ANNO V -N. 10-11 O�rToBRE-NoVEMBRE 1952 

RASSEGNA MENSILE 


DELL'AVVOCATURA DELLO� STATO 


P'UBBLIC1A.ZIONE DI SERVIZIO 


RECENTI SVILUPPI DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA SU ALCUNE 
QUESTIONI DI DIRITTO PRIVATO CONCERNENTI LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 


SOMMARIO: 1. Premessa -2. Diritto successorib -3 e 

4. Diritti reali -5 e 6. Diritti delle obbligazioni 7. 
Esecuzione forzat~ contro lo Stato -8. Conclusioni. 
Premessa 

1. Il problema della posizione dello Stato di 
fronte al diritto civile da decenni travaglia la dottrina 
e la giur:i,sprudenza, c01:ne quello attinente 
ai limiti reciproci �fra principio di autorit�. e principio 
di libert�, fra diritto della_;collettivit� e diritto 
del singolo. Per usare una suggestiva espressione 
adottata dal Mantellini (1), trattasi .di spiegare 
come e cc perch� libert� e principato usino del 
medesimo foro �, e di segnare le zone d'interferenza 
e le zone di discriminazione. Il presente 
scritto si propone di registrare i capisaldi del problema, 
cosi come impostati e risolti dalla gturisprudenza 
della Corte Suprema di Cassazione dagli 
ultimi anni a questa parte. . 
Ch�, in realt�, in un campo dove 13: zona d1 
discriminazione non � ben chiara, la funz10ne della 
giurisprudenza assume un valore che va ben. pi~ 
in l� della semplice interpretazione delle leggi vigenti; 
essa assurge a funzione di interpretazion.e 
costruttiva del diritto, non altrimenti che nel diritto 
romano dell'et� classica ove medesima funzione 
ebbe il ius praetorium, trasfuso, poi, nell'editto 
di Salvo Giuliano. 

� proprio nel campo del diritto pubblico, infatti, 
che la disciplina dei rapporti giuridici tra i vari 
soggetti ed organi risente della mancanza di codificazioni 
generali. Il fenomeno, accentuatissimo 
nel campo del diritto internazionale, degrada nel 
campo del diritto costituzionale, dove accanto 
alle poche norme scritte, imperano precetti di 
correttezza e di prassi tradizionale; � sempre vivo, 
sebbene con minore intensit�, nel campo del diritto 
amministrativo, ove la codificazione di talune 
partizioni della materia � stata, sovente, null'altro 
che la traduzione in termini legislativi di 
decisioni giurisprudenziali. Giudicare se e quanto 
sia opportuno tale sistema, � questione che esula 

(1) Lo Stato e il Codice civile, Ed. Barbera�, 1882, preazione. 
�� 
dai limiti del presente scritto (1). �comunque il 
sistema stesso importa una valorizzazione della 
giurisprudenza -come si diceva dianzi -l� 
dove non esistono se non principi generali, al posto 
di pi� specifiche norme. 

Tale giurisprudenza, com'� . ovvio, appunto per 
la sua peculiare caratteristica, non pu� non tener 
conto dell'evoluzione storico-sociale del campo 
sottoposto al suo esame. In proposito sono ben 
note le vicende, d'ordine politico, storico, giuridico, 
che hanno condotto lo Stato, attraverso un 
lento processo di evoluzione, da assolutamente 
inattaccabile qual'era ai primordi della civile convivenza 
sociale, all'attuale posizione di soggetto 
di diritto-, nell'armonioso rispetto di tutte le norme 
giuridiche, dettate a tutela dei singoli non men~ 
che della collettivit� (2); fino ai recenti precetti 
contenuti nella Costituzione della Repubblica, 
precetti che segnano la codificazione di principi 
quasi secolari. 

Tuttavia, lo Stato, anche nel vigente sistema 
costituzionale �d amministrativo, assume, nei confronti 
delle norme generali di diritto privato, una 
configurazione sua propria, consona del resto, alla 
peculiarit� di si complesso soggetto di diritto; configurazione, 
codesta, che trovasi in parte codificata 
nelle stesse norme di diritto privato, ed in 
parte chiaramente delineata nella giurisprudenza 
della Corte Suprema. 

Qui di seguito sar� esaminato, seguendo un 
preciso criterio sistematico, quale sia stato, ap


(1) Su tale questione, in particolare, cfr. ZANOBINI: 
Corso di Diritto amministrativo, Milano, 1939, vol. I, 
pag. 38 segg. e richiami ivi contenuti. . 
(2) Per una disamina completa di tale processo d1 
evoluzione, si confrontino i trattati generali del MANTELLINI: 
Lo Stato e il Codice civile, gi� citato; CAMMEO: Commentario 
delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, 
vol. I, pag. 180 segg.; MORTARA: Commentario al 
Codice e alle leggi di procedura civile, vol. I, pag. 44 segg.; 
e, tra i pi� recenti, D'ALESSIO: Istituzioni di J?.iritto amministrativo, 
'.forino, 1934, vol. I, pag. 265 segg.; ZANoBINI: 
� Corso di Diritto amministrativo citato, vol. I�, 
pag. � 34 s�gg.; VITTA: Diritto amministrativo, Torino, 
1948-50, vol. II, pag. 425 segg.; e, pi� specificamente, 
la monografia del CHlOCA: L'evoluzione storica dei principi 
della soggezione alla giurisdizione e della difesa legale 
dello Stato, in questa� Rassegna�, 1951, pag. 1 segg. 

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punto, il pensiero del Supremo Collegio sul problema 
che ne occupa, in alcuni campi (1) del diritto 
privato nei quali possa, comunque, essere 
interessata la Pubblica amministrazione. � 

E cos� il problema sar� trattato in relazione al 
diritto successorio, ai diritti reali, al diritto delle 
obbligazioni, alla tutela dei diritti, con partico
�lar& riguardo al . problema dell'esecuzione forzata 
contro lo Stato; in tutto, -cercando di essere fedeli 
interpreti del pensiero del Supremo Collegio. 

Diritto successorio 

2. Poche osservazioni sono da farsi in argomento; 
ed esse riguardano tutte l'art. 586 del Oodice civile, 
concernente, com'� noto, la successione (legittima) 
dello Stato. 
Nell'impero del vigente Oodice pu� dirsi che 
la vessata questione della natura del diritto dello 
Stato all'acquisizione dei beni ereditari nullius 
� stata legislativamente risolta, configurandosi 
tale diritto come esplicazione del potere di rappresentante 
la collettivit� sociale pi� che come un 
vero e proprio diritto ereditario (2). 

Si spiegano, cos�, le disposizioni legislative riguardanti 
l'accettazione automatica ed irrinunciabile 
dell'eredit�, e la responsabilit� pei debiti ereditari 
limitata intra vires. S� che per il vigente 
Codice, il delicato problema pu� dirsi risolto. . 

Ma � pur doveroso ricordare che il fondamento 
dei principi test� codificati � il frutto di lunghi 
dibattiti dottrinali e pratici, culminati con alcune 
memorabili sentenze delle Corti di � Cassazione 
(prima dell'unificazione), sentenze alle cui enunciazioni 
ebbe parte non ultima l'Avvocatura. 

Invero con la sentenza 25 luglio 1896 (3), la 
Corte di Cassazione di Palermo poneva il principio 
che cc il diritto del Demanio dello Stato sui beni 
vacanti e senza padrone e di quelli che muoiono 
senza eredi, � imprescrittibile �, precisando, poi: 
cc Ad una sola condizione il diritto del �Demanio 
non � pi� esperibile, o quando cessa lo stato di 
cose. previsto dalla legge o quando l'occupatore 
abbia acquistato i beni a mezzo della prescrizione: 
in tale ipotesi, il diritto del Demanio non � pi� 
esperibile, non per effetto della prescrizione estintiva 
del suo diritto, ma perch� vengono meno le 
condizioni volute dalla legge per l'esercizio di quel 
diritto�. 

Come si vede, tale sentenza, autorevolmente e 
favorevolmente annotata dal Gabba, poneva le 
basi per gli articoli 586 e 533 del Codice civile 
vigente. 

(1) Il presente st~dio non s} occupa delle. <1.uestion~ 
relative alla eccessiva onerosit� e alla revisione dei 
prezzi, che pur sono state esaminate recentemente dalla 
stessa Corte Suprema, dato che per la loro natura specifica 
meritano una trattazione a�parte. Cos� pure non 
� stata trattata la questione della disciplina dei prezzi, 
dei contingentamenti, ~ssegnazioi;i.e di merci, .ecc... 
(2) Vedi, in proposito, Relazione al Codice civile, 
n. 284; Cwu: Le successioni, Milano, 1947, pag. 204 segg.; 
UDINA: Il fondamento della successione dello Stato, ecc., 
in "Riv. dir. pubblico� 1938, I, 385. 
(3) cc Foro Ital. >>, 1897, I, 936, con nota adesiva 
del Gabba. 
Una deviazione da siffatti principi ebbe a registrarsi 
con la sentenza 20 agosto 1900 della Corte 
di� Cassazione di Roma (1). In tale sentenza, la 
Corte romana ebbe ad affermare che l'azione dello 
Stato per conseguire i beni vacanti era fondata 
sopra un vero e proprio diritto di successione e 
che essa era soggetta all'ordinaria pres�rizi�ne 

�trentennale. Trattavasi di un ritorno ~Ila pi�-com-
pleta equiparazione dello Stato col privato, in 
una materia dove, invece, pi� caratteristica risul. 
tava la particolare posizione d�llo. St�to stesso. 


Ma i principi segnati dalla Corte di .Qassazione 
palermitana ebbero ulteriore, e definitiva, conferma, 
in altra memoranda sentenza della . Corte 
di Cassazione di Torino dell'll marzo 1922 (2). 
Trattavasi di controversia avente ad oggetto la 
successione di un suddito svizzero, deceduto in 
Italia, senza eredi (3). 

L:�� Corte dt qassazione torinese, con la suddetta 
sentenza, ebbe a confermare che i beni andavano 
devoluti allo Stato italiano. E soggiungeva che 
l'opinione del Gabba, favorevole all'acquisizione 
allo Stato dei beni delle successioni vacanti in 
Italia, provenienti da qualunque straniero, cc non 
era indegna del favore incontrato in giurisprudenza, 
non parendo possibile dissociare la considerazione 
politica intesa ad una finalit�. di ordine 
pubblico, per associarvi la considerazione della 
presunta volont�. del defunto, la meno plausibile 
in una successione che gli scrittori concordemente 
definiscono anomala �. 

Dopo tale data, non vi furono altri precedenti 
di qualche rilievo; s� che la cristallizzazione della 
giurisprudenza dominante indusse il legislatore 
a precisare positivamente la natura e i limiti del 
diritto successorio dello Stato, come sopra riportati. 


Diritti reali 

3. Molteplici sono le decisioni della Corte Suprema 
in tema di diritti reali e, precisamente, a 
proposito del regime dei beni pubblici, nella loro 
principale ripartizione di beni demaniali e di beni 
patrimoniali. 
In realt�, la giurisprudenza ha avuto il compito 
di interpretare, attraverso il vaglio delle pi� diverse 
fattispecie, gli articoli 823 e 828 del Codice 
civile, riguardanti, rispettivamente, la condizione 
giuridica dei beni demaniali e quella dei beni patrimoniali. 
In tale opera interpretativa, la giurisprudenza 
molte volte ha avuto a precisare, contro 
talune contrarie affermazioni ed interpretazioni, 
i limiti inderogabili entro i quali i beni pubblici 
possono dirsi sottoposti al regime del diritto 
privato. 

Cos�, a proposito dei limiti dei diritti dei privati 
su beni demaniali, di contro ad una prece" 
dente e non eccessivamente chiara sentenza della 
II Sezione, resa in controversia ClJ.j rimase estranea 

(1) cc Foro Ital. >>, 1900, I, 1181. 
(2) cc Foro Ital. >>, 1922, I, 598. 
(3) Vedi per il riassunto della vertenza: Relazione 
Avvocatura per gli anni 1912-25, pag. 651 segg. 

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l'Avvocatura (1), � da segnalare una perspicua 

sentenza delle Sezioni Unite, nella quale veniva 

decisamente inquadrato e risolto il problema (2). 

JJa parte centrale della motivazione di tale sen


tenza afferma testualmente: 

cc Riferendosi alla condizione giuridica del De


manio pubblico, l'art. 823 Oodice civile precisa 

r he i beni che ne fanno parte non possono for


mare oggetto di diritti a favore di terzi, se non 

nei modi e nei limiti� stabiliti dalle leggi che li 

rigtrnrdano. Non � pensabile, pertanto, una disci


plina convenzionale dei beni anzidetti, sia pure 

in relazione ad un semplice godimento tempo


raneo che porta Amministrazione e privato su di 

un piede di eguaglianza; e, se la Pubblica Ammini


strazione non si distacca, n� lo potrebbe, rebus 

sic stantibus, dalla sua posizione eminente, non 

potr�. ritenersi che si sia costituito, a suo mezzo? 

e nei suoi confronti un rapporto contrattuale d1 

diritto privato. La sua posizione rimane, infatti, 

inseparabile dal diritto pubblico e, nell'ambito 

di quest'ultimo, il contratto intervenuto costi


tuir�, per l'appunto, un negozio di diritto pubblico>>. 

Coerentemente a tali ineccepibili premesse, la 

Suprema Oorte traeva l'ulteriore corollario che 

la proroga legale sui contratti agrari non � esten


sibile ai diritti di godimento su beni demaniali, 

in quanto, questi, come dimostrato dianzi, non 

sorgono da contratti di diritto privato, bens� da 

concessioni amministrative (3). 

Sempre sullo stesso tema la III Sezione della 
O.orte Suprema (4) stabiliva che il rapporto costituito 
tra l'Amministrazione delle Ferrovie dello 
Stato e il gestore di un caff� ristorante di stazione 
ipotizza una vera e propria concessione amministrativa, 
ed esso, pertanto, � insuscettibile di assimilazione 
alle locazioni di diritto privato, ai fini 
della proroga legale. . 

Se il principio suddetto poteva sembrare di 
applicazione indiscussa per i beni demaniali in 
senso stretto, esso poteva lasciare qualche dubbio 
per ci� che' concerne i beni del patrimonio indisponibile. 
In realt�., una corretta interpretazione dell'art. 
828 Oodice civile dovrebbe chiaramente staccare 
i due commi di cui l'articolo stesso si compone. 
II 10 comma, infatti, riguarda genericamente 
i beni patrimoniali; il 2� comma disciplina specificamente 
i beni patrimoniali indisponibili, restringendone, 
fino a ridurla al nulla, l'assoggettabilit� 

(1) Sezione II, 15 giugno 1943, n. 1482, in cc Foro 
Ital. '" 1944-46, I, 60, nella quale fu affermato che <e rap: 
porti di diritto ~ri_vato possono _sussis~er~ s~~ra bem 
demaniali compatibilmente con gli sc;op1 _di ut1ht� pub: 
blica ai quali i beni stessi sono destrnati �. Ma trattasi 
�di affermazione quasi incidentale, assorbita dalla questione 
di fondo, relativa all'esistenza di una concesione 
di diritto esclusivo di pesca su un lago: 

(2) Sezioni Unite, 30 aprile 1949, n. 1067, rn questa 
"Rassegna"� 1949, 215, cc Riv. dir. comm. � 1950, II, 13, 
con nota adesiva del BoDDA, e <e Foro Ital. � 1949, I, 837. 
(3) Lo stesso princ~pio .venne applicato. ~nche da~la 
Sezione V del Consiglio d1 Stato nella decisione 25 giugno 
1949, n. 598, (<e Foro Ital "'. 1~49',. III, 1~~): <e La; 
disciplina vincolistica dell~ l<;>ca;z:10m d imm?b1h 1;1fbam 
non si applica alle concess10m d1 botteghe, site nei mercati 
comunali, a privati "� � 

(4) Sezione III, 21 luglio 1949, 1903, in questa 
K Rassegna�, 1950, pag. 26. 
alle ordinarie norme di diritto civile. La differenza 

sostanziale tra le due parti risulta evidente dal 

semplice loro confronto: 

� I beni che costituiscono il patrimonio dello 

Stato, delle Provincie, dei Oomuni, sono soggetti 

alle regole particolari che li co:r;icernonp ~, in quanto 

non � diversamente disposto, alle regole del pre


sente Codice>> {lo comma). 

� I beni che fanno parte del patrimonio indispo


nibile non possono essere sottratti alla loro desti


na.zione se non nei modi stabiliti dalle leggi che 

li riguardano n (20 comma). 

Si ha, nelle norme in parola, un esplicito richiamo 
alla legge sulla contabilit�. generale dello 
Stato, richiamo che � relativo, nel primo caso, 
assoluto e inderogabile nel secondo. Opinare altrimenti 
significherebbe ignorare la voluta cop.trapposizione 
delle due parti dell'art. 828 del� Oodice 
civile. 

Anche su tale specifica questione, la Oorte Suprema 
fu recisa nell'escludere ogni rapporto privatistico 
in relazione ai beni patrimoniali pubblici. 

Gi�. con la sentenza 30 novembre 1949, numero 
25'30 (1), pronunciata in un giudizio tra 
privati, la III Sezione della Suprema Corte sanciva 
il principio che i beni che lo Stato concede ad 
uso di alloggio a determinata categoria di funzionari 
e per il solo tempo in cui prestano servizio 
appartengono al patrimonio indisponibile. <e E 
-soggiungeva testualmente la Suprema Corte tale 
concessione, che risponde ad esigenza di pubblica 
utilit�. perch� facilita la condizione del funzionario 
in relazione all'attivit�. che egli deve esplicare 
per il pubblico servizio, per le rilevate caratteristiche 
fra le quali domina il pubblico interesse, 
che afferisce alla indisponibilit� del bene, non � 
confondibile con la locazione, che � un negozio di 
diritto privato e nei termini dell'art. 1571 Oodice 
civile conferisce al conduttore il diritto di godere 
liberamente della cosa locata. La tenuit�. del canone 
annuo relativo alla concessione e la fine di 
essa condizionata al cessare dell'impiego non possono 
far sorgere dubbi sulla natura giuridica del 
bene in questione e della sua concessione amministrativa, 
che � l'unica forma consentita per il godimento 
di detto bene, in dipendenza dell'attivit� 
del concessionario nei rapporti con la Pubblica 
Amministrazione )), 

Ma la questione, di li a poco, veniva riesaminata 
pi� specificamente dalle Sezioni Unite le quali 
con la sentenza 13 dicembre 1949, n. 2581 (2), 
ribadivano il principio che <e l'assegnazione di alloggi 
ai ferrovieri da parte dell'Amministrazione 
delle Ferrovie dello Stato ba natura di concessione 
amministrativa con corrispettivo ed � sottratta 
al regime vincolistico delle locazioni di immobili 
urbani>>. 

Le Sezioni Unite osservano che tale conclusione 
veniva suffragata da vari elementi, cos�, sinteticamente 
riassunti: 

a) i soggetti del rapporto che, per legge, sono 
particolarmente qualificati; da un lato lo Stato-, 

(1) In cc Foro Ital. '" 1950, I, 861. 
(2) In cc Foro Ital. '" 1950, I, 861. 

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dall'altro impiegati dello Stato stesso, a questo 
legati, quindi, da un rapporto di servizio; 

b) l'oggetto del rapporto, cio� l'alloggio concesso 
in uso, bene patrimoniale di propriet�. dello 
Stato, non disponibile, perch� goduto dal privato 
in funzione del servizio svolto dallo stesso, e insuscettibile 
di diversa destinazione; 

c) il corrispettivo, non liberamente convenuto 
fra le parti, ma discrezionalmente fissato dall'Amministrazione; 


d) -la durata dell'uso, anche questa sottratta 
alla libera contrattazione delle parti e subordinata 
alle esigenze di pubblico interesse. 

Di fronte a tale indirizzo della Oorte di Oassazione 
non pu� non considerarsi ��me una devia


' .

zione giurisprudenziale la contraria -e oramai 
non pi� recente -sentenza della Sezione II della 
.stessa Oorte, in data 28 gennaio 1944, n. 43 (1), 
la quale ammetteva, in linea di principio, che a 
carico di un bene patrimoniale indisponibile dello 
Stato pu� essere costituita per usucapione una 
servit�, cc purch� non ne riesca inficiata la pubblica 
destinazione del bene �. Siffatta proposizione non 
pu�, ovviamente, condividersi, in quanto una servit�, 
quale ne sia il contenuto, integra pur sempre 
un distacco di utilit�. del bene a favore del 
fondo dominante. Ora, se si ammette -come 
non pu� non ammettersi -che il beile pubblico 
� diretto nella sua interezza ed esclusivit�, all'uso 
di interesse generale che la specifica sua destinazione 
se ne ripromette, � evidente eh.e tale uso ne 
resterebbe intaccato se esso dovesse coesistere insieme 
con un uso privato. Ed allora, non � chi 
non veda che la riserva formulata dalla Oorte 
Suprema non pu� mai verificarsi: o la pubblica 
destinazione resta nella sua interezza ed esclusivit�., 
ed allora non pu� ipotizzarsi alcuna servit�; 
oppure essa viene intaccata, e neanche in questo 
caso potrebbe parlarsi di servit�, senza cancellare 
l'art. 828, 2� comma, Oodice civile (2). 

. * * * 

4. Tutto quanto precede riguarda i beni pubblici 
considerati nel loro momento, se pu� cos� 
dirsi, statico, cio�, nella loro essenza intrinseca. 
Ma i beni pubblici vanno guardati anche, sempre 
per usare un'espressione figurata, nel loro momento 
dinamico, vale a dire con riferimento alla 
vita di relazione con tutto il complesso giuridicosociale. 
La giurisprudenza della Oorte Suprema ha avuto 
scarse occasioni di occuparsi ex professo dell'argo


(1) Giur. compl. Oass. civile, 1944, vol. XV, pag. 26, 
con nota adesiva del PESCATORE. 
(2) Per la riprova dell'assoluta sottrazione dei beni 
pubblici (demaniali e patrimoniali indisponibili), ad 
ogni vincolo di natura diversa da quello inerente alla 
destinazione originaria dei beni stessi, � da segnalare 
la giurisprudenza amministrativa, la quale ha escluso 
che i beni in questione possano essere soggetti alla disciplina 
delle terre incolte, ai fini dell'assegnazione a cooperative 
agricole: Oomm. terre incolte, Roma, 6 aprile 
1950 (in questa cc Rassegna>>, 1950, 82); Consiglio Stato 
V Sezione, 27 maggio 1949, n. 430 ((( Giur. Ital. � 1950, 
III, 17). 
mento; ma, allorch� ha portato il suo esame sulla 
questione, non ha manc�to di rilevare come, anche 
qui, le norme del diritto privato vadano applicate, 
nei confronti dello Stato, con quella elastica 
interpretazione che la particolare natura del soggetto 
consente. � . 

Si tratta, in sostanza, della questione relativa 
all'assoggettabilit�. dei beni pubblici ai regolamenti 
comunali edilizi e alle norme sulle distanze 
legali, previste nel Oodice civile. 

La Oorte Suprema, con la sentenza 3 luglio 1947, 

n. 1048 (1), trattando una controversia disciplinata 
ancora dalle norme del Oodice del 1865, ebbe 
a statuire che i beni del demanio pubblico non 
sono soggetti alla disciplina delle distanze e delle 
altezze stabilita dai regolamenti edilizi. A tale 
affermazione, la Suprema Oorte perveniva attraverso 
una logica interpretazione degli articoli 556 
e 572 dell'abrogato Oodice civile. e< Per non intralciare 
l'attivit� della Pubblica Amministrazione, 
il Oodice del 1865 -leggesi nella sentenza -sottraeva 
gli edifici destinati all'uso pubblico alla 
comunione forzosa dei muri e all'osservanza delle 
distanze minime stabilite per i fabbricati privati; 
per la stessa considerazione, ed a maggior ragione, 
deve ritenersi che il legislatore del 1865 abbia 
voluto esentarli dall'osservanza delle maggiori distanze 
stabilite da regolamenti comunali �. 
La questione si riaffaccia nel vigore del O o dice 
attuale, il quale, com'� noto, non riporta una 
disposizione analoga a quella dell'art. 572 dell'abrogato 
Oodice. Ma non sembra che il legislatore 
abbia inteso immutare al regime tradizionale, 
il quale � il pi� aderente alla natura dei 
beni pubblici; ond'� che una disposizione consimile 
oggi deve considerarsi superflua. Del resto, 
lo �stesso autorevole annotatore della sentenza in 
questione, pur propendendo per la soluzione contraria, 
non esita, per�, . a concludere (pag. 213) 
che, nell'eventuale conflitto tra due interessi pubblici, 
l'uno d'ordine primario, inerente, cio� �agli 
scopi essenziali della Pubblica Amministrazione, 
quale � quello relativo alla costruzione demaniale
�; l'altro <e di ordine meramente estetico 
-o altro -e cio� secondario � deve darsi la 
preferenza al primo, col sacrificio del secondo. 
Il che vale dire, in altre parole, che anche nel vigente 
.Oodice il principio pubblicistico adottato 
dalla citata sentenza della Oorte Suprema resta 
salvo. 

Sempre sul tema delle relazioni di beni pubblici 
con regolamenti edilizi o con altri beni, di natura 
privata, sarebbe stato interessante conoscere il 
pensiero del Supremo Oollegio su due particolari 
questioni accessorie; se, cio�, siano esentati dall'osservan2:
a dei regolamenti edilizi anche i beni 
patrimoniali indisponibili, e se gli stessi beni siano 
soggetti, o meno, alla comunione forzosa del muro, 
esclusa, com'� noto, per i beni demaniali e per 
gli edifici di interesse storico, artistico o archeologico 
(art. 879 Codice civile). -�Sulle due speci


(1) Giur. Completa Oass. civile, 1947, vol. XXV, 
pag. 204, con nota del SANDULLI e in questa e< Rassegna�, 
1948, fase. 11-12, pag. 29. 

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fiche questioni, peraltro, non risultano precedenti 
editi della Corte Suprema. Si pu� rilevare, tuttavia, 
che non sembra dubbio debba adottarsi la 
soluzione pi� conforme alla particolare destinazione 
dei beni in questione. 

Invero, tale destinazione, di natura pubblicistica, 
� un �naturale � inerente sia ai beni demaniali 
in senso stretto, sia ai beni patrimoniali indisponibili; 
ora, a parit� di destinazione, non pu� 
certo corrispondere disparit� di trattamento giuridico. 


D'altra parte, se le disposizioni in materia pi� 
favorevoli ai beni pubblici dovessero applicarsi 
unicamente ai beni demaniali, esse sarebbero quasi. 
interamente SVltotate di contenuto. Infatti sarebbe 
ben strano parlare di rispetto dei regolamenti 
edilizi o di comunione forzosa del muro 
relativamente a beni che hanno � configurazione 
fisica la pi� distante da tali ipotesi, come � a dirsi 
ili quasi tutti i beni demaniali (strade, spiagge, 
lido, fiumi, laghi, ecc.). Ed allora, devesi concludere, 
se un'interpretazione logica vuol darsi alle 
norme in parola, che esse sono applicabili anche e 
soprattutto ai beni del patrimonio indisponibile (1). 

Un particolare aspetto dell'assoluta inidoneit� 
dei beni patrimoniali indisponibili ad essere assoggettati 
al regime proprio dei beni privati � stato 
esaminato in alcune decisioni della Corte Suprema 
in tema di bottino di guerra sui beni pubblici (2) 
e di requisizione e successiva alienazione degli 
stessi beni. 

Trattasi, come � naturale, di questioni occasionate 
dalla particolare situazione in cui venne a 
trovarsi l'Italia dopo 1'8 settembre 1943. Ma, indipendentemente 
dalle decisioni di specie, che pure 
furono favorevoli per l'Amministrazione, l'importanza 
delle cennate decisioni sta nell'iter logico, 
attraverso il quale la Corte Suprema � pervenuta 
alle conclusioni suddette. 

Nella prima sentenza (3) la Corte Suprema ebbe 
a trattare la questione della opponibilit�. allo Stato 
di alienazione di beni patrimoniali indisponibili effettuata 
dopo requisizione da parte degli eserciti nemici 
occupanti. Dopo avere ritenuto l'applicabilit� 
in concreto, delle norme della Convenzione dell'Aia 
del 1899, la Corte ne precisava i limiti nei confronti 
dello Stato: 

�Ma il principio di diritto internazionale, formulato 
nella prima parte di detto articolo, non ha la 
portata che il ricorrente gli vorrebbe attribuire, nel 
senso, cio�, che lo Stato occupante possa appropriarsi 
dei mezzi militari di trasporto, costituenti 
patrimonio indisponibile dello Stato italiano occupato, 
non solo ai fini della guerra, in quanto siano 
essi, cio�, in funzione di mezzi bellici, ma per farne 
addirittura commercio con gli stessi cittadini italiani. 
Di fronte a costoro � sempre in vigore la norma 
dell'ordinamento giuridico interno per cui essi 

(1) Cfr., in argomento, la nota redazionale in questa 
cc Rassegna�, 1948, fase. 11-12, pag. 35. 
(2) Vedi l'ampia monografia del MANZARI: Bottino 
di guerra e patrimonio indisponibile dello Stato, in questa 
cc Rassegna�, 1949, 133. 
(3) Sezione I, 22 marzo 1950, n. 774, in �Foro Ital '' 
1950, I, 829 e in questa �Rassegna�, 1950, 108. 
non possono �validamente acquistare beni (come gli 
autocarri militari, �indubbiamente compresi fra gli 
armamenti) che fanno parte del patrimonio indisponibile 
del loro Stato e che non possono essere sottratti 
alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle 
leggi che li riguardano �. 

La seconda decisione (1) della Corte Suprema 
ebbe ad oggetto l'alienazione di beni patrimoniali 
indisponibili da parte di organi della sedicente 

R. S. I. Anche in questa decisione, la Corte poneva 
dei principi generali che vanno al di l� del caso di 
specie e al di l� delle stesse leggi speciali in tema di 
atti della Repubblica Sociale Italiana. In sostanza, 
la Corte ebbe ad affermare che, indipendentemente 
dalle norme del D. L. 5 ottobre 1944, n. 249, l'acquisto 
da parte del privato di beni patrimoniali 
indisponibili era inopponibile allo Stato, non potendo 
applicarsi l'art. 1153 Codice civile, che disciplina, 
com'� noto, l'acquisto a non domino. A sostegno 
di tale assunto la sentenza rilevava che � trattavasi 
di beni (sacchi dell'Esercito) in dotazione all'Amministrazione 
militare, quindi di beni patrimoniali 
indisponibili, che non potevano essere oggetto di possesso 
efficace da parte del terzo, finch� non fossero 
sottratti alla loro destinazione in conformit� alle apposite 
leggi >>. 
Di fronte a siffatte affermazioni giurisprudenziali 
della Corte Suprema, sembra lecito dubitare dell'opinione 
espressa dallo ZANOBINI (2), secondo cui 
l'alienazione di beni patrimoniali indisponibili non 
importerebbe nullit� dell'atto di disposizione, bens� 
semplice annullabilit�. Per converso, se il regime 
dei beni indisponibili � tutto in funzione della volont� 
discrezionale dell'Amministrazione in relazione 
alla loro destinazione, � evidente che ogni atto 
di disposizione, in contrasto, espresso o tacito, con 
tale volont�, � assolutamente inidoneo a produrre 
gli effetti sperati, onde deve considerarsi radicalmente 
nullo. 

Diritto deHe obbligazioni 

5. Il tema dei diritti di obbligazione � quello 
dove pi� delicata si � presentata l'indagine circa 
l'assoggettabilit� dello Stato alle regole proprie del 
diritto privato. Infatti, in tale campo, pi� che. altrove, 
� dato riscontrare quella zona grigia, costituita 
dalle reciproche interferenze tra il diritto 
civile e il diritto amministrativo, nella sua sottospecie 
della contabilit� di Stato, zona che rende 
estremamente complessa l'interpretazione delle 
norme in questione. 
A proposito delle obbligazioni contrattuali, il 
Supremo Collegio, con espressa deroga a quanto 
dispone il diritto civile per la generalit� dei contratti 
ha ritenuto che la Pubblica Amministrazione non 
pu� obbligarsi e contrattare se non nell'unica forma 
che la legge le consenta: la forma scritta. � 
un principio, codesto, di indubbia evidenza, sol che 

(1) Sezione II, 12 maggio 1951, n. 1179, in Giur. 
Compl. Cass. Civile; 1951, vol. 30, pag. 291; e in questa 
"Rassegna� 1951, pag. 120. 
(2) Corso di Diritto amministmtivo, Milano, 1942, vol. 
IV, pag. 149. 

-162 


si consideri che, a differenza del privato, la Pubblica 
.Amministrazione si articola in un complesso 
di organi ed uffici, attraverso cui sono distribuiti 
i compiti di determinazione della volont�, di attuazione 
di essa, di controllo sulla corretta attuazione 
della stessa; distribuzione, codesta, insussistente 
nel privato o, comunque, non fondata sulle medesime 
insopprimibili esigenze che condizionano il 
retto operare della Pubblica .Amministrazione. Di 
conseguenza, nell'apparente conflitto tra i due ordinamenti, 
quello privato, che sancisce il principio 
generale, pur con le ben note eccez.ioni (articoli 
162, 782, 1350, 2328, 2475, 2518 Codice civile) 
dell'assoluta libert� di forme nelle c�ntrattazioni, 
e quello pubblico, che impone la forma scritta, ai 
fini dei necessari controlli sulla Pubblica .Amministrazione, 
sar� il diritto privato che ceder� al diritto 
pubblico. Tale � il pensiero della Suprema Corte, 
nelle varie decisioni ch'essa ha pronunciato in argomento. 


Invero, di contro ad un'isolata decisione della 
III Sezione (1), nella quale fu affermato che �la 
Pubblica Amministrazione, salvo il concorso di forme 
o autorizzazioni speciali richieste in determinati 
casi, pu� obbligarsi anche attraverso quelle 
forme di manifestazioni di volont� che sono sufficienti 
per ogni negozio giuridico secondo il diritto 
comune �, � da segnalare un rilevante numero di 
decisioni, che, anche di recente, hanno esattamente 
fissato il principio opposto, sopra tratteggiato. 

Gi� con la sentenza 15 giugno 1939 (2), la Oorte 
Suprema insegnava che �un Ente pubblico non 
pu� validamente obbligarsi se non con l'osservanza 
delle formalit� prescritte dalla legge del tempo in 
cui viene assunta l'obbligazione�. 

Analogo principio veniva fissato con la sentenza 
22 luglio 1942, n. 2129 (3). 

Ma anche pi� recentemente, e posteriormente alc 
l'unico precedente contrario sopra citato (che, perci�, 
dev'essere considerato come una temporanea 

� 
deviazione dai principi) la Corte Suprema ha ribadito 
il principio. Infatti, la sentenza 31 luglio 1946, 

n. 1039 (4) stabiliva: �A norma degli articoli 16 
e sgg. del R. D. 18 novembre 1923 n. 2440, richiamato 
per le opere pubbliche dall'art. 325 della 
legge 30 marzo 1865, n. 2248 all. Jf, la Pubblica 
Amministrazione non pu� assumere impegni giuridicamente 
validi se non nelle formalit� prescritte 
dalla legge; tra cui la scrittura richiesta ad substantiam 
�. 
E, successivamente, con le sentenze 27 giugno 
1950, n. 1641. (5) e 19 luglio 1950, n. 1984 (6), 
la Suprema Corte riconfermava l'anzidetto principio, 
precisando, nella seconda delle cennate decisioni 
che � a sensi della legge sulla contabilit� generale 
dello Stato l'atto scritto � req1�sito essenziale 

(1) Cass. Sez. III, 4 agosto 1945, n. 674, in � Giur. 
Compi. Cass. civile 1945, vol. 18, pag. 601. 
(2) � Rep. Foro !tal. n 1939, col 61 n. 31. 
(3) � Rep. Foro !tal. n 1942, col. 52 n. 22.. 
(4) Giur. Compi. Cass. civile, 1946, vol. 22, pag. 77. 
(5) � Giur. Compi. Cass. civile n 1950, vol. 29, pag. 
583. 
(6) � Giur. Compi. Cass. civile n 1950, vol. 29, 
pag. 675. 
per la regolarit� e perfezione di un rapporto con


trattuale fra il privato e l'.Amministrazione statale �. 

Tale regola, ovviamente, non vale soltanto per 
le obbligazioni, ma per qualsiasi negozio giuridico 
adottato dalla Pubblica .Amministrazione. Cosi, la 
Corte Suprema, con la sentenza 30 aprile 1949, 

n. 1080 (1), ebbe a ritenere che la Pubblica .Amministrazione 
non pu� rinunciare alla prescrizione, se 
non nelle forme che consentano il controllo delle 
autorit� superiori, e a segu.ito del benestare di 
queste. 
La necessit� della forma scritta nei negozi giuridici 
della Pubblica .Amministrazione � giustificata, 
per l'appunto, dalla possibilit� concreta di esplicare 
il successivo controllo, sia sulla competenza dell'organo 
che ha stipulato per la Pubblica .Amministra-. 
zione, sia sul merito dell'atto, in sede di approvazione 
dello stesso da parte degli organi superiori 
dell' .Amministrazione, a sensi delle leggi di contabilit�. 


� noto come, a proposito di tale successiva approvazione, 
si sia discusso in dottrina quale sia 
la condizione giuridica dei contratti gi� stipulati, 
ma non ancora approvati (2). 

Due tesi si contendono il campo: quella che 
attribuisce all'atto di approvazione natura costitutiva 
o perfezionativa del contratto, e quella che 
all'atto stesso attribuisce natura di condizione di 
efficacia del contratto. Mentre per quest'ultima tesi 
sembra propendere la giurisprudenza prevalente 
dalla Corte Suprema (3), non � mancata, di recente, 
l'affermazione dell'opposto principio dottrinale. 
Trattasi della sentenza della Sezione prima, 
del 15marzo1947, n. 390 (4), la quale ha affermato: 
� I contratti della Pubblica .Amministrazione, che 
sono subordinati alla approvazione del ministro o 
del funzionario delegato, presentano la situazione 
giuridica disciplinata dall'art. 1331 codice civile in 
rapporto all'art. 1326 e 1328 stess�i Codice, per cui 
la dichiarazione del privato contraente deve considerarsi 
quale proposta irrevocabile, di modo che 
il contratto va a perfezionarsi al momento in cui 
l'atto di approvazione sia portato a conoscenza del 
proponente �. 

