ANNO XXXII N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 1980 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1980 



ABBONAMENTI 
ANNO ................................ L. 


UN NUMERO SEPARATO ���� , � � � � � � � � � � � � � � 

Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI. 10 -ROMA 
e/e postale 1/2640 

~tampato �n Italia � Printed in ltalr 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1960 


(2219123) Roma, 1980 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 
del/'avv. Franco Favara} � � � � � � � � . pag. 887 

Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura del/'avv. Oscar Fiumara} . � � 915 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo} . � � . . � � � 935 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Adriano Rossi e Antonio� Catrical�} � � � . � � 938 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura 
del/'avv. Raffaele Tamiozzo} � . . . . � 948 

. Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato 
Carlo Baf�le) . . . � . . � . . . . � 956 

Sezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} � . � 967 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Paolo 
Di Tarsia Di Be/monte} . . . . . � . � . � 1004 

4 "2. 
1-t 

Parte seconda: QUESTIONI~ LEGISLAZIONEi;-DICE BIBLIOGRAFICO 
CONSUtTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE 
pag. 133 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 




CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, 'Bologna; 
Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco Gu1cc1ARDI, Genova,� Marcello DELLA 
VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele 
CONANZI, Napoli; Nicasio MANCUSO, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; 
Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FJlANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, 
Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

O. FIUMARA. Trattamento daziario preferenziale per i prodotti originari 
dei paesi in via di sviluppo: il controllo dei certificati di origine, I, 925 
G. 
STIPO. Imprescrittibilit� del diritto a pensione e tutela giurisdizionale, 
I, 948 
P. Dr TARSIA. Il codice della navigazione e la sopravvivenza delle norme 
del regolamento 11 gennaio 1925, n. 356, I, 1005 

ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRIdehl'iscrizione 
-Permanenza dell fatCIT� 
to -Normade iTrilevanza -Mani


PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
-Competenza e giurisdizione -TribUJnailii 
oJ1diinari e ,tribunaJli delle 
acque -Danni da difettosa manutemJione 
di ope11a idrauLioa -Compete.
ma dei tribunali delile acque, 
983. 
APPALTO 
-A,'ppa!lto di opere pubbliche � Arbi<
trato -DedLinartoria di competenza 
da parte de!IJJ'ao:nmiI11ist11azione 
convenuta . ProsecuZiione deL .giudizio 
-Termine di decadenza � Insussistenza, 
989. 
-Appailito di opere pubbliche -Capitolati 
� Per ffi'appailto di opere e 
~�esecu2lione di lavori o forniture 
ferroviarie -Natura regolamentare -
Esclusione, %7. 
-Appa:lito di opere pubbliche -Opeiia 
di competenza dellle F'errovie 
delilo Stato -Onere delila tempestiva 
dserva delill'appaLtatore -A;pplii� 
cabilit� del principio, 967. 
-Ap!Parlito di opere pubbliche -Revisione 
dei prez2li -Situazione sog,
getdva deb}'arpparlltatore -Interesse 
degittimo . Configurab1Ut� di diritto 
soggettivo -Condizioni, 999. 
-Apparlto dii opere pubbliche -Riserva 
-AJCoertamenito del tempo delll'isc11iziione 
-Ques1tione di fatto -
Vadutazione della tempestivit� del!11/&
scrizione -Questione di diritto -
Limiti, 967. 
-Appalto di qpere pubbliiche � Riserva 
-Documenti ddonei aN'iscrizione 
deihle ,riserve -Verbarl1e di consegna 
. � tale, %7. 
-Appalto di opere pubbliche -Riserva 
-Fatti continuativi -Tempo 
festa11si dell'oneroSI�lt� -RI�llevanza -
Sospensione dei lavori -Equiparabilit� 
a fatto dmtinuati'Vo, 967. 
-Appa:lito dd opere pubbliche -Ri5erva 
-Onere -Carattere genera.de -
Eccezioni -Fatti contiiniuativ1 -Limite, 
%9. 
-Appalto di opere pubbliche -Riserva 
-Sospensione -Documenti 
1in cuii pu� [,scriversi -Verbale di 
,sospensione o .ripresa dei davori, 
%9. 
-J\p,'parlto di opere pubbldche -Riserva 
-Tempestivi,t� -Controlfo in 
casisazione -Giudizio di legittimdt� 
-Estensdone, 969. 
-AppaiLto di opere pubbliche -&iiserve 
-Fatti coLposi o dolosi -Sus
�S�!stenza de!Jl'onere -Condizioni, 967. 
AVVOCATI E PROCURATORI 
-Iscrizione agiH albi professionail!i 
Necessit� di un previo esame dd 
Stato -� tale ml conco11so per l'accesso 
aLla magistratura, 903. 
-Is.criz;ione a.Jrl"albo professionale � 
Qual1it� di profugo ed esercizio di 
fatto di atti,,,it� regalie -Requisiti 
insufficienti, 906. 
COMPETENZA E GIURliSD.IZIONE 
-Cosa g,iudicata -Efficada in arlitro 
giudizio anche ag�d effetti de!Jla .gi:urisddzione, 
935. 
-Dd.fetto assoluto di .giurisdizione -
Nozione, 983. 
-Giuriiscliz;ione -Difetto -RilevaibiHt� 
-Predlusione -Giudicato sul1a 

INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

~iurisdizione � Formazione � Fatti1specie, 
983. 

-Poteri del .giudice � Disapplicazione 
-Limiti -Fattispecie in tema di 
�revisione dei prezzi, 999. 

COMUNIT� EUROPEE 

-DMi doganailii -Prodotti omgmari 
di paesi dn via d<i svill\lppo -Trattamento 
t�riiffanio preferenziale � 
Certificati di origine � CoIJJtroMii � 
Pagamento del dazio non corrisposto 
all'atto del['dmtPOrtaziooe, con 
nota di o. FIUMARA, 925. 

-Libera drcolamone dei ilavoratori Previdenza 
sociale -Prestazioni di 
disoccupazione, 915. 

-Unione doganale -Libera circolazione 
delile merci -Temporanea importa2lione 
di autoveicoli, 921. 

CONTRATTI PUBBLICI 

-Contratti della Pubblica amministrazione 
� Risoluzione del contratto � 
Mutuo consenso -Forma -Necessit�, 
938. 

CORTE COSTITUZIONAILE 

-Corufillitto di attvibuzione tra poteri 
deltllo Stato � Limiti deh1a giurisdizione 
nelle mart:erie di contaibiJJit� 
pubbilica -LegittimMione dcl Presidente 
deLla Repubbliica, del :Presidente 
del Senato e di Presiidente 
de1la Camera dei deputati, 900. 

-COillfliitto di attri!buzione tra Stato 
e Regione � Atto non imm.ediiatamente 
lesivo -Amrnisstibidlit� del ricorso, 
891. 

-Ricorsi per impugnatdiva diret;ta del� 
le �!leggi e per confiliitto dd attribuzione 
-Deposirto del rdoorso -Termine 
� � perentorio, 913. 

GIUDICATO 

-lndemJJ�t� dd a:nzfandt� -Domanda 
di integrazione -Cosa ~ucticata � 

Preclusione di successive domande 
di integraziooe, 93'5. 

IMPIEGO PUBBLICO. 

-Componenti di commiSISioni dd concorso 
� D!isposizione che esclude itl 
compenso ad� componenti � interni 
� -~ttimit� cosrtirtuzionaile, 908. 

LAVORO 

-!Mobilit� dei diavoratori � Dichiarazione 
di criisi aziendale -Effetti 
de1la disdetta d<i cui ahl'art. 21,12 
cod. civ. -Legittimdit� costituziooalle, 

898. 
-Periodo di p.rova -Dil.1i�tto aJi!J'indennit� 
dii anzianit� e diritto allle ferie 
-Esclustione -lililegittimdt� cos<
tituzionaile, 910. 

-Periodo di prova � Reces�so deJ datore 
dd tliaivoro � Limiti deiltla �di� 
screzionaliit� � del datore di favoro rnsposdzioni 
che escludono !l'onere 
di motivare di r-ecesso -Legittimit� 
costituzionale, 910. 

PENSIONI 

-Pensioni di� riversibiJJii.t� . Diiversit� 
di �t.ra,tta.mento tra mogiliie superstite 
e mariito su;perstiJte -illegittimit� 
costiotuzionale, 887. 

-Pensione sociale -CumU!lo con pen� 
sione di guerra � Esclusione -Le� 
g.ittdmit� cos:tdtuzionaile, 902. 

-Dipendenti enti locali � RetI�lbuzione 
contvibutiva -Erogazione dd m<i� 
g1lioramenti economici da parte degM 
enti Jocaili d:n aggiunta a quanto 
s,tabiliirto dagli 1aocordi nazionai1i 
sindacali -Noo vanno inclusi neilWa 
retribuzione contributiva, 954. 

-Rilconso ailtlta Corte dei conti -Facolt� 
di propo!.1llo senza liimiti di 
tempo, con nota di G. STIPO, 948. 

REATO 

-Disastro avdatorio � Direttore del� 
1Faeropovto -Visita di controllo pri



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

VIII 

ma dehla partenza del1J/.aeromobrille Obblli\
gatortiet� -Reg0iliamen1tiazione 
aerea .111 gern11aio 1925, n. 356 -AppliicabiJIJH�, 
nota di P. DI TARSIA DI 
BELMONTE, .1005. 

-Omissione di ~tti d'ufficio -Omes1sa 
emana2lione di ordinanze di carattere 
contiil!gibrille ed urgente dn 
materia di edilit�, polizia locale ed 
igiene, per motivi di sanit� o di sicurezza 
-Discrezionalit� del prefetto Insussistenza 
del reato, 1004. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Uso di mezzo di servizio per ragioni 
estranee a1l"uff�cio -Infortunio 
dei trasportati -Non ne risponde 
il'amminiistrazione proprietaria Presunzione 
di responsabild�t� ex articolo 
2054, terzo comma, cod. dv. -
InapplicabiJiit�, 945. 

TRATTATI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI 


-Competenza de.Mo Stat"O e non delle 
Regioni -Atto :PreHminare ahla 
adesione e trattato unilaterale Spetta 
allo Stato, 891. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta di ricchezza mob:hle -Contributo 
de.Mo Stato concesso a produttori 
di i�i1lm nazionald -Concor


so in :spese di produzione -Sqno 
soggette all'imposta, 962. 

-Imposta di ricchezza mobile -PlliUsvaillenze 
-Accertamento induttivo 
del vailore di reail:izzo -Riferimento 
�all'accertamento dd valore ai .fi,. 
ni: deihl'dmposta idi registro -LegitHmit�, 
95'8. 

TRIBUTI ERA!RIALI INDIRETTI 

-Lmposta di registro -Agevo~a7lione 
per J'escavazione, segaitura, qavorazione 
e commercio dei marmi Es1tensione 
a~m oessione di azienda 
marmdfera -Esclusione, 960. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Ricoriso per 
Cassazione -Decisione di commissione 
centraile che annuJla con rinviio 
-Impugnaz;ione immediata, 956. 

-Norme tributarie -Lnterpretazione Agevofu2lioni 
concesse per 1singole 
operazioni produtti:ve -Estensione 
ad 1atlitre operazioni dehlo stesso ci� 
clo -Impossibilit�, 959. 

UNIVERSIT� 

-Contrattiisd ed assegrnism -Tratta� 
menti retrib�tiivi ,ddfferenz;iati -Compresenza 
di esigenze di formazione 
scientifica -Giustti�ica Jia 1ddseg;uagHanza, 
888. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

30 gennaio 1980, n. 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 887 
14 aprile 1980, n. 43 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 888 
23 luglio 1980, n. 123 . . . . . . . . . � 891 
30 luglio 1980, n. 1143 . . . . . . . . � 898 
12 novembre 1980, n. 150 (ordinanza) � 900 
15 dicembre, 1980, n. 157 � 902 
22 dicembre 1980, n. 174 . � 903 
22 dicembre �1980, n. 175 � 906 
22 dicembre 1980, n. 176 � 908 
22 dicembre 1980, n. 189 � 910 
22 dicembre 1980, n. ,191 � 913 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE 

19 giugno 1980, nelle cause riunite 41-121-796/79 pag. 915 
1� sezione, 9 ottobre 1980, nella causa 823/79 . )) 921 
2� sezione, 9 ottobre 1980, nella causa 827/79 . )) 925 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CAiSSAZIONE 

Sez. I, 21 marzo 1979, n. 3560 pag. 938 
Sez. Un., 6 giugno 1979, n. 3186 )) 935 
Sez. I, 14 marzo 1980, n. 1718 )) 956 
Sez. I, 21 marzo 1980, n. 1904 . )) . 958 
Sez. I, 26 marzo �1980, n. 2007 . )) 959 
Sez. I, lo aprile 1980, n. 2097 . )) 967 
Sez. Un., 20 maggio 11980, n. 3290 )) 983 
Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3826 )) 962 
Sez. I, 25 g1ugno 11980, n. 3978 )) 989 
Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5564 . )) %9 

TRIBUNALE 

Potenza, 29 giugno 1979, n. 552 pag. 999 
Roma, Sez. V, 19 marzo 1980, n. 2386 )) 945 


X 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 
CORTE DEI CONTI 
Sez. Ili, pensioni civili, 9 maggio 1979, n. 42215 
Sez. III, pensioni civili, 25 gennaio 1980, n. 44192 
pag. 
� 
948 
954 
GIURISDIZIONI PENALI 
CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. VI pen., 4 dicembre 1979 . 
Sez. IV, 8 maggio 1980, n. 1024 
pag. 1004 
� 1005 



PARTE SECONDA 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I. -Norme dichiarate incostituzionali 
Il. -Questioni di1Chiarate non fondate 
III. -Questioni proposte . . . 
pag. 
)) 
)) 
131 
132 
134 


PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 gennaio� 1980, n. 6 -Pres. Amadei -Rel. 
Gionfirida -Zanassi (avv. Patrizi), Roversi (avv. Nais), INPS (avv. Boer) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Pensioni . Pensione di rlversibillt� -Div�rsit� di trattamento tra moglie 
superstite e marito superstite . Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 29; legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 2; legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22; 
legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 11). 

Contrastano con gli artt. 3 e 29 Cost. gli artt. 13 r.d.l. 14 aprile 1939, 

n. 636 (modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per 
l'invalidit� e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria), 
convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, sostituito con l'art. 2 
della legge 4 aprile 1952, n. 218 (riordinamento delle pensioni sull'assicurazione 
obbligatoria per l'invalidit�, la vecchiaia e i superstiti), e con 
l'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (avviamento alla riforma e miglioramento 
dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), nella 
parte in cui (comma quinto) stabilisce che �se superstite � il marito la 
pensione � corrisposta solo nel caso che esso sia riconosciuto invalido al 
lavoro ai sensi del primo comma dell'art. 10 �, nonch� l'art. 11, comma 
primo, della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (parit� di trattamento tra uomini 
e donne in materia di lavoro) limitatamente alle parole �deceduta 
posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge �. 
(omissis), Successivamente, per�, la situazione sociale� ed economica 
del paese -come esattamente sottolineato anche in varie ordinanze dei 
giudici di rinvio -� mutata profondamente. Ed in tale nuovo contesto il 
lavoro femminile si � inserito come fenomeno di innegabile rilevanza sociale. 
In particolare, il lavoro della donna coniugata, indipendentemente 
da ogni considerazione statistica di frequenza, � venuto assumendo, con 
rigu:ard? alle ipotesi in cui in fatto comunque si verifica, connotazione non 
diversa da quella del lavoro del marito, quanto alla destinazione del 

(1) In diverso senso :La Cor.te sii era pronU!IllOi�a1Ja ndl:J.e sentenze n. i1>19, n. 201 
e n. 202 del 1972 (in questa Rassegna, 1972, 954 e 1973, 88 e 89). Il mutamento di 
orientamento � giustificato -oltre che, anzi pi� che, dal sopravvenire di dati 
normativi -daLla constatazione di realt� sociali e di costume nuove; U che appare 
molto significativo. 
Cfr., inoltre, PERSIANI, La funzione della pensione di riversibilit� nella pi� 
recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1980, I, 494. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(omissis) Preliminarmente occorre verificare se sia ammissibile la 
questione di legittimit� costituzionale che il pretore di Milano, adito quale 
giudice del lavoro ex art. 700 cod. proc. civ, ha sollevato dopo che gli 
enti universitari convenuti avevano proposto ricorso per regolamento 
preventivo di giurisdizione. 

Sul punto, la Corte ritiene di doversi attenere alle proprie precedenti 
decisioni, con le quali ha giudicato inammissibile la questione di legittimit� 
costituzionale sollevata dal giudice dopo che, per effetto della proposizione 
del regolamento preventivo di giurisdizione, egli � stato privato 
� di ogni competenza a conoscere e a disporre della o sulla questione 
giurisdizionale� (sentenze: n. 221 del 1972; n. 135 del 1975; n. 118 e n. 186 
del 1976; n. 3 del 1977). 

La questione sollevata dal pretore di Milano con l'ordinanza 14 aprile 
1978, deve, pertanto, essere diichiairata inammissibile, noo essendo quel 
giudice pi� legittimato a compiere atti del procedimento dopo che era stato 
proposto regolamento preventivo di giurisdizione, e non essendo la dedotta 
questione di costituzionalit� riferibile a norma da applicare per il compimento 
di alcuno degli �atti urgenti� di cui all'art. 48 del cod. proc. civ. 

Questione di legittimit� costituzionale sostanzialmente identica, ancorch� 
limitata all'art. 1, terzo comma, della legge 4 febbraio 1977, n. 21 
e in riferimento ai soli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, Cost., 
viene sollevata, con ordinanza 24 aprile 1978, dal pretort. di Bologna, 
anch'egli adito quale giudice del lavoro con ricorsi ex art. 700 del codice 
di procedura civile. 

Tale questione -che ha, ormai, effetti circoscritti posto che, con il 

d.l. n. 817 del 1978 convertito in legge 19 febbraio 1979, n. 54, sono state 
attribuite ai contrattisti ed assegnisti universitari, con decorrenza dal 
1� gennaio 1979, le indennit� delle quali si discute -non � fondata. 
L'assunto del giudice a quo, a detta del quale, ritenuti di pubblico 
impiego i rapporti con le Universit� sia dei contrattisti che degli assegnisti, 
violerebbe il principio di uguaglianza la previsione del trattamento economico 
ad essi riservato, in quanto diverso e meno favorevole di quello 
garantito agli altri dipendenti dell'Universit�, non pu� essere condiviso. 

Infatti, quand'anche la premessa dalla quale muove il pretore di 
Bologna fosse assolutamente indiscutibile ed i rapporti in esame fossero 
da qualificarsi entrambi di pubblico impiego -in contrasto con l'orientamento 
del Consiglio di Stato (Sezione prima, parere n. 515/75 del 30 aprile 
1976) che per gli assegnisti ha escluso f�nanco l'esistenza di un rapporto 
di lavoro subordinato con le Universit� -, non potrebbe da ci� solo 
dedursi l'obbligo del legislatore di equiparare rigidamente, in ogni sua 
componente e con i medesimi meccanismi, il trattamento retributivo dei 
contrattisti ed assegnisti a quello degli altri dipendenti -nella specie, 
docenti -dell'Universit�, quasi che non fossero legittimamente ipotizza� 


890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
bili nell'ambito del pubblico impiego trattamenti retributivi differenziati 
in ragione delle peculiari caratteristiche dei rapporti ai quali ineriscono. 
Vero � che il trattamento retributivo del quale si discute si diversifica 
da quelli spettanti al restante personale universitario non soltanto per la 
mancata previsione, qui censurata, di talune indennit� (l'assegno integrativo 
e l'aggiunta di famiglia), ma anche perch� diversa � la determinazione 
890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
bili nell'ambito del pubblico impiego trattamenti retributivi differenziati 
in ragione delle peculiari caratteristiche dei rapporti ai quali ineriscono. 
Vero � che il trattamento retributivo del quale si discute si diversifica 
da quelli spettanti al restante personale universitario non soltanto per la 
mancata previsione, qui censurata, di talune indennit� (l'assegno integrativo 
e l'aggiunta di famiglia), ma anche perch� diversa � la determinazione 
della stessa retribuzione base. 

Il trattamento complessivo cos� differenziato si giustifica con il rilievo 
che si tratta di rapporti limitati nel tempo e caratterizzati, per quanto 
concerne i contrattisti, dalla compresenza di esigenze di formazione scientifica 
del contrattista stesso e di doveri di prestazioni nell'interesse della 
Universit�, con un impegno, per quest'ultimo aspetto, limitato a met� della 
giornata, per tre giorni settimanali e consistente in attivit�� di assistenza 
agli studenti, di controllo del loro profitto e di esercitazioni senza peraltro 
sostituire i docenti nell� svolgimento dei corsi e nella valutazione degli 
studenti (art. 5 d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, convertito in legge 30 novembre 
1973, n. 766). Si tratta, all'evidenza di un rapporto con caratteristiche 
peculiari non riscontrabili nei rapporti dell'Universit� con gli altri suoi 
dipendenti e tali da escludere quella sostanziale eguaglianza di situazioni 
dalla quale soltanto pu� dedursi la irrazionalit� e quindi l'illegittimit� 
di trattamenti differenziati. 

Relativamente agli assegnisti �, poi, agevole osservare che secondo il 
modello legislativo (restando estranea al presente giudizio la valutazione 
della sua applicazione pratica eventualmente difforme) la concessione 
dell'assegno � finalizzata esclusivamente alla formazione scientifica e 
didattica dei giovani laureati senz'obbligo di prestazioni lavorative nell'interesse 
dell'Universit� stessa. 

:B da escludere, pertanto, che differenziazioni parziali nascenti in un 
sistema normativo complessivo -non soltanto ret�ributivo -fortemente 
differenziato possano, di per s�, ritenersi contrarie al principio di eguaglianza. 


Neppure sussiste violazione dell'art. 36, primo comma, Cost. Baster� 
-ferma la distinzione sopra fissata -ricordare che l'esigenza di una 
retribuzione �sufficiente� non comporta certamente l'obbligo di meccanismi 
di adeguamento particolari, tanto meno per figure di lavoratori 
�transitori� come i contrattisti. La stessa durata temporale del contratto 
e la possibilit� -concretamente verificata con la legge n. 21 del 1977 di 
maggiorazioni dell'originario importo dei contratti (nonch� degli assegni) 
sta a dimostrare che il legislatore ben pu� adeguare la retribuzione 
alle variazioni del costo de1la vita .con interventi adottati di volta 

in volta senza essere vincolato ailil'adozione di meccanismi automatici. 
(omissis) 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 891 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 luglio 1980, n. 123 -Pres. Amadei -Rel. 

La Pergola -Regione Sardegna (avv. Vitucci) e Presidente Consiglio 

dei Ministri (avv. Stato Azzariti). 

Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione -Atto 
non immediatamente lesivo -Ammissibilit� del ricorso. 

Trattati e convenzioni internazionali -Competenza dello Stato e non delle 

Regioni -Atto prellminar:e all'adesione e trattato unilaterale -Spetta 

allo Stato. 

(Statuto Sardegna, artt. 3 e 4; d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448). 

Regione -Agricoltura e urbanistica -Protezione della natura -Riserve 
naturali e parchi interregionali -Individuazione dei territori -Attribuzione 
dello Stato. 

(Statuto Sardegna, artt. 3 e 4; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 66, 80, 81 e 83). 

Il ricorso per conflitto di attribuzione pu� essere esperito anche 
mediante impugnazione di un atto non definitivo, o altrimenti inidoneo 
a ledere immediatamente la sfera della parte ricorrente, quando l'organo 
che lo emana abbia con sufficiente chiarezza manifestato l'intento di esercitare 
come propria l'attribuzione della quale si controverte. 

L'attribuzione a concludere trattati internazionali, o ad aderirvi, appartiene 
esclusivamente allo Stato, solo sovrano e solo responsabile degli 
eventuali illeciti internazionali, anche quando il trattato riguardi materia 
di competenza regionale. 

In assenza di norme di attuazione statutaria che definiscano diversamente 
l'ambito delle funzioni trasferite ad una regione a statuto speciale, 
questa non pu� invocare attribuzioni pi� ampie di quelle spettanti alle 
Regioni a statuto ordinario. Spetta allo Stato la potest� di individuare i territori 
nei quali istituire riserve naturali e parchi a carattere interregionale; 
tale potest� � piena ed esclusiva se viene esercitata in funzione di un 
vincolo internazionale (1). 

(omissis) U presente conflitto di attribuzione � sollevato dalla Regione 
Sardegna con l'impugnare la determinazione adottata il 29 luglio 1975 dal 
Ministero dell'agricoltura e foreste. Il provvedimento impugnato richiama 

{;l) I principi di cui a1la massima appaiono di grande .interesse. Dahla prima 
parte di essa (estratta dal testo della motivazione) sembra emergere in modo 
abbastanza chiaro, una indicazione di tendenza o, quanto, di metodo. Se si legge 
al positivo l'affermazione della Corte (che � scritta al negativo) pare raccomandata 
una applicazione analogica, nei riguardi delle Regioni a statuto speciale 
delle disposizioni contenute nel d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; e ci� malgrado la 
controversia sub judice fosse sorta prima dell'entrata in vigore di detto decreto. 
Del resto, sia la legge 16 maggio 1978, n. 196 per la Valle d'Aosta, sia la 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

892 

priecedenti determinazioni del Ministero della marina mercantile (nota 
5177107 dell'8 luglio 1975 e nota 5176731 del 6 giugno 1975), le quali avevano 
riconoscuito l'opportunit� di vincolare, ai fini della Convenzione di Ramsar, 
e con la sola eccezione deLle aree interessate dal primo fotto funzionale 
dei lavori per il porto industriale di Cagliari, le zone del demanio marittimo 
delle Saline di Macchiareddu e dello Stagno di Santa GiLla. Il Ministero 
dell'agricoltura e foreste aggiunge che tale posizione deve ritenersi definitiva, 
ed invita in conseguenza il Ministero degli affari esteri a dar comunicazione 
delle aree cos� individuate al depositario degli strumenti di ratifica 
dell'anzidetta Convenzione, perch�, ai sensi di questa, esse siano 
incluse nell'apposito elenco delle zone umide tutelate. 

La ricorrente ha cos� dedotto l'invasione della sfera ad essa costituzionalmente 
garantita: 

a) pur essendo il provvedimento in questione connesso con la partecipazione 
dell'Italia alla Convenzione di Ramsar, il rispetto degli obblighi 
internazionali da parte della Regione non verrebbe in questione: sia, si 
dice, perch� detta convenzione non risulta ratificata (al momento, beninteso, 
in cui i� sollevato il conflitto); sia, e soprattutto, perch� essa non 
elenca tassativamente n� indica per altra via le aree soggette a vincolo, 
ma lascia agli Stati contraenti di individuare discrezionalmente, fissando 
l'unica condizione che ciascun contraente designi almeno una zona umida 
del proprio territorio, da salvaguardare ai sensi della convenzione; 

b) ci� posto, l'individuazione delle aree nelle quali il vincolo astrat


tamente previsto dalla Convenzione pu� esser reso operante competerebbe 

non allo Stato, ma alla Regione: alla quale, si assume, sono state trasfe


rite le attribuzioni delle due branche dell'amministrazione, le quali 

avrebbero senza titolo interloquito nella specie, il Ministero dell'agricol


tura e foreste ed il Ministero della marina mercantile. La Convenzione 

normativa d'attuazione predisposta dopo il 1977 (cos�, il d.P.R. 19 giugno 19'79, 

n. 348, concernente proprio la Sardegna) seguono il � modello � tracciato dal 
citato decreto legislativo del 19n; per il che le disposizioni in esso contenute 
potrebbero assumere il ruolo di disposizioni-parametro integrative non solo della 
Costituzione ma anche -per quanto possibile -delle leggi costituzionali di 
approvazione� degli statuti speciali. 
Sebbene ili d.P.R. n. 616 dcl 119n Slia testo ilegis11amvo, in complesso di opinabNe 
fa1ltura, va vailutata tutto considerato positivamente il:a tendenza a ricercare 
in ess� (integrato da opportune interpretazioni correttive) la base per una 
reductio ad unitatem (salve le particolarit� garantite da leggi costituzionali) dei 
sistemi normativi in tema di rapporti tra Stato e Regioni. 

La seconda parte della massima fornisce un primo chiarimento in ordine 
ad uno dei (troppo) numerosi problemi interpretativi posti dal d.P.R. n. 616 
del 1977 (ancorch� -ripetesi -la controversia sub judice sia insorta nel 1975). 
La � protezione della natura � � finalit� della quale detto decreto legislativo fa 
parola in ben quattro articoli, tra loro poco coordinati; l'art. 66, ove si dispone 
che le � funzioni amministrative nella materia agricoltura e foreste (trasferite 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 893 

di Ramsar, si osserva dalla ricorreente, � ispirata ad interessi ecologici 
ed ornitologici corrispondenti a materie di competenza della Regione. 
Di qui si fa discendere che il vincolo posto dallo Stato a tutela di tali 
interessi pregiudica, necessariamente e sotto vario riguardo, l'esercizio dei 
relativi poteri di autonomia. Ammesso pure, si soggiunge, che nel vincolo 
siano coinvolti altri interessi di residua competenza statale, la proposta 
di assoggettamento delle aree in questione al regime previsto in sede 
internazionale dovrebbe comunque risultairie da un'intesa foa Stato e Regione, 
invece che dalla sola determinazione degli organi centrali; 

e) infme, il provvedimento impugnato sarebbe totalmente immotivato, 
e la carenza di motivazione costituirebbe un'autonoma causa di 
invasione di .competenza, oomprovando :l'omessa valutazione, e cos� il 
necessario pregiudizio, degli interessi che ricadono nella sfera costituzionalmente 
garantita alla Regione. 

Il ricorso non � fondato; L'invasione della sfera riservata alla Regione 
scaturirebbe da una determinazione del Ministero dell'agricoltura e foreste, 
che la stessa ricorrente assume connessa con la firma, da parte dell'Italia, 
della Convenzione di Ramsar. Detta Convenzione, relativa alle 
zone umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat degli 
uccelli ooquatici, prevede, invero, quel vincolo a tutela delle zone umide, 
al quale ila determinazione impugnata assoggetta lo Stagno di Cagliari 
(alias, com'� spiegato in narrativa, le Saline di Macchiareddu e lo Stagno 
di Santa Gilla), e della cui imposizione la Regione si duole. L'assunto 
centrale del ricorso � che il provvedimento impugnato preclude alla 
Regione di individuare le zone umide da tutelare, valutando, in virt� e 

alle Regioni) concernono ... (tra l'altro)... gli interventi di protezione della natura 
comprese la istituzione (e -dovrebbe aggiungersi -il mantenimento) di parchi 
e riserve naturali e la tutela delle zone umide (il PALADIN, Diritto regionale, 
1979, 163, contrappone �agricoltura-protezione� ad �agricoltura-produzione�; cfr. 
anche Corte Cost., 12 maggio 1977, n. 72, in questa Rassegna, 1977, 489); e gli articoli 
80, 81 e 83 ove -nell'ambito della materia urbanistica -si parla, rispettivamente 
di � protezione dell'ambiente >>, di �tutela ambientale ed ecologica � e, 
pi� specificamente di � interventi per la protezione della natura, le riserve ed i 
parchi naturali�. Nella gi� menzionata sentenza 12 maggio 1977 n. 72, la Corte 
aveva qualificato �la protezione della natura � come �sub -materia rientrante 
nella materia agricoltura e foreste�. Con riguardo alla tutela del paesaggio, invece, 
il MERUSI (nel Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA, sub art. 9, 
pag. 454) sostiene invece che �materie attribuite alla competenza regionale, in 
particolare l'urbanistica, costituiscono submaterie rispetto alla materia paesaggio
�. 

Anche il citato d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (non menzionato nella sentenza 
in rassegna) parla della � protezione della natura � in due diversi articoli, l'articolo 
55 in tema di agricoltura e l'art. 58 in tema di urbanistica, tra loro alquanto 
dissonanti (�sono attribuite ai comuni... le funzioni amministrative in materia 
di protezione della natura, con la collaborazione della regione � e � sono trasfe




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nell'ambito della propria �utonomia, gli interessi ornitologici ed ecologici 
protetti dalla Convenzione in relazione agli altri interessi, dei quali essa 
� portatrice. Ora, se da un canto il conflitto � cos� prospettato, dall'altro, 
per�, si assume che sia � fuori questione � il rispetto degli obblighi internazionali 
da parte della Regione: e per ci� stesso si assume va 
subito precisato -che nella specie non venga in considerazione nemmeno 
fa competenza dello Stato ad obbligarsi internazionalmente. Nessuno 
degli argomenti addotti dalla ricorrente pu�, tuttavia, essere accolto. 

Inconferente, prima di tutto, � il rilievo che, al momento in cui � 
stata instaurata la presente controversia, la Convenzione di Ramsar non 
fosse ancora ratificata dall'Italia. La ricorrente trascura che la determinazione, 
qui considerata, del Ministero dell'agricoltura e foreste � 
espressamente preordinata all'instaurazione di un vincolo internazionale 
sulle aree in essa contemplate; essa � stata, dunque, impugnata 
precisamente in quanto preparatoria, rispetto a quell'atto -la ratifica con 
cui lo Stato ha poi, come si era riservato, manifestato la definitiva 
volont� di divenir parte della Convenzione di Ramsar. Detta Convenzione 
-firmata per l'Italia il 10 gennaio 1975 -� stata infatti resa esecutiva 
con d.P.R. n. 448 del 13 marzo 1976, e lo strumento di ratifica � stato 
depositato il 14 dicembre 1976. Quattro mesi dopo, a norma del suo 
art. 10, la Convenzione �, infine, entrata in vigore per l'Italia. Gli obblighi 
internazionali, assunti dallo Stato con il sottoscrivere l'accordo di cui ci 
occupiamo, sono cos� ormai perfetti, ed anche internamente efficaci. Ma 
tutto d� 111on toglie -anzi impHca -che il provvedimento impugnato, 
sebbene emesso di fronte alla semplice firma della Convenzione, ancora 
soggetta a ratifica, affermasse gi� la pretesa dello Stato di individuare 

rite alla regione le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la 
protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali�). 

Comunque la Corte ha sostanzialmente affermato che le funzioni amministrative 
finalizzate alla � tutela delle zone umide � debbono essere aggregate 
alle funzioni �per la protezione della natura � e sottoposte alla disciplina per 
queste ultime dettata; e che l'attribuzione statale di cui al quarto (e non terzo) 
comma �dell'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonch� -dovrebbe aggiungersi quehla 
di cui al primo comma, Lettera a), de11'art. 81, debbono operare anche 
come limiti al generale trasferimento alle Regioni delle funzioni in materia di 
� agricoltura e foreste �. 

Sembra inoltre che la Corte abbia configurato la �potest� � statale prevista 
dall'art. 83, comma quarto, come (di norma) non esclusiva ma concorrente con 
parallela potest� regionale, potest� amministrative concorrenti sono, come � 
noto, previste anche da altre disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 ad esempio, 
dall'art. 82, ultimo comma. 

In ordine alla intrinseca imprecisione di norma formulate in termini finalistici 
ed alla insufficienza del tentativo fatto, con il d.P.R. n. 616 del 1977, per 
� tradurre � le indicazioni di grandi finalit� in norme costruite su nozioni oggettive 
e/o formali, ed in ordine alla nozione di �settori organici di materie�, 
cfr. FAVARA, in Commento al decreto 616, 1980, voi. I, 27 e segg. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

le zone umide ai fini previsti nella Convenzione stessa: che �, poi, la 
pretesa di esercitare quella determinata competenza, della quale la 
Regione rivendica in questa sede l'attribuzione. Se cos� non fosse, difetterebbe, 
del resto, un atto statale idoneo a determinare il conflitto di 
attribuzione, e H presente ricorso non sairebbe nemmeno ammissibile, 
laddove esso deve ritenersi sicuramente tale. � appena il caso di ricordare, 
in merito, la giurisprudenza di questa Corte: il regolamento di competenza 
pu� essere esperito anche mediante impugnazione di un atto non 
definitivo, o altrimenti inidoneo a ledere immediatamente la sfera della 
parte ricorrente, quando l'organo che lo emana abbia con sufficiente 
chiarezza manifestato l'intento di esercitare come propria l'attribuzione, 
della quale si controverte (fra le altre, v. sentt. nn. 171/71, 49/72, 81 e 
87/73 e pi� recentemente 72/78). 

La Convenzione di Ramsar, si deduce inoltre nel ricorso, non contiene 
alcuna ,autentica o tassativa elencazione delle zone um1de da tutelare: di 
guisa che -incidendo il vincolo previsto in sede internazionale su materie, 
si dice, attribuite alla Regione -spetterebbe a quest'ultima, non allo 
Stato, individuare le zone suddette. Senonch�, l'incosistenza dell'assunto 
risulta chiaramente dalle disposizioni della stessa Convenzione, alla quale 
si riferisce la Regione. Di esse occorre dunque far cenno, per quel che 
interessa l'indagine della specie. 

In conformit� dello scopo enunciato nel preambolo -tutela delle 
risorse internazionali costituite dalle zone umide e dalla loro flora e 
fauna, in particolare degli uccelli acquatici nel periodo delle migrazioni 
stagionali -l'art. 1 della Convenzione definisce le caratteristiche di tali 
zone, e dispone che gli uccelli acquatici sono quelli che da esse dipendono 
ecologicamente. L'art. 2 detta a sua volta -nei numeri dal primo al 
terzo -i criteri ,secondo i quali ciascuna parte contraente opera, entro 
il proprio territorio, la scelta e la confinazione delle zone umide, da 
da inserire in un elenco, che, ai sensi dell'art. 8, � affidato ad apposito 
ufficio; e il numero 4 del citato art. 2 recita poi: �Ciascuna parte 
contraente designa almeno una zona umida da inserire nell'elenco all'atto 
della firma della presente Convenzione, oppure al momento del deposito 
dello strumento di ratifica o di adesione, conformemente all'art. 9 �. Ci� 
signfica che la designazione di almeno una zona umida assurge necessariamente 
aid elemento integrante de1la manifestazione di volont�, mediante 
la quale oghi successivo contraente viene a far parte della Convenzione. 
Ciascuna parte dell'accordo mantiene tuttavia il diritto di aggiungere 
zone nuove all'elenco suddetto, o viceversa, �per urgenti interessi nazionali
�, di cancellare o restringere una zona, in precedenza designata come 
umida. Solo che, in quest'ultimo caso essa dovr� compensare, �nei limiti 
del possibile, ogni conseguente perdita di risorse in zone umide e, in 
particolare, dovr� creare nuove riserve naturali per gli uccelli acquatici e 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per la tutela, nella stessa regione o altrove, di una adeguata porzione 
dell'habitat originario� (art. 4, n. 2). (� altres� previsto che la gestione 
delle zone umide serva a favorire non solo la conservazione ma anche 
l'incremento della fauna tutelata: art. 4, n. 4). In questo modo, l'instaurazione, 
le modificazioni, l'estinzione del vincolo, indispensabile per la 
tutela delle zone umide, e della fauna che ne dipende, sono rimesse alle 
determinazioni degli Stati contraenti. Lo schema del trattato aperto � 
nelila specie cos� congegnato, ohe ogni parte sopravveniente si sottopone 
alle regole contenute nella Convenzione, mentre gli Stati gi� venuti a 
far parte dell'accordo -accettano -dal canto loro, in anticipo -la 
designazione delle zone umide, fatta unilateralmente da nuovo contraente, 
all'atto, secondo i casi, della firma, o della ratifica o dell'adesione: le 
scelte discrezionali, in cui tale designazione si concreta, possono solo 
formare oggetto di raccomandazione da parte delle conferenze deliberanti 
a maggioranza semplice di voti, ex artt. 6 e 7 della Convenzione. Le finalit� 
ispiratrici del sistema test� descritto esigono, quindi, che a stabilire quale 

o quanta parte dei rispettivi territori meriti di essere tutelata siano, in 
seno 1ad ogni Stato con1Jmente, gli 011gani competenti ad apprezzare le 
esigenze e gli interessi ecologici non di singole regioni, ma dell'intera 
collettivit� nazionale. Non vi � dubbio, in alcun caso, che l'individuazione, 
a norma della Convenzione, di almeno una zona umida -senza la quale 
nessun vincolo o rapporto pattizio pu� sorgere fra il nuovo aderente 
e le rimanenti parti dell'accordo -spetti agli organi chiamati ad impegnare 
lo Stato nei confronti degli altri soggetti di diritto internazionale. 
In definitiva, si tratta della competenza a concludere i trattati, o ad 
aderirvi, e nel nostro ordinamento costituzionale, tale competenza costituisce 
una necessaria ed esclusiva attribuzione dello Stato, solo sovrano 
e solo responsabile degli eventuali illeciti internazionali, anche quando � 
stato in altra pronunzia chiarito -l'accordo internazionale riguardi 
materie attribuite alla Regione (sentenza n. 170/75). Diversamente, si 
dovrebbe ritenere che l'ambito costituzionale riservato all'autonomia regionale 
resti, per definizione, escluso dalla sfera, nella quale si svolgono 
le relazioni esterne dello Stato: con l'insostenibile conseguenza -come 
dice la Corte Suprema degli Stati Uniti, significativamente in un caso 
per pi� versi analogo al nostro (Missouri versus Holland, U.S. Supreme 
Court 1920, 252 U.S. 416) -di creare un vuoto, dove, invece deve 
risiedere un � potere della massima importanza � -quello, appunto, 
di stipulare i trattati -che �appartiene a qualsiasi governo civile"� 
La ricorrente, assume poi, in via subordinata, che l'individuazione 
delle zone umide nel territorio sardo debba risultare da un'intesa tra organi 
centrali e Regione. Ma una simile soluzione non trova alcun fondamento 
nello statuto speciale per la Sardegna, n� in altra fonte normativa, 
che possa rilevare nel presente giudizio. Del resto, quando il legislatore 


-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 897 

-in considerazione dello speciale regime di autonomia concesso all'isola 
-ha previsto un qualche diritto della Regione ad esser sentita, anche 
con riferimento aMa conclusione di accor;di internazionali, esso lo ha 
espressamente sancito. Cos�, infatti, l'art. 52, comma primo, dello statuto 
sardo recita: �la Regione � rappresentata nell'elaborazione dei progetti dei 
trattati di commercio che il governo intenda stipulare con Stati esteri in 
quanto riguardino scambi di specifico interesse per la Sardegna �. La 
disposizione test� citata concerne, per�, solo i trattati che ricadono nelle 
categorie testualmente contemplate, e non copre il caso di specie. In punto 
di fatto, comunque, il Ministero dell'agricoltura e foreste non ha mancato 
di sentire la Regione interessata, ed ha anzi provveduto ad eccettuare 
dal vincolo le aree destinate al primo lotto funzionale dei lavori per il 
porto industriale di Cagliari. (omissis) 

Vi � un'ultima osservazione, che soccorre nel concludere per l'infondatezza 
del presente ricorso. Il provvedimento impugnato non potrebbe 
considerarsi lesivo della competenza regionale, quand'anche si negasse che 
esso vada ascritto alla competenza, propria degli organi centrali, di impegnare 
internazionalmente lo Stato. Nemmeno allora, infatti, l'individuazione 
e la salvaguardia delle �zone umide verrebbero, come assume 
la ricorrente, a ricadere in alcuna delle materie elencate dallo statuto 
sardo, e delle corrispondenti attribuzioni della Regione. Giova in proposito 
por mente alla legislazione in vigore quando l'atto censurato nel ricorso � 
stato emesso: il Ministero dell'agricoltura e foreste ha in quel momento 
agito nel presupposto che nessun ostacolo di ordine costituzionale impedisse 
di ritenere operante, anche riguardo alla Sardegna, la riserva di 
competenze a favore degli organi centrali in tema di interventi per la 
protezione della natura, �salvi gli interventi regionali non contrastanti 
con quelli dello Stato�, posta dall'art. 4, lettera h), del d.P.R. 15 gennaio 
1972, n. 11 (�Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni 
amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e 
pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici�). Proprio 
questa riserva di legge � richiamata, con riferimento al nostro caso, dal 
successivo decreto del Mini1stero dell'agricoltura e foreste 1� agosto 1977, 
sopra citato; e di essa la Corte ha in altre occasioni ritenuto la legittimit�, 
riconoscendo il rilievo nazionale degli interessi, perseguiti dal legislatore 
nel configurarfa (sentt. nn. 71/67, 142/72, 145/75 e 175/76). Vero � che, 
pi� di recente, l'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, emesso in 
attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, 
include, tra le funzioni amministrative, trasferite alle Regioni a statuto 
ordinario in materia di agricoltura e foreste, �gli interventi di protezione 
della natura, compresa l'istituzione di parchi e riserve naturali e la tutela 
delle zone umide �. Senonch�, sempre il decreto n. 616, sotto il titolo V 
�assetto e utilizzazione del territorio�, e nella disposizione apposita



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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

898 

mente dedicata agli interventi per la protezione della natura (art. 83, 
comma secondo), rimette fa disciplina generale deHe riserve naturali 
dello Stato gi� esistenti ad una legge statale, e fa a�tres� salva, al terzo 
comma, la potest� per il governo, � nell'ambito delle funzioni di indirizzo 
e di coordinamento, di individuare i nuovi territorio nei quali istituire 
riserve naturali�. D'altra parte la Regione Sardegna non pu� oggi invocare 
in materia, pi� larghe attribuzioni di quelle spettanti alle Regioni ordinarie, 
in assenza di norme di attuazione statutaria che definiscano diversamente 
l'ambito delle funzioni ad essa trasferite. Il legislatore ha voluto 
lasciar ferma la competenza dello Stato, delimitando correlativamente le 
funzioni trasferite alle Regioni, in ordine appunto, a quella prima e delicata 
fase dell'intervento degli organi pubblici per la protezione della 
natura, che consiste nell'individuare le aree da tutelare, tenendo conto 

dgli interessi e delle esigenze ecologiche nazionali. Siffatta attribuzione, 
si deve allora ritenere, residua agli organi centrali, com'� previsto dalle 
norme che reggono il trasferimento delle funzioni amministrative alle 
Regioni; nella specie, essa si atteggia come piena ed esclusiva, per l'altra 
considerazione che il provvedimento impugnato � stato posto in funzione 
di un vincolo internazionale sulle zone umide da esso individuate: vincolo, 
che spettava allo Stato di instaurare, mediante trattato. (omissis) 
CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1980, n. 143 -Pres. Amadei -Rel. 
Andrioli -Galbiati (avv. Leon), S.p.A. Sidaim (avv. Vitucci) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). 
Lavoro � Mobilit� dei lavoratori � Dichiarazione di crisi aziendale � Effetti 
della disdetta di cui all'art. 2112 cod. civ. � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36 e 41; d.l. 30 marzo 1978, n. 80, conv., con modificazioni, 
in legge 26 maggio 1978, n. 215, art. 1). 
Non contrasta con la Costituzione la disposizione legislativa che, in 
deroga all'art. 2112, primo comma, cod. civ., escluda la conservazione dei 
diritti derivanti al lavoratore subor:dinato dall'anzianit� raggiunta anteriormente 
al trasferimento di una azienda dichiarata in crisi (1). 
(omissis) Nel merito le questioni sollevate dal Pretore di Milano sono 
infondate perch� muovono daUa premessa che 11'art. 2112, comma primo, 
(1) Cfr. MARIUCCI, I licenziamenti impossibili: crisi aziendali e mobilit� del 
lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 1360. La sentenza in rassegna riconosce 
che la � professionalit� dei dipendenti � � un valore, ma esclude che i diritti derivanti 
dall'anzianit� siano costituzionalmente garantiti. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 899 

cod. civ., costituisca un tipo di norma di ordine rafforzato se non 
costituzionale, in cospetto del quale dovrebbe soccombere il meccanismo 
di normativa... che ha per oggetto le crisi aziendali e la mobilit� dei 
lavoratori. 

Gli argomenti di contenuto economko-sociale, con grande impegno 
svolti dalla ,difesa dei lavoratori al fine di virilizzare la premessa, non 
persuadono. L'affermazione che l'impugnato art. 1, ponendo nel nulla 
l'anzianit�, faccia conseguire gratuitamente al cessionario il bene lavoro 
costituito da anzianit� e professionalit� dei dipendenti incorporate nella 
azienda, non tiene conto dello stato di crisi, che, indipendentemente dalla 
normativizzazione che se ne � fatta nel 1977 e fuori dall'ipotesi dell'amministrazione 
straordinaria, prevista dal d.l. n. 26 del 1979, conv. nella 
legge n. 95 del 1979, rappresenta il pi� delle volte l'anticamera della 
dichiarazione di fallimento, la quale, a stare al codice civile, non provoca 
-� vero -la cessazione del rapporto di lavoro ma si limita, nella 
quasi totalit� dei casi, a procrastinarla, esponendo poi i lavoratori licenziati 
dagli organi della procedura concorsuale, che non abbiano autorizzato 
la continuazione dell'esercizio dell'impresa, alle non celeri operazioni di 
ripartizione dell'attivo, nelle quali la laudabile novellazione dell'ordine 
dei privilegi effettuata nel 1975 non � sempre idonea a far acquisire 
il dovuto ai lavoratori ormai privi di occupazione. Anche qui riceve 
conferma l'adagio che una cosa � la pi� fondata delle pretese e altra 
� la sua soddisfazione. 

N� giova plaudire, come a pi� razionale scelta, alla ipotesi negletta 
dal legislatore, per la quale il personale dell'impresa in crisi in corso di 
cessione aziendale, sarebbe trasferito alle dipendenze della impresa cessionaria 
e questa, per effetto della cessione, provvederebbe a licenziare, 
al termine del processo di ristrutturazione, il personale sovrabbondante; 
ipotesi che, se elevata a dignit� di contenuto di norma cogente, impedirebbe 
-sospetta la difesa del Galbiati -agli imprenditori di dar 
vita a controfigure di se stessi onde rimanere titolari delle aziende cedute 
e di fruire della riduzione di personale ex lege. Ch� riesce agevole obiettare 
che giudici civili, amministrativi e penali ben potranno esercitare il loro 
magistero per evitare le ipotizzate frodi alla l~gge. 

N� ha pregio l'argomentazione diretta ad evidenziare che del risanamento 
deHe impr,ese in crisi farebbero ~e spese i 1lavoratori perch� la 
ool1ettivit�, la quale non consta soltanto di coloro che pongono a disposizione 
di altri energie di lavoro, contribuisce in guisa pi� che cospicua 
-traverso i rivoli pi� o meno diretti -ai finanziamenti, in difetto dei 
quali il ricupero delle imprese rimarrebbe sulla carta. Che poi i finanziamenti 
non siano illuminatamente utilizzati o vengano divertiti per 
altre finalit�, � vicenda che va accertata dalle autorit� competenti e dai 
giudici dei diritti e dei reati. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

900 

N�, infine, giova istituire raffronto tra impresa sana e impresa in 
crisi per argomentarne la offesa che all'art. 3 Cost. infliggerebbe il diverso 
trattamento riservato ai dipendenti dell'una e dell'altra, perch� sin troppo 
palese � la diversit� di condizione, in cui versano le due figure di imprese 
tolte a paragone. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 12 novembre 1980, n. 150 (ordinanza) -Pres. 
Amadei -Rel. Paladin. 

Corte costituzionale � ConfUtto di attribuzione tra poteri dello Stato � Lhm.tl. 
della giurisdizione nelle materie di contabilit� pubblica � Legittimazione 
del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato e del 
Presidente della Camera dei deputati. 

Ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica 
(previe le conformi deliberazioni delle rispettive assemblee parlamentari) 
va riconosciuta separata legittimazione a sollevare conflitto, sebbene entrambe 
le assemblee in questione facciano parte del medesimo �potere �: 
legittimato a ricorrere deve considerarsi anche il Presidente della Repubblica, 
quale organo costituzionale, titolare di attribuzioni non riconducibili 
alla sfera di competenza dei tre tradizionali poteri dello Stato, 
in ordine alle quali il solo Presidente pu� promuovere conflitti risolvibili 
da questa Corte. 

