ANNO XXXII N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 1980 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1980 ABBONAMENTI ANNO ................................ L. UN NUMERO SEPARATO ���� , � � � � � � � � � � � � � � Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI. 10 -ROMA e/e postale 1/2640 ~tampato �n Italia � Printed in ltalr Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1960 (2219123) Roma, 1980 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Franco Favara} � � � � � � � � . pag. 887 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara} . � � 915 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo} . � � . . � � � 935 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio� Catrical�} � � � . � � 938 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'avv. Raffaele Tamiozzo} � . . . . � 948 . Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Baf�le) . . . � . . � . . . . � 956 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} � . � 967 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Paolo Di Tarsia Di Be/monte} . . . . . � . � . � 1004 4 "2. 1-t Parte seconda: QUESTIONI~ LEGISLAZIONEi;-DICE BIBLIOGRAFICO CONSUtTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE pag. 133 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, 'Bologna; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco Gu1cc1ARDI, Genova,� Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CONANZI, Napoli; Nicasio MANCUSO, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FJlANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI O. FIUMARA. Trattamento daziario preferenziale per i prodotti originari dei paesi in via di sviluppo: il controllo dei certificati di origine, I, 925 G. STIPO. Imprescrittibilit� del diritto a pensione e tutela giurisdizionale, I, 948 P. Dr TARSIA. Il codice della navigazione e la sopravvivenza delle norme del regolamento 11 gennaio 1925, n. 356, I, 1005 ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRIdehl'iscrizione -Permanenza dell fatCIT� to -Normade iTrilevanza -Mani PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA -Competenza e giurisdizione -TribUJnailii oJ1diinari e ,tribunaJli delle acque -Danni da difettosa manutemJione di ope11a idrauLioa -Compete. ma dei tribunali delile acque, 983. APPALTO -A,'ppa!lto di opere pubbliche � Arbi< trato -DedLinartoria di competenza da parte de!IJJ'ao:nmiI11ist11azione convenuta . ProsecuZiione deL .giudizio -Termine di decadenza � Insussistenza, 989. -Appailito di opere pubbliche -Capitolati � Per ffi'appailto di opere e ~�esecu2lione di lavori o forniture ferroviarie -Natura regolamentare - Esclusione, %7. -Appa:lito di opere pubbliche -Opeiia di competenza dellle F'errovie delilo Stato -Onere delila tempestiva dserva delill'appaLtatore -A;pplii� cabilit� del principio, 967. -Ap!Parlito di opere pubbliche -Revisione dei prez2li -Situazione sog, getdva deb}'arpparlltatore -Interesse degittimo . Configurab1Ut� di diritto soggettivo -Condizioni, 999. -Apparlto dii opere pubbliche -Riserva -AJCoertamenito del tempo delll'isc11iziione -Ques1tione di fatto - Vadutazione della tempestivit� del!11/& scrizione -Questione di diritto - Limiti, 967. -Appalto di qpere pubbliiche � Riserva -Documenti ddonei aN'iscrizione deihle ,riserve -Verbarl1e di consegna . � tale, %7. -Appalto di opere pubbliche -Riserva -Fatti continuativi -Tempo festa11si dell'oneroSI�lt� -RI�llevanza - Sospensione dei lavori -Equiparabilit� a fatto dmtinuati'Vo, 967. -Appa:lito dd opere pubbliche -Ri5erva -Onere -Carattere genera.de - Eccezioni -Fatti contiiniuativ1 -Limite, %9. -Appalto di opere pubbliche -Riserva -Sospensione -Documenti 1in cuii pu� [,scriversi -Verbale di ,sospensione o .ripresa dei davori, %9. -J\p,'parlto di opere pubbldche -Riserva -Tempestivi,t� -Controlfo in casisazione -Giudizio di legittimdt� -Estensdone, 969. -AppaiLto di opere pubbliche -&iiserve -Fatti coLposi o dolosi -Sus �S�!stenza de!Jl'onere -Condizioni, 967. AVVOCATI E PROCURATORI -Iscrizione agiH albi professionail!i Necessit� di un previo esame dd Stato -� tale ml conco11so per l'accesso aLla magistratura, 903. -Is.criz;ione a.Jrl"albo professionale � Qual1it� di profugo ed esercizio di fatto di atti,,,it� regalie -Requisiti insufficienti, 906. COMPETENZA E GIURliSD.IZIONE -Cosa g,iudicata -Efficada in arlitro giudizio anche ag�d effetti de!Jla .gi:urisddzione, 935. -Dd.fetto assoluto di .giurisdizione - Nozione, 983. -Giuriiscliz;ione -Difetto -RilevaibiHt� -Predlusione -Giudicato sul1a INDICE DELLA GIURISPRUDENZA ~iurisdizione � Formazione � Fatti1specie, 983. -Poteri del .giudice � Disapplicazione -Limiti -Fattispecie in tema di �revisione dei prezzi, 999. COMUNIT� EUROPEE -DMi doganailii -Prodotti omgmari di paesi dn via d<i svill\lppo -Trattamento t�riiffanio preferenziale � Certificati di origine � CoIJJtroMii � Pagamento del dazio non corrisposto all'atto del['dmtPOrtaziooe, con nota di o. FIUMARA, 925. -Libera drcolamone dei ilavoratori Previdenza sociale -Prestazioni di disoccupazione, 915. -Unione doganale -Libera circolazione delile merci -Temporanea importa2lione di autoveicoli, 921. CONTRATTI PUBBLICI -Contratti della Pubblica amministrazione � Risoluzione del contratto � Mutuo consenso -Forma -Necessit�, 938. CORTE COSTITUZIONAILE -Corufillitto di attvibuzione tra poteri deltllo Stato � Limiti deh1a giurisdizione nelle mart:erie di contaibiJJit� pubbilica -LegittimMione dcl Presidente deLla Repubbliica, del :Presidente del Senato e di Presiidente de1la Camera dei deputati, 900. -COillfliitto di attri!buzione tra Stato e Regione � Atto non imm.ediiatamente lesivo -Amrnisstibidlit� del ricorso, 891. -Ricorsi per impugnatdiva diret;ta del� le �!leggi e per confiliitto dd attribuzione -Deposirto del rdoorso -Termine � � perentorio, 913. GIUDICATO -lndemJJ�t� dd a:nzfandt� -Domanda di integrazione -Cosa ~ucticata � Preclusione di successive domande di integraziooe, 93'5. IMPIEGO PUBBLICO. -Componenti di commiSISioni dd concorso � D!isposizione che esclude itl compenso ad� componenti � interni � -~ttimit� cosrtirtuzionaile, 908. LAVORO -!Mobilit� dei diavoratori � Dichiarazione di criisi aziendale -Effetti de1la disdetta d<i cui ahl'art. 21,12 cod. civ. -Legittimdit� costituziooalle, 898. -Periodo di p.rova -Dil.1i�tto aJi!J'indennit� dii anzianit� e diritto allle ferie -Esclustione -lililegittimdt� cos< tituzionaile, 910. -Periodo di prova � Reces�so deJ datore dd tliaivoro � Limiti deiltla �di� screzionaliit� � del datore di favoro rnsposdzioni che escludono !l'onere di motivare di r-ecesso -Legittimit� costituzionale, 910. PENSIONI -Pensioni di� riversibiJJii.t� . Diiversit� di �t.ra,tta.mento tra mogiliie superstite e mariito su;perstiJte -illegittimit� costiotuzionale, 887. -Pensione sociale -CumU!lo con pen� sione di guerra � Esclusione -Le� g.ittdmit� cos:tdtuzionaile, 902. -Dipendenti enti locali � RetI�lbuzione contvibutiva -Erogazione dd m<i� g1lioramenti economici da parte degM enti Jocaili d:n aggiunta a quanto s,tabiliirto dagli 1aocordi nazionai1i sindacali -Noo vanno inclusi neilWa retribuzione contributiva, 954. -Rilconso ailtlta Corte dei conti -Facolt� di propo!.1llo senza liimiti di tempo, con nota di G. STIPO, 948. REATO -Disastro avdatorio � Direttore del� 1Faeropovto -Visita di controllo pri RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VIII ma dehla partenza del1J/.aeromobrille Obblli\ gatortiet� -Reg0iliamen1tiazione aerea .111 gern11aio 1925, n. 356 -AppliicabiJIJH�, nota di P. DI TARSIA DI BELMONTE, .1005. -Omissione di ~tti d'ufficio -Omes1sa emana2lione di ordinanze di carattere contiil!gibrille ed urgente dn materia di edilit�, polizia locale ed igiene, per motivi di sanit� o di sicurezza -Discrezionalit� del prefetto Insussistenza del reato, 1004. RESPONSABILIT� CIVILE -Uso di mezzo di servizio per ragioni estranee a1l"uff�cio -Infortunio dei trasportati -Non ne risponde il'amminiistrazione proprietaria Presunzione di responsabild�t� ex articolo 2054, terzo comma, cod. dv. - InapplicabiJiit�, 945. TRATTATI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI -Competenza de.Mo Stat"O e non delle Regioni -Atto :PreHminare ahla adesione e trattato unilaterale Spetta allo Stato, 891. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta di ricchezza mob:hle -Contributo de.Mo Stato concesso a produttori di i�i1lm nazionald -Concor so in :spese di produzione -Sqno soggette all'imposta, 962. -Imposta di ricchezza mobile -PlliUsvaillenze -Accertamento induttivo del vailore di reail:izzo -Riferimento �all'accertamento dd valore ai .fi,. ni: deihl'dmposta idi registro -LegitHmit�, 95'8. TRIBUTI ERA!RIALI INDIRETTI -Lmposta di registro -Agevo~a7lione per J'escavazione, segaitura, qavorazione e commercio dei marmi Es1tensione a~m oessione di azienda marmdfera -Esclusione, 960. TRIBUTI IN GENERE -Contenzioso tributario -Ricoriso per Cassazione -Decisione di commissione centraile che annuJla con rinviio -Impugnaz;ione immediata, 956. -Norme tributarie -Lnterpretazione Agevofu2lioni concesse per 1singole operazioni produtti:ve -Estensione ad 1atlitre operazioni dehlo stesso ci� clo -Impossibilit�, 959. UNIVERSIT� -Contrattiisd ed assegrnism -Tratta� menti retrib�tiivi ,ddfferenz;iati -Compresenza di esigenze di formazione scientifica -Giustti�ica Jia 1ddseg;uagHanza, 888. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 30 gennaio 1980, n. 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 887 14 aprile 1980, n. 43 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 888 23 luglio 1980, n. 123 . . . . . . . . . � 891 30 luglio 1980, n. 1143 . . . . . . . . � 898 12 novembre 1980, n. 150 (ordinanza) � 900 15 dicembre, 1980, n. 157 � 902 22 dicembre 1980, n. 174 . � 903 22 dicembre �1980, n. 175 � 906 22 dicembre 1980, n. 176 � 908 22 dicembre 1980, n. 189 � 910 22 dicembre 1980, n. ,191 � 913 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE 19 giugno 1980, nelle cause riunite 41-121-796/79 pag. 915 1� sezione, 9 ottobre 1980, nella causa 823/79 . )) 921 2� sezione, 9 ottobre 1980, nella causa 827/79 . )) 925 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CAiSSAZIONE Sez. I, 21 marzo 1979, n. 3560 pag. 938 Sez. Un., 6 giugno 1979, n. 3186 )) 935 Sez. I, 14 marzo 1980, n. 1718 )) 956 Sez. I, 21 marzo 1980, n. 1904 . )) . 958 Sez. I, 26 marzo �1980, n. 2007 . )) 959 Sez. I, lo aprile 1980, n. 2097 . )) 967 Sez. Un., 20 maggio 11980, n. 3290 )) 983 Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3826 )) 962 Sez. I, 25 g1ugno 11980, n. 3978 )) 989 Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5564 . )) %9 TRIBUNALE Potenza, 29 giugno 1979, n. 552 pag. 999 Roma, Sez. V, 19 marzo 1980, n. 2386 )) 945 X RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CORTE DEI CONTI Sez. Ili, pensioni civili, 9 maggio 1979, n. 42215 Sez. III, pensioni civili, 25 gennaio 1980, n. 44192 pag. � 948 954 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI pen., 4 dicembre 1979 . Sez. IV, 8 maggio 1980, n. 1024 pag. 1004 � 1005 PARTE SECONDA LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali Il. -Questioni di1Chiarate non fondate III. -Questioni proposte . . . pag. )) )) 131 132 134 PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 30 gennaio� 1980, n. 6 -Pres. Amadei -Rel. Gionfirida -Zanassi (avv. Patrizi), Roversi (avv. Nais), INPS (avv. Boer) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Pensioni . Pensione di rlversibillt� -Div�rsit� di trattamento tra moglie superstite e marito superstite . Illegittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 29; legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 2; legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 11). Contrastano con gli artt. 3 e 29 Cost. gli artt. 13 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636 (modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidit� e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria), convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, sostituito con l'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (riordinamento delle pensioni sull'assicurazione obbligatoria per l'invalidit�, la vecchiaia e i superstiti), e con l'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), nella parte in cui (comma quinto) stabilisce che �se superstite � il marito la pensione � corrisposta solo nel caso che esso sia riconosciuto invalido al lavoro ai sensi del primo comma dell'art. 10 �, nonch� l'art. 11, comma primo, della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (parit� di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) limitatamente alle parole �deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge �. (omissis), Successivamente, per�, la situazione sociale� ed economica del paese -come esattamente sottolineato anche in varie ordinanze dei giudici di rinvio -� mutata profondamente. Ed in tale nuovo contesto il lavoro femminile si � inserito come fenomeno di innegabile rilevanza sociale. In particolare, il lavoro della donna coniugata, indipendentemente da ogni considerazione statistica di frequenza, � venuto assumendo, con rigu:ard? alle ipotesi in cui in fatto comunque si verifica, connotazione non diversa da quella del lavoro del marito, quanto alla destinazione del (1) In diverso senso :La Cor.te sii era pronU!IllOi�a1Ja ndl:J.e sentenze n. i1>19, n. 201 e n. 202 del 1972 (in questa Rassegna, 1972, 954 e 1973, 88 e 89). Il mutamento di orientamento � giustificato -oltre che, anzi pi� che, dal sopravvenire di dati normativi -daLla constatazione di realt� sociali e di costume nuove; U che appare molto significativo. Cfr., inoltre, PERSIANI, La funzione della pensione di riversibilit� nella pi� recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1980, I, 494. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (omissis) Preliminarmente occorre verificare se sia ammissibile la questione di legittimit� costituzionale che il pretore di Milano, adito quale giudice del lavoro ex art. 700 cod. proc. civ, ha sollevato dopo che gli enti universitari convenuti avevano proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione. Sul punto, la Corte ritiene di doversi attenere alle proprie precedenti decisioni, con le quali ha giudicato inammissibile la questione di legittimit� costituzionale sollevata dal giudice dopo che, per effetto della proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, egli � stato privato � di ogni competenza a conoscere e a disporre della o sulla questione giurisdizionale� (sentenze: n. 221 del 1972; n. 135 del 1975; n. 118 e n. 186 del 1976; n. 3 del 1977). La questione sollevata dal pretore di Milano con l'ordinanza 14 aprile 1978, deve, pertanto, essere diichiairata inammissibile, noo essendo quel giudice pi� legittimato a compiere atti del procedimento dopo che era stato proposto regolamento preventivo di giurisdizione, e non essendo la dedotta questione di costituzionalit� riferibile a norma da applicare per il compimento di alcuno degli �atti urgenti� di cui all'art. 48 del cod. proc. civ. Questione di legittimit� costituzionale sostanzialmente identica, ancorch� limitata all'art. 1, terzo comma, della legge 4 febbraio 1977, n. 21 e in riferimento ai soli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, Cost., viene sollevata, con ordinanza 24 aprile 1978, dal pretort. di Bologna, anch'egli adito quale giudice del lavoro con ricorsi ex art. 700 del codice di procedura civile. Tale questione -che ha, ormai, effetti circoscritti posto che, con il d.l. n. 817 del 1978 convertito in legge 19 febbraio 1979, n. 54, sono state attribuite ai contrattisti ed assegnisti universitari, con decorrenza dal 1� gennaio 1979, le indennit� delle quali si discute -non � fondata. L'assunto del giudice a quo, a detta del quale, ritenuti di pubblico impiego i rapporti con le Universit� sia dei contrattisti che degli assegnisti, violerebbe il principio di uguaglianza la previsione del trattamento economico ad essi riservato, in quanto diverso e meno favorevole di quello garantito agli altri dipendenti dell'Universit�, non pu� essere condiviso. Infatti, quand'anche la premessa dalla quale muove il pretore di Bologna fosse assolutamente indiscutibile ed i rapporti in esame fossero da qualificarsi entrambi di pubblico impiego -in contrasto con l'orientamento del Consiglio di Stato (Sezione prima, parere n. 515/75 del 30 aprile 1976) che per gli assegnisti ha escluso f�nanco l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con le Universit� -, non potrebbe da ci� solo dedursi l'obbligo del legislatore di equiparare rigidamente, in ogni sua componente e con i medesimi meccanismi, il trattamento retributivo dei contrattisti ed assegnisti a quello degli altri dipendenti -nella specie, docenti -dell'Universit�, quasi che non fossero legittimamente ipotizza� 890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bili nell'ambito del pubblico impiego trattamenti retributivi differenziati in ragione delle peculiari caratteristiche dei rapporti ai quali ineriscono. Vero � che il trattamento retributivo del quale si discute si diversifica da quelli spettanti al restante personale universitario non soltanto per la mancata previsione, qui censurata, di talune indennit� (l'assegno integrativo e l'aggiunta di famiglia), ma anche perch� diversa � la determinazione 890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bili nell'ambito del pubblico impiego trattamenti retributivi differenziati in ragione delle peculiari caratteristiche dei rapporti ai quali ineriscono. Vero � che il trattamento retributivo del quale si discute si diversifica da quelli spettanti al restante personale universitario non soltanto per la mancata previsione, qui censurata, di talune indennit� (l'assegno integrativo e l'aggiunta di famiglia), ma anche perch� diversa � la determinazione della stessa retribuzione base. Il trattamento complessivo cos� differenziato si giustifica con il rilievo che si tratta di rapporti limitati nel tempo e caratterizzati, per quanto concerne i contrattisti, dalla compresenza di esigenze di formazione scientifica del contrattista stesso e di doveri di prestazioni nell'interesse della Universit�, con un impegno, per quest'ultimo aspetto, limitato a met� della giornata, per tre giorni settimanali e consistente in attivit�� di assistenza agli studenti, di controllo del loro profitto e di esercitazioni senza peraltro sostituire i docenti nell� svolgimento dei corsi e nella valutazione degli studenti (art. 5 d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, convertito in legge 30 novembre 1973, n. 766). Si tratta, all'evidenza di un rapporto con caratteristiche peculiari non riscontrabili nei rapporti dell'Universit� con gli altri suoi dipendenti e tali da escludere quella sostanziale eguaglianza di situazioni dalla quale soltanto pu� dedursi la irrazionalit� e quindi l'illegittimit� di trattamenti differenziati. Relativamente agli assegnisti �, poi, agevole osservare che secondo il modello legislativo (restando estranea al presente giudizio la valutazione della sua applicazione pratica eventualmente difforme) la concessione dell'assegno � finalizzata esclusivamente alla formazione scientifica e didattica dei giovani laureati senz'obbligo di prestazioni lavorative nell'interesse dell'Universit� stessa. :B da escludere, pertanto, che differenziazioni parziali nascenti in un sistema normativo complessivo -non soltanto ret�ributivo -fortemente differenziato possano, di per s�, ritenersi contrarie al principio di eguaglianza. Neppure sussiste violazione dell'art. 36, primo comma, Cost. Baster� -ferma la distinzione sopra fissata -ricordare che l'esigenza di una retribuzione �sufficiente� non comporta certamente l'obbligo di meccanismi di adeguamento particolari, tanto meno per figure di lavoratori �transitori� come i contrattisti. La stessa durata temporale del contratto e la possibilit� -concretamente verificata con la legge n. 21 del 1977 di maggiorazioni dell'originario importo dei contratti (nonch� degli assegni) sta a dimostrare che il legislatore ben pu� adeguare la retribuzione alle variazioni del costo de1la vita .con interventi adottati di volta in volta senza essere vincolato ailil'adozione di meccanismi automatici. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 891 CORTE COSTITUZIONALE, 23 luglio 1980, n. 123 -Pres. Amadei -Rel. La Pergola -Regione Sardegna (avv. Vitucci) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione -Atto non immediatamente lesivo -Ammissibilit� del ricorso. Trattati e convenzioni internazionali -Competenza dello Stato e non delle Regioni -Atto prellminar:e all'adesione e trattato unilaterale -Spetta allo Stato. (Statuto Sardegna, artt. 3 e 4; d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448). Regione -Agricoltura e urbanistica -Protezione della natura -Riserve naturali e parchi interregionali -Individuazione dei territori -Attribuzione dello Stato. (Statuto Sardegna, artt. 3 e 4; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 66, 80, 81 e 83). Il ricorso per conflitto di attribuzione pu� essere esperito anche mediante impugnazione di un atto non definitivo, o altrimenti inidoneo a ledere immediatamente la sfera della parte ricorrente, quando l'organo che lo emana abbia con sufficiente chiarezza manifestato l'intento di esercitare come propria l'attribuzione della quale si controverte. L'attribuzione a concludere trattati internazionali, o ad aderirvi, appartiene esclusivamente allo Stato, solo sovrano e solo responsabile degli eventuali illeciti internazionali, anche quando il trattato riguardi materia di competenza regionale. In assenza di norme di attuazione statutaria che definiscano diversamente l'ambito delle funzioni trasferite ad una regione a statuto speciale, questa non pu� invocare attribuzioni pi� ampie di quelle spettanti alle Regioni a statuto ordinario. Spetta allo Stato la potest� di individuare i territori nei quali istituire riserve naturali e parchi a carattere interregionale; tale potest� � piena ed esclusiva se viene esercitata in funzione di un vincolo internazionale (1). (omissis) U presente conflitto di attribuzione � sollevato dalla Regione Sardegna con l'impugnare la determinazione adottata il 29 luglio 1975 dal Ministero dell'agricoltura e foreste. Il provvedimento impugnato richiama {;l) I principi di cui a1la massima appaiono di grande .interesse. Dahla prima parte di essa (estratta dal testo della motivazione) sembra emergere in modo abbastanza chiaro, una indicazione di tendenza o, quanto, di metodo. Se si legge al positivo l'affermazione della Corte (che � scritta al negativo) pare raccomandata una applicazione analogica, nei riguardi delle Regioni a statuto speciale delle disposizioni contenute nel d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; e ci� malgrado la controversia sub judice fosse sorta prima dell'entrata in vigore di detto decreto. Del resto, sia la legge 16 maggio 1978, n. 196 per la Valle d'Aosta, sia la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 892 priecedenti determinazioni del Ministero della marina mercantile (nota 5177107 dell'8 luglio 1975 e nota 5176731 del 6 giugno 1975), le quali avevano riconoscuito l'opportunit� di vincolare, ai fini della Convenzione di Ramsar, e con la sola eccezione deLle aree interessate dal primo fotto funzionale dei lavori per il porto industriale di Cagliari, le zone del demanio marittimo delle Saline di Macchiareddu e dello Stagno di Santa GiLla. Il Ministero dell'agricoltura e foreste aggiunge che tale posizione deve ritenersi definitiva, ed invita in conseguenza il Ministero degli affari esteri a dar comunicazione delle aree cos� individuate al depositario degli strumenti di ratifica dell'anzidetta Convenzione, perch�, ai sensi di questa, esse siano incluse nell'apposito elenco delle zone umide tutelate. La ricorrente ha cos� dedotto l'invasione della sfera ad essa costituzionalmente garantita: a) pur essendo il provvedimento in questione connesso con la partecipazione dell'Italia alla Convenzione di Ramsar, il rispetto degli obblighi internazionali da parte della Regione non verrebbe in questione: sia, si dice, perch� detta convenzione non risulta ratificata (al momento, beninteso, in cui i� sollevato il conflitto); sia, e soprattutto, perch� essa non elenca tassativamente n� indica per altra via le aree soggette a vincolo, ma lascia agli Stati contraenti di individuare discrezionalmente, fissando l'unica condizione che ciascun contraente designi almeno una zona umida del proprio territorio, da salvaguardare ai sensi della convenzione; b) ci� posto, l'individuazione delle aree nelle quali il vincolo astrat tamente previsto dalla Convenzione pu� esser reso operante competerebbe non allo Stato, ma alla Regione: alla quale, si assume, sono state trasfe rite le attribuzioni delle due branche dell'amministrazione, le quali avrebbero senza titolo interloquito nella specie, il Ministero dell'agricol tura e foreste ed il Ministero della marina mercantile. La Convenzione normativa d'attuazione predisposta dopo il 1977 (cos�, il d.P.R. 19 giugno 19'79, n. 348, concernente proprio la Sardegna) seguono il � modello � tracciato dal citato decreto legislativo del 19n; per il che le disposizioni in esso contenute potrebbero assumere il ruolo di disposizioni-parametro integrative non solo della Costituzione ma anche -per quanto possibile -delle leggi costituzionali di approvazione� degli statuti speciali. Sebbene ili d.P.R. n. 616 dcl 119n Slia testo ilegis11amvo, in complesso di opinabNe fa1ltura, va vailutata tutto considerato positivamente il:a tendenza a ricercare in ess� (integrato da opportune interpretazioni correttive) la base per una reductio ad unitatem (salve le particolarit� garantite da leggi costituzionali) dei sistemi normativi in tema di rapporti tra Stato e Regioni. La seconda parte della massima fornisce un primo chiarimento in ordine ad uno dei (troppo) numerosi problemi interpretativi posti dal d.P.R. n. 616 del 1977 (ancorch� -ripetesi -la controversia sub judice sia insorta nel 1975). La � protezione della natura � � finalit� della quale detto decreto legislativo fa parola in ben quattro articoli, tra loro poco coordinati; l'art. 66, ove si dispone che le � funzioni amministrative nella materia agricoltura e foreste (trasferite f llfifl�llBtlllli~r1:r:rt1r11ir111:11f11.111ri:!iftiifilliflfllf!Jlll�1111~�� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 893 di Ramsar, si osserva dalla ricorreente, � ispirata ad interessi ecologici ed ornitologici corrispondenti a materie di competenza della Regione. Di qui si fa discendere che il vincolo posto dallo Stato a tutela di tali interessi pregiudica, necessariamente e sotto vario riguardo, l'esercizio dei relativi poteri di autonomia. Ammesso pure, si soggiunge, che nel vincolo siano coinvolti altri interessi di residua competenza statale, la proposta di assoggettamento delle aree in questione al regime previsto in sede internazionale dovrebbe comunque risultairie da un'intesa foa Stato e Regione, invece che dalla sola determinazione degli organi centrali; e) infme, il provvedimento impugnato sarebbe totalmente immotivato, e la carenza di motivazione costituirebbe un'autonoma causa di invasione di .competenza, oomprovando :l'omessa valutazione, e cos� il necessario pregiudizio, degli interessi che ricadono nella sfera costituzionalmente garantita alla Regione. Il ricorso non � fondato; L'invasione della sfera riservata alla Regione scaturirebbe da una determinazione del Ministero dell'agricoltura e foreste, che la stessa ricorrente assume connessa con la firma, da parte dell'Italia, della Convenzione di Ramsar. Detta Convenzione, relativa alle zone umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli ooquatici, prevede, invero, quel vincolo a tutela delle zone umide, al quale ila determinazione impugnata assoggetta lo Stagno di Cagliari (alias, com'� spiegato in narrativa, le Saline di Macchiareddu e lo Stagno di Santa Gilla), e della cui imposizione la Regione si duole. L'assunto centrale del ricorso � che il provvedimento impugnato preclude alla Regione di individuare le zone umide da tutelare, valutando, in virt� e alle Regioni) concernono ... (tra l'altro)... gli interventi di protezione della natura comprese la istituzione (e -dovrebbe aggiungersi -il mantenimento) di parchi e riserve naturali e la tutela delle zone umide (il PALADIN, Diritto regionale, 1979, 163, contrappone �agricoltura-protezione� ad �agricoltura-produzione�; cfr. anche Corte Cost., 12 maggio 1977, n. 72, in questa Rassegna, 1977, 489); e gli articoli 80, 81 e 83 ove -nell'ambito della materia urbanistica -si parla, rispettivamente di � protezione dell'ambiente >>, di �tutela ambientale ed ecologica � e, pi� specificamente di � interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali�. Nella gi� menzionata sentenza 12 maggio 1977 n. 72, la Corte aveva qualificato �la protezione della natura � come �sub -materia rientrante nella materia agricoltura e foreste�. Con riguardo alla tutela del paesaggio, invece, il MERUSI (nel Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA, sub art. 9, pag. 454) sostiene invece che �materie attribuite alla competenza regionale, in particolare l'urbanistica, costituiscono submaterie rispetto alla materia paesaggio �. Anche il citato d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (non menzionato nella sentenza in rassegna) parla della � protezione della natura � in due diversi articoli, l'articolo 55 in tema di agricoltura e l'art. 58 in tema di urbanistica, tra loro alquanto dissonanti (�sono attribuite ai comuni... le funzioni amministrative in materia di protezione della natura, con la collaborazione della regione � e � sono trasfe RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nell'ambito della propria �utonomia, gli interessi ornitologici ed ecologici protetti dalla Convenzione in relazione agli altri interessi, dei quali essa � portatrice. Ora, se da un canto il conflitto � cos� prospettato, dall'altro, per�, si assume che sia � fuori questione � il rispetto degli obblighi internazionali da parte della Regione: e per ci� stesso si assume va subito precisato -che nella specie non venga in considerazione nemmeno fa competenza dello Stato ad obbligarsi internazionalmente. Nessuno degli argomenti addotti dalla ricorrente pu�, tuttavia, essere accolto. Inconferente, prima di tutto, � il rilievo che, al momento in cui � stata instaurata la presente controversia, la Convenzione di Ramsar non fosse ancora ratificata dall'Italia. La ricorrente trascura che la determinazione, qui considerata, del Ministero dell'agricoltura e foreste � espressamente preordinata all'instaurazione di un vincolo internazionale sulle aree in essa contemplate; essa � stata, dunque, impugnata precisamente in quanto preparatoria, rispetto a quell'atto -la ratifica con cui lo Stato ha poi, come si era riservato, manifestato la definitiva volont� di divenir parte della Convenzione di Ramsar. Detta Convenzione -firmata per l'Italia il 10 gennaio 1975 -� stata infatti resa esecutiva con d.P.R. n. 448 del 13 marzo 1976, e lo strumento di ratifica � stato depositato il 14 dicembre 1976. Quattro mesi dopo, a norma del suo art. 10, la Convenzione �, infine, entrata in vigore per l'Italia. Gli obblighi internazionali, assunti dallo Stato con il sottoscrivere l'accordo di cui ci occupiamo, sono cos� ormai perfetti, ed anche internamente efficaci. Ma tutto d� 111on toglie -anzi impHca -che il provvedimento impugnato, sebbene emesso di fronte alla semplice firma della Convenzione, ancora soggetta a ratifica, affermasse gi� la pretesa dello Stato di individuare rite alla regione le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali�). Comunque la Corte ha sostanzialmente affermato che le funzioni amministrative finalizzate alla � tutela delle zone umide � debbono essere aggregate alle funzioni �per la protezione della natura � e sottoposte alla disciplina per queste ultime dettata; e che l'attribuzione statale di cui al quarto (e non terzo) comma �dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonch� -dovrebbe aggiungersi quehla di cui al primo comma, Lettera a), de11'art. 81, debbono operare anche come limiti al generale trasferimento alle Regioni delle funzioni in materia di � agricoltura e foreste �. Sembra inoltre che la Corte abbia configurato la �potest� � statale prevista dall'art. 83, comma quarto, come (di norma) non esclusiva ma concorrente con parallela potest� regionale, potest� amministrative concorrenti sono, come � noto, previste anche da altre disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 ad esempio, dall'art. 82, ultimo comma. In ordine alla intrinseca imprecisione di norma formulate in termini finalistici ed alla insufficienza del tentativo fatto, con il d.P.R. n. 616 del 1977, per � tradurre � le indicazioni di grandi finalit� in norme costruite su nozioni oggettive e/o formali, ed in ordine alla nozione di �settori organici di materie�, cfr. FAVARA, in Commento al decreto 616, 1980, voi. I, 27 e segg. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE le zone umide ai fini previsti nella Convenzione stessa: che �, poi, la pretesa di esercitare quella determinata competenza, della quale la Regione rivendica in questa sede l'attribuzione. Se cos� non fosse, difetterebbe, del resto, un atto statale idoneo a determinare il conflitto di attribuzione, e H presente ricorso non sairebbe nemmeno ammissibile, laddove esso deve ritenersi sicuramente tale. � appena il caso di ricordare, in merito, la giurisprudenza di questa Corte: il regolamento di competenza pu� essere esperito anche mediante impugnazione di un atto non definitivo, o altrimenti inidoneo a ledere immediatamente la sfera della parte ricorrente, quando l'organo che lo emana abbia con sufficiente chiarezza manifestato l'intento di esercitare come propria l'attribuzione, della quale si controverte (fra le altre, v. sentt. nn. 171/71, 49/72, 81 e 87/73 e pi� recentemente 72/78). La Convenzione di Ramsar, si deduce inoltre nel ricorso, non contiene alcuna ,autentica o tassativa elencazione delle zone um1de da tutelare: di guisa che -incidendo il vincolo previsto in sede internazionale su materie, si dice, attribuite alla Regione -spetterebbe a quest'ultima, non allo Stato, individuare le zone suddette. Senonch�, l'incosistenza dell'assunto risulta chiaramente dalle disposizioni della stessa Convenzione, alla quale si riferisce la Regione. Di esse occorre dunque far cenno, per quel che interessa l'indagine della specie. In conformit� dello scopo enunciato nel preambolo -tutela delle risorse internazionali costituite dalle zone umide e dalla loro flora e fauna, in particolare degli uccelli acquatici nel periodo delle migrazioni stagionali -l'art. 1 della Convenzione definisce le caratteristiche di tali zone, e dispone che gli uccelli acquatici sono quelli che da esse dipendono ecologicamente. L'art. 2 detta a sua volta -nei numeri dal primo al terzo -i criteri ,secondo i quali ciascuna parte contraente opera, entro il proprio territorio, la scelta e la confinazione delle zone umide, da da inserire in un elenco, che, ai sensi dell'art. 8, � affidato ad apposito ufficio; e il numero 4 del citato art. 2 recita poi: �Ciascuna parte contraente designa almeno una zona umida da inserire nell'elenco all'atto della firma della presente Convenzione, oppure al momento del deposito dello strumento di ratifica o di adesione, conformemente all'art. 9 �. Ci� signfica che la designazione di almeno una zona umida assurge necessariamente aid elemento integrante de1la manifestazione di volont�, mediante la quale oghi successivo contraente viene a far parte della Convenzione. Ciascuna parte dell'accordo mantiene tuttavia il diritto di aggiungere zone nuove all'elenco suddetto, o viceversa, �per urgenti interessi nazionali �, di cancellare o restringere una zona, in precedenza designata come umida. Solo che, in quest'ultimo caso essa dovr� compensare, �nei limiti del possibile, ogni conseguente perdita di risorse in zone umide e, in particolare, dovr� creare nuove riserve naturali per gli uccelli acquatici e RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per la tutela, nella stessa regione o altrove, di una adeguata porzione dell'habitat originario� (art. 4, n. 2). (� altres� previsto che la gestione delle zone umide serva a favorire non solo la conservazione ma anche l'incremento della fauna tutelata: art. 4, n. 4). In questo modo, l'instaurazione, le modificazioni, l'estinzione del vincolo, indispensabile per la tutela delle zone umide, e della fauna che ne dipende, sono rimesse alle determinazioni degli Stati contraenti. Lo schema del trattato aperto � nelila specie cos� congegnato, ohe ogni parte sopravveniente si sottopone alle regole contenute nella Convenzione, mentre gli Stati gi� venuti a far parte dell'accordo -accettano -dal canto loro, in anticipo -la designazione delle zone umide, fatta unilateralmente da nuovo contraente, all'atto, secondo i casi, della firma, o della ratifica o dell'adesione: le scelte discrezionali, in cui tale designazione si concreta, possono solo formare oggetto di raccomandazione da parte delle conferenze deliberanti a maggioranza semplice di voti, ex artt. 6 e 7 della Convenzione. Le finalit� ispiratrici del sistema test� descritto esigono, quindi, che a stabilire quale o quanta parte dei rispettivi territori meriti di essere tutelata siano, in seno 1ad ogni Stato con1Jmente, gli 011gani competenti ad apprezzare le esigenze e gli interessi ecologici non di singole regioni, ma dell'intera collettivit� nazionale. Non vi � dubbio, in alcun caso, che l'individuazione, a norma della Convenzione, di almeno una zona umida -senza la quale nessun vincolo o rapporto pattizio pu� sorgere fra il nuovo aderente e le rimanenti parti dell'accordo -spetti agli organi chiamati ad impegnare lo Stato nei confronti degli altri soggetti di diritto internazionale. In definitiva, si tratta della competenza a concludere i trattati, o ad aderirvi, e nel nostro ordinamento costituzionale, tale competenza costituisce una necessaria ed esclusiva attribuzione dello Stato, solo sovrano e solo responsabile degli eventuali illeciti internazionali, anche quando � stato in altra pronunzia chiarito -l'accordo internazionale riguardi materie attribuite alla Regione (sentenza n. 170/75). Diversamente, si dovrebbe ritenere che l'ambito costituzionale riservato all'autonomia regionale resti, per definizione, escluso dalla sfera, nella quale si svolgono le relazioni esterne dello Stato: con l'insostenibile conseguenza -come dice la Corte Suprema degli Stati Uniti, significativamente in un caso per pi� versi analogo al nostro (Missouri versus Holland, U.S. Supreme Court 1920, 252 U.S. 416) -di creare un vuoto, dove, invece deve risiedere un � potere della massima importanza � -quello, appunto, di stipulare i trattati -che �appartiene a qualsiasi governo civile"� La ricorrente, assume poi, in via subordinata, che l'individuazione delle zone umide nel territorio sardo debba risultare da un'intesa tra organi centrali e Regione. Ma una simile soluzione non trova alcun fondamento nello statuto speciale per la Sardegna, n� in altra fonte normativa, che possa rilevare nel presente giudizio. Del resto, quando il legislatore - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 897 -in considerazione dello speciale regime di autonomia concesso all'isola -ha previsto un qualche diritto della Regione ad esser sentita, anche con riferimento aMa conclusione di accor;di internazionali, esso lo ha espressamente sancito. Cos�, infatti, l'art. 52, comma primo, dello statuto sardo recita: �la Regione � rappresentata nell'elaborazione dei progetti dei trattati di commercio che il governo intenda stipulare con Stati esteri in quanto riguardino scambi di specifico interesse per la Sardegna �. La disposizione test� citata concerne, per�, solo i trattati che ricadono nelle categorie testualmente contemplate, e non copre il caso di specie. In punto di fatto, comunque, il Ministero dell'agricoltura e foreste non ha mancato di sentire la Regione interessata, ed ha anzi provveduto ad eccettuare dal vincolo le aree destinate al primo lotto funzionale dei lavori per il porto industriale di Cagliari. (omissis) Vi � un'ultima osservazione, che soccorre nel concludere per l'infondatezza del presente ricorso. Il provvedimento impugnato non potrebbe considerarsi lesivo della competenza regionale, quand'anche si negasse che esso vada ascritto alla competenza, propria degli organi centrali, di impegnare internazionalmente lo Stato. Nemmeno allora, infatti, l'individuazione e la salvaguardia delle �zone umide verrebbero, come assume la ricorrente, a ricadere in alcuna delle materie elencate dallo statuto sardo, e delle corrispondenti attribuzioni della Regione. Giova in proposito por mente alla legislazione in vigore quando l'atto censurato nel ricorso � stato emesso: il Ministero dell'agricoltura e foreste ha in quel momento agito nel presupposto che nessun ostacolo di ordine costituzionale impedisse di ritenere operante, anche riguardo alla Sardegna, la riserva di competenze a favore degli organi centrali in tema di interventi per la protezione della natura, �salvi gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato�, posta dall'art. 4, lettera h), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (�Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici�). Proprio questa riserva di legge � richiamata, con riferimento al nostro caso, dal successivo decreto del Mini1stero dell'agricoltura e foreste 1� agosto 1977, sopra citato; e di essa la Corte ha in altre occasioni ritenuto la legittimit�, riconoscendo il rilievo nazionale degli interessi, perseguiti dal legislatore nel configurarfa (sentt. nn. 71/67, 142/72, 145/75 e 175/76). Vero � che, pi� di recente, l'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, emesso in attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, include, tra le funzioni amministrative, trasferite alle Regioni a statuto ordinario in materia di agricoltura e foreste, �gli interventi di protezione della natura, compresa l'istituzione di parchi e riserve naturali e la tutela delle zone umide �. Senonch�, sempre il decreto n. 616, sotto il titolo V �assetto e utilizzazione del territorio�, e nella disposizione apposita �:��� . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 898 mente dedicata agli interventi per la protezione della natura (art. 83, comma secondo), rimette fa disciplina generale deHe riserve naturali dello Stato gi� esistenti ad una legge statale, e fa a�tres� salva, al terzo comma, la potest� per il governo, � nell'ambito delle funzioni di indirizzo e di coordinamento, di individuare i nuovi territorio nei quali istituire riserve naturali�. D'altra parte la Regione Sardegna non pu� oggi invocare in materia, pi� larghe attribuzioni di quelle spettanti alle Regioni ordinarie, in assenza di norme di attuazione statutaria che definiscano diversamente l'ambito delle funzioni ad essa trasferite. Il legislatore ha voluto lasciar ferma la competenza dello Stato, delimitando correlativamente le funzioni trasferite alle Regioni, in ordine appunto, a quella prima e delicata fase dell'intervento degli organi pubblici per la protezione della natura, che consiste nell'individuare le aree da tutelare, tenendo conto dgli interessi e delle esigenze ecologiche nazionali. Siffatta attribuzione, si deve allora ritenere, residua agli organi centrali, com'� previsto dalle norme che reggono il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni; nella specie, essa si atteggia come piena ed esclusiva, per l'altra considerazione che il provvedimento impugnato � stato posto in funzione di un vincolo internazionale sulle zone umide da esso individuate: vincolo, che spettava allo Stato di instaurare, mediante trattato. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1980, n. 143 -Pres. Amadei -Rel. Andrioli -Galbiati (avv. Leon), S.p.A. Sidaim (avv. Vitucci) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Lavoro � Mobilit� dei lavoratori � Dichiarazione di crisi aziendale � Effetti della disdetta di cui all'art. 2112 cod. civ. � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36 e 41; d.l. 30 marzo 1978, n. 80, conv., con modificazioni, in legge 26 maggio 1978, n. 215, art. 1). Non contrasta con la Costituzione la disposizione legislativa che, in deroga all'art. 2112, primo comma, cod. civ., escluda la conservazione dei diritti derivanti al lavoratore subor:dinato dall'anzianit� raggiunta anteriormente al trasferimento di una azienda dichiarata in crisi (1). (omissis) Nel merito le questioni sollevate dal Pretore di Milano sono infondate perch� muovono daUa premessa che 11'art. 2112, comma primo, (1) Cfr. MARIUCCI, I licenziamenti impossibili: crisi aziendali e mobilit� del lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 1360. La sentenza in rassegna riconosce che la � professionalit� dei dipendenti � � un valore, ma esclude che i diritti derivanti dall'anzianit� siano costituzionalmente garantiti. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 899 cod. civ., costituisca un tipo di norma di ordine rafforzato se non costituzionale, in cospetto del quale dovrebbe soccombere il meccanismo di normativa... che ha per oggetto le crisi aziendali e la mobilit� dei lavoratori. Gli argomenti di contenuto economko-sociale, con grande impegno svolti dalla ,difesa dei lavoratori al fine di virilizzare la premessa, non persuadono. L'affermazione che l'impugnato art. 1, ponendo nel nulla l'anzianit�, faccia conseguire gratuitamente al cessionario il bene lavoro costituito da anzianit� e professionalit� dei dipendenti incorporate nella azienda, non tiene conto dello stato di crisi, che, indipendentemente dalla normativizzazione che se ne � fatta nel 1977 e fuori dall'ipotesi dell'amministrazione straordinaria, prevista dal d.l. n. 26 del 1979, conv. nella legge n. 95 del 1979, rappresenta il pi� delle volte l'anticamera della dichiarazione di fallimento, la quale, a stare al codice civile, non provoca -� vero -la cessazione del rapporto di lavoro ma si limita, nella quasi totalit� dei casi, a procrastinarla, esponendo poi i lavoratori licenziati dagli organi della procedura concorsuale, che non abbiano autorizzato la continuazione dell'esercizio dell'impresa, alle non celeri operazioni di ripartizione dell'attivo, nelle quali la laudabile novellazione dell'ordine dei privilegi effettuata nel 1975 non � sempre idonea a far acquisire il dovuto ai lavoratori ormai privi di occupazione. Anche qui riceve conferma l'adagio che una cosa � la pi� fondata delle pretese e altra � la sua soddisfazione. N� giova plaudire, come a pi� razionale scelta, alla ipotesi negletta dal legislatore, per la quale il personale dell'impresa in crisi in corso di cessione aziendale, sarebbe trasferito alle dipendenze della impresa cessionaria e questa, per effetto della cessione, provvederebbe a licenziare, al termine del processo di ristrutturazione, il personale sovrabbondante; ipotesi che, se elevata a dignit� di contenuto di norma cogente, impedirebbe -sospetta la difesa del Galbiati -agli imprenditori di dar vita a controfigure di se stessi onde rimanere titolari delle aziende cedute e di fruire della riduzione di personale ex lege. Ch� riesce agevole obiettare che giudici civili, amministrativi e penali ben potranno esercitare il loro magistero per evitare le ipotizzate frodi alla l~gge. N� ha pregio l'argomentazione diretta ad evidenziare che del risanamento deHe impr,ese in crisi farebbero ~e spese i 1lavoratori perch� la ool1ettivit�, la quale non consta soltanto di coloro che pongono a disposizione di altri energie di lavoro, contribuisce in guisa pi� che cospicua -traverso i rivoli pi� o meno diretti -ai finanziamenti, in difetto dei quali il ricupero delle imprese rimarrebbe sulla carta. Che poi i finanziamenti non siano illuminatamente utilizzati o vengano divertiti per altre finalit�, � vicenda che va accertata dalle autorit� competenti e dai giudici dei diritti e dei reati. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 900 N�, infine, giova istituire raffronto tra impresa sana e impresa in crisi per argomentarne la offesa che all'art. 3 Cost. infliggerebbe il diverso trattamento riservato ai dipendenti dell'una e dell'altra, perch� sin troppo palese � la diversit� di condizione, in cui versano le due figure di imprese tolte a paragone. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 12 novembre 1980, n. 150 (ordinanza) -Pres. Amadei -Rel. Paladin. Corte costituzionale � ConfUtto di attribuzione tra poteri dello Stato � Lhm.tl. della giurisdizione nelle materie di contabilit� pubblica � Legittimazione del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato e del Presidente della Camera dei deputati. Ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (previe le conformi deliberazioni delle rispettive assemblee parlamentari) va riconosciuta separata legittimazione a sollevare conflitto, sebbene entrambe le assemblee in questione facciano parte del medesimo �potere �: legittimato a ricorrere deve considerarsi anche il Presidente della Repubblica, quale organo costituzionale, titolare di attribuzioni non riconducibili alla sfera di competenza dei tre tradizionali poteri dello Stato, in ordine alle quali il solo Presidente pu� promuovere conflitti risolvibili da questa Corte. (omissis) Ritenuto che la Sezione prima giurisdizionale della Corte dei conti, su istanza del Procuratore generale in data 2 novembre 1978, considerata la giurisdizione che spetta alla Corte � nelle materie di contabilit� pubblica� (in base all'art. 103, secondo comma, Cost. ed ai sensi dell'art. 44 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), ha prescritto ai tesorieri della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica e della Presidenza della Repubblica -con altrettanti decreti datati 30 ottobre 1979 e depositati il 19 febbraio 1980 -il termine di mesi sei per la presentazione dei conti relativi alle gestioni degli anni dal 1969 al 1977; e che i decreti stessi sono stati inviati alla Presidenza della Repubblica, nonch� alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica -con note del direttore della segreteria presso la Procura generale della Corte dei conti, datate 21 marzo 1980 -affinch� esse provvedano �alla notificazione giudiziale nei confronti del Tesoriere�. Ritenuto che, in relazione a tali atti, il Presidente della Camera dei deputati -previa deliberazione 19 giugno 1980 dell'Ufficio di presidenza, adottata dall'intera Assemblea nella seduta del 2 luglio 1980 -ha sollevato conflitto di attribuzione, con ricorso depositato il 18 luglio 1980, PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 901 chiedendo che questa Corte neghi alla Corte dei conti la spettanza del �potere di giurisdizione contabile nei confronti della Camera dei deputati � e di conseguenza annulli il decreto 19 febbraio 1980 della Sezione prima giurisdizionale e la nota 21 marzo 1980 della Procura generale della Corte stessa; che analogo conflitto � stato sollevato dal Presidente della Repubblica, con ricorso depositato il 18 luglio 1980 (al quale ha preso parte, � per quanto di ragione >>, sottoscrivendolo e � formulando le medesime richieste�, il Segretario generale della Presidenza), perch� �venga dichiarato il difetto di potere della Corte dei conti ad esercitare la giJUJdsdizione contabile 111ei confLronti del tesoriere delta Pres1denza della Repubblica�, (omissis), che ha promosso conflitto anche il Presidente del Senato della Repubblica -previa deliberazione 17 giugno 1980 del Consiglio di presidenza, adottata dall'intera Assemblea nella seduta del 2 ilrugilio 1980, mediante 'ricorso depositato H 18 luglio 1980, affinch� sia dichiarato che non spetta alla Corte dei conti � il potere di estendere 1a giurisdizione ,contabile a1 Tesoriere del Senato della Repubblica imponendogli \l'obbligo di presentare i rendiconti deLle gestioni degli anni dal 1969 al 1977, n� quello di prescrivere al Senato di provvedere alla notificazione del decreto adottato nei con~ronti del detto � Tesoriere � e .sia pertanto annullato il decreto medesimo nonch� -� per quanto possa oocorrere � -iLa 11e1ativa nota del 21 marzo 1980. Considerato che in questa fase del giudizio la Corte � chiamata a decidere senza contraddittoro -a norma dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953 -se il ricorso sia ammissibile: vale a dire, se il conflitto sorga � tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volont� del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali �; (omissis) che ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (previe le conformi deliberazioni delle rispettive assemblee parlamentari) va riconosciuta la legittimazione a sollevare conflitto, sebbene entrambe le assemblee in questione facciano parte del medesimo �potere�: giacch� l'una e l'altra sono -in vario senso -competenti ad esprimerne definitivamente �la volont��, con particolare riguardo ai casi sul tipo di quello in esame, che vede ciascuna assemblea, in posizione di piena indipendenza rispetto all'altro ramo del Parlamento, rivendicare la propria autonomia contabile; che legittimato a ricorrere deve considerarsi anche il Presidente della Repubblica, quale organo costituzionale, titolare di attribuzioni non riconducibili alla sfera di competenza dei tre tradizionali poteri dello Stato, in ordine alle quali il solo Presidente pu� promuovere conflitti risolvibili da questa Corte; che, per ci� stesso, vanno ritenute inammis sibili la partecipazione al ricorso presidenziale, �per quanto di ragione�, e la sottoscrizione dell'atto medesimo da parte del Segretario generale MSSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO della Presidenza (tanto pi� che si tratta di un ufficio il cui titolare � un funzionario �nominato e revocato con decreto del Presidente della Repubblica �, sia pure � sentito il Consiglio dei ministri � -in base all'articolo 3, secondo comma, della legge 9 agosto 1948, n. 1077 -cui dunque non spetta � dichiarare definitivamente � n� concorrere a manifestare la volont� del potere di appartenenza); che, dal lato opposto, non � dubbia la legittimazione passiva della Sezione prima giurisdizionale dehla Corte dei conti, peroh� i singoli organi giurisdizionali, nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, possono in genere essere parti nei conflitti di attribuzione (come questa Corte ha ritenuto pi� volte, a partire dalle ordinanze n. 228 e n. 229 del 1975); che nei casi in esame concorre il requisito oggettivo, previsto dall'art. 37 della legge n. 87 del 1953: oltre a contestare l'interpretazione che la Corte dei conti ha fatto propria, quanto alle norme di legge ordinaria che disciplinano la giurisdizione contabile (il che non basterebbe da solo -a concretare la materia di un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato), tutti i ricorsi sostengono, infatti, che i principi costi� tuzionali di indipendenza e di autonomia della Presidenza della Repubblica, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, quali risulterebbero dal sistema se non da particolari disposti della Costituzione, sarebbero lesi qualora si obbligassero alla resa del conto giudiziale della loro gestione i tesorieri di tali organi costituzionali; ed � significativo che anche la Sezione prima giurisdizionale della Corte dei conti -nelle motivazioni degli impugnati decreti 30 ottobre 1979-19 febbraio 1980 -abbia espressamente dato atto della vigenza dei principi stessi, pur negando che la sua giurisdizione li venga a menomare ed anzi invocando in tal senso un'apposita disposizione costituzionale, come quella contenuta nell'art. 103, secondo comma, Cost., per cui � la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilit� pubblica e nelle aJtre specificate dahla legge � (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 15 dicembre, 1980, n. 157 � Pres. Amadei . Rel. Reale � Cardi ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). Pensioni � Pensione sociale � Cumulo con pensione di guerra . Esclusione . Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 38; legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26; d.J. 2 marzo 1974, n. 30, art. 3). Non contrasta con gli artt. 3 e 38 Cost. l'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, come modificato dall'art. 3 del d.l. 2 marzo 1974 (convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114), nella parte in cui detta norma con ,_ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 903 diziona la corresponsione della pensione sociale al mancato godimento di una pensione di guerra, ovvero riduce l'importo della pensione sociale qualora l'ammontare della pensione di guerra sia inferiore all'importo della pensione sociale, fino al raggiungimento complessivo dello stesso ammontare. (omissis) Il legislatore del 1969 intese introdurre, �per la prima volta, nell'ordinamento giuridico italiano... un principio di sicurezza sociale �, il �diritto, cio�, di tutti i cittadiini ,anziani e bisognosi alla assistenza � (confr. relazioni del ministro proponente e del relatore della legge al Senato). Come la dottrina ha posto in evidenza, l'istituzione della pensione sociale si inquadra nell'attuazione del primo (non del secondo) comma dell'art. 38 della Costituzione, che attribuisce ad � ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere � il � diritto al mantenimento ed alla assistenza sociale �. La natura assistenziale della pensione sociale � fra l'altro sottolineata dal fatto che essa � a carico dello Stato. Questa essendo la natura della pensione sociale, il presupposto della mancanza di altri redditi di importo complessivo superiore a quello della pensione, non irragionevolmente opera anche in confronto della pensione di guerra, come il 'legislatore ha stabHit6 (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 174 � Pres. Amadei � Rel, Reale � Ordine degli avvocati e procuratori di Roma (avv. Valensise e Della Rocca), Mirelli di Teora {avv. Mazzarolli e Scoca), e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Avvocati e procuratori -Iscrizione agli albi professionali � Necessit� di un previo .esame di Stato � 1:: tale il concorso per l'accesso alla magi� stra tura. (Cost., art. 33; r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 26 e 30). Il concorso per l'accesso ad una magistratura ragionevo~mente � stato dal legislatore ordinario considerato � esame di Stato � congruo per l'accesso alle professioni di procuratore e di avvocato. In particolare non contrastano con l'art. 33, comma quinto, Cast. gli artt. 26, lett. b) e 30 lett. a) e b) del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, nelle parti in cui stabiliscono che hanno diritto di essere iscritti nell'albo dei procuratori e nell'albo degli av 904 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 904 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO vocati �coloro che per cinque anni almeno � e rispettivamente �coloro che per otto anni almeno� �siano stati magistrati dell'ordine... mi litare� (1). (omissis) L'ordinanza delle sezioni unite della Cassazione di cm m narrativa chiama la Corte a decidere se l'art. 33, comma quinto, della Costituzione, il quale prescrive un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, consenta che quell'accertamento preventivo, fatto con serie garanzie, il quale � assicuri nell'interesse della collettivit� e dei clienti che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacit� occorrenti per il retto esercizio professionale � possa essere effettuato anche mediante strumenti alternativi e �in particolare mediante la valorizzazione di prove altra volta sostenute in vista di un esercizio di un'attivit� -professionale o anche non professionale diversa � (nella specie: � esame di concorso per l'ingresso nella magistratura militare�). Di ci�, stante la �rigorosa formulazione letterale� dell'art. 33, comma quinto, della Costituzione, le sezioni unite della Cassazione dubitano, e perci� sollevano questione di legittimit� costituzionale degli artt. 26 lett. b) e 30 lett. a) e b) del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, nelle �parti in cui attribuiscono ai magistrati militari aventi particolari requisiti il diritto di essere iscritti negli Albi professionali forensi senza il preventivo Slllperamento di un ,esame di Stato >i (omissis). Un esame di Stato � prescritto dall'art. 33, comma quinto, della Costituzione per l'abilitazione all'esercizio professionale. Il termine, preciso ed incisivo, usato dal Costituente (�prescritto�), toglie ogni pregio alle dispute intorno al carattere precettivo o programmatico della norma: non pu� essere posta in dubbio la necessit� di un esame di Stato per accertare l'attitudine all'esercizio di una professione. Il legislatore (1) La Corte costituzionale ha ritenuto giustamente conformi alla Costituzione le disposizioni che riconoscono ad ex magistrati (compresi gli ex avvocati dello Stato) il diritto ad essere iscritti negli albi professionali degli avvocati e procuratori. Nel nostro Paese l'accesso a queste professioni � pi� � aperto � di quanto non sia l'accesso, ad esempio, al commercio al dettaglio; non pare per� che le comprensibili esigenze di tutela della professione possano essere adeguatamente soddisfatte attraverso l'esclusione di qualche decina di ex magistrati, oot11etutto fomiti in m1sura pi� che adeguata degli occorrenti requisiti di preparazione e di capacit�. Diverso discorso � quello che concerne la prevenzione di eventuali situazioni di � disparit�� nell'esercizio della professione; ma in proposito appaiono sussistere situazioni di vantaggio ben pi� consistenti di quelle che possono eventualmente favorire i pochi magistrati a riposo. Il principio affermato dalla Corte costituzione sar� prevedibilmente tenuto presente in sede di redazione e discussione dei progetti di riforma dell'ordinamento della professione forense. i'ARTE t, S�Z. l, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE ordinario � vincolato da questa prescrizione costituzionale. Peraltro, prescrivendo �un esame di Stato�, senza alcuna specificazione in ordine ad esso, la norma costituzionale demanda al legislatore ordinario di determinare i criteri e il contenuto di questo esame, purch�, si intende, esso soddisfi ragionevolmente l'esigenza �che un accertamento preventivo, fatto con serie garanzie, assicuri, nell'interesse della collettivit� e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacit� occorrenti per il retto esercizio professionale� (sentenza n. 77 del 1964). Se, dunque, non pu� disconoscersi che la legge ordinaria, cio� quella forense (artt. 21 e 29), ancorch� precedente alla Costituzione, potesse determinare concretamente la portata e le modalit� degli esami per l'accesso alle professioni di procuratore e di avvocato (esami che la stessa legge, artt. 20 e 28, definisce quali esami di Stato), deve ritenersi che la medesima legge ordinaria potesse stabilire la congruit�, ai fini dell'accertamento della capacit� professionale, dell'esame di Stato sostenuto e sempre preceduto dalla laurea in giurisprudenza -nel concorso per l'accesso alla magistratura, nella specie quella militare. Il che, appunto fanno gli artt. 26 lett. b) e 30 lett. a) e b), della cui legittimit� costituzionale � questione, quando dispongono che, nel concorso di altri requisiti di esperienza pratica, possono essere iscritti, rispettivamente nel1' Albo dei procuratori e in quello degli avvocati, �i magistrati dell'Ordine... militare�, i quali, per accedere alla detta magistratura hanno dovuto sostenere un esame di concorso in materie giuridiche, ovvero provengono dalla magistratura ordinaria nella quale sono entrati superando gli esami di concorso prescritti appunto per l'accesso alla magistratura ordinaria (artt. 12 r.d. 19 ottobre 1923, n. 2316 e 20 r.d. 30 dicembre 1923, n. 2903). Contro questa conclusione non sembra possa ricavarsi un argo mento decisivo dall'art. 106, terzo comma, della Costituzione, il quale stabilisce che � su designazione del Consiglio Superiore della magistra tura, possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri di Cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di uiversit� in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti agli albi professionali per le giurisdizioni superiori �. Si argomenta da questa di sposizione che, dunque, quando volle derogare al primo comma dello stesso art. 106 che prescrive il concorso per le nomine dei magistrati, il Costituente lo scrisse nella Costituzione, il che non ha fatto per dero gare dalla prescrizione dell'esame di Stato per l'esercizio professionale forense. L'argomento potrebbe avere peso contro la pretesa di sostituire l'esame di Stato con equipollenti generici, quali l'esercizio di un'attivit� e di UJna funzione che si pvetende puramente e semplicement'e assimila RASSEGNA DELL;AWOCATURA DELL� STA'r� ;: bile a quella della professione forense, prescindendo dall'avvenuto superamento di un esame di Stato. Ma non ne ha quando il legislatore I ha in sostanza, come si � detto, preso in considerazione l'appartenenza r.:: ad una magistratura che presuppone un esame di Stato di concorso I IIsostanzialmente equiparato a quello prescritto dalla legge forense, che, per il conseguimento dell'abilitazione alla professione di procuratore, � pur essa un �.esame di concorso� con �valore di esame di Stato� (articolo 20 della legge forense). In questo caso non c'� deroga al precetto dell'art. 33, quinto comma, della Costituzione, ma sua sostanziale osservanza da parte del legislatore ordinario il quale, con un giudizio che la Corte potrebbe censurare solo se irragionevole (e tale non � per le considerazioni innanzi svolte), ha riconosciuto nella legge forense l'esame di Stato concorsuale per l'accesso alla magistratura atto, al pari di quello previsto nella stessa legge, ad assicurare quell'accertamento della capacit� professionale, successivamente suffragato dall'esercizio delle funzioni per il periodo previsto daHa legge, del quale innanzi si � panlato. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 175 -Pres. Amadei - Rel. Reale -Manti (avv. D'Apice) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Avvocati e procuratori -Iscrizione all'albo professionale -Qualit� di pro� fugo ed esercizio di fatto idi attivit� legale � Requisiti insufficienti. (Cost., art. 33; legge 4. marzo 1952, n. 137, art. 28; legge 25 luglio 1971, n. 568, art. 2). Il mero fatto dell'esercizio di un'attivit� professionale non pu� far sorgere, in assenza del superamento di un esame di Stato o di equipol� lente accertamento della capacit� professionale, il diritto alla iscrizione in albi professionali; contrasta con l'art. 33 Cast. l'art. 28 della legge 4 � marza 1952, n. 137 (nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 25 luglio 1971, n. 568) nella parte in cui la detta norma consente l'iscrizione dei profughi negli albi professionali senza richiedere il possesso nello Stato di provenienza di requisiti equipollenti a quelli costituzionalmente prescritti nell'ordinamento italiano (1). (omissis) Vero �, peraltro, che l'ordinanza di rimessione denunzia essenzialmente la violazione dell'art. 33, comma quinto, della Costi� tuzione. (1) La sentenza parla di �possesso nello Stato di provenienza di requisiti equipollenti a quelli costituzionalmente prescritti nell'ordinamento italiano�. PARTE �, SEZ. t, GIUR!Sl'RtJDENZA COS'l'IttJZl�NALE 901 � Le finalit� assistenziale e sociale della norma in discussione vi si legge -non possono essere recepite prima che venga allontanato il motivo che fa dubitare della loro incostituzionalit� in riferimento al comma quinto dell'art. 33 della Costituzione �, il quale richiede, �per il professionista, il riscontro obiettivo e legale della presenza dei requisiti essenziali di natura tecnica e pratica, che possono essere accertati solo attraverso l'esame di Stato�, In questi termini la questione � fondata. La Corte nella recente sentenza n. 174 del 1980 ha ribadito che il legislatore ordinario � vincolato dalla prescrizione costituzionale di un esame di Stato per accertare l'attitudine all'esercizio di una professione, sebbene sia demandato allo stesso legislatore ordinario di determinare i criteri e il contenuto di questo esame, purch� esso soddisfi ragionevolmente l'esigenza di quell'accertamento della capacit� professionale cui l'esame di Stato � finalizzato. Ora la norma della cui costituzionalit� si dubita, anche nella versione pi� restrittiva determinata dall'art. 2 della legge n. 568 del 1971, si limita a porre come condizione della iscrizione negli Albi professionali la mera esplicazione legale della professione nei territori di provenienza senza nulla richiedere e precisare intorno alle condizioni, compreso il superamento di un esame di Stato, alle quali � subordinato l'accesso della professione nel territorio di provenienza. In tal modo manca oghi garanzia di quell'accertamento preventivo dei requisiti di preparazione e capacit� che la Costituzione italiana prescrive per l'abilitazione all'esercizio professionale. Il mero fatto che una attivit� professionale sia stata consentita ed esercitata in un qualunque territorio di provenienza del profugo, senza quell'accertamento, perfino senza un titolo di studio nella materia attinente alla professione (cio� quanto, e null'altro, � richiesto dalla norma denunciata), non pu� essere ritenuto sufficiente a integrare il rispetto della prescrizione costituzionale. Nella gi� citata sentenza n. 174 del 1980, la Corte ha ritenuto che il legislatore ordinario ben poteva modellare l'esame di Stato costituzionalmente richiesto, determinandone razionalmente la portata e il contenuto; e perci� ben poteva ammettere all'esercizio della professione di procuratore e di avvocato il magistrato (nella specie: militare) che aveva gi� sostenuto per accedere alla magistratura un esame di concorso equipollente a quello prescritto dalla legge forense. Ma la norma denunciata consente l'iscrizione dei profughi agli Albi prdfessionali senza richiedere che sia avvenuto, nello Stato di provenienza, alcun accertamento della capacit� professionale equipollente a quello richiesto dalla Costituzione italiana. La stessa Avvocatura dello Stato -che pure conclude per la infondatezza della questione -riconosce che, �certamente, spetta al legislatore ordinario valutare la se AASSEGNA DELI..1AWOCATURA DELL� STAT� riet� e congruenza di tali titoli esteri�. Ma soggiunge che �nella specie tale valutazione � stata compiuta dal legi1s:latore ordinario �: ~l che non � vero, come sopra si � detto. Da ci� la fondatezza della questione di legittimit� costituzionale sollevata, in relazione all'art. 33, comma quinto, della Costituzione, dal Consiglio Nazionale Forense con la prima ordinanza. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 176 -Pres. Amadei - Rel. Bucciarelli Ducci -Saccinto ed altri (avv. Troccoli) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Impiego pubblico -Componenti di commissioni �di concorso -Disposizione che esclude il compenso ai componenti � interni � -Legittimit� costi� tuzionale. (Cost., artt. 3 e 36; d.!. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7). Poich� la attivit� di componente di commissione di concorso riveste carattere di occasionalit�, e poich� diverse sono le situazioni rispettivamente dei componenti � esterni� e di quelli � interni� della commissione, la disposizione che esclude per questi ultimi il compenso per l'attivit� predetta non contrasta con gli artt. 3 e 36 Cast. (1). (omissis) Davanti alla Corte costituzionale viene denunciato l'art. 7, primo comma, d.l. 8 luglio 1974, n. 264 (nel testo risultante dalla legge di conversione del 17 agosto 1974, n. 386), nella parte in cui stabilisce che non debbono essere corrisposti compensi agli amministratori ed ai dipendenti degli enti ospedalieri, chiamati a far parte di commissioni per esami di concorso per l'assunzione di personale presso gli enti stessi. La Corte � chiamata a decidere su due questioni: 1) se la norma im pugnata contrasti con l'art. 36, primo comma, della Costituzione, per il dubbio che il suddetto divieto di compenso ad amministratori e dipen denti ospedalieri violi il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantit� e qualit� del lavoro prestato; 2) se la norma stessa contrasti con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, dubitandosi che da tale divieto derivi per gli amministratori e i dipendenti ospedalieri un'ingiu stificata disparit� di trattamento retributivo rispetto ai componenti delle stesse commissioni che non rivestano tale qualifica -e ai quali invece il compenso � riconosciuto -e rispetto agli altri amministratori e dipendenti dell'ente che, non essendo membri delle commissioni, svol (1) La �sentenza in ms.segna contiene enunciazioni suscettib~H di trovare applicazione anche in relazione ad altre disposizioni legislative discriminanti il trattamento dei componenti di collegi amministrativi a seconda che siano o meno appartenenti ad un'amministrazione. Diverso discorso dovrebbe farsi per altri incarichi, specie se jure privato, conferiti a pubblici funzionari (od a magistrati). t I I ,,,,,,.,,,,llllll:lllllllllllllilllllilllllmll&llll���� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 909 gono una minore attivit� lavorativa, pur percependo identica retribuzione. Le questioni non sono fondate. Invero, riguardo alla prima questione, questa Corte, con altre sue precedenti decisioni relative al principio della giusta retribuzione, garantito dall'art. 36 Cost., ha affermato che la tutela costituzionale non si estende ad ogni compenso che sia il corrispettivo di un qualsiasi tipo di prestazione, ma intende piuttosto assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa mediante una retribuzione che, costituendo la fonte principale di sostentamento, deve essere proporzionata alla quantit� e qualit� del lavoro prestato (sent. n. 82 del 1973). Nella specie la prestazione richiesta agli amministratori o ai dipendenti degli enti ospedalieri, nominati membri di commissioni per esami di concorso, bench� istituzionale riveste carattere di occasionalit�. Essa, infatti, mentre � collegata al rapporto con l'ente in quanto la legge prescrive che alcuni componenti della commissione debbono essere amministratori o dipendenti dell'ente interessato alle assunzioni, si rivela d'altra parte del tutto eventuale, giacch� da un lato ricorre solo in caso di provvista di nuovo personale, dall'altro per efetto della rotazione non incombe sempre sulle stesse persone. Di tal che un apposito emolumento non si porrebbe quale fonte ordinaria e continuativa di retribuzione tesa ad assicurare al lavoratore un'esistenza libera e dignitosa, bens� come un'ulteriore utilit�, la cui concessione � rimessa al giudizio discrezionale del legislatore, non ricadendo nell'ambito della tutela disposta dall'art. 36 della Costituzione. Per quanto riguarda la seconda questione, che investe il principio di uguaglianza, � evidente la diversit� di situazione in cui versano gli amministratori e i dipendenti degli enti ospedalieri rispetto ai membri � esterni � componenti la stessa commissione di concorso, in quanto solo questi ultimi -a differenza dei primi -sono chiamati a svolgere un'attivit� del tutto aliena dai compiti da essi espletati istituzionalmente. Sicch�, se la legge prevede la corresponsione di emolumenti solo in favore di tali soggetti, escludendola per i componenti �interni� della commissione, non pu� dirsi che il trattamento preordinato dal legislatore sia sprovvisto di ragionevolezza o che costituisca una diversificazione arbitraria nei confronti del personale ospedaliero. Infine, la prospettata disparit� � interna � tra amministratori o di pendenti a seconda che siano chiamati o meno a far parte della com missione non sussiste, in quanto il gi� richiamato sistema della rotazione previsto dal legislatore realizza una sostanziale equiparazione di presta zioni lavorative all'interno di ogni qualifica, cosicch� non si verifica alcuna discriminazione a parit� di retribuzione ordinaria connessa alla qualifica stessa. (omissis) RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 189 Pres. Amadei - Rel. Malagugini -De Simone e Rosati (avv. Ventura), Soc. Termil (avv. Fornario), Cadoni (avv. Muggia), e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Lavoro � Periodo di prova -Diritto alla indennit� di anzianit� e diritto alle ferie � Esclusione -Hlegittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 36; cod. civ., artt. 2096 e 2109; legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 10)1. Lavoro � Periodo di prova � Recesso del datore di lavoro -Limiti della � discrezionalit� � del datore di lavoro -Disposizioni che escludono l'onere di motivare il recesso -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 4, 35 e 41; cod. civ., art. 2096; legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 10). Le disposizioni di legge, le quali negano al lavoratore, nei casi di recesso durante il periodo di prova, l'indennit� di anzianit�, lo pongono in una situazione ingiustamente deteriore rispetto al lavoratore assunto a tempo indeterminato e violano, in quanto prive di razionale giustificazione, il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Cast. Inoltre, contrasta con gli artt. 3 e 36 Cast. la disposizione che pone il decorso di un anno di ininterrotto servizio a presupposto del diritto del lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuite. Il potere del datore di lavoro di recedere dal rapporto durante il periodo di prova � finalizzato alla valutazione delle capacit� e del comportamento professionale del lavoratore, cos� che il lavoratore il quale ritenga e sappia dimostrare il positivo superamento dello esperimento nonch� l'imputabilit� del licenziamento ad un motivo illecito ben pu� eccepirne e dedurne la nullit� in sede giurisdizionale; tanto premesso, le disposizioni attributive di detto potere sono compatibili con la Costituzione. (omissis) Ai fini della decisione, invero, non occorre prender partito sulla natura -se retributiva o indennitaria -della indennit� di anzianit� n� privilegiare alcuna delle tesi, sostenute in dottrina ed accolte in giurisprudenza, sulla qualificazione giuridica del contratto di lavoro con patto di prova, in particolare quella che considera il rapporto di lavoro in prova un rapporto tipicamente a termine, muovendo dalla quale la Corte di apello di Roma ed il pretore di Genova denunciano la violazione dell'art. 3 Cost., ponendo a raffronto le situazioni dedotte nei rispettivi giudizi con quella disciplinata dall'art. 5, ultimo comma, della legge 230 del 1962 che attribuisce al lavoratore, alla scadenza del contratto a termine, il diritto ad un � premio di fine lavoro � � pari alla indennit� di anzianit� prevista dai contratti collettivi�. !.'ARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Non pu�, infatti, dubitarsi che il patto di prova inerisce ad un rapporto di lavoro nel quale al lavoratore, di regola professionalmente gi� formato, si chiede l'adempimento di normali prestazioni di lavoro, uguali, per quantit� e qualit� a quelle fornite dagli altri lavoratori di pari qualificazione. Ci� tant� � vero che, ove sia superato, senza esercizio della facolt� di recesso, il termine della prova e comunque decorsi sei mesi dalla assunzione, l'attivit� prestata durante il periodo di prova non si distingue, a tutti gli effetti retributivi, da quella di un lavoratore assunto a tempo indeterminato. (omissis) Il pretore di Genova (ord. n. 655/79) dubita anche della legittimit� costituzionale degli artt. 2096, terzo comma e 2109 cod. civ. assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 36, ultimo comma, Cast. Anche questa questione appare fondata. Gi� con la sente:qza n. 66 del 1963 questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima, del �. l'art. 2109 cod. civ., la disposizione che pone il decorso di un anno di ininterrotto servizio a presupposto del diritto del lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuite. Motivando tale decisione, la Corte ha sostanzialmente rilevato che il periodo di riposo ritenuto necessario per ritemprare le energie psico-fisiche del lavoratore, se pur ragguagliato ad un anno ben pu� essere frazionato e quindi riconosciuto in proporzione alla quantit� di lavoro da costui effettivamente prestata presso l'imprenditore che, avendolo assunto, procede al suo licenziamento� anche prima che sia maturato un anno di ininterrotto servizio. A conferma dell'esattezza di una tale piana argomentazione, si deve ricordare che il diritto alle ferie retribuite � garantito dall'art. 36, ultimo comma, Cast. ad ogni lavoratore senza distinzione di sorta, mentre sar� questione di fatto verificare nelle singole situazioni se sono e in che misura maturate le condizioni per il soddisfacimento di un tale diritto. Le ordinanze del pretore di Milano (n. 496/75) del pretore di Roma (n. 394/76) e del pretore di Napoli (n. 635/76) sollevano questione di legittimit� costituzionale dell'art. 2096, terzo comma, cod. civ. e/o dell'art. 10 della legge 604 del 1966, nella parte in cui escludono l'obbligo dell'imprenditore di motivare il licenziamento del prestatore di lavoro assunto in prova, effettuato durante il periodo di prova. (omissis) Va anzitutto ricordato che nel sistema del codice civile (libro V, titolo II, sez. III) non � previsto l'obbligo dell'imprenditore di motivare il recesso dal contratto a tempo indeterminato e che tale obbligo (a richiesta del lavoratore) � stato introdotto con l'art. 2 della legge 604 del 1966, nei rapporti di lavoro di cui agli artt. 10 e 11 della legge medesima. Ne deriva che la disposizione del cod. civ. (art. 2118) sul recesso dal contratto a tempo indeterminato, non essendo stata dedotta nuova questione di legittimit� in ordine ai predetti artt. 10 e 11 legge 604 del 1966 per la parte che qui interessa, ha tutt'ora un suo campo di applicazione 912 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e che pure l'art. 2096, terzo comma, cod. civ., al di fuori dell'ambito di operativit� della legge 604/66, non sembra confliggere con gli invocati parametri costituzionali, non essendo adombrata alcuna illegittimit� del disposto che esclude l'obbligo del preavviso e delle indennit� sostitutive. La questione posta in relazione al solo art. 2096, terzo comma, cod. civ. appare quindi infondata. Viene, dunque, in discussione l'art. 10 della legge 604/66 nella parte in cui esclude l'applicazione delle norme della legge medesima, -sussistendo le altre condizioni di cui al medesimo art. 10 ed al successivo art. 11, con le modificazioni introdotte dalla legge 300 del 1970 e dalla sentenza n. 174/1972 di questa Corte -agli impiegati ed operai assunti in prova. (omissis) Affer!Uato l'obbligo delle parti � a consentire e a fare l'esperimento ohe forma oggetto del patto di prova� (art. 2096, secondo icomma, cod. civ.), ne discende un primo limite alla discrezionalit� dell'imprenditore, nel senso che la legittimit� del licenziamento da lui intimato durante il periodo di prova pu� efficacemente essere contestato dal lavoratore quando risulti che non � stata consentita, per la inadeguatezza della durata dell'esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualit� professionali alle quali il patto di prova � preordinato. Pi� in generale, 1si pu� affermare che [a �discrezionalit� � delil'imprenditore si esplica nella valutazione delle capacit� e del comportamento professionale del lavoratore, cos� che il lavoratore stesso il quale ritenga e sappia dimostrare il positivo superamento dell'esperimento nonch� l'imputabilit� del licenziamento ad un motivo illecito ben pu� eccepirne e dedurne la nullit� in sede giurisdizionale. Cos� definiti i termini della questione, la norma impugnata � immune da censure di costituzionalit�. Non appare, infatti, vulnerato il principio di uguaglianza, non essendo equiparabili, sotto l'aspetto che qui interessa, le situazioni poste a con fronto, del lavoratore in prova e del lavoratore assunto a tempo indeter minato, mentre il riferimento ai pubblici dipendenti assunti in prova ed all'obbligo di motivazione del decreto ministeriale che li estrometta dal l'amministrazione (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 10 e d.P.R. 3 mag gio 1957, n. 686, art. 14, comma secondo) ignora le ben diverse modalit� di assunzione di questi ultimi, che comportano, gi� attraverso l'esperi mento del concorso, una prima valutazione della loro idoneit� profes sionale. Neppure � prospettabile lesione degli artt. 4 e 35 Cost., vuoi per la portata del principio di cui all'art. 4, primo comma, Cost., che � come non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di una occupazione, cos� non garantisce il diritto alla conservazione del posto di lavoro (che nel primo dovrebbe trovare il suo logico e necessario pre PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE supposto) � (sent. n. 3 del 1957; 81 del 1969; 45 del 1965; 194 del 1970), vuoi perch� l'art. 35 Cost., esaminato appunto in relazione all'art. 4, primo comma, Cost., non impone �un'applicazione indiscriminata del principio della giusta causa, e del giustificato motivo nei licenziamenti, ma � lascia � al legislatore ampia discrezionalit� in materia� (sent. 129 del 1976). Quanto, infine, all'art. 41, secondo comma, Cost., che riguarda lo svolgimento del rapporto di lavoro, invocato dai pretori di Roma e di Napoli, non si ravvisa nelle disposizioni di legge censurate alcun attentato alla libert� e alla dignit� del lavoratore, soprattutto quando si riconosca la sindacabilit� nei limiti anzidetti, del concreto esercizio del recesso operato dall'imprenditore in costanza del periodo di prova e l'annullabilit� dell'atto nel quale si esprime, tutte le volte che il lavoratore (in assenza di una motivazione o anche in presenza di una diversa motivazione apparente) lo provi illecitamente motivato. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 191 -Pres. Amadei -Rel. Paladin -Regione Veneto e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Corte costituzionale -Ricorsi per impugnativa. diretta delle leggi .e per conflitto di attribuzine -Deposito del ricorso -Termine -�". perentorio. I termini fissati per il deposito dei ricorsi diretti alla Corte costituzionale sono perentori; i ricorsi tardivamente depositati devono essere dichiarati inammissibili. (omissis) Come risulta dagli atti (senza che la difesa regionale lo abbia contestato in alcun modo), tanto il ricorso con cui la Regione Veneto ha impugnato l'art. 8 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, quanto il conseguente ricorso relativo alla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33, sono stati ta11divamente depositati nehla cancelleria di questa Corte, oltre i dieci giorni dalla notificazione, fissati dagli artt. 31 ultimo comma e 32 ultimo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, quanto all'impugnativa diretta delle leggi, regionali e statali. (omissis) Ci� basta per desumerne che entrambi i ricorsi sono inammissibili, malgrado le contrarie considerazioni che la difesa regionale ha svolto nella pubblica udienza del 4 giugno 1980. Vero � che, in base al capoverso dell'art. 152 cod. proc. civ., �i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori �. Da un lato, per�, la formulazione testuale dell'art. 31 ultimo comma della legge n. 87 del 1953, sottolineando la dove RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 914 rosit� del deposito entro dieci giorni dalla notificazione del relativo ricorso, comporta per ci� stesso che il termine vada rispettato a pena di decadenza. D'altro lato, questa Corte ha ritenuto in varie decisioni (v. specialmente le sentenze n. 15 del 1967 e n. 30 del 1973, nonch� l'ord. n. 109 del J975) che i termini per la costituzione in giudizio presso di essa risentano delle � pecu:liarit� dei giudici di costituzionalit�� e dell'autonomia della foro disciplina processuale�; e che, pertanto, i termini medesimi siano � perentori per tutte le parti �. Tali criteri s'impongono anche nei casi in esame, escludendo la pertinenza del richiamo all'art. 152 cod. proc. civ. (la cui considerazione non potrebbe comunque venire dissociata da quella degli artt. 153 e 154 del codice stesso); tanto pi� che nelle disposizioni sul funzionamento della Corte il punto di riferimento del processo costituzionale non � rappresentato dal diritto processuale civile, bens� dalle � norme del regolamento per procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale � (cui rimanda esplicitamente, � in quanto applicabili�, l'art. 22 primo comma della stessa legge n. 87 del 1953). Che poi i termini fissati in tema di deposito del ricorso siano alquanto diversi secondo le diverse specie di procedimenti -dieci giorni per l'impugnativa diretta delle leggi, venti giorni quanto al conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni (in base all'art. 27 cpv. delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale), di fronte ai trenta giorni prescritti � a pena di decadenza� dall'art. 36 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (recante il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) -non toglie che in tutte queste ipotesi la doverosa tempestivit� del deposito, nei tempi improrogabili prefissati dall'ordinamento, venga presidiata dalla correlativa sanzione della decadenza, senza di che le controversie fra lo Stato e le Regioni finirebbero per poter essere instaurate sine die. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 19 giugno 1980, nelle cause riunite 41-121-796/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Reischl Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Bayerisches Landessozialgericht di Monaco di Baviera, dal Bundessozialgericht e dal Landessocialgericht dell'Assia, nelle cause Testa, Maggio e Vitale c. Bundesanstalt filr Arbeit di Norimberga. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Favara) e Commissione delle C.E. (ag. Koch). Comunit� europee � Libera circolazione dei lavoratori -Previdenza sociale -Prestazioni di disoccupazione. (Trattato CEE, artt 48-51; regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, art. 69). Il lavoratore disoccupato che, essendosi allontanato dallo Stato membro da cui percepisce prestazioni di disoccupazione per recarsi in altro Stato membro per cercarvi lavoro, profittando della possibilit� offertagli dall'art. 69, n. 1, del reg. CEE 1408/71, e non ritorna nel termine di tre mesi ivi contemplato nello Stato di partenza, non pu� pi�, a norma dell'art. 69, n. 2, 1" frase, far valere il diritto alle prestazioni nei confronti di tale Stato, sempre che il suddetto termine non venga prorogato in applicazione dell'art. 69, n. 2, 2� frase (1). (omissis) 1. -Con ordinanze del 15 febbraio, 19 giugno e 30 agosto 1979, pervenute neN.a ca'lllOeL1eria della Corte, rispettivamente, il 12 marzo, il 31 luglio e 1'8 novembre 1979, il Bayerisches Landessozialgericht di Monaco (causa 41/79), il Bundessozialgericht (causa 121/79) ed il Landessozialgericht dell'Assia (causa 796/79) hanno posto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, questioni vertenti sull'interpretazione e sulla validit� dell'art. 69, n. 2, (1) Nel solco di un princ1p10 pi� volte affermato, secondo cui le norme comunitarie possono imporre ai lavoratori limitazioni solo come contropartita dei vantaggi loro attribuiti dai regolamenti comunitari, la Corte di Giustizia (prima con la sentenza 21 ottobre 1975, nella causa 24/75, PETRONI, in Racc., 1975, 1149, e poi con le sentenze 3 febbraio 1977, nella causa 62/76, SrREHL, in Racc., 211, e 13 ottobre 1977, nella causa 112/76, MANZONI, in Racc., 1977, 1647, e in questa Rassegna, 1977, I, 781, con nota di richiami) aveva affermato che una norma comunitaria regolamentare (l'art. 46 n. 3 del reg. C.E.E. n. 1408/71) � incompatibile con l'art. 51 del trattato in quanto impone la limitazione delle prestazioni 916 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunit� (G.U. n. L 149, pag. 2). 2. -Le questioni sono sollevate nell'ambito di controversie opponenti la Bundensanstalt flir Arbeit {Ufficio federale del lavoro) di Norimberga a lavoratori disoccupati che, avendo profittato della possibilit� offerta dall'art. 69, n. 1, del regolamento n. 1408/71 per recarsi in Italia allo scopo di cercarvi lavoro, non sono rientrati nella Repubblica federale di Germania nel termine di tre mesi contemplato dalla suddetta disposizione. Fondandosi sull'art. 69, n. 2, del regolamento citato, ai cui termini il lavoratore perde ogni diritto alle prestazioni a norma della legislazione dello Stato competente se non vi ritorna prima della scadenza del menzionato periodo di tre mesi, la Bundesanstalt flir Arbeit ha rifiutato di continuare a versare prestazioni di disoccupazione ai lavoratori di cui trattasi. Essa ha anche rifiutato di applicare a loro favore l'art. 69, n. 2, 2� frase, di detto regolamento, che consente agli uffici o alle istituzioni competenti di prolungare, in casi eccezionali, il termine di tre mesi cui � subordinato il mantenimento delle prestazioni. I lavoratori interessati hanno allora adito i giudici tedeschi con ricorsi intesi ad ottenere il riconoscimento del loro diritto alla conservazione delle prestazioni di disoccupazione. 3. -Le questioni poste dai giudici di rinvio intendono, in sostanza:, far determinare se l'art. 69, n. 2, del regolamento n. 1408/71 privi il lavoratore disoccupato, che rientri nello Stato competente dopo la scadenza del termine di tre mesi di cui all'art. 69, n. 1, lett. e), di ogni diritto alle prestazioni di disoccupazione nei riguardi di tale Stato anche nel caso in cui detto lavoratore conservi un diritto residuale alle prestazioni in forza della legislazione dello stesso Stato. Per il caso di soluzione affermativa di tale questione, sono stati avanzati, nella motivazione delle ordinanze di rinvio e nelle osservazioni presentate alla Corte dal ricorrente nel proceprevidenziali spettanti in Stati membri diversi, mediante decurtazione dell'importo della prestazione spettante in forza della sola legislazione nazionale di uno Stato membro. Sulla base dei medesimi princ�pi nulla da obiettare vi sarebbe sulla sentenza annotata se per la sola legislazione nazionale l'essersi il lavoratore sottratto per tre mesi all'obbligo di restare a disposizione degli uffici del lavoro rdeli1o Stato competente e di sottoporsi al contro1~o ivi organizzato fosse sufficiente a fargli perdere qualsiasi diritto. Perplessit� desta invece la pronuncia annotata in quanto essa intenda riferirsi indistintamente � anche al caso in cui detto lavoratore conservi un diritto residuale alle prestazioni in forza della legislazione dello stesso Stato�, non sembrando che possa escludersi in tale ipotesi l'incompatibilit� della norma regolamentare (l'art. 69 del reg. 1408/71, cos� PAR'tE I, S�lZ. I�, GlUJ.l.IS. COMUNITARIA :Il INTERNAZlONAL�l 917 dimento sottostante alla causa 41/79 e dal Governo della Repubblica italiana, dubbi quanto alla compatibilit� dell'art. 69, n. 2, con gli artt. 48-51 del Trattato e con le esigenze della tutela dei diritti fondamentali. Quanto all'interpretazione dell'art. 69, n. 2. 4. -L'art. 69 del regolamento n. 1408/71 attribuisce al lavoratore disoccupato la facolt� di esimersi, per un periodo stabilito ed allo scopo di cercare lavoro in un altro Stato membro, dall'obbligo, imposto dalle diverse legislazioni nazionali, di mettersi a disposizione degli uffici di collocameno dello Stato competente, senza per questo perdere il diritto alle prestazioni di disoccupazione nei confronti dello Stato competente. 5. -Questa disposizione non costituisce una semplice mis�ra di coordinamento delle legislazioni nazionali in materia di sicurezza sociale. Essa istituisce, a favore dei lavoratori che chiedono di fruirne, un regime autonomo, derogante alle norme del diritto interno, che deve essere interpretato in modo uniforme in tutti gli Stati membri, qualunque sia il regime previsto dalla legislazione nazionale per la conservazione e la perdita del diritto alle prestazioni. 6. -Ai termini del suo primo paragrafo, l'agevolazione concessa al lavoratore dall'art. 69 si limita ad un periodo di tre mesi a partire dalla data in cui egli ha cessato di essere a disposizione degli uffici di collocamento dello Stato competente. 7. -Ai termini del suo secondo paragrafo, l'art. 69 stabilisce che: � Se l'interessato ritorna nello Stato competente prima della sca� <lenza del periodo durante il quale egli ha diritto alle prestazioni in virt� come interpretata, con le norme del trattato, il cui scopo non verrebbe raggiun� to se, a causa dell'esercizio del loro diritto di libera circolazione assicurato della normativa comunitaria, i lavoratori dovessero perdere i vantaggi previdenziali garantiti loro dalle leggi di uno Stato membro. Per l'applicazione integrale o della normativa comunitaria o della normativa nazionale, a seconda che l'una o l'altra sia la pi� favorevole, cfr. anche le sen tenze 13 ottobre 1977, nella causa 22/77, MURA, e nella causa 37/77, GRECO, in questa Rassegna, 1977, I, 782; 14 marzo 197,8, nehle cause 98/77, SCHAAP, e 105/77, KERSJES, ibidem, 1978, I, 188; e 16 maggio 1979, nella causa 236/78, MURA, ibidem, 1979, I, 254, con nota. Sull'art. 69 del reg. 1408/79 cfr. la sentenza, citata in motivazione, 20 marzo 1979, nella causa 139/78, CoccrnLI, in Racc. 1979, 991. Sulla tutela dei diritti fon damentali cfr. la sentenza 13 dicembre 1979, nella causa 44/79, HAUER, in questa Rassegna, retro, I, 265, e le sentenze citate in nota. Sul principio di proporzio nalit� cfr. la nota alla sentenza 26 giugno 1980, nella causa 808/79, PARDINI, in questa Rassegna, retro, I, 736. fronti dello Stato competente, semprech� il suddetto termine non venga prorogato in applicazione dell'art. 69, n. 2, 2� frase. fronti dello Stato competente, semprech� il suddetto termine non venga prorogato in applicazione dell'art. 69, n. 2, 2� frase. 918 l!ASSEGNA DELL1AVVOCATlJl!A ))Etto STATO delle disposizioni del paragrafo 1, lett. e), egli continua ad avere diritto alle prestazioni conformemente alla legislazione di tale Stato; perde ogni diritto alle prestazioni a norma della legislazione dello Stato competente se non vi ritorna prima della scadenza di tale periodo. In casi eccezionali, tale termine pu� essere prolungato dagli uffici o dalle istituzioni competenti �. 8. -Dai termini espressi della disposizione citata risulta che la conservazione del diritto alle prestazioni nei confronti dello Stato ~ompetente oltre il periodo di tre mesi � subordinato alla condizione che il lavoratore ritorni in tale Stato prima della scadenza del periodo; egli, per contro, �perde ogni diritto alle prestazioni a norma della legislazione dello Stato competente� in caso di ritorno tardivo. La sola ipotesi in cui il lavoratore conserva il diritto alle prestazioni nei confronti dello Stato competente in caso di ritorno dopo la scadenza del periodo di tre mesi � quella contemplata all'art. 69, n. 2, 2� f�rase, che consente agli uffici o alle istituzioni competenti di prolungare il termine in casi eccezionali. 9. -Contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti nei procedimenti principali, la perdita del diritto alle prestazioni contemplata dall'art. 69, n. 2, non si limita al periodo compreso fra la scadenza del termine ed il momento in cui il lavoratore si rimette a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato competente. Se tale fosse la portata dell'art. 69, n. 2, detta disposizione non richiederebbe il ritorno del lavoratore nel termine di tre mesi e non farebbe riferimento alla perdita di � ogni diritto� in caso di ritorno tardivo. 10. -Non pu� neppure essere accolta la tesi secondo cui l'espressione � a norma della legislazione dello Stato competente�, figurante nel testo dell'art. 69, n. 2, dovrebbe ess,ere intesa come un rinvio al diritto nazionale per la determinazione delle condizioni alle quali si verifica la perdita del diritto alle prestazioni. Detta espressione, che segue le parole �perde ogni diritto alle prestazioni�, ha il solo scopo di precisare che il lavoratore perde, in caso di ritorno tardivo, ogni diritto alle prestazioni nei confronti dello Stato competente, qualunque possa essere, per il resto, il diritto a prestazione che egli pu� far valere nei confronti di altri Stati membri. 11. -Si devono quindi risolvere le questioni poste nel senso che il lavoratore che ritorna nello Stato competente dopo la scadenza del termine di tre mesi di cui all'art. 69, n. l, lett. e), non pu� pi�, a norma dell'art. 69, n. 2, 1� frase, far valere il diritto alle prestazioni nei con PARtE I, $�Z. Il, GIURI$. �OMUNitARIA E INTERNAZIONALE Quanto alla compatibilit� dell'art. 69, n. 2, con gli artt. 48-51 del Trattato. 12. -� stato sostenuto che, se dovesse essere intepretato nel senso sopra indicato, l'art. 69, n. 2, sarebbe invalido in quanto incompatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori e, in particolare, con l'art. 51, che impone al Consiglio di adottare, in materia di sicurezza sociale, le misure necessarie per l'instaurazione della libera circolazione dei lavoratori. 13. -Come la Corte ha gi� osservato nella sentenza 20 marzo 1979, in causa 139/78, Cacciali c. Bundesanstalt filr Arbeit, Racc., 1979, pag. 991, l'art. 69 del regolamento n. 1408/71, attribuendo al lavoratore il diritto di recarsi in un un altro Stato membro per cercarvi lavoro, offre a chi si valga di questa disposizione un vantaggio rispetto a chi rimanga nello Stato competente, in quanto, per effetto dell'art. 69, nel primo caso l'interessato � esonerato per un periodo di tre mesi dall'obbligo di restare a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato competente e di sottoporsi al controllo ivi organizzato, pur dovendo, beninteso, iscriversi presso gli uffici del lavoro dello ~tato membro in cui si reca. 14. -Il diritto di cons�ervarie �le prestazioni di disoccupazione attribuito dall'art. 69 contribuisce quindi ad assicurare la libera circolazione dei lavoratori conformemente all'art. 51 del Trattato. Il fatto che tale vantaggio sia limitato nel tempo e subordinato al rispetto di determinate condizioni non rende l'art. 69, n. 2, contrario all'art. 51. Quest'ultima disposizione non vieta al legislatore comunitario di accompagnare con condizioni le agevolazioni da esso accordate per assicurare la libera circolazione dei lavoratori, n� di fissarne i limiti. 