� facile, comunque, arguire che, quale delle due 
tesi voglia adottarsi, le norme del Codice civile 
sulla perfezione dei contratti avranno applicazione, 
verso la Pubblica .Amministrazione, esclusivamente 
in funzione dei principi dianzi cennati di contabilit�� 
generale dello Stato. Vale a dire, il privato contraente 
non potr� mai vantare alcun diritto all'approvazione 
del contratto, perch� tale approvazione 
rappresenta lo stadio ultimo e determinante della 
volont� contrattuale dell' .Amministrazione. 

Consegue, da ci�, che nel caso di mancata approvazione 
del contratto da parte degli organi compe


(1) � Giur. Compl. Cass. Civile>> 1949, 28, I, 624. 
(2) Per ampia disamina, in tema di transazioni della 
Pubblica Amministrazione, vedi nota redazionale di N. G. 
in questa �Rassegna n >> 1949, pag. 188. �� --.(
3) Sezione I, 8 aprile 1938, n. 1217, in �Foro Amm. >> 
1938, II, 94; Sezione I, 16 maggio 1940, n. 1473, in 
� Riv. Dir. pubblico n, 1942, II, 40. 
(4) � Giur, Compi. Cass. civile n, 1947, vol. 26 pagina 
44, 

-163 -


tenti, il privato non pu� invocare -come potrebbe, 
invece, trattandosi di contratti con altri privati 
-le norme sull'inadempimento e sulla risoluzione 
dei contratti, n� pu� pretendere risarcimento di 
danno alcuno per la ritardata o mancata approvazione. 


Sul tem::i, pi� specifico della mora dell'Amministrazione 
sia nell'approvare il contratto, sia nel 
porlo ad esecuzione, pu� affermarsi che la Oorte 
suprema, nella sua sensibilit�., ha avvertito l'inopportunit�. 
di un sindacato sull'operato della Pubblica 
Amministrazione sindacato che si risolverebbe 
in una palese violaziohe della libera sfera di discrezionalit�. 
amministrativa..E cos�, in tema di espropriazioni, 
ma con una precisione di concetti adattabili 
ad ogni campo dei rapporti obbligatori, la 
Corte Suprema, con la sentenza 25 maggio 1950, 

n. 1319 (1) ba avuto ad affermare: �Nel procedimento 
di espropriazione per pubblica utilit� non 
� concepibile mora colposa da parte della Pubblica 
Amministrazione, generatrice dell'obbligazione del 
risarcimento danni all'espropriato, per il solo fatto 
che questa, per tutelare l'interesse pubblico, svolga 
tutte le fasi del procedimento previsto per la liquidazione 
delle indennit�.�. 
Ispirata ai medesimi principi appare la giurisprudenza 
del Supremo Oollegio sul tema dell'adempimento 
concreto di un'obbligazione gi� perfetta 
della Pubblica Amministrazione. 

Invero, gi� con la sentenza della I Sezione 23 aprile 
1935 (2), la Oorte Suprema affermava che le norme 
del Oodice civile in tema di offerta reale (art. 1260 
Codice civile 1865) non potevano ritenersi applicabili 
ai pagamenti dello Stato, per i quali l'emissione 
del mandato e la notificazione di esso al creditore 
valgono come offerta di pagamento. 

Pi� di recente, la Suprema Corte, sempre a proposito 
dell'adempimento di obbligazioni pecuniarie 
da parte della Pubblica Amministrazione, con la 
sentenza della III Sezione 26 aprile 1951, n. 1014 
(3), ha fermato le seguenti massime: 

<<La Pubblica Amministrazione non pu� considerarsi 
in mora per il pagamento di quanto � dalla 
stessa dovuto fino a quando non abbia esplicato 
tutti gli accertamenti e controlli prescritti e secondo 
una determinata procedura cui � tenuta per legge. 
Fino a tale momento, essendo la sua attivit�. regolata 
da norme che la vincolano e dovendosi svolgere 
in conformit�. delle medesime, non pu� l'eventuale 
ritardo del pagamento essere attribuito a 
colpa, e quindi non pu� parlarsi di mora. Ma 
quando l'attivit� di accertamento si � esaurita e 
si sono compiuti tutti quegli atti che la legge sulla 
contabilit� dello Stato prescrive prima che il pagamento 
possa essere autorizzato, l'ulteriore ritardo 
diventa colpevole e sorge l'obbligo degli interessi>>. 

J;e suddette massime mettono definitivamente a 
punto il problema dellrademp�mento da parte della 
Pubblica Amministrazione, delle proprie obbliga


(1) �Giur. Ital. "� 1950, I, 1, 467. 
(2) �Giur. Ital. "� 1935, I, 1, 715. 
(3) In quest,a �Rassegna" 1951, pag. 121, in �Giur. 
Compl. Cass. civile, 1951, vol. 30, I, pag. 754 e in �Foro 
Ital. '" 1952, I, 708. 

zioni pecuniarie. Peraltro, se pu� convenirsi illimitatamente 
con la prima massima, non altrettanto pu� 
dirsi per la seconda, che, invece, ammettendo un 
sindacato giurisdizionale sull'attivit�-interna della 
Pubblica Amministrazione, si verrebbe ad invadere 
quella sfera di esclusiva competenza amministrativa, 
in cui deve essere lasciato al prudente apprezmento 
dell'Amministrazione, e solo ad esso, di portare 
a concreta esecuzione l'adempimento dell'obbligazione 
pecuniaria. Quid iuris, infatti, se, per 
l'esiguit� dello stanziamento in una determinata 
voce di bilancio, ed esclusa, com'� noto, la possibilit� 
di storni di fondi, 1'Amministrazione si trovi 
costretta a scegliere l'uno piuttosto che l'altro dei 
propri creditori per l'adempimento dei suoi impegni~ 
� evidente, in tal caso, che solo l'Amministrazione 
sar� qualificata a graduare, tra i vari suoi debiti, 
quale sia quello che meriti diritto di precedenza 
e quale, Invece, debba essere posposto all'esercizio 
EmccessJvo, allorch� il nuovo bilancio (approvato 
con legge del Parlamento e, quindi, estraneo 
all'ambito di attivit�. dell'Amministrazione stessa) 
le consentir�. di soddisfare tutti i propri impegni. 
E un sindacato giurisdizionale su tali criteri di valutazione, 
non che idoneo a ravvisare elementi di 
<e colpa � dell'Amministrazione, si appalesa manifestamente 
inammissibile, perch� sostituirebbe, al 
criterio dell'Amministrazione, quello dei giudici, con 
palese violazione del principio della divisione dei 
poteri. 

Oon le anzidette riserve pu� accettarsi la massima 
contenuta nella successiva sentenza della 
Corte Suprema, III Sezione, 5 giugno 1951, n. 141~ 
(1), la quale ebbe a statuir~ che cc ?~l cas? di . 
debito a carico di una Pubbhca Ammmistrazione, 
la circostanza che questa abbia omesso di stanziare 
in bilancio la somma necessaria al pagamento del 
debito ancorch� questo sia certo ed abbia scadenza 
fissa ~on equivale all'ipotesi prevista dall'art. 1219, 
20 c~mma' Codice civile del creditore che abbia 
dichiarato'per iscritto di non volere eseguire l'obbligazione 
e non esonera, pertanto, il creditore dal 
costituire in mora l'Amministrazione debitrice, mediante 
intimazione o richiesta fatta per iscritto �. 

Ma sulla delicata questione, la Corte Suprem::t 
ha pronunciato di recente una perspicua decisione, 
di cui cade acconcio riportare le massime. Si tratta 
della sentenza della I Sezione civile 5 giugno 1952, 

n. 
1601 (2), che stabilisce: 
e< Se in via generale � da ammettere che le
' ' 
r

regole del diritto comune sull'adempimento .e su~ ~ 
effetti delle obbligazioni si applicano anche ai debiti 
dello Stato, tali regole possono tuttavia essere demgate 
dalle disposizioni contenute nella legge ~ 
nel regolamento sulla contabilit�. di S~ato, le ~~a,h 
non costituiscono gi� norme interne di contabihta~ 
ma hanno vera e propria forza vincolante, forza d1 

(1) In questa �Rassegna�, 1951, pag. 140, .. i~ � Giur. 
Compl. Cass. civile >>, 1951, vol. 30, 2� pag. 548 e m � Foi:_o _ 
Ital. "� 1952, I, 708. . 

(2) "Mass. Foro Ital. >>, 1952, col 386 e m questa 
"Rassegna'" 1952, col. 143; in que.st'~tima rivista � 
dato leggere anche parte della mot1va.z10ne della sentenza, 
unitamente ad una nota redaz10nale. 

-164 


diritto obiettivo, nei confronti sia dell'Amministrazione, 
sia dei creditori, per l'esecuzione delle prestazioni 
pecuniarie della prima. 

�Dal complesso delle disposizioni sulla contabilit� 
di Stato (legge e regolamento); si evince che i 
debiti pecuniari dello Stato, in deroga alla norma 
dettata dall'art. 1282 Codice civile, diventano liquidi 
ed esegibili e generano, come tali, l'obbligo 
del pagamento degli interessi di diritto a carico 
dell'Amministrazione soltanto dopo che la spesa 
della competente Amministrazione sia stata ordinata, 
con l'emissione del relativo titolo di spesa�. 

Tale sentenza, com'� ovvio, segna una pietra 
miliare sulla via della soggezione dello. Stato alle 
norme contrattuali di diritto privato. Pur senza 
anticipare le conclusioni del presente scritto, giova 
rilevare che la Corte Suprema ribadisce H principio, 
che talvolta era parso �ffuscato da isolate decisioni 
di specie, principalmente ad opera delle Magistrature 
di merito, secondo cui lo � Stato -anche e 
sopratutto in ci� che concerne i rapporti obbligatori 
pecuniari -� vincolato a tutto un sistema di 
norme pubblicistiche, cui non pu� derogare il diritto 
privato. Ond'� che, qualora il contrasto fra i due 
sistemi venga necessariamente ad imporsi, e non 
sia possibile integrazione dei sistemi medesimi fra 
di loro, � il sistema del diritto pubblico, come 
quello preordinato all'interesse della collettivit�. sociale, 
che prende il sopravvento, anche se ci� importi 
un temporaneo e limitato sacrificio di un singolo 
interesse privato. 

Del resto, sulla questione degli interessi legali 
dovuti dalla Pubblica Amministrazione sulle imposte 
da restituire perch� indebitamente percette, 
� noto come l'insegnamento costante della Corte 
Suprema sia stato nel senso che tali interessi decorrano 
dal giorno del passaggio in giudicato della 
sentenza di condanna, e non da quello della domanda 
giudiziale. 

Si confrontino, invero, le sentenze della I Sezione 
30 aprile 1942, n. 1148 {l); 19 giugno 1945, n. 438 
(2); 30 giugno 1950, n. 1699 (3); e, da ultimo, 
14 marzo 1951, n. 638 (4). Le ragioni che le citate 
sentenze hanno preso a fondamento per la loro pronuncia 
sono sostanzialmente le medesime; vale a 
dire, mutuando le parole dalla pi� recente sentenza 
�il principio immanente della presunta legittimit� 
degli atti amministrativi, fin quando non intervenga, 
a distruggere la presunzione, una pronuncia definitiva 
di giudice: un principio che si innesta con 
l'altro della esecutoriet� degli atti stessi �. 

* * * 

6. Per ci� che attiene alle obbligazioni non contrattuali 
della Pubblica Amministrazione (5), � 
noto come la giurisprudenza della Corte Suprema 
abbia costantemente ritenuto che l'azione di inde(
1) �Foro Ital. � 1942, I, 5�22. 
(2) << Giur. Compl. Cass. civile�, 1945, vol. 18, pag. 525. 
(3) � Giur. Compl. Cass. civile '" 1950, vol. 29 II, 
pag. 602. 
(4) � Giur. Ital. '" 1952, I, 1, 444. 
(5) Vedi per l'acuta spiegazione dell'antiquata terminologia 
di �quasi contratti>>, Arangio-Ruiz: Istituz. 
diritto romano, Napoli, 1934, pag. 281 segg. 
bito arricchimento nei confronti della Pubblica, 
Amministrazione non sia ammissibile, se non it 
seguito del riconoscimento dell'utilit� dell'opera, 
da parte dell'Amministrazione stessa. Tale principio, 
da considerarsi oramai consolidato, costituisce 
la dimostrazione concre.ta dell'attuf.tzione della divisione 
dei poteri fra Autorit� amministrativa e Autorit� 
giudiziaria. Invero, poich� l'opera del terzo 
ridonda, eventualmente, in un incremento di utilit� 
per l'Amministrazione, � evidente che questa 
dev'essere solo giudice della sussistenza della predetta 
utilit�; altrimenti il giudice ordinario verrebbe 
egli stesso ad adottare quelle valutazioni discrezionali 
dell'interesse pubblico che sono,, invece, 
demandate unicamente all'Amministrazione. 

Senza richiamare le precedenti decisioni della 
Corte Suprema, giover� solo ricordare la sentenza 
delle Sez. Unite 19 febbraio 1946, n. 176 (1), 
quella della II Sezione 27 gennaio 1948, n. 113 
(2), quella, pure delle Sezioni Unite 22 maggio 
1948; n. 778 (3), le quali tutte ebbero ad affermare 
che non � ammessa l'actio �e in rem verso contro 
la Pubblica Amministrazione, a meno che questa 

1

i 

non abbia, esplicitamente o implicitamente, riconosciuto 
l'utilit� dell'opera. 

Naturalmente, l'ammissibilit�. del controllo giudiziario 
sul riconoscimento, da parte della Pubblica 
Amministrazione, dell'utilit� dell'opera, si affina l� 
dove trattisi di riconoscimento implicito. 

� facile, infatti, in tale campo, trascendere al 
merito e ritenere esistente un riconoscimento l� 
dove esso non esiste, b non esiste nella misura 
ritenuta dal giudice ordinario. Si avrebbe -se 
pu� passare il paragone -una situazione analoga 
a quella che talvolta si verifica dinanzi alla giurisdizione 
amministrativa, ove, sotto il vizio dell'eccesso 
di potere, si denunciano ai giudici veri e 
propri vizi di merito. E ognuno vede come in �asi 
del genere il giudice -ordinario. o amministrativo 
che sia -il quale accetti di esaminare la dogli.anza 
del ricorrente, esorbita manifestamente dal campo 
riservato alla propria giurisdizione. In tali. sensi, 
sembra debba essere interpretato il pensiero delle 
Sezioni Unite che, nella prima delle tre citate sentenze, 
ebbero a precisare: 

�L'azione suddetta � ammessa contro la Pubblica 
A~ministrazione solo quando, in concorso degli 
altri estremi richiesti dal diritto comune, 1'Amministrazione 
stessa, nell'esercizio del suo potere 
discrezionale, riconosca i,l vantaggio ritratto (aumento 
patrimoniale, o risparmio . di spesa o di 
perdita) in relazione ad ingiustificat� hnpoveri'.
mento o perdita altrui. In tal caso, l'Auto:i:,it.�� giudiziaria 
pu�, senza entrare nel campo riservato all' Amministrazione, 
accertare se il riconoscimento vi sia 
stato e giudicare degli effetti relativi�. 

Le riserve contenute nella suddetta asserzione 
inducono fondatamente a concludere che, . nella 
soggetta materia, lo Stato non pu� considerarsi 
soggetto al diritto comune alla stessa guisa del privato: 
ma che la giurisdizione ordinaria, all,_ch~.q1:1i, 

(1) �Foro Ital '" 1946, I, 360. 
(2) �Giur. Ital '" 1948, I, 1, 296. 
(3) "Giur. Ital. >>, 1949, I, 1, 11. 

-165 


incontra il proprio limite nella sfera di libera discrezionalit� 
dell' .Amministrazione. 

Analoghi principi, com'� ovvio, sono applicabili 
anche alla gestione di affari contro la Pubblica 
.Amministrazione. 

In questi sensi, ebbe ad esprimersi la sentenza 
della I Sezione della Oorte Suprema 23 febbraio 
1950, n. 416 (1), confermando, anche qui, la propria 
consolidata giurisprudenza (2). 

Esecuzione forzata contro lo Stato 

7. Il tema dell'esecuzione forzata contro la Pubblica 
.Amministrazione, � di quelli dove in maniera 
superlativa, si avverte il punto di frizione tra il 
diritto pubblico e il diritto privato o, se si vuole, 
tra il diritto singolare e il diritto comune. Sulla 
questione sono stati profusi argomenti contrastanti, 
a favore delle rispettive tesi; e non � certamente 
questo il luogo per tentare un riassunto, sia pur 
breve, di quanto � stato scritto (3). 
A ben guardare, il problema non ha ragione di 
esistere. E ci� non per le ragioni -facilmente ed 
a torto irrise -d'indole generale, quale l'impossibilit� 
che lo Stato presti �il braccio secolare� 
contro se stesso, bens� per delle ragioni pi� profonde, 
che attengono alla natura ed alla funzione 
stessa dell'esecuzione forzata. 

Ohe cos'�, infatti, l'esecuzione forzata, e quale 
il suo fine? Essa pu� qualificarsi, in sintesi, come 
sostitutiva della volont� del debitore, il quale, 
per legge o per contratto, � tenuto ad un determinato 
comportamento (e< facere, non facere, 
dare�), per l'attuazione concreta di un interesse 
protetto dalla controparte creditrice. Esecuzione 
di un'obbligazione e adempimento di un'obbligazione 
esprimono il medesimo concetto; soltanto 
quando il debitore non si presti volontariamente 
all'adempimento del suo obbligo, all.ora alla parola 
e< esecuzione � va aggiunto l'aggettivo e< forzata 
�, che trasforma l'adempimento di volontario 
in coattivo (4). 

Ora, il punto centrale dell'indagine sembra sia 
da ricercarsi tutto nella proposizione: � consentito 
alla Pubblica .Amministrazione l'alternativa tra 
l'adempimento volontario e l'esecuzione forzata? 
Cosi impostato, il problema sembra possa superare 
le sabbie mobili dellatrattazione tradizionale, 

(1) cc Giur. Compi. Cass. civile�, 1950, voi. 29, I, 
pag. 423. 
(2) Non si ritene questa la sede adatta per trattare 
la questione della responsabilit� aquiliana dello Stato 
per fatti illeciti dei propri dipendenti. L'argomento, invero, 
da solo, assorbirebbe tutto il campo d'indagine prefisso 
col presente scritto. Sul tema specifico, si rinvia alla 
monografia del GuGLIELMI: l'art. 28 della Costituzione la 
1�esponsabilit� dello Stato e degli Enti pubblici, in questa 
�Rassegna�, 1949, 169 segg. 
(3) Cfr. da ultimo, lo scritto del Mworn: Limiti di 
ammissibilit� delle sentenze di condanna de( giudice ordinario 
contro la Pubblica Amministrazione nei rapporti di 
~iritto privato, in cc Foro Italiano >>, 1952, col. 1131; ed, 
moltre la nota del CALAPAI, in questa cc Rassegna�, 1950, 
82; coi precedenti dottrinali e giurisprudenziali richiamati 
in entrambi gli scritti. 
(4) Cfr., su quanto precede, SATTA: L'esecuzione 
forzata, Torino, 1950, pag. 15 segg. 
2 

seguita anche dal recente scritto del Miccio, citato 
nella precedente nota. 

Mentre la teoria tradizionale, infatti, parte da 
un momento successivo al preteso inadempimento 
volontario, ch'essa d� per scontato, e postula, 
quindi, il rimedio alternativo dell'esecuzione forzata, 
la proposizione di cui sopra tende a dimostrare 
ci� che dovrebbe essere il vero punto di partenza 
dell'indagine: se la Pubblica .Amministrazione 
possa non adempiere le proprie obbligazioni, 
una volta che queste siano previste dalla legge, 
da un contratto o sanzionate in una sentenza del 
giudice. � 

Non sembra che una siffatta ipotesi sia ammissibile. 
E valga il vero. Come tutte le determinazioni 
volitive, anche la scelta tra adempimento 
volontario e accettazione della esecuzione forzata, 
� dettata, per il privato, dalle ragioni le pi� diverse. 
Sar�, cos�, motivo idoneo ad evitare l'adempimento 
volonta,rio, di volta in volta, la particolare avversione 
del debitore per il creditore, l'assoluta insolvibilit� 
del debitore, la speranza di prolungare 
il momento del concreto soddisfacimento delle 
ragioni avversarie, e cos� via. 

La scelta del privato -alla stessa guisa dell'autodeterminazione 
del libero arbitrio fra bene 
e male -� pienamente libera ed equidistante dai 
due opposti poli. Ma la stessa scelta non � consentita 
alla Pubblica .Amministrazione. Questa, 
infatti, � vincolata al raggiungimento di un solo 
scopo, che � il fondamento stesso della sua esistenza: 
l'attuazione concreta del diritto oggettivo nell'ambito 
della collettivit� sociale (l). Tale scopo 
pu� essere raggiunto con molteplici mezzi -ed 
� qui che consiste la discrezionalit� amministrativa 
-e pu� essere raggiunto in tempo pi� o meno 
lungo -ed � qui che si misura la bont� del sistema 
amministrativo adottato, ma non pu� essere 
volutamente ignorato, o peggio, calpestato. 
.Anche la Pubblica .Amministrazione pu� incorrere 
in errori di prospettiva, di impostazione, di esecuzione 
di determinati problemi; ma non pu� rinnegare 
i problemi stessi rinnegando in pari tempo 
i suoi fini, perch� rinnegherebbe se stessa e la ragione 
della sua esistenza. Di guisa che, quando 
la legge, o un contratto, o una decisione giudiziaria 
impongono all' .Amministrazione di prestarsi ad un 
determinato comportamento, la Pubblica .Amministrazione 
-a meno che ragioni d'interesse superiore 
non impongano l'inosservanza di quel 
comportamento (ma sar� pur sempre un'inosservanza 
dettata da motivi di interesse comune e 
non un arbitrario diniego) -non pu� non adattarsi 
ad eseguire volontariamente quanto le viene 
imposto. La Pubblica .Amministrazione non pu� 
non prestare ossequio alla legge, se in ci� si identifi


(1) Per la definizione di cc Amministrazione � in senso 
oggettivo, vedi ZANOBINI: Corso Diritto Amministrativo 
Milano, 1939, I, pag. 5: cc Il complesso de11e� attivit� 
concrete dispiegate dallo Stato, direttamente o indi-�rettamente, 
per la cura dei singoli interessi pubblici, 
che ess? assume nei propri fini �; e, per una analisi pi� 
dettagliata delle funzioni della Pubblica Amministrazione, 
VITTA: Diritto Amministrativo, Torino, 1948, 
I, pag. 3 segg. 

-166 


' 

cano i suoi fini istituzionali. Essa ha, quindi, 

incapacit� strutturale all'inadempimento delle proprie 
obbligazioni. Allo stesso modo che lo Stato 
non pu� delinquere -e ci� non perch� esso sia 
persona giuridica, ma perch� esso � giuridicamente 
incapace di ricezione del diritto penale -cos� 
esso non pu� non osservare la legge, quando una 
attivit�. vincolata ve lo obblighi; ed, in particolare, 
non pu� non eseguire volontariamente le sue obbligazioni. 


Cosi posto il problema, � evidente che l'assioma: 
�lo Stato non pu� essere assoggettato ad esecuzione 
forzata � �ontro cui tanti si sono scagliati, 
in omaggio ad un male inteso principio ugualitario, 
si ravvisa esatto. Ma si ravvisa esatto non tanto 
in s�, bens� nel suo presupposto logico; onde esso 
meglio andrebbe enunciato cos�: Lo Stato non pu� 
essere assoggettato ad esecuzione forzata perch� esso 
non pu� che adempiere volontariamente le proprie 
obbligazioni. Come si vede, � proprio in nome della 
eguaglianza e della giustizia distributiva che il 
principio suddetto si impone. Ch�, in realt�. per 
uguaglianza deve intendersi un uguale trattamento 
per uguali rapporti giuridici; ma non vi sarebbe 
pi� uguaglianza ove si adottasse un uguale trattamento 
per rapporti giuridici disuguali. E appunto, 
il privato e lo Stato versano in condizioni 
disuguali, come dianzi si � dimostrato: mentre ilprimo 
pu� liberamente autodeterminarsi in ogni senso, 
il secondo non lo pu�; ecco perch� al primo e non 
al secondo pu� essere imposta l'esecuzione forzata. 

. Di scarso pregio � l'obiezione che si potrebbe 
muovere a siffatto principio: che, talvolta, cio� 
in concreto, neanche lo Stato osserva le sue obbligazioni, 
rendendo necessario il ricorso all'esecuzione 
forzata. A ben guardare, nessun caso del 
genere, imputabile allo Stato, si � verificato. Talvolta, 
infatti, si ha ritardo non colpevole nell'adempimento 
dell'obbligazione perch� mancano i fondi 
necessari nel bilancio o perch� sorgono impreviste 
difficolt�. sulla lunga via dei controlli della spesa, 
secondo la legge ed il regolamento di contabilit�.. 
Al di fuori di tali ipotesi, l'Amministrazione non 
ha mai rifiutato di adempiere. Ed �, molto spesso, 
l'impazienza del creditore -impazienza non indegna 
di considerazione, ma inadatta a siffatti 
rapporti di diritto pubblico -che spinge la procedura 
sino all'esecuzione forzata. 

La Corte Suprema, nella sua pi� recente giurisprudenza, 
pur omettendo ogni esplicita considerazione 
sulla possibilit�. di assoggettare lo Stato 
ad esecuzione forzata, ha tuttavia posto notevoli 
limitazioni al preteso diritto del privato. 

Resta da augurarsi che la Suprema Magistratura 
completi il suo insegnamento, anche in via generale, 
che sussiste impossibilit�. ontologica a siffatta 
esecuzione. 

Con la sentenza 5 agosto 1949, n. 2238 (1), le 
Sezioni Unite insegnavano: 

�Essendo vietata al Giudice ogni pronuncia 
con la quale sostituisca la propria volont�. a quella 
dell'Amministrazione, egli non pu� emettere pro


(1) �Giur. Compl. Cass. civile, 1949, vol. 28, III, 
pag. 1164. 
f' 

nuncie miranti a reintegrare in forma specifica il 
diritto del privato violato, come nei casi di condanna 
ad una prestazione di dare, fare o non fare, 
eccettuata la condanna ad una somma di denaro, 
tanto meno la condanna all'adempimento specifico 
pu� essere accompagnata �dalla pronuncia 
con la quale si disponga che, ove l'Amministrazione 
non esegua nel termine indicato, provveda, 
in suo luogo e vece, lo stesso avente diritto �. 

E con la successiva sentenza 2 agosto 1950, numero 
2303 (1), le Sezioni Unite ribadivano il medesimo 
concetto, precisando che � vietato al Giudice 
sostituire la propria volont�. a quella dell'Am


ministrazione. 

Ma, anche per ci� che attiene all'espropriazione 
vera e propria, diretta a fornire al creditore l'equivalente 
pecuniario, in via forzata, di quanto dedotto 
nell'obbligazione, la Corte Suprema ha negato, 
che tale misura esecutiva possa essere compiuta 
su beni patrimoniali indisponibili � (2) e, 
pi� in particolare, anche sulle somme esistenti 
nelle casse dello Stato (3). A sostegno di tale 
conclusione, la Corte Suprema, in adesione a 
quanto costantemente sostenuto dall'Avvocatura, 
osservava che la distrazione di somme gi�. concretamente 
destinate ad un pubblico servizio importa 
un conflitto tra gli interessi generali con 
quelli del privato. E, soggiungeva la Suprema 
Corte, il conflitto dev'essere risolto con la prevalenza 
dei primi. La legittimit�. della destinazione 
non pu� essere ostacolata o �paralizzata da azioni 
esecutive, senza che la funzione giurisdizionale, 
contro il disposto dell'art. 4 legge 20 marzo 1865 
allegato E si sovrapponga a quella amministrativa, 
turbandone il regolare svolgimento �. 

Conclusione 

. 8. A conclusione del presente scritto, pu� dirsi 
che, nella giurisprudenza del Supremo Collegio, 
� dato riscontrare una valutazione pi� sensibile 
del problema che ne occupa: l�. dove � il punto di 
incontro fra il diritto pubblico e il diritto privato, 
la Corte Suprema, pur senza sacrificare i diritti 
dei singoli, non ha pretermesso quelli preminenti 
della collettivit�.. 

Resta da augurarsi solo che siffatta evoluzione 
giurisprudenziale venga affinata, e che essa trovi 
il suffragio anche di quella parte della dottrina, 
tuttora legata alla concezione cc paritetica>> dello 
Stato col privato. Siffatta concezione, al cui sorgere 
non sono stati, forse, estranei i profondi rivolgimenti 
politico-giuridici nella struttura dello 
Stato nell'ultimo decennio, dovr�. necessariamente 
cedere di fronte alle pi� imperiose esigenze che, 
con crescendo continuo, fanno capo allo Stato. 

Se tutti sono concordi nel rivendicare per lo 
Stato l'accollo e la soluzione di gravi problemi, 

(1) ''Foro Ital. �, 1950, I, 1472. 
(2) Cassazione III Sezione 10 dicembre 1951, nu~-roero 
2765, in� Giur. Compi. cass. civile�, 1951, voi. 30, 
II, pag. 1047. . 

(3) Cassazione III Sezione 20 marzo 1952, n. 755 
in <e Foro Ital. >>, 1952, 755 e in questa �Rassegna �, 1952: 
pag. 70. 

-167 


che qualche decennio addietro, erano ritenuti di 
pretta competenza privata (si pensi solo, a m� 
di esempio, al problema della disoccupazione) 
uguale concordia dovrebbe sussistere nel riconoscere 
che lo Stato, a differenza del privato, ed 
anche nel campo del mero diritto civile, ha bisogno 
di strumenti pi� affinati che non quelli concessi 
al privato. Negare siffatta necessit�. � grave 
incongruenza, non meno grave di quella in cui 
verserebbe chi, in ipotesi, rifiutasse di corrispondere 
i tributi, pur reclamando la prestazione dei 
servizi collettivi indivisibili. 

Per quanto riguarda, in particolare, il problema 
dell'esecuzione forzata contro lo Stato, deve auspicarsi, 
anche qui, un pi� coraggioso allineamento 
della dottrina con la giurisprudenza della 
Oorte Suprema. 

Da qualche sintomo, � dato scorgere un lieve 
barlume in tal senso (1). Bisogna, comunque, 

(1) Si confrontino, invero, l'annotazione del SANDULLI 
alla sentenza della Corte Suprema 20 marzo 1952, 
n. 755 (�Foro Ital. �, 1952, I, 707), gi� citata; dello 
stesso�Autore, poi, la monografia: La posizione dei creditori 
pecuniari dello Stato, in << Riv. Trim. Diritto pubblico�, 
1952, pag. 543 sgg. nonch� l'ampia nota del FRAGOLA: La 
esecuzione forzata sul danaro dello Stato attraverso il ricorso 
considerare che, se degli inconvenienti si verificano, 
essi non sono certamente in funzione di 
colpa dello Stato, ma di legislazione antiquata, 
talora farraginosa; talvolta, poi, essi sono collegati 
a particolari atteggiamenti di persone. 

Il problema, pertanto, va spostato l>en pi� in 
l�. dello specifico campo di trattazione; esso andr�. 
considerato in sede di riforma delle leggi di contabilit�. 
di Stato e dell'annunciato, nuovo inquadramento 
della burocrazia. 

Quando codeste riforme saranno state affrontate 
e risolte, la bont�. e la snellezza delle nuove 
norme potranno eliminare le deficienze oggi lamentate, 
con reciproca soddisfazione e dell'interesse 
generale, rappresentato dallo Stato, e di 
quello particolare del singolo cittadino. 

MICHELE SAVARESE 

AVVOOATO DELLO STATO 

a sensi dell'art. 27 n. 4 T.U. sul Consiglio di Stato, 
�Foro Ital. �, 1952, 1, 1486. In tali scritti, pur con delle 
asserzioni che non possono essere condivise, gli Autori, 
in sostanza, danno ragione dell'opinione che, pi� che 
un problema giuridico -difficilmente risolubile per 
sua stessa natura -la questione investe un problema 
di corretta amministrazione e di riforma legislativa. 

LA CONTROVERSIA FRANCO-AMERICANA AVANTI LA CORTE DELL'AJA 


I. -Premessa 
1. Per la prima volta il Governo degli Stati Uniti 
d'America ha accettato l'arbitrato della Corte internazionale 
di Giustizia; ci� � avvenuto in occasione della 
controversia con la Francia (quale potenza protettrice 
dell'Impero sceriffi.ano del Marocco), concernente la 
legittimit� ed applicabilit� nei confronti dei cittadini 
americani di un decreto sceriffi.ano (del 30 dicembre 
1948) sul controllo delle importazioni sans devises (franco-
valuta). 
Nel settembre 1939, all'inizio dell'ultima guerra, le 
autorit� marocchine avevano adottato il principio della 
proibizione di tutte le importazioni non espressamente 
autorizzate, ad eccezione di quelle provenienti dalla 
Francia o dai territori dell'Unione francese. L'll marzo 
1948 venne concessa una deroga generale (comportante 
l'abolizione delle licenze d'importazione) per tutte le 
merci -salvo limitate eccezioni -importate senza 
dar luogo al regolamento finanziario, cio� franco-valuta. 
Il suddetto provvedimento veniva revocato con decreto 
del 30 dicembre 1948. 

Il Governo americano, che aveva gi� protestato contro 
l'adozione del provvedimento emanato nel 1939, 
assumeva un atteggiamento negativo, in ordine all'applicazione, 
nei confronti dei propri cittadini, del provvedimento 
del dicembre 1948, sostenendo: 

a) che, in base al regime capitolare, di cui tutt'ora 
beneficierebbero gli Stati Uniti in Marocco, i loro cittadini 
fruirebbero di privilegi in materia giurisdizionale e 
legislativa, nel senso che nessuna legge locale sarebbe loro 
applicabile senza l'assentimento espresso del loro Governo 

b) che, comunque, i provvedimenti del 1939 e 
del dicembre 1948 avrebbero violato il principio della 

libert� economica e quello ad esso conseguente della 
libert� delle esportazioni in Marocco, garantiti agli 
Stati Uniti d� convenzioni internazionali. 

Nel frattempo, per ragioni di ordine pratico, veniva 
connessa a quella suddetta altra questione concernente 
la cosiddetta immunit� fiscale. Da parte americana 
veniva infatti contestata l'applicabilit� ai propri cittadini 
delle locali imposte di consumo, in quanto i cittadini 
americani fruirebbero di una completa immunit� 
fiscale, all'eccezione delle imposte espressamente previste 
dalle convenzioni internazionali, stipulate dal1'
Impero marocchino nel secolo XIX, e dall'Atto di Algeciras. 


Essendo fallite le possibilit� di una bonaria compo� 
sizione della controversia, il Governo francese, in rappresentanz� 
dell'Impero sceriffi.ano, adiva la Corte internazionale 
di giustizia. Il Governo americano proponeva 
alla Corte, in via riconvenzionale, una ulteriore 
questione (concernente l'interpretazione dell'art. 95 
dell'Atto di Algeciras, ai fini della valutazione dei prodotti 
sottoposti a dogana, al momento del loro ingresso 
in Marocco), oltre quella sopra accennata sull'immunit� 
fiscale. 

Le questioni dibattute avanti la Corte internazionale 
sono state, pertanto, le seguenti: 
io Diritti dei cittadini americani in ordine alle importazioni 
in Marocco. 
20 Giurisdizione consolare degli Stati Uniti in 
Marocco. 
30 Condizioni di applicabilit� delle leggi loca�i ai 
cittadini americani. 

40 Immunit� fiscale dei cittadini americani. 

50 Valutazione dei prodotti sottoposti a dogana. 


-168 


2. Nell'impostazione della difesa del Governo francese 
si � data la precedenza alle questioni concernenti 
i privilegi capitolari (limite della giurisdizione consolare 
-assentimento del Governo americano, quale condizione 
di applicabilit� delle leggi locali ai cittadini americani); 
e non senza ragione. Perch�, da parte francese, 
si � cercato di sostenere che tutte le pretese americane 
facevano capo ad un sistema capitolare, convenzionalmente 
imperniato sulla clausola della nazione pi� fa. 
vorita ed ormai caducato, per effetto della rinunzia da 
parte di tutte le altre potenze ai privilegi inerenti a 
tale sistema. La difesa francese, invocando il principio 
(in base al quale la clausola della nazione pi� favorita, 
in tanto giuoca, in quanto di uno specifico privilegio 
sia tuttora beneficiaria altra potenza), ha sostenuto 
infatti che, venuti meno i privilegi concessi dal Marocco, 
principalmente alla Gran Bretagna ed alla Spagna era 
automaticamente venuto meno altres� il diritto 
degli Stati Uniti di fruire degli stessi privilegi. 
Se non che, ai fini della presente esposizione, sembra 
pi� utile riferire gli argomenti hic inde dedotti, seguendo 
l'ordine enunciato alla fine del precedente paragrafo e 
che � press'a poco quello adottato dalla difesa americana; 
ci�, sia perch� tale ordine appare pi� logico in 
relazione all'importanza delle questioni dibattute (la 
controversia infatti incideva essenzialmente sulla libert� 
delle importazioni in Marocco); sia perch�, nell'ordine 
sopra riassunto, le questioni dibattute sono 
state esaminate e risolte nella recente decisione della 
Corte internazionale. 

Sempre ai fini della presente esposizione, sembra 
utile altres� prescindere dalla formale posizione di attore 
o convenuto delle Alte Parti contendenti: le tesi 
contrastanti saranno invece esposte tenendo presente 
lo sviluppo logico delle questioni in diacussione. 

