ANNO VI -N. 3 RASSEGNA MENSILE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE DI SERVIZIO SOMMARIO I. ARTIOOLI ORIGINALI In tema di invenzioni degli impiegati dello Stato, dell'avv. L. TRACANNA, p. 41-51. II.. NOTE DI DOTTRINA 1) M. S. GIANNINI: La Repubblica Bociale italiana riBpetto allo Stato italiano, recensione critica, p. 52. 2) GIUSEPPE GREOo: Ingiunzione fiscale e rilievi in ordine alla vidimazione del Pretore con riferimento alla interruzione della preBcrizione, recensione critica dell'avv. D. D'AVANZO, p. 52-54. 3) ASTER ROTONDI: Le parti nel proceBso tributario -Contributo allo studio dell'onere della prova, recensione critica dell'avv. G. DEL GREOO, p. 54-58. 4) M. GRISOLIA: La tutela delle cose d'arte, recensione �ritica, p. 58-59. III. RAOOOLTA DI GIUR.lSPRUDENZA ' 1) Avvocati e pro.curatori -Avvocatura dello Stato -Difesa facoltativa di enti pubblici -Non necessit� di mandato -Poteri, p. 60. 2) Competenza e giurisdizione -Danni di guerra -Persona giuridica organo dello Stato, p. 60-63. 3) Guerra -Perdita dei beni in Tunisia (D. L. 6 aprile 1948, n. 521 Commissione istituita ai sensi dell'art. 5 del detto decreto -Ha carattere amministrativo e non giurisdizionale, p. 63-64. 4) Riscossione delle entrate patrimoniali -Procedimento di natura esecutiva- Opposizione ad ingiunzione-Competenza per territorio, p. 64-65. 5) Stranieri-Permesso di soggiorno -Revocabilit� -Motivazione, p. 65-67. 6) Trasporto -Avarie e danni -Trasporto ferroviario -Liquidazione delle indennit� di perdita e di av�rie -Debito pecuniario -Rivalutazione monetaria -Inammissibilit�, p. 67. IV. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE OORT! DI MERITO 1) Competenza e giurisdizione -ENPAS -Controversia per il rimborso di spese per cure mediche tra il dipendente statale e l'Ente -Discrezionalit� dell'Ente nell'accertamento -Incompetenza della giurisdizione ordinaria, p. 68-69. 2) Contratti agrari -Accertamento del diritto di proroga legale -Tacita riconduzione -Competenza sezione speciali7.zata -Disdetta, p. 69-70. V. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE, p. 71-72. VI. INDIOE SISTEMATIOO DELLE OONSULTAZIONI, p. 73-76, _j .ANNO VI -N. 3 MARZO 1953 RASS.EGNA MENSILE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICJA.ZIONE DI SERVIZIO IN TEMA DI INVENZIONI DEGLI IMPIEGATI DELLO STATO (A proposito di una recente sentenza della Corte di Cas~azione) Della particolare materia delle invenzioni dei dipendenti dello Stato (nel caso concreto, di un ufficiale superiore del Genio aeronautico addetto, con funzioni direttive, alla Direzione sup�riore degli Studi ed Esperienze dell'Aeronautica militare) la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, in sede di regolamento di giurisdizione proposto dall'Amministrazione (sent. n. 1412 del 16 maggio 1952 in causa Scelzo contro Ministero Difesa .Aeronautica), � tornata ad occuparsi a distanza di oltre un ventennio dalle precedenti pronuncie (sent. 29 maggio 1928 in causa Bettica, �Foro It. �, 1928, I, 981 e Relazione dell'Avvocatura dello Stato 1926-29, p. 229 segg. ), e, quel che pi� importa, per la prima volta dopo l'entrata in vigore del Decreto 29 giugno 1939, n. 1127. La sentenza, per quanto abbia finora suscitato commenti favorevoli (cfr. RIBOLZI, in �Foro Padano �, novembre 1952, fascicolo 11, col. 1175; SORDELLI: ibidem col. 1179; FORMIGGINI, in (( Rivista di Diritto industriale �, 1952, parte II, pagine 121 segg.) non ci ha lasciato convinti, sia per ci� che si riferisce alla soluzione delle questioni di giurisdizione concretamente proposte mediante il regolamento, sia per quanto attiene alla interpretazione che dell'art. 23 della vigente legge sui brevetti la Suprema Corte ha ritenuto di dare. * * * I principi affermati dalla Cassazione con la suindicata sentenza sono, in sintesi, i seguenti: 1� In base al noto criterio discriminatore della competenza dell' .Autorit� giudiziaria da quella della giurisdizione amministrativa, sussiste la competenza della prima a conoscere di una controversia relativa alla determinazione della indennit� di espropriazione di brevetti industriali ai sensi degli articoli 60 e segg. del Decreto 29 giugno 1939, n. 1127, e ci� anche dopo che gli originari decreti di esproprio siano stati revocati con effetto ex tunc in quanto aventi ad oggetto brevetti gi� di spettanza dell' .Amministrazione militare. 2� Le controversie nascenti in sede di interpretazione dell'art. 23 del Decreto 29 giugno 1939, n. 1127, in materia di invenzioni realizzate in costanza di rapporto di pubblico impiego, sono devolute alla competenza dell'Autorit� giudiziaria ordinaria e non del Consiglio di Stato in sede di giurisdizione esclusiva. 3� Nel rapporto costituito ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 23 del decreto 29 giugno 1939 n. 1127 tra datore di lavoro ed inventore, la attivit� di invenzione non pu� essere considerata quale mera esplicazione di lavoro manuale od intellettuale, non potendosi prescindere dall'attivit� inventiva e dalla qualit� d'inventore che, quanto al riconoscimento del diritto di paternit� prevale su quella di prestatore di lavoro: �, quindi, da escludere che l'invenzione in parola trovi la sua causa nel contratto di lavoro o di impiego, bens� in esso unicamente l'occasione. 4� Perch� possa verificarsi l'attribuzione al datore di lavoro dei diritti patrimoniali derivanti dall'invenzione, ai sensi dell'art. 23 del decreto 29 giugno 1939, n. 1127, � necessario che nel contratto tra datore di lavoro ed inventore il corrispettivo pattuito sia in diretta correlazione con l'invenzione. * * * Cominciamo ad esaminare le varie questioni che la Suprema Corte era stata chiamata a decidere. Veniva proposta, anzitutto, una tipica e pura questione di giurisdizione, anche se insorta in una specie di fatto alquanto complessa. Si trattava, in breve, di questo. Nel periodo che va dal 1928 al 1938 un ufficiale del Genio aeronautico in s.p.e., preposto ratione off�cii all!l> Direzione degli studi ed esperienze in materia di armamento aeronautico era pervenuto a richiedere a proprio nome (servendosi della collaborazione dei tecnici e del materiale dell'.Amministrazione) il brevetto per numerosi congegni, tutti attinenti alla specifica materia dell' armame.nto aereo. I diritti inerenti a sette di queste doma:tide furono dall' .Amministrazione aeronautica formalmente espropriati, nell'interesse della difesa militare, ed immediatamente sottoposti ar vincolo del segreto, nel 1930-32, senza che fosse stato mal proceduto alla determinazione della indennit� (riservata ad un successivo provvedimento) e senza che questa (strano caso!) fosse stata mai chiesta dall'interessato, mediante l'esperimento dell'ap �-42 posito giudizio arbitrale: alla vigilia della seconda guerra mondiale (6 e 7 giugno 1940) i brevetti in questione erano stati svincolati dal segreto e rilasciati, non ravvisandosi in essi alcuna importanza per l'Amministrazione militare. L'interessato, convenendo in giudizio nel 1948 l'Amministrazione innanzi al Tribunale di Roma, aveva espressamente e testualmente chiesto, in ordine ai sette brevetti espropriati (c'erano aitri undici brevetti sottoposti semplicemente a segreto, per i quali si chiedevano soltanto i danni in conseguenza della segretazione che si assumeva arbitraria), la indennit� di espropriazione: tanto che la difesa dell'Amministrazione aveva, fin dalla comparsa di risposta, eccepito che questa determinazione doveva competere, ai senzi dell'art. 63 della legge speciale, all'apposito collegio arbitrale avente carattere di giurisdizione speciale. Avvenne che, nelle more del giudizio, con altret tanti decreti del Capo dello Stato, fu provveduto a revocare con effetto ex tunc (rectius ad annullare) i sette decreti di esproprio, con la espressa motiva zione che essi erano mancanti di causa e di oggetto in quanto cadenti su cose (i diritti patrimoniali derivanti dalla invenzione) che, per il particolare rapporto tra inventore ed Amministrazione ai sensi dell'art. 23 del decreto 29 giugno 1939, n. 1127, dovevano ritenersi, ab initio, di pertinenza della Amministrazione stessa. Esibiti in giudizio questi provvedimenti di revoca, l'Amministrazione chiese che venisse dichiarato il difetto di giurisdizione del Tribunale in base agli articoli 2 e 4 della legge 20 marzo 1865 all. E: l'attore si limit� a contestare la legittimit� dell'acquisizione ed insistette per il suo originario petitum (la indennit� di espropriazione) con l'aggiunta che i . decreti stessi fossero dichiarati inesistenti e di nessun effetto; ad ogni buon conto l'attore stesso ritenne, altresi, di cautelarsi proponendo impugnativa giurisdizionale dei decreti innanzi al Consiglio di Stato. La insorta questione di giurisdizione venne decisa dal Tribunale in senso sfavorevole alla tesi sostenuta dall'Amministrazione con la motivazione seguente: ǥ� .-l'attore in questa sede ha chiesto la tutela del suo diritto all'indennit� avverso i decreti della Pub blica Amministrazione che avrebbero posto illegitti mamente nel nulla le espropriazioni gi� da tempo eseguite, senza affatto chiedere l'annullamento di tali decreti di revoca �. L'accenno alla esecuzione delle espropriazioni era, del tutto inesatto, in quanto l'Amministrazione non ebbe mai ad utilizzare le invenzioni in que stione; parimenti inesatta in linea di fatto era l'affer mazione secondo cui l'attore non aveva chiesto l'annullamento dei decreti di revoca: che, anzi, come si � detto, ne aveva, addirittura, chiesta la declaratoria di inesistenza. : Riproposta la questione, col regolamento di giurisdizione, alla Suprema Corte, questa ha rite nuto la giurisdizione dell'Autorit� giudiziaria ordi naria, per la considerazione che i decreti di esproprio non erano stati revocati per motivi di opportunit� o di convenienza, bensi �per una ragione di diritto e specificamente per la pretesa di essere l'Amministrazione proprietaria dei diritti di brevetto in forza dell'art. 23 del R. 1), ~9 giugno 1939, n. 1127 �. Ora, questa soluzione �� luogo, come si diceva in principio, a non poche perplessit�. Anzitutto, in base al criterio fondamentale sancito negli articoli 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, presupposto, per l'esercizio della giurisdizione ordinaria nelle controversie tra privati e la Pubblica Amministrazione � che i primi facciano valere in giudizio un diritto subiettivo perfetto. Nel caso in esame, questo diritto subiettivo non poteva certamente riscontrarsi nel diritto (patrimoniale) sull'invenzione, essendo questo gi� stato affievolito e, quindi, ridotto ad interesse legittimo dall'esercizio concreto della pubblica potest� di espropriazione: del diritto personale dell'autore della invenzione ad avere il proprio nome riconosciuto ed inserito nel brevetto (quel diritto che la sentenza, con discutibile terminologia, chiama �diritto morale�) non poteva essere questione, sotto il profilo che a noi qui interessa, non essendo questo diritto toccato dalla espropriazione che si riferiva unicamente ai �diritti di privativa industriale inerenti alle domande di brevetto �, cio� esclu~ivamente ai diritti patrimoniali. N�, a giustificare la giurisdizione dell'Autorit� giudiziaria ordinaria, si poteva parlare, nel caso. concreto, di una definitiva acquisizione d(jl diritto alla indennit� di espropriazione; ci� per la fondamentale ragione, gi� intravista dal Tribunale, che in tanto pu� concepirsi sorto un diritto subbiettivo all'indennit� in conseguenza di una espropriazione, in quanto questa sia in s� legittima, specie per quanto attiene alla causa propria dell'atto espropriativo (pubblico interesse a procurarsi la propriet� o la disponibilit� di una cosa o di un diritto) ed all'oggetto della espropriazione stessa (cio� la cosa od il diritto necessari al conseguimento del fine pubblico e spettanti ad un soggetto diverso dalla Amministrazione): che se, invece, l'atto amministrativo di espropriazione risulti viziato di illegittimit� nei suoi presupposti, nella sua causa o nel suo obbietto, non si attua legittimamente quella conversione del bene espropriato nel diritto alla indennit� che costituisce la caratteristica conseguenza della espropriazione stessa. N � un diritto alla indennit� pu� concepirsi a s�, cio� completamente avulso ed indipendente dalla validit� dell'atto amministrativo a carattere negoziale (negozio di diritto pubblico) che sta alla base del procedimento espropriativo. Com'� noto, la Pubblica Amministrazione, nello esercizio del suo potere di autoimpugnativa o di autotutela, pu� provvedere direttamente a rimuo vere le cause che invalidl1no i suoi atti, procedendo all'annullamento d'ufficio, con effetti ex tunc, di questi, e ci� senza incontrare normalmente alcun limite nei diritti od interessi spettanti ad altri soggetti, perch� da atti illegittimi od invalidi non pu� sorgere alcun diritto o tutela giuridica. Il potere di annullamento si concreta e si attua, a sua volta, in un atto amministrativo discrezionale, in quanto l'Amministrazione, anche se riconosca l'illegittimit� di un suo provvedimento, pu� aste nersi dall'annullarlo per ragioni di equit�J� o ili con venienza, per non turbare situazioni consolidate nel tempo, ecc. Discende da questi principi la logica e necessaria conseguenza che, allorquando da parte della -43 Amministrazione si provveda all'annullamento di ufficio, come nella specie, di un decreto di espropriazione, non possa l'Autorit� giudiziaria ritenersi competente, sotto nessun profilo, a decidere sulla indennit�. Ci� che non potrebbe fare se non a condizione e sul presupposto di considerare ancor valido il decreto di esproprio; quindi ripristinando, in aperta violazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865 all. E, la situazione che � stata, invece, rimossa dall'atto di annullamento. La Corte di Cassazione, alla quale era stato denunciato il vizio della sentenza del Tribunale per questa parte, ha ritenuto di confermare la sentenza per la considerazione principale che non si trattasse, nella specie, di revoca per motivi di opportunit�, bens� di revoca per una ragione di diritto e specificamente per la pretesa di essere essa .Amministrazione proprietaria dei diritti di brevetto in forza dell'art. 23 del decreto 29 giugno 1939, n. 1127, e che, comunque, il �petitum � si concretasse sostanzialmente in un risarcime.nto danni. Quest'ultima considerazione non era, come si � detto, giustificata dagli atti di causa, dai quali, specie dal verbale delle conclusioni definitive, risulta che l'attore, di fronte all'acquisizione dei provvedimenti amministrativi di revoca non chiese il risarcimento del danno, ma si limit� a confermare il suo p1 titum originario concernente la indennit� di espropriazione. Ma neanche l'affermazione basata sulla causa o motivo non discrezionale della revoca (rectius annullamento) pu� valere, a nostro avviso, a far ritenere la giurisdizione ordinaria nelle fattispecie come quella in esame; sia perch� l'annullamento d'ufficio degli atti illegittimi non costituisce per la Pubblica Amministrazione un atto vincolato od obbligatorio, bens� un atto discrezionale avverso il quale pu� proporsi, come nella specie era stato proposto, ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato; sia perch�, dato questo carattere discrezionale dell'atto amministrativo, la ricerca della causa o motivo dell'annullamento sembra del tutto ininfluente ai fini della soluzione della questione di giurisdizione. Sar� innanzi alla competente sede giurisdizionale amministrativa che si disputer� se l'atto amministrativo di annullamento sia da considerare o meno legittimo in relazione ai diritti ed interessi del soggetto o dei soggetti che all'atto stesso sono interessati: ma, fino a quando quell'atto amministrativo non venga annullato in quella sede, � evidente che il Giudice ordinario non pu� disconoscerne l'esistenza ed il peculiare attributo della esecutoriet� (non sospesa, nella specie, da alcuna pronuncia del Consiglio di Stato), senza violare i prinmp1 fondamentali stabiliti negli� articoli 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. * * * Col ricorso per regolamento di giurisdizione la difesa dell'Amministrazione aveva, in secondo luogo, sostenuto il difetto di giurisdizione dell' .Autorit� giudiziaria, ai sensi degli articoli 29 e 30 del T. U. delle leggi sul Consiglio di Stato, a conoscere delle questioni nascenti dall'applicazione dell'articolo 23 del decreto 29 giugno 1939 n. 1127, in dipendenza di invenzioni realizzate da impiegati dello Stato nelle particolari condizioni ipotizzate, appunto, da questo articolo. Con la soluzione sopra ricordata ai [nn. 2 e 3 (le due soluzioni devono essere consi.derate congiuntamente, in quanto si riferiscono allo stesso iter logico e giuridico) in sostanza le Sezioni Unite, richiamandosi alla loro precedente giurisprudenza circa la determinazione dei limiti della giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato ai sensi degli articoli 29 e 30. del R. D. 26 giugno 1924, n. 1054, hanno affermato ilprincipio che, nella materia delle invenzioni compiute dai dipendenti di Pubbliche Amministrazioni anche nei casi ipotizzati dall'articolo 23 del decreto 29 giugno 1939 n. 1127 sulle privative industriali (attivit� inventiva prevista come oggetto del rapporto), la pretesa di carattere patrimoniale trova nei rapporto di impiego non il titolo o causa, bens� solo l'occasione del suo sorgere. Per arrivare a questa conclusione la sentenza si serve della considerazione della speciale disciplina legislativa del diritto di brevetto ed, in particolare, della tutela del diritto (personalissimo) dell'autore dell'invenzione, elemento, quest'ultimo, che, anche nelle c. d. �invenzioni di servizio � (Diensterfindungen) prevalendo, quanto al riconoscimento della paternit� dell'invenzione, sulla prestazione di lavoro, impedirebbe di considerare l'attivlt� spesa in esecuzione del rapporto di impiego e di lavoro quale semplice prestazione di lavoro, sia pure intellettuale: in una parola, la invenzione del dipendente privato o del pubblico impiegato, anche se realizzata in esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego iii cui l'attivit� inventiva � prevista come oggetto del contratto o del rapporto (caso previsto dall'articolo 23 del Decreto 29 giugno 1939 n. 1127) non farebbe mai parte del contenuto del rapporto di impiego o di lavoro, e, quindi, non potrebbe mai essere considerata in funzione di quest'ultimo, ma esclusivamente come legato ad esso da una relazione soltanto occasionale. La sentenza non si nasconde la difficolt� che una soluzione di tale genere incontra di fronte al chiaro disposto dell'art. 23 della vigente legge sui brevetti per invenzioni industriali (R. D. 29 giugno 1939 n. 1127-) che, ipotizzando (( la invenzione fatta nella esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego in cui l'attivit� inventiva � prevista come oggetto del contratto o del rapporto �, contempla chiaramente l'attivit� di invenzione come facente parte del contenuto del rapporto di lavoro o di impiego: tuttavia, la sentenza ritiene di poter superare la difficolt� costituita dall'esplicito testo legislativo, per la considerazione dello speciale diritto �morale � spettante all'autore della invenzione, diritto che farebbe s� che l'attivit� inventiva non possa mai essere considerata quale facente parte del contenuto di un rapporto d'impiego o di lavoro e, quindi, l'invenzione non possa m(),i essere considerata in funzione � di quel rapporto, sebbene soltanto legata ad esso da un vincolo meramente occasionale. Arrivati a questo punto, com'� facile vedere, l'importanza della questione trascende l'aspetto formale-procedurale circa l'Autorit� gimisdizionale &&& V?F &&& V?F -44 :competente a decidere� le relative controversie (Consiglio di Stato -Autorit� giudiziaria ordinaria), per toccare direttamente tutta la sostanziale disciplina che la nostra legge sui brevetti industriali .d� alle invenzioni di dipendenti (siano essi pubblici o privati). E, se l'importanza della questione di giurisdizione in concreto sottoposta all'esame della Suprema Corte e decisa con l'annotata sentenza era per -1'Amministrazione dello Stato veramente di mas-� sima, .ancor pi� generale si presenta il problema che c�ncerne il dubbio se la sentenza stessa abbia rettamente interpretato le disposizioni degli articoli 23 e 24 del R. D. 29 giugno 1939 n. 1127, o se, invece, pur partendo da un apprezzabilissimo concetto circa la autonomia e la individualit� della idea inventiva e della sua realizzazione (l'invenzione), abbia finito col superare la positiva regolamentazione dettata dal legislatore per la particolare materia in esame: superamento che nessun interprete, per alto che sia, pu� compiere, in base ai ben noti principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. * * * Qual'�, dunque, il preciso signifi,cato degli articoli 23 e 24 della vigente legge sui brevetti ~ Questi articoli riproducono quasi ad litteram gli articoli 22 e 23 del Decreto di riforma delle privative -industriali 13 settembre 1934, n. 1602, decreto che, �om'� noto, non � entrato mai in vigore ed � servito di base al legislatore nel 1939 (R. D. L. 24 febbraio 1939, n. 317) per disporre una nuova organica disciplina della materia, attuata, appunto, con il Decreto 29 giugno 1939, n. 1127. Orbene, nell'art. 22 della legge del 1934 (art. 23 della vigente legge del 1939) il legislatore ha contemplato un'unica categoria di invenzioni dei dipendenti pubblici o privati: quella categoria che, con terminologia desunta dalla dottrina germanica, si suole designare col nome di invenzioni di servizio (Diensterfindungen) (1). Nell'art. 23 della legge del 1934 (art. 24 della legge attui;tle) sono, 1) La categoria delle invenzioni di servizio � stata positivamente considerata -anche se con regolamentazioni diverse -nelle varie leggi in materia di brevetti dei Paesi europei ed extra europei. Cosi, per la legge austriaca del 2 luglio 1925 (parag. 5-b, 3� comma) �si considera come invenzione di servizio l'invenzione di un prestatore d'opera quando essa, per il suo oggetto, rientri nel campo di attivit� dell'impresa presso .la quale l'inventore presta servizio, e quando: a) l'attivit� che ha condotto all'invenzione fa parte delle mansioni" del prestatore d'opera; b) il prestatore d'opera ha avuto impulso all'invenzione dall'attivit� che egli esplica nell'azienda del principale; e) il risultato inventivo � stato sostanzfalmente facilitato dall'uso delle esperienze o dei mezzi della impresa '" . . . In queste leggi si trovano, talvolta, disciplinate con norme speciali le invenzioni dei dipendenti pubblici. Cosi la citata legge a\lstriaca (parag. 