolo�delle�percentuali�va�individuata�considerando�le�dotazioni�organiche�
in�atto,�nonche��i�posti�di�funzione�previsti�istituzionalmente�dai�singoli�ordinamenti,�per�lo�
svolgimento�in�posizione�di�fuori�ruolo�di�funzioni�connesse�all'interesse�dell'amministra-
zione.�

Ai�fini�dell'esatto�calcolo�delle�percentuali,�restano�fermi�i�criteri�generali�gia�applicati�
dall'Ufficio�del�ruolo�unico�della�dirigenza�del�Dipartimento�della�funzione�pubblica.�

In�particolare,�qualora�l'applicazione�percentuale�determini�come�risultato�un�numero�
con�decimali,�si�procedera�agli�arrotondamenti�di�seguito�indicati:�

per�eccesso,�all'unita�superiore,�se�il�numero�supera�il�limite�dello�0,50;�

per�difetto,�all'unita�inferiore,�se�il�numero�e�uguale�o�inferiore�al�limite�dello�0,50.�

E�comunque�opportuno�che,�a�fini�conoscitivi,�ciascuna�amministrazione�trasmetta�al�
Dipartimento�della�funzione�pubblica�un�prospetto�aggiornato�da�cui�risultino,�distinta-
mente:�

le�dotazioni�organiche�degli�incarichi�di�prima�e�seconda�fascia;�

il�calcolo�delle�percentuali�in�relazione�alle�diverse�ipotesi.�

19.�^La 
cessazione 
degli 
incarichi 
di 
direttore 
generale 
degli 
enti 
pubblici 
vigilati 
dallo 
Stato. 
L'art.�3,�comma�7,�sottopone�gli�incarichi�di�direttore�generale�degli�enti�vigilati�dallo�
Stato,�in�atto�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge,�alla�stessa�regola�prevista�per�i�diri-
genti�di�livello�generale�delle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo:�
la�cessazione�dell'incarico�alla�scadenza�del�sessantesimo�giorno.�

Anche�in�questa�ipotesi,�dunque,�valgono,�in�linea�di�principio,�le�stesse�indicazioni�
interpretative�riguardanti�gli�incarichi�di�livello�dirigenziale�generale�nelle�amministrazioni�
statali,�salve�le�precisazioni�di�seguito�esposte.�

Innanzitutto,�e�necessario�definire�l'esatto�ambito�oggettivo�e�soggettivo�di�applicazione�
della�norma,�in�ragione�della�sua�formulazione�che�comporta�un'applicazione�notevolmente�
ampia.�

La�disposizione�comprende�tutti�gli�enti�pubblici,�seppure�diversamente�denominati�
(istituto,�consiglio,�istituzione,�centro�e�simili),�comunque�sottoposti�alla�vigilanza�dello�
Stato.�

Non�rientrano�nell'ambito�operativo�della�norma�le�societa�partecipate�dallo�Stato,�
ancorche��qualificabili,�ad�altri�fini,�come�organismi�di�diritto�pubblico.�

Ciascuna�amministrazione�deve�procedere�ad�effettuare�la�completa�ricognizione�degli�
enti�vigilati,�allo�scopo�di�verificare�l'esistenza�della�figura�del��direttore�generale�,�quale�
definita�dall'ordinamento�di�ciascun�ente,�ed�assicurare�dunque�la�corretta�applicazione�della�
norma.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

A�tale�proposito,�sono�necessarie�alcune�precisazioni�in�merito�al�contenuto�dell'art.�3,�
comma�7.�

In�particolare,�la�norma�circoscrive�il�proprio�ambito�applicativo�alla�sola�posizione�
apicale�della�struttura�amministrativa�dell'ente.�La�cessazione�dell'incarico�non�riguarda,�
pertanto,�gli�eventuali�altri�dirigenti�generali�degli�enti,�inseriti�nelle�relative�strutture�ammi-
nistrative.�Restano�salve�specifiche�situazioni�ordinamentali�concernenti�personale�dirigen-
ziale�appartenente,�al�momento�dell'entrata�in�vigore�della�legge,�a�ruoli�afferenti�anche�tran-
sitoriamente�alle�amministrazioni�dello�Stato.�

La�norma�comprende�tanto�le�ipotesi�in�cui�l'ordinamento�qualifica�espressamente�la�
posizione�apicale�con�il�nomen 
di�direttore�generale,�quanto�le�ipotesi�in�cui�la�struttura�
organizzativa�individua�comunque�una�figura�sovraordinata�a�quella�degli�uffici�di�livello�
dirigenziale�generale,�utilizzando�altre�espressioni,�quali�segretario�generale�o�analoghe.�

La�valutazione�circa�l'applicabilita�della�disposizione�transitoria�di�cui�all'art.�3,�
comma�7,�piuttosto�che�di�quella�contenuta�nel�comma�2�dell'art.�6�(�Norme�inmateria�di�
incarichi�presso�enti,�societa�e�agenzie�)�va�effettuata�da�ciascuna�amministrazione�vigilante,�
tenuto�conto�delle�specifiche�situazioni�ordinamentali�dell'ente,�nonche�della�connotazione�
dell'incarico�di�direttore�generale,�con�particolare�riferimento�alla�sua�eventuale�configura-
zione�di��organo��dell'ente.�In�tal�caso,�infatti,�trattandosi�di�posizione�apicale,�occorre�fare�
riferimento�alle�disposizioni�previste�dal�citato�art.�6,�che�riguardano�anche�i�componenti�
dei�Consigli�di�amministrazione�o�degli�organi�equiparati.�

D'altra�parte,�occorre�specificare�che,�nel�caso�di�applicazione�della�norma�transitoria�di�
cui�al�citato�art.�6,�comma�2,�ai�fini�dell'individuazione�dell'ambito�di�applicazione�della�
stessa,�l'espressione��nomine�rese�operative��e�da�intendersi�con�riferimento�a�quelle�nomine�
la�cui�data�di�decorrenza�e�successiva�alla�data�di�conferimento�dell'incarico.�A�tale�ipotesi�
va�senz'altro�equiparato�il�caso�in�cui�la�nomina,�pur�sortendo�alcuni�effetti�immediata-
mente,�spiega�la�pienezza�dei�suoi�effetti�giuridici�(si�pensi�alle�questioni�relative�alle�incom-
patibilita�)�ed�economici�(in�relazione�al�definitivo�trattamento�economico�previstoper�la�
funzione�oggetto�della�nomina),�soltanto�in�un�momento�successivo.�

Si�ritiene,�da�ultimo,�che�per�il�direttore�generale�non�confermato�nell'incarico�ai�sensi�
dell'art.�3,�comma�7,�non�operino�le�norme�di�garanzia�previste�dalla�medesima�disposizione.�
Si�osserva,�al�riguardo,�che�tale�disposizione�e�,�infatti,�congegnata�sul�presupposto�che�il�
dirigente�cessato�possa�ottenere�un�incarico�equivalente�ovvero�un�incarico�di�studio�presso�
l'amministrazione�ove�presta�servizio�al�momento�di�entrata�in�vigore�della�legge.�Per�quanto�
concerne�i�direttori�generali�degli�enti,�e�evidente�la�circostanza,�da�un�lato,�che,�all'interno�
dell'ente,�non�possono�rinvenirsi�posizioni�equivalenti;�dall'altro,�che,�per�la�specificita�della�
figura�e�per�la�particolare�natura�delle�funzioni�svolte,�non�appare�configurabile�il�conferi-
mento�all'interessato�di�un�incarico�di�studio.�

Il 
Ministro: 
Frattini 



RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

2.�^LA 
questionE 
dI 
giurisdizione. 
Corte 
di 
Cassazione, 
Sezioni 
Unite 
^Ricorso 
per 
regolamento 
preventivo 
di 
giurisdizione 
del 
7 
febbraio 
2003 
per�G.D.S.�(Avv.�M.�Chiti)�c/Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�
e�della�Ricerca,�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�della�Funzione�
Pubblica,nei�ricorsi�pendenti�dinanzialT.A.R.del�Lazio^Roma,sez.�terza-bis. 


�1.�^(omissis) 
I�ricorrenti,�dirigenti�generali�del�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Univer-
sita�edella�Ricerca,hanno�impugnato�dinanzi�alT.A.R.del�Lazio^Roma,Sez.terza-bis, 
i�
provvedimenti�assunti�dal�Ministero�medesimo�e�dalla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�
in�attuazione�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002,�nonche�la�circolare�del�Diparti-
mento�della�Funzione�Pubblica�del�31�luglio�2002.�La�Camera�di�Consiglio�perla�discussione�
dell'istanza�cautelare�e�fissata�per�la�data�del�20�gennaio�2003.�
Tuttavia,imedesimiricorrentihanno�altres|�proposto�distinti�ricorsi�d'urgenza�dinanzi�
al�Giudice�Ordinario�(Tribunale�di�Roma�^Sez.�Lavoro),�tutti�ad�oggi�pendenti.�

Attesa�la�sostanziale�identita�(sia�di�petitum 
che�di�causa 
petendi)�degli�atti�di�ricorso�
proposti�dinanzi�alle�due�giurisdizioni,�miranti�all'annullamento�ovvero�alla�disapplicazione�
degli�identici�atti�di�cui�si�assume�la�illegittimita�,�con�richiesta�di�reintegra�nelle�funzioni,�
se�del�caso�previo�ordine�all'amministrazione�di�procedere�alla�valutazione�comparativa�dei�
curricula 
degli�aspiranti,�questa�difesa�ritiene�sussistere�una�evidente�contraddittorieta�delle�
azioni�in�punto�di�giurisdizione.�

L'importanza�della�controversia�e�tale�da�imporre�la�necessita�immediata�di�una�preven-
tiva�definizione�della�giurisdizione�competente.�Sussiste�infatti�un�convergente�interesse�pub-
blico�e�privato�a�che�siano�definite�le�posizioni�giuridiche�dei�titolari�di�ruoli�di�cos|�alto�
grado�gerarchico�all'interno�dell'organizzazione�del�M.I.U.R.�

E�pertanto�interesse�dei�ricorrenti�chiedere�che�sia�definita,�in�via�preventiva,�la�que-
stione�di�giurisdizione�che�si�solleva�ai�sensi�dell'art.�41�c.p.c.�nelle�forme�di�cui�all'art.�367�
c.p.c.,�e�proporre�il�presente�ricorso.�

MOTIVI 
^Sulla 
giurisdizione 
avente 
cognizione 
in 
ordine 
alla 
controversia 
attinente 
il 


conferimento 
e 
la 
revoca 
di 
incarichi 
dirigenziali, 
anche 
a 
seguito 
della 
L. 
n. 
145/2002. 


1.�^La�materia�controversa�sembra�devoluta�alla�cognizione�della�giurisdizione�
ordinaria�in�virtu�del�disposto�dell'art.�63�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�e�degli�indirizzi�
espressi�sul�punto�da�Codesta�Ecc.ma�Corte,�oltre�che�dal�Consiglio�di�Stato�e�dalla�
Corte�Costituzionale.�
Tra�le�altre�decisioni�rilevanti�sulla�questione,�anche�al�fine�di�non�appesantire�l'esposi-
zione,�si�richiamano�per�l'essenziale�le�seguenti:�

^Corte 
Costituzionale, 
n. 
193 
del 
16 
maggio 
2002 
(punto 
3 
in 
motiv.): 
``anche�aifinidi�
una�interpretazione�delle�norme�conforme�a�Costituzione,�che�la�distinzione�tra�attivita�di�
indirizzo�politico-amministrativo�e�l'attivita�gestionale�con�propria�autonomia�e�responsabi-
lita�dei�dirigenti�generali�nonche�la�progressiva�estensione�della�privatizzazione�del�rapporto,�
dando�risalto�alla�qualificazione�di�diritto�soggettivo�delle�relative�posizioni�(sentenza�

n.�275�del�2001),�comporta,�da�un�canto,�un�maggiore�rigore�nella�responsabilita�degli�stessi.�
Nello�stesso�tempo�vi�e�un'esigenza�di�rafforzamento�della�posizione�dei�medesimi�dirigenti�
generali�attraverso�la�specificazione�delle�peculiari�responsabilita�dirigenziali,�la�tipicizza-
zione�delle�misure�sanzionatorie�adottabili,�nonche�la�previsione�di�adeguate�garanzie�proce-
dimentali�nella�valutazione�dei�risultati�e�dell'osservanza�delle�direttive�ministeriali;�inoltre,�
il�modo�ed�i�tempi�in�cui�si�possa�pervenire�non�solo�alla�revoca�delle�funzioni�ma�anche�alla�
risoluzione�definitiva�del�rapporto�di�impiego�...''.�
^Corte 
Costituzionale, 
23 
luglio 
2001, 
n. 
275: 
``Non�e�fondata�la�q.l.c.�dell'art.�18�d.lg.�
29�ottobre�1998�n.�387,�nella�parte�in�cui�devolve�al�giudice�ordinario�la�giurisdizione�sulle�
controversie�riguardanti�il�conferimento�e�la�revoca�degli�incarichi�dirigenziali,�sollevata�
con�riferimento�agli�articoli�76�e�77�cost.�per�supposto�eccesso�di�delega,�con�riferimento�
all'art.�11,�comma�4,�lett.�g), 
legge�15�marzo�1997�n.�59�ove�prevede�di�devolvere,�entro�il�
30�giugno�1998,�al�giudice�ordinario,�tenuto�conto�di�quanto�previsto�dallalettera�a), 
tutte�
le�controversie�relative�ai�rapporti�di�lavoro�dei�dipendenti�delle�P.A.,�ancorche�concernenti�
in�via�incidentale�atti�amministrativi�presupposti,�ai�fini�della�disapplicazione'';�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

^Cassazione 
Civile, 
SS.UU., 
26 
giugno 
2002, 
n. 
9332: 
``In�tema�di�impiego�pubblico�
privatizzato,�ai�sensi�dell'art.�68�d.lg.�3�febbraio�1993�n.�29,�come�sostituito�dall'art.�29�d.lg.�
31�marzo�1998�n.�80�(oggi�art.�63�d.lg.�30�marzo�2001�n.�165),�sono�attribuite�alla�giurisdi-
zione�del�giudice�ordinario�tutte�le�controversie�inerenti�ad�ogni�fase�del�rapporto�di�lavoro,�
incluse�le�controversie�concernenti�l'assunzione�al�lavoro�e�il�conferimento�di�incarichi�diri-
genziali,�mentre�la�riserva�in�via�residuale�alla�giurisdizione�amministrativa,�contenuta�nel�
comma�4�del�citato�art.�68�(ora�art.�63),�concerne�esclusivamente�le�procedure�concorsuali�
strumentali�alla�costituzione�del�rapporto�con�la�p.a.,�che�si�sviluppano�fino�all'approvazione�
della�graduatoria�dei�vincitori�e�degli�eventuali�idonei,�ma�non�riguardano�il�successivo�atto�
di�nomina.�Pertanto,�appartiene�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario�la�cognizione�della�
controversia�concernente�il�provvedimento�di�conferimento�dell'incarico�di�dirigente�di�
secondo�livello�del�ruolo�sanitario�ex 
art.�15�d.lg.�30�dicembre�1992�n.�502,�provvedimento�
avente�natura�negoziale�e�^in�quanto�tale�^sindacabile�dal�giudice�ordinario�sotto�il�profilo�
dell'osservanza�delle�regole�di�correttezza�e�buona�fede�nell'esercizio�dei�poteri�privati�
(regole,�queste,�applicabili,�con�riguardo�all'attivita�anche�privatistica�della�P.A.,�alla�stregua�
dei�principi�di�imparzialita�e�di�buon�andamento�di�cui�all'art.�97�cost.'';�

^Cassazione 
Civile, 
SS.UU., 
24 
aprile 
2002, 
n. 
6041: 
``La�controversia�promossa�dal�
dirigente�pubblico,�gia�iscritto�nel�ruolo�unico�dei�dirigenti�delle�amministrazioni�dello�Stato,�
per�ottenere�l'affidamento�di�un�incarico�di�direzione�di�un�ufficio�di�livello�dirigenziale�e�
l'annullamento�della�determinazione�ministeriale�di�temporanea�sua�messa�a�disposizione�
della�Presidenza�del�Consiglio�dei�ministri�ai�sensi�dell'art.�6�del�regolamento�approvato�
con�d.P.R.�26�febbraio�1999�n.�150,�e�devoluta,�ancorche�presupponga�la�conoscenza�inciden-
tale�di�atti�amministrativi�presupposti,�alla�cognizione�del�giudice�ordinario,�atteso�che,�ai�
sensi�dell'art.�29�d.lg.�3�febbraio�1993�n.�29�(nel�testo�risultante�dalla�modifica�allo�stesso�
apportata�dall'art.�29�d.lg.�31�marzo�1998�n.�80�nonche�dall'art.�18�d.lg.�29�ottobre�1998�

n.�387),�ad�esso�spetta�la�giurisdizione�anche�sulle�controversie�concernenti�il�conferimento�
e�la�revoca�degli�incarichi�dirigenziali�(con�esclusione�soltanto�di�quelle�in�materia�di�proce-
dure�concorsuali�per�l'assunzione�di�dipendenti�della�P.A.),�senza�che�rilevi,�in�senso�ostativo,�
la�mancanza�del�decreto�di�assegnazione�del�dirigente�alle�relative�funzioni'';�
^Cassazione 
Civile, 
SS.UU., 
27febbraio 
2002, 
n. 
2954: 
``In�tema�di�impiego�pubblico�
privatizzato,�ai�sensi�dell'art.�63�d.lg.�30�marzo�2001�n.�165,�sono�attribuite�alla�giurisdizione�
del�giudice�ordinario�tutte�le�controversie�inerenti�ad�ogni�fase�del�rapporto�di�lavoro,�dalla�
sua�instaurazione�fino�all'estinzione,�compresa�ogni�fase�intermedia,�relativa�a�qualsiasi�
vicenda�modificativa,�anche�se�finalizzata�alla�progressione�in�carriera�e�realizzata�attraverso�
una�selezione�di�tipo�concorsuale,�mentre�la�riserva�in�via�residuale�alla�giurisdizione�ammi-
nistrativa,�contenuta�nel�comma�4�del�citato�art.�63,�concerne�esclusivamente�le�procedure�
concorsuali�strumentali�alla�costituzione�del�rapporto�con�la�P.A.�e�non�riguarda�i�casi�in�
cui�il�concorso�sia�diretto,�non�gia�ad�assumere,�ma�a�promuovere�il�personale�gia�assunto.�
Pertanto,�la�cognizione�della�controversia�concernente�il�conferimento�dell'incarico�di�diri-
gente�di�secondo�livello�del�ruolo�sanitario�ex 
art.�15�d.lg.�30�dicembre�1992�n.�502,�appar-
tiene�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�cui�spetta�il�potere�di�disapplicare�l'atto�ammi-
nistrativo�presupposto�in�cui�si�estrinsecano�le�valutazioni�dell'apposita�commissione'';�

^Consiglio 
di 
Stato, 
Sez. 
VI, 
24 
maggio 
2002, 
n. 
2849: 
``In�tema�di�impiego�pubblico�
privatizzato,�ai�sensi�dell'art.�63�d.lg.�30�marzo�2001�n.�165,�sono�attribuite�alla�giurisdizione�
del�giudice�ordinario�tutte�le�controversie�inerenti�ad�ogni�fase�del�rapporto�di�lavoro,�dalla�
sua�instaurazione�fino�all'estinzione,�compresa�ogni�fase�intermedia,�relativa�a�qualsiasi�
vicenda�modificativa,�anche�se�finalizzata�alla�progressione�in�carriera�e�realizzata�attraverso�
una�selezione�di�tipo�concorsuale,�mentre�la�riserva�in�via�residuale�alla�giurisdizione�ammi-
nistrativa,�contenuta�nel�comma�4�del�citato�art.�63,�concerne�esclusivamente�le�procedure�
concorsuali�strumentali�alla�costituzione�del�rapporto�con�la�P.A.�e�non�riguarda�i�casi�in�
cui�il�concorso�sia�diretto,�non�gia�ad�assumere,�ma�a�promuovere�il�personale�gia�assunto;�
esulano,�pertanto,�dalla�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�le�controversie�relative�al�
conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�di�II�livello�del�personale�sanitario�(ed�alle�revoche�
degli�stessi)''.�

2.�^La�vicenda�in�esame�trae�origine�dall'attuazione�della�legge�15�luglio�2002,�n.�145�
di�riforma�della�dirigenza�statale,�ed�in�particolare�del�regime�transitorio�introdotto�dal-
l'art.�3,�comma�7�della�legge�citata.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Ai�sensi�di�quest'ultima�disposizione,�``Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�
incarichi�attribuibili,�le�disposizioni�di�cui�al�presente�articolo�trovano�immediata�applica-
zione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di�
direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e�prevista�tale�figura.�I�predetti�
incarichi�cessano�il�sessantesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�
esercitando�i�titolari�degli�stessi�in�tale�periodo�esclusivamente�le�attivita�di�ordinaria�ammi-
nistrazione.�Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incari-
chi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�non�generale,�puo�procedersi�entro�novanta�giorni�dalla�
data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�all'attribuzione�di�incarichi�ai�sensi�delle�dispo-
sizionidicui�al�presente�articolo,secondoilcriteriodella�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse�
procedure�previste�dagli�articoli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il�
quadriennio�1998-2001�del�personale�dirigente�dell'Area�1.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi�
si�intendono�confermati,�ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.�In�sede�di�prima�
applicazione�dell'articolo�19�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�come�modificato�
dal�comma�1�del�presente�articolo,�ai�dirigenti�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�pre-
cedenza�svolto�e�conferito�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove�
cio�non�sia�possibile,�per�carenza�di�disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�man-
canza�di�specifiche�qualita�professionali�al�dirigente�e�attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il�
mantenimento�del�precedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno.�
La�relativa�maggiore�spesa�e�compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,�
un�numero�di�incarichi�di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo�
conto�prioritariamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico''.�

3.�^I�ricorrenti�dinanzi�al�T.A.R.�del�Lazio�hanno�ritenuto:�
^sussistente�la�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�in�quanto�``mentre�dinanzi�
al�giudice�del�lavoro�si�e�invocato�il�sindacato�sulla�sussistenza�del�diritto�all'incarico�diri-
genziale�e�degli�eventuali�danni�derivanti�dalla�violazione�di�questo�diritto,�sostanziando�il�
petitum 
nella�richiesta�di�reintegra�e�di�risarcimento�dei�danni�provocati,�completamente�

diversa�e�invece�la�richiesta�di�tutela�che�sostanzia�il�petitum 
nel�presente�ricorso,�in�quanto�
essa�e�relativa�alla�violazione�degli�interessi�del�ricorrente�che�si�e�realizzata�nel�corso�dei�
procedimenti�mediante�i�quali�l'amministrazione�ha�dato�attuazione�alla�norma�di�cui�
all'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�e�in�conseguenza�dei�provvedimenti�qui�impu-
gnati,�con�i�quali�si�e�illegittimamente�precostituita�una�indisponibilita�di�incarichi�di�livello�
equivalente�al�solo�fine�di�escludere�il�ricorrente�e�di�attribuirgli�invece,�un�incarico�di�studio.�
I�provvedimenti�con�i�quali�sono�stati�coperti�e�resi�indisponibili,�senza�alcuna�istruttoria�e�
in�assenza�di�motivazione,�i�posti�di�funzione�equivalente�ai�quali�il�ricorrente�poteva�legitti-
mamente�aspirare,�non�potrebbero,�certo,�essere�sottoposti�al�vaglio�del�giudice�ordinario,�
che�non�dispone�neanche�degli�strumenti�per�apprestare�un�adeguata�tutela...'';�

^illegittimi�i�provvedimenti�impugnati�per�i�seguenti�motivi:�``2.�Invalidita�derivata�
dall'incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�per�violazione�degli�
artt.�3,�97�e�98�Cost.'';�``3.�Illegittimita�della�mancata�conferma�dell'incarico�dirigenziale�
ricoperto�per�violazione�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�e�dell'art.�19�del�
D.Lgs.�n.�165/2001.�Eccesso�di�potere�per�assoluta�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�motiva-
zione.�Violazione�di�circolare'';�``4.�Illegittimita�del�diniego�di�incarico�equivalente�per�
carenza�di�istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�violazione�di�legge.�Illegittimita�dell'attribu-
zione�di�incarichi�equivalenti�ai�controinteressati�per�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�moti-
vazione.�Illegittimita�della�circolare�31�luglio�2002�per�violazione�di�legge'';�``5.�Illegittimita�
della�mancata�conferma�dell'incarico�ricoperto�per�mancata�comunicazione�dell'avvio�del�
procedimento.�Illegittimita�del�diniego�di�incarico�equivalente�per�violazione�degli�articoli�7�
e�seguenti�della�legge�n.�241/1990�e�violazione�del�principio�del�giusto�procedimento'';�
``6.�Illegittimita�dei�provvedimenti�di�conferimento�di�incarico�dirigenziale�ai�controinteres-
sati�per�violazione�dell'art.�3�della�legge�n.�241/1990�per�assoluta�carenza�di�motivazione�e�
difetto�di�motivazione'';�``7.�Eccesso�di�potere�per�illogicita�,disparita�di�trattamento�e�svia-
mento�di�potere.�Violazione�del�principio�di�buon�andamento�dell'attivita�amministrativa''.�

5.�^Contemporaneamente,�i�Sigg.ri�(omissis) 
hanno�adito�il�Tribunale�di�Roma�^Sez.�
Lavoro,�avendo�ritenuto:�
^sussistente�la�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�ed�in�particolare�che�``La�giurisdi-
zione�dell'a.g.o.�e�pacifica.�Infatti�l'art.�63�del�testo�unico�n.�165/2001�prevede�che:�1.�Sono�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

devolute�al�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giudice�del�lavoro,�tutte�le�controversie�relative�
ai�rapporti�di�lavoro�alle�dipendenze�delle�pubbliche�amministrazioni�di�cui�all'articolo�1,�
comma�2,�ad�eccezione�di�quelle�relative�ai�rapporti�di�lavoro�di�cui�al�comma�4,�incluse�le�
controversie�concernenti�l'assunzione�al�lavoro,�il�conferimento�e�la�revoca�degli�incarichi�
dirigenziali�e�la�responsabilita��dirigenziale,�nonche�quelle�concernenti�le�indennita��di�fine�
rapporto,�comunque�denominate�e�corrisposte,�ancorche�vengano�in�questione�atti�ammini-
strativi�presupposti.�Quando�questi�ultimi�siano�rilevanti�ai�fini�della�decisione,�il�giudice�li�
disapplica,�se�illegittimi.�L'impugnazione�davanti�al�giudice�amministrativo�dell'atto�ammi-
nistrativo�rilevante�nella�controversia�non�e��causa�di�sospensione�del�processo�.�Detta�
norma,�attributiva�della�giurisdizione,�consente�la�possibilita��che�in�ordine�allo�stesso�atto�
possano�sussistere�tanto�la�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�quanto�la�giurisdizione�
del�giudice�ordinario,�e�comunque�prevede�espressamente�la�giurisdizione�dell'a.g.o.�per�ogni�
questione�attinente�al�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali,�a�prescindere�dalla�natura�
giuridica�degli�incarichi�medesimi.�La�legge�n.�145/02�non�ha�disposto�alcunche�di�nuovo�
sul�riparto�delle�materie�di�spettanza�dell'a.g.o.;�la�quale�dunque�resta�competente�anche�
nel�nuovo�contesto...'';�

^illegittimi�i�provvedimenti�impugnati,�per�invalidita��derivata�dall'incostituzionalita��
dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�per�contrasto�con�gli�artt.�3,�97�e�98�Cost.,�oltre�
che�per�vizi�propri�a) 
della�mancata�conferma�dell'incarico�dirigenziale�ricoperto�^per�vio-
lazione�dell'art.�3,�comma�7�della�legge�n.�145/2002�e�dell'art.�19�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�
per�assoluta�carenza�di�istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�violazione�di�circolare�^,�b) 
del�
diniego�di�incarico�equivalente�^per�carenza�di�istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�viola-
zione�di�legge�^,�c) 
dell'attribuzione�di�incarichi�equivalenti�ai�controinteressati�^per�
carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�motivazione�^,�nuovamente�del�diniego�di�incarico�e�dell'in-
carico�ai�controinteressati�di�cui�ai�punti�b) 
e�c) 
che�precedono�^per�violazione�degli�arti-
coli�7�e�seguenti�della�legge�n.�241/1990�e�violazione�del�principio�del�giusto�procedimento,�
nonche�per�eccesso�di�potere�per�illogicita��,�disparita��di�trattamento�e�sviamento�di�potere,�e�
violazione�del�principio�di�buon�andamento�dell'attivita��amministrativa.�

6.�^Secondo�il�consolidato�indirizzo�di�Codesta�Ecc.ma�Corte,�confermato�nelle�
recenti�pronunce�in�argomento�sopra�ricordate,�la�controversia�proposta�dai�Sigg.ri�(omissis) 
sembra�pertenere�alla�cognizione�dell'a.g.o.,�sulla�base�del�criterio�di�riparto�per�materie�pre-
visto�dal�ricordato�art.�63�del�D.Lgs.�n.�165/2001.�
La�legge�n.�145/2002,�nella�parte�in�cui�ha�modificato�l'art.�19�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�a�
detta�dei�ridetti�ricorrenti�al�T.A.R.�avrebbe�implicato�una�``ripubblicizzazione'" 
del�rapporto�
ed�un�consequenziale�mutamento�della�giurisdizione�competente.

E�a�questo�punto�opportuno�richiamare�che,�a�mente�del�novellato�comma�2�dell'art.�19,�
(ex 
art.�3,�comma�1,�lett.�b 
della�legge�n.�145/2002)�``Tutti�gli�incarichi�di�funzione�dirigen-
ziale�nelle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo,�sono�conferiti�
secondo�le�disposizioni�del�presente�articolo.�Con�il�provvedimento�di�conferimento�dell'in-
carico,�ovvero�con�separato�provvedimento�del�Presidente�del�Consiglio�dei�ministriodel�
Ministro�competente�per�gli�incarichi�di�cui�al�comma�3,�sono�individuati�l'oggetto�dell'inca-
rico�e�gli�obiettivi�da�conseguire,�con�riferimento�alle�priorita��,�ai�piani�e�ai�programmi�defi-
niti�dall'organo�di�vertice�nei�propri�atti�di�indirizzo�e�alle�eventuali�modifiche�degli�stessi�
che�intervengano�nel�corso�del�rapporto,�nonche�la�durata�dell'incarico,�che�deve�essere�cor-
relata�agli�obiettivi�prefissati�e�che,�comunque,�non�puo��eccedere,�per�gli�incarichi�di�fun-
zione�dirigenziale�di�cui�ai�commi�3�e�4,�il�termine�di�tre�anni�e,�per�gli�altri�incarichi�di�fun-
zione�dirigenziale,�il�termine�di�cinque�anni.�Gli�incarichi�sono�rinnovabili.�Al�provvedi-
mento�di�conferimento�dell'incarico�accede�un�contratto�individuale�con�cui�e��definito�il�
corrispondente�trattamento�economico,�nel�rispetto�dei�principi�definiti�dall'articolo�24.�E�
sempre�ammessa�la�risoluzione�consensuale�del�rapporto''.�

Ebbene,�la�ritrovata�centralita��del�``provvedimento'" 
di�incarico,�valevole�in�sede�di�confe-
rimento�degli�incarichi�sia�a�regime�che�in�via�transitoria,�non�sembra�rappresentare�un�ele-
mento�realmente�rilevante�ai�fini�della�individuazione�della�giurisdizione�competente,�atteso�
il�chiaro�tenore�dell'art.�63�sopra�ricordato,�che�accorda�giurisdizione�esclusiva�e�piena�
all'a.g.o.�su�tutti�gli�atti�di�gestione�del�rapporto�di�pubblico�impiego,�inclusi�gli�eventuali�atti�
amministrativi�presupposti.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Da�quanto�sopra�consegue�che�la�pretesa�specifica�agita�dinanzi�al�T.A.R.�del�Lazio�
parrebbe�competere�anch'essa�alla�giurisdizione�ordinaria,�non�a�caso�contemporaneamente�
adita�dai�medesimi�ricorrenti�in�ossequio�all'orientamento�di�Codesta�Ecc.ma�Corte�sopra�
riferito.�

Ad�ogni�buon�conto,�solo�l'Ecc.ma�Corte�regolatrice�della�giurisdizione�potra�dirimere�
la�questione,�in�ordine�alla�quale�non�e�opportuno�che�permangano�dubbi�ne�si�verifichi�il�
rischio�di�contrasti.�

Tanto�premesso�G.D.F.,�come�sopra�rappresentato�e�difeso,�ricorre�a�Codesta�Ecc.ma�
Corte�di�Cassazione�-Sezioni�Unite�affinche�,�in�accoglimento�del�presente�ricorso,�regoli�la�
giurisdizione�dichiarando�che�la�controversia�instaurata�dai�Sigg.ri�(omissis) 
dinanzi�al�Tri-
bunale�Amministrativo�Regionale�del�Lazio�^Roma,�Sez.�terza-bis, 
nei�confronti�delle�parti�
indicate�in�epigrafe,�spetta�alla�giurisdizione�dell'autorita�giudiziaria�ordinaria�(omissis). 


Firenze 
^Roma, 
7febbraio 
2003�. 


Corte 
Suprema 
di 
Cassazione 
^Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
^Controricorso 
per�la�Presi-
denza�del�Consiglio�dei�Ministri�e�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�edella�
Ricerca(Avv.�dello�StatoT.Varrone,cont.�8078/03)inrelazionearegolamentopreven-
tivo�di�giurisdizione�proposto�da�B.P.�(Avv.�M.�Chiti)�e�nei�confronti�di�S.R.�ed�altri.�

�Fatto 
^Con�ricorso�ritualmente�notificato�S.R.�ha�impugnato�i�seguenti�atti:�

nota�prot.�n.�11275/MR�del�24�settembre�2002,�nella�parte�in�cui�il�Ministero�dell'I-
struzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�ha�disposto�la�mancata�conferma�di�essa�ricorrente�
nell'incarico�dirigenziale�precedentemente�ricoperto�e�nella�parte�in�cui�ha�disposto�la�non�
attribuzione�alla�medesima,�di�un�incarico�di�funzione�e�di�livello�retributivo�equivalente;�

decreto�del�Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri�datato�8�ottobre�2002,�con�il�quale�e�
stato�conferito�a�B.P.�l'incarico�di�funzione�dirigenziale�generale�(della�Direzione�Generale,�
per�l'organizzazione�dei�Servizi�nel�Territorio�del�Ministero�dell'Istruzione,�Universita�e�
Ricerca;�

decreti�del�Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri,�tutti�datati�8�ottobre�2002,�con�i�
quali�sono�stati�conferiti�a�(omissis) 
incarichi�dirigenziali�di�livello�funzionale�e�retributivo�
equivalente�a�quello�precedentemente�svolto�dalla�ricorrente;�

la�circolare�del�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica�del�31�luglio�2002,�nella�parte�
in�cui�prevede,�in�merito�all'attribuzione�al�dirigente�generale�di�un�incarico�diverso�da�
quello�in�corso,�che�``la�disponibilita�va�verificata�all'esito�delle�altre�assegnazioni�agli�uffici�
di�livello�dirigenziale�generale,�non�essendo�configurabile�una�sorta�di�prelazione�del�diri-
gente�cessato�dall'incarico�sui�posti�vacanti�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge'';�

ogni�altro�atto�ad�essi�connesso,�presupposto�e/o�consequenziale.�

Con�ricorso�notificato�il�24�febbraio�2003�il�controinteressato�B.P.�ha�proposto�regola-
mento�preventivo�di�giurisdizione�sottolineando�la�sostanziale�identita�di�petitum 
fra�il�
ricorso�proposto�innanzi�il�giudice�amministrativo�e�quello�proposto�innanzi�al�giudice�ordi-
nario�ed�in�ogni�caso�la�sussistenza�della�giurisdizione�di�quest'ultimo�rispetto�a�ciascuna�
delle�domande�avanzate�dall'istante,�alla�stregua�del�chiaro�disposto�dell'art.�63�del�D.Lgs.vo�
165/2001,�nonche�dei�principi�desumibili�dalla�giurisprudenza�della�Corte�Costituzionalee�
di�codeste�SS.UU.,�gia�intervenute�in�diverse�occasioni�in�subiecta 
materia 
(conferimento�e�
revoca�degli�incarichi�dirigenziali�nell'ambito�del�pubblico�impiego�privatizzato).�

Mediante�il�presente�atto�le�Amministrazioni�resistenti�nel�giudizio�pendente�innanzi�al�
giudice�amministrativo�intendono�costituirsi�ed�associarsi�a�quanto�sostenuto�dal�ricorrente�
in�questa�sede�in�punto�di�giurisdizione�ed�all'uopo�deducono�quanto�segue.�

Diritto 
^Pare�opportuno�premettere�che�nella�memoria�difensiva�predisposta�in�vista�
della�discussione�dell'istanza�cautelare�di�sospensione�dell'esecutivita�degli�atti�impugnati,�
avanzata�da�S.R.�contestualmente�alla�proposizione�del�ricorso,�le�Amministrazioni�inti-
mate�hanno�in�via�pregiudiziale�eccepito�il�difetto�di�giurisdizione�del�giudice�amministra-
tivo�sulla�base�di�considerazioni�sostanzialmente�analoghe�a�quelle�che�sorreggono�il�pre-
sente�regolamento.�

In�aggiunta�a�quanto�gia�diffusamente�esposto�nel�ricorso�con�il�quale�si�e�provveduto�
ad�investire�codeste�Sezioni�Unite�della�questione�di�giurisdizione�si�reputa�opportuno�svol-
gere�alcune�brevi�considerazioni.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

La�controversia�pendente�innanzi�al�TAR�e�originata,�come�si�accennava,�dai�provvedi-
menti�assunti�dalla�Presidenza�del�Consiglio�e�dal�Ministero�dell'Istruzione,�dell'universita�
e�della�Ricerca�successivamente�alla�entrata�in�vigore�della�legge�n.�145/2002�con�la�quale�
sono�state�apportate�rilevanti�modifiche�al�D.Lgs.�n.�165/2002�soprattutto�in�materia�di�con-
ferimento,�oggetto,�durata�degli�incarichi�dirigenziali�nell'ambito�delle�amministrazioni�e,�
per�quanto�qui�da�vicino�rileva,�e�stata�prevista�la�cessazione�ex 
lege 
degli�incarichi�aventi�
ad�oggetto�la�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�(art.�3,�comma�settimo,�della�legge�
145/2002).�

La�ricorrente�nel�giudizio�pendente�innanzi�al�TAR,�titolare�di�consimile�incarico�
presso�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�al�momento�della�
entrata�in�vigore�della�predetta�legge,�non�essendosi�visto�riattribuire�l'incarico�preceden-
temente�ricoperto,�ne�incarico�avente�ad�oggetto�funzioni�e�livello�retributivo�equivalenti,�
e�insorta�avverso�tutti�gli�atti�adottati�dalla�Presidenza�del�Consiglio�e�dal�Ministero�del-
l'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�e,�piu�in�particolare,�avverso�quelli�aventi�ad�
oggetto�il�conferimento�dell'incarico�di�cui�ella�era�titolare�ad�altro�dirigente,�nonche�
quelli�aventi�ad�oggetto�il�conferimento�di�incarichi�equivalenti�per�funzioni�e�retribu-
zione�presso�il�medesimo�dicastero�(nonche�presso�altri�dicasteri,�cfr.�punto�7�del�ricorso�
introduttivo�del�giudizio).�

Il�complesso�ed�articolato�gravame�portato�all'attenzione�del�giudice�amministrativo�
muove�oltreche�dalla�pretesa�incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�
145/2002,�nellaparte�incui�e�previstala�cessazione�ex 
lege 
degli�incarichi�aventi�ad�oggetto�
le�funzioni�di�livello�dirigenziale�generale,�dalla�premessa�di�fondo�che�l'inversione�del�rap-
porto�fra�provvedimento�di�conferimento�dell'incarico�e�contratto�(nel�sistema�previgente�
quest'ultimo�precedeva�il�primo�mentre�la�nuova�legge�fa�seguire�la�stipula�del�contratto�d
estinato�essenzialmente�a�regolare�gli�aspetti�economici�del�rapporto�^al�provvedimento�
di�conferimento�dell'incarico)�ha�comportato�una�ripubblicizzazione�della�materia�degli�
incarichi�dirigenziali,�con�la�marginalizzazione�del�contratto�a�favore�della�riespansione�
del�procedimento�e�del�provvedimento�amministrativo.�Di�qui�la�necessita�di�riconsiderare�
l'applicabilita�dell'art.�63�del�D.Lgs.�165/2001�alle�controversie�correlate�all'espletamento�
della�procedura�volta�al�conferimento�di�ciascun�incarico�e�al�provvedimento�finale�adot-
tato�all'esito�della�stessa.�

In�buona�sostanza�si�viene�teorizzando�una�doppia�natura�del�provvedimento�di�inca-
rico�quale�atto�datoriale�e�quale�atto�organizzativo,�di�natura�politico-amministrativa�(e�
quindi�sottoposto�al�controllo�della�Corte�dei�Conti),�con�cui�si�individua�un�ufficio�pub-
blico�e�si�fissano�gli�obiettivi�per�la�sua�azione,�la�quale�richiederebbe�di�distinguere�fra�la�
tutela�riferita�al�rapporto�di�lavoro�e�la�tutela�riferita�alla�legittimita�e�alla�regolarita�del-
l'attivita�amministrativa�svolta�in�vista�del�conferimento�del�medesimo.�In�questo�secondo�
tipo�di�tutela,�che�non�potrebbe�essere�negata�se�non�disconoscendo�le�garanzie�minime�di�
tutela�spettanti�ai�dirigenti,�ricadrebbero�tutti�i�profili�di�legittimita�degli�atti�che�discen-
dono�dal�mancato�rispetto�dei�principi�di�corretto�e�regolare�svolgimento�del�procedi-
mento,�quale�che�sia�la�natura�e�l'effetto�del�provvedimento�che�viene�adottato�alla�conclu-
sione�del�medesimo.�

Procedimento�che�al�fine�di�garantire�il�reale�rispetto�degli�interessi�dell'istante�innanzi�
al�TAR�avrebbe�dovuto,�a�suo�avviso,�articolarsi�secondo�una�particolare�sequenza�che�si�
puo�cos|�riassumere:�

a) 
in�primo�luogo�si�sarebbe�dovuto�aprire�un�subprocedimento�finalizzato�all'ado-
zione�di�un�provvedimento�esplicativo�delle�ragioni�di�mancata�conferma�(opiu�corretta-
mente�della�mancata�riattribuzione)�dell'incarico�di�cui�la�medesima�era�titolare;�

b) 
in�secondo�luogo�si�sarebbe�dovuto�aprire�altro�subprocedimento�nell'ambito�del�
quale�si�sarebbe�dovuto�procedere�ad�una�valutazione�comparativa�del�curriculum 
vantato�
da�essa�istante�con�quello�vantato�dal�controinteressato�al�fine�di�stabilire�alla�stregua�dei�
criteri�indicati�dal�novellato�art.�19,�comma�primo�e�comma�secondo�del�D.Lgs.vo�165/2001�
chi�fosse�il�soggetto�piu�meritevole�di�vedersi�attribuire�l'incarico�avente�ad�oggetto�le�fun-
zioni�di�livello�dirigenziale�generale�da�cui�ella�era�cessata.�

In�prima�applicazione�della�legge�145/2002,�stante�la�previsione�di�cui�all'art.�3,�comma�
settimo,�secondo�la�quale�il�dirigente�cessato�ex 
lege 
dall'incarico�ha�diritto�al�conferimento�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

di�un�incarico�equivalente�per�funzioni�e�retribuzione�(e�in�subordine�ad�unincaricodi�stu-
dio),�in�caso�di�mancata�riattribuzione�dell'incarico�dal�quale�e��cessato�al�precedente�titolare�
allo�stesso�modo�occorreva�procedere�nel�conferimento�degli�altri�incarichi�di�livello�dirigen-
ziale�generale�che�in�applicazione�della�nuova�legge�occorreva�riattribuire.�

Naturalmente,�secondo�le�prospettazioni�dell'istante�innanzi�al�TAR,�che�fondano�le�
censure�su�cui�il�predetto�giudice�si�dovrebbe�pronunziare,�ciascun�subprocedimento�andava�
svolto�garantendole�la�possibilita��di�partecipazione,�previo�espletamento�di�adeguata�istrut-
toria�e�doveva�concludersi�con�provvedimento�congruamente�motivato,�nel�rispetto�di�
quanto�previsto�dal�D.Lgs.�165/2001�e�dalla�legge�n.�241/90.�

Orbene,�ribadito�che�la�ricostruzione�operata�nel�ricorso�proposto�innanzi�al�giudice�
amministrativo�(peraltro�alla�base�anche�del�ricorso�proposto�innanzi�al�Tribunale�Civile�-
Sezione�Lavoro)�confligge�palesemente�con�la�lettera�e 
la�ratio 
dell'art.�19�del�D.Lgs.vo�
165/2001,�cos|��come�integrato�e�modificato�dal�D.Lgs.vo�145/2002,�che�in�piena�coerenza�
con�la�disciplina�caratterizzante�la�privatizzazione�del�rapporto�di�lavoro�intercorrente�fra�

P.A.�e�dirigenti�e,�soprattutto,�a�quella�regolante�la�relazione�intercorrente�fra�l'Autorita��
politica�e�la�dirigenza,�caratterizzata�dall'accentramento�di�tutti�a�poteri�gestionali�nella�
seconda,�sicche�,�almeno�per�quello�che�riguarda�gli�uffici�di�livello�dirigenziale�generale,�la�
prima�nel�procedere�al�conferimento�degli�incarichi�puo��discrezionalmente�scegliere�il�sog-
getto�ritenuto�piu��idoneo�a�garantirgli�il�rispetto�e�l'attuazione�dei�propri�piani�e�programmi,�
purche�nel�provvedimento�amministrativo�in�cui�la�scelta�e��formalizzata�si�dia�conto�del�fatto�
che�il�medesimo�sia�in�possesso�dei�requisiti�oggettivi�e�soggettivi�indicati�nell'art.�19,�comma�
secondo,�del�D.Lgs.�165/2001�nuovo�testo,�gli�avversi�assunti�urtano�inesorabilmente�contro�
l'espressa�previsione�dell'art.�63,�comma�primo,�del�D.Lgs.vo�165/2001�a�norma�del�quale�
sono�devolute�al�giudice�ordinario�fra�le�altre�le�controversie�aventi�ad�oggetto�``il�conferi-
mento�e�la�revoca�degli�incarichi''.�Tra�le�controversie�concernenti�il�conferimento�degli�inca-
richi�vanno�ovviamente�annoverate�tanto�quelle�controversie�nelle�quali�l'istante�lamenti�il�
mancato�conferimento�dell'incarico�cui�ritenga�a�buon�diritto�di�poter�aspirare,�quanto�
quelle�relative�al�conferimento�dell'incarico�cui�l'istante�aspiri�ad�un�terzo,�come�e��sostan-
zialmente�nel�caso�qui�considerato.�
Rispetto�al�riparto�di�giurisdizione�effettuato�dal�legislatore�non�puo��avere�alcuna�inci-
denza�la�recente�normativa�con�la�quale�e��stato�rovesciato�il�rapporto�fra�provvedimento�e�
contratto.�La�ripubblicizzazione�della�materia�degli�incarichi,�per�restare�fedeli�alla�termino-
logia�e�alle�prospettazioni�di�cui�al�ricorso�proposto�da�S.R.,�non�e��niente�altro�che�un�
aspetto�della�complessa�disciplina�normativa�riguardante�la�dirigenza�pubblica�per�la�quale�
e��stata�fatta�la�medesima�scelta�di�fondo�che�caratterizza�ormai�la�gran�parte�dei�rapporti�
di�impiego�alle�dipendenze�della�Pubblica�Amministrazione:�cioe��quella�di�estendere�il�piu��
possibile�la�normativa�privatistica�regolante�i�rapporti�di�lavoro.�In�presenza�di�siffatta�scelta�
di�fondo�e��ovvio�e�naturale�che�ogni�e�qualsiasi�controversia�concernente�i�c.d.�rapporti�pri-
vatizzati�sia�stata�attribuita�al�giudice�ordinario.�

Qui�preme�brevemente�ricordare�che�in�merito�al�criterio�di�riparto�della�giurisdizione�in�
subiecta 
materia 
e��intervenuta�gia��in�numerose�occasioni�la�Corte�Costituzionale�la�quale�
da�un�lato�ha�in�linea�di�principio�ritenuto�compatibile�con�i�precetti�desumibili�dalla�Carta�
fondamentale�il�modello�prescelto�dal�legislatore�quanto�al�conferimento�degli�incarichi�

(c.d.�spoil 
system)�e�dall'altro�ha�sempre�ribadito�che�l'attribuzione�delle�relative�controversie�
al�giudice�ordinario�non�confligge�con�alcun�precetto�costituzionale,�anche�quando�si�tratti�
di�liti�che�abbiano�ad�oggetto�atti�amministrativi�presupposti,�rispetto�ai�quali�il�G.O.�e��
munito�esclusivamente�dallo�strumento�della�disapplicazione�(cfr.�da�ultimo�Corte�Costitu-
zionale,�ordinanza�n.�525/2002).�
Anzi,�proprio�in�considerazione�del�fatto�che�tale�eventualita��e��tutt'altro�che�remota�la�
Corte�Costituzionale�ha�chiarito�che�``la�cognizione�del�giudice�del�lavoro�comprende�tutti�i�
vizi�di�legittimita��,�senza�che�sia�possibile�operare�distinzioni�tra�norme�sostanziali�e�procedu-
rali,�di�modo�che�allo�stesso�Giudice�Ordinario�resta�affidata�la�pienezza�della�tutela,�estesa�
a�tutte�le�garanzie�procedimentali�del�rapporto�previste�dalla�legge�e�dai�contratti�e,�quindi,�
comprendente�anche�i�vizi�formali''�(Corte�Costituzionale,�sentenza�n.�275/2001,�cui�ci�si�
richiama�ampiamente�nella�gia��ricordata�ordinanza�n.�525/2002).�

E�di�tutta�evidenza,�pertanto,�alla�luce�della�ricordata�giurisprudenza�della�Corte�Costi-
tuzionale,�che�si�e��formata�in�perfetta�sintonia�con�la�giurisprudenza�di�codeste�Sezioni�Unite�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

ampiamente�richiamata�nel�regolamento�preventivo�di�giurisdizione,�cui�qui�si�omette�di�far�
cenno�al�fine�di�evitare�inutili�ripetizioni,�che�se�anche�si�volesse�riconoscere�in�relazione�al�
procedimento�mediante�il�quale�l'Autorita��Politica�perviene�alla�``scelta''�del�dirigente�cui�
attribuire�un�determinato�incarico�e�al�suo�conferimento�la�sussistenza�di�un�interesse�legit-
timo�in�capo�a�colui�il�quale�era�in�precedenza�titolare�dello�stesso�nonche�a�tutti�coloro�i�
quali�astrattamente�potevano�aspirare�a�quello�stesso�incarico�(il�che�in�verita��si�contesta�
recisamente�alla�luce�di�quanto�gia��detto�e�di�quanto�ulteriormente�si�esporra��nelle�successive�
difese�orali�e�scritte)�in�ogni�caso�la�cognizione�a�conoscere�delle�controversie�connesse�alla�
prospettata�lesione�di�tale�interesse�spetterebbe�al�giudice�ordinario.�

Come�si�e��gia��accennato�nelle�difese�svolte�innanzi�al�TAR,�rispetto�alla�scelta�operata�
dal�legislatore�si�potrebbe�soltanto�astrattamente�porre�un�problema�di�costituzionalita��solo�
se�si�dimostrasse�che�lo�strumentario�di�cui�il�giudice�ordinario�dispone�non�e��in�grado�di�
offrire�una�tutela�piena�e�completa�ai�titolari�dei�suddetti�interessi�(sempre�ammettendo�la�
sussistenza�di�tali�interessi)�ma�sotto�``questo�profilo,�cui�l'istante�innanzi�al�TAR�pure�
accenna�proprio�al�fine�di�dimostrare�la�bonta��della�propria�scelta�di�aver�adito�(anche)�il�
predetto�giudice�amministrativo,�nulla�viene�poi�in�concreto�dedotto''.�

Il�discorso�ovviamente�non�cambia�in�relazione�a�tutti�gli�adempimenti�procedimentali�
connessi�alla�prima�attuazione�della�legge�145/2002�che�appunto�hanno�dato�adito�al�giudi-
zio�nell'ambito�del�quale�e��stato�proposto�il�presente�regolamento�di�giurisdizione.�

Costituisce,�anzi,�circostanza�assai�significativa�che�il�legislatore�pur�essendo�interve-
nuto�per�modificare�notevolmente�alcune�delle�norme�piu��importanti�in�tema�di�dirigenza�
pubblica�e,�pur�avendo�optato�per�la�c.d.�ripubblicizzazione�della�materia�degli�incarichi,�
non�ha�inteso�apportare�alcuna�modifica�al�ricordato�art.�63�ove�e��stato�effettuato�il�riparto�
di�giurisdizione�delle�controversie�in�materia�di�pubblico�impiego.�

In�virtu��di�quanto�sin�qui�esposto,�dedotto�ed�eccepito�la�Presidenza�del�Consiglio�dei�
Ministri�e�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita��e�della�Ricerca�riservandosi�ogni�ulte-
riore�deduzione�nelle�successive�difese�scritte�ed�orali�insistono�per�l'accoglimento�delle�
seguenti�conclusioni:�Piaccia�a�codesta�Ecc.ma�Corte�di�Cassazione�a�Sezioni�Unite�regolare�
la�giurisdizione�dichiarando�che�la�controversia�instaurata�da�B.P.�dinanzi�al�TAR�del�Lazio,�
Roma,�sezione�terza-bis,�nei�confronti�di�tutte�le�parti�indicate�in�epigrafe�spetta�all'Autorita��
Giudiziaria�Ordinaria�con�ogni�conseguente�statuizione�in�ordine�a�spese,�diritti�ed�onorari.�

Roma,�6�febbraio�2003�

Avv.�Tito�Varrone��

Corte 
Suprema 
di 
Cassazione 
^Controricorso 
dell'Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
per�il�

Ministero�per�i�beni�e�le�attivita��culturali�e�per�la�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�

(Avv.�dello�Stato�G.�Fiengo,�cont.�41925/02)�c/R.R.�(Avv.ti�L.�Torchia,�V.�Angiolini,�

A.�Andreoni�e�T.�Di�Nitto)�e�nei�confronti�di�G.C.P.�(Avv.�N.�Palantonio).�
�(omissis)�In�pendenza�di�tale�ricorso�dinanzi�al�TAR�per�il�Lazio�G.C.P.�ha�proposto�
a�codesta�ecc.ma�Suprema�Corte�di�Cassazione�ricorso�per�regolamento�preventivo�di�giuri-
sdizione�al�fine�di�far�dichiarare�la�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giudice�
del�lavoro.�

A�tale�ricorso�l'Amministrazione�intimata�aderisce�per�i�seguenti�motivi:�

esiste�oramai�nell'ordinamento�un'espressa�disposizione�di�legge,�l'art.�68�del�decreto�
legislativo�3�febbraio�1993�n.�29,�ed�ora�art.�63�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001�n.�165,�
che�attribuisce�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giudice�del�lavoro,�
``tutte�le�controversie�relative�ai�rapportidilavoro�alle�dipendenze�dellepubbliche�amministra-
zioni,�incluse�le�controversie�concernenti�l'assunzione�al�lavoro,�il�conferimento�e�la�revoca�degli�
incarichi�dirigenziali...,�ancorche�vengano�in�questione�gli�atti�amministrativi�presupposti��e�
dispone�che��quando�questi�ultimi�siano�rilevanti�aifini�della�decisione,�il�giudice�li�disapplica,�
se�illegittimi.''.�

Con�tale�disposizione�il�legislatore�ha�quindi�inteso�adottare�un�riparto�della�giurisdi-
zione�fondato�sul�criterio�della�materia,�e�l'attribuzione�al�giudice�ordinario�in�funzione�di�
giudice�del�lavoro,�di�tutte�le�controversie�relative�ai�rapporti�di�lavoro�alle�dipendenze�delle�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

pubbliche�amministrazioni,�incluse�quelle�relative�al�conferimento�e�alla�revoca�degli�incari-
chi�dirigenziali,�si�configura�come�una�giurisdizione�piena�ed�esclusiva,�motivata�da�esigenze�
di�unitarieta�della�materia,�a�prescindere�dalla�natura�degli�atti�che�intervengono�a�definire�
la�fattispecie�e�delle�situazioni�giuridiche�da�essi�prodotte,�cos|�come�e�stato�anche�affermato�
dalla�Corte�Costituzionale�nella�sentenza�del�23�luglio�2001,�n.�275.�

Tale�riparto�di�giurisdizione�che�non�viene�ad�essere�minimamente�modificato�dalla�
legge�15�luglio�2002�n.�145�di�riordino�della�dirigenza�statale;�ne�puo�essere�tentato,�proprio�
ostandovi�la�espressa�disciplina�del�riparto�della�giurisdizione,�un�reinserimento�del�giudice�
amministrativo�nella�materia�degli�incarichi�dirigenziali�basandosi�sull'affermazione�della�
natura�provvedimentale�degli�atti�di�conferimento�degli�incarichi.�E�d'altronde�dottrina�tra-
dizionale�che�gli�atti�di�gestione�del�personale,�dirigente�o�non,�non�rappresentano�espres-
sione�di�un�potere�amministrativo�(di�cura�concreta�degli�interessi�della�collettivita�)�ma�atti�
neutri,�di�natura�organizzativa,�la�cui�disciplina�giuridica�e�nella�totale�disponibilita�del�legi-
slatore,�che�puo�configurare�gli�stessi�secondo�modalita�non�consensuali,�tipiche,�d'altronde,�
degli�atti�di�organizzazione�dell'imprenditore�privato.�In�altri�termini�unilateralita�dell'atto�
non�e�indice�di�sicura�pubblicita�dello�stesso.�

Quanto�al�profilo�sostanziale�della�posizione�giuridica�che�R.R.�intende�far�valere�nel�
giudizio�innanzi�al�TAR�e�indubbio�che�la�stessa�mira�ad�ottenere�l'incarico�di�dirigente�gia�
ricoperto,�con�la�conseguenza�che�si�tratta�comunque�di�un�diritto�soggettivo�connesso�al�
rapporto�di�lavoro�che�la�prospettazione�del�ricorso�proposto�innanzi�al�TAR�mira�inammis-
sibilmente�a�trasformare�in�un�interesse�legittimo�da�far�ritenere�connesso�ad�un�interesse�
pubblico�generale�relativo�alla�gestione�dello�Stato�-Amministrazione,�in�realta�si�tratta�
comunque�di�una�posizione�giuridica�che,�per�la�scelta�del�legislatore,�in�relazione�alla�cosid-
detta�privatizzazione,�non�puo�ragionevolmente�differire�da�quella�di�un�dirigente�privato.�
Se�tale�e�la�posizione�giuridica�soggettiva�fatta�valere�da�R.R.,�sotto�il�profilo�processuale,�
dell'interesse�ad�agire�(art.�100�c.p.c),�non�e�dato�comprendere�quale�vantaggio�ottiene�la�
ricorrente�dall'eventuale�annullamento/disapplicazione�degli�atti�di�nomina�e�di�conferi-
mento�degli�incarichi�ai�nuovi�dirigenti�nominati�dal�Governo.�

P.Q.M.: 
Voglia�codesta�ecc.ma�Suprema�Corte�di�Cassazione�dichiarare�la�giurisdizione�
del�giudice�ordinario,�con�consequenziali�statuizioni�di�legge.�
Roma�l|�14�gennaio�2002�
Avv. 
Giuseppe 
Fiengo��


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

3.�^LA 
difesA 
dI 
meritO 
dell'amministrazionE 
Tribunale 
Civile 
di 
Roma, 
Sezione 
lavoro 
^Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
-Memoria 
per�la�

Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�ed�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e�

della�Ricerca�(Contenzioso�245/2003)�c/�E.B.�(Avv.ti�L.�Forchia,�V.�Angiolini,�

A.�Andreoni�e�T.�Di�Nitto)�e�nei�confronti�di�L.S.�
�(Omissis) 
Il�presente�gravame�e�rivolto�contro�tutti�gli�atti�posti�in�essere�dal�Mini-
stero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�in�attuazione�dell'art.�3,�comma�settimo,�
della�legge�165/2002.�

Tale�norma�nell'ambito�della�recente�riforma�concernente�le�norme�riguardanti�la�diri-
genza�statale�(anche�per�favorire�lo�scambio�di�esperienze�e�l'interazione�tra�pubblico�e�pri-
vato)�ha�previsto�a�decorrere�dal�sessantesimo�giorno�dalla�sua�entrata�della�legge�la�cessa-
zione�degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�(e�di�quelli�di�direttore�gene-
rale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato)�e�in�caso�di�mancata�riattribuzione�dell'incarico�
in�precedenza�svolto�il�conferimento�dirigente�interessato�di�un�incarico�di�livello�retributivo�
equivalente�al�precedente�ovvero,�in�caso�cio�non�sia�possibile,�per�carenza�di�disponibilita�
di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qualita�professionali,�l'attribu-
zione�di�un�incarico�di�studio�con�il�mantenimento�del�precedente�trattamento�economico.�

Nel�caso�qui�considerato�l'istante�non�si�e�vista�riattribuire�l'incarico�precedentemente�
svolto�e�nemmeno�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�per�mancanza�di�posti�di�fun-
zione�presso�il�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�edella�Ricerca�ede�insorta�contro�
gli�atti�con�i�quali�si�e�provveduto�al�conferimento�di�altri�incarichi�di�funzioni�dirigenziali�
di�livello�generale�a�soggetti�diversi�dai�precedenti�titolari.�

Nella�convinzione�che�la�tutela�apprestatagli�dal�legislatore�avverso�gli�atti�della�P.A.�
riguarderebbe�situazioni�soggettive�diverse�(di�diritto�e�di�interesse)�l'istante�si�e�risolta�ad�
adire�tanto�codesto�giudice�ordinario�quanto�il�giudice�amministrativo�(segnatamente�il�
TAR�Lazio).�

Nel�primo�caso�con�ricorso�ex 
art.�700�c.p.c.�e�stata�chiesta�la�reintegra�nell'incarico�
precedentemente�ricoperto�prospettando�l'incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo�della�
legge�145/2002�nella�parte�in�cui�dispone�la�cessazione�di�tutti�gli�incarichi�dirigenziali�a�
decorrere�dal�sessantesimo�giorno�dalla�entrata�in�vigore�della�legge�e�configurando�l'attri-
buzione�della�direzione�di�uffici�di�livello�dirigenziale�generale�come�atto�conclusivo�di�una�
selezione�di�natura�sostanzialmente�se�non�formalmente�concorsuale.�Nell'altra�sede�invece,�
``la�richiesta�di�tutela�che�sostanzia�il�petitum 
del�ricorso,�e�relativa�alla�violazione�degli�inte-
ressi�della�ricorrente�che�si�sarebbe�realizzata�nel�corso�dei�procedimenti�mediante�i�quali�
l'amministrazione�ha�dato�attuazione�alla�norma�di�cui�all'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�
145/2002,�e,�in�conseguenza�dei�provvedimenti�qui�impugnati,�con�i�quali�sie�illegittima-
mente�precostituita�una�indisponibilita�di�incarichi�di�livello�equivalente�al�solo�fine�di�esclu-
dere�l'istante�e�di�attribuirgli�invece,�un�incarico�di�studio''.�

Secondo�questo�esposto�nell'articolato�e�complesso�gravame�l'operato�delle�Ammini-
strazioni�resistenti�sarebbe�in�primo�luogo�viziato�per�invalidita�derivata�dall'incostituziona-
lita�dell'art.�3,�comma�settimo,�legge�145/2002�ravvisata:�

1)�nell'asserita�irragionevolezza�della�previsione,�per�una�sola�volta,�all'atto�della�
entrata�in�vigore�della�legge�145/2002,�della�cessazione�``de 
legis'" 
di�tutti�gli�incarichi�di�
livello�dirigenziale�generale,�e�non�solo,�secondo�il�regime�ordinario,�diquelli�diSegretario�
Generale�e�Capo�dipartimento,�il�che�discriminerebbe�i�dirigenti�generali�``di�secondo�livello''�
in�servizio�alla�data�dell'8�agosto�2002;�

2)�all'asserita�violazione�del�principio�di�stabilita�dei�contratti�individuali�di�lavoro;�

3)�all'asserita�violazione�degli�art.�97�e�98�Cost.�(principio�di�buon�andamento�e�
imparzialita�dell'Amministrazione).�Sotto�altro�e�distinto�profilo�viene�poi�dedotta�la�viola-
zione�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002�e�dell'art.�19�del�D.Lgs.�165/2001�non-
che�eccesso�di�potere�per�assoluta�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�motivazione�e�violazione�
della�circolare�della�P.C.M.�31�luglio�2002�in�quanto�i�provvedimenti�adottati�sarebbero�stati�
assunti�senza�l'espletamento�di�alcun�tipo�di�istruttoria�e�insufficientemente�motivati.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�subordine�si�afferma�l'illegittimita�del�diniego�di�incarico�equivalente�per�carenza�di�
istruttoria,�difetto�di�motivazione�e�violazione�di�legge�e,�per�converso,�l'illegittimita�dell'at-
tribuzione�di�incarichi�equivalenti�ai�controinteressati�per�carenza�di�istruttoria�e�difetto�di�
motivazione,�nonche�illegittimita�della�circolare�31�luglio�2002�per�violazione�di�legge,�con�
ulteriore�censura�si�sostiene�poi�l'illegittimita�della�mancata�conferma�dell'incarico�ricoperto�
per�mancata�comunicazione�dell'avvio�del�procedimento,�illegittimita�del�diniego�di�incarico�
equivalente�per�violazione�degli�art.�7�e�ss. 
della�legge�n.�241/90�e�violazione�del�principio�
del�giusto�procedimento.�Infine�si�afferma�l'illegittimita�dei�provvedimenti�di�conferimento�
di�incarico�dirigenziale�ai�controrinteressati�per�violazione�dell'art.�3�della�legge�241/90�per�
assoluta�carenza�di�motivazione�e�difetto�di�presupposti.�

Tanto�premesso,�mediante�il�presente�atto�si�costituiscono�le�Amministrazioni�resistenti�
ribadendo�la�piena�legittimita�del�proprio�operato�come�risultera�da�quanto�di�seguito�si�
esporra�a�confutazione�delle�avverse�asserzioni�ed�affermazioni.�

Come�si�e�accennato�la�principale�censura�su�cui�si�incentra�la�presente�impugnativa�
concerne�la�dedotta�incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002,�nella�
parte�in�cui�prevede�la�cessazione�automatica�degli�incarichi�dirigenziali�a�decorrere�dal�ses-
santesimo�giorno�dall'entrata�in�vigore�della�legge�che�darebbe�corpo�ad�una�versione�
estrema�e�inedita�dello�spoils 
system 
che�consente�solo�al�governo�in�carica�^e�non�anche�ai�
governi�successivi�^di�scegliere�per�tutti�gli�uffici�dirigenziali,�personale�di�propria�fiducia,�
mentre�la�stessa�legge�n.�145/2002�prevede,�come�regola�ordinaria,�che�i�soli�segretari�gene-
rali�e�i�capi�dipartimento�e�quindi�un�numero�assai�limitato�di�persone,�pochissime�unita�
per�ogni�ministero,�decadono�dopo�novanta�giorni�dalla�fiducia�al�nuovo�governo,�in�ragione�
della�loro�``continuita�''�con�il�potere�``politico''.�

Trattasi�di�affermazioni�prive�di�fondamento�se�si�considera�che�la�previsione�si�e�resa�
necessaria�per�consentire�l'immediata�attuazione�della�riforma.�Invero�solo�attraverso�la�ces-
sazione�generalizzata,�per�effetto�di�legge,�di�tutti�gli�incarichi�preesistenti�si�e�potuto�dare�
corso,�in�tempi�e�con�modalita�certi�e�uguali�per�tutti,�alle�nuove�disposizioni�con�le�quali�e�
stata�ridisegnata�la�disciplina�del�rapporto�dell'Autorita�politica�con�la�dirigenza,�ad�un�
livello�strategico�per�la�realizzazione�degli�indirizzi�politico-amministrativi.�

Detta�scelta,�dunque,�non�ha�nulla�a�che�vedere�con�valutazioni�necessariamente�indivi-
duali,�sulle�qualita�professionali�e�sui�risultati�dei�dirigenti�cessati.�

Il�ricorso�allo�strumento�della�revoca�caso�per�caso,�oltre�a�comportare�procedure�defa-
tiganti�e�finora�sostanzialmente�mai�poste�in�essere,�con�corredo�di�inevitabile�e�generaliz-
zato�contenzioso,�nonche�con�effetti�di�confusione�e�precarieta�gravissimi�in�posti�chiave�del-
l'amministrazione�dello�Stato,�avrebbe�comportato�rischi�di�arbitrio�ben�maggiori�di�una�ces-
sazione�``ope 
legis'" 
e�generalizzata�dagli�incarichi.�

Un�drastico�intervento�sulla�situazione�preesistente�del�tutto�incompatibile�con�il�nuovo�
assetto�si�imponeva�anche�considerando�che�la�maggioranza�degli�incarichi�dirigenziali�in�
essere�al�momento�dell'entrata�in�vigore�della�nuova�legge�aveva�una�duratadi�granlunga�
superiore�rispetto�a�quella�massima�consentita�dall'art.�19�del�D.Lgs.�165/2001�come�modifi-
cato�dall'art.�1,�comma�primo,�lett.�b) 
della�legge�145/2002�(quest'ultima�norma�infatti�ha�
apportato�una�forte�riduzione,�da�sette�a�tre�anni,�della�durata�massima�degli�incarichi�di�
funzione�dirigenziale�da�conferirsi�nel�nuovo�regime).�Per�restare�al�caso�del�Ministero�dell'I-
struzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca�tutti�i�precedenti�incarichi�erano�stati�conferiti�nel�
2001�per�un�periodo�non�inferiore�a�cinque�anni,�sicche�il�rispetto�della�scadenza�naturale�
del�precedente�contratto,�invocato�da�parte�attrice,�avrebbe�comportato�non�solo�il�manteni-
mento�di�rapporti�di�durata�incompatibile�con�la�disciplina�in�vigore,�ma�altres|�la�situazione�
paradossale�per�cui�gli�incarichi�precedenti�sarebbero�venuti�a�scadenza�addirittura�poste-
riormente�a�quelli�affidati�in�conformita�al�nuovo�regime�normativo.�E�superfluo�precisare�
quanto�una�siffatta�situazione,�oltre�a�violare�la�legge,�avrebbe�dilazionato�nel�tempo�e�
sostanzialmente�vanificato�l'attuazione�del�disegno�di�riforma�della�dirigenza,�per�tacere�del�
danno�arrecato�al�raggiungimento�degli�obiettivi�di�governo.�

Nemmeno�nel�segno�le�considerazioni�con�le�quali�controparte�prospetta�una�presunta�
disparita�di�trattamento�fra�la�dirigenza�generale�e�la�dirigenza�di�secondo�livello�per�la�
quale�e�prevista�la�conferma�automatica�nell'incarico.�A�ben�considerare�la�disciplina�con-
cernente�la�dirigenza�(sia�quella�previgente�che�quella�introdotta�con�la�legge�145/2002)�ci�
si�avvede�facilmente�come�un�posto�a�se�stante�e�riservato�agli�incarichi�di�livello�sovradiri-
genziale�e�agli�incarichi�di�direzione�degli�uffici�di�livello�dirigenziale�generale.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Per�gli�incarichi�di�livello�sovra�dirigenziale�generale�(segretario�generale�di�Ministero,�
ragioniere�generale�dello�Stato�ecc.)�viene�introdotto�un�meccanismo�di�conferimento�che�si�
avvicina�allo�spoils.system.puro�e�semplice.�Difatti�detti�incarichi�sono�conferiti�con�decreto�
del�Presidente�della�Repubblica,�previa�deliberazione�del�Consiglio�dei�Ministri�su�proposta�
del�Ministro�competente�a�dirigenti�di�prima�fascia�oppure,�mediante�lo�strumento�del�con-
tratto�a�tempo�determinato�a�soggetti�esterni�di�particolare�e�comprovata�qualificazione�pro-
fessionale.�Nell'uno�come�nell'altro�caso�si�tratta�di�incarichi�ad�elevatissimo�tono�fiduciario�
in�quanto,�fermo�restando�il�loro�naturale�termine�di�durata�sono�oggetto�diriesame�da�
parte�del�governo�subentrato;�infatti�nel�termine�di�novanta�giorni�dal�voto�parlamentare�
di�fiducia,�il�Governo�puo�confermare,�rinnovare,�modificare�e�revocare�detti�incarichi.�

Cio�significa,�in�altri�termini,�che�essendo�il�``nuovo''�Governo�libero�di�azzerare�tutti�gli�
incarichi�in�atto�e�di�scegliere�persone�ritenute�fiduciariamente�piu�idonee�ad�organizzare�
l'attuazione�dei�programmi�governativi,�i�titolari�degli�incarichi�conferiti�dal�Governo�deca-
duto�non�sono�portatori�di�alcun�interesse�qualificato�e�differenziato�alla�loro�conservazione.�
Ne�emerge,�dunque,�la�differenziazione�della�posizione�di�coloro�i�quali�sono�titolari�di�inca-
richi�sovradirigenziali�dalla�posizione�di�coloro�i�quali�sono�invece�titolari�di�incarichi�di�
direzione�degli�uffici�di�livello�dirigenziale.�(omissis).�

I�tentativi�di�controparte�di�dimostrare�l'equiparabilita�delle�due�posizioni�urtano�pero�
contro�il�chiaro�disposto�normativo�che�riserva�ai�titolari�degli�uffici�di�livello�dirigenziale�
generale�un�trattamento�diverso�in�ragione�della�profonda�differenza�tra�i�predetti�incarichi�
e�gli�altri�incarichi�conferibili�ai�dirigenti�di�seconda�fascia.�

Non�casualmente�le�funzioni�degli�uni�e�degli�altri�sono�analiticamente�indicate�negli�
articoli�16�e�17�del�D.Lgs.vo�165/2001�dai�quali�si�ricava�con�chiarezza�che�i�dirigenti�degli�
uffici�dirigenziali�generali�svolgono�un�ruolo�chiave�per�la�concreta�attuazione�delle�linee�
politiche�del�Ministro,�in�consonanza�con�i�principi�fissati�nell'art.�4�e�operata�una�netta�
distinzione�fra�l'indirizzo�politico-amministrativo�dell'attivita�di�governo,�riservato�al�Mini-
stro�(e�agli�altri�organi�dell'Esecutivo)�cui�spetta�la�definizione�di�obiettivi�e�programmi�da�
attivare,�e�l'attivita�gestionale,�riservata�in�via�esclusiva�alla�dirigenza�cui�compete�l'adozione�
degli�atti�e�provvedimenti�amministrativi,�compresi�tutti�gli�atti�che�impegnano�l'amministra-
zione�verso�l'esterno,�nonche�la�gestione�finanziaria,�tecnica�e�amministrativa�mediante�
autonomi�poteri�di�spesa,�di�organizzazione�delle�risorse�umane,�strumentali�e�di�controllo.�

All'interno�dell'assetto�tracciato�dalla�norma�di�carattere�generale,�come�si�diceva,�assu-
mono�carattere�peculiare�gli�uffici�dirigenziali�generali�che�costituiscono�il�vertice�dell'appa-
rato�amministrativo�chiamato�a�dare�concreta�attuazione�ai�piani�e�programmi�in�cui�si�con-
creta�la�funzione�di�indirizzo�politico�del�Ministro�e�si�collocano�in�una�posizione�di�cerniera�
fra�il�primo�e�il�secondo.�Cio�non�senza�considerare�che�proprio�in�quanto�organi�di�vertice�
della�struttura�burocratica�sono�titolari�di�funzioni�e�poteri�il�cui�corretto�e�tempestivo�eser-
cizio�costituisce�presupposto�necessario�per�la�buona�riuscita�dell'azione�di�governo.�

Collocandosi�in�siffatta�prospettiva�ben�si�comprende�che�il�legislatore,�consapevole�del�
particolare�rilievo�che�tali�incarichi�assumono�per�l'Esecutivo,�abbia�operato�una�netta�
distinzione�fra�i�medesimi�e�gli�altri�incarichi�conferibili�ai�dirigenti�di�seconda�fascia.�Non�
casualmente�d'altronde�gli�incarichi�in�questione�``sono�conferiti�con�decreto�del�Presidente�
del�Consiglio�dei�Ministri,�su�proposta�del�Ministro�competente,�a�dirigenti�della�prima�
fascia�dei�ruoli�di�cui�l'art.�23,�o�in�misura�non�superiore�al�50�per�cento�della�relativa�dota-
zione�agli�altri�dirigenti�appartenenti�ai�medesimi�ruoli�ovvero�con�contratto�a�tempo�inde-
terminato,�a�persone�in�possesso�delle�specifiche�qualita�professionali�richieste�dal�comma�6�
(art.�19,�comma�quarto�come�modificato�dalla�legge�165/2002)�mentre�gli�incarichi�di�dire-
zione�degli�altri�uffici�di�livello�dirigenziale�generale,�sono�conferiti�dal�dirigente�di�livello�
dirigenziale�generale�ai�dirigenti�assegnati�al�suo�ufficio�ai�sensi�dell'art.�4,�comma�primo,�
lettera�c)''.

Le�avverse�prospettazioni�sono,�dunque,�destituite�di�fondamento�in�quanto�si�fondano�
su�una�lettura�della�disciplina�riguardante�la�dirigenza�pubblica�che�non�considera�in�alcun�
modo�la�peculiarita�della�posizione�dei�titolari�di�uffici�dirigenziali�di�livello�generale�che�
caratterizzava�il�nuovo�assetto�anche�prima�dell'ultimo�intervento�del�legislatore.�

Vi�e�da�aggiungere�che�il�legislatore�nel�proprio�ultimo�intervento�in�materia,�che�qui�
viene�in�considerazione,�movendosi�in�perfetta�coerenza�con�le�distinzioni�gia�in�precedenza�
tracciate�in�relazione�alla�elevatezza�e�importanza�degli�incarichi�dirigenziali,�si�e�mostrato�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

particolarmente�avveduto�della�posizione�del�titolare�di�ufficio�dirigenziale�generale�poiche�
se�al�fine�di�consentire�l'immediata�attuazione�della�nuova�disciplina�ha�ritenuto�di�far�ces-
sare�automaticamente�tutti�gli�incarichi�dirigenziali�in�essere,�creandocos|��una�situazione�
suscettibile�di�incidere�negativamente�su�coloro�i�quali�non�si�sarebbero�visti�confermare�l'in-
carico�in�precedenza�svolto�o�addirittura�altri�incarichi,�ha�in�ogni�caso�cercato�di�tutelare�
questi�ultimi�consentendo�comunque�l'attribuzione�di�incarico�avente�ad�oggetto�funzioni�di�
carattere�equivalente�ovvero�un�incarico�di�studio.�

Si�vuole,�cioe�,�dire�che�non�soltanto�la�posizione�dei�titolari�di�incarichi�di�livello�diri-
genziale�generale�e��stata�correttamente�distinta�tanto�da�quella�dei�titolari�degli�incarichidi�
cui�all'art.�18,�comma�terzo,�quanto�da�quella�degli�altri�dirigenti�di�seconda�fascia�ma�ope-
rando�un�piu��che�equo�bilanciamento�degli�interessi�in�gioco,�la�medesima�e��stata�oggetto�
di�apposita�ed�adeguata�tutela�in�relazione�alle�modifiche�e�ai�cambiamenti�introdotti,�
suscettibili�di�incidere�in�modo�risolutivo�sugli�incarichi�in�corso�di�svolgimento.�

Cio��dovrebbe�fugare�anche�gli�altri�dubbi�di�costituzionalita��della�norma�ex 
adverso 
prospettati,�con�riferimento�alla�violazione�del�principio�di�stabilita��dei�contratti.�Non�e��
chi�non�veda,�infatti,�che�la�tutela�apprestata�i�titolari�di�incarichi�di�livello�dirigenziale�
generale�mediante�la�previsione�di�conferimento�ai�medesimi�di�incarichi�aventi�ad�oggetto�
funzioni�di�carattere�equivalente�ovvero�incarichi�di�studio�serve�a�garantire�i�medesimi�
delle�negative�conseguenze�connesse�alla�possibile�mancata�riattribuzione�dell'incarico�in�
precedenza�ricoperto.�

Si�consideri,�del�resto,�che�il�legislatore�e��intervenuto�sostanzialmente�modificando�
anche�la�posizione�dei�titolari�di�incarichi�sovra�dirigenziali�per�i�quali�il�nuovo�testo�del�
comma�otto�dell'art.�19�prevede�la�decadenza�automatica�decorsi�novanta�giorni�dal�voto�
sulla�fiducia�al�governo�senza�alcuna�delle�garanzie�apprestate�in�favore�dei�titolari�di�incari-
chi�di�livello�dirigenziale�generale.�

Le�argomentazioni,�dunque,�fondate�sul�richiamo�alla�norma�in�questione�alfine�di�
sostenere�che�la�cessazione�dell'incarico�presuppone�sempre�e�comunque�una�apposita�valu-
tazione�del�dirigente�appaiono�prive�di�pregio.�

Cos|��come�del�tutto�fuori�di�luogo�appaiono�i�riferimenti�ai�principi�desumibilidalla�
legislazione�interna�e�internazionale�che�impedirebbero�in�modo�assoluto�al�datore�di�lavoro�
di�recedere�ad 
mutum 
dal�rapporto.�Del�resto�nel�caso�di�specie�non�si�e��in�alcun�modo�di�
fronte�ad�ipotesi�di�licenziamenti�poiche�se�si�eccettua�la�posizione�degli�esperti�esterni�(e�
qui�si�intende�esclusivamente�ai�c.d.�esterni�all'Amministrazione�in�genere�e�non�esterni�al�
Dicastero�presso�il�quale�era�svolto�l'incarico�dirigenziale�non�riattribuito)�nessuno�dei�diri-
gentiche�non�sie��visto�riconfermare�o�meglio�riattribuire�l'incarico�dal�quale�era�cessato�
ex 
lege 
vede�in�alcun�modo�compromessa�la�stabilita��del�proprio�rapporto�d'impiego.�

Sul�punto�si�e��espressa�con�chiarezza�la�Corte�Costituzionale�nella�recente�ordinanza�

n.�11/2002�che�controparte,�pur�non�risparmiandosi�in�citazioni�dottrinali�e�giurispruden-
ziali,�omette�completamente�di�considerare.�Ebbene�il�giudice�delle�leggi,�chiamato�a�pro-
nunciarsi�in�merito�alla�legittimita��costituzionale�delle�norme�di�cui�alla�legge�delega�59/97�
e�del�decreto�legislativo�n.�80/98�nelle�quali,�come�si�accennava,�sono�state�tracciate�le�scelte�
strutturali�attraverso�le�quali�si�e��provveduto�a�completare�la�privatizzazione�del�rapporto�
di�pubblico�impiego�anche�con�riferimento�alla�dirigenza�che,�come�viene�anche�ex 
adverso 
riconosciuto,�sono�state�ribadite�nella�legge�145/2002�(attraverso�la�quale�si�e��voluto�esclusi-
vamente�intervenire�per�integrare�e�modificare�la�disciplina�della�dirigenza�mantenendosi�
fedeli�al�modello),�dopo�aver�esattamente�sottolineato�che�la�suddetta�disciplina�era�stata�
trasfusa�nel�testo�del�D.Lgs.�165/2001,�di�talche�le�questioni�di�costituzionalita��dovevano�
intendersi�trasferite�sulle�disposizioni�del�suddetto�testo�unico�(e�segnatamente�art.�15,�
comma�primo,�19,�21,�22,�23�e�24�comma�secondo),�ha�con�nettezza�affermato�che�la�privatiz-
zazione�del�rapporto�di�impiego�pubblico�(intesa�quale�applicazione�della�disciplina�giusla-
voristica�di�diritto�privato)�non�rappresenta�di�per�se��un�pregiudizio�per�l'imparzialita��del�
dipendente�pubblico,�posto�che�per�questi�(dirigente�o�no)�non�vi�e��,�come�accade�per�i�magi-
strati�una�garanzia�costituzionale�di�autonomia�da�attuarsi�necessariamente�con�legge�attra-
verso�uno�stato�giuridico�particolare�che�assicuri,�ad�es.�stabilita��ed�inamovibilita��,�per�cui�
rientra�nella�discrezionalita��del�legislatore�di�segnare�l'ambito�di�estensione�di�tale�privatiz-
zazione,�con�il�limite�del�rispetto�dei�principi�di�imparzialita��e�buon�andamento�della�pub-
blica�amministrazione�e�della�non�irragionevolezza�della�disciplina�differenziata;�che,�per-

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

tanto,�l'estensione�della�privatizzazione�anche�ai�dirigenti�generali�rientra�nella�rilevata�
discrezionalita�del�legislatore�in�materia,�il�cui�ambito�consente�di�escludere�che�dalla�non�
irragionevolezza�di�una�disciplina�originariamente�differenziata�automaticamente�discenda�
l'ingiustificatezza�dell'eventuale�successiva�assimilazione;�che,�pur�nel�contesto�della�genera-
lizzata�privatizzazione�del�rapporto�di�impiego�dei�dirigenti,�la�posizione�del�dirigente�gene-
rale�rimane�in�ogni�caso�differenziata�anche�all'interno�del�ruolo�unico,�considerando�che�
esso�contempla�comunque�due�distinte�``fasce''�(art.�23�del�D.Lgs.�29�del�1993,�ed�ora�
art.�23�del�D.Lgs.�165�del�2001),�e�che�la�disciplina�di�significativi�momenti�del�rapporto�
(come�il�conferimento�degli�incarichi�art.�19�d.lgs.�n.�29�del�1993,�ed�ora�l'art.�19�d.lgs.�

n.�165�del�2001)�riserva�ai�dirigenti�di�prima�fascia�uno�speciale�e�piu�favorevole�trattamento;�
che�piu�in�generale�la�disciplina�del�rapporto�di�lavoro�dirigenziale�nei�suoi�aspetti�qualifi-
canti�^in�particolare�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�(assegnati�tenendo�conto,�
tra�l'altro,�delle�attitudini�e�delle�capacita�professionali�del�dirigente)�e�la�loro�eventuale�
revoca�(per�responsabilita�dirigenziale),�nonche�la�procedimentalizzazione�dell'accertamento�
di�tali�responsabilita�(art.�19�e�21�del�d.lgs.�n.�29�del�1993,�ed�ora�art.�19,�21�e�22�del�d.lgs.�
n.�165�del�2001)�^e�connotata�da�specifiche�garanzie,�mirate�a�presidiare�il�rapporto�di�
impiego�dei�dirigenti�generali,�la�cui�stabilita�non�implica�necessariamente�anche�stabilita�
dell'incarico,�che,�proprio�al�fine�di�assicurare�il�buon�andamento�e�l'efficienza�dell'ammini-
strazione�pubblica,�puo�essere�soggetto�alla�verifica�dell'azione�svolta�e�dei�risultati�perse-
guiti,�che�i�dirigenti�generali�sono�quindi�posti�in�condizione�di�svolgere�le�loro�funzioni�nel�
rispetto�del�principio�di�imparzialita�e�di�buon�andamento�della�pubblica�amministrazione,�
tanto�piu�che�il�legislatore�delegato�^nel�riformulare�gli�articoli�3�e�14�del�D.Lgs.�29�del�
1993,�con�gli�articoli�4�e�14�del�d.lgs.�n.�165�del�2001�^ha�accentuato�il�principio�della�distin-
zione�tra�funzione�di�indirizzo�politico-amministrativo�degli�organi�di�governo�e�funzione�
di�gestione�e�attuazione�amministrativa�dei�dirigenti,�escludendo,�tra�l'altro,�che�il�Ministro�
possa�revocare,�riformare,�riservare�o�evocare�a�se�o�altrimenti�adottare�provvedimenti�o�atti�
di�competenza�dei�dirigenti�``(e�ribadito�la�legittimita�,�in�materia,�della�giurisdizione�del�giu-
dice�ordinario�proprio�con�riferimento�ai�dirigenti�Generali�sul�presupposto�dell'intervenuta�
privatizzazione�del�rapporto�di�impiego)'',�considerando,�pertanto,�manifestamente�infon-
date�le�questioni�di�costituzionalita�fondate�invocando�i�medesimi�parametri�(articoli�9,�97,�
98�della�Costituzione)�e�le�medesime�argomentazioni�svolte�in�ricorso.�
Conclusivamente�e�da�notare�che�le�argomentazioni�cui�controparte�si�affida�per�soste-
nere�l'incostituzionalita�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002�costituiscono�il�
frutto�di�una�non�corretta�e�completa�lettura�ed�interpretazione�del�corpus 
normativo�concer-
nente�la�riforma�della�dirigenza�pubblica.�Se,�al�contrario,�si�rimane�fedeli�alla�ratio 
che�ha�
indotto�il�legislatore�ad�intervenire�effettuando�una�riforma�radicale�e�si�considera�quanto�
la�Corte�Costituzionale�ha�gia�avuto�modo�di�precisare,�ci�si�avvede�facilmente�della�manife-
sta�infondatezza�di�quanto�ex 
adverso 
sostenuto.�(omissis). 


Non�esiste�e�non�puo�esistere�alcun�obbligo�della�P.A.�di�attuare�un�procedimento�volto�
alla�non�conferma�del�dirigente�generale�cessato.�Come�si�evince�con�chiarezza�dal�testo�del-
l'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�145/2002�la�cessazione�dell'incaricoe�automatica�allo�
scadere�del�sessantesimo�giorno�dall'entrata�in�vigore�della�legge�e,�a�questo�punto�ad�ogni�
singolo�Ministro�erano�consentite�solo�ed�esclusivamente�due�possibilita�:�o�lasciare�decorrere�
infruttuosamente�il�termine�di�novanta�giorni�dalla�cessazione�dell'incarico,�cos|�semplice-
mente�riconfermando�il�dirigente�cessato�o�procedere�alla�attribuzione�di�incarichi�ai�sensi�
delle�disposizioni�di�cui�all'art.�19�del�D.Lgs.�165/2001.�

Come�e�ben�chiarito�nella�circolare�esplicativa�del�31�luglio�2001�la�cessazione�della�
durata�dell'incarico�comporta�per�l'amministrazione�l'obbligo�di�adottare�un�ulteriore�prov-
vedimento�esplicito,�riguardante�la�posizione�del�dirigente�cessato�dall'incarico,�avente�uno�
dei�seguenti�contenuti:�

a) 
l'attribuzione�al�dirigente�dello�stesso�incarico�cessato,�eventualmente�modificato�
in�relazione�a�singoli�profili�contenutistici;�
b) 
l'attribuzione�di�un�incarico�funzionale�equivalente;�
c) 
l'attribuzione�di�un�incarico�di�studi,�con�il�mantenimento�del�trattamento�econo-
mico�precedente�della�durata�minima�di�un�anno.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�siffatta�prospettiva�e�di�tutta�evidenza�che�la�comunicazione�di�avvio�del�procedi-
mento,�l'istruttoria�e�la�motivazione,�nel�che�si�sostanzia�l'attivita�pubblicistica�volta�al�con-
ferimento�dell'incarico,�costituiscono�adempimenti�correlati�alla�scelta�del�tutto�discrezio-
nale�del�tipo�di�incarico�che�si�intende�attribuire�al�dirigente�cessato.�

Cos|�se�l'opzione�e�per�la�riconferma�dell'�incarico�con�modifiche�concernenti�aspetti�
contenutistici�dello�stesso�e�dell'avvio�di�tale�procedimento�che�il�medesimo�deve�essere�avvi-
sato�e�rispetto�a�tale�scelta�che�va�effettuata�l'istruttoria�e�che�il�successivo�provvedimento�
andra�motivato.�

La�tesi�sviluppata�da�controparte�la�quale,�come�detto,�teorizza�la�sussistenza�di�un�
diritto�o�interesse�del�dirigente�a�vedere�attivato�un�procedimento�volto�alla�propria�non�con-
ferma�e,�soprattutto,�a�consentire�che�la�scelta�di�conferimento�dell'incarico�ricada�sulle�per-
sone�piu�capaci�in�base�a�criteri�razionali�e�trasparenti�e�non�venga�effettuata�secondo�il�
capriccio�o�peggio,�le�convenienze�del�soggetto�decisore�e�il�frutto�di�una�lettura�assoluta-
mente�distorta�e�fuorviante�delle�norme�regolanti�la�materia.�

Come�si�arguisce�chiaramente�dalla�lettera�dell'art.�3,�comma�settimo,�della�legge�
145/2002,�una�volta�cessati�ex 
lege 
gli�incarichi�dirigenziali�in�essere,�essendo�immediata-
mente�operativo�il�nuovo�regime�tutti�gli�incarichi�devono�intendersi�conferiti�``ex 
novo'" 
anche�in�caso�di�attribuzione�al�medesimo�dirigente.�E�pertanto�inesatto�parlare�di�``con-
ferma''�poiche�,�alla�stregua�di�quanto�previsto�dal�legislatore,�il�silenzio�della�P.A.�va�inteso�
nel�senso�che�mediante�esso�si�e�inteso�implicitamente�procedere�al�conferimento�dell'inca-
rico�gia�ricoperto�dal�dirigente�avente�ad�oggetto�il�medesimo�contenuto.�

Contestualmente�e�consentita�l'attribuzione�di�nuovi�incarichi�o�meglio�l'attribuzione�
degli�incarichi�riguardanti�i�dirigenti�generali�cessati�ad�altri�dirigenti�e�tale�scelta�deve�
essere�il�frutto�di�un'attivita�da�espletarsi�nel�rispetto�di�quanto�previsto�dall'art.�19,�comma�
primo�e�secondo�del�D.Lgs.vo�165/2001,�nel�testo�novellato.�

Ora,�a�ben�leggere�le�disposizioni�contenute�nelle�due�norme�appena�ricordate,�che�sono�
state�oggetto�piu�di�modifiche�formali�che�sostanziali,�ci�si�avvede�facilmente�che�la�verifica�
rispetto�alla�natura�e�alle�caratteristiche�degli�obiettivi�prefissati,�delle�attitudini�e�delle�capa-
cita�professionali�del�singolo�dirigente,�valutate�anche�in�considerazione�dei�risultati�conse-
guiti�con�riferimento�agli�obiettivi�fissati�nella�direttiva�annuale�e�negli�altri�atti�di�indirizzo,�
va�condotta�con�riferimento�al�soggetto�su�cui�ricade�la�scelta�del�Ministro�e�non�con�riferi-
mento�al�soggetto�che�in�precedenza�rivestiva�l'incarico�da�conferire�ed�e�di�cio�che�occorre�
dar�conto�nella�motivazione�del�provvedimento�di�attribuzione�dell'incarico.�

Queste�e�solo�queste�(oltre�naturalmente�il�diritto�ad�avere�mezzi,�risorseed�uomini�
occorrenti�per�il�raggiungimento�degli�obiettivi�e�la�rigorosa�limitazione�della�possibilita�di�
revoca�dell'incarico)�sono�le�garanzie�che�debbono�essere�apprestate�al�dirigente�all'interno�
del�nuovo�modello�e�cio�in�considerazione�del�fatto�che�l'attribuzione�degli�incarichi�di�carat-
tere�dirigenziale�generale�implica�una�scelta,�che�se�non�e�di�carattere�esclusivamente�fiducia-
rio,�come�nel�caso�degli�incarichi�sovradirigenziali,�certamente�per�l'importanza�strategica�
che�rivestono�gli�uffici�di�vertice�presuppone�anche�la�sussistenza�di�un�rapporto�fiduciario�
fra�Ministro�e�dirigente�prescelto.�Cio�quindi�comporta�che�si�tratta�di�una�scelta�nella�accet-
tazione�della�quale�il�Ministro�conserva�ampi�margini�di�discrezionalita�.�

Come�e�stato�recentemente�osservato�in�dottrina�``uno�degli�aspetti�piu�delicati�della�
riforma�della�dirigenza�pubblica�e�costituito�dalla�determinazione�delle�modalita�di�conferi-
mento�degli�incarichi�dirigenziali''.�

Difatti�una�volta�che�sia�stato�posto�il�confine�fra�l'area�della�politica�e�l'area�della�
gestione,�si�tratta�di�stabilire,�in�buona�sostanza,�se�e�come�l'organo�di�governo�politico�
possa�scegliere�i�dirigenti�cui�affidare�la�gestione.�

I�modelli�proponibili�sono�molteplici:�si�va�dalla�scelta�fiduciaria�``resa''�da�parte�dell'or-
gano�politico�alla�designazione,�sulla�base�di�criteri�oggettivi�predeterminatiorientatioad�
una�verifica�di�titoli�formali�ovvero�di�requisiti�sostanziali,�da�parte�di�un�organismo�indi-
pendente�rispetto�all'amministrazione�interessata.�

Tra�queste�due�posizioni�estreme�si�possono�individuare�soluzioni�intermedie,�di�carat-
tere�inevitabilmente�compromissorio,�espressive�di�un�determinato�punto�di�equilibrio�fra�l'e-
sigenza�del�politico�di�essere�sopportato�da�dirigente�di�cui�possa�``fidarsi'',�l'esigenza�dei�
dirigenti�di�poter�operare�senza�condizionamenti�politici�e,�infine,�la�necessita�ordinamen-
tale,�soprattutto,�a�che�la�scelta�dei�dirigenti,�indipendentemente�dall'essere�o�meno�espres-


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

sione�di�potere�amministrativo�come�tale�funzionalizzato�(art.�97�e�98�Cost.),�risulti�comun-
que�conforme�ai�principi�di�trasparenza�ed�imparzialita�nonche�orientata�all'efficienza�ed�
alla�efficacia�dell'azione�amministrativa�che�i�prescelti�devono�prospetticamente�garantire;�
laddove�quest'ultimo�stesso�contestuale�richiamo�a�principi�garantistici�ed�a�regole�efficienti-
stiche�puo�risultare�fisiologicamente�contraddittorio,�dato�che�l'amministrazione�piu�impar-
ziale�non�e�detto�che�sia�anche�la�piu�efficiente.�

Difatti�i�principi�garantistici�di�legalita�,�imparzialita�e�trasparenza�implicano,�applicati�
alla�fattispecie�in�esame�il�rispetto�di�parametri�di�valutazione�predeterminati,�la�puntuale�
esternazione�del�processo�valutativo�effettuato�da�esprimersi,�necessariamente�in�un�giudizio�
comparativo�fra�i�candidati,�la�verificabilita�ex�post�dell'iter�valutativo�seguito,�infine�e�cor-
relativamente�la�sindacabilita�anche�in�sede�giurisdizionale�della�scelta�effettuata�ove�questa�
risulti�non�conforme�ai�parametri�prefissati�ovvero�non�adeguatamente�motivata�o�traspa-
rente.�Tale�assetto�puo�riflettersi�in�una�certa�rigidita�e�macchinosita�delle�procedure�e�del�
necessario�fondamento�del�processo�valutativo�sui�titoli�curriculari�posseduti�dai�candidati�
in�quanto�piu�facilmente�misurabili,�con�correlative�possibili�negative�inesperienze�sul�piano�
dell'efficienza�sia�in�termini�di�analisi�costi-benefici�delle�procedure�seguite,�sia�di�effettiva�
congruenza�di�queste�ultime�rispetto�all'obiettivo�di�assegnare�la�specifica�responsabilita�diri-
genziale�al�soggetto�effettivamente�potenzialmente�piu�idoneo�ad�assumerla.�

Il�punto�di�equilibrio�cercato�dal�legislatore�attraverso�la�riformulazione�dell'art.�19�trae�
essenziale�fondamento�nella�considerazione�che�proprio�la�estraneizzazione�dell'organo�poli-
tico�dall'attivita�di�gestione,�del�cui�corretto�esercizio�rimane�pero�comunque�pacificamente�

responsabile�nei�confronti�della�collettivita�,�impone�una�sua�ingerenza�nella�scelta�di�coloro�che�

detta�attivita�direzionale�burocratica�devono�svolgere.�In�sostanza�risulta�coerente�con�la�logica�

della�circolarita�democratico-rappresentativa�che�l'organo�politico�esecutivo�(Governo,�Sindaco�

ecc;)�possa�cercare�di�attuare�le�proprie�politiche�avvalendosi�di�manager�di�sua�fiducia,�salvo�

poi�rispondere�della�eventuale�erroneita�delle�designazioni�operate�sia�innanzi�all'organopolitico�

rappresentativo�(Parlamento,�Consiglio�Comunale�etc.)�sia�difronte�all'elettorato.�

D'altronde�anche�in�una�logica�aziendalistica�non�appare�certo�incongruo�che�colui�che�
pone�gli�obiettivi�strategici�abbia�il�potere�di�individuare�le�persone�piu�adatte�per�perse-
guirli.�

Il�sistema�si�fonda,�dunque,�sulla�tendenziale�fiduciarieta�della�scelta�del�management�
pubblico;�tendenziale�perche�detta�fiduciarieta�risulta�assoggettata�ad�una�serie�di�tempera-
menti�per�cos|�dire�``garantistici''�in�quanto�rivolti�ad�attenuare�la�soggettivita�delle�scelte.�
Tali�temperamenti�attengono�alla�procedura�di�affidamento,�alla�durata�degli�incarichi�ed�
alle�modalita�di�rinnovo�o�di�revoca�degli�stessi�(cfr.�La�riforma�del�pubblico�impiego,�III�
ed.,�Maggioli,�186�e�ss.).�

I�temperamenti�garantistici�cui�la�citata�dottrina�ha�inteso�alludere�si�riferiscono�alle�
previsioni�di�cui�agli�art.�19,�comma�primo�e�secondo,�del�D.Lgs.�165/2001,�che�anche�nella�
nuova�versione�(peraltro�nella�sostanza�coincidente�con�la�vecchia)�riguardano,�come�dinanzi�
si�ricordava,�soltanto�la�necessita�che�dal�provvedimento�di�conferimento�dell'incarico,�il�
quale�nel�nuovo�assetto�precede�la�stipula�del�contratto�individuale,�emerga�essenzialmente�
che�nella�scelta�sono�stati�rispettati�i�parametri�fissati�nel�primo�comma�ovviamente�con�rife-
rimento�al�soggetto�destinatario�dell'incarico�e�non�a�quello�dal�medesimo�cessato.�

In�sintesi�cio�di�cui�l'autorita�politica�deve�dar�conto�e�di�aver�orientato�la�propria�scelta�
verso�dirigente�che�per�attitudini�e�capacita�professionali�si�possa�considerare�all'altezza�del-
l'incarico�conferitogli�(id�est�dei�contenuti�del�posto-funzione�dirigenziale�e�degli�obiettivi�
perseguiti)�e�cio�anche�considerate�le�sue�esperienze�pregresse.�Al�contrario�non�vi�e�alcun�
obbligo�e�nell'ambito�del�sistema�per�le�ragioni�dette�nemmeno�vi�puo�essere,�di�esternare�le�
ragioni�per�le�quali�non�si�e�sperato�di�conferire�l'incarico�ovvero�di�non�conferire�nuovo�
incarico�al�dirigente�cessato.�Ipotizzare�l'obbligo�della�P.A.�di�avviare�un�procedimento�
destinato�a�sfociare�in�un�provvedimento�di�non�conferma�ovvero�che�il�conferimento�dell'in-
carico�debba�configurarsi�come�l'atto�conclusivo�di�una�selezione�di�natura�sostanzialmente�
(se�non�formalmente)�concorsuale,�frutto�di�una�valutazione�comparativa�dei�titoli�degli�
aspiranti,�condotta�secondo�criteri�predeterminati,�dei�quali�l'amministrazione�debba�dare�
contezza�con�modalita�analoghe�a�quelle�previste�nelle�ordinarie�procedure�concorsuali,�
significa�invocare�una�applicazione�delle�nuove�regole�che�va�contro�la�lettura�e�lo�spirito�
della�nuova�disciplina.�Si�consideri�inoltre�che�gia�prima�che�intervenisse�la�legge�145/2002�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

uno�dei�criteri�fondamentali�posti�a�garanzia�della�dirigenza�nel�suo�complesso�era�quello�
della�rotazione�che�e�stato�sicuramente�rafforzato�dalla�previsione�con�la�quale�e�stata�
ridotta�la�durata�massima�degli�incarichi�e�dal�comma�4-bis 
dell'art.�19�D.Lgs:�165/2001�
aggiunto�dall'art.�3,�comma�primo,�lett.�e) 
della�legge�145/2002�il�quale�prevede�che:�``i�cri-
teri�di�conferimento�degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�conferiti�ai�
sensi�del�comma�4�del�presente�articolo,�tengono�conto�delle�condizioni�di�pari�opportunita�
di�cui�all'art.�7''.�

Tutto�cio�sta�a�significare�che�non�puo�pretendersi�dall'Organo�politico�di�motivare�il�
mancato�rinnovo,�la�non�conferma�ovvero�la�scelta�di�un�dirigente�non�titolare�di�ufficio�di�
livello�dirigenziale�piuttosto�che�di�dirigente�gia�titolare�di�ufficio�di�livello�dirigenziale�ver-
rebbe�a�creargli�inevitabili�problemi�segnalati�dalla�dottrina,�ben�poco�si�potrebbe�armoniz-
zare�con�l'impalcatura�complessiva�della�riforma�concernente�i�rapporti�fra�Autorita�politica�
e�dirigenza�e�finirebbe�inevitabilmente�per�creare�una�inevitabile�posizione�di�vantaggio�per�
il�dirigente�venuto�a�cessare�rispetto�a�coloro�i�quali�non�sono�titolari�di�ufficio�di�livello�
dirigenziale�generale,�in�contrasto�con�quanto�chiaramente�disposto�dal�legislatore�in�attua-
zione�dei�precetti�costituzionali�a�torto�ex 
adverso 
invocati�(art.�3,�97�e�98�della�Costitu-
zione).�Le�esposte�considerazioni�valgono�anche�a�confutare�le�censure�di�cui�ai�punti�del�
ricorso�con�cui�vengono�prospettate�violazioni�di�carattere�procedurale�richiamando�la�legge�
241/1990�che�poggiano�su�una�ricostruzione�del�tutto�erronea�e�distorta�del�procedimento�
di�conferimento�dell'incarico.�

Per�concludere�sul�punto�si�soggiunge�soltanto�che�quanto�si�e�andato�esponendo�a�con-
futazione�degli�avversi�assunti�trae�conforto�dalla�ricordata�ordinanza�n.�11/2002�della�
Corte�Costituzionale�nella�quale�in�modo�assai�perentorio�sono�stati�respinti�i�dubbi�di�costi-
tuzionalita�del�sistema�fondato�sulla�tendenziale�fiduciarieta�della�scelta�dei�titolari�degli�
uffici�di�livello�dirigenziale�generale�prospettati�dal�codesto�Tribunale�Amministrativo�
Regionale�per�il�Lazio.�

Cio�chiarito�dalla�motivazione�con�la�quale�si�e�ritenuto�di�conferire�ad�altro�dirigente�la�
titolarita�dell'ufficio�in�precedenza�attribuito�al�ricorrente�si�evince�con�chiarezza�che�le�
Amministrazioni�resistenti�hanno�proceduto�nel�pieno�rispetto�del�dettato�normativo.�Del�
resto�tutto�cio�che�controparte�riesce�a�contestare�e�la�rapidita�dell'azione.�In�contrario�e�
appena�il�caso�di�osservare�che�la�necessita�di�procedere�rapidamente�(il�piu�rapidamente�
possibile)�si�imponeva�al�fine�di�evitare�vacanze�o�reggenze�nelle�strutture�apicali�dell'appa-
rato�amministrativo�che�ne�avrebbero�potuto�paralizzare�o�quanto�meno�pregiudicare�il�fun-
zionamento.�(omissis). 


Avv. 
Tito 
Varrone� 



IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

4.�^LE 
ordinanzE 
cautelarI 
deL 
giudicE 
deL 
lavorO 
Tribunale 
di 
Roma, 
Sezione 
lavoro, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
15 
gennaio 
2003 
^Giudice: 


Casari�^Procedimento�cautelare�intentato�da�C.E.�(Avv.�A.�Androni)�c/�ISFOL�^Isti-

tuto�per�lo�sviluppo�della�formazione�professionale�dei�lavoratori�(Avv.�V.�Bencivenga)�

ec/�A.F.(Avv.ti�T.�De�Flaviis�eL.�Bertini). 
�(omissis) 
Ritiene�l'ufficio�di�dover�esaminare�congiuntamente�le�eccezioni�pregiudiziali 


di�inammissibilita��(correlata�ad�istanza�di�sospensione�del�presente�giudizio)�e�di�difetto�di�

giurisdizione�dell'adito�tribunale,�sollevate�entrambe�in�memoria�difensiva�dall'ISFOL,�poi-

che�strettamente�connesse.�
Sostiene�l'Istituto�l'inammissibilita��dell'azione�cautelare�intentata�innanzi�a�questo�giu-

dice�per�essere�stato�convenuto�solo�l'ISFOL�pur�essendo�coinvolta�la�Presidenza�del�Consi-

glio,�per�contemporanea�pendenza�innanzi�al�TAR�Lazio�di�ricorsi�intentati�da�altri�dirigenti

generali�di�altre�pubbliche�amministrazioni�e�per�la�necessita��di�una�trattazione�omogenea�e

nell'ambito�della�stessa�sede�delle�problematiche�di�costituzionalita��ivi�e�qui�sollevate.�
Sostiene�altres|��il�resistente�la�giurisdizione�del�giudice�amministrativo�atteso�il�rovescia-

mento�operato�dall'art.�19�D.Leg.vo�165/01,�come�modificato�dalla�legge�145/02,�del�rap-

porto�esistente�tra�provvedimento�di�incarico�e�contratto�individuale�e�l'attuale�assoluta�pre-

valenza�del�primo,�cui�e��demandata�la�determinazione�di�tutti�gli�elementi�del�rapporto�del�

dirigente,�ad�eccezione�della�sola�quantificazione�del�trattamento�economico.�
Rileva�il�Tribunale�che�a�seguito�della�devoluzione�al�giudice�ordinario,�in�funzione�di�giu-

dice�del�lavoro,�``delle�controversie�relative�ai�rapporti�di�lavoro�alle�dipendenze�delle�pubbliche�

amministrazioni�...�inclusequellerelativealconferimentoedallarevocadegliincarichidirigen-

ziali�...''�(vedi�art.�63�T.U.�legge�n.�165/2001)�il�Legislatore�ha�chiaramente�previsto�un�discri-

mine�tra�giurisdizione�del�giudice�ordinario�e�giurisdizione�del�giudice�amministrativo�che�pre-

scinde�totalmente�dalle�posizioni�soggettive�(di�diritto�soggettivo�o�di�interesse�legittimo)�inipo-

tesi�lese�dalla�pubblica�amministrazione,�fondando�viceversa�la�distinzione�a�seconda�della�

materia�oggetto�di�controversia�(ad�es.�revoca�o�conferimento�di�incarico).�
Se�cos|��e��lo�sbilanciamento�operato�dall'art.�19�tra�provvedimento�amministrativoe�

contratto�ed�il�conseguente�scivolamento�da�posizioni�di�diritto�soggettivo�a�posizioni�di�

mero�interesse�legittimo,�non�sono�situazioni�in�grado�di�incidere�sulla�giurisdizione�del�giu-

dice�ordinario�nella�materia�al�medesimo�attribuita�espressamente.�
Se�ne�deduce�che�qualora�il�ricorrente,�come�nel�caso�di�specie,�chieda�la�tutela�della�

propria�situazione�soggettiva�lesa�(sia�essa�di�diritto�o�di�interesse)�il�giudice�ordinario�potra��

comunque�statuire�in�ordine�alla�medesima�disponendo,�se�del�caso,�la�disapplicazione�del-

l'atto�amministrativo.�
Qualora�viceversa�l'istante�chieda�a�monte�l'annullamento�dell'atto�amministrativo�che�

a�tale�lesione�ha�dato�luogo,�la�giurisdizione�permane�in�capo�al�TAR.�
Ne�il�legislatore�ha�previsto�che�la�sussistenza�di�tale�doppio�binario�di�tutela�implichi

pregiudizialita��del�giudizio�amministrativo�e�la�conseguente�necessita��di�sospensione�del�giu-

dizio�ordinario.�
Essendo�tale�l'attuale�sistema�normativo,�pur�con�gli�aggiustamenti�che�si�renderebbero�

necessari,�devono�essere�disattese�entrambe�le�eccezioni�sollevate,�avendo�in�questa�sede�il�

ricorrente�concluso�per�il�ripristino�del�lavoratore�nelle�proprie�funzioni.�
Si�rileva�altres|��che,�cos|��definito�l'oggetto�del�presente�giudizio�cautelare,�ben�poteva�

essere�il�medesimo�intentato�nei�confronti�dei�soli�resistenti�convenuti.�
Passando�quindi�all'esame�delle�doglianze�dell'istante,�ricorda�il�Tribunale�che�ai�fini�

dell'invocata�tutela�ex 
art.�700�c.p.c.�del�diritto�vantato�dal�ricorrente�occorre�verificare�la�

contestuale�sussistenza�dei�presupposti�del�fumus 
boni 
iuris 
edel�periculum 
in 
mora. 
In�particolare,�riguardo�al�periculum, 
l'art.�700�c.p.c.�richiede�la�sussistenza�nella�fatti-

specie�del�fondato�timore�di�subire�un�pregiudizio�imminente�ed�irreparabile:�l'imminenza�

ricorre�quando�il�danno�appare�immediato�ed�implica�la�necessita��di�provvedere�urgente-

mente;�l'irreparabilita��ricorre�quando�non�e��possibile�una�reintegrazione�del�diritto�neanche�

a�mezzo�del�risarcimento�essendo�idonei�gli�effetti�dannosi�a�durare�nel�tempo.�
Ad�avviso�di�quest'Ufficio,�parte�ricorrente�non�ha�dato�prova�della�sussistenza�nel�caso�

di�specie�di�tale�requisito.�
Adduce�la�difesa�del�ricorrente�sul�punto:�1)�``la�sussistenza�di�un�danno�economico''�

derivante�dalla�``defenestrazione�senza�alcun�incarico�compensativo'';�2)�``il�danno�derivante�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

alla�carriera�ed�all'immagine�dell'istante�dall'intrinseca�valutazione�negativa�che�la�mancata�

conferma�e�la�mancata�attribuzione�di�un�incarico�equivalente�esprimono�in�ordineallesue

capacita��ed�attitudini''.�
Riguardo�al�primo�aspetto�rileva�il�giudicante�che�il�danno�economico�e��per�definizione

risarcibile,�salvo�che,�per�il�suo�concreto�atteggiarsi�e�per�le�condizioni�particolari�del�sin-

golo,�non�mini�il�diritto�ad�una�esistenza�libera�e�dignitosa.�Tale�ultima�circostanza�non�e��

stata�neppure�dedotta�e�deve�quindi�ritenersi�nella�fattispecie�inesistente.�
Riguardo�al�danno�alla�carriera�ed�all'immagine�derivante�dalla�mancata�conferma�nel-

l'incarico,�occorre�rilevare�che�il�ricorso�non�deduce�in�alcun�modo�un�pericolo�relativo�alla

professionalita��del�lavoratore�derivante�dal�mancato�esercizio�di�fatto�delle�precedenti�man-

sioni�ma�lamenta�esclusivamente�la�lesione�dell'immagine�dell'istante�derivante�dal�giudizio�

negativo�insito�nel�mancato�reincarico.�
Non�saremmo�quindi�in�presenza�di�una�lesione�delle�capacita��professionali�del�lavora-

tore�ma,�immutate�queste�ultime,�assisteremmo�ad�un�discredito�gettato�sul�ricorrente,�con�

ripercussioni�negative,�sia�nell'ambito�dell'Istituto�di�appartenenza�sia�all'esterno,�tali�da�

minarne�l'immagine�e�le�possibilita��di�carriera.�
In�altre�parole,�non�viene�posto�un�problema�di�sostanza�ma,�come�chiarito�anche�in�

sede�di�discussione�dalla�difesa�dell'istante,�di�``visibilita��''.�
Se�questi�sono�i�termini�del�lamentato�pericolo,�non�si�conviene�con�la�difesa�di�parte

ricorrente�in�ordine�alla�sussistenza�di�una�``intrinseca�valutazione�negativa''�sulle�capacita��

del�ricorrente�espressa�dalla�pubblica�amministrazione�nel�suo�operare.�
Nessuna�onta�o�macchia�puo��derivare�dal�venir�meno�dell'incarico�precedente,�atteso�

che�la�``decapitazione''�e��avvenuta�per�legge,�automaticamente,�ed�ha�interessato�la�generalita��

degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�dei�direttori�generali�degli�enti

pubblici�vigilati�dallo�Stato,�a�prescindere�quindi�dalle�caratteristiche�e�capacita��personali�

dei�singoli�interessati�e�dalla�volonta��delle�amministrazioni�ed�enti�medesimi�cui�non�e��stato�

dato�alcun�vaglio�di�opportunita��.�
Ne�si�puo��ritenere�di�per�se�che�la�mancata�conferma�del�ricorrente�nel�medesimo�inca-

rico�sia�indice�di�un�giudizio�negativo�sulle�sue�capacita��professionali.�Non�vi�e��chi�non�veda�

come�la�volonta��espressa�dalla�maggioranza�del�parlamento�nella�riforma�in�questione,�pre-

scinde,�nella�realizzazione�di�quello�che�e��stato�significativamente�chiamato�meccanismo�

dello�``spoils,system'',dalle�capacita��professionali�dei�malcapitati�interessati.�
Cio��e��palesato�dalla�prevista�decadenza�automatica�dall'incarico�a�prescindere�anche�

dai�piu��favorevoli�risultati�raggiunti�nello�svolgimento�del�proprio�operato.�
Preso�atto�di�tale�caratteristica�del�sistema�adottato,�non�si�puo��che�prendere�atto�della�

rilevanza�data�dal�legislatore�ad�altri�fattori�che�giocano�sulla�possibilita��di�reincarico�quale,�

precipuamente,�la�sussistenza�di�uno�stretto�rapporto�fiduciario�con�il�Ministro�e�la�ritenuta�

affidabilita��politica�del�soggetto�incaricando.�
In�altre�parole,�se�la�dirigenza�generale�diviene�staffdel�Ministro�(come�osservato�dalla�

dottrina),�non�basta�possedere�comprovate�capacita��tecniche,�ma�occorre�anche�essere�rite-

nuti�dal�Ministro�politicamente�affidabili�e�quindi�affini�agli�obiettivi�politici�che�il�governo�

in�carica�si�propone�di�raggiungere.�
Che�questo�sia�stato�l'intento�della�maggioranza�parlamentare�e��altres|��evidenziato�dal�

tenore�della�memoria�di�costituzione�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministriinanalogo

procedimento�prodotto�dalla�resistente�in�atti,�ove�a�chiare�lettere�e��detto�che�``la�scelta�in�

questione�nulla�ha�a�che�vedere�con�valutazioni�sulla�qualita��professionale�e�sui�risultati�dei�

dirigenti�cessati''�(pagina�7).�
Ma�se�cos|��e��,�l'unico�giudizio�derivante�da�un�mancato�reincarico�e��di�non�ritenuto�alli-

neamento�del�C.�``alle�strategie�dell'autorita��politica''�(vedi�sempre�pagina�7),�valutazione�

quindi�totalmente�avulsa�dai�risultati�raggiunti,�dal�bagaglio�culturale,�di�capacita��ediespe-

rienze�del�dirigente�in�questione�(come�degli�altri).�
Occorre�poi�rilevare�che�il�mancato�conferimento�di�incarico�equivalente�od�incarico�di

studi�e��dipeso�sia�da�divieto�espressamente�sancito�dall'art.�19�della�circolare�del�31�luglio�

2002�del�Ministero�della�Funzione�Pubblica�recante�le�modalita��applicative�della�legge�sul�

riordino�della�dirigenza�sia,�per�quanto�riguarda�il�solo�incarico�equivalente,�all'insussi-

stenza�di�tale�posizione�nell'ambito�dell'ISFOL.�
Quanto�sopra�dedotto�in�ordine�al�periculum,esime�dall'esame�delfumus.,
Sussistono�giusti�motivi�per�la�compensazione�delle�spese�di�giudizio.�
P.Q.M.:,Rigetta�il�ricorso�ex,art.�700�c.p.c.�(omissis).,
Roma,�13�gennaio�2003�.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Tribunale 
di 
Roma, 
Sezione 
lavoro, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
23 
gennaio 
2003 
^Giudice: 


M.G.�Marocco�^D.G.M.�c/Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze,�INAIL.�
�(omissis) 
E�dato�pacifico�in�causa�che�il�ricorrente�e�pubblico�dipendente�con�qualifica�
di�dirigente�generale�e�con�incarico�di�sindaco�del�collegio�dei�Sindaci�dell'INAIL;�e�altres|�
pacifico�che�il�D.G.�e�stato�rimosso�da�detto�incarico�in�applicazione�dell'art.�3,�comma�7,�
1egge�145/00.�

La�Legge�in�esame,�intitolata�``Disposizioni�per�il�riordino�della�dirigenza�statale�e�per�
favorire�lo�scambio�di�esperienze�e�l'interazione�tra�pubblico�e�privato'',�detta�all'art.�3�le�
norme�in�materia�di�incarichi�dirigenziali�e�di�ingresso�dei�funzionari�internazionali�nella�
pubblica�amministrazione,�disponendo�al�comma�7�che�le�disposizioni�poste�nell'articolo�in�
esame�trovano�diretta�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�
livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e�
prevista�tale�figura�e�che�i�predetti�incarichi�cessano�al�sessantesimo�giorno�dalla�data�di�
entrata�in�vigore�della�legge.�

La�lettera�della�norma,�cos|�chiara�da�non�necessitare�di�alcuna�interpretazione,�mostra�
agevolmente�che�la�disciplina�della�cessazione�ope 
legis 
degli�incarichi�dirigenziali�e�prevista�
esclusivamente�per�i�dirigenti�cui�siano�stati�attribuiti�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�
livello�generale�e�di�direttore�generale.�

La�ricerca�della�ratio 
legis, 
operata�alla�stregua�dei�noti�canoni�ermeneutici�predisposti�
dall'ordinamento,�consente�peraltro�di�affermare�che�il�legislatore�ha�con�cio�inteso�garantire�
la�sussistenza�di�un�concreto�vincolo�di�fiduciarieta�tra�il�Governo�e�la�figura�apicale�delle�
varie�articolazioni�amministrative,�nell'ottica�comprensibile�della�migliore�gestione�della�
cosa�pubblica.�

Dunque,�cos|�come�sostenuto�dalla�difesa�di�parte�ricorrente�in�sede�di�discussione,�
deve�dirsi�che�l'inapplicabilita�della�norma�de 
qua 
alla�fattispecie�per�cui�e�causa�deriva�
direttamente�dalla�previsione�legislativa,�altra�essendo�l'ipotesi�che�il�legislatore�ha�inteso�
disciplinare.�

Ed�infatti,�rammentate�le�superiori�premesse,�e�evidente�che�il�ricorrente�non�svolgeva�i
n�quanto�non�gli�era�stato�attribuito�^ne�un�incarico�di�funzione�dirigenziale�di�livello�gene-
rale�ne�di�direttore�generale�di�un�ente�pubblico�vigilato�dallo�Stato,�essendo�stato�invece�
addetto�al�mero�controllo�di�legittimita�degli�atti�dell'INAIL,�in�uno�con�gli�altri�componenti�
del�collegio�sindacale.�

Dunque�deve�dirsi�che�il�provvedimento�con�cui�il�ricorrente�e�stato�rimosso�dall'inca-
rico�in�parola�e�stato�adottato�in�palese�violazione�dei�presupposti�di�legge�richiamati�invece�
dall'Amministrazione�convenuta�per�giustificare�la�sua�azione,�posto�che�al�momento�dell'a-
dozione�del�provvedimento�in�esame�il�ricorrente�non�era,�in�concreto,�dirigente�apicale�ne�
nell'amministrazione�dello�Stato�ne�in�un�ente�pubblico�vigilato�dallo�Stato.�

Risulta�pertanto�soddisfatto�il�requisito�del�fumus 
boni 
iuris 
normativamente�richiesto�
per�l'adozione�dell'invocato�provvedimento�cautelare.�

Ritiene�pero�questo�Giudice�che�nel�caso�di�specie�non�puo�dirsi�soddisfatto�anche�l'al-
tro�requisito�necessario�per�giustificare�l'intervento�in�via�d'urgenza�dell'ufficio�adito,�ovvero�
il�periculum 
in 
mora. 