15. -L'art. 69, n. 2, quale elemento di una normativa speciale che attribuisce al lavoratore diritti che egli altrimenti non avrebbe, non pu� quindi essere assimilato alle disposizioni giudicate invalide dalla Corte nelle sentenze del 21 ottobre 1975, causa 24/75, Petroni, Racc., 1975, � pag. 1149, e del 13 ottobre 1977, causa 112/76, Manzoni, Racc., 1977, pag. 1647, in quanto avessero l'effetto di far perdere ai lavoratori benefici di sicurezza sociale loro garantiti, in ogni caso, dalla sola legislazione nazionale di uno Stato membro. 16. -Ne consegue che l'art. 69, n. 2, del regolamento n. 1408/71 non � incompatibile con le norme relative alla libera circolazione dei lavoratori nella Comunit�. ~2� USSEGNA DELL1AWOCAtURA DELL� StAtO Quanto alla compatibilit� dell'art. 69, n. 2, con diritti fondamentali garantiti nell'ordinamento giuridico comunitario. 17. -Nelle ordinanze di rinvio il Bundessozialgericht e il Landessozialgericht dell'Assia espongono che, nel caso in cui l'art. 69, n. 2, del regolamento n. 1408/71 dovesse essere interpretato nel senso che esso priva il lavoratore rientrato tardivamente nello Stato competente di ogni diritto alle prestazioni di disoccupazione nei confronti di tale Stato, tale disposizione potrebbe essere considerata incompatibile con l'art. 14 della legge fondamentale tedesca, relativo alla tutela del diritto di propriet�. 18. -Come la Corte ha a pi� riprese sottolineato, eventuali questioni relative alla violazione di diritti fondamentali mediante atti emanati dalle istituzioni delle Comunit� possono essere valutate unicamente alla stregua del diritto comunitario, ,essendo i diritti fondamentali parte integrante dei principi generali di diritto di cui essa garantisce l'osservanza. Fra i diritti fondamentali la cui tutela � cos� garantita nell'ordinamento giuddico comunitario, conformemente alle concezioni costituzionadi comuni agli Stati membri e tenuto conto degli atti internazionali concernenti la protezione dei diritti dell'uomo cui gli Stati membri hanno collaborato o aderito, figura il diritto di propriet�, come la Corte ha riconosciuto in particolare nella sentenza del 13 dicembre 1979, in causa 44/79, Hauer. 19. -Per valutare se l'art. 69, n. 2, possa ledere i diritti fondamentali garantiti nell'ordinamento comunitario, si deve, anzitutto, prendere in considerazione il fatto che il regime istituito dall'art. 69 � un regime facoltativo, che si applica soltanto in quanto il lavoratore ne faccia domanda, rinunciando cos� a valersi del regime generale applicabile ai tlavoratori dello Stato in cui ,egli � disoocupato. Le ccmseguenze previste dall'art. 69 nel caso di ritorno tardivo sono portate a conoscenza del lavoratore, in particolare mediante il foglio esplicativo E 303/5, redatto nella sua lingua, che gli � consegnato dai competenti uffici del lavoro; egli si assoggetta quindi al regime istituito dall'art. 69 in piena libert� ,e cognizione di causa. 20. -La sanzione prevista dall'art. 69, n. 2, per il caso di ritorno tardivo, deve parimenti essere vista alla luce dell'agevolazione concessa al lavoratore dall'art. 69, n. 1, agevolazione che non ha equivalente in diritto interno. 21. -� d'uopo sottolineare, infine, che l'art. 69, n. 2, 2� foase, neJ. prevedere, in casi eccezionali, il prolungamento del termine di tre mesi di cui all'art. 69, n. 1, lett. e), consente di evitare che l'applicazione del PARTE t, SEZ. Ii, G!tJIH$. C�MtJNI'I'AlUA E tNTERNAZ�ONALE l'art. 69, n. 2, dia luogo a risultati sproporzionati. Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 20 marzo 1979, Cacciali, sopra citata, la proroga di detto termine � ammissibile anche qualora la relativa istanza sia stata presentata dopo la scadenza del termine. Se, come '1a Corve ha affermato nella citata sentenza, gli uffici e le istituzioni competenti degli Stati dispongono di ampia discrezionalit� al fine di decidere in merito alla eventuale proroga del termine stabilito dal regolamento, essi devono, nell'esercizio di tale potere discrezionale, tener conto del principio di proporzionalit�, principio generale di diritto comunitario. L'applicazione corretta di tale principio in casi quali quelli di specie esige che gli uffici e le istituzioni competenti prendano in considerazione, in ogni singolo caso, la durata del superamento del termine, la ragione del ritorno tardivo e la gravit� delle conseguenze giuridiche da esso derivanti. 22. -Si perviene quindi alla conclusione che, anche supponendo che il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale di cui � causa possa essere considerato attinente alla tutela del diritto di propriet�, quale garantita nell'ordinamento giuridico comunitario -questione che non pare necessario risolvere nell'ambito del presente procedimento la normativa istituita dall'art. 69 del regolamento n. 1408/71, interpretata nel senso sopra indicato, non comporta alcuna limitazione indebita della conservazione del diritto aiUe prestazioni in parola. (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 1' sezione, 9 ottobre 1980, nella causa 823/79 � Pres. Koopmans -Avv. Gen. Capotorti � Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Ravenna nel processo penale a carico di G. Cardati. Interv. Governo italiano (avv. Stato D'Avanzo) e Commissione delle C.E. (avv. de Marchi). Comunit� europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci Temporanea importazione di autoveicoli. (Trattato CEE, artt. 9 e segg.; convenzione di New York 4 giugno 1954, rat. con legge 27 ottobre 1957, n. 1163; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 25, 216, 282, 287, 339; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 67, 69, 70, 71). Le norme del Trattato C.E.E. relative alla libera circolazione delle merci non fanno ostacolo a che una disciplina nazionale imponga ai residenti nel territorio di uno Stato membro il divieto, sanzionato penalmente, di usare autoveicoli i quali abbiano fruito di un regime di im MSSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 922 portazione temporanea e quindi siano stati esentati dal pagamento dell'imposta sul valore aggiunto (1). (omissis) 1. -Con ordinanza del 17 dicembre 1979, pervenuta nella cancelleria della Corte il 21 dello stesso mese, il Tribunale di Ravenna ha posto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato C.E.E., una questione relativa alla compatibilit� di determinate disposizioni della legislazione italiana con le norme comunitarie in materia di libera circolazione delle merci. 2. -I fatti all'origine del procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Ravenm.a, sono i seguenti. Il signor Cardati, dttaidino italiano residente in Ravenna, che conduceva in territorio italiano un'autovettura immatricolata in Germania, veniva interrogato dalla Guardia di Finanza e dichiarava che un cittadino della Repubblica federale di Germania gli aveva affidato l'autovettura per poterne disporre in Italia nei suoi frequenti viaggi di affari. A carico del Cardati veniva steso un rapporto penale per contrabbando, per avere, nella sua qualit� di residente italiano, detenuto ed usato nel territorio doganale nazionale, in violazione delle norme sull'importazione temporanea, un'autovettura immatricolata all'estero. 3. -Nel corso del processo il Tribunale di Ravenna decideva di porre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: � Se gli artt. 25, 216, 282, 287 e 339 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, in relazione alla legge 27 ottobre 1957, n. 1163 di ratifica ed esecuzione della Convenzione Internazionale di New York del 4 giugno 1954 e agli articoli 67, 69, 70 e 71 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, siano in contraddizione con la normativa comunitaria in materia di libera circolazione delle merci �. 4. -La Corte, pur non essendo competente a statuire, nei giudizi basati sull'art. 177 del Trattato, sulla compatibilit� col diritto comuni� tario di atti normativi nazionali, pu�, di fronte ad un'ordinanza di rinvio inesattamente formulata, identificare la questione di diritto (1) Sul regime fiscale degli autoveicoli privati in circolazione internazionale cfr. anche la convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956 (in Raccolta dei Trattati dell'ONU, volume 339, pag. 3), ratificata da tutti gli Stati membri delle Comunit� europee, ad eccezione del Belgio e dell'Italia. Essa esonera i veicoli immatri� colati nel territorio di una delle parti contraenti, e importati in franchigia in un altro Stato, dalle imposte e tasse che gravano la circolazione o la detenzione dei veicoli, salvo i pedaggi e le imposte di consumo. La convenzione non definisce direttamente le condizioni per beneficiare dell'esonero, ma rinvia alle di� sposizioni della convenzione doganale di New York. Per la giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla libera circolazione delle merci v. questa Rassegna, 1978, II, 1 e 1980, II, 71. I I @. II ru ru f>ARtE I, s~z. n, GlURIS. COMUNI'I'AR1A � !N'I'ERNAZIONALE 923 comunitario in termini che le consentano di pronunciarsi. Nella fatti� specie, la questione da risolvere consiste nell'accertare se i principi del Trattato relativi alla libera circolazione delle merci siano di ostacolo ad una normativa nazionale che, assoggettando l'importazione normale di autoveicoli al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto, vieti, con sanzione penale, ai residenti nello Stato di utilizzare autoveicoli che abbiano fruito di un regime di importazione temporanea, e quindi della esenzione della citata imposta. 5. -L'art. 2 della Convenzione di New York del 4 giugno 1954, ratificata da tutti gli Stati membri della Comunit� Europea, disciplina l'importazione di autoveicoli in franchigia temporanea. Esso stabilisce, al paragrafo l, che ciascuno Stato contraente ammette �in franchigia temporanea... i veicoli appartenenti a persone che hanno la loro residenza normale fuori del suo territorio e che sono importati ed utilizzati per loro uso privato, in occasione di una visita temporanea, sia dai proprietari di tali veicoli, sia da altre persone che hanno la loro residenza normale fuori del suo territorio �. 6. -L'art. 216 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gen� naio 1973, n. 43 (�Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale�), disciplina l'importazione temporanea dei veicoli stradali ad uso privato facendo rinvio alla Convenzione di New York e prevede, al comma secondo, che le pene stabilite per il reato di contrabbando restino applicabili quando manchino o siano venute a cessare le condizioni previste dalla citata Convenzione. Lo stesso Testo unico stabilisce altres� la pena pecuniaria da infliggere a chiunque detenga merci estere senza dimostrarne la legittima provenienza (art. 282 in relazione all'art. 25), ovvero dia, in tutto o in parte, a merci estere importate in franchigia e con riduzione dei diritti di confine una destinazione diversa da quella per la qua1e � stata concessa la franchigia o la riduzione (art. 287). 7. -Per quanto riguarda i diritti non pagati, al cui ammontare la sanzione pecuniaria � commisurata, il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, concer� nente l'istituzione e la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, stabi� lisce che l'imposta in questione sia applicata, tra l'altro, sulle importazioni da chiunque effettuate e definisce poi, specificamente, negli artt. 67-70, il regime dell'imposta sulle importazioni. 8. -� il caso di rilevare che l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione di beni � espressamente prevista dall'art. 2 della seconda direttiva del Consiglio, dell'll aprile 1967, n. 67/228/C.E.E., in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari (G. U. pag. 1303). L'art. 14 della sesta 924 RASSEGNA DELL1AVVOCA1'URA DELLO STATO direttiva del Consiglio in materia, del 17 maggio 1977, n. 77/338/C.E.E. (G. U. n. L 145, pag. 1), prevede che, fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, esentino, fra l'altro, le importazioni di beni che costituiscono oggetto di una dichiarazione di assoggettamento ad un regime doganale di ammissione temporanea. 9. -Gli Stati membri conservano quindi un ampio potere di intervento in materia di importazione temporanea, proprio allo scopo di impedire le frodi fiscali. Ne consegue che, se i provvedimenti presi in proposito non sono eccessivi, essi sono compatibili col principio della libert� di circolazione delle merci. 10. -Quanto poi al divieto imposto da uno Stato membro alle persone residenti nel suo territorio di usare veicoli importati temporaneamente in franchigia, esso costituisce un mezzo efficace per prevenire le frodi fiscali e per assicurare che le imposte siano pagate nel paese di destinazione dei beni. In effetti, la proposta di direttiva del Consiglio relativa alle franchigie fiscali applicabili all'interno della Comunit� in materia di importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto, presentata dalla Commissione iii 30 ottobre 1975 (G. U. n. C 267, pag. 8), ha riconosciuto la necessit� di un provvedimento del genere, prevedendo all'art. 3 (concernente l'importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto per uso privato) che �a) il privato che importa i suddetti beni deve: aa) avere la residenza principale in uno degli Stati membri della Comunit� diverso da quello dell'importazione temporanea;... b) i mezzi di trasporto non possono essere ceduti o noleggiati nello Stato membro d'importazione temporanea, n� prestati a residenti di questo Stato�. 11. -Una volta riconosciuto quindi che disposizioni quali quelle della legislazione nazionale di cui trattasi nella fattispecie sono compatibili con le norme dell'ordine giuridico comunitario, non vi sono argomenti che consentano di mettere in dubbio il potere di uno Stato membro di sanzionare penalmente l'inosservanza della disciplina nazionale. 12. -La questione posta dal Tribunale di Ravenna va quindi risolta nel senso che le norme del Trattato C.E.E. relative alla libera circolazione delle merci non fanno ostacolo a che una disciplina nazionale imponga ai residenti nel territorio di uno Stato membro il divieto, sanzionato penalmente, di usare autoveicoli i quali abbiano fruito di un regime di importazione temporanea e quindi siano stati esentati dal pagamento dell'imposta sul valore aggiunto. (omissis) PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 925 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 2� sezione, 11 dicembre 1980, nella causa 827/79 -Pres. Pescatore -Avv. Gen. Capotorti -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione italiana nella causa Amministrazione delle Finamie c. Acampora -Interv. Governo itailiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione del1e C.E. (ag. Marchini-Camia, avv. L. Biamonti). Comunit� europee � Dazi doganali � Prodotti originari di paesi in via di sviluppo � Trattamento tariffario preferenziale � Certificati di origine � Controlli � Pagamento del dazio non corrisposto all'atto dell'impor� tazione. (Regolamento CEE della Commissione 30 giugno 1971, n. 1371, art. 13). Ai sensi dell'art. 13 del regolamento della Commissione 30 giugno 1971, n. 1371, le autorit� doganali dello Stato membro importatore possono, dopo aver consentito senza riserve l'importazione definitiva della merce con l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale accordato ai prodotti originari dei paesi in via di sviluppo: 1) chiedere allo Stato beneficiario d'esportazione il controllo del certificato d'origine �modulo A � relativo a quella merce; 2) successivamente, qualora tale controllo abbia esito negativo, esigere il pagamento dei dazi doganali non corrisposti all'atto dell'importazione (1). (1) La Corte ha condiviso le argomentazioni svolte dal Governo italiano, interpretando le norme comunitarie nel senso che esse consentono alle autorit� doganali dello Stato membro importatore, -pur dopo l'importazione definitiva della merce, senza alcuna riserva, con l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale accordato ai prodotti originari dei paesi in via di sviluppo -, di chiedere allo Stato beneficiario d'esportazione il controllo �del certificato d'origine e, di esigere, in caso di esito negativo del controllo, il pagamento dei dazi doganali non corrisposti all'atto dell'importazione. La Corte non si � occU1pata specificamente del termine entro iL qual1e il pagamento dei dazi pu� essere 'J�ichiesto, ma ha precisato, da un J.ato, che 1a previs:ione di un termiline per la conservazione dei documenti da parte dell'autorit� del ;paese espor.tatoce �implica necessariamente il!a poos]bi:lit� di un controlilo effettlivo dm1ainte [o stesso iLasso di itempo, e, daililfaitro J.ato, che dopo i'esito del controhlo iLa dog0ana del paese importatore pu� richiedere il pagamento de] maggiori diritti dovuti. Quindi, lii!! rt:el1rmne per :hl: pagamento potr� essere queililo nazionale �di prescri!lione (fino aJIJl'entrata in vigore del regolamento 24 [uglio 1979, n. 11697) che non sia illlferiore a quehlo minimo entro il quaiLe � consentito ii1 control!lo; non pu�, viiceve!'sia, trovare aipplicazione ihl termiline di decadenza nazionaile per ilia .revislione dell'aocevtamento. Si ritiene utile riportare qui di seguito le difese svolte dal Governo italiano. Trattamento daziario preferenziale per i prodotti originari dei paesi in via di sviluppo: il controllo dei certificati di origine. 2. -Il regolamento CEE della Commissione 30 giugno 1971, n. 1371/71, (nonch� il gi� ricordato reg. 2862/71 e, poi, quelli dettati per gli anni successivi: cfr. -dopo il n. 2818/72, che richiama quello che lo precede-, i reg. nn. 3614/73, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1. -(Omissis). Con ordinanza 27 giugno 1979, pervenuta in cancelJeria H 21 dicembre 1979, 1a Corte Suprema di CassaziQile italiana ha sottoposto alla Corte idi giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato C.E.E., una questione pregirudiziai1e conoemente l'interpretazione del regolamento deL1a Commissione 30 girugno 1971, n. 1371, relativo :ailla definizione della nozione di prodotti originari per l'applicazione delle preferenze tariffarie .accordato da!lla C.E.E. a taluni prodotti di .paesi :in via di sviluppo (G. U. n. L 146, pag. 1), e in particolare del:l'art. 13 di questo regolamento. 2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra un'impresa commerciale e l'Amministrazione delle finanze italiana. Detta impresa importava in Italia da Hong-Kong, tra il 1� luglio 1971 e il 2 febbraio 1972, varie partite di apparecchi radio a transistors, dichiarandoli �prodotti di origine�; di conseguenza, essa ne 3106/74, 3214/75, 3200/76, 2966/77, 148/79 e 3067/79), dovendo stabilire delle regole per quanto riguarda sia le condizioni nelle quali alcuni prodotti provenienti da paesi in fase di sviluppo acquisiscono il carattere di � prodotti originari � dei paesi stessi (al fine di godere di un regime daziario preferenziale), sia la giustificazione di tale carattere e le modalit� del suo controllo, dopo aver definito nei primi articoli la nozione di � prodotti originari '� dispone, nell'art. 6, che detti � prodotti originari... sono ammessi nella Comunit� al beneficio .delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie di cui all'art. 1 su presentazione di un certificato di origine, modulo A, vistato o dalle autorit� doganali o da altre autorit� governative del paese beneficiario di esportazione e con riserva che quest'ultimo paese assista la Comunit� tramite le amministrazioni doganali degli Stati membri nel controllo della autenticit� e della regolarit� dei certificati�, �Il certificato -precisa l'art. 79 -costituisce il documento giustificativo per l'applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie>>, ed � � presentato alle autorit� doganali dello Stato membro d'importazione secondo le modalit� previste dalla regolamentazione di tale Stato� (art. 8). Ricollegandosi alla riserva di assistenza da parte delle autorit� competenti del paese beneficiario per il controllo dell'autenticit� e della regolarit� dei cer tificati prevista nell'art. 6, l'art. 13 n. l, prevede un controllo a posteriori dei certificati stessi, che � viene effettuato a sondaggio ed ogni qualvolta le Autorit� doganali competenti nella Comunit� nutrano dubbi fondati circa l'autenticit� del documento o l'esattezza delle informazioni sull'origine effettiva della merce in questione o di taluno dei suoi componenti�. � Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del paragrafo precedente -prosegue il n. 2 dello stesso articolo le autorit� doganali competenti nella Comunit� rispediscono il certificato ... all'au torit� governativa competente del paese beneficiario d'esporta7lione, indicando (�eventualmente�, si � aggiunto nel testo del reg. 3614/73 e di quelli successivi), i motivi di sostanza o di forma che giustificano un'inchiesta �; e, � se esse deci dono di sospendere l'applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tarif farie di cui all'art. 1 in attesa dei risultati del controllo, le autorit� doganali competenti nella Comunit� offrono all'importatore, fatte salve le misure con servative ritenute necessarie, la possibilit� di ritirare le merci � Dispone, infine, l'art. 30 che attraverso il controllo -per l'effettuazione del quale l'autorit� del paese beneficiario di esportazione deve conservare la relativa PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 927 otteneva lo sdoganamento pagando dazi doganali calcolati in funzione delle preferenze tariffarie. L'Amministrazione delle finanze, effettuato in forza dehl'art. 13 del regolamento n. 1371/71, un controllo ia posteriori da cui risultava che la merce non rispondeva alla definizione di �prodotti di origine�, ingiungeva all'importatore di pagare il dazio non corrisposto all'atto dell'importazione. 3. -L'importatore faceva oppos1z10ne avverso l'ingiunzione per il motivo che il controllo sull'origine della merce era stato effettuato posteriormente aLfimportazione, quando la meroe non si trovava pi� nella sua disponibilit�. La controversia veniva sottoposta al Tribunale di Genova e, successivamente, aLla Corte d'appello deMa stessa dtt�, i quali si pronunziavano nel senso che il controllo non poteva essere effettuato dopo lo documentazione per un periodo di due anni -devesi poter �determinare se il certificato di origine ... contestato sia applicabile alle merci realmente esportate e se queste merci possano effettivamente dar luogo all'applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie di cui all'art. 1�. 3. -Il sistema che risulta da queste norme � il seguente: a) l'importazione con il beneficio delle preferenze tariffarie avviene sulla base della presentazione del certificato di origine rilasciato dall'autorit� del paese beneficiario di esportazione; l'autorit� doganale dello Stato membro di importazione pu� solo esigere la presentazione di una traduzione, nonch� di una attestazione de!W'arnportatore certificante che le me:vci soddisfano aHe condizioni richieste per l'applicazione del beneficio; b) le autorit� doganali dello Stato membro importatore possono chiedere, e le autorit� governative del paese beneficiario di esportazione devono assicurare, un controlilJO 1suna autenticit� e su:hla -rego1liarit� dei certificati, in un aoco di tempo di quantomeno due anni dalla data di esportazione; il controllo pu� essere effettuato o a titolo di sondaggio (cio� a prescindere da ogni sospetto di non autenticit� o non regolarit�) o allorch� si nutrano dubbi fondati circa l'autenticit� del documento o l'esattezza sull'origine della merce o di componenti di essa; c) nel caso di richiesta di controllo, le autorit� doganali dello Stato membro importatore hanno la facolt� di sospendere l'applicazione del regime preferenziale (facendo salva la possibilit� all'importatore di ritirare le merci, con l'adozione delle misure conservative ritenute necessarie). I1l quesito che st pone � 1se fo dogaJIJJa posisa chiedere il contro!Llo del certificato d'origine allorch� ha ammesso l'importazione � senza riserve � con l'applicazione deiJi regime preforenziaile, e, avuto esito negativo ~n taile t>otesi ili controllo richiesto, possa ancor chiedere all'importatore il pagamento delle maggiori somme dovute. La risposta deve essere positiva. 4. -Dalle norme citate si ricava che di regola l'importazione con il be-_ neficio delle preferenze tariffarie si ottiene con la presentazione del certificato di origine vistato dall'autorit� del paese esportatore; l'autorit� doganale del 928 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sdoganamento della merce e la concessione, senza riserve, del trattamento preferenziale contemplato dalla normativa comunitaria. Adita dall'Amministrazione delle finanze, la Corte suprema di Cassazione ha sottoposto a questa Corte la seguente questione: �Se a norma dell'art. 13 del regolamento e.E.E. 30 giugno 1971, n. 1371, lo Stato importatore -dopo aver consentito, senza riserve, la importazione definitiva della merce con l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale accordato ai prodotti di origine dei paesi in via di sviluppo -possa richiedere allo Stato beneficiario dell'esportazione il controllo del certificato di origine � modulo A � relativo a quella merce, e poi pretendere, all'esito eventualmente negativo di esso, il pagamento del dazio non corrisposto all'atto dell'importazione �, 4. -Per risolvere tale questione, che concerne essenzialmente l'interpretazione dell'art. 13 del regolamento n. 1371/71, occorre innanzitutto determinare lo scopo perseguito da questo regolamento c0~unitario paese importatore conserva, per�, la possibilit� di chiedere all'autorit� del paese esportatore (che � tenuta ad evadere la richiesta) un controllo del certificato, perch� ne sia verificata l'autenticit� e la regolarit�. Questo controllo, che, seguendo l'importazione, � �a posteriori�, come esplicitamente lo qualifica la norma comunitaria, pu� essere richiesto o a titolo di sondaggio o perch� sono sorti fondati dubbi sulla autenticit� e regolarit� del certificato stesso. La ratio di un tale sistema sta evidentemente nell'intendimento di favorire, anche nell'espletamento delle formalit� doganali, l'importazione nella Comunit� di determinati prodotti originari di paesi in via di sviluppo. La presentazione di un certificato vistato da una autorit� del Paese esportatore � parsa garanzia sufficiente, in linea di massima, per concedere immediatamente il beneficio tariffario all'importazione, lasciando peraltro salva la possibilit� di eseguire successivamente un controllo. Questo controllo, richiedendo normalmente tempi lunghi per essere attuato (il certificato deve essere spedito all'autorit� del paese esportatore, che, esperite le verifiche del caso, lo deve poi restituire), segue l'importazione proprio per non intralciarla: se la precedesse, si correrebbe il rischio di arrestare o quantomeno limitare sensibilmente quella corrente di traffico che si era inteso agevolare. Poich� dunque la regola generale � che con la presentazione del certificato si ottiene l'importazione, salva la possibilit� di un controllo �a posteriori� (che segue, cio�, la importazione), la norma comunitaria non poteva prevedere e non ha previsto che la richiesta di controllo sia accompagnata da una �riserva � sul regime applicabile in sede di importazione (con una corrispondente �contestazione � o �comunicazione � aiLl'importatore): �lia richiesta d:i controfilo viene effettuata mai~grado l'esaurimento del�e operaziioni doganaili di importazione, magari dopo qualche tempo da esso (si pensi, soprattutto, ai controlili a sondaggio, che vengono richiesti normalmente su una modica percentuale dei certificati pervenuti in un certo arco di tempo: una settimana, un mese, o altro periodo). Eseguita l'importazione con l'applicazione del regime preferenziale e effettuato il controllo � a posteriori >>, l'esito negativo di questo comporter� naturalmente che !La dogana del paese importatore av.r� il potere-dovere di recupe- I I =~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 929 e quindi analizzare il funzionamento del sistema di controllo dell'origine dei prodotti interessati, ch'esso ha istituito per il raggiungimento dello scopo suddetto. 5. -Il sistema delle preferenze generalizzate contemplate dal regolamento n. 1371/71 � fondato sul principio della concessione unilaterale, da parte della Comunit�, di vantaggi tariffari per determinati prodotti originari di taluni paesi in via di sviluppo, allo scopo di agevolare 1e cor:rienti comme:ricia:li provenienti da questi ultimi. Iil beneficio di detto regime preferenziale � pertanto connesso all'origine del prodotto e il controllo di questa costituisce, di conseguenza, un elemento indispensabile del sistema. Nell'organizzazione concreta di tale controllo il regolamento ha inteso evitare, per ragioni pratiche, la verifica sistematica dell'origine della merce, che avrebbe prolungato eccessivamente le operazioni doganali. A questo scopo, l'art. 13 contempla due tipi di controllo rare i diritti di confine, inerenti ai! regime non agevolato, non mscossii ailil'atto dell'importazione, e ci� senza bisogno che sia stata formulata riserva alcuna, la quale, come si � detto, appare inconfigurabile nel sistema prescelto: se cos� non fosse, non vi sarebbe alcuna ragione di procedere ad un controllo, destinato a rimanere improduttivo di effetti. Conferma di ci� � data dall'art. 30 del reg., il quale, con riferimento specifico a tutte le ipotesi di controllo previste nell'art. 13, precisa che i controlli devono permettere di determinare se il certificato di origine contestato (dove �contestato� significa chiaramente �sottoposto a verifica �) sia applicabile alle merci realmente esportate e se queste merci possono effettivamente dar luogo all'applicazione del regime preferenziale. 5. -Si � obiettato, per�, che la norma comunitaria prevede anche una possibilit� di sospensione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie in caso di richiesta di controllo (art. B, n. 2, seconda parte), cio� un'ipotesi di apertura formale di una contestazione nei confronti dell'importatore: proprio e soltanto questa contestazione farebbe salvo il diritto della dogana al recupero dei maggiori diritti che risultassero dovuti in esito al controllo. Questa argomentazione non ci sembra esatta. La previsione dell'ultima parte dell'art 13 si atteggia come un'eccezione alla regola generale. Prodotto un certificato di origine, di regola si applica il regime preferenziale, salvo poi l'esito del controllo � a posteriori �. La norma comunitaria si � per� preoocupata dii offrire affila dogana maggiori. garaml�e per alcuni casi, dove evidentemente il sospetto di non autenticit� o non regolarit� appaia sin dal momento della richiesta di importazione particolarmente fondato. L'autorit� doganale ha appunto la facolt� di sospendere (o pi� precisamente: di tenere in sospeso) l'applicazione del regime preferenziale in attesa dei risultati del controllo: si tratta di una facolt� che, naturalmente, pu� essere esercitata prima dell'importazione, per cui il controllo che verr� richiesto, si atteggia come un controllo � a priori �. E sempre nell'intento (gi� manifestato nella regola generale) di eliminare per quanto possibile ogni intralcio alla circolazione delle merci di cui si discute, la stessa norma comunitaria impone alle autorit� doganali comunitarie di offrire all'importatore � fatte salve le misure conservatrici ritenute necessarie, la possibilit� di ritirare le merci �: con tale previsione la 930 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a posteriori dei certificati d'origine: a sondaggio e ogni volta che le autorit� doganali competenti nutrano � dubbi fondati circa l'autenticit� del documento o l'esattezza delle informazioni sull'origine effettiva della merce in questione o di taluni dei suoi componenti�. Detto articolo aggiunge, al n. 2, secondo comma, che le autorit� doganali, qualora decidano, in caso di dubbio, di sospendere l'applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie in attesa dei risultati del controllo, �offrono all'importatore, fatte salve le misure conservative ritenute necessarie, la possibilit� di ritirare le merci �. 6. -Quest'rultima d~sposizione, che, in pratica, pu� trnvare ,applicazione solo quando la merce � ancora in dogana, si configura come un'eccezione alla regola generale stabilita dall'art. 6 del regolamento, in base alla quale �i prodotti originari ai sensi del presente regolamento sono ammessi nella Comunit� al beneficio delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie di cui all'articolo 1 su presentazione di un "ertificato di origine, modulo A, vistato o dalle autorit� doganali o da altre autorit� norma comunitaria si �, del resto, allineata ai sistemi nazionali che prevedono la possibilit� del rilascio della merce all'importatore, in attesa dell'esito delle contestazioni insorte, previa liquidazione provvisoria dei minori diritti non contestati e garnnzia del pagamento di queMi maggiori che dovessero in ,seguito dsul� tare dovuti (in Italia, cfr. gli artt. 61, 65 e 83 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, che approva il testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale). Non v'� alcun dubbio che, nel caso di sospensione dell'applicazione del regime preferenziale, l'esito negativo del controllo render� definitivamente inapplicabile H regime stesso, ,con Ia possiibiJ!M� delwa dogana di recuperare (attmverso la garanzia prestata) i maggiori diritti dovuti. Ma non v'� ragione alcuna che questa possibilit� di recupero sia data solo nel caso di sospensione (che si atteggia come una formale contestazione nei confronti dell'importatore) e non anche allorch�, secondo la regola generale, il controllo sia disposto e si effettui � a posteriori >>, cio� dopo l'importazione fatta in regime di favore (nel qual caso non � neanche ipotizzabile la formulazione di una � contestazione � o comunque di una �riserva� nei confronti dell'importatore). La tesi contraria a quella qui proposta porta a conseguenze del tutto illogiche: a) o JJa dogana, per garanti'.Ils� M pagamento defilie somme effettivamente dovute, deve sospendere sempre l'applicazione del regime preferenziale, anche in previsione di dover disporre un mero controllo a sondaggio, ma ci� contrasterebbe oltre che con la lettera, anche con lo spirito del regolamento comunitario, in quanto si verrebbe ad ostacolare gravemente quel commercio che, proprio in forza delle norme comuniitade, si intende ,agevoliare; b) o fra dogana deve rassegnarsi all'evasione dell'imposta in tutti i casi di presentazione di certificati che, apparentemente ineccepibili, si rivelassero poi non autentici o non veritieri a seguito di controllo, magari a sondaggio: e in tal caso a che cosa servirebbe il controllo a sondaggio? Si � tentato ex adverso di rispondere a queste obiezioni osservando che il controllo a sondaggio, non accompagnato da una sospensione dell'applicazione del regime preferenziale, anche non evitando un'evasione del tributo nel caso con- t ~ ~ I: i~ �,t ~ I1 r11~�11a11a1aar111�111111111111:11�r�1�fl PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 931 governative del paese benficiario di esportazione e con riserva che quest'ultimo paese assista la Comunit� tramite le amministrazioni doganali degli Stati membri nel controllo dell'autenticit� e della regolarit� dei certificati�, 7. -Di regola, il controllo a posteriori effettuato a sondaggio pu� pertanto essere solo successivo ailfa presentazione del certificato, ed allo sdoganamento che ne consegue automaticamente, quando nessun elemento consenta di dubitare a priori dell'autenticit� del certificato. Del resto, ai fini del controllo a posteriori dei certificati di origine, modulo A, l'art. 30 del regolamento dispone che � i documenti di esportazione o le copie dei certificati che li sostituiscono debbono essere conservati dall'autorit� governativa competente del paese beneficiario di creto, servirebbe pur sempre �a controllare, a titolo di sondaggio, la seriet� delle autorit� del paese esportatore nel rilasciare i certificati di origine, inducendo la Dogana ad una maggiore cautela in occasione di importazioni future�. Ma tali osservazioni appaiono molto fragili: nel caso di accertata �falsit�,, del documento, il controllo si rivelerebbe inutile anche per il futuro; mentre nel caso di � non veridicit�� esso dovrebbe condurre a � diffidare � di tutti i certificati rilasciati dalle autorit� del paese di provenienza del certificato non veritiero, e quindi a determinare sospensioni � generalizzate � dell'applicazione delle preferenze tariffarie per le provenienze da quel paese (omissis). N� pu� dirsi che la successiva maggiore imposizione lederebbe il legittimo affidamento dell'importatore, che, ottenuto il regime preferenziale con l'importazione definitiva, confida appunto nella definitivit� del regime applicatogli e opera nei rapporti commerciali su questo presupposto. L'importatore non pu� ignorare la norma comunitaria e ben sa o deve sapere che, malgrado l'importazione definitiva, pu� essergli richiesto il pagamento delle maggiori somme effettivamente dovute se il controllo del certificato dar� esito negativo per lui. Egli sa o deve sapere che il certificato esibito � preso per buono dalla dogana salvo l'esito del controllo a posteriori. La norma comunitaria giu stamente si preoccupa di tutelare l'affidamento che le autorit� doganali devono riporre nel certificato esibito: da un lato � imposto loro di accettare il certi� ficato senza controllo immediato e (salvo l'esistenza di fondati dubbi) concedere il regime preferenziale senza garanzia (disponendosi cos� l'importazione defini tiva); ma dall'altro � consentito loro di recuperare gli eventuali maggiori diritti dovuti dopo l'esito del controllo a sondaggio. Non v'�, invece, nessuna ragione di tutelare l'affidamento dell'importatore a danno della dogana e della Comunit�, perch� � l'importatore (o chi per lui) che si munisce del certificato d'origine ed � lui stesso (o chi per lui) a presentarlo alla dogana del paese membro; eglri sa benissimo, o deve sapere, che il certificato da lui esibito � accettato dalla dogana in base alla mera apparenza, con un affidamento da parte della medesima, che non pu� essere mitigato se non con la successiva revoca del beneficio concesso in caso di 'successivo 01COOJ:1tamento di non autenticit� o 1111on regolariit� del certi ficato. Del resto a danno della dogana e della Comunit�, per una mal intesa appli cazione del principio della tutela dell'affidamento dell'importatore, cadrebbero 932 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO esportazione per un periodo di due anni�; questo termine implica necessariamente la possibilit� di un controllo effettivo durante lo stesso lasso di tempo. 8. -Bisogna ammettere che la possibilit� di effettuare il controllo successivamente all'importazione, senza che l'importatore ne sia stato prima avvertito, pu� causare difficolt� a quest'ultimo qualora egli abbia creduto, in buona fede, di importare merci che godono di preferenze tariffarie sulla base di certificati inesatti o falsificati a sua insaputa. A questo proposito va tuttavia rilevato, in primo luogo, che la Comunit� non � tenuta a sopportare le conseguenze dannose di comportamenti scorretti dei fornitori di suoi cittadini; in secondo luogo, che l'importatore pu� agil'e in giudizio per il riswcimento nei confronti dell'autore le conseguenze non dell'attivit� della dogana stessa ma dell'attivit� d: terzi (le stesse autorit� pubbliche del paese esportatore, o altri operatori commerciali) o dehl'att�.ivit� dehl.o stesso importatore: non 1si d1mentichi, infatiti, che, dn es1to ail controllo a sondaggio, potr� risultare che il certificato non � stato mai emesso dalle autorit� pubbliche del paese esportatore, o che le merci sono diverse, o che l'autorit� pubblica del paese esportatore � stata indotta o ha commesso un errore. � possibile che tutto ci� ricada a danno della dogana del paese membro importatore, e quindi della Comunit�, sol perch� ad essa � stato imposto .di � confidare � neM'apparenza de1 certificato esibito da:l1fimportatore? E a che cosa servirebbe iJ1 controlilo a posteriori? Perfettamente normale, invece, � che l'onere dei maggiori diritti dovuti ricada sull'importatore, perch�, -anche a prescindere dai casi di una sua responsabilit� diretta nella non autenticit� o non veridicit� del certificato -egli ben sa che il regime preferenziale � revocabile ed � quindi tenuto a verificare egli stesso, prima di importare, che l'operazione sia regolare e il certificato autentico e veritiero. Certamente la sua operazione commerciale importa dei rischi, perch� � possibile che egli sia stato ingannato da chi gli ha procurato la merce o i certificati: ma questi rischi commerciali non possono essere eliminati con l'irrevocabilit� dell'accettazione del certificato esibito, in forza del principio della tutela dell'affidamento, che, nellila materia in questione, 1ap;pare liinvocato non a proposito. L'importatore potr� sempre far valere in via di regresso le sue ragioni nei confronti dei responsabili. In chiave interpretativa, anche se le norme non trovano applicazione che dal 1� luglio 1980, pu� essere utile richiamare il regolamento del Consiglio 24 lugiltlo 11979, n. 1697/79 (reLatiivo aiL recupero a posteriori dei dazi che :non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento). Queste norme, che sono state dettate per limitare e non per estendere i poteri delle autorit� doganali, a tutela dell'affidamento dell'importatore, tutelano appunto questo affidamento, vietando alle autorit� nazionali il recupero delle maggiori somme che sarebbero state dovute, quando il minore importo era stato calcolato: a) sulla base di informazioni fornite dalle stesse autorit� competenti e aventi per queste valore vincolante; b) o sulla base di disposizioni di carattere generale che una decisione giudiziaria abbia successivamente invalidato. Nel caso di specie siamo chiaramente al di fuori di queste ipotesi. E ci� senza considerare che nessuna limitazione, PARTE I, Si�Z. II, GlURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 933 del falso; e, in terzo luogo, che, nel calcolare i vantaggi realizzabili mediante il commercio di prodotti che possono fruire di preferenze tariffarie, un operatore economico accorto ed al corrente della normativa vigente, deve poter valutare i rischi inerenti al mercato sul quale compie il suo sondaggio ed accettarli come facenti parte della categoria dei normali inconvenienti dell'attivit� commerciale. 9. -In conclusione, la questione del giudice a quo va pertanto risolta come segue: ai sensi dell'art. 13 del regolamento della Commissione 30 giugno 1971, n. 1371, e in base alla struttura generale di questo regolamento, le autorit� doganali dello Stato membro importatore posneanche temporaJe, � posta a1le autorit� dogana�i se ila mancata ruscos�sione <ledile somme realmente dovute � stata causata da un atto passibile di un'azione giudiziaria repressiva: e questa ipotesi si pu� riscontrare molto spesso nelle fattispecie attinenti all'applicazione del regime preferenziale ai prodotti originari dei paesi in via di svhluppo (anche iin regime di .transito comuni:tario, -regolamento CEE n. 222/77 dcl Cons.irg:lio B dicembre J976 -, � sempre ammesso :L'accertamento dell'illecito, commesso in occasione delle relative operazioni, da parte degli Stati membri in cui la merce � immessa in consumo, i quali sono vincolati solo dai documenti � rfilaisdati iin modo regoilare � da1Ha dogana deihlo Stato membro di partenza, artt. 36, 37 e 39 reg. cit.: eppure in siffatti casi si tratta di controlli su Q'perazioni svOl'Lte neLl'ambito comunUitario). 6. -La fattispecie impositiva preferenziale, come ha gi� precisato la Corte di Cassazione nell'ordinanza di rinvio, � compiutamente e autonomamente regolata dalla normativa comunitaria, e al lume di essa andr� risolta la controversia, � qualunque sia la disciplina dettata dalla legislazione nazionale comune per la revisione dell'accertamento da parte della Dogana"� Non appare inutile, peraltro, precisare: a) che la legge italiana consente la revisione dell'accertamento divenuto definitivo, ancorch� le merci che ne hanno formato l'oggetto siano state lasciate alla libera disponibilit� dell'operatore: cfr. l'art. 74 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e, con riferimento alla data delle importazioni di cui si tratta, l'art. 6 del d.P.R. 2 febbraio 1970, n. 62, riprese dall'art. 107 d.P.R. 18 febbraio 1971 n. 18, che fissano per l'apertura del procedimento di revisione un termine di sei mesi dalla data in cui l'accertamento si � reso definitivo; b) che all'accertamento dei fatti costituenti reato (e l'introduzione di merce scortata da un documento non autentico o non veritiero, in base al quale si ottiene un'agevolazione, integra gli estremi oggettivi del reato di contrabbando) si pu� procedere nei limiti della prescrizione del reato anche al di l� dei termini fissati per la revisione dell'accertamento con il conseguente diritto deLla dogana di richiedere hl pagamento dei tributi ev.asi. Ci� si precisa per sottolineare come la normativa comunitaria � auton.-0ma e diversa ma non contrastante con i principi del diritto nazionale che pur ammettono casi di richieste di pagamento di tributi sulla base di un accertamento diverso da quello presupposto al momento dell'importazione definitiva (omissis). OSCAR FIUMARA RASSEGNA DELL1AVVOCA'rtJRA n:Etto STAT� 934 sono -dopo aver consentito se.nza riserve l'importazione definitiva deUa merce con l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale accordato ai prodotti originari dei paesi in via di sviluppo: 1) chiedere allo Stato beneficiario d'esportazione il controllo del certifioato d'origine �modulo A � rela1:ivo a que1la merce; 2) successivamente, qualora tale controllo abbia esito negativo, esigere il pagamento dei dazi doganali non corrisposti all'atto dell'importazione. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 giugno 1979, n. 3186 -Pres. Sbrocca - Rel. Vela -P. M. Saja (parz. diff.) -Bitetti e Moretti (avv. F. S. Ri naldi) c. Istituto Poligrafico dello Stato (avv. Stato Stipo). Competenza e giurisdizione -Cosa giudicata -Efficacia in altro giudizio anche agli effetti della giurisdizione. Giudicato � Indennit� di anzianit� � Domanda di integrazione � Cosa giudicata � Preclusione di successive domande di integrazione. Il giudicato formatosi su una vertenza concernente un determinato rapporto giuridico impedisce che possa essere messa in discussione la giurisdizione qualora davanti la stessa autorit� giudiziaria venga promosso un nuovo giudizio vertente sullo stesso rapporto giuridico (1). Qualora la liquidazione della indennit� di anzianit� abbia formato oggetto di sentenza passata in giudicato, non pu� il lavoratore instaurare un nuovo giudizio al fine di conseguire la integrazione della indennit� stessa attraverso il calcolo di componenti retributive non dedotte nel precedente giudizio (2). (omissis) Occorre poi rilevare che non ha pregio l'eccezione -pregiudiziale -di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sollevata dall'Istituto nel presupposto che, essendo esso un ente pubblico non economico, i rapporti di lavoro col suo personale appartengono all'area dell'impiego pubblico e sono, quindi, assoggettati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Se, come si � rammentato nell'esposizione del fatto, sul rapporto dal quale � sorto il giudizio attuale ebbe gi� a pronunciarsi una prima volta il giudice ordinario con sentenza passata in giudicato (Trib. Roma, 29 gennaio 1974); e se, come generalmente si ammette, al formarsi del giudicato su una decisione di merito segue l'irretrattabilit� fra le parti in applicazione dell'art. 2909 cod. civ. -anche dei presupposti della decisione stessa, deve concludersi che nella specie non � pi� consentito discutere di giurisdizione, la quale integra proprio il primo di quei pre (1-2) Esatta applicazione del principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile. 936 f{ASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO supposti, sicch� non ad altri, che non fosse stato il giudice ordinario, gli attori avrebbero potuto rivolgere le loro ulteriori istanze. Pu� dunque procedersi all'esame dei ricorsi. Con i due motivi del ricorso principale -da esaminare congiuntamente perch� connessi -si sostiene che il tribunale, ritenendo preclusa dalla precedente liquidazione delle indennit� di anzianit� le domande di computo, nella formazione di tale emolumento, della remunerazione per l'ora fissa di lavoro straordinario, sarebbe incorso in violazione o falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ. ed in difetto di motivazione (art. 360 n. 5, in relazione agli artt. 370 e 454 cod. proc. civ.), perch� non avrebbe rilevato la novit� di quelle domande, basate su presupposti di fatto diverisi da que1li addotti nel precedente giudizio, n� avrebbe considerato che solo dopo la conclusione di quest'ultimo si era formata una giurisprudenza favorevole al predetto computo. Le censure non sono fondate. Della seconda basta dire che non investe un punto dec!.:;ivo della controversia, in quanto la deducibilit� di una questione in un precedente giudizio (il giudicato, si suole affermare, copre il dedotto ed il deducibile) non dipende certo dal formarsi di un orientamento giurisprudenziale in ordine alla questione stessa, ma solo dalla preesistenza, a quel giudizio, dei presupposti di fatto e giuridici del diritto azionato. Della prima non convince l'autonoma rilevanza che pretende di attribuire ai vari elementi formanti la retribuzione in base alla quale � calcolata l'indennit� di anzianit�. Proprio gli artt. 2120-2121 cod. civ. ne danno un concetto unitario, allorch� avvertono che �l'ammontare dell'indennit� � determinato in base all'ultima retribuzione�, la quale a sua volta si ricava � computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili e ai prodotti e ogni altro compenso continuativo, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso di spese �. Queste disposizioni indicano che, ad onta del concorso di vari elementi nella formazione della vetribuzione finale, questa costituisce un tutto unico ai fini del calcolo dell'emolumento. E del resto, non � seriamente contestabile che una sola ne � la .causa (I'emunerazione, differita per ragioni previdenziali, di prestazioni lavorative) ed unico il momento di maturazione (all'atto della cessazione del rapporto di lavoro). Bisogna allora ammettere che unica deve essere anche 11'-azione per conseguke il pagamento del credito che ne deriva, perch� non si pu� consentire che il giudice riesamini pi� volte lo stesso rapporto obbligatorio e gli attribuisca -eventualmente -una diversa consistenza di volta in volta. Il ricorso principale va pertanto integralmente rigettato. Uguale sorte merita il ricorso incidentale, col quale il Poligrafico dello Stato ascrive all'impugnata sentenza di aver violato o falsamente PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE applicato, e per di pi� con motivazione difettosa gli artt. 1362, 1365; 1368, 1369, 1427, 1441, 1442, 1443, 2113, 2909 cod. civ. nonch� i principi gene11aili in ordine all'impugnazione degli atti giuridici, con particolare riferimento alla consumazione del diritto in impugnazione, in quanto ha ritenuto ammissibili fo azioni di Bitetto e Moretti, sebbene costoro avessero sottoscritto quietanze pienamente liberatorie quando, cessati i loro rapporti di lavoro, ottennero le liquidazioni di ogni altro credito. Poco chiare sono le ragioni per le quali l'Istituto si appella ai principi sull'impugnazione degli atti giuridici e sul giudicato. I primi sono estranei al dibattito, poich� gli attori non hanno proposto n� nel precedente giudizio, n� in quello attuale, alcuna impugnazione delle quietanze, essendosi limitati a ritenerle irrilevanti ai fini dell'ammissibilit� e della fondatezza delle loro azioni, in quanto prive di valore negoziale e destinate a dare atto della percezione di determinate somme invece che a �documentare riilJUilcie o transazioni. Ed il tribunale, ha seguito codesta impostazione. Quanto al giudicato, poich� in questa lite, la qualificazione di quegli atti � stata uguale a quella gi� effettuata nel precedente processo, non v'� che da constatare come esso sia stato perfettamente rispettato. Della denunzia di vizi di interpretazione non �, invece, ammesso l'esame, in questa sede: sia perch� se il giudicato fa stato fra le parti, bisogna mantenere il concetto che delle quietanze si � formato nel precedente processo; sia perch� tmttasi di un pretesto per riproporre una questione di merito. (omissis) In dottrina v. RoEHRSSEN G.,. Sui contratti della p.a. in generale, in Rass. lav. pubbl. 