Esposti i punti principali del dibattito, saranno riassunti 
ed, ove occorra, brevemente commentati i pi� 
rilevanti ptinti di diritto affermati nella importante 
decisione. 

II. -Tesi difensive 
3. A) Regime delle importazioni in Marocco. -Come 
si � detto, il problema cruciale che ha precipuamente 
provocato l'interessante vertenza (le altre questioni accessorie 
non avrebbero probabilmente occasionato un 
giudizio della Corte dell'Aja) � quello attinente alla legittimit� 
od illegittimit� internazionale dei provvedimenti 
interni, adottati dalle Autorit� marocchine e 
tendenti a limitare e controllare o, praticamente, a 
proibire tutte le importazioni in Marocco, ad eccezione 
di quelle provenienti dalla Francia. 
La difesa americana ha sostenuto il fondamento della 
propria pretesa, in base all'analisi ed interpretazione 
delle disposizioni convenzionali esistenti, sostenendo 
che il diritto alla libert� delle esportazioni in Marocco 
risulterebbe: 

. io Dalle convenzioni bilaterali precedenti l'Atto 
di Algeciras. 

20 Dall'estensione agli Stati Uniti, per effetto della 
clausola della nazione pi� favorita, dei privilegi ac�ordati 
ad altri paesi da vari trattati. 

30 Dalla reale portata dell'Atto di Algeciras e dei 
suoi effetti nella materia commerciale. 

L'idea base della libert� dei traffici e dei commerci 
sarebbe gi� sanzionata e garantita dagli antichi trattati 
stipulati dagli Stati Uniti con il Sultano del Marocco 
nel 1787 e nel i836. Tale principio sarebbe stato pi� 

specificamente ed espressamente confermato dai trattati 
successivamente stipulati dal Sultano con altre potenze 
ed applicabili agli Stati Uniti in base alla clausola 
della nazione pi� favorita, statuita dall'art. i4 del cennato 
Trattato del 1836. 

L'art. 2 del Trattato anglo-marocchino di navigazione 
del 9 dicembre 1856 sanciva l'obbligo del Sultano 
del Marocco di abolire qualsiasi monopolio o proibizione 
sulle merci importate, ad eccezione del tabacco, 
oppio, armi, munizioni, ecc.; tale principio era ribadito 
dall'art. 6, il quale statuiva che le merci o prodotti, 
salvo le eccezioni previste dall'art. 2, importati dai cittadini 
britannici, non sarebbero stati proibiti nei territori 
del Marocco. L'art. 49 del Trattato ispano-marocchino 
del 20 novembre i861 statuiva che non sarebbero 
stati proibiti in Marocco le merci o prodotti di qualsiasi 
provenienza importati da sudditi spagnoli. La libert� 
delle importazioni era altres� garantita dall'art. 2 
del Trattato germano-marocchino del io giugno 1890, 
abrogato solo per effetto del Trattato di Versaglia. Le 
suddette disposizioni poteva noessere invocate dagli Stati 
Uniti, fruenti della clausola della nazione pi� favorita. 

Infine l'art. 4 della Dichiarazione franco-britannica 
del 4 aprile 1904 aveva ribadito il principio della libert� 
commerciale, tanto in Egitto che in Marocco. 
Tale principio fu posto a base dei lavori della conferrenza 
di Algeciras ed espresso nei termini di cc libert� 
�conomique sans aucune in�galit� "� Ci� -secondo la 
tesi americana -a riconferma dei diritti gi� sanciti 
dai trattati in vigore. Le disposizioni specifiche dell'Atto 
di Algeciras avrebbera servito a dirimere dei 
nuovi problemi; ma sempre nel quadro della riconfermata 
libert� economica. 

4. Esaminati i provvedimenti adottati dalle Autorit� 
marocchine dal 1939 al 1948 e di cui dianzi si � 
fatto cenno, la difesa americana ha sostenuto che il 
sistema in vigore statuisca tma discriminazione tra i 
prodotti francesi, liberamente importati, ed i prodotti 
di ogni altro paese, dei quali invece � proibita l'importazione 
senza una licenza rilasciata da funzionari della 
Potenza protettrice. Ed ha affermato che tale sistema 
costituisca una violazione delle disposizioni convenzionali 
sopra riassunte; sicch� non pu� essere validamente 
opposto ai cittadini degli Stati Uniti senza il 
consenso del loro Governo. 
La difesa americana ha poi negato che i diritti convenzionali, 
vantati al riguardo dagli Stati Uniti, potessero 
essere ritenuti diritti capitolari, legati ad una concezione 
ormai superata di extra-territorialit�: ed ha 
notato, in proposito, che, in base a normali trattati 
di commercio, amicizia o navigazione, � spesso prevista 
l'inapplicabilit� ai cittadini delle Potenze beneficiarie 
di alcune leggi locali. A riprova comunque della propria 
affermazione in ordine alla natura non capitolare 
dei vantati privilegi, ha rammentato che, tutte le volte 
che la Francia -prima e dopo l'istituzione del Protettorato 
-ha ottenuto la rinunzia di altre Potenze ai 
privilegi della giurisdizione consolare, ha riconfermato 
in contraccambio il mantenimento dei diritti e privilegi 
di natura commerciale. 

5. La difesa francese ha opposto alla tesi americana ~le 
seguenti eccezioni: 
a) Forza maggiore. -L'eccezione pu� essere validamente 
opposta quando i fatti costitutivi della forza 
maggiore presentino tre caratteristiche: imprevedibi



-169 


lit�; esteriorit� nei confronti dello Stato che invoca la 
forza maggiore; costrizione che impedisce allo Stato 
stesso di eseguire le propria obbligazioni internazionali. 
I primi due elementi -secondo la difesa francese 
-sarebbero dimostrati dal fatto che all'epoca dei trattati 
in discussione tutte le monete erano convertibili; 
l'inconvertibilit� della propria moneta � stata adottata 
da quasi tutti i Paesi dopo la seconda guerra mondiale. 
In tale situazione il Marocco non pu� che acquistare 
da chi da esso acquista. Da tale situazione conseguirebbe 
una necessit� assoluta (terzo elemento) che potrebbe 
scomparire solo ove si verificasse il ritorno generale 
al sistema della convertibilit�, ovvero se il Marocco 
potesse disporre di una massa sufficiente di valuta 
convertibile. 

La dimostrata ragione di forza maggiore legittimerebbe 
quindi -secondo la difesa francese -l'adozione 
dei provveiimenti contestati, anche se, per avventura, 
contrastanti con disposizioni convenzionali. 

b) Reciprocit�. -I trattati di commercio del 1856 e 
del 1861 erano basati sul principio della reciprocit�. 
Da tale principio deriverebbero due conseguenze, l'una 
specifica all'obbietto della discussione, l'altra pi� generale: 


1� Le esportazioni marocchine in Gran Bretagna 
e Spagna sono sottoposte al controllo dei cambi. Tali 
Potenze non potrebbero quindi opporre al Marocco 
l'illegalit� del medesimo controllo. Gli Stati Uniti non 
potrebbero, di conseguenza, opporre l'illegalit�, invocando 
la clausola della nazione pi� favorita. 

2� A parte ci� la clausola della nazione pi� favorita, 
prevista dal trattato del 1836 non sarebbe gratuita, 
ma condizionale. Essa garantirebbe gli stessi 
vantaggi offerti ad altre Potenze, a condizione peraltro 
delle stesse garanzie di reciprocit�. Gli Stati Uniti hanno 
adottato una politica rigorosamente protezionistica e 
non hanno mai offerto al Marocco il minimo vantaggio 
commerciale. 

c) Abrogazione implicita. -I trattati del principio 
del corrente secolo (Atto di Algeciras, Convenzione 
franco-tedesca del 4 novembre 1911), non menzionando 
pi� la soppressione di tutte le proibizioni, avrebbero 
sostituito tale principio con quello pi� 'lato della libert� 
economica nel quadro delle riforme affidate alla Francia, 
Paese protettore. Infine Inghilterra e Spagna hanno 
accettato da tempo di regolare i rapporti commerciali 
con il Marocco sulla base degli scambi reciproci (compensazioni). 


d) Principi introdotti dall'Atto di Algeciras. -Negata, 
in diritto, l'esattezza della tesi che i trattati vadano 
interpretati esclusivamente in base alle intenzioni 
dei firmatari al momento della stipulazione, mentre 
invece l'interpretazione andrebbe completata al lume 
dei principi di diritto internazionale positivo esistenti 
al momento della contestazione (teoria del diritto intertemporale) 
(1), la difesa francesi') ha contestato, in fatto, 
ogni influenza alla circostanza che contingenze economiche 
eccezionali non siano state contemplate dai compilatori 
dell'Atto di Algeciras. In realt�, la possibilit� 
di crisi sarebbe stata ben presente ai compilatori: per. 

(1) 'Un trait� est destin� � s'appliquer dans un certain milieu 
iuridique; c'est le milieu juridique existant au moment o� se pose 
la question d'interpr�tation qu'il convient de prendre en consideration 
>'. 

tali motivi sarebbero stati adottati dei principi generalissimi, 
suscettibili di una certa elasticit� di applicazione. 


I

Ci� premesso, la difesa francese ha rilevato: 

10 L'Atto di Algeciras, unitamente al principio 
della libert� economica, ha affermato quello della sovranit� 
dello Stato sceriffi.ano. Va esclusa quindi ogni 

Iinterpretazione limitatrice di detta sovranit�, oltre i 
casi espressamente previsti. Nessuna disposizione del 
trattato interdirebbe l'adozione di misure tendenti a 
garantire l'equilibrio della bilancia dei pagamenti. 

2� La libert� economica senza ineguaglianze, presuppone 
il concetto di reciprocit�. Del diritto di egua


glianza di trattamento godrebbe anche il Marocco, che 
sarebbe pertanto legittimato ad adottare le stesse misure 
sul controllo dei cambi, adottate dalla maggioranza 
dei Paesi. La libert� degli scambi � subordinata alla 
difesa dell'ordine pubblico. La pratica ha riconosciuto 
che il controllo dei cambi � una misura necessaria e 
legittima di ordine pubblico, in caso di grave squilibrio 
della bilancia dei pagamenti. 

e) Accordi di Bretton Woods. -La difesa francese 
ha sostenuto che -a parte ogni altro argomento -gli 
Accordi di Bretton Woods avrebbero sancito una eccezione 
avente effetto sospensivo rispetto alle disposizioni 
dell'Atto di Algeciras, tendenti a garantire la libert� 
dei commerci. A tale proposito ha citato l'art. 14, 
sezione 2a, dello Statuto del Fondo monetario internazionale, 
il quale statuisce che, nel periodo di transizione 
'successivo alla guerra, i membri potranno mantenere 
delle restrizioni dei pagamenti e dei trasferimenti, relativi 
a transazioni internazionali, ed adattare tali restrizioni 
alle circostanze. 

Gli accordi preesistenti non sarebbero di ostacolo 
all'adozione delle misure eccezionali suddette, anche in 
difetto del consenso degli altri contraenti, in base al 
disposto dell'art. 7, sezione 5a, riflettente le monete 
rare quali il dollaro. 

6. In ordine all'eccezione di forza maggiore ed a 
quella, ad essa connessa, relativa alla nozione di cc ordine 
pubblico ,, limitatrice del principio di libert� degli scambi, 
la difesa americana ha principalmente replicato: 
a) Negato che il volume delle importazioni francovaluta 
in Marocco da parte degli Stari Uniti potesse 
seriamente influire sul corso dei cambi ed affermato che 
le autorit� consolari americane hanno sempre offerta 
la loro collaborazione per reprimere il contrabando delle 
valute, la difesa americana ha sostenuto che nessuna 
seria misura � adottata per impedire il mercato nero 
valutario (eufemisticamente defrilito march� parall�le); 
siffatta tolleranza smentirebbe la pretesa giustificazione 
della violazione dei diritti convenzionali degli 
Stati Uniti. 

Comunque le misure adottate in Marocco francese 

-pur impedendo in teoria le importazioni franco-va


luta -consentirebbero ugualmente alcune importa


zioni sans devises; e comunque incoraggerebbero delle 

misure protezionistiche, contrastanti con l'Atto di Al


ge'ciras. Infatti, mentre, ad esempio, sono accordate 

licenze per l'importazione del t�, dello zucchero o del 

caff�, non � permessa l'importazione di tessili a l>uoii -


mercato. Tale discriminazione non troverebbe alcuna 

giustificazione nella pretesa regolamentazione dei cambi. 

Secondo la difesa americana il punto cruciale da decidere 
era se le autorit� del Protettorato, nonostante le 



-170 


disposizioni dell'Atto di Algeciras e dei trattati precedenti, 
potessero limitare od impedire -senza il consenso 
dei paesi esportatori -le importazioni nel Marocco. 
Il pretesto del controllo dei cambi servirebbe da 
paravento per mascherare la violazione del principio 
della libert� delle importazioni. L'applicazione unilaterale 
del decreto 30 dicembre 1948 importerebbe la 
possibilit� di limitare le importazioni per qualsiasi motivo, 
compreso quello di eliminare la conclorrenza. Ci� 
sarebbe confermato dal fatto che alcune licenze d'importazione 
sarebbero state accordate a condizione che 
gli importatori si impegnassero a cedere una parte del 
prodotto ad una organizzazione locale, in modo da permettere 
una livellazione artificiosa con gli stessi prodotti 
acquistati a prezzo pi� elevato nella zona del franco. 

La difesa americana ha poi sostenuto che la controparte 
non aveva dato la prova che le misure adottate 
fossero essenziali per la protezione dell'ordine pubblico 
marocchino. Ha citato al riguardo due discorsi del generale 
Juin, allora alto commissario al Marocco. Nel 
primo, del 10 gennaio 1949, questi affermava che, anche 
a prescindere dalle obbligazioni internazionali nascenti 
dai trattati, il sistema della libert� economica fosse il 
pi� consono agli inter'essi del Marocco. Tali affermazioni, 
a prima vista contraddittorie, rispetto alla promulgazione 
del decreto 30 dicembre 1948, troverebbero la loro 
spiegazione nel fatto che il generale Juin aveva cercato 
di evitare l'applicazione di tale decreto; ma vi era poi 
stato costretto, in seguito ad ordine formale del Consiglio 
dei ministri di Parigi. Cosa espressamente dichia� 
rata dallo stesso generale nel successivo discorso dell'll 
gennaio 1949. 

Infine la difesa americana ha respinta la tesi francese, 
in base alla quale, essendo il franco marocchino legato 
a quello francese, qualsiasi misura tendente a proteggere 
il franco francese, sarebbe di ordine pubblico marocchino. 
Il legame tra le due monete deriverebbe da 
una decisione volontaria ed unitalerale del Governo 
francese, non imposta ed anzi probabilmente esclusa 
dall'Atto di Algeciras, che aveva prevista la creazione 
della Banca di Stato del Marocco. Non solo i marocchini, 
ma gli stessi commercianti francesi del Marocco, avrebbero 
pi� volte richiesto lo sganciamento delle du� monete, 
sull'esempio di quanto effettuato dallo stesso Governo 
francese per l'Africa Occidentale e la Somalia. 

b) Replicando agli argomenti concernenti la reciprocit� 
e l'abrogazione implicita, la difesa americana 
ha opposto: 

1� Inghilterra e Spagna non hanno rinunziato 
alle clausole contenut!l nei rispettivi trattati del 1856 
e 1861 e garantenti la libert� delle importazioni; sibbene 
il loro comportamento avrebbe potuto rendere 
inoperanti tali clausole. Comunque, il fatto che i suddetti 
paesi non chiedano l'applicazione in proprio favore 
delle cennate disposizioni, non priverebbe gli Stati 
Uniti dei benefici della clausola della nazione pi� favorita, 
perch� le disposizioni statuite dai citati trattati 
non risultano abrogate; 

2� non sarebbe provata e, comunque, sarebbe 
inesatta l'affermazione dell'esistenza di un rigido protezionismo 
da parte degli Stati Uniti ai danni del Marocco. 
La media delle tariffa doganali applicate ai prodotti 
marocchini sarebbe inferiore alla uniforme tariffa 
del 12,50 %, applicata dalla dogana del Marocco, 
ai sensi dell'Atto di Algeciras; 

30 la Francia esporta liberamente qualsiasi prodotto 
in Marocco. Gli Stati Uniti dovrebbero fruire 
dello stesso diritto, sempre in forza della clausola della 
nazione pi� favorita. 

e) In ordine al valore ed alla portata dell'Atto di 
Algeciras la difesa americana, contestando la tesi francese, 
ha affermato che scopo principale della conferenza 
fu quello di confermare gli uguali diritti delle Parti 
contraenti, basati o su trattati o sulla consuetudine: 
uno dei diritti pi� importanti concerneva appunto la 
libert� delle importazioni. 

La nozione della libert� �conomique sana aucune inegalit�, 
termine adottato nel testo dell'Atto, era indicato 
durante i negoziati con la formula di "libert� commerciale 
�, formula gi� usata nella dichiarazione francobritannica 
dell'8 aprile 1904. Indubbiamente nella suddetta 
nozione era compresa -ad avviso della difesa 
americana -quello della libert� delle importazioni, 
cos� come, del resto, comprovato dalla definizione adottata 
dal delegato francese alla Conferenza: �porta aperta 
in materia commerciale�. 

Un'ulteriore riprova dell'affermazione che l'Atto di 
Algeciras confermava il principio delle libert� commerciali 
sarebbe fornito dal testo dell'art. 105, il quale 
sancisce la regola dei pubblici concorsi per l'aggiudicazione 
dei servizi e dei lavori pubblici, �in applicazione
� del principio della libert� economica. Ugualmente 
le numerose disposizioni concernenti la fissazione 
della tariffa doganale, la procedura per la valutazione 
delle merci e la riscossione dei diritti non avrebbero 
avuto senso se non fosse stata garantita, in primo luogo, 
la libert� delle importazioni. 

d) In ordine alla portata degli accordi di Bretton 
Woods, la difesa americana ha sostenuto: 
lo che controllo dei cambi e controllo delle importazioni 
non sarebbe giuridicamente la stessa cosa; 

2� che il controllo dei cambi, effettuato in Marocco, 
servirebbe a mascherare il controllo delle importazioni; 


30 che, conseguentemente, i controlli sui cambi 
previsti dagli accordi di Bretton Woods non potrebbero 
mai infirmare i trattati preesistenti concernenti la libert� 
delle importazioni. 

Comunque non sarebbe applicabile la speciale eccezione 
prevista dall'art. 7, sezione 5a, in difetto di una 
dichiarazione formale del fondo monetario internazionale 
concernente la rarit� di una determinata moneta 
(dollaro). 

7. B) Giurisdizione consolare. -La seconda questione 
dibattuta alla Corte internazionale di giustizia concerneva 
la natura ed i limiti della giurisdizione consolare 
al Marocco. 
La difesa francese ha cominciato con porre in risalto 
che non esiste un regime generale delle capitolazioni, 
sibbene dei singoli trattati di capitolazione. Pertanto 
� al lume dei testi convenzionali in vigore che deve 
essere esaminata la questione. 

Il trattato che ha conferito agli Stati Uniti il privilegio 
della giurisdizione � quello del 1836. L'art. 26 di 
tale trattato statuisce la competenza consolare in ordine 
alle controversie civili tra cittadini o protetti americani; 
l'art. 21, a sua volta, statuisce che nei processi 
penali nei quali un americano sia imputato, il console 


-171


assiste al giudizio (1 ). Entro tali limiti, secondo la difesa 
francese, dovrebbe essere circoscritto il privilegio 
americano di giurisdizione. 

Il trattato del 1836 prevedeva, peraltro, la clausola 
della nazione pi� favorita. In base a tale clausola gli 
Stati Uniti hanno costantemente invocato le pi� estese 
disposizioni stabilite dal trattato generale anglo-marocchino 
del 9 dicembre 1856 e dal trattato ispano-marocchino 
del 20 novembre 1861. Gli artt. 8 a 14 del primo 
trattato e 10 a 16 del secondo, di contenuto sostanzialmante 
analogo, avevano attribuito alla giurisdizione 
consolare in via esclusiva, oltre alle cause civili, anche 
quelle penali, ove risultassero imputati i cittadini rispettivamenteinglesi 
o spagnuoli; per i processi misti stabilivano, 
in base al principio actor sequitur forum. rei, la competenza 
della giurisdizione consolare nelle cause in cui i cittadini 
inglesi o spagnuoli fossero convenuti. Il beneficio 
della nazione pi� favorita venne riconfermato a tutte 
le Potenze (fra le quali gli Stati Uniti), firmatarie della 
Convenzione di Madrid del 1880. L'esistenza della giurisdizione 
consolare ampia, comprendente anche la competenza 
per i giudizi misti, era stata nuovamente richiamata 
da numerose disposizioni dell'Atto di Algeciras. 

A tale riguardo la difesa francese ha per� obiettato 
che la clausola della nazione pi� favorita non poteva 
pi� essere invocata, in quanto le disposizioni sancite 
dai trattati successivi a quello del 1836 sarebbero colpite 
da caducit�. In effetti la Gran Bretagna ha rinunziato 
ai privilegi di natura capitolare, per effetto della 
Convenzione del 29 luglio 1937. Ai privilegi capitolari, 
rispettivamente della Spagna sul Marocco francese e 
della Francia sul Marocco spagnolo, le suddette Potenze 
hanno rinunziato (Accordi del 1912 e 1914) in 
conseguenza dell'istituzione, su entrambe le zone, di 
un'organizzazione giurisdizionale, ispirata alla legislazione 
dei Paesi protettori. Gli Stati Uniti avrebbero 
quindi beneficiato sino al 1938 dello stesso regime di 
cui beneficiava la Gran Bretagna in virt� del trattato 
del 1856. Successivamente al 1938 i privilegi capitolari 
degli Stati Uniti avrebbero dovuto essere limitati alle 
ipotesi testualmente previste dagli articoli 20 e 21 del 
trattato del 1836. 

Quanto alla portata della Convenzione di Madrid, la 
difesa francese ha sostenuto che obietto di tale Convenzione 
fosse solamente quello di definire e limitare il 
diritto di cc protezione � dei sudditi marocchini: e che, 
agli effetti dei privilegi capitolari, abbia solamente 
esteso a tutti i firmatari il beneficio della nazione pi� 
favorita, senza peraltro nulla innovare al riguardo e, 
soprattutto senza statuire una e:J,traterritorialit� perpetua 
a favore delle Potenze contraenti ed a carico del Marocco. 

Infine la difesa francese ha ripreso la tesi, di cui dianzi 
(par. 5) si � fatto cenno, che le disposizioni dei trattati 
vadano interpretate in base ai privilegi dell'ordinamento 
giuridico esistente al momento della contestazione (diritto 
intertemporale): ed ha citato al riguardo una mas


(1) Art. 20. -Si des citoyens ou prot�g�s des Etats-Unis ont 
entre cux un diff�rend, le consul statuera entre les parties; et chaque 
fois que pour l'ex�cution de ses d�cisions, le consul demandera 
l'aide ou l'agsistance de notre Gouvernement, celles-ci lui seront 
imm�diatement fournies. 
Art. 21. -Si un citoyen des Eltats Unis tue ou blesse un Maure 
ou si, � !'inverse, un Maure tue ou blesse un citoyen des Etats 
Unis, la loi du pays s'appliquera et justice �gale sera rendue, le 
consul assistant au proc�s; au cas o� un d�liquant s'�chapperait, 
le consul n'en sera responsable en aucune mani�re. 

sima contenuta nella decisione arbitrale di Las Palmas 
sulla controversia olandese-americana (1). Ai fini della 
giurisdizione consolare, in applicazione della suddetta 
tesi, la difesa francese ha pertanto sostenuto che il 
Trattato del 1836 sia tuttora valido, ma che vada inquadrato 
non nelle regole dell'ordine giuridico esistente 
al momento della sua stipulazione (regol� tutte caducate), 
sibbene sulle regole del presente ordine giuridico 
internazionale. 

8. Ai predetti argomenti la difesa americana ha replicato 
nei seguenti termini: 
a) L'art. 20 del Trattato del 1836 riflette non soltanto 
la competenza civile, ma altres� quella penale. 
Invero, secondo i trattati e la consuetudine della fine 
del secolo xvm, i tribunali consolari avevano competenza 
esclusiva in qualsiasi processo civile o penale tra 
cittadini delle Potenze esercentila giurisdizione consolare. 

b) La regola actor sequitur forum rei, applicabile 
ai giudizi misti, era gi� stata adottata dalla consuetudine 
formatasi alla fine del secolo XVIII, prima di essere 
codificata nei trattati del 1856 e 1861. 

e) La Convenzione di Madrid, prima, e l'Atto di 
Algeciras, poi, avrebbero ratificato e confermato il regime 
della giurisdizione consolare, gi� esistente. In numerose 
disposizioni dell'ultimo testo si fa riferimento 
alla giurisdizione consolare, come giurisdizione competente 
anche nei giudizi penali a carico di cittadini delle 
potenze firmatarie. Pertanto, si ritenga che al momento 
~lella conferenza gli Stati Uniti fruissero di un diritto 
proprio, derivante in via originaria dalla Convenzione 
di Madrid ovvero che fruissero di un diritto consuetudinario, 
sarebbe comunque evidente che, per effetto 
della ratifica e conferma contenuta nell'Atto di Algeciras, 
i diritti giurisdizionali vantati dagli Stati Unit,i 
non sarebbero basati soltanto sulla clausola della nazione 
pi� favorita, sibbene su di una fonte autonoma. 

d) La rinuncia della Gran Bretagna alla giurisdizione 
consolare non sarebbe comunque efficace a privare 
gli Stati Uniti del beneficio della nazione pi� favorita 
perch� tale rinuncia non riflette tutto il Marocco, 
ma solo la Zona francese. Gli inglesi conservano infatti 
la giurisdizione consolare nella Zona spagnola. 

e) Da parte spagnola non vi sarebbe stata una 
esplicita rinuncia alla giurisdizione consolare in Marocco 
francese con atto internazionalmente valido rispetto 
allo stato sceriffiano: sibbene Francia e Spagna si sarebbero 
accordati in ordine all'esercizio dei loro poteri 
nelle rispettive zone di influenza. 

9. C) Diritto di assentimr;,nto. -Direttamente connessa 
alla questione riassunta nei due paragrafi che precedono 
era quella concernente il preteso diritto di assentimento 
alla legisiazione locale, derivante secondo la 
tesi americana, dal cosidetto cc privilegio di legislazione � 
(principio in base al quale le giurisdizioni consolari applicavano 
la legge nazionale e non quella locale). Secondo 
(1) Pour savoir lequel des diff�rents syst�mes juridiques en 
vigueur � des �poques successives doit �tre appliqu� dans un cas 
d�termin� (question du droit dit intertemporel), 11 faut distinguer 
entre la cr�ation du droit en question et le maintien de ce-drott..�� 
Le m�me principe qui soumet un acte cr�ateur de droit � la loi en 
vigueur � l'�poque o� le droit natt, exige que l'existence de ce droit, 
en d'autres termes, sa manifestation continue, suive les condit.ions 
requises par l'�volution de droit. (Recueil des sentences arbitrales, 
Nations Unies, tome Il, pag. 845). 

-172 


la difesa americana, intorno al nucleo costituito dalle 
disposizioni convenzionali, si era creata una consuetudine 
concernente non solo la piena giurisdizione consolare, 
ma altres� il diritto di assentimento alla legislazione locale. 

Resistendo alla suddetta tesi la difesa francese ha 
eccepito: 
io Il principio della competenza esclusiva in materia 
legislativa di ciascuno Stato nel proprio territorio. 

2� La mancanza di qualsiasi disposizione convenzionale 
statuente il diritto di assentimento alla legislazione 
marocchina. 

3� La mancanza di una consuetudine in tal senso. 
Nei litigi tra stranieri, prima dell'attuale codificazione 
non poteva essere applicata la legge locale, perch� il 
diritto locale era essenzialmente religioso e basato sul 
Corano. Ora invece la legge scritta locale pu� essere 
applicata senza inconvenienti anche agli stranieri. 
L'applicazione della legge nazionale agli stranieri da 
parte della giurisdizione consolare � stata solo tollerata, 
dopo l'intervenuta codificazione, sino al 1938 nei confronti 
della Gran Bretagna e sinora nei confronti degli Stati 
Uniti. 

La difesa francese ha inoltre sostenuto: 

a) Caducato il sistema capitolare previsto dai 
Trattati del i856 e i861, il console degli Stati Uniti � 
competente soltanto nei processi civili tra americani. 
Nei processi penali ha solo diritto di assistere. Non. vi � 
quindi nessun motivo che in tali processi non sia applicabile 
la legge locale. 

b) L'Impero Ottomano, nonostante il regime capi-. 
tolare cui era sottoposto, ha sempre negato il diritto di 
assentimento, da parte delle Potenze cristiane alla legislazione 
locale. E ci�, nonostante che l'assenza di una 
codificazione moderna e la base religiosa della legisla� 
zione locale rendesse inapplicabile tale legislazione agli 
stranieri e giustificasse quindi i principi della � perso nalit� 
della legge � e del �privilegio di legislazione � 
connessi al privilegio di giurisdizione. 

io. Replicando ai suddetti argomenti, la difesa americana 
ha sostenuto che in Marocco nessuna legge locale 
pu� essere applicata a cittadini americani, in difetto 
del consenso formale degli Stati Uniti. Tesi questa pi� 
generale e distinta da quella concernente l'illegalit� 
internazionale, sostenuta da parte americana, sia del 
Decreto 30 dicembre 1948, di cui dianzi si � ampiamente 
riferito, sia del Dahir 28 febbraio 1948, istituente 
delle imposte di consumo, di cui si far� cenno in prosieguo, 
esponendo la questione relativa all'immunit� fiscale. 
La difesa americana ha infatti sostenuto che i suddetti 
provvedimenti sarebbero stati illegittimi ed inapplicabili 
ai propri cittadini, in quanto costituenti violazione 
di trattati internazionali, indipendentemente dal 
diritto di assentimento ed anche nell'ipotesi che gli argomenti 
da essi addotti per tale ultimo profilo fossero 
disattesi. 

A 1:mstegno della tesi pi� generale. la difesa americana 
ha precipuamente sostenuto: 

a) che il privilegio di legislazione � connesso a 
quello di giurisdizione: essendo quest'ultimo ancora in 
vigore dovrebbe ritenersi in vigore altres� il primo: 
il diritto di assentimento sarebbe una conseguenza necessaria 
del privilegio di legislazione; 

b) che il comportamento delle Autorit� francesi, le 
quali hanno, a pi� riprese, sollecitato il consenso americano 
a singole leggi, costituiva conferma e riconoscimento 
di tale diritto. 

Da parte americana si � infine rilevato che il Governo 
americano ha normalmente concessa la propria approvazione, 
qualora la legislazione locale non sollevasse alcuna 
questione concernente i diritti convenzionali degli Stati 
Uniti. Ma ci� per motivi di opportunit�, non perch� 
ritenesse limitato o menomato il proprio generale diritto. 

il. D) Immunit� fiscale. -La questione dell'immunit� 
fiscale � stata occasionata dall'applicazione ai cittadini 
americani del Dahir (Decreto del Sultano) 28 febbraio 
1948, istituente un'imposta di consumo su determinati 
prodotti, importati o di produzione locale. Da 
parte americana si � sostenuto che i cittadini degli Stati 
Uniti godano in Marocco -in base a testi convenzionali 
tuttora in vigore -di una generale immunit� 
fiscale, salve limitate eccezioni. 

A tale pretesa la difesa francese ha eccepito: 

a) fino all'istituzione del Protettorato gli stranieri 
praticamente non pagavano imposte in Marocco, sosoprattutto 
perch� non esisteva un sistema fiscale nel 
senso moderno della parola. La legislazione fiscale adottata 
dopo l'istituzione del Protettorato � etata invece 
effettuata con criteri moderni quanto alla fonte legislativa 
ed alle formalit� di riecossione. L'imposizione 
grava senza discriminazioni su marocchini e stranieri, 
in applicazione del principio dell'uguaglianza economica. 

b) Il Trattato generale anglo-marocchino del i856 
(art. 4) ed il trattato ispano-marocchino del i861 (art. 5) 
stabilivano. una larga immunit� fiscale per i cittadini 
inglesi e spagnuoli. Gli Stati Uniti potevano invocare 
detti benefici, in base alla clausola della Nazione pi� 
favorita. Peraltro tali disposizioni non sarebbero pi� 
operanti, per effetto, da un Iato, della rimmzia della 
Gran Bretagna ad ogni diritto e privilegio capitolare 
(1937) e, dall'altro, della dichiarazione franco-spagnola 
del i 9i 4, abrogatrice delle capitolazioni, confermata, 
quanto alla rinunzia ad ogni immunit� fiscale, da atti 
successivi (es.: accordo del 14 �luglio 1931 relativo allo 
scambio di merci tra le due zone). 

e) La Convenzione di Madrid del i880 avrebbe istituito 
solo una immunit� :fiscale di carattere diplomatico, 
concernente il personale delle sedi diplomatiche consolari. 
Gli altri stranieri erano invece sottomessi all'imposta 
agricola ed alla tassa detta �di porta � (spece di da:l'io 
interno o tassa di mercato). 

12. In ordine all'immtmit� fiscale, la difesa americana 
ha, in primo luogo, premesso: 
a) che gli Stati Uniti, pur ritenendo che i propri 
cittadini siano esenti da qualsiasi imposta non espressamente 
prevista dai trattati, hanno manifestato il loro 
consenso all'applicazione di svariate imposte che non 
apparissero discriminatorie, protezionistiche o, comunque, 
contrarie al principio della libert� economica; 

b) che l'elevata aliquota delle imposte di consumo 
ha praticamente violato il limite della uniforme tariffa 
doganale (12,50 %) prevista dai trattati, con un ulteriore 
gravissimo onere a carico degli importatori. 

Passando all'esame dei testi convenzionali, la difesa 
americana ha sostenuto: 

io Le disposizioni concernenti l'immunit� fiscale 
erano in vigore all'epoca della Convenifo:�.e di Madrid. 
Le Potenze firmatarie di tale Convenzione avi:.ebber�-� 
rinunziato a determinati privilegi ed avrebbero accettato 
l'imposizione a carico dei loro cittadini dell'imposta 
agricola e della tassa � di porta >>, a condizione della 
riconferma dell'immunit� fiscale in ogni altro campo 


-173 

Argomentando dagli articoli 3, 12 e 13 della Convenzione 14. La difesa americana, premessa l'importanza pratica 
suddetta, la difesa americana ha sostenuto che essa non e non soltanto teorica della questione della valutazione, 
ha istituito una speciale immunit� diplomatica, appliperch� 
il regime protezionistico, instaurato dalle autocabile 
solo, oltre che ai diplomatici e consoli, ai loro imrit� 
francesi in Marocco, ha provocato una notevole 
piegati e protetti: sibbene ai protetti sarebbero state differenziazione tra i prezzi del mercato mondiale e quelli 
estese le stesse immunit� fiscali accordate agli stranieri. del mercato locale, ha cos� replicato: 

2� La suddetta situazione di diritto sarebbe stata a) Dal punto di vista letterale il testo� dell'art. 95 
confermata dall'art. 64 dell'Atto di Algeciras, che ha pre(
� Les droits ... seront liquid�s suivant la valeur de la 
visto l'intervento del Corpo diplomatico di Tangeri per marchandise... rend�u.e au bureau de Douane �) non pu� 
decidere l'estensione agli stranieri di determinate nuove avere che un significato: la merce va valutata prima 
imposte, una volta che esse fossero state applicate ai del suo ingresso in Marocco. Ci� escluderebbe, di per se, 
sudditi marocchini. la valutazione in base ai prezzi del mercato locale; e 

invece ai prezzi del mercato di origine che va fatto esclu


I

13. E) Valutazione delle merci sottoposte a dogana. -� ~ 
sivo riferimento.

L'ultima delle questioni discusse avanti la Corte interna


b) Il termine �franche de droits de Douane � ha

zionale era la seguente: secondo il sistema dell'Atto di 

un significato specifico e ben determinato nella consuetu-

Algeciras (art. 95) le merci sottoposte a dogana dovevano 

dine doganale di tutti i Paesi. � 

essere valutate in base ai valori del mercato di origine 

� �franco� il prodotto non ancora importato e quindi

aumentato delle spese di trasporto� e di ogni altra spesa 

non soggetto a diritti doganali (nello stesso senso sono

sostenuta sino. al momento della presentazione alla 

adopera.ti i termini �punto franco� ecc.). La precisa


dogana? Ovvero in base ai valori del mercato locale? 

zione suddetta servirebbe solo a rafforzare il concetto

La difesa francese, sostenendo la seconda tesi, si � 

gi� chiaramente risultante dal termine, �rendue �: la

basata: 

valutazione deve essere effettuata prima dell'ingresso

a) Sul tenore letterale dell'art. 95 (1), il quale 

in Marocco e, quindi, prima dell'imposizione dei diritti

statuisce che i diritti doganali ad valorem sono calcolati 

doganali.

secondo il valore in contanti ed all'ingrosso della merce 

e) Adottando la tesi francese bisognerebbe am


resa all'ufficio della dogana e franca dei diritti di dogana 

mettere che il valore delle merci vada aumentato di 

e di magazzinaggio. Tale ultima prescrizione sarebbe 

numerosi elementi di difficile e complessa valutazione

stata superflua se la valutazione avesse dovuto effettuarsi 

(trasporto, imballaggio, commissioni, spese generali,

in base ai prezzi del mercato di origine; � invece neces


pr.�fitti, ecc.) la cui determinazione resterebbe affidata

saria, se la valutazione � fatta sui prezzi del mercato 

all'arbitrio discrezionale delle autorit� doganali, senza

locale, che tengono conto anche del gravame doganale. 

possibilit� di controllo. Ci� frustrerebbe uno degli scopi

Per tale ragione dal valore della merce, calcolato in 

principali dell~Atto di Algeciras: quello di garantire,

base ai valori del mercato locale, vanno dedotti i diritti 

attraverso l'uniformit� delle tariffe doganali, l'ugua


doganali. Altrimenti la disposizione non avrebbe senso. 

glianza di trattamento sotto ogni aspetto.

b) Sulla portata dello stesso art. 95 il quale si 

d) L'art. 82 obbliga gli importatori a denunciare

applica per la valutazione delle merci ai fini dell'imposi


il valore delle merci e l'art. 85 prevede delle sanzioni

zione dei diritti doganali sia d'importazione, che di espor


in caso di false dichiarazioni. L'importatore pu� dichia


tazione. Per le merci esportate la valutazione � fatta 

rare esattamente solo le spese incontrate per l'acquisto,

indubbiamente in base ai valori del mercato locale: 

il trasporto, ecc. Come si sarebbe potuto pretendere una

essendo identico il sistema di valutazione per le merci 

dichiarazione basata su elementi che l'importatore non

importate, evidentemente � sempre al mercato locale 

� tenuto a conoscere? E come si poteva comminare una

che l'art. 95 fa riferimento. 

sanzione in caso di falsa dichiarazione?