5-b, 2� comma) stabilisce che �se il rapporto di impiego � di diritto pubblico, il datore di lavoro, senza bisogno di contratto col prestatore d'opera, pu� pretendere l'invenzione in propriet� o in uso"� La legge danese fa divieto �l funzionario dello Stato in servizio, o che abbia lasciato il servizio da. meno di tre anni, di brevettare, senza l'autorizzazione del Ministero da cui il fui1zionario stesso dipende o dipendeva, invece, contemplate le invenzi@ni fatte in occasione del lavoro (Betriebesverwandte freie Erfindungen). Nel primo caso che, come vedremo, si scinde in due ipotesi a seconda che sia prevista e stabilita nel contratto o nel :rapporto nn~ retribuzione per l'attivit� inventiva (art. 23, 1� comma) od invece non lo sia (art. 23, 2� comma), la legge attribuisce -direttamente ed a titolo originario -al datore di lavoro i diritti patrimoniali nascenti dall'invenzione (diritti alla privativa italiana, alle privative estere, al segreto ed infi,ne alla propriet� della cosa fi.sica costituente l'obbietto della invenzione), mentre all'inventore spetta unicamente il �diritto morale� di dare il proprio nome all'invenzione. Nel secondo caso (art. 24 della vigente legge) i diritti patrimoniali spettano all'inventore mentre al datore di lavoro (od alla Pubblica Amministrazione) compete il diritto di prelazione per l'uso dell'invenzione o per l'acquisto del brevetto, verso corresponsione di un canone o prezzo da fissarsi con � deduzione degli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Che i due articoli debbano intendersi nel senso ora precisato risulta chiaramente dalla Relazione mini steriale alla legge del 1934 e dai lavori preparatori di questa stessa legge, oltre che, ovviamente, dalla interpretazione letterale e logica degli' articoli stessi. In tema di invenzioni degli inventori impiegati il progetto -afferma il Ministro (cfr. Relazione e R. D. 13 settembre 1934, n. 1602, Roma, Poligrafi. co dello Stato 1934, p. 7 e 8) -contiene la seguente ripartizione: �a) invenzioni fatte dall'assuntore in adempimento di uno speciale incarico di ricerche e di studi, per la soluzione di problemi tecnici interessanti l'azienda, con o senza una particolare retribuzione dell'attivit� inventiva; <e b) invenzioni che rientrano nel campo di attivit� dell'azienda alla quale � addetto il prestatore d'opera, ma non negli obblighi contrattuali del'assuntore; qualsiasi invenzione, l'oggetto della quale si presuma compresa nell'ambito dell'attivit� ordinaria dell'ufficio presso il quale l'inventore presta o _prestava servizio. Per la legge svizzera le invenzioni dei funzionari sono disciplinate dalla legge federale sullo stato giuridico degli imp-iegati 30 gennaio 1927 (evidentemente in quanto si ritengono intimamente connesse col rapporto di impiego): le invenzioni realizzate dai funzionari in servizio appar tengono allo Stato allorquando: 1) rientrano nell'am bito della attivit� del funzionario e dei suoi obblighi di impiego; 2) siano il rii:iultato di esperienze ufficiali; 3) interessino la difesa nazionale; 4) l'autorit� che ha nominato il funzionario se ne sia riservata la propriet�. In questi casi all'impiegato, analogamente a quanto dispone la nostra legge, spetta un premio da determi narsi equitativamente. Da ricordare, nella recente guerra, l'Ordinanza germanica del 12 luglio 1942 sul trattamento delle inven, zioni degli impiegati (La propri�ttJ� industrielle, 1942, p. 135) in base alla quale (� 3) ogni impiegato--� obbligato a cedere all'Amministrazione, dietro compenso, tutte le invenzioni comunque fatte in occasione di lavoro. Per una pi� ampia esposizione di diritto comparato nella particolare materia, vedi RrvA SANIOEVERINO: Il diritto di privativa nel contratto di lavoro, Roma 1932, cap. III, p. 181 e segg. -45 ccc) inven~ioni estranee tanto agli obblighi contrattuali dell'assuntore quanto al campo di attivit� dell'azienda alla quale � addetto il prestatore d'opera n. Per le invenzioni del primo gruppo il progetto attribuisce i diritti derivanti dall'invenzione al datore di lavoro, eccetto il diritto al nome che resta inalienabilmente di spettanza dell'inventore. Attribuisce, inoltre, un equo premio all'inventore, qualora non sia prevista e stabilita nel contratto una speciale retribuzione in compenso dell'attivit� inventiva. I lavori preparatori della legge del 1934 spiegano chiaramente la formazione e la ragione delle due suindicate norme. Il progetto definitivo redatto da una Commissione presieduta da Donato Faggella ritenne eccessiva la soluzione contenuta in un primo progetto (Commissione Baroni) e in un secondo progetto (redatto dalla Confederazione dell'Industria) di assegnare al datore di lavoro tutte le invenzioni fatte cc in occasione del lavoro >> o per le quali l'inventore si fosse, comunque, giovato degli ausilii dell'azienda. Questa soluzione si ritenne dalla Commissione troppo lesiva degli interessi del prestatore d'opera, in base alla dottrina ed alla giurisprudenza formatesi sulla particolare materia. Quanto alla giurisprudenza, la �commissione ricord� le sentenze della Corte di Appello di Bologna 14 gennaio 1927 e della Corte di Cassazione 29 maggio 1928 in causa Bettica (cc Foro It. n, 1928, I, 981) che aveva ritenuto, esaminando concretamente i termini del contratto d'impiego, che l'invenzione fosse stata fatta cc in occasione n del rapporto e non nell'adempimento specifi,co dello stesso (Bettica, infatti, non era mai stato addetto od incaricato di studi od esperienze -cfr. sent. 21 marzo 1926 in cc Foro It. �, 1926, I, 635 -e solo invocava a sostegno delle sue pretese la circolare Dall'Olio 14 agosto 1917 in base alla quale qualunque ufficiale avrebbe potuto pretendere un compenso per ritrovati utili alla difesa aerea). La dottrina italiana, antecedente alla legge del 1934, era riassunta in questi termini dal PIOLACASELLI (cc Foro It. n, 1910, I, 1183): cc La communis opinio in materia di invenzioni fatte da un operaio, impiegato od altro conduttore d'opera � questa: che se l'invenzione � da lui ottenuta in conseguenza di studi, di ricerche esperienze delle quali sia stato incaricato, il diritto di privativa spetta a chi gli ha dato l'incarico; se, invece, l'incarico non vi fu, il diritto competer� all'inventore, anche se l'invenzione fu resa possibile ed agevolata dalle sue mansioni o dai suoi mezzi industriali attinenti alle mansioni stesse n. Adunque, il chiaro signifi,cato dell'art. 23 della vigente legge sui brevetti � che l'articolo stesso comprende una sola categoria di invenzioni, le c. d. cc invenzioni di servizio n o, per meglio db:e, le invenzioni che rientrano negli obblighi contrattuali del prestatore d'opera. Per designare queste invenzioni il legislatore ha adoperato la espressione invenzioni fatte nella esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, appunto per indicare che con l'invenzione si esegue, si adempie agli obblighi sorti dal contratto e dal rapporto. La sola differenza fra le ipotesi contemplate nel 10 e nel 2� comma dell'art. 23 � che nel primo caso � prevista e nel secondo no cc una retribuzione in compenso dell'attivit� inventiva >i. Questa interpretazione � l'unica possibile sia di fronte al testo della legge, sia, come abbiamo �visto, in base ai lavori preparatori ed alla Relazione ministeriale alla legge del 1934, sia, come subito vedremo, in base al concetto stesso della cc invenzione di servizio >i quale trovasi affermato costantemente nella dottrina italiana dal principio del secolo ad oggi. Del resto, a pensare altrimenti, cio� a voler sostenere, coine � stato da qualche scrittore sostenuto, che l'art. 23 si riferisce nel 2� comma alle invenzioni fatte in <coccasione di lavoron, si cadrebbe nel palese assurdo di attribuire al 'legislatore . una volont� contraddittoria in quanto le stesse invenzioni (cc in occasione di lavoro�) nella ipotesi dell'ar-t. 23, 2� comma, sarebbero attribuite al datore di lavoro, mentre nell'articolo seguente (24) sareb-. bero attribuite al dipendente. Invero, ammettendo che il 20 comma dell'art. 23 della vigente legge si riferisca alle invenzioni occasionalmente fatte dal dipendente nella esecuzione o nell'adempimento del rapporto, non si saprebbe come differenziare la ipotesi legislativa del 2� comma dell'art. 23 da quella dell'art. 24 che certamente si riferisce alla occasione offer-ta dall'azienda o dalla Pubblica Amministrazione all'attivit� inventiva di manifestarsi, cio� alle invenzioni che la dottrina tedesca defi,uisce come libere ma connesse con l'azienda (B etriebsverwandte freie Erfindungen), occasionate dall'attivit� prestata del dipendente nell'azienda o nella Pubblica Amministrazione. N� sembra, inti,ne, accettabile, per le suesposte considerazioni e, comunque, tale da riportare sempre la questione nei limiti segnati dalla ipotesi del. 10 comma, il tentativo fatto da qualche altro scrittore (1) nel senso di interpretare il 2� comma dell'art 23 come riferentesi alla ipotesi di una prestazione di caratterestra ordinario richiesta dall'imprenditore nel corso delrapporto e per la quale prestazione extra nol'l. venne stabilito uno speciale compenso. Del resto, si riferisca il 2� comma alla stessa ipotesi legislativa contemplata nel 1� o riguardi, invece, esso le invenzioni fatte cc in occasione di servizio� o nell'adempimento di altro speciale rapporto (non remunerato) inseritosi, ad un certo mo:.i.ento, nel rapporto principale, quel che a noi preme esaminare pi� da vicino � il preciso contenuto e l'esatta portata dell'art. 23 (sia pure, in ipotesi, considerato limitatamente al 1� comma) per quanto concerne le invenzioni realizzate dai dipendenti pubblici e privati nella esecuzione o nell'adempimento di un contratto o. di un rapporto di lavoro o di impiego. * * * Quanto alla precisa identificazione del contenuto della disposizione dell'art. 23, occorre, in primo luogo, domandarsi se, per le c. d. invenzioni di servizio (Diensterfingungen) occorre che l'attivit� � (1) GRECO: Diritti sui beni immateriali, Torino 1948, p. 45f, ed ora FoRMIGGINI: Sulle invenzioni dei dipendenti dell'Amministmzione statale, in "Riv. Diritto industriale>>, 1952, II, pp. 126-127. -46 inventiva sia espressamente pattuita nel contratto d'impiego o di lavoro 1:1ppure essa possa implicitamente desumersi dal carattere delle funzioni o mansioni che il dipendente ha accettato di esercitare. In quest'ultimo senso � stato concordemente risposto dalla dottrina italiana e straniera, nonch� dalla nostra stessa giurisprudenza. Il fondamentale tratt~tista tedesco, il KoHLER (Manuale delle privative indusriali, trad. it. S.E.L., 1912, p. 99 e segg.) cosi inizia la trattaziOne circa le invenzioni dei dipendenti: << Chi � impiegato in un affare altrui in modo che sia suo dovere di per! ezionare i metodi tecnici ed i procedimenti, non solo � tenuto a dare all'affare tutti i per/ ezionamenti che scopre, ma inoltre se gli riesca durante tali suoi rapporti di fare altre invenzioni, deve renderne partecipe l'altro socio�. Lo stesso autore, dopo avere ampiamente spie gato le ragioni umane, sociali e giuridiche che por �tano alla attribuzione del diritto di privativa al datore di lavoro, esclude solo i casi in cui << o l'invenzione appartenga ad un campo per/ ettamente diverso, oppure quando l'impiegato deve effettuare delle attivit� puramente subordinate che non hanno nulla a che vedere con l'invenzione stessa, ed in modo particolare se egli fa delle ricerche all'infuori delle ore di studio, con materiale proprio ed in proprio laboratorio �. Il ProLA CASELLI scrivendo all'incirca alla stessa epoca (((Foro It. ))' 1910, I, 1183) cosi come abbiamo gi� visto, si esprime: <<La communis opinio in materia di invenzioni fatte da un operaio, impiegato o altro conduttore d'opera � questa: che se l'invenzione � da lui ottenuta in conseguenza di studi, di ricerche, esperienze delle quali sia stato incaricato, il diritto di privativa spetta a chi gli ha dato l'incarico ..... Se l'inventore ha chiebto od accet tato di eseguire studi, ricerche, ed esperienze che condurranno alla invenzione, per incarico, agli stipendi od anche solo con i mezzi che un terzo gli ha fornito a tale scopo, si deve necessariamente ritenere per accordo tacito e salva l'ipotesi di una liberalit�, siasi inteso che il brevetto sp"'etter� a chi ha dato l'incarico �. Pi� tardi, nella monografia sulle privative industriali nel Dige!>to Italiano (Torino, 1908-1913, vol. XIX, parte 2a, n. 57, col 37) lo stesso Autore considera il caso in cui il padrone dell'azienda abbia commesso all'impiegato od all'operaio di fare studi e indagini allo scopo di perfezionare una macchina, un congegno, un metodo di fabbricazione, ecc. e che nel corso di tali studi ed indagini sia giunto ad un'invenzione.<< Questa -dice il Piola Caselliappartiene, per quanto riflette la privativa, al padrone dell'industria perch� � compresa nel contratto di lavoro: �, in sostanza, un obbietto della locazione d'opera �. L'Autore si chiede, poi, se tale obbietto deve <<risultare da un'esplicita. pattuizione del contratto d'impiego o di lavoro, o pu� presumersi dalle circostanze, e specialmente dalla natura dell'impiego�. E conclude in quest'ultimo senso, per la considerazione che << nessuna norma di legge o esigenza di diritto impone che il fatto risulti espressamente dichiarato dalle parti, in deroga al principio generale che ammette patti o cla\us-0le implicite �. Ed un altro autore nostro, la RIVA SANSEVERINO cosi determina l'obbietto della invenzione di servizio (Il diritto di privativa nel contratto di lavoro, Roma, 1932, p. 102): <<La categoria dell'invenzione di servizio appare contraddistinta dalla circostanza che l'attivit� inventiva costituisce� o fa parte delle mansioni contrattuali del debitore di lavoro. Ci� risulta esplicitamente quando nel contratto viene espressamente affidato all'impiegato l'incarico o in particolare di compiere (ed anzi, per l'incoercibilit� del fatto inventivo, di cercare di compiere) determinate invenzioni, riguardanti per esempio un determinato problema tecnico: o anche, in generale, di cercare di espletare un'attivit� inventiva a favore dell'impresa. <<L'ipotesi dell'invenzione di servizio pu� anche, ed � questo, anzi, il caso pi� frequente e plausibile, essere realizzata indirettamente nel senso che nel contratto di lavoro, pur non parlandosi espressamente di mansioni inventive, l'impiegato ha accettato l'incarico di dedicare le proprie cognizioni scientifiche e la propria esperienza tecnica per il perfezionamento dell'organizzazione dell'impresa in generale o di una sua sezione in particolare: incarico, questo, che pu� avere come propria, naturale e diretta conseguenza anche il compimento di una o pi� invenzioni� (1). Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione nella sentenza 5 aprile 1946, n. 384, ebbe a decidere che (( l'attivit� inventiva � dedotta in prestazione allorch� il lavoratore assume l'obbligo di eseguire studi e ricerche per la soluzione di problemi inventivi ... � (((Foro It. �, 1946, Mass. col. 97, n. 384). Abbiamo voluto riferire le parole dei succitati autori in quanto i casi da essi trattati hanno diretta attinenza con quello deciso dalla sentenza che annotiamo. Dunque, per riepilogare, il preciso contenuto della ipotesi formulata nell'art. 23 risulta chiaro: ogni qualvolta, anche nei casi in cui l'attivit� inventiva non sia espressamente dedotta nel contratto con una pattuizione ad hoc, il carattere della prestazione di servizio propria del dipendente (e che queo,to accetta con la conclusione 'del contratto o con l'assunzione all'impiego) � tale' da avere come probabile e diretta conseguenza il compimento di risultati inventivi, deve concludersi per la presenza della invenzione di servizio, ipotizzata, appunto, nell'art. 23 della vigente legge. In questo caso � chiaro che oggetto immediato del rapporto sono proprio i mezzi, cio� gli studi, le ricerche, le esperienze e le prove dirette a migliorare ed a perfezionare i prodotti ed i procedimenti di produzione: ma questo obbietto � tale che non pu� non comprendere in s� anche le conseguenze (1) Naturalmente, i succitati scritti del Piola Caselli e della Riva Sanseverino appartengono ad epoca in cui il problema delle invenzioni di dipendenti in genere e degli impiegati dello Stato in particolare, pur avendo trovato soluzione legislativa in altri Paesi europei �d extra europei, non era stato ancora in Italia risolto c-on�positive disposizioni di legge, quali, appunto gli articoli 23 a 26 del vigente R. D. 29 giugno 1939, n. 1127 (cfr. per lo stato della giurisprudenza e della legislazione in Italia e negli altri Paesi anteriormente alla nostra legge di riforma del 13 settembre 1934, n. 1602: RrvA SANSEVERnw: op. cit., parte III, capitoli I e III). -47 proprie, dirette e naturali, anche se eventuali, di quella attivit� strumentale, cio� le invenzioni alle quali, in adempimento del suo obbligo contrattuale, l'addetto agli studi, ricerche, esperienze, ecc. concreta. mente pervenga! Certamente, se egli perviene ad invenzioni che riguardano tutt'altro obbietto o materia da quella alla quale, per contratto, si indirizzano i suoi studi e le sue ricerche, l'inventore acquista un suo diritto autonomo al brevetto (salvo a vedere se questo debba essere, poi, trattato alla stregua dell'art. 24 della legge, oppure se svincolato da qualsiasi relazione col datore di lavoro -freie Erfindungen): in analoghe condizioni di trover� l'operaio il quale incaricato ad es., di costruire (non, quindi, di studiare o perfezionare) un determinato pezzo di una macchina, concepisce una diversa maniera di congegnare quello stesso pezzo e questa idea pu� costituire una invenzione direttamente brevettabile al nome dell'operaio stesso, legata alla vita dell'azienda dal fatto meramente occasionale che l'invenzione stessa � nata durante la esecuzione del rapporto di lavoro. Sostanzialmente diverso �, invece, il caso sopra descritto della invenzione alla quale pervenga chi si � contrattualmente obbligato (non importa se fin dall'inizio del rapporto o durante la esecuzione di esso mediante speciale incarico ad hoc) a prestare la sua attivit� per studi, ricerche, esperienze che hanno come risultato possibile (per quanto eventuale), essendo appunto normalmente dirette a questo scopo, il compimento di una o pi� invenzioni: qui l'attivit� inventiva � chiaramente, per quanto implicitamente, compresa nell'oggetto della locazione d'opera, come esattamente hanno ritenuto tutti i succitati autori. Le considerazioni ora esposte valgono in generale e cio� per le invenzioni dei:dipendenti sia di ditte private che di Pubbliche .Amministrazioni. Ma nei confronti di questi ultimi le considerazioni stesse acquistano speciale importanza, sol che si rifletta che le Pubbliche .Amministrazioni ed in particolare quelle militari (che d'ordinario sono interessate a controversie del genere di quella in esame) non assumono normalmente alle proprie dipendenze e con speciali rapporti e retribuzioni ad hoc gli �inventori ii, ma assegnano, con destinazioni di servizio, ad Uffici aventi compiti di studi, ricerche, esperienze, ecc. nei vari specifi.ci campi ed organizzati in modo che siano presenti tutte le 'Condizioni pi� favorevoli ed i mezzi per pervenire alla invenzione, persone gi� facenti parte dell'.Amministrazione, senza all'uopo annettervi una specifica retribuzione. Giova ricordare che l'.Amministrazione militare ha la discrezionale facolt� di destinare gli ufficiali del Genio a laboratori e ad attivit� sperimentali (art. 16 del T. U. 13 marzo 1938, n. 596) e che, in particolare, nell' .Amministrazione aeronautica esisteva, all'epoca dei fatti ai quali si riferisce la sentenza che esaminiamo, una Direzione superiore di studi ed esperienze con compiti istituzionali di ricerche, studi, esperienze, progetti e prove di materiali di armamento. Si vedano nel senso da noi sostenuto: in generale, Relazione Avvocatura dello Stato 1926-1929: � .��� il rapporto di impiego pubblico � per sua natura tale da far ritenere sempre implicitamente dedotta nel rapporto stesso la facolt� di inventare, sempre quando questa si esplichi nell'ambito del servizio per 'raggiungere miglioramenti e perfezionamenti che rientrano nelle finalit� del servizio, e siano u,tilizzat~ i mezzi e stabilimenti dell'Amministrazione ii. In particolare, per quanto attiene alle invenzioni compiute da ufficiali superiori o drJi ufficiali addetti a studi e ricerche cfr. KATZ E:dwrn in �Foro It. ))' 1921, I, 190; contra: FORMIGGINI: loc. cit., pp. 127-130. Per quest'ultimo .Autore leinven zioni realizzate da ufficiali, anche se addetti a studi ed esperienze, non rientrerebbero mai nella ipotesi legislativa dell'art. 23, 10 comma del Decreto 29 giugno 1939 n. 1127, in quanto mancherebbe per essi una adeguata e specifica remunerazione dell'attivit� inventiva (non potendosi considerare tale l'attribuzione delle varie indennit� speciali di laboratorio, studi, ecc., eventualmente erogate). Dissentiamo apert:tmente da questo risultato che, oltre ad essere frutto di una inesatta interpretazione del contenuto dell'art. 23, � in perfetto contrasto con i surriferiti principi dottrinari e giurisprudenziali circa la possibilit� che l'attivit� inventiva venga implicitamente dedotta nella prestazione d'impiego, mediante, appunto, la destinazione di servizio ad Uffici aventi compiti istituzionali di ricerche, esperienze, studi, quali esistono nelle .Amministrazioni militari. Ohe questa destinazione non richieda, di per s�, onde integrare l'ipotesi prevista dalla legge, una speciale retribuzion� in aggiunta a quella che l'ufficiale percepisce per il proprio status (salve, naturalmente, le eventuali indennit� di studio, esperienze, ecc. oggettivamente connesse con la particolare destinazione) non sembra possa seriamente porsi in dubbio. L'ufficiale del Genio, specie se in servizio permanente effettivo e di grado elevato, ha l'obbligo giuridico di dedicare tutta la sua attivit� (ivi compresa anche quella che -stante la incoercibilit� del fatto inventivo -pu� condurre alla invenzione) per i miglioramenti e perfezionamenti che rientrano nelle fi.nalit� dell'Ufficio o Servizio al quale � addetto: quando questo Ufficio ha per compito istituzionale quello di procedere a ricerche, studi, esperienze in una particolarissima zona del settore di competenza dell' .Amministrazione militare, non si vede perch� dovrebbe richiedersi una remunerazione ad hoc dell'attivit� inventiva, quasi che gli ufficiali superiori del Genio militare potessero liberamente rifiutare quella destinazione col pretesto che essa sia estranea alle funzioni per le quali vennero inizialmente assunti nell' .Amministrazione militare o quasi che, mentre sono addetti agli Uffici studi ed esperienze, gli ufficiali compissero cosa diversa da quella che � l'espletamento degli obblighi propri del loro status. Qui sta la fondamentale e sostanziale differenza tra il rapporto di impiego pubblico e quello privato basato, quest'ultimo, su di un contratto che.realizza l'equilibrio economico delle prestazioni corrispet-._ tive: solo in quest'ultimo � poS'Sibile e necessario stabilire con ogni rigore, ai fini della valutazione delle pretese dell'impiegato, gli esatti confini della prestazione promessa in funzione della pattuita -48 remunerazione (cfr. Relazione dell'Avvocatura 19261929, .cit. p. 231). Il Formiggini, dominato da una considerazione esclusivamente privatistica del rapporto di pubblico impiego, richederebbe addirittura un corpo di ufficiali inventori assunti ab initio in questa qualit� e remunerati (non si sa bene come) a questo scopo! Soluzione che, evidentemente, contrasta, anche a prescindere dalla sua inesattezza, con la realt� degli ordinamenti delle Amministrazioni militari di tutti i Paesi. Oonclitdendo su questo delicato punto: anche a non voler accettare le tesi, per cos� dire radicali, del ProLA CASELLI (Trattato, p. 250) e del KATZ (loc. cit .. in �Foro It. �, 1921, I, 190), per i quali le invenzioni realizzate dagli ufficiali specie di grado elevato e con funzioni direttive dovrebbero spettare senz'altro allo Stato in virt� del rapporto organico che lega i dipendenti allo Stato stesso, noi riteniamo che il criterio dettato dalla legge sia, per gli ufficiali come per gli impiegati statali in genere, ��quello della obbiettiva destinazione ad Uffic� o funzioni specificamente implicaio.ti attivit� inventiva, senza che sia, all'uopo, necessaria una specifica e separata remunerazione per l'attivit� inventiva stessa. Adunque, la destinazione di servizio ad uffici aventi i suindicati compiti integra senza dubbio la ipotesi legislativa prevista dall'art. 23 della legge 1939 come quella in cui �l'attivit� inventiva � prevista come oggetto del contratto o del rapporto � senza, che, a nostro avviso, possa avere influenza la presenza o meno di una particolare retribuzione per l'attivit� inventiva specie allorch� si tratti di ufficiali in servizio permanente effettivo. Questa era, precisamente, la situazione di specie, in cui le invenzioni, tutte relative a congegni d'armamento aeronautico, erano state ideate e realizzate nel periodo in cui lo inventore era stato a capo della Direzione superiore degli studi ed esperienze e dell'Ufficio centrale armamento dell'Aeronautica: e l'Amministrazione con la esibizione degli originali ordinamenti �di questi due uffici (risalenti ad epoca non sospetta in relazione all'inizio del giudizio) aveva dato la dimostrazione che i compiti e le attribuzioni degli uffici stessi tendevano, appunto, a promuovere il perfezionamento del materiale interessante la difesa aeronautica attraverso studi ed ideazioni atti a scoprire nuovi e pi� efficaci mezzi! * * * Defi,nito l'obbietto dell'art. 23, passiamo a preci sarne la concreta applicazione e la portata. In questa sede, sempre ai fi,ni della questione che esaminiamo, ci preme fermare due concetti: 1� che l'art. 26 del decreto 29 giugno 1939 n. 1127, stabilisce a favore del datore di lavoro o della Pubblica Amministrazione una presunzione, nel senso che si presume fatta durante la esecuzione del rapporto l'invenzione per la quale sia stato chiesto il brevetto entro un anno dalla cessazione del rapporto stesso (ed in questa situazione si trovavano le invenzioni in q�estione). Trattasi evidentemente di presunzione assoluta che preclude al dipendente la prova contraria, mentre per i brevetti richiesti oltre l'anno � a carico del datore di lavoro o della Pubblica Amministrazione la prova della sussistenza degli estremi stabiliti dagli articoli 23 e 24 della legge; 20 che l'art. 23 attribuisce, come si ~ gi� accennato, a titolo originario al datore di lavoro od alla Pubblica Amministrazione i diritti patrimoniali derivanti dalle invenzioni, cio� allo stesso titolo per il quale attribuisce all'inventore il t< diritto morale� di essere riconosciuto autore dell'invenzione. Si tratta di una contitolarit� di diritti completamente autonomi, per quanto interdipendenti. Cos�, ad es., se il datore di lavoro decide, nella sua libera determinazione, di non chiedere la concessione del brevetto (ad es. perch� ritenga le invenzioni di nessuno o di scarsissimo valore), � chiaro che il dipendente, anche se versi nell'ipotesi dello art. 23, 20 comma della legge, non potr� far valere alcuna pretesa in ordine allo speciale premio, in quanto l'impegno a dare questo non pu� sorgere se non nella decisione del datore di lavoro di chiedere la concessione della privativa. * * * Da tutta l'esposizione che si � venuta facendo della legge, della dottriria e della giurisprudenza nella particolare materia risulta, anzitutto, clie l'attivit�, che � intellettuale e materiale insieme, diretta al fine di scoprire nuove invenzioni brevettabili pu� ben essere dedotta in un rapporto di locazione di opera, senza che a ci� si opponga la particolare natura del diritto d'invenzione individuale n� la speciale regolamentazione dettata per questo diritto nel nostro positivo ordinamento. Dire, infatti, che l'attivit� di studi, ricerche, ecc. diretta all'invenzione (tt l'attivit� inventiva� come la chiama la sentenza annotata) non pu� mai rientrare, ii:i. nessun caso, nella prestazione dell'opus contrattualmente promessa, per il carattere personalissimo dell'idea inventiva che la legge tutele: rebbe, quale diritto morale dell'inventore di essere riconosciuto autore dell'invenzione, in forma autonoma ed indipendente dall'attribuzione dei diritti patrimoniali, significa, a nostro sommesso avviso, omettere la considerazione che proprio per l'art. 23 del Decreto 29 giugno 1939, n. 1127, l'attivit� inventiva � testualmente prevista come oggetto del contratto o del ra.pporto d'impiego, senza che a tale confi,gura. zione legislativa faccia ostacolo l'esistenza del � diritto morale � dell'inventore di essere riconosciuto autore dell'invenzione. Del resto, se consideriamo l'altra categoria dei diritti assoluti su beni immateriali, cio� i diritti di propriet� intellettuale ed in particolare il diritto di autore, vediamo chiaramente come la natura giu~ ridica di questi diritti, che si scinde, anche qui, nel diritto morale dell'autore come diritto della personalit� e nei diritti patrimoniali a carattere reale consistenti nello sfruttamento economico dell'opera, nonosti minimamente alla possibilit� di ammettere una locatio operis nel caso di creazione dell'opera su commissione dell'editore. In questo caso, come nello analogo (ma pur diverso) caso, del contratto di edizione per opere da creare, la caratteristica della speciale natura dell'attivit� spirituale creativa della opera di ingegno, se importa una elasticit� del vin -49 colo a favore del debitore assai pi� ampia di quella cise attribuzioni del dipendente inventore e quale consentita nei normali rapporti di obbligazione, la concreta sfera di competenza dell'ufficio al quale non �, per�, tale da far disconoscere che proprio la� egli era addetto. Val la pena non