(omissis) Ritenuto che la Sezione prima giurisdizionale della Corte 
dei conti, su istanza del Procuratore generale in data 2 novembre 1978, 
considerata la giurisdizione che spetta alla Corte � nelle materie di contabilit� 
pubblica� (in base all'art. 103, secondo comma, Cost. ed ai 
sensi dell'art. 44 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), ha prescritto ai tesorieri 
della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica e della Presidenza 
della Repubblica -con altrettanti decreti datati 30 ottobre 1979 e 
depositati il 19 febbraio 1980 -il termine di mesi sei per la presentazione 
dei conti relativi alle gestioni degli anni dal 1969 al 1977; e che i 
decreti stessi sono stati inviati alla Presidenza della Repubblica, nonch� 
alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica 
-con note del direttore della segreteria presso la Procura generale 
della Corte dei conti, datate 21 marzo 1980 -affinch� esse provvedano 
�alla notificazione giudiziale nei confronti del Tesoriere�. 

Ritenuto che, in relazione a tali atti, il Presidente della Camera dei 
deputati -previa deliberazione 19 giugno 1980 dell'Ufficio di presidenza, 
adottata dall'intera Assemblea nella seduta del 2 luglio 1980 -ha sollevato 
conflitto di attribuzione, con ricorso depositato il 18 luglio 1980, 


PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 901 

chiedendo che questa Corte neghi alla Corte dei conti la spettanza del 
�potere di giurisdizione contabile nei confronti della Camera dei deputati
� e di conseguenza annulli il decreto 19 febbraio 1980 della Sezione 
prima giurisdizionale e la nota 21 marzo 1980 della Procura generale della 
Corte stessa; che analogo conflitto � stato sollevato dal Presidente della 
Repubblica, con ricorso depositato il 18 luglio 1980 (al quale ha preso 
parte, � per quanto di ragione >>, sottoscrivendolo e � formulando le 
medesime richieste�, il Segretario generale della Presidenza), perch� 
�venga dichiarato il difetto di potere della Corte dei conti ad esercitare 
la giJUJdsdizione contabile 111ei confLronti del tesoriere delta Pres1denza 
della Repubblica�, (omissis), che ha promosso conflitto anche il Presidente 
del Senato della Repubblica -previa deliberazione 17 giugno 1980 
del Consiglio di presidenza, adottata dall'intera Assemblea nella seduta 
del 2 ilrugilio 1980, mediante 'ricorso depositato H 18 luglio 1980, affinch� 
sia dichiarato che non spetta alla Corte dei conti � il potere di estendere 
1a giurisdizione ,contabile a1 Tesoriere del Senato della Repubblica imponendogli 
\l'obbligo di presentare i rendiconti deLle gestioni degli anni 
dal 1969 al 1977, n� quello di prescrivere al Senato di provvedere alla 
notificazione del decreto adottato nei con~ronti del detto � Tesoriere � 
e .sia pertanto annullato il decreto medesimo nonch� -� per quanto possa 
oocorrere � -iLa 11e1ativa nota del 21 marzo 1980. 

Considerato che in questa fase del giudizio la Corte � chiamata a 
decidere senza contraddittoro -a norma dell'art. 37 della legge n. 87 del 
1953 -se il ricorso sia ammissibile: vale a dire, se il conflitto sorga 
� tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volont� del potere 
cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata 
per i vari poteri da norme costituzionali �; (omissis) 

che ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica 
(previe le conformi deliberazioni delle rispettive assemblee 
parlamentari) va riconosciuta la legittimazione a sollevare conflitto, sebbene 
entrambe le assemblee in questione facciano parte del medesimo 
�potere�: giacch� l'una e l'altra sono -in vario senso -competenti 
ad esprimerne definitivamente �la volont��, con particolare riguardo 
ai casi sul tipo di quello in esame, che vede ciascuna assemblea, in 
posizione di piena indipendenza rispetto all'altro ramo del Parlamento, 
rivendicare la propria autonomia contabile; 

che legittimato a ricorrere deve considerarsi anche il Presidente 

della Repubblica, quale organo costituzionale, titolare di attribuzioni non 

riconducibili alla sfera di competenza dei tre tradizionali poteri dello 

Stato, in ordine alle quali il solo Presidente pu� promuovere conflitti 

risolvibili da questa Corte; che, per ci� stesso, vanno ritenute inammis


sibili la partecipazione al ricorso presidenziale, �per quanto di ragione�, 

e la sottoscrizione dell'atto medesimo da parte del Segretario generale 


MSSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

della Presidenza (tanto pi� che si tratta di un ufficio il cui titolare � un 
funzionario �nominato e revocato con decreto del Presidente della Repubblica 
�, sia pure � sentito il Consiglio dei ministri � -in base all'articolo 
3, secondo comma, della legge 9 agosto 1948, n. 1077 -cui dunque 
non spetta � dichiarare definitivamente � n� concorrere a manifestare 
la volont� del potere di appartenenza); 

che, dal lato opposto, non � dubbia la legittimazione passiva della 
Sezione prima giurisdizionale dehla Corte dei conti, peroh� i singoli organi 
giurisdizionali, nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, possono 
in genere essere parti nei conflitti di attribuzione (come questa Corte 
ha ritenuto pi� volte, a partire dalle ordinanze n. 228 e n. 229 del 1975); 

che nei casi in esame concorre il requisito oggettivo, previsto dall'art. 
37 della legge n. 87 del 1953: oltre a contestare l'interpretazione 
che la Corte dei conti ha fatto propria, quanto alle norme di legge ordinaria 
che disciplinano la giurisdizione contabile (il che non basterebbe da 
solo -a concretare la materia di un conflitto di attribuzione fra 
poteri dello Stato), tutti i ricorsi sostengono, infatti, che i principi costi� 
tuzionali di indipendenza e di autonomia della Presidenza della Repubblica, 
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, quali 
risulterebbero dal sistema se non da particolari disposti della Costituzione, 
sarebbero lesi qualora si obbligassero alla resa del conto giudiziale 
della loro gestione i tesorieri di tali organi costituzionali; ed � 
significativo che anche la Sezione prima giurisdizionale della Corte dei 
conti -nelle motivazioni degli impugnati decreti 30 ottobre 1979-19 
febbraio 1980 -abbia espressamente dato atto della vigenza dei principi 
stessi, pur negando che la sua giurisdizione li venga a menomare ed 
anzi invocando in tal senso un'apposita disposizione costituzionale, come 
quella contenuta nell'art. 103, secondo comma, Cost., per cui � la Corte 
dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilit� pubblica e nelle 
aJtre specificate dahla legge � (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 dicembre, 1980, n. 157 � Pres. Amadei . 
Rel. Reale � Cardi ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Albisinni). 

Pensioni � Pensione sociale � Cumulo con pensione di guerra . Esclusione . 
Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 38; legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26; d.J. 2 marzo 1974, n. 30, art. 3). 

Non contrasta con gli artt. 3 e 38 Cost. l'art. 26 della legge 30 aprile 
1969, n. 153, come modificato dall'art. 3 del d.l. 2 marzo 1974 (convertito 
nella legge 16 aprile 1974, n. 114), nella parte in cui detta norma con



,_ 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 903 

diziona la corresponsione della pensione sociale al mancato godimento 
di una pensione di guerra, ovvero riduce l'importo della pensione sociale 
qualora l'ammontare della pensione di guerra sia inferiore all'importo 
della pensione sociale, fino al raggiungimento complessivo dello stesso 
ammontare. 

(omissis) Il legislatore del 1969 intese introdurre, �per la prima 
volta, nell'ordinamento giuridico italiano... un principio di sicurezza sociale
�, il �diritto, cio�, di tutti i cittadiini ,anziani e bisognosi alla assistenza
� (confr. relazioni del ministro proponente e del relatore della 
legge al Senato). 

Come la dottrina ha posto in evidenza, l'istituzione della pensione 
sociale si inquadra nell'attuazione del primo (non del secondo) comma 
dell'art. 38 della Costituzione, che attribuisce ad � ogni cittadino inabile 
al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere � il � diritto al mantenimento 
ed alla assistenza sociale �. 

La natura assistenziale della pensione sociale � fra l'altro sottolineata 
dal fatto che essa � a carico dello Stato. 

Questa essendo la natura della pensione sociale, il presupposto della 
mancanza di altri redditi di importo complessivo superiore a quello 
della pensione, non irragionevolmente opera anche in confronto della 
pensione di guerra, come il 'legislatore ha stabHit6 (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 174 � Pres. Amadei � 
Rel, Reale � Ordine degli avvocati e procuratori di Roma (avv. Valensise 
e Della Rocca), Mirelli di Teora {avv. Mazzarolli e Scoca), e 
Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). 

Avvocati e procuratori -Iscrizione agli albi professionali � Necessit� di un 
previo .esame di Stato � 1:: tale il concorso per l'accesso alla magi� 
stra tura. 

(Cost., art. 33; r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 26 e 30). 

Il concorso per l'accesso ad una magistratura ragionevo~mente � 
stato dal legislatore ordinario considerato � esame di Stato � congruo 
per l'accesso alle professioni di procuratore e di avvocato. In particolare 
non contrastano con l'art. 33, comma quinto, Cast. gli artt. 26, 
lett. b) e 30 lett. a) e b) del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito 
nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, nelle parti in cui stabiliscono che hanno 
diritto di essere iscritti nell'albo dei procuratori e nell'albo degli av



904 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 904 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
vocati �coloro che per cinque anni almeno � e rispettivamente �coloro 
che per otto anni almeno� �siano stati magistrati dell'ordine... mi


litare� (1). 

(omissis) L'ordinanza delle sezioni unite della Cassazione di cm m 
narrativa chiama la Corte a decidere se l'art. 33, comma quinto, della 
Costituzione, il quale prescrive un esame di Stato per l'abilitazione 
all'esercizio professionale, consenta che quell'accertamento preventivo, 
fatto con serie garanzie, il quale � assicuri nell'interesse della collettivit� 
e dei clienti che il professionista abbia i requisiti di preparazione 
e di capacit� occorrenti per il retto esercizio professionale � possa essere 
effettuato anche mediante strumenti alternativi e �in particolare 
mediante la valorizzazione di prove altra volta sostenute in vista di un 
esercizio di un'attivit� -professionale o anche non professionale diversa 
� (nella specie: � esame di concorso per l'ingresso nella magistratura 
militare�). Di ci�, stante la �rigorosa formulazione letterale� 
dell'art. 33, comma quinto, della Costituzione, le sezioni unite della Cassazione 
dubitano, e perci� sollevano questione di legittimit� costituzionale 
degli artt. 26 lett. b) e 30 lett. a) e b) del r.d.l. 27 novembre 1933, 

n. 1578, nelle �parti in cui attribuiscono ai magistrati militari aventi 
particolari requisiti il diritto di essere iscritti negli Albi professionali 
forensi senza il preventivo Slllperamento di un ,esame di Stato >i (omissis). 
Un esame di Stato � prescritto dall'art. 33, comma quinto, della 
Costituzione per l'abilitazione all'esercizio professionale. Il termine, preciso 
ed incisivo, usato dal Costituente (�prescritto�), toglie ogni pregio 
alle dispute intorno al carattere precettivo o programmatico della norma: 
non pu� essere posta in dubbio la necessit� di un esame di Stato 
per accertare l'attitudine all'esercizio di una professione. Il legislatore 

(1) La Corte costituzionale ha ritenuto giustamente conformi alla Costituzione 
le disposizioni che riconoscono ad ex magistrati (compresi gli ex avvocati 
dello Stato) il diritto ad essere iscritti negli albi professionali degli avvocati e 
procuratori. Nel nostro Paese l'accesso a queste professioni � pi� � aperto � di 
quanto non sia l'accesso, ad esempio, al commercio al dettaglio; non pare per� 
che le comprensibili esigenze di tutela della professione possano essere adeguatamente 
soddisfatte attraverso l'esclusione di qualche decina di ex magistrati, 
oot11etutto fomiti in m1sura pi� che adeguata degli occorrenti requisiti di preparazione 
e di capacit�. 
Diverso discorso � quello che concerne la prevenzione di eventuali situazioni 
di � disparit�� nell'esercizio della professione; ma in proposito appaiono 
sussistere situazioni di vantaggio ben pi� consistenti di quelle che possono eventualmente 
favorire i pochi magistrati a riposo. 

Il principio affermato dalla Corte costituzione sar� prevedibilmente tenuto 
presente in sede di redazione e discussione dei progetti di riforma dell'ordinamento 
della professione forense. 



i'ARTE t, S�Z. l, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ordinario � vincolato da questa prescrizione costituzionale. Peraltro, prescrivendo 
�un esame di Stato�, senza alcuna specificazione in ordine 
ad esso, la norma costituzionale demanda al legislatore ordinario di 
determinare i criteri e il contenuto di questo esame, purch�, si intende, 
esso soddisfi ragionevolmente l'esigenza �che un accertamento preventivo, 
fatto con serie garanzie, assicuri, nell'interesse della collettivit� e 
dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione 
e di capacit� occorrenti per il retto esercizio professionale� (sentenza 

n. 77 del 1964). 
Se, dunque, non pu� disconoscersi che la legge ordinaria, cio� quella 
forense (artt. 21 e 29), ancorch� precedente alla Costituzione, potesse 
determinare concretamente la portata e le modalit� degli esami per l'accesso 
alle professioni di procuratore e di avvocato (esami che la stessa 
legge, artt. 20 e 28, definisce quali esami di Stato), deve ritenersi che la 
medesima legge ordinaria potesse stabilire la congruit�, ai fini dell'accertamento 
della capacit� professionale, dell'esame di Stato sostenuto e 
sempre preceduto dalla laurea in giurisprudenza -nel concorso per 
l'accesso alla magistratura, nella specie quella militare. Il che, appunto 
fanno gli artt. 26 lett. b) e 30 lett. a) e b), della cui legittimit� costituzionale 
� questione, quando dispongono che, nel concorso di altri requisiti 
di esperienza pratica, possono essere iscritti, rispettivamente nel1'
Albo dei procuratori e in quello degli avvocati, �i magistrati dell'Ordine... 
militare�, i quali, per accedere alla detta magistratura hanno 
dovuto sostenere un esame di concorso in materie giuridiche, ovvero 
provengono dalla magistratura ordinaria nella quale sono entrati superando 
gli esami di concorso prescritti appunto per l'accesso alla magistratura 
ordinaria (artt. 12 r.d. 19 ottobre 1923, n. 2316 e 20 r.d. 30 dicembre 
1923, n. 2903). 

Contro questa conclusione non sembra possa ricavarsi un argo


mento decisivo dall'art. 106, terzo comma, della Costituzione, il quale 

stabilisce che � su designazione del Consiglio Superiore della magistra


tura, possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri di Cassazione, per 

meriti insigni, professori ordinari di uiversit� in materie giuridiche e 

avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti agli albi 

professionali per le giurisdizioni superiori �. Si argomenta da questa di


sposizione che, dunque, quando volle derogare al primo comma dello 

stesso art. 106 che prescrive il concorso per le nomine dei magistrati, il 

Costituente lo scrisse nella Costituzione, il che non ha fatto per dero


gare dalla prescrizione dell'esame di Stato per l'esercizio professionale 

forense. 

L'argomento potrebbe avere peso contro la pretesa di sostituire 
l'esame di Stato con equipollenti generici, quali l'esercizio di un'attivit� 
e di UJna funzione che si pvetende puramente e semplicement'e assimila



RASSEGNA DELL;AWOCATURA DELL� STA'r� 

;: 

bile a quella della professione forense, prescindendo dall'avvenuto superamento 
di un esame di Stato. Ma non ne ha quando il legislatore 

I

ha in sostanza, come si � detto, preso in considerazione l'appartenenza r.:: 
ad una magistratura che presuppone un esame di Stato di concorso 

I 
IIsostanzialmente equiparato a quello prescritto dalla legge forense, che, 
per il conseguimento dell'abilitazione alla professione di procuratore, � 
pur essa un �.esame di concorso� con �valore di esame di Stato� (articolo 
20 della legge forense). 

In questo caso non c'� deroga al precetto dell'art. 33, quinto comma, 
della Costituzione, ma sua sostanziale osservanza da parte del legislatore 
ordinario il quale, con un giudizio che la Corte potrebbe censurare 
solo se irragionevole (e tale non � per le considerazioni innanzi 
svolte), ha riconosciuto nella legge forense l'esame di Stato concorsuale 
per l'accesso alla magistratura atto, al pari di quello previsto 
nella stessa legge, ad assicurare quell'accertamento della capacit� professionale, 
successivamente suffragato dall'esercizio delle funzioni per il 
periodo previsto daHa legge, del quale innanzi si � panlato. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 175 -Pres. Amadei -
Rel. Reale -Manti (avv. D'Apice) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Azzariti). 

Avvocati e procuratori -Iscrizione all'albo professionale -Qualit� di pro� 
fugo ed esercizio di fatto idi attivit� legale � Requisiti insufficienti. 


(Cost., art. 33; legge 4. marzo 1952, n. 137, art. 28; legge 25 luglio 1971, n. 568, art. 2). 

Il mero fatto dell'esercizio di un'attivit� professionale non pu� far 
sorgere, in assenza del superamento di un esame di Stato o di equipol� 
lente accertamento della capacit� professionale, il diritto alla iscrizione 
in albi professionali; contrasta con l'art. 33 Cast. l'art. 28 della legge 
4 � marza 1952, n. 137 (nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 25 luglio 
1971, n. 568) nella parte in cui la detta norma consente l'iscrizione 
dei profughi negli albi professionali senza richiedere il possesso nello 
Stato di provenienza di requisiti equipollenti a quelli costituzionalmente 
prescritti nell'ordinamento italiano (1). 

(omissis) Vero �, peraltro, che l'ordinanza di rimessione denunzia 
essenzialmente la violazione dell'art. 33, comma quinto, della Costi� 
tuzione. 


(1) La sentenza parla di �possesso nello Stato di provenienza di requisiti 
equipollenti a quelli costituzionalmente prescritti nell'ordinamento italiano�. 

PARTE �, SEZ. t, GIUR!Sl'RtJDENZA COS'l'IttJZl�NALE 901 

� Le finalit� assistenziale e sociale della norma in discussione vi 
si legge -non possono essere recepite prima che venga allontanato 
il motivo che fa dubitare della loro incostituzionalit� in riferimento al 
comma quinto dell'art. 33 della Costituzione �, il quale richiede, �per il 
professionista, il riscontro obiettivo e legale della presenza dei requisiti 
essenziali di natura tecnica e pratica, che possono essere accertati solo 
attraverso l'esame di Stato�, 

In questi termini la questione � fondata. 

La Corte nella recente sentenza n. 174 del 1980 ha ribadito che il 
legislatore ordinario � vincolato dalla prescrizione costituzionale di un 
esame di Stato per accertare l'attitudine all'esercizio di una professione, 
sebbene sia demandato allo stesso legislatore ordinario di determinare 
i criteri e il contenuto di questo esame, purch� esso soddisfi 
ragionevolmente l'esigenza di quell'accertamento della capacit� professionale 
cui l'esame di Stato � finalizzato. 

Ora la norma della cui costituzionalit� si dubita, anche nella versione 
pi� restrittiva determinata dall'art. 2 della legge n. 568 del 1971, si limita 
a porre come condizione della iscrizione negli Albi professionali la mera 
esplicazione legale della professione nei territori di provenienza senza 
nulla richiedere e precisare intorno alle condizioni, compreso il superamento 
di un esame di Stato, alle quali � subordinato l'accesso della 
professione nel territorio di provenienza. In tal modo manca oghi garanzia 
di quell'accertamento preventivo dei requisiti di preparazione e 
capacit� che la Costituzione italiana prescrive per l'abilitazione all'esercizio 
professionale. Il mero fatto che una attivit� professionale sia stata 
consentita ed esercitata in un qualunque territorio di provenienza del 
profugo, senza quell'accertamento, perfino senza un titolo di studio nella 
materia attinente alla professione (cio� quanto, e null'altro, � richiesto 
dalla norma denunciata), non pu� essere ritenuto sufficiente a integrare 
il rispetto della prescrizione costituzionale. 

Nella gi� citata sentenza n. 174 del 1980, la Corte ha ritenuto che 
il legislatore ordinario ben poteva modellare l'esame di Stato costituzionalmente 
richiesto, determinandone razionalmente la portata e il contenuto; 
e perci� ben poteva ammettere all'esercizio della professione di 
procuratore e di avvocato il magistrato (nella specie: militare) che 
aveva gi� sostenuto per accedere alla magistratura un esame di concorso 
equipollente a quello prescritto dalla legge forense. 

Ma la norma denunciata consente l'iscrizione dei profughi agli Albi 
prdfessionali senza richiedere che sia avvenuto, nello Stato di provenienza, 
alcun accertamento della capacit� professionale equipollente a 
quello richiesto dalla Costituzione italiana. La stessa Avvocatura dello 
Stato -che pure conclude per la infondatezza della questione -riconosce 
che, �certamente, spetta al legislatore ordinario valutare la se



AASSEGNA DELI..1AWOCATURA DELL� STAT� 

riet� e congruenza di tali titoli esteri�. Ma soggiunge che �nella specie 
tale valutazione � stata compiuta dal legi1s:latore ordinario �: ~l che non 
� vero, come sopra si � detto. 

Da ci� la fondatezza della questione di legittimit� costituzionale sollevata, 
in relazione all'art. 33, comma quinto, della Costituzione, dal Consiglio 
Nazionale Forense con la prima ordinanza. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 176 -Pres. Amadei -
Rel. Bucciarelli Ducci -Saccinto ed altri (avv. Troccoli) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Impiego pubblico -Componenti di commissioni �di concorso -Disposizione 
che esclude il compenso ai componenti � interni � -Legittimit� costi� 
tuzionale. 

(Cost., artt. 3 e 36; d.!. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7). 

Poich� la attivit� di componente di commissione di concorso riveste 
carattere di occasionalit�, e poich� diverse sono le situazioni rispettivamente 
dei componenti � esterni� e di quelli � interni� della commissione, 
la disposizione che esclude per questi ultimi il compenso per 
l'attivit� predetta non contrasta con gli artt. 3 e 36 Cast. (1). 

(omissis) Davanti alla Corte costituzionale viene denunciato l'art. 7, 

primo comma, d.l. 8 luglio 1974, n. 264 (nel testo risultante dalla legge di 

conversione del 17 agosto 1974, n. 386), nella parte in cui stabilisce che 

non debbono essere corrisposti compensi agli amministratori ed ai 

dipendenti degli enti ospedalieri, chiamati a far parte di commissioni 

per esami di concorso per l'assunzione di personale presso gli enti stessi. 

La Corte � chiamata a decidere su due questioni: 1) se la norma im


pugnata contrasti con l'art. 36, primo comma, della Costituzione, per il 

dubbio che il suddetto divieto di compenso ad amministratori e dipen


denti ospedalieri violi il diritto ad una retribuzione proporzionata alla 

quantit� e qualit� del lavoro prestato; 2) se la norma stessa contrasti 

con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, dubitandosi che da tale 

divieto derivi per gli amministratori e i dipendenti ospedalieri un'ingiu


stificata disparit� di trattamento retributivo rispetto ai componenti delle 

stesse commissioni che non rivestano tale qualifica -e ai quali invece 

il compenso � riconosciuto -e rispetto agli altri amministratori e 

dipendenti dell'ente che, non essendo membri delle commissioni, svol


(1) La �sentenza in ms.segna contiene enunciazioni suscettib~H di trovare applicazione 
anche in relazione ad altre disposizioni legislative discriminanti il trattamento 
dei componenti di collegi amministrativi a seconda che siano o meno 
appartenenti ad un'amministrazione. Diverso discorso dovrebbe farsi per altri 
incarichi, specie se jure privato, conferiti a pubblici funzionari (od a magistrati). 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 909 

gono una minore attivit� lavorativa, pur percependo identica retribuzione. 


Le questioni non sono fondate. 

Invero, riguardo alla prima questione, questa Corte, con altre sue 
precedenti decisioni relative al principio della giusta retribuzione, garantito 
dall'art. 36 Cost., ha affermato che la tutela costituzionale non 
si estende ad ogni compenso che sia il corrispettivo di un qualsiasi tipo 
di prestazione, ma intende piuttosto assicurare al lavoratore e alla sua 
famiglia un'esistenza libera e dignitosa mediante una retribuzione che, 
costituendo la fonte principale di sostentamento, deve essere proporzionata 
alla quantit� e qualit� del lavoro prestato (sent. n. 82 del 1973). 

Nella specie la prestazione richiesta agli amministratori o ai dipendenti 
degli enti ospedalieri, nominati membri di commissioni per 
esami di concorso, bench� istituzionale riveste carattere di occasionalit�. 
Essa, infatti, mentre � collegata al rapporto con l'ente in quanto 
la legge prescrive che alcuni componenti della commissione debbono 
essere amministratori o dipendenti dell'ente interessato alle assunzioni, 
si rivela d'altra parte del tutto eventuale, giacch� da un lato ricorre solo 
in caso di provvista di nuovo personale, dall'altro per efetto della rotazione 
non incombe sempre sulle stesse persone. Di tal che un apposito 
emolumento non si porrebbe quale fonte ordinaria e continuativa di 
retribuzione tesa ad assicurare al lavoratore un'esistenza libera e dignitosa, 
bens� come un'ulteriore utilit�, la cui concessione � rimessa al 
giudizio discrezionale del legislatore, non ricadendo nell'ambito della tutela 
disposta dall'art. 36 della Costituzione. 

Per quanto riguarda la seconda questione, che investe il principio 
di uguaglianza, � evidente la diversit� di situazione in cui versano gli 
amministratori e i dipendenti degli enti ospedalieri rispetto ai membri 
� esterni � componenti la stessa commissione di concorso, in quanto solo 
questi ultimi -a differenza dei primi -sono chiamati a svolgere un'attivit� 
del tutto aliena dai compiti da essi espletati istituzionalmente. 
Sicch�, se la legge prevede la corresponsione di emolumenti solo in favore 
di tali soggetti, escludendola per i componenti �interni� della 
commissione, non pu� dirsi che il trattamento preordinato dal legislatore 
sia sprovvisto di ragionevolezza o che costituisca una diversificazione 
arbitraria nei confronti del personale ospedaliero. 

Infine, la prospettata disparit� � interna � tra amministratori o di


pendenti a seconda che siano chiamati o meno a far parte della com


missione non sussiste, in quanto il gi� richiamato sistema della rotazione 

previsto dal legislatore realizza una sostanziale equiparazione di presta


zioni lavorative all'interno di ogni qualifica, cosicch� non si verifica 

alcuna discriminazione a parit� di retribuzione ordinaria connessa alla 

qualifica stessa. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 189 Pres. Amadei -
Rel. Malagugini -De Simone e Rosati (avv. Ventura), Soc. Termil 
(avv. Fornario), Cadoni (avv. Muggia), e Presidente Consiglio dei 
Ministri (avv. Stato Carafa). 

Lavoro � Periodo di prova -Diritto alla indennit� di anzianit� e diritto 

alle ferie � Esclusione -Hlegittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 36; cod. civ., artt. 2096 e 2109; legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 10)1. 

Lavoro � Periodo di prova � Recesso del datore di lavoro -Limiti della 
� discrezionalit� � del datore di lavoro -Disposizioni che escludono 
l'onere di motivare il recesso -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 4, 35 e 41; cod. civ., art. 2096; legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 10). 

Le disposizioni di legge, le quali negano al lavoratore, nei casi di 
recesso durante il periodo di prova, l'indennit� di anzianit�, lo pongono 
in una situazione ingiustamente deteriore rispetto al lavoratore assunto 
a tempo indeterminato e violano, in quanto prive di razionale giustificazione, 
il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Cast. 
Inoltre, contrasta con gli artt. 3 e 36 Cast. la disposizione che pone il 
decorso di un anno di ininterrotto servizio a presupposto del diritto del 
lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuite. 

Il potere del datore di lavoro di recedere dal rapporto durante il 
periodo di prova � finalizzato alla valutazione delle capacit� e del comportamento 
professionale del lavoratore, cos� che il lavoratore il quale 
ritenga e sappia dimostrare il positivo superamento dello esperimento 
nonch� l'imputabilit� del licenziamento ad un motivo illecito ben pu� 
eccepirne e dedurne la nullit� in sede giurisdizionale; tanto premesso, le 
disposizioni attributive di detto potere sono compatibili con la Costituzione. 


(omissis) Ai fini della decisione, invero, non occorre prender partito 
sulla natura -se retributiva o indennitaria -della indennit� di anzianit� 
n� privilegiare alcuna delle tesi, sostenute in dottrina ed accolte 
in giurisprudenza, sulla qualificazione giuridica del contratto di lavoro 
con patto di prova, in particolare quella che considera il rapporto di 
lavoro in prova un rapporto tipicamente a termine, muovendo dalla quale 
la Corte di apello di Roma ed il pretore di Genova denunciano la violazione 
dell'art. 3 Cost., ponendo a raffronto le situazioni dedotte nei rispettivi 
giudizi con quella disciplinata dall'art. 5, ultimo comma, della 
legge 230 del 1962 che attribuisce al lavoratore, alla scadenza del contratto 
a termine, il diritto ad un � premio di fine lavoro � � pari alla 
indennit� di anzianit� prevista dai contratti collettivi�. 


!.'ARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Non pu�, infatti, dubitarsi che il patto di prova inerisce ad un rapporto 
di lavoro nel quale al lavoratore, di regola professionalmente gi� 
formato, si chiede l'adempimento di normali prestazioni di lavoro, uguali, 
per quantit� e qualit� a quelle fornite dagli altri lavoratori di pari qualificazione. 
Ci� tant� � vero che, ove sia superato, senza esercizio della 
facolt� di recesso, il termine della prova e comunque decorsi sei mesi 
dalla assunzione, l'attivit� prestata durante il periodo di prova non si 
distingue, a tutti gli effetti retributivi, da quella di un lavoratore assunto 
a tempo indeterminato. (omissis) 

Il pretore di Genova (ord. n. 655/79) dubita anche della legittimit� 
costituzionale degli artt. 2096, terzo comma e 2109 cod. civ. assumendone 
il contrasto con gli artt. 3 e 36, ultimo comma, Cast. 

Anche questa questione appare fondata. Gi� con la sente:qza n. 66 
del 1963 questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima, del


�. 
l'art. 2109 cod. civ., la disposizione che pone il decorso di un anno di 
ininterrotto servizio a presupposto del diritto del lavoratore ad un 
periodo annuale di ferie retribuite. Motivando tale decisione, la Corte 
ha sostanzialmente rilevato che il periodo di riposo ritenuto necessario 
per ritemprare le energie psico-fisiche del lavoratore, se pur ragguagliato 
ad un anno ben pu� essere frazionato e quindi riconosciuto in proporzione 
alla quantit� di lavoro da costui effettivamente prestata presso 
l'imprenditore che, avendolo assunto, procede al suo licenziamento� anche 
prima che sia maturato un anno di ininterrotto servizio. 

A conferma dell'esattezza di una tale piana argomentazione, si deve 
ricordare che il diritto alle ferie retribuite � garantito dall'art. 36, ultimo 
comma, Cast. ad ogni lavoratore senza distinzione di sorta, mentre sar� 
questione di fatto verificare nelle singole situazioni se sono e in che 
misura maturate le condizioni per il soddisfacimento di un tale diritto. 

Le ordinanze del pretore di Milano (n. 496/75) del pretore di Roma 

(n. 394/76) e del pretore di Napoli (n. 635/76) sollevano questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 2096, terzo comma, cod. civ. e/o dell'art. 10 
della legge 604 del 1966, nella parte in cui escludono l'obbligo dell'imprenditore 
di motivare il licenziamento del prestatore di lavoro assunto in 
prova, effettuato durante il periodo di prova. (omissis) 
Va anzitutto ricordato che nel sistema del codice civile (libro V, 
titolo II, sez. III) non � previsto l'obbligo dell'imprenditore di motivare 
il recesso dal contratto a tempo indeterminato e che tale obbligo (a richiesta 
del lavoratore) � stato introdotto con l'art. 2 della legge 604 del 1966, 
nei rapporti di lavoro di cui agli artt. 10 e 11 della legge medesima. 

Ne deriva che la disposizione del cod. civ. (art. 2118) sul recesso dal 
contratto a tempo indeterminato, non essendo stata dedotta nuova questione 
di legittimit� in ordine ai predetti artt. 10 e 11 legge 604 del 1966 
per la parte che qui interessa, ha tutt'ora un suo campo di applicazione 


912 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

e che pure l'art. 2096, terzo comma, cod. civ., al di fuori dell'ambito di 
operativit� della legge 604/66, non sembra confliggere con gli invocati parametri 
costituzionali, non essendo adombrata alcuna illegittimit� del disposto 
che esclude l'obbligo del preavviso e delle indennit� sostitutive. 
La questione posta in relazione al solo art. 2096, terzo comma, cod. 

civ. appare quindi infondata. 
Viene, dunque, in discussione l'art. 10 della legge 604/66 nella parte 
in cui esclude l'applicazione delle norme della legge medesima, -sussistendo 
le altre condizioni di cui al medesimo art. 10 ed al successivo 
art. 11, con le modificazioni introdotte dalla legge 300 del 1970 e dalla sentenza 
n. 174/1972 di questa Corte -agli impiegati ed operai assunti in 
prova. (omissis) 

Affer!Uato l'obbligo delle parti � a consentire e a fare l'esperimento 
ohe forma oggetto del patto di prova� (art. 2096, secondo icomma, cod. civ.), 
ne discende un primo limite alla discrezionalit� dell'imprenditore, nel 
senso che la legittimit� del licenziamento da lui intimato durante il periodo 
di prova pu� efficacemente essere contestato dal lavoratore quando risulti 
che non � stata consentita, per la inadeguatezza della durata dell'esperimento 
o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle 
sue qualit� professionali alle quali il patto di prova � preordinato. Pi� in 
generale, 1si pu� affermare che [a �discrezionalit� � delil'imprenditore si 
esplica nella valutazione delle capacit� e del comportamento professionale 
del lavoratore, cos� che il lavoratore stesso il quale ritenga e sappia dimostrare 
il positivo superamento dell'esperimento nonch� l'imputabilit� del 
licenziamento ad un motivo illecito ben pu� eccepirne e dedurne la nullit� 
in sede giurisdizionale. 

Cos� definiti i termini della questione, la norma impugnata � immune 

da censure di costituzionalit�. 

Non appare, infatti, vulnerato il principio di uguaglianza, non essendo 

equiparabili, sotto l'aspetto che qui interessa, le situazioni poste a con


fronto, del lavoratore in prova e del lavoratore assunto a tempo indeter


minato, mentre il riferimento ai pubblici dipendenti assunti in prova ed 

all'obbligo di motivazione del decreto ministeriale che li estrometta dal


l'amministrazione (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 10 e d.P.R. 3 mag


gio 1957, n. 686, art. 14, comma secondo) ignora le ben diverse modalit� 

di assunzione di questi ultimi, che comportano, gi� attraverso l'esperi


mento del concorso, una prima valutazione della loro idoneit� profes


sionale. 

Neppure � prospettabile lesione degli artt. 4 e 35 Cost., vuoi per la 
portata del principio di cui all'art. 4, primo comma, Cost., che � come 
non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di una 
occupazione, cos� non garantisce il diritto alla conservazione del posto 
di lavoro (che nel primo dovrebbe trovare il suo logico e necessario pre



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

supposto) � (sent. n. 3 del 1957; 81 del 1969; 45 del 1965; 194 del 1970), vuoi 
perch� l'art. 35 Cost., esaminato appunto in relazione all'art. 4, primo 
comma, Cost., non impone �un'applicazione indiscriminata del principio 
della giusta causa, e del giustificato motivo nei licenziamenti, ma � lascia � 
al legislatore ampia discrezionalit� in materia� (sent. 129 del 1976). Quanto, 
infine, all'art. 41, secondo comma, Cost., che riguarda lo svolgimento del 
rapporto di lavoro, invocato dai pretori di Roma e di Napoli, non si ravvisa 
nelle disposizioni di legge censurate alcun attentato alla libert� e alla 
dignit� del lavoratore, soprattutto quando si riconosca la sindacabilit� 
nei limiti anzidetti, del concreto esercizio del recesso operato dall'imprenditore 
in costanza del periodo di prova e l'annullabilit� dell'atto nel 
quale si esprime, tutte le volte che il lavoratore (in assenza di una motivazione 
o anche in presenza di una diversa motivazione apparente) lo 
provi illecitamente motivato. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 191 -Pres. Amadei -Rel. 
Paladin -Regione Veneto e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Azzariti). 

Corte costituzionale -Ricorsi per impugnativa. diretta delle leggi .e per 
conflitto di attribuzine -Deposito del ricorso -Termine -�". perentorio. 


I termini fissati per il deposito dei ricorsi diretti alla Corte costituzionale 
sono perentori; i ricorsi tardivamente depositati devono essere dichiarati 
inammissibili. 

(omissis) Come risulta dagli atti (senza che la difesa regionale lo abbia 
contestato in alcun modo), tanto il ricorso con cui la Regione Veneto ha 
impugnato l'art. 8 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, quanto il conseguente 
ricorso relativo alla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33, 
sono stati ta11divamente depositati nehla cancelleria di questa Corte, oltre 
i dieci giorni dalla notificazione, fissati dagli artt. 31 ultimo comma e 32 
ultimo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, quanto all'impugnativa 
diretta delle leggi, regionali e statali. (omissis) Ci� basta per desumerne 
che entrambi i ricorsi sono inammissibili, malgrado le contrarie considerazioni 
che la difesa regionale ha svolto nella pubblica udienza del 4 giugno 
1980. 

Vero � che, in base al capoverso dell'art. 152 cod. proc. civ., �i termini 
stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari 
espressamente perentori �. Da un lato, per�, la formulazione testuale dell'art. 
31 ultimo comma della legge n. 87 del 1953, sottolineando la dove



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

914 

rosit� del deposito entro dieci giorni dalla notificazione del relativo ricorso, 
comporta per ci� stesso che il termine vada rispettato a pena di decadenza. 
D'altro lato, questa Corte ha ritenuto in varie decisioni (v. specialmente 
le sentenze n. 15 del 1967 e n. 30 del 1973, nonch� l'ord. n. 109 del J975) che 
i termini per la costituzione in giudizio presso di essa risentano delle 
� pecu:liarit� dei giudici di costituzionalit�� e dell'autonomia della foro 
disciplina processuale�; e che, pertanto, i termini medesimi siano � perentori 
per tutte le parti �. Tali criteri s'impongono anche nei casi in esame, 
escludendo la pertinenza del richiamo all'art. 152 cod. proc. civ. (la cui 
considerazione non potrebbe comunque venire dissociata da quella degli 
artt. 153 e 154 del codice stesso); tanto pi� che nelle disposizioni sul funzionamento 
della Corte il punto di riferimento del processo costituzionale 
non � rappresentato dal diritto processuale civile, bens� dalle � norme del 
regolamento per procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale 
� (cui rimanda esplicitamente, � in quanto applicabili�, l'art. 22 
primo comma della stessa legge n. 87 del 1953). 

Che poi i termini fissati in tema di deposito del ricorso siano alquanto 
diversi secondo le diverse specie di procedimenti -dieci giorni per l'impugnativa 
diretta delle leggi, venti giorni quanto al conflitto di attribuzione 
tra Stato e Regioni (in base all'art. 27 cpv. delle Norme integrative 
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale), di fronte ai trenta giorni 
prescritti � a pena di decadenza� dall'art. 36 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 
(recante il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) -non toglie che 
in tutte queste ipotesi la doverosa tempestivit� del deposito, nei tempi 
improrogabili prefissati dall'ordinamento, venga presidiata dalla correlativa 
sanzione della decadenza, senza di che le controversie fra lo Stato e 
le Regioni finirebbero per poter essere instaurate sine die. 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 19 giugno 1980, 
nelle cause riunite 41-121-796/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Reischl Domande 
di pronuncia pregiudiziale proposte dal Bayerisches Landessozialgericht 
di Monaco di Baviera, dal Bundessozialgericht e dal 
Landessocialgericht dell'Assia, nelle cause Testa, Maggio e Vitale c. 
Bundesanstalt filr Arbeit di Norimberga. Interv.: Governo italiano 
(avv. Stato Favara) e Commissione delle C.E. (ag. Koch). 

Comunit� europee � Libera circolazione dei lavoratori -Previdenza sociale 
-Prestazioni di disoccupazione. 

(Trattato CEE, artt 48-51; regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, art. 69). 

Il lavoratore disoccupato che, essendosi allontanato dallo Stato membro 
da cui percepisce prestazioni di disoccupazione per recarsi in altro 
Stato membro per cercarvi lavoro, profittando della possibilit� offertagli 
dall'art. 69, n. 1, del reg. CEE 1408/71, e non ritorna nel termine di tre 
mesi ivi contemplato nello Stato di partenza, non pu� pi�, a norma dell'art. 
69, n. 2, 1" frase, far valere il diritto alle prestazioni nei confronti di 
tale Stato, sempre che il suddetto termine non venga prorogato in applicazione 
dell'art. 69, n. 2, 2� frase (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanze del 15 febbraio, 19 giugno e 30 agosto 1979, 
pervenute neN.a ca'lllOeL1eria della Corte, rispettivamente, il 12 marzo, il 
31 luglio e 1'8 novembre 1979, il Bayerisches Landessozialgericht di Monaco 
(causa 41/79), il Bundessozialgericht (causa 121/79) ed il Landessozialgericht 
dell'Assia (causa 796/79) hanno posto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato 
CEE, questioni vertenti sull'interpretazione e sulla validit� dell'art. 69, n. 2, 

(1) Nel solco di un princ1p10 pi� volte affermato, secondo cui le norme 
comunitarie possono imporre ai lavoratori limitazioni solo come contropartita 
dei vantaggi loro attribuiti dai regolamenti comunitari, la Corte di Giustizia 
(prima con la sentenza 21 ottobre 1975, nella causa 24/75, PETRONI, in Racc., 1975, 
1149, e poi con le sentenze 3 febbraio 1977, nella causa 62/76, SrREHL, in Racc., 
211, e 13 ottobre 1977, nella causa 112/76, MANZONI, in Racc., 1977, 1647, e in questa 
Rassegna, 1977, I, 781, con nota di richiami) aveva affermato che una norma 
comunitaria regolamentare (l'art. 46 n. 3 del reg. C.E.E. n. 1408/71) � incompatibile 
con l'art. 51 del trattato in quanto impone la limitazione delle prestazioni 

916 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione 
dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro 
familiari che si spostano all'interno della Comunit� (G.U. n. L 149, pag. 2). 

2. -Le questioni sono sollevate nell'ambito di controversie opponenti 
la Bundensanstalt flir Arbeit {Ufficio federale del lavoro) di Norimberga 
a lavoratori disoccupati che, avendo profittato della possibilit� offerta 
dall'art. 69, n. 1, del regolamento n. 1408/71 per recarsi in Italia allo scopo 
di cercarvi lavoro, non sono rientrati nella Repubblica federale di Germania 
nel termine di tre mesi contemplato dalla suddetta disposizione. 
Fondandosi sull'art. 69, n. 2, del regolamento citato, ai cui termini il 
lavoratore perde ogni diritto alle prestazioni a norma della legislazione 
dello Stato competente se non vi ritorna prima della scadenza del menzionato 
periodo di tre mesi, la Bundesanstalt flir Arbeit ha rifiutato di 
continuare a versare prestazioni di disoccupazione ai lavoratori di cui 
trattasi. Essa ha anche rifiutato di applicare a loro favore l'art. 69, n. 2, 
2� frase, di detto regolamento, che consente agli uffici o alle istituzioni 
competenti di prolungare, in casi eccezionali, il termine di tre mesi cui � 
subordinato il mantenimento delle prestazioni. I lavoratori interessati 
hanno allora adito i giudici tedeschi con ricorsi intesi ad ottenere il riconoscimento 
del loro diritto alla conservazione delle prestazioni di disoccupazione. 
3. -Le questioni poste dai giudici di rinvio intendono, in sostanza:, 
far determinare se l'art. 69, n. 2, del regolamento n. 1408/71 privi il lavoratore 
disoccupato, che rientri nello Stato competente dopo la scadenza 
del termine di tre mesi di cui all'art. 69, n. 1, lett. e), di ogni diritto alle 
prestazioni di disoccupazione nei riguardi di tale Stato anche nel caso in 
cui detto lavoratore conservi un diritto residuale alle prestazioni in forza 
della legislazione dello stesso Stato. Per il caso di soluzione affermativa 
di tale questione, sono stati avanzati, nella motivazione delle ordinanze di 
rinvio e nelle osservazioni presentate alla Corte dal ricorrente nel proceprevidenziali 
spettanti in Stati membri diversi, mediante decurtazione dell'importo 
della prestazione spettante in forza della sola legislazione nazionale di 
uno Stato membro. 

Sulla base dei medesimi princ�pi nulla da obiettare vi sarebbe sulla sentenza 
annotata se per la sola legislazione nazionale l'essersi il lavoratore sottratto 
per tre mesi all'obbligo di restare a disposizione degli uffici del lavoro 
rdeli1o Stato competente e di sottoporsi al contro1~o ivi organizzato fosse sufficiente 
a fargli perdere qualsiasi diritto. Perplessit� desta invece la pronuncia 
annotata in quanto essa intenda riferirsi indistintamente � anche al caso in cui 
detto lavoratore conservi un diritto residuale alle prestazioni in forza della legislazione 
dello stesso Stato�, non sembrando che possa escludersi in tale ipotesi 
l'incompatibilit� della norma regolamentare (l'art. 69 del reg. 1408/71, cos� 


PAR'tE I, S�lZ. I�, GlUJ.l.IS. COMUNITARIA :Il INTERNAZlONAL�l 917 

dimento sottostante alla causa 41/79 e dal Governo della Repubblica italiana, 
dubbi quanto alla compatibilit� dell'art. 69, n. 2, con gli artt. 48-51 
del Trattato e con le esigenze della tutela dei diritti fondamentali. 

Quanto all'interpretazione dell'art. 69, n. 2. 

4. -L'art. 69 del regolamento n. 1408/71 attribuisce al lavoratore 
disoccupato la facolt� di esimersi, per un periodo stabilito ed allo scopo 
di cercare lavoro in un altro Stato membro, dall'obbligo, imposto dalle 
diverse legislazioni nazionali, di mettersi a disposizione degli uffici di collocameno 
dello Stato competente, senza per questo perdere il diritto alle 
prestazioni di disoccupazione nei confronti dello Stato competente. 
5. -Questa disposizione non costituisce una semplice mis�ra di coordinamento 
delle legislazioni nazionali in materia di sicurezza sociale. Essa 
istituisce, a favore dei lavoratori che chiedono di fruirne, un regime autonomo, 
derogante alle norme del diritto interno, che deve essere interpretato 
in modo uniforme in tutti gli Stati membri, qualunque sia il regime 
previsto dalla legislazione nazionale per la conservazione e la perdita del 
diritto alle prestazioni. 
6. -Ai termini del suo primo paragrafo, l'agevolazione concessa al 
lavoratore dall'art. 69 si limita ad un periodo di tre mesi a partire dalla 
data in cui egli ha cessato di essere a disposizione degli uffici di collocamento 
dello Stato competente. 
7. -Ai termini del suo secondo paragrafo, l'art. 69 stabilisce che: 
� Se l'interessato ritorna nello Stato competente prima della sca� 
<lenza del periodo durante il quale egli ha diritto alle prestazioni in virt� 

come interpretata, con le norme del trattato, il cui scopo non verrebbe raggiun� 

to se, a causa dell'esercizio del loro diritto di libera circolazione assicurato della 

normativa comunitaria, i lavoratori dovessero perdere i vantaggi previdenziali 

garantiti loro dalle leggi di uno Stato membro. 

Per l'applicazione integrale o della normativa comunitaria o della normativa 

nazionale, a seconda che l'una o l'altra sia la pi� favorevole, cfr. anche le sen


tenze 13 ottobre 1977, nella causa 22/77, MURA, e nella causa 37/77, GRECO, in 

questa Rassegna, 1977, I, 782; 14 marzo 197,8, nehle cause 98/77, SCHAAP, e 105/77, 

KERSJES, ibidem, 1978, I, 188; e 16 maggio 1979, nella causa 236/78, MURA, ibidem, 

1979, I, 254, con nota. 

Sull'art. 69 del reg. 1408/79 cfr. la sentenza, citata in motivazione, 20 marzo 

1979, nella causa 139/78, CoccrnLI, in Racc. 1979, 991. Sulla tutela dei diritti fon


damentali cfr. la sentenza 13 dicembre 1979, nella causa 44/79, HAUER, in questa 

Rassegna, retro, I, 265, e le sentenze citate in nota. Sul principio di proporzio


nalit� cfr. la nota alla sentenza 26 giugno 1980, nella causa 808/79, PARDINI, in 

questa Rassegna, retro, I, 736. 



fronti dello Stato competente, semprech� il suddetto termine non venga 
prorogato in applicazione dell'art. 69, n. 2, 2� frase. 
fronti dello Stato competente, semprech� il suddetto termine non venga 
prorogato in applicazione dell'art. 69, n. 2, 2� frase. 
918 l!ASSEGNA DELL1AVVOCATlJl!A ))Etto STATO 
delle disposizioni del paragrafo 1, lett. e), egli continua ad avere diritto 
alle prestazioni conformemente alla legislazione di tale Stato; perde ogni 
diritto alle prestazioni a norma della legislazione dello Stato competente 
se non vi ritorna prima della scadenza di tale periodo. In casi eccezionali, 
tale termine pu� essere prolungato dagli uffici o dalle istituzioni competenti
�. 

8. -Dai termini espressi della disposizione citata risulta che la conservazione 
del diritto alle prestazioni nei confronti dello Stato ~ompetente 
oltre il periodo di tre mesi � subordinato alla condizione che il lavoratore 
ritorni in tale Stato prima della scadenza del periodo; egli, per contro, 
�perde ogni diritto alle prestazioni a norma della legislazione dello Stato 
competente� in caso di ritorno tardivo. La sola ipotesi in cui il lavoratore 
conserva il diritto alle prestazioni nei confronti dello Stato competente in 
caso di ritorno dopo la scadenza del periodo di tre mesi � quella contemplata 
all'art. 69, n. 2, 2� f�rase, che consente agli uffici o alle istituzioni 
competenti di prolungare il termine in casi eccezionali. 
9. -Contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti nei procedimenti 
principali, la perdita del diritto alle prestazioni contemplata dall'art. 
69, n. 2, non si limita al periodo compreso fra la scadenza del termine 
ed il momento in cui il lavoratore si rimette a disposizione degli 
uffici del lavoro dello Stato competente. Se tale fosse la portata dell'art. 69, 
n. 2, detta disposizione non richiederebbe il ritorno del lavoratore nel 
termine di tre mesi e non farebbe riferimento alla perdita di � ogni 
diritto� in caso di ritorno tardivo. 
10. -Non pu� neppure essere accolta la tesi secondo cui l'espressione 
� a norma della legislazione dello Stato competente�, figurante nel 
testo dell'art. 69, n. 2, dovrebbe ess,ere intesa come un rinvio al diritto 
nazionale per la determinazione delle condizioni alle quali si verifica la 
perdita del diritto alle prestazioni. Detta espressione, che segue le parole 
�perde ogni diritto alle prestazioni�, ha il solo scopo di precisare che 
il lavoratore perde, in caso di ritorno tardivo, ogni diritto alle prestazioni 
nei confronti dello Stato competente, qualunque possa essere, per il resto, 
il diritto a prestazione che egli pu� far valere nei confronti di altri Stati 
membri. 
11. -Si devono quindi risolvere le questioni poste nel senso che il 
lavoratore che ritorna nello Stato competente dopo la scadenza del 
termine di tre mesi di cui all'art. 69, n. l, lett. e), non pu� pi�, a norma 
dell'art. 69, n. 2, 1� frase, far valere il diritto alle prestazioni nei con

PARtE I, $�Z. Il, GIURI$. �OMUNitARIA E INTERNAZIONALE 

Quanto alla compatibilit� dell'art. 69, n. 2, con gli artt. 48-51 del 
Trattato. 