1978, I, 139. In dottrina v. RoEHRSSEN G.,. Sui contratti della p.a. in generale, in Rass. lav. pubbl. 1978, I, 139. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1979, n. 3560; Pres. Sandulli; Est. Lipari; P. M. Garnbogi (concl. conf.); Ministero Trasporti (avv. Stato Sernicola) c. Della Mandola Ortensio e Mauro (avv. Gramaccini). Contratti della Pubblica amministrazione -Risoluzione del contratto -Mutuo consenso � Forma -Necessit�. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 36 e ss.; d.l. 28 agosto 1945, art. 4, n. 521). Il principio della libert� delle forme non si applica ai contratti della P.A. ancorch� risolutivi, giacch� ogni attivit� negoziale della medesima � vincolata al rispetto di norme .procedimentali (1). (omissis) 1. -Sia il tribunale che la Corte d'appello muovendo dal presupposto che trn l'amministrazione delle Ferrovie dello Stato ed Ortensio e Mauro Della Mandola si era perfezionato un contratto di compravendita di un'area destinata a zona ferroviaria, non tradotto nello strumento formale di stipula, hanno ritenuto che successivamente detto contratto fosse stato legittimamente sciolto per mutuo consenso. Per vero la sentenza della Corte d'appello non � costruita linearmente sul punto perch� se da un lato si preoccupa principalmente di rico struire i tempi ed i modi della risoluzione per mutuo consenso, dissen tendo nella individuazione degli atti che l'avrebbero integrata compiuta dai primi giudici (e quindi dando per pacifico che un precedente con tratto vincolava le parti), ma ritenendo comunque conseguito lo scopo, dall'altro, nel motivare in ordine alla ritenuta attitudine (oggettiva e (1) Cfr. in senso conforme: Cass., 11 marzo 1959, n. 683, in Mass. Giur. it., 1959 c. B8: (Nella specie la Cassazione ha ritenuto che il consenso prestato da un ente pubblico e diretto a porre in essere un negozio di portata rescissoria di un precedente vinco!JO giuridico, in tanto � concepibile e riLevantie, in quanto si sia oggettivato con quel rigore di forma che l'ordinamento amministrativo esige, esteriorizzandosi, cio�, attraverso la formazione di una regolare delibera dell'organo chiamato a rappresentare l'ente). Cfr. inoltre, Cass., 24 febbraio 1969, n. 615, in Mass. Giur. it., 1969, c. 256; Cass., 7 febbraio 1962, n. 252, ibidem, c. 84, e da u1t. Cass., 4 maggio 1978, in Rep. Foro it., '1978, c. 554: (Lo �sciogLimento per mutuo .consenso di un contl'atto per rnL qua:Le Ja legge richlede �La forma scritta ad substantiam � soggetto alla �stessa forma stabildta per �La :sua conc1usione). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 939 soggettiva) dei medesimi a realizzare lo scioglimento afferma -come si � sottolineato nel riassumere l'iter logico giuridico della sentenza che la vendita non era stata ancora perfezionata ex latere dell'azienda, non essendo ancora intervenuta la stipulazione con definitiva validit� ed obbligatoriet�. Si potrebbe quindi prospettare l'alternativa di un'interpretazione della sentenza che porti a depotenziare i ricordati elementi, ovvero una lettura della medesima nel senso di un duplice ratio decidendi che nega in primo luogo la conclusione del contratto e rileva in ogni caso che il contratto, pur se concluso, sarebbe stato sciolto. Ma non ritiene il Collegio che su tale alternativa dilemmatica, sulla quale, si � soffermato l'Avvocatura generale optando per la prima soluzione, debba prendersi posizione, essendo decisivo il rilievo che l'impostazione del tribunale fu chiaramente nel senso di postulare che vi fosse stato un vincolo contrattuale fra le parti posto nel nulla dal successivo negozio risolutorio mentre in grado di appello le parti non hanno pi� messo in dubbio l'esistenza del vincolo (limitandosi a discutere se all'originario contratto fosse seguito altro negozio risolutorio, e se al riguardo fossero state rispettate le forme di legge), sicch� sul punto si � formato il giudicato, e gli exculsus della Corte d'appello non collimanti con tale giudicato non hanno alcuna efficacia giuridica, e non imponevano alla difesa dello Stato di impugnarli, non trattandosi di ragioni oggettivamente capaci di sorreggere la decisione, qualunque fosse stata al riguardo l'intenzione dei giudici genovesi. E' del resto sintomatica la posizione difensiva assunta su questa fase d~i Della Mandola che non contestano di essere stati originariamente legati da un contratto e svolgono tutto il loro discorso sul piano della ritualit� della risoluzione per mutuo consenso. Tale risoluzione � stata considerata dai giudici di merito valida ed efficace, apparendo giustificata la richiesta dei privati contraenti di conseguire la restituzione della cauzione a suo tempo versata. La materia del contendere, pur trovando il suo punto di emersione nella suddetta restituzione, concerne fondamentalmente la verifica della legittimit� della pronuncia che ha riconosciuto lo scioglimento perch� se si dovesse negare la validit� o l'efficacia del negozio risolutorio . la vicenda del contratto preesistente rimarrebbe aperta, avendo insistito l'amministrazione, nel corso del giudizio di merito, sulle domande di condanna al versamento del prezzo originariamente pattuito, ed in quella subordinata di sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. che tenesse luogo del contratto. Con l'unico motivo del ricorso si censura in effetti la sentenza per avere ritenuto che si fosse attuato lo scioglimento del negozio per mutuo consenso valorizzando una implicita dichiarazione che sarebbe contenuta 940 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in una lettera dell'organo periferico dell'amministrazione ferroviaria (Direttore della Divisione lavori del Compartimento di Genova) incaricato di rappresentarla nella stipulazione in forma pubblica amministrativa dell'atto formale, giusta il decreto con cui il Ministro, sentito il Consiglio di amministrazione delle FF.SS., aveva autorizzato la vendita dell'immobile a trattativa privata ed alle condizioni previste dallo schema di contratto gi� firmato dalla controparte. Osserva al riguardo la difesa dell'amministrazione che lo scioglimento. del contratto per mutuo dissenso costituisce un'ipotesi di revoca del negozio giuridico, la quale va posta in essere dai medesimi soggetti che procedettero a11a conclusione e nelle medesime forme e con J'osservanza dei medesimi requisiti cui era legato il negozio da revocare. Trattasi di principio generale, si soggiunge, che cos� come rigorosamente si applica rispetto alla revoca degli atti amministrativi trova pure riscontro per i contratti (di diritto privato), che non possono essere modificati, n� tanto meno essere posti nel nulla, se 11on facendo ricorso a quei medesimi strumenti formali prescritti per la loro adozione. La Corte del merito avrebbe perci� dovuto escludere che fosse stato manifestato, nelle debite forme e con i previsti controlli, il consenso dell'Amministrazione per il preteso scioglimento (essendo mancato il nuovo parere del Consiglio di amministrazione delle FF.SS. ed il nuovo provvedimento di autorizzazione ministeriale). (Violazione, ovvero falsa applicazione, delle norme e dei principi generali concernenti i contratti della p.a. e in particolare degli artt. 3 e seguenti della legge di contabilit� generale dello Stato (r.d. n. 2440 dcl 1923) e degli artt. 36 e �seguenti del relativo regolamento (r.d. 23 maggio 1924, n. 827); dell'art. 4 ultimo comma del d.l. 28 agosto 1945, n. 521; dei principi generali in materia di revoca o modificazione degli atti amministrativi, in �relazione agili artt. 1321; 1418; 1425 cod. civ.; nonch� omissione od insufficienza della motivazione). 2. -Il motivo � fondato e va accolto. Quello in esame � un tipico contratto di compravendita di diritto privato della p.a. la cui disciplina di diritto sostanziale non si discosta da quella prevista nel codice civile per la fattispecie legale, ma che facendo capo �ailla p.a. medesima va sottoposto a determinate formalit� attinenti al procedimento di formazione ed alla attribuzione di giuridica efficacia. 1:. risaputo, infatti, che la p.a. e gli enti minori, non possono assumere impegni giuridicamente validi se non nei modi stabiliti dalle leggi e dai riegolamenti, mediante gli organi all'uopo designati, nel rispetto del procedimento determinato e con l'adozione della forma scritta. Nel caso di specie � fuori discussione che nello scioglimento non sono state adottate le medesime regole formali previste per la formazione del contratto. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE La Corte d'appello se ne � data carico sostenendo da un lato che l'autorizzazione non � richiesta in via generale rispetto ai procedimenti risolutori (non operando pi� la sua funzione valutativa circa la necessit� dell'immobile per gli scopi dell'amministrazione) e che nel caso di specie, non essendo ancora intervenuta la stipula formale, poteva effettuarsi la risoluzione consensuale a prescindere dalla suddetta autorizzazione. Tali argomentazioni non persuadono. Nel novero delle vicende del negozio si inquadra l'ipotesi della sua eliminazione a seguito di una successiva manifestazione di volont� dei soggetti originariamente stipulanti, dovendosi ammettere (anche alla stregua del diritto positivo: art. 1372, comma primo, seconda parte, cod. civ.) che costoro possano, nell'esercizio della loro autonomia, sciogliersi dal vincolo assunto mediante un atto eguale e contrario. All'accordo costitutivo del contratto originario, di segno positivo, si contrappone il contrarius consensus, il mutuo dissenso che � un contratto di segno negativo,. volto a neutralizzare radicalmente e completamente quello precedentemente posto in essere. J1l mutuo dissenso viene a costituire, cio�, un contmtto unitario, caratterizzato dalla funzione di togliere di mezzo, eliminandolo dal mondo dell'esperienza giuridica, quello precedente. Le parti vogliono porre nel nulla il precedente contratto e non soltanto paralizzarne gli effettL In tal senso appare chiarissima la lettera dell'art. 1372 cod. civ., secondo cui il contratto pu� essere sciolto per il mutuo consenso degli stipulanti. Il Collegio ritiene di dover escludere nella specie che l'accordo sul mutuo dissenso sia venuto in essere ritualmente, non es�sendo state rispettate le forme procedimentali adottate, per la formazione del vincolo. Se sul piano civilistico, sia in dottrina che_ in giurisprudenza, � ancora aperto il problema della forma che, nel silenzio della legge, l'accordo abolitivo deve essumere, la relativa incertezza non si riflette sul piano dei requisiti formali espressamente prescritti dalla legge per i contratti della p.a. in generale e per quelli della Azienda ferroviaria in particolare (ed al riguardo, invero, la giurisprudenza di questo S.C. appare univoca). Si � richiamato da un lato il principio della libert� della forma per escludere che i negozi risolutori distinti ed autonomi rispetto agli atti su cui incidono, possano soggiacere ai requisiti formali per questi disposti. Si � obiettato dall'altro che il mutuo dissenso comporta la eliminazione del precedente contratto, e che all'uopo si richiede un atto eguale e contrario il quale, anche a tutela della buona fede dei contraenti e della certezza dei rapporti, deve farsi nella stessa forma. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ponendo l'accento sull'autonomia del contratto risolutorio rispetto a quello originario resta escluso che gli oneri di forma previsti per il primo si estendano de plano al secondo, pur riconoscendosi che talune esigenze di forma possano sussistere anche in fattispecie di revoca o di risoluzione vuoi per esplicito dettato normativo (artt. 680, 1921, cod. civ.); sia per la generale dizione dell'art. 1350 n. 1 cod. civ. ogni qualvolta il negozio solutorio comporti il trasferimento di beni immobili o di diritti reali immobiliari (in tal senso� � la giurisprudenza prevalente della Cass.: ofr. 1320/61; 845/61, 2554/58, 3495/56; 2303/53). Ma il discorso critico che al riguardo potrebbe impostarsi, con riferimento ai limiti del principio di libert� delle forme ed alla suscettibilit� delle norme che presumono forme solenni di essere applicate oltre le testuali indicazioni, non ha ragione di porsi rispetto ai contratti della p.a. in cui i requisiti predetti non sono dettati in linea di principio in relazione al contenuto del contratto ma alla qualit� di p.a. {o di ente pubblico) di uno dei soggetti. Appare allora chiaro che occorre avere riguardo non gi� alle disposizioni di diritto comune ma a quelle specificamente .riguardanti l'attivit� contrattuale della p.a. che -come si � accennato -presenta caratteristiche del tutto proprie per quanto riguarda la formazione del consenso, la sua esternazione e l'integrazione dell'efficacia del contratto. Il contratto risolutivo nei confronti della p.a. non pu� essere considerato nella prospettiva della libert� delle forme, giacch� ogni attivit� negoziale della medesima � vincolata al rispetto di norme procedimentali. Perci� la giurisprudenza di questa S.C. ha sempre statuito che il consenso prestato dalla p.a. o da un ente pubblico e diretto a porre in essere un negozio risolutorio di un precedente vincolo giuridico in tanto � concepibile e giuridicamente rilevante in quanto si oggettivizzi con quel rigore di forme che l'ordinamento amministrativo esige (Cass. 683/59, 615/69, 1017/70) e che � prescritto per l'assunzione di qualsiasi vincolo negoziale in via generale o per un certo tipo negoziale {per un negozio di date caratteristiche e di determinata consistenza). Non si tratta, quindi, di postulare la necessaria rispondenza delle forme dell'assunzione del vincolo, e di quelle dello scioglimento del medesimo, in astratto ed in generale, quanto di verificare se in forza di una specifica norma derogatrice sia consentito prescindere dal normale iter precedimentale quando si ponga in essere una fattispecie meramente risolutiva. Si vuol qui sostenere, in altre parole, che sul piano dei principi non vi � .ragione di ipotizzare che le regole dettate per legare l'amministrazione mediante un'attivit� negoziale di un certo tipo, diretta al raggiungimento di un certo effetto negoziale non debbano valere anche quanto l'amministrazione medesima intenda sciogliersi dal contratto. Attivit� costitutiva, modificativa e risolutiva del contratto si pongono sullo stesso PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE piano formale, perch� tutta l'attivit� negoziale della p.a. si trova disciplinata minutamente, e senza spazi vuoti, dal procedimento amministrativo improntato al canone della tipicit� e formalit� degli atti con un totale rovesciamento del principio della libert� delle forme che domina il campo della negoziazione fra privati. Non viene, quindi in considerazione la (eventualmente) necessaria rispondenza della forma della risoluzione e della costituzione del vincolo convenzionalmente scelta ovvero imposta dalla legge a pena di nullit�, ma la rigidit� procedimentale delle manifestazioni negoziali della p.a. imposta nell'interesse della p.a. medesima, il cui mancato rispetto pu� essere fatto valere solo da questa, secondo il modello della annullabilit� relativa. E nella eventualit� in cui la legge regola solo il procedimento di formazione del contratto e non pure quello della sua risoluzione, deve postularsi che le forme ed i controlli indicati per porre in essere il contratto operino anche ove si tratti di rimuoverlo, restando identica la consistenza degli interessi coinvolti sia nell'assunzione dell'obbligazione sia nello scioglimento di essa. Se quindi la p.a. eccepisce che il proprio contrario consenso non � stato manifestato nelle debite forme e con i previsti controlli, il giudice pu� riconoscere efficacia al contratto risolutorio solo se constata l'infondatezza della dedotta eccezione e la ritualit� del procedimento seguito. Nel caso di specie � fuori discussione che sullo scioglimento del precedente contratto non fu espresso il parere del Consiglio di amministra� zione, n� intervenne un nuovo provvedimento ministeriale, mentre dal punto di v.ista oggettivo e contenutistico non vi � dubbio che l'autorizzazione a vendere e quella a porre nel nulla il precedente contratto di vendita sono assolutamente omogenee incidendo sulla consistenza patrimoniale dell'amministrazione interessata. � perci� sufficiente constatare la mancanza del suddetto parere e del decreto ministeriale di autoriz� zazione per desumersene la irritualit� del procedimento di risoluzione. L'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, ai sensi dell'art. 46 della legge 27 luglio 1967, n. 668, � autorizzata ad alienare i beni immobili non pi� necessari all'esercizio ferroviario. Nella specie tale alienazione si era attuata mediante trattativa privata, perfezionatasi con il procedimento previsto dal d.l. 7 maggio 1948, n. 598, ratificato, con modificazioni dalla legge 2 dicembre 1952, n. 1848, vale a dire con decreto di autorizza~ione del Ministro dei trasporti emesso in base a conforme parere obbligatorio del Consiglio di amministrazione dell'azienda ferroviaria, previa valutazione delle condizioni contenute nello schema di contratto gi� sottoscritto dai compratori e che avrebbero dovuto essere riprodotte in forma pubblica amministrativa dal Direttore della Divisione lavori del Compartimento di Genova nella qualit� di uffi. ciale rogante, e che, con mero riferimento a tale qualit� non poteva rite RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nersi legittimato a porre in essere un contratto diverso senza a ci� essere autorizzato da un correlativo decreto ministeriale, emesso previo parere del Consiglio di Amministrazione dell'Azienda. Il formalismo che presidia la costituzione del vincolo si riflette sullo scioglimento del medesimo il quale nella fase predominante procedimentale facente capo alla p.a. in tanto avrebbe potuto essere realizzato in quanto fosse stato 11evooato l'atto amministrativo di autorizzazione al contratto, previo parere del Consiglio. Era infatti gi� stata compiuta una valutazione di opportunit� dell'atto di alienazione assolutamente irriducibile alla valutazione del tutto opposto di sciogliere l'Azienda dal vincolo ponendo nel nulla la vendita suddetta. Ne consegue che essendosi rilevata l'adozione di un certo iter procedimentale nella formazione del contratto de quo, non era possibile prescinderne nello scioglimento per mutuo dissenso dal contratto medesimo, anche se in ipotesi (del tutto concessiva) l'organo periferico dell'azienda ferroviaria fosse stato legittimato a stipulare il contratto, giocando il principio della corrispondenza univoca operante al livello della revoca degli atti amministrativi posti in essere nella fase di formazione del contratto della p.a. medesima. Per sfuggire a questa consegeunza la sentenza impugnata -come si � accennato -adduce due argomenti che non paiono al Collegio determinanti. Si assume da un lato una diversit� qualitativa del negozio solutorio, limitando la portata dell'autorizzazione ad una valutazione di non necessit� dell'immobile gli scopi dell'amministrazione; ma di tale atto di autorizzazione in un sistema formalistico quale � quello dettato in tema di contratti della p.a., non va considerato il contenuto ma l'aspetto estrinseco di imprescindibile momento procedimentale per addivenire al contratto; e d'altra parte essendo stato seguito un certo iter formativo del contratto comportante un provvedimento autorizzativo di una certa autorit�, previo obbligatorio parere, gli organi sottoordinati non avrebbero potuto in nessun caso disattenderlo, e la sua neutralizzazione (quale necessario presupposto della eliminazione del precedente contratto) avrebbe dovuto effettuarsi mediante un nuovo provvedimento ministeriale di segno contrario. Se il funzionario preposto alla Direzione dei lavori per porre in essere quella data vendita si era munito di una data autorizzazione evidentemente non poteva liberamente determinarsi in senso opposto a prescindere da tale provvedimento. � contrario alle regole di buona amministrazione che le garanzie predisposte in positivo, non debbano pi� operare in negativo; che cio� quel che � stato consentito concretamente di fare a date condizioni formali possa essere liberamente disfatto. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Si sostiene in secondo luogo che in ogni caso l'autorizzazione non sarebbe stata necessaria � non essendo ancora intervenuta la stipula definitiva�. A quel che � dato intendere, secondo la Corte, l'autorizzazione a sti� pulare, non avendo prodotto l'effetto tipico della stipula, non doveva trovare riscontro in un corrispondente atto, non trattandosi di sciogliere un contratto formalizzato. Ma � agevole replicare, riprendendo la precedente osservazione, che qui non prende rilievo l'avvenuta stipulazione formale, m.a l'espressione di un giudizio valutativo dell'autorit� superiore su parere dell'apposito organo consultivo dal quale l'autorit� subordinata non avrebbe potuto discostarsi, laddove l'avere espresso una volont� contraria alla vendita che il ministero autorizzava si risolve nella revoca di quel provvedimento. 3. -In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio degli atti per nuovo esame da effettuare alla stregua del principio di diritto risultante dalle precedenti considerazioni sintetizzabile nella regola che l'amministrazione per sciogliersi da un precedente contratto � tenuta a seguire, nel porre in essere il relativo negozio solutorio, le stesse forme procedimentali adottate per la stipulazione del contratto eliminato. (omissis) TRIBUNALE DI ROMA, Sez. V, 19 marzo 1980, n. 2386 � Pres. Letizia � Est. Savignano � Rogano (avv. Meliad�) c. Ministero Trasporti (avv. Stato Stipo). Responsabilit� civile -Uso di mezzo di senizio p.er ragioni estranee all'ufficio -Infortunio dei trasportati -Non ne risponde l'amministrazione proprietaria -Presunzione di responsabilit� ex art. 2054, terzo comma, cod. civ. -Inapplicabilit�. La p.a. non risponde dei danni subiti da coloro che sono rimasti in� fortunati mentre trovansi su un mezzo della p.a. (nella specie motoscafo in dotazione dell'Ispettorato della motorizzazione di Venezia), non per ragioni di servizio ma per cortese e privata iniziativa del capo dell'ufficio cui il mezzo era in dotazione; n� ha rilevanza ai fini della responsabilit� la colpa del conducente, perch� questi eseguiva un ordine impartito per fini estranei a quelli pubblici; n� tanto meno trova applicazione la presunzione di responsabilit� di cui all'art. 2054, terzo comma, cod. civ., non potendo considerarsi terzi coloro che, come trasportati, parteciparono 946 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO consapevolmente alla sottrazione di destinazione ad uso pubblico del mezzo (1). (omissis) Con citazione notificata il 7 giugno 1978, i coniugi Rogano Alberto e Mischi Vittoriana convennero in giudizio, davanti questo tribunale, il Ministero dei trasporti in persona del Ministro pro-tempore, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, da essi coniugi subiti in un �sinistro marittimo avvenuto il giorno 4 marzo 1968, mentre, a bordo del motoscafo VE 1806, appartenente all'Ispettorato della Motorizzazione civile di Venezia, erano trasportati nei pressi del Porto di S. Nicola di Lido, nelle acque portuali della predetta citt~.� Soggiungevano gli attori che essi nel sinistro aveviano sub�to gravi lesioni e che, essendo stati scagliati in mare, avevano perso denaro e preziosi; che per il sinistro, cagionato da colpa del motoscafista Battocchio Giovanni -come era emerso all'esito di procedimento penale contro il medesimo in cui essi attori si erano costituiti parte civile -era evidente Ja rnsponsabilit� soUdale della p.a., trattandosi di fatto �commesso da un dipendente della medesima; che, in ogni caso, la responsabilit� del convenuto derivava dalla sua qualit� di armatore. (omissis) In concreto non si ravvisa responsabilit� della p.a. in conseguenza del fatto del suo dipendente, Battocchio. � certo che il motoscafo sul quale viaggiavano gli attori era in dotazione dall'Ispettorato della Motorizzazione civile di Venezia. Esso era, pertanto, pacificamente, un mezzo adibito esclusivamente al servizio della p.a.: era, cio�, destinato direttamente ed immediatamente ad un fine pubblico e, come tale, era un bene che non poteva essere sottratto a tale sua esclusiva destinazione (art. 826, ultimo comma e 828, secondo comma, cod. civ.). (1) La decisione fa puntuale applicazione dei principi in materia di responsabilit� della p.a., per la cui sussistenza occorre sempre una relazione causale del fatto con l'attivit� di esplicazione di un pubblico servizio. li1 Tribunaile ha in sostanza puntualizzato .che a) il principio della responsabilit� solidale del proprietario di un veicolo a motore per il fatto del conducente o del suo dipendente vale solo in favore dei terzi estranei al trasporto; b) la responsabilit� di cui sopra non sussiste nel caso di uso abusivo del mezzo; e) coloro che hanno usato abusivamente un mezzo altrui, non possono rivolgersi contro il proprietario per i danni sofferti durante l'uso abusivo; d) se un bene patrimoniale indisponibile viene sottratto all'uso cui � destinato, la pubblica amministrazione non risponde del fatto del proprio dipendente soprattutto quando la distrazione del bene alla sua funzione era nota al danneggiato e la distrazione era avvenuta nel suo interesse. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE I coniugi Rogano, per loro stessa ammissione (v. tutti gli atti difensivi) vennero a trovarsi a bordo del natante per cortese ma privata iniziativa, dell'ispettore della Motorizzazione di Venezia, il quale intuibilmente, per motivi di amicizia e di considerazione verso il collega Rogano di Ancona, ordin� al Battocchio di accompagnare i due coniugi in motoscafo. L'asserita considerazione, da parte dell'ispettore di Venezia, della qualifica del collega non induce a trasformare quello, che era solo un atto privato di amicizia, in riconoscimento di una funzione ufficiale, e cio�, di � rappresentanza �. Circostanza quest'ultima solo affermata ma non provata in causa. Ci� precisato, deve escludersi la riferibilit� alla p.a. dell'evento dannoso occorso agli attori, poich� il rapporto organico in forza del quale la p.a. � chiamata a rispondere direttamente dei danni arrecati ai terzi, con dolo e con colpa, dai :propri dipendenti si interrompe, quando l'attivit� di questi ultimi sia stata rivolta a fini particolari e non gi� alla realizzazione dei fini istituzionali dell'ente. � appena il caso di chiarire che l'attivit� di conduzione del natante da parte del Battocchio costituiva la materiale esecuzione dell'ordine dato dall'ispettore di Venezia; ordine -come si � detto -impartito per fini estranei a quelli pubblici. Deve aggiungersi che gli attori non potevano considerarsi terzi rispetto alla sottrazione di destinazione ad uso pubblico del mezzo, poich� essi, come trasportati, consapevolmente, parteciparono all'uso privato dello stesso. La pacifica evidenza di quest'ultima circostanza vale ad escludere la responsabilit� della p.a., anche nella qualit� di armatore e, cio�, come proprietaria del mezzo. La presunzione di responsabilit� ex art. 2054, terzo comma (norma applicabile in virt� del disposto dell'art. 1 cod. nav.) non pu� essere, infatti, invocata nel caso in esame, sia perch� gli attori non erano terzi estranei all'uso del natante, sia perch� essi stessi usarono il mezzo, in questione, invito domino, contro, cio�, la volont� del proprietario. La contraria volont� della p.a., proprietaria del natante, alla privata circolazione del medesimo, � -come si � detto -univocamente desunta dalla sua destinazione all'uso pubblico, contrastante ed incompatibile con qualsiasi uso privato. Per le esposte considerazioni la domanda � rigettata. (omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CORTE DEI CONTI, Sez. III, pensioni civili, 9 maggio 1979, n. 42215 � Pres. Aulino -Est. Delfini � P. M. Vetro (conf.) � Scarpetti c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato Stipo). Pensioni civili. e militari � Ricorso alla Corte dei conti -Facolt� di proporlo senza limiti di tempo. A seguito della dichiarazione di incostituzionalit� delle norme che consentivano il ricorso alla Corte dei conti nel termine perentorio di 90 giorni dalla comunicazione agli interessati dei provvedimenti in materia di pensioni, deve ritenersi consentita la presentazione di ricorsi alla Corte dei conti senza alcun limite temporale, stante la imprescrittibilit� del diritto a pensione (1). I; (omissis) A termini dell'art. 22, comma secondo, del r.d. 22 aprile 1909, I n. 229, avverso i provvedimenti in materia di pensione dell'Azienda auto� 1 noma delle Ferrovie dello Stato era ammesso il ricorso alla Corte dei . . I (1) Sulla questione si ritiene utile pubblicare la memoria dell'Avvocatura, nella quale si � sostenuto che la imprescrittibilit� di un diritto non porta come i conseguenza la possibilit� di impugnare sine die un provvedimento che abbia I inciso (positivamente o negativamente) su tale diritto. fil Imprescrittibilit� del diritto a pensione e tutela giurisdizionale. ~ Il presente ricorso propone la soluzione di una importante questione, sorta a seguito della dichiarazione di illegittimit� costituzionale del termine di decadenza di novanta giorni previsto per la proposizione dell'azione in materia pensionistica davanti alla Corte dei conti. Come noto, codesta Sezione aveva sollevato dubbi sulla legittimit� costituzionale dell'art. 63 t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, sulla Corte dei conti e di tutte le altre norme, nella parte in cui stabilivano, per la proposizione dei ricorsi la materia di trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla data di comunicazione o notificazione del provvedimento impegnato. La Corte costituzionale, con decisione 14 gennaio 1976, n. 8, condividendo l'avviso della Sezione ha osservato in particolare come non sussista alcuna ragione per differenziare, dal punto di vista della sua tutela, i diritti patrimoniali nascenti in costanza del rapporto di pubblico impiego dai diritti che invece sorgono dopo la cessazione del rapporto stesso, stabilendo per quest'ultima un breve termine di decadenza. La Corte costituzionale ha ritenuto pertanto ingiustificato che i principi giuridici affermati con riferimento a tutti i provvedimenti non autoritativi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 949 conti nel termine perentorio di 90 giorni dalla comunicazione agli interessati dei provvedimenti stessi. Detta disposizione, insieme a molte altre consimili, non pu� pm peraltro trovare applicazione essendo stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza n. 8 del 14 gennaio 1976, proprio nella parte relativa all'anticipato termine perentorio. E non essendo dato al giudice, ai sensi del primo comma dell'art. 152 ood. proc. civ. di introdurre termini, anche a pena di decadenza, se non in presenza di una facolt� esplicitamente riconosciutagli da una norma (nella specie del tutto assente), va dato atto che l'ordinamento giuridico vigente consente la presentazione di ricorsi a questo giudice, in materia di pensione, senza alcun limite temporale. N� � sostenibile in contrario che il diritto a �ricorrere si prescriva, in assenza ormai di una specifica disposizione che regoli la materia, per l'ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 cod. civ. La prescrizione infatti incide sul diritto sostanziale che si assuma spettante ed il suo compiersi, mentre estingue tale diritto, impedisce ad un tempo l'utile proposizione dell'impugnativa in sua difesa. Ma nella specie gi� da tempo la giurisprudenza di questa Corte (v. ad esempio la decisione n. 21508 del 25 novembre 1965 � 13 gennaio 1966 di re!Jativi ahle .situazioni patrimoniaLi dei dipendenti pubblici dovessero trovare una differente applicazione in ragione della distribuzione della giurisdizione tra il Tribunale amministrativo regionale ed il Consiglio d Stato da una parte e la Corte dei conti dall'altra. Ed invero la giurisprudenza del Consiglio di Stato � ormai da tempo ancorata al seguente indirizzo: � �Le pretese patrimoniali dei pubblici dipendenti degli enti pubblici, ove derivino da atti autoritativi debbono essere fatte valere tramite l'impugnativa di tali atti entro il termine di decadenza; qualora discendano da atti paritetici possono, invece, azionarsi entro il termine di prestazione� (cos� da ultimo Cons. Stato, VI, 1� luglio 1977, n. 701). Rientrando il provvedimento di pensione nella categoria degli atti paritetici si suole fare riferimento all'accennato orientamento del Consiglio di Stato, per cui �in materia �di diritti patrimoniali derivanti da pubblico impiego, sono applicabili i termini ordinari di prescrizione e non quelli di decadenza � (cos� da ultimo Cons. Stato, IV, 30 agosto 1977, n. 739). E poich� il diritto a pensione � imprescrittibile, si � giunti a ritenere che l'azione davanti alla Corte dei conti � proponibile senza limiti di tempo. Si assiste quindi alla proposizione davanti la Corte dei conti di ricorsi, con i quali si impugna un provvedimento pensionistico intervenuto ormai da decenni e cos� pure, traendo lo spunto da un provvedimento di riliquidazione della pensione, si riportano in discussione questioni che erano state definite con l'originario provvedimento di costituzione del trattamento di quiescenza, avverso il quale non era stata proposta impugnazione alcuna. La pronuncia della Corte costituzionale non ha potuto portare queste conseguenze, che oltretutto contrastano con i principi dell'ordinamento giuri� dico relativi alla certezza dei diritti nonch� al consolidamento dei diritti stessi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO questa Sezione) ed ora un'esplicita disposizione legislativa (l'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092) hanno riconosciuto l'imprescrittibilit� del diritto a pensione e quindi l'inapplicabilit� ad esso dell'istituto della prescrizione. Deve convenirsi cos�, per l'intima connessione sussistente tra titolarit� e tutelabilit� di un diritto, al di fuori di ipotesi affatto particolari, che come � inestinguibile per prescrizione il diritto (sostanziale) alla pensione, del pari � sempre proponibile l'azione giudiziaria a difesa di tale diritto. Sostiene peraltro l'Avvocatura di Stato, nell'interesse dell'Amministrazione resistente, che mentre il diritto a pensione pu� essere fatto valere in ogni tempo in assenza di un provvedimento amministrativo, allorch� tale provvedimento sia intervenuto il diritto di tutela, sia a favore dell'Amministraizone che dell'interessato, pu� essere fatto valere solo nei limiti temporali fissati dall'art. 205 del d.P.R. n. 1092 citato. Afferma in sostanza l'Avvocatura di Stato che le disposizioni dettate dal predetto testo legislativo in materia di revocabilit� o modificabilit� dei provvedimenti concernenti il trattamento di quiescenza hanno ad oggetto anche il diverso istituto del rimedio giurisdizionale. Ritiene invece la Sezione, pienamente concordando con l'avviso espres per intervenuta acquiscenza da parte dell'interessato. La Corte costituzionalie ha inteso so}tanto abolire � un breve termine di decadenza >>, quello cio� dei novanta giorni. D'altra parte 1a giurisprudenza di codesta Sezione, recepita ne1 nuovo testo unico sul trattamento di quiescenza approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, non autorizza la impugnazione sine die di un provvedimento amministrativo in materia pensionistica. Per quanto concerne il diritto al trattamento di quiescenza codesta Sezione ha sancito il principio dell'imprescrittibilit�, per cui il pubblico dipendente cessato dah 'servizio pu� seIIl[Jre chiedere il riconoscimento del diritto a pensione, qualunque sia la data di detta cessazione. Per quanto poi concerne il provvedimento in materia di pensione la stessa Sezione pi� volte ha tenuto a chiarire quanto segue: � Il provvedimento di pensione � un atto amministrativo sui generis, dotato di carattedstiche 1prnprie che lo dd,stinguono dai comuni atti della pubblica amministrazione; invero, in quanto rappresenta l'atto terminale di una speciale procedura che l'Amministrazione � tenuta a seguire per accertare l'esistenza degli elementi costituenti i presupposti del conferimento della pensione, esso si configura come atto dichiarativo e nel contempo costitutivo, poich� riconosce un diritto soggettivo perfetto, fondato su tassativi precetti di legge che lo svincolano da ogni potere discrezionale dell'Amministrazione medesima; ed il carattere di stabilit� che deriva da questa sua peculiare natura � il motivo essenziale per cui il provvedimento di pensione, sottratto aiJi normale regime di annuhlamento, con r.d. 27 giugno ,1933, n. 703, � stato sottoposto alla speciale disciplina della revoca, sotto taluni aspetti assimilabile all'istituto processuale della revocazione delle sentenze e decisioni emesse PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 951 so dal Pubblico Ministero, che la tesi ora esposta non possa trovare accoglimento. Va osservato in primo luogo che il senso reso palese dalle espressioni letterali contenute in tutto il titolo IV della parte 2� del d.P.R. n. 1092 (in cui � compreso l'art. 205) non autorizza affatto a ritenere che le disposizioni in esame si riferiscano anche al procedimento giurisdizionale dinnanzi alla Corte dei conti, procedimento al quale mai accennano; ci� non senza considerare che altro criterio ermeneutico induce a respingere la tesi dell'Amministrazione resistente. Tra due interpretazioni di una norma, in teoria entrambe sostenibili, l'interprete deve accettare quella che non ponga la norma stessa in contrasto con H dettato costituzionale. In considerazione di ci� e ove si ponga mente ai limiti imposti al legisl~tore delegato del d.P.R. n. 1092 dall'art. 6 della legge delegante 28 ottobre 1970 n. 775 (raccolta in testi unici di disposizioni in vigore concernenti singole materie con particolare riferimento alle loro procedure amministrative), va dato atto che la tesi fatta propria dall'Avvocatura di Stato, presupponendo che il legislatore delegato si sia pronunciato anche su materia (il procedimento giurisdizionale) non previsto dalla norma delegante, ammetterebbe che lo stesso sarebbe incorso nell'eccesso di delega vietato dall'art. 78 della Costituzione. in sede giurisdizionale� (decisione 10 ottobre 1973, n. 34031; conforme 12 gennaio 1972, n. 31008; 13 dicembre 1971, n. 30453). In puntuale applIDcazione dehl'ora aocennate aff:ermazioni giuri,sprudenzial<i il nuovo testo unico sulle pensioni stabiLisce aH'art. 5 .che �il diritto a~ trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilit�, non si perde per prescrizione �. Corre~ativamente il suoces�sivo art. 207 tiene a :precisare che un diritto relativo al trattamento di quiescenza pu� sempre (cio� senza limiti di tempo) essere riconosciuto, a meno che non abbia formato oggetto di precedente provvedimento. Qualora invece sia intervenuto un provvedimento amministrativo il testo unico stabilisce i modi e termini in cui il provvedimento stesso pu� essere revocato o modificato. Per l'art. 205 �la revoca o la modifica sono effettuate d'ufficio o a domanda dell'interessato �, La iniziativa d'ufficio o la domanda dell'interessato debbono intervenire, � a pena di decadenza � (l'art. 205, terzo comma), non oltre il termine di tre anni, per l'Amministrazione dalla data di registrazione (art. 205, secondo comma) e per l'interessato dalla data di comunicazione (art. 205, terzo comma) del provvedimento, nei casi in cui: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tenere conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennit� o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennit�; (art. 204). L'ipotesi di cui alla lettera a) rappresenta il cosiddetto errore di fatto, mentre l'ipotesi di cui alla lettera b) rappresenta il cosiddetto errore di diritto 952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Osserva altres� la Sezione che tutto il titolo IV sopra citato, appare una pressoch� pedissequa iterazione delle norme in materia di revoca o modifica dei provvedimenti concernenti la quiescenza, in precedenza contenute negli artt. 8 e 9 del r.d. 28 giugno 1933, n. 703. Orbene, per quanto a questa Sezione consta, non risulta che negli oltre quaranta anni di applicazione degli articoli ora citati si sia mai riconosciuto o anche solo sostenuto che il ricorso alla Corte dei conti fosse esperibile negli stessi limiti temporali entro i quali era dato di disporre o di ottenere la revoca o modifica, in via amministrativa, dei provvedimenti di quiescenza. Non si vede quindi come sia persuasivamente sostenibile che, per effetto di una sentenza della Corte Costituzionale che ha inciso su disposizioni diverse disciplinanti �diverso istitruto, le norme del precitato titolo IV che, ripetesi, sostanzialmente recepiscono quelle contenute nei richiamati artt. 8 e 9 del r.d. n. 703, dilatino oggi il loro ambito di applicazione dalla revoca o modifica in sede amministrativa fino alla tempestivit� del rimedio giurisdizionale. Aggiunge ancora la Sezione che, secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte dei conti, allorch� erano applicabili l'art. 22, comma secondo, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229 e le altre disposizioni simili che ponevano il termine perentorio di 90 giorni all'utile proposizione del (il testo della legge non ripete infatti come alla lettera a) il termine � errore di fatto�), che non pu� non ripercuotersi nel computo dei servizi o nell'am� montare del trattamento di quiescenza. Altro termine di decadenza � previsto nei casi di cui alle lettere e) (� siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo la emissione del provvedimento � e d) (�il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichia� rati falsi�) dell'art. 204. In questi casi il termine sia per l'Amministrazione che per l'interessato � di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi o dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsit� dei documenti (art. 205, secondo e terzo comma). La prefissione dei termini di cui al citato art. 205 � in perfetta armonia con il principio enunciato dalla Corte costituzionale che ha voluto porre sullo stesso piano le situazioni giuridiche riguardanti le pretese patrimoniali dei pubblici dipendenti senza fare distinzione tra pretese relative al trattamento in attivit� di servizio e pretese relative al trattamento di quiescenza. Invero in materia di diritti patrimoniali relativi al trattamento in attivit� di servizio, il pubblico dipendente ha la facolt� della tutela giurisdizionale entro i termini di prescrizione del diritto che intende fare valere (v. citata giurisprudenza del Consiglio di Stato). Nessun termine di prescrizione � invece previsto per il diritto di autotutela da parte della pubblica amministrazione da esercitarsi attraverso il potere di annullamento d'ufficio degli atti illegittimi; ci� per� non autorizza ad ammet� tere che il diritto di autotutela possa esercitarsi senza limiti di tempo, ed infatti la giurisprudenza ritiene illegittimo tale esercizio ogni qual volta si PARTE I, Sl'lZ. V, GltJR�SPllUDENZA AMMlNISTRATIVA 953 ricorso giurisdizionale in materia di quiescenza, detto ricorso era ritenuto pacificamente ricevibile, cio� tempestivo; in qualunque momento fosse stato proposto, allorch� la comunicazione all'interessato del provvedimento impugnato fosse mancante o viziata. Non si vede quindi come la soluzione allora costantemente adottata per l'ipotesi in cui un vizio della comunicazione non permetteva l'identificazione del momento iniziale dal quale fare decorrere il termine perentorio per l'impugnativa; non debba a maggior ragione apparire valida oggi che manca nel nostro ordinamento, per effetto della pi� volte citata sentenza della Corte Costituzionale, una qualsiasi disposizione che fissi un qualunque termine a tale impugnativa. Per tutte le considerazioni fin qui svolte occorre riconoscere che il ricorso della sig.na Scarpetti, anche se proposto a distanza di molti anni dalla comunicazione alla stessa dei provvedimenti amministrativi impugnati, appare pienamente ammissibile; a solo scopo di completezza vuole peraltro, aggiungere la Sezione fin da ora che la dichiarata ammissibilit� del gravame non implica necessariamente che l'eventuale accoglimento nel merito dello stesso comporti il riconoscimento del diritto della ricor sia in p11esenza di 'situazioni giuridiche <Consolidate ne1 tempo (v. fra 1e tante Cons. Stato, V, 15 novembre 1974, n. 496, in Giur. It., 1976, III, 1, 57). Quindi per i rapporti patrimoniali in attivit� di servizio, in mancanza di norme espresse, � intervenuta l'interpretazione giurisprudenziale (condivisa dalla Corte costituzionale nella citata decisione n. 8) per porre su un piano di parit� le posizioni del pubblico dipendente e dell'Amministrazione in merito alla tutela, consentendo tale tutela al primo entro i termini di prescrizione del diritto ed alla seconda fintantoch� la situazione giuridica non si sia consolidata. Per i rapporti patrimoniali relativi al trattamento di quiescenza, il legislatore, traendo l'occasione dal recente testo unico, ha inteso sancire legislativamente quella parit� di posizioni tra pubblico dipendente e Amministrazione, stabilendo per entrambi il termine di decadenza di tre anni (o sessanta giorni nel caso di circostanze sopravvenute), dopodich� il provvedimento diventa intangibile sia per l'uno che per l'altra. Ora la Corte costituzionale ha ritenuto illegittimo il termine di decadenza di novanta giorni perch� breve, ma non ha anche detto che le pretese patrimoniali sono inconciliabili con l'istituto della decadenza. E infatti � previsto in cinque anni anche il termine di decadenza per chiedere la pensione privilegiata (artt. 169 e 246 t.u. cit.) e codesta Sezione ha sempre riconosciuto manifestamente infondate le eccezioni di costituzionalit� relative a tale termine. Sulla base delle sopra esposte considerazioni pu� pertanto concludersi che: a) in mancanza di un provvedimento dell'Amministrazione il diritto relativo al trattamento di quiescenza � azionabile senza limiti di tempo; b) qualora sia intervenuto un provvedimento dell'Amministrazione, il diritto di tutela, sia a favore dell'Amministrazione come dell'interessato, � ammissibile solo nel rispetto dei termini di cui all'art. 205 del t.u. sul trattamento di quiescenza. GIUSEPPE STIPO 6 RASSEGNA DELL1AVVOCAttJkA DELt� StA1'0 rente ad ottenere la corresponsione dei ratei di pensione a decorrere dalla stessa data di presentazione della domanda amministrativa. L'ammissibilit� del ricorso attiene infatti all'imprescrittibilit� del diritto a pensione, l� dove la decorrenza della percezione di tale trattamento discende dal diverso istituto, non incompatibile con la cennata imprescrittibilit�, della possibile prescrizione dei singoli ratei della pensione. (omissis) CORTE DEI CONTI, Sez. III, pensioni civili, 25 gennaio 1980, n. 44192 � Pres. D'Alena -Est. Tortora -P. M. Coccoli (conf.) -Ianuario (avv. De Buono) c. Istituti di Previdenza (avv. Stato De Francisci). Pensioni civili -Dipendenti enti locali -Retribuzione contributiva -Erogazione cli miglioramenti economici da parte degli enti locali in aggiunta a quanto stabilito dagli accordi nazionali sindacali -Non vanno inclusi nella retribuzione contributiva. Non rientrano nel computo della base pensionabile gli emolumenti che un dipendente di ente locale ha percepito in virt� di una delibera che attribuiva ulteriori miglioramenti economici in aggiunta a quelli previsti dagli accordi sindacali nazionali (1). (omissis) Il Collegio ritiene che l'esame funditus dell'insorta controversia debba, necessariamente e preliminarmente, partire dalla deliberazione comunale n. 57 del 1971 con la quale il comune di Santa Paolina afferm� il principio dell'equiparazione, la cui applicazione, successivamente e per motivi finanziari, venne limitata a una ristretta e determinata (o determinabile), categoria di impiegati. All'epoca era in vigore, a decorrere dal 1 � luglio 1970, l'accordo nazio� nale stipulato il 14 maggio 1970 dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Tale accordo, concernete il riassetto retributivo del personale degli enti locali, si uniformava al principio, stal;>ilito nel preambolo del docu (1) L'art. 15 della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, stabilisce che la retribuzione annua contributiva, ai fini pensionistici, � � la risultante degli emolumenti fissi e continuativi o ricorrenti ogni anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro �. Dopo alcune incertezze giurisprudenziali, la Corte dei Conti � ormai costante nel ritenere che ai fini del trattamento di quiescenza sono suscettibili di effetti giuridici solamente quegli emolumenti stabiliti da accordi sindacali nazionali e non anche quelli che trovano la loro fonte in accordi sindacali aziendali o su base locale. La richiamata decisione della stessa _sezione della Corte dei conti 2 giu� gno 1977, n. 38674, � stata pubblicata in questa Rassegna, ,1978, I, 689. PARTE I, SEZ. V, GltJR!SPRt.IDENZA AM:MtNI$tRATIVA mento redatto ad intesa avvenuta, dell'autonomia del trattamento economico dei dipendenti degli enti stessi rispetto a quello disciplinato �dalle norme in vigore o prossime ad essere emanate per i dipendenti dello Stato�. Principio opposto a quello affermato nella deliberazione n. 57 del 1971 del comune di Santa Paolina. Si rileva, quindi, una diversa �filosofia� alla base dei criteri ispiratori della disciplina in materia retributiva e, di conseguenza, una modifica dei termini del contratto collettivo di lavoro. La qual cosa contrasta in pieno con quanto � stato sempre statuito da questa Sezione (decisioni n. 38674 del 15 dicembre 1976-2 giugno 1977; n. 41126 del 19 giugno -12 luglio 1978 e n. 42653 del 19 marzo -2 aprile 1979) circa l'obbligo giuridico incombente sugli enti locali di adeguarsi, con le deliberazioni di recepimento, agli accordi sindacali nazionali, avendo gli stessi enti partecipato alla contrattazione. Anche il Consiglio di Stato (Sezione IV, decisione n. 288 del 27 aprile 1976 e Sezione V, decisione n. 10 del 12 gennaio 1977) ha ribadito che le � statuizioni � degli enti devono considerarsi illegittime allorch� determinano retribuzioni difformi alla recepita intesa sindacale collettiva non giustificate da motivate deroghe eccezionali -da specificare -concernenti concrete e obiettive esigenze, anche strutturali, dei singoli enti. Le deroghe in parola non sono ora, per i dipendenti comunali e provinciali, pi� consentite per effetto dell'art. 6 del decreto legge 29 dicembre 1977, n. 946, convertito con modificazioni nella legge 27 febbraio 1978, n. 43 che testualmente sancisce: � Il trattamento giuridico ed economico del personale dei comuni, delle province e dei loro cons0rzi viene determinato in conformit� ai principi, ai criteri ed ai livelli retributivi, risultanti da accordi nazionali a scadenza triennale. I livelli retributivi non potranno, in ogni caso, superare quelli contenuti negli accordi suddetti� {omissis) Nel caso in esame il comune di Santa Paolina anzich� recepire in una statuizione l'accordo nazionale stipulato dall'ANCI il 14 maggio 1970 ha sancito con deliberazione n. 57 del 1971 la equiparazione del trattamento economico dei propri dipendenti a quello statale. Ti;tle comportamento � da ritenersi censurabile. La deliberazione de qua non si discosta semplicemente dall'avvenuta intesa sindacale del 14 maggio 1970 ma ne altera completamente il contenuto. Questa mancata attuazione dell'accordo sindacale nazionale non trova alcun conforto nelle richiamate pronunce di questa Sezione e del Consiglio di Stato nonch� nell'i.