dimenticare che, .attivit� creativa costituisce l'obbietto dell'obbligaallorch� si rientri, come certamente si rientrava zione, la quale pu� essere, quindi, inadempiuta per nella specie, nei limiti temporali della presunzione un fatto imputabile all'obbligato. stabilita dall'art. 26, le ipotesi in discussione possono .Anche in questo caso la legge speciale (legge 22 essere soltanto quelle previste dai due comma dello aprile 1941, n. 633) riconosce con una espressa art. 23 e dell'art. 24 della legge speciale, non quella disposizione (art. 120) la validit� del contratto di dell'invenzione libera ed indipendente, non colleedizione relativo ad opere da creare. gabile, cio�, in alcun modo con l'attivit� della Pub .Adunque, l'esistenza dell'autonoma attivit� creablica .Amministrazione cui l'inventore � addetto. tiva ed il conseguente riconoscimento del diritto Orbene, per queste ipotesi, giustificato appariva morale che attiene alla personalit� dell'autore, e il dilemma proposto dalla difesa dell' .Amministrache non pu� essere n� locato n� comunque ceduto, zione con la richiesta di regolamento di giurisdizione non sono di ostacolo alla confi.gurazione di un partialla Suprema Corte: o si ammette che le controversie colare rapporto di locazione d'opera in cui l'attivit� circa la spettanza del premio, del canone o del inventiva, n�nostante le sue note di autonomia, prezzo, come controversie relative a diritti subbietlibert� e relativa incoercibilit�, venga, come tale, a tivi direttamente scaturenti dal rapporto di impiego costituire oggetto del rapporto o del contratto, a siano devolute alla cognizione della giurisdizione tutti gli effetti. esclusiva del Consiglio di Stato (articoli 29, n. 1, e 30 del T. U. 26 giugno 1924, n. 1054) della quale * * * giurisdizione ricorrono i presupposti sia subbiettivo Se, adunque, l'attivit� inventiva costituisce, nella che obbiettivo: o si ritiene che la speciale com.peipotesi dell'art. 23 del Decreto 29 giugno 1939 nu-tenza attribuita al Ministro dell'art. 25, 2� comma mero 1127, l'obbietto del contratto e del rapporto, della legge speciale (che concreta, a nostro avviso, � chiaro che le pretese patrimoniali scaturenti dal un caso di giurisdizione speciale analogo alla com.pefatto dell'acquisizione (che abbiamo visto essere tenza attribuita al Ministro della Difesa in materia a titolo originario) da parte del datore di lavoro o doganale, ed al Ministr� dei Lavori pubblici in m.atedella Pubblic.a .Amministrazione dei diritti patri-ria di revisione dei prezzi) non sia limitata alla m.oniali derivanti dall'invenzione, trovano la loro determinazione del quantum, m.a com.prenda anche radice, la loro causa proprio nel particolare rap-la decisione circa la spett�nza o meno del premio, porto concluso tra il datore di lavoro o la Pubblica canone o prezzo. Ed in quest'ultimo caso la deter. Am.m.inistrazione ed il dipendente inventore. minazione del Ministro (che la legge dichiara insin- Limitando il nostro discorso al caso delle inven-dacabile) sar� per sua natura definitiva ed esclusiva zioni realizzate dai dipendenti dello Stato, osser-di ogni altra giurisdizione, salvo il ricorso in Cassa viam.o che se l' .Amministrazione, nell'ipotesi di cui zione per eccesso di potere od anche, per effetto al 10 comma dell'art. 23, abbia direttamente chiesto dell'art.111 della Costituzione, per violazione di legge. a proprio nome il brevetto per una determinata Occorre anche considerare che la tesi della cogni. invenzione realizzata dall'impiegato nei limiti della zione dell'.Autorit� giudiziaria mentre veniva con presunzione di cui all'art. 26, e da parte dell'impie-trastata dalla considerazione che qualora si ver gato si contesti che nel particolare rapporto la sasse, come si sosteneva in via principale dall'.Am attivit� inventiva fosse prevista come oggetto del ministrazione, nella ipotesi del 10 comma dell'art. 23 contratto ed a tale scopo retribuita, sostenendosi sarebbe mancata, comunque, l'esistenza del diritto che invece il presente l'ipotesi del 2� com.ma dello soggettivo al premio, non essendo, in quel caso, pre stesso art. 23 o addirittura l'ipotesi dell'art. 24, visto dalla legge alcun premio o com.penso, non quel che si deduce in giudizio con la contestazione poteva trovare fondamento, cosi come veniva ex del dipendente non � una pretesa patrimoniale di adverso sostenuto, in un preteso carattere generale per s� estranea al rapporto d'impiego in quanto della legge sui brevetti industriali: invero, su questo abbia origine da un titolo o rapporto diverso che ultimo punto, poteva fondatamente ribattersi che sia col primo soltanto occasionalmente collegato � la legge sui brevetti per la specifica parte cke attiene (quale sarebbe, ad esempio, la pretesa di cui ebbe alle invenzioni dei dipendenti statali (articoli 23 a ad occuparsi la sentenza della Cassazione, Sezioni 26) � una legge speciale che integra e deve arm.oniz Unite 8 giugno 1951 n. 1470, ricordata dalla sen-zarsi con le altre norme regolatrici del pubblico tenza che annotiamo, in cui si controverteva circa impiego statale, del quale quegli articoli regolano un presunto obbligo dell'Amministrazione a fornire un aspetto singolo e particolare: quello delle inven all' inpiegato vitto ed alloggio, oltre al trattamento zioni fatte dai dipendenti statali in costanza del economico normale), bensi una pretesa patrimoniale rapporto di impiego e con riferimento allo stesso. che im.pinge dirett�m.ente n!3ll'oggetto dell'obbliga-LaCassazione, conl'annotatasentenza, ha respinto zione (l'attivit� inventiva) e che ha il suo titolo la tesi favorevole alla giurisdizione amministrativa necessario nel particolare rapporto d'impiego nel sulla base, com.e si � visto, di considerazioni generali quale quella obbligazione � dedotta. attinenti ad un inesatto concetto di relazione occa- La derivazione della pretesa dal rappo;rto d'im-sionale tra la pretesa ed il rapporto di impiego: piego � tanto diretta che non pu� la pretesa stessa senza decidere se in concreto si trattasse d'invenzione essere in alcun modo esaminata se non si esamini rientrante nell'oggetto del rapporto od a questo contemporaneamente l'intima e concreta struttura di legata da un semplice vincolo occasionale, e senza quel rapporto al une di accertare quali siano le pre-considerare che esisteva un concreto atto ammini ;; :mJm;; mm m -50 ��='��m& ; , rm strativo col quale la Pubblica Amministrazione aveva espressamente dichiarato di voler considerare il rapporto in questione come costituito ai s~nsi dell'art. 23, 1� comma della legge sui brevetti. La sentenza, come si diceva in principio, � stata fino ad ora commentata in senso favorevole dagli avvocati Ribolzi e Sordelli (ripset-tivamente in �Foro Padano �, novembre 1952, fscic. 11, col. 1179; ibidem, col. 1179) con riferimento alla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione in tema di delimitazione della competenza esclusiva del Consiglio di Stato in materia di pubblico impiego. Il Ribolzi richiama, in proposito, la nota eccezione al principio della giuri:i1dizione esclusiva contenuta nell'art. 30 c. p. v. del T. U. della legge sul Consiglio di Stato (�questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimit� dell'atto o provvedimento contro cui si ricorre�). Senonch� questo richiamo � fuori di proposito nella specifica questione perch�, com'� noto, per diritti conseguenziali l'art. 30 intende soltanto quelli che sorgono da una decisione che dichiari la illegittimit� di un atto amministrativo (tipico, il diritto al risarcimento del danno). Entrambi gli Autori, poi, considerano la specie di fatto esaminata dalla sentenza come pacificamente aJ di fuori della ipotesi dell'art. 23 della legge speciale (mentre la difesa dell'Amministrazione sosteneva perfettamente il contrario!), e mostrano di non intendere la portata generale dell'affermazione di principio fatta dalla sentenza stessa secondo cui � nel considerare l'invenzione effettuata ai sensi dell'art. 23 del R. D. 29 giugno 1939, n. 1127, non si pu� prescindere dall'attivit� inventiva e dalla qualit� di inventore che, quanto al riconoscimento del diritto di paternit�, prevale su quella di prestatore di lavoro ... �, quindi, da escludere che la invenzione in parola (cio� quella prevista dall'art. 23) trovi la sua causa nel contratto di lavoroo d'impiego; trova, invece, in esso unicamente l'occasione)). Ci� equivale a dire che in via generale ed in tutti i casi -ivi compresi quelli ipotizzati dall'art. 23 la pretesa dell'inventore non pu� mai avere origine dal rapporto d'impiego con l'Ente pubblico. Un altro autore, il FORMIGGINI, commentando in senso favorevole la sentenza (nella nuova� Rivi sta di Diritto industriale))' 1952, II, pp. 121-131), non pu� nascondere la propria perplessit� di fronte al principio della � occasione )) anche nei casi ipotiz zati dall'art. 23: <<nelle ipotesi dell'art. 23 non mi sembra possa negarsi che l'invenzione ha causa nel contratto d'impiego ... �. Questa affermazione del citato Autore mi sem bra che sia in chiara contraddizione con la reiezione che, nello stesso commento, egli fa circa la giuri sdizione esclusiva del Consiglio di Stato. Di questo stesso Autore abbiamo sopra ricordato la interpre tazione, ohe non ci sembra esatta, degli articoli 23 e 24 della vigente legge sui brevetti. Ora, il principio, ripetiamo, non ci sembra accet tabile. Ohe il diritto d'invenzione, sia come diritto morale che come diritto patrimoniale, scaturisca da un fatto, qual'�, appunto, l'invenzione, essen zialmente subbiettivo ed individuale, come sub- biettive ed individuali sono tutte le creazioni dello ingegno umano, nessuno pu� mettere in dubbio. Ma ugualmente non pu� mettersi in dubbio che questo fatto, allorch� si verifichi nella esecuzione o nell'adempimento di un contratto di lavoro o di un rapporto d'impiego, riceva dalla legge quella particolare disciplina giuridica che � coi�.tenuta, appunto, nell'art. 23 del Decreto 29 giugno 1939 n. 1127, analogamente a quanto, per effetto della volont� delle parti, abbiamo visto avvenire in materia di -diritti d'autore (commissione di un'opera determinata, contratto di edizione per opere da crearsi ecc.). Questa particolare disciplina consiste, secondo il meccanismo proprio della posizione delle norme di diritto, nel sussumere il fatto dell'invenzione, in considerazione o funzione diretta del rapporto inventore-datore di lavoro, in due diverse regole, la prima delle quali attribuisce al datore di lavoro od alla Pubblica Amministrazione a titolo originario i diritti patrimoniali scaturenti dall'invenzione, mentre la seconda attribuisce all'inventore, allo stesso titolo, il diritto morale di essere riconosciuto autore dell'invenzione nonch�, qualora questa sia effettivamente brevettata dal datore di lavoro, un compenso patrimoniale (cc premio >l) in relazione all'importanza dell'invenzione. Non ci sembra possibile disconoscere che in questi casi i diritti del datore di lavoro e del dipendente, per quanto derivanti dal fatto dell'invenzione come causa immediata o remota, trovino la loro caiisa immediata e diretta proprio nel preciso disposto dello art. 23 che si basa sul riscontro di un particolare rapporto o contratto in cui l'attivit� inventiva sia prevista come oggetto del rapporto e del contratto. Di tal che su quelle pretese -hinc et inde spettanti non si pu� in alcun modo statuire se non si esamini contemporaneamente l'intima e concreta struttura di un determinato rapporto nel delicato congegno delle attribuzioni e funzioni affidate al dipendente, specie allorch� si tratti di un dipendente dell' Amministrazione dello Stato. Quale il giudice competente a decidere, in quest'ultimo caso, se in un concreto e determinato rapporto di pubblico impiego l'attivit� inventiva sia stata o meno dedotta come oggetto del rapporto, onde inferirP.e le conseguenze giuridiche di cui all'art. 23 della legge speciale"'? Per la giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato ricorrono, come si � visto, sia il presupposto soggettivo che quello oggettivo nonch� la ratio stessa della creazione di quella particolare competenza nella giurisdizione amministrativa, alla quale si � voluto attribuire, in via esclusiva, quell'esame delicato del congegno dei rapporti d'impiego statalo che innanzi all'Autorit� giudiziaria potrel;>be dar luogo a serie perplessit� ed a notevoli inconvenienti, come � avvenuto nella causa alla quale si riferisce l'annotata sentenza, in cui si � preteso di dedurre prove testimoniali intese a dimostrare che le attribuzioni del dipendente statale erano in realt� diverse da quelle attestate dalla documentazione originale ed autentica fornita daJla Pubblica Amministrazione! * * * Con l'affermazione contenuta nella quarta massima (sub 4) il Supremo Collegio ha dato.dell'art. 23 del decreto 29 giugno 193~, n. 1127, una inter -51 pretazione che non ci sembra assolutamente accettabile. Invero, non � esatto che presupposto o condizione per l'acquisto dei diritti patrimoniali della invenzione da parte del datore di lavoro, nel rapporto previsto dall'art. 23, sia la remunerazione . ad hoc dell'attivit� inventiva. Questo elemento �, com'� noto, richiesto per la fattispecie regolata dal 1� comma dello stesso articolo ed, allorquando sia presente, esonera il datore di lavoro o la Pubblica .Amministrazione (vedremo subito in che senso deve intendersi in relazione a quest'ultima) dalla corresponsione dell'equo premio di cui al 2� comma. Nella ipotesi, poi, fatta da quest'ultimo � in quesione soltanto l'attribuzione, all'inventore, dell'equo premio, non .l'attribuzione dei diritti patrimoniali al datore di lavoro (o alla Pubblica Amministrazione) che avviene in tutti e due i casi, sia o meno prevista la remunerazione ad hoc dell'attivit� inventiva. Che, infi,ne, nella specie concreta fosse da escludere questa remunerazione �proyrio sulla base delle deduzioni a prova dell' .Amministrazione �militare � costituisce, anch'essa, una affermazione inesatta. V ero �, invece, che da parte dell' .Amministrazione, affermandosi in pieno l'applicabilit� del 1� comma dell'art. 23, si era dedotto che, trattand.osi di un ufficiale in s. p. e. del Genio aeronaut!co, dovesse essere decisiva, ai fi.ni dell'applicazione dell'articolo, la circostanza della stabile destinazione di servizio ad un ufficio avente esclusivamente compiti di ricerche, studi ed esperienze nella specifi.ca materia alla quale si riferivano i congegni brevettati. LUCIANO TRACANNA AVVOCATO DELLO STATO 3 NOTE D I DOTTRINA ~------------------------------------------------------------------------------------ M. S. GUNNINI : La Repubblica sociale italiana rispetto allo Stato itali�no. (� Rivista Ha.liana di Scienze giuridiche�, 1951, pp. 330-417). Segnaliamo!alla particolare attenzione dei nostri lettori questo importante articolo del Giannini che contiene una rassegna documentata e completa di tutte le manifestazioni dottrinali e giurisprudenziali relative ai rapporti tra la Repubblica sociale italiana e l'ordinamento legittimo dello Stato. Il Giannini ha compiuto una ri�erca veramente esaurient� di tutte le suddette manifestazioni e ne ha fatto un inquadramento sistematico fondato su rigorose premesse scientifiche. La base dalla quale l' .Autore parte per la sua ricerca � il concetto della �irrilevanza della r. s. i. come ordinamento�; irrilevanza che sarebbe dichiarata dal nostro diritto positivo, principalmente con il D. L. L. n. 249 del 5 ottobre 1949 (p. 345). Come sa chiunque abbia seguito questa Rassegna (vedi: fase. V, 1948, fase. I, 1949 e passim) � questa del Giannini proprio la tesi sempre sostenuta dalla .Avvocatura dello Stato e non riusciamo a renderci conto del perch� l'.Autore, a p. 357 affermi che questa tesi � in parte infondata, in quanto non si potrebbe parlare di irrilevanza giuridica nei confronti degli atti della r. s. i., i quali �'almeno come fatti �non potevano non essere rilevanti; argomento che appare poco pi� di un gioco di parole. Comunque, partendo dall'esatta premessa sopra enunciata, il Giannini accetta o critica quelle manifestazioni giurisprudenziali e dottrinali che concordano o si distaccano dalla linea sopra tracciata (si accetta per esempio la inammissibilit� di una successione tra r. s. i. e Stato italiano, p. 34 7, e si respinge la tesi della repubblica sociale come stato nuovo o come organo del Reich, p. 333 ). Cosi si dimostra, con copia di documentazione giurisprudenziale, la natura costitutiva di tutte le norme del D. L. 249/44 (p. 361), nonch� il carattere di atto autonomo spettante alla c. d. convalida (p. 334), che �, pi� precisamente, l'atto con il quale si recepisce nell'ordinamento giuridico italiano l'atto irrilevante della r. s. i. (p. 367). Un punto sul quale non possiamo concordare con il Giannini � quello della impugnabilit� del ri:fi,uto di convalida (p. 368) e del rifiuto di declaratoria di inefficacia (p. 371). Come abbiamo sostenuto pi� volte anche in giudizio, il rif�,uto di convalida e, pi� ancora, il rif�,uto di declaratoria di inefficacia, quando si manifesta tacitamente, non � un atto negativo, ma un non atto, come tale non suscettibile di impugnativa. .Avrebbe forse meritato un maggiore approfondimento la questione della incidenza del D. L. n. 249/ 44 sui procedimenti amministrativi svoltisi parte sotto l'impero della sedicente r. s. i. e parte nello ordinamento legittimo, come pure la questione della responsabilit� per danni da colpa acquiliana, cagionati da organi della r. s. i. (questione sulla quale, d'altronde, il Giannini ha gi� separatamente e perspicuamente scritto). Nella Relazione dell' .Avvocatura, in corso di pubblicazione, i problemi trattati dal Giannini saranno oggetto di largo esame, sotto il profilo della loro incidenza nel contenzioso dello Stato. Ma � superfluo mettere in rilievo come lo studio del Giannini debba essere conosciuto e consultato da tutti coloro che comunque abbiano necessit� di occuparsi dell'argomento. GIUSEPPE GRECO : Ingiunzione fiscale e rilievi in ordine alla vidimazione del pretore con riferimento alla interruzicne della prescrizione. (cc Riv. di Diritto Finanziario e Scienza delle finanze �, 1952, vol. XI, II).. Tra le varie questioni trattate nella sentenza annotata dal Greco (Cass. 13 febbraio 1951 in causa Selt-Valdarno contro Finanze), due meritano particolare rilievo: anzitutto quale dei termini di prescrizione previsti negli articoli 136 e 138 della legge 30 dicembre 1923, n. 3269, debba essere applicato all'imposta principaie di registro; e se detto termine di prescrizione possa essere validamente interrotto dalla notif�.ca di una ingiunzione fi.scale sprovvista di vidimazione da parte del pretore. La Cassazione ha ritenuto che -per gli atti che siano stati presentati alla registrazione -la imposta di registro, indipendentemente dalla sua particolare natura (principale, complementare, supplettiva), si prescriva nel termine di tre anni anzich� in un ventennio; avendo perci� rilevanza solamente il fatto dell'avvenuta registrazione~-Ha poi affermato che l'ingiunzione fiscale ha una propria funzione, indipendente oltre che antecedente a queUa di primo atto del procedimento coattivo di riscossione che le attribuisce la vidimazione apposta in calce dal pretore. Per cui tutti gli effetti di quella -53 funzione :L che precisamente consiste nella determinazione amministrativa e nell'accertamento della obbligazione tributaria -restano fermi anche se dovesse mancare od essere difettosa la vidimazione che si � detta. Ed in particolare, efficacia di valido atto interruttivo della prescrizione del credito di imposta deve perci� riconoscersi ad una ingiunzione fiscale che fosse stata notificata pur cosi manchevole. All'esame di quest'ultima questione � circoscritta, appunto, la nota adesiva del Greco, il quale, dopo aver ribadito i principi'. enunciati dal Supremo Collegio, coglie l'occasione per precisare quale sia la funzione della vidimazione pretoria. Quanto per� al dibattuto argomento della sua natura giuridica -se essa cio� costituisca una attivit� amministrativa ovvero un'attivit� giurisdizionale -l'A. preferisce non prendere posizione; e si limita ad accennare al Visco, che, in contrasto con la predominante dottrina, ritiene trattarsi piuttosto di un atto di giurisdizione volontaria. Comunque � certo che il controllo da parte del pretore, sia esso amministrativo che giurisdizionale, non pu� estendersi al merito dell'ingiunzione, vale a dire non pu� aver per oggetto l'esistenza del credito d'imposta, verificandone ad es. la situazione di fatto ch'� il suo presupposto oggettivo e soggettivo, o la base imponibile, o lo stesso suo ammontare. D'altro canto, l'espressione letterale �vidimazione ed esecutoriet� � usata dal legislatore importa qualcosa di pi� d'un mero visto formale. � dato perci� al pretore verificare se l'ingiunzione sia regolare e conforme a legge, se sia stata ad es. emessa nelle forme e nei termini prescritti, e da quel determinato ufficio e per quel determinato tributo espressamente contemplati dalla legge. In definitiva, oggetto del controllo � l'esistenza, non la fondatezza, della pretesa dell'Amministrazione fi,nanziaria; e di una pretesa rivestita di formalit� estrinseche tali da farla rientrare tra quelle per le quali la legge consente Femissione dell'ingiunzione. Analoghe considerazioni sono pure da farsi, con le opportune modif�.che, per il procedimento di riscossione delle entrate patrimoniali ai sensi del T. U. 14 aprile 1910, n. 639. Tanto premesso, l'A. conclude riaffermando il principio che l'ingiunzione fiscale non vidimata o vidimata irregolarmente � nulla come atto esecutivo, ma valida ed efficace come atto di accertamento, e perci� idonea, ai sensi dell'art. 2943 Codice civile, ad interrompere la prescrizione del credito d'imposta. Difatti l'art. 140 della legge di registro -che en~era gli atti interruttivi cc peculiarmente fiscali � (tra i quali l'ingiunzione vidimata) -ha manifesto carattere esemplificativo, e non impedisce affatto l'applicazione, nel campo tributario, anche delle comuni cause interruttive previste dal Codice civile. 1. Mentre per le imposte dirette sono ben distinte, in tanti atti separati e successivi, le varie fasi dello accertamento, dell'iscrizione a ruolo, dell'avviso di mora e dell'esecuzione esattoriale; per la maggior parte delle imposte indirette, invece, concorrono insieme e si confondono in un solo atto (la ingiunzione fiscale) la funzione dell'accertamento e quella, iniziale, di riscossione. Ci� nonostante � ugualmente possibile distinguere in vari momenti logici e cronologici l'iter attraverso cui l'ingiunzione si forma: anzitutto l'accertamento, proprio ed esclusivo dell'Ufficio finanziario e sottratto a qualsiasi sindacato da parte di terzi; quindi la vidim�zione pretorile, da cui deriva l'attribuzione dell'esecutivit�. Ultimato tale processo formativo, l'ingiunzione fiscale � veramente perfetta nel duplice suo aspetto di atto d'accertamento e di atto esecutivo, e si rende manifesta al debitore per mezzo di un'unica notifi.cazione. II. Posti questi concetti, esatte appaiono le conclusioni cui pervengono la Cassazione e l'egregio A. Eccessivo ci sembra soltanto l'avviso espresso da quest'ultimo circa il potere che avrebbe il pretore, a proposito delle entrate patrimoniali, di richiedere addirittura l'esibizione del titolo o dell'atto amministrativo su cui si fonda la pretesa creditoria. � per� da osservare che l'indagine compiuta dal1' A. sarebbe certamente riuscita pi� completa ed efficace s'egli si fosse soffermato un poco sul punto relativo alla natura ed alla funzione giuridica della vidimazione. Non crediamo sia inopportuno, quindi, farne qui un cenno meno fugace. � noto che la giurisprudenza ha ormai ritenuto che l'ingiunzione fiscale costituisca un puro atto amministrativo (basti osservare, ad es., che contro di essa � dato ricorrere tanto all'Autorit� amministrativa che a quella giudiziaria, cosa che riuscirebbe inammissibile se si trattasse di un atto giurisdizionale); e che atto amministrativo sia pure il visto del pretore (cfr. Cass., 3 agosto 1943, n. 2029 in cc Giur. Imp. Reg. e Neg. �, 1944, n. 10, col. 33; Cass., 27 maggio 1949, n. 1352, in �Foro It. �, I, 1171; Cass. Sez. Unite 4gennaio1949, n.1,in �Giur. Imp. Dir�, 1950, n. 115, col. 400). Ma la Cassazione ha affermato, altresi, che � l'ingiunzione fiscale acquista con la vidimazione del pretore, la forza intrinseca di titolo esecutivo e di precetto � (Cass. 30 marzo 1950, n. 868, in cc Giur. Compl. della Cass. �, II, n. 1279). Ne deriva che in essa ingiunzione fi,scale si presentano i caratteri insieme dell'esecutoriet�, propria d'ogni atto amministrativo, e dell'esecutivit�, propria del titolo esecutivo e del precetto. Di qui il problema -per la prima volta impostato e risolto, in termini veramente chiari e convincenti, dal Chicco (in cc Rassegna Avvocatura n, 1950, pagine 132-135) -del come conciliare questo apparente e quasi inesplicabile contrasto di un atto amministrativo ch'� nello stesso tempo esecutorio ed esecutivo, ordine autoritativo ed atto processuale di parte, accertamento, titolo esecutivo e precetto. La soluzione di tale problema comincia per� a delinearsi, ove si consideri che l'ingiunzione fiscale costituisce un tipico atto non eseguibile diretta menM in via amministrativa. Invero l'esecutoriet�, comunemente definita come la capacit� di un atto ad essere realizzato direttamente dall'Autorit� amministrativa -mentre per tutti gli atti amministrativi si manifesta c,ome potere di autoaccertamento -non per tutti si mani -54 festa anche nelle pi� accentuate forme della piena autotutela; dato che il legislatore preferisce per taluni atti che l'esecuzione avvenga nelle ordinarie vie giudiziarie, anzich� in quelle dirette amministrative (cfr., sull'argomento, l'esauriente nota di G. Olmi in � Giur. Compl. della Oass. n, ,1950, II, p. 369). Questa eccezionale limitazione, legislativamente disposta, dell'esecutorit� amministrativa, risponde all'esigenza di meglio tutelare determinati diritti del cittadino (cfr. ZA~OBINI, Oorso, 1947, vol. I, p. 226: � VITTA: Diritto amministrativo, 1948, vol. I, p. 397}: e tale �' appunto il caso dell'ingiunzione fiscale, la cui esecuzione ( come osserva pure il BERLINI : Le leggi del registro, 1950, p. 