12. -� stato sostenuto che, se dovesse essere intepretato nel senso 
sopra indicato, l'art. 69, n. 2, sarebbe invalido in quanto incompatibile 
con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei 
lavoratori e, in particolare, con l'art. 51, che impone al Consiglio di 
adottare, in materia di sicurezza sociale, le misure necessarie per l'instaurazione 
della libera circolazione dei lavoratori. 
13. -Come la Corte ha gi� osservato nella sentenza 20 marzo 1979, 
in causa 139/78, Cacciali c. Bundesanstalt filr Arbeit, Racc., 1979, pag. 991, 
l'art. 69 del regolamento n. 1408/71, attribuendo al lavoratore il diritto di 
recarsi in un un altro Stato membro per cercarvi lavoro, offre a chi si 
valga di questa disposizione un vantaggio rispetto a chi rimanga nello 
Stato competente, in quanto, per effetto dell'art. 69, nel primo caso 
l'interessato � esonerato per un periodo di tre mesi dall'obbligo di restare 
a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato competente e di sottoporsi 
al controllo ivi organizzato, pur dovendo, beninteso, iscriversi 
presso gli uffici del lavoro dello ~tato membro in cui si reca. 
14. -Il diritto di cons�ervarie �le prestazioni di disoccupazione attribuito 
dall'art. 69 contribuisce quindi ad assicurare la libera circolazione 
dei lavoratori conformemente all'art. 51 del Trattato. Il fatto che tale 
vantaggio sia limitato nel tempo e subordinato al rispetto di determinate 
condizioni non rende l'art. 69, n. 2, contrario all'art. 51. Quest'ultima 
disposizione non vieta al legislatore comunitario di accompagnare con 
condizioni le agevolazioni da esso accordate per assicurare la libera 
circolazione dei lavoratori, n� di fissarne i limiti. 
15. -L'art. 69, n. 2, quale elemento di una normativa speciale che 
attribuisce al lavoratore diritti che egli altrimenti non avrebbe, non 
pu� quindi essere assimilato alle disposizioni giudicate invalide dalla 
Corte nelle sentenze del 21 ottobre 1975, causa 24/75, Petroni, Racc., 1975, � 
pag. 1149, e del 13 ottobre 1977, causa 112/76, Manzoni, Racc., 1977, 
pag. 1647, in quanto avessero l'effetto di far perdere ai lavoratori benefici 
di sicurezza sociale loro garantiti, in ogni caso, dalla sola legislazione 
nazionale di uno Stato membro. 
16. -Ne consegue che l'art. 69, n. 2, del regolamento n. 1408/71 
non � incompatibile con le norme relative alla libera circolazione dei 
lavoratori nella Comunit�. 

~2� USSEGNA DELL1AWOCAtURA DELL� StAtO 
Quanto alla compatibilit� dell'art. 69, n. 2, con diritti fondamentali 
garantiti nell'ordinamento giuridico comunitario. 
17. -Nelle ordinanze di rinvio il Bundessozialgericht e il Landessozialgericht 
dell'Assia espongono che, nel caso in cui l'art. 69, n. 2, del 
regolamento n. 1408/71 dovesse essere interpretato nel senso che esso priva 
il lavoratore rientrato tardivamente nello Stato competente di ogni 
diritto alle prestazioni di disoccupazione nei confronti di tale Stato, tale 
disposizione potrebbe essere considerata incompatibile con l'art. 14 della 
legge fondamentale tedesca, relativo alla tutela del diritto di propriet�. 

18. -Come la Corte ha a pi� riprese sottolineato, eventuali questioni 
relative alla violazione di diritti fondamentali mediante atti emanati dalle 
istituzioni delle Comunit� possono essere valutate unicamente alla stregua 
del diritto comunitario, ,essendo i diritti fondamentali parte integrante 
dei principi generali di diritto di cui essa garantisce l'osservanza. Fra i 
diritti fondamentali la cui tutela � cos� garantita nell'ordinamento giuddico 
comunitario, conformemente alle concezioni costituzionadi comuni 
agli Stati membri e tenuto conto degli atti internazionali concernenti 
la protezione dei diritti dell'uomo cui gli Stati membri hanno collaborato 
o aderito, figura il diritto di propriet�, come la Corte ha riconosciuto 
in particolare nella sentenza del 13 dicembre 1979, in causa 44/79, Hauer. 
19. -Per valutare se l'art. 69, n. 2, possa ledere i diritti fondamentali 
garantiti nell'ordinamento comunitario, si deve, anzitutto, prendere 
in considerazione il fatto che il regime istituito dall'art. 69 � un 
regime facoltativo, che si applica soltanto in quanto il lavoratore ne 
faccia domanda, rinunciando cos� a valersi del regime generale applicabile 
ai tlavoratori dello Stato in cui ,egli � disoocupato. Le ccmseguenze 
previste dall'art. 69 nel caso di ritorno tardivo sono portate a conoscenza 
del lavoratore, in particolare mediante il foglio esplicativo E 303/5, 
redatto nella sua lingua, che gli � consegnato dai competenti uffici del 
lavoro; egli si assoggetta quindi al regime istituito dall'art. 69 in piena 
libert� ,e cognizione di causa. 
20. -La sanzione prevista dall'art. 69, n. 2, per il caso di ritorno 
tardivo, deve parimenti essere vista alla luce dell'agevolazione concessa 
al lavoratore dall'art. 69, n. 1, agevolazione che non ha equivalente in 
diritto interno. 
21. -� d'uopo sottolineare, infine, che l'art. 69, n. 2, 2� foase, neJ. 
prevedere, in casi eccezionali, il prolungamento del termine di tre mesi 
di cui all'art. 69, n. 1, lett. e), consente di evitare che l'applicazione del

PARTE t, SEZ. Ii, G!tJIH$. C�MtJNI'I'AlUA E tNTERNAZ�ONALE 

l'art. 69, n. 2, dia luogo a risultati sproporzionati. Come la Corte ha 
dichiarato nella sentenza 20 marzo 1979, Cacciali, sopra citata, la proroga 
di detto termine � ammissibile anche qualora la relativa istanza sia stata 
presentata dopo la scadenza del termine. Se, come '1a Corve ha affermato 
nella citata sentenza, gli uffici e le istituzioni competenti degli Stati 
dispongono di ampia discrezionalit� al fine di decidere in merito alla 
eventuale proroga del termine stabilito dal regolamento, essi devono, 
nell'esercizio di tale potere discrezionale, tener conto del principio di 
proporzionalit�, principio generale di diritto comunitario. L'applicazione 
corretta di tale principio in casi quali quelli di specie esige che gli 
uffici e le istituzioni competenti prendano in considerazione, in ogni 
singolo caso, la durata del superamento del termine, la ragione del ritorno 
tardivo e la gravit� delle conseguenze giuridiche da esso derivanti. 

22. -Si perviene quindi alla conclusione che, anche supponendo che 
il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale di cui � causa possa 
essere considerato attinente alla tutela del diritto di propriet�, quale 
garantita nell'ordinamento giuridico comunitario -questione che non 
pare necessario risolvere nell'ambito del presente procedimento la 
normativa istituita dall'art. 69 del regolamento n. 1408/71, interpretata 
nel senso sopra indicato, non comporta alcuna limitazione indebita della 
conservazione del diritto aiUe prestazioni in parola. (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 1' sezione, 9 ottobre 
1980, nella causa 823/79 � Pres. Koopmans -Avv. Gen. Capotorti � 
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Ravenna 
nel processo penale a carico di G. Cardati. Interv. Governo 
italiano (avv. Stato D'Avanzo) e Commissione delle C.E. (avv. de 
Marchi). 

Comunit� europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci Temporanea 
importazione di autoveicoli. 
(Trattato CEE, artt. 9 e segg.; convenzione di New York 4 giugno 1954, rat. con legge 

27 ottobre 1957, n. 1163; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 25, 216, 282, 287, 339; d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 633, artt. 67, 69, 70, 71). 

Le norme del Trattato C.E.E. relative alla libera circolazione delle 
merci non fanno ostacolo a che una disciplina nazionale imponga ai residenti 
nel territorio di uno Stato membro il divieto, sanzionato penalmente, 
di usare autoveicoli i quali abbiano fruito di un regime di im



MSSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO

922 

portazione temporanea e quindi siano stati esentati dal pagamento dell'imposta 
sul valore aggiunto (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza del 17 dicembre 1979, pervenuta nella 
cancelleria della Corte il 21 dello stesso mese, il Tribunale di Ravenna 
ha posto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato C.E.E., una questione relativa 
alla compatibilit� di determinate disposizioni della legislazione italiana 
con le norme comunitarie in materia di libera circolazione delle merci. 

2. -I fatti all'origine del procedimento pendente dinanzi al Tribunale 
di Ravenm.a, sono i seguenti. Il signor Cardati, dttaidino italiano residente 
in Ravenna, che conduceva in territorio italiano un'autovettura immatricolata 
in Germania, veniva interrogato dalla Guardia di Finanza e dichiarava 
che un cittadino della Repubblica federale di Germania gli 
aveva affidato l'autovettura per poterne disporre in Italia nei suoi frequenti 
viaggi di affari. A carico del Cardati veniva steso un rapporto penale per 
contrabbando, per avere, nella sua qualit� di residente italiano, detenuto 
ed usato nel territorio doganale nazionale, in violazione delle norme 
sull'importazione temporanea, un'autovettura immatricolata all'estero. 
3. -Nel corso del processo il Tribunale di Ravenna decideva di 
porre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
� Se gli artt. 25, 216, 282, 287 e 339 del d.P.R. 23 gennaio 1973, 

n. 43, in relazione alla legge 27 ottobre 1957, n. 1163 di ratifica ed 
esecuzione della Convenzione Internazionale di New York del 4 giugno 1954 
e agli articoli 67, 69, 70 e 71 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, siano in 
contraddizione con la normativa comunitaria in materia di libera circolazione 
delle merci �. 
4. -La Corte, pur non essendo competente a statuire, nei giudizi 
basati sull'art. 177 del Trattato, sulla compatibilit� col diritto comuni� 
tario di atti normativi nazionali, pu�, di fronte ad un'ordinanza di 
rinvio inesattamente formulata, identificare la questione di diritto 
(1) Sul regime fiscale degli autoveicoli privati in circolazione internazionale 
cfr. anche la convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956 (in Raccolta dei Trattati 
dell'ONU, volume 339, pag. 3), ratificata da tutti gli Stati membri delle Comunit� 
europee, ad eccezione del Belgio e dell'Italia. Essa esonera i veicoli immatri� 
colati nel territorio di una delle parti contraenti, e importati in franchigia in 
un altro Stato, dalle imposte e tasse che gravano la circolazione o la detenzione 
dei veicoli, salvo i pedaggi e le imposte di consumo. La convenzione non definisce 
direttamente le condizioni per beneficiare dell'esonero, ma rinvia alle di� 
sposizioni della convenzione doganale di New York. 
Per la giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla libera circolazione delle 
merci v. questa Rassegna, 1978, II, 1 e 1980, II, 71. 

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f>ARtE I, s~z. n, GlURIS. COMUNI'I'AR1A � !N'I'ERNAZIONALE 923 

comunitario in termini che le consentano di pronunciarsi. Nella fatti� 
specie, la questione da risolvere consiste nell'accertare se i principi del 
Trattato relativi alla libera circolazione delle merci siano di ostacolo 
ad una normativa nazionale che, assoggettando l'importazione normale 
di autoveicoli al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto, vieti, con 
sanzione penale, ai residenti nello Stato di utilizzare autoveicoli che 
abbiano fruito di un regime di importazione temporanea, e quindi della 
esenzione della citata imposta. 

5. -L'art. 2 della Convenzione di New York del 4 giugno 1954, ratificata 
da tutti gli Stati membri della Comunit� Europea, disciplina l'importazione 
di autoveicoli in franchigia temporanea. Esso stabilisce, al 
paragrafo l, che ciascuno Stato contraente ammette �in franchigia temporanea... 
i veicoli appartenenti a persone che hanno la loro residenza 
normale fuori del suo territorio e che sono importati ed utilizzati per 
loro uso privato, in occasione di una visita temporanea, sia dai proprietari 
di tali veicoli, sia da altre persone che hanno la loro residenza 
normale fuori del suo territorio �. 
6. -L'art. 216 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gen� 
naio 1973, n. 43 (�Testo unico delle disposizioni legislative in materia 
doganale�), disciplina l'importazione temporanea dei veicoli stradali ad 
uso privato facendo rinvio alla Convenzione di New York e prevede, al 
comma secondo, che le pene stabilite per il reato di contrabbando restino 
applicabili quando manchino o siano venute a cessare le condizioni 
previste dalla citata Convenzione. Lo stesso Testo unico stabilisce altres� 
la pena pecuniaria da infliggere a chiunque detenga merci estere senza 
dimostrarne la legittima provenienza (art. 282 in relazione all'art. 25), 
ovvero dia, in tutto o in parte, a merci estere importate in franchigia 
e con riduzione dei diritti di confine una destinazione diversa da quella 
per la qua1e � stata concessa la franchigia o la riduzione (art. 287). 
7. -Per quanto riguarda i diritti non pagati, al cui ammontare la 
sanzione pecuniaria � commisurata, il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, concer� 
nente l'istituzione e la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, stabi� 
lisce che l'imposta in questione sia applicata, tra l'altro, sulle importazioni 
da chiunque effettuate e definisce poi, specificamente, negli artt. 67-70, il 
regime dell'imposta sulle importazioni. 
8. -� il caso di rilevare che l'applicazione dell'imposta sul valore 
aggiunto all'importazione di beni � espressamente prevista dall'art. 2 
della seconda direttiva del Consiglio, dell'll aprile 1967, n. 67/228/C.E.E., 
in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative 
alle imposte sulla cifra d'affari (G. U. pag. 1303). L'art. 14 della sesta 

924 RASSEGNA DELL1AVVOCA1'URA DELLO STATO 

direttiva del Consiglio in materia, del 17 maggio 1977, n. 77/338/C.E.E. 

(G. U. n. L 145, pag. 1), prevede che, fatte salve altre disposizioni comunitarie, 
gli Stati membri, alle condizioni da essi stabilite per assicurare 
la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste e per prevenire 
ogni possibile frode, evasione ed abuso, esentino, fra l'altro, le 
importazioni di beni che costituiscono oggetto di una dichiarazione di 
assoggettamento ad un regime doganale di ammissione temporanea. 
9. -Gli Stati membri conservano quindi un ampio potere di intervento 
in materia di importazione temporanea, proprio allo scopo di impedire 
le frodi fiscali. Ne consegue che, se i provvedimenti presi in proposito 
non sono eccessivi, essi sono compatibili col principio della libert� di 
circolazione delle merci. 
10. -Quanto poi al divieto imposto da uno Stato membro alle persone 
residenti nel suo territorio di usare veicoli importati temporaneamente 
in franchigia, esso costituisce un mezzo efficace per prevenire le frodi 
fiscali e per assicurare che le imposte siano pagate nel paese di destinazione 
dei beni. In effetti, la proposta di direttiva del Consiglio relativa 
alle franchigie fiscali applicabili all'interno della Comunit� in materia 
di importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto, presentata 
dalla Commissione iii 30 ottobre 1975 (G. U. n. C 267, pag. 8), ha riconosciuto 
la necessit� di un provvedimento del genere, prevedendo all'art. 3 (concernente 
l'importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto per uso 
privato) che �a) il privato che importa i suddetti beni deve: aa) avere 
la residenza principale in uno degli Stati membri della Comunit� diverso 
da quello dell'importazione temporanea;... b) i mezzi di trasporto non 
possono essere ceduti o noleggiati nello Stato membro d'importazione 
temporanea, n� prestati a residenti di questo Stato�. 
11. -Una volta riconosciuto quindi che disposizioni quali quelle 
della legislazione nazionale di cui trattasi nella fattispecie sono compatibili 
con le norme dell'ordine giuridico comunitario, non vi sono argomenti 
che consentano di mettere in dubbio il potere di uno Stato 
membro di sanzionare penalmente l'inosservanza della disciplina nazionale. 
12. -La questione posta dal Tribunale di Ravenna va quindi risolta 
nel senso che le norme del Trattato C.E.E. relative alla libera circolazione 
delle merci non fanno ostacolo a che una disciplina nazionale imponga 
ai residenti nel territorio di uno Stato membro il divieto, sanzionato 
penalmente, di usare autoveicoli i quali abbiano fruito di un regime 
di importazione temporanea e quindi siano stati esentati dal pagamento 
dell'imposta sul valore aggiunto. (omissis) 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 925 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 2� sezione, 11 dicembre 
1980, nella causa 827/79 -Pres. Pescatore -Avv. Gen. Capotorti 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte 
di cassazione italiana nella causa Amministrazione delle Finamie 

c. Acampora -Interv. Governo itailiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione 
del1e C.E. (ag. Marchini-Camia, avv. L. Biamonti). 
Comunit� europee � Dazi doganali � Prodotti originari di paesi in via di 
sviluppo � Trattamento tariffario preferenziale � Certificati di origine � 
Controlli � Pagamento del dazio non corrisposto all'atto dell'impor� 
tazione. 

(Regolamento CEE della Commissione 30 giugno 1971, n. 1371, art. 13). 

Ai sensi dell'art. 13 del regolamento della Commissione 30 giugno 1971, 

n. 1371, le autorit� doganali dello Stato membro importatore possono, 
dopo aver consentito senza riserve l'importazione definitiva della merce 
con l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale accordato ai 
prodotti originari dei paesi in via di sviluppo: 1) chiedere allo Stato 
beneficiario d'esportazione il controllo del certificato d'origine �modulo 
A � relativo a quella merce; 2) successivamente, qualora tale controllo 
abbia esito negativo, esigere il pagamento dei dazi doganali non corrisposti 
all'atto dell'importazione (1). 
(1) La Corte ha condiviso le argomentazioni svolte dal Governo italiano, interpretando 
le norme comunitarie nel senso che esse consentono alle autorit� 
doganali dello Stato membro importatore, -pur dopo l'importazione definitiva 
della merce, senza alcuna riserva, con l'applicazione del trattamento tariffario 
preferenziale accordato ai prodotti originari dei paesi in via di sviluppo -, 
di chiedere allo Stato beneficiario d'esportazione il controllo �del certificato 
d'origine e, di esigere, in caso di esito negativo del controllo, il pagamento dei 
dazi doganali non corrisposti all'atto dell'importazione. 
La Corte non si � occU1pata specificamente del termine entro iL qual1e il pagamento 
dei dazi pu� essere 'J�ichiesto, ma ha precisato, da un J.ato, che 1a 
previs:ione di un termiline per la conservazione dei documenti da parte dell'autorit� 
del ;paese espor.tatoce �implica necessariamente il!a poos]bi:lit� di un 
controlilo effettlivo dm1ainte [o stesso iLasso di itempo, e, daililfaitro J.ato, che dopo 
i'esito del controhlo iLa dog0ana del paese importatore pu� richiedere il pagamento 
de] maggiori diritti dovuti. Quindi, lii!! rt:el1rmne per :hl: pagamento potr� 
essere queililo nazionale �di prescri!lione (fino aJIJl'entrata in vigore del regolamento 
24 [uglio 1979, n. 11697) che non sia illlferiore a quehlo minimo entro il quaiLe 
� consentito ii1 control!lo; non pu�, viiceve!'sia, trovare aipplicazione ihl termiline 
di decadenza nazionaile per ilia .revislione dell'aocevtamento. 

Si ritiene utile riportare qui di seguito le difese svolte dal Governo italiano. 

Trattamento daziario preferenziale per i prodotti originari dei paesi in 
via di sviluppo: il controllo dei certificati di origine. 

2. -Il regolamento CEE della Commissione 30 giugno 1971, n. 1371/71, 
(nonch� il gi� ricordato reg. 2862/71 e, poi, quelli dettati per gli anni successivi: 
cfr. -dopo il n. 2818/72, che richiama quello che lo precede-, i reg. nn. 3614/73, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1. -(Omissis). Con ordinanza 27 giugno 1979, pervenuta in cancelJeria 
H 21 dicembre 1979, 1a Corte Suprema di CassaziQile italiana ha 
sottoposto alla Corte idi giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato C.E.E., 
una questione pregirudiziai1e conoemente l'interpretazione del regolamento 
deL1a Commissione 30 girugno 1971, n. 1371, relativo :ailla definizione della 
nozione di prodotti originari per l'applicazione delle preferenze tariffarie 
.accordato da!lla C.E.E. a taluni prodotti di .paesi :in via di sviluppo 
(G. U. n. L 146, pag. 1), e in particolare del:l'art. 13 di questo 
regolamento. 
2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia 
tra un'impresa commerciale e l'Amministrazione delle finanze 
italiana. Detta impresa importava in Italia da Hong-Kong, tra il 1� luglio 
1971 e il 2 febbraio 1972, varie partite di apparecchi radio a transistors, 
dichiarandoli �prodotti di origine�; di conseguenza, essa ne 
3106/74, 3214/75, 3200/76, 2966/77, 148/79 e 3067/79), dovendo stabilire delle regole 
per quanto riguarda sia le condizioni nelle quali alcuni prodotti provenienti da 
paesi in fase di sviluppo acquisiscono il carattere di � prodotti originari � dei 
paesi stessi (al fine di godere di un regime daziario preferenziale), sia la giustificazione 
di tale carattere e le modalit� del suo controllo, dopo aver definito 
nei primi articoli la nozione di � prodotti originari '� dispone, nell'art. 6, che 
detti � prodotti originari... sono ammessi nella Comunit� al beneficio .delle disposizioni 
relative alle preferenze tariffarie di cui all'art. 1 su presentazione di un 
certificato di origine, modulo A, vistato o dalle autorit� doganali o da altre 
autorit� governative del paese beneficiario di esportazione e con riserva che 
quest'ultimo paese assista la Comunit� tramite le amministrazioni doganali degli 
Stati membri nel controllo della autenticit� e della regolarit� dei certificati�, 

�Il certificato -precisa l'art. 79 -costituisce il documento giustificativo 
per l'applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie>>, ed � � 
presentato alle autorit� doganali dello Stato membro d'importazione secondo le 
modalit� previste dalla regolamentazione di tale Stato� (art. 8). 

Ricollegandosi alla riserva di assistenza da parte delle autorit� competenti 

del paese beneficiario per il controllo dell'autenticit� e della regolarit� dei cer


tificati prevista nell'art. 6, l'art. 13 n. l, prevede un controllo a posteriori dei 

certificati stessi, che � viene effettuato a sondaggio ed ogni qualvolta le Autorit� 

doganali competenti nella Comunit� nutrano dubbi fondati circa l'autenticit� 

del documento o l'esattezza delle informazioni sull'origine effettiva della merce 

in questione o di taluno dei suoi componenti�. � Ai fini dell'applicazione delle 

disposizioni del paragrafo precedente -prosegue il n. 2 dello stesso articolo 


le autorit� doganali competenti nella Comunit� rispediscono il certificato ... all'au


torit� governativa competente del paese beneficiario d'esporta7lione, indicando 

(�eventualmente�, si � aggiunto nel testo del reg. 3614/73 e di quelli successivi), 

i motivi di sostanza o di forma che giustificano un'inchiesta �; e, � se esse deci


dono di sospendere l'applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tarif


farie di cui all'art. 1 in attesa dei risultati del controllo, le autorit� doganali 

competenti nella Comunit� offrono all'importatore, fatte salve le misure con


servative ritenute necessarie, la possibilit� di ritirare le merci � 

Dispone, infine, l'art. 30 che attraverso il controllo -per l'effettuazione del 
quale l'autorit� del paese beneficiario di esportazione deve conservare la relativa 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 927 

otteneva lo sdoganamento pagando dazi doganali calcolati in funzione 
delle preferenze tariffarie. L'Amministrazione delle finanze, effettuato 
in forza dehl'art. 13 del regolamento n. 1371/71, un controllo ia posteriori 
da cui risultava che la merce non rispondeva alla definizione di �prodotti 
di origine�, ingiungeva all'importatore di pagare il dazio non corrisposto 
all'atto dell'importazione. 

3. -L'importatore faceva oppos1z10ne avverso l'ingiunzione per il 
motivo che il controllo sull'origine della merce era stato effettuato posteriormente 
aLfimportazione, quando la meroe non si trovava pi� nella 
sua disponibilit�. La controversia veniva sottoposta al Tribunale di Genova 
e, successivamente, aLla Corte d'appello deMa stessa dtt�, i quali si pronunziavano 
nel senso che il controllo non poteva essere effettuato dopo lo 
documentazione per un periodo di due anni -devesi poter �determinare se il 
certificato di origine ... contestato sia applicabile alle merci realmente esportate 
e se queste merci possano effettivamente dar luogo all'applicazione delle disposizioni 
relative alle preferenze tariffarie di cui all'art. 1�. 

3. -Il sistema che risulta da queste norme � il seguente: 
a) l'importazione con il beneficio delle preferenze tariffarie avviene sulla 
base della presentazione del certificato di origine rilasciato dall'autorit� del paese 
beneficiario di esportazione; l'autorit� doganale dello Stato membro di importazione 
pu� solo esigere la presentazione di una traduzione, nonch� di una 
attestazione de!W'arnportatore certificante che le me:vci soddisfano aHe condizioni 
richieste per l'applicazione del beneficio; 

b) le autorit� doganali dello Stato membro importatore possono chiedere, 
e le autorit� governative del paese beneficiario di esportazione devono assicurare, 
un controlilJO 1suna autenticit� e su:hla -rego1liarit� dei certificati, in un aoco di 
tempo di quantomeno due anni dalla data di esportazione; il controllo pu� 
essere effettuato o a titolo di sondaggio (cio� a prescindere da ogni sospetto 
di non autenticit� o non regolarit�) o allorch� si nutrano dubbi fondati circa 
l'autenticit� del documento o l'esattezza sull'origine della merce o di componenti 
di essa; 

c) nel caso di richiesta di controllo, le autorit� doganali dello Stato membro 
importatore hanno la facolt� di sospendere l'applicazione del regime preferenziale 
(facendo salva la possibilit� all'importatore di ritirare le merci, con 
l'adozione delle misure conservative ritenute necessarie). 

I1l quesito che st pone � 1se fo dogaJIJJa posisa chiedere il contro!Llo del certificato 
d'origine allorch� ha ammesso l'importazione � senza riserve � con l'applicazione 
deiJi regime preforenziaile, e, avuto esito negativo ~n taile t>otesi ili controllo 
richiesto, possa ancor chiedere all'importatore il pagamento delle maggiori 
somme dovute. 

La risposta deve essere positiva. 

4. -Dalle norme citate si ricava che di regola l'importazione con il be-_ 
neficio delle preferenze tariffarie si ottiene con la presentazione del certificato 
di origine vistato dall'autorit� del paese esportatore; l'autorit� doganale del 

928 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sdoganamento della merce e la concessione, senza riserve, del trattamento 
preferenziale contemplato dalla normativa comunitaria. Adita 
dall'Amministrazione delle finanze, la Corte suprema di Cassazione ha sottoposto 
a questa Corte la seguente questione: 

�Se a norma dell'art. 13 del regolamento e.E.E. 30 giugno 1971, 

n. 1371, lo Stato importatore -dopo aver consentito, senza riserve, la 
importazione definitiva della merce con l'applicazione del trattamento 
tariffario preferenziale accordato ai prodotti di origine dei paesi in via 
di sviluppo -possa richiedere allo Stato beneficiario dell'esportazione 
il controllo del certificato di origine � modulo A � relativo a quella merce, 
e poi pretendere, all'esito eventualmente negativo di esso, il pagamento 
del dazio non corrisposto all'atto dell'importazione �, 
4. -Per risolvere tale questione, che concerne essenzialmente l'interpretazione 
dell'art. 13 del regolamento n. 1371/71, occorre innanzitutto 
determinare lo scopo perseguito da questo regolamento c0~unitario 
paese importatore conserva, per�, la possibilit� di chiedere all'autorit� del paese 
esportatore (che � tenuta ad evadere la richiesta) un controllo del certificato, 
perch� ne sia verificata l'autenticit� e la regolarit�. Questo controllo, che, seguendo 
l'importazione, � �a posteriori�, come esplicitamente lo qualifica la norma 
comunitaria, pu� essere richiesto o a titolo di sondaggio o perch� sono 
sorti fondati dubbi sulla autenticit� e regolarit� del certificato stesso. 

La ratio di un tale sistema sta evidentemente nell'intendimento di favorire, 
anche nell'espletamento delle formalit� doganali, l'importazione nella Comunit� 
di determinati prodotti originari di paesi in via di sviluppo. La presentazione 
di un certificato vistato da una autorit� del Paese esportatore � parsa garanzia 
sufficiente, in linea di massima, per concedere immediatamente il beneficio tariffario 
all'importazione, lasciando peraltro salva la possibilit� di eseguire successivamente 
un controllo. Questo controllo, richiedendo normalmente tempi 
lunghi per essere attuato (il certificato deve essere spedito all'autorit� del paese 
esportatore, che, esperite le verifiche del caso, lo deve poi restituire), segue 
l'importazione proprio per non intralciarla: se la precedesse, si correrebbe il 
rischio di arrestare o quantomeno limitare sensibilmente quella corrente di 
traffico che si era inteso agevolare. 

Poich� dunque la regola generale � che con la presentazione del certificato 
si ottiene l'importazione, salva la possibilit� di un controllo �a posteriori� (che 
segue, cio�, la importazione), la norma comunitaria non poteva prevedere e non 
ha previsto che la richiesta di controllo sia accompagnata da una �riserva � 
sul regime applicabile in sede di importazione (con una corrispondente �contestazione 
� o �comunicazione � aiLl'importatore): �lia richiesta d:i controfilo viene 
effettuata mai~grado l'esaurimento del�e operaziioni doganaili di importazione, magari 
dopo qualche tempo da esso (si pensi, soprattutto, ai controlili a sondaggio, 
che vengono richiesti normalmente su una modica percentuale dei certificati pervenuti 
in un certo arco di tempo: una settimana, un mese, o altro periodo). 

Eseguita l'importazione con l'applicazione del regime preferenziale e effettuato 
il controllo � a posteriori >>, l'esito negativo di questo comporter� naturalmente 
che !La dogana del paese importatore av.r� il potere-dovere di recupe-

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 929 

e quindi analizzare il funzionamento del sistema di controllo dell'origine 
dei prodotti interessati, ch'esso ha istituito per il raggiungimento dello 
scopo suddetto. 

5. -Il sistema delle preferenze generalizzate contemplate dal regolamento 
n. 1371/71 � fondato sul principio della concessione unilaterale, 
da parte della Comunit�, di vantaggi tariffari per determinati prodotti 
originari di taluni paesi in via di sviluppo, allo scopo di agevolare 
1e cor:rienti comme:ricia:li provenienti da questi ultimi. Iil beneficio di detto 
regime preferenziale � pertanto connesso all'origine del prodotto e il 
controllo di questa costituisce, di conseguenza, un elemento indispensabile 
del sistema. Nell'organizzazione concreta di tale controllo il regolamento 
ha inteso evitare, per ragioni pratiche, la verifica sistematica 
dell'origine della merce, che avrebbe prolungato eccessivamente le operazioni 
doganali. A questo scopo, l'art. 13 contempla due tipi di controllo 
rare i diritti di confine, inerenti ai! regime non agevolato, non mscossii ailil'atto dell'importazione, 
e ci� senza bisogno che sia stata formulata riserva alcuna, la 
quale, come si � detto, appare inconfigurabile nel sistema prescelto: se cos� non 
fosse, non vi sarebbe alcuna ragione di procedere ad un controllo, destinato a 
rimanere improduttivo di effetti. Conferma di ci� � data dall'art. 30 del reg., 
il quale, con riferimento specifico a tutte le ipotesi di controllo previste nell'art. 
13, precisa che i controlli devono permettere di determinare se il certificato 
di origine contestato (dove �contestato� significa chiaramente �sottoposto a verifica
�) sia applicabile alle merci realmente esportate e se queste merci possono 
effettivamente dar luogo all'applicazione del regime preferenziale. 

5. -Si � obiettato, per�, che la norma comunitaria prevede anche una 
possibilit� di sospensione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie in 
caso di richiesta di controllo (art. B, n. 2, seconda parte), cio� un'ipotesi di 
apertura formale di una contestazione nei confronti dell'importatore: proprio 
e soltanto questa contestazione farebbe salvo il diritto della dogana al recupero 
dei maggiori diritti che risultassero dovuti in esito al controllo. 
Questa argomentazione non ci sembra esatta. 

La previsione dell'ultima parte dell'art 13 si atteggia come un'eccezione alla 
regola generale. Prodotto un certificato di origine, di regola si applica il regime 
preferenziale, salvo poi l'esito del controllo � a posteriori �. La norma comunitaria 
si � per� preoocupata dii offrire affila dogana maggiori. garaml�e per alcuni 
casi, dove evidentemente il sospetto di non autenticit� o non regolarit� appaia 
sin dal momento della richiesta di importazione particolarmente fondato. L'autorit� 
doganale ha appunto la facolt� di sospendere (o pi� precisamente: di 
tenere in sospeso) l'applicazione del regime preferenziale in attesa dei risultati 
del controllo: si tratta di una facolt� che, naturalmente, pu� essere esercitata 
prima dell'importazione, per cui il controllo che verr� richiesto, si atteggia come 
un controllo � a priori �. E sempre nell'intento (gi� manifestato nella regola generale) 
di eliminare per quanto possibile ogni intralcio alla circolazione delle 
merci di cui si discute, la stessa norma comunitaria impone alle autorit� doganali 
comunitarie di offrire all'importatore � fatte salve le misure conservatrici 
ritenute necessarie, la possibilit� di ritirare le merci �: con tale previsione la 



930 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a posteriori dei certificati d'origine: a sondaggio e ogni volta che le 
autorit� doganali competenti nutrano � dubbi fondati circa l'autenticit� 
del documento o l'esattezza delle informazioni sull'origine effettiva della 
merce in questione o di taluni dei suoi componenti�. Detto articolo aggiunge, 
al n. 2, secondo comma, che le autorit� doganali, qualora decidano, 
in caso di dubbio, di sospendere l'applicazione delle disposizioni 
relative alle preferenze tariffarie in attesa dei risultati del controllo, 
�offrono all'importatore, fatte salve le misure conservative ritenute 
necessarie, la possibilit� di ritirare le merci �. 

6. -Quest'rultima d~sposizione, che, in pratica, pu� trnvare ,applicazione 
solo quando la merce � ancora in dogana, si configura come 
un'eccezione alla regola generale stabilita dall'art. 6 del regolamento, in 
base alla quale �i prodotti originari ai sensi del presente regolamento 
sono ammessi nella Comunit� al beneficio delle disposizioni relative alle 
preferenze tariffarie di cui all'articolo 1 su presentazione di un "ertificato 
di origine, modulo A, vistato o dalle autorit� doganali o da altre autorit� 
norma comunitaria si �, del resto, allineata ai sistemi nazionali che prevedono 
la possibilit� del rilascio della merce all'importatore, in attesa dell'esito delle 
contestazioni insorte, previa liquidazione provvisoria dei minori diritti non contestati 
e garnnzia del pagamento di queMi maggiori che dovessero in ,seguito dsul� 
tare dovuti (in Italia, cfr. gli artt. 61, 65 e 83 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, che 
approva il testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale). 

Non v'� alcun dubbio che, nel caso di sospensione dell'applicazione del regime 
preferenziale, l'esito negativo del controllo render� definitivamente inapplicabile 
H regime stesso, ,con Ia possiibiJ!M� delwa dogana di recuperare (attmverso la garanzia 
prestata) i maggiori diritti dovuti. Ma non v'� ragione alcuna che questa 
possibilit� di recupero sia data solo nel caso di sospensione (che si atteggia 
come una formale contestazione nei confronti dell'importatore) e non anche 
allorch�, secondo la regola generale, il controllo sia disposto e si effettui � a posteriori 
>>, cio� dopo l'importazione fatta in regime di favore (nel qual caso non � 
neanche ipotizzabile la formulazione di una � contestazione � o comunque di una 
�riserva� nei confronti dell'importatore). 

La tesi contraria a quella qui proposta porta a conseguenze del tutto illogiche: 
a) o JJa dogana, per garanti'.Ils� M pagamento defilie somme effettivamente 
dovute, deve sospendere sempre l'applicazione del regime preferenziale, anche 
in previsione di dover disporre un mero controllo a sondaggio, ma ci� contrasterebbe 
oltre che con la lettera, anche con lo spirito del regolamento comunitario, 
in quanto si verrebbe ad ostacolare gravemente quel commercio che, proprio 
in forza delle norme comuniitade, si intende ,agevoliare; b) o fra dogana deve 
rassegnarsi all'evasione dell'imposta in tutti i casi di presentazione di certificati 
che, apparentemente ineccepibili, si rivelassero poi non autentici o non veritieri 
a seguito di controllo, magari a sondaggio: e in tal caso a che cosa servirebbe il 
controllo a sondaggio? 

Si � tentato ex adverso di rispondere a queste obiezioni osservando che il 

controllo a sondaggio, non accompagnato da una sospensione dell'applicazione 

del regime preferenziale, anche non evitando un'evasione del tributo nel caso con-

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 931 

governative del paese benficiario di esportazione e con riserva che quest'ultimo 
paese assista la Comunit� tramite le amministrazioni doganali 
degli Stati membri nel controllo dell'autenticit� e della regolarit� dei 
certificati�, 

7. -Di regola, il controllo a posteriori effettuato a sondaggio pu� 
pertanto essere solo successivo ailfa presentazione del certificato, ed 
allo sdoganamento che ne consegue automaticamente, quando nessun 
elemento consenta di dubitare a priori dell'autenticit� del certificato. 
Del resto, ai fini del controllo a posteriori dei certificati di origine, modulo 
A, l'art. 30 del regolamento dispone che � i documenti di esportazione 
o le copie dei certificati che li sostituiscono debbono essere conservati 
dall'autorit� governativa competente del paese beneficiario di 
creto, servirebbe pur sempre �a controllare, a titolo di sondaggio, la seriet� 
delle autorit� del paese esportatore nel rilasciare i certificati di origine, inducendo 
la Dogana ad una maggiore cautela in occasione di importazioni future�. 
Ma tali osservazioni appaiono molto fragili: nel caso di accertata �falsit�,, del 
documento, il controllo si rivelerebbe inutile anche per il futuro; mentre nel 
caso di � non veridicit�� esso dovrebbe condurre a � diffidare � di tutti i certificati 
rilasciati dalle autorit� del paese di provenienza del certificato non veritiero, 
e quindi a determinare sospensioni � generalizzate � dell'applicazione delle preferenze 
tariffarie per le provenienze da quel paese (omissis). 

N� pu� dirsi che la successiva maggiore imposizione lederebbe il legittimo 
affidamento dell'importatore, che, ottenuto il regime preferenziale con l'importazione 
definitiva, confida appunto nella definitivit� del regime applicatogli e 
opera nei rapporti commerciali su questo presupposto. 

L'importatore non pu� ignorare la norma comunitaria e ben sa o deve sapere 

che, malgrado l'importazione definitiva, pu� essergli richiesto il pagamento delle 

maggiori somme effettivamente dovute se il controllo del certificato dar� esito 

negativo per lui. Egli sa o deve sapere che il certificato esibito � preso per buono 

dalla dogana salvo l'esito del controllo a posteriori. La norma comunitaria giu


stamente si preoccupa di tutelare l'affidamento che le autorit� doganali devono 

riporre nel certificato esibito: da un lato � imposto loro di accettare il certi� 

ficato senza controllo immediato e (salvo l'esistenza di fondati dubbi) concedere 

il regime preferenziale senza garanzia (disponendosi cos� l'importazione defini


tiva); ma dall'altro � consentito loro di recuperare gli eventuali maggiori diritti 

dovuti dopo l'esito del controllo a sondaggio. Non v'�, invece, nessuna ragione 

di tutelare l'affidamento dell'importatore a danno della dogana e della Comunit�, 

perch� � l'importatore (o chi per lui) che si munisce del certificato d'origine ed 

� lui stesso (o chi per lui) a presentarlo alla dogana del paese membro; eglri sa 

benissimo, o deve sapere, che il certificato da lui esibito � accettato dalla dogana 

in base alla mera apparenza, con un affidamento da parte della medesima, che 

non pu� essere mitigato se non con la successiva revoca del beneficio concesso 

in caso di 'successivo 01COOJ:1tamento di non autenticit� o 1111on regolariit� del certi


ficato. 

Del resto a danno della dogana e della Comunit�, per una mal intesa appli


cazione del principio della tutela dell'affidamento dell'importatore, cadrebbero 



932 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

esportazione per un periodo di due anni�; questo termine implica necessariamente 
la possibilit� di un controllo effettivo durante lo stesso 
lasso di tempo. 

8. -Bisogna ammettere che la possibilit� di effettuare il controllo 
successivamente all'importazione, senza che l'importatore ne sia stato 
prima avvertito, pu� causare difficolt� a quest'ultimo qualora egli abbia 
creduto, in buona fede, di importare merci che godono di preferenze 
tariffarie sulla base di certificati inesatti o falsificati a sua insaputa. 
A questo proposito va tuttavia rilevato, in primo luogo, che la Comunit� 
non � tenuta a sopportare le conseguenze dannose di comportamenti 
scorretti dei fornitori di suoi cittadini; in secondo luogo, che l'importatore 
pu� agil'e in giudizio per il riswcimento nei confronti dell'autore 
le conseguenze non dell'attivit� della dogana stessa ma dell'attivit� d: terzi (le 
stesse autorit� pubbliche del paese esportatore, o altri operatori commerciali) 

o dehl'att�.ivit� dehl.o stesso importatore: non 1si d1mentichi, infatiti, che, dn es1to ail 
controllo a sondaggio, potr� risultare che il certificato non � stato mai emesso 
dalle autorit� pubbliche del paese esportatore, o che le merci sono diverse, o che 
l'autorit� pubblica del paese esportatore � stata indotta o ha commesso un errore. 
� possibile che tutto ci� ricada a danno della dogana del paese membro importatore, 
e quindi della Comunit�, sol perch� ad essa � stato imposto .di � confidare 
� neM'apparenza de1 certificato esibito da:l1fimportatore? E a che cosa servirebbe 
iJ1 controlilo a posteriori? 
Perfettamente normale, invece, � che l'onere dei maggiori diritti dovuti ricada 
sull'importatore, perch�, -anche a prescindere dai casi di una sua responsabilit� 
diretta nella non autenticit� o non veridicit� del certificato -egli ben sa che 
il regime preferenziale � revocabile ed � quindi tenuto a verificare egli stesso, 
prima di importare, che l'operazione sia regolare e il certificato autentico e veritiero. 
Certamente la sua operazione commerciale importa dei rischi, perch� � 
possibile che egli sia stato ingannato da chi gli ha procurato la merce o i certificati: 
ma questi rischi commerciali non possono essere eliminati con l'irrevocabilit� 
dell'accettazione del certificato esibito, in forza del principio della tutela 
dell'affidamento, che, nellila materia in questione, 1ap;pare liinvocato non a proposito. 
L'importatore potr� sempre far valere in via di regresso le sue ragioni nei confronti 
dei responsabili. 

In chiave interpretativa, anche se le norme non trovano applicazione che dal 
1� luglio 1980, pu� essere utile richiamare il regolamento del Consiglio 24 lugiltlo 
11979, n. 1697/79 (reLatiivo aiL recupero a posteriori dei dazi che :non sono stati 
corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante 
l'obbligo di effettuarne il pagamento). Queste norme, che sono state dettate 
per limitare e non per estendere i poteri delle autorit� doganali, a tutela dell'affidamento 
dell'importatore, tutelano appunto questo affidamento, vietando alle 
autorit� nazionali il recupero delle maggiori somme che sarebbero state dovute, 
quando il minore importo era stato calcolato: a) sulla base di informazioni 
fornite dalle stesse autorit� competenti e aventi per queste valore vincolante; 
b) o sulla base di disposizioni di carattere generale che una decisione giudiziaria 
abbia successivamente invalidato. Nel caso di specie siamo chiaramente 
al di fuori di queste ipotesi. E ci� senza considerare che nessuna limitazione, 


PARTE I, Si�Z. II, GlURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 933 

del falso; e, in terzo luogo, che, nel calcolare i vantaggi realizzabili mediante 
il commercio di prodotti che possono fruire di preferenze tariffarie, 
un operatore economico accorto ed al corrente della normativa 
vigente, deve poter valutare i rischi inerenti al mercato sul quale compie 
il suo sondaggio ed accettarli come facenti parte della categoria 
dei normali inconvenienti dell'attivit� commerciale. 

9. -In conclusione, la questione del giudice a quo va pertanto risolta 
come segue: ai sensi dell'art. 13 del regolamento della Commissione 
30 giugno 1971, n. 1371, e in base alla struttura generale di questo 
regolamento, le autorit� doganali dello Stato membro importatore posneanche 
temporaJe, � posta a1le autorit� dogana�i se ila mancata ruscos�sione <ledile 
somme realmente dovute � stata causata da un atto passibile di un'azione giudiziaria 
repressiva: e questa ipotesi si pu� riscontrare molto spesso nelle fattispecie 
attinenti all'applicazione del regime preferenziale ai prodotti originari dei paesi 
in via di svhluppo (anche iin regime di .transito comuni:tario, -regolamento CEE 

n. 222/77 dcl Cons.irg:lio B dicembre J976 -, � sempre ammesso :L'accertamento 
dell'illecito, commesso in occasione delle relative operazioni, da parte degli Stati 
membri in cui la merce � immessa in consumo, i quali sono vincolati solo dai 
documenti � rfilaisdati iin modo regoilare � da1Ha dogana deihlo Stato membro di 
partenza, artt. 36, 37 e 39 reg. cit.: eppure in siffatti casi si tratta di controlli su 
Q'perazioni svOl'Lte neLl'ambito comunUitario). 

6. -La fattispecie impositiva preferenziale, come ha gi� precisato la Corte 
di Cassazione nell'ordinanza di rinvio, � compiutamente e autonomamente regolata 
dalla normativa comunitaria, e al lume di essa andr� risolta la controversia, 
� qualunque sia la disciplina dettata dalla legislazione nazionale comune per la 
revisione dell'accertamento da parte della Dogana"� 
Non appare inutile, peraltro, precisare: a) che la legge italiana consente la 
revisione dell'accertamento divenuto definitivo, ancorch� le merci che ne hanno 
formato l'oggetto siano state lasciate alla libera disponibilit� dell'operatore: 
cfr. l'art. 74 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale 
approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e, con riferimento alla data delle 
importazioni di cui si tratta, l'art. 6 del d.P.R. 2 febbraio 1970, n. 62, riprese dall'art. 
107 d.P.R. 18 febbraio 1971 n. 18, che fissano per l'apertura del procedimento 
di revisione un termine di sei mesi dalla data in cui l'accertamento si � reso 
definitivo; b) che all'accertamento dei fatti costituenti reato (e l'introduzione di 
merce scortata da un documento non autentico o non veritiero, in base al 
quale si ottiene un'agevolazione, integra gli estremi oggettivi del reato di contrabbando) 
si pu� procedere nei limiti della prescrizione del reato anche al di l� 
dei termini fissati per la revisione dell'accertamento con il conseguente diritto 
deLla dogana di richiedere hl pagamento dei tributi ev.asi. 

Ci� si precisa per sottolineare come la normativa comunitaria � auton.-0ma 
e diversa ma non contrastante con i principi del diritto nazionale che pur 
ammettono casi di richieste di pagamento di tributi sulla base di un accertamento 
diverso da quello presupposto al momento dell'importazione definitiva 

(omissis). 

OSCAR FIUMARA 



RASSEGNA DELL1AVVOCA'rtJRA n:Etto STAT�

934 

sono -dopo aver consentito se.nza riserve l'importazione definitiva deUa 
merce con l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale accordato 
ai prodotti originari dei paesi in via di sviluppo: 

1) chiedere allo Stato beneficiario d'esportazione il controllo del 
certifioato d'origine �modulo A � rela1:ivo a que1la merce; 

2) successivamente, qualora tale controllo abbia esito negativo, 
esigere il pagamento dei dazi doganali non corrisposti all'atto dell'importazione. 
(omissis) 



SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 giugno 1979, n. 3186 -Pres. Sbrocca -

Rel. Vela -P. M. Saja (parz. diff.) -Bitetti e Moretti (avv. F. S. Ri


naldi) c. Istituto Poligrafico dello Stato (avv. Stato Stipo). 

Competenza e giurisdizione -Cosa giudicata -Efficacia in altro giudizio 
anche agli effetti della giurisdizione. 

Giudicato � Indennit� di anzianit� � Domanda di integrazione � Cosa giudicata 
� Preclusione di successive domande di integrazione. 

Il giudicato formatosi su una vertenza concernente un determinato 
rapporto giuridico impedisce che possa essere messa in discussione la 
giurisdizione qualora davanti la stessa autorit� giudiziaria venga promosso 
un nuovo giudizio vertente sullo stesso rapporto giuridico (1). 

Qualora la liquidazione della indennit� di anzianit� abbia formato 
oggetto di sentenza passata in giudicato, non pu� il lavoratore instaurare 
un nuovo giudizio al fine di conseguire la integrazione della indennit� 
stessa attraverso il calcolo di componenti retributive non dedotte 
nel precedente giudizio (2). 

(omissis) Occorre poi rilevare che non ha pregio l'eccezione -pregiudiziale 
-di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sollevata 
dall'Istituto nel presupposto che, essendo esso un ente pubblico non 
economico, i rapporti di lavoro col suo personale appartengono all'area 
dell'impiego pubblico e sono, quindi, assoggettati alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo. 

Se, come si � rammentato nell'esposizione del fatto, sul rapporto 
dal quale � sorto il giudizio attuale ebbe gi� a pronunciarsi una prima 
volta il giudice ordinario con sentenza passata in giudicato (Trib. Roma, 
29 gennaio 1974); e se, come generalmente si ammette, al formarsi del 
giudicato su una decisione di merito segue l'irretrattabilit� fra le parti in 
applicazione dell'art. 2909 cod. civ. -anche dei presupposti della 
decisione stessa, deve concludersi che nella specie non � pi� consentito 
discutere di giurisdizione, la quale integra proprio il primo di quei pre


(1-2) Esatta applicazione del principio che il giudicato copre il dedotto e il 
deducibile. 



936 f{ASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
supposti, sicch� non ad altri, che non fosse stato il giudice ordinario, 
gli attori avrebbero potuto rivolgere le loro ulteriori istanze. 
Pu� dunque procedersi all'esame dei ricorsi. 
Con i due motivi del ricorso principale -da esaminare congiuntamente 
perch� connessi -si sostiene che il tribunale, ritenendo preclusa 
dalla precedente liquidazione delle indennit� di anzianit� le domande 
di computo, nella formazione di tale emolumento, della remunerazione 
per l'ora fissa di lavoro straordinario, sarebbe incorso in violazione 
o falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ. ed in difetto di motivazione 
(art. 360 n. 5, in relazione agli artt. 370 e 454 cod. proc. civ.), 
perch� non avrebbe rilevato la novit� di quelle domande, basate su 
presupposti di fatto diverisi da que1li addotti nel precedente giudizio, 
n� avrebbe considerato che solo dopo la conclusione di quest'ultimo si 
era formata una giurisprudenza favorevole al predetto computo. 

Le censure non sono fondate. 