�dicato quadro normativo. (omissis) SEzrom sEstA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 marzo 1980, n. 1718 -Pres. D'Orsi - Est. Battimelli -P. M. Gantagalli, (conf.) -Soc. Finitailiia (avv. Cavalieri) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione -Deci �sione di commissione centrale che annulla con rinvio -Impugnazione immediata. La decisione della commissione centrale che annulla con rinvio deve essere impugnata immediatamente e non � consentita una riserva di impugnazione all'esito del giudizio di rinvio (1). (omissis) L'eccezione di inammissibi1it�, so1levata dall'amministrazione, va riconosciuta fondata. Ed invero, il termine per ricorrere in cassazione contro le decisioni della commissione centrale delel imposte � Jo stesso di quello previsto per l'impugnazione delle sentenze dei giudici ordinari, ossia � il termine di sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento impugnato, o, in mancanza di notificazione, di un anno dal deposito del provvedimento stesso? Nel caso di specie, 1a decisione della �commissione centrale fu depositata il 6 febbraio 1976, per cui, indipendentemente dalla notifica, e tenuto anche conto della sospensione dei termini per il periodo feriale, nonch� della sospensione straordinaria, fino al 31 dicembre 1977, di tutti i termini relativi al contenzioso tributario, esso scadeva, al massimo, al 15 febbraio 1978, per cui il ricorso in esame, not~ficato il 15 dicembre 1978, � da considerarsi tardivo. N� il computo dei termini pu� farsi decorrere dalla data del deposito o della notifica della successiva decisione, in sede di rinvio, della com( 1) Decisione di evidente esattezza. La decisione che annulla con rinvio � innanzi tutto definitiva in quel grado e la sua impugnazione non potrebbe dipendere dall'esito della pronunzia di altro giudice (similmente � sempre definitiva la sentenza di appello contro sentenza parziale, non potendo la decisione che esaurisce il giudizio di appello subire un differiment oall'esito della pronunzia definitiva in primo grado). Inolrtre nel prooesso specia�e tributario non trova affatto applicazione l'istituto della riserva di impugnazione differita e quindi in ogni caso la decisione, anche se veramente parziale, pu� essere impugnata soltanto immediatamente (Cass., 28 aprile 1979, n. 2469, in Rass. Avv. Stato, 1979, I, 755). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA missione tributaria di secondo grado, perch� non � questa la decisione impugnata, bens� la precedente decisione della commissione centrale, come ha dichiarato lo stesso ricorr�ere �e come del resto 1si evinoe da una semplice lettura dei motivi di ricorso, attinenti tutti non gi� alla valutazione della plusvalenza, effettuata dalla Commissione di secondo grado bens� alla diversa questione della tassabilit� o meno della permuta come fonte di plusvalenza, questione questa di diritto, rientrante nella competenza della commissione centrale e da questa definitivamente decisa. N�, sotto altro profilo, il decorso del termine per l'impugnazione per cessazione della decisione della commissione centrale pu� ritenersi sospesa per la pendenza del giudizio di rinvio innanzi alla commissione di 2� grado e per effetto della riserva di impugnazione contro la suddetta decisione della commissione centrale, effettuata dalla contribuente al momento della riassunzione del giudizio di estimazione in sede di rinvio innanzi alla commissione di secondo grado. A tal fine la ricorrente invoca il disposto dell'art. 361 cod. proc. civ., ma la norma � erroneamente ritenuta applicabile al caso di specie, in quanto essa disciplina l'impugnazione di sentenze parziali, emesse da un giudice ordinario, innanzi al quale prosegua il giudizio, si che l'impugnazione pu� essere differita al momento della emanazione della sentenza definitiva; presupposti, questi, che qui non sussistono. Con la decisione qui impugnata, infatti, la commissione centrale non risolse parzialmente una parte delle questioni sottopostole, rinviando al prosieguo la soluzione di altre questioni con una successiva sua decisione; bens� risolse definitivamente l'unica questione che le era stata sottoposta ossia la questione idi diritto (di competenza di essa commissione) sulla tassabilit� o meno di una permuta come produttiva di plusvalenza tassabile, ed esaur� quindi tutto l'oggetto del giudizio pendente innanzi a s�, mentre il rinvio fu operato per la soluzione di una questione di semplice estimazione, esulante dalla competenza della commissione centrale e di competenza della commissione di secondo grado. Pertanto, per la sua definitivit�, la decisione della commissione centrale doveva essere immediatamente impugnata, non sussistendo l'ipotesi della continuazione del processo innanzi al medesimo giudice, bens� l'altra, diversa, della ulteriore trattazione della lite, sotto un diverso profilo, innanzi ad un giudice diverso. Il che, d'altronde, � confermato dal fatto che solo in tal modo avrebbe potuto impedirsi che la commissione di secondo grado effettuasse il giudizio di valutazione, definendo cos� la lite, il che non sarebbe potuto accadere ove la decisione della commissione centrale fosse stata impugnata e, in ipotesi, l'impugnazione fosse stata accolta. Allo stato, invece, anche se l'impugnazione qui proposta potesse ritenersi ammissibile e fosse accolta, la decisione della commissione di secondo grado 958 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO resterebbe comunque in piedi, non essendo stata impugnata in questa sede (il che comunque non sarebbe stato consentito), n� essendo pi� impugnabile innanzi alla commissione centrale; con la conseguenza che una eventuale sentenza favorevole di questa Corte sarebbe inutiliter data. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1980, n. 1904 -Pres. Marchetti Est. Battimelli -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Immobiliare Orazio c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). Tributi erariali diretti � Imposta di ricchezza mobile � Plusvalenze -Accertamento induttivo del valor:e di realizzo � Riferimento all'accertamento di valore ai fini dell'imposta di registro � Legittimit�. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100 e 119). Dovendosi presumere che un soggetto tassabile in base a bilancio si comporti in conformit� alla comune prassi di mercato e che non svenda il suo patrimonio a prezzi di assoluto favare, � giustificato un accertamento induttivo a norma dell'art. 119, terzo comma, tel t.u. delle imposte dirette per correggere la voce di bilancio che reca un incasso sensibilmente inferiore al valore del bene; la determinazione del valore di realizzo dovr� quindi necessariamente farsi sulla base del valore di mercato del bene venduto ed anche avvalendosi dell'accertamento eseguito ai ,1ini dell'imposta di registro (1). (omissis) Quanto al ricorso della contribuente, va confermato il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui l'accertamento di un reddito maggiore di quello dichiarato, costituito dal ricavo di una alienazione di immobili da parte di un soggetto tassabile in base a bilancio, ben pu� effettuarsi in base alla presunzione nascente (1) L'utilizzazione dell'accertamento eseguito ai fini dell'imposta di registro per determinare la sussistenza di una plusvalenza � stata in vario modo affermata, specie in rdazione aUa premessa che 1a plusva1enza � determinata da una differenza di valori e non di prezzi; concetto riaffermato recentemente con la sent. 7 gennaio 1980, n. 75 (in questa Rassegna, 11980, I, 618) ma che era stato negato con la sent. 9 ottobre 1979, n. 5220 (ivi, .184). Va in ogni caso segnalata la precisione dell'enunciato della sentenza ora intervenuta che riconosce legittima la correzione di un bilancio che indica nella voce di realizzo della plusvalenza una somma apprezzabilmente inferiore al valore corrente. !i i: -~= t �= PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA dall'accertamento operato in sede di applicazione di imposta di registro sull'atto di trasferimento; poich� detta imposta, infatti, si applica sulla base imponibile costituita dal valore corrente di mercato, l'indicazione in bilancio di w1 incasso sensibilmente inferiore ben pu� giustificare il sospetto di una esposizione infedele di dati, dovendosi presumere che un ente tassabile in base a bilancio si comporti in conformit� alla comune prassi di mercato, non potendosi ipotizzare, a differenza di quanto � possibile per una persona fisica, che svenda a prezzi di assoluto favore per ragioni diverse da quelle economiche. In tal caso, pertanto, � giustificato un accertamento presuntivo a sensi dell'art. 119, terzo comma, del t.u. delle imposte dirette n. 645 del 1958. Una volta riconosciuta la validit� di tale accertamento presuntivo in relazione ad una specifica voce di bilancio, non pu� pretendersi che l'ufficio fornisca la prova piena dell'effettivo prezzo realizzato, in presenza di un contratto in cui sia dichiarato un prezzo inferiore a quello effettivo, e ben pu� quindi l'ufficio dedurre elementi di un presunto realizzo sulla base del valore di mercato del bene venduto, avvalendosi degli accertamenti effettuati ai fini della applicazione dell'imposta di registro. La decisione impugnata, pertanto, contiene, sul punto, una corretta applicazione della pacifica giurisprudenza sul citato art. 119, e inoltre fornisce una adeguata giustificazione dell'effettuato riconoscimento della legittimit� dell'operato dell'Ufficio, posto che non si � limitata a dare atto della corrispondenza fra detto accertamento e quello effettuato ai fini dell'imposta di registro, affermando l'automatismo dell'applicazione del valore cos� accertato alla definizione del reddito di R.M., come erroneamente sostiene la ricorrente, ma ha altres� motivato sulla fondatezza dellia presunzione di incasso posta a base della decisione della commissione di secondo grado, ponendo in evidenza che il valore, ai fini del registro, era stato definito mediante concordato e che la stessa contribuente aveva esibito documentazione relativa al valore suddetto; n�, in tema di accertamento presuntivo, era necessario aggiungere ulteriori argomenti. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I. 26 marzo 1980, n. 2007, Pres. Mirabelli Est. Battimelli -P. M. La Valva (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Soc. Marmi Mazzagalli (avv. Ottavi). Tributi in genere -Norme tributarie � Interpretazione -Agevolazioni concesse p.er singole operazioni produttive � Estensione ad altre operazioni dello stesso ciclo � Impossibilit�. (Preleggi, art. 12). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Agevolazione per l'escava� zione, segatura, lavorazione e commercio dei marmi � Estensione alla cessione di azienda marmifera � Esclusione. (Legge 29 dicembre 1949, n. 955, art. 4). Rispetto ad una norma di agevolazione che contempla distinte opera� .zioni di un ciclo produttivo (nella specie escavazione, segatura, lavorazione e commercio di marmi) il riferire il beneficio ad altre operazioni sia pure dello stesso ciclo, darebbe luogo alla non consentita .interpre� tazione analogica e non gi� alla interpretazione estensiva (1). L'agevolazione dell'art. 4 della legge 29 dicembre 1949, n. 955, riferita alle distinte operazioni di escavazione, segatura, lavorazione e commercio di marmi, non pu� essere estesa alla cessione di una azienda ope. rante nel settore dei marmi (2). (omissis) Il ricorso va accolto, in quanto la decisione impugnata ha ritenuto non tassabile l'atto di trasferimento dell'azienda non gi�, come in essa affermato, con una interpretazione estensiva della norma agevolatrice, ma invece con una applicazione analogica, che ha esteso l'agevolazione a casi diversi da quelli contemplati nella prima, il che non � consentito, a sensi dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al vigente codice civile, per le norme di agevolazione fiscale, costituenti eccezioni al generale trattamento tributario in materia di imposta di registro. La Corte di appello, pur richiamando nella propria motivazione, il principio qui enunciato, lo ha disatteso, con una motivazione che non pu� assolutamente condividersi, a partire dalla premessa. Ed invero, proprio il fatto che una legge contenente modificazioni alla normativa sull'imposta sull'entrata contenesse un capo dedicato all'industria mar� mifera doveva far comprendere che si trattasse di agevolazioni non intese a favorire qualsiasi fenomeno giuridico-economico comunque rientrante nell'ambito di esplicazione di detta industria, anche indirettamente, bens� di agevolazioni dirette ad operare nel campo proprio dell'imposta sull'entrata, ossia nell'ambito di singole operazioni comportanti movimenti di somme di danaro in funzione di particolari operazioni economiche, dovendosi per ci� solo, in linea di massima, ritenere escluse dall'ambito delle agevolazioni tutto ci� che attenesse ad operazioni di genere diverse, implicanti veri e propri investimenti o movimenti di capitale, quale appunto la cessione di una intera azienda, di per s� non soggetta ad I.G.E.; il che avrebbe dovuto far intendere che anche in materia di imposta di registro (1-2) Decisione da condividere pienamente che porta a consolidare il recente restrittivo orientamento; v. nello stesso senso Cass., 6 marzo 1976, n. 755, in questa Rassegna, 1976, I, 279; 19 febbraio 1980, n. 1211, in Riv. leg. fisc., 1980, 1549). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA il legislatore aveva inteso favorire ugualmente e parallelamente determinati singoli atti economici rientranti nello stesso ambito in cui era operativa l'esenzione dall'I.G.E., e non gi� qualsiasi negozio comunque attinente all'industria marmifera. D'altronde, a parte tali considerazioni di carattere generale e di inquadramento del problema, sta di fatto che la norma in questione � di tale chiarissima dizione da non consentire (a sensi dell'art. 12 delle preleggi), non solo alcuna applicazione analogica ma altres� nessuna interpretazione diversa da quella che appare palese dal significato delle espressioni in essa ,adoperate? La norma, inf�atti, dichiara es�enti da imposta di registro �gli atti e i contratti afferenti alle operazioni di escavazione, segatura, lavorazione e commercio di marmi�, con una elencazione specifica che chiaramente individua tutte le fasi di lavorazione dell'industria del ma11mo, nonch� l'attirvit� commerciale successiva a tale lavorazione: e l'atto in questione, avente ad oggetto la vendita di un complesso di beni organizzato per l'esecuzione di alcune dette operazioni (e, come risulta dalla stessa decisione impugnata, anche per ci� che atteneva alla organizzazione contabile amministrativa, e non alla sola materiale attivit� di lavorazione), mentre non pu� considerarsi alla stregua di un atto di commercio (essendone diverso l'oggetto rispetto a� quello contemplato dalla norma agevolatrice), non pu� neppure rientrare nella categoria degli atti relativi alla estrazione, lavorazione, segatura ecc., intendendo la norma riferirsi, con l'elencazione in essa contenuta, a singoli contratti di appalto, a quietanze, a contratti di affitto ecc., direttamente attinenti alla lavorazione o estrazione del marmo e delle pietre affini. N� pu� ritenersi che il trasferimento di un'azienda possa riguardare, come ha affermato la sentenza impugnata, �la totalit� delle operazioni che compongono il ciclo dell'industria agevolata, in quanto ci� che si trasferisce, in casi del genere, non � altro che un insieme di beni strumentali, senza alcuna incidenza sulle operazioni che detti beni sono destinati a compiere. Pertanto, in linea di massima, si deve ritenere, che, a parto eventuali peculiarit� dell'operazione globale, comportanti vendita di determinati materiali (ove classificabile come atto di commercio), ovvero vicende di contratti gi� in corso, il che va accertato di volta in volta nel caso concreto, il trasferimento in s� e per s� del complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'industria marmifera non pu� godere delle agevolazioni fiscali previste per gli atti relativi ali esingole operazioni industriali, esulando tale trasferimento dalla categoria delle operazioni industriali o commerciali, e costituendo un diverso fenomeno giuridico economico di investimento di capitali, la cui agevolazione tributaria costituirebbe una estensione della normativa speciale ad un capo solo indirettamente collegato con il fenomeno economico a cui favore il legislatore ha deciso di intervenire; ossia, in concreto, una mera estensione analogica della norma, non consentita. {omissis) 962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3826 -Pres. Sposato - Est. Sensale -P. M. Valente -Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Fallimento Soc. Documento Film. Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Contributi dello Stato concessi a :produttori di film nazionali -Concorso in spese di produzione � Sono soggette all'imposta. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 83, lett. e; legge 29 dicembre 1949, n. 958, artt. 14 e 15). I contributi dello Stato concessi ai produttori di film nazionali ammessi alla programmazione obbligatoria in base agli art. 14 e 15 della legge 29 dicembre 1949, n. 958, costituiscono concorso nelle spese di produzione di un film determinato e come tali sono soggetti all'imposta di ricchezza mobile di categoria B (1). (omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Amm1nistrazione finanziaria dello Stato denunzia la violazione delle leggi 29 dicembre 1949, n. 958; 31 luglio 1956, n. 897; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694, nonch� la falsa applicazione della legge 4 novembre 1965, n. 1213 e la violazione dell'art. 83 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. La ricorrente lamenta, innanzi tutto, l'errore della commissione tributaria centrale per avere risolto, in base alla legge n. 1213 del 1965, una controversia relativa a periodi di imposta anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali vigeva la disciplina di cui alla legge n. 958 del 1949 e successive modificazioni; e deduce che, comunque, nella decisione impugnata si � fatta erronea applicazione delle norme che regolano la materia, le 962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3826 -Pres. Sposato - Est. Sensale -P. M. Valente -Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Fallimento Soc. Documento Film. Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Contributi dello Stato concessi a :produttori di film nazionali -Concorso in spese di produzione � Sono soggette all'imposta. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 83, lett. e; legge 29 dicembre 1949, n. 958, artt. 14 e 15). I contributi dello Stato concessi ai produttori di film nazionali ammessi alla programmazione obbligatoria in base agli art. 14 e 15 della legge 29 dicembre 1949, n. 958, costituiscono concorso nelle spese di produzione di un film determinato e come tali sono soggetti all'imposta di ricchezza mobile di categoria B (1). (omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Amm1nistrazione finanziaria dello Stato denunzia la violazione delle leggi 29 dicembre 1949, n. 958; 31 luglio 1956, n. 897; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694, nonch� la falsa applicazione della legge 4 novembre 1965, n. 1213 e la violazione dell'art. 83 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. La ricorrente lamenta, innanzi tutto, l'errore della commissione tributaria centrale per avere risolto, in base alla legge n. 1213 del 1965, una controversia relativa a periodi di imposta anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali vigeva la disciplina di cui alla legge n. 958 del 1949 e successive modificazioni; e deduce che, comunque, nella decisione impugnata si � fatta erronea applicazione delle norme che regolano la materia, le quali prevedono l'erogazione dei contributi, del cui regime tributario si controverte, non gi� a favore delle imprese cinematografiche come entit� produttive a s� stanti, ma in relazione alla produzione dei singoli film, a titolo di � concorso in spese di produzione �, assoggettato all'imposta di R.M. ai sensi dell'art. 83 del t.u. n. 645 del 1958. Il ricorso � fondato. � oggetto di controversia se sui contributi concessi dallo Stato all'industria cinematografica (nel caso, alla societ� �Documento film�) per l'anno 1961 sia dovuta l'imposta di R.M., cat. B, per l'anno 1961, in quanto costituiscano concorso in spese di produzione (che, a differenza degli altri contributi d'ogni genere pagati dallo Stato o da altri enti pubblici, sono (1) Puntuale applicazione dei principi generali nella specifica materia del� l'industria cinematografica. Non constano precedenti. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA assoggettati al tributo in base all'art. 83 lett. e) del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645), ovvero ne siano esenti in quanto si debbono considerare come una integrazione del capitale dell'impresa cinematografica, concessa alla stessa come entit� produttiva a s� stante. La commissione tributaria centrale ha risolto la questione in senso negativo, facendo erroneamente applicazione della legge 4 novembre 1965, n. 1213, sul �nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia >>, entrata in vigore successivamente al periodo d'imposta cui si riferisce l'accertamento impugnato e che pertanto andava assoggettato alla disciplina anteriore, dettata dalla legge 29 dicembre 1949, n. 958, poi modificata dalle leggi 31 luglio 1956, n. 897; 22 dicembre 1959, n. 1097; 22 dicembre 1960, n. 1565; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694. La legge del 1949, dopo avere determinato la competenza della Presidenza del Consiglio in materia di cinematografia, in essa ricomprendendo, foa 1l'altro, l'attuazione tdeUe ;provvidenze 'stabilite a favore della produzione cinematografica nazionale nonch� la promozione e il coordinamento delle iniziative aventi per scopo il miglioramento e lo sviluppo della produzione cinematografica nazionale, fa obbligo alle imprese produttrici, che intendano beneficiare delle provvidenze stabilite dalla legge (consistenti nell'ammissione alla programmazione obbligatoria e nella concessione di contributi), di denunziare preventivamente l'inizio della lavorazione del film e presentarne il piano di finanziamento ed il piano di lavorazione (art. 6). La legge dispone, inoltre, che il produttore del film nazionale, ai fini delle provvidenze in essa previste, deve produrre una dichiarazione dalla quale risulti analiticamente il costo effettivamente sostenuto per la realizzazione del film (art. 13, secondo comma, aggiunto con l'art. 9 della legge del 1956). Il riferimento all'ammissione della programmazione obbligatoria del film, che beneficia delle provvidenze stabilite dalla legge, gi� denota che queste sono concesse all'impresa cinematografica non come tale, a titolo d'integrazione del suo capitale, ma come produttrice del film; (il riferimento del contributo al film e non all'impresa risulta da altre norme -:arrtt. 10, 11, 12, 14, 15 -delJla stessa �legge); 'e I'obbligo imposto al produttore, per poter godere delle provviden2ie governative, di presentare il piano finanziamento e quello di lavorazione di ciascun film implica una necessaria .relazione fra spese di produzione e contributo statale, nel senso �ohe questo � 'concesso quale .concorso nelle spese di prroduzione del film. Privo di efficacia � il rilievo, .contenuto nella decisione impugnata, che il contributo � concesso al produttore, per dedurne che esso abbia natura d'integrazione del capitale dell'impresa. L'indicazione del produttore, infatti, non solo � necessaria al fine d'individuare il soggetto legittimato alla riscossione del contributo, ma � coerente con la destinazione di 964 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esso a concorso nelle spese, poich� � proprio il produttore che sopporta l'onere economico della produzione del film. Il contributo, cio�, � concesso al produttore, in quanto collegato non gi� all'esistenza di un'impresa produttrice di opere cinematografiche (le quali, -singolarmente considerate, possono anche non rivestire i requisiti per l'ammissione al contributo), ma alla specifica circostanza che l'impresa abbia prodotto un determinato film, avente le caratteristiche richieste. Inoltre, non rileva che il contributo sia pagato quando le spese di produzione siano gi� state sostenute. Anche con tali modalit�, esso raggiunge lo scopo cui � destinato, poich� il sistema della legge � tale che il produttore possa fondatamente fare assegnamento sul contributo, in quanto condizionato a determinati e gi� noti requisiti del film, in base ad una possibile, anche se approssimativa, previsione degli incassi che potr� in concreto realizzare. Non privo di fondamento � il rilievo, formulato in proposito, rda1la ricorrente che l'industria cinematogvaf.ica trae il suo principale alimento dal ricorso al credito, consentito da apposite norme istitutive di speciali organismi bancari operanti nel settore e che la percezione del contributo (erogato, ai sensi dell'art. 14 della legge del 1949, per un quinquennio, con liquidazioni trimestrali) pu� avvenire proprio nel periodo di scadenza delle ob01igazioni assunte ed essere destinato a coprirne l'importo. N� � sufficiente ad escludere che il contributo abbia natura di concorso nelle spese di produzione la circostanza che esso venga liquidato sugli incassi del film. Questi costituiscono, infatti, nulla pi� che un criterio di determinazione concreta della misura del contributo, in base ad una presunzione di proporzione fra il maggior costo del film ed il suo maggiore valore spettacolare, capace di suscitare l'interesse del pubblico, e nell'intento di privilegiare quei film che, attraverso una pi� larga diffusione, assicurino una maggiore loro utilizzazione da parte della clientela cui sono destinati. Ci� � confortato dalla considerazione che, nel sistema della legge del 1949, essendo esclusi dall'ammissione alla programmazione obbligatoria (e, quindi, dal beneficio del contributo) soltanto i film sforniti dei requisiti minimi d'idoneit� tecnica e artistica, con la concessione del contributo si � inteso incoraggiare la produzione commerciale del film e non soltanto incrementare la produzione di particolare valore artistico, essendo previsto -a tal fine -il possibile aumento del contributo per i lungometraggi di �particolare valore artistico� (art. 14) e per i cortometraggi � di eccezionale valore tecnico e artistico � (art. 15); ed essendo concessi altri benefici con finalit� diverse, come i premi per i film adatti alla giovent� o per essa particolarmente prodotti (art. 14 della legge del 1949 e artt. 13 e 14 della legge del 1956) e i fondi destinati ai produttori, in quanto tali, per lo sviluppo della produzione e della programmazione del film. PARtE l, SEZ. Vl, GIUR!SPRUOENZA TRIBUTARIA La conferma che i contributi statali ai produttori di film nazionali, ammessi alla programmazione obbligatoria, hanno natura di concorso nelle spese di produzione e, come tali sono soggetti all'imposta di R.M., cat. B, si trae dalla successiva disciplina dettata dalla legge 4 novembre 1965, n. 1213, il cui art. 24, quinto comma, stabilisce che sulle somme versate dal Ministero del turismo e dello spettacolo, come contributi e premi, si applica, nella misura del 5 %, la ritenuta d'acconto di cui al terzo comma dell'art. 128 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, sostituito con l'art. 1 della legge 21 aprile 1962, n. 226, postulandone, in tal modo, l'assoggettabilit� al tributo. Quest'ultima norma sancisce che le pubbliche amministrazioni, le quali corrispondono ad imprese commerciali contributi o premi, debbono operare sui due terzi delle somme corrisposte una ritenuta del 18 % a titolo d'acconto dell'imposta dovuta dall'impresa percipiente, fatta eccezione per i contributi d'ogni genere pagati dallo Stato o da altri enti pubblici che non costituiscono concorso in spese di produzione (art. 83, lett. e del t.u.). Pertanto, l'art. 24, quinto comma, della legge n. 1213 del 1965, se da un lato determina la ritenuta in misura diversa rispetto a quella prevista dall'art. 128 del t.u. (5 % e non 18 %, sull'intera somma corrisposta, e non sui due terzi di essa), dall'altro, prevedendo espressamente la ritenuta d'acconto sui contributi, nella stessa legge disciplinati, li include fra quelli soggetti all'imposta ai sensi dell'art. 83, lett. e) del t.u., implicandone la necessaria qualificazione di contributi che costituiscono concorso in spese di produzione e che l'art. 83, lett. e) sottrae all'esenzione stabilita in via generale della norma stessa. N� potrebbe sostenersi che tale qualificazione, innegabilmente attribuita ai contributi in esame dalla legge del 1965, non possa adottarsi in relazione alla legislazione anteriore, poich� secondo la precedente disciplina il rapporto tra contributo e singolo film era ancora pi� stretto di quanto non appaia nella legge del 1965. Ci� si evince anche dalla norma di collegamento fra vecchia e nuova disciplina, contenuta nel sesto comma dell'art. 24 della legge n. 1213 del 1965, che estende le disposizioni di cui al precedente comma anche alla liquidazione dei contributi previsti dalle precedenti disposizioni di legge, maturati dal 1� gennaio 1965. La portata di tale norma non �, evidentemente, quella di assoggettare ad impostaaei contributi che ne fossero, prima, esenti, bens� quella di estendere il beneficio della riduzione al 5 % dell'aliquota della ritenuta d'acconto anche ai contributi dovuti in base alle precedenti leggi, ma liquidati nel periodo di efficacia della legge del 1965 (che aveva effetto retroattivo dal 1� gennaio 1965). Il ricorso pertanto dev'essere accolto ed, in conseguenza, la decisione impugnata dev'essere cassata con rinvio alla stessa commissione tributaria 966 centrale, che riesaminer� la controversia uniformandosi al princ1p10 di diritto, secondo cui i contributi concessi ai produttori di film nazionali ammessi alla programmazione obbligatoria, ai sensi degli artt. 14 e 15 della legge 29 dicembre 1949, n. 958 (successivamente prorogata e modificata dalle leggi 31 luglio 1956, n. 872; 22 dicembre 1959, n. 1097; 22 dicembre 1960, n. 1565; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694), cos� come i contributi concessi ai sensi dell'art. 7 ideHa legge 4 novembre 1965, n. 1213, hanno natura di concorso in spese di produzione e, pertanto, ai sensi dell'art. 83 lett. e) del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, sono assoggettati all'imposta di R.M., cat. B. (omissis) SEZIONE SETTlMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1980, n. 2097 -Pres. Sandulli Est. Lipari -P. M. Gazzara (conf.). S.I.T. Societ� Impianti Tecnologici S.n.c. di Sbrojavacca e C. c. Azienda autonoma F.S. (avv. Stato De Francisci). Appalto -Appalto di opere .pubbliche -Riserva -Accertamento del tempo dell'iscrizione -Questione di fatto -Valutazione della tempestivit� dell'iscrizione -Questione di diritto -Limiti. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). Appalto -Appalto di opere 1pubbliche -Capitolati -Per l'appalto di opere e l'esecuzione di lavori o forniture ferroviarie -Natura regolamentare -Esclusione. (Capitolato generale amministrativo per le opere ferroviarie approvato il 9 aprile 1909; capitolato per l'esecuzione dei lavori ferroviari approvato il 3 maggio ed il 14 luglto 1922). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Opere di competenza delle Ferrovie dello Stato � Onere della tempestiva riserva dell'appaltatore -Applicabilit� del principio. (Capitolato generale amministrativo per le opere ferroviarie approvato il 9 aprile 1909, art. 41; capitolato per !'esecuzione dei lavori ferroviari approvato il 3 maggio ed il 14 luglio 1922, art. 14). Appalto � Appalto di opere pubbliche -Riserva -Fatti continuativi -Tempo dell'iscrizione -Permanenza del fatto -Normale irrilevanza -Manifestarsi dell'onerosit� -Rilevanza -Sospensione dei lavori -Equiparabilit� a fatto continuativo. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserva -Documenti idonei alla iscrizione delle riserve -Verbale di consegna � 1l:. tale. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve � Fatti colposi o dolosi Sussistenza dell'onere -Condizioni. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). In tema di tempestivit� delle riserve negli appalti di opere pubbliche, la individuazione del fatto e la sua collocazione temporale rientrano nell'ambito di esercizio degli incensurabili poteri del giudice di merito; ma RASSEGNA DELL1AVVOCAt�RA DEtLO StAtO rispetto all'accertamento che un fatto � venuto in essere in un dato momento il giudizio di tempestivit� o intempestivit� pu� variare in relazione alla ricostruzione della volont� normativa e negoziale circa lo spatium temporis ultimativamente destinato al relativo adempimento. E questa ricostruzione � soggetta al vaglio critico in sede di legittimit� vuoi sotto il profilo della corretta interpretazione della norma (in ipotesi di fonte normativa), vuoi sotto quello del rispetto delle regole giuridiche dettate per la esegesi dei contratti e dell'adeguatezza o congruit� della motivazione (in ipotesi di fonte negoziale) (1). Le disposizioni dei capitolati per l'appalto di opere e per l'esecuzione di lavori o forniture ferroviarie, approvate rispettivamente con delibere del consiglio di amministrazione delle F.S. in data 9 aprile 1909 e 3 maggio -14 luglio 1922 non hanno natura regolamentare (2). Il sistema dell'onere della riserva nell'esecuzione degli appalti di opere pubbliche ha carattere generale e trova puntuale espressione, per gli appalti ferroviari, nelle disposizioni degli artt. 41 del capitolato del 1909 e 14 del capitolato del 1922 (3). Il fatto continuativo deve formare in ogni caso oggetto di riserva da parte dell'appaltatore, la quale deve ritenersi tempestiva se presentata quando la rilevanza causale del fatto rispetto al maggior onere incontrato diventa obiettivamente apprezzabile secondo indici di media diligenza e buona fede, con salvezza di precisare la misura della richiesta di compenso non appena possibile nella succ�ssiva registrazione e nel conto finale. L'accertamento concreto della tempestivit� della riserva, dipendente dall'apprezzamento delle singole situazioni di specie, rientra nella competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimit�. Alla nozione di fatto continuativo ed alla relativa disciplina va ricondotta la sospensione dei lavori e le pretese di indennizzo che vi si raccordano vanno fatte oggetto di riserva in un momento che non pu� essere differito oltre quello di cessazione della stessa sospensione (4). L'appaltatore, cui sia commessa la realizzazione dell'impianto di riscal damento da installare in edifici al rustico ed al quale gli stessi edifici siano consegnati gi� completati ed intonacati, se intende porre tale fatto a base di una pretesa di indennizza per i maggiori costi che potr� incontrare nell'esecuzione della opera � tenuto a segnalare la difformit� dal pattuito iscrivendo riserva nel verbale di consegna, salvo a precisare l'entit� del danno subito quando ci� risulti possibile. Ed invero da un lato il fatto si (1-7) Cass., 19 gennaio 1979, n. 3:94, in questa Rassegna, 1979, I, 573'. (2) Cass., 14 gennaio 1977, n. 174, in Giust. civ., 1977, I. 1016. Sulla natura regolamentare o meno dei capitolati generali delle diverse amministrazioni dello Stato e sulle conseguenze derivanti dall'una o dall'altra configurazione, cfr. l'annotazione a Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, in questa Rassegna, 1980, I, 209. (3) Cass., 18 agosto 1976, n. 3041, in questa Rassegna, 1976, I, 1040. .,,,,,,,,l,,,,,,/l.,lll.rlllllll~llflllllllllll&llllll7lllr,41~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 969 presenta come immediatamente rivelatore di aggravio di costi, dall'altro anche il verbale di consegna costituisce possibile sede di riserva (5). L'onere della tempestiva riserva sussiste anche per le pretese a base delle quali siano posti il dolo o la colpa grave dell'amministrazione appaltante se i fatti imputati a siffatto titolo si inseriscono in un momento preciso della cronologia dei lavori, incidendo immediatamente sulla loro esecuzione, condizionandone tempo, modalit� e spese (applicazione in tema di illegittima protrazione di sospensione dei lavori) (6). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5564 -Pres. Vigorita Est. Gualtieri -P. M. Minetti (conf.) -Prearo (avv. Palombi e Verolini) c. Ministero dell'agricoltura e delle foreste (avv. Stato del Greco) e Consorzio di Bonifica Conagro Tartaro Tione (avv. Lauzetti). Appalto � Appalto dii opere pubbliche � Riserva -Onere -Carattere generale -Eccezioni -Fatti continuativi -Limite. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 37, 53, 54, 64, 89 e 107). Appalto � Appalto di opere pubbliche -Riserva � Tempestivit� -Controllo in cassazione -Giudizio di leglttlmit� -Estensione. ' (cod. proc. civ., art. 360, n. 3). Appalto � Apalto di opere pubbliche -Riserva -Sospensione -Documenti in cui pu� iscriversi -Verbale di sospensione o ripresa dei lavori. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16). Nell'ambito del sistema delle norme regolatrici del contratto di appalto per la costruzione di opere pubbliche, l'istituto della riserva si presenta come espressione di un principio generale che non pu� subire deroghe se non in quei casi in cui l'osservanza, da parte dell'appaltatore, dell'onere della tempestiva riserva o non sarebbe giustificato o non sarebbe possibile, com'� nell'ipotesi dei c.d. fatti continuativi, per i quali, peraltro, la regola che impone all'appaltatore l'onere di formulare la riserva riprende vigore nel momento -da identificarsi, nelle singole fattispecie, secondo i criteri della media diligenza e buona fede -in cui egli disponga di dati sufficienti per segnalare le cause delle situazioni a lui pregiudizievoli e il presumibile (4-5-7-8) Sulla nozione di fatto cont,inuativo e �su11a evoliuzione deli1a sua formazione ad opera della giurisprudenza, cfr. Cass., 19 gennaio 1979, n. 394, in questa Rassegna, 1979, I, 573; sull'onere della riserva con riguardo alle sospensioni e sul verbale di ripresa come possibile sede della riserva, cfr. Cass., 17 ottobre 1977, n. 4430, in questa Rassegna, 1977, 307. 1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 970 onere economico, salvo a precisarne l'esatto ammontare nelle successive registrazioni o, nel caso in cui la determinazione del quantum non sia ancora possibile, in sede di chiusura del conto finale (7). La verifica della tempestivit� dell'iscrizione della riserva pu� costituire oggetto del giudizio di legittimit�, giacch� non si esaurisce un mero accertamento di fatto volto all'individuazione dell'esatto momento dell'iscrizione, ma richiede di stabilire se il tempo dell'iscrizione rientra nell'ambito temporale voluto dalla legge e ci� implica il raffronto del fatto medesimo con elementi normativi e quindi un giudizio sul fatto alla stregua della disciplina legale (8). La riserva, con cui si fa valere una richiesta di indennizzo, fondata sull'assunto che una sospensione dei lavori sia stata illegittimamente ordinata, deve essere inserita nel verbale di sospensione ed � certamente tardiva la riserva che non sia iscritta neppure nel verbale di ripresa dei lavori (9). I (omissis) 1. -Rispetto ad un contratto d'appalto, stipulato con l'amministrazione delle Ferrovie dello Stato, e disciplinato per relationem dal capitolato per le opere che si eseguono dall'amministrazione medesima, si discute in causa delle pretese dell'appaltatore ad ulteriori compensi per l'aggravio incontrato nell'esecuzione dei lavori, trattandosi di stabilire in primo luogo la tempestivit� della formulazione ed esplicazione delle riserve e di verificare nel merito la fondatezza delle singole richieste, le quali sostanzialmente riguardano, rispetto ad un primo gruppo di lavori, la maggior difficolt� di realizzazione dell'impianto di riscaldamento commesso in edifici consegnati non al rustico, ma gi� completati ed intonacati, e per un secondo gruppo il notevolissimo carico economico determinatosi per effetto di ripetute sospensioni protrattesi per oltre tre anni. La Corte d'appello ha ritenuto intempestive le" riserve, fatta eccezione per la riduzione operata in sede di liquidazione definitiva (respinta, peral-. tro, nel merito per difetto di prova) e per il rimborso della differenza sul prezzo del combustibile impiegato per le prove di funzionamento degli impianti (pretesa ritenuta estranea al campo di operativit� delle riserve riflettendo l'adempimento puntuale di una clausola contrattuale). (6) Cass., 15 aprile 1976, n 1337, in questa Rassegna, 1976, I, 627. La Corte riconferma sul punto la precedente giurisprudenza, riassorbendo l'affermazione, non accompagnata da maggiori specificazioni, contenuta nella motivazione della decisione 30 gennaio 1979, n. 653 (in questa Rassegna, 1979, I, 583), secondo cui i fatti dolosi o gravemente colposi costituiscono un caso di eccezione all'onere della riserva. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Con il primo mezzo del ricorso lamentando la violazione e falsa interpretazione degli artt. 1370 e 1371 cod. civ. e l'omessa (insufficiente e contraddittoria) motivazione su di un punto decisivo della controversia, l'appaltatore censura la sentenza per avere ritenuto intempestive le riserve. Con il secondo mezzo si addebita alla Corte del merito di non avere accolto la pretesa avanzata (tempestivamente) contro le risultanze contabili della situazione finale, non necessitando al riguardo -contrariamente all'avviso espresso in sentenza -alcun elemento probatorio. Con il terzo mezzo, infine, si sostiene che erroneamente � stata disattesa la richiesta di rimborso della penale irrogata per il ritardo .nell_a integrazione della cauzione rispetto all'atto addizionale (non essendo richiesta al riguardo la proposizione di ricorso al Direttore generale) .. 2. -Il ricorso � infondato in tutti e tre i motivi in cui si articola. Esso tocca nel primo mezzo la problematica della tempestivit� delle riserve negli appalti delle opere pubbliche, dalla cui ricognizione occorre prendere le mosse per la puntualizzazione delle ragioni giuridiche che portano ad avallare le conclusioni cui � giunta la Corte del merito. Un fatto � tempestivo rispetto ad una data fattispecie (sia essa di matrice normativa o negoziale) quando � posto in essere entro i termini fissati astrattamente da questa (giusta la ricostruzione esegetica all'uopo effettuata dall'interprete). La individuazione del fatto e la sua collocazione temporale rientrano nell'ambito di esercizio degli incensurabili poteri del giudice di merito; ma rispetto all'accertamento che un fatto � venuto in essere in un dato momento il giudizio di tempestivit� o intempestivit� pu� variare in relazione alla ricostruzione della volont� normativa o negoziale circa lo spatium temporis ultimativamente destinato al relativo adempimento. E questa ricostruzione � 'soggetta a vaglio critico in sede di legittimit� vuoi sotto il profilo della corretta interpretazione della norma (in ipotesi di fonte normativa), vuoi sotto quello del rispetto delle regole giuridiche dettate per la esegesi dei contratti e dell'adeguatezza o congruit� della motivazione (in ipotesi di fonte negoziale). Le disposizioni dei capitolati per l'appalto di opere e per l'esecuzione di lavori o forniture ferroviarie, approvate rispettivamente con delibere del consiglio di amministrazione delle FF.SS. in data 9 aprile 1909 e 3 maggio -14 luglio 1922 hanno carattere puramente interno e non natura regolamentare (Cass., 174/77), come riconoscono gli stessi ricorrenti, che su tale presupposto muovono le loro doglianze. Ne consegue che la inosservanza e la violazione di tali norme non pu� essere dedotta con ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, e che l'interpretazione del capitolato, richiamato nel contratto, si risolve in una valutazione di fatto sottratta al controllo della Suprema Corte se immune da vizi logici e giuridici e rispettosa delle norme giuridiche dettate per l'inter RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 972 pretazione dei contratti (cfr. con specifico riguardo ai capitolati ferroviari, qualificati come atti amministrativi, Cass., 2393/69). Il sistema dell'onere delle riserve nell'esecuzione degli appalti di opere pubbliche -per ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questo S.C. -ha carattere generale e trova puntuale espressione, per gli appalti ferroviari, nelle disposizioni degli artt. 41 del citato capitolato del 1909 e 14 del citato capitolato del 1922 (Cass., 3041/76). L'imposizione della (tempestiva) riserva sotto comminatoria di decadenza secondo la giurisprudenza di questo S.C., riguarda le pretese incidenti sul compenso complessivo spettante all'appaltatore di 00.PP., quali che siano le componenti ed i titoli delle medesime con eccezione dei fatti estranei all'oggetto dell'appalto ed alla finalit� di documentazione dell'iter esecutivo dell'opera, (come la rivalsa delle imposte e la decorrenza degli interessi di mora); del comportamento doloso o gravemente colposo della pubblica amministrazione (purch� tale comportamento non incida direttamente sull'esecuzione dell'opera); dei fatti continuativi (nel novero dei quali generalmente, ma con qualche voce solo formalmente contraria -come si preciser� in appresso -si include la sospensione dei lavori). Il concetto di fatto continuativo � stato introdotto dalla giurisprudenza per temperare la rigorosit� dell'onere della riserva rispetto a situazioni in cui la sua osservanza sembrava inesigibile in riferimento ad una contestuale ed immediata quantificazione del maggior compenso preteso. Nella sua pi� semplice accezione fatto continuativo � quell�, che non avendo carattere istantaneo, si protragga nel tempo; si � precisato, peraltro, che deve trattarsi di fatti eguali nelle modalit� di accadimento, e prodotti da cause costanti, di cui � sempre possibile l'accertamento lungo tutto il corso del loro operare compreso il momento finale (Cass., 1527/73) riconducibili cio� ad una serie di ricorrenti episodi la cui ripetitivit� comporta rilevanza onerosa e pregiudizievole non attribuibile alla singola circostanza isolatamente considerata (Cass., 677/73, 8/76). Emerge attraverso la sottolineatura della ripetivit�, che d� evidenza� e consistenza all'onere altrimenti trascurabile se rapportato al singolo elemento, la preoccupazione di circoscrivere la portata del concetto, per mantenere la deroga nei limiti concettualmente indispensabili per giustificare la mancata iscrizione esplicita della riserva non appena la onerosit� abbia a manifestarsi non potendosi ragionevolmente pretenderla quando il danno non si � ancora manifestato in tutta la sua consistenza. Questa essendo la ratio della introdotta eccezione deve osservarsi in limite che l'assolutezza della enunciazione � fuorviante, perch� in realt� non si � mai sostenuto che rispetto ai fatti continuativi si potesse prescindere dalla riserva (lo si afferma chiaramente -ad esempio -gi� nella decisione n. 1527 del 1973), ma si � inteso differire il momento della iscrizione (inscindibilmente connessa secondo l'impostazione della vecchia giurisprudenza con la quantificazione) il momento cio� in cui l'onere deve essere assolto, individuato I I �1��:1111�~rllllllllfllfllllflllll1111'11:11111�Wllll PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI nella cessazione della continuazione (Cass., 717/73) se non addirittura nel compimento dell'opera dopo la compilazione del conto finale. Vi � quindi all'origine dell'indirizzo giurisprudenziale l'errata persuasione che in pendenza della continuazione la deduzione delle riserve non � possibile, vuoi perch� riconducibile ad una serie causale di non immediata rilevanza onerosa, vuoi perch� l'onerosit�, essendo ancora in fieri � insuscettibile di puntuale precisazione donde il corollario del differimento dell'onere. Il superamento di questa impostazione si � avuto mettendo in evidenza che anche il fatto continuativo (compresa la sospensione dei lavori) deve formare oggetto di riserva, da ritenersi tempestiva se presentata quando la rilevanza causale del fatto rispetto al maggior onere incontrato diventa obiettivamente apprezzabile, secondo indici di media diligenza e di buona fede, con salvezza di precisare definitivamente la misura della richiesta di compenso non appena possibiJ.e nelJe successive registrazioni e lllel conto !finaile {cfr. Cass., 1148/75, 726/78, 394/79). Non � esatto, quindi, che soltanto al momento della cessazione della continuazione si manifesti la rilevanza causale (vera essendo -invece le reciproca che con la cessazione tale rilevanza non pu� non essersi manifestata), n� che iscrizione ed esplicazione quantitativa della riserva siano insuscettibili di scissione temporale. Posto il principio guida della percepibilit� della rilevanza causale del fatro che si protrae o riproduce nel tempo l'accertamento concreto de1la tempestivit� dipendente dall'apprezzamento della situazione di specie, rientra nella competenza esclusiva del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimit�. Costituiscono applicazione del suddetto principio le enunciazioni che si rinvengono in numerose sentenze (come corollario della non indennizzabilit� del maggior onere derivante dalla sospensione dei lavori che non abbia formato oggetto di tempestiva riserva: Cass., 1527/73 cit.) relativamente alla tardivit� delle riserve iscritte nel conto finale concernenti le sospensioni intervenute durante lo svolgimento dei lavori (Cass., 2168/73, 2841/75), ovvero non enunciate nemmeno nel verbale di ripresa dei lavori (Cass., 2486/73). Ed invero il verbale di ripresa dei lavori (per quanto attiene al fatto continuativo della sospensione dei medesimi) costituisce sicuramente il momento ultimo per la iscrizione della riserva, essendo addirittura cessata la continuazione, pur non potendosi escludere che la rilevanza causale, anteriormente manifestatasi, si fosse concretamente estrinsecata in una precedente occasione. Data l'uniformit� del pi� recente indirizzo giurisprudenziale attestato sul criterio della rHevanza causale come momento di aggancio dell'onere della riserva, applicato in ogni ipotesi di sospensione dei lavori, appare puramente nominalistica la contrapposizione di sentenze che escludono (cfr. Cass., 8/76, 5438/78, 3958/78), o omettono l'inquadramento nei fatti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO continuativi degli episodi di sospensione dei lavori, trattandosi di percorrere strade diverse per raggiungere lo stesso risultato. L'equivoco nasce dall'assunzione del concetto di fatto continuativo come deroga all'onere delle riserve operante in un certo momento e con certi effetti risentendo della originaria (e poi ridimensionata) portata del concetto. Per negare la deroga in ambito di operativit� ritenuto eccessivo si esclude che l'ipotesi maggiormente ricorrente di sospensione dei lavori rientri nella categoria. Una volta posto in chiaro peraltro che qualsiasi fatto produttivo di oneri per l'appaltatore (sia esso istantaneo o continuativo) deve essere denunciato mediante riserva generica, non appena ne sia percepibile la rilevanza causale (che per il fatto istantano coincide con il venir in essere del fatto stesso), specificando successivamente la pretesa (quando risultino quantificabili le relative componenti) e confermandola comunque nel conto finale, tutte le pi� recenti decisioni appaiono univoche sul piano applicativo dell'enunciato criterio indipendentemente dalla sottolineatura o meno della continuit� in senso tecnico. Si � cos� precisato che rispetto alla sospensione dei lavori deve ritenersi tempestiva la formulazione di riserva nel verbale di ripresa, anzich� in quello che dispone tale sospensione qualora si tratti di sospensione originariamente legittima, divenuta illegittima solo per fatti sopravvenuti; ovvero qualora la sospensione illegittima ab origine, non fosse stata agevolmente riscontrabile come tale (cfr. Cass., 21/78). Mentre unanimemente si ribadisce che il momento finale per la deduzione non pu� essere differito oltre la cessazione della sospensione e quindi trovare utilmente collocazione in documenti posteriori al verbale di ripresa dei lavori (Cass., 4430/77, 1337/76, 8/76, 3958/75, 5438/78). Il concetto di fatto continuativo, dunque, non va ricostruito aprioristicamente, ma si correla nell'evoluzione giurisprudenziale all'esigenza che si voleva tutelare, quella cio� di escludere l'onere di (tempestiva) riserva ogni qualvolta appaia di impossibile, o di estremamente ardua attuazione, impossibilit� e difficolt� che in un primo momento si valutano nel falso presupposto della inscindibilit� di iscrizione e quantificazione della riserva. Esclusa invece, tale inscindibilit� l'istantaneit� o la continuit� temporale del fatto si risolve nella immediatezza o mediatezza della percepibilit� della rilevanza causaile rispetto al maggior aggravio subito venendo in considerazione la cessazione della continuit� come indice di una onerosit� sicuramente avvertibile dall'appaltatore di media diligenza. A seconda quindi che la giurisprudenza ritenga di muovere da una accezione ristretta del fatto continuativo ricollegandovi una pi� penetrante o generalizzata capacit� di operare lo scorrimento del termine per la tempestivit� delle riserve (giusta la originaria impostazione), ovvero di adottare una nozione pi� fata con effetti meno penetranti, accade che per raggiungere il medesimo risultato applicativo nel senso della tempestivit� PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI ovvero della intempestivit� si escluda ovvero si includa la sospensione dei lavori nella categoria. Sembra al Collegio, che, ridimensionata la portata della deroga rispetto a qualsiasi fatto continuativo, alla stregua del criterio della rilevanza causale, possa tranquillamente adottarsi un concetto lato di fatto continuativo, includendovi la sospensione dei lavori e cos� evitando che una divergenza puramente terminologica ingeneri equivoci fra gli operatori del diritto, laddove la giurisprudenza di questa S.C. risulta ormai costante nell'applicazione del criterio della tempestivit� delle riserve nelle ipotesi di sospensione dei lavori nei sensi sopra precisati. 