351) il legislatore ha inteso subordinare al suggello del pretore, onde non sia senz'altro sacrifi,cato ai soliti criteri della presunzione di legittimit� e dell'esecutoriet� il diritto di propriet� privata. III. Ci� serve dunque a spiegarci la ragione di essere della� esecutoriet�� (o meglio� esecutivit� n), la quale � impressa dalla vidimazione del pretore, coesiste con l'esecutoriet� amministrativa, ed � anzi di questa una vera e propria traduzione in termini giudiziari (cfr. Cmooo, testo cit.). Giacch� attraverso la vidimazione (cui � da riconoscersi una indubbia efficacia costitutiva e non soltanto dichia� rativa della esecutivit�), l'ingiunzione acquista i requisiti propri del titolo esecutivo, indispensabili perch� possa darsi luogo alla normale esecuzione forzata prevista dal nostro Codice di procedura civile. Quanta precede vale inoltre a dimostrarci che � in errore sia chi pretende ridurre la vidimazione ad elemento quasi del tutto irrilevante e superfluo, sia chi, viceversa, la dilata facendone un comando giudiziario di autorit� pari al decreto ingiuntivo. La vidimazione non pu� invero consistere in niente altro pi� che nella verifi.ca, ai limitati fini dell'esecuzione, della regolarit� formale dell'ingiunzione e rappresenta in definitiva un mero atto di controllo estrinseco e preventivo di legittimit�. D. D. ASTER ROTONDI : Le parti nei processo tributario. Contributo allo studio dell'onere della prova. ( �Ar chivio Finanziario�, vol. III, 1953, p. 117). I. Scopo dello studio, come lo . stesso Autore dichiara, � quello di dimostrare � a quale concetto debba informarsi il nuovo diritto strumentale in materia tributaria �. E ci� per il motivo, che sembrando il legislatore ormai avvia.to con la cosiddetta preriforma Vanoni sulla strada della giusta imposta, ogni promettente disegno sarebbe in materia destinato a fallimento, se a giuste norme didiritto sostanziale non facessero riscontro norme altrettanto giuste di diritto processuale. Scopo quindi d'impegno, oltre che di largo e sempre vivo interesse; se � vero che considerazioni del genere gi� spingevano il Pugliese, nell'accingersi a porre tra i primi ordine sistematico nel diritto formale tributario, ad avvertire di dover richiamare l'attenzione sulla delicatezza :ed impor tanza della materia, sembrando chiaro. che �un sistema fiscale per essere considerato buono,� non basta consti di ottime leggi finanziarie, sii tali leggi vengono male e parzialmente applicate� (1). In buona sostanza, 'quindi e nella considerazione che sarebbe evidentemente inutile lastricare la strada fiscale di buone intenzioni, se poi si volesse percorrerla con un carrozzone sgangherato e malsicuro; il Rotondi ha voluto offrire i~ proprio contributo per l'impostazione (e ci si consenta l'espressione) di un mezzo di trasporto suscettibile di permettere un tranquillo viaggio sulla tormentata strada dei rapporti tra Finanza e contribuente. II. Il lavoro � dedicato alla disamina di quello cP.e pu� dirsi il tema pi� delicato, complesso e dibattuto del processo tributario; e cio� del tema dell'onere o dell'incombenza della prova nella fase di accertamento del debito d'imposta. E la conclusione cui l'.Autore perviene, � che questo onere deve far carico alla Finanza in quanto titolare della pretesa contestata dal contribuente con il proprio ricorso e perci� in effetti attrice nel momento processuale; rispetto al quale la circostanza che il contraddittorio risulti promosso su iniziativa del soggetto passivo, non potrebbe costituire una buona ragione per affermare la legittimit� del rovesciamento della reciproca situazione delle parti sul piano sostanziale, allo scopo di desumerne la conseguenza che attore nel senso proprio dell'espressione sia il contribuente e non la Finanza. E la costruzione logica e giuridica per giungere alla conclusione accennata, parte dalla premessa che il diritto formale tributario non pu� non andare inquadrato, siccome sj>ecies a genus, in quello processuale civile, del quale gi� oggi ripeterebbe alcuni fondamentali motivi; per cui, attraverso il richiamo ai concetti di parte, di azione e di domanda (che andrebbero considerati del pari validi in materia, ad orita delle singolari situazioni cui d� luogo il rapporto giuridico d'imposta nel processo), bisognerebbe riconoscere che a seguito dell'opposizione si viene a determinare una situazione del tutto identica a quella del giudizio aperto con l'opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto cc � il contribuente che deve assumere l'iniziativa del processo, e, perci�, egli � attore; ma egli non � titolare della pretesa in contestazione, perch� ne � sempre il soggetto passivo; dunque la stessa persona si trova ad avere due posizioni giuridicamente rilevanti: quella di attore in senso formale e quella di convenuto in senso sostanziale. Si ripetono, cio�, esattamente i motivi che caratterizzano il procedimento d'ingiunzione di cui l'accertamento fiscale, per la rilevanza politica della lite, rappresenta una specie �. L'accollo del peso della prova alla Finanza, non sarebbe, quindi, che una logica conseguenza dello inquadramento sistematico del processo tributario tra gli schemi di uno speciale procedimento di cognizione, con l'ovvia estensione al medesimo 4__ei :princip� correnti sulla distribuzione tra le parti dello onere probatorio. (1) PUGLIESE: La prova del processo tributario, Cedam, 1935, p. 6. - III. Tale teoria vuole anche esprimere un superamento delle opinioni che attualmente si dividono il campo sul tema, ed i cui risultati sarebbero non solo inappaganti, ma in s� anche contraddittori. Infatti, la tesi del Berliri (1), fondata specialmente su argomenti letterali tratti dai testi legislativi (2), e secondo cui il reclamo del contribuente va qualificato come l'atto d'opposizione e non quale azione di impugnativa (3), andrebbe respinta non in quanto inesatta per la fondatezza delle critiche opposte dall'Allorio (4), ma perch� incompleta; rifiutandosi in Berliri di trarre dalla propria teoria le ovvie conclusioni sul punto relativo alla posizione delle parti ed ai conseguenti loro doveri probatori nello svolgimento del processo. Nota infatti il Rotondi, che <e non fa mestieri attardarsi a ricercare e precisare se il ricorso sia opposizione o impugnativa, quando si conclude che attore � il contribuente (con tutte le conseguenze che derivano da tale sua posizione), e cio� si perviene precisamente laddove arrivano coloro che, traendo da ben altre premesse le logiche conseguenze, attribuiscono al ricorso il carattere proprio dell'impugnativa)) (5). (1) BERLIRI A.: Il processo trlb. amm. 1940, vol. I, p. 150 e segg.; voi. II, p. 3 e segg. Nello stesso senso: DEL R10, in �Giur. Imp. Dir.�, 1929, p. 35. (2) Articoli 98 e 107 del Regolamento 11 luglio 1907 n. 560, per l'imposta di R. M.; art. 3, 2� comma della legge 2 maggio 1907 n. 222 sull'imposta di R. M., come modificato dall'art. 11 del R. D. L. 8-giugno 1936, n. 1231; articoli 31 e 32 del R. D. L. 8 luglio 1937 n. 1516 sulle commissioni tributarie; art. 19 del D. L. L. 26 marzo 1946 n. 134 sui profitti di regime; art. 15 del R. D. L. 27 maggio 1946 n. 436 sui profitti di contingenza. (3) Sulle conseguenze della diversa qualificazione, si tenga presente che, tra l'altro, nel primo caso risulta. rebbero consentiti: la variazione senza limiti dei motivi d'opposizione ad opera cos� del ricorrente come del giudice, trattandosi di motivi di resistenza posti a fondamento di semplici difese; il rilievo d'ufficio dell'incompetenza territoriale dell'ufficio impositore, facendo tale fatto venir meno un necessario presupposto della decisione di merito, quale la regolare costituzione dell'attore in giudizio; la sanatoria dei vizi di notifica dell'atto di imposizione, con la presentazione del reclamo da parte del contribuente; l'elevazione dell'ammontare dell'accertamento da parte deUa Finanza. (Vedi ALLORIO: Diritto proc. trib., 1942, p. 142 e segg.). (4) ALLORIO: op. cit., p. 134 e segg. (5) Questa conclusione ci sembra per� che sia frutto di incompleta interpretazione del pensiero del Berliri, che gi� nell'opera citata � esplicito nel senso. di assegnare alla Finanza la veste di attore (vedi in ispecie: �p, cit., voi. I, p. 157). Comunque, tale pensiero � ribadito in termini chiarissimi nella nota indubbiamente del Berliri medesimo, riportata sulla �Giur. Imp. Dir.�, 1947, 25 e segg., a commento della sentenza 24 marzo 1947 n. 367 della Cassazione. Che, poi, ad onta di tanto, non si concluda dal Berliri accollando alla Finanza l'onere della prova, � fatto derivante da diverso e specifico motivo: e cio� dalla circostanza che per il Berliri, essendo quello tributario un processo a carattere inquisitorio, non sussiste un onere della prova e non pu� perci� parlarsi della ripartizione di esso e quindi dell'obbligo dell'attore di dimostrare i fatti costitutivi del suo diritto e di quello del convenuto di provare i fatti estintivi (vedi in Op. cit., vol. II, p. 68). Per la tesi, invece, che nessuna delle parti nel processo tributario sia gravata da un onere di prova; ma spetti al giudice, dopo avere esperiti tutti i possibili mezzi istruttori, di apprezzarne liberamente le risultanze: V. MIOHELI: Aspetti e problemi della prova e della decisione nel processo tributario, in� Riv. Dir. Fin. Se. Fin.�, 1940, I, 234. Per il Pugliese, infine, l'onere della prova incombe senz'altro al contribuente (vedi: Op. cit;, p. 22 e segg.) 55 Ugualmente da respingere per il Rotondi sarebbe la tesi dell' Allorio (1); che, criticando la teoria precedentemente esposta, identifica nel ricorso del contribuente un'impugnativa, e quindi l'atto con il quale si instaura il processo tributario, nel quale conseguentemente il ruolo di attore viene. ad essere affidato al contribuente (2). Ed il motivo del dissenso si esprime fondamentalmente nel rilievo, che tale tesi trascurerebbe di considerare, che se l'iniziativa di reagire giudizialmente muove dal contribuente, � evidente che si ammette nel Fisco un potere di azione, rappresentante un prius logico e giuridico rispetto alla reazione. Del pari inappagante, infine, sarebbe la teoria che identifi,casse una citazione tributaria nell'avviso di accertamento (3), data l'evidente mancanza in esso degli elementi caratteristici della domanda giudiziale, e cio� la vocatio in jus e l'indicazione della udienza di trattazione. Allo scopo, quindi, di vedere realizzato un processo tributario capace di svolgerBi su una linea perfettamente coerente dall'impostazione teorica alle pratiche conseguenze, il Rotondi suggerisce come idonea la costruzione che innanzi si � delineata; e che, per maggiore chiarezza, vogliamo riportare puntualizzata come segue, usando le stesse espressioni del testo: a) l'opposizione a decreto d'ingiunzione � in realt� un mezzo d'impugnazione speciale, inteso ad ottenere la rescissione dello speciale procedimento, attraverso un ordinario processo di cognizione di prima ista:nza (4). Questo processo � caratterizzato dal fatto che l'opponente, che assume l'iniziativa del procedimento di cognizione, ha la veste formale di attore, perch� � egli il soggetto passivo del rapporto giuridico materiale, cio� � sostanzialmente nella posizione di convenuto; di tal che l'onere della prova incombe al ricorrente nonostante che la posizione formale dell'attore se l'assuma l'opponente; b) l'avviso di accertamento fiscale, in quanto manifestazione della volont� dello Stato che attua la norma di diritto materiale, spiega la sua efficacia per la presunzione di legittimit� che accompagna la nascita dell'atto amministrativo e che tiene luogo del decret� che il magistrato accorda quando accoglie la domanda d'ingiunzione. � soltanto nel momento in cui il soggetto passivo dell'imposizione si oppone all'accertamento, che nasce la lite tributaria, la quale fa venir meno la presunzione di legittimit� ed instanza il processo tributario. Nel quale il contribuente che si oppone all'accertamento, pur (1) ALLORIO, op. cit., p. 133 e segg. (2) Si tenga presente, eh"> ci� non ostante, per l'Allorio la prova farebbe carico al Fisco, per il motivo che stabilendo espressamente tutta una serie di norme la inversione della prova a favore della Finanza mediante presunzioni legali relative -per argomento a coritrario si avrebbe l'indiscutibile dimostrazione che dall'ordinamento positivo si � invece voluto di regola rovesciare l'onere probatorio dal contribuente alla Finatiz� (vedi: Op. cit., pp. 142 e 494 e segg.). (3) Questa teoria risulta appena accennata dall'Autore; e finora, per quanto ci consta, non � stata trattata da chicchessia. (4) In tal senso: V. GARBAGNATI: I procedimenti di ingiunzione e per convalida di sfratto, 1942, p. 89. -56 conservando la veste di soggetto passivo della pretesa dell' .Amministrazione, assume l'iniziativa del processo: egli � ad un tempo attore e convenuto, attore in senso formale e convenuto in senso sostanziale; e) con l'opposizione all'avviso di accertamento si ripetono quindi esattamente i motivi che caratterizzano il procedimento d'ingiunzione, di cui lo accertamento f�,scale rappresenta una specie; d) conseguentemente � la regola del processo civile che pu� essere utilizzata anche nel processo tributario, con la conclusione che l'onere della prova deve incombere alla Finanza, per il fatto certo che essa � titolare della pretesa contestata mentre il contribuente resta il soggetto passivo di quella pretesa. 4. Circa i singoli mezzi di prova, il Rotondi ne esamina due soltanto, e cio� il giuramento e le presunzioni. Per il primo, negata la impossibilit� concettuale di sua cittadinanza nel processo tributario, l' .Autore osserva che solo una ingiustif�,cata animosit� contro il contribuente potrebbe portare ad una esclusione legislativa; non potendosi affermare che in sede tributaria giurerebbe il falso chi in sede civile giurerebbe invece il vero. Per le seconde decisamente s'invoca un �calmiere delle presunzioni �, le quali andrebbero conservate solo nella fase di accertamento. In sede contenziosa, invece, dovrebbero essere abbandonate, poich� senza l'ausilio del giura mento il contribuente -in difetto di altre pos sibilit� di prova -sarebbe nell'impossibilit� di difendersi. In sostanza il processo tributario, -conclude il Rotondi, -va moralizzato informandolo a criteri razionali; �poich� solo raziocinio e senso etico portano preciimmente dove bisogna in materia arrivare, e cio� al rispetto della personalit� umana�. 5. La costruzione delineata dal Rotondi, che abbiamo tentato di riassumere il pi� chiaramente possibile nei ristretti limiti consentiti da una rapida nota (e dobbiamo aggiungere, che la nostra non �� stata facile impresa, per la macchinosit� del sistema espositivo adottato dall'Autore, ulteriormente appesantito dai molteplici ed approfonditi richiami a teorie ed istituti del processo ordinario e di quello tributario interessanti in modo molto indiretto il tema trattato), non ci sembra affatto accettabile. Prescindendo, invero e per il momento dalle peculiari necessit� del diritto tributario e dai singolari atteggiamenti che in conseguenza deve assumere in materia quello processuale e che ovviamente non possono essere trascurati, se si intende fare opera veramente costruttiva utilizzabile nella preparazione degli strumenti legislativi che dovranno regolare la materia; due fondamentali e riteniamo insuperabili rilievi devono essere prospettati al Rotondi. Il primo � il seguente: anche a consentire sullo asserito carattere di mezzo d'impugnazione della oppos1z10ne a decreto ingiuntivo (1 ), � evidente che in tanto p�� dirsi che l'opponente -pur assumendo formalmente la veste di attore -in realt� sul piano sostanziale � convenuto, in quanto con l'opposizione si d� vita ad un procedimento d'impugnazione che costituisee una eontinuazione del processo di cognizione speciale e sommaria iniziatosi con il ricorso per ingiunzione: in quanto cio� il ricorrente ha gi� proposta una domanda giudiziale con il proprio ricorso, conseguendo un provvedimento giurisdizionale, che poi per l'intervenuta opposizione ed attraverso un procedimento in contraddittorio, sar� sostituito da altro provvedimento pronunciato in forma di sentenza (2). Perci�, per affermare -come fa il Rotondi allo scopo di desumere dal preteso parallelismo dei fenomeni giuridici quella identit� di situazioni ~che porterebbero ad una disciplina similare dei due processi -che con l'opposizione all'avviso di accertamento si verifica una situazione processuale analoga a quella indicata; ci sembra che bisognerebbe anzitutto dimostrare, che oggetto specif�,co del procedimento tributario di accertamento non � il diritto del cittadino che si pretende leso dalla imposizione illegale di farla annullare, ma � invece la declaratoria di fondatezza della pretesa della Finanza: in buona sostanza, cio�, bisognerebbe identif�,care nell'atto di accertamento un'equivalente della domanda giudiziale. Una tesi del genere sembra per� assolutamente insostenibile; e sia perch�, sul piano formale, mancherebbe proprio quella invocazione del giudice e quella chiamata del convenuto innanzi di esso che caratterizzano la domanda giudiziale (3); e sia perch�, sul piano sostanziale, l'atto di accertamento non tende affatto a costituire un rapporto processuale nemmeno in via eventuale, e vale a dire a conseguire l'attuazione della volont� della legge mediante l'intervento del giudice; ma tende, invece, ad accertare di per s� il debito tributario del contribuente. Quanto al secondo rilievo, va considerato che la conclusione cui perviene il Rotondi potrebbe essere accettata solo a patto di ritenere l'obbligazione tributaria in tutto simile ad un'obbligazione di mero diritto privato; e cio� solo se fosse possibile disconoscere, che la potest� d'impero dello Stato e degli altri enti pubblici impositori si estrinseca in veri atti amministrativi, assistiti dai principi della esecutoriet� e della presunzione di loro legitthnit�. Con la conseguenza, che l'impugnativa del cittadino da essi gravato non pu� non essere un'azione (1) Per quanto qui interessa non pare infatti necessario prendere partito nella questione assai controversa circa la natura da attribuire al giudizio di opposizione al decreto d'ingiunzione. Come � noto, da una parte il GARBAGNATI (Op. cit., p. 89 e segg.) ritiene di poterlo assimilare ad un vero e proprio giudizio d'impugnazione; dall'altra l'ANDRIOLI (Commento, vol. III, p. 306 e segg.) sostiene che esso �, prevalentemente, un giudizio di cognizione ordinaria; pur potendosi, da; �ltro punto di vista, riconoscere nel medesimo anche un giudizi�-aventeper oggetto la valutazione della conformit� del procedimento monitorio a diritto. (2) GARBAGNATI, Op. cit., p. 42 e 73. (3) Vedi in tal senso Tribunale di Roma, 27 ottobre 1945, in cc Foro It. �, 1944-46, I; 261. -57 diretta a contestare tale legittimit�, con tutti i relativi ed ovvi riflessi sul terreno processuale. N� si obbietti, �he appunto questa qualifica di atto amministrativo dovrebbe negarsi all'accertamento, per il motivo che raramente quello costituisce il cittadino debitore in senso tecnico verso l'.Amministrazione (bench� non siano affatto rari gli atti amministrativi che pongono a carico del soggetto passivo un'obbligazione di facere o altra analoga) come invece sempre accade con questo ultimo, diretto a fissare la misura del debito fiscale; poich� -prescindendo da altre considerazioni � chiaro che l'effetto spiegato evidentemente rappresenta una accidentalit�, che non influisce affatto sulla natura formalmente e sostanzialmente amministrativa all'atto d'accertamento (1). Ed allora, se tale indubitabile realt� si tiene presente, bisogna riconoscere che l'accertamento tributario -in quanto appunto atto amministrativo -deve godere pure esso della presunzione di legittimit�, che lo rende irrevocabile qualora l'intimato non insorga nel tempo e nelle forme di legge (2); e che consente alla Pubblica .Amministrazione di tradurre senz'altro in via concreta le proprie pretese, senza necessit� di un preventivo intervento del giudice diretto ad accertarne la legittimit�. Con l'immediata conseguenza, rispetto ad una successiva contestazione giudiziale, della dispensa della azione in lite e cio� della inversione dell'onere della azione (3); per cui � il contribuente che deve farsi attore per provare l'illegittimit� delle pretese medesime e quindi dell'atto amministrativo di accertamento. Trattandosi, cio�, di atto amministrativo, la Finanza gode evidentemente di una relevatio ab onere agendi, che in via diretta determina un rovesciamento di situazioni processuali; ed in via indiretta -e come ulterio:re ed ovvia sua conseguenza -l'obbligo per il contribuente attore di dare la dimostrazione dell'asserita illegittimit� della imposizjone. N � si osservi in contrario, che con l'impugnativa la ripetuta presunzione di legittimit� resterebbe distrutta, e quindi si troverebbe la Finanza sprovveduta d.ella possibilit� di godere nella lite degli effetti della cennata relevatio ab onere agendi; poich� � inveee risaputo, che le conseguenze giuridiche proprie dell'atto amministrativo restano ad esso connesse finch� non ne venga accertato un vizio e l'atto non venga posto nel nulla da un'autorit� competente ( 4 ). Perci� se la presunzione di legittimit� continua ad assistere l'atto di accertamento ad onta della impugnativa, il contribuente deve considerarsi attore non solo in senso formale, ma anche in via sostanziale e quindi tenuto ad offrire gli elementi necessari per sostenere la propria azione. E se a tanto si aggiunge, che l'applicazione di tali principi � ormai pacifica nell'ipotesi di entrate patrimoniali dello Stato (5), proprio non si vede (1) PUGLIESE, Op. cit., p. 24. (2) Cassaz., Sez. Un., 10 gennaio 1934, in cc Foro It. >l, 1934, I, c. 669. (3) TREVES: La preBunzione di legittimit� degli atti amminiBtrativi, 1936, p. 165. (4) TREVES, Op. cit., p. 83. (5) Cass., 27 gennaio 1949 n. 113, in cc Giur. It. >>, 1949, I, 1, 588. perch� debba seguirsi diversa strada nel caso di entrate di diritto pubblico, come quelle tributarie; alle quali -stando all'opinione del Rotondi dovrebbe farsi un dissimile e molto peggiore~ trattamento, senza che per altro la diversa regolamentazione possa logicamente e giuridicamente giustificarsi. 6. Rispetto alle proposte relative al giuramento ed alle presunzioni, il meno che si possa dire � che l'Autore si sia lasciato prendere la mano da una preoccupazione teorica, e cio� dal desiderio di vedere il pi� possibile adeguato il processo :tributario a quello civile. Ora se � vero che sarebbe arbitrario ed ingiusti~ ficato porre un aprioristico rifiuto alla estensione dei principi di questo al primo, � altrettanto vero che il considerare il processo civile come un modello da imitare ad ogni costo � indirizzo da respingere senz'altro. Il processo tributario, infatti, ha autonome esigenze e particolari problemi, che non possono essere dimenticati, se non si vogliono fare soltanto inutili ed inconcludenti esercitazioni accademiche (1). Se ci si dimentica, cio�, che l'attivit� tributaria rappresenta l'aspetto pi� importante dell'attivit� amministrativa dello Stato, in quanto rivolta a procurare i mezzi indispensabili per adempiere alle fondamentali necessit� della collettivit�; se ci si dimentica che la ricerca della verit� nel settore tributario � estremamente diffic�ltosa, dati gli interessi profondamente contrastanti in giuoco, e che le difficolt� ridondano particolarmente a carico della Finanza, poich� fornire esaurienti ed ineccepibili prove dell'accertamento � certamente cosa molto pi� difficile e meno attuabile che ottenere da parte del contribuente la confessione del reddito o il riconoscimento di una data situazione a suo sfavore; se ci si dimentica che negare l'esistenza o una determinata estimazione del reddito � molto pi� facile che provare tale esistenza o questa estimazione; se si dimentica, infine, che l'attivit� di accertamento � costretta a muoversi su un terreno completamente estraneo all'Ente impositore, in quanto appartenente esclusivamente alla sfera di attivit� patrimoniale del contribuente, si rischia evidentemente di far crollare tutto l'edificio del contenzioso tributario e rendere impossibile la realizzazione alle pretese fiscali. E se poi si considera, che perfino nel recente progetto di riforma del contenzioso tributario (cui possono essere opposte critiche molteplici, ma non certamente quella di essere stato tenero per la Finanza) si esclude recisamente l'ammissibilit� del giuramento di parte e si consentono le presunzioni anche al di l� dei limiti di cui all'art. 2729, 2� comma del Codice civile (per il motivo che � rispetto al particolare oggetto dei processi [tributari] la posizione delle parti -contribuente e Finanza -� assai diversa�) (2), � di tutta evidenza che le osserva (1) In tal senso, vedi GRIZIOTTI, in cc Riv. Dir. fin. Se. fin. �, 1951, I, p. 207. (2) Relazione al Ministro al progetto di riforma del contenzioso tributario, in cc Riv. Dir. fin. Se, fin.