La difesa francese ha infine sostenuto essere inin


11) L'art. 96 contiene solo delle disposizioni di ordine

fluenti gli argomenti avversari, basati sugli artt. 82 e 85 

procedurale, da applicarsi nel quadro delle regole sta


dell'Atto di Algeciras, i quali impongono agli importatori 

tuite dall'art. 95. Il fatto che i membri della Commis


una dichiarazione del valore delle merci importate. Tali 

sione di valutazione fossero persone residenti in Marocco,

disposizioni potrebbero sembrare superflue non solo 

non basterebbe di per s� a giustificare il riferimento ai�

in relazione alla tesi che la valutazione vada effettuata 

prezzi del mercato locale, sia perch� essi -indipen


in base al mercato locale ma altres� in relazione al di


dentemente dai criteri che erano chiamati ad applicare

sposto dell'art. 96, il quale statuisce che il valore delle 

-necessariamente dovevano risiedere sul posto; sia

merci principali debba essere determinato ogni anno da 

perch� gli importatori in Marocco tradizionalmente ivi

parte di una speciale Commissione (2). 

risiedevano. 

(1) Les droits d'entr�e et de sortie serout pay�s an comptaut 
III. -Decisione della Corte internazionale
bureau de Donane o� la liquidation aura �t� e:ffectu�e. Les 

15. La Corte internazionale di giustizia,� con la sua 
droits ad valorem seront liqnid�s snivant la valenr au comptant 
et en gros de la marchandise rendue au bureau de Donane et franche 
des droits de Donane et de magasinage. En eas d'avarie, il sera pronunzia del 27 agosto 1952, ha accolto, integralmente 
tenu eompte dans l'estimation de la d�pr�eiation subie par la mar� ed all'unanimit�, la tesi americana concernente il primochandise. Les marchandises ne pourront �tre retir�es qu'apr�s 

e pi� importante punto della controversia (libert� delle

le paiement des droits de Donane et de magasinage. 

importazioni); ha ritenuto, a maggioranza, c_lJ.e. la compe


(2) In realt� l'art. 96 era stato invocato dalla Cassazione di 
Parigi (sent. 29 luglio 1948, in� Gazette des Tribuneaux du Maroc" tenza della giurisdizione consolare americana vada li!ni:.. 
1948, 147) quale unico argomento per sostenere che la valutazione tata ai processi civili e penali interessanti esclusivamente 
deve essere e:ffettuata in base ai valori del mercato d'importazione. 
cittadini americani, oltre alla decisione delle specifiche 

Con motivazione, del resto assai succintai la Corte suddetta aveva 

questioni previste da singole .disposizioni dell'Atto di

affermato che la valutazione e:ffettuata dalla Commissione rifletteva 
necessariamente la consistenza delle merci in Marocco. Algeciras; ha respinto, all'unan~mit�, la pretesa americana 


3 


-174 



relativa al diritto di assentimento rispetto alla legislazione 
locale; ha respinto, a maggioranza, la pretesa americana 
in ordine all'immunit� fiscale; ha ritenuto, sempre 
a maggioranza, che la valutazione delle merci sottoposte 
a dogana debba effettuarsi in -Marocco tenendo conto 
sia dei prezzi del mercato di origine, sia di quelli del 
inercato locale. 

Sar� ora interessante riassumere brevemente i punti 
salienti della motivazione dell'importante decisione. 

16. A) Regime delle importazioni. -La Corte, rilevato 
l'accordo delle parti sul fondamento dello Statuto 
del Marocco quale risulta dal preambolo dell'Atto di 
Algeciras (� souverainet� de Sa Majest� le Sultan; int�grit� 
de ses Etats; libert� �conomique sans aucune in�galit� 
�), ha sottolineato che il principio della .libert� 
economica deve essere esaminato nel quadro delle disposizioni 
convenzionali gi� esistenti e riflettenti il commercio 
e Puguaglianza di trattamento in materia economica. 
I Trattati anglo-marocchino del 1859 ed ispano-marocchino 
del 1861 hanno garantito alcuni diritti in materia 
commerciale, compresa la libert� delle importazioni in 
Marocco. Tali diritti sono stati estesi ad altri Paesi tra 
cui gli Stati Uniti -per effetto della clausola della 
nazione pi� favorita. Alla vigilia della Conferenza di Algeciras 
il triplice principio sopra menzionato era stato gi� 
accettato dalla Francia e dalla Germania (Dichiarazione 
dell'8 luglio 1905). Si trattava quindi di un principio 
ben stabilito, riaffermato dall'Atto di Algeciras e destinato 
a rivestire il preciso carattere di obbligazione. 
Ulteriore conferma � data dal tenore dell'art. 105 dell'Atto 
e dalle dichiarazioni dei delegati francese e spagnolo 
alla Conferenza. 

La creazione del Protettorato francese non ha determinata 
alcuna modificazione al riguardo, cos� come 
confermato dalla Convenzione franco-tedesca del 4 novembre 
1911, contenente riconoscimento del Protettorato, 
la quale (art. 1) espressamente assicura che �la 
France sauvegardera au Maroc l'�galit� �conomique 
entre les nations � e che (art. 4) essa si adoperer� 
presso il Governo marocchino � afin d'emp�cher tout 
traitement diff�rentiel entre les ressortissants des diff�rentes 
Puissances �. Inoltre l'ambasciatore francese, 
sollecitando il riconoscimento del Protettorato, da parte 
degli Stati Uniti, con nota del 3 novembre 1911 faceva 
richiamo alla Convenzione franco-tedesca suddetta; 
ed in altra nota del 14 novembre 1918 dichiarava che 

.il beneficio dell'uguaglianza commerciale -anche nei 
confronti della Potenza protettrice -risultava per gli 
Stati Uniti non solo dalla clausola della nazione pi� 
favorita, ma altres� dal principio della libert� economica, 
fissato dall'Atto di Algeciras e ripreso dalla Convenzione 
franco-tedesca. Ci� sta a provare che l'uguaglianza commerciale 
ed economica era garantita non solo dal Marocco, 
ma anche. dalla Francia, Potenza protettrice. 

Ci si pu� domandare se la Francia, quale Potenza protettrice, 
sfugga al principio dell'uguaglianza economica 
e possa fruire di privilegi commerciali ed economici 
superiori a quelli di cui fruiscono gli Stati Uniti. La 
Francia non contesta che il Marocco, nonostante il 
regime di Protettorato, abbia conservato la sua personalit� 
giuridica internazionale. Il trattato di Protettorato 
del 1912 che definisce i diritti in Marocco della 
Francia non ha accordato a quest'ultima alcuna posizione 
cli privilegio in materia economica, ci� che del resto sarebbe 
stato incompatibile con i principi dell'Atto di Algeciras. 

In base alle predette considerazioni, la Corte ha ritenuto 
che il Decreto 30 dicembre 1948 violi i diritti conferiti 
agli Stati -Uniti nell'Atto di Algeciras in quanto 
determina una discriminazione in ordine all'importazione 
delle merci provenienti, da una p�rte, dalla Francia e, 
dall'altra, dagli Stati Uniti. 

Tale conclusione, del resto, potrebbe dedursi altres� 
dal trattato del 1836, contenente la clausola della nazione 
pi� favorita. Infatti gli Stati Uniti, in virt� di detta clausola, 
hanno il diritto di opporre il pi� favorevole trattamento 
riservato alla Francia in materia d'importazioni. 

La Corte ha infine ritenuto non necessario di pronunciarsi 
sugli argomenti addotti dalla difesa francese in 
ordine alla legittimit� internazionale nel controllo 
dei cambi. Anche ammessa la legalit� di tale controllo, 
ci� non giustificherebbe la discriminazione tra le importazioni 
provenienti dalla Francia e quelle provenienti 
dagli Stati Uniti. Pertanto la Corte ha ritenuto assorbiti 
dalle considerazioni di cui sopra gli argomenti dibattuti 
al riguardo. 

17. B) fJittrisdizione consolare. -Premesso che la controversia 
� limitata solo alla Zona francese del Marocco 
e che pertanto non potrebbe essere statuito in ordine alle 
altre Zone, la Corte ha passato in esame le varie fonti 
e cio�: 
a) Trattati bilaterali consolari tra il Marocco e 
varie Potenze dal 1631 al 1892. La clausola della nazione 
pi� favorita aveva determinato a favore di tutte le PoPqtenze 
firmatarie dei vari trattati l'applicazione automatica 
dei pi� estesi diritti in ordine alla giurisdizione 
consolare concessi ad alcuni Stati (Gran Bretagna e 
Spagna) in confronto dei diritti assai pi� limitati, originariamente 
concessi ad altri (es. Stati Uniti: trattati del 
1787 e 1836). 

b) Trattati multilaterali (Convenzione di Madrid del 
1880 ed Atto di Algeciras), stipulati non solo per garantire 
i diritti e i privilegi delle varie Potenze, ma altres� 
per limitarne gli abusi. 

e) Trattati concernenti l'istituzione del Protettorato. 
La Francia � legata non solo dal trattato di Fez del 
1912; ma altres�, da tutte le obbligazioni convenzionali 
stipulate dal Marocco prima dell'istituzione del Protettorato. 
L'organizzazione nel Protettorato di una giurisdizione 
capace di garantire agli stranieri l'eguaglianza 
giudiziaria aveva creata una situazione completamente 
differente da quella che aveva� determinata l'adozione 
delle giurisdizioni consolari. Alla richiesta francese di 
abolire il sistema capitolare hanno finora aderito tutti i 
Paesi (ultima la Gran Bretagna: Convenzione del 29 luglio 
1937), ad eccezione degli Stati Uniti. 

Rilevato l'accordo delle parti sulla validit� attuale 
del Trattato del 1836, la Corte � passata a determinarne 
la portata. Al riguardo ha ritenuto che il termine � diff�rend 
� usato dall'art. 20 del trattato suddetto, si appiichi 
non solo alle controversie civili (cosi come sostenuto 
dalla difesa francese), ma altresi ai processi penali (cos� 
come sostenuto dalla difesa americana), perch�, sulla 
base dei vecchi trattati, risulta evidente che il termine 
suddetto od altro equivalente fosse applicabile tanto ai 
processi civili che a quelli penali. Del reste�, all'epoca 
della stipulazione di tali trattati, la distinzione netta tra 
competenza civile e penale non era ancora acquisita in 
Marocco. La Corte ha pertanto concluso che la giurisdizione 
consolare, ai sensi del Trattato del 1836 tutt'ora 
in vigore, sia competente giudicare non solo le contro



-175 


versie civili fra cittadini o protetti americani, ma altres� 
i processi penali, limitatamente a quelli relativi a violazione 
da parte di cittadini o protetti americani di norme 
penali a danno di altro cittadino o protetto degli Stati 
Uniti. 

Sino a questo punto la pronunzia � stata unanime. 
Le altre questioni concernenti l� giurisdizione consolare 
sono state invece decise a maggioranza. Si riassumer�, 
in primo luogo, la motivazione di maggioranza; si far� 
poi seguire un breve cenno sugli argomenti di dissenso. 

18. Accolta, in ordine all'interpretazione dell'art. 20 
del Trattato del 1836 la richiesta americana, la Corte 
l'ha invece respinta per quanto concerne la giurisdizione 
mista. 
Al riguardo ha infatti ritenuto, che i pi� estesi diritti in 
tema di giurisdizione consolare, consacrati dai Trattati 
anglo-marocchino del 1856 ed ispano-marocchino del 1861, 
siano ormai caducati per effetto della rinunzia ai privilegi 
ad essi relativi effettuata rispettivamente dalla 
Spagna nel 1914 e dalla Gran Bretagna nel 1937. In 
conseguenza di ci� gli Stati Uniti, che fino al 1938 potevano 
fruire di tali pi� estesi diritti, in base alla clausola 
della nazione pi� favorita, non possono ora reclamare che 
i privilegi specificamente attribuiti dal trattato del 
1836, oltre -come si vedr� in prosieguo --le ipotesi 
espressamente contemplate dall'Atto di Algeciras. 

Gli argomenti addotti in contrario dalla difesa americana 
sono stati confutati nei seguenti termini: 

a) Il beneficio della clausola della nazione pi� 
favorita per tutti i firmatari della Convenzione di Madrid 
(anche ammesso che esso non rifletta soltanto la materia 
oggetto della Convenzione, ma che abbia una portata 
pi� generale) non giustifica in alcun modo la pretesa degli 
Stati Uniti. La Corte ha respinto al riguardo sia l'argomento 
dedotto dal principio della �personalit� della leggen, 
in quanto tale principio poteva giustificarsi soltanto 
nell'epoca in cui il diritto marocchino, di carattere 
strettamente personale, era di per se inapplicabile agli 
stranieri; sia altres� la tesi in base alla quale la clausola 
della nazione pi� favorita sarebbe stata impiegata piuttosto 
come attestazione di una situazione di fatto e di 
diritto gi� consolidatasi che come garanzia di uguaglianze 
di trattamento tra le varie Potenze. Perch� lo spirito 
di tutti i trattati stipulati dal Marocco era proprio quello 
di mantenere l'eguaglianza tra vari Paesi interessati. 
Sicch�, in definitiva, la tesi americana sarebbe contraria 
al principio dell'uguaglianza e perpetuerebbe una situazione 
di discriminazione. 

b) La controversia riflette solo la zona di Protettorato 
francese del Marocco; � pertanto priva di rilievo 
l'obiezione che la Gran Bretagna non abbia rinunziato 
alla giurisdizione nella Zona di Protettorato spagnolo. 
Infatti la clausola della nazione pi� favorita mira a 
garantire l'uguagliaza fra i vari Paesi: in base a tale 
clausola non pu� ammettersi la pretesa degli Stati Uniti 
di fruire in Zona francese di quei privilegi ai quali, per 
tale Zona, la Gran Bretagna ha rinunziato. 

I tribunali costituiti in Marocco con l'aiuto e� sotto la 

direzione francese non sono tribunali consolari. Essi 

offrono agli stranieri ogni garanzia di ugl;laglianza giu


diziaria. Non possono quindi essere invocati come pre


cedenti, ai fini dell'applicazione della clausola della 

nazione pi� favorita. 

e) In base alla Convenzione del 1912 ed alla dichiarazione 
del 1914 .la Spagna ha rinunziato ad esercitare 

ogni giurisdizione consolare in Zona francese. Anche 
ammesso che ci� abbia creato una situazione di fatto 
e non di diritto (in quanto il Marocco non era parte dei 
suddetti accordi), � indubbio, comunque che la Spagna 
non pu� esercitare la giurisdizione consolare in Zona 
francese. Pertanto i privilegi statuiti dal '1.Xattato ispano-
marocohivo non potrebbero pi� in nessun caso essere 
invocati dagli Stati Uniti, in base alla clausola della 
nazione pi� favorita. D'altra parte, la rinunzia spagnola 
.� valida anche in diritto, peroh� la Francia aveva potere 
di accettarla a nome del Marocco in virt� degli ampi 

poteri conferitile dal trattato di Protettorato. 

d) La Convenzione di Madrid ha presupposto l'esi


stenza della giurisdizione consolare allora generalmente 

esercitata nel Marocco. Essa per� non ha confermato 

il suddetto sistema; n�, tanto meno, ne costituisce una 

fonte diretta ed autonoma. Infatti lo scopo della Con


venzione era chiaramente ed espressamente limitato a 

disciplinare il diritto di << protezione '" 

e) Per quanto concerne l'Atto di Algeciras, la Corte 

ha ritenuto che, a differenza della Convenzione di Madrid, 

esso avesse una portata generale, non limitata ad un 

ristretto problema, quale quello della protezione. Pe


raltro l'oggetto dell'Atto non comprendeva lo stabili


mento di una giurisdizione consolare e neppure la con


ferma dei diritti o privilegi preesistenti. � da escludere, 

quindi, ohe l'Atto stesso possa considerarsi coine fonte 

autonoma e perpetua della giurisdizione consolare, 

specie perch� i privilegi, accordati al riguardo dal Ma


Marocco, erano, di regola, denunoiabili. Tuttavia le 

parti contraenti hanno certamente inteso di sotto


�mettere alla giurisdizione consolare alcune questioni 
previste dall'Atto medesimo: entro questi limiti si pu� 
ritenere che l'esercizio della giurisdizione consolare 
sia stato confermato. 
Tale interpretazione sarebbe confermata dal tenore 
della convenzione anglo-francese del luglio 1937, contenente 
la rinuncia inglese alla giurisdizione consolare in 
Marocco, nella quale si fa riferimento ai privilegi accordati 
agli Stati Uniti dai trattati in vigore. Inoltre nel 
protocollo annesso alla suddetta Convenzione la Gran 
Bretagna ha rinunziato non solo ai privilegi sanciti dal 
trattato del 1856, ma anche a quelli concernenti la 
giurisdizione consolare previsti dall'Atto di Algeciras. 

/) Infine, in ordine alla tesi americana circa l'esistenza 
di un diritto consuetudinario, la Corte ha rilevato 
che fino al 1937 i privilegi concernenti la giurisdizione 
consolare, compresa la giurisdizione mista, non erano 
di natura consuetudinaria, sibbene convenzionale, basata 
sulle disposizioni di numerosi trattati ed applicabile 
a tutte le Potenze interessate in virt� della clausola della 
nazione pi� favorita. D'altro lato, non era stata fornita 
la prova che l'esercizio della giurisdizione consolare fosse 
fondato su di una consuetudine avente forza obbligagatoria 
per il Marocco prima o dopo il 1937. 

19. I punti della decisione, riassunti nel paragrafo 
che precede, hanno dato luogo a due manifestazioni di 
dissenso riprodotte in calce al testo della pronunzia. 
La prima di esse � del giudice Hsu No, il quale ha dichiarato 
che, a suo avviso, i diritti concernenti la giurisdizione 
consolare degli Stati Uniti in Marocco andavano-limitati 
alle sole ipotesi espressamente previste dal 
Trattato del 1836, in quanto l'Atto di Algeciras si � 
limitato a far riferimento al sistema giurisdizionale 
allora in vigore, ma non pu� essere considerato come fonte 


-176 


autonoma dei privilegi concernenti la giurisdizione con


solare, una volta caducati i pi� ampi privilegi statuiti 

dai Trattati anglo-marocchino ed ispano-marocchino, 

e venuta meno l'applicabilit� delle disposizioni dell'Atto 

di Algeciras, concernenti la competenza dei tribunali 

consolari per l'irrogazione delle sanzioni previste dal


l'Atto stesso. 

riferimenti alle disposizioni suddette, contenute 

nel protocollo annesso alla Convenzione franco-britan


nica del 1937, avevano carattere meramente prudenziale. 

La seconda . manifestazione di dissenso (dei giudici 

Green H. Kackw'orth, Badawi, Levi Carneiro e Rau) 

� invece in senso contrario: essa � fondata: 

a) Sulla portata dell'Atto di Algeciras. Si trattava 

di una Convenzione multilaterale, indipendente ed avente 

valore prevalente rispetto agli anteriori trattati unila


terali (1). Al momento della sua stipulazione la giurisdi


zione consolare piena era stabilita in Marocco per effetto 

dei trattati e della consuetudine. L'Atto di Algeciras ha 

adottato tale regime e ne ha fatta applicazione espressa, 

ove necessario. 

b) Sulla portata della Convenzione di Madrid del 

1880, anch'esso trattato multilaterale. La disposizione 

concernente i processi civili interessanti i protetti e 

quelle tendenti ad impedire l'esercizio del diritto di pro


tezione per i perseguiti penalmente, sarebbero incompren


sibili, se non avessero presupposto l'esistenza di un regime 

completo di giurisdizione consolare, concernente non solo 

i protetti, ma altres� ed a fortiori i cittadini delle Potenze 

aventi diritto di esercitare la protezione. 

e) Sulla consuetudine. Contrariamente all'opinione 
della maggioranza, l'esistenza di una consuetudine, concernente 
la piena giurisdizione consolare sarebbe provata 
dal fatto ohe i privilegi relativi ad essa (e comprendenti 
anche i giudizi misti) erano gi� di fatto riconosciuti in 
Marocco ed esercitati da nmnerose Potenze, tra cui gli 
Stati Uniti, assai prima della stipulazione del trattato 
anglo-marocchino del 1856 che, per la prima volta, 
li ha testualmente codificati. La consuetudine in atto 
� espressamente richiamata dagli artt. 14, del Trattato 
suddetto e 16 del Trattato ispano-marocchino del 1861. 
� infine significativo ohe la Francia, tra il 1914 ed il 
1916, abbia negoziato la rinunzia al regime capitolare 
del Marocco da parte di Stati, quali la Svizzera, la 
Grecia ed il Giappone, i quali non avevano mai avuto 
rapporti convenzionali con il Marocco stesso. 

d) Sulla mancanza di una rinunzia ai privilegi 
capitolari concernente l'intero territorio marocchino. 
La rinunzia dell'Inghilterra ai privilegi capitolari riflette 
solo la Zona francese;� lo stesso pu� dirsi della rinunzia 
della Spagna. Nessuna rinunzia riflette l'insieme del 
Marocco che gli Stati continuano a considerare come 
un solo Paese (2). 

(1) Art. 123 et dernier. -Tous !es trait�s des puissances signataires 
avec le Maroc restent en vigueur. Toutefois, il est entendu 
qu'en cas de conflit entre leurs dispositions et celles du pr�sent 
Acte G�n�ral, !es stipt�ations de ce dernier pr�vaudront. 
(2) Sinceramente entrambi le manifestazioni di dissenso appaiono 
pi� convincenti della decisione di maggiosanza. Infatti delle due 
l'una: o l'Atto di Algeciras si � richiamato ad una situazione di fatto 
successivamente caducata; ed allora i riferimenti alla giurisdizione 
consolare potranno essere validi ed efficaci solo rebus sic stantibus. 
Sicch�, una volta venuto meno il sistema della giurisdizione consolare 
piena, le questioni attribuite alla competenza consolare passavano 
automaticamente alla competenza della giurisdizione locale (ci� 
che di fatto � avvenuto per tutte le controversie interessanti i cittadini 
cli tutte le Potenze che avevano precedentemente fruito del 
20. C) Diritto di assentimento. -La Corte di giustizia 
.� ..�'

ha respinto all'unanimit� la tesi americana in base alla 

quale l'applicabilit� della legislazione marocchina ai 

cittadini degli Stati Uniti sarebbe soggetta all'assenti


mento del loro Governo. Ha, peraltro, ritenuto che i 

tribunali consolari americani, nei limiti -della propria 

competenza, possano rifiutarsi, in difetto di assentimento 

del loro Governo, di applicare ai propri cittadini le 

leggi locali. 

Al riguardo la Corte ha osservato che il preteso diritto 

di assentimento � soltanto un corollario del sistema di 

giurisdizione consolare. I tribunali consolari giudicavano 

senza essere vincolati dalla legislazione locale. Perch� 

il tribunale consolare potesse applicare una legge locale 

era necessario che la Potenza interessata provvedesse 

alla sua adozione, in modo da poterne imporre al console 

l'applicazione nell'esercizio della sua competenza giu


diziaria. Lo Stato straniero poteva ammettere o rifiu


tare l'applicazione della legge locale da parte dei tribu


nali consolari; il �diritto di assentimento � esisteva 

quindi solo limitatamente ai casi in cui l'intervento del 

tribunale consolare era necessario per determinare l'ap-

regime capitolare e non soltanto per le controversie interessanti i 

sudditi inglesi). Ovvero l'Atto di .A.lgeciras ha fatto riferimento ad 

un sistema, consolidatosi autonomamente ed indipendentemente 

dalle clausole della nazione pi� favorita e quindi non ancora cadu


cato nei confronti degli Stati Uniti, nonostante la rinunzia al regi


me capitolare di tutte le altre Potenze. Fonte giuridica autonoma 

potrebbe essere o lo stesso Atto di Algeciras; o la Convenzione di 

Madrid; o la consuetudine. (� da rilevarsi che la clausola della na


zione pi� favorita, contenuta nei vari trattati, si riferiva non sol


tanto ai privilegi della giurisdizione consolare, ma a tutto il com



plesso delle disposizioni oggetto dei trattati stessi). 

Ci� premesso, non sembra possa ritenersi che la Convenzione di ~ 

Madrid o l'Atto di A!geciras costituiscano fonte diretta ed autonoma lo 

della giurisdizione consolare in Marocco, perch� l'oggetto dei detti g 

accordi internazionali era completamente diverso ed il riferimento 

r:~

alla giurisdizione consolare era un mero riferimento ad una situazione 
di fatto allora esistente. Per tali motivi sembra debba condim 
vidersi l'opinione del giudice Hsu No. Peraltro non sembra possa . 


. 
contestarsi il fondamento degli argomenti addotti nella seconda 
manifestazione di dissenso in ordine all'esistenza di una vera e 


.

Pl'Opria consuetudine concernente lo stabilimento di una giurisdi


jzione consolare piena in Marocco. Al riguardo pu� ancora rilevarsi 

. 

che la competenza dei tribunali consolari in ordine alle controversie 

.~ 

tra stranieri di varie nazionalit� (in base al principio actor sequitur tp 
forum rei) avesse in tutti i Paesi capitolari, compreso il Marocco, 
una baAe esclusivamente consuetudinaria, non essendo mai stata 
disciplinata da alcun trattato (cfr. ULLMAN; Trattato di Diritto 
internazionale pubblico, trad. ital., U.T.E.T., 1914, pag. 342). Gli 

. 

stessi Trattati anglo-marocchino del 1856 ed ispano-marocchino 

l"'/. 
, 
.. 
' 
del 1861, che per primi hanno codificato la consuetudine gi� preesistente, 
contengono soltanto disposizioni concernenti i processi 
misti tra cittadini inglesi e spagnoli da una parte e sudditi marocchini 
dall'altra. Ci� nonostante la consuetudine in Marocco, sino ad 

,

oggi applicata nei confronti dei tribunali consolari americani e con. 
fermata dalla costante giurisprudenza sia degli organi giudiziari 
del Marocco francese, sia del tribunale misto di Tangeri, ha ritenuta 
la competenza della giurisdizione consolare nei giudizi misti tra 
stranieri di varia nazionalit� e non soltanto fra stranieri e sudditi 

I
I
f ~ 

marocchini. 
Per tali motivi -a sommesso avviso di chi scrive -la tesi 

l

americana concernente la sussistenza della giurisdizione consolare 

l

piena sarebbe stata meritevole di accoglimento. La diversa decisione 
di maggioranza pu� ritenersi decisione di compromesso, spiegabile 
dato l'accoglimento della principale pretesa americana e giustifi


l 

cabile con la ripugnanza a riconoscere la sussistenza di un sistema I 
capitolare ormai storicamente sorpassato (gli ultimi reliquati di I 
tale sistema sono appunto i tribunali consolari americani in tutto n-Marocco, 
compresa la Zona internazionale di Tangeri, e quelli inglesi 
nel solo Marocco spagnolo). 

� infine da avvertire che il riconoscimento della sussistenza di 
una giurisdizione consolare piena avrebbe lasciato insoluto il deli� 
cato problema, di cui si far� cenno in nota '.LI paragrafo segt1ente. 


-177 


plicazione effettiva della legge locale ai cittadini stranieri. 
D'altro lato nessun trattato ha conferito direttamente 

o indirettamente agli Stati Uniti il preteso �diritto di 
assentimento'" Al riguardo non pu� essere invocata n� 
la consuetudine (dato che gli usi riflettevano solo, come 
si � detto, l'applicabilit� della legislazione locale da parte 
dei tribunali consolari) n� ilcomportamento delle autorit� 
marocchine o dello Stato protettore, perch� l'assenso del 
Governo degli Stati Uniti � stato pi� volte sollecitato 
soltanto per determinare l'applicabilit� della legislazione 
locale anche da parte dei tribunali consolari americani. 
Ci� premesso, la Corte si � prospettate ed ha risolto le 
tre seguenti ipotesi concrete: 

io Applicabilit� ai eittadini americani di leggi 

marocchine contrarie ai diritti convenzionali degli 

Stati Uniti. In tal caso -a meno di espresso consenso 

del Governo americano -si concreterebbe una viola


zione di diritto internazionale; la relativa controversia 

andrebbe risolta con i mezzi ordinari per il regolamento 

delle controversie internazionali. Tale � il caso del 

Decreto marocchino del dicembre 1948, ritenuto, nella 

stessa pronunz:a, contrastante con i diritti eonvenz=o


nali degli Stati Uniti. 

20 Applicabilit� della legislazione locale da parte 

dei tribunali consolari americani. In tal caso l'assenti


mento degli Stati Uniti � necessario, sia se la legge locale 

contravviene a disposizioni internazionali, sia in caso 

contrario. 

3� Applicabilit� della legislazione locale ai cittadini 
americani fuori dei casi di competenza della giurisdizione 
consolare. In tal caso l'assentimento degli Stati 
Uniti non � condizione di applicabilit� della legge (1). 

(1) Il cosiddetto �diritto di assentimento ' -nei limiti nei 
quali la Corte di giustizia internazionale lo ha ritenuto sussistente 
-sarenbe un aspetto del "privilegio di legislazione" ritenuto dalla 
corrente dottrina quale necessario corollario del privilegio di giurisdizione 
consolare (cfr., per quanto concerne il Marocco, MENARD; 
Trait� de droit international priv� marocain, I, pag. 174). La soluzione 
,adottata dalla decisione in esame pu� ritenersi in pratica 
accettabile, per le ragioni di cui in prosiego, perch� la pronunzia 
di maggioranza ha limitato la competenza dei tribunali consolari 
americani ai soli giudizi fra cittadini degli Stati Uniti, oltre al 
giudizio sulle questioni specificamente previste dall'.Atto di .Algeciras. 
La stessa soluzione darebbe peraltro luogo a non lievi perplessit�, 
ove fosse stata invece adottata la tesi di minoranza concernente 
la sussistenza di una giurisdizione consolare ampia, comprendente 
cio� la competenza dei tribunali consolari nei giudizi 
misti, interessanti altresi sudditi marocchini od altri stranieri e 
nei quali il cittadino americano avesse veste di convenuto o d'imputato. 
.Al riguardo sar� utile un breve richiamo all'evoluzione storica 
del regime capitolare. � noto che, dopo la caduta dell'Impero 
romano di Oriente, vennero stipulate numerose convenzioni (la 
pi� antica pare sia quella ottenuta dalla Repubblica veneta nel 
1454; le prime di cui si conservi il testo sono quelle del 1528 e 
1535 fra Francesco I di Francia e Solimano II il Magnifico) dette 
" Capitolazioni � (perch� divise in " capitoli�), le quali assicuravano 
ai Paesi cristiani nei territori dell'Impero ottomano, tra l'altro, 
il privilegio di giurisdizione ed il riconoscimento del principio della 
"personalit� delle leggi�, Il sistema capitolare venne poi esteso, 
per la decadenza dell'Impero ottomano, ai vari Paesi mussulmani 
(Nordafrica, Marocco) ed inoltre ai Paesi dell'Oriente (Cina, 
Giappone,. Siam, Persia). I motivi originari determinanti l'istituzione 
del privilegio di giurisdizione vanno �ricercati nella nozione 
della "personalit� della legge " nella ottenuta tolleranza della 
religione cristiana nei paesi mussulmani e nella natura religiosa delle 
norme di diritti islamico, basate precipuamente sul Corano. In 
virt� di tali concezioni ripugnava agli stessi mussulmani l'applicazione 
delle .proprie norme di diritto agli stranieri cristiani. Si 
venne cosi a creare un sistema, che � stato giustamente definito 
di "extraterritorialit�" in quanto i litigi tra stranieri erano completamente 
sottratti alla giurisdizione locale: i consoli applicavano 

21. D) Immunit� fiscale. -La Corte, con decisione 
di maggioranza, ha, in primo luogo, respinta la tesi 
americana in base alla quale l'immunit� fiscale sancita 
dai trattati anglo-marocchino del 1856 ed ispano-marocchino 
del 1861 sarebbe stata incorporata a titolo autonomo 
e definitivo nella Convenzione� di Madrid del 1880 e 
nell'Atto di Algeciras. All'uopo si � richiamato a quanto 
gi� rilevato in ordine alla giurisdizione consolare. Caducate 
le disposizioni dei trattati sopra menzionati per 
effetto delle rispettive rinunzie (spagnuola del 1914 ed 
inglese del 1937), gli Stati Uniti non possono pi� invocare 
l'immunit� fiscale in base alla clausola della nazione 
pi� favorita; ne possono invocarla in virt� di una fonte 
autonoma. Difatti sia la Convenzione di Madrid che 
l'Atto di Algeciras hanno solo fatto riferimento alla 
situazione allora esistente, senza modificarne la base 
giuridica. 
In ordine alla pretesa americana che, indipendente


mente d.11lla generale immunit� fiscale le imposte di con


sumo, adottate in Marocco francese, violassero delle 

disposizioni c�nvenzionali, la Corte ha rilevato che si 

tratta di imposte applicate uniformemente, sia alle merci 

importate, sia a quelle prodotte in loco: e che esse non 

hanno il carattere n� di speciali tasse di importazione, 

n� di duplicati dei diritti doganali. 

La Corte ha infine rilevato che l'immunit� fiscale non 
� pi� reclamata ne dalla Gran Bretagna n� dalla Spagna, 
che prima ne fruivano in virt� dei rispettivi trattati. 
Ammettere l'immtmit� fiscale in favore degli Stati 
Uniti sarebbe ammettere una discriminazione non 
conforme al principio dell'uguaglianza economica. 

la legge nazionale: i gravami avverso le loro decisioni erano di regola 

devoluti alla competenza di Corti nazionali (per la Francia la 

Corte di appello di .Aix; per l'Italia la Corte di appello di .Ancona; 

per i giudizi emessi dai tribunali consolari del Levante dell'Oriente 

e di Egitto, quella di Genova, per i giudizi emessi dai tribunali 

consolari degli altri paesi africani). Soltanto in alcuni casi furono 

istituite Corti di appello consolari (es.: Corte di appello consolare 

inglese a Costantinopoli ed a Shangai). 

Sicch� i tribunali consolari .otevano considerarsi quali giuri


sdizioni nazionali dislocate in territorio straniero. 

Il privilegio di legislazione sembrava logicamente e necessaria


mente conseguente a quello di giurisdizione, sia in ragione delle 

concezioni -vigenti nell'epoca in cui venne a crearsi e si consolid� 

il sistema capitolare -in ordine alla �personalit� � (o meglio 

�nazionalit��) delle leggi; sia in ragione del cennato carattere 

extraterritoriale della giurisdizione consolare; sia in ragione della 

assenza di qualsiasi codificazione, non solo da parte dei paesi con


cedenti i privilegi capitolari, ma altresi da parte dei paesi fruenti 

di tali privilegi. In realt�, sino a tutto il secolo xv1u si potevano 

contrapporre da un lato il sistema giuridico dei Paesi cristiani, 

fondato sul diritto �comune " e costituente quasi un unico corpus 
�~applicabile a tutti i cittadini di detti Paesi; dall'altro il sistema 
,giuridico islamico, inapplicabile ai cristiani per il suo fondamento 
religioso. 

La consuetudine -come si � gi� accennato nella nota al pre


cedente paragrafo -estese la competenza dei tribunali consolari 

anche ai giudizi misti tra stranieri o tra stranieri ed indigeni, in 

base al principio secondo il quale la competenza va attribuita al 

foro del convenuto. Il probl�ma della legge da applicare nelle contro


versie miste non sembra sia stato mai sollevato; presumibilmente 

perch� i giudizi emessi dai tribunali consolari erano:precipuamente 

equitativi e la materia del contendere nei processi misti ristretta 

generalmente a limitate controversie commerciali, re~ol!),te da usi 

e costumi comuni sia a cristiani che a mussulmani. (� peraltro 

significativo che, quando gli stranieri venero ammessi all'acquiBto 

della propriet� immobiliare, fosse stabilita l'applicabilit� al riguardo 

della legge locale: cfr. art. 11 della Convenzione di Madrid del 1880). 

Diverso aspetto presenta il problema della legge da applicare 

ove si tenga conto della evoluzione legislativa e della compiuta 

codificazione verificatasi in tutti i paesi civili nel secolo xix c 


-178 


' 

22. Su tale punto della pronunzia i giudici Green H. 
Kackw'orth, Badawi, Levi Carneiro e Rau hanno manifestato 
il loro dissenso nei seguenti termini: 
a) Il di~itto d'imposizione presuppone il diritto di 
riscossione coatta. Nessuna costrizione pu� essere esercitata 
senza il consenso della giurisdizione consolare 
(cfr. gli argomentJ degli stessi giudici in ordine alla giurisdizione 
consolare, riassunti nel precedente par. 19). 

b) Sia la Convenzione di Madrid che l'Atto di 
Algeciras sono fonti autonome dell'immunit� fiscale. 
Infatti la prima consentiva l'applicazione agli stranieri 
ed ai loro protetti soltanto dell'imposta agricola e della 
tassa ''di porta�, ad esclusione di ogni altro gravame 
:fiscale (articoli 12 e 13); il secondo, pur ammettendo la 
sottomissione degli stranieri al pagamento di altre 
imposte espressamente determinate nel testo dell'Atto 
(bollo, registro, ecc.), richiede l'intervento del corpo 
diplomatico per l'estensione agli stranieri di nuove 
imposte, una volta applicate ai sudditi marocchini 
(art. 64). 

