ANNO XXXIV N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 1982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di serv1z10 ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1982 ABBONAMENTI ANNO 1983 ANNO ����������������������������� L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO � 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital:1 Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (4219068) Roma, 1983 -Istituto Poligrafico e Zecca dell<;> Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Franco Favara) . � . � � . . � � pag. 869 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA E INTERNAde//' avv. Oscar Fiumara) � . � 907 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . � � � � 917 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catrical�) � � . . � � 929 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA del/'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . � (a � � cura � . � Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Baf�le) . � . . . . . . . . . � 955 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � � � 989 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti Paolo Di Tarsia Di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 997 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZl.A.RIO LEGISLAZIONE � 20 I La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTu, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milaino; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo Scorn, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI PALMIERI G., Brevi osservazioni in tema di successioni di leggi nel tempo e di efficacia delle pronunce di illegittimit� costituzionale I, 933 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Acque sotterranee -Condizioni di pubblicit� -Controversia relativa Competenza dei tribunali delle acque, 991. -Competenza e giurisdizione -Domanda di accertamento della demanialit� proposta in via principale Competenza dei tribunali delle acque -Sussiste, 991. -Giudizio e procedimento -Impugnazioni -Regolamento necessario di competenza -Am.missdibiJit�, 99,1. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Interessi sulle somme riconosciute dal giudice -Art. 36, quarto comma, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Applicabilit� ad enti non statali Esclusione, 989. -Appalto di opere pubbliche -Variazioni -Diritto al pagamento del corrispettivo -CondIBioni, 989. COMUNIT� EUROPEE -Libera circolazione delle merci Disposizioni fiscali interne discriminatorie -Regime fiscale degli alcoli: whisky e acquavite di vino Diritto erariale, sovrimposta di confine e imposta di fabbricazione, 913. - Unione doganale -Libera circolazione delle merci -Costituzione di una cauzione per il pagamento di merci importa1ie -Divieto, 907. CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale -Esame delle questioni di fatto ad opera del giudice a quo -Deve precedere la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, 892. -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale -Ordinanza di rimessione -Insufficiente individuazione della normativa ordinaria sottopo� sta a giudizio -Inammissibilit� del� la questione, 893. -Giudizio in via incidentale -Ordinanza di rimessione -Pi� interpretazioni delle disposiizoni sottoposte a sindacato di costituzionalit� Inammissibilit�, 892. DEMANIO -Demanio artistico -Denuncia del va� lore al momento dell'esportazione Vendita coatta -Effetti -Nuova normativa per l'esportazione verso i Paesi della C.E.E. -Applicabilit�, 945. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -Cessione in propriet� agli assegna� tari -Alloggi �costruiti per finalit� diverse dall'edilizia popolare -Ap� plicabi!]it�, 950. -Cessione in propriet� agli assegnatari -Stato di bisogno -Necessit�, 950. ENTI PUBBLICI -Soppressione e messa in liquidazione -Procedimento per ottenere il soddisfacimento dei crediti nei con� fronti di Enti Soppressi o messi in liquidazione -Domande gi� proposte innanzi alla autorit� giudiziariia, 951. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Espropriazione per opere o interventi da parte dello Stato e degli altri enti pubblici -Procedimento secondo la disciplina della legge 25 giugno 1865 n. 2359 . Indennit� . Espropriazione pronunciata dopo INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA l'entrata in vigore della legge 27 giugno 1974 n. 247 � Criteri indicati nel titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 � Applicabilit� anche nel giudizio di opposizione alla sti� ma . Sopravvenienza della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 � Pregresso procedimento amministrativo e giudizio di oppo� sizione . Irrilevanza � Criteri indi� cati nel titolo II della legge n. 865 � Applicabilit� in via provvisoria sal� vo ccmguagilJio, 952. -Retrocessione totale e parziale � Presupposti, 954. -Rinunzia da parte dello Stato al diritto di propriet� dei beni espropriati � iStuazioni di diritto pubbli. co � IrrinunciabH'it�, 954. FAIMlGLLA -Obblighi alimentari � Delibazione di sentenm .stiraniera � Eccezione di presorizione � Amlilliissibilit� � Sussiste, 951. FORZE ARMATE -Ufficiali � Ufficiali in ausiliaria o del ruolo d'onore � Non sono vincolati da rapporto d'impiego, 900. GIURISDIZIONE -Controversie inerenti alla misura della pensione ed al recupero di somme erroneamente pagate � Giurisdi7Jione deLla Corte dei Conti, 9.18. -Corte dei conti � Giurisdizione esclu� siva in materia di pensioni � Pro� nuncia in via incidentale su atti relativi allo status dell'impiego � Difetto di giurisdi2lione, 918. -Corte dei conti � Legittimazione al Procuratore Generale a impugnare provvedimenti sulle pensioni dei dipendenti degli enti locali � Questione estranea all'ambito della giurisdizione,. 91'8. -Giurisdizione ordinaria -Azione di nunciazione o richiesta di provve� dimenti innominati -Proponibili� t� � Umiti, 924. IMPIEGO PUBBLICO -Ex combattenti � Divieto di assun� zione in impiego di avere incarichi -Nozione, 944. -Personale delle Dogane -Fondo speciale � Indennit� di fiine rappor� to � Funzione -Anzianit� convenzionale prevista per gli ex combat� tenti -Applicabilit� � Esclusione, 943. -Personale delle Dogane � Fondo speciale � Indennit� -Pagamento in ritardo � Rivalutazione ed interessi di mora -Esclusione, 943. ISTRUZIONE E SCUOLE -Universit� -Contrattisti � Aggiunte di famiglia -Indennit� integrativa speciale -Giurisdizione del TAR � Istruzione e scuola -Universit� assegnisti -Aggiunte di famiglia � In� dennit� integrativa speciale -Difet� to assoluto cli giurisdizionie, 9,17. LAVORO -Licenziamento disciplinare � Art. 7 dello Statuto dei lavoratori � AppMcabili: t�, 904. -Rapporti di lavoro � Trasferimento di azienda -Prosecuzione dei rapporti di lavoro -Esclusione -Fattispecie, 940. PENSIONI -Salariati dello Stato -Cumulo fra la pensione statale e quella previdenziale Divieto stabilito dal d.P.R. n. 1092 del 1973 -Applicabi� lit� ai rapporti pensionistici in corso � Rapporti con gli effetti de� rivanti dalla sentenza n. 117 del 1974 della Corte Costituzionale, con nota di G. PALMIERI, 932. PROCEDIMENTO CIVILE -Legittimazione passiva � ad causam � -Patrimoni riuniti ex economiali art. 18 L. 848/1929 -Sogget� tivit� giuridica autonoma -Non sus �siste, 950. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Responsabilit� civile -Norme di prudenza da osservare per la tutela di diritti assoluti -Dovere di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VIII prevenire imprudenze altrui -In� -Reato valutario previsto dall'art. 2. Ifil configurabilit�, con nota di G. STIdella legge 30 aprile 1976, n. 159 e PO, 929. successive modifiche -Prova del danno subito dalle Amministrazio REATO -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. l, ottavo comma, d.I. 4 marzo 1976, n. 31 -lnappli� cabi:lit�, con nota di N. BRUNI, 997. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca pre� vista dall'art. 240 cod. pen. -Appli� cabi1iot�, con nota di N. BRUNI, 997. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Giudizio di� rettissimo -Applicabilit�, con nota di N. BRUNI, 997. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere � Omessa dichiarazione all'U.l.C. entro il 3 dicembre 1976 -Determinazione del valore delle attivit� non dichiarate, al fine della irrogazione della pena pecuniaria, sulla base del capitale sociale -Legittimit�, con nota di N. BRUNI, 997. - Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Omessa dichiara� zione all'U.l.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza, con nota di N. BRUNI, fiYn. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al por� tatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� it�liane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Pegno a favore di terzi gravante sulle azioni . Omessa dichiarazione all'U.l.C. entro il 13 dicembre 1976 -Sussisten� za, con nota di N. 'BRUNI, 997. ni delle Finanze e del Tesoro -E' in �re ipsa �, con nota di N. BRUNI, 997. I -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Questione di legittimit� costituzionale per contrasto con l'art. 10 della Costitu� I zione e con il Trattato di Roma istitutivo della CEE -Manifesta in� fondatezza, con nota di N. BRUNI, 997. SANIT� -Servizio sanitario nazionale -Unit� sanitarie locali -Ricorso dell'utente ai professionisti e presidi conven� zionati -Autorizzazione -Posizione di interesse legittimo -Sezione Giurisdizione ammin~strativa, 953. SARDEGNA -Centro regionale antimalarico ed antinsetti -Personale giornaliero Assunzione � Rapporto di impiego � Natura privatistica, 939. STAMPA -Normativa sui reati commessi a mezzo stampa -Diffamazione -Raf� fronto con la normativa sui reati compiuti a mezzo di trasmissione via etere -Disparit� di trattamen� to . Infondatezza, 887. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Societ� -Ac� certamento in concreto della qualit� di imprentlitore -� necessario, 955. -Imposta sulle societ� -Partecipa� zione di societ� di capitali in societ� di persone -Percezione di red� dito -� necessaria, 962. -IRPEF -Interessi passivi -Dovuti per mutui ipotecari -Limiti di de� ducibilit� -Legittimit� costituzionale, 871. INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA -IRPEF -Onere di documentazione degli oneri deducibili e dei carichi di famiglia -Mancata osservanza Inammissibilit� di deduzioni e detrazioni Legittimit� costituzionale, 869. -IRPEF -Spese sanitarie a favore di soggetto alimentando -Reddito posseduto da tale soggetto -Limite quantitativo -Legittimit� costitu� zionale, 872. -IRPEF -Spese sanitarie sostenute all'estero -Deducibilit�, 870. -Reddito di lavoro subordinato -Detraibilit� delle spese sanitarie -Limiti -Legittimit� costituzionale, 870. -Reddito d'impresa -Costi ed oneri non imputati al conto profitti e perdite e/o non annotati nelle scrit� ture -Indeducibilit� -Legittimit� costituzionale, 872. -Riscossione -Iscrizione a ruolo de� finitiva -Imponibile riconosciuto nel ricorso alla commissione -� vincolante -'Legittimit�, 958. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Accertamento di valore -Mancanza di una pretesa attuale d'imposta proporzionale -Legittimit�, 966. -Imposta di registro -Accertamen� to -Motivazione -Criteri -Stima diretta -Legittimit�, 982. -Imposta di registro -Accessione � Art. 938 cod. civ. -Attribuzione al costruttore delle propriet� del fondo attiguo coperto con la costru; zione -Trasferimento del fabbricato -Esolusione, 976. -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Appalto risoluto prima della costruzione dell'opera -Decadenza, 9.99. -Imposta di registro -Appalto di trasporti o trasporti singoli -Criteri di distinzion1e, 969. -Imposta sull'entrata Assegni I.C.C.R.I. -Natura -Compensi pagati dall'I.C.C.R.I. alle Casse di Risparmio -Interessi di puro impiego di capitale -Esclusione -Costituiscono entrata imponibilie, 983. -INVIM -Onere di documentazione delle spese incrementative -Mancata osservanza -Decadenza della detraibilit� -Legittimit� costituzionale, 869. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento tributario -Motivazione -Metodo induttivo -Difetto di dichiarazione analitica -Legittimdt�, 980. -Contenzioso tributario -Non rientra tra � le materie di contabii!Jit� ipUbbJJioa '" 901. -Principio della capacit� contributiva -Leggi tributarie sopravvenute alla chiusura del periodo di imposta -Legittimit� costituzionale, 871. TRIBUTI LOCALI -INVIM -Acquisto separato della nuda propriet� e dell'usufrutto Valore iniziale -Va riferito al momento dell'acquisto della nuda propriet�, 971. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 8 luglio 1982, n. 121 8 luglio 1982, n. 123 14 luglio 1982, n. 134 27 luglio 1982, n. 142 27 luglio 1982, n. 143 29 luglio 1982, n. 151 22 ottobre 1982, n. 168 26 ottobre 1982, n. 169 10 novembre 1982, n. 176 17 novembre 1982, n. 185 17 novembre 1982, n. 186 17 novembre 1982, n. 187 19 novembre 1982, n. 195 30 novembre 11982, n. 204 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 9 giugno 1982, ne~la oausa 95/81 ..... 3a sezionie, 15 luglio 1982, ne11a causa 216/81 . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 29 giugno 1981, n. 4216 Sez. I, 6 aipriffie 1982, n. 2104 . Sez. I, 29 aprile 1982, n. 2691 . Sez. I, 3 maggio 1982, n. 27'2". . Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2866. Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2867 . Sez. I, 11 maggio 1982, n. 2926 . Sez. I, H maggio 1982, n. 2927. Sez. Lav., 13 maggio 11982, n. 2988 Sez. I, 20 maggio 1982, n. 3112 Sez. I, 29 maggio 1982, n. 3321 Sez. I, 7 giugno 1982, n. 3436 . Sez. I, 22 igiugno 1982, n. 3898 Sez. Un., 5 �l!uglio 1982, n. 4010 Sez. Lav., 6 l!ugLio 1982, n. 4017 Sez. Lav., 15 luglio 11982, n. 4140 Sez. Un., 19 h11glio 1982, n. 4201 pag. � � )) � � � � � � � � � � pag. � pag. � � � � � � � � � � � � � � � � 869 869 870 870 871 872 887 892 900 901 872 892 893 904 907 913 929 955 958 959 962 966 969 9711 932 976 980 982 983 939 940 943 944 !@ iliI= 1~ f:'; I I i II I I I I INDICE CRONOLOGICO Sez. Un., 19 Jiug~io 1982, n. 4202 Sez. Un., .19 Wtiglio 119&2, n. 4221 Sez. I, 30 lugliio �1982, n: 43163 Sez. I, 4 ottobre 1982, n. 5014 . . Sez. I, 4 ottobne 1982, n. 5075 . . Sez. I civiJle, 21 ottobre .1982, n. 5486 Sez. I, 4 novembre 1982, n. 57192 . Sez. Un., 4 novembre 1982, n. 5806 Sez. Un., 15 novembre 1982, n. 6084 Sez. I, .15 novembre �1982, n. 6093 . Sez. Un., 16 novembre 1982, n. 6:115 Sez. I, 20 novembre 1982, n. 6257 . Sez. Un., 25 novembre 1982, n. 6363 . DELLA GIURISPRUDENZA Xl pag. 917 " 918 " 945 " 950 " 951 )) 951 " 989 " 952 " 918 " 991 " 953 " 954 " 924 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez, III Penale, 27 settembre 1982, n. 1762 . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9'17 PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I. -Norme dichiarate incostituzionali pag. 201 II. -Questioni dichiarate non fondate � 201 III. -Questioni proposte . . . . . . . . � 204 I .' ' . . II ~== w ~ i::fil ~� ~� ii & ili !� ~ ~ ~~� -~ PARTE PRIMA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1982, n. 121 -Pres. Elia -Rel. Reale Barone (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -INVIM -Onere di documentazione delle spese incrementative -Mancata osservanza -Decadenza dalla detraibilit� � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 18). Le disposizioni tributarie che sanzionano la mancata osservanza di oneri di documentazione di spese ed altre voci detraibili con la decadenza dalla loro detraibilit� non contrastano con l'art. 53 Cost., riferendosi esse ai procedimenti per l'applicazione dei tributi e non ai presupposti sostan� ziali di questi. II CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1982, n. 123 -Pres. Elia -Rel. Bucciarelli Ducci -Cabib (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -IRPEF � Onere di documentazione degli oneri deducibili e dei carichi di famiglia -Mancata osservanza -Inammissi� bilit� di deduzioni e detrazioni -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 870 Le disposizioni tributarie che sanzionano la mancata osservanza da parte di soggetti non imprenditori di oneri di documentazione di voci deducibili o detraibili con l'inammissibilit� delle relative deduzioni o detrazioni non contrastano con gli artt. 3 e 53 Cost. (1). III CORTE COSTITUZIONALE, 14 luglio 1982, n. 134 -Pres. Elia -Rel. Reale� Ortolati (n.p.). Tributi erariali diretti -Reddito di lavoro subordinato -Detraibilit� delle spese sanitarie -Limiti � Legitthnit� costituzionale. (Cast., artt. 32 e 53; t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 136, come modificato da I. 4 dicem� bre 1962, n. 1682, att. 5). La libera disponibilit� di un reddito non � requisito per la sua imponibilit�; spetta al legislatore ordinario contemperare le esigenze finanziarie dello Stato con quelle pur incomprimibili del contribuente. IV CORTE COSTITUZIONALE, 27 luglio 1982, n. 142 -Pres. Elia -Rel. Reale � Mannino ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -IRPEF � Spese sanitarie sostenute all'estero -Dedu� cibilit�. (Cast., artt. 3 e 32; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10). La deducibilit� delle spese sanitarie � fondata sul riconoscimento delle esigenze di salvaguardia della salute e non persegue lo scopo di favorire (1) La sentenza, pur giusta nel dispositivo, sembra connotata da qualche imperfezione: anzitutto, non considera che alla tenuta di scritture contabili possono essere obbligati -come esattamente era stato prospettato dal giudice a quo -anche soggetti diversi da quelli sottoposti ad IRPEG; ed inoltre non considera che a carico dei soggetti IRPEG e dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili v'� il diverso (e diversamente sanzionato) obbligo di allegare alla dichiarazione talune di tali scritture. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 871 l'accertamento dei redditi degli operatori sanitari; pertanto, l'art. 10 lett. f del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 � incostituzionale limitatamente alle parole �nel territorio dello Stato� (2). V CORTE COSTITUZIONALE, 27 luglio 1982, n. 143 -Pres. Elia, Rel. Saja - Parracino ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -IRPEF � Interessi passivi � Dovuti per mutui ipotecari . Limiti di. deducibilit� � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. '!$97, art. 10, come modificato da l. 13 aprile 1977, n. 114, art. 5). Tributi in genere � Principio della capacit� contributiva -Leggi tributarie sopravvenute alla chiusura del periodo di imposta � Legittimit� costi� tuzionale. (Cost., art. 53; 1. 13 aprile 1977, n. 114, art. 23). Ancorch� le spese e gli oneri strumentalmente collegati alla produzione del reddito possono essere considerati incidenti sulla capacit� contributiva, ben pu� il legislatore ordinario, secondo sue valutazioni discrezionali, circoscrivere le passivit� deducibili avendo riguardo anche alle esigenze di gettito dei tributi e di cautela contro le evasioni di imposta; d'altro canto, la diversit� di disciplina in tema di deducibilit� degli interessi passivi tra imprenditori individuali o persone giuridiche ed altri contribuenti � giustificata da una diversit� di situazioni oggettive. Il principio della capacit� contributiva ha carattere oggettivo perch� si riferisce ad indici rivelatori di ricchezza e non gi� a stati soggettivi del contribuente; non ha quindi rilevanza la prevedibilit� o meno del carico tributario da parte di questi. (2) Com'� noto, il tema della deducibilit� degli oneri per spese mediche e di assistenza e degli oneri per spese chirurgiche, per prestazioni. specialistiche e per protesi ha ricevuto una nuova e diversa disciplina normativa con il d.l. 31 ottobre 1980, n. 693, conv. con modificazioni nella legge 22 dicembre '1980, n. 891, disciplina quest'ultima la quale persegue lo scopo di favorire l'accertamento dei redditi posseduti dagli operatori sanitari. Va aggiunto che la legislazione tiene conto della �disponibilit�� o meno del reddito � posseduto � allorquando gradua la progressivit� configurando la cosidetta curva delle aliquote IRPEF e prevedendo un �abbattimento alla base�, ed al~orquando ammette seppur modeste detrazioni soggettive per carichi di famiglia. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 872 VI CORTE COSTITUZIONALE, 29 luglio 1982, n. 151 -Pres. Elia -Rel. Malagugini -Zorzi (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -IRPEF -Spese sanitarie a favore di soggetto alimentando Reddito posseduto da tale soggetto -Limite quantitativo � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 32, 38 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15, come modificati da I. 13 aprile 1977, n. 114, artt. 5 e 6). Rientra nella discrezionalit� del legislatore ordinario condizionare la deducibilit� di oneri sopportati dal contribuente a favore di altro sog� getto a suo carico ma non superamento di un limite quantitativo del reddito da quest'ultimo soggetto posseduto. VII CORTE COSTITUZIONALE, 17 novembre 1982, n. 186 -Pres. Elia -Rei. Roehrssen -Maglificio La Trottola e altri (nip.) e Presidente Consiglio dei Minist11i (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti � Reddito d'impresa � Costi ed oneri non imputati al conto profitti e perdite e/o non annotati neU.e scritture � lndeduci� bilit� � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 24 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74). Incombe sul contribuente l'onere di provare i costi e, in genere, le passivit� da dedursi dai ricavi per la determinazione dei redditi imponibili; non contrasta con gli artt. 3, 24 e 53 Cost. l'art. 74 del d.P.R. n. 597 del 1973 che esclude la deducibil�t� dai redditi di impresa di costi e oneri non imputati al conto profitti e perdite e/o non annotati nelle scritture obbligatorie (3). (3) iLa sentenza conferma anzitutto che ru�onere di fornire ilia prova dei costi e in genere delle componenti negative del reddito d'impresa incombe sul contribuente, ed inoltre che la deducibilit� di tali componenti negative (e quindi la possibilit� di fornirne prova) � pregiudizialmente preclusa nel caso in cui esse non � risultano imputate� al conto profitti e perdite e/o non sono annotate nelle � apposite scritture �. In un sistema tributario caratterizzato dalla presenza dell'IVA e dei relativi obblighi strumentali, le statuizioni di cui all'art. 74, commi secondo e terzo, del d.P.R. n. 597 del 1973 rivelano una notevole potenzialit� nei casi di omessa fatturazione (e conseguente occultamento dei ricavi) e di acquisti senza fattura (e conseguente occultamento dei costi): alla scoperta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ispecie la determ1nazione del valore iniziale del bene, ai l�ini del calcolo dell'incremento di valore tassabile, nell'art. 11. Sono queste ultime norme, non l'art. 18, che determinano l'obbligo contributivo e Ja sua misura, i quali debbono essere e sono ~n armonia col principio .del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacit� contributiva proclamato dall'art. 53 della Costituzione. N� si pu�, per denunciare una pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione, porre a confronto le conseguenze, eventualmente pi� gravi, che :la mancata tempestiva documentazione delle spese focrementative ,avrebbe 1-ispetto alla tardiva denunzia .del trasferimento accompagnata dalla documentazione. A parte che quest'ultima ipotesi non si realizzerebbe senza il mancato rispetto dei termini per Ja registra2liorte dell'atto da parte del notaio rogante, con Je conseguenti ulteriori S"anzioni, il diverso pregiudizio che in fatto potrebbe derivare al contribuente nelle due ipotizzabiilii situazioni non assumerebbe rilievo costituzionale. E ci� anche a prescindere dalla considerazione che nel caso della mancata tempestiva dichiara21ione si tratterebbe di sanzioni conseguenti alla violazione di obblighi del contriibuente e del notaio, mentre nel caso di dichiarazione non accompagnata dalJa prescritta documentazione delle spese incrementative del valore iniziale del bene, si tratterebbe del mancato conseguirnnto di un utile derivante dall'adempimento di un onere che ne costituiva la condizione. II La questione che Ja Corte � chiamata a decidere � se contrnstJi o meno con gli a:rtt. 3 e 53 Cost., l'art. 3 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui impone alle persone fisiche, che non sono imprenditori, ai fini dell'ammissibilit� delle deduzioni e detl'azioni fiscali, �l'onere di produrre la relativa documentazione in �allegato alla dichiarazione dei redditi. Si dubita, infatti, nell'ordinanza di rimessione che tale disposizione determini un':iirrazionale ed arbitraria disparit� di trattamento nei confronti delle timprese non tenute a tale onere. La questione non � fondata. Ne11'ordinanza di rimessione il principio della capacit� contributiva viene strettamente collegato a quello della giustizia tributaria e quindi al principio di uguaglianza, che risulterebbe violato dalla previsione di un trattamento fiscale differenziato in situazioni obiettivamente identiche. Senonch� � proprio tale identit� di situazioni che nella specie non sussiste. Tra le persone fisiche, soggette all'IRPEF e le imprese, soggette all'IRPEG, vi � infatti una fondamentale differenza di situazioni, 1'ilevan'bi anche ai fini tributari. La gestione economica dell'attivit� delle imprese trova la sua espressione nel bilancio e nel rendiconto annuale ed � in ogni caso documen PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 873 I Il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, :istitutivo dell'imposta comunale sull'mcremento del valore degli immobili (INVIM), aY'art. 11 stabilisce che � ai fffii del calcolo dell'incremento :imponibile il valore iniziale del bene � maggiorato daYe spese di ,acquisto, di costruzione e incrementative riferibili al periodo considerato per la determinazione dell'incremento stesso�; e all'art. 18 (il cui testo, nella parte che interessa la questione sottoposta alla Corte, non � stato modificato dal d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688) dispone che i cedenti di beni soggetti all'i:mposta debbono produrre fra l'altro una dichiarazione del valore iniziale del bene con l'indicazione delle spese !�ncrementative di oui al citato art. 11. Tali spese, se non gi� esposte nella dichiarazione, � debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'Ufficio al momento della registrazione dell'atto�, quando si tratta di beni ceduti per atto tra v~vi. Il comma quarto dehlo stesso art. 18 stabilisce che � per ,le spese effettuate dopo l'entrata in vigore del presente decreto la dichiarazdone deve essere corredata dalla documentazione relativa �. Interpretando questo onere di documentazione nel termine detto come prescritto a pena di decadenza (e ci� in conformit� all'avviso pi� volte espresso in risoluzioni del Ministero delle Finanze e all'opinione, peraltro non univoca, della Commissione tributaria centrale), la Commissione -tributaria di primo grado di Torino denuncia la sospetta, incostituzionalit� della norma (comma quarto dell'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643), la quale si porrebbe in contrasto con l'art. 53 dela Costituzione m quanto prescinderebbe dal principio della capacit� contributiva, e con l'art. 3 della Costituzione perch� il mancato calcolo delle spese incrementative, conseguente alla mancata tempestiva documentazione di esse, potrebbe costituire una sanzione tributaria pi� pesante di quella che conseguirebbe alla ritardata denuncia del trasferimento. La questione non � fondata. Come osserva l'Avvocatura dello Stato, la denunciata norma dell'articolo 18 del d.P.R. n. 643 del 1972 si riferisce al procedimento per l'appl1icazione dell'imposta, non ai presupposti sostanziali di essa, che sono fissati nelle altre disposizioni del citato decreto e, per quanto riguarda in dei ricavi o costi cos� occultati non pu� seguire una rettifica in aumento delle (o anche delle) componenti negative risultanti dai documenti contabili. Unica eccezione ammessa dalla Corte costituzionale � quella della � assenza di qualsiasi dichiarazione del contribuente�. Parrebbe quindi esclusa la possibilit� di una ricostruzione globale della contabilit� (nelle componenti sia positive che negatve) nei casi in cui le scritture siano � inattendibili nel loro complesso� (art. 39, secondo comma del d.P.R. n. 597 citato): peraltro, questa problematica, che meriterebbe una esplicita ed approfondita trattazione, non era rilevante ai fini dell'esame di legittimit� costituzionale della dedotta questione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tata dalle scritture contabili disoiplinate dalla legge. Ed � tale documenta: z;ione che deve essere allegata alla dichiarazione dei redditi (�rt. 5, n. 2, d.P.R. n. 600/1973). Le persone fisiche, viceversa, non hanno alcun obbligo generale di rendicontazione e di documenta:llione, cosicch� in sede fiscale soltanto la documentazione specifica allegata alla denuncia dei redditi pu� dimostrare la fondatezza della richiesta di detrazione degli oneri deducibi1i. Del tutto razionale ,risulta, pertanto la diversit� di conseguenze che il legislatore ha collegato all'omessa documentazione degli oneri da parte della persona fisica -che determina l'inammissibilit� della relativa detrazione -rispetto all'omessa produzione del bilancio o alla mancata tenuta deJle scritture contabili da parte delle imprese -che determina invece l'accertamento sintetico del reddito (art. 39 d.P.R. citato). Non sussiste conseguentemente alcun contrasto tra fa norma impugnata ed i paramet11i costituzionali invocati nell'ordinanza di rimessione. III L'ordinap.za della Commissfone tributarci.a di primo grado di Bo~zano (emessa in controversia relativa a reddito imponibile soggetto a imposta complementare dichiarato nel 1972 per l'anno 1971, e quindi :regolato dalle norme del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645) solleva la questione di legittimit� costitu2Jionale della disposizione che consente la detra:z;ione dal reddito di lavoro subordinato di spese, passivit� e perdite inerenti alla produzione del reddito stesso nella misura del venti per cento di esso con un massimo di lire 360.000. Tale disposizione � appunto contenuta nell'art. 136, lettera d, del citato testo unico n. 645 del 1958 come modificato con l'art. 5 della legge n. 1682 deJ 1962 e fu sempre ritenuta applicabile alle spese per cure mediche e chirurgiche. Nella specie sottoposta alla Commissione tributaria di Bolzano il contribuente aveva denunziato spese per complessive Hre 2.239.830 soste nute da lui e dalla moglie per cure medico-chirurgiche chiedendo la detra zione di esse e di lire 360.000 e aveva cos� motivato l'affermata detraibilit� della spesa: <;Il sottoscritto ritiene detraibili le spese mediche, chirur giche, ospedaliere e medicine in forza dell'art. 53 della Costituzione norma precettiva, in quanto Je dette spese incidono direttamente suna capacit� contributiva del cittadino che non gode di assistenm, come avviene per il sottoscritto �. L'Ufficio delle imposte accertatore di Merano aveva limitato la de traibilit� a lire 360.000. La norma sopraindicata che stabilisce questo limite di detraibilit� � sospettata di incostituzionalit� dalla Commissione tributaria di Bolzano in relazione agli artt. 32 e 53 della Costituzione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La questione non � fondata. li giudice a quo afferma che fart. 32 della Costituzione, tutelando la ,salute anche individuale, � trova la sua pi� ev.idente mainifestazione nella garanzia di cure gratuite ag1i indigenti�; ma anche per i non indigenti �la tutela della salute rva garantita attraverso l'opera degli �enti assistenziali� e �nel caso si tratti di non assistiti, assicurando agli stessi J'uti1izzazione a propri.e spese della struttura sanita: riia �: spese che dovrebbero -senza limite -essere detraibili dal reddito imponibile perch� �,l'intento del legislatore costituzionale (nell'art. 53 Cost.) � quello di far s� che ogni cittadino diventi contribuente in relazione non al 11eddito e, quindi, alla ricchezza prodotta, ma a quella di cui abbia la libera disponibilit� �. La Corte non pu� condividere questa interpretazione del precetto costituzionale che la Commissione tributaria ha mutuato dalla dichiarazione del contribuente sopra riportata. Restringere la tassabilit� dei redditi secondo un indeterminato criterio di libera disponibilit� di essi significherebbe imporre senza limiti la detraibilit� dal reddito disponibile di ogni erogazione di esso, e senza limiti quantitativi, in necessit� pri.marde dell'esistenza: non, dlUilque, soltanto le spese mediche, ma anche, e a maggior ragione, perch� pi� difficiJ.mente comprimibili, quelle per il sostentamento, per il tetto ecc. L'assurdit� di una tale conclusione impone di rJ:portare il problema nei suoi veri termini, riconoscendo che la detraibilit� non � secondo Costituzione necessariamente generale ed illimitata, ma va concretata e commisumta dal legislatore ordinario secondo un criterio che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non meno pressanti di queHi della vita individuale. H punto di incontro e di contemperamento di tali esigenze varia a secondo dell'evoluzione economica, finanzia:riia e sociale del Paese e, come si � detto, spetta al legislatore ordinanio di determinarlo, tenendo conto di tutti i dati del problema. Ci� vale sia, in generale, per gli oneri deducibili e per le detrazioni soggettive di imposta (quota esente, carichi di famiglia) diversamente strutturati, .rispetto al T~U. del 1958, nel d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e successivamente pi� volte modificati, sia in particolare per quanto ,riguarda la detraibilit� delle spese mediche, per le quali, confrontando la normativa del 1958 e del 1962 -di cui si tratta nella presente causa -con quella del 1973 e con quella del 1980, si vede di quanto s[ � andato allargando l'ambito della detraibilit� delle spese mediche dal reddito imponibile. (omissis) IV (omissis) Le controversie tributarie che hanno dato ongme alla questione di legittimit� costituzionale in esame sono tutte relative a redditi IRPEF dell'anno 1975 dichiarati nel 1976, ad eccezione di quella della Com PARTII I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE m1.ss1.one tributaria di Reggio Calabria 'relativa (come si desume dal fascicolo di causa) a redditi IRPEF e ILOR dell'anno 1974 dichiarati nel 1975. Sono, quindi, regolate dalle disposizioni originarne del d.P.R. 29 set tembre 1973, n. 597, e infatti il dubbio di incostituzionalit� � stato solle vato da tutte le ordinanze sull'art. 10, lett. f, del detto decreto; e precisa mente da tutte le Commissioni in relazione agli artt. 3 e 32 Cost., da quelle di Bassano del Grappa e La Spezia anche in relazione all'art. 77 Cost. La norma citata dispone (anzi disponeva) la deducibilit� dal reddito complessivo delle � spese per cure mediche e chirurgiche e ,le spese neces sarie per l'assistenza specifica di persone colpite da grave e permanente invalidit� o menomazione, compresi gli onorari o altri compensi per i quali sia ,indicato il domicilio o la residenza del peroipiente nel territorio dello Stato, per la parte del loro ammontare complessivo che ecceda il 10 o il 5 per cento del reddito complessivo dichiarato secondo che que sto sia o non sia superiore a quindici milioni di lire.... �. Tutti i giudici a quibus, interpretando la norma come richiedente, per l'ammissione alla detrazione, per tutte le spese medico chiruri~iche compresi glii onorari, il domicilio o la residenza dei percipienti nel terri� torio dello Stato e la loro indicazione da parte del contribuente, hanno dubitato della legittimit� costituzionale di essa. La questione � fondata. La 1legge tributaria allorch� stabilisce, tanto nella disposizione cui si riferisce la questione che la Corte � chiamata a decidere, quanto in �disposizioni successive di ampiezza maggiore, la dedu cibilit� delle spese medico chirurgiche dal reddito imponibile, lo fa certamente in considerazione dell'importanza primaria del bene della salute e dell'obbligo costituzionale della sua tutela (art. 32 Cost.). � ben vero che la determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione di questa tutela spettano al legislatore ordinario. E, infatti, sia per quanto ri!�Uarda l'assistenza diretta, sia per quanto riguarda la deducibil:it� delle spese di cura sostenute in proprio dal contribuente, la ,legislazione nazionale postcostituzionale offu-e il quadro di un'evoluzione nel senso della pi� estesa tutela del bene de1la salute. Momento fondamentale di ,attuazione dell'intervento della collettivit� ne1la tutela della salute dell'individuo � l'emanazione della legge (n. 833 del 1978) che istituisce il Servizio sanitarfo nazionale, la cui finalit� peculfare � quella di assicurare �direttamente a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro capacit� economica (che viene in gioco soltanto per la provviista dei mezzi necessari al funzionamento del servizio e, in via di eccezione, nella richiesta di limitati e graduati contributi da parte deglii utenti dei singoli servizi), �la diagnosi e la cura degli eventi morbosi, quali che ne siano ile cause, la fenomenologia e la durata � e � la riabilitazione degli stati di invalidit� terapeutica e psichica �. Senonch�, tanto dopo l'istituzione del Servizio sanitario nazionale, quanto prima, quando altre erano le strutture sanitarie alle quali era 878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO affidata la tutela della salute di molte, ma non tutte, le categorie, non era e non � interdetto ai cittadini di ricorrere agli interventi medici in case di cura o da parte di professionisti liberamente scelti o in ragione di una maggiore fiducia personale in essi o in ragione della necessit� di terapie e di interventi non possibili alle strutture pubbliche. Ora, sia prima che dopo la riforma sanitaria del 1978, il legislatore tributar.io ha preso in considerazione le spese erogate dal contribuente per queste cure e, proprio in relazione al precetto dell'art. 32 Cost., le ha �ritenute meritevoli di detrazione dal reddito imponibile delle persone fisiche, dapprima (testo unico n. 645 del 1968; d.P.R. n. 597 del 1973) solo in relazione all'entit� del reddito imponibile, poi (art. 8 del d.t n. 693 del 1980 convertito .in legge 22 dicembre 1980, n. 891) accordando l'integrafo deducibilit�, fra le dette spese, a quelle chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protes�i dentarie e sanitarie in genere. (omissis). Alla stregua della legislazione vigente in esame, non �, quindi, giustificabile, sul piano del principio di eguaglianza, la distinzione che la disposizione investita dal dubbio di costituzionalit� opera ai fini della deducibilit� dal reddito imponibile, per erogazioni delle quali il percipiente si trovi entro o fuori H territorio dello Stato. N� qui si tratta -deve essere osservato -di evitare una evasione di imposta da parte del percipiente perch� questo, in quanto residente all'estero, non � debitore di imposta verso lo Stato italiano per un reddito non prodotto in Italia. Se lo scopo della norma fosse stato quello di consentire o favorire l'accertamento di reddito prodotto in Italia (nel qual caso Ia sua legittimit� non sarebbe in discussione), essa av.rebbe dovuto prescrivere che l'indicazione � necessaria solo quando il percipiente � residente o domiciliato in Italia, secondo l'interpretazione di una Commissione tributaria, che risulta ti.solata ed � contrnddetta da tutti i giudici a quibus. Ove poi si voglia sottolineare essere preferibi1e che la spesa sia sostenuta in Italia al fine di poterla tassare �n capo ai percipienti, ci� non pu� costituire un motivo di tale rilievo da eliminare il fondamento della deducibilit� che sta, ripetesi, nel riconoscimento accordato, in ossequio al precetto costituzionale, all'esigenza della salvaguardia della salute, e quindi alla libert� di scelta, da parte dell'ammalato, di cure e tinterventi, a sue spese, al di fuori della struttura sanitaria alla quale potrebbe ricorrere in Italia. Del resto, basta ammettere, anche in via di ipotesi, suffragata dalla comune esperienza, che possano esserci delle cure e degli interventi per i quali sia necessario ricorrere all'estero, per riconoscere quale iniquit� costituirebbe negare, in tali casi, la deducibilit� delle spese al contribuente che ha dovuto sostenerle. Le consideraz.ioni fin qui svolte co?vincono la Corte che l'art. 10, lett. f, del d.P.R. n. 587 del 1973, faddove limita la deducibilit� delle spese PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e compensi di cui trattasi al caso che sia indicato il domicilio o la residenza del percipiente nel territorio dello Stato, confligga con gli artt. 3 e 32 della Costituzione perch� in materia che si riferisce alla protezione della salute individuale discrimina irrazionalmente il trattamento fiscale delle spese sostenute nel territorio nazionale da quelle sostenute all'estero. Infatti, se le spese cui si riferisce la deducabilit� sono riconosciute necessarie per �la tutela della salute (e senza alcun rilievo dal fatto che esse avrebbero o no potuto essere evitate rivolgendosi alle strutture sanitarie nazionali), non appare ragionevole un trattamento diverso a seconda che il percipiente sia in Italia o all'estero. (omissis) V (omissis) Ci� posto e passando all'esame del merito, osserva la Corte che l'altra ordinanza della Commissione tributaria di Lucera, n. 815/81, concerne un caso di mutuo garantito da ipoteca su immobili, con la sola pecuJ.iarit� che tale negozio � stato stipulato originariamente, come mutuatario, dall'imprenditore che aveva costruito l'intero edificio e che aveva poi trasferito un appartamento alla contribuente, la quale, oltre al pagamento del prezzo pattuito, si era accollata la parte di mutuo residuale. Ora, � evidente come tale circostanza non escluda la deducibilit� degli interessi, giacch� (come, del resto, espressamente avvertito dal Ministro delle finanze con la risoluzione 10 luglio 1981, n. 8/1011 della Direzione generale delle imposte dirette) .la fattispecie normativa indicata daHa legge ricorre eguaJmente, tanto nel caso in cui il mutuo sia stato originariamente contratto dal contribuente, quanto in quello nel quale il contribuente debba rispondere per effetto dell'accollo posto in essere a seguito di accordo con l'originario mutuatario. (omissis) Rispetto a1la questione sollevata dalle altre tre ordinanze delJa stessa Comrnisione tributaria, occorre invece accertare se sia costituzionalmente corretta la disposizione dell'art. 5, che limita la deduzione agli interessi dipendenti unicamente da � mutui garantiti da ipoteca � con esclusione, perci�, di ogni altra fattispecie negoziale. Il problema si presenta sotto due distinti aspetti, i quali trovano, entrambi, specifico riscontro nei vari casi concreti esaminati dal giudice a quo. Il primo aspetto concerne iil tipo di contratto indicato dal legislatore (e cio� se sia legittima la previsione soltanto del �mutuo� e non anche di altri negozi che realizzano gli stessi effetti pratici propri del mutuo), mentre il secondo aspetto concerne l'esigenza della garanzia ipotecarfa richiesta dal citato art. 5. Va osservato che la ratio dell'innovazione risiede nell'intento di evitare, come � stato chiarito espressamente e ripetutamente nei lavori preparatori, gli abusi che si erano verificati in precedenza. Il legislatore, appunto, 880 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ritenne che, con una normativa come que1la del 1973, la quale non poneva alcuna limitazione rispetto al tipo di negozio da cui conseguivano gli interessi n� esigeva la sussistenza di una garanzia reale, l'Amministrazione finanziaria non fosse adeguatamente protetta contro le frodi fiscali di chi volesse fare apparire falsamente, per chiederne poi fa relativa deduzione, la corresponsione di interessi passivi. E per tale ragione stim� opportuno condizionare la deducibilit� a1la circostanza che gli interessi dipendessero da mutui garantiti da ipoteca su immobili, ritenendo cos� di frapporre un serio ostacolo all'eventuale condotta fraudolenta del contribuente. Sotto il primo aspetto, il legislatore evidentemente opin� che il carattere reale del mutuo meglio consentisse all'Amministrazione di controllare l'effettiv.it� dell'intera operazione; e ci�, in particolare, mediante richiesta di dimostrazione della preesistente disponibilit� deHa somma da parte del mutuante, nonch� della prova del concreto passaggio di propriet� e del conseguente impiego di essa da parte del mutuatario. D'altro lato, la prescritta garanzia ipotecaria -per la sua pubblicit�, per l'onere economico (imposta ipotecaria) connesso alla iscrizione e per i rilevanti effetti che derivano relativamente ai beni gravati -rappresenta anch'essa indubbiamente un elemento dimostrativo della effettivit� del rapporto creditizio. Va da s� come in subiecta materia spetti al legislatore, in relazione ai mezzi di cui dispone l'Amministrazione finanziaria, predisporre gli opportuni accorgimenti per impedire la consumazione di frodi fiscali. Il suo potere discrezionale, come � intuitivo, pu� essere censurato soltanto ove trasmodi nella arbitrariet� o nella irrazionalit�, il che, nella specie, va escluso, non potendosi ritenere arbitrario oppure irrazionale l'avere imposto, ai fini della deducibilit� degli interessi passivi, due requisiti (che debbono congiuntamente concorrere) relativi all'effettivit� ed alla seriet� della operazione da cui gli interessi medesimi derivano, con la conseguente prevenzione di possibili frodi fiscali. Deve perci� concludersi che l'esaminata questione non � fondata, non risultando costituzionalmente censurabili le Hmitazioni anzidette. Altres� infondata � fa questione prospettata da1la Commissione tributaria di Roma, relativa al preteso contrasto tra l'art. 5 cit. e l'art. 53 Cost., in quanto la impossibilit� di dedurre dal reddito la parte degli interessi che ecceda i tre milioni (portati a quattro a partire dal 1980 con la legge 24 aprile 1980, n. 146) determinerebbe l'assoggettamento a tributo di un reddito inesistente, e, di conseguenza, i.1 venir meno della corrispondenza tra imposizione e capacit� contributiva. Al riguardo pu� consentirsi, in linea di principio, nel considerare come incidenti sulla capacit� contributiva le spese e gli oneri strumen talmente collegati alla produzione del reddito, i quali risultano cos� suscettibili di essere portati in deduzione per ottenere fa base imponibile '.'.r.-.�:.�,�.�.�,-.�,�,-,�.�,-.�.�-----�r�-------� �--,--- PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del tributo; si tratta, invero, di elementi che incidono negativamente sul reddito, cio� su quella ricchezza del contribuente dalla quale debbono trarsi i mezzi necessari per le spese pubbliche. Spetta per� al legislatore, secondo .Je sue vaJ,utazioni discrezionali, di individuare gli oneri deducibili considerando iJ. necessario collegamento con fa produzione del reddito, il nesso di proporzionalit� con il gettito generale dei tributi, nonch� l'esigenza fondamentale di adottare le op� portune cautele contro le evasioni di imposta. Alla luce di tali argomentazioni non pu� affatto essere ritenuto arbitrario ovvero irrazionale il limite di tre milioni stabilito dal legislatore -come � dato dedurre -sulla base dell'attuale condizione economica media della generalit� dei contribuenti beneficiari di tale deduzione. Il che tanto pi� � da ritenere in quanto il legislatore appare 1 orientato nel senso che il Jimite stabilito non rimanga rigido ma venga opportunamente adattato all'oscillazione monetaria, sicch� esso � stato fissato nel 1977 nella misura anzidetta, ma � stato nel 1980 portato con la citata legge n. 146 a quattro milioni. Deve essere ora esaminata l'altra questione, sollevata dalla Commissione tributaria di Roma, ila quaJe ha dedotto che il citato art. 5 contrasterebbe con l'art. 3 Cost., in quanto pone detta limitazione soltanto per i redditi delle persone fisiche; mentre, a suo dire, gli utili delle persone giuridiche e delle imprese sarebbero depurati da ogni passivit�. Ma le norme indicate dal giudice a quo come tertium comparationis non consentono .il necessario raffronto perch� gli interessi passivi per i redditi di impresa e per quelli delle persone giuridiche sono regolati da una disciplina ad essi del tutto peculiare, non riconducibile su un piano di eguaglianza con quella relativa ai redditi delle persone fisiche. Cos� per i redditi di impresa, l'art. 58 d.P.R. n. 597 del 1973 dispone che gli interessi passivi sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, compresi quelli esclusi o esentati dalla tassazione. Relativamente, poi, ai redditi delle persone giuridiche, gli interessi, a norma dell'art. 21 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, sono deducibili interamente solo se Je attivit�, a cui ineriscono, sono state gestite distintamente e con contabilit� separata: altrimenti la deduzione sar� regofata dal cit. art. 58 irpef e perci� sar� consentita nei limiti del rapporto tra l'ammontare dei ricavi e proventi che concorrono per formare il reddito imponibile e l'ammontare globale di tutti i ricavi e proventi. In proposito, giova altres� ricordare che sulla analoga normativa contenuta nell'art. 23, secondo comma, 'legge 5 gennaio 1956, n. 1 (trasfusa nell'art. 110 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e ora nel cit. art. 58), questa Corte si � gi� pronunciata ritenendone la legittimit� costituzionale 882 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO proprio in forza della diversit� di situazioni sopra indicate tra le due categorie di contribuenti (sent. 26 maggio 1971, n. 107). Deve, perci�, dirsi conclusivamente sul punto che la questione di cui trattasi non � fondata. (omissis) Infine, le ordinanze delle Commissioni tributarie di Pisa e di Roma denunciano la illegittimit� costituzionale dell'art. 23 legge 13 aprile 1977, n. 114, secondo cui le limitazioni introdotte dall'art. 5 (i giudici a quibus si riferiscono soltanto al Jh,nite di tre milioni, ma l'art. 23 comprende l'intera previsione dell'art. 5 e concerne quindi anche il tipo di contratto e la garanzia ipotecaria) si applicano anche ai redditi maturati nel 1976; ci�, secondo i giudici a qu(bus, contrasterebbe con il principio della capacit� contributiva, ,in quanto i contribuenti non potevano prevedere il maggior onere della imposta nel momento in cui il reddito � maturato. La questione non � fondata. Il principio sancito nel primo comma deU'art. 53 della Costituzione, in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche !in ragione della propria capacit� contributiva, ha carattere oggettivo perch� si riferisce a indici concretamente rivelatori di ricchezza e non gi� a stati soggettivi del contribuente. Pertanto non sembra conferente il richiamo, contenuto nelle ordinanze di rimessione, al convincimento dei contribuenti anzich� alle loro effettive possibilit� di sopportare il prelievo fiscale. Indubbiamente gioverebbe alla certezza del diritto ed alla reciproca chiarezza dei rapporti tra fisco e contribuente la esclusione del ricorso a leggi retroattive in materia tributaria. Tale criterio orientativo, al quale il legislatore dovrebbe costantemente ispirarsi, non trova tuttavia tutela a livello costituzionale perch� la Costituzione pone il divieto di retroattivit� soltanto per la materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Peraltro, la Corte, pur escludendo costantemente nella materia tributaria la possibilit� di considerare operante tale divieto, ha ritenuto che la legge pu� s� incidere sulla capacit� contributiva esistente in un momento anteriore alla sua emanazione e rilevata da fatti passati, ma ha posto quale limite a tale possibilit� la esigenza che la capacit� stessa sia ancora sussistente, e quindi permanga, nel momento dell'imposizione (cfr. sent. 11 aprile 1969, n. 75 e 23 maggio 1966, n. 44). Tale orientamento non � per� intuitivamente riferibile alla specie, in cui non � stato neppure genericamente dedotto un deterioramento della capacit� contributiva dei soggetti interessati, intervenuto tra il momento della nascita del rapporto tributario e quello della successiva entrata in vigore della norma impugnata. E del resto, la brevit� del termine trascorso, nella specie, tra i due momenti suddetti induce a escludere che un siffatto deterioramento si sia potuto verificare. Anche quest'ultima questione, dunque, va dichiarata non fondata. �.�.�.�.�:.�.�.�.�::.��.�.�-� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE VI La Commissione tributaria di primo grado di Rovereto dubita della legittimit� costituzionale del combinato disposto degli artt. 10, primo comma, .lettera d) ed, ultimo comma, e 15, terzo comma, n. 