>>, 1952, I, p. 112. -58 zioni e le proposte avanzate in proposito dal Rotondi quanto meno risentono di superfi,cialit� d'impostazione. Ed in tali condizioni una loro critica approfondita ci sembrerebbe almeno superflua. N � pare pertinente il richiamo ad elementi di natura etica, per a:ffel'marne la necessit� di una moralizzazione del processo tributario sotto il profi,lo che il diniego del giuramento e le presunzioni costituirebbero addirittura un'aggressione alla � personalit� umana � del contribuente; poich� le norme di diritto positivo sono evidentemente rivolte a regolare l'attivit� umaria per quello che gli uomini sono e non gi� per quello che dovrebbero essere. E dal momento che -pur senza voler essere pessimisti ad ogni costo, ma solo per tenersi alla realt� ...:._ non pare che gli uomini siano molto cambiati attraverso i tempi, per cui ancora oggi non sapremmo trovare valide obbiezioni da opporre al pensiero di chi conosceva ottimamente i suoi simili, e pertanto riteneva che � gli uomini si dolgono pi� di un podere che sia loro tolto che d'uno fratello o padre che fussi morto, perch� fa morte si dimentica qualche volta, la roba mai� (21), � evidente che suggerimenti del genere di quelli avanzati dal Rotondi non sono destinati a portare nello scottante e delicato problema del processo tributario, quel positivo contributo che era nelle intenzioni del l'Autore. G. DEL GRECO M. GrusoLIA: La tutela delle cose d'arte. (Soc. Ed. �Foro Italiano�, pp. 546, Roma, 1953). Senza timore di esagerare possiamo definire questo libro come fondamentale nello studio e nella sistemazione della disciplina giuridica del patrimonio artistico italiano. Esso invero colma una lacuna della �scienza giuridica, in modo cosi completo che � da ritenere che qualsiasi successiva trattazione dell'argomento potr� solo aspirare ad assumere una funzione di integrazione di questa opera, nella quale l'A. ha trasfuso, oltre ad una vasta e ben selezionata cultura giuridica, una non facilmente eguagliabile esperienza amministrativa. Gi� dalla sola lettura dell'indice-sommario si comprende non solo che si tratta di un'opera completa sulla materia, ma che questa � trattata in modo sistematico, e, cio�, secondo criteri vera mente scientifi.ci, atti a dare del fenomeno giuri dico una visione d'insieme e al tempo stesso pro fonda. La prima parte dell'opera, divisa in tre capitoli, � dedicata allo studio dei precedenti storico-legi slativi della disciplina giuridica vigente in materia, a un breve ma preciso e documentato cenno di legislazione comparata (di particolare importanza l'accenno alla legislazione della Chiesa, SS. Sede e Citt� del Vaticano nei riguardi della legislazione italiana) e alla tutela internazionale delle cose d'arte. (1) MAOHIAVELLI, nella lettera al Cardinale Giovanni dei Medici, riportata dal Russo a nota 11-12, p. 5 della Antologia Machiavellica, Le Monnier, 1935. La seconda parte concerne l'ordinamento italiano vigente nella materia della tutela delle cose d'arte. Oltre ad una critica ben centrata alla insufficienza della regolamentazione legislativa per quanto attiene alla defi.nizione del concetto di patrimonio artistico (insufficienza che soprattutto ha origine dal fatto di aver considerato le cose artistiche solo con riguardo alla loro appartenenza o meno allo Stato, per derivarne la natura demaniale), l'A. svolge una sua acuta tesi fondata sull'affermazfone che �il requisito dell'appartenenza in senso proprietaristico non � condizione essenziale alla tutela artistica, neanche quando essa appare maggiormente rilevante e, cio�, quando interviene come fattore determinante della stessa sfera di tutela ii (p. 206). A conclusione di una serrata disan;i.ina dell'argomento, il G. giunge all'affermazione, che ci sembra giusta, che� il bene artistico, anche non demaniale, � sempre bene di interesse pubblico, pur quando � di propriet� privata� (p. 209) e che <e si possa accedere all'idea di una categoria funzionale di beni di interesse pubblico nel diritto amministrativo accanto a quella dei beni demaniali i> (p. 226) e che, infine, non si possa �disconoscere il carattere reale al rapporto di tutela artistica, che, sotto il profilo pubblicistico, attua un rapporto diretto ed immediato tra la Pubblica Amministrazione e il bene, assolutamente preminente su quello dello stesso proprietario e valevole anche nei confronti di chiunque si .trovi o si venga. a trovare di fatto nel possesso del bene tutelato ii (p. 219). Nel capitolo secondo di questa seconda parte l'A. vuol dimostrare, sulla scorta della legislazione, che ha la sua fonte primaria nella legge del 1939, la esattezza della soluzione proposta in sede con cettuale circa la particolare natura dei beni artistici. La dimostrazione � condotta in base a criteri organici, dividendo la materia in tre punti: trattazione dell'oggetto della tutela artistica, dei soggetti della tutela, ed infine dei rapporti giuridici. Per quanto riguarda l'oggetto, rileviamo la deci siva importanza dell'argomento della � notifica �, che � uno degli atti fondamentali per l'attribuzione alla cosa della qualit� di bene artistico. Secondo l'A., e ci sembra giustamente, la notifica non pu� essere confusa con quegli atti con i quali si riconosce o si attribuisce la demanialit� ai beni ( classifi.cazione, elenchi, ecc.), costituendo essa un atto avente carattere dichiarativo e non costitutivo che rappre senta il presupposto indispensabile per l'applica zione delle norme che regolano la tutela delle cose d'arte. Per quanto si riferisce ai soggetti, � notevole per la sua acutezza la trattazione relativa alla situazione giuridica degli enti ecclesiastici in materia di tutela dei beni artistici. L'A., e ci sembra giusta mente, ritiene che � gli Enti ecclesiastici siano dalla nostra legge di tutela artistica posti sullo stesso piano degli Enti pubblici ii (p. 320), e che �il Ministro per la Pubblica Istruzione. ha sui beni degli Enti ecclesiastici i poteri riconosciutigli -in genere per i beni artistici degli Enti pubblici dalla legge del 1939; limitatamente per� ai beni di culto -e quindi non per tutte le cose d'arte degli Enti ecclesiastici -il Ministro proceder� d'accordo -59 con l'.Autorit� ecclesiastica, in modo che quei poteri di tutela, a lui solo spettanti sui beni di che trattasi, si esercitino senza turbare le esigenze del culto (p. 323). � La parte centrale della trattazione � rappresentata dal paragrafo III cemcernente i rapporti giuridici che si possono costituire in base alla legge speciale sulla tutela artistica. Questo �paragrafo � diviso in tre sezioni, la prima delle quali riguarda la conservazione dei beni artistici, la seconda la circolazione e la terza le sanzioni. Probabilmente sarebbe stato opportuno trattare le sanzioni come argomento a s� stante, ma questa � un'osservazione puramente formale che non attiene alla sostanza della trattazione. La sezione relativa alla conservazione tratta la materia delle demolizioni, rimozioni, modificazioni, costruzioni, ricostruzioni di cose artistiche, particolarmente di immobili. � trattata poi minutamente la questione della conservazione degli immobili di interesse storico o artistico in rapporto all'ambiente che li circonda, con speciale riguardo alla applicazione dell'art. 21 della vigente legge del 1939 relativo alle distanze. Notiamo, peraltro, che non � qui affrontata la questione dell'applicabilit� dell'art. 21 in caso di ricostruzioni di immobili distrutti dalla guerra; com'� noto, taluno ritiene che in questi casi l'art. 21 non possa applicarsi, altri segue la tesi contraria che secondo noi � pi� giusta. Si noti che in una materia analoga (e, cio�, ricostruzione di immobili distrutti dalla guerra e sorgenti a distanze minori di quelle prescritte da strade nazionali e ferrate) la giurisprudenza ha seguito questa seconda tesi. � La sezione seconda del paragrafo concerne la circolazione delle cose d'arte, e, cio�, tutta la materia delle alienazioni e delle esportazioni, e le varie forme di acquisto coattivo da parte dello Stato. Il principio generale che l'.A. pone a fondamento di tutta la sua teoria in materia di circolazione delle cose artistiche � che �non � possibile parlare per le cose d'arte di propriet� privata di commerciabilit� e quindi escludere per esse l'usucapione e in genere il possesso� (p. 375). Nel concetto di cose di propriet� privata il G. comprende anche le cose appartenenti ad enti non pubblici. Pertanto egli dissente dalla impostazione della tesi sostenuta in questa Rassegna (1949, p. 54 e segg.) dall'.Arias in nota a sentenza del Tribunale di Firenze, alla quale rinviamo per l'esame degli argomenti contrari. Occorre dire che il G. nella esposizione del suo punto di vista � dominato da considerazioni di rispetto forse eccessivo per i . diritti dei . priva.ti sulle cose artistiche, e queste considerazioni sono ~oprattutto riscontrabili nella trattazione della questione del diritto di prelazione e del diritto di acquisto che spettano allo Stato, rispettivamente, nei casi di alienazione delle cose d'arte e di esportazione. .A questo proposito ci sembra che non possa approvarsi il sistema segu�to dal G. di accomunare sotto una sola disciplina (p. 403 e segg.) il diritto di prelazione in caso di alienazione e il diritto di acquisto in caso di esportazione. Vero � che con recente sentenza del 23 gennaio 1953, in causa Ministero della Pubblica Istruzione contro Gianesi, la Corte Suprema di Cassazione ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma la quale ha ritenuto essere il termine dei due mesi entro il quale si deve esercitare il diritto di acquisto in caso di esportazione non solo un termine di decadenza, ma tale da richiedere, perch� la decadenza sia evitata, che nei due mesi si addivenga anche alla notifica della volont� statale di acquistare (p. 402) cos� come avviene per il diritto di prelazione. Ma gli argomenti addotti da questa sentenza non ci sembrano decisivi, e su di essi ritorneremo in modo particolare in sede di commento. Dopo un preciso esame della materia relativa alle sanzioni (penali, civili ed amministrative) conseglienti alle violazioni dei divieti stabiliti dalle leggi sulla tutela artistica, il libro si occupa diffusamente anche della disciplina dei ritrovamenti delle cose d'arte, delle bellezze naturali e dell'organizzazione amministrativa della tutela artistica, che costituisce di per s� sola una trattazione unica nel suo genere e particolarmente documentata, grazie alla speciale competenza dell' .A., alto funzionario dell' .Amministrazione. Una accurata e bene scelta serie di note e un indice analitico, preciso ed organico completano l'opera, che va segnalata come pregevole ed indispensabile per chi ha occasione di interessarsi della materia trattata. RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA AVVOCATI E PROCURATORI -Avvocatura dello Stato -Difesa facoltativa di enti pubblici -Non necessit� di mandato -Poteri. (Corte di Cassazione, Sez. III, civ. -Pres.: Curcio; Est.: Bricarelli; P. M.: Pattinari-13 ottobre 1952-10 gennaio 1953 -Basilio d'Angi� contro Commissariato Nazionale Giovent� Italiana). Gli avvocati dello Stato, anche quando assumano la rappresentanza e difesa in giudizio di enti pubblici, per i quali t�le assunzione sia stata autorizzata ai sensi dell'art. 43 T. U. 30 ottobl'e 1933, n. 1611, non hanno bisogno di mandato, bastando che consti della loro qualit�. In tal caso la rappresentanza e difesa in giudizio si svolge in toto secondo i principi che regolano l'azione dell'Avvocatura, la quale pu�, di propria iniziativa, e senza necessit� di alcun intervento o di particolare deliberazione dei soci rappresentati, proporre gravami e fare quanto altro occorre per la loro difesa. Trattasi di massime di ovvia esattezza. Il fatto che la Corte Suprema sia costretta ogni tanto a riaffermare la propria costante giurisprudenza in questa materia deriva da sporadiohe deviazioni delle sentenze delle Corti di merito, peraltro ormai ingiustificabili. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Danni di guerra � Persona giuridica organo dello Stato. (Corte di Cassazione, Sez. Un., Sent. n. 1488/52 -Pres.: Mandrioli; Est.; Lonardo; P. M.: Pafundi (conf.) -Ministero Interno e Pubblica Istruzione contro Rosei ed altri, e viceversa). L'assunzione dell'obbligo dell'indennizzo da parte dello Stato per i danni di guerra non esclude la responsabilit� del privato o della Pubblica Amministrazione, cui debba riportarsi il fatto dannoso (alle persone, nella specie), secondo le norme del diritto comune (I). Non esiste incompatibilit� ed antinomia tra organizzazione statale ed attribuzione di personalit� giuridica (nella specie, Unione Nazionale Protezione Antiaerea -U.N.P.A.) (II). Si segnala questa sentenza con la quale le Sezioni Unite hanno esaminato sia la vexata quaestio della << sussidiariet� � della legislazione dei danni di guerra, sia l'�ammissibilit� � nel nostro diritto positivo della p~rsona giuridica organo dello Stato. Il caso, in sintesi, � il seguente: il 25 giugno 1945, nei locali di un liceo-ginnasio di Milano, particolarmente affollato in occasione degli esami della sessione estiva, scoppiava un ordigno bellico che provocava la morte dei dodicenni Rosei Carlo, Casazza Franco e Veniani Pio. Tale ordigno si trovava in un cortile del detto Istituto, ove aveva sede il Comando provinciale dell'U.N.P.A., insieme ad altre bombe e strumenti di guerra. Convenuti dagli aventi causa i Ministeri dell'Interno e della Pubblica istruzione, nonch� l'ing. Magnani Giovanni, quale comandante provinciale dell' U.N. P.A., la Corte di Appello di Milano assolveva dalle domande proposte il Ministero della Pubblica istruzione, conif,annando gli altri due convenuti al risarcimento dei danni. (I) La Corte Suprema, chiamata a decidere sull'eccepito difetto di giurisdizione dell'A.G.O., versandosi in materia di danni di guerra, ha fissato il principio sopra riportato alla stregua delle seguenti considerazioni: a) tutto il sistema legislativo in materia, sin dal T. U. del 1919, n. 426, � informato al principio dell'� alternativit� � di diritti e cc sussidiariet�� di obblighi, potendo il danneggiato scegliere tra il risarcimento nei confronti dell'autore del fatto dannoso e l'indennizzo dello Stato; b) la pretesa del cittadino verso lo Stato non si concreta in un diritto subiettivo perfetto bens� nell'interesse legittimo ad una erogazione, .cos� che se si negasse al danneggiato la facolt� di rivolgersi contro l'autore del danno, la �concessione dell'indennizzo si risolverebbe non gi� in un beneficio, ma in una diminuzione del contenuto dei diritti del danneggiato stesso cui competono a tenore del diritto comune; c) la presunzione di cui al 4� comma dell'art. 1 del D. Lgt 6 settembre 1946, n. 226, ha vigore e forza operante sempre ed unicamente ai fini della legge sul risarcimento dei danni di guerra.e nell'ambito di questa, non potendo trovare applicazione quando si tratti,. come nella specie, di fatto illecito riferibile specificatamente a colpa di un terzo, ed entri quindi in giuoco il diritto comune; d) la norma di cui al 4� comma dell'7Jrt.-10della L. 10 agosto 1950, nel fissare una presunzione pi� lata di quella sub c), fa salvo il diritto di rivalsa dello Stato verso i responsabili del fatto, confermando che se il danno di guerra � prodotto da -61 un terzo, come contro questo pu� agire lo Stato, che ha corrisposto l'indennizzo, cos� non pu� negarsi al danneggiato un'azione diretta contro il terzo stesso; e) la esclusione, nei confronti della Pubblica Amministrazione, di tale azione diretta del danneggiato contro la stessa Pubblica Amministrazione, cui � riferibile il fatto dannoso, non potrebbe essere accettata se non attraverso un'interpretazione arbitraria e restrittiva delle norme, non consentita""Tidalla lettera dei testi di legge. � Pu� rilevarsi come, in sostanza, � affrontato dalla Corte Suprema il quesito se sia sussidiario o meno l'� indennizzo� statale rispetto al �risarcimento�, in via generale, o solo quando quest'ultimo incomba ai terzi diversi dallo Stato. La soluzione positiva e generale adottata dalla sentenza annotata non pu� trovarci consenzienti. V a osservato innanzitutto che la Corte sembra aver escluso che nella specie potesse applicarsi la legislazione dei danni di guerra in quanto (supra sub e) la riferibilit� doll'� esplosione)) (a titolo di colpa) ad un autore avrebbe fatto entrare in giuoco il diritto comune: il che indurrebbe ad escludere il danno di guerra, ogni qualvolta sia possibile identificare l'autore del danno stesso. Siffattamente posta questa proposizione, se ne intende l'intrinseca contraddizione con il testo della sentenza tutta, con tale evidenza da dispensare da ulteriori considerazioni: basta qui fissare il punto che interessa, potere, cio�, un danno essere qualificato � di guerra �, e come tale ricadere sotto la speciale legislazione, e nello stesso tempo, in quanto riferi bile alla colpa di un terzo, da questo dover essere risarcito a stregua della legge comune (1). Questo, del resto, la Corte ha affermato implicitamente, senza per� giungere a qualificare � danno di guerra )) quello in esame, anzi, come si � visto sopra, volendolo escludere, senza che ne sussistesse necessit� alcuna; invero l'eccepito difetto di giurisdizione veniva a cadere, ancorch� l'esplosione del 26 giugno 1946 fosse �danno di guerra �, sotto il profilo della riconosciuta azionabilit� delle pretese dei danneggiati per colpa aquiliana anche nei confronti della Pubblica Amministrazione. Ora, che il danneggiato possa, sui presupposti dianzi chiariti, pretendere l'indennizzo dello Stato ovvero il risarcimento da parte dell'autore del danno pu� essere concesso: la giurisprudenza delle Corti di �merito (2) ha riconosciuto infatti che sia dato scegliere al danneggiato l'una o l'altra via. Ma allorch� il danno sia riferibile allo Stato, attraverso il comportamento affermato colposo di un suo dipendente, si deve negare l'azionabilit� della pretesa diretta al �risarcimento ii da parte del leso in quanto la responsabilit� dello Stato, discendente dal fatto stesso del danno di guerra, fissata dalla legislazione speciale, preclude l'esame se nelle singole ipotesi si sia concretato o meno una sua responsabilit� ad altro titolo, �essendo intento primario (3) (1) Contra CASELLA, �Riv. Dir. Comm. >>, 1948, II, p. 274. (2) Appello di Napoli, 3 novembre 1947, in questa �Rassegna� 1948, 4, 14; idem, 19 maggio 1948, idem, 1949, 10, 16 ed ivi richiami in dottrina e giurisprudenza. (3) SANDULLI, �Foro It. �, 1948, 1, 129, contra ALIOT� TA, � Giur. It. �, 1948, 1, 2, 269. della legge sui danni di guerra... quello di far gravare in modo uniforme sullo Stato, ripartendone equamente l'onere su tutti i cittadini, le conseguenze della guerra, da chiunque .~ubite... ii. Vero � che la legge fa salvo il diritto di rivalsa dello Stato verso �chiunque ii (art. 12 l-egge 1940), ma proprio tale legge, attribuendo allo Stato il diritto ad agire contro l'autore del danno, viene ad escludere ovviamente che possa agire contro se stesso allorch� l'autore � un suo funzionario. In tal modo � dalla legge che deriva"'la limitazione di una doppia pretesa verso lo Stato e non si vede come dovrebbe ricorrersi ad �una interpretazione � restrittiva ed arbitraria ii delle norme in esame quando � ben chiaro, tra l'altro, l'intento del legislatore diretto a far conseguire al danneggiato un � indennizzo �, a carico della collettivit�, e non gi� a far gravare su questa un �risarcimento l>. Se si consentisse nei riguardi dello Stato l'esperimento di azioni di diritto comune in subiecta materia si concederebbe parallelamente una ricerca di responsabilit� nei suoi stessi confronti, sia sugli atti che sui comportamenti, in funzione della guerra che legittima invece ogni attivit� e non permette, nell'immane sforzo imposto da ineluttabili circostanze l'adozione di criteri di scelta di comportamenti riconducibili alla prudenza, o diligenza del tempo di pace. Alla luce di queste brevissime osservazioni, s'intende come le argomentazioni seguite nella sentenza annotate, non riescano persuasive: perch�, ammessa la <<sussidiariet��, nel senso pi� volte chiarito, tra << indennit� il e cc risarcimento �, quando l'autore del danno � cc terzo ii rispetto allo Stato, l'unico motivo posto dalla Corte a base della reiezione della tesi difensiva dell'Amministrazione � quella della inaccettabilit� della offerta interpretazione delle leggi in esame, che invece si rivela non solo autorizzata dalla << lettera i> delle norme, bens� anche dalla ratio di queste stesse. La necessit�, quindi, che la questione venga riproposta � di per s� evidente. (II) Per intendere appieno la seconda massima � necessario richiamare in succinto i principali provvedimenti legislativi che interessano. . Con R. D. 30 agosto 1934, n. 15,W, veniva creata l'Unione Nazionale Protezione Antiaerea ed approvato .il relativo statuto, con il quale si riconosceva alla stessa la personalit� giuridica. Tale statuto veniva sostituito con R. D. 14 maggio 1936, n. 1062, che, precisando i fini istituzio~ nali, sottoponeva a vigilanza del Ministero della Guerra l'U.N.P.A., estendendosi la sua attivit� su piano nazionale. Dichiarato lo stato di guerra, il R. D. L. 18 giugno 1940, n. 638, militarizzava l'U.N.P.A. e la metteva alle dipendenze del Ministero della Guerra, sostituito quindi dal Ministero dell'Interno con R. D. 5 maggio 1941, n. 410, presso il quale veniva istituita la Direzione generale per i servizi di protezione antiaerea. Con decorrenza 28 febbraio 1946 l' U.N.P.A. veniva sciolta per effetto del D. Lgt. 6 marzo 1946; n. 145. Dall'esame delle sovrariportate disposizioni legi,� slative la Corte Suprema ha tratto il convincimento che l' U.N.P.A. avesse perduto � l'autonomia funzionale connessa alla personalit� giuridica e fosse divenuta un organo del Ministero dell'Interno ... pur -62 conservando il nome ed il patrimonio �; di conseguenza ha respinto l'eccezione sollevata dall' A vvocatura di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Interno convenuto, per il fatto illecito di un dipendente dell' U.N.P.A. La decisione della Suprema Corte regolatrice non pu� essere condivisa, in quanto nella specie doveva essere negata la natura di .� organo dello Stato � all' U .N.P.A. non sembrando avere rilievo decisivo quelle considerazioni che sono state poste a base della pronunzia. Non invero la �militarizzazione � dell' U.N.P.A. pu�rilevareaifinidellasua trasformazione in �organo� in quanto, a prescindere da ogni altra indagine, a tale tesi aderendo si verrebbe ad ammettere che una pleiade di Enti o persone giuridiche a loro tempo � militarizzate �, fossero parimenti divenuti organi dello Stato, il che � inammissibile. N� la �dipendenza� dell'U.N.P.A. dal Ministero dell'Interno, presso cui fu costituita la Direzione generale per i servizi della protezione antiarea (R. D. 5 maggio 1941, n. 410, sovra citato), pu� a ragione essere ritenuto elemento indubbio della cessazione della sfera autonoma dell'Ente, in quanto anche prima di tale disposizione legislativa l'U.N.P.A. era sottoposta a vigilanza del Ministero della Guerra senza che potesse venire ovviamente in questione la sua natura di Ente al di fuori della organizzazione statale in senso stretto. Tale dipendenza, che avrebbe comportato, secondo la Corte, la perdita dell'� autonomia funzionale� dell' U.N.P.A., non potrebbe al pi� significare altro che la istituzione di un vincolo pi� stretto della semplice vigilanza, ma sempre facendo salva quella autonomia di <e esistenza�, ineliminabile dal concetto di persona giuridica, separata da quello dello Stato, eppertanto non di questo organo. N� appare conferente in linea di diritto l'assumere la nomina governativa dei dirigenti dell' U.N.P.A. a elemento qualificante tale Ente <e organo statale �, in quanto � ben certo che simile elemento non � sufficiente ad attribuire tale particolare natura (1). La riprova invece che l' U.N.P.A. non � mai stato organo dello Stato � data da testi legi,~lativi, in particolare: 1� dal R. D. L. 9 giugno 1943, �n. 588, che, nell'enumerare i servizi di guerra cui doveva sovrintendere il Ministero dell'Interno, dispone all'art. 3 che sono tali quelli attribuiti cc alla Direzione generale per i servizi della protezione antiaerea, nonch� all'U.N.P.A. ed alla O.R.l.