Della seconda basta dire che non investe un punto dec!.:;ivo della 
controversia, in quanto la deducibilit� di una questione in un precedente 
giudizio (il giudicato, si suole affermare, copre il dedotto ed il deducibile) 
non dipende certo dal formarsi di un orientamento giurisprudenziale 
in ordine alla questione stessa, ma solo dalla preesistenza, a 
quel giudizio, dei presupposti di fatto e giuridici del diritto azionato. 

Della prima non convince l'autonoma rilevanza che pretende di 
attribuire ai vari elementi formanti la retribuzione in base alla quale 
� calcolata l'indennit� di anzianit�. 

Proprio gli artt. 2120-2121 cod. civ. ne danno un concetto unitario, 
allorch� avvertono che �l'ammontare dell'indennit� � determinato in 
base all'ultima retribuzione�, la quale a sua volta si ricava � computando 
le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili 
e ai prodotti e ogni altro compenso continuativo, con esclusione di 
quanto corrisposto a titolo di rimborso di spese �. Queste disposizioni 
indicano che, ad onta del concorso di vari elementi nella formazione 
della vetribuzione finale, questa costituisce un tutto unico ai fini del 
calcolo dell'emolumento. E del resto, non � seriamente contestabile che 
una sola ne � la .causa (I'emunerazione, differita per ragioni previdenziali, 
di prestazioni lavorative) ed unico il momento di maturazione 
(all'atto della cessazione del rapporto di lavoro). Bisogna allora ammettere 
che unica deve essere anche 11'-azione per conseguke il pagamento 
del credito che ne deriva, perch� non si pu� consentire che il 
giudice riesamini pi� volte lo stesso rapporto obbligatorio e gli attribuisca 
-eventualmente -una diversa consistenza di volta in volta. 

Il ricorso principale va pertanto integralmente rigettato. 
Uguale sorte merita il ricorso incidentale, col quale il Poligrafico 
dello Stato ascrive all'impugnata sentenza di aver violato o falsamente 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

applicato, e per di pi� con motivazione difettosa gli artt. 1362, 1365; 
1368, 1369, 1427, 1441, 1442, 1443, 2113, 2909 cod. civ. nonch� i principi 
gene11aili in ordine all'impugnazione degli atti giuridici, con particolare 
riferimento alla consumazione del diritto in impugnazione, in quanto ha 
ritenuto ammissibili fo azioni di Bitetto e Moretti, sebbene costoro avessero 
sottoscritto quietanze pienamente liberatorie quando, cessati i loro 
rapporti di lavoro, ottennero le liquidazioni di ogni altro credito. 

Poco chiare sono le ragioni per le quali l'Istituto si appella ai principi 
sull'impugnazione degli atti giuridici e sul giudicato. 

I primi sono estranei al dibattito, poich� gli attori non hanno proposto 
n� nel precedente giudizio, n� in quello attuale, alcuna impugnazione 
delle quietanze, essendosi limitati a ritenerle irrilevanti ai fini 
dell'ammissibilit� e della fondatezza delle loro azioni, in quanto prive 
di valore negoziale e destinate a dare atto della percezione di determinate 
somme invece che a �documentare riilJUilcie o transazioni. Ed il 
tribunale, ha seguito codesta impostazione. 

Quanto al giudicato, poich� in questa lite, la qualificazione di quegli 
atti � stata uguale a quella gi� effettuata nel precedente processo, non 
v'� che da constatare come esso sia stato perfettamente rispettato. 

Della denunzia di vizi di interpretazione non �, invece, ammesso 
l'esame, in questa sede: sia perch� se il giudicato fa stato fra le parti, 
bisogna mantenere il concetto che delle quietanze si � formato nel precedente 
processo; sia perch� tmttasi di un pretesto per riproporre una 
questione di merito. (omissis) 


In dottrina v. RoEHRSSEN G.,. Sui contratti della p.a. in generale, in Rass. 
lav. pubbl. 1978, I, 139. 
In dottrina v. RoEHRSSEN G.,. Sui contratti della p.a. in generale, in Rass. 
lav. pubbl. 1978, I, 139. 
SEZIONE QUARTA 
GIURISPRUDENZA CIVILE 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1979, n. 3560; Pres. Sandulli; 

Est. Lipari; P. M. Garnbogi (concl. conf.); Ministero Trasporti (avv. 

Stato Sernicola) c. Della Mandola Ortensio e Mauro (avv. Gramaccini). 

Contratti della Pubblica amministrazione -Risoluzione del contratto -Mutuo 
consenso � Forma -Necessit�. 

(r.d. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 36 e ss.; d.l. 28 agosto 1945, art. 4, n. 521). 
Il principio della libert� delle forme non si applica ai contratti della 

P.A. ancorch� risolutivi, giacch� ogni attivit� negoziale della medesima 
� vincolata al rispetto di norme .procedimentali (1). 
(omissis) 1. -Sia il tribunale che la Corte d'appello muovendo dal 
presupposto che trn l'amministrazione delle Ferrovie dello Stato ed 
Ortensio e Mauro Della Mandola si era perfezionato un contratto di 
compravendita di un'area destinata a zona ferroviaria, non tradotto 
nello strumento formale di stipula, hanno ritenuto che successivamente 
detto contratto fosse stato legittimamente sciolto per mutuo consenso. 

Per vero la sentenza della Corte d'appello non � costruita linearmente 

sul punto perch� se da un lato si preoccupa principalmente di rico


struire i tempi ed i modi della risoluzione per mutuo consenso, dissen


tendo nella individuazione degli atti che l'avrebbero integrata compiuta 

dai primi giudici (e quindi dando per pacifico che un precedente con


tratto vincolava le parti), ma ritenendo comunque conseguito lo scopo, 

dall'altro, nel motivare in ordine alla ritenuta attitudine (oggettiva e 

(1) Cfr. in senso conforme: Cass., 11 marzo 1959, n. 683, in Mass. Giur. it., 
1959 c. B8: (Nella specie la Cassazione ha ritenuto che il consenso prestato da 
un ente pubblico e diretto a porre in essere un negozio di portata rescissoria 
di un precedente vinco!JO giuridico, in tanto � concepibile e riLevantie, in quanto 
si sia oggettivato con quel rigore di forma che l'ordinamento amministrativo 
esige, esteriorizzandosi, cio�, attraverso la formazione di una regolare delibera 
dell'organo chiamato a rappresentare l'ente). 
Cfr. inoltre, Cass., 24 febbraio 1969, n. 615, in Mass. Giur. it., 1969, c. 256; 
Cass., 7 febbraio 1962, n. 252, ibidem, c. 84, e da u1t. Cass., 4 maggio 1978, 
in Rep. Foro it., '1978, c. 554: (Lo �sciogLimento per mutuo .consenso di un 
contl'atto per rnL qua:Le Ja legge richlede �La forma scritta ad substantiam � 

soggetto alla �stessa forma stabildta per �La :sua conc1usione). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 939 

soggettiva) dei medesimi a realizzare lo scioglimento afferma -come 
si � sottolineato nel riassumere l'iter logico giuridico della sentenza che 
la vendita non era stata ancora perfezionata ex latere dell'azienda, 
non essendo ancora intervenuta la stipulazione con definitiva validit� ed 
obbligatoriet�. 

Si potrebbe quindi prospettare l'alternativa di un'interpretazione 
della sentenza che porti a depotenziare i ricordati elementi, ovvero una 
lettura della medesima nel senso di un duplice ratio decidendi che 
nega in primo luogo la conclusione del contratto e rileva in ogni caso 
che il contratto, pur se concluso, sarebbe stato sciolto. 

Ma non ritiene il Collegio che su tale alternativa dilemmatica, sulla 
quale, si � soffermato l'Avvocatura generale optando per la prima soluzione, 
debba prendersi posizione, essendo decisivo il rilievo che l'impostazione 
del tribunale fu chiaramente nel senso di postulare che vi 
fosse stato un vincolo contrattuale fra le parti posto nel nulla dal successivo 
negozio risolutorio mentre in grado di appello le parti non 
hanno pi� messo in dubbio l'esistenza del vincolo (limitandosi a discutere 
se all'originario contratto fosse seguito altro negozio risolutorio, 
e se al riguardo fossero state rispettate le forme di legge), sicch� sul 
punto si � formato il giudicato, e gli exculsus della Corte d'appello non 
collimanti con tale giudicato non hanno alcuna efficacia giuridica, e 
non imponevano alla difesa dello Stato di impugnarli, non trattandosi 
di ragioni oggettivamente capaci di sorreggere la decisione, qualunque 
fosse stata al riguardo l'intenzione dei giudici genovesi. 

E' del resto sintomatica la posizione difensiva assunta su questa 
fase d~i Della Mandola che non contestano di essere stati originariamente 
legati da un contratto e svolgono tutto il loro discorso sul piano della 
ritualit� della risoluzione per mutuo consenso. 

Tale risoluzione � stata considerata dai giudici di merito valida ed 

efficace, apparendo giustificata la richiesta dei privati contraenti di 

conseguire la restituzione della cauzione a suo tempo versata. 

La materia del contendere, pur trovando il suo punto di emersione 

nella suddetta restituzione, concerne fondamentalmente la verifica della 

legittimit� della pronuncia che ha riconosciuto lo scioglimento perch� 

se si dovesse negare la validit� o l'efficacia del negozio risolutorio . la 

vicenda del contratto preesistente rimarrebbe aperta, avendo insistito 

l'amministrazione, nel corso del giudizio di merito, sulle domande di 

condanna al versamento del prezzo originariamente pattuito, ed in quella 

subordinata di sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. che tenesse 

luogo del contratto. 

Con l'unico motivo del ricorso si censura in effetti la sentenza per 

avere ritenuto che si fosse attuato lo scioglimento del negozio per mutuo 

consenso valorizzando una implicita dichiarazione che sarebbe contenuta 


940 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in una lettera dell'organo periferico dell'amministrazione ferroviaria (Direttore 
della Divisione lavori del Compartimento di Genova) incaricato 
di rappresentarla nella stipulazione in forma pubblica amministrativa 
dell'atto formale, giusta il decreto con cui il Ministro, sentito il Consiglio 
di amministrazione delle FF.SS., aveva autorizzato la vendita dell'immobile 
a trattativa privata ed alle condizioni previste dallo schema 
di contratto gi� firmato dalla controparte. 

Osserva al riguardo la difesa dell'amministrazione che lo scioglimento. 
del contratto per mutuo dissenso costituisce un'ipotesi di revoca 
del negozio giuridico, la quale va posta in essere dai medesimi soggetti 
che procedettero a11a conclusione e nelle medesime forme e con J'osservanza 
dei medesimi requisiti cui era legato il negozio da revocare. 

Trattasi di principio generale, si soggiunge, che cos� come rigorosamente 
si applica rispetto alla revoca degli atti amministrativi trova 
pure riscontro per i contratti (di diritto privato), che non possono essere 
modificati, n� tanto meno essere posti nel nulla, se 11on facendo 
ricorso a quei medesimi strumenti formali prescritti per la loro adozione. 

La Corte del merito avrebbe perci� dovuto escludere che fosse stato 
manifestato, nelle debite forme e con i previsti controlli, il consenso 
dell'Amministrazione per il preteso scioglimento (essendo mancato il 
nuovo parere del Consiglio di amministrazione delle FF.SS. ed il nuovo 
provvedimento di autorizzazione ministeriale). (Violazione, ovvero falsa 
applicazione, delle norme e dei principi generali concernenti i contratti 
della p.a. e in particolare degli artt. 3 e seguenti della legge di contabilit� 
generale dello Stato (r.d. n. 2440 dcl 1923) e degli artt. 36 e �seguenti del relativo 
regolamento (r.d. 23 maggio 1924, n. 827); dell'art. 4 ultimo comma 
del d.l. 28 agosto 1945, n. 521; dei principi generali in materia di revoca 

o modificazione degli atti amministrativi, in �relazione agili artt. 1321; 
1418; 1425 cod. civ.; nonch� omissione od insufficienza della motivazione). 
2. -Il motivo � fondato e va accolto. 
Quello in esame � un tipico contratto di compravendita di diritto 
privato della p.a. la cui disciplina di diritto sostanziale non si discosta 
da quella prevista nel codice civile per la fattispecie legale, ma che 
facendo capo �ailla p.a. medesima va sottoposto a determinate formalit� 
attinenti al procedimento di formazione ed alla attribuzione di giuridica 
efficacia. 1:. risaputo, infatti, che la p.a. e gli enti minori, non 
possono assumere impegni giuridicamente validi se non nei modi stabiliti 
dalle leggi e dai riegolamenti, mediante gli organi all'uopo designati, 
nel rispetto del procedimento determinato e con l'adozione della forma 
scritta. 

Nel caso di specie � fuori discussione che nello scioglimento non 
sono state adottate le medesime regole formali previste per la formazione 
del contratto. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

La Corte d'appello se ne � data carico sostenendo da un lato che 
l'autorizzazione non � richiesta in via generale rispetto ai procedimenti 
risolutori (non operando pi� la sua funzione valutativa circa la necessit� 
dell'immobile per gli scopi dell'amministrazione) e che nel caso 
di specie, non essendo ancora intervenuta la stipula formale, poteva 
effettuarsi la risoluzione consensuale a prescindere dalla suddetta autorizzazione. 


Tali argomentazioni non persuadono. 

Nel novero delle vicende del negozio si inquadra l'ipotesi della sua 
eliminazione a seguito di una successiva manifestazione di volont� dei 
soggetti originariamente stipulanti, dovendosi ammettere (anche alla stregua 
del diritto positivo: art. 1372, comma primo, seconda parte, cod. civ.) 
che costoro possano, nell'esercizio della loro autonomia, sciogliersi dal 
vincolo assunto mediante un atto eguale e contrario. 

All'accordo costitutivo del contratto originario, di segno positivo, si 
contrappone il contrarius consensus, il mutuo dissenso che � un contratto 
di segno negativo,. volto a neutralizzare radicalmente e completamente 
quello precedentemente posto in essere. 

J1l mutuo dissenso viene a costituire, cio�, un contmtto unitario, caratterizzato 
dalla funzione di togliere di mezzo, eliminandolo dal mondo 
dell'esperienza giuridica, quello precedente. Le parti vogliono porre nel 
nulla il precedente contratto e non soltanto paralizzarne gli effettL 

In tal senso appare chiarissima la lettera dell'art. 1372 cod. civ., secondo 
cui il contratto pu� essere sciolto per il mutuo consenso degli 
stipulanti. 

Il Collegio ritiene di dover escludere nella specie che l'accordo sul 
mutuo dissenso sia venuto in essere ritualmente, non es�sendo state rispettate 
le forme procedimentali adottate, per la formazione del vincolo. 

Se sul piano civilistico, sia in dottrina che_ in giurisprudenza, � ancora 
aperto il problema della forma che, nel silenzio della legge, l'accordo 
abolitivo deve essumere, la relativa incertezza non si riflette sul 
piano dei requisiti formali espressamente prescritti dalla legge per i 
contratti della p.a. in generale e per quelli della Azienda ferroviaria in 
particolare (ed al riguardo, invero, la giurisprudenza di questo S.C. appare 
univoca). 

Si � richiamato da un lato il principio della libert� della forma per 
escludere che i negozi risolutori distinti ed autonomi rispetto agli atti 
su cui incidono, possano soggiacere ai requisiti formali per questi disposti. 
Si � obiettato dall'altro che il mutuo dissenso comporta la eliminazione 
del precedente contratto, e che all'uopo si richiede un atto 
eguale e contrario il quale, anche a tutela della buona fede dei contraenti 
e della certezza dei rapporti, deve farsi nella stessa forma. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Ponendo l'accento sull'autonomia del contratto risolutorio rispetto 
a quello originario resta escluso che gli oneri di forma previsti per il 
primo si estendano de plano al secondo, pur riconoscendosi che talune 
esigenze di forma possano sussistere anche in fattispecie di revoca o 
di risoluzione vuoi per esplicito dettato normativo (artt. 680, 1921, cod. 
civ.); sia per la generale dizione dell'art. 1350 n. 1 cod. civ. ogni qualvolta 
il negozio solutorio comporti il trasferimento di beni immobili 

o di diritti reali immobiliari (in tal senso� � la giurisprudenza prevalente 
della Cass.: ofr. 1320/61; 845/61, 2554/58, 3495/56; 2303/53). 
Ma il discorso critico che al riguardo potrebbe impostarsi, con riferimento 
ai limiti del principio di libert� delle forme ed alla suscettibilit� 
delle norme che presumono forme solenni di essere applicate oltre 
le testuali indicazioni, non ha ragione di porsi rispetto ai contratti della 

p.a. in cui i requisiti predetti non sono dettati in linea di principio in 
relazione al contenuto del contratto ma alla qualit� di p.a. {o di ente 
pubblico) di uno dei soggetti. 
Appare allora chiaro che occorre avere riguardo non gi� alle disposizioni 
di diritto comune ma a quelle specificamente .riguardanti l'attivit� 
contrattuale della p.a. che -come si � accennato -presenta caratteristiche 
del tutto proprie per quanto riguarda la formazione del 
consenso, la sua esternazione e l'integrazione dell'efficacia del contratto. 

Il contratto risolutivo nei confronti della p.a. non pu� essere considerato 
nella prospettiva della libert� delle forme, giacch� ogni attivit� 
negoziale della medesima � vincolata al rispetto di norme procedimentali. 

Perci� la giurisprudenza di questa S.C. ha sempre statuito che il 
consenso prestato dalla p.a. o da un ente pubblico e diretto a porre in 
essere un negozio risolutorio di un precedente vincolo giuridico in tanto 
� concepibile e giuridicamente rilevante in quanto si oggettivizzi con 
quel rigore di forme che l'ordinamento amministrativo esige (Cass. 683/59, 
615/69, 1017/70) e che � prescritto per l'assunzione di qualsiasi vincolo 
negoziale in via generale o per un certo tipo negoziale {per un negozio 
di date caratteristiche e di determinata consistenza). Non si tratta, 
quindi, di postulare la necessaria rispondenza delle forme dell'assunzione 
del vincolo, e di quelle dello scioglimento del medesimo, in astratto 
ed in generale, quanto di verificare se in forza di una specifica norma 
derogatrice sia consentito prescindere dal normale iter precedimentale 
quando si ponga in essere una fattispecie meramente risolutiva. 

Si vuol qui sostenere, in altre parole, che sul piano dei principi non 
vi � .ragione di ipotizzare che le regole dettate per legare l'amministrazione 
mediante un'attivit� negoziale di un certo tipo, diretta al raggiungimento 
di un certo effetto negoziale non debbano valere anche quanto 
l'amministrazione medesima intenda sciogliersi dal contratto. Attivit� costitutiva, 
modificativa e risolutiva del contratto si pongono sullo stesso 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

piano formale, perch� tutta l'attivit� negoziale della p.a. si trova disciplinata 
minutamente, e senza spazi vuoti, dal procedimento amministrativo 
improntato al canone della tipicit� e formalit� degli atti con un totale 
rovesciamento del principio della libert� delle forme che domina il campo 
della negoziazione fra privati. Non viene, quindi in considerazione la 
(eventualmente) necessaria rispondenza della forma della risoluzione e 
della costituzione del vincolo convenzionalmente scelta ovvero imposta 
dalla legge a pena di nullit�, ma la rigidit� procedimentale delle manifestazioni 
negoziali della p.a. imposta nell'interesse della p.a. medesima, 
il cui mancato rispetto pu� essere fatto valere solo da questa, secondo il 
modello della annullabilit� relativa. E nella eventualit� in cui la legge 
regola solo il procedimento di formazione del contratto e non pure quello 
della sua risoluzione, deve postularsi che le forme ed i controlli indicati 
per porre in essere il contratto operino anche ove si tratti di rimuoverlo, 
restando identica la consistenza degli interessi coinvolti sia nell'assunzione 
dell'obbligazione sia nello scioglimento di essa. 

Se quindi la p.a. eccepisce che il proprio contrario consenso non � 
stato manifestato nelle debite forme e con i previsti controlli, il giudice 
pu� riconoscere efficacia al contratto risolutorio solo se constata l'infondatezza 
della dedotta eccezione e la ritualit� del procedimento seguito. 

Nel caso di specie � fuori discussione che sullo scioglimento del precedente 
contratto non fu espresso il parere del Consiglio di amministra� 
zione, n� intervenne un nuovo provvedimento ministeriale, mentre dal 
punto di v.ista oggettivo e contenutistico non vi � dubbio che l'autorizzazione 
a vendere e quella a porre nel nulla il precedente contratto di 
vendita sono assolutamente omogenee incidendo sulla consistenza patrimoniale 
dell'amministrazione interessata. � perci� sufficiente constatare 
la mancanza del suddetto parere e del decreto ministeriale di autoriz� 
zazione per desumersene la irritualit� del procedimento di risoluzione. 

L'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, ai sensi dell'art. 46 
della legge 27 luglio 1967, n. 668, � autorizzata ad alienare i beni immobili 
non pi� necessari all'esercizio ferroviario. 

Nella specie tale alienazione si era attuata mediante trattativa privata, 
perfezionatasi con il procedimento previsto dal d.l. 7 maggio 1948, 

n. 598, ratificato, con modificazioni dalla legge 2 dicembre 1952, n. 1848, 
vale a dire con decreto di autorizza~ione del Ministro dei trasporti emesso 
in base a conforme parere obbligatorio del Consiglio di amministrazione 
dell'azienda ferroviaria, previa valutazione delle condizioni contenute nello 
schema di contratto gi� sottoscritto dai compratori e che avrebbero 
dovuto essere riprodotte in forma pubblica amministrativa dal Direttore 
della Divisione lavori del Compartimento di Genova nella qualit� di uffi. 
ciale rogante, e che, con mero riferimento a tale qualit� non poteva rite

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nersi legittimato a porre in essere un contratto diverso senza a ci� essere 
autorizzato da un correlativo decreto ministeriale, emesso previo parere 
del Consiglio di Amministrazione dell'Azienda. 

Il formalismo che presidia la costituzione del vincolo si riflette sullo 
scioglimento del medesimo il quale nella fase predominante procedimentale 
facente capo alla p.a. in tanto avrebbe potuto essere realizzato in quanto 
fosse stato 11evooato l'atto amministrativo di autorizzazione al contratto, 
previo parere del Consiglio. 

Era infatti gi� stata compiuta una valutazione di opportunit� dell'atto 
di alienazione assolutamente irriducibile alla valutazione del tutto 
opposto di sciogliere l'Azienda dal vincolo ponendo nel nulla la vendita 
suddetta. 

Ne consegue che essendosi rilevata l'adozione di un certo iter procedimentale 
nella formazione del contratto de quo, non era possibile prescinderne 
nello scioglimento per mutuo dissenso dal contratto medesimo, 
anche se in ipotesi (del tutto concessiva) l'organo periferico dell'azienda 
ferroviaria fosse stato legittimato a stipulare il contratto, giocando il 
principio della corrispondenza univoca operante al livello della revoca 
degli atti amministrativi posti in essere nella fase di formazione del 
contratto della p.a. medesima. 

Per sfuggire a questa consegeunza la sentenza impugnata -come si 
� accennato -adduce due argomenti che non paiono al Collegio determinanti. 
Si assume da un lato una diversit� qualitativa del negozio solutorio, 
limitando la portata dell'autorizzazione ad una valutazione di non 
necessit� dell'immobile gli scopi dell'amministrazione; ma di tale atto 
di autorizzazione in un sistema formalistico quale � quello dettato in tema 
di contratti della p.a., non va considerato il contenuto ma l'aspetto estrinseco 
di imprescindibile momento procedimentale per addivenire al contratto; 
e d'altra parte essendo stato seguito un certo iter formativo del 
contratto comportante un provvedimento autorizzativo di una certa autorit�, 
previo obbligatorio parere, gli organi sottoordinati non avrebbero 
potuto in nessun caso disattenderlo, e la sua neutralizzazione (quale 
necessario presupposto della eliminazione del precedente contratto) avrebbe 
dovuto effettuarsi mediante un nuovo provvedimento ministeriale di 
segno contrario. 

Se il funzionario preposto alla Direzione dei lavori per porre in essere 
quella data vendita si era munito di una data autorizzazione evidentemente 
non poteva liberamente determinarsi in senso opposto a prescindere 
da tale provvedimento. � contrario alle regole di buona amministrazione 
che le garanzie predisposte in positivo, non debbano pi� operare 
in negativo; che cio� quel che � stato consentito concretamente di fare 
a date condizioni formali possa essere liberamente disfatto. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Si sostiene in secondo luogo che in ogni caso l'autorizzazione non 
sarebbe stata necessaria � non essendo ancora intervenuta la stipula 
definitiva�. 

A quel che � dato intendere, secondo la Corte, l'autorizzazione a sti� 
pulare, non avendo prodotto l'effetto tipico della stipula, non doveva 
trovare riscontro in un corrispondente atto, non trattandosi di sciogliere 
un contratto formalizzato. Ma � agevole replicare, riprendendo la precedente 
osservazione, che qui non prende rilievo l'avvenuta stipulazione 
formale, m.a l'espressione di un giudizio valutativo dell'autorit� superiore 
su parere dell'apposito organo consultivo dal quale l'autorit� subordinata 
non avrebbe potuto discostarsi, laddove l'avere espresso una volont� 
contraria alla vendita che il ministero autorizzava si risolve nella revoca 
di quel provvedimento. 

3. -In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata 
deve essere cassata con rinvio degli atti per nuovo esame da effettuare 
alla stregua del principio di diritto risultante dalle precedenti considerazioni 
sintetizzabile nella regola che l'amministrazione per sciogliersi da 
un precedente contratto � tenuta a seguire, nel porre in essere il relativo 
negozio solutorio, le stesse forme procedimentali adottate per la stipulazione 
del contratto eliminato. (omissis) 
TRIBUNALE DI ROMA, Sez. V, 19 marzo 1980, n. 2386 � Pres. Letizia � 
Est. Savignano � Rogano (avv. Meliad�) c. Ministero Trasporti (avv. 
Stato Stipo). 

Responsabilit� civile -Uso di mezzo di senizio p.er ragioni estranee all'ufficio 
-Infortunio dei trasportati -Non ne risponde l'amministrazione 
proprietaria -Presunzione di responsabilit� ex art. 2054, terzo comma, 
cod. civ. -Inapplicabilit�. 

La p.a. non risponde dei danni subiti da coloro che sono rimasti in� 
fortunati mentre trovansi su un mezzo della p.a. (nella specie motoscafo 
in dotazione dell'Ispettorato della motorizzazione di Venezia), non 
per ragioni di servizio ma per cortese e privata iniziativa del capo dell'ufficio 
cui il mezzo era in dotazione; n� ha rilevanza ai fini della responsabilit� 
la colpa del conducente, perch� questi eseguiva un ordine impartito 
per fini estranei a quelli pubblici; n� tanto meno trova applicazione 
la presunzione di responsabilit� di cui all'art. 2054, terzo comma, cod. civ., 
non potendo considerarsi terzi coloro che, come trasportati, parteciparono 


946 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

consapevolmente alla sottrazione di destinazione ad uso pubblico del 
mezzo (1). 

(omissis) Con citazione notificata il 7 giugno 1978, i coniugi Rogano 
Alberto e Mischi Vittoriana convennero in giudizio, davanti questo tribunale, 
il Ministero dei trasporti in persona del Ministro pro-tempore, 
per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, da essi coniugi subiti 
in un �sinistro marittimo avvenuto il giorno 4 marzo 1968, mentre, a bordo 
del motoscafo VE 1806, appartenente all'Ispettorato della Motorizzazione 
civile di Venezia, erano trasportati nei pressi del Porto di S. Nicola di 
Lido, nelle acque portuali della predetta citt~.� 

Soggiungevano gli attori che essi nel sinistro aveviano sub�to gravi 
lesioni e che, essendo stati scagliati in mare, avevano perso denaro e 
preziosi; che per il sinistro, cagionato da colpa del motoscafista Battocchio 
Giovanni -come era emerso all'esito di procedimento penale contro 
il medesimo in cui essi attori si erano costituiti parte civile -era evidente 
Ja rnsponsabilit� soUdale della p.a., trattandosi di fatto �commesso 
da un dipendente della medesima; che, in ogni caso, la responsabilit� del 
convenuto derivava dalla sua qualit� di armatore. (omissis) 

In concreto non si ravvisa responsabilit� della p.a. in conseguenza 
del fatto del suo dipendente, Battocchio. 
� certo che il motoscafo sul quale viaggiavano gli attori era in dotazione 
dall'Ispettorato della Motorizzazione civile di Venezia. 

Esso era, pertanto, pacificamente, un mezzo adibito esclusivamente 
al servizio della p.a.: era, cio�, destinato direttamente ed immediatamente 
ad un fine pubblico e, come tale, era un bene che non poteva 
essere sottratto a tale sua esclusiva destinazione (art. 826, ultimo comma 
e 828, secondo comma, cod. civ.). 

(1) La decisione fa puntuale applicazione dei principi in materia di responsabilit� 
della p.a., per la cui sussistenza occorre sempre una relazione causale 
del fatto con l'attivit� di esplicazione di un pubblico servizio. 
li1 Tribunaile ha in sostanza puntualizzato .che 

a) il principio della responsabilit� solidale del proprietario di un veicolo 
a motore per il fatto del conducente o del suo dipendente vale solo in favore 
dei terzi estranei al trasporto; 

b) la responsabilit� di cui sopra non sussiste nel caso di uso abusivo 
del mezzo; 
e) coloro che hanno usato abusivamente un mezzo altrui, non possono 
rivolgersi contro il proprietario per i danni sofferti durante l'uso abusivo; 

d) se un bene patrimoniale indisponibile viene sottratto all'uso cui � 
destinato, la pubblica amministrazione non risponde del fatto del proprio dipendente 
soprattutto quando la distrazione del bene alla sua funzione era nota al 
danneggiato e la distrazione era avvenuta nel suo interesse. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

I coniugi Rogano, per loro stessa ammissione (v. tutti gli atti difensivi) 
vennero a trovarsi a bordo del natante per cortese ma privata iniziativa, 
dell'ispettore della Motorizzazione di Venezia, il quale intuibilmente, 
per motivi di amicizia e di considerazione verso il collega Rogano 
di Ancona, ordin� al Battocchio di accompagnare i due coniugi in motoscafo. 
L'asserita considerazione, da parte dell'ispettore di Venezia, della 
qualifica del collega non induce a trasformare quello, che era solo un 
atto privato di amicizia, in riconoscimento di una funzione ufficiale, e 
cio�, di � rappresentanza �. Circostanza quest'ultima solo affermata ma 
non provata in causa. 

Ci� precisato, deve escludersi la riferibilit� alla p.a. dell'evento dannoso 
occorso agli attori, poich� il rapporto organico in forza del quale 
la p.a. � chiamata a rispondere direttamente dei danni arrecati ai terzi, 
con dolo e con colpa, dai :propri dipendenti si interrompe, quando l'attivit� 
di questi ultimi sia stata rivolta a fini particolari e non gi� alla 
realizzazione dei fini istituzionali dell'ente. 

� appena il caso di chiarire che l'attivit� di conduzione del natante 
da parte del Battocchio costituiva la materiale esecuzione dell'ordine 
dato dall'ispettore di Venezia; ordine -come si � detto -impartito per 
fini estranei a quelli pubblici. 

Deve aggiungersi che gli attori non potevano considerarsi terzi rispetto 
alla sottrazione di destinazione ad uso pubblico del mezzo, poich� essi, 
come trasportati, consapevolmente, parteciparono all'uso privato dello 
stesso. 

La pacifica evidenza di quest'ultima circostanza vale ad escludere la 
responsabilit� della p.a., anche nella qualit� di armatore e, cio�, come 
proprietaria del mezzo. 

La presunzione di responsabilit� ex art. 2054, terzo comma (norma 
applicabile in virt� del disposto dell'art. 1 cod. nav.) non pu� essere, 
infatti, invocata nel caso in esame, sia perch� gli attori non erano terzi 
estranei all'uso del natante, sia perch� essi stessi usarono il mezzo, in 
questione, invito domino, contro, cio�, la volont� del proprietario. 

La contraria volont� della p.a., proprietaria del natante, alla privata 
circolazione del medesimo, � -come si � detto -univocamente desunta 
dalla sua destinazione all'uso pubblico, contrastante ed incompatibile con 
qualsiasi uso privato. 

Per le esposte considerazioni la domanda � rigettata. (omissis) 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CORTE DEI CONTI, Sez. III, pensioni civili, 9 maggio 1979, n. 42215 � 
Pres. Aulino -Est. Delfini � P. M. Vetro (conf.) � Scarpetti c. Ministero 
dei Trasporti (avv. Stato Stipo). 

Pensioni civili. e militari � Ricorso alla Corte dei conti -Facolt� di proporlo 
senza limiti di tempo. 

A seguito della dichiarazione di incostituzionalit� delle norme che consentivano 
il ricorso alla Corte dei conti nel termine perentorio di 90 giorni 
dalla comunicazione agli interessati dei provvedimenti in materia di pensioni, 
deve ritenersi consentita la presentazione di ricorsi alla Corte dei 
conti senza alcun limite temporale, stante la imprescrittibilit� del diritto 
a pensione (1). 

I; 

(omissis) A termini dell'art. 22, comma secondo, del r.d. 22 aprile 1909, 

I 

n. 229, avverso i provvedimenti in materia di pensione dell'Azienda auto�
1

noma delle Ferrovie dello Stato era ammesso il ricorso alla Corte dei 

. 

.

I

(1) Sulla questione si ritiene utile pubblicare la memoria dell'Avvocatura, 
nella quale si � sostenuto che la imprescrittibilit� di un diritto non porta come i 
conseguenza la possibilit� di impugnare sine die un provvedimento che abbia 

I

inciso (positivamente o negativamente) su tale diritto. 

fil 
Imprescrittibilit� del diritto a pensione e tutela giurisdizionale. ~ 


Il presente ricorso propone la soluzione di una importante questione, sorta 
a seguito della dichiarazione di illegittimit� costituzionale del termine di 
decadenza di novanta giorni previsto per la proposizione dell'azione in materia 
pensionistica davanti alla Corte dei conti. 

Come noto, codesta Sezione aveva sollevato dubbi sulla legittimit� costituzionale 
dell'art. 63 t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, sulla Corte dei conti e di tutte 
le altre norme, nella parte in cui stabilivano, per la proposizione dei ricorsi 
la materia di trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta 
giorni dalla data di comunicazione o notificazione del provvedimento impegnato. 

La Corte costituzionale, con decisione 14 gennaio 1976, n. 8, condividendo 
l'avviso della Sezione ha osservato in particolare come non sussista alcuna 
ragione per differenziare, dal punto di vista della sua tutela, i diritti patrimoniali 
nascenti in costanza del rapporto di pubblico impiego dai diritti che 
invece sorgono dopo la cessazione del rapporto stesso, stabilendo per quest'ultima 
un breve termine di decadenza. 

La Corte costituzionale ha ritenuto pertanto ingiustificato che i principi 

giuridici affermati con riferimento a tutti i provvedimenti non autoritativi 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 

949 

conti nel termine perentorio di 90 giorni dalla comunicazione agli interessati 
dei provvedimenti stessi. 

Detta disposizione, insieme a molte altre consimili, non pu� pm 
peraltro trovare applicazione essendo stata dichiarata incostituzionale 
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 8 del 14 gennaio 1976, proprio 
nella parte relativa all'anticipato termine perentorio. 

E non essendo dato al giudice, ai sensi del primo comma dell'art. 152 
ood. proc. civ. di introdurre termini, anche a pena di decadenza, se non 
in presenza di una facolt� esplicitamente riconosciutagli da una norma 
(nella specie del tutto assente), va dato atto che l'ordinamento giuridico 
vigente consente la presentazione di ricorsi a questo giudice, in materia 
di pensione, senza alcun limite temporale. 

N� � sostenibile in contrario che il diritto a �ricorrere si prescriva, 
in assenza ormai di una specifica disposizione che regoli la materia, per 
l'ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 cod. civ. 

La prescrizione infatti incide sul diritto sostanziale che si assuma 
spettante ed il suo compiersi, mentre estingue tale diritto, impedisce ad 
un tempo l'utile proposizione dell'impugnativa in sua difesa. 

Ma nella specie gi� da tempo la giurisprudenza di questa Corte (v. ad 
esempio la decisione n. 21508 del 25 novembre 1965 � 13 gennaio 1966 di 

re!Jativi ahle .situazioni patrimoniaLi dei dipendenti pubblici dovessero trovare 
una differente applicazione in ragione della distribuzione della giurisdizione 
tra il Tribunale amministrativo regionale ed il Consiglio d Stato da una parte 
e la Corte dei conti dall'altra. 

Ed invero la giurisprudenza del Consiglio di Stato � ormai da tempo ancorata 
al seguente indirizzo: � 

�Le pretese patrimoniali dei pubblici dipendenti degli enti pubblici, ove 
derivino da atti autoritativi debbono essere fatte valere tramite l'impugnativa 
di tali atti entro il termine di decadenza; qualora discendano da atti paritetici 
possono, invece, azionarsi entro il termine di prestazione� (cos� da ultimo 
Cons. Stato, VI, 1� luglio 1977, n. 701). 

Rientrando il provvedimento di pensione nella categoria degli atti paritetici 
si suole fare riferimento all'accennato orientamento del Consiglio di 
Stato, per cui �in materia �di diritti patrimoniali derivanti da pubblico impiego, 
sono applicabili i termini ordinari di prescrizione e non quelli di decadenza � 
(cos� da ultimo Cons. Stato, IV, 30 agosto 1977, n. 739). 

E poich� il diritto a pensione � imprescrittibile, si � giunti a ritenere 
che l'azione davanti alla Corte dei conti � proponibile senza limiti di tempo. 

Si assiste quindi alla proposizione davanti la Corte dei conti di ricorsi, 
con i quali si impugna un provvedimento pensionistico intervenuto ormai da 
decenni e cos� pure, traendo lo spunto da un provvedimento di riliquidazione 
della pensione, si riportano in discussione questioni che erano state definite 
con l'originario provvedimento di costituzione del trattamento di quiescenza, 
avverso il quale non era stata proposta impugnazione alcuna. 

La pronuncia della Corte costituzionale non ha potuto portare queste 
conseguenze, che oltretutto contrastano con i principi dell'ordinamento giuri� 
dico relativi alla certezza dei diritti nonch� al consolidamento dei diritti stessi 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

questa Sezione) ed ora un'esplicita disposizione legislativa (l'art. 5 del 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092) hanno riconosciuto l'imprescrittibilit� 
del diritto a pensione e quindi l'inapplicabilit� ad esso dell'istituto della 
prescrizione. 
Deve convenirsi cos�, per l'intima connessione sussistente tra titolarit� 
e tutelabilit� di un diritto, al di fuori di ipotesi affatto particolari, 
che come � inestinguibile per prescrizione il diritto (sostanziale) alla 
pensione, del pari � sempre proponibile l'azione giudiziaria a difesa di 
tale diritto. 

Sostiene peraltro l'Avvocatura di Stato, nell'interesse dell'Amministrazione 
resistente, che mentre il diritto a pensione pu� essere fatto 
valere in ogni tempo in assenza di un provvedimento amministrativo, 
allorch� tale provvedimento sia intervenuto il diritto di tutela, sia a 
favore dell'Amministraizone che dell'interessato, pu� essere fatto valere 
solo nei limiti temporali fissati dall'art. 205 del d.P.R. n. 1092 citato. 

Afferma in sostanza l'Avvocatura di Stato che le disposizioni dettate 
dal predetto testo legislativo in materia di revocabilit� o modificabilit� 
dei provvedimenti concernenti il trattamento di quiescenza hanno ad 
oggetto anche il diverso istituto del rimedio giurisdizionale. 

Ritiene invece la Sezione, pienamente concordando con l'avviso espres


per intervenuta acquiscenza da parte dell'interessato. 
La Corte costituzionalie ha inteso so}tanto abolire � un breve termine di 
decadenza >>, quello cio� dei novanta giorni. 
D'altra parte 1a giurisprudenza di codesta Sezione, recepita ne1 nuovo 
testo unico sul trattamento di quiescenza approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, 

n. 1092, non autorizza la impugnazione sine die di un provvedimento amministrativo 
in materia pensionistica. 
Per quanto concerne il diritto al trattamento di quiescenza codesta Sezione 
ha sancito il principio dell'imprescrittibilit�, per cui il pubblico dipendente 
cessato dah 'servizio pu� seIIl[Jre chiedere il riconoscimento del diritto a pensione, 
qualunque sia la data di detta cessazione. 

Per quanto poi concerne il provvedimento in materia di pensione la stessa 
Sezione pi� volte ha tenuto a chiarire quanto segue: 

� Il provvedimento di pensione � un atto amministrativo sui generis, 
dotato di carattedstiche 1prnprie che lo dd,stinguono dai comuni atti della 
pubblica amministrazione; invero, in quanto rappresenta l'atto terminale di 
una speciale procedura che l'Amministrazione � tenuta a seguire per accertare 
l'esistenza degli elementi costituenti i presupposti del conferimento della pensione, 
esso si configura come atto dichiarativo e nel contempo costitutivo, 
poich� riconosce un diritto soggettivo perfetto, fondato su tassativi precetti di 
legge che lo svincolano da ogni potere discrezionale dell'Amministrazione 
medesima; ed il carattere di stabilit� che deriva da questa sua peculiare 
natura � il motivo essenziale per cui il provvedimento di pensione, sottratto 

aiJi normale regime di annuhlamento, con r.d. 27 giugno ,1933, n. 703, � stato 
sottoposto alla speciale disciplina della revoca, sotto taluni aspetti assimilabile 
all'istituto processuale della revocazione delle sentenze e decisioni emesse 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 951 

so dal Pubblico Ministero, che la tesi ora esposta non possa trovare 
accoglimento. 

Va osservato in primo luogo che il senso reso palese dalle espressioni 
letterali contenute in tutto il titolo IV della parte 2� del d.P.R. n. 1092 
(in cui � compreso l'art. 205) non autorizza affatto a ritenere che le 
disposizioni in esame si riferiscano anche al procedimento giurisdizionale 
dinnanzi alla Corte dei conti, procedimento al quale mai accennano; ci� 
non senza considerare che altro criterio ermeneutico induce a respingere 
la tesi dell'Amministrazione resistente. 

Tra due interpretazioni di una norma, in teoria entrambe sostenibili, 
l'interprete deve accettare quella che non ponga la norma stessa in contrasto 
con H dettato costituzionale. In considerazione di ci� e ove si ponga 
mente ai limiti imposti al legisl~tore delegato del d.P.R. n. 1092 dall'art. 6 
della legge delegante 28 ottobre 1970 n. 775 (raccolta in testi unici di 
disposizioni in vigore concernenti singole materie con particolare riferimento 
alle loro procedure amministrative), va dato atto che la tesi fatta 
propria dall'Avvocatura di Stato, presupponendo che il legislatore delegato 
si sia pronunciato anche su materia (il procedimento giurisdizionale) 
non previsto dalla norma delegante, ammetterebbe che lo stesso sarebbe 
incorso nell'eccesso di delega vietato dall'art. 78 della Costituzione. 

in sede giurisdizionale� (decisione 10 ottobre 1973, n. 34031; conforme 12 gennaio 
1972, n. 31008; 13 dicembre 1971, n. 30453). 

In puntuale applIDcazione dehl'ora aocennate aff:ermazioni giuri,sprudenzial<i 
il nuovo testo unico sulle pensioni stabiLisce aH'art. 5 .che �il diritto a~ trattamento 
di quiescenza, diretto o di riversibilit�, non si perde per prescrizione �. 

Corre~ativamente il suoces�sivo art. 207 tiene a :precisare che un diritto 
relativo al trattamento di quiescenza pu� sempre (cio� senza limiti di tempo) 
essere riconosciuto, a meno che non abbia formato oggetto di precedente 
provvedimento. 

Qualora invece sia intervenuto un provvedimento amministrativo il testo 
unico stabilisce i modi e termini in cui il provvedimento stesso pu� essere 
revocato o modificato. 

Per l'art. 205 �la revoca o la modifica sono effettuate d'ufficio o a domanda 
dell'interessato �, 

La iniziativa d'ufficio o la domanda dell'interessato debbono intervenire, 
� a pena di decadenza � (l'art. 205, terzo comma), non oltre il termine di tre 
anni, per l'Amministrazione dalla data di registrazione (art. 205, secondo comma) 
e per l'interessato dalla data di comunicazione (art. 205, terzo comma) del 
provvedimento, nei casi in cui: 

a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tenere conto di 
elementi risultanti dagli atti; 

b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo 

del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennit� o nell'applicazione 

delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno 

o indennit�; (art. 204). 
L'ipotesi di cui alla lettera a) rappresenta il cosiddetto errore di fatto, 
mentre l'ipotesi di cui alla lettera b) rappresenta il cosiddetto errore di diritto 



952 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Osserva altres� la Sezione che tutto il titolo IV sopra citato, appare 
una pressoch� pedissequa iterazione delle norme in materia di revoca 

o modifica dei provvedimenti concernenti la quiescenza, in precedenza 
contenute negli artt. 8 e 9 del r.d. 28 giugno 1933, n. 703. 
Orbene, per quanto a questa Sezione consta, non risulta che negli 
oltre quaranta anni di applicazione degli articoli ora citati si sia mai 
riconosciuto o anche solo sostenuto che il ricorso alla Corte dei conti 
fosse esperibile negli stessi limiti temporali entro i quali era dato di 
disporre o di ottenere la revoca o modifica, in via amministrativa, dei 
provvedimenti di quiescenza. 

Non si vede quindi come sia persuasivamente sostenibile che, per 
effetto di una sentenza della Corte Costituzionale che ha inciso su disposizioni 
diverse disciplinanti �diverso istitruto, le norme del precitato titolo 
IV che, ripetesi, sostanzialmente recepiscono quelle contenute nei richiamati 
artt. 8 e 9 del r.d. n. 703, dilatino oggi il loro ambito di applicazione 
dalla revoca o modifica in sede amministrativa fino alla tempestivit� del 
rimedio giurisdizionale. 

Aggiunge ancora la Sezione che, secondo un consolidato indirizzo della 
giurisprudenza della Corte dei conti, allorch� erano applicabili l'art. 22, 
comma secondo, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229 e le altre disposizioni simili 
che ponevano il termine perentorio di 90 giorni all'utile proposizione del 

(il testo della legge non ripete infatti come alla lettera a) il termine � errore 
di fatto�), che non pu� non ripercuotersi nel computo dei servizi o nell'am� 
montare del trattamento di quiescenza. 

Altro termine di decadenza � previsto nei casi di cui alle lettere e) (� siano 
stati rinvenuti documenti nuovi dopo la emissione del provvedimento � e d) 
(�il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichia� 
rati falsi�) dell'art. 204. 

In questi casi il termine sia per l'Amministrazione che per l'interessato � 
di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi o dalla notizia della 
riconosciuta o dichiarata falsit� dei documenti (art. 205, secondo e terzo 
comma). 

La prefissione dei termini di cui al citato art. 205 � in perfetta armonia con 
il principio enunciato dalla Corte costituzionale che ha voluto porre sullo 
stesso piano le situazioni giuridiche riguardanti le pretese patrimoniali dei 
pubblici dipendenti senza fare distinzione tra pretese relative al trattamento 
in attivit� di servizio e pretese relative al trattamento di quiescenza. 

Invero in materia di diritti patrimoniali relativi al trattamento in attivit� 
di servizio, il pubblico dipendente ha la facolt� della tutela giurisdizionale 
entro i termini di prescrizione del diritto che intende fare valere (v. citata 
giurisprudenza del Consiglio di Stato). 

Nessun termine di prescrizione � invece previsto per il diritto di autotutela 
da parte della pubblica amministrazione da esercitarsi attraverso il potere di 
annullamento d'ufficio degli atti illegittimi; ci� per� non autorizza ad ammet� 
tere che il diritto di autotutela possa esercitarsi senza limiti di tempo, ed 
infatti la giurisprudenza ritiene illegittimo tale esercizio ogni qual volta si 


PARTE I, Sl'lZ. V, GltJR�SPllUDENZA AMMlNISTRATIVA 953 

ricorso giurisdizionale in materia di quiescenza, detto ricorso era ritenuto 
pacificamente ricevibile, cio� tempestivo; in qualunque momento 
fosse stato proposto, allorch� la comunicazione all'interessato del provvedimento 
impugnato fosse mancante o viziata. 

Non si vede quindi come la soluzione allora costantemente adottata 
per l'ipotesi in cui un vizio della comunicazione non permetteva l'identificazione 
del momento iniziale dal quale fare decorrere il termine perentorio 
per l'impugnativa; non debba a maggior ragione apparire valida 
oggi che manca nel nostro ordinamento, per effetto della pi� volte citata 
sentenza della Corte Costituzionale, una qualsiasi disposizione che fissi 
un qualunque termine a tale impugnativa. 

Per tutte le considerazioni fin qui svolte occorre riconoscere che il 
ricorso della sig.na Scarpetti, anche se proposto a distanza di molti anni 
dalla comunicazione alla stessa dei provvedimenti amministrativi impugnati, 
appare pienamente ammissibile; a solo scopo di completezza vuole 
peraltro, aggiungere la Sezione fin da ora che la dichiarata ammissibilit� 
del gravame non implica necessariamente che l'eventuale accoglimento 
nel merito dello stesso comporti il riconoscimento del diritto della ricor


sia in p11esenza di 'situazioni giuridiche <Consolidate ne1 tempo (v. fra 1e tante 
Cons. Stato, V, 15 novembre 1974, n. 496, in Giur. It., 1976, III, 1, 57). 

Quindi per i rapporti patrimoniali in attivit� di servizio, in mancanza 
di norme espresse, � intervenuta l'interpretazione giurisprudenziale (condivisa 
dalla Corte costituzionale nella citata decisione n. 8) per porre su un piano di 
parit� le posizioni del pubblico dipendente e dell'Amministrazione in merito 
alla tutela, consentendo tale tutela al primo entro i termini di prescrizione del 
diritto ed alla seconda fintantoch� la situazione giuridica non si sia consolidata. 

Per i rapporti patrimoniali relativi al trattamento di quiescenza, il legislatore, 
traendo l'occasione dal recente testo unico, ha inteso sancire legislativamente 
quella parit� di posizioni tra pubblico dipendente e Amministrazione, 
stabilendo per entrambi il termine di decadenza di tre anni (o sessanta giorni 
nel caso di circostanze sopravvenute), dopodich� il provvedimento diventa 
intangibile sia per l'uno che per l'altra. 

Ora la Corte costituzionale ha ritenuto illegittimo il termine di decadenza 
di novanta giorni perch� breve, ma non ha anche detto che le pretese patrimoniali 
sono inconciliabili con l'istituto della decadenza. 

E infatti � previsto in cinque anni anche il termine di decadenza per 
chiedere la pensione privilegiata (artt. 169 e 246 t.u. cit.) e codesta Sezione ha 
sempre riconosciuto manifestamente infondate le eccezioni di costituzionalit� 
relative a tale termine. 

Sulla base delle sopra esposte considerazioni pu� pertanto concludersi che: 
a) in mancanza di un provvedimento dell'Amministrazione il diritto relativo 
al trattamento di quiescenza � azionabile senza limiti di tempo; 

b) qualora sia intervenuto un provvedimento dell'Amministrazione, il 
diritto di tutela, sia a favore dell'Amministrazione come dell'interessato, � 
ammissibile solo nel rispetto dei termini di cui all'art. 205 del t.u. sul trattamento 
di quiescenza. 

GIUSEPPE STIPO 

6 



RASSEGNA DELL1AVVOCAttJkA DELt� StA1'0 

rente ad ottenere la corresponsione dei ratei di pensione a decorrere dalla 
stessa data di presentazione della domanda amministrativa. 