Al�riguardo�va�precisato�che�il�periculum 
in 
mora 
e�integrato�dal�rischio�che�in�pendenza�
del�procedimento�ordinario�il�diritto�che�si�intende�affermare�in�via�d'azione�sia�leso�in�modo�
irreversibile�ovvero�in�modo�tale�che�la�sua�risarcibilita�sia�oggettivamente�impossibile�o�
quanto�meno�estremamente�difficile,�di�talche�si�giustifica�l'adozione�di�un�provvedimento�
che�inibisca�la�realizzazione�della�lesione�paventata�e�anticipi�la�decisione�adottanda�nella�
fase�di�merito.�

Tanto�precisato,�dal�tenore�del�ricorso�emerge�che�il�ricorrente�ha�prospettato�in�prima�
battuta,�in�ordine�al�danno�che�teme�di�poter�subire�nelle�more�a�seguito�dell'asserita�illegit-
tima�pretermissione�dal�posto�di�lavoro,�la�sussistenza�di�una�lesione�al�suo�diritto�alla�pro-
fessionalita�,�alla�carriera�e�alla�reputazione�sociale,�ritenendo�il�pregiudizio�in�parola�icto 
oculi 
evidente.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Orbene,�va�preliminarmente�osservato�che�la�domanda�azionata�in�via�d'urgenza�dal�
ricorrente�e�quella�relativa�alla�sola�reintegrazione�nel�posto�di�lavoro,�mentre�mancaqual-
siasi�specificazione�delle�conclusioni�che�si�intende�introdurre�nella�successiva�fase�di�merito.�

A�rigore�l'omissione�in�parola�renderebbe�di�per�se��sola�inaccoglibile�in�rito�la�domanda�
ex 
art.�700�c.p.c.�che�qui�interessa,�non�essendo�dato�ne��ai�contraddittori�ne��al�Giudice�cono-
scere�puntualmente�il�petitum 
di�cui�si�chiede�siano�anticipati�gli�effetti;�pur�tuttavia,�nella�
doverosa�interpretazione�conservativa�dell'atto�introduttivo�del�presente�giudizio,�e�tenuto�
conto�che�nella�^successiva�^fase�di�merito�non�potrebbe�essere�introdottoalcun�petitum 
ulteriore,�deve�concludersi�che�i�diritti�che�in�questa�sede�si�indicano�lesi�dalla�condotta�ille-
gittima�di�parte�datoriale,�introducendoli�come�espressione�tangibile�del�periculum 
in 
mora, 
non�potrebbero�ricevere�tutela�in�via�d'urgenza,�mancando�la�chiara�ed�inequivoca�dedu-
zione�della�specifica�domanda�di�risarcimento�del�relativo�danno.�

La�tesi�sostenuta�e�poi�corroborata�dalla�ulteriore�considerazione�che�la�soluzione�con-
traria�a�quella�prospettata�si�tradurrebbe�in�una�sostanziale�negazione�degli�oneri�allegatori�
che�incombono�al�ricorrente�ex 
art.�414�c.p.c.,�qui�ancor�piu�pressanti�se�solo�si�tiene�conto�
del�fatto�che�^come�si�e�detto�^le�circostante�dedotte�nel�giudizio�ex 
art.�700�c.p.c.�devono�
coincidere�con�la�materia�che�sara�oggetto�del�contendere�in�sede�ordinaria.�

Peraltro,�pur�a�non�volere�condividere�le�superiori�ragioni�^ma�non�si�vede�come�^vi�e�
comunque�da�dire�che�in�ogni�caso�non�potrebbe�considerarsi�sussistente�il�requisito�del�peri-
culum 
in 
mora. 


Ed�infatti,�si�osserva�che�l'affermazione�della�esistenza�del�pregiudizioe�allo�stato�degli�
atti�apodittica,�proprio�perche�,�per�ammissione�dello�stesso�ricorrente,�il�danno�deve�consi-
derarsi�sussistente�in 
re 
ipsa. 


Orbene�questo�Giudice�non�ignora�i�principi�affermati�anche�di�recente�dalla�S.C.�in�
materia�^benche��elaborati�in�esito�alla�riflessione�sulla�diversa�fattispecie�del�danno�da�
errato�esercizio�dello�ius 
variandi 
datoriale�^in�forza�dei�quali�il�paventato�danno�non�patri-
moniale�alla�vita�professionale�lederebbe�anche�il�diritto�fondamentale�alla�libera�esplica-
zione�della�personalita�del�lavoratore�nel�luogo�di�lavoro,�comportando�un�pregiudizio�che�
incide�sulla�vita�professionale�e�di�relazione�dell'interessato,�e�che�tale�lesione�produrrebbe�
automaticamente�un�danno�(non�economico�ma)�comunque�rilevante�sul�piano�patrimoniale,�
per�la�sua�attinenza�agli�interessi�patrimoniali�del�lavoratore�e�determinabile�anche�in�via�
equitativa�(cfr.�Cass.�10/2002;�Cass.�11727/99;�Cass.�1443/2000).�

Tuttavia�ritiene�questo�Giudice�^ribadendo�la�propria�giurisprudenza�sul�punto�^che�
anche�questo�ulteriore�aspetto�del�danno�(all'immagine�o�alla�vita�professionale�o�di�rela-
zione),�proprio�in�ossequio�ai�principi�informatori�dell'ordinamento,�deve�essere�allegato�
(art.�414�c.p.c.)�e�provato�(art.�2697�cc),�quanto�meno�in�via�presuntiva�(e,�per�quanto�qui�
rileva,�con�la�sommarieta�consentita�dalla�natura�del�mezzo�azionato),�nella�sua�ontologica�
esistenza.�

In�caso�contrario,�invero,�si�introdurrebbe�una�sorta�di�presunzione�dell'esistenza�del�
danno�che�non�trova�giustificazione�in�alcuna�norma�positiva.�

Ne�deriva�pertanto�che,�allo�stato�degli�atti,�si�dispone�del�solo�riscontro�della�condotta�
colpevole�datoriale,�ma�non�si�dispone�di�alcun�dato�univoco,�di�sicuro�riscontro�oggettivo,�
della�sussistenza�attuale�e�concreta�di�una�lesione�irreversibile�della�sfera�soggettiva�del�
ricorrente,�ovvero�di�una�lesione�la�cui�risarcibilita�futura�sia�oggettivamente�impossibile�o�
estremamente�difficile.�

Ne��a�conclusioni�diverse�si�puo�giungere�tenendo�conto�che,�accanto�ai�profili�di�danno�
in�parola�il�ricorrente�ha�lamentato�anche�un�danno�di�natura�meramente�patrimoniale,�sca-
turente�dal�mancato�ricevimento�della�retribuzione�e�dall'assenza�di�altre�fonti�di�reddito�
che�garantiscano,�a�lui�e�al�suo�nucleo�familiare,�di�far�fronte�alle�esigenze�di�vita.�

Ed�infatti,�pur�a�voler�trascurare�il�fatto�che�il�ricorrente�non�ha�neppure�dimostrato�
qual�e�la�composizione�della�sua�famiglia�e�l'eventuale�stato�di�disoccupazione�dei�compo-
nenti�(con�le�evidenti�conseguenze�ai�fini�del�decidere),�vi�e�comunque�da�dire�che�l'interesse�
a�percepire�la�retribuzione,�attesa�l'indiscussa�funzione�alimentare�del�corrispettivo�della�
prestazione�lavorativa,�e�presente�in�inadempimento�delle�obbligazioni�scaturenti�dal�con-
tratto�di�lavoro,�ed�ha�riguardo�alla�sola�fattispecie�di�recesso�datoriale�ingiustificato�in�area�
assistita�da�tutela�reale.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Il�carattere�eccezionale�della�norma�(che�invero�impone�al�datore�di�lavorounfacere^altri-
menti^infungibile)nevieta,pacificamente,�l'applicazioneoltrel'ipotesiprevista,�conlaconse-
guenza�che�nel�caso�di�specie�unpetitum 
di�tal�tenore�deve�considerarsi�inammissibile.�

A�conclusioni�diverse�non�puo�giungersi�neppure�tenendo�conto�del�fatto�che�la�norma-
tiva�positiva�in�materia�di�pubblico�impiego�prevede�attualmente�la�possibilita�di�rendere�
anche�una�pronuncia�di�condanna�della�P.A.�

Ed�invero,�ritiene�questo�Giudice�che�l'ampiezza�dei�poteri�individuati�in�capo�al�G.O.�
dall'art.�68�d.lg.�29/93,�come�successivamente�modificato,�puo�porre�il�dubbio�se�possano�
considerarsi�derogati�i�limiti�fissati�dalla�legge�abolitiva�del�contenzioso�in�relazione�alla�
possibilita�per�il�G.O.�di�condannare�l'amministrazione�ad�un�facere 
specifico�consistente�
nella�emanazione�o�eliminazione�di�un�provvedimento�amministrativo�^analogamente�ai�
poteri�del�G.A.�^ma�certo�non�consente�comunque�^in�ossequio�ai�principi�generali�del�pro-
cesso�civile,�qui�applicato�^che�si�pronunci�una�condanna�ad�un�facere 
infungibile,�dunque�
non�passibile�di�esecuzione�forzata.�

Ne�varrebbe�opporre�che�il�privato�ben�potrebbe�far�ricorso�al�giudizio�di�ottemperanza�
(articoli�27,�n.�4�T.U.�C.d.S.�e�37�legge�istitutiva�del�TAR)�e�dunque�conseguire�il�risultato�
prefissatosi:�ed�infatti,�ai�fini�che�qui�interessano�e�sufficiente�dire,�in�via�assorbente�rispetto�
ad�ogni�altra�considerazione,�che�presupposto�processuale�per�attivare�il�procedimento�in�
questione�e�la�sussistenza�di�una�sentenza�passata�in�giudicato�e�non�semplicemente�dotata�
di�forza�esecutiva.�

Pertanto,�il�carattere�meramente�provvisorio�del�dictum 
che�puo�essere�reso�in�questa�
sede�preclude,�in�modo�incontestabile�e�a�maggior�ragione,�la�possibilita�di�utilizzare�il�giudi-
zio�de 
quo, 
con�le�evidenti�conseguenze�ai�fini�del�decidere.�

Si�potrebbe�obiettare,�a�ben�vedere,�che�anche�la�pronuncia�^positivamente�disciplinata�
^della�reintegrazione�ex 
art.�18�1egge�300/70�non�e�comunque�passibile�di�esecuzione�for-
zata�ma�che�cio�non�ha�comunque�ostato�alla�previsione�positiva�della�relativa�norma�e�da�
cio�desumere�l'ammissibilita�della�domanda�azionata.�

Tale�argomento,�pero�,�non�appare�offrire�spunti�validi�per�inficiare�la�conclusione�
assunta;�ritiene�infatti�questo�Giudice�che�una�norma�eccezionale,�quale�l'art.�18�cit., 
non�
possa�^in�ossequio�a�principi�logici,�prima�ancora�che�giuridici�^consentire�di�astrarre�una�
regola�generale,�valevole�cioe�per�ogni�fattispecie,�questa�potendosi�invece�desumere�solo�
da�norme�che�regolano�le�ipotesi�che�alla�fattispecie�generale�sono�rapportabili�in�forza�del�
^diverso�^rapporto�di�genere�a�specie.�

Riprendendo�il�discorso�piu�sopra�iniziato,�vi�e�comunque�da�dire�che,�pur�non�potendo�
essere�reso�l'ordine�di�reintegrazione�richiesto,�in�ossequio�ai�principi�generali�sarebbe�
comunque�ammissibile�la�pronuncia�meramente�dichiarativa�del�diritto�del�ricorrente�a�con-
servare�il�posto�previamente�occupato�in�seno�al�collegio�sindacale�dell'Inail;�ed�infatti,�poi-
che�un�dictum 
di�tal�tenore�e�presupposto�della�condanna�invocata,�e�dunque�implicito�nel�
petitum 
formulato,sudiesso�benpuo�intervenire�la�pronuncia�dell'Ufficio�adito,�cio�non�
comportando�violazione�del�disposto�degli�articoli�99�e�112�c.p.c.�

Pur�tuttavia,�va�ribadito�che�la�declaratoria�del�diritto�e�forma�di�tutela�non�passibile,�
strutturalmente,�di�tutela�anticipata,�sicche�sono�ovvie�le�conseguenze�ai�fini�del�decidere.�

Riassuntivamente,�quindi,�deve�dirsi�che�nella�fattispecie�portata�al�vaglio�di�questo�
Giudice�e�sicuramente�certo�il�buon�diritto�del�ricorrente,�essendo�risultata�palese�la�viola-
zione�di�legge�da�parte�della�P.A.�datore�di�lavoro;�pur�tuttavia,�il�mancato�accoglimento�
della�domanda�in�questa�sede�deriva�da�ostacoli�di�ordine�processuale�connessi�sia�alla�non�
riconosciuta�ricorrenza�di�tutti�i�presupposti�per�la�concessione�del�provvedimento�di�
urgenza�sia�al�tipo�di�pronuncia�invocata.�

Da�ultimo,�con�riguardo�alla�eccezione�di�carenza�di�legittimazione�passiva�sollevata�
dall'INAIL�nella�memoria�di�costituzione,�osserva�questo�Giudice�che�effettivamente�il�ricor-
rente�non�ha�ne�esposto�ragioni�di�diritto�a�fondamento�della�chiamata�in�giudizio�dell'Isti-
tuto�ne�ha�concluso�nei�confronti�dello�stesso;�da�cio�deriva�che,�allo�stato�degli�atti,�l'ecce-
zione�in�parola�deve�considerarsi�fondata.�

Alla�luce�delle�svolte�considerazioni�il�ricorso�deve�essere�integralmente�respinto�(omissis). 


P.Q.M.: 
Respinge�il�ricorso.�

Roma,�21�gennaio�2003�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Tribunale 
di 
Roma, 
sezione 
lavoro, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
3 
febbraio 
2003 
n. 
4392 
^G.U. 


M.�Tucci�^R.�(Avv.�Androni)�c/�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�
Funzione�Pubblica,�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita�culturali�e�P.�(Avv.�Paolantonio).�
�(omissis) 
Letti�gli�atti,�sciogliendo�la�riserva�assunta�all'esito�dell'udienza�del27�gen-
naio�2003,�ritenuto�in 
via 
preliminare: 
che�sussista�la�giurisdizione�del�giudice�adito�ex 
art.�63�d.lgs.�n.�65�del�2001;�

che�parimenti�appare�sussistere�compatibilita�tra�ilgiudiziocautelare�e�la�questione�di�
legittimita�costituzionale�in�quanto�nel�caso�in�cui�il�Giudice�ritenga�tale�questione�non�
manifestamente�infondata�e�rilevante,�in�presenza�del�squisito�del�periculum 
in 
mora, 
ben�
puo�regolamentare�l'assetto�di�interessi�in�questione�in�modo�da�fare�s|�che�l'attesa�del�giudi-
zio�di�costituzionalita�,�laddove�abbia�esito�positivo,�non�pregiudichi�irreparabilmente�il�
diritto�del�ricorrente.�

Riguardo 
alfumus 
boni 
iuris: 
che�lo�stesso�non�sussiste�in�base�alle�seguenti�considera-
zioni:�

1)�la�norma�applicata�(art.�7�legge�n.�145�del�2002)�effettivamente�riguarda�un�ambito�
di�soggetti�piu�ampio�(tutti�i�dirigenti�generali)�rispetto�a�quello�di�cui�al�comma�3�art.�9�
(dirigenti�generali�nominati�con�d.P.R.�e�automaticamente�decaduti�dopo�novanta�giorni�
dal�voto�di�fiducia�al�nuovo�Governo�ex 
comma�8�art.�19)�comprendono�anche�quelli�di�cui�
al�comma�4�(nominati�con�D.P.C.M.�e�non�coinvolti�nella�decadenza�automatica�di�cui�al�
comma�8�citato)�ed�effettivamente�la�ricorrente�rientra�in�tale�seconda�ipotesi.�

Si�rileva�tuttavia�che,�al�contrario�di�quanto�sostenuto�dalla�difesa�R.,�la�nuova�legge�ha�
effettuato�radicali�innovazioni�in�quanto,�tra�l'altro,�ha�soppresso�il�ruolo�unico�dei�dirigenti,�
ha�ridotto�sensibilmente�il�termine,�da�quinquennale�a�triennale,�degli�incarichi�dirigenziali,�
ha�collegato�il�mancato�rinnovo�del�contratto�o�la�revoca�dell'incarico,�o�addirittura�il�
recesso�dal�rapporto�di�lavoro�non�solo�al�mancato�raggiungimento�degli�obiettivi�ma,�alter-
nativamente,�anche�all'inosservanza�delle�direttive�date�al�dirigente�(mentre�invece�nell'im-
postazione�precedente�il�mancato�raggiungimento�degli�obiettivi�comportava�l'assegnazione�
ad�altro�incarico�e�solo�alla�grave�inosservanza�delle�direttive�o�al�ripetuto�mancato�raggiun-
gimento�degli�obiettivi�erano�collegate�sanzioni�piu�gravi)�con�conseguente�maggiore�vincolo�
tra�il�Ministro�e�il�dirigente�generale.�Dette�innovazioni�costituiscono�elementi�che�rendono�
razionale�la�disposizione�ritenuta�illegittima�dalla�ricorrente�(rientrando�quindi�la�stessa�nel-
l'ambito�di�scelte�politiche�demandate�al�legislatore),�perche�finalizzata�a�consentire�l'appli-
cazione�di�fatto�immediata�di�tutto�il�nuovo�sistema.�

2)�proprio�per�le�osservazioni�sopra�effettuate�la�deroga�all'asserito�principio�di�stabi-
lita�dei�rapporti�di�lavoro�(cosa�che�comunque�per�i�dirigenti�generali�non�e�garantita�dalla�
stessa�legge)�e�comunque�giustificata�dal�diverso�assetto�normativo�ne�appare�violato�il�pre-
cetto�di�cui�all'art.�97�e�98�Cost.�in�quanto�nel�caso�di�specie�di�fatto�si�e�provveduto�ad�
una�tempestiva�nomina�del�nuovo�dirigente;�

3)�essendo�la�decadenza�stabilita�ex 
lege, 
non�era�necessaria�alcuna�motivazione�da�
parte�della�P.A;�
4)�Il�provvedimento�di�conferimento�di�incarico�al�controinteressato�appare�comun-
que�motivato�anche�il�relazione�al�cospicuo�curriculum 
in�atti;�

5)�l'assenza�presso�il�Ministero�dei�Beni�Culturali�di�funzioni�di�livello�dirigenziale�
generale�disponibili�e�considerato�pacifico�dalla�stessa�ricorrente�mentre�per�i�posti�vacanti�
in�altri�Ministeri,�atteso�il�venir�meno�del�ruolo�unico�dei�dirigenti,�ben�la�ricorrente�
potrebbe�ottenere�un�nuovo�incarico�laddove�chieda�di�accedere�alla�procedura�di�mobilita�
di�cui�all'art.�23,�secondo�comma�D.Lgs.�n.�16�del�2001�come�modificato�dalla�legge�n.�145�
del�2002.�

Riguardo 
al 
periculum 
in 
mora: 
che�l'esame�dello�stesso�e�superfluo�non�sussistendo�il�

fumus 
boni 
iuris. 
Riguardo 
alle 
spese: 
che�la�complessita�e�la�novita�della�fattispecie�ne�giustifica�la�com-
pensazione�integrale.�
P.Q.M.: 
Rigetta�il�ricorso;�compensa�le�spese�di�lite.�
Roma,�3�febbraio�2003�.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Tribunale 
di 
Roma, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
3 
febbraio 
2003 
^Giudice:fP.�Giovene�di�Gira-
sole�^E.M.�c/Ministero�dell'Istruzione,�Universita�e�Ricerca.�

�(omissis)fVa�preliminarmente�rilevata�l'incompatibilita�tra�la�tutela�in�via�d'urgenza�
garantita�dal�ricorso�exfart.�700�c.p.c.�e�la�prospettata�questione�di�illegittimita�costituzio-
nale�dell'art.�3,�comma�7,�d.lgs.�145/02,�che�ha�disposto�la�cessazione�opeflegisfdegli�incarichi�
di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�dal�sessantesimo�giorno�dalla�entrata�in�vigore�
della�legge.�L'analisi�della�questione�nella�presente�sede�presupporrebbe�che�il�giudice�della�
cautela,�qualora�ne�ravvisasse�la�ammissibilita�e�rilevanza,�o�dovrebbe�sospendere�il�procedi-
mento�e�rimettere�gli�atti�alla�Corte�Costituzionale,�oppure�dovrebbe�concedere�il�provvedi-
mento�all'esito�di�un�giudizio�prognostico�di�presumibile�accoglimento�della�questione�da�
parte�della�Corte�Costituzionale,�con�successiva�rimessione�degli�atti�alla�Corte.�Entrambe�
le�soluzioni�non�appaiono�tuttavia�percorribili,�alla�stregua�del�diritto�positivo.�La�prima,�
perche�l'attesa�di�una�eventuale�pronuncia�di�incostituzionalita�,�richiedente�termini�notoria-
mente�lunghi,�vanificherebbe�l'esigenza�di�immediatezza�della�tutela,�che�caratterizza�il�
ricorso�all'art.�700�c.p.c.�La�seconda,�perche�darebbe�luogo�ad�un'abnorme�disapplicazione�
della�legge,�preclusa�al�giudice�ordinario,�come�ben�evidenziato�dalla�giurisprudenza�di�legit-
timita�,�laddove�ha�sancito,�in�caso�di�anticipazione�del�giudizio�di�incostituzionalita�di�una�
legge�da�parte�del�giudice�adito�in�sede�cautelare,�l'esorbitanza�dai�suoi�poteri�e�la�violazione�
delle�norme�che�regolano�l'intervento�dell'organo�di�controllo�costituzionale,�dunque�la�vio-
lazione�del�dovere�di�applicare�le�leggi�vigenti,�``che�solo�la�Corte�Costituzionale�o�lo�stesso�
potere�legislativo�possono�rendere�inoperanti''�(Cass.�civ.,�sez.�lav.,�7�dicembre�1989,�

n.�13415;�Cass.�civ.,�SS.UU.,�7�luglio�1988�n.�4476).�Ed�invero,�il�giudizio�prognostico�favore-
vole�sull'esito�della�causa�di�merito,�in�cui�si�sostanzia�l'esame�del�``fumusfbonijuris'',fva�
necessariamente�effettuato�alla�stregua�del�diritto�vigente.�
Le�considerazioni�innanzi�svolte,�cui�questo�giudice�ritiene�di�conformarsi,�escludono�la�
possibilita�di�esaminare�il�ricorso,�per�la�parte�fondata�sulla�asserita�illegittimita�costituzio-
nale�della�norma�in�esame.�

Tanto�premesso,�va�rilevato�come�la�ricorrente�abbia�prospettato�l'illegittimita�dell'ope-
rato�del�Ministero�dell'Istruzione,�anche�in�riferimento�al�vigente�assetto�legislativo.�

In�particolare,�deduce�la�E.M.�che�gli�atti�di�revoca�e�di�successivo�conferimento�degli�
incarichi�ai�direttori�generali�sarebbero�stati�adottati�dall'Amministrazione�senza�effettuare�
alcun�tipo�di�istruttoria,�in�violazione�dell'art.�19�del�t.u.�165/01,�secondo�cui�``per�il�conferi-
mento�di�ciascun�incarico�di�funzione�dirigenziale�si�tiene�conto,�in�relazione�alla�natura�ed�
alle�caratteristiche�degli�obiettivi�prefissati,�delle�attitudini�e�delle�capacita�professionali�del�
singolo�dirigente...''.�E�che�cio�avrebbe�impedito�alla�ricorrente�di�partecipare�al�procedi-
mento,�e�di�essere�sottoposta�a�valutazione�comparativa,�sia�in�ordine�alla�possibile�con-
ferma�dell'incarico�precedentemente�rivestito,�sia�per�quanto�riguarda�l'eventuale�attribu-
zione�di�un�incarico�equivalente.�Tale�affermazione,�peraltro�in�contrasto�con�la�differente�
interpretazione�della�norma�in�esame�fornita�dalla�stessa�ricorrente,�laddove�ne�ha�prospet-
tato�per�vari�versi�l'incostituzionalita�,�non�trova�riscontro�nella�disciplina�introdotta�dal�
d.lgs.�145/02,�che�ha�invece�innanzitutto�sancito,�all'art.�3,�comma�7,�l'automatica�deca-
denza,�opeflegis,fda�tutti�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�e�da�quelli�
di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�i�quali��cessano�al�sessantesimo�
giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge�.�Sicche�il�tenore�della�disposi-
zione�non�lascia�spazio�ad�alcuna�possibilita�di�valutazione,�e�tanto�meno�prevede�un�
obbligo�di�motivazione,�in�ordine�alla�cessazione�da�siffatti�incarichi,�che�opera�di�diritto.�
La�stessa�disposizione�prosegue�prevedendo�che��...�In�sede�di�prima�applicazione�del-
l'art.�19�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001�n.�165,�come�modificato�dal�comma�1�del�pre-
sente�articolo,�ai�dirigenti,�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto,�e�con-
ferito�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio�non�sia�possibile,�
per�carenza�di�disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qua-
lita�professionali,�al�dirigente�e�attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�pre-
cedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno''.�E�evidente�la�volonta�
legislativa�manifestata�con�siffatta�disposizione,�ovvero�quella�di�riconoscere�natura�fiducia-
ria�agli�incarichi�dirigenziali�in�questione,�con�la�conseguenza�che�le�relative�nomine,�succes-


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

sive�al�decadere�dei�precedenti�incarichi,�implicano�non�solo�una�valutazione�di�natura�tec-
nica,�ma�innanzitutto�una�valutazione�sull'affidabilita�politica�delle�persone.�A�tale�conclu-
sione�induce�in�primo�luogo�la�summenzionata�previsione�della�automatica�decadenza�da�
tutti�gli�incarichi�dirigenziali,�a�prescindere�dalla�valutazione�dei�risultati�raggiunti,�che�altro�
non�significa�che�volonta�di�garantire�una�dirigenza�totalmente�nuova,�dunque�in�linea�con�
l'orientamento�politico�governativo.�In�tale�ottica�va�dunque�interpretato�anche�il�successivo�
disposto�della�norma,�che�invero�prevede�come�meramente�eventuale�la�possibilita�di�ricon-
ferma�del�dirigente�nell'incarico�precedentemente�svolto,�o�di�attribuzione�di�un�incarico�
equivalente,�garantendo�in�definitiva�al�dirigente�decaduto�esclusivamente�il�diritto�a�vedersi�
almeno�attribuito�un�incarico�di�studio�di�durata�non�superiore�ad�un�anno,�conilmanteni-
mento�del�precedente�trattamento�economico.�Alcuna�diversa�interpretazione�appare�invero�
possibile,�a�fronte�della�previsione�della�semplice�possibilita�di�conferimento�di�incarico�di�
livello�retributivo�equivalente,�ovvero�subordinata�alla�disponibilita�(evidentemente�dipen-
dente�dalle�scelte�governative)�di�posti�idonei,�ed�alla�sussistenza�di�specifiche�qualita�profes-
sionali.�Ed�in�proposito,�la�stessa�ricorrente�ha�riconosciuto�la�mancanza,�presso�il�Ministero�
dell'Istruzione,�di�posti�liberi�aventi�ad�oggetto�funzioni�equivalenti,�mentre�non�competeva�
al�Ministro�dell'Istruzione�ed�alla�Presidenza�del�Consiglio,�odierni�resistenti,�proporre�il�
conferimento�di�incarichi�presso�altri�Ministeri,�attesa�la�scelta�legislativa,�emergente�dal-
l'art.�23�d.lgs.�165/01,�di�sopprimere�il�ruolo�unico�della�dirigenza.�

Da�tutto�quanto�innanzi�premesso�discende�la�insussistenza�del�fumus 
boni 
juris 
in�
ordine�alle�pretese�di�parte�ricorrente.�

La�mancanza�del�fumus 
rende�superfluo�l'esame�della�eventuale�esistenza�del�periculum 
in 
mora. 


Motivi�di�equita�suggeriscono�la�compensazione�delle�spese�di�lite.�

P.Q.M.: 
Rigetta�il�ricorso.�Compensa�tra�le�parti�le�spese�di�lite.�

Roma,�3�febbraio�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
seconda 
sezione 
lavoro 
^Reclamo 
^Ordinanza 
4 
febbraio 
2003 
^Presi-
dente:D.Cortesani�^Relatore:�A.M.�Luna�^N.G.�c/Ministero�della�salute,�Presidenza�
del�Consiglio�dei�Ministri,�Istituto�Superiore�per�la�Prevenzione�e�la�sicurezza�del�
lavoro.�

�(omissis) 
Il�ricorrente,�quindi,�agendo�nei�confronti�del�Ministero�della�salute,�della�
Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�e�dell'Istituto�Superiore,�ha�chiesto�che,�previa�even-
tuale�declaratoria�di�illegittimita�della�comunicazione�del�4�ottobre�2002,�sia�ordinata�la�
sua�reintegrazione�nell'incarico�e�nelle�funzioni�di�direttore�del�Dipartimento�per�la�pro-
grammazione�e�la�gestione�delle�risorse�economico-finanziarie�e�del�personale.�

Il�Ministero�della�salute,�la�Presidenza�del�Consiglio�e�l'Istituto,�costituitisi�in�giudizio,�
hanno�contestato�fondatezza�della�domanda�cautelare�affermando�che�la�disposizione�di�
cui�all'art.�3,�comma�7�della�1egge�n.�145/02�si�applica�a�tutti�i�dirigenti�generali,�irrilevanti�
essendo,�a�fronte�del�dato�normativo,�le�interpretazioni�contenute�in�circolari�amministra-
tive.�Hanno�poi�contestato�la�sussistenza�del�periculum 
in 
mora 
essendo�stato�offerto�un�inca-
rico�di�studio,�di�livello�equivalente�all'incarico�in�precedenza�affidato,�che�dimostra�la�vo-
lonta�dell'amministrazione�di�non�escludere�il�ricorrente�dal�conferimento�di�nuovi�incarichi�
dirigenziali.�

Il�Giudice,�con�ordinanza�25�novembre�2002,�n.�41233�reg.�cron.,�ha�accolto�il�ricorso�ed�
ordinato�la�reintegrazione�del�dirigente�nelle�funzioni.�

Con�atto�depositato�il�7�dicembre�2002,�ha�proposto�reclamo�il�Ministero�della�salute�
affermando�che,�in�realta�,�l'Istituto�non�e�un�ente�pubblico,�bens|�un�organo�del�servizio�
sanitario�nazionale,�mentre�la�disposizione�dell'art.�9�del�d.lgs.�29�ottobre�1999,�n.�419,�il�
quale�riconduce�l'Istituto�alla�categoria�degli�enti,�non�sarebbe�in�concreto�operativa�giacche�
non�e�stata�ancora�emanata�la�normativa�per�la�ristrutturazione�e�la�riorganizzazione�dell'I-
stituto�stesso.�Ribadisce,�poi,�la�infondatezza�della�domanda�cautelare�per�difetto�di�pericu-
lum 
in 
mora. 



IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Il�lavoratore�si�e�costituito�confermando�le�proprie�posizioni�difensive�e�prospettando�
anche�l'inammissibilita�del�reclamo�in�quanto�l'argomentazione�avanzata�dal�Ministero�e�
del�tutto�nuova�ed�anzi�in�contrasto�con�la�posizione�assunta�nella�prima�fase.�

Tanto�premesso,�questo�Collegio�reputa�infondato�il�reclamo,�benche�non�inammissi-
bile.�

Si�osserva,�infatti,�preliminarmente,�che�non�sono�applicabili�al�giudizio�cautelare�le�
preclusioni�di�cui�agli�art.�416�e�437�c.p.c.�in�quanto�non�richiamate�espressamente�da�alcuna�
delle�disposizioni�di�cui�agli�artt.�669-bis 
e�segg.�c.p.c.;�ne�le�stesse�appaiono�compatibili�
con�il�sistema�legislativo�del�procedimento�cautelare,�nel�quale,�anzi,�e�consentito�portare�
alla�cognizione�del�giudice�del�reclamo,�ai�fini�di�chiedere�la�sospensione�dell'esecuzione�del�
provvedimento,�fatti�e�circostanze�nuove�sopravvenuti�(art.�669-terdecies,�quinto�comma�
c.p.c.)�e,�quindi,�a�maggior�ragione,�possono�essere�dedotti,�anche�come�motividireclamo,�
tali�fatti�e�motivi�nuovi�ed�anche�preesistenti,�ma�non�dedotti�nella�prima�fase,�secondo�
quanto�si�desume�anche�dalla�possibilita�di�proporre�nuovamente�domanda�cautelare,�lad-
dove�la�prima�sia�stata�respinta,�allegando�mutamenti�delle�circostanze�o�deducendo�nuove�
ragioni�di�fatto�o�di�diritto�(art.�669-septies 
c.p.c.).�

Ben�puo�quindi�il�reclamante,�per�contrastare�l'avversa�pretesa,�prospettare�nuove�
ragioni�di�diritto.�

Nel�merito,�tuttavia,�gli�argomenti�prospettati�dal�Ministero�della�salute�non�appaiono�
condivisibili.�

Secondo�il�d.lgs.�30�giugno�1993,�n.�268,�l'Istituto�superiore�per�la�prevenzioneela�sicu-
rezza�del�lavoro�(I.S.P.E.S.L.)�era�definito�come�organo�tecnico-scientifico�del�Servizio�sani-
tario�nazionale,�dipendente�dal�Ministro�della�sanita�,�pur�avendo�autonomia�scientifica,�
organizzativa,�amministrativa�e�contabile.�

Tale�situazione�e�mutata�a�seguito�dell'emanazione�del�d.lgs.�n.�419/99,�adottato�in�ese-
cuzione�della�delega�di�cui�agli�articoli�11,�comma�1,�lettera�b),�prima�parte,�e�14�della�legge�
15�marzo�1997,�n.�59,�e�successive�modificazioni�e�integrazioni,�concernente�ilriordinodegli�
enti�pubblici�nazionali�non�svolgenti�attivita�di�previdenza.�

In�particolare,�l'art.�9�del�d.lgs.�n.�419/99,�disciplina�l'Istituto�superiore�di�sanita�e�l'I-
SPESL�prevedendo�che�essi�esercitano,�nelle�materie�di�competenza�del�Ministero�della�
sanita�,�funzioni�e�compiti�tecnico-scientifici�e�di�coordinamento�tecnico.�L'Istituto,�che�con-
tinua�ad�essere�dotato�di�autonomia�scientifica,�organizzativa,�amministrativa�e�contabile,�e�
sottoposto�alla�vigilanza�del�Ministro�della�sanita�(e�non�e�piu�quindi�da�questo�dipendente)�
e�costituisce�organo�tecnico-scientifico�del�Servizio�sanitario�nazionale,�del�quale�il�Mini-
stero,�le�regioni�e,�tramite�queste,�le�aziende�sanitarie�locali�e�le�aziende�ospedaliere�si�avval-
gono�nell'esercizio�delle�attribuzioni�conferite�loro�dalla�normativa�vigente.�

L'Istituto,�quindi,�e�in�senso�improprio�un�organo�poiche�e�tale�rispetto�al�servizio�sani-
tario�nazionale�che�non�e�un�soggetto,�ma�e�il�complesso�delle�funzioni,�delle�strutture,�dei�
servizi�e�delle�attivita�destinati�alla�promozione,�al�mantenimento�ed�al�recupero�della�salute�
fisica�e�psichica�di�tutta�la�popolazione�(art.�1�1egge�n.�833/78).�

Esso�e�invece�un�ente�per�ragioni�innanzi�tutto�di�interpretazione�sistematica,�essendo�
disciplinato�specificamente�con�un�provvedimento�normativo�sub-primario�finalizzato�
espressamente�al�riordino�degli�enti�pubblici�nazionali.�Come�detto,�del�resto,�non�sarebbe�
appropriata�un'attivita�di�mera�vigilanza,�da�parte�dell'amministrazione�statale�competente,�
su�un�proprio�organo,�piu�propriamente�essendo�la�vigilanza�una�funzione�che�appunto�puo�
esercitarsi�nei�confronti�di�altro�soggetto,�sottoposto�a�controllo.�

Il�reclamante�stesso,�invero,�riconosce�che�l'Istituto�debba�avere�natura�di�ente�pubblico�
in�base�al�d.lgs.�n.�419/99;�afferma�tuttavia�che�l'operativita�delle�nuove�norme�e�condizio-
nata�alla�futura�adozione�del�provvedimento�normativo�necessario�per�ristrutturazione�e�
riorganizzazione�dell'Istituto,�cos|�come�e�avvenuto,�per�l'analogo�Istituto�superiore�di�sanita�

(d.P.R.�n.�70/01).�
L'art.�9,�comma�3,�del�d.lgs.�n.�419/99,�invero,�dispone�che�sono�organi�dell'Istituto�
(come�anche�del�``gemello''�Istituto�superiore�di�sanita�)�il�presidente,�il�consiglio�di�ammini-
strazione,�il�direttore�generale,�il�comitato�scientifico�e�il�collegio�dei�revisori.�La�medesima�
disposizione�stabilisce�che�all'organizzazione�dell'Istituto�deve�provvedersi�con�i�regolamenti�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

di�cui�all'art.�13�del�medesimo�d.lgs.�n.�419/99,�che�devono�anche�recare�disposizioni�di�rac-
cordo�con�la�disciplina�prevista�dal�decreto�legislativo�5�giugno�1998,�n.�204,�e�dalle�altre�
disposizioni�vigentiper�glientidiricerca.�

Il�successivo�art.�13�rimette�ad�una�successiva�attivita�normativa�la�concreta�definizione�
degli�statuti�degli�enti�oggetto�dello�stesso�decreto�legislativo;�tuttavia,�il�medesimo�art.�13,�
al�comma�3,�detta�le�disposizioni�da�osservare�comunque,�a�decorrere�dal�10�gennaio�2002,�
nel�caso�in�cui�la�revisione�statutaria�non�sia�intervenuta�entro�il�30�giugno�2001.�

Tale�disposizione,�quindi,�indicando�quali�debbano�essere,�a�decorrere�dal�10�gennaio�
2002,�le�strutture�degli�enti,�anche�in�assenza�della�normativa�di�attuazione,�fa�s|�che�gli�enti�
oggetto�di�riordino�siano�posti�ugualmente�in�condizione�di�``funzionare''�anche�concreta-
mente,�pur�in�assenza�della�normativa�di�attuazione,�essendo�peraltro�possibile�comunque�
applicare,�in�attesa�della�revisione�statutaria�le�norme�in�precedenza�vigenti,�giusta�quanto�
dispone�l'art.�14�del�d.lgs.�n.�419/99.�

Posto�che,�quindi,�l'Istituto�e�autonomo�soggetto�di�diritti�quanto�meno�a�decorrere�dal�
10�gennaio�2002,�ad�esso�si�applica�la�disposizione�di�cui�all'art.�3,�comma�7,�della�1egge�n.�
145/02�solo�per�quanto�riguardail�direttore�generale�e�non�anche�agli�altri�dirigenti�generali,�
dal�primo�dipendenti,�secondo�la�interpretazione�offerta�dal�Ministro�della�funzione�pub-
blica,�con�circolare�del�31�luglio�2000,�che�appare�sul�punto�pienamente�condivisibile.�

Non�essendo�N.G.�destinatario�della�citata�norma�transitoria�sulla�cessazione�automa-
tica�degli�incarichi,�la�sua�posizione�giuridica�non�ha�subito�mutamento�di�sorta�per�effetto�
della�innovazione�legislativa.�

Quanto�al�periculum 
in 
mora, 
le�considerazioni�espresse�dal�primo�Giudice�possono�
essere�confermate�giacche�l'incarico�che�viene�offerto�appare�quasi�del�tutto�privo�di�conte-
nuto�tenuto�conto�che,�come�documentalmente�provato,�il�medesimo�incaricoe�stato�quasi�
contemporaneamente�affidato�ad�una�societa�(v.�nota�del�25�settembre�2002�dell'ISPESL),�
sicche�il�dirigente,�privato�delle�funzioni,�dovrebbe�svolgere�un'attivita�che,�allo�stato,�sem-
brerebbe�quanto�meno�non�immediatamente�utile�e�dunque�non�idonea�a�consentire�la�pro-
secuzione�del�naturale�processo�di�arricchimento�ed�affinamento�professionale,�con�conse-
guente�depauperamento�delle�capacita�professionali�che,�proprio�ai�maggiori�livelli�di�quali-
ficazione,�richiedono�un�costante�lavoro�di�aggiornamento�ed�una�concreta�operativita�.�

Le�spese�di�questa�fase�saranno�disciplinate�all'esito�del�giudizio�di�merito.�

P.Q.M.: 
Il�Tribunale,�pronunciando�sul�reclamo�proposto�dal�Ministero�della�salute,�
avverso�l'ordinanza�del�Giudice�del�Lavoro�di�Roma�25�novembre�2002,�n.�41233�reg.�cron.,�
cos|�provvede:�

1.�^rigetta�il�reclamo;�
2.�^spese�all'esito�del�giudizio�di�merito. 
Roma,�30�gennaio�2003�. 
Tribunale 
di 
Roma, 
quarta 
sezione 
lavoro, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
18 
febbraio 
2003 
^Giu-

dice: 
A.�Coluccio�^G.C.�c/�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita�e�della�Ricerca,�

Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica�e�c/�A.M.�

�(omissis) 
preliminarmente�deve�essere�dichiarata�inammissibile,�in�sede�cautelare,�la�
proponibilita�della�questione�di�legittimita�costituzionale.�

Infatti,�con�la�sospensione�del�procedimento�cautelare�e�la�remissione�della�questione�
alla�Corte�Costituzionale,�il�giudice�adito�emetterebbe�un�provvedimento�in�palese�contrasto�
con�le�finalita�del�giudizio�de 
quo,�che�e�finalizzato�alla�concessione�di�un�provvedimento�in�
via�provvisorio�e�d'urgenza.�

Ne�appare�ammissibile�emettere�il�provvedimento�cautelare�e�contemporaneamente�
sospendere�il�procedimento,�posto�che�con�l'emanazione�del�provvedimentocautelare�il�giu-
dice�adito�si�``spoglia''�definitivamente�del�procedimento�cautelare�e�nessuna�ulteriore�deci-
sione�potrebbe�assumere�all'esito�della�decisione�della�Corte.�

Dunque,�senza�poter�entrare�nel�merito�della�rilevanza�della�questione�sollevata,�per�i�
motivi�sopra�esposti,�occorre�esaminare�l'esistenza�dei�requisiti�per�la�concessione�dei�prov-
vedimento�richiesto.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Quanto�al�fumus�boni�iuris�si�osserva�che�la�domanda�principale,�inerente�la�richiesta�di�
ripristino�delle�funzioni�di�Direttore�dell'Ufficio�scolastico�regionale�per�la�Liguria,�
potrebbe,�in�astratto,�essere�accolta�solo�ove�la�Corte�Costituzionale�ritenesse�incostituzio-
nale�l'art.�3,�comma�7,�legge�n.�145/2002,�nella�parte�in�cui�dispone�la�cessazione�ex�lege�
degli�incarichi�dirigenziali�in�essere.�

In�assenza�di�tale�pronuncia�la�cessazione�dell'incarico�ante�tempus�risulta�legittimo,�in�
quanto�disposto�in�forza�di�legge.�

Il�fumus�bonis�iuris�appare,�pertanto,�allo�stato,�assolutamente�insussistente.�

Quanto�alla�domanda�subordinata,�volta�ad�ottenere�una�funzione�equivalente�di�Diri-
gente�Generale�su�posti�vacanti�o�assegnati�ad�interim�alla�data�di�notifica�del�ricorso�o�in�
data�successiva,�e��da�dire�che�la�stessa�risulta�carente�del�requisito�del�periculum�in�mora.�

Il�lamentato�danno�economico�e��,�per�consolidata�giurisprudenza,�risarcibile�e,�dunque,�
non�e��sufficiente�per�la�concessione�del�provvedimento�richiesto;�cos|��come�risarcibile,�ove�
accertato,�all'esito�della�cognizione�piena,�e��quello�per�il�lamentato�demansionamento.�

Si�osserva,�ancora,�che�per�individuare�il�danno�alla�professionalita��non�e��sufficiente�
una�verifica�in�astratto,�dovendosi�invece�accertare�l'esistenza�di�un�concreto�danno�subito�
dal�lavoratore;�cio��comporta�l'onere�a�carico�del�ricorrente�di�specifiche�e�puntuali�allega-
zioni�in�merito�al�pregiudizio�lamentato;�solo�in�presenza�di�una�particolare�professionalita��

o�tecnicita��delle�mansioni�svolte,�soggette�a�rapida�obsolescenza�si�potrebbe�ravvisare�il�pre-
giudizio�dedotto;�diversamente�argomentandosi�giungerebbe�a�ritenere�legittimo�l'intervento�
dello�strumento�cautelare�per�qualsiasi�mutamento�di�situazioni�lavorative�e�si�consentirebbe�
l'utilizzo�di�tale�strumento�cautelare�ogni�qualvolta�si�ritenesse�lesa�una�propria�posizione�
soggettiva.�
Nel�caso�concreto�la�professionalita��acquisita�dal�ricorrente�nel�corso�della�sua�espe-
rienza�lavorativa�non�puo��certo�risultare�minata�dal�conferimento�dell'incarico�studi�affidato�
dalla�P.A.,�che�per�stessa�volonta��legislativa�viene�equiparato�alla�attivita��di�dirigenza.�

Per�quanto�attiene�al�pregiudizio�alla�salute,�invocato�in�sede�di�discussione�e�solo�inci-
dentalmente�dedotto�in�ricorso,�e��,�invece,�da�dire�che�le�deduzioni�e�produzioni�in�merito�
appaiono�sprovviste�di�concreti�elementi�diretti�ad�accertare�il�nesso�di�causalita��tra�compor-
tamento�dell'amministrazione�convenuta�e�la�patologia�sofferta.�

Ne�,�infine,�puo��ritenersi�che�il�ricorrente�abbia�subito�un�danno�all'immagine,�posto�che�
la�revoca�dell'incarico�e��avvenuta�automaticamente�per�legge�ed�ha�interessato�un�alto�
numero�di�dirigenti,�a�prescindere�dalle�capacita��professionali�dei�dirigenti�estromessi.�

Nessuna�lesione�all'immagine�professionale�del�ricorrente�appare�pertanto�perpetrata.�
P.Q.M.:�Respinge�il�ricorso.�Compensa�le�spese.�
Roma,�17�febbraio�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
sezione 
lavoro, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
19 
febbraio 
2003 
ex 
art. 
700 
^

Giudice:�F.�Baraschi�^E.B.�c/�Ministero�dell'Istruzione,�dell'Universita��e�Ricerca,�Pre-
sidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�e�c/�L.S.�

�(omissis)�L'art.�700�c.p.c.�testualmente�recita:�``chi�ha�fondato�motivo�di�temere�che�
durante�il�tempo�occorrente�per�far�valere�il�suo�diritto�in�via�ordinaria�questo�sia�minacciato�
daunpregiudizio�imminenteedirreparabile,puo�chiederecon�ricorsoalgiudice�iprovvedimenti�
d'urgenza�(...)�per�assicurare�provvisoriamente�gli�effetti�della�decisione�di�merito'';�come�e��
noto,�la�tutela�cautelare�ex�art.�700�puo��essere�accordata�solo�ove�ricorrano�i�requisiti�del:�

^fumus�boni�iuris,�verosimile�fondatezza�della�domanda,�accertata�in�una�prima�som-
maria�valutazione,�

^periculum�in�mora,�pericolo�che�nel�tempo�necessario�per�far�valere�il�diritto�in�via�
ordinaria�questo�possa�subire�un�pregiudizio�grave�ed�irreparabile;�

nel�caso�in�esame�la�prima�questione�da�valutare�riguarda�la�compatibilita��,teorica�e�
pratica,�tra�la�procedura�d'urgenza,�attivata�da�E.B.,�ed�il�ricorso�incidentale�alla�Corte�
Costituzionale�che�lo�stesso�ricorrente�chiede�al�Giudice�di�attivare;�

la�questione�ha�carattere�definitivo�in�quanto,�come�detto,�la�cessazione�del�ricorrente�
dall'incarico�e��avvenuta�in�applicazione�della�legge�n.�145/2002�ed�in�particolare�dell'art.�3�
comma�7�della�legge�stessa;�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

orbene,�tale�norma�prevede�che�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�
quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�cessino�automaticamente�
entro�il�sessantesimo�giorno�successivo�alla�entrata�in�vigore�della�legge;�

la�norma�quindi�nel�prevedere�la�cessazione�automatica�degli�incarichi�dirigenziali,�con�
riferimento�alle�posizioni�c.d.�apicali�delle�Amministrazioni�e�degli�Enti,�si�pone�come�``osta-
colo''�alla�concessione�della�tutela�invocata�da�E.B.;�

in�altre�parole,�sembra�al�Giudice�che�nel�vigore�della�norma�citata�la�cessazione�dell'in-
carico�di�E.B.�non�possa�che�ritenersi�legittima;�

ne�puo�essere�condivisa�la�censura�relativa�alla�mancanza�di�attivita�istruttoria�e�di�
motivazione�in�quanto�la�legge,�nel�prevedere�un�meccanismo�di�cessazione�automatica,�
salva�la�possibilita�di�conferma�entro�un�termine�stabilito,�evidentemente�esclude�la�necessita�
che�alla�revoca�dell'incarico�dirigenziale�si�giunga�attraverso�un�procedimento�amministra-
tivo�di�verifica�dei�risultati�conseguiti�con�adozione�di�un�provvedimento,�di�revoca�appunto�

o�di�conferma,�che�certamente�non�potrebbe�che�essere�(necessariamente) 
motivato;�
il�legislatore,�con�la�norma�in�esame,�ha�invece�adottato�un�meccanismo�automatico�e�
generalizzato�di�cessazione�degli�incarichi�(e�non�di�revoca) 
prevedendo�come�derogatoria�
la�possibilita�della�conferma�entro�il�termine�prefissato;�tale�meccanismo,�appunto�per�la�
sua�generalita�ed�automaticita�,�non�richiede�l'adozione�di�un�atto�di�volonta�da�parte�della�

P.A.�ai�fini�della�cessazione�dell'incarico,�cessazione�che�avviene�automaticamente�se�non�
impedita�tempestivamente�con�la�conferma;�
la�norma�quindi�rende,�a�parere�del�Giudice,�legittima�la�cessazione�dell'incarico�di�E.B.�
e,�in�questo�senso,�si�pone�come�``ostacolo''�alla�concessione�della�invocata�tutela�restitutoria;�
si�consideri,�al�riguardo,�che�la�``disapplicazione''�di�una�norma�di�legge,�anche�se�rite-
nuta�illegittima�per�contrasto�con�la�Carta�Costituzionale,�esula�dai�poteri�concessi�al�G.O.�
il�quale�e�tenuto�ad�applicare�la�legge�in�vigore�fino�a�quando�la�stessa�non�sia�espulsadal-
l'ordinamento�ad�opera�dei�soggetti�istituzionali�cui�tale�potere�appartiene;�

nel�caso�in�cui,�dunque,�questo�Giudice�ritenesse�``non�manifestamente�infondata'',�oltre�
che�``rilevante'',�la�questione�di�costituzionalita�come�proposta�dal�ricorrente,�altro�non�
potrebbe�fare�che�sollevare�la�questione�stessa�davanti�alla�Corte�Costituzionale�sospen-
dendo,�nelle�more�del�giudizio�della�Corte,�la�procedura�d'urgenza;�

tale�meccanismo,�pur�giuridicamente�ammissibile,�appare�concretamente�inidoneo�ad�
assicurare�a�E.B.�la�tutela�che�egli�oggi�invoca;�

sulla�giuridica�ammissibilita�del�suddetto�meccanismo�si�osserva�che�il�ricorso�inciden-
tale�alla�Corte�Costituzionale�puo�essere�attivato,�come�noto,�in�ogni�giudizio�che�si�svolga�
davanti�ad�una�autorita�avente�natura�giurisdizionale�e�dotata�di�competenza�decisoria;�

la�Corte,�peraltro,�ha�adottato�in�materia�criteri�piuttosto�estensivi�riconoscendo�carat-
teri�di�``giudizio''�a�procedimenti�che,�quale�che�sia�la�loro�natura�e�modalita�di�svolgimento,�
si�compiano�alla�presenza�e�sotto�la�direzione�del�titolare�di�un�ufficio�giurisdizionale�come,�
ad�esempio,�in�materia�di�``volontaria�giurisdizione''�(decisioni�4/56, 
129/57�e�24/58) 
edi�
provvedimenti�del�giudice�istruttore�in�sede�civile�(n.�73/81) 
oltre�che�ai�procedimenti�davanti�
al�magistrato�di�sorveglianza�sull'esecuzione�della�pena�e�sulla�applicazione�delle�misure�di�
sicurezza,�o�anche�nel�caso�del�procedimento�penale�per�decreto;�

in�questo�senso�non�sembra�che�possa�negarsi�al�procedimento�cautelare�che�si�svolge,�
nel�contraddittorio�delle�parti,�davanti�al�Giudice�civile�natura�di�``giudizio''�nell'ambito�del�
quale�ben�puo�essere�sollevata�una�questione�incidentale�di�costituzionalita�;�

tuttavia,�come�detto,�tale�meccanismo�non�appare�concretamente�idoneo�ad�assicurare�a�

E.B.�la�tutela�dei�sui�diritti,�almeno�nei�termini�nei�quali�egli�l'ha�invocata;�
facendo�ricorso�al�procedimento�cautelare�egli�infatti�ha�sostenuto�di�non�poter�atten-
dere�il�tempo�necessario�per�un�ordinario�giudizio�di�merito�in�quanto,�nelle�more�dello�
stesso,�il�suo�diritto�avrebbe�subito�un�danno�grave�ed�irreparabile�(c.d.�periculum 
in 
mora);�
orbene,�non�essendo�possibile,�per�quanto�esposto,�concedere�al�ricorrente�la�tutela�
invocata�fino�alla�rimozione�(eventuale) 
della�norma�di�legge�che�legittima�l'azione�della�

P.A.�convenuta,�l'eventuale�accoglimento�della�sua�domanda�potrebbe�essere�pronunziato�
solo�a�seguito�della�decisione�favorevole�della�Corte�Costituzionale�e�quindi�adistanzadi�
un�tempo�ben�maggiore�rispetto�a�quello�necessario�per�un�ordinario�giudizio�di�merito�cele-
brato�secondo�il�rito�del�lavoro;�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

anche�in�riferimento�alla�domanda�relativa�al�mancato�conferimento�di�incarico�equiva-
lente�deve�ripetersi�quanto�gia�esposto�in�tema�di�non�necessita�di�istruttoria�e�motivazione�
da�parte�della�P.A.;�

si�consideri,�comunque,�che�l'attuale�sistema�normativo�in�materia�di�dirigenza�pubblica�
espressamente�prevede�la�temporaneita�degli�incarichi�e�la�possibilita�che�il�dirigente,�privo�
di�incarico,�sia�adibito�a�compiti�di�studio,�consulenza,�ricerca�o�ispezione�(art.�19,�comma�
10,�d.lvo�n.�165�del�2001);�in�questo�senso�la�doglianza�di�E.B.�non�sempra�condivisibile�
almeno�con�riguardo�al�requisito�del�periculum 
in 
mora 
posto�che,�come�detto,�ne�la�titolarita�
di�uno�specifico�incarico�ne�la�possibilita�di�accedere�a�nuovi�incarichi�possono�considerasi�
diritti�stabili�ed�acquisiti�per�il�dirigente�pubblico;�

in�conclusione�la�domanda�di�E.B.�deve�essere�respinta�in�quanto,�allo�stato,�la�norma�di�
legge�in�vigore�esclude�la�fondatezza�della�sua�pretesa�ed�il�procedimento�necessario�ai�fini�
della�(possibile)�abrogazione�della�norma�stessa�non�sarebbe�in�grado�di�tutelare�``immedia-
tamente''�le�sue�ragioni,�cos|�come�presupposto�dalla�procedura�alla�quale�egli�ha�fatto�
ricorso;�

le�spese�vanno�compensate�per�evidenti�ragioni�di�equita�ed�attesa�la�mancata�pronunzia�
nel�merito�degli�aspetti�decisivi�della�domanda;�
P.Q.M.: 
Respinge�il�ricorso.�Spese�compensate�(omissis).�
Roma,�19�febbraio�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
Sezione 
lavoro, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
25 
febbraio 
2003 
ex 
art. 
700 


c.p.c. 
^C.M.�c/�Ministero�dell'Istruzione,�Universita�e�Ricerca,�Presidenza�del�Consi-
glio�dei�Ministri,�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica�e�c/�D.S.G.�
�(omissis) 
La�questione�all'esame�di�questo�giudice�involge�in�primo�luogo�la�possibilita�
di�invocare�con�domanda�principale�^ed�avanzata�in�un�ricorso�d'urgenza�^la�questione�di�
legittimita�costituzionale�della�norma�rilevante�nella�fattispecie.�L'art.�3,�comma�VII,�della�
legge�n.�145/2002�dispone�infatti�la�cessazione�dell'incarico�di�funzione�dirigenziale�di�livello�
generale�ovvero�di�quello�di�direttore�generale�degli�Enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato,�entro�
il�sessantesimo�giorno�dalla�sua�entrata�in�vigore�nonche�la�riattribuzione�di�un�incarico�di�
livello�retributivo�equivalente,�ovvero�ancora,�ove�cio�non�sia�possibile,�un�incarico�di�studio,�
sempre�con�il�mantenimento�del�trattamento�economico�precedente:�e�in�applicazione�di�tale�
disposizione,�infatti,�che�il�ricorrente�ha�visto�revocare�il�proprio�incarico�di�direzione�gene-
rale�con�attribuzione�di�un�incarico�di�studio�della�durata�di�un�anno.�Recita�la�disposizione�
in�questione:�``Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�le�disposi-
zioni�di�cui�al�presente�articolo�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi�
di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�
vigilati�dallo�Stato�ove�e�prevista�tale�figura.�I�predetti�incarichi�cessano�il�sessantesimo�
giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�esercitando�i�titolari�degli�stessi�
in�tale�periodo�esclusivamente�le�attivita�di�ordinaria�amministrazione.�Fermo�restando�il�
numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�
livello�non�generale�puo�procedersi,�entro�novanta�giorni�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�
presente�legge,�all'attribuzione�di�incarichi�ai�sensi�delle�disposizioni�di�cui�al�presente�arti-
colo,�secondo�il�criterio�della�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse�procedure�previste�dagli�
articoli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il�quadriennio�1998-2001�del�
personale�dirigente�dell'Area�1.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi�si�intendono�confermati,�
ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.�In�sede�di�prima�applicazione�dell'articolo�19�
del�decreto�legislativo�30�marzo�2001,�n.�165,�come�modificato�dal�comma�1�del�presente�arti-
colo,�ai�dirigenti�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto�e�conferito�un�
incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio�non�sia�possibile,�per�
carenza�di�disponibilita�di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qualita�
professionali,�al�dirigente�e�attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�prece-
dente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno.�La�relativa�maggiore�
spesa�e�compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,�un�numero�diincarichi�
di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo�conto�prioritariamente�
dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico''.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Questo�Tribunale�afferma�a�riguardo�l'inammissibilita�di�un�provvedimento�di�urgenza�
a�tutela�di�una�posizione�soggettiva�compressa�o�condizionata�da�una�legge�ordinaria�sospet-
tata�di�incostituzionalita�ecio�in�quanto�si�anticiperebbero�gli�effetti�di�una�dichiarazione�
di�incostituzionalita�e�si�sconfinerebbe�nelle�prerogative�riservate�al�giudice�delle�leggi�e�dello�
stesso�legislatore�quando�il�preciso�dettato�costituzionale�^art.�101,�comma�2,�Cost.�^che�
assoggetta�il�giudice�alla�legge,�ne�impone�la�stretta�applicazione�(in�tal�senso�v.�anche�la�
recente�Ord.�Trib.�sez.�IV�Lavoro�di�Roma�del�5�febbraio�2003)�R.�c/�Ministero�dell'Istru-
zione�^A,�agli�atti).�Il�procedimento�giurisdizionale,�per�altro�verso,�non�puo�che�costituire�
l'occasione�per�investire�il�giudice�delle�leggi�del�sindacato�di�legittimita�costituzionale,�lo�
strumento�attraverso�il�quale�il�giudice�a 
quo 
opera�una�valutazione�esclusivamente�volta�a�
stabilire�la�rilevanza�e�non�manifesta�infondatezza�della�lamentata�dissonanza�della�norma�
applicata�nel�caso�di�specie,�rispetto�ai�principi�costituzionali,�ma�non�puo�riguardare�diret-
tamente�ed�immediatamente�la�fondatezza�della�relativa�questione.�Va�ribadita�quindi�la�
impossibilita�di�disapplicare�la�norma�di�legge,�e�cio�anche�in�via�provvisoria�ed�in�conside-
razione�del�carattere�strumentale,�contingibile�ed�urgente�del�procedimento�che�ci�occupa.�
Ne�appare�compatibile�con�i�principi�ispiratori�della�tutela�cautelare�la�sospensione�(ex 
art.�
23,�comma�2,�della�legge�11�marzo�1953,�n.�87)�che�la�remissione�della�questione�alla�Corte�
Costituzionale�implica,�senza�contare�che,�emesso�il�provvedimento�finale�della�relativa�fase,�
il�giudice�dell'urgenza�si�spoglia�di�ogni�potere�in�relazione�al�caso�deciso�(mentre�l'eventuale�
giudizio�positivo�sulla�rilevanza�della�questione,�sarebbe�comunque�condizionato�dalla�con-
ferma�del�provvedimento�ex 
art.�700�c.p.c.�da�parte�del�giudice�del�reclamo).�

In�ogni�caso�si�ritengono�necessarie�alcune�precisazioni.�

In�primo�luogo�non�puo�non�rilevarsi�che�il�nuovo�assetto�normativo�ha�ridisegnato�la�
disciplina�della�dirigenza�valorizzando�il�rapporto�strettamente�fiduciario�dei�dirigenti�di�
piu�alto�grado�con�l'autorita�governativa�(v.�fra�l'altro�la�riduzione�del�termine�massimo�di�
durata�dell'incarico�e,�per�i�dirigenti�di�vertice,�la�cessazione�automatica�dopo�novanta�
giorni�dalla�fiducia�al�governo�ex 
art.�19,�comma�8,�d.lgv.�165/2001,�come�novellato)�mentre�
anche�la�disciplina�transitoria,�in�questa�sede�oggetto�di�censure,�si�spiega�proprio�in�ragione�
della�necessita�di�creare�un�raccordo�con�il�nuovo�modello�previsto�nella�legge�n.�145/2002�
(la�quale,�all'art.�3,�commaVII,�precisaancheche�``...�le�disposizionidicuialpresente�arti-
colo�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�
livello�generale�e�a�quelli�di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e�
prevista�tale�figura'').�

Come�chiarito�anche�con�la�circolare�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipar-
timento�Funzione�Pubblica,�richiamata�da�tutte�le�parti�costituite,�la�legge�n.�145/2002�sul�
riordino�della�dirigenza,�ha�profondamente�mutato�l'assetto�complessivo�della�dirigenza�sta-
tale,�con�particolare�riguardo�al�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�(direttamente�inci-
dendo�sul�D.Lgv.�165/2001)�valorizzando�le�responsabilita�politiche�degli�organi�di�vertice�
delle�amministrazioni�nella�scelta�dei�dirigenti�ritenuti�maggiormente�idonei�ad�attuare�gli�
obiettivi�programmatici�(confr.�circ.�all.�n.�7�di�parte�ricorrente).�E�stato,�in�particolare,�
ribaltato�il�criterio�cui�era�ispirato�il�conferimento�degli�incarichi�dirigenziali�dello�Stato,�
con�la�abrogazione�del�ruolo�unico�e�della�successiva�facolta�di�procedere�al�conferimento�
dell'incarico�mediante�stipula�di�contratto�di�diritto�privato.�

Per�quanto�interessa�in�questa�sede�la�Funzione�Pubblica�fornisce�anche�dei``chiari-
menti�interpretativi,�riferiti�al�periodo�di�immediata�attuazione�della�legge''�in�ragione�della�
delicatezza�della�fase�di�superamento�del�precedente�assetto�normativo�caratterizzato�dal�
rilievo�centrale�del�contratto�individuale�di�lavoro�nella�definizione�dell'oggetto�e�degli�obiet-
tivi�degli�incarichi�dirigenziali�ed�in�cui�la�piena�attuazione�del�nuovo�modello�organizzativo�
e�subordinata�alla�costituzione�dei�ruoli�dirigenziali�delle�singole�amministrazioni.�L'art.�3,�
comma�7,�si�legge,�individua�il�nucleo�essenziale�del�regime�transitorio�della�nuova�disciplina�
diretta�ad�incidere�su�due�tipi�di�incarichi,�in�corso�alla�data�di�entrata�in�vigore�della�legge�
(dirigenziali�dei�ruoli�delle�amministrazioni�dello�Stato,�anche�ad�ordinamento�autonomo�e�
di�direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato).�Quanto�alla�cessazione�la�regola�
comune�e�l'introduzione�del�termine�legale�entro�i�sessanta�giorni�dalla�data�di�entrata�in�
vigore�della�legge�(per�cui�l'incarico�cessa�in�ragione�del�mero�decorso�del�tempo�e�l'even-
tuale�provvedimento�ha�solo�effetti�dichiarativi).�Quanto�alla�posizione�del�dirigente�cessato�
l'amministrazione�dovra�:�attribuire�lo�stesso�incarico�cessato,�attribuire�un�incarico�di�livello�


IL 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 


retributivo 
equivalente 
ovvero 
un 
incarico 
di 
studi, 
con 
il 
mantenimento 
del 
trattamento 
eco-
nomico 
precedente, 
della 
durata 
massima 
di 
un 
anno. 
Il 
provvedimento 
di 
conferimento 
del-
l'incarico 
anche 
nella 
fase 
di 
immediata 
applicazione 
della 
legge 
ha 
carattere 
provvedimen-
tale 
(il 
contratto 
accessivo 
ha 
contenuto 
meramente 
economico) 
e 
quindi 
si 
ponecomedeter-
minazione 
conclusiva 
di 
un 
procedimento 
amministrativo 
nel 
quale 
si 
manifesta 
l'interesse 
pubblico 
correlato 
al 
perseguimento 
degli 
obiettivi 
definiti 
dall'organo 
di 
indirizzo 
politico-
amministrativo. 
Il 
riferimento 
ai 
principi 
generali 
del 
procedimento 
amministrativo 
(regole 
partecipative 
e 
comunicazioni 
di 
avvio 
del 
procedimento) 
si 
riferisce, 
quindi, 
alla 
fase 
proce-
dimentale 
concernente 
la 
determinazione 
riguardante 
l'incarico 
di 
affidare 
al 
dirigente 
ces-
sato, 
ma 
non 
opera 
in 
relazione 
alla 
automatica 
cessazione 
dell'incarico 
(il 
quale 
discende 
da 
un 
effetto 
legale). 


Del 
resto, 
e� 
questa 
considerazione 
che 
permette 
di 
ritenere 
che 
il 
presupposto 
per 
la 
attribuzione 
dell'incarico 
equivalente 
e� 
la 
disponibilita� 
``di 
un 
posto 
con 
queste 
caratteristi-
che 
oggettive'' 
e 
che 
tale 
disponibilita� 
va 
verificata 
``... 
all'esito 
delle 
altre 
assegnazioni 
agli 
uffici 
di 
livello 
dirigenziale 
generale 
..'', 
mentre 
e� 
chiaro 
che 
l'ulteriore 
valutazione 
relativa 
al 
possesso 
delle 
specifiche 
qualita� 
, 
ovvero 
la 
valutazione 
comparativa, 
si 
rende 
necessaria 
solo 
in 
caso 
di 
esito 
positivo 
della 
prima 
verifica 
(V. 
circ. 
richiamata, 
pag. 
15). 


Nella 
fattispecie 
pertanto 
la 
doglianza 
relativa 
alla 
mancata 
istruttoria 
non 
puo� 
riguar-
dare 
la 
indisponibilita� 
di 
``funzione 
equivalente'' 
(sub. 
1-ter 
conclusioni 
di 
cui 
al 
ricorso), 
mentre 
solo 
alla 
positiva 
verifica 
di 
incarichi 
disponibili 
avrebbe 
potuto 
conseguire 
una 
atti-
vita� 
di 
valutazione 
e/o 
comparazione. 


Del 
resto 
anche 
la 
nozione 
di 
equivalenza 
appare 
condizionata 
dalla 
esclusione 
ad 
opera 
dell'art. 
19 
del 
d.lgv. 
165/2001 
non 
modificato 
dalla 
legge 
n. 
145/2002 
sul 
punto 
della 
operativita� 
dell'art. 
2103 
c.c. 
nel 
caso 
de 
quo 
(``Alconferimento 
degli 
incarichie 
alpassaggio 
ad 
incarichi 
diversi 
non 
si 
applica 
l'articolo 
2103 
del 
codice 
civile''), 
residuando 
un 
riferimento 
alla 
sola 
equiparazione 
retributiva 
(art. 
13 
CNL 
98-01), 
come 
in 
effetti 
sottolineato 
anche 
dall'art. 
3, 
comma 
VII 
(... 
ai 
dirigenti 
ai 
quali 
non 
sia 
riattribuito 
l'incarico 
in 
precedenza 
svolto 
e� 
conferito 
un 
incarico 
di 
livello 
retributivo 
equivalente 
al 
precedente). 


Non 
appare 
sostenibile, 
di 
poi, 
che 
la 
verifica 
degli 
incarichi 
retributivi 
di 
livello 
equiva-
lente 
debba 
essere 
effettuata 
anche 
nell'ambito 
delle 
altre 
amministrazioni 
in 
quanto 
se 
e� 
vero 
che 
la 
abrogazione 
del 
regolamento 
del 
ruolo 
unico 
di 
cui 
al 
d.P.R. 
n. 
150/99 
e� 
differita 
all'entrata 
in 
vigore 
del 
nuovo 
regolamento, 
e� 
anche 
vero 
che 
la 
ormai 
nota 
circolare 
precisa 
che 
``Le 
nuove 
procedure 
per 
i 
conferimenti 
degli 
incarichi 
vanno 
immediatamente 
applicate, 
anche 
nella 
fase 
transitoria, 
indipendentemente 
dalla 
piena 
operativita� 
dei 
singoli 
ruoli 
diri-
genziali 
delle 
amministrazioni 
dello 
Stato'' 
e 
cio� 
in 
quanto 
le 
nuove 
percentuali 
concernenti 
le 
aliquote 
riguardanti 
il 
conferimento 
degli 
incarichi 
di 
cui 
si 
discute, 
sono 
riferite 
alla 
dota-
zione 
organica 
dei 
posti 
di 
ciascuna 
amministrazione 
(come 
dimostra 
il 
fatto 
che 
nel 
pro-
porre 
l'incarico 
di 
funzione 
dirigenziale 
di 
livello 
generale 
le 
singole 
amministrazioni 
deb-
bono 
formulare 
la 
loro 
proposta, 
con 
l'indicazione 
del 
tipo 
di 
incarico, 
``nel 
rispetto 
delle 
percentuali 
previste 
dall'art. 
19, 
commi 
4, 
5-bis,5-ter 
e 
6, 
anche 
allo 
scopo 
di 
verificare 
il 
limite 
delle 
nuove 
misure 
eventuali 
stabilite 
dall'ordinamento 
per 
ciascun 
ambito 
di 
capienza 
in 
relazione 
alla 
dotazione 
organica 
di 
ciascuna 
amministrazione 
..'' 
(il 
comma 
IV 
dell'art. 
19 
del 
d.lgv. 
165/2001 
impone 
al 
Ministro 
di 
orientare 
la 
sua 
scelta 
fra 
i 
dirigentidiprima 
fascia 
dei 
ruoli 
di 
cui 
all'art. 
23, 
oppure 
in 
misura 
non 
superiore 
al 
50% 
della 
relativa 
dota-
zione, 
glialtri 
dirigentiappartenentiaimedesimiruoli;ruoli 
che 
anorma 
dell'art. 
23 
nuovo 
testo 
del 
d.lgv. 
165/2001 
sono 
quelli 
esistenti 
presso 
ogni 
singolo 
Ministero 
^I 
e 
II 
fascia). 


Risultando, 
in 
definitiva, 
il 
comportamento 
della 
Amministrazione 
in 
diretta 
applica-
zione 
della 
legge 
e 
non 
potendo 
spingersi 
il 
sindacato 
di 
questo 
giudice, 
per 
le 
ragioni 
dette, 
nel 
merito 
del 
sospetto 
di 
incostituzionalita� 
,non 
puo� 
non 
affermarsi 
la 
insussistenza 
dei 
pre-
supposti 
della 
tutela 
azionata. 
La 
natura 
del 
comportamento 
della 
Amministrazione, 
sostan-
zialmente 
attuativo 
del 
dettato 
di 
legge 
non 
permette, 
peraltro, 
di 
riconnettere 
al 
provvedi-
mento 
con 
il 
quale 
il 
ricorrente 
e� 
stato 
privato 
del 
suo 
originario 
incarico, 
ovvero 
alla 
man-
cata 
attribuzione 
di 
incarico 
di 
livello 
retributivo 
equivalente, 
quella 
valenza 
negativa 
a 
cui 
il 
C.M. 
collega 
la 
esistenza 
del 
pregiudizio 
quanto 
al 
danno 
lamentato 
alla 
sua 
professiona-
lita� 
ed 
immagine 
professionale 
(al 
di 
la� 
del 
pregiudizio 
relativo 
alla 
perdita 
del 
trattamento 
economico 
che 
lo 
stesso 
avrebbe 
percepito 
sino 
alla 
originaria 
scadenza 
dell'incarico, 
pregiu-
dizio 
quest'ultimo, 
tuttavia, 
suscettibile 
di 
riparazione 
per 
equivalente). 
Si 
vuol 
dire, 
in 
altre 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


parole, 
che 
non 
puo� 
essere 
considerata 
ingiusta 
la 
diminuzione 
riguardante 
una 
posizione 
soggettiva 
quando 
la 
stessa, 
come 
nella 
fattispecie, 
deriva 
direttamente 
dalla 
legge 
e 
che 
quelli 
che 
possono 
essere 
vissuti 
come 
atti 
prevaricatori 
e 
discriminanti 
(in 
sede 
di 
discus-
sione 
orale 
la 
parte 
ricorrente 
ha 
evidenziato 
soprattutto 
il 
pregiudizio 
derivategli 
dalla 
intrinseca 
valutazione 
negativa), 
non 
possono 
assumere 
tali 
connotazioni 
qualora 
si 
consi-
deri 
il 
loro 
collegamento 
al 
mero 
fattore 
temporale 
e 
non 
ad 
una 
valutazione 
di 
merito 
(ovvero 
disciplinare), 
dell'operato 
del 
dirigente. 


Nondimeno 
anche 
nella 
specificita� 
della 
vicenda 
processuale 
che 
ci 
occupa 
ed 
in 
consi-
derazione 
del 
tempo 
di 
deposito 
del 
ricorso, 
non 
puo� 
sottacersi 
la 
prospettazione 
del 
con-
trointeressato 
(sviluppata 
anche 
nella 
discussione 
orale), 
secondo 
la 
quale 
l'asserito 
pregiudi-
zio, 
qualora 
esistente, 
ormai 
risulterebbe 
verificatosi, 
con 
riflessi 
sulla 
effettiva 
incidenza 
della 
tutela 
invocata 
in 
questa 
sede. 
Del 
resto 
le 
Amministrazioni 
resistenti 
evidenziano 
anche 
che 
la 
Corte 
dei 
Conti 
ha 
gia� 
provveduto 
alla 
registrazione 
di 
tutti 
i 
D.L.C.M. 
impu-
gnati 
con 
la 
conseguenza 
della 
decisiva 
rilevanza, 
in 
termini 
di 
effettivita� 
, 
esclusivamente 
di 
una 
pronuncia, 
inibita 
in 
sede 
di 
g.o., 
direttamente 
incidente 
sull'atto 
(rectius: 
di 
annulla-
mento). 


Alla 
stregua 
delle 
esposte 
considerazioni 
pertanto 
il 
ricorso 
non 
puo� 
trovare 
accogli-
mento. 
Sussistono 
tuttavia 
giusti 
motivi, 
attesa 
la 
novita� 
della 
questione 
trattata, 
per 
disporre 
la 
integrale 
compensazione 
fra 
le 
parti 
delle 
spese 
processuali. 
Roma, 
24 
febbraio 
2003�. 


Tribunale 
Civile 
di 
Roma, 
terza 
sezione 
lavoro, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
del 
4 
marzo 
2003 
e
x 
art. 
669-ter 
e 
700 
c.p.c. 
-(Avv. 
dello 
Stato 
G.P.de 
Figueiredo, 
cont. 
1370/03). 


�(omissis) 
Tutto 
quanto 
premesso 
va 
osservato 
che 
il 
ricorso 
e� 
in 
parte 
fondato 
e 
va 
accolto, 
per 
quanto 
di 
ragione. 
Preliminarmente 
va 
disattesa 
l'eccezione 
di 
carenza 
di 
inte-
resse 
del 
ricorrente 
per 
intervenuta 
acquiescenza. 


Invero 
dal 
carteggio 
intercorso 
tra 
il 
ricorrente 
ed 
il 
Gabinetto 
del 
Ministro 
si 
evince 
con 
chiarezza 
che 
D.G. 
proponeva 
il 
possibile 
oggetto 
dell'incarico 
di 
studio, 
da 
indivi-
duarsi 
nell'ambito 
della 
``devolution'' 
alle 
Regioni, 
solo 
dopo 
che 
il 
Ministro 
si 
era 
deter-
minato, 
a 
non 
riconfermare 
in 
capo 
al 
predetto 
l'incarico 
dirigenziale 
precedentemente 
da 
lui 
ricoperto. 


Cio� 
si 
desume 
dalla 
stessa 
lettera 
citata 
anche 
dalla 
difesa 
della 
Pubblica 
amministra-
zione, 
risalente 
al 
4 
ottobre 
2002 
nella 
quale 
il 
ricorrente 
``suggerisce'' 
alcune 
modifiche 
da 
apportare 
al 
testo 
del 
contratto 
di 
attribuzione 
di 
incarico 
di 
studio. 
Nella 
missiva 
del 
4 
ottobre 
2002 
(cfr. 
all. 
7 
di 
parte 
resistente) 
nella 
quale 
egli 
dichiara 
di 
aderire 
all'invito 
rivoltogli 
in 
data 
7 
ottobre 
2002 
per 
la 
stipula 
del 
contratto 
di 
incarico 
di 
studio, 
il 
ricorrente 
precisa 
che 
``in 
nessun 
caso 
la 
sottoscrizione 
del 
contratto 
di 
cui 
trattasi 
potra� 
considerarsi 
come 
acquiescenza 
alle 
determinazioni 
che 
l'Amministrazione 
ha 
assunto 
nei 
miei 
confronti 
in 
sede 
di 
applicazione 
della 
legge 
n. 
145/2002. 


Preciso 
anzi 
che 
mi 
riservo 
di 
tutelare, 
nelle 
sedi 
competenti, 
i 
miei 
dirittiedinteressi 
connessi 
al 
mancato 
conferimento 
dell'incarico 
in 
precedenza 
svolto 
o 
di 
un 
incarico 
di 
livello 
retributivo 
equivalente 
al 
precedente''. 


Da 
quanto 
esposto 
puo� 
affermarsi 
che 
se 
la 
dimostrata 
conoscenza 
del 
ricorrente 
in 
ordine 
alla 
determinazione 
della 
P.A. 
di 
non 
riconfermargli 
l'incarico 
dirigenziale 
precedente 
svolto 
vale 
ad 
escludere 
che 
egli 
possa 
dolersi 
di 
non 
essere 
stato 
informato 
in 
ordine 
all'av-
vio 
del 
procedimento 
relativo 
alla 
mancata 
sua 
riconferma 
e 
alla 
mancata 
attribuzione 
di 
incarico 
equivalente 
non 
puo� 
altres|� 
affermarsi 
che 
egli 
abbia 
prestato 
acquiescenza 
alle 
determinazioni 
della 
Pubblica 
amministrazione 
di 
attribuirgli 
l'incarico 
di 
studio. 


Parimenti 
non 
puo� 
affermarsi 
che 
il 
ricorso, 
depositato 
il 
18 
dicembre 
2002, 
e� 
stato 
tar-
divamente 
proposto, 
come 
affermato 
dalla 
controinteressata, 
ovvero 
circa 
3 
mesi 
dopo 
la 
nomina 
di 
quest'ultima 
(20 
settembre 
2002) 
nell'incarico 
da 
lui 
precedentemente 
svolto. 


Va 
infatti 
ricordato 
che 
solo 
ai 
primi 
di 
novembre 
del 
2002 
il 
ricorrente 
ha 
avuto 
accesso 
ai 
documenti 
amministrativi 
e 
quindi 
solo 
all'esito 
di 
tale 
esame 
ha 
potuto 
svolgere 
compiutamente 
le 
proprie 
difese. 



IL 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 


Cio� 
posto 
ritiene 
il 
giudicante 
che 
nella 
presente 
sede 
cautelare 
non 
possa 
sollevarsi 
la 
prospettata 
questione 
di 
legittimita� 
costituzionale. 


Invero 
pur 
essendo 
questo 
giudice 
consapevole 
dell'esistenza 
di 
contrari 
orientamenti, 
si 
ritiene 
che 
le 
esigenze 
di 
celerita� 
e 
sommarieta� 
che 
connotano 
il 
presente 
procedimento 
cau-
telare, 
presentato 
peraltro 
ante 
causam, 
quindi 
a 
prescindere 
dall'instaurazione 
del 
giudizio 
di 
merito 
al 
quale 
accede, 
sia 
del 
tutto 
contrastante 
con 
i 
tempi 
necessariamente 
lunghi 
che 
conseguono 
alla 
eventuale 
rimessione 
della 
questione 
alla 
Corte 
Costituzionale 
ed 
alla 
sospensione 
del 
presente 
giudizio. 


Inoltre 
il 
giudizio 
di 
verosimiglianza 
del 
diritto 
vantato, 
quindi 
il 
fumus 
boni 
iuris, 
non 
puo� 
essere 
riferito 
al 
possibile 
accoglimento 
da 
parte 
della 
Corte 
Costituzionale 
della 
ecce-
zione 
d'incostituzionalita� 
della 
norma 
censurata 
ma 
va 
vagliato 
in 
relazione 
alla 
situazione 
di 
diritto 
positivo 
esistente 
secondo 
l'ordinamento 
vigente. 
Una 
soluzione 
contraria 
impor-
rebbe 
all'odierno 
giudicante, 
in 
assenza 
di 
qualunque 
norma 
a 
riguardo, 
di 
anticipare 
il 
giu-
dizio 
della 
Corte 
costituzionale 
appropriandosi 
del 
potere 
di 
disapplicare 
ante 
tempo 
una 
norma 
giuridica 
che 
invece 
deve 
ritenersi 
vigente 
sino 
alla 
eventuale 
pronuncia 
di 
accogli-
mento 
della 
eccezione 
da 
parte 
della 
Corte 
Costituzionale. 


In 
caso 
diverso 
verrebbe 
violato 
il 
principio 
positivo 
nel 
nostro 
ordinamento, 
secondo 
cui 
il 
sindacato 
di 
legittimita� 
della 
legge 
e� 
accentrato 
in 
capo 
al 
Giudice 
delle 
leggi, 
ovvero 
alla 
Corte 
Costituzionale 
mentre 
al 
giudice 
a 
quo 
e� 
solo 
consentito 
di 
rimettere 
la 
questione, 
su 
istanza 
di 
parte 
o 
d'ufficio, 
alla 
Corte 
medesima. 


In 
sostanza 
o 
si 
dovrebbe 
sollevare 
la 
questione 
di 
legittimita� 
costituzionale 
in 
questa 
sede, 
senza 
emettere 
tuttavia 
alcun 
provvedimento 
cautelare, 
al 
fine 
di 
evitare 
``anticipa-
zioni'' 
rispetto 
al 
giudizio 
del 
giudice 
delle 
leggi, 
cos|� 
tuttavia 
frustrando 
la 
finalita� 
della 
tutela 
cautelare, 
oppure 
occorrerebbe 
verificare 
se, 
a 
prescindere 
dal 
giudizio 
della 
Corte 
Costituzionale, 
sussistono 
profili 
di 
illegittimita� 
nella 
condotta 
della 
P.A. 
rispetto 
alla 
legge 


n. 
1145/2002 
secondo 
quanto 
comunque 
prospettato 
dal 
ricorrente. 
Invero 
a 
prescindere 
dai 
profili 
di 
eccepita 
incostituzionalita� 
della 
legge, 
va 
osservato 
che 
il 
ricorrente 
ha 
dedotto 
che 
in 
ordine 
al 
mancato 
reincarico 
e/o 
attribuzione 
di 
incarico 
equivalente 
la 
P.A. 
ha 
omesso 
qualunque 
motivazione. 


La 
norma 
di 
cui 
all'art. 
3, 
comma 
7 
della 
legge 
n. 
145/2002 
a 
riguardo 
disponeche: 
``fermo 
restando 
il 
numero 
complessivo 
degli 
incarichi 
attribuibili, 
le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
trovano 
immediata 
applicazione 
relativamente 
agli 
incarichi 
di 
funzione 
dirigenziale 
di 
livello 
generale, 
e 
a 
quelli 
di 
direttore 
generale 
degli 
enti 
pubblici 
vigilati 
dallo 
Stato 
ove 
e� 
prevista 
tale 
figura. 
I 
predetti 
incarichi 
cessano 
il 
sessantesimo 
giornodalla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
presente 
legge, 
esercitando 
i 
titolari 
degli 
stessi 
in 
tale 
periodo 
esclusivamente 
le 
attivita� 
di 
ordinaria 
amministrazione. 
In 
sede 
di 
prima 
applicazione 
del-
l'articolo 
19 
del 
decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001 
n. 
165, 
come 
modificato 
dal 
comma 
1 
del 
presente 
articolo, 
ai 
dirigenti 
ai 
quali 
non 
sia 
riattribuito 
l'incarico 
in 
precedenza 
svolto 
e� 
conferito 
un 
incarico 
di 
livello 
retributivo 
equivalente 
al 
precedente. 
Ove 
cio� 
non 
sia 
possi-
bile 
per 
carenza 
di 
disponibilita� 
di 
idonei 
posti 
di 
funzione 
o 
per 
la 
mancanza 
di 
specifiche 
qualita� 
professionali, 
al 
dirigente 
e� 
attribuito 
un 
incarico 
di 
studio, 
con 
il 
mantenimento 
del 
precedente 
trattamento 
economico, 
di 
durata 
non 
superiore 
ad 
un 
anno''. 


La 
norma 
teste� 
richiamata 
individua, 
quindi, 
una 
scansione 
temporale 
di 
passaggi 
gra-
duali: 
dopo 
la 
scadenza 
ex 
lege 
di 
tutti 
gli 
incarichi 
di 
dirigenza 
generale 
con 
il 
decorso 
dei 
60 
giorni 
dall'entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
(8 
agosto 
2002), 
al 
dirigente 
al 
quale 
non 
viene 
riconfermato 
il 
medesimo 
incarico 
viene 
attribuito 
o 
``in 
via 
prioritaria'' 
un 
incarico 
equiva-
lente, 
o, 
in 
via 
di 
mero 
subordine, 
in 
mancanza 
di 
funzioni 
equivalenti 
o 
delle 
specifiche 
qua-
lita� 
professionali, 
viene 
attribuito 
un 
incarico 
di 
studio. 


Nel 
caso 
di 
specie, 
scaduto 
l'incarico 
di 
dirigente 
della 
Direzione 
generale 
della 
pro-
grammazione 
sanitaria 
in 
capo 
al 
ricorrente, 
la 
P.A. 
si 
e� 
limitata 
a 
non 
attribuire 
alcun 
inca-
rico 
di 
natura 
equivalente 
a 
D.G. 
senza 
effettuare, 
come 
invece 
imposto 
dalla 
norma, 
alcuna 
indagine 
in 
merito 
alla 
esistenza 
di 
altri 
incarichi 
di 
natura 
equivalente 
o, 
in 
alternativa, 
ad 
operare 
una 
valutazione 
in 
termini 
di 
mancanza 
di 
specifiche 
qualita� 
professionali 
del 
ricor-
rente, 
assegnando 
invece 
tout 
court 
al 
medesimo 
l'incarico 
di 
studio. 


Appare 
sul 
punto 
opportuno 
rammentare 
che 
la 
stessa 
circolare 
della 
funzione 
pubblica 
del 
31 
luglio 
2002 
applicativa 
della 
legge 
15 
luglio 
2002 
n. 
145, 
in 
linea 
di 
principio, 
pur 
sot-
tolineando 
il 
carattere 
provvedimentale 
^e 
quindi 
unilaterale 
^della 
determinazione 
della 



RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

P.A.�del�conferimento�dell'incarico�dirigenziale�al�dirigente�cessato�dalle�originarie�funzioni,�
specifica�che�l'attivita�in�questione�e�comunque�assoggettata�ai�principi�generali�del�procedi-
mento�amministrativo;�nel�contempo,�al�punto�13,�nel�sottolineare�che�in�via�prioritaria�deve�
essere�attribuito�al�dirigente�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�a�quello�preceden-
temente�ricoperto�(ovvero�di�pari�fascia�o�di�retribuzione�complessiva�non�inferiore�al�10%�
rispetto�a�quella�precedentemente�percepita)�specifica�l'obbligo�per�la�P.A.�di�verificare�la�
disponibilita�materiale�di�posti�con�le�medesime�caratteristiche�oggettive�ed�il�possesso�di�
specifiche�qualita�professionalita�richiamando�tutti�i�principi�di�cui�all'art.�19�del�D.lgs.�
n.�165/2001.�
La�circolare�inoltre�sottolinea�``la�necessita�di�esprimere�una�congrua�motivazione�in�
merito�alla�decisione�di�non�attribuire�al�dirigente�cessato�un�incarico�di�livello�equivalente''.�
Orbene�il�ricorrente�ha�anche�individuato�quale�potesse�essere�l'oggetto�dell'incarico�
equivalente,�ovvero�di�preposizione�all'ufficio�di�controllo�interno,�incarico�tra�l'altro�gia�
dal�medesimo�ricoperto�per�due�anni�sino�al�marzo�2000,�come�specificato�da�lui�(cfr.�pag.�
51�del�ricorso),�o,�in�alternativa,�di�incarichi�vacanti�presso�l'Ispesl.�

Va�osservato�che�sul�punto�l'Amministrazione�non�ha�svolto�alcuna�specifica�difesa�
limitandosi�ad�affermare�che�il�conferimento�dell'incarico�dirigenziale�costituisce�espres-
sione,�e�questo�non�e�dubitabile,�di�attivita�discrezionale�e�quindi�per�cio�solo�senza�obbligo�
di�motivazione.�

Sotto�tale�profilo�il�comportamento�della�P.A.�deve�essere�censurato�in�quanto�non�
rispettoso�della�disposizione�di�legge�sopra�richiamata.�

Sussiste�anche�il�periculum 
in 
mora 
consistente�nel�danno�all'immagine�e�alla�professio-
nalita�acquisita�dal�ricorrente�ed�attestata�dalla�copiosa�documentazione�prodotta,�che�
potrebbe�subire�un�pregiudizio�irreparabile�dal�mancato�esercizio�delle�funzioni�per�un�lasso�
di�tempo�non�inferiore�a�minimo�due�anni,�tenuto�conto�dei�realistici�tempi�di�durata�di�un�
processo,�occorrente�a�far�valere�il�proprio�diritto�in�via�ordinaria.�

Va�pertanto�ordinato�alla�Pubblica�Amministrazione,�in�persona�del�ministro�pro 
tem-
pore 
del�Ministero�della�salute,�di�attribuire�al�dott.�D.G.�l'incarico�del�serviziodicontrollo�
interno�del�Ministero�o�comunque�di�altro�incarico�di�livello�equivalente�in�essere�alla�data�
dell'8�ottobre�2002.�

Il�governo�delle�spese�del�presente�giudizio�va�rimesso�all'esito�del�giudizio�di�merito�da�
instaurarsi�entro�30�giorni�dalla�comunicazione�della�presente�ordinanza,�come�per�legge.�

P.Q.M.: 
ordina�al�Ministero�della�Salute,�in�persona�del�Ministro�pro 
tempore,�di�attri-
buire�a�D.G.�l'incarico�equivalente�di�Direttore�del�Servizio�di�controllo�interno�del�Mini-
stero�suddetto,�o�di�altro�incarico�equivalente;�

fissa�il�termine�di�giorni�trenta�per�l'instaurazione�del�giudizio�di�merito�all'esito�del�
quale�rimette�il�governo�delle�spese�del�presente�procedimento.�
Roma,�4�marzo�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
primo 
grado 
^Ordinanza 
del 
13 
marzo 
2003 
^M.P.�c/�Ministero�dell'I-
struzione,�Universita�e�Ricerca,�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�Dipartimento�
della�Funzione�Pubblica�e�c/�C.A.�

�(omissis) 
Tanto�premesso,�osserva�il�giudice�che�va�preliminarmente�rilevata�la�incom-
patibilita�tra�la�tutela�in�via�d'urgenza�garantita�dal�ricorso�ex 
art.�700�c.p.c.�e�la�prospettata�
questione�di�illegittimita�costituzionale�dell'art.�3,�comma�7,�d.lgs�154/2002,�che�ha�disposto�
la�cessazione�ope 
legis 
degli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale,�dal�sessante-
simo�giorno�dalla�entrata�in�vigore�della�legge.�Come�gia�osservato�dal�Tribunale�di�Roma,�
nell'ordinanza�del�3�febbraio�2003,�emessa�in�questione�assolutamente�identica,�``L'analisi�
della�questione�nella�presente�sede�presupporrebbe�che�il�giudice�della�cautela,�qualora�ne�
ravvisasse�la�ammissibilita�e�rilevanza,�o�dovrebbe�sospendere�il�procedimento�e�rimettere�
gli�atti�alla�Corte�Costituzionale,�oppure�dovrebbe�concedere�il�provvedimento�all'esito�di�
un�giudizio�prognostico�di�presumibile�accoglimento�della�questione�da�parte�della�Corte�
Costituzionale,�con�successiva�rimessione�degli�atti�alla�Corte.�Entrambe�le�soluzioni�non�
appaiono�tuttavia�percorribili,�alla�stregua�del�diritto�positivo.�La�prima,�perche�l'attesa�di�
una�eventuale�pronuncia�di�incostituzionalita�,�richiedente�termini�notoriamente�lunghi,�vani-
ficherebbe�l'esigenza�di�immediatezza�della�tutela,�che�caratterizza�il�ricorso�all'art.�700�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

c.p.c.�La�seconda,�perche�darebbe�luogo�ad�una�abnorme�disapplicazione�della�legge,�pre-
clusa�al�giudice�ordinario,�come�ben�evidenziato�dalla�giurisprudenza�di�legittimita�,�laddove�
ha�sancito,�in�caso�di�anticipazione�del�giudizio�di�incostituzionalita�di�una�legge�da�parte�
del�giudice�adito�in�sede�cautelare,�l'esorbitanza�dai�suoi�poteri�e�la�violazione�delle�norme�
che�regolano�l'intervento�dell'organo�di�controllo�costituzionale,�dunque�la�violazione�del�
dovere�di�applicare�le�leggi�vigenti,�``che�solo�la�Corte�Costituzionale�o�lo�stesso�potere�legi-
slativo�possono�rendere�inoperanti''�(Cass.civ.�sez.�lav.�7�dicembre�1989�n.�13415;�Cass.civ.�
SS.UU�7�luglio�1988�n.�4476).�Ed�invero,�il�giudizio�prognostico�favorevole�sull'esito�della�
causa�di�merito,�in�cui�si�sostanzia�l'esame�delfumus 
boni 
iuris,�va�necessariamente�effettuato�
alla�stregua�del�diritto�vigente''.�
Per�le�considerazioni�esposte,�va�esclusa�la�possibilita�di�esaminare�il�ricorso�relativa-
mente�alla�parte�fondata�sulla�lamentata�illegittimita�costituzionale�della�norma�in�esame.�

Passando�all'esame�dei�profili�di�illegittimita�con�riferimento�al�vigente�assetto�norma-
tivo,�il�giudice�osserva�che�il�ricorso�e�infondato�per�mancanza�di�entrambi�i�presupposti.�

Sotto�il�profilo�del�fumus 
boni 
iuris,�va�fatto�rilevare�che�l'art.�3�della�legge�n.�154/2002�
ha�introdotto�una�sostanziale�modifica�in�materia�di�incarichi�di�funzioni�dirigenziali,�con�
l'abrogazione�del�ruolo�unico�e�della�successiva�facolta�di�procedere�al�conferimento�dell'in-
carico�mediante�stipula�di�un�contratto�di�diritto�privato,�con�la�espressa�previsione�(cfr.�
comma�1,�art.�19,�cos|�come�modificato�dall'art.�3,�c.l.,�lett.�A,�legge�n.�145/2002) 
della�inap-
plicabilita�dell'art.�2103�c.c.�(non�derogabile�da�contratti�o�accordi�collettivi), 
con�l'accentua-
zione�del�carattere�fiduciario�delle�nomine�dirigenziali.�

Con�l'art.�3�legge�n.�415/2002,�il�legislatore�ha�espressamente�previsto�che�le�nuove�
disposizioni�trovano�immediata�applicazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�di�
livello�generale''�e�che�gli�incarichi�dirigenziali�di�livello�generale�in�essere�cessano�il�sessan-
tesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge''�e�che�``ai�dirigenti�ai�quali�
non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto�e�conferito�un�incarico�di�livello�retribu-
tivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio�non�sia�possibile,�per�carenza�di�disponibilita�di�posti�
di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�qualita�professionali,�al�dirigente�e�attribuito�
un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�precedente�trattamento�economico,�di�durata�
non�superiore�ad�un�anno''. 


Orbene,�con�tale�nuova�disciplina�il�legislatore,�cos|�come�chiarito�nella�circolare�
31�luglio�2002�del�Dipartimento�della�Funzione�Pubblica,�allegata�agli�atti,�ha�introdotto�
``un�termine�legale�finale�di�durata�degli�incarichi�dirigenziali�di�livello�generale�e�di�quelli�
di�direttore�generale�in�atto'',�con�la�conseguenza�che�l'effetto�della�cessazione�dell'incarico�
va�ricondotta�direttamente�alla�legge�e�basata�esclusivamente�sul�decorso�del�tempo,�con�
cio�escludendo�un�obbligo�di�motivazione.�

Tale�circolare�ha�chiarito�inoltre,�che�l'attribuzione�del�nuovo�incarico�costituisce�l'atto�
conclusivo�di�un�procedimento�(essendo�la�cessazione�dell'incarico�un�effetto�legale),�volto�
ad�assicurare�il�perseguimento�dei�programmi�e�degli�obiettivi�ministeriali.�

In�tale�procedimento�non�e�stata�individuata�alcuna�posizione�di�favore�in�capo�a�coloro�
che�ricoprivano�gli�incarichi�dirigenziali,�ma�riservata�loro�una�speciale�garanzia,�in�caso�di�
mancata�riassegnazione�nella�medesima�posizione�o�in�incarico�equivalente.�

Cos|�delineato�il�meccanismo�introdotto�dalla�legge�n.�145/2002,�bisogna�prendere�atto�
della�rilevanza�data�dal�legislatore�ad�altri�fattori�che�possono�determinare�la�possibilita�di�
reincarico,�quale�la�sussistenza�di�uno�stretto�rapporto�fiduciario�con�il�Ministro�e�la�rite-
nuta�affidabilita�politica�del�soggetto�incaricato.�Con�il�nuovo�sistema�i�dirigenti�generali�
vengono�chiamati�a�svolgere,�come�opportunamente�messo�in�rilievo�dalle�parti�convenute,�
un�ruolo�chiave�per�1a�concreta�attuazione�delle�linee�politiche�del�Ministro,�ferma�restando�
la�distinzione�fra�l'attivita�di�governo�che�e�di�indirizzo�politico�^amministrativo�e�come�tale�
riservata�al�Ministro,�e�l'attivita�gestionale,�riservata�in�via�esclusiva�alla�dirigenza.�

Va�al�riguardo�fatto�rilevare�che�il�convenuto�C.A.�ha�dedotto,�senza�che�sul�punto�sia�
intervenuta�smentita�da�parte�del�ricorrente,�che�nel�caso�M.I.U.R.�a�fronte�di�trenta�incari-
chi�di�livello�dirigenziale�conferiti�dall'allora�Ministro�De�Mauro,�a�due�mesi�dalla�fine�della�
legislatura,�si�sono�avute�20�conferme.�

In�ordine�alla�dedotta�illegittimita�della�mancata�conferma�per�mancata�comunicazione�
dell'avvio�del�procedimento�e�del�diniego�di�incarico�equivalente,�va�richiamato�quanto�gia�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

sopra�detto�in�merito�alla�cessazione�dell'incarico�quale�effetto�della�nuova�legge.�Cio�posto,�
non�vi�era�alcuna�necessita�di�comunicazione�di�avvio�del�procedimento,�proprio�perche�la�
cessazione�non�accedeva�ad�un�provvedimento�amministrativo�assunto�nel�corso�di�un�proce-
dimento,�ma�essa�costituiva�l'effetto�immediato�della�legge.�

La�circolare�del�31�luglio�2002�ha�poi�chiarito:�``...�Si�intende�peraltro�che�la�comunica-
zione�e�riferita�esclusivamente�alla�fase�procedimentale�concernente�la�determinazione�
riguardante�l'incarico�da�affidare�al�dirigente�cessato�dalle�originarie�funzioni.�Le�regole�
procedimentali,�invece,�non�possono�operare�in�relazione�alla�automatica�cessazione�dell'in-
carico,�trattandosi�di�un�effetto�legale,�che�prescinde�dallo�svolgimento�di�un�autonomo�pro-
cedimento....''.�

In�ordine�alla�doglianza�relativa�alla�mancata�istruttoria,�occorre�rilevare�che�secondo�
lo�schema�procedimentale�delineato�dal�legislatore�con�la�legge�qui�in�esame,�nel�caso�de 
quo 
occorreva�soltanto�verificare�la�sussistenza�di�posti�aventi�ad�oggetto�funzioni�equiva-
lenti;�e�tale�verifica�ha�avuto�esito�negativo.�

Per�quanto�riguarda�poi�le�vacanze�esistenti�presso�altri�Ministeri,�tale�possibilita�
appare�in�radice�esclusa�dalla�volonta�del�legislatore�di�sopprimere�il�ruolo�unico�della�diri-
genza;�la�circolare�piu�volte�richiamata�ha�inoltre�precisato�che�``Le�nuove�procedure�per�i�
conferimenti�degli�incarichi�vanno�immediatamente�applicate,�anche�nella�fase�transitoria,�
indipendentemente�dalla�piena�operativita�dei�singoli�ruoli�dirigenziali�delle�amministrazioni�
dello�Stato�...''e�cio�in�quanto�le�nuove�percentuali�concementile�aliquote�riguardanti�il�con-
ferimento�degli�incarichi�di�cui�si�discute,�sono�riferite�alla�dotazione�organica�dei�posti�di�
ciascuna�amministrazione.�

Apparendo�il�comportamento�della�Amministrazione�in�linea�con�la�nuova�legge,�deve�
dichiararsi�la�insussistenza�delfumus 
boni 
iuris.�

La�mancanza�di�tale�presupposto�rende�superfluo�l'esame�dell'eventuale�periculum 
in 
mora;�al�riguardo,�va�fatto�rilevare�che�l'attuale�sistema�normativo,�in�materia�di�dirigenza�
pubblica�espressamente�prevede�all'art.�19�legge�165/2001,�la�temporaneita�degli�incarichi�e�
la�possibilita�che�il�dirigente�sia�adibito�a�compiti�di�studio,�consulenza,�ricerca�o�ispezione,�
con�la�conseguenza�che�la�possibilita�di�accedere�a�nuovi�incarichi�o�la�titolarita�di�uno�spe-
cifico�incarico�non�possono�considerarsi�diritti�stabili�ed�acquisiti�per�il�dirigente�pubblico.�

Per�le�ragioni�sin�qui�esposte�il�ricorso�va�respinto.�

La�particolarita�delle�questioni�trattate�giustifica�la�compensazione�delle�spese�di�lite.�

P.Q.M.: 
Respinge�il�ricorso.�Compensa�le�spese�di�lite.�

Roma,�13�marzo�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
Sezione 
seconda 
lavoro 
^Reclamo 
^Ordinanza 
2 
aprile 
2003 
^Presi-
dente: 
D.�Cortesani�^Relatore: 
G.�Corsetti�^C.E.E.�(Avv.ti�L.�Torchia,�V.�Angiolini,�

A.�Andreoni,�T.�Di�Nitto)�c/�ISFOL�(Avv.�V.�Bencivenga)�e�F.A.�(Avv.ti�T.�De�Flaviis�
eL.�Bertini).�
�(omissis) 
Sentite�le�parti�in�interrogatorio�libero,�il�Tribunale,�primo�grado,�con�ordi-
nanza�in�data�13�gennaio�2003�respingeva�il�ricorso�per�difetto�del�``periculum 
in 
mora''.�

Con�ricorso�ex 
art.�669�bis�c.p.c.�depositato�il�30�gennaio�2003�C.E.E.�proponeva�
reclamo�avverso�l'ordinanza�di�cui�sopra�riproponendo�le�argomentazioni�e�le�conclusioni�
gia�indicate�nel�ricorso�introduttivo.�

Anche�in�questa�sede�si�costituivano�l'ISFOL�e�F.A.�ribadendo�il�primo�le�medesime�
conclusioni�avanzate�in�primo�grado�e�chiedendo�il�secondo�il�rigetto�del�reclamo.�

All'udienza�del�13�marzo�2003�il�ricorrente�dichiarava�di�avere�ricevuto�una�raccoman-
data�con�la�quale�gli�si�comunicava�la�liquidazione�di�8.000�euro�a�titolo�di�t.f.r.�ma�di�non�
averli�ricevuti.�Il�Tribunale�si�riservava�quindi�la�decisione.�

All'esito�dell'esame�degli�atti�e�avviso�del�Collegio�che,�pregiudizialmente,�debba�essere�
respinta�l'eccezione�di�difetto�di�giurisdizione,�in�quanto,�come�ha�confermato�la�Corte�
Costituzionale�nella�sentenza�23�luglio�2001�n.�275�(con�la�quale�e�stata�dichiarata�infondata�
la�questione�di�legittimita�costituzionale�dell'art.�18�D.Lgs.�29�ottobre�1998�n.�387�che�ha�
modificato�l'art.�68,�1�co.,�D.Lgs.�3�febbraio�1993�n.�29�nella�parte�in�cui�ha�devoluto�al�giu-
dice�ordinario�la�giurisdizione�in�ordine�alle�controversie�concernenti�il�conferimento�e�la�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

revoca�degli�incarichi�dirigenziali�nelle�pubbliche�amministrazioni,�in�riferimento�agli�artt.�76�e�
77�Cost.),�``quale�che�sia�la�configurazione�del�rapporto�di�lavoro�dei�pubblici�dipendenti�ed�in�
particolare�quello�dei�dirigenti�(per�i�quali�puo��riscontrarsi�un�elemento�concorrente�di�preposi-
zione�adunufficio�pubblico),�certamente�il�legislatore�delegante�e�quello�delegato,�in�attuazione�
della�delega,�hanno�voluto�modellare�e�fondare�tutti�i�rapporti�dei�dipendenti�dell'amministra-
zione�pubblica�(compresi�i�dirigenti)�secondo�il��regime�di�diritto�privato�del�rapporto�di�lavoro�
traendone�le�conseguenze�anche�sul�piano�del�riparto�della�giurisdizione,�a�tutela�degli�stessi�
dipendenti,�in�base�ad�una�esigenza�di�unitarieta��della�materia�.�

Ne�puo��rilevare�in�questa�sede,�anche�sotto�il�profilo�della�eccepita�inammissibilita��del�
ricorso,�la�circostanza�che�il�C.E.E.�abbia�agito�anche�in�sede�amministrativa�chiedendo�l'an-
nullamento�delle�delibere�sopra�menzionate,�dal�momento�che,�come�stabilisce�l'art.�63,�
1.�comma,�ultima�parte�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�quando�vengono�in�questione�atti�ammini-
strativi�presupposti�che�sono�rilevanti�ai�fini�della�decisione�``il�giudice�li�disapplica,�se�ille-
gittimi.�L'impugnazione�davanti�al�giudice�amministrativo�dell'atto�amministrativo�rilevante�
nella�controversia�non�e��causa�di�sospensione�del�processo''.�

Nel�merito,�sotto�il�profilo�del�``fumusfbonijuris'',e��avviso�del�Collegio�che�il�ricorso�non�
sia�fondato.�

L'art.�7,�3.�co.�della�legge�n.�145/2002�(Disposizioni�per�il�riordino�della�dirigenza�sta-
tale...)�stabilisce�che:�``...�le�disposizioni�di�cui�al�presente�articolo�trovano�immediata�appli-
cazione�relativamente�agli�incarichi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�generale�e�a�quelli�di�
direttore�generale�degli�enti�pubblici�vigilati�dallo�Stato�ove�e��prevista�tale�figura.�I�predetti�
incarichi�cessano�il�sessantesimo�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�
esercitando�i�titolari�degli�stessi�in�tale�periodo�esclusivamente�le�attivita��di�ordinaria�ammi-
nistrazione.�Fermo�restando�il�numero�complessivo�degli�incarichi�attribuibili,�per�gli�incari-
chi�di�funzione�dirigenziale�di�livello�non�generale,�puo��procedersi,�entro�90�giorni�dalla�data�
di�entrata�in�vigore�della�presente�legge,�all'attribuzione�degli�incarichi�secondo�le�disposi-
zioni�del�presente�articolo,�secondo�il�criterio�della�rotazione�degli�stessi�e�le�connesse�proce-
dure�previste�dagli�articoli�13�e�35�del�contratto�collettivo�nazionale�di�lavoro�per�il�qua-
driennio�1998-2001�del�personale�dirigente�dell'Area.�Decorso�tale�termine,�gli�incarichi�si�
intendono�confermati�ove�nessun�provvedimento�sia�stato�adottato.�In�sede�di�prima�appli-
cazione�dell'art.�19�del�decreto�legislativo�30�marzo�2001�n.�165,�come�modificato�dal�comma�
1�del�presente�articolo,�ai�dirigenti�ai�quali�non�sia�riattribuito�l'incarico�in�precedenza�svolto�
e��conferito�un�incarico�di�livello�retributivo�equivalente�al�precedente.�Ove�cio��non�sia�possi-
bile,�per�carenza�di�disponibilita��di�idonei�posti�di�funzione�o�per�la�mancanza�di�specifiche�
qualita��professionali,�al�dirigente�e��attribuito�un�incarico�di�studio,�con�il�mantenimento�del�
precedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno.�La�relativa�mag-
giore�spesa�e��compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,�un�numero�di�
incarichi�di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo�conto�priorita-
riamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico''.�

Ora,�atteso�che�al�ricorrente�e��stata�fatta�applicazione�di�tale�disposizione,�sicche�il�suo�
incarico�e��venuto�a�cadere�exflegefdecorso�il�60.�giorno�dalla�data�di�entrata�in�vigore�della�
legge,�deve�innanzitutto�premettersi�che,�secondo�il�tenore�letterale�della�norma,�l'ISFOL,�
ente�pubblico�di�ricerca,�exfD.Lgs.�n.�419/1999�e��sottoposto�alla�vigilanza�dello�Stato�(in�
particolare�del�Ministero�del�Lavoro)�ed�e��tra�le�Amministrazioni�destinatarie�della�nuova�
disciplina�legislativa.�

Cio��chiarito,�deve�respingersi,�in�quanto�inammissibile�in�questa�fase�cautelare,�la�
richiesta�di�remissione�degli�atti�alla�Corte�Costituzionale�(per�non�manifesta�infondatezza�
delle�questioni�sollevate�circa�la�legittimita��della�norma�sopra�riportata)�con�contestuale�
emissione�dei�provvedimenti�ritenuti�piu��idonei�ad�assicurare�provvisoriamente�gli�effetti�
della�decisione�sul�merito.�

La�compatibilita��tra�la�concessione�della�tutela�d'urgenza�e�la�remissione�degli�atti�alla�
Corte,�come�noto,�ha�formato�oggetto�di�ampia�discussione�in�dottrina�ed�in�giurisprudenza,�
con�varie�soluzioni,�tra�le�quali�vi�e��quella,�posta�a�base�della�sentenza�della�Corte�Costitu-
zionale�n.�4/2000,�in�atti,�nella�quale�e��stata�ritenuta�rilevante�una�questione�di�legittimita��
Costituzionale�che,�in�sede�di�giustizia�amministrativa,�era�stata�sollevata�scindendo�la�pro-
nuncia�cautelare�in�due�fasi:�un�primo�accoglimento,�interinale�e�provvisorio,�e�poi�un�
secondo,�definitivo,�provvedimento�da�emettersi�all'esito�della�pronuncia�della�Corte.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Senonche�,�pur�dando�atto�della�valutazione�di�rilevanza�espressa�dal�Giudice�delle�leggi,�
tale�soluzione�non�appare�estensibile�al�procedimento�exfart.�700�c.p.c.�

Ed�infatti,�l'unica�scissione�che�il�nostro�codice�prevede�nell'ambito�del�procedimento�
d'urgenza,�e��quella�tra�l'emissione�del�decreto�``inauditafalteraparte''fe�quella�dell'ordinanza�
di�conferma,�che�deve�essere�emessa�in�una�udienza�fissata�in�un�termine�non�superiore�a�
15�giorni�(v.�art.�669�sexiesfc.p.c.).�

Al�di�la��di�questa�ipotesi,�dunque,�non�e��consentito�emettere�un�provvedimento�d'ur-
genza�``non�definitivo''�in�attesa�di�un�altro�``definitivo''�all'esito�del�giudizio�della�Corte.�

Esclusa,�dunque,�tale�possibilita��,e��avviso�del�Collegio�che�il�Giudice�ordinario,�pur�nel-
l'ipotesi�che�sospenda�il�giudizio,�non�puo��emettere�un�provvedimento�che�anticipi�la�deci-
sione�della�Corte,�nemmeno�facendo�una�valutazione�di�probabilita��,�posto�che,�in�questo�
caso,�non�si�tratta�di�valutare�il�``fumusfbonijuris''fdi�un�diritto,�in�astratto�esistente,�di�cui�
si�chiede�l'applicazione�al�caso�concreto,�bens|��di�riconoscere�un�diritto�che,�in�quel�
momento,�non�esiste�nemmeno�nell'ordinamento.�

Ne�deriva�che,�allorche�viene�richiesta�l'emissione�di�un�provvedimento�che�presuppone�
un�giudizio�di�illegittimita��costituzionale�della�norma�(ovvero,�nel�caso�in�esame,�la�reimmis-
sione�nell'incarico�dirigenziale),�la�relativa�domanda�non�e��ammissibile�e�la�eventuale�
sospensione�del�giudizio�diventa�irrilevante.�

Ugualmente�inammissibile,�peraltro,�e��la�ulteriore�domanda�del�C.E.E.�di�essere�valu-
tato�per�il�conferimento�dell'incarico�comparativamente�con�F.A.,�dal�momento�che,�sia�pure�
ad�un�sommario�esame,�l'art.�19�del�D.Lgs.�n.�165/2001�(cos|��come�modificato�dalla�legge�

n.�145/2002)�non�pone�un�obbligo�in�tal�senso,�ne�risulta�che�la�nominaF.A.,�peraltro�moti-
vata,�non�sia�stata�emessa�nel�rispetto�delle�condizioni�di�legge.�
Inoltre,�anche�nell'ipotesi�di�illegittimita��della�nomina,�cio��non�potrebbe�comportare�ne�
la�reviviscenza�dell'incarico�del�C.E.E.�ne�il�suo�diritto�di�essere�valutato�in�luogo�del�con-
trointeressato.�

Resta�da�esaminare,�infine,�la�domanda�di�assegnazione�di�un�incarico�secondo�il�dispo-
sto�dell'art.�7,�3�comma,�legge�n.�145/2002.�

Ora�la�norma�prevede�effettivamente�che,�ove�non�sia�possibile�conferire�un�incarico�di�
livello�retributivo�equivalente�(come�nel�caso�in�esame),�al�dirigente�debba�essere�attribuito�
un�incarico�di�studio.�

Dalla�circolare�del�Ministero�della�Funzione�Pubblica,�poi,�si�evince�che�la�norma�puo��
applicarsi�anche�ai�dirigenti�nominati�exart.�19,�comma�6,�del�D.Lgs.�n.�165/2001,�ovvero�reclu-
tati�tra�persone�esterne,�posto�che�``la�regola�non�e��riferita�allo�specifico�status�del�dirigente,�
ma�al�dato�oggettivo�della�cessazione�dell'incarico'',�e�che�inoltre�la�stessa�e��intesa�a�limitare�
gli�effetti�patrimoniali�della�norma�sulla�decadenza,�trattandosi�di�un�incarico�che�``ha�un'equi-
valenza�meramente�economica�e�non�funzionale�come�quello�di�livello�dirigenziale�generale''.�

Senonche�,�a�prescindere�dal�fatto�che�la�stessa�circolare,�anche�se�piuttosto�genericamente,�
esclude�l'applicazione�di�tale�norma�di�garanzia�ai�direttori�generali�degli�enti�in�quanto�``per�
la�specificita��della�figura�e�per�la�particolare�natura�delle�funzioni�svolte,�non�appare�configura-
bile'',�vi�e��da�osservare�che�lo�stesso�art.�7�prevede,�come�gia��riportato,�che�la�maggiore�spesa�
per�l'incarico�di�studio�sia�compensata�rendendo�indisponibile,�ai�fini�del�conferimento,�un�
numero�di�incarichi�di�funzione�dirigenziale�equivalente�sul�piano�finanziario,�tenendo�conto�
prioritariamente�dei�posti�vacanti�presso�l'amministrazione�che�conferisce�l'incarico.�

Ne�deriva�che,�essendo�quello�conferito�al�C.E.E.�un�incarico�apicale,�per�poter�ammet-
tere�la�configurabilita��di�un�incarico�di�studio,�almeno�ad�un�sommario�esame,�bisognerebbe�
presupporre�l'esistenza�di�un�incarico�dirigenziale�equivalente�sotto�il�profilo�finanziario,�
vacante,�che�dovrebbe�rimanere�indisponibile�per�lo�stesso�periodo,�potendo�giungere�alla�
conseguenza�dell'impossibilita��di�conferire�lo�stesso�incarico�di�Direttore�Generale.�

Anche�ammesso,�comunque,�che�potesse�configurarsi�la�ammissibilita��di�un�incarico�di�
studio�in�una�situazione�come�quella�in�esame,�resta�comunque�il�fatto�che,�nella�fattispecie,�
non�e��stata�fornita�adeguata�dimostrazione�del�``periculum''.�

Ed�infatti,�anche�se�il�ricorrente�non�risulta�avere�ancora�percepito�il�``t.f.r.'',�comunque�
di�modesta�entita��dato�il�breve�periodo�di�lavoro,�si�rileva�che�nulla�di�concreto�e��stato�
dedotto�circa�la�complessiva�situazione�economica�del�C.E.E.�il�cui�precedente�rapporto�di�
lavoro,�iniziato�nel�1974,�e��stato�definito�con�un�verbale�di�conciliazione�in�data�10�aprile�
2001�(v.�all.�n.�5)�in�ordine�al�quale�non�e��stato�nemmeno�precisato�quale�sia�stato�l'importo�
percepito�dal�ricorrente.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Ne�d'altra�parte,�e��ipotizzabile�che�dal�mancato�conferimento�di�tale�incarico�di�studio�
potrebbe�derivare�un�danno�alla�professionalita��o�alla�salute�del�ricorrente,�sia�per�la�brevita��
del�periodo�che�per�il�contenuto�non�necessariamente�equivalente�alle�mansioni�svolte.�

Non�emergendo,�dunque,�motivi�di�accoglimento�della�domanda�cautelare,�il�reclamo�
deve�essere�respinto.�

Sussistono�peraltro�giusti�motivi,�ravvisabili�nella�novita��della�materia�e�per�la�partico-
larita��delle�questioni�affrontate,�per�dichiarare�compensate�anche�le�spese�del�giudizio�di�
reclamo.�Respinge�il�reclamo�(omissis).�

Roma,�31�marzo�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
Sezione 
seconda 
lavoro 
^Reclamo 
^Ordinanza 
dell'8 
aprile 
2003 
^

Presidente: 
D.�Cortesani�^Relatore:�A.�Nunziata�^Ministero�della�Salute,�ISPESL�^

Istituto�superiore�prevenzione�infortuni�sul�lavoro�(reclamanti) 
c/�O.C.�(reclamato) 


eP.F.�(intervenuto).�

�(omissis) 
Ritenuto:�

^che�l'intervenuto,�al�quale�e��stato�attribuito�dall'amministrazione�l'incarico�in�prece-
denza�conferito�ad�O.C.,�ha�eccepito�la�nullita��del�procedimento�cautelare�e�del�relativo�
provvedimento�conclusivo�per�la�mancata�partecipazione�di�esso�controinteressato;�

^che�tale�eccezione�e��infondata;�

^che,�infatti,�attraverso�l'istituto�del�reclamo,�il�legislatore�ha�inteso�introdurre�un�
generale�mezzo�di�controllo�dell'operato�del�giudice�della�cautela,�affidato�a�un�giudice�
diverso�e�collegiale;�

^che�quest'ultimo�e��investito�del�complessivo�contenuto�della�domanda�cautelare,�e��
titolare�dei�medesimi�poteri�conferiti�al�primo�giudice,�emette�una�pronuncia�che�sostituisce�
quella�reclamata,�non�e��limitato,�nella�propria�cognizione�e�nella�dotazione�degli�strumenti�
decisori,�dai�motivi�dedotti�dalla�parte�reclamante;�

^che�contrasta,�pertanto,�con�la�logica�stessa�dell'istituto�qualsiasi�intervento�che�lo�
pieghi�alle�caratteristiche�del�doppio�grado,�distogliendolo�da�quelle�sue�tipiche,�che�lo�con-
notano�come�sviluppo�ulteriore,�seppure�in�sede�diversa,�dell'unico�procedimento�cautelare�
(Corte�Cost.�n.�421/96,�Corte�Cost.�n.�65/98);�

^che,�di�conseguenza,�la�costituzione�dell'intervenuto�in�sede�di�reclamo�sana,�
comunque,�qualsiasi�carenza�del�contraddittorio,�non�potendosi�configurare�in�alcun�modo�
la�perdita�di�un�grado�del�giudizio;�

^che,�nel�merito,�l'art.�700�c.p.c.�dispone�che�chi�ha�fondato�motivo�di�temere�che,�
durante�il�tempo�occorrente�per�far�valere�in�via�ordinaria�il�suo�diritto,�questo�sia�minac-
ciato�da�un�pregiudizio�imminente�e�irreparabile,�puo��chiedere,�con�ricorso�al�giudice,�i�prov-
vedimenti�di�urgenza�che�appaiano,�secondo�le�circostanze,�piu��idonei�ad�assicurare�provvi-
soriamente�gli�effetti�della�decisione�sul�merito;�

^che,�per�l'accoglimento�della�istanza,�occorre�pertanto�la�presenza�di�due�requisiti:�
la�verosimiglianza�circa�la�esistenza�del�diritto�azionato�(fumus 
boni 
iuris)�e�la�sussistenza�di�
un�pericolo�imminente�e�irreparabile�al�quale�il�ritardo�puo��esporre�il�medesimo�diritto�(peri-
culum 
in 
mora);�

^che�la��irreparabilita����del�pregiudizio�va�ravvisata�nella�irreversibilita��della�lesione�del�
dirittodaassoggettareacautelae-onellaimpossibilita��oestremadifficolta��dideterminareesat-
tamente�la�misura�del�risarcimento,�ove�gli�effetti�pregiudizievoli�persistessero�nel�tempo;�

^cheincombesull'istantel'onerediallegareefornireelementialriguardo(art.�2697cc);�

^che�l'O.C.�deduce,�sotto�il�profilo�in�esame,�un�danno�alla�professionalita��acquisita�ed�
alla�sua�immagine�a�seguito�del�demansionamento�operato�dalla�amministrazione�in�suo�danno�
con�il�conferimento�del�nuovo�incarico,�a�suo�dire��quasi��del�tutto�privo�di�contenuto;�

^che�la�astensione�dall'�esercizio�della�attivita��lavorativa�in�precedenza�svolta,�anche�
quando�trattasi�di�attivita��ad�alto�contenuto�professionale,�non�comporta�sempre�e�necessa-
riamente�il�fondato�timore�di�un�pregiudizio�imminente�e�irreparabile�alla�professionalita��,�
essendo�invece�richiesta�la�presenza��in�concreto��di�specifici�connotati�del�contenuto�dell'at-
tivita��stessa,�che�la�rendano�soggetta�a�rapida�obsolescenza,�anche�in�relazione�alla�struttura�
in�cui�si�inserisce,�o�ad�eventi�particolari,�che�rendano�verosimile�e�ragionevole�il�menzionato�
pericolo;�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

^che�nessun�elemento�concreto�e�specifico�e�stato�dedotto�ne�,�tanto�meno,�offerto�per�
far�ritenere�che�l'incarico�di�Direttore�del�Dipartimento�delle�relazioni�esterne�e�servizi�
comuni�di�supporto�delle�aree�di�ricerca��C.��e��M.��dell'Ispesl,�in�precedenza�ricoperto,�
avesse�un�contenuto�particolare,�cos|�da�potersi�apprezzare�la�valenza�della�relativa�profes-
sionalita�come�non�recuperabile�ovvero�come�irrimediabilmente�compromessa�nelle�more�
del�giudizio�di�merito�in�forza�del�mancato�esercizio�delle�relative�mansioni;�

^che,�peraltro,�proprio�lo�spessore�elevato�della�professionalita�acquisita�nel�corso�di�
moltiannidiservizio�(v.�curriculum 
in�atti)�non�rende�verosimile�la�possibilita�di�una�sua�
repentina�e�irrimediabile�dispersione�nelle�more�del�giudizio;�

^che�l'O.C.�non�e�stato�lasciato�inattivo,�bens|�gli�e�stato�conferito�incarico�avente�ad�
oggetto�lo�studio�e�la�predisposizione�di�progetto�finalizzato�al�completamento�della�infor-
matizzazione�complessiva�del�sistema�gestionale�amministrativo�dell'�Istituto;�

^che�questi�ha�prontamente�accettato�l'incarico�in�data�8�ottobre�2002,�con�la�sotto-
scrizione�del�relativo�contratto,�ed�ha�concretamente�iniziato�a�svolgere�la�nuova�attivita�
lavorativa�affidatagli�(circostanza�pacifica;�v.�anche�lettera�23�dicembre�2002�di�invio�di�rela-
zione�trimestrale),�proponendo�la�domanda�cautelare�soltanto�il�14�gennaio�2003,�e�cioe�
dopo�oltre�tre�mesi�dalla�accettazione�predetta;�

^che�il�suddetto�comportamento�della�parte�costituisce,�seppure�nell'ambito�del�qua-
dro�teste�esposto,�un�ulteriore�elemento�in�senso�contrario�alla�sussistenza�di�una�situazione�
di�pericolo�imminente�e�irreparabile;�

^che,�per�quanto�concerne�il�profilo�personalistico,�occorre�valutare�il�contesto�e�il�
modo�in�cui�viene�posto�in�essere�il�comportamento�della�Amministrazione,�nel�senso�che�
esso�deve�essere�produttivo�di�una�situazione�offensiva�della�dignita�ed�immagine�del�lavora-
tore��in�concreto�,�e�cioe�in�relazione�alla�sua�specifica�situazione�e/o�alle�specifiche�moda-
lita�adottate;�

^che,�nel�caso�in�esame,�non�viene�offerto�alcun�e�lemento�circa�la�valenza�offensiva,�
nel�senso�sopra�esposto,�del�comportamento�della�Amministrazione�con�riferimento�alla�
concreta�ed�effettiva�posizione�professionale,�sociale,�familiare�di�O.C.;�

^che,�anzi,�l'amministrazione�si�e�limitata�a�proporgli�un�incarico�di�studio�e�ad�invi-
tarlo,�qualora�intendesse�accettare�la�proposta,�ad�attivarsi�per�la�sottoscrizione�del�relativo�
contratto,�la�qual�cosa�e�poi�avvenuta;�

^che�il�conferimento�di�siffatto�incarico�e�espressamente�previsto�dalla�normativa�del�
settore�nell'�ambito�del�sistema�ivi�delineato�(art.�3�legge�145/2002);�
^che,�alla�luce�delle�considerazioni�esposte,�non�sussiste�il�requisito�del�c.d.�periculum 


in 
mora;�
^che,�pertanto,�va�revocato�il�provvedimento�cautelare�emesso�tra�le�parti�dal�Tribu-
nale�di�Roma�primo�grado�in�data�5�febbraio�2003;�
^che�restano�assorbite�le�ulteriori�deduzioni�delle�parti,�ivi�comprese�quelle�attinenti�

al��fumus 
boni 
iuris�;�
^che�sussistono�giusti�motivi�per�dichiarare�compensate�le�spese�del�procedimento�
cautelare�e�della�fase�di�reclamo;�

P.Q.M.: 
Revoca�il�provvedimento�emesso�tra�le�parti�dal�Tribunale�di�Roma,�primo�
grado,�il�5�febbraio�2003;�dichiara�compensate�le�spese�del�procedimento�cautelare�e�della�
fase�di�reclamo.�

Roma,�3�aprile�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
Seconda 
sezione 
lavoro 
^Reclamo 
^Ordinanza 
del 
29 
aprile 
2003 
^

Presidente: 
D.�Blasutto�^Relatore: 
F.�Perra�^S.P.G.�c/�Ministero�dell'Economia�e�delle�
Finanze,�INPS.�

�(omissis) 
Presupposti�indefettibili�della�tutela�cautelare�sono�il�fumus 
boni 
iuris 
ed�il�
periculum 
in 
mora;�non�e�,�infatti,�sufficiente�che,�sulla�base�della�sommaria�delibazione�pro-
pria�del�procedimento�d'urgenza,�appaia�la�sussistenza�di�elementi�idonei�a�far�ritenere�la�
fondatezza�della�pretesa�azionata,�ma�occorre�la�esistenza�di�un�pregiudizio�imminente�ed�
irreparabile�al�quale�il�diritto�puo�essere�esposto�a�causa�della�durata�del�giudizio�di�merito,�
le�cui�esigenze�di�tutela�immediata�prevalgono�sul�diritto�di�difesa�della�controparte�che�
viene�sicuramente�menomato�dalla�celerita�propria�della�fase�cautelare.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

L'esame�del�presupposto�del�periculum 
in 
mora 
si�rende,�quindi,�preliminare�rispetto�a�
quello�della�valutazione�della�fondatezza�della�pretesa�che�e�resa�superflua�dalla�inesistenza�
del�primo.�

Il�Collegio�ritiene�che�nel�caso�in�esame�tale�presupposto,�l'onere�della�cui�sussistenza�e�
a�carico�di�chi�invoca�la�tutela�cautelare,�manchi.�

Risulta�dai�documenti�di�causa�che�e�stato�proposto�a�S.P.G.�l'incarico�di�Capo�del�
Dipartimento�Provinciale�del�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�di�Napoli,�pacifica-
mente�di�livello�dirigenziale�generale�e,�quindi,�equivalente�a�quello�revocato�di�componente�
del�Collegio�sindacale�dell'INPS�(lettera�del�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�del�
21�novembre�2002),�e�che�tale�incarico�e�stato�rifiutato�dal�reclamante�in�quanto�la�retribu-
zione�di�posizione�era�per�tale�incarico�inferiore�rispetto�a�quella�precedentemente�percepita�
di�Euro�37.532,94,�nonche�per�motivi�personali�e�di�salute�che�impedivano�il�trasferimento�
del�dirigente�a�Napoli.�

L'equivalenza�di�tale�incarico,�in�particolare,�e�stata�riconosciuta�dallo�stesso�dott.�

S.P.G.�nella�lettera�del�27�novembre�2002,�con�la�quale,�nel�far�presente�le�predette�circo-
stanze,�rinunziava�all'incarico�offertogli�ma�ammetteva�che�era��seppure�equivalente�sul�
piano�funzionale��e�chiedeva,�in�sua�sostituzione,��l'incarico�di�studio�che�verra�proposto�e�
che�assicura,�quantomeno,�l'intero�importo�del�precedente�trattamento�economico�
percepito�.�
Il�Ministero�convenuto�ha,�quindi,�attribuito�allo�S.P.G.,�con�decreto�20�gennaio�2003,�
l'incarico�di�studio�della�durata�di�un�anno,�con�determinazione�all'art.�2�degli�obiettivi�ine-
renti�alla�sua�professionalita�(capacita�informativa�dei�bilanci�degli�Enti�pubblici�istituzio-
nali,�principi�e�regole�di�redazione�dei�documenti�contabili,�aspetti�giuridici,�contabili�ed�
organizzativi)�e�pattuizione,�nel�contratto�individuale�stipulato�il�13�dicembre�2002,�di�un�
trattamento�economico�analogo,�se�non�maggiore,�a�quello�gia�percepito�come�membro�del�
collegio�sindacale�INPS�(v.�in�particolare�la�retribuzione�di�posizione�variabile�stabilita�in�
Euro�100.553,18�a�fronte�di�quella�del�contratto�stipulato�con�l'INPS�di�L.�160.000.000,�una�
retribuzione�di�risultato�di�E.�24.789,93�a�fronte�di�quella�percepita�dall'Inps�di�L.�
48.000.000,�oltre�lo�stipendio�tabellare,�la�retribuzione�di�posizione�fissa�e�la�R.I.A.).�

Risulta�altres|�che,�contrariamente�a�quanto�sostenuto�in�ricorso,�sia�il�contratto�che�il�
decreto�sono�stati�firmati�dal�Ministro�(in�atti),�mancando�solo�la�registrazione�da�parte�
della�Corte�dei�Conti,�e�che�il�Ministero�convenuto�ha�corrisposto�al�reclamantelesue�spet-
tanze�economiche�con�le�mensilita�di�dicembre,�gennaio,�febbraio�.e�marzo�(v.�prospetti�paga�
in�atti).�Non�e�,�quindi,�configurabile�alcun�pregiudizio�economico�in�capo�al�dott.�S.P.G.�a�
seguito�della�revoca�del�precedente�incarico�e�della�attribuzione�del�nuovo�incarico�di�studio.�
Relativamente�alla�dedotta�lesione,�alla�professionalita�,�alla�reputazione�sociale�e�familiare,�si�
rileva�che,�aprescindere�da�tale�generica�indimostrata�allegazione,�la�configurabilita�del�pregiu-
dizio�imminente�ed�irreparabile�in�sede�cautelare�deve�essere�fondata�su�specifici�elementi�di�
fattoinrelazioneaulaparticolaresituazioneconcretadicoluichelarichiede,�enonsullanatura�
intrinseca�del�diritto�fatto�valere�o�sull'oggetto�della�controversia.�

Cio�premesso�si�osserva�che.�nel�caso�in�esame,�secondo�la�prospettazione�del�Ministero�
dell'Economia�e�delle�Finanze,�la�cessazione�anticipata�dell'incarico�di�componente�del�colle-
gio�dei�sindaci�dell'INPS�e�avvenuta�non�su�iniziativa�e�per�volonta�dell'Amministrazione,�
ne�tanto�meno�sulla�base�di�una�valutazione�negativa�dell'operato�del�dirigente,�ma�ex 
lege 
per�il�disposto�di�cui�al�comma�7�dell'art.�3�della�legge�n.�145/2002�che�ha�previsto�per�gli�
incarichi�di�livello�dirigenziale�la�cessazione�entro�il�sessantesimo�giorno�successivo�alla�sua�
entrata�in�vigore.�Orbene,�tale�considerazione�e�sufficiente�per�escludere,�ai�fini�della�valuta-
zione�del�periculum 
in 
mora 
e�senza�che�possa�rilevare�agli�stessi�limitati�fini�il�reale�fonda-
mento�giuridico�delle�ragioni�addotte�a�sostegno�della�disposta�revoca,�la�probabilita�di�un�
giudizio�di�disvalore�nei�confronti�del�dirigente�nell'ambito�lavorativo,�sociale�e�familiare.�

Peraltro,�sempre�con�valutazione�limitata�al�periculum,�va�rilevato�come�la�norma�invo-
cata�dall'Amministrazione,�di�natura�transitoria,�preveda�l'attribuzione�ai�dirigenti�ai�quali�
non�sia�stato�riconfermato�l'incarico�in�precedenza�attribuito�di��un�incarico�di,�livello�retri-
buito�equivalente�al�precedente��ovvero,�ove�cio�non�sia�possibile�per�mancanza�di�idonei�
posti�di�funzione,�di��un�incarico�di�studio�con�mantenimento�del�precedente�trattamento�
economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno�;�richiedendo�cos|�la�norma�una�equivalenza�
meramente�economica�e�non�di�tipologia�dell'incarico�e�stabilendo,�inoltre,�implicitamente,�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

la�equipollenza�quanto�a�contenuto�professionale,�dell'incarico�di�studio�a�quello�dirigenziale�
non�confermato;�equipollenza,�comunque,�stabilita�in�via�generale�dalla�nuova�disciplina�
degli�incarichi�nella�dirigenza�pubblica�(art.�191�D.Lgs.�n.�165/2001�come�modificato�dalla�
legge�n.�145/2002),�al�cui�conferimento�(e�passaggio�da�un�incarico�all'altro)�neppure�puo�
trovare�applicazione�l'art.�2103�c.c.�(art.�19,�comma�1,�cit.).�

Si�deve�ulteriormente�precisare�al�riguardo�che�allo�S.P.G.�e�stato�offerto�l'incarico�di�
Capo�dipartimento�provinciale�di�Napoli�che�egli�stesso,�come�prima�si�e�visto,�ha�giudicato�
�equivalente��professionalmente,�pur�avendolo�rifiutato�per�motivi�economici�e�personali�
connessi�al�trasferimento�di�sede,�e�che�quello�di�studio�gli�e�stato�affidato�su�sua�esplicita�
richiesta;�per�cui�non�si�vede�come�possa�configurarsi�una�lesione�della�sua�reputazione�pro-
fessionale�in�relazione�alla�importanza�degli�incarichi�precedentemente�svolti.�

Non�sussistendo,�pertanto,�il�periculum 
in 
mora 
la�domanda�del�reclamante�non�puo�tro-
vare�accoglimento,�per�cui�e�superfluo�l'esame�del�presupposto�delfumus 
boni 
iuris.La�com-
plessita�della�questione�giustifica�la�compensazione�delle�spese�di�lite.�

P.Q.M.: 
Respinge�il�reclamo,�compensa�le�spese�del�giudizio.�

Roma,�24�aprile�2003�.�

Tribunale 
di 
Roma, 
Seconda 
sezione 
lavoro 
^Ordinanza 
12 
maggio 
2003 
^Presidente 
D.�Cor-
tesani�^Relatore:�A.�M.�Luna�^R.R.�c/�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita�culturali.�

�(omissis) 
Il�Giudice�designato,�con�ordinanza�3�febbraio�2003,�n.�4392�reg.�cron.,�ha�
respinto�l'istanza�ritenendo�insussistente�ilfumus 
boni 
iuris.�

La�R.R.�ha�quindi�proposto�reclamo,�con�atto�depositato�in�data�21�marzo�2003,�riba-
dendo,�con�dovizia�di�argomentazioni,�le�proprie�tesi�e�contestando�la�motivazione�esposta�
dal�primo�Giudice.�

Si�e�costituito,�con�memoria�depositata�il�23�aprile�2003,�il�controinteressato�ribadendo�
la�propria�opposizione�alla�domanda�cautelare.�

Si�sono�costituiti�anche�il�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita�culturali,�la�Presidenza�del�
Consiglio�dei�Ministri�ed�il�Dipartimento�della�funzione�pubblica�per�resistere�al�reclamo.�

Tanto�premesso,�il�Collegio�reputa�infondato�il�reclamo�per�difetto�dell'indispensabile�
presupposto�del�periculum 
in 
mora.�

La�reclamante�deduce,�invero,�che�dai�provvedimenti�contestati�derivano�a�lei�gravi�
danni�sia�di�carattere�economico�sia�anche�di�diversa�natura.�

In�particolare,�lamenta�il�pericolo�della�perdita�di�retribuzione�giacche�sostiene�nell'au-
tunno�del�corrente�anno,�al�cessare�dell'incarico�di�studio,�ella�sara�collocata�a�disposizione�
con�la�perdita�del�50%�della�retribuzione�ovvero�sara�licenziata�per�giustificato�motivo�
oggettivo.�

Tale�prospettiva�non�appare�conforme�alla�disciplina�legislativa.�

Cessato�l'incarico�di�studio�conferito�con�provvedimento�dell'8�ottobre�2002,�registrato�
alla�Corte�dei�Conti�il�27�novembre�2002,�non�vi�e�alcuna�concreta�prospettiva�di�un�colloca-
mento�a�disposizione�del�dirigente�con�una�riduzione�di�retribuzione,�ne�addirittura�di�licen-
ziamento�per�giustificato�motivo�oggettivo,�giacche�il�dirigente�si�trovera�in�situazione�del�
tutto�analoga�a�quella�di�normale�scadenza�di�incarico�e,�quindi,�dovra�farsi�luogo�a�nuova�
procedura�di�conferimento�di�incarico�secondo�le�disposizioni�di�cui�all'art.�19�del�d.lgs.�

n.�165/2001,�come�modificato�dall'art.�3�della�legge�n.�145/2002.�Tale�appare�anche�l'inter-
pretazione�offerta�dal�Dipartimento�della�funzione�pubblica�con�la�circolare�31�luglio�2002�
(in�G.U. 
5�agosto�2002,�n.�182)�secondo�cui,�appunto,�allo�scadere�dell'incarico�di�studio�
per�i�dirigenti�iscritti�alla�prima�fascia�del�ruolo�l'amministrazione�deve�provvedere�ad�asse-
gnare�all'interessato�un�nuovo�incarico�secondo�le�regole�ordinarie�previste�dal�citato�
art.�19,�e�per�i�dirigenti�iscritti�alla�seconda�fascia,�l'amministrazione�deve�assegnare�un�inca-
rico�di�livello�non�generale,�salva�la�possibilita�di�attribuire�un�incarico�di�livello�generale,�
nei�limiti�dell'aliquota�del�50%�dei�posti.�
Allo�stato,�quindi,�appare�del�tutto�escluso�il�pericolo�di�un�concreto�pregiudizio�di�
carattere�economico.�
La�reclamante,�poi,�richiamati�i�principi�costituzionali�sulla�tutela�del�lavoro,�deduce�
che�il�periculum 
in 
mora 
dovrebbe�ritenersi�in 
re 
ipsa 
poiche�il�lavoratore�e�titolare�non�solo�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

di�diritti�legati�alla�sfera�patrimoniale�ma�anche�di�situazioni�soggettive�attinenti�a�lui�come�
persona.�In�particolare,�un�danno�non�risarcibile�sarebbe�ravvisabile�in�ogni�declassamento�
essendo�configurabile�un�depauperamento�delle�capacita��professionali�derivante�dal�mancato�
quotidiano�esercizio�delle�mansioni�spettanti,�in�quanto�la�deroga�all'art.�2103�c.c.,�stabilita�
dall'art.�19�d.lgs.�n.�165/01,�varrebbe�soltanto�in�caso�di�nuovo�incarico,�ma�non�anche�in�
caso�di�revoca�anticipata�del�precedente.�Nella�fattispecie,�il�mancato�esercizio�dell'incarico�
di�direttore�generale�pregiudica�il�patrimonio�professionale�della�reclamante�poiche�la�disci-
plina�del�settore�audiovisivo�e��in�continua�evoluzione�e�l'allontanamento�anche�per�pochi�
mesi�implica�la�perdita�progressiva�del�mestiere.�Inoltre,�le�nuove�funzionidistudio,�concer-
nenti�la��disciplina�della�censura�sugli�audiovisivi�nei�paesi�europei�,�appaiono�relative�ad�
un�tema�di�rilievo�marginale�e�scollegato�da�qualsiasi�obbiettivo�strategico�del�Ministero.�I�
provvedimenti�censurati,�poi,�inciderebbero�negativamente�sulle�aspettative�di�carriera�poi-
che�la�R.R.�si�trova�improvvisamente�privata�della�possibilita��di�accumulare�esperienza�e�di�
dimostrare�la�propria�professionalita��nell'esercizio�delle�funzioni�di�vertice,�tanto�piu��che�la�
mancata�conferma�implica�una�valutazione�negativa�sulle�capacita��professionali�e�sulle�
attitudini.�

Tali�argomenti�non�appaiono�condivisibili.�

Innanzi�tutto�non�puo��ritenersi�che�nel�demansionamento�sia�insito�il�pericolo�di�un�
grave�pregiudizio,�laddove�non�siano�allegate�e�provate�specifiche�circostanze�di�fatto�da�
cui�possa�desumersi�il�concreto�rischio�che,�nel�tempo�occorrente�per�l'espletamento�del�pro-
cesso�di�merito,�la�professionalita��del�lavoratore�possa�effettivamente�depauperarsi�ovvero�
che�siano�perse�o�possano�perdersi�concrete�occasioni�di�progressione�di�carriera�(ad�esem-
pio�la�preclusione�della�partecipazione�ad�imminenti�procedure�selettive).�

In�secondo�luogo,�appare�valida,�anche�nella�presente�fattispecie,�la�esclusione�della�
applicazione�dell'art.�2103�c.c.�in�forza�di�quanto�prevede�l'art.�19�d.lgs.�n.�165/01�giacche�
l'incarico�gia��conferito�alla�reclamante�e��cessato�ex 
lege 
e,�pertanto,�la�dirigente�e��venuta�a�
trovarsi�nella�stessa�posizione�in�cui�si�sarebbe�trovata�ove�l'incarico�fosse�cessato�in�forza�
del�termine�convenzionalmente�apposto.�

In�terzo�luogo,�il�mero�fatto�della�cessazione�delle�specifiche�mansioni�non�appareprima 
facie 
tale�da�pregiudicare�il�raggiunto�livello�di�professionalita��tenuto�conto�che,�come�detto,�
il�pericolo�di�pregiudizio�non�e��in 
re 
ipsa 
e�che�non�sono�state�allegate�specifiche�circostanze�
per�corroborare�l'affermazione�che�la�disciplina�del�settore�audiovisivo�sia�di�tale�rapida�evo-
luzione�da�rendere�in�breve�tempo�obsoleto�il�bagaglio�di�conoscenze�acquisito�dalla�recla-
mante,�in�considerazione�anche�del�fatto�che�il�curriculum 
della�stessa�denuncia�una�notevole�
versatilita��e�non�gia��una�esclusiva�specialistica�competenza�nel�detto�settore.�

In�quarto�luogo,�non�sembra�che�l'incarico�di�studio�sia�del�tutto�inconsistente�o�lon-
tano�dagli�obbiettivi�del�Ministero�giacche�appunto�lo�stesso�e��stato�attribuito�dal�Ministro�
per�la�funzione�pubblica�su�proposta�del�Ministro�per�i�beni�e�le�attivita��culturali�che�ha�in�
tal�modo�palesato�la�propria�intenzione�di�acquisire�un�studio�specifico�sudetta�materia�
rientrante�certamente�nella�competenza�dell'Amministrazione.�

In�ultimo,�si�osserva�che�la�privazione�delle�mansioni�di�direttore�generale�non�e��di�per�
se�tale�da�pregiudicare�le�aspettative�di�carriera�innanzi�tutto�perche�il�tempodiallontana-
mento�da�incarichi�funzionali�dovrebbe�essere�appunto�limitato�ad�un�anno�epoi�perche�
anche�l'attivita��si�studio�svolta�sara��oggetto�di�valutazione�ai�fini�del�conferimento�di�nuovi�
incarichi.�

Quanto�al�danno�all'immagine�la�reclamante�riporta�alcuni�brani�di�interviste�rilasciate�
da�esponenti�politici�da�cui�si�desumerebbe�che�coloro�che�non�sono�stati�confermati�nei�pre-
cedenti�incarichi�sarebbero�soltanto�quelli�che�erano�reputati�scarsamente�capaci�o�poco�
motivati.�

A�prescindere�dalle�dichiarazioni�che�possono�essere�state�rese�alla�stampa,�peraltro�
variamente�interpretabili,�resta�il�fatto�oggettivo�che�la�cessazione�dell'incarico�e��la�mera�
automatica�conseguenza�di�una�disposizione�di�legge,�sicche�ad�esso�non�e��ricollegabile�alcun�
giudizio�negativo�sull'operato�dei�singoli�dirigenti.�Quanto�alla�mancata�conferma,�sembra�
emergere�dalla�legge�la�volonta��di�consentire�al�Governo�di�realizzare,�immediatamente,�un�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

piu��stretto�vincolo�fiduciario�con�coloro�che�sono�i�primi�responsabili�dell'attuazione�delle�
scelte�politiche,�sicche�dalla�mancata�conferma�non�puo��desumersi�altro�se�non�che,�con�
ampia�valutazione�discrezionale,�il�vertice�politico�ha�ritenuto�che�i�propri�obbiettivi�pote-
vano�essere�piu��opportunamente�realizzati�mediante�altro�dirigente.�

Considerata�la�particolarita��della�vicenda,�appare�equo�compensare�interamente�le�
spese�tra�le�parti.�
Rigetta�il�reclamo�proposto;�dichiara�interamente�compensate�tra�le�partile�spese�di�
questa�fase�del�procedimento�(omissis). 
Roma,�8�maggio�2003��

Tribunale 
di 
Roma, 
Sezione 
seconda 
lavoro 
^Reclamo 
^Ordinanza 
18 
giugno 
2003 
-Presi-
dente: 
D.�Cortesani�-Relatore: 
M.�Leone�-Ministero�dell'Istruzione,�Universita��e�
Ricerca�e�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�c/�R.S,�(Avv.ti�Andreoni�^Torchia�^
Di�Nitto)�e�P.B.�(Avv.�Chiti-Angotti).�

�(omissis) 
I�reclami�venivano�riuniti�e�trattati�congiuntamente�con�la�presente�
decisione.�

Preliminarmente,�deve�respingersi,�in�quanto�inammissibile�ed�incompatibile�nel�pre-
sente�procedimento�cautelare,�la�richiesta�di�rimessione�degli�atti�alla�Corte�Costituzionale�
(per�non�manifesta�infondatezza�delle�questioni�sollevate�circa�la�legittimita��dell'art.�3,�
comma�7�1egge�n.�145/02)�con�contestuale�emissione�dei�provvedimenti�ritenuti�piu��idonei�
ad�assicurare�provvisoriamente�gli�effetti�della�decisione�sul�merito.�

La�compatibilita��tra�la�concessione�della�tutela�d'urgenza�e�la�remissione�degli�atti�alla�
Corte,�come�noto,�ha�formato�oggetto�di�ampia�discussione�in�dottrina�ed�in�giurisprudenza,�
con�varie�soluzioni,�tra�le�quali�vi�e��quella,�posta�a�base�della�sentenza�della�Corte�Costitu-
zionale�n.�4/2000,�in�atti,�nella�quale�e��stata�ritenuta�rilevante�una�questione�di�legittimita��
costituzionale�che,�in�sede�di�giustizia�amministrativa,�era�stata�sollevata�scindendo�la�pro-
nuncia�cautelare�in�due�fasi:�un�primo�accoglimento,�cautelare�e�provvisorio,�e�poi�un�
secondo,�definitivo,�provvedimento�da�emettersi�all'esito�della�pronuncia�della�Corte.�

Senonche�,�pur�dando�atto�della�valutazione�di�rilevanza�espressa�dal�Giudice�delle�leggi,�
tale�soluzione�non�appare�estensibile�al�procedimento�ex 
art.�700�c.p.c..�

Ed�infatti,�l'unica�scissione�che�il�nostro�codice�prevede�nell'ambito�del�procedimento�
d'urgenza�e��quella�tra�l'emissione�del�decreto�inaudita 
altera 
parte 
e�quella�dell'ordinanza�di�
conferma,�che�deve�essere�emessa�in�una�udienza�fissata�in�un�termine�non�superiore�a�15�
giorni�(v.�art.�669�sexies 
c.p.c.).�

Al�di�la��di�questa�ipotesi,�dunque,�non�e��consentito�emettere�un�provvedimento�d'ur-
genza��non�definitivo��in�attesa�di�un�altro��definitivo��all'esito�del�giudizio�della�Corte.�

Esclusa,�dunque,�tale�possibilita��,e��avviso�del�Collegio�che�il�Giudice�ordinario,�pur�nel-
l'ipotesi�che�sospenda�il�giudizio,�non�puo��emettere�un�provvedimento�che�anticipi�la�deci-
sione�della�Corte,�nemmeno�facendo�una�valutazione�di�probabilita��,�posto�che,�in�questo�
caso,�non�si�tratta�di�valutare�il�fumus 
boni 
iuris 
di�un�diritto,�in�astratto�esistente,�di�cui�si�
chiede�l'applicazione�al�caso�concreto,�bens|��di�riconoscere�un�diritto�che,�in�quel�momento,�
non�esiste�nemmeno�nell'ordinamento.�

Ne�deriva�che,�allorche�viene�richiesta�l'emissione�di�un�provvedimento�che�presuppone�
un�giudizio�di�illegittimita��costituzionale�della�norma�(ovvero,�nel�caso�in�esame,�la�reimmis-
sione�nell'incarico�dirigenziale),�la�relativa�domanda�non�e��ammissibile�e�la�eventuale�
sospensione�del�giudizio�diventa�irrilevante.�

Nel�caso�di�specie,�peraltro,�la�transitorieta��della�disciplina�di�cui�si�invoca�la�illegitti-
mita��e��elemento�di�ulteriore�inopportunita��nella�scelta�di�rimessione�al�Giudice�delle�leggi,�
non�essendo,�i�tempi�dell'eventuale�giudizio,�compatibili�con�la�vigenza�della�detta�disciplina�
transitoria.�

Tanto�premesso,�il�Collegio�reputa�infondato�il�reclamo�per�difetto�dell'indispensabile�
presupposto�del�periculum 
in 
mora. 


La�reclamante�R.S.�deduce,�invero,�che�dal�provvedimento�contestato�derivano�a�lei�
gravi�danni�sia�di�carattere�economico�sia�anche�di�diversa�natura.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Innanzitutto,�si�osserva�che�nel�caso�in�esame�la�cessazione�anticipata�dell'incarico�e�
avvenuta�non�su�iniziativa�e�per�volonta�del�Ministero,�ne�tanto�meno�sulla�base�di�una�valu-
tazione�negativa�dell'operato�del�dirigente,�ma�ex 
lege 
per�il�disposto�di�cui�al�comma�7�del-
l'art.�3�dellaleggen.�145/2002chehaprevistopergliincarichidilivellodirigenzialelacessa-
zione�entro�il�sessantesimo�giorno�successivo�alla�sua�entrata�in�vigore.�

Tale�considerazione�e�di�rilievo�determinante�ed�assorbente�per�escludere,�ai�fini�della�
valutazione�del�periculum 
in 
mora, 
la�probabilita�di�un�giudizio�di�disvalore�nei�confronti�
del�dirigente�nell'ambito�lavorativo,�sociale�e�familiare.�
Ed�invero�e�la�stessa�citata�disposizione�legislativa,�di�natura�transitoria,�a�prevedere�

l'attribuzione�ai�dirigenti,�ai�quali�non�sia�stato�riconfermato�l'incarico�in�precedenza�attri-
buito,�di��un�incarico�di�livello�retribuito�equivalente�al�precedente��ovvero,�ove�cio�non�
sia�possibile�per�mancanza�di�idonei�posti�di�funzione,�di��un�incarico�di�studio�con�manteni-
mento�del�precedente�trattamento�economico,�di�durata�non�superiore�ad�un�anno�,�in�tal�
modo�provvedendo�a�fissare�un'equivalenza�economica�in�relazione�alle�diverse�tipologie�di�

incarico,�nonche�^indirettamente�^un'equipollenza�quanto�a�contenuto�professionale,�tra�
incarico�di�studio�e�incarico�dirigenziale�non�confermato.�
Invero,�l'attribuzione�dell'incarico�di�studio�operata�dalla�disciplina�transitoria�non�puo�
considerarsi�in�alcun�modo�depauperante�o�dequalificante�o�comunque�connotata�da�un�qualsi-

voglia�disvalore�rispetto�all'incarico�di�funzione;�cio�tanto�nel�contesto�di�una�valutazione�ex 
ante 
(in�fase�di�suo�conferimento),�stante�l'equipollenza�tra�le�due�diverse�specie�di�incarico�che
il�legislatore�ha�previsto,�quanto�in�una�valutazione�che�dovesse�essere�operata�expost 
(alla�sca-
denza�dell'incarico),�nella�fase�in�cui�l'operato�del�dirigente�e�valutato�ai�fini�dell'eventuale�con-

ferma,�non�sussistendo�alcuna�norma�^nell'ambito�del�sistema�delineato�dalla�legge�n.�145/02�
^che�impedisca�una�positiva�valutazione�^ove�il�dirigente�se�ne�sia�dimostrato�meritevole�nel
concreto�ed�effettivo�svolgimento�dell'incarico�di�studio�^dei�risultati�conseguiti.�

Invero,�in�una�interpretazione�sistematica�dell'intera�disciplina,�dove�l'affidamento�del-
l'incarico�di�studio�^si�ripete�^e�equiparato�non�solo�a�fini�economici,�ma�anche�giuridici,�
all'incarico�di�funzione,�deve�ritenersi�che�i�parametri�che�entrano�in�considerazione,�ai�fini�
di�una�successiva�attribuzione�o�conferma�di�incarico�dirigenziale,�ossia�il��raggiungimento�
degli�obiettivi��e�l'�osservanza�della�direttive�,�siano�applicabili�anche�ai�fini�della�valuta-
zione�dell'operato�del�dirigente�che�abbia�assunto�un�incarico�di�studio,�pur�ovviamente
tenendo�conto�delle�peculiarita�che�connotano�tale�genere�di�attivita�professionale,�dove�piu�
spiccatamente�assume�rilievo�il�dato�intellettuale�e�dove�l'attivita�richiesta�implica�l'analisi�
di�dati,�l'approfondimento�scientifico,�l'elaborazione�e�la�ricerca�di�soluzioni,�in�funzione�
anche�propositiva,�per�lo�sviluppo�o�il�miglioramento�organizzativo�di�determinati�settori�
amministrativi.�

Neppure�e�condivisibile�la�tesi�secondo�cui�vi�sarebbe�una�diversita�tra�l'incarico�di�studio�
di�funzione�previsto��regime��dal�sistema�(art.�19,�comma�10:��i�dirigenti�ai�quali�non�sia�affi-
data�la�titolarita�di�uffici�dirigenziali�svolgono,�su�richiesta�degli�organi�di�vertice�della�ammini-
strazioni�che�ne�abbiano�interesse,�funzioni�ispettive,�di�consulenza,�studio�e�ricerca�o�altri�inca-
richi�specifici�previsti�dall'ordinamento....�)�e�quello,�analogo�ma�diverso,�previsto�dalla�disci-
plina�transitoria.�Secondo�tale�tesi,�l'incarico�di�studio�conferito�in�sede�di�disciplina�
transitoria�sarebbe�una��scatola�vuota�,�priva�di�effettivi�contenuti,�tale�cioe�da�determinare�
un�futuro�pregiudizio�per�il�dirigente�che�vi�sia�stato�investito,�in�quanto�atto�ad�arrecare,�al�ter-

mine�dell'incarico,�nella�fase�di�confronto�e�comparazione�con�i�dirigenti�immessi�nell'effettivo�
esercizio�dell'incarico�di�funzioni,�una�perdita�delle�chances 
di�ottenere�una�conferma.�
Osserva�il�Tribunale�che,�dal�confronto�delle�relative�discipline,�non�si�rinviene�alcuna�

differenza�sostanziale�tra�l'incarico�di�studio�nel�sistema�a�regime�e�quello�conferito�nel�
sistema�transitorio,�di�talche�non�si�vede�come�il�secondo�possa�essere�valutato�diversamente�
dal�primo�ai�fini�della�conferma�dell'incarico�dirigenziale.�L'unico�tratto�differenziale�e�dato�
dall'essere�l'incarico,�nel�primo�caso,�richiesto�dall'amministrazione�che�ne�abbia�interesse,�
evidentemente�a�fronte�di�una�specifica�esigenza�manifestatasi,�e,�nel�secondo�caso,�imposto
ope 
legis, 
a�prescindere�dall'esistenza,�nel�momento�del�suo�conferimento,�di�un'effettiva�
necessita�.�Ma�tale�aspetto�(che�puo�rilevare�unicamente�per�i�riflessi�economici�che�siffatta�
generalizzata�operazione�potrebbe�comportare�per�la�collettivita�)�non�puo�rilevare�diretta-
mente�per�il�singolo�dirigente,�se�non�nel�caso�in�cui�il�difetto�di�interesse�per�la�pubblica�
amministrazione�si�dovesse�tradurre�nella�mancata�definizione�del�contenuto�dell'incarico�o�
in�una�definizione�solo�fittizia�e�apparente�di�un�incarico�in�realta�insussistente�o�palese-

mente�inutile.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Trattasi�di�aspetti�che,�per�avere�rilievo�in�giudizio,�avrebbero�dovuto�tradursi�in�altret-
tante�censure�specifiche,�svolte�dal�dirigente�con�riguardo�alle�caratteristiche�dell'incarico�
effettivamente�conferito,�e�non�gia�sulla�base�di�assunti�astratti,�privi�di�fondamento�nella�
disciplina�legale.�

Ben�puo�,�al�contrario,�argomentarsi�come�l'innovazione�introdotta�dalla�disciplina�tran-
sitoria�sia�potenzialmente�intesa�a�consentire,�ed�anzi�ad�imporre,�la�trattazione�di�approfon-
dimenti�scientifici�finalizzati�a�rendere�piu�efficienti�l'organizzazione�e�il�funzionamento�dei�
diversi�apparati�della�pubblica�amministrazione,�non�potendo�di�certo�ipotizzarsi�che�il�legi-
slatore�abbia�voluto�congegnare�un�sistema�in�cui,�a�fronte�di�un�trattamento�economico�
rimasto�inalterato,�il�dirigente�sia�mantenuto�inoperoso.�

Ove�poi�un'applicazione�della�legge�non�conforme�ai�riferiti�principi�di�efficienza�e�buon�
andamento�dovesse�arrecare�concretamente�un�pregiudizio�al�dirigente,�che�non�vedesse�
riconfermato�l'incarico�non�gia�per�carenze�o�negligenze�manifestate�durante�lo�svolgimento�
dell'incarico�di�studio,�ma�per�difetto�di�un�utile�conferimento,�carente�di�oggetto�o�di�utilita�,�
ben�potrebbe�tale�danno�essere�fatto�valere�nella�opportuna�sede.�Trattasi�-all'evidenza�-di�
un�pregiudizio�allo�stato�non�attuale.�

Nessun�rilievo�puo�essere�prestato�alla�circolare�interpretativa�in�atti�che,�non�solo�non�
e�vincolante�per�il�giudice,�ma�si�discosta�dall'interpretazione�della�legge�che�questo�Tribu-
nale�ha�inteso�fornire�con�la�motivazione�sopra�riportata.�

Ne�sussistono�gli�altri�dubbi�paventati�dal�dirigente.�

Cessato�l'incarico�di�studio,�non�vi�e�alcuna�concreta�prospettiva�di�un�collocamento�a�
disposizione�del�dirigente�con�una�riduzione�di�retribuzione,�ne�addirittura�di�licenziamento�
per�giustificato�motivo�oggettivo,�giacche�il�dirigente�si�trovera�in�situazione�del�tutto�ana-
loga�a�quella�di�normale�scadenza�di�incarico�e,�quindi,�dovra�farsi�luogo�^come�gia�detto�
^ad�una�nuova�procedura�di�conferimento�di�incarico�secondo�le�disposizioni�di�cui�
all'art.�19�del�d.lgs.�n.�165/01,�come�modificato�dall'art.�3�della�1egge�n.�145/02.�

Allo�stato,�quindi,�appare�del�tutto�escluso�il�pericolo�di�un�concreto�pregiudizio�di�
carattere�economico�e�relativo�al�rapporto�di�servizio,�mentre�quanto�al�rapporto�di�fun-
zione,�questo�non�puo�che�essere�oggetto�di�valutazione�alla�stregua�di�ogni�altra�posizione�
equivalente.�

Richiamati�i�principi�costituzionali�sulla�tutela�del�lavoro,�il�dirigente�deduce�che�il�peri-
culum 
in 
mora 
dovrebbe�ritenersi�insito�nel�depauperamento�delle�capacita�professionali�deri-
vante�dal�mancato�quotidiano�esercizio�delle�mansioni�spettanti,�in�quanto�la�deroga�
all'art.�2103�c.c.,�stabilita�dall'art.�19�d.lgs.�n.�165/01,�varrebbe�soltantoin�casodinuovo�
incarico,�ma�non�anche�in�caso�di�revoca�anticipata�del�precedente.�Nella�fattispecie,�il�man-
cato�esercizio�dell'incarico�di�direttore�generale�pregiudicherebbe�il�patrimonio�professionale�
del�dirigente,�poiche�la�disciplina�del�settore�e�in�continua�evoluzione�e�l'allontanamento�
anche�per�pochi�mesi�implica�la�perdita�progressiva�della�professionalita�acquisita.�

Neanche�tale�argomento�e�condivisibile.�

Il�mero�fatto�della�cessazione�delle�specifiche�mansioni�non�puo�ritenersi�tale�da�pregiu-
dicare�il�raggiunto�livello�di�professionalita�,�tenuto�conto�che�il�pericolo�di�pregiudizio�non�
e�in 
re 
ipsa 
e�che�non�sono�state�allegate�specifiche�circostanze�atte�a�corroborare�l'afferma-
zione�secondo�cui�la�disciplina�di�settore�sarebbe�soggetta�a�rapida�evoluzione�da�rendere�
in�breve�tempo�obsoleto�il�bagaglio�di�conoscenze�gia�acquisito;�tutto�cio�senza�considerare�
che�l'attivita�di�studio�e�,�per�sua�natura,�volta�a�consentire�^ed�anzi�ad�agevolare�^l'aggior-
namento�professionale�in�un�determinato�settore.�

Non�puo�comunque�configurarsi�il�pericolo�di�un�grave�pregiudizio�laddove�non�siano�
allegate�e�provate�specifiche�circostanze�di�fatto�da�cui�possa�desumersi�il�concreto�rischio�
che,�nel�tempo�occorrente�per�l'espletamento�del�processo�di�merito,�la�professionalita�del�
lavoratore�possa�effettivamente�depauperarsi�ovvero�che�siano�perse�o�possano�perdersi�con-
crete�occasioni�di�sviluppo�di�carriera.�

Inoltre,�appare�valida,�anche�nella�presente�fattispecie,�l'esclusione�della�applicazione�
dell'art.�2103�c.c.�in�forza�di�quanto�prevede�l'art.�19�d.lgs.�n.�165/01,�giacche�l'incarico�gia�
conferito�e�cessato�ex 
lege 
e,�pertanto,�il�dirigente�e�venuto�a�trovarsi�nella�stessa�posizione�
in�cui�si�sarebbe�trovato�ove�l'incarico�fosse�cessato�in�forza�del�termine�convenzionalmente�
apposto.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

In�conclusione,�si�osserva�che�la�privazione�delle�mansioni�di�direttore�generale�non�e�di�
per�se�tale�da�pregiudicare�le�aspettative�di�carriera�innanzi�tutto�perche�anche�l'attivita�di�
studio�svolta�sara�oggetto�di�valutazione�ai�fini�del�conferimento�di�nuovi�incarichi.�

Non�sussistendo�il�periculuminmora 
la�domanda�del�reclamante�non�puo�trovare�acco-
glimento�ed�e�ultroneo�l'esame�del�presupposto�delfumus 
boni 
iuris. 


Considerata�la�particolarita�della�vicenda,�appare�equo�compensare�interamente�le�
spese�tra�le�parti.�

P.Q.M.: 
Accoglie�il�reclamo�proposto�dal�Ministero�dell'istruzione�e�dalla�Presidenza�
del�Consiglio,�e�per�l'effetto�rigetta�l'originaria�domanda�azionata�da�R.S.�Rigetta�il�reclamo�
proposto�da�R.S.�(omissis). 


Roma,�4�giugno�2003�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

5.�^LA 
pronunicA 
deL 
TaR 
LaziO 
sullA 
commissionE 
VIA. 
Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
del 
Lazio, 
Sezione 
seconda 
^Sentenza 
21 
maggio 
2003 


n. 
4443 
^Presidente: 
D.�La�Medica�^Estensore: 
G.�Sapone�^F.R.�ed�altri�(Avv.ti�
M.A.�Sandulli,�P.�Dell'Anno,�M.R.�Damizia)�c/�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�
Ministero�dell'Ambiente�e�del�Territorio�(avv.�dello�Stato�M.L.�Guida,�cont.�1081/03)�
e�nei�confronti�di�M.M.�(avv.ti�G.M.�Cogo,�S.M.�Specchia),�ed�altri.�
(omissis) 
Diritto 
^Con�il�proposto�gravame�e�stato�impugnato�il�D.P.C.M.�in�epigrafe�
indicato,�in�forza�del�quale�e�stata�disposta,�ai�sensi�dell'art.�6,�2.�comma,�della�legge�

n.�145/2002,�la�revoca�della�nomina�degli�odierni�ricorrenti�a�componenti�della�Commis-
sione�per�le�Valutazioni�di�Impatto�Ambientale,�istituita�presso�il�Ministero�dell'Ambiente�e�
della�Tutela�del�Territorio.�
Preliminarmente�il�Collegio�e�chiamato�ad�esaminare�l'eccezione�con�cui�le�resistenti�
amministrazioni�hanno�prospettato�il�difetto�di�giurisdizione�dell'adito�Tribunale�alla�luce�
dell'art.�63�del�D.lgvo�n.�165/2001,�il�quale�devolve�alla�giurisdizione�del�giudice�ordinario�
le�controversie�relative�al�conferimento�ed�alla�revoca�degli�incarichi�dirigenziali,�ed�in�consi-
derazione�della�circostanza�che�gli�incarichi�dei�ricorrenti,�relativamente�ai�profili�economici�
e�giuridici,�sarebbero�stati�disciplinati�come�incarichi�dirigenziali.�

L'eccezione�non�e�suscettibile�di�favorevole�esame.�

Al�riguardo,�premesso�che�le�norme�attributive�della�giurisdizione�sono�di�stretta�inter-
pretazione�e�possono�essere�estese�a�fattispecie�non�espressamente�previste�soltanto�qualora�
tali�fattispecie�presentino�i�medesimi�elementi�costitutivi�di�quelle�indicate�nelle�citate�
norme,�deve�essere�osservato�che�la�fattispecie�in�esame�non�puo�essere�in�alcun�modo�equi-
parata�alla�revoca�di�un�incarico�dirigenziale�per�la�palese�circostanza�che�gli�attuali�istanti�
in�virtu�della�revocata�nomina�non�hanno�mai�acquisito�la�qualifica�dirigenziale,�presuppo-
sto�essenziale�per�riconoscere�la�giurisdizione�del�G.O.�

La�circostanza,�sulla�quale�ha�insistito�la�Difesa�Erariale,�che�la�prestazione�espletata�
dai�ricorrenti�nell'ambito�della�citata�Commissione�doveva�essere�almeno�pari�a�quella�
minima�prevista�per�i�Dirigenti�dello�Stato�e�che�il�relativo�trattamento�economico�era�equi-
parato�a�quello�dei�Direttori�generali�di�livello��C�,�non�risulta�conferente�ad�avallare�la�tesi�
in�questione,�atteso�che�i�suddetti�elementi�sono�stati�previsti�solamente�per�individuare�
l'ambito�dei�diritti�e�degli�obblighi�in�capo�agli�interessati,�ma,�sicuramente,�non�possono�in�
alcun�modo�essere�considerati�in�grado�di�dimostrare�l'avvenuta�formazione�di�un�rapporto�
di�pubblico�impiego�di�qualifica�dirigenziale.�

A�tal�fine,�avuto�presente�che�lo�status 
giuridico�dei�componenti�della�Commissione�de 
qua,�in�forza�del�rinvio�effettuato�dalla�legge�n.�67/1988,�e�quello�previsto�dall'art.�5�della�
legge�n.�878/1986�per�i�componenti�del�Nucleo�di�Valutazione�degli�investimenti�pubblici,�il�
Collegio�osserva�che�la�suddetta�disposizione�prevede�l'estensione�ai�componenti�della�Com-
missione�in�questione�delle�norme�sui�diritti�e�doveri�degli�impiegati�civili�dello�stato�in�
quanto�compatibili,�per�cui�si�deduce,�che�il�rapporto�in�questione�non�e�stato�in�alcun�modo�
considerato�dal�legislatore�come�un�rapporto�di�pubblico�impiego.�

In�tale�quadro�normativo,�quindi,�l'impugnato�provvedimento�non�puo�in�alcun�modo�
essere�considerato�come�un�atto�di�gestione�di�un�rapporto�di�pubblico�impiego,�e,�conse-
guentemente,�deve�essere�affermata�la�giurisdizione�dell'adito�Tribunale�in�ordine�alla�pre-
sente�controversia.�

Nel�merito�risultano�fondati�il�terzo�ed�il�quarto�motivo�di�doglianza�prospettanti�la�
violazione�degli�artt.�3�e�7�della�legge�n.�241/1990.�

Al�riguardo�i�ricorrenti�hanno�fatto�presente�che:�

1)�la�comunicazione�dell'avvio�del�procedimento�conclusosi�con�la�gravata�determi-
nazione�era�richiesta�in�osservanza�del�consolidato�e�notorio�orientamento�giurisprudenziale�
che�impone�il�rispetto�della�suddetta�formalita�per�gli�atti�di�secondo�grado,�quale�e�sicura-
mente�la�revoca;�

2)�il�rispetto�dell'obbligo�di�motivazione�era�richiesto�in�considerazione�della�portata�
generale�dell'art.�3�della�legge�n.�241/1990.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

La�prospettazione�ricorsuale�e�stata�contestata�da�entrambe�le�parti�resistenti�le�quali�
hanno�escluso�l'applicabilita�nella�fattispecie�in�esame�delle�richiamate�disposizioni�sul�pre-
supposto�che�nel�caso�di�specie�la�revoca�non�si�atteggia�come�un�provvedimento�autorita-
tivo�avente�effetti�costitutivi,�ma�ha�natura�meramente�dichiarativa�in�quanto�si�limita�ad�
accertare�un�effetto�derivante�direttamente�dalla�legge.�

In�particolare,�sulla�base�del�richiamo�della�normativa�in�materia�di�revoca�degli�incari-
chi�a�segretario�comunale�(legge�n.�75/1999),�e�stato�sottolineato�che�nel�sistema�introdotto�
dalla�legge�n.�145/2002�le�nomine�effettuate�nel�periodo�sospetto�sono�ontologicamente�con-
formate�come�caducabili,�nel�senso�che��la�legge�non�attribuisce�al�neo�Ministro�un�potere�
autoritativo�di�revoca�di�precedenti�incarichi,�ma�rende�semplicemente�caducabili�le�nomine�
intervenute�in�un�periodo�che�rende�le�stesse�amministrativamente�sconvenienti�o�politica-
mente�sospette��(pag.�9�della�memoria�conclusionale�del�controinteressato).�

Cio�premesso,�occorre�evidenziare�che�la�norma�applicata�nella�vicenda�in�trattazione�e�
il�secondo�comma�dell'art.�6�della�legge�n.�145/2002,�il�quale�stabilisce�che��le�nomine�di�
cui�al�presente�articolo�conferite�o�comunque�rese�operative�negli�ultimi�seimesiantecedenti�
la�fine�naturale�della�tredicesima�legislatura,�nonche�quelle�conferite�o�comunque�rese�opera-
tive�nel�corso�della�quattordicesima�legislatura�fino�alla�data�di�insediamento�del�nuovo�
Governo,�possono�essere�confermate,�revocate,�modificate�o�rinnovate�entro�sei�mesi�dalla�
data�di�entrata�in�vigore�della�presente�legge�.�

Relativamente�alla�fattispecie�in�trattazione,�il�Collegio�osserva:�

1)�sulla�base�del�tenore�della�citata�disposizione�(�possono�essere�...�revocate�),�il�
potere�attribuito�al�Governo�o�al�singolo�Ministro�e�un�potere�discrezionale�ed�autoritativo�
e�non�un�mero�potere�accertativo�di�un�effetto�gia�verificatosi�in�forza�delle�predetta�legge;�

2)�se�non�fosse�stata�adottata,�nel�termine�di�cui�alla�richiamata�disposizione,�la�con-
testata�revoca,�l'originario�provvedimento�di�nomina�dei�ricorrenti�avrebbe�continuato�ad�
essere�efficace�nonostante�l'entrata�in�vigore�della�citata�disposizione.�

A�supporto�di�tale�tesi�deve�essere�osservato�che�per�gli�altri�componenti�della�Com-
missione�in�questione,�nominati�nel�periodo��sospetto��ma�non�revocati,�non�e�stato�adot-
tato�alcun�provvedimento�formale�di�conferma�nell'incarico�de 
quo, 
provvedimento�che,�
invece,�doveva�essere�adottato�in�quanto,�seguendo�la�tesi�dell'amministrazione,�le�prece-
denti�nomine�avevano�cessato�di�essere�efficaci�in�forza�dell'entrata�in�vigore�della�legge�

n.�145/2002.�
In�ordine�alla�prospettata�affermazione�circa�l'ontologica�conformazione�legislativa�in�
merito�alla�caducabilita�delle�nomine�effettuate�nel�periodo�sospetto,�il�Tribunale�non�puo�
non�osservare�che�la�caducabilita�non�puo�essere�intesa�come�automatica�caducazione,�atteso�
che�tale�effetto�non�e�in�alcun�modo�stabilito�espressamente�dal�legislatore,�ma�deve�essere�
interpretata�come�attribuzione�alle�competenti�autorita�di�un�potere�discrezionale�in�grado�
di�incidere�sui�precedenti�provvedimenti�di�nomina.�

In�sostanza�la�finalita�perseguita�con�la�legge�n.�145/2002�di�impedire�che�il�nuovo�
Governo�si�trovi�ad�operare�in�un�rapporto�istituzionale�non�sereno�con�l'apparato�burocra-
tico�e�che�nella�realizzazione�del�suo�programma�politico�in�conformita�agli�impegni�presi�
con�gli�elettori�incontri�difficolta�e�ostacoli�frapposti�dall'azione�di�funzionari��infedel-
mente��fedeli�alla�parte�politica�che�a�suo�tempo�li�aveva�nominati,�e�stata�perseguita�con�
l'attribuzione�al�nuovo�Governo�di�un�amplissimo�potere�discrezionale�di�intervenire,�nei�
tempi�e�con�le�modalita�ivi�previsti,�sulle�nomine�effettuate�nei�periodo�sospetto�dal�Governo�
uscente,�le�quali,�peraltro,�in�assenza�di�qualsiasi�determinazione�al�riguardo,�continuano�
ad�essere�nondimeno�efficaci.�

Deve�essere�sottolineato,�infine,�che�in�un�simile�quadro�normativo�risulta�inconferente,�
il�richiamo,�effettuato�da�entrambe�le�parti�resistenti�al�fine�di�evidenziare�l'identita�della�
disciplina�giuridica,�alla�normativa�(legge�n.�75/1999)�in�materia�di�revoca�degli�incarichi�di�
segretario�comunale�o�provinciale,�in�quanto�la�normativa�richiamata,�a�differenza�del�citato�
art.�6�della�legge�n.�145/2002�che�nulla�dispone�al�riguardo,�prevede�esplicitamente�la�cessa-
zione�automatica�dell'incarico�con�la�cessazione�del�mandato�del�sindaco�e�del�presidente�
della�provincia.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


Alla 
luce 
delle 
argomentazioni 
di 
cui 
sopra, 
pertanto, 
atteggiandosi 
la 
contestata 
revoca 
come 
un 
tipico 
provvedimento 
autoritativo 
di 
secondo 
grado, 
non 
poteva 
non 
trovare 
appli-
cazione, 
giusta 
il 
consolidato 
e 
notorio 
orientamento 
giurisprudenziale, 
l'art. 
7 
della 
legge 


n. 
241/1990. 
Per 
quanto 
concerne, 
poi, 
l'altro 
profilo 
di 
doglianza, 
prospettante 
il 
difetto 
di 
motiva-
zione, 
il 
Collegio, 
uniformandosi 
a 
quanto 
recentemente 
statuito 
dalla 
sentenza 
n. 
3277/ 
2003 
della 
Sezione 
II-ter,�osserva 
che 
anche 
se 
appare 
plausibile 
che 
la 
nomina 
effettuata 
nel 
periodo 
rilevante 
di 
cui 
al 
secondo 
comma 
del 
citato 
art. 
6 
possa 
ingenerare 
il 
sospetto 
che 
il 
Governo 
uscente 
abbia 
voluto 
in 
qualche 
modo 
condizionare 
l'azione 
del 
nuovo 
Governo, 
e� 
, 
tuttavia, 
evidente 
che 
una 
tale 
situazione 
di 
per 
se� 
non 
possa 
giustificare 
l'ado-
zione 
di 
un 
provvedimento 
di 
revoca, 
necessitando 
a 
tal 
fine 
una 
puntuale 
motivazione, 
effet-
tuata 
sulla 
base 
di 
un 
accurato 
riscontro 
di 
elementi 
certi 
ed 
oggettivi, 
in 
ordine 
all'inido-
neita� 
, 
anche 
tecnica, 
del 
nominato 
ad 
espletare 
correttamente 
le 
proprie 
funzioni 
in 
sintonia 
con 
gli 
indirizzi 
politici 
del 
nuovo 
Governo. 


Conseguentemente, 
poiche� 
la 
contestata 
revoca, 
in 
ordine 
a 
tale 
aspetto, 
non 
contiene 
alcuna 
motivazione, 
la 
stessa 
risulta 
essere 
adottata 
in 
palese 
contrasto 
con 
il 
disposto 
del-
l'art. 
3 
della 
legge 
n. 
241/1990. 


L'acclarata 
fondatezza 
della 
doglianza 
in 
trattazione, 
comporta 
l'accoglimento 
della 
proposta 
impugnativa, 
con 
assorbimento 
delle 
altre 
censure 
dedotte. 


Per 
quanto 
riguarda, 
invece, 
la 
proposta 
azione 
risarcitoria, 
la 
stessa 
deve 
essere 
rigettata. 


Al 
riguardo 
il 
Collegio 
osserva 
che 
con 
l'annullamento 
con 
efficacia 
ex�tunc�della 
gra-
vata 
revoca, 
la 
situazione 
soggettiva 
degli 
odierni 
ricorrenti 
deve 
essere 
ripristinata 
da 
un 
punto 
di 
vista 
patrimoniale 
sempre 
con 
efficacia 
ex�tunc,�con 
il 
conseguente 
riconoscimento 
agli 
stessi, 
con 
rivalutazione 
ed 
interessi, 
di 
tutte 
le 
indennita� 
che 
dovevano 
essere 
loro 
corri-
sposte 
in 
relazione 
al 
periodo 
in 
cui 
la 
contestata 
determinazione 
ha 
avuto 
efficacia. 


Poiche� 
la 
corresponsione 
dei 
citati 
emolumenti 
e� 
la 
conseguenza 
diretta 
ed 
immediata 
degli 
effetti 
ripristinatori 
prodotti 
dall'annullamento 
della 
gravata 
determinazione, 
e� 
evi-
dente 
che 
la 
stessa 
non 
puo� 
atteggiarsi 
come 
autonoma 
pretesa 
risarcitoria. 


In 
base 
alle 
pregresse 
considerazioni, 
il 
ricorso 
deve 
essere 
accolto 
nei 
limiti 
e 
nei 
sensi 
di 
cui 
in 
motivazione 
e, 
per 
l'effetto, 
va 
annullato 
l'impugnato 
provvedimento. 
Sussistono 
giusti 
motivi 
per 
compensare 
tra 
le 
parti 
le 
spese 
del 
presente 
giudizio 


(omissis).�

Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
^Appello 
incidentale 
adesivo 


�Fatto�^Con 
la 
sentenza 
indicata 
in 
epigrafe 
il 
Tar 
Lazio 
ha 
annullato 
il 
d.p.c.m. 
19 
set-
tembre 
2002, 
con 
il 
quale 
i 
Sig.ri 
F. 
R. 
ed 
altri 
sono 
stati 
revocati, 
ex�art. 
6, 
commi 
1 
e 
2, 
legge 
n. 
145/2002, 
dall'incarico 
di 
componenti 
della 
Commissione 
V.I.A., 
nonche� 
gli 
atti 
ad 
essi 
connessi 
e 
conseguenti. 
Il 
Tar 
ha 
ritenuto 
che 
gli 
atti 
impugnati 
fossero 
illegittimi 
per 
il 
mancato 
avviso 
dell'avvio 
del 
procedimento 
e 
per 
difetto 
di 
motivazione. 


Contro 
tale 
decisione 
ha 
proposto 
appello 
il 
controinteressato 
M. 
M. 


Le 
intestate 
Amministrazioni 
aderiscono 
all'impugnazione 
e 
propongono 
ricorso 
inci-
dentale, 
nella 
parte 
in 
cui 
e� 
stato 
annullato 
il 
d.p.c.m. 
impugnato, 
per 
le 
seguenti 
considera-
zioni 
di 
Diritto�^Violazione�e�falsa�applicazione�dell'art.�6,�secondo�comma,�legge�

n.�145/2002,�nonche�degli�artt.�3�e�7,�legge�241/1990.�
Il 
Tar 
ha 
ritenuto 
illegittimo 
il 
provvedimento 
impugnato 
nel 
presuppostoche 
esso 
fosse 
contrario 
alla 
disciplina 
ordinaria 
stabilita 
dagli 
artt. 
3 
e 
7 
della 
legge 
n. 
241/1990, 
in 
tema 
di 
comunicazione 
dell'avviso 
di 
avvio 
del 
procedimento 
e 
di 
obbligo 
di 
motivazione. 


Il 
giudice 
di 
primo 
grado 
non 
ha 
tenuto 
conto 
del 
fatto 
che 
il 
provvedimento 
impugnato 
e� 
stato 
adottato 
in 
base 
ad 
una 
normativa 
di 
carattere 
speciale 
ed 
eccezionale, 
per 
le 
specifi-
che 
esigenze 
correttamente 
individuate 
nella 
sentenza 
impugnata 
di 
impedire 
che 
l'attivita� 
del 
nuovo 
Governo 
fosse 
pregiudicata 
ovvero 
ostacolata 
dalla 
azione 
di 
funzionari 
nominati 
dalla 
parte 
politica 
avversa 
al 
termine 
del 
proprio 
mandato. 


Sembra 
chiaro 
che 
non 
vi 
sarebbe 
stato 
bisogno 
di 
emanare 
la 
disposizione 
normativa 
sopra 
richiamata, 
qualora 
fosse 
stato 
necessario 
applicare 
comunque 
le 
ordinarie 
regole 
sulla 



IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

revoca�degli�atti�amministrativi�dinomina.�E�invece�evidente�che�la�normativa�speciale�consente�
di�disporre�la�revoca�senza�particolari�formalita�,�per�le�ragioni�gia�insite�nella�disposizione�di�
legge.�In�pratica,�il�legislatore�ha�tipizzato�una�fattispecie�particolare�(la�nomina�di�alti�funzio-
nari�da�parte�del�Governo�in�scadenza)�in�presenza�della�quale�il�nuovo�Governo�puo�,�entro�
un�termine�prestabilito,�rimuovere�i�funzionari�predetti.�La�discrezionalita�che�caratterizza�l'e-
sercizio�di�tale�azione�consiste�nella�valutazione�della�opportunita�o�meno�di�procedere�alla�
rimozione�delfunzionario�dall'incarico�aluiconferito�in�quel�particolare�contesto.�Allorquando�
il�Governo�abbia�deciso�di�avvalersi�di�tale�potesta�,�tuttavia,�non�occorre�esprimere�nessuna�
particolare�motivazione,�in�quanto�essa�e�gia�contenuta�nel�richiamo�alle�ragioni�che�hanno�giu-
stificato�l'emanazione�della�norma�di�legge,�e�che�lo�stesso�Tar�ha�perfettamente�individuato.�

D'altra�parte,�una�specifica�motivazione�del�provvedimento�di�revoca�poteva�essere�in�ipo-
tesi�richiesta,�solo�qualora�lo�stesso�provvedimento�di�nomina�avesse�esplicitato�le�ragioni�della�
scelta�operata�dal�precedente�Esecutivo.�Infatti,�solo�l'esplicitazione�di�tali�ragioni�avrebbe�
potuto�richiedere�la�esternazione�di�motivi�ad�esse�contrari.�Viceversa,�le�nomine�adottate�nel�
periodo�``sospetto''�e�non�sorrette�da�specifica�motivazione�(come�quelle�in�contestazione),�
devono�ritenersi�logicamente�basate�sul�solo�rapporto�fiduciario�con�il�precedente�Governo.�In�
base�alla�ratio 
della�legge,�e�sufficiente�tale�rapporto�(che�implica�la�mancanza�di�un�rapporto�
analogo�con�il�nuovo�Governo)�a�giustificare�il�provvedimento�di�revoca.�In�tali�casi,�la�motiva-
zione�e�implicita�nella�circostanza�che�il�funzionario�esprime�le�tendenze�della�compagine�poli-
ticacontrapposta,�e�non�gia�^come�deve�essere^del�Governo�incarica.�Neppure�rilevalacirco-
stanza�che�non�tutti�gli�incarichi�sono�stati�revocati,�perche�^come�si�e�detto�^il�Governo,�nel�
valutare�l'opportunita�di�adottare�il�provvedimento�di�revoca,�puo�ben�ritenere�che�possa�
instaurarsi�un�rapporto�fiduciario,�pur�in�mancanza�di�una�nomina�diretta.�

Ugualmente�errata�e�la�tesi�secondo�cui�occorreva�iniziare�uno�specifico�procedimento,�del�
cui�inizio�era�necessario�dare�avviso�all'interessato.�E�infatti�la�stessa�legge�a�prevedere�il�proce-
dimento�di�riesame�delle�nomine,�fissando�i�relativi�termini,�sicche�la�conoscenza�dell'avvio�del�
procedimento�e�fornito�dalla�stessa�pubblicazione�della�legge.�Peraltro,�considerato�che�l'ob-
bligodell'avvisodell'avviodelprocedimentorispondeadesigenzesostanziali,�enonmeramente�
formalistiche,�gli�interessati�erano�perfettamente�in�grado�di�conoscere�la�sussistenza�delle�con-
dizioni�per�disporre�la�loro�rimozione�dall'incarico�e,�quindi,�di�formulare�le�proprie�eventuali�
osservazioni,�per�effetto�della�sola�conoscibilita�della�legge�in�questione.�

P.T.M.: 
Si�conclude�per�l'accoglimento�del�ricorso�principale�e�del�presente�ricorso�inci-
dentale,�nonche�dell'istanza�cautelare�di�sospensione�della�esecutivita�dell'impugnata�sen-
tenza,�con�ogni�consequenziale�statuizione�anche�in�ordine�alle�spese.�

Roma,�22�luglio�2003�
L'Avv. 
Maria 
Letizia 
Guida��


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

7.�^UnA 
autorevolE 
dissentinG 
opinioN 
Il 
nuovo 
regime 
dei 
dirigenti 
pubblici 
italiani: 
una 
modificazione 
costituzionale 
(1) 


di 
Sabino 
Cassese 


Sommario: 
1.�^I�governi�restano,�le�burocrazie�passano.�2�^Il�nuovo�regime�
della�dirigenza�posto�a�raffronto�con�quello�precedente.�3�^Le�cause:�la�
�passion�des�places�.�4�^Gli�effetti:�il�dominio�dei�politici�sui�burocrati.�5�
^Continuita�efratturenell'altafunzionepubblica.�6^Ilnuovoregimealla�
prova�di�costituzionalita�.�7�^Conclusioni.�

1.�^I�governi�restano,�le�burocrazie�passano.�
Negli�anni�tra�la�fine�del�ventesimo�secolo�e�gli�inizi�di�quello�successivo,�
nella�storia�della�costituzione�italiana,�caratterizzata�da�una�grande�conti-
nuita�,sie�prodotta�una�frattura:�prima�si�poteva�dire�che,�come�in�tutti�i�
principali�Stati,�i�governi�passano,�la�burocrazia�resta;�in�Italia,�ora�le�parti�
si�sono�invertite,�perche�i�governi�sono�diventati�stabili,�la�burocrazia�tran-
seunte.�Due�norme,�una�del�governo�di�centro�sinistra�(1998),�una�del�
governo�di�centro�destra�(2002)�hanno,�da�un�lato,�fatto�cessare�i�dirigenti�
pubblici�in�carica;�dall'altro,�stabilito�che�i�dirigenti�pubblici�durano�in�carica�
per�una�durata�inferiore�a�quella�dei�governi�(2).�Se,�prima,�l'alta�funzione�
pubblica�era�poco�sensibile�alla�politica�e�formalistica,�ora�essa�e�posta�alla�
merce�della�politica,�quindi�indebolita.�

Il�cambiamento�indicato�e�molto�importante.�Riguarda�l'assetto�dei�
poteri�al�vertice�dello�Stato�e,�quindi,�la�costituzione��materiale�.�Richiede,�
quindi,�un�giudizio�sulla�sua�corrispondenza�alla�costituzione��formale��del�
1948.�Modifica�un�equilibrio�stabilito�fin�dall'unificazione�politica�(1861).�
Va,�quindi,�posta�a�raffronto�con�un�modello�formatosi�sul�lungo�periodo.�
Risponde�ad�un'esigenza�politica�della�fase�aperta�nel�1993,�con�l'introdu-
zione�del�metodo�elettorale�maggioritario.�Di�conseguenza,�comporta�un�giu-
dizio�sulle�attuali�vicende�politiche�italiane.�

In�questo�scritto�il�tema�e�affrontato�illustrando�prima�il�regime�della�
dirigenza�e�ponendolo�a�raffronto�con�quello�precedente;�successivamente�
elencando�le�cause�e�gli�effetti�del�nuovo�regime�sull'equilibrio�dei�rapporti�

(1)�Lezione�per�gli�allievi�della��Ecole�Normale�Superieure��di�Parigi,�14�novembre�2002.�
Ringrazio�il�professor�Stefano�Battini,�il�consigliere�Gaetano�D'Auria,�il�dottor�Luigi�Fiorentino,�
la�dottoressa�Elisabetta�Midena�e�il�dottor�Valerio�Talamo�per�i�loro�commenti�a�una�prima�ver-
sione�di�questo�scritto,�che�e�in�corso�di�pubblicazione�nel��Giornale�di�diritto�amministrativo�,�
2002,�n.�12.�
(2)�Va�precisato�che�la�riforma�del�1998,�contemplando�una�durata�degli�incarichi�da�2�a�7�
anni,�ammetteva�la�possibilita�che�un�incarico�si�svolgesse�per�un�periodo�superiore�alla�durata�
del�governo�nominante.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

tra�governo�e�alta�funzione�pubblica;�poi�allargando�lo�sguardo�alle�conti-
nuita�e�alle�fratture�nella�storia�dell'alta�funzione�pubblica;�infine,�facendo�
una�verifica�di�costituzionalita�del�nuovo�regime.�

2.�^Il 
nuovo 
regime 
della 
dirigenza 
posto 
a 
raffronto 
con 
quello 
precedente. 
Si�inizia�dal�nuovo�regime�della�dirigenza.�Questo�e�stato�disposto�da�
due�norme�(1998�e�2002),�la�seconda�piu�radicale�della�prima.�Esse�sono�il�
frutto�della�stessa�tendenza,�ma�sono�dovute�a�governi�di�orientamento�
diverso.�Vanno,�quindi,�esaminate�separatamente.�
Nel�1998-1999,�e�stata�stabilita,�in�primo�luogo,�la�cessazione�degli�inca-
richi�dirigenziali�esistenti,�che�dovevano�essere�confermati�entro�novanta�
giorni�(3).�In�secondo�luogo,�che�i�quaranta�incarichi�dirigenziali�piu�alti�
(segretari�generali�dei�ministeri�e�capi�di�dipartimento)�potevano�essere�con-
fermati,�revocati,�modificati�o�rinnovati�entro�novanta�giorni�dal�voto�sulla�
fiducia�al�governo.�In�terzo�luogo,�che�tutti�gli�incarichi�dirigenziali�dovevano�
essere�conferiti�a�tempo�determinato,�per�una�durata�non�inferiore�a�due�e�
non�superiore�a�sette�anni.�In�quarto�luogo,�che�per�il�5�per�cento�dei�posti�
sia�di�dirigente�generale,�sia�di�dirigente,�i�ministri�potevano�nominare�

persone�scelte�dall'esterno.�
Nel�2002�e�stata�stabilita,�in�primo�luogo,�la�cessazione�degli�incarichi�
dirigenziali�generali�(direttori�generali),�che�vanno�attribuiti��ex 
novo��(alla�
stessa�persona�o�ad�altri),�e�di�quelli�dirigenziali�non�generali�(capi�divisione),�
che�sono�confermati�se�non�sono�attribuiti�ad�altra�persona�entro�novanta�
giorni.�In�secondo�luogo,�che�i�quaranta�incarichi�dirigenziali�piu�alti�cessano�
dopo�novanta�giorni�dal�voto�sulla�fiducia�al�governo.�In�terzo�luogo,�che�
tutti�gli�incarichi�dirigenziali�sono�a�tempo�determinato,�per�una�durata�mas-
sima�di�tre�anni�per�i�dirigenti�generali�e�di�cinque�per�gli�altri.�In�quarto�
luogo,�che�per�il�10�per�cento�dei�posti�di�dirigente�generale�e�per�l'8�per�cento�
di�quelli�di�dirigente�possono�essere�nominati�esterni�all'amministrazione.�

(3)�Si�tratta�di�un�effetto�determinato�dalla�norma�transitoria�contenuta�nel�secondo�comma�
dell'art.�8�del�d.P.R.�n.�150�del�1999,�che�disciplina�la�prima�attuazione�del�regime�della�contratta-
zione�individuale�degli�incarichi�di�dirigenza�generale.�Per�effetto�di�questa�norma,�il�dirigente�
generale�che�non�aveva�ricevuto�un�incarico�per�la�direzione�di�un�ufficio�di�livello�dirigenziale�
generale,�poteva�perdere�le�funzioni�fino�a�quel�momento�esercitate,�senza�che�l'amministrazione�
fosse�tenuta�a�seguire�le�procedure�di�garanzia�previste�dalla�normativa.�Questa�norma�(sulla�
quale�si�possono�leggere�le�circolari�del�Dipartimento�della�funzione�pubblica�n.�7�del�5�agosto�
1999�e�del�Sottosegretario�alla�Presidenza�del�Consiglio�dei�ministri�17�gennaio�2000)�e�stata�
impugnata�davanti�al�Tribunale�amministrativo�regionale�del�Lazio�che,�nell'ordinanza�19�luglio�
2000,�di�rimessione�alla�Corte�Costituzionale,�ha�riconosciuto�la�rilevanza�e�la�non�manifesta�
infondatezza�della�questione�di�costituzionalita�,�in�riferimento�agli�arti.�3,�97�e�98�Cost.�La�Corte�
costituzionale,�con�l'ordinanza�n.�11�del�2002,�ha�giudicato�manifestamente�infondata�la�relativa�
questione�di�costituzionalita�.�Secondo�i�ricorrenti,�tale�norma�introduceva,�per�tutti�i�dirigenti�
generali,�un�meccanismo�di�tipo��spoil 
system�,�che�il�legislatore�delegato�aveva�previsto�all'art.�
19,�comma�8,�de.�d.�lgs.�n.�165�del�2001�solo�per�gli�incarichi�dei�segretari�generali�e�capi�di�dipar-
timento,�i�quali�possono�essere�revocati�senza�particolare�motivazione,�in�base�al�gradimento�
politico.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Si�noti�che�il�primo�tipo�di�disposizione�e��una 
tantum�,�e�si�e�applicato�
all'inizio�del�centro-sinistra�(1996-2001)�e�all'inizio�del�centro-destra�(2002).�
Le�altre�disposizioni�sono�permanenti.�

L'unica�differenza�di�qualche�rilievo�tra�il�regime�del�1998-1999�e�quello�
del�2002�sta�nel�fatto�che�il�primo�stabiliva�una�durava�minima�di�2�anni,�
mentre�il�secondo�consente�incarichi�anche�mensili�e�semestrali.�

Per�comprendere�queste�norme�e�la�loro�portata�innovativa�vanno�ricor-
dati�alcuni�aspetti�del�contesto.�In�primo�luogo,�tutti�i�dirigenti,�dal�1998,�
sono�sottoposti�al�regime�privatistico:�non�hanno,�piu�lo�statuto�della�fun-
zione�pubblica.�Essi�sono,�quindi,�regolati,�da�contratti�di�lavoro�subordi-
nato.�E�i�contratti�sono�separati�dagli�incarichi.�Se�l'incarico�cessa,�non�ter-
mina�il�contratto�di�lavoro.�Il�dipendente�che�perde�l'incarico�resta�per�il�
massimo�di�un�anno�con�altro�incarico.�Che�cosa�accada�dopo�l'anno,�se�cioe�
cessi�anche�il�rapporto�di�lavoro,�non�e�chiaro�(4).�

In�secondo�luogo,�disposizioni�precedenti�(del�1992-1993)�avevano�stabi-
lito�una�distinzione�tra�governo�ed�alta�funzione�pubblica,�assegnando�al�
primo�l'indirizzo�e�il�controllo�e�alla�seconda�la�gestione.�Si�disse,�quindi,�
che�i�dirigenti�avevano�compiti�propri�di�cui�dovevano�essere�responsabili;�
che�i�ministri�dovevano�stabilire�obiettivi�e�direttive,�poi�valutare�alla�loro�
stregua�la�gestione�fatta�dai�dirigenti,�ed�essere,�quindi,�liberi�di�dismettere�i�
dirigenti�che�non�avessero�raggiunto�gli�obiettivi�o�rispettato�le�direttive.�
Tutto�cio�,�pero�,�non�spiegava�ne�la�cessazione�generalizzata,�ne�la�durata�
determinata�dell'incarico.�Infatti,�sarebbe�bastato�stabilire�l'obbligo�di�valuta-
zione�dell'attivita�e�la�dismissione�dei�dirigenti�per�mancato�raggiungimento�
degli�obiettivi�o�inosservanza�delle�direttive.�Che�la�spiegazione�non�tenesse�
e�dimostrato�dal�fatto�che�i�ministri�non�hanno�fissato�obiettivi,�ne�dato�
direttive,�ne�,�infine,�fatto�controlli.�

Molto�istruttiva�la�comparazione�con�la�situazione�precedente,�configu-
rata�fin�dal�1861,�e�regolata�da�ultimo�nel�1972�(con�la�norma�che�ha�intro-
dotto�e�regolato�la�dirigenza,�distinguendola�dalla�carriera�direttiva)�e�nel�
1992�(con�la�norma�che�ha�sottratto�gli�impiegati�pubblici,�compresi�i�diri-
genti,�ma�con�esclusione�dei�dirigenti�generali,�allo�statuto�del�pubblico�
impiego�e�li�ha�sottoposti�ai�contratti�collettivi�di�lavoro).�

Nel�regime�precedente�non�si�distingueva,�tra�rapporto�di�lavoro�ed�
incarico�e�non�vi�erano�cesure�tra�un�governo�e�l'altro.�Sia�i�dirigenti�generali,�
sia�i�dirigenti�erano�nominati�a�tempo�indeterminato,�i�primi�dal�Consiglio�
dei�ministri,�i�secondi�dai�singoli�ministri.�I�primi�erano�scelti,�di�regola,�tra�
i�dirigenti�piu�anziani�di�carriera;�i�secondi�per�concorso�interno.�Sia�i�primi�

(4)�Il�regime�dei�2002�ha�lasciato�nell'ambito�privatistico�solo�la�definizione�del�trattamento�
economico,�prevedendo�che�con�provvedimento�amministrativo�siano�determinati�durata,�oggetto�
ed�obiettivi,�del�contratto�individuale.�Resta�da�individuare�l'effettivo�residuo�spazio�negoziale�
della�contrattazione�collettiva.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

sia�i�secondi�potevano�essere�dismessi,�ma�per�gravi�motivi,�con�provvedi-
mento�motivato�o�con�ragioni�disciplinari�o�con�gravi�inadempienze,�e�dopo,�
contestazione�degli�addebiti�ed�esercizio�del�diritto�di�difesa�(5).�

Dunque,�il�nuovo�regime�della�dirigenza�si�differenzia�molto�da�quello�
precedente.�Prima�l'alta�funzione�pubblica�era�indifferente�al�passaggio�dei�
governi.�Questi�potevano�scegliere�le�persone�da�nominare�ai�vertici�burocra-
tici�alla�scadenza�della�carica�di�ciascuna�persona,�quando�il�dirigente�
andava�in�pensione,�o�veniva�nominato�consigliere�di�Stato�o�della�Corte�
dei�conti.�Ma�si�trattava�di�decisioni�prese�una�per�una,�a�seconda�dell'eta�
delle�persone.�E�venivano�prese,�specialmente�nei�ministeri�maggiori,�rispet-
tando�l'ordine�di�anzianita�.�Per�il�livello�immediatamente�inferiore,�quello�
dei�dirigenti,�la�nomina�avveniva,�invece,�in�base�a�concorsi�interni�al�quali�
potevano�accedere�i�dipendenti�con�almeno�cinque�anni�di�servizio.�

Ora,�invece,�i�vertici�burocratici�sono�azzerati�con�il�passaggio�da�un�
governo�all'altro.�E�il�nuovo�governo�puo�nominare�liberamente,�senza�dover�
nulla�spiegare,�ai�posti�piu�alti,�dipendenti�pubblici�o,�nella�misura�del�10�
per�cento,�privati.�

Prima�i�dirigenti�erano�nominati�senza�vincolo�di�durata�fino�alla�data�
di�cessazione�del�rapporto�di�lavoro�(65�anni,�poi�67),�ma�potevano�essere�
dismessi�con�procedura�in�contraddittorio�e�motivazione,�per�fatti�disciplinari�

o�gravi�inadempienze.�
Ora�c'e�la�possibilita�di�dismissione�per�non�avere�realizzato�gli�obiettivi�
e�rispettato�le�direttive,�ma�la�nomina�ha�durata�determinata�sin�dall'inizio�
in�un�massimo�di�tre�anni�per�i�dirigenti�generali�e�di�cinque�per�i�dirigenti.�

3.�^Le 
cause: 
la 
�passion�des�places�.�
Quali�sono�i�fattori�che�hanno�provocato�un�cambiamento�cos|�radicale?�
La�spiegazione�data�inizialmente�in�sede�ufficiale�e�la�seguente:�la�buro-
crazia�italiana�e�un�mondo�cristallizzato,�poco�mobile,�scarsamente�sensibile�
all'innovazione,�interessato�alla�carriera�e�ai�piccoli�privilegi�interni�piu�che�
al�rendimento.�Dunque,�occorre�introdurre�mobilita�e�responsabilita�.�

Questa�spiegazione�non�regge:�essa�parte�da�una�diagnosi�giusta�e�pro-
pone�un�obiettivo�anch'esso�giusto:�Ma�il�mezzo�prescelto,�e�cioe�il�ricambio�
per�nomina�politica�dei�dirigenti�e�la�loro�precarizzazione�non�e�l'unico�stru-
mento�per�raggiungere�l'obiettivo,�e�neppure�quello�piu�efficace.�Infatti,�piu�
mobilita�e�maggiori�rendimenti�si�sarebbero�potuti�ottenere�con�la�selezione�
sulla�base�del�merito�e�non�dell'anzianita�(e,�quindi,�istituendo�un��fast 
stream��per�l'accesso,�anche�dall'esterno,�dei�piu�meritevoli�al�vertice�ammini-
strativo)�piuttosto�che��azzerando��la�dirigenza�e�rimettendo�la�sostituzione�
a�un�giudizio�del�governo,�e�con�un�sistema�imparziale�di�valutazione�perio-
dica,�seguito�dalla�dismissione�in�caso�di�giudizio�negativo,�piuttosto�che�
limitando�dall'inizio�la�durata�nella�carica�dei�dirigenti.�

Il�vero�fattore�del�cambiamento�va�cercato�altrove,�nei�mutamenti�pro-
dottisi�nel�sistema�politico.�Negli�anni�'90�del�ventesimo�secolo,�vi�e�stata�

(5)�Ma�si�ricordano�pochissimi�casi�di�applicazione�di�questa�norma.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

una�generale�stabilizzazione�degli�esecutivi.�Al�centro,�questa�e�stata�prodotta�
dalla�introduzione�del�metodo�elettorale.�In�periferia�(regioni,�province�e�
comuni),�la�stabilizzazione�e�stata�prodotta�dalla�introduzione�della�elezione�
diretta�dei�presidenti�delle�giunte�regionali�e�provinciali�e�dei�sindaci.�

Il�nuovo�sistema�politico�italiano�non�ha�solo�rafforzato�i�governi;�ha�
anche�portato,�per�la�prima�volta,�al�governo�le�due�forze�politiche�estreme,�
comunisti�e�fascisti,�che�non�avevano�precedentemente�avuto�accesso�al�
potere�centrale.�

Questo�rafforzamento�della�politica,�nel�senso�di�stabilizzazione�dei�par-
titi�nei�governi�e�della�loro�durata,�e�avvenuto�in�un�decennio�di��quarantena�
della�politica�,�di�privatizzazioni�(che�hanno�fortemente�diminuito�il�settore�
pubblico�industriale�e�le�amministrazioni��parallele��dominate�dal�patronato�
politico)�e�di�affidamento�di�compiti�prima�governativi�ad�autorita�ammini-
strative�indipendenti�dal�governo.�

Le�conseguenze�di�questi�cambiamenti�concomitanti�si�sono�subito�fatte�
sentire.�La�durata�media�dei�governi,�prima�di�un�anno,�e�divenuta�(tenden-
zialmente)�quella�della�legislatura,�quindi�quinquennale.�I�partiti�al�governo�
si�sono�finalmente�sentiti�sicuri�e�padroni,�perche�hanno�alle�spalle�una�soli-
da�maggioranza�parlamentare.�E�sono�stati�subito�ripresi�dalla��passion 
des 
places�,�piu�forte�per�la�cura�dimagrante�fatta�in�precedenza�e�piu�difficile�
da�soddisfare�per�essersi�i�governi�degli�anni�'90�spogliati�di�posti�e�di�poteri,�
con�le�privatizzazioni�e�la�istituzione�di�autorita�indipendenti.�Infine,�le�due�
forze�politiche�che�prima�non�erano�state�al�governo�non�avevano�consuetu-
dine�con�l'alta�burocrazia.�Le�altre�forze�politiche�avevano,�nel�lungo�periodo�
dagli�anni�'60�agli�anni�'80,�contribuito�a�scegliere�gli�alti�burocrati,�sia�pur�
uno�ad�uno,�alla�scadenza�del�loro�rapporto�di�lavoro.�Comunisti�e�fascisti�
erano�stati�esclusi�da�questa�scelta.�Erano,�quindi,�particolarmente�interessati�
a�far�sentire�la�propria�voce.�

Dunque,�la�classe�politica�e�giunta�a�consolidarsi�ed�e�arrivata�a�questo�
punto�affamata�di�posti,�ma�con�difficolta�a�soddisfare�tale�fame�nei�campi�
solitamente�riservati�alla�politica,�le�nomine�negli�enti�pubblici�economici�e�
la�negoziazione�dei�controlli�sui�servizi�pubblici�(telecomunicazioni,�energia�
elettrica,�gas,�trasporti).�Ha�dovuto,�dunque,�rivolgersi�altrove,�cambiando�
le��regole�del�gioco��del�campo�posto�alle�sue�dirette�dipendenze,�quello�
burocratico.�

La�rapida�successione�del�governo�di�centro-destra�ad�uno�di�centro-
sinistra�ha�peggiorato�la�situazione,�perche�,�avendo�i�governi�del�primo�orien-
tamento�nominato�un�certo�numero�di�dirigenti,�quello�del�secondo�orienta-
mento�ha�ritenuto�suo�diritto�di�fare�ancora�di�piu�.�

Il�cambiamento�e�stato�condito�con�qualche�esercizio�di�retorica,�usando�
l'argomento�che�un�governo,�per�fare�una�sua�politica,�deve�disporre�di�
uomini�di�sua�fiducia.�Questo�argomento�e�stato�nutrito�a�sinistra�dal�con-
sueto�sospetto�per�la�burocrazia,�considerata�con�diffidenza�perche�ritenuta�
legata�ai�governi�precedenti�(nei�confronti�dei�quali,�la�sinistra�era�all'opposi-
zione)�e�perche�vista�come�un�esercito�di�sabotatori.�Ed�e�stato�nutrito�a�
destra�dalla�concezione�dello�Stato�come�azienda,�dove�il�nuovo��capo��
porta�la�sua��squadra�.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Dunque,�il�ricambio�per�nomina�politica�e�la�precarizzazione�non�
rispondono�ad�esigenze�funzionali�della�gestione�dello�Stato,�bens|�ad�esi-
genze�interne�di�un�corpo�politico,�come,�quello�italiano,�che�ha�sempre�
avuto�fame�di�posti�per�sistemare�propri�clienti�e�che�vuole�per�questa�strada�
assicurarsi�la�fedelta�politica�della�burocrazia.�E�paradossale�che�quello�che�
ne�il�fascismo�ne�il�lungo��regno��della�Democrazia�cristiana�avevano�fatto,�
sia�stato,�invece,�fatto,�in�cos|�breve�tempo�e�con�tanta�coerenza,�dai�due�
governi�di�opposta�tendenza�del�maggioritario.�

4.�^Gli 
effetti: 
il 
dominio 
deipolitici 
sui 
burocrati. 
Numerosi�gli�effetti�dei�provvedimenti�illustrati.�Il�primo�e�quello�di�
porre�in�una�condizione�istituzionale�di�debolezza�l'alta�funzione�pubblica.�
Questa�sa�che�deve�avere�il�gradimento�dei�diversi�governi,�se�vuole�conser-
vare�il�posto.�Sa�che�cio�e�completamente�discrezionale,�nel�senso�che�la�ces-
sazione�e�automatica,�prodotta�direttamente�dalla�legge�e,�quindi,�che�il�

governo�non�deve�dare�alcuna�giustificazione�del�proprio�operato.�Sa�che,�se�
nominata�o�confermata,�l'aspetta�almeno�un'ulteriore�conferma�da�parte�
dello�stesso�governo�(infatti,�la�durata�massima�dell'incarico�e�di�tre�anni,�
mentre�la�durata�massima�del�governo�e�di�cinque�anni).�Sa,�infine,�che�la�
sua�precarizzazione�impone�fedelta�al�governo�in�carica.�

A�loro�volta,�i�governi�sanno�di�avere�un�potere�enorme,�perche�possono�
decidere,�inizialmente,�tutto�in�una�volta,�sulla�sorte�della�dirigenza,�mentre�
prima�si�poteva�solo�volta�per�volta,�alla�scadenza�per�fine�dell'impiego�di�
ciascuno.�E�perche�possono�fare�le�nuove�nomine�o�le�conferme�per�periodi�
anche�piu�brevi�dei�tre�anni,�al�limite�anche�per�un�anno�o�sei�mesi,�cos|�
rafforzando�il�grado�di�dipendenza�della�funzione�pubblica�dal�governo.�

Oltre�a�questo�primo�effetto�(debolezza,�dipendenza,�precarizzazione,�
fidelizzazione),�ve�n'e�un�secondo,�indiretto.�Un�meccanismo�come�quello�
congegnato�e�suscettibile�di�avere�una�grande�forza�espansiva.�Una�volta�
nominate�persone�di�fiducia�in�posizioni�chiave�(per�esempio,�le�direzioni�
del�personale),�queste�potranno,�a�loro�volta,�fare�lo�stesso�con�i�livelli�infe-
riori,�non�dirigenziali,�promovendo�o�collocando�nei�posti�importanti�i�
dipendenti�dello�stesso�orientamento�politico.�

Il�terzo�aspetto�di�questa�generale�subordinazione�dei�dirigenti�ai�politici�
e�quello�di�ridare�nuovi�poteri�ai�ministri,�pur�conservandone�l'immunita�.�
Infatti,�da�un�lato,�i�ministri�possono�indirizzare�e�controllare,�non�compiere�
singoli�atti�di�gestione.�Dall'altro,�questi�ultimi�sono�affidati�a�dirigenti�resi�
dipendenti�e�precari�e�quindi�facilmente�manipolabili�e�persino�ricattabili.�
La�conseguenza�e�che�il�vertice�politico�riprende�in�mano�la�gestione,�ma�
senza�assumerne�le�responsabilita�,�perche�i�singoli�atti�di�gestione�saranno�
dei�dirigenti.�Cio�costituisce�un�indubbio�vantaggio,�specialmente�sotto�il�
profilo�penale�e�della�responsabilita�amministrativa�(davanti�alla�Corte�dei�
conti):�il�dirigente�si�addossa�la�responsabilita�,�il�ministro�prende�la�deci-
sione.�La�separazione�tra�compiti�politici�di�direzione�e�controllo�e�compiti�
amministrativi�di�gestione�comporta�una�certa�indipendenza�dei�dirigenti.�
Questi,�se�sono�deboli�e�precari,�faranno�quello�che�il�vertice�politico�dice�
loro,�con�l'ulteriore�beneficio,�per�quest'ultimo,�di�esercitare�poteri�senza�
addossarsene�le�relative�responsabilita�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Questo�modo�per�assicurarsi�almeno�il�conformismo,�se�non�l'affilia-
zione�politica�della�funzione�pubblica�(e�non�solo�di�quella�alta,�come�si�e�
visto),�produce�un�ulteriore�effetto,�quello�di�portare�alle�ultime�conseguenze�
l'assetto�monistico�dello�Stato.�Questo,�finche��c'era�il�metodo�elettorale�
proporzionale,�trovava�in�esso�la�garanzia�principale�di�equilibrio.�La�preca-
rieta�dei�governi�suppliva�all'assenza�di�contrappesi�e�di�garanzie.�Introdotto�
il�metodo�maggioritario,�che�si�e�innestato�su�un�sistema�parlamentare,�si�e�
rafforzato�il��continuum��maggioranza�elettorale-maggioranza�parlamen-
tare-governo.�Con�le�nuove�disposizioni�sulla�dirigenza,�il��continuum�si�
estende�alla�pubblica�amministrazione,�per�cui�chi�vince�le�elezioni�piglia�
tutto,�potere�legislativo,�governo�e�amministrazione;�rafforzando�quella�
�tirannide�della�maggioranza��nei�confronti�della�quale�un'alta�funzione�
pubblica�neutrale�avrebbe�potuto�funzionare�da�contrappeso.�

Non�vanno,�da�ultimo,�sottovalutate�le�conseguenze�economiche�del�
nuovo�regime.�Infatti,�da�un�lato,�con�il�passare�del�tempo,�vi�saranno�sem-
pre�piu�dipendenti�che�conservano�^per�il�massimo�di�un�anno,�perche��la�
sorte�successiva�e�incerta�(6)�^lo�stipendio,�con�compiti�di�studio,�ma�non�
l'incarico.�Quindi,�nonostante�gli�accorgimenti�presi�per�contenere�le�spese,�
vi�sara�un�aggravio�di�bilancio,�perche��si�dovranno�pagare�due�stipendi,�
quello�del�dirigente�non�confermato�e�quello�del�suo�successore.�Dall'altro,�
la�politicizzazione�della�funzione�pubblica�e�la�ricerca�che�questa�inesorabil-
mente�fara�di��santi�in�Paradiso��e�cioe�di�protettori,�produrra�moltiplica-
zione�di�posti,�gonfiamento�di�organici,�aggravi�ulteriori�di�bilancio(7).�L'in-
conveniente�era�gia�stato�notato,�nell'immediato�secondo�dopoguerra,�
quando�era�stato�proposto�(e�scartato)�un�regime�analogo,�dall'economista�
Ernesto�Rossi,�che�aveva�criticato�questo��sistema�delle�spoglie�all'italiana�.�

I�primi�segni�di�questo�radicale�mutamento�di�registro�si�possono�leggere�
sui�quotidiani.�In�uno�Stato�fortemente�dominato�dalla�politica�dei�partiti,�il�
mondo�un�po�polveroso�della�burocrazia�era�rimasto�parzialmente�immune�
dalla�lottizzazione.�Esso�era,�quindi,�ignoto�ai�mezzi�di�comunicazione�di�
massa.�I�nomi�dei�dirigenti�amministrativi�non�comparivano�sui�giornali�
(salvo�quelli�dei�prefetti,�fino�agli�anni�'70,�quando�vi�era�l'uso�di�presentarli,�
all'atto�della�nomina,�al�Presidente�della�Repubblica,�in�un'apposita�cerimo-
nia).�Ora,�i�giornali�sono�pieni�delle�notizie�di�chi�sara�confermato�e�di�chi�
non�lo�sara�,�con�tutto�il�corredo�di�notizie�circa�le�loro�affiliazioni,�amicizie�
e�simpatie�politiche.�

(6)�Si�noti�che�quella�dell'anno�di�studio�e�una�regola�che�vale,�nel�caso�di�mancata�con-
ferma�degli�incarichi,�solo�per�i�dirigenti�generali�e�solo�in�sede�di�prima�attuazione�della�legge�n.�
145�del�2002;�in�seguito,�a�regime,�e�controversa�la�sorte�dei�dirigenti�non�confermati,�nel�senso�
che�non�e�prevista�dalla�legge�nemmeno�la�garanzia�minima�dell'anno.�
(7)�La�corsa�al�conformismo�non�vale�solo�per�dirigenti�generali,�ma,�indirettamente,�coin-
volge�anche�i�dirigenti,�interessati�ad�ottenere�l'incarico�di�dirigente�generale.�Anzi,�per�questi,�la�
pressione�sara�maggiore�perche��la�conferma�nel�ruolo�dei�dirigenti�generali�dipende�dall'esercizio�
dell'incarico�per�un�periodo�quinquennale.�Quindi,�poiche��l'incarico�dura�al�massimo�per�3�anni,�
i�dirigenti,�per�essere�inquadrati�nel�livello�superiore,�devono�necessariamente�ottenere�almeno�
una�conferma.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

5.�^Continuita�efratturenell'altafunzionepubblica.�
Allarghiamo,�ora,�l'esame�dalla�recente�ridefinizione�dei�rapporti�tra�
politici�e�burocrati�al�piu��generale�modello�dell'alta�funzione�pubblica.�

Nella�sua�storia�si�registrano�continuita��e�fratture.�

Tre�sono�i�fattori�di�continuita��.�Il�primo�e��costituito�dalla�separazione�
tra�politici�e�burocrati.�Dopo�un�primo�periodo,�dopo�l'unificazione�politica�
e�amministrativa�dell'Italia,�di�osmosi,�per�cui�vi�erano�burocrati�che�diveni-
vano�politici,�successivamente,�le�due��carriere��sono�rimaste�separate.�Sono�
rari�i�casi�di�passaggio�dall'uno�all'altro�campo,�come�quelli�che�si�registrano,�
ad�esempio,�in�Francia.�

Il�secondo�fattore�di�continuita��e��costituito�dalla�presenza�dei�gabinetti.�
I�ministri�hanno�propri�collaboratori�di�fiducia,�da�essi�stessi�scelti,�secondo�
il�modello�francese�e�a�differenza�da�quello�britannico,�che�non�conosce�i�
gabinetti�(assumendo�che�i�burocrati�siano��face-less�figures�,�leali�servitori�
di�qualunque�maggioranza).�Ma�gia��qui�si�puo��registrare�un�cambiamento:�
mentre�nel�periodo�1948-78�circa�la�meta��dei�capi�di�gabinetto�e�dei�capi�degli�
uffici�legislativi�era�costituita�da�dirigenti�dello�stesso�ministero,�nel�periodo�
1979-1994�il�numero�dei�dirigenti�e��sceso�a�circa�un�quinto,�prevalendo�netta-
mente�consiglieri�di�Stato�e�della�Corte�dei�conti�e�avvocati�dello�Stato.�

Il�terzo�fattore�di�continuita��e��quello�culturale,�di�cui�sono�indizio�la�
provenienza�territoriale�e�la�formazione�universitaria�dei�dirigenti.�Nel�terzo�
quarto�del�secolo,�il�62�per�cento�dei�dirigenti�proveniva�dal�Sud.�Nell'ultimo�
quarto,�il�51�per�cento�(ma�la�diminuzione�dei�meridionali�e��compensata�dal-
l'aumento�dei�romani).�Dunque,�la�dirigenza�e��scarsamente�rappresentativa�
sotto�il�profilo�territoriale,�perche�il�numero�dei�dirigenti�meridionali�e��quasi�
doppio�rispetto�alla�popolazione�e�al�numero�di�politici�eletti�nel�
Mezzogiorno.�

A�questo�si�aggiunge�la�formazione�universitaria,�che�e��quella�giuridica�
per�ben�due�terzi�dei�dirigenti.�

Piu��forti�le�fratture,�principale�delle�quali�e��la�seguente.�Per�gran�parte�
della�storia�italiana,�e�comunque�per�tutto�il�dopoguerra,�l'equilibrio�tra�poli-
tica,�e�amministrazione�e��stato�tenuto�da�uno�scambio�nel�quale�la�dirigenza�
si�e��accontentata�di�avere�stipendi�modesti�e�poco�potere,�pur�di�avere,�in�
contraccambio,�aspettative�di�carriera�rette�dall'anzianita��e�stabilita��del�
posto.�

Questo�scambio�salari�e�potere�contro�stabilita��era�funzionale�al�sistema�
e�anche�alla�cultura�dei�dirigenti.�Al�sistema,�perche�la�stabilita��della�diri-
genza�bilanciava�la�instabilita��dei�governi.�Alla�cultura�dei�dirigenti,�perche�
questi,�provenendo�da�una�zona�povera�e�affamata�di�impieghi,�erano�parti-
colarmente�sensibili�alle�interferenze�nella�loro�posizione�e�carriera�e�inclini�
a�non�assumersi�responsabilita��.�

Alla�fine�del�ventesimo�secolo�sono�cambiati�tutti�e�tre�questi�fattori.�In�
primo�luogo,�come�gia��notato,�ai�dirigenti�sono�stati�attribuiti�i�poteri�di�
gestione:�non�c'e��decisione,�anche�importante,�dei�ministeri�che�non�sia�presa�
dai�dirigenti,�nell'ambito�degli�obiettivi�e�delle�direttive�del�ministro.�In�
secondo�luogo,�proprio�quando�veniva�scelto�il�nuovo�regime,�i�dirigenti�otte-
nevano�un�raddoppio�del�loro�stipendio,�passato�da�62-72�mila�euro�annui�a�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

114-124�mila�euro�per�anno�(questo�spiega�perche�i�dirigenti�abbiano�accolto�
il�nuovo�regime�senza�protestare,�accettando�il�baratto�precarizzazione�^piu�
alte�retribuzioni).�In�terzo�luogo,�i�governi�si�sono�stabilizzati�ed�hanno�reso�
instabile�e�precaria�la�posizione�dei�dirigenti.�

6.�^Il�nuovo�regime�alla�prova�di�costituzionalita�.�
Regge�il�nuovo�regime�alla�verifica�di�costituzionalita�?�La�Corte�costitu-
zionale,�con�grande�superficialita�,�ha�deciso,�di�recente�(ordinanza�n.�11�del�
2002)�che�per�i�dirigenti�pubblici,�a�differenza�dei�magistrati,��non�vi�e�[...]�
una�garanzia�costituzionale�di�autonomia�da�attuarsi�necessariamente�con�
legge�attraverso�uno�stato�giuridico�particolare�che�assicuri,�ad�esempio,�sta-
bilita�ed�inamovibilita��.�Essa,�ha,�cos|�,�accettato�il�nuovo�regime�(8).�

La�Corte�costituzionale�si�e�limitata,�pero�,�a�porre�a�confronto�l'art.�107�
della�Costituzione,�secondo�cui��i�magistrati�sono�inamovibili�,�con�gli�arti-
coli�97�e�98,�dove�non�c'e�norma�analoga�sulla�pubblica�amministrazione.�
Ma�questi�articoli�impongono�l'imparzialita�,�l'accesso�mediante�concorso�
(salvo�i�casi�stabiliti�dalla�legge),�l'obbligo�del��servizio�esclusivo�della�
nazione�,�il�divieto�di�conseguire�promozioni�non�per�anzianita�per�i�dipen-
denti�pubblici�membri�del�Parlamento�e�la�possibilita�di�porre�limiti�con�
legge�all'iscrizione�ai�partiti�politici�per�alcune�categorie�di�dipendenti�pub-
blici.�Dunque,�la�posizione�complessiva�del�dipendente�pubblico�e�regolata�
per�sottrarla�ai�condizionamenti�dei�partiti�(e�dei�governi).�Precarizzare�la�
dirigenza�e�rendere�completamente�discrezionale�la�scelta�dei�dirigenti,�com-
porta�l'introduzione�del�criterio�della�fiducia�nel�rapporto�ministro�^diri-
gente,�criterio�che�e�estraneo,�anzi�contrario�al�disegno�costituzionale.�Non�di�
inamovibilita�si�tratta,�ma�di�nomina�per�durata�determinata�(e�breve).�

Si�aggiunga�che�l'art.�92�della�Costituzione�dispone�che�il�Presidente�
della�Repubblica��nomina,�nei�casi�indicati�dalla�legge,�i�funzionari�dello�
Stato�.�Questa�norma�e�stata�dettata�per�sottoporre�la�nomina�dei�funzio-
nari,�operata�dal�governo,�al�controllo�di�un�potere��neutro��o�imparziale,�
quale�e�il�Presidente�della�Repubblica.�Quindi,�per�limitare�la�politicita�
indotta�dall'organo�che�opera�la�scelta�(il�governo).�Ma,�alla�fine�del�vente-
simo�secolo,�contemporaneamente�al�nuovo�regime,�questo�potere�e�stato�
eroso�ed�e�ora�limitato�ai�capi�dipartimento�e�ai�segretari�generali,�e�cioe�a�
non�piu�di�40�alti�funzionari.�

Il�secondo�motivo�per�cui�il�nuovo�regime�e�in�contrasto�con�la�Costitu-
zione�e�il�seguente:�l'automatica�cessazione�per�legge�dall'incarico�(�una�tan-
tum��di�tutti�i�dirigenti�e�permanente�per�i�dirigenti�generali�piu�importanti)�
viola�i�principi�del�giusto�procedimento�(contestazione�degli�addebiti,�diritto�
di�difesa,�obbligo�di�motivazione)�e�del�controllo�giurisdizionale�sulle�deci-
sioni�amministrative.�La�distinzione�tra�incarico�e�rapporto�e�,�in�realta�,�arti-

(8)�Ed�ha�eluso�il�quesito�posto�dal�Tribunale�amministrativo�regionale�del�Lazio,�con�l'or-
dinanza�n.�6060�del�2000,�che�aveva�sollevato�le�questioni�dell'effetto�della�precarieta�sull'impar-
zialita�e�dell'assenza�dell'obbligo�di�giustificare�il�mancato�rinnovo.�Si�veda�anche�la�sentenza�della�
Corte�Costituzionale�n.�313�del�1996.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

ficiosa,�sia�perche�l'incarico�definisce�il�contenuto�della�prestazione�lavora-
tiva,�sia�perche�non�si�sa�che�cosa�accada�del�rapporto�di�lavoro�dopo�l'anno�
dalla�cessazione�dell'incarico�sia,�principalmente,�perche�,�nella�prassi,�con-
tratto�e�incarico�sono�stati�indissolubilmente�legati�(il�contratto�definisce�il�
trattamento�economico�correlato�all'incarico�e�la�sua�efficacia�e�subordinata�
al�conferimento�dell'incarico�(9).�Se�dovesse�cessare�il�rapporto�di�lavoro,�vi�
sarebbe�un�licenziamento�senza�giusta�causa.�Ed�e�proprio�quello�che�e�acca-
duto�nel�caso,�perche�si�e�stabilito�un�rapporto�tra�durata�del�contratto�di�
lavoro�e�durata�dell'incarico.�

Il�terzo�motivo�di�illegittimita�costituzionale�della�norma�che�prevede,�per�
tutti�i�dirigenti�generali��una 
tantum��e�per�140�piu�alti�dirigenti�sempre,�la�ces-
sazione�automatica,�per�legge,�dall'incarico�(e�^come�si�e�detto�^anche�dal�con-
tratto)�al�cambio�del�governo,�riguarda�la�divisione�del�lavoro�tra�Parlamento�
ed�esecutivo.�Anche�senza�giungere�ad�affermare�che�vi�e�una��riserva�di�fun-
zione�amministrativa�,�infatti,�non�vi�e�dubbio�che�il�Parlamento,�in�questo�
caso,�ha�adottato�una�legge�con�effetti�che�sono�quelli�propri�di�un�atto�ammini-
strativo�(il�licenziamento)�e,�quindi,�che�vi�e�un�eccesso�di�potere�legislativo.�

Infine,�non�va�trascurato�che�la�cessazione�per�legge�dall'incarico�ha�
fatto�terminare�contratti�esistenti,�che�assicuravano�una�piu�lunga�durata�
del�rapporto�di�lavoro.�Ci�si�puo�chiedere�se�questa�invasione�legislativa�nella�
sfera�contrattuale�sia�legittima,�oppure�non�rappresenti�un�intervento�del�
Parlamento�in�un�ambito�riservato�ormai�all'autonomia�privata�e,�quindi,�da�
regolare�con�contratto.�

7.�^Conclusioni. 
Con�le�norme�del�1998-99,�sono�stati�dismessi�dall'incarico�69�dirigenti�
generali�(circa�il�16�per�cento�del�totale)�e�91�dirigenti�(circa�il�2�per�cento).�
I�circa�quaranta�dirigenti�di�grado�piu�elevato,�che�cessano�ogni�volta�che�
cade�un�governo,�quando�confermati,�hanno�avuto�una�conferma�per�ognuno�
dei�cinque�governi�che�si�sono�succeduti,�con�effetti�comici,�per�cui�i�piu�alti�
gradi�dello�Stato,�in�pochi�anni,�hanno�collezionato�cinque�decreti�di�incarico�
(da�parte�del�governo�Prodi,�dei�due�governi�D'Alema,�del�governo�Amato�e�
del�governo�Berlusconi),�con�relativi�contratti.�

La�norma�del�2002�ha�prodotto�effetti�ancor�maggiori�perche�ha�riguar-
dato,�mediamente,�il�40�per�cento�dei�posti�di�dirigenti�generali�(10)�e�perche�
il�governo�ha�affidato,�in�molti�casi,�incarichi�di�durata�inferiore�a�quelle�
massime�(3�e�5�anni),�spesso�di�5-6�mesi.�

(9)�Sul�legame�tra�incarico�e�contratto,�si�veda�la�gia�citata�circolare�del�Sottosegretario�alla�
Presidenza�del�Consiglio�dei�ministri�del�17�gennaio�2000,�per�cui�i�contratti�dei�dirigenti�generali�
dovevano�contenere�una�clausola�che�subordinava�l'efficacia�del�contratto�al�conferimento�dell'in-
carico.�Questo�legame�e�stato�confermato�dal�regime�del�2002.�La�conseguenza�e�che�un�nuovo�
governo�puo�disattendere�i�contratti�gia�stipulati,�dando�provvedimento�di�incarico�e�contratto�a�
favore�di�una�diversa�persona.�
(10)�I�posti�di�dirigente�generale�sono�387.�Di�questi�232�sono�stati�confermati,�85�dati�ad�
altre�persone;�41�dirigenti�sono�stati�assegnati�ad�altri�incarichi,�di�livello�equivalente�e�29�hanno�
avuto�incarichi�di�studio�di�durata�massima�annuale.�Non�si�dispone�di�dati�sui�dirigenti.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Una�situazione�di�questo�tipo�non�si�registra�in�nessun�paese�industria-
lizzato:�l'alta�funzione�pubblica�puo�quasi�ovunque�essere�rimossa,�non�
essendo�inamovibile;�deve�esserlo�con�una�giusta�causa;�ma�non�e�nominata�
per�un�tempo�determinato�(per�cui,�alla�scadenza,�cessa�dall'ufficio�senza�
alcuna�spiegazione).�

Questa�forma�di�licenziamento�senza�giusta�causa�e�peggiore�del�sistema�
definito�delle�spoglie.�Questo�proviene�dall'espressione�americana��spoils�
system�,�che,�a�sua�volta,�proviene�dalla�frase��to�the�victors�belong�the�
spoils�:�al�vincitore�le�spoglie.�E�un�sistema�sperimentato�negli�Stati�Uniti�
dal�1820�al�1883�in�modo�sistematico�e�poi�in�forma�attenuata.�Aveva�una�
giustificazione�nobile�(la�rotazione�negli�uffici�e�la�rottura�della�struttura�di�
casta�della�burocrazia)�e�una�meno�nobile�(la�ricompensa�di�servizi�partigiani�
resi�ai�candidati�alle�elezioni).�Ma�questo�sistema�prevedeva�la�cessazione�
del�rapporto�di�lavoro,�quando�un�nuovo�partito�andava�al�potere,�portando�
i�suoi�fedeli.�Invece,�il�regime�italiano�non�solo�consente�ad�ogni�governo�di�
nominare�i�propri�fedeli,�ma�permette�ai�ministri�di�sfruttare�la�breve�durata�
nella�carica�per�tenere�soggiogato�il�dirigente.�

Un'ultima�osservazione�riguarda�le�politiche�legislative.�Nel�breve�giro�
di�quattro�anni,�due�diverse�maggioranze�si�sono�dotate�di�leggi�per�regolare�
la�dirigenza.�Ogni�governo�si�e�fornito�di�poteri��ad�hoc�,�lungo�la�stessa�
direzione,�ma�con�accenti�diversi.�Questa�generale��manipolabilita��di�un�
assetto�che�dovrebbe�essere�stabile,�induce�a�previsioni�pessimistiche�sul�
futuro,�che�potrebbe�essere�ancora�peggiore,�rafforzando�il�dominio�della�
politica�sull'amministrazione.�La�continuita�dello�Stato�sara�,�dunque,�assicu-
rata�meno�da�un�corpo�di�professionisti�scelti�sulla�base�dei�loro�meriti,�che�
da�una�classe�politica�di��amateurs��selezionati�secondo�il�criterio�del�suc-
cesso�elettorale.�

Bibliografia�

1.�^Il�profilo�generale�dell'alta�funzione�pubblica,�i�dati�quantitativi�eleipo-
tesi�di�fondo�sono�in�S. 
Cassese, 
Grandezza�e�miserie�dell'alta�burocrazia�italiana,�
in��Politica�del�diritto�,�1981,�settembre,�n.�2-3,�p.�219;�S. 
Cassese, 
L'alta�dirigenza�
italiana:�un�mondo�cristallizzato,�in��Politica�del�diritto�,�1998,�marzo,�n.�1,�p.�155;�
S. 
Cassese-A. 
Mari, 
L'oscuro�ruolo�dell'alta�dirigenza�italiana,�in��Politica�del�
diritto�,�2001,�marzo,�n.�1,�p.�3;�S.�Sepe, 
L'alta�burocrazia�dello�Stato�tra�compe-
tenza�e�subalternita�;�G. 
Vetritto, 
Il�monopolio�della�cultura�giuridica�tra�i�direttori�
generali�dei�Ministeri;�L. 
Mazzone, 
Due�generazioni�di�direttori�generali�a�con-
fronto;�I.�Portelli, 
Le�nomine�esterne�dei�direttori�generali;�H. 
Rocchio-N. 
Belve-
dere, 
Geografia�dell'alta�burocrazia�nelle�amministrazioni�centrali�dello�Stato,�tutti�
in��Rivista�trimestrale�di�Scienza�dell'Amministrazione�,�2002,�n.�1.�
2.�^La�piu�accurata�trattazione�sistematica�della�materia�e�quella�di�S. 
Bat-
tini, 
Il�rapporto�di�lavoro�con�le�pubbliche�amministrazioni,�Padova,�Cedam,�
p.�605�ss.�
3.�^Gli�scritti�giuridici�di�maggiore�importanza�sul�problema�della�dirigenza�
sono:�M. 
D'AlbertI 
(a�cura�di),�La�dirigenza�pubblica,�Bologna,�Il�Mulino,�1990�e�
L'alta�burocrazia,�Il�Mulino,�1994�(dal�punto�di�vista�del�diritto�pubblico);�A. 
Zop-
poli, 
Dirigenza,�contratto�di�lavoro�e�organizzazione,�Napoli,�Edizioni�Scientifiche�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Italiane,�2000�e�il��Forum�di�LPA�su�La�riforma�della�dirigenza�pubblica:�attua-
zione�eproblemiapplicativi�,�con�scritti�di�G. 
D'Auria, 
G. 
D'Alessio, 
B. 
DentE 
E 
C. 
D'OrtA 
e�molti�altri�interventi�in��Illavoro�nellepubblicheamministrazioni�,�
2001,�gennaio-febbraio,�n.�1,�p.�15�ss.�(dal�punto�di�vista�del�diritto�privato).�Piu�
recente,�ma�incompleto,�L. 
Rinaldi, 
Autonomia,poteri�e�responsabilita�deldirigente�
pubblico:�un�confronto�con�ilmanagerprivato,�Torino,�Giappichelli,�2002.�

4.�^Per�comprendere�le�incertezze�e�le�oscillazioni�della�cultura�giuridica�
rispetto�al�nuovo�regime�della�dirigenza,�si�possono�leggere:�G. 
D'Alessio, 
La�con-
troriforma�della�dirigenza�pubblica�nel�Disegno�di�legge�del�governo,�in��Quale�
Stato�,�2001,�n.�4,�p.�132;�B. 
Dente, 
Riforme�(e�controriforme)�amministrative,�in�
�Il�Mulino�,�2001,�n.�6,�p.�1050;�F. 
Carinci, 
La�dirigenza�nelle�amministrazioni�
dello�Stato�ex�Capo�II,�Titolo�II,�d.lgs.�n.�29�del�1993�(il�modello��Universale�),�in�
�ADL-Argomentidi�diritto�dellavoro�,�2001,�n.�1,�p.�27;�P. 
Tosi, 
Dirigenzepubbliche�
e�private,�in��ADL-Argomenti�di�diritto�del�lavoro�,�2001,�n.�1,�p.�59;�G. 
DI 
Gaspare, 
Miti�e�paradossi�della�riforma�amministrativa�tra�asimmetria�informativa�
e�indirizzo�politico�amministrativo,�verso�un�modello�neocavouriano�di�amministra-
zione�pubblica?,�in��Diritto�pubblico�,�2001,�n.�2,�p.�653;�G. 
D'Alessio, 
La�legge�di�
riordino�della�dirigenza:�nostalgie,�antilogie�ed�amnesie,�in��Il�lavoro�nelle�pubbliche�
amministrazioni�,�2002,�marzo-aprile,�n.�2,�p.�213.�
5.�^Il�dibattito�preparatorio�della�norma�del�2002�e�raccolto�in��Funzionepub-
blica�,�2002,�n.�1-2.�
6.�^Sulla�norma�del�2002,�G. 
D'Auria, 
Ancora�una�riforma�della�dirigenza�
pubblica,�in��Giornale�di�diritto�amministrativo�,�2002.�Non�e�ancora�pubblicato�
l'ottimo�studio�di�V. 
Talamo, 
La�terza�volta�della�dirigenza�pubblica,�redatto�per�
la�Scuola�superiore�della�pubblica�amministrazione.�
7.�^Sulla�diversa�problematica�della�dirigenza�locale,�il�cui�assetto�e�stato�
dominato�(e�in�parte�continua�ad�esserlo)�dalla�statizzazione�del�periodo�fascista,�
R. 
LewanskI 
-S. 
Vassallo, 
Inuovidirigenticomunali.�Internioesterni:fadiffe-
renza?,�in��Rivista�italiana�dipolitichepubbliche�,�2002,n.�1,p.�99,icui�dati�vanno,�
pero�,�valutati�con�cautela,�sia�per�l'estensione�e�la�natura�della�indagine,�siaper�i�
rispondenti,�sia�per�l'assenza�di�metri�di�paragone.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Dossier 


Il 
termine 
ragionevole 
del 
processo: 
le 
ultime 
pronunce, 
aspettando 
le 
Sezioni 
Unite 


Mentre�la�giurisprudenza�della�Corte�di�Cassazione�si�andava�consoli-
dando�nelle�soluzioni�offerte�ai�principali�quesiti�posti�dalla�legge�

n.�89/2001,�la�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo�ha�criticato�la�scelta�ita-
liana�con�la�pronuncia�di�ricevibilita�che�pubblichiamo�a�pag.41�di�questo�
fascicolo.�In�sostanza,�osserva�la�CEDU,�il�sistema�italiano�non�offre�stru-
menti�reali�ed�efficaci�di�riparazione�in�favore�della�vittima�della�durata�irra-
gionevole�del�processo�sia�perche�non�riconosce�al�diritto�ad�un�giudizio�dai�
tempi�ragionevoli�la�qualita�di�diritto�fondamentale�dell'uomo,�sia�perche�
non�si�adegua�perfettamente�ai�principi�elaborati�dalla�giurisprudenza�euro-
pea�in�tema�di�ristoro�effettivo�del�danno.�La�decisione�ha�molto�preoccupato�
la�stessa�Procura�Generale�della�Corte�di�Cassazione,�che�ha�ritenuto�di�
richiamare,�sul�tema,�non�solo�l'attenzione�del�Ministero�degli�Esteri,�ma�
anche�della�stessa�Corte�di�Cassazione.�Fatto�sta�che�il�primo�Presidente�ha�
rimesso�alle�Sezioni�Unite�Civili�alcuni�ricorsi�per�l'esame�dei�temi�di�fondo,�
sinora�costantemente�ed�uniformemente�risolti�(cfr.�in�questa�Rassegna,�
aprile-giugno�2002,�le�sentenze�pubblicate�alle�pagg.�111�segg.�e�ivi,�luglio-
dicembre�2002,�pagg.�254�segg.).�
E�bene�ricordare�che�la�remissione�alle�Sezioni�Unite�e�avvenuta�a�
norma�dell'art.�374,�2.�comma,�u.p.,�il�che�rende�ingiustificata�la�perplessita�
di�chi�dovesse�vedere�in�tale�provvedimento�una�scelta�poco�coerente�con�il�
principio�supremo�della�soggezione�del�giudice��soltanto�alla�legge��che,�tra�
l'altro,�impone�sia�di�ignorare�le�critiche,�provengano�pur�esse�da�chi�riveste�
carichi�rilevanti�o�svolge�ruoli�istituzionali,�sia�di�rivendicare�con�ogni�fer-
mezza�alla�Magistratura�il�monopolio�dell'interpretazione�della�legge�nel�
processo.�

Non�resta�che�aspettare�se�verranno�o�meno�confermate�le�approfondite�
considerazioni�di�cui�a�Cassazione,�Sezione�Unite,�14�giugno�2002�n.�8503,�
sullo�stesso�tema�della�posizione�della�CEDU�nel�sistema�delle�fonti.�

Avv.�Antonio�Palatiello�

Corte 
di 
cassazione, 
Sez. 
I, 
11 
dicembre 
2002, 
n. 
17650 


Presidente�Saggio�^Relatore�Graziadei�^B.�(avv.�G.�Romano) 
c/�Ministero�della�Giustizia�(Avv.�dello�Stato�A.�Palatiello,�cont.�AGS�6714/09) 
e�viceversa 


Il�diritto�all'equa�riparazione�dei�danni�derivanti�dalla�irragionevole�durata�
del�processo�e�stato�introdotto�nel�nostro�ordinamento�dalla�legge�n.�89/2001�e�
riguarda�le�violazioni�verificatesi�anteriormente;�tuttavia�la�morte�della�vittima�
di�tempi�irragionevoli�della�lite�intervenuta�prima�dell'entrata�in�vigore�di�tale�
legge�e�ostativa�alla�nascita�del�diritto,�che�dunque�gli�eredi�non�hanno�potuto�
trovare�nelpatrimonio�del�de�cuius�(1).�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

�(omissis).�^I�ricorsi�devono�essere�riuniti,�ai�sensi�dell'art.�335�cod.�proc.�civ.�

Il�primo�motivo�del�ricorso�principale�ed�il�primo�motivo�del�ricorso�incidentale,�da�esa-
minarsi�congiuntamente,�pongono�la�questione�dell'applicabilita�della�legge�n.�89�del�2001�
alle�violazioni�del�principio�della�ragionevole�durata�del�processo�verificatesi�anteriormente�
alla�data�della�sua�entrata�in�vigore,�ed�inoltre,�in�caso�di�risposta�positiva,�l'ulteriore�que-
stione�dell'invocabilita�della�legge�medesima�da�parte�dell'erede,�in�relazione�al�pregiudizio�
determinatosi�a�carico�del�dante�causa,�quando�il�decesso�preceda�quella�data.�

L'Amministrazione�propugna�la�soluzione�negativa�del�primo�dei�riportati�quesiti,�con�il�
superamento�del�secondo,�sul�rilievo�che�la�legge�n.�89�del�2001,�avendo�introdotto�nell'ordi-
namento�un�diritto�nuovo,�opererebbe�esclusivamente�per�le�vicende�processuali�successive�
alla�sua�entrata�in�vigore,�non�dunque�per�fatti�pregressi,�con�la�sola�eccezione�prevista�dal-
l'art.�6�per�il�caso�in�cui�su�tali�fatti�anteriori�sia�pendente�istanza�di�riparazione�davanti�alla�
Corte�Europea;�di�conseguenza�sostiene�che�la�Corte�di�Genova�avrebbe�dovuto�negare�fon-
damento�anche�alla�pretesa�avanzata�da�G.B.�

Iricorrentiprincipali�assumonoinvecechedettaleggee�innovativa�soltanto�sotto�ilprofilo�del-
l'attribuzione�di�azione�davanti�al�giudice�nazionale,�mentre,�recependo�un�accordo�internazionale�
gia�precettivoevincolante,abbracciaidannianteriori,riconoscendoancheperessiildirittoaripara-
zione;�netraggonoilcorollariochetaledirittoe�stato�acquisitodaG.B.�perilnocumentosubitofino�
algiorno�del�decesso,�ed�eradunque�azionabile�daisuoi�eredi,�subentratinel�diritto�stesso.�

I�riportati�motivi�vanno�respinti,�sulla�scorta�delle�seguenti�considerazioni.�

L'art.�2�della�legge�n.�89�del�2001,�contrariamente�a�quanto�afferma�l'Amministrazione,�
contempla,�senza�limitazioni�temporali,�le�violazioni�dell'art.�6�paragrafo�1�della�Conven-
zione,�e,�quindi,�riguarda�le�inosservanze�del�canone�della�ragionevole�durata�del�processo�
verificatesi�dopo�la�ratifica�di�detta�Convenzione�da�parte�dell'Italia,�anche�se�prima�dell'en-
trata�in�vigore�della�legge�medesima.�

Questo�ambito�di�applicazione�non�tocca�pero�l'efficacia�ex�nunc�della�disposizione,�in�
quanto�costitutiva�del�diritto�a�riparazione�in�dipendenza�di�quelle�inosservanze,�tenendosi�
conto�che�l'insorgenza�di�detto�diritto�in�un�momento�anteriore�non�potrebbe�prescindere�
da�un'espressa�previsione�di�retroattivita�.�

La�carenza�di�siffatta�previsione�comporta,�a�confutazione�della�tesi�dei�ricorrenti�princi-
pali,chelamortedellavittimaditempiirragionevolidellalite,�seintervenutaprimadell'entrata�
invigoredellaleggen.�89del2001,e�ostativaallanascitadeldirittoindiscorso(edallasuatra-
smissione�agli�eredi),�in�base�alla�regola�generale�secondo�cui�un�soggetto�non�piu�esistente�
non�puo�diventare�titolare�di�posizioni�contemplate�da�norma�posteriore�al�suo�venir�meno.�

Ai�predetti�criteri�si�e�conformato�il�provvedimento�impugnato,�negando�in�radice�la�
facolta�degli�eredi�di�F.B.�di�reclamare�un'equa�riparazione�iure�successionis,�ed�esaminando�
le�loro�istanze�con�riferimento�solo�al�pregiudizio�dedotto�iure�proprio,�con�riguardo�al�pro-
trarsi�del�giudizio�d'appello�dopo�la�riassunzione�nei�loro�confronti�(omissis)�.�

Corte 
di 
Cassazione, 
Sez. 
I, 
14 
gennaio 
2003, 
n. 
360 


Presidente�Saggio�^Relatore�Morelli�^Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�

(Avv.�delloStatoA.�Palatiello,�cont.�AGS14883/02)�c/M.�(n.c.)�
Il�diritto�all'equa�riparazione�introdotto�dalla�legge�n.�89�del�2001�non�

poteva�essere�acquisito�da�chi,�al�momento�della�sua�entrata�in�vigore,�non�

era�piu�in�vita�e�dunque�nulla�al�riguardo�possono�avere�ereditato�i�suoi�

successori(2).�

(1-2)�LasoluzioneoffertadallaCortediCassazionee�dacondividere,ede�inlineaconlagiurispru-
denza�della�Corte�Europea:�questa,�infatti,�sino�al�momento�dell'entrata�in�vigore�della��legge�Pinto��
riteneva�ricevibili�i�ricorsi�proposti�direttamente,�senza�il�previo�esperimento�dei�rimedi�interni�perche�
riteneva�che�in�Italia�non�fosse�data�riparazione�alla�vittima�della�durata�irragionevole�del�processo.�

Dunque�anche�alla�luce�della�giurisprudenza�CEDU,�la�quale�va�indubbiamente�considerata,�come�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

�(omissis).^Considerato�in�diritto�che,�secondo�la�stessa�prospettazione�del�richie-
dente,�la�premessa�giuridica�della�domanda�da�lui�azionata�nella�dichiarata�qualita�di��erede�
del�fratello��defunto�(nel�1981),�e�il�previo�acquisto,�da�parte�di�quest'ultimo,�del�diritto�ad�
equa�riparazione�ex�lege�n.�89�del�2001�(diritto,�in�tesi,�poi�trasmessogli�iure�successionis),�
in�relazione�al�danno�che�si�assume�conseguente�all'eccessiva�durata�di�un�processo�a�suo�
tempo�instaurato�dal�de�cuius�innanzi�alla�Corte�dei�Conti;�

che�proprio�tale�premessa�^come�denunciato�dall'Amministrazione�(ora�ricorrente�con�i�
primi�connessi�due�motivi�della�impugnazione)�^e�effettivamente�viziata�in�radice;�

che�infatti�il�diritto�all'equa�riparazione�introdotto�dalla�legge�n.�89�del�2001�non�poteva�
evidentemente�essere�acquisito�da�persona�che,�al�momento�della�sua�entrata�in�vigore,�non�
era�piu�in�vita�e,�in�quanto�per�tal�ragione�priva�di�soggettivita�giuridica,�non�poteva�^per�
definizione�^assumere�la�titolarita�di�alcuna�posizione�giuridica�soggettiva;�

che,�pertanto,�il�diritto�al�preteso�indennizzo�ex�lege�n.�89/01�cit.,�non�esistente�nel�
patrimonio�del�defunto�al�momento�del�suo�decesso,�non�poteva,�conseguentemente,�essere�
trasmesso�all'erede�che�a�torto,�dunque�ora�la�rivendica;�

che�il�ricorso�della�Presidenza�del�Consiglio�e�quindi�fondato�nei�due�suoi�primi�com-
messi�mezzi,�con�assorbimento�della�terza�e�residua�censura�subordinata;�

che,�per�l'effetto�va�cassato�il�decreto�impugnato;�

che�la�causa�puo�decidersi�nel�merito�ai�sensi�del�novellato�art.�384�c.p.c.�discendendo�
immediatamente,�dall'applicazione�del�principio�di�diritto�come�sopra�enunciato,�l'infonda-
tezza�della�pretesa�avanzata�iure�hereditario�dal�M.�(omissis)�.�

Corte 
di 
Cassazione, 
Sez. 
I, 
3 
aprile 
2003, 
n. 
5118 


Presidente�Saggio�^Relatore�Morelli�^P.�(avv.�R.�Scarnati)�
c/�Ministero�della�Giustizia�(Avv.�dello�Stato�A.�Palatiello�
cont.�AGS�26029/02)�e�viceversa�

Nella�valutazione�della�irragionevole�durata�delprocesso�vanno�considerate�
le�attivita�deceleratorie�da�qualsiasi�organo�statale�provenienti�perche�,�comun-
que,�oggettivamente�incidenti�sulla�definitiva�risposta,�in�termini�di�effettivita�,�
ad�una�domanda�di�giustizia�del�cittadino�(nella�specie,�si�trattava�del�ritardo�
con�cui�una�Conservatoria�dei�Registi�Immobiliari�aveva�rilasciato�un�certificato�
necessario�aifini�dell'esecuzione�immobiliare)�(3).�

�(omissis)�^E�viceversa�fondato�l'unico�complesso�motivo�della�impugnazione�princi-
pale,�che�si�rivolge�propriamente�alla�statuizione�di�esclusa�compatibilita�,�ai�fini�dell'inden-

hadasubitosottolineatolagiurisprudenzadellaCassazione(cfr.�ades.�Cass.�2agosto2002,n.�11592,in�
questa�Rassegna,�aprile-giugno�2002,�117),�e�esatto�affermare�che�prima�della�legge�Pinto�il�diritto�all'e-
qua�riparazione�(ed�a�maggior�ragione�al�risarcimento�del�danno)�non�esisteva�nel�nostro�ordinamento�
(salvo,�ovviamente,leipotesidelfattoillecito).�E�coerente,�dunque,�escludereildirittodell'eredeallaripa-
razione�per�l'epoca�in�cui�tale�diritto�non�poteva�esistere�nel�patrimonio�del�de�cuius,�il�quale,�deceduto�
prima�della�nascita�di�quel�diritto,�non�poteva�certo�averlo�acquistato.�

(3)�La�soluzione�qui�adottata�e�coerente�con�la�rilevanza�delle��violazioni�di�sistema��gia�
affermata,�ad�esempio,�da�Cass.�26�luglio�2002,�n.�11046�(in�questa�Rassegna,�aprile-giugno�2002,�
111)�nel�senso�che,�nell'accertare�la�violazione,�il�giudice�deve�considerare,�tra�l'altro,�il��comporta-
mento�di�ogni�altra�autorita�chiamata�a�concorrere�o�a�contribuire�alla�definizione�del�procedi-
mento��(Cass.�n.�11046/02�cit.),�l'autorita�del�tutto�estranea�all'apparato�giurisdizionale.�Non�e�
chiaro,�pero�,�quale�sia,�in�quest'ultima�ipotesi,�il�fondamento�della�legittimazione�passiva�del�
Ministero�della�Giustizia,�piu�coerentemente�negata�in�favore�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�
Ministri,�quale�soggetto��residuale�,�dalla�ricordata�sentenza�n.�11046/02.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

nizzoper�cuie�causa,�del�ritardo�verificatosi�nel�giudizio�a�quo,�avente�ad�oggetto�esecuzione�
immobiliare,�in�dipendenza�del�tardivo�rilascio�della�documentazione�(prevista�dall'art.�567�
c.p.c.)�da�parte�della�Conservatoria�dei�Registri�Immobiliari.�

In�tesi�della�Corte�territoriale,�i�tempi�dovuti�alle�disfunzioni�di�tale�Organo�ammini-
strativo,�a�suo�avviso�non�annoverabile�tra�quelli�chiamati�a�concorrere�o�contribuire�alla�
definizione�del�procedimento�ex�art.�2�legge�n.�89/01,�andrebbero�conseguentemente�
appunto�detratti�dalla�complessiva�durata�del�processo,�ai�fini�della�correlativa�valutazione�
di�ragionevolezza.�

Ma,�anche�per�tal�profilo,�l'interpretazione�restrittiva�del�citato�art.�2�legge�89/01,�che�
l'Avvocatura�cos|�propone,�in�contrasto�con�la�stessa�lettera�e�soprattutto�con�le�finalita�della�
legge�Pinto,�va�superato�in�coerenza�ai�principi�da�questa�Corte�gia�enunciati�nelle�innanzi�
richiamate�sentenze�n.�14885,�n.�13768�e�(per�obiter)�n.�13987/02,�a�proposito�della�computa-
bilita�,�in�procedure�in�particolare�di�sfratto�per�rilascio�di�alloggio,�del�ritardo�ascrivibile�a�
provvedimenti�dell'Autorita�Amministrativa�(dinieghi�prefettizi�di�assistenza�della�forza�pub-
blica)�e�della�stessa�autorita�legislativa�(sequenze�di�normative�di�proroga)�^(principio)�per�
cui�l'indennizzo�ex�art.�2�legge�n.�89/01�e�destinato�a�porre�riparo�alle��disfunzioni�del�
sistema�,�venendo�a�tal�fine�in�rilievo�l'attivita�(deceleratoria)�da�qualsiasi�organo�dello�Stato�
proveniente�purche�,�comunque,�oggettivamente�incidente�sulla�definitiva�risposta,�in�termini�
di�effettivita�,�ad�una�domanda�di�giustizia�del�cittadino�(omissis)�.�

Corte 
di 
cassazione, 
Sez. 
I, 
17 
febbraio 
2003, 
n. 
2309 


Presidente�Olla�^Relatore�Adamo 
D.�S.�ed�altri�(Avv.ti�A.�Miglino�e�F.�Miglino)�c/�Ministero�della�Giustizia 
(Avv.�delloStatoA.�Palatiello,�cont.�A.G.S.35472/01)�eviceversa 


Il�danno�economico�puo�essere�ricollegato�al�ritardo�nella�definizione�del�
processo�solo�se�sia�l'effetto�immediato�di�tale�ritardo�e�a�condizione�che�si�ricol-
leghi�al�ritardo�stesso�sulla�base�di�una�normale�sequenza�causale:�pertanto�
nonpuo�considerarsidanno�dovuto�alla�irragionevoleduratadelprocessoquello�
consistente�nella�minore�entita�del�risarcimento�da�accessione�invertita�disposta�
dalla�sopravvenuta�legge�n.�662/1996(4).�

Sulla�somma�dovuta�a�titolo�di�equa�riparazione�dei�danni�derivati�dalla�
irragionevole�durata�del�processo�spettano�gli�interessi�legali�solo�dalla�data�
della�domanda(5).�

(4)�Il�principio�e�sicuramente�corretto.�La�stessa�Corte�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo�
affrontando�il�tema�proprio�della�sopravvenienza�della�legge�n.�662/1996,�ha�soffermato�l'atten-
zione�sull'aspetto�riguardante�il�diritto�di�proprieta�,�cos|�ritenendo�non�rilevante�il�tema�della�
durata�del�processo�e�della�sua�ricaduta�sulla�quantificazione�dell'indennita�di�espropriazione�o�
del�ristoro�per�l'accessione�invertita:�cfr.�CEDU,�20�maggio�2003,�S.�c/�Italia,�in�questo�fascicolo,�
pag.�44.�
(5)�Fra�le�possibili�soluzioni�del�tema�della�decorrenza�degli�interessi�(dalla�data�del�fatto�e�
cioe�dal�momento�in�cui�la�durata�del�processo�si�e�fatta�irragionevole�determinando�danni;�o�
dalla�data�della�domanda;�o�dalla�data�della�liquidazione)�la�Corte�di�Cassazione�ha�optato�moti-
vatamente�per�la�soluzione�intermedia.�E�da�ricordare,�tuttavia,�che�per�l'analogo�problema�della�
riparazione�dell'ingiusta�detenzione�la�scelta�fu�nel�senso�della�decorrenza�dalla�data�del�decreto�
di�liquidazione:�si�veda�Cass.,�S.U.,�14�giugno�2001,�n.�24287,�in�questa�Rassegna�2002,�II,�465,�
con�nota�di�C.�Pluchino,e�le�mie�Brevi�osservazioni�sulle�soluzioni�adottate�dalla�Corte�di�Cassa-
zione,�in�questa�Rassegna,�aprile-giugno�2002,�140.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

�(omissis) 
^Assume�il�ricorrente�che�erronea�deve�ritenersi�la�statuizione�contenutanel-
l'impugnata�sentenza�in�base�alla�quale�la�concatenazione�causale�fra�l'irragionevole�durata�
del�processo�ed�il�preteso�danno�patrimoniale�subito�sarebbe�stata�interrotta�dall'emana-
zione�della�legge�n.�662/1996.�

Infatti�l'adottata�definizione�del�nesso�di�causalita��contrasta�con�i�principi�desumibili�
dal�vigente�ordinamento�sia�che�si�voglia�adottare�la�teoria�della�conditio 
sine 
qua 
non,sia�
che�si�voglia�far�ricorso�al�principio�della�causalita��adeguata,�posto�che�per�entrambe�le�teo-
rie�cio��che�interrompe�il�nesso�di�causalita��e��solo�il�fatto�imprevedibile�e�come�tale�non�ricon-
ducibile�nell'iter�causale�ordinario�(id 
quodplerumque 
accidit).�

Nella�specie�proprio�il�fatto�che�il�processo�fosse�ancora�pendente�oltre�i�limiti�della�
ragionevole�durata,�e��stato�messo�a�profitto�dallo�Stato�con�l'emanazione�della�legge�

n.�662/1996�che�ha�ridotto�l'ammontare�del�risarcimento�dovuto�in�caso�di�accessione�inver-
tita,�sicche�l'emanazione�della�legge�stessa�lungi�dal�costituire�un�fatto�imprevedibile�e��stata�
resa�possibile�proprio�dalla�durata�del�processo.�
Inoltre�la�Corte�territoriale�non�ha�tenuto�conto�che�ogni�fatto�che�accade�nel�periodo�
di�irragionevole�durata�del�processo�e�determina�danno�deve�ritenersi�causativo,�unitamente�
alla�durata�del�giudizio,�del�pregiudizio�prodottosi.�

Il�ricorso�e��infondato�e�va�pertanto�respinto.�
Invero�il�vigente�ordinamento�giuridico,�come�si�desume�dall'art.�41�comma�2�c.p.�ha�
adottato�il�principio�della�c.d.�causalita��adeguata�distaccandosi�dalla�concezione�condiziona-

listica�della�conditio 
sine 
qua 
non, 
propria�del�diritto�romano,�sicche�deve�escludersi�che�ogni�
accadimento�che�si�inserisca�nella�concatenazione�causale�sia�per�cio��stesso�causa�dell'evento.�

Devono�ritenersi�infatti�causa�dell'evento�solo�quegli�accadimenti�che�sono�la�causa�
diretta�dell'evento�con�la�conseguenza�che�i�fatti�sopravvenuti�interrompono�il�nesso�di�cau-
salita��,�quando�siano�di�per�se�sufficienti�a�determinare�l'evento.�

Pertanto�il�danno�economico�puo��essere�ricollegato�al�ritardo�nella�definizione�del�pro-
cesso�solo�se�sia�l'effetto�immediato�di�tale�ritardo�e�a�condizione�che�si�ricolleghi�al�ritardo�
stesso�sulla�base�di�una�normale�sequenza�causale�(id 
quodplerumque 
accidit).�

Nel�caso�in�esame�il�danno�economico�lamentato�dal�ricorrente,�costituito�dalla�diffe-
renza�fra�quanto�incassato�e�quanto�avrebbe�potuto�incassare,�non�e��correlato�direttamente�
al�ritardo�nella�definizione�del�giudizio�sulla�base�di�una�normale�sequenza�causale,�prevedi-
bile�ed�evitabile,�in�quanto�trova�la�sua�causa�nell'emanazione�di�una�legge�che�ha�alterato�
la�normale�sequenza�causale�e�che�non�era�prevedibile,�in�quanto�frutto�di�una�decisione�
discrezionale�e�politica�del�legislatore.�

Suffragaquantofinquiespostolaconsiderazioneche,indifettodellaleggen.�662/1996,�
il�ritardo�nella�definizione�del�processo�non�avrebbe�comportato�di�per�se�il�danno�lamentato�
dal�D.�S.�che�avrebbe�visto�liquidarsi�il�risarcimento�per�l'accessione�invertita�subito�sulla�
base�della�previgente�normativa,�per�lui�piu��favorevole,�sicche�il�danno�in�questione�va�ricol-
legato�ad�un�fatto�sopravvenuto�di�per�se�solo�sufficiente,�costituito�appunto�dalla�promulga-
zione�della�legge�n.�662/1996.�

Giova�infine�rilevare�che,�fermo�quanto�gia��precisato�in�ordine�al�nesso�di�causalita��fra�
il�danno�lamentato�dalla�ricorrente�ed�il�ritardo�nella�definizione�del�processo,�non�e��in�
radice�giuridicamente�possibile�ricollegare�un�evento�dannoso�alla�promulgazione�di�una�
legge,�essendo�l'emanazione�delle�leggi�espressione�di�un�potere�politico�del�legislatore�che,�
di�fatto,�puo��anche�incidere�negativamente�sulle�posizioni�di�singoli�cittadini�ma�mai�radi-
care�un�danno�giuridicamente�risarcibile,�posto�che�una�tale�ipotesi�verrebbe�ad�incidere�gra-
vemente�sul�potere�libero�e�discrezionale�di�formazione�delle�leggi�che�la�Costituzione�rico-
nosce�al�Parlamento�e�configura�libero�da�ogni�condizionamento�(omissis).�

(omissis) 
Con�il�secondo�motivo�l'Amministrazione,�ricorrente�incidentale,�lamenta�vio-
lazione�e�falsa�applicazione�degli�artt.�1224�e�1228�comma�1�c.c.,�nonche�omessa�o�insuffi-
ciente�motivazione�su�un�punto�rilevante�della�controversia.�

Deduce�l'Amministrazione�che�sulla�somma�riconosciuta�a�titolo�di�danno�morale�non�
dovevano�essere�liquidati�gli�interessi�a�decorrere�dal�superamento�della�ragionevole�durata�
del�giudizio�e�cio��perche�:�

a) 
il�termine��equa�riparazione��usato�dal�legislatore�denota�che�non�si�tratta�di�un�
integrale�risarcimento�ma�di�un�semplice�indennizzo,�come�evidenziato�anche�dalla�circo-
stanza�che�l'art.�3�comma�7�della�legge�n.�89/2001�stabilisce�che�l'equa�riparazione�potra��
essere�erogata�nell'ambito�delle�risorse�messe�a�disposizione�dallo�Stato;�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

b)�trattandosi�di�un�equo�indennizzo�non�e�possibile�determinarne�l'ammontare�prima�
della�liquidazione�decisa�del�giudice�sicche�,�a�tutto�concedere,�gli�interessi�avrebbero�potuto�
essere�liquidati�solo�a�decorrere�dalla�decisione�che�assume�carattere�costitutivo�del�diritto�
alla�percezione�della�somma.�

Il�motivo�e�fondato�per�quanto�di�ragione�e�va�pertanto�accolto�nei�limiti�in�prosieguo�
precisati.�

Va�in�ordine�logico�per�primo�evidenziato�che,�come�precisato�dalla�Corte�di�Cassazione�
con�la�sentenza�n.�11987/2002,�il�superamento�della�ragionevole�durata�del�processo�non�da�
luogo�ad�un'obbligazione�ex�delictu�ma�ad�un'obbligazione�ex�lege,�riconducibile�nell'ambito�
della�previsione�di�cui�all'art.�1173�c.c.�ed�avente�natura�indennitaria.�

La�natura�indennitaria�dell'equa�riparazione�comporta�che�la�stessa�non�ha�una�finalita�
interamente�compensativa�che�non�potrebbe�ritenersi�realizzata�se�la�somma�liquidata�non�
fosse�corredata�dagli�interessi,�a�decorrere�dall'insorgere�delle�obbligazioni�cos|�come�
avviene�per�le�obbligazioni�ex�delictu.�

Pertanto�gli�interessi�in�esame,�tenuto�conto�della�natura�dell'obbligazione�alla�quale�acce-
dono�e�non�avendo�gli�stessi�finalita�compensativa,�dovranno�necessariamente�decorrere�dalla�
domanda�di�equa�riparazione,�proposta�avanti�alla�Corte�di�appello�di�Roma,in�base�alprinci-
pio�secondo�cui�gli�effetti�della�pronunzia�retroagiscono�alla�domanda,�nonostante�il�carattere�
di�incertezza�e�illiquidita�del�credito,�prima�della�pronunzia�giudiziaria�(omissis)�.�

Corte 
di 
Cassazione, 
Sez. 
I, 
6 
febbraio 
2003, 
n. 
1740 


PresidenteOlla^RelatoreTirelli^G.�(Avv.tiT.LaroccaeG.Campanini)�

c/�Ministero�della�Giustizia�(Avv.�dello�Stato�A.�Palatiello�

cont.�AGS�20838/02)�
Il�processo�penale,�ai�fini�del�calcolo�della�durata�il�cui�eccesso�da�luogo�

all'equa�riparazione�dei�conseguenti�danni,�inizia�per�l'indagato�nel�momento�in�

cui�egli�abbia�notizia�delle�indagini�a�suo�carico(6).�

�(omissis)�Motivi�della�decisione�^Osserva�innanzitutto�il�Collegio�che�a�seguito�di�un�
nutrito�contenzioso�che�aveva�portato�la�Corte�europea�dei�diritti�dell'uomo�(CEDU)�a�con-
dannare�piu�volte�lo�Stato�italiano,�la�legge�n.�89/2001�ha�riconosciuto�a�ciascun�interessato�
il�diritto�di�richiedere�anche�ai�giudici�nazionali�la�concessione�di�un'equa�riparazione�in�caso�
di�violazione�del�termine�ragionevole�del�processo.�

Il�testo�normativo�non�chiarisce,�pero�,�quand'e�che�inizia�quest'ultimo,�ponendo�cos|�
all'interprete�il�problema�di�colmare�la�relativa�lacuna.�

A�questo�proposito�e�per�quanto�riguarda�piu�in�particolare�il�giudizio�penale,�conviene�
premettere�che�nel�sistema�dell'attuale�codice�di�procedura,�occorre�distinguere�tra�una�fase�
procedimentale,�che�inizia�con�l'acquisizione�della�notitia�criminis,�ed�una�fase�processuale,�
che�comincia�con�l'esercizio�dell'azione�penale�da�parte�del�P.M.�

Dalcantosuo,laleggen.�89/2001parlaavoltediprocessoedavoltediprocedimento,ma�
se�anziche�fermarsi�al�dato�letterale�si�passa�ad�esaminare�le�motivazioni�e�le�finalita�della�
norma,�risulta�evidente�che�il�Legislatore�ha�voluto�riconoscere�ad�ogni�soggetto�il�diritto�ad�
una�sollecita�definizione�delle�procedure�avviate�da�lui�o�contro�di�lui�sia�in�materia�civile�che�
amministrativa�o�penale,�dove�la�pendenza�di�un�giudizio�a�carico�costituisce�per�l'interessato�
un�fatto�capace�di�provocargli�turbamento�e�comprometterne�l'immagine�presso�i�terzi.�

Tenuto�conto�di�quanto�sopra�e�considerato�che�tale�potenzialita�lesiva�non�postula�
necessariamente�il�promovimento�dell'azione�penale�in�quanto,�come�l'esperienza�insegna,�
anche�la�semplice�consapevolezza�dell'iscrizione�nel�registro�di�cui�all'art.�335�c.p.p.�puo�
essere�fonte�di�gravi�sofferenze�e�pregiudizi,�deve�di�conseguenza�affermarsi�che�non�occorre�
in�ogni�caso�attendere�la�chiusura�delle�indagini�preliminari,�perche�per�l'indagato,�il��pro-
cesso��puo�iniziare�fin�dal�loro�avvio�e,�piu�precisamente,�nel�momento�in�cui�il�medesimo�
ne�abbia�avuto�conoscenza�per�effetto,�ad�esempio,�dell'accoglimento�di�un'apposita�istanza�
in�tal�senso�(art.�335/3�c.p.p.)�ovvero�del�compimento�di�un�atto�a�rilevanza�esterna�quale�
l'invio�dell'informazione�di�garanzia�oppure�l'esecuzione�di�una�perquisizione�domiciliare�o,�
peggio,�di�una�misura�cautelare.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Prima�di�tale�momento�e,�cioe�,�fino�a�quando�l'apertura�del�procedimento�e�lo�svolgi-
mento�delle�indagini�preliminari�rimangano�effettivamente�segrete,�non�puo�invece�ancora�
parlarsi�di��processo��neppure�nella�piu�ampia�accezione�di�cui�alla�legge�n.�89/2001,�trat-
tandosi�di�una�fase�assolutamente�inidonea�ad�incidere�sulla�psiche�o�sul�patrimonio�dell'in-
teressato�(v.,�nella�stessa�direzione,�anche�la�giurisprudenza�della�CEDU,�che�in�piu�occa-
sioni�ha�fissato�l'inizio�del�processo�nel�momento�in�cui�i�sospetti�avevano�cominciato�ad�
avere�delle��ripercussioni�importanti��sulla�persona�coinvolta)�(omissis)�.�

Corte 
di 
Cassazione, 
Sez. 
I, 
30 
gennaio 
2003, 
n. 
1405 


PresidenteDelliPriscoli^RelatoreRordorf^M.�(Avv.�G.�L.�Massa)�

c/MinisterodellaGiustizia(Avv.�delloStatoA.Palatiello,cont.AGS9908/02)�
Aifini�del�calcolo�della�durata,�il�cui�eccesso�da�luogo�all'equa�riparazione�

deiconseguentidanni,�ilprocessopenaleinizia,perlapartecivile,nelmomento�

in�cui�vi�e�la�costituzione,�non�essendo�significativo,�al�riguardo,�il�momento�

della�querela�o�della�denuncia,�che�nonfanno�assumere�la�qualita�di�parte�(7).�

�(omissis)�^Con�il�primo�motivo�di�ricorso�l'avv.�M.�lamenta�l'errore�in�cui�sarebbe�
incorsa�la�Corte�d'Appello�affermando�che�non�v'e�processo�penale�fin�quando�l'accusa�non�
si�materializzi�in�una�richiesta�di�citazione�a�giudizio,�o�direttamente�in�una�citazione�a�giu-
dizio�dell'imputato.�Viceversa,�a�giudizio�del�ricorrente,�sin�dal�momento�che�una�querela�
viene�iscritta�nella�rubrica�dell'ufficio�del�pubblico�ministero�prende�avvio�un�procedimento,�
in�relazione�al�quale�la�legge�stabilisce�termini,�diritti�e�facolta�delle�parti,�adempimenti�da�
compiere�e�requisiti�di�validita�degli�atti.�Ragion�per�cui�anche�l'eccessiva�ed�irragionevole�
durata�di�tale�fase�del�procedimento�ricade�nella�previsione�dell'art.�6,�paragrafo�1,�della�
Convenzione�Europea�dei�Diritti�dell'Uomo�(richiamato�dall'art.�2,�comma�1.,�della�legge�

n.�89�del�2001),�che�del�resto�si�riferisce�alla�nozione�di��causa��e�non�di��processo�.�
2.1.�^Il�secondo�motivo�di�ricorso�si�appunta�invece�sull'affermazione�della�corte�d'ap-
pello�secondo�cui�al�querelante�non�potrebbe�esser�riconosciuta�la�qualita�di�parte�del�pro-
(6-7)�Coerente�con�l'impostazione�generale�del�tema�relativo�alla�natura�dell'obbligazione�
indennitaria�di�cui�trattasi�e�del�danno�quale�conseguenza�della�violazione�seguita�fin�dalla�prima�
sentenza�in�argomento�(si�vedano�i�miei�due�dossier�su�Il�termine�ragionevole�delprocesso�e�l'equa�
riparazione,�e�Profili�processuali�dell'equa�riparazione�ex�lege�n.�89/2001:�i�contenuti�minimi�del�
decreto�e�del�ricorso�per�cassazione,�in�questa�Rassegna,�rispettivamente�aprile-giugno�2002,�111�e�
luglio-dicembre�2002,�255)�e�la�soluzione�data�con�la�sentenza�in�esame�con�riguardo�ai�protagoni-
sti�del�procedimento�penale:�intanto�occorre�che�vi�sia�un�processo�giurisdizionale�ed�una�
domanda�ivi�proposta�(tale�non�e�,�ad�esempio,�la�querela�o�la�denuncia)�e�poi�intanto�puo�aversi�
un�danno�morale�dalla�durata�irragionevole�del�processo�in�quanto�della�pendenza�si�abbia�noti-
zia.�E�rimasto�in�ombra,�perche�nella�specie�non�direttamente�rilevante,�il�delicato�problema�del�
possibile�conflitto�di�interessi�tra�la�parte�civile,�che�insista�per�una�rapida�conclusione�del�pro-
cesso,�e�l'imputato,�che�cerchi�ogni�occasione�per�ottenere�differimenti,�magari�in�attesa�di�un�
provvedimento�di�clemenza�o�del�maturarsi�della�prescrizione.�Credo�che�l'interesse�dell'imputato�
debba�essere�ritenuto�prevalente�su�quello�della�parte�civile,�diversi�essendo�i�valori�coinvolti�(la�
liberta�,�per�l'imputato,�il�risarcimento�del�danno,�sia�pure�di�altissimo�valore�morale,�per�la�parte�
civile),�sicche�non�potrebbe,�nella�specie,�introdursi�il�dubbio�circa�una��violazione�di�sistema��ai�
danni�della�parte�civile:�la�legge�del�processo�penale�e�infatti�pensata�e�voluta�in�funzione�preva-
lente�di�garanzia�dell'imputato�secondo�i�principi,�peraltro,�della�stessa�Convenzione�Europea�dei�
Diritti�dell'Uomo.�Sul�tema�dei�rapporti�tra�la�parte�civile�e�l'imputato,�ed�in�genere�sulla�posi-
zione�della�parte�civile�nel�processo�penale�si�veda�La�costituzione�di�parte�civile�nel�processo�
penale.�Atti�della�tavola�rotonda�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato�del�7�giugno�2002,�in�que-
sta�Rassegna,�gennaio-marzo�2002,�1.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

cesso�penale,�onde�egli�non�sarebbe�neppure�titolare�del�diritto�alla�ragionevole�durata�di�
tale�processo.�Affermazione�errata�^a�parere�del�ricorrente�^in�quanto�la�persona�offesa�e��
il�titolare�dell'interesse�penale�tutelato�dalla�norma�violata�e�la�querela�costituisce�lo�stru-
mento�processuale�di�cui�egli�si�avvale.�La�previsione�di�numerosi�diritti�efacolta��proces-
suali,�attribuiti�appunto�alla�persona�offesa�nel�corso�del�processo�penale,�dimostrerebbero�
che�le�compete�a�pieno�titolo�la�qualita��di�parte�in�quel�processo.�

2.2.�^Con�il�terzo�motivo�di�doglianza�il�ricorrente�torna�a�ribadire�che,�nel�nostro�
sistema�processuale�ed�in�ossequio�ai�principi�stabiliti�dalla�costituzione,�la�persona�offesa�
ha�diritto�ad�una�risposta�di�giustizia�in�tempi�ragionevoli.�Il�fatto�che,�per�ottenere�il�risar-
cimento�del�danno�cagionato�dal�reato,�essa�possa�anche�scegliere�la�vita�del�giudizio�civile�
non�significa�in�alcun�modo�che,�ove�abbia�invece�prescelto�quella�della�querela�penale,�tale�
suo�diritto�venga�meno.�
2.3.�^L'ultimo�motivo�di�ricorso�censura�la�decisione�del�giudice�di�merito�di�condan-
nare�il�ricorrente�al�pagamento�delle�spese�di�lite.�Condanna�che�sarebbe�contraria�allo�spi-
rito�della�Convenzione�Europea�dei�diritti�dell'uomo�ed�alla�prassi�al�riguardo�costantemente�
seguita�dalla�Corte�europea�di�Strasburgo.�Inoltre�sarebbe�eccessiva�ed�immotivata�la�liqui-
dazione�degli�onorari,�dei�diritti�e�delle�spese�operata�in�favore�dell'Avvocatura�dello�Stato.�
3.�^I�primi�tre�motivi�possono�essere�esaminati�congiuntamente,�poiche�i�temi�con�essi�
sollevati�sono�tra�loro�strettamente�intrecciati.�
3.1.�^Deve�senz'altro�convenirsi�con�il�ricorrente�che�non�si�possa,�in�via�generale�ed�
assoluta,�escludere�la�fase�delle�indagini�preliminari�del�processo�penale�dall'ambito�di�tutela�
previsto�dall'art.�6,�paragrafo�1,�della�citata�Convenzione�europea�e,�nel�nostro�ordinamento�
nazionale,�dalla�legge�n.�89�del�2001.�
La�nozione�di�causa,�o�di�processo,�considerata�dalla�Convenzione�dei�Diritti�del-
l'Uomo,�cui�ha�riguardato�l'art.�2,�comma�1.,�della�citata�legge�nazionale,�s'identifica,�
infatti,�con�qualsiasi�procedimento�si�svolga�dinanzi�agli�organi�pubblici�di�giustizia�per�l'af-
fermazione�o�la�negazione�di�una�posizione�giuridica�di�diritto�o�di�soggezione�facente�capo�
a�chi�il�processo�promuova�o�subisca.�Processo,�in�tal�senso,�e��dunque�anche�la�fase�delle�
indagini�che�precedono�il�vero�e�proprio�esercizio�dell'azione�penale,�le�quali�percio��,�ove�irra-
gionevolmente�si�siano�protratte�nel�tempo,�ben�possono�assumere�rilievo,�ai�fini�dell'equa�
riparazione,�a�partire�dal�momento�in�cui�sia�possibile�identificare�uno�o�piu��soggetti�che�di�
quel�procedimento�siano�effettivamente�divenuti�parte�per�essere�stati�informati�della�pen-
denza�del�procedimento�medesimo�e�posti�in�grado�di�parteciparvi.�

3.2.�^Resta�pero��da�stabilire�chi,�nell'ambito�di�tale�fase�processuale,�possa�propria-
mente�considerarsi�parte,�ai�fini�che�qui�interessano,�ed�in�particolare�se�lo�siano�il�quere-
lante�e,�piu��in�generale,�la�persona�offesa�dal�reato.�
A�tal�riguardo�conviene�premettere�che�le�figure�di�danneggiato�e�di�persona�offesa�dal�
reato�spesso�^ma�non�necessariamente�^coincidono.�

Il�danneggiato�e��colui�al�quale�il�reato�ha�recato�un�danno�risarcibile,�anche�dal�punto�
di�vista�civile,�e�come�e��tale�legittimato�a�costituirsi�parte�civile.�Se�cio��non�faccia�(o�fintan-
toche�non�lo�faccia)�egli�e��completamente�estraneo�al�processo�penale�e,�quindi,�indifferente�
alla�durata�di�esso.�

La�persona�offesa,�cui�e��esclusivamente�e�specificamente�dedicato�il�Titolo�VI�del�
Libro�I�del�codice�di�procedura�penale,�e��invece�la�vittima�del�reato�dal�punto�di�vista�penale:�
ossia�il�titolare�dello�specifico�interesse�di�volta�in�volta�tutelato�dalla�singola�norma�penale,�
indipendentemente�dalle�conseguenze�che�la�violazione�di�detta�norma�possano�effettiva-
mente�avere�avuto�sulla�sfera�dei�suoi�diritti�morali�o�patrimoniali.�La�persona�offesa�puo��
anche�assumere�la�veste�di�querelante,�in�caso�di�reati�la�cui�procedibilita��sia�subordinata�
appunto�alla�proposizione�della�querela.�Infatti�il�diritto�di�querela�contemplato�dall'art.�120�

c.p.�compete,�appunto,�alla�persona�offesa�e�la�querela,�per�i�reati�che�la�richiedono,�confi-
gura�una�condizione�di�procedibilita��e�dunque,�secondo�autore�e�dottrina,�un�presupposto�
di�validita��del�processo�penale.�
Cio��premesso,�la�questione�se�alla�persona�offesa�^che�non�si�sia�costituita�parte�civile�p
ossa�o�meno�essere�riconosciuta�la�veste�di�parte�nel�processo�penale�deve�ricevere�risposta�
negativa.�E�vero�che�le�disposizioni�del�codice�di�procedura�penale,�ed�in�specie�quelledel�
citato�Titolo�VI,�attribuiscono�alla�persona�offesa�anche�un�ruolo�attivo�nel�processo�penale,�
al�punto�che�si�e��parlato�di�un'accusa�privata,�in�posizione�accessoria�a�quella�pubblica�e,�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

per�certi�aspetti,�con�funzioni�anche�di�sollecitazione�e�controllo�sull'operato�di�quest'ultima.�
Ma�resta�il�fatto�che�il�processo�penale,�in�quanto�tale,�non�e�volto�ad�accertare�nessuna�
posizione�di�diritto�o�di�soggezione�facente�capo�alla�persona�offesa,�la�quale�non�puo�dun-
que�essere�assimilata�ad�una�delle�parti�private�di�cui�si�occupano�altre�disposizioni�del�
medesimo�codice.�

Alle�medesime�conclusioni�(sia�pure�ad�altri�fini)�sono�pervenute�anche�le�Sezioni�unite�
penali�di�questa�corte,�con�la�sentenza�16�dicembre�1998,�ric.�M.�ed�altri,�affermando�
appunto�che�alla�persona�offesa,�la�quale�non�si�sia�costituita�parte�civile,�non�compete�la�
veste�di�parte,�ne�in�fase�di�indagini�preliminari�ne�in�fase�giudiziale.�E�cio�in�quanto�il�pro-
cesso�penale�e�pur�sempre�di�per�se�finalizzato�unicamente�all'esercizio�dell'azione�penale,�
di�cui�e�solo�titolare�il�pubblico�ministero,�onde�i�poteri�e�le�facolta�che�sono�autonomamente�
riconosciuti�alla�persona�offesa�sin�dalle�indagini�preliminari�si�risolvono�in�una�mera�antici-
pazione�di�quanto�ad�essa�spettera�una�volta�che,�ricorrendone�le�condizioni,�ella�abbia�for-
malizzato�la�costituzione�di�parte�civile.�Le�garanzie�apprestate�in�favore�della�persona�
offesa�nella�fase�delle�indagini�preliminari�^come�espressamente�riconosciuto�anche�da�
Corte�cost.�28�dicembre�1990,�n.�559�^sono�infatti�caratterizzate�da�un�rapporto�di�comple-
mentarieta�con�quelle�che�le�spetteranno,�se,�essendo�anche�danneggiata�dal�reato,�essa�si�
costituira�poi�parte�civile�per�far�valere�nell'ambito�del�processo�penale�la�sola�specifica�pre-
tesa�da�essa�azionabile�dinanzi�al�giudice.�

Detto�in�altre�parole,�con�terminologia�piu�vicina�a�quella�adoperata�dal�citato�para-
grafo�1.�dell'art.�6�della�Convenzione�Europea,�per�la�persona�offesa,�in�quanto�tale,�il�proce-
dimento�penale�non�puo�essere�definito�come�una��propria�causa�,�in�relazione�alla�quale�
le�possa�percio�essere�direttamente�e�personalmente�riconosciuto�il�diritto�alla�ragionevole�
durata�di�tale�causa.�La�persona�offesa�e�,s|�,�il�titolare�dell'interesse�tutelato�dalla�norma�
penale�violata,�ma�la�causa�penale�ha�pur�sempre�unicamente�ad�oggetto�l'accertamento�
della�fondatezza�della�pretesa�punitiva�dello�Stato,�e�non�di�una�situazione�giuridica�che�a�
detta�persona�offesa�faccia�capo,�attivamente�o�passivamente�(almeno�fin�quando�essa�non�
sia�anche�danneggiata�e�non�si�sia�eventualmente�costituita�in�quel�processo�parte�civile,�
introducendo�cos|�una�diversa�ed�ulteriore�azione�che�allora�diviene�^ma�quella�soltanto�l
a��sua�causa�).�

3.3.�^Ad�una�conclusione�diversa�si�potrebbe�pervenire,�forse,�soltanto�qualora�la�costi-
tuzione�di�parte�civile�rappresentasse�l'unico�strumento�a�disposizione�della�persona�offesa�
(nonche�danneggiata)�per�far�valere�in�giudizio�il�proprio�diritto�al�risarcimento.�Se�cos|�
fosse,�le�indagini�preliminari�svolte�nell'ambito�del�processo�penale�assumerebbero�il�carat-
tere�di�un�vero�e�proprio�presupposto�necessario�per�l'esercizio�di�quel�diritto:�come�tali,�
potrebbero�allora�assumere�rilievo�al�fine�di�determinare�la�durata�processuale�complessiva-
mente�occorrente�per�il�concreto�soddisfacimento�di�detta�pretesa�risarcitoria.�
Ma�cos|�non�e�,�perche�quel�presupposto�non�e�affatto�necessario,�dal�momento�che�il�
danneggiato�ben�puo�azionare�autonomamente�il�proprio�diritto�in�sede�civile;�e�se�le�even-
tuali�interferenze�con�il�procedimento�penale�dovessero�ritardarne�il�corso�sarebbe�pur�sem-
pre�in�relazione�a�detto�processo�civile�che�si�configurerebbe�un'eventuale�lesione�del�diritto�
della�parte�alla�ragionevole�durata�di�quel�giudizio.�

Non�coglie�dunque�nel�segno,�con�riferimento�al�caso�in�esame,�il�rilievo�del�ricorrente�
secondo�cui�la�possibilita�per�il�danneggiato�dal�reato�di�scegliere�la�via�del�risarcimento�in�
sede�civile�non�varrebbe�di�per�se�ad�escludere�il�suo�diritto�alla�ragionevole�durata�del�pro-
cesso�penale,�quando�essa�abbia�invece�scelto�di�far�valere�in�esso�i�propri�diritti.�Rilievo�
esatto,�ma�^per�le�ragioni�gia�dianzi�illustrate�^solo�a�condizione�che�(ed�a�partire�dal�
momento�in�cui)�la�scelta�si�sia�gia�concretizzata�in�un�atto�di�costituzione�di�parte�civile,�
da�cui�discenda�l'assunzione�per�il�danneggiato�della�qualita�di�parte�nel�processo�penale.�

3.4.�^La�risposta�non�muta�per�il�fatto�che�la�persona�offesa�abbia�assunto�anche�il�
ruolo�di�querelante.�
La�querela,�infatti,�rileva�unicamente�ai�fini�della�possibilita�di�instaurare�un�idoneo�
processo�penale,�ma�non�interferisce�sull'oggetto�di�tale�processo,�che�resta�focalizzato�sul�
solo�accertamento�del�reato,�a�prescindere�dalle�conseguenze�che�ne�siano�derivate�per�il�que-
relante;�ne�attribuisce�a�costui�una�posizione�nel�processo�diversa�da�quella�spettante�alla�
persona�offesa�nei�procedimenti�ad�impulso�d'ufficio.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Anche�la�circostanza�che�il�querelante,�in�caso�di�un�esito�del�giudizio�penale�totalmente�
favorevole�all'imputato,�possa�essere�condannato�al�pagamento�delle�spese�del�procedimento�
anticipate�dallo�Stato�e�dall'imputato�medesimo,�a�norma�degli�artt.�427�e�542�c.p.p.,�non�
dimostra�che�egli�sia�parte�del�procedimento�cui�quelle�spese�si�riferiscono.�

Il�fondamento�di�tale�condanna,�come�emerge�chiaramente�anche�dalle�pronunce�della�
Corte�Costituzionale�n.�180�del�1993�e�n.�423�del�1993,�non�riposa�infatti�su�un�principio�di�
soccombenza�processuale�(che,�altrimenti,�avrebbe�implicato�la�necessita�di�legittimare�il�
querelante�ad�impugnare�la�pronuncia�di�proscioglimento�anche�per�il�merito,�e�non�solo�
eventualmente�per�le�spese),�bens|�nella�colpa�di�detto�querelante�per�avere�incautamente�
cagionato�ad�altri�danni�che,�con�doveroso�maggior�grado�di�avvedutezza,�avrebbero�potuto�
essere�evitati.�Anche�a�tal�riguardo,�in�altri�termini,�la�sua�posizione�rileva�per�l'iniziativa�
di�aver�proposto�la�querela�e�per�le�conseguenze�dannose�eventualmente�derivatene,�non�
per�la�partecipazione�al�procedimento�penale�e�per�le�attivita�in�esso�svolte:�prescinde,�dun-
que,�da�una�pretesa�(ma�inesistente)�sua�veste�di�parte�in�detto�procedimento�(omissis)�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Legittime 
le 
�quote 
rosa� 
nella 
legge 
elettorale 
della 
regione 
Val 
d'Aosta 


Corte�Costituzionale,�sentenza�10�febbraio�2003,�n.�49�

Quadro�di�riferimento.�Con�ricorso�notificato�il�2�settembre�2002�il�Pre-
sidente�del�Consiglio�dei�ministri�ha�sollevato�^in�riferimento�agli�articoli�
3,�primo�comma,�e�51,�primo�comma,�della�Costituzione�^questione�di�legit-
timita�costituzionale�dell'art.�7,�comma�1,�e�^ove�la�norma�non�sia�ritenuta�
di�carattere�meramente�propositivo�e�non�cogente�^dell'art.�2,�comma�1�
(nella�parte�in�cui�introduce�l'art.�3-bis,�comma�2,�nella�legge�regionale�
12�gennaio�1993,�n.�3),�della�legge�della�Regione�Valle�d'Aosta,�adottata�ai�
sensi�dell'art.�15,�secondo�comma,�dello�Statuto�speciale,�approvata�dal�Con-
siglio�regionale�nella�seduta�del�25�luglio�2002�con�la�maggioranza�dei�due�
terzi�dei�suoi�componenti�e�pubblicata�nel�Bollettino�Ufficiale�2�agosto�
2002,�recante��Modificazioni�alla�legge�regionale�12�gennaio�1993�n.�3�(Norme�
per�l'elezione�del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta),�gia�modificata�dalle�
leggi�regionali�11�marzo�1993,�n.�13�e�1�settembre�1997,�n.�31,�e�alla�legge�regio-
nale�19�agosto�1998,�n.�47�(Salvaguardia�delle�caratteristiche�e�tradizioni�lingui-
stiche�e�culturali�delle�popolazioni�walser�della�valle�del�Lys)��(1).�Invero,�tale�
testo�di�legge�contiene,�nel�capo�I,�varie�disposizioni�di�modificazione�della�
normativa�per�l'elezione�del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta�dettata�
dalla�legge�regionale�12�gennaio�1993,�n.�3.�In�particolare,�l'art.�2�inserisce,�
dopo�l'art.�3�della�suddetta�legge,�un�art.�3-bis,�sotto�la�rubrica��condizioni�
di�parita�fra�i�sessi�,�a�termini�del�quale�ogni�lista�di�candidati�all'elezione�
del�Consiglio�regionale�deve�prevedere�la�presenza�di�candidati�di�entrambi�
i�sessi.�

Inoltre,�l'art.�7,�contenente�modificazioni�dell'art.�9�della�suddetta�legge,�
al�comma�1�prevede�che�vengano�dichiarate�non�valide�dall'ufficio�elettorale�
regionale�le�liste�presentate�che�non�corrispondano�alle�condizioni�stabilite,�
tra�le�quali�quella��che�nelle�stesse�siano�presenti�candidati�di�entrambi�
i�sessi�.�

All'udienza�del�28�gennaio�2003,�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato�ha�
sostenuto�che�il�disposto�dell'art.�7,�comma�1,�della�legge�impugnata,�nella�
parte�in�cui�prevede�detta�invalidita�,�e�l'art.�2,�comma�1,�nella�parte�in�cui,�
introducendo�l'art.�3-bis,�comma�2,�nel�testo�della�legge�regionale�n.�3�del�
1993,�dispone�che�ogni�lista�deve�prevedere�la�presenza�di�candidati�di�
entrambi�i�sessi�^ove�questa�norma�non�fosse�ritenuta�meramente�proposi-
tiva�e�priva�di�valore�cogente�^sono�in�contrasto�con�gli�artt.�3,�primo�
comma,�e�51,�primo�comma,�della�Costituzione,�in�quanto�limitano�di�fatto�
il�diritto�di�elettorato�passivo.�

(1)�Inoltre,�successivamente�alla�proposizione�del�ricorso�la�legge�regionale�impugnata�u
na�volta�decorso�il�termine�per�la�richiesta�di�referendum�^e�stata�promulgata�e�pubblicata�come�
legge�regionale�13�novembre�2002,�n.�21.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Infatti,�secondo�l'Avvocatura,�si�e�riproposta�la�stessa�situazione�di�cui�
all'art.�5,�comma�2,�ultimo�periodo,�della�legge�25�marzo�1993,�n.�81,�sulla�ele-
zione�diretta�del�sindaco,�del�presidente�della�provincia,�del�consiglio�comunale�
e�del�consiglio�provinciale,�la�quale�prevedeva�che��nelle�liste�dei�candidati�nes-
suno�dei�due�sessi�puo�essere�di�norma�rappresentato�in�misura�superiore�a�
due�terzi�.�Di�tale�disposizione�gia�la�Corte�costituzionale,�con�la�sentenza�
n.�422�del�1995,�aveva�dichiarato�l'illegittimita�per�contrasto�con�gli�artt.�3�e�5l�
della�Costituzione,�unitamente,�per�conseguenza,�ad�altre�norme�statali�eregio-
nali�similari�(fra�le�quali�anche�l'art.�32,�commi�3�e�4,�della�legge�regionale�della�
Valle�d'Aosta�9�febbraio�1995,�n.�4,�relativa�alla�elezione�diretta�del�sindaco,�
del�vice�sindaco�e�del�consiglio�comunale).�Tali�considerazioni�si�ritengono�per-
fettamente�pertinenti�al�caso�de 
quo, 
in�quanto�nessuna�differenza�sostanziale�
puo�sussistere�tra�la�previsione�di�una�quota�di�riserva�(pari�ad�una�percentuale�
delle�presenze)�e�la�previsione�di�una�presenza�minima�quale�che�sia,�anche�di�
un�solo�candidato,�di�uno�dei�due�sessi�nelle�liste�elettorali.�

In�particolare�il�Governo�^rappresentato�in�giudizio�dall'Avvocatura�
Generale�dello�Stato�^ha�osservato�che�l'appartenenza�all'uno�o�all'altrosesso�
non�puo�mai�essere�assunta�come�requisito�di�eleggibilita�,ne�quindi�come�requi-
sito�di��candidabilita��,�poiche�questa�sarebbe�presupposto�della�eleggibilita�;e�
che�pertanto�contrasta�con�il�principio�di�eguaglianza�nell'accesso�alle�cariche�
elettive,�sancito�dall'art.�3,�primo�comma,�e�dall'art.�51,�primo�comma,�della�
Costituzione,�una�norma�di�legge�che�imponga�nella�presentazione�delle�candi-
dature��qualsiasi�forma�di�quote�in�ragione�del�sesso�dei�candidati�.�Pertanto�
^ha�ribadito�il�Governo�^persino�la�semplice�previsione,�come�contenuta�nella�
legge�impugnata,�della�necessaria�presenza�in�ogni�lista�di�candidati�dei�due�
sessi�non�si�differenzia�sostanzialmente,�da�questo�punto�di�vista,�dalla�previ-
sione�di�una��quota��di�riserva�di�candidature�all'uno�e�all'altro�sesso.�

Si�e�costituita�in�giudizio�la�Regione�Valle�d'Aosta,�chiedendo�il�rigetto�del�
ricorso�governativo�in�quanto,�a�seguito�delle�piu�recenti�norme�costituzionali,�
si�e�passati�dal�semplice�riconoscimento�alle�donne�dei�diritti�elettorali�attivi�e�
passivi�all'affermazione�del�diritto�delle�donne�ad�avere�comunque�la�possibilita�
di�vedere�rappresentato�il�proprio�sesso�nell'ambito�delle�competizioni�eletto-
rali.�Infatti�ai�sensi�del�vigente�testo�dell'art.�117�della�Costituzione�(come�rifor-
mato�dalla�legge�costituzionale�18�ottobre�2001,�n.�3)�le�leggi�regionali�non�si�
devono�limitare�a�riconoscere�una�eguale�possibilita�ai�due�sessi�di�accedere�alle�
cariche�elettive,�ma�debbono�altres|�promuovere�la�parita�di�accesso,�introdu-
cendo�in�conseguenza�meccanismi�che�valgano�a�controbilanciare�lo�svantaggio�
che�tuttora�caratterizza�la�posizione�delle�donne�nell'accesso�a�tali�cariche.�

Inoltre,�in�tale�occasione,�la�difesa�regionale�ha�altres|�ricordato�l'iter 
di�
approvazione�del�disegno�di�legge�di�modifica�dell'art.�51�della�Costituzione,�
il�quale�prevede�che�venga�aggiunto�al�medesimo,�con�previsione�di�portata�
generale,�il�seguente�periodo:��a�tal�fine�la�Repubblica�promuove�con�appo-
siti�provvedimenti�le�pari�opportunita�tra�donne�e�uomini��(2).�

(2)�Tale�testo�di�legge�e�stato,�in�prosieguo,�approvato�definitivamente�al�Senato�il�20�
febbraio�2003�e�si�e�tradotto�nella�Legge�Cost.�n.�1/2003�(pubblicata�in�Gazzetta 
Ufficiale 
n.�134�del�12�giugno�2003)�di�modifica�dell'art.�51�Cost.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Infine,�la�legge�regionale�impugnata�^cos|�ha�proseguito�la�difesa�regio-
nale�^e�stata�adottata�ai�sensi�dell'art.�15�dello�statuto�speciale,�il�cui�
secondo�comma,�introdotto�dall'art.�2�della�legge�costituzionale�31�gennaio�
2001,�n.�2,�espressamente�prevede�fra�l'altro�che,��al�fine�di�conseguire�l'equi-
librio�della�rappresentanza�dei�sessi�,�la�legge�regionale,�approvata�con�
la�maggioranza�assoluta�dei�consiglieri�assegnati,�che�determina�la�formadi�
governo�della�Regione,��promuove�condizioni�di�parita�per�l'accesso�alle�con-
sultazioni�elettorali��(3).�

A�parere�della�difesa�regionale,�allora,�sarebbe�la�stessa�norma�di�rango�
costituzionale�a�prevedere�che�il�legislatore�regionale�debba�adottare�una�
disciplina�volta�a�garantire�l'equilibrio�della�rappresentanza�dei�sessi�nella�
competizione�elettorale,�trattandosi�afortiori�di�norma�del�tutto�coerente�
anche�con�la�previsione�del��nuovo��testo�dell'art.�117�della�Costituzione.�
Pertanto,�le�disposizioni�impugnate�non�sarebbero�in�contrasto�con�i�principi�
costituzionali;�al�contrario,�darebbero�attuazione�alle�precise�indicazioni�di�
norme�costituzionali�di�recente�intervenute.�

Di�piu�.�Si�tratterebbe,�infatti,�anche�di�previsioni�conformi�ai�vincoli�che�
derivano�da�una�serie�di�strumenti�di�diritto�internazionale,�cui�l'Italiaha�
aderito,�e�che�ribadiscono�l'esigenza�di�una�tutela�anche�attiva�della�posizione�
della�donna,�in�particolare�per�quanto�concerne�la�rappresentanza�elettorale�
(in�questo�senso,�cfr.�la�convenzione�sull'eliminazione�di�ogni�forma�di�discri-
minazione�nei�confronti�della�donna,�aperta�alla�firma�a�New�York�il�
18�dicembre�1979,�e�ratificata�dall'Italia�il�10�giugno�1985,�ai�sensi�della�legge�

n.�132�del�14�marzo�1985);�nonche�di�previsioni�coerenti�alle�nuove�prospet-
tive�emergenti�dalla�Carta�dei�diritti�fondamentali�dell'Unione�europea,�adot-
tata�a�Nizza�il�7�dicembre�2000,�il�cui�art.�23,�secondo�comma,�proclama�
che��ilprincipio�dellaparita�nonosta�almantenimento�o�all'adozione�dimisure�
cheprevedano�vantaggispecificiafavoredelsessosottorappresentato�.�

Da�cio�^sempre�secondo�la�difesa�regionale�^si�trarrebbe�come�ulte-
riore�conseguenza�che�il�quadro�di�riferimento�costituzionale,�rispetto�al�
quale�vanno�collocate�le�norme�regionali�all'esame�della�Corte,�non�coincide-
rebbe�con�quello�vigente�al�momento�della�famosa�sentenza�di�illegittimita�
costituzionale�n.�422�del�1995,�invocata�anche�dal�Governo.�D'altro�canto�e�
notorio�che�anche�in�Francia�sia�accaduta�una�vicenda�simile�di�successione�
nel�tempo�di�parametri�costituzionali�nella�medesima�materia.�

(3)�Per�la�verita�,�anche�il�ricorrente�ha�richiamato�bens|�la�norma,�contenuta�nell'arti-
colo�15,�secondo�comma,�secondo�periodo,�dello�statuto�della�Valle�d'Aosta�(come�modifi-
cato�dall'art.�2�della�legge�costituzionale�n.�2�del�2001),�secondo�cui,��al�fine�di�conseguire�
l'equilibrio�della�rappresentanza�dei�sessi�,�la�legge�che�stabilisce�le�modalita�di�elezione�del�
Consiglio�regionale��promuove�condizioni�di�parita�per�l'accesso�alle�consultazioni�eletto-
rali�,�ma�ritenendo�che�si�tratti�di�una��enunciazione�programmatica�;�sicche�la�norma�di�
legge�regionale,�secondo�cui�ogni�lista�di�candidati�all'elezione�del�Consiglio�regionale�deve�
prevedere�la�presenza�di�candidati�di�entrambi�i�sessi,�puo�ritenersi�legittima�e�conforme�allo�
spirito�della�disposizione�statutaria�solo�se�intesa�come��norma�meramente�propositiva,�
quasi�un�auspicio�,�laddove�sarebbe�irrimediabilmente�illegittima�la�norma�che�condiziona�
a�tale�presenza�la�validita�delle�liste.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

La�Corte�Costituzionale,�con�decisione�n.�49/2003�del�10�febbraio�2003�
(dep.�13�febbraio�2003),�ha�dichiarato�infondata�la�questione�di�legittimita�
costituzionale�degli�artt.�2,�comma�1,�e�7,�comma�1,�della�legge�regionale�
della�Val�d'Aosta�del�13�novembre�2002,�n.�21,�sollevata�in�riferimento�agli�
artt.�3,�primo�comma,�e�5,�primo�comma,�della�Costituzione,�dal�Governo�
con�il�ricorso�suindicato�principalmente�in�quanto:�

le�disposizioni�contestate�non�pongono�l'appartenenza�all'uno�o�all'al-
tro�sesso�come�requisito�ulteriore�di�eleggibilita�,�e�nemmeno�di��candidabi-
lita���dei�singoli�cittadini;�infatti,�l'obbligo�imposto�dalla�legge,�nonche�la�con-
seguente�sanzione�di�invalidita�,�concernono�solo�le�liste�e�i�soggetti�che�le�
presentano;�

la�misura�prevista�dalla�legge�impugnata�non�puo�qualificarsi�come�
una�di�quelle��misure�legislative,�volutamente�diseguali�,�che��possono�certa-
mente�essere�adottate�per�eliminare�situazioni�di�inferiorita�sociale�ed�econo-
mica,�o,�piu�in�generale,�per�compensare�e�rimuovere�le�disuguaglianze�mate-
riali�tra�gli�individui�,�ma�che�questa�Corte�ha�ritenuto�non�possano�
�incidere�direttamente�sul�contenuto�stesso�di�quei�medesimi�diritti,�rigorosa-
mente�garantiti�in�eguale�misura�a�tutti�i�cittadini�in�quanto�tali�,�tra�cui,�in�
particolare,�il�diritto�di�elettorato�passivo�(cfr.�sentenza�n.�422�del�1995).�
Infatti,�non�puo�parlarsi�di�una�incidenza�su�un�ipotetico�diritto�di�aspiranti�
candidati�ad�essere�inclusi�in�lista,�posto�che�la�formazione�delle�liste�rimane�
interamente�rimessa�alle�libere�scelte�dei�presentatori�e�degli�stessi�candidati�
in�sede�di�necessaria�accettazione�della�candidatura.�Le�disposizioni�in�
esame,�invece,�stabiliscono�un�vincolo�non�gia�all'esercizio�del�voto�o�all'e-
splicazione�dei�diritti�dei�cittadini�eleggibili,�ma�soltanto�alla�formazione�
delle�libere�scelte�dei�partiti�e�dei�gruppi�che�formano�e�presentano�le�liste�
elettorali,�precludendo�loro�la�possibilita�di�presentare�liste�formate�da�candi-
dati�tutti�dello�stesso�sesso.�Tale�vincolo�(�legale�)�negativo�opera�soltanto�
nella�fase�anteriore�alla�vera�e�propria�competizione�elettorale,�non�incidendo�
su�di�essa.�

Inoltre,�la�Consulta�ha�altres|�sostenuto�che�tale�vincolo�(negativo)�alla�
liberta�dei�partiti�che�presentano�le�liste�deve�essere�valutato�oggi�anche�alla�
luce�di�un�quadro�costituzionale�di�riferimento�che�si�e�evoluto�rispetto�a�
quello�in�vigore�all'epoca�della�pronuncia�n.�422/1995�della�medesima�Corte,�
invocata�dal�Governo�a�sostegno�della�questione�di�legittimita�costituzionale�
della�normativa�impugnata�(la�Corte,�in�particolare,�ha�richiamato�expressis 
verbis 
le�leggi�costituzionali�nn.�2�e�3�del�2001);�ha,�infine,�osservato,�che�il�
vincolo�imposto�non�appare�nemmeno�tale�da�incidere�significativamente�
sulla�realizzazione�dell'obiettivo�di�un�riequilibrio�nella�composizione�per�
sesso�della�rappresentanza.�Infatti�esso�si�esaurisce�nell'impedire�che,�nel�
momento�in�cui�si�esplicano�le�libere�scelte�di�ciascuno�dei�partiti�e�dei�gruppi�
in�vista�della�formazione�delle�liste,�si�attui�una�discriminazione�sfavorevole�
ad�uno�dei�due�sessi,�attraverso�la�totale�esclusione�di�candidati�ad�esso�
appartenenti.�Le��condizioni�di�parita���fra�i�sessi,�in�altri�termini,�sono�qui�
imposte�nella�misura�minima�di�una��non�discriminazione�,�ai�fini�della�can-
didatura,�a�sfavore�dei�cittadini�di�uno�dei�due�sessi.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

2.�^La�precedente�giurisprudenza�della�Corte�Costituzionale.�Anche�in�
passato�non�sono�mancati�i�tentativi�volti�a�consentire�una�maggiore�pre-
senza�delle�donne�nelle�assemblee�elettive.�Infatti,�alcune�norme�contenute�
nella�legge�25�marzo�1993�n.�81�^relativa�all'elezione�diretta�del�Sindaco�i
ntroducevano�un�criterio�di�proporzione�tra�i�due�sessi�nella�composizione�
delle�liste�dei�candidati�alle�elezioni�dei�consigli�comunali,�stabilendo�che�nei�
comuni�con�popolazione�fino�ed�oltre�i�15.000�abitanti�nessuno�dei�due�sessi�
potesse�essere�rappresentato�in�misura�superiore�ai�tre�quarti�(nel�primo�
caso)�ed�ai�due�terzi�(nel�secondo�caso)�dei�consiglieri�assegnati.�Inoltre,�
anche�una�norma�della�legge�n.�277�del�1993,�relativa�all'elezione�della�
Camera�dei�deputati,�disponeva�che�le�liste�presentate�ai�fini�dell'attribuzione�
dei�seggi�in�ragione�proporzionale,�ove�recassero�piu�di�un�nome,�fossero�for-
mate�da�candidati�e�candidate�in�ordine�alternato.�
Sull'art.�5,�comma�2,�ultimo�periodo�della�prima�legge,�e�poi�anche�sulla�
norma�della�seconda,�e�intervenuta�la�Corte�costituzionale,�la�quale�con�deci-
sione�n.�422�del�1995�richiamata�ha�dichiarato�la�illegittimita�costituzionale�
delle�norme�succitate�perche�in�contrasto�con�gli�articoli�3�e�51�della�Costitu-
zione�(il�cd.�principio�di�eguaglianza�formale�e�sostanziale).�

In�particolare,�la�Corte�Costituzionale�^che,�pure,�nella�medesima�sen-
tenza�ribadiva�il�giudizio�positivo�per�le�misure�volte�a�promuovere�l'ugua-
glianza�dei�punti�di�partenza�(4)�^ha�giudicato�le�norme�sottoposte�al�suo�
giudizio�non�coerenti�con�il�secondo�comma�dell'art.�3�Cost.,�in�quanto�tali�
norme��non�si�propongono�di�rimuovere�gli�ostacoli�che�impediscono�alle�
donne�di�raggiungere�determinati�risultati,�bens|�di�attribuire�loro�diretta-
mente�quei�risultati�;�pertanto,�la�disparita�di�condizioni�^secondo�la�Corte�
^non�viene�rimossa�ma�costituisce�solo��il�motivo�che�legittima�una�tutela�
preferenziale�in�base�al�sesso�;�tuttavia�^prosegue�la�Corte�^misure�legisla-
tive��volutamente�disuguali��non�possono�incidere�sul�contenuto�dei�diritti�
fondamentali�(quale�il�diritto�di�elettorato,�attivo�e�passivo).�

3.�^La�giurisprudenza�della�Corte�di�Giustizia�della�Comunita�.�Osserva-
zioni�conclusive.�Ragionamento�analogo�si�ritrova�in�una�significativa�deci-
sione�della�Corte�di�Giustizia�comunitaria�^del�17�ottobre�1995�^riguar-
dante�una�legge�del�Land�di�Brema�relativa�all'uguaglianza�fra�uomini�e�
donne�nei�servizi�pubblici.�
(4)�In�realta�,gia�nella�sentenza�n.�109�del�1993�la�Corte�Costituzionale�manifestava�un�
grande�favore�per�le�cd.�azioni�positive.�Invero,�esaminando�la�legge�n.�215/1992�a�sostegno�
dell'imprenditoria�femminile,�ne�giustificava�gli�interventi�in�quanto��diretti�a�colmare,�o�
comunque�ad�attenuare�un�evidente�squilibrio�a�sfavore�delle�donne,�che,�a�causa�di�discrimi-
nazioni�accumulatesi�nel�corso�della�storia�passata�per�il�dominio�di�determinati�comporta-
menti�sociali�o�modelli�culturali,�ha�portato�a�favorire�le�persone�di�sesso�maschile�nell'occu-
pazione�delle�posizioni�di�imprenditore�o�di�dirigente�d'azienda.�Gli�interventi�di�favore�pre-
visti�dalla�legge,�che�rispondono�al�dovere�di�rimuovere�gli�ostacoli�assegnato�alla�
Repubblica�dall'art.�3,�comma�2,�della�Cost.,�sono�legittimi�in�quanto�diretti�ad�agevolare�
l'imprenditoria�femminile,�a�promuovere�la�formazione�e�qualificare�la�professionalita�,e,�
dunque,�ad�introdurre�le�misure�necessarie�per�un'effettiva�uguaglianza�di�chances�.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

In�tale�circostanza,�la�Corte�ha�esaminato�se�la�norma�per�la�quale�^a�
parita��di�condizioni�^le�donne�beneficiano�automaticamente�della�priorita��
(il�che�comporta�una�discriminazione�fondata�sul�sesso)�possa�giustificarsi�
in�base�all'art.�2,�par.�4�della�Direttiva�che�consente��misure,�apparentemente�
discriminatorie,�quando�dirette�a�promuovere�l'uguaglianza�di�possibilita��,di�
chances,�tra�uomini�e�donne�.�La�conclusione�della�Corte�di�Giustizia�
rispetto�al�caso�prospettato�e��stata�negativa:�infatti,�una�disciplina�statale�
che�garantisca�la�priorita��assoluta,�incondizionata,�alle�donne�in�occasione�
di�una�nomina�o�promozione�va�al�di�la��della�promozione�dell'eguaglianza�
di�chances,�in�quanto�sostituisce�alla�promozione�dell'eguaglianza�di�opportu-
nita��,il�risultato�al�quale�l'applicazione�di�quell'eguaglianza�di�chances�
potrebbe�condurre.�

Il�fulcro�dell'iter�argomentativo�seguito�sia�dalla�giurisprudenza�costitu-
zionale�(recente�o�meno)�sia�dalla�giurisprudenza�comunitaria�al�fine�di�fon-
dare�le�proprie�decisioni�in�materia�di�previsione�di�quote�per�le�donne�e��,�
dunque,�imperniato�sulla�profonda�differenza�tra�misure�dirette�a�promuo-
vere�l'uguaglianza�di�chances�o�opportunita��(le�cd.�norme�antidiscriminato-
rie)�e�misure�rivolte�a�raggiungere�direttamente�il�risultato.�Mentre�le�prime�
sono�sempre�consentite,�le�seconde�sono�addirittura�vietate�(5).�

Ad�onore�del�vero,�nel�tempo�tutte�queste�argomentazioni�sono�divenute�
sempre�meno�consistenti�alla�luce�dell'approvazione,�in�Europa,�della�Carta�
dei�diritti�fondamentali,�la�quale�non�soltanto�legittima�le�misure�di�parita��,�
ma�anche�le�cd.�azioni�positive�forti�(cioe��quelle�misure�e�norme�dirette�a�
favorire�le�donne�attribuendo�vantaggi�speciali�e�diversi).�

Invero,�dopo�avere�affermato,�al�primo�comma,�che�la�parita��tra�uomini�e�
donne��deve�essere�assicurata�in�tutti�i�campi�,�l'art.�23,�al�secondo�comma,�
precisa:��Il�principio�della�parita�non�osta�al�mantenimento�o�all'adozione�di�
misurecheprevedano�vantaggispecificiafavoredelsessosottorappresentato�.�

Benche�e��indubbio�che�la�Carta�di�Nizza�del�6�dicembre�2000�non�abbia�
valore�giuridicamente�vincolante,�ciononostante�e��opinione�concorde�in�dot-
trina�(6)�che�essa�eserciti�una�sicura�influenza�sull'interpretazione�di�tutte�le�
norme�interne�e�dei�principi�costituzionali.�

4.�^Prospettive�future.�Come�anticipato�(7),�e��stata�di�recente�appro-
vata�^a�larga�maggioranza�^una�nuova�modifica�costituzionale.�Si�tratta�
di�una�integrazione�all'art.�51,�che�adesso,�nel�suo�primo�comma,�recita�cos|�:�
�Tutti�i�cittadinidell'uno�o�dell'altro�sessopossono�accedere�agliufficipubblici�
(5)�Per�la�distinzione�tra�norme�antidiscriminatorie�ed�azioni�positive,�tra�misure�che�
assicurano�la�parita��dei�punti�di�partenza�e�misure�che�garantiscono�eguaglianza�di�risultati,�
cfr.�il�Parere�sulla�legittimita�costituzionale�della�legge�elettorale�della�Provincia�autonoma�di�
Bolzano�di�LorenzA 
CarlassarE 
in�Riforme�e�vita�quotidiana,�Regioni:�quali�statuti�e�quali�
leggi�elettoriali,�75�ss.�(edito�dalla�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri�-Commissione�
Nazionale�per�la�Parita��e�le�Pari�Opportunita��tra�Uomo�e�Donna).�

(6)�Per�tutti,�A. 
Loiodice, 
A. 
Ruggeri, 
G. 
F. 
Ferrari,in�Idirittifondamentali�dopo�la�
Carta�di�Nizza,�a�cura�di�G. 
F. 
Ferrari,�Milano,�2001.�
(7)�Cfr.�par.�1,�nota�2).�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

e 
alle 
cariche 
elettive 
in 
condizioni 
di 
eguaglianza, 
secondo 
i 
requisiti 
stabiliti 
dalla 
legge. 
A 
tal 
fine 
la 
Repubblica 
promuove 
con 
appositi 
provvedimenti 
le 
pari 
opportunita� 
tra 
donne 
e 
uomini�.�E�questa�una�modifica-integrazione�
della�Costituzione,�predisposta�al�fine�di�dare�copertura�costituzionale�a�tutte�
quelle�future�norme�elettorali�nelle�quali�venissero�garantite,�in�modo�eguale�
a�entrambi�i�sessi,�condizioni�pari�di�accesso�alle�cariche�elettive,�vale�a�dire�
un'eguaglianza�nei��punti�di�partenza�.�In�tal�modo,�le�future�norme�non�
sarebbero�assimilabili�alle��azioni�positive��(cioe�norme�dirette�a�favorire�le�
donne�attribuendo�ad�esse�vantaggi�speciali�e�diversi),�piuttosto�sarebbero�
norme�con�funzione�antidiscriminatoria,�miranti�cioe�a�regolare�in�modo�
eguale�la�posizione�di�donne�e�uomini.�Quindi:�norme�dirette�a�promuovere�
l'eguaglianza�di�chances 
e�non�misure�rivolte�a�raggiungere�direttamente�il�
risultato�(come,�per�esempio,�garantire�dei�seggi�parlamentari�direttamente�
alle�donne).�

Probabilmente�la�prima�riforma�legislativa�da�realizzare�e�quella�sulla�
legge�elettorale�per�il�Parlamento�europeo�(in�quanto�prevede�un�sistema�pro-
porzionale��puro��basato�su�liste�di�partito�e�voto�di�preferenza).�

Dott.ssa 
Ilaria 
Sanasi 


Corte 
Costituzionale, 
sentenza 
10 
febbraio 
2003, 
n. 
49 
^Pres. 
Chieppa�^Rel. 
Onida�^
Ricorrente:�Presidente�del�Consiglio�dei�Ministri�(Avv.�dello�Stato�O.�Fiumara)�
c/Regione�Val�d'Aosta.�

La 
Corte 
Costituzionale 
dichiara 
non 
fondata 
la 
questione 
di 
legittimita� 
costituzionale 
degli 
articoli 
2, 
comma 
1, 
e 
7, 
comma 
1, 
della 
legge 
regionale 
della 
Valle 
d'Aosta 
13 
novembre 
2002, 
n. 
21, 
recante 
�Modificazioni 
alla 
legge 
regionale 
12 
gennaio 
1993, 
n. 
3 
(Norme 
per 
l'ele-
zione 
del 
Consiglio 
regionale 
della 
Valle 
d'Aosta), 
gia� 
modificata 
dalle 
leggi 
regionali 
11 
marzo 
1993, 
n. 
13 
e 
1 
settembre 
1997, 
n. 
31, 
e 
alla 
legge 
regionale 
19 
agosto 
1998, 
n. 
47 
(Salvaguardia 
delle 
caratteristiche 
e 
tradizioni 
linguistiche 
e 
culturali 
delle 
popolazioni 
walser 
della 
valle 
del 
Lys)�,sollevata, 
inriferimentoagliarticoli3,primocomma,e51,primocomma,dellaCostitu-
zione, 
dal 
Governo 
con 
il 
ricorso 
in 
via 
principale 
n. 
53/2002, 
in 
quanto 
le 
disposizioni 
impu-
gnate 
della 
legge 
elettorale 
della 
Valle 
d'Aosta 
introducono 
un 
vincolo 
�legale> 
rispetto 
alle 
sceltedichiforma 
epresenta 
leliste. 


�(Omissis) 
Considerato 
in 
diritto 
1.�^Il�Governo,�con�ricorso�proposto�ai�sensi�dell'arti-
colo�15,�terzo�comma,�dello�statuto�speciale�per�la�Valle�d'Aosta/Valle�e�d'Aoste,�come�modi-
ficatodall'art.�2dellaleggecostituzionalen.�2del2001,hapromossoquestionedilegittimita�
costituzionale�degli�articoli�2,�comma�2,�e�7,�comma�1,�dellalegge�regionale�dellaValle�d'Ao-
sta�recante��Modificazioni�alla�legge�regionale�12�gennaio�1993,�n.�3�(Norme�per�l'elezione�
del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta),�gia�modificata�dalle�leggi�regionali�11�marzo�
1993,�n.�13�e�1�settembre�1997,�n.�31,�e�alla�legge�regionale�19�agosto�1998,�n.�47�(Salvaguar-
dia�delle�caratteristiche�e�tradizioni�linguistiche�e�culturali�delle�popolazioni�walser 
della�
valle�del�Lys)�,�approvata�dal�Consiglio�regionale�a�maggioranza�di�due�terzi�dei�compo-
nenti�il�25�luglio�2002,�e�pubblicata�per�notizia�nel�Bollettino�Ufficiale�della�Regione�del�
2�agosto�2002.�Successivamente�alla�proposizione�del�ricorso�la�legge�regionale�impugnata�
^una�volta�decorso�il�termine�per�la�richiesta�di�referendum�^e�stata�promulgata�e�pubbli-
cata�come�legge�regionale�13�novembre�2002,�n.�21.�

Le�disposizioni�impugnate,�rispettivamente,�inseriscono�l'art.�3-bis 
e�sostituiscono�
l'art.�9,�comma�1,�lettera�a,�nella�legge�regionale�12�gennaio�1993,�n.�3�(Norme�per�l'elezione�
del�Consiglio�regionale�della�Valle�d'Aosta).�

Precisamente,�il�nuovo�art.�3-bis 
della�legge�sull'elezione�del�Consiglio,�inserito�dal-
l'art.�2�della�legge�impugnata,�stabilisce,�al�comma�2,�che�le�liste�elettorali�devono�compren-


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

dere��candidati�di�entrambi�i�sessi�;�a�sua�volta�il�nuovo�art.�9,�comma�1,�lettera�a�della�
legge�elettorale,�sostituito�dall'art.�7,�comma�1,�della�legge�impugnata,�prevede�che�vengano�
dichiarate�non�valide�dall'ufficio�elettorale�regionale�le�liste�presentate�che�non�corrispon-
dano�alle�condizioni�stabilite,�fra�cui�quella��che�nelle�stesse�siano�presenti�candidati�di�
entrambi�i�sessi�.�

Tali�disposizioni�sono�censurate�dal�ricorrente�per�contrasto�con�gli�articoli�3,�primo�
comma,�e�51,�primo�comma,�della�Costituzione.�

Sostiene�il�Governo�che�le�predette�disposizioni�^l'art.�7�in�quanto�espressamente�con-
diziona�la�validita�delle�liste�alla�presenza�di�candidati�di�entrambi�i�sessi,�l'art.�2�in�quanto�
venga�interpretato�non�come�semplice�indicazione�programmatica,�ma�come�disposizione�
vincolante�in�sede�di�controllo�della�validita�delle�liste�presentate�^limitano�di�fatto�il�diritto�
di�elettorato�passivo.�Richiamandosi�alla�sentenza�di�questa�Corte�n.�422�del�1995�(che�
dichiaro�l'illegittimita�costituzionale�di�diverse�disposizioni�di�legge�prevedenti�l'obbligo�di�
riservare�a�candidati�di�ciascuno�dei�due�sessi�quote�minime�di�posti�nelle�liste�per�le�elezioni�
delle�Camere�e�dei�Consigli�regionali�e�comunali),�il�Governo�osserva�che�l'appartenenza�
all'uno�o�all'altro�sesso�non�puo�mai�essere�assunta�come�requisito�di�eleggibilita�,ne�quindi�
come�requisito�di��candidabilita��,�poiche�questa�sarebbe�presupposto�della�eleggibilita�;e�
che�pertanto�contrasterebbe�con�il�principio�di�eguaglianza�nell'accesso�alle�cariche�elettive,�
sancito�dall'art.�3,�primo�comma,�e�dall'art.�51,�primo�comma,�della�Costituzione,�una�
norma�di�legge�che�imponga�nella�presentazione�delle�candidature��qualsiasi�forma�di�quote�
in�ragione�del�sesso�dei�candidati�.�Ad�avviso�del�ricorrente,�anche�la�semplice�previsione�c
ome�contenuta�nella�legge�impugnata�^della�necessaria�presenza�in�ogni�lista�di�candidati�
dei�due�sessi�non�si�differenzierebbe�sostanzialmente,�da�questo�punto�di�vista,�dalla�previ-
sione�di�una��quota��di�riserva�di�candidature�all'uno�e�all'altro�sesso.�

Il�ricorrente�richiama�bens|�la�norma,�contenuta�nell'articolo�15,�secondo�comma,�
secondo�periodo,�dello�statuto�della�Valle�d'Aosta�(come�modificato�dall'art.�2�della�legge�
costituzionale�n.�2�del�2001),�secondo�cui,��al�fine�di�conseguire�l'equilibrio�della�rappresen-
tanza�dei�sessi�,�la�legge�che�stabilisce�le�modalita�di�elezione�del�Consiglio�regionale��pro-
muove�condizioni�di�parita�per�l'accesso�alle�consultazioni�elettorali�:�ma�ritiene�che�si�tratti�
di�una��enunciazione�programmatica�,�onde�la�norma�di�legge�regionale,�secondo�cui�ogni�
lista�di�candidati�all'elezione�del�Consiglio�regionale�deve�prevedere�la�presenza�di�candidati�
di�entrambi�i�sessi,�potrebbe�ritenersi�legittima�e�conforme�allo�spirito�della�disposizione�sta-
tutaria�solo�se�intesa�come��norma�meramente�propositiva,�quasi�un�auspicio�;�mentre�
sarebbe�irrimediabilmente�illegittima�la�norma�che�condiziona�a�tale�presenza�la�validita�
delle�liste.�

2.�^Deve�essere,�anzitutto,�dichiarato�inammissibile�l'intervento�spiegato�in�giudizio�
dalle�Consulte�femminili�della�Campania�e�della�Valle�d'Aosta:�nei�giudizi�di�legittimita�
costituzionale�promossi�in�via�principale�non�e�prevista�la�possibilita�di�intervento�di�soggetti�
diversi�dal�titolare�delle�competenze�legislative�in�contestazione�o�con�queste�comunque�con-
nesse�(cfr.�sentenze�n.�353�del�2001�e�n.�533�del�2002).�
3.�^Laquestione�e�infondata.�
3.1.�^In�primo�luogo,�deve�osservarsi�che�le�disposizioni�contestate�non�pongono�l'ap-
partenenza�all'uno�o�all'altro�sesso�come�requisito�ulteriore�di�eleggibilita�,�e�nemmeno�di�
�candidabilita���dei�singoli�cittadini.�L'obbligo�imposto�dalla�legge,�e�la�conseguente�sanzione�
di�invalidita�,�concernono�solo�le�liste�e�i�soggetti�che�le�presentano.�
In�secondo�luogo,�la�misura�prevista�dalla�legge�impugnata�non�puo�qualificarsi�come�
una�di�quelle��misure�legislative,�volutamente�diseguali�,�che��possono�certamente�essere�
adottate�per�eliminare�situazioni�di�inferiorita�sociale�ed�economica,�o,�piu�in�generale,�per�
compensare�e�rimuovere�le�disuguaglianze�materiali�tra�gli�individui�(quale�presupposto�del�
pieno�esercizio�dei�diritti�fondamentali)�,�ma�che�questa�Corte�ha�ritenuto�non�possano�
�incidere�direttamente�sul�contenuto�stesso�di�quei�medesimi�diritti,�rigorosamente�garantiti�
in�egual�misura�a�tutti�i�cittadini�in�quanto�tali�,�tra�cui,�in�particolare,�il�diritto�di�elettorato�
passivo�(sentenza�n.�422�del�1995).�

Non�e�qui�prevista,�infatti,�alcuna�misura�di��disuguaglianza��allo�scopo�di�favorire�
individui�appartenenti�a�gruppi�svantaggiati,�o�di��compensare��tali�svantaggi�attraverso�
vantaggi�legislativamente�attribuiti.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Non�vi�e��,�insomma,�nessuna�incidenza�diretta�sul�contenuto�dei�diritti�fondamentali�dei�
cittadini,�dell'uno�o�dell'altro�sesso,�tutti�egualmente�eleggibili�sulla�base�deisoliedeguali�
requisiti�prescritti.�

Nemmeno�potrebbe�parlarsi�di�una�incidenza�su�un�ipotetico�diritto�di�aspiranti�candidati�
ad�essere�inclusi�in�lista,�posto�che�la�formazione�delle�liste�rimane�interamente�rimessa�alle�
libere�scelte�dei�presentatori�e�degli�stessi�candidati�in�sede�di�necessaria�accettazione�della�can-
didatura�(cfr.�sentenza�n.�203�del�1975).�Non�si�realizza,�in�tale�sede,�alcun�metodo��concor-
suale��in�relazione�al�quale�un�soggetto�non�incluso�nelle�liste�possa�vantare�una�posizione�giu-
ridica�di�priorita��ingiustamente�sacrificata�a�favore�di�un�altro�soggetto�in�essa�incluso.�

In�altri�termini,�le�disposizioni�in�esame�stabiliscono�un�vincolo�non�gia��all'esercizio�del�
voto�o�all'esplicazione�dei�diritti�dei�cittadini�eleggibili,�ma�alla�formazione�delle�libere�scelte�
dei�partiti�e�dei�gruppi�che�formano�e�presentano�le�liste�elettorali,�precludendo�loro�(solo)�
la�possibilita��di�presentare�liste�formate�da�candidati�tutti�dello�stesso�sesso.�

Tale�vincolo�negativo�opera�soltanto�nella�fase�anteriore�alla�vera�e�propria�competizione�
elettorale,�e�non�incide�su�di�essa.�La�scelta�degli�elettori�tra�le�liste�e�fra�i�candidati,�e�l'elezione�
di�questi,�non�sono�in�alcun�modo�condizionate�dal�sesso�dei�candidati:�tanto�meno�in�quanto,�
nel�caso�di�specie,�l'elettore�puo��esprimere�voti�di�preferenza,�e�l'ordine�di�elezione�dei�candidati�
di�una�stessa�lista�e��determinato�dal�numero�di�voti�di�preferenza�da�ciascuno�ottenuti�(cfr.�arti-
coli�34�e�51�della�legge�regionale�n.�3�del�1993).�A�sua�volta,�la�parita��di�chances 
fra�le�liste�e�fra�
i�candidati�della�stessa�lista�non�subisce�alcuna�menomazione.�

3.2.�^Non�puo��,�d'altronde,�dirsi�che�la�disciplina�cos|��imposta�non�rispetti�la�parita��dei�
sessi,�cioe��introduca�differenziazioni�in�relazione�al�sesso�dei�candidati�o�degli�aspiranti�alla�
candidatura:�sia�perche�la�legge�fa�riferimento�indifferentemente�a�candidati��di�entrambi�i�
sessi�,�sia�perche�da�essa�non�discende�alcun�trattamento�diverso�di�un�candidato�rispetto�
all'altro�in�ragione�del�sesso.�
3.3.�^Neppure,�infine,�e��intaccato�il�carattere�unitario�della�rappresentanza�elettiva�che�
si�esprime�nel�Consiglio�regionale,�non�costituendosi�alcuna�relazione�giuridicamente�rile-
vante�fra�gli�elettori,�dell'uno�e�dell'altro�sesso�e�gli�eletti�dello�stesso�sesso.�
4.�^Il�vincolo�che�la�normativa�impugnata�introduce�alla�liberta��dei�partiti�e�dei�gruppi�
che�presentano�le�liste�deve�essere�valutato�oggi�anche�alla�luce�di�un�quadro�costituzionale�
di�riferimento�che�si�e��evoluto�rispetto�a�quello�in�vigore�all'epoca�della�pronuncia�di�questa�
Corte�invocata�dal�ricorrente�a�sostegno�dell'odierna�questione�di�legittimita��costituzionale.�

La�legge�costituzionale�n.�2�del�2001,�integrando�gli�statuti�delle�Regioni�ad�autonomia�dif-
ferenziata,�ha�espressamente�attribuito�alle�leggi�elettorali�delle�Regioni�il�compito�di�promuo-
vere��condizioni�di�parita��per�l'accesso�alle�consultazioni�elettorali�,�e�cio��proprio��al�fine�di�
conseguire�l'equilibrio�della�rappresentanza�dei�sessi��(art.�15,�secondo�comma,�secondo�
periodo,�statuto�Valle�d'Aosta;�e�nello�stesso�senso,�anche�testualmente,art.�3,primo�comma,�
secondo�periodo,�statuto�speciale�per�la�Sicilia,�modificato�dall'art.�1�della�legge�costituzionale�

n.�2del2001;art.�15,secondocomma,secondoperiodo,statutospecialeperlaSardegna,modi-
ficato�dall'art.�3�della�legge�costituzionale�n.�2�del�2001;�art.�47,�secondo�comma,�secondo�
periodo,�statuto�speciale�per�il�Trentino-Alto�Adige/Su�dtirol,�modificato�dall'art.�4�della�legge�
costituzionale�n.�2�del�2001;�art.�12,�secondo�comma,�secondo�periodo,�statuto�speciale�per�il�
Friuli-Venezia�Giulia,�modificato�dall'art.�5�della�legge�costituzionale�n.�2�del�2001).�
Le�nuove�disposizioni�costituzionali�(cui�si�aggiunge�l'analoga,�anche�se�non�identica,�
previsione�del�nuovo�art.�117,�settimo�comma,�della�Costituzione,�come�modificato�dalla�
legge�costituzionale�n.�3�del�2001)�pongono�dunque�esplicitamente�l'obiettivo�del�riequilibrio�
e�stabiliscono�come�doverosa�l'azione�promozionale�per�la�parita��di�accesso�alle�consulta-
zioni,�riferendoli�specificamente�alla�legislazione�elettorale.�

Questa�Corte�ha�riconosciuto�che�la�finalita��di�conseguire�una��parita��effettiva��(sentenza�

n.�422�del�1995)�fra�uomini�e�donne�anche�nell'accesso�alla�rappresentanza�elettiva�e��positiva-
menteapprezzabiledalpuntodivistacostituzionale.Sitratta,invero,diunafinalita��^chetrova�
larghi�riconoscimenti�e�realizzazioni�in�molti�ordinamenti�democratici,�e�anche�negli�indirizzi�
espressidagliorganidell'Unioneeuropea�^collegataallaconstatazione,�storicamenteincontro-
vertibile,�di�uno�squilibrio�di�fatto�tuttora�esistente�nella�presenza�dei�due�sessi�nelle�assemblee�
rappresentative,�asfavoredelledonne.�Squilibrioriconducibilesiaalpermaneredeglieffettisto-
ricidelperiodonelqualealledonneeranonegatiolimitatiidirittipolitici,�siaalpermanere,tut-
tora,�di�ben�noti�ostacoli�di�ordine�economico,�sociale�e�di�costume�suscettibili�di�impedirne�
una�effettiva�partecipazione�all'organizzazione�politica�del�Paese.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Un�aspetto,�se�non�decisivo,�certo�assai�influente�del�fenomeno�e�costituito�dai�compor-
tamenti�di�fatto�prevalenti�nell'ambito�dei�partiti�e�dei�gruppi�politici�che�operano�per�orga-
nizzare�la�partecipazione�politica�dei�cittadini,�anche�e�principalmente�attraverso�la�selezione�
e�la�indicazione�dei�candidati�per�le�cariche�elettive.�Cos|�che,�gia�in�passato,�la�Corte�ha�
espresso�una�valutazione�positiva�di�misure�^tendenti�ad�assicurare��l'effettiva�presenza�
paritaria�delle�donne�(...)�nelle�cariche�rappresentative��^�liberamente�adottate�da�partiti�
politici,�associazioni�o�gruppi�che�partecipano�alle�elezioni,�anche�con�apposite�previsioni�
dei�rispettivi�statuti�o�regolamenti�concernenti�la�presentazione�delle�candidature��(sentenza�

n.�422�del�1995),�sul�modello�di�iniziative�diffuse�in�altri�paesi�europei.�
Le�disposizioni�impugnate�della�legge�elettorale�della�Valle�d'Aosta�operano�su�questo�
terreno,�introducendo�un�vincolo�legale�rispetto�alle�scelte�di�chi�forma�e�presenta�le�liste.�
Quello�che,�insomma,�gia�si�auspicava�potesse�avvenire�attraverso�scelte�statutarie�o�rego-
lamentari�dei�partiti�(i�quali�pero�,�finora,�in�genere�non�hanno�mostrato�grande�propen-
sione�a�tradurle�spontaneamente�in�atto�con�regole�di�autodisciplina�previste�ed�effettiva-
mente�seguite)�e�qui�perseguito�come�effetto�di�un�vincolo�di�legge.�Un�vincolo�che�si�giusti-
fica�pienamente�alla�luce�della�finalita�promozionale�oggi�espressamente�prevista�dalla�
norma�statutaria.�

4.1.�^Deve�peraltro�osservarsi�che,�nella�specie,�il�vincolo�imposto,�per�la�sua�portata�
oggettiva,�non�appare�nemmeno�tale�da�incidere�propriamente,�in�modo�significativo,�sulla�
realizzazione�dell'obiettivo�di�un�riequilibrio�nella�composizione�per�sesso�della�rappresen-
tanza.�Infatti�esso�si�esaurisce�nell'impedire�che,�nel�momento�in�cui�si�esplicano�le�libere�
scelte�di�ciascuno�dei�partiti�e�dei�gruppi�in�vista�della�formazione�delle�liste,�si�attui�una�
discriminazione�sfavorevole�ad�uno�dei�due�sessi,�attraverso�la�totale�esclusione�di�candidati�
ad�esso�appartenenti.�Le��condizioni�di�parita���fra�i�sessi,�che�la�norma�costituzionale�
richiede�di�promuovere,�sono�qui�imposte�nella�misura�minima�di�una�non�discriminazione,�
ai�fini�della�candidatura,�a�sfavore�dei�cittadini�di�uno�dei�due�sessi.�
5.�^In�definitiva�^ribadito�che�il�vincolo�resta�limitato�al�momento�della�formazione�
delle�liste,�e�non�incide�in�alcun�modo�sui�diritti�dei�cittadini,�sulla�liberta�di�voto�degli�elet-
tori�e�sulla�parita�di�chances 
delle�liste�e�dei�candidati�e�delle�candidate�nella�competizione�
elettorale,�ne�sul�carattere�unitario�della�rappresentanza�elettiva�^la�misura�disposta�puo�
senz'altro�ritenersi�una�legittima�espressione�sul�piano�legislativo�dell'intento�di�realizzare�
la�finalita�promozionale�espressamente�sancita�dallo�statuto�speciale�in�vista�dell'obiettivo�
di�equilibrio�della�rappresentanza�(Omissis)�.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Incidente�di�costituzionalita�e�giurisdizione 
in�sede�di�giudizio�cautelare�amministrativo. 
Un�dialogo�difficile�tra�complessita�ed�incomprensioni 


Corte�Suprema�di�Cassazione,�Sezioni�Unite,�ordinanza�27febbraio-6�maggio�2003�n.�6889�

E�nota�la�tendenza�delle�Sezioni�Unite�della�Corte�Suprema�di�Cassa-
zione�a�trasformare�i�motivi�di�giurisdizione,�che�sorreggono�il�regolamento�
preventivo�di�giurisdizione�ovvero�lo�specifico�rimedio�previsto�dall'arti-
colo�360�n.�1�c.p.c.�(o�dell'art.�111�della�Costituzione),�in�semplici�errores�in�
procedendo,�non�sindacabili�in�sede�di�regolazione�della�giurisdizione.�La�
mancanza�di�potere�giurisdizionale�si�trasforma�per�questa�via�in�un�cattivo�
uso�del�potere�giurisdizionale,�in�quanto�tale�non�denunciabile�come�motivo�
di�violazione�del�riparto�di�giurisdizione.�

Il�problema�si�pone,�tuttavia,�allorche�la�cognizione�del�giudice�ammini-
strativo�interferisce�con�altri�procedimenti�giurisdizionali�ovvero�conil�
merito�(nel�senso�dell'opportunita�)�amministrativo,�riservato�di�norma�all'e-
sclusiva�disponibilita�dell'amministrazione�attiva.�

La�Corte�di�Cassazione�a�Sezione�Unite�ha�ritenuto�tale�interferenza�ed�
ha�ammesso�il�giudizio�sulla�giurisdizione�in�occasione�del�tentativo�di�far�
valere�con�il�giudizio�di�ottemprenza�una�decisione�su�ricorso�straordinario�
al�capo�dello�Stato�(Cass.,�Sez.�Unite�n.�16270�del�19�novembre�2002),�ma�lo�
ha�escluso�nei�casi�in�cui�il�giudice�amministrativo�assuma�in�sede�di�legitti-
mita�statuizioni��estese�anche�al�merito��(Cass.,�Sez.�Unite,�n.�15978�del�
18�dicembre�2001).�

Questa�volta�e�toccato�al�giudizio�di�costituzionalita�delle�leggi,�nei�cui�
confronti�finoscono�per�prevalere�esigenze�specifiche�della�fase�cautelare�del�
giudizio�amministrativo.�

Corte�di�Cassazione,�Sezioni�Unite,�ordinanza�27�febbraio-6�maggio�2003�n.�6889�^Pres.�V.�

Carbone�^Rel.�S.�Evangelista�^P.G.�A.�Martone�^Consiglio�di�Presidenza�per�la�Giusti-

zia�Amministrativa�c/P.T.�(cont.�47050/01,�Avv.�dello�Stato�I.F.Caramazza).�

Ancorche�sia�insorta�questione�incidentale�di�legittimita�costituzionale,�il�ricorsoper�motivi�

digiurisdizioneavverso�decisioneconclusiva�diprocedimento�cautelare�incidentalee�inammissi


bile�qualora�la�questione�di�giurisdizione�venga�riferita�inequivocabilmente�al�soloprocedimento�

cautelare�e�per�ragioni�che�ad�esso�attengono�in�via�esclusiva.�

�(omissis)�Ritenuto�in�fatto�^Con�ricorso�notificato�il�6�dicembre�2000,�il�consigliere�
di�Stato�P.T.�chiedeva�che�il�Tribunale�amministrativo�regionale�per�la�Sicilia�annullasse,�pre-
via�sospensione�in�via�cautelare,�la�delibera�del�Consiglio�di�presidenza�della�Giustizia�
Amministrativa�del�30�marzo�2000,�dichiarativa�dell'inammissibilita�dell'istanza�da�lui�pre-
sentata�per�ottenere�il�trasferimento�presso�il�Tribunale�amministrativo�regionale�per�la�
Sardegna.�

Il�giudice�adito,�con�ordinanza�22�marzo�2001,�n.�127,�rimetteva�alla�Corte�costituzio-
nale�la�questione�di�legittimita�degli�articoli�14�e�15�della�legge�27�aprile�1982,�n.�186,�nella�
parte�in�cui�precludono�al�magistrato�amministrativo�con�funzioni�di�consigliere�di�Stato�di�
essere�assegnato�a�funzioni�di�merito.�Sospendeva�quindi�il�giudizio�senza�provvedere�sull'i-
stanza�cautelare.�

Il�provvedimento�di�sospensione�era�impugnato�davanti�al�Consiglio�di�Giustizia�
Amministrativa�della�Regione�Sicilia,�il�quale,�con�ordinanza�13�giugno�2001,�n.�458,�inter-
pretandolo�come�una�pronuncia�di�diniego�dell'istanza�cautelare�e�ritenendolo�illegittimo�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

sull'assunto�che�la�pregiudiziale�costituzionale�e�la�conseguente�sospensione�del�giudizio�pre-
giudicato�non�escludono�il�potere�^dovere�del�giudice�di�provvedere�in�sede�cautelare,�rimet-
tendo�alla�successiva�fase�di�merito�la�valutazione�degli�effetti�della�decisione�resa�dal�giu-
dice�delle�leggi,�accordava�la�cautela�richiesta.�

Il�Consiglio�di�presidenza�per�la�giustizia�amministrativa�proponeva,�quindi,�ricorso�per�
regolamento�preventivo�di�giurisdizione,�sostenendo�che�la�sospensione�del�processo�davanti�
al�giudice�di�primo�grado,�derivante�da�incidente�di�costituzionalita�da�questi�proposto�in�
sede�di�esame�dell'istanza�cautelare,�determina�un�temporaneo�difetto�assoluto�di�giurisdi-
zione,�cos|�precludendo�al�giudice�del�grado�superiore,�eventualmente�richiesto�della�rinno-
vazione�dell'esame�suddetto,�di�provvedere�al�riguardo.�

L'intimato�non�si�costituiva�nel�susseguente�giudizio�davanti�a�questa�Corte.�

Il�Procuratore�generale�concludeva�nel�senso�dell'inammissibilita�del�ricorso.�

Considerato 
in 
diritto 
^Ai�fini�dello�scrutinio�di�ammissibilita�delricorso,laCorte�
osserva�che�esso,�come�riferito�in�narrativa,�e�stato�proposto�con�precipuo�riferimento�alla�
fase�cautelare�del�giudizio�pendente�davanti�al�giudice�amministrativo.�

Al�riguardo�si�impone�un�primo�rilievo,�in�quanto,�pur�non�potendosi�dubitare�che�
quelle�di�Consigliere�di�Stato�e�di�Consigliere�di�Tribunale�amministrativo�regionale�siano,�
alla�stregua�dell'art.�14�della�legge�27�aprile�1982,�n.�186,�ed�in�coerenza�con�gli�assetti�deli-
neati�dagli�articoli�100,�103�e�125�della�Costituzione,�due�qualifiche�diverseedistinte^salvo�
quanto�disposto�dall'art.�13�della�legge�6�dicembre�1971,�n.�1034,�ove�ritenuto�ancora�inte-
gralmente�vigente�a�seguito�dell'entrata�in�vigore�del�citato�art.�14�della�legge�n.�186�del�
1982�^,�nel�caso�di�specie�deve�tuttavia�ritenersi�precluso�a�queste�Sezioniunite,per�le�
ragioni�di�cui�appresso,�l'esame�della�prospettata�questione�di�giurisdizione.�

La�riforma�dei�procedimenti�cautelari,�attuata�con�la�legge�26�novembre�1990,�n.�353,�
ha�determinato�il�definitivo�abbandono�dell'orientamento�giurisprudenziale�che�consentiva�
l'esperibilita�del�regolamento�preventivo�di�giurisdizione�nell'ambito�dei�procedimenti�stessi.�

A�seguito�della�sentenza�delle�Sezioni�unite�22�marzo�1996�n.�2465,�costituisce�ormaijus 
receptum 
che,�essendo,�a�norma�dell'art.�669�terdecies 
cod.�proc.�civ.,�nel�testo�risultante�della�
sentenza�della�Corte�costituzionale�n.�253�del�1994,�ammesso,�anche�per�motivi�attinenti�alla�
giurisdizione,�il�reclamo�al�giudice�processualmente�sovrordinato�avverso�i�provvedimenti�di�
accoglimento�o�di�rigetto�della�misura�cautelare,�ne�consegue�l'esclusione,�rispetto�ai�medesimi,�
del�ricorso�per�regolamento�preventivo�di�giurisdizione,�sia�perche�trattasi�di�provvedimenti�di�
natura�provvisoria�e�strumentale�contro�i�quali,�non�essendo�consentito�il�ricorso�ex 
art.�111�
Cost.,�non�puo�neppure�ammettersi�quello�per�regolamento,�non�potendo�logicamente�ritenersi�
che�il�giudice�di�legittimita�possa�per�tal�via�risolvere�la�stessa�questione�di�giurisdizione�della�
qualenonpuo�essereinvestitoanormadelcitatoart.�111Cost;siaperche�ladefinizionedelrela-
tivo�procedimento�nei�tempi�brevi�fissati�dall'art.�739�cod.�proc.�civ.�fa�venir�meno�l'esigenza�di�
una�pronta�decisione�sulla�questione�della�giurisdizione�al�di�fuori�di�tale�procedimento.�

Argomentandosi,�poi,�l'inammissibilita�del�regolamento�anche�dalla�natura�provvisoria�e�
strumentale�del�provvedimento�conclusivo�della�fase�cautelare,�se�ne�e�altres|�dedotta�la�sua�
estensione�dal�provvedimento�reclamabile�a�quello�reso�sul�reclamo,�con�orientamento�
anch'essoormaiconsolidato(v.,daultimaepertutte,Cass.,sez.unite,15�marzo2002,n.�3878).�

Peraltro,�il�descritto�corso�della�giurisprudenza�si�e�formato�con�riguardo�precipuo�al�pro-
cedimento�cautelare�instaurato�ante 
causam, 
mentre�piu�complessi�problemi�sorgono�allorche�
l'istanza�di�regolamento�preventivo�prenda�bens|�occasione�dallo�svolgimento�del�procedimento�
cautelare,�ma�questo�si�atteggi�come�una�fase�incidentale�del�gia�pendente�giudizio�di�merito.�

In�tali�casi,�invero,�il�rapporto�di�strumentalita�che�lega�merito�e�cautela�pone�il�pro-
blema�se�l'inammissibilita�del�regolamento�possa�desumersi�puramente�e�semplicemente�dal-
l'occasione�suddetta�o�se,�invece,�quest'ultima,�rilevando�soltanto�come�momento�di�insor-
genza�della�questione,�non�ne�escluda�la�riferibilita�immediata�e�diretta�al�giudizio�di�merito,�
con�conseguente�cessazione�delle�ragioni�ostative�del�regolamento�stesso.�

La�seconda�alternativa,�in�effetti,�e�quella�sottesa�al�fermo�orientamento�giurispruden-
ziale�(v.,�da�ultima�a�per�tutte,�Cass.,�sez.�un.,�26�giugno�2002,�n.�9332)�per�cui,�essendo�il�
regolamento�di�giurisdizione�proponibile�finche�la�causa�non�sia�decisa�nel�merito�in�primo�
grado,�se�ne�desume�la�persistente�ammissibilita�anche�qualora�il�giudice�adito�si�sia�pronun-
ciato�sull'istanza�cautelare,�atteso�che�il�provvedimento�reso�sulla�richiesta�di�tutela�d'ur-
genza�non�costituisce,�per�la�sua�efficacia�provvisoria,�sentenza�agli�effetti�suddetti.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�effetti,�il�principio�secondo�il�quale,�atteso�il�rapporto�di�strumentalita�esistente�tra�il�
provvedimento�cautelare�a�quello,�successivo,�di�merito,�non�e�possibile�contestare�la�giuri-
sdizione�in�relazione�al�primo�e�riconoscerla�per�il�secondo,�ha�la�sua�radice�nella�identita�
della�posizione�soggettiva�che�forma�oggetto�della�tutela�cautelare�e�di�quella�che�si�invoca�
in�via�definitiva:�e�evidente�che,�se�la�giurisdizione�deve�determinarsi�con�riferimento�all'i-
dentica�posizione�soggettiva�dedotta,�essa�non�potrebbe�(con�riguardo�a�due�momenti�dello�
stesso�processo)�ricevere�tutela�da�parte�di�giudici�appartenenti�a�ordini�diversi.�

Puo�,�quindi,�concludersi�osservando�che�la�pendenza�del�giudizio�di�merito�impedisce,�
di�norma,�la�declaratoria�di�inammissibilita�del�regolamento�preventivo�proposto�nel�corso�
dell'incidente�cautelare.�

Possono�nondimeno�ricorrere�situazioni�eccezionali�al�cui�cospetto�l'incidente�stesso�
costituisce�non�la�semplice�occasione,�ma�la�causa�di�una�questione,�rispetto�alla�quale�cessi�
di�rilevare�il�normale�nesso�di�strumentalita�di�cuisie�fatto�cenno.�

Un'eccezione�siffatta�puo�verificarsi�(cfr.�Cass.,�sez.�un.,�26�gennaio�1988,�n.�634)�allor-
che�la�questione�di�giurisdizione�^pur�prospettata�nei�consueti�termini�di�invasione�della�
sfera�riservata�all'azione�della�pubblica�amministrazione�o�di�eserciziodi�unpoteregiurisdi-
zionale�di�cui�quel�giudice,�ovvero�qualsiasi�altro�giudice,�sia�del�tutto�sfornito�^venga�rife-
rita�inequivocabilmente�al�solo�procedimento�cautelare�e�per�ragioni�che�ad�esso�attengono�
in�via�esclusiva,�senza�che�sia�posta�in�discussione�la�giurisdizione�relativamente�al�procedi-
mento�principale�in�corso.�

In�questa�ipotesi�l'istanza�di�regolamento�non�tende�a�fare�accertare�se�ed�a�quale�giu-
dice�appartenga�la�giurisdizione�sul�procedimento�principale�(e�solo�di�riflesso�sul�procedi-
mento�incidentale),�ne�,�ai�suoi�fini,�viene�in�rilievo�l'identificazione�della�posizione�soggettiva�
che�possa�riconoscersi�in�capo�al�privato�di�fronte�al�potere�esercitato�dall'Amministrazione.�

E�,�invece,�sollecitato�l'accertamento�se�il�provvedimento�sia�viziato�per�difetto�del�potere�
giurisdizionale�al�riguardo,�cos|�ponendosi�una�questione�che�attiene�non�all'intero�procedi-
mento,�nel�quale�sia�innesta�quello�incidentale,�ma�limitatamente�a�quest'ultimo�e�con�
riguardo�ai�motivi�dedotti,�senza�pregiudizio�di�altra�e�diversa�questione�di�giurisdizione�
eventualmente�proponibile�in�relazione�alla�natura�della�posizione�soggettiva�dedotta�nella�
causa�principale�ed�estensibile�al�procedimento�cautelare�atteso�il�vincolo�di�strumentalita�
che�lo�lega�alla�decisione�definitiva.�

Ma�una�questione�di�giurisdizione�cos|�prospettata�ossia�in�termini�di�esclusiva�riferibi-
lita�al�procedimento�incidentale,�sortisce�l'effetto�di�una�sostanziale�equiparazione,�ai�fini�
dello�scrutinio�di�ammissibilita�dell'istanza�di�regolamento,�di�questo�procedimento�a�quello�
introdotto�ante 
causam, 
non�essendo�utilizzabile�in�nessuno�dei�due�casi�l'efficacia�legittima-
mente�alla�proposizione�del�regolamento�che�e�propria�della�pendenza�del�giudizio�di�merito�
e�venendo,�per�contro,�in�rilievo�in�entrambi�i�casi�le�gia�esposte�ragioni�ostative�dell'ammis-
sibilita�che�si�ricollegano�alla�struttura�del�procedimento�cautelare�ed�alla�natura�del�suo�
provvedimento�conclusivo.�

In�buona�sostanza,�una�volta�stabilito�che�la�proposizione�del�regolamento�non�puo�
essere�legittimata�dalla�pendenza�del�giudizio�di�merito,�riprendono�vigore�le�sopra�descritte�
preclusioni�nascenti�dalle�peculiarita�del�procedimento�cautelare:�cio�che�la�giurisprudenza�
non�ha�tardato�a�riconoscere�allorche�ha�affermato�che�esse�operano�anche�con�riguardo�al�
procedimento�cautelare�instaurato�in�pendenza�del�processo�di�merito,�o�contestualmente�a�
questo�(Cass.,�sez.�un.�10�aprile�1997,�n.�3125),�osservando�che�anche�in�tal�caso�sussistono�
identiche�ragioni�ostative,�individuate,�con�la�sentenza�appena�richiamata,�nell'immediata�
reclamabilita�del�provvedimento�cautelare,�ai�sensi�dell'art.�669�terdecies 
cod.�proc.�civ.;�
mentre�qui�puo�aggiungersi�il�richiamo�alle,�ugualmente�riferite,�ragioni�ostative�dell'istanza�
di�regolamento�rispetto�al�provvedimento�cautelare�reso�in�sede�di�reclamo.�

Questa�situazione�si�presenta�nel�caso�in�esame�in�cui�il�ricorrente�non�disconosce�il�
potere�del�giudice�amministrativo�di�emettere�il�provvedimento�definitivo�di�annullamento�
dell'atto�impugnato�in�relazione�all'interesse�del�quale�la�parte�istante�ha�invocato�la�tutela�
(che,�percio�,�non�forma�oggetto�del�presente�regolamento�e�della�decisione�che�questa�Corte�
e�chiamata�ad�emettere),�ma�deduce�che,�in�ordine�al�provvedimento�cautelare,�il�Consiglio�
di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione�Sicilia�era�del�tutto�privo�di�potere�giurisdizio-
nale,�a�causa�della�sospensione�disposta�dal�giudice�di�primo�grado�come�conseguenza�del�
sollevato�incidente�di�costituzionalita�.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

In�tale�situazione,�deve,�dunque,�provvedersi�alla�declaratoria�di�inammissibilita�del�
ricorso.�

La�mancata�costituzione�dell'intimato�esclude�la�condanna�del�ricorrentealrimborsodi�
spese�processuali.�

P.Q.M.: 
La�Corte�dichiara�l'inammissibilita�dell'istanza�di�regolamento.�Nulla�per�le�
spese�(omissis)�.�

Si�pubblicano�qui�di�seguito�il�ricorso�per�regolamento�di�giurisdizione�e�
la�memoria�dell'Avvocatura,�contenenti�argomenti�ai�quali�non�sembra�che�
la�Suprema�Corte�abbia�dato�soddisfacente�risposta.�

Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
^Corte 
Suprema 
di 
Cassazione, 
Sezioni 
Unite 
^Ricorso 
per 


regolamento 
di 
giurisdizione 
per�il�Consiglio�di�Presidenza�per�la�Giustizia�Amministrativa�

(cs.�13105/01,�Avv.�dello�Stato�I.F.�Caramazza)�c/�P.T.�(Avv.�G.�Pitruzzella).�

�FATTO 
^Con�ricorso�notificato�il�6�dicembre�2000�il�consigliere�di�Stato�P.T.�impu-
gnava�davanti�al�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Sicilia�la�delibera�del�Consiglio�
di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�del�30�marzo�2000�con�la�quale�era�dichiarata�
inammissibile�l'istanza�da�lui�presentata�per�ottenere�il�trasferimento�al�Tribunale�Ammini-
strativo�per�la�Sardegna,�dove�attualmente�risiede.�

Il�provvedimento�era�stato�emesso�sul�rilievo�che�nell'attuale�assetto�del�ruolo�della�
magistratura�amministrativa,�rigidamente�diviso�per�qualifiche,�risulta�impossibile�applicare�
analogicamente�quelle�norme�che,�nell'ordinamento�giudiziario,�consentono�invece�al�magi-
strato�ordinario,�gia�investito�di�funzioni�di�legittimita�,�di�tornare�ad�espletare�funzioni�di�
merito.�

Il�T.A.R.�Sicilia,�sez.�I�di�Palermo,�con�ordinanza�n.�127�del�18�gennaio�^22�marzo�
2001�sospendeva�il�giudizio�cautelare�e�rimetteva�alla�Corte�Costituzionale�la�questione�di�
costituzionalita�del�combinato�disposto�dagli�articoli�14�e�15�della�legge�27�aprile�1982�

n.�186,�senza�pronunciarsi�sull'istanza�di�sospensione.�
Con�l'ordinanza�impugnata�il�Consiglio�di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione�
Siciliana,�investito�in�appello�dal�cons.�T.,�ha�preliminarmente�rilevato�come�l'omessa�pro-
nuncia�sulla�richiesta�cautelare�da�parte�del�Giudice�di�primo�grado�si�risolveva�sostanzial-
mente�in�un�diniego�di�tutela�cautelare;�ravvisava,�quindi,�nella�fattispecie�il�pregiudizio�
grave�per�il�ricorrente�e�sospendeva�gli�effetti�del�provvedimento�impugnato,�lasciando�ferma�
la�sospensione�del�giudizio�a�seguito�della�disposta�remissione�degli�atti�alla�Corte�Costitu-
zionale�ed�ordinando�al�Consiglio�di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�di�riesami-
nare�la�domanda�di�trasferimento�dell'appellante.�

Tanto�ritenuto�in�fatto,�il�Consiglio�in�epigrafe�ricorre�a�codesta�SupremaCorte�peril�
seguente�unico�motivo�di�

DIRITTO 
^Difetto 
assoluto 
(ancorche� 
temporaneo) 
di 
giurisdizione 
^Sono�note�le�molte�
delicate�questioni�che�involge�il�problema�dell'incidente�di�costituzionalita�in�fase�cautelare.�

Si�tratta�di�un�problema�la�cui�soluzione�presuppone�la�composizione�a�sistema�di�tre�
principi�del�nostro�ordinamento.�Tali�principi�sono:�

1)�il�diritto�alla�difesa�in�giudizio�di�cui�e�momento�essenziale�la�fase�cautelare,�indi-
spensabile�per�evitare�che�il�tempo�necessario�ad�avere�ragione�torni�a�danno�di�chi�ha�
ragione;�

2)�il�principio�del�sindacato�accentrato�di�costituzionalita�,�riservato�alla�Corte�Costi-
tuzionale�in�sede�di�incidente�pregiudiziale�sollevato�dal�giudice�a 
quo;�

3)�il�principio�della�indipendenza�del�giudice,�soggetto�solo�alla�legge,�con�il�conse-
guente�corollario�dell'impossibilita�per�il�giudice�di�applicare�una�norma�che�egli�sospetti�di�
incostituzionalita�.�

Attesa�la�compresenza�nel�nostro�ordinamento�di�questi�tre�principi,�fra�le�molte�possi-
bili�alternative�che�si�prospettano�al�giudice�della�cautela�quando�l'accoglimento�della�
domanda�presuppone�la�declaratoria�di�incostituzionalita�di�una�norma�ed�il�giudice�stesso�
ritenga�la�questione�non�manifestamente�infondata,�una�sola�e�percorribile.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


Il 
giudice 
della 
cautela 
non 
puo� 
infatti 
rigettare 
la 
domanda 
per 
difetto 
di 
fumus�boni�
iuris�in 
vigenza 
della 
norma 
che 
ostacola 
la 
pretesa 
del 
ricorrente, 
atteso 
il 
difetto 
in 
capo 
a 
se� 
del 
potere 
di 
sindacato 
diffuso, 
perche� 
cos|� 
facendo 
violerebbe 
il 
principio 
della 
sua 
indi-
pendenza 
(sopra 
rubricato 
sub 
3); 
non 
puo� 
accoglierla 
per 
la 
opposta 
ragione: 
rispetterebbe 
il 
principio 
di 
indipendenza 
ma 
violerebbe 
quello 
di 
sindacato 
accentrato(sopra 
sub�2), 
ne� 
acio� 
potrebbe 
rimediarsi 
con 
una 
contestuale 
(o 
successiva) 
remissione 
della 
questione 
in 
Corte 
Costituzionale 
perche�con�l'ordinanza�di�sospensiva�il�giudice�della�cautela�avrebbe�esau-
rito�i�suoipoteri,�e�la�questione�sarebbe�dunque�inammissibile�(Corte 
Costituzionale 
22 
dicem-
bre 
1989 
n. 
579). 


Il 
giudice 
della 
cautela 
potra� 
quindi 
sollevare 
questione 
di 
costituzionalita� 
soltanto 
se 
non 
esaurisce 
il 
giudizio 
sulla 
cautela, 
adottando 
un 
provvedimento 
soprassessorio 
o 
mera-
mente 
provvisorio 
ed 
interinale, 
rimettendo 
quindi 
la 
questione 
alla 
Corte 
Costituzionale 
e 
riservando 
all'esito 
del 
giudizio 
la 
definitiva 
pronuncia 
sulla 
cautela, 
salve 
sempre 
le 
ulteriori 
definitive 
determinazioni 
di 
merito 
(Corte 
Cost. 
12 
ottobre 
1990, 
n. 
444), 
in 
ordine 
alle 
quali 
la 
questione 
di 
costituzionalita� 
potra� 
assumere 
distinta 
ed 
autonoma 
rilevanza. 


Cos|� 
aveva 
operato 
nella 
specie 
il 
T.A.R., 
con 
assoluta 
correttezza 
dal 
punto 
di 
vista 
processuale. 


Assai 
meno 
correttamente 
ha 
operato 
invece 
il 
giudice 
di 
appello. 
La 
pronuncia 
di 
secondo 
grado 
e� 
intervenuta 
infatti 
quando 
la 
fase 
incidentale 
cautelare 
di 
primo 
grado 
non 
era 
ancora 
stata 
conclusa: 
il 
T.A.R. 
aveva, 
invero, 
sospeso 
il 
giudizio 
incidentale 
rile-
vando 
come 
per 
pronunciarsi 
sull'istanza 
cautelare 
avesse 
necessita� 
di 
conoscere 
le 
valuta-
zioni 
della 
Corte 
Costituzionale 
sulla 
rilevata 
questione 
di 
legittimita� 
costituzionale. 


Il 
Giudice 
di 
appello 
ha, 
invece, 
accolto 
definitivamente 
(e 
non 
�ad�tempus�) 
l'istanza 
cautelare, 
esaurendo, 
in 
tal 
modo, 
la 
fase 
cautelare 
stessa 
e 
finendo 
cos|� 
per 
confliggere 
con 
l'ordinanza 
di 
rimessione 
del 
T.A.R. 
alla 
Corte 
Costituzionale 
(notoriamente 
insindacabile) 
sul 
momento 
del 
requisito 
della 
rilevanza 
per 
esaurimento 
della 
fase 
cautelare(CorteCost. 
574/1989 
cit.). 


Il 
Giudice 
Amministrativo 
si 
era 
infatti 
provvisoriamente 
spogliato 
della 
propria 
giuri-
sdizione 
in 
fase 
cautelare, 
e 
nessuna 
pronuncia 
^se 
non 
viziata 
da 
difetto 
di 
giurisdizione 
p
oteva 
essere 
legittimamente 
emessa 
dal 
Giudice 
di 
secondo 
grado. 
Diversamente 
opinando 
occorrerebbe 
riconoscere 
al 
giudice 
di 
appello 
il 
potere 
di 
privare 
^con 
effetto 
retroattivo 
d
el 
requisito 
della 
rilevanza 
una 
questione 
di 
costituzionalita� 
rimessa 
all'esame 
della 
Corte 
dal 
giudice 
di 
primo 
grado. 
Il 
che 
e� 
palesemente 
in 
contrasto 
con 
i 
principi 
base 
dell'ordina-
mento. 


Sara� 
ancora 
appena 
il 
caso 
di 
rilevare 
che 
trattasi 
nella 
specie 
di 
questione 
che 
non 
inve-
ste 
semplicemente 
vizi 
in��procedendo�, 
come 
era 
nel 
caso 
risolto 
dalle 
Sezioni 
Unite 
di 
code-
sta 
Corte 
di 
Cassazione 
con 
sentenza 
26 
gennaio 
1988, 
n. 
634, 
che 
pure 
ha 
ammesso 
la 
con-
testabilita� 
di 
ordinanze 
cautelari 
emesse 
in 
secondo 
grado, 
bens|� 
che 
incide 
sulla 
sussistenza 
stessa 
del 
potere 
giurisdizionale, 
seppure 
limitatamente 
alla 
fase 
cautelare 
e 
con 
riguardo 
al 
motivo 
dedotto, 
sicche�,comee� 
stato 
statuito 
da 
codesta 
Corte 
nella 
sentenza 
ora 
citata, 
la 
questione 
appare 
pienamente 
ammissibile. 


Sembra 
evidente, 
infatti, 
che 
il 
provvedimento 
di 
rimessione 
degli 
atti 
alla 
Corte 
Costi-
tuzionale 
ai 
sensi 
dell'art. 
23, 
comma 
terzo, 
della 
legge 
11 
marzo 
1953, 
n. 
87,infase 
caute-
lare 
da 
parte 
del 
giudice 
di 
primo 
grado 
non 
puo� 
essere 
messo 
in 
discussione 
in 
secondo 
grado, 
per 
temporaneo 
difetto 
di 
giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo. 


Diversamente 
opinando, 
come 
gia� 
accennato, 
occorrerebbe 
riconoscere 
al 
giudice 
di 
appello, 
il 
potere 
di 
privare 
retroattivamente 
il 
giudice 
di 
primo 
grado, 
quale 
giudice 
a�
quo, 
del 
potere 
di 
promuovere 
un 
giudizio 
incidentale 
di 
costituzionalita� 
.Potereche 
e� 
invece 
gelosa 
prerogativa 
di 
ogni 
giusdicente 
quale 
paradigmatica 
espressione 
di 
�potere 
diffuso�. 


Tutto 
quanto 
sopra 
ritenuto, 
si 
conclude 
perche� 
piaccia 
alla 
Suprema 
Corte 
cassare 
l'impugnata 
ordinanza 
per 
difetto 
di 
giurisdizione 
con 
ogni 
conseguenziale 
statuizione. 