� limitatamente alla attivit� da questa esplicata nel campo della protezione antiaerea; 20 dal D. Lgt. 6 marzo 1946, n. 175, che disponeva all'art. 1: cc l' U.N.P.A. � sciolta con decorrenza 28 febbraio 1946�; all'art. 2: �Il Ministero dell'Interno provveder� alla liquidazione dell'Ente. I beni eventualmente disponibili, dopo effettuata la liquidazione, saranno devoluti all'Erario; Jo dal R. D. 8 giugno 1940, n. 779, sugli Enti non statali ai quali � mantenuta l'autorizzazione �ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura delio Stato, che indica, al n. 5, l' U.N.P.A. (1) BERLIBI A., �Giur. It. >>, 1948, I, I, 436). Invero sub 1� vi ha la netta distinzione, ex lege, della Direzione generale per i servizi della protezione antiaerea dall' U.N.P.A. e dalla O.R.I.: non solo vi � accostamento tra questi due Enti, ma contrapposizione degli stessi di fronte alla cennata Direzione generale, cio� al Ministero dell'Interno, il ch:J sarebbe ovviamente inammissibile se l'U.N.P.A. fossestata un �organo �dello stessoMinistero,cos� come � inammissibile contrapporre, ad es., l'Intendenza di .Finanza alla Direzione generale delle Imposte indirette. Oon il provvedimento indicato sub 2� si ha la riprova della conservata autonomia dell' U.N P.A., sia in quanto non ha luogo, nel nostro ordinamento giuridico, cc liquidazione� di un organo statale, sia in quanto non si cc scioglie � ci� che non � pi� autonomo, essendo ipotizzabile al pi� una forma impropria di cc assorbimento �, sia, infine, in quanto se l'U.N.P.A. fosse stata organo dello Stato non vi era necessit� alcuna di una legge perch� il patrimonio passasse allo Stato stesso, trasferimento che in tal caso si sarebbe operato automaticamente (1). Da ultimo non va pretermesso che se l'U.N.P.A. � difesa dall'Avvocatura dello Stato, non in forza del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, bens� per il R.D. sovra citato, sicuramente non � <e organo 11 dello Stato, poich� in tal caso non sarebbe stato d'uopo un provvedimento legislativo espresso (2). Ma la sentenza in esame non sembra poter reggere a fondate critiche anche sotto il profilo della compatibilit� della natura di organo in capo ad una persona giuridica. � noto che la dottrina e la giurisprudenza non escludono tale possibilit� ammettendola cc ipotesi non in s� e per s� impossibile, sebbene gli esempi che si � creduto di rinvenire nel diritto italiano non provano affatto che in questo essa sia realizzata (3) �. <e L'autarchia -si � osservato -comprende solo alcuni aspetti della vita dell'istituto, mentre questo, sotto altri, continua a far parte dell' A rmninistrazione dello Stato� (4), (5). Ammesso quindi un organo con personalit� giuridica, torna agevole considerare che simile Ente, se �da un lato dovrebbe essere astretto allo Stato da un rapporto organico, dall'altro dovr� essere a questo contrapponibile per l'essenza stessa della sua autonoma personalit� giuridica. Potrebbe cio� dirsi che tale Ente cc funzionalmente 11 � Stato, quale suo organo, eppertanto la scelta sia aei fini da raggiung~re sia dei comportamenti a tali fini necessari � rimessa allo Stato, ma cc soggettivamente 11 e cc oggettivamente 11 � distinto dallo Stato stesso, s� che le loro sfere in alcun modo possano immedesimarsi. Sembrerebbe pi� facile parlare di Ente che �, volta a volta, organo o persona giuridica a secondo dell'attivit� che spie( l} BERLIRI A., loco citato. (2} Sul problema della rappresentanza e difesa in giudizio da parte dell'Avvocatura dello Stato, cfr. RA NELLETTI O., �Giur. It. >>, 1948, I, I, 465; BERLIRI A., loco citato. (3) SANTI ROMANO: Frammenti di un 0iz.ionario giuridico, Giuffr�, 1947, p. 158. (4) ZANOBINI: Corso Diritto amministrativo, I, p;---161. (5) Cassazione 25 giugno 1941, n. 1921, Ministero Interni contro Marcelletti, in �Rep. Foro It. �, 1941,_ 53; idem 22 maggio 1948, n. 781, Ente Econ. Zootecnia contro Comune Castelmassa, in �Foro It. >>, 1949, I, 249. -63 ga (1) ma, a parte la difficolt� della identificazione di questa attivit�, in tal modo il problema, a nostro modesto avviso, non � affrontato e risolto, ma semplicemente eliminato. Perch� invero si avrebbe un Ente in alcuni casi organo, non venendo quindi in considerazione la sua autonoma personalit�, in altri invece persona giuridica e null'altro: � evidente che siff attamente ponendo la questione, si � al di fuori del problema cc persona giuridica-organo �, nonch� del ragionamento seguito dalla Corte che ammette la � compatibilit� � della persona giuridica � con � l'organo e non �alternativamente� con questo. La conseguenza che deve trarsi logicamente sul piano sostanziale, ammettendo la doppia natura dell'Ente, � che il problema della imputazione allo Stato dell'attivit� dell'Ente stesso, s� che le azioni di questo sono azioni dello Stato (2), trova un limite insuperabile nell'autonomia patrimoniale derivante dalla personalit� giuridica. Esattamente si � osservato che in ordine alla responsabilit� per fatti od . atti illeciti nell'esercizio di un'attivit� organica, ancorch� riferibile allo Stato, dell'eventuale risarcimento risponder� il patrimonio della persona giuridica (3); diversamente opinando verrebbe ad eliminarsi la base prima (oggettiva) della �personalit�� dell'Ente. . Sotto questo profilo l'annotata sentenza, chiamando a rispondere del fatto illecito di un dipendente dell' U .N.P.A. il Ministero dell'Interno ha disapplicato i principi da essa stessa posti, quando ha ammesso la conservazione del cc nome e del patrimonio � dell' U.N.P.A., pur funzionalmente diventata organo dello Stato, e quindi,. in evidente contraddizione, ha fatto risentire gli effetti di quell'atto sul patrimonio dell'Amministrazione. Al riguardo si osservi che proprio la sentenza della stessa Corte n. 1921 del 25 giugno 1941, citata in nota (9), conforta l'esattezza del rilievo test� fatto, in quanto, poich� � dato leggere nella massima che nel nostro diritto positivo vi sarebbero cc cospicui ed innegabili esempi di partizioni e sfere di amministrazione diretta statuale aventi personalit� giuridica, cui spesso viene associata l'autonomia della gestione �, si deve dedurre che le conseguenze patrimoniali del fatto o dell'atto dell'Ente ricadano sulla sua sfera autonoma, dallo stesso gestita, e che altrimenti non avrebbe ragione di esistere. Ulteriore conseguenza, sul piano processuale, � che l'Ente, persona giuridica-organo, non pu� che stare in giudizio esso stesso, in persona del suo organo cui � demandata la rappresentanza. Cos� il Consiglio Nazionale delle Ricerche � rappresentato dal suo presidente (art. 7 D. L. L; 1� marzo 1945, n. 82), ancorch� qualificato �organo dello Stato con personalit� giuridica, e gestione autonoma � (art. 1); l'Istituto Centrale di Statistica definito cc Istituto di Stato, con personalit� giuridica� (art. 1 R. D. L. 27 maggio 1929, n. 1285), � (1) RANELLETTI: Diritto pubblico, Giuffr�, 1949, II e III, p. 16. (2) KELSEN: Teoria generale del diritto dello Stato, Comunit�, 1952, p. 196. (8) FRAGOLA U., �Foro It. �, 1950, IV, 84; in questa �Rassegna�, 1950, p. 167. rappresentato dal suo presidente (art. 8); cos� anche l'Azienda Foreste Dern;aniali che � rappresentata dal �direttore� (art. 10 R. D. L. 17 febbraio 1927, n. 324). Cos� infine l' U.N.P.A., per la quale la rappresentanza giuridica � devoluta al << pre8idente generale � (a1i. 13 R. D. 14 maggio 1936, n. 1062). Agli esempi sovra citati si � rifatta anche la Corte Suprema nella citata sentenza del 1941 e per tale motivo essi si riJhiamano per dimostrare l'esattezza di quanto qui si assume, spiegare cio� i suoi effetti, anche sul piano processuale, la natura di persona giuridica dell'Ente. La Corte, invece, ha respinto l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Interno il quale, per legge (D. Lgt. 6 marzo 1946, n. 145, completamente ignorato nei suoi effetti nella sentenza annotata), � il liquidatore dell' U.N.P.A. e solo quindi in tale veste poteva essere convenuto in giudizio. Sembra. quindi poter concludere che, ammessa la figura � persona giuridica-organo �, e ritenuta questa compatibile con l'ordinamento giuridico vigente (1), debbasi rettamente arrivare a quelle conseguenze che ne rispettino la natura intrinseca; � autonomia � cio� sul piano sostanziale e processuale da un canto, vincolo cc funzionale � con l'Amministrazione dall'altro. . Ch� se si negano le prime, si esclude di per s� quella � personalit� giuridica � che non solo la legge attribuisce, ma la Corte Suprema deve riconoscere, e l'interprete non pu� ignorare. R. C. GUERRA -Perdita dei beni in Tunisia (D. L. 6 aprile 1948, n. 521) -Commissione istituita ai sensi dello art. 5 del detto decreto -Ha carattere amministrativo e non giurisdizionale. (Corte di Cassazione, Sez. Unite -Sent. n. 235/53 -Pres.: Azara; Est.: Torrente; P. M.: Pittiruti -Ministero Tesoro e Bilancio contro Romano). La Commissione istituita ai sensi dell'art. 5 del D.L. 6 aprile 1948, n. 521, per la liquidazione della indennit� per la perdita dei beni italiani in Tunisia, non ha carattere giurisdizionale, ma natura meramente amministrativa. Con il D. L. 6 aprile 1948, n. 521, relativo alla liquidazione dell'indennit� per la perdita dei beni dei cittadini italiani in Tunisia, in applicazione dell'art. 79 del Trattato di pace il legislatore ha voluto attribuire alla Pubblica .Amministrazione un potere discrezionale nella determinazione dell'indennizzo stesso e, conseguentemente, natura d'interesse legittimo e non gi� di diritto soggettivo perfetto alla pretesa del danneggiato. , Pertanto, avverso la determinazione dell'indennizzo, fissata dalla Commissione amministrativai istituita ai sensi dell'art. 5 del citato decreto, il danneggiato pu� agire per la tutela dei propri interessi, davanti al competente giudice amministrativo. (1) Cfr. in questa �Rassegna'" 1950, p. 167. -64 Riteniamo [opportuno riportare integralmente la pregevole motivazione della sentenza: �Risulta infatti, dal complesso delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 6 aprile 1948, numero 521, con il quale si provvede al risarcimento per la perdita dei beni in Tunisia in applicazione dell'art. 79 del Trattato di pace, che il legislatore attribu� alla Pubblica Amministrazione un potere discrezionale nella determinazione dell'indennizzo. Di questa volont� legislativa � indice il disposto dell'art. 2, secondo il quale l'indennizzo, lungi dall'essere uguale al valore dei beni o ad una quota di essi invece " � genericamente commisurato al loro valore venale in comune commercio, con riferimento al mese di gennaio 1948 ,,. �Si aggiunge a ci� che, secondo l'art. 4, 20 comma, la liquidazione viene dichiarata definitiva qualora l'indennit� richiesta non ecceda un milione di lire, mentre sul piano esegetico conforta nell'opinione accolta la espressione (art. 5, 1� comma): " la Commissione ... determina,, che pone in luce il carattere costitutivo dell'attivit� della Pubblica Amministrazione. cc Corrobora l'assunto anche l'istituzione dell'apposita Commissione che procede alla determinazione della indennit�, commissione composta da magistrati, da funzionari della Pubblica Amministrazione e da esperti. cc La creazione di uno specifico organo mal si concilierebbe con l'idea di attribuire alla determinazione dell'indennit� il carattere di una mera offerta della Pubblica Amministrazione che il privato � libero di non accettare, come sarebbe il caso, se al singolo spettasse un diritto soggettivo azionabile davanti al giudice ordinario. cc Se questi argomenti sono notevoli, carattere risolutivo e assorbente ha, secondo l'avviso delle Sezioni Unite, il richiamo contenuto nell'art. 11 del decreto legislativo suindicato alla legislazione sui danni di guerra. Essa costituisce sicura manifestazione della volont� legislativa di attribuire alla pretesa del proprietario la stessa natura che in via generale le � stata riconosciuta in materia di danni di guerra. Natura, cio�, secondo la giurisprudenza di questa Corte e del Consiglio di Stato, di interesse legittimo. Ci� perch� l'imponente massa dei pregiudizi patrimoniali che l'ultima guerra ha imposto ai singoli, vuoi per effetto immediato e diretto dei fatti bellici, vuoi, indirettamente, per le ripercussioni cui la guerra ha dato luogo, ha reso necessario di adeguare il risarcimento alle disponibilit� del bilancio, dando luogo ad una liquidazione limitata che si concilia, in base ad una valutazione che non pu� essere riserbata alla Pubblica Amministrazione, con questa superiore esigenza. N � giova richiamarsi all'art. 79 del trattato di pace per sostenere che, essendosi obbligata l'Italia verso la Potenza firmataria a indennizzare i singoli intestatari, questi sarebbero titolari di un diritto soggettivo perfetto. cc Anche se non si volesse ritenere che il Trattato, per la sua natura di convenzione internazionale, produce effetti solo tra le Parti contraenti e non attribuisce diritti ai singoli che non sono dotati di soggettivit� giuridica nella sfera del diritto internazionale, per la sua stessa letterale dizione, lungi �all' attribuire immediatamente e direttamente diritti ai singoli medesimi, vincolava l'Italia soltanto ad ap portare nel proprio ordinamento quelle modifiche legislative che erano necessarie per realizzare l'in tento che le Parti contraenti si proponevano. �Esso, quindi, avrebbe assunto forza e vigore nell'ordinamento interno mediante t>apposita e specifica legislazione che avrebbe determinato le modalit� e la natura dell'indennizzo. � perci� delle disposizion� di diritto interno che siffatta natura deve essere determinata. �Ritenuta, in base ai rilievi che precedono, la natura discrezionale del potere attribuito alla Pubblica Amministrazione, viene ad essere per logica conseguenza esclusa la giurisdizione del giudice ordinario. Ed il ricorso deve, quindi, per questo verso accogliersi. �Queste Sezioni Unite non possono, invece, seguire la ricorrente Amministrazione nell'ulteriore tesi secondo la quale la Commissione costituita in base al suindicato provvedimento legislativo avrebbe carattere giurisdizionale. A tacer d'altro, l'attribuzione di siffatta natura contrasterebbe con l'art. 102 della Costituzione secondo cui non possono essere costituite giurisdizioni speciali. Le �commissioni hanno, invece, natura amministrativa e rispetto agli atti di liquidazione dell'indennit� il singolo pu� agire, per la tutela dei propri interessi legittimi, davanti al competente giudice amministrativo �. I principi affermati sono senza dubbio applicabili ad ogni altra ipotesi d'indennizzo per la perdita di be'lti in applicazione dell'art. 7 9 del Trattato di pace. Al lume di essi potr�, altres�, essere riesaminata l.a questione, certamente analoga, dell'interesse all'indennizzo per beni requisiti, acquistati o danneggiati dagli Alleati nel territorio italiano e di cui alla legge 9 gennaio 1951, n. 10. Esclusa la riferibilit� allo Stato italiano dei fatti ed atti compiuti dalle forze armate alleate per provvedere ai propri bisogni e non all'amministrazione del territorio; escluso, altres�, che dal Trattato di pace derivi direttamente cd immediatamente un diritto in capo al privato, requisito o danneggiato, la questione della natura dell'interesse dovr� essere risolta .esclusivamente alla stregua della legge 9 gennaio 1951, n. 10, nella ~nterpretazione della quale, per�, non potranno non tenersi presenti i princip'l su enunciati. Ora sembra innegabile che la citata legge n. 1O, almeno per quanto riguarda i danni, la cui disciplina � stata decisamente unificata in confronto a quella attuata dal D. L. 21 maggio 1946, attribuisce alla Pubblica Amministrazione un potere discrezionale nella determinazione dell'indennizzo. G. G. RISCOSSIONE DELLE ENTRATE PATRIMONIALI� Procedimento -Natura esecutiva -Opposizione ad ingiunzione -Competenza per territorio. (Cass. III, 12 gennaio 1953, n. 54 -Pres.: Valenzi; Est.: Marcone; P. M. : Azara conforme -Magazzese contro Amministrazione finanziaria. Il procedimento coattivo per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri Enti pubblici, previsto dal T. U. 14 aprile 1910, n. 639, ha .carattere esecutivo e non pu� essere assimilato al comune procedimento monitorio. -65 Ad esso � applicabile l'art. 7 T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, che fa eccezione al foro erariale per i procedimenti esecutivi, e l'opposizione alla ingiunzione, secondo il disposto dell'art. 3 citato nel T. U. n. 639 del 1910, dev'essere proposta davanti l'Autorit� giudiziaria competente per valore del luogo, in cui ha sede l'uffcio emittrnte. Emessa l'ingiunzione, vidimata e resa esecutoria dal Pretore e notificata si entra senz'altro nella fase esecutiva ed ogni sentenza emessa nel relativo procedimento si deve considerare decisione in sede di esecuzione, sia che riguardi la nullit� delt itolo, sia che concerna la forma della procedura seguita. La legge sulla rappresentanza e difesa d~llo Stato in giudizio ha carattere generale e contiene, in via tassativa, le eccezioni alla sua applicazione. Con l'annotata sentenza la Corte di Cassazione ha riaffermato il principio, gi� consolidato vigente l'abrogato Codice di procedura civile, della natura esecutiva del procedimento, che s'instaura con l'in giunzione, prevista dal T. U. n. 639 del 1910 (con fronta Cassazione 27 febbraio 1949, n. 113 e 30 maggio 1950, n. 868), precisando che l'intimato non instaura, con l'opposizione, un giudizio di cogni zione neppure quando la contestazione sia fondata su motivi sostanziali attinenti alla legittimit� della somma richiesta. La Corte ha, altres�, precisato che al procedimento in esame, disciplinato integralmente dalla legge speciale, la quale ha dettato una procedura diversa dall'ordinaria, pi� spedita e pi� semplice, al fine precipuo di consentire agli enti pubblici di ri scuotere le entrate che sono indispensabili per assol vere agli scopi pubblici loro affidati, non sono ~p plicabili le comuni norme della procedura esecu tiva ordinaria (articoli 27, 480, 615, 617 C. p. c.). L'opposizione, pertanto, va proposta in ogni caso con �citazione davanti al giudice competente per valore del luogo in cui ha sede l'ufficio, che ha emesso la ingiunzione (art. 3 T. U. 1910), ferme restando le norme di cui al T. U. 30 .ottobre 1933, n. 1611, sulla notificazione presso l'Avvocatura dello Stato e, a nostro avviso, quelle richiamate dall'art. 52 del T. U. citato sulla indicazione dell'organo fornito del potere di stare in giudizio per l'Amministrazione. (In senso conforme alla sentenza in esame: sentenza n. 3206/52 della III Sezione Finanze contro Vaninetti). G. G. STRANIERI -Permesso di soggiorno -Revocabilit� Motivazione. (Cons. di Stato, Sez. IV, decis. n. 208 del 27 febbraio 1952 -Pres.: Papaldo; Est.: Pierro; Rie.: Starkov). Il nostro ordinamento positivo prevede l'isti tuto del permesso di soggiorno degli stranieri, ivi compresi gli apolidi, nel territorio dello Stato. Il permesso anzidetto pu� essere ritirato dalla Autorit� competente qualora, a suo giudizio discre zionale, siano sopravvenute circostanze che abbiano determinato un mutamento nelle �sigenze del pub blico interesse, nel corso delle quali il permesso fu rilasciato. Il provvedimento con cui la Pubblica Ammi nistrazione revoca il permesso di soggiorno non richiede l'obbligo della motivazione avendo la P. A.. in tale materia facolt� di agire secondo il proprio apprezza.mento delle esigenze di pubblico interesse. SULL'ALLONTANAMENTO DEGLI STRANIERI DAL TERRITORIO DELLO STATO 1. Con questr: decisione (1) il Consiglio di Stato ha ritenuto che l'Autorit� di Pubblica Sicurezza pu� limitare o revocare in qualsiasi momento il permesso di soggiorno rilasciato a stranieri e che il relativo provvedimento non richiede obbligo di motivazione, avendo la Pubblica Amministrazione in questa materia facolt� di agire secondo il proprio apprezzamento delle esigenze del pubblico interesse. La decisione � stata sottoposta a critica da parte dello J emolo (2) e del Virga (3): il primo ha esaminato entrambe le questioni affrontate dal Consiglio di Stato; il secondo ha limitato la :ma indagine ai poteri della Pubblica Amministrazione per il rimpa trio degli stranieri. La prima questione non ci risulta che abbia precedenti specifici, l'altra si riallaccia al problema della motivazione degli atti amministrativi, ma con caratteristiche proprie, stante il potere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione in questa materia e su cui si dir� oltre. Sia lo J emolo sia il Virga sono concordi nel ritenere, contrariamente a quanto affermato dalla ricordata decisione, che l'allontanamento dello straniero dal territorio della Repubblica possa aver luogo solo mediante provvedimento di espulsione da adottarsi dal Ministro dell'Interno, a norma dell'art. 150 del T. U. delle leggi di P. S., o merc� foglio di via obbligatorio per disposizione dei prefetti competenti secondo il disposto dell'art. 152 del citato T. U., nel caso in cui lo straniero non sappia dare contezza di s� o sia sprovvisto di mezzi. Di conseguenza, l'allontanamento dello straniero mediante revoca del permesso di soggiorno non troverebbe riscontro nel nostro sistema amministrativo in cui il permesso di soggiorno � previsto con conte~uto e finalit� diverse da quelle assunte dalla decisione in esame. 2. Queste critiche, secondo noi, si dimostrano infondate, quando si determini la natura giuridica del permesso di soggiorno, quale risulta dal complesso delle norme relative alla permanenza degli stranieri nel territorio dello Stato, e si assuma l'espulsione e l'allontanamento mediante foglio di via obbligatorio dello straniero con lo scopo che ha voluto attribuire la legge a quei due istituti. . . L'art. 142 del T. U. di P. S. dispone che gli stranieri hanno l'obbligo di presentarsi entro tre giorni dal loro ingresso nel territorio dello Stato all'Autorit� di P. S. �per dare contezza di s� e fare la dichiarazione di soggiorno�. L'art. 262 del Regolamento al T. U. di P. S. approvato con R. D. 6 maggio 1940, n. 635, (1) In �Raccolta compl. della giur. del Con. di Stato��-� 1952, p. 156 e segg. ' (2) JEMOLO: L'espulsione dello straniero, in cc Foro It. �, 1952, III, p. 108 e segg. � (3) VraGA: Il diritto di soggiorno degli stranieri, in �Rivista di Polizia '" 1952, p. 542 segg. -66 poi, stabilisce che l'Autorit� di P. S., esaminati i documenti che lo straniero esibisce per comprovare la sua dichiarazione, cc gli rilascia ricevuta qualora nulla osti alla permanenza di lui � nel territorio della Repubblica. Lo stesso articolo aggiunge che cc il possesso della ricevuta costituisce per ogni effetto la prova dell'adempimento da parte dello straniero dello obbligo derivante dall'art. 145 della legge � e che tale ricevuta deve essere esibita <<ad ogni richiesta dagli ufficiali ed agenti di P. S. �. � Sebbene l'espressione della legge sia poco felice nell'indicare il permesso di soggiorno come �ricevuta�, tuttavia, dal contenuto dell'art. 262 del Regolamento citato si deduce facilmente che si tratta di un'autorizzazione amministrativa. Difatti, disponendo questa norma che l'Autorit� di P. S., esaminati i documenti che lo straniero esibisce per comprovare la sua dichiarazione ed accertata l'identit� del dichiarante, <<gli rilascia ricevuta qualora nulla osti alla permanenza di lui nella Repubblica �, bisogna logicamente ritenere che quell'autorit� svolge un'attivit� discrezionale al di fuori del puro e semplice esame dei documenti. D'altra parte, poich� il documento rilasciato in dipendenza di tale valutazione discrezionale permette allo straniero di rimanere nel territorio dello Stato posto che per l'art. 262, 3� comma quel documento deve essere esibito cc ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti della pubblica sicurezza� -deriva che la ricevuta in esame o permesso di soggiorno rientra nella categoria delle autorizzazioni amministrative. Il Virga esclude che si tratti di un'autorizzazione amministrativa, nella considerazione che il rilascio della ricevuta in esame sia cc subordinato all'accertamento che lo straniero abbia adempiuto tutti gli obblighi prescritti per un suo regolare ingresso nel territorio dello Stato � ed abbia lo scopo, pertanto, di dimostrare l'osservanza di un obbligo da parte dello straniero (1). Quest'autore in sostanza ritfone che la ricevuta di cui all'art. 262 rientri fra gli atti amministrativi di natura certificativa, la cui emanazione si riporta ad un'attivit� vincolata dall'Amministrazione. Ma quest'opinione non trova alcun riscontro nello art. 262, il quale, se lascia all'Amministrazione la facolt� di valutare l'opportunit� o meno della permanenza dello straniero in Italia, significa che ad essa ha voluto attribuire una potest� discrezionale, analoga a quella che ad essa spetta relativamente all'ingresso dello straniero nel territorio dello Stato. Se si fosse voluto stabilire che l'Amministrazione non ha il potere cc di rilasciare o meno il permesso di soggiorno �, ma ha solo l'obbligo di attestare l'adempimento di un dovere da parte dello straniero come ritiene il Virga (1), non si sarebbe aggiunto l'inciso �qualora nulli osti alla permanenza �, il quale postula un . potere discrezionale e non gi� la semplice attestazione dell'adempimento di un obbligo. Si aggiunge da parte di ques'autore che la tesi, che nega al permesso di soggiorno la natura di autorizzazione amministrativa, trova conforto nello art. 142 del T. U., il quale esenta dall'obbligo della dichiarazione di soggiorno gli stranieri che si trattengono per diporto nel territorio dello Stato per un tempo non superiore a due mesi. (1) VIRGA, Op. cit., p. 544. Ma la norma citata non esenta affatto gli stranieri che si trovano nelle accennate condizioni dall'obbligo della dichiarazione di soggiorno, piuttosto dispone che essi << devono fare soltanto la prima dichiarazione d'ingresso �, cio� sono tenuti a dare contezza di s� ed a fare la dichiarazione di cui all'a�rt. U2 del T. U. di P. S. senza essere obbligati a rinnovarla ogni qualvolta trasferiscono la loro residenza da uno ad altro comune. Ohe il permesso di soggiorno costituisca un'autorizzazione amministrativa si ricava peraltro da altre considerazioni. L'ingresso dello straniero nel territorio dello Stato avviene in base ad un visto d'ingresso sul passaporto, visto che senza dubbio d� luogo ad 1m'autorizzazione amministrativa. Questo visto d'ingresso viene emesso con la semplice presentazione del passaporto da parte del titolare, qualora questi non rientri in categorie di persone che gi� risultano non gradite per particolari ragioni. Si tratta, perci�, di un'autorizzazione che viene data senza svolgere speciali indagini di polizia relativamente alla persona. Nei tre giorni successivi a quello dell'ingresso, invece, lo straniero � tenuto, a norma dell'art. 142 del T. U. di P. S., a presentarsi all'Autorit� di P. S. per fornire tutti i chiarimenti che saranno richiesti. Sar� in questo momento, quindi, che l'Autorit� di P. S. esaminer� la posizione dello straniero e rilascer� la ricevuta o permesso di soggiorno qualora nulli osti alla sua permanenza nel territorio dello Stato. Da questo sistema della legge discende che la prima autorizzazione � provvisoria, la seconda ha un certo carattere di stabilit�, dal momento che viene data dopo un'indagine di polizia relativa alla persona. �Il fatto che questa seconda autorizzazione di polizia sia necessaria ogni qual volta lo straniero stabilisca il suo domicilio in un nuovo comune -salvo che egli si trattenga nel territorio dello Stato per non oltre tre mesi, caso questo in cui, come s'� visto, � sufficiente l'autorizzazione nel primo comune -si spiega f acilmente tenendo presente che particolari ragioni, di carattere militare, di polizia, ecc., consigliano l'Autorit� di P. S. di essere in grado di conoscere in ogni momento quali e quanti stranieri si trovino nel territorio di un comune. Ora, se il permesso di soggiorno costituisce una autorizzazione amministrativa, e pi� precisamente un'autorizzazione di polizia (e su ci� non sembra possa essere dubbio per quei motivi di carattere letterale ed ontologico gi� messi in rilievo), deriva che esso pu� essere revocato quando vengano meno le condizioni che ne avevano determinato il rilascio, quando cio� nuove ragioni ostino alla permanenza dello straniero nel territorio dello Stato. Questo potere di revoca appartiene alla stessa autorit� che aveva concesso il permesso di soggiorno e non ha nulla da vedere col diverso potere di espulsione e di allontanamento mediante foglio di via obbligatorio, che spetta al Ministero dell'Interno ed al Prefetto in virt� degli articoli 150 e 152 del T. U. Il potere di revoca discende dalla natura dell'atto ed incontra un limite in quello stessli generale interesse pubblico che condiziona la concessione �elper�� .messo di soggiorno, interesse che misura l'opportunit� e della concessione e della revoca del permesso stesso. Invece, i poteri di espulsione dello straniero e di allontanamento mediante foglio di via obbligatorio, -67 rispettivamente attribuiti al Ministro dell'Interno ed al Prefetto territorialmente competente dagli articoli 150 e 152 del T. U., trovano la loro giustificazione nel perseguimento di diversi e particolari interessi pubblici: il primo nell'opportunit� di allontanare lo straniero condannato per delitto ovvero denunziato per una contravvenzione alle disposizioni del titolo V, capo I, del T. U.; il secondo nell'opportunit� di respingere dal territorio dello Stato gli stranieri che non sappiano dare contezza di s� o siano sprovvisti di mezzi di sostentamento. Sebbene, quindi, tutti e tre i poteri possano raggiungere lo stesso effetto di allontanare lo straniero dal territorio dello Stato, tuttavia ognuno di essi si differisce profondamente dall'altro per le particolari condizioni di fatto �che sono assitnte dalla legge a presupposto per la sua attuazione e per lo speciale fine che con esso s'intende perseguire. Il che � assai importante sia dal lato della legittirnit� dei relativi provvedimenti, la quale non pu� che sindacarsi in relazione al contenuto del potere da cui essi sono stati determinati, sia per le conseguenze che derivano da ciascuno di quei provvedimenti. Difatti, l'espulsione ha carattere sanzionatorio e porta come conseguenza che lo straniero � non pu� rientrare nel territorio dello Stato, senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'Interno� (art. 151, 1� comma df!l, T. U.). L'allontanamento mediante foglio di via obbligatorio, previsto dall'art. 152 del T. U., trova la sua causa nel fatto che lo straniero non sappia dare contezza di s� e sia sprovvisto di mezzi e, pertanto, non pregiudica minimamente il rientro dello straniero� quando venga a cessare quella condizione. Invece, la revoca del permesso di soggiorno � determina dal fatto che particolari motivi ostino alla permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, trova la sua causa cio� nel venir meno delle condizioni che avevano consigliato il rilascio di quel permesso, con la conseguenza che un eventuale rientro � subordinato ad una rigorosa valutazione di queste condizioni, diversamente da ci� che avviene nell'ipotesi prevista dall'art. 152, in cui l'allontanamento dello straniero � avvenuto per un particolare motivo e non gi� perch� rag.ioni di carattere generale ostavano alla permanenza dello straniero nel territorio dello Stato. In conclusione, pertanto, ci sembra che il Consiglio di Stato abbia esattamente assunto un potere di revoca del permesso di soggiorno, di carattere generale e che scaturisce dalla natura di autorizzazione amministrativa di quest'ultimo, diverso e distinto dai poteri di espulsione e di allontanamento mediante foglio di via obbligatorio dello straniero, i quali perseguono fini particolari. 