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, ritenendone il contrasto con gli artt. 3, 32, 38 e 53 Cost. La questione � stata sollevata nel corso di un giudizio nel quale venivano in discussione fa dichiarazione dei redditi di una contribuente e la conseguente liquidazione dell'imposta IRPEF relative all'anno 1977. � bene, perci�, precisare che le disposizioni denunziate del d.P.R. n. 597 del 1973 vanno lette nel testo sostituito dagli artt. 5 e 6 della legge 13 aprile 1977, n. 114, cos� che oggetto dell'impugnazione risulta il combinato di� sposto degli artt. 10, primo comma, lettera d) e terzo (non ultimo) comma, 15, secondo (non terzo) comma, numero 3, del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito rispettivamente dagli artt. 5 e 6 della legge n. 114 del 1977. Il giudice a quo muove da una interpretazione dei sopra indicati disposti di fogge per cui sono ritenuti deducibili dal reddito comples� sivo, nella misura .ivi stabilita, gli oneri, risutlanti da 1idonea documenta� zione, per le � spese mediche e chirurgiche �, nonch� per quelle � di assistenza specifica necessaria nei casi di grave e permanente invalidit� o menomazione�, sostenuti dal contribuente (art. 10, primo comma let� tera d), anche quando erogate in favore di una delle persone indicate nell'art. 433 del codice civile, diversa dai figli o affiliati, purch� tale persona non possieda redditi propri superiori a lire novecentosessantamila e conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorit� giudiziaria (art. 15, secondo comma, numero 3, cui fa rinvio J'art. 10, terzo comma). Nella fattispecie dedotta, la parte privata pretendeva di dedurre dal reddito denunziato, nella misura legislativamente determinata, le spese erogate per l'assistenza specifica al padre, titolare di un reddito proprio di poco superiore aUe lire novecentosessantamila, e il giudice a quo ha dubitato della legittimit� costituzionale delle precitate norme di legge, ostative, nella interpretazione da lui accolta, all'accoglimento del ricorso del contribuente. La questione non � fondata. Ci� che viene anzitutto in discussione � la legittimit� della determinazione ad opera del legislatore di un limite di reddito -nel caso specifico, della persona nei cui confronti il contribuente � tenuto agli alimenti -per l'applicazione di una determinata normativa. Ora, � evidente che la fissazione di un limite quantitativo, ai fini considerati, qualifica, di per s�, in modo diverso la situazione di coloro i 884 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cui redditi rientrano nel limite stesso, rispetto a quella di coloro i cui redditi, viceversa, quel limite superano, non rileva di quanto. Ne consegue che un problema di uguaglianza di trattamento tra fattispecie quali quelle considerate, nelle quali decisivo e scriminante � il livello del reddito della persona che ha diritto alla prestazione degJi alimenti da parte del contribuente interessato, neppure pu� prospettarsi, dal momento che ne �manca l'indispensabile presupposto. Quanto �alla legittimit� della fissazione di una quantit� minima di reddito che escluda la capacit� contributiva del soggetto percettore (perch� il reddito in quella misura, appare appena sufficiente a soddisfare i bisogni elementari della vita) ovvero, come nella fattispecie legale considerata, sia tale da far ritenere, sul piano fiscale, il soggetto medesimo vivente a carico di altro, obbligato nei suoi confronti, cos� da consentire la detraibilit�, in misura data, degli oneri sopportati dal secondo a beneficio del primo per scopi determinati; una tale determinazione rientra nella discrezionalit� del legislatore ordinario, che solo pu� provvedervi � in riferimento a complesse situazioni economiche e sociali� (cfr. sent. n. 97 del 1968), che sfuggono al sindacato di questa Corte, salvo �il controllo di legittimit� sotto il profilo dell'assoluta arbitrariet� o irrazionalit� della norma � (ibidem). Tanto ritenuto, si deve osservare che la disposizione dell'art. 15, secondo comma, n. 3 del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito dall'art. 6 della legge n. 114 del 1977, stabilisce appunto i criteri, tra i quali il limite di reddito di lire novecentosessantamila, posti dal legislatore perch� una delle persone indicate dall'art. 433 del codice civile, diversa dai figli o affiliati, possa considerarsi fiscalmente a carico del contribuente, obbligato agli alimenti nei suoi confronti; abilitando perci� quest'ultimo ad una detrazione d'imposta per carico di famiglia e, coerentemente, anche alla deduzione di alcuni degli oneri, tra quelli dichiarati deducibili dal precedente art. 10, che il contribuente documenti di aver sopportato in favore del vivente a carico. Decisiva �, dunque, la situazione di quest'ultimo, mentre quella dell'obbligato nei suoi confronti ex art. 433 del codice civile viene in considerazione unicamente se si verificano i presupposti di cui al precitato art. 15, secondo comma, n. 3 della normativa denunziata, nel senso che soltanto in questo caso i1 legislatore ritiene il primo fiscalmente a carico del secondo. Perci�, gli scopi per i quali il contribuente documenti di aver sopportato determinate spese in favore dell'alimentando possono acquistare r.iJ.ievo soltanto se ricorrono i presupposti test� ricordati; in difetto, i beni fa cui tutela viene invocata -in particolare quelli di cui agli artt. 32 e 38 Cost. -neppure entrano in gioco, dal momento che � indifferente, dal punto di vista fiscale, lo scopo per il quale, sia pure ad opera di chi � tenuto per legge alla prestazione degli alimenti, vengono erogate I I �.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-r.�.�.�.�.�r.�.�.�r.�.�.�.�.�.�.�,-.�.�r,-.�,-,-.-.-,-.�,-.-.-,.-,-. l PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 885 somme in favore di soggetto dotato di un reddito proprio che la legge giudica eccedente le necessit� minime vitali. Quanto alla adombrata violazione dell'art. 53 Cost., con riguardo questa volta alla capacit� contributiva del soggetto obbligato ex art. 433 e.e., essa non pu� che essere valutata alla stregua dei medesimi criteri dettati per la generalit� dei contribuenti. VII (omissis) La Corte � chiamata a decidere se l'art. 74, commi secondo e terzo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (�Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche�), escludendo Ia detrazione dal reddito d'impresa delle poste passive non registrate nelle scritture conta~ bili prescritte ai fini fiscali e non imputate nel conto profitto e perdite, sia in contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, in quanto comporta una tassa:tione non proporzionata alla capacit� contributiva, sottopone ad un trattamento deteriore chi abbia presentato una denuncia dei redditi infedele rispetto a chi l'abbia omessa del tutto e lede il diritto di difesa del contribuente, impedendogli di dimostrare il proprio reddito netto effettivo. La questione non � fondata. L'art. 74, secondo e terzo comma, ha stabilito che nel determinare la base imponibile dell'IRPEF deve tenersi conto degli oneri e dei costi, ma ha anche precisato le condizioni in presenza delle quali tali oneri sono deducibili: essi, infatti, devono risultare registrati nelle scritture conta� bili appositamente prescritte ai fini fiscali (terzo comma) ovvero impu� tati al conto profitti e perdite (secondo comma). In tal modo l'art. 74, nel rendere concreto il precetto che gli oneri ed i costi, per essere deducibili, devono essere effett.ivi e reali, ha inteso tutelare adeguatamente l'interesse della finanza, la quale pu� ammettere la deduzione solo quando gli oneri ed i costi siano provati: e tale prova, come emerge chiaramente dallo stesso art. 74, secondo e terzo comma, nonch� dall'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ( � Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui red� diti�) deve essere fornita dallo stesso contribuente e deve consistere nel dimostrare che il contribuente medesimo ha osservato il comportamento impostogli dalla legge per la regolare tenuta delle sue scritture e per la regolare conduzione della gestione della sua impresa. D'altro canto la disposizione contenuta nei due citati commi � del tutto coerente con un sistema impositivo fondato sulla dichiarazione del contribuente, chiamato a rendere noti tutti gli elementi (attivi e passivi) che concorrono a formare la base imponibile: �, perci�, il contribuente che deve fornire alla finanza gli elementi sostanziali che valgano a dimo 886 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO strare l'effettivo ammontare delle sue entrate e, quindi, anche dei fatti che incidono su tali entrate in senso negativo, salvo, ovviamente, il con-. trollo della finanza medesima. Soltanto in assenza di qualsiasi dichiarazione del contribuente, e cio� in una situazione ben diversa da quella alla quale si rif� l'art. 74, la finanza agisce ex officio e si richiama agli accertamenti eseguiti dalla polizia tributaria (art. 41 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). Ci� chiarito, ritiene la Corte che nessuna delle prospettate censure abbia consistenza: a) per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art. 3 Cost., si osserva che 'l'art. 74, stabilendo .la cennata condizion� per la detrazione dal reddito .di impresa degli oneri e dei costi (come � stato riconosciuto m caso del tutto analogo con la sentenza n. 201 del 1970), ha posto tutti i soggetti tassabili in situazione identica dinanzi alla norma, essendo a tutti riconosciuto uguale diritto alla detraibilit�. Ma, ci� detto, non pu� riconoscersi identit� di situazione fra coloro i quali abbiano regolarmente osservato le cennate pr�scrizioni e coloro i quali, invece, a tali adempimenti si siano sottratti: anzi proprio in virt� del principio di ugua~ianza i secondi non possono invocare tale trattamento (citata sentenza n. 201/1970). A maggior ragione non pu� parlarsi di disparit� di trattamento rispetto al caso limite della assoluta mancanza di dichiarazione (art. 41 d.P.R. n. 600 del 1973), nel quale la finanza � costretta a procedere all'accertamento di ufficio di tutti gli elementi del caso con la possibilit� di avvalersi di facolt� che altrimenti non ha (come ad es. quella di utilizzare dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza e di operare sulla base di presunzioni prive dei requisiti di cui all'art. 38 del medesimo d.P .R. n. 600). b) Quanto alla asserita violazione dell'art. 53, si rileva che la determinazione del quantum del tributo che il contribuente � tenuto a corrispondere ben pu� essere dalla legge subordinato alla osservanza di taluni obblighi, come appunto avviene nella fattispecie, sulla base di prescrizioni non defatiganti od eccessive ma che, come si � detto corrispondono esattamente al comportamento che ogni titolare di impresa dovrebbe osservare. e) Quanto infine alla pretesa violazione dell'art. 24 Cost., la Corte non vede in qual modo possa ritenersi conculcato il diritto alla difesa �nella sede giurisdizionale, nessuna limitazione in proposito essendo contenuta nelle norme denunciate: l'art. 74, invero, non attiene all'aspetto processuale ma � norma di diritto sostanziale, la quale pone le condizioni necessarie per godere di un determinato diritto, cio� del diritto alla detrazione di alcune somme. ! ~ I I I i I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 887 CORTE COSTITUZIONALE, 22 ottobre 1982, n. 168 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Zanetti Livio e Fabiani Roberto (avv. Emeri e Gatti) c. Presidente del Consiglio dei Ministri (aw. Stato Oaramazza). Stampa -Normativa sui reati commessi a mezzo stampa -Diffamazione Raffronto con la normativa sui reati compiuti a mezzo di trasmissione via etere -Disparit� di trattamento -Infondatezza. E infondata la questione di costituzionalit� -per contrasto con l'art. 3 della Costituzione -degli artt. 1, 9, 12 e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (legge sulla stampa) che dettano una disciplina pi� severa di quella prevista per la diffamazione compiuta a mezzo di trasmissioni �via etere� (1). (omissis) In tredici ordinanze il Tribunale di Roma ha denunciato, in riferimento all'art. 3 Cost., ~li artt. 1, 9 e 13 I. 8 febbraio 1948 n. 47 perch� non si giustificherebbe la diversa disciplina prevista per i reati commessi a mezzo della stampa rispetto a quelli commessi con il mezzo della pubblicit� costituita dalle trasmissioni radiotelevisive; diversit� che si esprime nella minore asprezza delle pene comminate per gli imputati (1) Si riporta qui la memoria depositata dinanzi la Corte costituzionale: 1. -La norma denunciata prevede che, nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa possa chiedere, oltre al risarcimento dei danni, una somma a titolo di riparazione. Ha ritenuto la Corte di Appello di Roma che la inapplicabilit� di tale norma ai reati di diffamazione commessi con altri mezzi di diffusione del pensiero, quali la radio e la televisione, comporti una ingiustificata disparit� di trattamento fra soggetti penalmente responsabili di fatti aventi analoga efficacia lesiva. 2. -La questione si pone nel pi� ampio quadro normativo della legge 8 febbraio 1948, n. 47 che, come � noto, prevede una disciplina assai pi� rigorosa (per la competenza, il rito, la sanzione, le pene accessorie, la determinazione dell'area del pregiudizio risarcibile, l'individuazione dei responsabili) per il reato di diffamazione a mezzo stampa rispetto a quello � comune �. Ad avviso del giudice a quo la diffamazione a mezzo radio o televisione avrebbe una potenzialit� offensiva almeno pari rispetto a quella effettuata a mezzo stampa: ciononostante la sua punizione rimane regolata dal diritto comune. In tale situazione la pi� grave normativa differenziale prevista dalla legge 47/48 sarebbe incostituzionale per violazione del principio di uguaglianza, contem� plando una soltanto di due ipotesi di identica gravit� e riprovevolezza. La questione cos� posta appare, in limine, inammissibile per manifesta irri� levanza e, nel merito, infondata. 3. -La prospettazione del giudice a quo sembra fondarsi su di una concezione meramente formalistica del principio di uguaglianza: la giurisprudenza di codesta Corte ha, per contro, da tempo elaborato una assai pi� pregnante costru� 3 888 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di reati commessi per mezzo delle trasmissioni radiotelevisive via etere, la cui obiettivit� per quella RAI TV � per giunta soggetta a controllo del competente organo parlamentare di vigilanza. Giova premettere che nel quadro dell'art. 595 cod. pen. al primo comma, il quale incrimina chiunque, comunicando con pi� persone, offende l'altrui reputazione punendolo con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a diecimila lire, si contrappone il terzo comma, il quale, se l'offesa � recata col mezzo della stampa� o con qualsiasi altro mezzo di pubblicit�, ovvero in atto pubblico, punisce il reo con la reclusione da sei mesi a tre anni o con .la multa non inferiore a ventimila .lire. La legislazione successiva non ha inciso sulla concezione della maggiore pericolosit� del mezzo della stampa e di qualsiasi mezzo di pubblicit� rispetto allo schema generale della diffamazione delineato nel primo I comma dell'art. 595, ma ha operato nell'area del terzo comma dapprima con l'impugnato art. 13 (� nel caso di diffamazione commesa col mezzo I della st�mpa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, si i I applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa ! ~ I1 zione di quel principio, funzionalizzandolo -come criterio di ragionevolezza ! ad un controllo di congruenza logica delle norme con le finalit� corrispondenti I ad interessi tutelati dalla Costituzione. La denuncia della violazione del principio di uguaglianza per disparit� di I trattamento di situazioni analoghe, in tanto, quindi, pu� condurre alla caducazione della norma denunciata in quanto (e nella misura .in cui, se si perdona l'abusata espressione) essa norma sia affetta dal vizio di irragionevolezza, mentre, I invece, ove la irragionevolezza discenda non dal precetto ma dalla sua incompletezza non potr� mai arrivarsi ad una sentenza caducatoria ma, a seconda I dei casi, manipolativa per addizione o sollecitatoria. Orbene, nella specie appare pacifico come la maggiore severit� usata dal I legislatore nei confronti del reo di diffamazione a mezzo stampa rispetto al I reo di diffamazione a mezzo di radio-diffusione sia congruamente proporzion�ta I con la differenza di gravit� dei due rispettivi reati in relazione alla diversa pro I I fondit� della lesione inferta al bene protetto dalJLa. norma "Penale. La normativa differenziaLe appare, quindi, non solo legittima ailla luce dell'art. 3 delllia Costi I tuz.ione, ma addirittura doverosa per i1 Jegisliatore, alla stregua del:l'insegnannento I di codesta Corte (per tutte, Corte Cost. sent. n. 62 del 19 aprile 1962), iin quanto il riservare analogo trattamento ad ipotesi di gravit� tanto diverse violerebbe I hl principio ai ragionevolezza. Se cos� � -e non pare lecito dubitarne -l'ipotizzata analogia di situazioni I fra diffamazione a mezzo stampa e diffamazione a mezzo radio-diffusione (ammesso e non concesso che tale analogia vi sia) condurrebbe ad una difformit� dell'ordinamento dalla Costituzione non gi� nella parte in cui la normativa pi� rigorosa punisce i diffamatori a mezzo stampa, sibbene nella parte in cui la normativa piu rigorosa non � estesa anche alla diffamazione �via etere �: ma � evidente che, posta in tali termini, la questione di costituzionalit� �, da un lato, irrilevante per la decisione della causa a quo, dall'altro inammissibile, attesa la imoossibilit� per codesta Corte, in subiecta materia, di emettere sen� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 889 non .inferiore a lire centomila�), pol con .la 1. 14 aprHe 1975, n. 103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), la quale prevede s� il diritto di rettifica, considerato anche dall'art. 8 della legge del '48, ma soggiunge che la rettifica non esclude le responsabilit� penali e civili nelle quali si � incorsi. Inoltre la legge medesima estende parte della normativa del '48~ ivi compreso l'art. 13. Tale essendo la posizione sistematica della normativa, di cui fan parte le disposizioni impugnate, ne discende che Je norme complementari, non innovando al sistema delineato nell'art. 595, hanno, nell'area coperta dal terzo comma, modificato -per quel che attiene alla misura della pena il regime della stampa, quale veicolo di diffamazione, e non anche il regime degli altri mezzi di pubblicit�, ma la specialit� impressa agli schemi delineati nel comma terzo dell'art. 595 non consente di ravvisare negli altri mezzi di pubblicit� il genus rispetto al quale la disciplina della stampa si profili come (in maggior grado) speciale. Sul piano giuridico-formale gli ora esposti rilievi, che hanno trovato collocazione nella sent. 42/1977 di questa Corte, sarebbero sufficienti a giudicare infondata la proposta questione di costituzionalit� degli artt. 1 tenze manipolatrici �additive�, �sottraendo alcune fattispecie alla disciplina comune per ricondurla in una disciplina speciale che si ritiene pi� congruamente tutelare gli interessi coinvolti� (Corte Cost., 20 gennaio 1977, n. 42). 4. -Nel merito va, poi, osservato come non appaia esatta la equiparazione delle due fattispecie in raffronto, che si differenziano sotto molteplici aspetti: la legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, venne approvata dalla stessa Assemblea Costituente in attuazione della disposizione XVII delle disposizioni transi� torie e finali della Costituzione, per disciplinare il diritto della libert� di stampa sancito dall'art. 21 della Costituzione che considera -e non a caso -la stampa come mezzo di manifestazione del pensiero meritevole di autonoma disciplina. �La ragione non � data soltanto dal fatto che, per tradizione storica, la libert� politica si � identificata quasi essenzialmente con la libert� di stampa, ma soprattutto dal fatto che la stampa � il mezzo di diffusione del pensiero che, meglio degli altri, riunisce in s� due requisiti fondamentali: quello di essere a illimitata diffusibilit� e quello di essere, almeno potenzialmente, nella disponibilit� produttiva di ogni individuo. Gli altri mezzi di diffusione del pensiero non possiedono congiuntamente questi due requisiti: la � parola�, per esempio, � certo nella disponibilit� produttiva di ogni individuo, ma ha una limitata diffusibilit�; la radio, la televisione, il cinema, tutti i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, insomma, hanno una ampia diffusibilit� (non, per�, illimitata) ma non sono assolutamente nella disponibilit� produttiva di ogni individuo: tanto vero che, per ragioni economiche e per motivi politici, sono, in genere, monopolizzati dai centri di potere statuali e privati�. (Nuvolone, Il Diritto penale della Stoampa, 1971, Padova, pag. 10). Gi� tanto basterebbe, ma le differenze non si fermano qui: si pensi ancora al fatto che la stampa rimane conservata nel tempo (cfr. Nuvolone, op. cit., pag. 13; Carrara, Programma, P. Sp. vol. Ili, Lucca 1878, Il, par. 1721) a disposizione del pubblico (art. 10, 1. 2 febbraio 1939, n. 74) -e quindi, in un certo senso, � consegnata alla storia � -mentre la notizia trasmessa via etere si 890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (definizione di stampa o stampato), 9 (pubblicazione obbligatoria di sentenza) e 13 (pena per la diffamazione) della legge del '48; sebbene in quell'incontro i giornalisti radiotelevisivi resistessero aH'applicazione in loro pregiudizio della legge 8 febbraio 1948 n. 47, eadem � la ratio decidendi da cogliersi in ci� che non pu� estendersi una normativa speciale ad attivit� diverse, e speciali -rispetto al modulo generale del primo comma -sono pur sempre le normative che disciplinano la diffamazione a mezzo stampa o per mezzo di altre forme di �pubblicit�. N� va pretermesso che la stampa viene anche in dottrina riguardata come mezzo di diffamazione ben pi� pericoloso di altri mezzi di pubblicit� talch� anche nei tempi presenti, in cui si registrano sempre pi� cospicue masse di spettatori, la stampa non ha cessato di profilarsi quale pi� pericoloso veicolo di diffamazione e, pertanto, non � irrazionale la taxatio maggiore rispetto alla tecnica radiotelevisiva. Ci� naturalmente non toglie che nell'area deHa l. 103/1975 possano cog1iersi discrasie e che il legislatore possa ridurre .U solco che separa la legge del '48 dalla pi� recente legge del '75, ma qui si nega che tale compito, la cui attuazione implica indagini sociologiche e sociopolitiche, possa essere esplicato dalla Corte, esaurisce, come fonte autonoma di conoscenza, nel momento in cui viene fornita. Si pensi ancora al fatto che, quanto meno secondo un principio di regolarit� statistica, nel reato a mezzo stampa -e non in quello via etere -pu� presu� mersi un �dolo di proposito�. Viene dunque meno quella identit� di situazione nelle due fattispecie diversamente regolate che costituisce presupposto della denunciata illegittimit� della disciplina differenziata. Ma vi � di pi�: nella sentenza 42/77, sopra citata, codesta Corte ha gi� precisato -e proprio in relazione alla materia in esame -che la sottrazione di alcune fattispecie alla normativa generale per ricomprenderle in una speciale pi� rigorosa costituisce oggetto di scelta eminentemente politica, e che una estensione del regime della stampa all'emittenza via etere ulteriore rispetto a quella gi� operata con l'art. 7 della legge 14 aprile 1975, n. 103 costituirebbe oggetto di una valutazione discrezionale del legislatore. Il quale, d'altronde, proprio nella legge 103/75, sembra aver operato valutazioni e scelte, discriminando fra emittenza pubblica in regime di monopolio, cui ha esteso, con l'art. 7, la applicabilit� della legge sulla stampa limitatamente agli artt. 5, 6, 8 e 21 (ora modificati -ma ad effetti non rilevanti ai fini del presente giudizio -dalla legge 5 agosto 1981, n. 416) ed emittenza privata via cavo, cui ha esteso, con l'art. 31, in misura molto maggiore (ma non totale! il rinvio � fatto, invero, agli artt. 3, 5, 6, 9, 13, 14, 15 e 21) l'applicabilit� della stessa legge. Nulla, naturalmente, ha previsto il legislatore del 1975 per l'emissione privata via etere, al tempo vietata anche su scala locale: sembrerebbe peraltro ragionevole l'estensione in parte qua della normativa dettata per l'emi<ttenza via cavo, ed in tal senso erano orientati i disegni di legge sinora approntati. Sulla stessa via, in sede di interpretazione analogica -naturalmente in materia extrapenale -si � d'altronde mossa la Suprema Corte (Cass., SS.UU. 1� ottobre 1980, n. 5336). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 891 la quale deve limitarsi -in ci� riecheggiando le ultime battute della motivazione della sentenza del '77 -a richiamare l'attenzione del legislatore sulla infuocata materia. Rimane l'art. 12 (ripartizione pecuniaria) della legge del '48 nell'im� pugnazione del quale si esaurisce la denuncia della Corte d'appello di Roma, ma, se a modello di razionalit� della normativa del '48 si assume la legge del '75, il mancato richiamo, nell'art. 31 della legge del 75, riflettente l'emittenza privata via cavo, dell'art. 12 di questa, toglie alla censura della Corte d'appello di Roma la base normativa, seppur non sia illecito -pi� a monte -rilevare le non poche disparit� di trattamento tra varie specie di diffusione per mezzo della radio e della televisione, poste .in luce dall'interveniente Presidente del Consiglio dei mini� stri; diversit� che privano la legislazione del '75 di quella uniformit�, in difetto della quale non pu� la diffusione per mezzo della radio e della televisione fungere da modello di razionalit�. N� le superiori considerazioni consentono di riservare miglior sorte alla impugnazione dell'art. 57 cod. pen., per il quale dei reati a mezzo stampa il direttore viene come tale incriminato, mentre secondo l'interpretazione del giudice a quo non sarebbe fatto segno il direttore dei telegiornali e del gJ.ornale radio. 5. � In definitiva e per conludere sul punto sembra che il legislatore, in materia di tutela della reputazione della persona in sede penale, abbia individuato, con riferimento al mezzo di diffusione del pensiero usato, quattro � livelli � di gravit� potenziale dell'offesa, con altrettanti regimi punitivi differenziati. Alla base della scala il regime �comune�� del codice penale. Al sommo, il regime della stampa. In posizione intermedia, il regime della emittenza radiotelevisiva pubblica (di poco aggravato rispetto al regime comune) e queilJlo de1lla emittenza radiotelevisiva privata -via cavo -(di poco attenuato rispetto al regime della stampa). La giustificazione del minor rigore usato per l'emittenza pubblica rispetto a quella privata sembra evidente: il suo carattere pubblico, appunto, ed i controlli e la vigilanza cui � sottoposta (Cfr., artt. 1, 4 e 5 legge 103/75) appaiono idonei, infatti, a ridurre grandemente la potenzialit� di offesa al bene della reputazione dei consociati: la differenza di previsione normativa appare pertanto � ragionevole � alla stregua, fra l'altro, di principi di politica criminale. Non che trattare in maniera uguale posizioni differenziate, il legislatore si �, dunque, dato carico di disciplinare differenzialmente, da un lato, la diffama� zione � comune �, dall'altro la diffamazione tramite mass media, comparando, poi, nell'ambito di tale seconda categoria, tre distinte situazioni gradate in ragione della loro pericolosit� e potenzialit� offensiva e commisurando proporzional� mente tre diversi regimi punitivi in scala di crescente gravit�. Il principio di ragionevolezza appare, dunque, pienamente rispettato, non sembrarJJdo consentito indiagare -senza imp:ingere ill1atlIJIIIlissibiliinente nella ,discrezionalit� politica del legislatore -sulla opportunit� di graduare diversamente sul piano normativo le varie ipotesi differenziate. 892 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO I CORTE COSTITUZIONALE, 26 ottobre 1982, n. 169 -Pres. e Rel. Elia FIDEP- CGIL (avv. Muggia). Corte costituzionale -Giudizio in via incidentale -Ordinanza di rimessione Pi� interpretazioni delle disposizioni sottoposte a sindacato di costi� tuzionalit� Inammissibilit�. Sul giudice a quo incombe l'onere di operare una precisa scelta circa l'interpretazione da darsi alla disposizione sottoposta a sindacato di legittimit� costituzionale; in tale compito la Corte costituzionale non pu� sostituirsi al giudice a quo (1). II CORTE COSTITUZIONALE, 17 novembre 1982, n. 187 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Venettoni (n.p.) e Regione Veneto (avv. Viola). Corte costituzionale -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale Esame delle questioni di fatto ad opera del giudice a quo -Deve precedere la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. L'esame ad opera del giudice a quo delle quaestiones facti la cui soluzione condiziona l'applicabilit� o meno della disposizione della cui legittimit� costituzionale si dubita deve precedere, in quanto inerisce al giudizio di rilevanza delle questioni, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. (1) La massima non d� rilievo ad un breve inciso ( � la seconda interpretazione, proposta in via certamente non ipotetica�) non sviluppato nel corpo della sentenza, che limiterebbe di molto la portata del principio affermato: in effetti parrebbe che il giudice a quo possa prospettare pi� interpretazioni alternative delle disposizioni che sottopone a sindacato di costituzionalit�, purch� abbia cura di indicare quale -a suo avviso -� l'interpretazione da seguirsi e di collocare le altre interpretazioni (e le relative questioni di legittimit� costituzionale) �in via subordinata�. La sentenza ripropone, al di l� del suo specifico contenuto, il delicato tema della divisione di compiti tra giudice lato sensu ordinario e giudice costituzionale e riconosce la necessit� di contenere l'eventuale propensione a risolvere nell'aro� bito del giudizio di costituzionalit� le questioni relative all'interpretazione (e non alla validit�) delle disposizioni legislative sub judice. Cfr. anche Corte cost. 29 aprillie 1982, n. 81, in questa Rassegna, 1982, I, 4518. ......_,,..,.,...,~ PARTE 1, SEZ. 1, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 893 III CORTE COSTITUZIONALE, 19 novembre 1982, n. 195 -Pres. Elia -Rel. Conso -Rizzo ed altri (avv. Sandulli) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Corte costituzionale -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale Ordinanza di rimessione -Insufficiente individuazione della normativa ordinaria sottoposta a giudizio � Inammissibilit� della questione. Grava sul giudice a quo l'onere di individuare con precisione l'oggetto della questione di legittimit� costituzionale, e cio� sia i parametri costi tuzionali sia la normativa ordinaria sottoposta al vaglio di costituzionalit� (2). I Nel corso di otto giudizi per regolamento preventivo di giurisdizione, '1e Sezioni Unite de1la Corte di cassazione hanno sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 28 della fogge 20 maggio 1970, n. 300, e delle disposizioni relative alle attribuzioni dei Tribunali. Amministrativi regionali, del Consiglio di Stato e dei procedimenti dinanzi a questi organi in materia di giurisdizione esclusiva (artt. 29 n. l, 39 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054; 7, 19 e 21 l. 6 dicembre 1971, n. 1034) nelle parti riguardanti la tutela della libert� e dell'attivit� delle associazioni sindacali dei dipendenti di enti pubblici non economici. Interpretando le disposizioni denunziate nel senso che agli anzidetti sindacati non � consentito il rimedio di cui all'art. 28 dello Statuto dei lavoratori per reprimere un eventuale comportamento anti-sindacale posto in essere da enti pubblici non economici, ma solo l'intervento ad adiuvandum nel ricorso in sede di giurisdizione esclusiva del singolo lavoratore leso, le Sezioni Unite ritengono non manifestamente infondato il contrasto tra simile complesso normativo e gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Al sindacato infatti, titolare di libert� e di diritti sostanziali propri, sarebbe negato il diritto di reagire giurisdizionalmente alle lesioni (2) Si � scelto di pubblicare questa sentenza (e di essa ampi brani della �narrativa in fatto�) per il significato sociologico prima che giuridico della ordinanza di rimessione: nella Costituzione v'� anche un art. 101, comma secondo, ove � chiaramente enunciata la subordinazione del giudice alla legge; e il successivo art. 104, comma pri:mo, non crea una � ,rtl1Serva di sen11e:nza � opponibile al legislatore ed un limite generale (assorbente i limiti particolari posti da altre norme costituzionali) alla retroattivit� delle leggi statali. Anche questo caso esprime una propensione del giudice a considerarsi titolare di � interessi sostan� ziali � propri, anzich� organo chiamato soltanto a jus dicere. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 894 arrecate all'esercizio di tali situazioni giuridiche soggettive, con evidente disparit� di trattamento rispetto ad altre associazioni sindacali. Inoltre le forme del procedimento presso il giudice amministrativo mancherebbero di quell'effettivit� e immediatezza di tutela caratteristiche invece dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori. Ma .le Sezioni Unite sollevano anche il dubbio della Jegittimit� costituzionale dell'interpretazione opposta a quella adottata e cio� del ritenere che al dipendente � dato il ricorso in sede di giurisdizione esclusiva e al sindacato il rimedio previsto dall'art. 28. In questa prospettiva infatti potrebbero verificarsi. contrasti di giudicati irresolubiJi con gli ordinari mezzi della litispendenza, della connessione, della continenza, della sospensione necessaria o facoltativa o con l'istituto previsto da11'art. 362, secondo comma, del codice di procedura civile. Una siffatta situazione, in cui la pubblica amministrazione potrebbe trovarsi esposta all'obbligo di ottemperare a diverse ed eventualmente opposte statuizioni giudiziarie non sarebbe conforme n� al principio di ragionevolezza n� al principio del giudice naturale. Quest'ultimo infatti risulterebbe violato considerando come la normativa impugnata avrebbe precostituito due giudici naturali per una controversia identica quanto a petitum e causa petendi, senza dare indicazioni circa la �specificit� ultimativa nella designazione del giudice� richiesta, secondo le Sezioni Unite, dall'art. 25 della Costituzione. (omissis) Dopo avere con varie ordinanze, e in termini globali, eccepito la mancata estensione delle garanzie ex art. 28 ai sindacati dei dipendenti statali (sent. n. 68/80), le Sezioni Unite hanno ora proposto questione di legittimit� costituzionale in ordine alla inapplicabilit� delle predette garanzie ai sindacati del personale degli enti pubblici non economici, anche quando la domanda dell'associazione sindacale coinvolgesse, oltre le posizioni dell'associazione, singoli rapporti di lavoro. Senonch� le ordinanze, il cui esame deve compiersi in unico giudizio per l'identit� testuale di cui si � detto, sollevano in ordine ad uno stesso complesso normativo (l'art. 28 citato e diversi precetti sulla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi in ordine ai rapporti di pubblico impiego) due autonome questioni di costituzionalit�, con distinti parametri; ma la duplicit� delle questioni deriva dalla duplice interpretazione che in ciascuna ordinanza si offre dell'art. 28 dello Statuto e della sua collocazione nell'ordinamento in rapporto alle norme sulla ripartizione della giurisdizione. Una prima scelta interpretativa ne presuppone la non applicabilit� (in mancanza di previa sentenza di questa Corte) ai sindacati dei dipendenti degli enti pubblici non economici: onde la contestazione di legittimit� costituzionale dell'art. 28 e degli altri precetti �in quanto non prevedono � la stessa tutela per quei sindacati. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La seconda interpretazione, proposta in via certamente non ipotetica (tanto da dar luogo a una seconda questione), presuppone al contrario l'applicabilit� dell'art. 28 alle associazioni sindacali predette; applicabilit�, che, ove provocasse contrasti di giudicati, produrrebbe situazioni lesive del disposto dell'art. 25, primo comma, Cost., in ordine alla garanzia del giudice naturale. Un'ulteriore singolarit� consiste nella circostanza che una pronuncia di accoglimento della prima questione equivarrebbe, nel risultato, all'accettazione della seconda proposta interpretativa, con l'effetto di rendere egualmente necessario il giudizio sulla questione riferito al parametro dell'art. 25, primo comma, Cost. Ma � da chiedersi in via preliminare se una stessa ordinanza che solleva il giudizio di costituzionalit� possa fondarsi su due interpretazioni contrapposte della stessa norma applicabile dal giudice a quo, o se invece il giudice che solleva la questione non debba operare esso stesso una precisa scelta interpretativa. t� ovvio che porre il problema significa anche risolverlo: in effetti senza tale scelta non si potrebbe identificare il �chiesto� alla Corte costituzionale (o meglio il thema decidendum sottoposto al giudice della costituzionalit� delle leggi) n� sarebbe dimostrata la rilevanza dcl.la eccepita iJlegittimit� perch� proposta �in astratto� (cfr. al riguardo la sent. n. 81/82). Nella specie l'antinomia delle letture interpretative � cos� radicale da rendere veramente ancipiti le ordinanze delle Sezioni Unite, senza che questa Corte possa risolvere l'essenziale duplicit� dell'oggetto presentato al suo giudizio. D'altra parte, anche considerate singolarmente, le due questioni corrispondenti alle due letture o ipotesi esegetiche danno luogo a serie perplessit�. Per ci� che riguarda la prima quaestio risulta di difficile intelligibilit� la simultanea contestazione dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori e delle norme sulla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi in tema di rapporto di pubblico impiego. In realt� non � agevole scorgere come il giudice a quo possa aver considerato applicabili da parte sua (e nella stessa controversia) norme cos� chiaramente alternative in ordine alla tutela giurisdizionale delle associazioni sindacali dei dipendenti degli enti pubblici non economici. Per ci� che concerne poi la seconda questione (relativa alla violazione dell'art. 25, primo comma, Cost.), rimane incerto se a questa Corte sia richiesta una sentenza additiva nel senso di concentraire nel giudice civile i poteri di tutela giurisdizionale dei sindacati e delle situazioni attinenti al rapporto di impiego dei singoli dipendenti o, al contrario, nel senso di operare la concentrazione a favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. D'altronde, la natura del �petitum� implicito nella seconda questione, indica che, comunque si risolva la sua attuale ambivalenza, l'intero pro 896 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO blema della estensione delle garanzie ex art. 28 dello Statuto dei Javoratori comporta una scelta tra le soluzioni possibili che, nello stato attuale dell'ordinamento, eccede i poteri di questa Corte. Conclusivamente, per i motivi suesposti, la Corte non � in grado di passare all'esame del merito, sicch� si impone una declaratoria di inammissibilit�. II (omissis) La questione � inammissibile. Indipendentemente, infatti, da ogni considerazione sui dati pi� sopra emersi -manifestazione di rimostranza ben pi� di dieci mesi dopo la piena conoscenza della deliberazione della Giunta e proposizione del ricorso giurisdizionale, non gi� contro questa, ma contro la successiva comunicazione dei motivi da parte del Presidente della regione -, assume rilievo decisivo la constatazione che il TAR non ha compiuto un'adeguata valutazione dei presupposti -fa oui esistenza era ampiamente controversa fra le parti -circa l'applicabilit� della norma nella parte in cui facoltizzava la Giunta regionale ad adottare il provvedimento de quo. III L'Ufficio istruzione del Tribunale di Roma procedeva a carico di Rizzo Giuseppe (ed altri), imputati del delitto di peculato continuato pluriaggravato, perch� � agendo in concorso tra loro e con altre persone, ciascuna nella sua qualit� di amministratore dell'Istituto 'di Patronato per l'Assistenza Sociale (IPAS), Ente pubblico, ai sensi del d.l.C.p.S. 29 luglio 1947, n. 804..., con pi� atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, distraevano, a profitto proprio e altrui vantaggio, ingenti somme di danaro di pertinenza deU'IPAS, disponendone per finalit� estranee ai fini dell'ente�. Nel corso della istruzione entrava in vigore la legge 27 marzo 1980, n. 112 ( � Interpretazione autentica delle norme concernenti la personalit� giuridica e il finanziamento degli istituti di patronato di cui al d.l.C.p.S. 29 luglio 1947, n. 804, nonch� integrazioni allo stesso decreto�) che, all'art. 1, espressamente stabilisce: �Gli istituti di patronato e di assistenza sociale, costituiti ai sensi dell'art. 2 dJ.C.p.S. 29 luglio 1947, n. 804, hanno personalit� giuridica di diritto privato�. (omissis) Il Giudice !istruttore, prima di procedere ad ogni ulteriore attivit�, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale della citata legge 27 marzo 1980, n. 112, per � eccesso di potere legislativo� e contrasto con l'art. 104, primo comma, del.la Costituzione. In ordine al primo vizio denunciato, il giudice a quo rileva che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, sin dal 1958 (sentenza 22 mar PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA �OSTITUZIONALE zo 1958, n. 960), riconobbero agli Istituti di patronato la specifica funzione di integrare e di rendere pi� funzionale l'attivit� di enti pubblici, come l'INPS, l'INAIL, l'INAM, etc., nella fase della concreta realizzazione della previdenza ed assistenza sociale obbligatoria. Tale indirizzo fu mantenuto fermo dalle Sezioni Unite con la sentenza 4 aprile 1964, n. 734, nella quale, anzi, si evidenziava esplicitamente che gli Istituti di patronato hanno carattere pubblico, in quanto, �come risulta dall'art. 1 del citato decreto, istituzionalmente perseguono uno scopo di carattere pubblico�: quello di provvedere in via esclusiva all'assistenza e alla tutela dei lavoratori e dei loro aventi causa, per il conseguimento in sede amministrativa delle prestazioni di qualsiasi genere previste da leggi, statuti e contratti regolanti la previdenza e la quiescenza, nonch� alla rappresentanza dei lavoratori davanti agli organi di liquidazione di dette prestazioni o a collegi di conciliazione, prestazioni, tutte, dovute in base agli statuti e ai contratti, che si limitano sempre a sostituire o ad .integrare quelle dovute a norma di legge, alle quali non possono essere mai quantitativamente inferiori. Ne consegue che lo scopo istituzionale degli Istituti di patronato ha, nella sua parte principale ed assistenziale, carattere complementare e integrativo delle finalit� di previdenza e di assistenza sociale, la cui natura pubblica � universalmente ritenuta per avere lo Stato, in adempimento del precetto contenuto nell'art. 38 Cost., reso obbligatorio il conseguimento di esse mediante l'imposizione di determinati contributi e la creazione di appositi enti pubblici (INAIL, INPS e INAM) destinati a realizzarle. (omissis) � Dai motivi posti a base della prospettata illegittiinit� costituzionale della legge 27 marzo 1980, n. 112, per eccesso di potere legislativo discendono �, poi, secondo .il giudice a quo, � ulteriori perplessit� sulla compatibilit� tra tale norma e l'art. 104, primo comma, Cost. �, E, infatti, la trentennale uniformit� delle magistrature superiori nel riconoscere agli Istituti di patronato la natura di enti pubblici non economici (senza che il legislatore sentisse, per l'intero arco di tempo corrente dal 1947 al 1980, la necessit� o l'opportunit� di chiarire, con atto di interpretazione autentica, il significato del �precetto�, ed avallando, anzi, con la propria inerzia, l'interpretazione giurisprudenziale) fa :ritenere che la specifica destinazione della � disposizione legislativa � impugnata sia stata essenzialmente quella di neutralizzare gli effetti delle decisioni giudiziarie nel procedimento in corso, con conseguente violazione del fondamentale principio della divisione e coordinamento tra i poteri dello Stato. Nella vigente Costituzione repubblicana non pu� trovare ingresso il postulato della �onnipotenza� del legislatore: quest'ultimo non si con fonde ed 1dentifica con lo Stato, posto che il potere statuale si ripartisce tra gli organi legislativo, giudiziario ed amministrativo, e tale ripartizione comporta dei limiti nell'esercizio delle rispettive funzioni, sul cui corretto esercizio si fonda sia l'autorit� dello Stato che la libert� dei cittadini. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 898 � Da quanto sopra rilevato � -conclude il Giudice istruttore � si evidenzia il sospetto di incostituzionalit� della 1. 27 marzo 1980, n. 112 �: � per eccesso di potere legislativo, in quanto, pur qualificandosi la legge de qua di interpretazione autentica, tale disposizione appare in contrasto con quella che dovrebbe essere la sua destinazione e ci� sia perch� non ricorre il presupposto consistente nell'incertezza della legge antecedente e sia perch� sotto specie di interpretazione si sono introdotte norme in realt� innovative, per rendere meno appariscente l'innovazione stessa�; � &n riferimento all'art. 104, primo comma, Cost. poich� per mezzo della retroattivit� propria della interpretazione autentica, appare esercitata dal potere legislativo una indebita ingerenza nel procedimento in corso, ... cos� da minacciare l'indipendenza dell'organo giurisdizionale�. (omissis) La questione �, comunque, da dichiarare inammissibile per altra ragione, emergente dai modi stessi della sua prospettazione. Essa, infatti, non risulta debitamente posta sotto il profilo formale, per l'insufficiente specificazione del thema decidendi. A rivelarsi insufficiente non � tanto l'individuazione dei parametri costituzionali, anche se -sotto il profilo, prioritariamente invocato, dell'eccesso di potere legislativo -nessuna norma della Costituzione risulta indicata in modo particolare, essendosi l'ordinanza di rimessione limitata a denunciare un generico contrasto � sia con le esigenze razionali del diritto, sia con i princ�pi costituzionali�, ed anche se -sotto il profilo, conseguenzialmente dedotto, dell'ingerenza nell'attivit� della magistratura -l'art. 104, primo comma, Cost. sembra richiamato in funzione dei soli rapporti tra la legge denunciata ed il procedimento in corso davanti al giudice a quo. Baster� ricordare, al primo proposito, che, in pi� occasioni,. di fronte ad una generica censura di contrasto con i princ�pi generali dell'ordinamento giuridico e con quelli del sistema costituzionale, questa Corte ha ritenuto possibHe ricercare ed eventualmente ritrovare nel contesto dell'ordinanza il concreto significato della censura in tal modo proposta (v., ad esempio, le sentenze n. 87 del 1963, n. 40 del 1964, n. 12 del 1965), e, al secondo proposito, che non si pu� escludere a priori l'esistenza di altri analoghi procedimenti e che, comunque, un'eventuale declaratoria di illegittimit�, con l'incidere negativamente sulla legge denunciata, sarebbe pur sempre suscettibile di pi� larghi coinvolgimenti. Insufficiente �, invece, l'individuazione della normativa ordinaria sottoposta al vaglio di costituzionalit�, ma ci� non gi� perch� l'ordinanza fa riferimento ad una legge indicata globalmente (i precedenti nel senso della ritenuta ammissibilit� di questioni sollevate in ordine ad un intero testo legislativo non fanno certo difetto nella giurisprudenza della Corte: in aggiunta ai richiami operati, sia pure ex adverso, dalla recente sentenza n. 30 del 1982, si vedano le sentenze n. 118 del 1957, n. 77 del 1964, n. 175 del 1974 e n. 152 del 1982, particolarmente significative in quanto concer PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 899 nenti leggi qualificate di interpretazione autentica e, come tali, sottoposte ciascuna a giudizio di legittimit� nel suo insieme), bens� perch� l'ordinanza, oscillando continuamente tra il piano della legge considerata per intero e il piano della �disposizione� o della �norma�, impedisce di cogliere gli esatti termini della questione. Anche a voler sottointendere che, seppure mai indicata con la relativa numerazione, la � disposizione � o la � norma � specificamente enucleabile dal complesso dei cinque articoli costituenti la legge n. 112 del 1980 non potrebbe che essere l'art. 1, imperniato, com'esso �, sulla personalit� giuridica di diritto privato degli ~stituti di patronato e di assistenza sociale, resta insuperabile l'ambiguit� di fondo per cui la questione pare coinvolgere ora la intera � legge � ora la � disposizione � o � norma � singolarmente considerata. D'altro canto, l'ordinanza non contesta la legittimit� della privatizzazione ex nunc degli istituti contemplati nell'art. 1, donde la conseguenza che persino questa � disposizione � o � norma � potrebbe sfuggire al vaglio di costituzionalit�, salvo che per la parte della sua ritenuta efficacia retroattiva. A complicare ulteriormente il quadro normativo che, cos� come l'ordinanza si presenta formulata, � di ostacolo all'esatta individuazione dell'oggetto della presente questione, si aggiunge la circostanza che la ritenuta efficacia retroattiva, integrante l'eccesso di potere legislativo e <l'invasione della sfera riservata all'autorit� giudiziaria, non emerge in alcun modo n� dall'art. 1 n� da altri articoli della legge n. 112 del 1980, ma viene ricavata dal titolo di essa, l� dove esplicitamente si parla di � interpretazione autentica �. Il che, a prescindere dal problema dei rapporti tra titolo e contenuto delle leggi, significa reiterare sotto altra prospettiva i dubbi sull'estensione dell'oggetto della questione, restando da chiarire, in mancanza di un'univoca presa di posizione dell'ordinanza di rimessione, se l'interpretazione autentica del titolo investirebbe la legge in tutto o solamente in parte e, nella seconda pi� verosimile eventualit� (il titolo parla anche di �integrazioni� al decreto e l'ordinanza di �norme in realt� innovative�), in quali parti. N� a dissipare le incertezze vale l'insistito, cruciale, ricorso all'ipotesi dell'eccesso di potere dell'atto -legislativo: non necessariamente questo tipo di vizio comporta l'illegittimit� dell'intero atto, ben potendosi riscontrare, nei casi di atti le cui prescrizioni siano scindibili, una sua incidenza soltanto parziale. Conclusivamente, compete al giudice che solleva la questione individuare con precisione l'oggetto della censura. Come compete a lui puntualizzare il concreto profilarsi dei rapporti tra due o pi� leggi, oppure tra due o pi� disposizioni, sulla base delle regole che ne governano la suc� cessione, ivi compreso, eventualmente, l'art. 2 cod, pen. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 10 novembre 1982, n. 176 -Pres. Elia -Rel. Reale -Iannuccilli (avv. Festa) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato De Francisci). Forze armate -Ufficiali -Ufficiali in ausiliaria o del ruolo d'onore -Non sono vincolati da rapporto d'impiego. (Cost., art. 3; I. 9 ottobre 1971, n. 824, art. 5). Gli ufficiali in ausiliaria o del ruolo d'onore non sono vincolati da rapporto di pubblico impiego ma hanno con l'amministrazione militare solo un rapporto di servizio (1). (omissis) Non esiste, innanzitutto, eguaglianza o omogeneit� di situazioni giuridiche tra gli ufficiali in ausiliaria o del ruolo d'onore e quelli in servizio permanente effettivo. Il Consiglio di Stato, nell'ordinanza n. 448 del reg. ord. 1977, riconosce che il presupposto dell'applicazione dei benefici combattentistici � costituito dal rapporto di pubblico impiego, ma soggiunge che gli � ufficiali non in servizio permanente effettivo n� in servizio obbligatorio di leva� sono � soggetti anch'essi... di un rapporto di impiego pubblico�. Senonch� questa affermazione � priva di fondamento nella normativa vigente, della quale non � contestata la legittimit� costituzionale. La fondamentale legge 16 aprile 1954, n. 113 (Stato degli ufficiali de1l'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica) stabilisce all'art. 3 che �gli ufficiali si distinguono in ufficiali in servizio permanente, ufficiali in congedo, ufficiali in congedo assoluto�; che �gli ufficiali in congedo sono ripartiti in quattro categorie: ufficiali dell'ausiliaria, ufficiali di complemento, ufficiali della riserva e ufficiali della riserva di complemento �; che mentre � gli ufficiali in servizio permanente sono vincolati da rapporto di impiego�, invece �gli ufficiali in congedo non sono vincolati da rapporto di impiego �. L'art. 55 della stessa legge definisce lo status degli ufficiali dell'ausiliaria, cio� di quegli � ufficiali che, avendo cessato dal servizio permanente nei casi e nelle condizioni previsti dalla presente legge, sono costantemente a disposizione del Governo per essere all'occorrenza chiamati a prestare servizi che non siano riservati agli ufficiali in servizio permanente da norme di ordinamento o da appositi regolamenti. Il richiamo in temporaneo servizio dell'ufficiale in ausiliaria � disposto con decreto ministeriale previa adesione del Ministro per il Tesoro �. (1) La pronuncia della Corte costituzionale potrebbe aprire problemi delicati in punto di giurisdizione del giudice amministrativo. PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Infine l'art. 116 della stessa legge stabilisce che �in ruoli d'onore, distinti per ciascuna Forza armata, sono iscritti d'ufficio, previo collocamento in congedo assoluto, gli ufficiali che siano riconosciuti permanentemente inabili al servizio militare � per mutilazioni e invalidit� riportate in servizio-di guerra, o in incidente di volo comandato, o in servizio e per causa di servizio; e precisa che � gli ufficiali del ruolo d'onore possono essere richiamati in servizio, col loro consenso, in tempo di guerra e in tempo di pace, solo in casi particolari �. Le norme sopra riportate dimostrano che nel diritto positivo (salvo quanto si dir� di seguito al n. 5) non esiste, per quanto riguarda gli ufficiali, rapporto di impiego se non nel caso del servizio permanente effettivo, situazione giuridica, questa, nettamente distinta tanto dall'ausiliaria, quanto dal ruolo d'onore. Nell'ordinamento militare italiano non c'� coincidenza tra rapporto di servizio e rapporto di impiego: il secondo implica il primo, ma non viceversa. Sicch� viene meno il dato che costituisce il fondamento del ragionamento del Consiglio di Stato. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 17 novembre 1982, n. 185 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -D'Amico� (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere Contenzioso tributario � Non rientra tra � le materie di contabilit� pubblica �. {Cost., artt. 97, 103 e VI disp. att.; I. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636). L'art. 103 Cost., nel riservare alla giurisdizione della Corte dei Conti � le materie di contabilit� pubblica �, ha assunto di queste la nozione accolta nella legislazione vigente, sicch� esse comprendono i giudizi di conto e di responsabilit� contabile e cosidetta amministrativa; l'attribuzione ad appositi giudici della giurisdizione sulle controversie tributarie, le quali non hanno ad oggetto beni gi� pertinenti a soggetto pubblico, non contrasta con l'art. 103 comma secondo Cost. Con ordinanza 6 dicembre 1979, la Commissione tributaria di 2� grado di Roma ha sollevato questione di legittimit� costituzionale, in riferimento all'art.103, secondo comma, alla VI Disposizione transitoria e all'art. 97, primo e secondo comma, della Costituzione, dell'art. 10, n. 14 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e dell'intero d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (sulla �revisione del contenzioso tributario�), rientrando a suo giudizio tl � contenzioso tributario nelle materie di contabilit� pubblica, che l'articolo 103, secondo comma, della Costituzione, attribuisce alla giurisdizione Jella Corte dei conti �. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 902 A sostegno si deduce che l'art. 103 Cost. attribuisce direttamente ed in via esclusiva alla Corte dei conti competenza in tema di contabilit� pubblica, da intendersi come comprensiva di ogni attivit� attinente non solo alle spese ma anche alle entrate dello Stato, comprese quelle tributarie. L'assunto -secondo l'ordinanza di rimessione -sarebbe dimostrato in base alle seguenti considerazioni: a) nelle materie di contabilit� pubblica la Corte dei conti ha competenza ordinaria generale, giudica in materia di interessi legittimi e di diritti soggettivi, conosce del fatto e del diritto ed � giudice esclusivo; b) la nozione di �contabilit� pubblica� appare sufficientemente individuata con il concorso di due elementi: l'uno, soggettivo, che attiene alla natura dell'ente; l'altro, oggettivo, che riflette la qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione; e) i giudizi di responsabilit� e di conto � rientrano� nelle materie di contabilit� pubblica, ma non l'esauriscono; d) l'accertamento dell'entrata, sia che riguardi la gestione patrimoniale sia quella finanziaria, � una sola operazione rivolta all'acquisizione dei mezzi necessari all'ente pubblico per provvedere al conseguimento dei fini istituzionali e dunque �rientra� nelle materie della contabilit� pubblica. Pertanto, le norme impugnate, sottraendo la materia tributaria alla competenza della Corte dei conti ed attribuendola alle Commissioni tributarie, avrebbero violato l'art. 103 della Costituzione. Parimenti avrebbero violato la VI Disposizione transitoria della Costituzione, dovendo il legislatore, per il combinato disposto dell'art. 103 e di detta norma costituzionale, attribuire la materia tributaria alla competenza della Corte dei conti. La normativa impugnata, inoltre, contrasterebbe con l'art. 97 della Costituzione, per essere le commissioni tributarie composte da persone delle pi� svariate estrazioni professionali, non sempre dotate della preparazione necessaria e per non essere previsto che tanto l'Amministrazione che le parti debbano essere assistite da avvocati (omissis). La questione non � fondata. Questa Corte. con la sentenza n. 68 del 1971, ha gi� avuto occasione di affermare che il secondo comma dell'art. 103 Cost., nel riservare alla giurisdizione della Corte dei conti � le materie di contabilit� pubblica �, ha assunto di queste, sotto l'aspetto oggettivo, la nozione tradizionalmente accolta nella legisla2fone vigente e nella giurisprudenza, sicch� essa � comprensiva dei giudizi di conto e di responsabilit�. Tale giurisprudenza ha chiarito come l'accertamento della responsabilit� predetta si estrinsechi in due ordini di giudizi, i quali sebbene distinti per l'oggetto (responsabilit� contabile e responsabilit� amministrativa in senso stretto), PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e altres�, entro oerti limiti, per i soggetti (agenti contabili ed impiegati amministrativi), hanno tuttavia entrambi lo scopo di tutelare il pubblico danaro mediante la reintegrazione dei danni sub�ti dall'erario per irregolarit� di gestione o per comportamenti :imputabili agli agenti ed agli impiegati medesimi. . Nell'�mbito della tutela del pubblico danaro (intendendosi per questo, secondo la pi� moderna accezione di finanza pubblica a cui si ricollega la nozione di contabilit� pubblica, non soltanto il danaro inerente alla finanza propriamente statale, ma anche quello attinente alla finanza delle regioni, degli enti locali e degli enti istituzionali) rientrano: a) '1a giurisdizione che si esercita sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti in genere, incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di pertinenza dello Stato e degli enti pubblici; b) Ja giurisdizione sulla responsabilit� patrimoniale, sia degli impiegati e degli agenti dello Stato, sia di quelli dipendenti da amministTazioni, aziende e gestioni statali ad ordinamento autonomo, nonchef dagli enti pubblici in genere, ii quali, nell'esercizio delle loro funzioni, per azione od omissione imputabili anche a semplice colpa o negligenza, cagionino danni allo Stato o ad altra amministrazione dalla quale dipePdono. Deve in sostanza trattarsi �di un'attivit�, la quale abbia ad oggetto beni che sono gi� entrati nella disponibilit� del soggetto pubblico, e che dia luogo essenzialmente, a rapporti di servizio fra il soggetto pubblico e i titolari di suoi organi, siano o meno legati da rapporto di pubblico impiego. In questo �mbito non rientrano le norme concernenti la predisposizione dei titoli giuridici delle entrate a carattere tributario, e quindi i rapporti che, per quanto attiene alle entrate dello Stato, si sostanziano nell'accertamento tributario. Rapporti che non hanno ad oggetto beni gi� pertinenti all'ente pubblico, ma sorgono e si svolgono fra soggetti distinti, avendo lo scopo di fornire all'ente pubblico una parte dei mezzi ad esso occorrenti per il perseguimento delle proprie finalit�, cio� una parte di quei mezzi che poi, una volta acquisiti dall'ente, formeranno oggetto, dal momento della riscossione, della contabilit� pubblica. Consegue da ci� che la legge n. 825 del 1971, affidando ad appositi giudici la definizione deHe controversie in materia tributaria, non ha intaccato la materia. attribuita dall'art. 103, secondo comma, alla Corte dei conti. La pretesa violazione de11a disposizione VI transitoria � stata, poi, gi� esclusa da questa Corte con la sentenza n. 215 del 1976, dalfa quale non si ha motivo di discostarsi. Per quel che riguarda, infine, la pretesa violazione dell'art. 97, primo e secondo comma, Cost., la censura del giudice a quo si sostanzia e si riassume nella considerazione che, ove fosse eliminata la giurisdizione delle RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 904 commi:ssioni in parola e fosse riconosciuta quella della Corte dei conti, � meglio e pi� rapidamente potrebbe essere raggiunta � l'attuazione dei principi di cui all'art. 97 e di quelli afferenti alla buona amministrazione della cosa pubblica: ma -in tal modo il giudice a quo chiede, in sostanza, un giudizio di merito sulle scelte politiche del [egislatore, giudizio che non spetta a questa Corte, come chiaramente stabilisce I'art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87. CORTE COSTITUZIONALE, 30 novembre 1982 n. 204 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Bombardieri ed altra (avv. Ventura). Lavoro Licenziamento disciplinare -Art. 7 dello Statuto dei lavoratori Applicabilit�. (Cost., art. 3; I. 20 II\aggio 1970, n. 300, art. 7). Contrastano con l'art. 3 Cost. le disposizioni contenute nei commi primo, secondo e terzo dell'art. 7 (sanzioni disciplinari) legge 20 maggio 1970, n. 300 in quanto interpretate nel senso che esse non sono applicabili ai licenziamenti disciplinari per i quali detti commi non sono espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro. (omissis) Nella pendenza degli or riuniti procedimenti avanti questa Corte, la disputa sulla estensione, ai licenziamenti disciplinari, dell'art. 7 nella sua interezza ha trovato, al livello d'interpretazione, quell'assetto unitario di cui nel biennio 1976-77 era priva perch� l'ufficio giudiziario, cui compete il magistero della nomofilachia, componendo contrasti che sui limiti della incompatibilit� tra i due corpi di norme si erano avvertiti anche in seno alla stessa Corte di Cassazione, ha negato che tra le sanzioni relative a infrazioni disciplinari, per le quali � dettato l'art. 7, sia da annoverare il licenziamento e, cos� rescrivendo, si � affiancato all'opinione di parte della dottrina. Pi� precisamente, le Sezioni Unite, con sent. 28 marzo 1981, n. 1781, pur riconoscendo che le innovazioni contenute nell'art. 7 �apprestano in definitiva al lavoratore una tutela pi� efficace di quella predisposta per i licenziamenti individuali con la legge n. 604 del 1966 � (constatazione ribadita dalla Sez. Lav. 25 novembre 1981, n. 6269), hanno enunciato il principio di diritto che �il licenziamento intimato per inadempimento o mancanza del lavoratore � assoggettato alla disciplina contenuta nell'art. 2119 cod. civ. e nella legge 15 luglio 1966, n. 604, a meno che non sia applicabile all'atto una diversa disciplina (legislativa, collettiva o validamente posta dallo stesso datore di lavoro) la quale, oltre ad includerlo fra le sanzioni disciplinari, lo sottoponga al regime giuridico per queste previsto dall'art. 7 legge 20 maggio 1970, n. 300 o da altra fonte equipollente�, perch� il giudice di merito, che aveva reso la sentenza cassata, �avendo constatato che l'attrice venne licenziata per giustificato -;fili __ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 905 motivo soggettivo, ha senz'altra indagine ravvisato nella vicenda l'applicazione di una sanzione disciplinare ed ha di questa dichiarato l'invalidit� per contrasto con le disposizioni di cui ai primi tre commi dell'art. 7 della citata legge n. 300 �, ma hanno riservato al giudice di rinvio la verifica sul se �nella specie occorra procedere anche all'applicazione dell'ulteriore principio secondo cui la violazione delle prescrizioni dell'art. 7 citato e di quelle integrative o validamente sostitutive di esse rende nullo il licenziamento che sia da considerare sanzione disciplinare� (omissis). Pertanto, questa Corte procede ad accertare se siano conformi, oppur no, agli artt. 3, nonch� -come ha sospettato il Tribunale di Parma 2 Cost. i commi primo (� Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di essa pu� essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia � stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano�), secondo (�Il datore di lavoro non pu� adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa �) e terzo (�Il lavorattore potr� farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato�), interpretati come non estensibili alla sanzione disciplinare del licenziamento, per la quale la normativa (legislativa, collettiva o validamente posta dallo stesso datore di lavoro) si limiti ad includere il licenziamento medesimo tra le sanzioni disciplinari e non richiami espressamente il regime per queste previsto dall'art. 7 legge n. 300 del 1970. La risposta affermativa deve essere data da chiunque ravvisi il valore essenziale dell'ordinamento giuridico di un Paese civHe nella coerenza tra le parti di cui si compone; valore nel dispregio del quale le norme che ne fan parte degradano al livello di gregge privo �di pastore: canone di coerenza che nel campo delle norme di diritto � l'espressione del principio di eguaglianza di trattamento tra eguaili posizioni sancito dall'art. 3. -l Orbene, l'art. 7 comma primo ha sancito il principio fondamentale, per il quale chi � perseguito per una infrazione, deve essere posto in grado di conoscere l'infrazione stessa e la sanzione. L'art. 7 commi secondo e terzo, poi, raccoglie il ben noto sviluppo -ad un tempo sociopolitico e giuridico formale -che ha indotto ad esigere come essenziale presupposto delle sanzioni disciplinari lo svolgersi di un procedimento di quella forma cio� di produzione dell'atto che rinviene il suo marchio distintivo nel rispetto della regola del contraddittorio: audiatur -lo si ripete -et altera pars. Rispetto che tanto pi� � dovuto per quanto competente ad irrogare la sanzione � (non gi� -come avviene nel processo giurisdizionale -il giudice per tradizione e per legge � super partes �, ma) la una pars. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Una volta introdotta con i commi secondo e terzo l'osservanza del contraddittorio tra datore e davoratore quale ii.ndefettibile regola di formazione delle misure disciplinari, l'escluderne il licenziamento disciplinare sol perch� la sua normativa non richiama l'art. 7 suona offesa dell'art. 3 pur a prescindere dalla maggiore gravit� del licenziamento rispetto alle altre misure discipJ.inari. N� ad attingere opposto avviso vale richiamare la tradizione legislativa o collettiva caratterizzruta dalla posizione di distinti princ�pi per il licenziamento e le altre misure disciplinari perch� siffatta tradizione, se pu� essere di qualche peso sul piano dell'interpretazione, non � idonea a fare delJla legge 604/1966 (e dell'art. 18 comma primo legge 300/1970) una norma di grado superiore, che valga a porre in forse l'applicazione del canone di coerenza. Cos� statuendo la Corte insiste nell'orientamento espresso con la sent. 69/1982, con la quale ha giudicato illegittimo, per violazione dell'art. 3, l'art. 99 u.c., r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento) interpretato nel senso che sancisse l'inappellabilit� delle sentenze, rese in sede di opposizione allo stato passivo su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie. Ovviamente H constatato contrasto tra i commi primo a terzo dell'art. 7 e l'art. 3 Cost. esime dal verificare se anche l'art. 4 Cost. sia offeso dalla sinora dominante interpretazione dei commi primo a terzo dell'art. 7. (omissis) Rimane l'impugnazione dell'art. 18 comma primo legge 300/1970, mos� sa, sulla base degli artt. 2 e 3 Cost., dal solo Tribunale di Parma il quale ha �lamentato che, ove fossero accolte le censure appuntate ai commi primo, secondo, terzo (nonch� quinto e settimo), il lavoratore, fatto ingiustamente segno di licenziamento disciplinare, non conseguirebbe quella reintegrazione nel posto di lavoro che la . disposizione impugnata assicura al lavoratore licenziato nelle ipotesi nella medesima elencate (Jnefficacia per inosservanza dei commi primo e secondo dell'art. 2 leg� ge 604/1966, nullit� per insussistenza di giusta causa o di giustificato motivo) e in siffatta discrepanza ha ravvisato violazione degli artt. 2 e 3 Cost. (omissis) ... � da osservare che, una volta estesi i commi primo a terzo ai licenziamenti disciplinari per i quali la normativa si limiti ad includerli tra le sanzioni disciplinari senza l'espresso richiamo dei ripetuti commi, la forza espansiva, di cui sono muniti testi suscettibili di esprimere pi� ampia norma, estende l'art. 18 comma primo alla fattispecie consecutiva alla pronunci.a d'incostituzionalit� che si sta per emanare, e l'osserva� zione giova a preferire alla tecnica della sentenza interpretativa di accoglimento l'altra della sentenza interpretativa di rigetto della proposta questione. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, 9 giugno 1982, nella causa 95/81 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Slynn Commissione delle Comunit� europee (ag. Wiigenbaur e Marenco) c. Repubblica italiana (avv. Stato Viola e Ferri), con interv. del Governo"' francese (avv. Carnelutti). Comunit� europee � Unione doganale -Ubera circolazione delle merci Costituzione di una cauzione per il pagamento anticipato di merci importate � Divieto. (Trattato CEE, artt. 30, 36, 67, 104 e 106; direttive CEE del Consiglio 11 maggio 1960 e 18 dicembre 1962; 1. 20 luglio 1952, n. 1126, artt. 1 e 4; 1. 2 aprile 1962, n. 162). Imponendo a tutti gli importatori di prodotti da altri Stati membri di costituire una cauzione o una fideiussione bancaria pari al 5% del valore delle merci quando il pagamento viene effettuato in anticipo in quanto l'espressione �pagamenti anticipati� non si riferisce solo ai pagamenti a fine speculativo, ma anche a quelli consueti e correnti nel campo degli scambi intracomunitari, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dagli artt. 30 e 36 del Trattato (1). (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 24 aprile 1981, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far dichiarare che, subordinando il pagamento anticipato delle merci destinate ad (1) Con sentenza di pari data, nelle cause riunite n. 206, 207, 209 e 210/80, sarte a seguito di domande di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Roma, la Corte si � anche occupata della cauzione per pagamenti anticipati negli scambi con i paesi terzi, limitatamente _..:: secondo i quesiti postile -ai prodotti ai quali si applicano i regolamenti CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali, e 28 giugno 1968, n. 827. La nozione di misura di effetto equivalente, rifemta alle importazioni di provenienza da paesi terzi contenuta rispettivamente nell'art. 18 e nell'art. 2 dei suddetti regolamenti, ha precisato la Corte, ha lo stesso significato di quanao essa � rifemta agli scambi fra gli Stati membri. Le sentenze emesse non sembrano aver tenuto nel dovuto conto il carattere prettamente valutario e necessariamente generalizzato della normativa italiana malgrado la farmullazione ,di una riserva 'per anticipazioni dti paigam.ento fatte eon intenti speculativi. In tema di circolazione di capitali cfr. la sentenza della Corte 11 novembre 1981, nella causa 203/80, CASATI, in questa Rassegna, 1981, I, 676, con nota di M. CONTI, Libera circolazione di capitali e disciplina valutaria. 908 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO essere importate alla prestazione di una cauzione o di una fidejussione bancaria, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dal T["attato CEE. 2. -La Commissione sostiene che la normativa italiana relativa ai pagamenti anticipati delle merci destinate ad essere importate costituisce trasgressione dell'art. 30 del Trattato e delle due direttive adottate dal Consiglio per l'attuazione dell'art. 67 del Trattato: 1 � direttiva del1' 11 maggio 1960 (G.U. n. L 43, 12 luglio 1960, pag. 92) completata e modificata dalla 2� direttiva del 18 dicembre 1962 (G.U. n. L 8, 22 gennaio 1963, pag. � 62). 3. -La normativa de qua � basata �sull'art. 1 della �legge itailiana 20 luglio 1952, n. 1126, che stabilisce disposizioni complementari in materia monetaria e di commercio con l'estero (G.U. n. 206, 5 settembre 1952), il quale dispone che: � I pagamenti anticipati delle merci da importare sono subordinati alle prestazioni di cauzione a favore. dell'Ufficio italiano dei Cambi da parte dell'importatore. � altres� subordinata alla prestazione di cauzione, qualora questa non sia stata prestata a norma del comma precedente, nel caso in cui abbia luogo da parte de11a Banca d'Italia, o da parte delle banche da questa autorizzate a fungere da sue agenzie, fa consegna all'importatore dei documenti <idonei a conferire 'la disponibilit� delle metci da importare. La misura della cauzione � stabilita con decreto del Ministro per il commercio con l'estero. La cauzione pu� essere sostituita da fidejussione bancaria�. 4. -Tale disposizione � stata completata dall'articolo unico della legge 2 aprile 1962, n. 162 (G.U. 30 aprile 1962, n. 111) che dispone: �Il Ministro per il commercio con l'estero ha facolt� di stabilire con proprio decreto il limite massimo del valore delle merci da importare al di sotto del quale non � necessaria la cauzione o la fidejussione di cui ai commi precedenti �. 5. -Una circolare del Ministro per il commercio con l'estero numero V /206600/104 del 25 giugno 1976 precisa che la banca incaricata dell'operazione deve versare l'importo della cauzione su un conto corrente infruttifero, intestato all'importatore. Il conto � vincolato a favore dell'Ufficio italiano dei Cambi. 6. -Ai sensi dell'art. 3 del decreto ministeriale 7 agosto 1978 (G.U. n. 220, 8 agosto 1978) relativo alle norme concernenti i �regolamenti valutari ed i rapporti finanziari con l'estero, la suddetta cauzione o fidejus PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 909 sione bancaria � stabilita nella misura del 5% del controvalore in lire del pagamento da eseguire in via anticipata ed � richiesta attualmente per le importazioni di valore superiore a 10 milioni di lire. 7. -Infine, a norma dell'art. 4 della summenzionata legge 20 1luglio 1952, qualora non sia stata fornita la prova dell'avvenuta importazione nel termine stabilito -termine fissato a 30 giorni dal pagamento dal decreto ministeriale 20 gennaio 1973 (G.U. n. 19 del 23 gennaio 1973) e portato a 120 giorni dal decreto ministeriale 28 settembre 1980 (G.U. n. 267, 29 settembre 1980) -il Ministro per il commercio con l'estero incamera del tutto o in parte la cauzione o procede al ricupero coattivo della fidejussione bancaria a favore dell'erario. 8. -Per �importazioni� le autorit� italiane non intendono l'arrivo fisico delle merci nel territorio italiano, bens� l'immissione al consumo dei prodotti importati dopo l'adempimento delle formaltt� doganali all'uopo necessarie e, secondo la normativa italiana sui cambi, � considerato �anticipato� qualsiasi pagamento effettuato prima che l'acquirente abbia la disponibilit� della merce per darle in Italia la destinazione prevista. 9. -La Commissione, ritenendo che l'insieme della suddetta normativa costituisse una trasgressione dell'art. 30 del Trattato e delle direttive adottate dal Consiglio per l'applicazione dell'art. 67 sulla libera circolazione dei capitali, il 17 luglio 1980 inviava al Governo italiano una lettera con cui dava inizio alla procedura di cui all'art. 169, primo comma, del Trattato CEE. Poich� il Governo italiano non rispondeva, il 28 gennaio 1981, la Commissione gli inviava un parere motivato. Il suddetto parere invitava la Repubblica italiana ad adottare entro un mese i provvedimenti necessari per conformarvisi. Poich� il Governo italiano non vi si conformava, il 23 aprile 1981 la Commissione ha proposto il presente ricorso. Con ordinanza 16 settembre 1981 � stato ammesso l'intervento del Governo francese a parziale sostegno del Governo italiano. 10. -La Commissione considera la normativa italiana una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa, vietata dall'art. 30 del Trattato. A suo parere, tenuto conto del fatto che i pagamenti in via anticipata sono la norma nel commercio internazionale, l'obbligo di versare una cauzione su un conto corrente infruttifero o di costituire una fidejussione bancaria quando il prezzo delle merci importate in Italia viene corrisposto prima della loro immissione al consumo, unitamente all'obbligo di importare le merci stesse nel termine stabilito con decreto ministeriale ed alla perdita della cauzione se il termine non � rispettato, impongono all'importatore oneri particolari che non gravano gli 910 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO scambi nazionali e che avrebbero pertanto effetto dissuasivo, spingendo gli operatori economici a realizzare le operazioni commerciali all'interno del paese. 11. -La Commissione ricorda, inoltre, che la propria direttiva 22 dicembre 1969, n. 70/50 -basata sull'art. 33, n. 7 -relativa alla soppres- sione delle misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative non contemplate da altre disposizioni prese in virt� del Trattato CEE (G.U. n. L 13, 19 gennaio 1970, pag. 29), definisce misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative quelle che rendono le importazioni pi� difficili od onerose dello smercio dei prodotti nazionali ed in particolare quelle che �subordinano l'importazione al deposito di una cauzione o di un acconto � (art. 2, n. 3, lett. i). 12. -Per quanto riguarda la censura di trasgressione delle direttive sulla libera circolazione dei capitali, la Commissione sostiene che l'art. 1 della prima direttiva ha liberalizzato i movimenti di capitali di cui all'allegato I, elenco A. In questo elenco, tenuto conto delle modifiche apportate dalla seconda direttiva, si legge: � Concessione o rimborso di crediti a fronte di operazioni commerciali alle quali partecipi un residente a breve e a medio termine �. 13. -Ora, i pagamenti effettuati prima della consegna della merce rientrerebbero nelle suddette operazioni, incondizionatamente liberalizzate; la normativa italiana che le renderebbe pi� difficili sarebbe quindi incompatibile con l'obbligo di liberalizzazione. 14. -Il Governo italiano adduce molti argomenti contro queste cens1.11re. Esso sostiene anzitutto che la normativa de qua non rientra nell'art. 30, ma negli artt. 104 e 106, n. 2. Esso deduce poi che la normativa, anche se dovesse rientrare nell'art. 30, sarebbe comunque giustificata a norma dell'art. 36. 15. -In primo luogo, secondo il Governo italiano, la normativa de qua ha carattere esclusivamente valutario. Il termine stabiJito e la cauzione o la fidejussione bancaria prescritte dalla stessa avrebbero il solo scopo di evitare operazioni speculative contro la moneta nazionale e Io squilibrio della bilancia dei pagamenti. Tali provvedimenti sfuggirebbero quindi al divieto dell'art. 30 e rientrerebbero nell'art. 104 del Trattato, a norma del quale � ogni Stato membro attua la politica economica necessaria a garantire l'equilibrio della sua bilancia globale dei pagamenti e a mantenere la fiducia nella propria moneta. 16. -La portata della disposizione invocata dal Governo italiano va valutata alla luce del capo relativo alla bilancia dei pagamenti, considerato nel suo complesso. Nell'ambito di detto capo, l'art. 104 si limita PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE ed indicare gi1i scopi generali della politica economica che gli Stati membri devono seguire in quanto appartenenti alla Comunit�. Non lo si pu� quindi invocare al fine di derogare ad altre disposizioni del Trattato. 17. -Occorre altres� rilevare che gli artt. 108 e 109 del Trattato contemplano specifiche procedure di consultazione, di concorso reciproco e, occorrendo, misure di salvaguardia per ovviare alle difficolt� nella bilancia dei pagamenti. In tal caso, tuttavia, si tratta di procedure comunitarie che escludono l'intervento unilaterale degli Stati membri, salvo a titolo conservativo ed in ipotesi che non si � sostenuto ricorressero nella fattispecie. Ci� nonostante, gli Stati membri restano liberi di usare tutti i mezzi per assicurarsi che i pagamenti all'estero riguardino solo opera� zioni effettivamente compiute, ma sempre purch� tali mezzi ~on ostacolino la libert� degli scambi intracomunitari qual � definita dal Trattato. 18. � Ne consegue che va respinta la tesi del Governo italiano secondo cui l'art. 104 consentirebbe da solo di derogare all'art. 30 del Trattato. 19. -All'udienza il Governo italiano ha esposto una seconda tesi sostenendo che i provvedimenti italiani de quibus potrebbero rientrare negli artt. 30 e 36 solo � per analogia � poich�, a suo parere, tali provvedimenti rientrano fra le modalit� di esecuzione di un'operazione economica connessa all'importazione e costituiscono, non gi� delle restrizioni quantitative, ma delle restrizioni di pagamento che ricadono sotto l'articolo 106, n. 2, il quale dispone: � Nella misura in cui gli scambi di merci e di servizi e i movimenti di capitale sono limitati unicamente da restrizioni sui relativi pagamenti, sono per analogia applicate, ai fini della graduale soppressione di tali restrizioni, le disposizioni dei capi che trattano dell'abolizione delle restrizioni quantitative, della liberalizzazione dei servizi e della libera circolazione dei capitali �. 20. -Il Governo italiano, dalla lettera del surriportato articolo ed in particolare dalla frase �sono per analogia applicate�, trae la conseguenza che l'art. 36 va interpretato non in senso restrittivo secondo la consueta giurisprudenza della Corte in questo campo, ma, al di l� della lettera, tenendo conto dell'interesse specifico dello Stato, legato alla difesa della sua moneta e all'equilibrio della sua bilancia dei pagamenti, scopi che restano di competenza degli Stati membri a norma dell'art. 104 del Trattato. 21. -La tesi del Governo italiano non corrisponde alla funzione dell'art. 106 nel sistema del Trattato. Ai sensi dei nn. 1 e 2 di detto articolo, gli Stati membri si impegnano ad autorizzare, al pi� tardi allo scadere 912 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEU.O STATO ad indicare gli scopi generali della politica economica che gli Stati memsi prefiggono in tal modo di garantire la libera circolazione effettiva delle merci, autorizzando tutti i trasferimenti monetari all'uopo necessari. Il n. 2, che riguarda soprattutto il periodo transitorio, dispone che la liberalizzazione dei pagamenti deve seguire il medesimo ritmo della liberalizzazione degli scambi di merci ed in modo parallelo. Questa disposizione, dato che ha il solo scopo di trasferire nel settore dei pagamenti, tra l'altro, i princ�pi relativi alla soppressione delle restrizioni quantitative, qualora gli scambi di merci siano limitati unicamente da restrizioni dei relativi pagamenti, non consente di imporre condizioni restrittive ai pagamenti liberalizzati a norma del n. 1. 22. -Ne consegue che la normativa italiana de qua non rientra nell'art. 106, n. 2. 23. -Ci� premesso, � opportuno accertare se le disposizioni della normativa di cui � causa siano contrarie all'art. 30. 24. -Come la Corte ha pi� volte affermato, per ricadere sotto il divieto di qualsiasi misura di effetto equivalente alle restrizioni quantitative all'importazione di cui all'art. 30, � sufficiente che i provvedimenti in questione siano idonei ad ostacolare direttamente o indirettamente, I in atto o in potenza, gli scambi tra Stati membri. I 25. -Va rilevato che i provvedimenti de quibus, sebbene adottati al fine di lottare contro la speculazione monetaria, non costituiscono una I normativa specifica per raggiungere tale scopo, ma una normativa glo I bale che riguarda il complesso degli scambi intracomunitari, i cui pagamenti vengono effettuati in via anticipata. Il Governo italiano, infatti, includendovi i pagamenti mediante titoli di credito, formula finanziaria I di uso corrente per l'importazione di merci in taluni settori commer~~ ciali, ha di mira una forma di pagamento usata abitualmente nel com"" mercio internazionale. I provvedimenti de quibus non colpiscono quindi solo le operazioni a fine speculativo, ma anche le operazioni commerciali correnti e pertanto, in quanto rendono le importazioni pi� difficili o pi� onerose degli scambi interni, hanno effetti restrittivi per la libera circolazione delle merci. Per questi motivi e in quanto sortisce i suddetti effetti, la normativa de qua � contraria all'art. 30. 26. -Il Governo italiano sostiene inoltre che la normativa di cui � causa, anche se fosse contraria all'art. 30 sarebbe tuttavia giustificata, a norma dell'art. 36, da ragioni d'ordine pubblico. I provvedimenti adottati avrebbero, infatti, lo scopo di proteggere un interesse fondamentale dello Stato, la difesa della moneta, che sarebbe minacciato se i provvedimenti de quibus non sussistessero. PARm I, SEZ. II, GIURlS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 913 27. -Va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, l'art. 36 deve essere interpretato in senso stretto e che le eccezioni che esso enumera non possono essere estese a casi diversi da quelli limitativamente previsti e, inoltre, che l'art. 36 si riferisce ad ipotesi di carattere non economico. 28. -La normativa italiana di cui � causa costituisce quindi una misura d'effetto equivalente ai sensi dell'art. 30 del Trattato poich� impone a tutti gli importatori di prodotti da altri Stati membri di costituire una cauzione o una fidejussione bancaria pari al 5% del valore delle merci quando il pagamento viene effettuato in anticipo, in quanto l'espressione �pagamenti anticipati� non si riferisce solo ai pagamenti a fine speculativo, ma anche a quelli consueti e correnti nel campo degli scambi intracomunitari. 29. -La Repubblica italiana � quindi venuta meno agli obblighi impostile da detto articolo. 30. -Poich� la normativa italiana de qua � contraria all'art. 30 del Trattato, non � necessario esaminare la sua eventuale conformit� alle due direttive adottate dal Consiglio per l'applicazione dell'art. 67 sulla libera circolazione dei capitali. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, 3� sezione, 15 luglio 1982, nella causa 216/81 -Pres. Touffait -Avv. Gen. Reischl Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano nella causa ditta COGIS (avv. Scalzo) c. Amministrazione delle Finanze -Interv.: Governi del Regno Unito (ag. Howes), Governo italiano (avv. Stato Conti) e Commissione delle C.E. (ag. Abate). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali interne discriminatorie Regime fiscale degli ailcoli: whisky e acquavite di vino -Diritto erariale, sovrimposta di confine e imposta di fabbricmone. (Trattato CEE, art. 95). L'art. 95 del trattato CEE osta ad un sistema di tassazione che colpisca in modo diverso il whisky e le altre acquaviti (1). (1) La decisione si riporta espressamente alla precedente sentenza 27 febbraio 1980, nella causa 169/78, CoMM.NE c. ITALIA (in questa Rassegna, 1980, I, 272, con nota di CONTI), che gi� si era occupata del regime fiscale italiano del whisky e delle acquaviti di vino, limitatamente all'imposta applicabile per l'apposizione dei contrassegni di Stato sui recipienti contenenti le bevande. La conferma del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 914 (omissis) 1. -Con ordinanza 2 aprile 1981, pervenuta in cancelleria il 20 luglio 1981, il Tribunale di Milano (Prima Sezione Civile) ha sottoposto a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 95 del Trattato CEE, allo scopo di poter valutare la compatibilit� con tale disposizione di un sistema di tassazione differenziata per il whisky e per le acquaviti di vino, applicato in base alla normativa fiscale vigente in Italia, dopo l'adesione del Regno Unito al suddetto Trattato. 2. -La controversia che oppone l'attrice nella -causa principale, una impresa importatrice di whisky, all'Amministrazione italiana delle finanze dello Stato � sorta da una domanda di restituzione della sovraimposta di confine, dovuta sul prodotto importato e corrispondente all'imposta di fabbricazione che colpisce l'alcool prodotto nel territorio nazionale, e del diritto erariale calcolato in funzione della quantit� di alcool puro contenuta in detta acquavite, nella misura in cui tali tributi sono stati percepiti e sono superiori ai tributi gravanti sulle acquaviti di produzione nazionale o non sono previsti per questi ultimi prodotti. 3. -Ritenuto che, applicando i princ�pi affermati dalla Corte a proposito dell'interpretazione dell'art. 95, da un lato nella sentenza 27 febbraio 1980 (causa 169/78, Commissione c. Italia, Racc. pag. 385) in cui si dichiarava che la tariffa doganale non � decisiva per la questione della similarit� e, dall'altro, nella meno recente sentenza 15 aprile 1970 (causa 28/69, Commissione c. Italia, Racc. pag. 187) in cui il fatto che determinati prodotti rientrino nella stessa categoria fiscale era stato considerato come un elemento importante di tale rapporto di similarit�, si rischierebbe di giungere a risultati diversi, il giudice nazionale ha deciso di sottoporre alla Corte la seguente questione: � Se lo Stato italiano, applicando sulle importazioni di whisky dall'Inghilterra un sistema di tassazione comprendente il diritto erariale l'iindirizzo non elimina le perplessit� espresse in occasione della precedente sentenza, tanto pi� che la Corte ha avuto occasione di ribadire, fra le sue decisioni, il principio gi� altre volte affermato (cfr. le sentenze citate nella nota suddetta), e in termini nettissimi, con riferimento alla tassazione differenziata dello alcool sintetico denaturato e dell'alcool di fermentazione denaturato, che iJ diritto comunitario non limita la libert� di ciascuno Stato membro dii istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti in funzione di criteri obiiettivi, come le condizioni di produzione e i componenti !impiegati (sentenza 14. gennaio 1981, nella causa 140/79, CHEMIAL-FARMACEUTICI, e nella causa 46/80, VINAL, in questa Rassegna, 1981, I, 47, con nota di CoNTI). Cfr., anche, la successiva sentenza della Corte 26 ottobre 1982, nella causa 104/81, KUPFERBERG, relativa a questioni sulle importazioni,_ nella Germania Federale, di vini di Porto, colpite da un'imposta, denominata � conguaglio di monopolio >>, ritenuta compatibile con il divieto di discriminazione fiscale posto dall'art. 21 dell'accordo dii libero scambio CEE/Portogallo del 22 luglio 1972. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA I! INTERNAZIONALE 915 non previsto sull'acquavite di vino nazionale, e la sovraimposta di confine con aliquota piena, mentre sull'acquavite di vino nazionale l'imposta di fabbricazione viene applicata con aliquota ridotta, ha violato o no l'art. 95 del Trattato �. 4. -Il giudice nazionale chiede in sostanza alla Corte di precisare i criteri d'interpretazione dell'art. 95 con riguardo alla situazione controversa, al fine di consentirgli di applicare il diritto tributario italiano soltanto qualora non sia in contrasto col diritto comunitario vigente. 5. -In proposito si deve anzitutto ricordare che, con la sentenza 27 febbraio 1980, emessa nella causa 169/78, Commissione c. Italia, la Corte ha dichiarato che � la Repubblica italiana, applicando, attraverso l'apposizione di contrassegni di Stato sui recipienti contenenti acquaviti destinate alla vendita al minuto, una imposta differenziata in materia di acquaviti, a norma della legislazione fiscale nazionale, quale risulta dall'art. 6 del decreto legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella legge 18 dicembre 1970, n. 1034, per quanto concerne, da una parte, le acquaviti ottenute dalla distillazione di cereali di canna da zucchero e, dall'altra, le acquaviti di vino e di vinacce, � venuta meno, per quanto riguarda i prodotti importati dagli altri Stati membri, agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 95 del Trattato CEE �. 6. -Questa constatazione � stata fatta in base ad un'interpretazione dell'art. 95 fondata sul sistema del Trattato CEE e secondo cui il primo e il secondo comma del suddetto articolo costituiscono un'integrazione delle disposizioni relative all'abolizione dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente, poich� sbno intesi a garantire la libera circolazione delle merci fra gli Stati membri in normali condizioni di concorrenza, mediante l'eliminazione di ogni forma di protezione che possa risultare dall'applicazione di tributi interni aventi carattere discriminatorio nei confronti di merci originarie di altri Stati membri. In tal senso, l'art. 95 garantisce l'assoluta neutralit� dei tributi interni riguardo alla concorrenza fra merci nazionali e merci importate. 7. -La Corte ha precisato che l'art. 95, primo comma, va interpretato estensivamente, in modo da consentirne l'applicazione a tutti i regimi fiscali incompatibili �con la parit� di trattamento fra le merci di produzione nazionale e quelle importate; la nozione di � prodotti similari � va pertanto interpretata con sufficiente elasticit�. Devono perci� essere considerati �similari� i prodotti che abbiano, agli occhi del consumatore, propriet� analoghe e rispondano alle medesime esigenze. La sfera di applicazione del primo comma dell'art. 95 va quindi deter� minata in base non gi� al criterio dell'assoluta identit� dei prodotti, bens� a quello dell'analogia o della comparabilit� sotto il profilo dell'impiego. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 916 8. -Per i prodotti aJ.colici destinati all'alimentazione umana, � d'uopo stabilire, alla stregua di criteri distintivi quali l'origine e il processo di fabbricazione delle bevande, il loro possibile uso e le abitudini di consumo rilevate nell'intero ambito della Comunit�, se certi prodotti presentino un sufficiente grado di similarit�. Questa determinazione va effettuata senza tener conto di eventuali differenziazioni fiscali di carattere puramente nazionale e a prescindere dalle classificazioni doganali. Se i prodotti vengono riconosciuti similari in base ai suddetti criteri, si applica l'art. 95, primo comma. 9. -Qualora la condizione della similarit�, posta dall'art. 95, primo comma, non sia pienamente soddisfatta, pu� trovare applicazione il secondo comma di detto articolo, che -come � stato ritenuto nella sentenza 169/78 -ha lo scopo di impedire qualsiasi forma di protezionismo fiscale indiretto nel caso di prodotti che, senza essere similari ai sensi del primo comma, si trovino tuttavia in un rapporto di concorrenza, sia pure parziale, indiretta o potenziale. 10. -Per quanto riguarda le bevande alcoliche, nella stessa sentenza � stato, gi� precisato che le acquaviti di cereali e il rum, in quanto prodotti della distillazione, hanno, con le acquaviti di vino e di vinacce, propriet� comuni sufficienti per costituire, almeno in talune circostanze, un'alternativa nella scelta del consumatore. Basta questa constatazione per ammettere che detti prodotti sono in concorrenza fra loro e che la loro rispettiva tassazione pu� avere un effetto protezionistico a favore della produzione nazionale. Onde valutare quest'effetto, � necessario, lasciando eventualmente da parte il raffronto delle cifre relative al con� sumo e all'importazione, considerare quale sarebbe il mercato potenziale dei prodotti di cui trattasi in assenza di misure protezionistiche. 11. -Riguardo al carattere protezionistico del sistema fiscale di cui trattasi, nella sentenza 169/78 � stato rilevato che nell'ambito di detto sistema i prodotti nazionali tipici, e cio� le acquaviti di vino e di vinacce, � sono compresi nella categoria fiscale pi� favorita, mentre i due tipi di prodotti che vengono quasi sempre importati da altri Stati membri, e cio� le acquaviti di cereali e il rum, .sono colpiti da una tassazione pi� gravosa. Su tale valutazione non influisce la circostanza che esista anche una produzione nazionale di queste acquaviti, poich� non � contestato che si tratti di quantitativi minimi. Le suddette differenze di tassazione incidono sul mercato dei prodotti in questione diminuendo il consumo potenziale dei prodotti importati. 12. -La questione formulata dal giudice nazionale va quindi risolta nel senso che l'art. 95 del Trattato CEE osta ad un sistema di tassazione che colpisca in modo diverso il whisky e le altre acquaviti. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 19 luglio 1982, n. 4202 -Pres. Mirabelli - Rel. Cassata -P. M. Fabi (conf.). Universit� degli Studi di Padova (Avv. dello Stato Carbone) c. Baccarani Claudio e altri. Istruzione e scuola -Universit� -Contrattisti -Aggiunte di famiglia � Indennit� integrativa speciale� Giurisdizione del TAR � Istruzione e scuola Universit� assegnisti � Aggiunte di famiglia � Indennit� integrativa speciale Difetto assoluto di giurisdizione. Sono soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo le domande dei contrattisti di Universit� ( d.l. 1� ottobre 1973, n. 580 convertito con legge 30 novembre 1973, n. 766 artt. 5 e 6) volte ad ottenere le aggiunte di famiglia e l'indennit� integrativa speciale (1). Qualora la tutela di una posizione soggettiva sia attribuita al giudice amministrativo, con esclusione del giudice ordinario, quest'ultimo non avr� alcun potere di emettere provvedimenti cautelari di urgenza nelle relative controversie, indipendentemente dalla possibilit� o meno che tali provvedimenti possano essere adottati dal giudice speciale (2). (1-3) Cfr. Cass., 16 marzo 1981, n. 1484: Universit� degli Studi di Roma c. Caponigro in Foro it., I, 985, la quale ha altres� affermato che rientra nena giurisdi2lione de1l'A.G.0. la cognizione di indebito arricchimento e del corre1ativo ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto contro l'Universit� da �assegnisti � � borsisti � o � e~ercetatori �, (2) Cfr. Sez. Un., 25 ottobre 1979, n. 5575 in questa Rassegna 1979, I, 671, con nota. Per quanto concerne l'attivit� di insegnamento nell'ambito dell'Universit�, svolta da professore universitar.io incaricato privo di un valido ed efficace atto di nomina, cfr. Cass. Sez. Un., 25 maggio 1981, n. 3409 in questa Rassegna 1982, 274, La quale ha ribadito in tale ipotesi l'esperibilit� della sola azione residuale di ingiustificato arricchimento innanzi all'A.G.O. ANNA CENERINI RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 918 Sono improponibili, per difetto assoluto di giurisdizione, le domande, proposte prima della legge 19 febbraio 1979, n. 54, degli assegnisti (d.l. l� ottobre 1973 n. 580 convertito con legge 30 novembre 1973, n. 766, artt. 5 e 6), volte ad ottenere le aggiunte di famiglia e l'indennit� integrativa speciale (3). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4221 -Pres. Berri - Rel. Menichino -P. M. Corasaniti -Ministero del Tesoro (avv. Stato Mataloni) c. Fattibene (avv. Lucisano). Giurisdizione -Controversie inerenti alla misura della pensione ed al recupero di �somme erroneamente pagate � Giurisdizione della Corte dei conti. Il trattamento di pensione, spettante all'impiegato dopo la cessazione del rapporto di impiego pubblico, non attiene allo �status� del dipendente pubblico -la cui disciplina rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo -, ma � un diritto perfetto che inerisce alla fase successiva del rapporto di impiego senza comportare alcuna diretta applicazione del pregresso � status �, e le relative controversie rientrano pertanto nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti; vi rientrano, cio�, non solo le controversie sulla liquidazione e la misura della pensione, ma anche le controversie sulla ripetibilit� di somme (indennit� e voci integrative) assunte erroneamente pagate al pensionato (1). (1) Sez. Un. 7 gennaio 1981, n. 77; 7 maggio 1981, n. 2950, retro, I, 497, con �nota, e di recente Sez. Un. 24 novembre 1982, n. 6350 e n. 6351. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 novembre 1982, n. 6084 -Pres. Berri - Rel. Cantillo -P. M. Sgroi -Bearzatti (avv. Pacia) c. Procuratore Generale presso la Corte dei conti e Cassa di previdenza per le� pensioni �ai dipendenti degli enti locali (avv. Stato Mataloni). Giurisdizione civile � Corte dei conti � Legittimazione al Procuratore Generale a impugnare i provvedimenti sulle pensioni dei dipendenti degli enti locali � Questione estranea all'ambito della giurisdizione. Giurisdizione civile � Corte dei conti � Giurisdizione esclusiva in materia di pensioni � Pronuncia in via incidentale su atti relativi allo status dell'impiegato � Difetto di giurisdizione. La individuazione dei soggetti legittimati ad agire innanzi ad un determinato organo giudiziale (nella specie la legittimazione del Procuratore Generale presso la Corte dei conti ad impugnare i provvedimenti PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 919 relativi alle pensioni dei dipendenti degli enti locali) non involge un problema attinente ai limiti esterni della giurisdizone -che � l'unico vizio delle decisioni della Corte dei Conti deducibile dinanzi le Sezioni Unite della Cassazione -, in quanto non pone in discussione l'ambito della materia attribuita dall'ordinamento alla competenza giurisdizionale dell'organo, bens� impone di stabilire se un determinato soggetto possa agire a tutela di interessi rientranti in quella materia al pari del problema circa l'appartenenza della posizione giuridica dedotta in giudizio e circa la sussistenza dell'interesse ad agire (1). La Corte dei Conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva sui prov� vedimenti di concessione, di rifiuto o di riduzione della pensione, ha il potere di giudicare su ogni questione che investa il diritto, la misura e la decorrenza della pensione stessa (e degli altri assegni che ne costituiscono parte integrante), ma non pu� conoscere, neppure in via incidentale, degli atti amministrativi relativi al rapporto di impiego negli aspetti di attivit� di servizio, inerenti allo status dell'impiegato, divenuti definitivi per man� cata impugnativa davanti al giudice amministrativo proprio di tale rap� porto (2). 1. -Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato con precedenza il secondo motivo di ricorso, con il quale il Bearzotti -denunziando la violazione dell'art. 60 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680 -critica la decisione della Corte dei conti per avere riconosciuto al Procuratore Generale presso la stessa Corte la legittimazione ad impugnare i provvedimenti relativi alle pensioni dei dipendenti degli enti locali. Sostiene che, in forza di detta norma, la Corte dei conti abbia potest� giurisdizionale in materia solo in seguito a ricorso degli � interessati � e della Direzione generale degli istituti di previdenza, non gi� ad iniziativa del Procuratore generale, il quale � legittimato ad agire, invece, ex art. 76 del Regolamento di procedura r.d. n. 1038 del 1933, soltanto per le pensioni a totale carico dello Stato, �quando sia leso l'interesse dell'Erario�; nella specie, quindi, pronu�lziandosi in un giudizio promosso del Procuratore, la Corte dei conti avrebbe esorbitato dai limiti della sua giurisdizione, valutando interessi (non giuridici) estranei ad essa. La censura � inammissibile. Posto che le decisioni della Corte dei conti sono impugnabili davanti a queste sezioni unite �per i soli motivi inerenti alla giurisdizione�, l'unico vizio utilmente deducibile (ai sensi dell'art. 360, n. l, cod. proc. civ.) � il mancato rispetto, da parte di detto giudice, dei limiti esterni fissati alla competenza giurisdizionale, sicch� le sue decisioni possono essere cassate (1-2) La prima massima � applicazione di principi generali; sulla seconda cfr. Sez. Un. �17 febbraio 1972, n. 429 e 21 settembre 1970, n. 1651. 5 920 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO solo quando risulti che abbia esorbitato dalla propria potestas decidendi e abbia pronunziato in materie che sono demandate alla cognizione di un diverso apparato giurisdizionale o che sono sottratte alla cognizione di qualsiasi giudice. Ora, l'individuazione dei soggetti legittimati ad agire innanzi ad un determinato organo giudiziale non involge un problema attinente ai limiti esterni della giurisdizione, in quanto non pone in discussione l'ambito della materia attribuita dall'ordinamento alla competenza giurisdizionale dell'organo, bens� impone di stabilire se un determinato soggetto possa agire a tutela di interessi rientranti in quella materia. Il problema, dunque, al pari di quelli circa l'appartenenza della posizione giuridica dedotta in giudizio e alla sussistenza dell'interesse ad agire, deve essere risolto dal giudice competente nella materia, in base alle norme vigenti al riguardo, e la sua soluzione pu� condurre ad una pronunzia di inammissibilit� o di rigetto, non certo di difetto di giurisdizione. Nella specie, nonostante il tentativo del ricorrente di spostare il problema sul piano degli interessi tutelabili, si tratta soltanto di stabilire i limiti del potere di azione spettante al Procuratore generale nella materia pensionistica, rimessa alla giurisdizione di detto organo, se, cio�, sia autonomamente legittimato ad impugnare, innanzi alla stessa Corte, i provvedimenti di liquidazione di pensione adottati dalla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali; e questo problema, come si � detto, rientra nell'ambito della sua potestas decidendi, sicch� nella statuizione sul punto non si configura eccesso dall'ambito della sua sfera giurisdi I zionale. ~ 2. -A meglio intendere l'oggetto della censura di cui al secondo I mezzo, � opportuno sottolineare, in fatto, che divenne definitiva, perch� non impugnata da alcuno, la deliberazione con la quale il Comune di I S. Martino del Tagliamento riconobbe ai propri dipendenti i miglioramenti economici e normativi, decorrenti dal 1 � luglio 1973, previsti dall'accordo stipulato il 5 marzo 1974 tra gli organismi associativi degli enti locali e le organizzazioni sindacali di categoria; che del pari divenne inoppugnabile il provvedimento con il quale lo stesso Comune, in base alla deliberazione suddetta, attribu� i miglioramenti all'attuale ricorrente, che, essendo cessato dal servizio il 5 marzo 1974, aveva diritto a percepirli per il periodo precedente; e che perci� la pensione fu liquidata in base ai miglioramenti medesimi e il relativo decreto del Consiglio di amministrazione degli istituti di previdenza fu ammesso a registrazione dalla Sezione di controllo della Corte dei conti (la quale, con riferimento alla probabile illegittimit� delle deliberazioni comunali, si limit� a denunziare il caso al Governo, per l'eventuale esercizio del potere di annullamento ex art. 6 del t.u. della legge comunale e provinciale). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Come pure si � detto nell'esporre la vicenda processuale, la decisione impugnata, invece, ha ritenuto illegittimi i miglioramenti, conseguenzialmente escludendo che siano computabili ai fini della pensione; e ha ritenuto irrilevante la definitivit� dei provvedimenti dell'ente focale, essenzialmente sulla considerazione che la Corte dei conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva in materia pensionistica, pu� disapplicare gli atti amministrativi che ritenga illegittimi, a norma degli artt. 4 e ~ della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Ci� si contesta con il motivo in esame, sostenendosi che la Corte, mentre � abi.litata ad accertare se un determinato emolumento concesso in base al rapporto di attivit� abbia, o meno, i requisiti della pensionabilit�, non pu� spingersi a sindacare la legittimit� del provvedimento che lo ha istituito, quando questo sia diventato definitivo nell'ambito dell'ordinamento dell'ente cui apparteneva il pensionato (altrimenti verrebbe ad esercitare un potere di annullamento che non le compete, in quanto circoscritto aJll'atto Jiqu:idativo della pensione); nella specie, quindi, la Corte avrebbe invaso la sfera di giurisdizione riservata al giudice del rapporto di pubblico impiego. 3. -La censura � fondata. Non ha consistenza, anzitutto, il dubbio circa la sua ammissibilit�, prospettato dall'Amministrazione resistente sul rilievo che la legittimit~ degli atti amministrativi sopra indicati � stata esaminata dalla Corte dei conti in via incidentale e perci� anche questo motivo non attiene ai limiti esterni della giurisdizione. 1:!. certamente esatto che in relazione all'esercizio del potere di risolvere incidenter tantum le questioni pregiudiziali, spettante in via di principio ad ogni giudice, non si configurano problemi di competenza o di giurisdizione, proprio per il carattere incidentale della cognizione. Ma quando non si � in presenza di una mera questione pregiudiziale, perch� -in base alla disciplina della pregiudizialit� nel processo della causa pregiudicata -la controversia sull'antecedente logico debba essere decisa principaliter da altro giudice, in un autonomo giudizio di cui costituisca l'oggetto conclusivo, non soccorre pi�, manifestamente, la competenza incidentale e riprendono vigore, rispetto a tale causa pregiudiziale, le ordinarie regole sul riparto della competenza e della giurisdizione; e se il giudice adito, invece di sospendere il processo principale di sua competenza, statuisca sulla causa pregiudiziale appartenente ad un diverso apparato giurisdizionale, la sua pronunzia � viziata per difetto di giurisdizione, risolvendosi in tale vizio l'errore sulla spettanza della competenza incidentale. Stabilire, dunque, se la controversia insorta intorno ad un punto pregiudiziale possa essere delibata incidenter tantum dallo stesso giudice della causa principale, costituendo una mera questione pregiudiziale, o I i 922 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO debba essere necessariamente decisa principaliter con apposito giudizio, costituendo, cio�, una causa pregiudiziale, involge un problema attinente ai limiti della giurisdizione quando, avuto riguardo al suo oggetto, tale causa pregiudiziale appartenga ad una giurisdizione diversa da quella del giudice della causa pregiudicata. Appunto una siffatta questione suscita la censura in esame, in quanto occorre stabilire se la Corte dei conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva in materia di pensioni, abbia o non abbia il potere di sindacare in via incidentale, per escluderne l'efficacia ai fini pensionistici, la legittimit� di atti amministrativi che, sebbene rilevanti ai fini dell'an e del quantum della pensione (perch� incidono sull'esistenza o sulla durata dell'impiego, sulla qualifica o sul trattamento economico conseguito, etc.), attengono direttamente al rapporto di attivit� e perci� le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo proprio di tale rapporto. 