Roma,�14�novembre�2001�^f.to:�Avv.�Ignazio�Francesco�Caramazza�.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
^Corte 
Suprema 
di 
Cassazione, 
Sezioni 
Unite 
^Memoria 


nel�regolamento�di�giurisdizione�proposto�per�il�Consiglio�di�Presidenza�per�la�
Giustizia�Amministrativa�(cont.�47050/01,�Avv.�dello�Stato�I.F.�Caramazza)�c/�P.T.�
(Avv.�G.�Pitruzzella).�

�(omissis) 
1.�^Con�ricorso�notificato�il�6�dicembre�2000�il�consigliere�di�Stato�P.T.�
impugnava�davanti�al�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Sicilia�la�delibera�del�Con-
siglio�di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�del�30�marzo�2000�con�la�quale�era�
dichiarata�inammissibile�l'istanza�da�lui�presentata�per�ottenere�il�trasferimento�al�Tribunale�
Amministrativo�per�la�Sardegna,�dove�attualmente�risiede.�

Il�provvedimento�era�stato�emesso�sul�rilievo�che�nell'attuale�assetto�del�ruolo�della�
magistratura�amministrativa,�rigidamente�diviso�per�qualifiche,�risulta�impossibile�applicare�
analogicamente�quelle�norme�che,�nell'ordinamento�giudiziario,�consentono�invece�al�magi-
strato�ordinario,�gia�investito�di�funzioni�di�legittimita�,�di�tornare�ad�espletare�funzioni�di�
merito.�

Il�T.A.R.�Sicilia,�sez.�I�di�Palermo,�con�ordinanza�n.�127�del�18�gennaio�^22�marzo�
2001�sospendeva�il�giudizio�cautelare�e�rimetteva�alla�Corte�Costituzionale�la�questione�di�
costituzionalita�del�combinato�disposto�dagli�articoli�14�e�15�della�legge�27�aprile�1982�

n.�186,�senza�pronunciarsi�sull'istanza�di�sospensione.�
Con�l'ordinanza�impugnata�il�Consiglio�di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione�
Siciliana,�investito�in�appello�dal�cons.�P.T.,�ha�preliminarmente�rilevato�come�l'omessa�pro-
nuncia�sulla�richiesta�cautelare�da�parte�del�Giudice�di�primo�grado�si�risolvesse�sostanzial-
mente�in�un�diniego�di�tutela�cautelare;�ravvisava,�quindi,�nella�fattispecie�il�pregiudizio�
grave�per�il�ricorrente�e�sospendeva�gli�effetti�del�provvedimento�impugnato,�lasciando�ferma�
la�sospensione�del�giudizio�a�seguito�della�disposta�remissione�degli�atti�alla�Corte�Costitu-
zionale�ed�ordinando�al�Consiglio�di�Presidenza�della�Giustizia�Amministrativa�di�riesami-
nare�la�domanda�di�trasferimento�dell'appellante.�

2.�^Tanto�ritenuto,�in�fatto,�il�Consiglio�in�epigrafe�ricorreva�a�codesta�Suprema�Corte�
deducendo�un�difetto�assoluto�(ancorche�temporaneo)�di�giurisdizione.�
Osservava�il�Consiglio�come�in�sede�cautelare�in�tanto�possa�sollevarsi�incidente�di�
costituzionalita�in�quanto�il�giudice�della�cautela�non�esaurisca�i�suoi�poteri�cautelari,�pena,�
in�difetto,�la�inammissibilita�della�questione�per�irrilevanza,�diversa�essendo�la�rilevanza�
della�questione�in�sede�cautelare�rispetto�alla�sede�di�merito�(Corte�Costituzionale�22�dicem-
bre�1989�n.�579).�

Il�giudice�della�cautela,�quindi,�puo�sollevare�questione�di�costituzionalita�soltanto�se�
non�esaurisce�il�giudizio�sulla�cautela,�adottando�un�provvedimento�soprassessorio�o�mera-
mente�provvisorio�ed�interinale,�rimettendo�quindi�la�questione�alla�Corte�Costituzionale�e�
riservando�all'esito�del�giudizio�la�definitiva�pronuncia�sulla�cautela,�salve�sempre�le�ulteriori�
definitive�determinazioni�di�merito�(Corte�Cost.�12�ottobre�1990,�n.�444),�in�ordine�alle�quali�
la�questione�di�costituzionalita�potra�assumere�distinta�ed�autonoma�rilevanza.�

3.�^Cos|�aveva�operato�nella�specie�il�T.A.R.,�con�assoluta�correttezza�dal�punto�di�
vista�processuale.�
Assai�meno�correttamente�ha�operato,�invece,�il�giudice�di�appello.�La�pronuncia�di�
secondo�grado�e�intervenuta�infatti�quando�la�fase�incidentale�cautelare�di�primo�grado�non 
era 
ancora 
conclusa: 
il�T.A.R.�aveva,�invero,�sospeso�il�giudizio�incidentale�rilevando�come�
per�pronunciarsi�sull'istanza�cautelare�avesse�necessita�di�conoscere�le�valutazioni�della�
Corte�Costituzionale�sulla�rilevata�questione�di�legittimita�costituzionale.�

Il�Giudice�di�appello�ha,�invece,�accolto�definitivamente�(e�non��ad 
tempus�)�l'istanza�
cautelare,�esaurendo,�in�tal�modo,�la�fase�cautelare�stessa�e�finendo�cos|�per�confliggere�con�
l'ordinanza�di�rimessione�del�T.A.R.�alla�Corte�Costituzionale�(notoriamente�insindacabile)�
sul�momento�del�requisito�della�rilevanza�per�esaurimento�della�fase�cautelare(CorteCost.�
574/1989�cit.).�

4.�^Con�richiesta�scritta�del�25�novembre�2002�il�Procuratore�Generale�ha�concluso�
per�la�declaratoria�di�inammissibilita�del�ricorso�sulla�scorta�di�due�considerazioni.�La�prima�
attiene�alla�non�ricorribilita�per�cassazione�neanche�in�via�preventiva�delle�misure�cautelari;�
la�seconda�si�basa�sulla�affermazione�che�il�giudizio�incidentale�di�costituzionalita�non�deter-
minerebbe�l'esaurimento�del�potere�cautelare�del�giudice�amministrativo�e�quindi�non�
sarebbe�preclusivo�del�successivo�giudizio�di�appello.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

La�prima�considerazione�e�esatta�ma�incompleta�ed�ininfluente�ai�fini�del�presente�giudi-
zio;�la�seconda�e�fuorviante�in�quanto�viziata�da�un��usteron�proteron�,�come�si�confida�di�
dimostrare.�

4-1.�Sulricorsopermotividigiurisdizione�infasecautelare.�

E�ben�nota�a�questa�difesa�la�giurisprudenza�di�codesta�Corte�in�ordine�alla�non�auto-
noma�contestabilita�della�giurisdizione�in�sede�cautelare�atteso�il�rapporto�di�strumentalita�
esistente�fra�provvedimento�cautelare�e�provvedimento�^successivo�^di�merito�(Cass.�
SS.UU.�22�luglio�1983�n.�5063).�

Diversa�e�pero�la�questione,�quando,�come�nella�specie,�venga�contestato�non�gia�il�
potere�giurisdizionale�di�un�certo�giudice,�bens|�l'esistenza�dipotere�giurisdizionale�nella�ema-
nazione�del�provvedimento�cautelare,�con�la�conseguenza�che�piu�non�rileva�il�rapporto�di�
strumentalita�fra�cautela�e�merito�in�quanto�il�potere�giurisdizionale�che�si�contesta�none�
quello�generale�spettante�a�quel�giudice�ma�lo�specifico�potere�di�adottare�quel�provvedi-
mento�cautelare.�

In�tal�senso,�molto�puntualmente,�hanno�deciso�codeste�Sezioni�Unite�con�la�sentenza�

n.�634�del�26�gennaio�1988,�della�quale�si�riporta�il�seguente�illuminante�passo:�
�In�relazione�a�questo�secondo�aspetto,�espressamente�esaminato�con�la�sentenza�

5063/1983,�si�e�osservato�cheilprincipiosecondo�ilquale,�atteso�ilrapporto�distrumentalita�esi-

stente�tra�il�provvedimento�cautelare�e�quello,�successivo,�di�merito,�none��possibile�contestare�la�

giurisdizioneinrelazionealprimoericonoscerlaperilsecondo,halasuaradicenellaidentita��della�

posizione�soggettiva�cheforma�oggetto�della�tutela�cautelare�e�di�quella�che�si�invoca�in�via�defini-

tiva.�E�evidenteche,selagiurisdizionedevedeterminarsiconriferimentoallaposizionesoggettiva�

dedotta,�essa�non�potrebbe�(con�riguardo�a�due�momenti�dello�stesso�processo)�ricevere�tutela�da�

partedigiudiciappartenentiaordinidiversi.�Elostessopuo��dirsiquandolacontestazionedellagiu-

risdizionesifondi,�semprecon�riferimento�allaposizionesoggettiva�dedotta,�sulpresupposto�che�

questa,�per�sua�natura,�non�riceva�tutela�giurisdizionale�da�parte�dell'ordinamentoper�non�essere�
ne�differenziatane�qualificatarispettoallaposizionedellageneralita��deicittadini.�

Diverso,�pero��,e��il�caso�in�cui�questione�di�giurisdizione�venga�prospettata�come�invasione,�
nellaemanazionedelprovvedimentocautelaredapartedelgiudiceamministrativo,�dellasfera�

riservata�all'azione�della�pubblica�amministrazione�(come�si�sosteneva�nel�ricorso�esaminato�
dalla�menzionata�sentenza)�o�come�esercizio�di�un�potere�giurisdizionale�di�cui�quel�giudice,�
come�qualsiasi�altro�giudice,�era�del�tutto�sfornito,�come�si�sostiene�nel�ricorso�in�esame,�nel�
qualelaquestionedigiurisdizionevieneprospettatasolo�conriguardoalprovvedimento�inciden-
tale�per�ragioni�che�ad�esso�attengono�in�via�esclusiva�e�senza�che�sia�posta�in�discussione�la�giu-
risdizionerelativamentealprocedimentoprincipaleincorso:nelquale,�cioe�,sichiedechelagiu-
risdizione�venga�regolata�non�solo�con�esclusivo�riguardo�al�provvedimento�cautelare,�ma�per�
ragionipropriediquest'ultimo.�Inquesta�ipotesinonsitrattadistabilireseeaqualegiudice�
appartiene�la�giurisdizione�sul�procedimento�principale,�e�(solo)�di�riflesso�sul�procedimento�
incidentale;�e�non�assume�rilievo�la�identificazione�della�posizione�soggettiva�che�possa�ricono-
scersiincapoalprivatodifrontealpotereesercitatodall'amministrazione,�masitrattadiaccer-
tarese�ilprovvedimento�delgiudicesia�viziato�nelsenso�cheeglidifettassedipoteregiurisdizio-
nalealriguardo,conlaconseguenzache,purammessal'istanzaperche�ilgiudicenonsie��ancora�
pronunciatonelmeritodellacontroversia,�lagiurisdizionevieneregolatanonsull'interoprocedi-
mento,�nel�quale�ilprocedimento�incidentale�si�innesta,�ma�limitatamente�a�quest'ultimo�e�con�
riguardo�ai�motivi�dedotti,�senza�pregiudizio�della�questione�di�giurisdizione�la�cui�soluzione�
dipende�dalla�natura�dellaposizionesoggettiva�dedotta�nella�causaprincipale�esi�estende�alpro-
cedimento�cautelare�atteso�il�vincolo�di�strumentalita��che�lo�lega�alla�decisione�definitiva.�

Il�problema�di�giurisdizione�cos|��prospettato,�che�ricade�anch'esso�nella�previsione�del-
l'art.�37�c.p.c.,�investe�dunque�non�gia��la�tutela�giurisdizionale,�o�il�tipo�di�tale�tutela,�che�ad�

unadeterminataposizionesoggettivasiaaccordatadall'ordinamento,bens|��l'esistenzadipotere�

giurisdizionale�nella�emanazione�del�provvedimento�cautelare.�In�questo�caso,�e��tale�singolo�

provvedimento,�in�se�stesso,�ad�essere�investito�di�esame�e,�trattandosi�di�un�provvedimento�

aventenaturaincidentalecautelare,�aprescinderedallaposizionesoggettivadedotta,�conlacon-

seguenza�che�il�rapporto�di�strumentalita��di�tale�provvedimento�con�il�provvedimento�definitivo�

(rispetto�alqualenon�sicontestilagiurisdizione)�nessun�ruolo�hapiu�,�aifinidell'ammissibilita��

della�istanza�di�regolamento,�e�non�influisce�sulla�contestabilita��della�giurisdizione�per�motivi�

che�non�attengono�alla�natura�dell'interesse�dedotto.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Questasituazionesipresentanelcasoinesameincuilaricorrentenondisconosceilpoteredelgiu-

dice�amministrativo�di�emettere�ilprovvedimento�definitivo�di�annullamento�dell'atto�impugnato�in�

relazioneall'interessedelqualelaparteistantehainvocatolatutela�(che,percio�,�nonformaoggetto�

delpresente�regolamento�e�della�decisioneche�questa�cortee�chiamata�ademettere),�ma�deduce�che,�

inordinealprovvedimentocautelare,ilConsigliodiStatoeradeltuttoprivodipoteregiurisdizionale�.�

4.2�^Fin�qui�codesta�Suprema�Corte.�
Orbene,�il�principio�di�diritto�enunciato�si�attaglia�perfettamente�al�caso�di�specie,�in�cui�
e�stato�dedotto�dall'Amministrazione�ricorrente�che�il�giudice�amministrativo�di�appello�c
ome�qualsivoglia�altra�autorita�giusdicente�^e�assolutamente�carente�di�giurisdizione�sulla�
cautela�quando�il�giudice�amministrativo�di�primo�grado�abbia�rinviato�la�decisione�conclu-
siva�della�fase�cautelare�all'esito�di�una�questione�incidentale�di�costituzionalita�da�esso�giu-
dice�di�primo�grado�sollevata.�

Risulta�quindi�dimostrato�che�la�prima�considerazione�del�Procuratore�Generale�era�
incompleta�e�quindi�ininfluente�ai�fini�della�decisione�del�presente�giudizio.�

4.3�^Quanto�alla�seconda�affermazione,�essa�e�viziata�da�una�inversione�logica.�
Non�e�vero,�infatti,�come�dedotto�dal�Procuratore�Generale�che�l'incidente�di�costituziona-
lita�non�determina�l'esaurimento�del�potere�cautelare�del�giudice�amministrativo�(e�conseguen-
temente�non�puo�ritenersi�preclusivo�dell'appello).�E�vero�invece�il�contrario!�Soltanto�se�il�giu-
dice�amministrativo�non�esaurisce�la�fase�cautelare�del�giudizio�e�ammissibile�l'incidente�di�
costituzionalita�:�che�se,�invece,�il�giudice�amministrativo�concedesse�la�sospensione,�esaurendo�
cos|�la�cautela,�determinerebbe�la�inammissibilita�per�irrilevanza�della�questione�incidentale.�

Sia�consentito�richiamare�sul�punto�il�seguente�passaggio�della�sentenza�444/1990�della�
Corte�Costituzionale,�gia�citata.�
�Premesso�che�l'indicata�vicenda�processuale�si�e�verificata�in�tre�dei�quattro�giudizi�aqui-

bus,�come�meglio�specificato�in�narrativa,�e�che�pertanto�la�questione�andrebbe�comunque�esa-

minata�nel�merito�in�relazione�all'altro�giudizio�(in�cui�la�stessa�e�stata�sollevata�nella�fase�di�

merito),�va�osservato�che�questa�Corte�ha�dichiarato�(v.�da�ultimo�sent.�n.�579�del�1989)�l'inam-

missibilita�di�questioni�sollevate�in�sede�di�giudizio�cautelare�dopo�l'accoglimento�della�relativa�

istanza�da�parte�del�giudice,�e�cio�per�l'avvenuto�esaurimento�di�ogni�sua�potesta�in�quella�sede,�
con�conseguente�irrilevanzadellaquestioneaifinidiquelgiudizio.�

Ma�nei�casi�in�esame�la�situazione�e�diversa.�Accertata�la�rilevanza�(e�la�non�manifesta�
infondatezza)�della�questione�di�costituzionalita�aifini�della�decisione�sulla�sospensiva,�il�TAR,�

contemporaneamente�alla�emissione�dell'ordinanza�di�rimessione�a�questa�Corte,�ha�disposto,�

con�separatoprovvedimento,�la�sospensione�degli�atti�impugnati�in�via�provvisoria�e�temporanea�

fino�alla�ripresa�del�giudizio�cautelare�dopo�l'incidente�di�costituzionalita�:�tale�pronuncia�non�

ha�determinato,per�la�sua�natura�meramente�tecnica�ed�interinale,�l'esaurimento�delpotere�cau-

telare�del�giudice�amministrativo,�con�la�conseguenza�che�la�proposta�questione�deve�ritenersi�

tuttorafornita�del�requisito�della�rilevanza�.�

Nella�specie�il�Tar,�ben�conscio�di�tale�giurisprudenza,�aveva�riservato�la�sua�pronuncia�
all'esito�della�sollevata�questione�di�costituzionalita�,cos|�restando�investito�del�potere�cautelare�
utilizzato�solo�strumentalmente�ai�fini�della�risoluzione�della�pregiudiziale�costituzionale.�

Pronunciandosi�in�grado�di�appello�con�una�decisione�esaustiva�del�potere�cautelare�del�
giudice�amministrativo�il�Consiglio�di�Giustizia�Amministrativa�per�la�Regione�Siciliana�
ha,�invece,�violato�(o,�ci�si�augura,�tentato�di�violare)�due�prerogative�giurisdizionali�altis-
sime:�quella�della�Corte�Costituzionale,�quale�giudice�delle�leggi�e�quella�del�Tar�Sicilia�quale�
giudice�remittente.�

Con�la�sua�pronuncia,�infatti�^ove�essa�non�dovesse�essere�riconosciuta�come�pronunciata�in�
carenza�assoluta,�benche�temporanea,�di�giurisdizione�^il�Consiglio,�esaurendo�la�fase�cautelare,�
avrebbe�privato�la�Corte�Costituzionale�del�potere�di�entrare�nel�merito�della�questione,�costrin-
gendolaadunapronunciadiinammissibilita�perirrilevanza(vedesigia�cit.sent.�444/1990).�

Con�la�stessa�pronuncia�avrebbe�contemporaneamente�privato�il�Tar�Sicilia�del�potere�
di�promuovere�un�giudizio�incidentale�di�costituzionalita�.Diquelpotere,�cioe�,che�e�gelosa�
prerogativa�di�ogni�giudicante�quale�paradigmatica�espressione�di��potere�diffuso��e�che�e�
garanzia�dell'indipendenza�di�ogni�magistrato,�arbitro�di�sottoporre�al�vaglio�della�Corte�
Costituzionale�ogni�norma�di�legge�che�egli�debba�applicare�e�della�cui�legittimita�dubiti.�

Si�confida�pertanto�nell'accoglimento�del�ricorso.�

Roma,�6febbraio�2003�^Avv.�Ignazio�Francesco�Caramazza�.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Normativa 
antitrust 
e 
settore 
bancario: 
l'eccezione 
italiana 


Consiglio 
di 
Stato, 
Sezione 
sesta, 
sentenza 
16 
ottobre 
2002, 
n. 
5640 


Premessa 
^Con�la�sentenza�in�commento�il�Consiglio�di�Stato�(in�par-
ticolare�la�Sez.�sesta,�che�ormai,�in�uno�con�la�Sez.�prima�del�Tribunale�
Amministrativo�Regionale�del�Lazio,�sta�diventando�il�giudice�specializzato�
in�materia�antitrust)�prende�posizione,�rispetto�all'intricata�materia�del�
riparto�di�competenze�tra�la�Banca�d'Italia�e�l'Autorita�garante�della�concor-
renza�e�del�mercato�circa�l'applicazione�della�disciplina�antitrust 
(legge�
10�ottobre�1990,�n.�287).�

La�vicenda�trae�origine�dall'intesa�intercorsa�tra�una�banca�e�una�com-
pagnia�di�assicurazioni�avente�ad�oggetto�la�distribuzione�di�polizze�mediante�
il�canale�bancario�(1).�

L'Autorita�garante�(nel�prosieguo,�anche�AGCM)�aveva,�infatti,�ritenuto�
che�tale�accordo�integrasse�gli�estremi�di�un'intesa�vietata�ai�sensi�dell'art.�2,�
secondo�comma,�della�legge�n.�287/1990,�non�meritevole�di�autorizzazione�
in�deroga�ai�sensi�dell'art.�4�del�citato�atto�normativo�(2).�

Il�provvedimento,�annullato�dal�TAR�del�Lazio�(3),�e�stato�invece�con-
fermato�dal�Consiglio�di�Stato,�che,�con�quella�che�e�stata�definita�una�
�sentenza-trattato��(4),�ha�dettato,�in�via�interpretativa,�i�criteri�per�il�riparto�
di�competenze�tra�l'AGCM�e�la�Banca�d'Italia,�di�fatto�restringendo�le�com-
petenze�di�quest'ultima�(5).�Si�tratta�di�un'operazione�ermeneutica�che�inun�
certo�qual�modo��valica��i�limiti�della�controversia�portata�all'attenzione�
dei�Giudici�del�Supremo�Consesso,�ma�che�tuttavia�e�funzionale�al�riordino�
di�una�materia�che�sin�dall'entrata�in�vigore�della�disciplina�nazionale�anti-
trust 
e�stata�foriera�di�molteplici�incertezze�esegetiche�e�accesi�dibattiti.

��������

(1)�L'accordo,�intercorso�tra�A.G.�S.p.A.�ed�U.�S.p.A.,�prevedeva�una�futura�collaborazione�
in�campo�assicurativo-bancario,�da�realizzarsi�anche�attraverso�l'acquisto�da�parte�di�A.G.�del�
50%�del�capitale�sociale�di�Q.V.�S.p.A.,�societa�inattiva�e�in�precedenza�interamente�controllata�
da�U.�La�societa�Q.V.�S.p.A.�(la�cui�denominazione�era�mutata�in�Casse�e�G.V.�S.p.A.)�avrebbe�
dovuto�esercitare�la�propria�attivita�nel�settore�dell'assicurazione,�nel�ramo�vita,�e�provvedere�alla�
distribuzione�dei�propri�prodotti�attraverso�gli�sportelli�del�gruppo�bancario�U.�Originariamente,�
era�stata�anche�prevista�una�clausola�di�esclusiva�a�favore�di�Casse�e�G.V.�S.p.A.�
(2)�Cfr.�provvedimento�del�28�maggio�1997,�n.�5048,�in�Boll. 
n.�22/1997.�
(3)�Cfr.�TAR�del�Lazio,�Sez.�prima,�1.�luglio1999,�n.�1485,�in�ITAR 
1999,�3022,�che�ha�annul-
lato�il�provvedimento�de 
quo,�ritenendo�decorso�il�termine�perentorio�di�centoventi�giorni�(di�cui�
all'art.�13�della�legge�n.�287/1990)�per�la�chiusura�dell'istruttoria.�
(4)�Cfr.�M. 
Ramajoli, 
Il 
Consiglio 
di 
Stato 
restringe 
in 
via 
interpretativa 
la 
competenza 
anti-
trust 
della 
Banca 
d'Italia,in�Giornale 
di 
diritto 
amministrativo 
3/2003,�258.�
(5)�La�sentenza�in�commento�si�segnala�anche�per�altri�profili�di�grande�rilevanza.�In�primo�
luogo,�da�un�punto�di�vista�strettamente�processuale,�la�decisione�interviene�sia�sulla�nozione�di�
interesse�a�ricorrere�sia�su�quella�di�interesse�ad�appellare.�Nelle�more�del�giudizio�di�secondo�grado,�
Generali�aveva�venduto�la�propria�partecipazione�nell'impresa�comune�e,�a�seguito�di�tale�cessione,�
Unicredito�ne�aveva�acquisito�il�controllo�esclusivo.�Pertanto,�le�suddette�imprese�avevano�ritenuto�
fosse�venuto�meno�l'interesse�ad�appellare.�Al�contrario,�l'Avvocatura�dello�Stato�aveva�ritenuto�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

1 
^Normativa 
antitrust 
e 
settore 
bancario. 
Il�problema�relativo�all'appli-
cazione�del�diritto�antitrust 
nel�settore�bancario�si�colloca�nella�piu�ampia�
questione�inerente�l'applicazione�di�tale�normativa�in�quei�settori�nei�quali�
tradizionalmente,�in�ragione�della�natura�dell'attivita�e�dell'importanza�che�
essi�rivestono�per�il�sistema�economico,�i�comportamenti�degli�operatori�
sono,�in�maggiore�o�minore�misura,�regolamentati�dalla�legge:�si�pensi,�ad�
esempio,�al�settore�assicurativo�o�a�quello�dei�mezzi�di�comunicazione�di�
massa(6).�

Il�settore�bancario�e�tipicamente�sottoposto�ad�una�normativa�di�regola-
mentazione�dell'attivita�diretta,�tra�l'altro,�ad�assicurare�al�sistema�un�carat-
tere�di�stabilita�e�alle�banche�il�mantenimento�della�solvibilita�finanziaria.�
Cio�in�considerazione�dell'importanza�del�sistema�bancario�per�l'economia�
nel�suo�complesso�e�del�rilevante�numero�di�interessi�che�il�valore�della�stabi-
lita�tende�a�proteggere�(clienti�dei�servizi�di�deposito,�beneficiari�dei�servizi�
di�credito,�ecc.).

��������

che�la�vicenda�sopravvenuta�incidesse�sull'interesse�a�ricorrere,�con�il�conseguente�venir�meno�
della�sentenza�di�primo�grado�e�la�necessita�di�dichiarare�l'improcedibilita�con�riferimento�al�
ricorso�proposto�in�primo�grado.�Tuttavia,�il�Consiglio�di�Stato�ha�affermato�la�persistenza�
dell'interesse�a�ricorrere,��non�essendo�intervenuti�atti�di�autotutela�in�via�amministrativa�e�
[...]�quantomeno�in�relazione�alla�necessita�di�risolvere�l'incertezza�sul�regime�giuridico�al�
quale�sottoporre�gli�atti�privatistici�dell'esecuzione�dell'intesa�.�D'altra�parte,�e�stato�reputato�
sussistente�anche�l'interesse�ad�appellare,�poiche�la�sentenza�di�primo�grado�ha�annullato�
l'atto�dell'AGCM,��che�non�ha�mai�ritenuto�di�fare�acquiescenza�al�decisum 
giudiziale�adot-
tando�atti�di�autotutela�e�che�ha�ritenuto�di�poter�leggere�il�successivo�venir�meno�della�
concentrazione�come�evento�incidente�al�piu�sull'interesse�a�ricorrere�in�relazione�al�ricorso�
originario�.�

In�secondo�luogo,�per�quanto�attiene�piu�propriamente�al�diritto�antitrust,�la�pronunzia,�con-
trariamente�a�quanto�stabilito�dal�giudice�di�primo�grado,�chiarisce�che�l'eliminazione�della�clausola�
di�esclusiva�reciproca�costituisce�una�modificazione�essenziale�dell'accordo�comunicato�inizial-
mente�e,�come�tale,�idonea�ad�interrompere�il�decorso�del�termine�perentorio�di�cui�all'art.�13�della�
legge�n.�287/1990.�

Ancora,�la�decisione�precisa�che�al�termine�di�120�giorni�entro�il�quale�l'AGCM�deve�provve-
dere�sulla�richiesta�di�autorizzazione�in�deroga�e�che�decorre�dalla�presentazione�della�richiesta�
stessa��non�consegue�alcun�silenzio-assenso��e�che�tale�termine��non�consuma�il�potere�di�provve-
dere,�ne�rende�invalido�il�provvedimento�adottato�oltre�il�termine,�ma�fornisce�solo,�con�il�suo�inu-
tile�decorso,�l'innesco�della�tutela�per�il�silenzio-inadempimento�.�

Inoltre,�ribadisce�il�consolidato�orientamento�secondo�il�quale�il�pareredell'ISVAPha�un�
valore�meramente�consultivo�e�non�vincolante:�pertanto,�purche�motivatamente,�ben�puo�
essere�disatteso�dall'AGCM�(cfr.�gia�TAR�Lazio�15�febbraio�1995,�n.�1474,�in�Riv. 
Dir. 
Ind. 
1996,�II,�50�ss.,�sulla�quale�v.�F. 
Ghezzi,in�F.�GhezzI 
^P. 
MagnanI 
^M. 
Siri,�L'applica-
zione 
della 
disciplina 
antitrust 
nei 
settori 
speciali: 
banche, 
assicurazioni 
e 
mass 
media. 
Questioni 
procedurali 
e 
sostanziali 
alla 
luce 
dell'art. 
20, 
cit.,�187.�Da�ultimo,�v.�Cons.�St.�26�febbraio�
2002,�n.�2199).�

(6)�Cfr.�AA.VV.,�Industria 
bancaria 
e 
concorrenza 
a�cura�di�M.�Polo,�Bologna,�2000,�
385�ss.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Il�diritto�antitrust�persegue�obiettivi�che�per�loro�natura�appaiono�astrat-
tamente�idonei�a�confliggere,�in�alcuni�casi,�con�quello�della�stabilita��del-
stema�bancario(7).�Da�questo�primo�punto�di�vista�si�puo��porre�il�problema�
se�le�norme�antitrust�debbano�trovare�piena�applicazione�in�questo�settore�
oppure�debbano�subire�qualche�limitazione(8).�

Al�riguardo,�l'esegesi�dell'art.�20�della�legge�n.�287/1990�(norma�cardine�
del�sistema)�si�e��rivelata�decisamente�problematica,�data�l'ambiguita��del�det-
tato�legislativo(9).�In�particolare,�ha�sollevato�notevoli�perplessita��il�quinto�
comma�della�disposizione�de�qua,�in�tema�di�autorizzazioni�in�deroga,�in�
virtu��dell'espresso�richiamo�al�conflitto�tra�norme�antitrust�e�obiettivi�di�sta-
bilita��del�sistema�bancario(10).�

Non�e��,�infatti,�mancato�chi�ha�sostenuto�che,�con�tale�previsione,�il�legisla-
tore�italiano�avesse�inteso�dare�ingresso,�nel�sistema,�alla�filosofia�della�vigilanza�
regolamentare,�sottoponendo�l'applicazione�delle�norme�antitrust�al�settore�ban-
carioallimitedegliobiettivitradizionalidistabilita��cheloconnotano(11).�

Tuttavia,�al�di�la��di�queste�isolate�opzioni�ermeneutiche,�l'opinione�della�
maggioranza�della�dottrina�e��in�senso�decisamente�contrario,�ritenendo�che,�
ad�esclusione�della�deroga�in�esame,�le�norme�sostanziali�a�tutela�della�con-
correnza�siano�le�medesime�norme�vigenti�negli�altri�mercati�(12).

��������

(7)�Cfr.,�in�proposito,�per�una�ricostruzione�generale,�B.�Shull, 
The�OriginsofAntitrust�inBan-
king:�An�Historical�Perspective,in�Antitrust�Bull.,�1996,�255.�L'Autore�osserva�come�l'applicazione�
delle�norme�antitrust�alle�banche�abbia�rappresentato�storicamente�un�problema�a�tratti�drammatico�
per�l'ordinamento�statunitense,�e�come�un'effettiva�applicazione�del�diritto�antitrust�in�questo�settore�
sia�cominciata�solo�intorno�agli�anni�'80,�a�ben�cinquant'anni�dallo�Sherman�Act.�Cfr.�altres|��L.J.�
White,�Banking,�Mergers,�and�Antitrust:�Historical�Perspectives,�and�the�Research�Tasks�ahead,in�
Antitrust�Bull.,�1996,�323;�A.S.�Blinder,�Antitrust�and�Banking,in�Antitrust�Bull.,�1996,�447;�A.K.�
Bingaman,�Antitrust�andBanking,in�Antitrust�Bull.�1996,�465�ss.�
(8)�La�soluzione�di�questo�primo�problema�e��naturalmente�in�gran�parte�frutto�di�una�scelta�di�
natura�politico-economica�circa�l'importanza�che�si�intenda�conferire�a�ciascuno�degli�interessi�in�
gioco�(obiettivi�di�stabilita��e�obiettivi�concorrenziali)�e�al�ruolo�che�in�ciascun�ordinamento�si�scelga�
di�attribuire�al�valore�della�concorrenza�come�strumento�di�attuazione�del�sistema�economico.�
(9)�Si�pensi�al�secondo�comma�dell'art.�20�della�legge�n.�287/1990.�Il�fatto�che�il�legislatore�abbia�
richiamatoisoliartt.�2,3,4e6implicachelealtrenormedellaleggenontrovinoapplicazioneinrelazione�
al�settore�bancario?�L'opinione�prevalente�in�dottrina�e��quella�di�ritenere�che�il�richiamo�parziale�sia�da�
attribuire�adunasceltaditecnicaredazionale:�sia,�cioe�,unrichiamoperfattispecierilevanti(intese,�abuso�
di�posizione�dominante,�concentrazioni).�Pertanto�esso�deve�ritenersi�esteso�anche�alle�altre�norme�del�
titoloprimo�della�legge,�nonche�allenormediprocedura:�cfr.�F. 
Denozza^A. 
Stabilini,�Rapportiepos-
sibiliconflittitraleAutorita�preposteall'applicazionedellanormativasullaconcorrenzaconriferimentoalset-
torebancario,in�IndustriabancariaeconcorrenzaacuradiM.�Polo,�Bologna,2000,391.�
(10)�Si�deve�peraltro�osservare�che�in�questo�caso�il�riferimento�non�e��alla�stabilita��del�sistema�
bancario,�bens|��a�quella�monetaria.�Il�richiamo�a�tale�ultimo�valore�rimanda�evidentementeal�ruolo�
di�banca�centrale�della�Banca�d'Italia,�piu��che�alla�sua�funzione�di�autorita��di�vigilanza�sugli�istituti�
creditizi.�Gli�obiettivi�perseguiti�in�sede�di�eventuale�applicazione�della�norma�in�commento�sono�
quindi�parzialmente�diversi�da�quelli�di��stabilita��del�sistema�bancario�.�Tuttavia,�ai�fini�della�pre-
sente�indagine,�tali�diversita��appaiono�del�tutto�trascurabili.�
(11)�Questa�e��l'opinione�di�G.�Bernini,�Un�secolo�difilosofia�antitrust,�Bologna,�1991,�391.�
(12)�Cfr.,�explurimis,�G. 
Rossi,�Ilconflitto�diobiettivinell'esperienza�decisionale�delleautorita�,�
in�Riv.�soc.�1997,�271;�P. 
MarchettI 
^F. 
Ghezzi,�Irapportidell'Autorita�garante�della�concorrenza�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

2.�^Autorita�competente:�la�scelta�del�legislatore�italiano.�Sotto�un�
secondo�profilo,�l'applicazione�del�diritto�antitrust�al�settore�pone�l'ulteriore�
problema�della�scelta�dell'autorita�cui�affidare�tale�competenza.�General-
mente,�infatti,�il�settore�de�quo�e�sottoposto�al�controllo�di�un'apposita�
autorita�di�vigilanza.�Si�puo�quindi�porre�il�dubbio�circa�l'opportunita�di�affi-
dare�a�quest'ultima�anche�la�competenza�ad�applicare�le�norme�antitrust,o�
di�demandarla�all'autorita�investita�del�potere�generale�di�applicare�tale�
normativa(13).
��������

e�del�mercato�con�le�autorita�di�vigilanza�settoriali,�in�Concorrenza�e�mercato�1993,�205�ss.,�in�
part.�205;�L.C.�Ubertazzi,�Diritto�nazionale�antitrust�e�imprese�bancarie,in�Diritto�antitrust�ita-
liano�a�cura�di�A.�Frignani,�R.�Pardolesi,�U.�Petroni�Griffi�e�L.C.�Ubertazzi,�Bologna,�1993,�
vol.�II,�1054�ss.;�F. 
DenozzA 
A. 
Stabilini,�Rapporti�e�possibili�conflitti�tra�le�Autorita�preposte�
all'applicazione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al�settore�bancario,�cit.,�392.�

E�stato�infatti�osservato�che�tale�norma�dovrebbe�essere�intesa�come�norma�di�carattere�ecce-
zionale�e�dunque�da�interpretarsi�in�maniera�restrittiva�(cfr.�M. 
Siri,�Commento�sub�art.�20,in�Con-
correnza�e�mercato,�a�cura�di�V.�Afferni,�Padova,�1994,�524�ss.;�P. 
MarchettI 
^F. 
Ghezzi, 
Irap-
porti�dell'Autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato�con�le�autorita�di�vigilanza�settoriali,�cit.,�
185;�F. 
DenozzA 
^A. 
Stabilini,�Rapporti�e�possibili�conflitti�tra�le�Autorita�preposte�all'applica-
zione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al�settore�bancario,�cit.,�392).�

Qualche�considerazione�deve�essere�fatta�infine�in�relazione�all'ultimo�comma�dell'art.�20,�a�
norma�del�quale��[l]e�disposizioni�della�presente�legge�in�materia�di�concentrazione�non�costituiscono�
deroga�alle�norme�vigenti�nei�settori�bancario,�assicurativo,�della�radiodiffusione�e�dell'editoria�.�In�
relazione�al�settore�bancario,�vengono�in�considerazione�le�norme�di�cui�al�D.�Lgs.�356/1990�(Disposi-
zioniperla�ristrutturazioneeperla�disciplina�delgruppo�creditizio)�in�tema�di�fusioni�tra�enti�creditizi�
(cfr.,inparticolare,l'art.�3delD.�Lgs.�n.�356/1990),nonche�lediversedisposizionicontenuteneltesto�
unico�bancario�(D.�Lgs.�n.�385/1993:�nel�prosieguo,�testo�unico�bancario.�Cfr.,�in�particolare,�gli�
artt.�19,�31,�36�e�57)�le�quali,�come�e�noto,�subordinano�la�possibilita�di�mettere�in�atto�alcuni�tipi�di�
operazione�tra�banche�al�rilascio�di�un'autorizzazione�della�Banca�d'Italia�(del�Ministro�del�Tesoro�
nel�caso�delle�operazioni�di�cui�al�D.�Lgs.�n.�386/1990)�basata�sulle�tradizionali�considerazioni�in�
ordine�alle�esigenze�di�stabilita�del�sistema�bancario�e�della�gestione�prudenziale�delle�banche.�

L'introduzione�di�questa�disposizione�nel�testo�della�legge�da�adito�a�nonpochi�dubbi.�Anzitutto,�
e�difficilmente�comprensibile�il�principio�in�base�al�quale�la�legge�antitrust�dovrebbe�derogare�alle�
norme�settoriali.�Come�e�stato�autorevolmente�osservato�in�dottrina�(cfr.�R. 
Alessi,�Commento�sub�
art.�20,�in�R.�Alessi�e�G.�Olivieri,�La�disciplina�della�concorrenza�e�del�mercato,�Torino,�1991,�127),�
infatti,��lacapacita�di�derogare�adunprincipio�e�solitamente�caratteristica�di�una�normativa�speciale.�
Ma�tale�non�e�la�presente�legge�a�tutela�della�concorrenza�[...].�Piuttosto�discipline�speciali,�rectius�set-
toriali,�sono�proprio�quella�bancaria,�assicurativa,�della�radiodiffusione�e�dell'editoria.�Sono�dunque�
queste�discipline�a�costituire�eventualmente�deroga�alla�disciplina�generale�di�cui�alla�legge�n.�287�.�

In�secondo�luogo,�e�soprattutto,�la�disposizione�in�esame�non�risolve�in�alcun�modo�il�problema�
dell'eventuale�(e�ben�possibile)�conflitto�tra�la�norma�antitrust�e�la�norma�speciale�nel�caso�in�cui�
entrambe�dovessero�trovare�applicazione�in�relazione�ad�una�medesima�fattispecie.�Ne�alcuna�
disposizione�in�tal�senso�si�rinviene�nel�testo�unico�bancario.�

Il�mancato�coordinamento�tra�le�due�normative�crea�un�problema�interpretativo�di�notevole�
complessita�.�In�assenza�di�indicazioni�da�parte�del�legislatore,�dovrebbero�probabilmente�trovare�
applicazione�i�criteri�generali�di�risoluzione�del�conflitto�tra�leggi.�Se�il�risultato�fosse�la�prevalenza�
della�legge�speciale,�questo�comporterebbe�un'ulteriore�deroga�agli�standard�delle�norme�generali�
(in�tema�di�concentrazioni).�

(13)�L'autorita�di�vigilanza�potrebbe�garantire�un�enforcement�con�minori�costi:�essa�e�infatti�
istituzionalmente�in�una�posizione�privilegiata�sotto�il�profilo�della�conoscenza�del�settore�rispetto�
all'autorita�antitrust�con�competenza�generale;�d'altra�parte,�pero�,�essa�potrebbe�essere�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Il�legislatore�italiano�ha�sciolto�l'alternativa�affidando�l'applicazione�
della�normativa�antitrust�nel�settore�bancario�alla�competente�autorita��di�
vigilanza�(art.�20,�secondo�comma,�della�legge�n.�287/1990),�mantenendo,�
tuttavia,�in�capo�all'AGCM,�un�potere�consultivo�(art.�20,�secondo�comma)�
e�di�segnalazione�(art.�20,�sesto�comma).�Infine,�una�competenza�concorrente�
spetta�alle�due�autorita��in�relazione�alle�fattispecie�c.d.�miste�(vale�a�dire,�
che�coinvolgano�imprese�operanti�in��settori�sottoposti�alla�vigilanza�di�piu��
autorita���),�che�devono�ciascuna�adottare�i�provvedimenti�di�propria�compe-
tenza�(art.�20,�settimo�comma).�

Il�sistema�delineato�dal�legislatore�italiano,�criticato�dalla�dottrina�quasi�
unanime(14),�ha�suscitato�un'inusitata�congerie�di�perplessita��esegetiche�in�
ordine�ai�rapporti�tra�le�due�autorita��e�all'estensione�dei�rispettivi�poteri.�

In�particolare,�circa�i�poteri�consultivi�dell'AGCM,�erano�sorte�notevoli�
incertezze�relativamente�all'individuazione�dei�provvedimenti�in�gradodi�far�
scattare�l'obbligo�per�la�Banca�d'Italia�di�sentire�il�parere�dell'Autorita��
garante,�problema�oggi�risolto�(almeno�parzialmente)�dall'Accordo�del�
4�marzo�1996,�intervenuto�fra�le�due�Autorita��(15).

��������

maggiormente��catturabile�,�cioe��piu��soggetta�alle�pressioni�degli�interessi�dei�soggetti�che�deve�
controllare,�proprio�in�virtu��del�suo�ruolo�di�vigilanza�regolamentare�(c.d.�capture�theory).�Su�que-
ste�problematiche�cfr.�T.W. 
Merryl,�Capture�Theory�and�the�Courts:�1967-1983,in�Chi.-Kent�L.�
Rev.�1997,�72,�1039�e�R.A. 
Posner,�The�Rise�andFall�ofAdministrative�Law,in�Chi.-Kent�L.�Rev.�
1997,�72,�953.�Per�un'elaborazione�della��capture�theory��nel�campo�specifico�del�diritto�antitrust�
cfr.�J.S. 
WileY 
Jr.,�A�Capture�Theory�ofAntitrust�Federalism,in�Harvard�L.�Rev.�1986,�99,�713.�
Cfr.�infine,�per�un'analisi�critica�del�ruolo�di��political�decisionmakers��assunto�da�molte�agenzie�
federali,�M. 
Seidenfeld,�A�Civic�Republican�Justification�for�the�Bureaucratic�State,in�Harvard�

L.�Rev.�1992,�105,�1511.�
Questo�secondo�problema,�da�un�lato,�e��distinto�da�quello�(che�potremmo�definire��sostan-
ziale�)�dell'applicazione�integrale�o�meno�della�normativa�antitrust�al�settore�bancario,�nel�senso�
che�esso�si�pone�qualunque�sia�la�scelta�fatta�in�ordine�al�primo.�Dall'altro�lato,�tuttavia,�i�due�pro-
blemi�appaiono�strettamente�legati,�poiche�le�ragioni�che�fondano�la�scelta�di�attribuire�l'applica-
zione�della�legge�ad�una�o�all'altra�autorita��si�intersecano�con�l'assetto�degli�interessi�in�gioco�che�
la�scelta�di�natura�sostanziale�comporta.�Se�le�norme�antitrust�da�applicare�alle�banche�si�discostano�
da�quelle�generali�per�prendere�in�considerazione�l'obiettivo�della�stabilita��del�sistema,�l'autorita��di�
vigilanza�potrebbe�trovarsi�nella�posizione�migliore�per�valutare�ed�assicurare�il�contemperamento�
ed�il�coordinamento�dei�diversi�obiettivi.�Viceversa,�l'attribuzione�dell'applicazione�delle�norme�
antitrust�ad�un'autorita��diversa�da�quella�di�vigilanza�potrebbe�esser�preferibile�laddove�tali�norme�
prevedano�uno�standardidentico�a�quello�generale�anche�in�relazione�al�settore�bancario.�L'autorita��
di�vigilanza,�infatti,�potrebbe�essere��naturalmente��incline�a�dare�ingresso,�nell'esercizio�dei�com-
piti�di�tutela�della�concorrenza,�alle�esigenze�di�stabilita��del�sistema�bancario�e�del�rafforzamento�
delle�banche�(cfr.�su�questo�punto�G. 
Rossi,�Il�conflitto�di�obiettivi�nell'esperienza�decisionale�delle�
autorita�,�cit.,�265�ss.).�Inoltre,�lo�sdoppiamento�delle�autorita��deputate�all'applicazione�delle�norme�
antitrust�favorirebbe�un'applicazione�potenzialmente�non�uniforme�dei�criteri�normativi.�

(14)�Cfr.,�tra�gli�altri,�F. 
Ghezzi,in�F.�GhezzI 
^P. 
MagnanI 
^M. 
Siri,�L'applicazione�della�
disciplina�antitrust�nei�settori�speciali:�banche,�assicurazioni�e�mass�media.�Questioni�procedurali�e�
sostanziali�alla�luce�dell'art.�20,�cit.,�182;�G. 
Rossi,�Il�conflitto�di�obiettivi�nell'esperienza�decisionale�
delle�autorita�,�cit.,�271,�il�quale�si�oppose�all'introduzione�della�norma�nella�legge�anche�in�sede�par-
lamentare.�Contra�M. 
Lamandini,�La��seconda�volta��del�Banco�di�Sardegna�(nuovi�spunti�in�tema�
di�antitrust�bancario),�in�Banca,�borsa�e�tit.�cred.�1995,�110�ss.�
(15)�In�relazione�a�questo�profilo,�si�e��assistito,�nel�corso�dei�primi�anni�di�applicazione�della�
legge,�al�progressivo�consolidamento�delle�posizioni�dottrinali�in�argomento,�nel�senso�di�ritenere�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Senza�contare�il�problema,�ancora�aperto,�delle�fattispecie�miste,�in�rela-
zione�alle�quali�la�legge�prevede�una�competenza�parallela�delle�due�autorita��
nei�rispettivi�ambiti�di�intervento.�La�norma�ha�creato�non�pochi�dubbi�inter-
pretativi�sulle�possibili�conseguenze�di�una�valutazione�discordante�sulla�
stessa�fattispecie(16).�

3.�^Segue:�Irapporti�tra�autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato�
e�Banca�d'Italia.�Venendo�all'applicazione�concreta�della�normativa�in�
parola,�la�casistica�di�questi�anni�da��atto�di�una�duplice�tendenza:�da�un�lato,�
il�rispetto�da�parte�della�Banca�d'Italia�di�standard�di�valutazione�meno�
rigorosi�e�stringenti�di�quelli�seguiti�dall'Autorita��garante,�dall'altro,�l'ado-
zione�da�parte�delle�due�autorita��di�criteri�differenti�ai�fini�del�riparto�di�
competenze.
��������

necessario�il�parere�dell'Autorita��in�relazione�ad�ogni�provvedimento�che��abbia�un'efficacia�di�
accertamento�non�solo�positivo,�ma�anche�negativo��(cfr.,�in�particolare,�P. 
MarchettI 
^F. 
Ghezzi,�Irapporti�dell'Autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato�con�le�autorita�di�vigilanza�
settoriali,�cit.,�166).�Questo�e��stato�anche�l'orientamento�da�subito�espresso�dall'Autorita��garante,�
che�riteneva,�contrariamente�alla�Banca�d'Italia,�necessario�esprimere�il�parere�non�solo�sulla�
chiusura,�ma�anche�sulla�non�apertura�dell'istruttoria�(Cfr.�I. 
Calboli,�La�concorrenza�bancaria�
neipareridell'Autorita�garantedella�concorrenza�e�delmercato,in�Banca,�borsa�e�tit.�cred.�1995,�I,�
299�ss.).�Il�problema�ha�poi�trovato�una�parziale�soluzione,�come�e��noto,�nell'Accordo�tra�l'Autorita�
garante�della�concorrenza�e�del�mercato�e�la�Banca�d'Italia�in�merito�alle�procedure�applicative�del-
l'art.�20�della�legge�10�ottobre�1990,�n.�287,(in�Boll.�n.�10/1996,�117)�nel�quale,�sostanzialmente,�
sembra�aver�prevalso�l'orientamento�dell'Autorita��garante,�secondo�la�quale�il�parere�deve�essere�
necessariamente�espresso�non�solo�sulla�chiusura,�ma�anche�sulla�non�apertura�dell'istruttoria.�
Questo�documento�e��stato�giustamente�salutato�con�favore�da�tutti�i�commentatori�(cfr.�F. 
Ghezzi,in�F. 
GhezzI 
^P. 
MagnanI 
^M. 
Siri,�L'applicazione�della�disciplina�antitrust�nei�settori�
speciali:�banche,�assicurazioni�e�mass�media.�Questioniproceduraliesostanzialiallalucedell'art.�20,�
in�Concorrenza�e�mercato�1996,�179�ss.),�non�solo�in�quanto�risolve�un�dubbio�interpretativo�che�
avrebbe�rischiato�di�non�avere�mai�fine,�ma�anche�per�le�opportune�disposizioni�in�materia�di�pub-
blicazione�dei�pareri�dell'Autorita��e�dei�relativi�provvedimenti�della�Banca�d'Italia.�

Ulteriori�dubbi�potrebbero�sorgere�in�ordine�alla�natura�vincolante�del�parere�dell'Autorita��.La�
posizione�unanime�dei�commentatori�(ne�le�autorita��hanno�mostrato�di�essere�di�diverso�avviso)�e��
nel�senso�della�natura�non�vincolante�del�parere�stesso,�che�quindi�non�e��certamente�idoneo�a�condi-
zionare�la�decisione�della�Banca�d'Italia�circa�la�valutazione�della�fattispecie.�Piu��problematico�e��,�
invece,�stabilire�se�sussista,�e�in�che�misura,�un�obbligo�di�motivazione�in�capo�alla�Banca�d'Italia�in�
caso�questa�si�discosti�dalla�posizione�espressa�dall'Autorita��garante�nel�parere�medesimo.�La�que-
stione�e��stata�affrontata�in�relazione�al�parere�dell'ISVAP�dal�TAR�Lazio�(v.�nota�5),�che�ha�parlato�
dichiarimento,�sinteticomachiaroepuntuale,deimotivichehannoportatoalladiversavalutazione.�

Cisipotrebbeancoradomandareseundiscorsodianalogotenorepossafarsiinrelazionealpotere�di�
impulsocheilcommaVIdell'art.�20assegnaall'AGCMneiconfrontidellaBancad'Italia.Secioe�,difronte�
al�ricevimento�della�segnalazione�dell'esistenza�di�un'ipotesi�diviolazione�da�parte�dell'Autorita��,la�Banca�
d'Italia,qualoranonravvisasseglielementiperaprireun'istruttoria,debbainqualchemodoformalizzare�
emotivaretaledecisione.Parechelarispostadebbaesserenegativa,anchesecertamentelacontrariasolu-
zionesarebbepiu��coerenteconlaratiocheispiraladisciplinaepiu��trasparentesottoilprofilodellavisibilita��
dell'operato�della�Banca�d'Italia�del�grado�di�intervento�sulle�fattispecie�potenzialmente�rilevanti.�

(16)�Si�pensi�in�particolare�alle�concentrazioni.�L'Accordo�del�1996�non�ha�risolto�il�problema.�
Esso�prevede,�infatti,�la�costituzione�di�un�gruppo�di�lavoro�composto�dai�rappresentanti�delle�due�
istituzioni�al�fine�di�risolvere�il�problema�della�ripartizione�delle�competenze,�ma�attualmente�non�
e��stata�formalizzata�alcuna�soluzione.�L'Accordo�si�limita�ad�affermare�che��le�imprese�potranno�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Quanto�al�primo�profilo,�merita�rilievo�la�tendenza�della�Banca�d'Italia�

ad�autorizzare�operazioni�di�concentrazione,�nonostante�risultino�lesive�della�

concorrenza,�invocando�principalmente�l'argomento�della�necessita��di�risana-

mento�della�banca�acquisita�(17),�dando�cos|��spazio�alla�c.d.failingfirm�doc-

trine,�tutt'altro�che�pacifica�nel�nostro�ordinamento�(18).

��������

inviare�le�comunicazioni�ad�una�delle�due�istituzioni,�che�provvedera��a�trasmetterle�all'altra�per�le�
opportune�valutazioni�nell'ambito�delle�rispettive�competenze�.�Ai�fini�pratici,�la�questione�non�
assume�particolare�rilevanza,�qualora�le�due�Autorita��,�ritenutesi�entrambe�competenti,�concor-
dino�nelle�valutazioni�ed�emettano�provvedimenti�di�analogo�tenore.�E,�fino�ad�ora,�(come�si�avra��
modo�di�precisare�nel�prossimo�paragrafo)�si�sono�verificati�solo�ipotesi�di�questo�tipo.�Ma�quid�
iuris�in�caso�di�duplicazione�di�procedimenti�che�portino�ad�esiti�difformi�(in�un�caso�positivo�e�
autorizzatorio,�nell'altro�negativo�e�denegatorio)?�Si�potrebbe,�in�tal�caso,�parlare�di�conflitto�di�
attribuzioni,�alla�cui�risoluzione�e��deputata�la�Corte�Costituzionale?�Salva�una�revisione�costitu-
zionale,�la�tesi�appare�ardua�da�sostenere,�considerato�che�il�conflitto�di�attribuzioni�e��prospetta-
bile�tra�poteri�dello�Stato,�mentre�le�Authority�non�sono�nemmeno�citate�in�Costituzione.�Il�nostro�
legislatore�sembra,�dunque,�essersi�completamente�disinteressato�delle�modalita��di�risoluzione�di�
tali�conflitti.�Sul�punto�v.�piu��approfonditamente�il�paragrafo�n.�6.�

(17)�Cfr.�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�1�del�5�aprile�1993,�Banco�di�Sardegna�SPA/-
Banca�Popolare�di�Sassari�SCRL/Cassa�Comunale�di�Credito�Agrario�di�Samatzai/Cassa�Comunale�
di�Credito�Agrario�di�Pimentel,in�Boll.�n.�6/1993,�44�ss.;�Provvedimento�dell'AGCM�n.�1051�del�
31�marzo�1993,�Banco�di�Sardegna/Banca�Popolare�di�Sassari,in�Boll.�n.�6/1993,�108�ss.�La�Banca�
d'Italia,�disattendendo�completamente�le�valutazioni�dell'ACGM,�autorizzo��l'operazione�di�concen-
trazione,�ritenendo�inevitabile�l'uscita�dal�mercato�della�Banca�Popolare�di�Sassari�in�assenza�del-
l'acquisizione�autorizzata,�con�conseguente��perdita�di�benessere�sociale�per�gli�utenti�del�servizio�
bancario�.�La�decisione�dell'autorita��di�vigilanza�e��stata�oggetto�di�critiche�in�dottrina�sotto�molte-
plici�profili�(cfr.�G. 
Rossi,�Il�conflitto�di�obiettivi�nell'esperienza�decisionale�delle�autorita�,�cit.,�273�
ss.).�In�particolare,�e��stata�criticata�l'effettiva�idoneita��degli�impegni�proposti�dalla�Banca�d'Italia�
(limitazioni�all'apertura�di�nuovi�sportelli�da�parte�del�Banco�di�Sardegna�e�all'ingerenza�di�que-
st'ultimo�nel�consiglio�di�amministrazione�della�Banca�Popolare�di�Sassari)�a�rappresentare�un�reale�
correttivo�sul�piano�concorrenziale,�e�l'eccessiva�considerazione�del�fattore�della�concorrenza�
potenziale�(la�cui�ricorrenza,�in�effetti,�appare�inconsistente�con�le�osservazioni�dell'Autorita��circa�
l'esistenza�di�elevate�barriere�all'ingresso).�Cfr.,�inoltre,�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�21�
del�17�gennaio�1998,�Gruppo�Banco�di�Sardegna/Casse�Comunali�di�Credito�Agrario,in�Boll.,�
n.�6/1998�del�23�febbraio�1998,�57�ss.;�Provvedimento�dell'AGCM�n.�5578�del�18�dicembre�1997,�
Gruppo�Banco�di�Sardegna/Casse�Comunali�di�Credito�Agrario,in�Boll.�n.�6/1998,�19�ss.�In�questo�
caso�le�divergenze�di�valutazione�delle�due�autorita��hanno�avuto�ad�oggetto�la�stessa�qualificazione�
della�fattispecie�(concentrazione,�secondo�l'AGCM,�e�abuso�di�posizione�dominante,�secondo�la�
Banca�d'Italia).�Stranamente,�in�quest'occasione,�si�e��dimostrato�piu��severo�il�giudizio�della�Banca�
d'Italia:�cfr.�M. 
Lamandini,�La��seconda�volta��delBanco�di�Sardegna�(nuovi�spunti�in�tema�di�anti-
trust�bancario),�cit.,�110�ss.,�che�rileva�come��tanta�severita��di�enforcement�si�sia�avuta�proprio�in�
un�nuovo�caso��Banco�di�Sardegna�:�quasi�che�il�nuovo�intervento��fosse��dovuto�[...]�alle�inade-
guatezze�proprie�del�primo��Banco�di�Sardegna/Banco�di�Sassari��del�1993��(p.�110).�
Cfr.,�inoltre,�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�22�del�3�aprile�1998,�Banco�di�Sicilia/-
Sicilcassa/Mediocredito�Centrale,in�Boll.�n.�15/1998�del�27�aprile�1998;�Provvedimento�dell'AGCM�

n.�5657�del�29�gennaio�1998,�in�Boll.�n.�15/1998.�In�quell'occasione,�l'autorita��bancaria�ebbe�modo�
di�affermare:��la�Commissione�Europea�ha�recepito�il�modello�elaborato�dalla�giurisprudenza�statu-
nitense�[...]�nel�caso�Boeing/McDonnel�Douglas��(cfr.�decisione�del�30�luglio�1997,�Caso�IV/M.877,�
in�G.U.C.E.,�legge�n.�336/16�dell'8�dicembre�1997.�V.�pero��E.M. 
Fox,�International�Antitrust:�
Against�Minimum�Rules;for�Cosmopolitan�Principles,in�Antitrust�Bull.�1998,�5�ss.,�in�part.�6,�che�
rileva�come,�nel�caso�di�specie,�avessero�avuto�un�peso�decisivo�sull'esito�del�giudizio,�considerazioni�
di�natura�politica�e�politico-economica),�e�tale�principio�deve�essere�tenuto�in�considerazione��per�
effettodelrichiamoprevistodall'art.�1,commaIV,dellaleggen.�287/1990�.�
(18)�Secondo�lafailingfirm�defense�prevista�nell'ordinamento�statunitense,�una�concentrazione�
anticoncorrenziale�puo��essere�autorizzata�qualora,�in�assenza�di�essa,�l'impresa�oggetto�di�acquisi-
zione�andrebbe�incontro�al�fallimento,�e�sempre�che�la�concentrazione�rappresenti�l'unico�mezzo�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

In�altre�circostanze�le�divergenze�di�valutazioni�(piu�severe�quelle�del-
l'Autorita�garante,�piu��blande��quelle�della�Banca�d'Italia)�hanno�avuto�ad�
oggetto�pratiche�di�uniformazione�delle�condizioni�contrattuali(19)�o�gli�
impegni�cui�subordinare�operazioni�di�concentrazione(20).

��������

per�evitarlo.�Cfr.�F. 
DenozzA 
^A. 
Stabilini,�Rapporti�epossibili�conflitti�tra�le�Autorita�preposte�
all'applicazione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al�settore�bancario,�cit.,�406,�nota�

31.�Quello�della�rilevanza�della�failingfirm�doctrine�nell'ordinamento�(comunitario�e)�nazionale�e�
problema�a�tutt'oggi�discusso.�Tale�dottrina�ha�ricevuto,�sino�ad�ora,�una�timida�applicazione�in�
sede�comunitaria�(cfr.�decisione�del�30�luglio�1997,�Caso�IV/M.877,�cit.),�mentre�non�risulta�essere�
stata�mai�applicata�dall'Autorita�garante�che,�anzi,�non�ha�per�ora�preso�una�chiara�posizione�
sul�punto�(cfr.�il�parere�reso�alla�Banca�d'Italia�sul�caso�Banco�di�Sicilia�(Provvedimento�n.�5657�
del�29�gennaio�1998,�cit.),�ove�l'autorita�(ivi�in�part.�al�par.�17),�oltre�ad�affermare�che�nel�caso�di�
specie�non�ne�sono�presenti�i�presupposti,�afferma�che�resta�comunque��impregiudicata�la�que-
stione�relativa�alla�rilevanza,�in�sede�di�applicazione�della�legge�n.�287/1990,�del�principio�in�
favore�del�salvataggio�delle�imprese�in�crisi.�
(19)�Cfr.�Banca�d'Italia,�Provvedimenti�nn.�10,�11�e�12,�Associazione�Bancaria�Italiana�(ABI),�
in�Boll.,�nn.�32-33,�40�e�48/1994;�AGCM,�Provvedimenti�nn.�2138,�2342�e�2341,�in�Boll.,�nn.�28-29,�
40�e�48/1994.�L'istruttoria�riguardava�un'ipotesi�di�violazione�dell'art.�2�della�legge�287/1990�da�
parte�dell'ABI,�in�relazione�alle�norme�uniformi�di�regolamentazione�del�servizio�Bancomat�da�essa�
predisposte.�I�profili�di�violazione�riguardavano,�da�un�lato,�la�fissazione�della�commissione�inter-
bancaria�legata�al�servizio�e,�dall'altra,�l'adozione�di�uno�schema�contrattuale�comune�con�i�clienti.�
Per�una�puntuale�analisi�del�caso�in�esame�cfr.�P. 
Marchetti,�Accordiinterbancari�e�disciplina�anti-
trust.�Note�suiprovvedimenti�emessi�nel�1994,in�Concorrenza�e�mercato�1995,�371�ss.�Cfr.,�inoltre,�
sul�complesso�problema�degli�accordi�interbancari�e�delle�commissioni�interbancarie�uniformi,�
A.S. 
Frankel,�MonopolyandCompetition�in�theSupplyandExchangeofMoney,in�Antitrust�L.J.�
1998,�66,�p.�313.�Benche�le�conclusioni�delle�due�autorita�,�nel�merito,�fossero�allineate�nel�senso�del-
l'autorizzazione,�tuttavia�l'AGCM�rilevava�l'effetto�tendenzialmente�anticoncorrenziale�dell'unifor-
mazione�delle�pratiche�contrattuali�(eliminazione�della�concorrenza�sulla�differenziazione�del�pro-
dotto);�al�contrario,�la�Banca�d'Italia�ne�sosteneva�la�valenza�proconcorrenziale�(maggiore�confron-
tabilita�delle�offerte).�Cfr.,�inoltre,�Provvedimento�(parere)�dell'AGCM�n.�10094�del�31�ottobre�
2001,�Abi/Co.Ge.Ban,in�Boll.�48/2001;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�38�del�27�novembre�
2001,�Abi/Co.Ge.Ban,in�Boll.�48/2001;�e�successivamente�Provvedimento�(parere)�dell'AGCM�
n.�11006,�del�24�luglio�2002,�Abi/Co.Ge.Ban,in�Boll.�30/2002;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�
n.�42,�del�30�luglio�2002,�in�Boll.�30/2002.�Si�trattava�di�rivedere�quanto�gia�disposto�alcuni�anni�
prima�in�ordine�ad�un'autorizzazione�in�deroga�ex�art.�4dellaleggen.�287/1990conriferimentoagli�
accordi�relativi�alle�procedure�RIBA/RIB,�Bancomat�(autorizzati�nel�1994,�con�il�provvedimento�
precedentemente�richiamato)�e�Pagobancomat�(autorizzati�nel�1998),�che�contenevano�la�previsione�
di�una�commissione�interbancaria�uniforme.�Nell'autunno�del�2001�la�Banca�d'Italia�ha�deciso�di�
confermare�l'autorizzazione�concessa,�ritenendo�le�commissioni�fino�ad�allora�praticate�sostanzial-
mente�congrue�rispetto�ai�costi�sostenuti�dalle�banche.�Al�contrario�il�parere�dell'AGCM�propen-
deva�per�conclusioni�diverse,�specie�in�ragione�di�alcune�considerazioni�sul�mercato�a�valle�del�con-
venzionamento�degli�esercenti,�rispetto�al�quale�veniva�evidenziato�il�pericolo�dell'innalzamento�
del�merchantfee,�causato�dall'incremento�della�commissione�interbancaria.�Per�una�disamina�del�
caso�cfr.�S. 
Valaguzza,�Principi�concorrenziali�e�tutela�delcredito,in�Concorrenza�e�mercato.�Rasse-
gna�degli�orientamenti�dell'Autorita�Garante,�10/2002,�303�ss.�
(20)�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�18�del�7�febbraio�1997,�Cariplo/Carinord,in�Boll.�
n.�7/1997;�Provvedimento�dell'AGCM�n.�4597�del�16�gennaio�1997,�Cariplo/Carinord�Holding,in�
Boll.�n.�7/1997.�In�quell'occasione�la�Banca�d'Italia�autorizzo�un'operazione�di�concentrazione�da�
cui�scaturiva�il�rafforzamento�della�posizione�dominante,�subordinandola�al�rispetto�di�impegni�
che�peraltro�non�erano�in�grado�di�annullare�l'effetto�che�fa�scattare�il�divieto�di�cui�all'art.�6�della�
legge�287/1990�(come,�invece,�auspicato�nel�suo�parere�dall'AGCM).�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Quanto�al�secondo�aspetto,�la�Banca�d'Italia�si�ritiene�competente�a�
valutare,�sotto�un�profilo�antitrust,�le�operazioni�che�interessano�gli�istituti�
di�credito�indipendentemente�dai�mercati�in�cui�le�stesse�producono�effetti,�
quanto,�piuttosto,�in�relazione�ai�soggetti�coinvolti�nell'operazione�(c.d.�com-
petenza�per�soggetti)(21).�Laddove,�infatti,�anche�solo�una�delle�parti�sia�un�
soggetto�rientrante�nella�sfera�di�controllo�e�regolamentazione�della�Banca�
d'Italia,�la�stessa�decide�dell'operazione�anche�quando�questa�non�interessi�
mercati�bancari(22).�

Al�contrario,�invece,�l'AGCM�segue�un�riparto�di�competenze�c.d.�per�
effetti:�vale�a�dire�che�essa�si�ritiene�competente�ad�applicare�la�normativa�
antitrust�laddove�l'operazione�interessi�mercati�non�bancari,�benche�la�stessa�
veda�coinvolti�soggetti�sottoposti�alla�vigilanza�della�Banca�d'Italia(23).

��������

(21)�Rileva�tale�tendenza�M.L. 
MontagnanI 
^M. 
Siri,�L'applicazione�del�diritto�antitrust�
nei�settori��speciali�:�l'evoluzione�normativa�e�i�principali�interventi�dell'Autorita�Garante�e�della�
Banca�d'Italia�nel�1999,in�Concorrenza�e�mercato.�Rassegna�degli�orientamenti�dell'Autorita�
Garante,�8/2000,�95;�M.L. 
MontagnanI 
^M. 
Siri,�L'applicazione�del�diritto�antitrust�nei�settori�
speciali��tradizionali��(bancario�e�assicurativo)�e�nel�mercato�delle�comunicazioni,�in�Concorrenza�e�
mercato.�Rassegna�degli�orientamenti�dell'Autorita�Garante,�10/2002,�94.�
(22)�Il�riferimento�va�ovviamente�all'art.�10�del�testo�unico�bancario,�a�mente�del�quale�e��riser-
vata�alle�banche��la�raccolta�del�risparmio�tra�il�pubblico�e�l'esercizio�del�credito�.�Per�un'applica-
zione�del�criterio�della�competenza�per�soggetti�cfr.�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�160/A�
del�5�settembre�2001,�Banco�Sella/Wind,in�Boll.�n.�37/2001;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�
n.�172/A�del�4�febbraio�2002,�Banca�IntesaBCI/Epsilon�Associati�SGR,in�Boll.�n.�6/2002;�Provvedi-
mento�della�Banca�d'Italia�n.�171/A�del�31�gennaio�2002,�Riscoservice/Sorit�Ravenna,in�Boll.�
n.�6/2002;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�165/A,�Gruppo�IntesaBCI/Serit�Picena,in�Boll.�
n.�48/2001;�Provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�156/A�del�1.�agosto�2001,�Finemiro�Banca�
(Gruppo�Cardine)/Servizi,in�Boll.�n.�32/2001.�Gli�ultimi�tre�casi�citati,�poi,�non�riguardano�piu��i�
mercati�dei�servizi�e�dei�prodotti�finanziari�tradizionalmente�estranei�alla�competenza�della�Banca�
d'Italia,�tuttavia�indirettamente�connessi�ai�mercati�strettamente�bancari�in�ragione�della�pluralita��
di�servizi�offerti�dagli�istituti�di�credito�ma�settori�quali�quello�della�riscossione�dei�tributi�
(Riscoservice/Sorit�Ravenna�e�IntesaBCI/Serit�Picena)�e�dei�servizi�informatici�(Finemiro�Banca�
(Gruppo�Cardine)/Servizi),�nei�quali�non�si�vede�quale�vantaggio�informativo�possa�vantare�la�
Banca�d'Italia,�tale�da�giustificare�la�sua�competenza�nell'applicazione�della�normativa�antitrust.�
(23)�L'AGCM,�gia��a�partire�dal�Provvedimento�n.�222�del�20�novembre�1991,�Istituto�Bancario�
S.�Paolo�di�Torino/Crediop,in�Boll.�n.�12/1991,�ha�affermato�la�sua�competenza�nei�confronti�degli�
effetti�di�un'operazione�realizzata�unicamente�da�imprese�bancarie,�che�pero��determini�effetti�relati-
vamente�a�mercati�diversi�da�quello�creditizio,�come,�nel�caso�di�specie,�sul�mercato�della�gestione�
fiduciaria�di�patrimoni.�Sul�punto�cfr.�la�ricostruzione�operata�da�M. 
Siri,�Art.�20�della�legge�anti-
trust,�in�Commentario�breve�al�codice�civile.�Leggi�complementari,�II�ed.,�Padova,�1995,�258�ss.,�in�
cui,�alla�luce�dei�numerosi�provvedimenti�dell'AGCM,�si�chiarisce�che�sussiste�la�competenza�del-
l'Autorita��sulle�concentrazioni,�anche�se�realizzate�da�enti�creditizi,�se�il�settore�di�attivita��si�riferi-
sce:�alle�attivita��meramente�strumentali�a�quella�propriamente�bancaria;�ai�prodotti�e�servizi�del�
c.d.�parabancario,�quali�leasing,factoring,�concessione�di�finanziamenti�alle�imprese,�mutui�immo-
biliari;�ai�prodotti�e�servizi�dell'intermediazione�finanziaria,�ancorche�collocati�da�societa��inserite�
in�un�gruppo�creditizio,�e�cos|��nei�confronti�delle�societa��di�intermediazione�mobiliare,�delle�societa��
fiduciarie�di�gestione�di�patrimoni�mobiliari,�delle�societa��di�gestione�dei�fondi�comuni�di�investi-
mento,�delle�societa��di�intermediazione�finanziaria�e�delle�finanziarie�di�partecipazione.�
Piu��di�recente,�per�una�duplicazione�di�procedimenti,�cfr.�provvedimento�della�Banca�d'Italia�

n.�44�del�5�settembre�2002,�Banca�di�Roma/Bipop-Carire,in�Boll.�nn.�35-36/2002;�provvedimento�
dell'AGCM�n.�11175�del�5�settembre�2002,�Banca�di�Roma/Bipop-Carire,in�Boll.�nn.�35-36/2002�
(mercati�interessati:�fondi�comuni�d'investimento,�gestioni�su�basi�individuali�di�portafogli�d'investi-
mento,�polizze�vita);�provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�30�del�2�dicembre�1999,�Banca�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

5.�^La�sentenza�del�Consiglio�di�Stato.�Di�fronte�ad�una�situazione�di�
tal�fatta,�ove�l'incertezza�regna�sovrana�e�la�duplicazione�dei�procedimenti�
sembra�ormai�divenuta�la�regola,�il�Consiglio�di�Stato,�con�la�pronunzia�in�
epigrafe,�cerca�di�ristabilire�una�parvenza�di�ordine.�
Il�Supremo�Consesso,�al�termine�di�una�diffusa�analisi�delle�possibili�
ragioni�^storiche,�economiche,�sociali�^che�hanno�condotto�al�particolare�
quadro�normativo�in�materia,�dei�numerosi�fattori�che�hanno�prodotto�una�
trasformazione�nel�settore�bancario�(quali��le�modificazioni�avvenute�nel�
comparto�creditizio,�l'emanazione�della�nuova�legge�bancaria,�l'influsso�del�
diritto�comunitario,�il�riconoscimento�della�natura�imprenditoriale�dell'atti-
vita�creditizia�),�criticando�la�scelta�normativa�di�attribuire�alla�Banca�d'Ita-
lia�la�competenza�antitrust,�esplicita�la�sua�opzione�interpretativa�a�favore�
del�criterio�della�competenza�per�effetti�o�per�mercati�(24).

��������

Intesa/Banca�Commerciale�Italiana,�in�Boll.�n.�48/1999;�provvedimento�dell'AGCM�n.�7771�del�
2�dicembre�1999,�Banca�Intesa/Banca�Commerciale�Italiana,in�Boll.�n.�48/1999�(mercati�interes-
sati:�depositi,�impieghi,�mercati�della�gestione�e�distribuzione�dei�fondi�comuni�d'investimento,�
gestione�e�distribuzione�dei�patrimoni�mobiliari,�produzione�e�distribuzione�dei�servizi�di�facto-
ring);�provvedimento�dell'AGCM�di�avvio�d'istruttoria�n.�9191�del�7�febbraio�2001,�Carte�dipaga-
mento�bancarie,in�Boll.�n.�5/2001;�provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�41�dell'11�luglio�2002,�
Carte�dipagamento�bancarie,in�Boll.�n.�28/2002;�parere�dell'AGCM�del�27�giugno�2002,�Carte�di�
pagamento�bancarie,in�Boll.�n.�26/2002.�In�quest'ultimo�caso�le�valutazioni�delle�due�autorita�si�
sono�nettamente�divaricate.�L'AGCM�ha,�infatti,�ritenuto�che�il�mercato�delle�carte�di�credito�
fosse�distinto�da�quello�delle�carte�di�pagamento,�mentre�la�Banca�d'Italia�ha�ritenuto�costituissero�
un�unico�mercato.�Tuttavia,�l'AGCM�non�procede�piu�alla�costante�adozione�del�provvedimento�
di�non�avvio�per�tutte�le�operazioni�di�cui�viene�a�conoscenza�^a�seguito�della�richiesta�di�parere�
trasmessogli�dalla�Banca�d'Italia�^,�le�quali�siano�produttive�di�effetti�nei�mercati�di�propria�com-
petenza�(cfr.,�in�tema�di�concentrazioni,�provvedimento�dell'AGCM�n.�9389,�Banque�Cortal/Cortal�
Financial�Advisor�SIM,in�Boll.�n.�14/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�9458,�Banca�Lombardia�
e�Piemontese/Veneta�Factoring,in�Boll.�nn.�16-17/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�9738,�Car-
dine�Banca/Servizi,in�Boll.�nn.�27/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�9915,�Wind�
Telecomunicazioni/Mobilmat,in�Boll.�nn.�35-36/2001;�provvedimento�dell'AGCM�n.�10101,�Cassa�
di�Risparmio�di�Ravenna-Bipop-Carire/Sorit�Ravenna,in�Boll.�n.�45/2001;�provvedimento�del-
l'AGCM�n.�10367,�Banca�IntesaBCI/Epsilon�Associati�SGR,in�Boll.�n.�4/2002;�provvedimento�del-
l'AGCM�n.�10461,�Gruppo�Intesa/Serit�Picena,in�Boll.�n.�9/2002).�L'atteggiamento�dell'AGCM�e�
imputabile�alla�consapevolezza�dell'inutilita�di�una�duplicazione�di�valutazione�per�le�operazioni�
la�cui�incidenza�sulla�concorrenzialita�del�mercato�sia�a�tal�punto�irrisoria�da�non�destare�il�ben-
che�minimo�sospetto�di�un�pregiudizio�alla�concorrenza�nel�mercato�interessato.�

Quanto�alle�intese,�(solo�nel�corso�del�2001)�in�ben�due�casi�l'AGCM�ha�proceduto�ad�emettere�
un�autonomo�provvedimento�di�non�avvio�d'istruttoria�a�seguito�della�richiesta�di�parere�effettuata�
dalla�Banca�d'Italia�(cfr.�provvedimento�dell'AGCM�n.�9750,�Assofin-contratto�di�finanziamento�
revolvingecarta,in�Boll.�n.�28/2001;provvedimentodell'AGCMn.�9825,�Banca�diRoma/ToroAssi-
curazioni,in�Boll.�n.�32/2001).�Il�duplicarsi�di�provvedimenti�nelle�ipotesi�considerate�e�indotto�dal�
comportamento�stesso�delle�parti�che�hanno�comunicato�l'intesa,�le�quali,�in�ragione�sia�della�mol-
teplicita�di�attivita�svolte,�sia�dell'incertezza�che�regna�nella�suddivisione�della�competenza�antitrust�
tra�l'AGCM�e�la�Banca�d'Italia,�hanno�provveduto�a�comunicare�la�stessa�ad�entrambe�le�autorita�.�

(24)�Cfr.�gia�gli�auspici�di�F. 
BuglionI 
^V. 
MelI 
^A. 
Rocchietti,�Linee�direttrici�dell'inter-
vento�antitrust�nel�settore�bancario,in�Concorrenza�e�mercato:�Rassegna�degli�orientamenti�dell'Auto-
rita�Garante,�9/2001,�335�ss.�(in�particolare�p.�349).�Da�ultimo�v.�AGCM,�Relazione�annuale�
per�il�2002.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�applicazione�di�tale�criterio�sono�configurabili�tre�distinte�ipotesi:�nel�caso�
di�fattispecie�omogenee�dal�lato�soggettivo�(in�quanto�realizzate�solo�da�soggetti�
bancari),�e�competente�la�Banca�d'Italia,�purche�si�tratti�di�attivita�normativa-
mente�riservate�alle�banche;�ancora,�nel�caso�di�fattispecie�omogenee�dal�lato�
soggettivo,�ma�produttive�di�effetti�anche�su�mercati�non�normativamente�riser-
vati�alle�banche,�accanto�alla�competenza�della�Banca�d'Italia�per�gli�effetti�sui�
mercati�riservati,�sussiste�la�competenza�dell'AGCM,�per�gli�effetti�sui�mercati�
non�riservati;�infine,�nel�caso�di�fattispecie�miste�dal�lato�soggettivo�(in�quanto�
realizzate�sia�da�soggetti�bancari,�sia�da�soggetti�non�bancari),�se�gli�effetti�dell'o-
perazione�si�producono�su�un�mercato�non�riservato�agli�enti�creditizi,�la�compe-
tenza�spetta�all'AGCM.�Di�conseguenza,�nel�caso�di�specie,�relativo�ad�un'intesa�
tra�un'impresa�bancaria�e�un'impresa�assicurativa,�produttiva�di�effettisolo�sul�
mercato�assicurativo,�e�ritenuta�sussistente�la�competenza�dell'AGCM.�

La�competenza�della�Banca�d'Italia�in�materia�antitrust 
viene�in�questa�
maniera�interpretata�restrittivamente:�l'organo�di�vigilanza�settoriale�non�e�
l'unico�soggetto�competente�all'applicazione�delle�regole�della�concorrenza�
nei�confronti�delle�aziende�e�degli�istituti�di�credito�^come�avverrebbe,�
invece,�adottando�un�criterio�di�competenza�c.d.�per�soggetti�^ma�divide�tale�
competenza�con�l'ACGM.�

Con�tale�opzione�ermeneutica,�implicitamente�il�Consiglio�di�Stato�
prende�posizione�a�favore�di�un'estensione�quanto�piu�ampia�possibile�degli�
standard 
di�valutazione�adottati�dall'Autorita�garante�e�quindi�di�un'applica-
zione�uniforme�della�disciplina�concorrenziale,�anche�quando�ad�essere�coin-
volti�siano�soggetti�bancari.�Difatti,�la�decisione�in�commento�non�solo�ha�
ribadito�la�centralita�del�criterio�di�riparto�per�effetti,�conformemente�alla�
consolidata�prassi�dell'AGCM,�ma�ne�ha�ulteriormente�ampliato�i�confini:�
un'applicazione�coerente�dell'anamnesi�interpretativa�effettuata�dal�Consiglio�
di�Stato�vede�sussistere�la�competenza�dell'AGCM�anche�in�casi�in�cui�la�
stessa�Autorita�garante�si�e�dichiarata�incompetente�(ad�esempio,�in�tema�di�
carte�di�pagamento)(25).�

Militano�a�favore�di�tale�ricostruzione�non�solo�gli�argomenti�di�natura�
sistematica�cui�si�e�fatto�riferimento�in�precedenza,�ma�anche�le�piu�recenti�
innovazioni�introdotte�dal�legislatore�relativamente�agli�istituti�creditizi�e�gli�
sviluppi�dei�mercati�finanziari.�

All'uopo�giova�precisare�come,�ai�fini�dell'individuazione�dell'ambito�di�
competenza�della�Banca�d'Italia,�l'art.�20,�secondo�comma,�adotta�un�criterio�
di�tipo�soggettivo,�riferendosi�testualmente�alle��aziende�ed�istituti�di�cre-
dito�.�Utilizzando�tale�criterio�la�legge�intendeva�far�riferimento�ad�una�ben�
determinata�categoria�di�soggetti,�e�cioe�a�quelli�indicati�agli�artt.�5�e�41

��������

(25)�Infatti�il�settore�delle�carte�di�pagamento�non�rientra�fra�quelli�riservati�agli�istituti�di�
credito�ai�sensi�dell'art.�10�del�testo�unico�bancario.�Cfr.�Segnalazione-parere�dell'AGCM�del�
9�maggio�2002,�Carte 
di 
pagamento 
bancarie, 
cit.;�provvedimento�della�Banca�d'Italia�n.�185/A�
dell'11�luglio�2002,�cit.,�con�cui�la�Banca�d'Italia�ha�disposto�l'avvio�dell'istruttoria;�provvedi-
mento�della�Banca�d'Italia�n.�200/A�del�23�gennaio�2003,�cit.,�con�cui�la�Banca�d'Italia�ha�proro-
gato�il�termine�per�la�conclusione�del�procedimento�dal�31�gennaio�2003�al�31�maggio�2003.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

della�legge�bancaria�del�1936�e�agli�istituti�successivamente�abilitati�all'esercizio�
del�credito�speciale,�operanti�con�compiti�specifici�in�un�determinato�settore�
(�raccolta�del�risparmio�tra�il�pubblico�ed�esercizio�del�credito�)(26).�Ma,�a�
seguito�di�alcune�fondamentali�modifiche�normative�(art.�1,�secondo�comma,�e�
art.�5,�primo�comma,�del�D.�Lgs.�n.�481/1992;�art.�1,�secondo�comma,�e�
art.�10,�terzo�comma,�del�testo�unico�bancario),�agli�enti�creditizi�e��ora�consen-
tito�di�svolgere�non�solo�l'attivita��bancaria�ad�essi�riservata�in�via�esclusiva,�ma�
anche�ogni�altra�attivita��finanziaria,�che�parimenti�puo��essere�esercitata�da�enti�
non�creditizi.�Conseguentemente,�il�criterio�della�competenza�per�soggetti�non�
coincide�piu��con�la�competenza�per�settore�di�attivita��(27).�

In�secondo�luogo,�il�criterio�di�competenza�per�soggetti�non�e��l'unico�ad�
essere�stato�previsto�nella�legge�antitrust.�Il�controverso�settimo�comma,�del-
l'art.�20,�a�mente�del�quale�sussiste�una�competenza�parallela�delle�due�auto-
rita��nelle�fattispecie�c.d.�miste,�va�inteso�e�cos|��e��stata�costantemente�inteso�
dall'AGCM�nel�senso�che�di�fronte�a�tali�operazioni�si�debba�adottare�un�cri-
terio�di�competenza�per�effetti,�in�base�al�quale�le�autorita��settoriali�dispon-
gono�della�competenza�antitrust�se�e�in�quanto�l'operazione�esplichi�effetti�
sul�mercato�sottoposto�alla�propria�vigilanza,�indipendentemente�dall'iden-
tita��del�soggetto�che�realizza�l'operazione�(28).

��������

(26)�Cfr.,in�tal�senso,ACGM,�Relazione�annuale�per�il�1991,�57ss.,secondo�cui�laderogadi�
competenza�a�favore�della�Banca�d'Italia�e��da�intendersi�limitata�alle�imprese�cui�e��riservata�l'atti-
vita��congiunta�di�raccolta�del�risparmio�presso�il�pubblico�e�di�erogazione�del�credito.�
(27)�All'epoca�della�redazione�della�legge�antitrust��il�riferimento�alle�aziende�ed�istituti�di�cre-
dito�equivaleva,�nella�mens�legislatoris,�all'attivita��bancaria�tout�court�:�cfr.�A. 
PatronI 
Griffi,�
Antitrust�e�concentrazioni�bancarie,in�Giur.�comm.�1996,�395�ss.,�in�part.�400.�Sul�punto�cfr.�altres|��
L. 
Torchia,�Ilcontrollopubblico�dellafinanzaprivata,�Padova,�1992,�250;�F. 
GhezzI 
^P. 
Mar-
chetti,�Irapportidell'Autorita�garantedella�concorrenzaedelmercato�con�leautorita�divigilanzaset-
toriali,in�Concorrenza�e�mercato�1993,�205�ss.,�in�part.�216�ss.�Del�resto,�sotto�un�diverso�profilo,�
gia��al�momento�dell'emanazione�della�legge�antitrust�era�possibile�affermare�che�l'ambito�soggettivo�
della�competenza�antitrust�attribuita�alla�Banca�d'Italia�non�coincidesse�con�i�suoi�piu��estesi�poteri�
di�vigilanza�(basti�pensare�ai�poteri�conferiti�alla�Banca�d'Italia�ai�sensi�della�legge�23�marzo�1983,�
n.�77,�sulla�disciplina�dei�fondi�comuni�d'investimento�mobiliare).�La�divaricazione�tra�l'ambito�sog-
gettivo�dei�compiti�antitrust�della�Banca�d'Italia�e�quello�dei�suoi�compiti�di�controllo�di�stabilita��si�
e��via�via�accentuata�a�partire�dai�poteri�attribuiti�all'istituto�con�la�legge�2�gennaio�1991,�n.�1,�istitu-
tiva�delle�SIM,�nonche�con�la�legge�21�febbraio�1991,�n.�52,�sull'attivita��difactoring.�
(28)�In�dottrina�aderiscono�a�siffatta�interpretazione�F. 
GhezzI 
^P. 
Marchetti,�Irapporti�
dell'Autorita�garantedellaconcorrenzaedelmercatoconleautorita�divigilanzasettoriali,�cit.,�225�e�
226;�Id.,�L'Autorita�garantedellaconcorrenzaeleautorita�divigilanzasettoriali:�iprincipieleproce-
dure�di�applicazione�della�legge�n.�287/1990�nei�settori�speciali,in�Concorrenza�e�mercato�1994,�163�
ss.;�R. 
AlessI 
^G. 
Olivieri,�La�disciplina�della�concorrenza�e�del�mercato,�Torino,�1991,�124;�A. 
Bettin,�Art.�20�della�legge�antitrust,�in�Commentario�breve�al�diritto�della�concorrenza�acuradi�P.�
Marchetti�e�L.�C.�Ubertazzi,�Padova,�1997,�452�ss.,�in�part.�456.�L'interpretazione�accolta�nel�testo�
non�e��l'unica�ad�essere�stata�prospettata.�Secondo�alcuni�Autori,�sussiste�la�competenza�esclusiva�
della�Banca�d'Italia�anche�quando�l'operazione�esplica�effetti�al�di�fuori�del�settore�creditizio,�pro-
spettando�una�diversa�interpretazione�del�comma�VII�che�dovrebbe�essere�riferito�ai�provvedimenti�
delle�autorita��di�settore�diversi�da�quelli�di�applicazione�della�legge�sulla�concorrenza:�cfr.�R. 
Costi,�
Le�concentrazioni�bancarie�e�la�legge�antitrust,�in�Banca�impresa�e�societa�1991,�399�ss.;�P. 
Mar-
chettI 
^M. 
Monti,�Ilsistemafinanziarionelladisciplina�dellaconcorrenza:�ilquadro�internazionale�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Tale�criterio�conduce,�per�una�medesima�operazione,�ad�un�sistema�
binario�di�competenze�antitrust 
nel�caso�di�operazioni�miste�in�senso�ogget-
tivo,�intese�come�operazioni�che�producono�effetti�su�mercati�diversi:�la�com-
petenza�della�Banca�d'Italia�si�limita�alla�valutazione�degli�effetti�delle�opera-
zioni�sui�mercati�riservati�agli�enti�creditizi;�quella�dell'AGCM�riguarda�gli�
effetti�che�tali�operazioni�producono�su�altri�mercati,�venendo�cos|�ad�effet-
tuare�una�scomposizione�degli�effetti�economici�dell'operazione(29).�

Infatti,�il�criterio�della�competenza�per�effetti�viene�applicato�non�solo�
nell'ipotesi�di�operazioni�miste�dal�punto�di�vista�soggettivo,�ossia�di�opera-
zioni�alle�quali�partecipino�imprese�sottoposte�al�controllo�antitrust 
da�parte�
di�piu�autorita�,�ma�anche�nell'ipotesi�di�operazioni�omogenee�dal�punto�di�
vista�soggettivo,�qualora�un'operazione�posta�in�essere�solo�da�soggetti�ban-
cari�spieghi�i�suoi�effetti�sia�su�mercati�riservati,�sia�su�mercati�non�riservati�
(operazioni�miste�dal�punto�di�vista�oggettivo).�

In�altri�termini,�a�causa�del�mutamento�del�contesto�di�riferimento,�si�
rovescia�quello�che�era�l'originario�impianto�della�norma,�venendosi�ad�adot-
tare�un�criterio�di�riparto�di�competenze�funzionale�agli�effetti�prodotti�sui�
vari�mercati,�assorbendo�di�fatto�il�criterio�della�competenza�per�soggetti.�

6. 
^Conclusioni. 
La�delicata�disciplina�che�si�e�cercato�di�illustrare�pre-
senta�due�principali�aspetti��critici�:�le�divergenze�esistenti�nei�canoni�valuta-
tivi�delle�due�autorita�e�l'adozione�di�differenti�criteri�nel�riparto�delle�rispet-
tive�competenze.�
Quanto�al�primo�profilo,�la�constatazione�e�allarmante�giacche�non�solo,�
come�si�e�detto,�si�ritiene�che�la�normativa�antitrust 
debba�trovare�un'applica-
zione�tendenzialmente�piena�anche�nel�settore�bancario,�ma�soprattutto�per-
che�l'AGCM�non�dispone�di�alcun�poter�di�impugnativa�verso�un�provvedi-
mento�della�Banca�d'Italia�di�cui�non�condivida�le�motivazioni.�Al�contrario,�
nell'ordinamento�statunitense,�che�e�normalmente�indicato�come�l'unico�altro�
sistema,�oltre�a�quello�italiano,�che�abbia�optato�per�la�(peraltro�parziale)�
sottrazione�della�competenza�relativamente�al�settore�bancario�all'autorita�
deputata�all'applicazione�delle�norme�antitrust 
in�via�generale(30),�la

��������

e�la�normativa�italiana,�in�AA.VV.,�L'integrazione 
europea 
e 
la 
regolamentazione 
dei 
mercatifinan-
ziari,�Milano,�1992,�56);�a�detta�di�altri,�invece,�sussiste�la�competenza�esclusiva�dell'AGCM�anche�
quando�un'operazione�esplica�effetti�sul�mercato�propriamente�creditizio,�se�all'operazione�prenda�
parte�almeno�un�soggetto�diverso�dalle�imprese�bancarie:�cfr.�L.C. 
Ubertazzi,�Diritto 
nazionale 
antitrust�ed 
imprese 
bancarie,in�Diritto 
antitrust�italiano,�a�cura�di�A.�Frignani,�R.�Pardolesi,�A.�
Patroni�Griffi,�L.C.�Ubertazzi,�Bologna,�1993,�vol.�II,�1053�ss.�

(29)�Il�criterio�e�stato�fatto�proprio�dall'AGCM�fin�dalle�prime�applicazioni�della�legge�anti-
trust:�cfr.�Provvedimento�dell'AGCM�n.�136�del�6�agosto�1991,�Banca 
Manusardi/Fideuram,in�Boll.�
n.�6/1991.�
(30)�La�Federal 
Trade 
Commission,�infatti,�non�ha�azione�sulle�concentrazioni�bancarie.�L'ap-
plicazione�delle�norme�rilevanti�spetta�alle�apposite�agencies 
che�esercitano�la�vigilanza�regolamen-
tare�(la�ripartizione�delle�competenze�e�alquanto�complessa;�essa�segue�sostanzialmente�quella�pre-
vista�per�la�vigilanza,�che�prevede�diverse�agenzie�federali�a�seconda�del�tipo�di�banca�e�del�tipo�di�
attivita�esercitata.�L'autorita�che�ha�la�competenza�nei�confronti�della�maggior�parte�delle�fattispe-
cie�e�comunque�il�Federal 
Reserve 
Board,�ovvero�l'autorita�di�vigilanza�su�tutte�le�banche�che�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

posizione�del�Department�of�Justice�(nel�prosieguo,�DOJ)�in�relazione�alle�

concentrazioni�bancarie�non�e�solo�consultiva,�come�quella�chiaramente�

attribuita�all'Autorita�garante�dalla�legge�n.�287/1990.�Il�DOJ�ha�il�potere�di�

impugnare�i�provvedimenti�presi�dalle�agencies�di�settore�e�di�iniziare�un'a-

zione�legale�di�opposizione�alle�operazioni�che�esso�ritiene�in�violazione�delle�

norme�antitrust.�Potere�che�e�stato�in�effetti�utilizzato,�almeno�come�arma�
per�costringere�le�parti�ad�adeguarsi�agli�standard�seguiti�dal�DOJ(31).�

Conflitto,�quindi,�ma�che�trova�la�sua�soluzione�non�nella�prevalenza�di�
un'autorita�sull'altra�o,�peggio,�dell'autorita�bancaria�su�quella�della�concor-

renza,�ma�in�un�giudizio�davanti�ad�una�corte�indipendente(32).

��������

aderiscono�al�Federal�Reserve�System).�Peraltro�la�competenza�dell'autorita�settoriale�non�e�esclu-
siva,�ma�concorrente:�l'autorita�di�volta�in�volta�competente�deve�infatti�consultare�l'Attorney�
General,�che�ha�comunque�il�potere�di�impugnare�sempre�la�decisione�di�autorizzazione�della�con-
centrazione�presa�dall'agenzia�competente.�

Sull'applicazione�della�disciplina�antitrust�al�settore�bancario�negli�U.S.A.�cfr.�E.W. 
Kintner,�
Federal�Antitrust�Law.�IX:�Antitrust�Exemptions,�Specific�Industries�and�Activities,�Cincinnati,�Oh.,�
Anderson,�1989-96,�105�ss.;,�B. 
Shull,�The�OriginsofAntitrustinBanking:�AnHistoricalPerspective,�
cit.,255;�L. 
J. 
White,�Banking,Mergers,�andAntitrust:HistoricalPerspectives,�andtheResearchTasks�
ahead,�cit.,�323�e�A.S. 
Blinder,�AntitrustandBanking,�cit.,�1996,�447;�B. 
ShulL 
^L.J. 
White,�Asym-
posium�on�the�changes�in�banking,�with�implicationsfor�antitrust:�introduction,in�Antitrust�Bull.�2000,�
II,�553�ss.;�M. 
Monti,�International�cooperation�in�antitrust:�US/EU�and�beyond,in�Antitrust�Law�
Journal�2001,�vol.�69,�361�ss.�Per�una�disamina�comparativa�tra�l'esperienza�statunitense,�quella�
comunitaria�e�quella�italiana�v.�G. 
Rossi,�Governo,�Magistraturae�Autorita�Garante:�tre�diversefiloso-
fie�dell'antitrust,�in�Riv.�soc.�2000,�II,�1081�ss.,�che�auspica�una�riforma�dell'art.�20�(p.�1097).�

(31)�Ad�esempio,�nel�caso�dell'acquisizione�da�parte�del�Fleet/Nortstar�Financial�Group�della�
BankofNew�England(sulla�quale�cfr.�D.I. 
Baker,�Searchingfor�an�Antitrust�Beacon�in�the�BankMer-
ger�Fog,in�Antitrust�Bull.�1992,�651),�il�Board�si�apprestava�ad�autorizzare�l'acquisizione�della�Bank�
ofNew�Englandda�parte�di�un�gruppo�bancario�con�una�notevole�posizione�di�mercato.�Il�DOJprese�
posizione�sull'operazione,�affermando�che�questa�avrebbe�comportato�una�grave�restrizione�della�
concorrenza�su�una�serie�di�piccoli�mercati�locali�nello�stato�del�Maine,�e�chiedendo�al�Board�di�
imporre�all'acquirente�di�attenuare�gli�effetti�anticompetitivi�dell'operazione�mediante�l'impegno�di�
vendere�le�filiali�situate�in�Maine�ad�un�concorrente�estraneo�all'acquisizione.�Il�Board,�discostandosi�
dall'opinione�del�DOJ,�emise�un�provvedimento�autorizzatorio�della�concentrazione,�sulla�basedi�
motivazioni�che�dimostravano�in�modo�eloquente�il�diverso�approccio�agli�antitrustconcerns�rispetto�
a�quello�del�DOJ.�Applicazione�della�convenience�and�needs�defense�attraverso�argomentazioni�di�
carattere�generale.�In�effetti�il�DOJnon�si�dichiaro�soddisfatto�delle�argomentazioni�del�Board,�e�insi-
stette�sul�carattere�anticompetitivo�dell'operazione�e�sulla�necessita�di�imporre�dei�rimedi.�La�conclu-
sione�della�storia,�che�offre�non�pochi�spunti�di�riflessione,�e�che�l'impresa�acquirente�decise�di�sotto-
porsi�alle�misure�correttive�indicate�dal�DOJper�evitare�che�questo,�in�base�al�potere�conferitogli�dalle�
norme�federali,�impugnasse�il�provvedimento�del�Boardin�sede�giudiziale.�
(32)�Come�e�stato�giustamente�rilevato�(cfr.�F. 
DenozzA 
^A. 
Stabilini,�Rapporti�epossibili�
conflitti�tra�le�autorita�preposte�all'applicazione�della�normativa�sulla�concorrenza�con�riferimento�al�
settore�bancario,�cit.,�427�e�428),��Nulla�impone�che�la�liberta�di�concorrenza�sia�l'unico�o�il�preva-
lente�valore�tutelato�dall'ordinamento�nella�disciplina�dei�rapporti�economici.�[...]�Tuttavia,�nell'o-
perare�questo�tipo�di�scelte,�alcuni�principi�appaiono�irrinunciabili:�1)�il�legislatore,�e�non�una�o�
piu�autorita�amministrative,�deve�farsi�carico�di�scegliere�se�e�in�che�misura�comprimere�gli�obiettivi�
di�tutela�della�concorrenza�a�favore�di�obiettivi�differenti,�fornendo�alle�autorita�incaricate�di�appli-
care�la�disciplina�criteri�di�valutazione�chiari,�trasparenti�e�predeterminati;�2)�qualora�il�legislatore�
scegliesse,�per�attuare�il�contemperamento�tra�i�diversi�obiettivi,�di�affidare�l'applicazione�delle�
norme�a�piu�autorita�,�esso�avrebbe�il�dovere�di�definire�in�modo�inequivocabile�le�rispettive�compe-
tenze�e�in�ogni�caso�di�affidare�la�soluzione�degli�eventuali�conflitti�ad�un'istituzione�terza�rispetto�
ad�esse�che,�ci�pare,�altro�non�deve�essere�se�non�un�giudice�che�abbia�come�obiettivo�quello�della�
tutela�dei�diritti�soggettivi�degli�individui�.�Cfr.,�anche,�F. 
Denozza,�Il�disegno�di�legge�antitrust:�
qualcheproblema��tecnico�,in�Giur.�comm.�1988,�I,�756�ss.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Quanto�al�secondo�profilo,�non�e�solo�la�conflittualita�esistente�tra�i�cri-
teri�adottati�dalle�due�Autorita�ai�fini�del�riparto�di�competenze�a�venire�in�
questione�(relativamente�alla�quale�il�Consiglio�di�Stato�e�intervenuto�^si�
auspica�^risolutivamente�con�la�decisione�in�epigrafe),�ma�la�stessa�ragion�
d'essere�di�tale�riparto.�

In�primo�luogo,�nel�sistema�attuale,�non�e�piu�avvertita�quella�conflig-
genza�tra�obiettivi�di�stabilita�e�tutela�della�concorrenza,�prima�tanto�temuta�
dagli�operatori.�Si�e�verificata�un'evoluzione�nel�modo�di�intendere�la�stabi-
lita�del�settore,�ritenendosi�che�quest'ultima�tragga�vigore�anche�da�un'effet-
tiva�concorrenza�(33).�Siffatta�evoluzione�si�e�verificata�anche�sul�piano�legi-
slativo�e�regolamentare,�segnato,�appunto,�dal�passaggio�dalla��indifferenza�
della�vecchia�legge�bancaria�[...]�ad�un�cauto�e�per�alcuni�versi�preoccupato�
riconoscimento�del�valore�concorrenza��(34).�

Inoltre,�il�sistema�attuale�determina�una�frantumazione�e�una�sovrappo-
sizione�di�competenze�che,�a�loro�volta,�conducono�a�duplicazioni�ed�aggra-
vamenti�procedimentali.�

Tutto�cio�risulta�difficilmente�giustificabile�sia�in�via�generale,�stante�la�
consapevolezza�sempre�piu�radicata�della�necessita�di�semplificare�i�procedi-
menti�amministrativi,�sia�nello�specifico,�vista�la�rilevanza�del�fattore�tempo-
rale�e�della�certezza�procedurale�nel�diritto�antitrust,�che�non�sopporta�lun-
gaggini�e�complicazioni.�

Inoltre,�in�prospettiva,�le�competenze�dell'AGCM�si�estenderanno�sem-
pre�piu�,�essendo�poche�le�attivita�riservate�agli�enti�creditizi�e,�di�contro,�mol-
teplici�le�attivita�che�gli�enti�creditizi�possono�svolgere�in�concorrenza�con�
altri�soggetti.�

La�scelta�di�affidare�in�un�dato�settore�ritenuto�speciale�la�competenza�
decisoria�all'autorita�di�vigilanza�settoriale,�previo�parere�dell'autorita�gene-
ralmente�competente�in�materia�antitrust,�appare�recessiva,�dal�momento�
che�e�stata�superata�anche�nel�settore�delle�comunicazioni�di�massa,�in�cui�
inizialmente�era�stata�parimenti�prevista.�Attualmente,�in�tutti�i�settori�repu-
tati�particolari�sotto�il�profilo�antitrust�(assicurazioni,�comunicazioni�di�
massa),�in�quanto�caratterizzati�dalla�presenza�di�interessi�pubblici�ulteriori

��������

(33)�Cfr.�I. 
Musu,�Il�valore�della�concorrenza�nella�teoria�economica,in�La�concorrenza�tra�
economia�e�diritto,�a�cura�di�N.�Lipari�e�I.�Musu,�Milano,�2000,�5�ss.;�G. 
MinervinI 
^M. 
Onado,�
Efficienza�dei�sistemifinanziari�e�tutela�del�risparmio:�disciplina�o�deregolamentazione?,�ivi,�235�ss.�
(34)�Cos|�A. 
Antonucci,�La�concorrenza�bancaria,in�Dir.�banc.�merc.finanz.�1997,�527�ss.,�che�
prospetta�anche�la�ricostruzione�della�stratificata�normativa�in�materia.�Parla�di�spostamento�del�
baricentro�da�un�sistema�normativo�oligopolistico�ad�un�sistema�concorrenziale�N. 
Salanitro,�
La�concorrenza�nel�settore�bancario,in�Banca,�borsa�e�tit.�cred.�1996,�757�ss..�In�senso�analogo�cfr.�
pure�Banca�d'Italia,�La�tutela�della�concorrenza�nel�settore�del�credito,�Roma,�1992,�36�ss.�e�315�ss..�
Sulla�Direttiva�CE�20�marzo�2000,�n.�12/2000,��testo�unico��in�materia�bancaria,�a�seguito�della�
quale��compito�dell'autorita�di�vigilanza�bancaria�della�Comunita�,�e�pertanto�anche�della�Banca�
d'Italia,�e�di�garantire�la�concorrenzialita�delle�imprese�bancarie,�compatibilmente�con�la�stabilita�
del�sistema,�esercitando�una�vigilanza�prudenziale�,�cfr.�F. 
MerusI 
^M. 
Passaro,�voce�Autorita�
indipendenti,in�Enc.�dir.,�Aggiorn.,�vol.�VI,�2002,�p.�147.�In�tema�cfr.�altres|�F. 
Merusi,�Democrazia�
e�autorita�indipendenti,�Bologna,�2000,�48�ss.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

rispetto�a�quello�concorrenziale,�il�modello�di�competenza�adottato�si�arti-
cola�su�una�competenza�decisoria�dell'autorita��generale�antitrust,�sia�pure�

previo�parere�dell'autorita��di�vigilanza�del�settore,�quest'ultimo�inteso�a�valo-
rizzare�le�peculiarita��del�settore(35).�Il�mancato�completo�accentramento�
dei�poteri�antitrust�in�capo�ad�un'unica�autorita��generale�non�solo�costituisce�
un�modello�ormai�in�via�di�superamento�in�Italia,�ma�rappresenta�anche�
un'eccezione�se�posto�a�confronto�sia�con�quello�esistente�nel�diritto�comuni-
tario,�in�cui�le�imprese�bancarie�soggiacciono�al�regime�comune�antitrust�
applicato�dalla�Commissione,�sia�con�quello�fatto�proprio�da�tutti�gli�altri�
paesi�occidentali(36).�

Tutto�cio��porta�a�ritenere�sempre�piu��pressanti�le�ragioni�favorevoli�ad�
un�mutamento�radicale�del�sistema�di�competenze�antitrust�nel�settore�banca-
rio,�che�attribuisca�all'AGCM�la�competenza�esclusiva�nell'applicazione�della�
disciplina�generale�della�concorrenza(37).�

Dott.ssa�Cristina�Giorgiantonio�

Consiglio 
di 
Stato, 
Sezione 
sesta, 
sentenza 
16 
ottobre 
2002, 
n. 
5640 
^Presidente�Ruoppolo�

Estensore�Montedoro�^Autorita��garante�della�concorrenza�e�del�mercato�(Avv.�dello�

Stato�I.M.�Braguglia,�ct.22503/1997)�c/o�A.G.�S.p.A.,�U.�S.p.A.�ed�altri.�

Qualora�in�un�mercato�operino�sia�aziende�ed�istituti�di�credito�sia�altri�soggetti,�la�valuta-
zione�degli�effetti�concorrenziali�dell'operazione�sul�mercato�interessato,�non�riservato�agli�enti�
creditizi,�compete�all'Autorita�garante�della�concorrenza�e�del�mercato.�

Qualora�in�unafattispecie�siano�coinvolte�solo�aziende�o�istituti�creditizi�la�Banca�d'Italia�e�
competente�ad�applicare�la�disciplina�antitrust�sempre�che�si�tratti�di�attivita�riservate�per�legge�

alle�banche.