L'ammissibilit� del ricorso attiene infatti all'imprescrittibilit� del 
diritto a pensione, l� dove la decorrenza della percezione di tale trattamento 
discende dal diverso istituto, non incompatibile con la cennata 
imprescrittibilit�, della possibile prescrizione dei singoli ratei della pensione. 
(omissis) 

CORTE DEI CONTI, Sez. III, pensioni civili, 25 gennaio 1980, n. 44192 
� Pres. D'Alena -Est. Tortora -P. M. Coccoli (conf.) -Ianuario (avv. De 
Buono) c. Istituti di Previdenza (avv. Stato De Francisci). 

Pensioni civili -Dipendenti enti locali -Retribuzione contributiva -Erogazione 
cli miglioramenti economici da parte degli enti locali in aggiunta 
a quanto stabilito dagli accordi nazionali sindacali -Non vanno inclusi 
nella retribuzione contributiva. 

Non rientrano nel computo della base pensionabile gli emolumenti 
che un dipendente di ente locale ha percepito in virt� di una delibera che 
attribuiva ulteriori miglioramenti economici in aggiunta a quelli previsti 
dagli accordi sindacali nazionali (1). 

(omissis) Il Collegio ritiene che l'esame funditus dell'insorta controversia 
debba, necessariamente e preliminarmente, partire dalla deliberazione 
comunale n. 57 del 1971 con la quale il comune di Santa Paolina 
afferm� il principio dell'equiparazione, la cui applicazione, successivamente 
e per motivi finanziari, venne limitata a una ristretta e determinata 
(o determinabile), categoria di impiegati. 

All'epoca era in vigore, a decorrere dal 1 � luglio 1970, l'accordo nazio� 
nale stipulato il 14 maggio 1970 dall'Associazione nazionale dei comuni 
italiani (ANCI) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. 


Tale accordo, concernete il riassetto retributivo del personale degli 
enti locali, si uniformava al principio, stal;>ilito nel preambolo del docu


(1) L'art. 15 della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, stabilisce che la retribuzione 
annua contributiva, ai fini pensionistici, � � la risultante degli emolumenti fissi 
e continuativi o ricorrenti ogni anno che costituiscono la parte fondamentale 
della retribuzione corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o regolamentari 
ovvero dei contratti collettivi di lavoro �. 
Dopo alcune incertezze giurisprudenziali, la Corte dei Conti � ormai costante 
nel ritenere che ai fini del trattamento di quiescenza sono suscettibili 
di effetti giuridici solamente quegli emolumenti stabiliti da accordi sindacali 
nazionali e non anche quelli che trovano la loro fonte in accordi sindacali 
aziendali o su base locale. 

La richiamata decisione della stessa _sezione della Corte dei conti 2 giu� 
gno 1977, n. 38674, � stata pubblicata in questa Rassegna, ,1978, I, 689. 


PARTE I, SEZ. V, GltJR!SPRt.IDENZA AM:MtNI$tRATIVA 

mento redatto ad intesa avvenuta, dell'autonomia del trattamento economico 
dei dipendenti degli enti stessi rispetto a quello disciplinato �dalle 
norme in vigore o prossime ad essere emanate per i dipendenti dello 
Stato�. 

Principio opposto a quello affermato nella deliberazione n. 57 del 1971 
del comune di Santa Paolina. 

Si rileva, quindi, una diversa �filosofia� alla base dei criteri ispiratori 
della disciplina in materia retributiva e, di conseguenza, una modifica 
dei termini del contratto collettivo di lavoro. 

La qual cosa contrasta in pieno con quanto � stato sempre statuito 
da questa Sezione (decisioni n. 38674 del 15 dicembre 1976-2 giugno 1977; 

n. 41126 del 19 giugno -12 luglio 1978 e n. 42653 del 19 marzo -2 aprile 1979) 
circa l'obbligo giuridico incombente sugli enti locali di adeguarsi, con 
le deliberazioni di recepimento, agli accordi sindacali nazionali, avendo 
gli stessi enti partecipato alla contrattazione. 
Anche il Consiglio di Stato (Sezione IV, decisione n. 288 del 27 aprile 
1976 e Sezione V, decisione n. 10 del 12 gennaio 1977) ha ribadito che le 
� statuizioni � degli enti devono considerarsi illegittime allorch� determinano 
retribuzioni difformi alla recepita intesa sindacale collettiva non 
giustificate da motivate deroghe eccezionali -da specificare -concernenti 
concrete e obiettive esigenze, anche strutturali, dei singoli enti. 

Le deroghe in parola non sono ora, per i dipendenti comunali e provinciali, 
pi� consentite per effetto dell'art. 6 del decreto legge 29 dicembre 
1977, n. 946, convertito con modificazioni nella legge 27 febbraio 1978, 

n. 43 che testualmente sancisce: 
� Il trattamento giuridico ed economico del personale dei comuni, 
delle province e dei loro cons0rzi viene determinato in conformit� ai 
principi, ai criteri ed ai livelli retributivi, risultanti da accordi nazionali 
a scadenza triennale. 

I livelli retributivi non potranno, in ogni caso, superare quelli contenuti 
negli accordi suddetti� {omissis) 

Nel caso in esame il comune di Santa Paolina anzich� recepire in una 
statuizione l'accordo nazionale stipulato dall'ANCI il 14 maggio 1970 ha 
sancito con deliberazione n. 57 del 1971 la equiparazione del trattamento 
economico dei propri dipendenti a quello statale. 

Ti;tle comportamento � da ritenersi censurabile. 

La deliberazione de qua non si discosta semplicemente dall'avvenuta 
intesa sindacale del 14 maggio 1970 ma ne altera completamente il contenuto. 


Questa mancata attuazione dell'accordo sindacale nazionale non trova 
alcun conforto nelle richiamate pronunce di questa Sezione e del Consiglio 
di Stato nonch� nell'i.�dicato quadro normativo. (omissis) 


SEzrom sEstA 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 marzo 1980, n. 1718 -Pres. D'Orsi -
Est. Battimelli -P. M. Gantagalli, (conf.) -Soc. Finitailiia (avv. Cavalieri) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione -Deci


�sione di commissione centrale che annulla con rinvio -Impugnazione 

immediata. 

La decisione della commissione centrale che annulla con rinvio 
deve essere impugnata immediatamente e non � consentita una riserva 
di impugnazione all'esito del giudizio di rinvio (1). 

(omissis) L'eccezione di inammissibi1it�, so1levata dall'amministrazione, 
va riconosciuta fondata. 

Ed invero, il termine per ricorrere in cassazione contro le decisioni 
della commissione centrale delel imposte � Jo stesso di quello previsto 
per l'impugnazione delle sentenze dei giudici ordinari, ossia � il termine 
di sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento impugnato, o, 
in mancanza di notificazione, di un anno dal deposito del provvedimento 
stesso? Nel caso di specie, 1a decisione della �commissione centrale fu 
depositata il 6 febbraio 1976, per cui, indipendentemente dalla notifica, e 
tenuto anche conto della sospensione dei termini per il periodo feriale, 
nonch� della sospensione straordinaria, fino al 31 dicembre 1977, di tutti 
i termini relativi al contenzioso tributario, esso scadeva, al massimo, 
al 15 febbraio 1978, per cui il ricorso in esame, not~ficato il 15 dicembre 
1978, � da considerarsi tardivo. 

N� il computo dei termini pu� farsi decorrere dalla data del deposito 

o della notifica della successiva decisione, in sede di rinvio, della com(
1) Decisione di evidente esattezza. La decisione che annulla con rinvio � 
innanzi tutto definitiva in quel grado e la sua impugnazione non potrebbe dipendere 
dall'esito della pronunzia di altro giudice (similmente � sempre definitiva la 
sentenza di appello contro sentenza parziale, non potendo la decisione che 
esaurisce il giudizio di appello subire un differiment oall'esito della pronunzia 
definitiva in primo grado). Inolrtre nel prooesso specia�e tributario non trova 
affatto applicazione l'istituto della riserva di impugnazione differita e quindi in 
ogni caso la decisione, anche se veramente parziale, pu� essere impugnata soltanto 
immediatamente (Cass., 28 aprile 1979, n. 2469, in Rass. Avv. Stato, 1979, 
I, 755). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

missione tributaria di secondo grado, perch� non � questa la decisione 
impugnata, bens� la precedente decisione della commissione centrale, 
come ha dichiarato lo stesso ricorr�ere �e come del resto 1si evinoe da una 
semplice lettura dei motivi di ricorso, attinenti tutti non gi� alla valutazione 
della plusvalenza, effettuata dalla Commissione di secondo grado 
bens� alla diversa questione della tassabilit� o meno della permuta come 
fonte di plusvalenza, questione questa di diritto, rientrante nella competenza 
della commissione centrale e da questa definitivamente decisa. 

N�, sotto altro profilo, il decorso del termine per l'impugnazione per 
cessazione della decisione della commissione centrale pu� ritenersi sospesa 
per la pendenza del giudizio di rinvio innanzi alla commissione di 2� grado 
e per effetto della riserva di impugnazione contro la suddetta decisione 
della commissione centrale, effettuata dalla contribuente al momento della 
riassunzione del giudizio di estimazione in sede di rinvio innanzi alla 
commissione di secondo grado. A tal fine la ricorrente invoca il disposto 
dell'art. 361 cod. proc. civ., ma la norma � erroneamente ritenuta applicabile 
al caso di specie, in quanto essa disciplina l'impugnazione di sentenze 
parziali, emesse da un giudice ordinario, innanzi al quale prosegua 
il giudizio, si che l'impugnazione pu� essere differita al momento della 
emanazione della sentenza definitiva; presupposti, questi, che qui non 
sussistono. 

Con la decisione qui impugnata, infatti, la commissione centrale non 
risolse parzialmente una parte delle questioni sottopostole, rinviando al 
prosieguo la soluzione di altre questioni con una successiva sua decisione; 
bens� risolse definitivamente l'unica questione che le era stata 
sottoposta ossia la questione idi diritto (di competenza di essa commissione) 
sulla tassabilit� o meno di una permuta come produttiva di plusvalenza 
tassabile, ed esaur� quindi tutto l'oggetto del giudizio pendente 
innanzi a s�, mentre il rinvio fu operato per la soluzione di una questione 
di semplice estimazione, esulante dalla competenza della commissione 
centrale e di competenza della commissione di secondo grado. 
Pertanto, per la sua definitivit�, la decisione della commissione centrale 
doveva essere immediatamente impugnata, non sussistendo l'ipotesi della 
continuazione del processo innanzi al medesimo giudice, bens� l'altra, 
diversa, della ulteriore trattazione della lite, sotto un diverso profilo, 
innanzi ad un giudice diverso. 

Il che, d'altronde, � confermato dal fatto che solo in tal modo 
avrebbe potuto impedirsi che la commissione di secondo grado effettuasse 
il giudizio di valutazione, definendo cos� la lite, il che non sarebbe 
potuto accadere ove la decisione della commissione centrale fosse stata 
impugnata e, in ipotesi, l'impugnazione fosse stata accolta. Allo stato, 
invece, anche se l'impugnazione qui proposta potesse ritenersi ammissibile 
e fosse accolta, la decisione della commissione di secondo grado 


958 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

resterebbe comunque in piedi, non essendo stata impugnata in questa 
sede (il che comunque non sarebbe stato consentito), n� essendo pi� 
impugnabile innanzi alla commissione centrale; con la conseguenza che 
una eventuale sentenza favorevole di questa Corte sarebbe inutiliter data. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1980, n. 1904 -Pres. Marchetti Est. 
Battimelli -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Immobiliare Orazio 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). 
Tributi erariali diretti � Imposta di ricchezza mobile � Plusvalenze -Accertamento 
induttivo del valor:e di realizzo � Riferimento all'accertamento 
di valore ai fini dell'imposta di registro � Legittimit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100 e 119). 
Dovendosi presumere che un soggetto tassabile in base a bilancio si 
comporti in conformit� alla comune prassi di mercato e che non svenda 
il suo patrimonio a prezzi di assoluto favare, � giustificato un accertamento 
induttivo a norma dell'art. 119, terzo comma, tel t.u. delle imposte 
dirette per correggere la voce di bilancio che reca un incasso sensibilmente 
inferiore al valore del bene; la determinazione del valore di realizzo 
dovr� quindi necessariamente farsi sulla base del valore di mercato del 
bene venduto ed anche avvalendosi dell'accertamento eseguito ai ,1ini 
dell'imposta di registro (1). 

(omissis) Quanto al ricorso della contribuente, va confermato il 
costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui 
l'accertamento di un reddito maggiore di quello dichiarato, costituito dal 
ricavo di una alienazione di immobili da parte di un soggetto tassabile 
in base a bilancio, ben pu� effettuarsi in base alla presunzione nascente 

(1) L'utilizzazione dell'accertamento eseguito ai fini dell'imposta di registro 
per determinare la sussistenza di una plusvalenza � stata in vario modo affermata, 
specie in rdazione aUa premessa che 1a plusva1enza � determinata da una 
differenza di valori e non di prezzi; concetto riaffermato recentemente con la 
sent. 7 gennaio 1980, n. 75 (in questa Rassegna, 11980, I, 618) ma che era stato negato 
con la sent. 9 ottobre 1979, n. 5220 (ivi, .184). Va in ogni caso segnalata la precisione 
dell'enunciato della sentenza ora intervenuta che riconosce legittima la 
correzione di un bilancio che indica nella voce di realizzo della plusvalenza una 
somma apprezzabilmente inferiore al valore corrente. 
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-~= t 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dall'accertamento operato in sede di applicazione di imposta di registro 
sull'atto di trasferimento; poich� detta imposta, infatti, si applica sulla 
base imponibile costituita dal valore corrente di mercato, l'indicazione in 
bilancio di w1 incasso sensibilmente inferiore ben pu� giustificare il 
sospetto di una esposizione infedele di dati, dovendosi presumere che un 
ente tassabile in base a bilancio si comporti in conformit� alla comune 
prassi di mercato, non potendosi ipotizzare, a differenza di quanto � possibile 
per una persona fisica, che svenda a prezzi di assoluto favore per 
ragioni diverse da quelle economiche. In tal caso, pertanto, � giustificato 
un accertamento presuntivo a sensi dell'art. 119, terzo comma, del 

t.u. delle imposte dirette n. 645 del 1958. 
Una volta riconosciuta la validit� di tale accertamento presuntivo in 
relazione ad una specifica voce di bilancio, non pu� pretendersi che 
l'ufficio fornisca la prova piena dell'effettivo prezzo realizzato, in presenza 
di un contratto in cui sia dichiarato un prezzo inferiore a quello effettivo, 
e ben pu� quindi l'ufficio dedurre elementi di un presunto realizzo sulla 
base del valore di mercato del bene venduto, avvalendosi degli accertamenti 
effettuati ai fini della applicazione dell'imposta di registro. La 
decisione impugnata, pertanto, contiene, sul punto, una corretta applicazione 
della pacifica giurisprudenza sul citato art. 119, e inoltre fornisce 
una adeguata giustificazione dell'effettuato riconoscimento della legittimit� 
dell'operato dell'Ufficio, posto che non si � limitata a dare atto della 
corrispondenza fra detto accertamento e quello effettuato ai fini dell'imposta 
di registro, affermando l'automatismo dell'applicazione del valore 
cos� accertato alla definizione del reddito di R.M., come erroneamente 
sostiene la ricorrente, ma ha altres� motivato sulla fondatezza dellia 
presunzione di incasso posta a base della decisione della commissione 
di secondo grado, ponendo in evidenza che il valore, ai fini del registro, 
era stato definito mediante concordato e che la stessa contribuente aveva 
esibito documentazione relativa al valore suddetto; n�, in tema di 
accertamento presuntivo, era necessario aggiungere ulteriori argomenti. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I. 26 marzo 1980, n. 2007, Pres. Mirabelli Est. 
Battimelli -P. M. La Valva (diff.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Soprano) c. Soc. Marmi Mazzagalli (avv. Ottavi). 

Tributi in genere -Norme tributarie � Interpretazione -Agevolazioni concesse 
p.er singole operazioni produttive � Estensione ad altre operazioni 
dello stesso ciclo � Impossibilit�. 
(Preleggi, art. 12). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Agevolazione per l'escava� 
zione, segatura, lavorazione e commercio dei marmi � Estensione alla 
cessione di azienda marmifera � Esclusione. 

(Legge 29 dicembre 1949, n. 955, art. 4). 

Rispetto ad una norma di agevolazione che contempla distinte opera� 
.zioni di un ciclo produttivo (nella specie escavazione, segatura, lavorazione 
e commercio di marmi) il riferire il beneficio ad altre operazioni 
sia pure dello stesso ciclo, darebbe luogo alla non consentita .interpre� 
tazione analogica e non gi� alla interpretazione estensiva (1). 

L'agevolazione dell'art. 4 della legge 29 dicembre 1949, n. 955, riferita 
alle distinte operazioni di escavazione, segatura, lavorazione e commercio 
di marmi, non pu� essere estesa alla cessione di una azienda ope. 
rante nel settore dei marmi (2). 

(omissis) Il ricorso va accolto, in quanto la decisione impugnata 
ha ritenuto non tassabile l'atto di trasferimento dell'azienda non gi�, 
come in essa affermato, con una interpretazione estensiva della norma 
agevolatrice, ma invece con una applicazione analogica, che ha esteso 
l'agevolazione a casi diversi da quelli contemplati nella prima, il che non 
� consentito, a sensi dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, 
premesse al vigente codice civile, per le norme di agevolazione fiscale, 
costituenti eccezioni al generale trattamento tributario in materia di 
imposta di registro. 

La Corte di appello, pur richiamando nella propria motivazione, il 
principio qui enunciato, lo ha disatteso, con una motivazione che non 
pu� assolutamente condividersi, a partire dalla premessa. Ed invero, 
proprio il fatto che una legge contenente modificazioni alla normativa 
sull'imposta sull'entrata contenesse un capo dedicato all'industria mar� 
mifera doveva far comprendere che si trattasse di agevolazioni non intese 
a favorire qualsiasi fenomeno giuridico-economico comunque rientrante 
nell'ambito di esplicazione di detta industria, anche indirettamente, bens� 
di agevolazioni dirette ad operare nel campo proprio dell'imposta sull'entrata, 
ossia nell'ambito di singole operazioni comportanti movimenti di 
somme di danaro in funzione di particolari operazioni economiche, dovendosi 
per ci� solo, in linea di massima, ritenere escluse dall'ambito delle 
agevolazioni tutto ci� che attenesse ad operazioni di genere diverse, implicanti 
veri e propri investimenti o movimenti di capitale, quale appunto 
la cessione di una intera azienda, di per s� non soggetta ad I.G.E.; il che 
avrebbe dovuto far intendere che anche in materia di imposta di registro 

(1-2) Decisione da condividere pienamente che porta a consolidare il recente 
restrittivo orientamento; v. nello stesso senso Cass., 6 marzo 1976, n. 755, in 
questa Rassegna, 1976, I, 279; 19 febbraio 1980, n. 1211, in Riv. leg. fisc., 1980, 1549). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

il legislatore aveva inteso favorire ugualmente e parallelamente determinati 
singoli atti economici rientranti nello stesso ambito in cui era operativa 
l'esenzione dall'I.G.E., e non gi� qualsiasi negozio comunque attinente 
all'industria marmifera. 

D'altronde, a parte tali considerazioni di carattere generale e di inquadramento 
del problema, sta di fatto che la norma in questione � di tale 
chiarissima dizione da non consentire (a sensi dell'art. 12 delle preleggi), 
non solo alcuna applicazione analogica ma altres� nessuna interpretazione 
diversa da quella che appare palese dal significato delle espressioni 
in essa ,adoperate? La norma, inf�atti, dichiara es�enti da imposta di 
registro �gli atti e i contratti afferenti alle operazioni di escavazione, 
segatura, lavorazione e commercio di marmi�, con una elencazione specifica 
che chiaramente individua tutte le fasi di lavorazione dell'industria 
del ma11mo, nonch� l'attirvit� commerciale successiva a tale lavorazione: 
e l'atto in questione, avente ad oggetto la vendita di un complesso di 
beni organizzato per l'esecuzione di alcune dette operazioni (e, come 
risulta dalla stessa decisione impugnata, anche per ci� che atteneva alla 
organizzazione contabile amministrativa, e non alla sola materiale attivit� 
di lavorazione), mentre non pu� considerarsi alla stregua di un atto 
di commercio (essendone diverso l'oggetto rispetto a� quello contemplato 
dalla norma agevolatrice), non pu� neppure rientrare nella categoria degli 
atti relativi alla estrazione, lavorazione, segatura ecc., intendendo la 
norma riferirsi, con l'elencazione in essa contenuta, a singoli contratti di 
appalto, a quietanze, a contratti di affitto ecc., direttamente attinenti 
alla lavorazione o estrazione del marmo e delle pietre affini. N� pu� 
ritenersi che il trasferimento di un'azienda possa riguardare, come ha 
affermato la sentenza impugnata, �la totalit� delle operazioni che compongono 
il ciclo dell'industria agevolata, in quanto ci� che si trasferisce, 
in casi del genere, non � altro che un insieme di beni strumentali, senza 
alcuna incidenza sulle operazioni che detti beni sono destinati a compiere. 

Pertanto, in linea di massima, si deve ritenere, che, a parto eventuali 
peculiarit� dell'operazione globale, comportanti vendita di determinati 
materiali (ove classificabile come atto di commercio), ovvero vicende di 
contratti gi� in corso, il che va accertato di volta in volta nel caso concreto, 
il trasferimento in s� e per s� del complesso dei beni organizzati per 
l'esercizio dell'industria marmifera non pu� godere delle agevolazioni 
fiscali previste per gli atti relativi ali esingole operazioni industriali, 
esulando tale trasferimento dalla categoria delle operazioni industriali o 
commerciali, e costituendo un diverso fenomeno giuridico economico di 
investimento di capitali, la cui agevolazione tributaria costituirebbe una 
estensione della normativa speciale ad un capo solo indirettamente collegato 
con il fenomeno economico a cui favore il legislatore ha deciso di 
intervenire; ossia, in concreto, una mera estensione analogica della norma, 
non consentita. {omissis) 


962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3826 -Pres. Sposato -
Est. Sensale -P. M. Valente -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
D'Amico) c. Fallimento Soc. Documento Film. 
Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Contributi dello 
Stato concessi a :produttori di film nazionali -Concorso in spese di 
produzione � Sono soggette all'imposta. 
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 83, lett. e; legge 29 dicembre 1949, n. 958, artt. 14 e 15). 
I contributi dello Stato concessi ai produttori di film nazionali ammessi 
alla programmazione obbligatoria in base agli art. 14 e 15 della legge 
29 dicembre 1949, n. 958, costituiscono concorso nelle spese di produzione 
di un film determinato e come tali sono soggetti all'imposta di ricchezza 
mobile di categoria B (1). 
(omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Amm1nistrazione finanziaria 
dello Stato denunzia la violazione delle leggi 29 dicembre 1949, n. 958; 
31 luglio 1956, n. 897; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694, nonch� 
la falsa applicazione della legge 4 novembre 1965, n. 1213 e la violazione 
dell'art. 83 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360 n. 3 
cod. proc. civ. 
La ricorrente lamenta, innanzi tutto, l'errore della commissione tributaria 
centrale per avere risolto, in base alla legge n. 1213 del 1965, una 
controversia relativa a periodi di imposta anteriori alla sua entrata in 
vigore, per i quali vigeva la disciplina di cui alla legge n. 958 del 1949 
e successive modificazioni; e deduce che, comunque, nella decisione impugnata 
si � fatta erronea applicazione delle norme che regolano la materia, le 
962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3826 -Pres. Sposato -
Est. Sensale -P. M. Valente -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
D'Amico) c. Fallimento Soc. Documento Film. 
Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Contributi dello 
Stato concessi a :produttori di film nazionali -Concorso in spese di 
produzione � Sono soggette all'imposta. 
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 83, lett. e; legge 29 dicembre 1949, n. 958, artt. 14 e 15). 
I contributi dello Stato concessi ai produttori di film nazionali ammessi 
alla programmazione obbligatoria in base agli art. 14 e 15 della legge 
29 dicembre 1949, n. 958, costituiscono concorso nelle spese di produzione 
di un film determinato e come tali sono soggetti all'imposta di ricchezza 
mobile di categoria B (1). 
(omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Amm1nistrazione finanziaria 
dello Stato denunzia la violazione delle leggi 29 dicembre 1949, n. 958; 
31 luglio 1956, n. 897; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694, nonch� 
la falsa applicazione della legge 4 novembre 1965, n. 1213 e la violazione 
dell'art. 83 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360 n. 3 
cod. proc. civ. 
La ricorrente lamenta, innanzi tutto, l'errore della commissione tributaria 
centrale per avere risolto, in base alla legge n. 1213 del 1965, una 
controversia relativa a periodi di imposta anteriori alla sua entrata in 
vigore, per i quali vigeva la disciplina di cui alla legge n. 958 del 1949 
e successive modificazioni; e deduce che, comunque, nella decisione impugnata 
si � fatta erronea applicazione delle norme che regolano la materia, le 
quali prevedono l'erogazione dei contributi, del cui regime tributario si 
controverte, non gi� a favore delle imprese cinematografiche come entit� 
produttive a s� stanti, ma in relazione alla produzione dei singoli film, 
a titolo di � concorso in spese di produzione �, assoggettato all'imposta 
di R.M. ai sensi dell'art. 83 del t.u. n. 645 del 1958. 

Il ricorso � fondato. 

� oggetto di controversia se sui contributi concessi dallo Stato all'industria 
cinematografica (nel caso, alla societ� �Documento film�) per 
l'anno 1961 sia dovuta l'imposta di R.M., cat. B, per l'anno 1961, in quanto 
costituiscano concorso in spese di produzione (che, a differenza degli altri 
contributi d'ogni genere pagati dallo Stato o da altri enti pubblici, sono 

(1) Puntuale applicazione dei principi generali nella specifica materia del� 
l'industria cinematografica. Non constano precedenti. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

assoggettati al tributo in base all'art. 83 lett. e) del t.u. 29 gennaio 1958, 

n. 645), ovvero ne siano esenti in quanto si debbono considerare come una 
integrazione del capitale dell'impresa cinematografica, concessa alla stessa 
come entit� produttiva a s� stante. 
La commissione tributaria centrale ha risolto la questione in senso negativo, 
facendo erroneamente applicazione della legge 4 novembre 1965, 

n. 1213, sul �nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia 
>>, entrata in vigore successivamente al periodo d'imposta cui si 
riferisce l'accertamento impugnato e che pertanto andava assoggettato 
alla disciplina anteriore, dettata dalla legge 29 dicembre 1949, n. 958, poi 
modificata dalle leggi 31 luglio 1956, n. 897; 22 dicembre 1959, n. 1097; 
22 dicembre 1960, n. 1565; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694. 
La legge del 1949, dopo avere determinato la competenza della Presidenza 
del Consiglio in materia di cinematografia, in essa ricomprendendo, 
foa 1l'altro, l'attuazione tdeUe ;provvidenze 'stabilite a favore della produzione 
cinematografica nazionale nonch� la promozione e il coordinamento 
delle iniziative aventi per scopo il miglioramento e lo sviluppo della produzione 
cinematografica nazionale, fa obbligo alle imprese produttrici, che 
intendano beneficiare delle provvidenze stabilite dalla legge (consistenti 
nell'ammissione alla programmazione obbligatoria e nella concessione di 
contributi), di denunziare preventivamente l'inizio della lavorazione del 
film e presentarne il piano di finanziamento ed il piano di lavorazione 
(art. 6). La legge dispone, inoltre, che il produttore del film nazionale, 
ai fini delle provvidenze in essa previste, deve produrre una dichiarazione 
dalla quale risulti analiticamente il costo effettivamente sostenuto per la 
realizzazione del film (art. 13, secondo comma, aggiunto con l'art. 9 della 
legge del 1956). 

Il riferimento all'ammissione della programmazione obbligatoria del 
film, che beneficia delle provvidenze stabilite dalla legge, gi� denota che 
queste sono concesse all'impresa cinematografica non come tale, a titolo 
d'integrazione del suo capitale, ma come produttrice del film; (il riferimento 
del contributo al film e non all'impresa risulta da altre norme 
-:arrtt. 10, 11, 12, 14, 15 -delJla stessa �legge); 'e I'obbligo imposto al 
produttore, per poter godere delle provviden2ie governative, di presentare 
il piano finanziamento e quello di lavorazione di ciascun film implica 
una necessaria .relazione fra spese di produzione e contributo statale, 
nel senso �ohe questo � 'concesso quale .concorso nelle spese di prroduzione 
del film. 

Privo di efficacia � il rilievo, .contenuto nella decisione impugnata, 
che il contributo � concesso al produttore, per dedurne che esso abbia 
natura d'integrazione del capitale dell'impresa. L'indicazione del produttore, 
infatti, non solo � necessaria al fine d'individuare il soggetto legittimato 
alla riscossione del contributo, ma � coerente con la destinazione di 


964 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

esso a concorso nelle spese, poich� � proprio il produttore che sopporta 
l'onere economico della produzione del film. Il contributo, cio�, � concesso 
al produttore, in quanto collegato non gi� all'esistenza di un'impresa 
produttrice di opere cinematografiche (le quali, -singolarmente considerate, 
possono anche non rivestire i requisiti per l'ammissione al contributo), ma 
alla specifica circostanza che l'impresa abbia prodotto un determinato 
film, avente le caratteristiche richieste. 

Inoltre, non rileva che il contributo sia pagato quando le spese di 
produzione siano gi� state sostenute. Anche con tali modalit�, esso raggiunge 
lo scopo cui � destinato, poich� il sistema della legge � tale che 
il produttore possa fondatamente fare assegnamento sul contributo, in 
quanto condizionato a determinati e gi� noti requisiti del film, in base 
ad una possibile, anche se approssimativa, previsione degli incassi che 
potr� in concreto realizzare. Non privo di fondamento � il rilievo, formulato 
in proposito, rda1la ricorrente che l'industria cinematogvaf.ica trae il 
suo principale alimento dal ricorso al credito, consentito da apposite norme 
istitutive di speciali organismi bancari operanti nel settore e che la percezione 
del contributo (erogato, ai sensi dell'art. 14 della legge del 1949, per 
un quinquennio, con liquidazioni trimestrali) pu� avvenire proprio nel periodo 
di scadenza delle ob01igazioni assunte ed essere destinato a coprirne 
l'importo. 

N� � sufficiente ad escludere che il contributo abbia natura di concorso 
nelle spese di produzione la circostanza che esso venga liquidato 
sugli incassi del film. Questi costituiscono, infatti, nulla pi� che un criterio 
di determinazione concreta della misura del contributo, in base ad una 
presunzione di proporzione fra il maggior costo del film ed il suo maggiore 
valore spettacolare, capace di suscitare l'interesse del pubblico, e 
nell'intento di privilegiare quei film che, attraverso una pi� larga diffusione, 
assicurino una maggiore loro utilizzazione da parte della clientela cui sono 
destinati. 

Ci� � confortato dalla considerazione che, nel sistema della legge 
del 1949, essendo esclusi dall'ammissione alla programmazione obbligatoria 
(e, quindi, dal beneficio del contributo) soltanto i film sforniti dei requisiti 
minimi d'idoneit� tecnica e artistica, con la concessione del contributo si 
� inteso incoraggiare la produzione commerciale del film e non soltanto 
incrementare la produzione di particolare valore artistico, essendo previsto 
-a tal fine -il possibile aumento del contributo per i lungometraggi 
di �particolare valore artistico� (art. 14) e per i cortometraggi 
� di eccezionale valore tecnico e artistico � (art. 15); ed essendo concessi 
altri benefici con finalit� diverse, come i premi per i film adatti alla giovent� 
o per essa particolarmente prodotti (art. 14 della legge del 1949 e 
artt. 13 e 14 della legge del 1956) e i fondi destinati ai produttori, in 

quanto tali, per lo sviluppo della produzione e della programmazione del 
film. 

PARtE l, SEZ. Vl, GIUR!SPRUOENZA TRIBUTARIA 

La conferma che i contributi statali ai produttori di film nazionali, 
ammessi alla programmazione obbligatoria, hanno natura di concorso nelle 
spese di produzione e, come tali sono soggetti all'imposta di R.M., cat. B, 
si trae dalla successiva disciplina dettata dalla legge 4 novembre 1965, 

n. 1213, il cui art. 24, quinto comma, stabilisce che sulle somme versate 
dal Ministero del turismo e dello spettacolo, come contributi e premi, 
si applica, nella misura del 5 %, la ritenuta d'acconto di cui al terzo 
comma dell'art. 128 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, sostituito con l'art. 1 
della legge 21 aprile 1962, n. 226, postulandone, in tal modo, l'assoggettabilit� 
al tributo. 
Quest'ultima norma sancisce che le pubbliche amministrazioni, le 
quali corrispondono ad imprese commerciali contributi o premi, debbono 
operare sui due terzi delle somme corrisposte una ritenuta del 18 % a 
titolo d'acconto dell'imposta dovuta dall'impresa percipiente, fatta eccezione 
per i contributi d'ogni genere pagati dallo Stato o da altri enti pubblici 
che non costituiscono concorso in spese di produzione (art. 83, lett. e 
del t.u.). 

Pertanto, l'art. 24, quinto comma, della legge n. 1213 del 1965, se da 
un lato determina la ritenuta in misura diversa rispetto a quella prevista 
dall'art. 128 del t.u. (5 % e non 18 %, sull'intera somma corrisposta, e non 
sui due terzi di essa), dall'altro, prevedendo espressamente la ritenuta 
d'acconto sui contributi, nella stessa legge disciplinati, li include fra quelli 
soggetti all'imposta ai sensi dell'art. 83, lett. e) del t.u., implicandone la 
necessaria qualificazione di contributi che costituiscono concorso in spese 
di produzione e che l'art. 83, lett. e) sottrae all'esenzione stabilita in via 
generale della norma stessa. 

N� potrebbe sostenersi che tale qualificazione, innegabilmente attribuita 
ai contributi in esame dalla legge del 1965, non possa adottarsi in 
relazione alla legislazione anteriore, poich� secondo la precedente disciplina 
il rapporto tra contributo e singolo film era ancora pi� stretto 
di quanto non appaia nella legge del 1965. Ci� si evince anche dalla norma 
di collegamento fra vecchia e nuova disciplina, contenuta nel sesto comma 
dell'art. 24 della legge n. 1213 del 1965, che estende le disposizioni di cui 
al precedente comma anche alla liquidazione dei contributi previsti dalle 
precedenti disposizioni di legge, maturati dal 1� gennaio 1965. La portata 
di tale norma non �, evidentemente, quella di assoggettare ad impostaaei 
contributi che ne fossero, prima, esenti, bens� quella di estendere il 
beneficio della riduzione al 5 % dell'aliquota della ritenuta d'acconto anche 
ai contributi dovuti in base alle precedenti leggi, ma liquidati nel periodo 
di efficacia della legge del 1965 (che aveva effetto retroattivo dal 1� gennaio 
1965). 

Il ricorso pertanto dev'essere accolto ed, in conseguenza, la decisione 
impugnata dev'essere cassata con rinvio alla stessa commissione tributaria 


966 

centrale, che riesaminer� la controversia uniformandosi al princ1p10 di 
diritto, secondo cui i contributi concessi ai produttori di film nazionali 
ammessi alla programmazione obbligatoria, ai sensi degli artt. 14 e 15 della 
legge 29 dicembre 1949, n. 958 (successivamente prorogata e modificata 
dalle leggi 31 luglio 1956, n. 872; 22 dicembre 1959, n. 1097; 22 dicembre 1960, 

n. 1565; 14 febbraio 1963, n. 76 e 11 agosto 1964, n. 694), cos� come i contributi 
concessi ai sensi dell'art. 7 ideHa legge 4 novembre 1965, n. 1213, 
hanno natura di concorso in spese di produzione e, pertanto, ai sensi dell'art. 
83 lett. e) del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, sono assoggettati all'imposta 
di R.M., cat. B. (omissis) 

SEZIONE SETTlMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1980, n. 2097 -Pres. Sandulli Est. 
Lipari -P. M. Gazzara (conf.). S.I.T. Societ� Impianti Tecnologici 

S.n.c. di Sbrojavacca e C. c. Azienda autonoma F.S. (avv. Stato De 
Francisci). 
Appalto -Appalto di opere .pubbliche -Riserva -Accertamento del tempo 
dell'iscrizione -Questione di fatto -Valutazione della tempestivit� dell'iscrizione 
-Questione di diritto -Limiti. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). 
Appalto -Appalto di opere 1pubbliche -Capitolati -Per l'appalto di opere 
e l'esecuzione di lavori o forniture ferroviarie -Natura regolamentare 
-Esclusione. 
(Capitolato generale amministrativo per le opere ferroviarie approvato il 9 aprile 1909; 

capitolato per l'esecuzione dei lavori ferroviari approvato il 3 maggio ed il 14 luglto 1922). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Opere di competenza delle Ferrovie 
dello Stato � Onere della tempestiva riserva dell'appaltatore -Applicabilit� 
del principio. 
(Capitolato generale amministrativo per le opere ferroviarie approvato il 9 aprile 1909, 

art. 41; capitolato per !'esecuzione dei lavori ferroviari approvato il 3 maggio ed il 
14 luglio 1922, art. 14). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche -Riserva -Fatti continuativi -Tempo 
dell'iscrizione -Permanenza del fatto -Normale irrilevanza -Manifestarsi 
dell'onerosit� -Rilevanza -Sospensione dei lavori -Equiparabilit� 
a fatto continuativo. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserva -Documenti idonei alla 
iscrizione delle riserve -Verbale di consegna � 1l:. tale. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve � Fatti colposi o dolosi Sussistenza 
dell'onere -Condizioni. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36, 37, 53, 54, 89 e 107). 
In tema di tempestivit� delle riserve negli appalti di opere pubbliche, 
la individuazione del fatto e la sua collocazione temporale rientrano nell'ambito 
di esercizio degli incensurabili poteri del giudice di merito; ma 


RASSEGNA DELL1AVVOCAt�RA DEtLO StAtO 

rispetto all'accertamento che un fatto � venuto in essere in un dato momento 
il giudizio di tempestivit� o intempestivit� pu� variare in relazione 
alla ricostruzione della volont� normativa e negoziale circa lo spatium temporis 
ultimativamente destinato al relativo adempimento. E questa ricostruzione 
� soggetta al vaglio critico in sede di legittimit� vuoi sotto il 
profilo della corretta interpretazione della norma (in ipotesi di fonte normativa), 
vuoi sotto quello del rispetto delle regole giuridiche dettate per 
la esegesi dei contratti e dell'adeguatezza o congruit� della motivazione 
(in ipotesi di fonte negoziale) (1). 

Le disposizioni dei capitolati per l'appalto di opere e per l'esecuzione 
di lavori o forniture ferroviarie, approvate rispettivamente con delibere 
del consiglio di amministrazione delle F.S. in data 9 aprile 1909 e 3 maggio 
-14 luglio 1922 non hanno natura regolamentare (2). 

Il sistema dell'onere della riserva nell'esecuzione degli appalti di opere 
pubbliche ha carattere generale e trova puntuale espressione, per gli appalti 
ferroviari, nelle disposizioni degli artt. 41 del capitolato del 1909 e 14 del 
capitolato del 1922 (3). 

Il fatto continuativo deve formare in ogni caso oggetto di riserva 
da parte dell'appaltatore, la quale deve ritenersi tempestiva se presentata 
quando la rilevanza causale del fatto rispetto al maggior onere incontrato 
diventa obiettivamente apprezzabile secondo indici di media diligenza e 
buona fede, con salvezza di precisare la misura della richiesta di compenso 
non appena possibile nella succ�ssiva registrazione e nel conto finale. 
L'accertamento concreto della tempestivit� della riserva, dipendente dall'apprezzamento 
delle singole situazioni di specie, rientra nella competenza 
del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimit�. Alla nozione 
di fatto continuativo ed alla relativa disciplina va ricondotta la sospensione 
dei lavori e le pretese di indennizzo che vi si raccordano vanno fatte 
oggetto di riserva in un momento che non pu� essere differito oltre quello 
di cessazione della stessa sospensione (4). 

L'appaltatore, cui sia commessa la realizzazione dell'impianto di riscal


damento da installare in edifici al rustico ed al quale gli stessi edifici siano 

consegnati gi� completati ed intonacati, se intende porre tale fatto a base 

di una pretesa di indennizza per i maggiori costi che potr� incontrare 

nell'esecuzione della opera � tenuto a segnalare la difformit� dal pattuito 

iscrivendo riserva nel verbale di consegna, salvo a precisare l'entit� del 

danno subito quando ci� risulti possibile. Ed invero da un lato il fatto si 

(1-7) Cass., 19 gennaio 1979, n. 3:94, in questa Rassegna, 1979, I, 573'. 

(2) Cass., 14 gennaio 1977, n. 174, in Giust. civ., 1977, I. 1016. Sulla natura 
regolamentare o meno dei capitolati generali delle diverse amministrazioni dello 
Stato e sulle conseguenze derivanti dall'una o dall'altra configurazione, cfr. 
l'annotazione a Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, in questa Rassegna, 1980, I, 209. 
(3) Cass., 18 agosto 1976, n. 3041, in questa Rassegna, 1976, I, 1040. 
.,,,,,,,,l,,,,,,/l.,lll.rlllllll~llflllllllllll&llllll7lllr,41~ 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 969 

presenta come immediatamente rivelatore di aggravio di costi, dall'altro 
anche il verbale di consegna costituisce possibile sede di riserva (5). 

L'onere della tempestiva riserva sussiste anche per le pretese a base 
delle quali siano posti il dolo o la colpa grave dell'amministrazione appaltante 
se i fatti imputati a siffatto titolo si inseriscono in un momento 
preciso della cronologia dei lavori, incidendo immediatamente sulla loro 
esecuzione, condizionandone tempo, modalit� e spese (applicazione in tema 
di illegittima protrazione di sospensione dei lavori) (6). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5564 -Pres. Vigorita Est. 
Gualtieri -P. M. Minetti (conf.) -Prearo (avv. Palombi e Verolini) 

c. Ministero dell'agricoltura e delle foreste (avv. Stato del Greco) e Consorzio 
di Bonifica Conagro Tartaro Tione (avv. Lauzetti). 
Appalto � Appalto dii opere pubbliche � Riserva -Onere -Carattere generale 
-Eccezioni -Fatti continuativi -Limite. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 37, 53, 54, 64, 89 e 107). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche -Riserva � Tempestivit� -Controllo 
in cassazione -Giudizio di leglttlmit� -Estensione. ' 
(cod. proc. civ., art. 360, n. 3). 

Appalto � Apalto di opere pubbliche -Riserva -Sospensione -Documenti 
in cui pu� iscriversi -Verbale di sospensione o ripresa dei lavori. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16). 
Nell'ambito del sistema delle norme regolatrici del contratto di appalto 
per la costruzione di opere pubbliche, l'istituto della riserva si presenta 
come espressione di un principio generale che non pu� subire deroghe se 
non in quei casi in cui l'osservanza, da parte dell'appaltatore, dell'onere 
della tempestiva riserva o non sarebbe giustificato o non sarebbe possibile, 
com'� nell'ipotesi dei c.d. fatti continuativi, per i quali, peraltro, la regola 
che impone all'appaltatore l'onere di formulare la riserva riprende vigore 
nel momento -da identificarsi, nelle singole fattispecie, secondo i criteri 
della media diligenza e buona fede -in cui egli disponga di dati sufficienti 
per segnalare le cause delle situazioni a lui pregiudizievoli e il presumibile 

(4-5-7-8) Sulla nozione di fatto cont,inuativo e �su11a evoliuzione deli1a sua formazione 
ad opera della giurisprudenza, cfr. Cass., 19 gennaio 1979, n. 394, in 
questa Rassegna, 1979, I, 573; sull'onere della riserva con riguardo alle sospensioni 
e sul verbale di ripresa come possibile sede della riserva, cfr. Cass., 17 ottobre 
1977, n. 4430, in questa Rassegna, 1977, 307. 

1 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

970 

onere economico, salvo a precisarne l'esatto ammontare nelle successive 
registrazioni o, nel caso in cui la determinazione del quantum non sia 
ancora possibile, in sede di chiusura del conto finale (7). 

La verifica della tempestivit� dell'iscrizione della riserva pu� costituire 
oggetto del giudizio di legittimit�, giacch� non si esaurisce un mero accertamento 
di fatto volto all'individuazione dell'esatto momento dell'iscrizione, 
ma richiede di stabilire se il tempo dell'iscrizione rientra nell'ambito temporale 
voluto dalla legge e ci� implica il raffronto del fatto medesimo con 
elementi normativi e quindi un giudizio sul fatto alla stregua della disciplina 
legale (8). 

La riserva, con cui si fa valere una richiesta di indennizzo, fondata 
sull'assunto che una sospensione dei lavori sia stata illegittimamente ordinata, 
deve essere inserita nel verbale di sospensione ed � certamente tardiva 
la riserva che non sia iscritta neppure nel verbale di ripresa dei 
lavori (9). 

I 

(omissis) 1. -Rispetto ad un contratto d'appalto, stipulato con l'amministrazione 
delle Ferrovie dello Stato, e disciplinato per relationem dal 
capitolato per le opere che si eseguono dall'amministrazione medesima, si 
discute in causa delle pretese dell'appaltatore ad ulteriori compensi per 
l'aggravio incontrato nell'esecuzione dei lavori, trattandosi di stabilire in 
primo luogo la tempestivit� della formulazione ed esplicazione delle riserve 
e di verificare nel merito la fondatezza delle singole richieste, le quali 
sostanzialmente riguardano, rispetto ad un primo gruppo di lavori, la 
maggior difficolt� di realizzazione dell'impianto di riscaldamento commesso 
in edifici consegnati non al rustico, ma gi� completati ed intonacati, e per 
un secondo gruppo il notevolissimo carico economico determinatosi per 
effetto di ripetute sospensioni protrattesi per oltre tre anni. 

La Corte d'appello ha ritenuto intempestive le" riserve, fatta eccezione 
per la riduzione operata in sede di liquidazione definitiva (respinta, peral-. 
tro, nel merito per difetto di prova) e per il rimborso della differenza sul 
prezzo del combustibile impiegato per le prove di funzionamento degli 
impianti (pretesa ritenuta estranea al campo di operativit� delle riserve 
riflettendo l'adempimento puntuale di una clausola contrattuale). 

(6) Cass., 15 aprile 1976, n 1337, in questa Rassegna, 1976, I, 627. 
La Corte riconferma sul punto la precedente giurisprudenza, riassorbendo 
l'affermazione, non accompagnata da maggiori specificazioni, contenuta nella 
motivazione della decisione 30 gennaio 1979, n. 653 (in questa Rassegna, 1979, I, 
583), secondo cui i fatti dolosi o gravemente colposi costituiscono un caso di 
eccezione all'onere della riserva. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Con il primo mezzo del ricorso lamentando la violazione e falsa 
interpretazione degli artt. 1370 e 1371 cod. civ. e l'omessa (insufficiente e 
contraddittoria) motivazione su di un punto decisivo della controversia, 
l'appaltatore censura la sentenza per avere ritenuto intempestive le riserve. 

Con il secondo mezzo si addebita alla Corte del merito di non avere 
accolto la pretesa avanzata (tempestivamente) contro le risultanze contabili 
della situazione finale, non necessitando al riguardo -contrariamente 
all'avviso espresso in sentenza -alcun elemento probatorio. 

Con il terzo mezzo, infine, si sostiene che erroneamente � stata disattesa 
la richiesta di rimborso della penale irrogata per il ritardo .nell_a 
integrazione della cauzione rispetto all'atto addizionale (non essendo richiesta 
al riguardo la proposizione di ricorso al Direttore generale) .. 

2. -Il ricorso � infondato in tutti e tre i motivi in cui si articola. 
Esso tocca nel primo mezzo la problematica della tempestivit� delle 
riserve negli appalti delle opere pubbliche, dalla cui ricognizione occorre 
prendere le mosse per la puntualizzazione delle ragioni giuridiche che 
portano ad avallare le conclusioni cui � giunta la Corte del merito. 

Un fatto � tempestivo rispetto ad una data fattispecie (sia essa di 
matrice normativa o negoziale) quando � posto in essere entro i termini 
fissati astrattamente da questa (giusta la ricostruzione esegetica all'uopo 
effettuata dall'interprete). 

La individuazione del fatto e la sua collocazione temporale rientrano 
nell'ambito di esercizio degli incensurabili poteri del giudice di merito; 
ma rispetto all'accertamento che un fatto � venuto in essere in un dato 
momento il giudizio di tempestivit� o intempestivit� pu� variare in relazione 
alla ricostruzione della volont� normativa o negoziale circa lo spatium 
temporis ultimativamente destinato al relativo adempimento. E questa 
ricostruzione � 'soggetta a vaglio critico in sede di legittimit� vuoi sotto 
il profilo della corretta interpretazione della norma (in ipotesi di fonte 
normativa), vuoi sotto quello del rispetto delle regole giuridiche dettate 
per la esegesi dei contratti e dell'adeguatezza o congruit� della motivazione 
(in ipotesi di fonte negoziale). 

Le disposizioni dei capitolati per l'appalto di opere e per l'esecuzione 
di lavori o forniture ferroviarie, approvate rispettivamente con delibere del 
consiglio di amministrazione delle FF.SS. in data 9 aprile 1909 e 3 maggio 
-14 luglio 1922 hanno carattere puramente interno e non natura regolamentare 
(Cass., 174/77), come riconoscono gli stessi ricorrenti, che su 
tale presupposto muovono le loro doglianze. Ne consegue che la inosservanza 
e la violazione di tali norme non pu� essere dedotta con ricorso 
per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, e che l'interpretazione 
del capitolato, richiamato nel contratto, si risolve in una valutazione 
di fatto sottratta al controllo della Suprema Corte se immune da 
vizi logici e giuridici e rispettosa delle norme giuridiche dettate per l'inter



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

972 

pretazione dei contratti (cfr. con specifico riguardo ai capitolati ferroviari, 
qualificati come atti amministrativi, Cass., 2393/69). 

Il sistema dell'onere delle riserve nell'esecuzione degli appalti di opere 
pubbliche -per ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di 
questo S.C. -ha carattere generale e trova puntuale espressione, per gli 
appalti ferroviari, nelle disposizioni degli artt. 41 del citato capitolato 
del 1909 e 14 del citato capitolato del 1922 (Cass., 3041/76). 

L'imposizione della (tempestiva) riserva sotto comminatoria di decadenza 
secondo la giurisprudenza di questo S.C., riguarda le pretese incidenti 
sul compenso complessivo spettante all'appaltatore di 00.PP., quali 
che siano le componenti ed i titoli delle medesime con eccezione dei fatti 
estranei all'oggetto dell'appalto ed alla finalit� di documentazione dell'iter 
esecutivo dell'opera, (come la rivalsa delle imposte e la decorrenza degli 
interessi di mora); del comportamento doloso o gravemente colposo della 
pubblica amministrazione (purch� tale comportamento non incida direttamente 
sull'esecuzione dell'opera); dei fatti continuativi (nel novero dei 
quali generalmente, ma con qualche voce solo formalmente contraria 
-come si preciser� in appresso -si include la sospensione dei lavori). 

Il concetto di fatto continuativo � stato introdotto dalla giurisprudenza 
per temperare la rigorosit� dell'onere della riserva rispetto a situazioni 
in cui la sua osservanza sembrava inesigibile in riferimento ad una 
contestuale ed immediata quantificazione del maggior compenso preteso. 