4. -Queste sezioni unite, in vicende analoghe a quella in esame, hanno gi� dato risposta negativa al quesito (anche allora ritenuto, dunque, afferente alla giurisdizione), affermando che la Corte dei conti non pu� esaminare in via incidentale la legittimit� di provvedimenti amministrativi definitivi riguardanti lo status giuridico ed economico conseguito dall'impiegato nel rapporto di pubblico impiego, ancorch� costituiscano il presupposto indispensabile per la liquidazione della pensione (sent. n. 429 del 1972; n. 1651 del 1970). Nella stessa linea di tendenza, volta a negare una competenza incidentale del giudice delle pensioni sulle questioni inerenti al rapporto di attivit�, si collocano, poi, numerose pronunzie relative a controversie nelle quali gli interessati avevano impugnato il provvedimento di liquidazione della pensione per la mancata considerazione di determinate qualifiche o particolari benefici economici (essenzialmente alla stregua della legge sugli ex combattenti): si � ugualmente osservato che tali istanze, sebbene rilevanti ai fini del trattamento pensionistico, incidono sullo status del dipendente e sono sempre devolute, quindi, alla cognizione del giudice proprio del rapporto di attivit�, con la conseguenza che di esse la Corte dei conti non pu� conoscere neppure incidenter tantum (v. sent. n. 3 del 1981; n. 5804 del 1980; n. 51, 182 e 3138 del 1979; n. 3543 del 1976). Gli atti inerenti al rapporto di impiego, cio�, determinano la posizione giuridica dell'impiegato con riguardo ad una serie aperta di conseguenze ad essa correlate, consistenti in diritti, obblighi, prerogative, aspettative, etc. che concorrono a formare, appunto, lo status dell'impiegato medesimo; in particolare, anche solo l'attribuzione di un diverso trattamento economico � fonte di molteplici diritti ed obblighi (alcuni dei quali esulano dal rapporto di impiego) ed � destinato a ripercuotersi PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE quanto meno su due diritti conseguenziali alla cessazione del rapporto, vale a dire lSindennit� di buonuscita e il trattamento pensionistico. Non � ammissibile, perci�, che detti provvedimenti vengano considerati legittimi nell'ambito del rapporto di pubblico impiego e illegittimi, invece, in altri rapporti che, quale quello di pensione, si costituiscono sulla base del primo e presuppongono la medesima posizione giuridica. E si comprende come le controversie al riguardo debbano essere decise con efficacia di giudicato dal competente giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva; con la duplice conseguenza, in tema di pregiudizialit�, che la contestazione sulla legittimit� del provvedimento presupposto, ancora impugnabile davanti a quel giudice, d� sempre luogo ad una causa pregiudiziale (con sospensione di quella principale) e che, per contro, ogni questione in proposito � preclusa quando il provvedimento medesimo sia divenuto definitivo, per effetto di giudicato o per mancata impugnativa, in quanto la definitivit� dell'atto opera in tutti i campi, compreso quello pensionistico. In tal modo escludendosi che la competenza incidentale della Corte dei conti consenta di sindacare la legittimit� di atti inoppugnabili del rapporto di impiego, cade in radice la possibilit� -sulla quale si basa la sentenza impugnata -di far ricorso all'istituto della disapplicazione (che implica appunto quel sindacato, tanto se lo si ritenga espressione della stessa competenza incidentale, quanto se lo si configuri come autonomo potere riconosciuto al giudice dei diritti); e deve essere ribadito il suddetto indirizzo, che corrisponde anche a fondamentali esigenze di certezza giuridica, non potendosi ammettere che, in sede di liquidazione della pensione, possano essere l'imessi tin discussione i provvedimenti concernenti lo stato giuridico ed il trattamento economico del dipendente pubblico (al limite, dalla data della sua ammissione in servizio) divenuti definitivi nell'ambito dell'ordinamento dell'ente datore di lavoro. N� -contrariamente a quanto afferma la difesa dei resistenti tale limitazione della competenza incidentale della Corte dei conti (la quale competenza sussiste, ovviamente, per ogni altra questione relativa a diritti, sempre con esclusione di quelle di status e degli incidenti di falso, come testualmente stabiliscono, per questi ultimi, gli artt. 9 e 11 del reg. proc. �legge 11 agosto 1933, n. 1038) interferisce con il potere-dovere del giudice delle pensioni d delibare gli atti suddetti sotto il profilo della loro rilevanza ed efficacia alla stregua della disciplina del rapporto di quiescenza, diversa da quella del rapporto di attivit� (ben pu� accadere, ad esempio, che determinati emolumenti, attribuiti al dipendente, non siano computabili in pensione perch� sforniti dei caratteri richiesti dall'ordinamento pensionistico); questa indagine, infatti, rientra nella potest� giurisdizionale propria della Corte e nulla ha da vedere con la cognizione incidentale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 924 In definitiva, la Corte dei conti, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva sui provvedimenti di concessione, di rifiuto o di riduzione della pensione (artt. 13 e 62 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), ha il potere di giudicare di ogni questione che investa il diritto, la misura e la decorrenza della pensione stessa (e degli altri assegni che ne costituiscono parte integrante), ma non pu� conoscere, neppure in via incidentale, degli atti amministrativi relativi al rapporto di impiego negli aspetti di attivit� di servizio, inerenti allo status dell'impiegato, diventati definitivi per mancata impugnativa davanti al giudice amministrativo proprio di tale rapporto. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 novembre 1982, n. 6363 -Pres. Berri -Rel. Corda -P. M. Silocchi -ANAS (avv. Stato Corti) c. Acotral (avv. Mazzoni). Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria -Azione di nunclazione o richiesta di provvedimenti innominati -Proponibilit� -Limiti. Le azioni di nunciazione, o la richiesta di � provvedimenti innominati � sono proponibili qualora oggetto di denuncia � una attivit� di diritto comune (cio� un comportamento), che non � imposta, o comunque non � resa legittima da un formale provvedimento amministrativo, anche se solo in modo indiretto e occasionale � a questo ricollegabile, rispettandosi in ogni caso il divieto, per il giudice ordinario, di ordinare un facere riferito all'esercizio di potest�� pubbliche (1). In passato la giurisprudenza di questa Corte era categorica nel negare una qualunque esperibilit� delle azioni di nunciazione o tendenti a ottenere uno dei c.d. � provvedimenti innominati � nei confronti della Pubblica Amministrazione, in base al rilievo che il provvedimento del giudice, se esaminato, avrebbe finito per tradursi, inevitabilmente, nella revoca, sia pure temporanea, di un atto amministrativo, ovvero nella imposizione di un facere o di un pati alla predetta Pubblica Amministrazione. E ci� contro il divieto sancito dall'art. 4 della citata legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E. Tale drastica impostazione, per�, non sempre ha incontrato i favori della dottrina, la quale ha osservato che il precetto costituzionale (art. 113, (1) Cfr. Sez. Un. 12 aprile 1980, n. 2322; 5 maggio 1980, n. 2921; 28 giugno 1964, n. 2125. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE secondo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 97) imporrebbe una � rilettura � dell'art. 4 della citata legge abolitiva del contenzioso amministrativo. Poich�, infatti, la Costituzione (art. 113, secondo comma) esige che la tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione � non pu� essere esclusa o limitata a particolari mezzi da impugnazione o per determinate categorie di atti� e, altres� (art. 97), che � siano assicurati il buon andamento e l'imparzialit� dell'amministrazione �, dovrebbe ritenersi che l'esercizio dei poteri dell'amministrazione predetta avvenga � con certe formalit� e attraverso l'emanazione formale di provvedimenti�. L'esigenza di imparzialit�, infatti, potrebbe essere garantita solo se i comportamenti della Pubblica Amministrazione traggono origine da formali provvedimenti amministrativi, il cui contenuto e la cui ratio possano formare oggetto di adeguato controllo da parte del �privato� colpito da tali provvedimenti (cosa che, invece, sarebbe ben difficilmente realizzabile se la condotta della Pubblica Amministrazione dovesse essere giudicata solo attraverso i risultati di una condotta di fatto). Il citato art. 4, perci�, dovrebbe essere letto nel senso che il divieto di revoca, o modifica o sospensione dei provvedimenti amministrativi, imposto al giudice ordinario, ha riferimento solo alle ipotesi in cui vi sia un provvedimento amministrativo formalmente emesso. In difetto di tale provvedimento formale non si � quindi, in presenza di un atto o provvedimento amministrativo. Da ci� deriva che quando oggetto di denuncia (al giudice ordinario) � un'attivit� (pregiudizievole) che non � imposta, o comunque non � resa legittima da un formale provvedimento amministrativo, le azioni di nunciazione, o la richiesta di � provvedimenti innominati�, dovrebbero ritenersi proponibili. L'ordine del giudice, in questo caso, non attiene a un facere riferito all'esercizio delle potest� pubbliche, ma, semplicemente, a un'attivit� di diritto comune. E se, per ottemperarvi, la Pubblica Amministrazione � costretta a porre in essere una qualche procedura amministrativa, il dovere dello svolgimento di quest'ultima non altera la realt� delle cose: se non la svolge, infatti, non vi potr� essere costretta dal giudice, ma sar� semplicemente considerata inadempiente. In altri termini, il divieto dell'art. 4 citato di condannare la Pubblica Amministrl:J:zione a un facere (o a un pati) opera solo nell'ambito della sfera di diritto pubblico: ma ci� rileva non gi� ai fini della astratta ammissibilit� delle azioni in questione, bens� ai fini del � limite interno � della giurisdizione del giudice ordinario. Di modo che, una volta ritenuta l'ammissibilit� di dette azioni, il giudice ordinario deve esaminare se veramente l'attivit� materiale (quale si assume pregiudizievole) non sia esecutiva di un formale provvedimento amministrativo; e, nel caso che lo ritenga, ben pu� condannare la Pubblica Amministrazione a un f acere purch�, per�, venga richiesto alla stessa Pubblica Amministrazione di compiere un'attivit� nell'ambito del diritto comune, non gi� un'attivit� che rientra nella sfera del diritto pubblico. RASSEGNA DBLL'AWOCATURA DELLO STATO 926 Sulla spinta di tale impostazione dottrinale, un mutamento di indi� rizzo giurisprudenziale si � manifestato con le sentenze 12 aprile 1980, n. 2322 e 5 maggio 1980, n. 2921 (che, peraltro, sviluppano concetti gi� larvatamente espressi con la sentenza 28 giugno 1964, n. 2125) le quali, pur dopo avere riconfermato, in linea di principio, l'enunciazione della regola generale sempre affermata, hanno tuttavia ammesso che le dette azioni sono proponibili allorch� la denuncia investe non gi� un atto o provvedimento amministrativo, bens� una mera attivit� materiale della Pubblica Amministrazione, cio� un comportamento che, non potendo essere svolto in contrasto con i precetti posti dalla prudenza e dalla tecnica a salvaguardia dei diritti dei privati, non resta sottratto all'intervento inibitorio o correttivo del giudice ordinario. Non si � omesso, per�, di precisare che, anche in questo caso, sussiste pur sempre il limite interno del potere giurisdizionale del giudice ordinario, di modo che, anche di fronte alla proponibilit� di quelle azioni, sussiste pur sempre il divieto di emanare provvedimenti che incidono in modo diretto sugli atti o provvedimenti amministrativi che, in qualsiasi modo, stanno alla base del comportamento denunciato. Tale essendo, quindi, lo stato della giurisprudenza, deve senz'altro concludersi, con riferimento al caso concreto, per l'ammissibilit� della azione proposta dall'ACOTRAL davanti al Pretore di Palestrina. L'istante, infatti, aveva denunciato come lesivo un fatto meramente materiale dell'ANAS, consistente, in <lenitiva, nell'omessa manutenzione di un'opera stradale e, pi� precisamente, di un � rilevato � soggetto a movimenti franosi. Nel proporre il regolamento preventivo di giurisdizione, l'ANAS ha negato la competenza giurisdizionale del giudice ordinario sotto un duplice profilo. Ha sostenuto, anzitutto, che la P. A. non pu� essere condannata a un tacere, e soprattutto a un tacere specifico che, normalmente, comporta l'adozione di scelte tecniche discrezionali; ha eccepito, poi, che la controversia dovrebbe trovare inquadramento nell'ambito di un rapporto di concessione, in relazione al quale sussiste la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo. Nessuno di questi rilievi, per�, induce a ritenere improponibile l'azione (come concretamente proposta) davanti al giudice ordinario. Dal complesso della domanda e dell'eccezione si evince -giova ripeterlo -che il fatto denunciato consisterebbe in un � mero comportamento materiale �, ossia nel mantenimento di una condotta omissiva che non era in alcun modo ricollegabile al preciso contenuto di un formale provvedimento amministrativo. L'attrice, cio�, ha invocato l'adozione di un provvedimento giudiziale che, se concesso, non si porrebbe in contrasto con il contenuto di un provvedimento amministrativo, del quale ultimo, peraltro, non � mai stata eccepita l'esistenza. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Il fatto, poi, che l'attrice abbia sollecitato la condanna dell'ANAS al compimento di una attivit� specifica (indicata come la sola che valga a eliminare gli inconvenienti lamentati) non �, di per s�, suffic~ente ad autorizzare la conclusione dell'improponibilit� dell'azione. La giurisprudenza, infatti, nel dichiarare ammissibili le azioni in questione nei confronti della Pubblica Amministrazione, non ha omesso di chiarire che il giudice ordinario, nel pronunciare la condanna a un face re o a un pati, deve pur sempre rispettare il �limite interno� della giurisdizione, come risulta delineato dal disposto dell'art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo. E ci� significa che il provvedimento del giudice ordinario, sollecitato dalla denuncia di un � mero comportamento materiale � che si assume lesivo, non pu� mai violare la regola del rigido divieto di revocare un provvedimento o atto amministrativo che, se pure in modo indiretto e occasionale, sta alla base del �comportamento� predetto. Sussiste, quindi, in rapporto al c.d. � limite esterno �, la giurisdizione del giudice ordinario a emettere provvedimenti di natura cautelare (in senso generico), allorch� viene denunciato un �comportamento materiale �, lesivo di un diritto soggettivo, posto in essere dalla Pubblica Amministrazione, anche se lo stesso �, in qualche modo, ricollegabile -in modo, per�, solo indiretto e occasionale -a un atto o provvedimento amministrativo (di cui sono tipici esempi l'omissione di doverose cautele nella esecuzione di un'opera pubblica, o l'omessa manutenzione di un'opera che, proprio a causa di tale omissione, finisca per costituire pericolo per l'altrui incolumit� o, comunque, pregiudizio � per i diritti dei terzi�); l'esercizio di tale potere giurisdizionale incontra, per�, la barriera del c.d. � limite interno � di attribuzione, in relazione ai principi fissati dall'art. 4 della citata legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, nel senso che il provvedimento del giudice non pu� in alcun modo incidere direttamente sul provvedimento o atto amministrativo. Col rispetto di questo limite, quindi, l'ordine del giudice non atterr� mai a un facere riferito all'esercizio di potest� pubbliche, essendo palese il suo riferimento solo ad attivit� di diritto comune. E se per adempiere a tale ordine la Pubblica Amministrazione dovr� porre in essere una procedura amministrativa, ci� attiene non gi� al contenuto della condanna, ma al modo di darvi esecuzione che � proprio del soggetto condannato: di modo che, se pu� da un lato affermarsi che il giudice ordinario non pu� condannare la Pubblica Amministrazione al compimento di quella procedura, non pu�, tuttavia, negarsi per ci� solo il potere di pronunciare quella condanna. Come ha puntualmente osservato la dottrina, se la Pubblica Amministrazione non dovesse svolgere quell'attivit� eventualmente necessaria per dare esecuzione dell'ordine giudiziale, essa non potrebbe esservi costretta, ma sarebbe semplicemente considerata inadempiente. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 928 All'osservazione, poi, che il rapporto che sta alla base della richiesta dell'ACOTRAL sarebbe un rapporto di concessione amministrativa � sufficiente rispondere che l'attivit� materiale denunciabile al giudice ordinario, nei modi e nei limiti sopra indicati, � pur sempre correlabile (in quanto compiuta dalla Pubblica Amministrazione), in qualche modo, a uno o pi� provvedimenti amministrativi, quantomeno nel senso che si inserisce nell'ambito di un rapporto amministrativo; ma siffatto rilievo non � idoneo a qualificare come �non materiale� un'attivit� che, invece, tale � definibile in base ad altri elementi e, soprattutto, a negare validit� all'impostazione giurisprudenziale e dottrinale che dichiara denunciabile, al predetto giudice ordinario, l'attivit� stessa quando sia lesiva dei diritti soggettivi dei terzi. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 29 giugno 1981, n. 4216 -Pres. Pedroni Est. Visalli -P. M. Leo (concl. conf.) -Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato (avv. Stato Stipo) -Scali (avv. Rivolta). Pubblica amministrazione -Responsabilit� civile -Norme di prudenza da osservare per la tutela di diritti assoluti -Dovere di prevenire hnprudenze altrui Inconfigurabilit�. La discrezionalit� di cui gode la Pubblica Amministrazione nel campo tecnico non implica che essa possa esimersi dall'attenersi ai criteri fondamentali di prudenza e diligenza richiesti per la tutela dei beni valutati dall'ordinamento come oggetto di diritti assoluti; tuttavia il dovere di diligenza della Amministrazione non pu� estendersi sino al punto di prevenire le imprudenze dei propri dipendenti, in quanto questi ultimi sono tenuti ad esplicare, nelle mansioni loro affidate, l'ordinaria diligenza. (omissis) Con il primo motivo la ricorrente lamenta che la Corte del merito abbia esteso la sua indagine per accertare se la responsabilit� dell'Amministrazione si fosse concretata nella violazione delle norme di comune diligenza e prudenza. Il potere dei giudici di appello, quali giudici di rinvio, era stato limitato dalla Cassazione all'esame della violazione di una norma regolamentare, cosicch�, una volta esclusa tale violazione, il loro compito era esaurito, dato che un ulteriore esame Questa decisione ha cassato la sentenza dei giudici di merito che avevano ritenuto il mezzo tecnico prescelto dall'Amministrazione contrario al principio del N eminem laedere, perch� non si era posto il problema di salvaguardare l'incolumit� dei propri dipendenti in previsione di una loro eventuale imprudenza e negligenza. Non si pu� invero cadere nell'eccesso di ritenere in ogni caso la colpa della parte convenuta, nel giudizio di risarcimento danni, dando cos� ragione a quell'orientamento dottrinale, secondo cui quando si vuol comunque ritenere un comportamento ingiusto e non si sa a quali principi appellarsi, si fa ricorso al cosiddetto dbb1ilgo ganelico del neminem laedere, che verrebbe a rappresentare il deus ex machina, invocato l� dove non si sa quale mai previsto comando tuteli ~interessi 1delllla.cui lesione sia questiJOille (v. MAIORCA, Colpa civile in Enciclopedia del diritto, 541; VISINTINI, La responsabilit� civile nella giurisprudenza, 3). Deve infatti ritenersi colpa, ai fini della responsabilit� civile, l'inosservanza di quel complesso di cure e cautele che vanno normalmente impiegate in situaziorni ana.Loghe a quella di oui si discute. Le Sezioni Unite, con decisione 10 maggio 1974, n. 1329, hanno escluso che possa esserci colpa dell'Amministrazione qualora venga accertato che nella specie R~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 930 avrebbe comportato l'invasione della sfera di discrezionalit� della pubblica amministrazione. Inoltre l'estensione da parte degli stessi giudici di tale esame ha avuto come risultato la pronunzia su una domanda non proposta dalle parti, avendo queste formulato le loro richieste sull'erroneo presupposto della violazione di norme regolamentari. (omissis) Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che gli articoli 101 e 102 della �Prefazione generale all'orario di servizio�, che disciplinano la procedura da seguire per la richiesta di togliere la corrente dalla linea di contatto, rappresentavano il mezzo tecnico adottato dalla Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato e idoneo a salvaguardare i propri dipendenti dal pericolo di folgorazione. Quando nei depositi ferroviari sono ben visibili i fili ad alta tensione, non si pu� ritenere in colpa l'Amministrazione se i propri agenti, i quali hanno l'obbligo di chiedere la disattivazione della corrente per intraprendere determinati �lavori, si sottraggono a tale obbligo. Il motivo merita accoglimento. La Corte ha escluso l'idoneit� delle indicate prescrizioni -contenute negli articoli 101 e 102 -a preservare l'incolumit� dei dipendenti dell'Amministrazione ferroviaria, rilevando che esse -risolvendosi in una complicata procedura -tendevano a scoraggiare il personale dall'inoltrare la richiesta di � tolta tensione � e lo inducevano per motivi di speditezza ad eseguire determinati lavori, specialmente di breve durata -come quello compiuto dallo Scal� -, in prossimit� della linea aerea, malgrado che la medesima fosse sotto tensione. non vi sia stata la violazione alcuna delle norme regolamentari che disciplinano l'attivit� specifica, sempre che dette norme contengano una disciplina minuziosa e particolareggiata dell'attivit� stessa. Le stesse Sezioni Unite hanno ancora puntualizzato che il principio del neminem laedere comporta che la discrezionalit� della Pubblica Amministrazione si arresta l� dove entrano in gioco le regole elementari della particolare disciplina tecnica, nelle quali si concreta il minimum imprescindibile di prudenza e diligenza (cos� sentenza 21 febbraio 1973, n. 800) e pertanto va riconosciuta la responsabilit� della Pubblica Amministrazione l� dove � stato commesso un grossolano errore ed una manifesta imprudenza (v. Cass. 17 agosto 1973, n. 2755). La pericolosit� non � di per s� sufficiente a costituire violazione del principio del neminem laedere, in quanto responsabilit� sussiste qualora venga a determinarsi, per inosservanza di comuni (e non eccezionali) principi generali, una situazione di pericolo occulto ovvero una insidia non visibile e non prevedibile (v. Cass. 13 gennaio 1975, n. 120). Orbene quando nei depositi ferroviari necessariamente debbano esservi i fili di alta tensione e questi sono visibili agli agenti ferroviari, i quali hanno l'obbligo di chiedere la disattivazione della corrente se debbono intraprendere determinati lavori, giustamente la Cassazione ha affermato che non pu� ritenersii in colpa l'Amministrazione per non aver previsto un congegno idoneo a prevenire le eventuali imprudenze e negligenze di coloro che si sottraggono a tali obblighi. G. STIPO PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 1 Siffatto mezzo tecnico non tutelava il personale delle ferrovie, do� vendosi tener presente nel campo specifico della prevenzione contro gli infortuni che i dipendenti hanno diritto alla incolumit� proprio in previsione della loro imprudenza e negligenza. Secondo i giudici di appello, una norma di comune prudenza e diii genza avrebbe dovuto suggerire all'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, per quanto concerne il tratto di binario n. 6 della stazione di Codogno adibito a rimessa di locomotive, di adottare tutti quei dispositivi (sezionamenti, messe a terra, segnalazioni etc.), indicati nella perizia espletata nel corso dell'istruttoria penale, idonei a far circolare la corrente elettrica nella linea sovrastante il binario soltanto per il tempo necessario all'ingresso e all'uscita dei locomotori. Questo accorgimento si imponeva anche per il fatto che nei binari adibiti a rimessa o a deposito vengono svolti normalmente vari lavori, come quelli di manutenzione, riparazione, controllo e simili. In base alla indicata norma il binario considerato avrebbe dovuto essere munito di uD. sezionatore singolo, anzich� multiplo, nonch� degli altri dispositivi di sicurezza indicati dal perito. Non � esatto ritenere, come fanno i giudici di appello, che le misure di sicurezza predisposte dalla pubblica amministrazione nella specie non fossero idonee a preservare l'incolumit� dei propri dipendenti, in quanto occorreva adottare gli altri accorgimenti, di cui si � detto. Al riguardo va tenuto presente che la discrezionalit�, di cui gode la pubblica amministrazione anche nel campo tecnico, implica solo che essa non possa esimersi dall'attenersi ai criteri fondamentali delle discipline tecniche. La trasgressione di tali doveri comporta violazione del principio del neminem laedere, perch� la discreziona1Ht� nel campo tecnico si miresta l� dove -qualunque sia il procedimento seguito -entrano in giuoco le regole elementari della particolare disciplina tecnica, nelle quali si converte il minimum imprescindibile di prudenza e diligenza richiesto all'amministrazione per la tutela dei beni valutati dall'ordinamento come oggetto dei diritti assoluti (cfr. sent. 21 marzo 1973, n. 800). Ora non vi � dubbio che l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato si � attenuta alle suddette regole, predisponendo nella stazione di Codogno mediante la particolare procedura prevista dai citati articoli 101 e 102, dei sistemi di sicurezza, tali da garantire l'incolumit� dei dipen denti nell'espletamento delle particolari incombenze a loro affidate. N� vale riferirsi alla complessit� della menzionata procedura per sostenere una diversa conclusione. Infatti una procedura siffatta -in quanto postula delle prescrizioni molto minuziose da parte della pubblica am ministrazione -tutela meglio le persone, alla cui protezione essa � predisposta. N� il dovere di diligenza della amministrazione pu� esten dersi fino al punto di prevenire le imprudenze dei propri dipendenti, in 932 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quanto questi ultimi sono tenuti ad esplicare, nelle mansioni a loro affidate, l'ordinaria diligenza. Pertanto la Corte del merito avrebbe dovuto ritenere che -essendo idonee le misure di sicurezza predisposte dall'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato -l'infortunio avrebbe potuto essere evitato se lo Scali, prima di salire sul tettuccio della locomotiva, si fosse uniformato alle prescrizioni della procedura stabilita dagli articoli 101 e 102 per ottenere che fosse tolta la corrente anche dalla linea aerea sovrastante il binario, n. 6. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 13 maggio 1982, n. 2988. Pres. Renda - Rel. Nocella -P.M. La Valva (conf.) -Schinardi (avv. Scarnati) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Zotta) nonch� c. I.N.P.S. (avv. Tripputi, Vario ed Ausenda). I Pensioni -Salariati dello Stato -Cumulo fra la pensione statale e quella I previdenziale Divieto stabilito dal d.P.R. n. 1092 del 1973 -Appli� I ~ cabilit� ai rapporti pensionistici in corso -Rapporti con gli effetti derivanti dalla sentenza n. 117 del 1974 della Corte Costituzionale. P. (D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, art. 10; I. 5 marzo 1961, n. 90; d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 6, 129, 256; art. 136 Cast.). i Il d.P.R. n. 1092 del 1973, che ha stabilito il divieto del cumulo, per tutti i dipendenti dello Stato, fra la pensione statale e quella previdenziale, opera, in base ai princ�pi regolatori della successione delle leggi nel ! tempo, anche sui trattamenti di quiescenza in atto al momento della sua entrata in vigore, poich�, senza modificare la disciplina giuridica del I fatto generatore del diritto alla pensione, ne regola diversamente solo le I situazioni attuali e future. Di conseguenza, dalla sua entrata in vigore (1� giugno 1974), vale, per I tutte le categorie interessate (dipendenti statali, art. 6, e operai, art. 129J il divieto del cumulo pensionistico, provvisoriamente determinatosi per I effetto della sentenza 8 maggio 1974, n. 117 della Corte Costituzionale (1). I Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del ! l'art. 129 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, della legge 5 marzo 1961, (1) IPr.ecedenti illleL senso de!J!a maissima si �ritrovano so1o ne1l'a.mbito del contenzioso pensionistico della Corte dei Conti ad eccezione di Trib. Benevento 5 aiprile 19N', mRiv. Giur. Lav., l'n?, HI, .161; v., imaitti: Corte dci Conti, Sez. LV, pensioni militari, 17 giugno 1974; I�il particolare, sull'art. 256 del d.P.R. n. 1092 del 1973, Corte dei Conti, sez. IV, pensioni militari, 17 marzo 1975, n. 43452, in Foro amm., :1976, I, 1968; Corte dei Conti, sez. III, pensioni civili, 7 novembre 1977, n. 39860, in Riv. Corte dei Conti, 1978, 910; e tenendo conto anche della sentenza della Corte Costituzionale 22 giugno 1976, n. 144, che av.eva dichiarato infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 129, secondo e terzo PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 933 n. 90, degli articoli 10 e 11 delle preleggi in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. e si deduce che in conseguenza della dichiarazione di illegittimit� costituzionale dell'art. 10 secondo e terzo comma del d.P.R. 11 gennaio 1965, n. 20 si sarebbe ripristinato il diritto del ricorrente al trattamento cumulato di pensione con riferimento al momento stesso della liquidazione della pensione, e su tale diritto nari avrebbe potuto incidere una norma successiva, come l'art. 129 del d.P.R. n. 1092 del 1973, al quale pertanto il Tribunale avrebbe erroneamente attribuito valore retroattivo, pur non essendovi nella nuova legge alcuna previsione in tal senso, e contenendo essa, invece, un'espressa previsione contraria nell'art. 256, che limiterebbe l'applicazione della legge stessa soltanto ai casi in corso di trattazione in sede amministrativa o giurisdizionale. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 38 ,.Secondo comma della Cast. e 2114 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. e si sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe affermato che il rapporto pensionistico, finch� venga .corrisposto il rateo di pensione, non costituisce una situazione giuridica esaurita, senza considerare che il rapporto vel'I'ebbe a maturocsi ed esaurirsi al momento della liquidazione e da quel momento sorgerebbe a favore del pensionato un diritto quesito al pagamento della pensione, entrato immediatamente a far parte del patrimonio della persona, che non potrebbe essere modificato da una legge successiva se non in senso pi� favorevole al lavoratore. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per le loro correlazioni logiche, sono infondati. comma del d.P.R. n. 1092 del 1973, Corte dei Conti, sez. III, pensioni civili, 28 maggio 1980, n. 45563, ivi, 1980, 951. Sul divieto del cumulo stabilito dal d.P.R. 1973, n. 1092 v. Consiglio di Stato, 5 aprile 1977, n. 703, in Cons. Stato, 1979, I, 289. In dottrina v., per uno sguardo critico al problema del cumulo pensionistico, TERESI F., In tema di cumulo di pensioni a favore degli operai dello Stato in una discutibile sentenza sul principio di uguaglianza, nota a sentenza Corte Costituzionale 8 maggio 1974, n. 117, in Giur. cost., 1974, 1449; nonch� sulla sentenza della Corte Cost .. 22 giugno 1976, n. �144 v. TODINI A. M., Sulla Pronuncia di legittimit� costituzionale dell'art. 129, secondo e terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 interessante le pensioni degli operai salariati dello Stato, nota a sentenza della Corte Costituzionale cit., in Riv. It. Prev. Soc., 1976, 829. Brevi osservazioni in tema di successioni di leggi nel tempo e di efficacia delle pronuncie di illegittimit� costituzionale. L'aspetto [pli� interesisante della sentenza � forse prOIP'riO que!J.o reilativo aihla clistimiOllie -operata daliLa S.C. -tra i principi regolatori della suooessione dcl1e lieglg� nel tempo ed i principi regoliatori de& efficacia deNe pronunce di ililegiittimit� de!llJJa Corte Costituzionaille. La distinzione si rende, infatti, necessaria nel caso di specie, avendo il ricorrente sostenuto -sul presupposto che il rapporto previdemiiale si esaurisce al RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 934 L'art. 10 del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, concernente disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale statale disponeva: � Nei confronti dei salariati statali di ruolo e dei loro aventi diritto non si fa luogo ad �alcuna detrazione dalla 1pensione a carico dello Stato delila pensione loro spettante per l'assicurazione invalidit� vecchiaia e superstiti. Lo Stato subentra nei diritti dei salariati e delle loro vedove ed orfani e la pensione o quota di pensione relativa all'assicurazione obbligatoria invalidit� vecchiaia e superstiti per i servizi resi dal 1� gennaio 1926 con iscrizione all'assicurazione predetta che sono valutati anche per la pensione statuale. Per i salariati in attivit� di servizio alla data da cui ha effetto il presente decreto i quali, anteriormente alla data stessa, abbiano acquisito il diritto alla pensione per l'assicurazione invalidit� vecchiaia e superstiti, il disposto del precedente comma si applica a partire dalla data di cessazione dal servizio �. La legge 5 marzo 1961, n. 90 sullo stato giuridico degli operai dello Stato non riproduceva le precedenti disposizioni concernenti il subentro dell'erario nei diritti delle prestazioni pensionabili, ingenerando fra i salariati immessi in ruolo in base a quest'ultima legge e gli operai dello Stato, i cui rapporti erano regolati dal d.P.R. n. 20 del 1956, una manifesta diseguaglianza di trattamento. Mentre infatti per i salariati, immessi in ruolo in base alla legge n. 90 del 1961, non esistendo iin essa una disposizione corrispondente al citato art. 10, si ammetteva il diritto alla duplice pensione (statale e I.N.P.S.), per i salariati, gi� inquadrati nel ruolo prima della legge stessa, mantenendo piena operativit� la suddetta norma, si negava il diritto al cumulo pensionistico. momento della liquidazione -H proprio diritto al cumulo pensionistico sulla base della sentenza della Corte Costituzionale 8 maggio 1974, n. 117, la quale aveva dichiarato l'illegittimit� costituzionale dei commi secondo e terzo dell'art. 10 del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20 per la disparit� di trattamento che operavano tra i salariati dello Stato immessi in ruolo in base alla legge 5 marzo 1961, n. 90 e quelli gi� in ruolo, prevedendo il divieto del cumulo solo per questi ultimi; mentre l'art. 129 del d.P.R. n. 1092 del 1973 (entrato in vigore il 1� giugno 1974), che lo vieta per tutti i dipendenti dello Stato, non pu� avere effetto retroattivo, stante il contrario disposto dell'art. 256 d.P.R. cit. La S.C., invece, delinea le rispettive sfere di efficacia della pronuncia dichiarativa di illegittimit� costituzionale e della legge sopra~nuta ed afferma che il rapporto previdenziale sorge soltanto con la collocazione a riposo, segnando l'atto di liquidazione soltanto il momento iin cui cessa il rapporto assicurativooonrfmiibutivo e si quanttld3ica 11 diritto a ipensione. La dichiarazione di illegittimit� costituzionale ha, senz'altro, effetto retroat� tivo e, ai sensi dell'art. 136 Cost., la norma impugnata cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione ovvero, ai sensi dell'art. 30, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 80, �non pu� avere applicazione dal giorno PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 935 Con sentenza n. 117 dell'8 maggio 1974 la Corte Costituzionale dichiarava l'illegittimit� per violazione dell'art. 3 della Cost. dell'art. 10 secondo e terzo comma del d.P.R. 11. gennaio 1956, n. 20 nella parte in cui, nei confronti dei salariati immessi in ruolo anteriormente all'entrata in vigore della legge 5 marzo 1961, n. 90 e per il tempo di cessazione del servizio, disponeva il subingresso dello Stato nei diritti dei salariati stessi e delle loro vedove ed orfani alla pensione o quote di pensione relative all'assicurazione obbligatoria invalidit�, vecchiaia e superstiti per i servizi resi dal 1� gennaio 1Q26, con iscrizione all'assicurazione predetta, valutati anche per/la pensione statale, per la precipua considerazione che il riferimento puramente temporale non poteva ritenersi razionalmente sufficiente a far apparire giustificata la normativa, oggetto della denunzia di illegittimit� costituzionale. Nel riordinamento organico della materia, effettuato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 � stata dettata una disciplina uniforme, intesa ad eliminare il cumulo pensionistico per le varie categorie dei dipendenti statali (art. 6) e specialmente per gli operai (art. 129). La Corte Costitu� zionale con sentenza n. 144 del 22 giugno 1976, dato atto che era stata riparata l'ingiustificata differenza di trattamento, posta a fondamento della precedente pronuncia di illegittimit�, dichiarava infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 129, secondo e terzo comma d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 non avendo contraria rilevanza il dato puramente formale, costituito dalla ripetizione delle norme dichiarate illegittime, e, rilevato che l'art. 252 dell'anzidetto decreto fissa l'entrata in vigore del testo unico al primo giorno del mese successivo a quello della pubblicazione sulla G.U. (1� giugno 1974), ribadiva che sino a tale data conservava la sua operativit� la citata sentenza n. 117 �ovviamente per i provvedimenti cui era applicabile �. successivo alla detta pubblicazione �. Pertanto si applica il princ1p10 secondo cui tale retroattivit� trova un limite insormontabile nell'avvenuto esaurimento (in virt� del sistema) del rapporto nato sulla base della legge oggetto della decisione (cfr. per tutte Cass. 18 dicembre 1973, n. 3423, 'in Giust. civ., Mass., 1973, 1778 e Cass. 28 maggio 1979, n. 3111, in Giur. it., Mass., 1979). In dottrina, per un attento esame delle due interpretazioni contrapposte, v. MoRTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1976, Tomo II, pp. 1416-20. Secondo alcuni, infatti, la legge incostituzionale non obb!Ji.ga alla osservanza n� i privati n� la Pubblica Amministrazione n� il giudice, sicch� la pronuncia di illegittimit� non le toglie l'efficacia sostanziale -che non ha mai avuto -ma solo quella formale e non trova un limite nei diritti quesiti, salvo quelli che,operano comunque (es. prescrizione o decadenza) eliminando la possibilit� di far valere il diritto. Secondo altri, invece, prima della pronuncia la legge incostituzionale esplica effetti obbligatori, sicch� quelli verificatisi non vengono tutti ed automaticamente meno. In dottrina cfr. ancora R. QUADRI, voce Acquisiti diritti, in Nmo. Dig. It., V. I, 1; PIERANDREI, v. Corte Costituzionale, in EdD, 1962, X, 986; A. P1zz0Russo, Sulla efficacia nel tempo delle dichiarazioni di incostituzionalit�, in Foro it., 11970, I, 1307. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 936 In tale situazione devono essere nettamente distinti i princ�pi che regolano l'efficacia delle sentenze dichiarative di illegittimit� costituzionale da quelle relative all~ successione delle leggi nel tempo. La dichiarazione di illegittimit� costituzionale ha efficacia retroattiva perch� elimina ex nunc la stessa norma, su!1la quale ,sri fonda il diritto soggettivo. Pertanto una disposizione, di cui sia stata dichiarata l'illegittimit� costituzionale, cessa di avere efficacia e deve essere disapplicata anche d'ufficio dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale �della decisione della Corte Costituzionale rispetto a tutti i rapporti per i quali pende una controversia giudiziaria, inclusi quelli precostituiti, salvo che si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, consolidate ed intangibili, suscettibili come tali di essere diversamente regolate prescindendo dalla norma costituzionale, come si verifica nel caso di rapporti gi� definiti anteriormente alla pronunzia di illegittimit� costituzionale per effetto di giudicato o di atti amministrativi o di atti negoziali, dei quali si siano interamente esauriti gli effetti o che siano efficaci sul piano sostanziale e processuale nonostante l'inefficacia della norma dichiarata incostituzionale (Cass. 28 maggio 1979, n. 3111 e conf.). Nella successione di leggi, atteso che la norma anteriore � pienamente valida ed efficace sino al momento in cui non � sostituita, la nuova legge, in mancanza di una espressa e comunque non equivoca disposizione contraria, non ha, invece, effetto retroattivo, in quanto essa non pu� incidere su rapporti giuridici anteriori alla sua emanazione, quando anche gli effetti di essi non siano esauriti e sempre che tali effetti non siano assunti dalla legge stessa ad elementi di fattispecie nuove ed avulse dal fatto che le ha generate (Cass. 20 settembre 1979, n. 4841 e conf.). In altri termini, non sussistendo al di fuori delle leggi penali un ostacolo In tema di successioni di leggi, invece, il principio di irretroattivit� della legge posto dall'art. 11 delle disp. prel. al cod. civ. comporta l'inapplicabilit� della nuova legge ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore ed a quelli sorti anteriormente, ma ancora viventi, se l'applicazione di essa incida sugli effetti gi� verificatisi e tolga efficacia alle conseguenze attuali di essi. Lo stesso principio non preclude, invece, l'applicabilit� della nuova legge alle situaziom esistenti o sopravvenute, alla data di entrata in vigore, anche se relative ad un fatto passato, se considerate prescindendo dal collegamento con il fatto che le ha generate e senza che di quest'ultimo se ne modifichi la disciplina giuridica. Cfr. conformi Cass. 4 maggio 1966, n. 1115 in Giust. civ., Mass. 1966, 638; Cass. 23 novembre 1971, n. 3390, ivi, 1971, 1829; Cass. 29 gennaio 1973, n. 271, in Rass. Avv. Stato, 1973, I, 405; Cass. 27 maggio 1971, in Giur. it., Mass., 1971, il114; 1n Giust. civ., 1911, I, U89; Cass. 2 1�ebbraio 1973, lll. 318, ivi, Mass., 1973, 162; Cass. 1 febbraio 1974, n. 290, ivi, 1974, 138, in Rass. Avv. Stato, 1973, I, 406; Cass. 22 settembre 1979, n. 4841. Nel senso che il divieto della retroattivit� dti cui all'art. 11 cit. sia, fuori dell'ipotesi di cui all'art. 25 Cost., unicamente una direttiva rivolta al legislatore e all'interprete e, pertanto, suscettibile di deroga cfr. Cass. 7 maggio 1966, n. 1176 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 937 costituzionale alla irretroattivit�, il principio, enunciato dall'art. 11 delle preleggi, comporta da un lato che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se in tal modo si disconoscano gli effetti gi� verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso, e dall'altro, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli stati e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorch� conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbono essere considerati in se stessi, prescindendosi completamente dal fatto, che li ha generati, in modo che resti escluso che attraverso tale applicazione sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. (Cass. 27 maggio 1971, n. 1579 e successive conformi). Il ricorrente nel sostenere la definitiva acquisizione del diritto al cumulo pensionistico a decorrere dalla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 117 del 1974, senza tener conto dell'efficacia della legge sopravvenuta a causa di una pretesa iTretroattivit� della stessa, mostra di confondere i differenti princ�pi sopra enunciati. La dichiarazione di illegittimit� costituzionale dell'art. 10, secondo e terzo comma del d.P.R. n. 20 del 1956, eliminando questa norma dall'ordinamento giuridico nella parte in cui ammetteva differenziatamente il cumulo pensionistico per i salariati immessi in ruolo in base alla legge n. 90 del 1961, e non per quelli gi� inquadrati nel ruolo, ristabiliva una situazione di parit� tra le due categorie, con la conseguenza che, disapplicandosi la norma nella parte dichiarata illegittima dal momento della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale nella Gazzetta in Giust. civ., Mass. 1966, 673; Cass. -23 giugno 1967, n. 1538, ivi, 1967, 814; Cass. 22 febbraio 1975, n. 674, in Giust. civ., 1975, I, 988. In dottrina cfr. G.U. REsCIGNO, voce Disposizioni Transitorie, EdD, 1964, v. XIII, pp. 221-227, il quale definisce il diritto intertemporale come quel complesso di norme e di principi che regolano la successione di leggi nel tempo (p. 219); LA VALLE, voce Successione di leggi, Nuov. Dig. lt., 1971, v. XVIII, pp. 634-643, il quale definisce la successione di leggi come fine della vigenza di una prescrizione e inizio della vdgenza di una nuova prescrizione che succede alla prima, producendo la modificazione o la pura negazione della prima. Il problema � fra quale delle due, l'anteriore o la successiva, debba farsi dipendere la rilevanza del comportamento o dell'accadimento (p. 635); QUADRI, voce Acquisti dir. cit., dove, dopo un excursus sulla portata storica del principio dei diritti quesiti, si isola il principio stesso rispetto a quello di irretroattivit�; QUADRI, voce Dispo� sizioni Transitorie, Nmo. Dig. lt., 1960, v. V, p. 1132 e per una trattazione completa ed esauriente della materia cfr. QUADRI, Disposizioni sulla legge in generale ~artt. 10-15), Commen1:all1�o Scialoja -Branoa, Bologna -Roma, ZanichelJri, Soc. Ed. Foro it., �1974, pp. VII-370, passim. GABRIELLA PALMIERI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 938 Ufficiale, doveva essere sostanzialmente riconosciuto a questi ultimi un pari diritto al cumulo. Pertanto, cessato il diritto dello Stato al subingresso nei diritti dei salariati e dei loro congiunti, l'Istituto previdenziale, come osservato dal Tribunale, ha correttamente restituito all'assicurato le quote versate allo Stato fino all'entrata in vigore del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092. La nuova legge ha infatti eliminato il diritto al cumulo pensionistico, provvisoriamente determinatosi per effetto della predetta sentenza della Corte Costituzionale, ripristinando, anche se in senso opposto, la situazione di parit�, in conformit� dei princ�pi espressi in tale pronuncia, che, come chiarito dalla stessa Corte Costituzionale, continua ad essere operante � ovviamente per i provvedimenti cui era applicabile �. Dalla sua entrata in vigore la nuova legge regola le situazioni future ed attuali, anche se collegate a fatti passati, intendendo, secondo la volont� legislativa espressa, disciplinarne gli effetti senza modificare la disciplina giuridica del fatto generatore del diritto a pensione. Tale precisa volont� legislativa pu� desumersi dalla lettera della legge, dalla sua ratio e dalle ragioni storiche, che ne determinarono la formazione oltre che dalla speciale disciplina transitoria. Sotto il profilo letterale sia l'art. 6 che l'art. 129 della legge in esame non pongono alcuna limitazione, estendendo anzi l'art. 129 il divieto di cumulo a tutti i dipendenti, nominati in ruolo anteriormente al 1� luglio 1956, con la conseguente realizzazione di una notevole estensione della sua efficacia. La ragione storica della disposizione, in cui si compenetra anche la ratio di essa, costituita dall'adeguamento deMa normativa ai princ�pi enunciati dalla Corte Costituzionale, esigeva tale estensione a tutti i rapporti pendenti, successivi e precedenti alla sua entrata in vigore, in modo assolutamente paritario al fine di evitare il riprodursi di disparit� assolutamente ingiustificate. L'art. 256 del d.P.R. n. 1092 del 1973, da cui il ricorrente pretende di trarre argomenti a favore della tesi sostenuta, dispone: �Ai casi in corso di trattazione, in sede amministrativa o giurisdizionale, alla data di entrata in vigore del presente testo unico, si applicano le disposizioni del testo unico stesso, anche per gli effetti anteriori alla data predetta. Tuttavia le disposizioni del testo unico non possono essere applicate con decorrenza anteriore al 1� gennaio 1958, data in cui ebbe effetto la legge 15 febbraio 1958, n. 46, nei casi in cui il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilit�, sia stato introdotto dalla legge�, La disposizione non � limitativa, ma estensiva perch� non fa distinzione di rapporti e fa riferimento agli effetti anteriori alla data di pubblicazione della legge. Anche il secondo comma della stessa disposizione conferma la retroattivit� della legge, anche se con specifica limitazione al 1� gennaio 1958, data in cui ebbe vigore la legge 15 febbraio 1958, n. 46. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 939 Non � sostenibile la tesi, secondo cui il rapporto previdenziale d� luogo ad una situazione giuridica, che, originata dalla costituzione del rapporto di lavoro, resta immutabilmente definita al momento del suo esaurimento, coincidente con quello della liquidazione della pensione, con la conseguente impossibilit� per lo stesso legislatore di determinare successive variazioni sfavorevoli. Il rapporto previdenziale, anche se collegato al rapporto di lavoro, sorge soltanto con il momento della collocazione a riposo, ove si realizzino tutte le condizioni di legge, mentre l'atto di liquidazione, che segna soltanto il momento in cui cessa il rapporto assicurativo-contributivo, in relazione al quale il diritto a pensione � quantificato, costituisce attuazione del rapporto stesso, che permane integro e vive di vita autonoma finch� non viene meno il titolo della percezione alla pensione da parte di coloro che ne fruiscono. Il rapporto previdenziale non si esaurisce pertanto al momento della liquidazione, ma prosegue, subendo le variazioni e modificazioni, collegate all'esistenza del pensionato e introdotte dalle leggi successive, le quali, se possono essere costituzionalmente illegittime quando non prevedono ed assicurano i mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori in caso di invalidit� e vecchiaia (art. 38 della Cost.), non possono esser tali quando, pur prevedendo mezzi adeguati, ne disciplinino sostanzialmente la misura allo scopo di raggiungere una parit� di trattamento tra categorie di lavoratori. Il ricorso, proposto dallo Schinardi, dev'essere pertanto rigettato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 luglio 1982, n. 4010 -Pres. Tamburrino -Re:L. Tondo -P.M. Fabi -Angiolas (avv. Gallus) c. Regione Sardegna (avv. Stato Fienga). Sardegna -Centro regionale antimalarico ed antinsettico -Personale gior� naliero -Assunzione -Rapporto di impiego -Natura privatistica. Il �personale giornaliero di lotta�, assunto dalla Regione Autonoma della Sardegna per l'impiego presso il centro regionale antimalarico ed antinsetti (C.R.A.A.l.), si deve ritenere di natura privatistica -nonostante la sua riferibilit� all'ente pubblico territoriale, del quale il centro costituisce un ufficio -in conseguenza della espressa e vincolante qualificazione ad esso data dall'art. 6 della legge regionale (29 novembre 1957 n. 25), istitutiva del centro medesimo (1). (1) La ratio della legge, diretta ad assicurare ai salariati giornalieri un'occupazione per un tempo e verso un compenso prestabiliti, chiaramente esclude un loro qualsiasi inserimento nell'organizzazione del Centro: in tal senso Cass. 2 lu� glio 1980, n. 4171 e, sulla, qualificazione normativa del rapporto, cfr. Cass. 8 maggio 1976, n. 1616 e 5 marzo 1977, n. 903. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 940 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 6 luglio 1982, n. 4017 -Pres. San� tulli -Rel. Panzarano -P.M. Zema -Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici (avv. Stato Stipo) c. Williams (avv. Longo). Lavoro � Rapporti di lavoro � Trasferimento di azienda � Prosecuzione dei rapporti di lavoro � Esclusione -Fattispecie. Il mancato trasferimento all'Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici di una organizzazione aziendale facente capo all'Associazione dei farmacisti impedisce la configurabilit� della prosecuzione dei rapporti di lavoro basata sulla norma dell'art. 2112 cod. civ., dovendosi ritenere che la presunzione di unicit� e di continuit� dello stesso rapporto di lavoro � superata attraverso la prova che sia intervenuto tra le parti un accordo novativo che, per determinarne il frazionamento, deve essere tale da imprimere al nuovo contratto concreti e qualificanti aspetti di diversit� (1). Va innanzi tutto detto che esattamente � stata rilevata da parte dell'Ufficio ricorrente l'inapplicabilit� alla fattispecie della disciplina di cui all'art. 2112 cod. civ. concernente gli effetti sui rapporti di lavoro del trasferimento dell'azienda. Invero -quale che possa essere stata la rilevanza dell'accordo dell'8 marzo 1972 in relazione alla configurazione della soggettivit� dell'Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici -non viene _affatto dedotto che un complesso organizzato di beni e di rapporti giuridici (nel che si sostanzia la nozione di azienda a norma dell'art. 2555 cod. civ.) sia stato a tale Ufficio trasferito, laddove la tesi degli attori � stata piuttosto sempre volta a dimostrare che, nonostante il loro licenziamento alla data del 30 aprile 1972 e l'immediata riassunzione, lo stato di fatto era rimasto in realt� identico. Al riguardo deve essere, del resto, richiamata la giurisprudenza di questa Suprema Corte la quale, in relazione a controversie riguardanti identiche situazioni, ha -per l'appunto -affermato che la circostanza del mancato trasferimento al suddetto Ufficio di alcuna organizzazione aziendale facente capo alle Associazioni dei farmacisti impedisce la configurabilit� della prosecuzione dei rapporti di lavoro basata sulla norma di cui al richiamato art. 2112 cod. civ. (cfr. p. es., recentemente, oltre la sen� tenza 10 aprile 1978, n. 1684 ricordata in atti, quella 22 novembre 1980, n. 6202 delle Sezioni unite nonch� quelle 13 maggio 1981, n. 3151 e 11 agosto 1981, nn. 4903 e 4904). (1) Oltre le sentenze citate in motivazione cfr. Sez. Un., 22 novembre 1980, n. 6202 e 11 agosto 1981, n. 4904. PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Si osserva quindi come il Tribunale di Trieste, pur avendo considerato che (ai fini dell'esatta valutazione dei rapporti di lavoro) si deve riguardare la realt� effettuale del loro svolgimento (il che � stato rilevato da questa Suprema Corte, p. es. nella sentenza 13 giugno 1980, n. 3793), non abbia per� adeguatamente esaminato la portata dell'ac� cordo del 1972 n� le concrete modalit� della nuova assunzione degli attori presso l'Ufficio degli sconti farmaceutici, in relazione al che sono nel ricorso di quest'ultimo elevate specifiche pertinenti censure. Al riguardo va infatti osservato che, se � vero che sulla norma di cui all'art. 2120 cod. civ. -riguardante la determinazione dell'indennit� di anzianit� � fondata una presunzione di unicit� e di continuit� dello stesso rapporto di lavoro allorquando -pur essendo stato intimato il licenziamento -l'attivit� lavorativa in realt� prosegua con le stesse sostanziali modalit� (cfr. p. es. la sentenza Cassaz. 