3. -Alla luce delle considerazioni che precedono le censure svolte nel primo mezzo trovano agevole confutazione. Ha osservato la Corte quanto al primo gruppo di lavori che, al momento della sottoscrizione dell'atto addizionale con revisione di prezzi stipulato il 22 maggio 1970, essendo gi� state completate le opere, l'appaltatore era perfettamente in grado di apprezzare alla stregua del compenso pattuito la consistenza dei maggiori oneri cui era andato incontro e di valutarne la misura di incidenza, sicch� nell'accettare la tariffa suppletiva avrebbe dovuto attivarsi per far valere le relative pretese. Obietta il ricorrente che la formulazione di riserve e la esplicazione delle medesime deve effettuarsi esclusivamente nel documento contabile, mentre l'atto aggiuntivo non � tale e comunque negli appalti di lavori per le FF.SS. non esiste il registro di contabilit�. L'art. 41 del Capitolato del 1909 va interpretato -si sostiene -alla luce dei principi generali in materia di riserva, intendendosi la clausola generale a favore dell'appaltatore e realizzando comunque l'equo temperamento degli interessi che porta a ravvisare nel conto finale il primo atto utile per la formulazione e quantificazione delle riserve. L'appaltatore non contesta -dunque -di dovere sottostare alla riserva, ma nega la tardivit� della deduzione nel conto finale perch� l'atto addizionale, non essendo un documento contabile, non sarebbe utilizzabile a tale scopo. L'assunto non pu� essere condiviso giacch� esso muove dal presupposto inesatto che solo nel documento contabile possa iscriversi riserva. All'opposto la giurisprudenza di questa S.C., cui si � fatto richiamo nel precedente paragafo, ha ormai ripetutamente precisato, in relazione a sospensione dei lavori, che il verbale � documento idoneo per la deduzione della riserva che dovr�, ove esista il registro di contabilit�, essere trascritto nel medesimo non appena possibile; quindi l'inesistenza del registro � addirittura elemento rafforzativo dell'idoneit� di documenti diversi da quelli contabili in senso stretto alla deduzione della riserva da inserire immediatamente, no nappena se ne presenti la formale possibilit�, quando sia emersa la rilevanza causale del danno. E non � dubbio che, nel caso di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO specie, il fatto lamentato era immediatamente rivelatore dell'aggravio, trattandosi di operare su edifici non al rustico come convenuto richiedenti maggiori oneri nella messa in opera dell'impianto di riscaldamento. Pertanto anche a voler considerare la continuit� del fatto lamentato che si ripercuoteva sull'intera impostazione dei lavori, per un ammontare definibile soltanto al momento del completamento dei medesimi, certamente l'appaltatore nello stesso verbale di consegna avrebbe dovuto segnalare la difformit� del pattuito che si risolveva in maggior spesa, salva la specificazione del quantum in una successiva occasione. Orbene l'appaltatore ha trascurato non solo questa occasione, ma quella rappresentata da due sospensioni e riprese dei lavori, omettendo di fare le sue deduzioni, evidentemente convinto di doverle differire al conto finale (forse ipotizzando la inscindibilit� di iscrizione ed esplicazione quantitativa delle riserve). Ne risulta la manifesta tardivit� delle riserve inserite in detto conto corroborata dalla mancata deduzione al momento della sottoscrizione dell'atto addizionale avvenuta quando gi� da tempo erano stati compiuti i lavori del primo gruppo, e quindi l'appaltatore anche nell'errato presupposto della necessaria contestualit� di formulazione delle riserve e loro esplicitazione era perfettamente in grado di determinare l'aggravio complessivo. Si vuol qui sottolineare, pertanto, che una esatta ricostruzione delle vicende del rapporto alla stregua dei principi sopra richiamati avrebbe verosimilmente portato i giudici di merito ad individuare altri atti antecedenti quali momento di riferimento ultimativo della tempestivit� di deduzione rispetto ad un fatto la cui rilevanza causale si era manifestata coevamente alla consegna dei lavori; mentre � certo che nell'assumere l'esecuzione di lavori aggiuntivi dopo il completamento di quelli precedentemente appaltati l'impresa era perfettamente in grado non solo di rilevare l'aggravio patito, ma anche di quantificarlo. La Corte d'appello di Trieste, ricollegando la tardivit� a quell'atto ha quindi peccato per eccesso, non certo per difetto, operando una esatta qualificazione in un contesto ormai indiscutibile; l'esegesi cui tale conclusione si informa appare quindi pienamente condividibile nel suo esito finale di riconoscimento dell'intempestivit� (sia pure non risultando argomentata del tutto persuasivamente alla stregua delle svolte considerazioni), sicch� malamente si invoca in proposito la violazione degli artt. 1370 e 1371 cod. civ. dimenticando che si tratta di criteri di lettura meramente sussidiari che possono venire in considerazione nella sola eventualit� che la portata della clausola non sia ricavabile de plano alla stregua di normali canoni esegetivi giurisprudenza costante). 4. -Rispetto ai lavori del secondo gruppo, la matrice dell'onerosit�, ricollegata al loro protrarsi per una serie di sospensioni (illegittime), non si sottrae alla logica della rilevanza causale oggettivamente percepibile. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Esattamente la Corte ha rilevato che le riserve per essere tempestive avrebbero dovuto essere formulate alla ripresa dopo la sospensione, non comportando il fatto di sospensione, inquadrata nel novero dei fatti continuativi, esonero in assoluto dalla regola generale della riserva (poich� come si � messo in chiaro, i fatti continuativi non si sottraggono a quella regola, e la deroga in termini di tempestivit� rettamente intesa si riflette sul momento temporale del suo operare, slittato in avanti alla stregua appunto del principio della percepibilit� della rilevanza causale). Nemmeno l'appaltatore ricorrente pu� essere seguito nell'assunto che le pretese afferenti cos� al primo come al secondo gruppo sfuggano all'ambito di applicazione delle riserve perch� correlate alla colpa grave dell'amministrazione committente, consistente nell'avere costretto l'appaltatore a lavorare su edifici completi e non al rustico (quanto alle opere del primo gruppo) e nell'averlo assoggettato a reiterate sospensioni (quanto alle opere del secondo gruppo). Al riguardo si lamenta il difetto di motivazione relativamente ai lavori del primo gruppo, mentre per quelli del secondo gruppo la linea argomentativa della Corte non risulterebbe appagante. Osserva il Collegio che la motivazione in punto di diritto che non soddisfa il ricorrente recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale di questo S.C. il quale nel circoscrivere le limitatissime eccezioni al principio della generalit� della riserva ha avuto cura di precisare che il dolo e la colpa grave prendono rilievo a tal fine quando non incidano direttamente sulla esecuzione dell'opera e risultino quindi estranei alle finalit� della riserva (Cass., 677/73, 2841/75, 1337/76). In proposito si � precisato, in situazione identica a quella di specie, che qualora i fatti imputati a titolo di colpa grave alla p.a. siano costituiti da una illegittima sospensione dei lavori a lungo protratta, e si inseriscano in un momento preciso della cronologia dei lavori stessi, incidendo immediatamente sulla loro esecuzione, condizionandone tempo, modalit� e spese, bene � applicabile il principio di tempestivit�-intempestivit� delle riserve (Cass., 1337/76 cit.). Ora non pare seriamente contestabile che i fatti colposi addebitabili alla p.a. sono ascritti alla medesima proprio perch� hanno inciso direttamente sull'esecuzione dell'opera, presentando addirittura i connotati dell'inadempimento contrattuale. Per potere sottrarre i comportamenti delle FF.SS. all'area della tempestiva riserva, bisognerebbe quindi contestare l'esattezza dell'orientamento giurisprudenziale di questa S.C. che ha un valido supporto logico prima ancora che giuridico, dato che l'inerenza del fatto colposo al rapporto contrattuale con:e tale renderebbe facilmente eludibili le esigenze che hanno comportato l'adozione del sistema delle riserve. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 978 E poich� un tentativo di critica non viene nemmeno abbozzato nel ricorso, il Collegio pu� limitarsi a ribadire il proprio orientamento. (omissis). II (omissis) Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 12 delle preleggi, nonch� degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369 e 1375 cod. civ., in relazione al Capitolato speciale d'appalto 17 dicembre 1962 e del Capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche del Ministero LL.PP. approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, e con riferimento all'art. 360 n. 3 codice di rito, il ricorrente si duole che la Corte del merito abbia ritenuto la decadenza di esso appaltatore dalle riserve correlative a fatti continuativi, incidenti sullo svolgimento dell'intero contratto, la cui valutazione avrebbe dovuto, invece, essere fatta con riguardo al momento in cui era cessata la continuit�, per cui non sussisteva la ritenuta decadenza, essendo state tutte le riserve tempestivamente formulate. La censura � infondata per le ragioni appresso specificamente indicate. Devesi, anzitutto, rilevare che il ricorrente ha impostato la sua difesa, come del resto anche nei precedenti gradi del presente giudizio, sui princ�pi affermati da questa Corte nella sentenza 20 marzo 1972, n. 830, riguardante una fattispecie particolare, secondo cui, in materia di �ppalti di opere pubbliche, l'appaltatore deve formulare le sue riserve, per far valere le sue pretese, in relazione all'intero svolgimento della serie ove si tratti di fatti continuativi, onde l'obbligo dell'iscrizione della riserva sorge nei momenti in cui cessa la continuit�, poich�, prima di tale momento, la precisazione della riserva sarebbe impossibile. Tale decisione deve ritenersi superata in seguito alle successive puntualizzazioni apportate al riguardo dalla giurisprudenza di questa Corte, in base alle quali, nell'ambito del sistema delle norme regolatrici del contratto di appalto per la costruzione di opere pubbliche, l'istituto delle riserve si presenta come espressione di un principio generale che, in relazione all'ampiezza della sua portata e alla ratio che lo giustifica, non pu� sub�re deroghe se non in quei casi in cui l'osservanza, da parte dell'appaltatore, ' dell'onere della tempestiva riserva o non sarebbe giustificata o non sarebbe possibile, come nell'ipotesi di fatti c.d. continuativi, cio� di quelli prodotti da una causa costante o da una serie causale di non immediata rilevanza onerosa, per i quali, peraltro, la regola che impone all'appaltatore l'onere di formulare la riserva riprende vigore nel momento -da identicarsi, nelle singole fattispecie, secondo i criteri della media diligenza e della buona fede -in cui egli disponga di dati sufficienti per segnalare all'amministrazione committente le cause delle situazioni a lui pregiudizievoli, e il presumibile onere economico, salvo poi a precisare, l'esatto ammontare ! I' .,.,,,,.,,,,���,,,,,,,,,,,,,.,,,,,_,__,,,lf. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBUCI del compenso o dell'indennit� richiesta nelle successive registrazioni o, nel caso in cui la puntuale determinazione del quantum non sia ancora possi� bile, in sede di chiusura del conto finale (cfr. da ultimo, sent. 4 gennaio 1978, n. 21; 19 gennaio 1979, n. 394). Tali princ�pi sono stati puntualmente applicati dalla Corte del Merito, la cui decisione � agente da censura sotto il profilo delle denunziate viola� zioni di legge, come pure deve ritenersi incensurabile per quanto concerne il giudizio della stessa Corte espresso in ordine alla intempestivit� delle riserve in questione, in quanto il ricorrente non ha formulato alcuna doglianza al 'riguardo, ai sensi deU'art. 360 n. 5, �codice di rito. Devesi, pertanto, verificare, con riferimento alle singole riserve, la tempestivit� di ciascuna di esse, tenendo presente che tale tempestivit� non si esaurisce in un mero accertamento di fatto volto all'individuazione dell'esatto momento in cui l'appaltatore ne ha effettuato l'iscrizione nel vegistro di contabilit�, essendo necessario ulteriormente stabilire se il tem� po dell'iscrizione rientri nehl'ambito temporale stabilito dalla legge, il che implica il raffronto del fatto medesimo con elementi normativi e quindi un giudizio sul fatto alla stregua della disciplina legale. Prima riserva: l'impresa Prearo avanz� detta riserva per la prima volta, secondo la sentenza impugnata, nel registro di contabilit� il 22 novembre 1963 nei seguenti termini: �poich� ai sensi dell'art. 10 del Capitolato speciale i lavori dovevano essere eseguiti in 180 giorni naturali consecutivi, chiede che venga corrisposta la somma di L. 65.000, per ogni giornata di sospensione, e, quindi, poich� .la sospensione � <lunata dal 13 aprile 1963 al 30 settembre 1963 per giorni 170, l'importo richiesto � pari a L. 11.050.000 �. La Corte del merito ha ritenuto che si tratt� di sospensione continua per 66 giorni e che la possibilit� di farne rituale denuncia non era preclusa al Prearo, dovendo e potendo egli formulare la sua riserva ex art. 16, nel verbale di sospensione dei lavori o, quanto meno, nel verbale di ripresa dei lavori (datato 30 settembre 1963). Tale giudizio � basato sulla considerazione che si trattava di una sospensione dovuta ad una causa unica, costante e predeterminata (necessit� di irrigazione dei fondi dei proprietari consorziati, in base ad un diritto acquisito da oltre 70 anni -necessit� resa nota quanto meno con promemoria 8 marzo 1963), per cui, secondo la Corte, l'appaltatore aveva fin da quest'ultima data l'immediata percezione della potenzialit� dannosa della sospensione. Devesi, pertanto, ritenere che legittimamente i giudici di appello in applicazione dei princ�pi sopra enunciati dichiararono l'impresa decaduta dalla riserva in parola, dopo aver respinto la tesi dell'impresa stessa, riproposta in questa sede, secondo cui, trattandosi di fatti continuativi e costanti, al precisazione della riserva era possibile solo al momento della cessazione della continuit�. Seconda riserva: fu avanzata nel registro di contabilit� in data 22 novembre 1963 e ampliata in data 14 febbraio 1964 e concerne la richie RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO sta dell'impresa di riconoscimento di maggiori oneri per L. 5.850.000, dalla stessa sostenuti. Secondo la Corte veneziana, la corenza di manodopera locale, che non era sopravvenuta nel corso dei lavori, doveva, in base ai princ�pi di media diligenza e buona fede, essere evidente all'impresa fin dal primo giorno dei lavori. A detta del ricorrente si tratterebbe, invece, di un evento straordinario, verificatosi nell'inverno 1962, dovuto a forze maggiori per cui non valeva eccepire che l'impresa aveva preso conoscenza di tutte le circostanze generali e particolari che potevano avere influito sulla determinazione dei prezzi e delle condizioni contrattuali; inoltre si tratta di riserva che investiva il generale andamento dell'appalto e, in quanto tale, non era destinata ad essere iscritta nei registri contabili e poteva essere formulata anche in sede di sottoscrizione del conto finale. Tali deduzioni non possono essere condivise sotto il profilo giuridico; ed invero, a parte l'oscuro accenno ad una situazione di forza maggiore, devesi ritenere che non solo qualunque onere esecutivo si riflette sui prezzi unitari, attraverso i quali � compensata l'opera, ma per la natura generale dell'obbligo della riserva e per le finalit� che attraverso il sistema della riserva sono perseguite, ogni. maggiore spesa, che l'appaltatore subisca a causa dell'esecuzione del lavoro, dev'essere denunciata non appena si verifichi (cfr. sent. 12 marzo 1973, n. 677). Terza riserva: fu inserita nel registro di contabilit� il 7 aprile 1964 e concerne la richiesta di aumento del prezzo unitario del calcestruzzo e pi� precisamente dei prezzi di cui agli artt. 17, 18, 19, 20 e 21 dell'elenco prezzi allegato al contratto, sul rilievo che con un m.c. di miscela di ghiaia e sabbia e relativi dosaggi di cemento, si sarebbe dovuto ottenere un m.c. di prodotto finito, mentre, dopo la prevista vibrazione, se ne otteneva invece un quinto in meno. Secondo la Corte del merito, nel registro di contabilit�, prima del l'aprile 1964, erano state contabilizzate con i prezzi originari e sottoscritte dall'impresea le categorie di lavori di cui ai suindicati articoli e per quan titativi notevolissimi e, in base al principio di media diligenza e buona fede, l'impresa avrebbe dovuto formulare le riserve al momento in cui furono contabilizzate; un pi� tempestivo esercizio delle regole d'arte avrebbe con sentito Ja proposizione di una riserva pi� tempestiva. A detta dei ricorrente, andava applicato il principio secondo cui la quantificazione della riserva pu� essere fatfa pure nello stato finale se solo in tale occasione l'appaltatore disponga degli elementi di calcolo necessari. Tale principio � stato impropriamente richiamato dall'impresa, poich�, nella specie, non si tratt� di tardiva quantificazione (che presuppone una riserva tempestiva, ma incompleta), bens� di omessa riserva. J)'altra parte, i giudici del merito hanno giustamente osservato che la pretesa era infondata, essendo stato il prezzo del calcestruzzo pattuito PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 981 a proctotto finito (tante lire a m.c.), e non per i quantitativi di materiale necessario a produrlo. Quarta riserva: iscritta nel registro di contabilit� il 7 apri.le 1964 e concernente la richiesta di un aumento del prezzo unitario per il calcestruzzo delle tubazioni prefabbricate. La Corte del merito ha ritenuto che tutte le partite previste e compensate in relazione alle voci n. 24 e 25 dell'elenco prezzi risultavano iscritte nel registro di contabilit� in tempo assai anteriore alla data della riserva, per cui era manifesta la decadenza ex art. 56 del regolamento n. 350 del 1895. La tesi addotta dal ricorrente, secondo cui nessun pregiudizio avrebbe potuto derivare al committente dalla tardivit�, in quanto i lavori erano sempre controllabili, � priva di consistenza giuridica. Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il sistema della normativa vigente in tema di contabilit� dei lavori di esecuzione delle opere pubbliche prescrive un procedimento formale e vincolato (svolgentesi in una serie di registrazioni e certificazioni, alla cui formazione l'appaltatore � chiamato di volta in volta a partecipare con l'onere specifico di contestare immediatamente le circostanze che riguardano le sue prestazioni e che siano suscettibili di produrre un incremento delle spese previste) per un triplice scopo: a) consentire all'amministrazione appaltante la verificazione di quei fatti con l'immediatezza che ne rende pi� sicuro e meno dispendioso l'accertamento; b) assicurare la continua evidenza delle spese dell'opera, in relazione alla corretta utilizzazione ed eventuale integrazione dei mezzi finanziari all'uopo predisposti; e) mettere l'amministrazione tempestivamente in grado di adottare altre possibili determinazioni, fino alla potest� di risoluzione unilaterale del contratto (cfr. sent. 12 marzo 1973, n. 677). Quinta riserva: fu iscritta il 7 aprile 1964 e riguarda la richiesta di compenso di L. 3.545.000, in ragione di L. 200 per m.c. di materiale scavato e portato in rilevato in pi� rispetto al previsto. Secondo la sentenza impugnata l'impresa avrebbe dovuto formulare la riserva all'atto o subito dopo il tracciamento e il rilevamento delle sezioni contabili della variante, mentre le precedenti sottoscrizioni del 1963 e del 18 febbraio 1964 avvennero senza alcuna riserva e l'impresa attese per formularla il tempo in cui i lavori volgevano ormai alla fine. D'altra parte, escavazioni e rilevati non costituiscono un �fatto unico� bens� atti constatabili di volta in volta in rapporto ai vari stati di avanzamento e, quindi, possibile oggetto di rilievi nelle singole circostanze della presentazione delle relative sezioni di contabilit�. Infine, la tempestiva riserva adempie allo scopo sia della continua evidenza delle spese dell'opera pubblica, sia della corretta utilizzazione ed eventuale integrazione dei mezzi finanziari all'uopo stanziati. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 982 Sostiene, invece, il ricorrente, che poich� quei determinati quantita� tivi di scavi e rilevati erano fatti storicamente e materialmente accerta bili, quando le riserve si riferiscono a fatti che possono essere accertati in ogni tempo, le stesse non sono soggette a scadenza e possono essere proposte fino alla redazione del conto finale. Detta tesi non ha consistenza perch� � in contrasto con i princ�pi richiamati in sede di esame della quarta riserva. Sesta riserva: fu iscritta per la prima volta nel registro di contabilit� il 7 aprile 1964 ed ha per oggetto la richiesta di un maggior compenso di L. 5.000.000 per i maggiori oneri connessi ad una variante di tracciato di un tronco del canale. Secondo la sentenza impugnata essa avrebbe dovuto essere formulata ed esplicitata nei verbali di consegna dei relativi lavori ed anche precedentemente nel registro di contabilit�; ed invero, la situazione nuova con i relativi oneri si prospettava nella sua interezza e nella sua immediata rilevanza ad una persona di media diligenza, sicch� I'an debeatur era evidente, salva la determinazione del quantum al momento della migliore e dettagliata esplicazione all'atto della contabilit� parziale o, al limite, al momento della consegna dei lavori relativi alla variante. La tesi del ricorrente, che nella :specie si trattava di fatti aventi carattere continuativo accertabili solo alla fine dei lavori, per cui da tale fine decorreva il termine di cui agli artt. 53 e 54 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, non pu� essere condivisa perch� si pone in contrasto con i princ�pi, sopra richiaJTiati, vigenti in tema di fatti continuativi. La riserva n. 8 � stata espressamente abbandonata dall'impresa al pari della riserva n. 7. Con il secondo motivo, denunziando violazione degli artt. 360 n. 3 cod. proc. civ, e mancata applicazione degli artt. 1227, comma secondo; 1362, 1367, 1369 e 1375 cod. civ., il ricorrente deduce che ha errato la Corte del merito nell'escludere il concorso di colpa del committente relativamente al rifacimento di un tratto di sponde del canale, crollato a seguito dell'immissione delle acque (riserva n. 9), non avendo considerato che il Consorzio non avrebbe dovuto immettere, nel canale ultimato, l'acqua per l'irrigazione, senza prima essersi accertato della concreta resistenza dell'opera alla spinta idraulica, tanto pi� che esso aveva gi� notato �inconvenienti� e suggerito �rinforzi basali e perfezionamenti�, La censura � infondata. La Corte del merito, al riguardo, ha accolto l'appello incidentale del Consorzio, osservando in primo luogo che incombeva all'appaltatore la responsabilit� per vizi e difetti dell'opera e aggiungeva che l'imperfetta costruzione non era stata causata da erronee istruzioni del Direttore dei lavori, ma dalla mancata osservanza, da parte dell'impresa, delle cautele e suggerimenti che la Direzione aveva dato (esecuzione di opere di rinterro e rincalzo alla base esterna della sponda). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI In linea di diritto, la sentenza impugnata non merita censura poich� � fuor di dubbio che obbligo fondamentale dell'appaltatore � di eseguire l'opera a perfetta regola d'arte e tale obbligo, che � insito nella natura della sua prestazione, � esplicitamente confermato nell'art. 1662, comma secondo, cod. civ. e, per quanto riguarda gli appalti pubblici, � decisamente ribadito ed accentuato (cfr. gli artt. 13 e 91 del regolamento 24 maggio 1895, n. 350 e l'art. 23 del Capitolato generale 16 luglio 1962, n. 1063). La .Corte del merito ha poi rilevato che non era configurabile il concorso di colpa del committente nell'imperfetta esecuzione dell'opera da parte dell'appaltatore; in quanto il crollo non s� era verificato per erroneit� di istruzioni o per carenza di preparazione e informazione tecnica dell'appaltante o del suo Direttore dei lavori, bens� per mancata osservanza da iparte dell'impresa di quei suggerimenti che, se attuati, avrebbero reso ben salda e resistente la sponda in questione, tanto pi� che il Consorzio era sicuro de!Jla avvenuta osservanza de1le istruzioni impartite all'appaltatore, al quale, comunque, incombeva l'onere di provare failtrui colpa per esonerarsi dailla garanzia e dalle connesse responsabilit�. Orbene, tale giudizio, attinente al merito della controversia, e involgente apprezzamenti di fatto, non � sindacabile in questa sede sotto il profilo dell'art. 360 n. 5, cod. proc. civ., non avendo il ricorrente dedotto alcuna censura al riguardo. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 maggio 1980, n. 3290 -Pres. Rossi Est. Caleca -P. M. Berri (conf.). -Ministeri dell'agricoltura e foreste e dei lavori pubblici (avv. Stato D'Amato) c. Leonardi (avv. G. Jannotta) e Consorzio di bonifica della piana di S. Eufemia (avv. Magnavita). Competenza e giurisdizione -Giurisdizione -Difetto -Rilevabillt� � Preclu� sione -Giudicato sulla giurisdizione -Formazione -Fattispecie. (cod. proc. civ., artt. 57 e 41). Competenza e gurisdizione -Difetto assoluto di giurisdizione � Nozione. (cod. proc. civ., artt. 28, 44 e 45). Competenza e giurisdizione -Competenza � Per materia -Sentenza che la nega -Giudicato sulla competenza del giudice � ad quem � -Possibilit� di formazione -Esclusione. (cod. proc. civ., artt. 28, 44 e 45). Acque pubbliche ed elettricit� -Competenza e giurisdizione -Tribunali ordinari e tribunali delle acque -Danni da difettosa manutenzione di opera idraulica � Competenza dei tribunali delle acque. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, Jett. e). La deducibilit� e rilevabilit� di ufficio del difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo trovano un limite soltanto nel giudi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 984 cato sulla giurisdizione. Questo, oltre che per effetto della pronunzia delle sezioni unite che regola la giurisdizione, pu� formarsi per effetto .del passaggio in giudicato di una sentenza che abbia esplicitamente dichiarato la sussistenza della giurisdizione o che l'abbia implicitamente presupposta rendendo una statuizione sul merito. Dichiarata la giurisdizione del 15iudice ordinario, ma l'incompetenza per materia del giudice adito, la riproposizione dell'eccezione di difetto di giurisdizione davanti al giudice della riassunzione impedisce la formazione del giudicato sulla giurisdizione (1). L'improponibilit� assoluta della domanda per difetto di potere giurisdizionale di qualsiasi giudice ricorre solo nel caso in cui la situazione dedotta in giudizio, quale risulta dalla stessa formulazione della domanda, non sia riconducibile ad alcuna disciplina normativa; non invece quando si tratti di risolvere questioni che attengono all'interpretazione di norme giuridiche o, comunque, all'applicabilit� delle norme o princ�pi di diritto posti a tutela della situazione soggettiva fatta valere (2). In tema di competenza per materia, il giudicato pu� formarsi solo se si tratti di pronuncia con la quale il giudice adito abbia affermato la propria competenza; se si tratta, invece, di pronunzia negativa, questa non preclude che nel giudizio che prosegua a seguito di riassunzione l'affermazione della competenza del secondo giudice possa costituire oggetto di eccezione o di motivo di impugnazione, com'� dimostrato dal potere del giudice dichiarato competente di richiedere d'ufficio il regolam�nto della competenza (3). Rientra nella competenza dei tribunali delle acque conoscere di una causa di risarcimento di danni, se questi si pretendono derivati da omissione di manutenzione e di vigilanza degli argini di un fiume e delle rela (1) Sulla prima parte della massima, che ricalca una giurisprudenza consolidata, cfr., Cass., 14 febbraio 1980, n. 1054, in Giust. civ. mass., 1980, 450 (in tema di giudicato implicito); Cass., 15 febbraio 1979, n. 978, in Giust. civ., I, 1000 (in tema di decisione espressa sulla giurisdizione ed onere di ricorso incidentale dielilia ;parte vittoriosa neL merito, ma soccombente su11a questione pregiudiziale). Di Uill certo interesse appare la questione dsolta con l:a seconda parte della massima, ma i problemi cui d� luogo una sentenza che afferma la giurisdizione e nega la competenza meriterebbero maggiore approfondimento, dovendo considerarsi anche il modo in cui coordinare la difesa del soccombente sulla giurisdizione (non con l'improbabile appello su giurisdizione e competenza ad opera della parte vincitrice sulla prima questione e soccombente sulla seconda, ma) con il regolamento di competenza dell'altra parte. (2) Nello stesso senso, cfr. Cass., 22 febbraio 1978, n. 863, in questa Rassegna, 1978, I, 542. Per recenti casi risolti con applicazione del principio del difetto assoluto di giurisdizione cfr. Cass., 3 gennaio 1978, n. 53, in Foro it., 1978, I, 612 con osserv. di P1zz0Russo, e Cass., 8 maggio .1978, n. 2207, in Foro it., 1978, I, '1090 con osserv. di C. M. BARONE. (3) Cass., 8 maggio 1978, n. 2233, in Giust. civ. Mass., 19718, 909. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 985 tive golene, che ne abbiano comportato l'erosione ed il cedimento. La controversia viene infatti a riguardare accertamenti che involgono questioni attinenti al regime delle acque ed agli oneri gravanti sugli enti preposti alla esecuzione e manutenzione delle relative spese (4). (omissis) I ricorsi proposti separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riuniti (art. 335 cod. proc. civ.). Con il primo motivo di ricorso i due Ministeri deducono l'improponibilit� assoluta della domanda e, quindi, il difetto assoluto di giurisdizione, ci�, in relazione agli artt. 2, 96 del t.u. 25 luglio 1904 n. 523, 91 del t.u. 13 febbraio 1933 n. 215, 360 n. 1 cod. proc. civ. I ricorrenti, premesso che la domanda del Leonardi � stata prospettata e decisa, nei due gradi del giudizio di merito, come domanda di risarcimento per difetto di manutenzione e di vigilanza degli argini del fiume Amato, sostengono che nel caso specifico il petitum sostanziale, determinante ai fini della giurisdizione, avrebbe dovuto essere individuato diversamente. Tanto perch�: 1) il Consorzio di Bonifica della Piana di S. Eufemia, succeduto alla Soc. Bonifiche Calabresi (concessionaria per i lavori di costruzione, nel lato interno del fiume Amato, di argini rivestiti di blocchetti di calcestruzzo), allorch� si present� la necessit� di sistemare tali argini aveva ricevuto, per l'opera, un finanziamento pi� modesto di quello occorrente; che quando i relativi lavori erano appena iniziati si era verificata l'esondazione lamentata dall'attore; � 2) che, pertanto, in tale situazione non poteva parlarsi di risarcimento per colpa acquiliana, non avendo il privato alcun diritto alla costruzione o alla ricostruzione di un'opera di bonifica evidentemente diretta a soddisfare finalit� pubbliche, e non potendo pretendere che la pubblica amministrazione provvedesse ad arginare� un corso d'acqua per fargli conseguire un vantaggio individuale; 3) che nessun risarcimento era quindi dovuto, al Leonardi, per il mancato o insufficiente beneficio derivato dalle opere di manutenzione non avendo le amministrazioni violato un loro dovere di mantenere in perpetuo efficienti gli argini del fiume Amato, ma essendosi le medesime solo avvalse del potere discrezionale di non intensificare i loro interventi nella zona in questione. Relativamente al suddetto motivo va, preliminarmente; esaminato quanto il Leonardo ha, al riguardo, eccepit�: cio� che, ogni censura in (4) Cass., 27 ottobre 1977, n. 4616, in Giust. civ. Mass., 1977, 1842; Trib. Sup. Acque, 10 ottobre 1977, n. 27 in questa Rassegna, 1977, 920, cui adde, Cass., 10 giugno 1977, n. 2409, in Giust. civ. Mass., 1977, 997 e Cass., 9 aprile 1975, n. 1285, in Giust. civ. Mass., 1975, 579. 8 llllll&lllW&:-llllllflllllltll1lllllllllllallll�llllflll�IJ RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ordine all'asserito difetto assoluto di giurisdizione sarebbe preclusa dal giudicato che sulla specifica questione si sarebbe formato per non essere stata impugnata la pronuncia che sulla stessa questione, e tra le medesime parti, era stata precedentemente emessa dal Tribunale regionale delle acque pubbliche. L'eccezione va disattesa. Come � noto, il difetto di giurisdizione pu� essere rilevato, anche di ufficio, in qualunque stato e grado del processo, dato che la determinazione della giurisdizione � sottratta alla disponibilit� delle parti (art. 37 cod. proc. civ.). Tale rilevabilit� di ufficio incontra un limite soltanto nel giudicato sulla giurisdizione che pu� formarsi per effetto; o della pronuncia adottata dalle Sezioni unite della Corte Suprema di cassazione, quale organo avente, tra le altre, la funzione precipua di regolare la giurisdizione (art. 41 cod. proc. civ.); o dal passaggio in giudicato di una statuizione di merito che presupponga il riconoscimento, anche se per implicito, della competenza giurisdizionale del giudice che l'ha pronunciata; ovvero, nel caso in cui una precedente sentenza abbia esplicitamente dichiarato la sussistenza della giurisdizione e tale pronuncia non sia stata impugnata. Ora, nel caso concreto, nessuna di tali ipotesi si � verificata stante che, se � vero che il Tribunale regionale delle acque, primariamente adito, ha esplicitamente affermato la sussistenza della giurisdizione e, al contempo, la competenza per materia del giudice ordinario non specializzato, tuttavia nell'ulteriore corso della controversia, precisamente quando la causa, entro il termine all'uopo fissato dal Tribunale regionale, venne riassunta innanzi al Tribunale di Catanzaro, i due Ministeri riproposero l'eccezione del difetto assoluto di giurisdizione, dimostrdando, in tal modo, il loro dissenso dalla precedente decisione: un dissenso sostanzialmente equivalente a quello che avrebbero espresso se 'anzich� adire, nel termine ai11'uopo fissato, il Tribunale di Catanzaro quale giudice di primo grado il Leonardi avesse adito, in grado di appello, il Tribunale superiore delle acque. Privo di consistenza � anche l'esposto motivo di ricorso. Infatti, l'improponibilit� assoluta della domanda per difetto di potere giurisdizionale di qualsiasi giudice ricorre solo nel caso in cui la situazio ne dedotta in giudizio non sia riconducibile ad alcuna disciplina norma tiva; s� che l'assenza di una norma o di un principio di diritto che tutelino la posizione soggettiva invocata risulti incontestabilmente dalla stessa formulazione dell'oggetto della domanda astrattamente considerato, e non, invece, quando si tratti di risolvere questioni che attengono all'interpre tazione di norme giuridiche o, comunque, all'applicabilit� delle norme o dei princ�pi di diritto posti a tutela della posizione soggettiva anzidetta. Nel caso in esame il Leonardi, affermando che dalla omissione di manutenzione e di vigilanza degli argini del fiume Amato erano derivati danni alle colture di un fondo di sua propriet�, e nel domandare la condanna PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI del Consorzio di bonifica e dei due Ministeri al risarcimento dei danni, ha proprio chiesto l'applicazione di uno specid�co principio giuridico: del principio -cio� -che alla pubblica amministJI1azione incombe l'obbligo di osservare, nella costruzione e nella manutenzione delle opere pubbliche, a tutela dell'integrit� del patrimonio dei privati, le specifiche disposizioni di leggi e di regolamenti disciplinanti la particolare materia, nonch� le comuni norme di diligenza e di prudenza (cfr. Sez. Un., sentenze n. 2690 del 1976, n. 2903 del 1973, n. 291 del 1971). Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando la violazione degli artt. 140 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, 45 e 360 n. 2 cod. proc. civ., si dolgono che per la cognizione della controversia sia stata ritenuta la competenza per materia del Tribunale ordinario non specializzato anzich� del Trbiunale regionale delle acque pubbliche in primo grado e del Tribunale superiore delle acque pubbliche in secondo grado. Rilevano, in proposito: che appartengono alla competenza dei tribunali ordinari specializzati la controversia per risarcimento di danni dipendenti � da qualunque opera di costruzione o di manutenzione che sia connessa al regime delle acque pubbliche, e ci� anche quando venga dedotta la colpa della pubblica amministrazione; che soltanto quando venga invocata la responsabilit� della detta Amministrazione per azioni od omissioni che abbiano con l'opera una connessione indiretta o occasionale si rientra nella competenza del giudice ordinario non specializzato; e, nel caso di specie, la domanda del Leonardi costituiva, appunto, oggetto specifico del potere decisorio del Tribunale delle Acque, dato che essa non involgeva un giudizio su una generica violazione dell'obbligo di manutenzione di un'opera pubblica, solo occasionalmente riferibile al regime delle acque, bens� un giudizio volto a stabilire se i provvedimenti, positivi o negativi, adottati dalla pubblica amministrazione, su opere aventi stretta relazione con il regime delle acque pubbliche avessero dato causa ad un danno risarcibile. Anche in relazione al suddetto motivo il Leonardi ha eccepito la preclusione a svolgere censure attienti alla declaratoria di competenza per materia, perch� sulla specifica questione si sarebbe fermato il giudicato, per la mancata impugnazione della pronuncia al riguardo precedentemente emessa dal Tribunale regionale delle acque, dichiaratosi incompetente. In contrario � sufficiente rilevare che in tema di competenza per materia, e per territorio nei casi di cui all'art. 28 cod. proc. civ., il giudicato si pu� formare solo se si tratti di pronuncia con la quale il giudice adito abbia affermato la propria competenza; mentre, se si tratta -come nella specie -di pronuncia negativa il giudicato non si forma potendo, infatti, il giudice dichiarato competente ritenersi, a sua volta, incompetente e richiedere, d'ufficio, il relativo regolamento a norma dell'art. 45 cod. proc. civ. 988 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La censura di cui al motivo del ricorso va accolta. Occorre premettere che, in base a quanto stabilito dall'art. 140, primo comma, lett. a del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (che ha approvato il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e gli impianti elettrici), appartengono, in primo grado, alla cognizione idei Tribunali delle acque plilbbliche le controversie per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione e da qualunque provvedimento emesso dall'atorit� amministrativa ai sensi dell'art. 2 del testo unico delle leggi 25 luglio 1904, n. 503, modificato con l'art. 22 della legge 13 luglio 1911, n. 7748. Ne deriva che -com'� stato pi� volte affermato da questa Corte Suprema, sia a sezioni unite (cfr. sentenza n. 1285 del 1975 e 1313 del 1967) che a sezioni semplici (sentenze n. 2409 del 1977, n. 3424 e 1086 del 1968) -ai fini della discriminazione della competenza dell'autorit� giudiziaria in sede ordinaria e quella dei Tribunali regionali delle acque pubbliche, che sono anch'essi giudici ordinari bench� specializzati a cagione della loro particolare composizione, occorre avere sempre riguardo all'oggetto della controversia; nel senso che, rientra nella competenza di questi ultimi organi di giustizia la cognizione di tutte le controversie che incidono, direttamente o indirettamente, sugli interessi pubblici connessi al regime delle acque e sulla legittimit� del comportamento tenuto al riguardo dalla pubblica amministrazione, ovvero sul contenuto o sui limiti di provvedimenti amministrativi concernenti tale regime. Inoltre, la detta competenza sussista in tutti i casi nei quali la controversia abbia per oggetto il pagamento di indennit� o il risarcimento di danni dipendenti direttamente dall'esecuzione o dalla manutenzione di opere idrauliche, ovvero di bonifica, derivazioni, utilizzazione di acque pubbliche. Quando, invece, quale causa del danno sia fatta valere solo una omissione di diligenza o sia dedotto un fatto ille� cito di colui che ha eseguito l'opera o sul quale gravava l'onere della relativa manutenzione, senza che venga messa in discussione alcuna questione inerente, direttamente o indirettamente, al regime delle acque, allora la cognizione della controversia spetta al giudice ordinario non specializzato. Pertanto, esulando dalla giurisdizione dei tribunali regionali delle acque pubbliche soltanto i fatti colposi in cui non vengano in discus sione provvedimenti ed opere inerenti al regime delle acque, � indubbio che la cognizione della presente causa spetta al giudice ordinario spe cializzato. Decisiva �, al riguardo, la considerazione che nel caso specifico deve pur accertarsi la esistenza del rapporto causale con la denunciata omissione di manutenzione e di vigilanza sia degli argini del fiume Amato sia delle relative golene (cio� degli spazi compresi fra i detti argini e l'alveo del fiume); e, all'uopo, deve pur stabilirsi se l'avere ivi PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 989 consentito l'accesso di bestiame e il prodursi di una folta vegetazione di arbusti estendendosi fino all'alveo del fiume, abbia, in realt�, deviato il normale corso delle acque, tanto da farle defluire, nei periodi di piena fino agli argini, con conseguente erosione e cedimento degli argini stessi. � evidente invero che tali accertamenti involgono proprio questioni attinenti al regime delle acque e agli oneri gravanti sugli enti proposti all'esecuzione e alla manutenzione delle relative opere. In accoglimento, quindi, del secondo motivo del ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata, con il rinvio della causa al Tribunale regionale delle acque pubbliche di Napoli. Questa decisione determina l'assorbimento del terzo e del quarto motivo, perch� rispettivamente attinenti alla legittimazione passiva dei singoli convenuti, e alla esistenza del rapporto causale tra i fatti dedotti e i danni lamentati: a questioni, cio�, riguardanti il merito della causa, il cui esame spetta al giudice competente. Rimane anche assorbito il ricorso incidentale, per averlo il Leonardi proposto in via condizionata. Si ravvisano giusti motivi per la compensazione, tra tutte le parti, delle spese di questo giudizio di cassazione, mentre si reputa opportuno demandare al giudice di rinvio la statuizione sulle spese dei due gradi del giudizio svoltosi, irspettivamente, innanzi al Tribunale e alla Corte d'appello di Catanzaro. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 giugno 1980, n. 3978 -Pres. La Farina -Est. Borruso -P. M. Grossi (conf.) -Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Del Greco) c. Fallimento della societ� italiana Appalti S.I.A. (avv. Piaggio). Appalto � Appalto di '?Rere pubbliche -Arbitrato � Declinatoria di competenza da parte dell amministrazione convenuta � Prosecuzione del giudizio � Termine di decadenza � Insussistenza. (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47, commi primo e secondo). L'art. 41 del capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, non impone di osservare alcun termine di decadenza per proseguire il giudizio davanti al giudice competente dopo che, notificata tempestivamente dall'appaltatore l'istanza per l'arbitrato, la competenza arbitrale sia stata esclusa dall'amministrazione convenuta (1). (1) Con la sentenza in rassegna la Corte conferma il mutamento intervenuto, rispetto al precedente indirizzo giurisprudenziale, con la decisione .13 giugno 1979, n 3331, in Giust. civ., 1979, I, 1603, con nota contraria di FINOCCHIARO M., Esclusione della competenza arbitrale nelle controversie di appalti per opere pubbliche e proposizione dell'azione giudiziaria e in Giur. it., 1980, I, 1, 899 con nota adesiva di LAVAGGI, Declinatoria di arbitrato e giudizio ordinario in tema di opere pubbliche. Per il meno recente indirizzo, cfr. Cass., 26 aprile 1977, n. 1569, in Foro it., 1977, I, 2082. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 990 (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione dei Lavori Pubblici deduce da parte della Corte d'appello di Napoli la violazione dell'art. ~7 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, in quanto: a) non avrebbe considerato che il richiamo contenuto nel secondo comma di tale articolo al primo comma dell'articolo medesimo, lungi dall'avere un carattere pleonastico, ha la finalit� di prevedere, anche per la domanda giudiziale conseguente alla declaratoria della competenza arbitrale ad opera della controparte, un termine di proposizione; b) avrebbe comunque errato nel ritenere che, se il legislatore avesse voluto porre un termine al riguardo, avrebbe dovuto fare riferimento alle disposizioni del cod. proc. civ. concernenti la riassunzione e la prosecuzione del processo. Nella specie, infatti, a seguito della declaratoria si ha uno spostamento di competenza dal giudice arbitrale a quello ordinario: pertanto, se un richiamo analogico la Corte d'Appello voleva proprio fare, doveva piuttosto riferirsi all'art. 50 cod. proc. civ.; e) se per la diretta instaurazione del rapporto contenzioso in via ordinaria, il capitolato generale fissa il termine di decadenza di sessanta giorni, non esisterebbe motivo perch� lo stesso termine non fosse osservato quando la lite ordinaria costituisse prosecuzione di quella arbitrale. Solo quando le parti menifestano la preferenza per la lite arbitrale la legge ammetterebbe invero che nel quadro di una privata regolamentazione dei rapporti, sia rimesso alle parti dopo la tempestiva proposizione della istanza di arbitrato la valutazione circa il tempo in cui attivare la lite; d) n� sarebbe di ostacolo alla tesi della ricorrente il fatto che la legge non preciserebbe espressamente il dies a quo per la decorrenza dei 60 giorni entro i quali proseguire la lite dopo la declaratoria della competenza arbitrale da parte dell'Amministrazione. E ci� perch� il termine di decadenza, normalmente, decorre non da una data determinata, bens� da un determinato avvenimento cio� da una situazione che con il suo verificarsi segua l'inizio del periodo temporale previsto. Tutte e quattro le sovraesposte censure in cui si articola l'unico motivo di ricorso proposto sono infondate per le ragioni analiticamente esposte nella sentenza di questa Corte n. 3331 del 1979, con cui la medesima ha gi� mutato orientamento al riguardo (vedi, in senso contrario Cass., sent. n. 1569 del 1977 e 376 del 1972), ragioni che ora non possono che essere confermate non rinvenendosi in alcuna delle suddette quattro censure argomenti sufficienti a scalfirne la validit�. Si osserva, infatti: Sub a). Se fosse vero -come il ricorrente sostiene -che lo scopo (anzi lo scopo unico) del legislatore nel richiamare il primo comma dell'art. 47 nell'ultima parte del secondo comma del medesimo articolo, sia consistito PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI nell'imporre al contraente un termine per far valere le proprie ragioni avanti all'A.G.O. dopo aver inutilmente proposto alla controparte un arbi� trato ~e pi� in particolare ilo stesso termine previsto nel citato primo comma) sarebbe ragionevole dedurre che in tal caso il legislatore stesso meglio avrebbe fatto a chiarire la propria intenzione formulando il richiamo suddetto non con .l'ambigua espressione �deve proporre domanda al giudice competente a norma del comma precedente � bens� con l'altra ben pi� rispondente all'obiettivo che si afferma voler essere stato perseguito � deve proporre domanda entro il termine di cui al comma precedente �. II primo comma dell'art. 47 non si limita, infatti, a stabilire solo un termine di decadenza ma anche a specificare il giudice ordinario competente a conoscere della controversia quando lo si voglia adire direttamente escludendo la competenza arbitrale. Non pu� pertanto affatto escludersi che il richiamo sia stato fatto soltanto al giudice competente e non anche al rispetto del termine, tanto pi� mancando la virgola tra le parole � giudice competente � e � a norma del comma precedente �, da un punto di vista meramente letterale si dovrebbe propendere a ritenere che il rinvio al comma precedente abbia come unico oggetto i criteri per la determinazione della competenza del giudice ordinario. N�, in contrario, giova osservare che tali criteri avrebbero potuto essere determinati anche senza che una legge speciale li prevedesse specificamente consistendo essi nel pure ,e semplice rich1amo al codioe di procedura civile e alla legge sulla difesa dello Stato in giudizio. � facile invero controbiettare che se nel primo comma il legislatore non ha ritenuto superfluo enunciare tali criteri (per normali che fossero), egualmente pu� presumersi che nel secondo comma non abbia ritenuto superfluo richiamarli. Sub b). Non � decisivo rispetto alla presente controversia e non � quindi il caso qui di approfondire il rapporto tra l'istanza di arbitrato, declinata dalla controparte e la successiva proposizione del giudizio avanti all'A.G.O.; se cio� costituiscano due giudizi separati o un unico giudizio con possibilit� di applicare l'art. SO cod. proc. civ. in base al quale, ove fosse stata dichiarata dal giudice arbitrale la propria incompetenza il processo dovrebbe continuare davanti al giudice ordinario entro il termine fissato nella sentenza e, in mancanza, in quello di sei mesi dalla comunicazione della medesima. L'applicabilit� nella specie dell'art. SO cod. proc. civ., infatti, � comunque da escludersi non essendovi stata mai da parte degli arbitri (del resto neppure investiti della controversia) alcuna decisione. Sub. e). In linea logico sistematica non � da escludersi affatto che i termini di decadenza imposti nel primo comma rispettivamente degli artt. 46 e 47 denotino l'intenzione legislativa di accelerare pi� che il corso del 'processo, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'esatta precisazione e delle contestazioni in ordine alle quali si vuole proporre il giudizio, in modo che la p.a. appaltante abbia un quadro esatto e definitivo di tutte le vertenze pendenti con l'appaltatore dopo l'approvazione del collaudo e possa prendere in conseguenza le pi� oppor� tune determinazioni. Questo �, infatti, il primo utilissimo effetto che nel pubblico interesse si ottiene imponendo, in alternativa, subordinatamente al rispetto di un medesimo termine di decadenza, o la sollecita citazione avanti al giudice ordinario e la sollecita istanza per l'arbitrato. Dispone, infatti, l'art. 48 del medesimo capitolato che quest'ultimo deve contenere �con precisione tutte le domande e le questioni su cui si chiede il giudizio degli arbitri �. Se lo scopo del legislatore fosse stato, invece, anche quello di accelerare tutto il corso del giudizio sino all'esito finale, certamente si sarebbero dovute a tal fine, dare ben altre disposizioni, oltre a quelle contenute negli artt. 46 e 47 del capitolato. Non � affatto vero, pertanto, che essendo stato posto un termine di decadenza per la proposizione immediata del giudizio avanti all'A.G.O., per la stessa ragione debba necessariamente intendersi sottinteso un termine identico per il giudizio che avanti all'A.G.O. si voglia proporre dopo la tempestiva presentazione dell'istanza di arbitrato che, quantunque declinata dalla p.a. l'ha posta in condizione di conoscere le esatte pretese dell'appaltatore; Sub d). Premesso che -come � ovvio -un termine decorre da una data perch� quest'ultima � quella in cui si verifica un determinato avvenimento sicch� distinguere tra l'una e l'altro non appare di alcuna utilit� occorre ricordare che -come gi� diffusamente spiegato nella gi� citata sentenza di questa Corte n. 3331 del 1979 -nella specie la determinazione della data (o l'avvenimento in essa accaduto) da cui far decorrere il termine di decadenza che si vorrebbe imposto nel secondo comma dell'art. 47 manca completamente del dettato legisliativo e non � consentito all'interprete dedurne una n� per via analogica n� per via estensiva. Certamente, infatti, tale data non pu� farsi coincidere con quella stabilita dal primo comma dell'art. 46 cui fa rinvio il primo comma dell'art. 47, a sua volta richiamato dal secondo comma del medesimo art. 47. Essa, infatti, si riferisce alla notifica del provvedimento con cui la stazione appaltante ha risolto la controversia in sede amministrativa ma soltanto per far decorrere il termine di 60 giorni utile per la proposizione dell'istanza di arbitrato cio� di un atto che ovviamente precede sia il rigetto di tale istanza sia la successiva proposizione ~ell'azione avanti all'A.G.O. da parte di chi abbia gi� tempestivamente proposto l'istanza di arbitrato. A questo punto � sufficiente ipotizzare che costui abbia presentato legittimamente tale istanza nel 60� giorno dalla notifica del PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI provvedimento con cui la stazione appaltante respinse le sue pretese per dimostrare l'assoluta impossibilit� logica-giuridica di utilizzare tale dies a quo anche per il compimento di atti necessariamente successivi al totale decorso del termine di decadenza. Se cos� �, non rimane allora che concludere che, qualora tale istanza sia stata tempestivamente proposta e rifiutata entro trenta giorni, il nuovo termine di decadenza a carico dell'attore per adire il giudice ordinario -anche ammettendo che il legislatore abbia implicitamente inteso stabilirne un secondo dopo quello previsto per l'istanza di arbitrato -non pu� pi� decorrere dalla notifica del provvedimento di reiezione delle riserve, ma da una data completamente diversa da quest'ultima, che � l'unica prevista dalla legge agli effetti della decadenza. E tale data non potrebbe essere individuata, nel silenzio della legge, altro che mediante un procedimento puramente analogico per effetto del quale si perverrebbe a fama coinddere con que1la in cui � stata notificata aH'attore J:a determinazione della controparte di declinare la competenza arbitrale, cio� da una data che la legge in alcun passo prende, mai in considerazione agli effetti della disciplina della decadenza. Per essere pi� chiari, l'individuazione della nuova data sarebbe non gi� il frutto di una interpretazione particolare del testo di legge risultante dal collegamento dei richiami di un articolo all'altro (cio� del duplice rinvio, pima del secondo comma dell'art. 47 al primo comma dell'articolo medesimo e, quindi, di quest'ultimo al primo comma dell'art. 46, per effetto del quale il predetto secondo comma dovrebbe essere letto dall'interprete nel modo seguente: �La parte convenuta nel giudizio arbitrale ai sensi dell'articolo precedente, ha facolt�, a sua volta, di esoludere la competenza arbitrale. A questo fine, entro trenta giorni dalla notifica di arbitrato, deve notificare la sua determinazione all'altra parte, la quale, ove intenda proseguire il giudizio, deve proporre domanda al giudice competente nel termine di 60 giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento dell'Amministrazione che ha risolto la controversia in sede amministrativa �) ma, -constatato che il testo cos� ricostruito sarebbe inaccettabile per quanto concerne l'individuazione del dies a quo del termine di decadenza -sarebbe il frutto di una vera e propria modifica apportata dall'interprete al predetto testo (che, nella parte finale, dovrebbe intendersi sostituito dalla seguente espressione di sua esclusiva creazione: �nel termine di 60 giorni dalla notifica dell'atto con cui la controparte abbia declinato la competenza arbitrale�) sul presupposto che, se il legislatore avesse prevista l'impossibilit� di far decorrere, anche in questo caso, il termine di decadenza dal giorno di notifica del provvedimento di reiezione delle riserve, certamente, in base all'eadem ratio, l'avrebbe fatto decorrere dal giorno della notifica dell'atto di rifiuto dell'istanza di arbitrato. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Orbene, una siffatta vera e propria modifica del testo della norma cui il secondo comma dell'art. 47 fa rinvio non pare assolutamente consentita all'interprete, ostandovi l'art. 14 delle preleggi ove � sancito che: � le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esso considerati �. Il carattere eccezionale dell'istituto della decadenza non sembra poter essere posto in dubbio: norma generale, infatti, � che �ogni diritto si estingua per prescrizione quando il titolare non lo eserciti per il tempo determinato dalla legge� (come espressamente recita l'art. 2934 cod. civ.�}, mentre la decadenza opera soltanto quando sia specificamente comminata per un determinato diritto (art. 2964 cod. civ.). A prescindere dalle sottili disposizioni fatte in dottrina per cogliere tutti gli elementi differenziali tra la prescrizione e la decadenza, qui baster� rilevare che il carattere eccezionale del secondo istituto in contrapposizione con quello normale del primo si ricava non soltanto dalla ben diversa formulazione dei due articoli del codice civile om richiamati, ma, soprattutto, dalla considerazione � di contenuto � che mentre il termine della prescrizione � di norma cosi ampio, -sia pure con differenze notevoli dovute alla particolarit� di taluni rapporti, -da far ritenere che fa sua delimitazione altro scopo non abbia al di fuori di quello di stabilire quale sia il periodo di tempo sufficiente a far presumere con certezza la rinuncia ailJ'esercizio del diritto medesimo, il termine di decadenza, ail contrario, � cos� breve da trovare la sua giust~ficazione in speciali esigenze di rapidit� per la definizione di determinate situazioni giuridiche che, per ragioni di carattere generale preminenti rispetto alla tutela di taluni diritti e interessi soggettivi, devono talvolta prevalere su questi ultimi, costringendo, quindi, i loro titolari ad agire in un arco di tempo straordinariamente breve comminando, come sanzione per il mancato rispetto del termine imposto, la perdita del diritto medesimo. Non v'� dubbio, quindi, che il divieto di applicazione analogica di cui all'art. 14 delle preleggi si applica ad ogni comminatoria di decadenza per inutile decorso di un termine previsto per il compimento di un atto, se non pure per il carattere �lato senso� penale che ad una siffatta sanzione potrebbe anche tentare di attribuirsi (pur senza confonderla, beninteso, con la decadenza comminata a titolo di pena per ragioni del tutto diverse dalla osservanza di un termine}, certamente perch� essa costituisce eccezione al principio generale secondo cui la libert� di esercitare un diritto si estende a tutto l'arco di tempo previsto come termine di prescrizione. :E:. ben vero che, se l'art. 14 delle preleggi vieta, per le leggi penali ed eccezionali, il ricorso all'analogia, � invece pur sempre consentito quello all'interpretazione estensiva della norma perch�, in quest'ultimo caso, non si tratta di applioa11e, in virt� deill'eadem ratio, Io stesso principio, posto dal legislatore a base della disciplina di una certa situazione, PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI ad altra situazione dal medesimo non prevista, bens� soltanto di ritenere che l'intenzione legislativa non abbia trovato compiuta espressione nel dettato legislativo per un puro errore tecnico di formulazione, quando cio� -come suol dirsi -il legislatore minus dixit quam voluit (cfr. in tal senso da ultimo Cass., sent. n. 2004 del 1976). Ma per fare corretto ricorso all'interpretazione estensiva senza intaccare la seriet� del divieto posto dall'art. 14 delle preleggi in ordine all'uso dell'analogia, occorre che da tutto l'insieme del sistema normativo l'intenzione legislativa, anche se rimasta latente, emerga egualmente con il carattere dell'assoluta evidenza e certezza. E ci� pu� accadere soltanto quando tutto ci� che sia rimasto sottinteso nel testo legislativo abbia il carattere dell'autentica necessit� riconoscibile ictu oculi, nel senso che, soltanto ritenendo l'espressione sottintesa voluta e operante, si permette a tutto il sistema normativo esplicitato di raggiungere l'obiettivo per cui il sistema stesso � stato creato e tale condizionamento risulta a tal punto evidente dalla logica di tutto il sistema che ad ogni persona di buona fede sia sufficiente anche soltanto un minimo del pi� elementare buon senso per rendersene conto. Ma la modifica del dies a quo qui prospettata, che l'interprete dovrebbe apportare di sua iniziativa nella lettura del testo del primo comma dell'art. 46 per renderlo applicabile al secondo comma dell'art. 47, non presenta affatto quel grado di necessit� cos� elevato ed evidente che pu� rendere talvolta possibile, attraverso l'interpretazione estensiva, l'esplicitazione di sottintesi anche in relazione alle norme penali ed eccezionali per le quali l'art. 14 delle preleggi vieta il ricorso all'analogia come si ricava dalla confutazione del punto sub e). E, a questo proposito, � da mettere nel massimo rilievo che altro � ritenere che, qualora la predetta modifica fosse stata operata dal legislatore, la previsione di un ulterfore termine di decadenza a carico dell'attore non sarebbe parsa affatto in disarmonia con i termini di decadenza gi� posti nei primi commi rispettivamente dell'art. 46 e dell'art. 47 rispondendo, come i primi, allo scopo di velocizzare l'iter processuale, altro �, invece, ritenere che, senza quest'ultimo termine di decadenza di cui si discute, anche i primi due non avrebbero potuto conseguire lo scopo loro proprio, rendendo cos� inoperante tutto il sistema con essi creato. In altre parole, rilevare che. il legislatore, introducendo la modifica sovraprospettata, avrebbe conseguito ancor pi� compiutamente lo scopo di accelerazione del processo che indubbiamente mostra di perseguire -sia pure in misura ridotta rispetto a quella che da taluno sarebbe stata auspicabile -comminando i termini di decadenza previsti nel primo comma, rispettivamente, dell'art. 46 e dell'art. 47, � cosa ben diversa dal concludere che senza un ulteriore termine di decadenza posto a carico di chi, dopo, aver rispettato quello di cui all'art. 46, si veda costretto ad adire il giudice ordinario a norma del secondo comma RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 996 dell'art. 47, anche i primi non conseguirebbero alcun pratico effetto, tanto da essere inconcepibile che siano stati voluti i primi due e non anche il terzo. A negare un siffatto fatale concatenamento baster� considerare che: 1) come si � gi� detto a confutazione del punto sub e), in linea logico sistematica non � da escludersi affatto che i termini di decadenza imposti nel primo comma rispettivamente degli artt. 46 e 47 denotino l'intenzione legislativa di accelerare pi� che il corso del processo, J'esatta precisazione delle contestazioni in ordine alle quali si vuole proporre il giudizio, in modo che la pubblica Amministrazione appellante abbia un quadro esatto e definitivo di tutte le vertenze pendenti con l'appaltatore dopo l'approvazione del collaudo e possa prendere in conseguenza le pi� opportune determinazioni. Questo �, infatti, il primo utilissimo effetto che nel pubblico interesse si ottiene, imponendo, in alternativa, subordinatamente al rispetto di un medesimo termine di decadenza, o la sollecita citazione davanti al giudice ordinario o la sollecita istanza per l'arbitrato. Se lo scopo del legislatore fosse stato, invece, anche quello di accelerare tutto il corso del giudizio sino all'esito finale, certamente si sarebbero dovute, a tal fine, dare ben altre disposizioni oltre a quelle contenute negli artt. 46 e 47 del capitolato; 2) la pi� importante utilit� che alla pubblica amministrazione offre il rispetto dei termini di decadenza imposti nelle suddette norme non pu�, invece, essere conseguita nell'ipotesi considerata dal secondo comma dell'art. 47: come in dottrina non si � mancato di rilevare, in tale ipotesi l'amministrazione appaltante ha gi� conosciuto le pretese che l'appaltatore intende tutelare in giudizio: vi � gi� una controversia in atto definita in tutti i suoi particolari, vi � quindi -al limite -il potere della stessa amministrazione di agire in giudizio per l'accertamento negativo del proprio debito; 3) se ad avanzare l'istanza di arbitrato � l'appaltatore ed � la pubblica aa:nministl'.azione e resping,e1fa, � quest'ultima che si addossa, siia pure con un comportamento perfettamente legittimo, la responsabilit� di un primo ritardo nello svolgimento del processo: lascia perplessi il ritenere che proprio da un siffatto comportamento ritardatario della pubblica amministrazione il legislatore voglia far nascere per il privato l'onere di un nuovo termine di decadenza, con evidente -e forse non del tutto giustificata -disparit� di trattamento. In base a tali elementi -sufficienti, peraltro, a porre seriamente in dubbio persino la legittimit� di poter colmare la lacuna legislativa relativa al dies a quo in questione facendo ricorso all'analogia qualora non vi ostasse innanzitutto il divieto posto dall'art. 14 delle preleggi si pu� anche tranquillamente escludere che nella specie vi sia quell'asso PARTE. I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 997 Iuta ed evidente necessit� funzionale del sottinteso, che rende legittima la sua esplicitazione nell'applicazione della legge attraverso la sua c.d. interpretazione estensiva. Tale convincimento potrebbe trovare ulteriore conferma nella constatazione che -come si � gi� accennato -il legislatore, in tutto il capo VI del capitolato dedicato alla definizione delle controversie, si � premurato di imporre speciali termini di decadenza soltanto per l'iniziale proposizione dei giudizi ma non anche per la loro prosecuzione, mostrando di ritenere, peraltro, che il giudizio arbitrale inizi con la notifica alla controparte dell'istanza di arbitrato anche in caso di rifiuto di quest'ultimo. Nel secondo comma dell'art. 47, proprio in relazione a tale evenienza il legislatore infatti, cos� si esprime: �La parte convenuta nel giudizio arbitrale ai sensi dell'articolo precedente ha facolt�... di escludere la competenza arbitrale. A questo fine... ove intenda proseguire il giudizio, deve proporre domanda al giudice competente... �. Non � qui il caso di approfondire se -come � stato talvolta affermato (cfr. Cass., sent. n. 1569 del 1977) -le locuzioni sopra riportate siano state usate dal legislatore in senso atecnico o se, invece, si tratti di un unico giudizio, con conseguente applicabilit� dell'art. 50 cod. proc. civ. in base al quale, ove fosse stata dichiarata dal giudice arbitrale la propria incompetenza, il processo dovrebbe continuare davanti al giudice ordinario entro il termine fissato nella sentenza e, in mancanza, in quello di sei mesi dalla comunicazione della medesima. Nella fattispecie, invero, a prescindere dal fatto che il giudice ordinario � stato adito dall'appaltatore ben prima della scadenza dei sei mesi dalla declinatoria della competenza arbitrale, non vi � stata mai da parte degli arbitri (del resto neppure investiti della controversia) alcuna decisione, sicch� � esclusa la possibilit� di applicare il predetto art. 50. Neppure pu� avere alcuna pratica importanza accertare qui se il giudizio arbitrale possa considerarsi o meno iniziato con la notifica alla controparte dell'istanza per l'arbitrato di cui all'art. 46 del citato capitolato perch� anche ad ammettere la tesi positiva e a ritenere che nessuna soluzione di continuit� processuale si verifichi allorquando -declinata dalla controparte la competenza arbitrale -l'attore adisca il giudice ordinario trattandosi di due fasi di un medesimo processo -tale conclusione non sarebbe di per se stessa sufficiente ad escludere che il legislatore, con il rinvio contenuto nel secondo comma del citato art. 47, non abbia voluto imporre un particolare termine di decadenza anche all'interno di un medesimo processo gi� iniziato, per il pi� sollecito trapasso da una sua fase all'altra. Quale che sia la qualificazione del rapporto intercorrente tra istanza per l'arbitrato e successiva proposizione di un giudizio arbitrale, l'impossibilit� di ritenere, in relazione a quest'ultima, operante un termine di� decadenza di giorni sessanta decorrente dalla notifica all'attore del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 998 l'atto con cui la controparte ha declinato la competenza arbitrale trova, dunque, la sua pi� sicura ed inoppugnabile ragione nel rispetto dell'art. 14 delle preleggi, che vieta l'applicazione analogica delle norme eccezionali, e in uria rigorosa distinzione dei limiti che intercorrono tra siffatta vie tata applicazione e una possibile interpretazione estensiva delle norme stesse. Tanto rigore nell'interpretazione delle norme che sanciscono decadenze non deve apparire ingiustificato, non soltanto perch� -come questa Corte ha gi� avuto modo di avvertire (cfr. sent. n. 2126 del 1971) -esso corrisponde a quello dei loro effetti, ma perch�, pi� in particolare, il temine di decadenza, del tipo di quello che qui si vorrebbe operante, avrebbe l'effetto di incidere su un potere primario del cittadino qual � quello di adire il giudice per la tutela dei propri diritti, potere che la Costituzione, all'art. 24, definisce � inviolabile �: e tale inviolabilit�, se certamente consente al legislatore di stabilire, talvolta, per imprescindibili esigenze di carattere generale termini di decadenza anche assai brevi entro cui reclamare giustizia, gli impone, quanto meno, di stabilirli con assoluta chiarezza e, quindi, con assoluta certezza e completezza, sicch� non possa mai accadere che taluno si trovi nell'impossibilit� di difendersi a causa di un errore oggettivamente scusabile nell'interpretazione di una legge incompleta. E, a questo proposito, � appena il caso di aggiungere che stabilire un termine di decadenza e omettere ,di pvecisare o lasciare nell'ambiguit� il dies a quo della sua decorrenza equivale ad omettere o rendere ambigua tutta la disposizione relativa al predetto termine e questo perch�, come in dottrina � stato autorevolmente posto in rilievo, la stessa espressione � termine di decadenza � ha un senso concreto solamente se posta in relazione con un dies a quo, che � l'unico che consente di individuare il dies ad quem, al cui sopraggitmgere si producono gli effetti giuridici ai quali tutta la previsione del termine � preordinata. Altrimenti, la possibilit� di difendersi in giudizio verrebbe a risultare condizionata non gi� dalla semplice conoscenza della legge, ma dall'onere di una speciale interpretazione della medesima tanto penetrante da risultarne -come sarebbe quella che si pretenderebbe nella specie addirittura creativa o integrativa rispetto al testo di essa, da un onere, cio�, che, in una Costituzione democratica quale la nostra, pu� essere posta a carico di un giudice o comunque di un tecnico del diritto, non gi� di un qua1siasi cittadino, specie nel momento in cui debba decidersi se e quando rivolgersi ad un patrocinante per difendersi in giudizio. Pertanto ritenere inoperante nella specie il termine di decadenza che qui si vorrebbe applicare facendo carico all'appaltatore di ricostruire da se stesso nel silenzio della legge -soltanto in omaggio ad una volont� tacita del legislatore tutt'al pi� probabile ma neppure sicuramente esistente, e non per una ineluttabile necessit� funzionale del PARTE I, SEZ. VII, �GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI sistema dal medesimo creato -il dies a quo da cui calcolare il decorso del termine stesso significa anche evitare di affrontare la questione che altrimenti si porrebbe di dichiarare illegittima la norma in discussione (facente parte di un regolamento di organizzazione) per contrasto con precetti della Costituzione e, al tempo stesso, di applicare il principio, pi� volte affermato da questa Corte, secondo cui, quando di una norma siano astrattamente possibili due interpretazioni, di cui una difficilmente compatibile con i principi della Costituzione; debba essere preferita l'altra ad essi pi� rispondente (cfr. da ultimo Cass., sent. n. 2342 del 1975). Tutto ci� considerato, deve concludersi che, nella specie, avendo J'appail:1latore adito H giudice ordinario dopo aver tempestivamente pro posto istanza di arbitrato e aver preso atto del rifiuto ad essa opposto dalla controparte, nessun termine di decadenza poteva essergli opposto per precludergli la possibilit� di reclamare in giudizio il soddisfacimento delle sue pretese gi� precisate nella predetta istanza. Dato il mutamento di giurisprudenza operato da questa Corte con la gi� citata sentenza n. 3331 del 1979 successiva alla proposizione del ricorso che ora si rigetta, si ritiene equo compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. (omissis) TRIBUNALE DI POTENZA, 29 giugno 1979, n. 552 -Pres. ed est. Stella Amministrazione dei lavori pubblici (avv. Stato) c. Soc. Cooperativa Risveglio Edile (avv. Lebolli). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi � Situazione soggettiva dell'appaltatore -Interesse legittimo -Configurabilit� di diritto soggettivo � Condizioni. (d.l.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1; legge 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2; legge 21 dicembre 1974, n. 700). Competenza e giurisdizione -Poteri del giudice -Disapplicazione � Limiti � Fattispecie in tema di revisione dei prezzi. (legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, artt. 4 e 5). L'appaltatore di opere pubbliche � titolare di un interesse legittimo all'esercizio del potere di revisione dei prezzi, interesse tutelabile soltanto, in sede amministrativa, con ricorso al ministro competente e, in sede giurisdizionale, davanti al giudice amministrativo; ma la situazione soggettiva dell'appaltatore assume la natura di diritto soggettivo una volta che le condizioni giustificative della revisione, in tutte le componenti dedotte dallo stesso appaltatore, siano state accertate e riconosciute 1000 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dall'Amministrazione con il provvedimento che liquida il compenso revisionale (1). Se il provvedimento che liquida il compenso revisionale sia annullato di ufficio e sostituito con altro che lo determina in minor misura, l'appaltatore non pu�, per resistere all'azione di ripetizione contro di lui promossa, eccepire la illegittimit� del secondo atto chiedendone la disapplicazione, ma deve ottenerne l'annullamento in sede di giurisdizione amministrativa (2). (omissis) La domanda dell'Amministrazione attrice � fondata. Va puntualizzato, in punto di fatto, che, con decreto del Provveditore regionale alle Opere Pubbliche per la Basilicata in data 22 novembre 1974, n. 7395, in seguito a domanda della societ� convenuta, appaltatrice di lavori pubblici, sono stati approvati gli atti di istruttoria relativi ad un primo e secondo acconto della revisione prezzi contrattuali, redatti dall'ufficio del Genio Civile di Matera e da cui risulta determinato in L. 13.964.708 il compenso revisionale, ed � stato autorizzato il pagamento della somma di L. 13.208.715, comprensiva del rimborso IVA; che, con successivo decreto in data 31 dicembre 1974, n. 8196, sono stati approvati gli atti di contabilit� finale e il certificato di collaudo; che, con altro decreto in data 21 maggio 1975, n. 3152, � stato autorizzato il pagamento, in favore della societ� convenuta, della somma di L. 2.330.955, a titolo di saldo per revisione prezzi; che, infine, con decreto in data 1� settembre 1977, n. 2845, sono stati approvati i nuovi atti di istruttoria di detta revisione, redatti dall'ufficio del Genio Civile di Matera, secondo le nuove tabelle approvate dalla commissione provinciale prezzi di Matera, e da cui risulta determinato, invece, in L. 11.550.092 il compenso revisionale, oltre al rimborso dell'IVA nella misura del 12 %, con un credito complessivo di L. 12.963.103, di contro a L. 15.539.670 gi� riscosse, ed � stato disposto il recupero della differenza, in L. 2.603.567; che tale ultimo decreto � stato comunicato, con nota in data 29 settembre 1977, alla societ� convenuta, la quale, per quanto consta, senza impugnarlo nella competente sede (1-2) Sulla prima parte della prima massima, cfr., da ultimo, nello stesso senso, Cass., 1� ottobre 1980, n. 5333, in Cons. Stato, 1980, Il, 1413; Cass., 6 giugno 1980, n. 3662, in Cons. Stato, 1980, Il, 1148; Cass., 10 ottobre 1979, n. 5249, in Cons. Stato, 1980, Il, 90; Cass., 23 febbraio 1978, n. 888, in Foro it., 1979, I, 1046 e in questa Rassegna, 1978, I, 505, ed ivi precedenti sulla seconda parte della stessa massima ai quali adde Cass., 8 febbraio 1979, n. 857, in Foro it., 1979, I, 1489. Nel senso che la pretesa ad ottenere il compenso revisionale abbia comunque consistenza di diritto soggettivo, cfr., con elaborata motivazione, T.A.R. Lazio, sez. III, 2 luglio 1979, n. 532, in Foro amm., 1979, I, 1565 in causa Ciro c. Assoc. Naz. mutilati ed invalidi del lavoro, avverso la quale pende attualmente regolamento di giurisdizione. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1001 amministrativa e, quindi, se del caso davanti al giudice amministrativo, con esposto in data 12 ottobre 1977, si � solo opposto per vari motivi e tale recupero; che, di conseguenza, l'Amministrazione attrice ha adito questo Tribunale, chiedendo i'l pagamento di tale differenza e basando, quindi, la sua domanda sul citato decreto, non opposto e divenuto definitivo. La societ� convenuta, in questa sede sostiene che il detto decreto non � a lei opponibile, in quanto ogni rapporto, compreso quello revisionale, � da considerarsi chiuso e definito con il collaudo, e, comunque, tale decreto � illegittimo, sia perch� basato su nuova tabella intervenuta successivamente e non applicabile retroattivamente e sia perch� un provvedimento di revoca o di annullamento ex tunc non pu� intaccare posizioni di diritto soggettivo gi� costituito, per cui andrebbe disapplicato dal giudice ordinario, anche a prescindere dalla sua mancata impugnazione nella sede competente. Cos� precisati gli estremi di fatto e i limiti della questione sottoposta all'esame di questo tribunale, va osservato, innanzitutto, che, in tema di appalto di opere pubbliche, sussiste il principio giuridico, in forza del quale la revisione del prezzo, per variazione del costo dell'opera, pu� derivare soltanto dall'esercizio, da parte dell'Amministrazione appaltante, del potere discrezionale di deroga al criterio generale della invariabilit� del prezzo medesimo, stabilito dall'art. 326 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F; con la conseguenza che, di fronte a tale potere, l'appaltatore � titolare solo di interessi legittimi, tutelabili soltanto, in sede amministrativa, con ricorso al Ministero competente e, in sede giurisdizionale, davanti al giudice amministrativo. Tale principio trova deroga, nel senso che le posizioni soggettive dell'appaltatore assumono, invece, natura e consistenza di diritti soggettivi, esclusivamente nei casi in cui o una espressa ed inequivoca clausola contrattuale consenta di pretende11e la 11evisione, in una certa m1suxa e in relazione alla ricorrenza di specifici presupposti, esattamente predeterminati (il che, nella specie � da escludere, perch�, non consta dell'esistenza di tale clausola), ovvero nel caso in cui l'amministrazione abbia accertato e riconosciuto le condizioni giustificative della revisione, in tutte le componenti dedotte dall'appaltatore, cos� esaurendo l'esercizio dei propri poteri autoritativi. (Si veda da ultimo Cass., 8 febbraio 1979, n. 857). Ora, poich� nella specie, come si � visto, la pubblica amministrazione ha riconosciuto l'esistenza del diritto alla revisione, non v'� dubbio che la societ� convenuta � titolare di un diritto soggettivo. Senonch� va tenuto conto (o questa costituisce la specificit� e la peculariet� del caso in esame) che, successivamente, la pubblica amministrazione, sempre nell'esercizio dei suoi poteri autoritativi e discrezionali, ha (parzialmente) modificato e annullato il precedente proprio atto, riconoscendo il diritto a revisione, in misura diversa e minore sulla base di nuove tabelle, ritenuta di efficacia retroattiva, e di nuovi atti 1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO istruttori, e disponendo, di conseguenza, per il recupero della somma risultata pagata in pi�. A parere di questo tribunale, sembra trattarsi, nel caso, di annulla� mento di ufficio, che, come � noto � basato sul potere della pubblica amministrazione di privare di esistenza giuridica, in tutto o in parte, i propri atti, ritenuti affetti da vizi di legittimit� e che si esplica con atti discrezionali o di controllo repressivo (c.d. autotutela sia per invalidit� originaria, che successive). Ora � noto che i diritti soggettivi, nei confronti della pubblica amministrazione, sono subordinati al pubblico interesse, tutte le volte che la tutela di un interesse privato � considerata in relazione concorrente con un interesse pubblico, del qua.le � titolare la stessa pubblica amministra� zione. � il caso dei c.d. diritti affievoliti o condizionati, fin dall'origine, esposti ad affievolimento successivo. Diversa � poi la questione che l'annullamento di ufficio non � sempre consentito, specie allorch� l'atto annullato ha determinato il consolidarsi di situazioni giuridiche dei destinatari o di terzi. Ma ci� attiene solo alla legittimit� dell'annullamento di ufficio, senza che possa escludersi, comunque, che le situazioni soggettive private siano esposte all'affievolimento. � pure noto che in tali casi, dovendosi escludere che UJil diiritto possa continuare a sussistere, allorch� esso sia stato soppresso direttamente o sia venuto meno per la soppressione dell'atto amministrativo su cui esso si basa, non pu� riconoscersi al singolo, al fine di preservare la situazione preesistente, altro che un interesse legittimo all'annullamento dell'atto che tale situazione ha modificato. Facendo applicazione di tali principi, che sembrano indubbi, al caso in esame, ne deriva, di conseguenza, che la societ� convenuta, in quanto titolare di un interesse legittimo, avrebbe dovuto impugnare in sede amministrativa e, poi, in sede giurisdizionale amministrativa il predetto atto di annu11amento, proponendo in tale sede tutte le questioni di 'legittimit� dehl'atto di annullamento, proposte invece in questa sede, in ordine ai11e quali non vi � dubbio che il giudice ordinario difetta di giurisdi:zlione. N� le stesse questioni possono essere esaminate, in questa sede, solo incidentalmente, ai fini della disapplicazione dell'atto amministrativo, ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge abolitiva del contenzioso amministra� tivo, perch�, anche a prescindere dal fatto che, in tale modo, verrebbe indirettamente a porsi al giudice ordinario questione per cui esso difetta di giurisdizione, non ricorrono, nel caso, gli estremi del sindacato inci� dentale di legittimit� dell'atto amministrativo, in relazione al petitum e alla causa petendi di questo giudizio. � noto a questo proposito che il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo, di cui all'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, alle� gato E, sulla abolizione del contenzioso amministrativo, spetta al giudice PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1003 ordinario solo nella materia in cui si faccia questione di diritto soggettivo o quando l'atto amministrativo sia direttamente lesivo di un diritto soggettivo, con la conseguenza che, se una posizione originaria di diritto soggettivo si affievolisce ad interesse legittimo, a causa di annullamento di ufficio, operato dalla pubblica amministrazione, in sede di autotutela, dell'atto amministrativo, costituente il presupposto del diritto soggettivo stesso, non pu� soccorrere l'istituto della disapplicazione, perch�, in tale ipotesi, noi:J. si tratta pi� di tutelare una posizione di diritto soggettivo, con una valutazione incidentale della legittimit� dell'atto, ma si � in presenza di un diverso oggetto del giudizio, in quanto il privato, invocando la disapplicazione, chiede, in sostanza che l'atto di annullamento venga rimosso, oon la reintegra de1la originada posizione di diritto soggettivo (si veda, per un caso: Cass., 21 febbraio 1974, n. 494), in definitiva, l'interesse del privato alla preservazione della situazione preesistente all'annullamento � tutelabile solo col ricorso all'autorit� e alla giurisdizione amministrativa. Sgombrato, cos�, il campo delle eccezioni del convenuto, il diritto fatto valere in questa sede dall'amministrazione attrice, siccome basato su un atto amminsitrativo definitivo e non impugnato, risulta certo, anche perch� nessun'altra questione viene mossa dalla societ� convenuta in ordine alla sua esistenza e al suo contenuto. Pertanto, la predetta societ� va condannata al pagamento della somma di L. 2.603.567, con gli interessi legali decorrenti dal 29 settembre 1977, data della messa in mora. Ricorrono giusti ed equi motivi per compensare per intero le spese tra le parti, tenuto conto della novit� della questione. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI pen., 4 dicembre 1979 � Pres. Tafuri � Est. Glinni -P. M. Valeri (conf.) rie. Gigli (avv. Stato Fiumara). Reato -Omissione di atti d'ufficio -Omessa emanazione di ordinanze di caratter.e contingibile ed urgente in materia di ed:ilit�, polizia locale ed igiene, per motivi di sanit� o di sicurezza pubblica -Discrezionalit� del prefetto -Insussistenza del reato. (cod. pen., art. 328; r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 20). Non � configurabile �l reato di omissione di atti di ufficio nella mancata adozione di ordinanze di carattere contingibile ed urgente in materia di edilit�, polizia locale ed igiene, per motivi di sanit� e sicurezza pubblica, di cui all'art. 20 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, in quanto il prefetto gode in materia di ampia discrezionalit� amministrativa (1). (omissis) Sul ricorso Gigli si osserva: il prefetto di Padova avrebbe omesso di emanare provvedimenti contingibili ed urgenti ex art. 20 t.u.l.c.p. Ritenne il pretore che all'epoca sussistesse una situazione di pericolo, derivante dall'inquinamento delle acque, e che pertanto occorresse un provvedimento urgente diretto ad arginare il pericolo. Ritiene la Corte che prima di esaminare la sussistenza dello stato di pericolo anch'essa riservata al giudizio discrezionale dell'autorit� amministrativa va definita la natura giuridica degli atti di cui al citato art. 20. Questa Corte ha gi� esaminato fattispecie simili e pertanto si � creata una interpretazione giurisprudenziale accettata e costantemente seguita, (1) La giurisprudenza della Suprema Corte conferma un indirizzo costante che in altra occasione ha imposto l'assoluzione del reato di omissione di atti d'ufficio di un medico provinciale difeso dall'Avvocatura al quale l'art. 227 del tiesto unico dehle heggi sanitarie attribuisce poteri discrezionali di intervento in materia di inquinamento delle acque superficiali interne (Cass., VI, 25 giugno 1973, rie. Carola, in Giust. pen., il974, II, 273). V. neHo stesso senso Ca,ss., VI pen., 30 giugno .1978, in Mass. dee. pen., 1978, p. 837; Cass. VI pen., 15 febbraio 1979, in Cass; pen. mass. amm., 1978, p. 367; Cass., VI pen., 30 aipriLe '1973, in Giust. pen., 1973, 577; Cass., VI rpen., 30 ottobre 11968, in Cass. pen. mass. amm., 1969, p. '1349. SuWart. 30 r.d. 3 marzo 1934, n. 383, cfr. Cass., VI pen., 30 ottobre 1973, in Rep. Foro It., 1974, col. 1207, n. 21; Cass., III pen., 3 febbraio 1969, in Foro It., 1970, II, 301; Cass., 25 febbraio 1966, in Rep. Foro It., 1967, col. 2264, n. 35. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1005 da cui non v'� ragione di discortarsi. Secondo tale interpretazione, se i provvedimenti concreti che si assumono omessi appartengono alla sfera della discrezionalit� dei p.u. e non sono strettamente doverosi e in ogni caso imposti, non si pu� parlare in senso tecnico giuridico di omissioni, rifiuto o ritardo di atti di ufficio e viene dunque meno la stessa materialit� del reato ipotizzato. Ci�, premesso, l'esame della struttura e della funzione dell'art. 20 del cit. t.u. porta a ritenere che si versi in un caso di ampia discrezionalit� amministrativa dal momento che il lagislatore usa il termine � pu� � riferito alla facolt� del prefetto di emettere ordinanze di carattere urgente. � facile argomentare che se si fosse voluto imporre un dovere al prefetto di provvedere nei casi previsti dal detto articolo, la lettera delle norme sarebbe stata � deve � e non quella usata, da cui si deduce che la stessa possibilit� di intervento amministrativo � rimessa alla discrezionalit� del prefetto il quale, pu� o non, emettersi il provvedimento senza incorrere in alcuna violazione della legge penale nel caso di omissione. La fondatezza giuridica dell'assunto difensivo dedotto in ricorso conduce alla conclusione che il fatto rubricato al Gigli non � previsto dalla legge come reato. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 8 maggio 1980, n. 1024 -Pres. Vacchiano -Rel. Coniglio -P. M. Savina (diff.) imp. Levi ed altri (avv. Stato Di Tarsia). Reato � Disastro aviatorio -Direttore dell'aeroporto -Visita di controllo prima della partenza dell'aeromobile � Obbligatoriet� -Regolamenta zione aerea 11 gennaio 1925, n. 356 � Applicabilit�. (cod. nav., art. 801; r.d. 11 gennaio 1925; n. 356, artt. 13, 16 e 17; cod. pen., artt. 428 e 449) Dalle norme del regolamento per la navigazione aerea approvato con r.d. 11 gennaio 1925, n. 356, e tuttora in vigore, si evince che l'aeromobile, e non i documenti ad esso relativi, deve essere sottoposto a visita perch� possa esservi la certezza che il perfetto ordine di rotta, controllato nel momento della visita, sussista anche nel momento del decollo (1). (1) H codice della navigazione e la sopravvivenza delle norme d,el Regolamento 11 gennaio 1925, n. 356. La sentenza cassata dalla Suprema Corte � stata pubblicata in questa Rassegna (1979, I, p. 352) con una annotazione di una segnalazione e con riserva di tornarn suhl'argomento, data la notevole importanza dellie questioni decise. Purtroppo la decisione della Cassazione non offre allo studioso alcuno spunto per comprendere su qual!i mgioni �l1 Giudice di iLegittimM� abb1a basato hl! suo :radircale convincimento che il regolamento della navigazione aerea approvato con 1006 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) II giorno 29 marzo 1973, alle ore 14.06, l'aeromobile CESSNA 421 di nazionalit� svizzera con equipaggio di due piloti -Urbani Giorgio, comandante e Giambanco Giuseppe, secondo pilota -e cinque passeggeri, Bruno Riccardo Felice, Allioni di Brondello Umberto, Allioni di Bron dello Cesare -di anni 5, Pozzi Paola in Allioni e Busi Maria Teresa, decollava dall'aeroporto Roma-Urbe con piano di volo per Torino-Caselle. Dopo circa sette minuti di volo l'aereo precipitava in localit� Molette-La Storta e tutti i trasportati trovavano immediata morte. Le indagini venivano espletate dal nucleo investigativo dei carabinieri di Roma, mentre il Ministero dei Trasporti e dell'aviazione civile nominava una speciale commissione di inchiesta che elaborava una relazione tecnica sull'incidente. Altra relazione peritale veniva redatta da un collegio di tecnici nominato dalla Procura della Repubblica. L'istruttoria veniva formalizzata ed, a seguito degli elementi emersi nel corso delle indagini, si procedeva per i delitti di disastro aereo colposo ed omicidio colposo plurimo, nei confronti: dell'Urbani e del Giambanco, quali piloti, di Jullard Andr�, quale legale rappresentante della societ� elvetica ACCSA; di Levi Enrico, nella qualit� di rappresentante legale della soc. italiana ALICO la quale rappresentava per l'Italia la societ� svizzera CESSNA costruttrice dell'aereo; di Casagrande Raffaele, direttore dell'aeroporto dell'Urbe e, successivamente, di Puzzilli Mario, dirigente di fatto dello scalo aereo, addetto al controllo del traffico nel giorno della sciagura. r.d. .11 gennaio 1925, n. 356, sia tuttora in vigore. Si � infatti limitato a questa affermazione, senza un rigo che abbia affrontato il problema, pur � posto da specifici articoli del codice e per esaminato in dottrina e in giurisprudenza (D'Ovmm PESCATORE, Manuale Diz. Nav.) senza concSI�iderare i rilevanti aspetti pratici e la notevole incidenza deL!ia 'so1uzione suUa funzionailit� delile direzioni aeroportuali. Come si legge nella parte narrativa della sentenza che si annota nel caso affidato alla difesa dell'Avvocatura era accaduto che un aereo da turismo, decollato con un carico a bordo in eccesso, era dopo breve volo precipitato, provocando la morte dei sette occupanti; in quel tipo di aereo avrebbero potuto imbarcarsi non pi� di sei persone. Del disastro fu imputato anche il direttore dell'aeroporto, ritenuto dall'accusa colpevole di aver effettuato un controllo soltanto documentale e di non aver quindi accertato che nell'aereo era stato imbarcato abusivamente un settimo passeggero. Tralasciando altri aspetti giuridici e di fatto ai quali l'accusa riferiva la colpevolezza dell'imputato, poi definitivamente assolto con la surrichiamata sentenza della Corte d'Appello di Roma, punto fondamentale dell'indagine � accertare se e per quale norma fosse imposta al Direttore d'Aeroporto la visita di controllo agli aeromobili in partenza, esame cui, in seguito ad impugnazione della parte civile per i soli interessi civili era chiamata la Corte di cassazione. :tl. senz'altro corretto prendere le mosse dalla norma del codice della navigazione, che invece la Cassazione ha sorprendentemente ignorato, sia perch� il r: r1�111111�111111c111a11m111�111.1�1l�l7mfl~ PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1007 Si addebitava al Jullard e al Levi la colpa di avere affidato, per il pilotaggio, l'aereo all'Urbani, pur sapendo che quest'ultimo era inidoneo alla guida anche perch� privo di abilitazione al pilotaggio di quell'aeromobile da parte dell'ufficio aeronautico federale di Berna, autorizzazione scaduta e non ancora rinnovata; al Casagrande ed al Puzzilli si faceva carico di avere �messo di controllare la corrispondenza della situazione di fatto al � piano di volo >>, la validit� dell'abilitazione al pilotaggio dell'Urbani, la presenza a bordo dei documenti di abilitazione, il numero delle persone salite a bordo e l'assetto conseguente dell'aereo, consentendo, cos�: a) la guida a pilota che non era in possesso dei requisiti richiesti; b) la presenza a bordo di 7 anzich� 4 persone, come era indicato nel � piano di volo � e di 6 come era consentito dalla portata massima del mezzo; e) il volo con baricentro �fuori limite�. Si accertava, altres�, che il Giambanco era privo di abilitazione al pilotaggio di quell'aeromobile e che questo, poco prima dell'� impatto�, volava a bassa quota. Tra le cause probabili del sinistro i periti ed i commissari d'inchiesta ponevano la perdita di controllo nella condotta dell'aeromobile da parte dei piloti e lo � stallo � con mancanza di recupero dovuto alla bassa quota. Al termine dell'istruzione il G.I. pronunciava sentenza di non doversi procedere, per morte, nei confronti dei due piloti, proscioglieva il Casagrande per non aver commesso il fatto e rinviava tutti gli altri imputati al giudizio del Tribunale di Roma. I congiunti delle vittime si costituivano parti civili. codioe � ila illegge fondamentalle in materiia sia perch� � fonte normativa a digniit� gduridica prevallente sl.111 Regoil!amento (artt. 1 e 4 Dis. 1suJ�a Jegge in generale). Per la parte che qui interessa sia dunque il codice, art. 801 che � �.