23. E) Valutazione delle merci sottoposte a dogana. Sempre 
con decisione di maggioranza, la Corte ha infine 
ritenuto che i principi fondamentali, statuiti dall'articolo 
95 dell'Atto di Algeciras, ai fini della valutazione 
delle merci sottoposte a dogana, siano i seguenti: 
1� valutazione in base ai prezzi in contanti ed all'ingrosso; 
2� entrata delle merci in dogana, quale elemento 
determinante il tempo e il luogo della valutazione; 
3� valutazione " franche de droits de donane E'Jt de 
magazinage �; 
4� computo dell'eventuale deprezzamento in caso 
di avaria. 
L'art. 96 contiene solo disposizioni procedurali, da 
applicarsi nel quadro dei principi statuiti dall'art. 95. 

negli stessi paesi soggetti a regime capitolare nel secolo xx. II 
problema non risulta sia stato finora afl'rontato, perch� l'evoluzione 
legislativa di tali ultimi paesi ha coinciso in pratica con l'abo� 
lizione del regime capitolare, sia pure attraverso Io stadio intermedio 
della creazione di tribunali misti (Egitto, Tangeri). Sta in 
fatto, peraltro, che nelle tre Zone del Marocco, ove sussiste tuttora 
la giurisdizione consolare americana (e quella britannica limitatamente 
alla Zona spagnola), si � negli ultimi decenni operata una 
completa codificazione ispirata essenzialmente alla legislazione europea 
(francese o spagnola). 

Come si � accennato il problema del privilegio di legislazione 

appare sprovvisto di pratica importanza al lume della decisione 

che ha limitata la competenza dei tribunali consolari americani. 

Infatti, per quanto attiene i giudizi interessanti esclusivamente i 

cittadini americani, � ammissibile, che in base al concetto di extra


territorialit�, vada applicata solamente la legge nazionale. Natu. 

ralmente il tribunale consolare terr� conto della legislazione locale 

in base ai principi di diritto internazionale privato, accolti dal prcr 

prio ordinamento nazionale (cosi, ad esempio, un tribunale consc1 

lare italiano applicherebbe la legge locale ai sensi degli articoli 25 

e 26 delle preleggi); ma vi sarebbe vincolato in virt� di una norma 

del proprio ordinamento interno, non in virt� di una norma locale. 

Certo pu� ripugnare -al lume della moderna nozione publicistica 

del diritto penale -ohe anche i processi penali, quando imputato 

e vittima siano americani, possano essere considerati alla stregua 

di un afl'are privato fra stranieri; ma ci� pu� ancora giustificarsi, 

malgrado le inevitabili difficolt� di pratica attuazione in base al 

concetto dell'extraterritorialit�. Ugualmente la competenza dei 

tribunali consolari americani nelle ipotesi specificamente previste 

dall'Atto di Algeoiras, non fa sorgere gravi problemi in ordine 

alla legge d'applicare; peroh� le norme applicabili sono quelle dello 

stesso Atto, cli volta in volta espressaruente riohiaruate. 

Peraltro, ove fosse stata ritenuta tuttora sussistente (e gli argo


menti, come si � visto, non mancavano) la competenza dei tribunali 

consolari anche nei giudizi misti, come avrebbe potuto reputarsi 

tuttora sussistente, tenuti presenti gli sviluppi del diritto sia interno 

La dichiarazione dell'importatore, richiesta dall'art. 82 
� solo tmo degli elementi della procedura. 

Le suddette disposizioni, considerate nel loro complesso, 
non forniscono una prova decisiva in appoggio 
dell'una o dell'altra tesi in dibattito. I lavori preparatori 
altres� non forniscono alctm. elemento decisivo di giudizio: 
� vero che la delegazione tedesca propose un 
testo (1) che avrebbe eliminato ogni dubbio, ma tale 
formulazione venne respinta. 

La prassi concernente l'applicazione delle disposizioni 
in esame, appare anch'essa non uniforme ed a volte 
contradittoria. Sembra comunque che, quale elemento di 
valutazione, siarw stati normalmente tenuti presenti sia i 
prezzi del mercato di origine che quelli del mercato locale. 

In conclusione la Corte ha ritenuto che le autorit� 
doganali dovranno tener presenti i seguenti fattori: 

a) i quattro elementi sopra menzionati; 

b) la dichiarazione dell'importatore; 

e) i prezzi del mercato locale; 

d) il costo sul mercato di origine, aumentato delle 
spese di carico, scarico, trasporto, assicurazione, ecc.; 

e) i valori eventualmente :fissati dalla Commissione 
prevista dall'art. 96 (che praticamente ha cessato 
di funzionare) o da qualsiasi altra commissione che possa 
esserle sostituita (commissionE'J trizonale, che praticamente 
anch'essa ha cessato di funzionare da prima 
dell'inizio dell'ultima guerra); 

/) qualsiasi altro elemento in ordine alle condizioni 
speciali dell'invio o della natura della merce. 

Ha avvertito che i fattori suddetti non erano elencati 
in ordine di priorit�; e che essi dovevano essere utilizzati, 
razionalmente ed in buona fede, tenendo presenti il 
principio dell'uguaglianza economica, e quindi applicati 
senza discriminazioni a tutte le importazioni, per merci 
di qualsiasi origine ed importatori di qualsiasi nazionalit� 

ohe internazionale (al riguardo avrebbe ben potuto invocarsi la 
teoria del diritto intertemporale, richiamato dalla difesa francese: 
cfr. supra paragrafi 5 e 7), il cosiddetto �privilegio di legislazione �1 
Come avrebbe potuto pretendersi l'applicazione di una norma diversa 
alla stessa oont.�nvnsia, in conseguenza del fatto meramente 
contingente che il cittadino americano fosse attore o convenuto 
1 

La questione � stata sfiorata, ma non approfondita dalla difesa 
francese (cfr. supra par. 9) e dalla stessa Corte (ofr. supra par. 18-a). 
Ad avviso di chi scrive, sembra che il problema (tuttora attuale, 
in base a quanto implicitamente statuito dalla corte per la Zona 
spagnola del Marocco) dovrebbe essere risolto nel senso seguente. 
Il privilegio di giurisdizione, in base all'attuale sviluppo della legislazione 
locale pu� essere inteso -per quanto attiene ai process 
misti -soltanto quale un mero privilegio di procedura. In ordine 
ai suddetti processi l'antico privilegio di legislazione dovrebbe considerarsi 
come caduoato. I tribunali consolari dovrebbero, nei 
giudizi misti, ritenersi vincolati all'applicazione della legge locale, 
in tutti i oasi ove ci� sia necessario, non in virt� di una norma del 

proprio ordinamento nazionale, sibbene in base ai generali principi 

di diritto internazionale privato accolti dalle moderne legislazioni 

e del resto espressamente codificati in Marocco (Dahir 12 agosto 

1913, sur la condition civile des fran�ais et des �trangers, per la 

Zona francese; Dahir 1� giugno 1914, de la condioion civil de los 

espa:fl.oles y extranjeros, per la Zona spagnola; Code sur la condi� 

tion civile des �trangers, per la Zona internazionale di Tangeri). 

In base ai suddetti principi dovrebbe essere applicata la legge 

nazionale pe1� le questioni concernenti lo statuto personale, le suc


cessioni, ecc.; dovrebbe essere invece applicataJa~egge locale per le 

questioni penali edimmobiliari; infine per le obbligazloni 6-Contmttj 

dovrebbe essere generalmente applicata la legge del luogo di stipu


lazione. 

(1) Les droits ad valorem per�us au Maroo sur !es importations 
seront caloul�s sur la valeur que I'article import� a dans le lieu 
de chargement ou d'aohat avec majoration des frais de transport 
et d'assurance jusqu'au point de d�chargement au Maroc. 

-179 


24. Anche in ordine a tale ultimo punto i giudici 
Green H. Kach'W'orth, Badawi, Levi Carneiro e Rau 
hanno manifestato il loro dissenso, cos� argomentando: 
a) I termini adoperati dall'art. 95 (cc rendu au 
bureau de Douane � e cc franches de droits de douane et 
de magazinage �) hanno un preciso significato tecnicogiuridico, 
decisivo ai fini della risoluzione della questione 
controversa. Il primo riflette il trasporto delle merci 
dal luogo di origine alla dogana; quindi i due elementi 
essenziali per la valutazione sono il valore di esportazione 
e la spesa di trasporto ed accessori. Il secondo, 
nel senso comune alla legislazione doganale di ogni Paese, 
definisce le merci non ancora entrate nel mercato locale, 
perch� il valore delle merci gi� entrate comprende altres� 
i diritti doganali. Se si fosse fatto riferimento ai prezzi 
del mercato locale, piuttosto che il termine cc franches des � 
si sarebbe usato quello di �apr�s d�duction des droits 
de douane � (tale dizione era stata difatti adottata nel 
Trattato anglo-marocchino del 1938, non ratificato). 

N� varrebbe obiettare che lo stesso sistema � previsto 
per le importazioni e per le esportazioni. Anzi ci� confermerebbe 
che nell'uno e nell'altro caso si fa riferimento 
sempre ai prezzi del mercato di origine: il quale, in caso 
di esportazione, � appunto il mercato locale. 

b) La dichiarazione dell'importatore prevista dall'art. 
82, poteva essere util~ solo se la valutazione doveva 
essere effettuata in base ai prezzi del mercato di origine. 
Altrimenti non avrebbe avuto senso: ne sarebbero state 
giustificate le sanzioni previste dall'art. 85. 

e) L'emendamento proposto dalla Delegazione tedesca 
in fase di elaborazione dell'Atto di Algeciras 
venne respinto non per quanto riflette la precisazione 
che la valutazione andava fatta in base ai prezzi del 
mercato di origine, oltre le spese di trasporto, ecc.; 
sibbene per quanto rifletteva altre disposizioni, contenute 
in ulteriori paragrafi dell'emendamento, che non furono 
accettate dalla Conferenza. Non essendo state sollevate 
obiezioni in ordine al principio suddetto, � da ritenersi 
che le intenzioni unanimi dei partecipanti alla Conferenza 
erano nel senso formulato dalla delegazione tedesca. 

d) Sino al 1930, l'art. 95 era stato interpretato ed 
applicato nel senso di basare la valutazione sui prezzi 
del mercato di origine e non di quello locale. Soltanto 
a partire dal 1930 le autorit� del protettorato non hanno 
pi� seguito tale criterio. Ci� significa solo che la controversia 
risale a tale epoca (1). 

(1) Anche per quanto concerne l'ultima questione, gli argomenti 
addotti nella manifestazione di dissenso (soprattutto il primo) 
appaiono pi� convincenti della decisione di maggioranza.. la quale 
in fondo, su questo punto... non ha deciso. 
In aggiunta agli argomenti sopra riassunti avrebbe potuto 
invocarsene un altro, che non � stato preso in esame n� dalla 
difesa, n� dalla Corte. L'art. 95 statuisce altresi: 'En cas d'avarie 
il sera tenu compte dans l'estimation de la d�pr�ciation subie pa:r 
la marchandise �. Tale disposizione ha senso, solo se si ammette 
che elemento essenziale della valutazione sono i costi di origine� 

25. Nel suo complesso la pronunzia dell'Aja, sia per 
l'interesse delle questioni dibattute, sia per l'importanza 
delle massime di diritto in essa contenute, si 
inquadra sotto un riflesso davvero notevole nell'evoluzione 
dei rapporti internazionali. � da augurarsi che 
anche per l'avvenire numerose .eontroversie .(Francia e 
Stati Uniti hanno dato il buon esempio), piuttosto che 
trascinarsi faticosamente nell'ambito delle trattative 
diplomatiche, per essere definite con inevitabili soluzioni 
di compromesso, siano sottoposte al giudizio sereno 
ed imparziale di un'alta giurisdizione. Ci� potr� conferire 
maggior fiducia nei principi di diritto internazionale, 
volgarmente ritenuti vuoti di pratico contenuto, perch� 
non assistiti da efficaci sanzioni ne da possibilit� di 
coazione alla loro osservanza: ed estendere anche nell'ambito 
internazionale, quella �certezza del diritto �; 
che � elemento '.essenziale di ogni convivenza pacifica.
� � 
� da augurarsi altres� -e lo stesso comportamento 
delle Potenze che hanno volontariamente adito la Corte 
internazionale ne d� assicurazione -che il giudicato 
sar� eseguito, nella lettera e nello spirito, non solo con 
buona fede (il che non � neppure da dubitare), ma con 
buona volont�, soprattutto per quanto concerne la fondamentale 
questione della libert� ed uguaglianza economica; 
e che i principi di massima enunciati nella importante 
pronuncia saranno applicati con la stessa buona 
fede e buona volont� anche nei confronti di altre Potenze 
(prima tra esse l'Italia, la quale vede in tutta l'Africa 
settentrionale uno sbocco naturale per la sua operosit�) 
che, per non essere stati parti nel giudizio, possono invocare 
un precedente, ma non un giudicato a proprio 
favore. 

Le sommesse note critiche, che chi scrive ha ritenuto 
opportuno formulare su alcuni punti -del resto secondari 
-della pronunzia, per ogni altro aspetto 
davvero perspicua, non valgono certo a sminuire il 
doveroso senso di ammirazione per l'imparzialit� : ed 
acume, con i quali la complessa e delicatissima vertenza 
� stata risolta. 

NICOLA CATALANO 

AVVOOATO DELLO STATO 

OONSIGLIERE GIURJDIOO DELL'AMMINISTRA� 

ZIONE IN/J'ERNAZIONALE ,_DI TANGERI 

oltre il trasporto, ecc.: una merce, pagata 100, va valutata, mettiamo 
50, se � giunta avariata; la stima del deprezzamento � 
attribuita alla competenza degli uffici doganali. Ma. se termine 
di valutazione fosse il mercato locale, la disposizione suddetta 
non avrebbe significato, percl� sul mercato locale la merce buona 
ha un prezzo, la merce avariata ne ha un altro. Non solo; ma 
sarebbe stato assurdo affidare agli uffici doganali il giudizio sul 
deprezzamento, perch� essi si sarebbero dovuti limitare a riferirsi 
ai prezzi del mercato loc11le per merci buone od avariate, senza 
effettuare verun giudizio di stima. 


NOTE D I DOTTRINA 

u. 
FRAGOLA: Gli atti amministrativi (U.T.;E.T., 
1952, pagg. 186). 
Questo libro ha lo scopo di fornire i pratici del 
diritto di uno strumento per fare il punto ed orientarsi 
nella materia dell'atto amministrativo, in base 
ai risultati dei pi� recenti studi di giuripubblicisti 
italiani e della giurisprudenza del Consiglio di Stato 
di questi ultimi anni; e tale scopo il volumetto del 
Fragola pienamente raggiunge. 

Il metodo seguito nella trattazione � quello di 
studiare l'atto amministrativo in funzione dei suoi 
eventuali vizi e della possibilit�. di impugnativa 
davanti agli organi giurisdizionali. Si potranno avere 
dubbi, dal punto di vista scientifico, sulla adeguatezza 
di una tale impostazione, la quale, peraltro, 
appare come quella che meglio risponde alle 
esigenze di coloro che, avvocati o magistrati, si 
trovano a dover considerare l'atto amministrativo 
solo in funzione della legittimit�. del sacrificio che 
esso impone agli interessi dei privati. 

� logico che una tale impostazione non poteva 
non risolversi che in uno studio accurato ed acuto 
di tutti i possibili mezzi offerti agli interessati per 
contestare l'azione amministrativa. 

Vogliamo dire, cio�, che la trattazione non poteva 
non avere una finalit�. essenzialmente pratica, 
sic�h� a certe conclusioni cui perviene il Fragola 
non va attribuito maggior valore di un consiglio, 
spesse volte acuto, di un avvocato esperto nello 
sfruttare le infinite risorse che offre il dibattito 
giudiziario. 

Questo speciale carattere della trattazione aumenta, 
peraltro, l'interesse alla lettura della pubblicazione 
ancor pi� che se si trattasse di una esposizione 
di tesi prettamente scientifiche . 

.A. conclusione di queste osservazioni di carattere 
generale, sembra opportuno mettere in rilievo che, 
quantunque non scevro di pregi, anche sul piano 
dottrinario, il libro del Fragola non rappresenta 
qualcosa di veramente nuovo; mentre � da notare 
che la terminologia adottata dall'.A.. per la classificazione 
degli atti amministrativi, dal punto di 
vista statico e dinamico, se pur non priva di una 
certa suggestivit�., appare eccessivamente originale. 

Passando ad un esame pi� particolareggiato dell'opera, 
ci limiteremo a ricordare e criticare la 
soluzione data dal Fragola ad alcune questioni 
delle pi� interessanti. 

Si tratta, talvolta, di questioni gi�. esaminate 
dall'.A.. in altra occasione, come quella relativa 
alla esclusione della figura del ministro-giudice in 
materia di leva e di dogana, sulla quale ci si � gi� 
intrattenuti in questa Rassegna (1951, pp. 197-200); 

o come quella relativa alla pretesa invalidit� della 
donazione al cessato p. n. f. deliberato a suo tempo 
dai Comuni (p. 30), invalidit�. che l'.A.. fonda sulla 
inammissibilit�. di atti amministrativi a titolo gratuito. 
.A.I quale riguardo rileviamo come il Fragola 
non abbia colto esattamente il punto fondamentale 
per la soluzione della questione, che non � quello 
della inammissibilit�. di atti amministrativi a titolo 
gratuito, ma della rispondenza della cessione gratuita 
di beni, per la realizzazione di un determinato 
scopo pubblico, ai fini dell'ente cedente. Su questo 
punto � attesa una pronuncia della Corte Suprema, 
alla quale la questione � stata sottoposta. 
Anche nella delicata materia del c. d. silenziorifiuto, 
il Fragola formula delle osservazioni e delle 
proposte, come quella della congruit�. del termine 
di trenta giorni fissato dall'Amministrazione per 
provvedere su una domanda del privato, o come 
quella di stabili.,.., legislativamente che, in caso di 
mancata risposta entro il termine, la istanza si 
i11tenda accolta e non respinta, sostituendosi cos� 
al silenzio-rifiuto, il silenzio-accoglimento. Quest'ultima 
proposta costituisce indubbiamente una deviazione 
troppo forte dalle linee fondamentali del 
nostro ordinamento giuridico, poich� tenderebbe 
a dar vita, in ogni caso, ad un atto amministrativo 
positivo, considerando equivalente il silenzio non 
solo all'azione di un singolo organo amministrativo, 
ma, spesse volte, anche a quella di pi� organi e di 
varia natura {attivi, consultivi, di controllo). 

Troppo sbrigativa non pu� non riscontrarsi la 
,trattazione riservata al principio del solve et repete 

(p. 76) in ordine al quale non condividiamo la tesi 
che esso costituisca solo una manifestazione della 
esecutoriet�. dell'atto amministrativo e, meno ancora, 
che possa applicarsi anche nei confronti dello 
Stato a favore di enti pubblici minori impositori. 
Siamo, invece, d'accordo con l'.A... sulla qualificazione 
dell'atto amministrativo che permette-1'aper.,_ 
tura di case da giuoco come atto di dispensa e 
riteniamo che analogo principio debba valere per 
le case di tolleranza (p. 95). 

Meriterebbe di essere ulteriormente studiata ed 
approfondita, poi, la tesi del Fragola che l'eventuale 


-181


conflitto di opinioni tra l'Amministrazione attiva 
e l'organo consultivo chiamato ad esprimere parere 
vincolante, possa trovare la soluzione in una determinazione 
del Presidente del Consiglio dei ministri 
adottato in base alla legge 24 dicembre 1925, 

n. 2263 (p. 106). 
Nell'esaminare la cos� detta patologia degli atti 
amministrativi (pag. 121-141) il Fragola si giova 
largamente dell'esperienza acquisita durante lo 
svolgimento dell'attivit� di difensore nei giudizi 
davanti il Consiglio di Stato, e le sue osservazioni 
in merito alle varie questioni trattate sono sempre 
opportunamente documentate. 

Non possiamo, inoltre, condividere la tesi del 
Fragola accennata a pag. 149 secondo la quale 
l'Amministrazione sarebbe obbligata a revocare gli 
atti amministrativi illegittimi indipendentemente 
dalla tempestiva impugnazione dell'interessato, 
perch� appare del tutto infondato l'argomento che 
l'A. adduce a sostegno della tesi stessa, e, cio�, 
che alla revocazione dell'atto illegittimo non impugnato 
tempestivamente potrebbe giung�ersi anche 
per via della disapplicazione dell'atto ex art. 5 
della legge 20 marzo 1865, n. 2248. Su tale questione, 
com'� noto, ci siamo gi� intrattenuti in 
questa Rassegna (1952, pag. 37 e segg.). 

Rileviamo, infine, che anche il Fragola condivide 
gli argomenti di coloro che ritengono impugnabili 
davanti il Consiglio di Stato i decreti legislativi 
delegati con i quali si � proceduto alle espropriazioni 
in attuazione delle leggi stralcio della riforma 
agraria (pag. 160). Di questi argomenti abbiamo 
in questa Rassegna ampiamente dimostrato la infondatezza 
e su tale questione riteniamo inutile 
tornare in attesa della pubblicazione ormai prossima 
della sentenza delle Sezioni Unite della Suprema 
Oorte. 

Concludiamo questo, necessariamente, sommario 
esame rilevando che l'opera del Fragola non pu� 
mancare nella biblioteca di coloro che, sopratutto 
come pratici, si occupano di questioni di diritto 
amministrativo. 

Aggiungono pregio al volume i frequenti e precisi 
richiami, oltre che alla pi� recente giurisprudenza, 
anche agli scritti dei giuristi italiani che da ultimo 
si sono occupati dell'argomento. 

MICHELE STRINA e LIVIA RIZZO : Le Istituzioni di 

Gaio (traduzione e note). Roma, Ed. Aldo 

Quinti,~1952, pp. xv-266. 

Anche il Croce nella sua Estetica ha ritenuto 
non potersi sfuggire al dilemma: traduzione letterale 
o versione libera; brutta fedele o bella infedele. 
Michele Strina e Livia Rizzo credono invece che 
il mezzo per sfuggirvi vi sia, e lo additano nella 
formula �interpretare per poi tradurre n: prima 
afferrare il reale pensiero dell'autore (usando i noti 
metodi logico, filologico, sistematico, storico, ecc.) 
e poi renderlo con il pi� appropriato linguaggio. 
Non dunque sostituire meccanicamente alle parole 
lative le corrispondenti italiane, ma risalire dalle 
prime alle �intuizioni n che lo scrittore romano 
aveva inteso esprimere, e quindi scegliere le parole 

italiane pi� idonee ad evocare quelle stesse intuizioni 
nelle menti dei lettori contemporanei. 

I due traduttori si sono dunque assoggettati al 
duplice sforzo di penetrare, con paziente ricerca 
il1terpretativa, il pensiero di Gaio, e di renderlo 
con chiarezza e precisione in. lingua italiana. 

Quanto al primo obiettivo, ci limitiamo a riportare 
ci� che ii Betti -con l'autorit� che gli deriva 
dalla sua specifica competenza -scrive nella prefazione 
al volume: �per quel che ho potuto constatare, 
penso che la m�ta sia stata felicemente rag


I

giunta�. Circa il secondo obiettivo, ci sia permesso 
aggiungere alcune osservazioni. ILa traduzione Strina-Rizzo ha senza dubbio un 

~ 

sapore di novit� per essersi servita del �linguaggio f 
tecnico-giuridico attuale n. L'idea sembra assai buona: 
tale linguaggio � infatti il pi� idoneo a suscitare 
senza sforzo nello studioso del xx secolo quei 
dogmi e concetti tecnico-giuridici, che Gaio ebbe 
ad esprimere nel latino argenteo del II secolo. Non 
stupisca sentire un romano parlare di fonte genetica 
(I, 1), di rapporto giuridico (II, 88), di analogia 
(II, 200) ecc. Se Gaio, anzich� nel II secolo, 
avesse insegnato diritto nel xx, si sarebbe servito 
del lessico familiare ai giuristi del nostro tempo. 

� da approvarsi anche la rinuncia degli autori 
a recare in italiano il nome di istituti tipicamente 
romani come la mancipatio, la in iure cessio, il 
nexum, la coemptio, la manus, o i furti manifestum, 
conceptum, oblatum, prohibitum, che precedenti 
traduttori avevano italianizzato in �vendita solenne 
n, �cessione giudiziale n ecc.: fatica ingiustificata, 
perch� tali istituti non hanno riscontro nel 
diritto moderno e sono noti a tutti col loro nome 
latino. 

I traduttori avrebbero anzi fatto meglio a proseguire 
pi� risolutamente su questa via, conservando 
il nome latino anche ad istituti, che pur avendo 
riscontro nel diritto moderno, vi hanno assunto 
caratteri o importanza diversa; continuando a parlare 
di traditio, fiducia, exceptio doli, testamenti 
factio, anzich� di trasmissione (II, 19), rapporto 
fiduciario (II, 60), eccezione di dolo (II, 76), diritto 
di far testamento (II, 219). � per� doveroso precisare 
che non di rado il nome latino viene enunciato 
fra parentisi o in nota. Altre volte, come nel 
caso delle parti della formula (IV, 39 s.), si alternano 
opportunamente nel testo la parola latina e 
la corrispondente italiana. 

Alcuni termini prescelti dai traduttori sono quelli 
gi� coniati dagli studiosi per esprimere in modo 
sintetico concetti, per i quali gli antichi dovevano 
ricorrere a giri di parole; immobili per �res quae 
solo continentur >> (II, 53), propriet� civile e pretoria 
per � dominium ex iure Quiritium n e �in 
<t bonis habere >> (II, 40). Ma di regola la versione 
italiana � pi� analitica del testo latino, intendendosi 
esprimere il pensiero di Gaio nella sua totalit�, 
senza che alcun frammento ne vada perduto. 

Anche nelle parti non strettamente tecniche l'opera 
� resa in buona lingua italiana e�srpresenta 
scorrevole e di piacevole lettura. -


� utile un breve confronto con le traduzioni di 
Giuseppe Tedeschi (Verona, 1857) e Pietro Novelli 
(Roma, 1914), gli unici precedenti -a quanto 
ci consta -di questo lavoro. Non priva di ele



--182 


ganza e nobile conms10ne la prima, ma troppo cc in manu mariti n, dovesse assentarsi ogni i1nno per 
lontana dal nostro modo di esprimerci e quindi tre notti, interrompendo cos� l'usucapione annale. 

fatalmente imprecisa. Pi� tecnica, ma sciatta e 
disarmonica la seconda, sulla quale certo influ� 
l'antipatia, che il Novelli nutriva per il diritto 
romano in genere e la figura di Gaio in ispecie. 
Limitiamoci ad esaminare tre passi. 

I, 7. Responsa prudentium sunt sententiae et opiniones 
eorum, quibus permissum est iura condere. 
Quorum omnium si in unum sententiae concurrunt, 
id, quod ita sentiunt, legis vicem optinet; si vero 
dissentiunt, iudici licet quam velit sententiam sequi. 

TEDESCHI: Risposte dei giureconsulti sono le 
sentenze e le opinioni di queglino, a cui fu permesso 
di stabilire il diritto, e se sono unanimi, il loro sentimento 
� legge; se discordi, il giudice segue l'opinione 
che crede. 

NOVELLI: Le risposte dei giurisperiti sono le sentenze 
e le opinioni di coloro ai quali fu permesso 
di stabilire principi giuridici. Se le opinioni sono 
tutte d'accordo su di un medesimo punto, questo 
assume forza di legge; se invece sono discordi, il 
giudice pu� seguire quella che vuole. 

STRINA-RIZZO: La elaborazione interpretativa della 
giurisprudenza consiste nelle massime di decisione 
e nei pareri di coloro che furono autorizzati 
a stabilire principi di diritto. Se le massime di decisione 
di tutti costoro sono univoclie, il principio 
giuridico cos� affermato ha forza di legge; se invece 
dissentono, il giudice ha la facolt�. di applicare nella 
decisione la massima che, secondo il suo apprezzamento, 
sia pi� attendibile. 

L'ultima traduzione � evidentemente la pi� ana.. 
litica. Ci� costituir�. forse una inelegantia; ma 
vale ad _esprimere il pensiero Gaiano in quasi tutte 
le sue sfumature. L'espressione � elaborazione interpretativa 
della giurisprudenza n, sostituita al pi� 
conciso � responsa prudentium n � criticabile, ma 
rende l'essenza di questa tipica fonte del diritto 
romano: quale valutazione discrezionale di esigenze 
sociali pur nel rispetto della tradizione e 
nella conservazione dei suoi principi. Ed � assai 
pi� preciso il duplice termine �massime di decisione 
e pareri n in luogo del pedissequo � sentenze 
ed opinioni n. 

I, 111. U su in manum conveniebat quae anno 
continuo nupta perseverabat; quia enim veluti annua 
possessione usucapiebatur, in familiam viri tmnsibat 
filiaeque locum optinebat. Itaque lege XII tabularum 
cautum est, ut si qua nollet eo modo in manum 
mariti convenire, ea quotannis trinoctio abesset atque 
eo modo usum cuiusque anni interrumperet. 

TEDEl'lCHI: La donna rimasta un anno di seguito 
in matrimonio, diveniva �in manu ii coll'uso; giacch� 
venendo come usucapita col possesso di un 
anno, transitava nella famiglia del marito qual 
figlia; epperci� la legge delle XII tavole disponeva 
che la donna, la quale non voleva cadere cos� 

NOVELLI: Passava sotto la potest�. maritale in 
forza della convivenza quella donna, la quale durava 
per un anno intero a fungere df!i_sposa, e siccome 
in virt� del possesso di un anno diveniva in 
certo modo oggetto di propriet�., passava nella 
famiglia del marito e veniva considerata come figlia. 
Pertanto la legge delle XII tavole stabil� che se 
una donna non voleva passare in questo modo 
sotto la potest�. del marito, doveva allontanarsi da 
lui per tre notti ogni anno per interrompere cos� 

la convivenza di ciascun anno. 

STRINA-RIZZO: Era assoggettata alla � manus ii 
in forza di convivenza la donna che per un anno, 
ininterrottamente, rimaneva in qualit�. di sposa 
presso un uomo; e poich� per il possesso continuato 
di un anno era in certo modo acquisita in propriet�., 
passava a far parte del nucleo famigliare dell'uomo 
ed ivi assurgeva ad una posizione equivalente a 
quella di una figlia. Pertanto nella legge delle XII 
tavole si stabili che se una donna non volesse in 
tal modo passare sotto la �manus ii del marito' 
dovesse allontanarsi da lui per tre notti ogni anno 
e cos� interrompere la convivenza di ciascun anno. 

III, 159. Sed recte quoque contractum mandatum 
si, dum adhuc integra res sit, revocatum fuerit, eva


1

nescit. 

TEDESCHI: Ma anche un mandato regolarmente 
dato cesserebbe, venendo revocato in punto che 
fossero le cose tuttavia integre. 

NOVELLI: Tuttavia un mandato, bench� validamente 
assunto, si annulla se � stato revocato prima 
che sia eseguito. 

STRINA-RIZZO: Ma anche un mandato validamente 
costituito � posto nel nulla, qualora venga revocato 
prima che ne sia iniziata l'esecuzione. 


.Anche in questi due passi la versione Strina-Rizzo 

appare pi� raffinata e precisa, idonea ad esprimere 

in modo pi� esatto e completo il pensiero dell'au


tore latino. 

L'opera, per dichiarazione degli autori, sarebbe 

destinata agli studenti; ma � utile anche a studiosi 

pi� maturi, poich� la buona conoscenza del latino 

� assai meno diffusa di quanto non si voglia credere. 

D'altronde, anche a chi � esperto di latino pu� 

riuscire utile confrontare la propria estemporanea 

Iinterpretazione del testo con quella seria e meditata 
offerta dai due autori. � 

La traduzione non � accompagnata dal testo la


tino: ci� costituisce a nostro avviso un vantaggio, 

in quanto esistono ottime edizioni del solo testo 

latino; ricordiamo quella inserita nel Breviarium 

iu1�is Romani dell'A.RANGIO-Rmz (ed. Giuffr�) e 

quella recentissima edita dal Ba:i;:pera. Sarebbe 

stato invece utile inserire un indice sistematico,_ 

di cui potrebbero sentire la mancanza proprio gli 

studenti, cui l'opera si �dichiara destinata. 

G. OLMI 

RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Opposizione ad 
ingiunzione di pagamento -Esecuzione di lavori d'ufficio 
-Obbligo di concorrere alla spesa -Difetto di 
giurisdizione del Tribunale Superiore Acque pubbliche. 
(Tribunale Superiore Acque pubbliche n. 10 
dell'S marzo 1952 -Pres. Pellegrini; Est. Gallo Turi 
c. Lavori pubblici). 

Esula dalla giurisdizione del Tribunale Superiore 
pubbliche la domanda, con la quale l'utente contesti 
il suo obbligo di pagare una somma in denaro, 
posta a suo carico dall'Amministrazione in 
seguito a lavori, compiuti d'ufficio e causati da 
colpa dell'utente medesimo. 

La domanda sarebbe inammissibile ancorch� 
il provvedimento amministrativo denunciato avesse 
ritenuto sussistere l'obbligazione dell'utente ai 
sensi degli articoli 42, 43 e 48 T. U. e, cio�, come 
obbligazione ex lege e non fondata su colpa. 

La massima affermata conferma la ormai consolidata 
giurisprudenza. Le questioni aventi ad oggetto 
diritti soggettivi appartengono alla competenza dell'Autorit� 
giudiziaria ordinaria (nella specie Tribunale 
regionale delle Acque pubbliche), ancorch� 
s'impugni un provvedimento amministrativo. 

La domanda con la quale si neghi il potere della 
Amministrazione d'imporre il pagamento di somma 
di denaro e, conseguentemente, si contesti il proprio 
debito ha, indubbiamente, ad oggetto diritti soggettivi. 

ELETTRODOTTO -Spostamento causato da lavori ferroviari 
della Pubblica Amministrazione -Occupazione

) 

di urgen:::a -No": importa trasferimento di ,pro.priet�.
} (Corte di Cassazione -Sez. unite, Sent. n. 530-52 -
Pres.: Pellegrini, Est.: Tavolaro, P. M: Macaluso 


' 

I 
i Ente Autonomo Volturno cont.ro Ministero LL. PP.) 

Nell'ipotesi che il Ministero dei r,avori pubblici 
dovendo procedere alla costruzione di un nuovo 
tronco ferroviario, avvalendosi delle speciali norme 
sulle costruzioni ferroviarie, occupa permanentemente, 
in via di urgenza, determinati terreni, e, 
poich� questi sono attraversati da un elettrodotto 
di questo richiede ed ottiene dall'ente interessat~ 
lo spostamento, il Ministero stesso � obbligato a 
rimborsare all'ente le spese eccessive da questo 
sostenute per lo spostamento della linea; e ci� a 
norma dell'art. 126 del T. U. delle leggi sulle acque 
e sulle condutture elettriche, approvato con R. D. 
17 dicembre 1933, n. 1775. 

Nelle espropriazioni per pubblica utilit�, pur 
dovendosi l'occupazione immediata con l'inizio dei 
lavori, autorizzata a causa della indifferibilit�, e 
urgenza dell'opera, considerare presa di possesso 
anticipata e definitiva, il trasferimento della propriet� 
si effettua alla data del decreto definitivo 
di esproprio. 

Lo spostamento di elettrodotti � regolato dal T. U. 

n. 1775 del 1933 negli articoli 122 e 126, in relazione 
a due separate ipotesi. L'art. 122 disciplina 
le modalit� di esercizio della servit� di elettrodotto 
coattivo nei rapporti fra proprietario del fondo servente 
e l'utente dell'elettrodotto, ispirandosi al principio 
generale dell'art. 1065 Codice civile; l'art. 126, 
per contro, regola le modalit� di esercizio nei rapporti 
fra utente e la pubblica amministrazione. Alla diversit� 
dei rapporti corrisponde, nella disciplina legislativa, 
una diversa procedura. Mentre il proprietario 
che si avvale dell'art. 122 deve, in caso di resistenza 
dell'utente, far ricorso ai normali mezzi di 
tutela del diritto di propriet�, invece la Pubblica 
Amministrazione, che si avvale dell'art. 126, pu� 
emettere un ordine obbligatorio, al quale l'utente 
deve sottostare. Nelle due ipotesi si ha inoltre, secondo 
l'opinione dominante, una diversa intensit� di contenuto 
del diritto (e del potere) esplicati: mentre il 
proprietario pu� solo obbligare l'utente a spostare 
l'elettrodotto in relazione ad innovazioni, costruzioni 
e impianti che esso proprietario intenda eseguire 
sul suo fondo, e non pu� mai imporgli determinate 
modalit� di esecuzione, invece l'ordine della Pubblica 
Amministrazione pu� prescindere dalla necessit� 
di modificazioni relative ad un determinato fondo, 
ricollegandosi a latissime ragioni di pubblico interesse; 
e, per di pi�, pu� esigere che lo spostamento 
venga eseguito secondo determinate modalit� e prescrizioni, 
che possono essere s1iggerite o imposte dall'interesse 
pubblico. 
Parallelamente alla diversit� di posizione � stabilito 
un diverso regolamento patrimoniale: lo spostamento 
richiesto dal proprietario del fondo servente 
va eseguito dall'utente senza diritto a rimborso 
di spese, mentre lo spostamento ordinato dalla Pubblica 
Amministrazione va indennizzato, se �esso richieda 
una spesa che, secondo una valutazione rimessa 
al Ministro dei lavori pubblici, venga considerata 
eccessiva. 

Questa �, per sommi capi, la configurazione delle 
due ipotesi quale che si � venuta delineando attraverso 


-184


una lenta elaborazione giurispritdenziale, di cui 
costituisce una notevole manifestazione la sentenza 
6 marzo 1950, n. 571, della Corte Suprema (cc Giur. 
Gompl. Gass. Civile�, 1950, III, p. 6 con nota). 