21 maggio 1977, n. 2131 ed i vari richiami in essa contenuti), � pur altrettanto vero che tale presunzione -che non � di valore assoluto -pu� essere superata attraverso la rigorosa prova (il cui relativo onere incombe al datore di lavoro: cfr. p. es. la sentenza Cassaz. 18 aprile 1975, n. 1498) che sia intervenuto tra le parti un accordo novativo il quale deve essere basato sull'oggettiva sussistenza di situazioni giuridiche e di esigenze organizzative non secondarie e non accessorie (cfr. p. es. la sentenza Cassaz. 12 ottobre 1976, n. 3388), accordo che, -per determinare il frazionamento del rapporto di lavoro, deve essere peraltro tale da imprimere al nuovo contratto concreti e qualificanti aspetti di diversit� (cfr. p. es. la sentenza Cassaz. 13 maggio 1977, n. 1920; sulla problematica in generale, v. altres� la richiamata sentenza n. 2131 del 1977). Se questi debbono essere pertanto i criteri di valutazione dei casi d'interruzione e di ripresa di svolgimento del rapporto di lavoro senza apprezzabili intervalli di tempo ove immutato sia il datore di lavoro, � tuttavia evidente che; nell'ipotesi in cui dopo l'atto interruttivo abbia luogo la continuazione dell'attivit� lavorativa presso un diverso datore di lavoro, la presunzione di cui si � detto non pu� operare in modo identico dovendosi invero determinare il significato giuridico di tale continuazione. Certo � che il permanere delle stesse modalit� di esecuzione deHe prestazioni (contenuto di esse, luogo del loro svolgimento ecc.) comporta la necessit� di un'indagine accurata circa l'effettivit� del mutamento della persona del datore di lavoro, problema che -allorquando, come nella fattispecie, sono da escludere gli estremi del trasferimento di azienda -pu� presentarsi o quando il lavoratore gi� eseguiva la sua attivit� come elemento � comandato � presso l'impresa con cui sia stato poi instaurato il nuovo rapporto, ovvero quando il medesimo lavoratore era in realt� fin dall'inizio dipendente da tale impresa e solo . formalmente risultava, in un primo momento, dipendente da un'altra. 942 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Va subito detto che la seconda di tali.ipotesi potrebbe far richiamare i profili propri della simulazione relativa (stipulazione del contratto con l'interposizione fittizia di un diverso datore di lavoro) a proposito di che questa Suprema Corte nella gi� ricordata sentenza n. 3793 del 1980 ha rilevato la generale inutilit� del relativo accertamento allorquando si tratti, non gi� di verificare le conseguenze che tale situazione abbia prodotto nei confronti dei terzi, ma soltanto di riconoscere i diritti del prestatore di lavoro nei confronti del . soggetto alle cui effettive dipendenze egli abbia svolto la propria attivit�, dal momento che � in subiecta materia� ha rilievo, non il negozio costitutivo del rapporto, bens� il rapporto stesso nella sua concreta attuazione, il che � conforme a quella �linea di tendenza� dell'ordinamento giuridico che il Tribunale di Trieste ha esattamente evidenziato. Ma la prima delle due suddette ipotesi non pu� essere esclusa � a priori� ed anzi la figura del �comando� o �distacco� del lavoratore da parte dell'impresa sua datrice di lavoro ad un'altra � stata richiamata da questa Suprema Corte proprio in relazione all'attivit� svolta da lavoratori presso l'Ufficio fiduciario (costituito tra la FOFI e gli enti mutualistici e poi ristrutturato sotto la nuova denominazione di Ufficio per l'accertamento e la notifica degli sconti farmaceutici) ritenendosi al riguardo la non violazione del divieto d'intermediazione e d'interposizione II nelle prestazioni di lavoro di cui alla legge 23 ottobre 1960, n. 1360 allorquando la destinazione dell'attivit� lavorativa nei confronti del terzo continui a realizzare l'interesse contrattuale del datore di lavoro distaccante a disporre organizzativamente del comportamento del lavoratore I I lli (cfr. la sentenza Cassaz. 27 maggio 1981, n. 3488). E proprio questo deve essere il terreno di un'accurata indagine da r: I ~ parte del giudice di merito il quale, per stabilire -nella peculiarit� delle singole concrete situazioni -la effettivit� del rapporto con il datore di lavoro � distaccante � ovvero la sua sussistenza direttamente con il terzo presso cui sia stato comandato, deve accertare l'esistenza di un concreto persistente interesse del medesimo � distaccante � a che il lavoratore svolga le prestazioni fuori dell'impresa, nel permanere peraltro di un vincolo di dipendenza non meramente apparente, del che indice significativo � in ogni caso il carattere non definitivo, anche se non predeterminato nella sua effettiva durata, dell'applicazione del lavoratore medesimo, nel qual senso ha avuto occasione di pronunciarsi la giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, la sentenza 12 novembre 1979, n. 5868, ed i richiami in essa contenuti, pronuncia alla quale fa espresso riferimento la successiva sentenza 23 aprile 1981, n. 2440). Un siffatto tipo d'indagine, con specifica considerazione dell'elemento del concreto persistente interesse del datore di lavoro con cui PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE sia stato inizialmente stipulato il formale contratto di lavoro, � invece carente nella fattispecie in relazione alla quale la sentenza impugnata si � in realt� limitata ad enunciazioni di carattere generale che, esatte sul piano teorico (a parte quella relativa all'applicabilit� dell'art. 2112 cod. civ.), esigevano poi uno specifico riscontro con tutti gli elementi di fatto indicati dalle parti, talch� il ricorrente principale ha con ragione elevato in proposito le proprie doglianze. S'impone pertanto un'integrale revisione delle effettive modalit� di svolgimento dell'attivit� lavorativa degli attori presso l'Ufficio ricorrente e ci� -ripetesi -alla stregua di tutti gli elementi probatori fomiti dalle parti. Una volta ricostruite tali modalit� sar� quindi possibile valutare la reale portata dell'accordo dell'8 marzo 1972 (nonch� degli atti compiuti in esecuzione di esso), accordo che, nell'ipotesi di rapporto esistente fin dall'origine con l'Ufficio, dovr� essere ritenuto privo di effetto, tra l'altro, perch� stipulato con un soggetto diverso dall'effettivo datore di lavoro, ma che, nella differente ipotesi di nuovo rapporto solo successivamente instaurato con il detto Ufficio, dovr� essere valutato quale regolamento definitorio del precedente rapporto intercorso con gli Ordini dei farmacisti e i cui eventuali vizi (nella ribadita insussistenza di un trasferimento di azienda) potrebbero concernere solo detto rapporto e, non gi� gli obblighi del nuovo datore di lavoro. In una tale prospettiva deve essere peraltro valutata, in particolare, la censura di cui al quinto motivo, osservandosi che, ove si sia trattato di un unico rapporto, non pu� avere rilevanza il richiamo alle norme sul licenziamento data l'assoluta inefficacia di esso in quanto intimato da soggetto diverso dal vero datore di lavoro, mentre, nella ipotesi di inizio di un nuovo rapporto, ogni questione riguarda, come accennato, la posizione dei lavoratori verso il precedente (effettivo) datore di lavoro. CORTE DI CASSAZIONE, Sez~ Lav., 15 luglio 1982, n. 4140 -Pres. Renda - Rel. Frisina -P. M. Valente -Ministero delle Finanze (avv. Stato Fiumara) c. Freda (avv. Montesano). Impiego pubblico -Personale delle Dogane -Fondo speciale � Indennit� di fine rapporto -Funzione -Anzianit� convenzionale prevista per gU ex combattenti � Applicabilit� � Esclusione. Impiego pubblico -Personale delle Dogane � Fondo speciale � Indennit� Pagamento in dtardo Rivalutazione ed interessi di mora � Esclusione. La indennit� a carico del Fondo speciale per il personale statale delle dogane si aggiunge e non sostituisce quella corrisposta dall'Enpas, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 944 sicch� essa resta un'autonoma ed aggiuntiva forma di assicurazione mutualistica a favore di una determinata categoria di dipendenti statali e come tale estranea al concetto istituzionale di trattamento di fine rapporto, comune indistintamente a tutte le categorie del settore dell'impiego statale e perci� estranea alla applicabilit� degli eccezionali benefici per gli ex combattenti o per l'esodo volontario (anzianit� conven� zionale concessa dagli artt. 3, secondo comma della legge 24 maggio 1970, n. 336; 3, legge 9 ottobre 1971, n. 824; 67, primo comma, d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (1). La indennit� a carico del Fondo, anche se pagata in ritardo, non � rapportata a rivalutazione, perch� l'art. 429, terzo comma cod. proc. civ. non � applicabile ai crediti per prestazioni previdenziali ed assistenziali, bens� unicamente ai crediti di lavoro, n� produce interessi, perch� la P.A. (ed il Fondo � sottoposto alle norme sulla contabilit� dello Stato) non pu� considerarsi in mora fino a quando non abbia espletato tutti controlli e gli accertamenti prescritti dalla legge di contabilit� (2). (1�2) Identica � la sentenza 6 novembre 1982, n. 5826. Sulla prima massima cfr. Cass. 10 marzo 1979, n. 1497; sulla seconda cfr. in senso contrario Sez. Un. l7 novembre 1978, n. 5330, in questa Rivista, 1979, I, 268; 2 giugno 1978, n. 2962, ivi, 1979, I, 14, con nota di A. Rossi. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4201 -Pres. Mirabel� li -Rel. Ruperto -P.M. Sgroi -Bellinvia (avv. Trimarchi) c. I.N.A.M. ed E.N.P.A.S. (avv. Stato Mataloni). Impiego pubblico -Ex combattenti � Divieto di assunzione in impiego o di avere incarichi � Nozione. Al personale civile dello Stato e degli enti pubblici collocato a riposo con i benefici previsti per gli ex combattenti � fatto divieto di essere assunto in impiego o di avere incarichi alle dipendenze dello Stato o di altri enti pubblici, dovendosi ritenere compresa nella espressione � incarichi �, anche se conferiti prima del collocamento a riposo, non solo quelli che creano un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato (anche temporaneo o straordinarioj, ma anche quelli che creano un rapporto di lavoro autonomo, mentre restano esclusi unicamente gli incariehi aventi ad oggetto prestazioni occasionali che siano effettuati con l'autonomia propria del libero professionista (1). (1) Massima esatta: v. Cass. Sez. Un. 11 febbraio 1982, n. 841, retro, I, 86, con nota. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 945 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 luglio 1982, n. 4363 � Pres. Sandulli � Rel. Maltese � P.M. Dattori � Ministero dei Beni Culturali (avv. Stato Braguglia) c. Sacerdoti (avv. Orioni). Demanio Demanio artistico Denuncia del valore al momento dell'esportazione �Vendita coatta � Effetti� Nuova normativa per l'esportazione verso i Paesi della C.E.E. � Applicabilit�. L'atto di acquisto delle cose di interesse artistico, in seguito alla denuncia, al momento dell'esportazione, del valore venale, costituisce un caso di vendita coattiva a favare dello Stato, e rientra, come negozio di diritto pubblico, nella categoria degli atti espropriativi in senso lato, con la conseguenza che, notificato l'esercizio del diritto d'acquisto all'interessato, questi resta vincolato alla propria dichiarazione e non pu� revocare la domanda gi� presentata, e ci� anche in seguito all'entrata in vigore della nuova disciplina per l'esportazione verso tutti i Paesi appartenenti alla Comunit� economica europea (d.l. 5 luglio 1972, n. 288, conv. in legge 8 agosto 1972, n. 487) (1). Con l'unico motivo l'amministrazione ricorrente denuncia la violazione ed erronea applicazione della legge 1� gennaio 1939, n. 1089 -in particolare, degli artt. 35-41 -nonch� del d.1. 5 luglio 1972, n. 288 (artt. 1-9) e della legge di conversione 8 agosto 1972, n. 487 (articolo unico), in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. Denuncia, inoltre, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia (art. 360, n. 5 cod. proc. civ.). Osserva che in base alla precedente legge del 1� giugno 1939, n. 1089, l'esportatore era vincolato alla dichiarazione d'acquisto dell'opera d'arte da parte dello Stato (art. 39), per un prezzo corrispondente al valore dichiarato. Col successivo d.1. 5 luglio 1972, n. 288, la situazione era rimasta immutata per l'esportazione delle cose di interesse artistico verso i Paesi non facenti parte della Comunit� Economica Europea. Invece, per le esportazioni verso i Paesi della C.E.E., esenti da imposta (art. 3, primo comma), era venuto meno l'obbligo del privato di dichiarare il valore venale del bene (art. 3, secondo comma). Di conseguenza, per esercitare la facolt� d'acquisto, lo Stato era tenuto a formulare un'offerta indi� cando un prezzo (art. 4, secondo comma), che il privato non era obbligato ad accettare, essendo in suo potere contestarne l'ammontare (nel ~1) Non risultano precedenti specifici sulla nuova normativa, che lascia immutata la natura della vendita coatta: da un punto di vista generale cfr. Cass. 26 giugno 1956, n. 2291 e 23 gennaio 1953, n. 204. 946 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO qual caso il prezzo doveva essere determinato dalla competente commissione) o rinunciare all'esportazione (art. 4, terzo comma). Con la legge, attualmente in vigore, 8 agosto 1972, n. 487 di conversione del decreto n. 288 del 1972, � stato ripristinato l'obbligo di dichiarare il valore anche riguardo alle esportazioni verso i Paesi CEE (art. 3). Tuttavia, osserva il ricorrente, sono rimaste ferme le norme del decreto che, proprio in mancanza della dichiarazione di valore, prescrivevano al Ministro di proporre un prezzo per poter esercitare la facolt� d'acquisto (art. 4, secondo e terzo comma). Il coordinamento fra queste ultime disposizioni (che il legislatore non pu� aver �dimenticato� di abrogare) e quella con cui � stato ripristinato l'obbligo di dichiarare il valore per le esportazioni verso i Paesi CEE, si attua, secondo il ricorrente, individuando la ratio di tale norma ripristinatoria. Venuto meno lo scopo fiscale, essa consisterebbe nel vincolare l'esportatore alla propria dichiarazione di valore, se accettata dal Ministro nell'esercizio della facolt� d'acquisto dell'opera d'arte, da esportare verso i fil Paesi CEE, per un prezzo di pari o superiore ammontare; mentre, se il Ministro propone un prezzo inferiore, il privato � libero di rinunciare ~ all'esportazione o di sollecitare la determinazione del giusto prezzo dal competente organo amministrativo. I Nel caso in esame, essendo stato offerto un prezzo superiore al valore dichiarato, l'attuale resistente non avrebbe potuto sottrarsi, con la di I chiarazione di rinuncia all'esportazione, all'esercizio della detta facolt� r:: d'acquisto spettante allo Stato. i: Erroneamente, quindi, e in violazione delle citate disposizioni, la Corte d'appello gli avrebbe riconosciuto tale diritto. I Il motivo � fondato. Invero, secondo la regola generale dell'art. 4, primo comma, legge I 8 agosto 1972, n. 487, entro il termine di novanta giorni dalla denuncia, il Ministro per la pubblica istruzione ha facolt� di acquistare, per il valore dichiarato nella denuncia stessa, le cose che presentino interesse per il patrimonio tutelato dalla presente legge�. La norma, corrispondente a quella del decreto legge 5 luglio 1972, n. 288, sostituisce la disposizione deM'art. 39 legge 1� giugno 1939, n. 1089, che stabilivia: � Entro il termine di mesi due dalla denuncia, il Ministro ha facolt� di acquistaire, per il valore dichiarato nella denuncia stessa, le cose che presentino importante interesse per il patrimonio nazionaile tutelato dalla presente legge �. Data la sostanziale identit� delle due disposizioni, i caratteri della facolt� riconosciuta allo Stato, e gli effetti giuridici del suo esercizio sono rimasti, nella loro essenza, immutati. Pertanto, nel discorde parere della dottrina, che definisce l'atto di acquisto ora, in termini privatistici, come un'opzione concessa dalla I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE legge al Ministro nel presupposto di una richiesta di esportazione, ora, valorizzandone l'intrinseca natura espropriativa, come la manifestazione di un potere autoritativo, in collegamento a un indice di rilevanza per l'avocazione del bene al patrimonio artistico nazionale, si deve ritenere, in conformit� alla giurisprudenza di questa Corte, che l'acquisto alla esportazione costituisca un caso di vendita coattiva a favore dello Stato, negozio di diritto pubblico rientrante nella categoria degli atti espropriativi in senso lato (Cass., 26 giugno 1956, n. 2291; 23 gennaio 1953, n. 204). Esso ha natura pi� marcatamente espropriativa della prelazione di cui all'art. 31 della stessa legge, in quanto non presuppone un atto volontario di disposizione del diritto, ma si inserisce, come provvedimento ablativo, in una diversa situazione di fatto, nella quale l'effetto traslativo non corrisponde ad un intento negoziale del titolare di trasferire la propriet� e consegue, invece, ad una fattispecie complessa non negoziale, rappresentata dalla denuncia di esportazione e dalla dichiarazione d'acquisto del Ministro in base al valore dichiarato dall'esportatore. Ne consegue che se l'ufficio ha notificato l'esercizio del diritto di acquisto all'interessato, questi rimane vincolato alla propria dichiarazione e non pu� revocare la domanda gi� presentata, per sottrarre la cosa all'esportazione (Cons. di Stato, Sez. VI, 9 novembre 1955, n. 762). � questa una regola generale, valida, anche dopo l'entrata �in vigore della nuova legge, per l'esportazione verso tutti i Paesi, appartenenti alla Comunit� economica europea. Essa opera nel semplice presupposto della corrispondenza �tra il valore dichiarato dall'esportatore e la dichiarazione del Ministro di voler acquistare ad un prezzo pari o superiore. Contrariamente a quanto afferma la Corte d'appello, tale situazione non risulta modificata dalle disposizioni del secondo e terzo comma del d.l. 5 luglio 1972, n. 288, conv. in legge 8 agosto 1972, n. 487. Queste norme stabiliscono che �ai fini dell'esercizio della facolt� di cui al precedente comma (facolt� di acquisto all'esportazione da parte dello Stato n.d.r.), rnei confronti dei beni per i quali viene richiesta licenza di esportazione verso i Paesi appartenenti alla Comunit� econo mica europea, il prezzo d'acquisto � proposto dal Ministro stesso. Ove l'esportazione, il prezzo stesso sar� stabilito secondo le modalit� del l'art. 37 �. Tale normativa aveva una spiegazione del tutto ovvia nell'ambito del d.l. n. 288 del 1972, col quale era stato abolito l'obbligo della dichiarazione di valore della cosa di interesse artistico (od archivistico) da esportare verso i Paesi CEE, ormai in esenzione da imposta (art. 3, secondo comma); ond'era necessario per lo Stato, nell'esercizio della facolt� di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO acquisto di cui all'art. 4, primo comma, proporre un prezzo (art. 4, secondo comma), che poteva essere discusso dall'esportatore -con successiva determinazione del giusto prezzo da parte della commissione competente -o rifiutato, con rinuncia all'esportazione (art. 4, terzo comma). Ma anche nel contesto della nuova normativa della legge di conversione 8 agosto 1972, n. 487, con cui � stato ripristinato l'obbligo di dichiarare il valore del bene da esportare verso i Paesi della CEE (articolo 3, primo comma), le dette disposizioni, concernenti la proposta e la formazione di un prezzo, in alternativa alla rinuncia all'esportazione (art. 4; secondo e terzo comma), conservano un'autonoma ratio. Invero, mancando per l'esportazione nell'area comunitaria, esente da imposta, una controspinta fiscale nella dichiarazione del valore, il Ministro, nell'esercizio della facolt� di acquisto, ha un'alternativa:. accettare il valore dichiarato o proporre un prezzo inferiore. Nel primo caso, con effetto vincolante per l'esportatore, conformemente alla detta regola generale (art. 4, primo comma); nel secondo con diritto dell'esportatore medesimo di far determinare dal competente organo amministrativo il giusto prezzo o di rinunciare alla esportazione (art. 4, terzo comma). In sostanza, attraverso le modifiche apportate al deoreto dalla legge di conversione con l'inserimento della norma ripristinatoria nel testo dell'art. 3, � stata introdotta, come esattamente osserva il ricorrente, una distinzione tra valore e prezzo della cosa di interesse artistico (od archivistico) da esportare verso i Paesi CEE: vincolante il primo, perch� indicato dall'esportatore; contestabile il secondo, salvo rinuncia alla esportazione, perch� proposto dal Ministro al di sotto del valore dichiarato. Pertanto, anche riguardo alle esportazioni nell'area comunitaria, l'indicazione del valore, pur essendone venuto meno il fine fiscale, conserva una propria funzione, altrimenti non identificabile: quella, sempre riconosciuta dalla vecchia, come dalla nuova legge, di vincolare l'esportatore alla propria dichiarazione, una volta esercitata dal Ministro la facolt� d'cquisto per un prezzo pari o superiore al valore indicato. L'interpretazione contraria della Corte d'appello, secondo cui, indipendentemente dalla dichiarazione del valore, l'esportatore potrebbe sempre contestare l'ammontare del prezzo d'acquisto, ovvero rinunciare all'esportazione, � inattendibile, sia dal punto di vista razionale, sia da quello esegetico. Sotto il primo profilo, perch� condurrebbe ad affermare, senza una spiegazione adeguata, che la norma ripristinatoria dell'obbligo di indicare il valore sarebbe -in mancanza di un fine fiscale -inutiliter data; PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE sotto il secondo, perch�, in contrasto con un'esigenza di un'interpretazione sistematica del testo di legge, postulerebbe l'applicabilit� del terzo comma, art. 4 -concernente il diritto dell'esportatore di non accettare il prezzo offerto dal Ministro -non solo all'ipotesi del secondo comma, che necessariamente richiede tale accettazione in presenza di un'effettiva � proposta � ministeriale, ma anche. nel caso, regolato dalla norma generale del primo comma, in cui una siffatta proposta manchi del tutto e vi sia soltanto l'adesione del Ministro alla dichiarazione del valore, eh~, perfezionando la fattispecie d'acquisto, non esige, ovviamente, accettazione alcuna da parte dell'esportatore. In realt�, si tratti di esportazione nell'area comunitaria od extracomunitaria, vale sempre, anche secondo la nuova legge, la regola dettata dall'art. 39 della precedente e riprodotta nell'attuale art. 4, primo comma, sull'incondizionata facolt� d'acquisto dell'opera d'arte da parte dello Stato per un prezzo corrispondente al valore dichiarato dall'esportatore. Fra le esportazioni verso i Paesi comunitari e quelle verso i Paesi extracomunitari c'� una differenza essenziale nel regime fiscale. Rimane, tuttavia, immutato il regime d'acquisto a favore dello Stato quando sussista la detta corrispondenza fra prezzo e valore. Qualora, invece, nelle esportazioni verso i Paesi della e.E.E., manchi tale corrispondenza per effetto della proposta ministeriale, di un prezzo inferiore al valore dichiarato, l'esportatore � libero di accettare o non accettare -e pretendere la determinazione del giusto prezzo -o rinunciare alla esportazione. L'affermazione del controricorrente, secondo la quale, consistendo la � ratio � del sistema nel fine di assicurare al patrimonio nazionale la disponibilit� dell'opera d'arte, sarebbe sempre in facolt� del privato di rinunciare all'esportazione, non appare, in base all'ordinamento positivo, giuridicamente fondata, perch� se ne dovrebbe riconoscere la validit� in ogni caso, anche con riferimento alle esportazioni nell'area extracomunitaria; mentre � pacifico, nell'interpretazione della vecchia come defila nuova legge (per ~a prima, v. Ja sentenza citata del Consiglio di Stato), che nel momento in cui si perfeziona, attraverso le prescritte notificazioni e comunicazioni, il presupposto dell'acquisto a favore dello Stato, l'esportatore rimane vincolato ailla propria dichiarazione e gli � preclusa la possibilit� di revocare la domanda e di ritirare la cosa presentata all'esportazione per sottrarla al detto potere d'acquisto, sempre nella premessa della corrispondenza fra prezzo e valore, che, se esistente, produce gli stessi effetti anche nell'area delle esportazioni comunitarie. Nel caso concreto, tale facolt� � stata esercitata dal Ministro per un prezzo di L. 15.000.000, superiore al valore dichiarato in L. 10.000.000, del quadro firmato Picasso. Ricorrendo, quindi, in punto di fatto, l'anzidetta premessa, il man� cato riconoscimento, in diritto, del sorgere dell'effetto giuridico vinco 950 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lante l'esportatore col realizzarsi, a favore dello Stato, della fattispecie d'acquisto, rappresenta fondato motivo �di censura della sentenza d'appello per violazione delle norme sopra citate della legge di conversione del decreto sul regime d'esportazione delle cose d'interesse artistico. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 ottobre 1982, n. 5074 -Pres. Sandulli Est. Ruggiero -P. M. Morozzo della Rocca (concl. conf.) -Di Giulio ed altri (avv. Livoni) c. Ministero Interno (avv. Stato Mataloni). Procedimento civile -Legittimazione passiva � ad causam � -Patrimoni riuniti ex economiall art. 18 L. 848/1929 � Soggettivit� giuridica autonoma � Non sussiste. Edilizia economica e popolare -Cessione. in propriet� agH assegnatari � Mloggi costruiti per finalit� diverse dall'edilizia popolare � Appli� cabilit�. Edilizia economica e popolare -Cessione in propriet� agli assegnatari � Stato di bisogno � Necessit�. I patrimoni riuniti ex economiali di cui all'art. 18 legge 848/1929 costituiscono una gestione speciale nell'ambito del Ministero dell'Interno, con autonomia meramente contabile-amministrativa, senza una distinta personalit� giuridica: pertanto la legittimazione processuale passiva spetta al Ministero dell'Interno (1). La normativa sulla cessione in propriet� degli alloggi di tipo popolare ed economico contenuta nel d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 (modificato dalla legge 17 aprile 1962, n. 231) � applicabile a tutti gli alloggi costruiti a carico o con il concorso o comunque con l'apporto finanziario dello Stato, quali che siano state le originarie finalit� avute di mira nella loro costruzione (2). Sono soggetti alla disciplina della cessione in propriet� ai sensi del d.P.R. n. 2 del 1959 gli alloggi assegnati in godimento a soggetti meno abbienti, se l'assegnazione � avvenuta in ragione esclusiva o prevalente dello stato di bisogno o comunque di <J,isagio economico del soggetto cui l'immobile � concesso (3). (1) Non risultano precedenti. (2�3) Conf. Cass. 15 giugno 1964, n. 1244 in questa Rass. 1964, I, pag. 589; Cass. 9 maggio 1969, n. 1577 in Foro it. 1969, I, 1714; Cass. Sez. Un. 13 novembre 1974, n. 3593 in Giust. Civ. 1l97l5, I, 199; Ca:ss. 21 mairzo 1980, n. 1901, in Giust. Civ. 1980, I, 1547; riportate l�n motivazione. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 951 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 ottobre 1982, n. 5075 -Pres. Miele Est. Cantillo; P. M. Leo (eone!. conf.) -Ministero del Tesoro (Ufficio Liquidazione Enti Soppressi) (avv. Stato D'Amico) c. Mandola Raffaele (avv. Fortunato e Borea). Enti pubblici Soppressione e messa in liquidazione � Procedimento per � ottenere�il soddisfacimento dei crediti nei confronti di Enti Soppressi o messi in liquidazione � Domande gi� proposte innanzi alla autorit� giudiziaria. Non sussiste l'obbligo di esperire il procedimento amministrativo ex artt. 8-9 legge 4 dicembre 1956, n. 1404 nei confronti degli Enti Soppressi o messi in liquidazione allorch� sia pendente una azione giudiziaria per l'accertamento del credito, ovvero quest'ultimo sia stato gi� esaminato e deciso con sentenza passata in giudicato (1). (1) Sostanzialmente conforme Cass. 12 luglio 1961, n. 1668, Foro it., I, 1301, che ha negato carattere di presupposto processuale della domanda di pagamento, al previo esperimento della procedura amministrativa; Cass., 20 ottobre 1960, n. 2840, Foro it., I, 1662, che ha negato la necessit� della procedura amministrativa in ipotesi che la liquidazione dell'Ente, venga disposta nelle more di un giudizio instaurato per l'accertamento del credito; ed ancora conformi, Cass., 18 giugno 1964, n. 1568, Foro it., I, 1976 e Cass., 24 giugno 1981, n. 4108, Foro it., I, 98. In senso contrario Cass., 7 giugno 1966, n. 11485, Foro it., I, 1012; App. Genova, 30 aprile 1958, Foro it., Rep. 1958, Voce: � Comp. Civile�, n. 42, e Trib. Roma, 12 aprile 1958, ibidem voce: � Amm.ne Stato �, n. 42, che hanno affermato la sopravvenuta improponibilit� della domanda e conseguentemente la necessit� del previo esperimento della procedura amministrativa: Cons. Stato, Sez. VI, 7 febbraio 1962, n. 122, che si � pronunciato per la inammissibilit� del ricorso proposto in sede giurisdizionale da chi non abbia presentato la domanda. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civile, 21 ottobre 1982, n. 5486 -Pres. Miele -Rel. Sensale -P. M. Martinelli -Ministero dell'Interno (avv. Stato Caramazza) -Vincenzo Cagno (avv. Cioff� e Giacomarra). Famiglia � Obblighi alimentari � Delibazione di sentenza straniera � Eccezione di prescrizione � Ammissibilit� � Sussiste. La convenzione dell'Aja del 15 aprile 1958, ratificata in Italia con legge 4 agosto 1960, n. 918, che detta norme in tema di delibazione di sentenze straniere sugli obblighi alimentari verso i figli minori, stabilisce il divieto del riesame del merito (sans revision du fond) da parte del giudice che provvede alla delibazione, riesame consentito in limitati casi 7 II 952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dall'art. 798 cod. proc. civ., ma � consentito al gi�dice della delibazione ~ accertare, su eccezione della parte interessata, se si sia verificata prescri� zione per il decorso di dieci anni fra la data della sentenza straniera e la notificazione de.Ila domanda di delibazione (1). .. I , . ' i (1) In senso conforme alla prima parte della massima, cfr.: Cass. 110 luglio 1978, n. 3442, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 1979, n. 732; sulla derogabilit� dell'art. 798 cod. proc. civ., che consente il riesame del merito della causa, solo in base ad una espressa d�sposizione contenuta in una convenzione internazionale, vedi Cass. 22 ottobre 1981, n. 5525, in Mass. Foro .it., 1981. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 novembre 1982, n. 5806 -Pres. Granata -Rel. Borruso -P. M. Grimaldi -ANAS (avv. Stato Zotta) c. Cucchiarelli (avv. Zaccaria). Espropriazione per pubblica utilit� -Espropriazione per opere o interventi da parte dello Stato e degli altri enti pubblici -Procedimento secondo la disciplina della legge 5 giugno 1865, n. 2359 -Indennit� -Espropriazione pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge 27 giugno 1974, n. 247 � Criteri indicati nel titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865 � Applicabilit� anche nel giudhio di opposizione alla stima � Sopravvenienza della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 � Pregresso procedimento amministrativo e giudizio di opposi� zione � Irrilevanza � Criteri indicati nel titolo II della legge n. 865 � Applicabilit� in via provvisoria salvo conguaglio. Nelle espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o di inter.. venti da parte dello Stato e degli altri Enti Pubblici, .anche se il relativo procedimento si sia svolto secondo la disciplina della legge 25 giugno 1865, n. 2359, l'indennit� deve essere determinata in base ai criteri indicati nel titolo secondo della legge 22 ottobre 1971, n. 865 qualora il provvedimento ablatorio sia stato reso, dopo l'entrata in vigore della legge 27 giugno 1974, n. 247, �perch� questa, con il comma espresso all'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115 (convertito nella citata legge), ha dato portata generale alle men� zionate disposizioni della legge n. 865 del 1971, estendendone l'operativit� a tutte le suddette espropriazioni. Di conseguenza i richiamati criteri si applicano anche nel giudizio di opposizione avverso la stima dell'indennit�, senza che ci� contrasti con il principio secondo cui il giudice ordina� rio in detta sede, ed anche al fine della qf,/.antificazione dell'indennit�, non pu� applicare leggi diverse da quelle in forza delle quali l'espropriazione � stata pronunciata (1), (1-2) In senso conforme cfr. Cass. 20 agosto 1981, n. 4950 e 15 marzo 1982, n. 1673. j ~ t PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 953 � Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 la illegittimit� concerne solo i criteri di determinazione dell'indennit� stabiliti dall'art. 16 (quinto, sesto e settimo comma) della legge 865/71 (cui fa rinvio l'articolo unico della legge 247 del '74) e non gi� il richiamo che ne � fatto, con la conseguenza che la sopravvenienza della citata sentenza non incide sulla ritualit� del pregresso procedimento amministrativo e dell'instaurazione del giudizio stesso davanti al giudice ordinario, e comporta l'applicabilit� dei criteri dettati in via provvisoria -salvo conguaglio -dalla legge 29 luglio 1980, n. 385, emanata per porre rimedio al vuoto creatosi a seguito della citata pronunzia della Corte Costituzionale,. fino a quando non entrer� in vigore (come preannunciato nell'art. 1 della lege medesima) apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate incostituzionali (2). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Unite, 16 novembre 1982, n. 6115 � Pres. Tamburrino � Rel. Maresca � P. M. Fabi � Regione Umbra (avv. Stato Cosentino) c. U.S.L. (non cost.). Sanit� � Servizio sanitario nazionale � Unit� sanitarie locali � Ricorso dell'utente ai professionisti e presidi convenzionati -Autorizzazione � Posizione di interesse legittimo Sezione � Giurisdizione amministra� tiva. In tema di prestazioni medico-specialistiche, comprese quelle di diagnostica strumentale e di laboratorio, fornite agli utenti del servizio sanitario, da parte di gabinetti, ambulatori e strutture convenzionati, l'art. 3 dell'accordo collettivo nazionale del 22 febbraio 1980, reso esecutivo con d.P.R. 16 maggio 1980, cos� conie l'art. 3 d.l. 26 novembre 1981, n. 678 (convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12), che ne ha recepito il contenuto ad interpretazione ed integrazione della disciplina fissata dall'art. 25 legge 23 dicembre 1978, n. 833 istitutiva del servizio sanitario nazionale, fissando e regolamentando la preventiva autorizzazione dell'unit� sanitaria locale, quale presupposto per il ricorso dell'utente ai prof es sionisti e presidi convenzionati, non incidono, in via innovativa, sulle posizioni soggettive degli interessati, rispett oalla disciplina dettata dalla legge citata n. 833 del 1978, atteso che, anche alla stregua di quest'ultima, l'erogazione delle suddette prestazioni viene assegnata all'unit� sanitaria locale, preferenzialmente e prioritariamente rispetto alle strutture convenzionate; pertanto, dovendosi escludere, anche prima dell'indicato decreto del 1981, un diritto soggettivo dell'utente alla libera scelta per le specificate prestazioni specialistiche del prof essionista convenzionato, e correlativamente, un diritto di quest'ultimo a fruire di tale libera scelta, deve ritenersi che la domanda, con la quale il professionista medesimo (specialista o titolare di laboratorio) contesti la legittimit� del menzionato RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 954 accordo, nella parte in cui contempla quella autorizz�zione preventrva dell'unit� sanitaria locale, investe posizioni di interesse legittimo, per il corretto esercizio da parte della stessa unit� locale del potere autorizzatorio, e, come tale, � devoluta alla cognizione del giudice amministrativo (1). (1) Cfr. in senso conforme Sez. Un., 9 giugno 1982, n. 3474. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 novembre 1982, n. 6257 -Pres. Brancaccio -Rel. Gulatieri -P. M. Martino -ANAS (avv. Stato Cosentino) c. Marconi (avv. Biamonti). Espropriazione per pubblica utilit� -Retrocessione totale e parziale Presupposti. Espropriazione per pubblica utilit� -Rinunzia da parte dello Stato al diritto di propriet� dei beni espropriati -Situazioni di diritto pubblico - Irrinunciabllit�. Al fine di stabilire se la mancata utilizzazione del bene configuri una ipotesi di retrocessione totale o parziale, devesi aver riguardo all'opera programmata con la dichiarazione di p.u., nel senso che ricorre la prima ipotesi quando la mancata utilizzazione del bene derivi dalla. mancata tempestiva realizzazione di detta opera, ovvero dalla realizzazione di una opera qualitativamente diversa, mentre si verifica la seconda ipotesi quando l'opera medesima sia stata effettuata, pur se in termini quantitativamente ridotti rispetto a quelli originariamente previsti, e perci� il criterio distintivo fra le due ipotesi non risiede nel fatto che il fonda espropriato sia rimasto parzialmente o totalmente inutilizzato, potendosi verificare l'ipotesi prevista dal citato art. 60 anche nel caso in cui uno dei fondi, appartenenti al compendio immobiliare espropriato, resti completamente inutilizzato, essendo stata l'opera pubblica realizzata su altri fondi compresi nel suddetto compendio (1). Allorch� l'ordinamento giuridico attribuisce una situazione di diritto allo Stato o ad altro sogetto di diritto pubblico, ci� avviene in quanto l'ordinamento stesso esige la realizzazione dell'interesse contemplato da quella situazione, per cui devesi affermare il principio della normale irrinunciabilit� delle situazioni di diritto attribuite allo Stato od altri soggetti di diritto pubblico. Non � pertanto configurabile una rinuncia, da parte dello Stato, al diritto di propriet� sui beni espropriati e non utilizzati (2). (1-2) Sulla prima massima cfr. Cass. 31 luglio 1%9, n. 2908; sulla seconda non visultano precedenti. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 aprile 1982, n. 2104 -Pres. Miele Est. Caturani -P. M. !annessi (conf.). Soc. G. B. Mocchetti (avv. Oarboni Corner) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusva lenza -Societ� -Accertamento in concreto della qualit� di imprenditore :B necessario. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 100 e 106, cod. civ. art. 2200, 2249, 2308). La Societ� commerciale non presuppone necessariamente una impresa, per la cui sussistenza � necessario che sussistano in concreto i requisiti della professionalit� e dell'organizzazione; di conseguenza per la tassabilit� di una plusvalenza non � sufficiente la circostanza che il bene ceduto appartenga ad una societ�, perch� questa potrebbe anche non essere un imprenditore (ipotesi della societ� di gestione immobiliare) (1). (omissis) Con il primo motivo, denunziandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 100 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e dell'art. 20 legge 5 gennaio 1956, si assume che la societ� in accomandita semplice, per Statuto, limitava nella specie la propria attivit� all'amministrazione e conservazione del proprio patrimonio immobiliare e non esplicava quindi attivit� di impresa, per cui mancava il presupposto per la tassazione della plusvalenza realizzata dalla societ� titolare del bene alienato, agli effetti previsti dall'art. 100 t.u. citato. La censura � ammissibile essendo stata proposta innanzi alle Commissioni Tributarie e non per la prima volta in questa sede di legittimit� (Cass. 23 maggio 1979, n. 2988), ed � anche fondata nel merito nei limiti che sono delineati dalle seguenti considerazioni. Ai sensi dell'art. 100 t.u. sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, concorrono a formare il reddito imponibile (ai fini dell'imposta sui redditi di ricchezza mobile di categoria B) le plus (1) La pronunzia si pone sulla linea gi� seguita dalla sentenza 16 febbraio 1982, n. 959 (in questa Rassegna, 1982, I, 805) ma va anche oltre affermando che non � una impresa la societ� di gestione immobiliare. Ma a questo punto la stessa sentenza � costretta a constatare che in tal caso viene meno il concetto di societ�; ma se, come era per l'appunto avvenuto, si crea una societ� che non avrebbe potuto essere costituita, � possibile di fronte alla Finanza affermare che la societ� � senza impresa (il che equivale a dire che la costituzione della societ� � nulla) o non si deve piuttosto presumere che la societ� che come tale ha agito sia validamente costituita per l'esercizio di una attivit� di impresa? 956 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO valenze, comprese l'avviamento, derivanti dal realizzo di beni relativi all'impresa ad un prezzo superiore al costo non ammortizzato. Nei confronti delle societ� indicate dall'art. 2200 del codice covile si considerano relativi all'impresa tutti i beni ad esse appartenenti. Dalla formulazione letterale della norma risulta che la tassazione della plusvalenza presuppone che la societ� titolare del bene sia un imprenditore onde, se la societ� non svolge attivit� di impresa non opera la presunzione che tutti i beni ad essa appartenenti siano relativi ailla impresa. Questo principio � del tutto coerente con l'orientamento, gi� espresso dalla Corte Costituzionale (sent. 25 febbraio 1975, n. 32), allorch� dichiar� costituzionalmente illegittimo -in riferimento all'art. 76 Cost. -per eccesso di delega rispetto all'art. 63 legge 5 gennaio 1956, n. l, l'art. 106 del t.u. citato, nella parte in cui prevede la tassabilit� delle plusvalenze e sopravvenienze attive di enti tassabili in base a bilancio, ma non esercenti attivit� commerciale. Il principio medesimo � stato poi puntualizzato da questa Corte, con riferimento all'art. 100 del testo unico, nel senso che qualora una societ� costituita in forma diversa dalla societ� ,semplice, abbia come oggetto sociale una attivit� di impresa (commerciale), alla societ� medesima deve riconoscersi la qualit� di ,imprenditore, a prescindere da ogni indagine sul concreto esercizio di quelila attivit� (sent. 10 agosto 1979, n. 4644 e per l'affermazione del principio generale in tema di fallimento: sent. 22 giugno 1972, n. 2067; 10 agosto 1965, n. 1921). Orbene, il presupposto di questo indirizzo, cui il Collegio aderisce pienamente, risiede nell'affermazione che non � sufficiente che la societ� si costituisca secondo uno dei tipi pvevisti dai capi III e segg. del titolo V del codice civile perch� ricorre la figura de1l'imprenditore commerciale. Non sussiste infatti alcuna coincidenza fra societ� ed impresa in quanto le relative norme operano su piani del tutto diversi e si fondano su requisiti in .parte diversi. Le norme sull'impresa si rtlferiscono all'attivit� commerciale in s� considerata qualunque sia il soggetto che la svolga (individuale o collettivo), mentre le norme sulle societ� riguardano specificamente il'impresa collettiva esercitata in forma societaria. Come esempio tipico di societ� senza impresa si richiama Ja societ� occasionale, costituita cio� per il compimento di un singolo affare: in essa difetta il requisito della professionailit� (intesa come attivit� eco-� nomica abitualmente o sistematicamente esercitata), che il codice civile richiede per integrare la figura dell'imprenditore commerciale (art. 2082 cod. civ.), requisito che invece non ricorre allorch� si definisce il contratto di societ� (art. 2247). Quella parte della dottrina, la quale afferma che non possa esservi societ� senza impresa, sostiene logicamente che la societ� occasionale costituisce anche impresa commerciale, sul rilievo che per le societ� in ! i I . I PARTE J, SEZ. ,VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA genere enunciare il requisito della professionalit� non avrebbe avuto senso, dato che per esse l'esercizio dell'attivit� economica nel campo prescelto non � uno dei possibili indirizzi della loro attivit�, come accade per l'imprenditore individuale, ma � l'unico che possono seguire. La tesi non considera che il requisito della professionalit� costituisce una modalit� ~ntrinseca dell'attivit� economica, la quale � contenuta in una norma (art. 2082 cod. civ.) che definisce in via generale l'imprenditore ri.ndivkluale e collettivo). Inoltre, l'accettazione di questo orientamento importerebbe che anche la societ� occasionale, dovrebbe essere sottoposta al falUmento in caso di insolvenza, per il solo fatto di essere una societ�, mentre il nostro sistema giuridico � imperniato suhla soggezione al fallimento anche degli enti societari ma solo in quanto svolgono attivit� di impresa (art. 1 della legge faillimentare), e come si � accennato, la nozione di imprenditore si ricava in via generale dall'art. 2082 cod. civ., che richiede in ogni caso la professionalit� dell'attivit� economica espletata. La stessa disciplina giuridica del resto conferma che non � la forma impressa dalle parti al contratto di societ� (secondo uno dei tipi previsti dai capi III e segg. del titolo V del codice civile) ad attribuire ,alla relativa attivit� economica il carattere di impresa commerciale, ma ci� che rileva � -indipendentemente dalla volont� negoziale delle parti -il contenuto dell'oggetto sociale, il quale deve consistere in una delle attivit� economiche che caratterizzano l'impresa e che sono elencate nell'art. 2195 cod. civ. L'art. 2200 cod. civ., invero statuisce che sono soggette all'obbligo della iscrizione nel registro delle imprese le societ� costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi III o segg. del titolo V e le societ� cooperative anche se non esercitano una attivit� commerciale. Inoltre, fa propendere per la tesi che il Collegio intende seguire, il rilievo gi� innanzi accennato che le societ� non falliscono in quanto tali, ma solo in quanto rivestono la qualit� di imprenditore commerciale (art. 2221 cod. civ. e 1 della legge fallimentare); e tale qualit� va accertata in base agli articoli 2082 e 2195 cod. civ. L'Avvocatura Generale dello Stato ha sostenuto nei suoi scritti difensivi che anche ove si accetti il principio secondo cui non esiste perfetta cori.ncidenza tra societ� ed imprese, l'intento speculativo della societ� non potrebbe essere negato e tale circostanza sarebbe sufficiente per ritenere tassabile qualsiasi plusvalenza da essa realizzata. Il rilievo non tiene conto del fatto che il sistema della legge (art. 81 del testo unico) � ispirato al criterio secondo cui -per le imprese commerciali -le plusvalenze tassabili sono quelle indicate . dall'art. 100 ed esse devono derivare dal realizzo di beni relativi all'impresa ad un prezzo superiore al costo non ammortizzato. Mla stregua delle precedenti considerazioni, si comprende come la decisione impugnata sia caduta in errore allorch� ha ritenuto che ricor 958 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO resse nella vendita del terreno edificatorio di propriet� della societ� ricorrente, una plusvalenza tassabile ex art. 100 del testo unico del 1958, sulla base della mera natura societaria dell'ente titolare del bene, senza aver prima stabilito quale fosse l'oggetto sociale de1la societ� con riferimento all'epoca cui rimonta la plusvalenza di cui si contende tra le parti. Ed al riguardo deve precisarsi che se l'oggetto sociale dsiede -come sostenuto datlla ricorrente -nella conservazione del patrimonio immobiliare (riscossione dei canoni locatizi ed effettuazione delle normali opere di manutenzione dei fabbricati in propriet�), si � al di fuori dei confini deWattivit� di impresa, di oui all'art. 2195 cod. civ. Non pu�, invero, confermarsi in questa sede quanto .gi� ritenuto da questa Corte con la sentenza 10 agosto 1979, n. 4644, allorch� si ravvis� plusvalenza tassabile ex art. 100 �testo unico citarto, nel'la vendita del terreno (su cui sorgeva lo stabile) realizzata da una societ� in norme collettivo, costituita per dare in .locazione a terzi gli appartamenti dello stabile medesimo, curandone l'amministrazione e dividendone gili utili rtra i soci. In tal caso la nozione stessa di societ� viene meno, secondo la disciplina giuridica, la quale esclude la configurabilit� di Uilla societ� di mero godimento dei beni da prute dei proprietari e quindi 1l'applicazione de1le norme sulla societ� richiama invece quanto preV1isto fo tema di comunione da1le norme del titolo VII del libro III del codice civile (art. 2248). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 aprile 1982, n. 2691 -Pres. Brancaccio -Est. Battimelli -P.M. Sgroi (conf.). Cassa di Risparmio di Ancona (avv. Fantozzi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -Riscossione -Iscrizione a ruolo definitiva -Imponibile riconosciuto nel ricorso alla commissione -:t. vincolante -Legittimit�. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 174). Bench� l'art. 174 del t.u. delle imposte dirette consenta l'iscrizione a ruolo definitiva delle imposte corrispondenti agli imponibili dichiarati, la norma va intesa nel senso che possono iscriversi a ruolo le imposte corrispondenti ad imponibili non suscettibili di contestazione e tali sono gli imponibili riconosciuti e accettati, anche in misura superiore alla dichiarazione, con il ricorso contro l'accertamento (1). (1) Decisione da condividare pienamente. La affermata irrevocabilit� del riconoscimento contenuto nel ricorso, in ci� equivalente alla dichiarazione, dovrebbe far riflettere sulla vincolativit� degli effetti della dichiarazione. Ma sul punto le idee sono ancora parecchio confuse: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 959 (omissis) Premesso che l'art. 174 del t.u. n. 645 del 1958 menziona genericamente gli �imponibili dichiarati dal contribuente>>, senza richiamare espressamente l'art. 17 dello stesso t.u., va osse11Vato che correttamente la decisione impugnata ha ritenuto compreso nella previsione normativa .in esame anche il caso di indicazione di un imponibile contenuta nel ricorso contro l'accertamento. L'art. 174, invero, va interpretato, nel suo complesso, nel senso che possono iscriversi a ruolo definitivo le imposte corrispondenti ad imponibili non suscettibili di contestazione, il che senza dubbio ricorre nell'ipotesi in oui il contribuente, nell'impugnare l'accertamento, indichi come effettivo un imponibile diverso da quello accertato, ma maggiore di quello indicato nella dichiarazione. In tale caso proprio pe~ l'applicabilit� nel giudizio innanzi al:le Commissioni dell'art. 112 cod. proc. civ., invocato dalla ricorrente nel primo motivo di ricorso, le Commissioni di merito, come gi� questa Corte ha deciso (ved. sentt. n. 2197/74, n. 2850/80 e n. 4879/81), non possono mai, anche se accolgono il ricorso, determinare un imponibile inferiore a quello indicato nel ricorso introduttivo del giudizio, costituendo tale ammontare il limite della domanda proposta e, conseguentemente, il limite del potere del giudice, s� che ben pu� l'Ufficio iscrivere definitivamente a ruolo l'imposta corrispondente ad un imponibile non pi� contestabile, in quanto suscettibile solo di aumento, ma giammai di diminuzione; in tal caso, invero, non � ipotizzabiJe un'eventuale futura restituzione parziale dell'imposta, il che appunto caratterizza l'iscrizione a ruolo a titolo definitivo e la differenza dall'iscrizione a titolo provvisorio. (omissis) v. C. BAFILE, Osservazioni sulla natura giuridica della dichiarazione tributaria, in questa Rassegna, 1980, I, 361, cui adde Cass. 24 gennaio 1980, n. 579, ivi, 815, 19 febbraio 1980, n. 1218, ivi, 823, 21 ottobre 1981, n. 5506 e 17 novembre 1981, n. 6095, ivi, 1982, I, 781. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 maggio 1982, n. 2727 -Pres. Miele Est. Corda -P.M. Dettori (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Dipace) c. Coop. Augustus (avv. Procaccini). Tibuti erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Appalto risoluto prima della costruzione dell'opera � Decadenza. (I. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). Decade dall'agevolazione il contratto di appalto per la costruzione di case di abitazione non di lusso risoluto prima di dare esecuzione alle opere (1). (1) Principio esatto che pu� considerarsi ormai consolidato (Cass. 18 giugno 1979, n. 3417, in questa Rassegna, 1980, I, 170). 