3. La forma usata dalla legge, per il rilascio del permesso di soggiorno � qualora nulla osti alla permanenza � dello straniero nel territorio della Repubblica, postula un provvedimento largamente discrezionale, posto che non � determinato alcun fine speciale cui � subordinato quel rilascio. Pertanto, il limite che incontra il potere discrezionale dell'amministrazione � caratterizzato solo dal fatto che la concessione del permesso di soggiorno non sia in contrasto con l'interesse pubblico, che essa deve perseguire in ogni sua attivit�, la quale non sia determinata dal conseguimento di scopi particolari. Correlativamente, anche il potere di revoca del permesso di soggiorno � largamente discrezionale ed ha come limite il perseguimento dell'interesse generale, dato che ogni potere non pu� che mani/estarsi con identico contenuto sia nell'adozione di un provved'imento sia nella revoca di esso. Pertanto, l'affermazione del Consiglio di Stato, secondo cui la revoca del permesso di soggiorno non ha bisogno di motivazione, � ri$pondente ..a.i principi giuridici che disciplinano la motivazione degli atti amministrativi. La motivazione, difatti, fuori dei casi .nei quali sia espressamente prevista dalla legge, � necessaria solo se l'atto� amministrativo, per la sua speciale natura, la richieda onde possa attuarsi il sindacato di legittimit�. Per gli atti largamente discrezionali, invece, i quali incontrano solo il limite generale dell'interesse pubblico, non vi � obbligo di motivazione, ma basta l'indicazione della norma da cui il potere discrezionale discende, essendo libero il giudizio dell'Amministrazione ed irrilevante ai fini del controllo di legittimit�, il processo logico di determinazione della volont� (1). Questi principi hanno trovato ormai una decisa conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, il quale, quindi, per la questione di cui trattasi, non ha fatto che ribad�re il suo precedente indirizzo. CARMELO CARBONE TRASPORTO -Avarie e danni -Trasporto ferroviario -Liquidazione delle indennit� di perdita e di avarie -Debito pecuniario -Rivalutazione monetaria -Inammissibilit�. (Cassazione, Sez. un., Sent. n. 214-53; -Pres. Mandrioli; Est.: Sagna; P. M.: Eula -Ministero Trasporti contro Bottari). Gli obblighi dell'Amministrazione ferroviaria anche in ordine alla liquidazione delle indennit� di perdita e di avaria debbono essere rigorosamente circoscritti nell'ambito dei precisi limiti stabiliti dalle condizioni e tariffe ferroviarie. In conseguenza, poich� l'aestimatio rei � soggetta e rimane vincolata ad un metro monetario precedentemente stabilito, l'obbligo del pagamento della indennit� costituisce una obbligazione di valuta originaria, cui � applicabile il principio nominalistico, onde il giudice non pu� adeguare le indennit� al valore delle cose perdute o avariate per colpa del vettore ferroviario, salvo il caso dell'interesse alla riconsegna previsto dall'art. 59 O.O. e TT., e deve applicare solamente le norme in vigore al tempo dell'accettazione del trasporto. La Corte suprema riconferma con questa sentenza l'indirizzo giurisprudenziale iniziato con la sentenza n. 2589 del 1952 (vedi in questa cc Rassegna n, 1932, p. 228). Un'ulteriore conferma si era gi� avuta con la sentenza n. 206 del 1953 in causa Ministero Trasporti contro Di Bella. Trattasi, quindi, di un indirizzo ormai costante sul quale si ritiene che la Corte Sitprema non avr� pi� necessit� di tornare, in quanto � da sperare che le Corti di merito si adegueranno al suo insegnamento. (1) In questo senso vedi da ultimo: Sez. IV, decisione 27 del 4 aprile 1949, in cc Foro Amm. >>, 1949, I, 1, 227; vedi pure Il Consiglio di Stato nel quadriennio 1947-1950, Roma, 1952, vol. II, pp. 21-22. In merito p�r la dottrina vedi specialmente, IAOOARINO: Studi sulla motivazione, Roma, 1933, p. 201 segg. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO COMPETENZA E GIURISDIZIONE -E. N. P. A. S. � Controversia per il rimborso di spese per cure mediche tra il dipendente statale e l'Ente -Discrezionalit� dell'Ente nell'accertamento -Incompetenza della giurisdizione ordinaria. (Tril:unale di Chieti, Sentenza 30 settemhre-18 ottobre 1952; in cause Rutolo e Nicolucci contro E. N. P. A. S. -Pres. ed Est.: Pierantoni). Il rimborso delle spese per cure mediche � dalla disposizione dell'art. 7 del D. L. 12 febbraio 1948, n. 147, subordinato alla valutazione riservata agli organi dell'E.N.P.A.S. della inerenza delle spese alla malattia; il carattere discrezionale di tale accertamento implica che in relazione alla misura del rimborso il dipendente statale abbia non un diritto soggettivo perfetto, ma un interesse legittimo tutelabile avanti gli organi di Giustizia amministrativa. Questione nuova e senza precedenti correttamente decisa dal Tribunale di Chieti. Alcuni dipendenti statali, avendo amtto dall'E.N. P.A.S. negato il rimborso di alcune cure mediche, ritenute dall'Ente non inerenti alla malattia, adirono il Tribunale, ai sensi dell'art. 459 C.p.c. per ottenere la condanna dell'Ente al pagamento di quanto ,era stato loro negato, ritenendo trattarsi di controversia in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria. L'E.N.P.A.S., assistito dall'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 26 della legge 19 gennaio 1942, n. 22, dedusse il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sotto un duplice profilo: a) dato che l'assistenza per i dipendenti statali � una assistenza sui generis, che costituisce parte integrante del rapporto d'impiego, le controversie relative debbono ritenersi controversie di pubblico impiego e quindi deferite alla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato; b) data la natura di Ente pubblico dell' E .N. P.A.S., poich� l'apprezzamento sulla rimborsabilit� delle cure mediche � riservato alla discrezionalit� tecnico-amministrativa dell'Ente, ne consegue che per la pretesa al rimborso il dipendente non pu� vantare un diritto soggettivo, ma soltanto un interesse legittimo. Subordinatamente, qualora si fosse riconosciuta la giurisdizione del g'ludice ordinario, si contestavano le speciali competenze del Tribunale ex art. 456 C.p.c., dato che il successivo art. 459 dichiara che le disposizioni del presente capo si applicano alle controversie in tema di previdenza ed assistenza obbligatoria dei rapporti di lavoro indicati nell' articolo 425 C.p.c., dai quali � da escludere il rapporto di pubblico impiego devoluto alla giitrisdizione esclusiva del Consiglio di Stato. Dalla suddetta disposizione la difesa dell'E.N. P.A.S. traeva argomento per sostenere che si versasse in tema di controversia di pubblico impiego, dato che il legislatore aveva dovuto stabilire un perfetto parallelismo tra le controversie in materia di lavoro e quelle in tema di assistenza ed assicurazioni obbligatorie. Le prestazioni assistenziale dell' E .N. P.A.S. costituiscono, infatti, un complemento del trattamento economico del dipenente statale. Il Tribunale di Chieti, basandosi sulla natura di Ente pubblico distinto dallo Stato dell'E.N.P.A.S. ha ritenuto di non poter accogliere la tesi difensiva; ha invece accolto la tesi del difetto di.diritto sogget.., tivo in relazione al potere discrezionale conferito, in, subbietta materia all'Ente. La sentenza ha cos� motivato: �Al riguardo l'art. 7 D.L. 12 febbraio 1948, n. 147, che sostituisce l'art. 3 del precedente regolamento (R.D. 26 luglio 1924, n. 917) per l'esecuzione della legge istitutiva dell'E.N.P.A.S., cos� dispone: l'assistenza preveduta dal precedente art. 6 lett. a (cure medico-chirurgiche), lett. b (accertamenti diagnostici, farmaci ed altri mezzi terapeutici), lett. c (ricoveri in istituti di citra), � concessa mediante rimborso, nei limiti indicati dagli articoli successivi e dal regolamento, delle spese sostenute e documentate dal dipendente statale, che siano riconosciute pall' Ente inerenti alla malattia. � Dal chiaro tenore della disposizione suddetta si desume che il rimborso � subordinato alla valutarione, riservata agli organi deil'E.N.f.A.S. della inerenza della spesa della malattia; e il carattert discrezionale di tale accertamento implica che in relazione alla misura del rimborso il dipendente statale abbia non un diritto soggettivo, perfetto, ma soltanto un interesse legittimo. -69 cc Appare poi evidente che il potere discrezionale spettante all'Ente � di natura non soltanto tecnica, ma anche amministrativa, giacch� la valutazione della inerenza della spesa alla malattia va fatta non solo in base a criteri tecnici, ma anche in relazione all'interesse collettivo, a;ff�nch� l'assistenza sia equamente riportata fra tutti i dipendenti statali, tenuto conto delle disponibilit� di bilancio e dell'interesse della intiera categoria. � Ci� si desume non soltanto dalla lettera ma anche dallo spirito della legge che, nel sistema delle varie disposizioni adottate, ha voluto assicurare all'Ente il potere discrezion�le di cui si � parlato in considerazione della facolt� concessa agli assistiti di avvalersi dell'opera di medici di loro fiducia, ed allo scopo di evitare sperequazioni, assicurando a tutti, con eguaglianza di trattamento, cure adeguate alla entit� della malattia. Naturalmente l'assistito � libero di avvalersi delle cure pi�. costose consigliate dal medico di fiducia, ma la m�ggior spesa rimane a � suo carico. cc A tali principi � appunto ispirata anche la norma di cui al 2� cpv. dell'art. 8 D.L. 12 febbraio 1948, che per gli interventi chirurgici di elezione prescrive la preventiva autorizzazione dell'Ente, allo. scopo di consentire quel controllo che in tale ipotesi � preventivo, mentre in altri casi � successivo, ma che sempre implica una valutazione s1tlla opportunit� o rimborsabilit� della spesa, e quindi l' esereizio di un potere discrezionale sottratto al sindacato dell'Autorit� giudiziaria. << In base a tali considerazioni va senz'altro ripudiato l'assunto dell'attore secondo cui il controllo dell'E.N.P. .A.S. dovrebbe essere limitato all'accertamento che le spese siano state effettivamente sostenute e che i medicinali siano stati utilizzati su prescrizione del medico di fiducia. cc N � a diverso avviso pu� condurre la disposizione contenuta nell'art. 9, legge 19 gennaio 194'2, n. 22, nel quale si parla genericamente di azione per il conseguimento dell'assistenza sanitaria, e �da cui non pu� trarsi l'fCJ:azione che il legislatore abbia voluto riconoscere all'assistito il diritto di esperire l'azione giudiziaria per il rimborso delle spese sostenute. cc Il concetto di azione, come potest� di invocare la tutela giurisdizionale, non � esclusivo della giurisdizione ordinaria, e non pu� quindi limitarsi alla azione giudiziaria, ma comprende anche \l'azione proposta davanti agli organi della giurisdizion~ amministrativa. cc Del tutto irrilevante � poi il richiamo all'art. 23 del Regolamento (R.D. 26 luglio 1942, n. 917) che si riferisce alle contestazioni sulla sede e natura della malattia, devolute al giudizio inappellabile di un C9llegio medico, e da cui non pu� trarsi argomento di sorta per sostenere l'esistenza di un diritto dell'assistito al rimborso totale delle spese sostenute �. In dottrina si confronti il LEVI (Istituzioni di legislazione sociale, 10 ed., pp. 67 e 210) che, dopo aver rilevato che non sono di regola soggetti alla legislazione sociale i dipendenti statali, pone in evidenza le forme speciali di previdenza per essi stabilite, fra cui principale quella attuata dall' E .N. P . .A.S. (G. B.) CONTRATTI AGRARI -Accertamento del diritto di proroga legale -Tacita riconduzione -Competenza sezione specializzata -Disdetta. (App. Catania Sezione specializzata agraria, 24 novembre 1952 - Pres.: Verz�; Est.: Laurino -Ventura contro Croce Rossa Italiana). Va proposta innanzi alla Sezione specializzata agraria e non innanzi all'Autorit� giudiziaria ordinaria la domanda di rilascio di un fondo rustico in conseguenza della mancanza degli estremi della proroga legale (nella specie, della qualifi.ca di colti. vatore diretto), ancorch� il conduttore riconosca in giudizio di non avervi diritto, invocando per altro motivo (nella specie, tacita riconduzione) la continuazione del godimento. La medesima Sezione � competente a conoscere della questione relativa alla tacita ricond.zione, dedotta dal convenuto. Per impedire la tacita riconduzione non � indi spensabile la preventiva intimazione della licenza per fi,nita locazione ai sensi dell'iut. 657 O.p.c., ma basta la manifestazione non equivoca di una volont� contraria del locatore prima della scadenza del contratto. � Proposta azione di rilascio innanzi la Sezione specializzata agraria, ai sensi dell'art. 2 della legge 26 giugno 1949, n. 353, modificato dall'articolo 1 della legge 3 giugno 1950, n. 392, contro il condut tore di un fondo rustico che oppone la proroga legale, viene meno la competenza della Sezione specializ zata se il conduttore, costituitosi nel giudizio, rico nosce di non avere diritto alla proroga legale e invoca piuttosto la tacita riconduzione? Questo � il quesito risolto con la prima delle massime sopra riportate dalla Sezione specializzata della Corte d'Appello di Catania. La soluzione adottata, in accoglimento della tesi sostenuta dalla Avvocatura, muove dalle seguenti considerazioni: l'azione di cui trattasi tende al rilascio in conseguenza dell'accertamento nega tivo del diritto di proroga legale che il conduttore vantava anteriormente all'istituzione del giudizio; il riconoscimento che il convenuto conduttore fa in giudizio dell'inesistenza di codesto diritto, se vale a dispensare il giudice specializzato dalle indagini che altrimenti sarebbero necessarie al riguardo, non muta il carattere dell'azione che ha pur sempre come presupposto l'accertamento negativo del diritto di proroga legale; codesto accertamento, per la legisla zione speciale vigente in materia, spetta esclusiva mente alle Sezioni specializzate agrarie. Tale solu zione � pienamente conforme all'orientamento della Suprema Corte di Cassazione,� secondo cui competenti a giudicare sulla esistenza del diritto alla proroga legale dei contratti agrari sono esclusivamente le Sezioni specializzate (di Tribunale o di Corte di .Appello) all'uopo istituite dalla legge. Si consultino, tra le altre, le sentenze delle Sezioni Unite, 2:3 feb braio 1949, n. 331; 14 novembre 1949, n. 2481; 25 novembre 1949, n. 2505 (cc Foro It. �, .1950, I, 554 con nota contraria); 27 aprile 1950, n .. 1122 e Cass. 30 luglio 1950, n. 2244. Una volta affermata la competenza della Sezione specializzata sulla domanda di rilascio, evidente mente ne discende anche la competenza della mede sima Sezione a conoscere della tacita riconduzione, -70 dedotta dal convenuto. Ed anche tale competenza ha affermato la Sezione specializzata agraria della Corte di Appello di Catania. Per� essa, per affermarla, mostra di considerare la tacita riconduzione come una questione pregiudiziale che sia necessario risolvere in via incidentale per giungere al provvedimento definitivo di rilascio. Il che non ci sembra del tutto esatto, perch� la pregiudizialit� presuppone l'esistenza di due questioni diverse, di cui quella pregiudiziale costituisce l'antecedente logico della decisione sulla questione principale. Invece il rapporto � di tacita riconduzione invocato da chi � convenuto per � il rilascio dell'immobile locato non d� luogo ad una questione diversa da quella proposta dall'attore, ma rimane entro l'ambito di essa, trattandosi pur sempre di decidere se quel medesimo rapporto di locazione sia tuttora esistente o meno. Neppure sembra che la deduzione in parola costituisca una vera e propria eccezione in senso tecnico; perch�, come si sa, questa ultima riguarda solo l' esistenza di quei fatti estintivi o impeditivi che portano al rigetto della domanda in quanto fatte valere dal convenuto (onere della eccezione). La tacita riconduzione invece non � assolutamente un fatto estintivo o modificativo del diritto del �locatore ad ottenere il rilascio, ma � piuttosto una circostanza che esclude addirittura l'esistenza del fatto costitutivo (l'illegittima detenzione) della domanda attrice. Per conseguenza di essa iZ giudice deve tener conto sol che ne abbia cognizione, indipendentemente dall'attivit� che al riguardo possa svolgere il convenuto, rientrando nei suoi poteri di ufficio il rilevare il difetto di una condizione dell'azione. E questa sembra essere appunto la vera ragione per cui il giudice specializzato competente a conoscere della domanda di rilascio di un fondo rustico, innanzi a lui proposta, appare altres� competente a conoscere della eventuale esistenza di una tacita riconduzione. Con la terza massima viene fatta giustizia della pretesa del conduttore per cui l'omessa intimazione della licenza preventiva prima della scadenza, secondo il procedimento preveduto nell'art. 657 C.p.c., importerebbe senz'altro la rinnovazione tacita del contratto di affitto. � stato invece correttamentedeciso che il potere giuridico del locatore d'impedire la tacita riconduzione non � affatto legato alla detta intimazione ma pu� esercitarsi con una qualsiasi disdetta anteriore alla scadenza. Decisione codesta che appare in armonia col principio affermato dal Supremo Collegio in tema di convalida di licenza per finita locazione, per cui la convalida ben pu� riferirsi ad una manifestazione di volont� per cessazione della locazione non contestuale alla citazione, ma espressa in una disdetta intimata anteriormente; manifestazione di volont� che conserva l'efficacia d'impedire la tacita rinnovazione del contratto ancorche la citazione per la convalida venga poi dichiarata nulla per vizi procedurali (Cass. 8 agosto 1942, Reper. dl'oro It.�, 1942, col. 873, n. 139; cfr. GARBAGNATI: I procedimenti di ingiunzione e sfratto, 1949, p. 101; vedi anche Cass. 2!5 giugno 1945, n. 7 80). Il che vuol dire che la tacita riconduzione pu� benissimo essere impedita anche con un atto diverso dell'intimazione della licenza per finita locazione e della contestuale citazione per convalida di cui all'art. 657 C.p.c., e cio� con una qualsiasi mani! estazione di volont� contraria del locatore fatta prima della scadenza. (A. N.). RASSEGNA DI LEGISLAZIONE I PROVVEDIMENTI SONO ELENCATI SECONDO L'ORDINE DI PUBBLICAZIONE SULLA �GAZZETTA UFFICIALE� I. I. D. R. P. t I dicembre 1952, n. 4433 (G. U., n. 27): Norme per l'attuazione della legge, in corso di pubblicazione, che modifica la legge 17 luglio 1942, n. 907 sul monopolio dei sali e tabacchi. La legge alla quale le suddette norme di attuazione si riferiscono � quella n. 1641 dell'll luglio 1952. Questa legge non era affatto in corso di pubblicazione, ma era gi� stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 275 del 1952. In tal senso deve intendersi quindi rettificato il titolo del presente decreto presidenziale, titolo che non risulta abbia mai avuto precedenti nella nostra tecnica legislativa. 2. D. R. P. 5 febbraio 1953, n. 39 (G. U., n. 33): Testo Unico delle leggi sulle tasse automobilistiche. Bench� si chiami tassa, si tratta di vera e propria imposta indiretta. Si segnala l'art. 39 relativo alle controversie concernenti l'applicazione del tributo. Vige naturalmente per tali controversie la competenza collegiale stabilita in materia di imposte in genere e si applica il Foro dello Stato. 3. Legge 13 febbraio 1953, n. 60 (G. U., n. 51): Incompatibilit� parlamentari. Si segnala per i riflessi che pu� avere sul contenzioso statale, la norma dell'art. 4, secondo la quale� i membri del Parlamento non possono assumere il patrocinio professionale, n�, in qualsiasi forma, prestare assistenza o consulenza ad imprese di carattere finanziario od economico in loro vertenze o rapporti di affari con lo Stato �. � questione delicata stabilire la portata della sopratrascritta norma, ma pare da escludersi che essa possa intendersi nel senso che la qualit� di membri del Parlamento negli avvocati che rappresentano e difendono le imprese sopraindicate in giudizi contro lo Stato, determini addirittura la perdita dello jus postulandi. Invero il giudizio sulla sussistenza degli estremi delle incompatibilit� spetta, ai sensi dell'art. 8 della legge in questione, alla Giunta delle Elezioni della Camera o del Senato, e trattasi evidentemente di una competenza che esclude la possibilit� di giudizi da parte di qualsiasi altro organo, anche giudiziario. 4. Legge 10 febbraio 1953, n. 62 (G. U., n. 52): Costituzione e funzionamento degli organi regionali. Si rinvia a quanto abbiamo gi� rilevato in questa Rassegna, 1951, p. 212. 5. Legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (G. U., n. 62): Norme integrative della Costit,uzione concernenti la Corte costituzionale. 