Nella sua pi� semplice accezione fatto continuativo � quell�, che non 
avendo carattere istantaneo, si protragga nel tempo; si � precisato, peraltro, 
che deve trattarsi di fatti eguali nelle modalit� di accadimento, e 
prodotti da cause costanti, di cui � sempre possibile l'accertamento lungo 
tutto il corso del loro operare compreso il momento finale (Cass., 1527/73) 
riconducibili cio� ad una serie di ricorrenti episodi la cui ripetitivit� comporta 
rilevanza onerosa e pregiudizievole non attribuibile alla singola circostanza 
isolatamente considerata (Cass., 677/73, 8/76). Emerge attraverso 
la sottolineatura della ripetivit�, che d� evidenza� e consistenza all'onere 
altrimenti trascurabile se rapportato al singolo elemento, la preoccupazione 
di circoscrivere la portata del concetto, per mantenere la deroga 
nei limiti concettualmente indispensabili per giustificare la mancata iscrizione 
esplicita della riserva non appena la onerosit� abbia a manifestarsi 
non potendosi ragionevolmente pretenderla quando il danno non si � 

ancora manifestato in tutta la sua consistenza. Questa essendo la ratio 
della introdotta eccezione deve osservarsi in limite che l'assolutezza della 
enunciazione � fuorviante, perch� in realt� non si � mai sostenuto che 
rispetto ai fatti continuativi si potesse prescindere dalla riserva (lo si 
afferma chiaramente -ad esempio -gi� nella decisione n. 1527 del 1973), 
ma si � inteso differire il momento della iscrizione (inscindibilmente connessa 
secondo l'impostazione della vecchia giurisprudenza con la quantificazione) 
il momento cio� in cui l'onere deve essere assolto, individuato 

I 

I 

�1��:1111�~rllllllllfllfllllflllll1111'11:11111�Wllll 

PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

nella cessazione della continuazione (Cass., 717/73) se non addirittura nel 
compimento dell'opera dopo la compilazione del conto finale. 

Vi � quindi all'origine dell'indirizzo giurisprudenziale l'errata persuasione 
che in pendenza della continuazione la deduzione delle riserve non 
� possibile, vuoi perch� riconducibile ad una serie causale di non immediata 
rilevanza onerosa, vuoi perch� l'onerosit�, essendo ancora in fieri � 
insuscettibile di puntuale precisazione donde il corollario del differimento 
dell'onere. 

Il superamento di questa impostazione si � avuto mettendo in evidenza 
che anche il fatto continuativo (compresa la sospensione dei lavori) 
deve formare oggetto di riserva, da ritenersi tempestiva se presentata 
quando la rilevanza causale del fatto rispetto al maggior onere incontrato 
diventa obiettivamente apprezzabile, secondo indici di media diligenza e 
di buona fede, con salvezza di precisare definitivamente la misura della 
richiesta di compenso non appena possibiJ.e nelJe successive registrazioni 
e lllel conto !finaile {cfr. Cass., 1148/75, 726/78, 394/79). 

Non � esatto, quindi, che soltanto al momento della cessazione della 
continuazione si manifesti la rilevanza causale (vera essendo -invece le 
reciproca che con la cessazione tale rilevanza non pu� non essersi 
manifestata), n� che iscrizione ed esplicazione quantitativa della riserva 
siano insuscettibili di scissione temporale. 

Posto il principio guida della percepibilit� della rilevanza causale del 
fatro che si protrae o riproduce nel tempo l'accertamento concreto de1la 
tempestivit� dipendente dall'apprezzamento della situazione di specie, rientra 
nella competenza esclusiva del giudice di merito, incensurabile in sede 
di legittimit�. Costituiscono applicazione del suddetto principio le enunciazioni 
che si rinvengono in numerose sentenze (come corollario della non 
indennizzabilit� del maggior onere derivante dalla sospensione dei lavori 
che non abbia formato oggetto di tempestiva riserva: Cass., 1527/73 cit.) 
relativamente alla tardivit� delle riserve iscritte nel conto finale concernenti 
le sospensioni intervenute durante lo svolgimento dei lavori (Cass., 
2168/73, 2841/75), ovvero non enunciate nemmeno nel verbale di ripresa 
dei lavori (Cass., 2486/73). 

Ed invero il verbale di ripresa dei lavori (per quanto attiene al 
fatto continuativo della sospensione dei medesimi) costituisce sicuramente 
il momento ultimo per la iscrizione della riserva, essendo addirittura 
cessata la continuazione, pur non potendosi escludere che la rilevanza 
causale, anteriormente manifestatasi, si fosse concretamente estrinsecata 
in una precedente occasione. 

Data l'uniformit� del pi� recente indirizzo giurisprudenziale attestato 
sul criterio della rHevanza causale come momento di aggancio dell'onere 
della riserva, applicato in ogni ipotesi di sospensione dei lavori, appare 
puramente nominalistica la contrapposizione di sentenze che escludono 
(cfr. Cass., 8/76, 5438/78, 3958/78), o omettono l'inquadramento nei fatti 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

continuativi degli episodi di sospensione dei lavori, trattandosi di percorrere 
strade diverse per raggiungere lo stesso risultato. 

L'equivoco nasce dall'assunzione del concetto di fatto continuativo come 
deroga all'onere delle riserve operante in un certo momento e con certi 
effetti risentendo della originaria (e poi ridimensionata) portata del concetto. 
Per negare la deroga in ambito di operativit� ritenuto eccessivo si 
esclude che l'ipotesi maggiormente ricorrente di sospensione dei lavori 
rientri nella categoria. Una volta posto in chiaro peraltro che qualsiasi 
fatto produttivo di oneri per l'appaltatore (sia esso istantaneo o continuativo) 
deve essere denunciato mediante riserva generica, non appena 
ne sia percepibile la rilevanza causale (che per il fatto istantano coincide 
con il venir in essere del fatto stesso), specificando successivamente la 
pretesa (quando risultino quantificabili le relative componenti) e confermandola 
comunque nel conto finale, tutte le pi� recenti decisioni appaiono 
univoche sul piano applicativo dell'enunciato criterio indipendentemente 
dalla sottolineatura o meno della continuit� in senso tecnico. Si � cos� 
precisato che rispetto alla sospensione dei lavori deve ritenersi tempestiva 
la formulazione di riserva nel verbale di ripresa, anzich� in quello 
che dispone tale sospensione qualora si tratti di sospensione originariamente 
legittima, divenuta illegittima solo per fatti sopravvenuti; ovvero 
qualora la sospensione illegittima ab origine, non fosse stata agevolmente 
riscontrabile come tale (cfr. Cass., 21/78). Mentre unanimemente si ribadisce 
che il momento finale per la deduzione non pu� essere differito oltre 
la cessazione della sospensione e quindi trovare utilmente collocazione 
in documenti posteriori al verbale di ripresa dei lavori (Cass., 4430/77, 
1337/76, 8/76, 3958/75, 5438/78). 

Il concetto di fatto continuativo, dunque, non va ricostruito aprioristicamente, 
ma si correla nell'evoluzione giurisprudenziale all'esigenza che 
si voleva tutelare, quella cio� di escludere l'onere di (tempestiva) riserva 
ogni qualvolta appaia di impossibile, o di estremamente ardua attuazione, 
impossibilit� e difficolt� che in un primo momento si valutano nel falso 
presupposto della inscindibilit� di iscrizione e quantificazione della riserva. 

Esclusa invece, tale inscindibilit� l'istantaneit� o la continuit� temporale 
del fatto si risolve nella immediatezza o mediatezza della percepibilit� 
della rilevanza causaile rispetto al maggior aggravio subito venendo 
in considerazione la cessazione della continuit� come indice di una onerosit� 
sicuramente avvertibile dall'appaltatore di media diligenza. 

A seconda quindi che la giurisprudenza ritenga di muovere da una 
accezione ristretta del fatto continuativo ricollegandovi una pi� penetrante 

o generalizzata capacit� di operare lo scorrimento del termine per la tempestivit� 
delle riserve (giusta la originaria impostazione), ovvero di adottare 
una nozione pi� fata con effetti meno penetranti, accade che per raggiungere 
il medesimo risultato applicativo nel senso della tempestivit� 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

ovvero della intempestivit� si escluda ovvero si includa la sospensione dei 
lavori nella categoria. 

Sembra al Collegio, che, ridimensionata la portata della deroga rispetto 
a qualsiasi fatto continuativo, alla stregua del criterio della rilevanza 
causale, possa tranquillamente adottarsi un concetto lato di fatto continuativo, 
includendovi la sospensione dei lavori e cos� evitando che una 
divergenza puramente terminologica ingeneri equivoci fra gli operatori del 
diritto, laddove la giurisprudenza di questa S.C. risulta ormai costante 
nell'applicazione del criterio della tempestivit� delle riserve nelle ipotesi 
di sospensione dei lavori nei sensi sopra precisati. 

3. -Alla luce delle considerazioni che precedono le censure svolte 
nel primo mezzo trovano agevole confutazione. 
Ha osservato la Corte quanto al primo gruppo di lavori che, al momento 
della sottoscrizione dell'atto addizionale con revisione di prezzi 
stipulato il 22 maggio 1970, essendo gi� state completate le opere, l'appaltatore 
era perfettamente in grado di apprezzare alla stregua del compenso 
pattuito la consistenza dei maggiori oneri cui era andato incontro e di 
valutarne la misura di incidenza, sicch� nell'accettare la tariffa suppletiva 
avrebbe dovuto attivarsi per far valere le relative pretese. 

Obietta il ricorrente che la formulazione di riserve e la esplicazione 
delle medesime deve effettuarsi esclusivamente nel documento contabile, 
mentre l'atto aggiuntivo non � tale e comunque negli appalti di lavori 
per le FF.SS. non esiste il registro di contabilit�. L'art. 41 del Capitolato 
del 1909 va interpretato -si sostiene -alla luce dei principi generali 
in materia di riserva, intendendosi la clausola generale a favore dell'appaltatore 
e realizzando comunque l'equo temperamento degli interessi che 
porta a ravvisare nel conto finale il primo atto utile per la formulazione 
e quantificazione delle riserve. 

L'appaltatore non contesta -dunque -di dovere sottostare alla 
riserva, ma nega la tardivit� della deduzione nel conto finale perch� l'atto 
addizionale, non essendo un documento contabile, non sarebbe utilizzabile 
a tale scopo. 

L'assunto non pu� essere condiviso giacch� esso muove dal presupposto 
inesatto che solo nel documento contabile possa iscriversi riserva. All'opposto 
la giurisprudenza di questa S.C., cui si � fatto richiamo nel precedente 
paragafo, ha ormai ripetutamente precisato, in relazione a sospensione 
dei lavori, che il verbale � documento idoneo per la deduzione della 
riserva che dovr�, ove esista il registro di contabilit�, essere trascritto nel 
medesimo non appena possibile; quindi l'inesistenza del registro � addirittura 
elemento rafforzativo dell'idoneit� di documenti diversi da quelli 
contabili in senso stretto alla deduzione della riserva da inserire immediatamente, 
no nappena se ne presenti la formale possibilit�, quando sia 
emersa la rilevanza causale del danno. E non � dubbio che, nel caso di 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

specie, il fatto lamentato era immediatamente rivelatore dell'aggravio, trattandosi 
di operare su edifici non al rustico come convenuto richiedenti 
maggiori oneri nella messa in opera dell'impianto di riscaldamento. Pertanto 
anche a voler considerare la continuit� del fatto lamentato che si 
ripercuoteva sull'intera impostazione dei lavori, per un ammontare definibile 
soltanto al momento del completamento dei medesimi, certamente 
l'appaltatore nello stesso verbale di consegna avrebbe dovuto segnalare 
la difformit� del pattuito che si risolveva in maggior spesa, salva la specificazione 
del quantum in una successiva occasione. 

Orbene l'appaltatore ha trascurato non solo questa occasione, ma quella 
rappresentata da due sospensioni e riprese dei lavori, omettendo di fare 
le sue deduzioni, evidentemente convinto di doverle differire al conto 
finale (forse ipotizzando la inscindibilit� di iscrizione ed esplicazione quantitativa 
delle riserve). Ne risulta la manifesta tardivit� delle riserve inserite 
in detto conto corroborata dalla mancata deduzione al momento della 
sottoscrizione dell'atto addizionale avvenuta quando gi� da tempo erano 
stati compiuti i lavori del primo gruppo, e quindi l'appaltatore anche nell'errato 
presupposto della necessaria contestualit� di formulazione delle 
riserve e loro esplicitazione era perfettamente in grado di determinare 
l'aggravio complessivo. 

Si vuol qui sottolineare, pertanto, che una esatta ricostruzione delle 
vicende del rapporto alla stregua dei principi sopra richiamati avrebbe 
verosimilmente portato i giudici di merito ad individuare altri atti antecedenti 
quali momento di riferimento ultimativo della tempestivit� di 
deduzione rispetto ad un fatto la cui rilevanza causale si era manifestata 
coevamente alla consegna dei lavori; mentre � certo che nell'assumere 
l'esecuzione di lavori aggiuntivi dopo il completamento di quelli precedentemente 
appaltati l'impresa era perfettamente in grado non solo di rilevare 
l'aggravio patito, ma anche di quantificarlo. 

La Corte d'appello di Trieste, ricollegando la tardivit� a quell'atto ha 
quindi peccato per eccesso, non certo per difetto, operando una esatta qualificazione 
in un contesto ormai indiscutibile; l'esegesi cui tale conclusione si 
informa appare quindi pienamente condividibile nel suo esito finale di riconoscimento 
dell'intempestivit� (sia pure non risultando argomentata del 
tutto persuasivamente alla stregua delle svolte considerazioni), sicch� malamente 
si invoca in proposito la violazione degli artt. 1370 e 1371 cod. civ. 
dimenticando che si tratta di criteri di lettura meramente sussidiari che 
possono venire in considerazione nella sola eventualit� che la portata della 
clausola non sia ricavabile de plano alla stregua di normali canoni esegetivi 
giurisprudenza costante). 

4. -Rispetto ai lavori del secondo gruppo, la matrice dell'onerosit�, 
ricollegata al loro protrarsi per una serie di sospensioni (illegittime), non 
si sottrae alla logica della rilevanza causale oggettivamente percepibile. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Esattamente la Corte ha rilevato che le riserve per essere tempestive avrebbero 
dovuto essere formulate alla ripresa dopo la sospensione, non comportando 
il fatto di sospensione, inquadrata nel novero dei fatti continuativi, 
esonero in assoluto dalla regola generale della riserva (poich� come si � 
messo in chiaro, i fatti continuativi non si sottraggono a quella regola, 
e la deroga in termini di tempestivit� rettamente intesa si riflette sul 
momento temporale del suo operare, slittato in avanti alla stregua appunto 
del principio della percepibilit� della rilevanza causale). 

Nemmeno l'appaltatore ricorrente pu� essere seguito nell'assunto che 
le pretese afferenti cos� al primo come al secondo gruppo sfuggano all'ambito 
di applicazione delle riserve perch� correlate alla colpa grave dell'amministrazione 
committente, consistente nell'avere costretto l'appaltatore a 
lavorare su edifici completi e non al rustico (quanto alle opere del primo 
gruppo) e nell'averlo assoggettato a reiterate sospensioni (quanto alle opere 
del secondo gruppo). 

Al riguardo si lamenta il difetto di motivazione relativamente ai lavori 
del primo gruppo, mentre per quelli del secondo gruppo la linea argomentativa 
della Corte non risulterebbe appagante. 

Osserva il Collegio che la motivazione in punto di diritto che non soddisfa 
il ricorrente recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale 
di questo S.C. il quale nel circoscrivere le limitatissime eccezioni al principio 
della generalit� della riserva ha avuto cura di precisare che il dolo e la 
colpa grave prendono rilievo a tal fine quando non incidano direttamente 
sulla esecuzione dell'opera e risultino quindi estranei alle finalit� della 
riserva (Cass., 677/73, 2841/75, 1337/76). 

In proposito si � precisato, in situazione identica a quella di specie, 
che qualora i fatti imputati a titolo di colpa grave alla p.a. siano costituiti 
da una illegittima sospensione dei lavori a lungo protratta, e si inseriscano 
in un momento preciso della cronologia dei lavori stessi, incidendo immediatamente 
sulla loro esecuzione, condizionandone tempo, modalit� e spese, 
bene � applicabile il principio di tempestivit�-intempestivit� delle riserve 
(Cass., 1337/76 cit.). 

Ora non pare seriamente contestabile che i fatti colposi addebitabili 
alla p.a. sono ascritti alla medesima proprio perch� hanno inciso direttamente 
sull'esecuzione dell'opera, presentando addirittura i connotati dell'inadempimento 
contrattuale. 

Per potere sottrarre i comportamenti delle FF.SS. all'area della tempestiva 
riserva, bisognerebbe quindi contestare l'esattezza dell'orientamento 
giurisprudenziale di questa S.C. che ha un valido supporto logico prima 
ancora che giuridico, dato che l'inerenza del fatto colposo al rapporto 
contrattuale con:e tale renderebbe facilmente eludibili le esigenze che hanno 
comportato l'adozione del sistema delle riserve. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

978 

E poich� un tentativo di critica non viene nemmeno abbozzato nel 
ricorso, il Collegio pu� limitarsi a ribadire il proprio orientamento. 
(omissis). 

II 

(omissis) Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 12 delle 
preleggi, nonch� degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369 e 1375 cod. civ., in 
relazione al Capitolato speciale d'appalto 17 dicembre 1962 e del Capitolato 
generale d'appalto per le opere pubbliche del Ministero LL.PP. approvato 
con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, e con riferimento all'art. 360 n. 3 
codice di rito, il ricorrente si duole che la Corte del merito abbia ritenuto 
la decadenza di esso appaltatore dalle riserve correlative a fatti continuativi, 
incidenti sullo svolgimento dell'intero contratto, la cui valutazione 
avrebbe dovuto, invece, essere fatta con riguardo al momento in cui era 
cessata la continuit�, per cui non sussisteva la ritenuta decadenza, essendo 
state tutte le riserve tempestivamente formulate. 

La censura � infondata per le ragioni appresso specificamente indicate. 
Devesi, anzitutto, rilevare che il ricorrente ha impostato la sua difesa, 
come del resto anche nei precedenti gradi del presente giudizio, sui princ�pi 
affermati da questa Corte nella sentenza 20 marzo 1972, n. 830, riguardante 
una fattispecie particolare, secondo cui, in materia di �ppalti di 
opere pubbliche, l'appaltatore deve formulare le sue riserve, per far valere 
le sue pretese, in relazione all'intero svolgimento della serie ove si tratti 
di fatti continuativi, onde l'obbligo dell'iscrizione della riserva sorge nei 
momenti in cui cessa la continuit�, poich�, prima di tale momento, la precisazione 
della riserva sarebbe impossibile. 

Tale decisione deve ritenersi superata in seguito alle successive puntualizzazioni 
apportate al riguardo dalla giurisprudenza di questa Corte, in 
base alle quali, nell'ambito del sistema delle norme regolatrici del contratto 
di appalto per la costruzione di opere pubbliche, l'istituto delle riserve 
si presenta come espressione di un principio generale che, in relazione 
all'ampiezza della sua portata e alla ratio che lo giustifica, non pu� sub�re 
deroghe se non in quei casi in cui l'osservanza, da parte dell'appaltatore, ' 
dell'onere della tempestiva riserva o non sarebbe giustificata o non sarebbe 
possibile, come nell'ipotesi di fatti c.d. continuativi, cio� di quelli prodotti 
da una causa costante o da una serie causale di non immediata rilevanza 
onerosa, per i quali, peraltro, la regola che impone all'appaltatore 
l'onere di formulare la riserva riprende vigore nel momento -da identicarsi, 
nelle singole fattispecie, secondo i criteri della media diligenza e della 
buona fede -in cui egli disponga di dati sufficienti per segnalare all'amministrazione 
committente le cause delle situazioni a lui pregiudizievoli, 
e il presumibile onere economico, salvo poi a precisare, l'esatto ammontare 

! 

I' 

.,.,,,,.,,,,���,,,,,,,,,,,,,.,,,,,_,__,,,lf. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBUCI 

del compenso o dell'indennit� richiesta nelle successive registrazioni o, nel 
caso in cui la puntuale determinazione del quantum non sia ancora possi� 
bile, in sede di chiusura del conto finale (cfr. da ultimo, sent. 4 gennaio 
1978, n. 21; 19 gennaio 1979, n. 394). 

Tali princ�pi sono stati puntualmente applicati dalla Corte del Merito, 
la cui decisione � agente da censura sotto il profilo delle denunziate viola� 
zioni di legge, come pure deve ritenersi incensurabile per quanto concerne 
il giudizio della stessa Corte espresso in ordine alla intempestivit� delle 
riserve in questione, in quanto il ricorrente non ha formulato alcuna 
doglianza al 'riguardo, ai sensi deU'art. 360 n. 5, �codice di rito. 

Devesi, pertanto, verificare, con riferimento alle singole riserve, la 
tempestivit� di ciascuna di esse, tenendo presente che tale tempestivit� 
non si esaurisce in un mero accertamento di fatto volto all'individuazione 
dell'esatto momento in cui l'appaltatore ne ha effettuato l'iscrizione nel 
vegistro di contabilit�, essendo necessario ulteriormente stabilire se il tem� 
po dell'iscrizione rientri nehl'ambito temporale stabilito dalla legge, il che 
implica il raffronto del fatto medesimo con elementi normativi e quindi 
un giudizio sul fatto alla stregua della disciplina legale. 

Prima riserva: l'impresa Prearo avanz� detta riserva per la prima 
volta, secondo la sentenza impugnata, nel registro di contabilit� il 22 novembre 
1963 nei seguenti termini: �poich� ai sensi dell'art. 10 del Capitolato 
speciale i lavori dovevano essere eseguiti in 180 giorni naturali consecutivi, 
chiede che venga corrisposta la somma di L. 65.000, per ogni giornata di 
sospensione, e, quindi, poich� .la sospensione � <lunata dal 13 aprile 1963 
al 30 settembre 1963 per giorni 170, l'importo richiesto � pari a L. 11.050.000 �. 

La Corte del merito ha ritenuto che si tratt� di sospensione continua 
per 66 giorni e che la possibilit� di farne rituale denuncia non era preclusa 
al Prearo, dovendo e potendo egli formulare la sua riserva ex art. 16, nel 
verbale di sospensione dei lavori o, quanto meno, nel verbale di ripresa dei 
lavori (datato 30 settembre 1963). 

Tale giudizio � basato sulla considerazione che si trattava di una 
sospensione dovuta ad una causa unica, costante e predeterminata (necessit� 
di irrigazione dei fondi dei proprietari consorziati, in base ad un diritto 
acquisito da oltre 70 anni -necessit� resa nota quanto meno con promemoria 
8 marzo 1963), per cui, secondo la Corte, l'appaltatore aveva fin da 
quest'ultima data l'immediata percezione della potenzialit� dannosa della 
sospensione. Devesi, pertanto, ritenere che legittimamente i giudici di 
appello in applicazione dei princ�pi sopra enunciati dichiararono l'impresa 
decaduta dalla riserva in parola, dopo aver respinto la tesi dell'impresa 
stessa, riproposta in questa sede, secondo cui, trattandosi di fatti continuativi 
e costanti, al precisazione della riserva era possibile solo al momento 
della cessazione della continuit�. 

Seconda riserva: fu avanzata nel registro di contabilit� in data 
22 novembre 1963 e ampliata in data 14 febbraio 1964 e concerne la richie



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

sta dell'impresa di riconoscimento di maggiori oneri per L. 5.850.000, dalla 
stessa sostenuti. 

Secondo la Corte veneziana, la corenza di manodopera locale, che non 
era sopravvenuta nel corso dei lavori, doveva, in base ai princ�pi di media 
diligenza e buona fede, essere evidente all'impresa fin dal primo giorno dei 
lavori. 

A detta del ricorrente si tratterebbe, invece, di un evento straordinario, 
verificatosi nell'inverno 1962, dovuto a forze maggiori per cui non valeva 
eccepire che l'impresa aveva preso conoscenza di tutte le circostanze generali 
e particolari che potevano avere influito sulla determinazione dei prezzi 
e delle condizioni contrattuali; inoltre si tratta di riserva che investiva 
il generale andamento dell'appalto e, in quanto tale, non era destinata 
ad essere iscritta nei registri contabili e poteva essere formulata anche in 
sede di sottoscrizione del conto finale. 

Tali deduzioni non possono essere condivise sotto il profilo giuridico; 
ed invero, a parte l'oscuro accenno ad una situazione di forza maggiore, 
devesi ritenere che non solo qualunque onere esecutivo si riflette sui prezzi 
unitari, attraverso i quali � compensata l'opera, ma per la natura generale 
dell'obbligo della riserva e per le finalit� che attraverso il sistema della 
riserva sono perseguite, ogni. maggiore spesa, che l'appaltatore subisca 
a causa dell'esecuzione del lavoro, dev'essere denunciata non appena si 
verifichi (cfr. sent. 12 marzo 1973, n. 677). 

Terza riserva: fu inserita nel registro di contabilit� il 7 aprile 1964 
e concerne la richiesta di aumento del prezzo unitario del calcestruzzo 
e pi� precisamente dei prezzi di cui agli artt. 17, 18, 19, 20 e 21 dell'elenco 
prezzi allegato al contratto, sul rilievo che con un m.c. di miscela di ghiaia 
e sabbia e relativi dosaggi di cemento, si sarebbe dovuto ottenere un m.c. 
di prodotto finito, mentre, dopo la prevista vibrazione, se ne otteneva 
invece un quinto in meno. 

Secondo la Corte del merito, nel registro di contabilit�, prima del


l'aprile 1964, erano state contabilizzate con i prezzi originari e sottoscritte 

dall'impresea le categorie di lavori di cui ai suindicati articoli e per quan


titativi notevolissimi e, in base al principio di media diligenza e buona fede, 

l'impresa avrebbe dovuto formulare le riserve al momento in cui furono 

contabilizzate; un pi� tempestivo esercizio delle regole d'arte avrebbe con


sentito Ja proposizione di una riserva pi� tempestiva. 

A detta dei ricorrente, andava applicato il principio secondo cui la 

quantificazione della riserva pu� essere fatfa pure nello stato finale se solo 

in tale occasione l'appaltatore disponga degli elementi di calcolo necessari. 

Tale principio � stato impropriamente richiamato dall'impresa, poich�, 

nella specie, non si tratt� di tardiva quantificazione (che presuppone una 

riserva tempestiva, ma incompleta), bens� di omessa riserva. 

J)'altra parte, i giudici del merito hanno giustamente osservato che 

la pretesa era infondata, essendo stato il prezzo del calcestruzzo pattuito 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 981 

a proctotto finito (tante lire a m.c.), e non per i quantitativi di materiale 
necessario a produrlo. 

Quarta riserva: iscritta nel registro di contabilit� il 7 apri.le 1964 e concernente 
la richiesta di un aumento del prezzo unitario per il calcestruzzo 
delle tubazioni prefabbricate. 

La Corte del merito ha ritenuto che tutte le partite previste e compensate 
in relazione alle voci n. 24 e 25 dell'elenco prezzi risultavano iscritte 
nel registro di contabilit� in tempo assai anteriore alla data della riserva, 
per cui era manifesta la decadenza ex art. 56 del regolamento n. 350 
del 1895. 

La tesi addotta dal ricorrente, secondo cui nessun pregiudizio avrebbe 
potuto derivare al committente dalla tardivit�, in quanto i lavori erano 
sempre controllabili, � priva di consistenza giuridica. Ed invero, la giurisprudenza 
di questa Corte ha ripetutamente affermato che il sistema della 
normativa vigente in tema di contabilit� dei lavori di esecuzione delle 
opere pubbliche prescrive un procedimento formale e vincolato (svolgentesi 
in una serie di registrazioni e certificazioni, alla cui formazione l'appaltatore 
� chiamato di volta in volta a partecipare con l'onere specifico di 
contestare immediatamente le circostanze che riguardano le sue prestazioni 
e che siano suscettibili di produrre un incremento delle spese previste) 
per un triplice scopo: a) consentire all'amministrazione appaltante 
la verificazione di quei fatti con l'immediatezza che ne rende pi� sicuro 
e meno dispendioso l'accertamento; b) assicurare la continua evidenza delle 
spese dell'opera, in relazione alla corretta utilizzazione ed eventuale integrazione 
dei mezzi finanziari all'uopo predisposti; e) mettere l'amministrazione 
tempestivamente in grado di adottare altre possibili determinazioni, 
fino alla potest� di risoluzione unilaterale del contratto (cfr. sent. 
12 marzo 1973, n. 677). 

Quinta riserva: fu iscritta il 7 aprile 1964 e riguarda la richiesta di 
compenso di L. 3.545.000, in ragione di L. 200 per m.c. di materiale scavato 
e portato in rilevato in pi� rispetto al previsto. 

Secondo la sentenza impugnata l'impresa avrebbe dovuto formulare 
la riserva all'atto o subito dopo il tracciamento e il rilevamento delle 
sezioni contabili della variante, mentre le precedenti sottoscrizioni del 
1963 e del 18 febbraio 1964 avvennero senza alcuna riserva e l'impresa 
attese per formularla il tempo in cui i lavori volgevano ormai alla fine. 
D'altra parte, escavazioni e rilevati non costituiscono un �fatto unico� 
bens� atti constatabili di volta in volta in rapporto ai vari stati di avanzamento 
e, quindi, possibile oggetto di rilievi nelle singole circostanze 
della presentazione delle relative sezioni di contabilit�. Infine, la tempestiva 
riserva adempie allo scopo sia della continua evidenza delle spese 
dell'opera pubblica, sia della corretta utilizzazione ed eventuale integrazione 
dei mezzi finanziari all'uopo stanziati. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

982 

Sostiene, invece, il ricorrente, che poich� quei determinati quantita� 

tivi di scavi e rilevati erano fatti storicamente e materialmente accerta


bili, quando le riserve si riferiscono a fatti che possono essere accertati 

in ogni tempo, le stesse non sono soggette a scadenza e possono essere 

proposte fino alla redazione del conto finale. 

Detta tesi non ha consistenza perch� � in contrasto con i princ�pi 

richiamati in sede di esame della quarta riserva. 

Sesta riserva: fu iscritta per la prima volta nel registro di contabilit� 
il 7 aprile 1964 ed ha per oggetto la richiesta di un maggior compenso 
di L. 5.000.000 per i maggiori oneri connessi ad una variante di tracciato 
di un tronco del canale. 

Secondo la sentenza impugnata essa avrebbe dovuto essere formulata 
ed esplicitata nei verbali di consegna dei relativi lavori ed anche precedentemente 
nel registro di contabilit�; ed invero, la situazione nuova con 
i relativi oneri si prospettava nella sua interezza e nella sua immediata 
rilevanza ad una persona di media diligenza, sicch� I'an debeatur era 
evidente, salva la determinazione del quantum al momento della migliore 
e dettagliata esplicazione all'atto della contabilit� parziale o, al limite, 
al momento della consegna dei lavori relativi alla variante. 

La tesi del ricorrente, che nella :specie si trattava di fatti aventi carattere 
continuativo accertabili solo alla fine dei lavori, per cui da tale fine 
decorreva il termine di cui agli artt. 53 e 54 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, 
non pu� essere condivisa perch� si pone in contrasto con i princ�pi, sopra 
richiaJTiati, vigenti in tema di fatti continuativi. 

La riserva n. 8 � stata espressamente abbandonata dall'impresa al 
pari della riserva n. 7. 

Con il secondo motivo, denunziando violazione degli artt. 360 n. 3 cod. 
proc. civ, e mancata applicazione degli artt. 1227, comma secondo; 1362, 
1367, 1369 e 1375 cod. civ., il ricorrente deduce che ha errato la Corte 
del merito nell'escludere il concorso di colpa del committente relativamente 
al rifacimento di un tratto di sponde del canale, crollato a seguito 
dell'immissione delle acque (riserva n. 9), non avendo considerato che 
il Consorzio non avrebbe dovuto immettere, nel canale ultimato, l'acqua 
per l'irrigazione, senza prima essersi accertato della concreta resistenza 
dell'opera alla spinta idraulica, tanto pi� che esso aveva gi� notato 
�inconvenienti� e suggerito �rinforzi basali e perfezionamenti�, 

La censura � infondata. 

La Corte del merito, al riguardo, ha accolto l'appello incidentale del 
Consorzio, osservando in primo luogo che incombeva all'appaltatore la 
responsabilit� per vizi e difetti dell'opera e aggiungeva che l'imperfetta 
costruzione non era stata causata da erronee istruzioni del Direttore dei 
lavori, ma dalla mancata osservanza, da parte dell'impresa, delle cautele 
e suggerimenti che la Direzione aveva dato (esecuzione di opere di rinterro 
e rincalzo alla base esterna della sponda). 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

In linea di diritto, la sentenza impugnata non merita censura poich� 
� fuor di dubbio che obbligo fondamentale dell'appaltatore � di eseguire 
l'opera a perfetta regola d'arte e tale obbligo, che � insito nella natura 
della sua prestazione, � esplicitamente confermato nell'art. 1662, comma 
secondo, cod. civ. e, per quanto riguarda gli appalti pubblici, � decisamente 
ribadito ed accentuato (cfr. gli artt. 13 e 91 del regolamento 
24 maggio 1895, n. 350 e l'art. 23 del Capitolato generale 16 luglio 1962, 

n. 1063). La .Corte del merito ha poi rilevato che non era configurabile 
il concorso di colpa del committente nell'imperfetta esecuzione dell'opera 
da parte dell'appaltatore; in quanto il crollo non s� era verificato per erroneit� 
di istruzioni o per carenza di preparazione e informazione tecnica 
dell'appaltante o del suo Direttore dei lavori, bens� per mancata osservanza 
da iparte dell'impresa di quei suggerimenti che, se attuati, avrebbero 
reso ben salda e resistente la sponda in questione, tanto pi� che 
il Consorzio era sicuro de!Jla avvenuta osservanza de1le istruzioni impartite 
all'appaltatore, al quale, comunque, incombeva l'onere di provare 
failtrui colpa per esonerarsi dailla garanzia e dalle connesse responsabilit�. 
Orbene, tale giudizio, attinente al merito della controversia, e involgente 
apprezzamenti di fatto, non � sindacabile in questa sede sotto il 
profilo dell'art. 360 n. 5, cod. proc. civ., non avendo il ricorrente dedotto 
alcuna censura al riguardo. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 maggio 1980, n. 3290 -Pres. Rossi Est. 
Caleca -P. M. Berri (conf.). -Ministeri dell'agricoltura e foreste 
e dei lavori pubblici (avv. Stato D'Amato) c. Leonardi (avv. G. Jannotta) 
e Consorzio di bonifica della piana di S. Eufemia (avv. Magnavita). 


Competenza e giurisdizione -Giurisdizione -Difetto -Rilevabillt� � Preclu� 
sione -Giudicato sulla giurisdizione -Formazione -Fattispecie. 
(cod. proc. civ., artt. 57 e 41). 

Competenza e gurisdizione -Difetto assoluto di giurisdizione � Nozione. 
(cod. proc. civ., artt. 28, 44 e 45). 

Competenza e giurisdizione -Competenza � Per materia -Sentenza che 
la nega -Giudicato sulla competenza del giudice � ad quem � -Possibilit� 
di formazione -Esclusione. 
(cod. proc. civ., artt. 28, 44 e 45). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Competenza e giurisdizione -Tribunali 
ordinari e tribunali delle acque -Danni da difettosa manutenzione di 
opera idraulica � Competenza dei tribunali delle acque. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, Jett. e). 
La deducibilit� e rilevabilit� di ufficio del difetto di giurisdizione 
in ogni stato e grado del processo trovano un limite soltanto nel giudi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

984 

cato sulla giurisdizione. Questo, oltre che per effetto della pronunzia delle 
sezioni unite che regola la giurisdizione, pu� formarsi per effetto .del 
passaggio in giudicato di una sentenza che abbia esplicitamente dichiarato 
la sussistenza della giurisdizione o che l'abbia implicitamente presupposta 
rendendo una statuizione sul merito. Dichiarata la giurisdizione del 
15iudice ordinario, ma l'incompetenza per materia del giudice adito, la 
riproposizione dell'eccezione di difetto di giurisdizione davanti al giudice 
della riassunzione impedisce la formazione del giudicato sulla giurisdizione 
(1). 

L'improponibilit� assoluta della domanda per difetto di potere giurisdizionale 
di qualsiasi giudice ricorre solo nel caso in cui la situazione 
dedotta in giudizio, quale risulta dalla stessa formulazione della domanda, 
non sia riconducibile ad alcuna disciplina normativa; non invece quando 
si tratti di risolvere questioni che attengono all'interpretazione di norme 
giuridiche o, comunque, all'applicabilit� delle norme o princ�pi di diritto 
posti a tutela della situazione soggettiva fatta valere (2). 

In tema di competenza per materia, il giudicato pu� formarsi solo se 
si tratti di pronuncia con la quale il giudice adito abbia affermato la propria 
competenza; se si tratta, invece, di pronunzia negativa, questa non 
preclude che nel giudizio che prosegua a seguito di riassunzione l'affermazione 
della competenza del secondo giudice possa costituire oggetto di 
eccezione o di motivo di impugnazione, com'� dimostrato dal potere del 
giudice dichiarato competente di richiedere d'ufficio il regolam�nto della 
competenza (3). 

Rientra nella competenza dei tribunali delle acque conoscere di una 
causa di risarcimento di danni, se questi si pretendono derivati da omissione 
di manutenzione e di vigilanza degli argini di un fiume e delle rela


(1) Sulla prima parte della massima, che ricalca una giurisprudenza consolidata, 
cfr., Cass., 14 febbraio 1980, n. 1054, in Giust. civ. mass., 1980, 450 (in tema 
di giudicato implicito); Cass., 15 febbraio 1979, n. 978, in Giust. civ., I, 1000 (in 
tema di decisione espressa sulla giurisdizione ed onere di ricorso incidentale 
dielilia ;parte vittoriosa neL merito, ma soccombente su11a questione pregiudiziale). 
Di Uill certo interesse appare la questione dsolta con l:a seconda parte 
della massima, ma i problemi cui d� luogo una sentenza che afferma la giurisdizione 
e nega la competenza meriterebbero maggiore approfondimento, dovendo 
considerarsi anche il modo in cui coordinare la difesa del soccombente 
sulla giurisdizione (non con l'improbabile appello su giurisdizione e competenza 
ad opera della parte vincitrice sulla prima questione e soccombente sulla 
seconda, ma) con il regolamento di competenza dell'altra parte. 

(2) Nello stesso senso, cfr. Cass., 22 febbraio 1978, n. 863, in questa Rassegna, 
1978, I, 542. 
Per recenti casi risolti con applicazione del principio del difetto assoluto di 
giurisdizione cfr. Cass., 3 gennaio 1978, n. 53, in Foro it., 1978, I, 612 con osserv. di 
P1zz0Russo, e Cass., 8 maggio .1978, n. 2207, in Foro it., 1978, I, '1090 con osserv. 
di C. M. BARONE. 

(3) Cass., 8 maggio 1978, n. 2233, in Giust. civ. Mass., 19718, 909. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 985 

tive golene, che ne abbiano comportato l'erosione ed il cedimento. La 
controversia viene infatti a riguardare accertamenti che involgono questioni 
attinenti al regime delle acque ed agli oneri gravanti sugli enti preposti 
alla esecuzione e manutenzione delle relative spese (4). 

(omissis) I ricorsi proposti separatamente contro la stessa sentenza 
debbono essere riuniti (art. 335 cod. proc. civ.). 

Con il primo motivo di ricorso i due Ministeri deducono l'improponibilit� 
assoluta della domanda e, quindi, il difetto assoluto di giurisdizione, 
ci�, in relazione agli artt. 2, 96 del t.u. 25 luglio 1904 n. 523, 91 del t.u. 
13 febbraio 1933 n. 215, 360 n. 1 cod. proc. civ. I ricorrenti, premesso che 
la domanda del Leonardi � stata prospettata e decisa, nei due gradi del 
giudizio di merito, come domanda di risarcimento per difetto di manutenzione 
e di vigilanza degli argini del fiume Amato, sostengono che nel 
caso specifico il petitum sostanziale, determinante ai fini della giurisdizione, 
avrebbe dovuto essere individuato diversamente. Tanto perch�: 

1) il Consorzio di Bonifica della Piana di S. Eufemia, succeduto alla 
Soc. Bonifiche Calabresi (concessionaria per i lavori di costruzione, nel 
lato interno del fiume Amato, di argini rivestiti di blocchetti di calcestruzzo), 
allorch� si present� la necessit� di sistemare tali argini aveva ricevuto, 
per l'opera, un finanziamento pi� modesto di quello occorrente; che 
quando i relativi lavori erano appena iniziati si era verificata l'esondazione 
lamentata dall'attore; � 

2) che, pertanto, in tale situazione non poteva parlarsi di risarcimento 
per colpa acquiliana, non avendo il privato alcun diritto alla costruzione 
o alla ricostruzione di un'opera di bonifica evidentemente diretta 
a soddisfare finalit� pubbliche, e non potendo pretendere che la pubblica 
amministrazione provvedesse ad arginare� un corso d'acqua per fargli conseguire 
un vantaggio individuale; 

3) che nessun risarcimento era quindi dovuto, al Leonardi, per il 
mancato o insufficiente beneficio derivato dalle opere di manutenzione 
non avendo le amministrazioni violato un loro dovere di mantenere in 
perpetuo efficienti gli argini del fiume Amato, ma essendosi le medesime 
solo avvalse del potere discrezionale di non intensificare i loro interventi 
nella zona in questione. 

Relativamente al suddetto motivo va, preliminarmente; esaminato 
quanto il Leonardo ha, al riguardo, eccepit�: cio� che, ogni censura in 

(4) Cass., 27 ottobre 1977, n. 4616, in Giust. civ. Mass., 1977, 1842; Trib. 
Sup. Acque, 10 ottobre 1977, n. 27 in questa Rassegna, 1977, 920, cui adde, Cass., 
10 giugno 1977, n. 2409, in Giust. civ. Mass., 1977, 997 e Cass., 9 aprile 1975, n. 1285, 
in Giust. civ. Mass., 1975, 579. 
8 

llllll&lllW&:-llllllflllllltll1lllllllllllallll�llllflll�IJ 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ordine all'asserito difetto assoluto di giurisdizione sarebbe preclusa dal 
giudicato che sulla specifica questione si sarebbe formato per non essere 
stata impugnata la pronuncia che sulla stessa questione, e tra le medesime 
parti, era stata precedentemente emessa dal Tribunale regionale delle 
acque pubbliche. 

L'eccezione va disattesa. 

Come � noto, il difetto di giurisdizione pu� essere rilevato, anche di 
ufficio, in qualunque stato e grado del processo, dato che la determinazione 
della giurisdizione � sottratta alla disponibilit� delle parti (art. 37 
cod. proc. civ.). Tale rilevabilit� di ufficio incontra un limite soltanto nel 
giudicato sulla giurisdizione che pu� formarsi per effetto; o della pronuncia 
adottata dalle Sezioni unite della Corte Suprema di cassazione, 
quale organo avente, tra le altre, la funzione precipua di regolare la giurisdizione 
(art. 41 cod. proc. civ.); o dal passaggio in giudicato di una statuizione 
di merito che presupponga il riconoscimento, anche se per implicito, 
della competenza giurisdizionale del giudice che l'ha pronunciata; ovvero, 
nel caso in cui una precedente sentenza abbia esplicitamente dichiarato 
la sussistenza della giurisdizione e tale pronuncia non sia stata impugnata. 

Ora, nel caso concreto, nessuna di tali ipotesi si � verificata stante 
che, se � vero che il Tribunale regionale delle acque, primariamente adito, 
ha esplicitamente affermato la sussistenza della giurisdizione e, al contempo, 
la competenza per materia del giudice ordinario non specializzato, 
tuttavia nell'ulteriore corso della controversia, precisamente quando 
la causa, entro il termine all'uopo fissato dal Tribunale regionale, venne 
riassunta innanzi al Tribunale di Catanzaro, i due Ministeri riproposero 
l'eccezione del difetto assoluto di giurisdizione, dimostrdando, in tal modo, 
il loro dissenso dalla precedente decisione: un dissenso sostanzialmente 
equivalente a quello che avrebbero espresso se 'anzich� adire, nel termine 
ai11'uopo fissato, il Tribunale di Catanzaro quale giudice di primo grado 
il Leonardi avesse adito, in grado di appello, il Tribunale superiore delle 
acque. 

Privo di consistenza � anche l'esposto motivo di ricorso. 

Infatti, l'improponibilit� assoluta della domanda per difetto di potere 

giurisdizionale di qualsiasi giudice ricorre solo nel caso in cui la situazio


ne dedotta in giudizio non sia riconducibile ad alcuna disciplina norma


tiva; s� che l'assenza di una norma o di un principio di diritto che tutelino 

la posizione soggettiva invocata risulti incontestabilmente dalla stessa 

formulazione dell'oggetto della domanda astrattamente considerato, e non, 

invece, quando si tratti di risolvere questioni che attengono all'interpre


tazione di norme giuridiche o, comunque, all'applicabilit� delle norme 

o dei princ�pi di diritto posti a tutela della posizione soggettiva anzidetta. 
Nel caso in esame il Leonardi, affermando che dalla omissione di manutenzione 
e di vigilanza degli argini del fiume Amato erano derivati danni 
alle colture di un fondo di sua propriet�, e nel domandare la condanna 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

del Consorzio di bonifica e dei due Ministeri al risarcimento dei danni, 
ha proprio chiesto l'applicazione di uno specid�co principio giuridico: del 
principio -cio� -che alla pubblica amministJI1azione incombe l'obbligo 
di osservare, nella costruzione e nella manutenzione delle opere pubbliche, 
a tutela dell'integrit� del patrimonio dei privati, le specifiche disposizioni 
di leggi e di regolamenti disciplinanti la particolare materia, nonch� 
le comuni norme di diligenza e di prudenza (cfr. Sez. Un., sentenze 

n. 2690 del 1976, n. 2903 del 1973, n. 291 del 1971). 
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando la violazione degli 
artt. 140 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, 45 e 360 n. 2 cod. proc. civ., si 
dolgono che per la cognizione della controversia sia stata ritenuta la 
competenza per materia del Tribunale ordinario non specializzato anzich� 
del Trbiunale regionale delle acque pubbliche in primo grado e 
del Tribunale superiore delle acque pubbliche in secondo grado. Rilevano, 
in proposito: che appartengono alla competenza dei tribunali ordinari 
specializzati la controversia per risarcimento di danni dipendenti 

� da qualunque opera di costruzione o di manutenzione che sia connessa 
al regime delle acque pubbliche, e ci� anche quando venga dedotta la 
colpa della pubblica amministrazione; che soltanto quando venga invocata 
la responsabilit� della detta Amministrazione per azioni od omissioni 
che abbiano con l'opera una connessione indiretta o occasionale si rientra 
nella competenza del giudice ordinario non specializzato; e, nel caso di 
specie, la domanda del Leonardi costituiva, appunto, oggetto specifico 
del potere decisorio del Tribunale delle Acque, dato che essa non involgeva 
un giudizio su una generica violazione dell'obbligo di manutenzione 
di un'opera pubblica, solo occasionalmente riferibile al regime 
delle acque, bens� un giudizio volto a stabilire se i provvedimenti, positivi 
o negativi, adottati dalla pubblica amministrazione, su opere aventi 
stretta relazione con il regime delle acque pubbliche avessero dato causa 
ad un danno risarcibile. 

Anche in relazione al suddetto motivo il Leonardi ha eccepito la 
preclusione a svolgere censure attienti alla declaratoria di competenza 
per materia, perch� sulla specifica questione si sarebbe fermato il giudicato, 
per la mancata impugnazione della pronuncia al riguardo precedentemente 
emessa dal Tribunale regionale delle acque, dichiaratosi 
incompetente. 

In contrario � sufficiente rilevare che in tema di competenza per 
materia, e per territorio nei casi di cui all'art. 28 cod. proc. civ., il 
giudicato si pu� formare solo se si tratti di pronuncia con la quale il 
giudice adito abbia affermato la propria competenza; mentre, se si 
tratta -come nella specie -di pronuncia negativa il giudicato non si 
forma potendo, infatti, il giudice dichiarato competente ritenersi, a sua 
volta, incompetente e richiedere, d'ufficio, il relativo regolamento a norma 
dell'art. 45 cod. proc. civ. 


988 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La censura di cui al motivo del ricorso va accolta. 

Occorre premettere che, in base a quanto stabilito dall'art. 140, 
primo comma, lett. a del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (che ha approvato 
il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e gli impianti 
elettrici), appartengono, in primo grado, alla cognizione idei Tribunali 
delle acque plilbbliche le controversie per risarcimenti di danni dipendenti 
da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione e da 
qualunque provvedimento emesso dall'atorit� amministrativa ai sensi 
dell'art. 2 del testo unico delle leggi 25 luglio 1904, n. 503, modificato 
con l'art. 22 della legge 13 luglio 1911, n. 7748. 

Ne deriva che -com'� stato pi� volte affermato da questa Corte 
Suprema, sia a sezioni unite (cfr. sentenza n. 1285 del 1975 e 1313 del 
1967) che a sezioni semplici (sentenze n. 2409 del 1977, n. 3424 e 1086 
del 1968) -ai fini della discriminazione della competenza dell'autorit� 
giudiziaria in sede ordinaria e quella dei Tribunali regionali delle acque 
pubbliche, che sono anch'essi giudici ordinari bench� specializzati a 
cagione della loro particolare composizione, occorre avere sempre riguardo 
all'oggetto della controversia; nel senso che, rientra nella competenza 
di questi ultimi organi di giustizia la cognizione di tutte le controversie 
che incidono, direttamente o indirettamente, sugli interessi 
pubblici connessi al regime delle acque e sulla legittimit� del comportamento 
tenuto al riguardo dalla pubblica amministrazione, ovvero sul 
contenuto o sui limiti di provvedimenti amministrativi concernenti tale 
regime. Inoltre, la detta competenza sussista in tutti i casi nei quali la 
controversia abbia per oggetto il pagamento di indennit� o il risarcimento 
di danni dipendenti direttamente dall'esecuzione o dalla manutenzione 
di opere idrauliche, ovvero di bonifica, derivazioni, utilizzazione 
di acque pubbliche. Quando, invece, quale causa del danno sia 
fatta valere solo una omissione di diligenza o sia dedotto un fatto ille� 
cito di colui che ha eseguito l'opera o sul quale gravava l'onere della 
relativa manutenzione, senza che venga messa in discussione alcuna 
questione inerente, direttamente o indirettamente, al regime delle acque, 
allora la cognizione della controversia spetta al giudice ordinario non 
specializzato. 

Pertanto, esulando dalla giurisdizione dei tribunali regionali delle 

acque pubbliche soltanto i fatti colposi in cui non vengano in discus


sione provvedimenti ed opere inerenti al regime delle acque, � indubbio 

che la cognizione della presente causa spetta al giudice ordinario spe


cializzato. 

Decisiva �, al riguardo, la considerazione che nel caso specifico deve 

pur accertarsi la esistenza del rapporto causale con la denunciata 

omissione di manutenzione e di vigilanza sia degli argini del fiume 

Amato sia delle relative golene (cio� degli spazi compresi fra i detti 

argini e l'alveo del fiume); e, all'uopo, deve pur stabilirsi se l'avere ivi 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 989 

consentito l'accesso di bestiame e il prodursi di una folta vegetazione di 
arbusti estendendosi fino all'alveo del fiume, abbia, in realt�, deviato il 
normale corso delle acque, tanto da farle defluire, nei periodi di piena 
fino agli argini, con conseguente erosione e cedimento degli argini stessi. 

� evidente invero che tali accertamenti involgono proprio questioni 
attinenti al regime delle acque e agli oneri gravanti sugli enti proposti 
all'esecuzione e alla manutenzione delle relative opere. 

In accoglimento, quindi, del secondo motivo del ricorso la sentenza 
impugnata deve essere cassata, con il rinvio della causa al Tribunale 
regionale delle acque pubbliche di Napoli. 

Questa decisione determina l'assorbimento del terzo e del quarto 
motivo, perch� rispettivamente attinenti alla legittimazione passiva dei 
singoli convenuti, e alla esistenza del rapporto causale tra i fatti dedotti 
e i danni lamentati: a questioni, cio�, riguardanti il merito della causa, il 
cui esame spetta al giudice competente. Rimane anche assorbito il 
ricorso incidentale, per averlo il Leonardi proposto in via condizionata. 