960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo di censura (deducendo �violazione e falsa applicazione degli articoli 13, 14 e 20 delila legge 2 luglio 1949, n. 408, in correlazione agli articoli 1 e 8 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 �), l'Amministrazione Finanziaria sostiene che la agevolazione tributaria di cui alla citata legge del 1949 non compete -secondo il pi� recente indi� rizzo giurispruden2liale -ai contratti di appalto (pur aventi ad oggetto la costruzione di �case di abitazione non di �lusso�) se gli stessi vengono risolti, come nel caso concreto, prima dell'inizio della costruzione. Asserisce che dall.a sentenza si ricaverebbe che il contratto sarebbe stato risolto prima che fosse dato inizio alla costruzione. Replica il resistente che dalla sentenza. si ricaverebbe esattamente il contrario, e cio� che il contratto in questione sarebbe stato risolto dopo che l'opera era stata gi� iniziata; di modo che, anche aderendo all'impo I ~ stazione giurisprudenziale invocata dalla ricorrente, gi� dovrebbe ritenersi sussistente il presupposto di fatto necessario per tenere fermo il beneficio provvisoriamente applicato. IJ ricorso � fondato. Dopo alcune oscillazioni, la giurisprudenza di questa Corte sembra esse:vsi ormai definitivamente orientata a ritenere che un contratto di appalto, perch� possa fruire dei benefici previsti dall'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, deve non solo avere �ad oggetto la costruzione rientrante nella previsione della legge, ma deve avere contribuito alla realizzazione della �Costruzione predetta, nei modi e nei tempi prescritti. Di modo che, nel caso di risoluzione del contratto stesso, e di attuazione dell'opera nel termine di legge a mezzo di altri rapporti giuridici, gli indicati benefici sono applicabili esclusivamente nell'ipotesi in cui la risoluzione sia avvenuta dopo l'inizio della .costruzione, e non anche in epoca anteriore, atteso che, solo nel primo caso, il contratto pu� ritenersi occorrente alla realizzazione dell'opera e, quindi, all'attuazione del fine giustificativo della norma agevolatrice. Questo principio � stato da ultimo affermato con un gruppo di sentenze, tutte in data 6 novembre 1978 (nn. da 5024 a 5036). e ad esso intende conformaI1si il Collegio, nella precipua considerazione che la sentenza impugnata, informata al principio opposto, non ha svolto argomenti idonei a inficiarne la validit�. Neppure la resistente, del resto, ha saputo contrastare la validit� degli argomenti predetti, �tanto che ha incentrato il proprio sforzo nel rilievo di una circostanza di fatto che renderebbe inutile la cassazione della sentenza impugnata. Ha, infatti, sostenuto che il giudice di appello aveva gi� accertato come la risoluzione del contratto in parola sarebbe successiva all'inizio della costruzione (di modo che il contratto stesso frui- I rebbe legittimamente dei benefici tributari, per avere concorso alla rea ! lizzazione dell'opera). In contrario, per�, fa notare la ricorrente che la sentenza avrebbe, invece, dato atto che il contratto era rimasto � del l tutto ineseguito�. I I I i f RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO c) nell'ipotesi, poi, in cui colui il quale ha costituito �l'usufrutto venda successivamente ad un terzo la nuda propriet� a colui in capo al quale si consolidi l'usufrutto e che rivenda l'intero immobile, qualora il momento iniziale si fissasse in quello della consolidazione, si verifi� cherebbe la situazione sub a), mentre se tale momento fosse co11ocato in quello in cui il dante causa del venditore aveva la piena propriet�, si violerebbe il principio secondo cui debitore dell'imposta � il soggetto che dell'incremento ha beneficiato e si realizzerebbe una parziale duplicazione d'imposta (essendo stata la stessa gi� pagata una prima volta in occasione del trasferimento della nuda propriet� nella pendenza dell'usufrutto). Si deve, quindi, ritenere, sulla base della ratio della disciplina intrcr dotta con ili d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e in mancanza di particolari disposizioni ostative che, ai fini della determinazione del valore iniziale dell'immobile soggetto all'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, da effettuarsi secondo i criteri di cui agli artt. 6 e 7 d.P.R. citato, occorre avere riguardo, qualora il venditore abbia inizialmente acquistato la sola nuda propriet� e sia divenuto successivamente pieno proprietario, a seguito di consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet�, al momento in cui il venditore stesso ha acquistato la nuda propriet� e non anche a quello in cui si � verificata la consolidazione dell'usufrutto; con l'ulteriore conseguenza che quando, come nella specie, si � in presenza di un acquisto della nuda propriet� avvenuta per successione apertasi nel 1913, occorre applicare il terzo comma dell'art. 6 d.P.R. citato per il quale �per gli acquisti verificatisi oltre un decennio prima dell'entrata in vigore del presente decreto il valore iniziale � quello venale che i beni avevano al decimo anno anteriore, ovvero, nel caso di beni per i quali erano applicabili le disposizioni della legge 5 marzo 1963 n. 246, quello che essi avevano alla diversa data stabilita con le deliberazioni previste negli artt. 5 e 25 della predetta legge �. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 maggio 1982, n. 3112 � Pres. Miele � Est. Virgilio � P. M. Caristo (diff.). Foglio c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Accessione � Art. 938 cod. civ. � Attribuzione al costruttore delle propdet� del fondo attiguo coperto con la costruzione � Trasferimento del fabbricato � Esclusione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 47; cod. civ. art. 938). Nell'ipotesi dell'acquisto della propriet� del suolo attiguo occupato con la costruzione a norma dell'art. 938 cod. civ. (c.d. accessione invertita) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 975 del valore finale della precedente tassazione INVIM a carico del soggetto che la nuda propriet� ha trasferi�to. In senso contrario non vale allegare quanto sostenuto nella decisione impugnata e cio� che il raffronto del valore di un bene immobile deve effettuarsi con r.iferimento ad entit� giuridiche omogenee e quindi fra due situazioni di piena propriet�, invocandosi la formula legislativa dell'art. 7, terzo comma, per la quale occorre considerare �come valore iniziale quello della piena propriet� all'atto dell'acquisto�. Pur non contestandosi l'esigenza dell'omogeneit� dei termini di raffronto, va in proposito osservato -concordandosi con quanto evidenziato dalla difesa erariale -che tale raffronto pu� e deve essere effettuato anche fra entit�J astratte e non concrete, dal momento che l'effettivo incremento tassabile pu� essere calcolato anche con la detrazione attraverso cui la tassazione viene adeguata alla realt� delle singole fattispecie. Ove si tenga presente che,. ai sensi dell'art. 7, in caso di trasferimento della nuda propriet�, il valore finale � costituito da quello della piena propriet�, corrispondente al diritto trasferito, determinato agli effetti dell'imposta di registro o di successione, appare evidente che il termine � piena propriet� � va riferito al suo valore e non gi� al suo acquisto, che pu� anche avere riguardato, quale presupposto della tassazione INVIM, la sola nuda propriet�. Sulla base, poi, di quanto in precedenza rilevato circa la necessit� della continuit� dei termini di riferimento non esiste alcun valido motivo per escludere che il valore finale, preso a base della precedente tassazione INVIM, in caso di trasferimento della sola nuda propriet�, non debba costituire il valore iniziale della successiva tassazione INVIM, quando, verificatasi la consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet�, il nuovo � pieno proprietario � abbia alienato l'immobile. N� si pu� passare sotto shlenzio che, ove si accedesse alla tesi qui contestata: a) verrebbe a crearsi una soluzione di continuit� fra i vari termini di riferimento, in quanto resterebbe non soggetto a tassazione fincremento di valore realizzato dal nudo proprietario fra il momento deLl'acquisto della nuda propriet� e quello della consolidazione dell'usufrutto; b) si realizzerebbe una disparit� di trattamento -costituzional-� mente r.ilevante -fra l'ipotesii in cui il proprietario ha costituito l'usufrutto, mantenendo la nuda propriet� e quella in cui lo stesso ha contemporaneamente ceduto ad un terzo la nuda propriet� e a favore di un altro l'usufrutto, in quanto, in relazione alla stessa situazione di nuda propriet�, solo nel primo caso e non anche nel secondo si ._avrebbe tassazione per il periodo corrispondente a quello in cui il soggetto ha mantenuto la sola nuda propri.et�; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dere quella -ricorrente nella specie -in cui l'usufrutto e la nuda propriet� sono state acquistate contemporaneamente da due soggetti diversi. Tale situazione potrebbe, astrattamente, essere risolta o aderendo alla soluzione adottata dalla Commissione Tributaria Centrale e difesa dal resistente e quindi ponendo come valore iniziale, ai fini dell'INVIM, quello accertabile al momento della consdlidazione deH'usufrutto con la nuda propriet� o accettando la tesi dell'Amministrazione finanziaria per la quale occorre far capo -al fine di stabilire il valore inizfale -al momento in cui al venditore � stata trasferita la nuda propriet�. Questa seconda soluzione � in realt� l'unica possibile, in quanto � la sola che permetta di realizzare que1ld che sono i princ�pi ispiratori de1la legge . istitutiva dell'INVIM, in precedenza esposti ed � inoltre la sola ricavabile sulla base di una consentita interpretazione estensiva dell'art. 7 d.P.R. citato. Costituisce giurisprudenza costante di questa Corte, dalla quale non c'� alcun motivo di discostarsi, che, in tema di leggi tributarie, sussiste la possibilit� di ricorrere alla interpretazione estensiva quando si ravvisano nel caso non espressamente regolato dal legislatore, motivi e finalit� propri dello spirito della legge che si vuole applicare per estensione (cfr. fra le tante decisioni: Cass. 12 febbraio 1973, n. 430; Cass. 7 dicembre 1972, n. 3538; Cass. 29 maggio 1971, n. 1614). In tal caso l'interprete deve limitarsi a risalire, mediante un processo di astrazione logica, dalle norme espresse e particolari della legge al principio che ne ha suggerito la statuizione, al fine di saggiare, in rapporto al caso non espressamente previsto, la possibilit� di una identit� di ratio e di riconoscere, in caso di accertamento positivo e quando non sussistano particolari disposizioni ostative, che il legislatore minus dixit quam voluit (Cass. 4 aprile 1962, n. 699). La situazione del pieno proprietario che avendo costituito l'usufrutto, divenuto nuovamente pieno proprietario per consolidazione, alieni l'immobile, non si differenzia da quella di colui che avendo acquistato la sola nuda propriet�, sia divenuto pieno proprietario per consolidazione ed abbia successivamente alienato l'immobile. In entrambe le ipotesi � indubbio che dell'incremento di valore del bene hanno beneficiato tanto il primo (dal momento dell'acquisto iniziale della piena propriet�), quanto il secondo (dal momento dell'acquisto della nuda propriet�). Risponde, pertanto, ad elementari princ�pi di giustizia che mentre per il primo il valore iniziale, ai fini INVIM, va determinato con riferimento al momento in cui tale propriet� � stata acquistata, per il secondo questo momento va fissato in quello in cui il soggetto � diventato nudo proprietario e ci� soprattutto ove si consideri che questo momento, sulla base di quanto in precedenza rilevato, ha costituito il termine di riferimento per la determinazione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 973 Si tratta, cio�, di stabilire se tale momento vada individuato in quello in cui si � verificata la consolidazione o in quello in oui si � verificato il trasferimento della nuda propriet�. I Per la soluzione del problema � necessario interpretare l'art. 7 d.P.R. n. 643 del 1972, come integrato dal d.P.R. n. 688 del 1974, che disciplina specificamente la fattispecie relativa alla costituzione e al trasferimento I del diritto di usufrutto e al trasferimento della nuda propriet�, ai fini I ~ dell'INVIM, tenendo presente quanto in precedenza evidenziato circa la n�cessit� che non si vermchino soluzioni di continuit� fra i vari momenti considerati ai fini dell'imposta e che l'imposta colpisca il soggetto che dell'incremento ha beneficiato. Dal richiamato art. 7 emerge che: a) nella costituzione e nel trasferimento del diritto di usufrutto e I nel trasferimento della nuda propriet� l'incremento imponibile � dato dalla differenza tra la quota del valore finale della piena propriet� corrispondente al diritto costituito o trasferito, determinato agli effetti dell'imposta di registro o di successione, ed una eguale quota riferita al valore iniziale della piena propriet� (primo comma); b) la consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet� nella persona del nudo proprietario per decorso dei termini o per causa naturale non d� luogo all'applicazione dell'imposta. Nei successivi trasferimenti del bene o costituzioni di diritti reali l'incremento imponibile si determina considerando quale valore iniziale quello della piena propriet� all'atto dell'acquisto e dall'incremento cos� determinato si detrae quello sottoposto a tassazione all'atto della costituzione dell'usufrutto (terzo comma). Sulla base della normativa vigente, quindi: a) Ja costituzione del solo usufrutto o il trasferimento della sola nuda propriet� sono atti rilevanti ai fini INVIM; b) nelle predette ipotesi il valore finale � costituito dalla quota della piena propriet� corrispondente al diritto costituito o trasferito, determinato agli effetti dell'imposta di registro o di successione; e) la consolidazione dell'usufrutto con la nuda propriet� non d� luogo ad applicazione di imposta; d) il successivo trasferimento della piena propriet� -dopo la consolidazione -� rilevante ai fini INVIM e l'incremento hnponibile si determina considerando quale valore iniziale quello della piena propriet� all'atto dell'acquisto, ma dall'incremento va sottratto quello sottoposto a tassazione all'atto della costituzione dell'usufrutto. La norma, quindi, mentre disciplina espressamente l'ipotesi in cui l'usufrutto sia stato costituito dal proprietario. pieno, non sembra preve RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 6, terzo comma, e 7 (nel testo integrato del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, nonch� omessa e insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. e 111 Cost., per avere la Commissione Centrale, affermato che, per la determinazione del valore iniziale, ai fini dell'INVIM, in caso di alienazione di immobile, occorre fare riferimento, qualora l'alienante abbia acquistato la piena propriet� a seguito di consolida2lione della nuda propriet�, spettantegli per successione, con l'usufrutto spettante ad un terzo, al valore della piena propriet� al momento della consolidazione e non anche al valore della stessa piena propriet� al momento dell'apertura della successione. Il ricorso � fondato e merita accoglimento. In base all"art. 1 idel d.P.R. 26 ottobre 1973, n. 643, l'incremento di valore degli immobili siti nel territorio dello Stato � soggetto all'imposta prevista dallo stesso d.P.R. e ci� per soddisfare l'esigenza -generalmente avvertita -di sottoporre a prelievo fiscale l'effettiva variazione di valore di mercato degli immobili ed, in ispecie, dei terreni fabbricabili, in quanto non ricollegabile ad iniziatve, attivit� ed investimenti dei proprietari, ma derivanti dalla espansione degli agglomerati urbani e da nuovi insediamenti industriali o turistici, e dal complesso delle opere pubbliche connesse a tali sviluppi, nonch� da contingenti e spesso imponenti fenomeni di speculazione immobiliare (cfr. Corte cost., 8 novembre 1979, n. 126). Tale incremento di valore � costituito dalla differenza fra il valore dell'immobile alla data nella quale si verificano i presupposti di cui agli artt. 2 e 3 d.P.R. citato e il valore, aumentato delle spese indicate nel successivo art. 11, che l'immobile aveva alla data dell'acquisto o della precedente tassaiiione (art. 6, comma primo). Proprio perch� l'INVIM non � un'imposta sui trasferimenti, ma un'imposta .sugli incrementi di valore -considerato come fatto continuo delimitato da due termini di riferimento nel tempo -� necessario, allo scopo di evitare che alcuni incrementi sfuggano ad imposta, che non vi siano solu2lioni di continuit� fra i vari termini di riferimento, � cio� necessario che il momento temporale considerato come rilevante per la determinazione del valore finale dell'immobile al fine dell'applicazione dell'imposta in un determinato periodo diventi il termine di riferimento su cui calcolare il valore iniziale ai fini di una successiva tassazione (arg. ex art. 6, primo comma). �, poi, parimenti necessario che destinatar. i dell'imposta siano i soggetti che dell'incremento abbiano beneficiato. Ci� premesso, si osserva che il problema all'esame di questa Corte � quello di stabilire quale sia il momento al quale fare riferimento per la determinazione del valore iniziale qualora il bene trasferito sia pervenuto al venditore in nuda propriet� e solo successivamente sia avvenuta la consolidazione con l'usufrutto spettante ad un terzo. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 971 2. -Lo stesso art. 6 del d.P.R. n. 1924 del '37, nel prevedere la presunzione della conclusione di un contratto d'appalto basata sul comportamento esteriore dei pretesi contraenti (cio� sul fatto che essi abbiano agito come se tra di loro vi fosse un contratto di appalto), ammette �la prova contraria, esclusa la testimoniale �. Ci� significa che il contribuente � ammesso a fornire tale prova contraria attraverso documenti, non esclusi ovviamente -perch� altrimenti, data l'eccezionalit� della disciplina, la legge avrebbe dovuto specificarlo -i contratti scritti e le fatture, cio� le prove pi� tipiche e comuni dei rapporti commerciali dei quali qui trattasi. Orbene, dall'esame di tali documenti la Commissione Centrale, confermando anche a tal proposito quanto ritenuto dai giudici precedenti, ha tratto il motivato convincimento che i contraenti ebbero particolare cura di disciplinare convenzionalmente i loro rapporti in modo da impedire a chiunque di r.itenere che la loro volont� fosse in sostanza diretta a stipulare un contratto onnicomprensivo e unitario d'appalto anzich� pi� contratti consecutivi di semplice trasporto. Dai documenti da essi esibiti infatti emerge -come nell'impugnata sentenza � stato chiaramente messo in luce -la mancanza di ogni impegno reciproco di continuit�, di volume, di invariabilit� di corrispettivo e, persino, di obbligarsi definitivamente a ogni singolo trasporto. In tale situazione, avvalorata dal fatto che per ogni autotrasporto � stata emessa una distinta fattura, logkamente la Commissione Centrale ha riconosciuto essere stata data una valida prova contraria (in quanto documentale e non testimoniale) alla presunzione di un appalto: apprezzamento di fatto, anche questo, congruamente motivato e, come t�le, insindacabile in questa sede di legittimit�. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1982, n. 2927 � Pres. Brancaccio � Est. Finocchiaro � P. M. Sgroi (conf.). Mini.stero dehle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Favilii (avv. Colzi). Trbuti locali � INVIM � Acquisto separato della nuda propriet� e dell'usufrutto � Valore iniziale � Va riferito al momento dell'acquisto della nuda propriet�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 7). Poich� nel sistema impositivo dell'INVIM � indispensabile che non vi siano soluzioni di continuit� tra i vari termini di riferimento, quando il bene venduto sia entrato nella propriet� del venditore con separati atti di acquisto della nuda propriet� e dell'usufrutto, il momento al quale va riferito il valore iniziale � quello dell'acquisto della nuda propriet� (1). (1) Decisione evidentemente esatta, che costituisce il prdmo passo nella ricca casistica di situazioni connesse alla separazione dell'usufrutto dalla piena propriet�. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4) nell'omettere di valutare, nel contesto dell'intera vicenda, il fatto che dalle scritture risultasse che i trasportatori rimanevano liberi di accettare le richieste di trasporto senza affatto chiedersi se le prove addotte dal cont11ibuente non fossero artatamente predisposte al fine di simulare una realt� negoziale non ricadente nell'ambito della fattispecie impositiva. Il ricorso � infondato per due ragioni convergenti. 1. � � ben vero che, a norma dell'art. 6 del r.d.l. 15 novembre 1937, n. 1924, per presumere ai fini dell'imposta del registro l'esistenza di un contratto d'appalto non � necessa11io che esso risulti da documenti o anche da semplici dichiarazioni verbalti delle parti, essendo sufficiente un comportamento di fatto dei contribuenti in cui possa ravvisarsene la esecuzione, ma � anche vero che, al fine di poter indurre da una serie continuata di trasporti un contratto unitario di appalto del relativo servizio anzich� una semplice molteplicit� di singoli ed autonomi contratti di trasporto, � indispensabile, qualora si prescinda dal contenuto dei contratti predisposti dalle parti per regolare i loro r�pporti, che nella effettuazione dei trasporti emergano da un lato una disciplina unitaria, dall'altro lato impegno particolare, modalit� diverse e servizi aggiuntivi che possano differenziare, anche dal punto di vista esteriore dell'� esecuzione� (-che � quello poi da cui ci si deve porre fiscalmente ai sensi del citato art. 6 -), il contratto di appalto da quello di singolo trasporto per la indubbia ben maggiore complessit� del primo rispetto al secondo (per gli elementi differenziatori tra i due contratti cfr. Cass. sent.ze nn. 2620 dell'81, 1902 dell'80, 186 del 62, 482 del 71). Orbene, tutte e tre le commissioni tributarie adite una dopo l'altra per l'accertamento di tali elementi di fatto differenziali, hanno concordemente negato che dalle modalit� di prestazione del servizio effettuato dagli autotrasportatori in favore della � Colgate-Palmolive � fossero emerse modalit� o prestazioni particolari diverse o maggiori da quelle comportate da un semplice contratto di trasporto. Nella motivazione della decisione impugnata, invero, la Commissione Centrale sottolinea che la Commissione di secondo grado ha constatato in proposito �l'inesistenza di servizi extra al di l� di quelli di trasporto� e chiaramente lo conferma rilevando, per proprio conto, �l'assenza di altri elementi (-oltre i documenti di cui si dir� in seguito -) che comprovino l'esistenza di un contratto di appalto�. Trattasi -come � appena il caso di notare -di accertamenti di fatto, che non possono essere rimessi in discussione in questa sede sul semplice presupposto che essi non corrisponderebbero alla verit�, perch� in tal caso si cadrebbe nell'ipotesi di � travisamento di fatto � denunciabile non per cassazione, bens� per revocazione (cfr. Cass., sentenze nn. 4301 dell'81; 2686 e 4916 dell'80). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 969 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1982, n. 2926 -Pres. Brancaccio -Est. Borruso -P. M. Sgroi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Soc. Colgate Palmolive ~avv. Spolidoro e Spada). Tdbuti erariali indiretti Imposta di registro -Ap.palto di trasporti o tra sporti singoli -Criteri di distinzione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, art. 52; d.l. 15 dicembre 1937, n. 1924, art. 6). Perch� possa, in forza della presunzione dell'art. 6 del d.l. 15 novembre 1937, n. 1924, ritenersi sussistente un appalto di trasporto, anzich� una semplice pluralit� di singoli contratti di trasporto, � necessario che emergano la disciplina unitaria delle attivit� o modalit� di prestazione diverse e maggiori di un semplice contratto di trasporto (1). (omissis) L'Amministrazione finanziaria, con un unico motivo denuncia la violazione degli articoli 1677, 1657, 1666, �1560, 1561, 1562, 1564, 1567, 1569, 1362 e seguenti cod. civ., dell'art. 6 alL B al r.d..J. 15 novembre 1937, n. 1924 e dell'art. 52 tariffa all. A al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 in relazione all'art. 111 Cost. e 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., sostenendo che la Commissione Centrale avrebbe errato: 1) nell'escludere in base al solo contenuto delle lettere di offerta scambiate tra la Societ� e i trasportatori per stabilire le condizioni che avrebbero regolato i trasporti nell'anno successivo, l'esistenza di un contratto di appalto di trasporti, in quanto detto contratto, a norma del citato art. 6 all. B al r.d;J. 15 novembre 1937, n. 1924, poteva essere a111che presunto indipendentemente dalla documentazione esibita; 2) nel ritenere incompatibile con la tesi del contratto di appalto la mancanza nella predetta documentazione di pattuizioni sull'entit� numerica delle prestazioni da richiedersi (risultando questa determinata dal normale fabbisogno dell'avente diritto: art. 1560 cod. civ.), sul corrispettivo (potendo questo essere calcolato con riferimento alle tariffe esistenti o agli .si e, in mancanza dal giudice: articoli 1677 e 1657 cod. civ.), sulla riserva di zone di esclusiva in favore dell'appaltatore; 3) per converso nel trascurare di considerare fatti concludenti di decisiva importanza quali la continuit� delle prestazioni, Ja distribuzione dei trasporti secondo zone d'esclusiva, la costituzione di depositi, l'impegno assunto dai trasportatori di pro\'vedere da se stessi o a mezzo d'altri trasportatori alla consegna della merce in deposito; (1) Conformi Cass. 25 febbraio 11971, n. 482, in questa Rassegna 1971, I, 624; 21 marzo 1980, n. 1902 in Riv. leg. fisc., 1980, 1927; 29 aprile 1981, n. 2620, ivi, 1981, 1899. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ebbene, tale formulazione non giustifica il contenuto intrinseco del diniego di effetti all'atto di imposizione dell'ufficio n� mostra di aver tenuto in considerazione l'interesse della P. A. a procedere ad un accertamento di valore ancor prima della richiesta del pagamento della tassa proporzionale. L'avviso di accertamento rivolto dall'ufficio ai contribuenti, avendo il valore di un �atto di imposizione, indusse i destinatari a proporre ricorso alla commissione tributaria, alla quale venne demandata la valutazione dei beni, merc� l'instaurazione di un giudizio tributario. Da ci� si deduce che l'avviso di accertamento ebbe quale primo obiettivo quello di contestare ai contribuenti il valore dei beni da loro indicato nell'atto negoziale registrato, per, poi, imporre, secondo il .procedimento tributario il maggior valore con esso determinato. � intuitivo come lo scopo dell'accertamento del maggior valore, consistente nella futura, eventuale applicazione della tassa suppletiva, costitu� il motivo qualificante l'interesse dell'uffi.cio allo svolgimento del processo, oltre la ragione giuridica dell'emanazione dell'atto amministrativo. Da ci� consegue che tale scopo fu rilevante anche se, avendo l'atto negoziale del contribuente scontato la tassa fissa per attribuita agevolazione fiscale, l'Ufficio, intuito l'errore circa la concessione del beneficio e nella previsione dell'applicazione dell'imposta ordinaria, dimostr� di avere l'interesse immediato, preventivo e conservativo ad accertare il valore venale del bene (art. 100 cod. proc. civ.) Pertanto, il fatto che l'atto negoziale dei contribuenti non fosse stato ancora dichiarato decaduto dal beneficio fiscale e perci� non ancora assoggettato all'imposta proporzionale non era ostativo al sorgere di quell'interesse nella P. A., perch� l'applicazione dell'imposta proporzionale in quanto premessa per l'applicazione del supplemento d'imposta, non poteva non far parte della previsione dello scopo finale da raggiungere e perci� non essere parte integrante dell'interesse dell'ufficio tributario ad ottenere una decisione sul valore del bene. Sicch� a:Lla formulazione del concetto de11a sentenza impugnata va sostituita la seguente: l'avviso di accertamento di valore volto a conseguire la determinazione del valore del bene in contraddittorio con il contvibuente, merc� l'instaurazione del processo tributario, � valido e rilevante anche nell'ipotesi in cui il bene da valutare sia stato assoggettato al pagamento dell'imposta a tassa fissa per agevolazione fiscale, purch� sussista un interesse attuale dell'ufficio, preventivo o conservativo, in previsione della dichiarazione di decadenza del contribuente dal beneficio, della conseguenziale applicazione dell'imposta ordinaria e quindi della applicazione del supplemento di imposta. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 967 (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione Finanziaria, denunciando la violazione dell'art. 21 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, nonch� l'omessa ed insufficiente motivaziop.e in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata in quanto: a) non sarebbe stato considerato che, secondo l'interpretazione giurisprudenziale dell'art. 21 succitato, il termine di un anno per la notifica di avviso di accertamento di maggior valore -nell'ipotesi di pagamento di imposta erroneamente applicata e pagata a tassa fissa -veniva fatto decorrere dalla data di pagamento della tassa fissa e non da quello del supplemento d'imposta; non sarebbe stato vagliato il punto, relativo alla pronuncia di decadenza gi� disposta dall'ufficio tributario e conseguente ad un errore originario, dell'ufficio stesso nell'applicazione dell'agevolazione; b) erronea sarebbe la decisione circa il denegato potere di accertamento del maggior valore sol perch� anticipato rispetto al momento a decorrere dal quale l'ufficio aveva l'onere di esercitarlo: tanto pi� che l'esercizio di esso trovava fondamento in un'azione di natura conservativa: woi per scongiurare il termine annuale di decadenza, vuoi per determinare il valore venale del bene, difficilmente da ricostruire in epoca successiva; d) non sarebbe stato considerato che, se anche fosse stato necessario far precedere l'avviso di accertamento del maggior valore dalla � pretesa � dell'ufficio di assoggettamento dell'atto alla tassazione ordinaria, tale � pretesa � -essendo stata formulata nelle more processuali -avrebbe dovuto essere considerata come fatto giuridico avente efficacia sanante della isupposta � illegittimit� � di quell'avviso. Il ricorso � fondato. Si premetta che il nucleo centrale della decisione impugnata si incentra nella formul~zione del seguente concetto: � l'avviso di accertamento di valore in tanto pu� essere considerato produttivo di effetti, in quanto il contribuente sia soggetto ad una imposta proporzionale, suscettibile di aumento in rapporto al maggior valore accertato del bene o dei beni cui tale aumento si commisura �. dal valore gi� determinato. Ed � noto che nell'ipotesi di decadenza da agevolazioni, che possano avverarsi anche a lunga distanza, l'ufficio non pu� procedere ad accertare il valore al momento in cui sorge l'interesse, perch� l'accertamento va sempre eseguito nel termine di decadenza che decorre invariabilmente. Non � quindi nemmeno necessario verif.icare l'esistenza di un interesse preventivo o conservativo; l'accertamento � sempre possibile, se non doveroso per l'ufficio, anche se meramente eventuale. Ed � evidente che l'impugnazione dell'accertamento pu� avere per oggetto soltanto il valore venale e che la decisione su questa questione non pu� essere influenzata da considerazione sul regime tributario dell'atto. 8 i i ............................ ...,..,..,........ ..J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 966 senz'altro del socio anche senza Ja materiale percezione, vuol dire invece che il socio acquista un diritto di credito certo, liquido ed esigibile sulla indicata quota di utile. Tali concetti sembrano trovare adattamento anche in campo tributario. In materia di R.M. vigente il t.u. 645/58, laddove all'art. 58 si par.la di � produzione � di un reddito, va escluso dalla nozione di � reddito prodotto� il diritto di credito su un utile da percepire, tant'� che a proposito della imposta complementare, l'art. 135 lett. c), prescindendo dalla � produzione del reddito �, assoggetta all'imposta � il reddito derivante dalla partecipazione in societ� di persone in misura pari alla quota per la quale il contribuente ha diritto di partecipare agli utili�. La circonlocuzione delle espressioni usate dal ~egislatore corrobora la dimostrazione che egli ben conscio del significato attribuito al termine � utile percepito � ha inteso assoggettare in modo del tutto eccezionale a tale tipo di imposta l'utile anche non percepito cio� non riscosso. L'ultimo argomento della ricorrente circa la supposta irrilevanza del fatto che Ja S.pA. Mobiliare Muralto non avesse iscritto nel proprio bilancio l'utile di L. 960.000, contrariamente all'assunto della ricorrente stessa, ha un preciso significato, nel senso che, conformemente a legge, quella societ� non poteva iscrivere in bilancio un'entrata patrimoniale non riscossa e, perci�, non tassabile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2867 -Pres. Mazzacane -Est. Pannella -P.M. Catelani (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Petroni. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Accertamento di valore Mancanza di una pretesa attuale d'im;posta propol"Zlionale -Legittimit�. Nelle imposte di registro l'accertamento del valore dei beni � legittimo anche quando non sia vantata la pretesa ad una imposta proporzionale (essendo stato registrato l'atto con �imposta fissa), purch� sussista un interesse attuale, preventivo e conservativo, in previsione della applicazione dell'imposta ordinaria (1). (1) Decisione esattissima. Nelle imposte di registro e di successione, l'accertamento (come pure il concordato) riguarda esclusivamente la determinazione del valore; in altro momento, con diverso atto (separatamente impugnabile) ed entro diversi termini di decadenza, si stabilir� quali effetti trdbutari discendono PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 965 Innanzitutto gli enunciati legislativi dell'art. 135 lett. e) e dell'art. 148 lett. d), osservati nella loro diversa formulazione, palesano il chiaro intento del legislatore di voler tassare in modo diverso i due tipi di reddito, riguardanti le persone fisiche e le persone giuridiche. E questo intento � ispirato allo scopo di prevenire e di escludere possibili evasioni da parte delle persone fisiche, nella denuncia dei redditi complessivi, con riferimento al �reddito derivante dalla partecipazione in societ� di persone. Ed infatti non essendo tenute ad osservare le disposizioni sulla tenuta e sulle risultanze dei bilanci n� le persone fisiche n� le societ� di persone, .pi� facilmente sarebbe sfuggita al msco la mancata denuncia di un reddito percepito dalla persona fisica in quanto utile di partecipazione in una societ� di persone. Ed ecco la necessit� di considerare utile percepito dalla persona fisica quello spettante quale quota parte del reddito prodotto dalla societ� alla chiusura dell'esercizio sociale. Ci� non sarebbe potuto accadere se uno dei due soggetti fosse stata una persona giuridica, tenuta a presentare all'ufficio finanziario le risultanze del bilancio e il conto profitti e perdite o il rendiconto. L'esattezza di quanto sopra osservato si rinviene nel coordinamento esegetico degli artt. 135 lett. e) e d), 148 lett. d), 119 t.u. 645/58 informati ad una diversit� di trattamento delle varie situazioni, in funzione della disparit� delle condi2lioni oggettive. Quanto fin qui esposto � sufficiente a chiarire anche l'inconsistenza dell'argomento circa il richiamo all'art. 2262 del cod. civ. Invero, a prescindere dalla considerazione che non sempre gli istituti di diritto civile nella loro ordinaria interpretazione ed applicazione trovano rispondenza perfett� nel diritto, tributamo, informato ad esigenze di natura eminentemente pubblicistica, va chiarito che il preteso fenomeno per cui, approvato il rendiconto di una societ� di persone, gli utili passano in propriet� dei soci anche senza la materiale percezione, non risponde alla realt� giuridica come discipldnata dalla legge civile. Il sistema della legge. sulle obbligazioni civili esclude che il creditore di una somma di danaro certa, liquida ed esigibile sia proprietario di essa finch� non le sia stata materialmente consegnata dal debitore. Prima di tale � dazione � il creditore vanta solamente un diritto di credito: il che, in termini squisitamente economici, vuol significare aspettativa di una ricchezza, non ancora entrata nella materiale disponibilit� dell'avente diritto. Da ci� � agevole dedurre come sia erroneo l'assunto della ricorrente Amministrazione, che confonde -in tema di obbligazioni -il diritto di propriet� su una somma di danaro col diritto di credito su di essa. Il fenomeno giuridico previsto dall'art. 2262 cod. civ., secondo cui � ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l'approvazione del rendiconto � non vuol significare che la quota di utile diviene RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ci� premesso, si rivela conseguenziale la considerazione secondo cui sotto un profilo di interpretazione storica -l'espressione � somme percepite � adottata dal legislatore del 1958 con riferimento all'imposta sulle societ�, si present� come a chiarificazione e specificazione dell'altra �utili derivanti�, che era stata adottata dal legislatore del 1954 quando per la prima volta institu� l'imposta sulle societ�. Ebbene a prescindere dal fatto che non v'� certezza che l'enunciato � utili derivanti � stesse a significare solamente �utili non percepiti ma soltanto� attribuiti, non v'� motivo di ritenere che la chiara espressione del legislatore delegato del 1958 sia costituzionalmente illegittima, perch� �innovativa� rispetto .a quella della legge precedente, per contrasto con l'art. 63 della legge delega 5 gennaio 1956, n. 1. Anche ammesso che fosse �innovativa�, non pu� dirsi ispirata ad una finalit� eccedente lo spirito ed i limiti della legge quadro. Con l'art. 63 espressamente si deleg� il Governo, nell'emanare i testi unici concernenti le diverse imposte dirette, ad apportare le modifiche utili per un migliore coordinamento delle norme e quelle necessarie per l'attuazione dei criteri, tra i quali, quello del perfezionamento delle norme concernenti l'attivit� dell'Amministrazione Finanziaria ai fini dell'accertamento dei redditi. Nell'intento di tale perfezionamento il legislatore non poteva non procedere a coordinare le disposizioni dell'imposta delle societ� di capitali con quelle relative all'accertamento dei redditi delle societ� tassate in base al bilancio, che sono, principalmente, le stesse societ� di capitali. Se, per l'accertamento dei redditi dei soggetti tassabili in base a bilancio (art. 119 t.u. 645/58), i redditi medesimi dovevano essere determinati sulla base delle risultanze del biilancio, conseguenzialmente la tassabilit� del reddito complessivo di tali soggetti, in virt� della legge sull'imposta delle societ�, complementare rispetto a quella sull'imposta di R.M., non poteva non riferirsi alle riisultanze. del bilancio, nel quale -per la determinazione dell'utile e perci� del reddito tassabile bisognava tener conto delle � somme percepite )) cio� incassate e non pure di quelle da iscriversi nella voce dei crediti percipiendi. Tale intento legislativo fo perfettamente aderente al principio ispiratore dell'art. 53 della Carta Costituzionale, secondo cui ciascuno � tenuto a concorrere alle spese pubbliche in ragiione della propria capacit� contributiva, laddove per capacit� contributiva si deve intendere quantit� di ricchezza prodotta e percepita dal contribuente nell'anno cui il tributo si riferisce. Per quanto riguarda, poi, l'argomento del parallelismo tra � l'imposta complementare � de1le persone fisiche e l'imposta sulle societ� al fine dell'adozione di �stessi criteri�, per l'accertamento del reddito complessivo, la tesi della ricorrente non .presenta fondamento n� logico n� giuridico. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 963 1956, n. 1 non avrebbe consentito innovare alla disciplina contenuta in Ieggi preesistenti tra cui la legge n. 603/54. Premesso ci� e premesso ancora che con la imposta sulle � societ� � il legislatore avrebbe avuto l'intento di istituire una imposizione per le societ� di capitali, che fosse corrispondente a quella adottata con � l'imposta complementare � per le persone fisiche, non vi sarebbe dubbio circa l'applicazione degli � stessi criteri � sulla tassazione degli utili derivanti da societ� personali riferibili ai due tipi di imposta (art. 135 lett. e e art. 148 lett. d). Sostiene, inoltre l'Amministrazione Finanziaria che anche l'interpretazione della disciplina del codice civile regolante le societ� di persone, indurrebbe a tale conclusione. Secondo la disposizione dell'art. 2262 cod. civ.: �salvo patto contrario ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utile dopo l'approvazione del rendiconto� l'utile realizzato dalla societ� di persone diviene senz'altro del socio anche senza la �materiale percezione�. E per socio si deve intendere tanto una persona fisica quanto una persona giuridica. Per ultimo, la ricorrente sostiene che non avrebbe rilievo la circostanza che la persona giuridica, nella fattispecie la S.p.A. Mobiliare Muralto tassabile in base al bilancio, non avrebbe iscritto in esso un tale utile, essendo sufficiente la prova offerta dall'Ufficio tributario. La censura � infondata. Questa Corte, gi� con precedenti decisioni (sent. 3889/80 e sent. 5785/80) e con altre in corso di pubblicazione, ha avuto modo di esaminare le osservazioni innanzi esposte da1l'Amministrazione Finanziaria, secondo le quali sarebbe legittimo l'operato dell'ufficio tributairio nel tassare l'utile, cui una societ� di capitali ha diritto in quanto partecipe di una societ� di persone, anche se tale utile non fosse stato distribuito o ripar� tito e perci� non materialmente riscosso. Le suddette osservazioni risultano ampiamente confutate con argomenti, che qui si ribadiscono non sussistendo ragioni per discostarsene. � opportuno, comunque, prospettare alcune precisazioni che valgono a rafforzare l'orientamento di questa Corte. Quanto all'argomento letterale, riguardante � l'inciso � di � somme percepite� usato dal legislatore nella lett. d) dell'art. 148 t.u. n. 645/58, non v'� dubbio che esso voglia significare: � somme di danaro effettivamente riscosse�, dovendosi ritenere adottato dal legislatore medesimo, per distinguerlo dall'altra �espressione�, pi� generica, �reddito derivante �, atto a significare tassabilit� dell'utile anche non percepito. L'esempio evidente � dato dal raffronto tra le parole usate nello stesso testo unico 645/58 nelle due consecutive disposizioni: lett. e) e lett. d) dell'art. 135, nonch� dal rapporto tra le stesse enunciazioni insite nella lett. e) del medesimo articolo. �". RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 962 i contratti che si pongano in rapporto di occorrenza con la realizzazione della costruzione. Deve, pertanto, escludersi qualsiasi utilit� strumentale per i contratti rimasti ineseguiti, non anche per i contratti che, risolti dopo avere avuto un inizio di esecuzione, abbiano favorito la costruzione di un fabbricato ed abbiano, perci�, assunto, rispetto alla realizzazione del fine agevolato, quella efficacia causale che, invece, non hanno assunto i contratti di appalto rimasti totalmente ineseguiti. Dal che si desume che la denunciata disparit� di trattamento � priva di rilevanza costituzionale, in quanto relativa a posizioni legittimamente differenziate. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 maggio 1982, n. 2866 -Pres. Mazzacane -Est. Pannella -P.M. Catelani (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Soc. Muralto. Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ� -Partecipazione di societ� di capitali in societ� di persone � Percezione di reddito -~ necessaria. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 135 e 148). I redditi prodotti dalle societ� di persone, immediatamente imputabili per la quota ai soci persone fisiche ai fini della imposta complementare (art. 135 lett. c) del t.u. delle imposte dirette), sono imputabili ai soci persone giuridiche ai fini dell'imposta sulle societ� soltanto al momento della effettiva percezione (art. 148 lett. d) (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione Finanziaria, denunciando la violazione degli artt. 5 legge 6 agosto 1954, n. 603 e 130, 135, 165, 148 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 nonch� 2261 e 2262 cod. civ. in 'relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., sostiene la erroneit� della interpretazione data all'enunciato Jegislativo, di cui all'art. 148 lett. d) t.u. 28 gennaio 1958, n. 645: �somme percepite a titolo di distribuzione o ripartizione degli utili di societ� ed associazioni di ogni tipo�. Secondo la ricorrente � somme percepite� non significherebbero � somme riscosse �, ma �somme derivanti� da partecipazione in societ�, in coerenza con la espressione �utili derivanti� di cui all'art. 5 della legge 6 agosto 1954, n. 603 istitutiva delle imposte sulle societ�. Aggiunge che se cos� non fosse, l'art. 148 lett. d) sarebbe costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega, dato che l'art. 63 della legge delega 5 gennaio (1) Viene riaffermato l'orientamento di Cass. 27 febbraio 1982, n. 1268 (in questa Rassegna, 1982, I, 808); va quindi a consolidarsi il principio che, nonostante le molte argomentazioni, non persuade. Il problema si pone comunque in termini nuovi con la normativa vigente. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 961 La verit� �, come pare incontestabile, che i giudici di appello non si sono affatto posti il problema del parziale concorso del contratto alla realizzazione dell'opera, di modo che non hanno, affatto, svolto alcuna indagine di merito al riguardo. Essi, invero, si sono solo preoccupati di accertare che il contratto era stato risolto prima dell'ultimazione del- l'opera e che quest'ultima era stata, tuttavia eseguita, anche se con il concorso. di un �altro contratto di appalto, prima dello scadere dei termini di legge. Nella parte espositiva della sentenza pronunciata in grado di appello, infatti, si rinviene l'affermazione che il contratto era rimasto �del tutto ineseguito�; in quella motiva. invece, si rinviene l'affermazione che il contratto predetto �non pu� essere considerato ineseguito�: e ci� conferma -se ancora occorresse -che una precisa indagine di fatto non � stata svolta, come invece sarebbe stato necessario. Cassandosi, quindi, l'impugnata sentenza, al giudice di rinvio (che si designa in un'altra Sezione della stessa Corte di appello di Napoli) � in primo luogo affidato il compito di accertare in fatto, sulla base degli atti, se il contratto di appalto in questione sia stato risolto prima o dopo finizio della costruzione; all'esito di tale accertamento, poi, applicher� il principio di diritto che � stato pi� sopra enunciato, il quale tiene conto del reale contributo che il contratto stesso possa �avere dato alla realizzazione dell'opera agevolata. L'accoglimento del ricorso principale impone l'esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla resistente (ricorso che deve essere riunito al primo, sotto il suo numero di ruolo, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ.). Con tale ricorso la resistente eccepisce la illegittimit� costituzionale della legge n. 408 del 1959, nella parte in cui non consentirebbe di estendere l'agevolazione tributaria anche ai contratti risolti prima dell'inizio della costruzione agevolata. Tale eccezione �, per�, manifestamente infondata, posto che l'osservanza del principio di uguaglianza (che la ricorrente incidentale indica come violato) � richiesta nei casi di situazioni pari, non invece quando si tratti di situazioni obiettivamente differenziate (Corte Cost. n. 91 del 1972); sicch� � legittimo un trattamento differenziato, quando la disparit� trovi fondamento su presupposti logici obiettivi (Corte Cost. sent. n. 39 del 1972). Nel caso di specie, infatti, sussiste una evidente differenza, proprio rispetto ai fini di edilizia abitativa che il legislatore ha inteso agevolare con la norma dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, nella situazione che viene a verificarsi tra un contratto di appalto che sia rimasto totalmente ineseguito e un contratto di appalto che, avendo trovato parziale esecuzione, ha contribuito alla realizzazione dell'opera agevolata. La norma di agevolazione, invero, � diretta a facilitare la costruzione delle case di abitazione non di lusso, riducendo l'imposta di registro per I I I I I I ! ! ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 977 si trasferisce in favare del costruttore la propriet� del suolo, ma non la propriet� della costruzione, che non essendosi verificata l'accessione ordinaria, � sempre rimasta del costruttore (1). (omissis) Con unico motivo i riicorrenti deducono che a causa degli effetti giuridici della cosiddetta accessione invertita prevista dall'art. 938 cod. civ. l'attribuzione al costruttore (mediante sentenza del giudice) della porzione del fondo attiguo comporta acquisizione diretta e automatica del suolo in favore della costruzione realizzata, attraverso un fenomeno opposto a quello derivante dall'accessione normale, e che nel fenomeno stesso non � ravvisabile un trasferimento, assoggettabile all'imposta di registro, anche della parte di edificio insistente sul detto suolo (oltre al trasferimento di questo). La questione prospettata dai ricorrenti riguarda esclusivamente la legittimit� della pretesa tributaria relativa alla parte dell'edificio sorta sul suolo occupato, mentre per il suolo stesso resta ferma, come ha precisato la Commissione tributaria centrale nella decisione impugnata, la registrazione a suo tempo avvenuta con i -benefici (successivamente non revocati daH'Amministrazione Finanziaria) di cui alla legge 2 1ug1io 1949, n. 408. La controversia � quindi circoscritta alla pretesa fiscale riguardante la suddetta porzione di fabbricato. La decisione impugnata � fondata sulla considerazione che la pronuncia del giudice prevista dall'art. 938 cod. civ. comprende l'attribuzione al costruttore, che abbia occupato una porzione del fondo attiguo, della �propriet� dell'edificio e del suolo occupato � (come testualmente si esprime la norma), e ne trae la conseguenza che il trasferimento derivante dalla sentenza si riferisce a entrambe le unit� immobiliari, che devono perci� essere assoggettate alla imposta di registro. Questa argomentazione, fondata esclusivamente sul dato formale della disposizione, non pu� essere condivisa. Per risolvere la delicata questione sono indispensabili alcune premesse d'ordine generale, nell'ambito delle quali vanno individuati la natura e gli effetti, anche ai fini t11ibutari che qui interessano, del fenomeno della cosiddetta accessione invertita. L'art. 938, che regola fistituto, � co11ocato sotto il Titolo II (Della propl1iet�), Capo III (Dei modi di acquisto della propriet�), Sez. II (Dell'accensione, della specificazione, dell'unione e della commissione). (1) Questione nuova risolta con coerente motivazione che tuttavia lascia qualche perplessit�. NelJ1a c.d. accessione invertita 11aicquiisto della propriet� in favore del costruttore non �, come nell'ordinaria, automatico ma � l'effetto di una manifestazione di volont� e di una sentenza costitutiva, che pu� intervenire anche dopo un notevole intervallo di tempo; e la sentenza costitutiva non pu� essere retroattiva. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DFJ.LO STATO La citata norma costituisce -nel sistema dei modi di acquisto della propriet� contemplati nella sezione II -una variante al generale principio enWlciato dall'art. 934 (secondo il quale quod inaedificatur solo cedit). in quanto conferisce alla autorit� giudiziaria il potere, nella ricorrenza di determJnati presupposti, di attribuire la propriet� del suolo e dell'edificio al costruttore, il quale � tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni. La fattispecie di cuii all'art. 938 si configura dunque come una precisa deroga agli effetti giuridici derivanti de iure dal fenomeno dell'accessione normale (significativamente l'art. 934, che disciplina l'istituto nella sua portata generale, contiene l'inciso � salvo quanto � disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 �); non pu� pertanto ritenersi che il concreto funzionamento della fattispecie derogatoria possa essere riguardato soltanto come un posterius rispetto ad una situazione giuridica anteriormente consolidatasi mediante l'acquisizione della costruzione da parte del proprietario del suolo, e non pu� di conseguenza ritenersi che la operativit� della deroga sia sostanzialmente rivoUa alla eliminazione della detta situazione, al fine di promuovere in sua vece la diversa regolamentazione del rapporto nel senso previsto dall'art. 938; In altri termini, la fattispecie dell'accessione invertita determina ex se, ossia autonomamente, il fenomeno giuridico indicato nella norma, anche se ne deriva un impedimento per il verificarsi dell'opposto fenomeno di cui all'art. 934. I due istituti (accessione normale e accessione cosiddetta invertita) non operano comulativamente, sia pure in via succedanea, ma hanno piena autonomia perch� la realizzazione dei presupposti e delle condizion!� alle quali � subordinata la regolamentazione del rapporto secondo lo schema indicato nell'art. 938 esclude radicalmente che si possa verificare, o che in precedenza siasi potuta verificare, l'altra situaz!ione delineata nell'art. 934. Cos� rettificata e impostata la linea interpretativa delle norme in esame, ne discendono, sul piano delle conseguenze giuridiche, alcune considerazioni di carattere risolutivo rispetto alla questione di cui qui si discute. La Commissione tributaria centrale ha ravvisato nella sentenza attributiva della propriet� del suolo al costruttore un duplice trasferimento tassabile; quello appunto del suolo e, inoltre, il trasferimento dell'edificio che il propr.ietario del suolo aveva in precedenza acquistato de iure mediante il semplice evento dell'avvenuta costruzione. Questa proposizione presenta per� un evidente hiatus nello sviluppo del ragionamento logico-giuridico che la dovrebbe sorreggere, in quanto presuppone che prima del realizzarsi della fattispecie dell'accessione invertita, cio� prima della pronuncia del giudice nel senso indicato nell'art. 938, abbia regolarmente prodotto i suoi effetti l'altro fenomeno dell'accessione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA normale (art. 934), le cui conseguenze sian� state perci� previamente rimosse dalla detta pronuncia. Dalle considerazioni innanzi svolte sulla portata delle norme che qui interessano emerge, invece, che la situazione giuridica prevista nell'art. 938 si costituisce in via primaria, ove ne sussistano tutti gli estremi, e non si sovrappone quindi temporalmente all'altra situazione di cui all'art. 934, e ne deriva -sempre in via primaria -la regolamentazione del rapporto in modo diverso, e quindi derogatorio, rispetto alla realizzazione di effetti previsti da altre norme. Se questi sono gli aspetti del rapporto che intercorre tra le diverse situazioni esaminate, non pu� dubitarsi, nel caso di esercizio in senso positivo del potere conferito all'autorit� giudiziaria dall'art. 938, che la sentenza assume carattere di pronuncia costitutiva, comportante il trasferimento della propriet� del suolo a favore del costruttore (come gi� � stato ritenuto da questa Corte con sentenza 28 aprile 1976, n. 1616 e con sentenza 11 giugno 1971, n. 1780), mentre l'attribuzione al costruttore della propriet� dell'edtficio, pure prevista dalla norma, pi� propriamente assume natura di pronuncia dichiarativa-ricognitiva di un effetto automatico derivante dal meccanismo dell'accessione invertita. La concreta operativit� di questa, facendo � accedere � il suolo al fabbricato, e non viceversa, produce la ulteriore conseguenza d~ far acquisire al costruttore, quale soggetto che ha eseguito la costruzione a sue spese, anche la titolarit� dominicale sull'edificio, e sotto questo profilo la pronuncia del giudice non opera sostanzialmente alcun trasferimento, ma si limita a dare atto deglii effetti che ipso iure sono conseguiti dal funzionamento della fattispecie. La conferma di questa conclusione si trae proprio dall'ultima parte dello stesso art. 938, la quale testualmente dispone che � il costruttore � tenuto a pagare al proprietal'io del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre al risarcimento dei danni�. Questa disposizione finale assume un carattere illuminante rispetto alla portata di tutta la norma perch� dimostra che il legislatore non ha annesso all'attribuzione dell'edificio al costruttore lo stesso significato che l'attribuzione stessa ha per il suolo. Per quest'ultimo, infatti, non soltanto ha qualificato � proprietario � il soggetto che in precede~a ne era titolare, dimostrando con ci� che dopo il verificarsi dell'accessione invertita la titolarit� del bene si intende trasferita al costruttore, ma ha fissato anche con precisione il corrispettivo spettante al proprietario del suolo a causa della perdita del bene. Per l'edificio, invece, non � stata prevista alcuna responsabilit� d'ordine patrimoniale nei confronti del proprietario del suolo, e ci� � chiaramente indicativo del fatto che per il detto edificio non si realizza alcun trasferimento a titolo oneroso, come presupposto di applicaoolit� dell'im RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 980 posta di registro (presupposto ritenuto indispensabile anche nell'ipotesi prevista dall'art. 47 dell'abrogata legge di registro: v. Cass., 15 dicembre 1966, n. 2946). Va aggiunto, per completezza di argomentazione, che nell'ipotesi in cui il costruttore non ritenga di chiedere all'autorit� giudiziaria i provvedimenti di cui all'art. 938, o se l'autorit� stessa non accoglie l'istanza, si determinano le situazioni di fatto previste in altre norme (artt. 934 e seguenti), che qui non interessa esaminare. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 maggio 1982, n. 3321 -Pres. Brancaccio -Est. Battimelli � P. M. Martinelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Milandri. Tributi in genere -Accertamento tributarlo -Motivazione � Metodo induttivo -Difetto di dichiarazione analitica -Legittimit�. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645; artt. 37 e 117). In mancanza di una dichiarazione analitica � addirittura impossibile eseguire un accertamento analitico ed � pertanto legittimo l'accertamento sintetico (1). (omissis) Con il ricorso principale dell'Amministrazione si censurano, con i due motivi, la decisione impugnata in relazione all'unica questione dibattuta, quella cio� della legittimit� di un accertamento induttivo nel caso di specie, per cui i due motivi vanno esaminati congiuntamente e vanno riconosciuti, per quanto di ragione, fondati. � invero esatto quanto dedotto dalla Amministrazione ricorrente circa la erronea interpretazione data, nella decisione impugnata, dell'art. 117 del t.u. n. 645 del 1958, in quanto la prima delle due norme non crea alcuna distinzione fra contribuenti non tassabili in base a bilancio, prescrivendo per tutti l'obbligo della dichiarazione con indicazione specifica degli elementi attivi e passivi (specificazione che, giusta quanto si evince dalla normativa dell'ultimo comma dell'art. 37, deve consistere nell'indicazione analitica di tali elementi) e limitandosi unicamente a richiedere, per la seconda categoria di contribuenti, l'indicazione degli estremi delle quietanze di pagamento delle tasse di concessione governativa rela (1) La massima � conforme a numerosissime altre, ma va segnalata per la precisione con la quale enuncia la correlazione tra dichiarazione e accertamento ponendo l'onere di dichiarazione analitica come condizione per il diritto all'accertamento analitico, diversamente impossibile (Cass. 3 marzo 1980, n. 1403, in questa Rassegna, 1981, I, 123; 29 gennaio 1981, n. 687, ivi, 593. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tive alla prima vidimazione dei libri contabili; ed in quanto specificamente l'art. 117, a proposito dell'accertamento dei redditi ai fini dell'imposta di R. M., detta delle norme generali, valevoli per ogni specie di contribuenti, e prescrive l'obbligo dell'accertamento mediante determinazione dei singoli elementi attivi e passivi che lo compongono solo se il contribuente (ottemperando non gi� ad un obbligo che nessuna norma sancisce, ma sobbarcandosi ad un onere inteso a garantirgli un accertamento analitico) abbia fornito tutti i dati ed esibito tutti i libri, scritture e documenti necessari per il controllo della completezza e veridicit� della dichiarazione (norma, questa, che rientra, con regolamentazione specifica in relazione ad una determinata imposta, nell'ambito del principio generale sancito dal ricordato 3� comma dell'art. 37). Il problema da risolvere, quindi, nella specie consisteva nell'accertare se fosse o meno necessario un accertamento analitico, quesito al quale non poteva non darsi che una risposta negativa; e ci� non tanto perch� non avendo il contribuente presentato alcuna documentazione, l'accertamento non doveva essere necessariamente analitico in base all'art. 117, quanto comunque perch� 11icorreva l'ipotesi di cui alla generale normativa dell'art. 37, terzo comma, non essendo richiesta motivazione analitica dell'accertamento in rettifica di una dichiarazione non analitica: e tale era senza dubbio quella in questione, in quanto, seppure la Commissione Centrale non ha motivato in proposito, risulta dalle pacifiche e concordanti affermazioni, sul punto, di entrambe le parti, che la dichiarazione del Milandri consisteva nell'esposizione di due sole cifre, la prima relativa all'intero attivo lordo, non meglio specificato, e la seconda all'importo globale delle passivit� e. spese, anche questo non meglio specificato. Una dichiarazione del genere non poteva dirsi rispondente al disposto del primo comma dell'art. 24 ed era tale da non consentire all'ufficio, in mancanza, altres�, di qualsiasi elemento probatorio fornito dal contribuente, di procedere ad una specifica contestazione di entrambe le poste (attivo e passivo), per cui l'ufficio necessariamente doveva procedere ad un accertamento sintetico, da considerarsi pienamente legittimo, al contrario di quanto ha ritenuto la decisione impugnata, che ha definito erroneamente analitica la dichiarazione in questione, senza motivazione. Il ricorso principale va pertanto accolto, mentre non pu� accogliersi il ricorso incidentale. A torto, invero, il Milandri ritiene che l'accertamento avrebbe dovuto riconoscersi illegittimo (indipendentemente dal modo come era stata effettuata la �dichiarazione) in s� e per s�, in qua1I1to non motivato. L'accertamento, come risulta dall'esposizione che lo stesso ricorrente fa nel motivo di ricorso, era, in quanto accertamento induttivo, sufficientemente motivato, in modo tale che il contribuente bene avrebbe potuto difendersi nel merito innanzi alle commissioni tributarie, indicando l'ammontare dei vari compensi percepiti per le sue attivit� professionali (cosa che non ha fatto, avendo preferito unicamente sollevare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO questioni di legittimit� dell'accertamento). In realt�, l'accertamento non era analiticamente motivato, ma tale obbligo non gravava sull'ufficio, in difetto di una dichiarazione non analitica, in base al disposto del terzo comma -dell'art. 37 del t.u., per quanto in precedenza chiarito nell'esaminare il ricorso principale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 giugno 1982, n. 3436 -Pres. Brancacaio Est. Ricciardelli -P. M. Dettori (conf.). Drago c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Accertamento -Motiva� zione Criteri -Stima diretta � Legittimit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 48 e 49). Il controllo del valore dei beni non deve essere eseguito necessariamente utilizzando tutti gli elementi indicati nell'art. 48 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, ma pu� seguire un criterio rientrante nel metodo valutativo di comparazione con altri immobili o nel metodo della redditivit�; � di conseguenza legittima la motivazione dell'accertamento contenente il riferimento alla stima dell'U.T.E. eseguita tenendo conto della consistenza, ubicazione e qualit� dei beni, qualora gli elementi siano espressi in modo specifico (1). (omissis) Alla stessa conclusione deve poi pervenirsi anche per quanto riguarda gli altri due motivi, che, per la loro stretta connessione, vanno congiuntamente esaminati; lamentando il mancato accoglimento dell'eccezione di nullit� dell'accertamento per vizio di motivazione, i ricorrenti pongono anche a questa Corte Suprema il quesito se il richiamo alle modalit� stabilite per l'imposta di registro, per la notificazione dell'avviso di rettifica, contenuto nell'art. 20 del d.P.R. 643 del 1972, implichi il rinvio al secondo comma dell'art. 48 della legge del registro, il quale enuncia i criteri per il controllo dei valori venali dichiarati nell'atto sottoposto a (1) Decisione di molto interesse. Da una lettura formalistica dell'art. 48 della nuova legge di registro poteva sembrare che fosse rimasto escluso dai metodi di valutazione quello della stima diretta, che � poi quello pi� diffusamente praticato. Ci� avrebbe potuto rendere assai problematica la motivazione dell'accertamento e perfino impossibile la valutazione quando non si rinvengano dati di comparazione specifici ed aggiornati e quando per la natura dei beni (a bassa produttivit� ma di elevato valore di suscettibilit�) non pu� essere utilmente praticato il metodo della capitalizzazione del reddito. Ora si torna a riconsiderare che la stima diretta, che tenga conto di elementi specifici, � pur sempre un'operazione che rientra nel principio della compara� zione o, se del caso, della capitalizzazione e quindi in armonia con l'indirizzo della norma che, in definitiva, non si discosta dai criteri seguiti ante11iforma dall'art. 16 del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639. i I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 983 registrazione; se conseguentemente, debba considerarsi legittimo il maggior valore determinato mediante l'applicazione di criteri diversi, nella stima eseguita dall'ufficio tecnico erariale. Le censure alla decisione impugnata, che ha disatteso la tesi dei contribuenti, non sono fondate. �Invero, accertato che nella fattispecie l'avviso di rettifica � stato notificato quando il testo del terzo comma �dell'art. 20 (sostituito una prima volta daM'art. 1 del d.P.R. 23 gennaio 1974, n. 688 in vigore dal 29 dicembre 1974 e una seconda volta dall'art. 6 della legge 22 dicembre 1975, n. 694) stab�liva solamente il termine annuale di decadenza per la notifica, questo rilievo offre la chiave di soluzione, poich� in assenza di specifiche norme circa la scelta dei mezzi e dei metodi d'indagine, non � dubbio che l'attiv.it� di accertamento sia rimessa al criterio discrezionale dell'organo impositore, con l'unico limite che l'atto consenta al contribuente la possibilit� di conoscere gli elementi dell'indagine ai fini della loro contestazione. Ma anche il testo legislativo vigente, terzo comma, art. 20 d.P.R. n. 643 del 1972 sostituito dalla legge n. 694 del 1975 non porterebbe ad un risultato diverso, poich� il metodo di controllo del valore venale dichiarato ai fini della formazione della .base imponibile dell'imposta di registro, applicabile anche all'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, non implica che la verifica sia eseguita, utilizzando tutti gli elementi indicati nella disposizione di legge. Viceversa � sufficiente che i criteri applicati rientrino nel metodo valutativo di comparazione con altri immobili che si trovino in analoghe condizioni ovvero in quello della redditivit� previsti dall'art. 48 del d.P.R. 634 del 1972, come modificato dal d.P.R. 914/77; pertanto il riferimento, nell'avviso di rettifica, alla stima dell'Ufficio tecnico erariale, eseguita tenendo conto della consistenza, dell'ubicazione e della qualit� dei beni trasferiti, in rapporto al valore di mercato, corrente nella zona dove essi sono ubicati, � sufficiente, qualora gli elementi siano espressi in modo specifico, ad integrare una valida motivazione della rettifica. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 giugno 1982, n. 3898 -Pres. Miele Est. Sgroi -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero. delJe Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Cassa di Risparmio di Parma. rributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Assegni I.C.C.R.I. � Natura � Compensi pagati dall'I.C.C.R.I. alle Casse di Risparmio � Interessi di puro impiego di capitale -Esclusione -Costituiscono entrata e imponibile. (I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 1, Jett. f), art. 3, Jett. e)). Gli interessi che le Casse di Risparmio ricevono dall'l.C.C.R.l. come corrispettivo per la disponibilit� di somma di danaro nel tempo intercor� 9 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 984 rente tra l'emissione e l'estinzione degli assegni, non hanno natura di puro impiego di capitale (inquadrabili nella Categoria A dell'imposta di ricchezza mobile) ma di interessi inerenti all'esercizio della impresa bancaria (inquadrabili nella Categoria B); di conseguenza detti interessi non sono esenti dall'I.G.E. a norma deoll'art. 1 lett. f) della legge 19 giugno 1940, n. 762, ma costituiscono entrata imponibile a norma dell'art. 3, lett. C (1). (omissis) Con l'unico motivo, l'Amministrazione Finanziaria deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 lett. c) della legge 19 giugno 1940, n. 762, in relazione agli artt. 1282 e 1703 cod. civ., nonch� omessa ed erronea motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., osservando che erroneamente e con motivazione insufficiente ed incongrua la Commissione Centrale ha riconosciuto la natura di interessi, esenti da IGE, ai proventi in questione, Hquidati dall'ICCRI a favore de1la Cassa di Risparmio al di fuori del conto corrente generale intercorrente fra i due Istituti, nel quale i movimenti di capitale fra gli stessi trovano la loro pi� completa espressione, senza considerare che -essendo appunto gli interessi contabilizzati gi� nel suddetto conto generale -i proventi di cui trattasi non possono avere altra funzione che quella di remunerare un servizio prestato dalla Cassa a favore dell'ICCRI, in relazione alla disponibilit�, da parte di quest'ultimo, delle somme corrispondenti agli assegni in circolazione, senza sopportare gli oneri dell'organizzazione del servizio degli assegni stessi. Il ricorso � fondato. In primo luogo, la Commissione Centrale non ha compiuto, in fatto, un adeguato accertamento del raipporto che � assai pi� complesso di quanto risulta dalla sua scarna esposizione. Invero, la stessa Cassa di Risparmio controricorrente ammette che -accanto al c/c di corrispondenza generale, intrattenuto tra l'ICCRI e la Cassa di Risparmio -esiste un separato c/c assegni, intrattenuto allo scopo di rilevare e quantificare l'utilit� del denaro (depositato dalla Cassa presso l'ICCRI a titolo �di provvista degli assegni bancari tratti dalla Cassa) fra la data dell'emissione e quella del pagamento. L'assunto della controricorrente -condiviso dalla Commissione centrale -� che in tale conto corrente � assegni � maturano interessi dovuti �per il periodo di circolazione dell'assegno, a fronte della disponibilit�, da parte dell'ICCRI, deHe somme relative. Tale assunto non � per� sufficiente ai fini della corretta soluzione del problema, che � esclusivamente di carattere fiscale. 0) Conforrili sono le sentenze in pari data n. 3899, 3900 e 3901. Con pi� lineare motivazione, la S.C. ritorna sulla posizione gi� affermata con la sentenza 12 febbraio 1979, n. 933 (in questa Rassegna, 1979, I, 351) che aveva abbandonato con l'altra sentenza 17 giugno 1981, n. 3938 (in Riv. leg. fisc. 1982, 268). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA '.� vero, infatti, che il compenso per la disponibilit� di somme si deve qualificare come �interesse�, ma � anche vero che la disciplina tributaria degli interessi contenuta nel �r.d.l. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito in tlegge 19 giugno 1940, n. 762, poggia sulla distinzione degli stessi, in funzione della categoria nella quale erano classificabili agli effetti dell'abrogato tributo di ricchezza mobile. Erano esenti� dall'I.G.E. quelli classificabili in cat. A, derivanti dal puro impiego di capitale (art. l, secondo comma, lett. f) e derivanti da depositi bancari da c/c. Erano, invece, soggetti ad imposta gli interessi classificabili in cat. B (art. 3 lett. e) secondo cui costituiscono entrata imponibile gli interessi attivi a qualunque titolo percetti da societ�, da istituti ed aziende in dipendenza dell'esercizio del credito, non classificabili ai fini dell'imposta di ricchezza mobile in cat. A). '.� da notare che la medesima disposizione considera entrate imponibili � le provvigioni ed i corrispettivi percetti per operazione o servizi compiuti a favore di clienti �. La dialettica delle tesi fra le parti si � istituita confrontando quest'ultima parte d�lla norma con quella dell'art. 1, secondo comma lett. f), quasi che l'alternativa fosse possibile soltanto fra � corrispettivi di servizi� da un lato ed �interessi� dall'altro. In realt�, con riguardo al secondo termine, l'alternativa � pi� complessa, perch� per essere esente da I.G.E. un'entrata classificabile come interesse deve altres� derivare da puro impiego di capitale. Nella specie, potrebbero considerarsi interessi non soggetti all'I.G.E. quelli corrisposti dall'ICCRI alla Cassa di Risparmio sul �conto particolare assegni�, a patto di ritenere che costituiscano la pura e semplice remunerazione del capitale della Cassa depositato presso l'ICCRI a titolo di provvista degli assegni ICCRI tratti dalla Cassa. Tale assunto non pu� essere condiviso, sol che si dimostri che si tratti di un'entrata derivante dall'esercizio del credito, come tale soggetta ad imposizione a norma dell'art. 3 della legge del 1940. Gli interessi percepiti da aziende ed istituti di credito, ad esclusione di quelli derivanti dai titoli posseduti, concorrono a formare il reddito imponibile di cat. B (art. 85, ultimo comma, del d.P.R. n. 645 del 1958) ed essi sono pertanto imponibili ai fini dell'I.G.E., perch� il capitale che frutta detti interessi non � affidato in gestione a terzi depositari (mentre il depositante si limita a riscuoterli, senza esercitare alcuna attivit�), ma � gestito dal titolare del capitale stesso, in quanto la sua messa a frutto � inerente alia sua attivit� professionale imprenditoriale normale. '.� infatti evidente il riferimento dell'art. 3 lett. e) alle leggi bancarie del 1938, per cui in linea di principio una Cassa di Risparmio, che esercita la raccolta di risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l'esercizio del credito (art. 1 della legge 7 marzo 1938, n. 141, modificato dalla legge 986 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 7 aprile 1938, n. 636) rientra fra i soggetti che percepiscono interessi I imponibili. Invero, la formula dell'art. 3 lett. e) della legge dell'I.G.E. � strutturata in modo che non solo gli interessi, ma altres� i compensi ed i corrispettivi comunque denominati che le aziende di credito ritraggono dalla propria attivit�, sono soggetti ad I.G.E., in quanto la norma usa l'espres I sione �interessi�, �provvigioni� ed infine quella amplissima �corrispettivi �. Se le banche rendono un servizio alla clientela, non possono sfuggire all'imposizione su qualsiasi specie di corrispettivo, per ogni e qualsiasi prestazione. Stante l'espressione dell'inciso �non classificabili ai fini dell'imposta di ricchezza mobile in cat. A>>, sorge il problema di stabilire se anche le banche possono realizzare interessi non imponibili ai fini dell'I.G.E. La risposta � positiva, per il testuale riferimento agli interessi derivanti dai titoli posseduti, contenuto nell'art. 85 del t.u. n. 645 del 1958; e altres� si � ritenuto che (come gli interessi sui depositi bancari, anche in c/c, a favore del depositante sono esenti da I.G.E., ai sensi dell'art. 1, lett. f) della legge del 1940), cos� l'esenzione sussiste anche se il titolare del deposito bancario, anche in c/c, � un'azienda di credito, ogni volta che essa abbia eccedenza di fondi sulle operazioni attive o di impiego che ~: I compie normalmente. Tale esenzione (che � quella di cui si vuole avvalere la controricorrente) deve essere delimitata per� agli interessi classificabili in cat. A, f: I cio� a quelli dei capitali dati a mutuo o altrimenti impiegati (art. 86 !: t.u. imposte dirette), ma non pu� comprendere gli interessi alla produzione I dei quali concorrono insieme il capitale ed il lavoro, come quelli derivanti dall'esercizio di imprese commerciali ai sensi dell'art. 2195 cod. civ. Come ammette la controricorrente (pag. 4 del controricorso) la circolazione ed il pagamento degli assegni giova alle singole Casse di Risparmio I le quali, non emettendo assegni circolari (si tratta di un periodo anteriore alla recente istituzione degli assegni circolari delle Casse di Risparmio) I sono in grado di offrire alla clientela un titolo di credito (assegno bancario ICCRI) di fatto equivalente all'assegno circolare. Che l'ICCRI renda un servizio tramite la gestione unificata dei rap I porti, a cui partecipano tutte le Casse, che rende possibile la circolazione dei titoli ed il loro pagamento presso qualsiasi Cassa, non muta la realt� dell'espletamento di un servizio bancario da parte della Cassa di I Risparmio. ! � infatti la clientela di quest'ultima che, al momento della richiesta dell'assegno bancario ICCRI, versa alla Cassa la provvista ed in tal modo ! la Cassa raccoglie capitali, esercitando una funzione tipicamente bancaria. � evidente che l'interesse della Banca all'assunzione del servizio I deriva dal lucro della produzione di interessi sulla somma portata dal I ! I ( PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA titolo, fra il momento della sua emissione ed il momento della sua estinzione. Poich� per� detti capitali (acquisiti dalla Cassa di Risparmio presso la propria clientela) sono messi a disposizione dell'ICCRI (trattario), a favore del quale producono interessi, l'ICCRI riconosce un compenso che non pu� essere qualificato come un puro e semplice interesse di cat. A, perch� non deriva da un semplice impiego di capitale, in quanto la Cassa non lo riscuoterebbe se non avesse provveduto al servizio bancario di emissione ed estinzione degli assegni. �Il conto circolazione assegni� ha lo scopo di ripartire l'utile del capitale raccolto fra la clientela, in funzione del servizio prestato alla clientela stessa, fra i due soggetti che lo forniscono in concorso ,e cio� fra l'ICCRI e la Cassa di Risparmio. Il meccanismo utilizzato per commisurare tale utile � collegato al periodo di tempo intercorrente fra la data di emissione e quella di estinzione degli assegni, periodo in rapporto al quale maturano interessi che costituiscono la remunerazione non di un puro e semplice capitale, ma di un capitale impiegato in operazioni bancarie, e quindi sono soggetti ad I.G.E. Il conto particolare assegni � stato istituito per evitare che la Cassa traente non abbia alcuna utilit� dalla provvista ricevuta dal cliente ed accreditata immediatamente all'ICCRI (che -a sua volta -trae l'intera utilit� delle somme accreditate per tutto il periodo corrente fra l'emissione dell'assegno e la sua estinzione), in quanto l'accredito nel conto generale comporta da parte dell'ICCRI l'acquisto della piena disponibilit� della somma. Isolando dal conto generale le partite nascenti dalla circolazione degli assegni, le parti regolano la produzione e l'attribuzione fra di loro degli interessi sulle somme corrispondenti agli assegni emessi da ogni Cassa e gi� accreditate nel conto generale a favore dell'ICCRI. Contestualmente a taile accredito, a sua volta l'ICCRI accredita fa Cassa dello stesso importo ed addebita la medesima somma al momento dell'estinzione dell'assegno. Sulla giacenza media del conto si calcolano gli interessi, che in tal modo remunerano un capitale messo a frutto dalla Cassa nella sua lattiv.it� tipicamente bancaria (raccolta del risparmio e creazione di assegni bancari che hanno la medesima funzione di quelli circolari), tramite l'impiego presso l'ICCRI (allo stesso modo che altri capitali della Cassa possono essere impiegati accreditandoli a terzi imprenditori, che devono pagare interessi derivanti dall'esercizio del credito, soggetti ad IGE). Poich�, insomma, l'utile a favore della Cassa � inerente alla sua attivit� di impresa bancaria, non pu� qualificarsi �interesse di puro impiego di capitale� ai sensi dell'art. 1 lett. f) della legge n. 762 del 1940. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La decisione impugnata va pertanto cassata e le parti vanno rimesse dinanzi alla Commissione tributaria centrale, per nuovo esame della controversia alla luce dei suddetti principi. La prospettiva adottata consente di superare le impostazioni date da questa Corte al problema, con soluzioni opposte, rispettivamente con le sentenze n. 933 del 1979 e n. 2404 del 1980, da un lato, e n. 3938 del 1981, dall'altro; e costituisce altres� motivo per compensare le spese del giudizio di cassazione fra le parti. (omissis) I ! l J I I I I I SEZIONE SETTIMA . GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 novembre 1982, n. 5792 -Pres. Brancaccio -Est. Bologna -P. M. Grimaldi (parz. diff.). -Istituto Poligrafico e Zecca .dello Stato (avv. Stato Fiengo) c. Operamolla (avv. Lanzara). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Variazioni -Diritto al pagamento del corrispettivo Condizioni. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 342; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 13: d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 12). Appalto -Appalto di opere pubbliche -1lnteressi sulle somme riconosciute dal giudice � Art. 36, quarto comma, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 � Applicabilit� ad enti non statali � Esclusione. (d.m. 28 maggio 1895, art. 40; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36, quarto comma). In tema di appalto di opere pubbliche l'appaltatore pu� pretendere un maggior compenso per le variazioni e le addizioni di lavori non previsti dal contratto quando il direttore abbia richiesto od autorizzato con ordine scritto le variazioni ed addizioni, ovvero, in difetto di ordine scritto, quandLJ sia stata fatta nel verbale di collaudo espressa menzione della loro esecuzione e necessit� al fine della realizzazione dell'opera pubblica (1). La particolare decorrenza degli interessi a far data dal trentesimo giorno successivo alla registrazione da parte della Corte dei Conti del decreto che d� esecuzione alla decisione della controversia -� decorrenza preveduta dall'art. 36, comma quarto, del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 non pu� valere nel caso di appalti convenuti da enti i cui atti non sono soggetti a registrazione, anche se il contratto si richiami al capitolato generale per la disciplina del rapporto (2). (1) Cass., 5 febbraio 1979, n. 745, in Giust. civ. Rep., 1979, opere pubbliche, 57, che ha esaminato un caso in cui le variazioni apportate al progetto dall'appaltatore erano state riconosciute nel verbale di collaudo come indispensabili alla realizzazione dell'opera e meritevoli di collaudazione, ha anche affermato che in questo caso il diritto al compenso nasce dalla approvazione del collaudo e da questo momento iniziano perci� a decorrere gli interessi per il ritardo nel pagamento. Cass., 17 ottobre 1977, n. 4430, � pubblicata in questa Rassegna, 1977, I, 907. (2) La decisione della Corte d'appello di Roma, confermata sul punto dalla Cassazione, � conforme ad un indirizzo giurisprudenziale oramai costante, risa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il secondo motivo (violazione degli artt. 342, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, 13 r.d. 25 maggio 1895, 12 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di appello avrebbe affermato il diritto dell'appaltatore al pagamento di lavori aggiuntivi, pur in mancanza di ordini scritti del direttore dei lavori, e pur non avendo, peraltro, nemmeno il direttore dei lavori il potere di disporre modifiche del pro getto e del contratto. ' La censura � infondata e non merita accoglimento. In tema di appalto di opere pubbliche l'appaltatore pu� pretendere una maggiore compenso per le variazioni e le addizioni di lavori non previsti dal contratto quando il direttore abbia richie.sto ed autorizzato con ordine scritto le variazioni ed addizioni, ovvero, in difetto di ordine scrtto, quando sa stata fatta nel verbale di collaudo espressa menzione della loro esecuzione e necessit� al fine della realizzazione dell'opera pubblica (Cass., 1979, n. 745, 1977 n. 4430). Ispirandosi a detto principio, la sentenza impugnata ha fatto rilevare, a proposito dei piccoli lavori aggiuntivi eseguiti dall'impresa appaltatrice, che quest'ultima ha sempre eseguito le disposizioni della Direzione dei lavori; in particolare, ha richiamato l'atto idi collaudo dei lavori in generale nel quale si d� atto che i lavori eseguiti corrispondono a quelli previsti dal progetto, salvo lievi modificazioni rientranti nei poteri discrezionali della Direzione dei Lavori (e che costituiscano i lavori aggiuntivi di cui trattasi) e che i :lavori eseguiti (quindi anche quelli aggiuntivi) rispondono alle varie disposizioni impartite dalla medesima Direzione. Con il terzo motivo (violazione degli artt. 36 e 40 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e 1362 e segg. cod. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione) il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di merito ha attribuito all'impresa gli interessi con decor_renza dalla data della domanda di arbitrato, mentre, in forza dell'art. 36 del capitolato generale per le opere pubbliche approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, gli interessi, quanto meno, non erano dovuti per il periodo anteriore alla decisione, in quanto decorrenti soltanto dal trentesimo giorno successivo alla registrazione da parte della Corte dei Conti del decreto di esecuzione dell'atto risolutivo della controversia in sede contenziosa. La censura � priva di fondamento. lente gi� all'interpretazione dell'art. 40 del d.m. 28 maggio 1895: si confrontino al riguardo Cass., 23 novembre 1971, n. 3398, in Foro it., 1972, I, 2207; 25 mag� gio 1973, n. 1527, in Giust. civ. Rep., 1973, opere pubbliche, 88; 27 novembre 1975, n. 3958, in Arch. giur. op. pubb., 1975, Il, 204; 18 novembre 1976, n. 4304, in Giust. civ. Rep., 1976, opere pubbliche, 7; 10 agosto 1977, n. 3679, ivi, 1977, ad vocem, 19; 13 dicembre 1977, n. 5413, in Arch. giur. op. pubb., 1978, Il, 67. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Esattamente al riguardo i giudici di appello hanno affermato che sulla somma dovuta complessivamente all'imprenditore decorrono gli interessi legali dal 4 gennaio 1969, data in cui l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato era stato messo in mora con la domanda di arbitrato, e che l'art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962 (riguardante la diversa decorrenza degli interessi dalla data di registrazione da parte della Corte dei conti del decreto di esecuzione della decisione del.ila <:ontroversia) non � applicabile alla fattispecie avente carattere negoziale e riguardante enti non statali. Siffatta decisione si ispira all'orientamento di questa Corte, secondo cui la particolare decorrenza degli interessi a far data dal trentesimo giorno successivo alla menzionata registrazione della Corte dei Conti (art. 36 citato) riguarda solo le somme dovute in dipendenza di controversie defini:te in via amministrativa ed arbitrale e sempre che l'atto risolutivo della controversia sia registrato alla Corte dei Conti, e non trova applicazione nei giudizi ordinari per i quali vale il principio di diritto comune secondo cui gli interessi legali decorrono dalla data della domanda giudiziale; invero quella particolare decorrenza � stata predisposta in favore dell'Amministrazione dello Stato ed ha carattere eccezionale quindi non interpretabile estensivamente (Cass., 1977 n. 3679, 1977 n. 5413, 1976 n. 4304, 1975, n. 3958 e altre). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 novembre 1982, n. 6093 -Pres. R. Sandulli -�Est. Corda -P.M. Nicita (conf.) -Soc. S.I.P.A. (avv. Bindi, Romanelli e Coronas) c. Amministrazione dei lavori pubblici (Avv. Gen. Stato) e Consorzio per l'acqua potabile ai comuni della provincia di Milano (avv. Ferreri e Nespor). Acque -Giudizio e procedimento -Impugnazioni -Regolamento necessario di competenza -Ammissibilit�. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 208; cod. proc. civ., art. 42 ss.). Acque -Comp,etenza e giurisdizione . Domanda di accertamento della demanialit� proposta in via principale -Competenza dei tribunali delle acque � Sussiste. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140 lett. A). Acque � Acque sotterranee � Condizioni di pubblicit� � Controversia relativa � Competenza dei tribunali delle acque. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 1, 92 ss., 103, primo comma, 140, 143 e 144). Contro le sentenze pronunciate dai tribunali regionali delle acque pubbliche � esperibile il regolamento di competenza, quale preveduto dagli iartt. 42 e ss. del vigente codice di procedura civile la cui applicabilit� 992 RASSEGNA D�LL'AVVOCATURA DELLO STATO si fonda sul richiamo al codice di rito contenuto nell'art. 208 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, che costituisce non tanto un richiamo in senso tecnico quanto la enunciazione del comune principio dell'applicabiUt� della legge generale dove quella speciale non disponga (1). V a decisa con efficacia di giudicato dal giudice specializzato ogni questione circa la demanialit� delle acque che sorga tra privati in relazione all'oggetto della controversia, e ci� sia che la questione sorga in via incidentale in un giudizio cui � estranea la P.A., sia a maggior ragione ove costituisca oggetto di una domanda principale proposta anche in confronto della P. A. (2). La pubblicit� delle acque sotterranee dipende, come in genere per le acque superficiarie, dalla loro attitudine a soddisfare interessi generali, mentre non rileva la presenza di una conforme preventiva classificazione la cui mancanza non pu� perci� precludere l'attribuzione della relativa controversia alla competenza dei tribunali regionali delle acque (3). (omissis) 1. -Col primo motivo, la ricorrente deduce che allorch� viene instaurata una causa davanti al Tribunale regionale delle acque IIper ottep.ere una pronuncia sulla pubblicit� delle acque, il detto giudice � sempre competente (nella specie la domanda era stata proposta direttamente a1 detto giudice specializzato, in modo autonomo, sia pure con riferimento a una controversia in atto). Col secondo motivo si duole che il Tribunale predetto si sia dichiarato incompetente a decidere sulla i pubblicit� delle acque del pozzo e sulle conseguenze che dalla pubblicit� derivavano alla validit� ed efficacia del contratto, indipendentemente da eventuali motivi di nullit� per vizi del consenso. Assume che, nella spe I ' cie, era stato chiesto al Tribunale Regionale di affermare o escludere la pubblicit� delle acque con riferimento all'epoca in cui fu stipulato il , . contratto col Consorzio e non con riferimento a un'epoca successiva: e, i i:' (1) Sulla disciplina del giudizio davanti ai tribunali delle acque, cfr. Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1981, n. 5693 e 14 dicembre 1981, n. 6591, in questa Rassegna, 1981, I, 844 con richiamo di precedenti all'indirizzo riaffermato dall'attuale pronunzia. (2-3) Nel senso che le questioni relative alla demanialit� delle acque che si presentino come impreteribile presupposto per decidere la questione principale in una controversia tra privati, non possano essere decise dall'organo giurisdizionale di diritto comune, ma vadano devolute al tribunale regionale delle acque, cfr., da ultimo Cass., 26 marzo 1981, n. 1759, in Foro it., 1981, I, 1577 e in Giust. civ., 19&1, I, 1253, resa in un caso in cui si controverteva fra privati sulla validit� di un contratto di fornitura di acqua potabile. Nello stesso senso, con riguardo ad ipotesi di acque sotterranee e con identica soluzione del problema affrontato dalla terza massima, Cass., 10 gennaio 1980, n. 187, in Giust. civ., 1980, I, 563. In tema di pubblicit� delle acque sotterranee cfr. altres�, Trib. Sup. Acque, 5 dicembre 1981, n. 45, in questa Rassegna, 198.1, I, 867. PARTE I, SBZ. VII, GlURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI inoltre, di precisare quali diritti essa ricorrente possa vantare in conseguenza della dichiarata pubblicit� dell'acqua: domanda, questa, che si inquadra perfettamente nella previsione dell'art. 140 lett. e), del t.u., in quanto si tratta di questione avente ad oggetto diritti relativi alla utiliz� zazione delle acque pubbliche. Ha chiesto, perci�, che sia dichiarata la competenza del Tribunale Regionale di Milano a decidere sulla pubblicit� delle acque oggetto della causa e sulle conseguenze che dalla dichia� razione di pubblicit� derivano in relazione al contratto con il Consorzio nonch� sui diritti delle parti in ordine all'uso delle acque predette. Il Consorzio replica con un'eccezione di inammissibilit� dell'istanza di regolamento, nell'assunto che tale mezzo di impugnazione non sarebbe previsto n� dagli articoli 147 e seguenti del t.u., n� dal codice di procedura civile del 1865 (cui rart. 208 del t.u. rinvia per quanto non espressamente disciplinato): e, altres�, nell'assunto che il ricorso non sarebbe stato notificato al Ministero dei Lavori Pubblici nel termine previsto dall'art. 47, secondo comma, cod. proc. civ. Nel merito, deduce: che la domanda di accertamento della pubblicit� dell'acqua non avrebbe, nel caso concreto, alcun carattere di pregiudizialit� rispetto alla domanda concernente la validit� del contratto fra la ricorrente S.I.P.A. ed esso Consorzio ;che le dette domande sono fra loro scindibili; che sussiste, infine, il difetto di giurisdizione in ordine alla istanza di accertamento del diritto della ricorrente S.I.P.A. a ottenere la concessione, essendo attualmente ancora in corso il procedimento amministrativo volto a iscrivere l'acqua negli elenchi delle acque pubbliche. Ha chiesto, pertanto, che sia confermata la sentenza impugnata, salva la dichiarazione di difetto di giurisdizione del Tribunale Regionale in ordine alla domanda di accertamento del diritto alla concessione. Il Ministero dei Lavori Pubblici, a sua volta deduce: che non sussisterebbe, in concreto, la pregiudizialit� della questione sulla pubblicit� delle acque; che sussisterebbe il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. in ordine alla domanda relativa al diritto della S.I.P .A. a ottenere la concessione, non essendo configurabile, in capo al privato, una posizione di diritto soggettivo. Ha chiesto, perci�, la conferma della sentenza impugnata, magari rettificata nella motivazione. 2. -L'eccezione di inammissibilit� dell'istanza di regolamento � infondata. Il richiamo che l'art. 208 del t.u. fa al codice di procedura civile costituisce, pi� che un richiamo in senso tecnico, l'enunciazione del comune principio dell'applicabilit� della legge generale laddove quella speciale non dispone (S~z. Un. n. 5693/81). Esso, quindi, importa l'applicabilit� del codice di procedura che vige nel momento in cui il processo si svolge; di modo che non pu� dubitarsi che contro le sentenze pronunciate dai tribunali regionali delle acque pubbliche sia esperibile il mezzo di impu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gnazione previsto dagli articoli 42 e seguenti del vigente codice di pro� cedura civile. L'istanza poi, risulta notificata anche all'Amministrazione dei lavori pubblici nel termine (perentorio) di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza; infatti, il biglietto di cancelleria contenente il dispositivo della decisione qui impugnata � stato notificato alla S.I.P.A. in data 6 ottobre 1981, e la notifica del ricorso al Ministero dei Lavori Pubblici � avvenuta il successivo 6 novembre. 3. -Quanto al merito dell'istanza, � da ricordare che la Societ� istante ha proposto le seguenti domande: A) dichiarazione, affermativa o negativa, della natura pubblica dell'acqua del pozzo, con richiesta: a) nella prima ipotesi, di declaratoria di nullit� del contratto, col riconoscimento del diritto di essa istante a ottenere la concessione dell'estrazione, ai sensi degli articoli 4 e 104 del t.u.; b) nella seconda ipotesi, annullamento del contratto, perch� inficiato da errore ,e violenza, e privo di causa, o rescissione dello stesso perch� stipulato in stato di necessit� e pericolo; B) condanna, in ogni caso, del Consorzio al rimborso delle somme pagate in esecuzione dell'accordo ,con gli interessi e la rivalutazione monetaria. Ci� premesso, � da rilevare che, in ordine alla domanda sub A), la tesi prospettata in questa sede dalla ricorrente appare corretta, quando afferma che � controversa fra Je parti la natura demaniale o privata delle acque estraibili dal pozzo; che la decisione di detta questione � stata chiesta in via principale e autonoma e che la relativa statuizione pu� essere data solo dal tribunale regionale delle acque pubbliche, ai sensi degli articoli 140 e seguenti del t.u., a prescindere dalla rilevanza che l'accertamento pu� avere sulle domande di cui ai capi a) e b). Se, infatti, non si dubita (in conformit� all'orientamento costante di questa Corte; v., fra 'le tante, Ie sentenze n. 187/80, 4975/78, 2619/79, 1184/78, 1277/77 e 2137/74) che in una controversia fra privati, allorch� sorge questione, sia pure in via incidentale, circa la demanialit� o meno delle acque che ne formano oggetto, la questione stessa deve essere necessariamente decisa con efficacia del giudicato dal giudice specializzato (e ci� anche se la P.A. non partecipi al giudizio, o non sia stato emesso alcun provvedimento amministrativo riguardante la natura delle acque stesse), a maggior ragione deve essere affermata la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche in un caso _..;. come quello concreto -in cui l'accertamento della natura delle acque costituisce oggetto della domanda principale, proposta anche nei confronti della P.A. La circostanza che nella specie si discuta della natura di acque sotterranee non pu�, d'altra parte, essere addotta per escludere la compe. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI tenza del giudice specializzato. Secondo l'orientamento giurisprudenziale pi� recente (v. le sentenze n. 187/80, 576/75 e 1766/73), infatti, in for:zJa del testo normativo contenuto nell'art. 1 del t.u. del 1933 (che riproduce l'art. 3, secondo comma, del r.d.l. 9 ottobre 1919, n. 161) le acque sotter11anee possono essere pubbliche come quelle superficiarie alla comune condizione della loro attitudine a soddisfare interessi generali, pur essendo o:vvio che tale attitudine per le acque sotterranee diviene attuale con la loro adduzione in superficie. Inoltre, nelle disposizioni speciali delle acque sotterranee (articoli 92 e seguenti del t.u.) non � dato individuare alcuna norma che consenta di considerare private le acque sotterranee e di ritenerle, invece, pubbliche dopo la loro eduzione e iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. La formale classificazione come pubbliche delle acque sotterranee, che pu� prescindere dall'esistenza di un comprensorio soggetto a tu:tela (art. 103, primo comma, del t.u.), presuppone pur sempre la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 1 del t.u. e, precisamente, la generale condizione circa l'attribuzione attuale o potenziale delle acque a usi di pubblico generale interesse, secondo il principio comune applicabile alle acque superficiali e sotterranee. Tale uniformit� di trattamento risulta anche dal successivo art. 144, secondo cui la competenza del Tribunale delle acque pubbliche (prevista dagli articoli 140 e 143) sussiste sia per le controversie relative alle acque pubbliche sotterranee, sia per quelle concernenti la ricerca, l'estrazione e l'utilizzazione delle acque sotterranee (non ancora dichiarate pubbliche) nei comprensori soggetti a tutela e in presenza di un interesse pubblico. Concludendo, quindi, su questo punto, va affermato che la competenza del tribunale regionale sussiste anche in tema� di controversie relative alla pubblicit� delle acque, indipendentemente dalla loro preventiva classificazione come acque pubbliche. In concreto, perci�, va affermata la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Milano in relazione alla domanda (sub A) avente ad oggetto la richiesta di pronuncia circa la pubblicit� dell'acqua estraibile dal pozzo per cui � causa. Delle due domande accessorie (sub a e sub b) alternativamente proposte, questa Corte non deve occuparsi, in questa sede di regolamento di competenza, per l'evidente ragione che in relazione ad esse non vi � stata alcuna pronuncia, neppure implicita, � sulla competenza �. Il Tribunale Regionale di Milano, infatti, ha declinato la propria competenza in base al rilievo (erroneo) che l'accertamento della natura pubblica delle acque in questione non aveva in concreto rilevanza pregiudiziale, in quanto difettava la condizione della gi� avvenuta iscrizione, delle acque predette, negli elenchi delle acque pubbliche. Una volta, quindi, rilevata l'erroneit� di. tale impostazione e dichiarata, conseguentemente, la competenza del Tribunale predetto in ordine alla predetta domanda che � principale, il RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO compito del giudice della competenza resta esaurito: spetter�, quindi, al giudice designato pronunciare in merito alla controversia, ovviamente col rispetto dei limiti interni della propria giurisdizione e competenza. 4. -Un discorso analogo a quello da ultimo svolto deve essere fatto per ci� che attiene �alla domanda sub b) (condanna del Consorzio al rimborso delle somme pagate in esecuzione dell'accordo, con gli interessi e la rivalutazione monetaria). Si tratta, anche in questo caso, di una domanda accessoria in relazione alla quale non vi � stata pronuncia, neppure implicita, � sulla competenza �. Se poi si volesse, in via di ipotesi, configurare la detta domanda come � principale �, l'istanza di regolamento sarebbe ancor meno proponibile, poich� finirebbe per assumere, contra legem, il carattere di istanza di � regolamento preventivo sulla competenza�. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III Penale, 27 settembre 1982, n. 1762 - Pres. De Martino -Rel. Lavosi -Rie. Pongiglione Alberto ed altri Parte civile Ministero del Tesoro (avv. dello Stato Bruni). Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Giudizio direttissimo -Applicabilit�. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Questione di legittimit� costituzionale per contrasto con l'art. 10 della Costituzione e con il Trattato di Roma istitutivo della CEE -Manifesta infondatezza. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni 8I portatore . di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Pegno a favore di terzi gravante sulle azioni -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Determinazione del valore delle attivit� non dichiarate, al fine della irrogazione della pena pecuniaria, sulla base del capitale sociale -Legittimit�. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Prova del danno subito dalle Amministrazioni delle Finanze e del Tesoro -ti: in � re ipsa �. Reato Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 1, ottavo comma, d.l. 4 marzo 1976, n. 31 -Inapplicabilit�. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 240 cod. pen. Applicabilit�. Il giudizio direttissimo deve ritenersi obbligatoriamente prescritto non solo per i reati originariamente previsti dal d.l. 4 marzo 1976, n. 31, ma anche per quelli che ad essi furono aggiunti dalle leggi successive, ed , ..�. 998 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in particolare dall'art. 2 della legge n. 159 del 1976, cos� come modificato dall'art. 3, della legge n. 689 del 1976 (1). Poich� l'art. 10 della Costituzione dispone che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, e il Trattato di Roma, che regola i rapporti tra alcuni Stati europei, non pu� qualificarsi come portatore di norme di diritto internazionale universalmente riconosciute, la questione di legittimit� costituzionale di norme penali valutarie per contrasto con tart. 10 della Costituzione ed il Trattato di Roma � manifestamente infondata (2). Sussiste il reato previsto dall'art. 2, legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, nell'ipotesi di propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni d,i societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere, non dichiarate all'Ufficio Italiano Cambi entro il 3 dicembre 1976 (3). Nell'ipotesi di propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere, l'obbligo della dichiarazione all'ufficio Italiano Cambi entro il 3 dicembre 1976, previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, sussiste anche se le azioni siano gravate di pegno a favore di terzi (4). La determinazione del valore delle attivit� possedute all'estero, e non dichiarate entro il 3 dicembre 1976, nella ipotesi di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere, va effettuata, al fine della quantificazione della pena pecuniaria da irrogare, in base al capitale sociale (5). Nell'ipotesi di condanna per il reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, non � applicabile la confisca prevista dall'art. 1, ottavo comma, del d.l. 4 marza 1976, n. 31 (6). Nell'ipotesi d� condanna per il reato previsto dall'art. 2, legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche, � applicabile la confisca prevista dall'art. 240 p.p. cod. pen. (7). (omissis) Questa Corte ha ripetutamente affermato che la volont� del . legislatore risulta finalizzata ad assicurare che la repressione di tutti gli illeciti valutari avvenga con sollecitudine e, perci�, il giudizio direttissimo deve ritenersi obbligatoriamente prescritto non solo per i reati originariamente previsti dal d.l. 4 marzo 1976, n. 31, ma anche per quelli che (1-7) La sentenza della Corte di appello di Genova cassata per alcune parti daHa SuprtiII1a Corte con questa decisione, � stata pubblicata ed annotata nel numero marzo-aprile 1982 di questa Rassegna, pag. 407-424. La pronunzia del Supremo Collegio appare di rilievo soprattutto per questi punti: conferma, quanto all'applicabilit� del giudizio direttissimo anche per i reati previsti dall'art. 2 della legge n. 159 del 1976 e successive modifiche, aella PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 999 ad essi furono aggiunti dalle leggi successive, ed in particolare dall'art. 2 della legge n. 159 del 1976, cos� come modificato dall'art. 3 della legge n. 689 del 1976. Questione di legittimit� costituzio"'nale. Circa la legittimti� costituzionale delle norme penali valutarie si osserva che l'art. 10 della Costituzione dispone che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alla norme di diritto internazionale generalmente ricunosciute e poich� il Trattato di Roma, che regola i ,rapporti tra alcuni Stati europei, non pu� qualificarsi come portatore di norme di diritto internazionale universalmente riconosciute, la proposta questione di leg�ttimit� costituzionale � manifestamente infondata. Responsabilit� penale dei tre imputati ricorrenti. Per quanto concerne la responsabilit� dei tre imputati ricorrenti, derivante sia dal possesso delle azioni delle societ� di Vaduz e sia dalla costituzione in pegno di dette azioni, si osserva che i relativi motivi dedotti costituiscono sostanzialmente censura della valutazione delle prove che � devoluta ai giudici di merito e che non pu� essere sindacata da questa Corte se sorretta, come nella specie, da una motivazione corretta e coerente. La Corte di merito � pervenuta all'affermazione di responsabilit� dei tre imputati ricorrenti in base sia alla pi� volte citata scrittura 2 febbraio 1976, sia al rimborso di lire settecento milioni alla Societ� Finac da parte del Pongiglione Alberto, tramite la Banca Nazionale del Lavoro, per le somme che la Finac aveva anticipato per la costituzione delle societ� con sede in Vaduz; sia alla offerta alle banche italiane, in deposito a garanzia, delle azioni delle predette societ� e sia alla risultanza acquisita presso gli istituti di credito italiani che la titolarit� dei pacchetti azionari delle societ� si apparteneva in ragione del 45 per cento al Pongiglione Alberto, del 45 per cento alla Salvi Bianca e del 10 per cento al Pongi teoria dell'accorpamento di cui alla pronunzia 13 dicembre il.978 della I Sezione, est. Bertoni, imp. Biso (in Il Foro it., 1980, Il, 46); sussistenza del reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche anche nel caso in cui le azioni esterovestite siano gravate di pegno a favore di terzi (sul punto non risultavano precedenti); la prova del danno subito dalle Amministrazioni delle Finanze e del Tesoro, nell'ipotesi di reato prevista dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, � in re ipsa; applicabilit�, nell'ipotesi di condanna per il reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche, della confisca prevista dall'art. 240 p.p. cod. pen. (anche su tale punto non risultavano precedenti specifici). 