Dalle classiche note del Pulvirenti (cc Nuova rivista 
pubblici appalti�, 1932, II, 433; ivi, 1934, II, 

p. 1; ivi, 1936, II, p. 214; ivi (cc Servit� prediali�) 
1939, II, p. 9) alle pi� recenti trattazioni del Ruini 
(cc Foro Ital. �, 1940, IV, p. 1), fino alla sentenza 
della Corte di Appello di Roma 12 novembre 1948 
(cc Foro Pad. �, 1949, I, p. 14), confermata appunto 
dalle Sezioni unite con la sentenza n. 571 sopra citata, 
fu un progressivo evolversi di concetti, che oggi 
sembrano definitivamente fissati negli schemi sopra 
delineati. E a questi schemi dichiara di volersi attenere 
la sentenza annotata. 
Il caso di specie era semplice, almeno nei profili 
sottoposti al Supremo Consesso. La Pubblica Amministrazione 
aveva occupato con la procedura d'urgenza 
un terreno gravato di servit�, di elettrodotto, 
per determinate finalit� di pubblico interesse. Poich� 
queste stesse finalit� esigevano, fra l'altro, anche 
lo spostamento dell'elettrodotto, la Pubblica Amministrazione 
ritenne di poter invitare l'utente a provvedere 
a tale spostamento; e ci� fu fatto. Sorta controversia 
circa il rimborso delle spese, la Pitbblica 
Amministrazione osserv� che con l'occupazione d'urgenza 
essa era stata sostituita nei diritti dominicali 
del proprietario, e che appunto facendo valere tali 
diritti essa aveva ottenuto lo spostamento, inquadra-� 
bile, quindi, nell'ipotesi dell'art. 122 (spostamento 
senza indennitd). La Cassazione neg�, invece, l'applicabilit� 
di tale articolo, in quanto l'occupazione 
di urgenza non implicava di per s� trasferimento 
del diritto di propriet�: l'occupante non � il proprietario. 


Questa affermazione, considerata su un piano 
puramente letterale, � difficilmente contestabile. lJIIa 
se si spinge lo sguardo dentro la sfera dei poteri 
dell'occupante d'urgenza, rispetto ai diritti dominicali, 
si scorge subito che l'argomento letterale � f allace, 
o almeno malsicuro. Anche i frutti naturali 
appartengono al proprietario, anche il godimento 
della cosa spetta al proprietario, anche il potere di 
disposizione spetta al proprietario: ma nessuno dubita 
che, dopo l'occupazione d'urgenza, tali poteri 
siano passati ex lege all'occupante; e non tutti (ad 
esempio, il potere di disposizione) rientrano nella 
semplicistica configurazione di un mero passaggio 
di possesso. La verit� � che <<data l'indole dell'occupazione, 
in caso d'indifferibilit� di opere ferroviarie, 
non pu� essere dubbio che l'espropriante dopo la 
occupazione eserciti sulla cosa quei diritti di dominio 
che l'espropriato non pu� pi� esercitare, esso non 
potendo pi� fare innovazioni, costruzioni o impianti 
nel fondo servente)) (Gass., 26 luglio 1941, cc Giitr. 
Opere pubbliche�, 1942, I, p. 49; e cc Servit� prediali 
�, 1942, II, p. 217 con nota favorevole del 
Guicciardi). 

Ohe il passaggio di propriet� avvenga solo al momento 
del decreto di esproprio, come ha ribadito la 
Cassazione in questa e in altre sentenze (Gass., 21 
maggio 1948, � Giur. Gompl. Gass. civile �, 1948, 
II, p. 322, con richiami) � innegabile: ma la questione 
� un'altra. L'art. 122 mira a tutelare non il 
diritto di propriet� astratto, ma quel contenuto eff et


tivo e concreto del diritto di propriet�, che si estrinseca 
nella << facolt� di eseguire sul fondo qualiinqiw 
innovazione, costruzione o impianto� (art. 122 T. U., 

n. 1775, del 1933). Ora, questa facolt� � indubbiamente 
trasferita, insieme ad altri poteri dispositi-Di, 
all'occupante d'urgenza; e�, se si corisi�era �he questo 
stato di cose � preordinato in vista di una espropriazione 
definitiva, che consacrer� il trasferimento del 
diritto dominicale nella sua portata integrale, non 
sembra esista alcuna valida ragione per negare allo 
occupante una posizione identica al proprietario, 
rispetto al diniego dell'indennizzo. 
V a aggiunto che, come riconobbe la stessa sentenza 
21 maggio 1948, n. 773 della Corte Suprema gi� 
citata, il trasferimento di propriet� retroagisce al 
momento dell'occupazione del fondo: effetto, codesto, 
che � caratteristico dei diritti condizionati, e che, 
cos� inquadrato, � perfettamente conciliabile con 
l'esercizio �dei diritti dominicali subordinati unicamente 
ad un avveramento di condizione. Questo jus 
superveniens (cfr. Garugno, in <c Giur. Opere Pubbliche
�, 1941, III, 89) non solo consacra e rende 
definitivo lo stato di cose anteriormente costituito, ma 
lo trasforma in un anticipato esercizio di diritti 
dominicali. Ne � una riprova il fatto stesso che il 
compenso per la occupazione di urgenza viene calcolato 
in base agli interessi sull'indennit� di espropriazione, 
come se questa fosse dovuta fin dal 
momento dell'occupazione: conseguenza logica della 
retroattivit� del decreto di esproprio. 

La Corte Suprema, nella sentenza annotata, non 
ha creduto di soffermarsi su questi particolari profili, 
rilevando che essi non sarebbero, comunqiw, 
decisivi, posto che perfino nei casi in cui la Pubblica 
Amministrazione � proprietaria del terreno servente, 
essa non pu� contemporaneamente valersi dei suoi 
poteri di imperio per ord�inare lo spostamento, ed 
invocare l'art. 122 per rifiutare l'indennit�. In appoggio 
a questa conclusione, la sentenza annotata 
richiama la predetta sentenza delle Sezioni Unite 

n. 571 del 1950, sopra citata. 
Su questo punto sembrano opportune alcune osser


vazioni, giacch� � probabile che tanto la tesi di coloro 

che affermano l'applicabilit� contemporanea delle 

due norme (Guicciardi, in � Servit� prediali�, 1942~ 

II, p. 217), quanto la tesi degli oppositori, oggi ac


colta dalla sentenza annotata, pecchino entrambe di 

eccessivo rigore. 

Come si � cercato di chiarire all'inizio, l'ipotesi 

dell'art. 126 T. U. 1933, n. 1775, non � in contrap


posto all'ipotesi dell'art. 122, ma � semplicemente 

diversa. Essa si riferisce al caso, tutt'altro che infre


quente, in cui determinate .cc autorit� interessate >~ 

richiedano lo spostamento di elettrodotto su terreni 

di propriet� di terzi, per ragioni di pubblico interesse 

del tutto estranee all'utilizzazione di un terreno 

demaniale o patrimoniale. 

Se il sovraintendente ai monumenti del Lazio 
richiede per la tutela di determinate zone monumentali, 
lo spostamento di alcune linee; o..se il provveditorato 
agli studi segnala l'opportunit� di allontari,(J,_re__ 
un elettrodotto da un istituto scolastico, si � evidente~ 
mente fuori dell'ambito dell'art. 122, giacch� questo 
regola il comportamento del proprietario di un fondo 
rispetto alla servit� di elettrodotto su di esso costituita. 
Ma se, essendo la Pubblica Amministrazione 


-185


proprietaria del fondo, esiste questo rapporto diretto 
fra le necessit� delle innovazioni al fondo e lo spostamento 
dell'elettrodotto, sembra indubbio che debba 
ricevere applicazione l'art. 122, e non l'art. 126. 
Certo, nessuno nega che in tutti i casi in cui la Pubblica 
Amministrazione, proprietaria del terreno soggetto 
a servit� di elettrodotto, imponga uno spostamento 
eccedente le necessit� derivanti dal diverso 
uso del fondo, tenendo conto di pi� lati interessi pubblici, 
essa debba valersi dell'art. 126. Ma se, invece, 
l'ordine di spostamento trova la sua giustificazione 
e la sua causa nel limitato intento di usare e godere 
del fondo, demaniale o patrimoniale, nel modo ritenuto 
migliore ai fini del pubblico interesse, non si 
vede per quale ragione la Pubblica Amministrazione 
non possa avvalersi dell'art. 122. 

La facolt� di procedere in via amministrativa, 
per i beni demaniali, � sanzionata da una precisa 
norma di _legge (art. 823 Codice civile). La forma o 
il modo con il quale la Pubblica Amministrazione 
ottiene lo spostamento -cio�, in sostanza, la forma 

o il modo con il quale essa tutela quel diritto dominicale 
di fare innovazioni nel proprio fondo, ribadito 
dall'art. 122 -non sottrae la sua azione all' ambito 
dell'ipotesi regolata da quell'articolo. E neppure 
esorbiterebbe da quell'ambito se le innovazioni o gli 
impianti, per le loro esigenze, richiedessero per avventura 
il rispetto di altre misure di sicurezza, pur 
sempre riconnesse o derivanti dalle predette innovazioni. 
Infatti, anche nell'ipotesi del proprietario 
privato che intende costruire un determinato impianto 
nel proprio fondo, l'utente della servit�, spostando 
senza indennit� l'elettrodotto, � tenuto ad osservare 
le prescrizioni della competente Autorit� amministrativa 
(art. 108 e 111 T. U.). JJfo ci� non altera 
certamente la struttura del rapporto fra esso utente 
ed il proprietario del fondo. Se, perci�, la Pubblica 
A mmiwistrazione, titolare dei diritti dominicali sul 
fondo pubblico, mentre si avvale dei mezzi amministrativi 
per la libera disponibilit� del fondo, precisa 
contemporaneamente le modalit� delle variazioni dell'elettrodotto, 
con ci� non esplica alcun potere diverso 
da quello previsto dagli articoli 108 e 111. 
Questi elementi rimangono puramente accidentali: 
decisivo � invece accertare se lo spostamento derivi 
da innovazioni da eseguire sul fondo pubblico, demaniale 
o patrimoniale. Ove questa relazione esista, 
entra in gioco l'art. 122. Solo quando l'ordine di 
spostamento ecceda le necessit� dei nuovi impianti, 
e sia ispirato a diverse e pi� late esigenze di interesse 
pubblico, subentra l'art. 126, anche se la Pubblica 
Amministrazione sia proprietaria del fondo che ha 
dato occasione all'ordine di spostamento. 

La sentenza annotata, che ha generalizzato l'obbligo 
dell'indennizzo a carico della Pubblica Ammi� 
nistrazione senza tener conto dell'elemento determinante 
.sopra ricordato, non pare, quindi, a nostro 
modesto avviso, corretta. Perfettamente esatta � invece 
la soluzione data dalla Corte ad un altro quesito 
(non risultante dalla massima), relativo alla possibilit�, 
sia per il proprietario del fondo servente sia 
per la Pubblica Amministrazione che agisca in base 
all'art. 126, di chiedere o ordinare lo spostamento 
anche se l'impianto fosse stato dichiarato di pubblica 
utilit�. Questo marginale problema era stato gi� 
affrontato dalla .�entenza della Ca88a.zione 25 giu


gno 1937 (cc Foro Ital. �, 1937, I, p. 1276 con nota 
di Graziani), e risolto in senso analogo. 

Infine, sulla questione relativa ai criteri di discriminazione 
della competenza, in caso di discussione 
sulla indennit� quando la Pubblica Amministrazione 
sia proprietaria del fond�J servente, va qui ricordata 
la diffusa sentenza 17 agosto 1945 della 
Corte Suprema a Sezioni Unite (cc Giur. Ital. �, 
1946, I, l, 132 con ampia nota di Guicciardi; cc Foro 
Ital. �, 1944-46, I, 952; cc Riv. Amm. ii, 1946, 19 entrambe 
con note redazionali) che riconobbe la competenza 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria, con esatte 
osservazioni circa i limiti di tale competenza. 

A. C. 
IMPIEGO PUBBLICO -Impiegati statali -Danni riportati 
in servizio -Legge 6 marzo 1950, n. 104: Inapplicabilit� 
a fatti dannosi avvenuti anteriormente alla 
entrata in vigore di essa -R. D. L. 6 febbraio 1936, 

n. 313 -Atto amministrativo definitivo di diniego del 
trattamento speciale conseguente al rapporto di servizio. 
Ammissibilit� dell'azione giudiziaria ordinaria 
di risarcimento del danno. (Sezioni Unite civili Sent. 
n. 3019/1952 -P:ces.: Anichini; Rel.: Capizzi; P. M. 
Eula -Costagli c. Ferrovie dello Stato). 
La dichiarazione del potere legislativo fatta 
dopo la emanazione di una norma, a_l fine di interpretare 
quest'ultima e cio� di chiarirne il contenuto 
oscuro ed incerto, costituisce una nuova 
legge, che viene ad integrare e si incorpora in quella 
precedente, formando un sol tutto di una norma 
organica. Da ci� deriva che i rapporti giuridici, 
anche se perfezionati prima della legge dichiarativa, 
devono ritenersi regolati e vanno decisi in 
conformit� di essa. Ma tale carattere dichiarativo 
non pu� essere attribuito alla legge del 1950, la 
quale si � limitata ad abrogare le norme del R. D. L. 
6 febbraio 1936, n. 313, e del D. L. 21 ottobre 1915, 

n. 1558, senza nulla disporre in ordine ai rapporti 
giuridici sorti sotto l'impero della legge anteriore. 
La priorit� della forma di risarcimento, contemplata 
dal R. D. L. 6 debbraio 1936, n. 313, deve 
ritenersi esaurita con l'emanazione dell'atto amministrativo 
negativo che, accompagnato da presunzione 
di legittimit� e di giustizia, bene pu� 
essere accettato dall'interessato come base per 
l'ulteriore tutela del suo diritto innanzi all'Autorit�. 
giudiziaria ordinaria, senza che possa essergli 
imposto di adire preventivamente il Magistrato 
amministrativo in sede di contenzioso sulle pensioni. 


La prima massima riguarda la questione, di cui 
la Corte di Cassazione si � ora occupata per la prima 
volta, della efficacia nel tempo della Legge 6 marzo 
1950, n. 104, che ha dichiarati abrogati il D. L. 
21 ottobre 1915, n. 1558, e il R. D. L. 6 febbraio 
1936, n. 313, la questione cio� se la Legge del 1950 
possa, in mancanza di espresse statuizioni al riguardo, 
avere applicazione anche per i f�tti dannosi 
verificatisi anteriormente alla entrata in vigore-dt 
essa. 

In favore di una soluzione affermativa del problema 
si � sostenuto, principalmente, che tanto il 

D. L. del 1915 che il R. D. L. del 1936 avevano, 

-186 


per esplicita dichiarazione del legislatore, contenuta 

nelle premesse, natura di norme interpretative delle 

disposizioni del T. U. sulle pensioni del 2i feb


braio 1895, n. 70, e che, di conseguenza, la Legge 

del 1950, abrogando entrambi i decreti citati, ha eli


minato il vincolo di una interpretazione autentica, 

di modo che il giudice pu� ora interpretare libera


mente le disposizioni, di cui i decreti del 1915 e 

del 1936 contenevano la interpretazione obbligata, 

anche in relazione a fatti dannosi avvenuti anterior


mente alla entrata in vigore della legge di abroga


zione. 

In contrario si sosteneva che, a conferire ad una 

legge carattere di legge interpretativa, non basta la 

esplicita dichiarazione del legislatore, ma � neces


sario che, nella sostanza, la nuova legge si limiti a 

risolvere le incertezze che siano sorte nella interpre


tazione di precedenti disposizioni, �senza per� con


tenere -come invece era avvenuto per i decreti del 

1915 e del 1936 -norme che, apportando modifi


cazioni ed uggiunte, siano� chiaramente innovative 

rispetto alle leggi che si vorreb.bero interpretare. 

In tali sensi vi era stata qualche decisione di Giu


dici di merito (Trib. Firenze, Sez. I civile, 8 feb


braio-10 marzo 1951 -Fiorini c. Ferrovie dello 

Stato). 

La Corte di Cassazione, giudicando a Sezioni 

Unite, ha accolto la soluzione negativa del problema 

ed a noi pare che le conclusioni a cui essa � perve


nuta siano esatte (cfr. questa �Rassegna �, 1950, 

marzo, p. 88). 

Nella seconda massima appare riconfermato un 

principio, sul quale pu� oramai dirsi consolidata 

la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sen


tenze n. 832 e n. 1550 del 1948), ed al quale anche 

noi riteniamo di poter pienamente consentire. 

G. A. 
IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA -Determinazione 
dell'ammontare dell'imposta pagabile in abbonamento 
-Decisioni della Commissione provinciale Definitivit� 
-Inammissibilit� del ricorso all'Autorit� 
giudiziaria. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sent. 

n. 1709/52 -Pres.: Anichini; Est.: Fibbi; P. M. Eula S. 
P. A. Galleria Navaria c. Finanze dello Stato). 
Contro le decisioni delle Commissioni provinciali 
in materia di determinazione dell'ammontare 
imponibile soggetto ad imposta sull'entrata pagabile 
in abbonamento, non � dato ricorso all'autorit�. 
giudiziaria per grave errore di apprezzamento 

o difetto di calcolo. 
Le decisioni delle Commissioni provinciali delle 
Imposte in materia di imposta generale sull'entrata, 
ove siano mancanti assolutamente di motivazione 
non possono ritenersi inesistenti, ma solo 
annullabili e il motivo di nullit� dipendente dalla 
mancata motivazione pu� esser fatto valere soltanto 
nei limiti e secondo le regole proprie dei 
mezzi di impugnazione cui le decisioni stesse siano 
per legge soggette. 

La prima massima conferma la giurisprudenza 
non solo della Corte di Appello di Napoli, ma anche 
della Corte di Appello di Firenze, quale risulta dalla 

sentenza di quest'ultima che abbiamo pubblicato 
in questa �Rassegna�, 1951, p. 145 e segg. 

Dopo quanto abbiamo ivi detto a sostegno della 
tesi ora accolta dalla Corte Suprema, ci sembra sufficiente 
riportare testualmente la motivazione della 
sentenza della Corte stessa: 

� La controversia, cui d� occasione il vigente complicato 
ordinamento del contenzioso tributario, trova 
sicura soluzione nell'analisi delle varie disposizioni 
di legge. La norma procedurale dell'art. 29, 30 comma 
del R. D. L. 7 agosto 1936, n. 1639, tramandata 
dalle consimili disposizioni esistenti per i vecchi 
giudizi di stima in materia di tasse di registro e di 
successione (T. U. 30 dicembre 1923, n. 3269 e 
3 27 O) attua nel campo del contenzioso tributario 
per le imposte indirette sui trasferimenti della ricchezza 
una vera e propria situazione eccezionale. 
� noto il sistema cui s'informa l'attuale ordinamento 
fondato sulla coesistenza di una duplice o autonoma 
giurisdizione in materia tributaria, devoluta da una 
parte alle cosiddette Commissioni amministrative 
che giudicano definitivamente sulle questioni relative 
alla estimazione dei redditi, e ai criteri tecnici 
di tassazione, mentre la loro decisione sulle questioni 
di diritto non � di ostacolo alla normale azione innanzi 
all'l' Autorit� giudiziaria ordinaria. Pu� cos� 
riconoscersi il principio comune a tutte le imposte 
dirette (art. 22 D. L. 7 agosto 1936, n. 1639), ribadito 
espressamente in tema di imposta fondiaria 
(art. 23 L. 8 marzo 1943, n. 153), di ricchezza mobile 
(art. 53 T. U. 24 agosto 1877, n.4 021) e di tri


buti locali (art. 285 T. U. 14settembre1931, n. 1175), 
e riannodantesi alla norma fondamentale dell'art. 6 
della legge sul contenzioso amministrativo 20 marzo 
1865, n. 2230, che sottrae ogni controversia di semplice 
estimazione dei redditi al sindacato dell'Autorit� 
giudiziaria ordinaria, principio che vale come 
criterio generale anche in tema di imposte indirette, 
tranne espressa disposizione in contrario. � appunto 
il caso delle imposte indirette sui trasferimenti 
di ripchezza, per le quali, con la riforma degli ordinamenti 
tributari attuata nel 1936 (R. D. L. 7 agosto 
1936,n . 1639), sostituito al giudizio di stima quello 
duplice delle Commissioni distrettuale e provinciale, 
si dispone (art. 29, 3� comma), che, pur dichiarandosi 
definitivo in via nor;riale, il giudizio delle Commissioni 
provinciali, fosse eccezionalmente ammesso 
il ricorso dell'Autorit� giudiziaria nei soli .casi di 
� grave ed evidente errore d'apprezzamento >> ovvero 
di � mancanza o insufficienza di calcolo sulla determinazione 
del valore �, il che implica anche una 
interferenza fra le due giurisdizioni in detoga al 
principio dell'autonomia del procedimento amministrativo 
da quello giudiziario. Basterebbe la constatazione 
di questo carattere singolare della norma per 
escluderne l'applicazione ad imposte non espressamente 
contemplate dalla legge; e tale non poteva essere 
la tassa sull'entrata istituita quattro anni dopo 
e, ci� che pi� conta, in sostituzione della' tassa scambi, 
con cui ha notevolissimi ptmti di contatto, la quale 
peraltro era stata espressamente richiam:ata nella. riforma 
degli ordinamenti tributari del 1936, insieme


con le tasse di bollo, di concessioni governative ed 
ogni altra sugli affari o a queste assimilata unicamente 
per riaffermare l'autonomia e la persistenza degli anteriori 
rispettivi ordinamenti (art. 28, secondo comma). 


-1137 


Dopo ci� sembra superfluo indugiare sulla natura 
della nuova imposta in esame, che, introdotta 
col R. D. L. 9 gennaio 1940, n. 2, all'atto stesso 
dell'abolizione della tassa di scambio (art. 54) e gravante 
su ogni entrata in denaro o altri mezzi di pagamento 
dovuti in corrispettivo di beni e servizi con 
diritto di rivalsa contro chi esegue il versamento 
(art. 1 e 6), e con facolt� di riscossione prima limitatamente 
ad alcune entrate (D. L. 10 ottobre 1944, 

n. 348) poi a molte altre, nonch� a tutte quelle conseguite 
mediante vendita al pubblico di qualunque 
materia, merce e prodotto (D. L. 27 dicembre 1946, 
n. 469), mediante canoni annui ragguagliati al. volume 
degli affari, si � rivelata praticamente, o quanto 
meno prevalentemente, come una vera e propria imposta 
sui consumi, incidente, com'� non ~olo per 
un noto fenomeno economico .di traslazione, 
ma per effetto diretto della rivalsa, che pone il contribuente 
nella condizione di debitore per conti di 
terzi, sulla categoria dei consumatori. In tali condizioni 
mai avrebbe potuto trovare applicazione per 
essa il regime contenzioso eccezionale previsto esclusivamente 
per le imposte indirette sui trasferimenti 
di ricchezza; ma le norme positive dettate per la nuova 
imposta ne pongono espressa conferma. Infatti sia 
nel primo ordinamento (D. L. 27 dicembre 1946, 
n. 469) che, per le controversie relative alla applicazione 
dell'imposta nei casi in cui era dovuta in 
abbonamento mediante canoni annui ragguagliati al 
volume degli affari, prevedeva il solo ricorso ad una 
Sezione speciale della Commissione provinciale delle 
imposte (art.16), sia nel secondo (D. L. 3maggio1938, 
n. 799) che istituiva anche in questo campo il doppio 
grado di cognizione, deferendo quella di prima 
istanza a una speciale sezione della Commissione 
distrettuale (art. 19), si precis� sic et simpliciter, 
che la decisione della CommissionQ provinciale � 
definitiva (art. 21). L'assolutezza di questa persistente 
riaffermazione di definitivit� senza eccezione, 
in palese, e non certo casuale contrapposto con la 
norma singolare dettata in tema di imposte indirette 
sui trasferimenti di ricchezza � per s� stessa ben significativa 
e offre argomento letterale di sicitra indicazione 
all'interprete, ma non meno decisiva, � dal 
punto di vista sostanziale, la considerazione della 
intrinseca diversit� dei due ordinamenti tributari, 
per cui si renderebbe praticamente inapplicabile, � 
una norma di competenza che riguarda fra l'altro 
la mancanza o insufficienza di calcolo nella determinazione 
del valore di beni trasferiti, quando oggetto 
dell'accertamento non sia la diretta valutazione 
dei beni, secondo specifici criteri fissati dalla legge 
e richiedenti l'esecuzione di computi suscettibili di 
controllo, ma �il volume degli affari� cio� l'estimazione, 
in via necessariamente induttiva della presumibile 
entrata annua del contribuente, in base, sia 
pure come si esprime il penultimo capoverso dell'art. 
16 del D. 27 dicembre 1946, n. 469, alla obiettiva 
considerazione dei fatti, delle circostanze e degli 
elementi tutti di apprezzamento, propri della fattispecie. 
Sotto ogni aspetto considerata, dunque la questione 
circa l'applicabilit� del ricorso all'Autorit� 
giudiziaria a norma dell'art. 29 del R. D. L. 7 ago.~
to 1936, n. 1639, non potetJa che essere ri8olta come 
fu dalla C. d. A. negativamente�. 

Per quanto riguarda la seconda massima, rileviamo 
�he nella motivazione della sentenza della Corte 
Suprema sono contenute delle espressioni che farebbero 
ritenere che il Supremo Collegio abbia accolto 
la tesi .della possibilit� di una .immediato, impugnazione 
per Cassazione delle sentenze della Commissione 
provinciale in materia di I.G.E., le quali 
siano affette da vizi di nullit� in procedendo, e ci� 
in applicazione dell'art. 111 della Costituzione, sempre 
che1 naturalmente, si ritenga che contro tali sentenze 
non sia dato ricorso alla Commissione centrale. 

Crediamo che trarre tali conclusioni dalla sentenza 
in esame sia per lo meno azzarij,ato. Essa, infatti, 
come risulta dalla motivazione che appresso riportiamo, 
si � preoccupata soltanto di escludere che 
l'eventuale. vizio in procedendo della decisione della 
Commissione provinciale possa comunque esser fatto 
valm�e avanti l'autorit� giudiziaria ordinaria per 
contestare la legittimit� dell'accertamento tributario 
e le argomentazioni relative alla possibilit� di impugnativa 
autonoma della suddetta decisione non hanno 
alcuna relazione con il dispositivo della sentenza. 

Si tratta, d'altronde, di materia molto delicata che 
merita di essere riesaminata ex professo e che non 
pu� considerarsi in alcun modo pregiudicata da 
frasi od espressioni del tutto incidentali. 

Ed ecco il testo della motivazione, relativa alla 
seconda massima : 

ic Osserva questa Corte Suprema che, riaffermata 
anche alla stregua dell'art. 111 della Costituzione 
della Repubblica la necessit� della motivazione in 
ogni sentenza sia del giudice ordinario sia di giudici 
speciali, ai fini del necessario controllo, cui 
per esigenze inderogabili di giustizia ogni decisione 
giudiziaria deve sempre poter essere sottoposta -e 
a tali esigenze non soddisfa una motivazione quasi 
di stile, come quella contenuta nella sentenza della 
Commissione tributaria in esame, priva di ogni 
riferimento alla norma astratta e solo con generico 
richiamo ad imprecisate informazioni e alle ancor 
meno individuate dichiarazioni del contribuente, e 
quindi con palese obliterazione di entrambe le 
premesse del sillogismo giudiziario -non sembra 
possa condividersi l'opinione di chi vede nel 
vizio in parola una causa non tanto di nullit� 
quanto di inesistenza della sentenza, parificabile 
alla mancanza della capacit� soggettiva dell'ordine 
giurisdizionale o della stessa sottoscrizione del giudice, 
nei casi in cui non si renda eliminabile col 
rito della correzione degli errori materiali. 

La mancanza di motivazione, cui ora � equipa


rata anche la sua insufficienza � contraddittoria come 

vizio che incide sopra un requisito formale indispen


sabile della sentenza, legato al raggiungimento dello 

scopo essenziale sopraccennato (art. 132, n. 4 e 156, 

n. 2, C. p. c.), costituisce motivo di nullit� della sentenza 
stessa; ma al pari di ogni altra nullit� pu� 
esser fatto valere soltanto nei limiti e secondo le regole 
(forme e termini) proprie dei mezzi di impugnazione 
-appello o ricorso in cassazione�-cui la 
sentenza sia per legge soggetta (art. 161 e 360, n. -4, 
C. p. c.). Conseguentemente, nel caso, come � quello 
che ne occupa, di sentenza della Commissione provinciale 
delle imposte in materia di imposta generale 
sull'entrata, di senten.za cio� di 2� grado di una 
giurisdizione speciale, affetta dal vizio in proce

-188 


dendo rilevato, essa era suscettibile di annullamento 
per mancanza di motivazione (art. 360, n. 4, �C. p. c. 
e 360, n. 5, nel testo rif01�mato) dinanzi alla Commissione 
centrale delle imposte, qualora si ritenga 
-secondo una recente contrastata giurisprudenza 
di questa al riguardo -non ostativa la dichiarazione 
di definitivit� di cui agli articoli 16 del D. L. 27 dicembre 
1946, n. 469, e 21 D. L. 3 maggio 1948, 

n. 799, o comunque innanzi a questa Corte Suprema 
di Cassazione in applicazione dell'art. 111 della Costituzione 
che esige in ogni pronunzia giurisdizionale 
una motivazione sia pure concisa che la giustifichi. 
Ma, ci� che qui maggiormente interessa, in ogni 
caso tali rimedi debbono essere fatti valere, per il 
principio dell'assorbimento dei motivi di nullit� 
della sentenza in motivi di impugnazione, espresso 
col precetto dell'art. 161 C. p. c., nel giudizio stesso 
in cui quella sentenza � intervenuta e prima del suo 
pa.~saggio in giudicato. 

Esclusa, infatti, come resistita dall'ordinamento 
positivo, la tesi della inesistenza o della nullit� insanabile 
delle sentenze viziate da difetti pi� o meno 
completi di motivazione, l'errore in procedendo in 
parola intervenuto nel giudizio di estimazione avanti 
la giurisdizione speciale, un� volta dec�rsi i t�rmini 
d'impugnazione, resta coperto dal giudicato e non 
pu� pi� essere opposto in un nuovo giudizio in cui 
si intenda impugnare per tale motivo dinanzi alla 
Autorit� giudiziaria ordinaria la legittimit� della 
tassazione. Vi osterebbe, fra l'altro, il principio 
dell'autonomia dei due procedimenti, relativi l'uno 
al giudizio di estimazione da portare innanzi al 
giudice speciale, l'altro alle questioni di diritto per 
cui � esperibile azione dinanzi al giudice ordinario, 
questioni di diritto che non possono, senza palese 
contraddizione, con quel principio, riguardare gli 
errori in procedendo eventualmente incorsi nell' anteriore 
giudizio di stima� . 

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ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
DELLE CORTI DI MERITO 


ACQUE PUBBLICHE -Competenza -Danni dipendenti 
da mancata manutenzione di opera pubblica collegata 
con il regime delle acque -Proponibilit� dell'azione Competenza 
del giudice ordinario. (Corte di Appello 
di Roma, Sent. 24 giugno-6 agosto 1952; Soc. An. 
Costruzioni Pasotti c. Ministero Lavo1i pubblici). 

1. Non d�. luogo a controversia compresa tra 
quelle attribuite alla cognizione del Tribunale 
regionale delle acque pubbliche, a sensi dell'art. 140 
lett. F, T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, l'azione 
di danni dipendenti da opere (collegata al regime 
delle acque) eseguite dalla Pubblica Amministrazione, 
quando non viene in discussione la esecuzione 
dell'opera bens� ed unicamente il mancato normale 
funzionamento dell'opera stessa, cui viene rapportato, 
con stretto nesso di causalit�, il danno sofferto 
dal privato. Questione quindi di diritto comune 
che, all'infuori di ogni indagine sulle modalit� di 
esecuzione dell'opera e sugli eventuali danni che 
nel corso e in dipendenza dell'esecuzione (o costruzione) 
medesima siano potuti derivare a terzi, � 
di competenza del magistrato ordinario. 
2. Dalla mancata manutenzione dBll'opera pubblica 
che cagioni danno alla propriet� privata 
sorge per il cittadino diritto all'indennit�, purch� 
tra il danno sofferto e la mancata manutenzione, 
vi sia rapporto di causa ed effetto. 
1. L'art. 140, lett. E, del T. U. 11 dicembre 1933, 
n. 1775, cos� dispone: �Appartengono in primo 
grado alla cognizione dei Tribunali delle acque 
pubbliche.. . le controversie per risarcimenti di danni 
dipendenti da qualunque opera eseguita dalla Pubblica 
Amministrazione o da qualunque provvedimento 
emesso dall'Autorit� amministrativa a termini 
dell'art. 2 del T. U. 25 luglio 1904, n. 523, ecc. i>. 
Non � da porre in dubbio che anche la controversia 
avente ad oggetto il risarcimento dei danni (che si 
asseriscono) dipendenti dalla mancata efficienza di 
un grande manufatto, rientri nella competenza dei 
Tribunali delle Acque, se, oltre la (pretesa) incuria 
del personale venga in esame il funzionamento, la 
difficolt� di funzionamento del manufatto, anche se 
dovuta a difetto di manutenzione. 

Il carattere stesso della domanda di risarcimento 
del danno postulava -nella specie decisa -la 
indagine sull'evento dannoso (che fu non gi� la 
materiale esondazione di un fosso, ma la causa di 
questa) ossia la alluvione in rapporto alla situazione 

I i 

idraulica della zona prima e dopo il compimento 
delle opere pubbliche. Tale evento esigeva la cognizione 
dell'organo speciale, quale �, istituzionalmente, 
il Tribunale regionale delle Acque pubbliche. 

Il fenomeno atmosferico, se esso valga o non 
come caso di forza maggiore, rispetto alle opere e al 
loro stato di manutenzione1 la stessa portata e violenza 
della tracimazione degli argini da parte delle acque, 
rappresentano questioni spiccatamente tecniche che 
la legge deferisce alla cognizione dell'anzidetto Tribunale. 


La giurisprudenza e la dottrina che la Corte ha 
invocato per sostenere (2a massima) la proponibilit� 
della domanda di risarcimento, per mancata manutenzione 
dell'opera pubblica (estensione dell'art. 46, 
Legge espropriazione) � stata ampiamente elaborata 
anche in tema di danni dipendenti da opere idrauliche, 
ma in controversie svoltesi dinanzi ai Tribunali delle 
Acque. 

In tal senso le numerose pronunce del Tribunale 
superiore delle acque circa la responsabilit� (vedremo 
in quali limiti) della Pubblica Amministrazione che 
avesse costruito opere pubbliche di sistemazione di 
corsi d'acqua, per danni derivati alle propriet� 
finitime, in occasione di piene o pioggie (cfr. Massimario 
a cura di PELOSI, 1948, p. 211 e segg.). 

Il Supremo Collegio ha, pi� volte, chiarito i limiti 
delle rispettive competenze dei Tribunali ordinari e 
dei Tribunali delle Acque, in tema di risarcimento di 
danni, comunque, ricollegabili alla costruzione o 
alla manutenzione delle opere pubbliche. 

Quando la Pubblica Amministrazione � estranea 
alla lite, la questione � delicata e di sottile indagine 
(Sezioni Unite 12 giugno 1939, n. 1977, in Massimario 
cit. p. 56, n. 21; Cass. II, 16 luglio 1949, 

n. 1828, in � Giur. Opere pubbliche n 1949, II, 22; 
Cass. I, 31 maggio 1950, n. 1324; Sezioni Unite 
5 dicembre 1950, n. 1677, ivi 1951, II, 14). 
JJ!Ia l'ipotesi dell'art. 140 lett. E, ricorre sempre 
che sia proposta la domanda contro la P.A. in tema 
di danni da opere che possano aver 1�elazione col 
regime delle acque o da manutenzione di manufatti 
(Sezioni Unite 23 luglio 1937, in Diritto Beni pubblici, 
1938, p. 163; Cass. II, 16 luglio 1949;� n. 1828 
cir.; cfr. anche �Relazione dell'Avvocatura Generaledello 
Staton, per gli anni 1930-1941, I, 276). 

2. Nella ipotesi di ritenuta competenza del giudice 
ordinario, l'eccezione di improponibilit� appariva 
fondata. 

-190 

La sentenza ha erroneamente applicato il criterio 
della responsabilit� della Pubblica Amministrazione 
per atti leciti, a ipotesi non contemplate dalla legge: 

a) quanto alla responsabilit� per colpa aquiliana, 
non � affatto venuta in considerazione; 

b) quanto alla responsabilit� oggettiva, la giurisprudenza 
del Supremo Collegio pur ravvisando 
nell'art. 46 Legge espropriazione il sintomo del 
suddetto principio generale, ne ha limitato la sfera 
di applicazione alle sole ipotesi nelle quali la manutenzione 
dell'opera pubblica importasse un sacrificio 
particolare al privato. In tale solo caso si pu� 
configurare una responsabilit� analoga a quella iniziale 
dell'esecuzione, non gi� nell'ipotesi di mancata 
_manutenzione, che si risolva nel ritorno alle condizioni 
antecedenti alla opera, circostanza questa sufficiente 
ad eliminare la responsabilit� della Pubblica A mministrazione 
(Tribunale Superiore 29 gennaio 1940, 

n. 3 e 6 agosto 1940 n. 27 in Massimario cit. p. 225). 
L'ovvia soluzione della controversia era, dunque, 
l'improponibilit� dell'azione, perch� costruzione e 
manutenzione dell'opera pubblica rientrano nella 
discrezione della Pubblica Amministrazione o la 
reiezione della domanda. 

(D. .A.. F.) 
AMMINISTRAZIONE DELLO STATO -Uf/i.ci stralcio 
per la liquidazione delle soppresse associazioni sindacali 
fasciste -Rappresentanza in giudizio -Propriet� 
dei beni delle soppresse associazioni. (Ti ibunale di 
Roma, Sez. I, 31 gennaio-31ma�zo1952 -Pres.: Elia; 
Rel.: Mazzacane -Ufficio skalcio pe~ la liquidazione 
delle Confede:azioni dei lavoratori c. Confederterra 
p_�ovinciale di Roma). 