��������

(35)�Infatti,�l'art.�20,�comma�I,�della�legge�antitrust,�che�demandava�l'applicazione�della�legge�
medesima�al�Garante�per�la�radiodiffusione�e�l'editoria�nei�confronti�delle�imprese�operanti�in�tali�
settori,�e��stato�abrogato�dall'art.�1,�sesto�comma,�lett.�c),�nn.�9�e�11,�della�legge�31�luglio�1997,�
n.�249,�venendosi�ad�assoggettare�anche�le�imprese�operanti�nei�settori�della�radiodiffusione�e�del-
l'editoria�alla�competenza�dell'AGCM,�previo�parere�dell'autorita��di�vigilanza�settoriale.�Lo�
schema�da�ultimo�adottato�nel�settore�delle�comunicazioni�di�massa�ricalca�lo�schema�gia��esistente�
fin�dall'origine�nel�settore�assicurativo,�in�cui�la�competenza�ad�applicare�la�legge�n.�287/1990�
spetta�all'AGCM,�mentre�l'autorita��di�vigilanza�del�settore,�ossia�l'ISVAP,�e��coinvolta�nel�procedi-
mento�antitrust�solo�quale�organo�consultivo�(art.�20,�quarto�comma).�
(36)�Nel�diritto�comunitario�si�applicano�integralmente�gli�artt.�81�e�82�del�Trattato�nel�settore�
creditizio,�senza�alcuna�possibilita��di�considerare�le�banche�imprese�incaricate�della�gestione�di�ser-
vizi�di�interesse�generale�ex�art.�86,�secondo�comma;�cio��a�partire�dalla�nota�sentenza�della�Corte�
di�Giustizia�14�luglio�1981,�C�172/1980,�Zuchner,�in�Foro�it.�1982,�IV,�c.�473�ss.,�con�nota�di�V. 
Sinini;�sul�punto�cfr.�O. 
Morello,�Le�banche�e�le�regole�comunitarie�sulla�concorrenza,in�Il�dir.�
com.�scambi�intern.�1997,�7�ss.;�M.T. 
D'Alessio,�Art.�81�Tr.,�in�F.�Pocar�(a�cura�di),�Commentario�
breve�ai�Trattati�della�Comunita�e�dell'Unione�europea,�Padova,�2001,�370�e�371.�
(37)�In�tal�senso�si�vedano�le�numerose�proposte�di�legge�dell'attuale�legislatura:�art.�15,�quinto�
comma,�d.d.l.�n.�2224,�Camera,�di�iniziativa�Tabacci�e�altri;�art.�14,�quinto�comma,�d.d.l.�n.�956,�
Senato,�di�iniziativa�Amato�e�altri;�art.�14,�quinto�comma,�d.d.l.�n.�2052,�Camera,�di�iniziativa�Letta�
e�altri.�In�dottrina�si�sono�espressi�a�favore�dell'abolizione�dell'art.�20.�A. 
PatronI 
Griffi,Anti-
trust�e�concentrazioni�bancarie,�cit.,�397;�M. 
Siri,�Art.�20,�cit.,�569;�G. 
Rossi,�Il�conflitto,�cit.,52e�
53;�Id.,�Governo,�Magistratura,�Autorita�garante:�tre�diversefilosofie�dell'antitrust,�in�Riv.�soc.�2000,�
1081�ss.�Cfr.�altres|��AGCM,�Relazioneannualeper�il2001,�26�e�27.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Se�un'operazione�produce�effetti�su�piu�mercati,�bancari�e�non�bancari,�sussistera�,�unita-

menteallacompetenzadellaBancad'Italia,�lacompetenzadell'Autorita�perglieffettisuimer-

cati�non�bancari�(nel�caso�di�specie,�la�competenza�spetta�all'Autorita�,�trattandosi�di�un�accordo�

per�la�distribuzione�diprodottiassicurativifra�un'impresa�bancaria�e�un'impresa�assicurativa:�

il�mercato�rilevante�e�quello�assicurativo�e�l'intesa�non�esplica�i�suoi�effetti,�ne�diretti,�ne�indiretti�

sul�mercato�bancario).�

(Legge�10�ottobre�1990,�n.�287,�art.�20).�

�(Omissis)�Deve�in�primo�luogo�essere�delibato�il�primo�motivo�di�ricorso,�relativo�
all'incompetenza�dell'Autorita�Antitrust.�

L'art.�20�della�legge�n.�287/1990�titolato�Aziende�ed�istituti�di�credito,�imprese�assicura-
tive�e�dei�settori�della�radiodiffusione�e�dell'editoria�individua�e�disciplina�le�fattispecie�alle�
qualisiapplicanole�disposizionispecialidicuialCapoIVdellaleggen.�287/1990.�

Ilricorsodiprimo�gradosostienecheinparticolare,�perquanto�attiene�agliistituti�dicredito,�
i�commi�2�e�3�del�suddetto�articolo,�stabiliscono�che�nei�confronti�delle�aziende�e�degli�istituti�di�
credito�l'applicazione�degli�articoli�2,�3,�4,�e�6�spetta�alla�competente�autorita�di�vigilanza�
(art.�20comma2)echei�provvedimentidelleAutorita�divigilanzadicuiaicommi1e2inappli-
cazione�degli�artt.�2,�3,�4�e�6�sono�adottati�sentito�il�parere�dell'Autorita�Garante�della�concor-
renza�e�del�mercato�di�cui�all'art.�10,�che�si�pronuncia�entro�trenta�giorni�dal�ricevimento�della�
documentazione�posta�a�fondamento�del�provvedimento.�Decorso�inutilmente�tale�termine�l'Au-
torita�di�vigilanza�puo�adottare�il�provvedimento�di�sua�competenza�(art.�20�comma�3)�.�

Il�legislatore�^secondo�l'impostazione�del�ricorso�di�primo�grado�^avrebbe�sottratto�
inequivocabilmente�alla�competenza�generale�in�materia�di�intese�restrittive�della�concor-
renza�e�del�mercato�dell'Autorita�Garante�ogni�potere�ispettivo,�autorizzatorio�e/o�sanziona-
torio�in�ordine�ad�ipotesi�restrittive�che�interessino�aziende�o�istituti�di�credito.�

A�riprova�dell'assunto�si�considera�il�comma�3�dell'art.�20�che,�invertendoilprincipio�
generale�per�cui�l'Autorita�debba�richiedere�il�parere�dell'organo�tecnico�di�volta�in�volta�
competente,�qualora�i�provvedimenti�finali�siano�destinati�a�spiegare�i�loro�effetti�nei�con-
fronti�di�aziende�di�credito,�prevede�che�sia�l'Istituto�di�Vigilanza�a�richiedere�il�parere�del-
l'Autorita�,�la�quale�ultima�agisce,�quindi�nel�caso,�non�piu�nell'esercizio�dei�suoi�poteri�deci-
sionali�ma�solo�ed�esclusivamente�con�funzioni�consultive.�

Si�rileva�che�U.�e�un�noto�istituto�bancario�e�si�eccepisce�l'incompetenza�dell'Autorita�
Garante.�

Quanto�alla�circostanza�che�nell'intesa�sia�coinvolta�poi�un'impresa�assicuratrice�essa�
non�farebbe�venir�meno�la�competenza�di�Banca�d'Italia�come�comprovato�anche�dall'ac-
cordo�in�merito�alle�procedure�applicative�dell'art.�20�della�legge�10�ottobre�1990�n.�287�sot-
toscritto�in�data�4�marzo�1996�fra�Autorita�e�Banca�d'Italia.�

L'accordo�non�pregiudica�l'applicazione�delle�norme�primarie�e�poi�prevede�interscambio�
informativo�stabilendo�che�quando�l'operazione�coinvolga�enti�creditizi�l'adozione�del�provve-
dimento�di�avvio�dell'istruttoria�spetti�alla�Banca�d'Italia,�organo�di�vigilanza�del�settore.�

In�particolare�poi�la�disciplina�convenzionale�prevederebbe�nelle�ipotesi�in�cui�le�quote�
di�mercato�detenute�dalle�parti�coinvolte�nell'operazione�di�concentrazione�sui�mercati�rile-
vanti�risultino�superiori�al�15%:�

che�le�imprese�possano�inviare�la�comunicazione�di�cui�all'art.�13�legge�n.�287/1990�ad�
una�delle�due�istituzioni�che�provvedera�a�trasmetterla�all'altra�per�le�opportune�valutazioni�
nell'ambito�delle�relative�competenze;�

che�le�due�istituzioni�si�scambino�le�informazioni�in�loro�possesso;�

che,�qualora�non�emergano�ad�un�primo�esame�elementi�per�l'avvio�dell'istruttoria�la�
Banca�d'Italia�solleciti�il�parere�all'Autorita�Garante�che�lo�redige�nella�formulazione�sinte-
tica�ovvero�articolata�qualora�invece�ritenga�che,�dalla�valutazione�dell'operazione,�emer-
gano�sufficienti�elementi�per�l'avvio�dell'istruttoria;�

che�la�Banca�d'Italia�nel�caso�in�cui�ravvisi�gli�estremi�per�l'avvio�dell'istruttoria�
emette�il�relativo�provvedimento;�
che,�finita�l'istruttoria,�la�Banca�d'Italia�trasmetta�all'Autorita�tutte�le�ulteriori�infor-
mazioni�pervenute�in�suo�possesso;�
che,�acquisite�le�informazioni,�la�Banca�d'Italia�richieda�il�parere�all'Autorita�;�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

che,�infine�la�Banca�d'Italia�emetta�il�provvedimento�di�cui�all'art.�20�e�diconcerto�
con�l'Autorita�valuti�l'opportunita�di�pubblicarlo�sul�Bollettino�dell'Autorita�.�
Si�lamenta�l'obliterazione�totale�della�procedura�consensualmente�stabilita.�
La�doglianza�e�infondata.�

La�norma�di�cui�all'art.�20�della�legge�n.�287/1990�e�stata�^come�e�noto�^oggetto�di�
una�vivace�dialettica�fra�le�autorita�entrambe�impegnate,�nei�loro�diversi�livelli�di�responsabi-
lita�,�a�fornire�il�contributo�alla�completa�attuazione�del�sistema�di�tutela�della�concorrenza�
nell'ambito�nazionale.�

La�peculiarita�del�settore�bancario�e�riconosciuta�normativamente�dal�legislatore�nazio-
nale�antitrust.�

Essa�deriva�da�una�lunga�storia,�istituzionale�ed�economica,�dall'alveo�e�dal�crogiuolo�di�
avvenimenti�da�cui�e�sorta�la�vecchia�legge�bancaria,�la�cui�presenza,�unitamente�alla�qualifi-
cazione�dell'impresa�bancaria�come�impresa�pubblica,�faceva�ritenere�che�nel�settore�la�con-
correnza�dovesse�giocare�un�ruolo�residuale.�

Si�affermava�che�il�settore�bancario�era�cos|�pesantemente�regolato,�sottoposto�ad�una�
disciplina�tanto�stretta�e�pregnante�che�le�regole�del�gioco�concorrenziale�finivano�per�essere�
svisate�in�radice.�

Tuttavia�nel�tempo,�le�modificazioni�avvenute�nel�comparto�creditizio,�l'emanazione�
della�nuova�legge�bancaria,�l'influsso�del�diritto�comunitario,�il�riconoscimento�della�natura�
imprenditoriale�dell'attivita�creditizia,�hanno�condotto�all'applicabilita�al�settore�bancario�
della�normativa�comunitaria�antitrust,�non�convincendo�la�riconduzione�degli�enti�creditizi�
nell'ambito�delle�imprese�di�interesse�generale�di�cui�all'ex 
art.�90�comma�2�del�Trattato�CE�
(Corte�di�Giustizia�nel�caso�Zuchner 
Corte�giustizia�Comunita�europee,�14�luglio�1981,�

n.�172/1980).�
In�sede�comunitaria�non�e�prevista�alcuna�distinta�regolamentazione�per�il�settore�ban-
cario,�esso�risulta�pienamente�attratto�ad�un�regime�comune,�amministratonella�suainte-
rezza�dalla�Commissione�CE.�
Elementi�specifici�di�diretta�pertinenza�tecnico-bancaria�sono�in�quella�sede�recuperati�
sul�piano�procedimentale�attraverso�la�valorizzazione�di�sub-procedimenti�consultivi.�

Le�scelte�del�legislatore�nazionale�appaiono�orientate�in�modo�diverso.�

Non�accogliendo�la�prospettiva�piu�radicale�che�mirava�a�fare�del�comparto�bancario�un�
esempio�paradigmatico�di�politica�delle�eccezioni�in�materia�antitrust 
ed�in�considerazione�
della�maturata�consapevolezza�che�le�regole�della�concorrenza�hanno�assunto�un'importanza�
cruciale�nell'allocazione�delle�risorse�finanziarie�e�nel�mondo�economico,�tanto�che�nessun�
agente�economico�dovrebbe�essere�loro�sottratto,�il�legislatore�nazionale�ha�salvato�le�esi-
genze�di�specificita�dell'attivita�bancaria�e�la�riconducibilita�degli�interessi�pubblici�ad�essa�
connessi�all'art.�47�della�Costituzione�e�non�solo�all'art.�41�della�Carta,�derogando�alla�com-
petenza�generale�dell'Autorita�Garante�e�prevedendo�l'attribuzione�di�poteri�antitrust 
alla�
Banca�d'Italia.�

La�scelta�effettuata�non�e�stata�tuttavia�formulata�in�modo�chiaro�ed�inequivoco,�ha�
dato�luogo�a�rilievi�sul�piano�tecnico�ed�e�tuttora�foriera�di�incertezze�applicative,�per�la�
frantumazione�delle�competenze�che�e�spesso�causa�di�conflitti�nei��casi�di�confine�.�

In�particolare�vi�e�una�netta�differenziazione�di�competenze�e�moduli�organizzativi�e�
procedimentali�dei�controlli�antitrust�nel�settore�assicurativo�ed�in�quello�bancario.�

Il�raccordo�istituzionale�e�diversamente�regolato�dall'art.�20:�nel�caso�del�settore�assicu-
rativo�il�potere�decisorio�resta�radicato�presso�l'Autorita�Antitrust�di�cui�all'art.�10�della�
legge�n.�287/1990�e�l'Autorita�di�settore�e�implicata�nella�vicenda�procedimentale�quale�
organo�consultivo,�mentre�nel�caso�del�settore�bancario�si�assiste�ad�uno�spostamento�di�
competenza�in�capo�alle�amministrazioni�tutorie�ed�e�il�Garante�della�concorrenza�ad�inter-
venire�questa�volta�mediante�l'espressione�di�pareri�facoltativi�ma�non�vincolanti�ai�sensi�del-
l'art.�20�comma�3�della�legge�n.�287/1990.�

Non�appare�chiara�la�ragione�di�siffatta�differenziazione:�essa�si�deve�ritenere�il�frutto�di�
configurazioni�istituzionali�formatesi�storicamente.�
Critiche,�sul�piano�della�coerenza,�al�modello�che�ha�concentrato�in�un'unica�autorita�,�
per�il�settore�bancario,�le�funzioni�di�vigilanza�e�di�controllo�antitrust 
sono�venute�anche�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

dalla�dottrina�che�ha�notato�come�le�finalita��di�un'azione�di�vigilanza�diretta�alla�stabilita��
complessiva�del�sistema�finanziario�(art.�5�della�nuova�legge�bancaria)�divergano�dalle�fina-
lita��del�controllo�dei�comportamenti�anticoncorrenziali.�

Nel�primo�caso�si�mira�ad�uno�sviluppo�armonico�e�senza�traumi�del�mercato,�accor-
dando�importanza�relativa�al�numero�degli�operatori,�mentre�la�disciplina�della�concorrenza�
ha�la�finalita��di�conservare�le�condizioni�di�un�mercato�dinamico,�efficiente�e�vivace,�animato�
da�una�pluralita��di�competitori,�nel�quale�vengano�tutelati�in�primo�luogo�gli�interessi�dei�
consumatori.�

Si�evidenzia�per�questo�verso�il�rischio�(che�per�certi�versi�per�taluni�sarebbe�piuttosto�
un�obiettivo�del�sistema)�che�nelle�concrete�scelte�di�intervento�l'autorita��di�settore�possa�per-
seguire�(o�tener�conto)�anche�(del)le�finalita��di�tutela�degli�interessi�pubblici�ulteriori�affidati�
alla�sia�cura,�cos|��modulando�in�modo�peculiare�l'antitrust 
bancario�nell'effettivita��delle�
scelte�amministrative�di�regolazione.�

Ese�e��vero�che�l'art.�20�non�definisce�ne�introduce�una�disciplina�differenziata�della�con-
correnza�nei�settori�speciali,�ai�quali�sono�riferite�le�stesse�regole�applicabili�agli�altri�settore�
economici,�deve�ribadirsi�che�l'art.�20�comma�5�pur�prevedendo�un'autorizzazione�in�deroga�
per�esigenze�di�stabilita��del�sistema�monetario,�tuttavia�non�determina,�(con�il�complesso�
della�restante�disciplina�che�pure�prevede�alcune�peculiari�regole�di�calcolo�del�fatturato�in�
occasione�delle�concentrazioni�bancarie)�per�la�sua�portata,�la�costruzione�di�un�sistema�a�
se�stante�dell'antitrust 
bancario.�

Potenziale�conflitto�e�complementarieta��degli�interessi�coinvolti�delineano�in�ogni�caso�
la�complessita��della�materia.�

Si�e��notato�altres|�,�sul�piano�della�ricerca�comparatistica,�che�il�nostro�sistema�costrui-
sce�una�peculiarita��fra�i�Paesi�dell'OCSE,�ove�non�risultano�altri�Stati�che�abbiano�attribuito�
un'esclusiva�competenza�antitrust 
in�capo�all'organo�preposto�anche�alla�vigilanza�delle�
imprese�bancarie,�e�che�affinita��sussistono�con�il�modello�statunitense,�ove�l'applicazione�
della�legge�in�materia�di�concentrazioni�bancarie�e��affidata�alle�autorita��di�settore,�ma�all'er-
rata�applicazione�della�legge�potra��reagire�il�Dipartimento�di�Giustizia�Divisione�Antitrust�
(che�ha�competenze�di�tipo�diverso�da�quelle�amministrative�della�nostra�autorita��piu��simili�
a�quelle�di��un�pubblico�ministero�antitrust�),�portando�le�autorita��di�settore�innanzi�all'au-
torita��giudiziaria.�

Cio��premesso�in�via�generale�sulla�complessita��del�quadro�legislativo�italiano�occorre,�
sotto�il�profilo�esegetico,�individuare�il�criterio�discretivo�di�ripartizione�della�competenza�
nel�settore�bancario�ed�assicurativo.�

La�compressione�della�generale�competenza�dell'Autorita��e�la�corrispondente�speciale�
competenza�della�Banca�d'Italia�determinano�in�concreto�la�necessita��che�siano�individuate�
le�operazioni�che�rimangono�nel�modulo�ordinario�e�quelle�che�sono�attratteal�regime�spe-
ciale.�

L'art.�20�definisce�la�competenza�della�Banca�d'Italia�con�riguardo�ai�provvedimenti�di�
applicazione�degli�artt.�2,�3,�4�e�6�nei�confronti�di�aziende�ed�istituti�di�credito.�

Si�e��subito�notato�che�l'area�di�competenza�cos|��definita�coesiste�con�altre�regole�di�
competenza�antitrust 
e�deve�essere�quindi�riletta�nell'ambito�e�nel�contesto�dell'intero�sistema�
di�regole�della�concorrenza�(da�un�lato)�e�della�disciplina�dei�mercati�mobiliare,�finanziario,�
bancario�e�valutario�(dall'altro).�

In�questo�ambito�e��stato�segnalato�che�Banca�d'Italia�ed�Antitrust�hanno�inizialmente�
avuto�opinioni�divergenti�(evidenziatesi�nella�nota�vicenda�della�ricapitalizzazione�delle�Assi-
curazioni�Generali�di�Venezia�ad�opera�di�un�consorzio�di�collocamento�capeggiato�da�
Mediobanca),�e�poi�sempre�risolte,�per�l'alto�senso�istituzionale�che�connota�le�autorita��in�
questione,�per�via�di�prassi�amministrative�concordate.�

Una�prima�tesi�(che�potremmo�definire�della��competenza�per�soggetti�)�ha�sostenuto�
la�competenza�esclusiva�dell'autorita��di�vigilanza�all'applicazione�delle�regole�italiane�di�con-
correnza�nei�confronti�delle�aziende�e�degli�istituti�di�credito�avuto�riguardo�solo�alla�natura�
dei�soggetti,�ed�indipendentemente�dalla�presenza�di�altri�diversi�operatori�economici.�

All'opposto�^e�nella�prassi�applicativa�dell'Autorita��Garante�^si�e��ritenuta�la�compe-
tenza�dell'Autorita��Antitrust�anche�nei�confronti�delle�aziende�di�credito�quando�l'opera-


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

zione�di�concentrazione�o�l'intesa�abbia�effetti�su�mercati�non�bancari�come�il�mercato�dei�
mutui�immobiliari�(omissis) 
del�leasing 
(omissis), 
delfactoring 
(omissis),�immobiliare�(omis-
sis),�assicurativo�(omissis),�del�brokeraggio�assicurativo�e�del�mercato�mobiliare.�

Si�tratta�della�tesi�della�competenza 
�per 
effetti� 
o 
�per 
mercati�.�

Configurando�la�competenza�non�per�soggetti�si�risolvono�agevolmente�le�c.d.�fattispe-
cie�miste�dal�lato�soggettivo�(perche�agiscono�soggetti�bancari�e�non�bancari)�od�oggettivo�
(perche�producono�effetti�su�diversi�mercati�non�solo�sul�mercato�creditizio).�

Il�Collegio�ritiene�che�la�competenza�debba�essere�determinata�secondo�un�criterio�che�
tenga�ferme,�per�quanto�possibile�e�non�espressamente�derogate,�le�competenze�antitrust 
pre-
viste�in�via�generale,�riducendo�il�rischio�di�conflitti�di�competenza�su��fattispecie�miste�.�

Si�ritiene�quindi�piu��conforme�alla�ratio�della�normativa�di�cui�alla�legge�n.�287/1990,�
l'adozione�di�un'interpretazione�restrittiva�della�competenza�della�Banca�d'Italia,�quale�ecce-
zione�rispetto�alla�generale�competenza�demandata�all'Autorita��Garante.�

In�primo�luogo�occorre�evidenziare�che�una�serie�di�norme�confermano�la�competenza�
in�via�generale�dell'Autorita��ad�applicare�il�diritto�antitrust 
anche�nei�confronti�delle�aziende�
e�degli�istituti�di�credito,�assegnando�con�cio��alla�regola�di�cui�all'art.�20�un�ruolo�limitato�
di�norma�attributiva�di�una�competenza�speciale,�circoscritta,�da�non�enfatizzare.�

Si�pensi�alle�attivita��di�intermediazione�finanziaria�consentite�ad�aziende�di�credito�e�
sottoposte�alla�vigilanza�funzionale�della�diarchia�Consob-Banca�d'Italia�(art.�5�del�d.lgs.�
24�febbraio�1998�n.�58):�si�e��dubitato�in�dottrina�della�riferibilita��dell'art.�20�al�caso�delle�
attivita��di�intermediazione�finanziaria�perche�la�vigilanza�per�finalita��non�consente�di�ripar-
tire�il�controllo�antitrust 
fra�Consob�e�Banca�d'Italia�e,�d'altronde,�si�e��rilevato�che�l'art.�20�
fa�riferimento�ad�un'autorita��(non�a�piu��autorita�)�che,�nell'impossibilita��di�un�riparto�delle�
competenze�in�tema�di�concorrenza�conforme�ai�criteri�di�vigilanza�funzionale�fra�Consob�
e�Banca�d'Italia,�non�puo��che�essere�quella�competente�in�via�generale�ossia�l'Autorita��
Garante�per�la�concorrenza.�

Ma�al�di�la��di�questa�ipotesi,�vi�sono�altre�fattispecie�per�le�quali�la�stessa�legge�

n.�287/1990�prevede�l'intervento�dell'Autorita��Garante�nonostante�la�presenza�di�aziende�di�
credito.�
Si�pensi�al�caso�delle�concentrazioni�polisettoriali�(ed�e��proprio�la�fattispecie�in�discus-
sione),�ove�non�sono�coinvolti�solo�aziende�ed�istituti�di�credito�ma�anche�imprese�di�altro�
genere�(ad�es.�assicurative),�ossia�concentrazioni�riguardanti�imprese�sottoposte�alla�vigi-
lanza�di�piu��autorita��:�in�questi�casi�si�deve�ritenere�riprenda�vigore�la�disciplina�generale�
(tantochel'art.�20comma7dellaleggen.�287/1990prevedeintalcasocheciascunaautorita��
puo��adottare�i�provvedimenti�di�propria�competenza).�

Cio��ha�fatto�ritenere�che�la�competenza�della�Banca�d'Italia�sia�doppiamente�circo-
scritta,�essa�riguarda�solo�le�aziende�e�gli�istituti�di�credito�ed�e��limitata�all'applicazione�delle�
regole�di�concorrenza�nazionale�con�riferimento�esclusivamente�ai�mercati�riservati�alle�
aziende�ed�agli�istituti�di�credito�dalla�normativa�bancaria.�

Inoltre�si�deve�considerare,�al�fine�di�avvalorare�l'approdo�ermeneutico�raggiunto,�che�
l'art.�20�comma�2�restringe�la�competenza�stabilita�in�via�generale�dell'Autorita��Garante�
della�concorrenza�e�del�mercato�attribuendo�in�sostanza�una�competenza�speciale�all'auto-
rita��di�vigilanza�del�settore.�

Nel�diritto�amministrativo�le�regole�di�competenza�speciale�non�possono�essere�interpre-
tate�analogicamente�cos|��come�nel�diritto�processuale�civile�le�deroghe�alla�competenza�ordi-
naria,�come�quelle�stabilite�dalle�parti�con�una�clausola�compromissoria.�

Questi�criteri�generali�di�interpretazione�possono�essere�applicati�nella�ricostruzione�del�
sistema�di�riparto�delle�competenze�fra�Banca�d'Italia�ed�Autorita��Garante�della�concor-
renza�e�del�mercato.�

Inoltre�l'intero�sviluppo�della�disciplina�in�tema�di�vigilanza�e��stato�letto�come�un�pas-
saggio�dalla�cittadella�della�vigilanza�istituzionale�(o�per�soggetti)�alla�piu��aperta�e�flessibile�
vigilanza�funzionale�(o�per�attivita��e�mercati).�Tutta�la�legge�n.�287/1990�e��basata�sul�
modello�della�vigilanza�funzionale,�in�quanto�assegna�la�competenza�al�controllo�antitrust 
ad�un'autorita��con�competenza�generale,�ed�e��vero�che�in�tale�ambito�e��prevista�una�compe-
tenza�speciale�ispirata�al�modello�della�vigilanza�per�soggetti,�ma�essa�interviene�nell'ambito�
di�un�provvedimento�connotato�dalla�presenza�di�un�modello�di�vigilanza�funzionale�e�in�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

un�sistema�(d.lgs.�n.�58/1998)�ispirato�ormai�dal�predetto�modello:�ne�consegue�la�piena�
legittimita�di�operazioni�ermeneutiche�che�interpretino�la�competenza�speciale�con�riferi-
mento�all'attivita�riservata�alle�banche.�

Ed�allora�si�deve�ritenere�che�il�sistema�di�riparto�di�competenze�sia�cos|�delineato:�

1)�qualora�in�un�mercato�operino�sia�aziende�ed�istituti�di�credito�sia�altri�soggetti,�la�
valutazione�degli�effetti�concorrenziali�dell'operazione�sul�mercato�interessato,�non�riservato�
agli�enti�creditizi,�compete�al�Garante�della�concorrenza�e�del�mercato;�

2)�quando�in�una�fattispecie�siano�coinvolte�solo�aziende�od�istituti�creditizi�la�Banca�
d'Italia�e�competente�ad�applicare�la�disciplina�antitrust 
sempre�che�si�tratti�di�attivita�che�
sono�riservate�per�legge�alle�banche;�

3)�se�un'operazione�produce�effetti�su�piu�mercati�bancari�e�non�bancari�sussistera�,�
unitamente�alla�competenza�della�Banca�d'Italia,�la�competenza�dell'Autorita�per�gli�effetti�
sui�mercati�non�bancari.�

La�riserva�di�competenza�speciale�a�Banca�d'Italia�si�giustifica�se�ed�in�quanto�i�soggetti�
�aziende�ed�istituti�di�credito��operino�con�omogenea�qualifica�su�un�unico�mercato�di�rife-
rimento�(assoggettato�alla�vigilanza�dell'autorita�di�settore)�altrimenti�la�competenza�di�
Banca�d'Italia�si�estenderebbe�su�mercati�non�da�essa�vigilati.�

Nella�specie�vi�e�un�accordo�per�la�distribuzione�di�prodotti�assicurativi�fra�un'impresa�
assicurativa�ed�un'impresa�bancaria:�il�mercato�rilevante�e�quello�assicurativo�e�l'intesa�non�
esplica�i�suoi�effetti,�ne�diretti�ne�indiretti�(che�siano�quantomeno�prospettati�o�richiamati�
dal�motivo�di�ricorso),�sul�mercato�bancario.�

Quanto�al�richiamo�all'accordo�per�la�valutazione�delle�c.d.�operazioni�miste�occorre�
ribadire�che�esso�attiene�a�procedure�applicative,�sui�casi�di�incerta�competenza,�in�attesa�
della�definizione�delle�competenze�a�seguito�di�un'analisi�delle�attivita�da�parte�di�un�gruppo�
di�lavoro�(e�quindi�conferma�che�il�criterio�di�riparto�e�non�solo�per�soggetti�ma�per�attivita�
e�mercati).�Tale�accordo�presuppone�e�non�fonda�la�regola�di�competenza,�contiene�regole�
definitorie�relative�solo�ai�mercati�della�raccolta�e�degli�impieghi�bancari�per�gli�altri�casi�
rinviando�all'approfondimento�del�gruppo�di�lavoro,�e�impone�per�il�resto,�doveri�di�scambio�
informativo�il�cui�mancato�rispetto�non�ha�di�per�se�effetto�invalidante�dei�provvedimenti�
amministrativi�poiche�le�comunicazioni�fra�le�autorita�ivi�fissate�hanno�solo�lo�scopo�di�con-
sentire�a�ciascuna�autorita�le�valutazioni�di�propria�competenza�(peraltro�secondo�l'assunto�
dell'Autorita�non�specificamente�smentito�dalla�avversa�difesa�la�Banca�d'Italia�sarebbe�stata�
informata�del�procedimento�fornendo�elementi�utili).�

Deve�inoltre�rilevarsi�che�non�sono�stati�segnalati�gli�approdi�del�gruppo�di�lavoro�e�che�
la�dottrina�ha�segnalato�che�l'accordo�in�tema�di�operazioni�miste�non�ha�avuto�seguito.�

In�ultimo,�per�completezza,�si�deve�rilevare�che�le�imprese�ricorrenti�in�primo�grado�
hanno�comunicato�l'intesa�all'Autorita�Garante�della�concorrenza�e�del�mercato�evidente-
mente�sul�presupposto�della�esistenza�di�una�competenza�di�quest'ultima�in�materia.�

Ne�consegue�il�rigetto�del�primo�motivo�del�ricorso�originario�riemerso�in�appello�a�
seguito�della�dichiarazione�delle�imprese�appellate�(omissis)�.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Obbligo 
di 
notifica 
dell'atto 
introduttivo 
del 
giudizio 
all'Avvocatura 
dello 
Stato 


Consiglio 
di 
Stato 
(in 
sede 
giurisdizionale), 
Sezione 
quarta, 
sentenza 
n. 
257/2003 


nella 
Camera 
di 
Consiglio 
del 
17 
dicembre 
2002 
Quadro 
di 
riferimento. 
^Nel�caso�de 
quo 
il�sig.�F.L.,�ufficiale�nel�Corpo�

della�Guardia�di�Finanza,�avendo�proposto�ricorso�straordinario�al�Presi-

dente�della�Repubblica�in�data�25�settembre�1999�avverso�la�mancata�iscri-

zione�per�l'anno�1999�nel�quadro�di�avanzamento�al�grado�superiore,�aveva�

richiesto,�con�istanza�presentata�il�26�febbraio�2001,�al�Comando�Generale�

della�Guardia�di�Finanza,�e�in�ossequio�al�diritto�di�accesso�riconosciutogli�

per�legge�n.�241/1990,�di�poter�estrarre�copia�dello�stato�di�servizio�e�del�
libretto�personale�di�alcuni�colleghi�risultati�promossi�nell'occasione.�

Ciononostante,�poiche�il�Comando�Generale�del�Corpo�gli�aveva�dene-
gato�l'accesso,�l'interessato�proponeva�ricorso�notificato�presso�lo�stesso�
Comando�generale�al�TAR�del�Lazio,�che�con�sentenza�n.�7075/01�ha�accolto�
il�gravame,�ordinando�cos|�all'Amministrazione�di�rilasciare�copia�dei�docu-
menti�richiesti.�

Ma�l'Amministrazione�ha�impugnato�la�decisione�dell'A.G.A.,�principal-
mente�deducendone�la�nullita�conseguente�all'omessa�notifica�del�ricorso�
introduttivo�presso�l'Avvocatura�erariale:�nulla�ogni�altra�notificazione�
diversa�da�quella�non�effettuata;�nulli�gli�atti�processuali;�nulla�la�sentenza�
(anch'essa�nel�caso�in�esame�non�notificata�alla�competente�Avvocatura�di�
Stato).�E�il�Supremo�Consesso�in�sede�giurisdizionale�(Sez.�IV),�nella�Camera�
di�Consiglio�del�17�dicembre�2002,�con�decisione�n.�257/2003�ha�accolto�l'ap-
pello�e,�per�l'effetto,�ha�annullato�senza�rinvio�la�sentenza�impugnata.�Cos|�
ha�deciso�sulla�base�delle�considerazioni�di�diritto�qui�sotto�riportate,�disat-
tendendo,�peraltro,�le�conclusioni�alle�quali�era�pervenuta�la�Sezione�conla�
decisione�n.�5636�del�29�ottobre�2001.�Tale�difformita�di�decisioni,�tuttavia,�
e�stata�necessitata,�a�giudizio�del�Collegio,�dalla�diversita�di�fattispecie:�nel-
l'una,�decisa�con�la�sentenza�de 
qua,�il�ricorrente�si�e�avvalso�della�difesa�ed�
assistenza�tecnica�di�un�peritus;�nell'altra�il�ricorrente�stava�in�giudizio�perso-
nalmente,�sfornito�dell'assistenza�di�un�avvocato�(1).�

Dott.ssa 
Ilaria 
Sanasi 


(1)�Per�una�disamina�completa�sulla�questione�ab 
initio 
cfr.�Cass.�civ.,�Sez.�I,�del�20�gennaio�
1978,�n.�250,�in�C.E.D.�Cass.,�rv.�389540�(secondo�la�quale��A�seguito�della�sentenza�della�Corte�
Cost.�n.�97�dell'8�luglio�1967,�la�quale�ha�dichiarato�l'illegittimita�dell'art.�11,�terzo�comma�del�
regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611,�nella�parte�in�cui�esclude�la�sanatoria�delle�nullita�delle�
notificazioni�effettuate�alle�Amministrazioni�dello�Stato�in�violazione�del�primo�e�secondo�comma�
dello�stesso�articolo,�non�puo�dichiararsi�l'inammissibilita�del�ricorso�per�Cassazione�notificato�
ad�un'Amministrazione�dello�Stato�presso�l'Avvocatura�Distrettuale,�anziche�presso�quella�Gene-
rale,�quando�l'Amministrazione�stessa�si�sia�costituita�mediante�controricorso,�trovando,�anche�
in�tale�ipotesi,�applicazione�il�principio�di�cui�all'art.�156,�terzo�comma�c.p.c.,�in�base�al�quale�la�
nullita�di�un�atto�non�puo�essere�pronunciata�se�esso�ha�raggiunto�il�suo�scopo�);�Cass.�civ.,�
SS.UU.,�del�5�luglio�1982,�n.�4010,�ivi,�rv.�421969�(secondo�la�quale��La�nullita�della�notificazione�
del�ricorso�per�Cassazione�nei�confronti�della�P.A.,�perche�effettuata�presso�l'Avvocatura�Distret-
tuale�anziche�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato,�resta�sanata�ex 
tunc 
per�effetto�della�costi-

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Consiglio 
di 
Stato 
in 
sede 
giurisdizionale, 
Sezione 
quarta, 
sentenza 
n. 
257/2003 
nella 
Camera 
di 
Consiglio 
del 
17 
dicembre 
2002 
^Presidente�P.�Salvatore�^Relatore�Cons.�A.�Anastasi�
^L.F.�c/o�Ministero�dell'Economia�e�delle�Finanze�(ct.�36549/01,�Avv.�dello�Stato�V.�
Russo).�

La�acclarata�nullita�della�notificazione�del�ricorso�introduttivo�rende�il�gravame�inam-
missibile.�

�(Omissis).�^L'appello�e�fondato.�

Con�il�primo�motivo�l'Amministrazione�deduce�la�nullita�della�sentenza�conseguente�
all'omessa�notifica�del�ricorso�introduttivo�presso�l'avvocatura�erariale.�

Il�mezzo�e�fondato.�

Come�e�noto,�l'art.�11�primo�comma�regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611�^nel�testo�
modificato�dall'art.�1�della�legge�25�marzo�1958,�n.�260�^stabilisce�che��Tutte�le�citazioni,�i�
ricorsi�e�qualsiasi�altro�atto�di�opposizione�giudiziale,�nonche�le�opposizioni�ad�ingiunzione�
e�gli�atti�istitutivi�di�giudizi�che�si�svolgono�innanzi�alle�giurisdizioni�amministrative�o�spe-

tuzione�in�giudizio�dell'Amministrazione�medesima�a�mezzo�di�detta�Avvocatura�generale,�ancor-
che�avvenuta�dopo�la�scadenza�del�termine�di�impugnazione�);�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�12�settembre�
1983,�n.�5542,�ivi,�rv.�430482�(�La�notifica�del�ricorso�per�Cassazione,�nei�confronti�di�un'Ammini-
strazione�dello�Stato�o�di�un�ente�pubblico�rappresentato�e�difeso�dall'Avvocatura�dello�Stato,�
presso�l'Avvocatura�Distrettuale,�anziche�presso�quella�Generale,�come�prescritto�dagli�artt.�11�
del�regio�decreto-legge�30�ottobre�1933�n.�1611�e�9�della�legge�3�aprile�1979�n.�103,�comporta,�ove�
la�relativa�nullita�non�sia�sanata�dalla�costituzione�dell'intimato,�l'inammissibilita�del�ricorso�
medesimo�).�

Cfr.,�in�prosieguo,�Cass.�civ.,�Sez.�I,�del�30�maggio�1984,�n.�3295,�ivi,�rv.�435326:��La�notifi-
cazione�della�sentenza�resa�nei�riguardi�di�una�Amministrazione�dello�Stato,�pure�se�rimasta�con-
tumace�nel�relativo�giudizio,�che�venga�effettuata�presso�gli�uffici�dell'Amministrazione�stessa,�
anziche�presso�la�competente�Avvocatura�dello�Stato,�come�prescritto�dall'art.�11�secondo�comma�
del�regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611,�non�e�idonea�a�far�decorrere,�nei�confronti�di�detta�
Amministrazione,�il�termine�breve�per�l'impugnazione�;�anche�Cass.�civ.,�del�17�aprile�1986,�

n.�2739,�ivi,�rv.�445787�secondo�la�quale��Il�termine�perentorio�di�sessanta�giorni�per�la�notifica�
del�ricorso�per�Cassazione,�previsto�dall'art.�325,�ultimo�comma,�c.p.c.�dalla�notificazione�della�
sentenza�impugnata,�decorre�ove�controparte�sia�l'Amministrazione�dello�Stato�dalla�notificazione�
della�sentenza�presso�l'Avvocatura�dello�Stato�nel�cui�distretto�ha�sede�l'Autorita�Giudiziaria�che�
l'ha�pronunciata,�a�norma�della�prescrizione�contenuta�nell'art.�11,�secondo�comma,�del�testo�
unico�delle�leggi�sulla�rappresentanza�e�difesa�in�giudizio�dello�Stato�in�ordine�alla�notifica�delle�
sentenza�;�ancora�Cass.�civ.,�Sez.�III,�del�16�maggio�1994,�n.�4755,�ivi,�rv.�486624:��La�nullita�della�
notificazione�del�ricorso�per�Cassazione�nei�confronti�di�un'Amministrazione�dello�Stato�eseguita�
presso�l'Avvocatura�Distrettuale�nella�cui�circoscrizione�si�trova�il�giudice�che�ha�emesso�la�sen-
tenza�impugnata�anziche�presso�l'Avvocatura�Generale,�a�norma�dell'art.�11�del�regio�decreto�
30�ottobre�1933,�n.�1611�e�sanata�dalla�costituzione�dell'Amministrazione�medesima,�con�la�noti-
fica�ed�il�deposito�del�controricorso�che�e�validamente�compiuta�anche�dopo�il�decorso�del�termine�
di�cui�all'art.�370�c.p.c.�.�
Cfr.�recentemente�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�2�maggio�1996,�n.�4000,�ivi,�rv.�497321�(secondo�la�
quale��La�notifica,�ai�fini�del�decorso�dei�termini�per�la�sua�impugnazione,�della�sentenza�pronun-
ciata�in�un�giudizio�nel�quale�sia�parte�un'Amministrazione�dello�Stato�e�nel�quale�l'Avvocatura�
dello�Stato�abbia�delegato�per�la�rappresentanza�della�Amministrazione�unprocuratore�legale�eser-
cente�nel�circondario�dove�si�e�svolto�il�giudizio�come�consentitole�dall'art.�2,�comma�1,�regio�
decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611,�deve�essere�effettuata�all'Avvocatura�dello�Stato�presso�i�suoi�
uffici,�secondo�il�regime�dettato�dall'art.�11�dello�stesso�regio�decreto�n.�1611/1933;�pertanto�la�
notifica�effettuata�al�procuratore�legale�delegato�e�radicalmente�nulla,�con�la�conseguente�inido-
neita�di�tale�notifica�a�far�decorrere�il�termine�breve�per�l'impugnazione�della�sentenza�e�impugna-
bilita�della�stessa�sentenza�entro�il�termine�lungo�di�cui�all'art.�327�c.p.c.�).�In�senso�difforme�cfr.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

ciali,�od�innanzi�ad�arbitri,�devono�essere�notificati�alle�Amministrazioni�dello�Stato�presso�
l'ufficio�dell'Avvocatura�dello�Stato�nel�cui�distretto�ha�sede�l'Autorita��giudiziaria�innanzi�
alla�quale�e��portata�la�causa,�nella�persona�del�Ministro�competente�.�

A�sua�volta�il�comma�terzo�dello�stesso�articolo�prevede�che�le�notificazioni�di�cui�sopra�
devono�essere�fatte�presso�la�competente�Avvocatura�dello�Stato�a�pena�di�nullita��da�pro-
nunciarsi�anche�d'ufficio.�

L'applicabilita��della�richiamata�normativa�nei�giudizi�avanti�al�Consiglio�di�Stato�ed�ai�
Tribunali�amministrativi�regionali�^revocata�in�dubbio�per�l'effetto�dell'entrata�in�vigore�
della�legge�6�dicembre�1971,�n.�1034�il�cui�art.�21�prevede�che�il�ricorso�va�notificato�all'or-
gano 
che 
ha 
emesso 
l'atto 
impugnato 
^e��stata�espressamente�ribadita�dall'art.�10,�comma�
terzo,�della�legge�3�aprile�1979,�n.�103,�di�talche�la�Giurisprudenza�e��oramai�consolidata�nel�
ritenere�l'inammissibilita��del�ricorso�proposto�nei�confronti�dell'Amministrazione�statale�
che�non�sia�stato�ad�essa�notificato�presso�l'Avvocatura�dello�Stato�(ad�es.�IV�Sez.�17�luglio�
1996,�n.�862)�salvi�gli�effetti�di�sanatoria�determinati�dall'eventuale�costituzione�in�giudizio�
dell'Amministrazione�stessa,�ai�sensi�della�sentenza�della�Corte�Cost.�26�giugno�1967,�n.�97.�

Ne�deriva�che�nel�caso�in�esame,�in�cui�il�gravame�non�e��stato�notificato�presso�l'Avvo-
catura�e�non�si�e��verificata�la�sanatoria�di�cui�sopra,�il�ricorso�di�primo�grado�risulta,�come�
eccepito�dall'appellante,�effettivamente�inammissibile.�

A�giudizio�del�Collegio�^che�ritiene�a�seguito�di�una�approfondita�riflessione�sulla�que-
stione�di�dover�adottare�delle�conclusioni�di�segno�opposto�a�quella�cui�era�pervenuta�la�
Sez.�con�la�decisione�29�ottobre�2001,�n.�5636�^le�considerazioni�ora�svolte�non�sono�infi-
ciate�per�effetto�delle�innovazioni�introdotte�dalla�legge�21�luglio�2000,�n.�205�nel�rito�spe-
ciale�concernente�la�materia�dell'accesso.�

Come�e��noto,�il�citato�art.�4�della�legge�n.�205�(rubricato��Disposizioni�particolari�sul�
processo�in�determinate�materie�),�cos|��recita�al�comma�3:��Nei�giudizi�ai�sensi�dell'art.�25,�
commi�5�e�ss.,�della�legge�7�agosto�1990,�n.�241�il�ricorrente�puo��stare�in�giudizio�personal-
mente�senza�l'assistenza�del�difensore.�L'amministrazione�puo��essere�rappresentata�e�difesa�
da�un�proprio�dipendente,�purche�in�possesso�della�qualifica�di�dirigente,�autorizzato�dal�
rappresentante�legale�dell'ente�.�

In�sostanza�la�nuova�disciplina,�al�fine�di�rendere�piu��semplice�e�spedito�il�processo�spe-
ciale�per�le�controversie�in�materia�di�accesso,�ha�eliminato�l'obbligo�della�difesa�tecnica�sia�
per�il�ricorrente�che�per�l'Amministrazione.�

Ad�avviso�del�Collegio,�peraltro,�convergenti�ragioni�di�indole�sia�testuale�che�sistema-
tica�inducono�a�ritenere�che�le�nuove�disposizioni�non�abbiano�inciso�sul�regime�delle�notifi-
che�degli�atti�introduttivi�del�giudizio.�

Cass.�civ.,�Sez.�I,�del�3�aprile�1992,�n.�4078,�ivi,�rv.�476569�e�Cass.�civ.,�del�19�gennaio�1993,�n.�608,�
ivi,�rv.�480323;�entrambe�superate�dall'imprimatur 
della�sentenza�n.�4000/1996�delle�SS.UU.�sul�
punto.�

Infine,�e�piu��di�recente,�cfr.�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�6�febbraio�1998,�n.�1275,�ivi,�rv.�512343:�
�Con�riguardo�al�ricorso�per�Cassazione�proposto�nei�confronti�dell'Amministrazione,�la�nullita��
della�notificazione,�in�quanto�eseguita�presso�l'Avvocatura�Distrettuale�anziche�l'Avvocatura�
Generale�dello�Stato,�resta�sanata,�con�effetto�ex 
tunc 
dalla�rinnovazione�della�notificazione�stessa�
presso�detta�Avvocatura�Generale,�ancorche�posteriormente�alla�scadenza�del�detto�termine�.�Sic-
che�cfr.�Cass.�civ.,�SS.UU.,�del�6�maggio�1998,�n.�4573,�ivi,�rv.�515156:��In�caso�di�notificazione�
del�ricorso�per�Cassazione�affetta�da�nullita��perche�effettuata�presso�l'Avvocatura�Distrettuale�
dello�Stato�anziche�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato,�il 
giudice 
deve 
ordinare 
la 
rinnova-
zione 
della 
notificazione 
che�ha�l'effetto�di�sanare�tale�nullita��impedendo�la�decadenza�dall'impu-
gnazione�.�

Conformi�a�questi�precedenti�sono�poi�le�ultime�pronunce�della�Suprema�Corte�(Cass.�civ.,�
Sez.�I,�del�3�marzo�1999,�n.�1774,�ivi,�rv.�523784;�Cass.�civ.,�Sez.�III,�del�24�marzo�2000,�n.�3540,�
ivi,�rv.�535049;�Cass.�civ.,�Sez.�III,�del�2�febbraio�2001,�n.�1512,�ivi,�rv.�543621;�infine�Cass.�civ.,�
Sez.�I,�del�13�febbraio�2003,�n.�2148,�ivi,rv.�561021).�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�primo�luogo�va�infatti�osservato,�sotto�il�profilo�testuale�e�per�quanto�qui�rileva,�che�
la�norma�in�rassegna�^nel�momento�in�cui�configura�la�rinuncia�della�Parte�statale�al�patro-
cinio�tecnico�come�facoltativa�e�dunque�come�frutto�di�una�scelta�discrezionale�formulabile�
solo�successivamente�all'introduzione�del�giudizio�da�parte�del�ricorrente�^e�compiutamente�
compatibile�col�regime�ordinario�delle�notifiche,�che�non�risulta�da�essa�tacitamente�abro-
gato�o�derogato.�

In�secondo�luogo,�dal�punto�di�vista�sistematico,�occorre�rilevare�che�la�normativa�in�
rassegna�trova�uno�specifico�antecedente�nell'art.�417-bis 
del�c.p.c.�(introdotto�dall'art.�42�
del�D.�L.vo�31�marzo�1998,�n.�80�e�modificato�dall'art.�19�del�D.�L.vo�29�ottobre�1998,�

n.�387)�il�quale�al�primo�comma�prevede�che��Nelle�controversie�relative�ai�rapporti�di�
lavoro�dei�dipendenti�delle�pubbliche�amministrazioni�di�cui�al�quinto�comma�dell'art.�413,�
limitatamente�al�giudizio�di�primo�grado�le�amministrazioni�stesse�possono�stare�in�giudizio�
avvalendosi�direttamente�di�propri�dipendenti�.�
Come�chiarito�dal�successivo�comma�secondo,�per�le�amministrazioni�statalioadesse�
equiparate,�ai�fini�della�rappresentanza�e�difesa�in�giudizio,�la�disposizione�sopra�trascritta�
si�applica�solo�nel�caso�in�cui�l'Avvocatura�dello�Stato�competente�per�territorio,�ove�ven-
gano�in�rilievo�questioni�di�massima�o�aventi�notevoli�riflessi�economici,�non�determini�di�
assumere�direttamente�la�trattazione�della�causa�mentre,�in�ogni�altro�caso,�l'Avvocatura�
stessa�trasmette�immediatamente,�e�comunque�non�oltre�sette�giorni�dalla�notifica�degli�atti�
introduttivi,�gli�atti�stessi�ai�competenti�uffici�dell'amministrazione�interessata�per�gli�adem-
pimenti�di�competenza.�

Come�si�vede,�la�disciplina�contenuta�nell'art.�417-bis 
c.p.c.�(pur�contemplando�nel�rito�
del�lavoro�una�facolta�di�rinuncia�della�parte�statale�alla�difesa�tecnica�analoga�a�quella�
introdotta�nel�rito�per�l'accesso�dall'art.�4�della�legge�n.�205)�presuppone�espressamente�il�
permanere,�a�pena�di�nullita�,�dell'obbligo�di�notifica�del�ricorso�al�Giudice�del�lavoro�presso�
l'Avvocatura�erariale:�il�che,�in�difetto�di�diversa�previsione�nel�contesto�del�ridetto�art.�4,�
induce�in�via�analogica�a�ritenere�che�tuttora�anche�i�ricorsi�al�Giudice�amministrativo�ex 
art.�25,�legge�n.�241�siano�tuttora�soggetti�al�regime�delle�notifiche�dettato�dall'art.�11,�primo�
comma�regio�decreto�30�ottobre�1933,�n.�1611�e�successive�modificazioni.�

Sulla�scorta�delle�considerazioni�che�precedono,�la�acclarata�nullita�della�notificazione�
del�ricorso�introduttivo�rende�il�gravame�inammissibile:�ne�d'altra�parte�sussistono�nel�caso�
in�esame�^in�cui�il�ricorrente�non�stava�in�giudizio�personalmente,�come�invece�verificatosi�
nella�controversia�decisa�dalla�citata�IV�Sez.�n.�5636�del�2001�^i�presupposti�per�la�conces-
sione�dell'errore�scusabile.�

In�conclusione,�l'accoglimento�dell'appello�comporta,�ai�sensi�dell'art.�34�della�legge�

n.�1034�del�1971,�l'annullamento�senza�rinvio�della�sentenza�impugnata�(Omissis)�.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Motivazione 
successiva 
in 
giudizio: 
il 
Tar 
Toscana 
la 
ammette 
in 
sede 
di 
sospensiva 


Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
la 
Toscana, 
Firenze, 
Sezione 
prima, 


Ordinanza 
9 
aprile 
2003 
(nella 
Camera 
di 
Consiglio 
dell'8 
aprile 
2003) 
n. 
353; 


Tribunale 
Amministrativo 
per 
la 
Toscana, 
Sezione 
prima, 


sentenza 
nella 
Camera 
di 
Consiglio 
dell'8 
aprile 
2003 


L'ordinanza�del�T.A.R.�Toscana�n.�353/2003�respinge�la�domanda�cau-
telare�con�cui�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�
di�soggiorno.�Il�diniego�risultava�motivato�con�il�carattere�ostativo�dell'arre-
sto�in�flagranza�di�uno�dei�delitti�previsti�dall'art.�73,�commi�1,�2�e�5�mentre�
il�ricorrente�risultava�condannato�ex 
art.�444�c.p.p.�per�la�fattispecie�meno�
grave�contemplata�dal�comma�4,�dell'art.�73�cit. 


Considerato�l'errore�materiale�in�cui�l'Amministrazione�era�incorsa,�
l'Avvocatura�dello�Stato�chiedeva�di�poter�integrare�in�corso�di�giudizio�la�
motivazione.�

Il�T.A.R.�concedeva�il�rinvio�al�fine�di�rinnovare�il�provvedimento�e�
sanare�il�vizio�della�motivazione.�

La�Questura�revocava�il�provvedimento�originario�ed�emetteva�il�nuovo�
provvedimento�di�rifiuto�per�ragioni�attinenti�alla�mancanza�di�reddito.�

Parte�ricorrente�proponeva�motivi�aggiunti�avverso�il�nuovo�provvedi-
mento,�che�i�giudici�ritengono�inammissibili�per�difetto�di�giurisdizione�
riguardo�al�provvedimento�di�espulsione�impugnato�ed�infondati�riguardo�al�
diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�in�quanto�il�reddito�non�risul-
tava�documentato�e�risulta�comunque,�insufficiente.�

La�domanda�cautelare�viene,�dunque,�respinta�in�quanto�il�ricorso�non�e�
provvisto�di�fumus 
boni 
iuris. 


La�pronuncia�si�configura�come�innovativa�in�quanto�accoglie�il�princi-
pio�della�motivazione�successiva�in�giudizio.�

Poco�tempo�prima�la�pronuncia�del�T.A.R.�Lazio,�Sez.�prima,�del�
16�gennaio�2002,�n.�398�aveva�aperto�uno�spiraglio�in�ordine�alla�vexata 
que-
stio 
della�integrazione�successiva�della�motivazione�del�provvedimento�impu-
gnato.�

Nei�casi�di�motivazione�carente,�insufficiente�e�illogica�si�offre�alla�P.A.,�
infatti,�la�possibilita�di�fornire�in�sede�di�giudizio�riscarcitorio�argomenta-
zioni�e�produzioni�difensive�atte�ad�integrare�e�chiarire�il�proprio�operato.�

Tale�possibilita�,�definita�gia�in�dottrina�come�dequotazione�giudiziale�
della�motivazione�(Giannini),�deriva�dalla�legge�241�del�1990:�gli�articoli�2�e�
3�introducono,�infatti,�novita�rilevantissime�nei�riguardi�della�motivazione�e�
della�sua�patologia.�

Sanciscono�l'obbligo�di�conclusione�del�procedimento�amministrativo�
con�un�provvedimento�espresso�entro�un�determinato�termine�nonche�l'ob-
bligo�generale�di�motivazione�del�provvedimento,�ossia�due�obblighi�che�in�
precedenza�erano�ricavati�in�via�interpretativa�(ai�medesimi�principi�si�ispira�
l'art.�3�della�legge�regionale�siciliana�30�aprile�1991,�n.�10).�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Appare�corretto�il�corollario�al�principio�della�trasparenza�dell'iter 
moti-
vazionale,�cos|�come�prescritto�e�regolamentato�dalla�legge�241�del�2002:�se�
l'Amministrazione�ha�l'obbligo�di�evidenziare�gli�atti�afferenti�alle�fasi�in�cui�
si�articola�il�provvedimento,�e�giocoforza�che�tale�emersione�risulti�idonea�a�
supportare�l'eventuale�mancata�esplicitazione�della�motivazione�stessa�nel�
provvedimento�conclusivo.�

Il�ragionamento�si�snoda�a�partire�proprio�dalla�funzione�della�motiva-
zione,�che�e�quella�di�consentire�la�possibilita�di�valutare�ed�eventualmente�
contestare�la�ragionevolezza�delle�scelte�dell'Amministrazione.�

Senza�dimenticare,�peraltro,�il�congegno�legale�di�cui�all'art.�3�comma�3�
legge�7�agosto�1990�n.�241�il�quale,�prevedendo�la�facolta�per�l'Amministra-
zione�di�utilizzare�la�motivazione�oh 
relationem,�offre�linfa�vitale�a�tale�
schema.�

Esplicito�al�riguardo�C.d.S.,�Sez.�quarta,�1998,�n.�1866�(1).�

Nella�fattispecie�in�esame,�infatti,�l'avvio�del�procedimento�notificatoal�
ricorrente�faceva�riferimento�alla�mancata�produzione�del�reddito,�mentre�il�
provvedimento�finale�al�fatto�che�il�cittadino�extracomunitario�aveva�ripor-
tato�delle�condanne.�

Era�evidente�l'errore�posto�in�essere�dalla�Questura,�ma�era�altres|�evi-
dente�come,�dall'esame�degli�atti�endoprocedimentali�del�provvedimento,�
fosse�possibile�individuare�la�corretta�volonta�della�P.A.�

In�tal�modo�e�stato�possibile�trovare�un�punto�di�equilibrio�e�di�contatto�
tra�l'esigenza�di�garantire�un�provvedimento�legittimo�e�giusto�al�cittadino�e�
l'esigenza,�altrettanto�sentita,�di�valorizzare�i�principi�di�conservazione�degli�
atti,�di�celerita�e�di�efficienza�della�P.A.�

Relativamente�alla�questione�oggetto�dell'ordinanza�si�evidenzia�quanto�
segue.�

Com'e�noto,�la�normativa�concernente�le�condizioni�soggettive�dello�
straniero�che�chiede�di�ottenere�un�permesso�di�soggiorno�per�entrare�e/o�
permanere�nel�territorio�della�Repubblica,�e�stata�modificata�dalla�legge�
30�luglio�2002,�n.�189.�

L'art.�4,�terzo�comma,�del�testo�unico�di�cui�al�decreto�legislativo�n.�286�
del�1998,�e�stato�sostituito�nel�senso�che�non�e�ammesso�in�Italia�lo�straniero�
che�risulti�condannato�anche�a�seguito�di�applicazione�della�pena�su�richiesta�
ex 
art.�444�c.p.p.�per�i�reati�inerenti�gli�stupefacenti,�la�liberta�sessuale,�il�
favoreggiamento�dell'immigrazione�clandestina�verso�l'Italia�o�dell'emigra-
zione�clandestina�dall'Italia�verso�altri�Stati�o�per�reati�diretti�al�recluta-
mento�di�persone�da�destinare�alla�prostituzione�od�allo�sfruttamento�della�
prostituzione�o�di�minori�da�impiegare�in�attivita�illecite.�

(1)�La�sentenza�e�pubblicata�in�Foro 
Amm. 
1998,�3072.�La�motivazione�di�un�provvedimento�
amministrativo�puo�anche�ricavarsi�per 
relationem 
dagli�atti�istruttori�(pareri,�proposte,�rapporti�
tecnici)�richiamati�nel�preambolo�del�provvedimento�stesso,�T.A.R.�Calabria,�Reggio�Calabria,�
27�maggio�1999,�n.�705,�in�Trib. 
Ammm. 
Reg.,�1999,�I,�2948,�oppure�puo�essere�legittimamente�
desunta�da�atti�collegati�al�procedimento,�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�6�aprile�1999,�n.�534,�in�Foro 
amm.,1999,�648.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

La�normativa�come�sopra�ricostruita,�modifica�notevolmente�il�quadro�
legislativo,�cos|�da�palesare�che,�ad�oggi,�non�e�necessario�in�alcun�modo�
valutare�la�pericolosita�sociale�del�richiedente�che�abbia�riportato�una�con-
danna,�seppur�condizionalmente�sospesa,�per�i�reati�in�materia�di�stupefa-
centi,�sfruttamento�della�prostituzione,�ecc.�

Si�potrebbe�prospettare,�dunque,�la�possibilita�,�da�parte�dell'Ammini-
strazione,�di�integrare�la�motivazione�in�giudizio,�offrendole�l'opportunita�di�
riformularla�sulla�base�del�nuovo�assetto�normativo.�

Cio�al�fine�di�evitare�un�defatigante�rinnovo�dell'attivita�provvedimen-
tale�che�si�risolverebbe�comunque�nell'emanazione�di�un�atto�di�rifiuto�del�
rinnovo�del�permesso�di�soggiorno.�

L'esigenza�di�garantire�un�provvedimento�legittimo�e�giusto�al�cittadino�
e�altrettanto�sentita,�infatti,�come�quella�di�valorizzare�i�principi�di�conserva-
zione�degli�atti,�di�celerita�e�di�efficienza�della�P.A.�

2.�^La 
motivazione 
successiva 
e 
la 
legge 
241/90. 
Come�gia�detto,�il�
ruolo�della�motivazione�risulta�modificato�dagli�artt.�2�e�3�della�legge�241�
del�1990�e�dall'accentuazione�dello�stretto�legame�tra�procedimento�e�provve-
dimento,�laddove�si�rende�necessario�fornire�un'adeguata�rappresentazione�
dell'iter 
logico-giuridico�attraverso�cui�l'Amministrazione�si�e�determinata�
ad�adottare�un�provvedimento.�
Il�rispetto�di�tali�principi�non�si�pone,�tuttavia,�in�contrasto�con�la�rico-
struzione�effettuata�dalla�recente�giurisprudenza,�orientata�nel�senso�di�non�
pretendere�una�visione�meramente�formale�dell'obbligo�di�motivazione,�coe-
rentemente�con�i�principi�di�trasparenza�e�lealta�desumibili�dall'art.�97�della�
Costituzione�(2).�

Il�principio�di�conservazione�degli�atti,�libero�da�condizionamenti�mera-
mente�formali,�potrebbe�trovare�applicazione,�riguardo�alla�possibilita�di�
integrazione�successiva�della�motivazione�del�provvedimento�impugnato,�
proprio�nella�denegata�ipotesi�che�la�motivazione�venga�ritenuta�carente,�
insufficiente�e�illogica,�attraverso�le�argomentazioni�e�le�produzioni�difensive�
poste�in�essere�dalla�P.A.�in�sede�di�giudizio.

E�proprio�la�presenza,�nel�nostro�sistema�giuridico,�del�principio�di�con-
servazione�degli�atti�ed,�in�particolare,�del�criterio�del�raggiungimento�dello�
scopo,�che�permette�una�notevole�apertura�in�tal�senso.�

In�base�a�tali�principi,�l'annullamento�dell'atto�formalmente�viziato�
diventerebbe�l'estrema�ratio,�da�utilizzarsi�legittimamente�solo�laddove�non�
esista�la�possibilita�di�ricostruire�altrimenti�l'iter 
logico�giuridico�seguito�dal-
l'amministrazione.�

L'efficacia�di�tale�soluzione�si�ravvisa�nel�fatto�che�verrebbe�evitato�il�
rinnovo�dell'attivita�procedimentale�che,�peraltro,�non�si�pone�come�solu-
zione�soddisfacente�per�le�ragioni�sostanziali�del�privato�ricorrente(3).�

(2)�C.d.S.,�Sez.�quarta,�n.�2281�del�29�aprile�2002.�
(3)�T.A.R.�Lazio,�Sez.�prima,�16�gennaio�2002,�n.�398;�Caringella,�Corso 
di 
diritto 
ammi-
nistrativo,�Giuffre�,�1430.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Soprattutto�oggi�le�esigenze�di�celerita��e�di�efficienza�si�pongono�come�
presupposti�imprescindibili�volti�ad�abbattere�le�barriere�formali�che�impedi-
scono�l'accertamento�giudiziale�della�realta��.�

Il�divieto�per�l'amministrazione�di�integrare�nel�corso�del�giudizio�la�
motivazione�del�provvedimento�impugnato,�imponendo�al�giudice�di�emet-
tere�pronunce�meramente�formali�di�annullamento�per�difetto�di�motiva-
zione,�non�preclude,�infatti,�all'Amministrazione,�di�reiterare�lo�stesso�prov-
vedimento�annullato�in�sede�giurisdizionale�con�una�nuova�motivazione�(4).�

La�nuova�visione�volta�ad�offrire�una�modifica�sostanziale�dell'oggetto�
del�processo,�inteso�non�piu��come�giudizio�sull'atto�impugnato,�bens|��come�
pretesa�sostanziale�fatta�valere�da�parte�ricorrente�nel�processo�e,�quindi,�
come�giudizio�sul�rapporto,�ha�come�conseguenza,�tra�i�vari�aspetti,�proprio�
quella�di�consentire�l'integrazione�della�motivazione�dopo�la�proposizione�
del�giudizio.�

E�infatti,�venuto�meno�il�presupposto�sistematico�dell'immutabilita��
del�provvedimento�impugnato�cos|��come�rappresentato�nell'atto�che�lo�
racchiude.�

La�giurisprudenza�ha�in�passato�mostrato�delle�aperture�in�proposito�
soprattutto�nei�casi�di�procedimento�riservato�ex�art.�24�legge�241�del�1990�
(diritto�d'accesso),�consentendo�all'Amministrazione�di�intervenire�valida-
mente�anche�in�corso�del�giudizio�ad�integrare�la�motivazione�del�provvedi-
mento�impugnato,�con�conseguente�eventuale�cessazione�della�materia�del�
contendere�in�ordine�al�dedotto�vizio�di�difetto�di�motivazione�(5).�

Ulteriore�apertura�e��stata�attuata�in�merito�alla�cosiddetta�motivazione�
plurima,�che�si�configura�qualora�l'atto�amministrativo�si�fondi�su�una�plura-
lita��di�ragioni�di�per�se�autonome:�il�provvedimento�e��considerato�legittimo�
anche�nel�caso�in�cui�sia�esplicitata�una�sola�di�queste�ragioni,�idonea�a�soste-
nere�l'atto�intero�(6).�

Il�superamento�di�una�visione�meramente�demolitoria,�cos|��come�da�piu��
parti�in�dottrina�si�auspica,�non�puo��non�avere�come�corollario�la�legittima�
possibilita��di�identificare�l'oggetto�reale�del�giudizio�nella�pretesa�sostanziale�
del�ricorrente.�

Si�puo��dunque�sostenere�che�il�legislatore�del�2000�ha�rimodellato�l'og-
getto�del�processo�amministrativo�relativamente�alla�pretesa�sostanziale�fatta�
valere�dal�ricorrente�(e�questo�anche�a�seguito�dell'estensione�dell'impugna-
tiva�ai�provvedimenti�sopravvenuti�mediante�semplici�motivi�aggiunti�all'in-
terno�del�giudizio�gia��pendente).�

(4)�Cfr.�in�dottrina�GiovannI 
Virga, 
Integrazione�della�motivazione�nel�corso�del�giudizio�e�
tutela�dell'interesse�alla�legittimita�sostanziale�del�provvedimento�impugnato,in�Dir.�proc.�amm.,�
1993,�516.�
(5)�Cons.�Giust.�Amm.�20�aprile�1993,�n.�149,�in�Dir.�Proc.�Amm.,�1994;�577,�Cons.�Stato,�
Sez.�V,�13�novembre�1990,�n.�776,�in�Cons.�St.,�1990,�I,�1235;�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�20�maggio�
1992,�n.�546,�in�Cons.�St.,�1992,�I,�716.�
(6)�T.A.R.�Salerno,�19�aprile�2000,�n.�275,�in�ITAR,�2000,�I,�3384).�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Nel�caso�oggetto�dell'ordinanza�sussistono,�pertanto,�i�presupposti�per�
consentire�all'Amministrazione�l'integrazione�della�motivazione�in�giudizio,�
nonche�l'esigenza�di�evitare�inutili�sprechi�sia�dell'attivita�processuale�sia�del�
successivo�esercizio�meramente�confermativo�dell'attivita�amministrativa.�

Il�T.A.R.,�accogliendo�l'istanza�avanzata�dall'Amministrazione,�conce-
deva�il�rinvio�al�fine�di�provvedere�a�quanto�richiesto.�

L'Amministrazione�con�nuovo�provvedimento,�previo�annullamento�del�
precedente,�provvede�a�redigere�ulteriore�motivazione.�

Il�nuovo�provvedimento�si�fonda�sulla�mancata�dimostrazione�da�parte�
dello�straniero�dei�concreti�mezzi�di�sostentamento�in�Italia:�il�cittadino�senega-
lese�non�ha�fornito�la�prova�di�possedere�il�requisito�dell'esercizio�di�lavoro�
autonomo�o�subordinato�che�consente�il�rilascio�o�il�rinnovo�del�permesso�di�
soggiorno�a�mente�dell'art.�5�commi�5�e�8,�legge�28�febbraio�1990,�n.�39�(7).�

Nel�mentre�la�Prefettura�di�Firenze�emette�decreto�di�espulsione�nei�con-
fronti�del�ricorrente.�

In�ogni�caso,�essendo�venuti�meno�gli�eventuali�vizi�del�provvedimento�
impugnato,�e�avendo�l'Amministrazione�proceduto�alla�integrazione�della�
motivazione,�il�provvedimento�di�rifiuto�di�rinnovo�del�permesso�di�sog-
giorno�e�da�ritenersi�valido.�

Come�tale,�anche�configurandolo�come�provvedimento�presupposto�del�
recente�decreto�di�espulsione,�non�sarebbe�in�grado�di�produrre�effetti�invali-
danti�su�quest'ultimo.�

Comunque�sia,�si�ritiene�che�i�due�provvedimenti�non�siano�l'uno�dell'al-
tro�consequenziali.�

In�tal�senso�si�e�,�infatti,�espressa�la�Cassazione�civ.,�Sez.�prima,�5�dicem-
bre�2001,�n.�15414:�l'opposizione�al�decreto�di�espulsione�davanti�al�giudice�
ordinario�non�puo�fondarsi�su�motivi�attinenti�al�mancato�rilascio�o�al�man-
cato�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�(8).�

3.�^La 
motivazione 
successiva 
e 
i 
motivi 
aggiunti 
di 
cui 
alla 
legge 
205/ 
2000. 
Il�ricorrente,�con�la�proposizione�di�motivi�aggiunti�si�duole,�sostan-

zialmente,�dell'integrazione�della�motivazione�posta�in�essere�dal�Questore�
e,�a�quanto�pare,�delle�modalita�con�cui�questa�e�stata�attuata.�

Su�quest'ultimo�punto�giova�evidenziare�che�l'integrazione�della�motiva-
zione�e�stata�concessa,�su�istanza�dell'Amministrazione,�dallo�stesso�giudice�
amministrativo�adito,�il�quale,�peraltro,�non�ha�posto�condizioni�e�modalita�
particolari�in�ordine�alla�attuazione�di�quanto�richiesto.�

Ne�d'altronde�e�da�sottacersi�che,�proprio�la�possibilita�,introdottadalla�
legge�n.�205�del�2000,�di�impugnare�con�motivi�aggiunti�eventuali�altri�provvedi-
menti�connessi�a�quello�originariamente�impugnato,�permette�di�ritenere�ammis-
sibile�che�la�P.A.,�al�fine�di�emendare�un�proprio�precedente�provvedimento,�
provveda�ad�emanarne�un�altro,�ove�risultino�eliminati�i�vizi�originari�(9).�

(7)�In�tal�senso�la�giurisprudenza�e�costante:�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�31�maggio�1999,�
n.�932,�in�Foro 
Amm.,�1999,�987.�
(8)�In�Mass. 
Giur. 
It.,�2001�e�CED 
Cassazione.�
(9)�In�tal�senso�molto�chiaramente�T.A.R.�Lazio,�Sez.�prima,�16�gennaio�2002,�n.�398.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Tale�possibilita�,�gia�peraltro�ipotizzata�da�tempo�in�dottrina,�ed�appli-
cata�da�una�parte�della�giurisprudenza,�trova�ora�la�sua�consacrazione�pro-
prio�nella�nuova�configurazione�impressa�dalla�legge�21�luglio�2000,�n.�205�
all'istituto�dei�motivi�aggiunti,�che�si�ispira�al�diverso�fine�di�garantire�la�con-
centrazione�in�unico�giudizio�di�impugnazioni�fra�loro�oggettivamente�
connesse.�

La�presentazione�di�motivi�aggiunti�al�ricorso�giurisdizionale�implica�s|�
un�ampliamento�del��thema�decidendum��rispetto�alla�domanda�originaria,�
arricchendo�il�ricorso�giurisdizionale,�ma�nel�senso�che�essa�si�configura�
come�uno�strumento�idoneo�a�soddisfare�esigenze�di�economia�processuale.�

Il�suddetto�principio�di�concentrazione�processuale�si�applica�anche�nel�
caso�di�atti�ulteriori�oltre�a�quello�impugnato,�purche�i�primi�siano�diretta-
mente�connessi�a�quest'ultimo�(10).�

I�motivi�aggiunti�sono�proponibili�anche�per�impugnare�i�nuovi�provve-
dimenti�amministrativi�successivamente�conosciuti�o�intervenuti,�purche�stru-
mentalmente�collegati�al�provvedimento�impugnato�originariamente(11).�

Il�concetto�di�integrazione�della�motivazione�si�sostanzia,�tendenzial-
mente,�in�quattro�modalita�principali:�

emissione�di�un�nuovo�provvedimento�che�si�sostituisce�al�precedente;�

emissione�di�un�provvedimento�di�convalida�del�precedente,�che�si�
sostituisce�al�precedente�e�ne�integra�la�motivazione�originariamente�carente;�

la�possibilita�per�l'amministrazione�di�integrare,�mediante�scritti�dei�
suoi�difensori,�la�motivazione�del�provvedimento�impugnato;�

la�possibilita�per�il�giudice�amministrativo�di�fondare�il�proprio�con-
vincimento,�circa�l'esistenza�e/o�l'esatta�estensione�della�motivazione�del�
provvedimento�impugnato,�sulla�base�di�atti,�quantunque�non�richiamati�
nella�motivazione�del�provvedimento�impugnato,�che�siano�ricavabili�dal�pro-
cedimento�di�formazione�dell'atto�e�siano�stati�prodotti�dalle�parti�o�comun-
que�acquisiti�al�processo�(12).�

La�soluzione�adottata�dall'Amministrazione�e�stata�l'adozione�di�un�
nuovo�provvedimento,�in�sostituzione�del�precedente,�con�conseguente�sua�
revoca.�

Ne�,�d'altra�parte,�l'Amministrazione�poteva,�nel�caso�de�quo,�ricorrere�al�
procedimento�di�convalida,�essendo�questo�contraddittorio�rispetto�al�vizio�
che�inficiava�l'originario�provvedimento�impugnato:�a�causa�di�una�mera�
�svista��l'Amministrazione�aveva�motivato�il�provvedimento�finale�facendo�
riferimento�ad�un�articolo�invece�che�ad�un�altro,�in�evidente�contrasto�con�
la�comunicazione�iniziale�dell'avvio�del�procedimento�(che�menzionava�invece�
l'esigenza�di�verificare�i�mezzi�di�sussistenza�del�K.).�

(10)�Cons.�Stato,�Sez.V,�26�settembre�2000,�n.�5098.�
(11)�T.A.R.�Calabria,�Reggio�Calabria,�28�aprile�1999,�n.�519.�
(12)�Cfr.�per�tutti�G. 
Virga, 
Integrazione�della�motivazione�nel�corso�del�giudizio�e�tutela�del-
l'interesse�alla�legittimita�sostanziale�del�provvedimento�impugnato,in�Dir.�proc.�amm.,�1993,�529.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Pertanto,�la�convalida�si�prospettava�inconferente�in�merito�al�caso�
de 
quo.�

Lo�schema�difensivo�della�controparte�si�snoda�anche�in�relazione�alla�
presunta�violazione�degli�artt.�3,�10�nonche�,�incidentalmente,�anche�dell'art.�7�
della�legge�n.�241�del�1990.�

In�realta�,�anche�qui,�non�si�ravvisa�alcuna�violazione�di�legge.�

La�motivazione�del�provvedimento�impugnato�si�configura�legittima,�
chiara�e�per�nulla�compromissoria�del�diritto�alla�difesa�(tanto�piu�che�parte�
avversa�ha�potuto�impugnare�immediatamente�il�nuovo�provvedimento�in�
costanza�di�giudizio).�

Risulta�agli�atti�che�l'avviso�di�inizio�del�procedimento�faceva�riferi-
mento�alla�verifica�dei�mezzi�di�sussistenza,�requisito�poi,�non�ritenuto�sussi-
stente�e�posto�alla�base�dell'odierno�provvedimento�impugnato�con�i�motivi�
aggiunti.�

Peraltro,�proprio�in�seguito�alla�comunicazione�di�inizio�del�procedi-
mento�del�23�gennaio�2001,�il�K.�produceva�la�copia�dell'autorizzazione�
comunale,�cos|�ottenendo,�a�suo�tempo,�la�proroga�del�permesso�di�
soggiorno.�

Il�ricorrente�era�perfettamente�a�conoscenza�di�cio�che�gli�necessitava�
per�ottenere�il�chiesto�provvedimento,�in�quanto�egli�si�era�rivolto�a�ben�due�
avvocati,�i�quali�avevano�inoltrato�alla�Questura�di�Pisa�richieste�di�informa-
zioni�cui,�tuttavia,�nessuna�produzione�in�merito�era�seguita.�

Il�K.,�pertanto,�era�gia�stato��avvertito��del�contenuto�dell'eventuale�
provvedimento�finale,�con�la�comunicazione�del�vecchio�procedimento�il�cui�
provvedimento�finale�e�stato�ora�sostituito.�

Non�si�tratta,�peraltro,�di�una�sostituzione��normale�,�essendo�tale�
provvedimento�stato�emanato�allo�scopo�di�integrare�la�motivazione�dell'atto�
precedente�e�ponendosi,�dunque,�come�atto�consequenziale�a�questo.�

E�innegabile�che�il�procedimento�consegue�ad�un�preciso�nesso�di�deriva-
zione�necessaria�da�una�precedente�attivita�amministrativa�gia�conosciuta�
dall'interessato�e�che,�pertanto,�non�sia�necessario�procedere�alle�formalita�
di�cui�all'art.�7�(13).�

Non�e�da�sottacersi,�tuttavia,�che�la�disciplina�dell'art.�7�della�legge�
241/1990�non�si�applica�ai�procedimenti�ad�istanza�di�parte:�nel�qual�caso�
l'avviso�d'avvio�sarebbe�una�mera�duplicazione�di�formalita�,�in�quanto�l'inte-
ressato�e�evidentemente�a�conoscenza�della�pendenza�del�procedimento�
avviato�da�lui�stesso�(14).�

Oltretutto,�la�formalita�di�cui�all'art.�7�e�superflua�qualora�l'interessato�
consegua�aliunde 
la�conoscenza�del�procedimento�(in�questo�caso,�addirit-

(13)�Cons.�Stato,�Sez.�V,�22�maggio�2001,�n.�2823,�in�Foro 
Amm.,�2001,�1204;�Cons.�Stato,�
Sez.�quarta,�16�marzo�2001,�n.�1578,�in�Foro 
Amm.,�2001,�384.�
(14)�Giurisprudenza�costante,�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�23�maggio�2001,�n.�2849,�in�Foro 
Amm. 
2001,�1141;�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�12�marzo�2001,�n.�1381,�in�Foro 
Amm.,�2001,�366.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

tura,�anche�a�mezzo�dell'attivita�defensionale�posta�in�essere�con�i�sacri�cri-
smi�di�un�processo�amministrativo):�la�comunicazione�di�avvio�del�procedi-
mento�ha�infatti�finalita�sostanziali�e�non�meramente�formali�(15).�

Le�esigenze�di�celerita�,�inoltre,�non�consentivano,�comunque,�l'applica-
zione�della�formalita�di�cui�all'art.�7.�

Lo�stesso�art.�7�prevede�una�deroga�nel�caso�di�esigenze�di�celerita�e�
urgenza.�

Nel�caso�de 
quo 
tali�esigenze�sussistevano�in�quanto�il�provvedimento�
riguarda�un�soggetto�senza�fissa�dimora,�(come�dimostrano,�tra�le�tante�altre�
cose,�le�difficolta�incontrate�dalla�Questura�per�notificare�i�vari�atti�al�K.)�e,�
dunque,�un�soggetto�in�grado�di�arrecare�pericolo�per�l'interesse�pubblico�
alla�sicurezza(16).�

Non�solo:�la�Questura�ha�piu�volte�richiesto�all'interessato�la�produ-
zione�di�ulteriore�documentazione,�rispettando�cos|�il�principio�della�parte-
cipazione�(17).�

Non�si�nasconde,�infine,�che�l'orientamento�giurisprudenziale�piu�
recente�ritiene�che�l'art.�7,�come�tutte�le�altre�regole�sulla�partecipazione�
stabilite�dalla�legge�n.�241�del�1990,�non�debba�essere�interpretato�in�
maniera�rigidamente�formalistica,�letterale�e�acritica,�bens|�secondo�logica�
e�buon�senso�(18).�

E�essenziale,�infatti,�fornire�una�lettura�di�tali�regole,�alla�luce�dei�criteri�
generali�che�governano�l'azione�amministrativa,�individuando�i�contenuti�
essenziali�del�rapporto�tra�esercizio�del�pubblico�potere�e�tutela�della�posi-
zione�del�privato�(ragionevolezza,�proporzionalita�,�logicita�ed�adeguatezza).�

E�innegabile,�pertanto,�che�il�contatto�procedimentale�tra�il�ricorrente�e�
l'Amministrazione�procedente�vi�sia�stato.�

Da�ultimo�si�evidenzia�che�e�stata�chiesta,�dalla�difesa�dell'Avvocatura�
dello�Stato,�relativamente�all'originario�decreto�questorio�originariamente�
impugnato,�il�dichiararsi�della�cessazione�della�materia�del�contendere,�
essendo�stato�esso�eliminato�dal�mondo�giuridico,�con�consequenziale�
impossibilita�di�ledere�un'eventuale�situazione�giuridica�soggettiva�di�parte�
ricorrente.�

Conclusioni. 
In�conclusione,�e�da�rilevarsi�la�tendenza�recente�della�giu-
risprudenza�ad�applicare�e�ad�avvalorare�i�principi�innovativi�della�legge�
241/90�non�solo�in�riferimento�alle�istanze�del�privato,�ma�anche�a�quelle�
della�parte�pubblica,�troppo�spesso�sacrificata�in�angusti�schematismi�e�for-
malismi;�il�risultato�e�quello,�sicuramente�positivo,�di�garantire�ed�incoreg-

(15)�Cfr.�sul�punto�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�20�febbraio�2002,�n.�1003,�in�Foro 
Amm. 
CDS,�
2002,�395;�Cons.�Stato,�sez.�V,�28�maggio�2001,�n.�2884,�in�Foro 
Amm.,�2001,�1222.�
(16)�Cass.�civ.,�Sez.�prima,�9�aprile�2002,�n.�5050,�in�Mass. 
Giur. 
it.,�2002;�T.A.R.�Abruzzo,�
L'Aquila,�20�maggio�2002,�n.�296,�in�Foro 
Amm. 
T.A.R.,�2002,�1660.�
(17)�Cfr.�sul�punto�T.A.R.�Toscana,�Sez.�prima,�17�luglio�2002,�n.�1464,�in�Foro 
Amm. 
T.A.R.,�
2002.�
(18)�T.A.R.�Campania,�Napoli,�Sez.�quarta,�4�gennaio�2002,�n.�88,�in�Foro 
Amm. 
TAR,�2002,�
208;�T.A.R.�Lazio,�Latina,�23�maggio�2001,�n.�527,�in�Foro 
Amm.,2001.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

giare�una�corretta�attivita�amministrativa,�tralasciando�una�impostazione�di�
tipo�punitivo�a�favore�di�una�piu�moderna�tendenza�del�giudice�dell'Ammini-
strazione,�deputato�ad�orientarla�e�a�correggerla,�senza�tuttavia�ostacolarla�

o�imbavagliarla.�Vi�era�questa�concezione,�d'altronde,�nel�disegno�originario�
del�lontano�Legislatore�ottocentesco.�
Avv.�Maria�Vittoria�Lumetti�

Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
la 
Toscana, 
Firenze, 
Sezione 
prima, 
ordinanza 
del 
9 
aprile 
2003 
(Camera 
di 
Consiglio 
dell'8 
aprile 
2003), 
n. 
353 
^Presidente�Relatore�G.�
Vacirca�^K.I.�(Avv.ti�F.�Caravano,�C.�Pollera,�D.�Billetta)�c/o�Ministero�dell'Interno�
(Avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti,�contenzioso�78/03).�

E�ammissibilelapossibilita�perl'Amministrazionedirevocare�insedecautelareilprovvedi-

mento�originario�di�diniego�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno�e�di�emetterne�uno�nuovo,�

modificandonelamotivazioneedeliminandoneivizioriginari.�Cio�allalucedellafacolta�,intro-

dotta�dalla�legge�n.�205/2000,�di�impugnare�con�motivi�aggiunti�eventuali�altri�provvedimenti�

connessi�a�quello�originario,�nonche�dell'esigenza�di�valorizzazione�deiprincipi�di�conservazione�

degliatti,dicelerita�edef
fficienzadellaP.A.�Sievitaintalmodoundefatiganterinnovodell'at-

tivita�provvedimentalechesirisolverebbecomunquenell'emanazionediunatto�dirifiuto�delrin-

novo�delpermesso�di�soggiorno.�

�(Omissis).�Ordinanza�(Omissis)�per�l'annullamento,�previa�sospensione�dell'esecu-
zione,�del�decreto�CAT�A12/2002�IMM�n.�94�emanato�dal�Questore�della�Provincia�di�Pisa�
il�19�ottobre�2002,�notificato�al�ricorrente�il�18�novembre�2002,�di�rifiuto�del�permesso�di�
soggiorno�n.�D691002;�nonche�di�ogni�atto�amministrativo�connesso,�presupposto�o�conse-
guente.�

Visti�gli�atti�e�i�documenti�depositati�con�il�ricorso;�

Vista�la�domanda�di�sospensione�della�esecuzione�del�provvedimento�impugnato,�pre-
sentata�in�via�incidentale�dal�ricorrente;�

Visto�l'atto�di�costituzione�in�giudizio�di:�Ministero�dell'Interno;�

Udito�il�relatore�Pres.�Giovanni�Vacirca�e�uditi�altres|�,�per�le�parti�D.Billetta�e�M.V.Lu-
metti�(Avv.�Stato);�

Considerato�che�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�sog-
giorno,�diniego�motivato�con�il�carattere�ostativo�dell'arresto�in�flagranza�di�uno�dei�delitti�
previsti�dall'art.�73�d.P.R.�n.�309�del�1990;�

Considerato�che�l'art.�86,�comma�3,�d.P.R.�n.�309�del�1990�prevede�l'espulsione�per�gli�
stranieri�colti�nella�flagranza�di�uno�dei�delitti�di�cui�all'art.�73,�commi�1,�2�e5,mentreil�
ricorrente�risultava�imputato�ed�e�stato�condannato�con�il�suo�consenso�ex�art.�444�c.p.p.�
(prima�dell'entrata�in�vigore�dell'art.�4�legge�30�luglio�2002)�per�la�fattispecie�meno�grave�
contemplata�dal�comma�4�dell'art.�73,�cit.;�

Vista�la�revoca�del�provvedimento�originario;�

Visto�il�nuovo�provvedimento�di�rifiuto�per�ragioni�attinenti�alla�mancanza�di�reddito;�

Considerato�che�sono�stati�proposti�motivi�aggiunti�avverso�il�nuovo�provvedimento;�

Considerato�che�essi�appaiono�inammissibili�per�difetto�di�giurisdizione�riguardo�al�
provvedimento�di�espulsione;�

Considerato�che�il�reddito�non�e�stato�documentato�e�risulta�comunque�insufficiente;�

Ritenuto�che�il�ricorso�non�sia�provvisto�di�fumus�boni�iuris;�

Considerato�pertanto�che,�in�relazione�agli�elementi�di�causa,�non�sussistono�i�presup-
postiperl'accoglimentodelladomandaincidentaleinesame,�aisensidell'art.�21,�dellalegge�
6�dicembre�1971�n.�1034,�come�modificato�dall'art.�3�della�legge�n.�205�del�2000�coordinato�
con�l'art.�1�della�legge�stessa.�

P.Q.M.:�Respinge�la�suindicata�domanda�cautelare.�

La�presente�ordinanza�sara�eseguita�dalla�Amministrazione�ed�e�depositata�presso�la�
Segreteria�della�Sezione�I�che�provvedera�a�darne�comunicazione�alle�parti�(Firenze,�8�aprile�
2003�(Omissis)�.�

Di�seguito�si�pubblica�la�sentenza�conclusiva�del�processo.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
la 
Toscana, 
Sezione 
prima, 
sentenza 
nella 
Camera 
di 
Consiglio 
dell'8 
aprile 
2003 
^Presidente�Estensore�G.�Vacirca�^K.I.�(Avv.ti�F.�Cara-
vano,�C.�Pollera,�D.�Billetta)�c/o�Ministero�dell'Interno�(Avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti,�
contenzioso�78/03).�

�(Omissis)�ricorso�(omissis)�per�l'annullamento�del�decreto�CAT�A12/2002�IMM�n.�94�
emanato�dal�Questore�della�Provincia�di�Pisa�il�19�ottobre�2002,�di�rifiuto�del�permesso�di�
soggiorno�n.�D691002;�nonche�di�ogni�atto�amministrativo�connesso,�presupposto�o�conse-
guente.�

Visti�gli�atti�e�documenti�presentati�con�il�ricorso;�

Vista�la�domanda�di�sospensione�dell'esecuzione�del�provvedimento�impugnato,�presen-
tata�in�via�incidentale�dalla�parte�ricorrente;�

Visto�l'atto�di�costituzione�in�giudizio�del�Ministero�intimato;�

Designato�relatore�alla�Camera�di�Consiglio�dell'8�aprile�2003,�il�Presidente�dott.�Gio-
vanni�Vacirca;�

Uditi,�altres|�,�per�le�parti�l'avv.�D.�Billetta�e�l'avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti;�

Avvisate�le�stesse�parti�ai�sensi�dell'art.�21,�nono�comma,�della�legge�n.�1034/1971,�come�
introdotto�dalla�legge�n.�204/2000;�

Considerato�che,�in�relazione�agli�elementi�della�causa,�sussistano�i�presupposti�per�l'a-
dozione�di�una�decisione�in�forma�semplificata;�

Considerato�che�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�sog-
giorno,�diniego�motivato�con�il�carattere�ostativo�dell'arresto�in�flagranza�di�uno�dei�delitti�
previsti�all'art.�73�d.P.R.�n.�309�del�1990;�

Considerato�che�l'art.�86,�comma�3,�d.P.R.�309�del�1990�prevede�l'espulsione�per�gli�stra-
nieri�colti�nella�flagranza�di�uno�dei�delitti�di�cui�all'art.�73,�commi�1,�2�e5,�mentreil�ricor-
rente�risultava�imputato�ed�e�stato�condannato�con�il�suo�consenso�ex�art.�444�c.p.p.�(prima�
dell'entrata�in�vigore�dell'art.�4�legge�30�luglio�2002)�per�la�fattispecie�meno�grave�contem-
plata�dal�comma�4�dell'art.�73,�cit.;�

Vista�la�revoca�del�provvedimento�originario;�

Visto�il�nuovo�provvedimento�di�rifiuto�per�ragioni�attinenti�alla�mancanza�di�reddito;�

Considerato�che�sono�stati�proposti�motivi�aggiunti�avverso�il�nuovo�provvedimento;�

Considerato�che�essi�appaiono�inammissibili�per�difetto�di�giurisdizione�riguardo�al�
provvedimento�di�espulsione;�

Considerato�che�il�reddito�non�e�stato�documentato,�non�essendo�sufficiente�la�produ-
zione�di�un�riepilogo�dei�ricavi,�a�fronte�dei�quali�non�risulta�esposta�alcuna�spesa�per�acqui-
sto�dei�beni�che�si�assumono�venduti;�

Considerato�che�l'utile�di�. 
4.407,00�risulta�comunque�insufficiente;�

Considerato�che�l'art.�7�legge�n.�241�del�1990�non�si�applica�ai�procedimentisu�istanza�
dell'interessato;�

Ritenuto�che�il�ricorso�originario�sia�improcedibile�per�sopravvenuto�difetto�di�interesse�
e�che�l'impugnazione�proposta�con�motivi�aggiunti�sia�inammissibile�per�quanto�concerne�
l'espulsione�e�infondata�per�quanto�concerne�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno;�

P.Q.M.:�Il�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Toscana,�Sez.�prima,�dichiara�
il�ricorso�in�parte�improcedibile,�in�parte�inammissibile�ed�in�parte�infondato.�Spese�
compensate.�

Cos|�deciso�in�Firenze�l'8�aprile�2003�(omissis)�.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

La 
normativa 
in 
materia 
di 
stranieri, 
novellata 
dalla 
legge 
n. 
189/2002 
e 
il 
�patteggiamento� 


Tribunale 
Amministrativo 
regionale 
per 
la 
Toscana 


Sez. 
prima, 
sentenza 
nella 
Camera 
di 
Consiglio 
8 
aprile 
2003 
n. 
1498 


Premessa. 
La�sentenza�del�T.A.R�Toscana�n.�1498/2003,�respinge�il�
ricorso�con�cui�era�stato�impugnato�il�diniego�del�rinnovo�del�permesso�di�
soggiorno.�

Tale�diniego�risultava�essere�motivato�in�forza�della�condanna�per�
rapina�riportata�dal�ricorrente�in�relazione�con�l'art.�4�d.lgs.�n.�286/1998�cos|�
come�novellato�dalla�legge�n.�189/2002.�

A�tale�motivo,�la�Questura�aggiungeva�a�fondamento�dell'impugnato�
diniego,�l'appartenenza�del�ricorrente�ad�una�delle�categorie�indicate�nel-
l'art.�1�della�legge�n.�1423/1956,�richiamata�all'art.�13�comma�2,�lett.�c),�del�
d.lgs.�n.�286/1998.�

Il�T.A.R.�Toscana�nel�dichiarare�che�le�condanne�riportate�dal�ricorrente�
in�data�22�novembre�2002�per�rapina,�per�la�quale�ad�oggi�pende�giudizio�
d'appello,�e�in�data�2�gennaio�2001�per�favoreggiamento�personale,�sorreg-
gono�adeguatamente�la�valutazione�del�Questore�riguardo�l'appartenenza�
del�ricorrente�ad�una�delle�categorie�di�cui�all'art.�1,�legge�n.�1423/1956,�svi-
luppa,�incidentalmente,�un�discorso�interessante�riguardo�alla�valutazione�
della�condanna��patteggiata��ai�fini�del�rilascio�e�del�rinnovo�del�permesso�
di�soggiorno.�

Infatti,�il�T.A.R.�Toscana�nel�ribadire�che�l'art.�4�d.lgs.�n.�286/1998�cos|�
come�modificato�dalla�legge�n.�189/2002�non�si�applica�retroattivamente,�
afferma�che�da�una�pregressa�richiesta�di�applicazione�della�pena�su�accordo�
delle�parti�unita�ad�altri�elementi�di�valutazione,�l'Amministrazione�possa�
legittimamente�trarre�elementi�ai�fini�della�valutazione�di�cui�all'art.�1�legge�

n.�1423/1956,�che�fa�riferimento�alla�categoria�delle�persone�che�vivono�
anche�in�parte�con�i�proventi�di�attivita�delittuose.�
Nel�caso�de 
quo,�va�evidenziato�che�i�fatti�oggetto�della�sentenza�di�pat-
teggiamento�non�risultano�essere�in�alcun�modo�contestati�e�che,�al�contra-
rio,�trovavano�il�loro�stesso�fondamento�nelle�ammissioni�del�ricorrente�sia�
per�quanto�concerne�il�reato�di�rapina�che�quello�di�ricettazione.�

In�generale,�alla�luce�di�questo�spiraglio�aperto�dalla�giurisprudenza�del�

T.A.R.�della�Toscana�in�materia�di�valutazione�della�condanna��patteggiata��
ai�fini�dell'applicazione�del�testo�unico�sull'immigrazione�si�impone�una�
riflessione�sugli�effetti�della�novella�introdotta�con�la�legge��Bossi-Fini�.�
La�normativa�in�materia�di�stranieri,�novellata�dalla�legge�n.�189�del�
2002�contempla,�all'art.�4,�terzo�comma,�fra�le�cause�di�legittimo�diniego�del�
rilascio�del�permesso�di�soggiorno�a�favore�dello�straniero,�l'aver�riportato�
sentenza�di�condanna�ai�sensi�dell'art.�444�e�445�c.p.p.�

La�legge�introduce,�dunque,�fra�i�fatti�impeditivi�del�rilascio�del�titolo�di�
soggiorno�sul�territorio�della�Repubblica�il�cosiddetto��patteggiamento�,�
ponendo�un�problema�interpretativo�che�merita�un'analisi�approfondita�in�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

merito�all'applicazione�della�normativa�stessa,�cos|�come�essa�risulta�modifi-
cata�in�presenza�di�sentenze�di�patteggiamento�intervenute�precedentemente�
il�vigore�della�modifica.�

1.�^La 
natura 
giuridica 
del 
patteggiamento 
e 
il 
negozio 
giuridico. 
Nes-
suno�nega�che�la�novella�sia�sicuramente�peggiorativa�della�condizione�dello�
straniero�che�chieda�il�permesso�di�soggiorno,�nella�necessita�di�garantire�
l'ordine�pubblico.�
In�realta�,�occorre�tenere�ben�presente�che�si�definisce�la�pendenza�con�
richiesta�di�applicazione�della�pena�anche�nei�casi�di�reati�che�non�possono�
certamente�essere�annoverati�fra�quelli�minori.�

Basti�pensare�che,�in�presenza�di�un�concorso�fra�attenuanti�generiche,�
possono�utilizzare�questo�rito�gli�imputati�per�reati�come�la�violenza�sessuale�
(art.�609-bis 
c.p.),�la�rapina�aggravata�(art.�628,�3�c.p.)�e�l'estorsione�
(art.�629�c.p.).�

La�pena�su�richiesta�delle�parti�si�pone�come�meccanismo�in�cui�l'ac-
cordo�delle�parti�del�processo,�pubblico�ministero�ed�imputato,�svolge�una�
funzione�propulsiva�ed�acceleratoria�dell'affermazione�della�giustizia.�

L'accordo�in�parola�si�pone�come�condizione�meramente�necessaria�per�
attivare�l'iter 
semplificato,�essendo�obbligo�del�giudice�verificare�i�presuppo-
sti�di�applicabilita�dell'accordo�raggiunto�alla�luce�dei�parametri�sostanziali�
e�processuali�che�devono�essere�rispettati.�

Nel��patteggiamento��si�hanno�due�manifestazioni�unilaterali�di�
volonta�,�provenienti�dalle�parti�principali,�il�cui�incontro�non�puo�in�alcun�
modo�essere�assimilato�alla�categoria�dei�negozi�giuridici�bilaterali�di�diritto�
pubblico�o�privato.�

L'accordo�determinato�in�questo�senso�dall'incontro�delle�volonta�con-
vergenti�di�pubblico�ministero�e�imputato�costituisce�il�presupposto�giuridico�
per�l'applicabilita�della�pena(1).�

Su�tale�accordo,�infatti,�interviene�la�valutazione�del�giudice�che,�lungi�
dall'essere��il�convitato�di�pietra�,�deve�valutare�non�solo�la�corrispondenza�
della�qualificazione�giuridica�del�fatto�e�l'esattezza�della�determinazione�della�
pena,�ma�anche,�e�forse�soprattutto,�che�non�sussistano�i�requisiti�per�una�
sentenza�ex 
art.�129�c.p.p.�(2)�

Di�piu�,�spetta�al�giudice�valutare�se,�allo�stato�degli�atti,�(il�giudizio�in�
parola�ha�infatti�come�caratteristica�essenziale�la�sua�definizione�in�base�alle�
risultanze�istruttorie�del�fascicolo�del�p.m.),�la�qualificazione�giuridica�sia�
esatta,�ben�potendo�contestare�sul�punto�le�dichiarazioni�di�volonta�delle�
parti.�

(1)�Cass.�pen.,�Sez.�un.,�9�maggio�2001,�n.�14,�in�Cass. 
Pen.,�2001,�2674.�
(2)�Il��patteggiamento�,�infatti,�mai�puo�trasformarsi�su�di�un�accordo�in�merito�alle�impu-
tazioni�contestate.�Su�questo�punto�diffusamente�PulzonE 
in�Crit. 
Dir.,�1991,�n.�4,�37�e�ss.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Scendendo�ad�analizzare�l'intima�natura�dell'istituto�in�parola�occorre�
ribadire�che�la�non�riconducibilita�dell'accordo�delle�parti�ad�un�negozio�giu-
ridico,�e�collegata�alla�presenza�a�monte�di�una�pretesa�punitiva�dello�Stato,�
esercitata�dal�pubblico�ministero,�che�non�e�rinunciabile.�

Il�costituente�ha�previsto�all'art.�112�della�Carta�costituzionale�l'obbliga-
torieta�dell'azione�penale.�

Il�suo�esercizio,�affidato�al�p.m.,�prescinde�dalla�volonta�dell'organo,�
essendo�non�un�diritto�disponibile�in�mano�al�legale�rappresentante�pro 
tem-
pore,�ma�un�obbligo�di�natura�costituzionale�che�non�risulta�in�alcun�modo�
soggetto�a�negozi�in 
latu 
sensu 
di�natura�transattiva�(3).�

In�altri�termini,�nel��patteggiamento��l'incontro�delle�volonta�delle�parti�
processuali�rappresenta�una�condizione�necessaria�all'attivazione�di�un�proce-
dimento�speciale,�condizione�che,�per�quanto�necessaria�all'attivazione,�e�tut-
t'altro�che�sufficiente.�

Non�e�un�caso�che�l'oggetto�del�procedimento�in�parola�sia�solo�ed�
esclusivamente�la�pena,�e�non�certo�l'assoluzione,�rappresentando�questaun�
diritto�dell'imputato�indisponibile�ed,�ove�ne�sussistano�i�presupposti,un�
obbligo�del�giudice�di�pronunciarla.�

Per�quanto�le�parti�concordino�la�pena,�l'interprete�non�puo�in�alcun�
modo�spingersi�a�ritenere�il��patteggiamento��come�un�accordo�assimilabile,�
se�non�speculare,�ad�accordi�in�materia�di�diritti�disponibili�o,�quanto�meno,�
soggetti�a�transazione.�

Punto�nodale�della�disciplina�de 
qua 
non�e�,�infatti,�l'ammissione�della�
colpevolezza�da�parte�dell'imputato,�bens|�la�sua�rinuncia�ad�avvalersi�della�
presunzione�di�non�colpevolezza,�in�guisa�che�anche�la�non�menzione�della�
condanna�nel�casellario�giudiziale�discende�quale�effetto�automatico�della�
pronuncia�ai�sensi�e�per�gli�effetti�dell'art.�689,�2�c.p.p.�

Il��patteggiamento��si�presenta�quindi,�come�espressione�di�un��nego-
zio��cui�sono�da�collegarsi�altri�accidentalia 
negotii 
che�esulano�dal�suo�
nucleo�centrale�legislativamente�previsto.�

Il�negozio�giuridico�in�senso�generale�non�puo�ricomprendere�il��patteg-
giamento�.�

In�tale�istituto,�anche�a�voler�individuare�elementi�rimessi�alla�disponibi-
lita�delle�parti,�questi�sono�rappresentati�solo�ed�unicamente�dal�requisito�
presupposto�ed�essenziale�della�richiesta�rivolta�al�giudice�di�applicazione�
della�pena,�cos|�come�determinata�dall'incontro�delle�volonta�unilaterali�e�
non�negoziabili.�

L'istituto�in�oggetto�si�palesa,�quindi,�come�un�meccanismo�premiale�di�
natura�processuale,�non�essendo�sufficiente�l'accordo�a�qualificarlo�come�isti-

(3)�Deve�sottolinearsi�come�la�dottrina�riconosca,�fra�gli�elementi�necessari�per�la�creazione�
della�struttura�di�contratto�e�di�negozio�di�natura�transattiva,�un�carattere�di�patrimonialita�,che�
nel�caso�de 
quo,non�e�possibile�rintracciare.�Per�tutti�Bianca.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

tuto�di�diritto�sostanziale,�con�l'effetto�di�ricondurre�nell'alveo�della�disponi-
bilita�delle�parti�i�termini�dell'accordo�che�concernono�diritti�non�disponibili�
(pretesa�punitiva�dello�Stato,�da�un�lato,�assoluzione,�dall'altro).�

La�premialita�dell'istituto�e�facilmente�inferibile�dagli�effetti�immediati�e�
mediati�del��patteggiamento��stesso�rappresentati�innanzitutto�da�una�cospi-
cua�diminuzione�della�pena,�corrispondente�ad�un�terzo,�di�quella�che�risulte-
rebbe�applicabile�all'esito�di�un�normale�dibattimento;�poi,�dall'affranca-
mento�dalle�spese�di�giudizio�per�l'imputato,�dall'applicazione�di�pene�acces-
sorie�e�misure�di�sicurezza�salvo�la�confisca�obbligatoria�dei�corpora 
delicti 
ex 
art.�240,�comma�2�c.p.p.�

A�cio�si�aggiungono�effetti�importanti�sotto�il�profilo�della�mancanza�di�
pubblicita�del�processo�penale�a�carico.�

Infatti,�pur�non�essendo�tali�effetti�oggetto�di�patteggiamento,�il�legisla-
tore�ha�voluto�riconoscere,�sempre�in�funzione�incentivante�e�premiale,�la�
non�menzione�della�condanna�nel�casellario�giudiziale�nonche�il�mancato�
pregiudizio�dell'imputato�in�sede�di�giudizio�civile�ed�amministrativo,�non�
essendo�idoneo�il��patteggiamento��a�far�stato�(art.�445,�comma�2�c.p.p.).�

Di�piu�va�aggiunto�un�ulteriore�effetto�molto�importante�che�e�quello�
della�possibilita�della�sospensione�della�pena�sub 
condicione,�oltre�la�possibi-
lita�che�il�procedimento�possa�sfociare�in�una�declaratoria�di�estinzione�del�
reato�(art.�445,�comma�2�c.p.p.).�

L'importanza�degli�effetti�favorevoli�del�rito�speciale�inducono�a�rite-
nere,�data�anche�la�specialita�del�rito�in�parola,�non�estensibili�ulteriori�effetti�
premiali�oltre�quelli�previsti�dal�legislatore.�

L'istituto�del��patteggiamento�,�sorto�per�il�diritto�penale,�dato�atto�che�
la�natura�di�accordo�sussiste�solo�ed�unicamente�quale�attivita�di�natura�pro-
pulsiva�e�necessaria�per�l'attivazione�di�un�istituto�processuale�premiale,�
riverbera�effetti�unicamente�nell'ordinamento�limitatamente�all'ambito�
penale.�

In�altri�termini,�attesa�la�natura�speciale�dell'istituto,�esso�ha�riflessi�pre-
miali�unicamente�per�la�branca�del�diritto�in�cui�nasce�e�sviluppa.�

Qualora�si�intenda�estendere�i�benefici�processuali�derivanti�dal�patteg-
giamento,�una�tale�estensione�non�puo�e�non�deve�condurre�l'interprete�a�
valutare�la�specialita�del�procedimento�all'interno�dei�presupposti�ammini-
strativi�e�civili.�

La�giurisprudenza,�costante�nel�negare�la�natura�condannatoria�della�
sentenza�che�applichi�la�pena�su�richiesta�delle�parti,�basa�il�proprio�impianto�
argomentativo�sulla�considerazione�del�fatto�che�essa�non�e�idonea�a�pro-
durre�gli�effetti�propri�di�una�sentenza�di�condanna�che�contenga�l'accerta-
mento�incontrastabile�della�responsabilita�penale.�

Cio�non�elimina,�tuttavia,�che�la�sentenza�di�applicazione�della�pena�su�
richiesta�delle�parti,�a�parere�della�giurisprudenza�largamente�maggioritaria,�
sia�in�grado�di�produrre�effetti�propri�di�una�sentenza�di�condanna�a�cogni-
zione�piena�qualora�essa�si�presenti�come�titolo�per�l'esecuzione�della�pena.�

Premesso�quanto�sopra�in�merito�agli�effetti�del��patteggiamento�,�
infatti,�la�sentenza�in�oggetto�e�,�per�espresso�volere�del�legislatore,�in�forza�
di�una�ratio 
di�ordine�pubblico�e�di�prevenzione�dei�fattori�criminogeni�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

sociali,�ritenuta�in�tutti�i�suoi�effetti�equiparabile�ed�equiparata�alla�sentenza�
di�condanna�a�cognizione�piena,�anche�in�alcune�situazioni�in�cui�dovrebbe�
aver�rilievo�il�vero�e�proprio�accertamento�della�responsabilita�penale�(come�
ad�esempio,�nella�normativa�antimafia,�ove�si�equipara�tale�pronuncia�alla�
sentenza�di�condanna�con�tutte�le�conseguenze�che�ne�discendono).�

In�realta�l'art.�445�c.p.p.�a�suffragio�di�una�tale�affermazione�afferma�al�
secondo�comma,�che�salve�altre�disposizioni�di�legge,�la�sentenza�emessa�ex 
art.�444�c.p.p.�e�equiparata�a�sentenza�di�condanna.�

Premesso�quindi�che�il�patteggiamento,�in�quanto�procedimento�speciale�
di�carattere�premiale,�presenta�delle�particolarita�che�non�consentono�di�rico-
noscere�all'accordo�che�ne�e�base�e�momento�propulsivo,�un�carattere�assimi-
labile�ad�un�negozio�giuridico�bilaterale�di�natura�pubblicistica�e,�tanto�
meno,�privatistica�occorre�limitare�il�suo�campo�applicativo�rispetto�ai�casi�
in�cui�l'esistenza�di�un�tale�provvedimento�si�presenti�quale�limite�ostativo�al�
riconoscimento�di�determinate�facolta�del�soggetto.�

Va�sottolineato�in�questo�senso�che��l'accordo��soggiacente�il��patteg-
giamento��in�quanto��accordo��processuale�ha�un�carattere�formale�che�
rende�irrilevanti�le�eventuali�divergenze�tra�la�volonta�del�dichiarante�e�la�
dichiarazione�come�risulta�riversata�in�atti�processuali,�cosa�che�vale�ad�
escludere�ulteriormente�un�carattere�negoziale�in�senso�dispositivo�dell'isti-
tuto�in�parola.�

Per�quanto�riguarda�la�questione�de 
qua,�in�merito�alla�novellata�norma-
tiva�in�tema�di�rilascio�di�permessi�di�soggiorno,�appare�evidente�un�pro-
blema�di�coordinamento�fra�i�principi�sopra�illustrati,�concernenti�l'istituto�
dell'applicazione�della�pena�su�richiesta,�e�l'applicazione�della�normativa.�

Il��patteggiamento�,�sotto�il�vigore�della�nuova�legge,�si�pone�come�ele-
mento�ostativo�del�rilascio�del�permesso�di�permanere�in�Italia�da�parte�del-
l'Autorita�competente,�la�quale�e�chiamata�ad�assicurarsi�che�lo�straniero�
extracomunitario�che�richieda�il�permesso�di�soggiorno�non�risulti�condan-
nato�ai�sensi�dell'art.�444�c.p.p.�

Il�fatto�di�aver��patteggiato��la�pena�per�i�reati�in�materia�di�prostitu-
zione,�sfruttamento�della�prostituzione�connessi�allo�spaccio�di�sostanze�stu-
pefacenti�ed�altro�si�presenta,�oggi,�come�presupposto�impedente�il�rilascio�
del�titolo�di�soggiorno.�

La�nuova�normativa�che�certamente�risulta�deteriore�per�la�posizione�
dello�straniero,�ha�inteso�cos|�evitare�che�vi�fosse�una�palese�disparita�di�trat-
tamento�fra�i�soggetti�che�erano�riusciti�ad�ottenere�il��patteggiamento��(il�
quale,�giova�ricordarlo,�non�e�automatico)�ed�altri�che�non�avevano�adito�tale�
beneficio,�pur�nella�commissione�di�medesime�fattispecie�di�reato.�

Non�sfugge�certamente�che,�d'altro�lato,�il�legislatore�ha�limitato�l'equi-
parazione�del��patteggiamento��alla�sentenza�di�condanna�vera�e�propria,�
solo�per�i�reati,�quali�quello�di�sfruttamento�della�prostituzione�o�quelli�
legati�all'immigrazione�clandestina�da�e�per�l'Italia,�che�rappresentano�
il�maggior�motivo�di�allarme�sociale�in�quanto�abitualmente�commessi�da�
soggetti�legati�alle�organizzazioni�criminali�che�sfruttano�le�masse�di�clan-
destini�a�fini�delittuosi.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�diritto,�deve�considerarsi�che�il�presupposto�di�applicazione�di�una�
legge�che�non�sia�penale,�come�e�quella�di�cui�si�discorre,�non�deve�necessa-
riamente�venire�ad�esistenza�sotto�il�vigore�della�legge�che�gli�riconosca�tale�
valore.�

2.�^Ilprincipiodiirretroattivita�delleleggeedil``patteggiamento''.^In�
effetti,�il�principio�di�irretroattivita�della�legge�di�cui�all'art.�11�delle�preleggi�
puo�essere�derogato,�permettendo�cos|�allo�ius.superveniens.di�regolare�fatti-
specie�che�hanno�avuto�la�loro�origine�precedentemente,�salvo�il�caso�dell'ir-
retroattivita�assoluta�della�legge�penale,�valore�costituzionalmente�ricono-
sciuto�all'art.�25�della�Costituzione.�
Nel�caso�della�normativa�in�esame�deve�escludersi�un�problema�di�una�
applicazione�retroattiva�della�legge�in�materia�di�rilascio�di�permesso�di�sog-
giorno,�dal�momento�che�essa�non�si�applica�alle�richieste�inoltrate�all'Auto-
rita�competente�precedentemente�all'entrata�in�vigore�della�novella.�

L'inclusione�fra�i�requisiti�impeditivi�all'ottenimento�del�rilascio�del�
permesso�di�soggiorno�della�sentenza��patteggiata�,�integra�l'inclusione�di�
un�nuovo�presupposto�ostativo�del�quale�non�rileva�la�data�della�venuta�ad�
esistenza.�

Il�legislatore�non�e�in�alcun�modo�intervenuto�sulla�disciplina�del�
�patteggiamento�,�talche�sotto�il�vigore�della�vecchia�normativa,�la�giuri-
sprudenza�aveva�ritenuto�che,�attesa�la�natura�di�accertamento�negativo�
della�non�punibilita�della�sentenza�ex.art�444�c.p.p.,�essa�non�fosse�ostativa�
al�rilascio�del�permesso�di�soggiorno�in�favore�degli�stranieri,�procedendosi�
al�diniego�della�richiesta�solo�ed�unicamente�in�caso�di�sentenza�di�con-
danna.�

Il�principio�di�irretroattivita�della�legge�penale�non�rileva�nel�caso�in�
esame,�infatti,�ai�sensi�dell'art�445�c.p.p.�la�sentenza�applicativa�della�pena�
su�richiesta�delle�parti,�salvo�diversa�disposizione�di�legge,�e�equiparata�a�
sentenza�di�condanna.�

Le�diverse�disposizioni�di�legge�cui�si�riferisce�il�disposto�in�parola�sono�
quelle�che�sopra�sono�state�evidenziate�come�effetti�premiali�dell'utilizzo�del�
rito�speciale.�

Premesso�questo,�solo�grazie�ad�un'interpretazione�giurisprudenziale�che�
si�pone�come�suppletiva�della�volonta�del�legislatore,�se�non�parzialmente�
praeter.legem,�nei�confronti�del�disposto�dell'art.�445�c.p.p.,�durante�il�vigore�
della�vecchia�legge,�si�era�ritenuto�di�non�dover�valutare�l'intervenuto�patteg-
giamento�come�requisito�ostativo�al�rilascio�del�permesso�di�soggiorno.�

Anche�qualora�si�debba�valutare�la�posizione�del�cittadino�straniero�che�
si�sia�determinato�a�patteggiare�la�pena�al�fine�di�poter�usufruire�del�rinnovo�
del�permesso�di�soggiorno,�non�si�intravvede�come�tale�eventuale�rinnovo�
possa�esser�stato�collegato�quale�effetto�premiale�sic.et.sempliciter.discen-
dente�dall'utilizzo�del�procedimento�speciale.�

Il�mutamento�della�normativa�non�pone�quindi�problemi�di�retroattivita�
della�legge,�nel�momento�in�cui�cio�che�e�stato�realmente�modificato�e�un�
presupposto�del�rilascio�di�provvedimento�amministrativo�di�permesso.�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Nessun�principio�ad�oggi�vigente�nell'ordinamento�italiano�impone�al�
legislatore�di�non�intervenire�nella�determinazione�dei�presupposti�nuovi�ed�
ulteriori�per�il�rilascio�di�un�provvedimento�sia�anche�abilitativo�o�in�materia�
di�status.�

E�anche�vero,�come�si�e�detto,�che�il�principio�d'irretroattivita�,�il�quale�
pure�costituisce�regola�generale�dell'ordinamento�giuridico�ai�sensi�dell'art.�11�
disp.�prel.�c.c.,�espresso�dall'antico�brocardo�tempus 
regit 
actum,�secondo�il�
quale�ciascun�fatto�deve�essere�assoggettato�alla�normativa�vigente�al�
momento�in�cui�esso�si�e�verificato,�assume�rango�costituzionale�solo�in�rife-
rimento�alle�norme�penali�incriminatrici�ed�alle�altre�norme�penali�di�carat-
tere�afflittivo.�

Il�principio�di�irretroattivita�della�legge�non�si�dovrebbe�applicare,�
invece,�nei�riguardi�dei�provvedimenti�restrittivi�riguardanti�lo�straniero,�trat-
tandosi�di�misure�non�afferenti�alla�materia�penale.�

E�da�escludersi,�pertanto,�che�il�principio�di�irretroattivita�della�legge�
penale�possa�trovare�applicazione�nei�riguardi�delle�misure�amministrative�
di�competenza�dell'autorita�amministrativa,�in�quanto�si�tratta�di�provvedi-
menti�emessi�sulla�base�di�leggi�civili�e�amministrative�che�non�riguardano�
certo�la�materia�penale�(4).�

La�volonta�del�legislatore�di�derogare�al�principio�della�irretroattivita�
della�legge,�ove�non�sia�esplicitamente�affermata,�puo�essere�ricavata�dall'in-
terprete�qualora�il�significato�letterale�della�norma�sia�incompatibile�con�la�
normale�destinazione�della�legge�di�disporre�esclusivamente�per�il�futuro(5)�
e,�comunque,�puo�ricavarsi�in�via�implicita�dal�dato�normativo�nonche�dallo�
spirito�della�legge.�

In�ogni�caso,�anche�a�voler�escludere�che�la�suddetta�revoca,�esplicita�o�
implicita,�sia�intervenuta,�non�puo�disconoscersi�che�costituisce�principio�
consolidato�nel�nostro�ordinamento�il�fatto�che�lo�ius 
superveniens,�pur�non�
applicandosi�ai�fatti�compiuti�(vale�a�dire�a�quei�fatti�che�il�legislatore�ha�
considerato�come�totalmente�passati�e�che�si�sono�svolti�sotto�la�vigenza�
della�legge�anteriore),�e�pur�sempre�applicabile�ai�fatti�pregressi�(presuppo-
sti),�che�il�legislatore�stesso�consideri�nei�loro�effetti�futuri�allo�scopo�di�attri-
buire�loro�rilevanza�o�modificarli.�

Orbene,�l'irretroattivita�della�legge�non�implica�l'impossibilita�che�essa,�
benche�successiva,�regoli�fatti�e�provvedimenti�anteriori�quando�operino�su�
situazioni�suscettibili�di�permanere�nel�tempo,�qualora�tali�situazioni�non�
siano�esaurite�al�momento�dell'emanazione�della�nuova�normativa�(6).�

Nell'ipotesi�che�la�novita�normativa�intervenga�prima�che�il�rapporto�
giuridico�sorto�anteriormente�abbia�esaurito�i�suoi�effetti�e�non�sia�diretta�

(4)�Ne�consegue�che�il�suddetto�principio�e�da�ritenersi�inderogabile�solo�nella�materia�
penale:�fuori�da�tale�ambito,�essendo�esso�posto�da�una�norma�di�legge�ordinaria�e�risultando�
privo�di�valenza�costituzionale,�puo�legittimamente�essere�derogato.�
(5)�TAR�Toscana,�Sez.�prima,�26�maggio�1998,�n.�271,�in�Trib. 
Amm. 
Reg.,�1998,�I,�2572.�
(6)�T.A.R.�Campania�Napoli,�Sez.�seconda,�23�febbraio�1998,�n.�659.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

proprio�ad�incidere�sul�fatto�o�atto�genetico�di�quel�rapporto,�essa�deve�essere�
comunque�applicata,�senza�che�cio�comporti�alcuna�violazione�del�principio�
di�irretroattivita�della�legge�(7).�

Ne�consegue�che�il�principio�di�irretroattivita�non�preclude�l'applicabilita�
della�nuova�legge�agli�effetti�non�esauriti�di�un�rapporto�giuridico,�sorto�ante-
riormente�(8).�

Lo�stesso�principio�comporta,�invece,�che�la�legge�nuova�possa�essere�
applicata�ai�fatti,�allo��status��(quale�e�quello�dello�straniero)�e�alle�situazioni�
esistenti�o�sopravvenute�alla�data�della�sua�entrata�in�vigore,�ancorche�conse-
guenti�ad�un�fatto�passato.�

Tutti�questi�elementi�(in�particolare�lo�status),�ai�fini�della�disciplina�
disposta�dalla�nuova�legge,�debbano�essere�presi�in�considerazione�in�se�
stessi,�prescindendo�totalmente�dal�collegamento�con�il�fatto�che�li�ha�
generati.�

Cio�al�fine�di�scongiurare�che,�attraverso�tale�applicazione,�sia�
modificata�la�disciplina�giuridica�che�il�legislatore�ha�inteso�introdurre�nel-
l'ordinamento.�

E�,�pertanto,�la�condizione�stessa,�ovvero�lo�status 
di�straniero�(che�costi-
tuisce�una�minaccia�per�la�sicurezza�dei�cittadini),�che�rileva�ai�fini�dell'appli-
cazione�della�legge�de 
qua.�

Molto�esplicito�il�Cons.�Stato,�Sez.�quarta,�18�novembre�1999,�

n.�1718�(9):�il�principio�di�irretroattivita�di�disposizioni�normative�sopravve-
nute�su�situazioni�coperte�da�giudicato,�non�comporta�la�loro�piena�operati-
vita�per�il�periodo�successivo,�atteso�che�il�giudicato�non�puo�ipotecare�il�
futuro�prevalendo�su�nuove�disposizioni�di�legge�che�sopravvengano�a�rego-
lare�la�stessa�materia,�in�quanto�altrimenti,�si�verrebbe�a�compromettere�il�
pieno�esercizio�della�funzione�legislativa.�
E�evidente,�pertanto,�che�l'irretroattivita�della�legge�non�implichi�l'im-
possibilita�che�essa,�benche�successiva,�regoli�fatti�e�provvedimenti�anteriori,�
qualora�operino�su�situazioni�suscettibili�di�permanere�nel�tempo,�purche�tali�
situazioni�non�siano�esaurite�al�momento�dell'emanazione�della�nuova�nor-
mativa�(10).�

Salva�la�materia�penale�in�cui�sovrano�ed�inderogabile�vige�il�principio�
del�tempus 
regit 
actum,�negli�altri�rami�dell'ordinamento�non�si�rintracciano�
principi�in�grado�di�limitare�il�legislatore�in�materia�di�modifica�o�richiesta�
di�nuovi�presupposti�idonei�al�rilascio�di�un�provvedimento�accrescitivo�della�
sfera�giuridica�dei�cittadini�richiedenti.�

(7)�Cass.�pen.,�Sez.�un.,�9�maggio�2001,�n.�14,�in�Cass. 
Pen.,�2001,�2674.�
(8)�Cfr.,�in�materia�lavoristica,�Cass.�civ.,�Sez.�Lav.,�5�aprile�2000,�n.�4221,�in�Mass. 
Giur. 
It.,�
2000.�
(9)�In�Cons. 
Stato,�1999,�I,�1830.�
(10)�T.A.R.�Campania,�Napoli,�Sez.�seconda,�23�febbraio�1998,�n.�659,�in�Trib. 
Amm. 
Reg.,�
1998,�I,�1513�e�in�Cons. 
Stato,�1998,�I,�398;�cfr.�inoltre�in�dottrina�Giuliani,�Le 
disposizioni 
sulla 
legge 
in 
generale: 
gli 
artt. 
da 
1 
a 
15,in�Trattato 
di 
diritto 
privato,�diretto�da�Rescigno,�I,�1,�Torino,�
1984,�243�e�segg.;�R. 
Caponi,�In 
tema 
di 
�ius 
superveniens� 
sostanziale 
nel 
corso 
delprocesso 
civile: 
orientamenti 
giurisprudenziali,in�Foro 
It.,�1992,�I,�132�e�segg.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�271 


Il�rinnovo�od�il�rilascio�ex 
novo 
del�permesso�di�soggiorno�in�presenza�di�
sentenza��patteggiata��rappresenta,�dunque,�non�una�prerogativa�quesitada�
tutti�coloro�che�abbiano�deciso�di�adire�il�rito�speciale,�bens|�una�mera�
opportunita�che�era�utilizzabile�sotto�il�vigore�della�vecchia�legge�ed�irrile-
vante�sotto�il�vigore�della�attuale.�

Conclusioni. 
La�sentenza�del�TAR�Toscana,�pur�stabilendo�l'irre-
troattivita�dell'art.�4,�argomentando�sulla�natura�di�accordo�intervenuto�
tra�le�parti�in�sede�di�patteggiamento,�offre,�tuttavia,�importanti�spunti�
per�una�nuova�interpretazione�della�norma�volta�a�non�escluderne�la�por-
tata�e,�dunque,�a�non�svuotarla�di�contenuto�perdendo�di�vita�la�ratio 
della�legge.�

L'interpretazione�offerta,�infatti,�salva�da�eventuali�censure�di�incostitu-
zionalita�la�norma,�anche�alla�luce�dell'orientamento�della�Corte�costituzio-
nale�in�merito�al��patteggiamento�,�ma�nello�stesso�tempo�ne�garantisce�
una�lettura�compatibile�con�la�ratio 
della�legge,�volta�a�tutelare�la�sicurezza�
nazionale�e�dei�cittadini.�

Le�tappe�argomentative�della�sentenza�consentono�di�non�considerare�
vana�la�sentenza�ex 
444�c.p.c.�Quest'ultima�ben�puo�essere�utilizzata�dall'Am-
ministrazione�al�fine�di�valutare�se�lo�straniero�e�socialmente�pericoloso�e�
appartiene�ad�una�delle�categorie�di�cui�all'art.�11�legge�n.�1423/1956,�ossia�
se�si�tratti�di�persona�che�vive,�anche�in�parte,�dei�proventi�delle�proprie�atti-
vita�delittuose.�

Non�solo,�ma�si�precisa�che�questo�tipo�di�valutazione�puo�ricarvarsi�
anche�da�altri�elementi,�che�non�siano�quelli�desumibili�dalla�stessa�sentenza�
di�patteggiamento.�

Altra�novita�importante�e�quella�inaugurata�dal�TAR�Toscana�relativa�
alla�possibilita�di�trarre�dal�contenuto�stesso�della�suddetta�sentenza,�cos|�
come�da�altri�provvedimenti�giurisdizionali,�ulteriori�elementi�utili.�

Ci�si�riferisce�alla�rilevanza�conferita�alla�mancata�contestazione�dei�fatti�
oggetto�del�patteggiamento,�all'accertamento�dei�fatti�di�reati�comunque�
effettuato�in�quella�sede,�o�all'ipotesi�che�l'eventuale�appello�proposto�non�
tende�a�negare�il�fatto.�

L'equilibrio�che�la�sentenza�ha�inteso�garantire�offre�un�brillante�esem-
pio�di�come�sia�possibile,�utilizzando�gli�strumenti�giuridici�e�il�quadro�nor-
mativo�vigente,�salvaguardare�i�principi�di�tutela�costituzionale�nonche�i�
diritti�alla�sicurezza�dei�cittadini,�troppo�spesso�sacrificati�in�nome�di�una�tal-
volta�astratta�quanto�vaga�tutela�dei�diritti�umani.�

Avv. 
Maria 
Vittoria 
Lumetti 


Dott. 
Sandro 
Tizzi 



RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
la 
Toscana, 
Sez. 
prima, 
sentenza 
nella 
Camera 
di 
Consiglio 
8 
aprile 
2003, 
n. 
1498 
^Presidente�Estensore�G.�Vacirca�^B.S.�(Avv.ti�F.�
D'Ambrosio�e�F.�Borselli)�c/�Questura�di�Firenze�(cont.�374/03,�Avv.�dello�Stato�M.V.�
Lumetti).�

L'art.�4�del�decreto�legislativo�n.�286/98,�come�modificato�dalla�legge�186/02,�non�puo�

applicarsi�retroattivamente�ad�una�condanna�emessa�su�accordo�delle�parti�(patteggiamento),�

che�abbia�tenuto�conto�degli�effetti�previsti�dall'art.�445�c.p.p.�Tuttavia,�dalla�predetta�sentenza�

ex�art.�444�c.p.p.�come�da�altri�episodi,�l'Amministrazione�puo�legittimamente�trarre�elementi�

aifini�della�valutazione�di�cui�all'art.�1�della�legge�27�dicembre�1956�n.�1423�(persona�che�vive,�

anche�inparte,�con�iproventidiattivita�delittuose).�

�(Omissis)�Ricorso�(omissis)�per�l'annullamento�del�decreto�del�Questore�della�Provin-
cia�di�Firenze�del�10�gennaio�2003,�notificato�il�successivo�24�gennaio�2003,�che�decreta�il�
rifiuto�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno,�nonche�di�ogni�altro�atto�pregresso,�successivo�
e�comunque�connesso�anche�se�di�estremi�ignoti.�

Visti�gli�atti�e�documenti�presentati�con�il�ricorso;�

Vista�la�domanda�di�sospensione�dell'esecuzione�del�provvedimento�impugnato,�presen-
tata�in�via�incidentale�dalla�parte�ricorrente;�

Visto�l'atto�di�costituzione�in�giudizio�della�Questura�intimata;�

Designato�relatore,�alla�Camera�di�Consiglio�del�8�aprile�2003,�il�Presidente�dott.�Gio-

vanni�Vacirca;�

Uditi,�altres|�,�per�le�parti�l'Avv.�F.�D'Ambrosio�e�l'Avv.�dello�Stato�M.V.�Lumetti;�

Avvisate�le�parti�ai�sensi�dell'art.�21,�nono�comma,�della�legge�n.�1034/1971,�come�intro-

dotto�dalla�legge�n.�205/2000;�
Considerato�che,�in�relazione�agli�elementi�della�causa,�sussistano�i�presupposti�per�l'a-
dozione�di�una�decisione�in�forma�semplificata;�
Considerato�che�il�ricorrente�ha�impugnato�il�diniego�di�rinnovo�del�permesso�di�sog-
giorno,�autonomamente�motivato�con:�
a)�la�condanna�per�un�reato�(rapina)�previsto�dall'art.�380�c.p.,�in�relazioneall'art.�4�
d.lgs.�n.�286/1998,�come�modificato�dalla�legge�n.�189/2002;�

b)�l'appartenenza�del�ricorrente�ad�una�delle�categorie�di�cui�all'art.�1�della�legge�
27�dicembre�1956,�n.�1423,�richiamata�dall'art.�13,�comma�2,�lett.�c),�d.lgs.�n.�286�del�1998�
(persona�che�viva�anche�in�parte�con�i�proventi�di�attivita�delittuose).�

Vista�l'ordinanza�presidenziale�istruttoria�del�18�marzo�2003,�con�cui�sono�stati�richiesti:�

1)�copia�della�sentenza�di�condanna�per�il�reato�sub�a);�

2)�un�certificato�di�pendenza�del�procedimento�di�appello�avverso�la�condanna�
22�novembre�2002�per�ricettazione;�

3)�notizie�sull'eventuale�pendenza�presso�la�Prefettura�di�un�procedimento�per�espul-
sione�ex�art.�13,�comma�2,�lett.�c),�d.lgs.�n.�286�del�1998.�

Vista�la�sentenza�27�marzo�2001�del�G.U.P.�Trib.�Firenze,�con�cui�il�ricorrente�e�stato�
condannato�ex�art.�444�c.p.p.�per�tentata�rapina�in�concorso�nei�confronti�di�un�cittadino�
cinese�(6�aprile�2000)�e�per�ricettazione,�in�quanto�trovato�in�possesso�di�un�libretto�di�asse-
gni,�compendio�di�rapina�subita�da�altro�cittadino�cinese�il�21�marzo�2000;�

Considerato�che�l'art.�4�d.lgs�n.�286�del�1998,�come�modificato�dalla�legge�n.�189�del�
2002,�non�puo�applicarsi�retroattivamente�a�una�condanna�emessa�su�accordo�delle�parti,�
che�abbiano�tenuto�conto�degli�effetti�previsti�dall'art.�445�c.p.p.;�

Ritenuto,�tuttavia,�che�dalla�predetta�sentenza�ex�art.�444�c.p.p.�e�da�altri�episodi�l'Am-
ministrazione�possa�legittimamente�trarre�elementi�ai�fini�della�valutazione�di�cui�all'art.�1�
della�legge�27�dicembre�1956,�n.�1423;�

Considerato�che�nel�caso�in�esame�i�fatti�oggetto�della�sentenza�su�patteggiamento�non�
sono�contestati�(per�quanto�concerne�la�tentata�rapina�si�precisa�nella�sentenza�che��gli�ele-
menti�che�hanno�portato�all'identificazione�degli�imputati�come�autori�del�fatto�criminoso�
hanno�trovato�sostanziale�ed�inequivocabile�conferma�nelle�loro�stesse�ammissioni�;�per�
quanto�concerne�la�ricettazione,�si�riferisce�nella�stessa�sentenza�che��la�disponibilita�del�
libretto�di�assegni�di�provenienza�delittuosa�da�parte�del�medesimo�e�stata�accertata�a�
seguito�della�perquisizione�eseguita�nei�suoi�confronti�);�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Considerato�che�per�quanto�concerne�l'altro�episodio�di�ricettazione,�percui�il�ricor-
rente�e�stato�condannato�con�sentenza�22�novembre�2002�del�Tribunale�di�Firenze,�l'appello�
proposto�tende�non�a�negare�il�fatto�(detenzione�di�un�ciclomotore�con�evidenti�segni�di�
scasso�al�dispositivo�di�accensione),�ma�a�farlo�qualificare�come�furto;�

Considerato�che�tutti�questi�episodi,�a�cui�si�aggiunge�una�condanna�in�data2�giugno�
2001�del�tribunale�di�Firenze�per�favoreggiamento�personale,�sorreggono�adeguatamente�la�
valutazione�del�Questore�sull'appartenenza�del�ricorrente�a�taluna�delle�categorie�di�cui�
all'art.�1�legge�n.�1423�del�1956�ai�fini�del�diniego�del�rinnovo�del�permesso�di�soggiorno,�
salva�diversa�valutazione�del�Prefetto�ad�adottare�il�provvedimento�di�espulsione;�

Ritenuto�che�il�ricorso�non�sia�fondato�e�che�sussistano�giuste�ragioni�per�dichiarare�

compensate�tra�le�parti�le�spese�del�giudizio; 
P.Q.M.:�il�Tribunale�Amministrativo�Regionale�per�la�Toscana,�Sez.�prima,�respinge�il 
ricorso.�Spese�compensate. 


Cos|�deciso�in�Firenze�l'8�aprile�2003�(omissis)�.�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


Note 
processuali 
connesse 
alla 
tutela 
dei 
dati 
personali, 
ai 
sensi 
dell'art. 
29 
della 
legge 
n. 
675/1996 


Tribunale 
di 
Roma, 
sezione 
seconda 
civile, 
ordinanza 
del 
3-5febbraio 
2003 


La 
questione 
oggetto 
del 
provvedimento 
del 
giudice 
e 
che 
costituisce 
lo 
spunto 
per 
le 
considerazioni 
di 
seguito 
esposte 
puo� 
essere 
cos|� 
riassunta: 


con 
ricorso 
(ct. 
5875/02, 
Avv. 
dello 
Stato 
G. 
Albenzio) 
depositato 
il 
28 
gennaio 
2002, 
l'Agenzia 
delle 
Entrate 
chiedeva 
l'annullamento 
ex 
art. 
29 
legge 
n. 
675/1996 
^previa 
sospensiva 
^ex 
art. 
700 
c.p.c. 
^del 
provvedimento 
emesso 
il 
5 
dicembre 
2001 
con 
cui 
il 
Garante 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
perso-
nali 
ha 
inibito 
di 
fatto 
la 
raccolta 
di 
dati 
personali 
riguardanti 
gli 
acquirenti 
di 
apparecchi 
televisivi, 
da 
parte 
della 
suddetta 
Agenzia 
e 
della 
RAI 
S.p.a., 
ai 
fini 
della 
riscossione 
del 
canone 
di 
abbonamento 
radiotelevisivo. 


Successivamente 
l'Agenzia 
delle 
entrate 
rinunciava 
alla 
domanda 
caute-
lare, 
insistendo 
per 
l'accoglimento 
della 
domanda 
di 
merito, 
proposta 
ai 
sensi 
dell'art 
29 
legge 
n. 
675/1996. 


Il 
giudice 
delegato, 
con 
ordinanza 
del 
15 
maggio 
2002 
riservava 
la 
deci-
sione 
al 
collegio 
in 
sede 
camerale, 
ai 
sensi 
degli 
art. 
737 
e 
segg. 
c.p.c.; 
rile-
vata, 
pero�
la 
pendenza, 
davanti 
al 
giudice 
monocratico, 
di 
un 
altro 
giudizio 
(ct. 
3374/02) 
promosso 
dalla 
RAI 
S.p.a., 
avente 
ad 
oggetto 
l'impugnativa 
del 
medesimo 
provvedimento 
del 
garante, 
il 
collegio 
rimetteva 
gli 
atti 
al 
Pre-
sidente 
della 
seconda 
sezione 
del 
tribunale 
di 
Roma 
segnalando 
i 
profili 
di 
connessione 
oggettiva 
e 
soggettiva 
tali 
da 
consigliare 
la 
trattazione 
unitaria. 


Il 
Presidente 
della 
seconda 
sezione, 
con 
decreto 
del 
5 
febbraio 
2003, 
disponeva 
la 
riunione 
dei 
due 
procedimenti 
e 
la 
prosecuzione 
secondo 
le 
norme 
del 
rito 
ordinario. 


La 
questione 
sommariamente 
esposta 
offre 
un 
interessante 
punto 
di 
par-
tenza 
per 
un'analisi 
della 
tutela 
apprestata 
dall'ordinamento, 
nell'ambito 
del 
trattamento 
dei 
dati 
personali. 


Il 
sistema 
della 
tutela 
dei 
diritti 
rispetto 
all'attivita� 
di 
trattamento 
dei 
dati 
personali, 
delineato 
dalla 
legge 
n. 
675/1996, 
e� 
incentrato 
sull'alternati-
vita� 
tra 
la 
richiesta 
di 
tutela 
in 
via 
amministrativa 
al 
Garante 
e 
l'invocazione 
della 
tutela 
giurisdizionale; 
quest'ultima 
puo� 
essere 
invocata 
direttamente, 
in 
alternativa 
appunto 
a 
quella 
amministrativa, 
oppure 
dopo 
l'esaurimento 
del 
procedimento 
davanti 
al 
Garante 
e 
nei 
casi 
disciplinati 
dagli 
articoli 
21, 
comma 
3 
e 
31, 
comma 
1 
lettera 
l). 
Il 
ricorso 
al 
Garante 
non 
puo� 
essere 
pro-
posto 
se 
fra 
le 
medesime 
parti 
ed 
il 
medesimo 
oggetto 
sia 
stata 
gia� 
adita 
con 
ricorso 
o 
citazione 
l'autorita� 
ordinaria, 
mentre, 
viceversa, 
l'avvenuta 
pre-
sentazione 
del 
ricorso 
rende 
improponibile 
di 
fronte 
al 
giudice 
ordinario 
una 
domanda 
tra 
le 
medesime 
parti 
ed 
avente 
il 
medesimo 
oggetto. 