Si ravvisano giusti motivi per la compensazione, tra tutte le parti, 
delle spese di questo giudizio di cassazione, mentre si reputa opportuno 
demandare al giudice di rinvio la statuizione sulle spese dei due gradi 
del giudizio svoltosi, irspettivamente, innanzi al Tribunale e alla Corte 
d'appello di Catanzaro. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 giugno 1980, n. 3978 -Pres. La 
Farina -Est. Borruso -P. M. Grossi (conf.) -Ministero dei lavori 
pubblici (avv. Stato Del Greco) c. Fallimento della societ� italiana 
Appalti S.I.A. (avv. Piaggio). 

Appalto � Appalto di '?Rere pubbliche -Arbitrato � Declinatoria di competenza 
da parte dell amministrazione convenuta � Prosecuzione del giudizio
� Termine di decadenza � Insussistenza. 

(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47, commi primo e secondo). 
L'art. 41 del capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche, 
approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, non impone di osservare alcun 
termine di decadenza per proseguire il giudizio davanti al giudice competente 
dopo che, notificata tempestivamente dall'appaltatore l'istanza 
per l'arbitrato, la competenza arbitrale sia stata esclusa dall'amministrazione 
convenuta (1). 

(1) Con la sentenza in rassegna la Corte conferma il mutamento intervenuto, 
rispetto al precedente indirizzo giurisprudenziale, con la decisione .13 giugno 1979, 
n 3331, in Giust. civ., 1979, I, 1603, con nota contraria di FINOCCHIARO M., Esclusione 
della competenza arbitrale nelle controversie di appalti per opere pubbliche 
e proposizione dell'azione giudiziaria e in Giur. it., 1980, I, 1, 899 con nota 
adesiva di LAVAGGI, Declinatoria di arbitrato e giudizio ordinario in tema di opere 
pubbliche. 
Per il meno recente indirizzo, cfr. Cass., 26 aprile 1977, n. 1569, in Foro it., 
1977, I, 2082. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

990 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione dei Lavori 
Pubblici deduce da parte della Corte d'appello di Napoli la violazione 
dell'art. ~7 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, in quanto: 

a) non avrebbe considerato che il richiamo contenuto nel secondo 
comma di tale articolo al primo comma dell'articolo medesimo, lungi dall'avere 
un carattere pleonastico, ha la finalit� di prevedere, anche per la 
domanda giudiziale conseguente alla declaratoria della competenza arbitrale 
ad opera della controparte, un termine di proposizione; 

b) avrebbe comunque errato nel ritenere che, se il legislatore 
avesse voluto porre un termine al riguardo, avrebbe dovuto fare riferimento 
alle disposizioni del cod. proc. civ. concernenti la riassunzione e 
la prosecuzione del processo. Nella specie, infatti, a seguito della declaratoria 
si ha uno spostamento di competenza dal giudice arbitrale a 
quello ordinario: pertanto, se un richiamo analogico la Corte d'Appello 
voleva proprio fare, doveva piuttosto riferirsi all'art. 50 cod. proc. civ.; 

e) se per la diretta instaurazione del rapporto contenzioso in via 
ordinaria, il capitolato generale fissa il termine di decadenza di sessanta 
giorni, non esisterebbe motivo perch� lo stesso termine non fosse osservato 
quando la lite ordinaria costituisse prosecuzione di quella arbitrale. 
Solo quando le parti menifestano la preferenza per la lite arbitrale la 
legge ammetterebbe invero che nel quadro di una privata regolamentazione 
dei rapporti, sia rimesso alle parti dopo la tempestiva proposizione 
della istanza di arbitrato la valutazione circa il tempo in cui attivare 
la lite; 

d) n� sarebbe di ostacolo alla tesi della ricorrente il fatto che la 
legge non preciserebbe espressamente il dies a quo per la decorrenza dei 
60 giorni entro i quali proseguire la lite dopo la declaratoria della competenza 
arbitrale da parte dell'Amministrazione. E ci� perch� il termine di 
decadenza, normalmente, decorre non da una data determinata, bens� 
da un determinato avvenimento cio� da una situazione che con il suo 
verificarsi segua l'inizio del periodo temporale previsto. 

Tutte e quattro le sovraesposte censure in cui si articola l'unico 
motivo di ricorso proposto sono infondate per le ragioni analiticamente 
esposte nella sentenza di questa Corte n. 3331 del 1979, con cui la medesima 
ha gi� mutato orientamento al riguardo (vedi, in senso contrario 
Cass., sent. n. 1569 del 1977 e 376 del 1972), ragioni che ora non possono 
che essere confermate non rinvenendosi in alcuna delle suddette quattro 
censure argomenti sufficienti a scalfirne la validit�. Si osserva, infatti: 

Sub a). 

Se fosse vero -come il ricorrente sostiene -che lo scopo (anzi lo 
scopo unico) del legislatore nel richiamare il primo comma dell'art. 47 
nell'ultima parte del secondo comma del medesimo articolo, sia consistito 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

nell'imporre al contraente un termine per far valere le proprie ragioni 
avanti all'A.G.O. dopo aver inutilmente proposto alla controparte un arbi� 
trato ~e pi� in particolare ilo stesso termine previsto nel citato primo 
comma) sarebbe ragionevole dedurre che in tal caso il legislatore stesso 
meglio avrebbe fatto a chiarire la propria intenzione formulando il 
richiamo suddetto non con .l'ambigua espressione �deve proporre domanda 
al giudice competente a norma del comma precedente � bens� con l'altra 
ben pi� rispondente all'obiettivo che si afferma voler essere stato perseguito 
� deve proporre domanda entro il termine di cui al comma precedente 
�. II primo comma dell'art. 47 non si limita, infatti, a stabilire solo 
un termine di decadenza ma anche a specificare il giudice ordinario 
competente a conoscere della controversia quando lo si voglia adire direttamente 
escludendo la competenza arbitrale. Non pu� pertanto affatto 
escludersi che il richiamo sia stato fatto soltanto al giudice competente 
e non anche al rispetto del termine, tanto pi� mancando la virgola tra le 
parole � giudice competente � e � a norma del comma precedente �, da 
un punto di vista meramente letterale si dovrebbe propendere a ritenere 
che il rinvio al comma precedente abbia come unico oggetto i criteri per 
la determinazione della competenza del giudice ordinario. N�, in contrario, 
giova osservare che tali criteri avrebbero potuto essere determinati 
anche senza che una legge speciale li prevedesse specificamente consistendo 
essi nel pure ,e semplice rich1amo al codioe di procedura civile e 
alla legge sulla difesa dello Stato in giudizio. � facile invero controbiettare 
che se nel primo comma il legislatore non ha ritenuto superfluo enunciare 

tali criteri (per normali che fossero), egualmente pu� presumersi che 
nel secondo comma non abbia ritenuto superfluo richiamarli. 

Sub b). 

Non � decisivo rispetto alla presente controversia e non � quindi il 
caso qui di approfondire il rapporto tra l'istanza di arbitrato, declinata 
dalla controparte e la successiva proposizione del giudizio avanti all'A.G.O.; 
se cio� costituiscano due giudizi separati o un unico giudizio con possibilit� 
di applicare l'art. SO cod. proc. civ. in base al quale, ove fosse stata 
dichiarata dal giudice arbitrale la propria incompetenza il processo 
dovrebbe continuare davanti al giudice ordinario entro il termine fissato 
nella sentenza e, in mancanza, in quello di sei mesi dalla comunicazione 
della medesima. L'applicabilit� nella specie dell'art. SO cod. proc. civ., 
infatti, � comunque da escludersi non essendovi stata mai da parte degli 
arbitri (del resto neppure investiti della controversia) alcuna decisione. 

Sub. e). 

In linea logico sistematica non � da escludersi affatto che i termini 
di decadenza imposti nel primo comma rispettivamente degli artt. 46 e 47 
denotino l'intenzione legislativa di accelerare pi� che il corso del 'processo, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'esatta precisazione e delle contestazioni in ordine alle quali si vuole 
proporre il giudizio, in modo che la p.a. appaltante abbia un quadro 
esatto e definitivo di tutte le vertenze pendenti con l'appaltatore dopo 
l'approvazione del collaudo e possa prendere in conseguenza le pi� oppor� 
tune determinazioni. 

Questo �, infatti, il primo utilissimo effetto che nel pubblico interesse 
si ottiene imponendo, in alternativa, subordinatamente al rispetto di un 
medesimo termine di decadenza, o la sollecita citazione avanti al giudice 
ordinario e la sollecita istanza per l'arbitrato. Dispone, infatti, l'art. 48 
del medesimo capitolato che quest'ultimo deve contenere �con precisione 
tutte le domande e le questioni su cui si chiede il giudizio degli arbitri �. 
Se lo scopo del legislatore fosse stato, invece, anche quello di accelerare 
tutto il corso del giudizio sino all'esito finale, certamente si sarebbero 
dovute a tal fine, dare ben altre disposizioni, oltre a quelle contenute 
negli artt. 46 e 47 del capitolato. 

Non � affatto vero, pertanto, che essendo stato posto un termine di 
decadenza per la proposizione immediata del giudizio avanti all'A.G.O., 
per la stessa ragione debba necessariamente intendersi sottinteso un 
termine identico per il giudizio che avanti all'A.G.O. si voglia proporre 
dopo la tempestiva presentazione dell'istanza di arbitrato che, quantunque 
declinata dalla p.a. l'ha posta in condizione di conoscere le esatte 
pretese dell'appaltatore; 

Sub d). 
Premesso che -come � ovvio -un termine decorre da una data 
perch� quest'ultima � quella in cui si verifica un determinato avvenimento 
sicch� distinguere tra l'una e l'altro non appare di alcuna utilit� 
occorre ricordare che -come gi� diffusamente spiegato nella gi� citata 
sentenza di questa Corte n. 3331 del 1979 -nella specie la determinazione 
della data (o l'avvenimento in essa accaduto) da cui far decorrere il 
termine di decadenza che si vorrebbe imposto nel secondo comma 
dell'art. 47 manca completamente del dettato legisliativo e non � consentito 
all'interprete dedurne una n� per via analogica n� per via estensiva. 
Certamente, infatti, tale data non pu� farsi coincidere con quella stabilita 
dal primo comma dell'art. 46 cui fa rinvio il primo comma dell'art. 
47, a sua volta richiamato dal secondo comma del medesimo art. 47. 
Essa, infatti, si riferisce alla notifica del provvedimento con cui la stazione 
appaltante ha risolto la controversia in sede amministrativa ma 
soltanto per far decorrere il termine di 60 giorni utile per la proposizione 
dell'istanza di arbitrato cio� di un atto che ovviamente precede sia 
il rigetto di tale istanza sia la successiva proposizione ~ell'azione avanti 
all'A.G.O. da parte di chi abbia gi� tempestivamente proposto l'istanza 
di arbitrato. A questo punto � sufficiente ipotizzare che costui abbia 
presentato legittimamente tale istanza nel 60� giorno dalla notifica del 


PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

provvedimento con cui la stazione appaltante respinse le sue pretese per 
dimostrare l'assoluta impossibilit� logica-giuridica di utilizzare tale dies 
a quo anche per il compimento di atti necessariamente successivi al totale 
decorso del termine di decadenza. 

Se cos� �, non rimane allora che concludere che, qualora tale istanza 
sia stata tempestivamente proposta e rifiutata entro trenta giorni, il nuovo 
termine di decadenza a carico dell'attore per adire il giudice ordinario 
-anche ammettendo che il legislatore abbia implicitamente inteso stabilirne 
un secondo dopo quello previsto per l'istanza di arbitrato -non 
pu� pi� decorrere dalla notifica del provvedimento di reiezione delle 
riserve, ma da una data completamente diversa da quest'ultima, che � 
l'unica prevista dalla legge agli effetti della decadenza. E tale data non 
potrebbe essere individuata, nel silenzio della legge, altro che mediante un 
procedimento puramente analogico per effetto del quale si perverrebbe 
a fama coinddere con que1la in cui � stata notificata aH'attore J:a determinazione 
della controparte di declinare la competenza arbitrale, cio� da 
una data che la legge in alcun passo prende, mai in considerazione agli 
effetti della disciplina della decadenza. 

Per essere pi� chiari, l'individuazione della nuova data sarebbe non 
gi� il frutto di una interpretazione particolare del testo di legge risultante 
dal collegamento dei richiami di un articolo all'altro (cio� del 
duplice rinvio, pima del secondo comma dell'art. 47 al primo comma dell'articolo 
medesimo e, quindi, di quest'ultimo al primo comma dell'art. 46, 
per effetto del quale il predetto secondo comma dovrebbe essere letto 
dall'interprete nel modo seguente: �La parte convenuta nel giudizio arbitrale 
ai sensi dell'articolo precedente, ha facolt�, a sua volta, di esoludere 
la competenza arbitrale. A questo fine, entro trenta giorni dalla notifica 
di arbitrato, deve notificare la sua determinazione all'altra parte, la quale, 
ove intenda proseguire il giudizio, deve proporre domanda al giudice 
competente nel termine di 60 giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento 
dell'Amministrazione che ha risolto la controversia in sede 
amministrativa �) ma, -constatato che il testo cos� ricostruito sarebbe 
inaccettabile per quanto concerne l'individuazione del dies a quo del termine 
di decadenza -sarebbe il frutto di una vera e propria modifica 
apportata dall'interprete al predetto testo (che, nella parte finale, dovrebbe 
intendersi sostituito dalla seguente espressione di sua esclusiva creazione: 
�nel termine di 60 giorni dalla notifica dell'atto con cui la controparte 
abbia declinato la competenza arbitrale�) sul presupposto che, se il legislatore 
avesse prevista l'impossibilit� di far decorrere, anche in questo 
caso, il termine di decadenza dal giorno di notifica del provvedimento 
di reiezione delle riserve, certamente, in base all'eadem ratio, l'avrebbe 
fatto decorrere dal giorno della notifica dell'atto di rifiuto dell'istanza di 
arbitrato. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Orbene, una siffatta vera e propria modifica del testo della norma 
cui il secondo comma dell'art. 47 fa rinvio non pare assolutamente 
consentita all'interprete, ostandovi l'art. 14 delle preleggi ove � sancito che: 
� le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre 
leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esso considerati �. Il carattere 
eccezionale dell'istituto della decadenza non sembra poter essere posto 
in dubbio: norma generale, infatti, � che �ogni diritto si estingua per 
prescrizione quando il titolare non lo eserciti per il tempo determinato 
dalla legge� (come espressamente recita l'art. 2934 cod. civ.�}, mentre 
la decadenza opera soltanto quando sia specificamente comminata per 
un determinato diritto (art. 2964 cod. civ.). A prescindere dalle sottili 
disposizioni fatte in dottrina per cogliere tutti gli elementi differenziali 
tra la prescrizione e la decadenza, qui baster� rilevare che il carattere 
eccezionale del secondo istituto in contrapposizione con quello normale 
del primo si ricava non soltanto dalla ben diversa formulazione dei due 
articoli del codice civile om richiamati, ma, soprattutto, dalla considerazione 
� di contenuto � che mentre il termine della prescrizione � di 
norma cosi ampio, -sia pure con differenze notevoli dovute alla particolarit� 
di taluni rapporti, -da far ritenere che fa sua delimitazione 
altro scopo non abbia al di fuori di quello di stabilire quale sia il 
periodo di tempo sufficiente a far presumere con certezza la rinuncia 
ailJ'esercizio del diritto medesimo, il termine di decadenza, ail contrario, 
� cos� breve da trovare la sua giust~ficazione in speciali esigenze di 
rapidit� per la definizione di determinate situazioni giuridiche che, per 
ragioni di carattere generale preminenti rispetto alla tutela di taluni 
diritti e interessi soggettivi, devono talvolta prevalere su questi ultimi, 
costringendo, quindi, i loro titolari ad agire in un arco di tempo straordinariamente 
breve comminando, come sanzione per il mancato rispetto 
del termine imposto, la perdita del diritto medesimo. 

Non v'� dubbio, quindi, che il divieto di applicazione analogica di 
cui all'art. 14 delle preleggi si applica ad ogni comminatoria di decadenza 
per inutile decorso di un termine previsto per il compimento di 
un atto, se non pure per il carattere �lato senso� penale che ad una 
siffatta sanzione potrebbe anche tentare di attribuirsi (pur senza confonderla, 
beninteso, con la decadenza comminata a titolo di pena per 
ragioni del tutto diverse dalla osservanza di un termine}, certamente 
perch� essa costituisce eccezione al principio generale secondo cui la 
libert� di esercitare un diritto si estende a tutto l'arco di tempo previsto 
come termine di prescrizione. 

:E:. ben vero che, se l'art. 14 delle preleggi vieta, per le leggi penali 
ed eccezionali, il ricorso all'analogia, � invece pur sempre consentito 
quello all'interpretazione estensiva della norma perch�, in quest'ultimo 
caso, non si tratta di applioa11e, in virt� deill'eadem ratio, Io stesso principio, 
posto dal legislatore a base della disciplina di una certa situazione, 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

ad altra situazione dal medesimo non prevista, bens� soltanto di ritenere 
che l'intenzione legislativa non abbia trovato compiuta espressione nel 
dettato legislativo per un puro errore tecnico di formulazione, quando 
cio� -come suol dirsi -il legislatore minus dixit quam voluit (cfr. in tal 
senso da ultimo Cass., sent. n. 2004 del 1976). 

Ma per fare corretto ricorso all'interpretazione estensiva senza intaccare 
la seriet� del divieto posto dall'art. 14 delle preleggi in ordine 
all'uso dell'analogia, occorre che da tutto l'insieme del sistema normativo 
l'intenzione legislativa, anche se rimasta latente, emerga egualmente 
con il carattere dell'assoluta evidenza e certezza. E ci� pu� accadere soltanto 
quando tutto ci� che sia rimasto sottinteso nel testo legislativo 
abbia il carattere dell'autentica necessit� riconoscibile ictu oculi, nel senso 
che, soltanto ritenendo l'espressione sottintesa voluta e operante, si permette 
a tutto il sistema normativo esplicitato di raggiungere l'obiettivo 
per cui il sistema stesso � stato creato e tale condizionamento risulta 
a tal punto evidente dalla logica di tutto il sistema che ad ogni persona 
di buona fede sia sufficiente anche soltanto un minimo del pi� elementare 
buon senso per rendersene conto. 

Ma la modifica del dies a quo qui prospettata, che l'interprete dovrebbe 
apportare di sua iniziativa nella lettura del testo del primo comma dell'art. 
46 per renderlo applicabile al secondo comma dell'art. 47, non 
presenta affatto quel grado di necessit� cos� elevato ed evidente che pu� 
rendere talvolta possibile, attraverso l'interpretazione estensiva, l'esplicitazione 
di sottintesi anche in relazione alle norme penali ed eccezionali 
per le quali l'art. 14 delle preleggi vieta il ricorso all'analogia come si 
ricava dalla confutazione del punto sub e). 

E, a questo proposito, � da mettere nel massimo rilievo che altro 
� ritenere che, qualora la predetta modifica fosse stata operata dal legislatore, 
la previsione di un ulterfore termine di decadenza a carico dell'attore 
non sarebbe parsa affatto in disarmonia con i termini di decadenza 
gi� posti nei primi commi rispettivamente dell'art. 46 e dell'art. 47 
rispondendo, come i primi, allo scopo di velocizzare l'iter processuale, 
altro �, invece, ritenere che, senza quest'ultimo termine di decadenza di 
cui si discute, anche i primi due non avrebbero potuto conseguire lo 
scopo loro proprio, rendendo cos� inoperante tutto il sistema con essi 
creato. In altre parole, rilevare che. il legislatore, introducendo la modifica 
sovraprospettata, avrebbe conseguito ancor pi� compiutamente lo 
scopo di accelerazione del processo che indubbiamente mostra di perseguire 
-sia pure in misura ridotta rispetto a quella che da taluno 
sarebbe stata auspicabile -comminando i termini di decadenza previsti 
nel primo comma, rispettivamente, dell'art. 46 e dell'art. 47, � cosa ben 
diversa dal concludere che senza un ulteriore termine di decadenza posto 
a carico di chi, dopo, aver rispettato quello di cui all'art. 46, si veda 
costretto ad adire il giudice ordinario a norma del secondo comma 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

996 

dell'art. 47, anche i primi non conseguirebbero alcun pratico effetto, 
tanto da essere inconcepibile che siano stati voluti i primi due e non 
anche il terzo. 

A negare un siffatto fatale concatenamento baster� considerare che: 

1) come si � gi� detto a confutazione del punto sub e), in linea 
logico sistematica non � da escludersi affatto che i termini di decadenza 
imposti nel primo comma rispettivamente degli artt. 46 e 47 denotino 
l'intenzione legislativa di accelerare pi� che il corso del processo, J'esatta 
precisazione delle contestazioni in ordine alle quali si vuole proporre il 
giudizio, in modo che la pubblica Amministrazione appellante abbia un 
quadro esatto e definitivo di tutte le vertenze pendenti con l'appaltatore 
dopo l'approvazione del collaudo e possa prendere in conseguenza le pi� 
opportune determinazioni. Questo �, infatti, il primo utilissimo effetto che 
nel pubblico interesse si ottiene, imponendo, in alternativa, subordinatamente 
al rispetto di un medesimo termine di decadenza, o la sollecita 
citazione davanti al giudice ordinario o la sollecita istanza per l'arbitrato. 

Se lo scopo del legislatore fosse stato, invece, anche quello di accelerare 
tutto il corso del giudizio sino all'esito finale, certamente si sarebbero 
dovute, a tal fine, dare ben altre disposizioni oltre a quelle contenute 
negli artt. 46 e 47 del capitolato; 

2) la pi� importante utilit� che alla pubblica amministrazione offre 
il rispetto dei termini di decadenza imposti nelle suddette norme non pu�, 
invece, essere conseguita nell'ipotesi considerata dal secondo comma 
dell'art. 47: come in dottrina non si � mancato di rilevare, in tale ipotesi 
l'amministrazione appaltante ha gi� conosciuto le pretese che l'appaltatore 
intende tutelare in giudizio: vi � gi� una controversia in atto definita 
in tutti i suoi particolari, vi � quindi -al limite -il potere della 
stessa amministrazione di agire in giudizio per l'accertamento negativo del 
proprio debito; 

3) se ad avanzare l'istanza di arbitrato � l'appaltatore ed � la pubblica 
aa:nministl'.azione e resping,e1fa, � quest'ultima che si addossa, siia 
pure con un comportamento perfettamente legittimo, la responsabilit� di 
un primo ritardo nello svolgimento del processo: lascia perplessi il ritenere 
che proprio da un siffatto comportamento ritardatario della pubblica 
amministrazione il legislatore voglia far nascere per il privato l'onere 
di un nuovo termine di decadenza, con evidente -e forse non del tutto 
giustificata -disparit� di trattamento. 

In base a tali elementi -sufficienti, peraltro, a porre seriamente 
in dubbio persino la legittimit� di poter colmare la lacuna legislativa 
relativa al dies a quo in questione facendo ricorso all'analogia qualora 
non vi ostasse innanzitutto il divieto posto dall'art. 14 delle preleggi si 
pu� anche tranquillamente escludere che nella specie vi sia quell'asso




PARTE. I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 997 

Iuta ed evidente necessit� funzionale del sottinteso, che rende legittima 
la sua esplicitazione nell'applicazione della legge attraverso la sua c.d. 
interpretazione estensiva. 

Tale convincimento potrebbe trovare ulteriore conferma nella constatazione 
che -come si � gi� accennato -il legislatore, in tutto il 
capo VI del capitolato dedicato alla definizione delle controversie, si � 
premurato di imporre speciali termini di decadenza soltanto per l'iniziale 
proposizione dei giudizi ma non anche per la loro prosecuzione, 
mostrando di ritenere, peraltro, che il giudizio arbitrale inizi con la 
notifica alla controparte dell'istanza di arbitrato anche in caso di rifiuto 
di quest'ultimo. Nel secondo comma dell'art. 47, proprio in relazione 
a tale evenienza il legislatore infatti, cos� si esprime: �La parte convenuta 
nel giudizio arbitrale ai sensi dell'articolo precedente ha facolt�... 
di escludere la competenza arbitrale. A questo fine... ove intenda proseguire 
il giudizio, deve proporre domanda al giudice competente... �. 

Non � qui il caso di approfondire se -come � stato talvolta affermato 
(cfr. Cass., sent. n. 1569 del 1977) -le locuzioni sopra riportate 
siano state usate dal legislatore in senso atecnico o se, invece, si tratti 
di un unico giudizio, con conseguente applicabilit� dell'art. 50 cod. proc. 

civ. in base al quale, ove fosse stata dichiarata dal giudice arbitrale la 
propria incompetenza, il processo dovrebbe continuare davanti al giudice 
ordinario entro il termine fissato nella sentenza e, in mancanza, in quello 
di sei mesi dalla comunicazione della medesima. Nella fattispecie, invero, 
a prescindere dal fatto che il giudice ordinario � stato adito dall'appaltatore 
ben prima della scadenza dei sei mesi dalla declinatoria della competenza 
arbitrale, non vi � stata mai da parte degli arbitri (del resto 
neppure investiti della controversia) alcuna decisione, sicch� � esclusa 
la possibilit� di applicare il predetto art. 50. 
Neppure pu� avere alcuna pratica importanza accertare qui se il 
giudizio arbitrale possa considerarsi o meno iniziato con la notifica alla 
controparte dell'istanza per l'arbitrato di cui all'art. 46 del citato capitolato 
perch� anche ad ammettere la tesi positiva e a ritenere che nessuna 
soluzione di continuit� processuale si verifichi allorquando -declinata 
dalla controparte la competenza arbitrale -l'attore adisca il giudice 
ordinario trattandosi di due fasi di un medesimo processo -tale conclusione 
non sarebbe di per se stessa sufficiente ad escludere che il legislatore, 
con il rinvio contenuto nel secondo comma del citato art. 47, non 
abbia voluto imporre un particolare termine di decadenza anche all'interno 
di un medesimo processo gi� iniziato, per il pi� sollecito trapasso da una 
sua fase all'altra. 

Quale che sia la qualificazione del rapporto intercorrente tra istanza 
per l'arbitrato e successiva proposizione di un giudizio arbitrale, l'impossibilit� 
di ritenere, in relazione a quest'ultima, operante un termine 
di� decadenza di giorni sessanta decorrente dalla notifica all'attore del




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

998 

l'atto con cui la controparte ha declinato la competenza arbitrale trova, 

dunque, la sua pi� sicura ed inoppugnabile ragione nel rispetto dell'art. 14 

delle preleggi, che vieta l'applicazione analogica delle norme eccezionali, 

e in uria rigorosa distinzione dei limiti che intercorrono tra siffatta vie


tata applicazione e una possibile interpretazione estensiva delle norme 

stesse. 

Tanto rigore nell'interpretazione delle norme che sanciscono decadenze 
non deve apparire ingiustificato, non soltanto perch� -come questa 
Corte ha gi� avuto modo di avvertire (cfr. sent. n. 2126 del 1971) -esso 
corrisponde a quello dei loro effetti, ma perch�, pi� in particolare, il 
temine di decadenza, del tipo di quello che qui si vorrebbe operante, 
avrebbe l'effetto di incidere su un potere primario del cittadino qual � 
quello di adire il giudice per la tutela dei propri diritti, potere che la 
Costituzione, all'art. 24, definisce � inviolabile �: e tale inviolabilit�, se 
certamente consente al legislatore di stabilire, talvolta, per imprescindibili 
esigenze di carattere generale termini di decadenza anche assai 
brevi entro cui reclamare giustizia, gli impone, quanto meno, di stabilirli 
con assoluta chiarezza e, quindi, con assoluta certezza e completezza, 
sicch� non possa mai accadere che taluno si trovi nell'impossibilit� di 
difendersi a causa di un errore oggettivamente scusabile nell'interpretazione 
di una legge incompleta. 

E, a questo proposito, � appena il caso di aggiungere che stabilire 
un termine di decadenza e omettere ,di pvecisare o lasciare nell'ambiguit� 
il dies a quo della sua decorrenza equivale ad omettere o rendere 
ambigua tutta la disposizione relativa al predetto termine e questo perch�, 
come in dottrina � stato autorevolmente posto in rilievo, la stessa espressione 
� termine di decadenza � ha un senso concreto solamente se posta 
in relazione con un dies a quo, che � l'unico che consente di individuare 
il dies ad quem, al cui sopraggitmgere si producono gli effetti giuridici 
ai quali tutta la previsione del termine � preordinata. 

Altrimenti, la possibilit� di difendersi in giudizio verrebbe a risultare 
condizionata non gi� dalla semplice conoscenza della legge, ma dall'onere 
di una speciale interpretazione della medesima tanto penetrante 
da risultarne -come sarebbe quella che si pretenderebbe nella specie addirittura 
creativa o integrativa rispetto al testo di essa, da un onere, 
cio�, che, in una Costituzione democratica quale la nostra, pu� essere 
posta a carico di un giudice o comunque di un tecnico del diritto, non 
gi� di un qua1siasi cittadino, specie nel momento in cui debba decidersi 
se e quando rivolgersi ad un patrocinante per difendersi in giudizio. 

Pertanto ritenere inoperante nella specie il termine di decadenza 
che qui si vorrebbe applicare facendo carico all'appaltatore di ricostruire 
da se stesso nel silenzio della legge -soltanto in omaggio ad una 
volont� tacita del legislatore tutt'al pi� probabile ma neppure sicuramente 
esistente, e non per una ineluttabile necessit� funzionale del 


PARTE I, SEZ. VII, �GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

sistema dal medesimo creato -il dies a quo da cui calcolare il decorso 

del termine stesso significa anche evitare di affrontare la questione che 

altrimenti si porrebbe di dichiarare illegittima la norma in discussione 

(facente parte di un regolamento di organizzazione) per contrasto con 

precetti della Costituzione e, al tempo stesso, di applicare il principio, 

pi� volte affermato da questa Corte, secondo cui, quando di una norma 

siano astrattamente possibili due interpretazioni, di cui una difficilmente 

compatibile con i principi della Costituzione; debba essere preferita 

l'altra ad essi pi� rispondente (cfr. da ultimo Cass., sent. n. 2342 del 1975). 

Tutto ci� considerato, deve concludersi che, nella specie, avendo 

J'appail:1latore adito H giudice ordinario dopo aver tempestivamente pro


posto istanza di arbitrato e aver preso atto del rifiuto ad essa opposto 

dalla controparte, nessun termine di decadenza poteva essergli opposto 

per precludergli la possibilit� di reclamare in giudizio il soddisfacimento 

delle sue pretese gi� precisate nella predetta istanza. 

Dato il mutamento di giurisprudenza operato da questa Corte con la 
gi� citata sentenza n. 3331 del 1979 successiva alla proposizione del 
ricorso che ora si rigetta, si ritiene equo compensare integralmente tra 
le parti le spese del presente grado di giudizio. (omissis) 

TRIBUNALE DI POTENZA, 29 giugno 1979, n. 552 -Pres. ed est. Stella Amministrazione 
dei lavori pubblici (avv. Stato) c. Soc. Cooperativa 
Risveglio Edile (avv. Lebolli). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi � Situazione 
soggettiva dell'appaltatore -Interesse legittimo -Configurabilit� di 
diritto soggettivo � Condizioni. 

(d.l.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1; legge 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2; legge 
21 dicembre 1974, n. 700). 
Competenza e giurisdizione -Poteri del giudice -Disapplicazione � Limiti � 
Fattispecie in tema di revisione dei prezzi. 
(legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, artt. 4 e 5). 

L'appaltatore di opere pubbliche � titolare di un interesse legittimo 
all'esercizio del potere di revisione dei prezzi, interesse tutelabile soltanto, 
in sede amministrativa, con ricorso al ministro competente e, in 
sede giurisdizionale, davanti al giudice amministrativo; ma la situazione 
soggettiva dell'appaltatore assume la natura di diritto soggettivo una 
volta che le condizioni giustificative della revisione, in tutte le componenti 
dedotte dallo stesso appaltatore, siano state accertate e riconosciute 


1000 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dall'Amministrazione con il provvedimento che liquida il compenso revisionale 
(1). 

Se il provvedimento che liquida il compenso revisionale sia annullato 
di ufficio e sostituito con altro che lo determina in minor misura, l'appaltatore 
non pu�, per resistere all'azione di ripetizione contro di lui promossa, 
eccepire la illegittimit� del secondo atto chiedendone la disapplicazione, 
ma deve ottenerne l'annullamento in sede di giurisdizione amministrativa 
(2). 

(omissis) La domanda dell'Amministrazione attrice � fondata. Va puntualizzato, 
in punto di fatto, che, con decreto del Provveditore regionale 
alle Opere Pubbliche per la Basilicata in data 22 novembre 1974, n. 7395, 
in seguito a domanda della societ� convenuta, appaltatrice di lavori 
pubblici, sono stati approvati gli atti di istruttoria relativi ad un primo 
e secondo acconto della revisione prezzi contrattuali, redatti dall'ufficio 
del Genio Civile di Matera e da cui risulta determinato in L. 13.964.708 
il compenso revisionale, ed � stato autorizzato il pagamento della somma 
di L. 13.208.715, comprensiva del rimborso IVA; che, con successivo decreto 
in data 31 dicembre 1974, n. 8196, sono stati approvati gli atti di 
contabilit� finale e il certificato di collaudo; che, con altro decreto in 
data 21 maggio 1975, n. 3152, � stato autorizzato il pagamento, in favore 
della societ� convenuta, della somma di L. 2.330.955, a titolo di saldo per 
revisione prezzi; che, infine, con decreto in data 1� settembre 1977, 

n. 2845, sono stati approvati i nuovi atti di istruttoria di detta revisione, 
redatti dall'ufficio del Genio Civile di Matera, secondo le nuove tabelle 
approvate dalla commissione provinciale prezzi di Matera, e da cui risulta 
determinato, invece, in L. 11.550.092 il compenso revisionale, oltre al rimborso 
dell'IVA nella misura del 12 %, con un credito complessivo di 
L. 12.963.103, di contro a L. 15.539.670 gi� riscosse, ed � stato disposto il 
recupero della differenza, in L. 2.603.567; che tale ultimo decreto � stato 
comunicato, con nota in data 29 settembre 1977, alla societ� convenuta, 
la quale, per quanto consta, senza impugnarlo nella competente sede 
(1-2) Sulla prima parte della prima massima, cfr., da ultimo, nello stesso 
senso, Cass., 1� ottobre 1980, n. 5333, in Cons. Stato, 1980, Il, 1413; Cass., 6 giugno 
1980, n. 3662, in Cons. Stato, 1980, Il, 1148; Cass., 10 ottobre 1979, n. 5249, in 
Cons. Stato, 1980, Il, 90; Cass., 23 febbraio 1978, n. 888, in Foro it., 1979, I, 1046 
e in questa Rassegna, 1978, I, 505, ed ivi precedenti sulla seconda parte della 
stessa massima ai quali adde Cass., 8 febbraio 1979, n. 857, in Foro it., 1979, 
I, 1489. 

Nel senso che la pretesa ad ottenere il compenso revisionale abbia comunque 
consistenza di diritto soggettivo, cfr., con elaborata motivazione, T.A.R. 

Lazio, sez. III, 2 luglio 1979, n. 532, in Foro amm., 1979, I, 1565 in causa Ciro c. 
Assoc. Naz. mutilati ed invalidi del lavoro, avverso la quale pende attualmente 
regolamento di giurisdizione. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1001 

amministrativa e, quindi, se del caso davanti al giudice amministrativo, 
con esposto in data 12 ottobre 1977, si � solo opposto per vari motivi 
e tale recupero; che, di conseguenza, l'Amministrazione attrice ha adito 
questo Tribunale, chiedendo i'l pagamento di tale differenza e basando, 
quindi, la sua domanda sul citato decreto, non opposto e divenuto definitivo. 
La societ� convenuta, in questa sede sostiene che il detto decreto 
non � a lei opponibile, in quanto ogni rapporto, compreso quello revisionale, 
� da considerarsi chiuso e definito con il collaudo, e, comunque, 
tale decreto � illegittimo, sia perch� basato su nuova tabella intervenuta 
successivamente e non applicabile retroattivamente e sia perch� un provvedimento 
di revoca o di annullamento ex tunc non pu� intaccare posizioni 
di diritto soggettivo gi� costituito, per cui andrebbe disapplicato 
dal giudice ordinario, anche a prescindere dalla sua mancata impugnazione 
nella sede competente. Cos� precisati gli estremi di fatto e i limiti 
della questione sottoposta all'esame di questo tribunale, va osservato, 
innanzitutto, che, in tema di appalto di opere pubbliche, sussiste il principio 
giuridico, in forza del quale la revisione del prezzo, per variazione 
del costo dell'opera, pu� derivare soltanto dall'esercizio, da parte dell'Amministrazione 
appaltante, del potere discrezionale di deroga al criterio 
generale della invariabilit� del prezzo medesimo, stabilito dall'art. 326 
della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F; con la conseguenza che, di 
fronte a tale potere, l'appaltatore � titolare solo di interessi legittimi, 
tutelabili soltanto, in sede amministrativa, con ricorso al Ministero competente 
e, in sede giurisdizionale, davanti al giudice amministrativo. Tale 
principio trova deroga, nel senso che le posizioni soggettive dell'appaltatore 
assumono, invece, natura e consistenza di diritti soggettivi, esclusivamente 
nei casi in cui o una espressa ed inequivoca clausola contrattuale 
consenta di pretende11e la 11evisione, in una certa m1suxa e in 
relazione alla ricorrenza di specifici presupposti, esattamente predeterminati 
(il che, nella specie � da escludere, perch�, non consta dell'esistenza 
di tale clausola), ovvero nel caso in cui l'amministrazione abbia 
accertato e riconosciuto le condizioni giustificative della revisione, in 
tutte le componenti dedotte dall'appaltatore, cos� esaurendo l'esercizio dei 
propri poteri autoritativi. (Si veda da ultimo Cass., 8 febbraio 1979, n. 857). 
Ora, poich� nella specie, come si � visto, la pubblica amministrazione 
ha riconosciuto l'esistenza del diritto alla revisione, non v'� dubbio che 
la societ� convenuta � titolare di un diritto soggettivo. 

Senonch� va tenuto conto (o questa costituisce la specificit� e la 
peculariet� del caso in esame) che, successivamente, la pubblica amministrazione, 
sempre nell'esercizio dei suoi poteri autoritativi e discrezionali, 
ha (parzialmente) modificato e annullato il precedente proprio 
atto, riconoscendo il diritto a revisione, in misura diversa e minore sulla 
base di nuove tabelle, ritenuta di efficacia retroattiva, e di nuovi atti 


1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


istruttori, e disponendo, di conseguenza, per il recupero della somma 
risultata pagata in pi�. 

A parere di questo tribunale, sembra trattarsi, nel caso, di annulla� 
mento di ufficio, che, come � noto � basato sul potere della pubblica 
amministrazione di privare di esistenza giuridica, in tutto o in parte, i 
propri atti, ritenuti affetti da vizi di legittimit� e che si esplica con atti 
discrezionali o di controllo repressivo (c.d. autotutela sia per invalidit� 
originaria, che successive). 

Ora � noto che i diritti soggettivi, nei confronti della pubblica amministrazione, 
sono subordinati al pubblico interesse, tutte le volte che la 
tutela di un interesse privato � considerata in relazione concorrente con 
un interesse pubblico, del qua.le � titolare la stessa pubblica amministra� 
zione. � il caso dei c.d. diritti affievoliti o condizionati, fin dall'origine, 
esposti ad affievolimento successivo. Diversa � poi la questione che 
l'annullamento di ufficio non � sempre consentito, specie allorch� l'atto 
annullato ha determinato il consolidarsi di situazioni giuridiche dei destinatari 
o di terzi. Ma ci� attiene solo alla legittimit� dell'annullamento 
di ufficio, senza che possa escludersi, comunque, che le situazioni soggettive 
private siano esposte all'affievolimento. 

� pure noto che in tali casi, dovendosi escludere che UJil diiritto possa 
continuare a sussistere, allorch� esso sia stato soppresso direttamente o 
sia venuto meno per la soppressione dell'atto amministrativo su cui esso 
si basa, non pu� riconoscersi al singolo, al fine di preservare la situazione 
preesistente, altro che un interesse legittimo all'annullamento dell'atto 
che tale situazione ha modificato. 

Facendo applicazione di tali principi, che sembrano indubbi, al caso 

in esame, ne deriva, di conseguenza, che la societ� convenuta, in quanto 

titolare di un interesse legittimo, avrebbe dovuto impugnare in sede 

amministrativa e, poi, in sede giurisdizionale amministrativa il predetto 

atto di annu11amento, proponendo in tale sede tutte le questioni di 

'legittimit� dehl'atto di annullamento, proposte invece in questa sede, 

in ordine ai11e quali non vi � dubbio che il giudice ordinario difetta 

di giurisdi:zlione. 

N� le stesse questioni possono essere esaminate, in questa sede, solo 

incidentalmente, ai fini della disapplicazione dell'atto amministrativo, ai 

sensi degli artt. 4 e 5 della legge abolitiva del contenzioso amministra� 

tivo, perch�, anche a prescindere dal fatto che, in tale modo, verrebbe 

indirettamente a porsi al giudice ordinario questione per cui esso difetta 

di giurisdizione, non ricorrono, nel caso, gli estremi del sindacato inci� 

dentale di legittimit� dell'atto amministrativo, in relazione al petitum e 

alla causa petendi di questo giudizio. 

� noto a questo proposito che il potere di disapplicazione dell'atto 
amministrativo, di cui all'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, alle� 
gato E, sulla abolizione del contenzioso amministrativo, spetta al giudice 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1003 

ordinario solo nella materia in cui si faccia questione di diritto soggettivo 

o quando l'atto amministrativo sia direttamente lesivo di un diritto 
soggettivo, con la conseguenza che, se una posizione originaria di diritto 
soggettivo si affievolisce ad interesse legittimo, a causa di annullamento 
di ufficio, operato dalla pubblica amministrazione, in sede di autotutela, 
dell'atto amministrativo, costituente il presupposto del diritto soggettivo 
stesso, non pu� soccorrere l'istituto della disapplicazione, perch�, in tale 
ipotesi, noi:J. si tratta pi� di tutelare una posizione di diritto soggettivo, 
con una valutazione incidentale della legittimit� dell'atto, ma si � in presenza 
di un diverso oggetto del giudizio, in quanto il privato, invocando 
la disapplicazione, chiede, in sostanza che l'atto di annullamento venga 
rimosso, oon la reintegra de1la originada posizione di diritto soggettivo 
(si veda, per un caso: Cass., 21 febbraio 1974, n. 494), in definitiva, l'interesse 
del privato alla preservazione della situazione preesistente all'annullamento 
� tutelabile solo col ricorso all'autorit� e alla giurisdizione 
amministrativa. 
Sgombrato, cos�, il campo delle eccezioni del convenuto, il diritto 
fatto valere in questa sede dall'amministrazione attrice, siccome basato 
su un atto amminsitrativo definitivo e non impugnato, risulta certo, anche 
perch� nessun'altra questione viene mossa dalla societ� convenuta in 
ordine alla sua esistenza e al suo contenuto. 

Pertanto, la predetta societ� va condannata al pagamento della 
somma di L. 2.603.567, con gli interessi legali decorrenti dal 29 settembre 
1977, data della messa in mora. Ricorrono giusti ed equi motivi per 
compensare per intero le spese tra le parti, tenuto conto della novit� 
della questione. (omissis) 



SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI pen., 4 dicembre 1979 � Pres. Tafuri � 
Est. Glinni -P. M. Valeri (conf.) rie. Gigli (avv. Stato Fiumara). 

Reato -Omissione di atti d'ufficio -Omessa emanazione di ordinanze di 
caratter.e contingibile ed urgente in materia di ed:ilit�, polizia locale 
ed igiene, per motivi di sanit� o di sicurezza pubblica -Discrezionalit� 
del prefetto -Insussistenza del reato. 
(cod. pen., art. 328; r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 20). 

Non � configurabile �l reato di omissione di atti di ufficio nella mancata 
adozione di ordinanze di carattere contingibile ed urgente in materia 
di edilit�, polizia locale ed igiene, per motivi di sanit� e sicurezza 
pubblica, di cui all'art. 20 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, in quanto il prefetto 
gode in materia di ampia discrezionalit� amministrativa (1). 

(omissis) Sul ricorso Gigli si osserva: il prefetto di Padova avrebbe 
omesso di emanare provvedimenti contingibili ed urgenti ex art. 20 

t.u.l.c.p. Ritenne il pretore che all'epoca sussistesse una situazione di 
pericolo, derivante dall'inquinamento delle acque, e che pertanto occorresse 
un provvedimento urgente diretto ad arginare il pericolo. 
Ritiene la Corte che prima di esaminare la sussistenza dello stato di 
pericolo anch'essa riservata al giudizio discrezionale dell'autorit� amministrativa 
va definita la natura giuridica degli atti di cui al citato art. 20. 
Questa Corte ha gi� esaminato fattispecie simili e pertanto si � creata 
una interpretazione giurisprudenziale accettata e costantemente seguita, 

(1) La giurisprudenza della Suprema Corte conferma un indirizzo costante 
che in altra occasione ha imposto l'assoluzione del reato di omissione di atti 
d'ufficio di un medico provinciale difeso dall'Avvocatura al quale l'art. 227 del 
tiesto unico dehle heggi sanitarie attribuisce poteri discrezionali di intervento in 
materia di inquinamento delle acque superficiali interne (Cass., VI, 25 giugno 
1973, rie. Carola, in Giust. pen., il974, II, 273). 
V. neHo stesso senso Ca,ss., VI pen., 30 giugno .1978, in Mass. dee. pen., 1978, 
p. 837; Cass. VI pen., 15 febbraio 1979, in Cass; pen. mass. amm., 1978, p. 367; 
Cass., VI pen., 30 aipriLe '1973, in Giust. pen., 1973, 577; Cass., VI rpen., 30 ottobre 
11968, in Cass. pen. mass. amm., 1969, p. '1349. SuWart. 30 r.d. 3 marzo 1934, 
n. 383, cfr. Cass., VI pen., 30 ottobre 1973, in Rep. Foro It., 1974, col. 1207, n. 21; 
Cass., III pen., 3 febbraio 1969, in Foro It., 1970, II, 301; Cass., 25 febbraio 1966, 
in Rep. Foro It., 1967, col. 2264, n. 35. 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1005 

da cui non v'� ragione di discortarsi. Secondo tale interpretazione, se i 
provvedimenti concreti che si assumono omessi appartengono alla sfera 
della discrezionalit� dei p.u. e non sono strettamente doverosi e in ogni 
caso imposti, non si pu� parlare in senso tecnico giuridico di omissioni, 
rifiuto o ritardo di atti di ufficio e viene dunque meno la stessa materialit� 
del reato ipotizzato. Ci�, premesso, l'esame della struttura e della 
funzione dell'art. 20 del cit. t.u. porta a ritenere che si versi in un caso 
di ampia discrezionalit� amministrativa dal momento che il lagislatore 
usa il termine � pu� � riferito alla facolt� del prefetto di emettere ordinanze 
di carattere urgente. 

� facile argomentare che se si fosse voluto imporre un dovere al 
prefetto di provvedere nei casi previsti dal detto articolo, la lettera delle 
norme sarebbe stata � deve � e non quella usata, da cui si deduce che la 
stessa possibilit� di intervento amministrativo � rimessa alla discrezionalit� 
del prefetto il quale, pu� o non, emettersi il provvedimento senza 
incorrere in alcuna violazione della legge penale nel caso di omissione. 

La fondatezza giuridica dell'assunto difensivo dedotto in ricorso conduce 
alla conclusione che il fatto rubricato al Gigli non � previsto dalla 
legge come reato. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 8 maggio 1980, n. 1024 -Pres. Vacchiano 
-Rel. Coniglio -P. M. Savina (diff.) imp. Levi ed altri (avv. Stato 
Di Tarsia). 

Reato � Disastro aviatorio -Direttore dell'aeroporto -Visita di controllo 

prima della partenza dell'aeromobile � Obbligatoriet� -Regolamenta


zione aerea 11 gennaio 1925, n. 356 � Applicabilit�. 

(cod. nav., art. 801; r.d. 11 gennaio 1925; n. 356, artt. 13, 16 e 17; cod. pen., artt. 428 e 449) 

Dalle norme del regolamento per la navigazione aerea approvato con 

r.d. 11 gennaio 1925, n. 356, e tuttora in vigore, si evince che l'aeromobile, 
e non i documenti ad esso relativi, deve essere sottoposto a visita perch� 
possa esservi la certezza che il perfetto ordine di rotta, controllato nel 
momento della visita, sussista anche nel momento del decollo (1). 
(1) H codice della navigazione e la sopravvivenza delle norme d,el Regolamento 
11 gennaio 1925, n. 356. 
La sentenza cassata dalla Suprema Corte � stata pubblicata in questa Rassegna 
(1979, I, p. 352) con una annotazione di una segnalazione e con riserva di 
tornarn suhl'argomento, data la notevole importanza dellie questioni decise. Purtroppo 
la decisione della Cassazione non offre allo studioso alcuno spunto per 
comprendere su qual!i mgioni �l1 Giudice di iLegittimM� abb1a basato hl! suo :radircale 
convincimento che il regolamento della navigazione aerea approvato con 



1006 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(omissis) II giorno 29 marzo 1973, alle ore 14.06, l'aeromobile CESSNA 
421 di nazionalit� svizzera con equipaggio di due piloti -Urbani Giorgio, 
comandante e Giambanco Giuseppe, secondo pilota -e cinque passeggeri, 
Bruno Riccardo Felice, Allioni di Brondello Umberto, Allioni di Bron


dello Cesare -di anni 5, Pozzi Paola in Allioni e Busi Maria Teresa, decollava 
dall'aeroporto Roma-Urbe con piano di volo per Torino-Caselle. Dopo 
circa sette minuti di volo l'aereo precipitava in localit� Molette-La Storta 
e tutti i trasportati trovavano immediata morte. 

Le indagini venivano espletate dal nucleo investigativo dei carabinieri 
di Roma, mentre il Ministero dei Trasporti e dell'aviazione civile 
nominava una speciale commissione di inchiesta che elaborava una relazione 
tecnica sull'incidente. Altra relazione peritale veniva redatta da un 
collegio di tecnici nominato dalla Procura della Repubblica. L'istruttoria 
veniva formalizzata ed, a seguito degli elementi emersi nel corso delle 
indagini, si procedeva per i delitti di disastro aereo colposo ed omicidio 
colposo plurimo, nei confronti: dell'Urbani e del Giambanco, quali piloti, 
di Jullard Andr�, quale legale rappresentante della societ� elvetica ACCSA; 
di Levi Enrico, nella qualit� di rappresentante legale della soc. italiana 
ALICO la quale rappresentava per l'Italia la societ� svizzera CESSNA 
costruttrice dell'aereo; di Casagrande Raffaele, direttore dell'aeroporto 
dell'Urbe e, successivamente, di Puzzilli Mario, dirigente di fatto dello 
scalo aereo, addetto al controllo del traffico nel giorno della sciagura. 

r.d. .11 gennaio 1925, n. 356, sia tuttora in vigore. Si � infatti limitato a questa 
affermazione, senza un rigo che abbia affrontato il problema, pur � posto da 
specifici articoli del codice e per esaminato in dottrina e in giurisprudenza 
(D'Ovmm PESCATORE, Manuale Diz. Nav.) senza concSI�iderare i rilevanti aspetti 
pratici e la notevole incidenza deL!ia 'so1uzione suUa funzionailit� delile direzioni 
aeroportuali. 
Come si legge nella parte narrativa della sentenza che si annota nel caso 

affidato alla difesa dell'Avvocatura era accaduto che un aereo da turismo, decollato 
con un carico a bordo in eccesso, era dopo breve volo precipitato, provocando 
la morte dei sette occupanti; in quel tipo di aereo avrebbero potuto imbarcarsi 
non pi� di sei persone. Del disastro fu imputato anche il direttore dell'aeroporto, 
ritenuto dall'accusa colpevole di aver effettuato un controllo soltanto documentale 
e di non aver quindi accertato che nell'aereo era stato imbarcato abusivamente 
un settimo passeggero. Tralasciando altri aspetti giuridici e di fatto ai 
quali l'accusa riferiva la colpevolezza dell'imputato, poi definitivamente assolto 
con la surrichiamata sentenza della Corte d'Appello di Roma, punto fondamentale 
dell'indagine � accertare se e per quale norma fosse imposta al Direttore d'Aeroporto 
la visita di controllo agli aeromobili in partenza, esame cui, in seguito 
ad impugnazione della parte civile per i soli interessi civili era chiamata la Corte 
di cassazione. 