Gli Uffici stralcio, costituiti con decreto nnmsteriale 
25 giugno 1949 in applicazione dell'art. 5 

D.L.O.P.S. 1� dicembre 1947, n. 1611, sono organi 
statali, gerarchicamente dipendenti dal Ministero 
del lavoro e della Previdenza Sociale. 
Essi, pertanto, sono rappresentati e difesi in 
giudizio dalla Avvocatura dello Stato ai sensi 
dell'art. 1 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611. 

Durante il periodo della liquidazione la rappresentenza 
delle associazioni sindacali fasciste, soppresse 
col D.L.L. 23 novembre 1944, n. 369, ma 
la cui personalit� sussiste al limitato fine delle 
operazioni di liquidazione, spetta agli organi 
liquidatori e, per essi, agli Uffici stralcio, cui sono 
attribuiti tutti i poteri gi� spettanti agli organi 
amministrativi ordinari degli enti soppressi. 

I beni facenti parte del patrimonio degli enti 
soppressi sono tuttora di propriet� degli stessi e 
tutti i poteri e le facolt� loro spettanti sono esercitati 
dagli Uffici stralcio. 

La devoluzione di tali beni, ai sensi dell'art. 30 

D.L.L. 30 novembre 1944, n. 369, sar� effettuata 
con decreto interministeriale soltanto dopo la 
chiusura della liquidazione e con largo criterio 
discrezionale, per cui le varie associazioni libere 
potranno a quel tempo vantare un interesse legittimo, 
ma non un diritto soggettivo perfetto alla 
devoluzione in proprio favore. 
Il perdurare, oltre i limiti prefissi dalla legge, 
delle operazioni di liquidazione consente e, per 
innegabili motivi d'interesse pubblico, impone che 
l'Amministrazione la quale esercitava la vigilanza 
sulle operazioni di liquidazione, si sostituisca agli 
organi di essa nell'esplicazione di tale. attivit�, la 
quale, pur essendo compiuta direttamente dall' A mministrazione 
governativa, non cessa di essere riferibile 
all'ente controllato e soltanto a questo. 

Dalla natura di organo statale dell'Ufficio stralcio 
discende, come conseguenza, che la sua rappresentanza 
in giudizio spetta all'Avvocatura dello Stato,ai 
sensi dell'art. 1 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e 
che per le cause relative si applicano i principi del 
Foro dello Stato. 

Con la terza massima il Tribunale ha risolto 
l'importante questione sugli effetti della � soppressione 
� delle Associazioni sindacali in relazione alla 
loro personalit� giuridica. Com'� noto il D.L.L. 
23 novembre 1944, n. 369, sciolse le associazioni 
sindacali fasciste; abol� i contributi sindacali imposti 
per effetto della legge 3 aprile 1926, n. 563; 
licenzi� il personale assunto direttamente dalle associazioni; 
dispose la liquidazione delle associazioni 
medesime; determin� gli enti, ai quali i beni, disponibili 
dopo il pagamento dei creditori, dovessero essere 
devoluti; fiss� il termine, pi� volte prorogato, entro 
il quale dovevano essere chiuse le operazioni di 
liquidazione delle associazioni disciolte; dispose 
che, qualora tale termine fasse decorso invano, le 
operazioni di liquidazione sarebbero state affidate ad 
un Ufficio stralcio. 

Questo complesso di norme sciolse o soppresse 
la Associazioni sindacali fasciste, privandole degli 
scopi istituzionali e dei poteri, per il raggiungimento 
di tali scopi assegnati alle associazioni medesime 

l dall'ordinamento sindacale fascista, ma non estinse 
la personalit� giuridica delle .Associazioni stesse, 

I

che sopravvive tuttora e sopravviver� finche non , 
saranno completate le operazioni di liquidazione. 
' Questo concetto � comunemente accettato in dot. 


trina. 

"" 

Cos� il MESSINEO (Corso, 1 p. 174) ritiene che 

I

<e la liquidazione della persona giuridica sia uno 0 
stadio di transizione fra lo scioglimento e la totale 
cessazione della sua attivit�; nel caso di persona 
giuridica, che non sia associazione (fondazione, istituzione) 
la legge considera l'ente come estinto; ma il 
termine � improprio, perch� estinto non si pu� dire 
un Ente, nel cui nome si continuano a compiere 
atti e negozi giuridici; l'estinzione propriamente si 
verifica a liquidazione chiusa; per intanto l'ente 
continua ad esistere e ad agire, sia pure al limitato 
scopo di regolare i rapporti pendenti �. 

Questo concetto corrisponde esattamente al dettato 
della legge, la quale, nel regolare in via generale 
la persona giuridica e nel porre i principi basilari 
di questo istituto giuridico, che non � limitato al 
diritto privato, ha predisposto un complesso procedimento, 
col quale si pone fine all'esistenza della persona 
giuridica. L' art. 27 Codice civile attribuisce all' autorit� 
governativa il potere di dichiarare l' estinziorre 


Le prime due massime sono di particolare impordella 
persona giuridica. Dichiarata l'estinzfone, 
tanza e confermano la tesi sempre sostenuta dall'Amdetta 
l'art. 30 Codice civile, si procede alla liquidaministrazione 
sull'interpretazione del D.L.C.P.S. -zione del patrimonio, in seguito alla quale i beni, 
10 dicembre 1947, n. 1611. che restano, sono devoluti ad altro Ente. La ultima 


-191 


pa.rte dell'art. 31 Codice civile, che ha la sua notevole 
importanza, consente ai creditori, che non abbiano 
fatto valere il loro credito durante la liquidazione, di 

� rivolgersi a coloro, ai quali siano stati devoluti i 
beni. Ci� conferma che durante la liqvidazione i 
creditori possono far valere il loro credito contro 
l'originario debitore. sia pure in fase di liquidazione 
ma ancora esistente. 

N � pare cha a questi concetti fonda mentali abbia 
derogato il D.L.L. 23 novembre 1944, n. 369, il 
quale ha regolato la materia uniformandosi alle 
norme del Codice civile e di attuazione dello stesso 
(articoli 11-21) nonch� a quelle che disciplinano 
la liquidazione coatta amministrativa (art. 194 e seg. 

R.D. 16 marzo 1942, n. 267). 
L'estinzione della persona giuridica, che secondo 
il citato art. 27 Codice civile deve essere dichiarata 
dall'Autorit� governativa, nella specie � stata invece 
dichiarata con provvedimento legislativo, che ha disposto 
altres� la liquidazione delle associazioni, rendendo 
superflue le p1.tbblicazioni, previste dall'articolo 
197 R.D. 267 del 1942. 

Alla stregua di quanto previsto dall'art. 198 R.D. 
267 il D.L.L. n. 369 del 1944 dispose per la nomina di 
un Commissario liquidatore e di un Comitato di 
sorveglianza, la cui attivit� doveva essere esplicata 
sotto la sorveglianza del Ministero del lavoro (art. 199 

u. p. 201, 204 ecc. R.D. 267). 
L'attivit� del Commissario liquidatore, previsto 
dal D.L.L. n. 369, ed il controllo, che su questa attivit� 
effettuava il Ministro del Lavoro, sono analoghi, 
per non dire identici, ai poteri rispettivamente di 
amministrazione e controllo, previsti dal R.D. n. 267 
del 1942 sulla liquidazione amministrativa e dallo 
stesso attribuiti al Commissario liquidatore ed alla 
Autorit� governativa, che vigila sulla liquidazione. 

Tale intenso potere di vigilanza, controllo e direzione, 
posto in essere da parte dello Stato in applicazione 
del R.D. 267 del 1942, non ha mai fatto menomamente 
dubitare che l'ente in liquidazione restasse 
persona giuridica del tutto distinta dallo Stato. N � 
una tal confusione di concetti pu� derivare dall'esercizio 
degli analoghi poteri, conferiti dal D.L.L. 

n. 369 del 1944 alla Pubblica Amministrazione 
relativamente alla liquidazione delle Associazioni 
sindacali fasciste (cifr. in questi sensi: Cass. 5 giugno 
1950, n. 1387). 
La quarta massima non � che la conseguenza del 
principio dianzi enunciato. 

Con la quinta massima il Tribunale ha, a nostro 
avviso, esattamente interpretato l'art. 30 del D.L.L. 
30 novembre 1944, n. 369. 

Nessuna successione si � aperta e nessuna delle 
libere associazioni sorte dopo la guerra pu� arrogarsi 
il diritto di stwcedere, a titolo particolare o universale, 
alle associazioni sindacali fasciste. L'art. 30 della 
legge � molto chiaro in proposito; esso recita testualmente: 
cc I beni che restano disponibili dopo il pagamento 
dei creditori sono devoluti all'ente che dimostrer� 
di aver legalmente la rappresentanza della 
categoria corrispondente a quella tutelata dall'associazione 
disciolta, o all'ente al quale per legge 
siano trasferite le funzioni gi� spettanti all'associazione 
stessa. 

�All'infuori dei casi indicati nel comma precedente, 
i beni residui sono devoluti a scopi di assi


stenza, di istruzione e di educazione a vantaggio delle 
stesse categorie di datori di lavoro e di lavoratori per 
cui l'associazione era stata costituita. 

<< La devoluzione � fatta con decreto del Ministro 
per l'Industria, il Commercio e il Lavoro (oggi 
ministri dell'Industria e commercio e dei L(Jfl)oro e 
Previdenza sociale) di concerto con quelli per 
l'Interno, per le Finanze e per il Tesoro �. 

La devoluzione dei beni � fatta; pertanto, con 
decreto interministeriale e le varie associazioni libere 
possono vantare un interesse legittimo, non mai un 
diritto soggettivo perfetto, alla devoluzione in proprio 
favore. La legge, infatti, lascia un ampio margine 
di �iscrezionalit� all'Autorit� governativa, la quale 
pu� devolvere i beni o all'ente, che ha la legale rappresentanza 
della categoria, o all'ente, al quale la legge 
abbia attribuito le funzioni gi� proprie dell'associazione. 
Alla devoluzione, comunque, non potr� pervenirsi 
prima che sia chiusa la liquidazione (articoli 
28-29 D.L.L. 23 novembre 1944, n. 369), n� potr� 
essere disposta a favore di associazioni di fatto. 
Secondo la lettera e lo spirito dell'art. 30 citato la 
devoluzione dovr� esser fatta a favore dell'ente, cui 
l'ordinamento giuridico riconosca la personalit� e la 
legale rappresentanza della categoria. 

Le condizioni per il riconoscimento della personalit� 
giuridica e, soprattuto, per l'attribuzione della 
legale rappresentanza della categoria alle nuove 
associazioni sindacali debbono essere determinate 
con legge, in esecuzione del precetto, contenute nell' articolo 
39 della vigente Costituzione. 

Finch� non sar� stata promulgata la legge sindacale 
la devoluzione dei beni delle soppresse associazioni 
fasciste non potr� essere attuata e ci� 
ancorch� fossero esaurite le operazioni di liquidazione. 


D'altra parte, finch� non sar� emanato il decreto 
interministeriale di devoluzione, che ha efficacia 
costitutiva, esso operando il trasferimento dei beni 
dall'associazione liquidata al nuovo ente, nessuna 
libera associazione potr� vantare alcun diritto o pretesa 
sui beni dell'associazione soppressa ed in via di 
liquidazione. 

Negli stessi sensi si � pronunziato il Tribunale di 
Roma (sentenza n. 1135 del 31 gennaio-7 marzo 1952 
in causa Ufficio stralcio ConferJ,erazione professionisti 
ed artisti contro collegio geometri e agrimensori) 
mentre il Tribunale di Verona (sentenza 22 settembre-
5 dicembre 1951 in causa Collegio notarile di 
Verona c. Confederazione professionisti ed artisti), 
pur affermando che cc nessun rapporto di continuit� 
pu� essere ritenuto esistente fra gli attuali collegi 
notarili ed i soppressi sindacati fascisti notai, e che 
� � stato legislativamente escluso che il patrimonio 
degli enti soppressi possa essere rivendicato dagli 
attuali collegi � ha ritenuto che questi ultimi avranno, 
a liquidazione ultimata, il diritto di pretendere la 
devoluzione degli eventuali beni dell'ente disciolto, 
che resteranno disponibili dopo il pagamento dei 
creditori. 

Tale principio, per quanto � stato detto i"nnanzi, 
non � accettabile avendo la legge concesso all' A mmi--nistrazione 
un ampio potere discrezionale nella scelta 
dell'ente a cui devolvere i beni residui. 

�, infine, molto dubbio se la prima parte dell'art. 30, 
il quale presuppone un'organizzazione sindacale 


-192 


unitaria, possa ritenersi tuttora in vigore [in presenza 
dell'art. 39 della Costituzione, che sanziona 
la libert� della associazione sindacale. Sembra, 
pertanto, potersi sostenere che all'esito della liquidazione 
i beni residui dovranno essere destinati, ai 
sensi del 2� comma dell'art. 30, a scopi di assistenza, 
istruzione ed educazione a vantaggio delle stesse 
categoria di datori di lavoro e di la1;oratori, per cui 
l'associazione era stata costituita. 

(G. G.) 
CONTRATTI DI GUERRA -Liquidazione equitativa Proponibilit� 
della domanda -Obbligazione contratta 
in valuta straniera -Cambio -Interessi. (T.ibunalr 
di Roma, Sez. I, 18 dicemke 1951 -P.~s.: F. angipani: 
Est.: Mazzacane -Lo Pi:esti c. Tesoro) 

� proponibile l'azione giudiziaria avverso la 
liquidazione equitativa fatta dal Commissario 
per la liquidazione dei contratti di guerra, ai sensi 
del D.L. 25 marzo 1948, n. 674, ma la domanda 
di maggiore liquidazione � infondata ove l'attore 
non provi il credito vantato per l'intero ammontare. 


Il pagamento di un debito c~mtratto in moneta 
straniera deve essere effettuato, ai sensi dell'articolo 
1278 Codice civile, secondo il cambio corrente 
nel luogo e nel tempo della scadenza, che coincide 
col compimento dei lavori e l'approvazione degli� 
stessi. 

L'art. 1224 'Codice civile � inapplicabile sia perch� 
l'art. 5 D.L. 25 marzo 1948, n. 674, esclude 
ogni pretesa relativa al ritardo nel pagamento, 
sia perch� nella specie il ritardo non � attribuibile 
a colpa dell'Amministrazione, essendo stato determinato 
da causa di forza maggiore. 

Sulla esattezza della prima massima riteniamo 
di dover dissentire, insistendo sulla tesi sostenuta in 
giudizio, che � stata sostanzialmente, ma non formalmente, 
accolta dal Tribunale. 

Nella specie la ditta non aveva potuto fornire le 
prove del suo credito ed il commissario lo aveva 
liquidato in via equitativa. Sostenemmo che un'azione 
diretta al riesame di tale liquidazione equitativa 
fasse improponibile e che l'Autorit� giudiziaria non 
potesse condannare l'Amministrazione al pagamento 
di somma, di cui l'attore non provasse di essere 
creditore. 

Il Tribunale ha sostanzialmente accolto le tesi 

dell'Amministrazione, richiedendo la prova del cre


dito e negando di avere il potere di condannare senza 

prove e, cio�, in via equitativa. 

Ci sembra, perci�, che fosse pi� esatto dichiarare 

improponibile anzich� rigettare la domanda di 

maggior liquidazione. 

Con le ultime due massime il Tribunale ha esatta


mente applicato la legge, accogliendo la tesi sostenuta 

dalla Amministrazione. La natura dei lavori (demo


lizione di capannoni), il luogo (Tunisia) ed il tempo 

(15 aprile (1943) escludevano la necessit� di un 

f armale collaudo, divenuto impossibile per l' abban


dono del territorio. La scadenza dell'obbligazione 

non poteva, perci�, che coincidere col compimento 

dei lavori. 

PROCEDIMENTO CIVILE -Sostituzione processuale Citazione 
diretta del sostituito -Validit� -I.R.O. Rappresentanza 
necessaria del sostituto da parte dell'Avvocatura 
dello Stato -Inosservanza -Nullit� 
della citazione -Insussistenza. 

1. Per principio generale di diritto, nel caso di 
sostituzione processuale, il sostituito pu� essere 
citato direttamente in giudizio in luogo del sostituto. 
2. Non si d� luogo, pertanto, a nullit� dell'atto 
di citazione notificato direttamente all'I.R.O. (International 
Refugee Organization) in persona del 
suo legale rappresentante, anzich� al suo sostituto 
processuale (Presidenza del Consiglio dei 1VIinistri, 
.Amministrazione aiuti internazionali), presso 
la competente .Avvocatura dello Stato. 
COMPETENZA E GIURISDIZIONE -I.R.o. -Soggetto 
di diritto internazionale munito di immunit� 
giurisdizionale -Difetto di giurisdizione -Insussistenza 
della qualifica -Conferma della giurisdizione Regolamento 
per il personale. dell' I.R.O. -Clausola 
compromissoria -Validit� -Difetto di giurisdizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria. (Tribunale di Trieste, 
20 luglio 1951, n. 351 -Pres.: de Dottori; Est.: 
Boschini -Vicelli contro LR.O. Missione d'Italia). 

3. L'I.R.O., quale Istituto specializzato privo 
di personalit� giuridica internazionale, � priva di 
immunit� giurisdizionale. 
4. Essendo tuttavia un istituto di diritto internazionale 
sui generis, essa ha il potere di 
fissare da s� le norme per la risoluzione delle controversie 
col proprio personale ed avendo disposto 
in via generale ch'esse siano rimesse per la decisione 
all'arbitraggio dell' .Avvocatura dello Stato, 
tale clausola � valida e comporta il difetto di giurisdizione 
dell' .Autorit� giudiziaria . ordinaria a 
conoscere delle controversie stesse. 
NA'.l'URA GIURIDICA DELL' I.I{.Q. 
E CONTROVERSIE COI PROPRI DIPENDEN'.l'I. 


1. Con la sentenza che si annota il Tribunale ha 
risolto, ma (se si prescinde da alcune consegitenze 
pratiche) in modo affatto insoddisfacente, la controversia 
insorta fra l'I.R.O., Missione per l'Italia (International 
Refugee Organizzation) e un suo ex dipendente. 
Le questioni ti:attate, problemi posti e rimasti 
insoluti, la novit�, per Clrti aspetti, della materia, 
meritano qualche illustrazione anche se nel frattempo, 
col 31 rnarzo 1952, la Missione I.R.O. per 
l'Italia � stata chiusa e gli uffici italiani di collegamento 
hanno cessato di funzionare cedendo il posto 
ad altn istituzioni di natura di'versa e, in particolare, 
ad una Missione dell'Alto Cornmissariato delle 
Nazioni Unite per i Rifugiati e ad un nuovo Ufficio 
di collegarmento istituito presso il Servizio Stranieri 
del Ministero degli Affari esteri. Siccorne per� � 
possibile che le cause gi� pendenti contro l'I.R.O. 
siano riassitnte nei confronti dell'Amministrazione 
italiana (Direzione Generale dell'Emigrazione, Ministero 
degli Esteri), e in tal caso si presenti l'�ppor~tunit� 
di riproporre le eccezioni gi� proprie dell'I. 
R.O., ecco che questo esame si manifesta utile anche 
sotto un profilo pratico, oltre che per il suo ltspetto 
d'interesse scientifico. 

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-193 


2. I terrnini della controversia sono, brevemente, 
i seguenti. 
Il Viecelli, gi� assunto in servizio dall'I.R.0.Italia 
nel territorio della Repubblica, dopo un suo 
trasferimento a Trieste dove l'I.R.O. manteneva una 
propria agenzia, venne q'ui licenziato per riduzione 
di personale. Oontestando la legittimit� di tale licenziamento, 
perch� asseritamente disposto mentre 
egli era ammalato e in sovvenzione dell'I.N.A.M., il 
Viecelli citava l'I.R.O. davanti al Tribunale di Trieste 
notificando l'atto direttamente al Oapo della Missione. 

L'I.R.O. si costituiva puntualmente, colla rappresentanza 
dell'Avvocatura distrettuale di Trieste, e 
sollevava, tra l'altro, le seguenti eccezioni: 

a) nullit� della citazione, per essere stata la 
stessa notificata direttarnente all'I.R.O., anzich� al 
suo sostituto processuale, la Presidenza del Oonsiglio 
dei Ministri, Amministrazione aiuti internazionali; 

b) difetto di giurisdizione del Tribunale adito 
per essere l'I.R.O. un ente di diritto pubblico internazionale 
munito di immunit� giurisdizionale; 

e) difetto di giurisdizione del Tribunale, per 
essere comunque la vertenza contrattualmente e per legge 
riservata all'arbitraggio dell'Avvocatura dello Sta.to. 

Oontestava poi nel merito la fondatezza della domanda 
ed offriva prove testimoniali. 

Tralasciarno qui di esaminare una nutrita schermaglia 
iniziale fra le parti, che pure presenterebbe 
non pochi lati interessanti, originata dalla contestazione 
mossa dall'attore alla validit� della costituzione 
dell'I.R.O. per mezzo dell'Avvocatura di Trieste, 
schermaglia che culmin� colla dichiarazione di contumacia 
dell' I.R.O., pur ben presente e vitalissima 
nella difesa dei propri diritti, e fu infine risolta legislativarnente 
con un provvedimento che consent� 
in extremis il rientro della convenuta in causa, troppo 
tardi per esplicare le sue prove sui fatti, ma in tempo 
per difendere le sue tesi in diritto (1). 

(1) L'attore aveva fondato la sua contestazione nei 
seguenti punti: 
a) mancanza d'un mandato ad litem all'Avvocatura 

di Trieste (che andava tenuta ben distinta dall'Avvo


catura di Stato italiana); 

b) negato riconoscimento di tale qualifica alla let


tera colla quale il G.M.A. aveva autorizzato detta 

Avvocatura a rappresentare l'I.R.O., in quanto esso . 

G.M.A., a sua volta, non rappresentava l'I.R.O.; 

o) invalidit� d'una rappresentanza dell'I.R.O. da 
parte dell'Avvocatura di Trieste sulla base dell'art. 43 
del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611. Ribatteva la difesa 
dell'I.R.O. che la rappresentanza era nella specie fondata 
non gi� su un inammissibile mandato speciale o 
sull'art. 43, ma sull'art. 48 del T. U., dovendosi l'I.R.O. 
oonsiderare un soggetto di diritto internazionale equiparabile 
nei rapporti esterni ad uno Stato straniero, ed 
essendo stata data nella specie (da parte del G.M.A.) la 
speciale autorizzazione richiesta dalla norma. Il giudice 
istruttore, con un'ordinanza notevole solo per la sua 
elittica motivazione, senza bene chiarire in accoglimento 
di quale principio giuridico, dichiarava la contumacia 
dell'I.R.O. L'Organizzazione corse ai ripari ed ottenne 
direttamente dal G.M.A., in sede legislativa locale, un 
emendamento degli articoli 43 e 48 del T. U. (Ordine 

n. 19 del 1� novembre 1951) in virt� del quale venne 
espressamente ammessa la rappresentanza in giudizio da 
parte dell'Avvocatura distrettuale di Trieste degli Enti 
ed Amministrazioni internazionali, previa autorizzazione 
da rilasciarsi dal Direttore degli Affari legali del 
G.M.A. Fu appunto sulla base d'una siffatta nuova autorizzazione 
che l'I.R.O. pot� ricostituirsi in giudizio in tempo 
per lo scambio della comparsa conclusionale e per la 
vittoria sull'ultima delle proprie eccezioni preliminari. 
3. Il Tribunale ha anzitutto disattesa l'eccezione 
pregiudiziale della nullit� della citazione, notificata 
direttamente all'I.R.O. e non al suo sostituto processuale, 
l'Amministrazione italiana, presso la competente 
A vvocatttra dello Stato. 
Tale ecce.zione, non nuova (1), riposa 8'1tll'accordo 
Governo italiano-Oomitato preparatorio per l'I.R.O., 
approvato con decreto legislativo 6 marzo 1948, numero 
468, all'art. V: (comma 3) del quale si legge 
appunto che �il Governo (italiano) si assume l'espletamento 
e la composizione di azioni contro il Oomitato 
preparatorio per l'I.R.O. o per conto di esso... >>. 

Ohe si tratti d'1tn esempio di sostituzione prevista 
dalla legge, e quindi inoppugnabilmente valida ai 
sensi dell'art. 81 O. p. c. non vare dubitabile (2). 
Un legittimo dubbio aveva invece sollevato la difesa 
dell'attore, osservando che la sostituzione stessa avrebbe 
dovuto operare in virt� d'una norma italiana 
non estMa a Trieste e perta,nto qui inefficace; dubbio, 
peraltro, che la difesa dell'I.R.O. presumeva di aver 
fugato deducendo che in terna di capacit� di agire e 
contraddire conta lo statuto personale dell'attore o 
convenuto, statuto personale che, per l'I.R.O. Italia, 
comportava la perdita di detta capacit�, che s'era 
trasferita nell'Amministrazione italiana. In altri 
termini la sostituzione processuale doveva, considerarsi, 
con riferimento all'I.R.O., alla stregua dei 
diritti della personalit�, di quei diritti cio� che ineriscono 
nei soggetti come parte integrante degli stessi, 
dovunque essi si trovino ad operare legalmente. A 
parte ci�, la sostituzione processuale era stata implicitamente 
accettata dall'attore mediante l'accettazione 
d'uno speciale contratto-regolamento di pubblico 
impiego che presuppon�va nell'Ente non solo 
una posizione di preminenza comune a tutti gli Enti 
pubblici, ma pure �una speciale condizione di privi


(1) L'eccezione della nullit� della citazione fatta direttamente 
all'I.R.O., e non al suo sostituto processuale 
presso l'Avvocatura dello Stato, fu gi� accolta dal Tribunale 
di Roma con sentenza 31 dicembre 1949-3 novembre 
1950 in causa Winter c. I.R.O. �Per effetto di 
tale sostituzione -dice la sentenza -operante in tutte 
le azioni giudiziali concernenti l'I.R.O., la legittimazione 
ad agire e a contraddire per l'I.R.O. spetta unicamente 
all'Amministrazione dello Stato italiano. Conseguentemente 
... l'attore non avrebbe dovuto (come fece) citare 
l'I.R.O. in persona del suo legale rappresentante, 
ma per l'I.R.O. il competente organo dell'Amministrazione 
italiana, con le prescritte forme di notifica presso 
l'Avvocatura dello Stato (art. 144 0.p.c. in relazione 
all'art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611). Non essendo 
ci� stato fatto, la mancanza di notifica presso 
l'Avvocatura sello Stato importa, giusta il costante insegnamento 
della Suprema Corte di Cassazione, la nullit� 
dell'atto di citazione: nullit� che, essendo appunto 
" assoluta o radicale ", non � sanabile n� con la comparizione 
in giudizio della stessa Avvocatura... n� con la 
rinnovazione della citazione medesima�. (Ofr. in tal senso 
la giurisprudenza consolidata ivi citata). 
(2) La dottrina presenta ancora, invero, qualche incertezza 
sull'istituto della sostituzione processuale. 
pi� per� concordano ormai nel considerarla una categoria 
della legittimazione ad agire e a contraddire, che 
trova origine nella non coincidenza fra soggetto del processo 
e soggetto della lite (ALLORIO : Diritto processuale 
tributario, Giuffr�, Milano, 1941, pag. 350; ANDRIOLI: -Sostituzione 
processuale, in" Riv. Dir. Proc. >>, 1935, vol. I, 
pag. 331: OARNELUTTI: Istituzioni del nuovo processo 
civile italiano, Roma, 1941, pag. 93; DE BLASIO: Sostituzione 
prooessuale, in ccNuovo Digesto Italiano�, vol. XII, 
pag. 649; ZANZUCCHI: Diritto processuale oivile, Giuffr� 
Milano, 1947, vol. I, pag. 310 e segg., ecc.). 

-194 


legio sua propria particolare, e cio� appunto la sostituzione 
processuale. Pertanto il D. L. 6 marzo 
1948, n. 468, esteso o no a Trieste, costitufoa comunque 
una clausola implicite. del contratto stipitlato 
dall'attore ed avvva, quindi, valore di legge quantomeno 
fra le parti. 

Il giudice ha, disinvoltamente superato questi argomenti 
affermando apoditticamente che cc per principio 
generale di diritto ... il sostituito pit� venire citato 
direttamente in giudizio �, col che veniva reietta 
l'eccezione di nullit� della citazione. 

Ora non risulta che dottrina e giurisprudenza abbiano 
trattato ex professo il punto. Sembra, tuttavia, 
legittimo a questo proposito il rilievo che se generalmente 
il sostituito pu� intervenire nel processo per 
agire in proprio a fianco del sostituto o per difendere 
al suo fianco il proprio diritto aggredito, non possa 
invece affermarsi il diritto della controparte a costituire 
una sua scelta il contradditorio anche o solo 
nei confronti del sostituito, perch� ove cos� f�sse verrebbe 
completamente frustato lo scopo della legge. La 
sostituzione processuale pi� tipica che la legge prevedeva, 
in regime monarchico, era qu,ella del ministro 
della real casa in sostituzione del re e dei membri 
della famiglia reale (art. 76 O.p.c.). � ovvio che 
tale sostituzione era voluta dalla legge per im]fedire, 
per ragioni di prestigio, che si instaurasse il contradditorio 
nei confronti di tali alti personaggi, senza 
che con ci� venisse meno la tutela del diritto delle 
controparti. Orbene, ammettere che le controparti po-� 
tessero ci� nonostante citare direttamente in giudizio 
il sostituito -come afferma senza argomentare il 
Tribunale di Trieste -significherebbe annullare il 
proposito della norma protettiva. L'esempio offerto 
dalla rausa che si esamina � altrettanto chiaro: l' I. 
R.O., per esplicare la sua benefica opera di assistenza 
in Italia (e a Trieste) in favore di tante persone duramente 
colpite dalla guerra, ha chiesto e ottenuto dal 
Governo italiano l'adozione di una speciale protezione 
che la mettesse al sicuro da ogni fastidio processuale, 
sia attivo che passivo. Evidentemente, anche 
questa sostituzione processuale, come quella dei 
membri della real casa, o � obbligatoria erga omnes, 
oppure, se dev'essere subordinata alla capricciosa 
scelta dell'antagonista attore (o, sebbene pi� difficile 
da configurarsi, dell'antagonista convenuto), si svuota 
automaticamente di tutto il suo contenuto protettivo: 
il che � manifestamente assurdo. La questione, sollevata 
d�ll' attore, della non validit� a Trieste del 

D. L. 6 marzo 1948, n. 468, colle contrarie argomentazioni 
dell'I.R.O., non era dunque evitabile, e, qualora 
l'esame fosse risultato favorevole alla tesi dell' 
I.R.O., la nitllit� della citazione ad essa direttamente 
notificata ne sarebbe stato un logico e inevitabile 
corollario. 
4. Ma dove la sentenza del Tribunale di Trieste 
ci trova pi� fortemente dissenzienti � quando nega 
all'I.R.O. la personalit� giuridica internazionale, 
per essere -vi si dice -istituzione cc non destinata 
a far agire i soggetti nel cui interesse � stata creata e 
riconosciuta, ma soltanto ad agire nell'interesse di 
questi �; e dove le si nega l'immunit� giurisdizionale. 
Il ragionamento, piuttosto confuso, col quale il 
Tribunale vuol passare la sua decisione, sembra 
voler arieggiare a quella teoria che nega (sulla falsa


riga del FLORtO: Le Organizzazioni internazionali, 
Giuffr�, 1949, pag. 121) allf. specialized agencies la 
piena capacit� internazionafo perch�, pur godendo 
di autonomia sia rispetto all'O.N. U. che rispetto agli 
Stati membri, esse non avrebbero un'attivit� che le 
costit-uisca destinatarie; v11r nome proprio, di nonne di 
diritto internazionale cotnune. 

Non condividiamo questa opinione n� per l'I.R.O. 
n�, in tesi generale, per gli altri << istituti specializzati
� collegati coll'O.N. U. ed operanti nel quadro 
dell'art. 57 dello Statuto delle Nazioni Unite. NeJare 
personalit� giuridica internazionale all'I.L.O. 
(Organizzazione internazionale del lavoro), alla F. 

A.O. (Organizzazione per l'alimentazione e l'agricolt,
ura), all' U.N.E.S.0.0. (Organizzazione delle N. U. 
per l'educazione, la scienza e la cultura), al Fondo 
Monetario Internazionale, alla Banca I nternazionale 
per la ricostruzione e lo sviluppo, alla W.H.O. 
(Organizzazione mondiale della sanit�), e infine allo 
I.R.O., significa fare marcia indietro in quella 
strada dell'evoluzione sulla quale il diritto internazionale 
ha gi� percorso grandi e decisivi passi (1). 
Oi limitiamo ad affermare col Piccardi che la tesi 
della personalit� gi'uridica di tali istititzioni cc non 
trova pi� ostacolo nella pretesa �che solo gli Stati 
possono essere soggetti dell'ordinamento internazionale, 
essendo tale pretesa abbandonata dalla migliore 
dottrina�. 

In particolare per l'I.R.O., quale miglior prova e 
dimostrazione della sua capacit� giuridica internazionale 
che nella serie di accordi da essa stipulati 
con quasi� tutti gli Stati europei occidentali, su un 
perfetto piede di parit�, da soggetto a soggetto, ottenendo 
garanzie, sicurezze e privilegi che si sarebbero 
potuti definire, prima d'ora, tipicamente statuali? 
Il Tribunale non ha speso una parola sull'accordo 
tra il Governo italiano ed il Comitato preparatorio 
per l'I.R.O., concluso a Roma il 24 settembre 
1947 e approvato col citato D. L. 6 marzo 1948, 

n. 468, che da solo bastava a qualificare l'I.R.O. 
come ente dotato di itna propria attivit� internazionale, 
formatore, attraverso accordi, di norme di I 
diritto internazionale e a sua volta destinatario di 
tali norme. 
(1) Sui soggetti di diritto internazionale diversi dagli 
IStati e sulla loro immunit� giurisdizionale vedere: FEDOZz1, 
Gli Enti collettivi nel Diritto internazionale, Verona 1897; 
RUFFINI, La natura giuridia delle Unioni internazionali 
amministrative, in �Riv. Dir. Pubblico >>, 1928, I, 241 

I e la ricchissima dottrina ivi riportata; CAVAGLIERI, 
I soggetti del Diritto iinternazionale in �Riv. Dir. Internaz, 
>>, 1925, p.3.g. 18 e segg.; RAPISARDI e MmABELLI: 
La natura giuridica dell'Istituto internazionale di agri'., 
coltura e la categorfo di enti istituzionali internaz., in � Jus 
gentium,,, 1938, pag, 125-144; PICCARDI: L'Istituto interna


' 

zionale di agricoltura e la giurisdizione dei Tribunali 
italiani, in cc Riv. Dir. Proc. civ." 1933, II, l; ANZILLOTTI: 
in cc Riv. Dir. Internaz. >>, 1910, p~g. 477, 1914, pag. 156164; 
MORELLI, L'Istituto internazionale agricoltura e la 
giurisdizione italiana, in �Foro Ital. >>, 1931, col. 1244 e 
segg.; MONACO: Manuale Diritto internazionale pubblico 
e privato, Torino, U.T.E.T., 1949, pag. 110 e altrove; PROVINCIALI, 
L'immunit� giurisdizionale degl:i Stati stranieri, 
C.E.D.A.M, 1933, pag. 174; FERRARA, in �Riv. Dir. Pub.blico 
1931 >>, I. pag. 531; OLIVI: Diritto internazionale 
Pubblico, 3a ediz., Hoepli, Milano, 1933, pag. 615; BALJ,
ADORE e P ALI,IERI: Diritto internazionale, 4a ediz, Giuf


fr� , 1946, pag. 236, 256 e altrove; e numerosissimi altri 
citati nelle opere qui elencate. 


-195


Nuova luoe ha ricevuto ora l'eterodossia del Tribunale 
di Trieste dalla emanazione della legge 24 
agosto 1951, n. 1740, pubblioata solo il 5marzo1952, 
oolla quale la Repubblioa Italiana ha aderito e dato 
eseouzione alla Convenzione sui privilegi e le imrnunit� 
delle istituzioni speoializzate, adottate dall'Assemblea 
generale delle Nazioni Unite con risoluzione 
21 novembre 1947. Probabilmente, se il Tribunale 
avesse potuto oonosoere e utilizzare questo fondamentale 
ed esplioito rioonosoimento della immunit� 
giurisdizionale delle istituzioni figliate dall'O.N. U., 
il suo giudizio non sarebbe stato in oonfiitto ool 
livello oggi raggiunto dal diritto internazionale. 

Anzitutto, infatti, all'art. II, Sezione 3, della oitata 
legge, si rioonosoe ohe Les institutions sp�cialis�es 
poss�dent la personalit� juridique; personalit� giuridioa 
ohe non pu� essere che pubblioa, data la natura 
degli enti, ed internazionale (sia pure oon oapaoit� 
limitata), dato il rioonosoimento oontemporaneo, mediante 
la Convenzione, da parte degli altri soggetti 
di diritto internazionale. 

All'art. III, Sezione 4, si determina poi per la 
prima volta claris verbis oi� ohe la migliore dottrina 
e giurisprudenza ave�vano gi� affermato ripetutamente 
(1) e oio� ohe �les institutions sp�oialis�es, 
leurs bien et avoirs, en qualque endroit <.J.it'ils se trouvent 
et quel qu'en soit le d�tenteur, jouissent de l'immunit� 
de juridiction, sauf dans la mesure ou' 

(1) Il MORELLI, il PwoARm, il FERRARA, il MoNAOO, 
ecc., op. cit., affermano il principio dell'immunit� 
giurisdizionale {o, secondo una pi� appropriata 
terminologia, dell'esenzione dell'azione) e, in particolare, 
insistono sull'immunit� con mflesso ai rapporti fra 
detti enti e i propri impiegati, rapporti che devono essere 
considerati come di diritto pubblico (Piccardi) che 
attendono alla funzione giuridico-pubblica dell'ente (Morelli), 
e sono creati in base all'ordinamento giuridico 
dell'ente e disciplinati dallo stesso (Ferrara). 
Il Ferrara ha inoltre proposto una nuova teoria a 

sostegno dell'esenzione dall'azione, fondandola, indi


pendentemente dall'immunit� giurisdizionale, sul con


cetto di autonomia. cc Il rapporto d'impiego -egli dice 

(op. cit.) -� compreso nella sfera di tale autonomia. 