In 
particolare, 
l'art. 
29 
legge 
n. 
675/1996 
detta 
la 
disciplina 
processuale 
per 
le 
azioni 
giudiziarie 
concernenti 
la 
materia 
disciplinata 
dalla 
stessa 
legge; 
nei 
primi 
cinque 
commi 
viene 
regolato 
il 
procedimento 
amministrativo 
di 
fronte 
al 
Garante 
e 
nei 
commi 
sei, 
sei 
bis 
e 
sette 
il 
procedimento 
giurisdizio-
nale 
di 
impugnazione 
dei 
provvedimenti 
del 
Garante; 
per 
evitare 
una 
fram-


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

mentazione�e�incertezza�del�quadro�giurisprudenziale�il�comma�ottavo,�con�
norma�di�chiusura,�ha�devoluto�tutte�le�controversie�che�riguardano�l'applica-
zione�della�legge�alla�competenza�del�giudice�ordinario,�da�individuarsi�
secondo�le�regole�comuni,�nelle�forme�del�processo�di�ordinaria�cognizione.�

Sembrerebbe�delineato�un�modello�di�riparto�di�giurisdizione�che�estro-
mette�in�apparenza�il�giudice�amministrativo,�ma�come�si�vedra��in�seguito,�
sembra�ricomparire�in�alcune�proposte�interpretative�

Il 
ricorso 
amministrativo 
contenzioso 
davanti 
al 
Garante 
ha�inizio�su�
ricorso�proposto�dall'interessato�che�vanti�uno�dei�diritti�di�cui�all'art.�13�
legge�n.�675/1996.�

Si�ritiene�che�il�ricorso�possa�essere�presentato�anche,�su�procura�per�
iscritto�dell'interessato,�da�associazioni�rappresentative�(ex 
art.�13,�comma�4�
della�legge)�(cfr.�la 
tutela 
dei 
dati 
personali, 
commentario 
alla 
legge 


n. 
675/1996�,�II�edizione,�Cedam,�375).�
Costituisce�espressamente�condizione�di�ammissibilita��del�ricorso�l'espe-
rimento�di�un�tentativo�di�conciliazione�tra�le�parti,�che�deve�essere�promosso�
a�cura�dello�stesso�ricorrente,�con�richiesta�al�responsabile�del�provvedimento�
(art.�29�comma�2),�decorsi�cinque�giorni�da�tale�richiesta�l'interessato�puo��
adire�il�garante;�questo��filtro��(che�non�sussiste�per�le�domande�presentate�
direttamente�all'autorita��giudiziaria)�viene�meno�quando�il�decorso�dei�cin-
que�giorni�esporrebbe�l'interessato�o�un�terzo�ad�un�pregiudizio�imminente�
ed�irreparabile�nonche�nel�caso�l'interessato�si�limiti�a�far�pervenire�al�
Garante�una��segnalazione��o�un��reclamo�.�

La�disciplina�del�procedimento�e��meramente�delineata�dall'art.�29,�
essendo�demandata�alle�determinazioni�del�regolamento�d'esecuzione�
(decreto�del�Presidente�della�Repubblica�31�marzo�1998,�n.�501)�l'individua-
zione�delle�modalita��idonee�a�garantire�una�tutela�celere�nel�rispetto�del�prin-
cipio�del�contraddittorio.�E�,�comunque,�stabilito�espressamente�dalla�legge�il�
diritto�delle�parti�di�essere�sentiti�e�di�produrre�le�proprie�allegazioni�e�difese�
attraverso�memorie�e�documenti.�Il�Garante�puo��disporre�anche�d'ufficio�
perizie�e�la�dottrina�ritiene�che�possa�essere�validamente�utilizzato�anche�in�
tale�sede�l'intero�complesso�dei�poteri�ispettivi,�di�accertamento�e�di�controllo�
attribuiti�dalla�legge�all'Autorita��.(cfr.�la 
tutela 
dei 
dati 
personali, 
commenta-
rio 
alla 
legge 
n. 
675/1996�,�II�edizione,�Cedam,�376).�

Il�procedimento�deve�concludersi�entro�venti�giorni�liberi�dalla�data�di�
presentazione�del�ricorso,�decorsi�i�quali�il�ricorso�si�intende�rigettato�
(art.�29�comma�4).�La�celerita��del�procedimento�e��legata�alla�necessita��di�
tutelare�situazioni�concernenti�diritti�della�personalita��che�richiedono�tempe-
stivita��d'intervento�(es.�inibizione�della�pubblicazione�di�un�articolo�su�un�
quotidiano)�nonche�alla�circostanza�che�il�procedimento�stesso,�attivato�
facoltativamente�dell'interessato,�finisce�per�essere�imposto,�per�il�principio�
dell'alternativita��su�esposto,�a�tutte�le�parti�coinvolte,�compresi�il�titolare�ed�
il�responsabile�(cfr. 
il�ricorso�straordinario�al�Capo�dello�Stato�in�cui,�diver-
samente,�i�controinteressati�possono�far�valere�la�preferenza�per�la�via�giuri-
sdizionale)�(cfr.�Mazzamuto,�Foro 
It.,�1998,�V,�49�ss.).�

Proprio�per�la�possibile�necessita��di�interventi�immediati�di�tutela�il�legi-
slatore�ha�innestato�nel�procedimento�di��merito��davanti�al�Garante�un�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

provvedimento��cautelare��giustificato�dalla��particolarita��del�caso��e�con-
cretizzato�nella�sospensione�di�una�o�piu��operazioni,�oppure�in�un�blocco�
anche�parziale�dei�dati.�L'efficacia�della�misura�cautelare,�benche�provvisoria,�
e��assistita�dalla�medesima�sanzione�penale�prevista�per�l'inosservanza�del�
provvedimento�definitivo�(art.�37);�come�giustamente�si�e��osservato,�potrebbe�
suscitare�perplessita��il�ricorso�alla�sanzione�penale�per�l'inosservanza�di�un�
provvedimento�soggetto�a�riforma�o�a�caducazione�(�Banche 
dati 
e 
tutela 
della 
riservatezza�,�Buttarelli,�Giuffre��).�Il�provvedimento�cautelare�e��
impugnabile�unitamente�a�quello�di�merito�entro�trenta�giorni�dalla�data�di�
comunicazione�del�provvedimento�o�dalla�data�del�rigetto�tacito�davanti�al�
giudice�civile.�

Per�quanto�riguarda�le�decisioni�di�accoglimento�del�ricorso,�la�prove-
nienza�da�un�organo�non�giurisdizionale�impedisce�che�queste�possano�costi-
tuire�titolo�esecutivo,�pertanto�la�loro�effettivita��e��rimessa�esclusivamente�alla�
previsione�di�una�sanzione�penale�in�caso�di�inadempimento�delle�stesse�
(art.�37)�(cfr.�Mazzamuto,�Foro 
It.,�1998,�V,�49�ss.;��la 
tutela 
dei 
dati 
perso-
nali, 
commentario 
alla 
legge 
n. 
675/1996�,�II�edizione,�Cedam).�

Altra�perplessita��suscita�l'attribuzione�al�solo�titolare�della�legittima-
zione�a�proporre�opposizione�nei�confronti�del�provvedimento�del�Garante�
ed�a�chiederne�la�sospensione�e�non�anche�al�responsabile,�sebbene�anche�
quest'ultimo�sia�destinatario�dell'ordine�inibitorio�e�dalla�relativa�sanzione�
penale.�

Per�quanto�riguarda�la�tutela 
giurisdizionale,�questa�puo��essere�invocata�

o�immediatamente,�in�alternativa�a�quella�amministrativa,�oppure�dopo�l'e-
saurimento�del�procedimento�di�fronte�al�Garante,�senza�dimenticare�la�com-
petenza�generale�e�residuale�del�giudice�ordinario�prevista�dal�comma�8�del-
l'art.�29.�
Nei�confronti�della�tutela�cautelare�ante 
causam 
ed�in�special�modo�di�
quella�atipica�la�dottrina�ha�osservato�che�la�legge�n.�675/1996�tende�a�favo-
rire�la�tutela�cautelare�ottenibile�in�via�amministrativa�e�cio��per�una�serie�di�
considerazioni:�

1.�il�riferimento�contenuto�al�secondo�comma�dell'art.�29�di�un�pre-
giudizio�imminente�ed�irreparabile,�che�indica�la�possibilita��di�una�tutela�cau-
telare�amministrativa�anche�in�via�preventiva�per�un�diritto�non�ancora�leso;�
2.�la�previsione�di�misure�cautelari�tipiche�applicabili�dal�Garante�
senza�la�sussistenza�di�specifici�presupposti�(``quando�la�particolarita��del�caso�
lo�richiede'');�
3.�il�regime�di�stabilita��che�assiste�tali�misure,�queste�infatti�non�sono�
sottoposte�a�controlli�endoprocedimentali,�perdendo�efficacia�solo�se�nei�suc-
cessivi�venti�giorni�non�venga�adottato�il�provvedimento�defintivo;�
4.�la�previsione�di�una�sanzione�penale�in�caso�di�non�ottemperanza�
(art.�37);�
5.�la�possibilita��che,�sia�pure�previa�autorizzazione�del�tribunale,�
anche�il�Garante�svolga�accertamenti�istruttori�analoghi�quelli�che�il�giudice�
puo��direttamente�disporre�(es.�accessi,�ispezioni,�verifiche);�
6.�la�celerita��,�i�bassi�costi�e�la�qualita��della�tutela�stessa,�proveniente�
da�un�soggetto�altamente�specializzato.�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Tuttavia�a�favore�della�tutela�cautelare�giurisdizionale�militano:�

1.�l'atipicita�del�contenuto�dei�provvedimenti�adottabili�dal�giudice�ai�
sensi�dell'art.�700�c.p.c.�^la�dottrina�si�riferisce�in�special�modo�a�misure�a�
contenuto�anticipatorio�della�successiva�decisione�di�merito;�
2.�la�possibilita�di�ottenere�una�misura�esecutiva,�in�grado�di�essere�
attuata�immediatamente�anche�senza�o�contro�la�volonta�del�destinatario,�
laddove,�come�si�e�visto,�i�provvedimenti�del�Garante�non�costituiscono�titolo�
esecutivo�(Arieta,�La 
tutela 
dei 
dati 
personali, 
commentario 
alla 
legge 


n. 
675/1996,�II�ediz,�Cedam).�
Per�quanto�riguarda�la�tutela�ordinaria�del�giudice,�prevista�dal�primo�e�dal�
secondo�comma�dell'art.�29�in�alternativa�a�quella�amministrativa,�questa�segue�
le�regole�generali�sulla�competenza�ed�avviene�nelle�forme�ordinarie�del�pro-
cesso�di�ordinaria�cognizione,�ottenendo�in�tale�sede�la�stessa�tutela�inibitoria�e�
cautelare�di�spettanza�del�Garante�(Mazzamuto,�Foro 
It.�98,�V,�49�ss.),�anche�
se,�una�volta�ammessa�una�tutela�cautelare�atipica�(ex 
art.�700�c.p.c.)�ante 
cau-
sam,�non�puo�negarsi�la�stessa�possibilita�in�corso�di�causa.�Davanti�al�giudice�
ordinario�e�,�inoltre,�possibile�chiedere�il�risarcimento�dei�danni�subiti.�

Per�quanto�concerne,�invece,�la�tutela�giurisdizionale�successiva�al�proce-
dimento�amministrativo�di�fronte�all'Autorita�indipendente�si�tratta�di�giudi-
zio�contenzioso�regolato�dagli�articoli�737�e�ss.,�che�si�conclude�con�decreto,�
avverso�il�quale�e�ammesso�unicamente�il�ricorso�in�cassazione.�

Il�primo�problema�che�si�presenta�e�quello�dello�stabilire�se�il�tribunale,�
in�sede�di�opposizione�svolga�una�funzione�meramente�cassatoria�del�provve-
dimento�del�Garante�o�anche�di�somministrazione�di�tutela.�La�dottrina�
ritiene�che��Tale�rimedio�oppositorio�e�diretto�a�sottoporre�direttamente�al�
controllo�del�giudice�ordinario�il�diritto�soggettivo�senza�limite�alcuno�e�non�
gia�al�mero�controllo�di�legittimita�e�di�opportunita�del�provvedimento�
amministrativo�,�in�altri�termini��il�giudice�ordinario�e�chiamato�a�dare�
piena�tutela�al�o�ai�diritti�che�si�assumono�lesi,�ivi�compresa�quella�risarcito-
ria�conseguente�al�gia�sanzionato�(o�meno)�comportamento�illegittimo�da�
parte�del�titolare�e�del�responsabile��(Arieta,�La 
tutela 
dei 
dati 
personali, 
commentario 
alla 
legge 
n. 
675/1996,�II�ediz.,�Cedam).�Tale�impostazione�
risulta,�inoltre,�coerente�con�quella�che�sembra�essere�una�caratteristica�gene-
rale�dell'intero�sistema�in�materia�di�riservatezza�e�trattamento�dei�dati�per-
sonali,�cioe�la�rapidita�.�Diversamente,�in�caso�di�una�decisone�di�rigetto�del�
Garante�e�la�pronuncia�di�annullamento�del�giudice�che�accoglie�l'opposi-
zione�si�dovrebbe�attendere�una�successiva�decisione�satisfattiva�del�Garante�
ovvero�un�giudizio�di�ottemperanza�(Mazzamuto,�Foro 
It.,�1998,�V,�49�ss.).�

Tornando�alle�richiamate�forme�dei�procedimenti�in�camera�di�consiglio,�
che�il�legislatore,�con�sempre�maggiore�frequenza�ed�in�funzione�della�mag-
giore�celerita�del�procedimento,�utilizza�per�disciplinare�giudizi�contenziosi�
su�diritti�soggettivi�(che�tale�sia�la�natura�dei�diritti�in�questione�non�pare�
oggetto�di�dubbio�alcuno)�si�osserva�che�tale�scelta�nasce�dall'esigenza�di�
mettere�a�disposizione�delle�parti�che�si�sono�rivolte�previamente�al�garante�
uno�strumento�di�tutela�piu�agile�e�piu�celere,�in�grado�di�consentire�il��con-
trollo��giurisdizionale�sulla�decisone�amministrativa�e�di�ottenere�un�provve-
dimento,�il�decreto�camerale,�sottoposto�alla�sola�verifica�da�parete�della�
Corte�di�cassazione.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

La�questione�sollevata�nei�processi�di�cui�e�causa,�riuniti�con�il�provvedi-
mento�del�Presidente�della�seconda�sezione�del�tribunale�di�Roma�riportato�
in�epigrafe�concerne�l'individuazione�dell'ambito�di�operativita�del�procedi-
mento�camerale:�se,�cioe�,�debba�intendersi�esteso�all'impugnazione�di�tutti�i�
provvedimenti�del�Garante�(come�sostenuto�dalla�convenuta�Agenzia�delle�
entrate)�o�se,�invece,�sia�limitato�a�quelli�emessi�a�seguito�del�procedimento�
aperto�su�ricorso�di�parte�(come�disposto�nel�suddetto�provvedimento�del�
giudice)�

Tuttavia,�se�e�oggetto�di�numerose�perplessita�la�cosiddetta�cameralizza-
zione�dei�diritti,�per�la�non�sufficiente�garanzia��del�dovuto�processo�legale�,�
imposto�dalla�Costituzione�(artt.�3�e�24),�qualora�si�verta�in�materia�di�diritti�
contenziosi,�anche�quando�il�procedimento�di�fronte�al�Garante,�benche�di�
natura�amministrativa,�presuppone�un'istruttoria�approfondita�condotta�
nella�pienezza�del�contraddittorio,�sicuramente�maggiore�e�il�rischio�paven-
tato�quando�un�simile�procedimento�non�e�previsto�a�base�del�provvedimento�
impugnato�in�sede�di�opposizione,�ad�esempio�ai�sensi�del�comma�4�del-
l'art.�31,�ovvero�nel�caso�di�specie.�D'altra�parte,�anche�se�con�tali�perplessita�
potrebbe,�comunque,�ritenersi�questo�il�rito�applicabile�nei�confronti�diprov-
vedimenti�amministrativi�che�potrebbero�avere�identico�contenuto�sostan-
ziale,�non�potendo�di�conseguenza,�anche�a�tacer�della�legge,�essere�soggetti�
ad�un'impugnativa�differente�a�seconda�che�siano�il�risultato�di�un�procedi-
mento�promosso�dal�ricorso�di�un�interessato�o�dei�poteri�ufficiosi�del�
Garante�o�di�segnalazione�o�reclamo�ex 
art.�31�lettera�d).�

Ulteriore�conseguenza�e�la�necessita�che�il�procedimento�amministrativo,�
diverso�da�quello�regolato�dalla�legge�su�ricorso�dell'interessato,�ma�che�puo�
condurre�ad�un�provvedimento�di�identico�contenuto�sostanziale�e�di�identi-
che�sanzioni�penali�in�caso�di�inosservanza,�sia�comunque�sorretto�dai�prin-
cipi�del�contraddittorio�o�quanto�meno�della�partecipazione�prevista�della�
legge�n.�241�del�1990,�che�e�norma�generale�sui�procedimenti�amministrativi.�

E�necessario�osservare,�inoltre,�che�la�dottrina�ritiene�necessario,�al�di�la�
dei�dati�letterali,�un�adattamento�della�suddetta�procedura�camerale�al�com-
plesso�della�fonte�normativa�che�la�richiama�e,�soprattutto,�alle�situazioni�
soggettive�ivi�disciplinate,�che�richiedono�una�tutela�la�cui�natura�non�puo�
considerarsi�camerale.�Di�conseguenza�il�richiamo�alle�forme�camerali�deve�
limitarsi�a�comportare��l'applicazione�di�quelle�regole�procedimentali�che�
non�siano�incompatibili�con�i�principi�e�le�garanzie�della�tutela�normale��
(Arieta,�op. 
cit.),�anche�perche�si�ricorda�che�la�decisione�di�adire�il�Garante�
in�alternativa�al�giudice�ordinario�e�imposta�al�soggetto�passivo�il�quale,�a�
seguito�della�decisione�amministrativa,�non�puo�che�ricorrere�all'opposizione�
camerale.�Tale�questione�assume�rilevanza�anche�nel�valutare�se�la�pronuncia�
del�tribunale�ai�sensi�degli�art.�737�c.p.c.�dia�luogo�alla�formazione�del�titolo�
esecutivo�e�della�cosa�giudicata,�laddove�questa�costituisce�presupposto�
necessario�del�giudizio�d'ottemperanza�(ritorna�sotto�quest'aspetto�la�compe-
tenza�del�giudice�amministrativo)�(Arieta,�La 
tutela 
dei 
dati 
personali, 
com-
mentario 
alla 
legge 
n. 
675/1996,�II�ediz.,�Cedam;�Mazzamuto,�Foro 
It.,�
1998,�V,�49�ss.).�


IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Quanto�poi�alla�competenza�generale�e�residuale�del�giudice�ordinario,�
prevista�dal�comma�8�dell'art.�29,�l'originaria�versione�del�progetto�Mirabelli�
conteneva�il�frammento��anche�in�deroga�al�divieto�di�cui�all'art.�4�legge�
20�marzo�1965,�n.�2248,�allegato�E��ora�trasfuso�dalla�competenza�generale�
a�quella�speciale�del�procedimento�di�opposizione�avverso�i�provvedimenti�
del�Garante;�si�pone,�quindi,�il�dubbio�se�questo�assetto�sia�la�conseguenza�
di�una�precisa�intenzione�del�legislatore�oppure�di�un�difetto�di�coordina-
mento�interno�allo�stesso�art.�29,�il�quale�prevede�una�deroga�al�disposto�del-
l'art.�4�della�legge�del�1865�nel�comma�7,�ma�non�nel�comma�8.�

Se�si�ritiene�valida�la�prima�soluzione,�si�deve�convenire�che�il�legislatore�
abbia�voluto�semplicemente�affermare�il�principio�secondo�cui�il�tribunale,�
provvedendo�in�sede�di�opposizione�al�provvedimento�del�Garante,�potrebbe�
sospenderne�l'esecuzione�e,�in�caso�di�accoglimento�dell'opposizione,�annul-
larlo�o�modificarlo.�Ma�in�questo�modo�il�comma�7�avrebbe�una�portata�
ridotta,�ad 
abundantiam,�perche�il�meccanismo�di�opposizione�davanti�al�tri-
bunale�comporta�di�per�se�,�rispetto�ai�provvedimenti�del�Garante,�necessaria-
mente�e�non��anche��una�deroga�alla�legge�del�1865�(cfr.�Mazzamuto,�Foro 
It.,�V,�49�ss.);�se,�infatti,�il�tribunale�non�potesse�intervenire�sull'atto�
l'opponente�non�disporrebbe�di�altro�rimedio,�se�non�forse�quello�del�giudizio�
di�ottemperanza�

Questa�impostazione,�per�cui�il�tribunale�potrebbe�intervenire�sul�prov-
vedimento�del�Garante,�ma�non�potrebbe�revocare�o�modificare�l'atto�ammi-
nistrativo�eventualmente�sottostante�alla�controversia�(di�competenza�del�
giudice�amministrativo,�con�inevitabile�accavallamento�di�tutela�giurisdizio-
nale�ordinaria�e�amministrativa�e�di�tutela�amministrativa�di�fronte�all'auto-
rita�indipendente,�salvo�considerare,�comunque,�precluso�un�intervento�in�
materia�del�giudice�amministrativo�da�parte�dell'attribuzione�della�compe-
tenza�generale�in�materia�al�giudice�ordinario�ex 
art.�29�comma�8,)�e�quella�
che�si�allontana�di�meno�dai�principi�generali,�ma�si�discosta,�invece�da�
quanto�sostenuto�da�parte�della�dottrina�(cfr.�Buttarelli,�Banche 
dati 
e 
tutela 
della 
riservatezza,�Giuffre�editore)�e�da�quanto�sembrerebbe�emergere�
dai�lavori�parlamentari,�secondo�cui�il�legislatore�avrebbe�inteso�permettere�
al�giudice�ordinario�di�intervenire�sull'atto�amministrativo�adottato�dal�
responsabile�o�dal�titolare�del�trattamento.�Modello�questo�gia�presente�nel�
nostro�ordinamento,�per�esempio�con�i�poteri�attribuiti�al�giudice�nel�giudizio�
di�opposizione�avverso�le�sanzioni�amministrative,�ai�sensi�dell'art.�23�legge�

n.�689/1981.�Si�porrebbe�casomai�il�problema�dei�poteri�del�Garante�sugli�
stessi�atti�amministrativi�onde�evitare�un'asimmetria�sequenziale.�
Se�si�conviene�con�questa�seconda�impostazione�si�deve�concludere�che�il�
tribunale�puo�revocare�o�modificare�l'atto�amministrativo�adottato�dal�tito-
lare�o�dal�responsabile�del�trattamento,�ma�solo�nel�caso�in�cui�si�adito�con�
un'opposizione�avverso�un�provvedimento�del�Garante.�

Il�giudice�ordinario�disporrebbe,�quindi,�di�maggiori�o�minori�poteri�
rispetto�all'atto�amministrativo�in�base�ad�una�circostanza�(giudicare�dopo�
un�provvedimento�del�Garante)�che�non�giustifica�una�tale�differenziazione�
(cfr.Buttarelli, 
op 
cit.).�Potrebbe�allora�ritenersi�che�la�legge�abbia�confe-


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

rito�al�giudice�ordinario�tutti�i�poteri�necessari�ad�affrontare�le�violazioni�
delle�disposizioni�in�essa�contenute,�anche�in�presenza�di�un�provvedimento�
amministrativo,�considerando�erronea�la�citazione�della�legge�del�1895�nel�
comma�7�anziche�nel�comma�8.�

A�conclusione�dell'analisi�della�tutela�dei�diritti�connessi�al�trattamento�
dei�dati�personali,�ai�sensi�della�legge�n.�675/1996,�e�delle�problematichedi�
ordine�sostanziale,�processuale�e�sistematico�che�maggiormente�ruotano�
intorno�ad�essa�si�osserva,�infine,�che�l'art.�29�al�comma�9�prevede�il�risarci-
mento�del�danno�non�patrimoniale�anche�nei�casi�di�violazione�dell'art.�9�e,�
quindi,�anche�al�di�fuori�delle�ipotesi�previste�dalla�legge�come�reato�(arti-
coli�34�^37).�

Come�si�e�osservato,�la�formulazione�legislativa�implicitamente�rimanda�
al�dibattito�mai�sopito�sulla�categoria�del�danno�non�patrimoniale�e�sull'in-
terpretazione�dell'art.�2059�c.c.,�secondo�cui�il�danno�non�patrimoniale�e�
risarcibile�solo�nei�casi�determinati�dalla�legge�(cfr.�SalvatorE 
Sica, 
La 
tutela 
dei 
dati 
personali, 
commentario 
alla 
legge 
675/96,�seconda�ed.,�
Cedam).�

Sotto�questo�profilo�l'art.�29�comma�9�ha�senza�dubbio�il�pregio�di�eli-
minare�a�monte�ogni�incertezza�sull'ammissibilita�del�risarcimento�dei�danni�
non�patrimoniali�conseguenti�alla�violazione�delle�regole�sulle�modalita�di�
raccolta�e�sui�requisiti�dei�dati�personali�ai�sensi�dell'art�9.�E�dall'analisi�della�
formulazione�di�quest'ultimo�articolo�sembra�difficile�ipotizzare�fattispecie�
di�lesione�dei�diritti�della�personalita�legati�al�trattamento�dei�dati�personali�
che�non�siano�contenute�nell'articolo�suddetto.�

Tuttavia�si�e�osservato�che�e�opinione�giurisprudenziale�consolidata�che�
se�la�responsabilita�viene�affermata�sulla�base�di�una�presunzione,�di�un�crite-
rio�di�imputazione�oggettivo�o�in�assenza�dell'accertamento�di�una�condotta�
qualificata�come�reato�il�danneggiante�non�e�tenuto�a�risarcire�il�danno�
morale�(Cass.�n.�3278/1986).�In�particolare,�e�considerato�non�ammissibile�il�
risarcimento�del�danno�morale�quando�la�responsabilita�del�suo�autore�e�
stata�affermata��secondo�i�criteri�d'imputazione�previsti�dall'art.�2059�c.c.��
(Cass.�n.�5799/1980).�

Potrebbe,�pertanto,�almeno�in�linea�teorica,�ravvisarsi�una�responsabilita�
da�trattamento��ai�sensi�dell'art.�2050�del�codice�civile��(ex 
art.�18�legge�

n.�675/1996),�tuttavia,�non�venendo�accertata�una�concreta�condotta�colposa,�
in�violazione�dell'art.�9,�il�danno�morale�non�dovrebbe�essere�riparato.�Diffi-
colta�ancora�piu�accentate�si�hanno�con�riferimento�ai�soggetti�pubblici�o�
comunque�soggetti�a�disciplina�pubblicistica,�difficolta�che�si�riassumono�nel-
l'efficacia�esimente�della�circostanza�di�aver�comunque�osservato�tutte�le�norme�
di�legge�e�di�regolamento�e,�persino,�il�controllo�preventivo�del�Garante.�
Questo�ragionamento�potrebbe�essere�esteso�anche�al�danno�patrimo-
niale,�perche�,�sebbene�l'art.�18�rinvii�alla�disciplina�dell'art.�2050��Quale�giu-
dice�pretendera�dalla�pubblica�amministrazione�la�prova�di�aver�fatto�tutto�
il�possibile,�bel�al�di�la�dei�comportamenti�specificatamente�prescritti�a�suo�
carico�da�apposite�normative?��(cfr.�Mazzamuto,�Foro 
It.,V,�49�ss.).�

Dott.ssa 
Emanuela 
Brugiotti 



IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

Tribunale 
Ordinario 
di 
Roma, 
sezione 
seconda 
^Provvedimento 
di 
scioglimento 
di 
riserva 
del 
13 
maggio 
2002 
^16 
giugno 
2002 
-Giudice: 
A.P.�Lamorgese�-Agenzia�delle�Entrate�
(Avvocato�dello�Stato�G.�Albenzio,�contenzioso�5875/02)�e/Autorita��Garante�per�la�
protezione�dei�dati�personali�(Avvocati�G.�Alpa�e�G.�Conte)�e�CODACON�(Avvocato�

C.�Rienzi).�
�Il�giudice,�a�scioglimento�della�riserva,�premesso�che�l'Agenzia�ricorrente�ha�rinunciato�
alla�domanda�ex 
art.�700�c.p.c.�e,�per�contro,�insistito�in�quella�ex 
art.�29�co.�6�della�legge�
675/96�(v.�verb.�ud.�21.02.2002);�

Lette�le�note�della�ricorrente�di�chiarimento�sui�profili�processuali�della�domanda�ex 
cito 
art.�29�della�legge�n.�675/96,�co.�6,�nonche�le�memorie�autorizzate�di�replica�delle�altre�parti;�
consideratocheilprovvedimentodelGarantedel5dicembre2001e��statoformalmenteadottato�
ai�sensi�dell'art.�31�della�legge�n.�675/97,�co.�1�lett.�b)�,�poi�corretta,�con�successivo�provvedi-
mento�del�30�gennaio�2002,�nella�lett.�c);�tale�ultima�disposizione�prevede�esclusivamente�un'at-
tivita��di��segnalazione��delle��modificazioni�opportune�al�fine�di��rendere�il�trattamento�con-
forme�alle�disposizioni�vigenti�;�che,�in�vero,�il�provvedimento�impugnato�non�contiene�alcuna�
segnalazione�di�modifiche�opportune,�ma�si�risolve�(come�chiarito�dallo�stesso�Garante�nel�suc-
cessivo�provvedimento�integrativo�del�30�gennaio�2002)�in�una�sospensione,�sia�pure�temporal-
mente�limitata,�del�trattamento�dei�dati�in�possesso�della�Rai�(afferenti�gli�acquirenti�di�appa-
recchi�radiotelevisivi)�;�che�tale�sospensione�e��da�considerarsi�sostanzialmente�un��divieto��
(per�quanto�temporaneo)�di�trattamento�dei�dati�(come�ritenuto�dallo�stesso�tribunale�nell'ordi-
nanza�emessa�in�data�30�gennaio�2002)�,�piu��correttamente�riconducibile�ai�provvedimenti�che�
l'Autorita��Garantepuo��adottareaisensidell'art.31ce.1,lett.�1,legge675/97(�vietare,intutto�

o�in�parte,�il�trattamento�dei�dati�o�disporne�il�blocco�);�
Chetaleconclusione�none��scalfita�dall'ambiguo�tenore�letterale�dei�provvedimenti�adot-
tati,�posto�che�le�espressioni�utilizzate,�solo�prima 
facie��segnalatorie�,�tradiscono�una�sostan-
ziale�imposizione�di�non 
facere,�accompagnata�dalla�fissazione�di�un�termine�perentorio�entro�
quale�il�responsabile�ed�il�titolare�sono�tenuti�ad�adeguarsi�(provvedimento�del�5�gennaio�
2001:�...vasegnalatalanecessita��dicessarelaraccoltaincorsodeidati...ediastenersidaltrat-
tamentodeidatisinoraraccolti...�,�segnalalanecessita��diinterrompereiltrattamento...for-
nendoentroil31�gennaio2002copiadeiprovvedimentiadottati...�;provvedimentodel30gen-
naio�2002:��...�il�titolare�ed�il�responsabile�sono�invitati�a�sospendere�il�trattamento�dei�dati...�);�

Ritenuto�che�siffatta�domanda,�ai�sensi�del�combinato�disposto�degli�artt.�29,�co.�6,�e�31,�
co.�4�della�legge�675/96,�va�proposta�al�tribunale,�che�provvede�nelle�forme�di�cui�all'art.�
737�ess.�c.p.c.�ein�composizionecollegiale�ex 
art.�50-bis, 
co.�2,�c.p.c.;�

Ritenuto,�peraltro,�che�i�dedotti�profili�attinenti�ai�rapporti�tra�la�presente�causa�e�
quella�pendente�innanzi�al�Tribunale�di�Roma�(sez.�I)�tra�la�Rai,�il�Garante�el'Agenzia�delle�
Entrate,�avente�ad�oggetto�la�richiesta�di�annullamento�dello�stesso�provvedimento�dell'Au-
torita��(giudizio,�questo,�azionato�in�via�cautelare�dalla�Rai�e�nel�quale�il�giudice,�con�ordi-
nanza�del�30�gennaio�2002,�ha�sospeso�il�provvedimento�de�quo, 
fissando�il�termine�di�giorni�
30�per�l'inizio�della�causa�di�merito),�non�potranno�che�essere�oggetto�di�valutazione�del�
competente�giudice�collegiale;�

Dispone�l'invio�del�fascicolo�di�causa�al�Presidente�per�gli�adempimenti�di�cui�all'art.�
738�c.p.c..�
Si�comunichi.�^Roma,�13�maggio�2002��

Tribunale 
di 
Roma, 
sezione 
seconda 
civile 
^Ordinanza 
del 
3 
-5 
febbraio 
2003 
-Agenzia�delle�

Entrate�(Avvocato�dello�Stato�G.�Albenzio,�contenzioso�5875/02)�c/Autorita��Garante�

Protezione�Dati�Personali�(Avvocati�C.�Alpa�e�G.�Conte)�e�CODACONS�(Avvocato�

C.�Rienzi).�
�Il�Giudice,�letti�gli�atti�del�procedimento�n.�6268/2002�r.g.m.c.;�

Rilevatocheilgiudizioe��statointrodottoconricorsodepositatoil28gennaio2002,concui�
l'Agenzia�delle�Entrate�ha�chiesto�l'annullamento�(ex 
art.�29�della�legge�n.�675�del�1996),�previa�
sospensiva�(ex 
art.�700�c.p.c.),�del�provvedimento�emesso�il�5�dicembre�2001�con�cui�il�Garante�
per�la�protezione�dei�dati�personali�ha�di�fatto�inibito�la�raccolta�di�dati�personali�relativi�agli�
acquirenti�di�apparecchi�televisivi,�da�parte�dell'Agenzia�ricorrente�e�della�RAI�S.p.A.,�ai�fini�
della�riscossione�del�cosiddetto�canone�di�abbonamento�al�servizio�radiotelevisivo;�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Che�^successivamente�^la�ricorrente�ha�rinunciato�alla�domanda�cautelare,�insi-
stendo�per�l'accoglimento�della�domanda�di�merito,�avente�ad�oggetto�l'annullamento�
del�provvedimento�del�Garante,�proposta�ai�sensi�dell'articolo�29�della�legge�31�dicem-
bre�1996,�n.�675;�

Che�il�giudice�delegato,�dopo�aver�rilevato�che�a�norma�dell'articolo�29�della�citata�
legge�n.�675/1996�il�tribunale�provvede�nei�modi�di�cui�agli�articoli�737�e�seguenti�del�
codice�di�procedura�civile,�ha�riservato�la�decisione�al�Collegio�in�sede�camerale�con�
ordinanza�del�15�maggio�2002;�che,�tuttavia,�il�Collegio,�con�decreto�del�24ottobre�
2002,�ha�rilevato�la�pendenza�^davanti�al�giudice�monocratico�^di�altro�giudizio�avente�
ad�oggetto�l'impugnativa�proposta�dalla�RAI�S.p.A.�contro�il�medesimo�provvedimento�
del�Garante,�ed�ha�rimesso�pertanto�gli�atti�ai�presidente�di�sezione�segnalando�i�
profili�di�connessione�oggettiva�e�soggettiva�che�consigliano�la�trattazione�unitaria�dei�
procedimenti;�

Che,�pervenuti�i�due�procedimenti�in�trattazione�col�rito�ordinario,�il�procuratore�dell'A-
genzia�delle�entrate�ha�chiesto�procedersi,�previa�riunione,�col�rito�speciale�(camerale)�ed�il�
Giudice�s'e�riservato�la�decisione�con�separata�ordinanza;�

Considerato:�1.�^che�^come�recentemente�osservato�dalla�Corte�di�cassazione�con�la�
sentenza�20�maggio�2002,�n.�7341�^il�procedimento�davanti�al�Garante�per�la�protezione�
dei�dati�personali,�previsto�dall'articolo�29�della�legge�n.�675�del�1996,�pur�caratterizzato�
dalla�decisione�in�contraddittorio�su�diritti�soggettivi,�si�inquadra�pur�sempre�nel�novero�
dei�procedimenti�amministrativi�contenziosi�(in�cui�lo�svolgimento�di�funzioni�amministra-
tive�e�affidato�all'Autorita�in�posizione�di�indipendenza)�poiche�tra�funzioni�amministrative�
e�funzioni�giurisdizionali�tertium 
non 
datur; 


2.�^Che,�pertanto,�l'esercizio�dei�poteri�attribuiti�al�Garante,�in�funzione�dell'interesse�
pubblico�tutelato�dalle�norme�in�argomento,�si�realizza�attraverso�un�complesso�meccanismo�
di�interventi�d'ufficio�o�^su�istanza�di�parte�a�cui�non�e�estraneo,�nel�procedimento�ammini-
strativo�delineato�dall'articolo�29�citato,�il�contraddittorio�tra�l'interessato�e�il�titolare�del�
trattamento;�
3.�^Che,�in�particolare,�le�attivita�del�Garante�per�il�perseguimento�dei�compiti�fissati�
dalla�legge�(art.�31)�comprendono�numerose�iniziative�d'ufficio,�assistite�dai�poteri�istruttori�
conferiti�dall'articolo�32�e�finalizzate�all'emissione�di�provvedimenti�di�segnalazione�e�divieto�
di�cui�all'articolo�31�part.�lett.�c�ed�I, 
tra�le�quali�il�procedimento�delineato�dall'articolo�29�
si�caratterizza�per�l'impulso�di�parte�(istanza�del�soggetto�interessato) 
e�per�l'oggetto�(il�rico-
noscimento�dei�diritti�al�corretto�trattamento�dei�propri 
dati�personali,�come�elencati�dall'ar-
ticolo�13);�che,�per�questi�motivi,�la�legge�consente�la�partecipazione�dei�soggetti�interessati�
alla�formazione�dell'atto�amministrativo;�
4.�^Che,�in�altri�termini,�mentre�tutti�i�provvedimenti�amministrativi�adottati�dall'Au-
torita�suddetta�sono�impugnabili�davanti�all'a.g.o.�(art.�29�comma�8),�avendo�ad�oggetto�la�
tutela�di�diritti�soggettivi�perfetti,�solo�le�controversie�hanno�ad�oggetto�i�diritti�del�cd.�sog-
getto�interessato 
(cioe�la�persona�a�cui�i�dati�personali�si�riferiscono)�alla�corretta�informa-
zione,�al�corretto�trattamento,�alla�cancellazione�o�alla�rettifica,�come�previsti�dall'articolo�
13�della�legge�citata,�danno�luogo�al�particolare�procedimento�amministrativo�contenzioso�
di�cui�s'e�detto,�culminante�nel�provvedimento�del�Garante�di�accoglimento�o�rigetto�(anche�
tacito)�del�ricorso;�
5.�^Che,�pertanto,�il�riferimento�alla�procedura�degli�articoli�737�e�seguenti�del�c.p.c.�
contenuto�nel�comma�settimo�dell'articolo�29�appare�riferito�soltanto�alla�opposizione�
rivolta�contro�il�provvedimento�del�Garante�richiesto�dall'interessato�ed�emesso�dall'Auto-
rita��assunte�le�necessarie�informazioni��e��a�tutela�del�diritti�dell'interessato��di�cui�al�pre-
cedente�comma�6;�non�anche�alla�impugnazione�di�tutte�le�altre�attivita�dispiegate�dal�
Garante�ex�Officio;�
6.�^Che,�dunque,�considerato�che�il�provvedimento�impugnato�non�e�stato�adottato�in�
esito�al�procedimento�contenzioso�iniziato�su�ricorso�dell'interessato;bens|�in�esito�ad�una�

IL�CONTENZIOSO�NAZIONALE�

complessa�istruttoria�iniziata�il�12�febbraio�2001�e�riconducibile�ai�poteri�di�vigilanza�del�
Garante�disciplinati�dall'articolo�31�lett.�b)�e�c)�della�legge,�si�ritiene�che�il�giudizio�di�impu-
gnazione�debba�seguire�il�rito�ordinario;�

Ritenuto�inoltre,�che�in�esito�al�procedimento�cautelare�iniziato�con�ricorso�della�RAI�

S.p.A.�e�concluso�con�l'accoglimento�della�domanda�di�sospensione�in�via�d'urgenza�del�
provvedimento�impugnato,�si�e�instaurato�tra�le�medesime�parti�(oltre�all'associazione�
CODACONS)�il�giudizio�a�cognizione�ordinaria�avente�ad�oggetto�l'annullamento�dello�
stesso�provvedimento�impugnato�dall'Agenzia�delle�entrate;�
Che�appare�opportuno,�per�evidenti�ragioni�di�economia�processuale,�che�i�procedi-
menti�siano�riuniti�per�essere�trattati�dal�medesimo�giudice;�che�^in�ogni�caso�^la�giu-
risprudenza�della.�suprema�Corte�ha,�in�casi�simili,�affermato�il�principio�secondo�cui�a
nche�quando�i�procedimenti�riuniti�seguono�riti�diversi�^le�regole�del�processo�conten-
zioso�devono�prevalere�su�quelle�camerali�per�le�piu�ampie�garanzie�di�contraddittorio�
e�di�difesa�consentite�dal�rito�ordinario�(Cass.�19�aprile�1995,�n.�4395�e�Cass.�29�marzo�
1994,�n.�3002);�

P.Q.M.:�sciogliendo�fuori�udienza�la�riserva�assunta�nel�verbale�di�causa,�sulle�istanze�
delle�parti,�cos|�provvede:�

1.�^dispone�la�riunione�del�procedimento�n.�6268/2002�r.g.a.c.�a�procedimento�n.�
17437/2002�per�ragioni�di�connessione;�
2.�^dispone�procedersi�col�rito�contenzioso�ordinario.�Si�comunichi�alle�parti�a�cura�
della�cancelleria.�
Roma,�3�febbraio�2003��

Tribunale 
Civile 
di 
Roma 
^Note 
difensive 
riepilogative 
dell'Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
^

Giudice:�Buonuomo�^Agenzia�delle�Entrate�(Avvocato�dello�Stato�G.�Albenzio)�c/�

Autorita�Garante�per�la�protezione�dei�dati�personali�e�nei�confronti�della�RAI�s.p.a.�

Procedimenti�riuniti�ex�art.�700�C.P.C.�e�art.�29.�L.�675/9�6�^Annullamento,�previa�
sospensione,�del�provvedimento�dell'Autorita�Garante�per�la�protezione�dei�dati�personali�del�5�
dicembre�2001.�

�Nel�giudizio�di�merito�instaurato�dalla�RAI�con�atto�di�citazione�25�febbraio�2002�l'A-
genzia�delle�Entrate�ha�concluso�perche�:��il�Tribunale�adito,�previa�conferma�del�provvedi-
mento�cautelare�impugnato,�voglia�annullare�il�provvedimento�del�Garante�in�epigrafe�indi-
cato�emesso�il�5�dicembre�2001,�unitamente�a�quello�correttivo-integrativo�del�30�gennaio�
2002;�con�ogni�conseguente�pronunzia�e�con�vittoria�di�spese�.�

Nel�giudizio�cautelare�promosso�dalla�comparente�Agenzia,�all'udienza�del�21�febbraio�
2002�l'Agenzia�stessa�ha�rinunziato�all'istanza�cautelare�proposta�ex�art.�700�c.p.c.�ed�ha�
insistito�perche�il�Giudice�adottasse�i�provvedimenti�necessari�per�la�prosecuzione�del�giudi-
zio�ai�sensi�dell'art.�29�legge�675/96,�concludendo�perche�,�ferma�l'istanza�processuale�ai�sensi�
dell'art.�29�legge�675/96,�da�intendersi�riferita�alla�procedura�speciale�di�cui�ai�commi�6-7,�il�
Giudice�adito,�previa�adozione�dei�provvedimenti�necessari�per�assicurare�la�prosecuzione�
del�giudizio�secondo�il�rito�speciale,�si�pronunzi�sulla�domanda�di�annullamento�proposta�
dall'Agenzia�delle�Entrate.�

Riuniti�i�procedimenti�con�provvedimento�3�febbraio�2003,�non�resta�che�richiamare�le�
difese�di�merito�articolate�negli�atti�difensivi�depositati�nei�giudizi�riuniti�(in�particolare,�
memoria�di�costituzione�15�maggio�2002�nel�giudizio�di�merito�R.G.�17437/02�e�note�difen-
sive�15�luglio�2002�nel�giudizio�ex�art.�29,�legge�675/96,�R.G.6268/02,�che�si�allegano�in�
copia)�e�ribadire�le�conclusioni�sopra�precisate,�insistendo�perche�il�Tribunale,�fermi�
restando�i�provvedimenti�cautelari�adottati,�voglia�annullare�gli�atti�impugnati,�con�ogni�
consequenziale�pronunzia�e�con�vittoria�di�spese.�

Roma,�25febbraio�2003�
Avv.�Giuseppe�Albenzio��


Ipareri
delcomitato
consultivo
Ipareri
delcomitato
consultivo
A.G.S. 
^10 
gennaio 
2003, 
n. 
2470 
^Classi 
delle 
sostanze 
dopanti. 
Convenzione�di�Strasburgo�anti-doping�(ratificata�con�legge�29�novembre�

1995�n.�522)�^Lista��aperta��di�farmaci,�sostanze�e�pratiche�mediche�c.d.�

dopanti�^Normativa�interna�di�recepimento�(legge�14�dicembre�2000�n.�376)�

contenente�rinvio�a�decreto�ministeriale�individuativo�^Fattispecie�penalmente�

sanzionata�(art.�9�legge�cit.)^Compatibilita�colprincipiopenale,�costituzional-

mente�garantito�(art.�25�Cost.),�del�nullum�crimen�sine�lege�(consultivo�

n.�6954/02,�avvocato�P.�Cosentino).�
�Con�la�nota�sopra�indicata,�codesta�Amministrazione�ha�sottoposto�
alla�Scrivente�parere�in�merito�alla�congruenza�e�conformita�ai�principi�di�
diritto�penale�del�recepimento,�tramite�produzione�normativa�con�decreto�
ministeriale,�di�una��lista�aperta��di�farmaci,�sostanze�e�pratiche�mediche�

c.d.�dopanti�vietate,�lista�allegata�alla�Convenzione�di�Strasburgo�contro�il�
doping,�ratificata�con�legge�29�novembre�1995,�n.�522.�
La�legge�14�dicembre�2000,�n.�376�contiene�infatti�all'art.�9�una�fatti-
specieincriminatricealla�cui�stregua�e�punita�come�reato�la�condotta�di�
�chiunque�procura�ad�altri,�somministra,�assume�o�favorisce�comunque�l'u-
tilizzo�di�farmaci�o�sostanze�biologicamente�o�farmacologicamente�attive�
ricomprese�nelle�classi�previste�all'art.�2,�comma�I��della�stessa�legge.�La�
norma�da�ultimo�citata,�rubricata�Classi�delle�sostanze�dopanti�opera�in�
due�direzioni:�essa�stabilisce�infatti,�da�un�lato,�che�le�predette�sostanze�e�
pratiche�mediche�il�cui�impiego�e�considerato�doping�siano�ripartite�in�classi�
�anche�nel�rispetto�delle�disposizioni�della�Convenzione�di�Strasburgo��e�
delle�indicazioni�del�CIO�e�degli�organismi�internazionali�sportivi�e,�dall'al-
tro,�che�tali�classi�siano�approvate�con�decreto�del�Ministero�della�Salute,�
gia�Ministero�della�Sanita�,�d'intesa�con�il�Ministero�per�i�beni�e�le�attivita�
culturali�su�proposta�della�Commissione�di�cui�all'art.�3�della�stessa�legge.�
Il�citato�art.�3�precisa�che�la�Commissione�istituita�presso�il�Ministero�della�
Salute�fra�l'altro�predispone�le�classi�di�farmaci�e�sostanze�e�pratiche�medi-
che�vietate�e�procede�alla�relativa�revisione�con�cadenza�periodica�non�supe-
riore�a�sei�mesi.�

Giova�in�primo�luogo�premettere�che�il�quadro�normativo�dianzi�espo-
sto�non�sembra�porsi�in�collisione�con�il�principio�costituzionale�della�riserva�
di�legge,�consacrato�dall'art.�25�Cost.,�e�che�da�questo�punto�di�vista�le�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

norme�della�legge�n.�376/2000�sono�pienamente�legittime.�Infatti�se�e�vero�
che�il�combinato�disposto�dell'art.�2�e�dell'art.�9�opera�un�rinvio�ad�una�
norma�di�rango�inferiore�cio�invero�concreta�una�ipotesi�di�integrazione�sul�
solo�versante�tecnico�di�una�fattispecie�incriminatrice�che�nei�suoi�elementi�
essenziali�(soggetto�attivo,�condotta,�elemento�psicologico)�e�gia�definita�
dalla�legge.�In�dottrina�e�stato�infatti�sottolineato�che,�soprattutto�in�quelle�
materie�che�richiedono�un�alto�grado�di�competenze�specialistiche�per�la�loro�
complessita�,e�pienamente�legittimo�che�il�legislatore,�conservando�la�propria�
sovranita�nell'individuazione�delle�condotte�caratterizzate�da�disvalore�
sociale�e�nella�qualificazione�di�esse�come�reati,�affidi�poi�alla�normazione�
di�rango�subordinato�di�integrare,�ove�necessario,�le�fattispecie�legali�
mediante�elementi�di�specificazione�tecnica.�Espressioni�di�tale�politica�legi-
slativa�in�ambito�penale�si�rinvengono�ad�es.�nelle�materie�degli�stupefacenti�
e�degli�additivi�chimici�vietati�nella�produzione�alimentare.�

Problematica�si�presenta�invece�la�soluzione�del�quesito�relativo�alla�
legittimita�del�recepimento�nel�decreto�ministeriale�di�una�lista�che,�accanto�
alla�enumerazione�casistica,�contenga,�a�mo'�di�clausola�aperta,�la�dizione�
di��sostanze�affini�.�

Sul�punto�la�Scrivente�condivide�le�perplessita�prospettate�da�codesta�
Amministrazione�sull'effettiva�rispondenza�di�una�norma�cos|�formulata�ai�
principi�costituzionalizzati�della�sufficiente�determinatezza�e�del�divieto�di�
analogia�della�fattispecie�penale.�Alla�stregua�del�nostro�ordinamento,�
infatti,�assume�cogenza�^cio�desumendosi�dall'art.�1�c.p.�e�dall'art.�14�delle�

c.d.�preleggi�letti�alla�luce�dell'art.�25�Cost.�cos|�come�interpretato�dalla�
dottrina�piu�autorevole�e�come�vigente�del�diritto�applicato�^quanto�
espresso�nel�brocardo�nullum�crimen,�nulla�poena�sine�praevia�lege�poenali�
(scripta�et�stricta).�Con�tale�direttrice�si�intende�garantire�sia�la�certezza�
della�legge�penale�sia�la�conoscibilita�da�parte�dei�consociati�dei�comporta-
menti�vietati�epuniti�con�sanzionipenali,�esigenze�tanto�piu�forti�se�confron-
tate�con�un�sistema�di�diritto�positivo�che,�per�rispondere�alle�istanze�di�
tutela�emergenti�dalla�societa�,�va�accrescendo�la�propria�complessita�finan-
che�sul�piano�quantitativo,�mediante�una�intensa�attivita�di�produzione�nor-
mativa�extra�codicem.�

Il�principio�di�certezza�che,�ad�un�primo�avvicinamento,�sembrerebbe�
teso�soltanto�ad�evitare�abusi�di�discrezionalita�da�parte�del�giudice�nell'atti-
vita�di�interpretazione�e�applicazione�delle�norme�penali�alle�fattispecie�con-
crete,�costituisce�invero�una�indicazione�precettiva�anche�per�il�legislatore,�
affinche��sia�bandita�dall'ordinamento,�in�quanto�costituzionalmente�illegit-
tima,�la�analogia�anticipata,�ossia�la�formulazione�di�norme�penali�che�gia�
di�per�se��aprano�la�strada�a�letture�analogiche.�

La�dottrina�piu�attenta�ha�denunciato�l'illegittimita�di�quelle�fattispecie�
legali�contenenti�clausole�aperte,�come�le�diciture�di��casi�simili/analoghi��o�
espressioni�di�chiusura,�le�quali�non�solo�autorizzano�ma�addirittura�richie-
dono�come�necessario�lo�strumento�analogico.�Tali�considerazioni�sono�state�
espresse�^talora�anche�in�contrasto�con�talune�pronunce�della�Corte�Costitu-
zionale�^in�relazione�all'art.�121�depenalizzato�del�testo�unico�delle�leggi�di�
pubblica�sicurezza,�il�quale,�dopo�l'elencazione�casistica�di�mestieri�il�cui�eser-


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

cizio�non�autorizzato�e�vietato,�si�chiude�con�l'estensione�del�divieto�ai�
�mestieri�analoghi�;�o�in�relazione�all'art.�705�c.p.,�che�punisce�a�titolodi�
commercio�di�cose�non�autorizzate�anche�l'esercizio�di��altre�simili�indu-
strie�,�oltre�a�quelle�gia�descritte�dalla�stessa�norma.�

Per�completezza�giova�ricordare�che�una�parte�della�dottrina�(Manto-
vani)�ha�limitato�le�censure�di�illegittimita�aquellesolenorme�penali�conte-
nenti�una�lista�aperta�ai��casi�simili/analoghi��in�cui�l'enumerazione�casi-
stica,�proprio�come�negli�esempi�sopra�richiamati,�riguardi�ipotesi�eteroge-
nee�fra�loro�che�non�consentano�di�individuare�un�criterio�tipizzante�
unitario.�Diversamente,�invece,�dovrebbe�dirsi�di�quelle�norme�che�conten-
gono�un'esemplificazione�omogenea�unitaria�(es.�art.�711�c.p.:��chiunque,�
esercitando�il�mestiere�di�fabbro�o�chiavaiuolo�ovvero�altro�simile�mestiere,�
apre�serrature�o�altri�congegni�analoghi�apposti�a�difesa�di�un�luogo�o�di�
un�oggetto)�assieme�ad�altri�elementi�che�nel�complesso�valgono�ad�indivi-
duare�delle�fattispecie�sufficientemente�determinate,�evitando�il�rischio�di�
forzature�analogiche.�

La�verita�e�che�nella�formulazione�di�norme�penali�di�tal�genere�e�neces-
sario�trovare�un�punto�di�equilibrio�fra�l'elencazione�casistica�e�tassativa,�
posta�a�salvaguardia�del�principio�di�certezza,�da�un�lato,�e�l'esigenza�di�effet-
tivita�della�tutela�penale�dall'altro�^esigenza�che�si�puo�manifestare�anche�
rispetto�a�quelle�ipotesi�che�possono�sfuggire�alla�previsione�astratta�del�legi-
slatore�e�che�tuttavia�sono�espressione�del�medesimo�disvalore�sociale.�

A�titolo�esemplificativo�appare�in�tale�direzione�legittima�la�previsione�
di�cui�al�decreto�ministeriale�27�luglio�1992,�tabella�I,�in�materia�di�stupefa-
centi,�che,�dopo�un'elencazione�di�sostanze�vietate,�detta�dei�criteri 
precisi 
e 
ben 
determinati 
di 
estensione 
della 
fattispecie 
penale.�La�tabella�I�del�citato�
decreto�ministeriale�27�luglio�1992�prevede�infatti��(...)�Qualsiasi�forma�ste-
reoisomeria�delle�sostanze�iscritte�nella�tabella,�in�tutti�i�casi�in�cui�esse�pos-
sono�esistere,�salvo�che�ne�sia�fatta�espressa�eccezione.�Gli�esteri�e�gli�eteri�
delle�sostanze�iscritte�nella�presente�tabella,�a�meno�che�essi�non�figurino�
gia�in�altre�tabelle,�in�tutti�i�casi�in�cui�questi�possono�esistere.�I�sali�delle�
sostanze�scritte�nella�presente�tabella,�compresi�i�sali�dei�suddetti�isomeri,�
esteri�ed�eteri�in�tutti�i�casi�in�cui�questi�possono�esistere.�Le�preparazioni�
contenenti�le�sostanze�di�cui�alla�presente�tabella.�(...)�.�

In�tale�tabella,�come�e�evidente,�non�appare�un�generico�rinvio�alle�
�sostanze�affini�,�ma�si�richiamano�nozioni�chimiche�aventi�un�significato�
specifico�ed�univoco:�cos|�e�sia�per�il�riferimento�al�fenomeno�della�stereoiso-
meria,�per�cui,�a�parita�di�formula�bruta,�le�sostanze�differiscono�per�una�
diversa�posizione�spaziale�degli�atomi;�sia�per�il�riferimento�ai�composti�delle�
sostanze�indicate�(gli�esteri,�gli�eteri,�i�sali�delle�sostanze�enumerate�in�tabella�
e�degli�isomeri�di�esse).�

Con�riguardo�al�quesito�sottoposto�la�Scrivente�e�dunque�sostanzial-
mente�in�linea�con�le�osservazioni�espresse�da�codesta�Amministrazione�nella�
nota�in�riscontro�e�percio�inviata,�dubita�della�legittimita�della�dizione�tout 
court 
di��sostanze�affini��e�suggerisce�alla�Commissione�^viste�le�attribu-


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

zioni�ad�essa�spettanti�in�base�agli�articoli�2�e�3�della�legge�n.�376/2000�^di�
tentare�una�formulazione�piu�rispettosa�del�principio�di�sufficiente�determi-
natezza�della�fattispecie�penale.�

Non�si�disconosce�che�la�previsione�di�classi�atteggiantesi�a�numero�
chiuso�non�consentirebbe�di�vietare�tutte�le�sostanze��dopanti��ugualmente�
pericolose�ma�non�ancora�comprese�in�esse,�in�quanto�non�ancora�diffuse�o�
farmacologicamente�testate,�e�finirebbe�per�attenuare�l'effettivita�della�tutela�
penale�anti-doping.�Tuttavia�tale�obiettivo�potrebbe�essere�raggiunto,�nel�
rispetto�del�principio�sancito�dall'art.�25�Cost.,�evitando�il�mero�impiego�di�
aggettivi�come��affini/simili�,�che�appaiono�inappaganti�rispetto�all'esigenza�
di�certezza�e�che�si�prestano�al�rischio�di�analogia�sul�piano�applicativo.�Per�
contro,�la�Commissione�potrebbe�predisporre�le�classi�di�farmaci�e�sostanze�
vietate,�avvalendosi�di�clausole�di�chiusura�che�consentano�effettivamente�
l'individuazione�di�ipotesi�sufficientemente�determinate.�Infine�non�va�trascu-
rato�che�il�paventato�rischio�di�cristallizzazione�nel�tempo�delle�fattispecie�
penali�in�esame�non�pare�sussista,�ove�si�consideri�che�l'art.�2,�comma�3,�
della�legge�n.�376/2000�impone�un�costante�aggiornamento�semestrale�delle�
classi�di�cui�al�decreto�ministeriale.�

Nelle�more�della�stesura�del�suesteso�parere�e�stato�pubblicato�(in�
Gazzetta 
Ufficiale 
27�novembre�2002�n.�217)�il�decreto�ministeriale�15�otto-
bre�2002�recante�approvazione�della�lista�dei�farmaci,�sostanze�biologica-
mente�o�farmacologicamente�attive�e�delle�pratiche�mediche,�il�cui�impiego�
e�considerato�doping,�ai�sensi�della�legge�14�dicembre�2000�n.�376.�Nel�
prenderneatto,�enel�rilevare�cheleconclusioni�delpresenteparerenon�si�
pongono�in�contrasto�con�il�tenore�del�citato�CM,�la�Scrivente�ritiene,�data�
la�rilevanza�della�questione�e�la�possibilita�di�ulteriore�sua�riproposizione,�
di�dover�ugualmente�esprimere�il�proprio�avviso,�quale�contenuto�nelle�
considerazioni�suesposte�.�

A.G.S. 
^Parere 
del 
31 
gennaio 
2003, 
n. 
9965 
^Transazione 
Telecom 
S.p.a. 
c/Interno. 
Convenzione 
transattiva 
-evolutiva 
(consultivo�9325/02,�avvocato�

G.�Fiengo).�
�Con�la�nota�in�epigrafe�indicata�codesta�Direzione�centrale�ha�sottopo-
sto�all'avviso�della�scrivente�lo�schema�di�convenzione�transattiva�che�
dovrebbe�regolare,�per�il�prossimo�novennio,�la�totalita�dei�rapporti�gia�
instaurati�dal�Dipartimento�della�pubblica�sicurezza�con�la�Telecom�S.p.a.�
in�relazione�a�servizi�di�fonia�e�di�trasmissione�dati.�
Nelle�more�della�stesura�del�parere�e�pervenuto�da�parte�del�Diparti-
mento�di�pubblica�sicurezza�un�nuovo�schema�di�contratto,�nel�quale�ven-
gono,�d'intesa�con�la�controparte�privata,�ulteriormente�chiariti�e�sottolineati�
gli�aspetti�transattivi�dell'accordo�raggiunto.�
Nel�corso�dell'istruttoria�dell'affare�l'Amministrazione�ha�chiarito,�in�
sede�di�Comitato�consultivo,�che�la�situazione�esistente�alla�vigilia�della�sti-
pulazione�della�transazione�era�caratterizzata�da�una�molteplicita�di�rap-


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

porti�^nati�per�effetto�dei�contratti�indicati�nella�premessa�dello�schema�con-
venzionale,�o�germinati�quasi�spontaneamente�o�di�fatto�quale�sviluppo�delle�
vicende�contrattuali�con�il�concessionario�statale�dei�servizi�telefonici�^inter-
secantisi�l'un�l'altro,�a�volte�in�contraddizione,�spesso�con�duplicazioni,�ambi-
guita�e�sprechi;�ed�inoltre,�data�la�rapida�evoluzione�del�settore,�molte�delle�
prestazioni�originariamente�previste�nei�contratti�si�rivelarono�^nella�nego-
ziale�dimensione�^obsolete�o�comunque�assai�meno�utili�che�non�all'origine.�

La�situazione�di�confusione�e�di�inadeguatezza�aveva�dato�luogo�al-
l'accumulo�di�una�pesante�situazione�debitoria�dell'Amministrazione�ed�a�
frequenti�accuse�di�inadempimento�a�carico�della�Telecom,�la�quale�invo-
cava�a�propria�giustificazione�il�contenuto�delle�prestazioni�come�previsto�
in�contratto,�in�sostanza�attribuendo�l'inadeguatezza�dei�risultati�a�tali�cir-
costanze,�alle�sovrapposizioni�frequenti�di�ruoli�nonche�alla�confusione�
determinata�anche�dalla�pluralita�dei�soggetti�incaricati�della�manutenzione.�
L'odierna�stipulazione�e�rivolta�a�dare�chiarezza�al�complesso�rapporto�
con�la�Telecom,�a�razionalizzare,�a�togliere��il�troppo�e�il�vano�,�a�conse-
guire,�insomma,�il�risultato�^fin�dagli�originari�contratti�perseguito�^in�
modo�razionale�ed�economico.�

A�questo�scopo�la�stipulazione�copre�tutta�e�solo�l'area�gia�riguardata�
dai�contratti�in�corso;�affida�a�Telecom�tutta�l'attivita�strumentale�al�risul-
tato�(in�particolare�le�si�affida�la�manutenzione�del�sistema�e�del�partena-
riato�funzionale�nell'ambito�della�convenzione,�che�pefaltro�gia�esiste�per�
le�sale�operative).�

L'Amministrazione�ha�al�riguardo�sottolineato�che�i�nuovi�ordinativi�
andranno�a�gara�e�che�pur�nell'ambito�del�partenariato�si�procedera�con�il�
confronto�pubblico�concorrenziale�e�che�resteranno�gli�altri�operatori,�in�
ordine�ad�altre�fasce�o�attivita�.�

Insomma,�e�del�tutto�escluso�che�la�concorde�intenzione�e�volonta�delle�
parti�siano�rivolte�a�raggiungere�risultati�(di��esclusiva��per�il�futuro�odi�
�posizione�dominante�)�incompatibili�con�le�ben�note�norme�interne�o�
comunitarie:�ed�in�tal�senso�devono�interpretarsi�le�singole�norme�della�con-
venzione,�giusta�la�concorde�volonta�delle�parti,�che�hanno�voluto�transi-
gere�sul�debito�accertato�e�presunto�al�31�dicembre�2002�con�atto�di�tipo�
metodologico�e�gestionale�per�il�migliore�conseguimento�dei�risultati�di�cui�
ai�vigenti�rapporti.�

L'aspetto�economico�della�stipulazione�e�stato�infine�attentamente�valu-
tato�dall'Amministrazione,�che�lo�ritiene�assai�conveniente:�il�Ministero�
otterra�uno�sconto�del�debito�pregresso�da�. 
103�milioni�a�. 
48�milioni,�
rateizzato�in�quattro�anni�per�la�situazione�esistente�al�31�dicembre�2001;�
per�il�2002�si�ha�uno�sconto�da�. 
78�milioni�circa�ad�. 
60,5�milioni�ed�il�
livello�dei�servizi�aumenta�ad�invarianza�di�costi.�

Tanto�premesso�si�osserva�che�il�possibile�contenzioso�sui�contratti�pre-
cedenti�e,�per�le�prestazioni�gia�eseguite,�per�la�loro�rispondenza�ai�patti,�
manifesta�la�natura�certamente�transattiva�della�stipulazione,�nel�cui�contesto�
gli�accordi�rivolti�alla�razionalizzazione�dell'esistente�con�il�necessario�aggior-
namento,�e�il�quid 
novi 
che�nell'atto�appare�sono�del�tutto�coerenti�con�la�
natura�del�negozio,�ivi�compresa�la�proroga�che,�in�tale�quadro,�appare�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

secondaria�e�solo�strumentale�alla�riduzione�dei�costi.�Tanto�piu�che,�non�
solo�il�novum�caratterizza�il�contratto�di�transazione,�tale�necessariamente�
essendo��le�reciproche�concessioni�,�ma�addirittura�con�queste�ultime�si�pos-
sono�creare�rapporti�diversi�da�quelli�che�hanno�formato�oggetto�della�lite,�
insorta�o�insorgenda�come�si�legge�nel�secondo�comma�dell'art.�1965�del�
codice�civile.�

In�conclusione�si�esprime�parere�favorevole,�in�linea�di�diritto�al�divi-
sato�accordo,�in�quanto�avente�natura�transattiva,�suggerendo�a�codesta�
Amministrazione�dell'interno�l'opportunita�che�i�chiarimenti�ora�forniti�in�
sede�di�esame�da�parte�di�quest'Avvocatura�generale�entrino�nello�schema�
dell'atto,�ad�esempio�nelle�premesse,�che�vi�sia�clausola�di�chiusura�per�il�
�null'altro�a�pretendere�;�e�siano�chiarite�alcune�delle�norme�della�conven-
zione�^e�segnatamente�gli�articoli�1,�p.�3;�art.�4;�art.�5;�art.�7;�art.�10;�
art.�11;�art.�12�^con�conseguente�armonizzazione�dell'insieme�^il�cui�
tenore�letterale�non�accompagnato�dai�detti�chiarimenti,�potrebbe�risultare�
non�coerente�con�il�vero�significato�della�stipulazione�che�ha�natura�transat-
tiva�anche�negli�elementi�di�novita�checontienee�cheespressamente�vanno�
dichiarati�rientrare�nella�transazione,�di�cui�costituiscono�parti�integranti�
(anche�nelle�clausole�appena�ricordate),�con�conseguente�modifica,�in�parti-
colare�dell'art.�9�(che�sembra�considerare�transattivo�il�solo�accordo�di�cui�
all'art.�2)�.�

A.G.S. 
^Parere 
del 
19 
febbraio 
2003, 
n. 
17130. 
Compenso�aggiuntivo�per�festivita�coincidenti�con�la�giornata�domenicale�

(consultivo�13635/01,�avvocato�A.�Linguiti).�

�Con�il�foglio�in�riscontro�viene�richiesto�parere�in�ordine�agli�effetti�
giuridici�legati�alla�ipotesi�di�coincidenza�di�giorni�di�festivita�normalmente�
infrasettimanali�con�giornate�domenicali�per�i�dipendenti�della�P.A.�a�pre-
scindere�dalla�effettiva�prestazione�lavorativa.�

Al�riguardo�viene�in�considerazione�l'art.�2�lett.�e)�della�legge�90/1954�
ove�e�dettato�che��il�trattamento�stabilito�dall'art.�5�della�legge�260/1949�
dovra�essere�ugualmente�corrisposto�per�intero�al�lavoratore,�anche�se�risulti�
assente�dal�lavoro�per�sospensione�dal�lavoro�dovuta�a�coincidenza�della�
festivita�con�la�domenica�od�altro�giorno�festivo�considerato�tale�dai�con-
tratti�collettivi,�compresa�la�celebrazione�del�Santo�Patrono�della�localita�
ove�si�svolge�il�lavoro�.�

Va�preliminarmente�precisato�che�la�disciplina�che�viene�in�esame�si�rife-
risce�alle�sole�festivita�nazionali�indicate�nel�primo�comma�dell'art.�5�della�
legge�260/1949.�

La�lettera�della�disposizione�ora�riportata�sembra�far�propendere�per�la�
soluzione�piu�favorevole�ai�lavoratori,�dal�momento�che�quel�che�appare�
voluto�e�proprio�l'estensione,�anche�in�caso�di�sospensione�del�lavoro�in�gior-
nata�domenicale�con�cui�coincida�anche�la�giornata�festiva�e�cioe�in�giornata�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

di�normale�riposo�settimanale,�del�trattamento�economico�previsto�per�il�
lavoro�prestato�in�giornata�domenicale�in�cui�sia�caduta�la�giornata�festiva,�
tale�essendo�l'ipotesi�cui�l'art.�2�lett.�e) 
legge�90/1954�fa�richiamo.�

La�ragione�del�particolare�e�favorevole�trattamento,�rivendicato�dai�
dipendenti�e�concretantesi�nel�riconoscimento,�oltre�al�normale�trattamento�
di�retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni�elemento�accesso-
rio,�di�una�ulteriore�aliquota�di�retribuzione�giornaliera,�viene�individuato�
nel�fatto�che,�in�caso�di�coincidenza�della�giornata�festiva�con�quella�domeni-
cale�il�lavoratore�si�troverebbe�privato�del�godimento�di�una�giornata�ulte-
riore�di�esenzione�dalla�prestazione�lavorativa,�sicche�gli�spetterebbe�il�tratta-
mento�economico�sostitutivo�del�godimento�di�riposo�e�cioe�l'aliquota�di�
retribuzione�giornaliera.�

Senonche�,�mentre�appare�razionale�che�venga�riconosciuta�per�il�lavoro�
prestato�in�giornata�festiva�(e�quindi�di�maggiore�penosita�)�una�maggiora-
zione�per�lavoro�festivo,�non�appare�razionale�il�riconoscimento�dalla�pretesa�
attribuzione�di�una�aliquota�giornaliera�di�retribuzione�(ulteriore�rispetto�a�
quella�normalmente�spettante)�quando�la�giornata�festiva�comunque�non�sia�
stata�impegnata�nella�prestazione�lavorativa,�ma�sia�stata�invece�di�asten-
sione�dal�lavoro,�in�quanto,�nel�caso�di�dipendenti�a�retribuzione�fissa�come�
non�ha�rilevanza�la�durata�dell'anno�(365�o�366�gg.)�o�del�mese�(28�-29�-30�

o�31�gg.)�o�la�distribuzione�delle�domeniche�nel�mese�(4�o�5�domeniche),�cos|�
non�sembra�possa�avere�rilevanza�la�aleatoria�coincidenza�della�festivita�con�
la�domenica�per�farne�discendere�un�incremento�della�retribuzione�fissa.�
La�ragionevolezza�di�tale�prospettazione�non�appare�smentita�dal�det-
tato�normativo�che�viene�richiamato�dall'art.�2�lett.�e) 
legge�90/1954�e�che�
sopra�si�e�riportato.�

Infatti�nell'art.�5�della�legge�260/1949�e�possibile�individuare�varie�
disposizioni�tra�loro�distinte�ed�autonome�per�ambito�soggettivo�e�per�
oggetto.�

Il�primo�comma�dell'art.�5�legge�260/1949�(come�modificato�dall'art.�1�
legge�90/1954)�si�riferisce�ai�lavoratori�dipendenti�(di�qualsiasi�natura:�impie-
gati�ed�operai)�retribuiti�non�in�misura�fissa�e�stabilisce�che�ad�essi�spetta�
per�i�giorni�di�festivita�solo�la�normale�retribuzione�globale�di�fatto�giorna-
liera,�compreso�ogni�elemento�accessorio.�

Poiche�non�e�fatto�riferimento,�come�e�invece�nei�commi�seguenti,�alle�
ipotesi�di�prestazione�di�lavoro�in�dette�festivita�,�deve�convenirsi�che�la�disci-
plina�ivi�dettata�si�riferisce�all'ipotesi�di�astensione�dal�lavoro.�

Il�secondo�comma�si�riferisce�sempre�ai�lavoratori�dipendenti�di�cui�al�
primo�comma�(impiegati�ed�operai�retribuiti�non�in�misura�fissa)�ma�disci-
plina�il�caso�della�prestazione�di�lavoro�nelle�giornate�di�festivita�e�stabilisce�
che�ad�essi�spetta,�oltre�la�normale�retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera�
compreso�ogni�elemento�accessorio�(di�cui�al�primo�comma),�anche�la�retri-
buzione�per�le�ore�di�lavoro�effettivamente�prestate�con�la�maggiorazione�
per�il�lavoro�festivo.�

Il�terzo�comma�si�riferisce�invece�ai�salariati�retribuiti�in�misura�fissa�che�
prestino�il�lavoro�nelle�giornata�festiva�che�non�cada�di�domenica�o�cada�di�
domenica.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

In�questo�caso�(festivita��lavorata�non�caduta�di�domenica)�la�disposi-
zione�attribuisce�al�salariato�retribuito�in�misura�fissa,�oltre�alla�normale�
retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni�elemento�accessorio,�
anche�la�retribuzione�per�le�ore�di�lavoro�effettivamente�prestate�con�la�mag-
giorazione�per�lavoro�festivo.�

Nel�caso�invece�di�festivita��non�lavorata�cadente�di�domenica�la�disposi-
zione�attribuisce�al�salariato�retribuito�in�misura�fissa,�oltre�alla�normale�
retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni�elemento�accessorio,�
anche�una�ulteriore�retribuzione�corrispondente�all'aliquota�giornaliera.�

Discende�da�cio��che�a�tutti�i�dipendenti�non�inquadrabili�tra�i�salariati�
retribuiti�in�misura�fissa�non�puo��,�per�il�giorno�festivo�non�lavorato�coinci-
dente�con�la�domenica,�riconoscersi�il�trattamento�aggiuntivo�della�ulteriore�
retribuzione�corrispondente�all'aliquota�giornaliera�e�restera��applicabile�il�
solo�primo�comma�dell'art.�5�legge�260/1949�con�la�conseguente�spettanza�
della�sola�normale�retribuzione�globale�di�fatto�giornaliera,�compreso�ogni�
elemento�accessorio,�dal�momento�che�questo�e��il��trattamento�stabilito�dal-
l'art.�5�della�legge�27�maggio�1949,�n.�260��richiamato�dall'art.�2�legge�
90/1954�per�il�caso�in�questione.�

Tale�soluzione,�oltre�ad�avere�ragionevole�fondamento�in�quanto�
osservato�piu��sopra�e�nella�piana�lettura�delle�disposizioni�ora�svolta,�
e��stata�recentemente�condivisa�dalla�Suprema�Corte�con�sentenza�
10�gennaio�2001,�n.�258.�

Il�maggior�favore�della�disciplina�ora�esaminata�verso�i�salariati�puo��
ricondursi�ad�una�sorta�di�compensazione,�attraverso�l'attribuzione�del�trat-
tamento�economico�di�maggior�favore�nel�caso�di�perdita�di�una�giornata�di�
riposo�per�coincidenza�della�festivita��con�la�domenica,�della�maggiore�peno-
sita��del�lavoro�affidato�ai�salariati�ed�all'origine�storica�della�loro�categoria�
(lavoratori�a�giornata).�

Le�conclusioni�cui�si�e��sopra�pervenuti�non�trovano�smentita�nel�testo�
unico�3/1957�per�i�dipendenti�statali�ne�nelle�successive�discipline�contrattuali�
collettive�fin�qui�intervenute.�

Resta�ovviamente�salva�diversa�disciplina�collettiva�che�dovesse�even-
tualmente�essere�adottata�.�

A.G.S. 
^Parere 
del 
28 
febbraio 
2003, 
n. 
21146. 
Prosecuzione 
delrapporto 
di 
lavoro 
dipersonale 
ausiliario 
assunto 
con 
con-
tratto 
a 
tempo 
determinatopreviaselezioneoperata 
tramite 
l'Ufficio 
dicolloca-
mento 
(consultivo�1310/03,�avvocato�E.�Figliolia).�

�La�corretta�interpretazione�compiuta�dalla�circolare�del�Ministero�del�
Lavoro�e�delle�Politiche�Sociali�n.�42/2002�dell'art.�4�D.Lg.vo�368/2001,�sulla�
base�della�quale�la�proroga�del�contratto�di�lavoro�a�termine�puo��avere�
durata�diversa�rispetto�a�quella�iniziale,�non�consente,�una�volta�intervenuta�
la�scadenza�del�termine�recato�nell'atto�di�proroga,�di�prorogare�ulterior-
mente�il�rapporto�lavorativo�sia�pure�nel�limite�triennale�previsto�dal�citato�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

art.�4.�Ed�invero�e�difficilmente�contestabile,�stante�il�pertinente�dettato�legi-
slativo,�che�l'Amministrazione�non�e�legittimata�a�procedere�a�piu�di�una�pro-
roga�anche�se�nell'ambito�temporale�del�triennio�di�cui�si�e�detto.�

Per�quanto�concerne�poi�la�questione�della�giuridica�praticabilita�del�rin-
novo,�osserva�questo�Gazzetta 
Ufficiale 
che�la�possibilita�,�in�termini�di�
diritto,�di�perpetuare�il�rapporto�lavorativo�con�gli�stessi�soggetti�rispetto�a�
cui�siano�oramai�venuti�meno�i�presupposti�di�legge�per�concedere�ulteriori�
proroghe,�potrebbe�risultare�possibile�solo�procedendo�ad�una�riassunzione,�
ovviamente�nel�rispetto�delle�procedure�di�legge.�

In�altre�parole,�non�potendosi�certamente�approvare�iniziative�elusive�
delle�rigorose�condizioni�di�legge�disciplinanti�il�contratto�a�tempo�determi-
nato,�potrebbe�risultare�consentito,�tuttavia,�sempreche�ovviamente�possano�
riscontrarsi�l'indispensabile�quadro�esigenziale�unitamente�alle�altre�condi-
zioni�di�legge,�la�stipula�di�ulteriori�contratti�aventi�oggetto�diverso;�ed�
invero,�dal�pertinente�contesto�normativo,�si�desume�che�la�rigorosa�disci-
plina�normativa�del�contratto�a�tempo�determinato�e�applicabile�soltanto�
quando�alla�identita�dei�soggetti�contraenti�corrisponda�anche�la�medesi-
mezza�delle�condizioni�essenziali�del�rapporto�convenzionale,�sicche�,�ove�que-
ste�ultime�subiscono�sostanziali�variazioni,�nulla�osta�a�che�l'Amministra-
zione�addivenga�alla�conclusione,�appunto,�di�un�ulteriore�nuovo�contratto�
a�tempo�determinato,�privo,�come�tale,�di�correlazioni�di�sorta�con�il�prece-
dente�definitivamente�scaduto�e�non�piu�praticabile.�

Per�converso�non�sembra�praticabile�in�linea�di�diritto�l'ipotesi�prospet-
tata�di�procedere�a�piu�rinnovi�nell'ambito�temporale�del�triennio�del�mede-
simo�rapporto�contrattuale,�quindi�con�gli�stessi�contenuti,�sia�pure�con�le�
indicate�soluzioni�di�continuita�,�posto�che�cio�realizzerebbe�una�possibile�
non�consentita�elusione�del�divieto�normativo�di�concedere�piu�di�una�pro-
roga�del�contratto�a�tempo�determinato�.�

A.G.S. 
^Parere 
del 
1O 
aprile 
2003, 
n. 
39682. 
Azienda 
Universitaria 
Policlinico 
�Umberto 
I� 
di 
Roma 
in 
liquidazione 
^

Pagamento 
dei 
debiti 
nei 
confronti 
delpersonale 
(consultivo�5071/03,�avvocato�

E.�Figliolia).�
�Ai�sensi�del�comma�6�dell'art.�2�del�decreto-legge�n.�341/1999,�conver-
tito�con�modificazioni�con�legge�n.�453/1999,�il�commissario�liquidatore�e�
tenuto�a�predisporre�un�piano�di�estinzione�delle�passivita�che�deve�essere�
sottoposto�all'approvazione�del�Ministro�del�Tesoro,�del�bilancio�e�della�
programmazione�economica�(ora�Ministro�dell'economia�e�delle�finanze),�
ed�a�seguito�di�detta�approvazione�si�provvede�al�pagamento�sulla�base�di�
quanto�disposto�dall'art.�90-bis 
comma�3�del�decreto�legislativo�n.�77�del�
25�febbraio�1995.�
Orbene,�trattasi,�all'evidenza,�di�una�disposizione�di�carattere�organiz-
zatorio,�nell'ambito�della�quale�sono�previsti�taluni�termini�per�consentire�
il�compimento�accelerato�delle�attivita�solutorie,�con�modalita�e�sulla�base�
di�criteri�coerenti�con�l'interesse�pubblico�ad�un'�estinzione�sollecita�delle�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

situazioni�debitorie�che�tiene�conto�dei�principi�generali�dell'ordinamento�
giuridico�in�materia�di�soddisfazione�delle�pretese�creditorie�aventi�titola-
zione�privilegiata.�Ed�infatti,�il�citato�comma�3�dell'art.�90-bis 
del�decreto�
legislativo�n.�77/1995,�richiamato�dal�comma�6�dell'art.�2�del�decreto-legge�

n.�341/1999,�esclude�espressamente�la�possibilita�di�praticare�decurtazioni�
di�sorta�ai�crediti�inerenti�a�retribuzioni�per�prestazioni�di�lavoro�subordi-
nato�che,�pertanto,�debbono�necessariamente�trovare,�nell'ambito�del�defini-
tivo�accertamento�della�massa�attiva�e�passiva�da�parte�del�Commissario�
liquidatore,�soddisfazione�integrale,�come�d'altronde�gli�eventuali�crediti�di�
natura�previdenziale.�
Per�quanto�precede,�stante�il�suddetto�quadro�normativo�di�riferi-
mento,�non�si�ravvisano�elementi�ostativi�alla�rappresentata�eventuale�
�anticipata�liquidazione�dei�debiti��concernenti�le�retribuzioni�dei�lavora-
tori�subordinati,�una�volta�che�si�siano�compiutamente�praticate�le�verifiche�
del�caso�in�ordine�alla�certezza�ed�all'ammontare�dei�crediti�in�discorso,�
potendosi,�tra�l'altro,�per�assicurare�una�migliore�e�piu�prudente�attivita�
gestoria�dei�prefati�incombenti�solutori,�provvedere�ai�conseguenti�paga-
menti�esplicitando�espressa�riserva�di�ripetizione�all'atto�dell'erogazione,�s|�
da�escludere�in�radice�ogni�sia�pur�minima�possibilita�di�ritenzione�degli�
importi�da�parte�dei�creditori�de 
quibus 
nell'ipotesi,�peraltro�teorica,�di�
mancata�approvazione�ministeriale.�

Va�altres|�rilevato,�a�conforto�dei�superiori�convincimenti,�che�a�fronte�
di�tali�crediti�privilegiati�non�sembra,�anche�per�quanto�e�dato�desumere�dal�
quesito�di�cui�alla�nota�che�si�riscontra,�ipotizzabile�la�possibilita�di�un'even-
tuale�incapienza�delle�provviste�finanziarie�da�destinare�ai�pagamenti�dei�
citati�crediti�privilegiati,�posto�che�la�pertinente�normativa�da�applicarsi�alla�
fattispecie�non�contempla�una�tale�evenienza�idonea�a�determinare,�per�i�cre-
diti�stessi,�decurtazioni�di�sorta;�peraltro�tale�verifica�della�sufficienza�delle�
provviste�finanziarie�deve�concernere�anche�gli�ulteriori�crediti�privilegiati�di�
carattere�previdenziale.�

D'altronde�e�appena�il�caso�di�rilevare�che�tale�anticipata�esigibilita�
dei�crediti�in�discorso�sembrerebbe�affatto�coerente�con�l'interesse�pub-
blico�a�che�le�risorse�finanziarie�disponibili�restino�esenti�da�ulteriori�
eventuali�iniziative�esecutive�individuali�estranee�al�procedimento�liquida-
torio�concorsuale�normato�dal�decreto-legge�n.�341/1999�e�dalla�succes-
siva�legge�di�conversione.�

Si�resta�comunque�a�disposizione�per�ogni�eventuale�ulteriore�chiari-
mento�anche�rispetto�ad�eventuali�problematiche�interpretative�connesse�alla�
conseguente�azione�solutoria�di�cui�trattasi,�con�riferimento,�in�particolare,�
alla�inderogabile�necessita�che�tale�procedura�solutoria�anticipata�sia�rigoro-
samente�circoscritta�a�quei�crediti�privilegiati�che,�a�mente�dell'art.�90-bis,�
3�comma,�del�decreto�legislativo�n.�77/1995,�debbono�essere�integralmente�
soddisfatti�.�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

A.G.S.�^Parere�del�3�maggio�2003,�n.�52737�^Indennizzabilita�opere�realiz-
zate�in�ispregio�da�servitu�militari.�
Autorizzazione�(ex�art.�8�legge�898/76)�del�Comandante�territoriale�ad�

eseguire�opere�in�deroga�alle�limitazioni�imposte�suifondi�gravati�da�servitu�

militari:�natura�ed�effetti�(consultivo�6564/1999,�avvocato�G.�Lancia).�
�In�risposta�alle�note�4�dicembre�2002,�n.�6978/5152�e�4�dicembre�2002�

n.�6977/5187,�si�rappresenta�che�la�Scrivente�non�ravvisa,�nelle�fattispecie�
segnalate�con�gli�anzidetti�fogli,�elementi�tali�da�indurre�a�derogare�alla�
regola�indicata�nella�nota�19�settembre�2001�n.�101233�(le�opere�realizzate�in�
ispregio�ai�vincoli�di�servitu�militare�non�vanno�considerate�ai�fini�della�
determinazione�dell'indennizzo),�sicche�condivide�gli�intendimenti�espressi�
da�codesto�Ufficio.�
Per�quanto�concerne,�poi,�il�quesito�posto�con�la�nota�31�gennaio�2003�

n.�12/360/318�si�nota�che�ne�nel�decreto�ministeriale�Difesa�603/1993�ne�nel�
decreto�ministeriale�Difesa�690/1996�(entrambi�emanati�in�attuazione�del�
disposto�dell'art.�2�della�legge�n.�241/1990)�viene�fissato�un�termine�per�l'e-
missione�del�provvedimento�che�determina�l'indennizzo�da�corrispondere�ai�
proprietari�degli�immobili�assoggettati�a�servitu�militare�e�ne�ordina�il�paga-
mento;�sicche�detto�termine�deve�essere�ritenuto�di�trenta�giorni�decorrenti�
dalla�ricezione�da�parte�dell'Amministrazione�Militare�della�domanda�dell'in-
teressato�(art.�2�legge�n.�241/1990�e�art.�7�legge�n.�898/1976�il�quale�prevede�
che�la�corresponsione�dell'indennizzo�avvenga�a�domanda�dell'interessato).�
Per�quanto�concerne,�poi,�i�quesiti�posti�con�la�nota�31�maggio�2002�

n.�12/3342/3123,sinotachelaservitu�militaresisostanziainunveroeproprio�
ius�in�re�aliena�dell'Amministrazione�della�Difesa�comportante�limitazioni�al�
diritto�di�proprieta�sulla�cosa�gravata�di�servitu�;�e�l'autorizzazione�a�compiere�
opere�in�deroga�a�siffatte�limitazioni�non�e�assimilabile�alle�normali�autorizza-
zioni�richieste�dall'esistenza�di�un�mero�vincolo,�e�va�intesa,�invece,�come�prov-
vedimento�che�fa�venire�meno�(in�tutto�o�in�parte)�le�limitazioni�gia�imposte,�
riduttivo�(o�perfin�eliminatore)�quindi�del�diritto�dell'Amministrazione�e�quindi�
delvincoloaquestoconseguente(v.art.9leggen.�898/1976).Dunquel'autoriz-
zazione�non�e�un�provvedimento�che�permette�l'opera�in�presenza�di�vincolo�
che�permane�nonostante�l'autorizzazione,�quanto�piuttosto�un'eliminazione�
(totale�o�parziale)�del�vincolo�(dall'art.�8�legge�898/1976�si�evince�chiaramente�
che�l'�autorizzazione��del�comandante�territoriale�fa�venir�meno�in�tuttoin�
parte�le�limitazioni�imposte,�il��vincolo�).�
Giusta�quanto�precede�pare�da�escludere�che�per�le�opere�costruite�in�
ispregio�alle�limitazioni�derivanti�dalle�servitu�militari�trovi�applicazione�
l'art.�32�legge�47/1985�e�ad�affermare�che�debba�applicarsi�(anche�conforme-
mente�al�tenore�letterale�della�norma�appresso�citata)�il�disposto�dell'art.�33�
legge�cit.�(difatti�se�l'autorizzazione�fa�venir�meno�in�tutto�o�in�parte�la�limi-
tazione,�il�vincolo�derivante�dalla�servitu�,�senza�di�questa�il�vincolo�esiste�
incondizionato;�come�si�e�detto�l'autorizzazione�del�comandante�territoriale�
non�consente�un'opera�pur�in�presenza�di�vincolo;�ma�fa�s|�che�l'opera�stessa�
venga�a�porsi�fuori�dall'ambito�di�operativita�della�servitu�che�^per�effetto�
dell'autorizzazione�^viene�estinta�o�ridotta�nel�contenuto).�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Per�quanto�concerne�gli�ulteriori�quesiti�posti�con�la�summenzionata�
nota�31�maggio�2002,�si�osserva�che�ove�un�immobile�sia�stato�costruito�in�
ispregio�delle�limitazioni�imposte�da�servitu�militare�e�non�sia�stata�concessa�
e�non�si�voglia�concedere�autorizzazione�in�sanatoria�per�detto�abuso,�pare�
da�escludere�che�possa�concedersi�autorizzazione�in�sanatoria�di�opera�realiz-
zata�sul�ridetto�immobile�e�concretante�a�sua�volta�un'ulteriore�violazione�
(sia�pur�minore)�della�limitazione�derivante�dalla�ridetta�servitu�.�Difatti�l'ille-
gittimita�(che�sussiste�anche�se�non�sia�mai�stata�contestata)�rappresentata�
dall'abuso�consistito�nel�realizzare�l'immobile�(che�non�e�stata�sanata�e�non�
si�vuole�sanare)�osta�alla�possibilita�di�autorizzare�in�sanatoria�l'ulteriore�
(minore)�abuso�che�cade�su�oggetto�gia�di�per�se�abusivo�ed�e�condizione�suf-
ficiente�per�denegare�siffatta�autorizzazione�in�sanatoria.�Ne�va�sottaciuto�il�
rischio�che�stante�l'incompatibilita�della�sanatoria�dell'ulteriore�abuso�
(minore)�con�la�volonta�di�non�sanare�l'abuso�(principale)�consistito�nella�
realizzazione�dell'immobile,�l'autorizzazione�in�sanatoria�per�l'opera�abusiva�
realizzata�su�immobile�abusivamente�edificato�venga�ad�essere�ritenuta�^da�
un�giudice�che�venga�ad�occuparsi�della�vicenda�^come�comportante�auto-
rizzazione�in�sanatoria�implicita�dell'immobile�abusivamente�realizzato�sul�
quale�e�stata�realizzata�l'ulteriore�opera�abusiva.�

Appare�dunque�opportuno�che�le�domande�di�autorizzazione�in�sanato-
ria�di�opere�realizzate�abusivamente�su�immobile�abusivamente�realizzato�
(per�il�quale�non�e�stata�rilasciata�^e�non�si�intenda�rilasciare�^autorizza-
zione�in�sanatoria)�vengano�rigettate�(e,�cautelativamente,�appare�opportuno�
che�a�cio�si�proceda�nel�termine�di�centottanta�giorni�dalla�richiesta�di�cui�
all'art.�32�legge�n.�47/1985).�

Da�ultimo�si�nota�che�le�opere�realizzate�abusivamente�per�le�quali�sia�
stata�concessa�autorizzazione�in�sanatoria�rilevano�sicuramente�ai�fini�
della�riduzione�dell'indennizzo�ex 
art.�8�legge�n.�898/1976�e�parrebbe�
debbano�assumere�rilievo�ai�fini�della�determinazione�dell'indennizzo�per�
il�rinnovo�della�servitu�(arg.�ex 
art.�7,�quartultimo�comma,�legge�

n.�898/1976).�
Per�completezza�si�ribadisce�che�e�senz'altro�possibile�che�l'autorizza-
zione�ex 
art.�8�legge�n.�898/1976�venga�concessa�in�sanatoria�di�opera�gia�
realizzata�e�si�sottolinea�la�necessita�(al�fine�di�evitare�spese�superflue)�che�
si�proceda�all'immediata�revoca�di�servitu�militari�allorche�ci�si�avveda�che�
esse�non�rispondono�piu�ad�alcun�interesse�di�codesta�Amministrazione�.�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

A.G.S. 
^Parere 
del 
26 
agosto 
2002, 
n. 
87135 
^Procedura 
espropriativa 
(*).�
Valutazione�estimativa�dell'indennita�di�esproprio.�(consultivo�2388/02,�
Avvocato�T.�Varrone).�

�In�riscontro�alla�nota�del�28�gennaio�u.s.�con�la�quale�codesta�Avvo-
catura�distrettuale�ha�interessato�questo�G.U.�in�merito�alle�questioni�sot-
tese�alla�richiesta�dell'A.N.A.S.�circa�la�congruita�dell'indennita�che�inten-
derebbe�corrispondere�alle�societa�del�gruppo�X�per�l'espropriazione�delle�
aree�di�proprieta�di�alcune�di�esse�(omissis)�occorrenti�per�la�realizzazione�
della�nuova�S.S.�125��Orientale�Sarda��Tronco�S.�Priamo�Capo�Boi�si�rileva�
quanto�segue.�

In�fatto�risulta�pacificamente,�come�ricordato�da�codesta�Avvocatura,�
che�sulle�aree�in�questione�e�stato�allocato�un�insediamento�produttivo�costi-
tuito�da�un�impianto�di�produzione�di�conglomerato�bituminoso�(di�proprieta�
della�S.p.a.�(d)),�di�un�impianto�di�produzione�di�conglomerato�(di�proprieta�
della�(b)�S.r.l.)�e�di�un�impianto�di�frantumazione�inerti�(di�proprieta�della�

(c)�S.r.l.).�Per�quanto�qui�rileva�occorre�altres|�ricordare�che�a�seguito�dei�
chiarimenti�richiesti�da�codesta�Avvocatura�distrettuale�all'A.N.A.S.�e�
emerso�che�l'impianto�di�produzione�dei�conglomerati�cementizi�di�proprieta�
della�(b)�S.r.l.�e�l'impianto�di�produzione�dei�conglomerati�bituminosi�di�pro-
prieta�della�(d)�S.p.a.�sono�entrambi�ubicati�su�terreni�concessi�in�locazione�
dalla�(a)�S.r.l.�(omissis),�mentre�gli�impianti�di�estrazione�e�di�frantumazione�
degli�inerti�di�proprieta�della�(c)�S.r.l.�sono�ubicati�su�terreni�di�proprieta�
della�stessa�societa�(omissis).�

Siffatta�situazione�ha�evidentemente�creato�notevoli�difficolta�all'Ente�
nel�momento�in�cui�si�e�trattato�di�determinare�il�dovuto�per�l'ablazione�delle�
aree�occorrenti�per�la�realizzazione�dell'opera�pubblica.

E�indubbio�infatti�che�in�conseguenza�del�programmato�esproprio�non�
solo�la�(c)�S.r.l.�e�la�(a)�S.r.l.�verranno�a�perdere�la�proprieta�delle�aree�di�
sedime�di�loro�proprieta�ma�diverra�impossibile�la�prosecuzione�delle�attivita�
imprenditoriali�svolte�dalla�(c)�S.r.l.�dalla�(b)�S.r.l.�e�dalla�(d)�S.p.a.,�per�di�
piu�in�stretta�interconnessione�fra�loro�(il�complesso�infatti�e�strutturato�in�
modo�tale�che�le�tre�societa�contribuiscono�ciascuna�in�una�ben�precisa�e�
distinta�fase�alla�realizzazione�di�un�unico�ciclo�produttivo).

E�chiaro,�pertanto,�che�le�predette�societa�si�vedranno�costrette�a�spo-
stare�i�propri�impianti�in�altro�sito,�cio�che�comportera�evidentemente�note-
voli�costi�sia�per�quanto�attiene�al�reperimento�di�un'area�adatta�allo�scopo�
e�allo�spostamento�su�di�essa�del�complesso�industriale,�sia�in�ragione�del�
fatto�che�a�causa�del�trasferimento�occorrera�comunque�cessare�per�un�certo�
lasso�di�tempo�l'attivita�produttiva�continuando�a�sostenere�notevoli�costi�
fissi�(manodopera�ecc.).�

Per�tali�motivi�l'Ente�dopo�una�prima�estimazione�dell'indennita�che�era�
stata�reputata�assolutamente�insufficiente�dalle�controparti�ha�provveduto�a�
ricalcolare�il�dovuto.�

(*)�Parere�di�rilievo�reso�dall'Avvocatura�generale�in�via�ordinaria.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

A�quanto�e��dato�desumere�dalla�documentazione�trasmessa�da�codesta�
Avvocatura�le�risultanze�della�seconda�relazione�di�stima�(L.�3.062.975.304)�
sono�di�gran�lunga�superiori�a�quanto�inizialmente�si�era�inteso�offrire�alle�
controparti�(L.�932.039.100).�In�merito�alla�suddetta�seconda�estimazione�si�
e��chiesto�di�conoscere�l'avviso�di�codesta�Avvocatura�distrettuale�che�ha�rite-
nuto�di�interessare�la�scrivente.�

Cio��premesso,�il�problema�che�essenzialmente�pone�nel�caso�di�specie�
concerne�la�determinazione�dell'indennita��di�espropriazione�quando�sugli�
immobili�che�ne�fossero�oggetto�sia�stata�insediata�una�azienda,�problema�
che�si�risolve�in�quello�se�l'indennita��debba�tenere�conto�ed�in�che�termini�
anche�del�pregiudizio�che�l'espropriazione�arreca�per�il�fatto�di�rendere�
impossibile�l'ulteriore�esercizio�dell'attivita��commerciale�o�industriale�gia��
svolta�negli�immobili�spropriati.�

Orbene�in�via�di�principio�e��da�osservare�che�eccettuata�la�specifica�ipo-
tesi�contemplata�dall'art.�17,�comma�secondo,�della�legge�n.�865/1971�(con-
cernente�i�suoli�su�cui�sono�insediati�i�coltivatori�diretti)�non�prevede�in�alcun�
modo�che�all'imprenditore�spetti�un'indennita��per�il�fatto�di�vedere�dissolta�
l'organizzazione�aziendale�di�cui�costituiva�elemento�il�diritto�di�godimento�
sull'immobile�espropriato.�

La�questione,�dunque,�va�affrontata�e�risolta�esclusivamente�alla�luce�di�
quanto�desumibile�dai�principi�generali�in�tema�di�espropriazione�per�causa�
di�pubblica�utilita��desumibili�dalla�legge�n.�2359/1865.�

Orbene,�come�esattamente�osserva�codesta�Avvocatura�distrettuale�dagli�
art.�27�e�32�della�suddetta�legge�si�ricava�la�regola�generale�che�l'indennita��
di�espropriazione�e��unica,�con�cio��intendendosi�che�su�questa�(e�solo�su�que-
sta)�deve�trovare�soddisfazione�la�pretesa�di�coloro�che,�gia��titolari�di�un�
diritto�di�godimento�sul�bene�espropriato,�vengono�a�risentire�un�pregiudizio�
per�effetto�dell'estinzione�di�quel�diritto,�pure�provocata�dall'espropriazione.�

Altra�regola�generale,�pure�ricordata�da�codesta�Avvocatura,�e��che�l'inden-
nita��e��destinata�a�tener�luogo�del�bene�espropriato,�si�che�non�puo��superare�il�
valore�che�esso�presenta,�in�considerazione�della�sua�concreta�destinazione,�cioe��
il�valore�che�il�proprietario�ne�ritrarrebbe�se�decidesse�di�porlo�sul�mercato�
(art.�39�legge�n.�2359/1865).�In�ragione�di�cio��,come�e��stato�piu��volte�ribadito�
in�giurisprudenza,��l'unica�indennita��va�rapportata�a�come�il�bene�si�presenta,�
prescindendo�dalla�considerazione�dei�soggetti�aventi�diritto�a�soddisfarsi�su�di�
essa�per�il�pregiudizio�che�l'espropriazione�arreca�loro,�mentre�la�parte�di�inden-
nita��dovuta�ai�titolari�di�diritti�di�godimento,�in�quanto�incide�sull'unica�inden-
nita��,�diminuisce�la�parte�di�questa�di�pertinenza�del�bene�(confr.�Corte�cost.,�
9�novembre�1988,�n.�1022�e�Cass.,�SS.UU.,�sent.�n.�5609/1998).�

Come�e��stato�acutamente�osservato�dalla�miglior�dottrina�formatasi�in�
subiecta�materia�(�il�riferimento�esclusivo�fatto�dalla�norma�suddetta�al�
valore�dell'immobile�espropriato�non�consente�valutazioni�diverse�da�quelle�
che�ineriscono�strettamente�al�suolo�o�alla�costruzione:�quindi,�non�possono�
computarsi�nell'indennita��il�danno�derivato�dalla�perdita�dell'attivita��svolta�
su�(o�in)�essi,�ne�altri�pregiudizi�di�carattere�personale�e�indiretto�subiti�dall'e-
spropriato�(cfr.Vignale,Espropriazione�per�pubblica�utilita�e�occupazione�
illegittima,�Napoli,�IV�ed.�1998,�265�e�s.s.).�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

Alla�stregua�di�quanto�dottrina�e�giurisprudenza�hanno�avuto�modo�di�
precisare�e�possibile�dunque�formulare�una�prima�conclusione�che�assume�
particolare�rilievo�con�riferimento�al�caso�di�specie.�La�valutazione�estima-
tiva�dell'indennita�di�esproprio�da�corrispondere�alla�(c)�S.r.l.�e�alla�(a)�S.r.l.,�
societa�proprietarie�delle�aree�che�l'ANAS�intende�espropriare,�va�fatta�con-
siderando�il�valore�venale�dei�terreni�in�ordine�ai�quali�in�verita�dalla�docu-
mentazione�trasmessa�a�questo�G.U.�nulla�e�dato�desumere,�atteso�che�i�cal-
coli�effettuati�dall'ANAS�riguardano�tutti�la�consistenza�dei�vari�compendi�
aziendali�insediati�su�di�esse,�il�fatturato�medio�annuo�da�ciascuna�impresa�
realizzato,�l'utile�medio�annuo,�l'ammortamento�medio�annuo,�le�spese�gene-
rali�medie�e�l'indennizzo�per�lo�spostamento�degli�impianti�della�(c)�S.r.l.�e�
dell'(d)�S.p.a.�(suddiviso�in�tre�distinte�sottovoci:�acquisizione�delle�aree,�
opere�di�scavo�e�civili,�progettazione�esecutiva�direzione�dei�lavori�
coordinamento�decreto�legislativo�n.�494/1996,�e�delle�costruzioni�che�stabil-
mente�sussistono�sui�terreni�da�espropriare�(cfr.�in�tal�senso�anche�
SS.UU.�n.�1465/1977).�

In�ordine�a�queste�ultime,�la�Scrivente�non�e�in�grado�di�esprimere�
alcuna�valutazione�atteso�che�dalla�documentazione�fatta�pervenire�non�e�
dato�ricostruire�le�caratteristiche�di�ciascun�compendio�aziendale�al�fine�di�
verificare�se�sulle�aree�insistono�costruzioni�che�le�societa�non�potranno�spo-
stare�nella�nuova�area�in�cui�dovra�essere�situato�il�complesso�industriale.�
Ad�ogni�buon�conto�si�reputa�opportuno�segnalare�che�le�SS.UU.�della�
Suprema�Corte�proprio�nella�sentenza�n.�5609/1998,�che�i�legali�del�gruppo�
citano�a�sostegno�delle�pretese�avanzate�dalle�loro�assistite,�hanno�chiarito�
che��quando�sull'immobile�espropriato�siano�stati�costruiti�edifici�ed�instal-
late�attrezzature,�al�fine�di�imprimergli�^in�tutto�o�in�parte�^una�destina-
zione�industriale,�l'espropriazione�dell'immobile�si�estende�anche�a�tutto�
quanto�vi�si�presenti�stabilmente�impiantato;�e,�per�la�parte�in�cui�gli�immo-
bili�espropriati�presentano�destinazione�industriale,�essi�debbono�essere�in�
tal�modo�valutati,�per�stabilirne�il�valore�venale,�nell'ambito�in�cui�cio�rilevi�
ai�fini�del�criterio�indennitario�applicabile��mentre��il�fatto�che,�estinto�il�
diritto�di�proprieta�,�e�quindi�il�minore�diritto�di�godimento,�risulti�impedito�
sul�luogo�l'ulteriore�svolgimento�dell'impresa�che�utilizzava�gli�immobili�per�
fornire�i�propri�servizi,�non�comporta�che�l'espropriazione�si�estenda�al�
diritto�dell'imprenditore,�ne�comporta�che�sia�acquisita�all'espropriante�
l'azienda�organizzata�dall'imprenditore,�si�che�il�valore�del�bene�espropriato�
debba�comprendere�quello�dell'azienda�.�

Ad�avviso�della�Scrivente�le�indicazioni�offerte�dalle�SS.UU.�appaiono�
chiarissime:�l'indennita�di�esproprio�deve�ristorare�la�perdita�sofferta�in�con-
seguenza�dell'ablazione�da�parte�della�P.A.�dell'area�sulla�quale�dovra�essere�
realizzata�l'opera�pubblica�e�dei�beni�insistenti�su�di�essa,�che�non�e�possibile�
rimuovere�e/o�asportare,�senza�che�possa�assumere�alcun�rilievo�il�fatto�che�
gli�stessi�costituiscono�parte�di�un�complesso�aziendale�che�in�conseguenza�
dell'esproprio�dovra�cessare�integralmente�ovvero�per�un�determinato�lasso�
di�tempo,�la�propria�attivita�.�Naturalmente�nel�calcolare�il�valore�commer-
ciale�dei�predetti�beni�occorrera�tener�conto�delle�loro�caratteristiche�intrinse-
che�e,�sotto�tale�profilo,�la�circostanza�che�si�tratta�di�beni�strumentali�all'e-
sercizio�di�attivita�produttiva�assumera�ovviamente�valore�decisivo.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Ad�avviso�della�Scrivente,�al�fine�di�provvedere�all'esatto�computo�del-
l'indennita�dovuta�dall'ANAS,�occorrera�procedere�a�una�completa�ricogni-
zione�delle�caratteristiche�degli�impianti�della�(c)�S.r.l.�e�della�(d)�S.p.a.�(che�
occorrera�spostare)�onde�verificare�se�gli�stessi�siano�composti�anche�di�
costruzioni�che�non�possono�essere�rimosse�ed�asportate�e�che�in�quanto�tali,�
devono�considerarsi�ricomprese�nell'oggetto�del�provvedimento�ablatorio�e�
devono�essere�computate�nel�dovuto�a�titolo�di�indennita�.�

In�relazione�a�tale�specifico�profilo�si�ricorda�che,�come�e�stato�chiarito�
in�dottrina�e�in�giurisprudenza,�la�valutazione�degli�impianti�industriali�puo�
essere�fatta�in�base�al�costo�di�ricostruzione�degli�impianti�stessi,�diminuito�
di�una�percentuale�di�deprezzamento�commisurata�allo�stato�di�conserva-
zione�dei�beni�(cfr.�Vignale, 
Espropriazione�per�pubblica�utilita�e�
occupazione�illegittima,�Napoli�IV�ed.,�1998,�266;�e�Cons.�Stato,�Sez.�II,�
23�gennaio�1980,�n.�212).�

Alla�stregua�di�quanto�sin�qui�si�e�andati�osservando�la�Scrivente�non�
puo�che�esprimersi�in�modo�parzialmente�negativo�in�merito�alla�valutazione�
estimativa�effettuata�dall'ANAS�e�cio�in�relazione�alla�metodologia�seguita�
per�il�computo�del�dovuto.�Infatti�dall'esame�dei�parametri�adoperati,�chesi�
sono�in�precedenza�ricordati,�si�evince�con�estrema�chiarezza�che�si�e�inteso�
calcolare�l'indennita�considerando�anche�il�pregiudizio�che�le�societa�del�
gruppo�avranno�a�soffrire�a�causa�della�temporanea�inattivita�aziendale.�

Invero�come�la�Suprema�corte�ha�avuto�modo�di�precisare��dalla�regola�
dettata�dall'art.�40�della�legge�n.�2359�del�1865�in�tema�di�espropriazione�par-
ziale�si�desume�il�principio�per�cui�nell'indennita�va�ricompresso�il�ristoro�
del�pregiudizio�che�l'espropriazione�arreca,�in�rapporto�ad�attrezzaturee�
macchinari�ed�in�genere�alle�cose�non�comprese�nell'espropriazione,�per�il�
fatto�che�non�possono�essere�in�altro�modo�utilizzati�.�

In�ragione�di�cio�ritiene�la�scrivente�che�se�da�un�lato�nell'indennita�da�
corrispondersi�occorrera�computare�le�spese�che�le�societa�(rectius�alcune�di�
esse)�dovranno�affrontare�per�lo�spostamento�degli�impianti,�nell'ambito�
delle�quali�si�possono�far�rientrare�anche�le�quote�di�ammortamento�degli�
impianti�e�le�spese�fisse,�trattandosi�indubbiamente�di�costi�connessi�all'im-
possibilita�di�utilizzare�apparecchiature,�macchinari�e�mano�d'opera�nel�lasso�
di�tempo�occorrente�al�trasferimento�dei�compendi�aziendali,�non�sembra�
invece�possa�tenersi�conto�dell'utile�medio�annuo�e�dell'indennita�di�avvia-
mento.�Invero�le�predette�voci�attengono�ai�riflessi�indiretti�dell'espropria-
zione�che�imponendo�lo�spostamento�del�complesso�industriale�(o�meglio�di�
parte�di�esso)�determinera�il�fermo�per�l'arco�di�tempo�occorrente�a�rico-
struire�gli�insediamenti�produttivi�accessori�per�l'espletamento�dell'attivita�
industriale.�Come�si�intuisce�trattasi�di�un�pregiudizio�ulteriore�e�diverso�
rispetto�a�quello�derivante�dall'ablazione�della�proprieta�dell'area,�del�sopras-
suolo,�inteso�come�insieme�di�beni�non�asportabili�e/o�rimuovibili�e�dei�costi�
connessi�alle�operazioni�di�trasferimento�degli�impianti�e�all'impossibilita�
della�loro�utilizzazione.�

Di�cio�d'altronde�le�controparti�sembrano�consapevoli�se�e�vero�che�a�
fondamento�delle�loro�pretese�richiamano�non�tanto�e�non�solo�il�disposto�
del�ricordato�art.�40�legge�n.�2359/1865�quanto�la�regola�desumibile�dal-
l'art.�46�della�medesima�legge.�


I 
PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIVO 


Ma 
tale 
richiamo, 
ad 
avviso 
di 
questo 
G.U., 
si 
appalesa 
del 
tutto 
incon-
ferente 
rispetto 
alla 
fattispecie 
qui 
considerata. 


Invero 
la 
suddetta 
norma 
prevede 
che 
la 
P.A. 
espropriante 
deve 
cor-
rispondere 
�una 
indennita� 
ai 
proprietari 
dei 
fondi, 
i 
quali 
dall'esecuzione 
dell'opera 
di 
pubblica 
utilita� 
vengano 
gravati 
di 
servitu� 
, 
o 
vengano 
a 
sof-
frire 
un 
danno 
permanente 
derivante 
dalla 
perdita 
o 
dalla 
diminuzione 
di 
un 
diritto. 


Come 
si 
desume 
agevolmente 
e 
come 
e� 
stato 
chiarito 
dalla 
giurispru-
denza 
formatasi 
in 
applicazione 
della 
stessa 
la 
norma 
in 
questione 
concerne 
solo 
ed 
esclusivamente 
l'ipotesi 
del 
pregiudizio 
sofferto 
dal 
proprietario 
di 
un 
fondo 
limitrofo 
all'area 
espropriata 
in 
conseguenza 
della 
perdita 
ovvero 
della 
limitazione 
di 
alcune 
delle 
facolta� 
connesse 
al 
suo 
diritto 
dominicale 
(cfr. 
ex 
multis 
Cass. 
7210/1998 
ove 
e� 
precisato 
che 
�ai 
fini 
del 
riconoscimento 
dell'indennizzo 
in 
oggetto, 
devono 
sussistere 
le 
tre 
condizioni, 
consistenti 
nel-
l'attivita� 
lecita 
dalla 
P.A., 
nell'imposizione 
di 
una 
servitu� 
o 
nella 
produzione 
di 
un 
danno 
avente 
carattere 
permanente 
(che 
si 
concreti 
nella 
perdita 
o 
diminuzione 
di 
un 
diritto), 
del 
senso 
di 
causalita� 
tra 
l'esecuzione 
dell'opera 
pubblica 
ed 
il 
danno 
(Cass., 
12 
dicembre 
1996, 
n. 
11080). 
Quanto, 
poi, 
alla 
posizione 
soggettiva 
cui 
deve 
avere 
riguardo 
per 
individuare 
il 
diritto 
all'in-
dennizzo 
ai 
sensi 
del 
e 
citato 
art. 
46 
essa 
e� 
quella 
che 
deriva 
dal 
rapporto 
tra 
il 
proprietario 
ed 
il 
bene 
contiguo 
all'opera 
pubblica 
realizzata 
(Cass., 
16 
maggio 
1996, 
n. 
4561). 


Prescindendo 
da 
ogni 
questione 
afferente 
alla 
permanenza 
del 
danno 
che 
pure, 
come 
si 
e� 
visto, 
la 
Suprema 
Corte 
include 
fra 
le 
condizioni 
che 
devono 
sussistere 
per 
riconoscere 
l'indennita� 
di 
cui 
alla 
norma 
in 
questione, 
e� 
di 
tutta 
evidenza 
che 
la 
fattispecie 
qui 
considerata 
riguarda 
solo 
ed 
esclusi-
vamente 
i 
pregiudizi 
derivati 
o 
beni 
contigui 
all'area 
oggetto 
dell'esproprio 
in 
vista 
della 
realizzazione 
dell'opera 
pubblica, 
e 
tutela 
solo 
ed 
esclusiva-
mente 
i 
proprietari 
di 
detti 
beni. 


Nel 
caso 
qui 
considerato, 
invece, 
i 
beni 
che 
avrebbero 
a 
soffrire 
il 
pregiu-
dizio 
di 
cui 
si 
reclama 
l'indennizzo 
si 
trovano 
sulle 
aree 
da 
espropriare 
e 
per 
giunta 
solo 
una 
delle 
tre 
societa� 
e� 
proprietaria 
dell'area 
su 
cui 
e� 
situatoilpro-
prio 
complesso 
aziendale. 
Non 
sembra, 
dunque, 
sussistere 
alcuna 
delle 
con-
dizioni 
in 
presenza 
delle 
quali 
la 
suddetta 
norma 
puo� 
trovare 
applicazione. 


Conclusivamente 
ritiene 
la 
Scrivente 
che 
la 
valutazione 
estimativa 
effet-
tuata 
dall'ANAS 
non 
sia 
congrua 
almeno 
nella 
parte 
in 
cui 
ricomprende 
fra 
voci 
da 
considerare 
ai 
fini 
del 
computo 
del 
dovuto 
l'utile 
medio 
e 
l'indennita� 
di 
avviamento�. 



RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

A.G.S. 
^Parere 
del 
19 
marzo 
2003, 
n. 
31394. 
^Danno 
ambientale 
(*).�
Danno 
ambientale 
^Ripristini 
e 
risarcimenti 
conseguenti 
(consultivo�
n.�10261/02,�avvocato�A.�De�Stefano).�
�1.�^(omissis) 
codesta�Amministrazione�rappresenta�di�aver�avviato�un�
articolato�studio�sulle�tematiche�riguardanti�il�danno�ambientale�e�le�conse-
guenti�azioni�risarcitorie,�e�di�aver�individuato�i�seguenti�filoni�di�ricerca�fon-
damentali:�
a) 
definizione�della�nozione�di�danno�ambientale,�alla�stregua�della�

normativa�vigente;�

b) 
criteri�di�quantificazione�del�danno�ambientale;�

c) 
determinazione�delle�procedure�da�adottare,�tenendo�conto�della�
ripartizione�delle�competenze�amministrative�tra�Stato,�Regioni�ed�Enti�
locali;�dell'organizzazione�interna�del�Ministero�e�del�rapporto�con�i�suoi�
Enti�strumentali;�dell'esigenza�di�raccordare�le�iniziative�e�le�attivita�della�
Pubblica�Amministrazione�con�l'azione�delle�Procure�della�Repubblica�nel�
caso�in�cui�il�fatto�illecito�dannoso�assuma�rilevanza�penale.�

Dopo�aver�individuato�le�principali�fonti�normative�(internazionali,�comu-
nitarie�e�nazionali)�che�disciplinano�varie�tipologie�di�danni�ambientali,�codesta�
Amministrazione�ha�chiesto�a�questa�Avvocatura�di�suggerire�le�metodologie�ed�
i�procedimenti�che�possano�assicurare,�nel�quadro�di�una�generale�riorganizza-
zione�di�codesto�Ministero�ed�attraverso�il�confronto�con�tutti�gli�Enti�pubblici�
interessati,�il�piu�efficiente�monitoraggio�delle�situazioni�in�atto�e�la�promozione�
delle�piu�opportune�azioni�risarcitorie,�in�sinergia�con�tutte�le�altre�Amministra-
zioni�ed�Enti�(Ente�Parchi,�Regioni,�Ministeri�della�Sanita�,�dei�Beni�Culturali�e�
Ambientali,�Ministero�delle�Infrastrutture)�aventi�competenza�in�materia�ed�
attraverso�la�cooperazione�di�tutti�gli�Organi�ausiliari�e�di�tutte�le�strutture�opera-
tive�presenti�sul�territorio�(Agenzia�Nazionale�per�la�Protezione�dell'Ambiente;�
Corpo�Forestale�dello�Stato,�articolato�in�Coordinamenti�Territoriali�per�l'Am-
biente;�Agenzie�regionali�per�l'ambiente;�Dipartimento�dei�Servizi�Tecnici�Nazio-
nali�della�Presidenza�del�Consiglio�dei�Ministri,�cui�afferiscono�in�particolar�
modo�il�Servizio�Idrografico�Nazionale�ed�il�Servizio�Geologico�Nazionale).�

A�corredo�della�richiesta�di�parere,�codesta�Amministrazione�ha�fatto�
pervenire�una�copia�delle�relazioni�elaborate�da�un�gruppo�di�lavoro�apposi-
tamente�costituito�per�approfondire�le�tematiche�fondamentali�della�materia,�
con�specifico�riferimento�ai�tre�filoni�di�ricerca�innanzi�specificati�(nozione�
di�danno�ambientale;�criteri�di�quantificazione�del�danno;�determinazione�
delle�procedure�da�adottare�per�il�perseguimento�delle�responsabilita�).�

2.�^L'ampiezza�delle�questioni�prospettate�impone�a�questa�Avvoca-
tura�di�limitarsi�allo�svolgimento�di�alcuni�sintetici�spunti�di�riflessione,�in�
un'ottica�strettamente�giuridica.�
I�temi�prospettati�potranno�costituire�oggetto�di�successivo�approfondi-
mento,�su�specifica�richiesta�di�codesta�Amministrazione.�

(*)�Parere�di�rilievo,�reso�dall'Avvocatura�generale�in�via�ordinaria.�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

Rimangono�invece�estranee�alle�competenze�ed�alle�valutazioni�di�questa�
Avvocatura�le�considerazioni�che�prescindono�dall'analisi�delle�norme�che�
disciplinano�la�materia�e�che�potrebbero�interessare�scienze�ausiliarie�o�con-
correnti,�come�la�biologia,�la�sanita�,�la�sociologia,�l'urbanistica�e�l'edilizia.�

Infatti,�la�tutela�ambientale,�pur�trovando�in�queste�discipline�il�proprio�
presupposto�ed�il�proprio�fondamento,�assume�rilievo�giuridico�nella�misura�
in�cui�si�traduce�in�norme�di�legge�che�definiscono�le�facolta�,�i�divieti�ed�i�
limiti�dell'azione�umana,�in�funzione�della�protezione�degli�elementi�naturali�
in�cui�essa�si�svolge�ed�al�fine�di�favorire�il�piu�armonico�esercizio�delle�varie�
possibili�attivita�ed�il�piu�equilibrato�utilizzo�delle�risorse�disponibili.�

Rimangono�altres|�estranee�alla�presente�trattazione�le�questioni�che�
riguardano�l'organizzazione�dell'apparato�pubblico�e�l'organizzazione�
interna�di�codesto�Ministero,�allo�scopo�di�assicurare�l'efficienza�degli�
interventi,�il�coordinamento�degli�interventi�ed�il�rispetto�delle�autonomie�
locali.�L'individuazione�dei�moduli�organizzatori�piu�idonei�al�raggiungi-
mento�degli�obiettivi�prefissati�rientra�infatti�nell'ambito�dell'attivita�
amministrativa�e�di�governo,�che�peraltro�potra�essere�esercitata�piu�effica-
cemente,�ove�meglio�si�chiariscano�le�problematiche�suscitate�nell'attuale�
contesto�normativo.�

3.�^Giova�preliminarmente�precisare,�anche�se�per�brevi�cenni,�la�
nozione�di��ambiente��offerta�dalla�legislazione�vigente.�Cio�consentira�di�
meglio�individuare�gli�specifici�settori�interessati�dalle�problematiche�ambien-
tali,�l'ambito�di�estensione�dei�principi�generali�della�materia,�le�fonti�norma-
tive�di�interesse,�le�esigenze�di�coordinamento�tra�gli�Enti,�le�Amministra-
zioni�e�gli�Uffici�competenti�su�tematiche�investite�dai�problemi�ambientali,�
e�la�tipologia�delle�situazioni�di�pericolo�o�di�danno�che�possano�giustificare�
il�ricorso�a�strumenti�amministrativi�o�giurisdizionali�di�tutela.�
L'analisi�terminologica�consentira�di�rilevare�la�complessita�del�sistema�
di�tutela�ambientale�previsto�dall'attuale�ordinamento�giuridico�e�la�difficolta�
dei�problemi�di�coordinamento�che�si�determinano�sul�piano�amministrativo.�

L'uso�del�termine��ambiente��nella�legislazione�vigente�manifesta�infatti�
una�pluralita�di�aspetti�semantici�e�di�profili�contenutistici,�ai�quali�corri-
sponde�una�molteplicita�di�interessi�ed�esigenze�pubbliche,�di�interventi�e�di�
competenze.�

Il�termine��ambiente��viene�inizialmente�utilizzato�per�indicare�una�bel-
lezza�paesaggistica�avente�valenza�estetico-culturale,�che�per�un�verso�costi-
tuisce�oggetto�di�valorizzazione,�nell'ambito�della�piu�ampia�categoria�dei�
beni�di�interesse�storico�ed�artistico�(artt.�9�e�16,�r.d.�3�giugno�1940,�n.�1443;�

d.l.�14�dicembre�1974,�n.�657,�conv.�con�legge�29�gennaio�1975,�n.�5;�d.P.R.�
3�dicembre�1975,�n.�805;�art.�82,�d.P.R.�24�luglio�1977,�n.�616;�d.l.�3�agosto�
1985,�n.�431,�conv.�nella�legge�3�agosto�1985,�n.�431),�e�per�un�altro�verso�rap-
presenta�un�limite�ad�un�parametro�di�riferimento�per�lo�svolgimento�dell'at-
tivita�edilizia�ed�urbanistica�(art.�3,�legge�6�agosto�1967,�n.�765;�art.�1,�legge�
19�novembre�1968,�n.�1187;�art.�9,�d.P.R.�15�gennaio�1972,�n.�8).�
Altrove�il�termine��ambiente��e�utilizzato�come�sinonimo�di�luogo�
salubre,�che�garantisca�il�rispetto�della�salute�dei�cittadini�(artt.�6�e�13,�

d.P.R.�14�gennaio�1972,�n.�4;�art.�27�ed�artt.�101�d.P.R.�24�luglio�1977,�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

n.�616;�artt.�2,�4,�14,�20,�21,�22�e�24,�legge�23�dicembre�1978,�n.�833).�In�altri�
casi�ancora�esso�indica�i�diversi�elementi�naturali�(atmosfera,�acqua,�suolo),�
nei�quali�si�sviluppano�forme�di�vita�dell'uomo�e�delle�diverse�specie�ano-
mali�e�vegetali�(d.P.R.�13�febbraio�1964,�n.�185;�legge�1�aprile�1968,�n.�503;�
artt.�66,�71�e�83,�d.P.R.�24�luglio�1977,�n.�616;�d.P.R.�10�settembre�1982,�
n.�915,�attuativo�della�direttiva�CEE�15�luglio�1975,�n.�442;�legge�31�dicem-
bre�1982,�n.�979).�
Analoga�varieta�di�significati�si�rinvengono�negli�Statuti�regionali,�nei�
quali�si�evidenzia�talvolta�l'aspetto�paesaggistico-culturale�(art.�5�St.�Basili-
cata;�art.�5�St.�Campania;�art.�45�St.�Lazio;�art.�3�St.�Emilia-Romagna;�
art.�4�St.�Veneto),�talvolta�quello�igienico-sanitario�(art.�3�St.�Lombardia;�
art.�7�St.�Marche),�talvolta�quello�ecologico�e�naturalistico�(art.�5�St.�Cam-
pania;�art.�3�St.�Emilia-Romagna;�art.�4�St.�Puglia;�art.�4�St.�Liguria;�
art.�4�St.�Veneto).�

Alla�pluralita�degli�aspetti�semantici�corrisponde�una�notevole�diversita�
di�problematiche�e�di�competenze.�

Da�essi�si�evince�che�le�questioni�ambientali�interessano�una�grande�
varieta�di�materie�e�di�discipline,�come�le�attivita�culturali,�l'urbanistica�e�l'e-
dilizia,�la�sanita�,�il�turismo,�l'agricoltura,�la�caccia�e�la�pesca,�le�attivita�pro-
duttive,�i�lavori�pubblici�e�le�infrastrutture,�le�comunicazioni.�

In�alcuni�casi�gli�interessi�ambientali�si�conciliano�armonicamente�con�
altre�politiche�di�settore�(si�pensi,�ad�esempio,�alla�tutela�dei�beni�culturali,�
allo�sviluppo�turistico,�alla�sanita�pubblica,�che�normalmente�esigono�la�
tutela�dell'ambiente,�nelle�varie�accezioni�sopra�richiamate).�In�altri�casi,�
invece,�le�esigenze�di�tutela�ambientale�si�pongono�in�termini�antagonistici�
rispetto�ad�altri�interessi,�pubblici�o�privati,�e�costituiscono�percio�un�limite�
al�godimento�dei�diritti�patrimoniali�ed�all'esercizio�di�altre�attivita�economi-
che�e�produttive,�legittimando�vincoli�allo�sviluppo�urbanistico,�limitazioni�
allo�sversamento�di�emissioni�inquinanti,�regolamentazioni�dello�smalti-
mento�dei�rifiuti,�imposizione�di�misure�di�salvaguardia�nell'esecuzione�dei�
lavori�pubblici�e�nel�rilascio�di�concessioni.�

Risulta�evidente,�da�questi�brevi�cenni,�che�le�tematiche�ambientali�inve-
stono�trasversalmente�ampi�settori�della�vita�civile�ed�incidono�variamente�
talvolta�in�funzione�concorrente,�talvolta�in�termini�antagonistici�e�conflit-
tuali�sulle�loro�dinamiche.�

Le�relative�materie�rientrano�peraltro�in�parte�nelle�sfere�di�competenza�
di�diverse�Amministrazioni�statali,�ed�in�parte�delle�Regioni�e�degli�Enti�
locali,�in�base�ai�principi�costituzionali�(cfr.�artt.�117�e�118�Cost.)�ed�alle�leggi�
di�decentramento�autonomistico�emanate�nel�tempo.�

Da�cio�deriva�la�dedotta�frammentarieta�delle�norme�di�tutela�ambien-
tale�contenute�nelle�varie�leggi�di�settore�e�la�difficolta�a�ricondurre�in�una�
dimensione�unitaria�e�coerente�l'attivita�amministrativa�diretta�a�salvaguar-
dare�l'ambiente,�nelle�varie�accezioni�e�significati�innanzi�delineati.�

4.�^La�legge�istitutiva�di�codesto�Ministero�(legge�8�luglio�1986,�n.�349)�
esprime�la�tendenza�legislativa�a�superare�la�logica�degli�interventi�parziali�e�
settoriali�per�la�protezione�del�paesaggio,�per�la�salubrita�dei�luoghi�e�per�la�
salvaguardia�degli�elementi�naturalistici,�e�ad�assumere�una�visione�globale�

I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

ed�unificante�delle�tematiche�ambientali�(in�questo�senso,�Corte�Cost.,�
28�maggio�1987,�n.�210,�in�Foro 
it.,�1988,�I,�330;�Cass.,�sez.�III�penale,�
28�ottobre�1993,�n.�9727).�In�questo�contesto,�maturato�in�seguito�ai�crescenti�
dissesti�provocati�dalla�espansione�urbana�e�dallo�sviluppo�industriale�e�favo-
rito�dalla�maggiore�sensibilita�sociale�per�i�temi�che�incidono�sulla�qualita�
della�vita,�l'ambiente�e�considerato�sempre�piu�come�l'insieme�degli�elementi�
nei�quali�si�esplicano�le�attivita�dell'uomo�ed�individua�un�bene�pubblico�
immateriale�(in�tal�senso,�Corte�cost.,�30�dicembre�1987,�n.�641;�Cass.,�Sez.�
Unite,�25�gennaio�1989,�n.�440,�in�Foro 
it.,�1990,�I,�232�ss.),�con�il�quale�
devono�compararsi�e�confrontarsi�le�singole�utilita�derivanti�dal�progresso�
tecnologico�e�dalle�esigenze�dell'economia.�

La�tutela�di�tale�bene�consiste�nella�conservazione�dei�caratteri�naturali�
che�consentono�il�piu�equilibrato�rapporto�della�persona�con�il�mondo�circo-
stante�ed�il�piu�armonico�sviluppo�delle�varie�specie�animali�e�vegetali,�e�
nella�preservazione�dei�fattori�inquinanti�ed�aggressivi�che�possono�compro-
mettere�il�suo�equilibrio,�con�pregiudizio�dei�suoi�valori�estetico-culturali,�
delle�condizioni�igienico-sanitarie�nei�luoghi�di�vita�e�di�lavoro,�del�patrimo-
nio�biologico,�delle�utilita�economiche�derivanti�dall'amenita�paesaggistica�e�
della�salubrita�del�territorio,�la�tutela�dell'ambiente�consiste�percio�nella�indi-
viduazione�delle�compatibilita�tra�lo�svolgimento�delle�varie�attivita�antropi-
che�e�la�protezione�della�natura,�nel�rispetto�dei�principi�generali�desumibili�
dagli�artt.�2,�3,�9,�32,�41�e�42�della�Costituzione�e�secondo�le�particolari�
disposizioni�che�disciplinano�gli�specifici�settori�interessati�dalle�problemati-
che�ecologiche�(su�tali�punti,�cfr.�A.�Gustapane,�Tutela 
ambiente,in�E.d.D.,�
vol.�XLV,�Giuffre�,�Milano,�1992,�416�ss.).�

Attraverso�l'istituzione�di�codesto�Dicastero,�la�legge�n.�349/1986�ha�
inteso�affidare�allo�Stato�il�compito�di�dare�un�indirizzo�unitario�agli�inter-
venti�che�incidono�sull'�ambiente�,�considerato�nel�suddetto�significato�
ampio�ed�onnicomprensivo,�e�di�coordinare�quindi�mediante�opportuni�atti�
di�concerto�o�di�intesa,�ovvero�anche�mediante�l'esercizio�di�poteri�sostitutivi�
le�attivita�amministrative�dei�Ministeri,�delle�Regioni�e�degli�altri�Enti�terri-
toriali�che�esercitano�competenze�su�materie�incidenti�sull'uso�del�suddetto�
bene�pubblico�immateriale.�

Per�l'espletamento�delle�funzioni�di�protezione�la�legge�ha�altres|�previsto�la�
costituzione�di�Enti�ausiliari,�quali�l'Agenzia�Nazionale�per�la�protezione�del-
l'ambiente�(ANPA)�di�cui�al�d.l.�4�dicembre�1993,�n.�496,�conv.�con�modifica-
zioni�della�legge�21�gennaio�1994,�n.�61;�la�Agenzia�per�la�protezione�dell'am-
biente�e�per�i�servizi�tecnici�di�cui�all'art.�38�del�d.lgs.�30�luglio�1999,�n.300,�o�
le�Agenzie�costituite�dalle�Regioni,�per�l'espletamento�dei�compiti�loro�asse-
gnati,olaCommissioneV.I.A.dicuiall'art.�18,quintocomma,n.67.�

Svolgono�parimenti�funzioni�ausiliari�gli�Enti�parchi,�operanti�nell'am-
bito�della�legge�quadro�delle�aree�protette�(legge�6�dicembre�1991,�n.�394).�

Nel�rispetto�del�principio�costituzionale�della�partecipazione�democra-
tica�dei�cittadini�e�delle�loro�associazioni�alla�vita�di�relazione�ed�alla�cura�
degli�interessi�pubblici,�l'art.�13�della�citata�legge�349/1986�e�l'art.�9�della�
legge�7�agosto�1990,�n.�241,�riconoscono�altres|�il�diritto�di�concorrere�alle�
azioni�di�tutela�dell'ambiente�e�di�valorizzazione�delle�risorse�naturali�anche�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

alle�formazioni�sociali�per�statuto�portatrici�dei�correlativi�interessi�diffusi,�a�
condizione�che�siano�territorialmente�radicate�con�un�certo�grado�di�rappre-
sentativita��.�

5.�^Queste�considerazioni�di�carattere�generale�consentono�di�inqua-
drare�le�problematiche�concernenti�il��danno�ambientale�,�che�costituiscono�
oggetto�specifico�della�presente�consultazione.�
Da�esse�si�desume,�in�primo�luogo,�che�il�danno�ambientale�giuridica-
mente�rilevante�non�si�identifica�in�linea�di�massima�con�un�evento�fenome-
nico�che�possa�alterare�in�qualsiasi�modo�lo�stato�dei�luoghi�o�le�componenti�
dell'eco-sistema,�e�neppure�si�risolve�in�una�soggettiva�valutazione�^fondata�
su�canoni�estetici,�su�analisi�scientifiche�e�considerazioni�sociologiche�^in�
merito�all'impatto�positivo�o�negativo�di�un�qualunque�intervento�umano�
che�modifichi�gli�equilibri�naturali.�

Poiche�la�tutela�ambientale�si�risolve�in�una�serie�di�opzioni�sui�possibili�
usi�delle�limitate�risorse�naturali�disponibili�per�soddisfare�una�pluralita��di�
interessi�diversi,�cos|��da�risolversi�nella�determinazione�delle�compatibilita��
(o�dei�limiti�di�compatibilita�)�tra�piu��uso�alternativi,�occorre�considerare�
quali�regole�e�quali�prescrizioni�il�legislatore�abbia�dettato�in�relazione�ai�vari�
comportamenti�che�possano�in�qualche�modo�incidere�sul�paesaggio,�sugli�
agenti�atmosferici�o�sugli�equilibri�biologici.�Il�concetto�di�danno�ambientale�
si�deve�dunque�individuare�sul�piano�giuridico,�prima�che�su�quello�sociolo-
gico,�estetico�o�naturalistico,�e�possiede�un�carattere�relativo,�essendo�corre-
lato�alla�disciplina�che�regola�lo�specifico�settore�di�intervento.�

Il�carattere�dannoso�o�meno�di�un�comportamento�o�di�una�attivita��che�
abbia�un�impatto�sull'ambiente�deve�essere�percio��verificato�non�gia��in�
astratto,�ma�in�rapporto�alle�norme�di�carattere�legislativo�e/o�amministra-
tivo�che�regolano�la�materia,�consentendo�o�vietando�la�condotta�in�esame.�
In�linea�di�massima,�il�legislatore�si�preoccupa�di�dettare�nei�singoli�settori�
una�puntuale�normativa�tecnica,�facendo�spesso�ricorso�a�strumenti�di�misu-
razione�fondati�sulle�unita��di�misura�del�mondo�fisico�o�dettando�una�serie�
di�vincoli�e�prescrizioni�che�stabiliscono�i�modelli�ed�i�termini�di�esercizio�di�
determinate�attivita��.�

Il�carattere�dannoso�o�meno�di�un�comportamento�o�di�una�attivita��che�
abbia�un�impatto�sull'ambiente�deve�essere�percio��normalmente�verificato�
con�riferimento�alle�specifiche�norme�di�carattere�legislativo�e/o�amministra-
tivo�che�regolano�la�materia,�consentendo�o�vietando�la�condotta�in�esame.�

Cos|�,�ad�esempio,�le�emissioni�di�sostanze�inquinanti�nelle�acque�e�nell'a-
ria�non�sono�sanzionate�di�per�se�,�e�neppure�in�base�ad�un�giudizio�di�valore�
a�carattere�soggettivo,�ma�in�quanto�eccedono�i�limiti�di�tollerabilita��fissati�
dalle�leggi�o�dai�regolamenti�vigenti,�sulla�base�di�una�valutazione�di�carat-
tere�generale�preventivamente�operata�dalla�norma;�ovvero,�la�realizzazione�
di�una�lottizzazione�o�di�una�costruzione�puo��dirsi�offensiva�per�la�natura�
ed�il�paesaggio�non�in�base�a�personali�valutazioni�estetiche,�artistiche�o�
architettoniche,�ma�in�quanto�risulti�contraria�alle�norme�urbanistiche�ed�edi-
lizie�che�disciplinano�l'intervento.�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

Possono�pero��verificarsi�situazioni�che�non�trovano�puntuale�riscontro�
nella�disciplina�vigente,�in�quanto�il�legislatore�non�si�sia�preoccupato�di�det-
tare�precisi�standard 
normativi�per�misurare�la�liceita��o�meno�di�una�determi-
nata�condotta.�

In�questi�casi,�la�liberta��di�comportamento�di�ciascun�individuo�trovera��
sempre�un�limite�nella�regola�generale�del�neminem 
laedere,�codificata�nel-
l'art.�2043�c.c.,�per�la�quale�qualunque�fatto�doloso�o�colposo�che�arrechi�
danno�a�terzi�obbliga�l'autore�al�risarcimento�del�danno�prodotto.�Pertanto,�
la�liberta��di�azione�in�settori�non�dotati�di�una�disciplina�specifica�potra��
essere�espletata�solo�nella�misura�in�cui�non�determini�lo�sconfinamento�nelle�
sfere�giuridiche�di�altri�soggetti�o�della�generalita��degli�altri�soggetti;�situa-
zione,�questa,�che�potra��trovare�opportuno�rimedio�con�il�ricorso�ai�comuni�
canoni�dell'illecito�extra-contrattuale.�

Qualora�poi�il�legislatore�si�limiti�a�vietare�ed�a�reprimere�una�determi-
natacondottaconl'usoditerminigenerici(ades.:��chiinquina...�,�chidan-
neggia�...�,�etc.),�senza�nel�contempo�fornire�precisi�criteri�di�misurazione�
per�identificare�gli�specifici�fatti�ad�essa�riferibili,�il�precetto�normativo�dovra��
essere�integrato�con�l'ausilio�delle�comuni�regole�di�esperienza�che�possano�
meglio�definire�e�precisare�il�significato�dei�termini�adoperati.�Si�tratta�di�
una�operazione�ermeneutica�assai�frequente,�che�si�verifica�ogni�qual�volta�il�
legislatore�utilizzi�parole�desunte�dal�linguaggio�comune�e�che�affida�all'inter-
prete�la�funzione�di�definire�l'ambito�di�operativita��della�norma,�sulla�base�
dei�prevalenti�(e�spesso�mutevoli)�valori�della�coscienza�sociale�(si�pensi,�ad�
esempio,�ai�concetti�di��pudore�,�di��giusta�causa��nei�licenziamenti,�di�
�maggiore�rappresentativita����dei�sindacati,�etc.).�

Anche�in�questi�casi�la�nozione�di�danno�non�deriva�da�valutazioni�sog-
gettive�o�meta-giuridiche,�ancorche�la�nozione�giuridica�debba�essere�indivi-
duata�attraverso�elementi�acquisiti�da�altre�discipline�ausiliarie.�

La�valutazione�di�questi�elementi�non�costituisce�dunque�un�mero�giudi-
zio�di�fatto,�ma�rappresenta�una�forma�di�integrazione�del�precetto�astratto�
della�norma,�mediante�l'uso�di�parametri,�regole�e�giudizi�di�valore�desunti�
dall'esperienza�e�dal�comune�buon�senso,�ed�attribuisce�alla�norma�stessa�il�
suo�significato�attuale�e�concreto;�con�la�conseguenza,�ritenuta�dalla�piu��
recente�giurisprudenza�della�Cassazione,�che�il�giudizio�espresso�incide�sui�
presupposti�di�diritto,�e�non�di�fatto,�della�commessa�violazione�ed�e��come�
tale�sindacabile�nel�merito�in�sede�di�legittimita��.�

Si�osserva�altres|��che�dall'art.�844�c.c.,�dettato�in�tema�di�immissioni�
moleste,�e��possibile�ricavare�un�criterio�normativo�di�ordine�generale�che�
deve�ispirare�la�valutazione�dei�suddetti��elementi�normativi�del�fatto�.Da�
tale�disposizione�codicistica�si�trae�infatti�il�principio�generale�secondo�cui�
la�valutazione�del�carattere�dannoso�o�meno�di�una�condotta�idonea�ad�inci-
dere�sull'assetto�ambientale�deve�essere�condotta�alla�stregua�del�criterio�
della��normale�tollerabilita���,�e�cioe��in�base�al�parametro�delle�comuni�regole�
di�comportamento�mediamente�accettate.�

In�definitiva,�dunque,�allorche�il�legislatore�non�si�preoccupi�di�definire�
la�liceita��di�una�condotta�in�base�a�precise�unita��di�misura�del�mondo�fisico,�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


non 
si 
potra� 
prescindere 
da 
un 
giudizio 
di 
valore 
che 
integra 
il 
precetto 
nor-
mativo, 
da 
condurre 
secondo 
il 
metro 
della 
�normalita� 
� 
offerto 
dalla 
coscienza 
diffusa 
tra 
la 
generalita� 
dei 
cittadini. 


6. 
^Al 
fine 
di 
individuare 
il 
genere 
di 
lesioni 
provocate 
dalle 
anzidette 
violazioni, 
giova 
richiamare 
le 
considerazioni 
gia� 
in 
precedenza 
svolte 
in 
merito 
al 
rapporto 
relazionale 
tra 
l'ambiente 
e 
la 
persona 
umana, 
che 
in 
tale 
ambito 
esplica 
le 
sue 
attitudini 
ed 
i 
suoi 
interessi 
di 
vita. 
Da 
questa 
relazione 
si 
evince 
che 
l'�ambiente� 
non 
costituisce 
un 
bene 
fine 
a 
se 
stesso, 
e 
non 
forma 
oggetto 
di 
tutela 
per 
astratte 
finalita� 
naturalistiche 
ed 
estetizzanti. 
Esso 
assume 
invece 
rilevanza 
in 
funzione 
della 
primaria 
esigenza 
della 
per-
sona 
umana 
di 
esprimere 
in 
un 
contesto 
adeguato 
i 
suoi 
interessi 
ad 
un 
rap-
porto 
armonico 
con 
la 
natura 
e 
con 
il 
mondo 
circostante. 
Da 
cio� 
consegue, 
in 
definitiva, 
che 
il 
danno 
ambientale 
assume 
rilevanza, 
in 
quanto 
si 
traduce 
in 
un 
danno 
alla 
persona 
(in 
tal 
senso, 
Corte 
cost., 
30 
dicembre 
1987, 
n. 
641, 
cit.). 
Si 
e� 
altres|� 
evidenziato 
come 
l'ambiente 
puo� 
essere 
inteso 
in 
varie 
acce-
zioni, 
con 
riferimento 
ad 
una 
pluralita� 
di 
interessi 
e 
di 
esigenze 
della 
persona. 
Puo� 
essere 
considerato, 
in 
particolare, 
sotto 
il 
profilo 
estetico-culturale, 
con 
riguardo 
al 
bisogno 
dell'uomo 
di 
godere 
delle 
bellezze 
naturalistiche 
e 
dell'a-
menita� 
del 
paesaggio, 
ovvero 
di 
conservare 
le 
testimonianze 
di 
precedenti 
epoche 
storiche 
o 
di 
pregresse 
realta� 
economiche 
o 
abitudini 
di 
vita, 
ovvero 
di 
mantenere 
inalterato 
il 
contesto 
di 
importanti 
reperti 
archeologici 
o 
di 
significativi 
complessi 
monumentali; 
ovvero 
puo� 
essere 
considerato 
sotto 
l'a-
spetto 
igienico-sanitario, 
in 
relazione 
all'esigenza 
di 
assicurare 
all'uomo 
le 
condizioni 
per 
una 
vita 
salubre 
e 
per 
la 
tutela 
della 
salute, 
contro 
gli 
agenti 
inquinanti 
che 
possono 
determinare 
l'insorgenza 
di 
malattie, 
malformazioni 


o 
decessi; 
puo� 
essere 
considerato 
infine 
^sotto 
il 
profilo 
ecologico 
^naturali-
stico, 
^come 
il 
complesso 
degli 
elementi 
fisici 
(atmosfera, 
acqua, 
suolo)che 
consentono 
condizioni 
di 
benessere 
fisico 
e 
psicologico 
e 
favoriscono 
l'armo-
nioso 
ed 
equilibrato 
sviluppo 
della 
flora 
e 
della 
fauna. 
A 
seconda 
della 
sua 
tipologia, 
la 
violazione 
delle 
norme 
in 
materia 
ambientale 
puo� 
ledere 
ciascuno 
dei 
beni 
specificamente 
protetti, 
in 
relazione 
ai 
diversi 
significati 
del 
termine. 
Puo� 
danneggiare 
dunque 
il 
paesaggio, 
e 
cioe� 
il 
bene 
della 
bellezza 
e 
dell'amenita� 
dei 
luoghi, 
con 
i 
suoi 
valori 
estetici, 
sto-
rici, 
culturali 
ed 
artistici 
(ad 
es.: 
costruzione 
abusiva 
in 
localita� 
panoramica); 
puo� 
esporre 
a 
rischio 
la 
salute, 
espressamente 
tutelata 
dall'art. 
32 
della 
Costi-
tuzione 
(ad 
es.: 
diffusione 
di 
sostanze 
nocive); 
puo� 
pregiudicare 
il 
patrimonio 
indisponibile 
dello 
Stato 
(ad 
es.: 
uccisione 
di 
animali 
selvatici); 
puo� 
ledere 
gli 
elementi 
fisici 
che 
costituiscono 
l'habitat 
naturale 
della 
vita 
dell'uomo 
e 
delle 
varie 
specie 
animali 
e 
vegetali. 


Oltre 
alla 
lesione 
di 
questi 
specifici 
beni, 
materiali 
o 
immateriali, 
alla 
cui 
cura 
sono 
preposte 
le 
varie 
Amministrazioni 
ed 
Enti 
che 
hanno 
competenza 
nelle 
materie 
ad 
essi 
inerenti, 
si 
puo� 
oggigiorno 
configurare 
l'autonoma 
lesione 
dell'ambiente 
considerato 
nel 
proprio 
complesso, 
come 
l'universalita� 
indistinta 
di 
tutte 
le 
sue 
componenti 
particolari, 
secondo 
l'accezione 
unitaria 
e 
globale 
cui 
si 
e� 
innanzi 
accennato 
e 
che 
ha 
giustificato 
l'istituzione 
di 
code-
sto 
Ministero, 
al 
fine 
di 
assicurare 
il 
coordinamento 
e 
l'armonizzazione 
delle 



I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

varie�politiche�di�settore.�A�questo�tipo�di�lesione,�che�assume�il�massimo�
livello�di�immaterialita�,�di�generalita�ed�astrattezza,�sembra�opportuno�riser-
vare�la�nozione�di��danno�ambientale�,�introdotta�dall'art.�18�della�citata�
legge�349/1986,�onde�distinguerla�dalle�specifiche�tipologie�di�danno�arrecato�
ad�altri�beni�dalla�stessa�condotta�illecita�(paesaggio�e�bellezze�naturali;�
salute�pubblica;�atmosfera,�acqua�e�suolo,�con�l'insieme�delle�specie�vegetali�
ed�animali�viventi).�

Oltre�a�questi�beni�di�natura�pubblicistica,�il�comportamento�dannoso�
puo�pregiudicare�anche�la�posizione�giuridica�individuale�di�singole�persone,�
che�si�trovino�in�una�relazione�particolare�^distinta�da�quella�della�generalita�
dei�cittadini�^con�il�bene�su�cui�ricade�il�fatto�lesivo.�Cos|�,�ad�esempio,�lo�
spargimento�di�sostanze�nocive�puo�ledere�il�diritto�alla�salute�di�colui�che,�
per�effetto�di�cio�,�sia�colpito�da�una�affezione�morbosa;�il�deturpamento�di�
un�paesaggio�puo�danneggiare�il�proprietario�di�un�immobile�che�poteva�
fruire�della�bellezza�naturale�panoramica�deturpata�(in�tal�senso,�Cass.,2.�
sez.�civile,�23�febbraio�1999,�n.�1513);�l'inquinamento�marino�che�determini�
il�depauperamento�dell'ecosistema�puo�causare�danno�all'attivita�di�impresa�
collegate�alla�pesca�o�al�turismo.�

In�definitiva,�si�puo�affermare�che�il�danno�all'ambiente�ha�in�genere�un�
carattere�plurioffensivo�ed�e�idoneo�a�ledere�un�indeterminato�numero�di�
interessi�specifici,�sia�pubblici�che�privati,�ed�una�molteplicita�di�diritti�sog-
gettivi,�di�carattere�sia�reale�che�personale.�

7.�^Le�considerazioni�relative�alla�natura�degli�interessi�protetti�e�dei�
danni�prodotti�consentono�di�risolvere�il�problema�della�legittimazione�ad�
agire�giudizialmente�per�la�prevenzione�dei�fatti�lesivi�o�per�il�loro�ristoro,�
sia�in�forma�specifica�che�per�equivalente.�
Il�diritto�all'azione�potra�essere�riconosciuto�ai�soggetti�portatori�di�un�
interesse�qualificato�alla�conservazione�di�tali�beni�o�che�abbiano�subito�uno�
specifico�pregiudizio�dei�propri�diritti�per�effetto�della�condotta�contestata.�

Una�generale�ed�autonoma�legittimazione�dovra�essere�poi�riconosciuta�
a�codesto�Ministero,�per�la�sua�funzione�istituzionale�di�assicurare�la�tutela�
dell'ambiente�nel�suo�insieme�e�di�titolare�del�diritto�al�risarcimento�delcd.�
�danno�ambientale�.�

Allorche�la�lesione�riguarda�beni�pubblici�o�interessi�diffusi,�apparte-
nenti�alla�generalita�dei�cittadini,�la�legittimazione�dovra�essere�altres|�rico-
nosciuta�alle�Amministrazioni�ed�agli�Enti�competenti�nella�specifica�materia�
(cfr.,�ad�es.,�Cass.,�sez.�III�pen.,�13�maggio�1981,�n.�4438,�che�riconosce�la�
legittimazione�di�un�Ente�parco�alla�costituzione�di�parte�civile�per�una�
costruzione�realizzata�nel�territorio�del�parco�senza�la�propria�autorizza-
zione;�Cass.,�sez.�unite,�12�febbraio�1988,�n.�1491,�che�riconosce�ad�un�
Comune�la�facolta�di�agire�per�i�pregiudizi�derivanti�ad�un�acquedotto�comu-
nale;�Cass.,�sez.�III�penale,�25�maggio�1992,�n.�6297,�sulla�legittimazionead�
agire�di�un�Comune�in�relazione�alle�sue�funzioni�di�controllo�e�gestione�nel�
settore�ecologico).�

Le�associazioni�saranno�anch'esse�legittimate�ad�agire�per�la�salvaguar-
dia�dell'ambiente,�in�conformita�con�le�proprie�finalita�statutarie�e�nel�
rispetto�dei�principi�costituzionali�sulla�promozione�delle�organizzazioni�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


attraverso 
i 
quali 
la 
persona 
esplica 
i 
propri 
interessi 
sociali, 
in 
quanto 
dotate 
di 
un 
sufficiente 
grado 
di 
rappresentativita� 
, 
individuato 
ai 
sensi 
dell'art. 
13 
della 
legge 
349/1986 
(cfr. 
Cass., 
sez. 
III 
penale, 
11 
aprile 
1992 
n. 
4487; 
Cass., 
19 
gennaio 
1994, 
n. 
439. 
Sulla 
legittimazione 
delle 
associazioni 
ambientaliste 
a 
ricorrere 
innanzi 
agli 
organi 
della 
giustizia 
amministrativa 
per 
soddisfare 
gli 
interessi 
sostanziali 
di 
cui 
sono 
titolari, 
cfr. 
Cons. 
Stato, 
sez. 
6., 
14 
ottobre 
1992, 
n. 
756; 
Cons. 
St., 
sez. 
4., 
28 
febbraio 
1992, 
n. 
223; 
Cons. 
St., 
13 
marzo 
1991, 
n. 
181). 


Analoga 
legittimazione 
deve 
riconoscersi 
agli 
Enti 
territoriali, 
per 
l'e-
spresso 
disposto 
dell'art. 
18, 
primo 
comma, 
legge 
349/1986, 
cit., 
in 
quanto 
esponenziali 
della 
collettivita� 
da 
essa 
amministrata, 
in 
relazione 
ai 
fatti 
che 
incidano 
sugli 
interessi 
propri 
della 
medesima 
collettivita� 
(v., 
ad 
es., 
Cass., 
sez. 
unite, 
21 
settembre 
1990, 
n. 
12133, 
che 
riconosce 
ad 
un 
Comune 
la 
legitti-
mazione 
ad 
agire 
in 
via 
cautelare 
ed 
urgente 
con 
riguardo 
ai 
lavori 
di 
costru-
zione 
di 
una 
centrale 
termoelettrica, 
a 
tutela 
della 
salute 
dei 
cittadini 
e 
della 
salubrita� 
dell'ambiente). 


Infine, 
saranno 
legittimati 
ad 
agire 
in 
conseguenza 
degli 
stessi 
fatti 
i 
sin-
goli 
cittadini 
che 
possono 
vantare 
uno 
specifico 
titolo 
di 
legittimazione, 
distinto 
dall'interesse 
della 
generalita� 
dei 
cittadini, 
per 
effetto 
della 
partico-
lare 
relazione 
esistente 
tra 
il 
fatto 
lesivo 
ed 
i 
propri 
diritti 
soggettivi, 
di 
natura 
sia 
reale 
che 
personale 
(in 
tal 
senso, 
Cass., 
28 
ottobre 
1992, 
n. 
10337, 
secondo 
cui 
�in�tema�di�danno�ambientale,�e�legittimato�a�costituirsiparte�civile�
il�cittadino�che�non 
si 
dolga 
del 
degrado 
dell'ambiente, 
ma 
faccia�valere�una�
specifica�pretesa�in�relazione�a�determinati�beni, 
quali 
cespiti, 
attivita� 
, 
diritti 
soggettivi 
individuali 
(come 
quello 
alla 
salute), 
in 
conformita� 
alla 
regola 
generale 
posta 
dall'art. 
2043 
cod. 
civ.). 


Anche 
in 
mancanza 
di 
elaborazioni 
giurisprudenziali 
sul 
tema, 
sembra 
altres|� 
possibile 
sostenere 
che 
nelle 
azioni 
proposte 
da 
Enti, 
Associazioni 
e 
privati 
cittadini 
in 
materie 
di 
interesse 
ambientale, 
codesta 
Amministrazione 
abbia 
veste 
di 
parte 
necessaria, 
quale 
titolare 
di 
una 
generale 
funzione 
di 
coordinamento 
e 
di 
controllo 
e 
del 
diritto 
esclusivo 
al 
risarcimento 
del 
danno 
prodotto 
non 
a 
singolo 
beni, 
ma 
all'ambiente 
nel 
proprio 
complesso. 
Sembra 
percio� 
che 
in 
tali 
giudizi 
debba 
essere 
sempre 
disposta 
l'integrazione 
del 
con-
traddittorio, 
ai 
sensi 
dell'art. 
101 
c.p.c., 
nei 
confronti 
di 
codesta 
Amministra-
zione, 
in 
ogni 
caso 
avra� 
sempre 
diritto 
di 
intervenire 
a 
sostegno 
delle 
domande 
attrici 
ed 
a 
tutela 
delle 
proprie 
autonome 
ragioni 
(arg. 
ex�Cass., 
sez. 
III 
pen., 
16 
aprile 
1998, 
n. 
4727, 
secondo 
cui 
^tenuto 
conto 
delle 
fun-
zioni 
attribuite 
a 
codesto 
Ministero 
dalla 
legge 
8 
luglio 
1986, 
n. 
349, 
in 
mate-
ria 
di 
tutela 
ambientale 
e 
di 
risarcimento 
del 
danno 
ambientale 
^�il 
dovere 
di 
collaborazione 
impone 
alla 
Corte 
di 
Cassazione 
di 
disporre 
che 
la 
copia 
della 
sentenza 
sia 
trasmessa 
ad 
esso 
Ministero 
per 
fini 
conoscitivi 
e 
per 
l'ado-
zione 
dei 
provvedimenti 
di 
sua 
competenza 
miranti 
al 
recupero 
dell'area 
dan-
neggiata 
dagli 
imputati�). 


8. 
^L'azione 
di 
protezione 
ambientale 
si 
articola 
in 
diverse 
forme 
e 
si 
avvale 
di 
strumenti 
di 
carattere 
sia 
amministrativo 
(ordini, 
divieti, 
imposi-
zione 
di 
vincoli, 
etc.), 
sia 
giurisdizionali. 

I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

L'azione�giurisdizionale,�alla�quale�specificamente�si�rivolge�la�richiesta�
di�consultazione�formulata�da�codesta�Amministrazione,�si�puo�svolgere�sul�
piano�sia�penale�che�civile.�

Nella�nota�in�riferimento�e�nelle�relazioni�allegate�si�osserva�che�gli�
interventi,�che�hanno�carattere�alquanto�frammentario,�risultano�attualmente�
concentrati�sul�piano�penale�e�dipendono�per�lo�piu�dalle�iniziative�di�alcune�
Procure�della�Repubblica.�

Si�evidenzia�altres|�l'opportunita�di�individuare�percorsi�procedurali�che�
consentono�la�partecipazione�ai�processi�in�corso�e�l'acquisizione�di�datie�
notizie�sul�loro�svolgimento,�anche�al�fine�di�far�valere�le�pretese�risarcitorie�
della�Amministrazione.�

Tali�considerazioni�non�riguardano�specificamente�la�materia�ambien-
tale,�ma�si�inquadrano�nel�piu�ampio�contesto�dei�rapporti�tra�il�processo�
penale�e�l'azione�della�Pubblica�Amministrazione.�

Fatte�salve�le�ipotesi�che�dovessero�registrarsi�in�alcune�situazioni�o�
momenti�particolari,�si�ritiene�dunque�che�gli�orientamenti�operativi�si�deb-
bano�conformare�agli�indirizzi�generali�assunti�a�tal�riguardo�da�questa�
Avvocatura,�con�lo�scopo�di�assicurare�il�piu�proficuo�impiego�delle�risorse�
disponibili�ed�il�piu�efficiente�perseguimento�dei�risultati�prefissi.�

Sotto�tale�profilo,�si�osserva�che�il�processo�penale,�assolvendo�a�gene-
rali�esigenze�di�tutela�dell'ordinamento�giuridico�ed�essendo�affidato�all'ini-
ziativa�officiosa�del�Pubblico�Ministero,�presenta�caratteri�di�indipendenza�
ed�autonomia�rispetto�alla�attivita�di�tutela�degli�interessi�pubblici�affidata�
alle�cure�dell'Amministrazione.�Cio�non�toglie�che,�al�fine�di�assolvere�nel�
migliore�dei�modi�a�questa�funzione,�e�opportuno�operare�uno�stretto�colle-
gamento�tra�l'attivita�amministrativa�e�l'azione�penale,�ed�e�percio�utile�
acquisire�tempestivamente�i�dati�e�le�notizie�riguardanti�i�fatti�che,�essendo�
riconducibili�ad�ipotesi�di�reato,�costituiscono�oggetto�di�indagine�da�parte�
della�magistratura.�Cio�consentira�di�assumere�le�iniziative�occorrenti�per�eli-
minare�le�conseguenze�del�fatto�dannoso,�e�di�conseguire�il�ristoro�dei�danni�
subiti,�indipendentemente�dall'esercizio�della�potesta�punitiva�dell'ordina-
mento�statuale�nei�confronti�dei�responsabili.�

Allorquando�il�fatto-reato�sia�rilevato�da�funzionari�o�agenti�di�polizia�
giudiziaria�alle�dipendenze�di�codesta�Amministrazione�o�dai�propri�Enti�
ausiliari,�tenuti�all'obbligo�del�rapporto�ai�sensi�dell'art.�331�c.p.p.,e�percio�
opportuno�che�copia�del�rapporto�di�denuncia�(ovvero,�ove�si�ritenga�che�
questo�sia�coperto�dal�segreto�istruttorio,�un�separato�p.v.�di�constatazione)�
sia�inviato�anche�agli�Uffici�di�codesta�Amministrazione�competente�a�prov-
vedere�o�a�vigilare�sulla�materia.�Qualora�il�processo�penale�sia�attivato�da�
fonti�diverse,�la�notizia�della�sua�pendenza�dovrebbe�essere�sempre�assicurata�
dalla�comunicazione�dell'udienza�preliminare�che�il�giudice�e�tenuto�a�far�
notificare�alle�parti�offese�ai�sensi�dell'art.�419,�primo�comma,�c.p.p.�

In�tutti�questi�casi,�sara�opportuno�acquisire�periodiche�notizie�sugli�svi-
luppi�del�processo�e�si�potra�provvedere�alla�acquisizione�degli�atti�non�piu�
coperti�dal�segreto,�nelle�forme�previste�dall'art.�116�c.p.p.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Lo�strumento�piu�semplice�per�seguire�le�vicende�del�processo�penale�
sembra�costituito�dall'intervento�come�parte�offesa,�cui�codesta�Amministra-
zione�e�direttamente�abilitata,�con�facolta�di�presentare�memorie�ed�indicare�
mezzi�di�prova,�ai�sensi�dell'art.�90�c.p.p.�

La�notizia�di�reato�abilitera�ovviamente�codesta�Amministrazione,�non-
che�le�altre�Amministrazioni�ed�Enti�offesi�dai�fatti�contestati,�ad�adottare�i�
provvedimenti�amministrativi�di�loro�competenza�(ingiunzioni,�ordini,�
divieti,�irrogazione�di�sanzioni)�eventualmente�previsti�dall'ordinamento�per�
simili�situazioni.�

Qualora�sia�necessario�adottare�ulteriori�rimedi�ed�assumere�ulteriori�
iniziative�di�carattere�giurisdizionale,�si�vorra�opportunamente�interessare�
questa�Avvocatura�Generale�o�le�Avvocature�Distrettuali�territorialmente�
competenti�ai�fini�della�costituzione�di�parte�civile�nel�processo�ovvero,�
in�alternativa,�della�proposizione�di�una�parallela�azione�risarcitoria�in�
sede�civile.�

L'attuale�ordinamento�processuale,�caratterizzato�dal�sistema�del�cosid-
detto��doppio�binario�,�pone�i�due�strumenti�su�un�piano�di�equivalenza�ed�
equiordinazione�ed�esclude�che�il�giudicato�formatosi�in�una�sede�possa�espli-
care�efficacia�vincolante�nell'altra.�Conseguentemente,�la�scelta�dell'una�o�
dell'altra�via�dovra�essere�basata�su�un�giudizio�di�opportunita�che�tenga�
conto�soprattutto�del�rapporto�tra�la�loro�onerosita�ed�i�risultati�concreta-
mente�perseguibili.�

La�partecipazione�al�processo�penale�si�rivela�in�genere�piu�onerosa�
rispetto�all'esercizio�della�concorrente�causa�civile,�sia�per�inapplicabilita�
delle�norme�sul�foro�erariale,�sia�per�i�lunghi�tempi�imposti�dal�rito�
accusatorio.�

La�focalizzazione�del�processo�sulla�penale�responsabilita�dell'impu-
tato�non�favorisce�inoltre�l'istruttoria�sull'ammontare�dei�danni,�la�cui�
liquidazione�e�sovente�rimessa�ad�una�separata�sede.�L'azione�e�altres|�
limitata�al�risarcimento�dei�danni�e�non�consente�di�introdurre�diverse�
domande�di�tipo�inibitorio.�

Si�rammenta�che�la�costituzione�di�parte�civile�e�subordinata�al�rilascio�
di�una�espressa�autorizzazione�da�parte�del�Presidente�del�Consiglio�dei�
Ministri,�ai�sensi�dell'art.�1,�quarto�comma,�legge�3�gennaio�1991,�n.�3,�sulla�
base�di�una�valutazione�di�tipo�eminentemente�politica.�

Deve�tuttavia�ritenersi�che,�in�caso�di�urgenza�e�per�processi�di�parti-
colare�rilevanza,�l'Avvocatura�territorialmente�competente�potra�provve-
dere�a�costituirsi,�evitando�decadenze,�anche�in�base�alla�sola�richiesta�di�
autorizzazione.�

Tale�autorizzazione�puo�essere�ritenuta�infatti�un�atto�interno,�e�non�un�
vero�e�proprio�presupposto�dell'azione,�richiesto�a�pena�di�inammissibilita�;�
ma�se�pure�si�ritenesse�che�essa�condiziona�la�legittimita�della�costituzione,�
si�puo�ritenere�che�essa�possa�intervenire�anche�nel�corso�del�processo,�salvo�
che�il�giudice�non�ne�abbia�gia�rilevato�la�mancanza,�traendone�le�debite�con-
seguenze.�

Ovviamente,�qualora�l'autorizzazione�dovesse�essere�successivamente�
denegata,�o�qualora�il�giudice�dovesse�ritenere�inammissibile�la�costituzione�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

per�mancanza�di�una�previa�autorizzazione,�sara�sempre�possibile�convertire�
l'azione�proposta�in�sede�penale�in�una�autonoma�azione�civile,�ai�sensi�del-
l'art.�82,�u.c.,�c.p.p.�

Le�considerazioni�sopra�svolte�(maggiore�onerosita�del�processo�penale;�
focalizzazione�della�causa�sui�profili�della�responsabilita�penale�e�della�tutela�
dei�valori�astratti�dell'ordinamento;�esigenza�di�una�autorizzazione�fondata�
su�valutazioni�di�natura�politica)�inducono�a�ritenere�che�la�costituzione�
come�parte�civile�nel�processo�penale�debba�essere�riservata�prevalentemente�
a�vicende�che�abbiano�particolare�rilevanza�economica�e�sociale,�prospettino�
situazioni�nuove�o�complesse,�o�interessino�le�ampie�fasce�di�territorio�o�di�
popolazione.�Negli�altri�casi,�potra�risultare�piu�conveniente�ed�incisiva�l'a-
zione�svolta�sul�piano�civile,�restando�ferma�la�facolta�di�trarre�elementi�di�
prova�dal�parallelo�svolgimento�del�processo�penale,�al�quale�si�potra�sempre�
partecipare�nella�qualita�di�parte�offesa.�

L'azione�civile,�a�sua�volta,�potra�avere�funzione�inibitoria,�in�quanto�
diretta�a�prevenire�ed�impedire�la�causazione�di�un�danno,�o�funzione�risarci-
toria,�in�quanto�diretta�ad�eliminare�le�conseguenze�dannose�di�illeciti�gia�
compiuti�o�ad�ottenere�il�ristoro�del�danno�per�equivalente�pecuniario.�

9.�^Il�carattere�plurioffensivo�del�fatto�illecito�commesso�contro�l'am-
biente�comporta�non�solo�^come�si�e�gia�considerato�^la�configurabilita�di�
un�litisconsorzio�attivo�tra�tutti�i�soggetti�a�vario�titolo�danneggiati,�ma�
anche�la�possibilita�di�formulare�una�serie�di�distinte�domande�risarcitorie,�
in�forma�sia�specifica�che�per�equivalente,�in�relazione�ai�diversi�beni�giuri-
dici,�materiali�o�immateriali,�che�si�ritengono�lesi.�
In�viaesemplificativa,sipuo�ritenere�che�l'emissione�di�sostanze�
inquinanti�oltre�i�limiti�consentiti,�che�sia�fonte�di�danno�per�la�salute�delle�
persone,�puo�determinare�un�danno�fisico�alle�persone�che�subiscano�una�
patologia�in�dipendenza�del�fatto;�danno�che�potra�altres|�articolarsi�s
econdo�una�ormai�consolidata�elaborazione�giurisprudenziale�^in�un�
danno�patrimoniale�per�la�perdita�di�capacita�lavorative,�inundanno�bio-
logico,�in�un�danno�alla�vita�di�relazione,�etc.�Lo�stesso�fatto�potra�causare�
danni�sia�alle�pubbliche�Amministrazioni�specificamente�competenti�in�
materia�sanitaria�per�i�maggiori�oneri�di�spesa�necessari�per�attivita�di�
ricerca�e�cura,�sia�agli�Enti�esponenziali�delle�comunita�investite�dal�feno-
meno,�sia�alle�Associazioni�debitamente�riconosciute�che�statutariamente�
perseguono�la�tutela�del�bene�offeso.�In�aggiunta,�il�fatto�illecito�determi-
nera�pregiudizio�per�l'ambiente�in�se�eper�se�considerato,�e�cioe�all'am-
biente�globalmente�e�complessivamente�inteso�quale�bene�comune�immate-
riale,�e�provochera�quindi�uno�specifico��danno�ambientale��del�quale�
codesta�Amministrazione�potra�chiedere�il�ristoro.�

Parimenti,�una�costruzione�abusiva�in�un�luogo�panoramico�potra�offen-
dere�sia�la�bellezza�del�paesaggio,�con�i�suoi�valori�estetici�e�culturali,�sia�
l'ambiente�nel�suo�complesso,�specialmente�se�il�fatto�si�sia�verificato�in�zona�
soggetta�a�specifico�vincolo�paesaggistico�o�ambientale.�Ancora,�l'uccisione�
di�un�animale�appartenente�ad�una�specie�protetta�potra�offendere�sia�l'inte-
resse�patrimoniale�della�Amministrazione�statale�cui�la�fauna�selvatica�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

appartiene,�ai�sensi�dell'art.�1�della�legge�11�febbraio�1992,�n.�157,�sia�l'inte-
resse�morale�di�codesta�Amministrazione�alla�conservazione�dell'ambiente,�
comprensivo�di�tutte�le�sue�forme�di�vita�vegetali�ed�animali.�

In�definitiva�possono�configurarsi�una�molteplicita�di�situazioni�e�di�
eventi�specifici,�difficilmente�definibili�apriori,�che�possono�giustificare�una�
multiforme�serie�di�domande�risarcitorie�di�vario�genere,�in�relazione�alle�
offese�arrecate�ai�diversi�beni�giuridici�tutelati.�L'offesa�arrecata�all'ambiente�
nel�suo�complesso�giustifichera�poi�la�richiesta�di�risarcimento�del��danno�
ambientale�,�autonomo�e�distinto�rispetto�agli�altri�possibili�pregiudizi.�

Afferma�in�proposito�la�giurisprudenza�della�Suprema�Corte�che��l'am-
biente�in�senso�giuridico�costituisce�un�insieme�che,�pur�comprendente�vari�beni�

ovalori�^qualilaflora,�lafauna,�ilsuolo,�leacqueecc.�^sidistingueontologica-
mente�da�questi�e�si�identifica�in�una�realta�,�priva�di�consistenza�materiale,�ma�
espressiva�di�un�autonomo�valore�collettivo�costituente,�come�tale,�specifico�
oggetto�di�tutela�da�parte�dell'ordinamento,�con�la�legge�8�luglio�1986�n.�349,�
rispetto�ad�illeciti,�la�cui�idoneita�lesiva�va�valutata�con�specifico�riguardo�a�sif-
fatto�valore�ed�indipendentemente�dalla�particolare�incidenza�verificatasi�su�
una�o�piu�delle�dette�singole�componenti,�secondo�un�concetto�di�pregiudizio�
che,�sebbene�riconducibile�a�quello�di�danno�patrimoniale,�si�caratterizza�tutta-
via�per�una�piu�ampia�accezione��(Cass.,�sez.�I�civile,�9�aprile�1992,�n.�4362).�
Ed�ancora,��con�riguardo�ad�azione�di�risarcimento�del�danno�ambientale�
nella�prova�dell'indicato�danno�bisogna�distinguere�tra�danno�ai�singoli�beni�di�

proprieta�pubblica�o�privata,�o�a�posizioni�soggettive�individuali,�che�trovano�

tutela�nelle�regole�ordinarie,�e�danno�all'ambiente�considerato�in�senso�unitario,�

in�cui�ilprofilo�sanzionatorio,�nei�confronti�delfatto�lesivo�del�bene�ambientale,�

comporta�un�accertamento�che�non�e�quello�del�mero�pregiudizio�patrimoniale,�

bens|�della�compromissione�dell'ambiente,�vale�a�dire�della�lesione�``in�se�''�del�
bene�ambientale��(Cass.,�sez.�I�civile,�1.�settembre�1995,�n.�9211.�In�senso�ana-
logo,�v.�pure�Cass.,�sez.�III�civile,�3�febbraio�1998,�n.�1087;�Cass.,�sez.�III�
penale,�27�giugno�1992,�n.�7567).�

Come�si�e�gia�accennato,�la�domanda�risarcitoria�del�danno�ambientale�
potra�avere�ad�oggetto�sia�la�reintegrazione�in�forma�specifica,�sia�la�corre-
sponsione�di�un�equivalente�pecuniario.�

In�via�generale,�dovra�essere�privilegiato�il�primo�tipo�di�azione,�sia�per-
che�ha�maggiore�carattere�dissuasivo,�sia�perche�consente�il�ripristino�dello�
status�quo�ante�e�la�conseguente�eliminazione�degli�effetti�della�commessa�vio-
lazione�(in�tal�senso,�cfr.�Cons.�Stato;�sez.�6.,�14�aprile�1993,�n.�930,�riguar-
dante�un'ipotesi�di�lesione�di�bellezze�naturali).�La�priorita�del�risarcimento�
in�forma�specifica�e�peraltro�affermata�in�via�generale�dall'art.�2058�c.c.�e�si�
deduce�pure�^nello�specifico�settore�del�danno�ambientale�^sia�dall'art.�18,�
ottavo�comma,�legge�8�luglio�1986,�n.�349,�sia�dall'art.�58,�primo�comma,�
d.lgs.�11�maggio�1999,�n.�152�(che,�pur�riguardando�specificamente�il�risarci-
mento�del�danno�da�inquinamento�delle�acque,�appare�espressione�di�un�
principio�di�carattere�generale,�estensibile�ad�ogni�altra�ipotesi�di�danno�
ambientale).�

Dovranno�essere�percio�privilegiate�le�domande�rivolte�ad�unfacere�spe-
cifico,�che�elimini�del�tutto�le�cause�del�danno�o�riconduca�la�situazione�


I�PARERI�DEL�COMITATO�CONSULTIVO�

ambientale�entro�i�prescritti�limiti�di�compatibilita�,�come�le�domande�di�
demolizione�del�manufatto�abusivamente�edificato,�o�l'eliminazione�delle�
immissioni�nocive,�o�l'adozione�di�strumenti�tecnologici�che�consentano�il�
rispetto�degli�standard�e�dei�parametri�fissati�dalla�vigente�legislazione�(sul-
l'ammissibilita�di�una�domanda�di�rimessione�in�pristino�da�parte�di�un�Ente�
Parco�e�nei�confronti�di�chi�abbia�costruito�in�zona�vincolata�ed�in�base�a�
concessione�edilizia,�ma�senza�lo�speciale�permesso�dell'Ente�medesimo,�cfr.�
Cass.,�sez.�unite,�14�aprile�1994,�n.�1934;�nello�stesso�senso,�Cass.,�16�gennaio�
1992,�n.�455).�Non�possono�escludersi�domande�ancor�piu�specifiche,�sugge-
rite�dalla�particolarita�dell'evento�o�dalla�singolarita�del�caso,�come�quelle�
dirette�a�realizzare�particolari�interventi�di�recupero�ambientale�(esecuzione�
di�interventi�di�bonifica,�riforestazione�di�una�zona�devastata�da�un�incendio,�
ricomposizione�di�un�sito�adibito�a�discarica�abusiva,�etc.).�

Il�ricorso�al�risarcimento�per�equivalente�pecuniario�dovra�avere�dunque�
carattere�subordinato.�Esso�potra�avvenire�quando�sia�preferibile�intervenire�
direttamente�per�il�recupero�dell'ambiente�compromesso�dal�fatto�illecito,�o�
quando�il�danno�prodotto�sia�ormai�irreversibile�e�non�suscettibile�di�un�
effettivo�ristoro�in�natura.�

La�quantificazione�del�risarcimento�per�equivalente�pecuniario�non�pre-
senta�eccessive�difficolta�,�ove�trattasi�di�recuperare�i�costi�sostenuti�o�da�
sostenere�per�determinate�opere�di�ripristino.�In�tali�casi,�il�risarcimento�
dovra�essere�commisurato�al�costo�dei�lavori�necessari�per�la�esecuzione�delle�
opere,�secondo�un�principio�desumibile�in�via�generale�dall'art.�1223�c.c.ein�
modo�specifico�dall'art.�18,�sesto�comma,�legge�8�luglio�1986,�n.�349.�

La�questione�si�presenta�piu�incerta�e�disagevole�per�i�danni�gia�prodotti�
in�passato�o�per�il�caso�in�cui�non�sia�affatto�possibile�la�reintegrazione�in�
forma�specifica�e�si�debba�necessariamente�far�ricorso�ad�ampi�criteri�equita-
tivi,�ai�sensi�degli�artt.�1226�e�2056�c.c.�

La�traduzione�di�un�bene�immateriale�e�collettivo�qual�e�l'ambiente�c
he�riassume�una�pluralita�di�valori�distintivi�della�qualita�della�vita�^in�
una�determinata�quantita�di�denaro,�costituisce�il�frutto�di�una�equazione�
eseguibile�sul�piano�naturalistico�e�che�si�giustifica�sul�piano�giuridicosolo�
per�l'esigenza�di�dare�concretezza�alla�obbligazione�risarcitoria�secondo�i�
canoni�della�patrimonialita�stabiliti�in�via�generale�dall'art.�1174�c.c.�Si�
tratta�dunque�di�una�operazione�di�tipo�squisitamente�tecnico-giuridico,�
che�risponde�all'esigenza�dell'ordinamento�di�compensare�nel�modo�
migliore�possibile,�attraverso�una�transazione�monetaria,�una�perdita�di�
carattere�immateriale,�per�sua�natura�non�misurabile,�ne�quantificabile,�
ne�ristorabile,�ma�tuttavia�traducibile�nell'indeterminata�serie�di�utilita�
che�il�danneggiato�potrebbe�acquisire�attraverso�la�somma�di�denaro�attri-
buita�a�titolo�risarcitorio.�

Ovviamente,�la�determinazione�di�tale�ammontare�si�fonda�su�criteri�
ampiamente�equitativi,�empirici�e�convenzionali,�collegati�alla�coscienza�sociale�
ed�al�comune�sentire�e�tradotti�in�massime�di�esperienza�ad�opera�della�giuri-
sprudenza�o�dello�stesso�legislatore�(cfr.�Cons.�Stato,�sez.�V,�1�ottobre�1999,�

n.�1225,�secondo�cui�la�valutazione��non�puo�che�essere�equitativa�e�collegata�
ad�una�stima�tecnica�di�carattere�generale,�insuscettibile�di�una�dimostrazione�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

articolata�e�analitica,�sfuggendo�il�danno�paesistico,�per�la�sua�natura�intrin-
seca,�ad�una�indagine�dettagliata�e�minuta�;�Cass.,�sez.�III,�31�luglio�1990,�

n.�10900,�secondo�cui�nel�caso�di�infiltrazione�di�falde�acquifere��una�prova�
completa�e�minuziosa�del�danno�puo�essere�obiettivamente�impossibile�,�(in�
guisa�che)�in�tal�caso�e�possibile�soltanto�la�liquidazione�equitativa�del�danno)�.�
A.G.S. 
^Parere 
del 
21 
marzo 
2003, 
n. 
32719 
^Rimborso 
spese 
forfettarie 
(*).�
(consultivo�20168/02,�avvocato�A.�Soldani).�

�Con�la�nota�che�si�riscontra�codesta�Amministrazione�ha�chiesto�parere�
in�ordine�alla�rimborsabilita�delle�spese�generali�forfetarie�(10%)�non�espres-
samente�liquidate�nella�sentenza�TAR�Lombardia�n.�5019/00,�atteso�che�l'av-
vocato�di�controparte�avrebbe�richiamato�la�giurisprudenza�della�Cassazione�
dalla�quale�si�evincerebbe�la�debenza�di�tali�somme�in�ogni�caso.�

Al�riguardo�la�Scrivente�esprime�parere�di�avviso�contrario.�La�sentenza�di�
Cassazione�invocata�dal�difensore�di�controparte,�analoga�del�resto�all'orienta-
mento�piu�recente�della�Suprema�Corte�sul�punto,�stabilisce�semplicemente�il�
principio�che�il�rimborso�forfetario�del�10%�spetta�anche�se�non�e�stato�oggetto�
di�specifica�richiesta�nel�corso�del�Giudizio,�con�cio�intendendo�che�e�il�Giudice�
a�doverle�liquidare�d'ufficio�in�guanto�implicite�nella�domanda�di�condanna�al�

pagamento�degli�onorari�giudiziali.�Se�il�Giudice�non�opera�in�tal�senso,�come�
sembrerebbe�avvenuto�nel�caso�di�specie,�lo�strumento�a�disposizione�del�difen-
sore�e�quello�dell'impugnazione�della�statuizione�della�sentenza�riguardante�le�
spese�(e�infatti�e�proprio�su�cio�che�si�e�pronunciata�la�Cassazione�invocata�dal�
difensore�di�controparte),�con�la�conseguenza�che�fino�a�quando�non�intervenga�
una�riforma�della�sentenza,�il�dispositivo�costituisce�titolo�esecutivo�cos|�come�
e�,�senza�alcuna�possibilita�di�farne�discendere�per�la�parte�soccombente�presta-
zioni�che�non�vi�siano�espressamente�ricomprese�.�

(*)�Parere�di�rilievo,�reso�dall'Avvocatura�generale�in�via�ordinaria.�


DottrinaDottrina
Contratti�della�P.A.�ed�invalidita�procedimentali�

Premio 
Sandulli 
6 
dicembre 
2002 
Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 


di 
Mario 
Antonio 
Scino 


Il�recente�convegno�svoltosi�presso�l'Avvocatura�Generale�dello�Stato,�
nella�prestigiosa�Sala�Vanvitelli�in�occasione�della�consegna�del�Premio�San-
dulli�all'avv.�Selvaggi,�ha�evidenziato�un�recente�orientamento�del�giudice�
nazionale�che�ha�anticipato�alcune�linee�di�tendenza�della�Commissione�euro-
pea�in�tema�di�tutela�giuridica�in�materia�di�appalti�pubblici.�

Gli�interventi�dei�relatori�hanno�invero�tracciato,�con�mirabile�ricostru-
zione�storica,�le�linee�di�tendenza�del�giudice�amministrativo�e�del�giudice�
civile�in�relazione�alla�problematica�tutela�in�forma�specifica�dei�soggetti�pri-
vati�in�relazione�ai�contratti�stipulati�dalla�P.A.�con�altri�soggetti�ai�primi�
preferiti.�La�tematica�e�connessa�ai�recenti�sviluppi�della�Giurisprudenza�
Amministrativa�in�ordine�alla�invalidita�dei�contratti�stipulati�dalle�Ammini-
strazioni�pubbliche�in�relazione�a�violazioni�di�norme�poste�a�tutela�dellatra-
sparenza�e�dell'evidenza�pubblica.�

Si�rileva,�in�proposito,�che�nell'ordinamento�italiano�la�giurisprudenza�
amministrativa�(TAR 
Campania, 
Napoli, 
sez. 
I, 
20 
agosto 
2001, 
n. 
3865)e�
civile�(Cass. 
civ. 
9 
gennaio 
2001, 
n. 
193)�ha�recentemente�rivisitato�la�elabora-
zione�delle�invalidita�procedimentali�connesse�alla�stipula�di�un�contratto�
della�Pubblica�Amministrazione,�pervenendo�alla�conclusione�che�i�vizi�pro-
cedimentali�dell'evidenza�pubblica,�disciplinata�dalla�normativa�comunitaria�
e�nazionale,�indipendentemente�dallo�svolgersi�sopra�o�sotto�soglia�comuni-
taria,�in�quanto�esercizio�della�funzione�amministrativa�in�contrasto�conle�
norme�imperative�che�regolano�tutte�le�fasi�del�procedimento�di�evidenza�
pubblica,�non�danno�luogo�alla�semplice�annullabilita�del�provvedimento�
amministrativo�impugnato�(nel�caso�di�specie�l'aggiudicazione)�e�conseguen-
temente�del�contratto,�ma�ad�una�ipotesi�di�nullita�anche�del�contratto.�In�
tal�senso�si�segnalano,�tra�le�altre,�la�sentenza�del�Consiglio 
di 
Stato, 
Vsez., 
del 
13 
novembre 
2002, 
n. 
6281 
che�ha�ritenuto�la�nullita�di�un�contratto�gia�
stipulato�di�appalto�di�forniture�e�di�servizi,�per�effetto�dell'annullamento�


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


giurisdizionale 
dell'atto 
di 
aggiudicazione. 
Ma 
ancora 
piu� 
decise 
sono 
le 
con-
siderazioni 
del 
TAR 
Campania, 
Isez., 
29 
maggio2002, 
n. 
3177,e 
TAR 
Reggio 
Calabria, 
18 
dicembre 
2002, 
n. 
2030. 
In 
tal 
caso 
il 
giudice 
amministrativo 
ha 
ritenuto 
la 
nullita� 
del 
contratto 
di 
appalto 
di 
servizio 
idrico 
in 
conseguenza 
della 
declaratoria 
di 
nullita� 
dell'aggiudicazione. 
A 
tale 
conclusione 
si 
e� 
perve-
nuti 
attraverso 
la 
considerazione 
che 
le 
violazioni 
delle 
regole 
dell'evidenza 
pubblica, 
fondate 
sulle 
regole 
comunitarie 
(previste 
dalla 
direttiva 
o 
diretta-
mente 
discendenti 
dal 
Trattato 
CE, 
in 
tal 
senso 
ex 
multis 
Cons. 
St., 
IVsez., 
15 
febbraio 
2002, 
n. 
934) 
e/o 
su 
quelle 
di 
diritto 
nazionale, 
(ove 
non 
si 
tradu-
cano 
in 
singoli 
vizi 
del 
procedimento 
di 
formazione 
della 
volonta� 
determi-
nante 
solo 
l'annullabilita� 
del 
contratto 
stipulato) 
sono 
configurabili 
alla 
stre-
gua 
di 
violazione 
di 
norme 
imperative 
e 
non 
derogabili 
sulla 
capacita� 
con-
trattuale 
dell'ente 
in 
modo 
tale 
da 
ipotizzare 
una 
ipotesi 
di 
nullita� 
del 
contratto 
posto 
in 
essere, 
con 
la 
conseguente 
inidoneita� 
a 
produrre 
effetti 
giuridici 
nei 
confronti 
dell'Amministrazione 
stipulante. 
D'altra 
parte 
i 
giudici 
amministrativi, 
con 
le 
citate 
sentenze, 
hanno 
accolto 
le 
tesi 
della 
Cassazione 
(Cass., 
sez. 
2, 
8 
gennaio 
2000, 
n. 
123) 
in 
ordine 
alla 
rilevabilita� 
d'ufficio 
della 
nullita� 
del 
contratto. 


Si 
e� 
, 
in 
altre 
parole, 
ritenuto 
che 
le 
regole 
di 
evidenza 
pubblica, 
mirando 
a 
tutelare 
interessi 
obiettivi 
dell'ordinamento 
anche 
in 
prospettiva 
comunitaria, 
assumono 
la 
fisionomia 
propria 
di 
un 
presupposto 
o 
di 
una 
condizione 
legale 
di 
efficacia 
del 
contratto, 
con 
la 
conseguenza 
che 
l'an-
nullamento 
dell'aggiudicazione 
fa 
venir 
meno, 
in 
via 
retroattiva, 
uno 
dei 
presupposti 
di 
efficacia 
del 
contratto 
successivamente 
stipulato, 
che 
per-
tanto 
resta 
definitivamente 
privo 
dei 
suoi 
effetti 
giuridici. 
(Cons. 
St., 
sez. 
VI, 
5 
maggio 
2003, 
n. 
2332). 


Secondo 
i 
giudici 
di 
Palazzo 
Spada 
i 
precetti 
comunitari 
darebbero 
vita 
ad 
una 
gara 
europea 
da 
svolgersi 
in 
attuazione 
di 
principi 
inderogabili 
del 
Trattato 
tra 
cui, 
in 
particolare 
ma 
senza 
pretesa 
di 
esaustivita� 
, 
le 
norme 
di 
carattere 
imperativo 
che 
vietano 
qualsiasi 
discriminazione 
fondata 
sulla 
nazionalita� 
. 
Le 
norme 
sull'evidenza 
pubblica, 
interna 
e 
comunitaria, 
plasme-
rebbero 
allora 
un 
complesso 
rapporto 
amministrativo 
in 
seno 
al 
quale 
l'amministrazione 
aggiudicatrice 
e� 
soggetto 
in 
qualche 
misura 
passivo, 
obbli-
gato 
all'osservanza 
di 
norme 
poste 
a 
tutela 
non 
solo 
dell'interesse 
pubblico 
ma 
anche 
e 
soprattutto 
di 
un 
interesse 
trascendente 
e 
ultroneo 
rispetto 
a 
que-
st'ultimo 
in 
quanto 
collegato 
al 
valore 
imperativo 
della 
concorrenza. 
In 
ragione 
di 
tali 
considerazioni, 
la 
violazione 
di 
norme 
funzionalizzate, 
come 
si 
e� 
detto, 
alla 
tutela 
soprattutto 
dell'interesse 
delle 
imprese 
comportera� 
non 
l'annullabilita� 
solo 
su 
iniziativa 
del 
contraente 
pubblico, 
ma 
la 
nullita� 
vir-
tuale 
del 
contratto 
per 
violazione 
di 
norme 
imperative 
ai 
sensi 
dell'art. 
1418 


c.c. 
(in 
questo 
senso 
cfr. 
Cons. 
St., 
sez. 
V, 
5 
marzo 
2003, 
n. 
1218). 
La 
Commissione 
europea, 
dal 
canto 
suo, 
ha 
sollevato 
dubbi 
di 
compati-
bilita� 
comunitaria 
del 
nostro 
ordinamento 
processuale 
amministrativo 
con 
particolare 
riguardo 
alla 
tutela 
in 
forma 
specifica. 
Si 
osserva 
comunque 
che 
sia 
la 
direttiva 
89/665/CEE 
(art. 
2, 
paragrafo 
6, 
comma 
2) 
del 
Consiglio 
del 
21 
dicembre 
1989, 
sia 
la 
direttiva 
92/13/CEE 
del 
Consiglio 
del 
25 
febbraio 
1992 
ammettono 
la 
discrezionalita� 
degli 
Stati 
membri 
di 
consentire, 
in 
luogo 



DOTTRINA�319 


della�tutela�in�forma�specifica,�la�tutela�risarcitoria.�In�ossequio�a�tale�
espressa�deroga�comunitaria,�il�legislatore�nazionale�con�l'art.�14�del�d.lgs.�

n.�190/2002�ha�stabilito�che�la�tutela�per�equivalente�prevalga�sulla�tutela�in�
forma�specifica,�salva�la�tutela�giurisdizionale�reale�avverso�l'atto�di�aggiudi-
cazione�mediante:�a) 
la�previsione�dell'onere�di�comunicazione�dell'atto�di�
aggiudicazione�a�carico�del�soggetto�aggiudicatore�in�favore�del�partecipante�
alla�gara;�b) 
la�previsione�di�una�vacatio 
tra�la�aggiudicazione�e�la�stipula�
del�contratto�(ultimo�comma�art.�14�cit.)�e�l'estensione�in�sostanza�di�una�
tutela�in�forma�specifica�per�il�particolare�settore�dei�lavori�pubblici�discipli-
nato�dal�d.lgs.�n.�190/2002.�
Si 
ricava,pertanto, 
a 
contrario 
che 
dall'effetto 
caducante 
del 
contratto 
con-
seguente 
all'annullamento 
del 
provvedimento 
di 
aggiudicazione 
discende 
per 
il 
ricorrente 
vittorioso, 
ove 
ne 
sussistano 
i 
presupposti, 
il 
diritto 
ad 
ottenere 
la 
tutela 
risarcitoria 
informa 
specifica, 
coincidente�con�la�condanna�dell'ammi-
nistrazione�ad�un�facere 
specifico�consistente�nella�stipula�del�contratto�con�
il�ricorrente�vittorioso�in�giudizio.�

E�,�dunque,�assicurata�nell'ordinamento�italiano�una�tutela�risarcitoria�
piu�ampia�di�quella�prevista�dalla�direttiva�89/665/CEE,�gia�partire�dalla�
sentenza�500�e�501�del�1999�della�Suprema�Corte�di�Cassazione�a�Sezioni�
Unite,�mentre�l'art.�35�del�d.lgs.�n.�80/1998�ammetteva�una�tutela�risarcitoria�
in�forma�specifica�e�per�equivalente�solo�nelle�materie�di�giurisdizione�esclu-
siva�del�giudice�amministrativo�(sono�le�materie�in�cui�la�giurisdizione�si�
fonda�per�materia�e�non�per�tipo�di�situazione�soggettiva�lesa).�

Con�l'entrata�in�vigore�poi�dell'art.�7�della�legge�n.�205/2000�la�tutela�
risarcitoria�sia�nella�forma�specifica�sia�per�equivalente�e�stata�estesa,�senza�
necessita�del�previo�annullamento�dell'atto�amministrativo�illegittimo,�a�tutte�
le�ipotesi�di�giurisdizione�del�giudice�amministrativo,�cioe�anche�alla�giurisdi-
zione�generale�di�legittimita�(quella�degli�interessi�legittimi).�

La�Commissione�europea,�invero,�con�lettera�del�16�ottobre�2002,�
avviava�una�procedura�di�infrazione�comunitaria�nei�confronti�della�Repub-
blica�Italiana�ai�sensi�dell'art.�226�del�Trattato�CE�in�relazione�alla�procedure�
di�aggiudicazione�di�appalti�pubblici,�di�forniture�e�servizi.�

La�Commissione,�invero,�considerava�che�la�Repubblica�italiana,�non�
avendo�previsto�un�sistema�di�informazione�obbligatoria�da�parte�delle�
Amministrazioni�aggiudicatrici�degli�appalti�pubblici�di�cui�alle�direttive�
93/36/CEE,�93/37/CEE,�e�92/50/CEE,�delle�decisioni�di�aggiudicazione�
degli�stessi�appalti,�ed�inoltre�non�avendo�previsto�un�sistema�di�tutela�giuri-
sdizionale�nella�materia�degli�appalti�pubblici�di�cui�alle�direttive�summen-
zionate�che�consenta�ai�candidati�e�agli�offerenti�interessati�di�presentare�in�
ogni�caso�un�ricorso�contro�la�decisione�di�aggiudicazione�dell'appalto�prima�
della�conclusione�del�relativo�contratto�e,�di�conseguenza,�in�una�fase�in�cui�
le�violazioni�possono�essere�ancora�sanate,�sarebbe�venuta�meno�agli�obbli-
ghi�che�le�incombono�in�virtu�dell'art.�7,�paragrafo�2,�della�Direttiva�
93/36/CEE,�dell'art.�8,�paragrafo�2,�della�Direttiva�93/37/CEE,�dell'art.�12,�
paragrafo�2,�della�direttiva�92/50/CEE,�ed�inoltre�dall'art.�2,�paragrafo1,�
lettera�b),�della�direttiva�89/665/CEE.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

1.�^Con�riferimento�all'informazione�dei�partecipanti�alla�procedura�di�
aggiudicazione�dell'appalto�si�osserva�che,�con�l'entrata�in�vigore�del�decreto�
legislativo�20�agosto�2002,�n.�190,�recante�norme�di�attuazione�e�di�esercizio�
della�delega�di�cui�alla�legge�21�dicembre�2001,�n.�443�(legge�delega�al�
Governo�in�materia�di�infrastrutture�ed�insediamenti�produttivi�strategici�ed�
altri�interventi�per�il�rilascio�delle�attivita�produttive)�sono�state�introdotte�
nuove�norme�in�materia�processuale.�
L'art. 
14 
del 
decreto 
legislativo 
20 
agosto 
2002, 
n. 
190, 
al�terzo�comma,�
prevede�espressamente�che�il��soggetto 
aggiudicatore 
comunica 
il 
provvedi-
mento 
di 
aggiudicazione 
ai 
controinteressati 
almeno 
trenta 
giorni 
prima 
della 
firma 
del 
contratto�. 
I�controinteressati�sono�coloro�che�hanno�interesse�con-
trario�all'adottando�atto�di�aggiudicazione�e�cioe�i�partecipanti�alla�proce-

dura�di�aggiudicazione�stessa.�

Tale�onere�di�pubblicita�imposto�al�soggetto�aggiudicatore�e�idoneo,�a�
superare�i�rilievi�sollevati�dalla�Commissione�in�ordine�alla�supposta�carente�
informazione�dei�partecipanti�alle�procedure�di�aggiudicazione�proprio�in�
relazione�alla�decisione�di�aggiudicazione.�

Esso,�inoltre,�previsto�solo�per�la�realizzazione�di�infrastrutture�e�degli�
insediamenti�produttivi�strategici�e�di�interesse�nazionali,�e�stato�generaliz-
zato�nell'ordinamento�tramite�apposita�circolare,�che�ha�reso�obbligatoria�la�
comunicazione�del�provvedimento�di�aggiudicazione�a�tutti�i�controinteres-
sati�anche�negli�appalti�di�servizi�e�di�forniture.�E,�infatti,�il�Ministero 
delle 
Infrastrutture 
e 
dei 
Trasporti 
con 
Circolare 
n. 
B1/2109 
del 
10 
marzo 
2003 
ha�

raccomandato�a�tutte�le�amministrazioni�l'applicazione�del�meccanismo�pre-
visto�dall'art.�14�d.lgs�n.�190/2002�a�tutte�le�procedure�di�aggiudicazionedi�
appalti�pubblici�di�lavori,�di�forniture�e�servizi.�

In�relazione�alla�seconda�problematica�evidenziata�dalla�Commissione�
europea,�concernente�la�supposta�inesistenza�nell'ordinamento�italianodi�un�
termine�ragionevole�tra�la�decisione�di�aggiudicazione�e�la�conclusione�del�
contratto�tale�da�permettere�agli�offerenti�di�proporre�un�ricorso�contro�la�
procedura�di�aggiudicazione,�si�rileva�che�il�terzo�comma�dell'art.�14�del�
d.lgs.�n.�190/2002�prevede�un�idoneo�meccanismo�di�tutela�laddove�non�con-
sente�al�soggetto�aggiudicatore�di�stipulare�il�contratto�prima�del�decorso�di�
trenta�giorni�dal�provvedimento�di�aggiudicazione�ai�partecipanti�alla�gara.�

D'altra�parte�l'art.�4�della�legge�21�luglio�2000,�n.�205�(recante�disposi-
zioni�in�materia�di�giustizia�amministrativa)�ha�introdotto,�dopo�l'art.�23�
della�legge�6�dicembre�1971,�n.�1034,�l'art.�23-bis 
(disposizioni�particolari�sul�
processo�in�determinate�materie)�che�ha�previsto�una�procedura�di�tutela�giu-
risdizionale�accelerata�con�riferimento�a�materie�cd.�sensibili,�tra�le�quali�la�
procedura�di�aggiudicazione,�affidamento�ed�esecuzione�di�opere�pubbliche�

o�di�pubblica�utilita�.�
L'art.�23-bis,�al�secondo�comma,�ha�previsto�la�riduzione�a�meta�dei�ter-
mini�processuali�anche�con�riferimento�al�grado�di�appello�ed�ha�individuato�
meccanismi�rapidi�di�definizione�della�fase�di�tutela�cautelare�e�della�tutela�
di�merito�attraverso�una�scansione�temporale�che�imponga�al�giudice�ammi-
nistrativo�di�fissare�l'udienza�di�trattazione�del�merito�con�sollecitudine.�In�
tale�ottica�acceleratoria�devono�essere�collocate�le�disposizioni�di�cui�al�


DOTTRINA�321 


1.�comma�dell'art. 
14 
del 
d.lgs. 
n. 
190/2002.�Tali�particolari�disposizioni�
processuali�trovano�il�loro�precedente�nell'art.�19�della�legge�n.�135/1997.�
Orbene,�risulta�certamente�assicurato�agli�offerenti�di�promuovere�la�tutela�
reale�dei�propri�interessi�attraverso�l'impugnativa�dell'aggiudicazione�gia�
prima�della�conclusione�del�relativo�contratto�e,�quindi,�in�una�fase�in�cuile�
violazioni�possono�essere�ancora�sanate.�Invero�la�subordinazione�della�sti-
pula�del�contratto�di�appalto�ad�una�fase�di�preventiva�pubblicita�del�provve-
dimento�di�aggiudicazione�(art.�14,�3.�comma,�d.lgs.�n.�190/2002)�e�la�effet-
tiva�conoscenza�del�provvedimento�di�aggiudicazione�consente�ai�controinte-
ressati�partecipanti�di�promuovere�ed�eventualmente�conseguire�la�tutelain�
forma�specifica�delle�proprie�ragioni,�in�prima�battuta�ottenendo�^ricor-
rendo�i�presupposti�^in�via�cautelare�a�mezzo�del�provvedimento�di�sospen-
sione�dell'atto�impugnato�e,�allegando�ragioni�di�indifferibilita�ed�urgenza�tali�
da�non�poter�attendere�nemmeno�l'udienza�cautelare,�addirittura�a�mezzo�di�
un�provvedimento�reso�dal�Presidente�del�Tribunale�Amministrativo�
Regionale�anche�inaudita 
altera 
parte 
(art.�21�legge�n.�1034/1971,�come�
modificato�dall'art.�3�della�legge�n.�205/2000).�

Conclusioni 


Le�considerazioni�che�precedono�possono�guidare�l'operatore�in�rela-
zione�alle�piu�recenti�tendenze�evolutive�del�sistema�giurisprudenziale�
italiano,�che�ha�in�parte�anticipato�le�risposte�ai�dubbi�sollevati�dalla�Com-
missione�europea.�

Appare�dunque�doveroso,�in�attesa�di�apposita�riforma�legislativa,�atte-
nersi�alle�direttive�indicate�dalla�Circolare�ministeriale�summenzionata�in�
ordine�all'opportunita�di�far�precedere�la�stipula�del�contratto�aggiudicato�
non�prima�di�un�idoneo�termine,�utilizzato�per�la�comunicazione�formale�del-
l'aggiudicazione�ai�contro�interessati.�

D'altra�parte�il�rispetto�del�principio�di�una�adeguata�pubblicita�etra-
sparenza�degli�affidamenti�pubblici,�al�di�la�della�soglia�di�valore�dell'ap-
palto,�in�quanto�discendente�dal�trattato�(sent. 
C. 
Giustizia 
CE, 
Teleaustria, 
7 
dicembre 
2000, 
C-324; 
idem, 
C-225/1998; 
Ord. 
C. 
Giustizia 
CE, 
3 
dicembre 
2001, 
n. 
59; 
Circolare 
Ministroper 
le 
Politiche 
Comunitarie 
66/2002 
n. 
8756 
-

G.U. 
31 
luglio 
2002 
n. 
178),�si�impone�anche�in�considerazione�delle�implica-
zioni�che�derivano�dalla�ricordata�giurisprudenza�amministrativa�nazionale.�
In�altre�parole�la�stipula�del�contratto�non�e�mai�stata�di�ostacolo�nel�
nostro�ordinamento�alla�tutela�in�forma�specifica�per�effetto�dell'annulla-
mento�dell'atto�di�aggiudicazione,�e�cio�vieppiu�dopo�l'entrata�in�vigore�del�
citato�articolo�14�del�d.lgs.�n.�190/2002.�

Il�ricordo�dell'insigne�prof.�Sandulli�ha�consentito�agli�illustri�relatori�
e�allo�scrivente�importati�riflessioni�su�un�nodo�essenziale�della�tutela�
giurisdizionale.�


RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Il 
danno 
da 
dequalificazione 
professionale 


di 
Fernando 
Carangelo 


Le�mansioni�e�lojus�variandi.�Per�introdurre�il�discorso�sulla�dequalifica-
zione�professionale,�e�opportuno�accennare�alle�mansioni�e�allo�jus�variandi�
nel�rapporto�di�lavoro�subordinato�(1).�

Le�mansioni�consistono�nei��vari�compiti�per�lo�svolgimento�dei�quali�il�
lavoratore�viene�assunto�e�nei�quali,�a�sua�volta,�e�scomponibile�l'organizza-
zione�del�lavoro�di�una�data�impresa�(2)�.�In�altri�termini,�sono�gli�adempi-
menti�professionali�del�lavoratore,�che,�dal�punto�di�vista�dell'organizzazione�
del�lavoro,�si�identificano�nella�posizione�di�lavoro,�mentre,�dal�punto�di�vista�
della�struttura�dell'obbligazione�di�lavoro,�rappresentano�l'oggetto�della�pre-
stazione�di�lavoro�(3).�

Nell'ambito�del�rapporto�di�lavoro,�quindi,�la�prestazione�di�lavoro�che�
il�lavoratore�e�tenuto�a�garantire,�viene�identificata�in�base�alle�mansioni�
assegnate�allo�stesso.�Tuttavia,�nel�corso�dell'esecuzione�del�contrattodi�
lavoro,�la�prestazione�di�lavoro�e�soggetta�a�variazioni�rispetto�a�quella�ini-
ziale,�modifiche�che�possono�essere�dovute�o�ad�esigenze�organizzative�del-
l'impresa�o�a�modifiche�unilaterali�del�datore�di�lavoro,�e�questo�e�il�c.�d.�
jus�variandi.�

Lo�ius�variandi�e�disciplinato�dall'art.�2103�c.c.,�che�e�stato�peraltro�
oggetto�di�una�modifica�ad�opera�dell'art.�13�dello�Statuto�dei�Lavo-
ratori.�

Nel�suo�testo�originario�prevedeva�che��Ilprestatore�di�lavoro�deve�essere�
adibito�alle�mansioniper�cui�e�stato�assunto.�Tuttavia,�se�non�e�convenuto�diver-
samente,�l'imprenditore�puo�,�in�relazione�alle�esigenze�dell'impresa,�adibire�il�
prestatore�di�lavoro�ad�una�mansione�diversa,�purche�essa�non�importi�una�dimi-
nuzione�nella�retribuzione�o�un�mutamento�sostanziale�nella�posizione�di�lui.�

Nelcasoprevistodalcommaprecedente,�ilprestatoredilavorohadirittoal�
trattamento�corrispondenteall'attivita�svolta,�see�a�luipiu�vantaggioso�.�

Il�lavoratore�poteva�svolgere�quelle�mansioni�per�cui�era�stato�assunto�
ma,�allo�stesso�tempo,�il�potere�datoriale�di�disporre�del�mutamento�delle�
mansioni�del�lavoratore�era�molto�ampio,�soprattutto�perche�il�limite�delle�
�esigenze�dell'impresa��riguardava�solo�il�caso�di�mutamento�unilaterale�

(1)�Su�questo�tema�specifico,�vd.�CardarellO 
C., 
Mansioni�e�rapporto�di�lavoro�subordi-
nato,�Milano,�2001.�
(2)�Cos|�GherA 
E., 
Diritto�del�lavoro,�Bari,�1998,�134.�Interessante,�nonche�piu�articolata,�e�
la�definizione�di�CardarellO 
C.,�op.�cit.,�60,�per�cui�la�mansione�e�``quel�complesso�di�attivita�,�
compiti�e�funzioni�che�il�lavoratore,�in�relazione�al�suo�inquadramento�derivante�dalla�legge�e�
dalla�contrattazione,�collettiva�e/o�individuale,�e�obbligato�a�svolgere�a�favore�del�datore�di�
lavoro''.�
(3)�Vd.�GherA 
E.,�Diritto�del�lavoro,�Bari,�1998,�134.�

DOTTRINA�323 


delle�mansioni�stesse�e�spesso,�anche�a�seguito�della�teoria�della�c.�d.�acquie-
scenza�(o�comportamento�concludente�tacito�del�lavoratore),�era�difficile�
distinguere�tra�mutamento�consensuale�e�mutamento�unilaterale�(4).�

L'art.�2103,�nella�sua�nuova�formulazione�dopo�la�modifica�operata�
dallo�Statuto�dei�Lavoratori,�e�abbastanza�chiaro�ed�esplicito:��Il�prestatore�
di�lavoro�deve�essere�adibito�alle�mansioniper�le�quali�e�stato�assunto�o�a�quelle�
corrispondenti�alla�categoria�superiore�che�abbia�successivamente�acquisito�
ovvero�a�mansioni�equivalenti�alle�ultime�ef
ffettivamente�svolte,�senza�alcuna�
diminuzione�della�retribuzione�;�al�comma�2,�viene�poi�sancita�la�nullita�di�
ogni�patto�contrario.�

E�riconosciuta�e�permessa�una�certa�mobilita�al�lavoratore�all'interno�
dell'azienda,�ed�emerge�la�possibilita�di�un'adibizione�del�lavoratore�a�man-
sioni�diverse,�anche�per�disposizione�unilaterale�del�datore�(5),�in�
sostanza,�di�un��transitorio�diritto�di�mobilita�interna��(6).�La�mobilita�
�endoaziendale(7)��consentita�e�solo�quella�orizzontale�o�verso�l'alto.�La�
mobilita�orizzontale�e�identificata�soprattutto�in�base�al�concetto�di�equiva-
lenza�delle�mansioni;�in�base�al�prevalente�orientamento�giurisprudenziale,�
sono�da�considerarsi�equivalenti�quelle�mansioni�che��consentono�al�lavora-
tore�l'utilizzo�del�complessivo�bagaglio�di�nozioni,�esperienza�e�perizia�acqui-
sito�nella�fase�pregressa�del�rapporto,�nonche�l'eventuale�affinamento�e�arric-
chimento�del�patrimonio�professionale�gia�acquisito�(8).�

La�mobilita�verso�l'alto�e�riconosciuta�poi�dallo�stesso�art.�2103�c.c.,�che�
recita��nel�caso�di�assegnazione�a�mansioni�superiori�il�prestatore�ha�diritto�al�
trattamento�corrispondente�all'attivita�svolta,�e�l'assegnazione�stessa�diventa�

(4)�Secondo�la�giurisprudenza,�se�il�lavoratore�accettava�di�svolgere�le�nuove�mansioni,�il�
suo�comportamento�era�da�considerarsi�concludente�in�senso�adesivo,�con�la�conseguente�accetta-
zione�delle�nuove�condizioni.�Vd.�su�questo�punto�GherA 
E.,�op.�cit.,�147.�Vd.�anche�LanottE 
M., 
Ildanno�allapersona�nelrapporto�di�lavoro,�1998,�206,�dove�richiama�la�sentenza�Cass.�12�otto-
bre�1968,�n.�3243,�in�Mass.�giur.�lav.,�1969,�205.�
(5)�Da�segnalare�come�alcuni�autori�non�ritengono�piu�esistente�lo�jus�variandi�per�volonta�
unilaterale�del�datore,�e�richiedono�necessariamente�la�consensualita�per�qualsiasi�mutamento�di�
mansioni,�sia�orizzontali�che�verticali.�Questo�orientamento�tuttavia�non�e�seguito�dalla�maggio-
ranza�di�giurisprudenza�e�dottrina.�Vd.�per�un�approfondimento�sul�tema�LanottE 
M., 
op.�cit.,�
206,�e�i�riferimenti�bibliografici�ivi�richiamati.�
(6)�Cos|�BonarettI 
L., 
Danno�biologico�nel�rapporto�di�lavoro,�79,�che�delinea�una�ampia�
panoramica�di�inadempienze.�
(7)�Cos|�CardarellO 
C., 
op.�cit.,�67,�che�approfondisce�accuratamente�i�concetti�e�divide�
questa�mobilita�endoaziendale,�con�specifico�riferimento�alle�mansioni,�in�quattro�gruppi:�mobi-
lita�orizzontale�(mansioni�equivalenti�e�promiscue);�mobilita�verticale�migliorativa�(mansioni�
superiori);�mobilita�verticale�sostitutiva�(mansioni�vicarie);�mobilita�verticale�peggiorativa�(man-
sioni�inferiori).�
(8)�Cos|�LanottE 
M., 
op.�cit.,�208,�che�richiama�Cass.�4�ottobre�1995,�n.�10405,�in�Riv.�it.�
dir.�lav.,�1996,�II,�578,�insieme�ad�altra�giurisprudenza.�Vd.�anche�GherA 
E., 
op.�cit.,�149,�e�piu�
approfonditamente�sul�tema�CardarellO 
C., 
op.�cit.,�69.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

definitiva,�ove�la�medesima�non�abbia�avuto�luogo�per�sostituzione�di�lavoratore�
assentecondirittoallaconservazionedelposto,�dopounperiodofissatodaicon-
tratti�collettivi,�e�comunque�non�superiore�a�tre�mesi(9)�.�

In�particolare,�e�espresso,�di�regola,�un�divieto�di�adibizione�a�mansioni�
inferiori,�divieto�che�da�parte�della�dottrina�e�considerato�in�modo�assoluto�
e�non�ammetterebbe�eccezioni.�

Tuttavia,�la�rigida�interpretazione�dell'art.�2103�c.c.,�in�alcuni�casi,�puo�
determinare�un�eccesso�di�tutela�ed�essere�un�pregiudizio�per�il�lavoratore,�
soprattutto�in�considerazione�dell'ipotesi�in�cui�l'assegnazione�a�mansioni�
inferiori�si�configura�come�un'alternativa�(l'unica�a�volte)�per�evitare�la�per-
dita�del�posto�di�lavoro.�

Alla�luce�di�queste�considerazioni�si�spiega�l'apertura�della�giurispru-
denza�che�ha�operato�una�interpretazione�piu�elastica�di�questo�divieto,�con�
riferimento�ai�casi�in�cui�il�lavoratore,�in�seguito�a�infortunio�o�malattiapro-
fessionale,�non�sia�piu�in�grado�di�svolgere�il�proprio�lavoro�(10).�

Altra�deroga�e�posta�poi�dall'art.�4,�comma�11,�legge�n.�223/1991�in�
tema�di�licenziamenti�collettivi,�in�base�al�quale,�in�ipotesi�di�riduzione�del�
personale,�gli�accordi�sindacali�che�prevedono�il�riassorbimento�totale�o�par-
ziale�dei�lavoratori�eccedenti,�possono�anche�derogare�all'art.�2103�c.c.,�
comma�2,�potendo�prevedere�l'assegnazione�a�mansioni�diverse�(quindi�anche�
inferiori)�rispetto�a�quelle�svolte.�

Da�segnalare�poi�che�la�Corte�di�Cassazione�ha�ampliato�le�ipotesi�dero-
gatorie,�affermando,�con�decisioni�che�lasciano�perplessi,�che�le�limitazioni�
allo�jus�variandi�operano�solo�in�riferimento�agli�atti�unilaterali�del�datore�
disposti�contro�la�volonta�del�lavoratore�e�in�suo�danno,�e�non�anche�il�muta-
mento�peggiorativo�di�mansioni�operato�dal�datore�con�il�consenso�del�lavo-
ratore�o�a�seguito�della�richiesta�dello�stesso�(11).�

Il�contenuto�del�danno�alla�professionalita�e�i�danni�risarcibili.�Una�volta�
definiti�i�contorni�del�fenomeno,�si�devono�esaminare�gli�effetti�del�comporta-
mento�illegittimo,�che�tipo�di�tutela�e�come�reagisce�l'ordinamento�nel�caso�
di�dequalificazione�professionale�o�anche�nell'ipotesi�di�un�sostanziale�svuo-
tamento�delle�mansioni�del�lavoratore.�

Bisogna�preliminarmente�dire�che,�secondo�una�nuova�visione��parteci-
pativa��del�rapporto�di�lavoro,�il�lavoratore�non�puo�piu�essere�considerato�

(9)�Vd�per�maggiore�completezza�CardarellO 
C., 
op.�cit.,�95.�
(10)�Ammesso�per�la�prima�volta�da�Cass.�12�gennaio�1984,�n.�266,�in�Mass.�giur.�lav.,�1984,�
175.�Vd.�LanottE 
M., 
op.�cit.,�215,�dove�l'autore�richiama�sentenze�e�riferimenti�bibliografici�sul�
mutamento�peggiorativo�delle�mansioni�a�seguito�della�inidoneita�fisica�o�psichica�del�lavoratore,�
sottolineando�peraltro�come�l'impossibilita�a�svolgere�le�mansioni�originariamente�assegnate�
costituisce�un�giustificato�motivo�di�licenziamento.�
(11)�Su�questo�punto�vd.�la�critica�e�i�riferimenti�riportati�in�LanottE 
M., 
op.�cit.,�217.�

DOTTRINA�325 


come�un�soggetto�che�cede�la�propria�forza-lavoro�in�cambio�della�retribu-
zione�del�datore.�In�realta�,�il�lavoratore�si�pone�con�il�suo�bagaglio�di�espe-
rienze�e�conoscenze�tecniche�che�deve�anche�poter�sviluppare�e�approfondire,�
e,�al�giorno�d'oggi,�e�tenuto�ad�integrare�e�coordinare�la�propria�attivita�con�
tutti�coloro�che�fanno�parte�dell'impresa�stessa,�al�fine�dello�svolgimento�di�
una�attivita�comune�(12).�

La�struttura�del�contratto�di�lavoro�subordinato�si�arricchisce,�quindi,�di�un�
ulteriore�contenuto�che�e�dato�dal�diritto�alla�formazione�professionale,�visto�e�
considerato�che�il�lavoratore,�che�porta�con�se�all'interno�dell'impresa�il�suo�baga-
glio�professionale,�non�puo�vivere�con�le�sole�conoscenze�teoriche�e�le�capacita�tec-
niche�acquisite,�ma�deve�avere�anche�il�modo�di�crescere�insieme�all'impresa�stessa.�

Ecco�che�allora�si�percepisce�e�si�riesce�a�cogliere�meglio�la�reale�portata�
del�diritto�alla��professionalita�del�lavoratore��(13):�da�un�lato,�in�un�aspetto�
statico,�vi�sono�l'insieme�delle�conoscenze�teoriche�e�delle�capacita�pratiche�
acquisite�dal�lavoratore�tramite�la�sua�attivita�lavorativa,�dall'altro,�in�un�
aspetto�dinamico,�deve�esserci��la�capacita�di�evolversi�di�pari�passo�con�i�
processi�di�modificazione�dell'impresa(14)�.�

In�tema�di�danni�risarcibili,�la�lesione�di�questo��bene�(15)��della�profes-
sionalita�,�porta�quindi�a�conseguenze�irreversibili�sul�lavoratore,�e�il�deman-
sionamento�stesso�incide�notevolmente�sia�sull'andamento�del�rapporto�tra�
lavoratore�e�azienda�che�sulla�sua�personalita�,�arrivando�fino�a�pregiudicare�
anche�la�sua�dignita�personale,�il�suo�diritto�all'immagine�e�alla�reputazione�
professionale,�alla�vita�di�relazione�e�alla�sua�capacita�di�concorrenza(16),�
ponendosi�quindi�ben�oltre�i�confini�del�mero�inadempimento�contrattuale,�
come�anche�emerge�da�un�orientamento�della�Corte�di�Cassazione(17).�

(12)�Vd.�LanottE 
M., 
op. 
cit., 
218�ss.�con�approfondimenti�e�riferimenti�bibliografici�sul�
tema�della�configurazione�dell'interesse�oggettivo�dell'organizzazione�di�lavoro�distinto�dagli�inte-
ressi�soggettivi�del�datore�di�lavoro�e�del�lavoratore.�
(13)�Questo�diritto�alla�professionalita�rappresenta�ormai�un�principio�consolidato�nella�piu�
recente�giurisprudenza,�che�considera�che�la�professionalita�stessa�di�un�lavoratore�non�puo�ne�
deve�limitarsi�alle�sue�sole�conoscenze�teoriche,�ma�deve�essere�stimolata�e�incrementata,�quasi�
come�ci�fosse�una�interazione�tra�impresa�e�lavoratore.�
(14)�Vd.�su�questo�punto�MalzanI 
F., 
L'ambiente 
di 
lavoro 
quale 
terreno 
elettivo 
di 
applica-
zionedelc.d. 
dannobiologico,Riv. 
Giur.Lav. 
ePrev. 
Soc., 
2000,�385.�
(15)��Bene�dai�confini�sfuggent��come�viene�definito�da�MalzanI 
F., 
op. 
cit., 
385.�
(16)�Vd.�LanottE 
M., 
op. 
cit., 
231,�che�cita�Pret.�Milano,�7�gennaio�1997,�in 
Orient. 
giur. 
lav., 
1997,�59;�Trib.�Milano�16�dicembre�1995,�in�Riv. 
crit. 
Dir. 
lav., 
1996,�458,�per�la�configurazione�di�
un�danno�alla�notorieta�,�esperienza�e�immagine�professionale�di�un�giornalista�vittima�di�dequali-
ficazione;�Pret.�Milano,�11�marzo�1996,�in�Riv. 
crit. 
dir. 
lav., 
1996,�677,�che�distingue�e�ritiene�auto-
nomamente�risarcibili�i�danni�alla�personalita�(concernenti�la�vita�di�relazione�e�la�dignita�del�
lavoratore),�e�il�danno�alla�professionalita�,�intesa�come�sviluppo�di�carriera�o�possibilita�di�ulte-
riori�ricollocazioni.�Interessante�anche�segnalare�la�sent.�Cass.�13�agosto�1991,�n.�8835,�che,�oltre�
ad�estendere�l'art.2103�c.c.�anche�ai�dirigenti,�considera�il�lavoro�non�solo�come�un�mezzo�di�gua-
dagno,�ma�anche�come�un�mezzo�di�estrinsecazione�della�personalita�del�soggetto.�Vd.�Carda-
rello, 
op. 
cit., 
152.�Vd.�PajardI 
D., 
Il 
danno 
psicologico 
in 
materia 
di 
lavoro: 
considerazioni 
teori-
che, 
analisi 
giurisprudenziale 
ed 
esperienze 
peritali, 
in�Dir. 
lav., 
1991, 
354. 
(17)�Vd�Cardarello, 
op. 
cit., 
153.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Come�e�stato�osservato�(18),��la�qualifica�promessa�con�il�contratto�di�
assunzione,�lo�e�stata�proprio�in�considerazione�di�una�qualificazione�professio-
nale�sostanziale�che�e�patrimonio�della�persona�del�dipendente.�[...]�Il�fatto�di�
essere�stato�dequalificato�(violazione�art.�2103�c.c.)�comporta�una�riduzione�
(permanente�o�temporanea)�del�patrimonio�professionale�e�dunque�in�una�certa�

o�altamente�probabile�diminuzione�delle�possibilita�lavorative�del�soggetto�
stesso.�Questa�perdita�o�riduzione�puo�essere�vista�sia�nei�riflessi�esterni�(possi-
bilita�di�reimpiego)�sia�nei�riflessi�interni�(chances�di�carriera�aziendale)�.�
La�condotta�illecita�del�datore�di�lavoro�puo�quindi�configurarsi�come�pluriof-
fensiva,�cioe�lesiva�di�piu�interessi�e�valori�primari�e,�come�ha�sottolineato�la�Corte�
diCassazione,�sent.�8835del�1991,glieffettichescaturisconodaunillecitodeman-
sionamento�(di�un�dirigente,�nel�caso�di�specie)�possono�essere�diversi:�danno�alla�
professionalita�ex�art.�2087�c.c.,�sofferenza�psichica�ex�art.�2059�c.c.,�pregiudizio�
patrimoniale�ex�art.�2043�c.c.,�danno�biologico�ex�art.�2043�c.c.�e�32�Cost(19).�

Il�mutamento�in�pejus�delle�mansioni�comporta�quindi�innanzitutto�il�
risarcimento�dei�danni�patrimoniali,�e�il�lavoratore�ha�diritto�a�percepire�tutti�
i�compensi�che�avrebbe�ricevuto�qualora�avesse�continuato�a�prestare�la�pro-
pria�attivita�lavorativa�nelle�originarie�mansioni�(20),�e�il�risarcimento�spet-
tante,�quindi,�consiste�nella�perdita�di�quella�parte�di�retribuzione�superiore�
non�percepita�a�causa�della�dequalificazione.�

Stando�al�tenore�letterale�dell'art.�2103,�ultimo�comma,�che�sanziona�
con�la�nullita�gli�accordi�modificativi�tra�datore�e�lavoratore,�l'acquiescenza�
del�lavoratore,�l'accettazione�tacita�delle�mansioni�inferiori,�non�vale�a�legitti-
mare�il�comportamento�del�datore�di�lavoro�(21).�

Danni�patrimoniali�scaturiscono�poi�dalla�lesione�del�diritto�alla�car-
riera,�con�la�risarcibilita�dei�mancati�guadagni�causati�dalla�perdita�di�chan-
ces�lavorative.�Qui�si�va�ad�incidere�sulle�capacita�e�le�prospettive�di�sviluppo�
del�soggetto,�e�a�una�sorta�di�compromissione�delle�potenzialita�di�consegui-
mento�di�un�risultato.�

(18)�Vd.�MannacciO 
G., 
Danno�da�dequalificazione�professionale,in�Il�lavoro�nella�
giurisprudenza,�244.�
(19)�Vd.�VenerI 
L., 
Il�danno�alla�persona�nel�rapporto�di�lavoro,in�Lavoro�e�Previdenza�Oggi,�
1999,�1112.�Il�problema�della�definizione�del�contenuto�del�danno�da�dequalificazione�professio-
nale�(come�sottolineato�da�LanottE 
M., 
op.�cit.,�232)�non�costituisce�tuttavia�l'unica�problematica�
tuttora�irrisolta,�in�quanto�sono�abbastanza�dibattute�anche�le�questioni�riguardanti�l'onere�della�
prova�del�pregiudizio�sofferto�dal�lavoratore�e�i�possibili�criteri�di�quantificazione�del�danno.�Vd.�
su�queste�discussioni�anche�MeuccI 
M., 
Ancora�sul�risarcimento�del�danno�alla�professionalita�e�
del�danno�biologico,�Lav.�Prev.�Oggi,�1999,�1742�ss.�
(20)�Vd.�LanottE 
M., 
op.�cit.,�236.�
(21)�Abbiamo�prima�sottolineato�che�alcune�decisioni�della�Corte�di�Cassazione,�che�legitti-
mano�il�mutamento�peggiorativo�di�mansioni�sulla�base�del�consenso,�lasciano�perplessi,�In�questa�
sede�preferiamo�dissentire�da�tale�opinione,�visto�che,�come�anche�sottolineato�da�Pret.�Roma,�17�
aprile�1992,�in�Lav.�Prev.�Oggi,�1992,�1172,��il�demansionamento�non�puo�essere�considerato�legit-
timo�solo�perche�il�lavoratore�ritenga�di�prestare�obbedienza�alle�disposizioni�del�datoredi�
lavoro�.�

DOTTRINA�327 


Un�soggetto�che�viene�dequalificato,�in�pratica,�subisce�danni�per�quanto�
riguarda�le�sue�potenzialita�di�sviluppo,�sia�come�progressione�automatica�
di�carriera�all'interno�dell'impresa�(ecco�quindi�leso�l'aspetto�dinamico�del�
rapporto),�sia�come�riduzioni�di�probabilita�di�reperire�ulteriori�occasioni�di�
lavoro�al�di�fuori�di�essa.�

Tuttavia�qui,�in�tema�di�prova,�trattandosi�di�un�danno�patrimoniale�
futuro,�e�sufficiente�una�prova�probabilistica�della�lesione,�a�seguito�dell'ille-
gittima�dequalificazione,�delle�aspettative�di�promozione�e�guadagno�del�
lavoratore�(22),�unita�alla�prova�dell'esistenza�di�alcuni�presupposti�che,�in�
assenza�della�condotta�illegittima�del�datore,�avrebbero�consentito�allo�stesso�
il�conseguimento�del�vantaggio�della�promozione�di�carriera�(23).�

Altro�aspetto�che�puo�essere�leso�dalla�dequalificazione�professionale�e�
l'equilibrio�psicologico�del�lavoratore,�portando�a�un�risarcimento�del�danno�
biologico�allo�stesso.�

Questo�aspetto�della�risarcibilita�delle�lesioni�dell'integrita�psichica�del�
lavoratore,�e�del�risarcimento�del�conseguente�danno�biologico,�scaturiscono�
dalla�considerazione�che�il�disconoscimento�delle�proprie�capacita�lavorative,�
e�l'assegnazione�di�compiti�di�minore�importanza�possa�causare�al�lavoratore�
una�patologia�nevrotica,�con�sindromi�nervose�e�depressive,�dovute�ad�uno�
stato�di�frustrazione,�insoddisfazione�professionale,�perdita�di�interesse�e�
stress,�che�portano�ad�una�alterazione�della�personalita�dell'individuo.�

Tuttavia,�in�tema�di�danno�biologico�psichico,�anche�qui,�le�maggiori�
difficolta�si�incontrano�in�punto�di�prova.�L'onere�della�prova�dell'avvenuta�
lesione�psichica�incombe�sul�lavoratore,�e,�come�sappiamo,�vi�e�una�intrin-
seca�difficolta�nel�provare�un�pregiudizio�di�tipo�psicologico�(maggiore�
rispetto�alla�prova�di�una�lesione�fisica):�il�lavoratore�non�riesce�semprea�
ricevere�tutela,�in�quanto�i�giudici�negano�la�liquidazione�del�danno�per�man-
canza�di�nesso�causale�tra�comportamento�illegittimo�e�lesione�psichica,�attri-
buendo�i�lamentati�disturbi�del�lavoratore�a�una�particolare�costituzione�del�
soggetto,�a�una�congenita�predisposizione�del�soggetto�a�turbe�di�natura�
psicologica,�o�risarciscono�il�danno�biologico�psichico�semplicemente�come�
danno�morale,�come�sofferenza�e�turbamento,�entro�i�limiti�dell'art.�2059�c.�c.�

(22)�Vd.�LanottE 
M., 
op.�cit.,�237.�Bisogna�far�notare,�inoltre,�come�nel�caso�di�perdita�di�
chances�lavorative,�il�danno�non�sia�patrimoniale�in�senso�stretto,�ma�sia�una�sorta�di�danno�che�
incide�negativamente�sulla�dimensione�personale,�professionale�e�sociale�del�lavoratore,�con�conse-
guenze�a�carattere�patrimoniale,�cioe�,�come�viene�definito��danno�patrimoniale�indiretto�.�Vd.�
piu�approfonditamente�RaffI 
A., 
in�PedrazzolI 
M. 
(a�cura�di),�Danno�biologico�e�oltre:�la�risar-
cibilita�deipregiudiziallapersona�del�lavoratore,�1995,�73.�
(23)��Pertanto�il�lavoratore�-qualora�in�seguito�a�dequalificazione�professionale,�promuova�
un'azione�per�ottenere�il�risarcimento�del�danno�per�mancato�conseguimento�di�un�vantaggio�di�
carriera�-deve�dimostrare�che�egli,�se�non�fosse�intervenuto�l'illegittimo�mutamento�di�mansioni,�
avrebbe�avuto�possibilita�non�distanti�da�quelle�degli�altri�candidati�positivamente�valutati�.�Cos|�
LanottE 
M., 
op.�cit.,�238,�che�riprende�Cass.�2�dicembre�1996,�n.�10748,�in�Mass.giust.civ,�1996,�
1656.�

RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�

Da�segnalare,�poi,�come�a�volte�venga�risarcita�la�compromissione�della�
professionalita�del�lavoratore,�anche�in�assenza�di�una�lesione�dell'integrita�
fisica�o�psichica�del�lavoratore,�come�danno�biologico�in�se�rilevante.�

In�questi�casi�si�stacca�dal�danno�biologico�psichico�il�danno�alla�profes-
sionalita�e�gli�viene�affidato�un�proprio�e�autonomo�risarcimento,�intendendo�
quindi�il�danno�alla�professionalita�come�lesione�alla�dignita�professionale�e�
personale�del�lavoratore�da�cui�scaturisce�un�danno�biologico�autonomo.�
Detto�in�altri�termini:�il�danno�alla�professionalita�porta�al�risarcimento�del�
danno�biologico�non�in�quanto�lesione�dell'integrita�psichica�del�lavoratore,�
ma�in�quanto�lesione�della�dignita�professionale�dello�stesso,�con�tutte�le�con-
seguenze�che�si�traggono�in�materia�di�prova�del�danno�(24).�

Colpendo�questi�aspetti�piu�specifici�della�professionalita�,�in�pratica,�si�
puo�notare�che�si�va�ad�incidere�sugli�aspetti�della�personalita�morale�e�della�
dignita�in�se�considerata�e�per�questo�gia�di�per�se�fonte�di�risarcimento�del�
danno�biologico.�

Per�concludere,�si�deve�aggiungere�che,�per�evitare�confusioni�a�livello�
interpretativo,�appare�opportuno�e�piu�corretto�distinguere�il�danno�biolo-
gico�psichico�dal�danno�alla�professionalita�in�se�,�sempre�piu�spesso�oggetto�
di�un�autonomo�risarcimento.�

(24)�Vd.�su�questo�punto�i�riferimenti�contenuti�in�LanottE 
M., 
op. 
cit., 
241.�

IndicisistematiciIndicisistematici
1 
-ARTICOLI, 
NOTE, 
DOTTRINA, 
RECENSIONI 


La 
difesa 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
nel 
giudizio 
amministrativo. 
Atti1del1
Seminario1di1apertura1del1Master1presso1la1Scuola1Superiore1dell'Econom
ia1e1delle1Finanze.1Interventi1di:1GennarO 
Terracciano, 
LuigI 
Maz-
zella, 
IgnaziO 
FrancescO 
Caramazza, 
PasqualE 
Giulano, 
AlbertO 
dE 
Roberto, 
GiuseppE 
NeriO 
Carugno, 
FedericO 
Basilica, 
MariA 
Gentile, 
ErmannoDeFranciscO 
..................... 
..... 
pag.1
EmanuelA 
Brugiotti, 
Noteprocessuali 
connesse 
alla 
tutela 
dei 
datipersonali, 
ai 
sensi 
dell'art. 
29 
della 
legge 
n. 
675/1996 
. 
. 
. 
... 
.. 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
. 
�127141
IgnaziO 
FrancescO 
Caramazza, 
Incidente 
di 
costituzionalita� 
e 
giurisdizione 
in 
sede 
di 
giudizio 
cautelare 
amministrativo. 
Un 
dialogo 
dif
ff
icile 
tra 
compless
ita� 
ed 
incomprensioni 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
. 
�12201
FernandO 
Carangelo, 
Il 
danno 
da 
dequalificazioneprofessionale 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�13261
SabinO 
Cassese, 
Il 
nuovo 
regime 
dei 
dirigenti 
pubblici 
italiani: 
una 
modificaz
ione 
costituzionale 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�18181
MauriziO 
Fiorilli, 
Le 
Regioni 
e 
le 
relazioni 
internazionali 
e 
comunitarie 
�131
OscaR 
Fiumara, 
Cioccolato 
e 
cioccolatopuro 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�1481
CristinA 
Giorgiantonio, 
Normativa 
antitrust 
e 
settore 
bancario: 
l'eccezione 
italiana 
. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
. 
�12281
MariA 
VittoriA 
Lumetti, 
Motivazione 
successiva 
in 
giudizio: 
il 
TAR 
Toscana 
la 
ammette 
in 
sede 
di 
sospensiva 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�12531
MariA 
VittoriA 
Lumetti, 
SandrO 
Tizzi, 
La 
normativa 
in 
materia 
di 
stranieri, 
novellata 
dalla 
legge 
n. 
189/2002 
e 
il 
�patteggiamento� 
. 
. 
. 
. 
. 
.. 
. 
�12631
AntoniO 
Palatiello, 
Il 
monito 
della 
Corte 
Europea 
dei 
Diritti 
dell'Uomo 
sulla 
�legge 
Pinto� 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�141
AntoniO 
PalatiellO 
(a1cura1di),1dossier,1Il 
termine 
ragionevole 
delprocesso: 
le 
ultime 
pronunce, 
aspettando 
le 
Sezioni 
Unite 
... 
.. 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
. 
�12001


330 
RASSEGNAAVVOCATURADELLOSTATO�

IlariA 
Sanasi, 
Legittime�le��quote�rosa��nella�legge�elettorale�della�Regione�
Valled'Aosta�..............................................�pag.�210�

IlariA 
Sanasi, 
Obbligo�di�notifica�dell'atto�introduttivo�del�giudizio�all'Avvocat
uradelloStato�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�..�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�..�.���249�

MariO 
AntoniO 
Scino, 
Contratti�della�P.A.�ed�invalidita�procedimentali�
(PremioSandulli6dicembre2002)�..............................���321�

TitO 
VarronE 
(acuradi),dossier,Spoils�system:�la�giurisprudenza�comincia�a�
pronunciarsi�sulle�questioni�insorte�a�seguito�della�legge�145/2002�.�.�.�.�..�..���119�

2 
-INDICE 
DELLE 
SENTENZE 


CORTEEUROPEADEIDIRITTIDELL'UOMO�
Sez.1.,27marzo-20maggio2003................................pag.�41�

CORTEDIGIUSTIZIADELLECOMUNITA�EUROPEE�
Sez.6.,16gennaio2003,nellacausaC-14/00.�.......................���48�

CORTECOSTITUZIONALE�
10febbraio2003,n.49........................................���216�

CORTEDICASSAZIONE 
Sez.1.,11dicembre2002,n.17650�...............................���200 
Sez.1.,14gennaio2003,n.360..................................���201 
Sez.1.,30gennaio2003,n.1405.................................���206 
Sez.1.,6febbraio2003,n.1740�.................................���205 
Sez.1.,17febbraio2003,n.2309.................................���203 
Sez.Unite,ord.27febbraio-6maggio2003,n.6889...................���220 
Sez.1.,3aprile2003,n.5118�...................................���202 


CONSIGLIODISTATO�
Sez.6.,16ottobre2002,n.5640�.................................���243�
Sez.4.,CameradiConsiglio17dicembre2002,n.257/2003�.............���250�

TRIBUNALEAMMINISTRATIVOREGIONALEPERILLAZIO�
Sez.2.,21maggio2003,n.4443�.................................���184�

TRIBUNALEAMMINISTRATIVOREGIONALEPERLATOSCANA�
Sez.1.,CameradiConsiglio8aprile2003..........................���262�
Sez.1.,CameradiConsiglio8aprile2003,n.1498....................���272�
Sez.1.,CameradiConsiglio8aprile2003,ord.9aprile2003,n.353.......���261�

TRIBUNALECIVILEDIROMA�
Sez.2.,provv.todiscioglimentodiriserva13maggio-16giugno2002�......���281�
Sez.Lavoro,ord.15gennaio2003................................���153�
Sez.Lavoro,ord.23gennaio2003................................���155�
Sez.Lavoro,ord.3febbraio2003,n.4392..........................���158�


INDICISISTEMATICI�331 


Sez.Lavoro,ord.3febbraio2003�................................pag. 
159�
Sez.2.,ord.3-5febbraio2003...................................���281�
Sez.Lavoro,ord.4febbraio2003�................................���160�
Sez.Lavoro,ord.18febbraio2003�...............................���162�
Sez.Lavoro,ord.19febbraio2003�...............................���163�
Sez.Lavoro,ord.25febbraio2003�...............................���165�
Sez.Lavoro,ord.4marzo2003..................................���168�
Sez.Lavoro,ord.13marzo2003.................................���170�
Sez.Lavoro,ord.2aprile2003�..................................���172�
Sez.Lavoro,ord.8aprile2003�..................................���175�
Sez.Lavoro,ord.29aprile2003�.................................���176�
Sez.Lavoro,ord.12maggio2003�................................���178�
Sez.Lavoro,ord.18giugno2003�................................���180�

3 
-INDICE 
DEGLI 
ARGOMENTI 


Atto�amministrativo�^Integrazionedellamotivazione^Suaammissibilita�
insededisospensiva(TAR 
Toscana, 
sez. 
1., 
ord. 
9 
aprile 
2003, 
n. 
353 
e 
sent. 
Cam. 
Cons. 
8 
aprile 
2003) 
......................................pag. 
261,262�

Comunita�europee�^InadempimentodiunoStato^Prodottidelcacaoedi�
cioccolatocontenentisostanzegrassediversedalburrodicacao^Prodotti�
legalmentefabbricatiecommercializzatinelloStatomembrodiproduzione�
conladenominazione�cioccolato�^Obbligodicommercializzazioneinaltro�
Statoconladenominazione�surrogatodicioccolato�^Incompatibilita�con�
ildirittocomunitario(Corte 
di 
Giustizia 
CE, 
sez. 
6., 
sent. 
16 
gennaio 
2003 
nella 
causa 
C-14/00 
..............................................���49�

Concorrenza�^Banche^Mercatoriservatoononriservatoadenticreditizi�
^Competenzaantitrust 
^Autorita�garantedellaconcorrenzaedelmercatoB
ancad'Italia(Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
6., 
sent. 
16 
ottobre 
2002, 
n. 
5640) 
....���243�

Corte�Europea�dei�diritti�dell'Uomo�^Ragionevoleduratadeiprocessi�
(�leggePinto�)^Equariparazione^Presupposti(CEDU, 
sez. 
1., 
27 
marzo2
0 
maggio 
2003) 
............................................���44�

Diritto�processuale�^AvvocaturadelloStato^Notifica(obbligodi)^
Inammissibilita�delricorso(Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
4., 
sent. 
257/2003) 
.....���250�

Diritto�processuale�^Ragionevoleduratadeiprocessi(�leggePinto�)E
quariparazione^Presupposti(sentenze 
in 
dossier) 
..................���200ss.�

Elezioni�^Giudiziodilegittimita�costituzionaleinviaprincipale^Regione�
Valled'Aosta^Elezioni^ElezionedelConsiglioregionale^Formazionedelle�
listedeicandidati^Condizionedellanecessariapresenzanelleliste,apena�
diinvalidita�,di�candidatidientrambiisessi�^RicorsodelPresidentedel�
Consigliodeiministri^Prospettatalimitazionedeldirittodielettoratopass
ivo,conviolazionedelprincipiodiparita�deisessinell'accessoallecariche�
elettive^Nonfondatezzadellaquestione(Corte 
Costituzionale, 
sent. 
10 
febb
raio 
2003, 
n., 
49) 
...........................................���216�


332 
RASSEGNA�AVVOCATURA�DELLO�STATO�
GarantE 
leggE 
privacY 
^Attivita�del�garante�^Provvedimenti�ex�ufficio�e�
provvedimenti�su�richiesta�del�soggetto�interessato�^Ricorso�^Forme�del�pro-
cedimento�^Riunione�di�giudizi�che�seguono�riti�divesi�^Prevalenza�del�rito�
ordinario�(Tribunale 
di 
Roma, 
sez. 
2., 
ord. 
3-5 
febbraio 
2003) 
..�.....�.....�pag. 
281�
GarantE 
leggE 
privacY 
^Ricorso�al�Garante�ai�sensi�degli�artt.�29,�co.�6,�e�
31,�co.�4,�della�L.�675/96�^Competenze�del�tribunale�^Svolgimento�del�pro-
cesso�nelle�forme�di�cui�agli�artt.�737�e�segg.�c.p.c.�(Tribunale 
di 
Roma, 
sez. 
2., 
provv.to 
di 
scioglimento 
di 
riserva 
del 
13 
maggio-16 
giugno 
2002) 
.....���281�
GiurisdizionE 
^Ricorso�per�motivi�di�giurisdizione�^Procedimento�cautelare�
incidentale�in�giudizio�amministrativo�^Questione�incidentale�di�costituziona-
lita�insorta�in�detto�procedimento�cautelare�^Ordinanza�di�remissione�alla�
Corte�Costituzionale,�sospesa�ogni�decisione�cautelare�^Appello�e�decisione�
cautelare�definitiva�in�secondo�grado�^Ricorso�per�motivi�di�giurisdizione�^
Inammissibilita�(Corte 
di 
Cassazione, 
Sez. 
Un., 
ord. 
27febbraio-6 
maggio 
2003, 
n. 
6889) 
....�.....�.....�......�.....�......�.....�.....�.....���220�
LavorO 
^Dirigenza�pubblica�^Spoils 
system 
^Giurisdizione�^Legittimita�
costituzionale�^Non�ricorrenza�del�danno�grave�e�irreparabile�in�caso�di�man-
cata�conferma�(Ordinanze 
in 
dossier; 
TAR 
Lazio, 
sez. 
2., 
sent. 
21 
maggio 
2003, 
n. 
4443) 
....�.....�.....�......�.....�......�.....�.....�.....���153�ss.�
PatteggiamentO 
^Irretroattivita�dell'art.�4�D.Lgs.�n.�286/1998,�come�modi-
ficato�dalla�L.�189/02�riguardo�ad�una�condanna�emessa�su�accordo�delle�
parti�^Possibilita�per�l'Amministrazione�di�trarre�elementi�dalla�sentenza�ex�
art.�444�e�da�altri�episodi,�per�la�valutazione�ai�sensi�dell'art.�1�della�
L.�27�dicembre�1956,�n.�1423�(TAR 
Toscana, 
sez. 
1., 
sent. 
Cam. 
Cons. 
8 
aprile 
2003, 
n. 
1498) 
....�.....�.....�......�.....�......�.....�.....�.....���272�
4 
-P 
ARERI 
A.G.S. 
^Parere 
del 
26 
agosto 
2002, 
n. 
87135 
^Procedura 
espropriativa. 
Valutazione�estimativa�
Avvocato 
T. 
Varrone) 
dell'indennita�di�esproprio�(consultivo 
2388/02, 
..�.....�......�.....�......�.....�.....�.....�pag. 
297�
A.G.S. 
^10 
gennaio 
2003, 
n. 
2470 
^Classi 
delle 
sostanze 
dopanti. 
Convenzione�di�Strasburgo�anti-doping 
(ratificata�con�legge�29�novembre�1995�
n.�522)�^Lista��aperta��di�farmaci,�sostanze�e�pratiche�mediche�c.d.�
dopanti�^Normativa�interna�di�recepimento�(legge�14�dicembre�2000�
n.�376)�contenente�rinvio�a�decreto�ministeriale�individuativo�^Fattispecie�
penalmente�sanzionata�(art.�9�legge�cit.)�^Compatibilita�col�principio�
penale,�costituzionalmente�garantito�(art.�25�Cost.),�del�nullum 
crimen 
sine 
lege 
(consultivo 
n. 
6954/02, 
avvocato 
P. 
Cosentino). 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
��2�8�5�
A.G.S. 
^Parere 
del 
31 
gennaio 
2003, 
n. 
9965 
^Transazione 
Telecom 
S.p.a. 
c/Interno. 
Convenzione�transattiva�(consultivo 
9325/02, 
avvocato 
G. 
Fiengo). 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
��2�8�8�


INDICI3SISTEMATICI3

A.G.S.�^Parere�del�19�febbraio�2003,�n.�17130.�
Compenso3aggiuntivo3per3festivita�coincidenti3con3la3giornata3domenicale3
(consultivo 
13635/01, 
avvocato 
A. 
Linguiti). 
.. 
... 
.. 
.. 
.. 
... 
.. 
.. 
... 
.. 
. 
pag. 
2903
A.G.S.�^Parere�del�28�febbraio�2003,�n.�21146.�
Prosecuzione3del3rapporto3di3lavoro3di3personale3ausiliario3assunto3con3con-
tratto3a3tempo3determinato3previa3selezione3operata3tramite3l'Ufficio3di3
collocamento3(consultivo 
1310/03, 
avvocato 
E. 
Figliolia). 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�3239323
A.G.S.�^Parere�del�19�marzo�2003,�n.�31394.�^Danno�ambientale.�
Danno3ambientale3^Ripristini3e3risarcimenti3conseguenti3(consultivo 
n. 
10261/02, 
avvocato 
A. 
De 
Stefano). 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�30323
A.G.S.�^Parere�del�21�marzo�2003,�n.�32719�^Rimborso�spese�forfettarie.�
(Consultivo 
20168/02, 
avvocato 
A. 
Soldani). 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�3163
A.G.S.�^Parere�del�1.�aprile�2003,�n.�39682.�
Azienda3Universitaria3Policlinico3�Umberto3I�3di3Roma3in3liquidazione3^
Pagamento3dei3debiti3nei3confronti3del3personale3(consultivo 
5071/03, 
avvoc
ato 
E. 
Figliolia). 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�32393
A.G.S.�^Parere�del�3�maggio�2003,�n.�52737�^Indennizzabilita�opere�realizzate�
in�ispregio�a�servitu�militari.�
Autorizzazione3(ex 
art.383legge3898/76)3del3Comandante3territoriale3ad3ese-
guire3opere3in3deroga3alle3limitazioni3imposte3sui3fondi3gravati3da3servitu�
militari:3natura3ed3effetti3(consultivo 
6564/99, 
avvocato 
G. 
Lancia) 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�32395