:tl. senz'altro corretto prendere le mosse dalla norma del codice della navigazione, 
che invece la Cassazione ha sorprendentemente ignorato, sia perch� il 

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r1�111111�111111c111a11m111�111.1�1l�l7mfl~ 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1007 

Si addebitava al Jullard e al Levi la colpa di avere affidato, per il pilotaggio, 
l'aereo all'Urbani, pur sapendo che quest'ultimo era inidoneo 
alla guida anche perch� privo di abilitazione al pilotaggio di quell'aeromobile 
da parte dell'ufficio aeronautico federale di Berna, autorizzazione 
scaduta e non ancora rinnovata; al Casagrande ed al Puzzilli si faceva 
carico di avere �messo di controllare la corrispondenza della situazione 
di fatto al � piano di volo >>, la validit� dell'abilitazione al pilotaggio dell'Urbani, 
la presenza a bordo dei documenti di abilitazione, il numero 
delle persone salite a bordo e l'assetto conseguente dell'aereo, consentendo, 
cos�: a) la guida a pilota che non era in possesso dei requisiti 
richiesti; b) la presenza a bordo di 7 anzich� 4 persone, come era indicato 
nel � piano di volo � e di 6 come era consentito dalla portata massima 
del mezzo; e) il volo con baricentro �fuori limite�. Si accertava, altres�, 
che il Giambanco era privo di abilitazione al pilotaggio di quell'aeromobile 
e che questo, poco prima dell'� impatto�, volava a bassa quota. 
Tra le cause probabili del sinistro i periti ed i commissari d'inchiesta 
ponevano la perdita di controllo nella condotta dell'aeromobile da parte 
dei piloti e lo � stallo � con mancanza di recupero dovuto alla bassa quota. 

Al termine dell'istruzione il G.I. pronunciava sentenza di non doversi 
procedere, per morte, nei confronti dei due piloti, proscioglieva il Casagrande 
per non aver commesso il fatto e rinviava tutti gli altri imputati 
al giudizio del Tribunale di Roma. I congiunti delle vittime si costituivano 
parti civili. 

codioe � ila illegge fondamentalle in materiia sia perch� � fonte normativa a digniit� 
gduridica prevallente sl.111 Regoil!amento (artt. 1 e 4 Dis. 1suJ�a Jegge in generale). 

Per la parte che qui interessa sia dunque il codice, art. 801 che � �.�prima 
della partenza il comandante deve provvedere a che l'aeromobile sia sottoposto 
a visita di controllo da parte de~ direttore dell'aeroporto"� E qui palesano subito 
evidenti due aspetti: primo che l'art. 801, � redatto in una formulazione letterale 
che sembrerebbe porre a carico del solo comandante qualsivoglia obbligo, e, 
secondo, che pur se indirettamente impone nella sua previsione astratta al 
direttore di aeroporto la visita di controllo ha un contenuto normativo tutto da 
definire. Tre parole, contenute in tre righe di un comma di un articolo di legge. 
�Visita di controllo �. i?. evidente fincompletezza normativa: come, dove, chi 
materialmente, su quali cose, atti, con quali procedure e contenuti la visita vada 
fatta, la norma non dice. La legge dice che oggetto della visita � l'aeromobile, 
ma l'aeromobile �, come dice la dottrina, una cosa composta o un'unit� pertinenziale, 
a sua volta destinata a ricevere un carico animato e inanimato, corredata 
di documenti con valore giuridico di autorizzazione, di abilitazione, di immatricolazione 
ecc. 

Tre parole sono perci� poche, per determinare non soltanto come deve essere 
fatta la visita, ma la fattibilit� stessa della visita di controllo. E qui, se la Cassazione 
avesse considerato il codice anzich� il solo regolamento del 1925, non 
avrebbe potuto ignorare l'art. 1328 che espressamente prevede che le disposizioni 



1008 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Con sentenza in data 22 febbraio 1978 i prevenuti venivano assolti per 
non avere commesso i fatti loro ascritti e veniva ordinata la restituzione 
della somma di L. 500.000, rinvenuta tra i rottami, in giudiziale seque� 
stro, alla parte civile Brunilde Allioni di Brandello. 

Il Tribunale, sulla base di un'analitica valutazione dei pesi a bordo, 
perveniva alla conclusione che nessun sovraccarico poteva aver causato 
la caduta dell'aereo; in riferimento alla circostanza che l'Urbani non era 
abilitato alla conduzione dell'aereo, osservavano i giudici che, in base alla 
certificazione rilasciata dal Ministero dei Trasporti, il pilota risultava abi� 
litato secondo la legge italiana e nessuna rilevanza poteva attribuirsi al 
fatto che le autorit� elvetiche non avevano ancora rilasciato analoga 
abilitazione, richiesta dall'Urbani sin dal gennaio 1973; escludevano, inol� 
tre, qualsiasi valutazione negativa circa l'idoneit� psicofisica del predetto 
imputato al volo negando qualsiasi incidenza sull'evento derivante dalla 
presenza del Giambanco, che doveva t:;sser considerato non un secondo 
pilota (non necessario per quel volo) ma un semplice passeggero; rileva� 
vano, infine, che l'esclusione di qualsiasi deficienza o manchevolezza in 
ordine aH'assetto di borido faceva venir meno, conseguentemente, ogni 
eventuale responsabilit� del Puzzilli per il mancato controllo: per altro, 
affermavano che il dovere di controllo, comunque, non poteva sussistere 
poich�, in base alla legislazione in vigore ed alla prassi instauratasi, che 
favoriva un controllo solo documentale, il Puzzilli non poteva essere ritenuto 
dirigente di fatto dell'aeroporto dell'Urbe. 

Avverso la sentenza proponevano appello il Procuratore generale e la 
parte civile Bruno Emanuele, la quale proponeva, altres�, ricorso per cassazione 
assieme ad altra p.c. Maria Tramontana ved. Giambanco. 

del codice che richiedono per la loro applicazione l'emanazione di particolari 
norme regolamentari non entrano in vigore sino a quando dette norme non sono 
emanate, n� l'art. 1329 che stabilisce che con l'entrata in vigore delle norme del 
codice sono abrogate le disposizioni del codice per la Marina Mercantile e del 
Regolamento per la Navigazione Aerea approvato con r.d. H gennaio 1925, n. 356; 
questo Regolamento � dunque abrogato, come esattamente ebbe modo di affermare 
il Consiglio di Stato in un parere della Sezione II 29 ottobre 1968, n. 696, 
nel quaLe si legge: �L'ipotesi adombrata nella rdazione cJ;le �La mancata emanazione 
di norme regolamentari in materia faccia sopravvivere le precedenti norme 
ancorch� espressamente abrogate come nel caso, non trova alcun conforto nei 
principi generali dell'ordinamento giuridico, alla stregua dei quali � perfettamen� 
te ammissibile che all'abrogazione di norme disciplinanti determinate materie, 
non segua la emanazione di altre norme destinate a sostituirle senza che ci� 
possa incidere sugli effetti dell'abrogazione �. 

1'. vero che in proposito una tesi intermedia � stata sostenuta in dottrina, 
tesi ripresa da una recente sentenza del Consiglio di Stato (IV Sez., 20 maggio 
1980, n. 560) e secondo la quale l'art. 1329 non basterebbe a far ritenere abrogato 
e inapplicabile in toto il regolamento del 1925, perch� l'abrogazione delle disposi� 
zioni di quest'ultimo � collegata all'entrata in vigore delle norme del codice. 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1009 

La Corte di appello di Roma revocava l'ordine di restituzione della 
somma in favore di Brunilde Allioni e rimandava la soluzione della controversia 
al giudice civile competente, non essendo pacifici e certi i diritti 
dei richiedenti. 

Confermava, nel resto, l'impugnata sentenza. 

Ritenevano i giudici di merito che la legge applicabile al volo che 
doveva effettuare l'aereo era quella italiana e quella risultante dalle 
convenzioni in vigore tra Italia e Svizzera, per cui la mancanza dell'abilitazione, 
non ancora rilasciata all'Urbani dall'autorit� elvetica, non rendeva 
il pilota, per ci� solo, inabile a pilotare l'aereo in un volo nazionale n� 
ravvisavano, nella condotta di guida, alcuna deficienza di idoneit� fisicopsichica 
o di abilit� al pilotaggio; escludevano che la presenza del Giambanco, 
non abilitato per quel tipo di aereo, avesse potuto inserirsi nel 
rapporto eziologico con l'evento, perch�, anche se fosse accertato che� 
egli sedesse sul sedile di sinistra della cabina di pilotaggio all'atto del 
disastro, non vi era prova che egli manovrasse i � comandi � mentre era 
provato attraverso le registrazioni effettuate che fosse l'Urbani a tenere 
i contatti con la torre di controllo durante la fase di decollo ed i primi 
minuti di volo; ritenevano provata l'abilit� del pilota, per i suoi precedenti 
di carriera risultanti dagli atti ed escludevano che le cause del 
disastro potessero ravvisarsi nella presenza del passeggero in pi� oltre 
la capienza massima (nella specie,� un bambino di 5 anni) n� nel preteso 
spostamento del baricentro, stante che il piccolo era stato trovato sulle 
braccia di una delle donne, n�, infine, nell'eccesso di carico, calcolato dai 

Queste per� -si sostiene -non sono entrate in vigore simultaneamente per la 
succitata norma dell'art. 1328 cod. nav. La sentenza, che si riferisce alla diversa 
ipotesi di cui all'art. 825 cod. nav., non sembra peraltro che possa essere condivisa, 
non tanto per la macchinosit� della costruzione, quanto perch� non sembra aver 
posto attenzione alla differenza terminologica esistente fra l'espressione � con 
l'entrata in vigore delle norme del codice � usata nell'art. 1329 e l'espressione 
� le disposizioni del codice � usata nell'art 1328: dal confronto sembrerebbe potersi 
affermare che, mentre nell'art. 1328 si sono tenute presenti proprio le singole 
disposizioni normative, nell'art !329 si � fatto riferimento al complesso delle 
norme del codice, vale a dire a tutto il codice della navigazione con la cui entrata 
in vigore quindi tutto il regolamento del 1925 deve considerarsi abrogato. 

Cade quindi la possibilit� di interpretare quell'espressione usata dall'art. 801 
�visita di controllo" con riferimento all'art. 17 del regolamento e alle disposizioni 
in esso contenute. E cade anche, per una considerazione di fatto: l'art. n del 
Regolamento del 1925 era idoneo all'epoca, ma, considerato l'enorme sviluppo 
e l'enorme complessit� del traffico aereo, non Qo sarebbe pi� attualmente. Basti 
pensare alle operazioni di bilanciamento del carico a bordo, che ora vengono fatte 
con dei computers sui grandi aeroplani e che richiederebbero quindi una normativa 
esecutiva molto pi� dettagliata. La conclusione � che l'art. 801 -se esso deve 
avere il significato di visita effettiva -non pu� trovare applicazione, in mancanza 
di norma regolamentare, cos� come esattamente stabilisce l'art. 1328. Quindi di 



1010 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

periti in klg. 163; ritenevano di aderire a1le conolusioni dei periti che avevano 
formulato ipotesi di un malfunzionamento degli impianti o di una 
avaria meccanica o di flusso di carburante; tali considerazioni porta� 
vano ad escludere ogni responsabilit�, a titolo di colpa, da parte del 
Jullard e del Levi. 

Riteneva la Corte, infine, che il Puzzilli, in considerazione del volume 
di traffico aereo, non avesse un dovere assoluto di controllo � a vista � 
dei documenti di bordo e dell'assetto di volo, bastando la verifica documentale 
sulla base degli elementi forniti dal pilota e' riscontrati conformi 
a legge; considerava, tuttavia, che anche a volere ritenere assoluto 
il dovere della visita di controllo, una volta escluso che la caduta dell'aereo 
potesse essere attribuita alla presenza del bambino, a peso eccessivo 
o ad imperfetto baricentro, non poteva, parimenti, ritenersi il Puzzilli 
responsabile della caduta dell'aereo e della morte dei passeggeri. 

Ricorre per cassazione Bruno Emanuele, parte civile . 

.l\10TIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo si denunzia la violazione degli artt. 8, 794 e 797 
cod. della navigazione in relazione aila convenzione internazionale di Chicago 
del 7 dicembre 1944. Si sostiene che l'unica autorit� ad abilitare il 
pilotaggio dell'aereo era quella svizzera che, nella specie, mancava; con 
il secondo mezzo, riprendendosi i motivi dedotti contro la sentenza del 
Tribunale ed analoghi a quelli del Procuratore generale appellante, si 
deduce che il calcolo del peso e dei passeggeri e dei bagagli era stato 
effettuato in difetto e che, pertanto, il maggior carico, oltre il peso massimo 
certificato per il decollo, non poteva essere inferiore a kg. 284, entit� 

questa norma di legge rimane soltanto l'obbligo del comandante di un aereo 
di ottenere l'autorizzazione alla partenza. Questa � l'unica norma che � applicabiJle 
senza un regolamento esecutivo, pe!1ch� questa richiede una visita meramente 
documentale, l'unica possibile e per la quale le norme del codice della navigazione 
sono operative appunto perch� non necessitano di una norma regolamentare 
d'applicazione. 

Questa conclusione, cui si arriva sul piano dell'interpretazione delle norme, 

o magari anche quella contraria che qui non si condivide, sarebbe stato interessante 
leggere al termine di una motivazione, che viceversa nella sentenza in nota 
manca del tutto. 
Se la sentenza tace, la validit� della tesi sostenuta ha trovato una conferma 
nella legge 11 dicembre 1980, n. 862 il cui art. 7 testualmente stabilisce che � la 
disposizione di cui all'art. 1328 del codice della navigazione trova applicazione 
nelle ipotesi previste dall'art. 801 del codice stesso �. Il cui contenuto d'interpretazione 
autentica di questa norma � di tutta evidenza: non vi sarebbe stata alcuna 
ragione di una norma siffatta, se il legislatore avesse ritenuto l'applicabilit� 
-perch� ancora in vigore -deWart. 17 del rego1amento del! ,1925. 

PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

certo non trascurabile; con il terzo motivo si sostiene l'assoluta inderogabilit� 
della visita di controllo, dovere che nasce da precisa norma di legge 
che non pu� essere resa non vincolante da circolari ministeriali o dalla 
prassi, tenendosi conto, altres�, che l'aeroporto dell'Urbe non ha quel 
volume di traffico aereo da rendere difficile o impossibile il controllo 
�a vista�. 

Il ricorso � fondato e merita accoglimento. 

Non appare sufficientemente motivata l'esclusione di alcun nesso 
causale tra le irregolarit� riscontrate ed il gravissimo evento ver1ficatosi. 
La perizia tecnica e la relazione della commissione d'inchiesta sono concordi, 
nelle loro conclusioni, e rilevano alcuni inconvenienti che non 
possono non avere inciso nella causazione del sinistro, n� le argomentazioni 
addotte dai giudici di merito sono tanto convincenti da allontanare 
qualsiasi dubbio. 

�: stato accertato, in punto di fatto: che il peso ed il centraggio dell'aeromobile 
erano fuori dei limiti; che non era stata fatta una esauriente 
pianificazione del volo; che questo era previsto per 4 persone, mentre 
ne erano state �imbarcate� sette, una (sia pure un bambino) oltre la 
portata massima dell'aereo; che il velivolo volava a bassa quota, ed aveva, 
addirittura, invertito la r�tta, ai cavi di un elettrodotto; che l'unico carburatore, 
reperito integro, si trovava in posizione di alimentazione incrociata, 
non normale in quella fase di volo, perch� alimentava entrambi i 
serbatoi principali dei due motori e poteva esser causata di una riduzione 
del regime dei giri per il ridotto flusso dell'alimentazione; che l'elica 
di destra girava pi� della sinistra, anomalia che, tecnicamente, poteva 
porsi in relazione ad una avaria del carburatore. 

Non sono state determinate e precisate le vere cause che hanno provocato 
il sinistro, ma si sono formulate solo delle ipotesi che non hanno 
trovato risposta e non hanno potuto acquetare la ricerca della verit�. 
Risposta che non � venuta neppure attraverso le sentenze di merito che 
non hanno saputo soddisfare l'esigenza di una valida, convincente motivazione. 


L'esclusione del nesso eziologico tra sovraccarico e caduta dell'aereo 
non � sufficientemente e tecnicamente dimostrata, anche sotto il profilo 
di una valutazione dei pesi effettivi sia dei passeggeri che dei bagagli. 
Non sono affatto peregrine e presuntive le deduzioni formulate dalla 
parte civile, poich� non sembra che le attribuzioni dei pesi, prospettate 
dai periti medico-legali e recepite dai giudici, siano aderenti alla realt�, 
o, invece, non difettino per omessa considerazione di quei coefficienti di 
disidratazione e di bruciatura, che devono essere tenuti presenti allorch� 
ci si trovi dinanzi a resti umani carbonizzati. Sul punto non � stata approfondita 
l'indagine e non convince la determinazione di un modestissimo 
sovraccarico che non avrebbe influito minimamente nell'equilibrio dinamico 
del velivolo. 


1012 RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO 

l

I tecnici incaricati dell'inchiesta, dopo approfondita indagine ed accurato 
studio dei � dati � raccolti, hanno fatto considerazioni specifiche 
e concrete che non hanno ricevuto alcuna convincente smentita dalla sen


I 

~ 

tenza: in pag. 28 della relazione si legge che sia nel caso di avaria, sia 
in quello di passaggio basso voluto, la mancanza di pianificazione del 
volo, l'avere � imbarcato � un passeggero oltre il numero dei posti disponibili, 
lo spostamento del baricentro in funzione della disposizione del 
passeggero in pi� (dei cui movimenti, prima del sinistro, non � alcuna 
prova), l'aumento della velocit� di � stallo � in funzione del peso, avevano 
sicuramente influito negativamente, frustrando gli eventuali tentativi 
fatti dall'equipaggio per cercare di evitare la catastrofe. 

Sono affermazioni gravi, provenienti da tecnici altamente specializzati, 
che per essere disattese abbisognano di una indagine pi� approfondita 
e di una valutazione pi� ampia. 

Ed a tale problema si aggancia la posizione del Puzzilli che, secondo 
la ricorrente parte civile, non avrebbe osservato le norme regolatrici della 
sua competenza funzionale. 

Anzitutto � da mettere in evidenza che anche la sentenza impugnata 
ha riconosciuto la validit� e l'efficacia normativa del regolamento per 
la navigazione aerea, ma ha posto l'accento sulla � anzianit� � di tale 
regolamentazione, per cui il decorso di oltre 50 anni aveva, indiscutibilmente, 
mutato la materia, oggetto della norma, e modificato, in conseguenza, 
la sua attuazione. Ha posto a base di tale affermazione l'accertata 
serie di comunicazioni interne (circolari e disposizioni anche telegrafiche) 
che, in nome di prassi e consuetudini, avrebbero tacitamente 
abrogato o messo in desuetudine l'obbligo tassativo per il comandante 
dello scalo di eseguire la �visita� dell'aeromobile e non limitarsi all'esame 
documentale. I giudici hanno, altres�, giustificato il comportamento 
del comandante dell'aeroporto con l'attuale aumento del traffico aereo che 
sarebbe rimasto paralizzato da una stretta osservanza del regolamento. 

Ma, pur prescindendosi dalla considerazione che non � rimasto provato, 
e neppure si � tentato di farlo, che l'aeroporto dell'Urbe fosse stato, 
in quel giorno, tanto � trafficato � da non consentire al comandante dello 
scalo, o al suo delegato, di adempiere scrupolosamente le mansioni attribuitegli 
dalla legge (ch�, invero, in funzione di tale circostanza la sentenza 
impugnata ha ritenuto che non incombesse al Puzzilli un dovere assoluto 
di visita di controllo �a vista�), rimane assoluto ed imprescindibile il 
fatto che mai una norma giuridica, tuttora vigente, pu� essere derogata 
da una prassi o da una comoda desuetudine. 

Rimane pienamente valido il disposto dell'art. 16 della convenzione 
di Chicago del 7 dicembre 1944, approvata dall'Italia con d.l. 6 marzo 
1948, n. 616, secondo il quale le autorit� competenti di ciascuno Stato 
contraente hanno il diritto di visitare, all'atterraggio e alla partenza, le 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

aeronavi degli altri Stati contraenti e di esaminare i certificati e gli altri 
documenti prescritti. 

Tale diritto diventa dovere nell'ambito del combinato disposto degli 
artt. 13 e 17 del regolamento per la navigazione aerea n. 356 del 1925, in 
cui sono specificati i compiti del comandante dell'aeroporto, consistenti, 
precipuamente, nella sorveglianza sulla aeronavigazione allo scopo di assi 
curarsi che tutti gli aeromobili in partenza, in arrivo ed in transito si 
trovino in regola con le disposizioni vigenti. In modo particolare si dispone 
che nessun aeromobile pu� lasciare l'aeroporto prima che il comandante 
o un suo delegato �abbia eseguito la prescritta visita ed abbia 
consentita la partenza �. 

Prosegue l'art. 17 cit. imponendo che ogni aeromobile, allorch� si presenta 
alla visita di controllo prima della partenza, debba trovarsi in perfetto 
ordine di rotta e che nessun altro carico pu� essere messo a bordo 
dopo eseguita la visita di controllo. 

Dal chiaro tenore delle norme citate si evince che l'aeromobile, 
e non i documenti ad esso relativi, deve essere sottoposto a visita perch� 
possa esservi la certezza che il perfetto ordine di rotta, controllato nel 
momento della visita, sussista anche nel momento del decollo. E si � 
visto come tale corrispondenza non vi fosse affatto, per le gravi e notevoli 
differenze del carico effettivo rispetto a quello indicato nel � piano 
di volo�, per non dire, infine, che quest'ultimo portava anche la firma, 
come pilota, del Giambanco che non aveva abilitazione alcuna per quel 
tipo di aereo. Ed � stata� una grossa forzatura di motivazione della sentenza 
considerare il Giambanco un semplice passeggero e non il secondo 
pilota, poich� un passeggero non firma il � piano di volo �. 


I 


I 




PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice civile, art. 2096, terzo coma, nella parte in cui non ricorre il 
diritto all'indennit� di anzianit� di cui agli artt. 2120 e 2121 stesso codice, al 
lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto du� 
rante il periodo di prova medesimo. 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

codice civile, art. 2109, nella parte in cui non prevede il diritto a ferie 
retribuite anche per il lavoratore assunto in prova in caso di recesso dal contratto 
durante il periodo di prova medesimo. 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

codice di procedura penale, art. 177 bis, secondo comma, nella parte in 
cui consente l'emissione del decreto preveduto dall'art. 170 c.p.p. nei confronti 
dell'imputato dimorante all'estero ad indirizzo conosciuto, al quale sia stato 
inviato l'avviso di procedimento mediante lettera raccomandata e che non 
abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio nazionale 
anche quando non risulti la avvenuta ricezione della raccomanclata stessa. 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 178, G. U. �31 dicembre 1980, n. 357. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 18, primo comma, nella parte in cui prevede 
che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra per il debitore 
della affissione della sentenza che si dichiara il fallimento. 
Sentenza 27 novembre 1980, n. 151, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, quinto comma nella parte in cui fa 
decorrere i termini per appellare e per il ricorso in Cassazione dalla affissione 
della sentenza resa su opposizione allo stato prossimo. 
Sentenza 27 novembre 1980, n. 151, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267 art. 209 nella parte in cui prevede che il termine 
per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi decorre dalla data 
del deposito, nella cancelleria del Tribunale del luogo dove l'impresa in liquidazione 
coatta amministrativa ha sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi 
o respinti, formato dal commissario liquidatore, anzich� non dalla data 
di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevuto, con le quali il commissario 
liquidatore d� notizie dell'avvenuto deposito ai creditori le cui pretese 
non sono state in tutto o in parte ammesse. 
Sentenza 21 novembre 1980, n. 155, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. 

legge 4 marzo 1952, n. 137, art. 28 (sostituito da legge 25 luglio 1971, 

n. 568, art. 2) nella parte in cui non consente l'iscrizione dei profughi negli 
albi professionali senza richiedere il possesso nello stato di provenienza di 
requisiti equipollenti e quelli costituzionalmente prescritti nell'ordinamento 
italiano. 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 175, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

10 



comma 
stituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 185, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 
comma 
stituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 185, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, n. 3 nella parte in cui elenca tra 
i soggetti possibili delle misure di previsione previste dalla legge medesima 
coloro che, � per manifestazioni cui abbiano dato luogo, di fondato motivo di 
ritenere che siano proclivi a delinquere�. 


Sentenza 22 dicembre 1980, n. 177, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 15 luglio �1966, n. 604, art. 1O, nella parte in cui esclude il diritto 
del prestatore di lavoro, che riveste la qualifica di impiegato o di operaio ai 
sensi dell'art. 2095 codice civile, a percepire l'indennit� di amianit� di cui all'art. 
9 della medesima legge n. 604, del 1966, quando assunto in prova e licenziato 
durante il periodo di prova medesima. 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 18 novembre 1975, n. 764, art+. 2, primo e secondo comma, e 3, 
primo e secondo comma, nella parte in cui disciplinano il trasferimento alla 
regione Sicilia dei � compiti istituzionali � e delle � attivit� in atto svolte dall'Ente 
giovent� italiana �, nonch� del patrimonio immobilare e del personale 
dell'ente medesimo, senza prescrivere l'osservanza della procedura prevista dall'art. 
43 del relativo statuto speciale. 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 180, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 18 novembre 1975, n. 764, art. 2, primo e secondo comma nella 

parte in cui disciplina il trasferimento alla regione Sardegna dei � Compiti 

istituzionali � delle � attivit� in atto svolte � e del � patrimonio immobiliare � 

dell'ente � Giovent� italiana �, senza prescrivere l'osservanza della procedura 

prevista dall'art. 56 del relativo statuto speciale. 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 180, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 18 novembre 1975, n. 764, art. 3, primo e secondo comma nella 

parte in cui disciplina il trasferimento alla regione Sardegna del personale 

dell'Ente � Giovent� italiana �, senza prescrivere l'osservanza della procedura 

prevista dall'art. 56 del relativo statuto speciale. 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 180, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 18 novembre 1975, n. 764, art+. 6 e 7 nella parte in cui non fanno 

valere l'ipotesi che sia autonomamente disposto dalla regione Lazio, ai fini del 

trattamento di pensione, dell'assistenza malattie e della buonuscita, circa il 

periodo di servizio che il personale trasferito presti alle dipendenze della 
.regione medesima. 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 179, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 2096 (artt. 3, primo e secondo comma, 4, 35 e 41, 
secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 


codice di procedura civile, art. 668, primo (artt. 3 e 24 della Co



PARTE II, LEGISLAZIONE 
1H 

codice di procedura penale, art. 125 e 128 (artt. 2, 3, 10, 11, 21 e 24 della 
Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 357, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

codice di procedura penale, art. 169, primo e terzo comma (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 182, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

codice di procedura penale, art. 172 bis (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 183, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

codice di procedura penale, art. 177 bis (artt. 3, primo comma, e 24, 
secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 184, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

r.d. 
21 ottobre 1923, n. 2393, artt. 169, terzo comma, e 7 (artt. 3, e 
24, 
secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 181, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

r.d.I. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 26, lettera b, e 30, lettera a) e b) 
[conv. In legge 22 gennaio 1934, n. 36] (art. 33, comma q�into, della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 174, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

r.d. 
16 marzo 1942, n. 267, art. 119, secondo comma (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 27 novembre 1980, n. 153, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. 

legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 1 O (artt. 3, primo e secondo comma, 4, 
35 e 41, secondo comma, della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 189, G. ll. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 15 dicembre 1980, n. 157, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. 

d.I. 2 marzo 1974, n. 30, art. 3 [conv. in legge 16 aprile 1974, n. 114 e 
modlf. da legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 3] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 15 dicembre 1980, n. 157, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. 

d.I. 
8 luglio 1974, n. 264, art. 7, comma primo [conv. in legge 17 agosto 
1974, 
n. 386] (artt. 36 e 3 della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 176, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 22 mag9io 1975, n. 152, art. 18, n. 1 (art. 25, terzo comma, della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 177, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 18 novembre 1979, n. 764, art. 3, primo e secondo comma (artt. 117 
e 3 della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1980, n. 179, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 8 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 15 dicembre 1980, n. 156, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. 


114 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1980, n. 186, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 22 dic�mbre 1980, n. 186, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge reg. siciliana app. il 16-17 maggio 1979, artt. 3 e 5 (artt. 32 della 
Costituzione e 17, lettera b), dello statuto speciale regionale). 
" Sentenza 27 novembre 1980, n. 154, G. U. 3 dicembre 1980, n. 332. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile, art. 244 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 23 maggio 1980, n. 765, G. U. 24 dicembre 
1980, n. 352. 

codice civile, art. 2758 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 28 febbraio 1980, n. 732, G. U. 10 dicembre 
1980, n. 338. 

codice di procedura civile, art. 429, comma terzo (art. 36 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 853, G. U. 31 dicembre 
1980, n. 357. 
Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 854, G. U. 31 dicembre 
1980, n. 357. 

codice penale, artt. 5, 42, quarto comma, 43, 47 (artt. 2, 3, 24, 54, 73, 
111, 113 e 27, comma primo, della Costituzione). 
Pretore di Cingoli, ordinanza 22 luglio 1980, n. 694, G. U. 10 dicembre 
1980, n. 338. 

codice penale art. 26, comma secondo (art. 24, comma secondo della Costituzione). 
Tribunale di Rovereto, ordinaza 13 giugno 1980, n. 646, G. U. 5 novembre 
1980, n. 304. 

codice penale, art. 61, n. 9 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 27 giugno 1980, n. 707, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

codice penale, art. 222, primo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di San Ros� di Pieve, ordinanza 25 giugno 1980, n. 658, G. U. 
12 novembre 1980, n. 311. 

codice penale, artt. 357, 358 e 314 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 16 aprile 1980, n. 680, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

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I 



PARTE II, LEGISLAZIONE 
1J5 

codice penale, art. 384 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 
Tribunale di Novara, ordinanza 3 giugno 1980, n. 751, G. U. 26 novembre 


codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). 
1980, n. 325. 
Corte di assise di Cagliari, ordinanza 3 luglio 1980, n. 609, G. U. 5 novembre 
1980, n. 304. 

codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 
Pretore di Padova, ordinanza 22 luglio 1980, n. 733, G. U. 31 dicembre 
1980, n. 357. 

codice penale, art. 699 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Olbia, ordinanza 28 marzo 1980, n. 657, G. U. 12 novembre 
1980,, n. 311. 

codice di procedura penale, artt. 348 e 351 (art. 21 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 16 settembre 1980, n. 791, G. U. 24 dicembre 
1980, n. 352. 

legge 20 marzo 1865, n. 2248, art. 378, terzo comma, allegato F> (artt. 3 
e 112 della Costituzione). 
Pretore di Valentano, ordinanza 29 marzo 1980, n. 706 G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

r.d. 22 dicembre 1872, n. 121 O, art. 78 (artt. 101, secondo comma, e 108, 
secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, 

G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
r.d. 17 agosto 1907, n. 642, art. 26 (artt. 3 e 24, primo e secondo comma, 
della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 10 giugno 
1980, n. 728, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. 

legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 1O, comma secondo (artt. 2, 3 e 29 della 
Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 24 giugno 1980, n. 691, G. U. 3 dicembre 1980, 

n. 332. 
r.d. 
19 ottobre 1923, n. 2616, art. 16 (artt. 101, secondo comma, e 108, 
secondo 
comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, 

G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
r.d. 30 dicembre 1923, n. 2903, art. 29 (artt. 101, secondo comma, e 108, 
secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, 

G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 44, primo comma (artt. 3 e 24, primo 
e secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 10 giugno 
1980, n. 728, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. 


136 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 2 giugno 1930, n. 733, art. 18 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 22 aprile 1980, n. 651, G. V. 12 novembre 
1980, n. 311. 

r.d.I. 26 gennaio 1931, n. 122, art. 12 [conv. in legge 18 giugno 1931, 
n. 
919] (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, 
G. V. 26 novembre 1980, n. 325. 
r.d. 
18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Rovigo, ordinanza 19 giugno 1980, n. 719, G. V. 10 dicembre 
1980, n. 338. 

r.d.I. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). 
Tribunale per i minorenni di Napoli, ordinanza 24 giugno 1980, n. 655, G. V. 
12 luglio 1980, n. 311. 

r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, tabella Al (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. V. 10 dicembre 
1980, n. 338. 

r.d. 6 maggio 1940, n. 635, art. 58, comma terzo (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Rovigo, ordinanza 19 giugno 1980, n. 719, G. V. 10 dicembre 
1980, n. 338. 

legge 24 aprile 1941, n. 392, art. 1, 2 e 3 (artt. 5, 110 e 128 della Costituzione). 


Consiglio di Stato, sezione quarta e giurisdizionale, ordinanza 12 febbraio 
1980, n. 689, G. V. 3 dicembre 1980, n. 332. 

r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 50, secondo comma (artt. 101, secondo 
comma 
e 108, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 giugno 1980, n. 681, 

G. V. 26 novembre 1980, n. 325. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 18, primo comma (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Sondrio, ordinanza 22 maggio 1980, n. 698, G. V. 19 novembre 
1980, n. 318. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 24 (art. 3 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il Tribunale di Locri, ordinanza 21 gennaio 1980, 
n. 755, G. V. 24 dicembre 1980, n. 352. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 59 (art. 36 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 853, G. V. 31 dicembre 
1980, n. 357. 
Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 1980, n. 853, G. V. 31 dicembre 
1980, n. 357. 

legge 9 giugno 1947, n. 530, art. 3 (art. 130 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, ordinanza 
23 aprile 1980, n. 717, G. V. 26 novembre 1980, n. 325. 

PARm II, LEGISLAZIONE 

legge 10 febbraio 1953, n. 62, art. 56 (art. 130 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, or� 
dinanza 23 aprile 1980, n. 717, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

d.P.R. 
19 marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 25 e 70 della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanza 11 luglio 1980, n. 648, G. U. 5 novembre 1980, 
n. 648, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. 
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Brescia, ordinanza 10 gennaio 1980, n. 720, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Marsala, ordinanza 24 aprile 1980, n. 688, G. U. 3 dicembre 
1980, n. 332. 

legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2, (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 8 maggio 1980, n. 758, G. U. 17 dicembre 
1980, n. 345. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 893, art. 121 [modlf. da legge 5 maggio 1976, 
n. 313, art. 5J (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 1� ottobre 1980, n. 799, G. U. 31 dicembre 
1980, n. 357. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 725, G. U. 10 dicembre 1980, 

n. 338. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, comma secondo, lettera a) (artt. 3 
38, comma secondo, della Costituzione). 
Pretore di Pisa, ordinanza 8 maggio 1980, n. 678, G. U. 26 novembre 1980, 

n. 325. 
legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, comma secondo (~rt. 3 della Costituzione). 
Pretore di� Asti, ordinanza (due) 16 luglio 1980, nn. 682 e 683, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

legge 12 febbraio 1965, n. 162, art. 74, comma primo (artt. 3 e 41 della 
Costituzione). 
Pretore di Camposampiero, ordinanza 1� luglio 1980, n. 726, G. U. 17 dicembre 
1980, n. 345. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 11 e 41 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza (due) 5 giugno 1980, n. 660 e 661, G. U. 
12 
novembre 1980, n. 311. 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 23 maggio 1980, n. 701, G. U. 26 novembre 80', 

n. 325. 
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 76, 77 e 3 della Costituzione). 
Corte di appello di Lecce, ordinanza 9 maggio 1980, n. 605, G. U. 5 no� 
vembre 1980, n. 304. 


tJ8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2 (artt. 2, 3, comma secondo, 4, comma 
primo, 35, comma primo, e 38, comma secondo, della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 25 luglio 1980, n. 716, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art+. 3 e 140 Cart. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 17 settembre 1980, n. 756, G. U. 24 dicembre 
1980, n. 352. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Ancona, ordinanza 30 giugno 1980, n. 760, G. U. 24 dicembre 
1980, n. 352. 

legge 2 ottobre 1967, n. 895, art+. 2 e 7 [modlf. da legge 10 ottobre 1974, 

n. 497] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Rovigo, ordinanza 19 giugno 1980, n. 719, G. U. 10 dicembre 
1980, n. 338. 

legge 8 marzo 1968, n; 152, art+. 2 e seguenti (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 22 aprile 1980, n. 651, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lettera a) (art. 3, 
comma primo, della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 13 giugno 1980, n. 643, G. U. 5 novembre 1980, 

n. 304. 
legge reg. Valle d'Aosta 11 marzo 1968, n. 9, [modif. con legge reg. 4 
aprile 1978, n. 6] (artt. 5, 128 e 118, ultimo comma, della Costituzione e art. 2 
dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta). 

Tribunale amministrativo regionale per la Valle d'Aosta, ordinanza 10 aprile 
1980, n. 659, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art+. 1 e 5 (artt. 38 e 41 della f'ostituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanze (due) 9 
aprile 1980, nn. 708 e 709, G. U. 26 novembre 1980, n. 365. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costi� 
tuzione). 
Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. U. 10 dicembre 1980, 

n. 338. 
leg9e 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 
Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. U. 10 dicembre 1980, 

n. 338. 
legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, primo comma, (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Padova, ordinanza 29 maggio 1980, n. 675, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 

legge 30 dicembre 1970, n. 1239 (art. 11 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 9 giugno 1980, n. 759, G. U. 24 dicembre 
1980, n. 352. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 19, primo comma (artt. 3 e 24, primo 
e secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 10 giugno 
1980, n. 728, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. 

legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4 (artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione). 


Tribunale di Milano, ordinanza 29 maggio 1980, n. 721, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

legge 15 febbraio 1972, n. 772 (artt. 2, 3, 19, 21 e 52 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 15 aprile 
1980, n. 727, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, comma primo, e titolo lii (art. 76 
della 
Costituzione). 
Commissioni tributarie di primo grado di Forl�, ordinanza 17 maggio 1980, 

n. 722, G. U. 26 novembre 1980, .n. 325. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 
Commissioni tributarie di secondo grado di Massa Carrara, ordinanza 27 ottobre 
1977, n. 606-1980, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanze (due) 15 maggio 1980, nn. 692 e 693, G. U. 
12 novembre 1980, n. 311. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35 (artt. 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, ordinanza 12 giugno 
1980, n. 674, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 11 apn'l~ 
1978, n. 699, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 26 ottobre 1979, 
n. 764/1980, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art+. 6 e 14 [modif. da d.P.R. 23 dicembre 
1974, n. 688J (artt. 53, primo comma della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Massa Carrara, ordinanza 15 ottobre 
1976, n. 734/1980, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. 

legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11 (artt. 25, comma primo, 52, commi 
primo e secondo, e 103, comma terzo, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 19 giugno 1980, n. 649, 

G. U. 5 novembre 1980, n. 304. 
legge 11 agosto 1973, n. 533, art. 420, primo e ultimo comma (artt. 24, 
primo e secondo comma, 97, 101 e seguenti e 3 della Costituzione). 
Pretore di Nard�, ordinanza 24 marzo 1980, n. 656, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 


140 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DllUO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 74 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Latina, ordinanze (due) 15 di� 
cembre 1979, nn. 753 e 754/1980, G. U. 24 dicembre 1980, n. 352. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1, 4 e 7 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, ordinanza 14 gennaio 
1980, n. 704, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Pisa, ordinanza 24 giugno 
1980, n. 731, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. 

Commissione tributaria di primo grado di Pordenone, ordinanza 27 marzo 
1980, n. 730, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
I

Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 5 marzo 
1980, n. 766, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

I

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

I ~ 

Pretore di Pistoia, ordinanza 16 aprile 1980, n. 602, G. U. 5 novembre 1980, 

n. 304. 
fil 

Pretore di Pistoia, ordinanze (otto) 26 marzo 1980, n. da 593 a 600, G. U. 5 �! 
novembre 1908, n. 304. 

~ 

Corte di Cassazione, ordinanza 5 maggio 1980, n. 608, G. U. 5 novembre 1980, 

n. 304. m 
ri
Pretore di Monsummano Terme, ordinanza 4 marzo 1980, n. 696, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 

ili 

I @; 

Pretore di Pistoia, ordinanza 21 maggio 1980, n 767, G. U. 31 dicembre 1980, 

n. 357. 
~~ 

legge 18 dicembre 1973, n. 877, art. 13, commi primo e secondo (artt. 3 e 

~ 

35 della Costituzione). 
Pretore di Orvieto, ordinanza 31 maggio 1980, n. 679, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

legge reg. Calabria 27 dicembre 1973, n. 22, art. 26 (art. 130 della Costituzione). 
Tribunale. amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, ord�� 
nanza 23 aprile 1980, n. 717, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, primo comma (art. 3 della Coili 
stituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 

I

aprile 1980, n. 729, G. U. 17 dicembre 1980, n. 345. f: 

jj, 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, comma sesto, (art. 3 della Co�


stituzione). t 
Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 11 gennaio 1978, n. 647, 

G. U. 12 novembre 1980, n. 311. 
I 

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PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 18 aprile 1974, n. 384, art. 4, sesto c:omma (art. 53 della Costi. 
tuzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 1� luglio 1977, 

n. 713/1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
d.I. 6 luglio 1974, .n. 259, art. 4 [c:onv. in legge 17 agosto 1974, n. 384] 
(artt. 3, 29 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanze (due) 23 no� 
vembre 1977, nn. 710 e 711 /1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

d.I. 6 luglio 1974, n. 259, art. 4, sesto c:omma [c:onv. In legge 17 agosto 
1974, n. 384] (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza (tre) 15 dicem� 
bre 1977, nn. 586, 587 e 588 /1980, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 25 ottobre 1979, n. 787/1980, G. U. 31 dicem� 
bre 1980, n. 352. 

legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 22 aprile 1980, n. 651, G. U. 12 novem� 
bre 1980, n. 311. 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il tribunale di Pinerolo, ordinanza 2 giugno 1980, 

n. 700, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. 
legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 4 (artt. 13 e 24 della Costituzione}. 
Tribunale di Rovigo, ordinanza 26 maggio 1980, n. 607, G. U. 5 novembre 
1980, n. 304. 

legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 2 e 9 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Brindisi, ordinanza 6 giugno 1980, n. 714, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo c:omma (artt. 3, 36, 38 e 53 
della Costituzione). 
Pretore di Voghera, ordinanza 2 luglio 1980, n. 724, G. U. 10 dicembre 1980, 

n. 338. 
legge 2 dic:embre 1975, n. 576, art. 19, comma sec:ondo (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, ordinanze (due) 20 ot� 
tobre e 6 novembre 1979 nn. 702 e 703/1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

legge 1 O dlc:embre 1975, n. 724, artt. 1, 3 e 7 (artt. 3 e 11 della Co. 
stituzione). 
Corte di appello di Napoli, ordinanza 24 aprile 1980, n. 652, G. U. 12 novem� 
bre 1980, n. 311. 

legge 22 dic:embre 1975, n. 685, artt. 12, lettera a> e 26, primo c:omma 

(art. 3 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il tribunale di Bolzano, ordinanza 26 marzo 1980, 

n. 715, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

142 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

legge 22 dic:embre 1975, n. 685, artt. 71, 72 e 83 (art. 3 della Costituzione). 


Giudice istn1ttore presso il tribunale di Rovereto, ordinanza 21 maggio 
1980, n. 645, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. 

legge 10 genna_io 1976, n. 319, art. 25 (art. 27 della Costituzione). 
Tribunale di Como, ordinanze (otto) 6, giugno, 22 maggio, 2 aprile, 28 
marzo e 4 aprile 1980, nn. 664, 665, 666, 667, 668, 669, 570 e 571, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 

legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Polissi Generosa, ordinanza 16 gennaio 1980, n. 723, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 

Tribunale di Taranto, ordinanza 18 giugno 1980, n. 752, G. U. 24 dicembre 
1980, n. 352. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo c:omma (artt. 3 e 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 21 dicembre 
1977, n. 712, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo c:omma (artt. 29, 31, 3 e 53 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Pescara, ordinanza 21 gennaio 
1980, n. 685, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
Commissione tributaria di secondo grado di Pescara, ordinanza 21 gennaio 
1980, n. 686, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di secondo grado di Caserta, ordinanza 23 giugno 
1980, n. 604, G. U. 5 novembre 1980, n. 304. 

d.I. 10 dic:embre 1976, n. 798, art. 1, terzo c:omma [c:onv. in legge 8 feb� 
braio 1977, n. 16] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, ordinanze (due) 20 ottobre 
e 6 novembre 1979, nn. 702 e 703/1980, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lettera b) (artt. 2, 3, 24, 54, 73, 111, 
113, e 27, comma primo, della Costituzione). 
Pretore di Cingoli, ordinanza 22 luglio 1980, n. 694, G. U. 10 dicembre 1980, 

n. 338. 
legge 8 agosto 1977, n. 573, art. 2 (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, 

n. 332. 
legge 9 dic:embre 1977, n. 903, art. 6 (artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 29 maggio 1980, n. 721, G. U. 26 novembre 
1980, n. 325. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 26 ottobre 
1980, n. 764/1980, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338. 

d.I. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [conv. in legge 27 febbraio 1978, n� 411 
(artt. 38, 36, 42, 47, 53 e 3 della Costituzione). 

Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 luglio 1980, n. 672, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 

d.I. 
30 gennaio 1978, n. 15, art. 1 [conv. in legge 22 marzo 1978, n. 75] 
(artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, 

n. 332. 
legge prov. Trento 13 marzo 1978, n. 13 (artt. 8 e 9 dello statuto speciale 
per il Trentino-Alto Adige). 

Pretore di Trento, ordinanza 10 luglio 1980, n. 690, G. U. 3 dicembre 1980, 

n. 332. 
d.I. 
30 marzo 1978, n. 78 [conv. in legge 26 maggio 1978, n. 221 l (artt. 3, 
18, 
36 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, 

n. 332. 
d.I. 
6 luglio 1978, n. 353, art. 2 [conv. in legge 5 agosto 1978, n. 502] 
(artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Cingolo, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, 

n. 332. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 13, comma quinto, lettera b) (art. 3 
della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 8 luglio 1980, n. 654, G. U. 12 novembre 1980, 

n. 311. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 26, primo cpv. (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Codigoro, ordinanza 27 marzo 1980, n. 644, G. U. 5 novembre 1980, 

n. 304. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 34 e 69 (art. 42 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Andria, ordinanza 8 settembre 1980, n. 757, G. U. 24 dicembre 
1980, n. 352. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 8 (artt. 3, 70, 101 e 103 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Ravenna, ordinanza 16 luglio 1980, n. 653, G. U. 5 novembre 
1980, n. 304. 

legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 38, 36, 42, 47, 53 e 3 della Costituzione). 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 luglio 1980, n. 672, G. U. 12 novembre 
1980, n. 311. 

legge 8 gennaio 1979, n. 2 (artt. 2, 4, 25, 41 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Montagnana, ordinanza 20 giugno 1980, n. 650, G. U. 12 novem� 
bre 1980, n. 311. 


144 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 
30 gennaio 1979, n. 20, art. 1 [conv. in legge 31 marzo 1979, n. 92] 
(artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, 


n. 332. 
legge 13 agosto 1979, n. 374, art. 1 (artt. 3, 24, 38 e 102 della Co� 
stituzione). � 
Tribunale di Frosinone, ordinanze (quindici) 4 e 18 giugno 1980, nn. da 736 
a 750, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 13 agosto 1979, n. 375 (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Cingoli, ordinanza 4 agosto 1980, n. 695, G. U. 3 dicembre 1980, 

n. 332. 
d.I. 15 dicembre 1979, n. 629, art. 3, ultimo comma [modlf. da legge 15 feb� 
bralo 1980, n. 251 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Otranto, ordinanza 28 giugno 1980, n. 662, G. U. 12 novembre 
1980, n. 331. 

d.I. 
15 dicembre 1979, n. 625, art. 11 [modif. da legge 6 febbraio 1980, 
n. 15] (artt. 3, primo comma, 13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo 
comma, 
e 27, secondo comma, della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il tribunale di Padova, ordinanza 21 luglio 1980, 

n. 673, G. U. 12 novembre 1980, n. 311. 
legge 20 marzo 1980, n. 75, artt. 4, ultimo comma, e 6, secondo 
comma (artt. 3, 24, 38 e 102 della Costituzione). 
Tribunale di Frosinone, ordinanze (quindici) 4 e 18 giugno 1980, nn. da 736 
a 750, G. U. 31 dicembre 1980, n. 357. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, artt. 6, secondo comma, e 4, ultimo comma 

(artt. 104, primo comma, 25, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione). 
Pretore di Como, ordinanza 27 giugno 1980, n. 718, G. U. 12 luglio 1980, 

n. 311. 
legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6 (artt. 3, 24, primo comma, 42, 70 e 101 
della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanza 4 luglio 1980, n. 697, G. U. 19 novembre 1980, 

n. 318. 
legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (artt. 3, 24, primo 
comma, 42, 70 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanza 25 luglio 1980, n. 687, G. U. 17 dicembre 1980, 

n. 345. 
legge conv. reg. Veneto 23 aprile 1980, riapp. Il 30 ottobre 1980 (artt. 117 
e 118 della Costituzione). 
Presidente del Consiglio dei ministri, ricorso 29 novembre 1980, n. 28, G. U. 
10 dicembre 1980, n. 338. 

I 


I 


f

i 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 31 luglio 1980, n. 613, art. 11, terzo comma (artt. 3, terzo comma, 8, 
n. 
29, 9, n. 10, 16 e 19 delfo Statuto speciale de1 Trentino-Alto Acli.ge). 
Presidente delle provincie autonome di Bolzano, ricorso 14 novembre 1980, 
n. 
23, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
Presidente della provincia autonoma di Trento, ricorso 14 novembre 1980, 
n. 25, G. U. 26 novembre_ 1980, n. 325. 
d.P.R. 31 luglio 1980, n. 614, art. 5 (artt. 3, terzo comma, 8, nn. 1 e 21, 
9, 
n. 10 e 16 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige). 
Presidente delle provincie autonome di Bolzano, ricorso 14 novembre 1980, 

n. 
24, G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
Presidente delle provincie autonome di Trento, ricorso 14 novembre 1980, 
n. 325. 
legge reg. Valle d'Aosta e riappr. il 17 ottobre 1980 {art. 2 dello Statuto 
speciale della regione Valle d'Aosta e art. 97 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 15 novembre 1980, n. 27, 

G. U. 26 novembre 1980, n. 325. 
legge reg. siciliana appr. li 23 ottobre 1980 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Commissione dello Stato per la regione siciliana, ricorso 10 novembre 
1980, n. 22, G. U. 19 novembre 1980, n. 318. 

legge reg. sic. 13 novembre 1980, artt. 2, 3, 4, 6, primo, secondo e terzo 
capoverso, 7, 8, 12, 23, 24 e 25 (artt. 3, 51, 81 e 97 della Costituzione e art. 17, 
lettera f) dello statuto speciale per la regione siciliana). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 1� dicembre 1980, 

n. 29, G. U. 10 dicembre 1980, n. 338.