L'Unione regola il rapporto col suo diritto interno. 

Regolare un rapporto significa ed implica non soltanto 

disciplinare lo svolgimento normale ma anche le forme 

di garanzia degli interessi della parti nel caso di svolgi


mento anormale: pone la norma di diritto materiale e 

la norma di diritto processuale >>. 

Quanto alla giurisprudenza, vedere la commentatis


sina sentenza della Cassazione, Sezioni unite civili, 26 

febbraio 1931-13 maggio 1931 (in cc Riv. Dir. Proc., 

1933 �, II, pag. 3-51): Istituto Internazionale Agricoltura 

contro Profili, in cui si legge che cc i rapporti di impiego 

fra detto Ente e i suoi dipendenti sono sottratti per la 

natura internazionale dell'Ente stesso, alla giurisdizione 

dello Stato italiano �; e dove si rileva che il carattere 

pubblico internazionale dell'Ente � riconoscibile dal 

fatto che ai suoi delegati e funzionari superiori, nello 

esercizio della loro attivit�, sono state concesse le im


munit� diplomatiche: esattamente come ora, nell'Ac


cordo 24 ottobre 1947, alla Missione italiana dell'I.R.O. 

(art. IV). Notevole anche, ma solo per ci� che attiene alla 

esenzione dell'azione riferita al rapporto d'impiego, la pi� 

recente decisione della Cassazione, Sezioni unite civili, 

12 maggio 1947, n. 740 (in cc Foro !tal.�, 1948 col. 855


858), Tani contro Rappresentanza commerciale U.R.S.S. 

Altri utili riferimenti su questo punto: ANzILLOTTI: 
Corso di Diritto internazionale, 1928, pag. 263; ROMANO: 
Corso Diritto internazionale, Padova 1929, pag. 224; 
BoRSI: Il rapporto d'impiego nella Societ� delle Nazioni, 
in cc Riv. Dir. Internaz. � 1923, pag. 261-295 e 425-449; 
BALDONI: Gli organi e gli Istituti nelle Unioni internazionali, 
in � Riv. Dir. Internaz. �, 1931, 488. 

elles y ont express�ment renono� dans un oas partioulier 
�. 

Che di pi�, una volta ohe sia ammesso (e non pu� 
non esserlo), ohe l'I.R.O., anche se non espressamente 
menzionata nella Convenzione, rientra tuttavia 
nella lettera (j) della Sezione 1 dell'Art;� I (tonte 
autre institution relir�e � l'Organisation des N ations 
Unies oonform�ment aux articles 47 et 63 
de la Charte )? 

5. Il :tribunale ha aooolto quella che per l'I.R.O. 
non era ohe una difesa di ripiego, vale a dire l'eooezione 
di difetto di giurisdizione per essere la vertenza 
riservata al giudizio arbitrale. Ciroa tale eooezione 
erano sostenibili almeno due obiezioni, oon riohiamo 
all'art. 806 in correlazione agli artieoli 429 e 459 
C. p. o. (esclusione dell'arbitrato nelle cause del lavoro); 
e all'art. 809 C.p.o. (generalit� della designazione 
degli arbitri). 
Nessun dubbio nella natura pubblioistioa del divieto, 
contenuto nella norma italiana, di oompromettere 
in arbitri oause del lavoro, e della portata generale 
di tale norma. Sorprendente inveoe che il Tribunale, 
ohe pure aveva rifiutato di riconosoere la 
vera natura giuridioa. dell'I.R.O., abbia inveoe ammesso 
oh'essa ((ha il potere di fissare da s� le norme 
ohe dovranno regolare i rapporti fra essa e i privati �. 
Enunoiazione troppo ampia e disoutibile, in quanto 
sembrerebbe voler inoludere anohe la sfera degli atti 
iure. gestiony, ohe oertamente son regolati o dalla 
volont� delle parti o dalla legge oomune delle stesse 
o, spesso, dalla legge del luogo ove tali rapporti sorgono. 
Ma enunciazione oorretta l� dove oontiene 
l'affermazione ohe nel rapporto di lavoro tra l'I.R.O. 
e un suo dipendente non s'inoontrano due uguali 
volont�, ma, da un lato, la potest� regolamentare au


tonoma d'un soggetto di diritto internazionale (po


test� rioonosoiuta dallo stato ospitante in oui il oon� 

tratto si � perfezionato), e la volont� adesiva del pre


statore d'opera. In tale quadro, indubbiamente, la 

olausola arbitrale � validissima sull'altro costituendo 

un'estrinsecazione positit!a di quella potest�, spe


cificatamente e tipicamente diretta alla tutela del


l'organizzazione propria interna dell'ente, ed assolu


tamente sottratta all'esame da parte dell'autorit� giu


diziaria dello Stato ospitante. Giudicare della vali


dit� della norma regolamentare, che attribuisce la so


luzione di tali vertenze all'arbitraggio dell' A vvoca


tura dello Stato italiano, sulla base del diritto italiano, 

sarebbe certo arbitrario. L'Ente internazionale, es


sendo soggetto autonomo di diritto, si d� all'interno 

le norme che crede; le quali, buone o cattive che siano 

nel giudizio altrui, potranno essere criticate in sede 

scientifica, ma non certo attraverso il traguardo delle 

norme interne positive di un altro soggetto internazio


nale, quale lo Stato ospitante, il quale ha fini diversi 

e, ovviamente, diversi mezzi per attuarli. Giudicare 

di questi fini, e dall'idoneit� a raggiungerli dei mezzi 

predisposti, costituirebbe ingerenza inammissibile 

d'un ordinamento nell'altro. 

L'I.R.O. ha regolato i rapporti d'impiego "�oi propri 
dipendenti nel modo che ha ritenuto pi� confa--cente 
ai suoi fini organizzativi. Ha fatto meglio di 
tanti altri soggetti di diritto internazionale non statuali 
in quanto ha affidato il compito di giudice ad 
un terzo estraneo, tecnicamente competente (l'A vvo



-196 


catura dello Stato italiano). Creando sin dal'origine sibbene perch� anche mancando tale clausola e in diuno 
strumento di giustizia indipendente per questi fetto di qualsiasi predisposta tutela giurisdizionale, 
specifici rapporti, essa ha fatto pi� di quello che per per l'autonomia della potest� regolamentare dell'I. 
molti anni aveva fatto nientedimeno che la Societ� R.O., il rapporto I.R.O. dipendente � sottratto alla 

delle Nazioni, ch'era del tutto sprovvista d'un organo 
giurisdizionale. 

Questo criterio assorbe ovviamente ogni rilievo 
circa l'idoneit� e la determinatezza della clausola 
arbitrale (1), ma non come vorrebbe la sentenza annotata, 
sulla base della stessa clausola arbitrale, 

(1) Articolo 9, para.gr. 1, del Regolamento del Personale 
locale dell'I.R.0.-Italia: cc In caso di controversie 
contrattuali fra l'Amministrazione e l'impiegato, qualora 
queste non possano esserer isolte nell'interno dell'Amministrazione 
stessa, saranno deferite all'arbitraggio dell'Avvocatura 
dello Stato�. 
giurisdizione dello Stato ospitante. _Oh�, se la validit� 
della clausola dovesse essero f!iudicata dalla 
clausola stessa, alla stregua del diritto italiano, qualche 
dubbio dovuto alla sua indeterminatezza non sarebbe 
in questo caso del tutto ingiustificato. 

Il principale difetto di questa sentenza sta appunto 
nell'avere intuito solo parzialraente e con ritardo una 
verit� che riposa nella natura stessa dell'I.R.O. e 
che, una volta accettata, doveva esserlo senza riserve 
ed ini,estire l'intero rapporto dedotto in giudizio e 
portare alla declaratoria del difetto di giurisdizione 
non gi� sulla base d'una altrimenti discutibile clausola 
arbitrale, ma in applicazione ed osservanza del 
principio dell'esenzione dall'azione. 

:M. 0ECOVINI 

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RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


I PROVVEDIMENTI SONO ELENCATI SECONDO L'ORDINE 

DI PUBBLICAZIONE SULLA 'GAZZETTA UFFICIALE, 

I. 
1. 
Legge 16 agosto 1952, n. 1206 (G. U., n. 219): Interpretazione 
dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, 
recante norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione 
e assegnazione dei terreni ai contadini. 
Si tratta della interpretazione della formula �intera 
propriet� � contenuta nel primo comma del citato articolo 
4, nel senso che essa comprende la propriet� di 
tutti i beni terrieri situati in qualunque parte del territorio 
della Repubblica. Con questa interpretazione 
autentica si risolvono i dubbi che erano sorti in relazione 
all'applicazione della legge. 

2. Deereto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1952, 
n. 1292 (G. U., n. 237): Modificazioni al decreto del 
Presidente della Repubblica 20 ottobre 1949, n. 884, 
relativo alle Commissioni di conciliazione previste dal 
Trattato di Pace. (Si veda il commento al D.P.R. numero 
884 del 20 ottobre 1949, in questa Rassegna, 
1949, pag. 277). 
Nel presente decreto viene prevista la carica di Segretario 
generale �che coordina l'azione degli agenti e 
degli agenti sostituti presso le singole commissioni di 
conciliazione�. Naturalmente, come abbiamo avvertito 
nel commento al precedent.e D.P.R. n. 884, poich� gli 
agenti e gli agenti sostituti sono avvocati dello Stato' 
ai quali � devoluta istituzionalmente la funzione di rappresentare 
e difendere l'Amministrazione davanti tutte 
le giurisdizioni e in qualunque sede, � evidente che il 
coordinamento affidato al segretario generale ha solo carattere 
amministrativo, essendo, nell'esercizio delle loro 
funzioni di avvocato, gli agenti e gli agenti sostituti 
soggetti solo ai poteri di vigilanza e coordinamento 
dell'Avvocato Generale dello Stato. 

3. Legge 
11 luglio 1952, n. 1641 (G. U., n. 275): Modificazioni 
alla legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi 
del 7 luglio 1952, n. 907. 
Sono modificati alcuni articoli che riguardano il monopolio 
del sale. 

II. 
CAMERA DEI DEPUTATI 

I. 
Disegno di legge n. 469 B (iniziativa governativa): 
Norma sulla costituzione e sul funzionamento della 
Corte Costituzionale. 
Si tratta del testo approvato dal Senato, che ha introdotto 
emendamenti a quello gi� approvato dalla 
Camera dei Deputati e che torna ora alla Camera stessa 
per il nuovo esame. 

Richiamiamo anzitutto quanto abbiamo scritto in 
questa Rassegna, 1948, fase. 7-8, pag. 1 e segg.; fase. 9, 
pag. 1 e segg.; 1950, pag. 162. 

Le modificazioni, contenute nel presente testo, e che 
interessano pi� specialmente le questioni trattate negli 
scritti sopra citati sono le seguenti: 

� stato modificato l'art. 20 ultimo comma nel senso 
che �il Governo, anche quando intervenga (il testo della 
Camera diceva �ove non intervenga �) nella persona 
del Presidente del Consiglio dei Ministri o di un Minis(ero 
a ci� delegato, � rappresentato e difeso dall'Avvocato 
Generale dello Stato o da un suo Sostituto �. Si tratta 
di un evidente miglioramento della formula del testo 
approvato dalla Camera, che risponde esattamente alle 
dichiarate intenzioni del legislatore, che sono.. quelle di 

affidare appunto all'Avvocato Generale dello Stato od 
a un suo Sostituto, in ogni caso, la rappresentanza e la 
difesa in giudizio degli organi del Governo. 

� stato modificato il primo comma dell'art. 37, concernente 
i conflitti di attribuzione fra poteri dello St.ato, 


-198 


nel senso che cc la Corte Costituzionale giudica dei con


III. 1
flitti fra poteri dello Stato, che sono sollevati, per violazione 
delle attribuzioni ad essi assegnati dalla CostiSENATO 
DELLA REPUBBLICA . 
tuzione, dagli organi costituzionali non sottoposti ad 


altri organi nell'ambito dei rispettivi poteri, con istanza 
motivata. Restano ferme le norme vigenti per le questioni 
di giurisdizione >>. 

Questa modifica non porta alcuna innovazione al 
principio sempre sostenuto in questa Rassegna e accolto 
dai due rami del Parlamento, secondo il quale i 
tradizionali conflitti di attribuzione tra potere giudiziario 
e potere esecutivo (ivi compreso il difetto assoluto 
di giurisdizione) rientrano nella competenza della Corte 
Costituzionale. L'inciso �restano ferme, ecc. n significa 
evidentemente solo che i conflitti di giurisdizione tra 
organi giurisdizionali, ordinari e speciali sono-decisi in 
ultima istanza dalle Sezioni Unite della Corte Suprema 
di Cassazione. 

� stato, poi, soppresso il secondo comma dell'art. 37, 
il quale disponeva, tra l'altro, �che la richiesta di risoluzione 
di conflitto pu� essere fatta da altro soggetto che 
la Corte ritenga legittimato n. Si vedano in proposito 
le critiche che facevamo a questa norma nel citato scritto 
di questa Rassegna, 1950, pag. 162. 

� stato infine modificato l'ultimo comma del medesimo 
art. 37, concernente la difesa nel giudizio sui conflitti 
di attribuzione, per ia quale si richiama l'ultimo 
comma dell'art. 20 che affida in ogni caso la difesa e 
la rappresentanza in giudizio degli organi del Governo 
all'Avvocato Generale dello Stato o a un suo Sostituto. 

1. Disegno di legge, n. 1638 A (iniziativa governativa): 
Regolazioni finanziarie connesse con le integrazioni di 
prezzo accordate sul bil�ncio dello Stato. 

Si veda quanto abbiamo scritto in proposito in questa 
Rassegna 1951, pag. 77. La relazione della IX Commissione 
permanente, che propone di non approvare il 
disegno di legge, osserva che esso non tiene conto del 

D.L.C.P.S. 18 gennaio 1947, n. 21 che escludeva dalla 
convalida i provvedimenti della r.s.i. in materia di integrazione 
di prezzi. 
2. Disegno di legge, n. 2728 (iniziativa parlamentare); 
Norme modificative ed integrative agli articoli del testo 
unico di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato 
con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, 
riguardante l'econom,ia delle zone montane. 

All'art. I di questo disegno di legge, che gi� risulta 
approvato dalla Camera dei Deputati, � prevista l'istituzione 
di un Collegio 'Arbitrale obbligatorio che, in 
veste di arbitro amichevole compositore, deve decidere 
sulle controversie previste dall'art. I medesimo. Sorge 
il dubbio se non si venga cos� ad istituire una giurisdizione 
speciale con legge ordinaria, in violazione dell'articolo 
102 della Costituzione. 


INDICE SISTEMATICO 
DELLE CONSULTAZIONI 


LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � STATA DATA 

APPALTO. -Se il supplente, subentrato all'appaltatore 
nella gestione dell'appalto, abbia diritto al rimborso 
della cauzione, da questi costituita, al momento 
della liquidazione definitiva (n. 157). 

AUTOVEICOLI. -I) Se lo stato di particolare 
necessit�, conseguente ad uno sciopero, giustifichi una 
utilizzazione dei veicoli dell'Amministrazione diversa 
da quella autorizzata, cos� da non incorrere nelle sanzioni 
previste dal Codice della strada a carico di coloro che 
pongano in circolazione automezzi per usi differenti da 
quelli per cui venne rilasciata la licenza di circolazione 

(n. 311). -II) Se l'Amministrazione possa provvedere 
alla assicurazione dei propri automezzi. (n. 38). 
CASE ECONOMICHE E POPOLARI. -I) Quale 
sia la natura delle assegnazioni degli alloggi degli Istituti 
case popolari (P. 37 ). -II) Se ai rapporti locativi 
tra gli Istituti case popolari e i loro inquilini siano applicabili 
le vigenti norme vincolistiche (n. 37). 

COMUNI E PROVINCIE. -I) Se nell'occupazione 
di locali scolastici disposta dal sindaco in contravvenzione 
alla norma dell'art. 260 del Regolamento 26 aprile 
1928, n. 1297, possano ravvisarsi i reati previsti dagli 
articoli 633 e 323 Codice penale (n. 38). -II) Se, nell'eventuale 
relativo procedimento penale nei confronti 
del Comune e, per esso, nei confronti del sindaco, debba 
tenersi conto dello speciale istituto della garanzia amministrativa, 
previsto dagli articoli 22 e 51 della legge 
2 marzo 1934, n. 383) (n. 38). -III) Quale valore 
abbiano i motivi nei contratti jure priva.to degli Enti 
pubblici (n. 3>l). -IV) Se mia condizione sospensiva, 
posta nella deliberazione di un Consiglio comunale, 
concernente il trasferimento di alcuni beni, ma di cui 
non sia cenno nel compromesso successivamente stipulato 
in base ad essa, con la controparte, possa ritenersi 
non apposta al compromesso stesso (n. 39). -V) Se la 
norma dello art. 2932 Codice civile, concernente l'esecuzione 
specifica dell'obbligo di concludere un contratto, 
possa applicarsi nei-confronti d'un comune.(n. 39). 

CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO. 
I) Se la facolt� dell'appaltatore di sciogliersi dagli obblighi 
contrattuali, ove l'approvazione del contratto non 
intervenga entro quattro mesi dalla stipula, permanga 

anche nel caso in cm s1 sia data esecuzione immediata 
alle opere (n. 93). -II) Se le suddetta facolt� dell'appalto 
di sciogliersi dall'impegno per decorso del termine 
possa farsi valere, in ogni caso, dopoch� sia intervenuta 
l'approvazione stessa (n. 93). -III) Se, in caso di 
mancata approvazione del contratto, i lavori gi� eseguiti 
porch� disposti d'urgenza, debbano essere liquidati a 
termine dell'art. 337 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 

(n. 93). -IV) Se l'aggiudicatario, pur in pendenza 
dell'approvazione, possa rifiutarsi di eseguire i lavori, 
quando ne sia richiesto d'urgenza dall'organo a ci� 
competente dell'Amministrazione (n. f3). -V) Se 
il rimborso delle spese dovute dall'aggii.ldicatario per i 
lavori eseguiti, perch� disposti d'urgenza, ove non sia 
poi intervenuta l'approvazione del contratto, vada 
fatto in base ai costi effettivi o in base ai prezzi stabiliti 
nel contratto (n. 93). -VI) Se alle spese incontrate 
per l'esecuzione di opere non previste ma necessarie 
possano o meno applicarsi i ribassi d'asta, ove il contratto 
non sia stato approvato (n. 93). -VII) Se il 
deposito cauzionale richiesto per la partecipazione a 
licitazioni private o ad aste pubbliche possa essere versato 
in assegni bancari (n. r4). -VIII) Se l'interesse 
dell'Amministrazione possa ritenersi garantito dal versamento 
del deposito provvisorio mediante vaglia cambiario 
della Banca d'Italia (n. 94). -IX) Se sia possibile 
dispensare una ditta dal versamento di deposito 
provvisorio (n. 94). -X) Se, ottenuto mediante sentenza, 
l'accertamento del credito e, quindi, di un'entrata, 
la stessa, in caso di nullatenenza del debitore, possa 
essere compresa tra i " crediti ritenuti assolutamente 
inesigibili'" di cui alla lettera e) dell'art. 263 del Regolamento 
suddetto e sottoposta alla procedura di annullamento 
(n. 95). 
CONTRATTI DI GUERRA. -I) Quale sia la natura 
del debito della Pubblica Amministrazione per i prezzi 
delle opere e delle forniture per i quali sussiste un legittimo 
impedimento all'effettuazione dei pagamenti, 
come per i crediti ante-armistizio regolati dalla legge 
8 maggio 1946, n. 428 (n. 17). 

ELETTRODOTTO. -I) Se, a norma dell'art. 122 
del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, possa ottenersi la 
rimozione dell'elettrodotto senza indennizzo solo quando 
non vi siano state diverse pattuizioni all'atto della costi



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della relativa servit� e non sia possibile offrira alle cose riportati in servizio o in occasione del serv1z10 

altro luogo adatto (n. 5). -II) Se l'Autorit� giudiziaria 
ordinaria, per disporre ai sensi del medesimo 
art. 122, la rimozione dell'elettrodotto, sia competente 
ad accertare l'impossibilit� di offrire il passaggio su altro 
luogo di propriet� del richiedente (n. 5). -III) Se sia 
competente esclusivamente il Ministero dei Lavori pubblici 
a stabilire che lo spostamento non possa eseguirsi 
senza spese eccessive, e quale sia la congrua indennit� 

(n. 5). 
ESECUZIONE FISCALE. -I) Se sia lecito il patto 
tra un Comune e l'appaltatore dell'esattoria delle 
imposte, per cui il maggior onere derivante da aumenti 
delle retribuzioni dei dipendenti dell'esattoria, intervenuti 
dopo la conclusione dell'appalto, venga posto a 
carico dell'appaltatore medesimo (n. 25). 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. -I) Da quale momento 
decorra il termine biennale, previsto dall'art. 73 
della legge sull'espropriazione per pubblica utilit� per 
la durata dell'occupazione di urgenza (n. 73). -II) 
Se il detto termine biennale cominci a decorrere, ove 
il Consiglio di Stato, a seguito di ricorso giurisdizionale 
dell'interessato, sospenda l'esecutoriet� del provvedimento 
prima che si faccia luogo all'occupazione (n. 73). 
-III) Se la pronuncia del Consiglio di Stato che sospenda 
l'occupazione di urgenza, peraltro gi� intervenuta, 
valga ad interrompere o, comunque, a sospendere la 
decorrenza del termine biennale di decadenza (n. 73). -. 
IV) Se, operante la sospensione disposta dal Consiglio 
di Stato, l'Amministrazione che intenda procedere ad 
espropriazione, debba farlo prescindendo dalla gi� disposta 
occupazione di urgenza (n. 73). 

FALLIMENTO. -Se la cessione di crediti vantati 
nei confronti dell'Amministrazione, riconosciuta dalla. 
Amministrazione medesima, possa spiegare i suoi effetti, 
ove successivamente il cedente sia dichiarato fallito (n. 7). 

FERROVIE. -Se la dichiarazione rilasciata dall'utente 
al fine di esonerare l'Amministrazione da ogni responsabilit� 
per eventuali danni derivanti alle materie caricate 
sui carri cisterna, specializzati per altriprodotti, da residui 
dei precedenti diversi carichi, sia compatibile con la norma 
dell'art. 34 delle Condizioni e Tariffe per il trasporto di 
cose (n. 152). 

IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se l'impiegato dimissionario 
possa formulare domande relative al suo trattamento, 
sul presupposto che sia in facolt� della Pubblica 
Amministrazione di determinare il momento di decorrenza 
delle dimissioni ove le medesime non costituiscano 
una condizione o un termine relativo alla decorrenza 
delle dimissioni stesse (n. 308). -II) Se il comportamento, 
successivo alle dimissioni dell'impiegato, il 
quale continui a prestare servizio sull'erroneo presupposto 
che le dimissioni stesse siano operative solo con 
l'accettazione, possa indurre .a considerare le m�desime 
come revocate (n. 308). -III) Se il salariato dello Stato, 
allontanato dal servizio e licenziato, abbia diritto al 
pagamento degli assegni arretrati, in seguito alla declaratoria-
di illegittimit� del provvedimento dell'Amministrazione 
(n. 303). -IV) Se esista, nel nostro diritto 
positivo, una norma generale, che attribuisca all'impiegato 
pnbblico il diritto di essere indennizzato per i danni 

(n. 310). -V) Entro quali limiti l'impiegato pubblico possa 
agire nei confronti dello Stato per il risarcimento dei 
danni alle cose (n. 310). -VI) Se la dichiarazione del 
dipendente statale emessa a quietanza di una somma 
elargita dalla Pubblica Amministrazione in via equitativa 
per indennizzo danni, non risarcibili obbligatoriamente, 
concreti un atto transattivo e sia sottoposto 
al visto dell'Avvocatura dello Stato (n. 310). -VII) 
Se, in caso di trasporto di agenti ai posti di lavoro su 
veicoli dell'Amministrazione, gli infortuni vadano considerati 
come avvenuti in servizio e per causa di servizio 
(n. 3ll). -VIII) Se spetti la indennit� di preavviso 
a un dipendente dell'Amministrazione, il cui rapporto 
d'impiego si sia risolto in forza della soppressione della 
categoria cui apparteneva (n. 312). -IX) Se il provvedimen+
o di licenziamento abbia carattere dichiarativo 
o costitutivo e, quindi, se la risoluzione del rapporto 
di impiego possa riportarsi alla data di soppressione della 
categoria o meno, tenuto presente che la soppressione 
stessa, disposta con D.I. del 1947, decorre dal 1945 
(n. 312). -X) Quale sia il trattamento economico spettante, 
ai sensi dell'art. 35 del R.D. 10 dicembre 1942, 
n. 1774, agli allievi dell'Accademia navale, nominati 
aspiranti (n. 313). -XI) Se all'aspirante competa, 
comunque, l'eventuale supero o la restituzione delle 
competenze accantonate ai sensi dell'art. 35 del R.D. 
del 1942, n. 1774 (n. 313). -XII) Se nella cc notificazione 
di concorso" per l'ammissione alla Accademia 
Navale possa derogarsi alle disposizioni del succitato 
R.D. 1774 (n. 313). 
IMPOSTA DI REGISTRO. -I) Se siano dovuti 
all'Ufficio del Registro i diritti di segreteria sugli atti 
transattivi e, comunque, sui contratti stipulati nell'interesse 
dello Stato, ove, con espressa clausola, lo Stato 
si assuma tutto il carico delle spese relative (n. 74). 
II) Se, pronunciata giudizialmente la risoluzione di una 
vendita di un certo quantitativo di stoffe, corrispondente 
a determinate caratteristiche, quando non era stato 
ancora individuato l'oggetto del contratto, si abbia 

l'effetto reale di un nuovo passaggio della propriet� 
dell'acquirente all'alienante o soltanto quello obbligatorio 
del risarcimento del danno, non soggetto, come 
tale, alla imposta di registro sulla retrocessione della 
merce (n. 7b}. -III) Se sia dovuta la restituzione della 
tassa di registro, ove il contratto, sospeso dall'Amininistrazione 
ai sensi della legge 1772 del 1940, sia risoluto 
su richiesta della ditta appaltatrice (n. 76). 

IMPOSTA SULL'ENTRATA. -I) Se i diritti fissi 
sui prodotti petroliferi istituiti col R.D.L. 6 aprile 1944, 

n. 106, siano soggetti all'imposta sull'entrata (n. 32). II) 
Se sia dovuta l'imposta generale sull'entrata sui 
canoni di fitto dei locali adibiti ad uso delle ricevitorie 
postali, dei quali l'Amministrazione postale effettua il 
rimborso a favore del ricevitore (n. 33). -III) Se 
Li castagne secche rientrino fra la frutta sgusciata e 
secca, per la quale il D.M. 8 dicembre 1944 stabilisce 
un trattamento pi� favorevole agli effetti dell'imposta 
sull'entrata (n. 34). -IV) Se il termine.di.trenta giorni, 
entro il quale deve essere esercitata l'azione giudiziaria. 
a norma dell'art. 52 della legge 26 gennaio 1940, n. 10, 
decorrente dalla data di notificazione del decreto del 
Ministro e dell'Ordinanza definitiva dell'Intendente, 
possa ritenersi decorso perch� con l'atto introduttivo 

-201


del giudizio l'attore ha mostrato di essere edotto della 
esistenza di detto decreto od ordinanza, ad onta della 

mancata notifica (n. 34). 

IMPOSTE E TASSE. -I) Quale sia la natura del 
fenomeno della traslazione delle imposte (n. 180). II) 
Se l'aggravio, derivante ad uno dei contraenti 
dall'estensione dell'addizionale sui tessili, sopravvenuta 
nell'intervallo fra la stipulazione e:l'approvazione del 
contratto, possa considerarsi quale uno di quegli eventuali 
maggiori oneri, imprevisti e imprevedibili, che rien_ 
trano nell'alea del commercio e che non creano alcuna 
necessit� di modificazione del contratto, se non nei 
casi e nei limiti previsti dalla legge (art. 1467 Codice 
civile) (n. HO). -III) Se il ritardo nell'approvazione 
del contratto dia luogo a responsabilit� della Pubblica 
Amministrazione (n. 180). -IV) Se le indennit� di 
mora, da pagarsi ai sensi dell'art. 5 del D.L. 3 maggio 
1947, n. 278, sulle somme dovute e non versate entro 
trenta giorni dalla notifica della liquidazione del maggiore 
importo dell'imposta stabilito dal decreto stesso, possano 
equipararsi alle cc sopratasse e pene pecuniarie " 
agli effetti del condono previsto dall'art. 1 del D.L. 
31 gennaio 1948, n. 109 (n. 181). -V) Se la sospensione 
dei termini perentori di decadenza da un'azione, 
eccezione o diritto qualsiasi, previsti in 1nateria di tasse 
e imposte indirette sugli affari disposta dall'art. 2 L. 
31 gennaio 1941, n. 1, e pi� volte prorogata, da ultimo 
per effetto della legge 23 dicembre 1949, n. 926, si 
verifichi di diritto nei confronti dell'esercizio dell'azione 
giudiziaria entro il termine ultimo disposto dalla legge 
926, nonostante siano decorsi pi� di sei mesi dalla notifica 
della decisione impugnata (n. 182). -VI) Se i benefici 
fiscali, previsti dai decreti legislativi luogotenenziali 

7 giugno 1945, n. 322 e 26 marzo 1946, n. 221, si appli


chino soltanto ai contratti stipulati in forma scritta e 

contenenti la dichiarazione che i contratti stessi sono 

conclusi ai fini della ricostruzione o riparazione di edifici 

distrutti o gravemente danneggiati da eventi bellici 

(n. 182). -VII) Se all'I.N.A.M., come all'I.N.P.S., 
siano applicabili tutti i benefici, privilegi ed esenzioni 
tributarie, sia di carattere oggettivo che soggettivo, 
previsti dal R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, in particolare 
per quanto concerne la tassazione cui devono essere 
sottoposti i decreti ingiuntivi richiesti nei cor.fronti dei 
datori di lavoro (n. 183). -VIII) Quali siano le funzioni 
del segretario delle Commissioni delle Imposte (n. 184). 
LOCAZIONI. -I) Se l'Amministrazione delle Poste 
e Telecomunicazioni possa invocare in suo favore la 
clausola di subentro prevista nell'originario contratto 
di locazione di ricevitoria postale, ove detto contratto 
sia stato, poi, alla scadenza, sostituito da altro patto 
che non conteneva la clausola in parola. (n. 66). II) 
Se in qualsiasi momento possano disdirsi i contratti 
di locazione di locali dell'Amministrazione delle Ferrovie 
dello Stato ceduti o subaffittati dagli affittuari a terzi 

(n. 67). -III) Se sia dovuta l'imposta generale sulla 
entrata sui canoni di fitto dei locali adibiti ad uso delle 
ricevitorie postali, dei quali l'Amministrazione postale 
effettua il rimborso a favore del ricevitore (n. 68). 
OPERE PUBBLICHE. -1) Se nella revisione dei 
prezzi stabilita in un contratto di appalto, di durata 
superiore ad un anno, e da effettuarsi a norma del D. L.L. 
5 aprile 1945, n. 192, debba tenersi conto delle disposizioni 
del R.D.L. 21 giugno 1938, n. 1296 (n. 31). 


II) Se la mancata esecuzione di un contratto di appalto, 
cui non si sia mai dato corso, avendo le autorit� militari 
disposto la destinazione ad altri settori dei materiali 
che dovevano essere impiegati nell'esecuzione stessa, 
possa equipararsi alla sospensione dei contratti a causa 
di guerra, prevista dalla legg� 28 novern:bre 1940, 

n. 1772 (n. 32). -III) Se, in caso di sospensione di 
un contratto, ai sensi della legge n. 1772 del 1940, le 
Imprese appaltatrici abbiano il diritto di chiedere la 
risoluzione del contratto stesso, ottenendo il pagamento 
delle opere eseguite e dei materiali utili esistenti in cantiere 
nonch� di una quota degli impianti fissi, corrispondente 
all'ammortamento non eseguito (n. 32). -IV) Se 
la manc&ta esecuzione di un contratto di appalto di 
opere pubbliche per la richiesta priorit� delle esigenze 
militari poss� ritenersi causata da forza maggiore (n. i-2). 
V) Se risolto affermativamente il precedente quesito, 
ricorra nella specie l'applicazione dell'art. 32 della legge 
di registro e sia, quindi, dovuta la restituzione della 
tassa a suo tempo pagata dall'Impresa appaltatrice 
(n. 32). -VI) Se sia dovuta la restituzione della tassa 
di registro, ove il contratto, sospeso dall'Amministrazione 
ai sensi della legge 1772 del 1940, sia risoluto 
su richiesta della Ditta appaltatrice (n. 32). 
PENSIONI. -I) Se, sopravvivendo la vedova, che 
non abbia perduto il diritto a pensione, e gli orfani, 
questi ultimi siano titolari di una liquidazione autonoma, 

o il loro diritto sia assorbito in quello della madre, nei 
cui confronti soltanto pu� effettuarsi la liquidazione 
(n. 52). -II) Se, in ogni caso, quando la pensione 
non sia stata richiesta entroun anno dalla morte dell'ufficiale, 
essa decorra dal primo giorno del mese successivo 
a quella della domanda, ai sensi dell'art. 182 
del T. U. 21 febbraio 1895, n. 70) (n. 52). 
POSTE. -I) Se sia dovuta l'imposta generale 
sull'entrata sui canoni di fitto dei locali adibiti ad uso 
delle ricevitorie postali dei quali l'Amministrazione 
postale effettua ilrimborso a favore del ricevitore (n. 27). 
II) Se l'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni 
possa invocare in suo favore la clausola di subentro 
prevista nell'originario contratto di locazione di. ricevitoria 
postale, 9ve detto contratto sia stato, poi, alla 
scadenza, sostituito da altro patto che non conteneva 
la clausola in parola (n. 28). 

PROFITTI DI REGIME. -I) Se il segretario 
della Commissione speciale per i profitti di regime possa 
assistere alle deliberazioni della Commissione stessa 

(n. 64). 
REGIONI. -Se il disegno di legge regionale dal 
titolo cc Istituzione e potenziamento delle infermerie 
comunali " sia compreso nei limiti della competenza 
legislativa complementare che spetta in materia alla 
Regione Siciliana, a norma dell'art. 17, lett. b dello Statuto 
(n. 34). 

RESPONSABILIT� CIVILE. -I) Se l'evento dannoso, 
prodotto da un mulo che trainava una carretta 
militare, e improvvisamente imbizzarritosi, p9_ss.a essere 
riferito al soldato che conduceva il carretto medesimo., 
ai fini del risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 2054 
Codice civile (n. 130). -II) Se, ai fini dell'esonero 
del proprietario del mulo (o di chi ne abbia l'uso) da 
ogni responsabilit� per l'evento dannoso prodotto dal 
medesimo, possa considerarsi lo scatto improvviso del 


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mulo, che ha causato l'incidente, come caso fortuito o 
forza maggiore, capace di dirimere la responsabilit� del 
proprietario medesimo (n. 130). -III) Se ad una 
condanna della Pubblica Amministrazione per fatto 
commesso in servizio da un suo dipendente in danno di 
terzi, debba necessariamente seguire la condanna del 
dipendente medesimo (n. 131). 

SERVIT�. -I) Se ai pi� della imposizione delle 
se:vit� militari sia rimesso alla discrezionalit� assoluta 
dell'Amministrazione militare lo stabilire che 
un'opera � occorrente o meno per la difesa dello Stato 

(n. 9). -II) Se sia lecito far seguire ad unai mposizione 
d'urgenza di servit� militare una seconda imposizione 
d'urgenza, sempre che sussistano i requisiti 
d'urgenza giustificanti l'eccezionalit� del provvedimento 
(n. 10). -III) Se i termini di decadenza entro 
i quali va esperito il ricorso contro il decreto che imponga 
la servit� militare, sussistano anche per i reclami da 
proporre avverso il manifesto che tali�imposizioni disponga 
(n. 10). 
SUCCESSIONI. -Se la rinuncia degli eredi dell'istituito 
che abbia gi� accettato l'eredit� di un cittadino 
svizzero, valga a far acquistare direttamente al 
sostituito l'eredit� medesima (n. 32). 

TITOLI DI CREDITO. -I) Se l'intestazione di 
azioni a nome della Cassa Depositi e Prestiti legittimi 
quest'ultima all'esercizio dei diritti azionari nonostante 
la provvisoriet� dell'intestazione stessa (n. 7). -II) Se, 
a norma dell'art. 8 del R.D.L. 21 novembre 1942, n. 1316, 
la Cassa Depositi e Prestiti abbia diritto �a conservare 
inalterato il titolo azionario fino a cinque anni dopo la 
dichiarazione di decadenza del medesimo (n. 7). 

TRANSAZIONE. -Se siano dovuti all'Ufficio 
del Registro i diritti di segreteria sugli atti transattivi e, 
comunque, sui contratti stipulati nell'interesse dello 
Stato, ove, con espressa clausola, lo Stato si assuma 
tutto il carico delle spese relative (n. 4). 

VENDITA. -I) Se la vendita di un certo quantitativo 
di stoffa, corrisponde a determinate caratteristiche, 
debba essere considerata come un contratto 
avente per oggetto il trasferimento di cosa determinata 
solo nel genere la cui propriet�, pertanto, si trasmetta 
con la individuazione, fatta d'accordo tra le parti o nei 
modi da esse stabiliti (n. ~l). -II) Se la vendita 
di cose mobili in danno del compratore, di cui all'art. 1515 
Codice civile, costituisca una procedura giudiziale, i 
cui atti debbano essere compiuti dall'Avvocatura dello 
Stato (n. 10).