6. Legge 11 marzo 1953, n. 87 (G. U., n. 62): Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale. Si rinvia a quanto gi� diffusamente si � scritto in materia in questa Rassegna sin dal 1948. II. Disegno di legge n. 3008 (inidativa governa'iva): Modificazioni al Codice di procedura penale. Il disegno di legge consta di 17 articoli con i quali si provvede, in pendenza della riforma dell'intero Codit;J di procedura penale, a collegare alcune norme del vigente Codice di rito con la Costituzione: la revisione in parte qua tiene conto delle modifiche apportate dalla Commissione ministeriale nel noto Progetto di riforma del Codice rimesso al Ministro Guardasigilli nel 1950, circa il quale � tuttora in corso la raccolta del materiale di osservazioni e rilievi formulati dagli organi competenti. Il collegamento concerne, secondo quanto indica la Relazione al Progetto: a) la riduzione al minimo dei casi di limitazione della libert� personale per l'esigenza del processo penale; b) la sottoposizione rigorosa del fermo, delle perquisizioni e delle limitazioni alla libert� di corrispondenza, alla garanzia giurisdizionale; c) l'intervento della difesa nell'istruzione formale ed, infine, d) la impugnabilit� con ricorso per cassazione di tutte le sentenze e di tutti i provvedimenti sulla libert� personale. Non � il caso di indicare qui tutte le modifiche che sono apportate alle corrispondenti norme del C�d�ce vigente, ch� l'esposizione si risolverebbe nella trascrizione�degli articoli del Progetto. Fra quelle di maggior interesse preme segnalare: a) La limitazione della libert� a qualsiasi titolo sofferta in sede di custodia preventiva conta nella ese -72 cuzione della pena, anche se questa � stata inflitta per un reato diverso da quello al tjuafo consegu� la custodia preventiva e in u� distinto procedimento, purch� il reato stesso non sia stato commesso dopo la cessazione della custodia preventiva. � l'applicazione del principio defi'. nito con espressione immaginifica, della cc banca del carcere>>, entro i dovuti limiti naturalmente: colui il quale in sede di custodia preventiva � stato in carcere per un reato per il quale poi, a sentenza penale passata in giudicato, � risultato che nessuna pena detentrice avrebbe dovuto scontare, pu� fruire, a titolo di risparmio, del periodo trascorso in stabilimento di pena nella esecuzione di una condanna per un altro reato, purch� questo non sia stato commesso dopo la cessazione della custodia preventiva. La limitazione trova giustificazione nella necessit� di impedire che l'attuazione del principio suddetto si risolva in un incentivo al mal fare per colui il quale, sapendo di avere carcere a risparmio, sarebbe spinto a delinquere nella sicurezza di poter consumare per il ,nuovo reato la detenzione sofferta. b) L'intervento della difesa nei principali atti di istruzione (esperimenti giudiziali, perizie, perquisizioni domiciliari e ricognizioni, salvi i casi di impossibilit� e di urgenza), fatta esclusione dell'interrogatorio dell'imputato. Questa esclusione dalla Relazione, che si richiama all'analogo sistema segu�to dal precedente Codice del 1913 �elaborato in un clima di assoluta libert� politica e da uomini di sicura fede democratica �, � giustificata dalla opportunit� di consentire all'imputato di rispondere con la maggior franchezza possibile alle contestazioni che gli vengono mosse, al di fuori di ogni preoccupazione e suggestione derivante dalla presenza di terzi. Forse altre ragioni non sono state estranee alla limitazione, anche se esse, non difficilmente intuibili, potevano daila Relazione essere ��n8iderate assorbite da quella che � stata indicata. e) L'ammissibilit� del ricorso per cassazione, secondo l'art. 111 della Costituzione ormai ritenuto avente valore precettivo, per violazione di legge, di tutte le sentenze e tutti i provvedimenti sulla libert� personale emessi dal giudice, ordinario o speciale. � infine da ricordare che il Progetto abbandona il sistema accolto dal vigente Codice il quale, pur mantenendo la distinzione fra nullit� assolute e relative, considera sanabili tutte le nullit�. Sono ben noti gli inconvenienti e le ingiustizie -delle quali d� atto anche la Relazione -che il principio accolto nel Codice ha creato, tanto che la giurisprudenza, per ovviare ad essi, ha fatto ricorso al concetto della inesistenza giuridica dell'atto, accertabile con impugnazione comunque ammissibile._ nel, presupposto che il legislatore se avesse preveduto un tale caso abnorme non avrebbe mancato di porvi rimedio. Il principio suddetto era gi� stato abbandonato dal Codice penale militare, vigente che ha stabilito essere insanabili le nullit� di cui all'art. 185 Codice procedura penal~; ne segue ora le orme il Progetto in esame con la norma che modifica questo articolo del Codice di rito penale. INDICE S �I S T E M A T I C O DELLE CONSULTAZIONI LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � S'l'ATA PRESA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. -I) Se, ai sensi delle vigenti norme, l'Alto Commissariato per l'Igiene e per la Sanit� Pubblica possa fissare i prezzi delle specialit� medicinali (n. 138). -II) Se lo speciale Comitato interministeriale, istituito con D. L. L. 19 ottobre 1944, n. 347, abbia la facolt� di determinare i prezzi delle specialit� medicinali (n. 138). -III) Se l'Amministrazione Aiuti Internaz_ionali, istituita presso la Presidenza del Consiglio, abbia natura di Amministrazione statale (n. 139). APPALTO. -I) Se la Pubblica Amministrazione sia tenuta a risarcimento danni per la mancata approvazione del contratto di appalto (n. 161). -II) Se l'appaltatore debba essere ristorato delle somme inutilmente erogate per mantenere l'attrezza.tura� del cantiere, ove le sospensioni verificatesi nell'esecuzione dei lavori siano state determinate non da obiettive necessit� tecniche, ma dalla necessit� dell'Amministrazione di rallentare i lavori, in attesa della definizione di controversie sorte con le autorit� locali (n. 161). -III) Se l'appaltatore debba essere ristorato per le maggiori spese incontrate per la creazione di un'attrezzatura tecnica adeguata all'esecuzione dell'intero importo delle opere appaltate rispetto alle spese, di minore importo, occorrenti per la ridotta attrezzatura sufficiente all'esecuzione dei limitati lavori in effetti eseguiti (n. 161). -V) In quale misura vada costituito il deposito cauzionale nei pubblici appalti (n. 161). -Se l'Amministrazione sia tenuta al pagamento degli interessi relativi a quella parte del deposito cauzionale, che sia venuta a risultare in eccesso a causa del ridotto importo dei lavori effettivamente eseguiti (n. 161). -VII) Se sia ammessa la revisione dei prezzi di un contratto di opere pubbliche, di durata inferiore a sei mesi (n. 162). -VIII) Se sia ammessa la revisione dei prezzi di un contratto di fornitura, di durata inferiore a sei mesi (n. 162). -IX) Se sia condizione sufficiente per la riattivazione dei pagamenti, gi� sospesi in seguito alla morte del titolare dell'impresa appaltatrice del servizio di casermaggio, a favore di un erede minore assente, la nomina, effettuata dal Tribunale, del curatore speciale per la tutela e l'esercizio dei diritti relativi all'appalto del detto servizio (n. 163). ...:__ X) Se il termine di due mesi, stabilito dall'art. 26 del Capitolato speciale dei servizi di casermaggio, decorra, nelFipotesi prevista dall'art. 36 del Capitolato stesso, da quando gli eredi siano posti in condizione di agire quali appaltatori, cio� dal giorno della comunicazione della continuazione del servizio, disposta dall'Amministrazione (n. 163). -XI) Se il termine di cui all'art. 26, nel caso in cui tra gli eredi dell'appaltatore sia un minore assente, possa comunque decorrere da data anteriore alla nomina, da parte del Tribunale, del curatore speciale (n. 163) -XII). Se la Gestione I.N.A.-Casa, conferendo a terzi l'incarico di costruire, a norma dell'articolo Il della legge 28 febbraio 1949, n. 23, abbia rapporti diretti con le Imprese appaltatrici (n. 164). -XIII) Se, in conseguenza dell'inadempimento della Stazione appaltante per insolvenza, poesa l'Impresa appaltatrice rifiutarsi di consegnare.le costruzioni(n. 164). -X~V) Se la Gestione-I.N.A.-Casa possa sostituirsi alla insolvente Stazione appaltante nel pagare all'Impresa appaltatrice, in tutto o in parte, l'importo della spesa, in modo da ottenere la consegna dell'opera (n.164). -XV) Se possa ritenersi applicabile l'art. 40 del C. G. di A. del Ministero d~i Lavori pubblici ove il ritardo nel pagamento delle somme dipenda non dalla ritardata liquidazione amministrativa delle somme stesse, ma dal fatto eh~ la irregolare tenuta dei registri contabili abbia impedito il rilascio del certificato dei lavori (n. 165). XVI) Se l'eccezione "inadimplenti non est adimplendum " possa farsi valere nei c�nfronti della 'Pubblica Amministrazione (n. 165). -XVII). Se la sospensione dei lavori debba assqlutamente contestarsi nei modi prescritti dal Regolamento 28 maggio 1895 (n. 165). XVIII) Se il fallimento dell'impresa impedisca in ogni caso il provvedimento di rescissione in danno, da adottarsi eventualmente nei suoi riguardi (n. 165). ATTI AMMINISTRATIVI. -I) Se l'acquiescenza del privato ad un atto amministrativo, che concreti a suo carico un determinato obbligo (o la misura di un determinato obbligo) sia di ostacolo ad un'eventuale revoca o modifica dell'atto stesso da parte della Pubblica Amministrazione (n. 7). -II) Se il decorso dei t~rmini di impugnativa di un atto amministrativo preclude alla Pubblica Amministrazione l'esercizio del potere di revoca dell'atto stesso (n. 7). AUTOVEICOLI. -I) Se per le questioni concernenti la circolazione rotatoria dei veicoli debba farsi riferimento ai regolamenti comunali emanati in virt� della potest� normativa CC?ncessa ai Comuni dall'articolo 128 del R.D. 8 dicembre 1933, n. 1740 ,(n. 40). -74 II) Se i conducenti di veicoli siano tenuti ad osservare la circolazione rotatoria, anche quando non vi sia cartello indicatore, in un piazzale, al cui centro sia un albero, un monumento, un~aiuola o qualsiasi ostacolo o rialzo (n. 40). -III) Se i conducenti di veicoli siano tenuti ad osservare la circolazione rotatoria, in mancanza di cartello indicatore, in una piazza, al cui centro non sia alcun rialzo, ostacolo od impedimento (n. 40). -IV) Se una lettera di diffida a restituire possa ritenersi equipollente dell'atto �a mezzo ufficiale giudiziario " idoneo ad evitare la decadenza ai sensi e per gli effetti degli articoli 7 e 9 D. L. 22 gennaio 1948, n. 118 sull'assegnazione di autoveicoli recuperati (n. 4i). AVVOCATI E PROCURATORI. -Se l'accettazione di un funzionario dello Stato (nella specie, di un ufficiale generale) di far parte di un �Comitato d'onore>>, costituito per iniziativa comunale, possa qualificarsi cc fatto o causa di servizio'" legittimante l'assunzione della difesa da parte dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 44 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611 (n. i8). BORSA. -I) Se l'agente di cambio possa qualificarsi, in relazione alla sua attivit�, persona privata investita di pubbliche funzioni (n. 5). -II) Se la sospensione a titolo cautelativo, prevista dall'art. 63 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 2960, concernente lo stato giuridico degli impiegati dello Stato, possa applicarsi, sulla base dei medesimi presupposti, anche agli agenti di cambio (n. 5). CASE ECONOMICHE E POPOLARI. -Se la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. i2 del D. L. L. 5 aprile 1945, n. i4i, sia applicabile nel caso di assegnazione di alloggio di cooperativa a contributo statale (n. 40). COMPROMESSO ED ARBITRI. -I) Se contro i lodi arbitrali, previsti dall'art. 49 del Capitolato generale del Ministero dei Lavori pubblici sia esperibile altro rimedio se non l'azione di nullit� per i motivi di cui all'art. 829 C.p.c., io comma (n. 6). COMUNI E PROVINCIE. -I) Se il pass�ggio dello impiegato dal servizio alle dipendenze dello Stato a quello alle dipendenze della Provincia o del Comune, avvenuto ope legis, al di fuori, cio� di un atto volontario da parte dell'impiegato, concreti la cessazione dal servizio del medesimo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 56 del T. U. 26 febbraio i928, n. 619 (n. 4i). -II) Se l'impiegato, passato dal servizio alle dipendenze dello Stato a quello alle dipendenze della Provincia o del Comune volontariamente, possa chiedere il riscatto del periodo effettivo di servizio civile prestato allo Stato (n. 4i). -III) Se la prescrizione dell'indennit� di buonauscita, spettante, ai sensi dell'art. 56 del T.U. n. 619 del i928, all'impiegato che passi volontariamente dal servizio alle dipendenze dello Stato a quello alle dipendenze della Provincia o del Comune decorra dal momento in cui il medesimo lascia il servizio dello Stato (n 4i). CONTABILITA' GENERALE DELLO STf\_TO. I) Se gli adempimenti prescritti dall'art. 294 del Regolamento di contabilit� di Stato siano stabiliti solo per la emissione del mandato di pagamento (n. 101). -II) Da qual momento debbano rettamente computarsi gli interessi di mora a carico dell'Amministrazione ,la quale abbia tardato l'emissione di mandati di pagamento dovuto per precedenti forniture (n. lOi). -III) Se la Pubblica Amministrazione sia tenuta al risarcimento danni per la mancata approvazione del contratto di appalto (n. 102). -IV) Se debba considerarsi efficace una diffida a non pagare effettuata contro l'Amministrazione Aiuti Internazionali (n. 103). CONTRIBUTI. -I) Se il beneficiario delle provvidenze previste dalla legge 23 aprile 1949, n. 165, abbia la propriet� assoluta del bestiame e degli strumenti agricoli, acquistati col contributo' del 40 % da parte dello Stato (n. 4). -II) Se lo Stato, ove l'ammesso alla concess.ione del contributo venga il bene prima che sia trascorso un quinquennio dalla concessione stessa, abbia alcun diritto sul bene o semplicemente un diritto di credito per la restituzione del contributo (n. 4). -III) Se il detto diritto di credito spetti allo Stato, ove il beneficiario abbia perduto la propriet� del bene per cause diverse dalla vendita (n. 4). -IV) Se sia pignorabile il bestiame acquistato dai coltivatori diretti con i contributi di cui all'art. 6 del D. L. C.p.S. io luglio i946, n. 3i (n. 4). DANNI DI GUERRA. -Se sia ammissibile l'intervento dell'Amministrazione in una causa, che verta tra committente ed appaltatore e riguardi il pagamento dell'opera appaltata, ad istanza dell'appaltante stesso il quale chieda la condanna dell'Amministrazione al pagamento dei contributi cli ricostruzione previsti dal D.L. 29 giugno 1949, n. 409 (n. 32). DEMANIO. -I) Se l'Amministrazione delle Finanze (Demanio dello Stato) sia titolare di un diritto dominicale sui beni demaniali dello Stato (n. 87). -II) Se lo Stato rimanga titolare dei diritti pubblici reali sorti a suo favore dopo l'entrata in vigore dello Statuto Regionale Siciliano (n. 87). -III) Se vi sia differenza tra linea doganale (marittima) e demanio marittimo (n. 88). -IV) Quale sia l'interpretazione dell'art. 2 del T.U. 25 settembre i 940 sulla legge doganale, in relazione alla costruzione di edifici lungo il lido del mare fuori o nell'ambito dei porti e dei punti di approdo (n. 88). -V) Se, agli effetti dell'art. 2 suddetto, possa farsi distinzione tra edifici costruiti sul demanio marittimo ed edifici co"truiti su propriet� privata (n. 88). ESECUZIONE FORZATA. -'-Se sia pignorabile il bestiame acquistato dai coltivatori diretti con i contributi di cui all'art. 6 del D. L. C.p.S. io luglio 1946, n. 3i (n. i2). ESPROPRIAZIONE PER P.U. -I) Se il privato possa chiedere restituzione del fondo occupato in via urgente o temporanea quando sia scaduto il termine di un anno previsto dall'art. 23 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, prima dell'emanazione del decreto di espropriazione (n. 76). -II) Se la decadenza di cui all'articolo 23, ultimo comma, della legge 28__ fobbraio 1949, n. 43, sia applicabile ove, intervenuto il decreto di occu-_ pazione, il privato consenta a dare il possesso del fondo (n. 76). -III) Se il decreto di svincolo, emesso dal Tribunale ai sensi dell'art. i della legge 3 aprile i926, n. 686, esoneri l'Amministrazione dalla Carna Depositi e Prestiti da ogni responsabilit� in ordine alla restitu -75 zion".' del deposito (n. 77). -IV) Se il Tribunale possa revocare il decreto che autorizza lo svincolo dell'indennit� di esproprio depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti (n. 77). FERROVIE. -I) Se sia sufficiente, perch� i medici fiduciari delle Ferrovie dello Stato abbiano titolo al trattamento previsto dall'art. 50 del Regolamento sanitario, approvato con D. M. 14 settembre 1949, n. 1048, che i medesimi abbiano compiuto complessivamente anni 9, mesi 6 e giorni 1 di servizio oppure se, a tal fine, sia necessario che il servizio stesso abbia avuto una durata effettiva di almeno dieci anni e un giorno (n. 157). -II) Se le norme contenute nel R.I.P. (Regolamento internazionafe per il trasporto dei carri privati) prevalgano su quelle del R.I.V. (Regolamento per il reciproco uso dei carri �in servizio internazionale) e su quelle di cui al Capitolato carri privati delle Ferrovie dello Stato (n. 158). -III) Se il richiamo contenuto nell'art. 7, punto 6, del Capitolato carri privati delle Ferrovie dello Stato debba intendersi come riferentesi al R.I.V. (n. 158). -IV) Se possa inserirsi nel Capitolato carri privati delle Ferrovie dello Stato una clausola, per la quale l'immatricolante sia tenuto all'osservanza delle norme del Capitolato stesso, anche se in contrasto o in deroga da quelle previste dal R.I.V. e dal R.I.P. e da altri regolamenti, o disposizioni di carattere amministrativo o governamentale esistenti o che venissero in futuro emanati, in quanto non riguardino interessi di terzi, che sono in ogni caso salvaguardati dai citati R.I.V. e R.I.P. (n. 158). -V) Se per il personale cont. rattista, il cui rapporto con l'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato � regolato dal contratto tipo, approvato con D. L. 25 aprile 1939, n. 2941, sia ammissibile la riapertura del procedimento disciplinare, sempre che, successivamente al provvedimento punitivo, emergano nuovi fatti o prove, che facciano ritenere errato il precedente giudizio (n. 159). -VI) Se il provvedimento di licenziamento adottato dal Direttore generale delle Ferrovie dello Stato ai sensi dell'art. 9 del citato contratto tipo, abbia carattere di definitivit� (n. 159). FERROVIE E TRANVIE. -I) Se la norma dell'art. 10 del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2311, possa ritenersi abrogata dalla successiva legislazione in materia (n. 160). -II) Se la norma dell'art. 12 del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, debba applicarsi ogni qualvolta il lavoratore abbia raggiunto i venti anni di servizio. (n. 160). -III) Quale sia la natura della gestione commissariale di una societ� concessionaria di servizi ferroviari (n. 161). -IV) Quale sia la natura del contratto corrente tra la Gestione commissariale di detta societ� concessionaria e le ditte proprietarie degli automezzi adibiti dalla Gestione stessa al servizio gi� disimpegnato per via ferroviaria (n. 161). -V) Se i corrispettivi relativi alle prestazioni di detto servizio siano assoggettati all'imposta sull'entrata (n. 161). IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se il difetto di giurisdizione del g.o. in materia patrimoniale, attinente al rapporto d'impiego, sussista anche quando il rapporto stesso sia cessato (n. 318). -II) Se l'Amministrazione, prima di procedere al recupero delle somme pagate in pi�: allo impiegato cessato dal servizio, debba determinare dette somme e la conseguente misura dell'addebito con provvedimento formale, da notificarsi all'interessato (n. 318). -III) Se il diritto dell'impiegato al pagamento degli stipendi arretrati, sorto in seguito alla pronuncia di illegittimit� del licenziamento da parte del Consiglio di Stato, costituisca un �diritto patrimoniale conseguenziale � con la conseguenza che l'azione relativa, come tendente ad ottenere il risarcimento di danni, debba proporsi al g.o. (n. 319). -V) Se,_in caso di controversia per il pagamento di stipendi arretrati, possa tenersi conto di tutto quello che il dipendente, nel periodo in cui sia stato assente dal servizio, abbia guadagnato svolgendo� una quasiasi altra attivit� (n. 319). -V) Se il passaggio dell'impiegato dal servizio alle dipendenze dello Stato a quello alle dipendenze della Provincia o del Comune, avvenuto ope legis, al di fuori, cio�, di un atto volontario da parte dell'impiegato, concreti la cessazione dal servizio del medesimo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 56 del T. U. 26 febbraio 1928, n. 619 (n. 320). -VI) Se l'impiegato, passato dal servizio alle dipendenze dello Stato a quello alle dipendenze della Provincia o del Comune volontariamente, possa chiedere il riscatto del periodo effettivo di servizio civile prestato allo Stato (n. 320). -VII) Se la prescrizione dell'indennit� di buonuscita spettante, ai sensi dell'art. 56 del T. U. n. 619 del 1928, all'impiegato che passi volontariamente dal servizio alle dipendenze dello Stato a quello alle dipendenze della Provincia o del Comune, decorr� dal momento in cui il medesimo lasci il servizio dello Stato (n. 320). IMPOSTA DI REGISTRO. -1) Se la vendita delle scorte agrarie agli amministratori in proprio, di poco anteriore alla vendita dei terreni alle societ� da essi amministrate, possa ritenersi preordinata al fine di sfuggire alle presunzioni dettate dall'art. 47 della legge di registro (n. 81). -II) Se la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 12 del D.L.L. 5 aprile 1945, n. 141, sia applicabile nel caso di assegnazione di alloggio di cooperativa a contributo statale (n. 82). -III) Se la esenzione dalla tassa di registro ed ipotecaria disposta dall'art. 71 del T. U. delle leggi sui Consigli provinciali dell'economia corporativa per gli atti di acquisto, da parte di detti Consigli, di stabili destinati a loro sede, trovi applicazione, 'in relazione agli atti di acquisto posti in essere dalle Camere di commercio, industria ed agricoltura, ricostituite con il D.L.L. 21 settembre 1944, n. 315, ch� ha soppresso i Consigli provinciali dell'economia corporativa (n. 83). IMPOSTE E TASSE. -I) Se vi sia differenza tra la linea doganale (marittima) e il demanio marittimo (n. 189). -Il) Quale sia l'interpretazione dell'art. 2 del T. U. 25 settembre 1940 sulla legge doganale, in relazione alla costruzione di edifici lungo il lido del mare fuori o nell'ambito dei porti e dei punti di approdo (n. 189). -III) Se, agli effetti dell'art. 2 suddetto, possa farsi distinzione tra edifici costruiti sul demanio marittimo ed edifici costruiti su propriet� privata (n. 189). -IV) Quale sia la natura giuridica dell'accertamento fiscale (n. 190). -V) Se possa ritenersi sorto, a favore di un contribuente, un diritto quesito, rispetto ad un determinato ammontare d'imposta, solo perch�.l'ammontare accertato non sia pi�: contestabile da parte sua (n. 190). -VI) Se la separazione dal coacervo legale del patrimonio degli ascehdenti di quei beni, dagli stessi assegnati ai discendenti nel decennio 28 marzo 193728 marzo 1947, �per causa di seguito matrimonio�, -76 ai sensi dell'art. 3, comma 4�, lett. a, del T.U. 9 maggio 1950, n. 203, competa nella sola ipotesi di donazione fatta in contemplazione di futuro matrimonio oppure anche nell'ipotesi di donazione disposta per effetto di matrimonio gi� celebrato e avvenuto (n. 191). -VII) Se l'esonero dall'obbligo della dichiarazione dei redditi per i dipendenti statali (e assimilati) sia espressamente previsto dalle vigenti disposizioni (n. 192). -VIII) Se i dipendenti della Gestione Raggruppamento Autocarri siano tenuti alla denuncia dei redditi (n. 192). -IX) Se il venditore della merce con la clausola "schiavo dogana � sia tenuto a provvedere a tutte le operazioni di sdoganamento, comprese le pratiche riflettenti la licenza d'importazione (n. 193). -X) Se la dispersione della merce, soggetta ad imposta, per effetto del capovolgimento dell'autobotte che la trasportava, verificatosi in seguito alla rottura dello sterzo, possa considerarsi prodotta da forza maggiore, nei rapporti fra il proprietario obbligato e la Finanza creditrice, ai fini del rimborso dell'imposta (n. 194). -XI) Se per l'articolo 3 della legge 11 gennaio 1951, n. 25, il "caso lieve� e il � caso grave � richiesto rispettivamente per la riduzione e per il raddoppio delle pene, ricorrano solo nelle ipotesi estremi dell'irrogazione del minimo (L. 5000) o del massimo (L. 100.000) della pena (n. 195). -XII) Se gli elementi, gi� valutati per l'irrogazione delle pene base, possano essere nuovamente apprezzati per l'aumento o la diminuzione della pena stessa (n. 195). XIII) Se la recidiva, nell'irrogazione della pena, debba essere valutata per ultima (n. 195). -XIV) Se il diritto del 4 per mille a favore degli Uffici del Tesoro, applicato sui pagamenti disposti con mandati, sia dovuto quando i mandati medesimi vengano emessi a favore di Amministrazioni dello Stato (n. 196). -XV) Se l'originaria natura del credito estinto con il mandato sia rilevante al fine di stabilire l'obbligo di pagamento del diritto causale del 4 per mille (n. 196). PREZZI. -I) Se, ai sensi delle vigenti norme l'Alto Commissariato per l'Igiene e per la Sanit� pubblica possa fissare i prezzi delle specialit� medicinali (n. 12). -Il) Se lo speciale Comitat� interministeriale, istituito con D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, abbia la facolt� cli determinare i prezzi delle specialit� medicinali (n. 12). -III) Se sia ammessa la revisione dei prezzi di un contratto di opere pubbliche, di durata inferiore a sei mesi (n. 13). -IV) Se sia ammessa la revisione dei prezzi di un contratto di fornitura di durata inferiore a sei mesi (n. 13). PROCEDIMENTO CIVILE.~ I) Se, in sede civile, l'ordine di esibizione, emesso dal giudice nei confronti di un terzo, sia coattivamente eseguibile (n. 19). -II) Entro quali limiti sia ammessa l'actio ad exhibendum nei confronti della Pubblica Amministrazione (n. 19). -III) Se nell'ordinanza giudiziale debbono essere indicati specificamente i documenti da esibire (n. 19). PROFITTI DI REGIME. -Se la norma dell'art. 45 (comma 3�) D.L.L. 26 marzo 1946, n. 134, la quale pone come condizione per l'esperibilit� dell'azione di inefficacia prevista dall'art. 29 D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159, la scienza nell'acquirente circa la qualit� nel dante causa, di profittatore del regime, vada intesa nel senso che l'acquirente debba conoscere solo che il suo dante causa abbia realizzato profitti di regime o che anche sia stato sottoposto a procedimento per l'avocazione (n. 65). REGIONI. -I) Se l'Amministrazione delle Finanze (Demanio dello Stato) sia titolare di un diritto dominicale sui beni demaniali dello Stato (n. 36). -II) .se lo Stato rimanga titolare dei diritti pubblici reali sorti a suo favore dopo l'entrata in vigore dello Statuto regionale siciliano (n. 36). RESPONSABILIT� CIVILE. -Se il pagamento, effettuato dall'Amministrazione, proprietaria dei veicoli, al danneggiato costituis�a; in ogni caso, titolo idoneo e necessario, per pro�edere alla iscrizione a campione e alla successiva emission� dell'ingiunzione prevista dal T.U. 16 aprile 1910 n. 639 nei confronti del �dipendente autore del danno (n. 134). SOCIET�. -Se un Consorzio agrario provinciale, del quale sia in corso la liquidazione coatta amministrativa, abbia �ncora giuridica esistenza e personalit� (n. 47). -II) Se il rifiuto di registrare un Consorzio agrario provinciale tra i Consorzi federati, a norma del D.L. 7 maggio 1948, n. 1235, importi senz'altro l'esclusione del Consorzio dalle Societ� cooperative contemplate nel decreto medesimo, con la conseguente impossibilit� di valersi della particolare denominazione a queste riservata (n. 47). STRADE. -I) Se, ai sensi delle vigenti norme, possano circolare sulle strade, anche comunali e provinciali, i carri armati e i mezzi cingolati, secondo le esigenze dell'Amministrazione militare (n. 6). -II) Se l'usura o il logorio stradale, strettamente dipendente dal solo fatto della circolazione dei veicoli in genere ammessi alla circolazione, possa far sorgere un diritto ad indennizzo da parte degli enti, cui compete la manutenzione della strada (n. 6). -III) Se ogni altro danno connesso con la circolazione, ma non consistente nella sola usura o logorio della strada, faccia sorgere il diritto all'indennizzo (n. 6). SUCCESSIONE. -I) Se sia condizione s.fficiente per la riattivazione dei pagamenti, gi� sospesi in seguito alla morte del titolare dell'impresa appaltatrice del servizio di casermaggio, a favore di un erede minore assente, la nomina, effettuata dal Tribunale, del curatore speciale per la tutela e l'esercizio dei diritti relativi all'appalto del detto servizio (n. 35). -II) Se il termine di due mesi, stabilito dall'art. 26 del Capitolato speciale dei servizi di casermaggio, decorra, nell'ipotesi prevista dall'art. 36 del Capitolato stesso, da quando gli eredi siano posti in condizione di agire quali appaltatori, cio� dal giorno della comunicazione della continuazione del servizio, disposta dall'Amministrazione (n. 35). -III) Se il termine di cui all'art. 26, nel caso in cui tra gli eredi dell'appaltatore sia un minore assente, possa comunque decorrere da data anteriore alla nomina, da parte del Tribunale, del curatore speciale (n. 35). {9106741) noma, 1953 � Istituto Poligrafico dello Stato -G. �c.