�prima della partenza il comandante deve provvedere a che l'aeromobile sia sottoposto a visita di controllo da parte de~ direttore dell'aeroporto"� E qui palesano subito evidenti due aspetti: primo che l'art. 801, � redatto in una formulazione letterale che sembrerebbe porre a carico del solo comandante qualsivoglia obbligo, e, secondo, che pur se indirettamente impone nella sua previsione astratta al direttore di aeroporto la visita di controllo ha un contenuto normativo tutto da definire. Tre parole, contenute in tre righe di un comma di un articolo di legge. �Visita di controllo �. i?. evidente fincompletezza normativa: come, dove, chi materialmente, su quali cose, atti, con quali procedure e contenuti la visita vada fatta, la norma non dice. La legge dice che oggetto della visita � l'aeromobile, ma l'aeromobile �, come dice la dottrina, una cosa composta o un'unit� pertinenziale, a sua volta destinata a ricevere un carico animato e inanimato, corredata di documenti con valore giuridico di autorizzazione, di abilitazione, di immatricolazione ecc. Tre parole sono perci� poche, per determinare non soltanto come deve essere fatta la visita, ma la fattibilit� stessa della visita di controllo. E qui, se la Cassazione avesse considerato il codice anzich� il solo regolamento del 1925, non avrebbe potuto ignorare l'art. 1328 che espressamente prevede che le disposizioni 1008 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con sentenza in data 22 febbraio 1978 i prevenuti venivano assolti per non avere commesso i fatti loro ascritti e veniva ordinata la restituzione della somma di L. 500.000, rinvenuta tra i rottami, in giudiziale seque� stro, alla parte civile Brunilde Allioni di Brandello. Il Tribunale, sulla base di un'analitica valutazione dei pesi a bordo, perveniva alla conclusione che nessun sovraccarico poteva aver causato la caduta dell'aereo; in riferimento alla circostanza che l'Urbani non era abilitato alla conduzione dell'aereo, osservavano i giudici che, in base alla certificazione rilasciata dal Ministero dei Trasporti, il pilota risultava abi� litato secondo la legge italiana e nessuna rilevanza poteva attribuirsi al fatto che le autorit� elvetiche non avevano ancora rilasciato analoga abilitazione, richiesta dall'Urbani sin dal gennaio 1973; escludevano, inol� tre, qualsiasi valutazione negativa circa l'idoneit� psicofisica del predetto imputato al volo negando qualsiasi incidenza sull'evento derivante dalla presenza del Giambanco, che doveva t:;sser considerato non un secondo pilota (non necessario per quel volo) ma un semplice passeggero; rileva� vano, infine, che l'esclusione di qualsiasi deficienza o manchevolezza in ordine aH'assetto di borido faceva venir meno, conseguentemente, ogni eventuale responsabilit� del Puzzilli per il mancato controllo: per altro, affermavano che il dovere di controllo, comunque, non poteva sussistere poich�, in base alla legislazione in vigore ed alla prassi instauratasi, che favoriva un controllo solo documentale, il Puzzilli non poteva essere ritenuto dirigente di fatto dell'aeroporto dell'Urbe. Avverso la sentenza proponevano appello il Procuratore generale e la parte civile Bruno Emanuele, la quale proponeva, altres�, ricorso per cassazione assieme ad altra p.c. Maria Tramontana ved. Giambanco. del codice che richiedono per la loro applicazione l'emanazione di particolari norme regolamentari non entrano in vigore sino a quando dette norme non sono emanate, n� l'art. 1329 che stabilisce che con l'entrata in vigore delle norme del codice sono abrogate le disposizioni del codice per la Marina Mercantile e del Regolamento per la Navigazione Aerea approvato con r.d. H gennaio 1925, n. 356; questo Regolamento � dunque abrogato, come esattamente ebbe modo di affermare il Consiglio di Stato in un parere della Sezione II 29 ottobre 1968, n. 696, nel quaLe si legge: �L'ipotesi adombrata nella rdazione cJ;le �La mancata emanazione di norme regolamentari in materia faccia sopravvivere le precedenti norme ancorch� espressamente abrogate come nel caso, non trova alcun conforto nei principi generali dell'ordinamento giuridico, alla stregua dei quali � perfettamen� te ammissibile che all'abrogazione di norme disciplinanti determinate materie, non segua la emanazione di altre norme destinate a sostituirle senza che ci� possa incidere sugli effetti dell'abrogazione �. 1'. vero che in proposito una tesi intermedia � stata sostenuta in dottrina, tesi ripresa da una recente sentenza del Consiglio di Stato (IV Sez., 20 maggio 1980, n. 560) e secondo la quale l'art. 1329 non basterebbe a far ritenere abrogato e inapplicabile in toto il regolamento del 1925, perch� l'abrogazione delle disposi� zioni di quest'ultimo � collegata all'entrata in vigore delle norme del codice. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1009 La Corte di appello di Roma revocava l'ordine di restituzione della somma in favore di Brunilde Allioni e rimandava la soluzione della controversia al giudice civile competente, non essendo pacifici e certi i diritti dei richiedenti. Confermava, nel resto, l'impugnata sentenza. Ritenevano i giudici di merito che la legge applicabile al volo che doveva effettuare l'aereo era quella italiana e quella risultante dalle convenzioni in vigore tra Italia e Svizzera, per cui la mancanza dell'abilitazione, non ancora rilasciata all'Urbani dall'autorit� elvetica, non rendeva il pilota, per ci� solo, inabile a pilotare l'aereo in un volo nazionale n� ravvisavano, nella condotta di guida, alcuna deficienza di idoneit� fisicopsichica o di abilit� al pilotaggio; escludevano che la presenza del Giambanco, non abilitato per quel tipo di aereo, avesse potuto inserirsi nel rapporto eziologico con l'evento, perch�, anche se fosse accertato che� egli sedesse sul sedile di sinistra della cabina di pilotaggio all'atto del disastro, non vi era prova che egli manovrasse i � comandi � mentre era provato attraverso le registrazioni effettuate che fosse l'Urbani a tenere i contatti con la torre di controllo durante la fase di decollo ed i primi minuti di volo; ritenevano provata l'abilit� del pilota, per i suoi precedenti di carriera risultanti dagli atti ed escludevano che le cause del disastro potessero ravvisarsi nella presenza del passeggero in pi� oltre la capienza massima (nella specie,� un bambino di 5 anni) n� nel preteso spostamento del baricentro, stante che il piccolo era stato trovato sulle braccia di una delle donne, n�, infine, nell'eccesso di carico, calcolato dai Queste per� -si sostiene -non sono entrate in vigore simultaneamente per la succitata norma dell'art. 1328 cod. nav. La sentenza, che si riferisce alla diversa ipotesi di cui all'art. 825 cod. nav., non sembra peraltro che possa essere condivisa, non tanto per la macchinosit� della costruzione, quanto perch� non sembra aver posto attenzione alla differenza terminologica esistente fra l'espressione � con l'entrata in vigore delle norme del codice � usata nell'art. 1329 e l'espressione � le disposizioni del codice � usata nell'art 1328: dal confronto sembrerebbe potersi affermare che, mentre nell'art. 1328 si sono tenute presenti proprio le singole disposizioni normative, nell'art !329 si � fatto riferimento al complesso delle norme del codice, vale a dire a tutto il codice della navigazione con la cui entrata in vigore quindi tutto il regolamento del 1925 deve considerarsi abrogato. Cade quindi la possibilit� di interpretare quell'espressione usata dall'art. 801 �visita di controllo" con riferimento all'art. 17 del regolamento e alle disposizioni in esso contenute. E cade anche, per una considerazione di fatto: l'art. n del Regolamento del 1925 era idoneo all'epoca, ma, considerato l'enorme sviluppo e l'enorme complessit� del traffico aereo, non Qo sarebbe pi� attualmente. Basti pensare alle operazioni di bilanciamento del carico a bordo, che ora vengono fatte con dei computers sui grandi aeroplani e che richiederebbero quindi una normativa esecutiva molto pi� dettagliata. La conclusione � che l'art. 801 -se esso deve avere il significato di visita effettiva -non pu� trovare applicazione, in mancanza di norma regolamentare, cos� come esattamente stabilisce l'art. 1328. Quindi di 1010 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO periti in klg. 163; ritenevano di aderire a1le conolusioni dei periti che avevano formulato ipotesi di un malfunzionamento degli impianti o di una avaria meccanica o di flusso di carburante; tali considerazioni porta� vano ad escludere ogni responsabilit�, a titolo di colpa, da parte del Jullard e del Levi. Riteneva la Corte, infine, che il Puzzilli, in considerazione del volume di traffico aereo, non avesse un dovere assoluto di controllo � a vista � dei documenti di bordo e dell'assetto di volo, bastando la verifica documentale sulla base degli elementi forniti dal pilota e' riscontrati conformi a legge; considerava, tuttavia, che anche a volere ritenere assoluto il dovere della visita di controllo, una volta escluso che la caduta dell'aereo potesse essere attribuita alla presenza del bambino, a peso eccessivo o ad imperfetto baricentro, non poteva, parimenti, ritenersi il Puzzilli responsabile della caduta dell'aereo e della morte dei passeggeri. Ricorre per cassazione Bruno Emanuele, parte civile . .l\10TIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo si denunzia la violazione degli artt. 8, 794 e 797 cod. della navigazione in relazione aila convenzione internazionale di Chicago del 7 dicembre 1944. Si sostiene che l'unica autorit� ad abilitare il pilotaggio dell'aereo era quella svizzera che, nella specie, mancava; con il secondo mezzo, riprendendosi i motivi dedotti contro la sentenza del Tribunale ed analoghi a quelli del Procuratore generale appellante, si deduce che il calcolo del peso e dei passeggeri e dei bagagli era stato effettuato in difetto e che, pertanto, il maggior carico, oltre il peso massimo certificato per il decollo, non poteva essere inferiore a kg. 284, entit� questa norma di legge rimane soltanto l'obbligo del comandante di un aereo di ottenere l'autorizzazione alla partenza. Questa � l'unica norma che � applicabiJle senza un regolamento esecutivo, pe!1ch� questa richiede una visita meramente documentale, l'unica possibile e per la quale le norme del codice della navigazione sono operative appunto perch� non necessitano di una norma regolamentare d'applicazione. Questa conclusione, cui si arriva sul piano dell'interpretazione delle norme, o magari anche quella contraria che qui non si condivide, sarebbe stato interessante leggere al termine di una motivazione, che viceversa nella sentenza in nota manca del tutto. Se la sentenza tace, la validit� della tesi sostenuta ha trovato una conferma nella legge 11 dicembre 1980, n. 862 il cui art. 7 testualmente stabilisce che � la disposizione di cui all'art. 1328 del codice della navigazione trova applicazione nelle ipotesi previste dall'art. 801 del codice stesso �. Il cui contenuto d'interpretazione autentica di questa norma � di tutta evidenza: non vi sarebbe stata alcuna ragione di una norma siffatta, se il legislatore avesse ritenuto l'applicabilit� -perch� ancora in vigore -deWart. 17 del rego1amento del! ,1925. PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE certo non trascurabile; con il terzo motivo si sostiene l'assoluta inderogabilit� della visita di controllo, dovere che nasce da precisa norma di legge che non pu� essere resa non vincolante da circolari ministeriali o dalla prassi, tenendosi conto, altres�, che l'aeroporto dell'Urbe non ha quel volume di traffico aereo da rendere difficile o impossibile il controllo �a vista�. Il ricorso � fondato e merita accoglimento. Non appare sufficientemente motivata l'esclusione di alcun nesso causale tra le irregolarit� riscontrate ed il gravissimo evento ver1ficatosi. La perizia tecnica e la relazione della commissione d'inchiesta sono concordi, nelle loro conclusioni, e rilevano alcuni inconvenienti che non possono non avere inciso nella causazione del sinistro, n� le argomentazioni addotte dai giudici di merito sono tanto convincenti da allontanare qualsiasi dubbio. �: stato accertato, in punto di fatto: che il peso ed il centraggio dell'aeromobile erano fuori dei limiti; che non era stata fatta una esauriente pianificazione del volo; che questo era previsto per 4 persone, mentre ne erano state �imbarcate� sette, una (sia pure un bambino) oltre la portata massima dell'aereo; che il velivolo volava a bassa quota, ed aveva, addirittura, invertito la r�tta, ai cavi di un elettrodotto; che l'unico carburatore, reperito integro, si trovava in posizione di alimentazione incrociata, non normale in quella fase di volo, perch� alimentava entrambi i serbatoi principali dei due motori e poteva esser causata di una riduzione del regime dei giri per il ridotto flusso dell'alimentazione; che l'elica di destra girava pi� della sinistra, anomalia che, tecnicamente, poteva porsi in relazione ad una avaria del carburatore. Non sono state determinate e precisate le vere cause che hanno provocato il sinistro, ma si sono formulate solo delle ipotesi che non hanno trovato risposta e non hanno potuto acquetare la ricerca della verit�. Risposta che non � venuta neppure attraverso le sentenze di merito che non hanno saputo soddisfare l'esigenza di una valida, convincente motivazione. L'esclusione del nesso eziologico tra sovraccarico e caduta dell'aereo non � sufficientemente e tecnicamente dimostrata, anche sotto il profilo di una valutazione dei pesi effettivi sia dei passeggeri che dei bagagli. Non sono affatto peregrine e presuntive le deduzioni formulate dalla parte civile, poich� non sembra che le attribuzioni dei pesi, prospettate dai periti medico-legali e recepite dai giudici, siano aderenti alla realt�, o, invece, non difettino per omessa considerazione di quei coefficienti di disidratazione e di bruciatura, che devono essere tenuti presenti allorch� ci si trovi dinanzi a resti umani carbonizzati. Sul punto non � stata approfondita l'indagine e non convince la determinazione di un modestissimo sovraccarico che non avrebbe influito minimamente nell'equilibrio dinamico del velivolo. 1012 RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO l I tecnici incaricati dell'inchiesta, dopo approfondita indagine ed accurato studio dei � dati � raccolti, hanno fatto considerazioni specifiche e concrete che non hanno ricevuto alcuna convincente smentita dalla sen I ~ tenza: in pag. 28 della relazione si legge che sia nel caso di avaria, sia in quello di passaggio basso voluto, la mancanza di pianificazione del volo, l'avere � imbarcato � un passeggero oltre il numero dei posti disponibili, lo spostamento del baricentro in funzione della disposizione del passeggero in pi� (dei cui movimenti, prima del sinistro, non � alcuna prova), l'aumento della velocit� di � stallo � in funzione del peso, avevano sicuramente influito negativamente, frustrando gli eventuali tentativi fatti dall'equipaggio per cercare di evitare la catastrofe. Sono affermazioni gravi, provenienti da tecnici altamente specializzati, che per essere disattese abbisognano di una indagine pi� approfondita e di una valutazione pi� ampia. Ed a tale problema si aggancia la posizione del Puzzilli che, secondo la ricorrente parte civile, non avrebbe osservato le norme regolatrici della sua competenza funzionale. Anzitutto � da mettere in evidenza che anche la sentenza impugnata ha riconosciuto la validit� e l'efficacia normativa del regolamento per la navigazione aerea, ma ha posto l'accento sulla � anzianit� � di tale regolamentazione, per cui il decorso di oltre 50 anni aveva, indiscutibilmente, mutato la materia, oggetto della norma, e modificato, in conseguenza, la sua attuazione. Ha posto a base di tale affermazione l'accertata serie di comunicazioni interne (circolari e disposizioni anche telegrafiche) che, in nome di prassi e consuetudini, avrebbero tacitamente abrogato o messo in desuetudine l'obbligo tassativo per il comandante dello scalo di eseguire la �visita� dell'aeromobile e non limitarsi all'esame documentale. I giudici hanno, altres�, giustificato il comportamento del comandante dell'aeroporto con l'attuale aumento del traffico aereo che sarebbe rimasto paralizzato da una stretta osservanza del regolamento. Ma, pur prescindendosi dalla considerazione che non � rimasto provato, e neppure si � tentato di farlo, che l'aeroporto dell'Urbe fosse stato, in quel giorno, tanto � trafficato � da non consentire al comandante dello scalo, o al suo delegato, di adempiere scrupolosamente le mansioni attribuitegli dalla legge (ch�, invero, in funzione di tale circostanza la sentenza impugnata ha ritenuto che non incombesse al Puzzilli un dovere assoluto di visita di controllo �a vista�), rimane assoluto ed imprescindibile il fatto che mai una norma giuridica, tuttora vigente, pu� essere derogata da una prassi o da una comoda desuetudine. Rimane pienamente valido il disposto dell'art. 16 della convenzione di Chicago del 7 dicembre 1944, approvata dall'Italia con d.l. 6 marzo 1948, n. 616, secondo il quale le autorit� competenti di ciascuno Stato contraente hanno il diritto di visitare, all'atterraggio e alla partenza, le PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE aeronavi degli altri Stati contraenti e di esaminare i certificati e gli altri documenti prescritti. Tale diritto diventa dovere nell'ambito del combinato disposto degli artt. 13 e 17 del regolamento per la navigazione aerea n. 356 del 1925, in cui sono specificati i compiti del comandante dell'aeroporto, consistenti, precipuamente, nella sorveglianza sulla aeronavigazione allo scopo di assi curarsi che tutti gli aeromobili in partenza, in arrivo ed in transito si trovino in regola con le disposizioni vigenti. In modo particolare si dispone che nessun aeromobile pu� lasciare l'aeroporto prima che il comandante o un suo delegato �abbia eseguito la prescritta visita ed abbia consentita la partenza �. Prosegue l'art. 17 cit. imponendo che ogni aeromobile, allorch� si presenta alla visita di controllo prima della partenza, debba trovarsi in perfetto ordine di rotta e che nessun altro carico pu� essere messo a bordo dopo eseguita la visita di controllo. Dal chiaro tenore delle norme citate si evince che l'aeromobile, e non i documenti ad esso relativi, deve essere sottoposto a visita perch� possa esservi la certezza che il perfetto ordine di rotta, controllato nel momento della visita, sussista anche nel momento del decollo. E si � visto come tale corrispondenza non vi fosse affatto, per le gravi e notevoli differenze del carico effettivo rispetto a quello indicato nel � piano di volo�, per non dire, infine, che quest'ultimo portava anche la firma, come pilota, del Giambanco che non aveva abilitazione alcuna per quel tipo di aereo. Ed � stata� una grossa forzatura di motivazione della sentenza considerare il Giambanco un semplice passeggero e non il secondo pilota, poich� un passeggero non firma il � piano di volo �. I I PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice civile, art. 2096, terzo coma, nella parte in cui non ricorre il diritto all'indennit� di anzianit� di cui agli artt. 2120 e 2121 stesso codice, al lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto du� rante il periodo di prova medesimo. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice civile, art. 2109, nella parte in cui non prevede il diritto a ferie retribuite anche per il lavoratore assunto in prova in caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova medesimo. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice di procedura penale, art. 177 bis, secondo comma, nella parte in cui consente l'emissione del decreto preveduto dall'art. 170 c.p.p. nei confronti dell'imputato dimorante all'estero ad indirizzo conosciuto, al quale sia stato inviato l'avviso di procedimento mediante lettera raccomandata e che non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio nazionale anche quando non risulti la avvenuta ricezione della raccomanclata stessa. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 178, G. U. �31 dicembre 1980, n. 357. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 18, primo comma, nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra per il debitore della affissione della sentenza che si dichiara il fallimento. Sentenza 27 novembre 1980, n. 151, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, quinto comma nella parte in cui fa decorrere i termini per appellare e per il ricorso in Cassazione dalla affissione della sentenza resa su opposizione allo stato prossimo. Sentenza 27 novembre 1980, n. 151, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. r.d. 16 marzo 1942, n. 267 art. 209 nella parte in cui prevede che il termine per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi decorre dalla data del deposito, nella cancelleria del Tribunale del luogo dove l'impresa in liquidazione coatta amministrativa ha sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi o respinti, formato dal commissario liquidatore, anzich� non dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevuto, con le quali il commissario liquidatore d� notizie dell'avvenuto deposito ai creditori le cui pretese non sono state in tutto o in parte ammesse. Sentenza 21 novembre 1980, n. 155, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. legge 4 marzo 1952, n. 137, art. 28 (sostituito da legge 25 luglio 1971, n. 568, art. 2) nella parte in cui non consente l'iscrizione dei profughi negli albi professionali senza richiedere il possesso nello stato di provenienza di requisiti equipollenti e quelli costituzionalmente prescritti nell'ordinamento italiano. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 175, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 10 comma stituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 185, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. comma stituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 185, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, n. 3 nella parte in cui elenca tra i soggetti possibili delle misure di previsione previste dalla legge medesima coloro che, � per manifestazioni cui abbiano dato luogo, di fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere�. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 177, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 15 luglio �1966, n. 604, art. 1O, nella parte in cui esclude il diritto del prestatore di lavoro, che riveste la qualifica di impiegato o di operaio ai sensi dell'art. 2095 codice civile, a percepire l'indennit� di amianit� di cui all'art. 9 della medesima legge n. 604, del 1966, quando assunto in prova e licenziato durante il periodo di prova medesima. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 18 novembre 1975, n. 764, art+. 2, primo e secondo comma, e 3, primo e secondo comma, nella parte in cui disciplinano il trasferimento alla regione Sicilia dei � compiti istituzionali � e delle � attivit� in atto svolte dall'Ente giovent� italiana �, nonch� del patrimonio immobilare e del personale dell'ente medesimo, senza prescrivere l'osservanza della procedura prevista dall'art. 43 del relativo statuto speciale. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 180, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 18 novembre 1975, n. 764, art. 2, primo e secondo comma nella parte in cui disciplina il trasferimento alla regione Sardegna dei � Compiti istituzionali � delle � attivit� in atto svolte � e del � patrimonio immobiliare � dell'ente � Giovent� italiana �, senza prescrivere l'osservanza della procedura prevista dall'art. 56 del relativo statuto speciale. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 180, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 18 novembre 1975, n. 764, art. 3, primo e secondo comma nella parte in cui disciplina il trasferimento alla regione Sardegna del personale dell'Ente � Giovent� italiana �, senza prescrivere l'osservanza della procedura prevista dall'art. 56 del relativo statuto speciale. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 180, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 18 novembre 1975, n. 764, art+. 6 e 7 nella parte in cui non fanno valere l'ipotesi che sia autonomamente disposto dalla regione Lazio, ai fini del trattamento di pensione, dell'assistenza malattie e della buonuscita, circa il periodo di servizio che il personale trasferito presti alle dipendenze della .regione medesima. Sentenza 22 dicembre 1980, n. 179, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2096 (artt. 3, primo e secondo comma, 4, 35 e 41, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice di procedura civile, art. 668, primo (artt. 3 e 24 della Co PARTE II, LEGISLAZIONE 1H codice di procedura penale, art. 125 e 128 (artt. 2, 3, 10, 11, 21 e 24 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 357, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice di procedura penale, art. 169, primo e terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 182, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice di procedura penale, art. 172 bis (artt. 3 e 27 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 183, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice di procedura penale, art. 177 bis (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 184, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393, artt. 169, terzo comma, e 7 (artt. 3, e 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 181, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. r.d.I. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 26, lettera b, e 30, lettera a) e b) [conv. In legge 22 gennaio 1934, n. 36] (art. 33, comma q�into, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 174, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 119, secondo comma (art. 24 della Costituzione). Sentenza 27 novembre 1980, n. 153, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 1 O (artt. 3, primo e secondo comma, 4, 35 e 41, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. ll. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 15 dicembre 1980, n. 157, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. d.I. 2 marzo 1974, n. 30, art. 3 [conv. in legge 16 aprile 1974, n. 114 e modlf. da legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 3] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 15 dicembre 1980, n. 157, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. d.I. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7, comma primo [conv. in legge 17 agosto 1974, n. 386] (artt. 36 e 3 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 176, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 22 mag9io 1975, n. 152, art. 18, n. 1 (art. 25, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 177, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 18 novembre 1979, n. 764, art. 3, primo e secondo comma (artt. 117 e 3 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 179, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 8 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 dicembre 1980, n. 156, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. 114 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 22 dicembre 1980, n. 186, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 22 dic�mbre 1980, n. 186, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge reg. siciliana app. il 16-17 maggio 1979, artt. 3 e 5 (artt. 32 della Costituzione e 17, lettera b), dello statuto speciale regionale). " Sentenza 27 novembre 1980, n. 154, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 244 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 23 maggio 1980, n. 765, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. codice civile, art. 2758 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 28 febbraio 1980, n. 732, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. codice di procedura civile, art. 429, comma terzo (art. 36 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 853, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 854, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice penale, artt. 5, 42, quarto comma, 43, 47 (artt. 2, 3, 24, 54, 73, 111, 113 e 27, comma primo, della Costituzione). Pretore di Cingoli, ordinanza 22 luglio 1980, n. 694, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. codice penale art. 26, comma secondo (art. 24, comma secondo della Costituzione). Tribunale di Rovereto, ordinaza 13 giugno 1980, n. 646, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. codice penale, art. 61, n. 9 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 27 giugno 1980, n. 707, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. codice penale, art. 222, primo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di San Ros� di Pieve, ordinanza 25 giugno 1980, n. 658, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. codice penale, artt. 357, 358 e 314 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 16 aprile 1980, n. 680, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. Il I ' I PARTE II, LEGISLAZIONE 1J5 codice penale, art. 384 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Tribunale di Novara, ordinanza 3 giugno 1980, n. 751, G. U. 26 novembre codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). 1980, n. 325. Corte di assise di Cagliari, ordinanza 3 luglio 1980, n. 609, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 22 luglio 1980, n. 733, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. codice penale, art. 699 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Olbia, ordinanza 28 marzo 1980, n. 657, G. U. 12 novembre 1980,, n. 311. codice di procedura penale, artt. 348 e 351 (art. 21 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 16 settembre 1980, n. 791, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. legge 20 marzo 1865, n. 2248, art. 378, terzo comma, allegato F> (artt. 3 e 112 della Costituzione). Pretore di Valentano, ordinanza 29 marzo 1980, n. 706 G. U. 26 novembre 1980, n. 325. r.d. 22 dicembre 1872, n. 121 O, art. 78 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. r.d. 17 agosto 1907, n. 642, art. 26 (artt. 3 e 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 10 giugno 1980, n. 728, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 1O, comma secondo (artt. 2, 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 24 giugno 1980, n. 691, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. r.d. 19 ottobre 1923, n. 2616, art. 16 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. r.d. 30 dicembre 1923, n. 2903, art. 29 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 44, primo comma (artt. 3 e 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 10 giugno 1980, n. 728, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 2 giugno 1930, n. 733, art. 18 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 22 aprile 1980, n. 651, G. V. 12 novembre 1980, n. 311. r.d.I. 26 gennaio 1931, n. 122, art. 12 [conv. in legge 18 giugno 1931, n. 919] (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, G. V. 26 novembre 1980, n. 325. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Rovigo, ordinanza 19 giugno 1980, n. 719, G. V. 10 dicembre 1980, n. 338. r.d.I. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Napoli, ordinanza 24 giugno 1980, n. 655, G. V. 12 luglio 1980, n. 311. r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, tabella Al (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. V. 10 dicembre 1980, n. 338. r.d. 6 maggio 1940, n. 635, art. 58, comma terzo (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Rovigo, ordinanza 19 giugno 1980, n. 719, G. V. 10 dicembre 1980, n. 338. legge 24 aprile 1941, n. 392, art. 1, 2 e 3 (artt. 5, 110 e 128 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta e giurisdizionale, ordinanza 12 febbraio 1980, n. 689, G. V. 3 dicembre 1980, n. 332. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 50, secondo comma (artt. 101, secondo comma e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, G. V. 26 novembre 1980, n. 325. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 18, primo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanza 22 maggio 1980, n. 698, G. V. 19 novembre 1980, n. 318. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Locri, ordinanza 21 gennaio 1980, n. 755, G. V. 24 dicembre 1980, n. 352. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 59 (art. 36 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 853, G. V. 31 dicembre 1980, n. 357. Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 853, G. V. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 9 giugno 1947, n. 530, art. 3 (art. 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, ordinanza 23 aprile 1980, n. 717, G. V. 26 novembre 1980, n. 325. PARm II, LEGISLAZIONE legge 10 febbraio 1953, n. 62, art. 56 (art. 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, or� dinanza 23 aprile 1980, n. 717, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 25 e 70 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 11 luglio 1980, n. 648, G. U. 5 novembre 1980, n. 648, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Brescia, ordinanza 10 gennaio 1980, n. 720, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Marsala, ordinanza 24 aprile 1980, n. 688, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2, (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 8 maggio 1980, n. 758, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 893, art. 121 [modlf. da legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5J (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 1� ottobre 1980, n. 799, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 725, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, comma secondo, lettera a) (artt. 3 38, comma secondo, della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 8 maggio 1980, n. 678, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, comma secondo (~rt. 3 della Costituzione). Pretore di� Asti, ordinanza (due) 16 luglio 1980, nn. 682 e 683, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 12 febbraio 1965, n. 162, art. 74, comma primo (artt. 3 e 41 della Costituzione). Pretore di Camposampiero, ordinanza 1� luglio 1980, n. 726, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 11 e 41 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza (due) 5 giugno 1980, n. 660 e 661, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. Tribunale di Ravenna, ordinanza 23 maggio 1980, n. 701, G. U. 26 novembre 80', n. 325. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 76, 77 e 3 della Costituzione). Corte di appello di Lecce, ordinanza 9 maggio 1980, n. 605, G. U. 5 no� vembre 1980, n. 304. tJ8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2 (artt. 2, 3, comma secondo, 4, comma primo, 35, comma primo, e 38, comma secondo, della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 25 luglio 1980, n. 716, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art+. 3 e 140 Cart. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 17 settembre 1980, n. 756, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 30 giugno 1980, n. 760, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. legge 2 ottobre 1967, n. 895, art+. 2 e 7 [modlf. da legge 10 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Rovigo, ordinanza 19 giugno 1980, n. 719, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. legge 8 marzo 1968, n; 152, art+. 2 e seguenti (art. 3 della Costituzione). Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 22 aprile 1980, n. 651, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lettera a) (art. 3, comma primo, della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 13 giugno 1980, n. 643, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. legge reg. Valle d'Aosta 11 marzo 1968, n. 9, [modif. con legge reg. 4 aprile 1978, n. 6] (artt. 5, 128 e 118, ultimo comma, della Costituzione e art. 2 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta). Tribunale amministrativo regionale per la Valle d'Aosta, ordinanza 10 aprile 1980, n. 659, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. legge 2 aprile 1968, n. 482, art+. 1 e 5 (artt. 38 e 41 della f'ostituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanze (due) 9 aprile 1980, nn. 708 e 709, G. U. 26 novembre 1980, n. 365. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costi� tuzione). Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. leg9e 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, primo comma, (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 29 maggio 1980, n. 675, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. legge 30 dicembre 1970, n. 1239 (art. 11 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1980, n. 759, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 19, primo comma (artt. 3 e 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 10 giugno 1980, n. 728, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4 (artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 29 maggio 1980, n. 721, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 15 febbraio 1972, n. 772 (artt. 2, 3, 19, 21 e 52 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 15 aprile 1980, n. 727, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, comma primo, e titolo lii (art. 76 della Costituzione). Commissioni tributarie di primo grado di Forl�, ordinanza 17 maggio 1980, n. 722, G. U. 26 novembre 1980, .n. 325. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Commissioni tributarie di secondo grado di Massa Carrara, ordinanza 27 ottobre 1977, n. 606-1980, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanze (due) 15 maggio 1980, nn. 692 e 693, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, ordinanza 12 giugno 1980, n. 674, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 11 apn'l~ 1978, n. 699, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 26 ottobre 1979, n. 764/1980, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art+. 6 e 14 [modif. da d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688J (artt. 53, primo comma della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Massa Carrara, ordinanza 15 ottobre 1976, n. 734/1980, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11 (artt. 25, comma primo, 52, commi primo e secondo, e 103, comma terzo, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 19 giugno 1980, n. 649, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. legge 11 agosto 1973, n. 533, art. 420, primo e ultimo comma (artt. 24, primo e secondo comma, 97, 101 e seguenti e 3 della Costituzione). Pretore di Nard�, ordinanza 24 marzo 1980, n. 656, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DllUO STATO d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 74 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Latina, ordinanze (due) 15 di� cembre 1979, nn. 753 e 754/1980, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1, 4 e 7 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, ordinanza 14 gennaio 1980, n. 704, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Pisa, ordinanza 24 giugno 1980, n. 731, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. Commissione tributaria di primo grado di Pordenone, ordinanza 27 marzo 1980, n. 730, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). I Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 5 marzo 1980, n. 766, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. I legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). I ~ Pretore di Pistoia, ordinanza 16 aprile 1980, n. 602, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. fil Pretore di Pistoia, ordinanze (otto) 26 marzo 1980, n. da 593 a 600, G. U. 5 �! novembre 1908, n. 304. ~ Corte di Cassazione, ordinanza 5 maggio 1980, n. 608, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. m ri Pretore di Monsummano Terme, ordinanza 4 marzo 1980, n. 696, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. ili I @; Pretore di Pistoia, ordinanza 21 maggio 1980, n 767, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. ~~ legge 18 dicembre 1973, n. 877, art. 13, commi primo e secondo (artt. 3 e ~ 35 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 31 maggio 1980, n. 679, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge reg. Calabria 27 dicembre 1973, n. 22, art. 26 (art. 130 della Costituzione). Tribunale. amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, ord�� nanza 23 aprile 1980, n. 717, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, primo comma (art. 3 della Coili stituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 I aprile 1980, n. 729, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. f: jj, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, comma sesto, (art. 3 della Co� stituzione). t Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 11 gennaio 1978, n. 647, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. I ~ 1: -i Mi }tlWf.p=MJfiliP;Jir'W':+�m'W'"'?f.NYYt1WM.ill'::::::::::i;;:i::w;w=i~g:::::'W.Ylff.ii.ffi?''::::::::1;:::::\lfff-:i:w;r'::=:::::::::i;rmw ..:iit'ff'WJWAf%JM.f'@ITTNWfwd �.'.f#.ff.&P.�.d&.r#..::&.4 Affi. W.--:rf.fi..@:f.m.>r::#J%:..Wf./:titv.1fff:fifu.@f.ff.#:0.ti.Wfif.=.:-P.JiUtJ@;zld#..:0.:r-~=rr::clffl.,nYffi.....�f.$!}.$. ~tr4.ill-Miffiilir~r:~s~::l-t:~ill~�~=ar~:l:rt~};?.r&~t~t::~:;:0~=~@~~~~;:~tfa~~:r~~=~=~ili"~~~===~1rr~~.::Ji!:~~~~=~=~~;~~:~~~~=~r1{~~==~~~~g~rr::;:~*:~m:r:~~~==:ill~:rr:~r:1r:~f:~~~~;;~:t~!:~=~:t~}f~~~~r:f.}~~=~fa~~=~=:ti:i% PARTE II, LEGISLAZIONE legge 18 aprile 1974, n. 384, art. 4, sesto c:omma (art. 53 della Costi. tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 1� luglio 1977, n. 713/1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. d.I. 6 luglio 1974, .n. 259, art. 4 [c:onv. in legge 17 agosto 1974, n. 384] (artt. 3, 29 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanze (due) 23 no� vembre 1977, nn. 710 e 711 /1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. d.I. 6 luglio 1974, n. 259, art. 4, sesto c:omma [c:onv. In legge 17 agosto 1974, n. 384] (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza (tre) 15 dicem� bre 1977, nn. 586, 587 e 588 /1980, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 25 ottobre 1979, n. 787/1980, G. U. 31 dicem� bre 1980, n. 352. legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 22 aprile 1980, n. 651, G. U. 12 novem� bre 1980, n. 311. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale di Pinerolo, ordinanza 2 giugno 1980, n. 700, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 4 (artt. 13 e 24 della Costituzione}. Tribunale di Rovigo, ordinanza 26 maggio 1980, n. 607, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 2 e 9 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 6 giugno 1980, n. 714, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo c:omma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. legge 2 dic:embre 1975, n. 576, art. 19, comma sec:ondo (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, ordinanze (due) 20 ot� tobre e 6 novembre 1979 nn. 702 e 703/1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 1 O dlc:embre 1975, n. 724, artt. 1, 3 e 7 (artt. 3 e 11 della Co. stituzione). Corte di appello di Napoli, ordinanza 24 aprile 1980, n. 652, G. U. 12 novem� bre 1980, n. 311. legge 22 dic:embre 1975, n. 685, artt. 12, lettera a> e 26, primo c:omma (art. 3 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale di Bolzano, ordinanza 26 marzo 1980, n. 715, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO legge 22 dic:embre 1975, n. 685, artt. 71, 72 e 83 (art. 3 della Costituzione). Giudice istn1ttore presso il tribunale di Rovereto, ordinanza 21 maggio 1980, n. 645, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. legge 10 genna_io 1976, n. 319, art. 25 (art. 27 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanze (otto) 6, giugno, 22 maggio, 2 aprile, 28 marzo e 4 aprile 1980, nn. 664, 665, 666, 667, 668, 669, 570 e 571, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Polissi Generosa, ordinanza 16 gennaio 1980, n. 723, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. Tribunale di Taranto, ordinanza 18 giugno 1980, n. 752, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo c:omma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 21 dicembre 1977, n. 712, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo c:omma (artt. 29, 31, 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Pescara, ordinanza 21 gennaio 1980, n. 685, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. Commissione tributaria di secondo grado di Pescara, ordinanza 21 gennaio 1980, n. 686, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Caserta, ordinanza 23 giugno 1980, n. 604, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. d.I. 10 dic:embre 1976, n. 798, art. 1, terzo c:omma [c:onv. in legge 8 feb� braio 1977, n. 16] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, ordinanze (due) 20 ottobre e 6 novembre 1979, nn. 702 e 703/1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lettera b) (artt. 2, 3, 24, 54, 73, 111, 113, e 27, comma primo, della Costituzione). Pretore di Cingoli, ordinanza 22 luglio 1980, n. 694, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. legge 8 agosto 1977, n. 573, art. 2 (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. legge 9 dic:embre 1977, n. 903, art. 6 (artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 29 maggio 1980, n. 721, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 26 ottobre 1980, n. 764/1980, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. d.I. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [conv. in legge 27 febbraio 1978, n� 411 (artt. 38, 36, 42, 47, 53 e 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 luglio 1980, n. 672, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. d.I. 30 gennaio 1978, n. 15, art. 1 [conv. in legge 22 marzo 1978, n. 75] (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. legge prov. Trento 13 marzo 1978, n. 13 (artt. 8 e 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Pretore di Trento, ordinanza 10 luglio 1980, n. 690, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. d.I. 30 marzo 1978, n. 78 [conv. in legge 26 maggio 1978, n. 221 l (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. d.I. 6 luglio 1978, n. 353, art. 2 [conv. in legge 5 agosto 1978, n. 502] (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). Pretore di Cingolo, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 13, comma quinto, lettera b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 8 luglio 1980, n. 654, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 26, primo cpv. (art. 3 della Costituzione). Pretore di Codigoro, ordinanza 27 marzo 1980, n. 644, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 34 e 69 (art. 42 della Costituzione). Giudice conciliatore di Andria, ordinanza 8 settembre 1980, n. 757, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 8 (artt. 3, 70, 101 e 103 della Costituzione). Giudice conciliatore di Ravenna, ordinanza 16 luglio 1980, n. 653, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 38, 36, 42, 47, 53 e 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 luglio 1980, n. 672, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. legge 8 gennaio 1979, n. 2 (artt. 2, 4, 25, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Montagnana, ordinanza 20 giugno 1980, n. 650, G. U. 12 novem� bre 1980, n. 311. 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. 30 gennaio 1979, n. 20, art. 1 [conv. in legge 31 marzo 1979, n. 92] (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. legge 13 agosto 1979, n. 374, art. 1 (artt. 3, 24, 38 e 102 della Co� stituzione). � Tribunale di Frosinone, ordinanze (quindici) 4 e 18 giugno 1980, nn. da 736 a 750, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 13 agosto 1979, n. 375 (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. d.I. 15 dicembre 1979, n. 629, art. 3, ultimo comma [modlf. da legge 15 feb� bralo 1980, n. 251 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Otranto, ordinanza 28 giugno 1980, n. 662, G. U. 12 novembre 1980, n. 331. d.I. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 11 [modif. da legge 6 febbraio 1980, n. 15] (artt. 3, primo comma, 13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale di Padova, ordinanza 21 luglio 1980, n. 673, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. legge 20 marzo 1980, n. 75, artt. 4, ultimo comma, e 6, secondo comma (artt. 3, 24, 38 e 102 della Costituzione). Tribunale di Frosinone, ordinanze (quindici) 4 e 18 giugno 1980, nn. da 736 a 750, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. legge 20 marzo 1980, n. 75, artt. 6, secondo comma, e 4, ultimo comma (artt. 104, primo comma, 25, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Como, ordinanza 27 giugno 1980, n. 718, G. U. 12 luglio 1980, n. 311. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6 (artt. 3, 24, primo comma, 42, 70 e 101 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 4 luglio 1980, n. 697, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (artt. 3, 24, primo comma, 42, 70 e 101 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 25 luglio 1980, n. 687, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. legge conv. reg. Veneto 23 aprile 1980, riapp. Il 30 ottobre 1980 (artt. 117 e 118 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei ministri, ricorso 29 novembre 1980, n. 28, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. I I f i PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 31 luglio 1980, n. 613, art. 11, terzo comma (artt. 3, terzo comma, 8, n. 29, 9, n. 10, 16 e 19 delfo Statuto speciale de1 Trentino-Alto Acli.ge). Presidente delle provincie autonome di Bolzano, ricorso 14 novembre 1980, n. 23, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. Presidente della provincia autonoma di Trento, ricorso 14 novembre 1980, n. 25, G. U. 26 novembre_ 1980, n. 325. d.P.R. 31 luglio 1980, n. 614, art. 5 (artt. 3, terzo comma, 8, nn. 1 e 21, 9, n. 10 e 16 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige). Presidente delle provincie autonome di Bolzano, ricorso 14 novembre 1980, n. 24, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. Presidente delle provincie autonome di Trento, ricorso 14 novembre 1980, n. 325. legge reg. Valle d'Aosta e riappr. il 17 ottobre 1980 {art. 2 dello Statuto speciale della regione Valle d'Aosta e art. 97 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 15 novembre 1980, n. 27, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. legge reg. siciliana appr. li 23 ottobre 1980 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Commissione dello Stato per la regione siciliana, ricorso 10 novembre 1980, n. 22, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. legge reg. sic. 13 novembre 1980, artt. 2, 3, 4, 6, primo, secondo e terzo capoverso, 7, 8, 12, 23, 24 e 25 (artt. 3, 51, 81 e 97 della Costituzione e art. 17, lettera f) dello statuto speciale per la regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 1� dicembre 1980, n. 29, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338.