10 �RASSEGNA 'DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1000 glione Vincenzo, e che i predetti avevano prestato fidejussione in proprio impegnando beni personali a favore delle varie societ� immobiliari. Da tali risultanze documentali ed obiettive � stato possibile accertare che, in un primo momento, ila societ� Finac di Berna aveva, in via fiduciaria, costituito '1e societ� con sede a Vaduz per conto e nelli'nteresse del Pongiglione Alberto, il quale, subito dopo, aveva rimborsato ailfa societ� Finac le� somme erogate per la costituzione di tali societ� divenendo cos� proprietario; .unitamente alla moglie ed al fratello Vincenzo, di dette azioni. E che tali azioni fossero� di esclusiva propriet� dei Pongiglione � provato ancora sia dal fatto che il Pongiglione Alberto promise al Credito di Risparmio di depositarle a garanzia e sia dalla risultanza che poi lo stesso Pongiglione costitu� in pegno tali azioni a favore della societ� Finac a garanzia della restituzione delle somme erogate per gli aumenti di capitale delle societ� immobiliari italiane. Quindi � assolutamente infondato anche il motivo di ricorso secondo cui il vincolo che gravava sulle azioni debba intendersi, anzich� come pegno, come fiducia cum creditore. Infatti � provato che le azioni erano di esclusiva propriet� dei Pongiglione che avevano corrisposto alla Finac le somme erogate per la costituzione delle societ� in Vaduz, ponendo cos� fine al rapporto fiduciario in base al quale la Finac aveva costituito le dette societ� e che, in seguito, a garanzia del pagamento delle somme erogate dalla Finac per l'aumento dei capitali delle societ� immobiliari italiane, le azioni delle societ� di Vaduz furono costituite in pegno, come -in modo univoco -risulta dalla nota scrittura 2 febbraio 1976. N� vi � contraddizione tra il contenuto di tale scrittura circa l'appar tenenza delle azioni al solo Pongiglione Alberto e la documentazione repe rita presso le banche, da cui risulterebbe che la propriet� delle azioni era frazionata in ragione del 45 per cento, per .ciascuno, a Pongiglione Alberto ed a Salvi Bianca ed in ragione del 10 per cento al Pongiglione Vincenzo. Infatti nella scrittura del 2 febbraio 1976, essendo priva di rilievo la reale distribuzione della .titolarit� delle azioni nell'ambito della famiglia, il Pongiglione Alberto -�che era colui che solitamente agiva per conto dei familiari -non ritenne opportuno specificare tale circostanza perch� si trattava di azioni al portatore, mentre nei rapporti con gli istituti di credito i tre imputati ricorrenti, dovendo prestare fidejussione in proprio impe� gnando beni personali, dovettero precisare la reale distribuzione della pro priet� delle azioni. N� pu� dubitarsi di tale circostanza, perch� ogniqual volta i tre ricorrenti, nei rapporti con le banche, hanno dovuto pronun ciarsi sull'argomento hanno sempre dichiarato che la propriet� delle azioni era suddivisa nelle proporzioni suindicate. N� pu� dubitarsi che i tre imputati ricorrenti, quali proprietari delle azioni date in pegno alla Societ� Finac, avessero l'obbligo di dichiarare -ai sensi dell'art. 2 della legge n. 159 del 1976 -il possesso delle predette PARTE I, SEZ. Vili, GIURISPRUDENZA PENALE 1001 azioni giacch� essi -quali debitori costituenti il pegno -conservavano integri i poteri dominicali sulle azioni date in pegno, di cui potevano liberamente disporre nei limiti in cui ci� era consentito dal diritto del creditore pignoratizio. E poich� l'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, come modificato dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, prevede l'obbligo della denuncia per chi possiede all'estero -direttamente o indirettamente -disponibilit� valutarie, � chiaro che nella previsione del possesso indiretto suindicato rientra anche il caso del titolare delle azioni costituite in pegno. fa1fat1:i costui, non solo possiede attraverso il creditore pignorntizio, ma -come gi� precisato -pu� liberamente disporre della cosa data in pegno nei limiti consentiti dal diritto del creditore ed il possesso, in senso civilistico, attribuito al creditore pignoratizio, non solo � temporaneo (sino all'estinzione del credito), ma non gli �ttribuisce alcun potere di disposizione e di godimento della cosa pignorata. Pertanto il debitore proprietario delle disponibilit� valutarie date in pegno ha l'obbligo di denunciare, ai sensi del citato art. 2, le dette disponibilit� possedute all'estero e date in pegno. Giudizio. di comparazione delle circostanze attenuanti generiche. Le circostanze attenuanti generiche non si sottraggono, cos� come le circostanze attenuanti comuni, al giudizio di comparazione con le circostanze aggravanti. Esse, infatti, sono delle circostanze che �renderebbero l'imputato meritevole di una diminuzione della pena cos� come le circostanze previste dall'art. 62 cod. pen., e differiscono da queste ultime soltanto per la loro indeterminatezza, ed il giudice le potr� prendere in considerazione qualora le ritenga tali da giustificare -cos� come per quelle previste daH'art. 62 cod. pen. -una diminuzione della pena. Naturalmente, qualora, come nel caso in esame, circostanze aggravanti vengano ritenute prevalenti sulle circostanze attenuanti generiche, queste ultime avranno la loro influenza sulla misura della pena da irrogare in concreto perch� il riconoscimento della loro sussistenza non potr� non influire sulla misura della pena. Tale riflesso spiega che non � del tutto inutile concedere delle attenuanti generiche sulle quali poi venga dichiarata la prevalenza delle circostanze aggravanti. Attenuanti della minima partecipazione. Per quanto concerne la concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen., avanzata da Salvi Bianca e Pongiglione Vincenzo, si osserva che l'attenuante della partecipazione di minima importanza presuppone un apporto differenziato nella preparazione o nell'esecuzione materiale del reato e, pertanto, tale attenuante non � applicabile nei reati omissivi nei 1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO quali, come nella fattispecie, nessuna attivit� preparatoria risulta svolta e nessuna attivit� materiale � stata compiuta dagli imputati e, quindi, l'omissione � stata totale e di uguale misura da parte di tutti gli imputati ricorrenti, ciascuno dei quali -tra l'altro -avrebbe dovuto presentare la denuncia per proprio conto in relazione alla quota delle azioni estere da ciascuno possedute, a nulla rilevando che fosse il Pongiglione Alberto a svolgere tutte le attivit� imprenditoriali giacch� egli, in mancanza di specifiche procure, non doveva provvedere a denunciare le disponibilit� valutarie possedute all'estero dalla moglie e dal fratello. Misura della pena in relazione al valore delle disponibilit� valutarie. Per determinare il valore delle disponibilit� valutarie non dichiarate La Corte di merito si � discostata dal criterio seguito dai primi giudici, i quali stabilirono il valore del capitale delle societ� depurando l'attivo dal passivo e basandosi su alcune perizie extragiudiziali effettuate ad I iniziativa delle banche finanziatrici, ed ha fatto riferimento al capitale sociale delle societ� immobiliari, ritenendolo elemento sicuro di valutazione perch� riflettente il valore minimo da attribuirsi con sicurezza alle I societ�. f; La Corte di merito, inoltre, anzich� accedere alla richiesta di rinnovaf: zione del �dibattimento per procedere ad accertamenti peritali al fine di giungere alla supposta esatta valutazione delle societ� immobiliari; ha preferito seguire il criterio, del riferimento al capitale sociale sia perch� I pi� favorevole agli imputati, tanto che le pene pecuniarie -che sono pro I t. porzionali a detti valori -sono state ridotte in misura considerevole rispetto a quelle inflitte dai primi giudici, e sia perch� gli accertamenti demandati ai periti risentirebbero in ogni caso di elementi di carattere soggettivo. f E' priva di rilievo la censura mossa al riguaTdo dai ricorrenti osserI vando che il capitale sociale potrebbe essere mutato in aumento o in di~ minuzione giacch� in caso di aumento del capitale sociale i ricorrenti I non avrebbero subito alcun pregiudizio e in caso di diminuzione essi avrebbero potuto dimostrarlo documentalmente e, pertanto, � chiaro che in concreto una diminuzione del capitale sociale non si � verificata. Danno sub�to dall'Amministrazione Finanziaria dello Stato. La prova del danno sublto dalle Amministrazioni delle Finanze e del Tesoro � in re ipsa giacch�, trattandosi di reato contro l'economia nazionale, � indubbio il danno arrecato ai Ministeri predetti per l'aggravamento della bilancia dei pagamenti e per il mancato versamento -ai sensi I l , . . I - PARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE dell'art. 2 ter della legge n. 689 del 1976 -dell'imp�rto pari al 15 per cento delle disponibilit� valutarie possedute all'estero e per il mancato paga� mento delle imposte sul reddito relativo alle disponibilit� valutarie. Confisca. Il ricorso del P. M. presentato il 5 marzo 1981 sebbene proposto avverso il capo della sentenza concernente la revoca della confisca, � ammissibile perch� la stessa sentenza � stata impugnata sia dallo stesso P.M. e sia dagli imputati in ordine agli altri capi. Infatti il ricorso proponibile ex, art. 640 cod. proc. pen. si converte nel gravame ordinario nel caso di altre impugnazioni concorrenti relative alla statuizione penale della sentenza (art. 212 cod. proc. pen.). Passando all'esame del merito del ricorso predetto, si osserva che la confisca prevista nell'art. 1 d.l. n. 31 del 1976 si applica esclusivamente ai reati di esportazione di valuta, di titoli di credito e di costituzione all'estero di disponibilit� valutarie o di attivit� di qualsiasi genere senza la prescritta autorizzazione, reati tutti previsti dall'art. 1 succitato. L'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, nel convertire in legge il decreto n. 31 del 1976, ha introdotto l'obbligo di dichiarare fo disponibilit� valutarie o attivit� di qualunque genere costituite all'estero, e per l'inosservanza ha fatto riferimento alle pene stabilite nell'art. 1 del decreto n. 31 del 1976, senza fare alcuna menzione della confisca espressamente prevista nel citato art. 1. N� pu� farsi riferimento cos� come sostenuto dal P.M. ricorrente alla teoria dell'accorpamento giacch� la pena � cosa ben distinta dalla misura di sicurezza e per entrambe � necessaria la espressa previsione di legge, giacch� l'art. 2 succitato quando ha voluto ha fatto� riferimento alle disposizioni contenute nel decreto n. 31 del 1976, cos� come ha fatto per la norma concernente l'obbligatoriet� del rito direttissimo per i reati valutari. Inoltre la legge 8 ottobre 1976, n. 689, ha .-sostituito, all'art. 3, l'art. 2 della legge n. 159 succitata ed ha fissato le pene in maniera del tutto autonoma senza fare pi� riferimento all'art. 1 del decreto n. 31. La confisca � invece possibile ai sensi dell'art. 240 p.p. cod. pen. Infatti le disponibilit� valutarie possedute all'estero, che -anteriormente alla legge n. 159 del 1976 -costituivano un illecito amministrativo, a seguito dell'entrata in vigore di tale legge e scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione prevista dal citato art. 2 della legge n. 159 del 1976, diventano compendio del reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 2 pi� volte citato. Invero, da tale momento (scadenza del termine per la presentazione della predetta dichiarazione), il possesso all'estero di disponibilit� valutarie costituisce il reato di cui al citato art. 2, il quale trasforma il possesso all'estero di disponibilit� valutaria da illecito amministrativo in illecito RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1004 penale e l'oggetto di tale illecito possesso, penalmente sanzionato, � compendio di reato. L'opportunit�, inoltre, che ai sensi dell'art. 240 cod. pen., ....,.... venga disposta la confisca delle disponibilit� valutarie possedute all'estero e dei beni immobili esterovestiti � suggerita dalla considerazione che, qualora tale confisca non venisse disposta, si otterrebbe come conseguenza immediata il perpetuarsi della predetta situazione antigiuridica giacch� i responsabili continuerebbero a possedere all'estero disponibilit� valutarie e gli immobili esistenti in Italia continuerebbero ad essere di propriet� di societ� estere, con la conseguenza che i responsabili sarebbero facultati a continuare a sottrarre detti beni all'economia nazionale. In tal senso va accolto il ricorso del Procuratore Generale presentato il 5 marzo 1981, e di conseguenza, la sentenza impugnata va annullata, per violazione di legge, nella parte concernente la revoca della confisca, con rinvio ad altra Sezione della stessa Corte di appello di Genova perch� valuti l'opportunit� di sottoporre a confisca i beni suindicati ai sensi dell'art. 240 cod. pen. Inoltre il ,ricorso presentato dallo stesso Procuratore Generale in data 7 marzo 1981 va dichiarato inammissibile per omessa presentazione dei motivi; la proposta questione di legittimit� costituzionale va dichiarata manifestamente infondata; la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di Pongiglione Alberto -deceduto il 20 marzo 1982 perch� il reato a lui ascritto � estinto per morte del reo. I ricorsi di Salvi Bianca e di Pongiglione Vincenzo, invece, vanno rigettati con la loro condanna, in solido, alle spese processuali e, ciascuno al pagamento di L. 200.000 alla Cassa delle Ammende e, ancora in solido, alla rifusione delle spese ed onorari a favore della pairte civile: Min?-� steri del Tesoro e delle Finanze, che si Hquidano in complessive L. 600.000. (omissis) PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, primo, secondo e terzo comma, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro. Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2596 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 223, G . .U. 22 dicembre 1982, n. 351. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 198, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. - codice penale, art. 124 (artt. 3 e 24 della Cosituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 221, G. U. 22 dicembre 11982, n. 351. codice penale, art. 376 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 228, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. codice penale, art. 376, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 206, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. codice penale, art. 666 (artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35 prima parte e 41, prima parte, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 229, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. codice di procedura penale, art. 102 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 171, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. codice di procedura penale, art. 304 (artt. 3 e 24 della Costituzione}. Sentenza 16 dicembre 1982, n. 221, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 93, n. 1 (art. 53 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 178, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. 202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 68 e 86 (art. 3, primo e secondo comma, 4, primo e secondo comma, 35, prima parte e 41, prima parte, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 229, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 8 febbraio 1948,. n. 47, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 198, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 8, secondo comma (artt. 3, 51, primo e terzo comma, e 107, primo comma, della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 172, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 205, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 20 febbraio 1958, n, 75, art. 4, n. 2 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 205, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 9 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 220, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. I r:� d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3, 76 e 77 della Costituzione). ili . Sentenza 17 novembre .1982, n. 188, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. . . I . . d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3, 76 e 77 della Costituzione). I Sentenza 17 novembre 1982, n. 188, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. 1% d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 28, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). ~ Sentenza 16 dicembre 1982, n. 222, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. I I ~ legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 43, lett. d) (art. 32 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 175, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. ~ legge 1 marzo 1968, n. 188 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 220, G. U. 22. dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 133 (art. 32 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 175, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, quinto comma (artt. 2, 3 e 24 della Costituzione). , Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, settimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, prlmo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 30 novembre 1982, n. 204, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. S, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 10 novembre 1982, n. 176, G. U. '17 novembre 1982, n. 317. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 14 (artt. 103, secondo comma, 97, primo e secondo comma, e VI disposizione transitoria della Costituzione). Sentenza 17 novembre 1982, n. 185, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 67, ultimo comma (artt. 3, 9 e 33 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 218, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (art. 103, secondo comma, 97, primo e secondo comma, e VI disposizione transitoria della Costituzione). Sentenza '17 novembre 1982, n. 185, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 2 e 3 (art. 108, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 196, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35 (artt. 3, primo comma e 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 196, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 24 e 116 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 196, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74; secondo e terzo comma (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Sentenza 17 novembre 1982, n. 186, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 15 novembre 1973, n. 734, art. 1, terzo comma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1982, n. 227, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. d.l. 8 luglio 1974, n. 261, art. 6 [convertito in legge 14 agosto 1974, n. 355] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 16 dicembre 1982, n. 219, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. 204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 dicembre 1982, n. 2Cf7, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 10, sesto, ottavo e decimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 199, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 18 aprile 1975, n. HO, art. 10, ottavo e decimo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 199, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 10, sesto, ottavo, nono e decimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 novembre 1982, n. 199, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. . legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 24 (art. 38, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 10 novembre �1982, n. 180, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 71, quarto comma (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 170, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 71, 72 e 83 (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 26 ottobre 1982, n. 170, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, art. 2947, terzo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 9 novembre 1981, n. 461/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. codice di procedura civile, art. 152 disposizioni di attuazione (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 gennaio 1982, n. 363, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. codice di procedura civile, artt. 181 e 309 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale di Firenze, ordinanza 9 febbraio 1982, n. 444, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. PARTE II, LEGISLAZIONE 20f codice di procedura civile, art. 444, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costi� tuzione). ' Tribunale di Genova, ordinanza 28 aprile 1982, n. 502, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. codice di procedura civile, artt. 796, 797 e 801 (artt. 2, 3 e 30 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 20 aprile 1982, n. 374, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. codice penale, art. 5 (artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 14 maggio 1982, n. 472, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 aprile 1982, n. 354, G. U. 3 novembre 11982, n. 303. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 449, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 450, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinnaza 27 febbraio 1982, n. �451, G. U. 10 novembre 1982, aDQ .~ Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 452, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 453, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio 1982, n. 454, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio ;1982, n. 455, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 20 febbraio 1982, n. 456, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1982, n. 457, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Monza, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 666, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. codice penale, art. 57 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 aprile .1982, n. 422, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1982, n. 423, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 20 aprile 1982, n. 431, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 24 aprile 1982, n. 432, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. 206 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO codice penale, art. 57 e 595 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Forl�, ordinanza 28 maggio 1982, n. 530, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. codice penale, art. 176, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sezione di sorveglianza di Bologna, ordinanza 17 giugno 1982, n. 690, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 571, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. r.d. 17 novembre 1924, n. 2367, art. 130 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 novembre 1981, n. 466/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. r.d. 7 febbraio 1926, n. 426, art. 10, secondo comma, ultimo periodo (artt. 3, 24 e 133 della Costituzione). I Corte d'appello di Roma, ordinanza 25 febbraio 1982, n. 770, G. U. 24 novem bre 1982, n. 324. I r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10, terzo comma [come modificato dalla legge I ~ 24 luglio 1957, n. 633] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 25 marzo 1982, n. 485, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. I r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 16 luglio 1982, n. 628, G. U. 9 dicembre I 1982, n. 338. Corte d'appello di Caltanissetta, ordinanza 8 luglio 1982, n. 645, G. U. 9 dicem I bre 1982, n. 338. I t.u. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 285, terzo comma (artt. 3, 24, secondo comma, e 113 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 25 marzo 1982, n. 600, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. r.d. 19 luglio 1941, n. 1198, art. 89 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 2 giugno 1981, n. 655/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43 (artt. 13 e 24 della Costituzione). Tribunale di Rimini, ordinanza 17 febbraio 1982, n. 515, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ar. 201 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 14 luglio 1982, n. 620, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. PARTE II, LEGISLAZIONE 207 . legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24, 25 e 112 della Costituzione). Pretore di Riesi, ordinanza 19 settembre 1981, n. 605/82, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 aprile 1982, n. 354, G. U. 3 novembre 11982, n. 303. Tribunale di Milano, ordinanza 18 maggio 1982, n. 660, G U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Monza, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 666, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Viterbo, ordinanza 25 maggio 1982, n. 549, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 aprile 1982, n. 422, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1982, n. 423, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 20 aprile 1982, n. 431, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 24 aprile 1982, n. 432, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9, 12 e 13 (artt. 3 e 21 della Cosituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 6 marzo 1982, n. 410, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 16 marzo 1982, n. 411, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 16 marzo 1982, n. 412, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 16 marzo 1982, n. 413, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza lO marzo 1982, n. 414, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 10 marzo 1982, n. 415, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 10 marzo 1982, n. 416, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1982, n. 676, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 9, 12, 13 e 21 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 449, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. 208 RASSBGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO ,;: Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 450, G. U. 10 novembre ..: 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 451, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. I Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 452, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. I Tribunale di Roma, ordinanza 27 febbraio 1982, n. 453, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. i Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio .1982, n. 454, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 13 febbraio 1982, n. 455, G.U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 20 febbraio 1982, n. 456, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Roma, ordinanza 4 marzo 1982, n. 457, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Forl�, ordinanza 28 maggio 1982, n. 530, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13 (art. 3 della Costituzione). I " Tribunale dell'Aquila, ordinanza 30 marzo 1982, n. 493, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Napoli, ordinanza 17 maggio 1982, n. 494, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Perugia, ordinanza 5_ maggio 1982, n. 636, G.U. 9 dicembre 1982, n. 338. i Tribunale di Perugia, ordinanza .10 maggio 1982, n. 637, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Perugia, ordinanza 19 maggio 1982, n. 639, G. U. 9 dicembre I 1982, n. 338. Tribunale di Perugia, ordinanza 24 maggio 1982, n. 640, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. I ~ Tribunale di Perugia, ordinnaza 5 maggio 1982, n. 641, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Napoli, ordinanza 20 maggio 1982, n. 626, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 4 marzo 1952, n. 137, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 25 luglio 1952, 'n. 1713 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Tribunale di Bari, ordinanza 16 marzo 1982, n. 344, G. U. 3 novembre 1987, n. 303. ,,,,,,,,,,,,,,,._l,,,,,.""'~illfllllllllllllll/illlfliltlf. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 20 dicembre 1954, n. 1181, art. 7 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 novembre 1981, n. 466/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 6 gennaio 1982, n. 468, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, tredicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltagirone, ordinanza 8 giugno 1982, n. 702, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1 (artt. 3, 101. 109 e 112 della Costituzione). Pretore di Asti, ordinanza 30 marzo 1982, n. 362, G. U. l7 novembre 1982, n. 317. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 23 febbraio 1982, n. 428, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 9 gennaio 1963, n. 7, art. 1, terzo e quinto comma (artt. 3, 24 e 41 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 16 aprile 1982, n. 489, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, articolo unico, n. 51 [attuativo della legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, ultimo comma] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Avellino, ordinanza 16 aprile 1982, n. 371, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 10 maggio 1964, n. 336, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 704, G. U. 15 dicembre '1982, n. 344. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 23 aprile 1982, n. 389, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Tribunale di Lecce, ordinanza 19 maggio 1982, n. 495, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. Corte d'appello di Torino, ordinanza 5 maggio 1982, n. 553, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Trento, ordinanza 29 giugno 1982, n. 633, G. U. 9 dicembre 11982, n. 338. Corte d'appello di Torino, ordinanza 24 giugno 1982, n. 638, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Il ..x� fdt...x� fdt. -: -: ~-I!-~< .itk% : -�t.11'ii''...... ~-=-=-=--=>=�--��=---~=~=*; ~~� ~--.x?z-. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 210 d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 11 e 41 della Costituzione). Corte d'appello �di Bologna, ordinanza 24 maggio 1982, n. 542, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Ravenna, ordinanza 17 maggio 1982, n. 597, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 13 aprile 1982, n. 552, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Bolzano, ordinanza 16 aprile 1982, n. 386, G. U. ,10 novembre 1982, n. 310. legge 22 luglio 1966, n. 614, art. 8 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 28 ottobre 1981, n. 445/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [sostit. dagli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 16 luglio 1982, n. 628, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Corte d'appello di Caltanissetta, ordinanza 8 luglio 1982, n. 645, G. U. 9 dicembre �1982, n. 338. legge reg. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, secondo comma (artt. 5 e 128 della Costituzione). Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, ordinanza 9 aprile 1980, n. 346/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di L'Aquila, ordinanza 26 maggio 1982, n. 499, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 23 febbraio 1982, n. 428, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 25 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Camerino, ordinanza 23 aprile 1982, n. 385, G. U. J.O novembre 1982, n. 310. I I I I I ! I PARTE II, LEGISLAZIONE legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 20 novembre 1981, n. 436/82, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 5 novembre 1981, n. 343/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.l. 28 agosto 1970, n. 622, art. 4, secondo comma [convertito in legge 19 ottobre 1970, n. 744] (art. 3 della Costituzione). ' Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 112 gennaio 1981, n. 471/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 10 e 15 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 584/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 585/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 17, secondo, terzo e quarto comma (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Brescia, ordinanza 21 aprile 1982, n. 613, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 12 novembre 1971, n. 952, art. 2 (artt. 3, 119 e 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 27 aprile 1982, n. 643, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 2 e 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 30 aprile 1982, n. 480, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 6 dicembre 1971, n. 1074, art. 6 [come sostituito dalla legge 14 agosto 1974, n. 358, art. 7] (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 24 aprile 1981, n. 463/82, G. U. 1� dicembre 1982, n. 331. legge provinciale di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 27 aprile 1982, n. 474, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. 212 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 maggio 1982, n. 503, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo, secondo e terzo comma (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello �i Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 624, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 20 aprile 1982, n. 375, G. U. 10 novemb11e 1982, n. 310. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 primo comma, primo periodo, e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 29 giugno 1982, n. 735, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo comma, primo periodo, e terzo comma, e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 maggio 1982, n. 622, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 giugno 1982, n. 623, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte d'appello di Trento, ordinanza 1� giugno ,1982, n. 625, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma, e art. 13, primo comma, secondo periodo [modif. da legge 22 maggio 1978, n. 23, art. 7] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 730, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 736, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge reg. Emilia-Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, secondo comma (artt. 117, 118, 121 e 123 della Costituzione e 25 e 27 dello statuto regionale). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 17 dicembre 1981, n. 547/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R.' 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 24, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Pistoia, ordinanza 10 febbraio 1982, n. 611, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39, primo comma (artt. 3, 24, 53, 77 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 3 marzo 1982, n. 399, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. dP.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 12 gennaio 1981, n. 471/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. Commissione tributaria di secondo grado di Cremona, ordinanza 29 aprile 1982, n. 711, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art 44 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 584/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 19 marzo 1979, n. 585/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 26 otobre 1972, n. 643, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 21 giugno :1982, n. 659, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. d;P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, 6, 14 e 15 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mondov�, ordinanza 13 novembre 1981, n. 447/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 21 aprile 1977, n. 586/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 [modif. dalla legge prov.le 23 ottobre 1974, n. 33)] (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 7 aprile 1982, n. 617, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 maggio 1982, n. 473, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma, [come modif. dalla legge prov.le 9 ottobre 1978, n. 41] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 marzo 1982, n. 369, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 marzo 1982, n. 370, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge provJe di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo, quinto e ottavo comma (artt. 3 e 43 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 giugno 1982, n. 621, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 23 gennaic 1973, n. 43, art. 334 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bergamo, ordinanza 26 aprile 1982, n. 516, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 31 marzo 1982, n. 460, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344.. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 46, secondo comma e 83 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 25 maggio 1981, n. 4iJ8/82, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15, primo comma, e 39 (artt. 3, 24, 53, 77 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 3 marzo 1982, n. 399, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. legge reg. Lombardia 25 novembre 1973, n. 48, art. �s5, primo comma (artt. 3 e 117 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 15 novembre 1.981, n. 462/82, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 12 dicembre 1973, n. 922, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 92, settimo comma (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 novembre 1981, n. 466/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 40 e 44 (artt. 3, 21 e 41 della Costituzione). Giudice conciliatore di Lodi, ordinanza 7 maggio 1982, n. 490, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Giudice conciliatore di Milano, ordinanza 26 maggio 1982, n. 491, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. . ~ PARTE II, LEGISLAZIONE 21f legge reg. Veneto 17 aprile 1975, n. 36, artt. 1, 5, ultimo comma, 12 e 16 (artt. 42 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 6 febbraio 1980, n. 705/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo capoverso (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 566/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 27 gennaio 1982, n. 565, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. � Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 ottobre 1981, n. 599/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 1� luglio 1981, n. 697/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 8 gennaio 1982, n. 698, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 3 marzo 1982, n. 699, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 aprile ,1982, n. 700, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 14 maggio 1982, n. 701, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo capoverso (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 27 gennaio 1982, n. 565, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 566/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 ottobre 1981, n. 599/82, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 1� luglio 1981, n. 697/82, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 8 gennaio 1982, n. 698, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 3 marzo 1982, n. 699, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 aprile 1982, n. 700, G.U. 115 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 14 maggio 1982, n. 701, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n�. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sciacca, ordinanza 6 maggio 1982, n. 532, G. U. 1� dicembre 1982, n. 331. 216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Monza, ordinanza 5 maggio 1982, n. 504, G. V. ,1� dicembre 1982, n. 331. Tribunale di Agrigento, ordinanza 20 novembre 1981, n. 564/82, G. V. 9 dicembre 1982, n. 338. Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 novembre 1981, n. 695/82, G. V. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Agrigento, ordinanza 1� giugno 1981, n. 696/82, G. V. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 25, 70 e 101 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanza 5 giugno 1982, n. 654, G. V. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 25 e 101 della Costituzione). Tribunale di Caltagirone, ordinanza 18 maggio 1982, n. 692, G. V. 15 dicembre ,1982, n. 344. Tribunale di Caltagirone, ordinanza 18 maggio 1982, Il. 693, G. V. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Desio, ordinanza 10 maggio 1982, n. 487, G. V. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vicenza, ordinanza 26 gennaio 1982, n. 512, G. V. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 18 marzo 1982, n. 395, G. V. 17 novem bre 1982, n. 317. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G. V. 1� dicembre 1982, n. 331. legge 18 luglio 1975, n. 356, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. V. 10 novembre 1982, n. 310. legge 22 luglio 1975, n. 319, art. 4 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 maggio 1982, n. 464, G. V. 15 dicembre 1982, Il. 344. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54 (art. 3 della Costituzione). Sezione di sorveglianza di Bologna, ordinanza 17 giugno 1982, n. 690, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge prov. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1, prima parte (artt. 3, 39 e 117 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 7 aprile 1982, n. 519, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, 27 e 28 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Trieste, ordinanza 17 maggio 1982, n. 570, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge reg. Emilia-Romagna 26 gennaio 1976, n. 8, art. 4 (art. 117 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre J.982, n. 303. legge 26 aprile 1976, n. 189, art. 1 (artt. 3, 119 e 130 della Cosituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 27 aprile 1982, n. 643, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 10 maggio 1976, n. 319 e successive modificazioni (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Chieri, ordinanza 24 aprile 1982, n. 478, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 19 maggio 1976, n. 326, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 29 aprile 1982, n. 446, G. U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 2, ultimo comma (artt. 3 e 35 della Costi� tuzione). Tribunale di Como, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 394/82, G. U. 3 novem� bre 1982, n. 303. legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 2 aprile 1982, n. 506, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Napoli, ordinanza 1 aprile 1982, n. 507, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Napoli, ordinanza 12 marzo 1982, n. 508, G. U. 15 dicembre 1982, n. 344. Tribunale di Salerno, ordinanza 30 marzo 1982, n. 603, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1-quater (artt. 3 e 9 della Costituzione). Pretore di Pontedecimo, ordinanza 2 aprile 1982, n. 418, G. U. 24 novembre .1982, n. 324. d.l. 10 dicembre 1976, n. 798, art. 1, terzo comma [come modif. dalla legge 8 febbraio 1977, n. 16] (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Piacenza, ordinanza 4 marzo 1982, n. 441, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Commissione tributaria di secondo grado di Piacenza, ordinanza 4 marzo 1982, n. 440, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. Commissione tributaria di secondo grado di Piacenza, ordinanza 4 marzo 1982, n. 442, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. legge 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2, ultimo comma (artt. 3 e 35 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 394/82, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge reg. Emilia-Romagna 26 gennaio 1977, n. 4, art. 2 (art. 117 della Costi tuzione).~ Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, artt. 2, primo comma, e 4 [convertito in legge 31 marzo 1977, n. 91] (art. 39 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 21 aprile 1982, n. 486, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. d.m. 20 ottobre 1977, art. 2 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costtiuzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G. U. J. dicembre 1982, n. 331. d.l. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [conv. in legge 27 febbraio 1978, n~ 41] (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza� 22 giugno 1981, n. 517/82, G. U. 1 dicembre 1982, Il. 331. legge 27 febbraio 1978, n. 41 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 18 marzo 1982, n. 395, G. U. 17 novembre 1982, Il. 317. legge prov. di Trento 13 marzo 1978, n. 13 (artt. 8 e 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Pretore di Trento, ordinanza 13 maggio 1982, n. 469, G. U. 22 dicembre 1982, Il. 351. f PARTE II, LEGISLAZIONE legge reg. Emilia-Romagna 2 maggio 1978, n. 13, artt. 3, 4, 5 (art. 117 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge reg. Emilia-Romagna 2 maggio 1978, n. 13, art. 21 (art: 23 della Costi� tuzione). Pretore di Bologna, ordinanza 24 marzo 1982, n. 365, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ciri�, ordinanza 6 marzo 1982, n. 402, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Pretore di Ciri�, ordinanza 9 aprile 1982, n. 403, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. Pretore di Ciri�, ordinanza 9 aprile 1982, n. 405, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Ciri�, ordinanza 9 aprile 1982, n. 406, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Ciri�, ordinanza 9 aprile 1982, n. 407, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Ciri�, ordinanza 30 aprile 1982, n. 561, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. Pretore di Ciri�, ordinanza 26 giugno 1982, n. 663, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Ciri�, ordinanza 26 giugno 1982, n. 664, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Udine, ordinanza 3 settembre 1982, n. 776, G. U. 29 dicembre J.982, n. 357. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanza 24 agosto 1982, n. 719, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Carrara, ordinanza 27 luglio 1982, n. 739, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Carrara, ordinanza 27 luglio 1982, n. 740, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. Pretore di Carrara, ordinanza 27 luglio 1982, n. 741, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (artt. 3, 31 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 15 aprile 1982, n. 424, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Roma, ordinanza 15 aprile 1982, n. 425, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. Pretore di Roma, erdinanza 6 maggio 1982, n. 426, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. 220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pretore di Roma, ordinanza 24 maggio 1982, n. 501, G. U. dicembre 1982, n. 331. Pretore di Roma, ordinanza 1 giugno 1982, n. 528, G. U. 1 dicembre 1982, n. 331. Pretore di Roma, ordinanza 17 giugno 1982, n. 559, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. Pretore di Roma, ordinanza 8 giugno 1982, n. 689, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3 e 24/1 della Costituzione). Pretore di Cremona, ordinanza 7 maggio 1982, n. 534, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 10 dicembre 1981, n. 609/82, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. I legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3 e 113 della Costituzione). Pretore di Bolzano, ordinanza 1 aprile 1982, n. 372, G. U. 17 novembre 1982, I n. 317. Pretore di Viareggio, ordinanza 10 maggio 1982, n. 492, G. U. 1 dicembre 1982, fil n. 331. ~ @ legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 34 (artt. 3 e 24 della Costituzione). @ Giudice conciliatore di Casavatore, ordinanza 2 maggio 1982, n. 526, G. U. 22 dicembre 1982, n. 351. ~ !:: [:: r~ legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38, 39, 40 e 41, secondo comma (art. 3 della Costituzione). . Corte Costituzionale, ordinanza 7 luglio 1982, n. 536, G. U. 24 novembre 1982, . n. 324. . Il legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 57 (artt. 3, 4, 23, 24, 35, 57 e 70 della Costituzione). Giudice conciliatore di Molfetta, ordinanza 17 febbraio 1979, n. 417/82, G. U. I 24 novembre 1982, n. 324. Il ~ legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 26 maggio 1982, n. 500, G. U. 1 dicembre 1982, . . Il. 331. . Pretore di Napoli, ordinanza 7 maggio 1982, n. 477, G. U. 9 dicembre 1982, n. 338. I:~ legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto artt. 58, 59 n. 2, e 65 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 16 febbraio 1982, n. 377, G. U. 17 novembre 1982, n. 317. ~..,..J PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69 e 73 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costi� tuzione). Pretore di Napoli, ordinanza 26 maggio 1982, n. 511, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 71, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 16 aprile 1982, n. 482, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Salerno, ordinanza 18 marzo 1982, n. 400, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modificato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93, art. 1-bis] (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 26 febbraio 1982, n. 673, G.U. '10 novembre 1982, n. 310. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (art. 70, 71 e 87 della Costituzione). Pretore �di Montefiascone, ordinanza 27 aprile 1982, n. 420, G. U. 24 novembre 1982, n. 324. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modificato dal d.-1. 30 gennaio 1979, n. 21, art. l�bis] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice conciliatore di Bologna, ordinanza 3 maggio 1982, n. 397, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 3 agosto 1978, n. 405, artt. 4, lett. b) e 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 19 marzo 1982, n. 356, G. U. 3 novembre 1982, n. 303. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, artt. 4, lett. b) e 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 19 marzo 1982, n. 356, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2, primo comma (artt. 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 24 marzo 1981, n. 398/82, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 17 novembre 1981, n. 401/82, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 3, 36 e 38 della Cosituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 18 marzo 1982, n. 395, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. 222 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 99, secondo comma, 116, primo comma [nel testo sostit. dall'art. 25 d.P.R, 30 dicembre 1981, n. 834) e 117, secondo comma [nel testo sostit. dall'art. 26 dello stesso d.P.R. n. 834/81] (art. 3 della Costituzione). Corte dei Conti, ordinanza 23 marzo 1982, n. 475, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 3 aprile 1979, n. 101, art: 41 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 13 maggio 1981, n. 476/82, G.U. 9 dicembre 1982, n. 338. d.-1. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.m. 5 gennaio 1980 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Cosituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 20 febbraio 1980, n. 33, art. 1 (artt. 3, 36, 38, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 giugno 1981, n. 517/82, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge reg. Lombardia 10 marzo 1980, n. 25, art. 1 e tariffa ali., titolo II, n. 16 (artt. 117 e 119 della Costituzione). � Tribunale di Milano, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 378/82, G.U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 27 marzo 1980, n. 112 (art. 104 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Roma, ordinanza 19 maggio 1982, n. 465, G.U. 10 novembre 1982, n. 310. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (artt. 24 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 7 maggio 1982, n. 683, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. Corte di cassazione, ordinanza 30 marzo 1982, n. 686, G.U. 29 dicembre 1982, 357. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (artt. 24, 42 e 136 della Costituzione). Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Milano, ordinanza 17 marzo 1982, n. 657, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. PARTE II, LEGISLAZIONE 22!1 legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Potenza, ordinanza 9 giugno 1982, n. 601, G.U. 29 dicembre 1982, .n. 3.57. Corte d'appello di Potenza, ordinanza 9 giugno 1982, n. 602, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3 e 42 della Cosituzione). Corte d'appello di Campobasso, ordinanza 12 maggio 1982, n. 483, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344. Corte d'appello di Campobasso, ordinanza 29 aprile 1982, n. 484, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 26 gennaio 1982, n. 367, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. Pretore di Napoli, ordinanza 26 gennaio 1982, n. 368, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. legge 1 aprile 1981, n. 121, art. 104 (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Roma, ordinanza 19 febbraio 1982, n. 332, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 8, n. 2 (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale di Avellino, ordinanza 1 giugno 1982, n. 518, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 30 aprile 1981, n. 178, art. 2 (artt. 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 28 aprile 1982, n. 627, G. U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 25 settembre 1981, n. 535 (artt. 24, 42 e 136 della Costituzione). Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Milano, ordinanza 17 marzo 1982, n. 657, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cuneo, ordinanza 26 marzo 1982, n. 481, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Desio, ordinanza 22 aprile 1982, n. 488, G.U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Pontassieve, ordinanza 11 marzo 1982, n. 382, G.U. 17 novembre 1982, n. 317. d.-1. 26 novembre 1981, n. 678, art. 5 [convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12] (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 9 marzo 1982, n. 443, G.U. 24 novembre 1982, n. 324. 224 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.-1. 9 dicembre 1981, n. 721, art. 4, quarto comma [convertito in legge 5 febbraio 1982, n. 25] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Massa, ordinanza 6 aprile 1982, n. 360, G.U. 3 novembre 1982, Il. 303. d.l. 27 febbraio 1982, n. 57, art. 4 [nel testo modificato dall'art. 1 legge 29 aprile 1982, n. 187] (artt. 3, 24, 42 e 112 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 1 giugno 1982, n. 632, G.U. 29 dicembre 1982, n. 357. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 5 maggio 1982, n. 479, G.U. 9 dicembre 1982, n. 338, d.P.R. 23 agosto 1982, n. 691, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 secondo comma (artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione). Regione Lombardia, ricorso 9 novembre 1982, n. 46, G.U. 1 dicembre 1982, n. 331. d.P.R. 23 agosto 1982 n. 791, art. 1, secondo comma, n. 6), 9) e 10) (articoli 117, 125, 127 e 130 della Costituzione). Regione Liguria, ricorso 7 dicembre 1982, n. 49, G.U. 22 dicembre 1982, n. 351. provvedimento legislativo approvato dal consiglio provinciale di Bolzano il 2 settembre 1982, artt. 1, quarto comma, e 8, secondo comma (artt. 5 e 9 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 ottobre 1982, n. 45, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge riapprovata dal consiglio regionale della Puglia il 23 settembre 1982, artt. 3, lett. a), e 4, secondo comma (artt. 117 e 3 della Cosituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 ottobre 1982, n. 44, G.U. 3 novembre 1982, n. 303. legge approvata dal consiglio regionale dell'Umbria il 28 settembre 1982 e riapprovata il 15 novembre 1982, artt. 7 e 8 (art. 117, primo comma, della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 9 dicembre 1982, n. 50, G.U. 22 dicembre 1982, n. 351. legge 6 ottobre 1982, n. 752, artt. 3, quinto, sesto, settimo e ottavo comma; 4, terzo comma; 5, 6, 7, 9, quarto, quinto e sesto comma; 12, sesto comma; 14, primo e quinto comma; 15, primo e secondo comma, e 20 (artt. 8 n. 5, n. 6, n. 14, n. 17 e n. 19; 9, nn. 3 e 8, 16 e 78 dello statuto speciale TrentinoAlto Adige). Presidente prov. aut. di Bolzano, ricorso 25 novembre 1982, n. 47, G:U. 15 dicembre ,1982, n. 344. Presidente prov. aut. di Trento, ricorso 25 novembre 1982, n. 48, G.U. 15 dicembre 1982, n. 344.